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chitarra: le Cancio
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di Benjamin Britten
Relatore Laureanda
Prof. ANDREA CAPPELLE
LERI MA
ARINA VALUSSO
ANN
NNO ACCADEMICO 2010/2011
Indice
Introduzione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ pag. 1
I
Introduzione
Il Novecento rappresenta una tappa fondamentale nella crescita e nello sviluppo della chitarra
classica la quale, paragonata ad altri strumenti, ha conosciuto nei secoli precedenti una minor
diffusione.
La letteratura chitarristica in questo secolo ha compiuto un notevole salto di qualità, anche
perché il monopolio della composizione per questo strumento non è più un’esclusiva dei
chitarristi, ma è passato nelle mani di compositori attivi pure in altri strumenti e generi,
favorendo così la modernizzazione dei brani in armonia con le più avanzate correnti estetiche.
In questo ambito si inquadrano i compositori non chitarristi Manuel de Falla e Benjamin
Britten, i quali, con la loro esperienza anche in altri domini strumentali, hanno comunque
esaltato il repertorio chitarristico con le loro opere.
Questa tesi si propone di illustrare l’influenza della musica popolare all’interno di composizioni
colte per chitarra e voce, attraverso l’analisi di due grandi autori del 1900; in riferimento alla
musica iberica di Manuel de Falla (1876-1946) vengono trattate le “Siete Canciones Populares”,
mentre dell’autore inglese Benjamin Britten (1913-1976) si considerano le “Folk Songs”.
Molti sono i punti interessanti emersi da tale analisi: la scelta della chitarra quale strumento per
realizzare l’armonia musicale; il ruolo della chitarra che passa da mero accompagnamento a
protagonista; l’aspirazione comunicativa contenuta nelle musiche; la ricerca dell’effetto
chitarristico all’interno di uno specifico repertorio.
Il presente lavoro sviluppa in quattro parti questi contenuti senza la pretesa di esaurire tutta la
problematica ad essi connessa.
• La prima parte ha lo scopo di analizzare la musica popolare in generale, nella sua storia, nella
sua diffusione attraverso la tradizione orale e nella vastità di influenze che ha avuto in
particolare all’interno dell’Europa.
• La seconda parte si propone di esaminare il ruolo della chitarra con la voce nel repertorio
popolare, attraverso un breve percorso storico da John Dowland a Federico Garcia Lorca.
1
• La terza parte si occupa di definire ed analizzare le musiche dei due autori, Falla e Britten,
nelle opere scelte, inserendo i protagonisti all’interno del periodo storico-culturale delle
rispettive epoche.
• La quarta parte riporta la comparazione tra i due, mettendo in risalto le differenze del ruolo
della chitarra tra i due autori, il cambiamento rispetto alle melodie originali, il carattere
innovativo e l’aspetto comunicativo.
• In appendice la tesi presenta un breve excursus su quanto è cambiato il modo di scrivere
musica popolare per chitarra e voce al giorno d’oggi.
2
Capitolo 1
Se si analizza attentamente, la musica delle origini risulta impegnata in contesti molto più
funzionali e concreti: una musica concretizzata nei ritmi, nei movimenti e nei gesti corporei, che
smuove gli affetti più profondi della psiche umana.
La musica bassa dimostra che la musica nel senso più lato del termine ha delle componenti che
la musica classica colta lascia spesso in ombra: una componente ritmica, la cui forza spesso non
è paragonabile con le strutture classiche codificate; una componente affettiva-semantica,
collegata all’aspetto culturale ed antropologico, molto profonda e capace di entrare nell’intimo
animo umano ed una componente più propriamente musicale, svincolata da rigide regole
teoriche ed armoniche.
Questa musica sembra sgorgare dall’anima collettiva, nascendo dal canto del popolo, e il popolo
ne fa la sua umile soddisfazione: ogni regione, ogni nazione ha le sue composizioni e ne va
fiera. Ogni popolo fiorisce in questo piacere del canto e rivela nelle sue canzoni spontanee la
più intima essenza, il carattere della razza. Generalizzando si può parlare di un grave e pensoso
lied tedesco, di una spigliata canzone parigina, così come di una musica spagnola ardente e
declamatoria, o di una mesta ed opaca melodia nordica e di un ungherese mescolarsi di
malinconia ed impeto selvaggio.
Secondo l’opinione comune, la musica moderna sancisce una rottura rispetto alla tradizione.
Compito dello storico è fornire le prove di quanto un dilettante coglie solo istintivamente: in un
mondo che si sta trasformando, è importante la ricerca di nuovi fondamenti, di cui l’arte antica
3
e le tradizioni popolari, due forme che rappresentano il principio e l’origine, costituiranno un
modello ed una fonte di ispirazione.
Lo sforzo di dare spazio ad un’identità culturale specifica, ha come principio la riappropriazione
di leggende dell’antico folklore: la ricerca di spontaneità, semplicità e naturalezza, va nella
direzione delle arti popolari.
Nel XIX secolo si sviluppano infatti musicologia ed etnomusicologia come approcci scientifici
alle musiche del passato: il recupero e la classificazione di diversi prodotti musicali ha il doppio
compito di riflettere sia sugli stili e sui diversi linguaggi utilizzati, che sulle singole opere in
quanto espressione all’interno del loro tempo.
A cavallo dei secoli XIX e XX, il concetto di tradizione risulta dunque problematico; esso si
presenta come luogo di tensioni estetiche, filosofiche e politiche che si inseriscono all’interno
degli stili e delle opere. Non esiste più una tradizione musicale unica, ma tradizioni multiple che
rinviano a concezioni del mondo e del linguaggio musicale diverse, con stili differenziati, e che
danno origine a riflessioni sui principi della musica e sul senso dell’arte. Può essere dunque
corretto pensare che questo confronto tra opere appartenenti a culture ed epoche diverse -e
quindi ad ambiti semantici e simbolici differenti- abbia contribuito alla percezione di un’opera
nella sua globalità. La musica del XX secolo è stata teatro di scambi di ascolto e studio di
musiche appartenenti ad epoche e culture diverse, situazione resa possibile dall’eguale
importanza che si è cercato di attribuire loro.
“La cultura popolare[…] ha avuto un ruolo importante nella dialettica tra unità e diversità, che è
un tratto basilare della storia europea. Culture celtiche, germaniche, slave, alpine, mediterranee
sono così sopravvissute grazie alla metamorfosi subita nel corso del Medioevo” 1. Così scriveva
uno dei massimi storici del Medioevo, Jacques Le Goff.
Il concetto della canzone popolare è sorto assai tardi nella storia della letteratura e della musica
colta. Gli scrittori del Medioevo -riferendosi a poesie dal tono solenne e dal carattere rituale e
propiziatorio- ragionavano di carmen triumphalia, carmen convivalia, carmen triviale, carmen rusticum,
carmen publicum, carmina gentilia, carmen vulgaris: ma mai si trova il carmen populare.
Originariamente si parla del termine “Volkslied” come memoria della canzone popolare o della
chanson populaire o della popular song.
Nel 1772 J. W. L. Gleim scriveva “Lieder für das Volk”, da cui probabilmente deriva il termine
Volkslied di significato universale dal quale è nata una copiosa letteratura. Il Montaigne
distingueva una poesia popolare e puramente naturale, da una poesia perfetta, ad arte, mentre
Sir Philip Sidney rilevava che dappertutto, anche dove non fiorisce la scienza, si trova un
sentimento poetico: vi è una differenza solamente nello stile fra le due forme artistica e
popolare. Al concetto dell’arte del popolo che, a poco a poco, diventava un problema della
letteratura mondiale, è legato il nome di Rousseau: quando egli parla della romanza, essa si
presenta già come un tipo di canzone popolare.
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Nella seconda metà del Settecento le condizioni politiche e sociali ed il concetto della libertà dei
popoli, richiamano la generale attenzione su quanto deriva o veniva attribuito al popolo: si
rilevava la naturalezza e la schiettezza del canto popolare, senza che venisse ancora posto un
concetto di canzone popolare. Il Volkslied era un gioco, quasi un’istantanea del popolo stesso: i
canti popolari sono l’archivio del popolo; da esso si può apprendere la sua maniera di pensare
ed il linguaggio dei suoi sentimenti. Nei suoi scritti Herder nomina anche Göthe, che,
percependo l’insinuante melodia popolare, poneva se stesso e il suo animo in uno stato di
simpatia.
Dalle profonde radici della coscienza del popolo da dove trasse origine, venne il canto popolare
con la sua forma accessibile, generalmente conosciuto e trasmesso dalla tradizione vocale; in
questo periodo è nuova l’affermazione che un canto dovesse essere generalmente conosciuto
per sopravvivere: è solo d’ora in poi che s’insisterà sulla tradizione vocale del genere popolare.
Furono i primi romantici tedeschi a porsi il problema delle origini della poesia e della musica
popolare: è necessario che ne sia conosciuto l’autore? È frutto di una collaborazione? Se è il
poeta che vi partecipa, siamo dunque ai limiti della poesia d’arte?
Mentre alcuni affermano che il canto popolare è entrato nel mondo indeterminatamente, senza
una volontà propria e perciò è un prodotto della natura (Gorres), altri ribattono che anche la
materia popolare è arte, e che è anzi la più vicina e genuina espressione dell’interna poesia
dell’uomo (Docen). Solo il canto può conferire vitalità nel tempo alla poesia popolare; ma il suo
carattere deve essere tramandato con l’interna verità e la poetica innocenza con cui fu creato:
questo è l’essenziale dei Lieder del popolo, tanto che quei testi creati dall’esterno per il popolo
non ne conservano l’innata struttura. E a proposito delle “arteficiate composizioni dei dotti” il
Leopardi, parlando della corrispondenza tra sentimento ed espressione, avvertiva che questa era
stata un tempo schietta, viva, immediata nei canti originali della nostra gente. Quando il ritmo e
la parola, la melodia e il verso sgorgavano dall’anima del popolo nell’impeto di un'unica
ispirazione concorde, all’interno del sentimento comune «né altro è nelle melodie musicali il
popolare, se non una successione di tuoni alla quale gli orecchi del popolo e degli uditori
generalmente siano per qualche modo assuefatti» 2.
Dopo il 1840 s’incominciano a considerare in modo particolare i due aspetti della canzone, il
suo sorgere ed il diffondersi di essa nel tempo e nello spazio; il cantore canta ciò che ognuno sa
e che nessuno ha mai cantato. I Volkslieder sono dunque le antiche canzoni che, attraverso la
tradizione vocale, hanno resistito al tempo e si sono conservate fino a noi.
Ma se il canto popolare è il riflesso del suo tempo o dell’età anteriore, esso sorge dall’unione di
parole e suoni. Il popolo sente anche oggi non solo la musica, ma anche la poesia all’interno del
canto popolare. Qui tuttavia le opinioni sono diverse: è la melodia che si unisce al testo pre-
esistente o viceversa? La seconda metà dell’Ottocento in particolare tende a valorizzare
l’individualità creatrice all’interno della massa, sviluppando il concetto che il canto popolare
viva la sua condizione di anonimato, ma che non è stato creato dal popolo bensì da un singolo
interprete. In genere tuttavia l’opinione diffusa è che mentre la parola scritta è qualcosa di
fissato, quella parlata o cantata viene per contro trasformata e sostituita moltissime volte.
5
Dunque la melodia spesso è accresciuta da nuove forme o da profili già esistenti: ma proprio
questo continuo modificarsi costituisce di per sé un’incessante creazione.
Mentre Wagner non disgiunge nei canti popolari la frase musicale dalla parola -«melodia e verso
sono in essi una sola cosa: la rispondenza dell’uno all’altro è perfetta» 3-, Nietzsche afferma che
«il canto popolare ha per noi l’immediato valore di uno specchio musicale del mondo, di una
melodia primordiale che cerca poi la sua adeguata visione di un sogno, e la esprime nella poesia.
La melodia è dunque il sentimento primo e universale.» 4
Sulle origini delle forme della poesia scriveva Carducci: «I letterati non trovano essi mai le
forme organiche della poesia. […] I letterati ritoccano, ripuliscono, riordinano: quando son
grandi ricreano la creazion popolare; quando son piccoli la scimmiotteggiano; quando son nati
d’una generazione decadente che ha smarrito il sentimento e la norma dello stile e dell’arte,
l’aborrono e la fuggono. […] Nel XIII non era così: i letterati allora, con tal commercio che
tornava a vantaggio dell’una e dell’altra, prendevano dal popolo la materia greggia e la
rendevano finamente lavorata: prezzo della mano d’opera era la popolarità…» 5
In genere dunque si considera la canzone popolare come lo stato primitivo della poesia e della
musica: essa diviene l’arte degli illetterati, e gli autori, questi geni sconosciuti, le hanno dato
l’immortalità.
Dal 1900 in poi si incomincia a porre attenzione alla musica popolare in quanto patrimonio
dell’attività nazionale, nata dal popolo impulsivamente, intuitivamente, istintivamente. Nella
genesi dell’arte musicale di un popolo, la musica popolare precede quella individuale, e diviene il
germe che gli artisti compositori sviluppano ed elaborano. Il Fara tuttavia divide tre generi di
canzone:
1. la canzone popolare, non creata dal popolo ma da esso raccolta e fatta sua, che esprime
il sentimento della natura umana riproducibile e comprensibile;
2. l’etnofonia che nasce e si spegne all’interno della patria, morendo ai primi tentativi di
connubio con la musica dotta;
3. la “semi etnica” che può svilupparsi indifferentemente nelle città e nelle campagne ed è
una composizione che, pur nascendo da un compositore musicista, rispecchia i caratteri
etnici di una data regione.
Nel 1929 Croce ragionando sulla poesia popolare, avvertiva che la distinzione psicologica dei
due toni di poesia popolare e d’arte, si ritrova in tutte le altre forme, nella musica, nella
pittura… «la poesia popolare è, nella sfera estetica, l’analogo di quel che il buon senso è nella
sfera intellettuale e la candidezza o innocenza nella sfera morale. Essa esprime i moti dell’anima
che non hanno dietro di sé grandi travagli del pensiero e della passione; ritrae sentimenti
semplici in corrispondenti semplici forme. L’alta poesia muove in noi grandi masse di ricordi, di
esperienze, di pensieri, di molteplici sentimenti e gradazioni e sfumature di sentimenti; la poesia
popolare non si allarga per così ampi giri, ma vi giunge per via breve e spedita.» 6
6
Si può dunque affermare che vi sono esempi di poesie subordinate a melodie prestabilite, che
prendono come modello la canzone profana, di cui in genere veniva imitato il concetto e
l’andamento, così come vi sono danze popolari in uso che possono dare musica a parole sacre.
Il canto monodico del Seicento ha analogia e rapporti d’origine con il canto popolare essendo
spesso la monodia artistica la sua elaborazione.
Con lo splendore della musica strumentale, la produzione popolare si affievolisce per riprendere
dopo la metà del Settecento; in seguito il Romanticismo le porterà un valido sostegno: i
compositori assimilano, rielaborano o riproducono il canto popolare, mentre a fine Ottocento,
con il maggiore sviluppo degli studi musicologici, la musica etnica viene ricercata e raccolta
dappertutto.
La raccolta sistematica per la catalogazione dei canti popolari, soprattutto grazie agli studi
etnomusicologici, ha dato la possibilità di studiare su solide basi e con riferimenti generali
l’origine delle melodie nella loro espressione elementare, così come il canto passato al popolo e
da esso assimilato e trasformato nel tempo, è reso perciò ‘popolare’ in quanto ripensato da un
atto creativo. Così come si trovano melodie che sono solo un spunto per un’improvvisazione, o
i canti aperti senza cadenze o conclusioni tonali, così si trovano diverse melodie sullo stesso
testo o canti religiosi su melodie di danza.
Proprio questo sentimento di collettività appare elementare: è espressione di commozione,
gioia, malinconia, vendetta, mentre la canzone dei musicisti compositori è ricca di sensibilità -
colori, bellezza della linea melodica, estasi-.
L’interpretazione storica dei canti popolari è catalogabile in canti affini: ogni melodia costituisce
un tipo, ed i vari tipi organizzano i diversi gruppi.
Il numero di periodi di una canzone è variabile: un solo periodo di due frasi, con o senza una
frase centrale, costituisce già una forma, ma vi sono canzoni di più periodi, più o meno in
relazione fra loro.
Nell’ambito della canzone prevale la melodia, mentre l’armonia, nella maggior parte dei casi, si
limita ad una successione di tonica, dominante e sottodominante. Oltre ai modi maggiore e
minore, si trova spesso l’impiego di modi antichi, di scale orientali o di scale senza riferimenti
storici e tradizionali.
Talvolta le relazioni armoniche sono nascoste: la terza, la sesta, la quinta come pedale acuto, le
cadenze o il rafforzarsi delle voci alla fine del brano, si devono considerare come una relazione
armonica dettata dall’istinto, dalla consuetudine o da modelli predefiniti.
Il ritmo è pure limitato: può accompagnare il testo o la melodia, o imitare l’oggetto cantato;
inoltre a volte si possono anche trovare casi di contrapposizione tra melodia e ritmo.
Le musiche praticate nelle occasioni non contestuali sono assai diversificate, a seconda delle
culture, dei raggruppamenti sociali e dei luoghi; si può parlare di forme vocali, monodiche o
corali, con o senza accompagnamento strumentale, o di forme interamente strumentali,
solistiche o d’insieme spesso associate al ballo; si possono ritrovare anche riproposizioni o
rielaborazioni in forme più complesse di canti che, al di fuori di un determinato contesto -es.
canti contadini- vengono realizzati a più parti vocali o con accompagnamenti strumentali.
Fra i repertori non contestuali si ritrovano spesso strutture formali complesse, tali da richiedere
la presenza di cantori o strumentisti particolarmente abili o dotati: in questo modo all’interno
della comunità vengono a costituirsi degli esecutori specializzati, tali da poter divenire in seguito
professionisti o semiprofessionisti, la cui attività assume una particolare importanza non solo
per la diffusione di canti e balli, ma anche per i valori connessi all’espressione musicale.
E’ in questo modo che numerosi repertori dell’intrattenimento tradizionale sono arrivati ai
nostri giorni, quasi sempre a seguito di trasformazioni più o meno profonde, sia per quanto
riguarda le occasioni esecutive, i significati e le connotazioni, sia per quanto ci si attenga ai
meccanismi di diffusione, che relativamente alla loro struttura musicale.
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Con questo termine per molto tempo gli etnomusicologi e fokloristi si sono riferiti a tutto
quanto era estraneo alla musica colta dell’Occidente, cioè la musica tribale, la musica folk e la
musica classica delle culture non-occidentali. Tuttavia negli ultimi decenni, all’interno delle
comunità di immigrati in Europa e Stati Uniti, hanno iniziato a circolare registrazioni di
musiche non-occidentali, sia di repertori tradizionali che popular. All’inizio degli anni Ottanta, un
gruppo di imprenditori statunitensi ed europei che aveva intuito le potenzialità commerciali di
questo tipo di musica, iniziò a fondare piccole etichette discografiche studiate apposta per
offrire tali musiche ad un vasto pubblico. Questa produzione non rientrava nelle categorie di
vendita; per definirla venne mutuato dall’etnomusicologia il termine world music che in virtù della
sua propensione verso musiche etniche più acustiche e meno ibridate, si colloca in prossimità
della musica folk.
Per quanto riguarda la conoscenza dei sistemi musicali delle altre culture, sia di quelle delle
grandi civiltà dotate di scrittura e di teorie musicali coerenti, che delle culture orali basate su
organizzazioni musicali inconsuete, il ruolo fondamentale svolto dalla musica popolare risulta
decisivo, nonostante la musica folkloristica sia stata a lungo denigrata dal mondo musicale
ufficiale. L’incontro fra tradizione occidentale e tradizioni straniere risulta interessante e segue
un concatenamento di tappe più o meno caratteristiche. In primo luogo c’è il rifiuto o
l’utilizzazione intuitiva da parte di un creatore che cerca di rinnovare un suo linguaggio; si
inserisce quindi il musicologo che cerca di classificare e di introdurre la lingua musicale
sconosciuta nel proprio ambito di analisi; egli è allora costretto ad impegnarsi fra la materia
nuova ed il proprio sistema di riferimento, modificato da lui stesso per poter accogliere le
nuove scoperte. Nello stesso tempo gli ultimi metodi utilizzati ed i sistemi musicali descritti
portano a vedere con occhi nuovi la tradizione musicale d'origine, che non appare più così
razionale o rigidamente inquadrata come si pensava inizialmente.
In realtà il fenomeno della musica folkloristica è il risultato di una lunga continuità, basti
pensare che in Europa Centro-Settentrionale i gruppi folkloristici assolvono una funzione di
intrattenimento musicale in luoghi di ritrovo quotidiano così come in occasioni legate al
calendario. Le proposte sono spesso di musiche d’autore, trasmesse attraverso la notazione su
pentagramma, e composte in uno stile elevato: una produzione con continuità secolare. Tale
produzione presenta diverse caratteristiche regionali, date dall’uso di differenti strumenti
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musicali o dalla preferenza di specifiche combinazioni strumentali -ad es. musica bavarese,
tirolese, fiamminga con utilizzo di Zither, Hackbrett, Dulcimer…-
In particolare alla trasmissione diretta da maestro ad allievo, si è andata sviluppando la
cosiddetta oralità secondaria o di ritorno, con la mediazione di strumenti di comunicazione e di
riproduzione: i repertori tradizionali sono stati ripresi al di fuori degli ambiti originali, il più
delle volte risultando impoveriti dei propri elementi timbrico-coloristici caratterizzanti.
Le forme di espressione della composizione musicale dotta hanno scarsa influenza sulla
canzone del popolo: essa è profondamente attaccata alla tradizione. Spontaneamente l’uomo
rinnova e ripete questa creazione, dimostrando così che nel canto popolare risiede l’essenza
naturale della musica.
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1.2 Differenza tra pop e folk
Pop è un’abbreviazione dell'inglese "popular" ovvero "popolare" e classifica tutti quei motivi e
quei brani musicali che nascono e che sono strutturati per divenire appunto, popolari, cioè
fruibili da molte persone. Questo non significa che debbano per forza essere commerciali o
canzonette povere di contenuti. Come musica popolare si intende anche quella "folk", ma
riferita alle tradizioni culturali e musicali di comunità, di popoli o di territori.
La musica folk deriva dal termine musicale folkloristico. Questo termine, che ha avuto origine
nel XIX secolo, racchiude in sé diverse categorie: la musica trasmessa oralmente, la musica delle
classi inferiori e la musica di compositori sconosciuti. E’ in genere in contrasto con gli stili
classici e commerciali. Dalla metà del XX secolo il termine è stato usato anche per descrivere
un genere di musica popolare che si basa sulla musica tradizionale.
Si considera infatti che la parola folk in riferimento alla musica, al canto popolare e alla danza
popolare , sia un’espressione relativamente recente. Pare che il termine sia stato coniato nel 1846
dall’antiquario inglese William Thoms per descrivere «the traditions, customs, and superstitions
of the uncultured classes»7 cioè “le tradizioni, i costumi e superstizioni delle classi incolte.” Il
vocabolo è ulteriormente derivato dalla espressione tedesca Volk, nel senso di "il popolo nel
suo insieme" applicata alla musica popolare e nazionale da Johann Gottfried Herder e dai
romantici tedeschi più di mezzo secolo prima.
Un interesse letterario alla ballata popolare non era tuttavia nuovo: risale infatti a Thomas Percy
e William Wordsworth. Molti compositori inglesi ed elisabettiani hanno evoluto la loro musica
da temi folk, tanto che la classica suite è basata su una stilizzata forma di danza folk e, ad
esempio, in Joseph Haydn l’uso di melodie folk è evidente.
Ma la nascita del termine "folk" ha coinciso con l’esplosione del sentimento nazionale in tutta
Europa ed è stato particolarmente forte ai margini di essa. L'identità nazionale è risultata più
sostenuta attraverso compositori nazionalisti emersi in Europa orientale, Russia, Scandinavia,
Spagna e Gran Bretagna; la musica di Dvořák, Smetana, Grieg, Rimskij-Korsakov, Brahms,
Liszt, Falla, Wagner, Sibelius, Vaughan Williams, Bartók ed altri è l’espressione dei temi delle
melodie popolari. Il termine inglese "folklore", per descrivere musica e balli tradizionali, è
entrato nel vocabolario di molte nazioni europee continentali.
Quello che certamente si nota è che vi è un senso di musica nazionale distinta da quella
regionale. La musica folk è un’espressione autentica di un modo di vivere oramai passato o che
sta per scomparire: è difficile garantirne una sopravvivenza senza lasciarsi influenzare da musica
d'arte o da generi commerciali.
La distinzione tra vero e proprio "folk" e canzone popolare e nazionale, in genere, è sempre
stata libera; l’International Folk Music Council definisce che il termine "può essere applicato
anche alla musica che ha avuto origine da un compositore individuale ed è stato
successivamente assorbito nella tradizione orale, tradizione vivente di una comunità. Ma il
termine non comprende una danza, una canzone o melodia interpretata sopra qualcosa di già
conosciuto".
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Nel secondo dopoguerra, in America ed in Gran Bretagna il Folk Revival ha proposto un
nuovo significato della parola: folk è stato visto come uno stile musicale, l'antitesi dell’etica
commerciale della musica "popolare" o "pop", mentre il fascino vittoriano del Volk è stato
spesso guardato con sospetto.
La musica popolare infatti appartiene ad un certo numero di generi musicali di grande
diffusione ed è di solito distribuito ad un vasto pubblico attraverso l'industria musicale. Essa è
in genere in contrasto sia con la musica d'arte sia con la musica tradizionale, che solitamente
sono diffuse in ambito accademico o oralmente in più ristrette nicchie. Anche se la musica
popolare a volte è conosciuta come "musica pop", i due termini non sono intercambiabili. La
musica popolare è un termine generico per definire brani adatti a tutte le età e che fa appello al
gusto popolare, mentre la musica pop di solito si riferisce ad uno specifico genere musicale.
Il musicologo e specialista in melodie popolari Philip Tagg ha definito il concetto alla luce di
alcuni aspetti socio-culturali ed economici: «La musica popolare, a differenza della musica d'arte
è concepita per la distribuzione di massa in gruppi spesso socioculturalmente eterogenei; in
genere è conservata e distribuita in forma non scritta; è inoltre fruibile solo in una economia
monetaria industriale; è particolarmente presente nelle società capitaliste, soggette alle leggi del
libero mercato.» 8
Per Richard Middleton e Peter Manuel un approccio comune per la definizione di musica
popolare è quello di indice di popolarità dettato dalla vendita di spartiti o di registrazioni:
tuttavia in questo caso le ripetizioni non vengono conteggiate, diversi tipi di pubblico sono
considerati un unico mercato e non vi è alcuna differenza tra i diversi stili musicali.
Misurare la popolarità con i mezzi di diffusione, ad esempio i media, risulta essere un altro
modo per definire la musica popolare: questo risulta tuttavia problematico, perché ogni sorta di
musica è soggetta alla mediazione di massa.
Un terzo sistema per definire la musica popolare è quello basato su un gruppo sociale, su
quanto sia presente un pubblico di massa; anche questo risulta problematico, perché le strutture
sociali non possono essere semplicemente riconducibili a stili musicali. Questi tre modi sono
evidentemente troppo parziali.
L’industria musicale emergente ha diffuso la musica popolare soprattutto con l’avvento degli
spartiti a stampa e, più recentemente, dei mass-media e del mercato discografico.
Possiamo quindi affermare che vi sono due generi di musica collegati al popolo: le musiche
pensate e scritte per il popolo, cioè la popular music o pop, e le melodie e le musiche provenienti
dal popolo, cioè le folk music.
Al primo gruppo appartengono quindi, la quasi totalità delle musiche che quotidianamente si
possono ascoltare alla radio o in televisione, ma a ben vedere, anche le musiche dei grandi
compositori essendo spesso "dedicate" al popolo o almeno ad alcuni ceti particolari della
popolazione. Per quanto riguarda il secondo gruppo possiamo dire che alle musiche folk
appartengono le musiche tradizionali delle diverse regioni nate dal popolo e tramandate da esso.
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1.3 La chitarra e la voce
Tutti i popoli mostrano una naturale disposizione ad esprimersi con il canto. Anche dove non
c’è né stile né forma è possibile scorgere un sentimento: c’è un lato più passivo, dato
dall’espressione ed un lato più attivo dettato da uno sviluppo melodico e armonico più o meno
casuale, giunto a noi per ininterrotte tradizioni.
La musica popolare è affine in tutte le regioni che abbiano una maniera propria di espressione e
di canto, che scaturisce dal bisogno naturale della vita e dal bisogno di rappresentazione.
Tutto risulta tipico del canto popolare: amore e morte, cielo e terra, fiumi e monti. Ascoltando
il canto si può ancora notare che le parole, a causa della loro continua alterazione, si presentano
talora affini talora incomprensibili nel rapporto particolare con il suono. Anche il
Romanticismo dava al canto il potere di fissare più profondamente nello spirito il soggetto
complessivo delle parole, più che il senso specifico della singola parola. Il possesso naturale
della musica, la forma chiusa popolare hanno portato nell’opera l’aria propriamente detta, resa
più o meno personale dall’originalità dei musicisti creatori. E col passare dei secoli si sente un
calore sempre più soggettivo, una più viva partecipazione e consapevolezza, fino ad arrivare ai
canti di strada ed ai gridi dei venditori.
L’espressione dei tempi passati si traduce così nel presente: dal semplice al molteplice, dalla
cordialità di una manifestazione immediata ad una realizzazione consapevole aiutata da una
tecnica che conosce la storia; il nuovo viene dunque dal vecchio e ritorna al vecchio per essere
nuovo. Tutto è movimento e trasformazione nella vita e nell’arte.
In tutto questo divenire è proprio la voce umana, strumento melodico per eccellenza, che
ricopre un fondamentale ruolo storico nella struttura melismatica della musica.
Tra le manifestazioni che l’uomo fa naturalmente, mediante le proprie possibilità fisiche, c’è il
canto: la voce -il canto- è lo strumento naturale per eccellenza.
Se a questo si aggiunge uno strumento accompagnatore, possiamo dire che la chitarra sia uno
strumento discretamente presente nella storia della musica tradizionale di vaste parti
dell’Europa e dell’Asia Occidentale: i suoi predecessori sono lo oud, che ha un ruolo importante
nella musica sia classica che tradizionale del Medio Oriente, ed il liuto, sua naturale evoluzione
che è ben conosciuto e presente nella musica classica occidentale. Basti infine pensare
all’enorme importanza dello strumento a sei corde nella musica tradizionale spagnola per poter
concludere che vi è un generale e rilevante ruolo della chitarra -e dei suoi antenati- nella musica
tradizionale e classica, sia occidentale che orientale.
Infatti la chitarra possiede una straordinaria elasticità nel creare situazioni e dimensioni
comunicative partendo e terminando nel nulla grazie al suo spettro timbrico di strumento atto a
creare atmosfere tanto delicate quanto intense.
C’è da dire che l’opera musicale del Novecento possiede in genere una particolare densità di
contenuti semantici e di ideologie intrinseche rappresentabili attraverso la chitarra.
La specificità timbrica e la capacità di proiezione del transitorio d’attacco del suono creano il
senso di ciò che si vuole eseguire e l’esecutore la proietta davanti a sé: nella chitarra si può
quindi trovare uno strumento in grado di realizzare impressioni di spazio e tempo, immagini ed
emozioni distinte.
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Con l’aggiunta della voce finalmente questo sistema prende forme più concrete e tangibili. Il
canto delinea la melodia e la melodia, nel modo più lineare e semplice della musica, è anche la
forma musicale che ha maggiore chiarezza ed immediatezza, delinea un carattere ed una
specificità. Per contro può anche rappresentare qualità e tipologie che non appartengono
propriamente al mondo dei suoni. E’ dunque possibile tracciare per mezzo della musica il
ritratto di una persona, la forma di un oggetto, narrare una storia; è raro che una melodia non
evochi nella nostra mente una qualche forma, un’immagine od un racconto.
La musica vocale è la musica del popolo per eccellenza.
Note:
1 Jacques Le Goff, “Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa”, ed. Laterza, p. 102
2 Giacomo Leopardi “Della natura degli uomini e delle cose”, Donzelli Editore, p. 313
3 Richard Wagner “Oper und Drama", Leipzig J.J. Weber, p.46
4 Nietzsche Friedrich “Frammenti postumi”, vol. II, Adelphi editore, p. 65
5 Giosuè Carducci “Della lirica popolare italiana dei secoli XIII e XIV”, vol. VIII dell’op. naz., Bologna, p.56
6 Benedetto Croce “Poesia popolare e poesia d’arte” in “La critica” 1929
7 Percy Scholes “Il compagno” in "Folk Song” di Oxford Musica, 1977
8 Philip Tagg “Analysing Popular Music: Theory, Method and Practice”, Popular Music, p. 41
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Capitolo 2
Percorso storico
In ogni tempo i musicisti compositori si sono rivolti ai sentimenti intuitivi della musica
popolare, ai costumi ed alle raffigurazioni che più interessano e commuovono popoli e fanciulli.
Li hanno raccontati, riprodotti o ricreati e stilizzati, rivivendoli ed assimilandoli.
Lo stesso padre Giovanni Battista Martini (1706-1784) stimatissimo compositore e
musicologo italiano annoverato tra i maestri di Wolfgang Amadeus Mozart, rifece
umoristicamente in alcuni canoni musicali, il richiamo dei venditori ambulanti che percorrevano
le strade della Bologna del ‘700.
Nella Sinfonia Pastorale di Ludwig van Beethoven (1770-1827) -primo tema del primo
tempo- si trova questo canto rustico dell’Alvernia, Francia, in cui le note contrassegnate
corrispondono al tema beethoveniano.
Canto popolare:
Chopin:
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Ma non solo nell’imitazione dei ritmi e delle armonie di danza si manifesta in Chopin l’influenza
del canto popolare: le melodie, l’impiego stesso delle battute, delle frasi e dei periodi, in molti
casi ne attestano la presenza nascosta.
Vediamo inoltre che in certe opere russe il canto popolare non viene trasportato come raccolto
e trascritto, ma rifatto: si può dunque sentire, insieme alla presenza lirica del compositore anche
le melodie tradizionali del popolo russo.
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Canto popolare:
Judith:
Blaubart:
Anche il Novecento russo si è servito delle fonti del canto popolare: Igor Strawinskij (1882-
1971) ha portato numerosi elementi popolareschi in molte sue musiche teatrali e strumentali,
ma specialmente in “Les Noces” il potere della terra madre emerge trasformato e rinato. Il
racconto partito da presupposti teorici, passa a stile poetico con la presenza di schietta musica
espressiva.
Un caso particolare può essere considerata l’Inghilterra. “Das Land ohne Musik”, la terra senza
musica: così fu definita la Gran Bretagna da Mendelssohn in un giudizio particolarmente forte e
ripreso poi dal saggista Oscar Schmitz nel 1914. Simili opinioni, riecheggiano anche in un
pensatore come Nietzsche: egli definì gli inglesi “una razza priva di filosofia”. Questi pensieri ci
riportano all’epoca dei nazionalismi, ma sono ormai stati clamorosamente smentiti da decenni
di storia di popular music, nella quale gli antichi rapporti di forza creati dalla cosiddetta musica
d’arte sono stati uniti allo stampo popolare. E’ oltremodo vero che il contributo dato alla
musica dalle isole inglesi fino al ventesimo secolo fu alquanto scarso, almeno riferendosi al
numero di grandi compositori che tale società seppe esprimere. Un approccio critico più
attento sta tuttavia rivelando le reali qualità di tanta musica britannica e sono diversi i saggi di
un certo spessore che cominciano ad essere dedicati a tale argomento. Del resto analizzando la
produzione musicale tra diciannovesimo e ventesimo secolo, ci si trova di fronte ad un
panorama molto interessante, che mostra le piene caratteristiche di una scuola nazionale, con
una poetica propria ed un gusto estetico difficilmente riferibile ad altre esperienze artistiche
dell’epoca.
Nel saggio “Albion: the origins of English imaginations” del 2004, Peter Ackroyd afferma che
gli attributi principali di tale musica risiedono nel suo carattere familiare, mistico, lirico e
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nostalgico. Questa breve analisi conferma l’ipotesi e sembra creare un filo conduttore comune
tra le esperienze della musica colta e quelle della musica popular del dopoguerra.
Ancor più interessante è la passione che molti compositori nutrivano nei confronti del folklore
musicale della propria terra di origine, un fenomeno assolutamente non isolato, basti pensare
all’eccellente lavoro di recupero del compositore ungherese Bartók. In Inghilterra questo si
realizza in maniera particolarmente diffusa e con caratteristiche uniche: infatti non potendo
rifarsi ad una solida grammatica comune e ad anni di tradizione, i musicisti di questa non
dichiarata scuola nazionale uniscono in maniera personale i vari input provenienti dal resto
d’Europa alle antiche ballate e danze dell’Inghilterra. Quest’esigenza profonda di fondare un
linguaggio proprio dopo secoli di incontrastato dominio dei compositori tedeschi ed italiani,
nasce dalla clamorosa espansione dell’impero britannico avvenuta sotto la regina Vittoria.
Tuttavia sarebbe ingiusto tentare un parallelismo con artisti come Wagner, il cui acceso
nazionalismo aveva caratteri ben più aggressivi. Le eteree e rilassate composizioni dei musicisti
inglesi di questo periodo paiono invece aspirare alla pace ed alla contemplazione, piuttosto che
a costruire basi simboliche di volontà di potenza.
Il caso di Ralph Vaughan Williams (1872-1958) è esemplare: la sua appassionata e prolungata
opera di riscoperta e traduzione del patrimonio folklorico era tesa a creare situazioni di forza
spirituale che difendessero l’arte e l’individuo dal materialismo moderno. Così egli si esprimeva
a riguardo: «Dobbiamo creare e custodire le canzoni popolari», e ancora «Più studio il canto
folkloristico, più considero l’importanza dell’individuo» 9. Vaughan Williams è probabilmente
fra i compositori, quello che incarna meglio lo spirito inglese; l’intera sua opera rivela un’affinità
sorprendente con colori e paesaggi dell’Inghilterra ed i riferimenti alle antiche melodie popolari
sono innumerevoli. Il suo è uno stile estremamente melodico, ma mai ovvio, con un gusto
irripetibile dell’orchestrazione ed una notevole varietà di temi. Tra i suoi lavori più interessanti
c’è senza dubbio “On Wenlock Edge” (1911), una serie di canti basati su alcune poesie tratte
dalla raccolta “A Shropshire Lad” (1896) di Alfred Edward Housman; viene descritta Wenlock
Edge un’isolata collina che fa da spartiacque tra gli altipiani gallesi ed il cuore dell’Inghilterra,
un’area ricca di storia e di fascino naturalistico. La musica composta da Vaughan Williams per
questa rievocazione storica e paesaggistica non disdegna certo i cari temi descrittivi, ma
abbraccia anche atmosfere oniriche, impalpabili, quasi a suggerire un’unione mistica con quei
luoghi leggendari. I risultati più eccelsi nell’ambito della raffigurazione in musica si produrranno
con “In the Fen Country” (1909) e “Norfolk Rhapsody” (1906), profetiche anticipazioni di
tanta musica per il cinema, veri e propri cimeli dedicati a due note zone dell’Inghilterra.
Singolarmente il luogo comune del poema sinfonico, spesso ispirato da paesaggi della natura
impetuosa, viene qui adattato alla placida trattazione di uno dei paesaggi meno mossi di tutta la
Gran Bretagna. Ma probabilmente il legame con la tradizione si manifesta nella sua forma più
emozionante nella “Fantasia On a Theme by Thomas Tallis” (1910), uno dei più incredibili
esempi di riscrittura di cui si abbia memoria: questa composizione sancisce l’atto di unione
indissolubile tra passato e presente, in una sintesi arcana che soltanto una sensibilità fortemente
britannica avrebbe potuto creare.
Gustav Holst (1874-1934) è conosciuto soprattutto per il poema sinfonico “The Planets”
inusitato esperimento di esoterismo e cosmologia in musica. Le dissonanze e le asprezze
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contenute nelle memorabili pagine di questa composizione difficilmente lo farebbero pensare,
eppure anche Holst fu molto legato al folklore della sua terra. Questo legame avviene in termini
introspettivi non impressionistici, in “Egdon Hearth” (1927), brano ispirato alle tetre brughiere
del Dorset e alla descrizione che fece di esse lo scrittore Thomas Hardy nel suo “Il ritorno del
nativo”. Si tratta di una musica che evoca sentimenti più che immagini e che è certo molto
lontana dal tipico melodismo popolare, espresso però nell’incantevole “Somerset Rhapsody”,
vero e proprio avvicinamento di temi popolari attraverso la giustapposizione di eterogenei
arrangiamenti orchestrali.
Per quanto riguarda l’Italia, paragonando allo spirito nazionale ricreato da grandi autori di altre
nazioni, si potrebbe citare Ottorino Respighi (1879-1936); possiamo considerarlo il più
popolare tra i compositori italiani del Novecento per lo stile e per la tecnica modale e tonale
utilizzata. Su un impianto di fondo spesso tipicamente modale vengono fatte gravitare armonie
cromatiche tipiche del primo Novecento; nonostante lui focalizzi l’attenzione su una
circoscritta zona italiana, quella romana, possiamo notare come in numerosi suoi lavori vi siano
delle evocazioni musicali di impressioni visive -come in “Feste romane” e “Trittico
botticelliano”-, così come una significativa ricerca nella musica di epoche precedenti ritrovabile
in “Antiche arie e danze”.
Per quanto riguarda il repertorio più propriamente dedicato alla chitarra, già nel diciassettesimo
secolo, ai tempi del liuto, l’utilizzo della musica tradizionale nella musica colta si rivelava
fondamentale: gli elisabettiani amavano la musica e la regina Elisabetta I non fece eccezione. Fu
musicista e suonò uno strumento chiamato virginale, un piccolo clavicembalo rettangolare, ed il
liuto; amava gli spettacoli musicali, incoraggiava musicisti e compositori ed amava danzare.
Patrocinava arte e letteratura e non disdegnava guardare giochi e spettacoli
drammatici. Elisabetta I (1533-1603), figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, ebbe il merito di
consolidare il regno d'Inghilterra facendo rinascere le arti e le lettere, in una nuova epoca di
prosperità. Questa magnifica fioritura letteraria ebbe in Shakespeare il suo massimo esponente
in campo teatrale.
Nelle rappresentazioni di William Shakespeare ci sono oltre quattrocento riferimenti alla
musica, a canzoni specifiche, a pezzi eseguiti per l'azione, a richiami militari, a musica per
l'entrata o l'uscita dei personaggi, varie istruzioni per il ballo, riferimenti a canzoni popolari. In
alcuni casi le canzoni sono citate parzialmente e apparentemente non vengono cantate oppure
sono soltanto menzionate. Shakespeare adotta brani del repertorio popolare dell’epoca o
compone lui stesso le liriche, assegnandole a servi o giullari. I personaggi più importanti di
norma non cantano, ma la maggior parte delle canzoni è indirizzata comunque a loro: la musica
vocale infatti detiene la forza per esaltare uno stato d'animo o per caratterizzare maggiormente
un personaggio e talvolta viene anche usata per ridicolizzare la trama o il personaggio stesso.
Nelle rappresentazioni di corte, a differenza di quelle nei pubblici teatri spesso all'aperto,
Shakespeare ha a disposizione un buon numero di musicisti e cantanti. La musica è quindi
maggiormente presente in queste produzioni teatrali.
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Nell'opera di Shakespeare c'è poi un ricorrente riferimento al simbolismo degli strumenti
dell'epoca elisabettiana: in particolare il suono del liuto e delle viole richiamano le forze
benevole sullo spirito umano.
Le folksongs e le melodie delle ballate a cui così spesso Shakespeare fa riferimento, sono
conosciute dal pubblico di tutti i ceti sociali; Shakespeare le usa anche per giochi di parole o per
evocare sentimenti diversi; a quel tempo era infatti molto in voga parodiare le canzoni per
creare un dialogo con doppi sensi tra i personaggi. La musica del teatro elisabettiano è semplice
e vivace, adatta alla maggior parte del pubblico e anche alle rappresentazioni svolte all'aperto.
Shakespeare predilige in particolare le semplici canzoni tradizionali inglesi più che le preziose
composizioni polifoniche del periodo, perché si adattano meglio ad un cambio d'abito testuale e
stemperano la tensione accumulata nelle scene più importanti e drammatiche.
Tra i grandi musicisti del periodo elisabettiano si può inoltre citare John Dowland.
Dowland (1563-1626) è stato un compositore, cantante e liutista inglese, forse irlandese di
nascita. Molte delle sue composizioni sono scritte per il liuto, strumento da lui suonato; esse
comprendono numerosi libri di opere per liuto solo e anche canzoni per liuto e voce. La sua
fama di compositore si affida principalmente alle raccolte di Songs per voce e liuto, molte delle
quali hanno melodie di ispirazione popolare mentre altre rivelano l'influsso dei madrigalisti
europei.
In "Can she excuse my wrongs" l'accompagnamento del liuto ha come contrappunto un
frammento del tema popolare "The Woods so Wild" qui sotto visualizzabile nelle note della
voce acuta del liuto. Quest’antica canzone ha le sue origini nella metà del sedicesimo secolo e si
ritrova in diversi testi antichi come il “Queen Elizabeth's Virginal Book”, una delle prime fonti
musicali per tastiera del tardo periodo Elisabettiano.
Sempre di John Dowland è il brano per liuto solo "Galliard on Walsingham", che utilizza una
melodia popolare allora in voga. I primi versi scritti da Shakespeare recitano: "How should I
your true love know?" e questa melodia viene cantata dalla pazza Ofelia in "Amleto", Atto IV,
Scena V. In verità, la canzone "Walsingham" si riferisce al tradizionale pellegrinaggio al
santuario di Nostra Signora di Walsingham nei pressi di Norfolk in Inghilterra, a cui
prendevano parte tutte le componenti del popolo. Le indicazioni di palcoscenico dicono
"Ofelia, con i capelli sciolti, canta e suona su un liuto". La melodia di questa antica ballata
conquistò anche altri musicisti elisabettiani, ad esempio William Byrd.
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Un altro grande liutista del periodo che ha recuperato molte songs tradizionali è Francis
Cutting (1550-1595 o 1596): ne sono un esempio le ballate riprese dallo stesso tema “The
Woods so Wild” e "Packington's Pound”, una delle più popolari melodie in voga nel XVI
secolo.
Uno dei più famosi temi popolari di tutti i tempi è "Greensleeves": la canzone, come del resto
tutti i canti di tradizione popolare, fu per molto tempo tramandata unicamente per via orale o
sotto forma di manoscritto. La prima versione registrata ufficialmente risale al 1580 con il titolo
di "A New Northern Ditty of the Lady Green Sleeves", ma non esiste oggi nessuna copia di
questo documento. Se ne trova traccia in “A Handful of Pleasant Delights”, testo del 1584
contenente vari sonetti e diverse storie, sotto il nome di "A New Courtly Sonnet of the Lady
Green Sleeves. To the new tune of Green Sleeves". Tale titolo sembra dunque suggerire che il
brano fosse antecedente.
Sempre su questo tema Cutting si ispirò a questa melodia per le sue “Variations on
Greensleeves for lute” e anche Ralph Vaughan Williams compose una “Fantasia on
Greensleeves” per la sua opera “Sir John in Love”.
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Il tema trattato è molto diffuso nella poesia rinascimentale spagnola e di conseguenza in quella
tradizionale d’amore: la Memoria tormenta il poeta con immagini del felice passato. La tecnica
della personificazione, in questo caso la “crudele memoria”, è una tipica caratteristica poetica.
La musica di Joaquin Rodrigo (1901-1999) dalla metà degli anni Settanta, è diventata tra le più
famose dal punto di vista internazionale grazie soprattutto all’immensa popolarità del
“Concierto de Aranjuez”. E’ interessante notare come il celebre secondo movimento di questo
concerto sia anche diventato una canzone per voce e chitarra intitolata “Aranjuez, ma penseée”.
Tra i suoi numerosi lavori che si allacciano alla tradizione popolare si può senza dubbio citare le
“Doce Canciones populares españolas”, testi popolari arrangiati per voce e pianoforte. Tra
queste, l’autore ne ha scelte tre riscrivendole per voce e chitarra: “En Jerez de la Frontera”,
“Adela”, “De ronda”. La tecnica compositiva di Rodrigo è piuttosto semplice comparata a
quella di Gerhard, in quanto egli preferisce lasciare alla linea melodica il compito di suscitare le
emozioni.
Accanto a Rodrigo possiamo citare anche altri due fondamentali compositori spagnoli, Albéniz
e Granados. Nati a distanza di qualche anno l’uno dall’altro, questi tre compositori sono
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probabilmente i più celebri tra i compositori spagnoli e sono senza dubbio responsabili della
grande popolarità della musica iberica. Le caratteristiche ricorrenti nelle loro composizioni sono
senz’altro la forte influenza della musica tradizionale spagnola e le danze quali il fandango, la
seguidilla, la fannia, la jota, che esprimono in particolar modo la libertà e la varietà ritmica.
Caratteristici risultano il flamenco, tradizione vocale d’influenza gitana, il cante jondo, tradizione
tipicamente andalusa d’espressione vocale tragica e alcuni temi originali ispirati ai canti popolari
quali le zarzuelas.
Un’altra caratteristica può essere il loro utilizzo del pianoforte con le tecniche della chitarra:
l’impiego del rasgueado, una serie d’accordi strappati, del punteado, suoni pizzicati e di accordi
arpeggiati.
Un’altra delle ragioni di similarità di questi compositori è che erano tutti eccellenti pianisti.
Isaac Albéniz (1860-1909) studiò a Parigi, Lipsia, Bruxelles, Budapest. Aveva per amici
Debussy, Dukas, Chausson, Fauré; con Granados condivideva, oltre all’amicizia, anche
l’influenza dell’opera italiana, rifiutando le zarzuelas e direzionandosi piuttosto verso Liszt e
Wagner. Essi furono stimolati dal grande compositore e professore spagnolo Pedrell e
incoraggiati da Debussy. Possono essere considerati i responsabili della diffusione della musica
spagnola all’estero. Albéniz con la “Suite Española” rivisitò temi popolari delle varie regioni
della sua nazione.
Enrique Granados (1867-1916) compose le “Colección de Canciones Amatorias” nel 1914.
Esse sono pubblicate come un gruppo di sette ma non seguono un particolare ordine di
esecuzione. Nonostante lo stile musicale simile a quello di Falla, le canciones presentano delle
rivendicazioni ispaniche tradizionali e popolari. Questo può essere considerato il più
aristocratico bel canto e rappresenta un capolavoro di Granados nell’arte della melodia. Sia
solistica che con accompagnamento vocale, la tipica scrittura per pianoforte in tutti questi brani
è utilizzata per evocare o imitare la chitarra e le sue tecniche; ecco perché la trascrizione per
chitarra e voce si presta perfettamente a ricrearne l’atmosfera.
Federico García Lorca (1898-1936) fu musicista prima di essere poeta. Attraverso i vicini, la
servitù e la gente del popolo visse il contatto più autentico con la musica della sua terra, come
raccontò in molteplici occasioni. Fu attraverso il filtro della musica colta, che Lorca eleva a
simboli poetici i contenuti della musica popolare spagnola, principalmente quella andalusa. Il
suo approccio ad essa, sviluppato a partire da una formazione colta, si connotò presto come
originale ed innovativo, grazie alla sua competenza musicale e alla sua qualità poetica. Lorca
capì l’importanza della testimonianza diretta e del recupero non solo delle melodie, ma del
modo di rendere quelle melodie. La raccolta più conosciuta ha il nome di “Canciones españolas
antiguas” e include dodici canzoni per voce e pianoforte: “Anda jaleo”, “Los cuatro muleros”,
“Las tres hojas”, “Los mozos de Monleón”, Las morillas de Jaén”, “Sevillanas del siglo XVIII”,
“En el Café de Chinitas”, “Nana de Sevilla”, “Los Pelegrinitos”, “Zorongo gitano”, “Romance
de don Boiso”, “Los reyes de la baraja”.
Quello che si può notare dal punto di vista letterario è un recupero di fronte al quale egli
mostra grande rispetto, cercando di mantenere i testi nella loro integrità e lasciando anche
espressioni idiomatiche proprie della lingua popolare. Per ciò che riguarda la parte musicale si
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sa quanto Lorca fosse contrario alla trascrizione che, dal suo punto di vista, costituiva un
impoverimento della musica. Le sue armonizzazioni sono dunque molto semplici e tendono a
cogliere la purezza delle melodie.
Possiamo citare qui di seguito come esempio una famosa melodia tradizionale, ripresa anche da
Falla, “Los Pelegrinitos”: la prima esibizione del brano trova lo stesso Lorca al pianoforte,
affiancato dalla famosa cantante e ballerina Encarnación López Júlvez detta “La Argentinita”.
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Note:
9 Da un’intervista della BBC, 10 Luglio 1956.
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Capitolo 3
«Piccolo, bruno, nervoso...occhi acuti sotto la fronte risoluta, viso di tipo andaluso dove si
riconosceva l'affinità araba, viso dove si rifletteva con forza la Spagna mentre le sue parole brevi
e concise mi dettero l'impressione di trovarmi di fronte ad un uomo appassionato e
meditativo»10: così il critico francese G. Jean Aubry descrisse l'aspetto fisico di Falla11, musicista
fra i più importanti del Novecento, la cui produzione ottenne ben presto una vasta simpatia ed
una saldissima popolarità.
Quando nel 1896 la famiglia si stabilisce a Madrid, Falla viene attratto dai concerti di Chopin,
Gounod e soprattutto di Grieg e cerca di assimilare l’atteggiamento rapsodico e soprattutto le
prime novità riguardanti le identità nazionali, tanto da desiderare di compiere un’analoga
operazione anche per quanto riguarda il suo paese. Infatti è alla fine dell’Ottocento che i
nazionalismi musicali e la riscoperta delle proprie tradizioni colte e popolari si stanno sempre
più affermando. A rafforzare questo spirito interverrà dapprima la conoscenza dell’antico teatro
musicale spagnolo delle zarzuelas -la forma nazionale dell’operetta- di Francisco Barbieri e di
Tomás Bretón, poi lo studio di un testo di armonia ed estetica musicale “L’acoustique nouvelle”
di Louis Lucas. In quest’ultimo riscopre antichi rapporti armonici, sottesi da combinazioni
numeriche risalenti a Pitagora e Platone. In seguito consolida le sue idee attraverso
l’insegnamento del suo maestro Felipe Pedrell, da un anno insegnante al conservatorio di
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Madrid e di cui Falla fu allievo privato per la composizione; Pedrell fu il fondatore di quel clima
culturale idoneo ad una rinascita musicale spagnola.
Nel 1905 compone il dramma lirico in un atto “La vida breve”, opera che viene in seguito
ampliata e modificata dopo aver appreso nuove conoscenze dai musicisti francesi: dal 1907 al
1914 infatti, si trasferisce a Parigi alloggiando dapprima alla pensione Victor Hugo nella piazza
omonima, e quindi all'Hotel Kléber in rue de Belloy dove vive anche Joaquin Turina; proprio in
Francia il compositore spagnolo decide di dare un significato universale al suo folklore
andaluso. Sono anni molto importanti sia per i contatti instaurati che per la vena compositiva:
infatti a Parigi trova alcuni suoi connazionali, il pianista Ricardo Viñes, il compositore Isaac
Albéniz con il quale rimarrà legato da profonda amicizia, e Turina, che si dimostra tuttavia più
scarno degli altri dal punto di vista compositivo perchè tende spesso a propagandare clichès
romantici della musica spagnola. Incontra inoltre Ravel, Dukas e soprattutto Debussy che gli
fornirà le basi per il suo stile compositivo: compone infatti le “Trois melodie” del 1909 su
poesie di Théophile Gautier, il cui testo lo spinge verso l’impiego di atmosfere impressioniste;
importante sottolineare che la terza composizione delle melodie -la “Séguidille”- è dedicata alla
signora Emma Debussy. Per Falla il consiglio del grande Debussy risulta fondamentale: egli si
ripropone di semplificare e di alleggerire l’accompagnamento della seconda melodia. Questo
rimarrà sempre presente nella memoria del compositore spagnolo come un mistico bisogno di
purificazione. In quegli anni il suo nome era già fra i più noti dell'intensissima vita musicale
parigina anche se Falla, per la sua indole mite e schiva e per la sua profonda religiosità, nulla
faceva per mettersi in mostra e per apparire un "rivoluzionario".
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, ritorna a Madrid dopo aver consegnato il
manoscritto delle “Siete Canciones populares Españolas” per voce e pianoforte all’editore Max
Eschig che le pubblicherà solamente nel 1922. Eseguite nel 1915 da una cantante spagnola
dell’Opéra-Comique che le aveva richieste, rappresentano un lavoro fondamentale, dove lo
spirito popolare si manifesta con immenso fascino attraverso scale, cadenze e modalità tipiche
della musica iberica. Falla si esprime senza nessuna pretesa di nobiltà e senza essere animato da
alcuno spirito di ricerca etnomusicologica e classificatoria: egli si dedica per lo più a rinforzare
la musica spagnola ravvivandola con pure sorgenti di popolo e con elementi dell’antica musica
spagnola rinascimentale.
Da questo momento infatti, si sviluppa nel compositore una coscienza popolare radicata nella
profondità dello spirito andaluso: nel cante jondo e nel toque jondo confluiscono elementi di origine
gitano-tibetana, iberico-bizantina, ebraica, celtica e araba, come Falla sottolinea nell’articolo “Il
cante jondo” pubblicato anonimo nel 1922 in occasione del concorso organizzato insieme a
García Lorca.
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Copertina dello spartito del balletto “El amor brujo”.
Il periodo madrileno dal 1914 al 1920 è infatti ricco di composizioni; così nel 1917 viene
rappresentata “El corregidor y la molinera” trasformata successivamente nel balletto “El
sombrero de tres picos”, con scenografia e costumi di Picasso.
Con la morte repentina di entrambi i genitori, sembrò accentuarsi la profonda religiosità del
musicista e quella sua innata tendenza a considerare tutti gli eventi come un rigoroso disegno
della provvidenza, ordinato su precise cadenze; egli credeva, ad esempio, che la propria vita
fosse predisposta secondo un ciclo di sette anni dando al numero sette quasi un valore magico.
A posteriori quella sua credenza sembrò essere provata dai fatti, come accadde appunto nel
1919, inizio del settimo settennio, segnato dalla morte dei genitori, ma anche dalla
composizione della “Fantasía Baetica” destinata al pianista Arthur Rubinstein. Come le “Siete
Canciones populares” hanno segnato il distacco dall’influenza impressionistica, così la “Fantasía
Baetica” (termine latino per l’Andalusia) rappresenta il punto di svolta verso quel processo di
moderazione e sobrietà espressiva che gli permetterà di esprimere il folklore nelle sue più intime
fibre -ad es. i rasgueados ed i suoni della chitarra castigliana prorompono con la loro austerità
ed asprezza-.
Nella casa di Granada in cui si era trasferito nel 1919, Falla unisce lo studio del canto popolare
e del flamenco all’analisi musicale ed alla riscoperta dei compositori dell’epoca d’oro della
polifonia spagnola: Tomás Luis de Victoria, Cristóbal de Morales, Antonio de Cabezón e
Garcia Lorca, con il quale inizia anche una profonda amicizia.
Proprio in quest’atmosfera di passato e presente, di musica colta e popolare, di lontani
modalismi trobadorici, di connubio di estremo oriente e musica occidentale, nasce lo
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”Homenaje” per Claude Debussy nel 1920. Quest’opera per chitarra è fondamentale per capire
l’ultima produzione di Falla tendente alla superiore compostezza del Neoclassicismo.
Ormai il nome di Manuel de Falla è celebre nel mondo: nel 1928 a Parigi, si organizzano
festeggiamenti in suo onore, riceve la Legion d'onore; a Siena è ospite illustre del conte Guido
Chigi Saracini, in occasione del Festival della S.I.M.C. -Società Italiana di Musica
Contemporanea-, che in quello stesso anno fonda la sezione catalana e spagnola.
Nel 1923 scrive l’opera per marionette “El retablo de Maese Pedro”, l’anno dopo “Psiché” per
canto e cinque strumenti, e in seguito scrive il “Concerto per cembalo e cinque strumenti”.
Queste ultime due opere mettono in risalto quel processo di semplificazione che tanto amava il
compositore ed è proprio in quest’ultimo concerto che avviene la sintesi fra ispirazione
folklorica, musica feudale di corte e canto ecclesiastico.
La situazione della Guerra civile spagnola (1936-39) che opponeva l’estrema destra sostenuta
dal neofascismo europeo da una parte, ed il socialismo marxista dall’altra, rende sempre più
insopportabile la vita sociale di un cristiano e libero artista come Falla, specialmente dopo
l’uccisione di García Lorca (1939) da parte dei franchisti.
Ammalato e profondamente depresso, pochi mesi dopo la fine della guerra civile, Falla decide
di imbarcarsi con la sorella per l'America del Sud accettando l'invito della “Istitución cultural
espanola” di Buenos Aires. Lì vi rimarrà fino alla morte nel 1946. La vita di Falla è durata dieci
settenni, quasi a confermare la sua credenza nei cicli.
Nel nuovo paese inizierà la stesura di “Atlántida” per soli, coro ed orchestra, pensata su
modello dei misteri medievali, nella quale folklore popolare delle diverse regioni spagnole,
elementi religiosi e mitologia greca si fondono. Quest’opera, che verrà completata poi da un suo
allievo, rappresenta per il compositore spagnolo l’ideale di ricerca del suono puro e di
scarnificata melodia.
Si può affermare che Falla, per temperamento, non sia mai andato in cerca di facili consensi. Se
si è dedicato al movimento di risveglio nazionalistico della musica spagnola del secondo
Ottocento, con una ferma tendenza -specialmente nelle prime composizioni- a cogliere e
tradurre il patrimonio musicale offerto dalla tradizione popolare del cante jondo (alla lettera
"canto profondo") e del cante flamenco (alla lettera "fiammingo", nel significato di vivace e
sensuale), di fatto il contributo che Falla diede al rinnovamento musicale europeo va ben oltre
la riscoperta della musica spagnola. Accanto a lui musicisti spesso molto diversi come Bartók,
Schönberg, Stravinskij e Malipiero lavorarono a quest’idea. La musica tradizionale viene
espressa così com'era stata vagheggiata dal compositore e musicologo Pedrell e realizzata,
spesso con successo, nelle colorite opere di Albéniz o di Granados.
L'arte di Falla si differenzia da questi suoi compatrioti per l'originalità dell'invenzione melodica,
per la chiarezza con cui rende personali gli apporti timbrici dell'impressionismo francese, per la
purezza con cui l’esperienza musicale riesce a manifestarsi specialmente nelle opere composte
tra il 1915 ed il 1926.
Ma ancor più si diversifica dalle facili etichette dello spagnolismo colorito e di amplissima
utilizzazione pratica, per una profonda consapevolezza ed una rigorosa coerenza morale e
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culturale. Scrisse il compositore nel 1925 «Sono contrario alla musica che prende per base i
documenti folkloristici autentici; credo, al contrario, che è necessario partire dalle fonti naturali
vive ed utilizzare le sonorità ed il ritmo nella loro sostanza, e non per ciò che offrono
esteriormente. Per la musica popolare di Andalusia, per esempio, è necessario andare molto in
fondo per non caricaturarla» 12. Parole queste, che aiutano a capire qual era l'atteggiamento
mentale di Falla nei confronti della musica popolare e non soltanto di quella spagnola; questo lo
distingue anche da un musicista come Bartók, col quale ha indubbie affinità per l'amore e
l'attenzione con cui si avvicinò ai documenti più vivi del folklore.
E’ infatti la lettura del suo celebre saggio sul cante jondo a offrire utili indicazioni di come Falla
abbia analizzato con sensibilità moderna le fonti popolari, al di fuori di ogni suggestione
romantica. La sua attenzione era attratta dalle «infinite sfumature del suono esistente fra due
note congiunte e disgiunte»13, per cui sottolineava, nell'ambito melodico del cante jondo
(raramente sorpassante i limiti di una 6ª), intervalli diversi da quelli della scala temperata. Un
particolare fascino esercitarono su di lui -riflettendosi anche in alcuni stilemi delle composizioni
più dichiaratamente iberiche- i popolareschi andamenti di note ribattute, secondo un
procedimento che "è proprio di certe formule di incantamento"; così come le ornamentazioni
delle melodie gitane, intese "come espansioni e rinforzi suggeriti dalla forza emotiva del testo" e
non come ornamenti veri e propri, quali appaiono "soltanto se tradotti negli intervalli
geometrici della scala temperata".
Vi è dunque anche negli atteggiamenti teorici di Falla, un senso di inquietudine e di ricerca che
si lascia decisamente alle spalle l'orgoglio evoluzionistico dell'Ottocento. Basta leggere quanto
egli scrisse di Wagner nel cinquantenario della morte, per avvicinarlo ai più grandi innovatori e
rivoluzionari della cosiddetta "generazione dell'Ottanta". Falla è per tanti aspetti molto legato
alla tradizione ed il suo sistema armonico è ancora dichiaratamente tonale.
Ascoltando la musica di Wagner, infatti Falla cercava di "dimenticare il suo autore". «Non ho
mai potuto sopportare» scrive «la sua arrogante vanità né l'impegno, orgogliosamente puerile,
d'incarnarsi nei suoi personaggi drammatici. [...] Wagner era, come tanti altri nella sua
condizione, un personaggio abnorme in quello smisurato carnevale che fu il XIX sec., al quale
solamente pose fine la grande guerra, principio e base del gran manicomio che sta dichiarandosi
il secolo in cui viviamo» 14.
In realtà Falla portò a questa grande confusione un contributo originalissimo, dove i chiarori
mediterranei della tavolozza dell’orchestra, il realismo dato dai ritmi di danza, la forza magica
delle linee melodiche -"inventate" sui modelli originali- e perfino il verismo delle prime
esperienze teatrali, sembrano indicare la continua coerenza di un lungo itinerario spirituale alla
ricerca della perfezione.
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Se è vero che, dopo i lavori giovanili ricchi del neoromanticismo spagnolo, un forte influsso lo
diede il contatto con i musicisti dell'impressionismo francese, non si può d'altra parte non
avvertire nei lavori più originali e maturi di Falla una certa distaccata assonanza con gli ideali del
neoclassicismo europeo. Questo può essere inteso non tanto come un bisogno di immergersi
nell'adorazione di un passato archeologico -amava infatti Domenico Scarlatti e sentiva come
fossero contemporanei Haydn e Chopin-, ma come un mezzo per portare avanti una ricerca di
ordine e di purezza, al di fuori di qualsiasi commercialismo. Non va poi dimenticato come
questo atteggiamento, che rispecchia la sua cultura e la sua sensibilità di cattolico fervente,
evidenzia forse anche la sua arte come una sorta di esercizio ascetico. Purtroppo però, Falla
non poté comporre quella messa che per molti anni desiderò realizzare, non avendo mai
trovato il momento di poter attuare il suo proposito «degnamente e con la necessaria serenità
spirituale» 15.
In questa prospettiva dunque, che ha per sfondo la crisi musicale europea del Novecento,
vanno guardate le composizioni di Falla: dalla “Vida breve”, impostata come un'opera di
stampo verista eppure già aperta a significativa essenzialità timbrica e di pure invenzioni
melodiche, fino alle più compiute e famose. E se le “Noches en los jardines de Espana”, pur
con le loro chiare ascendenze impressionistiche indicano già la frattura con l'ultimo
Romanticismo spagnolo imponendosi per una loro particolare evidenza di linee, un autentico
capolavoro è “El amor brujo”, affascinante per una magica sintesi di tentazioni sensuali e di
chiarezza contrappuntistica, per la sua orchestra tutta "inventata" e capace di innumerevoli
rimandi polisensi, già avviata verso le dimensioni da camera alle quali l'arte di Falla tenderà
sempre più negli anni successivi; il tutto in assonanza con la musica europea e più significativa
del suo tempo. Un altro capolavoro diventato popolare è ”El sombrero de tres picos”, così
come l’irripetibile ciclo delle “Siete Canciones populares Españolas”, punto di riferimento della
storia della lirica del Novecento per la genialità con cui le parole delle canzoni trovano
un'autentica forza melodica ed espressiva, ma anche per la fantasia con cui il pianoforte modella
la sua parte togliendosi di dosso qualsiasi riferimento alla liederistica ottocentesca ed anzi
ricreando lo spirito di accompagnamenti popolari. Perché nelle canzoni popolari
«l'accompagnamento ritmico o armonico è importante almeno quanto la canzone stessa»16.
Quello che stupisce maggiormente è che Falla nell’anima della Spagna non scopre nulla di
sostanzialmente nuovo, ma si limita a mettere a fuoco le musiche e le danze che il suo paese ha
elaborato in maniera tradizionale per molti secoli.
Si può dire che da queste canciones comincia il cammino di un discorso musicale sempre più
spoglio: “El retablo de Maese Pedro”, con il nervoso ed estrosissimo clavicembalo che in
orchestra costituisce una specie di costante tessuto narrativo del piccolo dramma, è l'approdo
lungamente cercato, che Falla realizza in una favolosa fanciullesca purezza.
Con il successivo “ Concerto para clave”, lo strumento a tastiera si trova alla guida di una sottile
trama formata da flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello, e si è ormai spogliato di
qualsiasi spagnolismo: un che di asciutto e di amaramente consapevole serpeggia fra le voci di
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questo irreale dialogo, che è ormai lontano anche dalle lusinghe di Debussy e della sua musica
"senza tempo". Per cui, quando fra il 1961 ed il 1962 poté essere ascoltata a Barcellona prima e
poi alla Scala di Milano, la cantata scenica “Atlántida” non mancò la sorpresa di trovarsi davanti
un Falla quasi trionfalistico e retorico; e non più quello "ossuto ed angoloso" degli anni Venti.
E sembrò la chiusura di un'epoca irripetibile nel panorama della musica novecentesca.
Come scrive Alessio di Benedetto, si può dunque riassumere in cinque punti importanti gli
indirizzi dell’estetica di Manuel de Falla, senza tuttavia volerli suddividere nettamente:
1. VERISMO: con “La vida breve” (1904-05), influenzato dal melodramma verista italiano e
dalla zarzuela; non mancano i segni della cultura iberica.
2. IMPRESSIONISMO: (1907-14) assimila l’ideale compositivo di Debussy, soprattutto
attraverso le opere “Quatros piezas españolas”, “Trois melodie” e “Noches en los jardines
de España”, mentre con le “Siete Canciones populares Españolas” svela un’ispirazione
popolare schietta e libera da influenze francesi.
3. FOLKLORE ANDALUSO: (1915-19) ritmi, melodie arabeggianti, scale zigane ed
ecclesiastiche, armonie di stampo modale, inflessioni del cante jondo. Ne “El amor brujo” è
presente l’Andalusia zigana con i suoi aspetti stregoneschi, ne ”El sombrero de tres picos”
compare l’Andalusia più borghese e contadina.
4. FOLKLORE CASTIGLIANO E NEOCLASSICISMO: (1919-26) ricerca di semplicità e
depurazione da ogni sovrabbondanza nella “Fantasía Baetica”, seguendo il culto di Scarlatti,
Haydn e Debussy, e concretizzato in “Homenaje pour Claude Debussy”, “El retablo de
Maese Pedro” e “Concierto para Clave”.
5. FOLKLORE CATALANO, UNIVERSALISMO MITOLOGICO E SINTESI
SUPERIORE DEL MATERIALE FONICO IBERICO-MEDITERRANEO: con
“Atlántida” nel 1926-46, oratorio sacro in tre parti con prologo, incompiuta dall’autore.
35
3.1.1. Tecniche compositive dell’epoca
Per analizzare correttamente le tecniche compositive di Manuel de Falla è necessario fare una
breve considerazione sui sistemi linguistici dell’epoca.
E’ un periodo infatti molto vario nell’arricchimento e nel rinnovamento, ma anche nella
distruzione di quel sistema che comporta un centro di gravitazione attorno alla tonica.
Alcuni autori infatti considerano ormai concluso il discorso tonale, abbandonando così il centro
di riferimento di un brano e collegando tra loro suoni che prima non avrebbero avuto motivo
di vicinanza, proponendo una parificazione assoluta tra consonanza e dissonanza. In genere a
questo gruppo appartengono autori dell’area culturale austro-germanica come Schönberg,
Webern e Berg; invece, un altro gruppo di compositori di cui fa parte Falla, pur sentendo la
necessità di rinnovamento dei rapporti tra i suoni, non abbandonano il centro di riferimento -
anche se a volte lo nascondono- considerandolo fondamentale per la capacità percettiva.
Falla considera infatti la musica un processo comunicativo e come tale vuole esprimere una
differenza tra momenti di tensione e distensione, dunque tra dissonanza e consonanza, senza
mai superare il limite delle caratteristiche strutturali della percettibilità dell’orecchio umano,
anche se questo rapporto viene in parte modificato dalle funzioni armoniche derivate dalla
musica popolare, dalle scale modali utilizzate e dal recupero della tradizione rinascimentale
spagnola.
Così si esprime il compositore spagnolo: «Credo nell’utilità della musica da un punto di vista
sociale. E’ necessario non farla egoisticamente, per sé, ma per i più… Sì: lavorare per il
pubblico senza fargli concessioni: qui sta il problema.»17
Dunque per risultare comprensibili bisogna rispettare le modalità di ascolto dell’orecchio, che
tende sempre ad un semplicità di frequenze e ad una intonazione naturale. E all’esaurirsi del
materiale tonico di base -maggiore e minore- ecco che Falla vi inserisce la modalità e l’influsso
orientale-bizantino, impiegando l’enarmonia per rendere più espressiva l’accentuazione
melodica.
Proprio grazie ai suoi attenti studi, il compositore ha voluto differenziare in modo netto
l’enarmonia distinguendo tra di loro le note omologhe. Anche per questa necessità i lavori di
Falla hanno una costante presenza di acciaccature, per cercare di riprodurre quei microintervalli
non realizzabili con uno strumento moderno accordato ad intonazione fissa.
Si può notare che non si tratta di musica con una tonalità, ma con una modalità polifunzionale,
che presenta sempre un richiamo verso un centro polare, non sottostando costantemente alle
regole dell’armonia colta.
Quello che l’autore sviluppa maggiormente è un linguaggio compositivo che porta ad un
superamento, o meglio, ad un allargamento della tonalità. Esempio ne sia l’evidenza di alcuni
elementi come l’uso della triade maggiore come accordo conclusivo al termine di ogni brano -
una triade semplice o arricchita dal 6˚ grado, in tutte le “Siete Canciones” ad eccezione
dell’Asturiana-; ma gli aggregati armonici e l’uso libero delle dissonanze non sono riconducibili
ai canoni fondamentali dell’armonia tradizionale.
36
L’autore consiglia di ristabilire una diretta corrispondenza fra la parola, il canto ed il materiale
sonoro: il suono deve seguire il ritmo interno del respiro verbale del popolo e ciò significa che
vi deve essere un uso mirato di modalismo e di scale, nonché di melodie andaluse e
trobadoriche. La soluzione di Falla è quella di riconquistare le tecniche compositive folkloriche
con l’utilizzo di spunti diversi da quelli tradizionali: la categoria del rapsodico, l’accostamento
libero di figure foniche diverse, la ripetitività ossessionante e la continua variazione delle cellule
ritmiche o melodiche.
Questo si crea attraverso l’arabesco melodico, la melopea18, l’arpeggio ossessivo tipico della
chitarra, nonché il ritmo, il silenzio e la pausa, che divengono la base strutturale su cui costruire
una composizione che colpisca in profondità l’animo umano.
Il ritmo costituisce una base fondamentale nelle musiche gitano-andaluse. La musica della
Spagna e del meridione d’Europa è infatti considerata il “lamento del camminatore”. Tutto
intorno al Mediterraneo uno solo è l’accento della musica ed il suo volto è l’immagine sonora di
un camminare senza fine: l’uomo meridionale cammina ed il canto gli è compagno. Un canto
solitario, senza una cadenza chiara, scandita, pulita, un canto che dimentica ed inganna il ritmo;
un canto che diventa dunque la voce della fatica, un lamento senza fine anche quando l’uomo si
riposa ed è contento.
Diventa musica perché fatta di suoni combinati con arte e sapienza, ma è una musica singolare,
contenente l’idea di musa, che implica qualcosa di celeste, un richiamo dall’alto, ma anche
molto di terrestre.
Anche la ragione del suo ritmo è diversa da quella del ritmo delle altre musiche. Il ritmo è il
cuore della musica, il palpito che tiene in equilibrio i suoni. Si può stabilire una relazione ideale
tra ritmo della musica e ritmo del nostro organismo.
Poiché il ritmo colloca o finge di collocare la musica nello spazio, le dà un carattere umano,
dunque il ritmo è l’elemento umano della musica, il respiro naturale della musica. Ma proprio
nella musica tuttavia il ritmo è un elemento estraneo, un elemento imposto, un principio che va
stretto all’idea musicale; è per questo che la musica meno ritmica è la più musicale, ma forse
anche la più inumana.
E’ proprio la tradizione gitana che stabilisce il tessuto di base delle tradizioni musicali andaluse
del cante jondo o canto profondo, intimo, inteso come lo stile vocale della musica floklorica
spagnola in special modo andalusa; mentre dal punto di vista ritmico la “musica andalusa dei
Mori di Granada” come dice Falla, è la base per le forme musicali di Sevillanas, Zapateados e
Seguidillas, le tipiche canzoni del cante jondo sono la Siguirya e la Solea. La prima trova una sua
corrispondenza nella Seguidilla castigliana, dove i gitani cantano le angherie subite durante le
persecuzioni, mentre la Solea, termine che riporta a “soledad”, solitudine, è di origine tibetana
in ritmo ternario e sincopata, in modo minore e con finale maggiore.
37
Nel saggio introduttivo del concorso di cante jondo organizzato a Granada da Falla e Garcia
Lorca nel 1922, vengono sintetizzati alcuni punti essenziali riguardanti il legame tra il canto
andaluso e i canti dell’India e dei popoli orientali:
• La modulazione attraverso l’enarmonismo, dove per modulazione non viene intesa
solo un cambio di tonalità che lascia immutata la successione di intervalli, ma tiene
anche conto dei microintervalli che si possono sviluppare. Nella musica indù i
microintervalli sono dati da piccole variazioni della voce, che fanno in modo che la
nota iniziale e quella di risoluzione rimangano comunque inalterate. Questo è
proprio quello che accade nel cante jondo.
• Il cante jondo in genere viene sviluppato nell’ambito di un intervallo di sesta, ma la sua
molteplicità di microintervalli lo rende ricchissimo.
• La ripetizione ossessiva di una stessa nota, anche accompagnata da appoggiature
inferiori o superiori, sottolinea la funzione magica ed incantatoria, come si può
notare in particolare nella Seguiriya.
• Gli arabeschi e le ornamentazioni della melodia gitana hanno una funzione
espressiva che deriva dall’importanza del testo, non da una pura forma estetica.
• Anche le grida che i cantanti spagnoli eseguono hanno delle analogie con i canti
orientali.
Dunque se il cante jondo si è rivelato fondamentale per la rinascita dell’ideale profondo andaluso,
è la chitarra con il suo toque jondo, lo strumento privilegiato di accompagnamento da cui si
sviluppano le principali innovazioni timbriche ed armoniche di Falla.
Proprio Falla scrive: «Gli effetti armonici che i nostri chitarristi producono inconsapevolmente
rappresentano una delle meraviglie dell’arte naturale.»19
Nella musica colta infatti, l’aspetto ritmico è stato assimilato in modo molto semplice, mentre
più complesso è stato l’impiego delle caratteristiche armoniche e modali insite nella musica. Si
può sottolineare che la chitarra di cui parla Falla è quella castigliana, non quella moresca: risulta
importante non solo sotto l’aspetto dell’accordatura, ma anche per l’arabesco melodico che si
viene a creare. Mentre quella moresca ancora in uso in Algeria ed in Marocco con il nome di
kitra, ha un utilizzo per lo più melodico, la chitarra castigliana ha un uso armonico, dato dai
rasgueados che si formano. La chitarra racchiude in sé gli elementi essenziali della musica di Falla,
cioè ricchezza e sobrietà: la ricchezza è data dall’armonia e dal ritmo, mentre la sobrietà è
definita dal fatto che i contenuti non vengono espressi con un’enormità di suono. Inoltre la
chitarra è molto adatta a creare ambientazioni magiche, misteriche ed evocazioni fantastiche.
Si può addirittura parlare di un vero e proprio “arrangiamento pianistico”, in quanto c’è la
costante preoccupazione del compositore di riprodurre sul pianoforte le sonorità eteree,
sfumate ed asciutte della chitarra, con un uso frequente di staccati nonché del pedale di sordina
che contribuiscono a ricreare atmosfere lontane, sospese e morbide, tipiche della sonorità dello
strumento castigliano.
38
E’ proprio Falla che così scrive nell’ ”Introduzione alla nuova musica” del 1916: «L’abbandono
delle forme melodiche imperanti nei secoli XVII, XVIII e XIX per i suoi primi sessanta,
settant’anni […], l’abbandono più o meno totale delle due uniche scale che sono state usate per
tre secoli: i modi ionico ed eolico dei greci, che noi chiamiamo volgarmente modi maggiore e
minore; la restituzione alla musica dei modi antichi abbandonati e la libera creazione di nuovi
modi che risponderanno più direttamente all’intenzione musicale del compositore; la
distruzione della forma tradizionale dello sviluppo tematico […].»20
Il pensiero di Falla nella rivista “Musica” del 1917: «Penso, modestamente, che nel canto
popolare importi più lo spirito della lettera. Il ritmo, la modalità e gli intervalli melodici, che
determinano le sue modulazioni e cadenze, costituiscono l’essenza di tali canti, e il popolo
stesso ne dà la prova, variando all’infinito le linee puramente melodiche delle sue canzoni»21.
Ma forse è proprio in questa frase che si può ritrovare l’elemento più interessante: «[…]
l’accompagnamento ritmico o armonico di una canzone popolare ha la medesima importanza
della canzone stessa»21: l’ammirazione che il maestro ebbe per Felipe Pedrell, promulgatore
dell’estrazione del fondamento melodico del canto popolare per poi aggiungervi
l’accompagnamento mirato, si manifesta proprio in questa frase.
D’altro canto Falla si basa su un rispetto profondo per i materiali della tradizione orale,
considerando l’uso del documento popolare come un vero e proprio elemento melodico per
ricreare lo spirito tradizionale basso attraverso l’accompagnamento strumentale.
In effetti, grazie a queste canzoni si rafforza quel rapporto con la musica popolare che
intuitivamente è sempre stato presente in lui fin dalla sua infanzia. Questo avviene attraverso il
filtro della musica colta che permette di elevare a simboli poetici i contenuti della musica
popolare spagnola. Risulta fondamentale l'importanza della testimonianza diretta, ma la sua
prospettiva non è scientifica, se non nel metodo senz’altro nel fine: il recupero non riguarda
solo le melodie, ma il modo di rendere quelle melodie. In questa modalità sta lo spirito arcaico
del popolo spagnolo così presente nella sua produzione e che diventa il topos letterario per
eccellenza di questa sua opera.
39
Queste canciones per Falla realizzano un’impostazione personale che determina un nuovo
nazionalismo musicale. Il compositore spagnolo risulta per lo più contrario alla musica basata
sui documenti autentici del folklore: egli si interessa invece alle basi, alle vive fonti naturali ed al
ritmo nella sua sostanza più profonda, e da lì sviluppare la sua concezione musicale. Si può
parlare dunque di un folklore tipicamente reinventato, che parte dallo spirito della musica
popolare ma che si sviluppa attraverso un’interpretazione personale. Lontane da una
convenzionale armonizzazione dei temi popolari, a quel tempo in voga, le “Siete Canciones” ci
mostrano un procedimento di sintesi e tecnica molto personali. Il sistema che cominciò ad
applicare in queste armonizzazioni era frutto dello studio del libro “L’acoustique Nouvelle”,
trovato dal compositore in un’esposizione di libri usati lungo i cancelli del Giardino Botanico di
Madrid. Esso consisteva nel considerare come note proprie dell’armonia i suoni prodotti dalle
risonanze naturali, cioè gli armonici di un suono fondamentale e gli armonici di un armonico
considerato a sua volta fondamentale; esaminava inoltre un ritmo interno al brano e valutava
anche cadenze e risoluzioni inaspettate, trasformando la funzione tonale di note in un accordo.
Questo sistema è quello che ha conferito uno stile ed un carattere molto personale alle sue
opere.
Ed ecco che nell’armonizzazione delle canciones non si è limitato all’accompagnamento puro e
semplice, ma si è preso a volte delle libertà dettate dall’ispirazione del momento.
L’amico Gian Francesco Malipiero ricevette nel 1923 le “Siete Canciones” e disse all’autore «Mi
sono molto piaciute. Sono tanto spagnuole pur non essendo la solita musica del vostro paese!»22
Il lavoro di Manuel de Falla è stato eseguito per la prima volta nell’Atheneo Academy Salon a
Madrid il 14 gennaio del 19l5, con la soprano Luisa Vela e con il compositore stesso al
pianoforte, e dedicate a Ida Godebska, la cui famiglia molto amante della musica era tra le
grandi amicizie di Falla. Fu edito da Max Eschig nel 1922.
Per quanto riguarda le influenze sull’accompagnamento si può citare gli artisti Ricardo Viñes,
Federico García Lorca e Andrés Segovia.
Quando ancora non aveva raggiunto la celebrità di esecutore pari a Granados o Viñes, Falla
aveva comunque riscosso un enorme successo a Parigi. Il pianista Viñes in particolare suonò
varie volte prime esecuzioni del compositore spagnolo ed incoraggiò la sua vena creativa: infatti
la partitura per pianoforte delle “Siete Canciones” è particolarmente virtuosistica.
Falla fu un eccellente pianista sia come solista che come accompagnatore, ma padroneggiava
anche la chitarra. Negli anni Venti lavorò a lungo con García Lorca, che fu un mentore ed una
guida per le sue composizioni musicali; per contro egli divenne prima un esperto pianista e in
seguito chitarrista sotto la guida di Falla. Entrambi si influenzarono a vicenda, uniti dalla grande
passione per il flamenco che li portò, nel 1922, ad organizzare il Festival del Cante jondo a
Granada.
Le “Siete Canciones” sono state composte per pianoforte, ma da subito orchestrate ed
arrangiate per un accompagnamento chitarristico. Segovia in quegli anni sviluppò al massimo le
capacità e le abilità della chitarra sola, commissionando molti lavori per chitarra: lo stesso Falla
scrisse per questo strumento. Non è tuttavia ancora chiaro se la trascrizione di Segovia delle
“Siete Canciones” sia frutto di una collaborazione con l’autore, ma la versione per chitarra fu
più tarda. Tuttavia molte figurazioni chitarristiche appaiono nella partitura per pianoforte: le
figure del tremolo o delle note ripetute sulla stessa corda, abbondano nella scrittura, così come
gli accordi suonati dolcemente sono ricreati in figurazioni arpeggiate, oppure note di pedale
ripetute sono un riflesso di un’immaginaria chitarra.
Da notare particolarmente è che ognuna di queste melodie costituisce uno specchio della
cultura e della tradizione spagnola: queste canciones vogliono essere portatrici di una
stratificazione di diverse culture regionali e rispecchiano diversi momenti della cultura musicale
popolare, riconducendo alla chitarra lo strumento di esecuzione tradizionale, come è
ampliamente dimostrato in quest’opera. Ma ciò che resta fondamentale, al di là di ogni
considerazione musicologica, è il processo di riappropriazione di questo corpus e la passione con
cui Falla comprende la ricchezza del patrimonio spirituale racchiuso nella canzone popolare
iberica.
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Manuel de Falla – “Siete Canciones populares Españolas”
• El paño moruno
• Seguidilla murciana
• Asturiana
• Jota
• Nana
• Canción
• Polo
43
3.1.5. Analisi delle canciones
El paño moruno
‘El paño moruno’ è un brano appartenente alla tradizione spagnola. La poesia proveniente dalla
regione di Murcia nel sud-est della Spagna, utilizza un procedimento retorico -l’allegoria- che
trasforma le nozioni astratte o di tipo morale o filosofico in immagini suggestive.
Un prezioso drappo sventuratamente si è macchiato ed il mercante di stoffe, nella sua bottega,
si lamenta della conseguente perdita di valore; è una chiara allusione all'onore perduto di una
donna. Infatti dietro il discorso puramente mercantesco si nasconde un significato diverso e
forse è proprio questa la vera interpretazione del testo.
Anche l’accompagnamento commenta molto bene l’angoscia che suscita questo disonore,
attraverso le dissonanze sulle parole: “porqué perdió su valor”.
In questo brano la melodia è ripresa fedelmente dalla tradizione popolare. Nelle collezioni edite
prima delle “Siete Canciones” che contengono identica melodia e testo, si possono citare di
José Inzenga “Ecos de España” del 1874 che contiene “El Paño” e “Cantos y bailes populares
de España” del 1888; si ricordi anche José Verdú con “Collección de cantos populares de
Murcia” del 1906 con “El Paño” e Isidoro Hernández con “Flores de España”.
L’accompagnamento pianistico di Falla impiega come base armonico-melodica la scala andalusa
utilizzata anche per la melodia, che si fonda sul modo frigio dominante: questo è un modo
molto in uso nella musica spagnola e si basa sulla formazione di un tono e mezzo tra il secondo
e terzo grado. In questo caso è dunque utilizzata la scala di Si minore, ma sulla sua dominante il
Fa diesis che assume funzione di tonica.
44
Scala andalusa
Dal punto di vista ritmico la cancione presenta prima note ribattute ed in seguito terzine nel
secondo tempo della battuta ternaria -evento molto frequente nella musica folklorica
chitarristica- e propone anche l’alternanza dei tempi 3/8 e 3/4, ritmo tipico della Petenera23. Il
ritmo di questo tipico cante flamenco è infatti composto da 12 pulsazioni, con quelle forti
distribuite come segue:
Come si può notare da un raffronto con lo spartito, il ritmo melodico coincide con l’andamento
vocale delle frasi: vi è dunque una perfetta corrispondenza tra gli accenti e la voce.
Falla presenta inoltre una progressione imitativa nell’introduzione -8 + 8 battute- che prepara
allo sviluppo formale del brano, una molteplicità di arpeggi in cui c’è grande abbondanza di
intervalli di quarta e settima e l’impiego della cadenza andalusa -si, la, sol, fa diesis-; ci sono
inoltre molti riferimenti al rasgueado chitarristico, con le terzine e le quartine di trentaduesimi ed
una certa aggressività armonica che si può individuare nell’abbondanza di acciaccature.
Falla:
Inzenga:
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Molto più vario in Falla risulta anche il ritmo, sia nell’accompagnamento, con la presenza di
quartine e terzine veloci, che nel canto dove vengono introdotti abbellimenti veloci nel finale di
frase; ad un accompagnamento più regolare ma pur sempre articolato e puntato di Inzenga, si
viene a sostituire un tappeto strumentale molto più ricco, evidenziato anche dal cambio tempo
(3/4) e dalla ripetizione delle frasi finali di ognuna delle due strofe.
Per la prima volta nelle canzoni appare la sillaba “Ay”: questa può essere vista come un lamento
che serve a dare un’accentuazione più drammatica al cante. Il dolore e la drammaticità sono in
genere espressi proprio attraverso l’interiezione “ay”, prolungata in modo esteso, oppure
attraverso una successione di vari “ay”.
46
47
Per quanto riguarda la trascrizio
zione chitarristica, questo brano ha subìto poche
poc modifiche: con il
rispetto dei tempi ritmici (terzin
zine, ritmi puntati ecc.) e degli arpeggi a casc
ascata, la chitarra riesce
bene a rendere l’idea professata
ta da Falla sul pianoforte.
Rimane tale la tonalità anche nel
ne brano di Isidoro Hernández “El Paño m moruno”: dal punto di
vista melodico di poco si diffe
fferenzia dalla trascrizione di Inzenga, mentrntre
sotto il profilo dell’accompagna
gnamento il ritmo iniziale è presente anchee in i
Falla; forse proprio nell’udiree qquesta versione il compositore spagnolo o ha
h
tratto spunto per il suo arrangiam
iamento.
48
49
Seguidilla murciana
La “seguidilla” (diminutivo di “seguire”) è una danza popolare spagnola con molte varianti
regionali: questa infatti proviene da Murcia e presenta un contenuto satirico; nel folklore spesso
i versi sono improvvisati e divertenti. Questo tipo di danza è apparsa nel XV secolo circa ed è
presente anche nel teatro drammatico della Spagna del "Siglo de Oro".
La versione di Falla è la stilizzazione artistica di questa danza. Il testo è un monito a chi critica i
difetti del prossimo ignorando i propri e quindi dimenticando che a sua volta, rischia di essere
criticato, ricordando che nella vita tutti abbiamo bisogno l’uno dell’altro. La morale risulta
efficace in quanto il poeta dice che ‘Cualquiera que el tejado tenga de vidrio, no debe tirar
piedras al del vecino’… ‘chi ha il tetto di vetro non deve gettare pietre su quello del vicino’.
Un secondo pensiero si rivolge chiaramente a chi non mantiene con fermezza i propri
propositi, e l’anonimo autore fa il paragone con la “peseta” -moneta spagnola- che, passando di
mano in mano, si leviga e, non venendo più riconosciuta, viene scartata.
La seguidilla è una danza moderatamente rapida, ternaria, con un testo basato su un poema di
due strofe: siamo infatti in un tempo 3/4 dove nell’esecuzione le frasi vengono spezzate,
ripetute e spesso intercalate da passaggi strumentali; è un brano caratteristico che si può
ritrovare anche in grandi autori e grandi opere come ad esempio nella “Carmen” di Bizet.
Le due strofe vengono qui ripetute uguali dal punto di vista musicale ed armonico.
Nella trascrizione per chitarra di Llobet vi è invece un’alternanza tra terzine e quartine tutte
suonate con grande enfasi e velocità: la quartina viene utilizzata quando vi è la ripetizione di una
parte di testo o nella concitazione della conclusione finale della strofa. Il gioco di forza ritmica e
di impeto musicale viene evidenziato da accenti (a volte qualche interprete utilizza i rasgueados)
all’inizio battuta nel tempo forte sempre quando vi è una conclusione di frase, o meglio quando
50
la voce termina una frase ed inizia una parte strumentale; in genere questo accade quando si
passa da terzine a quartine.
L’altalena di emozioni e di metafore che pervade questo testo può anche essere associato alla
parabola che viene ricreata dai bassi nei tratti di melodia solo strumentale, parabola in parte
nascosta dal do basso sempre presente nella parte pianistica, mentre nella trascrizione per
chitarra le note cromatiche che cambiano sono nitide e chiare.
Analogamente al “El paño”, anche questo brano viene riscritto in maniera quasi identica alla
tradizione popolare. Falla introduce nella melodia dei piccolissimi ritocchi rispetto ai canzonieri
di Inzenga dove il brano viene riportato in “Echos de España” sotto il nome di “Las Torrás”,
così come in “Cantos y bailes populares de España”, o nei Cancioneros di Verdú “Las Torrás” e
Hernández “Seguidillas murcianas”.
Risulta interessante osservare che Falla ha rispettato la forma tradizionale della seguidilla.
Anche se il numero di battute è leggermente modificato rispetto alla forma popolare, la
seguidilla presenta: un’introduzione strumentale, che viene poi ripetuta anche in altri intermezzi
durante il brano, un insieme di versi che forma una strofa, formata da undici incisi che sono
compresi in tre interventi vocali. Il ritornello che si presenta comprende invece dodici incisi, in
quanto il brano termina con la ripetizione dell’ultima parte, come un monito secco e deciso.
Questa fedele osservanza al principio della forma ci permette di identificare nel compositore di
Cadice un profondo conoscitore del folklore musicale ed un profondo esploratore dell’essenza
della musica tradizionale a diffusione orale.
Non si può dimenticare come Falla utilizzi la tonalità maggiore ed il ritmo ternario, elementi
propri della seguidilla, usando tuttavia figurazioni di terzine di crome che si combinano con il
51
discorso vocale formato anch’esso da crome, che prende come base la nota pedale o i bordoni
di dominante e tonica molto comuni nell’armonizzazione popolare. Frequentemente i bordoni
o pedali presentano accordi molto dissonanti, contrapposti ad altri di tonica o dominante,
effetto abbastanza usato nelle improvvisazioni chitarristiche.
Facendo un breve confronto con il testo antico di Hernández, si noti come l’andamento
melodico, dal punto di vista della forza e dell’impeto espressivo, sia in pratica corrispondente
tra i due autori; per quanto riguarda l’accompagnamento invece, la differenza è sostanziale. Vi è
sempre una parte strumentale che introduce e intermezza la voce, anche se con un numero
minore di battute in Falla; è proprio l’aspetto ritmico e armonico che differenzia Falla dagli altri.
I gradi armonici I e V che si notano in Hernández vengono sostituiti da una ricchezza di note
estranee all’armonia tradizionale, da note di volta e da cromatismi -re, re #, mi, fa, oppure
ancora do, do #, re, sempre ai bassi-.
Un andamento ritmico veloce è presente anche in Hernández, con il piede dattilico al primo
movimento di ogni battuta e con la grande ricchezza di note puntate.
Piede dattilico
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Come rendere questa differenza ritmica sulla chitarra?
La trascrizione chitarristica di Miguel Llobet vuole rendere attentamente questo ritmo specifico
con l’uso di quartine e terzine alternate, atto ad avvicinarsi alla differenza ritmica “tre contro
due” resa sul pianoforte; l’effetto risultante coniuga il contrasto con una maggiore densità di
pulsazioni.
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I. Hernández, “Flores de España
aña” 1883, “Seguidillas murcianas”:
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In “Echos de España” di Inzenga il brano viene invece intitolato “Las Torrás”.
Il ritmo della seguidilla è sempre evidente: danza rapida e spiritosa, invece che dal ritmo
puntato espresso da Inzenga, Falla utilizza le terzine in tutto il brano, come un monito costante
e continuo. In Inzenga l’introduzione e la sezione centrale, entrambe affidate solo allo
strumento, sono molto più ampie che in Falla con un costante ritmo puntato. Nella parte in cui
viene introdotto il canto si passa ad accordi arpeggiati della mano destra che tanto ricordano gli
arpeggi chitarristici.
Interessante notare che nel testo originale viene riportata un’indicazione riguardo alla chitarra
“questo ritornello si prolunga a volontà del chitarrista”, nonostante il brano sia scritto per canto
e pianoforte. Questo sottolinea certamente l’importanza che lo strumento a pizzico aveva in
Spagna a quel tempo.
Anche la conclusione è differente: rimane strumentale e richiama la parte iniziale e centrale nel
Cancionero antico, mentre Falla ritorna con la voce a ribadire il concetto che “nadie la toma”
(nessuno vuole la moneta consumata). La seguidilla di Falla conclude in maniera perentoria con
voce e strumento assieme, con un finale tronco di seconda specie per quanto riguarda la voce,
mentre lo strumento si prolunga anche sul secondo tempo con un accento che conferisce un
carattere forte e deciso.
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J. Inzenga, “Echos de España” 1874, “Las Torras”:
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58
Asturiana
Questa triste terza canzone deriva dalla regione dell’Asturias nel nord della Spagna.
La semplicità delle parole ha un forte legame con la linearità della melodia: il pianto di questa
persona e l’agognata consolazione, ricercata tramite l’avvicinamento ad un albero, si possono
collegare all’idea del conforto e dell’aiuto e all’innato bisogno che l’uomo, “animale-sociale”, ha
dell’altro.
Lenta e malinconica, questa cancione è pervasa da un susseguirsi di quartine uguali o molto simili
tra loro dal punto di vista armonico: è quasi un incanto, una ripetizione che sfiora l’ossessione,
indolente e mesta. La scansione è data per lo più dai bassi che a volte creano una linea melodica
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spiccata, altre volte vengono tenuti lunghi e dunque per tutto il resto della battuta vi è una
pausa da sedicesimo sul battere del secondo e del terzo movimento.
Quest’ “Andante tranquillo” inizia con un solo strumentale: la melodia viene proposta nella
linea più grave e poi ripresa dalla voce all’inizio del testo, una terza sopra.
Lo strumento propone:
e la voce risponde:
La bellissima melodia popolare è presente, sia nella sua parte musicale che letteraria, in José
Hurtado “100 Cantos Populares Asturianos” del 1890 al nº 96, e in Baldomiro Fernandez “40
canciones asturianas para canto” al nº 3.
Nonostante l’inconfondibile derivazione popolare, l’interessante accompagnamento rende
questo brano nuovo e sorprendente.
L’assoluto rispetto per la canzone tradizionale si concretizza nella sottilissima armonia che, a
partire dal principio acustico di una risonanza naturale, stabilisce un gioco di colori e sonorità
con la combinazione e la concomitanza di suoni tenuti e pizzicati.
Le armoniche di quinta, ma anche di terza e settima che si vanno a formare dagli accordi
suonati, creano una base eterea per lo sviluppo dell’andamento della voce solista, dando origine
ad un’armonia che si allontana da quelle convenzionali in uso.
Mentre dal punto di vista melodico non vi è alcuna differenza tra José Hurtado e Falla, la
creazione armonica e ritmica di quest’ultimo è invece molto diversa: trasformando il tempo da
composto a semplice, ad un accompagnamento ricco di note tenute e di suggestioni viene
sostituita una cospicua serie di sedicesimi in pianissimo, atti a creare un’atmosfera di
sospensione e mistero, con le note uguali che saltano d’ottava ed i bassi che creano dei pedali
armonici sopra i quali la voce inizia il suo lamento.
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Inizio del brano di Hurtado:
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La resa delle risonanze e delle note tenute è ampiamente realizzabile anche sulla chitarra: quello
che tuttavia il trascrittore Miguel Llobet ha fatto, è stato trovare una tonalità d’impianto più
aperta e sonora per lo strumento a corde. Il brano è passato dunque a mezzo tono sopra, da Fa
minore a Fa diesis minore, per poter mantenere il fascino impalpabile dei suoni tenuti ed aperti.
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J. Hurtado, “100 Cantos Populares Asturianos” 1889, num. 96:
Questo brano vivace appartiene alla tradizione dell’Aragona, nel nord-est della Spagna.
Il tema dell’amore è sempre presente nella tradizione popolare e anche qui viene ritrovato: due
innamorati, nonostante il dubbio del loro amore si propaghi di bocca in bocca nel paese,
continuano il loro attaccamento; tuttavia il tarlo del dubbio nella frase “non ci vedono parlare”
può far pensare alla timidezza e al rispetto tipico dei tempi passati oppure ad una reale non
corrispondenza dell’amore, ma anche ad un contrasto tra famiglie nella frase “tua madre non
voglia”.
La Jota è una danza rapida in tre movimenti eseguita da una o più coppie ed accompagnata
dalle nacchere. Questa canzone sembra che sia precursore della famosa “Jota” ne “El sombrero
de tres picos”.
Un collegamento può essere ritrovato con il Cancionero di José Maria Alvira: “Gran colección de
jotas o cantos aragoneses” al nº 9.
La danza inizia con un “Allegro Vivo”, ma ogni volta che il canto declama il tempo rallenta:
infatti nonostante la danza sia allegra, le parole sono alquanto tristi.
Questo può essere considerato il brano che più si libera dai dettami tradizionali: è solo in questo
pezzo infatti, che Falla ricrea un prodotto folklorico, sia per quanto riguarda le melodie
tradizionali che per la parte strumentale. Nonostante l’invenzione da parte dell’autore, questa
“Jota” segue comunque il modello strutturale della tradizione: presenta infatti sette frasi
musicali, che vengono esposte separatamente ad eccezione della quarta e della quinta -‘a tu
corazón y al mío se lo pueden preguntar’-; inoltre quando inizia il canto vi è un cambio di
tempo, che passa da 3/8 a 3/4, quindi un alternarsi di ritmo e di velocità nella parte strumentale
e vocale.
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Ogni frase è suddivisa in quattro battute che iniziano in anacrusico e terminano con un melisma
vocale nella cadenza, accompagnato nelle prime tre frasi anche da un melisma nella parte
dell’accompagnamento.
La tonalità di Mi maggiore è fortemente affermata; tuttavia c’è una variata alternanza di
funzione di tonica e di dominante, così come prima dell’entrata del canto vi è una chiara
affermazione della funzione tonale della dominante. Anche nelle cadenze finali di frase, c’è una
affermazione chiara verso la tonica o la dominante ed ancora un utilizzo frequente di settime ed
anche di none negli accordi, che alcune volte vengono evidenziati anche ritmicamente.
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Ritmicamente, la presenza di terzine al secondo movimento delle battute solo strumentali ed i
pedali di tonica e dominante su un ritmo di crome, conferiscono a questo brano uno spirito
propriamente tradizionale.
Dal punto di vista chitarristico l’unica differenza resa per dare maggior spazio e forza al ritmo è
data dalla trasformazione delle note iniziali, da sedicesimi a terzine: entrambe le prime due frasi
strumentali sono trasformate in ritmo terzinato, mentre tre sole terzine erano presenti nella
versione pianistica. In questo modo si può evidenziare maggiormente il ritmo venendo incontro
alla diminuzione del numero di note che, naturalmente, sono molte di più nella versione per
pianoforte.
Analizzando il Cancionero di José Maria Alvira, dove il brano si presenta sotto il titolo “Fiera de
Fuentes”, si ritrova una parte strumentale ed una vocale con accompagnamento. Tutta la prima
parte risulta cantata, mentre la seconda è completamente suonata dal pianoforte: anche la
velocità è segnata ed è differente tra la prima parte -croma a 116 di metronomo- e la seconda -
croma a 152-; la caratteristica di una parte strumentale più rapida e vivace viene dunque
mantenuta da Falla. La parte ritmica non è così evidente in Alvira, in quanto non c’è presenza di
terzine o di pause di croma: la mano sinistra si limita a tenere un regolare 3/8, mentre alla mano
destra è affidata un’ampia voluta di sedicesimi.
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E’ solamente alla fine che il ritmo cambia e si fa più attivo, nelle ultime quattro battute, quando
si introducono veloci terzine e pause che aiutano a creare un ritmo irregolare.
Il rispetto degli intervalli nella linea del canto è mantenuto, mentre il ritmo di quartina adottato
da Alvira nella seconda misura, è sostituito da un ritmo puntato in Falla.
Alvira:
Falla:
Il melisma finale, cara caratteristica spagnola, viene anch’esso mantenuto ed a volte ampliato da
Alvira.
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José Maria Alvira, “Gran colecci
cción de jotas o cantos aragoneses” 1897, “Fiera
“Fi de Fuentes”:
68
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Nana
Analizzando questa cancione possossiamo collegarci a Federico García Lorca,, che visse un periodo
importante della sua vita quandando incontrò Manuel de Falla nel 1920.. Da D quel momento lo
considerò una guida che lo portò
por a ripercorrere la musica popolare che he aveva conosciuto in
modo intuitivo nell’infanzia attraverso
att i canti dei contadini granadini.i. Questo disse in una
conferenza sulle “nanas”: «Ann nni fa, mentre passeggiavo nei dintorni di Granada, ho sentito
cantare una donna del paese mentre
me addormentava suo figlio. Avevo semp mpre avvertito la acuta
tristezza delle ninne nanne dell nostro
n paese; ma mai come allora percepiiii qquesta verità in modo
così reale. Quando mi sono avv vvicinato alla cantora per annotare la canzone,
ne, osservai che era una
andaluza molto bella, allegra e sesenza la più minima ombra di malinconia;; m ma una tradizione viva
esercitava su di lei una spinta verso
ve la fedeltà, come se ascoltasse le vecchiehie voci imperiose della
tradizione scivolare via nel suo
o sangue.»
s 24
Da quel momento, Lorca haa voluto v raccogliere ninne nanne di tutti gli angoli della Spagna;
voleva sapere come le donne della d sua terra “usavano le melodie per colo olorare il primo sonno
dei loro bimbi”, riscontrando ch che in tutte le regioni vengono accentuate il carattere poetico e lo
sfondo di tristezza.
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Questa tradizione orale difficilmente risulta trascrivibile: infatti Lorca riteneva che la
trascrizione costituisse un impoverimento della musica. Ma la cristallizzazione di queste melodie
e ritmi risultano un passaggio obbligato se si utilizzano il pianoforte o l’orchestra. Ciò non
toglie che certe sfumature siano impossibili da rendere con la scrittura musicale e possano
ritrovarsi solamente nelle diverse interpretazioni: è quanto di più vicino possa esserci al cante
jondo e ci ricorda quanto dolce deve essere la voce di una madre che negli acuti riesce a fare dei
pianissimi sostenuti e pieni che -parafrasando Lorca- con la melodia, colora dolcemente il
sonno del piccolo.
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Testo:
A la mar tengo de ir por agua pa
para llorar, ya que no tien en mis ojos lagrima
imas que derramar.
Lagrimas que derramar, lagrimasas que derramar, a la mar tengo de ir por agu
agua para llorar.
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La grande diffusione di questo genere di cancione ha fatto sì che le stesse melodie si ritrovino
anche in altri scritti, come ad esempio in “Las Flores”, opera dei fratelli Alvarez Quintero, che è
stato possibile registrare in situ negli anni 1956-1959 dal maestro Manuel García-Matos e
raccogliere nell’ “Antología del Folklore Musical de España.”
S. e J. Alvarez Quintero, Teatro completo, III, “Las Flores”, Madrid, Sociedad General
Española de Libreria, 1923:
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Cancion
Questa sesta canzone si basa su una melodia conosciuta in tutta la Spagna -originaria
dell’Andalusia- e forse proprio per questo la si ritrova anche in “Los Pelegrinitos” brano che fa
parte delle “Canciones Españolas Antiguas” di F. G. Lorca.
Si tratta di una delle canzoni ascoltate dall’autore nella sua infanzia, proveniente dall'area
granadina, una canzone antica, già presente nel “Cancionero de Salamanca” di Dámaso
Ledesma, benché da quella versione differisca in alcune varianti nel testo e nella forma
musicale.
Quest’ ”Allegretto”, si sviluppa con grazia attraverso molti puntati ed un accompagnamento
arpeggiato, marcato ed articolato.
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Le piccole inflessioni della voce avvengono attraverso brevi ritenuti solo a fine frase e quando
ci sono le parole in discorso diretto, quasi a sottolineare che sono parti fuori dal tempo,
considerazioni esterne.
Proprio nella parte centrale di ognuna delle due strofe c’è un piccolo dialogo, tra il canto a la
parte acuta dell’accompagnamento a distanza di 6/8, cioè di un’intera misura.
Il canto propone:
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La melodia di “Cancion”, diffusa in tutta la Spagna come già detto, è stata utilizzata anche da
García Lorca per il suo “Los Pelegrinitos”.
Proprio da questo possiamo prendere spunto per un breve confronto. Fermo restando che
Lorca utilizza molta più melodia di Falla, -dunque il brano “Los Pelegrinitos” è molto più
lungo- quest’ultimo scrive:
Falla:
e nell’inciso seguente:
mentre Lorca riporta tutto senza segni di articolazione, in maniera apparentemente più semplice
e con qualche piccola variazione ritmica e melodica;
primo inciso:
secondo inciso:
Da notare fin da subito il differente metro utilizzato dai due autori: 6/8 per Falla e 3/8 per
García Lorca; il tempo composto rispetto a quello ternario semplice forse vuole indicarci ed
indirizzarci verso una dinamica ed una ritmica che tende più ad un tutt’uno del brano, ad una
maggiore scorrevolezza ed omogenicità del testo, rispetto ad un maggiore spezzettamento della
frase in quest’ultimo esempio.
Dal punto di vista melodico, la conclusione del primo inciso per Falla è in scala discendente
con il resto della melodia, mentre per Lorca la melodia sale per grado congiunto alla penultima
nota per poi concludere con salto di terza.
Anche per quanto concerne l’inciso secondo, notiamo che mentre Falla prosegue per gradi
congiunti discendenti, con l’unica eccezione del finale in cui passa da fa a re con salto di terza,
l’altro compositore preferisce far saltare la voce e creare passaggi più vari: nell’ultima ripetizione
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-quartultima battuta del secondo inciso- la melodia riportata da Lorca inizia con un sol sul
secondo rigo per poi saltare al do, mentre Falla riporta una melodia stabile al do.
Ritmicamente si può parlare di una grande similarità: entrambe le versioni presentano un
carattere scorrevole e spigliato, con grazia ed eleganza. Mentre il compositore di Cadica riporta
il finale di frase sempre con una semiminima seguita da una croma, Lorca rimane fermo sul
ritmo giambico precedente mantenendo sempre viva la cadenza brillante del pezzo.
Infatti il poeta granadino fu sempre avverso a cristallizzare in una versione scritta le sue
armonizzazioni, poiché aveva compreso il significato di questa cultura musicale, da sempre
tramandata oralmente. D'altro canto, utilizzando strumenti come il pianoforte, strettamente
legati al linguaggio ed alla scrittura della musica colta, una mediazione fu necessaria. Di
conseguenza negli accompagnamenti pianistici che Lorca esegue si ritrova la tradizione musicale
europea che egli aveva assorbito negli anni della formazione: le sue erano armonizzazioni
semplici che coglievano la purezza delle melodie.
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Un’osservazione importante si p può ancora fare: nel 1903-1904 Falla scrive
rive un manoscritto per
canto, chitarra, zambomba e ra rabel o chicharra. Si tratta dei sette “Canta
ntares de nochebuena”
canzoni popolari raccolte diretta
ettamente dal popolo: è particolarmente signifnificativo osservare che
la numero 4, “Un pastor lleva un pavo” contiene la stessa melodia della “Cancion”,
“Ca ma in modo
minore -Sol minore- riprendendndo anche le ripetizioni interne di “Del aire”
e” e “Madre a la orilla”.
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Falla:
Con un’introduzione strumentale molto più ampia nel Cancionero antico ed un ritmo molto più
regolare rispetto a Falla, il “Canto de Granada” sembra essere molto più semplice e legato,
privo di articolazioni e sedicesimi nell’accompagnamento che gli conferiscono il tipico carattere
brillante.
Le note appoggiate evidenziate da Falla nel secondo e nel quinto movimento di ogni battuta
sono il corrispondente del bicordo costruito dalla mano destra del pianoforte, che parte sempre
acefala e accentua così il secondo tempo dei 3/8.
Nel brano rimangono sempre presenti gli intercalari “Madre” e Del aire”, che per noi non
rappresentano un testo con un senso ben preciso.
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J. Inzenga, “Echos de España” 1874, “Canto de Granada”:
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Polo
Ay! Guardo una... Ay! Guardo una... Ay! Ahimé! Serbo una...Ahimé! Serbo
Guardo una pena en mi pecho Ay! una...Ahimé!
Qué a nadie se la diré! Serbo una pena in petto, Ahimé!
Malhaya el amor, malhaya!, Che a nessuno dirò!
malhaya el amor, malhaya! Ay! Maledetto l’amore, maledetto!
Y a quién me lo dió a entender! Maledetto l’amore, maledetto! Ahimé!
Ay! e maledetto colui che me l'ha fatto capire!
Ahimé!
Il brano viene dall’Andalusia ed evoca la musica flamenca dei gitani andalusi. L’Andalusia è
quella regione che si estende a sud della penisola iberica e che, per quanto riguarda la sua
musica popolare, ha i suoi centri principalmente nelle città di Granada, Córdoba e Siviglia. Da
qui l’incontro di almeno sei civiltà -celtica, ebraica, bizantina, romana, zigana (indiana), araba-
che hanno lasciato indelebili tracce sulla musica locale. Solo per fare un esempio le scale arabe e
zigane hanno le loro caratteristiche fondamentali negli intervalli di seconda eccedente e nel
cromatismo molto accentuato, cosa alquanto difficile da riscontrare nelle tradizioni occidentali
autoctone.
Il tema dell’amore prende sempre il sopravvento, ma l’amore triste, il lamento, il dolore, così
come di lamento è il canto gitano flamenco. Il dolore espresso e la tristezza rabbiosa di questo
canto vengono sottolineate dai numeroso intercalari “Ay”; è un dolore feroce e violento che
non si esprime con rassegnazione, bensì con forza e vigore: basti notare la melodia di questo
“Vivo” molto presente e grintosa.
E’ proprio nella parte di accompagnamento strumentale che Falla pone in maggior evidenza
l’ambientazione andalusa: il riferimento alla chitarra è, in questo brano, costante. La reiterazione
dello stesso suono richiama il tremolo chitarristico, così come gli accordi con pedale e accenti
richiamano l’aggressivo ritmo del rasgueado.
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“Polo” è tuttavia una canzonene non un ritmo: solo l’accompagnamento o iin realtà ha un ritmo
fissato, mentre il canto seguee un
u ritmo interiore, un particolare movimen ento cadenzato che lo
contraddistingue.
Nelle battute precedenti all’iniz
nizio della voce la mano sinistra presenta anche
an degli accordi di
quarta e settima sopra la fondadamentale di Mi, e ricorda in modo esplicit
icito la chitarra a corde
aperte.
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3.2. Benjamin Britten (1913-1976): Vita e Opere
«Benjamin Britten vanta una carriera in confronto alla quale quella di molti compositori
britannici appare meschina. Dall’aspetto di Britten nessuno lo giudicherebbe famoso: una
stretta di mano con un simpatico giovanotto dall’eloquio posato e cortese. Bella chioma, riso
pronto e facile, naso saliente e sagace, vestito comune ma corretto. Chiunque può vedere
migliaia di individui del tipo di Britten presso la Bank and Mansion House, alle nove del
mattino, con bombetta e ombrello e con una copia del Times sotto l’ascella. Un tipo comune
insomma, che si scambierebbe per un giovane avvocato o per un funzionario statale. L’unica
caratteristica spiccata di questo musicista sono le folte sopraciglia che quasi gli celano gli occhi.
Britten dà l’impressione di un uomo che abitualmente evita di rivolgere lo sguardo sugli
svaganti spettacoli del mondo esterno, perché concentrato in se stesso. Egli conduce
un’esistenza fisica assai movimentata fra un treno e l’altro, e mentre passano davanti ai suoi
occhi panorami a non finire e pali telegrafici, compone sicuro come se fosse placidamente
seduto nel suo studio, con risme di carta manoscritta davanti a sé e con un magnifico
pianoforte a coda al suo lato»26: questo scrive del grande compositore britannico il giornale
“The Observer”, sottolineando come quest’uomo sia quanto mai legato ad una figura artistica
di stampo tradizionale, al di là delle forzature dettate dalla moda o dalle contingenze di potere.
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compositore, ricco di grande inventiva e di profonda fantasia, era anche supportato da
un’attenta applicazione in armonia, contrappunto e tecniche di composizione.
Nel 1930 fu ammesso con una borsa di studio al Royal College of Music, dove apprese
composizione per ben 3 anni con J. Ireland, e pianoforte con A. Benjamin, cercando di
migliorare il suo stile e la conoscenza del mondo della composizione.
Il suo primo lavoro balzato all'attenzione generale fu la sinfonietta per orchestra da camera
scritta nel 1932, così come la composizione “Phantasy Quartet” -sempre del 1932- per oboe e
archi che venne eseguita a Firenze nel 1934 al Festival della SIMC. In questo pezzo Britten
dimostra una forte attenzione per la filosofia espressionista: le sonorità sono aspre, dure e
contrastanti fra loro, ricercando un’esasperazione sonora che si alterna a momenti di apparente
tranquillità.
Negli anni successivi si dedicò ad un altro aspetto dello spettacolo, cioè il cinema: scrisse ben 19
documentari e lungometraggi, dimostrando apertura mentale non comune; non a caso anche
nelle sue opere esiste un preciso abbinamento per la proiezione filmica, così pure nei
cambiamenti di scena. Britten cominciò inoltre a comporre musica per bambini e le sue
composizioni semplici, divertenti ed impegnative per bambini ed amatori rimangono una delle
sue specialità.
Nel frattempo, questo introverso e chiuso compositore, diviene amico e collaboratore del poeta
Wystan Hugh Auden, col quale collaborò a numerosi progetti, fra cui il ciclo di canzoni
ironiche per orchestra “Our Hunting Fathers” del 1936, che mette in evidenza strutture e
ricerche sonore nuove e circoscritte in un ambito strettamente culturale. Ambedue radicali sia
per la visione politica sia per le interpretazioni musicali, perseguivano un fermo interesse verso
il cambiamento sociale.
Ancor più importante fu l'incontro nel 1936 con il tenore Peter Pears, che divenne un fedele
collaboratore e compagno di vita.
All'inizio del 1939, spinti dalla situazione politica che si era venuta a creare in Inghilterra e
dall’insistenza dell’amico Auden, i due seguirono il poeta in America, prima in Canada e poi a
New York, dove rimasero per ben due anni dedicandosi ad un’intensa attività compositiva. Vari
fattori spinsero il compositore a lasciare la sua terra nativa: come socialista, Britten temeva la
crescita del fascismo in Europa; come pacifista, si sentiva perso in un paese sull’orlo della
guerra; e, come suggerisce lo scrittore inglese Philip Brett, come omosessuale in un periodo nel
quale era impossibile dichiararlo, Britten cercava l’anonimato e la libertà in un paese che non lo
conoscesse.
Fu proprio in America che compose la sua prima opera “Paul Bunyan” su libretto di Auden e la
prima delle sue numerose canzoni per Pears. Lo stesso periodo è memorabile per il numero di
opere per orchestra, tra cui numerosi concerti per pianoforte e violino e la “Sinfonia da
Requiem”. Datata 1940 in questa sinfonia si colgono influenze dello stile americano, ma anche
un preciso stile classico che non lo ha mai abbandonato; avendo imparato a fondere i due
stilemi, assimilò anche la visione delle grandiosità americane ed il diverso modo di orchestrare
che gli servirono poi nei lavori teatrali futuri.
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Britten e Pears fecero ritorno in Inghilterra nel 1942 ed il compositore completò l'opera corale
“Inno a Santa Cecilia” -la sua ultima collaborazione con Auden- e “A Ceremony of Carols”
durante il lungo viaggio in mare. Aveva già cominciato a lavorare alla sua opera “Peter Grimes”,
che gli avrebbe garantito un successo internazionale; i critici concordarono sul fatto che Britten
fosse una nuova ed importante voce nel mondo della lirica, un compositore capace di ravvivare
la tradizione dell'opera lirica inglese.
Britten comunque, cercando in ogni modo di diventare uno dei protagonisti non soltanto a
livello spettacolare, ma anche culturale, stava incontrando una certa opposizione nei settori del
mondo musicale inglese e gradualmente si ritirò dalla scena londinese fondando l'English Opera
Group nel 1947. Lo scopo era di rappresentare nuove opere inglesi e di riprendere anche opere
antiche, per dare un nuovo impulso culturale e creativo al mondo anglosassone, facendo
conoscere la musica della sua nazione ad altre scuole nazionali.
Egli viaggiò moltissimo in varie tournée internazionali con il ruolo di direttore d’orchestra e
pianista, sempre insieme all’amico Pears. Il suo eclettismo era riconosciuto ormai a livello
mondiale, staccandosi dallo stile degli altri musicisti. Tra i vari viaggi si può ricordare quello in
Russia nel 1963 dove ottenne un grandissimo successo in occasione di un Festival di musica
inglese a Mosca e a Leningrado. Divenne intimo amico del famoso violoncellista Mstislav
Rostropovič, a cui dedicò la sua “Sinfonia in Re maggiore” per violoncello e orchestra.
Con la tournée in Oriente -India, Bali, Giappone- si formò in lui un grande interesse per la
musica orientale e per tutti gli effetti dati e derivati da quel tipo di composizione. I frutti di
questo viaggio comprendono il balletto “The Prince of the Pagodas” (1957) e la serie di
"Parables for Church Performance": “Curlew River” (1964), “The Burning Fiery Furnace”
(1966) e “The Prodigal Son” (1968). Non a caso nei suoi brani si possono riascoltare questi
effetti, trovando una fusione tra due mondi apparentemente lontani.
Fu premiato come uno dei più importanti compositori e a tal proposito esiste una notizia
importante su un viaggio in America del 1964 alla “Aspen Award in the Humanities”. In
quell’occasione egli tenne una seguitissima conferenza sull’estetica musicale ribadendo le sue
concezioni stilistiche, che si basano sull’interpolazione fra vari elementi. Il più delle volte i temi
e ritmi adottati non ricordano il melodramma. Nell’occasione venne premiato con la seguente
motivazione: “uno dei più sensibili ed importanti compositori del XX secolo”.
L’attenzione di Britten fu focalizzata verso i giovani musicisti, creando una fondazione che li
aiutasse nella scelta della loro strada musicale e nel loro finanziamento agli studi.
Nella sua lunga carriera divenne anche membro onorario della “America Academy of Arts and
Letters” nel 1957, ottenendo la laurea in dottore della musica dalle università inglesi tra le quali
possiamo ricordare Cambridge. Poi fu la volta della laurea in dottorato ottenuta nel 1958 e poi a
Oxford nel 1963, a Londra nel 1964 e a Leicester nel 1965; una serie di riconoscimenti che gli
attestavano la sua grande produzione, così come la sua enorme fantasia e profonda conoscenza
della musica.
Si può dire che negli ultimi anni della sua vita la produzione calò di interesse, non apportando
novità di grande rilievo sia nella ricerca del linguaggio musicale che nella ricerca dei generi
94
teatrali. Ci fu un’evoluzione profonda, in quanto il suo stile andava verso una rarefazione della
ricerca sonora e strumentale.
Britten fu anche un affermato pianista e talvolta si esibì con questo strumento nella musica da
camera o accompagnando dei lieder. Comunque, ad eccezione del “Piano Concerto” del 1938 e
delle “Diversions” per pianoforte e orchestra -scritte per Paul Wittgenstein nel 1940- , elaborò
poca musica per tale strumento, ed in un'intervista del 1963 per la BBC disse che lo considerava
come «uno strumento secondario».
Il suo pacifismo si riflette anche nei suoi capolavori corali, come il “War Requiem” (1962),
scritto per la riapertura della Cattedrale di Coventry nel 1962 con Dietrich Fischer-Dieskau,
Peter Pears e Galina Višnevskaja come solisti e con lo stesso Britten alla direzione della London
Symphony Orchestra; questo fu anche il suo maggiore successo. Di quest'opera esiste
un'incisione della Decca Records, registrata nel gennaio del 1963, in cui sono immortalate le
prove ed alcuni colloqui che Britten ebbe con il coro e l'orchestra. Quest’opera combina in una
grandiosa concezione il testo liturgico latino, affidato al coro, a poesie di Wilfred Owen, cantate
in inglese da un soprano, un tenore ed un baritono.
Scrive inoltre la “Cantata misericordium” nel 1963, per il centenario della Croce Rossa, opera
tratta dalla parabola del buon samaritano in una forma oratoriale fortemente drammatica, anche
se non rappresentativa.
Il “Nocturnal after John Dowland op. 70” non è, nell’insieme della produzione britteniana una
pagina minore, ma uno dei brani più densi e stilisticamente più rappresentativi, il cui progetto
ha richiesto parecchi anni di studio, nonostante la prodigiosa facilità con cui il compositore, fin
dalla giovinezza, ha sempre disposto di ogni strumento e di ogni formazione. Composto nel
1963 e presentato l’anno seguente da Julian Bream (dedicatario) al Festival di Aldeburgh, il
“Nocturnal” poggia su due riferimenti, uno musicale ed uno letterario, entrambi dowlandiani. I
versi di Dowland -che Britten cita nel frontespizio della composizione- invocano il sonno,
l’immagine della “fatal quiete”, affinchè scendendo si impossessi dell’anima affranta del poeta,
95
sciogliendola dai lacci della sofferenza terrena. Un frammento della sublime polifonia a cinque
voci che, su versi convenzionali di “Come, heavy sleep”, Dowland inventa magnificamente,
diviene tema per le variazioni chitarristiche di Britten, ma questo non comparirà che alla fine
della composizione. In quest’opera Britten ha captato la magia più sottilmente evocativa del
suono della chitarra e l’ha impiegata nell’espressione di una sofferta, trascesa spiritualità: il
“Nocturnal” è stato pensato dall’autore con straordinaria capacità di appropriazione dei mezzi
chitarristici e grazie all’invenzione di efficaci modelli di scrittura.
Dopo questo risultato Britten non avvertirà più il bisogno di scrivere per chitarra sola ma, oltre
alle “Folksongs Arrangements”, darà alle stampe il ciclo delle “Songs from the Chinese” per
voce e chitarra, composto precedentemente nel 1959, sei brevi poemi tradotti dal cinese
all’inglese e mescolati con abilissimi intrecci di dolcezza e humour.
Nell'ultima decade della sua vita Britten soffrì di disturbi sempre più gravi ed i suoi ultimi lavori
divennero sempre più rarefatti ed evanescenti. Comprendono: l'opera “Death in Venice”
(1973), un adattamento della novella di Thomas Mann che tratta di come l'ossessione di uno
scrittore per i bei ragazzini lo porti al disfacimento, la “Suite on English Folk Tunes” con “A
Time There Was” (1975) e la cantata drammatica “Phaedra” (1976), scritta per Janet Baker.
Nel 1964 ricevette una medaglia d’oro della “Philarmonic Society” e nel 1976 fu nominato Pari
d’Inghilterra, e Barone di Aldeburgh -un onore offerto di rado ad un compositore- dalla regina
Elisabetta II. Morì per un attacco cardiaco ad Aldeburgh l’anno 1976.
Fu seppellito ad Aldeburgh nel cimitero della chiesa, dove riposa vicino a Peter Pears e
all'amico Imogene Holst che lo aiutò a fondare il Festival di Aldeburgh.
Mentre risiedeva negli Stati Uniti nei primi anni ‘40 incominciò a scrivere i primi arrangiamenti
di melodie tradizionali: è stato uno dei modi utilizzati per ritrovare e riconnettersi alle sue radici
inglesi. Inoltre, in maniera molto pratica, questo ha potuto fornire materiale popolare
utilizzabile nei molti recitals con il tenore Pears. Il grande successo dell’opera ha fatto in modo
che il compositore continuasse queste trascrizioni in ben sette libri, includendo melodie
francesi, irlandesi, scozzesi ed inglesi.
Britten viene considerato pressoché unanimemente dalla critica come uno dei più grandi
musicisti inglesi del XX secolo. Negli anni trenta egli compì uno sforzo cosciente per distaccarsi
dalla corrente principale della scena musicale inglese, che considerava compiacente, isolana e
dilettantesca. Molti critici dell'epoca però, diffidavano della sua abilità, cosmopolitismo e
ammirazione per compositori quali Mahler, Berg e Strawinskij, non considerandoli modelli
appropriati per un giovane musicista inglese.
E’ anche per questo che Britten può certamente essere considerato un musicista coraggioso,
prestando una grande attenzione al pubblico ed alle richieste pratiche di ceti sociali meno
privilegiati, ma nel contempo di grande interesse spettacolare e culturale. Il fatto più
sintomatico del compositore inglese fu infatti quello di scrivere musica per determinati ambienti
culturali, dedicandosi anche all’aspetto non specialistico, perciò per un pubblico meno
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preparato e meno interessato ad una profonda cultura del settore musicale. Questo lo si può
evincere da molte composizioni di Britten, il quale volge principalmente l’attenzione alla linea
melodica dimenticando volutamente gli aspetti più difficili della composizione stessa.
Come scrisse il critico musicale italiano Edward Neill, nel Dizionario della musica e dei
musicisti della Utet, «nella sua densa carriera artistica Britten si era sempre preoccupato di
riuscire utile alla collettività, rifiutando di chiudersi sdegnosamente in una torre d’avorio. La
musica rappresenta dunque per lui un servizio sociale e deve rifiutare qualsiasi arida
sperimentazione fine a se stessa. Questo atteggiamento spiega anche la sua attività poliedrica ed
instancabile di direttore d’orchestra, pianista accompagnatore e organizzatore.»27
Per molti musicisti comunque, la sua tecnica impeccabile, la grande simpatia musicale ed
umana, e l'abilità a trattare le forme musicali più tradizionali con freschezza ed originalità, lo
pongono a fianco dei principali compositori della sua generazione.
Proprio con l’opera e con il teatro Britten trova il suo maggior successo; negli scritti e nelle
analisi proposte sul compositore inglese si trova un interessante spaccato storico in un saggio di
Andreina Bonanni dal titolo “Benjamin Britten: Teatro lirico e letteratura”: «In questo secolo,
fra le peripezie delle cose musicali, nel novero delle battaglie perdute e delle vittime, più di ogni
altro, sconfitto sembra proprio il Teatro Musicale. Rare, difficili e sofferte riuscite in vasti e
desolati deserti. Benjamin Britten o, più giustamente, il suo Teatro Musicale, è passato quasi
indenne, o di poco contuso, nei flutti agitati della crisi linguistica della musica del ‘900 e le sue
opere, miracolosamente, se confrontate per numero all’oblio generale, sembrano entrare con
una certa stabilità nel repertorio»28.
E’ probabile che questo grande successo di pubblico sia dovuto proprio ad un particolare e
proficuo rapporto che il musicista seppe avere con la letteratura: la vicenda creativa del
compositore e le sue scelte musicali, consentono di ipotizzare che in questo autore, ai problemi
di stile, alle inquietudini di linguaggio si anteponessero altre urgenze; verità psicologiche, realtà
sociale e soprattutto poesia.
Le opere di prosa, di poesia e di teatro che mossero la prolifica immaginazione musicale di
Britten, appartengono ai più disparati e lontani generi ed autori: da Maupassant ad Auden, da
James a Shakespeare, da Mann a Melville.
Sembra proprio che a caratterizzare l’avvento del nuovo teatro musicale inglese sia proprio
Britten, come scrive Franco Abbiati: «Alla rinascita della musica inglese, segnalata verso la fine
del secolo XIX, con la produzione di Hubert Parry, Charles Villiers Stanford, Edward Elgar e
Frederick Delius, contribuisce in pieno Novecento, accanto a Michael Tippett, Constant
Lambert e William Walton, il giovane Benjamin Britten con molta musica da camera e
sinfonica-corale, oltre che con alcune opere teatrali»29.
Anche Massimo Mila affida a Britten le sorti del teatro musicale, analizzando in modo
essenziale la principale produzione del compositore e scrivendo che: «Toccò a Benjamin
Britten, la cui fama si affermò rapidamente durante e dopo la guerra, di sbloccare la musica
inglese dall’isolamento e dall’impersonalità. La sua opera “Peter Grimes” rappresentata a
Londra nel giugno 1945, poco dopo la cessazione delle ostilità, fu salutata come il punto di
partenza d’una rinascita del teatro musicale. Come già nelle “Illuminations” per tenore ed
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orchestra, su testi di Rimbaud, e nei sonetti di Michelangelo per canto e pianoforte, al quale non
è ignota nessuna raffinatezza della moderna tecnica orchestrale, vi dimostra una singolare
maestria nell’impiego della voce e un senso, che si vorrebbe dire verdiano, del dramma e della
parola scenica.»30
Dopo alcune opere meno felici, Britten diede con “The Turn of the Screw” un modello di
opera da camera dove la drammaticità incalzante delle scene si incanala perfettamente nello
stampo di forme musicali ben definite. Il gusto per il surrealismo è il punto di forza dell’opera:
ogni motivo è frutto di una serie di 12 suoni, non usati con la tecnica dodecafonica, ma con la
volontà di creare tematismi vari, a seconda dell’identità di ciascuna scena. In tutto il brano
aleggia una tensione che si diluisce lentamente non arrivando mai ad una risoluzione. La magia,
con il fantasma che riappare, unita al male, crea un intrigo interessante quanto pericoloso: lo
splendido tema di carattere folkloristico, orchestrato con una forma volutamente sgraziata,
affonda le proprie radici in un lontano passato riproponendo all’ultimo quell’atmosfera magica
e tesa che prelude al dramma. Elemento nuovo che si aggiunge al “male e bene” già presente in
molte opere è dunque la magia: il gusto di Britten in questo senso è più raffinato, dettato da una
differente cultura che si discosta dalle influenze mediterranee dove questo ideale prende vita.
La qualità tipicamente vocale e narrativa della musica del compositore britannico si manifesta
anche nel ricorso sempre più frequente a forme da concerto che si pongono tra la cantata e
l’oratorio, e talvolta sfiorano il teatro con l’impiego di esigui mezzi scenici, come accede in
“Noye's Fludde”, specie di sacre rappresentazioni che si possono allestire in una chiesa.
Attraverso molti dei suoi lavori si va meglio precisando una certa analogia tra la produzione di
Britten e quella di Händel: l’ecletticità del linguaggio musicale, al quale le lezioni di Verdi e
Mussorgskij contribuiscono al pari delle esperienze drammatiche di Alban Berg e la potenza
strumentale di Strawinskij, ha fatto scorgere in Britten una tendenza di spiriti autenticamente
moderni e che tuttavia non rompono con la tradizione dell’armonia tonale.
Il fatto più importante nell’analisi della figura di Britten è sicuramente la sua indipendenza dai
suoi colleghi: tutto ciò non fu per superiorità, ma per una latente paura di critiche negative da
parte degli altri.
Dopo la crisi musicale ad inizio secolo, dettata anche dall’influenza wagneriana che provocò
smarrimento e confusione, i nuovi musicisti reagirono in modo differente: Britten reagì
indirizzandosi verso il teatro, che attirava la sua attenzione, poiché già dai tempi studenteschi
desiderava riproporre il melodramma.
Ad ogni modo questo grande musicista creò un discorso alternativo, senza dover seguire la
strada di Strawinskij, basata su un’attenzione per Satie, Cocteau e Picasso, e non condividendo
le idee di Schönberg, presenti nelle scuole culturali di Vienna e di Berlino.
La produzione ampia e quanto mai variegata risente di un influsso mediterraneo che si modifica
con l’ausilio di formule anglosassoni; eppure al di là delle etichette egli rimane un deciso
intermediario fra la musica del passato e del presente. In Britten era molto accentuato il
problema psicologico e la comprensione dell’arte come fattore sociale: la sua presenza
all’interno del mondo musicale e culturale, dimostra una personalità complicata, sinonimo di
una società che stava mutuando rapidamente nel carattere e nei rapporti singoli. Il compositore
98
si renderà conto che seppur cercando nuove strade si ricadrà nella tradizione, o meglio nella
tradizione creata dalla novità. La ricerca non va vista soltanto come una rottura con le
tradizioni, ma anche con interventi meno eclatanti ma ugualmente fondamentali; in tal senso la
ricerca di Britten si pone come alternativa all’espressionismo, creando improvvise fratture nel
discorso armonico senza utilizzare tuttavia aspetti semantici che richiamano il periodo viennese.
Afferma Britten in un’intervista: «Anzitutto mi metto a sedere e concepisco l’idea del pezzo: e
per idea del pezzo intendo dire il piano strutturale, la forma, i contrasti, il tessuto strumentale, i
sistemi armonici. Quindi elaboro i particolari concretando l’idea nei suoni. Abitualmente ho
l’idea completa nella mia testa prima di buttar giù le note»31.
Nel 1973 Peter Evans divideva la produzione di Britten in quattro decadi contrassegnate da
determinati tratti stilistici, corrispondenti a periodi precisati della sua produzione artistica:
1. Può essere considerato il periodo dell’apprendistato e giunge fino al 1945. La prima
esperienza teatrale “Paul Bunyan” è stata subito cancellata dal catalogo, forse anche in
seguito alla sfavorevole ricezione della critica. Dunque “Peter Grimes” può essere
considerato a tutti i diritti, anche secondo la visione del suo autore, la prima realizzazione
teatrale.
2. Il periodo dal 1945 al 1955 è caratterizzato dalla presenza di opere da camera: in questo
periodo il giovane compositore divenuto operista a tempo pieno, per veder realizzate le
proprie opere fonda una compagnia ed un proprio Festival ad Aldeburgh; tra le opere più
importanti si può citare “The Beggars’ Opera”, “Gloriana” e “The Turn of the Screw”.
3. Il periodo dal 1956 al 1968 è segnato da un ripensamento delle convenzioni
drammaturgiche tradizionali, il cui risultato è la trilogia delle “Church Parables”; l’unico
lavoro creato per essere rappresentato in uno spazio teatrale tradizionale è “A Midsummer
Night’s Dream”, la cui natura operistica è dichiarata quantomeno ibrida.
4. Se le due fasi precedenti possono essere considerate espressione del periodo di maturità
artistica del compositore, il periodo dal 1968 al 1976 dovrebbe essere riconosciuto come la
fase della maestria individuale, quella che distingue gli ultimi anni dei grandi artisti, in cui
l’esperienza di una vita produce i migliori frutti; nell’ultima realizzazione teatrale “Death in
Venice” i risultati delle precedenti esperienze sono riuniti a formare una struttura
drammaturgica densa di significati.
99
3.2.1. La musica tradizionale in Inghilterra
101
La rinascita inglese aveva dunque interessato profondamente gli storici ed i musicologi del
tempo: questa novità testimoniava la voglia del paese di entrare in competizione culturale con
altre nazioni che fino ad allora dominavano la scena.
Un particolare degno di nota della musica inglese è il legame a sonorità eccessivamente
pompose, dimenticando a volte una ricerca più introspettiva, basata su originali accostamenti
timbrici oppure su temi meno grandiosi; bisogna anche notare come il ritardo sulle altre
nazioni era considerevole e dunque riprendere il tempo perduto significava scontrarsi contro
tradizioni interne che rischiavano ulteriormente di ritardare le innovazioni ed i traguardi
prefissati dai nuovi compositori.
Come si è visto, soprattutto in epoca vittoriana la musica inglese si è allineata a tutte le altre
scuole, arricchendo con le proprie esperienze la ricerca che viene ad aggiungersi in questo
secolo di transizione. Ma a dispetto dell’interesse che il pubblico ha sempre dimostrato per le
musiche espresse all’interno dell’ambito folk, non solo nelle isole britanniche, le critiche e
l’editoria in particolare si sono sempre dimostrate sorde nei confronti del fenomeno. E’ un
dato di fatto che sull’argomento scarseggiano contributi pubblicati, ma ancora più inspiegabile
appare il silenzio dell’editoria di settore negli Stati Uniti e nella stessa Gran Bretagna.
Quello che si può notare principalmente nell’area inglese è che vi sono stati e sono ancora
molto presenti, un gran numero di Folk Revival, ma questi sono assai diversi tra loro: tutti si
basano sulla gran quantità di musica presente, con semplicità e genuinità, ma non è possibile
trovare in tutta l’Inghilterra la stessa canzone popolare locale. Ogni melodia nata in un luogo è
fortemente radicata alle sue radici e si è diffusa solamente grazie allo spostamento delle
persone all’interno del paese.
Per gli inglesi il termine Folk è convenientemente utilizzato per descrivere le principali
canzoni rurali utilizzate dai lavoratori del sud dell’Inghilterra: la maggior parte di queste
canzoni furono raccolte da Sharp e Vaughan Williams. Si fa dunque una netta distinzione tra
“North East songs”, che vengono considerate parte integrante degli odierni revival e “Folk
songs”, che sono invece le musiche del sud dell’Inghilterra, più rurali e povere.
E’ importante considerare le songs sotto tre principali punti di vista: utilizzano dialetti locali,
difficilmente sono ritrovabili anche in altre realtà geografiche del territorio, la musica e la
melodia sono tipiche di quell’area. Per noi oggi queste musiche vengono riconosciute come
“Local Folk songs”.
Queste Folk songs hanno un particolare linguaggio ed una musica peculiare, in genere
presentano un anonimo compositore e possono essere sia nazionali che locali. Sharp e
Vaughan Williams non hanno raccolto tutti i testi conosciuti, poiché non hanno ritrovato
tutto il materiale comparativo: facendo un lavoro di ricerca e confronto, se in un luogo
ritrovavano lo specifico testo e melodia, lo stesso, a poca distanza geografica, risultava
completamente differente, impedendo così un vero e proprio confronto mirato.
Tuttavia vi sono delle canzoni trascritte nel XIX secolo -spesso da professionisti di Newcastle,
capitale della contea di Tyne- che hanno avuto il loro picco di popolarità nel 1800: queste songs
sono molto personali sia nella melodia che nel carattere ed in genere definiscono reali
102
personaggi ed eventi realmente accaduti. Queste sono risultate molto popolari e continuano
ancora ad esserlo; sono le “Local Traditional songs”34.
In genere entrambi i termini, Folk e Traditional, possono costituire un problema di fondo in
quanto non è sempre ben definito il loro significato: tuttavia tutto quello che è folk è
tradizionale, mentre non tutto quello che rappresenta la tradizione viene considerato folk.
In particolare le songs di Tyneside -cioè di quella zona a nord est dell’Inghilterra-, così come
quelle di Bristol, Liverpool o di ogni altra grande città inglese, sono numerosissime. Tuttavia
così come le songs delle grandi città sono molto diffuse e conosciute, quelle della regione di
Tyneside sono alquanto inusuali: questa zona può essere considerata infatti un punto
d’incontro tra irlandesi, scozzesi e popolo rurale trasferitosi in quell’area con la rivoluzione
industriale. Questo popolo sentiva la necessità di qualcosa di nuovo nel settore
dell’intrattenimento, tanto da creare un ibrido musicale.
Si può anche notare che tuttavia anche Liverpool possiede un porto molto frequentato, con
influenze irlandesi: ma la popolarità delle musiche di Newcastle è di gran lunga maggiore di
quelle delle altre città.
La grande conoscenza di queste canzoni deriva dal fatto che alcuni studiosi le hanno raccolte e
catalogate, anche se il risultato e l’apporto di materiale è molto esiguo. In particolare non si
trovano delle raccolte nazionali contenenti brani di questi luoghi, ma solamente dei
collezionisti locali che hanno raccolto il materiale e lo hanno dato alle stampe.
Prima del 1800 furono poche le persone che cercarono di classificare ciò che la gente comune
cantava: in genere si trattava di ballate -per lo più dell’infanzia- prese da manoscritti trovati
privatamente e per lo più insegnati nelle istituzioni scolastiche. Joseph Ritson, un eminente ex-
studente di Stockton, fu il primo a ricercare e classificare questo genere di musica in una serie
di libri intitolati “Northern Garlands” e pubblicati alla fine del 1800: si tratta di ballate molto
antiche ed in genere di carattere locale. Poco dopo Ritson, John Bell, un tipografo ed
ossessivo collezionista di Newcastle, non si limitò alle informazioni ricevute dalla gente del
luogo per conoscere le canzoni tipiche, ma utilizzò anche i suoi personali contatti più diretti
per creare una splendida collezione di songs, le “Rhymes of Northern Bards”, pubblicate nel
1812. Si può notare come alcune delle canzoni raccolte abbiano un autore conosciuto e questo
certamente sta a significare il prolifico lavoro di compositori del luogo incoraggiati anche da
tipografi che offrivano modici prezzi per dare alle stampe alcuni libri di musica popolare: è
così che sono nati testi come “Newcastle Sangster” del 1804; di John Marshall “Song
Collections” 1806-1829; di Roxby and Doubleday “Fisher's Garlands” 1836; di William
Davidson “Tyneside Songster” 1840; di William Fordyce “The Newcastle Song Book” 1842.
Grande importanza hanno acquistato le songs con l’apertura di sale da concerto, come l’Oxford
Music Hall a Newcastle; Thomas Allen ha fatto in modo di pubblicare con la sua prima
edizione di “Tyneside Songs” nel 1862, un libro che ha caratterizzato la cultura del nord
dell’Inghilterra per lungo tempo. Nelle centinaia di canzoni presenti nei testi vi sono
numerosissime note che ci forniscono un panorama musicale dell’epoca, ma anche culturale.
103
Nel 1882 una Society of Antiquaries pubblica “Northumbrian Minstrelsy”, una raccolta di
testi che per la prima volta descrive su larga scala brani dell’intero paese. L’opera contiene
numerose canzoni già conosciute e stampate in precedenza, ma anche testi nuovi come la
splendida melodia di “Bonny at Morn” composta da William Gillies Whittaker. Questo testo
tuttavia, è un miscuglio sconnesso di materiale, tanto da non poter essere considerato un vero
e proprio esempio della cultura dell’intero paese, anche se fornisce numerose melodie e
canzoni alquanto significative.
Quello che accade in seguito con “Folk Songs of Northern England” è molto significativo in
quanto prevede per la prima volta l’introduzione di una stesura in notazione musicale accanto
ai testi, un accompagnamento che prima non era mai stato evidenziato.
Si nota così che le numerosissime pubblicazioni a Newcastle sono un’eccezione rispetto alle
pubblicazioni del resto dell’Inghilterra molto più esigue e scarne, e solo con l’avvento del 1900
si passa anche ad una registrazione mirata delle songs.
Charles Ernest Catcheside Warrington fu un cantante dei primi anni del Novecento che si
impegnò oltre che a pubblicare, anche a registrare canti del nord dell’Inghilterra in quattro
volumi del “Tyneside Songs”. Sono stati pubblicati tra il 1912 e il 1927 dal negozio di J. G.
Windows nel Newcastle. Nonostante questi libri non siano menzionati in ambito accademico,
possono essere considerati importanti sotto due principali aspetti: per la maggior parte delle
canzoni la musica è inclusa e, con l’introduzione ed i commenti, il testo offre uno spaccato
fondamentale della vita inglese negli anni tra le due guerre e dopo la seconda guerra mondiale.
Si può dunque affermare che la musica folk è oggi conosciuta solamente grazie alla stampa ed
alle pubblicazioni, poco è rimasto dell’oralità; ma mentre moltissime sono le pubblicazioni di
Newcastle al nord del paese, molto esigue sono invece quelle di altre regioni dell’Inghilterra. Si
sa certamente che queste zone sono fortemente industrializzate e presentano comunque
un’enorme diffusione di poesia dialettale dalla seconda metà del diciannovesimo secolo in
particolare. Per ragioni a noi sconosciute questo gran numero di testi raramente viene cantato
ed assai più raramente possiede delle melodie scritte.
Quando Britten stava già scrivendo le sue prime composizioni, quasi nello stesso periodo, cioè
nel 1928, Alban Berg -allievo prediletto di Schönberg- iniziò la composizione di “Lulu”, che
diverrà una delle pagine più immediate e sintomatiche di tutta la produzione musicale
moderna. Il collegamento ad un autore quale Berg può tornare utile come confronto delle
realtà presenti nelle altre nazioni, più vive e produttive rispetto all’Inghilterra. La differenza fra
Britten e Berg consiste principalmente in una diversa concezione della trama letteraria: mentre
Britten trattava in maniera semplice e lineare i suoi personaggi, collegandosi a vicende più
umane, Berg aveva una visione maggiormente psicologica ed analitica.
In quest’epoca è importante citare anche la Russia, paese che stava scoprendo un periodo
positivo e allargava le frontiere e le prospettive. Fu affermata la necessità di accordare una
104
maggiore libertà espressiva alle giovani generazioni, purché nei limiti della tradizione e nel
rispetto del canone del realismo socialista pur dilatato, nonostante il categorico rifiuto dello
sperimentalismo linguistico e delle nuove tecniche dell’avanguardia strumentale -dodecafonia,
musica elettronica ecc.-. Questa nuova apertura venne espressa dai vertici in occasione dei
convegni dell’Unione dei Compositori Sovietici e sui giornali -ad esempio da Šostakovič in
due articoli comparsi sulla “Pravda”, rispettivamente il 7 settembre 1960 “L’artista del nostro
tempo” e il 17 gennaio 1962 “Il compositore e la sua missione”-.
Per quanto riguarda la Spagna la situazione non era serena, data la presenza del generale
Franco che aveva bloccato ogni movimento culturale dopo l’avvento di Falla.
La Svizzera invece, dopo essere stata il felice ritrovo di importanti compositori quali Paul
Hindemith e Alban Berg, creò una propria scuola con il notevole compositore Frank Martin, il
quale adottò un linguaggio per lo più tonale.
Uno sguardo, seppur breve, può essere rivolto anche all’Italia, dove la cultura degli anni
Cinquanta vedeva la presenza di quattro compositori fondamentali, Alferdo Casella, Giorgio
Federico Ghedini, Goffredo Petrassi e Luigi Dallapiccola che riunivano sotto un unico aspetto
le esperienze moderne e l’avanguardia.
Una parola a parte merita l’Inghilterra del jazz, elemento e componente importante che dette
un fondamentale impulso alla caratterizzazione ritmica dei compositori dell’epoca, tra i quali
anche Britten.
Edward Neill, in uno scritto sul compositore inglese apparso nel “Dizionario della musica e
dei musicisti” inquadra con molta lucidità l’uso della vocalità in Britten: «La voce umana si
integra perfettamente nella struttura strumentale con dolcezze e accenti che fanno pensare a
Purcell, musicista attentamente studiato ed analizzato da Britten»35. Si può evincere dunque
che il collegamento con le matrici stilistiche del passato fu una delle sue prerogative principali;
inoltre si può sottolineare il gusto spiccato per un uso tematico molto rinomato dove il
retaggio folkloristico è quanto mai evidente.
Come si può notare anche nelle sue composizioni più giovanili -“A Wealden Trio” del 1929 e
“The Sycamore Tree” del 1930- l’impatto contrappuntistico è fondamentale: egli si ricollega
contemporaneamente ad ambienti medievali uniti a figurazioni folkloristiche, sempre presenti
nelle sue composizioni anche in quelle più mature. Inoltre egli si spinse verso mete dove il
tonalismo perde a volte la sua efficacia: a volte Britten ricrea questo usando le voci con ironia
e con una personale orchestrazione, dove il risultato è dato da una continua spirale di
frammenti tematici.
Mentre per altri compositori dell’epoca il tema viene manipolato e reso attuale attraverso la
frantumazione del tonalismo, per Britten tutto rimane collegato con il passato: nonostante ciò
non manca mai un’estrema varietà nelle sue composizioni, un carattere intimo ed una grande
chiarezza nello sviluppo delle voci; così come non manca mai la caratteristica principale del
compositore fondata su un costante scambio tematico fra le parti, che rende tutto il discorso
musicale legato ad un rispetto per la polifonia del primo Ottocento.
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Britten può dunque essere considerato un musicista polifonico e l’uso mirato delle voci
dimostra una grande familiarità con l’armonia, lavorando con incastri contrappuntistici
raffinati che utilizzano una tecnica quasi bachiana.
La grande importanza che il compositore britannico pone alla parte vocale è data
dall’attenzione per gli aspetti tradizionali, e viene realizzata con l’uso frequente di parti cantate.
Le sonorità intime e gli incastri vocali sono una delle sue prerogative, ma altrettanto
importante è la ricerca letterale che porta alle sue scelte musicali.
Già dalle composizioni giovanili del 1934, Britten inaugura un tonalismo inteso come
supporto ad un uso generoso del folklore britannico. Molto spesso nelle sue composizioni è
interessante evidenziare temi di danza dove l’utilizzo di cellule bucoliche richiamano immagini
folkloristiche che si perdono nel tempo. Effettivamente nel compositore è sempre esistita una
particolare attenzione per le tradizioni della propria terra, diluendole in figurazioni classiche,
dove l’origine sinfonica è il fattore predominante.
Una frase dello stesso Britten dimostra la serietà del suo lavoro compositivo «…tutto è il
risultato di un duro lavoro…»36 e come dice Edward Neill, questa frase «riflette la sua visione
artigianale, ma sempre tesa al raggiungimento di una finalità artistica. Benché egli fosse
appartenuto alla generazione del primo Novecento, a rigore non può essere considerato un
compositore d’avanguardia.»37
«Le melodie tradizionali -traditional tunes- mi sembrano le più decisamente inglesi di tutte le
nostre canzoni popolari. Arieggiano non di rado in Händel o Purcell: può darsi li abbiano
influenzati o siano state influenzate da esse. Si servono spesso di intervalli grandi ed energici,
talora in modo insolito e sono per lo più strane e severe nell’espressione. Ritengo che non
potrà mai darsi un arrangiamento definitivo di esse, in quanto ogni generazione le considera
da un diverso punto di vista; ho però notato che la maggior parte degli arrangiamenti
precedenti le avevano private della loro caratteristica rigidezza e stranezza, attenti unicamente
alle loro grazie melodiche.»38: Britten considera così le melodie tradizionali da lui analizzate.
E’ per i suoi contemporanei, per i membri della comunità a cui appartiene, che Britten scrive
musica, e ad essi si rivolge; musica che sia utile alla gente, ispiri e conforti, dia voce ai
sentimenti a seconda dell’occasione, permettendo ai contemporanei di cogliere a pieno il
momento che stanno vivendo. Ma anche musica che educhi, direttamente e con intenzione:
dopo tutto l’artista rimane, può e vuole essere una guida spirituale. L’artista può vedere oltre la
normale sensibilità e può intravedere verità nascoste, il suo compito è quello di comunicarle; la
comunicazione è dunque il punto cruciale dell’esperienza artistica; se il compositore vuole
comunicare un messaggio deve sforzarsi di renderlo comprensibile all’ascoltatore. Per Britten
la musica è solo un mezzo, non è mai fine a se stessa: la sua necessità di un reale scambio con
il pubblico, il suo desiderio di un’effettiva comunicazione è evidenziata dalla sua attenzione
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per le esigenze degli ascoltatori. Solo parlando un linguaggio comprensibile ai propri
ascoltatori è tuttavia possibile per il compositore svolgere la propria funzione; è inserendosi in
una tradizione ben definita ed appoggiandosi all’esperienza che ciascuno ha della musica del
passato, che Britten trova la sua forza comunicativa ed espressiva. Quale caratteristica migliore
per un ciclo di canti tradizionali, riarrangiati e fatti saggiare al pubblico attraverso grandi
interpreti.
La vena compositiva di Benjamin Britten, già in epoca giovanile, attirò l’attenzione di Frank
Bridge al Norwich Festival del 1924: fu così che il giovane compositore inglese divenne allievo
di Bridge per ben sei anni; incoraggiato dallo stesso maestro, imparò ad ottenere una superba
tecnica compositiva e l’abilità di cercare al di là delle limitazioni nazionalistiche che
rappresentavano i metodi di insegnamento istituzionali. Oltre trent’anni dopo Britten disse
con sorprendente generosità, che molta della sua tecnica compositiva è nata dall’insegnamento
di questo grande maestro.
Britten ritornò in Inghilterra nel 1942 e nel suo lavoro prevalsero gli scritti strumentali:
diciotto tra i suoi venticinque lavori sono musica da camera e scritti orchestrali. Esentato dalla
chiamata alle armi anche dati i suoi ideali pacifisti, venne però richiesto come esecutore nei
vari centri musicali in tutto il paese.
Le folk songs originali e native, rappresentano un’immagine dello stile pastorale inglese, ma gli
arrangiamenti di Britten sono molto lontani da quel caratteristico sentimentalismo. Dato che
egli non era un attivo conoscitore e “collezionista” di folk songs, la sua immaginazione non
venne ristretta dalle rigide restrizioni di conservazione di autenticità. In genere nei suoi
arrangiamenti Britten non è per niente preoccupato di rendere personali delle melodie
largamente conosciute, ma vuole renderle nuove e far rivivere le melodie stesse che finora non
sono state sfruttate. Seguendo parzialmente la linea di condotta di compositori come Grainger
e Vaughan Williams, in questi arrangiamenti diede voce ad un suo stile distintivo con un
ottimo risultato: ponendo soltanto sottili cambiamenti ed un accompagnamento molto
semplice, egli dimostra una grazia artistica ed una sensibilità cha hanno portato queste opere
ad essere scelte da molti cantanti ed ad essere apprezzate da un vasto pubblico.
Il lavoro delle folk song è molto articolato e spaziando dal 1943 al 1976, diviene un’opera unica
nella carriera del compositore.
Le prime folk songs appaiono in tre gruppi; il primo gruppo consiste in tre volumi: il volume 1 e
3, pubblicati rispettivamente nel 1943 e nel 1948, e riguardanti musiche dalle isole britanniche
e il volume 2 di musiche francesi del 1946. C’è poi un’interruzione di tredici anni prima del
suo volume 4 pubblicato nel maggio 1960 e contenente melodie irlandesi su testi di Moore;
seguono il volume 5 pubblicato nel 1961, contenente ancora musiche dalle isole britanniche e
il volume 6 sempre del 1961, di melodie inglesi.
Mentre i primi cinque volumi sono scritti per pianoforte e voce, il sesto è per chitarra e voce.
Un ulteriore volume di folk songs venne scritto dal compositore alla fine della sua vita: il
volume 7 per voce e arpa, un insieme di otto canzoni sapientemente arrangiate.
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Può essere interessante anche considerare la raccolta di pezzi da “Tom Bowling and Other
Song Arrangements”, una collezione di brani eseguiti durante la vita del compositore, ma mai
pubblicati -fino al 2007- e comprendenti otto canzoni: Greensleeves; I wonder as I wander;
The Crocodile, Pray Goody, The Holly and the Ivy; Soldier, won't you marry me?; The Deaf
Woman's Courtship; German Folk Song: The Stream in the Valley.
• Il primo volume contiene sette canzoni tutte dedicate ad amici americani e originarie
delle “British Isles”: The Salley Gardens; Little Sir William; The Bonny Earl o' Moray;
O can ye sew cushions?; The trees they grow so high; The Ash Grove; Oliver
Cromwell.
• Il secondo volume ritrova invece melodie francesi: La Noel passé; Voici le Printemps;
Fileuse; Le roi s'en va-t'en chasse; La belle est au jardin d'amour; Il est quelqu'un sur
terre; Eho! Eho!; Quand j'étais chez mon père.
• Il terzo volume ritorna alle isole britanniche con: The Plough Boy; There's none to
soothe; Sweet Polly Oliver; The Miller of Dee; The Foggy, Foggy Dew; O Waly, Waly;
Come you not from Newcastle?
• Il quarto volume è dedicato ai lavori del poeta e musicista irlandese Thomas Moore
(1779-1852); contiene: Avenging and bright; Sail on, sail on; How sweet the answer;
The Minstrel Boy; At the mid hour of night; Rich and rare; Dear Harp of My
Country!; Oft in the stilly night; The last rose of summer; O the sight entrancing.
• Il volume cinque può forse essere considerato anteriore alle melodie irlandesi di
Moore e la fonte di questo volume probabilmente non è presa in tutto e per tutto dalla
musica popolare. Questo volume contiene: The Brisk Young Widow; Sally in our
Alley; The Lincolnshire Poacher; Early one morning; Ca' the yowes.
• Il volume sei è invece scritto per chitarra e voce; presenta sei canzoni inglesi: I will
give my love an apple; Sailor-boy; Master Kilby; The Soldier and the Sailor; Bonny at
Morn; The Shooting of his Dear. Composto probabilmente tra il 1956 e l’ottobre
1958, presenta la parte della chitarra edita da Julian Bream.
“Come you not from Newcastle” è un esempio di melodia contenuta nel terzo volume, un
allegro lavoro che contrappone il basso ostinato dello strumento all’eco che si crea con la voce
come se ci fosse una bitonalità; ma come a riportare in una situazione di stabilità il suo
operato, Britten nella canzone seguente, “The Foggy, Foggy Dew”, ci riconduce stabilmente a
tonica e dominante, con un ritmo solo debolmente sincopato nella linea vocale del basso.
Il canto “Avenging and Bright” del volume quarto, con le sue intense false relazioni è un
esempio di una ripresa di un suggestivo genere barocco attribuito a Händel e Purcell.
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Benjamin Britten – “Folksong Arrangements”
Volume 6 – England
For High Voice and Guitar
Guitar part edited by Julian Bream
• Sailor-boy
• Master Kilby
• Bonny at Morn
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3.2.4. Analisi delle songs
I will give my love an apple without e’er a Io darò al mio amore una mela senza alcun
core nocciolo,
I will give my love a house without e’er a Io darò al mio amore una casa senza alcuna
door porta,
I will give my love a palace wherein she may Io darò al mio amore un palazzo dove lei potrà
be restare,
And she may unlock it without any key. E che lei potrà aprire senza alcuna chiave.
My head is the apple without e’er a core La mia testa è la mela senza alcun nocciolo,
My mind is the house without e’er a door La mia mente è la casa senza alcuna porta.
My heart is the palace wherein she may be Il mio cuore è il palazzo dove lei potrà restare
And she may unlock it without any key. E che lei potrà aprire senza alcuna chiave.
La semplicità della melodia, da interpretare “smooth”, in maniera calma e dolce, si riflette anche
in una semplicità di accompagnamento: i continui arpeggi segnano un andamento altalenante,
anche se non regolare; a volte gli arpeggi sono di cinque, altre volte di sei o di sette note.
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E’ solamente nel punto culminante del terzo verso di ciascuna strofa che la voce raggiunge la
sua nota più acuta (mi) e l’accompagnamento si intensifica passando repentinamente ad
armonie di Do, Re e Mi maggiore.
Con un grande arco melodico la chitarra introduce l’ultima strofa, ritmicamente piatta, dove la
voce non presenta alcuna croma.
Per il canto i due finali possono considerarsi identici, ma è proprio l’armonia sottostante che li
rende interessanti. La sensazione di ordinaria e triste conclusione che il La minore crea la prima
volta, va a scontrarsi con la serenità e la luce formatasi dal La maggiore finale in un pianissimo
ricco di significati emozionali.
Finale primo:
Il cambio armonico dell’ultimo verso con il si bemolle che incomincia già la creazione di
un’atmosfera diversa, porta inavvertitamente ad un enfasi sulle parole “she may unlock it
without any key”. L’accompagnamento, formato da singole note tenute e risonanti, si assottiglia
ancor di più, passando per la prima volta nel corso del brano, da un arpeggio di cinque note e
quattro e infine tre, con una maggior frequenza di bassi che creano una ulteriore profondità.
111
Finale secondo:
Dunque anche in una dimensione sonora così delicata e sottile, come nelle musiche per voce e
chitarra vi è la possibilità di creare atmosfere diverse aggiungendovi caratteristiche di profondità
e colori suggestivi.
Sailor-Boy
La prima esecuzione di Pears e Bream risale al 17 giugno 1958, in occasione del Festival di
Aldeburgh.
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Dalle “Seventeen Nursery Songs from the Apalachian Mountains”, raccolte ed arrangiate da
Cecil Sharp, deriva questo brano chiamato nella raccolta originale “Soldier Boy”. E’ un brano
proveniente dalle Apalachian Mountains del Kentucky, nel nord America, e questo molto
sottende del collegamento e della diffusione musicale tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America.
Il grande numero di songs raccolte da Sharp e Campbell riguarda infatti anche melodie ritrovate
nelle diverse comunità inglesi sparse in tutto il mondo: una di queste grandi comunità si trova
proprio in Kentucky. Quello che i collezionisti hanno fatto in questo caso è stato di passare un
gran numero di settimane sui monti americani raccogliendo testi e melodie e classificandoli.
Fiera e ritmica questa canzone popolare “quick and gay” viene eseguita con slancio ed energia:
il tema d’amore non è melanconico o languido, ma deciso e sicuro; il giovane insegue il suo
futuro, sia nella giovane e delicata ragazza che invita con lui, che nella sua volontà di diventare
un marinaio. I grandi viaggi, il fascino delle terre ignote e del mare infinito, sembrano attirare
molta attenzione su questo mestiere che porta indipendenza ed avventura: non a caso le parole
citano “That sails thro’ the wind” simbolo assoluto di libertà e spensieratezza.
L’inizio e la fine di questo brano sono affidate allo strumento: il tratto caratteristico è
l’accompagnamento a ritmo puntato, ritmico ed energico, quasi mai polifonico se non nelle
cadenze dove si nota la presenza di accordi accentati che delineano il carattere.
Il punto di maggior intensità è definito dalle due strofe “So pretty and so fair” e “Sailor-boy,
sailor-boy”, quando l’accompagnamento si sviluppa in una scaletta marcata di due ottave, così
come a specchio si può vedere che nella altre due strofe “I’ll choose you for a partner” e “If
ever I get married” la scaletta d’accompagnamento, sempre con lo stesso carattere forte, scende
di due ottave. Britten in questo caso sottolinea l’importanza di esplorare diversi registri per
evocare immagini, che possono essere, come in questo caso, di natura opposta.
113
Nel ritornello finale, quando la voce intona la parte più energica sottolineata da quei “thus”
ripetuti ed accentati, la chitarra si ritrova nella parte con maggior densità armonica del brano; la
caratteristica principale è che gli accordi di tre suoni sono proprio sui tempi deboli della battuta,
il secondo e il quarto, mentre le singole note -evidentemente meno sonore- sono inserite nei
tempi più forti. Con questo contrattempo, la forza di spinta energica che ne risulta è ancora
maggiore.
Il finale strumentale risulta molto teatrale: l’indicazione dell’autore “hesitating” sulle stesse note
presenti nelle prime tre battute dell’introduzione, così come le pause di due quarti tra un inciso
e l’altro, danno l’idea di un cedimento nella volontà così decisa del protagonista, quasi un
disincanto del giovane che sembra risvegliarsi da un sogno.
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Ma subito questa titubanza viene smentita dalla scaletta che spazia nell’ambito dello strumento-
chitarra dalla nota più grave (mi) a quella più acuta (si) in un incalzare ritmico e dinamico, che si
conclude con un accordo di sei suoni in fortissimo e sforzato.
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Master Kilby
Il 17 giugno 1958 in occasione del Festival di Aldeburgh, il tenore Pears ed il chitarrista Bream
eseguirono questa graziosa melodia, che ha origine nel Somerset, contea dell’Inghilterra del sud-
ovest. Il semplice racconto proposto è esposto con semplicità e naturalezza: un incontro come
tanti e la volontà di una nuova vita tra le braccia dell’amata.
Il testo originale della Folk song, presenta anche una settima strofa che Britten però elimina dal
suo arrangiamento: “Oh, I gave her some kisses, It was down on the sea shore, But still she lay
asking, Lay asking for more.”
Come si può notare, Britten non modifica nulla della semplice melodia: arricchisce soltanto
l’accompagnamento, dandole un tocco ancora più incantevole.
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C. Sharp, “The Crystal Spring: Eng
nglish Folk Songs” 1909, “Master Kilby”:
117
Per quanto riguarda la voce, le strofe si rifanno sempre alla stessa melodia, con una piccola e
graziosa inflessione alla fine del terzo verso di ogni strofa che dà luce alle frasi, nei punti e nelle
parole significative come la presentazione del personaggio, Master Kilby, la dolcezza di Nancy,
il possedimento di monete d’oro e d’argento, così come il bene della sua amata e la caratteristica
bellezza di cera della giovane.
La chitarra in questi momenti di sospensione presenta sempre quattro crome ed una pausa da
due quarti, per dare spazio alla voce di respirare con la musica e dare ariosità alla fine frase e
all’inizio dell’inciso seguente.
L’accompagnamento delicato si basa sempre su un basso ad inizio battuta che risuona e da note
ribattute in diminuendo.
Per differenziare le strofe molto simili tra loro il compositore utilizza segni dinamici che vanno
da un piano, alle due strofe seguenti più forti e decise, per poi scendere nuovamente ad un
piano e concludere con un pianissimo.
La stroficità si presenta sempre uguale, quasi monotona: viene dunque differenziata dall’autore
attraverso le dinamiche. E’ in questo modo che Britten introduce l’elemento colto in questo
brano popolare.
Solo in conclusione, nella lunga nota tenuta della voce, lo strumento accompagnatore
abbandona i bassi e si perde nella chiarezza e nel suono cristallino di note in posizioni acute,
bicordi ribattuti di crome intervallati da pause d’ottavo, prima a gruppi di tre e poi, nell’estremo
finale, in una dilatazione del tempo che sottende un rallentando già scritto e conclude questo La
maggiore con il la sovracuto in ppp.
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The Soldier and the Sailor
As the soldier and the sailor was awalking one Mentre un soldato ed un marinaio stavano
day, camminando un giorno,
Said the soldier to the sailor: I’ve a mind for Disse il soldato al marinaio: ho una gran
to pray. voglia di pregare.
Pray on then, said the sailor, pray on once Prega allora, disse il marinaio, prega ancora
again, una volta,
And whatever you do pray for, E qualsiasi cosa tu faccia prega,
I will answer: Amen ed io risponderò: Amen.
Now the first thing I'll pray for, I'll pray for Ora per prima cosa pregherò per, pregherò
the Queen, per la Regina,
That she have peace and plenty all the days of che abbia pace ed abbondanza tutti i giorni
her reign, del suo regno,
And where she got one man I wish she had e dove ha un uomo io le auguro che ne abbia
ten; dieci;
And never want for any Army. e che lei non voglia mai alcun esercito.
Said the sailor: Amen. Disse il marinaio: Amen
Now the next thing I'll pray for, I'll pray for Ora successivamente pregherò per, pregherò
the Queen, per la Regina,
That she have peace and plenty all the days of che abbia pace ed abbondanza tutti i giorni
her reign. del suo regno.
And where she got one ship I wish she have E dove ha una barca mi auguro che ne abbia
ten; dieci;
And never want for a Navy. e che lei non voglia mai alcuna flotta.
Said the sailor: Amen. Disse il marinaio: Amen
Now the next thing I'll pray for, is a pot of Ora successivamente pregherò per, per un
good beer, boccale di buona birra.
For good liquor were sent us our spirits to Per quel dolce liquore che ci è stato inviato
cheer, per rallegrare i nostri spiriti,
And where we got one pot, I wish we had ten; e dove abbiamo un boccale mi auguro di
And never want for liquor. averne dieci;
Said the sailor: Amen. e che non lo vogliamo mai per ubriacarci.
Disse il marinaio: Amen
Questa triste preghiera deriva dalla regione dell’Oxfordshire, contea dell’Inghilterra del sud-est,
ed è stata eseguita per la prima volta a Londra il 6 maggio 1956 da Pears e Bream.
In realtà questo brano presenta molte altre strofe incentrate su argomenti di preghiera più
disparati: dal denaro, alla moglie, ai figli della regina, al re, agli stessi due personaggi del
119
racconto ecc, toccando così argomenti che vanno dal serio al faceto, ma con uno sfondo di
velata malinconia. La scelta di Britten di mettere in musica solamente alcune strofe risulta
significativa: le strofe riguardanti i soldati dell’esercito o le navi della flotta britannica,
testimoniano il legame dell’autore con la situazione di guerra presente in quegli anni, il suo
pacifismo e la sua volontà di evitare ogni conflitto.
Il brano “heavy and rhythmic” presenta varie strofe dove la melodia rimane pressochè invariata,
mentre l’accompagnamento subisce alcune variazioni.
Tutte le strofe hanno un accompagnamento basato su una cellula ritmica comune: semiminima,
due crome, semiminima, dove le crome e l’ultima semiminima presentano dei bicordi.
Nelle prime due strofe questi bicordi contengono note gravi, che vengono trasposte di un
ottava nella terza strofa; l’ultima strofa di nuovo ritorna al grave, ma con un abbellimento -un
glissato- sul battere di ogni battuta.
Terza strofa:
120
Quarta strofa:
L’indicazione del puntato rappresenta la volontà di dare carattere brillante in tutte le parti
discorsive, mentre sulla parola “Amen” di ogni fine strofa il tempo si ferma e si dilata, -così
come la voce si ferma su due note uguali che rappresentano anche la tonica-, appoggiandosi alla
cadenza plagale Mi-Sol.
Solo nell’ultima parte indicata come “liberamente”, sotto le due ripetizioni dell’invocazione,
l’armonia si fa più interessante, prima con una cadenza perfetta poi con un accordo minore di
Do con il la bemolle, accordo fiorito e carico di tensione che sfocia poi in un finale in scala di
terze, puntato e accelerato, fino ad arrivare alla tonalità d’impianto, il Sol.
121
Bonny at Morn
E’ un brano tradizionale molto famoso, che i bambini nel nord est dell’Inghilterra in genere
imparano a scuola. Non si conosce la data della prima esibizione, ma a questo brano Britten era
particolarmente legato tanto da comporre un differente arrangiamento per voce e arpa nel 1976.
Il brano composto da William Gillies Whittaker, deriva dalla zona del Northumbria, l’unica
regione in Inghilterra con una sua propria identità musicale e con uno spiccato dialetto, e
dunque le melodie del luogo si distinguono da ogni altra zona del paese. Dal punto di vista
dello stile “Bonny at Morn” è uno dei pezzi caratteristici: la sua prerogativa sta nel fatto che
originariamente era accompagnato da un particolare tipo di cornamusa. Uno dei pionieri della
musica folkloristica, John Bell, ha annotato che questa melodia risale agli inizi del 1800, ma in
realtà non è stata data alle stampe prima del 1882 nel “The Northumbrian Minstrelsy”.
Il testo, di difficile traduzione perché dialettale, ci fornisce una delicata immagine della vita di
famiglia; questo brano può essere definito come una deliziosa ninna nanna in cui la madre
esprime sia tenerezza che esasperazione.
Il poema racchiude una curiosa doppia forma: in una prima parte è una dolce ninna nanna
dedicata ad un bambino, mentre poi è screditata dalla descrizione di un pigro figlio che è
disteso nel proprio letto e non si vuole alzare. Questa frase può sembrare un’accusa contro la
pigrizia, ma non lo è: risulta semplicemente una madre che redarguisce il proprio figlio perché
scenda dal letto.
122
Da sottolineare che “bonny” -o anche “bonnie”- è un aggettivo molto scozzese che significa
"bello, grazioso, carino, attraente, vivace, adorabile" ma anche "amato, beneamato, prediletto",
talvolta persino "pasciuto ed allegro", ed è usato spesso come vezzeggiativo.
Il brano in tonalità minore/modale, si apre nelle prime battute con una spiccata somiglianza ad
alcuni brani di musica medievale religiosa spagnola: le origini sono senza dubbio molto antiche.
La semplicità della melodia è molto d’effetto, tuttavia questa va unita ad un cantante con una
grande capacità di esprimersi in dialetto locale, necessario per poter cantare in modo
appropriato questo brano.
Come si può notare Britten non fa alcuna modifica significativa per quanto riguarda la melodia;
vi sono piccole differenze di note, ma l’autore rimane per lo più legato all’originale.
123
W. G. Whittaker, “Northumbrian
ian minstrelsy” 1882, “Bonny ay Morn”:
124
Il brano inizia lento e disteso, con accordi lunghi e tenuti, e nelle successive strofe si intensifica
sempre di più, con le indicazioni “more agitated” e “rather f ”, marcando maggiormente
l’accompagnamento anche con accordi veloci, ma pur sempre mantenendo le note suonate nei
movimenti deboli della battuta.
La prima strofa incomincia lenta e languida,
La seconda strofa inizia con le crome, riprendendo il ritmo dal finale della strofa prima,
125
La terza strofa rinforza ancora: inizia con le quartine utilizzate nella seconda strofa,
La conclusione del brano è unicamente strumentale, fino alla fine in pianissimo e con un
diminuendo segnato nelle ultime quattro note; il ritmo è in questo caso molto variabile: da
dilazionato, si infittisce ed in seguito si dilata ancora senza però cedere ad alcun rallentando.
Notiamo infine che la ripetizione del ritornello -tre volte- si sviluppa su indicazione di
pianissimo, così come un ritorno alla tranquillità e all’affetto che comunque la madre prova per
il proprio pigro figlio.
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The Shooting of his Dear
O come all you young fellows that carry a gun, O venite voi tutti giovani compagni che
I'd have you get home by the light of the sun, portate una pistola,
For young Jimmy was a fowler and a-fowling Vorrei che voi arrivaste a casa con la luce del
alone, sole,
When he shot his own true love in the room of Per il giovane Jimmy che era un cacciatore e
a swan. cacciava da solo,
Quando ha colpito il suo vero amore nella
stanza di un cigno.
Then home went young Jimmy with his dog and
his gun, Poi il giovane Jimmy è andato a casa con il
Saying, "Uncle, dear uncle, have you heard what suo cane e la sua pistola,
I've done? Dicendo: "Zio, caro zio, hai sentito cosa ho
Cursed be that old gunsmith that made my old fatto?
gun, Che sia maledetto quel vecchio armaiolo
For I've shot my own true love in the room of a che ha costruito la mia vecchia pistola,
swan." giacché ho colpito il mio vero amore nella
stanza di un cigno ".
Then out came bold Uncle with his locks Poi uscì fuori il baldanzoso zio con i suoi
hanging grey, riccioli grigi cadenti,
Saying, "Jimmy, dear Jimmy, don't you go away. Dicendo: "Jimmy, caro Jimmy, non
Don't you leave your own country till the trial andartene via.
come on, Non lasciare il tuo paese fino all’inizio del
For you never will be hanged for the shooting a processo,
swan". Poiché tu non verrai mai impiccato per aver
sparato ad un cigno ".
So the trial came on and pretty Polly did appear, Così il processo incominciò e la dolce Polly
Saying, "Uncle, dear uncle, let Jimmy go clear, comparì,
For my apron was bound round me and he took Dicendo: "Zio, caro zio, permetti a Jimmy
me for a swan. di andarsene libero,
And his poor heart lay bleeding for Polly his Perché il mio grembiule era legato intorno a
own." me e mi scambiò per un cigno.
E il suo povero cuore giaceva sanguinante
per la sua Polly ".
La prima esecuzione di questo brano risale al 6 maggio 1956 a Londra, con Pears alla voce e
Bream alla chitarra. Questo brano arriva dalla regione del Norfolk, una contea dell’Inghilterra
orientale, ed è stato raccolto ed arrangiato inizialmente da Ernest John Moeran (1894-1950)
nelle “Six Folk Songs from Norfolk” del 1923. Tuttavia nella versione di Moeran vi sono delle
127
lievi differenze nel testo: alcuni articoli sono omessi mentre altri indeterminativi sono sostituiti
da “your”.
Questa triste ballata è stata diversamente interpretata da vari artisti e conosciuta con differenti
titoli: “Polly Vaughan”, “The fowler”, “Molly Bawn”, “Molly Bond”.
La tragedia dell’uccisione per errore dell’adorata compagna del protagonista assume connotati
simbolici: la giovane donna scambiata per un cigno a causa del suo grembiule bianco, si lega
senza dubbio all’affascinante balletto “Swan Lake”. Inoltre l’apparizione del fantasma dell’amata
ha un carattere magico: la magia come elemento è presente in molte occasioni di musica
popolare, affiancata da credenze e superstizioni.
Il brano, su indicazione del compositore, è abbastanza vivo e drammatico -“Rather quick and
dramatic”-; nelle prime tre strofe il carattere molto energico è dato da una scansione ritmica
decisa da parte della voce, mentre l’accompagnamento è scandito e preciso.
Nella prima strofa gli accordi accentati e puntati della chitarra danno quasi l’idea dello sparo,
metafora del testo. L’intensificazione ritmica avviene nelle strofe seguenti: nella seconda strofa
le note dell’accordo diventano crome, ma omettendo il battere di ogni battuta il carattere
rimane sempre sospeso e spaventato, proprio perchè il giovane spiega allo zio ciò che ha fatto.
Nella terza strofa la scrittura così come il sentimento espresso divengono più agitati:
l’accompagnamento di croma e terzine -sempre con al battere una pausa di croma- dà a questa
parte del brano una tensione maggiore.
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Inizio terza strofa:
Un piccolo inciso di chitarra e dei forti accordi ritmici accompagnano l’apparizione del
fantasma di Polly e quando inizia a parlare il sottofondo musicale in pianissimo si trasforma in
uno degli effetti più suggestivi della chitarra: il tremolo.
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Due battute dopo, esattamente in corrispondenza della fine dei terzi versi delle strofe, vi è un
altro momento di sgranato: questa volta il suono non si apre e non rimane sospeso come prima,
ma si chiude e scende verso il basso come una sorta di rinuncia e di rassegnazione.
Moeran: Britten:
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Moeran: Britten:
Nel testo di Moeran il cambio di tempo non è presente, così come i passaggi da una strofa
all’altra sono molto più ravvicinati: nemmeno una battuta completa li divide, mentre Britten
sceglie di lasciar trascorrere più tempo per sottolineare il cambio di carattere che fa
l’accompagnamento.
Le fermate date dalla nota coronata non sono presenti nel testo di Moeran e quando c’è la
ripresa con il melisma terzinato della voce c’è una piccola variazione di note. Quest’ultimo
utilizza un ritmo puntato più deciso alla ripresa successiva, mentre Britten ricomincia in
maniera morbida con due crome.
Moeran:
131
Britten:
Nell’ultima strofa, forse quella più misteriosa ed affascinante, Britten risulta molto più diretto di
Moeran. Gli accordi da un quarto di quest’ultimo con l’indicazione “molto legato”, introducono
comunque all’atmosfera cupa e profonda. In Moeran, come accade anche tra le altre strofe,
nemmeno qui vi è un’intera battuta di stacco, mentre proprio in questo punto Britten amplia lo
spazio, con due battute di preparazione per il cambio di carattere e di situazione. Il piano e il
pianissimo finali sono rispettati, mentre il “rallentando” e il “liberamente” sono nati dall’idea di
Britten di creare un’aura di mistero. Non vi sono molte indicazioni dinamiche in Moeran, così
come l’accompagnamento non è molto vario dal punto di vista ritmico. Un punto di forza
nell’accompagnamento chitarristico di Britten risulta invece essere proprio il ritmo ed i colori
dinamici.
132
E. J. Moeran, “Six Folk Songss from
fr Norfolk” 1923, “The Shooting of his Dear”:
D
133
134
135
136
Note:
10 G. Jean Aubry “Manuel de Falla” , Artz Gazette, 5 luglio 1919, p. 15
11 Nei Paesi di lingua spagnola, ma anche tedesca, tutti i prefissi del cognome vengono posposti, in modo tale che il cognome risulti solo la
parola in sé.
12 M. de Falla “Dichiarazioni pubblicate nella rivista Excelsior” in AA.VV. (M. Mila, a cura di), Manuel de Falla, Milano, Ricordi, 1962, p.
127
13 Idem, p. 128
14 Falla, “Notas sobre Wagner en su cincuentenario”, Cruz y Raya 1, num 6, settembre 1933, p. 121; ristampato in Falla, “Escritos”, p. 138
15 M. de Falla “Dichiarazioni pubblicate nella rivista Excelsior” in AA.VV. (M. Mila, a cura di) op. cit., p. 65
16 idem
17 M. de Falla “Dichiarazioni pubblicate nella rivista Excelsior” in AA.VV. (M. Mila, a cura di), Manuel de Falla, Milano, Ricordi, 1962, p.
306
18 Composizione melodica di ritmo lento spesso ispirata a motivi liturgici.
19 M. de Falla “Il cante jondo” in AA.VV. (M. Mila, a cura di), op.cit., p. 38
20 M. de Falla “Scritti sulla musica e i musicisti” in AA.VV. (P. Pinamonti, a cura di), Milano-Modena, Ricordi-Mucchi, 1994, pp. 75-76
21 J. Crivillé y Bargalló, “Las Siete Canciones Populares Españolas y el folklore” in AA.VV. (P. Pinamonti, a cura di), op. cit., p. 142
22 Jaime Pahissa, “Manuel de Falla” , “Lettera di Malipiero a Falla, da Asolo, 15.09.1923” (P. Pinamonti, a cura di) Ricordi - Milano
23 La petenera è un tipo di cante flamenco che si basa su una strofa di quattro versi ottonari; probabilmente il nome ebbe origine nella città
di Paterna de Rivera, in provincia di Cadice. Secondo la leggenda, il nome della canzone si riferisce alla cantadora chiamata "La Petenera",
che vi nacque: essa fu accusata di essere, per il potere della sua indole seduttrice, la "dannazione degli uomini".
24 Paolo Caucci von Saucken, “Tradizione ed ispanità in Federico García Lorca”, in “Dialoghi”, XXI, (1-2, 1977), pp. 23-34.
25 Paolo Collaer, “Notes concernant certains chants españols, hongrois, bulgaires et georgiens” in “Anuario Musical”, IX, pagg. 153-160, e
“Similitudes entre des chants españols, hongrois et georgiens” in “Anuario Musical”, X, 1955, pagg. 109-110, Instituto Español de
Musicologia, C.S.I.C., Barcelona
26 “The Observer” del 27 ottobre 1946, p.15
27 Dal “Dizionario della musica e dei musicisti” diretta da Alberto Basso alla voce B. Britten stesa da Edward Neill, ed. Utet, 1985
28 Andreina Bonanni “Benjamin Britten: Teatro lirico e letteratura”, in “La Musica”, 1985
29 Franco Abbiati “Storia della Musica”, Ed. Garzanti, p. 268
30 Mila Massimo “Breve storia della musica” ET Saggi, 1993
31 John Warrack “Benjamin Britten musician of the year in conversation with John Warrack”, in “Musical America”, 1964, p. 45
32 Con questo termine si viene ad indicare una serie di movimenti per la raccolta, la conservazione e l’esecuzione di musica tradizionale nel
Regno Unito e nei relativi territori, che ha origine già dal diciottesimo secolo.
33 Per epoca vittoriana (o età vittoriana) si intende comunemente il periodo della storia inglese compreso nel lungo regno della Regina
Vittoria, cioè dal 1837 al 1901; l’Inghilterra in questo periodo conobbe una prosperità senza precedenti, da cui trasse beneficio soprattutto
la classe media.
34 Il termine “tradizionale” può essere considerato come una parola che può essere applicata a qualsiasi canzone di qualsiasi origine che
viene fruita e cantata da un gran numero di persone in una situazione particolare in un determinato periodo.
35 Dal “Dizionario della musica e dei musicisti” diretta da Alberto Basso alla voce B. Britten stesa da Edward Neill, ed. Utet, 1985
36 Schafer Murray in “British Composers in Interview “ Faber, 1963
37 Dal “Dizionario della musica e dei musicisti”, op. cit.
38 John Warrack “Benjamin Britten musician of the year in conversation with John Warrack”, in “Musical America”, 1964, p. 25
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Capitolo 4
Possiamo innanzitutto considerare che i due autori presi in esame, provengono da zone diverse
dell’Europa e dunque hanno vissuto socialmente e politicamente situazioni differenti durante la
loro vita. Entrambi tuttavia presentano alcuni tratti in comune che riguardano sia aspetti
musicali che socio-culturali.
Ambedue vissuti in un periodo di grandi cambiamenti musicali e culturali, in particolare i primi
anni del Novecento, hanno saputo contare sulla loro creatività e sulle loro capacità innovative
senza discostarsi troppo dalle tradizioni e senza per contro avvicinarsi eccessivamente a
linguaggi molto distanti ed avveniristici.
I primi decenni del secolo sono infatti segnati da profonde tensioni: l’inasprirsi delle lotte
sindacali, la crisi economica, l’affermarsi di spinte nazionalistiche, la corsa agli armamenti, i
conflitti coloniali, sono un esempio delle enormi trasformazioni che si vengono a creare in
questo periodo. Il primo aspetto evidente che si evince dalla loro biografia è che entrambi
hanno vissuto delle drammatiche situazioni di guerra: la Seconda Guerra Mondiale per Britten e
la Guerra civile spagnola per Falla, rappresentano indubbiamente degli ostacoli che hanno
segnato le loro sensibilità pacifiste e artistiche.
Tutte le arti di questo periodo sono impegnate in un profondo rinnovamento linguistico, nel
tentativo di adeguarsi al continuo evolversi del contesto storico e sociale dal quale nascono e
del quale riflettono le problematiche. Contemporaneamente si diffondono nuove forme di
spettacolo, destinate all’evasione ed all’intrattenimento oltre che nuove forme musicali e si
modifica anche l’arte figurativa.
In relazione alla diffusione dei mass-media, si moltiplicano i luoghi e le occasioni del consumo
musicale. Le nuove possibilità di amplificazione rendono idonei per l’ascolto molti spazi non
espressamente nati a questo scopo. I luoghi pubblici tradizionalmente destinati alla musica,
teatri e sale da concerto, mantengono grande importanza; il bisogno musicale tuttavia, trova
soddisfazione crescente negli ambiti privati, grazie all’uso di radio, registratori, impianti stereo.
L’ascolto si trasforma così da evento collettivo ad evento individuale e la musica dal vivo perde
il suo primato rispetto alla musica trasmessa in diretta o riprodotta.
Nel corso dei primi decenni del XX secolo si verifica una rottura profonda con la tradizione
musicale precedente: nei diversi generi i compositori ricercano nuove forme e nuove sonorità.
Cresce la consapevolezza che il modo di comporre e di esprimersi ereditato dai secoli
precedenti è ormai inadatto ed insufficiente; il sistema tonale, già messo in crisi dai musicisti del
tardo Ottocento, viene abbandonato per poter comporre con la massima libertà espressiva:
nasce così l’atonalità.
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Tra i più importanti metodi compositivi codificati in questo secolo si può ricordare:
la scala esatonale, introdotta da Debussy formata da sei toni interi, ispirata alla musica
indonesiana da lui conosciuta in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889; la
dodecafonia che, codificata da Schönberg, consiste in un sistema di composizione basato non
più sulle sette note della scala tradizionale, ma sulla scala cromatica costituita da dodici note; la
politonalità ideata da Strawinskij, data dalla sovrapposizione contemporanea di tonalità diverse;
il futurismo musicale sperimentato soprattutto da Luigi Russolo ed Edgar Varèse che è tra i
primi metodi a prevedere l’utilizzo sistematico del rumore, conferendo a quest’ultimo dignità
musicale. Un altro metodo compositivo può essere considerato quello dell’ungherese Bartók
che fonda le sonorità percussive ed i ritmi irregolari delle musiche tradizionali con il linguaggio
musicale colto.
Tutti questi aspetti che si vengono a creare sono senza dubbio importanti per la formazione e le
esperienze dei due autori che ne vengono a conoscenza, ma che non mettono in atto nei loro
lavori: nonostante si inseriscano in maniera omogenea nel periodo in questione, i due
compositori non riescono a sottostare alle regole ed ai cambiamenti che avvengono.
Certamente si può notare come la melodia, nel primo Novecento, perda il suo ruolo di
protagonista assegnatole dalla tradizione: le sue funzioni si ridimensionano. Sempre più spesso
la sequenza delle note risulta vaga e difficilmente fruibile nella sua organicità. La musica
contemporanea addirittura, tende ad annullare il concetto di melodia: l’uso di note della scala
cromatica è messo in discussione da una pratica musicale ricca di suoni non immediatamente
percepibili dall’orecchio, come i microintervalli. Ciò tuttavia non accade nei lavori dei due
autori anche se Falla tende a ricreare i microintervalli con una costante presenza di acciaccature
e melismi per avvicinarsi maggiormente ad un tipo di sonorità atta ad esprimere in maggior
misura l’accentuazione melodica.
Per quanto riguarda l’armonia entrambi gli autori non si trovano immersi in quel cambiamento
radicale che porta i compositori del Novecento a perdere qualsiasi riferimento in funzione di
nuove esperienze a risaltare e differenziarsi dal passato: certamente nelle loro opere sia Britten
che Falla non si limitano ad un’armonia tradizionale, ma inseriscono dissonanze e
caratterizzazioni armoniche per incrementare tensioni o per sviluppare frasi significative. Non si
fermano dunque ad una semplice successione di accordi, ma non si scostano nemmeno da una
percezione chiara del senso armonico.
Nel primo Novecento anche il ritmo assume grande rilievo; grazie anche all’interesse per la
musica popolare questa componente si rivela a volte fondamentale. Talvolta esso è semplice,
ma molto serrato e scandito con potenza, altre volte più complesso, in cui nuove combinazioni
simultanee di ritmi diversi danno luogo ad un’articolata poliritmia.
Due aspetti caratterizzanti della musica possono essere ulteriormente analizzati: l’intensità e il
timbro. In seguito all’evoluzione tecnica i compositori possono sfruttare suoni molto
amplificati o molto ridotti di volume, raggiungendo spesso sonorità dinamicamente estreme, ed
il timbro diviene l’elemento del discorso musicale maggiormente esplorato durante il XX
secolo, per farne risaltare tutte le possibilità espressive. Proprio in questi due settori, Britten e
Falla si discostano da queste avanguardie: dal punto di vista dei volumi sonori entrambi nelle
due opere analizzate in questa tesi, non hanno pretese di forza. Considerano queste musiche
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popolari come qualcosa di intimo, quasi privato, per cui la forza non viene data dal volume
sonoro, ma viene realizzata tramite accenti e note puntate, evolvendosi solamente nell’ambito
dei pianissimi finali. Per quanto riguarda i timbri sonori i due compositori li esprimono a modo,
facendo risaltare le timbricità specifiche con le caratteristiche sonore ed espressive della
chitarra.
Risulta in special modo interessante considerarli entrambi legati alla musica tradizionale del
proprio paese: ambedue i compositori hanno creato dalle radici della propria terra una base su
cui costruire le proprie composizioni e hanno creduto nella rinascita dei valori e degli ideali
nazionali anche attraverso la riscoperta delle tradizioni.
Riscoperta delle tradizioni e salvaguardia dei valori del territorio attraverso il recupero del
patrimonio musicale: questa è la strada intrapresa sia da Britten che da Falla per riportare alla
luce i loro paesi.
Infatti tutti gli eventi più significativi accaduti in ogni paese vengono espressi proprio con il
canto popolare e con la tradizione orale tramandata e filtrata dal tempo. I canti popolari
possiedono un patrimonio di suoni e parole che nella loro poliedricità di forme e contenuti
sanno esplorare nel profondo dell’animo umano e nelle categorie di persone entro cui viene
ospitato.
Risulta inoltre interessante notare come, pur essendo entrambi pianisti, abbiano sentito la
necessità di collegare il mondo della tradizione allo strumento chitarra: per Britten ciò risulta
evidente nella scelta di dedicare un intero volume di songs a questo strumento, mentre in Falla si
trova la costante preoccupazione di riprodurre sul pianoforte sia le sonorità eteree, sfumate e
asciutte della chitarra, sia gli arpeggi ed i glissati o le figure del tremolo e delle note ripetute sulla
stessa corda, di grande fruibilità nello strumento a pizzico.
Ma perché il compositore spagnolo non ha scritto direttamente queste sette canzoni per
chitarra e voce? Apprezzava indubbiamente molto lo strumento, tanto da scrivere la prefazione
al primo volume del metodo “Escuela razonada de la guitarra” di Emilio Pujol; inoltre in quegli
anni Andrés Segovia stava sviluppando al massimo le capacità e le abilità della chitarra sola,
rendendo lo strumento nuovo per l’epoca per quanto riguarda le capacità interpretative del
chitarrista e per la forza del suo repertorio: si sa che tra i due artisti non c’era molta affinità.
Dunque non vi erano all’epoca molti altri grandi chitarristi in grado di rappresentare la sua
opera nel modo desiderato. Inoltre la facilità posseduta dal compositore al pianoforte e che gli
ha permesso di esibirsi lui stesso alla prima esecuzione delle “Siete Canciones”, ha limitato l’uso
della chitarra: probabilmente per un argomento a lui così caro voleva essere non solo il
protagonista della rielaborazione e lo spettatore dei suoi pezzi, ma anche il primo esecutore.
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• Testi
I temi trattati da Britten e Falla per i canti popolari sono i più disparati -la preghiera, la ninna
nanna, la malinconia ecc.- ma è soprattutto l’amore che si trova più frequentemente nei testi da
loro scelti. In “Polo” e “Cancion” le melodie per cantare l’amore sono veloci ed energiche:
questo non è tuttavia sinonimo di allegria bensì di rabbia; in “Polo” si ascoltano le parole
“Malhaya el amor, malhaya”, “Maledetto amore, maledetto”. La “Jota” è invece una melodia
molto dolce e carezzevole associata ad una situazione positiva di felicità dei due innamorati.
Il tema trattato da Britten assume per lo più accompagnamenti poco ritmici e comunque
sempre dolci: “I will give my love an apple” e “Master Kilby” ne sono un esempio. La forza
dettata dalla tragica situazione di aver ucciso l’innamorata è resa con forza ed energia in “The
Shooting of his Dear”, mentre in “Sailor-boy” il ritmo puntato fa pensare proprio alla
camminata del marinaio alla ricerca della sua amata.
• Ritmo
I brani di entrambi indubbiamente hanno forza espressiva diversa, dettata dalla loro diversa
origine: molto più ritmici e determinati risultano i brani spagnoli, più meditativi e regolari quelli
inglesi. Gli arrangiamenti dei due compositori vengono in questo modo evidenziati di
conseguenza.
L’utilizzo dei puntati risulta un elemento fondamentale per Falla: tutti i brani -ad eccezione dell’
”Asturiana” e della “Nana”- presentano il ritmo puntato su bassi o su elementi di spicco; le
cellule ritmiche dove questo forma viene maggiormente utilizzata possono essere considerate
queste:
“Seguidilla murciana”
“Jota”
“Cancion”
“Polo”
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In Britten invece questo aspetto ritmico viene usato solamente nella preghiera “The Soldier and
the Sailor”, creando un netto contrasto tra la strofa e l’invocazione “Amen”, definita da note
lunghe e tenute.
Il grande utilizzo di terzine in Falla è significativo: un scansione che ricorda i melismi dei
cantanti di flamenco e che risulta fondamentale per il ritmo caratteristico dei paesi iberici; si può
affermare che nell’accompagnamento di ogni brano dell’opera vi siano delle figurazioni
terzinate, ad eccezione della vivace “Cancion” e dei due brani lenti “Nana” e “Asturiana”.
Le figure terzinate nell’accompagnamento sono principalmente queste:
El paño moruno:
Seguidilla murciana:
Jota: e ancora:
Polo: e ancora:
Tuttavia in “Nana” le terzine e l’andamento melismatico sono molto presenti nella parte del
canto e comunque nell’intero ritmo della canzone. Questo brano contiene in sé proprio la
caratteristica dell’irregolarità ed il modo per rendere un andamento ritmico quasi
completamente libero è proprio quello di riportare nella scrittura terzine di vario tipo: da qui si
evince come l’autore voglia dare solamente una traccia ritmica a cui ogni esecutore, pervaso dal
sentimento del brano, si adatta e la personalizza.
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Anche in altre canciones l’aspetto terzinato nella melodia assume un ruolo fondamentale: basti
pensare a “Polo” brano in cui le terzine nella voce appaiono proprio quando vi sono le sillabe
di lamento “Ay!”, quasi a ricreare quei melismi tanto cari alla musica iberica e sulla parola
“Malhaya”, cioè “maledetto”, uno dei termini più forti del brano.
Anche in “Jota” si può notare che la parte del canto presenta dei melismi di terzine e questi si
trovano proprio alla fine degli incisi e tendono a fungere da conclusione; alternati da quartine di
trentaduesimi, risultano molto significativi in quanto riproducono quei melismi tipici che
partono e ritornano sulla stessa nota, quel tipico legame che Falla professa nei suoi scritti sul
cante jondo riguardante il rapporto tra il canto andaluso e i canti dell’India e dei popoli orientali.
Queste piccole variazioni della voce fanno in modo che si vengano a creare i microintervalli
capaci di dare elasticità e vivacità al cante.
Anche in un brano come la “Seguidilla murciana”, che alla voce non presenta alcun andamento
terzinato, Falla ha posto un accompagnamento interamente composto di terzine: un contrasto
apparentemente forte ed una scelta mirata a creare un tappeto di note vivace e vario rispetto ad
un movimento del testo sempre rapido, ma ben scandito.
Per Britten invece le terzine rappresentano solo un incremento ritmico e vengono utilizzate
unicamente per potenziare la parte ritmica: questo è presente soltanto nel finale di “Sailor-boy”,
con le terzine usate per dare maggior aria e maggior forza vitale a questo brano che si sviluppa
con una rigidità metrica data dai costanti ritmi puntati ed energici.
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La terzina è presente anche nel brano “The Shooting of his Dear” all’inizio della terza strofa
quando il brano si intensifica sino all’apparizione del fantasma dell’amata Polly.
Queste terzine risultano tuttavia in contrasto con un ritmo regolare: è proprio quello che
l’autore inglese vuole creare, un contrasto di tempo binario e ternario dato dalle due crome
iniziali -pausa e nota- e dalle due terzine seguenti. La caratteristica irregolarità creata è perfetta
per identificarvi un incremento di tensione che sfocia nell’apparizione fantastica del fantasma
dell’amata.
Britten:
Falla:
Falla:
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Britten invece diversifica ogni strofa incrementandone il ritmo e pensando sempre a figurazioni
su tempi deboli:
prima strofa:
seconda strofa:
terza strofa:
Il ritornello però rimane sempre uguale nell’accompagnamento quasi fosse un punto di stasi e
di fermezza nel racconto: quello che cambia è il finale, l’ultimo verso di ogni sua ripetizione che
ci introdurce ritmicamente la strofa seguente. L’ultima reiterazione è data invece da una stasi
completa e quindi da una fermata con note lunghe da due quarti che ci portano al ritorno del
giovane nel sonno. Da notare anche che il ritornello è l’unico momento caratterizzato da crome
che si susseguono, prima semplici e in seguito doppie, senza fermate e senza pause: questo
accompagnamento diviene così un tappeto armonico sopra il quale si sviluppa una dolce
melodia.
Ritornello primo:
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Ritornello secondo:
Ritornello finale:
Il finale che chiude il brano è in pianissimo, per la prima volta con un diminuendo
all’accompagnamento non più con un crescendo, in linea con l’andamento e le caratteristiche di
questo genere: anche la “Nana” infatti non presenta punti dinamici particolarmente intensi e il
finale è in pianissimo.
• Riferimenti
La descrizione della natura è in questo brano molto presente: è un racconto rurale, con animali
al pascolo e campi di grano che rappresentano un delizioso spaccato della vita contadina. Ciò
che Britten crea nell’accompagnamento chitarristico è una situazione lineare e tranquilla data da
accordi tenuti in cui sopra si intreccia la voce superiore che si sviluppa in valori sempre più
stretti.
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L’unica espressione e visione della natura ritrovata in Falla, riguarda l’ “Asturiana” in cui si parla
di un pino che però non viene inserito in ambito rupestre, ma come semplice compagno e
sostegno alla malinconia: anche qui l’accompagnamento è lento e sentito ricco di note tenute e
pedali che creano un tappeto armonico fondamentale. Tuttavia in Falla c’è la costante presenza
di situazioni concrete e di realtà quotidiane: basti pensare a “El paño moruno” dove avviene
che il drappo si macchi e perda il suo valore commerciale o alla moneta che a forza di passare di
mano in mano si consuma in “Seguidilla murciana”. Tutte situazioni che ci portano in modo
profondo nella realtà e nel vissuto quotidiano.
Per troppo tempo i musicisti hanno dimenticato la chitarra considerandola arcaica e popolare in
senso spesso dispregiativo: tuttavia essa ha continuato a vivere nella memoria collettiva delle
classi contadine e quindi nella produzione degli artigiani. Grazie all'opera di alcuni musicisti che
hanno imperniato la loro attività su questo strumento, tra i quali citiamo Britten e Falla,
l'interesse si è risvegliato considerando il suo ruolo importante pur all’interno di una parte
d’accompagnamento.
Effettivamente non è corretto dal punto di vista metodologico sostenere una differenziazione
netta tra lo strumento utilizzato in ambito popolare e in ambito colto, ma non è neppure giusto,
partendo dalle caratteristiche strutturali dello strumento, definirlo popolare o colto se su di esso
non si esegue un repertorio adatto.
Nel nostro caso il repertorio analizzato di Britten e Falla permette di esprimere la musica del
passato, mediante un ciclo di canti tradizionali, fatti saggiare ad un pubblico attraverso grandi
interpreti e grandi arrangiamenti. Si parla quindi di interpolazione tra autori colti che si
adoperano su repertorio popolare. Ma come considerano l’accompagnamento strumentale in un
ambito in cui prevale la melodia e dunque la voce?
Per Falla grande importanza assume l’accompagnamento e dunque lo strumento, mentre la
melodia passa quasi ad un ruolo secondario: nonostante l’intrinseca importanza che essa
presenta in quanto base della musica popolare, è proprio Falla che spesso la ricorda solamente a
memoria, senza alcuna vera consultazione e ricerca. Quello che per lui conta è l’armonia
sottostante, la forza espressiva dell’accompagnamento. Infatti il punto culmine dell’estetica del
compositore spagnolo consiste non nelle pure citazioni delle tradizioni in sé, ma in
un’immersione totale nell’aura magica di esse per poterne evocare lo spirito più nascosto. Da
qui si capisce l’amore immenso per le sonorità della chitarra, strumento mai totalmente
accettato dalla cultura musicale ufficiale, ma in grado di agganciare, in un tessuto fonico magico
ed evanescente il mistero dell’essere.
E’ proprio su questo ideale che entrambi gli autori si basano per esprimersi e per definire ciò
che deve essere cantato con semplicità, poiché soltanto in questo modo si può fissare il
quotidiano e l’apparenza penetrando nella vita in se stessa: il fattore fonico della chitarra è teso
a riprodurre quel sogno mitico di sospensione del tempo.
La poetica dei due autori è ad ogni modo compiuta in virtù della saggia semplicità popolare che
diviene soltanto motivo di ispirazione, mai espressione dogmatica e recupero di archetipi
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collettivi, nei quali risplende una sapienza culturale antica. La considerazione di un’influenza
diretta è in realtà una comunanza di intenti, quasi un’unica volontà di riappropriarsi delle
comuni ed originarie fonti del suono.
La chitarra ritrova dunque la sua origine nel fattore sonantico e nella timbricità perseguita in
quanto espressione di un’interiorizzazione, tipica del misticismo e dell’esoterismo fonico,
fragile, leggero, sospeso, estatico e molteplice.
Falla in particolare studiò la chitarra alla scopo di conoscere pienamente la sua tecnica e fu
aiutato nell’acquisizione delle tecniche e delle modalità esecutive da Angel Barrios, uno dei
chitarristi più famosi di Granada, nonché suo amico intimo. Per sfatare subito l’idea della
chitarra come strumento secondario, si può ricordare che l’opera “Homenaje a Claude
Debussy” pensata e scritta originariamente per chitarra, è stata trascritta per pianoforte e
realizzata dallo stesso autore il mese successivo.
Il collaboratore di Britten dal punto di vista chitarristico risulta essere Julian Bream, dedicatario
dei suoi lavori e alleato con il compositore per quanto riguarda la conoscenza particolare dello
strumento e la stesura dei suoi lavori.
Si può dire comunque che nelle opere di Falla e Britten la chitarra non diviene protagonista in
quanto a virtuosismo melodico, ma certamente assume un ruolo fondamentale per ricreare in
maniera individuale un piano armonico di base: non è un semplice accompagnamento e pura
armonia, ma il tessuto armonico viene arricchito da effetti tipici chitarristici e da sonorità
ritrovabili solamente in questo strumento. Da qui l’importanza che si attribuisce alla chitarra in
questi due lavori: la capacità di creare l’atmosfera di ogni brano e la possibilità di utilizzare le
sue sonorità per dare mistero o vivacità piuttosto che tensione o malinconia, dando la
possibilità a questo strumento di assumere un ruolo che risulta fondamentale.
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Appendice
Il folklore oggi
Dando un rapido sguardo al nostro paese, in Italia feste popolari, fiere e sagre di paese,
rappresentano le origini e le tradizioni principali. Dietro le usanze ed i festeggiamenti si
possono studiare e scoprire origini e tradizioni popolari antichi; le feste tradizionali di
Capodanno, di Natale o la festa di Carnevale, sono appuntamenti che mantengono ancora ai
nostri giorni simboli ed usanze tipiche della tradizione.
Tuttavia per comprendere appieno la vita, la storia e la tradizione del popolo, bisogna
esaminarne i riti, la vita quotidiana, entrare nei borghi e nei luoghi del lavoro contadino; si può
così immaginare i paesi e la cultura, i riti e i momenti della vita. Appunti e studi sulla letteratura
popolare, la narrativa, i racconti, le favole e le fiabe sono fondamentali: la saggezza e le forme
letterarie e culturali delle tradizioni dalle filastrocche ai proverbi. La letteratura popolare diviene
importante per tutelare le lingue locali, i costumi e le usanze.
I generi musicali che affondano le proprie radici nelle tradizioni locali della popolazione, dal
ballo come la tarantella, una danza popolare dell'Italia meridionale, alla musica e agli strumenti,
vanno ricercati nella necessità di un sistema di comunicazione che possa essere più facilmente
accettato nell'ambito di una comunità ristretta e spesso chiusa. Si pensi ai canti d'amore nelle
serenate per dichiararsi alla donna amata, o alla superstizione e alle credenze legate alla sfortuna
ed ai fenomeni della vita naturale. Nelle superstizioni si ritrovano spesso credenze popolari,
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religiose o scientifiche antiche, non più accettate dalla cultura e dalle religioni ufficiali. Riti e
magie curative, amuleti e talismani, l'interpretazione dei sogni, sono tutti argomenti spesso
trattati nel genere musicale tradizionale.
Tuttavia in Italia non vi è un vero e proprio sentimento nazionalistico unico e presente
ovunque: alla base di tutta la musica che ascoltiamo oggi vi sono secoli e secoli di pratiche
musicali che ci sono in gran parte ignote. A livello generale c’è da dire che nella nostra penisola,
in un tempo non molto lontano, era presente una fiorente quantità di cantastorie professionisti.
Nelle zone settentrionali d’Italia è ampiamente diffuso il canto narrativo -in inglese potrebbe
chiamarsi “ballad”-. Prevede testi che narrano di singole vicende solitamente a carattere tragico
o amoroso e strumenti come la fisarmonica, il clarinetto, gli ottoni da banda e nelle zone
orientali il violino. Nelle zone centro-meridionali d’Italia è ampiamente diffuso il canto di tipo
monostrofico con testi molto descrittivi ed un’ampia libertà di interpretazione e
improvvisazione: questo vuol dire che ogni strofa è autosufficiente e si presta a molte possibili
variazioni.
Facendo una breve analisi delle musiche nelle diverse identità regionali si può dire che in
Piemonte e in Valle d’Aosta alcune musiche da ballo tipiche sono la burea, la curenta, la giga e
la contraddanza, di origini francofone ed occitane. Vi è anche una base solida di canti polivocali
tra cui ad esempio quelli delle mondine nel vercellese e nel novarese. Il canto polivocale domina
la Liguria con interessanti varianti, dall’elaborato “trallallero” dell’entroterra alle melodie di
tonalità minore delle zone di mare. Da segnalare una vasta diffusione del repertorio
appenninico basato sul piffero, un tipo di oboe che fa da accompagnamento a diversi balli (giga,
alessandrina, monferrina ma anche valzer, polka e mazurka). Anche nel Veneto e nel Trentino il
canto polivocale la fa da padrone ed in particolare a Venezia e dintorni hanno ancora un certo
rilievo i canti liturgici. Il Friuli, oltre ad essere luogo fecondo per la musica violinistica, è anche
il luogo d’origine della rinomata danza furlana o friulana mentre in Alto Adige accanto al
repertorio “furlano” troviamo anche canti e balli di origine tedesca. In Lombardia troviamo
invece il tipico canto polivocale alpino e padano per salti di terze ed una grande quantità di
canti narrativi e ninne nanne. L’Emilia Romagna è una regione ricca di fascinazioni
popolaresche anche perché qui trovano spazio diversi influssi delle musiche meridionali. Tra i
canti troviamo la romanella, la boara e la stesa e tra i balli la furlana, la bergamasca, il trescone e
la roncastalda. In Toscana abbondano i canti lirici monostrofici (strambotti, stornelli, rispetti)
nonché le musiche dei rituali di maggio (i cantamaggi e i bruscelli); i canti improvvisati di
bravura sono inoltre simbolo di sfida seguendo un tema spesso a carattere burlesco. Il canto
lirico monostrofico comincia ad essere presente in Umbria e nelle Marche ed è usato
specialmente come accompagnamento del lavoro nei campi. I balli tipici sono il saltarello e la
castellana in tempi di 6/8 ed affidati in gran parte all’organetto e alle percussioni. Lo stesso
dicasi per Abruzzo e Lazio dove comincia a fare la sua comparsa la tradizionale cornamusa
italiana a due canne, ovvero la zampogna. Mentre in Molise spiccano per originalità le
lamentazioni funebri oltre a diverse tracce di musica albanese, la Campania è una regione in cui
per secoli hanno convissuto e avuto influenza reciproca la musica popolare e quella colta. Oltre
alla tradizione urbana della canzone melodica napoletana, sono di grande rilievo i canti
melismatici di matrice orientale ed una ricchissima pratica strumentale (tammuorra,
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scetavajasse, putipù, triccheballacche, mandolini, chitarre). In Puglia, a fianco dei canti
garganici, è d’obbligo ricordare il ballo della pizzica o taranta i cui movimenti coreutici sono alla
base della celebre tarantella. In Calabria è vivo un grande repertorio di danze basate su canti
monostrofici come la rota, la viddanedda, la scherma e il ballo dei giganti. Strumento
caratteristico dei territori calabresi è un violino antico detto lira. La Basilicata ha un patrimonio
folklorico-musicale incredibilmente fertile perché vi confluiscono influenze pugliesi, calabresi e
campane. Qui lo strumento principe è l’arpa di Viggiano. In Sicilia esiste un florido repertorio
di cantastorie itineranti, ma è anche doveroso citare almeno lo scacciapensieri, strumento
ancora oggi in voga e che in dialetto viene chiamato “marranzano”. In Sardegna c’è una
notevole diffusione di canti polivocali (dai tenores alla tasgia) e di balli popolari con organetto e
launeddas ovvero un triplo clarinetto con cui si possono eseguire formidabili virtuosismi.
Risulta evidente che l’Italia si presenta come una zona molto frammentata dal punto di vista
della musica tradizionale, a differenza di nazioni come la Spagna e l’Inghilterra dove,
nonostante vi siano diverse culture regionali, la musica trova comunque un unico senso
nazionale. Oggi tra i più importanti nostri interpreti Angelo Branduardi può considerarsi un
diffusore di musiche tradizionali, anche se molto influenzato dalla musica celtica, con le sue
rivisitazioni di brani popolari presentati al grande pubblico.
Branduardi sceglie di seguire la sua sensibilità guardando decisamente all’antico. Mentre la
Francia aveva Alain Stivell, il mondo celtico aveva l’Irlanda con una lunga storia di folk
tradizionale molto seguito dal pubblico ed un forte legame popolare della musica suonata e
cantata, ininterrotto e saldato da feste che spesso corrispondevano a diffuse rivendicazioni
identitarie, in Italia purtroppo non esisteva niente del genere. Branduardi afferma che la musica
ha dimenticato le proprie radici e le proprie tradizioni. «Il nostro mondo ha sostituito la musica
come fatto storico, che accompagnava ogni momento della vita dell’uomo, con l’arte per l’arte,
che è una cosa bella, niente da dire, ma in un certo senso fine a se stessa. La musica
extraeuropea (e la nostra musica antica) non scinde mai la musica da quello a cui la musica
serve: c’è la musica per nascere, per sposarsi, per festeggiare il raccolto… e quella per morire. In
Africa, ad esempio, a nessuno verrebbe mai in mente di andare a sentire una messa da requiem
se non c’è un morto. Queste considerazioni mi hanno convinto della necessità di tornare a
guardare indietro. La tradizione e la cognizione del proprio passato sono assolutamente
necessarie alla cognizione del presente e a maggior ragione del futuro. Questo vale per la musica
e vale per qualsiasi altra forma della cultura umana.»39
Molti dei suoi testi sono ripresi dal repertorio tradizionale ed antico, basti pensare a “Gli alberi
sono alti” che è un brano tradizionale o alla famosa canzone “Alla Fiera dell'Est”, liberamente
tratta da un canto pasquale ebraico, così “Cogli la prima mela” e “Ninna Nanna” sono
adattamenti di canti tradizionali, il primo ungherese ed il secondo inglese.
Un altro brano da lui reinventato è “Barbri Allen”, ovvero “Barbara Allen”, una delle più note
folk ballad, citata nel 1666 dallo scrittore Samuel Pepys e portata nelle hit parade da Joan Baez.
“Barbri Allen” è una ballata folk di origini presumibilmente inglesi o scozzesi, nata intorno al
1650 e tramandata per anni oralmente, poi stampata per la prima volta nel 1750 in Inghilterra.
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Joan Baez è un’artista fondamentale nella storia del folk. La musicista statunitense si è a lungo
prodigata nella diffusione della folk music: già all’inizio della sua vita si cimenta in brani come
“Michael”, un brano con titoli e personaggi delle folk song ascoltate nel suo paese d’origine.
“Joan Baez” è il suo omonimo secondo album, caratterizzato unicamente dalla sua voce e dal
suono della sua chitarra: esso contiene 13 canzoni tradizionali folk tra cui “All My Trials”,
“Silver Dagger”, “The house of the Rising Sun” e “Fare Thee Well”.
Un’altra figura centrale nell’avvento del folk rock per come tuttora lo intendiamo, fu senz’altro
l’americano di origine ebraica Bob Dylan. Nato come ispirato cantautore di protesta legato ai
grandi movimenti pacifisti e rivendicatore dei diritti civili dell’epoca -primi anni Sessanta- ben
presto si convertì ad uno stile più crudo e visionario sancito dalla partecipazione al Newport
Folk Festival del 1965, affiancato da una band elettrica. Questo evento, preso di mira dalle
contestazioni del pubblico purista presente al concerto, è spesso indicato come atto di
fondazione del folk elettrico; pur evidenziando l’importante azione del cantautore, non si può
omettere tutti quegli elementi che dimostrano una forte influenza britannica sia in termini
musicali che in termini culturali. Innanzitutto la svolta elettrica fu decisa da Dylan dopo
l’ascolto dei Beatles; in secondo luogo, gran parte del primo e più celebrato repertorio di Dylan
è ricalcato su una serie di melodie rinascimentali inglesi, da cui poi avrebbero tratto ispirazione
altri notissimi artisti americani come il duo Simon and Garfunkel. Essi ripropongono una
celebrata visione dell’antica ballata inglese “Scarborough Fair” e lo stesso Dylan dedica parte di
un intero album “Good As I Been To You” alle ballate anglosassoni tradizionali. Infine il
giovane Robert Zimmermann decise di adottare il cognome Dylan in omaggio a Dylan
Thomas, indimenticato poeta gallese.
Generalmente la sua musica tradizionale si focalizza su temi universali; le canzoni di questo
genere hanno attraversato molte generazioni, tanto che spesso non hanno autore conosciuto e
altre volte non sono propriamente americane in quanto arrivate attraverso il flusso migratorio;
vi sono canzoni che hanno versioni diverse così come anche diversi titoli.
Numerosi suoi brani hanno tratto ispirazione da brani tradizionali e si può citare “Corrina
Corrina” ripresa dalla tradizionale omonima, così come “Farewell” che deriva da “The Leaving
of Liverpool”. Un altro esempio può essere dato dal brano “Girl from the North County”
ispirato alla tipica ballata inglese “Scarborough Fair”.
Riguardo alla musica tradizionale il cantautore americano afferma: «le canzoni folk sono colme
di disperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nel sovrannaturale, tutti sentimenti molto
profondi. [...] C'è più vita reale in una sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i
temi del rock'n'roll.»
Note:
39 Da un’intervista del 10 dicembre 2008 di Gabriele Marconi.
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Conclusioni
Il folk è sempre presente come elemento che permette al popolo di ritrovare e di riappropriarsi
di una propria profonda identità. Infatti attraverso la tradizione, un popolo si identifica in una
caratteristica zona geografica, in uno specifico gruppo di appartenenza ed è attraverso l’uso di
idiomi peculiari che si coinvolge in maniera mirata il popolo.
Il popolare ha un pubblico mentre il folk ha un popolo.
Falla ricrea questa necessità di collocazione geografica della musica iberica con tratti ben definiti
e caratteristici, inserendovi testi semplici che trattano di saggezza popolare e di vita reale: testi
che trattano di amore, tristezza, gioia attraverso allegorie e situazioni sempre proposte
concretamente; troviamo l’amore perduto, la moneta che passando di mano in mano è
consumata e nessuno più la vuole, il giovane sotto la finestra dell’amata.
Spesso accade invece che l’attenzione degli inglesi si incentri su argomenti surreali, anche se
inseriti in ambiti concreti: in Britten c’è più una volontà timbrica, ricreante situazioni dai
contorni vaghi e non ben definiti. I temi trattati sono sempre esposti in maniera onirica con
immagini che rappresentano eventi spesso persi in un tipico irrealismo inglese.
La ricerca della spontaneità, della semplicità e della naturalezza va nella direzione delle arti
popolari ed i due autori analizzati in questa tesi l’hanno capito: “lavorare per il pubblico senza
fargli concessioni”. Questa citazione di Manuel de Falla infatti sottolinea la volontà dei due
compositori di porre grande attenzione al pubblico e alle richieste pratiche di una collettività
non sempre preparata ed interessata ad una profonda cultura nel settore musicale. I due autori
lavorano per il pubblico, in quanto si avvicinano agli aspetti più profondi del sentire collettivo,
quindi tradizione e musica popolare. Tuttavia questa direzione non porta ad un’eccessiva
semplicità dal punto di vista degli arrangiamenti e non vi sono “concessioni” di banalità ed
impoverimento armonico.
Entrambi gli autori, pur dando enorme importanza alla linea melodica e mettendo in secondo
piano gli aspetti più difficili della composizione, attraverso il filtro della musica colta cercano di
elevare ad immagini poetiche i contenuti dei temi popolari.
Come è accaduto senza eccezioni nel corso dei secoli, ci sarà sempre qualche artista pronto a
ricollegarsi e ad ispirarsi alla musica delle origini e delle tradizioni proprie del suo paese per
diffonderle al grande pubblico. Manuel de Falla e Benjamin Britten sono tra gli autori più
rappresentativi in quanto hanno guardato al passato per ricreare opere nuove, innovative ed
interessanti nell’ambito della voce e dell’accompagnamento.
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Ringraziamenti
Ringrazio di cuore il Prof. Andrea Cappelleri con un pensiero di stima e di riconoscenza per le
motivazioni e gli spunti d’indagine che mi ha proposto nel corso della realizzazione
dell’elaborato e per il suo competente aiuto in questa esperienza.
Desidero poi manifestare profonda gratitudine a tutte le persone che mi hanno sostenuto
costantemente, i miei genitori, la nonna, Umberto, ed in particolare a Diego e alla mamma per
l’aiuto concreto che mi hanno fornito: grazie perché ho sempre potuto contare sulla vostra
fiducia e sul vostro affetto.
Marina