IL CORPO-PAESAGGIO E LA SCENA – RAINER MARIA RILKE
1. Paesaggi con figure
Il paesaggio agisce, idealmente e letteralmente, come elemento unificante, un amalgama garante della Melodia delle cose. Nella sua accezione letterale compare negli scritti dedicati alla pittura. Worpswede: offre un esempio di come il poeta, trasfigurando la realtà si muova sempre da un’esperienza sensibile. Il paesaggio corrisponde all’atmosfera, ha valore metaforico, poiché allude all’atmosfera come mezzo che lega armonicamente le presenze. Per Rilke è la scena che consente di cogliere la valenza della figura umana, vivente portatore di sentimento che manifestandosi in carne ed ossa unisce la realtà della presenza scenica alla rappresentazione. Rilke reputa “presenze sceniche” anche gli oggetti che, investiti dal sentimento, si fanno “personaggi”. Per esempio in Appunti sulla melodia delle cose in cui vi sono due ragazzi seduti l’uno difronte all’altro a un tavolo, sotto la luce di una lampada, vivono destini variopinti e fantastici nell’esiguo spazio della stanza. Queste fantasticherie mentali per Rilke costituiscono “azione drammatica”. La stanza ha la stessa funzione del paesaggio, a patto che venga “abitata” dal una sostanza che renda l’atmosfera coesa, in questo caso è lo sfondo scuro sul quale i ragazzi tessono i fili delle loro favole. Anche il ronzio della lampada è “personaggio”. Il rapporto fra paesaggio e figure, “il paesaggio è uno stato dell’anima”, Rilke all’affermazione di Frederic Amiel, si riferisce all’anima del mondo, ad una qualità effettiva che è nel paesaggio. Due opere di Rilke: -Der Wanderer (il viandante) del 1893. Di fronte ad un componimento di Goethe scrive di non trovare alcun luogo che riuscirebbe a “vedere in modo così vivido” di fronte al suo “occhio spirituale”: vede il pendio su cui le figure risalgono i gradini di pietra in mezzo alla sterpaglia. Rilke quindi “vede”, Goethe invece non menziona il bagliore rossastro, è il lettore-poeta che crea questo elemento di raccordo, che rende visibile la corrispondenza tra la natura il paesaggio e i personaggi: la poesia offre dettagli sui coralli al collo, sulle labbra vermiglie, ma è Rilke che stabilisce corrispondenze visive cromatiche, tra la figura della madre e la luce atmosferica. -Testamento del 1921. Un diverso esempio di interiorizzazione è in un passo di quest’opera. Il poeta annota la sua esperienza a Zurigo e scrive: in quella situazione votata al raccoglimento, anche questa delimitazione lo soddisfece venendo incontro quasi paesaggisticamente alla coscienza di una dimensione interiore che sperava di rafforzare in sé giorno dopo giorno. Il paesaggio diventa una qualità, grazie all’avverbio “panoramico”, una modalità del sentire che sancisce la specularità tra interiorità e aspetto visibile dell’ambiente.
2. “interieurs”: la scena, “paesaggio del corpo”
Corpo e paesaggio, nelle opere di Rilke, sembrano fondersi, gli attributi dell’uno scivolano sull’altro, le caratteristiche del paesaggio vengono attribuite alla figura e viceversa le peculiarità dell’umano al paesaggio. Rilke ha la concezione della scena in quanto luogo costitutivamente votato alla fusione delle varie arti. Il momento decisivo si pone nel 1898. Il motivo del sentimento che pervade l’artista, ponendolo in corrispondenza con le Cose, percorre Moderne Lyrik, dove “l’atmosfera serale” e “il paesaggio primaverile” si espandono fino a connotare la dimensione interiore dell’artista. Il sentimento dello sfondo viene assimilato al fluire ininterrotto delle immagini di una lanterna magica, quindi equiparato alla sostanza luminosa che unifica, mentre l’espressione delle sfumature degli affetti viene paragonata alla musica. L’attenzione di Rilke mira sempre a evidenziare le relazioni tra i singoli elementi e il Tutto che li contiene: “considero l’arte come la ricerca di un singolo per arrivare, oltre l’angustia e l’oscurità, a un’intesa con tutte le cose, con le più piccole e le più grandi, per avvicinarsi in questi continui dialoghi alle ultime, sommesse sorgenti di ogni vita. I segreti delle cose si fondono nel suo interno con le sue sensazioni più profonde e acquistano una voce, quasi fossero sue nostalgie.” Uno degli scritti più significativi in merito è Intèrieurs, estate del 1898. L’universo che Rilke ha di fronte è quello teatrale, letto attraverso le categorie del paesaggio e della comunanza. Il teatro che Rilke ha in mente e a cui fa appello è quello di Maeterlinck: Interieur è il titolo di un suo celebre atto. In Maeterlinck l’azione coincide con i movimenti dell’anima, anche minimi e nel suo teatro il paesaggio, inteso anche come ambiente o luogo dell’azione, ha sempre una valenza drammaturgica e fortemente simbolica, vi risuona l’interiorità dei personaggi, manifestando un’azione invisibile, resa percepibile grazie al movimento delle corrispondenze. Rilke parla delle città “piccole e piccolissime” della sua patria, che “all’approssimarsi della notte diventano indicibilmente pensierose. Lo si vede dalle piazze che si sforzano di sciogliere l’oscuro enigma che aleggia nell’aria”. Nel capoverso successivo Rilke passa a parlare delle fanciulle che li abitano, e adotta una costruzione simmetrica rispetto alle figure femminili a cui vengono attribuite peculiarità paesaggistiche. Nel terzo paragrafo il poeta accosta le due immagini: “nelle città piccole e piccolissime della mia patria le piccole fanciulle divengono grandi fanciulle nel giro di una notte”. Le figure sono messe in relazione al luogo, gli oggetti ai sentimenti e alle esperienze interiori dei solo proprietari. Una variante di questo tema è costituito dall’interazione tra gli oggetti e il vissuto delle figure: nel paragrafo ottavo, gli anziani, Rilke tratteggia il ricordo di una zia che conserva nella credenza tessuti bianchi nei cui fili sono “intessute atmosfere”, cose che non le sono accadute e che lei pensa siano rimaste preservate nella trama delle tovaglie: “E’ sempre così, prima si tessono i propri sogni in profondità nei tessuti, così da lasciarli crescere accanto alla vita nella quale non avrebbero abbastanza sole per maturare, li si lascia in piccoli oggetti fuori moda”. Poco dopo torna all’idea di comunanza: come su di un palcoscenico, sfilano in questi quadri i motivi della consonanza con il paesaggio, della profondità e della comunanza. Rilke richiama una modalità della “storia” che deroga dalla solita narrazione lineare dei fatti, intende introdurre la concezione di “paesaggio intimo”. “nei secoli più recenti, ci si era volti al paysage intime, cioè si cerca di raccontare la storia di uomini senza nome. Qualcuno ha notato che una battaglia non si combatteva necessariamente alle Termopoli, Hastings o Austerlitz, ma che talvolta essa trova spazio, nella paura, nella malinconia o nell’ingratitudine” e non è necessario “scoprire l’America, la polvere da sparo o l’aereoplano, perché avvenga qualcosa di importante e di fecondo”. Secondo Rilke è necessario dotare la scena di un “sentimento fondamentale” che accomuni i personaggi, sul quali si disegneranno le sfumature dei singoli. “Atmosfera” che è premessa di una condizione comunitaria alla quale accedere tramite l’evento teatrale. Scrive in uno dei saggi su Maeterlinck: che Maeterlinck aspira ad offrire agli attenti spettatori una seconda, comunità dell’azione. Un incontro collettivo di molte persone, ottenuto epr via involontaria, è però possibile solo se è presente un sentimento solenne ed elementare. Così Maeterlincl compone i suoi drammi su tali sentimenti. La mort de Tintaglies per esempio è costruito sull’angoscia. Questo sentimento è presente quando il sipario si alza e rimane per tutta l’ opera: costituisce la scena il mondo. Tutto accade in esso. Rilke poi si chiarisce dicendo che nei loro volti e nelle loro figure vi sono centinaia e centinaia di ansie. Solo se parlo di migliaia di fanciulle sembrerà che io conosca di una qualcosa di caro e di segreto, solo se innumerevoli voci si uniscono, anche il più lontano e il più triste percepirà un soffio di quel canto sublime che non ha uguali. La riflessione si estende quindi alla pittura, dove la comunanza è quella delle creature angeliche, diverse ma unite dalla dimensione divina che le sovrasta. Rilke ha sempre prestato una grande attenzione alle figure femminili, nella storia nella poesia e nell’arte. Le figure appartengono ad una dimensione diversa da quella del quotidiano, sono mosse da leggi che sfuggono alla logica diurna, pervase da una luce che il nostro sguardo fatica a sostenere. In queste fanciulle vi sono delle peculiarità che consentono di leggere queste figure come dramatis personae. Sono le figure alle quali Rilke da vita nella sua concezione della scena, sono soggetto di mutazioni atmosferiche. Queste figure sembrano possedere un peculiare statuto di realtà, la loro incertezza nel movimento e nella direzione le pone in una condizione di dipendenza dagli elementi naturali. Ricordano i personaggi creati da Maeterlinck: le figure abbagliano lo sguardo comune e non si esprimono attraverso un movimento lineare, sembrano seguire una logica diversa da quella che regola le consuetudini, il loro linguaggio somiglia più a quello della poesia che ad una narrazione, vibra di una sonorità che ci accompagna dentro la dimensione onirica, ma anche musicale o scenica. Tutti i passaggi propongono immagini nelle quali le figure sono profondamente legate all’ambiente in cui si muovono. Un sipario si chiude sulla loro dimensione misteriosa, lasciando che la luce si insinui appena per scalfirle, come sculture che vivano della vibrazione atmosferica. Non bisogna pensare alle immagini teatrali di Rilke come pure metafore dell’esistenza o figure poetiche, poiché hanno una effettiva concezione di scena rinnovata e d’altro canto la scena per Rilke travalica sempre quinte e ribalta e si estende ad una visione dell’esistenza del mondo. Anche il finale sospeso è indice di un dramma che si vuole aperto per chiedere la partecipazione di uno spettatore emotivamente attivo. Interieurs viene scritto pensando alla scena, in modo simmetrico alle considerazioni presenti nei saggi sul teatro che poggiano sull’osservazione del paesaggio nella pittura. L’apprendistato visivo del poeta comporta un continuo spostamento: lo sguardo teatrale non è disgiunto dal suo interesse per le arti figurative, anzi ne è alimentato. Viceversa i paesaggi e le figure dipinti vengono penetrati grazie alla lente dell’acuto critico teatrale. 3. Dalla scena alle arti visive al paesaggio, e ritorno Paesaggio ocn figure è per Rilke la scena, i corpi-paesaggio sono le presenze, talmente intrise dell’aria comune da fondersi con gli elementi paesaggistici. Una variante del motivo totalizzante compare nella riflessione dedicata alla scultura di Rodin. Il fattore percettivo implicato dalla fusione della superficie con l’atmosfera è accostato a quello della dimensione comunitaria. Lo scultore “sapeva che tutto doveva partire da una conoscenza infallibile del corpo umano”, era “risalito fino alla superficie” e su questa ha concentrato la propria ricerca: “essa consisteva di infiniti contatti tra luce e materia”. Rodin colse la vita ovunque la vide, la catturò dove fluiva, la trovò in ogni tipo di luogo. Vi è l’immagine di un corpo intero dove l’interiorità di esprime direttamente al visibile. Rilke si riferisce alla scultura Meditation e associa questa alla presenza scenica di Eleonora Duse, riprendendo l’immagine di interezza e totalità che l’attrice riesce ad esprimere, superando la separatezza della singola figura e persino l’articolazione del corpo in segmenti. I fanciulli e le fanciulle sono pervasi da una totalità. L’attenzione all’interazione tra la luce, l’ombra e le forme degli edifici è costante, ma l’arte e l’architettura non appagano completamente il poeta. Rilke pensando a Viareggio scrive, che non poteva più sopportare quella vista, dopo tanta arte di nuovo la natura. Dopo il molto il singolo, cioè dopo la molteplicità dell’arteche accosta individualità ed epoche diverse, la natura sembra ricondurlo ad un Ttutto, a qualcosa di unitario. In questa dimensione di consonanza con il paesaggio della natura Rilke crea La Principessa Bianca un dramma che costituisce per lo stesso poeta una sorta di manifesto drammaturgico. Rilke auspica che sopra i giorni degli artisti cresca una luminosa, cristallina solennità in cui le figure si muovano semplici e leggiadre. Esplicita poi l’estensione paesaggistica all’istante dell’ispirazione artistica: i momenti di creazione sono crepuscoli di pesanti giorni estivi. Ritorna variato il motivo della atmosferizzazione di un aspetto dell’agire umano: si tratta solo di istanti, ma in simili istanti io vedo nel profondo della terra, io vedo in essi una solo profondità. Rilke non dimentica mai la dimensione dell’arte, le riflessioni sul paesaggio si alimentano dall’osservazione della natura e dalla lettura delle opere del Rinascimento: Rilke cita molti capolavori della pittura italiana. Interessante è il rapporto fra monumento e luogo che lo ospita: si concepirà la piazza come un tuto, e la si accrescerà del monumento affidato al suo centro. Rilke poi passa a riflettere sul ritratto nella storia dell’arte e sostiene che l’artista non deve rappresentare i molti legati alla singola personalità, ma illuminarli e nobilitarli. Allora persino il mare nella sua immensità non rappresenta una cornice più ampia del volto e della figura umana. Ancora più forte è la corrispondenza tra figura umana e paesaggio, a patto che il sentimento ritratto sia reso universale. Il Diario di Worpswede può essere visto come una sorta di prologo al volume successivo nel quale dedica diversi saggi ai pittori. Nelle annotazioni del diario vi è un procedimento simile a quello visto precedentemente: l’accostamento di immagini appartenenti ad ambiti diversi che fanno scattare le associazioni tra i motivi. Per Rilke il sentimento del paesaggio costituisce una sorta di apprendistato visivo. Gli artisti detengono la prerogativa di poter accedere alle cose nella loro pienezza ed è preservata loro la capacità di guardarle che connota la dimensione dell’infazia. I pittori di paesaggio guidano il poeta nel suo apprendistato visivo: la felicità che si prova nell’osservare la piccola porzione di un quadro, la parte di un piede, o la piega di un tessuto mi è stata donata soltando dal rapporto con questi pittori bravi e coscienziosi, incredibilmente vicini ai loro Grazie alla vicinanza con gli amici pittori so sguardo quadri. I miei occhi non sono ancora maturi per percepire, trattenere e restituire. di Rilke subisce una trasformazione. L’esperienza vissuta tra gli artisti si snoda entro una dimensione di naturale confronto tra le arti: Rilke riferisce le loro frequentazioni, le visite a musei e gallerie e le conversazioni in merito. Una notazione conferma la concezione di Rilke di azione e di personaggio. Le idee espresse sul teatro corrispondono alla concezione formulata in molti altri scritti: un dramma che rensa visibile ciò che si svolge silenziosamente, figure che definiscono la loro identità a partire dai profili delle cose, dunque nella relazione con un ambiente, un’azione che trovi espressione nel movimento di tutto il corpo e non si concentri sulla psicologia individuale di cui si fa latore il volto, troppo limitato e particolare. Il diario è composto da materiali eterogenei, tra cui la recensione di un allestimento de La Mort de Tingtaglies di Maeterlinck, poesia, progetti drammaturgici e una recensione a Micheal Kramer di Hauptmann. tutti passaggi che testimoniano che Rilke aveva un forte interesse per la scena, dimostrano come nel cuore del suo apprendistato visivo, immerso nell’atmosfera della natura penetrata dallo sguardo acuto degli artisti, si consolidi la sua concezione teatrale. Esempio: la pagina in cui descrive l’ipotesi di un dramma composto su di un sentimento, nella nostalgia, che potrebbe ruotare intorno a persone che non agiscono. È possibile pensare ad una non-azione? Ad un dramma dell’immobilità? Rilke pensa ad un’opera intitolata La Cieca. Descrive: la figura sottile di una fanciulla, la cui sensibilità è concentrata tutta sulla superficie del suo corpo, e fiorisce. Un profumo infinito la circonda. Dai suoi giovani seni sbocciano sensazioni come da rose piene e turgide, le sue dita, che tastano procedono come tra gigli invisibili. E il dramma non dovrebbe assolutamente avere nulla di mistico, né assomigliare a quelli di Maeterlinck. Non dovrebbe trattare d’amore. Semplicemente di nostalgia, dovrebbe essere fatto di nostalgia come esistono cose fatte soltanto di seta. Successivamente tratteggia un altro progetto: Incendio, un dramma di luce e ombra, composto nel sentimento fondamentale del terrore. Rilke commenta: qualcosa di visibile da lontano e facilmente comprensibile da tutti. Il concetto di visibile da lontano e quindi universale perché accessibile ad una grande massa di spettatori, è un momento fondante tutto il pensiero di Rilke sul teatro. Tornando alla pittura e riferendosi al paesaggio di Worpswede nel saggio omonimo osserva: come la particolare colorazione dell’aria di questi cieli non lascia emergere differenze e avvolge tutto ciò che in essa li leva e riposa con la stessa gentilezza, allo stesso modo essi danno prova di una certa ingenua giustizia quando, senza stare a pensarci, percepiscono gli uomini e le cose nella loro prossimità silenziosa, come fenomeni della stessa atmosfera, colorati dalle tinte che essa fa risplendere. Viceversa in Interierus i singoli elementi della natura assumono sembianze antropomorfe. Riferendosi alla magnifica gamma dei bianchi dei dipinti di Otto Modershon scrive: le betulle stavano là, come sacerdoti vestiti di bianco, riuscivano appena a contenere la luce che era in loro. Nei loro tronchi era riposto tutto il bianco del mondo, ordinato secondo il dettame di leggi segrete. C’era poi il bianco deli gigli, in cui brilla sempre un poco di raggio lunare, c’era poi un bianco velato di ombre come quello dell’occhio di un uomo e il bianco arrossito, come eccitato, di certi pelati di rose. C’erano bianchi che nessuno aveva mai visto, cui non si poteva dare un nome tanto erano singolari. Rilke relativamente a Cezanne, scrive: quanto riconobbi fu la svolta di quella pittura, perché la stessa avevo compiuto io con il mio lavoro, o a essa mi ero in ogni modo avvicinato. E’ lo stesso poeta ad evidenziare la ricerca comune che sostanzia pittura e arte della parola, tra pittura e arte della scena. Rilke para di paesaggio scenico, stabilisce un parallelo tra la modalità con cui la pittura antica ha visto l’uomo e quella con cui i pittori dei secoli successivi hanno guardato il paesaggio. Nella pittura vascolare l’ambiente è appena accennato, mentre le figure umane, nude, sono intere, immagini di una totalità, sono come alberi che portano frutti e ghirlande di frutta, come cespugli in fiore e come primavere dove cantano uccelli. Il paesaggio era l’ambiente in cui viveva, le strade, le piazze, i luoghi di recitazione e di danza dove trascorreva il giorno greco. Rilke traccia il percorso del rapporto che le epoche successive hanno instaurato con il paesaggio. Scrive che un tempo l’uomo stava di fronte al paesaggio e lo nascondeva, in primo piano vi era la Madonna e il cielo sembrava intonare un canto in sua lode. Questo paesaggio che si dispiega sullo sfondo dei dipinti umbri e toscani è come un lieve accompagnamento, suonato con una mano sola, che non prende ispirazione dalla realtà. L’essenziale era l’uomo e lo si adornava con i frammenti di quella natura a cui non si era ancora in grado di guardare come a un tutto. In Leonardo i paesaggi sono l’espressione della sua esperienza e della sua conoscenza più profonda, specchi azzurri nei quali si riflettono le leggi meditative e segrete, realtà lontane, ampie come futuri. Il paesaggio viene avvertito come mezzo per esprimere un’esperienza vicina all’indicibile, la profondità la tristezza. La Monna Lisa la natura è estranea all’uomo, ed era necessario guardare il paesaggio così, come qualcosa di estraneo e di lontano, come qualcosa di remoto e senza amore, che si compie completamente in se stesso, se esso doveva divenire mezzo ed occasione per un’arte autonoma. Poiché il paesaggio doveva essere lontano e assolutamente altro da noi per poter diventare un simbolo dove si potesse liberare il nostro destino. Nell’epoca successiva si osserva l’incapacità dell’uomo di percepire la totalità entro cui è immerso. Ne consegue un distacco: il paesaggio appare lontano e diverso da noi: si sa quanto male si vedano le cose tra le quali si vive, e che spesso deve arrivare un estraneo per dirci che cosa ci circonda. Nel saggio è citato Jacob Ruysdael, Rilke dice che nei suoi quadri l’uomo perse importanza, si mette da parte per far spazio alle grandi cose che lo sopraffacevano. Era diventato più piccolo, non era più al centro del mondo, era diventato più grande perché lo si guardava con gli stessi occhi con cui si guardava la natura, egli non valeva più di un albero, eppure valeva molto, poiché grande era il valore dell’albero. Viè poi un passo dedicato a Rembrandt che chiarisce come la luce sia fattore essenziale, nel senso atmosferico, di amalgama tra le cose: egli (Rembrandt) vide e dipinse l’uomo come un paesaggio, si avvalse della luce e della penombra, gli stessi mezzi con cui si colgono l’essenza del mattino o del mistero della sera, per parlare della vita di coloro di cui dipingeva il ritratto, e quella vita appariva allora grandiosa e possente. Egli sa rinunciare alle piante per servirsi delle figure umane come di alberi e cespugli. Si pendi alla Stampa dei cento fiorini, la folla di mendicanti sembra una sterpaglia fitta e ramificata. Egli poteva dipingere ritratti in quanto sapeva guardare profondamente nei volti, come fossero terre dagli ampi orizzonti, sovrastate da un cielo elevato, gonfio di nuvole, agitato. Rilke passa a rilevare un’analoga paesaggistica concezione dell’oggetto, nei pochi ritratti dipinti da Bocklin: egli fu capace di vedere solo pochi uomini in quella maniera paesaggistica. L’uomo era per lui l’essere che l’inesauribile ricchezza della natura aveva viziato, era una limitazione, una chiusura, un caso isolato che interrompeva la vibrante ampiezza della sensibilità di cui l’artista viveva. Al posto dell’uomo dove occorreva, mise una figura, creature che sembrano nate dagli alberi. Tutto sembra avere una propria organica necessità: fu necessario essere estromessi dalla natura perché poi ci si potesse rivolgere alla natura da artisti: non si poteva più percepirla materialmente, per il significato che possedeva per noi, ma oggettivamente, come una grande realtà pensante. Così era percepito l’uomo all’epoca in cui lo si dipingeva in modo solenne. L’uomo più tardi è entrato come pastore, contadino o semplicemente come una figura dalla profondità del quadro, ha abbandonato ogni presunzione e ha manifestato la volontà di essere cosa. Per Rilke le figure devono apparire in scena dalla profondità e non esservi inserite a posteriori. In questo crescere dell’arte del paesaggio, che le conduce a un lento divenir paesaggio del mondo, è contenuto per Rilke un ampio sviluppo dell’umanità. L’uomo ora è posto come cosa tra le cose, infinitamente solo. Ogni comunanza si è ritratta dagli uomini e dalle cose nella comune profondità, dalla quale attingono le radici di tutto ciò che scresce. Tutti questi motivi corrispondono alle istanze del teatro che Rilke sulla scorta delle premesse di Maeterlinck, letto attraverso l’immagine dell’antichità. Il movimento di consonanza tra corpo e paesaggio sembra compiere il percorso in direzione inversa: la natura gode di un proprio corpo, il paesaggio ha assimilato i tratti della figura e pare non averne più bisogno, solo una siposizione presuntuosamente antropocentrica non si accorge di questa sua autosufficienza. Il paesaggio ci è estraneo e si è spaventosamente soli tra gli alberi e i ruscelli, dotati di una loro vita: l’indifferenza contraddistingue ogni gesto della natura, il rapporto dell’uomo con essa è unilaterale, e lei non sa nulla di noi. L’uomo comune molto difficilmente si accorge di questo legame enigmatico e inquietante, perché la sua vista si ferma alla superficie delle cose. I bambini e gli artisti che si mettono sulle tracce della natura la guardano preferiscono l’eterno all’effimero, ciò che è governato da leggi profonde a ciò che capita casualmente. La sfera dell’arte consente all’umanità, tramite lo sguardo degli artisti, di avvicinarsi alla natura. La relazione tra corpo e paesaggio sintetizza la finalità della creazione artistica: sembra che motivo e proposito di tutte le arti sia l’accordo tra il singolo e il tutto, e momento essenziale quello in cui i due elementi si tengono in equilibrio. Rilke cita moltissimi esempi di pittori, da Millet dove l’uomo compare silenzioso come un albero, a Segantini . Rilke sostiene che dobbiamo diventare bambini, se vogliamo ottenere il meglio. Rilke ritorna poi sulla scena e richiama il pensiero di Maeterlinck: non è assolutamente necessario che ci sia qualche progresso perché lo spettacolo ci entusiasmi. Basta anche l’enigma. Gli scritti di Worpswede accolgono la visione della scena di Rilke, che nell’esercizio di uno sguardo mobile, restituisce la qualità dinamica e pervasiva, atmosferica del corpo-paesaggio.