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Amalia Sanna Passino

COVID19-AIMS
13-3
ASSISTENZA RESPIRATORIA AL PAZIENTE CRITICO-Nicola Cappellano

Due tipologie di pazienti da tenere presenti:

1. Pazienti presunti positivi, da PS o qualsiasi altro canale: manifestano sintomi e segni


clinici che possono far sospettare positività al virus.
2. Pazienti che giungono all’osservazione con franchi segni, soprattutto in regioni
critiche, positivi obiettivamente anche in assenza di tampone.

Tampone, quando eseguito dovrebbe dare positività al virus: ci sono sempre i falsi negativi,
secondo problema oltre al virus stesso. Quindi, a prescindere che il tampone sia fatto o meno,
se i segni e i sintomi sono riconducibili all’infezione virale, dato il periodo dobbiamo dare per
scontato che il paziente sia infetto, e come obbligo di atteggiamento si deve avere un livello
di guardia altissimo sempre, riducendo il peso del tampone rispetto a pochi giorni fa, data la
consapevolezza della non totale attendibilità del risultato del tampone stesso.

Quali sono i segni sospetti?


Tosse secca (la tosse catarrale è più tipicamente batterica), febbre, difficoltà respiratoria sino
all’insufficienza con necessità di assistenza (da minima a totale con incubazione) e segni di
interstiziopatia. Ovviamente non si possono fare tamponi a tutti, i pazienti vanno discriminati
all’inizio dell’osservazione clinica.

Importantissimo il concetto di interstiziopatia, nelle polmoniti ad esempio batteriche non c’è.

Due tipi di pazienti respiratori che vanno riconosciuti e distinti, uno ha franchi segni clinici di
polmonite batterica e uno di polmonite virale (questo asseribile a Coronavirus): al massimo,
nel dubbio si fa una Rx torace, se si trova un focolaio broncopneumonico si può escludere
l’infezione virale.

Chiaro che possono esserci anche sovrainfezioni batteriche, si parla della prima valutazione
clinica del paziente più comune.

Fondamentale l’anamnesi, va sempre ricostruita: chi è, da dove viene, con chi è stato in
contatto, cosa ha fatto, chi sono i prossimi congiunti, da quanto tempo ha la tosse (nel Covid,
di solito da 7-10 giorni), se ha altre patologie (in un asmatico/BPCO è più probabile che si tratti
di una riacutizzazione della patologia sottostante piuttosto che di un’infezione da Covid).

Esami ematici
L’emocromo da Covid è quello da infezione virale, leucocitosi (fino a 10'000, anche normale)
e linfocitosi, se ci sono molti neutrofili è molto difficile che si tratti di un Covid. In molti casi
linfopenia, soprattutto nel paziente con malattia avanzata francamente Covid.

Ecografia polmonare

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Si cerca l’assenza dei focolai broncopneumonici, perché se ci fossero darebbero fortissimo


sospetto di infezione batterica.

Rx torace
Se si fa l’ecografia polmonare, va benissimo quella.

TC
Non rientra, secondo le ultime valutazioni degli intensivisti, tra gli esami necessari, va bene
anche un’ecografia polmonare.

Basi di ventilazione assistita nel paziente con segni di insufficienza respiratoria importante
Inizialmente il paziente è una “semplice” insufficienza respiratoria, si mette la mascherina e
si aspetta la risoluzione (che nel giovane è probabile, l’infezione viene superata senza eventi
e interventi importanti).

Ci sono due step del paziente Covid, ovvero (1) il paziente con positività accertata viene
indirizzato alle Malattie Infettive, appositi centri attrezzati in tutta Italia a partire da reparti di
Malattie infettive, successivamente riprogrammati con stanze tenute a pressione negativa in
modo da aspirare forzatamente l’aria ed evitare la fuoriuscita del virus negli altri ambienti
dell’ospedale; qui i pazienti possono ricevere tutta l’assistenza necessaria (valutazioni,
indagini e quanto necessario) fino a che non compaiano segni di insufficienza respiratoria
severa, ovvero che richieda l’intervento del rianimatore. L’assistenza respiratoria viene svolta
in prima battuta con ossigenoterapia tramite mascherina di Venturi, poi con altri presidi sino
alla NIV, la cui scelta specifica è guidata dall’EGA e da criteri specifici.

Comunque non è detto che il paziente arrivi da PS, nulla esclude che sia già ricoverato
in un altro reparto o che lo si ricoveri in seguito all’accesso, per diagnosi errata o per
altro problema, comunque la prima linea indicata è il ricovero in Malattie Infettive.

(2) In Rianimazione devono andare solo i pazienti che abbiano una criticità tale da non essere
più assistibili in un reparto di Degenza ordinaria come le Malattie infettive, ovvero quando la
NIV non è più sufficiente vanno trasferiti in Terapia Sub-Intensiva (dove possono andare
anche i pazienti in NIV come stadio intermedio), se non in Terapia Intensiva. Quando il
paziente diventa ipossiemico, ipercapnico o entrambi a livello tale da non poter essere
assistito neppure con NIV va ovviamente trasferito in Rianimazione.

INTUBAZIONE (VENTILAZIONE INVASIVA)


Lo scenario peggiore è quello in cui il paziente sviluppi insufficienza respiratoria che non lo
renda assistibile né in Malattie Infettive né in Terapia Sub-Intensiva, ovvero richiede per forza
una tecnica di ventilazione invasiva.

I possibili scenari clinici sono tre, ovvero (1) paziente in respiro spontaneo, assistito con
ossigeno; (2) paziente che richiede assistenza ventilatoria, ovvero la sua funzione respiratoria
non è più sufficiente e va assistita con una tecnica non invasiva; (3) paziente che non ha più
beneficio della NIV, siamo costretti all’intubazione, quindi ad un’assistenza respiratoria totale
o pressoché totale da parte di una macchina.

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La prima necessità in un paziente che non respira è intubarlo, non sempre semplice come si
vede ad esempio nei film e nelle trasmissioni televisive. La prima cosa a cui bisogna prepararsi
è cercare di intuire se l’intubazione sarà difficile: normalmente, l’intubazione viene valutata
nella sua difficoltà perché viene eseguita in sala operatoria, il paziente è sedato e curarizzato
e smette di respirare, per cui se non riusciamo ad intubarlo sopraggiunge l’exitus; in questo
caso lo scenario è diverso, il paziente non è addormentato ma è in insufficienza respiratoria,
e la predizione della difficoltà di intubazione ha un valore ancora più alto, perché il paziente
di suo ha una polmonite interstiziale e un’insufficienza respiratoria meccanica, e più tempo
impieghiamo nell’intubazione più siamo noi stessi a rischio, visto che si inala tutto quello che
il paziente espira. Quindi, bisogna adeguatamente e rapidamente valutare che cosa ci
troveremo davanti e se il paziente sarà difficile da intubare.

Classificazione di Mallampati
Consente una predizione della difficoltà di intubazione, anche se non è uno strumento di
certezza ma un buon indicatore: magari mi sono preparato per una procedura difficile alla
laringoscopia, ma durante l’esecuzione non incontro più che la generica difficoltà.

Ci sono quattro categorie, da I a IV, valutate facendo tirare fuori la lingua al paziente per
osservare le strutture del cavo orale posteriore: in linea di massima, più riesco a vedere
meglio è, più la Mallampati è bassa e minore è il rischio atteso di intubazione.

Nella Mallampati I si vedono lingua, palato molle, istmo delle fauci, ugola, pareti e
pilastri tonsillari, una visione anatomica così come viene descritta sui libri. Sono i
pazienti a minore rischio di intubazione, tendenzialmente con la laringoscopia si
visualizza senza difficoltà all’ottica.

Nella Mallampati II si vedono solo palato molle e ugola, non i pilastri tonsillari e la
radice della lingua.

Nella Mallampati III si vede solo il palato molle, non più l’ugola.

Nella Mallampati IV scompare anche il palato molle e si vede solo il palato anteriore.

Il rischio è quindi correlato tendenzialmente al grado di Mallampati, che tuttavia risulta un


elemento solo in parte predittivo di quella che sarà la reale difficoltà di intubazione (è un buon
indicatore, ma non una certezza).

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Come faccio a valutare il Mallampati in un paziente con difficoltà respiratoria?


La scala di Mallampati è teorica, applicabile ovviamente in un paziente con ancora un certo
grado di collaborazione. Se non è possibile valutarlo, diventa una scala che lascia il tempo che
trova.

Altri indicatori di intubazione prevista difficile


Ci sono anche intubazioni difficili impreviste, per cui le ultime linee guida suggeriscono di
avere sempre a disposizione il materiale necessario alle misure di emergenza, ovvero la
cricotireotomia (qualora l’intubazione sia proprio impossibile, il punto più semplice in cui
intervenire in maniera invasiva è sulla laringe, fra la cartilagine tiroidea e quella cricoidea).

Un criterio obiettivo che si può valutare anche se il paziente non è collaborante è la distanza
tireo-mentoniera, che corre fra mento e cartilagine tiroidea e che è ancora più indicativo della
Mallampati: ovvero, il paziente può avere una Mallampati IV ma una buona distanza tireo-
mentoniera (superiore a 6cm nell’adulto), e darà sicuramente meno difficoltà di un paziente
con Mallampati III e 4cm di distanza fra mento e collo.

Importante anche la distanza inter-incisiva o inter-dentaria, che si misura fra il margine degli
incisivi superiori e quello degli incisivi inferiori (è un altro dato obiettivo, il paziente non deve
essere collaborante per misurarla), e che deve essere idealmente di almeno 3cm: se inferiore
a 3cm sicuramente ci sarà difficoltà all’intubazione, semplicemente perché la lama del
laringoscopio non entra nel cavo orale del paziente a meno che non si spacchino gli incisivi
superiori del paziente.

Rischi connessi all’intubazione


Sono estremamente aumentati non solo per il paziente ma per noi stessi, perché nonostante
i presidi a disposizione il tempo in cui si sta in contatto è proporzionale al rischio di
trasmissione dell’infezione.

Altri predittori di intubazione difficile


Obesità: il paziente obeso è tendenzialmente difficile da intubare, non fosse altro per
l’ingombro tissutale nel collo e nelle donne per la presenza delle mammelle.

OSAS: un paziente che ha in anamnesi le OSAS ha sempre un maggiore rischio di intubazione


difficile, correlato in maniera lineare con la severità delle OSAS stesse.

Figura 1 Mallampati III, enorme distanza inter-incisiva. Intubazione agevole. Figura 2 Distanza tireo-mentoniera non
apprezzabile. Intubazione certamente difficile perché la glottide sarà anteriorizzata e le corde vocali non riusciranno ad essere
visualizzate in laringoscopia, per cui si dovrà intubare alla cieca. Figura 3 Mallampati IV da macroglossia. Intubazione non
particolarmente complicata.

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GESTIONE DELLE TECNICHE DI VENTILAZIONE ARTIFICIALE


Nel momento in cui non è più sufficiente la maschera di Venturi, si passa alla NIV e poi
eventualmente alla ventilazione invasiva.

Prima di elencare le NIV e le tecniche di ventilazione invasiva, è utile conoscere i criteri sulla
base dei quali si sceglie la tecnica specifica: c’è un ordine definito negli step, ovvero
ventilazione inesistente con mascherina o occhialini, ventilazione assistita non invasiva,
ventilazione invasiva. Un operatore sanitario deve ovviamente saper scegliere quando fare
NIV e quando procedere alla ventilazione invasiva, e nell’ambito di questo scegliere la
metodica da utilizzare.

NIV
È il primo step quando non è più sufficiente la mascherina. Il paziente è in Malattie Infettive,
all’EGA ci si rende conto che la mascherina non basta: ovviamente bisogna saper interpretare
l’EGA, sulla base di pH, PaO2, PaCO2, oltre a lattati, eccesso di basi, bicarbonati. Il paziente è
in insufficienza respiratoria di tipo ipossiemico (l’ipossiemia è garantita nel Covid) più o meno
ipercapnico: il paziente Covid non è tipicamente ipercapnico a meno di un quadro end-stage,
quando manca la spinta meccanica alla ventilazione, ma il quadro classico è quello di
insufficienza respiratoria ipossiemica.

Ci sono due tipi di paziente Covid all’EGA, (1) ipossiemico e (2) ipossiemico ipercapnico:
l’ipercapnia non è legata direttamente al Covid, ma allo sfinimento respiratorio o da una
patologia pregressa che fa da base all’infezione (es. BPCO).

All’esecuzione dell’EGA il paziente può essere in mascherina (in generale in assistenza con
ossigeno) o in respiro spontaneo: non si parla di ipossiemia in senso stretto, quindi di valori
di PaO2<100mmHg, ma degli stessi valori rapportati alla frazione inspirata di O2. Parlando di
un paziente con difficoltà respiratoria si fa riferimento al rapporto P/F, quindi PaO2/FiO2, che
ci permette di definire l’insufficienza respiratoria come presente e come lieve, moderata o
grave: il solo dato della PaO2 è insufficiente, perché si può arrivare a 200mmHg se si fornisce
il 100% di O2 artificialmente, ma il paziente rimane in insufficienza respiratoria severa.

Esempio. Un paziente con PaO2 80mmHg può essere definito ipossiemico, visto che il
valore target è 100mmHg. Per capire la gravità dell’ipossiemia serve la FiO2, che sia il
21% dell’aria ambiente o il 100% della ventilazione assistita: con una FiO2 al 21%
abbiamo un P/F=380, che definisce un’insufficienza respiratoria lieve; con una FiO2 al
50% abbiamo un P/F=160, che definisce un’insufficienza respiratoria moderato-
severa.

I cutoff di riferimento sono normalmente 300 per distinguere fra insufficienza respiratoria
presente (<300) e assente (<300); fra 300 e 200 si parla di insufficienza respiratoria lieve-
moderata; fra 200 e 100 l’insufficienza respiratoria è moderata; sotto i 100 (es. PaO2 70mmHg
con ventilazione all’80%) l’insufficienza respiratoria è severa.

Il paziente con P/F<200 richiede la ventilazione non invasiva, mentre sotto i 100 va
necessariamente intubato e collegato ad un ventilatore meccanico.

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I ventilatori hanno la FiO2 (21-100%) come parametro di impostazione della


ventilazione, per cui la si può facilmente ricavare. Per le mascherine esistono delle
tabelle di conversione, secondo le quali 1L di O2 in maschera aggiunge circa il 6-7% di
FiO2 (2L di O2 in maschera corrispondono a 21% + 13-15%, perché ci sono le perdite
e i fori).

I buchi nelle mascherine sono necessari per evitare il rebreathing della CO2 espulsa,
soprattutto nei pazienti che hanno già difficoltà ad espirarla (es. BPCO).

Meglio occhialini o mascherina facciale?


Se non c’è storia di BPCO o di condizioni di ipercapnia èsempre meglio la mascherina, che
fornisce valori più omogenei ed è più semplice che il paziente inali i flussi forniti.

NIV
Sono tecniche di supporto ma non sostitutive, ovvero possono aiutare il malato ma non
sostituirne l’attività respiratoria: quindi, in un paziente in coma non si può utilizzare una NIV,
perché sono necessarie collaborazione e presenza di respiro spontaneo, in pratica GCS di
almeno 9.

CPAP, continuous positive airway pressure.


È fondata sull’applicazione di una maschera a tenuta o di un casco (come per una
qualunque NIV: con i caschi il vantaggio è la comodità per il paziente, e anche se in
realtà pare che la NIV in maschera sia più efficace nei bambini e in altri casi i caschi
risultano necessari). Esistono diversi tipi di maschera, orali, nasali (che non vanno
bene nella condizione di Covid, perché non limitano l’inalazione del virus e non evitano
che dalla bocca entri ed esca aria) e combinate, in particolare nel paziente Covid si
usano maschere total face. Il principio è fornire una pressione continua positiva nelle
vie aeree: il vantaggio è che gli alveoli vengono espansi e se ne riduce il collasso post-
espiratorio grazie alla pressione basale; il paziente inspira e l’inspirazione è favorita
dalla pressione imposta dalla macchina; il paziente espira e la pressione esercitata
impedisce il collasso alveolare.

Quindi, la CPAP aiuta solo la fase inspiratoria con un vantaggio misurabile, mentre la
fase espiratoria viene ostacolata e rallentata, perché la pressione imposta dall’esterno
si scontra con il tentativo di espirazione.

Il BPCO, che ha una PEEP intrinseca (PEEPi) legata al mancato svuotamento degli
alveoli e al trattenimento dell’aria nei polmoni, non ha giovamento dalla CPAP, che ne
ostacola ulteriormente la respirazione.

All’EGA, oltre alla PaO2 e al P/F (per scegliere la tecnica di assistenza respiratoria) bisogna
guardare anche la PaCO2, che non ci dice nulla sul grado di insufficienza respiratoria o sulla

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necessità di ventilazione in caso di Covid, ma che definisce il paziente che ha beneficio dalla
CPAP, ovvero quello ipocapnico o normocapnico.

BiPAP, bilevel positive airway pressure


Rispetto alla CPAP non eroga flussi a pressione costante ma a due livelli pressori, uno
garantito durante l’inspirazione (IPAP, alta) e uno durante l’espirazione (EPAP, bassa),
riconoscendo la fase in cui è il paziente. Va bene in pazienti ipossiemici che siano
anche ipercapnici, perché non ostacola eccessivamente l’espulsione dell’aria.

Quindi, si sceglie per la NIV sulla base del P/F, e si sceglie fra CPAP e BiPAP sulla base della
PaCO2.

A che livelli di pressione vanno impostate le macchine?


Non ne esistono di definiti, ma si tarano sul paziente: il paziente Covid ha un’interstiziopatia
che ostacola l’apertura degli alveoli, in misura variabile. Si inizia con una pressione bassa
(5cmH2O) e poi ci si basa su clinica, saturazione di O2ed EGA per arrivare sino anche a 15-
18cmH2O.

Controllo del pH
Un BPCO (ipercapnico cronico) muove il pH in funzione del suo compenso storico: se la PaCO2
sale eccessivamente il pH si abbassa di conseguenza, per cui una PaCO2 elevata con un pH
normale può essere un riscontro tipico in un paziente BPCO, ma una PaCO2 elevata con un
pH di 7,3 indica che la EPAP della CPAP o della BiPAP è troppo elevata per le capacità
espiratorie del paziente, e ne ostacola eccessivamente l’eliminazione della CO2.

Il paziente Covid critico risponde alla NIV?


Moltissimi si, e secondo i dati disponibili ad oggi la quantità di pazienti che finiscono in
rianimazione è pari a circa il 10% di quelli precedentemente assistiti con la NIV: quindi, nel
90% dei casi la NIV è efficace.

L’efficacia della NIV si misura con l’EGA, che ha come punto zero il paziente stesso, dal punto
in cui si inizia la NIV: se l’EGA peggiora o non migliora non ha senso continuare con la NIV (non
la si può neppure tenere in continuo ma al massimo 20 ore al giorno, secondo protocolli di 8
ore di NIV+2 ore di riposo; se il paziente richiede NIV 24 ore su 24, e non appena la si rimuove
la situazione precipita, significa che in realtà la metodica non invasiva sta fallendo, e che il
miglioramento dell’EGA è da considerarsi piuttosto uno pseudo-miglioramento), non serve
accanirsi ma è meglio iniziare una metodica di ventilazione invasiva.

Ogni quanto tempo si ripete l’EGA?

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Non esiste un intervallo definito per il monitoraggio dell’EGA, ma questo deve essere guidato
dalla clinica: in un paziente con PaO2 stabile sul 95% e in uno che vede il valore scendere da
95% a 91% nell’arco di un’ora non si possono mantenere gli stessi intervalli. Nella necessità
di un monitoraggio programmato, un intervallo “sensato” potrebbe essere di 8 ore.

VENTILAZIONE INVASIVA
Nel caso in cui il paziente non risponda alla NIV (ad esempio, paziente con CPAP a 20cmH2O,
FiO2 al 50%, ma P/F 100 che non tende al miglioramento o che lo fa solo con una NIV tenuta
più di 20 ore giornaliere) è necessario intubarlo e procedere con la ventilazione invasiva.

La ventilazione invasiva è una metodica di supporto e sostitutiva, in quanto consente sia di


sostenere il paziente che di vicariarne una funzione respiratoria insufficiente o assente: il
paziente può essere collaborante (se la NIV è fallita) o meno, anche in coma e privo di qualsiasi
funzionamento respiratorio, eventualmente curarizzato.

Per la ventilazione invasiva l’intubazione è la metodica gold standard, si può ricorrere alla
tracheotomia/tracheostomia qualora il paziente sia intubato da dieci giorni e l’estubazione
non si sia resa possibile: quello che serve è un accesso diretto alla trachea del paziente, o con
il tubo o con la stomia.

La tracheotomia è necessaria solo dopo un’intubazione di 10 giorni?


Secondo le linee guida bastano anche soli 5 giorni, ma 10 giorni risulta essere il cut-off. Se a 5
giorni dall’intubazione si prevede che non sarà possibile estubare il paziente nei primi 10
giorni, già in 5° giornata si può chiedere il consenso alla tracheotomia. Se invece si arriva ai
10 giorni perché si pensava di poterlo estubare prima ma si è fallito, allora bisogna per forza
procedere alla tracheotomia perché è improbabile riuscire a fare un’estubazione rapida.

Le maschere invasive (laringee) si utilizzano davvero nella pratica clinica?


Non si utilizzano per il paziente Covid, sono segnate nelle slides (insieme a
intubazione/tracheotomia e maschera facciale) semplicemente perché sono metodiche di
ventilazione invasiva, ma non nel caso del paziente Covid, che viene intubato e basta, come
si faceva con la SARS in seguito all’osservazione empirica che con l’intubazione il paziente
migliorava.

Perché dopo 10 giorni serve la tracheotomia?


Perché la cannula di intubazione è dotata di una cuffia, che insufflata preme sulle pareti della
trachea, ischemizzandole e rischiando la malacìa tracheale, oltre che le sovrainfezioni
batteriche del tubo. Trascorsi 10 giorni serve la tracheotomia perché l’accesso è più rapido,
più pulito e non si rischia la malacìa della trachea.

SIMV
Il paziente in ventilazione invasiva può essere anche solo assistito, tramite la SIMV
(synchronous intermittent mandatory ventilation) che viene sincronizzata sul paziente. Il
paziente intubato si collega al ventilatore, che genera alcuni atti supplementari a quelli del
paziente: la differenza con la NIV è quindi la presenza degli atti respiratori “artificiali”, la
differenza con la ventilazione invasiva controllata è la persistenza della capacità e di una

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qualche autonomia respiratoria del paziente (4-7 atti/minuto), aggiungendo solamente gli atti
che servono a rendere sufficiente la respirazione.

Quando la macchina riconosce l’atto del paziente si ferma, mentre quando il paziente non
respira inserisce un atto supplementare: occorre programmare FiO2, PEEP (pressione di fine
espirazione; positive end expiratory pressure), frequenza degli atti respiratori aggiuntivi e
volume (SIMV volumetrica) o pressione (SIMV pressometrica) degli stessi. Non serve invece
aggiungere IPAP o EPAP.

La PEEP può essere impostata a 0, ma se si vogliono mantenere gli alveoli leggermente


aperti alla fine dell’atto espiratorio, la si pone maggiore di 0: per ARDS e casi di Covid-
19 è stato dimostrato che più si alza la FiO2 più occorre alzare la PEEP, per via dell’alto
rischio di collasso alveolare (con FiO2 prossima al 100%, il valore di PEEP ottimale è
intorno a 12cmH2O, mentre il minimo sono 5cmH2O).

L’impiego di FiO2 massime e di PEEP così elevate è un provvedimento estremo, da


applicare solo quando si rischia di perdere il paziente.

Nella SIMV volumetrica si contano solitamente 8mL per kg di peso corporeo.

Nella SIMV pressometrica, più è alta la pressione che si vuole raggiungere nelle vie
aeree più è alto il valore che si imposta nella macchina.

La scelta fra SIMV volumetrica e pressometrica è molto complessa, legata al paziente:


se il danno interstiziale da Covid è molto elevato e il polmone risulta rigido, la SIMV
volumetrica non è applicabile, la macchina si blocca perché non riesce ad erogare il
volume stabilito.

Qual è il vantaggio di mettere un paziente in SIMV?


Può sembrare un paradosso perché si immaginano i pazienti in Rianimazione addormentati,
quando in realtà sono tendenzialmente svegli: e ancora di più, con il Covid19 i pazienti sono
coscienti e devono rimanere tali. In questi casi, con paziente sveglio ma privo di capacità
respiratoria autonoma sufficiente, è meglio non “sostituire” il paziente ma limitarsi a
supportarlo per quanto possibile, visto che lo scopo è estubarlo il prima possibile.

Il paziente non prova disagio con il tubo, semplicemente perché si rende conto del sollievo
che ne deriva alla respirazione.

PCV
Pressure controlled ventilation: fa parte delle ventilazioni invasive controllate, necessarie
quando il paziente ha smesso di respirare o quando non lo si reputa più in grado di farlo (es.,
sviluppo di una dispnea tale da essere inefficace e più fastidiosa che utile; 40 atti/minuto in
corso di NIV, che dimostrano la mancata efficacia della metodica non invasiva).

Se la ragione di passaggio alla PCV è una dispnea importante, il paziente può anche essere
sedato in modo da ridurre il numero degli atti respiratori, per poi essere assistito con una

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tecnica controllata, della quale si decidono pressione di inspirazione, PEEP (è una metodica
pressometrica, mentre il volume rimane incontrollato), numero degli atti e FiO2 erogata.

VCV
Volume controlled ventilation: il principio è lo stesso della PCV ma non si decide la pressione
e si decide il volume da raggiungere, per il resto si impostano PEEP, numero di atti respiratori
e FiO2.

Perché pronare un paziente?


Quando si passa alle tecniche controllate, in cui il medico decide tutto, in alcune circostanze
il paziente intubato viene pronato, perché la pronazione migliora la ventilazione polmonare,
abbassando i livelli di FiO2 necessari dal 90% al 50% (secondo anche l’ultimo report
dell’associazione dei rianimatori). Quindi, se i livelli di FiO2 richiesti aumentano, si può
provare a pronare il paziente.

Qual è il vantaggio di ridurre la FiO2?


Oltre il 60% di FiO2 si ha un danno polmonare da iperossigenazione. Mai perdere di vista le
sequele di quello che facciamo, l’obiettivo non è solo far uscire il paziente dalla Terapia
Intensiva.

Cos’è la VILI?
La VILI (ventilator-induced lung injury) è il danno polmonare causato dalla ventilazione
invasiva. È chiaro che non possiamo evitarlo, nel momento in cui abbiamo optato per una
ventilazione meccanica noi “spariamo aria” nel polmone del nostro paziente,
danneggiandolo, ma purtroppo non si può fare direttamente.

È possibile che i quadri di danno polmonare recentemente osservati nei pazienti Covid siano
da riferirsi all’assistenza respiratoria più che al Covid stesso?
Si, ma attualmente non possiamo evitare la ventilazione.

Come si sceglie fra PCV e VCV?


Governa sempre il paziente: ci sono pazienti che non si riescono a ventilare con la VCV, per
spasmi, polmone irrigidito dall’interstiziopatia eccetera. Comunque, per assistere un paziente
con Covid-19 prevale la PCV, mentre la VCV si usa più che altro in sala operatoria e
collaboranti.

VGRP
Estremamente importante nel Covid-19: è un acronimo italiano che sta per “volume garantito
e regolazione di pressione”. È stata messa a punto in Italia e poi esportata da una
multinazionale, ed è una tecnica mista tra la PCV e la VCV: apparentemente è una volumetrica
perché si imposta il volume di inspirazione (oltre che PEEP, numero degli atti e FiO2), ma in
realtà è inquadrata come tecnica pressometrica perché la sua forza è sì erogare il volume che
abbiamo impostato, ma calibrando atto per atto la pressione alla quale il volume stesso viene
somministrato, utilizzando sempre il valore minimo necessario.

La VGRP è la tecnica definitiva?

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No, ma indubbiamente deve essere considerata come gold standard e utilizzata dove
possibile. Se anche questa dovesse fallire allora si passa alla pressometrica tradizionale (PCV),
abbassando le pressioni pagando il volume, che si riduce: se il volume cala, l’unico compenso
possibile consiste nell’aumentare gli atti respiratori.

In un paziente di 70kg, il fabbisogno è di circa 7*8=500-550mL.

Ovviamente, se con la pressometrica non si mantiene il volumr necessario, ovvero la


pressione non è sufficiente a garantire un determinato volume. Se si parla di un fabbisogno
di 5L/min, con 300mL/atto non bastano 12 atti/min ma ne servono 18-19 per compensare il
disturbo del volume con la frequenza respiratoria, mantenendo il locale.

E se fallisce la VGRP?
Bisogna sempre andare ad una metodica controllata pura, in questo caso una PCV. La SIMV
serve invece nelle fasi iniziali o nello svezzamento, quando il paziente ha ricominciato a
respirare autonomamente e si può passare da una controllata ad una assistita.

Ma quindi, da cosa dipende la scelta della metodica?


Non esiste un paziente tipo ma ogni paziente ha la sua insufficienza respiratoria, per cui la
scelta dipende dal singolo.

COME SI PROCEDE NEL PAZIENTE COVID-19


Si fa riferimento al “controllo delle vie aeree”, revisione 1.1 della SIAARTI, aggiornata
indicativamente a 3 giorni fa. Nel paziente Covid-19 si verificano essenzialmente le indicazioni
a intubazione orotracheale, cercando di capire quando è il momento più adatto per intubare.

Si adotta l’early warning score del 2017, che non dice tanto di non intubare gli anziani, quanto
piuttosto che bisogna fare una scelta nel momento in cui le risorse scarseggiano: nonostante
tutte le misure applicate a scopo preventivo, i posti in Rianimazione stanno terminando, per
cui la SIAARTI fa riferimento in primis alle disposizioni di fine vita, precisando che il paziente
che non vuole essere assistito (“ben venga”) non può essere costretto, e che si deve fare una
valutazione scegliendo di ricoverare il paziente che ha maggiori probabilità di uscire
effettivamente dalla Rianimazione (90enne con BPCO e IRA contro 70enne peraltro in discreta
salute).

Se possibile, il paziente va ricoverato in un posto letto isolato con camere a pressione


negativa: in tutta italia sono stati disposti hub specifici, dove vanno i pazienti positivi, tutti a
pressione negativa.

Si valuta se il paziente può avere giovamento da una tecnica non invasiva, ricorrendo
all’intubazione solo se queste falliscono o se non sono possibili in prima battuta.

Attenzione alla valutazione dei rischi di diffusione aerogena, perché tutte le tecniche non
invasive espongono comunque a rischio di diffusione, mentre il paziente intubato è connesso
ad un ventilatore a circuito chiuso e non c’è nessun rischio di dispersione del virus.

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Amalia Sanna Passino

Se è necessario intubare va fatto in elezione, evitando la procedura in emergenza (l’evidenza


deriva già dalla SARS). Non appena c’è segno dalle EGA di fallimento delle NIV, meglio
intubare subito, senza aspettare il momento in cui tutto è fallito, per salvare sia il paziente
che noi stessi (e salvare noi significa salvare altri malati, i pazienti che rimarrebbero senza
medici).

Se bisogna intubare, si deve preparare il team di assistenza ad un Covid-19, che deve essere
composto da (1) l’operatore medico più esperto in tecniche avanzate di ventilazione, fornito
di DPI, (2) un assistente medico o infermiere che sia esperto su protocollo in uso e sui devices,
anche lui fornito di DPI, (3) un secondo medico di pari qualifica dell’1 pronto ad intervenire
se la manovra si rivela complessa, già all’interno della stanza e con DPI indossati, (4) un terzo
medico all’esterno della stanza con DPI indossati, pronto ad intervenire, (5) un osservatore
che monitori le procedure di vestizione e svestizione, visto che in emergenza può capitare di
dimenticare qualcosa.

Rispetto alle linee guida generiche per l’intubazione, in caso di Covid-19 c’è una
sostanziale differenza al punto 1, che richiede l’operatore più esperto: in tutti gli altri
casi, chiunque sia in grado può eseguire l’intubazione, e solo dopo 3 tentativi falliti
interviene l’operatore più esperto.

La vestizione va fatta con DPI di secondo livello (non bastano quelli di primo livello, quindi
servono cuffia/casco, mascherine almeno FFP2 (quelle in dotazione attualmente agli ospedali,
non hanno il filtro e si possono tenere anche più di 8 ore), scudo facciale/occhiali, camice
impermeabile a maniche lunghe, doppio guanto e calzari. Laddove non bastino i DPI di
secondo livello, perché il rischio di inalazione è alto, si passa ai DPI di terzo livello, quindi caso,
mascherine FFP3 dotate di filtro (che vanno cambiate ogni 8 ore, per cui se vengono bagnate
dalle inalazioni vanno sostituite, così come vanno cambiate alla fine di ogni turno), occhiali,
scudo facciale, camice impermeabile a maniche lunghe, doppio guanto e calzari.

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