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Il Filarete
Collana di studi e testi
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Andrea Capra
Il «Protagora» di Platone
tra eristica e commedia
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Capra, Andrea
Agon logon : il Protagora di Platone tra eristica e commedia / Andrea Capra. -
Milano, LED, 2001. - 238 p. ; 24 cm.
(Il Filarete : Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Milano ; 197)
I. Capra, Andrea
1. FILOSOFIA ANTICA
2. PLATONE. PROTAGORA - STUDIO CRITICO
3. FILOLOGIA CLASSICA
ISBN 88-7916-149-0
Copyright 2001
LED - Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto
Via Cervignano 4 - 20137 Milano
Catalogo: www.lededizioni.it - E-mail: led@lededizioni.it
ISBN 88-7916-149-0
SOMMARIO
Presentazione 9
Premessa: Come leggere il Protagora? 13
1. Le difficoltà del Protagora e la forma dialogica (p. 13) – 2. I dialoghi
e la funzione protrettica (p. 16) – 3. Il problema della verità (p. 20) –
4. Dialoghi e persuasione (p. 23) – 5. Persuasione ed elaborazione lette-
raria (p. 28) – 6. Persuasione duplice: Platone e il suo pubblico, Socrate
e i sofisti (p. 32)
PARTE PRIMA
Commedia e Dialogo: l’autore e il destinatario
Platone ‘persuade’ il suo pubblico
6 SOMMARIO
PARTE SECONDA
Eristica e Dialogo: l’‘eroe’ e gli antagonisti
Socrate ‘persuade’ i sofisti
Appendici 179
1. Santità e giustizia (p. 180) – 2. Sapienza e saggezza (p. 182) – 3. L’in-
terpretazione socratica dell’Encomio a Scopas (p. 187) – 4. Coraggio e sa-
pienza (I) (p. 192) – 5. Bene e piacere (p. 194) – 6. La confutazione dei
«molti» (edonismo) (p. 196) – 7. Coraggio e sapienza (II) (p. 200)
«Credo abbia davvero ragione Omero» – osserva Socrate – «quando dice: ‘se
due procedono insieme, uno può vedere prima dell’altro’. In questo modo, in-
fatti, noi uomini siamo tutti un po’ più bravi nel progredire in qualunque im-
presa, discorso e ragionamento. Chi poi ‘in solitudine concepisca un pensiero’
subito se ne va in giro alla ricerca, finché non si imbatte in qualcuno cui mostra-
re quel pensiero, per svilupparlo insieme a lui».
Sono anni e anni che studio Platone, e ormai è abbastanza grande il nume-
ro dei compagni di strada in cui mi sono imbattuto: penso con affetto a tutte le
persone che mi hanno aiutato – più o meno direttamente – con amore, allegria,
idee, soldi, consigli, rimproveri, incoraggiamenti eccetera. Ad alcuni, poi, ho
anche inflitto i miei dattiloscritti: ricordo con piacere Franco Trabattoni, Lù Ri-
naldo, Mauro Bonazzi, Mauro Tulli, Michela Sassi, Nikos Charalabopoulos,
Pier Luigi Donini, Roberto Barreca, Stefano Martinelli Tempesta.
Il libro è una revisione della tesi di dottorato. Un ringraziamento duplice
– non solo per la disponibilità personale ma anche per l’impegno istituzionale –
va dunque al mio tutor Dario Del Corno, per l’affettuoso sostegno con cui mi ha
accompagnato in ogni passo della ricerca, a Luigi Lehnus, gentilissimo coordi-
natore del corso di dottorato, a Fernanda Caizzi, per il prezioso aiuto offertomi
nella revisione fino all’accoglimento del libro nella collana da lei diretta.
Ultimi ma non ultimi i miei genitori, cui dedico il libro.
A tutti grazie per l’aiuto e per la compagnia.
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8 SOMMARIO
0
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PRESENTAZIONE
10 PRESENTAZIONE
1
Mi consola in parte il pensiero che proprio queste sono fra le parti più studiate
del dialogo. Per il mito di Protagora rimando in particolare agli ottimi studi di Lami
1975 e Cambiano 19912. Per un’analisi strutturale del mito, cfr. Brisson 1975; per la
contrapposizione fra l’idea di educazione che emerge dal mito e quella implicita nella tesi
edonistica, cfr. per esempio Scolnicov 1988, p. 21 ss. Per un’introduzione chiara ai pro-
blemi posti dalla tesi edonistica e alla massiccia bibliografia sull’argomento, cfr. Gian-
nantoni 1994. Ho cercato di trovare una soluzione a questi problemi in Capra 1997, un
lavoro che contiene anche una ricostruzione del background storico della dottrina edo-
nistica (Antifonte e altre posizioni della sofistica). Per un lucido esame teoretico della
dottrina edonistica, vd. per esempio le pagine dedicate al Protagora in Irwin 1977 e 1995.
2
La semplicità di questo schema è turbata dal fatto che l’adozione del punto di vi-
sta della commedia è sì determinata dalla materia rappresentata, ma permette anche a
Platone di perseguire un sottile intento apologetico attraverso il gioco intertestuale con
le Nuvole (vd. infra, II). Per dirla con Aristotele, a una causa efficiente si sovrappone
una causa finale.
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PRESENTAZIONE 11
dalla forma: nel Protagora Platone, per così dire, pensa in termini dram-
matici e teatrali.
Chiudo con un’avvertenza. La ricerca nasce direttamente dalla mia
tesi di dottorato, discussa nel gennaio 2000. Nel corso del lavoro di revi-
sione non ho ritenuto saggio inoltrarmi fino in fondo nella giungla della
più recente ricerca platonica; a eccezione di alcuni studi che ho avuto
modo di conoscere in anteprima, le segnalazioni bibliografiche non van-
no quindi oltre il 1999.
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PREMESSA
1
Per l’ambientazione ‘comica’, vd. in part. infra, I.2. I dialoghi di Platone abbon-
dano di miti, ma nessun altro è pronunciato da un sofista (cfr. p.e. la rassegna offerta in
Moors 1982, p. 59 ss.). Sull’argomentazione edonistica (Prot. 351b ss.) si è scritto mol-
tissimo (vd. p.e. Giannantoni 1994, con bibliografia). Non meno strana è apparsa l’ese-
gesi socratica dell’Encomio a Scopa di Simonide, interpretata per lo più come un’ironica
imitazione dei metodi sofistici (vd. infra, Appendici, 3).
2
Per il carattere ‘eristico’ dell’interrogare socratico nel Protagora, vd. infra, III,
IV e V.
3
Tigerstedt 1977, p. 13.
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elusivo e proteiforme come Platone 4, che non parla mai in prima perso-
na 5, critica l’uso della scrittura, si ‘nasconde’ dietro alla mitografia, non
esita a contraddirsi e a confutare le sue proprie dottrine 6? Platone fu o-
stile all’interpretazione dei testi scritti, e la sua opposizione stroncò sul
nascere l’ermeneutica greca, che per opera dei sofisti muoveva allora i
primi passi 7; eppure, per ironia della sorte, proprio i dialoghi pongono
un problema formidabile di interpretazione, tanto che la storia dell’er-
meneutica – si pensi a Schleiermacher e Gadamer – ha trovato nell’opera
di Platone un termine di confronto fondamentale 8.
Che cos’è un dialogo platonico? Quali sono i suoi intenti? Quali i
destinatari? Queste domande, che già stimolarono i commentatori anti-
chi 9, sono tanto più attuali perché l’abitudine inveterata di leggere i dia-
loghi di Platone alla stregua di trattati è oggetto di critiche sempre più
radicali 10. Il problema è formidabile, e rischia di condurre lontano da
quella concretezza cui dovrebbe tendere un saggio di interpretazione de-
dicato a un singolo dialogo. Mi limiterò dunque ad alcune considerazio-
ni, il cui scopo principale sarà quello di chiarire con quali pregiudizi mi
accosto all’opera platonica, di offrire una rappresentazione per quanto
possibile icastica e viva dei principi che hanno guidato la ricerca 11.
4
Platone è definito polÚfwnoj da Ario Didimo (in Stob. Ecl. 55.5 ss.), uno spunto
che Annas 1999 sviluppa nell’ipotesi che «Plato might write in different ways for diffe-
rent audiences» (p. 17).
5
Se non nelle Lettere, Platone si serve della mediazione «opaca» del dialogo lette-
rario (cfr. p.e. Kahn 1981). Ciò non esclude, naturalmente, che talora Platone si rivolga
direttamente al lettore fra le righe dei dialoghi (cfr. p.e. Sedley 1995, pp. 4-8).
6
Un ottimo orientamento su questi problemi offre Merlan 1947.
7
Cfr. in proposito Most 1986.
8
Cfr. le osservazioni di Szlezák 1991, p. 24 ss. L’importanza di Platone è fonda-
mentale sia per l’ermeneutica filosofica in senso stretto, sia per l’ermeneutica filologica
(per questa distinzione, cfr. Palmer 1981). Più in generale, è anche attraverso Platone
che Heidegger, Gadamer, Leo Strauss, Derrida e altri si sono interrogati sul significato
della filosofia (oggi si parla perfino di un Platone ‘postmoderno’, qualunque cosa ciò
voglia dire; cfr. Shankman 1994 e Zuckert 1996).
9
Ecco l’incipit della E„sagwg¾ e„j toÝj Pl£twnoj dialÒgouj di Albino (IV sec. d.C.):
“Oti tù mšllonti ™nteÚxesqai to‹j Pl£twnoj dialÒgoij pros»kei prÒteron ™p…stasqai aÙtÕ
toàto, t… potš ™stin Ð di£logoj (in Hermann 1938, I, p. 147).
10
Si pensi solo agli esoterici di Tubinga, agli oralisti che, sulle orme di E. Have-
lock, inquadrano Platone nel passaggio epocale fra oralità e scrittura, o ancora ai fauto-
ri di un Platone problematico e aperto, nelle cui opere, come disse Cicerone, nihil ad-
firmatur et in utramque partem multa disseruntur (Academica, 1.46; sull’interpretazione
scettica, e le sue radici nell’Accademia di Arcesilao, cfr. p.e. Annas 1992).
11
Che si vorrebbe però ‘oggettiva’: la speranza è che gli esiti non risultino prede-
terminati, e che principi e pregiudizi agiscano piuttosto come ipotesi produttive, che la
ricerca deve mettere alla prova. Cfr. Brandt 1984, trad. it. 1998, p. 84.
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12
Olympiod. In Alcib. II 1566.
13
Finley 1980, trad. it. 1981, p. 12. Si sono avvicendati nel tempo «le Platon
hégélien de Bosanquet, le Platon néo-kantien de Natorp, le Platon husserlien de Ritter,
le Platon phénoménologue de Gadamer, le Platon existentialiste de Friedländer […] le
Platon analyste de Gosling» (Lafrance 1986, p. 286). E la lista è tutt’altro che completa.
14
Berti 1989, p. 289.
15
Come osserva Sier 1998, «Die Gefahren des hermeneutischen Zirkels – in platoni-
scher Sicht das subjektive Pendant der Schriftlichkeit und Unflexibilität des Rezeptions-
objekts – werden in der Antike kaum je so entschieden problematisiert wie hier» (p. 41).
16
Se «la storiografia greca afferma se stessa attraverso il chiarimento della propria
distanza dal mito» (Canfora 1991, p. 5), per Platone, al contrario, questa distanza ten-
denzialmente non esiste. Cfr. Gaiser 1988 e Arrighetti 1991. Sull’impossibilità di trac-
ciare un confine netto fra mythos e logos in Platone, vd. Segal 1978, Murray 1999 e
Rowe 1999.
17
L’importanza ermeneutica dell’esegesi simonidea è sottolineata da Most 1995.
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18
Cfr. infra, I e II.
19
Cfr. per esempio l’introduzione e la bibliografia in Gonzalez 1995, Corlett 1997,
oppure Tigerstedt 1977, p. 102 ss., ma vd. già Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 49.
20
Come suona il titolo di una recente collezione di studi platonici (Gonzalez 1995;
sul problema lo studioso è tornato nell’introduzione di Gonzalez 1998).
21
Egli, tuttavia, si occupò del Protagora solo in Gaiser 1959 (cfr. l’indice dei passi
commentati a p. 229). In Gaiser 1963, si trova invece solo un breve commento al mito
del Protagora. Per la posizione di Gaiser all’interno della scuola di Tubinga, cfr. de Vogel
1990, p. 78 ss.
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ti di Platone non sono soltanto il prodotto dei suoi problemi e delle sue
conoscenze filosofiche, ma anche della sua intenzione di comunicarle e
di renderle efficaci» 22. Si sottolinea così il carattere essenzialmente pro-
trettico e stimolante dei dialoghi, opere destinate a un pubblico vasto e
a una lettura non sistematica. Secondo Gaiser, «nei primi dialoghi So-
crate discute con sofisti ed altri avversari e si rivolge ad ascoltatori inte-
ressati a problemi relativi all’educazione. Egli alletta giovani e padri che
vogliono educare bene i loro figli. Si ha quindi l’impressione che qui Pla-
tone voglia attirare l’attenzione sulla sua paideia filosofica» 23. Il Protago-
ra, che apparve a Werner Jaeger come «la lotta di due mondi opposti
per il primato nell’educazione» 24, può essere letto come una tenzone per
l’anima di Ippocrate, il giovane che Socrate cerca di strappare all’inse-
gnamento sofistico: tutto il dialogo è costruito sull’opposizione fra il mo-
dello di virtù socratica, improntato al paradigma delle technai, e l’educa-
zione protagorea, figlia della paideia tradizionale 25. Particolarmente
interessante è poi il tentativo di Gaiser di desumere dall’opera platonica
una teoria del dialogo letterario sulla scorta di alcuni passi in cui Platone
sembra alludere ai propri scritti (le ‘autotestimonianze’). La caratterizza-
zione nel Simposio dei logoi sokratikoi (ossia – dice Gaiser – dei dialoghi
stessi) come incantamento, discorso esteriormente ridicolo ma capace di
aprire sublimi profondità (221d ss.); l’affermazione contenuta nel Fedro
che lo scritto è un gioco bello e piacevole, consistente – come la poesia –
nel muqologe‹n e nel persuadere (per esempio 276b ss.); l’idea, palese
nelle Leggi, che i dialoghi filosofici siano in concorrenza con la poesia
tradizionale (811c ss.; 817b) 26: tutti questi elementi suggeriscono che
Platone vedeva nei suoi scritti qualcosa di ben diverso da un’esposizione
dottrinale 27.
22
Gaiser 1984, p. 40. Per l’applicazione ai classici di approcci di studio che privile-
giano il destinatario, cfr. il volume preparato dalla rivista «Arethusa» (Pedrick - Rabi-
nowitz 1986).
23
Ivi, p. 43.
24
Jaeger 1944, trad. it. 19983, II, p. 179.
25
A prima vista, presenta grandi difficoltà la proposta di considerare il Protagora
come un’opera protrettica, per la luce non sempre buona in cui Socrate è posto. Ma cfr.
infra, II.5-7.
26
Idea espressa in modo esplicito soltanto nelle Leggi ma, secondo Gaiser, implici-
ta anche nella precedente produzione platonica fin dallo Ione.
27
Le indicazioni di Gaiser possono poi essere integrate con l’osservazione che nel
Timeo e nel Crizia Platone si presenta implicitamente come l’erede di Solone, un poeta
che, secondo le indicazioni di Tim. 21b-d, era potenzialmente superiore a Omero ed E-
siodo. Su tutto questo, vd. Tulli 1994. Anche il tema della ™pJd» nel Carmide può es-
sere una riflessione di Platone sui dialoghi come espressione letteraria, una «poesia
nuova»: vd. Tulli 1998.
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28
Themistius, Or. 23.295c-d. Cfr. Diog. Laert. 2.125 (una simile esperienza è qui
attribuita a un soldato di Megara che abbandonò la milizia).
29
Cfr. tutta l’introduzione di Gordon 1999. Il libro offre tra l’altro una fenomeno-
logia della lettura dei dialoghi, per mostrare in che modo il lettore sia chiamato alla filo-
sofia.
30
Symp. 175c-d. Sulla rilevanza di questo passo rispetto alla forma dialogica del-
l’opera platonica richiama l’attenzione Sprague 1967, p. 567.
31
Vd. in proposito Rudebush 1989 (e cfr. infra, I.1).
32
E più in generale con l’idea antica di filosofia: essere filosofo significava soprat-
tutto condurre una vita particolare (cfr. p.e. Cambiano 1996).
33
Versényi 1963, p. 147.
34
Cfr. le osservazioni di Vlastos 1983. Che i dialoghi platonici costituiscano lezioni
di metodo ha sostenuto Untersteiner 1965.
35
Vegetti 1979, pp. 79-80.
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non avrà per oggetto una questione marginale o di poco conto, ma co-
glierà il cuore dell’opera platonica 36. Questo non equivale a dire che
Platone è letterato e non filosofo, come per rinfocolare quell’«antica con-
tesa fra poesia e filosofia» di cui si parla nella Repubblica 37. Significa
piuttosto che lo studio delle strategie di comunicazione dei dialoghi è
una via d’accesso privilegiata alla loro comprensione 38, perché – come
affermava il padre dei moderni studi platonici – l’elaborazione letteraria
dei dialoghi «non mira soltanto a presentare vivacemente agli altri la
propria mente ma anche a sollecitare vivamente e ad elevare, proprio in
questo modo, la loro» 39.
Per Platone gli scritti – e dunque anche i dialoghi – sono un gioco,
una paidià (Phdr. 276d; 277c), e nella Repubblica Socrate qualifica la di-
scussione sulla politeia appunto come gioco (536c; 545e); ma come la
paidià è un elemento fondamentale della paideia (Resp. 424e, 536d ss.;
Leg. 797a ss.), così il carattere giocoso della Repubblica è in piena armo-
nia con l’importanza delle questioni trattate 40. Il nesso platonico paidià-
paideia è un antidoto contro il pericolo di sottovalutare l’impegno filoso-
fico dei dialoghi, che, alla luce di un’interpretazione in chiave letteraria,
rischiano di apparire poco più che drammi in prosa 41. Occorre, anche
nel quadro di un’interpretazione letteraria di Platone, salvarne la filoso-
fia: in fondo, non sarà un caso se il Protagora ha attirato l’attenzione di
molti filosofi 42, ed è comunemente considerato «il primo grande dialogo
filosofico di Platone» (Guido Calogero) 43.
36
Cfr. in proposito Dalfen 1989.
37
Resp. 607b: palai¦ mšn tij diafor¦ filosof…v te kaˆ poihtikÍ.
38
Cfr. Gordon 1999, p. 8.
39
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 55 (lievemente modificata). Una stimolan-
te versione contemporanea di questo approccio è costituita dagli studi di C.H. Kahn, i
cui frutti sono ora raccolti in un’ampia monografia (Kahn 1996).
40
Cfr. Krentz 1983, p. 43. Per la connessione fra gioco ed educazione filosofica, vd.
Ardley 1967.
41
Un caso limite è stato quello di considerare il grandioso edificio della Repubblica
come uno scherzo non diverso, nella sostanza, dalle divagazioni sul comunismo sessua-
le nelle Ecclesiazuse di Aristofane. Vd. Saxonhouse 1978. Cfr. anche l’interpretazione dei
dialoghi come ‘gioco’ di Freydberg 1997 e di Fendt - Rozema 1998 (dietro al velo del gio-
co, la Repubblica sarebbe un manifesto anarchico). Le Ecclesiazuse, comunque, effettiva-
mente mostrano analogie con la Repubblica. È questo «One of the most famous puzzles in
classical Greek literature» (Murray 1947, pp. 36-38), che fra l’altro ha gettato lo scompi-
glio fra i gender studies, con un Platone ora femminista (p.e. Duvergès Blair 1996 e Ramos
Jurado 1999) ora maschilista (p.e. Buchan 1999). Vd. la raccolta di studi in Tuana 1994.
42
Gli anglosassoni tendono a vedervi un precorrimento di certe tesi di J.S. Mill e di
J. Bentham. Cfr. per esempio gli elogi di G. Grote, che fece parte dell’entourage di Mill
(Grote 1867, p. 78 ss.).
43
Calogero 1937, p. 262.
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Una via per ‘salvare’ Platone filosofo passa attraverso un confronto posi-
tivo con gli studi sistematici, nel tentativo di applicare quella che Gaiser
definisce «interpretazione dialettica» dei dialoghi 44. Per esempio, gli studi
di matrice analitica sono di grande utilità sia, in generale, nel momento
di isolare e chiarire i problemi proposti dal Protagora, sia per affrontare i
nodi teoretici più spinosi, come lo statuto della techne socratica. Il para-
digma delle technai è parte integrante della dialettica socratica e si pre-
senta con caratteri costanti nei dialoghi giovanili, di modo che è possibi-
le trarne un disegno coerente. La dialettica socratica, nei dialoghi giova-
nili, ha dunque come quadro di riferimento la verità (si basa cioè su pre-
supposti epistemologici tratti dalle technai), a dispetto delle moderne in-
terpretazioni scettiche e problematiche dell’opera di Platone, che trova-
no un terreno apparentemente privilegiato nei dialoghi aporetici (si po-
trebbe infatti essere tentati di credere, con Jaspers, che essi si limitino ad
affermare «la necessità di trovare il cammino» 45). Con la nozione di «in-
terpretazione dialettica» si tocca però anche il nodo più spinoso: come
dosare esegesi ‘scettica’ ed esegesi ‘dottrinaria’? Se l’interprete dialettico
di Platone vuol davvero portare la barca in salvo, la navigazione fra la
«Scilla dello scetticismo e la Cariddi del dogmatismo» 46 non può ridursi
a un compromesso fra le due contrapposte correnti interpretative.
Questo problema fu colto in tutta la sua gravità da Luigi Stefanini,
secondo il quale la filosofia platonica è un inesausto approssimarsi alla
verità (una verità oggettiva, che esiste indipendentemente dal soggetto
conoscente), continuamente condizionato dai limiti dell’uomo:
Rimane sempre una sproporzione tra la scienza umana e il suo oggetto,
col quale si stabilisce un rapporto – irriducibile a quello delle moderne
dottrine della conoscenza – che, pur non esprimendo equazione, non
ha affatto un significato agnostico: rapporto di verosimiglianza. 47
44
Gaiser 1984, p. 37.
45
Jaspers 1957, p. 310.
46
Tigerstedt 1977, p. 103.
47
Stefanini 1949, p. XLVII dell’introduzione.
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sia le anime degli interlocutori 48. Platone non vedeva una vera e propria
cesura fra la sua filosofia e quella socratica, che si era espressa nel dialo-
go quotidiano per le strade e le piazze di Atene, e anzi le ultime parole
di Socrate nel Fedone – l’enigmatico gallo dedicato ad Asclepio – rap-
presentano forse per Platone il segno di una investitura diretta da parte
del maestro 49; la formazione di Platone, inoltre, risente indubbiamente
della frattura epocale prodotta dalla sofistica, la quale, nell’affermare
una filosofia antropocentrica che ha il suo luogo naturale nel linguaggio
e nella comunicazione, aveva definitivamente messo fuori campo la pre-
tesa eleatica di una conoscenza immediata e noetica dell’essere, l’idea
che il soggetto possa abbracciare l’intelligibile con l’occhio della mente.
Si poneva dunque a Platone il problema della «sottrazione dell’intelligi-
bilità dell’essere alla sua mistica solitudine noetica», ossia di una conci-
liazione fra il logos interpersonale di Socrate e dei sofisti «non più vergo-
gnoso della sua origine antropo-linguistica» e il logos «noetico e trans-
linguistico» degli eleati 50:
Platone, convertendo l’idea socratica di una funzione meramente rego-
lativa della misura oggettiva del logos dialettico in quella di un fonda-
mento eidetico strutturale della ricerca, porrà le condizioni di quella
teoria del discorso apofantico, ontologicamente disciplinata e control-
lata, che nell’Organon aristotelico troverà la sua codificazione e giustifi-
cazione terminale. (Sainati, p. 83)
Vittorio Sainati ripercorre così il processo che, dalla concezione arcaica
secondo la quale la verità è una prerogativa degli oggetti (la verità è per
Parmenide attributo esclusivo dell’essere), conduce alla posizione tra-
mandata da Aristotele ai moderni: la verità (o la falsità) risiede nei di-
scorsi, e non nelle cose. In mezzo si trova Platone, che opera una sintesi
fra Parmenide e Protagora, e riesce così a intravedere la ‘terra promessa’
della logica aristotelica, senza tuttavia potervi entrare 51. Ma qual è la sua
reale posizione? Dove risiede per lui la verità 52?
48
Cfr. in proposito le osservazioni di H. Gundert, nella sua monografia dedicata al dia-
logo platonico (Gundert 1968, p. 28 ss.), e il modo in cui egli spiega il giudizio, apparen-
temente contraddittorio, che Socrate esprime nei confronti dei grandi retori (p. 39 ss.).
49
118a: tù ’Asklhpiù Ñfe…lomen ¢lektrÚona: ¢ll¦ ¢pÒdote kaˆ m¾ ¢mel»shte. Secon-
do Most 1993, il gallo donato ad Asclepio è il ringraziamento per la guarigione di Pla-
tone, assente per malattia dal carcere dove si consumò l’ultimo giorno della vita del mae-
stro. Socrate, con la preveggenza caratteristica dei morenti, avrebbe previsto la guari-
gione di Platone, e quest’ultimo avrebbe inteso le sue parole – riportate correttamente
sul piano letterale – come una sorta di investitura.
50
Sainati 1965.
51
Traggo la metafora da Most 1999, che se ne serve in un diverso contesto (p. 29).
52
Il problema, molto complesso, del concetto di verità in Platone è stato vagliato di
recente da Szaif 1996. Anche da uno studio degli usi di ¢lhq»j e affini e da un esame
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approfondito dei diversi problemi legati alla ¢l»qeia in Platone sembra difficile giunge-
re a conclusioni univoche.
53
Cfr. in proposito Di Giovanni 1982. L’interpretazione heideggeriana di Platone
è però un fenomeno assai controverso (questa linea interpretativa è p.e. contestata da
Bosio 1987). Oltre a ciò, la posizione di Heidegger rispetto al concetto di verità in Pla-
tone e Aristotele è mutata considerevolmente nel tempo, di modo che le osservazioni
che qui faccio non soltanto comportano una inevitabile semplificazione, ma si riferisco-
no solo agli anni immediatamente successivi alla famosa Kehre di Heidegger. In propo-
sito, si può vedere il denso e circostanziato studio di Berti 1990. La difficoltà della que-
stione è dovuta anche al fatto che non solo – quasi certamente – Heidegger fraintende
alcuni luoghi della Metafisica sui quali basa la sua interpretazione, ma alcuni altri di
questi luoghi sono tuttora controversi e di difficile lettura. Cfr. anche Doz 1990.
54
Heidegger 1982, trad. it. 1999.
55
Heidegger 1947. Nel corso su Parmenide, Heidegger riassume così la storia della
verità: «[…] l’essenza della verità […] partendo dalla ¢l»qeia e passando per la veritas
romana giunge alla adaequatio, alla rectitudo e alla iustitia medievali e dunque alla certi-
tudo dell’età moderna, cioè alla verità come certezza e validità di sicurezza» (Heidegger
1982, trad. it. 1999, p. 118). Nel corso su Parmenide emerge ancora la posizione ibrida
di Platone, da un altro punto di vista: Heidegger sostiene che i miti di Platone, mentre
inaugurano la deleteria metafisica occidentale, tuttavia conservano traccia del «pensie-
ro primordiale». Per una critica alle vistose lacune e censure che caratterizzano la storia
heideggeriana della metafisica, cfr. Cambiano 1988, in part. p. 28 ss.
56
Cfr. per esempio Heitsch 1962 e Germani 1988 (con ulteriore bibliografia).
57
Il problema è così intricato che qualcuno è giunto a vedere nei dialoghi un precor-
rimento di Heidegger, il quale però avrebbe sfortunatamente misconosciuto la propria
affinità con Platone formulando critiche dirette «not against the Plato which emerges
from a careful analysis of the dialogues, but against the Plato of the Platonists» (Wolz
1981, p. 13).
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DIALOGHI E PERSUASIONE 23
4. DIALOGHI E PERSUASIONE
58
Cfr. Heidegger 1982, trad. it. 1999, secondo il quale in Platone e soprattutto in
Aristotele si compierebbe una trasformazione del concetto di verità. Ancora in Aristo-
tele, d’altra parte, ¢l»qeia conserva parte della sua forza, cosa che Heidegger esprime
nella maniera più chiara nell’analisi del De interpretatione. Vd. su questo l’analisi di
Bertuzzi 1991, p. 169 ss. Con il passare degli anni, tuttavia, Heidegger riconosce in
Aristotele un ruolo sempre più modesto del concetto «ontologico» di verità (cfr. Ber-
ti 1990).
59
Tht. 189e-190; Soph. 263e. Interrogativi come questi sono alla base delle ricor-
renti e ormai frequenti interpretazioni non dottrinali di Platone. Per una breve storia,
cfr. Press 1997.
60
Che la critica di Platone investa non il discorso scritto in contrapposizione a
quello orale ma il discorso fisso (orale o scritto) di contro all’oralità dialettica, mostra
per esempio Tulli 1989, pp. 19-23.
61
Segre 1985, pp. 6 e 35.
62
Per esempio Prot. 329a; Phdr. 275d-e.
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Questo è il processo della umana conoscenza, e qui sta il nucleo della fi-
losofia platonica, come appare chiaro dalla ripresa – evidente in questo
passo – della famosa metafora della scintilla, che Platone adotta per de-
scrivere il raggiungimento dei vertici del sapere filosofico:
Non esiste nessun mio scritto sull’argomento; né mai esisterà. Non si
tratta assolutamente di un insegnamento esprimibile a parole (·htÒn)
come gli altri; solo dopo una lunga frequentazione (sunous…a) e convi-
venza (suzÁn) intorno alla cosa all’improvviso, come la luce che d’un
tratto s’accende da una scintilla di fuoco, nasce nell’anima e si nutre
poi di se stesso. (341c-d)
63
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 57.
64
Per il nesso fra l’excursus filosofico della VII lettera e la scelta della forma dialo-
gica, cfr. l’equilibrato saggio di Sayre 1988.
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DIALOGHI E PERSUASIONE 25
ta oppure orale), ma nasce e vive soltanto, grazie all’azione dei logoi, nel-
l’anima delle persone. Perciò si può affermare, con Kent Moors, che «Pla-
tone si sentì obbligato a scrivere dialoghi perché è soltanto attraverso
l’interazione dovuta alla discussione che l’anima dell’uomo si rende ma-
nifesta. La persuasione che così si determina è persuasione dell’anima
dell’interlocutore, della sua essenza» 65. La filosofia non può essere tra-
smessa, come le technai, da uno scritto sistematico 66. Si tratta dunque,
come ha argomentato di recente Franco Trabattoni 67, di una forma di
persuasione delle anime: il contraddittorio mondo delle apparenze trova
una spiegazione soltanto nell’ipotesi metafisica delle idee, una convinzio-
ne dell’anima preliminare a qualunque approfondimento di dottrina.
La rigida alternativa fra un Platone metafisico e dogmatico e il carat-
tere aperto della discussione socratica è superabile se si ammette che,
per i limiti della natura terrena, la verità non può essere colta diretta-
mente (ossia noeticamente: è questo un sapere che Platone attribuisce ai
soli dei) dall’uomo, ma, attraverso una continua opera di persuasione fi-
losofica (la dialettica), può riemergere, sotto forma di persuasione indivi-
duale e dunque in una forma (una luce) sempre originale e diversa, da o-
gni singola anima, che serba in sé il ricordo lontano del mondo intelligi-
bile: «l’infinita aggiornabilità del procedimento e il carattere inguaribil-
mente polivalente della teoria, cioè i motivi che sconsigliano al filosofo
di fissare per iscritto le sue dottrine, sono il prezzo che la verità deve pa-
gare quando si presenta nella storia» 68. E la «storia» è fatta di individui
che continuamente, in modo sempre nuovo, devono essere persuasi dal
filosofo, attraverso un discorso ‘erotico’, ossia personale e sempre diver-
so 69. È questa la ragione filosofica per cui Platone ha scritto dialoghi e
non trattati: sulla terra, la verità esiste solo come persuasione individua-
le, nasce nell’anima grazie alla dialettica, che aderisce alla particolare a-
nima dell’interlocutore. I dialoghi scritti sono immagini ben fatte del
processo dialettico da cui, come scintilla, scaturisce questa persuasione,
e comunicano con il lettore solo in modo indiretto, mostrandogli quali
risultati sono stati raggiunti da due o più persone che hanno preso parte
65
Moors 1978, p. 78. Buxton 1982, nel suo studio dedicato alla peiqè, giunge ad af-
fermare che i dialoghi di Platone «are nothing if not attempts to arrive at philosophical
truth by peitho, one character endeavouring to convince another and, by extension,
Plato’s audience too» (p. 150).
66
Moors 1978, pp. 78-79.
67
Vd. Trabattoni 1994, alla cui interpretazione mi rifaccio da vicino nel presente
paragrafo.
68
Ivi, p. 97.
69
Ovvero basato sulla conoscenza diretta dell’anima del discente; il filosofo infatti
– ed è questa la più importante lezione del Fedro – è al tempo stesso dialettico e retore.
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70
Cavarero 1999, p. 327. L’autrice parla di una metafisica «in opposizione alla vo-
ce» (ibidem). Ma il ricorso platonico a metafore visive non deve ingannare. Come osser-
va Scolnicov 1990, «no sensible metaphors can fully explain non-sensible realities. Ac-
cordingly, one finds that Plato shifts his metaphors and analogies, thus forcing us to re-
cognise the insufficiency of any description of ideal realities in sensible terms» (p. 12).
71
Vd. Trabattoni 1994, in part. p. 225 ss.
72
La non conclusività delle argomentazioni e i «passi di omissione» studiati da Szle-
zák, in quest’ottica, sono un continuo avvertimento che per ogni singolo lettore è possi-
bile, attraverso un contatto diretto e personale con il filosofo, una diversa forma di per-
suasione dialettica. Vd. Trabattoni 1994.
73
Gadamer 1931, trad. it. 1983, pp. 8-9 (lievemente modificata).
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DIALOGHI E PERSUASIONE 27
74
Vd. soprattutto Irwin 1977 e 1995. Il metodo di Irwin, naturalmente, corre il ri-
schio di ogni interpretazione sistematica: larghe porzioni del testo platonico sono la-
sciate da parte, perché considerate non significative (cfr. in proposito p.e. Roochnik
1988).
75
Lo stesso Irwin, recentemente, ha mostrato una certa apertura nei confronti di
approcci ‘letterari’ a Platone. Vd. Irwin 1996, dove è recensita la monografia platonica
di R.B. Rutherford, intitolata, significativamente, The art of Plato (Rutherford 1995).
76
Gadamer 1931, trad. it. 1983, p. 10. Il primo a operare questa proiezione è stato
naturalmente proprio Aristotele, impegnato in uno smontaggio del sapere platonico
che ne salva quasi tutti i materiali ma ne tradisce quasi tutte le intenzioni. Vd. le belle
pagine di Vegetti 1979, p. 81 ss.
77
Szlezák 1999 impiega l’immagine in un diverso contesto interpretativo: il dialogo
platonico stesso è come una fotografia: «Dreidimensionales kann sie zwar abbilden, als
Bild ist sie selbst aber notwendig zweidimensional» (p. 262).
78
Nella prima metà del secolo, in una temperie engelsiana, molti studiosi marxisti
(p.e. Winspear 1940, e cfr. Tschudow 1994 sul Platone ‘sovietico’) dimenticarono –
malgrado le precisazioni di Lukács 1922 – la specificità del mondo antico, che Marx
(p.e. 1867, trad. it. 1965, p. 83 nota 33) individua nell’assenza del capitalismo e nel pri-
mato della politica, e interpretarono Platone alla luce di un incongruo conflitto di clas-
se (su tutto ciò, vd. Lanza - Vegetti 1975, Vegetti 1977, Rose 1992). È un Platone che
per certi versi ricorda il Platone reazionario caro a Leo Strauss e ai suoi allievi (su cui
vd. p.e. Burnyeat 1985 e Ferrari 1997).
79
Cfr. per esempio Sini 1994, p. 55. Nietzsche, in un suo corso universitario, addi-
rittura definì Platone un «agitatore politico, che vuole sovvertire il mondo intero e che,
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Ora, intorno ad essa, abbiamo detto cose vere, come nel momento pre-
sente ci sono sembrate; ma certo l’abbiamo vista in una condizione di
degrado, come quelli che, guardando il Glauco marino, non più facil-
mente ne scorgerebbero l’originaria natura, perché le antiche membra
del suo corpo in parte sono spezzate, in parte consunte e nell’insieme so-
no deturpate dai flutti, e corpi estranei vi sono cresciuti sopra: ostriche,
alghe e pietre; così, ben lontano dalla sua originaria natura, assomiglia
piuttosto a una qualche strana bestia. Allo stesso modo, anche la nostra
anima ci appare deturpata da innumerevoli mali. (611c-d)
tra l’altro e sempre in vista di questo scopo, si serve della scrittura» (Nietzsche 1871-
1872, trad. it. 1991, p. 41).
80
Ogni dialogo esplora e mette alla prova un certo milieu culturale. Cfr. Buccellato
1963, pp. 527-560. Un’analisi simile è in seguito applicata al Lachete e al Liside (Buccel-
lato 1967 e 1968). In generale, lo sfondo storico pare decisivo per l’interpretazione dei
dialoghi giovanili (cfr. p.e. De Romilly 1980, soprattutto per il Lachete).
81
Questo passo è valorizzato da Erler 1987, trad. it. 1991, per mostrare come le a-
porie della ricerca – e fra queste soprattutto quelle dei dialoghi giovanili – siano risolvi-
bili solo se, rivolgendo gli occhi alle Idee, si abbandona la prospettiva mondana degli
interlocutori di Socrate (vd. p. 409 ss.).
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82
I sistemi metaforici dell’Ade e del mare hanno una funzione analoga. La cosa e-
merge nel modo più chiaro in Phdo. 109a-d, dove i due sistemi si sovrappongono. Cfr.
in proposito Gaiser 1985.
83
È la «sofistica nobile» (230c ss.), che adombra il metodo socratico (cfr. infra, V.3).
84
243d. Questa e alcune altre metafore marine di Platone sono menzionate in
Kofman 1983, la cui lettura, ispirata a Derrida 1972, non è sempre perspicua. Si veda
anche Etienne 1993.
85
Cfr. per esempio Resp. 453d-e e Phdo. 85d ss. Per l’assimilazione mare-aporia,
cfr. Kofman 1983, pp. 11-13.
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ca, deriva dai più stolti e più ignoranti di tutti, che gli dèi […] non cre-
dettero nemmeno degni della respirazione pura (kaqar£)» (92a-b) 86.
La particolare elaborazione letteraria del Protagora e in generale di tut-
ti i dialoghi socratici, che offrono al lettore ricchi quadri della vita materia-
le e spirituale di Atene, è dovuta a questo: è rappresentata plasticamente
la «salsedine» della polis nel momento in cui Socrate cerca di rimuover-
la, di operare la catarsi elenctica 87. La dialettica socratica – come del re-
sto la retorica filosofica delineata nel Fedro – muove sempre dalla sogget-
tività degli interlocutori, ossia dalla «impurità» (ricorda Ernst Cassirer che
«in Platone l’espressione kaqarÒn ha sempre il significato sistematico di
delimitare l’essenza oggettiva di contro alla parvenza meramente soggetti-
va») 88. L’inferno pulsante e grottesco della polis e della doxa, tramite la
purificazione dall’errore, è il punto di partenza, il primo gradino del per-
corso dialettico, la «via che porta in alto» 89; persuadere è purificare, nel-
la consapevolezza, però, che su questa terra la verità si manifesta solo in-
direttamente nel dialogo, nelle «cose vere» – come dice il passo della Re-
pubblica citato sopra – «come nel momento presente ci sono sembrate» 90.
86
Traduzione di C. Giarratano, lievemente modificata. Nelle Leggi, infine, la vici-
nanza del mare è detta «veramente salata e amara» (705a ss.): Platone propone una vera
e propria «messa sotto accusa della navigazione» (Momigliano 1987, p. 134). Osserva-
zioni simili si trovano in Luccioni 1959. È stato anche giustamente osservato che la rap-
presentazione luciferina di Atlantide deve molto alla vocazione imperialistica di Atene
(Brumbaugh 1989, p. 117).
87
«Was diese Dialoge bestimmt, ist der Kampf in allen Spielformen, von der
Feindschaft bis zum liebenden Ringen, die erste Stufe des Weges also, noch ganz in der
Welt der Doxa, dort wo Sokrates allemal erst anfängt. Kein Wunder, dass dort die Sze-
nerie am reichsten, die Elenktik, Ironie und Aporie am provozierendsten ist, kein
Wunder auch, dass die Wahrheit, auf die doch jeder Dialog verweist, in der Aporie
verborgen bleibt und nur dort offen zutage tritt, wo es nicht um das immer fragliche
Was sondern um die immer eindeutige Lebensentscheidung geht» (Gundert 1968, p.
44). Cfr. anche Müller 1988: l’ambientazione dei dialoghi, dai giovanili a quelli della
maturità e poi della vecchiaia, segna un progressivo allontanamento dalla polis, con un
percorso che, dal tribunale di Atene (Apologia) e dai luoghi più caratteristici della polis
(ginnasi, la casa di Callia, quella di Cefalo, l’agorà) finisce nelle campagne di Creta (Leggi)
e nei luoghi indefiniti dei grandi dialoghi dialettici (vd. in part. lo schema di p. 408).
88
Cassirer 1924, trad. it. 1998. Sia la dialettica che la retorica filosofica sembrano
avere il compito di indirizzare l’interlocutore all’idea, di indurlo alla purificazione e alla
reminiscenza.
89
Resp. 621c: tÁj ¥nw Ðdoà ¢eˆ ˜xÒmeqa. Credo che questa immagine presuponga la
‘strada’ imboccata da Parmenide e da Pindaro, che si caratterizza proprio per la purez-
za (kšleuqoj kaqar£ in Pind. Ol. 6.23; Isth. 5.22; cfr. Parm. 1.27). Cfr., su Parmenide e
Pindaro, D’Alessio 1995 (e su kaqarÒj la nota 33, con bibliografia).
90
L’aporeticità dei dialoghi giovanili, come ha sostenuto M. Erler, sembra con-
nessa proprio con l’incapacità degli interlocutori di adottare una prospettiva noetica,
extra-sensibile, e quindi di staccarsi dall’universo instabile e cangiante della polis.
Cfr. Erler 1994.
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Ma «la via che porta in alto» è anzitutto interdetta dai sofisti, talvol-
ta paragonati a mostri acquatici: nell’Eutidemo sono menzionati Proteo,
l’Idra e Carcino, il gambero gigante, nel Simposio Gorgia, con un gioco
di parole, è assimilato a una Gorgone 91. Il primo compito di Socrate,
nell’Oceano impuro della polis, è quello di neutralizzare i mostri che vi
sguazzano (e questo potrebbe spiegare la celebre immagine del Menone,
dove l’allievo di Gorgia paragona Socrate a una murena) 92. Sul filo di
questa pervasiva metafora marina, si può allora osservare che nel Prota-
gora, attraverso una serie di allusioni omeriche, Socrate è paragonato a
Odisseo 93. Di Odisseo, questo Socrate conserva un tratto particolare,
quello di «mettere alla prova» (peir©sqai), con accorte menzogne, chi
gli sta di fronte 94; l’abilità nel «mettere alla prova» gli interlocutori – la
cosa emerge facilmente da un esame delle occorrenze platoniche – è un
habitus dialettico che il Socrate del Protagora condivide con i sofisti 95.
Questo Socrate odissiaco è molto lontano dall’immagine del filosofo con-
templante che cade nel pozzo. Nel Sofista, come accennavo, Platone
stesso definisce parzialmente il metodo socratico una «nobile sofistica»;
si vedrà come questo aspetto dell’agire socratico sia funzionale alla puri-
ficazione dalla più tenace salsedine, quella del massimo teorico della ‘ca-
verna’ democratica: il sofista Protagora. A mo’ di conclusione, ricordo,
con Senofonte, che Socrate «otteneva il consenso degli ascoltatori in mi-
sura molto maggiore di chiunque altro […]. Diceva anche che Omero
91
Euthd. 288d, 297c-d; Symp. 198c. Le Gorgoni, tradizionalmente, erano collocate
nell’isola Sarpedone dell’Oceano (Kypria, fr. 23; Ferecide, FGrH 3 F11), e il loro lega-
me con il mare emerge per esempio da un frammento di Sofocle (TrGF 163). Esiodo le
pone oltre l’Oceano (Theog. 274 ss.), e Medusa, la Gorgone mortale, «mates with Posei-
don (assuming that Kyanochaites is here, as elsewhere, an epithet of the sea god)»
(Gantz 1993, p. 20). A Proteo vengono assimilati anche Eutifrone (Euthphr. 15d) e Io-
ne (Ion, 541e).
92
Il carattere preliminare di questo compito è evidente nella Repubblica, con la ce-
sura fra I e II libro (cfr. Gill 1996, p. 289).
93
Od. 11.601 e 582, citati in 315b-c. Questa eroizzazione di Socrate non è sorpren-
dente: anche i poeti – si pensi a Pindaro e Aristofane – tendevano a presentare se stessi
come eroi al servizio della comunità. Cfr. in generale Lefkowitz 1978 e, per Aristofane,
Mastromarco 1989: nelle parabasi delle Vespe e della Pace il poeta presenta se stesso
come un Eracle che, per il bene della città, combatte un sudicio mostro (Cleone).
94
Cfr. Od. 24.216, 238, 240. In 23.181 è Penelope che mette alla prova Odisseo. Su
questo tema nell’Odissea, cfr. per esempio Havelock 1978, p. 164 ss.
95
La pratica di «mettere alla prova» (¢popeir©sqai) l’interlocutore, nei dialoghi, è
attribuita, a quanto pare, ai sofisti, nonché alla squallida figura di Meleto (Tht. 154e;
Apol. 27e; il passo del Teeteto sottolinea molto chiaramente come il «mettere alla pro-
va» gli interlocutori rifletta le abitudini non di Socrate ma dei sofisti). Nel Protagora è
invece Socrate a mettere alla prova l’interlocutore (Prot. 311b; 341d) e a ritenerne am-
missibile la pratica (349c).
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«La lieve colomba mentre nel suo facile volo fende l’aria, di cui sente la
resistenza, potrebbe figurarsi di riuscire a ciò molto meglio ancora nello
spazio privo di aria». Questa splendida similitudine condensa la critica
di Kant – pur temperata da grande ammirazione – alla filosofia platoni-
ca, colpevole di aver abbandonato «il mondo dei sensi» in favore di un
folle volo «nello spazio vuoto dell’intelletto puro» 97. La presente ricerca
muoverà invece dal presupposto che la filosofia di Platone e la dialettica
socratica – forse non per caso simboleggiate dal meno aereo cigno piut-
tosto che dalla «lieve colomba» – non lascino mai del tutto il mondo
sensibile. L’Iperuranio e le Idee sono preclusi all’uomo incarnato, e fun-
gono piuttosto da idea limite, da punto di riferimento etico per l’uomo
buono; questi, attraverso la lettura dei dialoghi e soprattutto con la pra-
tica viva della dialettica, deve persuadersi dell’esistenza di un mondo ul-
trasensibile per intraprendere un cammino di purificazione – adombrato
nei dialoghi – che solo l’anima disincarnata potrà veramente concludere.
Come leggere dunque il Protagora? La considerazione del dialogo pla-
tonico come luogo e strumento di persuasione e purificazione richiede
che l’attenzione sia rivolta anzitutto ai modi della comunicazione fra au-
tore e destinatario («In che modo Platone cerca di persuadere il lettore
alla filosofia?»), e poi fra il protagonista e gli altri personaggi («In che
modo Socrate cerca di persuadere Protagora?»). La ricerca prenderà
dunque le mosse da un’analisi letteraria del dialogo per poi risalire –
lungo la via di purificazione segnata da Socrate – fino ai problemi filoso-
fici che stanno a monte del dialogo. Cercherò così di confermare l’acu-
tezza del famoso giudizio di Schleiermacher: nei dialoghi «forma e con-
96
Vd. rispettivamente Phil. 55c ss. (dove ricorrono più volte kaqarÒj e derivati) e
Resp. 533c-d, con le osservazioni svolte infra, VI.6.
97
Kant 17872, par. 3 della Einleitung.
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tenuto sono inseparabili e ogni asserzione deve essere compresa solo nel-
la sua collocazione, con i legami e le limitazioni in cui Platone l’ha espo-
sta» 98.
98
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 55. Schleiermacher, come rileva Krämer
1982, pp. 35-36, lasciò questo programma largamente incompiuto.
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Parte Prima
COMMEDIA E DIALOGO:
L’AUTORE E IL DESTINATARIO
PLATONE ‘PERSUADE’ IL SUO PUBBLICO
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36 DIALOGO E COMMEDIA
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1. TEATRO E DIALOGO
1
Vd. Symp. 172a ss.; Tht. 143a ss.; Diog. Laert. 2.48 e 122 ss.; cfr. Hirzel 1895, I,
p. 85 nota 1. La tradizione aneddotica, inoltre, suggerisce che Platone abbia scritto dia-
loghi socratici prima della morte del maestro. Cfr. in proposito Sider 1980a.
2
Krentz 1983. Il ‘silenzio’ di Platone suggerisce che egli non considerasse di prima-
ria importanza la presentazione inequivoca delle proprie tesi (p. 33). Edelstein 1962 trova
un precedente dell’anonimità platonica nella scuola pitagorica, i cui discepoli erano usi
attribuire ogni loro opera al maestro; oltre a ciò, ritiene che la scelta dialogica rifletta
una presa di posizione contro il principio di autorità (per questo sono scelti l’‘ignorante’
Socrate e, nei dialoghi tardi, personaggi anonimi). Cfr. anche Arrighetti 1989 e Plass 1964.
3
Hirzel 1895, I, p. 204 ss. Questa stessa atmosfera drammatica può essere alla
base del dialogo fra Meli e Ateniesi in Tucidide, forse un precedente del dialogo socra-
tico (cfr. Macleod 1974).
4
Gaiser 1984, Arrighetti 1983 e 1989 (dove l’autore afferma che Platone «non ab-
bia saputo immaginare forme di comunicazione diverse da quelle che tutti conoscevano e
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38 DIALOGO E COMMEDIA
accettavano», p. 136). Cfr. anche Gundert 1968, p. 13. Non interessa qui il problema,
oggetto di numerose trattazioni fin dall’antichità, se e fino a che punto i dialoghi di Pla-
tone vadano soggetti alle critiche che egli stesso rivolge alla poesia. In proposito, cfr.
per esempio Müller 1986. Per quanto riguarda la preistoria del dialogo, ossia i possibili
antecedenti letterari, una buona esposizione è in Rutherford 1995, p. 10 ss.
5
È famosa la posizione di Nietzsche: «[…] la virtù è il sapere; si pecca solo per
ignoranza; il virtuoso è felice. In queste tre forme fondamentali di ottimismo sta la mor-
te della tragedia» (Nietzsche 1872, trad. it. 199717, p. 96). In effetti «le théâtre tragique
présente les personnages dans leur incapacité à s’entendre» mentre «les Dialogues philo-
sophiques de Platon proposent un espoir d’arriver à s’entendre sur les valeurs, en par-
lant ensemble» (Meron 1996, p. 62).
6
Per esempio Resp. 523a ss. Per la verità, qui il conflitto e la conseguente aporia si
producono nell’ambito della sensazione, ma il principio si lascia facilmente generalizza-
re, giacché l’aporia, anche in altri ambiti, è per Platone il primo passo nella filosofia
(cfr. p.e. Men. 84a ss., Phdr. 251d ss., la trattazione di Robin 1968, trad. it. 1988 e, re-
centemente, Matthews 1997). Sansone 1996, pp. 59-61, propone un paragone fra l’apo-
ria dei dialoghi giovanili e l’aporia in certe tragedie di Euripide. Irwin 1988 mostra co-
me Platone avesse riflettuto a fondo sul conflitto tragico.
7
Cfr. Wolz 1963.
8
Vd. De Romilly 1980. H.D.F. Kitto ha osservato che la conclusione implicita del
Protagora (non c’è una morale dell’autore; il lettore è chiamato a trarre le conclusioni) è
un procedimento caratteristico della tragedia, per esempio nell’Aiace, nelle Trachinie,
nelle Troiane e nell’Ecuba (Kitto 1966, p. 245).
9
Nell’antichità, i dialoghi erano sovente suddivisi in trilogie o tetralogie come le
pièces teatrali (cfr. p.e. Laborderie 1978, p. 58), e una tradizione nota da un papiro
(P.Oxy. 3219, vd. Haslam 1972) istituisce un curioso confronto fra il numero di attori
nella tragedia e le partizioni della filosofia platonica (vd. il cap. III di Tarrant 1993). In
tempi moderni, si è cercato talvolta di suddividere i dialoghi in atti. Per un tentativo del
genere applicato al Protagora, cfr. Thiersch 1837. Cfr. anche Rudberg 1939. Sul lin-
guaggio teatrale nei dialoghi e su un confronto fra lunghezza dei dialoghi e delle opere
teatrali, vd. Charalabopoulos 2000 e Tarrant 1955a. Per un tentativo recente di acco-
stamento strutturale fra dialoghi e tragedie di Euripide, cfr. Sansone 1996.
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TEATRO E DIALOGO 39
10
Arieti 1992, che ha poi ispirato una riduzione di alcuni dialoghi per il teatro
(Emery 1995).
11
Cerri 1991, per esempio, vede nei miti escatologici di Platone «la nuova Nekyia»
dei Greci (p. 70). Per Arrighetti 1991, la formazione ‘drammatica’ di Platone rende
quasi inevitabile il ricorso al mito.
12
La notizia è attribuita a Dicearco, allievo di Aristotele, in Diog. Laert. 3.4. ss. Di-
verse altre fonti, comunque, alludono all’attività letteraria del giovane Platone. Vd.
Platthy 1990, p. 40 ss.
13
Cfr. per esempio Mader 1977: «Die Herleitung des Symposion-Schlusses aus
dem Dialogganzen hat ergeben, dass das Entscheidende an der platonischen Dialogfi-
gur Sokrates, dem daimon, die Überwindung und Vermittlung der Gegensätze geloion/
spoudaion, paidia/spoude, doxa/aletheia ist» (p. 78). «Die Identität von Tragödie und
Komödie erweist sich an den platonischen Schriften, und zwar in dem Sinne, dass diese
beide zugleich sind ‘Antitragödie’ und ‘Metakomödie’» (p. 79). Vd. anche Gaiser 1984,
Patterson 1982, Clay 1975b e Segoloni 1994 (cap. III).
14
Questi due elementi, peraltro, possono avere agito simultaneamente: Segoloni
1994 osserva che «la commedia antica in tanto, propriamente, ha fornito il modello e lo
spunto a Platone e agli altri autori di lògoi Sokratikòi, in quanto ha direttamente rap-
presentato o comunque attaccato e messo alla berlina quel Socrate che, proprio anche
allo scopo di rispondere a tali rappresentazioni e attacchi, verrà introdotto da Platone e
dagli altri scrittori socratici come protagonista delle loro opere» (p. 180). Cfr. anche
Clay 1994, p. 37 ss.
15
L’arguta osservazione citata si deve a Clay 1994, p. 24.
16
L’ambientazione comune era rilevata, a quanto si può arguire, già da Ateneo
(11.506, cfr. Wolfsdorf 1998, p. 129) e in tempi moderni per esempio da Wilamowitz
1919, p. 138, da Edmonds 1957, I, p. 370, e da Dalfen 1979. Esplicitamente dedicati al
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40 DIALOGO E COMMEDIA
rapporto del Protagora con la commedia di Eupoli sono invece Dorati 1995 e Pawlak
1996.
17
Cfr. per esempio Patzer 1994, p. 71: «Wenn wir des weiteren erfahren, dass auch
Chairephon (fr. 180 PCG) als kÒlax erwähnt wurde, so schwindet vollends jeder Zwei-
fel, dass in diesem Stücke auch von Sokrates die Rede gewesen ist». Anche per ragioni
metriche, Patzer propone di attribuire ai Parassiti il fr. 516 PCG (Socrate ruba una
brocca).
18
Ael. Var. Hist. 4.16; Ath. 12.536a.
19
284 ss. Vd. Dunbar 1995, ad loc. Cfr. anche Eccl. 810; Ran. 432 ss.; Cratino, 81
PCG e le osservazioni di Wolfsdorf 1998, p. 128 ss.
20
174 PCG, trad. Romagnoli 1953, p. 165 (lievemente modificata). Le donne «tor-
tiligambe» (e„l…podej) saranno delle etere, anche se probabilmente l’aggettivo non ha
un significato osceno, ma allude alla danza (vd. Beta 1995).
21
Corsini 1998, p. 479. La testimonianza di Ateneo non sembra però del tutto
chiara e univoca. Corsini suggerisce la possibilità «che anche nell’Autolico, come già
negli Adulatori, il poeta individuasse nell’ambiente di Callia, in cui si ritrovavano per-
sonaggi moralmente e politicamente ambigui, un pericolo per la linea di conservatori-
smo moderato rappresentata da Nicia, di cui Eupoli appare, per molti aspetti, un soste-
nitore» (ivi, p. 479). Anche le Capre e gli Amici di Eupoli contenevano forse attacchi a
Callia (vd. ivi, p. 480).
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22
Qui e più avanti seguo la ricostruzione di Allmann 1972.
23
La notizia, riportata nello scolio a Nub. 889, trova una conferma in un vaso che
raffigura due attori travestiti da uccelli che si affrontano in duello. Vd. Taplin 1987a,
1987b e Fowler 1989. Argomenti forti contro l’interpretazione rivale, secondo cui i gal-
li del vaso alluderebbero al coro degli Uccelli (vd. Green 1985), sono offerti in Csapo
1993.
24
Cfr. Segoloni 1994, p. 177.
25
5.220a: PefÚkasi d’ oƒ ple‹stoi tîn filosÒfwn tîn komikîn kak»goroi m©llon e!-
nai, e‡ ge kaˆ A„sc…nhj Ð SwkratikÒj …
26
Ermogene, Perˆ meqÒdou deinÒthtoj. Anche Plutarco (Quaest. Conv. 6.686b-c ss.)
parla dei Simposi di Platone e Senofonte come di un genere quasi indipendente. Cfr. su
questo Laborderie 1978, p. 19 ss.
27
Vd. Segoloni 1994, p. 183 ss.
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42 DIALOGO E COMMEDIA
28
27 W. (P.Berol. 13270). Secondo Vetta 1983, «è un testo che rivela una cronolo-
gia non anteriore al IV secolo o, al più, all’ultima parte del V» (p. XXXVII).
29
ca…rete sumpÒtai ¥ndrej Ðm[ . . . . . . : ™]x ¢gaqoà g¦r / ¢rx£menoj telšw tÕn lÒgon [e]„j
¢ga[qÒ]n. / cr¾ d’, Ótan e„j toioàto sunšlqwmen f…loi ¥ndrej / pr©gma, gel©n pa…zein crh-
samšnouj ¢retÍ, / ¼desqa… te sunÒntaj ™j ¢ll»louj te f[l]uare‹n / kaˆ skèptein toiaàq’
oŒa gšlwta fšrein. / ¹ dþ spoud¾ ˜pšsqw, ¢koÚwmšn [te l]egÒntwn / ™n mšrei: ¼d’ ¢ret¾ toà
sumpos…ou pšletai. / toà dþ potarcoàntoj peiqèmeqa: taàta g£r ™stin / ›rg’ ¢ndrîn ¢ga-
qîn, eÙlog…an te fšrein.
30
Cfr. in part. 347d: aÙtoÝj aØto‹j ƒkanoÝj Ôntaj sune‹nai ¥neu tîn l»rwn te kaˆ
paidiîn toÚtwn di¦ tÁj aØtîn fwnÁj, lšgont£j te kaˆ ¢koÚontaj ™n mšrei ˜autîn kosm…wj.
31
Cfr. Dorati 1995, p. 89, che mette questo passo in relazione con gli Adulatori di
Eupoli.
32
Il dato è considerato intenzionale e significativo nelle interpretazioni di Goldberg
1982, p. 329 ss., e Frede 1986.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 43
3. IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA
33
I due passi sono molto simili, anche nei dettagli lessicali. Cfr. in part. Symp. 176e:
¹m©j dþ di¦ lÒgwn ¢ll»loij sune‹nai tÕ t»meron Prot. 347d: di¦ tÁj ™ke…nwn fwnÁj ¢ll»-
loij sÚneisin. È da osservare che la nozione del sune‹nai ¢ll»loij, che nel Protagora ri-
corre anche in 336b e 347d, non compare in nessun’altra opera di Platone (TLG Canon).
34
Tale contrapposizione emerge da numerose testimonianze, che vanno dall’arcai-
smo fino all’Atene classica. Vd. in proposito Bielohlawek 1983.
35
Per l’agonalità del Simposio, cfr. Sider 1980b, il quale mostra fra l’altro che «the
speechmakers of the Symposium are engaged in a contest, in which only Socrates could
be declared the victor – as in effect he is by Alcibiades» (p. 41). Le testimonianze anti-
che sul carattere agonale del simposio greco e sui rischi di degenerazione sono discussi
in Pellizer 1983 (più di recente, Colesanti 1998 ha individuato un agone simposiale in
Theogn. 993 ss.). Il termine œrij, in contesto simposiale, compare per esempio in Theogn.
494, dove viene criticamente contrapposto all’eâ muqe‹sqai. Platone stesso ha in seguito
riflettutto con profondità sulla portata educativa e sui modi dell’organizzazione di un
simposio (Leg. 637 ss.).
36
Prodico, per esempio, rimprovera Socrate e Protagora di aver ingaggiato un duello
eristico (™r…zein, 337b). Sternfeld e Zyskind 1986 (p. 143 ss.) paragonano per contrasto
la casa di Callia nel Protagora, dominata da confusione, vanità e scontro verbale, alla ca-
sa di Pitodoro, che ospita la conversazione del Parmenide: qui regnano invece la calma
e la concordia.
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44 DIALOGO E COMMEDIA
37
Vd. tutto il capitolo II di Segoloni 1984. La casa di Agatone, naturalmente, è an-
che il luogo di un’esilarante scena delle Tesmoforiazuse.
38
Il rapporto fra dialogo e commedia sembra dunque un terreno di indagine fecon-
do oltre che non molto esplorato, e su questo cercherò di insistere, piuttosto che su
possibili analogie con la tragedia. Su queste ultime, cfr. per esempio Kuhn 1941. Il Fe-
done in particolare, a partire da Schlegel, è stato spesso paragonato a una tragedia, o a
una tragedia antitragica. Cfr. per esempio Egger 1897-1898, Schaerer 1938, p. 218 ss.,
Moulinier 1967, Halliwell 1984, p. 54 ss. (che riconosce un interessante nesso fra le
concezioni sulla poesia espresse in Resp. 393a-c e la composizione del Fedone). Solo del
rapporto con la tragedia si occupa anche Ardley 1967 (cfr. p. 241 ss.).
39
Vd. in part. Leg. 816d-817d, 935d-936b; cfr. Brock 1990, p. 39, e soprattutto Ni-
ghtingale 1995, p. 173 ss.
40
La questione del giudizio di Platone su Aristofane è difficile, perché all’apparen-
te ostilità dell’Apologia fa seguito il ritratto benevolo del Simposio. Una terza variabile è
costituita dalle enigmatiche analogie fra Ecclesiazuse e Repubblica. I termini del proble-
ma non sono cambiati in modo radicale dopo l’equilibrato lavoro di Huit 1888 (in Ita-
lia, dedicato all’argomento è Zuccante 1929, che propende per la dipendenza di Aristo-
fane da Platone). Cercare in Platone il ‘vero’ rapporto fra Socrate e Aristofane appare
difficile e probabilmente fuorviante, legato com’è a un bisogno di coerenza tipicamente
moderno (cfr. Del Corno 1985, p. XXIV).
41
Vd. Riginos 1976, p. 176 ss.
42
Aƒ C£ritej tšmenÒj ti labe‹n, Óper oÙcˆ pese‹tai / zhtoàsai, yuc¾n eáron ’Aristof£-
nouj. L’epigramma è riportato da Olimpiodoro nella sua Vita di Platone.
43
Nel quale «vibra, inconsciamente forse, una simpatia artistica» (Stella 1932, p.
460). Micalella 1998 ravvisa nel discorso di Aristofane punti di contatto con quello di
Diotima e con il secondo discorso di Socrate nel Fedro. Nel discorso vi sono echi aristo-
fanei: vd. per esempio Bonanno 1975-1977, p. 106 ss. (Symp. 190b-d ~ Pax 403-422;
cfr. Lys. 115-116), e Ludwig 1996, che richiama per esempio Eq. 423-428; 1240-1243.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 45
44
Agatone, a differenza di Aristofane, appare nel Protagora fra i seguaci dei sofisti
(315d8).
45
Beltrametti 1991, p. 145. Un’impostazione simile si riconosce in Burnyeat 1992.
46
Contro l’immagine stereotipa di Platone come ¢gšlastoj, cfr. l’equilibrato studio
di Rankin 1967. Per i giochi di parole platonici, cfr. Plass 1969 (che applica un approc-
cio freudiano all’Eutidemo) e Sprague 1994. La leggenda che nessuno avesse mai visto
ridere Platone, nata probabilmente da passi quali Resp. 388d-e e Leg. 935c-e, è riporta-
ta in Diog. Laert. 3.26. Cfr. Fernández 1997, p. 35.
47
Il Protagora è ritenuto comico in senso generico per esempio da Green 1920, Ca-
pizzi 1991, p. XX, Jäkel 1992, Reale 1998, p. XX. Cfr., per converso, le osservazioni di
Schaerer 1938, che, per la distinzione fra commedia e tragedia, cita opportunamente
Aristot. Poet. 1448a16.
48
Vd. Brock 1990 e Nightingale 1995, ma soprattutto Stella 1932. Cfr. anche, per il
Simposio, Wilson 1982, pp. 161-163, per la Repubblica Saxonhouse 1978, per l’Ippia
Maggiore, Woodruff 1982, p. 100 ss. Punti di contatto si possono poi trovare con i
frammenti di Epicarmo (che, secondo Diog. Laert. 3.10 fu utilizzato da Platone); cfr.
Laborderie 1978, p. 20 ss. Aristotele, come è noto, paragona i dialoghi ai mimi di So-
frone (Poet. 1447a28 ss., su cui cfr. Reich 1903, p. 380 ss. e Demann 1942, p. 26 ss.);
l’innocente osservazione di Aristotele è alla base di una tradizione che sottolineava for-
temente il debito di Platone nei confronti di Sofrone (vd. Laborderie 1978, p. 23 ss).
Sull’influsso di Sofrone e Alessameno di Teo, vd. le testimonianze in Haslam 1972.
49
Cfr. Hoffmann 1947-1948 (i dialoghi giovanili sarebbero commedie in prosa).
50
In Ateneo (11.505d-e) si trova la notizia che Gorgia, dopo aver letto l’omonimo
dialogo, avrebbe affermato: «Come sa ben schernire („amb…zein) Platone!» paragonan-
dolo poi ad Archiloco. Secondo Angeli Bernardini - Veneri 1981, l’aneddoto inquadra
bene il carattere deformante del dialogo platonico. Per l’affinità fra giambo e comme-
dia, cfr. ora Degani 1993. Per la differenza fra i dialoghi di Platone e quelli di Aristotele
e Teofrasto, cfr. Basilio, Ep. 135.1.20-32.
51
Cfr. Nightingale 1995, pp. 190-192. Il Menesseno, inoltre, combina il genere del-
l’orazione funebre con evidenti riprese dalla commedia (cfr. Capra 1998).
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46 DIALOGO E COMMEDIA
52
Cfr. i titoli dei recenti libri di Hubbard 1991 e Slater - Zimmermann 1993.
53
Cfr. la sunkrisis proposta in Taplin 1986. La tragedia è attenta a presentare il
passato eroico secondo certe regole, evitando con cura anacronismi grossolani (vd. Eas-
terling 1985).
54
Come osserva Bachtin 1963 (pp. 141-142), il dialogo socratico presenta le carat-
teristiche generali del serio-comico (contemporaneità dell’oggetto della rappresentazio-
ne, atteggiamento critico nei confronti della tradizione, rifiuto del monostilismo).
55
Molto dibattuto – e probabilmente insolubile – è il problema dell’autenticità di
questo mito. Si tratta a di un’invenzione platonica, b di un rifacimento platonico da un
originale protagoreo c della trascrizione di un’opera di Protagora? Per un inquadra-
mento del problema, cfr. Cambiano 19912 (pp. 8-13).
56
Gli spunti comici contenuti in questa scena descrittiva sono numerosissimi. Al-
cuni di essi saranno richiamati nelle pagine che seguono, nel capitolo II e in particolare
nel capitolo III.
57
«Vom Drama kam Platon, am Drama hatte er gelernt. Man muss sagen, dass er
ihm hier am nächsten steht» (Wilamowitz 1919, p. 139).
58
E in parte con il Liside e con il Fedone. Quest’ultimo dialogo riferisce di un gran-
de numero di persone che assistono al dialogo (59b ss.), e tuttavia la maggior parte
di esse sono personae mutae, mentre è ridotto il numero di interlocutori cui è concesso
un ruolo di rilievo.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 47
Crizia, Alcibiade, la figura fittizia dei «molti»: ognuno è ritratto con una
caratterizzazione individuale, in parte attraverso descrizioni (molto ab-
bondanti nel Protagora grazie alla forma della narrazione indiretta), ma
soprattutto mediante la mimesi di diversi e personali stili linguistici 59. In
secondo luogo, nel Protagora c’è una discreta azione drammatica: l’irru-
zione di Ippocrate nella casa di Socrate, il suo brancolare al buio finché
non trova posto vicino al letto di Socrate, l’andirivieni di Socrate e Ippo-
crate nel cortile, la camminata per raggiungere la casa di Callia, il contra-
sto con il portinaio che apre e poi sbatte la porta, il passeggio ‘peripateti-
co’ di Protagora che – simile a un pifferaio magico – si tira dietro due
schiere ordinate di seguaci adoranti, l’ingresso di Crizia e Alcibiade, lo
spostamento delle sedie per riunire i presenti, l’arrivo di Callia e Alcibia-
de che han fatto alzare da letto Prodico, gli applausi scroscianti, il finto
tentativo di fuga di Socrate trattenuto per il mantello da Callia … tutto
questo, insieme alle ricche descrizioni (che rivelano la presenza di diver-
se personae mutae), conferisce al Protagora, nel quadro della produzione
platonica, un movimento davvero eccezionale, che lo avvicina alla com-
media.
Nel Protagora infine, al di là delle indubbie allusioni specifiche, sono
ripresi e rifunzionalizzati alcuni tratti strutturali della commedia, come
la scena tipica della ‘porta chiusa’ e l’agone. Questo rapporto strutturale
fra il Protagora e la commedia sarà l’oggetto del prossimo capitolo, men-
tre vorrei qui concludere il discorso con alcune considerazioni, di carat-
tere più generale, sul rapporto fra la commedia e il dialogo, sempre con
un occhio di particolare riguardo per il Protagora 60.
59
Cfr. l’analisi stilistica, per la verità un po’ scarna, di Thesleff 1967, p. 127 ss., e le
osservazioni di Tarrant 1996. L’intenzione di riprodurre le cadenze della parlata orale è
rivelata dall’uso delle particelle. Osserva Cook 1996 che «their frequency and range is
so remarkable in his [scil. Plato’s] work, that more than a quarter of all the references
in Denniston’s Greek Particles […] are from his work» (p. 141) e che «the particles
structured the intonational pattern; and thereby they would heighten the fiction that an
oral conversation is being reproduced» (p. 142). Curiosamente, fino ad oggi «si è dedi-
cata un’attenzione molto marginale ai tratti peculiari della ‘scrittura platonica’» (Nied-
du 1992). Per qualche osservazione sul rapporto fra stile e pensiero, cfr. comunque
Tarrant 1948.
60
Naturalmente tutte queste analogie non dovranno nascondere le profonde diffe-
renze. Dal punto di vista della lingua, nonostante alcuni punti di contatto con la com-
media, i dialoghi si caratterizzano – e in questo il Protagora non fa eccezione – per la
completa assenza del turpiloquio. Tale aspetto peraltro, come è noto, tende ad atte-
nuarsi nelle ultime commedie di Aristofane, che anticipano così i caratteri della com-
media nuova: nel mezzo di certe considerazioni morali che abbondano nel Pluto, non è
difficile credere per qualche battuta di leggere un dialogo di Platone. Secondo Orazio,
poi, la commedia di Menandro era affine al dialogo platonico (vd. Sat. 2.3.11 ss. e il
commento di Lasserre 1986, p. 53).
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48 DIALOGO E COMMEDIA
61
Ma i dialoghi si prestano all rappresentazione: il Simposio, per esempio, è stato
portato in teatro, e se ne è tratto addirittura un film (M. Ferreri, Il Simposio di Platone,
1989). Per quanto riguarda l’antichità, non si possono escludere forme di recitazione,
se non di rappresentazione.
62
È peraltro molto dubbio che i drammaturgi classici inserissero didascalie nel te-
sto. Vd. per esempio Taplin 1977a, trad. it. 1994.
63
Per alcune osservazioni sull’uso della narrazione indiretta nel Protagora, cfr. Dal-
fen 1979.
64
Il rapporto fra dialogo e narrazione è un fenomeno complesso, che in anni recen-
ti ha attirato l’attenzione di letterati, filosofi e narratologi. Per un orientamento recente,
cfr. per esempio Mecke 1990.
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NARRAZIONE INDIRETTA 49
virsi del racconto indiretto per necessità narrative 65, ma anche nel senso
inverso: nel dare un carattere teatrale alle sue opere, Platone ha voluto
contemporaneamente prendere le distanze da questa stessa operazione,
disinnescando così i pericoli di fascinazione acritica connaturati, secon-
do Platone 66, alla forma drammatica pura, responsabile del carattere mi-
metico e illusionistico del teatro ateniese 67.
In questa prospettiva, è di grande interesse la trattazione della mime-
sis nel terzo libro della Repubblica. L’uomo per bene – dice fra l’altro
Socrate – consentirà a imitare soltanto caratteri onesti, mentre, per ver-
gogna, si rifiuterà di «rendersi simile sul serio (spoudÍ)» a chi è peggiore
di lui, perché si tratta di un comportamento che nel suo pensiero egli
spregia, a meno che non si tratti di adottarlo per gioco (e„ m¾ paidi©j c£-
rin)» (396d-e). In questi casi, però, «ricorrerà alla narrazione indiretta»
(dihg»sei cr»setai), limitando la mimesis (396e), e vi ricorrerà tanto più,
quanto meno degna è la realtà rappresentata (397e).
Dunque: Platone ammette una rappresentazione giocosa di realtà po-
co degne, con un impiego della narrazione indiretta direttamente propor-
zionale alla bassezza della materia. Queste considerazioni si possono ora
applicare a un dialogo ‘comico’ come il Protagora, in cui l’impiego della
narrazione indiretta sembra effettivamente legato al carattere colorito e
grottesco della realtà rappresentata. Sarà allora del tutto comprensibile
perché il Protagora e il Simposio, i due dialoghi di cui è probabile una di-
pendenza dalla commedia, sono i soli, insieme all’Eutidemo (un dialogo
con intenti caricaturali, anch’esso paragonato sovente a una comme-
65
Tali necessità si facevano sentire forse anche per il numero dei personaggi, che
nei dialoghi in forma drammatica pura non è mai elevato, e questo, probabilmente, per
la buona ragione che i dialoghi venivano letti ad alta voce (che questa fosse la modalità
normale di lettura è suggerito p.e. da Tht. 143b-c, benché la nota tesi che gli antichi
non praticassero la lettura silenziosa e solitaria sia oggi contestata; vd. Gavrilov 1997 e
Burnyeat 1997); infatti, un numero alto di personaggi avrebbe creato confusione. Fra
l’altro, probabilmente non esisteva l’uso degli editori moderni di preporre ad ogni bat-
tuta il nome di chi la pronunciava. Per questi problemi, cfr. Untersteiner 1980 (il capi-
tolo dedicato al dialogo, pp. 59-65).
66
Un’ottima rassegna della copiosa letteratura critica relativa alla posizione plato-
nica nei confronti della poesia e del teatro è in Isnardi Parente 1974. Una messa a pun-
to più recente si può trovare in Ferrari 1989 e in Janaway 1995.
67
Anche perché ai tempi di Platone la commedia, come già la tragedia, tendeva ad
abbandonare quelle rotture dell’illusione drammatica così frequenti nel teatro di Ari-
stofane. Per un elenco di probabili passi aristofanei che comportavano rottura dell’illu-
sione, vd. Chapman 1983. Il concetto di illusione drammatica, applicato al teatro classi-
co, è controverso, ma concordo con Taplin 1986 nel ritenere che lo «spell-binding» è
un tratto peculiare della tragedia classica (vd. in part. p. 164 ss.). Il progressivo affer-
marsi dell’illusione nella commedia di mezzo è analizzato in Slater 1995.
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50 DIALOGO E COMMEDIA
68
L’Eutidemo non solo si presta a essere descritto come «ein philosphischer Mi-
mus» (Reich 1903, p. 400), ma è articolato in cinque parti, che richiamano i cinque atti
della commedia nuova. Di recente, si è sostenuto che la partizione è già in Aristofane
(Sommerstein 1984 e Hamilton 1991, contra Park Poe 1999).
69
È ovviamente impensabile mettere in bocca a Socrate il racconto della propria
morte (cfr. Bonzon 1986). D’altra parte Platone non ha voluto impiegare la forma
drammatica pura perché uno degli scopi del dialogo è la descrizione della serenità della
morte di Socrate (p.e. Socrate attanagliato dal veleno, ormai incapace di parlare; cfr.
Gill 1973).
70
I dialoghi possono essere così classificati: drammatici puri, narrati, introdotti da
una cornice (il Teeteto è un caso particolare: è introdotto da una cornice, ma poi il dia-
logo principale è in forma drammatica pura; vd. Carlini 1994, con ulteriore biografia).
Una diversa classificazione è adottata da Clay 1992, che definisce «frame-dialogues» i
dialoghi riportati da un narratore diverso da Socrate (Parmenide, Fedone, Teeteto e
Simposio). Clay 1992 propone acute riflessioni sulle prime battute di Fedone e Repub-
blica, ma dichiara però di avere «little to say in this essay about Plato’s motives in choo-
sing one kind of dialogue over another» (p. 119). Cfr. anche Johnson 1998, la cui biz-
zarra tesi è che «the elaborate indirectness of the dramatic frame means to reflect […]
the remove between perceptible and Ideal world as suggested in Plato’s vision of the
Ideas» (p. 577).
71
Si tratta qui di un «tour-de-force of oblique narration» (Tarrant 1955b, p. 222).
Formule simili ricorrono – sporadicamente – anche nell’Economico di Senofonte (p.e.
7.23; 7.30; 9.18; sulla complessa struttura narrativa di quest’opera, vd. le osservazioni
di Natali 1988, p. 14 ss.), ma il narratore principale è qui Senofonte stesso. Sull’uso
dell’oratio obliqua, cfr. le osservazioni di Euclide in Tht. 143c-d, il quale dice di avere
trascritto il racconto di Socrate omettendo le formule di narrazione indiretta ma ripor-
tando il dialogo in forma drammatica pura. Al Simposio è dedicato il saggio di Halperin
1992, secondo il quale le strutture narrative sono connesse – un po’ oscuramente, per la
verità – con la dottrina erotica di Diotima.
72
Riguardo alla narrazione indiretta, motivazioni in generale estrinseche e poco or-
ganiche sono addotte da Laborderie 1978, p. 385 ss. (p.e. l’idea che la narrazione indi-
retta debba garantire la veridicità del racconto, p. 392). Secondo altri, la cornice crea
un senso di distanza temporale (p.e. Clay 1992) o sottolinea la natura fittizia del rac-
conto (p.e. Dover 1980, p. 9).
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NARRAZIONE INDIRETTA 51
73
Tarrant 1996 osserva che soprattutto i dialoghi narrati, e in particolare l’Eutide-
mo, il Protagora e il Simposio, ricorrono a procedimenti caratteristici della composizio-
ne orale.
74
Sul concetto di Einfühlung e sulla posizione a riguardo di Brecht, vd. per esem-
pio Molinari 1996, p. 90 ss. Secondo Thiele 1991, «Brecht ist durchaus nicht der erste,
der auf dem Wege einer radikalen Negation der Katharsis politische Zielsetzungen ver-
folgte. Eine noch wesentlich umfassendere Verneinung des Phänomens in Dichtung
und Theater findet sich schon bei Platon» (p. 35). Ma lo studioso – che si concentra
peraltro quasi solo sulla catarsi – non spinge oltre il paragone.
75
Barthes 1964, p. 51, citato in Carlson 1984, trad. it. 19972, p. 447.
76
Chiarini 1961, p. 18.
77
Brecht anzi, nella Linea di Condotta, sperimentò forme di narrazione inserite in
una cornice dialogica come nel Protagora: gli attori-narratori si rivolgono a una sorta di
pubblico astratto e gli espongono fatti passati cui hanno preso parte.
78
Cfr. per esempio Prot. 333d; 339e; 348c.
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52 DIALOGO E COMMEDIA
5. L’UMORISMO PLATONICO
79
Nonostante il giudizio di Cicerone, De off. 1.29.104: … duplex omnino est iocan-
di genus, unum inliberale, petulans, flagitiosum, obscaenum, alterum elegans, urbanum,
ingeniosum, facetum, quo genere non modo Plautus noster et Atticorum antiqua comoe-
dia, sed etiam philosophorum Socraticorum libri referti sunt. Sull’umorismo platonico, è
interessante lo studio di Apelt 1907, che si occupa però quasi esclusivamente dei dialo-
ghi della vecchiaia.
80
Queste differenze, almeno in parte, possono anche essere legate a un generale
cambiamento della società ateniese, che produsse – si è sostenuto – un graduale «ta-
ming of buffonery and laughter» (Bremmer 1997, p. 18 ss.).
81
Rankin 1967, p. 197. Al contrario, «on the whole Aristophanic characters achieve
uniqueness more by their situation than by their language» (Henderson 1995, p. 183).
In Aristofane la caratterizzazione stilistica dei personaggi è saltuaria e intermittente,
benché ci siano diverse scene in cui costituisce un elemento comico molto importante
(cfr. Del Corno 1997).
82
Charm. 153b; è un esempio citato da Rankin 1967, p. 199.
83
Un elenco di alcuni di questi passi, ma niente di più, è offerto in Murley 1954.
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L’UMORISMO PLATONICO 53
84
Todorov 1971, trad. it. 19952, p. 196.
85
Ibidem. Todorov trae qui qualche esempio dall’Adolphe di Benjamin Constant.
Egli afferma che la «significazione» guida l’interpretazione del lettore, di modo che
«dopo aver stabilito qualche interpretazione deterministica, Constant può evitare di
nominare la causa di un avvenimento; abbiamo imparato la lezione e continueremo a
interpretare come ci ha insegnato. In questo modo, il lettore è introdotto al ‘sistema di
interpretazione’ che sarà quello dell’autore per tutto il suo testo». Si osservi però che
nel Protagora colui che guida l’interpretazione è Socrate, ossia un personaggio che par-
tecipa all’azione.
86
Genette 1982, trad. it. 1997, p. 107. Sulla caratterizzazione degli interlocutori
platonici, relativamente ai temi trattati e agli intendimenti dei singoli dialoghi, alcune
buone osservazioni si possono trovare in Coventry 1990.
87
Cfr. DK 80 A2 = Philostr. Vit. Sophist. 1.10: gnoÝj dþ tÕn PrwtagÒran Ð Pl£twn
semnîj mþn ˜rmhneÚonta, ™nupti£zonta dþ tÍ semnÒthti ka… pou makrologèteron toà summš-
trou, t¾n „dšan aÙtoà mÚqJ makrù ™carakt»risen. Come osserva Ausland 1997, «in anti-
quity Plato’s dialogues were known for their characterization (t¾n ºqopoi…an t¾n qrul-
loumšnhn, S Aristid. 671.6-7 Dind.)».
88
Ponzio 1992, pp. 72-73.
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54 DIALOGO E COMMEDIA
89
Si pensi in proposito allo scritto brechtiano Humor ist Distanzgefühl, in cui il
senso della distanza viene identificato con l’umorismo.
90
Cfr. 167 PCG. La commedia di Eupoli trattava forse anche di una spartizione fra
i parassiti del mobilio di Callia (161 PCG). Nel fr. 162, poi, si dice che [i parassiti] fo-
roàsin, ¡rp£zousin ™k tÁj o„k…aj / tÕ crus…on, t¢rgÚria porqe‹tai.
91
Cfr. Resp. 550d.
92
Con analogo sarcasmo Andocide, nell’orazione Sui Misteri, ricorda la rovina del-
la fortuna di Ipponico ad opera del figlio Callia. Secondo una voce diffusa: =IppÒnikoj ™n
tÍ o„k…v ¢lit»rion [scil. Callia] tršfei, Öj aÙtoà t¾n tr£pezan ¢natršpei … pîj oân ¹ f»mh
¹ tÒte doke‹ Øm‹n ¢pobÁnai; o„Òmenoj g¦r =IppÒnikoj uƒÕn tršfein ¢lit»rion aØtù œtrefen, Öj
¢natštrofen ™ke…nou tÕn ploàton, t¾n swfrosÚnhn, tÕn ¥llon b…on ¤panta (130-131). Callia,
dunque «rovescia il banco» del padre, «with a play on tr£peza meaning a ‘bank’» (Maid-
ment 1953, p. 437). Secondo Cox 1996, l’immagine ha anche una connotazione religio-
sa, giacché Callia era un sacerdote, e tr£peza può indicare la tavola sacrificale, mentre
la vicinanza fonica fra tršfw e tršpw può alludere al fatto che Callia ha divorato i sa-
crifici.
93
Tale necessità emerge per esempio dal comportamento di Aristofane nel Simpo-
sio, la cui aggressività nei confronti di Agatone (cfr. Thesm. 97 ss.) è trasformata in una
«bland cattiness» (Dover 1966, p. 45).
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IRONIA DELL’AMBIENTAZIONE 55
94
Su questo possibile sviluppo della commedia di mezzo, vd. Perusino 1986. Peru-
sino ricorda che secondo Platonio – la cui testimonianza viene rivalutata – dopo i Bat-
tezzatori di Eupoli la commedia «passò dallo scherzo palese e dall’attacco scoperto
(skîmma ¢parak£lupton, fanerÒn) ad una comicità di tipo allusivo con attacchi oppor-
tunamente attenuati (kwmJde‹n ™schmatismšnwj kaˆ m¾ prod»lwj, sumbolikîj, a„nigmatw-
dîj): già Aristotele nel passo citato dell’Etica a Nicomaco [4.8.1128a6] aveva contrap-
posto la ØpÒnoia della commedia del suo tempo alla a„scrolog…a della commedia anti-
ca» (Perusino 1986, pp. 79-80). Ma la componente critica non era certo assente (cfr.
p.e. Nesselrath 1997).
95
Per tre volte, in 310e-311a, Socrate ribadisce che Protagora si trova usualmente
in casa di Callia, œndon. Trascorrere gran parte del proprio tempo in casa era considera-
to cosa vergognosa, come emerge per esempio dall’Economico di Senofonte (7.2; 7.30;
11.14).
96
Le parole di Andocide tendono a comunicare il senso di una vita mostruosa, al di
fuori di ogni parametro umano: skeyèmeqa e„ pèpote ™n to‹j “Ellhsi pr©gma toioàto ™ge-
neto … (123).
97
Per una ricostruzione delle complicate vicende matrimoniali di Callia, vd. Davies
1971, p. 263 ss.
98
Fr. 81 PCG.
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56 DIALOGO E COMMEDIA
99
Che la figura di Callia e la presenza di numerosi personaggi di dubbia moralità
costituisca una tacita ma severa smentita delle ambizioni di Protagora come insegnante
di virtù, è la tesi di Wolfsdorf 1998. Egli nota poi giustamente un notevole contrasto fra
i personaggi del Protagora e quelli del Fedone, ossia gli amici intimi di Socrate: «In fact,
of the nineteen personae mentioned as present at Callias’ house in the Protagoras – the
largest collection of personae in a Platonic dialogue – none is present in the cell at So-
crates’ bedside in the Phaedo, the second largest collection of personae» (p. 130).
100
Cfr., fra l’altro, PCG s.v. Eupolis, KÒlakej iv. Max Tyr. 14.7 (p. 179.10 Hob.):
Kall…an mþn ™n Dionus…oij ™kwmódei EÜpolij „dièthn ¥ndra ™n sumpos…oij kolakeuÒmenon,
Ópou tÁj kolake…aj tÕ «qlon Ãn kÚlikej kaˆ ˜ta‹rai kaˆ ¥llai tapeinaˆ kaˆ ¢ndrapodèdeij
¹dona…. Callia, peraltro, si diede da fare anche fuori dalle mura di casa: sorpreso in fla-
grante adulterio, dovette spendere una fortuna per evitare il conseguente processo (Cra-
tino, 81 PCG).
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CONCLUSIONE 57
suoi presunti allievi, Crizia e Alcibiade 101. Costoro appaiono invece nel
Protagora come frequentatori della casa di Callia, e inoltre il codazzo dei
seguaci fanatici del sofista di Abdera comprende proprio Paralo, Santip-
po e Callia, nonché un certo Antimero di Mende, «il più famoso degli al-
lievi di Protagora» (315a). Ma questo Antimero non dovette lasciare
gran traccia di sé, giacché nulla si sa di lui oltre ai pochi dati ricavabili
dal dialogo, e le notizie relative agli altri allievi non sono certo incorag-
gianti. Che razza di maestro è dunque Protagora?
La tragedia, confinata nel passato mitico, può alludere solo in modo
molto indiretto a quel presente storico di cui la commedia, per converso,
è completamente imbevuta. Anche da questo punto di vista il dialogo
platonico, in accordo con le indicazioni del Simposio, sembra operare
una sintesi: se la tragedia è poesia di un passato remoto e indefinito, e la
commedia opera nel presente, il campo d’azione del dialogo platonico è
invece il passato prossimo, ossia un passato i cui effetti sulla realtà pre-
sente sono ancora ben visibili. Nei decenni che separano la data dram-
matica del dialogo dal presente in cui scrive Platone si consumò la rovi-
na personale di molti personaggi del Protagora, e l’Atene di Pericle, ben
rappresentata da Callia e dai suoi ospiti, conobbe la disfatta 102. È questa
la dimostrazione più chiara del fallimento delle ambizioni educative dei
sofisti: l’ironia di Platone invita il lettore, ancora una volta, a non pren-
dere sul serio le parole dei suoi personaggi.
7. CONCLUSIONE
101
Questa accusa di Policrate è riferita e lungamente commentata da Senofonte: vd.
Mem. 1.2.12 ss. Sull’interpretazione di questi passi e sulla datazione del libello di Poli-
crate, cfr. Chroust 1957, p. 69 ss.
102
Per maggiori dettagli sui fallimenti cui andarono incontro molti personaggi del
Protagora, vd. infra, V.4.
103
Poet. 1450a15-22, traduzione tratta da Lanza 1987. Aristotele parla naturalmente
della tragedia.
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58 DIALOGO E COMMEDIA
tre scacciava la poesia dalle ben costituite repubbliche, trepidava nel di-
scacciamento, e creava egli stesso, in quell’atto, una nuova e sublime
poesia» 104. Ma questa novità – come si è visto – era probabilmente detta-
ta da chiare riflessioni e da precisi intenti piuttosto che da una trepida
nostalgia della grazia poetica, come buona parte della critica, ieri come
oggi, si ostina ad affermare, nella convinzione che Platone sia poeta mal-
grado se stesso 105.
I dialoghi, come si è detto nella Premessa, sono opere protrettiche,
destinate a convertire i lettori alla filosofia e a stimolarne le facoltà criti-
ca; per questo, anche quando un dialogo si pone nel solco del teatro an-
tico, l’attenzione critica del lettore deve essere mantenuta desta attraver-
so quegli strumenti di distanziamento che si sono visti: la narrazione, l’u-
morismo e l’ironia. Come affermò Brecht, nel criticare proprio la conce-
zione del teatro aristotelica, «anche nella drammatica si deve introdurre
la nota a piè di pagina e il confronto fatto sfogliando. Il vedere in modo
complesso richiede esercizio» 106. Il Protagora, a mio avviso, può ben es-
sere considerato una forma di teatro che chiede di essere «sfogliata» e
vagliata criticamente. E la letterarietà dei dialoghi – lungi dall’essere una
qualità accidentale, rigurgito involontario di un amore represso per la
poesia – è uno strumento pienamente soggetto al controllo del suo auto-
re, che vedeva i limiti (e forse comprese la crisi storica) del teatro atenie-
se, e, pur di spodestare la cultura tradizionale, progettò una letteratura
completamente nuova. Come immaginosamente ebbe a dire Nietzsche, il
dialogo platonico «prodotto dalla mescolanza di tutti gli stili» e «sospeso
a metà […] fra prosa e poesia […] fu come la scialuppa su cui l’antica
poesia, naufraga, si salvò con tutte le sue creature: pigiate in uno stretto
spazio, ansiosamente soggette al pilota Socrate, navigavano verso un
mondo nuovo, che non sapeva saziarsi di contemplare il fantastico aspet-
to di questo corteo» 107.
104
Croce 1913, 197418, p. 13.
105
Hegel affermò perentoriamente che la forma dialogica è d’ostacolo alla precisa
comprensione della filosofia di Platone (Hegel 1928, trad. it. 1932, p. 163). Havelock
1983, p. 158 ss., vede nell’influsso del teatro sull’opera platonica il retaggio, duro a mo-
rire, di un modo di comporre caratteristico di una cultura orale. Spesso simili giudizi
vengono connessi a contraddizioni – vere o presunte – insite nell’‘estetica’ platonica.
J. Annas, per esempio, afferma che «whithin the Republic […] Plato’s attitude is split,
and he is not like the socialist realists, or Tolstoy, who think that it is both possible and
necessary to throw out ephemeral, entertainment art and to promote deep, truth-pro-
moting art» (Annas 1982, p. 290).
106
Brecht 1975, II, p. 96.
107
Nietzsche 1872a, trad. it. 199717, p. 95 (con modifiche). Si noti che anche
Nietzsche, come poi Bachtin, vede nel dialogo socratico il vero precursore del romanzo.
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II
1
Questi giudizi sono riportati in Hartland-Swann 1951, p. 8.
2
Cfr. le osservazioni svolte supra, nel capitolo I, sui rapporti fra dialogo e teatro.
Platone, inoltre, può essere considerato l’inventore o perlomeno il precursore della fic-
tion: la storia di Atlantide contenuta nel Crizia, per certi aspetti, rientra in questa cate-
goria (cfr. Gill 1979).
3
«In dem Dialog Protagoras hat der junge Platon sein Meisterstück gemacht […]
Es hat lange gedauert, bis er sich schrifstellerisch wieder ein so hohes Ziel setzte, und
in gewissem Sinne kann man sagen, dass ihm gleich etwas so gelungen ist, wie er es nie
wieder erreicht hat» (Wilamowitz 1919, p. 137).
4
«Ich Erzählsituation» è l’espressione impiegata da Stanzel 1955, mentre di rac-
conto omodiegetico ha parlato Genette 1982, trad. it. 1997. «First-person narrator-par-
ticipant» è una categoria impiegata da Leaska 1996, p. 165 ss. Per una breve rassegna
degli studi sul punto di vista rivolta al mondo degli studi classici, cfr. Segre 1981. Per
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disviato dai contenuti dottrinali del discorso alla forma narrativa in sé,
che assume così un interesse e una valenza autonomi 5. Con altri dialoghi
socratici, inoltre, il Protagora condivide un tratto che richiama la produ-
zione drammatica: il racconto di Socrate non consiste in un’esposizione
dottrinale, ma rappresenta un conflitto di opinioni. Infine, la letterarietà
di questo dialogo consiste nella sua – per così dire – dichiarazione di ap-
partenenza al genere comico, che emerge anzitutto dall’ambientazione
nella casa di Callia: è un’indicazione di registro inequivocabile. Nelle pa-
gine che seguono cercherò di mostrare come questa indicazione sia pie-
namente confermata dallo svolgimento del dialogo; molte delle leggi del
genere comico sono infatti puntualmente rispettate nel Protagora 6. L’af-
finità con la commedia si rivelerà così di ordine strutturale, decisiva per
l’interpretazione del dialogo 7.
ORIZZONTI D’ATTESA 61
Che cosa poteva significare, per i lettori del Protagora, questa sorta
di adesione al genere comico? Nella letteratura antica, e in particolare
nella Grecia arcaica e classica, il genere è una solida istituzione, è il me-
dium necessario e strettamente codificato (malgrado l’assenza o scarsità
di elaborazioni teoriche e scritte) attraverso il quale l’autore entra in
contatto con il suo pubblico 8. Il genere letterario, ancora in età classica,
è connesso a occasioni pubbliche ed eventi di grande portata sociale, e
questo determina la formazione di una cultura e di una pratica letteraria
fortemente condivise, che legano solidalmente autore e destinatario in
una misura sconosciuta alle letterature moderne 9. Il genere può dunque
essere definito come «il luogo delle attese istituzionalizzate», che ha la
funzione di orientare la ricezione e la comprensione di un’opera 10. In
questo quadro, si può cercare di ricostruire l’unico punto di vista che
Platone poteva prevedere per i suoi lettori/auditori, ossia quello del de-
stinatario.
Virtualmente tutti i destinatari dei dialoghi platonici erano avvezzi,
come spettatori o ascoltatori, alla recitazione di opere letterarie salda-
mente inserite in una tradizione codificata che determinava precisi oriz-
zonti di attesa. In uno stato fortemente dominato dalla dimensione pub-
blica, in particolare, ogni cittadino libero aveva una larghissima espe-
rienza del teatro (l’Ateniese delle Leggi, addirittura, parla di una «teatro-
crazia») 11; dunque i potenziali lettori dei dialoghi erano addestrati a o-
8
In proposito, cfr. per esempio Rossi 1971: il condizionamento che un genere o-
pera sull’autore è, con apparente paradosso, inversamente proporzionale al grado di
codificazione scritta delle sue leggi. Proprio la riflessione teorica e scritta sui generi, in-
sieme alla decadenza delle ricorrenze sociali cui i generi antichi erano legati, porta in
età alessandrina all’infrazione di quelle leggi. Per l’idea, caratteristica di Bachtin, secon-
do la quale la stilistica dei generi deve integrarsi nella sociologia, cfr. Todorov 1981,
trad. it. 1990, in part. p. 110 ss.
9
La circolazione dei primi libri, infatti, non era legata a una fruizione individuale
della letteratura, perché nella scrittura si vedeva soprattutto uno strumento per accumu-
lare informazioni, come avveniva nel caso delle technai o manuali scientifici. Cfr. in pro-
posito Turner 1952 e, con particolare riferimento a Platone, Erler 1987, trad. it. 1991, p.
92 ss. Usener 1994 esamina con cura tutti i passi relativi alla lettura in Isocrate e Platone.
10
Conte 19852, p. 71. La definizione vale a maggior ragione per l’Atene classica,
dominata da una cultura ‘orale’. La distinzione fra civiltà ‘orali’ e ‘letterate’ è peraltro
insidiosa e controversa. Mi riferisco qui a una fruizione prevalentemente orale della let-
teratura. Su questi problemi, cfr. l’introduzione di Thomas 1992, secondo cui nell’Ate-
ne classica era diffusa la capacità di leggere semplici e brevi testi, però «the written texts
of poetry and literary prose had a reading audience confined to the highly educated
and wealthy elites, and their secretaries» (p. 11).
11
Leg. 701a. Per la verità l’Ateniese parla di teatrocrazia nella musica, ma il discor-
so, nelle pagine seguenti, viene rapidamente esteso alla moralità della polis nel suo com-
plesso.
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12
Secondo T. Gelzer, Aristofane «makes use of expectations which he does not
have to foster, but which the audience has as a result of its knowledge of the structure,
forms and methods of expression of Old Comedy» (Gelzer 1976, 1996, p. 213). Lo stu-
dioso osserva ancora che Aristofane poteva contare su di un «Publikum von Kennern»
(Gelzer 1991, p. 89) e che «das Publikum die festen strukturellen Elemente und ihre
Einsatzmöglichkeiten kennt» (ivi, p. 87).
13
Conte 1984, p. 57.
14
Corti 1976, p. 153.
15
Medvedev 1928, trad. it. 1978, p. 291.
16
Il protagonista stabilisce «una solidarietà fin dall’inizio» con gli spettatori, che
poggia su una «sperimentata connotazione»: egli è «piuttosto vecchio che giovane, piut-
tosto villico e rozzo che cittadino raffinato, piuttosto furbo che intelligente» (Lanza 1989,
pp. 300-301). Per le Nuvole in particolare, di cui maggiormente mi occuperò, Lanza os-
serva che il meccanismo della scena del pensatoio «è molto semplice: una forte diffe-
renziazione dei personaggi: l’uno, lo scolaro e poi Socrate, saputo e sussiegoso, l’altro
becero e ignorante. I discorsi del primo avviati sempre su un registro linguistico relati-
vamente alto, vengono puntualmente travisati dal secondo. Ma i discorsi difficili, anzi
incomprensibili, sono in realtà vuoti di significato […] e l’incomprensione dello scioc-
co agisce perciò come demistificazione liberatoria» (p. 299).
17
Per una presentazione concisa della figura di Socrate nella commedia, cfr. Pascal
1923 (solo per le opere frammentarie), Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 69 ss. Le testi-
monianze sono raccolte da Giannantoni 1990, I, p. 3 ss. Per un esame critico di queste
testimonianze, vd. Gallo 1992, p. 127 ss., e Patzer 1994.
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IL CAMBIAMENTO DI SCENA 63
2. I L CAMBIAMENTO DI SCENA
18
Capizzi 1991, p. XX, giustamente dice che il dialogo «della commedia ha l’anda-
mento», ma poi non precisa ulteriormente questa affermazione.
19
La casa di Socrate, pare, valeva appena cinque mine (Xenoph. Oec. 2.3). La casa
di Callia era invece celebre per il lusso (cfr. in proposito Pesando 1987, p. 29 ss., che ne
ricostruisce addirittura la pianta). Notevole anche la presenza di un portinaio (qurwrÒj,
314c). Nell’antichità ben poche case, le più ricche (per la modestia delle abitazioni ate-
niesi, cfr. per esempio Flacelière 1959, trad. it. 19924, p. 41 ss.) dovevano essere dotate
di un qurwrÒj, forse più simile a un guardiano che non a un moderno portinaio. Benché
talora siano menzionati pa‹dej cui gli ospiti chiedono di essere annunciati (p.e. Symp.
212c-d; Ar. Ach. 396 ss.), non si ha forse notizia, per l’Atene classica, di altri qurwro…
addetti a case private. Cfr. per contrasto 310b: dopo la bussata di Ippocrate, la porta del-
la casa di Socrate vien subito aperta da «qualcuno» (tij), sebbene sia notte fonda (an-
che nelle Nuvole, del resto, il pensatoio ha caratteri esteriormente umili: è un o„k…skon,
92; cfr. Karavites 1973-1974).
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20
Di questo dialogo è stata recentemente rivendicata l’autenticità sia sul piano for-
male (Cobb 1992) sia su quello filosofico (Trabattoni 1998b). Ulteriore bibliografia sul
dialogo in Centrone 1997, che ritiene il dialogo spurio pur accogliendo alcuni argo-
menti dei fautori dell’autenticità. Diversamente da quanto avviene nel Protagora, Socra-
te, nel Teage, riesce a dissuadere il giovane Demodoco dalla frequentazione dei sofisti,
e dunque il dialogo, logicamente, si conclude.
21
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Per l’atteggiamento eristico di Socrate, cui si è
accennato nella Premessa, vd. infra, IV, V e Appendici.
22
Nel parlare di «passaggio» mi riferisco semplicemente alla trama delle commedie,
non alla loro messa in scena, che era probabilmente molto semplice. Si può anzi parlare
di «scenografia verbale», come nel caso di Shakespeare (Del Corno 1986, p. 208 ss.):
l’eroe comico «dà vita ad una serie di spazi che non esistono concretamente sulla scena,
ma sono solo affidati alla fantasia degli spettatori» (Roncoroni 1994, pp. 75 e 79).
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IL CAMBIAMENTO DI SCENA 65
23
Vd. Thiercy 1986, p. 305 ss. Egli articola la struttura iniziatica in preparazione,
viaggio nell’‘altrove’ e rinascenza, e osserva che «ce scénario d’initiation se retrouve
[…] dans la majorité des comédies d’Aristophane» (p. 307). Questa visione, che ha co-
me lontano antecedente il famoso libro di F.M. Cornford (1914) sull’origine della com-
media attica (sotto la superficie delle diverse commedie, si cela un identico rituale di
fertilità), è ulteriormente sviluppata, con un taglio più marcatamente antropologico, nel
recente libro di A.M. Bowie (1993).
24
«While Aristophanes is not troubled by verisimilitude, he nevertheless starts
with a keen observation of the details of daily life (ledgers, thick-wicked lamps, house-
hold icons etc.), which he then subjects to fantastic distortion» (Griffith 1993, p. 136).
25
Per queste caratteristiche della vicenda comica, cfr. Sifakis 1992.
26
È possibile che lo stupore di questa rivelazione fosse acuito dall’impiego dell’™g-
kÚklhma, che mostrava d’improvviso le scene ambientate nell’interno della casa. Sul
possibile impiego nella commedia dell’™gkÚklhma, vd. Thiercy 1986, p. 85 ss.
27
Cfr. per esempio l’analisi condotta sugli Uccelli da Gelzer 1976.
28
Su questa particolarità delle Nuvole si è soffermato Russo 19842, p. 171 ss. Egli
osserva che «primaria caratteristica scenica delle Nuvole sono le due case del fondale in
vigore dal principio alla fine come dimore dei due principali personaggi Strepsiade e
Socrate. In altre commedie la coesistenza nella facciata scenica di due o più ambienti è
estemporanea ovvero è temporanea: nelle Donne a parlamento, ove è perpetua fuorché
nell’ultima parte della commedia, le due case vengono via via attribuite a nuovi perso-
naggi […]. Una perpetua coesistenza scenica di due ambienti, singolare caratteristica
delle Nuvole, sarà in Menandro usuale. E, nelle Nuvole […] i due ambienti avvicinati
sono distanti nella realtà ateniese, ché le persone non vengono concepite, diciamo così,
come vicine di casa […]» (pp. 171-172).
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29
Sulla scia di Dover 1968, p. 92, Griffith 1993 osserva, a proposito del prologo
delle Nuvole, che «during the summer, men might sleep outside to stay cool, but they
would not then be wrapped in five blankets (cf. 10) like Pheidippides, so we must sup-
pose that the season portrayed is that of the performance, March. This detail proves
that we are witnessing that rarity in Old Comedy, an indoor scene» (p. 135).
30
Diverse commedie di Aristofane principiano fra la notte e il giorno, ma soltanto
nelle Nuvole – come nel Protagora – questa circostanza non è determinata dall’incomben-
te convocazione di assemblee ed eventi pubblici. Cfr., su questa peculiarità delle Nuvo-
le, Del Corno 1991, che parla di una «dimensione prevalentemente psicologica» (p. 277).
31
Si noti anche l’affinità, forse non casuale, dei due nomi di sapore aristocratico,
Ippocrate e Fidippide: proprio nelle Nuvole, Strepsiade lamenta che la moglie, di nobi-
le famiglia, voleva per il figlio un nome con la parola «cavallo»: ¹ mþn g¦r †ppon proset…-
qei prÕj toÜnoma, X£nqippon À C£rippon À Kallipp…dhn (63-64).
32
Cfr. Goldberg 1983, p. 329 ss. Egli rileva qualche analogia nella trama di Nuvole
e Protagora; i paralleli «enrich the texture of the Protagoras by an addiction of superfi-
cial allusive irony» (p. 333).
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33
Che questa scena del Protagora sia influenzata dalla commedia, è opportunamen-
te segnalato in Dorati 1993, pp. 173-174 nota 13. Il bussare alla porta ha un importante
precedente tragico in Aesch. Ch. 653 ss. Come osserva Taplin 1977b, p. 340, «while
common in comedy, knocking at the door is hardly used again in surviving tragedy des-
pite this precedent». Manca inoltre, nella scena delle Coefore, quella ‘struttura del di-
svelamento’ cui si accennava sopra.
34
Per esempio Tagenistai di Aristofane, Metalles di Ferecrate, Demi di Eupoli, Chi-
roni di Cratino.
35
315b: tÕn dþ met’ e„senÒhsa = Hom. Od. 11.601; 315c: T£ntalÒn ge e„se‹don =
Hom. Od. 11.582. Sisifo è un personaggio noto per la scaltrezza ed empietà (cfr. p.e.
Pherec. FGrH 3 F119; Xenoph. Hell. 3.1.8; Ar. Ach. 391; vd. in proposito Sourvinou-
Inwood 1986, p. 47 ss.), e compare in Gorg. 525e fra i grandi peccatori. Si può pensare
a un nesso con il processo per empietà forse subito da Protagora (cfr. infra, V.6). Di E-
racle, in considerazione del tono comico della scena, si dovranno tener presenti anche
gli aspetti più triviali: per Aristofane il leggendario ghiottone della farsa dorica è un in-
saziabile ingordo, disposto a tutto pur di mangiare (Av. 1574 ss.; Ran. 549 ss.; Ve. 58-
60; Lys. 929). È una caratterizzazione particolarmente adatta a questa scena la cui am-
bientazione doveva immediatamente richiamare i Parassiti di Eupoli (qui i sofisti mo-
strano un’ossessione culinaria analoga a quella dell’Eracle aristofaneo, cfr. in part. 172
PCM). L’accostamento di Ippia con Eracle è appropriato anche perché il sofista si pre-
sentava come un invincibile atleta della parola, frequentatore dei giochi olimpici, forse
anche perché orgininario di Elide (Hipp. Min. 363c ss.; su Eracle atleta e protettore di
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disseo 36. Del tutto congruente con questo intento rappresentativo è poi
la menzione di Orfeo, un altro personaggio legato al mondo infero 37. La
casa di Callia, dunque, è un ben difeso luogo infernale 38 : il Protagora, ol-
tre alla scena tipica del superamento della soglia, riprende dalla commedia
anche i modi della rappresentazione del mondo nascosto dietro la porta.
La casa di Callia, tuttavia, non è propriamente un inferno, perché la
suggestione catabatica rimane tale. Proprio per questo, un possibile mo-
dello comico andrà individuato non tanto nella catabasi ‘reale’ delle Ra-
ne o di altre commedie perdute, quanto in quella implicita delle Nuvo-
le 39; in questa commedia il pallore mortale dei socratici, macerati da stu-
di assidui quanto assurdi, suggerisce più volte un’identificazione fra il
pensatoio e il mondo degli inferi 40. La scuola di Socrate è infatti popola-
ta da «spiriti» e «semimorti», ed entrarvi equivale a «scendere» (kata-
ba…nein) nell’antro di Trofonio (v. 508) 41.
L’atmosfera straniata del pensatoio è dovuta anche al mistero che
grava sulle attività della scuola socratica. L’ingresso di Strepsiade nel
pensatoio socratico «avviene nel quadro di un paradossale – ma fallito –
atleti nel dramma attico, vd. p.e. Angeli Bernardini 1998). Per quanto riguarda Tanta-
lo, vd. Willink 1983 e cfr. infra, III.2.
36
Socrate allude a Odisseo forse già in 309b1 (= Hom. Od. 10.279 / Il. 24.248). Di
Odisseo, Platone ama sottolineare alcune qualità, come la sopportazione e l’accortezza,
che lo accomunano a Socrate (nel mito di Er, Resp. 620c-d, l’eroe presenta tratti socra-
tici; vd. Eisner 1982).
37
Platone ricorda la catabasi di Orfeo in Symp. 179b-d, ed era celebre la Nekyia di
Polignoto descritta da Pausania (10.30.6), in cui Orfeo appariva come ospite dell’Ade.
La menzione platonica è del resto una delle prime, preceduta con certezza solo da Eur.
Alc. 357 ss., anche se «it seems reasonable to suppose that some account of Orpheus
descending to Hades was known to fifth-century initiates of Orphism» (Lee 1964, p. 402).
38
E Callia, il ricco padrone di casa, è un novello Plutone (Aristofane gioca su
PloÚtwn-ploàtoj nel fr. 504 dei Tagenistai, dove probabilmente il ricco re dell’Ade of-
friva un lauto banchetto).
39
Un accenno a un confronto fra Nuvole e Protagora è in Adkins 1970, p. 19.
40
«The Phrontisterion […] is strongly characterised as chtonic: it is the haunt of
‘souls’, like Hades (94); their pallid complexions are quite unlike those of normal
healthy young men such as the Hippeis (103, 119 f.), and recall the half-dead Spartan
prisoners from Sphacteria (186); their concerns are with the things beneath the earth
(188, 192), whence they are said to have sprung, as gegeneis (853). The fact that they
live permanently inside the school and cannot stay long in the open air (198) contrasts
with the daily journey to school and gymnastic training of normal boys (964 f.). One re-
members the darkness and hiding of the ephebe. As beasts (184), they differ from nor-
mal people: they don’t wash, shave (835-7) or wear shoes (103)» (Bowie 1993, p. 106).
Per il pallore dei socratici, cfr. anche Ve. 1413; Av. 1296, 1564. Sul filosofo pallido, cfr.
Sassi 1988, p. 32 ss.
41
Cfr. Bonnechere 1998: tutta la scena dell’iniziazione di Strepsiade appare im-
prontata ai misteri di Trofonio. A p. 462 ss., l’autore sottolinea altri motivi ctonii nel
pensatoio socratico.
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rito di passaggio, scandito dai simboli tipici di queste situazioni» 42, che
si riflette in un linguaggio talora iniziatico 43. Anche nel Protagora, al di
là della soglia, risuonano accenti misterici. Protagora è paragonato a un
Orfeo maliardo (315a-b) 44; Ippia è seduto su un «trono», forse remini-
scente della cerimonia iniziatica detta thronosis, che Platone menziona
nell’Eutidemo proprio per descrivere umoristicamente i ‘misteri’ sofisti-
ci 45. Come richiede l’atmosfera iniziatica, si tratta qui di una visione beata:
Socrate sottolinea esplicitamente il piacere che trae da questo spettacolo e
ricorda ironicamente di aver indugiato nella contemplazione della scena 46.
Anche l’evocazione dei culti misterici è uno sfondo di cui la comme-
dia poteva servirsi per dare corpo alla raffigurazione dell’alterità: nelle
Tesmoforiazuse buona parte della commedia si svolge all’interno di un
tempio in cui le donne celebrano riti misterici interdetti agli uomini 47.
Ma, di nuovo, nelle Nuvole come nel Protagora il motivo non travalica i
confini della suggestione, funzionale a una più gustosa presentazione delle
misteriose dottrine sofistiche.
L’affresco dei sofisti, nel Protagora, prende corpo in una brillante
descrizione delle bizzarre pose che essi tengono durante l’insegnamento.
La vivace parafrasi di Filippo Maria Pontani riesce a catturare la comici-
tà della scena: «Il regno dei sofisti si dischiude allo sguardo. Maestoso
incedere di Protagora, fascinoso solista scortato da un piccolo coro: am-
miratori e discepoli fanno ala, convergono, divergono, in un carosello
d’evoluzioni ritmate dall’ossequio, a misura che il maestro avanza, retro-
cede, s’arresta. Scende da un alto seggio la sapienza d’Ippia, su ascolta-
tori estasiati, appollaiati in sgabelli ai suoi piedi. In una stanzetta rim-
bomba intanto, confusa da risonanze, la profonda voce di Prodico, infer-
42
Guidorizzi 1996, p. 206. Vd. anche Bowie 1993, p. 107 ss.
43
V. 140: oÙ qšmij 143: must»ria 166: trism£karioj. Per una serie di possibili allu-
sioni ai misteri eleusini, cfr. Byl 1988. Cfr. ora il lavoro, ricchissimo di informazioni e
bibliografia, di Bonnechere 1998.
44
«In the course of the great passage in the second book of the Republic, which is
calculated to make the defense of justice in the later books as difficult as possible, Plato
has occasion to say something of teletae and their function, and he mentions the name
of Orpheus in connection with them» (Linforth 1941, p. 75, intorno a Resp. 363a-366b;
il libro contiene un’ampia analisi delle testimonianze relative a Orfeo).
45
Euthd. 277d-e: Klein…a, m¾ qaÚmaze e‡ soi fa…nontai ¢»qeij oƒ lÒgoi. ‡swj g¦r oÙk
a„sq£nV oŒon poie‹ton të xšnw [scil. i sofisti Dionisodoro ed Eutidemo] perˆ sš: poie‹ton
dþ taÙtÕn Óper oƒ ™n tÍ teletÍ tîn Korub£ntwn, Ótan t¾n qrÒnwsin poiîsin perˆ toàton Ön
¨n mšllwsi tele‹n. kaˆ g¦r ™ke‹ core…a t…j ™sti kaˆ paidi£, e„ ¥ra kaˆ tetšlesai: kaˆ nàn
toÚtw oÙdþn ¥llo À coreÚeton perˆ sþ kaˆ oŒon Ñrce‹sqon pa…zonte, æj met¦ toàto teloànte.
46
315b: „dën ¼sqhn 315d: œti smikr’ ¥tta diatr…yantej kaˆ diaqeas£menoi.
47
Non vi è qui il motivo della porta chiusa perché, con ogni probabilità, l’interno
del tempio era rappresentato dall’orchestra, mentre la facciata con relativa porta indivi-
duava la casa di Agatone. Cfr. in proposito Russo 19842, p. 300 ss.
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48
Pontani 1965, p. 46. Per i numerosi spunti comici di questa scena, cfr. anche in-
fra, III.1 e 2.
49
V. 184 ss. È questo un motivo comico ampiamente sfruttato dalla commedia e
riutilizzato anche da Platone. Cfr. le osservazioni di Dorati 1995, p. 91 ss.
50
V. 218: fšre t…j g¦r oátoj oØpˆ tÁj krem£qraj ¢n»r;
51
Apol. 19c: taàta g¦r ˜wr©te kaˆ aÙtoˆ ™n tÍ ’Aristof£nouj kwmJd…v, Swkr£th tin¦
™ke‹ periferÒmenon, f£skont£ te ¢erobate‹n kaˆ ¥llhn poll¾n fluar…an fluaroànta, ïn
™gë oÙdþn oÜte mšga oÜte mikrÕn pšri ™pa‚w. Cfr. in proposito Russo 19842, pp. 181-182.
52
Questa particolarità delle Nuvole è discussa ivi, pp. 174-175. Nelle Nuvole, attra-
verso il ripetuto movimento casa di Strepsiade > phrontisterion (meta prima di Strepsia-
de, poi di Fidippide, infine ancora di Strepsiade), il pensatoio è non soltanto il luogo
dove si svolge la più parte della commedia, ma ne costituisce anche il punto d’arrivo fi-
nale. Un caso simile è costituito dalle Rane, ma qui «l’ambiente visitato, sceneggiato
con altrettanta ampiezza e varietà, rimane semplice proemio paesaggistico e folcloristi-
co alla parte più elevata della commedia», mentre nelle Nuvole «l’ambiente visitato si
distende e campeggia come primaria materia scenica e ideale nella cornice dell’ambien-
te privato dell’indebitato Strepsiade» (ivi, p. 174).
53
Ibidem.
54
«Son nom évoque le verb stršfein, ‘tourner’, qui montre bien sa propension à
s’agiter et à se retourner, au propre comme au figuré» (Thiercy 1986, p. 259).
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L’«AGONE» 71
tia» 55, ma «non ha alcuna qualità eroica» 56, giacché dell’eroe comico «gli
manca l’essenziale: l’idea critica che confuta l’andazzo della cosa pubblica
e che il poeta suole condividere con il suo protagonista» 57. Questa man-
canza di progettualità si riflette nell’esito fosco della commedia, che so-
stituisce alla tradizionale festa e palingenesi comica l’inquietante incen-
dio del pensatoio socratico 58. Nel Protagora Socrate appare «spiritoso e
tortuoso nei ragionamenti»; quindi, «non bisogna pensare che né Socra-
te né Protagora siano i portavoce di Platone» 59. Lo scontro verbale fra i
due dialoganti si conclude con uno sconcertante rovesciamento di posi-
zioni: Socrate adotta la tesi di Protagora, ossia che la virtù sia insegnabi-
le, mentre questi, inversamente, sostiene di fatto che la virtù non si può
trasmettere 60. Se in generale il motivo della soglia è ispirato alla comme-
dia, la rappresentazione del ‘mondo altro’ (suggestione catabatica, ac-
centi misterici, descrizione dei sapienti) e la debolezza del protagonista
rivelano però il particolare influsso delle Nuvole.
4. L’«AGONE»
55
Lanza 1989, p. 306. Egli precisa però che si tratta «di simpatia teatrale, che nulla
o poco ha a che fare con improbabili definizioni etiche o ideologiche del personaggio».
56
MacDowell 1995, pp. 116-117.
57
Del Corno 1996, p. XVI.
58
Secondo una ØpÒqesij della commedia (hyp. vii Coulon = i Dover), la versione
tramandata delle Nuvole (le cosiddette Nuvole Seconde) differisce dalla versione che fu
rappresentata (Nuvole Prime) soprattutto nel finale e nell’agone epirrematico, oltre che
nella parabasi, riscritta ex novo. E tuttavia: nulla di sicuro si può dire a proposito della
versione originale, e d’altra parte Platone poteva rifarsi a entrambe le versioni. Non en-
trerò perciò in questo spinoso problema (per un esame recente della questione, cfr. p.e.
Hubbard 1986).
59
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Alcuni interpreti vedono in Protagora il ‘pro-
tagonista’ del dialogo. Cfr. per esempio Stefanini 1949, p. 172 ss., e la sezione sul Prota-
gora nel Platone di P. Friedländer (1928, trad. it. 1979). Cfr. anche le osservazioni di
Taylor 19496, trad. it. 1968, p. 371 ss.
60
A proposito di questo rovesciamento, si può forse ricordare che nelle Nuvole
Strepsiade e Fidippide finiscono per scambiarsi le parti nel giudizio della nuova educa-
zione socratica.
61
Cantarella 1948, p. 206.
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62
Cfr. infra, IV.1.
63
Cfr. infra, IV.5.
64
Sull’agone epirrematico, vd. la monografia di Gelzer 1960. Accanto all’agone co-
mico, esiste anche, in diverse tragedie di Euripide, un agone tragico (tradizionalmente
se ne contano tredici), che presenta però caratteristiche diverse e difficilmente confron-
tabili con la struttura agonale del Protagora. Sull’agone euripideo, vd. Lloyd 1992. Sce-
ne agonali si trovano poi in diverse opere della letteratura antica, come emerge dalla
rassegna contenuta nella dissertazione di Froleyks 1973, che però non menziona Plato-
ne. Dell’influenza di un generico «agón literario» sul dialogo platonico, parla Bádenas
1984, p. 201 ss.
65
Vd. Gelzer 1960, p. 73 ss. Dal punto di vista formale, il carattere più evidente
dell’agone comico è una struttura metrica definita che ricorre nelle commedie con una
certa regolarità; ma, ovviamente, non è su questo terreno che si possono cercare affinità
con un dialogo in prosa. Peraltro, i caratteri formali dell’agone, molto evidenti nelle
prime commedie aristofanee, tendono con il tempo a ridursi, tanto che nel Pluto «fehlt
auch noch die einzige Ode, und nur die zwei, wohl vom Chorführer gesprochenen,
Verse eines Katakeleusmos am Anfang (und ein Pnigos am Schluss) sind von den alten
Kennzeichen der Form übriggebringen. Damit ist er zu einer glatt durchgehenden
Sprechszene geworden, und die Funktion des Chors ist praktisch ausgeschaltet» (Gel-
zer 1960, p. 271; vd. anche il capitolo intitolato «Der epirrhematische Agon nach Ari-
stophanes», p. 283 ss.).
66
«Der epirrhematische Agon bleibt in der ganzen Epoche der alten Komödie,
soweit sie historisch fassbar ist, ein zentraler Bestandteil» (Gelzer 1960, p. 236). Gelzer,
tuttavia, ha forse sopravvalutato il ruolo dell’agone nel determinare il corso dell’azione
comica. Long 1972 ha mostrato che le commedie contengono molte altre scene di per-
suasione accanto all’agone, che non appare determinante per l’esito della vicenda. L’‘a-
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L’«AGONE» 73
l’«ombelico della commedia» 67. Alcuni tratti peculiari del Protagora po-
tranno essere spiegati con l’influsso dell’agone comico.
Una prima peculiarità è il cosiddetto grande discorso di Protagora: il
sofista, richiesto di mostrare in che consista il suo insegnamento, tiene la
parola per ben otto pagine (320c-328d), che contengono fra l’altro un’am-
pia esposizione mitica sulle orgini della civiltà 68. Il lungo discorso è pre-
ceduto da una breve storia dell’arte sofistica (316c-317c). Al ‘grande di-
scorso’ segue una lunga fase confutatoria, che non trova però conclusio-
ne favorevole perché il sofista, ansioso di sfuggire all’incalzante interro-
gare di Socrate, si rifugia in un excursus sulla relatività del bene, che gli
assicura il plauso dei presenti e quindi, in un certo senso, la prima ‘ripre-
sa’ dell’incontro (cfr. 334a ss.). Si apre così una farraginosa discussione
sulle regole del confronto dialettico (qui Protagora parla di «agone»),
che coinvolge buona parte dei presenti (334c-338e). Alla fine, viene sta-
bilito che toccherà a Protagora interrogare Socrate. Il sofista, «come un
buon pugile», mette subito alle corde l’avversario (339d ss.), ma Socrate
esce dall’angolo ricorrendo a sua volta alla macrologia; egli pronuncia in-
fatti un lungo discorso (342a-347b), direttamente contrapposto, in diver-
si punti, al lungo intervento iniziale di Protagora, di cui costituisce una
sorta di rovesciamento 69. Al termine del discorso, apprezzato dai pre-
senti, comincia una seconda sezione confutatoria, che si conclude con la
resa di Protagora.
Emergono da questo breve sunto alcune peculiarità che non trovano
riscontri negli altri dialoghi di Platone. Schematicamente:
– ‘grande discorso’ di Protagora;
– temporanea sconfitta di Socrate (prima stordito dall’applauso dei pre-
senti e poi confutato, proprio sul terreno della brachilogia, da Prota-
gora);
– emulazione, da parte di Socrate, del ‘grande discorso’.
Queste peculiarità, insieme alla parola spia «agone», rinviano forse
all’elemento agonale della commedia. Infatti, l’emulazione retorica di
Socrate, che controbatte il lungo discorso di Protagora, produce quella
caratteristica alternanza di rheseis contrapposte e di rapidi scambi dialet-
tici – vorrei dire sticomitici – che si osserva nell’agone comico. Il lungo
intervento di Socrate riprende e controbatte gli argomenti del ‘grande
gone tragico’ invece non è un elemento strutturale, e, per di più, «in only two agones
does either side clearly gain its ends by means of what is said» (Lloyd 1992, p. 15).
67
Questa definizione («umbilicus») è attribuita da Starkie 1968 (p. XV) a Nesemann.
68
Lo spazio concesso al deuteragonista è del tutto eccezionale e – almeno fino ai
dialoghi della maturità – non conosce paralleli. Protagora pronuncia inoltre l’unico mi-
to ‘sofistico’ rintracciabile nei dialoghi.
69
Cfr. Winton 1980 e Clapp 1949-1950. Su questo punto, cfr. comunque infra, IV.6.
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70
Cfr. vv. 538 e 559.
71
Questo per esempio avviene nelle Vespe (il coro di vecchi amici di Filocleone è
alla fine convinto dalle ragioni di Bdelicleone) e nei Cavalieri (Demo, inizialmente suc-
cube di Paflagone, gli volta poi le spalle a vantaggio del Salsicciaio).
72
Il progressivo cambiamento di posizione del pubblico è preso in esame infra, VI.4.
73
Protagora avrebbe dunque un nome parlante, come molti personaggi di Aristofa-
ne. Talora, nelle commedie, il ruolo di chi ‘parla per primo’ (e dunque è destinato alla
sconfitta) è esplicitamente sottolineato. Cfr. Nub. 940 ss.: CO fšre d», pÒteroj lšxei prÒ-
teroj / HT toÚtJ dèsw: / k¶t’ ™k toÚtwn ïn ¨n lšxV / ·hmat…oisin kaino‹j aÙtÕn / kaˆ
diano…aij katatoxeÚsw, / tÕ teleuta‹on d’ […] ØpÕ tîn gnwmîn ¢pole‹tai. Cfr. anche Ran.
861 (Euripide si dice pronto a parlare prÒteroj).
74
Cfr. 315b: corù. Questi personaggi sono più volte designati come oƒ ¢koÚontej
(336d; 337b; 337c; 339e).
75
Cfr. infra, VI.4.
76
Il locus classicus è Gorg. 471e ss. Ma sul problema, vd. infra, VI.5.
77
Cfr. Pl. 508 e 563.
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L’«AGONE» 75
78
Vd. Thiercy 1987, p. 170 ss.: alcune commedie reclamano l’identificazione del
pubblico con il coro (nei Cavalieri è addirittura il personaggio allegorico di Popolo che
deve essere persuaso, e Paflagone e il Salsicciaio non risparmiano alcuna bassezza pur
di blandirlo; cfr. v. 763 ss.). Thiercy conclude il suo esame sottolineando la circostanza
che i cori drammatici «étaient composés de citoyens athéniens et non de profession-
nels. Le choeur, spécialement le choeur comique, était le représentant sur scène de la
communauté civique athénienne, et endossait ainsi les sentiments du public, tel un mé-
diateur» (pp. 184-185). Quando invece i cori non potevano, per la loro natura, rappre-
sentare la comunità (cori femminili, teriomorfici), l’autore doveva concentrare la comu-
nicazione con il pubblico soprattutto nella parabasi.
79
Av. 726; Eq. 748-749.
80
Si vedrà nel capitolo VI come la questione della persuasione sia più complessa,
perché coinvolge direttamente le posizioni filosofiche di Protagora.
81
Ai vv. 1000 e 1001 Discorso Debole si rivolge direttamente a Fidippide ironiz-
zando sulle conseguenze dell’educazione proposta da Discorso Forte.
82
Traduzione di Del Corno 1996.
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5. IL «PROTAGORA» E LE «NUVOLE»:
APOLOGIA ‘DOTTRINALE’ DI SOCRATE
83
Si potrebbe dunque parlare, con Genette 1982, trad. it. 1997, di un ipogenere (la
commedia) e di un ipotesto (le Nuvole). Egli introduce la categoria di ipogenere a pro-
posito dell’«antiromanzo» (p. 170 ss.): per esempio i romanzi cavallereschi sono ipoge-
nere per il Don Chisciotte. Peraltro, «nulla condanna […] l’antiromanzo a un riferi-
mento generico» (p. 177; egli cita il caso del Télémaque travesti di Marivaux, che istitui-
sce con l’Odissea un rapporto analogo a quello che lega Don Chisciotte ai romanzi ca-
vallereschi). È poi affrontato il caso di Provaci ancora Sam, il film di Woody Allen: nel
rapporto che lega Woody (come personaggio) a Bogart, l’eroe cui Woody vuole asso-
migliare, Genette vede «un riferimento non soltanto generico (il film nero bogartia-
no) ma anche specifico, perché si tratta più precisamente del Bogart di Casablanca»
(ivi, p. 183). Questo esempio sarebbe dunque più vicino al caso del Protagora.
84
Come si è visto, Platone nel Protagora recepisce proprio gli elementi che nelle
Nuvole segnano uno scarto rispetto alla norma del codice comico, e questa circostanza
dimostra quanto forte sia il rapporto fra le due opere. È tuttavia difficile dire se queste
particolarità delle Nuvole furono invenzione di Aristofane oppure fossero parte, come
l’ambientazione ‘eupolidea’ del Protagora potrebbe far credere, di un repertorio comu-
ne alle commedie che mettevano in scena i sofisti.
85
Cfr. Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 85: «Senofonte e Platone non mancarono di
fare vari riferimenti al trattamento subito da Socrate presso i poeti comici, anche se non
c’è modo di accertare se sono tutti ad Aristofane. Nell’Economico (cfr. 11.3) Senofonte
dichiara che di Socrate ‘si suppone che sia un chiacchierone ed un misuratore di aria,
nonché – ed è questa l’accusa più sciocca – un poveraccio’ mentre nel Simposio (cfr.
6.6) Senofonte fa un riferimento esplicito ad un passo delle Nuvole (cfr. v. 145 s.) in cui
l’impresario domanda rudemente a Socrate non soltanto se è ‘quello che chiamano
phrontistes’, ma anche se sa quanti piedi riesce a saltare una pulce, perché ‘questa è la
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geometria che dicono che tu sai’ (cfr. Nuvole 145 s.). Nel Fedone (cfr. 70b-c) Socrate
dice seccamente che qualora si mettesse – in quanto condannato a morte – a discutere
sull’immortalità dell’anima, ‘nessuno, nemmeno un poeta comico, potrebbe asserire
che io sono un chiacchierone che parla di cose che non mi riguardano’ […]. Nel Simpo-
sio platonico (cfr. 221b) Alcibiade cita in modo diretto la frase delle Nuvole su Socrate
che ‘se ne va in giro qua e là roteando i suoi occhi’».
86
Mem. 1.1.11-16; cfr. Waerdt 1994a, pp. 5-6.
87
Cfr. il citato Oec. 11.3 con Nub. 225 e 1480; Oec. 11.25 con Nub. 112-118. Cfr.
Stevens 1994, p. 223 ss.
88
Waerdt 1994a, p. 5.
89
Su questa risposta di Platone, cfr. Montuori 1971, p. 146, riguardo all’Apologia.
Tracce evidenti delle Nuvole sono inoltre riconoscibili in due passi del Teeteto in cui
sono descritte la vita e l’attività del filosofo: cfr. Ambrosino 1984-1985 (in part. Tht.
175d ~ Nub. 231-34) e Nevola 1988-1989 (Tht. 161e ~ Nub. 135 ss.).
90
Nietzsche 1872, trad. it. 199717, p. 89.
91
O apparentemente tali, nel senso che riaffiorano nel ritratto platonico e senofonteo.
92
Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 82.
93
Questa tesi – più volte avanzata e contestata in questo secolo – è divenuta classi-
ca dopo l’edizione delle Nuvole di Dover 1968 (in part. p. XL dell’introduzione). Cfr.,
più di recente, Hubbard 1986 (con ulteriore bibliografia) e Halliwell 1993. Naturalmen-
te, anche oggi non mancano gli oppositori a tale tesi: cfr. per esempio Waerdt 1994b.
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94
«Della testimonianza platonica [Prot. 337c] non si può dubitare, perché, a pre-
scindere dalla sua verosimiglianza intrinseca, è confermata dal noto dibattito di Ippia e
Socrate nei Memorabili senofontei (IV,4) e forse indirettamente anche da un frammen-
to, il 17, del sofista stesso» (Momigliano 1969, p. 149).
95
Cfr. 1178 ss., e il commento di Ambrose 1983, secondo il quale Socrate «divi-
ding t¾n ›nhn kaˆ t¾n nšan (cf. Prodicus’ dia…resij) into two days […] makes the nša
equivalent to the noumhn…a, the first day of the month» (p. 139). Anche altri aspetti del-
l’insegnamento socratico nelle Nuvole, secondo Ambrose, rimandano alla figura di Pro-
dico.
96
Cfr. in part. 660 ss. Per l’importanza di questo passo, cfr. Di Cesare 1980, p. 63 ss.
97
Cfr. 339a ss., dove Protagora applica il criterio della «correttezza» (Ñrqîj) al carme.
98
Cfr. per esempio Turato 1995, p. 29. Protagora, che secondo la Suda era sopran-
nominato LÒgoj, è stato talvolta identificato con Discorso Debole (vd. Newiger 1957, p.
145 ss.).
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99
Cambiano 1983, p. IX dell’introduzione.
100
È stato osservato, in uno studio dedicato all’intertestualità nella letteratura classi-
ca, che «one area in which intertextuality comes to play a central role […] is that of the
construction of character» (Fowler 1997, p. 17).
101
Per la caratterizzazione del Socrate aristofaneo come gÒhj, vd. Bowie 1993, p.
112 ss.
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102
Cfr. Goldberg 1983, p. 331.
103
Questa trasformazione viene rispettata fin nei minimi particolari. Nelle Nuvole il
pensatoio socratico è arredato con un lettino, lo sk…mpouj (v. 254 e cfr. 709; il termine
non compare altrove in Aristofane), definito «sacro», sul quale Strepsiade è invitato ad
accomodarsi per essere iniziato ai misteri delle divine nuvole. Lo sk…mpouj ricompare
puntualmente nel Protagora (310c, hapax platonico), ma qui non si tratta di un lettino
iniziatico situato nello spazio misterico ‘oltre la soglia’, bensì del normale giaciglio della
normalissima casa di Socrate. Nel corso dell’‘iniziazione’ delle Nuvole, poi, Strepsiade è
più volte descritto come smemorato. In particolare Strepsiade, di fronte ai tentativi di
insegnamento compiuti da Socrate, appare fortemente caratterizzato dalla parola ™pi-
l»smwn (Nub. 129, 485, 629, 790; nei primi due casi è Strepsiade stesso a definirsi ™pi-
l»smwn), che conta in Aristofane un’altra sola occorrenza (Lys. 1288). Ora, nel Protago-
ra Socrate, al termine del grande discorso protagoreo, appare incantato, privo di senti-
mento, e solo a fatica riesce a riaversi (328d: kaˆ ™gë ™pˆ mþn polÝn crÒnon kekhlhmšnoj
œti prÕj aÙtÕn œblepon … ™peˆ dþ d¾ ÆsqÒmhn Óti tù Ônti pepaumšnoj e‡h, mÒgij pwj ™mautÕn
æspereˆ sunage…raj e!pon). Più avanti, Socrate due volte afferma di essere ™pil»smwn
(334c, 334d; poco oltre, in 336d, Alcibiade nega che Socrate sia ™pil»smwn). La circo-
stanza è eccezionale: Socrate, nei dialoghi, non usa mai per se stesso il termine ™pil»-
smwn, che conta solo sei occorrenze negli altri dialoghi. Nel Simposio, egli dice di non
essere ™pil»smwn (194a), mentre altrove (Hipp. Min. 371c; Ion, 539e) altri è accusato di
essere tale (Socrate, semmai, afferma di non essere mn»mwn, cfr. Men. 71c).
104
Per l’‘originalità’ sconcertante dei paradossi socratici, cfr. il capitolo I di O’Brien
1967.
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tà, ma proprio alla sua continuità con la corrotta paideia tradizionale 105.
Nell’ambito di un’analoga orditura comica, smessi i panni dell’antagoni-
sta, Socrate si è tramutato nell’eroe, attraverso una nuova dislocazione
dei conflitti che animano le Nuvole: l’opposizione fra vecchi e giovani, e
quella fra educazione antica e moderna. Protagora è invece il maestro
prezzolato di una virtù non solo fasulla, ma ‘vecchia’.
A questo punto è bene ricordare il brano dell’Apologia in cui Socra-
te, appena dopo avere menzionato Aristofane (19c), ricorda che altri – e
non lui – pratica il mestiere di sofista (19d-20c) 106:
Se avete sentito dire da qualcuno che faccio soldi mettendomi a educa-
re la gente (paideÚein … ¢nqrèpouj), neanche questo è vero. In realtà
mi par bello che vi sia qualcuno capace di educare la gente come Gor-
gia di Leontini, Prodico di Ceo o Ippia di Elide: ciascuno dei quali, cit-
tadini, è capace di andare di città in città persuadendo i giovani, che
pur potrebbero avere lezioni gratuite da qualsivoglia dei loro concitta-
dini, ad abbandonare la frequentazioni di questi e andare da loro, a
prezzo di denari … E c’è anche un altro sapiente, di Paro, che sta sog-
giornando qui: l’ho saputo incontrando quel tipo che ha speso coi sofi-
sti più soldi di tutti gli altri, Callia figlio di Ipponico. Avendo lui due fi-
gli, gli avevo posto il seguente quesito: «Callia» gli ho detto «se i tuoi
figli fossero due puledri o vitelli, potremmo assumere e stipendiare un
sovrintendente col compito di tirarli su belli e bravi nella virtù loro
propria: e costui dovrebbe essere un esperto di ippica o di agricoltura.
Ma visto che sono uomini, chi hai intenzione di assumere perché se ne
prenda cura? Chi è competente di quella specifica virtù che è insieme
umana e civica (politikÁj)? Certamente, avendo dei figli, ti sei guarda-
to intorno. Esiste un uomo del genere» ho concluso «o no?». «Ma cer-
to» risponde lui, e io «Chi è e di dove viene, e quanto costano le sue le-
zioni?». «È Eveno di Paro, Socrate, e chiede cinque mine». E beato E-
veno di Paro – mi sono detto – se davvero possiede questa tecnica (e„
æj ¢lhqîj œcoi taÚthn t¾n tšcnhn), e la insegna a prezzo così conve-
niente. Anch’io mi farei bello (™kallunÒmhn) e insuperbirei, se avessi
queste competenze: il fatto è che mi mancano, Ateniesi.
Si riconoscono qui alcuni spunti che trovano un’eco evidente nel Prota-
gora, anche nella terminologia. Questa conversazione fra Socrate e Callia
ha un andamento familiare per il lettore del Protagora, dove Socrate, at-
traverso l’esempio delle tecniche artigianali (cfr. l’ippica e l’agricoltura
105
Era questa, come è noto, una radicata e profonda convinzione di Platone. Cfr.
Resp. 493a: “Ekastoj tîn misqarnoÚntwn „diwtîn, oÞj d¾ oátoi sofist¦j kaloàsi kaˆ ¢nti-
tšcnouj ¹goàntai, m¾ ¥lla paideÚein À taàta t¦ tîn pollîn dÒgmata, § dox£zousin Ótan
¡qroisqîsin, kaˆ sof…an taÚthn kale‹n.
106
Traduzione di Sassi 1993.
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Il Socrate che Platone tratteggia nel Protagora appare dunque del tutto
rispettoso dell’istituto della synousia, e si contrappone quindi chiara-
mente all’immagine che la commedia di Aristofane – secondo quanto si
dice nell’Apologia – aveva accreditato.
107
Per l’istituto della synousia, e sulla sua rilevanza nella condanna di Socrate, cfr.
Robb 1993.
108
pe…qonta tîn nšwn toÝj belt…stouj ¢pole…pontaj t¦j tîn ¥llwn sunous…aj … ˜autù
sune‹nai belt…ouj ™somšnouj di¦ t¾n ˜autoà sunous…an. Cfr. il citato Apol. 19e-20a: toÝj
nšouj … pe…qousi t¦j ™ke…nwn sunous…aj ¢polipÒntaj sf…sin sune‹nai.
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109
Sarebbe dunque futile – dice Wilamowitz – cercare nel Protagora un «approdo
scientifico» (1913, p. 179 nota 2). Come è noto, Wilamowitz riteneva che nei dialoghi
giovanili non bisogna cercare la filosofia di Platone, bensì un’apologia letteraria di So-
crate (per una valutazione dell’interpretazione di Wilamowitz, cfr. Tigerstedt 1977,
p. 40 ss.).
110
Bröcker 1987, p. 40. Su questa linea, in Italia, si muove per esempio Stefanini
1949, p. 172 ss., che constata la sensatezza di Protagora di contro all’argomentare sofi-
stico di Socrate.
111
Nell’Eutidemo il giovane Clinia assiste alla sconfitta di Socrate, e si avvia quindi
ad accogliere l’educazione dei sofisti (304b).
112
Negli Uccelli (801 ss.), per esempio, Evelpide e Pistetero mettono le penne.
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sugli ‘iniziati’ (si pensi alla subalternità di Strepsiade nei confronti di So-
crate): Fidippide ne uscirà «perfetto sofista» (dexiÕn sofist»n, 1111) sia
nell’animo sia nell’aspetto 113. Verosimilmente, la ripresa del motivo del-
la porta chiusa ha la funzione di persuadere il lettore che quanto avviene
oltre la soglia è fuori da ogni norma, perché l’ambiente raffigurato è con-
dizionato da regole e convenzioni del tutto straordinarie.
La casa di Callia, avvolta da quell’aura misterico-infernale che l’eroe
trova ‘oltre la soglia’, è stregata dalle malie dell’eloquio protagoreo e ri-
suona degli applausi di una claque di fanatici adoratori dei sofisti; essa si
presenta perciò non meno gravida di minacce rispetto al pensatoio ari-
stofaneo 114: è una fossa dei leoni in cui non si può fare a meno di com-
battere. Contemporaneamente, con la conversazione privata fra Socrate
e Ippocrate con cui il dialogo comincia, Platone mostra il volto più rassi-
curante del filosofo, quale si manifesta nelle tranquille conversazioni dia-
lettiche che si svolgono lontano dai tumulti dei convegni sofistici: una
cesura netta divide il mondo di tutti i giorni dall’universo che Socrate in-
contra oltre la soglia.
113
Fidippide, infatti, non solo si mostra carico di disprezzo per i valori tradizionali
(cfr. 1321 ss.), ma, a causa del magistero socratico, diviene pallido ed emaciato come
tutti gli altri sapienti (1171). Egli, in questo modo, esaudisce paradossalmente il voto
del padre espresso al principio della commedia: œkstreyon æj t£cista toÝj seautoà
trÒpouj (88). Su questo punto insiste Pucci 1960, in part. p. 15 ss.
114
Socrate stesso, a un certo punto, dura fatica a vincere l’incantesimo protagoreo, e
nello scontro dialettico con il sofista viene messo più volte alle corde a causa della pre-
senza di un pubblico partigiano e chiassoso. Cfr. in proposito infra, VI.4.
115
A questo dibattuto problema si è accennato supra, I.3. D’altra parte, anche il giu-
dizio aristofaneo riguardo a Socrate non è affatto evidente, giacché le Nuvole sono «a
work which cheerfully confounds all of our critical and philological subtleties with the
smoke of the burning Think-factory» (Segal 1969, p. 143). Le Nuvole sono un attacco
diretto alle mode intellettualistiche oppure mirano a colpire proprio Socrate? E il ri-
tratto aristofaneo è davvero così negativo? Questi problemi sono da sempre molto di-
battuti. Vd. per esempio Schmid 1948 (Aristofane è attento ai tratti genuinamente so-
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UN GIOCO SERIO 85
cratici, che distinguono Socrate dai sofisti), Erbse 1954 (Socrate, nelle Nuvole, non è
compromesso con la sofistica, e cerca anzi di dissuadere Strepsiade dai suoi intenti mal-
vagi), Mignanego 1992 (Aristofane – almeno per il pubblico colto – ha voluto mettere
in scena l’incomprensione dell’uomo comune di fronte alla figura di Socrate), Montuo-
ri 1997 («Aristofane ridava al pubblico quella stessa immagine che il pubblico si era
fatta di Socrate», p. 114) e, da ultimo, Newell 1999, secondo il quale il ritatto di Socrate
nelle Nuvole non è poi negativo.
116
So bene che alcuni critici moderni negano alla commedia ogni dimensione politi-
ca, riconducendo le sue critiche a convenzioni di genere o carnevalesche (da ultimo,
Riu 1999). Su questo punto, la critica appare incapace di trovare convergenze, e si affi-
da a giudizi argomentati ma infine soggettivi. Personalmente, non condivido l’interpre-
tazione ‘disimpegnata’ di Aristofane.
117
Notevole è anche la consonanza di vedute sul ruolo dell’arte e sulla mimesis, co-
me chiarisce Arrighetti 1987, p. 148 ss.
118
Pasquali coniò infatti l’espressione «arte allusiva» a proposito di una poesia tipi-
camente culta e raffinata. Cfr. Pasquali 1968, p. 275 ss.
119
Bonanno 1990, p. 24.
120
Per la progressiva diffusione dell’alfabetismo, cfr. per esempio Longo 1981 e
Nieddu 1982. Per quanto riguarda il rapporto fra questo fenomeno e le opere platoniche,
grande influsso ha avuto l’opera di E. Havelock (cfr. p.e. 1963, trad. it. 1973, e 1982), il
quale però probabilmente sottovaluta la diffusione della scrittura (vd. Harvey 1966) e
sostiene la tesi – ben poco convincente perché in chiaro contrasto con quanto nei dialo-
ghi è apertamente detto – che Platone, di fatto, rifiuterebbe l’oralità (cfr. la recensione
di Adkins 1980). Su un analogo fraintendimento poggia anche la distinzione – di matri-
ce heideggeriana – proposta da G. Colli fra sapienza antica (il pensiero arcaico fino a
Socrate) e filosofia (a partire da Platone, che legò saldamente pensiero e forma scritta).
Cfr. Colli 1975.
121
Le citazioni nell’Apologia sembrano riferite alla performance teatrale, e d’altra
parte la commedia, come si è ricordato in una nota precedente, è stata tramandata in
una seconda versione parzialmente rimaneggiata.
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re teatrali, la cui importanza era paideutica oltre che estetica 122. Platone,
che scrisse in un periodo di passaggio fra oralità e scrittura, seppe sfrut-
tare il particolare momento storico: il Protagora, senza rinunciare alle po-
tenzialità di un’opera destinata alla lettura, si rivolge però idealmente a
tutta la società ateniese. È un’allusività peculiare sia nella forma (non
tanto singoli riecheggiamenti, tipici dell’allusione a opere ‘scritte’ o al-
meno molto recenti e vive nella memoria del pubblico, quanto una nuo-
va dislocazione di ruoli, categorie e grandi blocchi narrativi) sia nella so-
stanza (l’allusione a una singola opera, le Nuvole, media il dialogo fra
due generi letterari diversi) 123.
Se agli occhi di Platone educazione e gioco (paide…a e paidi£) sono
indissolubilmente legati 124, anche il gioco letterario, di cui l’allusione è
un ingrediente primario, persegue un fine pedagogico 125: la risposta al-
lusiva alle Nuvole e al genere comico si colora di una fortissima valenza
etico-politica.
122
Come emerge per esempio da alcuni celebri luoghi delle Rane aristofanee (cfr.
1008 ss.; 1054 ss.). La memoria orale di una società ancora in gran parte non letterata
– come sembra dimostrare la frequenza di parodie tragiche nelle commedie – doveva es-
sere straordinariamente persistente, in una misura difficile da immaginare oggi. Sul pro-
blema della memoria delle opere teatrali, vd. per esempio Mastromarco 1983, p. 35 ss.,
e 1997 (dove l’autore insiste in particolare sui riferimenti interni al genere comico: an-
che le commedie venivano frequentemente citate e ricordate, e talvolta i commediografi
richiamavano le loro stesse opere).
123
In generale, si può sostenere che il carattere orale o parzialmente orale richiede
categorie interpretative diverse da quelle adottate per le letterature scritte. Cfr. in pro-
posito, di recente, La Matina 1994 (in part. il cap. VI).
124
Cfr. Premessa, 4.
125
Nel Fedro, il mito pronunciato da Socrate, ricchissimo di allusioni alla poesia liri-
ca, è caratterizzato come ‘gioco’. L’importanza e la ricchezza di allusioni e citazioni let-
terarie nel Fedro è ben delineata in Heitsch 19972, che ne fa un elenco ed esamina alcu-
ni casi di particolare interesse. Secondo lo studioso, il gioco dell’allusione letteraria,
che nel Fedro ha un ruolo straordinariamente ampio, è un modo indiretto per comuni-
care al lettore ciò che nel dialogo Socrate dice esplicitamente: lo scritto è una paidi£.
Cfr. in proposito anche Plass 1967 (l’articolo è quasi interamente dedicato al Fedro).
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III
FORMA E CONTENUTO
1. LA STRUTTURA COMICA
88 FORMA E CONTENUTO
1
Le prime parole del racconto socratico si soffermano sull’ambientazione nottur-
na della prima scena: tÁj g¦r parelqoÚshj nuktÕj tauths…, œti baqšoj Ôrqrou, =Ippokr£thj
… t¾n qÚran œkroue (310a-b). Queste notazioni temporali sono caratteristiche del teatro
attico, come mi suggerisce il caro amico Nikos (vd. Charalabopoulos 2001, part B, par.
2.1). Cfr. in part. Nub. 1: tÕ crÁma tîn nuktîn Óson Eccl. 20: prÕj Ôrqron g’ ™st…n
Ve. 216: ¢ll¦ nàn g’ Ôrqroj baqÚj Lys. 15 e 60: eÛdousi koÙc ¼kousi / diabeb»kas’ Ôrqriai.
2
Vd. supra, II.3. Il portinaio che Socrate e Ippocrate devono affrontare è «un eu-
nuco» (314c) segno di lussuosa mollezza (cfr. Ar. Ach. 100 ss.). La presenza di un «sex-
less clean-shaven reveller» nella commedia antica è attestata dalla pittura vascolare (vd.
Webster 1960, p. 262). Il portiere eunuco cerca di impedire l’accesso a Socrate e Ippo-
crate, perché Callia «non ha tempo» (314d: oÙ scol¾ aÙtù … oÙk ¢khkÒate Óti oÙ scol¾
aÙtù. Cfr. Ar. Ach. 407 e 410: oÙ scol»). L’impiego del pronome aÙtù è un dettaglio
umoristico che sottolinea la reverente confidenza del servo (cfr. Poll. 3.74: ’Aristof£nhj
m»ntoi kat¦ t¾n tîn pollîn sun»qeian tÕn despÒthn aÙtÕn kšklhken).
3
Protagora e i suoi seguaci formano «un coro» (315b) (per corÒj cfr. anche 327d,
dove Protagora ricorda il coro dei Selvaggi di Ferecrate). L’idea di un coro di se-
guaci-adulatori pare ripresa da Eupoli (172 PCG), ma anche il coro di sofisti nel Kon-
nos di Amipsia, dove era indicata l’identità dei singoli coreuti, può essere un modello.
Come nel Konnos, il «coro» del Protagora è dunque un coro individualizzato, giacché
Socrate enumera i nomi dei suoi componenti (sul coro individualizzato nella commedia
antica, che prevedeva talora – come nel dialogo – una enumerazione di nomi con brevi
note di commento, cfr. Wilson 1977, trad. it. 1994). Il coro è formato da discepoli che
seguono «stregati» (kekhlhmšnoi) Protagora, paragonato a un Orfeo incantatore (315a-b).
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LA STRUTTURA COMICA 89
La preparazione dell’agone
Tutti i frequentatori della casa di Callia, insieme al coro dei seguaci di
Protagora 4, si raccolgono intorno a Socrate e a Protagora per ascoltarne
il dialogo. Questo momento di preparazione, nelle commedie, precede
talora l’agone epirrematico 5.
Agone
Il lungo agone che oppone Socrate a Protagora può essere suddiviso co-
me segue. Si possono riconoscere chiare analogie strutturali con l’agone
comico (rheseis contrapposte, ‘sticomitia’ e voltafaccia del coro) 6:
a Rhesis di Protagora. Socrate, come già in precedenza il coro di allievi,
rimane incantato dal suo eloquio 7.
b ‘Sticomitia’ 8.
c Applausi per Protagora. Interventi di Callia, Alcibiade, Crizia, Prodi-
co, Ippia, che tentano di incoraggiare i contendenti, come a volte fa
anche il coro comico 9.
Essi sono disposti su due file (™k mþn ™pˆ toà q£tera … ™k dþ ™pˆ toà q£tera, 314e-315a).
Quando Protagora inverte la direzione di marcia, le due file di seguaci si separano per
non intralciarne il passo (periesc…zonto … œnqen kaˆ œnqen, 315b): il «coro» si divide
dunque in due semicori, proprio come accadeva nelle parabasi comiche. La descrizione
del coro guidato da Orfeo-Protagora trova poi un riscontro interessante in due rilievi
marmorei risalenti alla seconda metà del quarto secolo, di cui alcuni frammenti sono stati
trovati nell’agorà ateniese. Come ha mostrato Sifakis 1971 (p. 417 ss.) sulla scia di Webs-
ter 1960, i rilievi rappresentano probabilmente una parodos comica. Il primo «shows a
number of chorus-men (seven or eight)» e due figure, probabilmente un attore e un
suonatore di flauto. Inoltre, «actor and ‘flute-player’ are leading the chorus on the re-
lief» e «all the figures are advancing to the right». Nel secondo «seven chorusmen are
shown to advance in two rows from left to right, doing a dancing step similar to that of
the other chorus» (enfasi mia). Sul coro nel Protagora trovo confortanti convergenze in
Charalabopoulos 2001, part B, par. 3.1.
4
Il ‘coro’ dunque, dopo un momento di protagonismo, lascia nuovamente spazio
agli ‘attori’. Lo stesso avviene nelle commedie, in cui «conviene […] considerare con-
clusa la parodo, quando il coro passa in seconda linea e riprendono l’iniziativa gli atto-
ri» (Zimmermann 1987, p. 51).
5
Cfr. Ran. 830-874 e Nub. 889-948. Nel passo delle Nuvole, come nel Protagora, è
tematizzata l’importanza del pubblico per la risoluzione del confronto. Cfr. supra, II.4.
6
Cfr. supra, II.4.
7
Prot. 328d: kaˆ ™gë ™pˆ mþn polÝn crÒnon kekhlhmšnoj œti prÕj aÙtÕn œblepon æj
™roànt£ ti, ™piqumîn ¢koÚein Prot. 315a: oƒ dþ kat¦ t¾n fwn¾n ›pontai kekhlhmšnoi. Ãsan
dš tinej kaˆ tîn ™picwr…wn ™n tù corù. Cfr. per esempio la reazione del coro al discorso
di Bdelicleone – destinato alla sconfitta – nell’agone delle Vespe (637-641): æj dþ p£nt’
™pel»luqen / koÙdþn parÁlqen, ést’ œgwg’ hÙxanÒmhn ¢koÚwn, / k¢n mak£rwn dik£zein /
aÙtÕj œdoxa n»soij, / ¹dÒmenoj lšgonti.
8
Per l’alternarsi di rheseis e scambi serrati nell’agone comico, vd. supra, II.4.
9
Per esempio Prot. 337d ss. Cfr. gli interventi del coro e di Dioniso nell’agone del-
le Nuvole e delle Rane: paÚsasqe m£chj kaˆ loidor…aj (Nub. 934). SÝ dþ m¾ prÕj Ñrg»n,
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90 FORMA E CONTENUTO
A„scÚl’, ¢ll¦ praÒnwj / œlegc’, ™lšgcou: loidore‹sqai d’ oÙ pršpei / ¥ndraj poht¦j ésper
¢rtopèlidaj (Ran. 856-858). Cfr. anche Eq. 756: Nàn d» se p£nta de‹ k£lwn ™xišnai se-
autoà, / kaˆ lÁma qoÚrion fore‹n kaˆ lÒgouj ¢fÚktouj, / Ótoisi tÒnd’ Øperbale‹. L’immagi-
ne della gomena riaffiora in Prot. 338a.
10
Cfr. per esempio il voltafaccia del coro delle Vespe ricordato supra, II.4.
11
L’impiego del termine œxodoj è sorprendente, e non per caso LSJ riserva a questo
passo del Protagora una entry apposita, nel significato di «end, issue of an argument»
(III.2). Piuttosto, si può intendere il passo nel senso teatrale di «uscita di scena» (cfr.
infra), come mi suggerisce l’amico Nikos (vd. Charalabopoulos 2001, part B, par. 3.2).
12
«On s’aperçoit assez facilement que dans la plupart des comédies d’Aristophane,
l’intrigue nécessite une véritable permutation des données de départ: les variations du
choeur et des personnages, l’inversion des valeurs courantes, les rajeunissements ou les
régénérations, les travestissements, les rapports entre les générations, tout cela s’orga-
nise en résaux de convergence, qui forment ce que nous avons nommé la structure tour-
nante. Il arrive aussi que le héros (et même parfois le choeur tout entier) se retrouve
dans une situation exactement opposée à celle qui était la sienne au début de la pièce.
Nous ne considérons cependant pas comme structure tournante ou de permutation la
simple conversion du choeur à une doctrine contraire à celle qui était auparavant la
sienne, ce qui se produit souvent avant la parabase: le choeur des Acharniens donne ain-
si finalement raison à Dicéopolis, celui des Guêpes à Bdélycléon, celui des Oiseaux à Pi-
sétaire; de même, les hommes s’inclinent devant les conceptions des femmes dans l’As-
semblée des Femmes. Dans tous ces cas, il n’y a que simple évolution des personnages,
alors que la structure tournante implique un échange de rôles effectif ou un mouvement
cyclique […]. Nous parlerons ainsi de structure tournante simple quand il y a unique-
ment métamorphose du choeur ou d’un personnage, et de structure tournante comple-
xe, ou structure de permutation, quand il y a un échange effectif de rôles entre deux per-
sonnages ou entre plusieurs catégories de personnages, comme dans les Oiseaux»
(Thiercy 1986, pp. 345-346).
13
Prot. 362a: ™moˆ oŒper œfhn „šnai p£lai éra … Taàt’ e„pÒntej kaˆ ¢koÚsantej ¢pÍmen.
Cfr. Thesm. 1227 ss.: ’All¦ pšpaistai metr…wj ¹m‹n: ésq’ éra d» ’sti bad…zein o‡kad’ ˜k£stV.
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Questo, dunque, l’intreccio comico del Protagora 14. Non si è voluto soste-
nere, naturalmente, che il dialogo ricalchi in tutto e per tutto lo sviluppo
di una commedia, anche perché i drammi aristofanei sono stati oggetto
di analisi strutturali in parte divergenti, e sarebbe arduo stabilire quale
dei modelli proposti aderisca meglio alla realtà dei testi. La questione fon-
damentale è piuttosto la riconoscibilità dell’allusione, che deve suggerire
fin dal principio l’opportunità di leggere il dialogo come una commedia,
e forse come una risposta alle Nuvole. Si noterà allora che proprio le pri-
me battute sono ricchissime di spunti comici: l’azione comincia con l’ir-
ruzione di Ippocrate, che picchia alla porta con un bastone (bakthr…a:
un oggetto di scena comunissimo in Aristofane, quasi sconosciuto a Pla-
tone) 15, si introduce in casa e a tastoni raggiunge il lettino di Socrate, quel-
lo sk…mpouj (hapax platonico) che era il giaciglio del filosofo già nelle
Nuvole. Fin qui il dialogo è – se così si può dire – materialmente una
commedia, giacché le suppellettili e le azioni dei personaggi sono in tut-
to e per tutto paragonabili agli oggetti scenici e ai movimenti degli attori
comici. Sebbene già ora un notevole spazio sia lasciato alla parola socra-
tica – si pensi alla confutazione di Ippocrate nel cortile della casa di So-
crate – questa comicità piena e concreta si protrae ancora per un poco:
tutta la scena della porta chiusa e l’ingresso nella casa di Callia assediata
dai sofisti sono pura commedia. Agli spunti in questa direzione segnalati
sopra e nei capitoli precedenti, si può ora aggiungere che precedenti co-
mici si possono individuare anche per il carattere ‘peripatetico’ della le-
zione di Protagora (peripatoànta, 314e) 16, per le bizzarre posture di Ip-
pia e Prodico 17, e infine per il ronzio di cui rimbomba la casa di Callia 18.
14
Si noterà naturalmente l’assenza della parabasi e la riduzione del ruolo del coro:
proprio queste sono le caratteristiche della commedia di mezzo al tempo di Platone
(cfr. p.e. Perusino 1986, cap. III).
15
bakthr…a è attestato, oltre che qui, soltanto in Hipp. Ma. 292a. L’uso del bastone
è qui attribuito a un alter ego di Socrate che si distingue per la rozzezza e per l’uso di
faàla ÑnÒmata (288d) che scandalizzano il sussiegoso Ippia. bakthr…a, invece, ricorre
non meno di dodici volte in Aristofane. La presenza scenica del bastone è assicurata an-
che dalla pittura vascolare: il bastone, di varie dimensioni, è un «accessorio tradizionale
dell’attore comico» (Ghiron-Bistagne 1971-1974, p. 243).
16
L’abitudine di peripate‹n è attribuita beffardamente a Platone da Alessi (Alexis, fr.
147: e„j kairÕn ¼keij, æj œgwg’ ¢poroumšnh / ¥nw k£tw te peripatoàs’ ésper Pl£twn / sofÕn
oÙdþn eÛrhk’, ¢ll¦ kopiî t¦ skšlh). Cfr. anche Ar. Ran. 942 e Denniston 1927, pp. 116-117.
17
Ippia siede su un «trono» (kaq»menon … ™n qrÒnJ, 315c), che allude qui alla sua
ben nota vanità. C’è un’antitesi intenzionale fra la postura dei discepoli (™k£qhnto ™pˆ
b£qrwn, b1; su dei b£qra, secondo Ambrose 1983, p. 136, sedevano probabilmente an-
che gli allievi di Prodico nei Tagenistae di Aristofane) e quella di Ippia che – viene ri-
badito – parla ™n qrÒnJ kaq»menoj. Prodico è paragonato a Tantalo (T£ntalÒn ge e„se‹-
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92 FORMA E CONTENUTO
don, 315c; cfr. Od. 11.582). Il ricordo degli ¥lgea omerici indurrebbe a vedere qui
un’allusione alla salute cagionevole di Prodico. Ma probabilmente, nel paragonare Pro-
dico a Tantalo, Platone evoca scherzosamente la celebre ¡brosÚnh del titano (vd. Wil-
link 1983). Prodico, infatti, «era ancora a letto» (œti katškeito, 315d). Probabilmente,
«Der Verfasser will nicht Prodikos als krank schildern, sondern nur zeigen, wie be-
quem es Kallias seinen Gästen einzurichten versteht» (Gigon 1946, p. 113). Prodico è
ancora fra le coperte, ™gkekalummšnoj ™n kJd…oij tisˆ kaˆ strèmasi kaˆ m£la pollo‹j
(315d). Per questa espressione, cfr. Ar. Nub. 9-11, dove Strepsiade lamenta che, ben-
ché sia ormai pieno giorno, il figlio giace ™n pšnte sisÚraij ™gkekordulhmšnoj. / ¢ll’ e„
doke‹, ·šgkwmen ™gkekalummšnoi. Ora, kJd…on è hapax platonico, parola umile e quasi sco-
nosciuta alla letteratura alta, ma abbastanza comune in Aristofane (cfr. in part. Ran.
1478, dove indica un morbido giaciglio adatto al sonno).
18
La voce cavernosa di Prodico rimbomba e risulta perciò poco chiara (bÒmboj,
316a). La parola bÒmboj, usata normalmente per il ronzio delle api nonché dei fuchi
parassiti (p.e. Resp. 564d), potrebbe suggerire proprio che Prodico è uno dei parassiti
di Callia; già Eupoli, infatti, si era espresso in questi termini nel fr. 166 PCG dei Paras-
siti: bomboàsi: ‘’Oršsthj’, ‘Mary…aj’, Kall…ou toà ’Aqhna…ou kÒlakej sÝn ˜tšroij (cfr. Am-
brose 1983, p. 134).
19
La commedia che, da questo punto di vista, più si avvicina al Protagora sono an-
cora una volta le Nuvole, «a play obsessed with logos» (O’Regan 1992, p. 3; questo li-
bro esamina tale ossessione lungo tutto il corso della commedia).
20
Spesso la parola ¢gèn, nelle commedie, indica esplicitamente l’agone comico.
Cfr. Nub. 956; Ve. 533; Ran. 765, 867, 873, 882.
21
L’importanza di questo gesto, che costituisce un «midpoint» del dialogo, è sotto-
lineata in Miller 1978.
22
œxodoj, nel senso teatrale di uscita di scena (cfr. Aristot. Poet. 1452b21, che si ri-
ferisce però all’intera scena finale di un dramma), compare in Ar. Ve. 582. Cfr. la nota
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ERISTICA E COMMEDIA 93
3. ERISTICA E COMMEDIA
di MacDowell 1971, ad loc.: «œxodon: ‘an exit-tune’, music for the jurors as they leave
the court. The word is a metaphor from drama; at the end of a play the aÙlht»j played
as the chorus withdrew. Cf. Kratinos 276 toÝj ™xod…ouj Øm‹n †n’ aÙlî toÝj nÒmouj». Ci
sono inoltre, in Aristofane, tre allusioni metateatrali all’e‡sodoj. Vd. Nub. 326, Av. 296;
PMC 403 (NÁsoi). Cfr. Chapman 1983, p. 7.
23
Todorov 1971, trad. it. 19952, p. 196.
24
«Possible Metatheatrical Pipers in Comedy» è il titolo di un’appendice del noto
libro di O. Taplin dedicato al dramma attico esaminato attraverso le rappresentazioni
vascolari (Taplin 1993, p. 105 ss.). Egli discute i seguenti passi: Plato Comicus, 195
PCG; Ar. Pax, 950 ss., Av. 857-861, 660 ss., Lys. 1242 ss., Thesm. 1160 ss., Eccl. 80-92;
Cratino, 308 PCG; Eupoli, 81 PCG; Nicofrone, 8 PCG; Amipsia, 21 PCG; Antifane, 49
PCG. La possibilità che il coro fosse talora guidato da flautiste femmine è discussa in-
vece nel capitolo VII («Metatheatrical players»).
25
Se si eccettua il fugace accenno, al termine del dialogo, al fatto che Socrate e Ip-
pocrate lasciano la casa di Callia.
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94 FORMA E CONTENUTO
26
Cfr. la trattazione di De Carli 1971, in part. p. 11 ss., e tutto il capitolo III dell’o-
pera.
27
Cfr. infra, IV.5.
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ERISTICA E COMMEDIA 95
28
L’eristica è infatti un gioco. Cfr. infra, III.5 e 7.
29
Gli eristi Eutidemo e Dionisodoro sono sovente presentati con toni farseschi, e la
loro attività – secondo Socrate – somiglia a un gioco triviale, come chi si diverte a to-
gliere la sedia a chi sta per sedersi (Euthd. 278b-d); tuttavia, come nel caso del Protago-
ra, il registro scherzoso non esclude certamente che dietro il velo comico si celino pro-
blematiche filosofiche di grande importanza.
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Parte Seconda
ERISTICA E DIALOGO:
L’‘EROE’ E GLI ANTAGONISTI
SOCRATE ‘PERSUADE’ I SOFISTI
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98 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA
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IV
UN AGONE DI DISCORSI:
IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA
1
Hegel abbandonò l’uso di riferirsi a Platone sulla base delle tardo-settecentesche
«interpretazioni sistematiche […] volte a rilevare nel plesso dialogico le massime capi-
tali, gli Hauptgedanken da inquadrare nel disegno della enciclopedia del sapere» (Za-
dro 1987, p. 11). Si tenga tuttavia presente che Hegel non curava in alcun modo la cro-
nologia dei dialoghi.
2
Hegel 1825-1826, trad. it. 1995, p. 123.
3
Hegel 1828, trad. it. 1932, II, p. 207. Il passo prosegue così: «[…] l’universale e-
merso dallo scompiglio del particolare, vale a dire il vero, il bello, il bene, ciò che è ge-
nere di per se stesso, era in un primo momento ancora indeterminato e astratto: orbe-
ne, lo sforzo principale di Platone è in terzo luogo rivolto a determinare ulteriormente
questo universale in se stesso […]. Questa forma superiore di dialettica è precisamente
quella propria di Platone: essa, in quanto è speculativa, non mette capo a un risultato
negativo, ma mostra la congiunzione dei contrari, che si sono annullati» (pp. 208-209).
4
Nella sezione sui sofisti delle Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel dedica al
Protagora alcune pagine (Hegel 1828, trad. it. 1932, II, pp. 10-17). Secondo Hegel, al-
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la tesi di Protagora, che cioè la virtù sia insegnabile, Socrate obietta «richiamandosi se-
condo il metodo sofistico all’esperienza» (p. 14). Poco oltre, egli aggiunge che «le ra-
gioni di Socrate e le dimostrazioni che le sorreggono sono istanze fondate sull’esperien-
za, spesso non migliori di quelle che qui sono messe in bocca al sofista» (p. 17).
5
kaˆ ™gë tÕ mþn prîton, æspereˆ ØpÕ ¢gaqoà pÚktou plhge…j, ™skotèqhn te kaˆ „lig-
g…asa e„pÒntoj aÙtoà taàta kaˆ tîn ¥llwn ™piqorubhs£ntwn.
6
Cfr. Klosko 1979, p. 126 ss.
7
Øpolabën oân Ð ’Alkibi£dhj, OÙ kalîj lšgeij, œfh, ð Kall…a: Swkr£thj mþn g¦r Óde
Ðmologe‹ m¾ mete‹na… oƒ makrolog…aj kaˆ paracwre‹ PrwtagÒrv, toà dþ dialšgesqai oŒÒj t’
e!nai kaˆ ™p…stasqai lÒgon te doànai kaˆ dšxasqai qaum£zoim’ ¨n e‡ tJ ¢nqrèpwn paracw-
re‹. e„ mþn oân kaˆ PrwtagÒraj Ðmologe‹ faulÒteroj e!nai Swkr£touj dialecqÁnai, ™xarke‹
Swkr£tei. Si noti che, al principio del racconto, Socrate ammette esplicitamente di esse-
re stato aiutato da Alcibiade (poll¦ Øpþr ™moà e!pe bohqîn ™mo…).
8
Buona parte di questi indizi di animosità sono segnalati da Klosko 1979, p. 126 ss.
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9
Cfr. 333d; 333e; 335a-b; 348c. Protagora corrisponde a quel tipo di interlocutore
che Aristotele definisce nei Topici «difficile» (dÚskoloj). Cfr. infra, V.6.
10
Doke‹ oân soi, œfh, taàta ™ke…noij Ðmologe‹sqai; – Fa…netai œmoige (kaˆ ¤ma mšntoi
™foboÚmhn m¾ tˆ lšgoi) ¢t£r, œfhn ™gè, soˆ oÙ fa…netai;
11
œpeita – éj ge prÕj sþ e„rÁsqai t¢lhqÁ, †na moi crÒnoj ™ggšnhtai tÍ skšyei t… lšgoi
Ð poiht»j – tršpomai prÕj tÕn PrÒdikon.
12
Cfr. in proposito Dubose 1973: «Perhaps Plato parodies Socrates as well? Socra-
tes’ literary criticism (342-347) is rather preposterous than illuminating; he is caught by
Protagoras in a false conversion (350); and he pouts when the argument does not go his
way (334c-338). This last point seems an especially clear sign that Socrates was not in
serious pursuit of a philosophical inquiry […]. He threatened to cut short his conversa-
tion with Protagoras, on the plea that he had to keep an appointment (335c); at last he
left with the same excuse (362). Plato makes a point of telling us, however, that no
pressing business called Socrates away. In the exchange of pleasantries with which the
Protagoras begins, Socrates has ‘just come’ (310) from his set-to with the sophists. His
friend begs him for an account of the proceedings, provided that Socrates has no other
engagement. Making no reference now to his obligations, Socrates promptly settles
down to talk» (pp. 14-15).
13
Cfr. per esempio Taylor 19912, p. 148.
14
Wilamowitz 1919, p. 147.
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15
Fra l’altro, fino a pochissimo tempo fa l’unico commento in commercio proveni-
va da questa area di studi (Taylor 19912). I libri di Goldberg 1982 e di Coby 1988, che
pure recano la parola «commentary» nel titolo, sono in realtà delle lunghe parafrasi i-
spirate al metodo di Leo Strauss. È oggi disponibile Manuwald 1999.
16
Illuminanti, in proposito, le parole di Bochénski 1971: «The reading of his dia-
logues [scil. Plato’s] is almost intolerable to a logician, so many elementary blunders
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are contained in them […] correct logic we find none in his work; he was, however, a
thinker who during his whole life was searching for logic» (p. 17).
17
Si tratta della cosiddetta mouth-piece theory, su cui cfr. da ultimo Wolfsdorf 1999.
18
Cfr. per esempio Taylor 19912, p. XVII dell’introduzione, secondo il quale uno de-
gli obiettivi di Platone, nello scrivere il Protagora (e anche gli altri dialoghi evidentemen-
te), è quello di «provide examples of good and bad arguments and types of arguments».
19
Attraverso questa pratica esegetica, nota D. Clay (1975a) a proposito di un libro
di G. Vlastos, «one ascends into a world in which ‘Socrates’ becomes x, the predication
‘just’ F, and the form ‘Justice’ G», perché «Plato was not aware of the clarities of this
world, for he was unaware of his own ambiguities […] with what sense of gratitude
Plato would have greeted the ‘third parties’ who are keen to spot his fallacies and clari-
fy his ambiguities, I do not know. It is certain that there is little in Plato’s language […]
that would serve as a basis for the novel dialect he would have to master. But he could
have quickly learned the meaning of the verbs: ambiguate, disambiguate; the nouns:
disambiguation, one- and two-place predicates, modal and intensional operators, sub-
stituability; the adjectives: syncategorematic, dystelelolgical, aliorelative, disconfirmable»
(ivi, p. 117).
20
Platone, nel corso dell’esegesi letteraria di Simonide, mette in bocca a Protagora
un limpido quanto ironico esempio di interpretazione ‘caritatevole’ (cfr. Pappas 1989):
il sofista, per confutare l’interpretazione di Socrate, dice che «sarebbe davvero grande
l’ignoranza del poeta […] se dicesse che possedere la virtù è cosa da poco» (340e). Per
la valutazione dei paralogismi socratici, condivido in generale l’impostazione di Klosko
1983: «The most important limitation is that the commentator cannot introduce mate-
rial into some proof that takes him beyond the point of view of Socrates’ interlocutor».
Cfr. anche Guthrie 1965, IV, p. 224.
21
Cfr. Jenkyns 1980 e Turner 1981. Questi due libri mostrano come il mondo degli
studi classici di area anglosassone fosse dominato (ed è un’eredità che pesa tuttora) da
un «desire to provide in classical Greek culture either a reinforcement for Christianity
or, in an age of declining faith, a substitute for it» (Havelock 1983, p. 153). Di qui, il
martirio e la santificazione di Socrate.
22
Un simile approccio, quando è applicato a un’opera densa e complessa come il
Protagora, produce un vespaio di discussioni. Di fronte al paradosso che la più impor-
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tante dottrina socratica, l’unità delle virtù, è difesa con argomentazioni speciose, può
allora succedere che «una semplice domanda rivolta a Protagora come ‘la giustizia è
qualcosa (pr©gma ti) o no?’ [Prot. 330c] scateni una intera valanga di articoli sulla reifi-
cazione e la predicazione paolina» (Brumbaugh 1989, p. 240). Specificamente contro
questo tipo di interpretazioni è rivolta una recente monografia sul Protagora (Seeck
1997). Si noti fra l’altro che questo tipo di domanda si trova già, ben prima di Platone,
nella commedia di Epicarmo («r’ œstin aÜlhs…j ti pr©gma; … oÙkîn doke‹ oÛtwj œcein
… kaˆ perˆ tçgaqoà; tÒ ga ¢gaqÒn ti pr©gm’ e!men kaq’ aáq’, fr. 170 Kaibel). Ora Epicar-
mo era un autore conosciuto e forse apprezzato da Platone (Tht. 152e), e leggendolo
qualche volta «sembra di ascoltare un dialogo di Platone» (Lesky 1957-1958, trad. it.
19652; per una tavola di confronti fra Epicarmo e Platone, vd. McDonald 1931, p. 120
ss.). Tuttavia nessuno, credo, si sognerebbe di attribuire a Epicarmo reificazioni e pre-
dicazioni di tipo paolino.
23
Le difficoltà di vedere nel Socrate del Protagora la maschera di Platone sono sot-
tolineate per esempio da Melling 1987, trad. it. 1994, nel capitolo dedicato al Protagora
(vd. in part. pp. 48-49).
24
Limiti che, ovviamente, sono tali solo nella misura in cui la mia ricerca si muove
in una diversa prospettiva.
25
«Die Analysen der Beweisgänge im einzelnen machen es wahrscheinlich, dass es
sich zumindest bei der Mehrzahl der Fehlschlüsse um bewusste Fehlschlüsse handelt»
(Manuwald 1999, p. 75).
26
È interessante l’interpretazione di Manuwald 1999. Egli ammette il carattere eri-
stico di molte argomentazioni del Protagora, un carattere legato alla volontà di mettere
alla prova l’interlocutore: «Der Sinn des falschen liegt darin, dass der Gesprächspart-
ner geprüft werden soll, ob in der Lage ist, seine Ansicht gegen andere Positionen zu
verteidigen» (p. 75).
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27
L’esempio più immediato è costituito dall’Eutidemo. Si deve peraltro notare che
anche questo dialogo non si cura di mostrare in che cosa consista, precisamente, il pa-
ralogismo degli argomenti (cfr. Mignucci 1992, p. 47 ss.), il che conferma il sostanziale
disinteresse platonico – presumibilmente legato alle motivazioni filosofiche che ho ri-
cordato nella Premessa – per la logica formale.
28
Vd. infra, V.1 e 2. Non è facile determinarne con precisione i confini fra eristica
e dialettica, ma è certo che la distinzione implica anche un giudizio morale, e che essa
consiste in un groviglio forse inestricabile di istanze etiche, epistemologiche e solo in
ultima battuta logiche. Per questo ho impiegato gli aggettivi – un po’ goffi – «corretto»
e «scorretto», perché, nella loro genericità, possono forse esprimere questa mescolanza
di motivi.
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3. QUALI ARGOMENTAZIONI?
29
Non aggiungo all’elenco la confutazione relativa a saggezza e giustizia perché
l’argomentazione è appena abbozzata e viene subito interrotta. Su questo abbozzo, cfr.
comunque le osservazioni di Eisenstadt 1981.
30
Vd. Appendici.
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4. I RISULTATI DELL’ANALISI
e+d
Socrate incorre, in entrambe le confutazioni, in quella che, da Aristote-
le in poi, si definisce come confusione fra termini contrari e contraddit-
tori (331a-b; 332a-b).
g
Una confusione fra termini contrari e contraddittori è operata dal sofi-
sta Eutidemo nel dialogo omonimo (Euthd. 276b).
b
La confusione fra termini contrari e contraddittori, sebbene mai teoriz-
zata come tale nei dialoghi, appare chiaramente deprecata nel Simposio
(201e-202a). In termini platonici, l’argomentazione di Socrate richiama
da vicino una tecnica sofistica ricordata nel Fedro, che consiste nell’in-
gannare l’avversario attraverso progressivi slittamenti di significato
(Phdr. 261e-262a). L’argomento dei contrari utilizzato da Socrate nella
seconda confutazione (saggezza e sapienza hanno un solo contrario e
sono perciò identiche) è smentito dal fatto che in altri dialoghi, e perfi-
no nel medesimo Protagora, la questione dei termini sof…a, ¢frosÚnh e
swfrosÚnh e dei loro contrari è affrontata in una luce del tutto diversa,
ed è ammessa una pluralità di termini contrari (p.e. Lach. 192c-d; Prot.
360d). Socrate, insomma, persegue una forma di confutazione legata
alle parole (Ônoma) e non alla sostanza (e‡dh): ebbene, questa – secondo
le indicazioni di altri dialoghi – è precisamente la marca della tecnica
eristica, in contrapposizione con la dialettica (Resp. 454a).
a
Protagora, prevedibilmente, non è affatto convinto dagli argomenti so-
cratici e nella prima sezione non si perviene in effetti ad alcun accordo
dialettico, di modo che la confutazione non ha veramente luogo (331b-c).
Anche a seguito della seconda confutazione Protagora, ben presto, pro-
testerà vivacemente contro il metodo confutatorio di Socrate (331d ss.).
31
Per l’analisi in dettaglio di queste due argomentazioni, vd. Appendici, 1 e 2.
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d
Una citazione nell’Etica Nicomachea dell’Encomio a Scopas suggerisce
che Aristotele dissente dall’interpretazione di Socrate, o meglio la i-
gnora, presumibilmente perché non la prende sul serio (Aristot. Eth.
Nic. 1100b20).
g
Per controbattere le argomentazioni di Protagora, Socrate si avvale
della sinonimica di Prodico (341a ss.). In un secondo momento Socrate
ricorre a un approccio esegetico che, sulla base di diversi indizi desu-
mibili dai dialoghi, si può attribuire a Ippia (342c ss., cfr. la lode e-
spressa da Ippia in 347a-b e Hipp. Min. 369b-c).
b
La pratica dell’esegesi poetica appare estranea alla filosofia, perché la
poesia è enigmatica e dunque passibile di qualunque arbitrio interpre-
32
G. Vlastos ha imposto questo problema all’attenzione degli studiosi di Platone
(vd. in part. Vlastos 1981).
33
Per l’analisi in dettaglio di questa sezione, vd. Appendici, 3.
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tativo (cfr. p.e. Alc. II 147b; Resp. 332b). L’impiego di tecniche erme-
neutiche prese a prestito da Prodico e Ippia consente a Socrate di otte-
nere dai due sofisti l’approvazione della propria esegesi (vd. 340d;
341c; 347a-b). Proprio questa approvazione assicura a Socrate la vitto-
ria nel contraddittorio; egli sollecita esplicitamente il giudizio dei pre-
senti (338e; 341a-c; 343c), infrangendo così una regola basilare del me-
todo socratico: il prevalere di un’opinione non deve poggiare sul con-
senso del pubblico, ma sulla homologia dell’interlocutore (Gorg. 471e ss.;
Resp. 348a-b) 34.
a
Socrate stesso propone interpretazioni del carme palesemente contrad-
dittorie, ed esprime, al termine della propria esegesi, un giudizio nega-
tivo sulla pratica di interpretare i poeti (347b ss.). Protagora confuta il
ricorso di Socrate alla sinonimica di Prodico (341d), e in generale non
esprime mai il proprio assenso nei confronti dell’interpretazione socra-
tica.
34
Per questa regola dell’elenchos socratico, vd. infra, V.5.
35
Giuliano 1992, pp. 174-175.
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4 Coraggio e sapienza 36
e+d
Socrate confonde un rapporto di implicazione (i coraggiosi sono arditi)
con un bicondizionale (i coraggiosi sono arditi e viceversa) (350c). Sal-
vo rare eccezioni, i moderni concordano nel ritenere l’argomentazione
socratica vistosamente paralogica.
b
Nell’Eutifrone (12a ss.), Socrate offre una chiara analisi dell’errore com-
messo in questo brano. Egli cerca di mostrare che il coraggio poggia su
competenze tecniche come quella del tuffatore o del cavaliere, ma que-
sti esempi, nel Lachete (193b-c), sono impiegati proprio per argomen-
tare la tesi opposta.
a
Protagora confuta il tentativo di Socrate di mostrare l’identità di corag-
gio e sapienza, senza che questi possa replicare alcunché (350c ss.). È
una circostanza del tutto eccezionale nei dialoghi.
5 Bene e piacere 37
e
La discussione intorno al brano in cui viene esposta la tesi dell’identità
di bene e piacere è accesa e apertissima, perché è difficile stabilire se
Socrate sia vincolato a questa posizione oppure si tratti di un argomen-
tum ad hominem che Socrate finge astutamente di condividere.
36
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 4.
37
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 5.
38
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 6.
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d
Aristotele, nell’Etica Nicomachea, discute la tesi socratica dell’involon-
tarietà del male con chiari riferimenti a questo brano (in part. 1145b23-
24). Ma la premessa edonistica su cui si basa la conclusione di Socrate
è ignorata dal filosofo, presumibilmente perché egli sapeva che Platone
non accolse mai l’identità di bene e piacere.
g
La tesi dell’identità di bene e piacere è attribuita esplicitamente a Calli-
cle nel Gorgia (491e ss.). Alcuni indizi nel Protagora lasciano credere
che tale posizione sia implicitamente da attribuire anche ai sofisti riuni-
ti in casa di Callia.
b
La tesi dell’identità di bene e piacere è ripetutamente criticata nei dia-
loghi (cfr. p.e. Resp. 509a; Gorg. 492e ss.; Phdo. 64d e passim).
a
Il riconoscimento, da parte di tutti i presenti, che vi sia un unico bene
cui l’uomo tende (il piacere) è ambiguo, perché contraddice l’assenso
che essi avevano espresso, in precedenza, per la tesi protagorea della
relatività del bene (cfr. 334a ss. con 358c-d).
e
Alcuni studiosi hanno osservato che, mentre nel brano edonistico il
bene e il bello sono funzione del piacere (una cosa è bella e buona nella
misura in cui è piacevole, cfr. in part. 358a-b), in questa argomentazio-
ne conclusiva Socrate, per confutare Protagora, rovescia tale rapporto:
ora è il piacere funzione del bello (una cosa è piacevole nella misura in
cui è bella, cfr. 359e-360a).
d
Aristotele, negli Elenchi Sofistici (172b36-173a30), descrive la forma di
argomentazione impiegata da Socrate, che consiste nel rovesciamento
ora ricordato. Si tratta – dice Aristotele – di un argomento inventato e
adottato dai sofisti, che fa leva sulla tensione fra nomos (il cui criterio
per valutare la bontà di un’azione è il bello) e physis (il cui criterio è il
piacere).
39
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 7.
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g
Platone attribuisce ai sofisti il tema del conflitto fra nomos e physis (cfr.
p.e. 337c-d).
b
Un rovesciamento di termini del tutto analogo a quello che si produce
nel Protagora è descritto e chiarito nei dettagli da Socrate nell’Eutifrone
(8b ss.).
a
Protagora si dichiara battuto, ma accusa Socrate di animosità agonisti-
ca (filonike‹n, 360e).
40
Taylor 19912, p. 158.
41
Fra i quali si possono ricordare: 1) Quale nesso sussiste fra la sezione 4 e le sezio-
ni 5 e 6? L’improvviso mutamento di linea argomentativa ha fatto addirittura sospetta-
re che il testo a noi pervenuto sia il risultato di un rimaneggiamento imperfetto. 2) La
validità di un approccio quantitativo al problema del piacere. L’analogia proposta da
Socrate fra la misurazione delle grandezze e quella dei piaceri e dei dolori ha sollevato
molte discussioni. 3) Il senso preciso della tesi che il piacere è (il) bene. 4) La precisa
valenza della tesi dell’involontarietà del male: in un primo tempo Socrate enuncia la tesi
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che è impossibile agire male quando si conosce il bene, mentre in un secondo momento
afferma che non è nella natura umana compiere ciò che si sa o si ritiene cattivo. 5) L’e-
donismo proposto da Socrate ha un carattere normativo o descrive una necessità psico-
logica universale?
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42
Vd. anche Isocr. Antid. 295, dove Atene è gumn£sia ple‹sta kaˆ pantodapètata
paršcousan to‹j ¢gwn…zesqai proVrhmšnoij. Cfr. Poulakos 1995, p. 32 ss.
43
Cfr. Gorgia, Enc. Hel. 13 e Hipp. De Nat. Hom. 1; cfr. anche Dissoi Logoi, 8.1.
Vd. Ryle 1966a, p. 47 ss.
44
Cfr. Ryle 1966a.
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Si allude qui a una sorta di gioco organizzato il cui fine era la vittoria
dialettica, un gioco che – in quanto tale – ammetteva fra le sue regole l’a-
bilità nell’ingannare l’avversario 45.
Per quanto riguarda il secondo problema, le parole di Protagora nel
Teeteto possono suggerire che l’attività agonistica fosse caratteristica del-
l’insegnamento protagoreo 46. Nella stessa direzione va la testimonianza
di Diogene Laerzio, secondo il quale Protagora «per primo […] intro-
dusse gli agoni di discorsi (lÒgwn ¢gînaj) e fu il creatore dell’eristica
che ora è diventata di moda» (9.52). La menzione, da parte di Protagora,
dell’«agone di discorsi» alluderà dunque al suo ruolo di inventore dei di-
battiti eristici 47. D’altra parte, che egli fosse un affermato maestro di eri-
stica-dialettica (ossia di un metodo almeno parzialmente formalizzato
che consiste nell’interrogare e rispondere a turno) emerge chiaramente
da certe affermazioni di Socrate, quando dichiara che «Protagora è capa-
ce, se interrogato, di rispondere in breve (kat¦ bracÚ) e, quando è lui a
interrogare, sa attendere e recepire la risposta» (329b), o dove, rivolgen-
dosi a Protagora, dice: «Tu – secondo quanto si racconta e come tu stes-
so affermi – sei capace di condurre la conversazione sia con lunghi di-
scorsi che per brevi domande e risposte (™n braculog…v), perché sei sa-
piente» (335b) 48.
Se veramente Protagora era noto come l’inventore dell’arte eristica,
il lettore del Protagora poteva dunque riconoscere immediatamente nel
dialogo di Platone la rappresentazione di un agone, ossia di un’attività
‘sportiva’, in cui il ricorso all’inganno fa parte del gioco.
6. LA STRUTTURA DELL’AGONE
Secondo l’autore dei Dissoi Logoi la medesima arte del discorso com-
prende la ‘brachilogia’ e la retorica, e su questo concordano diversi altri
45
Il Teeteto abbonda di metafore agonistiche. Cfr. in proposito Hermann 1995.
Socrate parla dell’eristica come di un gioco anche in Euthd. 278b e in Resp. 539b-c.
Nella stessa direzione Aristot. Rhet. 1371a3-8.
46
Si deve osservare che nelle parole di Protagora nel Teeteto non c’è alcun biasimo
per le dispute agonistiche.
47
Naturalmente, non si può escludere che proprio il Protagora sia la fonte ultima di
Diogene, la cui testimonianza non è dunque del tutto sicura. Sulla costituzione e sulle
possibili fonti del IX libro delle Vite dei filosofi, vd. Decleva Caizzi 1992.
48
Su questa base, si può ritenere che la ‘brachilogia’ socratica debba molto all’eri-
stica protagorea. Cfr. in proposito infra, VI.1.
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autori 49. Che si tratti di due modalità diverse della stessa arte trova inol-
tre una conferma sia nel passo citato del Teeteto, sia nel Protagora stesso,
dove Socrate attribuisce a Protagora questa duplice abilità: egli paragona
la modalità retorica alla maratona e, implicitamente, quella brachilogica
alle gare di velocità 50. Un confronto dialettico, a quanto pare, poteva
dunque prevedere momenti di brachilogia e momenti retorici. Questa
possibilità mi pare confermata dal modo in cui, nell’Ippia Minore, il sofi-
sta di Elide descrive la sua attività di agonista della parola. Ippia si pre-
senta ogni anno alle Olimpiadi pronto a svolgere qualsivoglia tema (™p…-
deixij, 363e) e a rispondere a qualunque domanda. In quest’abilità ago-
nistica (¢gwn…zesqai, 364a), egli non ha rivali. In seguito, Ippia esorta
Socrate a domandare in breve (œmbracu, 365d) quel che desidera sugli eroi
omerici. Comincia qui il primo fitto scambio brachilogico del dialogo,
che si concluderà con una vibrata protesta di Ippia:
Socrate, tu intrecci sempre ragionamenti del genere, e, distaccando
quello che in un ragionamento vi può essere di più cavilloso, ti attacchi
a questo, minuziosamente lo esamini, e mai disputi (¢gwn…zV) rispetto
all’intera questione. Anche ora, se vuoi, ti posso dimostrare (™pide…xw)
con un discorso adeguato […] che Omero ha rappresentato Achille
migliore di Odisseo. Dopo, se lo desideri, puoi opporre al mio un tuo
discorso (¢ntipar£balle lÒgon par¦ lÒgon) per dimostrare che Odis-
seo è migliore. (369b-c)
49
Vd. le testimonianze discusse in Ryle 1966a, p. 40.
50
Prot. 328e ss.; cfr. 336b-c. Inoltre, l’esistenza di queste due diverse abilità è e-
spressamente sottolineata da Aristotele negli Elenchi Sofistici (vd. 174a17-20).
51
320b8, 320c1, 320c3, 328d3 (forme di ™pide…knumi); cfr. 323c8, 324c8, 325b5
(forme di ¢pode…knumi).
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scende dai poeti. Nel corso della discussione sul carme di Simonide, So-
crate, a sua volta, pronuncia un lungo discorso, anch’esso qualificato co-
me dimostrazione 52. Il discorso si può suddividere in due parti: nella
prima (342a-343c) Socrate offre una presentazione dell’arte della brachi-
logia, che è antica e discende dai savi spartani, nella seconda (343c-347a)
cerca di mostrare la coerenza del carme simonideo. Come è stato osser-
vato, il pedigree dei filosofi, in quella che ho indicato come prima parte
del discorso di Socrate, «risponde» alla presentazione protagorea dell’ar-
te sofistica 53:
Protagora: La sofistica è antica (palai£), ma gli antichi sofisti fingeva-
no di non essere tali (prÒschma poie‹sqai). Protagora invece non nega
(œxarnon e!nai) di essere un sofista. (317d ss.)
Socrate: La filosofia è antica (palaiot£th). I sofisti-filosofi negano (™x-
arnoàntai) di esserlo e si fingono (schmat…zontai) ignoranti, proprio
come quelli ricordati da Protagora. (342a ss.)
52
347b1 (™pide…knumi; Ippia, nel proporre anch’egli un discorso da «mostrare», ri-
vela di intendere l’esegesi socratica come una «dimostrazione»). Cfr. 344b1 (forma di
¢pode…knumi).
53
Cfr. Goldberg 1982: «Just as Protagoras had presented, preliminary to his dis-
course, his pedigree as a sophist, depicting the nature of his wisdom and its congruence
with that of former wise men, so Socrates presents, by way of preface, a pedigree of the
wise men (sofista…) and of philosophy (filosof…a) (342a-b)» (pp. 169-170). Vd. anche
Gaiser 1959, pp. 37, 42 ss., 132.
54
Winton 1980.
55
C’è del resto, da parte di Socrate, un esplicito riferimento al discorso di Protagora.
A proposito di Spartani e Cretesi, proprio all’inizio del lungo discorso di esegesi al carme
simonideo, Socrate dice che essi ™xarnoàntai kaˆ schmat…zontai ¢maqe‹j e!nai, †na m¾ ka-
t£dhloi ðsin Óti sof…v tîn =Ell»nwn per…eisin, ésper oÞj PrwtagÒraj œlege toÝj sofist£j.
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56
Su questa contrapposizione ‘politica’, cfr. le osservazioni in Clapp 1949-1950,
pp. 486-499.
57
Solo così, infatti, si giustifica lo sdegno di Eutidemo (295b): oÙk a„scÚnV, œfh, ð
Sèkratej; ™rwtèmenoj ¢nterwt´j;
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58
Prot. 351e: PÒteron oân, Ãn d’ ™gè, sÝ boÚlei ¹gemoneÚein tÁj skšyewj, À ™gë ¹gî-
mai; D…kaioj, œfh, sÝ ¹ge‹sqai: sÝ g¦r kaˆ kat£rceij toà lÒgou Euthd. 287d: Lale‹j, œfh,
¢mel»saj ¢pokr…nasqai: ¢ll’, çgaqš, pe…qou kaˆ ¢pokr…nou, ™peid¾ kaˆ Ðmologe‹j me sofÕn
e!nai. Peistšon to…nun, Ãn d’ ™gè, kaˆ ¢n£gkh, æj œoiken: sÝ g¦r ¥rceij ¢ll’ ™rèta. Si os-
servi che simili termini tecnici non ricorrono altrove nei dialoghi.
59
Prot. 333c: – PÒteron oân prÕj ™ke…nouj tÕn lÒgon poi»somai, œfhn, À prÕj sš; – E„
boÚlei, œfh, prÕj toàton prîton tÕn lÒgon dialšcqhti tÕn tîn pollîn. – ’All’ oÙdšn moi
diafšrei, ™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV, e‡t’ oân doke‹ soi taàta e‡te m» Euthd. 275b-c: E„-
pÒntoj oân ™moà scedÒn ti aÙt¦ taàta Ð EÙqÚdhmoj ¤ma ¢ndre…wj te kaˆ qarralšwj, ’All’
oÙdþn diafšrei, ð Sèkratej, œfh, ™¦n mÒnon ™qšlV ¢pokr…nesqai Ð nean…skoj.
60
Vorrei tuttavia sottolineare che si tratta di una differenza di grado, non di quali-
tà. Elementi agonali quando non eristici sono presenti anche altrove, come oggi da più
parti si riconosce (vd. p.e. Klosko 1987).
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61
Si può peraltro ricordare che la singolarità del Protagora appare chiaramente an-
che dalla classificazione dei dialoghi tramandata da Diogene Laerzio insieme alla serie
dei cosiddetti secondi titoli dei dialoghi: il Protagora è l’unico fra i dialoghi a essere qua-
lificato come ™ndeiktikÒj.
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1
Phdo. 118a; Ep. VII 324e.
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2
«Thorny problems are raised by an interpretation of the Protagoras such as that
presented in this paper, but these we must avoid. Though it might seem necessary to
give some good reason why Plato would write a dialogue depicting an eristic debate be-
tween Socrates and Protagoras, it should be borne in mind that the question whether
Plato depicts Socrates in such a role is distinct from the question why he does so, and
the argument of this paper must rest content with the assertion that Plato does so, re-
gardless of his reasons» (Klosko 1979, p. 128; cfr. anche Klosko 1983 e 1987, in cui lo
studioso rafforza le sue posizioni ed estende l’analisi ad altri dialoghi ).
3
Tanto da dedicarvi un contributo specifico. Cfr. Klosko 1980.
4
Cfr. Ryle 1966a, riprodotto nella sostanza in Ryle 1966b. Accoglie in pieno l’in-
terpretazione di Ryle Beck 1986 (vd. in part. p. 121 ss.).
5
Per quanto riguarda la tesi edonistica, Ryle ammette che Platone, in generale, ri-
fiuta ogni forma di edonismo; tuttavia, l’argomento edonistico – sostiene Ryle – era vin-
cente, ed è per questo che Socrate lo impiega (Ryle 1966b, pp. 201-202). Ryle propone
un confronto fra le mosse di Socrate e gli argomenti pro e contro elencati nei Dissoi Lo-
goi, anche se l’argomentazione edonistica del Protagora appare nettamente più com-
plessa e articolata.
6
La riflessione filosofica sarebbe una conseguenza della rilettura, a freddo, di que-
ste registrazioni.
7
Cambiano 1991, p. 21.
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8
Ad esempio, nel Lachete, l’accurata presentazione degli interlocutori, uniti da le-
gami di parentela e amicizia, e interessati a fornire un’educazione virtuosa ai figli (que-
sto è in fondo l’oggetto del dialogo), esclude la possibilità che vi sia rappresentata una
competizione formalizzata.
9
Cfr. Erler 1987, trad. it. 1991, e Woodruff 1987. Per quanto riguarda il Protagora,
si può osservare che l’argomento edonistico difficilmente può essere una mossa eristica
mandata a memoria, giacché il brano dedicato al piacere appare organicamente legato
al resto dell’opera (cfr. infra, VI.6).
10
Per questa critica, cfr. Cambiano 1968.
11
Questo duplice livello è operante anche nel Protagora, come si può capire da un
esempio particolare. Nella parte conclusiva del dialogo Socrate cerca di dimostrare che
la virtù è scienza; una prima argomentazione promossa da Socrate porta alla conclusio-
ne che la virtù deve consistere in una techne specialistica. Questa conclusione, che cer-
tamente non corrisponde al pensiero di Platone, è respinta da Protagora, il quale con-
futa (fatto eccezionale!) la dimostrazione di Socrate. Il rigetto della conclusione porta i
dialoganti a prendere in considerazione forme più elevate di conoscenza fino a un ap-
prodo perfettamente platonico: la virtù è scienza del bene e del male. Questa progressi-
va elevazione è caratteristica dei dialoghi di definizione e si ritrova, molto simile, nel
Lachete, ma è di grande interesse il fatto che sia Socrate a sostenere una tesi ‘errata’ che
viene confutata: il progetto filosofico di Platone rimane dunque sconosciuto agli inter-
locutori del dialogo.
12
Come ha osservato Cambiano 1968, l’approccio di Ryle appare condizionato dal-
la volontà di ricostruire un itinerario intellettuale del pensiero di Platone che sfoci nel-
lo studio di problemi cari alla filosofia analitica contemporanea. Lo studioso osserva
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che «se non si ammette la natura filosofica dei dialoghi socratici, diventa quasi tauma-
turgico il passaggio da essi ai dialoghi ‘costruttivi’» (p. 329).
13
Vlastos 1991, trad. it. 1998, p. 155.
14
Per la ‘missione’ di Socrate, Vlastos cita Gorg. 500b-c; Apol. 28e, 29d; Charm.
166c-d.
15
Altrimenti, si dovrà parlare di ironia «complessa», ma non ingannatrice (cfr. il
cap. I, «Socratic Irony»). Anche Vlastos, tuttavia, prova qualche imbarazzo di fronte
alla dottrina edonistica esposta nella parte finale del Protagora. Dopo aver cercato di e-
dulcorare la dottrina edonistica così da rendere meno stridente il contrasto con gli altri
dialoghi (Vlastos 1956), lo studioso ha riconsiderato il passo, giungendo alla conclusio-
ne che Socrate non è vincolato alla dottrina, né però inganna l’avversario. Il passo del
Protagora sarebbe invece un esempio di elaborata – ma ‘onesta’ – ironia (Vlastos 1991,
trad. it. 1998, pp. 300-302).
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16
Socrates’ Elenctic Mission è il titolo di un importante studio dedicato al metodo
di confutazione socratica delineato nell’Apologia (Brickhouse - Smith 1991).
17
Trad. Sassi 1993 (lievemente modificata).
18
Cfr. 21c-d (a proposito della confutazione di un politico): k¥peita ™peirèmhn aÙ-
tù deiknÚnai Óti o‡oito mþn e!nai sofÒj, e‡h d’ oÜ. ™nteàqen oân toÚtJ te ¢phcqÒmhn kaˆ
pollo‹j tîn parÒntwn : prÕj ™mautÕn d’ oân ¢piën ™logizÒmhn Óti toÚtou mþn toà ¢nqrèpou
™gë sofèterÒj e„mi: 22b (a proposito della confutazione dei poeti): æj œpoj g¦r e„pe‹n
Ñl…gou aÙtîn ¤pantej oƒ parÒntej ¨n bšltion œlegon perˆ ïn aÙtoˆ ™pepoi»kesan.
19
Hipp. Ma. 291e-292a: PonhrÒn g’, ð Sèkratej, gšlwta: Ótan g¦r prÕj taàta œcV mþn
mhdþn Óti lšgV, gel´ dš, aÙtoà katagel£setai kaˆ ØpÕ tîn parÒntwn aÙtÕj œstai katagš-
lastoj. Ippia insiste anche in altri punti sul motivo del ridicolo. Cfr. in proposito Ma-
der 1977.
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20
Si pensi alla cornice di pubblico in cui si svolge l’Eutidemo e cfr. per esempio
305b (dialšgesqai toioÚtoij ™nant…on pollîn ¢nqrèpwn).
21
Cfr. in proposito infra, VI.5.
22
Come ormai da più parti si riconosce, il metodo socratico non è un che di unita-
rio e granitico, ma si adegua al carattere degli interlocutori. Si tende insomma a un’in-
terpretazione flessibile dell’elenchos socratico. Cfr., per il Gorgia, McTighe 1984, Babut
1992 (in part. p. 77 ss.) e Gentzler 1995; in generale, vd. Woodruff 1986 e Teloh 1987.
L’elenchos ha un carattere personale (cfr. p.e. Kahn 1983) ed è strettamente connesso
alle emozioni degli interlocutori (cfr. p.e. Blank 1993).
23
Tht. 170e-171a. Cfr. infra, VI.5.
24
Per il carattere ‘anti-socratico’ della dialettica di Socrate nel Protagora, oltre agli
accenni nei capitoli precedenti, vd. infra, VI.5.
25
Cfr. per esempio Cornford 1935, p. 181, Kerferd 1986, pp. 24-25, Vitali 1992, p.
177 nota 101, Trabattoni 1998a, p. 254.
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Vedi, capita talvolta che uno, credendo di dire gran cosa, dica in realtà
cose prive di senso. Quelli allora [si riferisce a quanti praticano l’arte di
confutare], poiché si accorgono da subito di trovarsi di fronte a gente
che vaneggia, facilmente ne mettono alla prova (™xet£zousi) le opinio-
ni, e, ponendole assieme una accanto all’altra per mezzo dei discorsi, le
mettono a confronto e mostrano chiaramente come esse si contraddi-
cano […]. L’interlocutore allora, vedendo ciò, si adira con se stesso e si
dimostra più mite verso gli altri, e in questo modo si libera delle opi-
nioni presuntuose e cristallizzate; è questa la liberazione più dolce per
quelli che ascoltano, e più sicura per chi la subisce. Coloro che purifi-
cano gente di questa fatta […] ritengono che l’anima non possa trarre
alcun giovamento dalle conoscenze che le sono offerte, prima che qual-
cuno sottoponga a confutazione (™lšgcwn) chi presume di sapere, e co-
stui – confutato (™legcÒmenoj) – non sia portato alla vergogna, libero da
opinioni che impediscono la conoscenza e puro, convinto di sapere quel-
le sole cose che effettivamente sa, non di più. (230b-d)
26
Inoltre, il procedimento del «porre insieme» le opinioni trova un riscontro parti-
colarmente stretto nel Protagora. Cfr. Appendici, 2.
27
335c-d; 337b-c.
28
335a-b: œgnwn g¦r Óti oÙk ½resen aÙtÕj aØtù ta‹j ¢pokr…sesin ta‹j œmprosqen.
29
361d-e: Kaˆ Ð PrwtagÒraj, ’Egë mšn, œfh, ð Sèkratej, ™painî sou t¾n proqum…an
kaˆ t¾n dišxodon tîn lÒgwn. kaˆ g¦r oÜte t«lla o!mai kakÕj e!nai ¥nqrwpoj, fqonerÒj te
¼kist’ ¢nqrèpwn, ™peˆ kaˆ perˆ soà prÕj polloÝj d¾ e‡rhka Óti ïn ™ntugc£nw polÝ m£lista
¥gamai sš, tîn mþn thlikoÚtwn kaˆ p£nu.
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30
Questa è l’arte di Eutidemo e Dionisodoro, un’arte che non impedisce a chi la
pratica di fare affari (crhmat…zesqai, Euthd. 304c).
31
L’ironia consiste nel fatto che agli occhi degli Ateniesi l’immagine del filosofo era
proprio quella dell’erista chiacchierone, come è testimoniato dalla commedia, dove,
nella denigrazione di Socrate e della filosofia, ricorre fra l’altro il termine chiave di ¢do-
lšschj (cfr. Ar. Nub. 1480, 1485; Eupoli, fr. 386 PCG). Il termine era del resto usato in
modo analogo anche all’epoca di Platone: cfr. Isoc. Antid. 262 e Alessi, fr. 185 PCG.
Arnott 1996, nel commentare questo frammento di Alessi, ricorda che «comedy typi-
cally dismisses philosophic activity as ¢dolesc…a … and its congeneners […]. Cf.
Astydamas fr. 7 Nauck2 defining ¢dolesc…a as glèsshj per…paton, Phot. s.v. ¢dolesce‹n
(p. 48 Chr. Theodoridis, no. 372) shma…nei mþn tÕ filosofe‹n per… te fÚsewj kaˆ toà pan-
tÕj dialesca…nonta. oƒ mšntoi ¢rca‹oi kwmikoˆ lesca…nein œlegon tÕ dialšgesqai» (pp. 549-
550). Ebbene, Platone in più di un’occasione ricorda che il filosofo era considerato vol-
garmente un chiacchierone (cfr. p.e. Tht. 195b; Parm. 135d; Resp. 489a), e in un caso
precisa addirittura che un simile giudizio è caratteristico dei commediografi (Phdo.
70b-c). Nel Fedro invece, come qui, questo retroterra culturale è dato per scontato: So-
crate, nel definire la retorica, ricorda che «tutte quante le arti di una certa importanza
hanno bisogno di un po’ di chiacchiere (¢dolesc…a)» (269e-270a), ovverosia – come il
lettore è chiamato a intendere – hanno bisogno di conoscenze generali di carattere filo-
sofico. Per l’impiego platonico di ¢dolesc…a nel senso di dialettica e per il caso analogo
di metewrolog…a, cfr. per esempio Gaudin 1970 e Babut 1978 (in part. p. 62 ss.).
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La casa di Callia, dove Socrate e Ippocrate si recano sul far dell’alba, tra-
bocca di sofisti 34, e le ‘lezioni’ si tengono in un cortile affollato dove è
32
Soph. 230e-231a: T… dš; toÝj taÚtV crwmšnouj tÍ tšcnV t…naj f»somn; ™gë mþn g¦r
foboàmai sofist¦j f£nai.
33
Cfr. Wolff 1991, il quale ipotizza che Platone abbia qui compiuto un altro «par-
ricidio» (p. 49).
34
Cfr. Rutherford 1992, pp. 139-140: «Once Socrates and Hippocrates are inside
Callias’ house, variety and disorder become the keynotes, and there is a disturbing
readiness to give up half way. Socrates expresses this anxiety about this more than once
(347c1-2, 348a9); at the end of the dialogue he is still eager to go further, but it is Pro-
tagoras who is reluctant and would prefer to postpone. Perhaps the setting too may
contribute to this contrast. Socrates and Hippocrates conclude their discussion pri-
vately, just the two of them (the ideal dialectical situation) in the open air; contrast the
indoor confusion and hubbub, the division of the company into a series of cliques
within, as described in the interesting passage which follows (314e-16a)». Osservazioni
molto simili sono anche in Schofield 1992.
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perfino difficile distinguere la voce dei ‘maestri’ 35. Dopo il comico batti-
becco con il portinaio, esasperato dal continuo afflusso di sofisti, Socrate
e Ippocrate entrano finalmente nel cortile 36. Due citazioni omeriche dal-
la Nekyia suggeriscono un paragone fra la casa di Callia e l’Ade 37: Socra-
te e il suo giovane amico sono dunque penetrati in una sorta di inferno
che, nel richiamo agli inferi omerici, prelude al mito della caverna, an-
ch’essa paragonata all’Ade (521c) 38. D’altra parte, che l’ingresso di So-
crate sia una sorta di avventura odissiaca è suggerito anche da una cita-
zione omerica proprio all’inizio del dialogo: Alcibiade, forse per aver aiu-
tato Socrate nel confronto con Protagora, vi appare paragonato a Her-
mes, che nell’Odissea mette in guardia l’eroe contro gli incantesimi di
Circe (si tenga presente che Protagora è presentato proprio come un in-
cantatore) 39.
Ma perché Socrate intraprende una simile discesa agli inferi? La mo-
tivazione principale è certo suggerita dalla missione apollinea di Socra-
te 40, che deve misurarsi con tutti i ‘sapienti’ di Atene. Nel Menone, del
resto, Socrate sottolinea esplicitamente la necessità di conoscere i sofisti
prima di giudicarli (Men. 91c ss.), e afferma che il vero maestro di virtù –
il possessore di quella virtù-scienza cui Socrate invano aspira – sarebbe
fra i vivi «quale Omero disse Tiresia fra i morti, quando afferma che egli
soltanto, fra gli abitanti dell’Ade, ha senno, mentre gli altri come ombre
sussultano» (100a). Socrate-Odisseo dunque ha il compito di indagare
questo mondo umbratile, per scoprire se mai potrà trovarvi un veggente
Tiresia.
35
Socrate ironicamente si dice rammaricato di non avere potuto ascoltare le parole
di Prodico (ka…per liparîj œcwn ¢koÚein) perché di¦ t¾n barÚthta tÁj fwnÁj bÒmboj tij
Ãn ™n tù o„k»mati gignÒmenoj ¢safÁ ™po…ei t¦ legÒmena (316a).
36
Cfr. Schofield 1992, il quale, pur parlando di «low comedy», propone un para-
gone con la porta di Parmenide: «In its humble way the episode in the Protagoras like-
wise emphasises the huge difference between the Socratic discourse we have just heard
and the sophistic debate we are about to witness» (p. 127).
37
Od. 11.601 e 582, citati in 315b-c. Cfr. supra, II.2.
38
L’osservazione si deve a Klär 1969, pp. 225-259, vd. in part. pp. 254-259. Questo
studio intende dimostrare che la metafora della caverna è presente, implicitamente, in di-
versi dialoghi. A proposito del Protagora, l’autore osserva che «Der Weg des Sokrates
als des Philosophen ist derselbe hier und dort, die Charakteristik der Sophisten als Ha-
desbewohner, als Gefangenen der Schattenwelt ebenfalls, und schliesslich hier wie dort
die ausdrückliche Beziehung und Anspielung auf die Nekyia – all das zusammen er-
laubt uns, die Höhlengleichnis, wenn auch nicht in der völlig ausgearbeiten Fassung,
so doch in seinen wesentlichen Umrissen schon zu Beginn der Schriftstellerei Platons
vorauszusetzen» (p. 257).
39
309b, dove è citato Od. 10.279 (= Il. 24.348).
40
Cfr. par. 2.
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41
La particolare struttura della Repubblica è messa in luce da Voegelin 1957 e suc-
cessivamente da Segal 1978 (p. 323 ss.), Clay 1992, Burnyeat 1997-1998 e Vegetti 1998.
42
Burnyeat 1997-1998 mette a confronto i seguenti brani: katšbhn cqþj e„j Peirai©
met¦ GlaÚkwnoj toà ’Ar…stwnoj, proseuxÒmenÒj te tÍ qeù kaˆ ¤ma t¾n ˜ort¾n boulÒmenoj
qe£sasqai t…na trÒpon poi»sousin ¤te nàn prîton ¥gontej. kal¾ mþn oân moi kaˆ ¹ tîn
™picwr…wn pomp¾ ™doxe e!nai, oÙ mšntoi Âtton ™fa…neto pršpein ¿n oƒ Qr´kej œpempon (327a,
incipit della Repubblica); katabatšon oân ™n mšrei ˜k£stJ e„j t¾n tîn ¥llwn suno…khsin
kaˆ suneqistšon t¦ skotein¦ qe£sasqai: suneqizÒmenoi g¦r mur…J bšltion Ôyesqe tîn ™ke‹
kaˆ gnèsesqe ›kasta t¦ e‡dwla ¤tta ™stˆ kaˆ ïn, di¦ tÕ t¢lhqÁ ˜wrakšnai kalîn te kaˆ
dika…wn kaˆ ¢gaqîn pšri (520c).
43
Cfr. Vegetti 1998, p. 71, e Gastaldi - Campese 1998. Le studiose sottolineano gli
aspetti barbarici delle Bendidie, e individuano una struttura oppositiva fra Repubblica
e Timeo, giacché «se nel I libro della Repubblica vengono chiaramente menzionate le
Bendidie, nel Timeo la discussione che prosegue e completa quella sviluppata nell’altro
dialogo ha luogo in occasione di un’altra festa, le Panatenee» (p. 92). Pertanto «il per-
corso dialettico di Socrate si legge così attraverso questa ricca sequenza di passaggi sim-
bolici, dal porto all’asty, da Bendis ad Atena, dai riti stranieri ai ‘costumi della patria’,
dal mondo della genesis a quello delle idee» (p. 131).
44
Lo studio di Clay (1992) mostra l’importanza dell’incipit non solo per la Repub-
blica, ma per il Fedone. Il principio è esteso da Burnyeat 1997-1998 ad altri dialoghi.
Vegetti 1998 mostra che kataba…nw nella Repubblica è impiegato sempre in senso ‘for-
te’, ossia catabatico.
45
Per il significato simbolico del mare, cfr. supra, Premesssa, 8.
46
tÁj ¥nw Ðdoà ¢eˆ ˜xÒmeqa. I nessi strutturali della Repubblica sono così riassunti da
Voegelin 1957: «Il gioco dei simboli illumina la relazione fra gli episodi e i problemi
della Repubblica: il Pireo del Prologo diventa l’Ade dell’Epilogo ed entrambi si fondo-
no nella caverna sotterranea del mito della caverna. La vuota libertà del Pireo con la
sua celebrazione della divinità Ctonia diventa la vuota libertà dell’Arete in Ade ed en-
trambe si fondono nel giuoco di ombre della caverna. La festa notturna (pannuchis)
sfuma nella notte di Ade ed entrambe nel giorno tenebroso (nykterine) dell’esistenza u-
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Pireo; egli subisce infatti un atto di violenza, per quanto ironico: prima
viene trattenuto per il mantello da uno schiavo di Polemarco (labÒmenoj
toà ƒmat…ou, 327b), in seguito ne subisce le scherzose minacce 47, e nel
corso del dialogo è nuovamente trattenuto da Glaucone e Adimanto,
che sospettano Socrate di voler prendere una scorciatoia nel discorso e
non lo vogliono «lasciar andare» (¢f»somen … =Hkist£ ge, œfh Ð ’Ade…-
mantoj, 449b).
Simile è anche la ‘catabasi’ di Socrate nel Protagora. La casa di Cal-
lia, come quella di Cefalo, è situata al Pireo 48, e non bisogna dimenticare
che Socrate vi si reca per compiacere la smania di Ippocrate (310e ss.);
alla fine del dialogo, poi, Socrate afferma di essersi trattenuto a lungo
«per far piacere a Callia» (362a), che effettivamente, a un certo punto
della discussione, pur di non «lasciarlo andare» (oÙk ¢f»somšn se, ð
Sèkratej, 335d) 49, lo aveva trattenuto per il mantello (¢ntel£beto toà
tr…bwnoj). La discesa al Pireo nella casa di Callia, così come la visita in
casa di Cefalo e la catabasi nella caverna, comporta poi uno scontro
frontale con il mondo corrotto della polis democratica 50. Callia era figlio
della ex-moglie di Pericle 51, la quale generò allo statista gli inetti Santip-
po e Paralo, presenti nel Protagora, mentre Alcibiade, altro personaggio
del dialogo, sposò Ipparete, sorella di Callia 52. Protagora inoltre, amico
personale di Pericle, è il massimo teorico della democrazia, e il discorso
che Platone gli mette in bocca ne è la migliore testimonianza. Con qual-
che voluto anacronismo 53, Platone ha riunito in casa di Callia numerosi
mana nella parte centrale della Repubblica. E infine il Socrate che intraprende coi suoi
amici la discussione sulla giustizia sfuma nell’Er che viene rimandato indietro dai Giu-
dici dall’Ade come messaggero (angelos) per l’umanità (614d), ed entrambi si fondono
nel filosofo che deve tornare dalla visione dell’Agathon ad aiutare i suoi compagni pri-
gionieri» (p. 115).
47
327c: À to…nun toÚtwn kre…ttouj gšnesqe À mšnet’ aÙtoà. Burnyeat 1997-1998 osser-
va che «Socrates’ going down to the Peiraeus and being detained there, somewhat re-
luctantly […] becomes an image of how […] the philosophers would con-descend,
somewhat reluctantly (Resp. 520d-521b) to take charge of the city and maintain the just
social order they have benefited from» (p. 6).
48
La posizione della casa di Callia si ricava da Xenoph. Symp. 1.2. Cfr. Ferrucci
1996, p. 426.
49
Il concetto è ribadito in 338b: ™mš te Ð Kall…aj oÙk œfh ¢f»sein.
50
Ferrucci 1996 mostra che il possesso di abitazioni lussuose è compatibile con l’i-
deologia periclea.
51
Plut. Per. 24.8.
52
Plut. Alc. 8. Per una descrizione dei legami familiari di Callia, cfr. MacDowell
1962, pp. 10-11.
53
Platone, a quanto pare, ha mescolato due diversi soggiorni ateniesi di Protagora.
Che vi siano stati (almeno) due soggiorni, si ricava da Prot. 310e. Ateneo accusò Plato-
ne di falsità per gli anacronismi del Protagora (5.218b), e tali anacronismi (che hanno
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dato ai biografi di Protagora filo da torcere; cfr. p.e. Morrison 1941 e Davison 1953)
non si possono negare (vd. Wolfsdorf 1997). Ma l’intento di Platone non era forse ‘sto-
rico’. Piuttosto, «Plato seems to have included deliberately what was memorable from
at least two visits Protagoras made to Athens […] one of Plato’s purposes in choosing
his material from as many sources as possible was to present a vivid, humorous and iro-
nic picture of Protagoras’ dealings with Athenian youth» (Walsh 1984, p. 104).
54
Riguardo ai promettenti giovani radunati in casa di Callia, cfr. ivi, p. 105: «Alcibia-
des, the most illustrious of the lot, did show promise […] but the services he rendered
his city are too well known to require extended comment. Charmides and Critias fell in
civil strife at Munychia. Eryximachus and Phaedrus both suffered disgrace (and the lat-
ter, at least, the loss of property) as a result of the Hermokopidae affair. Adeimantus, the
son of Leucolophides, was accused of betraying the Athenian cause at the battle of Ae-
gospotamoi. Agathon and Pausanias were at the court of Archelaus by 407. Although we
do not know with certainty why Agathon left Athens […]. Aristophanes’ longing refer-
ence to him (Ran. 83), together with the special plea he makes later in the same play
(686 ff.) for the return of those exiled as a result of the stasis of 411, suggests that Aga-
thon and Pausanias may have been involved in this coup and left Athens as a result».
55
Ci sono in questo senso importanti precedenti teatrali. Nell’Edipo a Colono il pri-
mo stasimo (v. 668 ss.) «allinea un sistema di riferimenti, che vanno interpretati su un
doppio versante: uno esplicito che rimanda all’accoglienza di Edipo in Colono e ad A-
tene, e uno allusivo che adombra la sua venuta nel territorio della morte» (Del Corno
1998, p. 67). Inversamente, nelle Rane, «l’oltretomba […] si connota come una vita ‘ol-
tre lo specchio’, la replica rovesciata della contemporaneità» (p. 73). Entrambi i dram-
mi dunque, che furono rappresentati nell’ultima, tragica fase della guerra, e dunque
precedono di non molti anni la (probabile) composizione del Protagora, «sovvertivano i
confini fra il mondo dei morti e quello dei vivi – o piuttosto, rappresentavano un consa-
pevole e programmato intreccio dell’una con l’altra prospettiva […]. Viva e morta pa-
reva ai cittadini la stessa Atene» (p. 73).
56
La storia è ricordata da Andocide, 1.130-131, secondo cui, in base a un’«antica
fama», Ipponico ™n tÍ o„k…v ¢lit»rion tršfei. Questa diceria trova un precedente negli
Adulatori di Eupoli, fr. 157 PCG, secondo il quale la casa di Callia è abitata da un Pro-
tagora ¢lit»rioj. Un nesso fra i due passi è ravvisato in Storey 1991, p. 7 ss.
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57
Per ¢gwn…zomai e affini, vd. Tht. 164c, 167e, 168d; Soph. 226a, 231e; cfr. Euthd.
272a. Cfr. anche Euthd. 305e, dove l’espressione ™ktÕj … ¢gènwn, seppure implicita-
mente, riguarda non soltanto i processi pubblici, ma anche lo scontro eristico inscenato
nel dialogo (cfr. Decleva Caizzi 1996, p. 118 nota 132).
58
Un altro confronto è offerto da un luogo del Fedro in cui si attribuisce l’invenzio-
ne della dialettica a Zenone di Elea (in realtà Zenone non è nominato, ma con ogni pro-
babilità Platone allude proprio a lui parlando del «Palamede Eleatico», 261d). È qui in
gioco la tradizione che fa di Zenone l’iniziatore della dialettica. Cfr. Robinson 1953, p.
87. Secondo Socrate «c’è l’arte di contraddire non solo nei tribunali e nell’assemblea
popolare». Anche qui si allude forse alla dialettica o eristica.
59
Cfr. Enc. Hel. 13; Diss. Log. 8.1; Aristot. Rhet. 1371a6-8. Il luogo in cui più chia-
ramente si parla di complementarità è Aristot. Soph. El. 171b22-24: ésper g¦r ¹ ™n ¢gî-
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somma credere che il passo della Repubblica, con l’espressione «in altro
luogo», alluda all’arte di contraddire e agli agoni di discorsi, ossia al tipo
di situazione descritta non solo nell’Eutidemo ma anche nel Protagora.
Dunque: fra i cimenti del filosofo che ridiscende nella caverna rien-
trano anche gli agoni eristici, duelli privati che si affiancano ai processi
pubblici nei tribunali. Questa necessità di combattere è illustrata non sol-
tanto nella Repubblica stessa, dove Socrate scende al Pireo, cuore della
polis democratica, e sconfigge il sofista Trasimaco (libro I), ma anche nel
Protagora, in cui Socrate scende al Pireo e penetra nel mondo umbratile
dei sofisti per scontrarsi con il massimo teorico della democrazia. Al filo-
sofo che ‘ridiscende’ è richiesto uno sforzo eccezionale: si possono rico-
noscere qui ulteriori analogie fra Protagora e Repubblica.
Socrate fatica non poco ad affermare la sua superiorità nei confronti
di Protagora. Al termine del discorso di Protagora egli rimane incantato
(kekhlhmšnoj) e per «molto tempo» non riesce a riaversi (328d). La rea-
zione di Socrate è simile a quella degli altri frequentatori della casa di
Callia: incantati (kekhlhmšnoi) dalla voce di Protagora, essi lo seguono
come automi (315b-c), simili dunque ai prigionieri della caverna. Pro-
prio a questo punto cade la citazione dalla Nekyia, che suggerisce un
confronto fra il sofista e un peccatore dell’Ade, dunque un’ombra. In ca-
sa di Callia, come nella caverna, gli uomini ammirano attoniti l’ombra
invece che la realtà; e vincere l’incanto delle ombre per volgersi alla veri-
tà non è facile.
Nella Repubblica Platone sottolinea esplicitamente che il filosofo, an-
che se dura fatica ad abituarsi all’oscurità della caverna ed è perciò espo-
sto al ludibrio degli schiavi, alla fine riesce a imporsi nei confronti di
questi ultimi in virtù della sua conoscenza superiore. Questa vittoria
però costringe il filosofo ad acquisire, oltre alla «scienza» (™pist»mh) an-
che la «esperienza» (™mpeir…a) 60; egli deve così misurarsi con una forma
di sapere radicalmente diversa dalla sua, sul terreno degli avversari, giac-
ché l’‘esperienza’, come emerge nel modo più chiaro dal Gorgia, è il sa-
pere della polis e dei sofisti 61. Ci sono buone ragioni – lo si è visto – per
ni ¢dik…a e!doj ti œcei kaˆ œstin ¢dikomac…a tij, oÛtwj ™n ¢ntilog…v ¢dikomac…a ¹ ™ri-
stik» ™stin.
60
™mpeir…a: 484d, 539e. La sapienza praticata nella caverna è anche denominata ¹
™ke‹ sof…a (516b). Questa non è altro che la sapienza insegnata dai sofisti (cfr. 493a-c),
e di questa faceva parte anche l’eristica.
61
Nel Gorgia, Polo stabilisce una continuità fra esperienza e scienza (448c) che viene
in seguito negata da Socrate, secondo il quale scienza ed esperienza sono due concetti
ben diversi, giacché l’esperienza è una forma di pseudo-sapere (462c ss.). Di grande in-
teresse anche la posizione di Callicle, che dileggia Socrate perché, come filosofo, è del tut-
to «inesperto» delle cose umane, e dunque, nella polis, è destinato al fallimento (484c ss.).
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62
318d-e. Cfr. in proposito infra, VI.3.
63
Vd. in part. 517a e 517d-e.
64
Lo stordimento sensoriale caratterizza anche la discesa del filosofo nella caverna;
cfr. in part. 517a.
65
Qualcosa di analogo accade in effetti anche nell’Eutidemo. Ctesippo, l’amico di
Socrate, si impadronisce ben presto dei trucchi dei due sofisti e riesce spesso a prevale-
re su di loro, tanto che Socrate dice: Ð dš moi doke‹, ¤te panoàrgoj ên, Ð Kt»sippoj, par’
aÙtîn toÚtwn [i due sofisti] aÙt¦ taàta parhkhkÒei (300d). Lo stesso Socrate, seppur
ironicamente, ammette di imitare (mime‹sqai) i due sofisti nel momento in cui argomen-
ta come loro (301b), e nella parte finale del dialogo racconta di aver prestato attenzione
all’atteggiamento di Ctesippo, éj tacÝ Øm©j ™k toà paracrÁma mime‹sqai oŒÒj te Ãn. Cte-
sippo impara il gioco dei due eristi e li combatte sul loro terreno.
66
«Trickery, in fact, whether lies or disguise, is never a shameful trait when practised
by those Homer establishes at the very start as ‘good’, from Athene to Penelope to Odys-
seus; for by definition it is in their hands the means to good ends» (Parry 1994, p. 13).
67
175a12-16 [i procedimenti sofistici sono utili alla filosofia]: tr…ton dþ kaˆ tÕ loi-
pÕn œti prÕj dÒxan, tÕ perˆ p£nta gegumn£sqai doke‹n kaˆ mhdenÕj ¢pe…rwj œcein: tÕ g¦r
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empirica ma non indegna della considerazione del filosofo, che deve co-
munque mostrarsi superiore ai suoi nemici. Anche la posizione di Ari-
stotele si rivela dunque interessante per capire meglio il problema delle
argomentazioni eristiche impiegate da Socrate, ma occorrerà partire da
qualche osservazione finale sui dialoghi platonici maturi e tardi.
Quando il filosofo si decide ad affrontare i ‘mostri’ della polis, la di-
stinzione fra eristica e dialettica si rivela incerta. Nella definizione di
«nobile sofistica» ricordata sopra, Platone riconosce implicitamente que-
sta somiglianza: «il lupo, l’animale più selvaggio, è simile al cane, il più
mite» (Soph. 231a). Si capisce anche, in quest’ottica, perché nella Repub-
blica si dica chiaramente che la dialettica può facilmente scadere in eri-
stica, una degenerazione indotta da uno smodato «piacere della confuta-
zione» 68. Proprio nella Repubblica, dove ricorre più volte la metafora del
segugio a proposito della ricerca filosofica (o meglio della ‘caccia’) 69, So-
crate deve scontrarsi con una belva particolarmente feroce: il ‘lupo’ Tra-
simaco, pronto a «sbranarlo» (diarpasÒmenoj, 336b) 70 . E in questa bat-
taglia, suo malgrado, Socrate ha assunto tratti lupeschi, tanto che al ter-
mine della tenzone egli si rammarica di avere «sbranato» gli argomenti
(¡rp£zontej, 354b), compromettendo così il buon esito del confronto
dialettico 71. Il lupesco Trasimaco, l’eristico Protagora: a ben guardare,
la possibilità che il filosofo sia costretto all’impiego di mosse ‘sleali’ è
strettamente legata alla natura dell’interlocutore e al contesto dell’incon-
tro. Vi sono, non c’è dubbio, interlocutori più ‘difficili’ di altri.
Nel Teeteto «difficile» (dÚskoloj) è quell’interlocutore che rifiuta di
essere confutato. Quando Socrate domanda se Teeteto accetterà che la
sua definizione, il suo «parto», venga criticata, Teodoro lo rassicura
prontamente sulla buona natura del giovane: «Teeteto sopporterà, So-
crate; non è infatti un tipo difficile (dÚskoloj)» (161a). Se dÚskoloj è
koinwnoànta lÒgwn yšgein lÒgouj, mhdþn œconta dior…zein perˆ tÁj faulÒthtoj aÙtîn, Øpo-
y…an d…dwsi toà doke‹n duscera…nein oÙ di¦ t¢lhqþj ¢ll¦ di’ ¢peir…an.
68
Resp. 537e ss. Per la vicinanza di dialettica e sofistica, cfr. Aristot. Soph. El. 183b2-3.
69
376a-b e 432b, da confrontare con Leg. 654e e Parm. 128c. Cfr. in proposito Ca-
nino 1998b.
70
Cfr. ivi, p. 223: «In base ad un’antica credenza popolare, se un lupo vedeva per
primo l’uomo che incontrava, costui perdeva la parola. Nel I libro della Repubblica,
nelle righe che precedono immediatamente l’inizio della disputa tra Socrate e Trasima-
co, il filosofo, impaurito nel vedere il proprio avversario, osserva che se non lo avesse
guardato lui per primo, ma fosse avvenuto il contrario, certo si sarebbe ritrovato senza
voce (336d). Il sofista, che raccoltosi nella persona come una fiera (ésper qhr…on) si era
avventato contro Socrate e i suoi interlocutori quasi volesse sbranarli (Âken ™f’ ¹m©j æj
diarpasÒmenoj) (336b), è dunque un lupo».
71
Nel corso della Repubblica è più volte adombrato il rischio di una metamorfosi
del cane in lupo. Vd. 416a-b e 565d. Cfr. in proposito Canino 1998b.
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72
In un altro luogo del Teeteto (157c) «mettere alla prova» è messo chiaramente in
relazione con la menzogna (OÙk o!da œgwge, ð Sèkratej: kaˆ g¦r oÙdþ perˆ soà dÚnamai
katanoÁsai pÒtera dokoànt£ soi lšgeij aÙt¦ À ™moà ¢popeir´).
73
Cfr. Premessa, 5. Una diversa valutazione del motivo dell’¢popeir©sqai nel Prota-
gora è offerta in Szlezák 1985, trad. it. 1988, p. 236 ss.
74
Cfr. per esempio Berti 1992 e Zadro 1974: «Le ragioni di carattere esterno per
l’anticipazione dei Topici consistono nella presenza di interessi che testimoniano per un
rapporto ancora stretto con l’Accademia e con Platone, nonostante la polemica ricor-
rente nei tÒpoi contro la teoria platonica degli e‡dh, qui sotto il nome di „dšai. Dalle con-
cordanze lessicali alla stessa connessione fra la forma dei dialoghi e l’oggetto dei Topici
è tutta una rete che intreccia concetti e metodi e con essi quest’opera di Aristotele e
quelle del suo maestro» (pp. 62-63).
75
Panath. 26.
76
Come dimostra il fatto che egli trae esempi dai dialoghi socratici (cfr. p.e. Soph.
El. 173a10 ss.). Socrate è espressamente menzionato nel capitolo XXXIV degli Elenchi
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Sofistici (183b7); inoltre, gli esempi proposti da Aristotele (Top. 1.12) per illustrare il
procedimento dell’induzione sembrano fare riferimento alle argomentazioni socratiche
incentrate sul modello delle technai.
77
L’attendibilità della notizia del processo e della condanna di Protagora (la fonte
più antica è Timone di Fliunte, fr. 5 Di Marco = DK 80 A12) è peraltro molto contro-
versa. Cfr., fra gli scettici, per esempio Müller 1967 e Gigon 1985; a favore, per esem-
pio Piccirilli 1997 e Capra 2000.
78
Resp. 537b ss. Cfr. Berti 1978, pp. 358-363. Il passo può anche essere interpreta-
to come una critica all’eccessiva ‘apertura’ della dialettica socratica (così Nussbaum
1980, p. 88).
79
Cfr. Ryle 1966a, p. 58: «Both Plato and Aristotle rank agonistic very low. Aristo-
tle’s strictures, however, are less wholehearted than Plato’s, though even Plato now and
then lets Socrates score by fairly unscrupolous argumentative tricks. Aristotle allows
himself to give a good many tips in eristic gamesmanship. He is, after all, a much
younger man than Plato, and probably by nature more of a controversialist».
80
In questo senso si possono leggere le molte analogie fra Topici e Confutazioni so-
fistiche. Il passo fra eristica e dialettica appare spesso davvero breve. Cfr. Dorion 1990.
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81
duskola…nein, come si ricava dalle altre occorrenze, indica un atteggiamento di o-
struzionismo dialettico da parte di un interlocutore che non ha obiezioni pertinenti e
conformi alle regole del gioco. Cfr. Top. 160b3 ss. e Soph. El. 75b35.
82
Traduzione di G. Colli lievemente modificata.
83
Si tenga presente, in proposito, il nesso fra ¢popeir©sqai e duskola…nein segnalato
nel passo del Teeteto citato sopra (154e-155a). All’atteggiamento ‘difficile’ di Protagora
fa da contraltare un atteggiamento ‘peirastico’ di Socrate.
84
Traduzioni mie.
85
Lo stesso concetto, in modo più esplicito, è espresso in Top. 159a28-33.
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86
La tesi protagorea dell’homo-mensura, che pone la verità nel consenso, costitui-
sce per il pensiero platonico una sfida formidabile e – almeno all’epoca della composi-
zione del Protagora – irrisolta. Cfr. infra, VI.3.
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ca 87, se è vero – per fare solo un esempio – che obiettivo primario della
Repubblica è la dimostrazione che la vita del filosofo sia più felice, più
buona, più piacevole, insomma superiore in tutto a quella degli altri uo-
mini 88. Nietzsche osservò che «tutta quanta l’antichità greca pensa, ri-
guardo all’astio e all’invidia, diversamente da noi, e giudica come Esio-
do, il quale da un lato designa come cattiva una Eris, quella che spinge
l’uno contro l’altro gli uomini, in una crudele lotta di annientamento, e
d’altro lato loda come buona una seconda Eris, che sotto forma di gelo-
sia, astio e invidia, stimola gli uomini all’azione, non già a una lotta di
annientamento, bensì all’agone» 89. E di questo senso di emulazione ago-
nistica è venata l’intera opera platonica, che il filosofo tedesco descrive
come «il risultato di una gara con l’arte degli oratori, dei sofisti, dei poe-
ti drammatici dell’epoca» 90. Nella fantasia di Nietzsche, questo Platone
agonista rivive per proclamare il suo trionfo:
Guardate: io sono capace di fare quello che fanno i miei grandi rivali,
anzi sono capace di farlo meglio. Non c’è un Protagora che abbia crea-
to miti così belli come ho creato io, non c’è drammaturgo che abbia crea-
to un tutto così animato e così avvincente come il Simposio, non c’è o-
ratore che abbia composto un discorso quale io presento nel Gorgia: eb-
bene, io getto via tutto quanto assieme e condanno ogni arte imitativa. 91
87
Si tratta di una tendenza che conosce naturalmente numerose eccezioni. Dover
1980, per esempio, afferma che Platone era «a nursling of Attic drama and a product,
no less than the politicians and litigants whom he criticized so articulately, of a culture
which admired the art of the persuader» (p. viii). L’agonismo sembra essere una «carat-
teristica ‘fisiologica’ dello stile greco di pensiero» ossia «una vis polemica dettata da
esigenze di autopromozione sociale, connessa con un modello ‘agonale’ di confronto
delle idee che traeva, a sua volta, alimento dalla peculiare estensione della partecipazio-
ne politica e dell’interesse per il dibattito pubblico» (Sassi 1996, p. 744).
88
Di qui il frequente ricorso a metafore agonali nella Repubblica. Cfr. in proposito
Patterson 1997, uno studio che mira a mostrare come nella Repubblica «the practice of
philosophy is one continuous agon – life’s greatest agon in fact, and the only one that
really matters» (p. 329). Per ragioni analoghe, Segal 1978 ha potuto definire la Repub-
blica come una «Odyssey of logos» (p. 329). L’uso di metafore militari, inoltre, appare
coerente e articolato (vd. Canino 1998a).
89
Nietzsche 1872, trad. it. 1991, p. 121.
90
Ivi, p. 125.
91
Ibidem (con lievi modifiche).
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te, prima di condannare l’eristica come gioco futile ed estraneo alla ri-
cerca del vero, Socrate mostra di conoscerne bene le regole, e, soprattut-
to, di saper vincere 92. Il significato del Protagora, in cui Platone e Socra-
te rivaleggiano con Aristofane e Protagora, sta anche in questa prova di
agonismo e di forza.
92
L’abilità retorica del Socrate platonico è del resto riconosciuta da molti interpre-
ti recenti. Cfr. per esempio North 1988.
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VI
1
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Per l’atteggiamento eristico di Socrate vd. le
Appendici e supra, IV e V.
2
Gorg. 449b-c; Prot. 329b-c, 334e.
3
9.53: oátoj kaˆ tÕ SwkratikÕn e!doj tîn lÒgwn ™k…nhse; l’attendibilità della notizia
è difesa da Untersteiner 19672, p. 75 nota 93.
4
Berti 1978; cfr. Ryle 1966a e Sichirollo 1973, p. 24 ss. Secondo Berti, «The only ap-
preciable external difference consisted in the fact that the Sophists had themselves been
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paid for their teaching, but not Socrates. For the rest he practiced the same method as
that of the Sophists» (p. 356). Cfr., contra, Murray 1994. Questo lavoro contiene ulte-
riore bibliografia sull’argomento.
5
Vd. da ultimo il primo paragrafo di Gentzler 1995.
6
Nehamas 1990.
7
Benson 1989.
8
Questo, in generale, è l’approccio adottato nelle interpretazioni ‘costruttiviste’
dell’elenchos, inaugurate da Vlastos 1983.
9
Ibidem. Per una critica recente di questa posizione, vd. da ultimo Bailly 1999.
10
Alcune di queste interpretazioni, in particolare quella di Kerferd 1981 (trad. it.
1988), sono discusse in Nehamas 1990.
11
Queste interpretazioni propongono un confronto fra la dialettica socratica e l’at-
tività che Platone denomina «eristica», ma nulla ci garantisce che quest’ultima sia qual-
cosa di unitario, tanto più se si considera che essa dovette evolversi nel tempo (e le te-
stimonianze platoniche sono dislocate lungo l’intero arco della sua produzione). Di fat-
to, l’unico esempio concreto di eristica – ampiamente utilizzato negli studi ricordati – è
la pratica illustrata nell’Eutidemo. Quest’ultima, tuttavia, doveva essere una forma de-
generata dell’eristica protagorea, e pare assai poco opportuno identificarla tout court
con la pratica introdotta ad Atene dal sofista di Abdera.
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solo alla scienza» 12. Ma in che modo la concezione del sapere di Socrate
si riflette sul suo metodo di confutazione?
2. LE ‘GAMBE’ DELL’ELENCHOS
12
P. 356. Un’interpretazione completamente diversa è offerta da Giannantoni 1995.
Secondo Giannantoni, il t… ™stin socratico non ha alcuna portata ontologica, mentre la
verità cercata nei dialoghi non è altro che la Ðmolog…a. Questa interpretazione mi pare
però incompatibile con luoghi quali Charm. 166d (fine del dialogare è g…gnesqai kata-
fanþj ›kaston tîn Ôntwn ÓpV œcei). Cfr. anche Charm. 169a.
13
L’ostentata ‘ignoranza’ di Socrate ha sempre costituito un problema, perché egli
dichiara di conoscere alcune verità etiche (i paradossi socratici). In genere, si cerca per-
ciò di attribuire ai termini «conoscenza» e «conoscere» significati diversi a seconda dei
contesti. Vd. per esempio Vlastos 1985, Lesher 1987, Yonezawa 1995, Graham 1997.
14
Cfr. per esempio Heinimann 1961.
15
Vd. in generale Cambiano 19912. Platone fa riferimento a precise correnti della
medicina ippocratica (vd. Vegetti 1995), e la medicina appare spesso la techne per ec-
cellenza (p.e. Joly 1961).
16
Woodruff 1990, p. 67.
17
Per i requisiti delle technai, cfr. per esempio Woodruff 1990 e La Barge 1997.
18
Secondo Rossetti 1990, le analogie socratiche «vengono accreditate dal locutore
senza che questi propriamente renda conto della loro proponibilità e pertinenza, come
se fosse superfluo farlo, come se fosse impensabile avere delle riserve sulla estensibilità
dello schema» (p. 24). Si rischia però, su questa via, di intendere il metodo socratico
solo come una strategia protrettico-retorica: così avviene in effetti in Roochnik 1996.
Gonzalez 1998 ritiene che il Lachete e il Carmide escludano l’equivalenza fra techne e
virtù (vd. in part. p. 31 ss.). Questa tesi contrasta però con la valutazione positiva delle
technai nell’Apologia, con la tesi socratica che «virtù è scienza» e con la circostanza che
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in genere è Socrate a introdurre il motivo delle tecniche. La tesi centrale del libro di
Gonzalez – stimolante e ben argomentata – è che la dialettica sia un sapere non propo-
sizionale e non ‘tecnico’, che si rivela nell’atteggiamento di Socrate durante l’indagine.
Senza entrare nei complessi problemi sollevati da Lachete e Carmide, si noti almeno che
Gonzalez non affronta altri dialoghi – come il Gorgia o lo Ione – in cui il ruolo positivo
delle tecniche, come paradigma epistemologico, è più evidente; egli dichiara però che
dialoghi come il Carmide e il Lachete sono «more revealing of the way in which Socra-
tes searches for the essential truth» (p. 15). Su quale base? Inoltre: se si ammette che la
dialettica miri a un sapere non proposizionale (che peraltro può non coincidere nei
contenuti con quello indicato da Gonzalez: vd. il tema della persuasione sviluppato nella
Premessa), ciò non esclude che questo sia l’unico obiettivo: la ricerca di un sapere poli-
tico, motivo comunissimo nei dialoghi, attinge senza dubbio al paradigma delle tecniche.
19
Cfr. Roochnik 1986.
20
Una discussione dialettica che prendesse ad oggetto un simile presupposto sa-
rebbe dunque «meta-elenctica». Il termine è impiegato in Vlastos 1983 (vd. p. 53, cfr.
p. 33 ss.). Vlastos però non pone il ricorso alle technai fra gli elementi costitutivi del-
l’elenchos. Cfr. invece Kahn 1983.
21
La cosa appare evidente nel famoso argomento della peritrope (Tht. 170e-171a):
una tesi che ÓsJ ple…ouj oŒj m¾ doke‹ À oŒj doke‹, tosoÚtJ m©llon oÙk œstin À œstin.
22
Cfr. Decleva Caizzi 1978 (in part. p. 33).
23
Come è noto, Aristotele attribuisce a Socrate la scoperta dell’induzione e degli
universali (Metaph. 1078b).
24
Questa la celebre interpretazione di Aristotele, Metaph. 987b: Swkr£touj perˆ mþn
t¦ ºqik¦ pragmateuomšnou, perˆ dþ tÁj Ólhj fÚsewj oÙqšn, ™n mšntoi toÚtoij tÕ kaqÒlou zh-
toàntoj kaˆ perˆ Ðrismîn ™pist»santoj prètou t¾n di£noian, ™ke‹non ¢podeix£menoj [scil.
Pl£twn] … Øpšlaben æj perˆ ˜tšrwn toàto gignÒmenon kaˆ oÙ tîn a„sqhtîn. Tuttavia, la
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distanza fra dialoghi socratici e della maturità non deve essere sopravvalutata, perché la
domanda socratica sfocia direttamente nella dottrina delle idee. Come osserva Trabattoni
1996, «quando il Socrate platonico pone domande del tipo: ‘che cosa tu dici che sia la
giustizia?’, oppure ‘c’è qualcosa che tu chiami giusto o no?’, l’intento di Platone è quello
di dimostrare che già nel comune pensiero e linguaggio, nella misura in cui esso si riferi-
sce a qualcosa come ‘il giusto’, è implicito un riferimento alle essenze universali» (p. 901).
25
Questo presupposto è del tutto esplicito in Aristotele. Cfr. per esempio Eth. Nic.
1139b18 ss.; Metaph. 1040a2 ss. Ma cfr. già Gorg. 449d: … ¹ ·htorik¾ perˆ t… tîn Ôntwn
tugc£nei oâsa; ésper ¹ Øfantik¾ perˆ t¾n tîn ƒmat…wn ™rgas…an: … ‡qi d» moi ¢pÒkrinai
oÛtwj kaˆ perˆ tÁj ·htorikÁj, perˆ t… tîn Ôntwn ™stˆn ™pist»mh; (cfr. anche 451d). Impor-
tante, in questo senso, è anche un passo del Cratilo (440a-c).
26
Le tecniche erano concepite come sistemi chiusi, forme di sapere che gli uomini
scoprono fino alla perfezione, senza che il progresso tecnico possa apportare cambiamen-
ti strutturali. Questa concezione è efficacemente delineata in Vernant 19712, trad. it. 19782.
27
L’esempio della spola è tratto dal Cratilo, 389a-b: T… dš; ¨n katagÍ aÙtù ¹ kerkˆj
poioànti, pÒteron p£lin poi»sei ¥llhn prÕj t¾n kateagu‹an blšpwn, À prÕj ™ke‹no tÕ e!doj
prÕj Óper kaˆ ¿n katšaxen ™po…ei;
28
Vernant 19712, trad. it. 19782, p. 313.
29
Il nesso fra techne e teoria delle idee appare evidente in dialoghi come l’Eutifrone
e l’Ippia Maggiore, dove si trovano gli embrioni della teoria. Infatti, «se è possibile par-
lare di una tecnica concernente il valore ‘santo’, essa ha come proprietà fondamentale
la conoscenza dell’idea di santo». Anche nell’Ippia Maggiore per giungere al valore ‘bel-
lo’ occorre puntare lo sguardo (¢poblšpein) verso l’idea, cioè verso «il bello in sé»
(Cambiano 19912, p. 108).
30
Per l’impossibiità del linguaggio di aderire al flusso perpetuo nella prospettiva e-
raclitea che Platone attribuisce a Protagora, vd. Tht. 183a-b.
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31
D’altra parte la connessione fra una concezione mobilista e l’eristica è sottolinea-
ta dallo stesso Platone. Cfr. Phdo. 90b-c: kaˆ m£lista d¾ oƒ perˆ toÝj ¢ntilogikoÝj lÒgouj
diatr…yantej o!sq’ Óti teleutîntej o‡ontai sofètatoi gegonšnai kaˆ katanenohkšnai mÒnoi
Óti oÜte tîn pragm£twn oÙdenÕj oÙdþn Øgiþj oÙdþ bšbaion oÜte tîn lÒgwn, ¢ll¦ p£nta t¦
Ônta ¢tecnîj ésper ™n EÙr…pJ ¥nw k£tw stršfetai kaˆ crÒnon oÙdšna ™n oÙdenˆ mšnei.
32
OÙk o!da, ð Sèkratej, œfh, ¡plîj oÛtwj, æj sÝ ™rwt´j, e„ ™moˆ ¢pokritšon ™stˆn æj
t¦ ¹dša te ¢gaq£ ™stin ¤panta kaˆ t¦ ¢niar¦ kak£: ¢ll£ moi doke‹ oÙ mÒnon prÕj t¾n nàn
¢pÒkrisin ™moˆ ¢sfalšsteron e!nai ¢pokr…nasqai, ¢ll¦ kaˆ prÕj p£nta tÕn ¥llon b…on tÕn
™mÒn, Óti œsti mþn § tîn ¹dšwn oÙk œstin ¢gaq£, œsti d’ aâ kaˆ § tîn ¢niarîn oÙk œsti
kak£, œsti d’ § œsti, kaˆ tr…ton § oÙdštera, oÜte kak¦ oÜt’ ¢gaq£.
33
Cfr. Tht. 154d.
34
Lach. 196a-b; cfr. Ion, 541e; Resp. 405b-c.
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35
DK 80 B7.
36
318d-319a.
37
Nel Carmide Crizia nega che la swfrosÚnh possa essere considerata alla stregua
di un’arte produttiva di un œrgon e Cratilo, nel dialogo omonimo, rifiuta di estendere al-
l’arte del legislatore l’osservazione, ritenuta valida per la pittura e l’architettura, che i
prodotti di un’arte possano essere più o meno belli (Charm. 165e; Crat. 429a-b). Il caso
più interessante è però offerto, nel Gorgia, dalla protesta di Callicle contro l’abitudine
socratica di tirare sempre in ballo gli artigiani in ogni discussione (491a-b).
38
Cfr. in particolare tutto il confronto fra Socrate e Gorgia nell’omonimo dialogo;
Gorgia non mette mai in dubbio che la retorica sia una techne; è invece Socrate a farlo.
Gorgia considerava la retorica la migliore delle tecniche (cfr. 448c, dove il giudizio è
posto in bocca all’allievo Polo, e Phil. 58a-b: secondo Gorgia l’arte di persuadere è ma-
krù ¢r…sth tîn tecnîn). Considerazioni analoghe si possono fare per l’Alcibiade I, dove
il modello delle technai viene proposto con insistenza nell’indagine della techne politi-
ca. Anche in questo dialogo è proposto il paragone con la lingua madre, ma esso viene
immediatamente rigettato (110d ss.).
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39
Cfr. per esempio Gorg. 467c ss.; Euthd. 278e ss.; Men. 77b ss. Le tesi centrali del-
l’etica socratica poggiano su questa presunzione.
40
La confusione fra i due termini nel Grande Discorso è descritta con cura in
Adkins 1973. Cfr. p. 6: «[…] an examination of Protagoras’ exposition shows clearly
that ¢ret» and tšcnh are being used to denote the same kind of activities. politik¾ tšcnh
and politik¾ ¢ret» have the same implications».
41
Se non nell’interpretazione di Simonide, che non ha carattere dialettico. Si po-
trebbe ritenere che questa mancanza sia dovuta all’argomento del dialogo (l’unità delle
virtù), ma a mio avviso Socrate si volge all’indagine dei rapporti fra le virtù perché non
è in condizione di attaccare direttamente le pretese conoscitive di Protagora.
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42
«All’ordinamento forte delle contrapposizioni contraddittorie e delle esclusioni
nette che ne derivano Protagora contrappone l’ordinamento debole delle somiglianze»
(Viano 1985, p. 38).
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43
L’accostamento del primo passo con i luoghi di altri dialoghi in cui Socrate ri-
chiede la regola della sincerità è operato in Vlastos 1983. Secondo lo studioso l’elen-
chos, basato su premesse vere e sulla sincerità degli interlocutori, è in grado di fornire
una dimostrazione universalmente valida della falsità delle tesi morali dei suoi interlo-
cutori. L’interpretazione di Vlastos è stata criticata per molti aspetti (gran parte della
discussione è relativa a ciò che Vlastos definisce «the problem of Socratic elenchus»:
per quale motivo Socrate e i suoi interlocutori abbandonano un’ipotesi solo perché in
contraddizione con certe premesse?), ma è rimasta a lungo salda l’idea che il metodo con-
futatorio dei dialoghi socratici sia un meccanismo unitario che richiede la sincerità de-
gli interlocutori (cfr. Kraut 1983, Kahn 1983, Brickhouse - Smith 1983, pp. 185-195,
Ioppolo 1985, Brickhouse - Smith 1991). Per qualche interpretazione meno monolitica,
vd. per esempio McTighe 1984, Woodruff 1986, Teloh 1987 (dove però il tema della
sincerità non gioca un ruolo decisivo).
44
Secondo Vlastos 1983, il secondo passo rappresenta un’eccezione alla regola del-
la sincerità, dovuta a un particolare riguardo di Socrate, deciso – attraverso la controfi-
gura dei «molti» – a offrire a Protagora la possibilità di «salvare la faccia», evitando una
confutazione esplicita. La posizione di Vlastos è criticata in Irwin 1993 non solo relati-
vamente a questa ipotesi, ma anche alla più recente spiegazione offerta da Vlastos, se-
condo la quale è la scarsa collaborazione dialettica di Protagora a spingere Socrate a
esaminare la posizione dei «molti» (Vlastos paragona il passo del Protagora a Resp.
340c1-2, 349a-b; vd. Vlastos 1991, p. 113 nota 29). Secondo Irwin, invece, «Plato so-
metimes relaxes the rule of sincerity so that he can give a hearing to positions that
would be excluded if the rule of sincerity were observed».
45
Balaudé 1997, p. 247, traduce così: «Mais pour moi, ça n’a aucune importance!
pourvu seulement que toi tu me répondes, sur le point de savoir si tu es ou non de cet
avis» (¢ll’ oÙdšn moi diafšrei, ™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV, e‡t’ oân doke‹ soi taàta e‡te m»).
Sembra tuttavia molto improbabile che la disgiuntiva dipenda da ¢pokr…nV piuttosto
che da diafšrei.
46
Gorg. 500b; Resp. 346a; Crit. 49c-d. Vd. Vlastos 1983, p. 85.
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47
Cfr. Taylor 19912, p. 132.
48
Socrate si esprime in termini (™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV … oÙdþn diafšrei) che ri-
cordano da vicino alcune parole di Eutidemo, il quale nell’omonimo dialogo afferma
che «non fa nessuna differenza (oÙdþn diafšrei) […] se solo il ragazzo sarà disposto a ri-
spondere (™¦n mÒnon ™qšlV ¢pokr…nesqai)» (Euthd. 275b-c). Pur di vincolare Protagora,
non soltanto Socrate rinuncia alla sincerità, ma invita Protagora a rispettare una delle
più severe regole del gioco eristico, ossia la necessità, come emerge dal seguito dell’Eu-
tidemo, che l’interlocutore risponda in modo netto «sì» oppure «no», senza qualificare
la risposta. In questo senso si può interpretare un’altra interessante convergenza, già ri-
cordata supra in III.6, fra Protagora ed Eutidemo: in entrambi i dialoghi si presume che
uno dei due interlocutori «comandi» (Prot. 351e: sÝ g¦r kaˆ kat£rceij toà lÒgou Euthd.
287d: sÝ g¦r ¥rceij). Socrate è costretto a confutare l’avversario sul piano verbale, fa-
cendo valere, in tutta la loro severità, le regole della pratica eristica: colui che «coman-
da» la discussione esige risposte nette da colui che risponde.
49
Se cioè – come poi spiega Socrate – non esiste una verità oggettiva, ma per ogni
individuo si dà una verità privata (vd. infra, VII.2). In termini aristotelici, Protagora viola
il principio di non contraddizione (cfr. in proposito Classen 1988). Nel Teeteto, dove è
offerto un accurato esame teoretico della posizione protagorea, Protagora stesso è ca-
ratteristicamente assente perché morto, quasi che una confutazione diretta del sofista
non fosse davvero possibile (cfr. McCabe 1998).
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50
Cfr. per esempio Woodruff 1985: «What Protagoras said was plausible, for one
who did not care to seek essences; and Plato’s opposition too was plausible, for one
who did. Protagoras’ concern was with handling language, Plato’s with essential reality;
and that is why it has been hard to see the real Protagoras behind Plato’s report of
him» (p. 114).
51
Cfr. per esempio Burnyeat 1976b, Chappell 1995, Fine 1998.
52
Cfr., per l’antichità, Burnyeat 1976a, e, fino ai nostri giorni, Cassin 1992.
53
Così Balaban 1999, p. xvi.
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dalle parole di Prodico: nelle pagine che seguono sarà preso in esame il
ruolo del pubblico nel determinare le sorti dell’agone, e si metterà in lu-
ce l’abilità con cui Socrate ne conquista progressivamente il consenso fi-
no alla vittoria.
All’ingresso di Socrate nella casa di Callia, i presenti appaiono pre-
giudizialmente favorevoli a Protagora. Questi è presentato come un no-
vello Orfeo, capace di incantare i suoi allievi, che, ammaliati (kekhlhmš-
noi), lo seguono in atteggiamento reverente (315b) 54. Protagora, conscio
del fascino che esercita sugli astanti, dichiara poi la sua netta preferenza
(polÚ moi ¼diston) perché la discussione avvenga pubblicamente, di fronte
a tutti, piuttosto che in un tête à tête con Socrate e Ippocrate (317c-d) 55.
Il pubblico, stregato dalla parola ornata di Protagora, più volte in-
terviene direttamente durante la discussione. In 334b-c, come si è visto,
l’excursus di Protagora sulla relatività del bene riscuote l’approvazione
dei presenti. Nel corso della discussione sulle regole dialettiche, in segui-
to all’intervento di Prodico ricordato sopra, Socrate mostra di apprezza-
re pienamente l’importanza del pubblico, che sottopone a un piccolo ri-
catto; egli minaccia infatti di andarsene a meno che Protagora non ri-
nunci ai discorsi retorici, rifiuta la proposta, emersa nel corso della di-
scussione e accolta dai presenti (338b), di adottare un singolo arbitro, e
propone invece una supervisione comune che faccia rispettare alcune re-
gole: il sofista interrogherà per primo, ma poi dovrà cedere l’iniziativa a
Socrate, e rispondere con brevità. I presenti devono farsi garanti tutti in-
sieme (koinÍ) dell’accordo preso, e presiedere insieme al confronto dia-
lettico (p£ntej koinÍ ™pistat»sete); la proposta di Socrate è accolta da
tutti (™dÒkei p©sin, 338b-e). Il filosofo segna così un primo punto a suo
favore: compiacendo il palese desiderio dei presenti di intervenire nella
discussione (335c ss.), egli riesce astutamente a far approvare anche la
proposta che Protagora debba rispondere con brevità alle domande.
Nel corso dell’esegesi di Simonide, Protagora pone in contraddizio-
ne Socrate e riesce a scatenare l’entusiasmo del pubblico: il sofista – rac-
conta Socrate – «strappò lodi ed un fragoroso applauso a molti degli
spettatori. E io dapprima, come colpito da un buon pugile, vidi nero e
fui preso da vertigine quando finì di parlare e gli altri applaudirono fra-
54
Grazie alla magia del suo eloquio Protagora riesce addirittura, per un po’, ad in-
cantare Socrate (328d, anche Socrate è kekhlhmšnoj).
55
Socrate, forse perché consapevole della minaccia rappresentata da un pubblico
di fans di Protagora, chiede espressamente che anche Prodico e Ippia, con i rispettivi
seguaci, assistano alla discussione (317d). Costoro, si può osservare, non fanno parte
della claque degli ammiratori di Protagora, ma sono due potenziali concorrenti del mae-
stro di Abdera. Il coinvolgimento di Prodico e Ippia risulterà in effetti decisivo per il suc-
cesso finale di Socrate.
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56
Vd. Appendici, 3.
57
I «molti», menzionati spesso da Platone, tendono a costituire l’antitesi dell’e-
sperto e del filosofo. Cfr. la monografia di Voigtländer 1980.
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58
Su questo punto, cfr. le osservazioni finali in Capra 1997. A conclusioni simili
perviene, per via indipendente, Sicking 1998, p. 197.
59
351b-e.
60
Per un’analisi dell’argomentazione, cfr. Appendici, 6 e 7.
61
Socrate spesso parla di ricerca comune, ma si riferisce al confronto dialettico che
ha luogo fra due persone (chi interroga e chi risponde), mai ad un intervento degli
spettatori capace di decidere del confronto. Cfr. Charm. 158d; Crit. 46d; Prot. 330b.
Tutti questi passi contengono un invito a ricercare insieme (skope‹n/skšptesqai koinÍ)
dialetticamente la soluzione di un dato problema.
62
Pîj g¦r ¥n, ð Sèkratej, ™legcqe…hj, Ó ge p©sin doke‹ kaˆ p£ntej soi martur»sousin
oƒ ¢koÚontej Óti Ñrqîj lšgeij. Più volte, nel corso del dialogo, Ippia mostra di tenere in
conto il giudizio del pubblico, che può «ridicolizzare» (forme di katagelî) uno degli
interlocutori.
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63
OÙk o‡ei ™xelhlšgcqai, ð Sèkratej, Ótan toiaàta lšgVj § oÙdeˆj ¨n f»seien ¢nqrè-
pwn ; ™peˆ ™roà tina toutwn….
64
e„ mþn oân ple…ouj Ãmen, oÙk ¨n ¥xion Ãn de‹sqai: ¢prepÁ g¦r t¦ toiaàta pollîn
™nant…on lšgein ¥llwj te kaˆ thlikoÚtJ: ¢gnooàsin g¦r oƒ polloˆ Óti ¥neu taÚthj tÁj di¦
p£ntwn diexÒdou te kaˆ pl£nhj ¢dÚnaton ™ntucÒnta tù ¢lhqe‹ noàn sce‹n.
65
•An mþn to…nun, Ãn d’ ™gè, ¢ntikatate…nantej lšgwmen aÙtù lÒgon par¦ lÒgon, Ósa
aâ ¢gaq¦ œcei tÕ d…kaion e!nai, kaˆ aâqij oátoj, kaˆ ¥llon ¹me‹j, ¢riqme‹n de»sei t¢gaq¦
kaˆ metre‹n Ósa ˜k£teroi ™n ˜katšrJ lšgomen, kaˆ ½dh dikastîn tinwn tîn diakrinoÚntwn
dehsÒmeqa: ¨n dþ ésper ¥rti ¢nomologoÚmenoi prÕj ¢ll»louj skopîmen, ¤ma aÙto… te dika-
staˆ kaˆ ·»torej ™sÒmeqa.
66
Analogo ai passi citati, e in particolare a quello del Fedone, è un luogo degli
Amanti, dialogo peraltro di autenticità molto dubbia. Vd. 135c-d: ’HrÒmhn d’ aÙtÕn [si
tratta di un amante di due fanciulli descritti al principio del dialogo come ™r…zonte,
132a-b] e„ oÙk ¢dÚnaton e‡h dÚo mÒnaj tšcnaj oÛtw maqe‹n tÕn aÙtÒn, m¾ Óti poll¦j kaˆ
meg£laj: Ð dš, M¾ oÛtwj mou, œfh, Øpol£bVj, ð Sèkratej, æj lšgontoj Óti de‹ ˜k£sthn tîn
tecnîn tÕn filosofoànta ™p…stasqai ¢kribîj ésper aÙtÕn tÕn t¾n tšcnhn œconta, ¢ll’ æj
e„kÕj ¥ndra ™leÚqerÒn te kaˆ pepaideumšnon, ™pakolouqÁsa… te to‹j legomšnoij ØpÕ toà dh-
miourgoà oŒÒn t’ e!nai diaferÒntwj tîn parÒntwn, kaˆ aÙtÕn xumb£llesqai gnèmhn, éste
doke‹n carišstaton e!nai kaˆ sofètaton tîn ¢eˆ parÒntwn ™n to‹j legomšnoij te kaˆ prat-
tomšnoij perˆ t¦j tšcnaj.
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67
Sull’influenza degli spettatori, vd. per esempio Hall 1995, il quale osserva che «in
classical Athens an isomorphism characterised dramatic festivals, athletic competitions,
meetings of the assembly, and court cases. They all developed out of the tradition of
the aristocratic competition, the agon, but they all involved a small number of elite in-
dividuals competing in front of an audience, often a very large audience, of citizens» (p.
39). Vd. anche Bers 1985, che analizza diverse occorrenze di qÒruboj e affini nella sto-
riografia, nella commedia, nei trattati di retorica e – naturalmente – negli oratori. In
particolare sul fenomeno della ‘corona’, vd. Lanni 1997.
68
Cfr., per il qÒruboj degli spettatori, Prot. 334c, 339d-e; Euthd. 276b, 276d, 303b.
69
Euthd. 304b. Che il fracasso della folla plaudente sia un elemento tale da com-
promettere l’educazione dei giovani, è detto in Resp. 492a ss. (per questo raffronto, vd.
Decleva Caizzi 1996, p. 112).
70
¢ll’ ™ke‹ oá lšgw, ™n to‹j dika…oij kaˆ ¢d…koij kaˆ Ðs…oij kaˆ ¢nos…oij, ™qšlousin
„scur…zesqai æj oÙk œsti fÚsei aÙtîn oÙdþn oÙs…an ˜autoà œcon, ¢ll¦ tÕ koinÍ dÒxan
toàto g…gnetai ¢lhqþj tÒte, Ótan dÒxV kaˆ Óson ¨n dokÍ crÒnon (172b). Il criterio del tÕ
koinÍ dÒxan può essere considerato come una soluzione all’aporia della tesi dell’homo-
mensura: le opinioni sono tutte vere e tutte false, ma il criterio del consenso permette di
salvare il ruolo del sofÒj, che può legittimamente proporsi come maestro. Così per e-
sempio ’AlatzÒglou 1984.
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71
Per il motivo della scol» in Platone, vd. Isebaert 1992. La scol» è una nozione
molto importante nei dialoghi platonici, perché la disponibilità di tempo costituisce
«die Voraussetzung für Philosophie überhaupt» (Rittner - Grunder 1984, s.v. Musse).
72
Si può osservare che nel Teeteto non si parla soltanto dell’assemblea popolare,
ma anche dei tribunali kaˆ to‹j toioÚtoij (172c), un’espressione che potrebbe alludere
agli agoni eristici.
73
Sulla scena comica della ‘porta chiusa’ nel Protagora, vd. supra, II.3.
74
Cfr. Weiss 1985, p. 334: «The dialogue begins (310a-314c) with Socrates cau-
tioning the young and impressionable Hippocrates to be on his guard against the elo-
quence and expert sales tecniques of the sophists. The warning is undoubtedly meant
for the reader as well. It is offered, significantly, outside the home of Callias before So-
crates and Hippocrates enter the den of sophistry».
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75
Un proverbio, citato da Aristotele, dice che «gli schiavi non hanno tempo» (oÙ
scol¾ doÚloij, Pol. 7.15.1334a20-21). Il proverbio si adatta perfettamente ai retori del
Teeteto, schiavi della clessidra, nonché agli abitanti della casa di Callia, schiavi dei pia-
ceri. Come emerge dal mito del Politico, la scol» è la circostanza in cui il filosofo si di-
stingue dalle bestie, intente solo a rimpinzarsi (272b-d).
76
Tale rischio sembra adombrato anche dalle parole del portinaio, il quale, senten-
do la conversazione fra Socrate e Ippocrate, esclama: «Basta, altri sofisti!» nel timore
che anche Socrate e Ippocrate si aggiungano al coro di scrocconi che si sono installati
nella casa di Callia.
77
Cfr. supra, II.7.
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78
Questa contraddizione è efficacemente delineata in Di Benedetto 1985, p. 43 ss.
79
Sul rapporto fra elenchos e procedimenti matematici, è importante il saggio di
Vlastos 1988. Vlastos mostra come nei dialoghi di Platone (non soltanto nella Repubbli-
ca) l’adozione di procedimenti matematici segni l’abbandono dell’elenchos socratico.
La puntuale analisi di Vlastos presuppone tuttavia un’interpretazione evoluzioni-
sta (Platone maturo avrebbe voltato le spalle al metodo del maestro) che non condivi-
do, parendomi che la polarità fra elenchos e procedimenti matematici – pur senza esclu-
dere una certa evoluzione del pensiero platonico – sia piuttosto il segno di un piano di-
dattico, come nella Repubblica: gli schiavi dell’apparenza devono prima essere amman-
siti tramite la confutazione (come accade anche con Trasimaco), poi condotti fuori dal-
la caverna tramite la matematica.
80
Cfr. Resp. 493a: “Ekastoj tîn misqarnoÚntwn „diwtîn, oÞj d¾ oátoi sofist¦j ka-
loàsi kaˆ ¢ntitšcnouj ¹goàntai, m¾ ¥lla paideÚein À taàta t¦ tîn pollîn dÒgmata, §
dox£zousin Ótan ¡qroisqîsin, kaˆ sof…an taÚthn kale‹n.
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81
356d ss. La rilevanza di questo ritorno alla matematica da parte del sofista è stata
messa in luce molti anni fa da Grube 1933; l’accettazione di un calcolo edonistico co-
stringe Protagora a ritrattare la netta distinzione che egli aveva operato fra deliberazio-
ne ed arti (matematiche).
82
Considerazioni analoghe valgono per la prima discussione intorno al coraggio,
dove Socrate cerca di dimostrare che il coraggio coincide con il possesso di una tecnica.
83
Il che può essere considerato come una risposta all’excursus di Protagora sulla re-
latività dell’utile. Cfr. Szlezák 1985, trad. it. 1988, p. 246. Vd. anche Kube 1969, p. 151.
84
Si tratta dunque di una strana vittoria, al punto che si è potuto suggerire che
«Socrates’ moments of victory over Protagoras are apparently by means of logical con-
tradiction», ma in realtà egli «is instead victor by means of metaphor» (Rohrer 1995).
85
Per questa contrapposizione, che mette provocatoriamente in discussione le am-
bizioni di Protagora, cfr. Capra 1997. Per il primato che Protagora assegna alla politica
come arte capace di garantire la «salvezza», vd. Lami 1975.
86
Prot. 361b: p£nta cr»mat£ ™stin ™pist»mh. Cfr. DK 1: ¥nqrwpoj mštron p£ntwn crh-
m£twn. Non l’uomo misura ‘tutte le cose’, ma la scienza che è, per l’appunto, una scien-
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7. CONCLUSIONE
VII
FIGURAZIONE DRAMMATICA:
ALLA RICERCA DELL’UNITÀ
«Uno dei più bei doni che la sorte ci abbia tramandato dall’antichità»:
così Hegel, nelle lezioni sulla storia della filosofia, presentava i dialoghi
di Platone ai suoi studenti. Il dono pare tanto più bello perché, vero mo-
numentum aere perennius, si staglia sul panorama di rovine formato dai
resti della letteratura classica, sicché la conservazione integrale dell’ope-
ra platonica appare poco meno che un miracolo. Nel concedere questo
mirabile dono, la sorte non ha però dimenticato l’ironia, se solo si pensa
che il privilegio della conservazione è toccato proprio a un autore che teo-
rizza con vigore la superiorità dell’oralità sulla scrittura. Il seme verace
che deve dare frutto nell’anima filosofa è per Platone l’oralità dialettica,
mentre lo scritto non è che un gioco, un seme di breve momento, di fio-
ritura graziosa ma effimera (Fedro, 276b ss.). Eppure nell’era moderna è
accaduto proprio il contrario: dal Rinascimento in poi, quando l’Accade-
mia non era ormai che un lontano ricordo, solo gli scritti ‘effimeri’ di
Platone hanno potuto dare frutto, e i dialoghi – opere letterarie e pro-
trettiche – sono stati letti come trattati filosofici ‘seri’ cui si pensa affida-
ta (tutta) la dottrina dell’autore. E la straordinaria abbondanza dei frutti
ha permesso di affermare addirittura, con una significativa metafora scrit-
toria, che «l’intera filosofia occidentale è una serie di note in calce all’o-
pera di Platone».
Questo dunque è il formidabile paradosso con cui l’odierna storio-
grafia platonica deve confrontarsi, un’aporia che almeno in parte giusti-
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Teeteto, 161e-162a:
Come faremo a trattenerci dal dire che Protagora faceva queste affer-
mazioni [scil. la tesi dell’homo-mensura] per ingraziarsi la folla? Per
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In questo passo appare del tutto chiaro che il relativismo protagoreo mi-
na la ragion d’essere dell’interrogare socratico. Nel Protagora, Socrate
cerca di stabilire rapporti oggettivi fra le diverse parti delle virtù, che e-
gli ritiene identiche fra loro. Tuttavia il sofista non accetta questo mo-
do di procedere, e interrompe l’interrogare socratico con una sorta di
excursus relativistico, che di fatto nega la legittimità delle domande so-
cratiche (la giustizia è santa? la santità è giusta? ecc.). Ogni cosa è utile o
buona – e per implicazione anche santa, giusta ecc. – non di per sé, ma
relativamente a qualcuno o a qualcosa, e a seconda del momento. Parla-
re di giustizia, santità, saggezza in sé non ha evidentemente senso, giac-
ché «il bene è variopinto e multiforme» (334b). Il discorso di Protagora
strappa l’applauso dei presenti: ecco allora che Socrate, poco oltre, accu-
sa il sofista di demagogia (336b). Poiché non gli riesce di convincere
Protagora a parlare con maggiore brevità, Socrate si alza per andarsene,
adducendo la scusa di un impegno (335c-d). Si osservano dunque due
casi di prefigurazione drammatica:
1 il relativismo protagoreo, che nel Teeteto è giudicato come un esca-
motage per ingraziarsi la folla, nel Protagora suscita effettivamente
l’applauso chiassoso della folla;
2 l’incompatibilità fra relativismo e interrogare socratico viene ‘agita’
da Socrate, che fa per andarsene: fin da ora è chiaro che l’interroga-
re socratico davvero non ha senso, «se è nel vero La Verità di Prota-
gora».
Nel Teeteto, è presa di mira la tesi protagorea secondo cui ogni cosa è
vera per il singolo o per la comunità cui sembra tale. Proprio questa po-
sizione – osserva Socrate – implica che la dottrina dell’homo-mensura sia
falsa, nella misura in cui essa non ‘sembra’ vera agli uomini. È il celebre,
controverso argomento della peritrope: il criterio del consenso si ritorce
contro il relativista. Ora nel Protagora, rispetto agli altri dialoghi, il ‘pub-
blico’ dei personaggi presenti gioca un ruolo del tutto eccezionale: i sofi-
sti e i loro seguaci prima applaudono fragorosamente il relativismo di
Protagora, il quale afferma che il bene è cangiante e variegato (334c); al-
la fine, invece, approvano con entusiasmo la tesi edonistica proposta da
Socrate per cui tutti gli uomini tendono per natura a un unico bene: il
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CONCLUSIONI 173
3. CONCLUSIONI
«Un dialogo platonico è un’unità composta dalla forma della sua presen-
tazione (dialogo), dalla sostanza che viene proposta all’attenzione (con-
tenuto) e dal metodo della filosofia (dialettica)» (Kent Moors). «Forma»,
«contenuto» e «metodo», dunque. Questa grande tripartizione, in effet-
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ti, si rispecchia bene nella storia degli studi platonici, che possono certa-
mente essere classificati con questo criterio: studi di carattere letterario,
filosofico, metodologico. In questa ricerca ho cercato di trarre profitto
da tutte, nel tentativo di rispettare l’unità del dialogo: il contenuto è un
problema filosofico (irriducibilità della posizione protagorea) che deter-
mina il metodo eristico del dialogo, che a sua volta reclama una forma co-
mica.
Molti studi platonici, ieri come oggi, si ispirano alla celebre massima
di Leibniz: «Chi riducesse Platone a sistema, renderebbe un grandissimo
servizio all’umanità». È un’operazione legittima, che nei secoli ha dato
frutti straordinari. Ma c’è un prezzo: si rischia di spezzare l’unità del dia-
logo. Nel risalire dalla forma al metodo e dal metodo al contenuto mi so-
no sforzato di non appiattire i dialoghi di Platone lungo una soltanto di
quelle direttrici, di cogliere il Protagora secondo tutti e tre i punti di vi-
sta. Naturalmente, questo processo ha dovuto assumere un’esposizione
lineare che mi ha condotto a ritroso dagli effetti alle cause, benché nel
dialogo cause ed effetti si manifestino allo stesso tempo. Se non ci si vuo-
le esprimere per metafore e allegorie è inevitabile che il discorso prenda
un andamento analitico, che rischia di tradire proprio il carattere pecu-
liare del dialogo: l’unità organica dei tre momenti. Come ovviare – sia
pure molto parzialmente – a questo rischio?
Il concetto di unità organica è caratteristicamente platonico: ogni di-
scorso, dice Socrate nel Fedro, «deve essere composto come un organi-
smo (zùon) dotato di un corpo, in modo che non risulti senza testa e sen-
za piedi, ma abbia le parti mediane e quelle estreme scritte in maniera a-
deguata l’una rispetto all’altra, e rispetto al tutto» (264c). Poco oltre, So-
crate descrive l’azione del buon dialettico, che consiste «nel saper taglia-
re secondo le idee, secondo le articolazioni naturali, e nel cercar di non
spezzare nessuna parte, come invece fa un cattivo scalco» (265e). In que-
sta ricerca, ho cercato per quanto potevo di imitare il buon dialettico di
Platone, senza ‘macellare’ il Protagora secondo forme di sistematizzazio-
ne e di discorso (il trattato filosofico) che sembrano estranee. In questo
modo, non si compromette l’altro procedimento caratteristico del metodo
dialettico, ossia la sinossi, la capacità di cogliere l’insieme (Fedro, 265d):
il concetto di ‘figurazione drammatica’, a conclusione del discorso, vor-
rebbe cogliere sinotticamente l’unità organica del Protagora, giacché in-
teressa la forma (struttura comica), il metodo (la tensione fra dialettica
ed eristica demagogica) e la filosofia (il confronto con le tesi protagoree)
del dialogo. Se non sono stato un ‘cattivo scalco’, mi piacerebbe che
questa ricerca fosse un contributo al difficile compito di una compren-
sione unitaria dei dialoghi, lungo la via segnata nell’800 da Friedrich
Schleiermacher. Senza però dimenticare lo spirito del gioco, così impor-
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CONCLUSIONI 175
tante nella scrittura platonica: è infatti nella paidià letteraria che l’unità
del dialogo si realizza. A mo’ di congedo, ecco dunque le parole quasi
identiche di Platone e Aristofane, a conclusione del Fedro (metr…wj
pepa…sqw ¹m‹n) e delle Tesmoforiazuse (pšpaistai metr…wj ¹m‹n):
APPENDICI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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178 APPENDICI
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APPENDICI
180 APPENDICI
1. SANTITÀ E GIUSTIZIA
«Protagora», 331a6-332a1
1
Symp. 201e-202a: OÙk eÙfhm»seij; œfh: À o‡ei, Óti ¨n m¾ kalÕn Ï, ¢nagka‹on aÙtÕ
e!nai a„scrÒn Euthd. 276b: OÙkoàn e„ m¾ sofo…, ¢maqe‹j; – P£nu ge. Vd. Klosko 1979, p.
131. Cfr. Prot. 346d. Quest’ultimo passo è però meno direttamente confrontabile con il
nostro. Cfr. Klosko 1979, p. 131.
2
Cfr. Taylor 19912, pp. 113-114, che intende però il paralogismo nel senso che sia
«non-giusto» sia «ingiusto» sono trattati, indebitamente, come termini contraddittori.
Cfr. anche McKirahan 1985, pp. 342-354. Weiss 1985 e Wakefield 1987 difendono in-
vece l’argomentazione di Socrate.
3
Cfr. Klosko 1979, p. 133. Secondo McKirahan 1985, Protagora è costretto a ri-
nunciare alla tesi dell’indipendenza delle virtù (la possibilità di possederne una senza a-
vere l’altra), ma la sua obiezone è valida; il sofista si attesta così su una posizione diver-
sa da quella iniziale ma meglio difendibile: «No action can be both just and unholy, but
one (say, repaying a loan) which is just to do and unjust to omit may simply be outside
the province of holiness, counting as neither holy nor unholy».
4
Vd. Stokes 1986, p. 282 ss.
5
Taylor 19912 ravvisa nell’argomentazione una confusione fra diversi sensi di «co-
me» (oŒon) (p. 111 ss.).
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182 APPENDICI
L’inganno messo in atto da Socrate, più che sulla confusione fra termini
contrari e contraddittori, consiste proprio in questo slittamento progres-
sivo 6 [b].
2. SAPIENZA E SAGGEZZA
«Protagora», 332a2-333b6
6
Questa soluzione, senza escluderla, permette di ricondurre a un punto di vista
più consono alle indicazioni dei dialoghi la confusione fra termini contrari e contrad-
dittori che, come tale, non è mai teorizzata esplicitamente nei dialoghi.
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184 APPENDICI
7
Inoltre, il verbo ¢nalog…zomai, che suggerisce una comprensione consistente nel
mettere insieme diversi dati (cfr. Resp. 524d-e; 618c), non ha altre attestazioni nei dia-
loghi giovanili. Il solo confronto possibile, nei dialoghi socratici, è dato da Gorg. 479c e
498e, dove è impiegato il verbo sullog…zomai. In questi passi Socrate propone all’inter-
locutore di ripercorrere le conclusioni che emergono dal discorso, ma lo scopo dichia-
rato non è quello di rilevare una contraddizione, bensì di ripetere quanto detto in pre-
cedenza allo scopo di persuadere un interlocutore scarsamente propenso ad accettare
conclusioni che esulano dalla sua mentalità.
8
Cfr. Klosko 1979, p. 133 ss. e Taylor 19912, p. 125. Secondo Klosko 1979 (p. 135)
Socrate è colpevole di un altro paralogismo: equivocazione sul significato duplice di
¢frosÚnh.
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9
Cfr. Sullivan 1961, pp. 10-28: «The premiss that everything which has an oppo-
site has only one opposite is untrue. Not only is the very term extremely vague but Pla-
to elsewhere himself recognises the distinction between contrary and contradictory,
which may both be called opposites (cf. e.g. Prot. 346d, 351d, Men. 91c, Symp. 201e,
cp. Resp. 584e)».
10
Cfr. Goldberg 1982, p. 117.
11
Si deve notare che, per costringere Protagora a individuare due contrari di ¢fro-
sÚnh, Socrate per prima cosa bada ad assicurarsi l’assenso del sofista alla tesi, nient’af-
fatto scontata, che quest’ultimo termine sia l’opposto di sof…a, mentre solo in un secon-
do momento propone, attraverso la forzatura che ho sottolineato, la swfrosÚnh come
nuovo termine contrario. Ora, il termine ¢frosÚnh, piuttosto raro, morfologicamente
richiama da vicino swfrosÚnh: difficilmente Protagora poteva sottrarsi al tentativo so-
cratico di contrapporre i due termini. Devo l’osservazione a Leszl 1992-1993, pp. 57-58.
12
La rapidità è considerata come un’abilità tipicamente eristica in Soph. El. 174a 17-
20: œsti d¾ prÕj tÕ ™lšgcein ÿn mþn mÁkoj … ÿn dþ t£coj: Øster…zontej g¦r Âtton proorîsin.
13
Euthd. 276c: prˆn ¢napneàsai kalîj te kaˆ eâ tÕ meir£kion … Ð DionusÒdwroj …
œfh 298e: Kaˆ aâqij tacÝ Øpolabën Ð DionusÒdwroj, †na m¾ prÒterÒn ti e‡poi Ð Kt»sip-
poj 300d: œfh Øfarp£saj Ð DionusÒdwroj.
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186 APPENDICI
Socrate, come principio di una buona ricerca dialettica, afferma che non
bisogna strapparsi le risposte di bocca (proarp£zein), ma ripetere, al li-
mite, le stesse domande più di una volta in modo che l’interlocutore
possa sviluppare la propria ipotesi come meglio crede (454b-c) [b].
La speciosità dell’argomentazione socratica appare inoltre evidente,
come è stato osservato 14, se si considera che nel Lachete Socrate propo-
ne, quale contrario di ¢frosÚnh, un termine ancora diverso: la frÒnhsij
(192c-d); il contrario più comune di sof…a è invece ¢maq…a, e nella parte
conclusiva del Protagora Socrate dice che «la conoscenza (sof…a) delle
cose temibili è contraria all’ignoranza (¢maq…a) di esse» [b]. È chiaro in-
somma che Socrate gioca con le parole, una pratica che Platone condan-
na nell’Eutidemo e, più esplicitamente, nella Repubblica, dove si sostiene,
a proposito della tecnica antilogica, che molti «non sono in grado di svi-
scerare l’argomento trattato, dividendolo per generi, e nel discorso van-
no a caccia di contraddizioni solo giocando sulle parole (kat’ aÙtÕ tÕ
Ônoma): insomma, usano l’uno contro l’altro l’eristica, non la dialettica»
(454a) 15 [b].
Dopo la ‘dimostrazione’ dell’identità di saggezza e sapienza, Socrate,
senza soluzione di continuità, affronta il rapporto fra giustizia e saggez-
za. Lo scambio dialettico è però interrotto da un intervento del narrato-
re, che rivela l’atteggiamento poco conciliante di Protagora (333d1-3),
un’osservazione ripresa poche righe sotto, laddove Socrate racconta che
Protagora, ormai chiuso a riccio, non era più disposto a rispondere alle
domande dell’interlocutore (333e2-5). Protagora, di fatto, interromperà
l’argomentazione relativa a saggezza e giustizia con un lungo excursus
sulla relatività del bene (334a-c), che strappa l’applauso ai presenti e po-
ne il problema se la discussione debba essere svolta per lunghi discorsi o
per brevi domende e risposte 16. La scontentezza di Protagora può essere
indice della speciosità dell’argomentare socratico, che viene avvertito
come eccessivamente teso e competitivo; questa impressione è confer-
mata dalla discussione relativa ai modi del discutere (334d ss.): Alcibiade
(336b-d) e Crizia (336d-e) danno per scontato il carattere agonale della
discussione, e Prodico invita esplicitamente i dialoganti a non cadere
nella contesa (™r…zein, 337b) [a].
14
Leszl 1992-1993, p. 58.
15
Fra gli esempi di argomentazione non dialettica perché rivolta appunto al nome
e non alle cose, Aristotele pone proprio quella che non tiene conto dei diversi significa-
ti di uno stesso termine (vd. in part. Top. 108a17-36), e sottolinea in particolare che il
rapporto univoco di contrarietà fra due concetti spesso si perde nel linguaggio, dove ta-
lora uno stesso termine può avere più di un contrario (106a9 ss.).
16
Per una ricostruzione di questo abbozzo di argomentazione, vd. Eisenstadt 1981.
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Socrate nega che il poeta possa dire che «difficile è essere veramente
buono […] come se vi fossero alcuni veramente buoni, e altri buoni, ma
17
Cfr. per esempio Wilamowitz 1919, p. 147, Pfeiffer 1968, trad. it. 1973, p. 86,
Guthrie 1975, p. 219. Per un’estesa bibliografia, vd. Giuliano 1992. Lo studioso è pe-
raltro il solo ad aver sostenuto la sostanziale serietà dell’interpretazione socratica, insie-
me – seppur in modo più sfumato – a Demos 1999 (vd. il cap. dedicato al Protagora).
18
Basti qui ricordare, brevemente, i principali misfatti esegetici di Socrate, nella
sintesi che ne offre uno studioso del Protagora: «As in the etymology section of the Cra-
tylus, there is here both brilliant sense and nonsense; but the latter is too obvious to be
missed. Socrates commits to just about every sin of interpretation: 1) he puts words to-
gether that clearly do not belong together (lines 2, 18-19); 2) he ignores bits of text that
would be difficult to harmonize with his thesis (lines 14, 19-20); 3) he puts in words
that are no part of the poem (line 24) and even goes so far as to cite another poet for
support (344d); 4) he does not hesitate to twist the text so as to have Simonides discuss
a question regarding his own praising of Pittacus, rather than that of his praising men
generally (lines 21-26); and, above all, 5) he imputes philosophic doctrines to Simo-
nides of which there is no trace in the poem (lines 8-9, 10-11, 18-19)» (Weingartner 1973,
pp. 100-101).
19
Vlastos 1991, trad. it. 1998, p. 136.
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188 APPENDICI
Che l’interpretazione di Socrate non debba essere presa sul serio, appare
evidente anche dal fatto che il luogo citato sopra dell’Encomio a Scopas,
in una fase precedente della discussione, era già stato parafrasato da So-
crate senza nessun accenno all’interpretazione secondo la quale ¢laqšwj
qualificherebbe calepÒn 22. D’altra parte, nel corso della disputa esege-
tica, Socrate si contraddice apertamente: di fronte alle obiezioni di Pro-
tagora, egli sostiene di sapere benissimo che calepÒn non può significare
«cattivo» – come pure in precedenza aveva sostenuto – e con disinvoltu-
ra sceglie una nuova linea di argomentazione, dichiarando di aver parla-
to per scherzo (pa…zein, 341d), per mettere alla prova l’avversario 23. Al
termine del lungo discorso in cui offre un’interpretazione complessiva
del carme simonideo, inoltre, lo stesso Socrate, riguardo alla pratica del-
l’esegesi poetica, formula un giudizio negativo e inequivocabile (347c ss.).
20
O, per meglio dire, l’avverbio qualifica l’intera proposizione «veramente è difficile
diventare buono» (e non esserlo, come sosterrebbe Pittaco). Cfr. Giuliano 1992, p. 144 ss.
21
t¦j tÚcaj o‡sei k£llista kaˆ p£ntV p£ntwj ™mmelîj Ó g’ æj ¢lhqîj ¢gaqÕj kaˆ te-
tr£gwnoj ¥neu yÒgou (Eth. Nic. 1.10.1100b20).
22
Scodel 1986, p. 31: «Socrates has already paraphrased the line twice (339d, 340b),
without giving any sign of being offended by the obvious meaning of the line».
23
Cfr. la sintetica presentazione di Cherniss 1950: «I should think it obvious that
any attempt to interpret the section concerned with the dicussion of Simonides’ poem
would involve consideration of 338e-339a where Protagoras states his reason for intro-
ducing this subject, 347c-e where Socrates says what he thinks of all such discussions,
and 341d where Socrates declares the preceding interpretation a joke to test Protago-
ras». Cfr. anche Manuwald 1999, p. 367.
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Socrate propone ora un approccio al testo che a mio avviso ricorda mol-
to da vicino quello esibito da Ippia nell’Ippia Minore. Attraverso la cita-
24
Già in precedenza, del resto, Protagora aveva opposto sensate obiezioni all’inter-
pretazione socratica. Cfr. 340d-e.
25
Si deve anche osservare che la citazione dei versi di Esiodo relativi alle diverse vie
di virtù e viltà è probabilmente dovuta al fatto che di questi versi Prodico aveva fatto u-
so nell’apologo di Eracle al bivio. Cfr. Giuliano 1992, p. 130.
26
Vd. Giuliano 1992.
27
343c: ¤pan tÕ «sma 344b: ¢ll¦ tÕn tÚpon aÙtoà tÕn Ólon diexšlqwmen kaˆ t¾n
boÚlhsin, Óti pantÕj m©llon œlegcÒj ™stin toà Pittake…ou ·»matoj di¦ pantÕj toà °smatoj.
Vd. Giuliano 1992, p. 152 ss.
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190 APPENDICI
28
Secondo un principio, dunque, retorico e non dialettico. Cfr. Resp. 348a-b.
29
Si deve osservare che Ippia pare considerare il discorso continuo, in contrapposi-
zione con la dialettica socratica, come la condizione per ritornare al testo: in effetti l’ap-
proccio di Socrate porta a sfruttare la poesia come un semplice spunto per la discussio-
ne di problemi che vanno al di là di essa; a Ippia interessa invece mettere in luce le in-
tenzioni di Omero.
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30
Cfr. per esempio Alc. II 147b; Resp. 332b. In quest’ultimo passo, l’a„n…ttesqai è
attribuito proprio a Simonide.
31
Cfr. l’accenno polemico di Protagora nei confronti di Ippia in 318e; cfr. anche
Hipp. Ma. 282d-e. Ma l’abilità con cui Socrate riesce a servirsi di Prodico ed Ippia per
battere Protagora ha anche un risvolto più profondo: l’adozione della tecnica diairetica
di Prodico e dell’interpretazione contenutistica di Ippia comporta uno scontro frontale
con l’approccio di Protagora. Prodico infatti professava forse una teoria per cui il lin-
guaggio era fÚsij, in contrapposizione al relativismo e al convenzionalismo di Protago-
ra. È questa la tesi di Momigliano 1930. D’altra parte l’approccio contenutistico di Ip-
pia è del tutto incompatibile con il formalismo di Protagora: può darsi insomma che
Socrate faccia leva su una rivalità professionale per attaccare le posizioni di Protagora.
32
Vd. supra, VI.5.
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192 APPENDICI
«Protagora», 349-e1-350d5
349e1 ”Ece d», œfhn ™gè: ¥xion g£r toi ™piskšyasqai Ö lšgeij.
pÒteron toÝj ¢ndre…ouj qarralšouj lšgeij À ¥llo ti; –
Kaˆ ‡taj ge, œfh, ™f’ § oƒ polloˆ foboàntai „šnai. – Fšre
d», t¾n ¢ret¾n kalÒn ti fÊj e!nai, kaˆ æj kaloà Ôntoj
aÙtoà sÝ did£skalon sautÕn paršceij; – K£lliston mþn
oân, œfh, e„ m¾ ma…noma… ge. – PÒteron oân, Ãn d’ ™gè, tÕ
mšn ti aÙtoà a„scrÒn, tÕ dš ti kalÒn, À Ólon kalÒn; – “Olon
pou kalÕn æj oŒÒn te m£lista. – O!sqa oân t…nej e„j t¦
350a1 fršata kolumbîsin qarralšwj; – ”Egwge, Óti oƒ kolumbh-
ta…. – PÒteron diÒti ™p…stantai À di’ ¥llo ti; – “Oti ™p…-
stantai. – T…nej dþ ¢pÕ tîn †ppwn poleme‹n qarralšoi e„s…n;
pÒteron oƒ ƒppikoˆ À oƒ ¥fippoi; – Oƒ ƒppiko…. – T…nej dþ
pšltaj œcontej; oƒ peltastikoˆ À oƒ m»; – Oƒ peltastiko….
kaˆ t¦ ¥lla ge p£nta, e„ toàto zhte‹j, œfh, oƒ ™pist»monej
tîn m¾ ™pistamšnwn qarraleètero… e„sin, kaˆ aÙtoˆ ˜autîn
350a1 ™peid¦n m£qwsin À prˆn maqe‹n. – ”Hdh dš tinaj ˜èrakaj,
œfhn, p£ntwn toÚtwn ¢nepist»monaj Ôntaj, qarroàntaj dþ
prÕj ›kasta toÚtwn; – ”Egwge, Ã d’ Ój, kaˆ l…an ge qar-
roàntaj. – OÙkoàn oƒ qarralšoi oátoi kaˆ ¢ndre‹o… e„sin;
– A„scrÕn ment¥n, œfh, e‡h ¹ ¢ndre…a: ™peˆ oáto… ge
mainÒmeno… e„sin. – Pîj oân, œfhn ™gè, lšgeij toÝj ¢n-
dre…ouj; oÙcˆ toÝj qarralšouj e!nai; – Kaˆ nàn g’, œfh. –
350c1 OÙkoàn oátoi, Ãn d’ ™gè, oƒ oÛtw qarralšoi Ôntej oÙk ¢n-
dre‹oi ¢ll¦ mainÒmenoi fa…nontai; kaˆ ™ke‹ aâ oƒ sofètatoi
oátoi kaˆ qarraleètato… e„sin, qarraleètatoi dþ Ôntej
¢ndreiÒtatoi; kaˆ kat¦ toàton tÕn lÒgon ¹ sof…a ¨n ¢ndre…a
e‡h;
OÙ kalîj, œfh, mnhmoneÚeij, ð Sèkratej, § œlegÒn te
kaˆ ¢pekrinÒmhn soi. œgwge ™rwthqeˆj ØpÕ soà e„ oƒ
¢ndre‹oi qarralšoi e„s…n, æmolÒghsa: e„ dþ kaˆ oƒ qarralšoi
¢ndre‹oi, oÙk ºrwt»qhn – e„ g£r me tÒte ½rou, e!pon ¨n Óti
350d1 oÙ p£ntej – toÝj dþ ¢ndre…ouj æj oÙ qarralšoi e„s…n, tÕ
™mÕn ÐmolÒghma oÙdamoà ™pšdeixaj æj oÙk Ñrqîj æmolÒghsa.
œpeita toÝj ™pistamšnouj aÙtoÝj ˜autîn qarralewtšrouj
Ôntaj ¢pofa…neij kaˆ m¾ ™pistamšnwn ¥llwn, kaˆ ™n toÚtJ
o‡ei t¾n ¢ndre…an kaˆ t¾n sof…an taÙtÕn e!nai:
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La maggior parte degli studiosi riconosce che nel corso della prima di-
scussione intorno al coraggio Socrate commette una grave fallacia [e] 33.
Egli, come Protagora non manca di rilevare, confonde un rapporto di
implicazione (i coraggiosi sono ardimentosi: [x] [Cx > Ax]) con un bi-
condizionale (i coraggiosi sono gli ardimentosi: [x] [Cx <> Ax]). È ap-
pena il caso di dire che un simile procedimento è del tutto inaccettabile
sia – ovviamente – alla luce della logica aristotelica [d] sia sulla base di
indicazioni ricavabili da altri dialoghi. Socrate, come è stato osservato 34,
offre una chiara analisi di un problema logico simile nell’Eutifrone, dove
è affrontata la questione dei rapporti fra ‘giusto’ e ‘santo’ (12a ss.): tutto
ciò che è giusto, eo ipso, sarà anche santo, ma non viceversa, in questo
caso perché «il santo è una parte del giusto» (12d) 35 [b].
L’errore formale è macroscopico, ma l’argomentazione è in realtà
piuttosto complicata nei dettagli, e si potrebbe ritenere che la conclusio-
ne di Socrate sia meno scorretta di quanto appaia. Si può infatti credere
che, secondo Socrate, gli ardimentosi si suddividano in due categorie:
arditi per conoscenza e arditi per follia. Quando Socrate chiede se i sa-
pienti, in quanto arditi, non siano anche coraggiosi e se, dunque, il co-
raggio non sia una forma di sapienza, egli ha forse in mente questa bi-
partizione, e vuole in realtà suggerire che il coraggio si identifica con
quella forma di ardimento bello derivante dalla conoscenza dei pericoli
(l’ardimento derivante da pazzia, infatti, non può identificarsi con il co-
raggio, perché Protagora ha ammesso che la virtù deve essere comunque
cosa bella). Tuttavia, anche corretta in questa forma, l’argomentazione è
inconcludente: se è vero che il coraggio non coincide con l’ardimento
perché quest’ultimo, a differenza del primo, non è sempre bello, ciò non
implica tout court l’equivalenza di coraggio e sapienza, perché potrebbe-
ro esserci altre forme di ardimento «bello» che non discendono dal sa-
pere; non a caso, Protagora suggerisce poco dopo che l’ardimento può
anche discendere, oltre che da conoscenza e follia, anche dal qumÒj
(351a-b), e perciò le obiezioni di Protagora sono comunque del tutto
pertinenti [a] 36. D’altra parte una prova sufficiente in questo senso è co-
33
Cfr. Taylor 19912, ad loc.
34
Klosko 1979, p. 136.
35
Si noti inoltre che nel Lachete (193b-c) i medesimi esempi del tuffatore e del ca-
valiere sono utilizzati da Socrate proprio per mostrare che, al contrario, il coraggio non
può consistere in una forma di sapere tecnico.
36
Per quanto la sua ricostruzione dell’argomento di Socrate sia in qualche misura
confusa. Il sofisma di Socrate può essere sanato solo a patto di intervenire sul testo o di
adottare complicate riscostruzioni logiche che di fatto si allontanano molto dalla lette-
ra. Per un quadro di insieme, vd. la ricca trattazione in Taylor 19912, pp. 150-161. Cfr.
anche Cherniss 1950, p. 86: «Surely the author of the dialogue knew that the fallacies
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194 APPENDICI
stituita dal fatto che Socrate non è più in grado di replicare e lascia cade-
re la discussione sul coraggio; è questa una circostanza che lascia pochi
dubbi sulla inconcludenza dell’argomentazione socratica.
5. BENE E PIACERE
against which these protests are made were fallacies, for it was he who put the protests
into the mouth of Protagoras; and, since he entered the protests intentionally, he must
have put with intention the fallacies to which these protests are made».
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Bene e piacere
1 Progressivo slittamento di significati (vivere dolorosamente è una
vita non-buona > morire dopo aver vissuto piacevolmente è aver
vissuto bene > vivere piacevolmente è (il) bene);
2 Protagora sottolinea la complessità del problema: «Non so, Socrate,
se devo risponderti così semplicemente (oÛtwj ¡plîj) […] che tutte
le cose piacevoli sono buone e le dolorose cattive»;
3 «Anche tu Protagora, come i molti, chiami cattive alcune cose piace-
voli […]?».
37
Lo stupore di Socrate di fronte all’eventualità che Protagora adotti la stessa posi-
zione dei «molti» non è casuale, perché il sofista ha espresso il suo disprezzo per la
massa (vd. 317a).
38
In proposito, cfr. Taylor 19912, p. 166 ss.
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196 APPENDICI
39
Cambiano 19912, p. 98. Per esprimere il concetto socratico di scienza farò uso li-
beramente dei termini techne, tecnica, scienza, arte.
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scia capire che la tecnica giusta non è stata ben individuata (Prot. 357b)
e soprattutto il ruolo modesto e propedeutico che Platone assegna alle
tecniche di misurazione 40. L’adozione della tesi edonistica appare così
strumentale e, indubbiamente, in certa misura ingannevole.
Aristotele, nella prima parte del libro VII dell’Etica Nicomachea, propo-
ne un’analisi del problema morale dell’intemperanza, e, nel criticare la
posizione socratica, si riferisce palesemente alla trattazione del Protago-
ra 41. È tuttavia notevole che egli non faccia alcun accenno alla premessa
edonistica sulla quale l’argomentazione si regge, probabilmente perché
lo Stagirita sapeva bene che Platone non attraversò mai una fase edoni-
sta, e che perciò l’argomento di Socrate è interamente ad hominem.
40
Vd. per esempio Euthphr. 7b-d; Alc. I 126c-d; Resp. 522c; Leg. 819c-d. Su tutto
questo, cfr. il primo paragrafo di Capra 1997.
41
Cfr. in part. 1145b23-24: deinÕn g¦r ™pist»mhj ™noÚshj, æj õeto Swkr£thj, ¥llo ti
krate‹n kaˆ perišlkein aÙt¾n ésper ¢ndr£podon. Il passo contiene un evidentissimo rie-
cheggiamento di Prot. 352b-c: ¢ll’ ™noÚshj poll£kij ¢nqrèpJ ™pist»mhj oÙ t¾n ™pist»-
mhn aÙtoà ¥rcein ¢ll’ ¥llo ti, totþ mþn qumÒn, totþ dþ ¹don»n, totþ dþ lÚphn, ™n…ote dþ œrw-
ta, poll£kij dþ fÒbon, ¢tecnîj dianooÚmenoi perˆ tÁj ™pist»mhj ésper perˆ ¢ndrapÒdou,
perielkomšnhj ØpÕ tîn ¥llwn ¡p£ntwn. L’entità della critica aristotelica non è comunque
facile da determinare ed è anzi molto dibattuta. Cfr. per esempio Donini 1977.
42
Gosling - Taylor 1982, nel capitolo dedicato al Protagora. Una posizione di ques-
to tipo è adottata per esempio anche da Guthrie 1975, p. 234: «[…] one should pause
before indulging to an immediate pleasure to work out whether it will increase the sum
of satisfaction throughout the whole life; and his conclusion amounts to saying that it
will only do if we exercise the virtue of self-control and find pleasure in what is good
and honourable». Vd. anche Berman 1991 e soprattutto Voigtländer 1980 (lo studioso
riconosce che i «molti», inizialmente, si riferiscono al piacere corporeo, ma ritiene che la
tecnica di misurazione, introdotta da Socrate, ne trasformi radicalmente l’edonismo; vd.
in part. p. 201 ss.). Gosling e Taylor hanno difeso la propria tesi in Gosling - Taylor 1990
contro le critiche di Weiss 1989, che ha poi pubblicato una contro-replica (Weiss 1990).
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198 APPENDICI
baritico, fondato esclusivamente sui piaceri del corpo: non vi sarebbe dun-
que alcuna contraddizione fra i due dialoghi e, più in generale, nel pen-
siero di Platone intorno al piacere. Questa distinzione appare però arbi-
traria, perché Socrate nel Gorgia chiarisce che il piacere di cui si sta par-
lando è tanto corporeo quanto psichico 43, e Callicle non mostra una pro-
pensione verso i piaceri del corpo piuttosto che verso quelli dell’anima 44.
In secondo luogo, occorre tener presente che la menzione dei piaceri
del bere, del cibo e del sesso, nel Protagora, può essere strettamente con-
nessa al contesto in cui il dialogo si svolge. Si è già detto nel primo capi-
tolo che il Protagora sottintende un’atmosfera simposiale, e che la casa di
Callia – un noto beone dedito a piaceri sessuali di ogni genere – era con-
siderata come una sorta di palazzo di delizie, ambientazione naturale di
gozzoviglie e banchetti luculliani. In questo contesto, la posizione edoni-
stica delineata da Socrate non può che apparire ironica, ed è chiaro che
egli allude alle abitudini non proprio monastiche dei frequentatori della
casa: è proprio Socrate – diversamente da Callicle – a parlare solo di pia-
ceri corporei. Non a caso, la tesi dell’identità di bene e piacere suscita
l’approvazione entusiastica non tanto di Protagora, quanto di tutti i pre-
senti (358a ss.). Platone dice a chiare lettere che la massa degli uomini è
inevitabilmente edonista (Phdo. 64d ss.; Resp. 505b, 586a-c), ed è molto
probabile che egli ritenesse questa posizione comune anche ai sofisti, i
quali – dice Socrate nella Repubblica – non fanno altro che amplificare le
opinioni della gente (Resp. 493a) 45.
43
Cfr. Gorg. 496e. Questa posizione si riflette poi anche nella trattazione socratica
delle arti: quando Socrate, dopo aver confutato l’identità di bene e piacere, riprende la
discussione relativa alle technai, egli pone fra le pseudo-arti anche quelle che cercano il
piacere dell’anima, e la sua condanna non è meno netta rispetto alle technai volte al pia-
cere corporeo. Cfr. 501b e 505b.
44
Cfr. Rudebush 1992.
45
Una posizione edonistica ebbe certamente Antifonte, alla cui opera il Protagora
pare alludere direttamente. Cfr. Capra 1997, p. 298 ss.
46
Cito il passo decisivo del Fedone con il commento di Arnim 1914: «Tapfer und
Furcht sind alle Tapferen, mit Ausnahme des wahren Philosophen. Ist das nicht eine
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Protagora non esprime mai il suo assenso per le tesi formulate da Socra-
te (la tesi edonistica, almeno esplicitamente, è approvata soltanto da Pro-
dico e Ippia) 47 . D’altra parte l’entusiasmo dei presenti per la tesi edoni-
stica è molto sospetto, perché questa comporta il corollario, enunciato
esplicitamente da Socrate con il rinnovato consenso di tutti, che l’uomo,
per sua natura, persegue un unico bene, ossia il piacere (358c-d). Ebbe-
ne, in precedenza gli astanti avevano applaudito con pari entusiasmo
una digressione di Protagora sulla relatività dell’utile, nella quale questi
aveva espresso la tesi contraria, ossia che il bene è cangiante e relativo ai
tempi e ai soggetti (334a ss.) 48. La folla di persone che determinano il
successo di Socrate è palesemente volubile e incostante, pronta ad aderi-
re a tesi contraddittorie, senza quell’adesione meditata e consapevole
normalmente richiesta dalla dialettica socratica.
abgeschmackte Art von Tapferkeit? So sind auch die Massvollen (sèfronej) gewöhnli-
chen Schlages massvoll nur aus Genusssucht und Zuchtlosigcheit: foboÚmenoi g¦r ˜tš-
rwn ¹donîn sterhqÁnai kaˆ ™piqumoàntej ™ke…nwn, ¥llwn ¢pšcontai Øp’ ¥llwn kratoÚmenoi.
ka…toi kaloàs… ge ¢kolas…an tÕ ØpÕ tîn ¹donîn ¥rcesqai, ¢ll’ Ómwj sumba…nei aÙto‹j
kratoumšnoij Øf’ ¹donîn krate‹n ¥llwn ¹donîn. toàto d’ ÓmoiÒn ™stin ú nund¾ ™lšgeto, tù
trÒpon tin¦ di’ ¢kolas…an aÙtoÝj seswfron…sqai. Auf ersten Blick erkennt man in diesen
Sätzen die im ‘Protagoras’ vorgetragene hedonistische Theorie wieder, wenngleich hier
nicht ausdrücklich ausgesprochen wird, dass es auf das Grössenverhältnis der Lust, de-
ren man sich enthält zu der, die man dadurch gewinnt, ankommt». Il passo del Fedone
va confrontato in particolare con Prot. 354c: Ótan meizÒnwn ¹donîn ¢posterÍ À Ósaj aÙtÕ
œcei, À lÚpaj me…zouj paraskeu£zV tîn ™n aÙtù ¹donîn.
47
Oltre a ciò, ricorre più volte l’espressione ™dÒkei p©si, che segnala il consenso ge-
nerale dei presenti, accomunati nella posizione edonistica.
48
Questo punto è acutamente notato da Szlezák 1985, p. 246. Cfr. anche Kube
1969, p. 151.
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200 APPENDICI
«Protagora», 359c5-360d6
PÒteron oƒ mþn deiloˆ ™pˆ t¦ qarralša œrcontai, oƒ dþ
¢ndre‹oi ™pˆ t¦ dein£; – Lšgetai d», ð Sèkratej, oÛtwj ØpÕ
tîn ¢nqrèpwn. – ’AlhqÁ, œfhn ™gè, lšgeij: ¢ll’ oÙ toàto
359d1 ™rwtî, ¢ll¦ sÝ ™pˆ t… fÊj ‡taj e!nai toÝj ¢ndre…ouj; «r’
™pˆ t¦ dein£, ¹goumšnouj dein¦ e!nai, À ™pˆ t¦ m»; – ’All¦
toàtÒ g’, œfh, ™n oŒj sÝ œlegej to‹j lÒgoij ¢pede…cqh ¥rti
Óti ¢dÚnaton. – Kaˆ toàto, œfhn ™gè, ¢lhqþj lšgeij: ést’ e„
toàto Ñrqîj ¢pede…cqh, ™pˆ mþn § dein¦ ¹ge‹tai e!nai oÙdeˆj
œrcetai, ™peid¾ tÕ ¼ttw e!nai ˜autoà hØršqh ¢maq…a oâsa.
– =WmolÒgei. – ’All¦ m¾n ™pˆ ¤ ge qarroàsi p£ntej aâ
œrcontai, kaˆ deiloˆ kaˆ ¢ndre‹oi, kaˆ taÚtV ge ™pˆ t¦ aÙt¦
359e1 œrcontai oƒ deilo… te kaˆ oƒ ¢ndre‹oi. – ’All¦ mšntoi, œfh,
ð Sèkratej, p©n ge toÙnant…on ™stˆn ™pˆ § o† te deiloˆ
œrcontai kaˆ oƒ ¢ndre‹oi. aÙt…ka e„j tÕn pÒlemon oƒ mþn
™qšlousin „šnai, oƒ dþ oÙk ™qšlousin. – PÒteron, œfhn ™gè,
kalÕn ×n „šnai À a„scrÒn; – KalÒn, œfh. – OÙkoàn e‡per
kalÒn, kaˆ ¢gaqÕn æmolog»samen ™n to‹j œmprosqen: t¦j
g¦r kal¦j pr£xeij ¡p£saj ¢gaq¦j æmolog»samen. – ’AlhqÁ
lšgeij, kaˆ ¢eˆ œmoige doke‹ oÛtwj. – ’Orqîj ge, œfhn ™gè.
360a1 ¢ll¦ potšrouj fÊj e„j tÕn pÒlemon oÙk ™qšlein „šnai, kalÕn
×n kaˆ ¢gaqÒn; – ToÝj deiloÚj, Ã d’ Ój. – OÙkoàn, Ãn d’ ™gè,
e‡per kalÕn kaˆ ¢gaqÒn, kaˆ ¹dÚ; – =WmolÒghtai goàn, œfh. –
”Ar’ oân gignèskontej oƒ deiloˆ oÙk ™qšlousin „šnai ™pˆ tÕ
k£lliÒn te kaˆ ¥meinon kaˆ ¼dion; – ’All¦ kaˆ toàto ™¦n
Ðmologîmen, œfh, diafqeroàmen t¦j œmprosqen Ðmolog…aj.
– T… d’ Ð ¢ndre‹oj; oÙk ™pˆ tÕ k£lliÒn te kaˆ ¥meinon kaˆ
¼dion œrcetai; – ’An£gkh, œfh, Ðmologe‹n. – OÙkoàn Ólwj oƒ
360b1 ¢ndre‹oi oÙk a„scroÝj fÒbouj foboàntai, Ótan fobîntai,
oÙdþ a„scr¦ q£rrh qarroàsin; – ’AlhqÁ, œfh. – E„ dþ m¾
a„scr£, «r’ oÙ kal£; – =WmolÒgei. – E„ dþ kal£, kaˆ ¢gaq£;
– Na…. – OÙkoàn kaˆ oƒ deiloˆ kaˆ oƒ qrase‹j kaˆ oƒ mainÒ-
menoi toÙnant…on a„scroÚj te fÒbouj foboàntai kaˆ a„scr¦
q£rrh qarroàsin; – =WmolÒgei. – Qarroàsin dþ t¦ a„scr¦
kaˆ kak¦ di’ ¥llo ti À di’ ¥gnoian kaˆ ¢maq…an; – OÛtwj
360c1 œcei, œfh. – T… oân; toàto di’ Ö deilo… e„sin oƒ deiloˆ,
deil…an À ¢ndre…an kale‹j; – Deil…an œgwg’, œfh. – Deiloˆ
dþ oÙ di¦ t¾n tîn deinîn ¢maq…an ™f£nhsan Ôntej; – P£nu
g’, œfh. – Di¦ taÚthn ¥ra t¾n ¢maq…an deilo… e„sin; –
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49
A rigore la premessa A non è necessaria per l’argomentazione finale, ma ha una
funzione enfatica.
50
Su questo rovesciamento, cfr. per esempio Manuwald 1975, p. 40.
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202 APPENDICI
te discute una questione che pare troppo sottile per l’ottusità del suo in-
terlocutore: un’azione santa è santa perché gli dei la approvano o gli dei
la approvano perché è santa (8b ss.)? Questa stessa difficoltà, spiegata
con cura ad Eutifrone, non viene chiarita nel Protagora, dove Socrate
perviene alla confutazione di Protagora proprio grazie a un simile rove-
sciamento di termini: in un primo momento la bontà discende dalla pia-
cevolezza, in un secondo la piacevolezza dalla bontà [b].
Socrate, in precedenza, aveva cercato di indurre Protagora ad am-
mettere che la buona vita consiste nel vivere piacevolmente (¹dšwj ka-
tabiînai); il sofista nega questa tesi e adotta invece la posizione dei «mol-
ti»: solo una vita che gode dei piaceri nobili (kala…) è buona (351c ss.).
Il seguito della discussione conduce i presenti ad ammettere l’identità di
bene e piacere: l’uomo per natura (fÚsei) insegue il piacere (358a ss.) e
dunque il bene e il bello si identificano con quest’ultimo, o meglio ne
sono una funzione (una cosa è buona e bella nella misura in cui è piace-
vole). Nel brano ora in esame, invece, Protagora è portato ad ammettere
che andare in guerra è nobile (kalÒn), e la piacevolezza risulta essere
una funzione di questo bello inteso in senso tradizionale (cioè: una cosa
è piacevole nella misura in cui è bella) (359e ss.) 51. L’argomentare di So-
crate produce insomma un duplice rovesciamento: Protagora adotta in
prima istanza una posizione tradizionale, nella quale la bontà di un pia-
cere è condizionata al valore del bello. Socrate costringe poi il sofista a
rinunciare a questa posizione convenzionale, con l’ammissione che il fi-
ne naturale dell’uomo è il piacere. In seguito, questa tesi fondata sulla
natura (fÚsei) è di nuovo soppiantata da una posizione convenzionale:
misura del piacere è il bello nel senso più tradizionale, pro patria mori.
La manovra di Socrate ricorda da vicino una tecnica sofistica descritta
da Aristotele negli Elenchi Sofistici. Si tengano presenti le parole con cui,
inizialmente, Socrate critica la posizione ‘convenzionale’ di Protagora:
Ma come, Protagora! Anche tu, come i molti, chiami cattive alcune
cose piacevoli e buone altre dolorose? (Prot. 352c)
Si consideri poi il seguente passo degli Elenchi Sofistici:
In effetti, ciò che si vorrebbe non coincide con ciò che si dice: i discorsi
pronunciati sono i più dignitosi che si possano pensare, ma in realtà gli
uomini desiderano ciò che sembra loro recare un vantaggio. Si dice, ad
esempio, che bisogna preferire una bella morte ad una vita piacevole
51
Socrate, nel fare questo, gioca su un’antitesi che doveva essere in voga, come mo-
stra un frammento euripideo: tÕ men sfagÁnai deinÒn, eÙkle…an d’ œcei: tÕ m¾ qane‹n dþ
deilÒn, ¹don¾ d’ œni (fr. 854.2 Nauck). La bilanciata antitesi lascia intuire un’origine sofi-
stica di questo pensiero.
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52
Testo: ésper kaˆ Ð KalliklÁj gšgraptai lšgwn ovvero, letteralmente, «come Calli-
cle è scritto che dica». Callicle, infatti, accusa Socrate di confondere il piano della legge
e quello della natura per far cadere i suoi avversari. Altre traduzioni: «usato pure da
Callicle, secondo quanto è detto nel Gorgia» (Colli 1973), «come nel Gorgia è stato scrit-
to che anche Callicle parla» (Zanatta 1995).
53
Traduzione con modifiche da Colli 1973.
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