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SARS-CoV-2 – M.

INFETTIVE 2021
Caso clinico:

L’insorgenza di febbre, tosse, mialgia e


anosmia (completa perdita dell’olfatto) ci
indirizzano verso una diagnosi
sintomatologica di SARS-CoV-2; tuttavia la
diagnosi di certezza delle malattie infettive si
fonda principalmente sull’identificazione
dell’agente responsabile (diagnosi eziologica),
in questo caso ottenuta mediante l’esecuzione
del tampone naso-faringeo.

La paziente in questione al primo accesso in pronto soccorso ha un PaO2/Fo2% di 455 e viene dimessa.

Il rapporto PaO2/FiO2 (P/F) è un parametro utile per monitorare la gravità di una malattia del parenchima
polmonare, la funzionalità polmonare ed eventualmente la risposta ad un trattamento. Valori inferiori ai
300 vengono considerati patologici.

Il calcolo del rapporto si esegue dividendo la pressione parziale di Ossigeno nel sangue valutata con
l’emogasanalisi per la frazione di Ossigeno inspirata dal paziente. Facciamo tre esempi.

• Paziente in respiro spontaneo in aria ambiente (FiO2=0,21). All’emogasanalisi pO2 = 100. Calcolo
rapporto: 100/0,21 = 476.

• Paziente in respiro spontaneo con maschera al 40%. All’EGA pO2= 100, Calcolo rapporto = 100/0,4 =
250.

• Paziente ventilato con il 60%. All’EGA pO2= 100. Calcolo rapporto = 100/0,6 = 166.

Nei giorni successivi, accede nuovamente in pronto soccorso con valori di PaO2/FiO2 patologici e viene
ricoverata. Attualmente, per slatentizzare l’insufficienza respiratoria si fa eseguire al paziente un test da
sforzo (six minutes walking test).

Questo test risulta utile per la diagnosi di coronavirus. Il test viene eseguito camminando per un massimo di
sei minuti lungo un corridoio di 30 m, monitorando in continuo la saturazione. Se la differenza della
saturazione periferica prima e dopo lo sforzo è superiore al 3%, il soggetto viene considerato a rischio di
insufficienza respiratoria.

Concetti generali:

Ø Endemia: la malattia è costantemente presente in una popolazione o territorio


Ø Epidemia: aumento del numero di casi di infezione in una determinata area geografica
Ø Pandemia: epidemia che colpisce aree geografiche vaste con coinvolgimento di più continenti

La maggior parte delle pandemie sono causate da zoonosi. Con il termine di zoonosi si intende una qualsiasi
malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali all’uomo (es. brucellosi, leishmaniosi). Affinché ciò
avvenga per i virus, è indispensabile la ricombinazione genica e lo spillover. La ricombinazione genica
avviene quando due, o più, virus coesistono contemporaneamente nella stessa cellula e scambiano pezzi
del loro corredo genetico. Lo spillover è il singolo evento di trasmissione da un serbatoio (soprattutto
animale, ma anche ambientale) ad un nuovo ospite che può sviluppare la malattia; è secondario ad una
mutazione casuale, che si verifica durante il processo di replicazione. La maggioranza delle mutazione ha
effetti negativi o indifferenti sulla replicazione virale, ma, alcune sono responsabili del salto di specie,
trasmissibilità e patogenicità.

Numerosi autori ritengono che, negli anni a venire, le pandemie saranno sempre più frequenti. Ciò dipende
dalla scarsa osservanza delle norme igieniche, dall’alterazione degli ecosistemi, dall’aumento della
popolazione e dai comportamenti dettati dalle usanze culturali.

Ricombinazione genica SARS-CoV-1 Trasmissione MERS-CoV

Coronavirus

Ø Ordine: Nidovirales
Ø Famiglia: Coronaviridae
Ø Sottofamiglia: Coronavirinae
Ø Genoma: RNA a singolo filamento
Ø 30 sierotipi: gli alfa e beta-coronavirus possono infettare i mammiferi; i gamma e delta-coronavirus
possono infettare gli uccelli e talvolta anche i mammiferi

Fino al 2002, i coronavirus sono stati ai margini dell’interesse scientifico, in quanto causa di episodi infettivi
banali per lo più a carico delle vie aeree superiori (raffreddori e riniti). Per ragioni di tipo classificativo, ne
erano stati caratterizzati 4 tipi su base molecolare:

Ø HCoV OC43
Ø HCoV 229E
Ø HCoV NL63
Ø HCoV HKU1

Il SARS-CoV-2 è un beta-coronavirus ed è molto simile al CoV-1. Possiede 4 principali proteine strutturali:

Ø Sà la proteina spike che si lega al recettore ACE-2 (presente a livello polmonare, cerebrale,
cardiaco, epatico ecc.)
Ø Eà la proteina dell’envelope
Ø Mà la proteina della matrice
Ø Nà la proteina nucleare che protegge l’RNA virale

Esistono numerose varianti del virus, legate all’incapacità dell’RNA-polimerasi di correggere gli errori
genomici. Le principali sono:

Ø La variante alfaà inglese


Ø La variante betaà sud- africana
Ø La variante gammaà brasiliana
Ø La variate deltaà indiana

L’infezione è trasmessa con i dropltes generati con gli starnuti e con la tosse da persone che sono state
infettate. Generalmente, i droplets vengono divisi a seconda delle dimesioni. Quelli di dimensioni inferiori
ai 5 micron restano sospesi in aria, quelli di dimesioni superiori ai 5 micron che precipitano. Il SARS-CoV-2
viene espulso attraverso droplets che hanno un diametro di 5-7 micron e che precipitano ad un metro di
distanza.

L’infezione può essere acquisita per inalazione dei droplets (via diretta) o, più raramente, toccando
superfici contaminate e successivamente il naso, la bocca, gli occhi (via indiretta). Il virus presenta
un’infettivià media, avendo un R0 = 2,5 senza distanziamento e misure di sicurezza, e un indice
normalizzato in base alle norme precauzionali RT= 0,89.

Clinica
La storia clinica del COVID19 è semplificata in 3 diverse fasi nei pazienti sintomatici:
-Fase strettamente virologica: caratterizzata dall’assenza di sintomi o sintomi aspecifici simil-influenzali
(febbre, tosse secca, dispnea). Questa fase, da un punto di vista patogenetico, è correlata alla replicazione
virale. Nella stragrande maggioranza dei casi si esaurisce autonomamente.

-Fase polmonare: insorge solo in una percentuale variabile di pazienti inizialmente


asintomatici/paucisintomatici e inizia tra il quinto e il decimo giorno di infezione. In questa fase il virus si
localizza a livello polmonare determinando un processo infiammatorio.

-Fase sistemica (da iperinfiammazione): si manifesta dopo il decimo giorno di infezione. In questo caso la
sintomatologia può essere presente a livello polmonare ed extra-polmonare (diarrea, cefalea, vomito,
nausea, atassia, eventi cerebrovascolari, ipogeusia, iposmia, nevralgia, miosite acuta, eventi vascolari
acuti).

In uno studio di marzo 2020 su Science si andava a calcolare con dei modelli matematici che l’86% di tutte
le infezioni da SARS-CoV2 in un’area metropolitana cinese erano paucisintomatiche e non documentate
(quindi con esaurimento dell’infezione nella fase virologica). Gli studi su popolazione hanno poi confermato
questa percentuale.
La classificazione dell’NIH (National Institutes of Health) distingue:
-Pazienti asintomatici
-Pazienti sintomatici con malattia lieve\moderata (corrispondenti a circa l’80% della popolazione che
viene a contatto con il SARS-CoV2. In queste 2 categorie la Sp02 è >94% e, perciò, i pazienti non
necessitano di ricovero)
-Pazienti con patologia severa
-Pazienti con patologia critica (corrispondenti al 20% della popolazione che viene a contatto con il SARS-
CoV2. In questi casi la SpO2 è <94% con necessità di ricovero. La sintomatologia di questi pazienti
sopraggiunge dopo il quinto giorno dall’inizio dei sintomi).

Le percentuali rappresentano una media della popolazione e variano se si prendono in considerazione


determinate fasce di età (al di sotto dei 30 anni quasi il 100% dei pazienti è asintomatico, al di sopra dei 60
anni i pazienti sintomatici salgono al 25%).

Un lavoro sul LANCET di febbraio 2020 evidenzia la sintomatologia dei pazienti mettendola in rapporto ai
giorni dall’infezione ed espone il concetto per il quale nei primi giorni non c’è alcuna differenza tra i
pazienti paucisintomatici che esauriscono la malattia nella fase virale e quelli che hanno in tempi successivi
un interessamento polmonare. In questi ultimi, in media, il ricovero avviene intorno al settimo giorno con
insorgenza di sintomatologia polmonare all’ottavo giorno e una sintomatologia sistemica tra il nono e
decimo giorno. Successivamente al decimo giorno ci può essere il ricovero in un reparto subintensivo o di
rianimazione.

Ancora non si è compresa la patogenesi dell’ipogeusia e dell’iposmia. Molto probabilmente c’è una
localizzazione virale a livello dei gangli nervosi che ne determina un’ipofunzionalità. In una metanalisi è
stato riscontrato che circa il 15% dei pazienti con SARS-CoV2 presenta questa tipologia di sintomi
all’esordio.

Una presentazione clinica caratteristica dell’età infantile è quella dermatologica con la presenza di lesioni
simil-geloni a livello delle dita di mani e piedi o esantema orticarioide. Quest’ultimo può essere presente sia
nella fase iniziale come primo sintomo o, molto più frequentemente, nella fase finale della patologia
(esantema post-infettivo) e sembra essere correlato all’attivazione della risposta immunitaria antivirale con
la formazione di immunocomplessi.

Mortalità
Secondo i primi report svolti su un numero limitato dei pazienti si attestava intorno all’1,5%. I successivi
dati permettono di comprendere che la mortalità dipende soprattutto dalla fascia di età dei pazienti colpiti:
al di sotto dei 50 anni si attesta allo 0,5% per salire fino al 14% nei pazienti sopra gli 80 anni.

Severità
Oltre all’età del paziente una caratteristica importante che inficia sulla severità della patologia è la presenza
di comorbidità determinando un aumento della probabilità di Failure Polmonare. Le comorbidità che si
associano più frequentemente a patologia severa sono:
-Tumore attivo (soprattutto quello polmonare)
-IRC
-Patologia ostruttiva respiratoria cronica
-Diabete
-Cardiopatia grave
-Obesità (dato importante per spiegare la differenza di severità tra la popolazione italiana, con un maggior
numero di pazienti obesi, rispetto a quella cinese)
-Gravidanza
-Anemia falciforme (questi pazienti hanno una maggior tendenza all’emolisi con conseguente ipossia e
peggioramento del quadro di insufficienza respiratoria)
-Fumo

Anatomia Patologica
Il SARS-CoV2 è in grado di legare i recettori ACE2 presenti a livello polmonare determinando un
coinvolgimento interstiziale. La caratteristica principale delle polmoniti interstiziali è quella di essere
negativa all’esame obiettivo. In una seconda fase della patologia è, però, probabile anche un
coinvolgimento alveolare con positività all’esame obiettivo.

Diagnosi clinica
All’emogasanalisi la polmonite interstiziale è caratterizzata da una PaCO2 fisiologica (perché molto più
diffusibile. In alcuni casi è addirittura ridotta a causa di iperventilazione compensatoria) rispetto a una PaO2
ridotta. Nella polmonite alveolare c’è alterazione della concentrazione di entrambi i gas: la PaO2 si riduce
mentre la PaCO2 aumenta.
Per comprendere la gravità della patologia polmonare in un paziente con SARS-CoV2 è necessario valutare,
oltre la PaO2, anche la FiO2 e il rapporto PaO2\FiO2 al momento del prelievo arterioso per conoscere la
quantità di O2 somministrata al paziente.
A livello laboratoristico, essendo un’infezione virale, dovrebbe essere riscontrata una linfocitosi. In realtà,
in questi pazienti, è frequente una linfopenia con neutrofilia relativa. In una piccola percentuale dei casi è
riscontrabile anche una piastrinopenia.
Da un punto di vista biochimico in un paziente ospedalizzato si può notare un aumento della LDH (da
necrosi o da danno polmonare), alterazioni di PCR, CPK, transaminasi e D-dimero. Quest’ultimo risulta
particolarmente elevato nella fase dell’iperinfiammazione per la presenza di sintomi simil-CID.
I reperti radiologici mettono in evidenza il coinvolgimento interstiziale “a nido d’ape” con addensamenti
alveolari. La TC permette di valutare la caratteristica bilateralità con interessamento di zone periferiche. Tra
il quinto e il settimo giorno, inoltre, sarà possibile notare le alterazioni dell’interstizio e, nei periodi
successivi, anche gli addensamenti per organizzazione fibrotica e interessamento alveolare (inizialmente la
spiegazione per questi ultimi era stata ricondotta a una sovrainfezione batterica, ipotesi scartata per il fatto
che solo 1 paziente su 10 ne sviluppa una).

La diagnosi differenziale prende in considerazione soprattutto i Virus Influenzali che possono presentarsi
con una clinica molto simile rispetto al SARS-CoV2. In genere il paziente con questa tipologia di sintomi
viene valutato attraverso tampone e tenuto in isolamento fino alla rilevazione dei risultati. Questa prassi
determina una problematica di spazi ospedalieri per il fatto che ognuno di questi pazienti dovrebbe essere
in una camera singola per evitare il rischio di infezione. Altri microorganismi da prendere in considerazione
per una diagnosi differenziale, oltre ai virus polmonari, sono i batteri intracellulari che possono provocare
una polmonite interstiziale come Legionella Pneumophila, Mycoplasma Pneumoniae, Chlamydia
Pneumoniae. Nel caso di coinvolgimento alveolare è necessario prendere in considerazione anche
Streptococco Pneumoniae.
Diagnosi eziologica
Si basa sulla ricerca molecolare dell’RNA virale a livello delle mucose nasali e faringee (sedi di attiva
replicazione del virus).
Può essere utilizzato anche il tampone salivare (positivo per contaminazione da parte delle secrezioni
nasali) nonostante abbia una sensibilità più bassa rispetto a quello nasofaringeo ma più gradito al paziente
e più veloce da utilizzare negli screening (ad esempio quelli nelle scuole).
È possibile utilizzare anche prelievi più sensibili come il BAL, il broncoaspirato o l’esame dell’espettorato
solo in caso di coinvolgimento polmonare, anche se molto più invasivi rispetto ai tamponi.

La ricerca dell’antigene virale piuttosto che del genoma ha una sensibilità lievemente minore ma risulta
essere molto più veloce per il riscontro dei risultati in 15 minuti. In genere viene utilizzato per scopi di
screening. Il test antigenico da falsi negativi soprattutto in pazienti asintomatici.

Il test sierologico permette di valutare la presenza di anticorpi contro il virus ma non di discriminare tra
un’infezione attiva e una pregressa. Inoltre, l’80% dei pazienti affetti sviluppa gli anticorpi a partire dal
decimo-dodicesimo giorno dall’infezione rendendo la ricerca poco utile ai fini diagnostici.
Per il SARS-CoV2, inoltre, non è utile la distinzione tra IgM ed IgG in quanto la loro comparsa è quasi
contemporanea e non è indice di fase acuta.
Il test sierologico ha quindi solo una valenza epidemiologica (in Campania è stato fatto un test di screening
dopo la prima ondata sul sangue dei pazienti donatori e solo l’1,5% di questi presentava anticorpi specifici).

Criteri di domiciliazione
Dopo aver fatto una diagnosi è necessario fare una differenza tra i pazienti che necessitano di
un’ospedalizzazione rispetto ad altri che possono portare avanti una terapia a domicilio per evitare di
occupare posti ospedalieri in maniera impropria (un paziente in malattie infettive costa allo stato circa 800
euro al giorno in media) e per evitare un sovraffollamento con rischio di mancata assistenza ai pazienti
gravi.
Secondo le linee guida italiane i pazienti asintomatici o pre-sintomatici, con malattia lieve (presenza di
sintomatologia lieve ma in assenza di dispnea e alterazioni radiologiche) o malattia moderata (SpO2>94%
ed evidenza clinica o radiologica di polmonite) possono avere un management domiciliare.
I pazienti con malattia severa (SpO2<94%, PaO2\FiO2 < 300, FR >30 battiti\minuto [nell’adulto] o infiltrati
polmonari >50%) o malattia grave (insufficienza respiratoria, shock settico e\o insufficienza multiorgano)
necessitano di management ospedaliero. È necessario ospedalizzare il paziente anche con una Sp02 a
riposo >94% che, dopo walking test, cala più del 3%.
È fondamentale anche prendere in considerazione il tempo di insorgenza dei sintomi moderati\gravi: più
precoci sono e maggiore è l’urgenza.
I requisiti da valutare, quindi, nella pratica clinica per la gestione dei pazienti con SARS-CoV2 sono:
-Età
-Comorbidità
-PaO2\FiO2
-Giorno di malattia

E’ necessario che i pazienti affetti che non hanno i requisiti per l’ospedalizzazione abbiano comunque una
corretta domiciliazione:
-Camera da letto e bagno indipendente per il paziente
-Disponibilità da parte dei familiari a gestire l’assistenza secondo le regole della prevenzione efficacie
-La famiglia deve essere in grado di provvedere alle risorse di prima necessità
-Assenza di conviventi\familiari che possano essere ad aumentato rischio di complicanze dall’infezione di
SARS-CoV2 nel caso fossero infettate (ultra 70enni, bambini piccoli, donne in gravidanza,
immunocompromessi, portatori di patologie croniche).
Terapia
Paziente asintomatico:
-Rilevazione della saturazione periferica con saturimetro tascabile una volta al giorno a riposo
-Monitoraggio della comparsa dei sintomi
-Valutazione clinica a distanza non oltre 2 volte a settimana

Paziente con forme lievi (febbre non superiore ai 38°C e\o sintomi associati senza sintomi respiratori):
-Rilevazione della saturazione periferica con saturimetro tascabile due volte al giorno a riposo
-Monitoraggio della saturazione periferica dopo Walking Test ogni giorno
-Valutazione clinica a distanza 2 volte a settimana

Paziente con forme moderate (febbre persistente >38°C per 96 ore con tosse e dispnea da sforzo, ma SpO2
a riposo in area ambiente >94% o >90% in pazienti con patologie polmonari croniche):
- Rilevazione della saturazione periferica con saturimetro tascabile due volte al giorno a riposo
- Monitoraggio della saturazione periferica dopo Walking Test ogni giorno
-Valutazione clinica a distanza o in presenza ogni 2 giorni

I pazienti che sono nella prima fase della patologia (prima del quinto giorno) necessitano di farmaci
antivirali come Baloxivir, Convalescent Plasma, Favipiravir, Idrossiclorochina, Interferone (e non di
corticosteroidi che, non essendosi ancora verificata la fase infiammatoria vera e propria, potrebbero solo
portare all’aumento della replicazione virale).
Dalla seconda fase (dal quinto al decimo giorno) è necessario somministrare farmaci anti-infiammatori
come Corticosteroidi (Desametasone), Inibitori dell’IL-1 (Anakinra), Inibitori dell’IL-6 (Tocilizumab),
Immunoglobuline endovena, Inibitori di JAK (Baricitinib).

Durante la prima ondata si è utilizzata l’Idrossiclorochina perché in vitro sembrava bloccare


l’internalizzazione del virus. Successivamente studi in vivo hanno dimostrato che la somministrazione non
modificava la mortalità.

Poiché il virus, ad un certo punto della sua replicazione intracellulare, necessita di creare una poliproteina
codificata a partire dal suo RNA che, per maturare, deve essere scissa da una proteasi, è anche possibile
somministrare ai pazienti Inibitori delle proteasi virali. Siccome la proteasi del SARS-CoV2 pare essere
molto simile rispetto a quella dell’HIV si pensò di somministrare gli stessi farmaci per entrambi i virus.
Anche in questo caso, però, gli studi dimostrarono un’uguale mortalità tra i pazienti sotto questa terapia e i
controlli.

Esistono, inoltre, alcuni farmaci Inibitori dell’RNA polimerasi RNA dipendente fondamentale per la
replicazione virale (ad esempio il Remdesivir, sviluppato per l’ebola e per il SARS-CoV1). In questo caso i
successivi studi hanno dimostrato un miglioramento, seppur minimale, in termini di risoluzione della
patologia nei pazienti sotto terapia rispetto al controllo soprattutto con somministrazione nelle prime fasi
della patologia e con la necessità di basse dosi di O2.
È stato presentato all’Agenzia del Farmaco un nuovo inibitore dell’RNA polimerasi RNA dipendente creato
appositamente per il SARS-CoV2, il Molnupiravir. Anche in questo caso è necessario somministrarlo ai
pazienti nella fase virale della patologia così da evitarne la progressione. I dati a riguardo non sono ancora
stati pubblicati ma pare ci sia un miglioramento degno di nota.

Altri farmaci che vanno sotto la denominazione di “antivirali” (e quindi da somministrare nella prima fase di
patologia entro i 10 giorni dall’inizio dei sintomi) sono gli Anticorpi Monoclonali che, legandosi e bloccando
la proteina Spike, sono in grado di inibire l’ingresso del virus all’interno delle cellule. Esempi di questi sono
Bamlanivimab-Etesevimab, Casirivimab-Imdevimab, Sotrovimab.
In genere vanno somministrati con una sola infusione (avendo un’emivita di 21 giorni) appena si
diagnostica la patologia.
Questi farmaci possono essere meno efficaci nelle varianti di SARS-CoV2 che presentano un’alterazione
proprio della proteina Spike.
(Inizialmente a questo scopo si è provato ad utilizzare il plasma iperimmune dei pazienti guariti dalla
patologia ma con scarsi risultati a causa della scarsità degli anticorpi somministrabili.)
Nonostante gli Anticorpi Monoclonali possano avere un vantaggio per tutti i pazienti nella prima fase della
patologia hanno un costo ingente; per linee guida, quindi, è necessario somministrarli solo a chi ha un reale
rischio di progressione della patologia (pazienti con un BMI>35, pazienti dializzati, pazienti con diabete
mellito non controllato, pazienti con immunodeficienza primitiva o secondaria, pazienti >65 anni e pazienti
>55 anni con malattia cardiovascolare o malattia respiratoria cronica).
Esistono anche delle indicazioni alla somministrazione di Anticorpi Monoclonali per i pazienti di età tra i 12
e i 17 anni che abbiano un BMI > all’85esimo percentile per età e genere, anemia falciforme, malattie
cardiache (congenite o acquisite), malattie del neurosviluppo, dipendenze da dispositivo tecnologico
(tracheotomia, gastrostomia), asma o altre patologie respiratorie che richiedono medicazioni giornaliere.
Da agosto 2021 è possibile somministrare Casirivimab-Imdevimab (in dosaggi 4 volte superiori rispetto al
normale) anche in pazienti ospedalizzati con ossigenoterapia, purché non sia ad alto flusso.

Dal settimo-decimo giorno in poi, nella fase polmonare, è invece necessario somministrare Corticosteroidi,
Inibitori modulatori dell’infiammazione e Terapia Anticoagulante.
E’ stato dimostrato che i Costicosteroidi non sono utili nella maggior parte delle infezioni virali e batteriche
e, perciò, nella prima ondata del SARS-CoV2 non furono utilizzati finché non fu messo in evidenza da un
trial clinico (che metteva a confronto una popolazione di pazienti in terapia con desametasone e un
controllo) che in realtà, riducono la mortalità del 17% (con un Intervallo di confidenza tra l’1 e il 25%). Il
massimo vantaggio nella somministrazione di Corticosteroidi è nei pazienti che necessitano di ventilazione
meccanica e di ossigenoterapia, mentre nella restante parte possono determinare addirittura un
peggioramento (anche se non significativo).
Esiste una metanalisi, inoltre, secondo la quale il vantaggio nella somministrazione di Corticosteroidi è
evidente solo in caso di somministrazione di desametasone, ad oggi l’unico farmaco corticosteroideo
possibile da somministrare secondo linee guida.

E’ possibile bloccare l’infiammazione in maniera più precisa attraverso Immunomodulatori quali Inibitori
dell’IL-6 (Tocilizumab, Siltuximab, Sarilumab), Inibitori dell’IL-1 (Anakinra), Inibitori di JAK (Ruxolitinib).
La problematica principale di questi farmaci è che la finestra di vantaggio è troppo piccola: se somministrati
nella prima parte della patogenesi non hanno un significato terapeutico (l’infiammazione non è ancora
cominciata), mentre se somministrati troppo tardi evitano l’evoluzione della patologia infiammatoria ma
non ne riducono gli effetti. Questo è il motivo per il quale è stato più semplice dimostrare l’efficacia dei
corticosteroidi (farmaci a più ampio spettro che inibiscono più step della cascata infiammatoria) rispetto
agli immunomodulatori (specifici per un determinato substrato).
L’unico studio sulla somministrazione degli Immunomodulatori ha preso in considerazione una popolazione
di 4.000 pazienti con ossigenoterapia e PCR alterata mettendo in evidenza una riduzione della mortalità del
15% (percentuale molto simile rispetto al vantaggio associato ai costicosteroidi a fronte del prezzo molto
più elevato).

La Terapia Anticoagulante venne somministrata successivamente alla valutazione di alcune autopsie che
hanno messo in evidenza, oltre alla polmonite interstiziale e alveolare, nel 15-18% dei pazienti anche delle
microtrombosi diffuse dei vasi alveolari. Si è dimostrato un miglioramento della mortalità solo in pazienti
ospedalizzati con Insufficienza Respiratoria.

L’azitromicina non ha alcun significato terapeutico. Non è invece ben chiaro il ruolo terapeutico associato
alla somministrazione di vitamine.
In sintesi:
-Ai pazienti con coinvolgimenti respiratorio (RX torace positivo) e SpO2>94% è necessario valutare la
presenza di fattori di rischio per ipercoagulabilità si somministrano Eparina e Anticorpi Monoclonali.
-In pazienti con necessità di ossigeno terapia non ad alti flussi nei primi 10 giorni di patologia è necessario
somministrare il Remdesivir e desametasone.

Prevenzione
Utilizzo obbligatorio di mascherine, lavaggio delle mani, distanziamento sociale.
Il lock down è necessario non per ridurre il numero delle persone infette ma per spalmare l’incidenza della
patologia in un tempo maggiore ed evitare il sovraffollamento ospedaliero.

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