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LE OPERETTE MORALI

Le "operette morali", l'opera che fra tutte Leopardi prediligeva, composte per la maggior
parte nel 1824 sono 25 prose filosofico-morali (per lo più dialoghi), nelle quali, oltre che
nello "Zibaldone", vanno ricercati i nuclei principali del pensiero leopardiano.

Il titolo, "morali", allude, appunto, a contenuti che hanno a che fare con l'ambito filosofico
dell'etica e della morale mentre la forma diminutiva, "operette", sembra riferirsi al modo
ironico, a volte comico-satirico con la dimensione del grottesco, leggero, certo non
canonico, con cui sono trattati temi molto importanti.

Rappresentano una forma di radicalizzazione del suo pessimismo, ormai è arrivato il totale
disinganno.

L'infelicità non appare più come nel "pessimismo storico" una conseguenza del divenire
storico che ha portato l'uomo ad allontanarsi dalla natura, madre di benefiche e vitali
illusioni, bensì una condizione ontologica, cioè immutabile nello spazio e nel tempo.

Nella concezione della natura (un tema che attraversa tutta la riflessione leopardiana)
tende a prelevare ora l'idea che la natura sia la prima responsabile dell'infelicità
umana, perché ha dato all'uomo il desiderio infinito del piacere, condannandolo al
contempo a non raggiungerlo mai, e anzi perseguitandolo con le sofferenze, le malattie, il
decadimento fisico della vecchiaia.

Questa filosofia è la filosofia del "disinganno", che vuole smascherare gli "inganni" e "le
false opinioni", diffuse tra gli uomini.

Nel 1827 Manzoni pubblicava "I promessi sposi" e in Italia si ha una rapida affermazione
del romanzo storico.

Diversamente le "operette morali" subiscono una censura vera e propria, prima civile
(l'interruzione della pubblicazione), poi ecclesiastica (il libro fu messo all'indice nel 1850).

PERSONAGGI
- Alcuni sono astratte personificazioni (la moda, la morte, la natura, l'anima)
- Creature fantastiche (gnomi e folletti)
- Personaggi immaginari (l'islandese)
- Personaggi mitologici (Ercole)
- Personaggi storici (Colombo, Tasso, Parini)

STILE
Lingua elegante, nobile, maestosa.
Ne consegue quasi una volontà antidivulgativa di Leopardi in campo linguistico: si oppone
alle istanze popolari del nostro romanticismo. Nello "Zibaldone" scrive: << una lingua
affatto dal dir comune>>.

IL DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE


Questo dialogo viene considerato il manifesto del pessimismo cosmico.
Viene composto nel maggio del 1824: in essa Leopardi immagina che un islandese, dopo
aver vagato per tutto il mondo, incontri la natura, personificata in una donna gigantesca, e
la interroghi sul tema della felicità-infelicità e sul significato dell'esistenza dell'uomo.

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