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Questo tipo di intervento, che viene definito orientato, è chiaramente adatto ai casi in
cui gli esiti attesi siano influenzati prevalentemente dalle competenze del Professionista (come
si dice, ad esempio, in situazioni di emergenza o con patologie che richiedano interventi
specialistici). In questi casi infatti egli è realmente l’esperto che sceglie, esegue, guida, risolve,
ecc.
L’intervento orientato mostra invece tutti i suoi limiti quando vengono affrontate
abitudini, comportamenti o stili di vita in cui le scelte, le capacità e tutto ciò che riguarda
l’intenzione e l’impegno per il cambiamento sono prevalentemente di competenza della
persona (Osterberg et al. 2005). In questi casi le persone sono disposte a modificare i propri
comportamenti prevalentemente in base alle loro scelte personali, e ovviamente queste
rappresentazioni e motivazioni possono essere, e spesso lo sono, anche assai lontane da quelle
che il Professionista giudica opportune.
I professionisti che intendano intervenire attivamente sul consumo di bevande alcoliche
nella popolazione generale si troveranno molto più spesso nella condizione di occuparsi di un
comportamento non definibile come “patologico” e quindi sentito dal paziente come una scelta
legata a decisioni “di sua competenza”, per le quali una modalità operativa esclusivamente
orientata (investigare, valutare, informare, consigliare) è sentita dalla persona come
inopportuna, ingiustificata e sostanzialmente fuori luogo. In tali circostanze impegnarsi in un
intervento esclusivamente orientato può spesso creare resistenze, tensioni o uno scontro con il
paziente che sente minacciata la propria libertà di scelta, con un conseguente allontanamento
relazionale.
In tutti i casi in cui l’intervento “orientato” si dimostra inefficace o insufficiente può
essere molto utile al Sanitario avere la capacità di modificare il proprio atteggiamento,
anteponendo a investigazioni, valutazioni e consigli, la capacità di comprendere accuratamente
la rappresentazione della situazione che ha il paziente, ossia di realizzare un intervento
centrato sulla persona. In tal modo si mette in atto necessariamente uno spostamento della
focalizzazione da un ambito tecnico-scientifico (conoscenze e competenze del Sanitario) ad un
ambito relazionale, basato su ascolto, comprensione ed empatia, dove le capacità personali di
condurre una relazione professionale di aiuto divengono indispensabili. Questo è ambito
specifico del Counseling Sanitario, o meglio ancora dell’utilizzo di alcune Abilità di Counseling in
ambito sanitario; attraverso modalità relazionali specifiche viene promossa la qualità della
relazione e facilitata l’esplorazione e la comprensione della situazione presentata dal paziente.
Secondo questo modello integrato di intervento il Professionista può perseguire quindi
due obiettivi differenti ma assolutamente complementari: da una parte deve saper costruire, in
base alle proprie conoscenze professionali, una propria “agenda” dei cambiamenti auspicabili
per la persona (ciò che la persona “dovrebbe” fare), e dall’altra deve saper comprendere,
utilizzando le proprie abilità relazionali, la situazione motivazionale del paziente ossia la sua
personale “agenda” (ciò che la persona “vorrebbe” fare).
Le differenze fra queste modalità relazionali sono abbastanza evidenti e chiare: un
intervento orientato è fondato sulle conoscenze professionali del Sanitario ed ha
prevalentemente la finalità di fornire informazioni e valutazioni, di offrire indicazioni pratiche e
consigli sul modo di affrontare le situazioni e di orientare attivamente verso l’apprendimento di
conoscenze e abilità. La comunicazione è prevalentemente assertiva; vengono proposte e
concordate azioni e si offrono opportunità pratiche. In questo genere di interazioni il
Professionista è “l’esperto che guida”. Le competenze richieste al Sanitario sono quindi
prevalentemente di tipo clinico-scientifico: la crescita e l’aggiornamento professionale avviene
attraverso l’apprendimento di conoscenze prevalentemente di carattere cognitivo.
Un intervento centrato sulla persona è invece fondato sulla capacità di comprendere il
punto di vista della persona e ha la finalità di far emergere le posizioni personali, le
rappresentazioni e i significati individuali. E’ quindi fondamentale l’ascolto, la comprensione e
la valorizzazione dei vissuti e delle esperienze soggettive. La comunicazione è prevalentemente
evocativa. Ogni percezione viene accolta per quello che è, senza giudizi o “correzioni”. In
questo caso il Professionista è il “facilitatore che ascolta”. Le competenze richieste al Sanitario
sono prevalentemente di tipo comunicativo-relazionale: il miglioramento delle capacità
professionali avviene in questo caso prevalentemente con processi di carattere esperienziale.
In consapevole abbinamento fra queste due competenze (clinica e relazionale) costituisce
la migliore premessa per un intervento efficace nel campo della modificazione dei
comportamenti e stili di vita non salutari e quindi anche nel campo del consumo di alcol.
Dall’interazione dialettica di questi due aspetti possono nascere infatti interventi più efficaci,
differenziati in relazione alle caratteristiche del paziente, utili dal punto di vista sanitario
(fondati sulle competenze professionali del Sanitario) e possibili (che il paziente può e vuole
attuare), come frutto di una negoziazione all’interno di un modello “collaborativo” di relazione.
2. Il Counseling Motivazionale Breve nella pratica
2.1. Creare (e/o mantenere) un buon clima relazionale. Se si considera che anche
la relazione è uno strumento professionale allora è evidente che un buon rapporto tra
Professionista e paziente è essenziale per la corretta comprensione del suo comportamento e
della sua motivazione al cambiamento. A questo fine è importante, oltre alle componenti legate
al setting (arredamento della stanza, privacy per il paziente, ecc.), curare gli aspetti di
comunicazione, sia non-verbale (cercare il contatto oculare con il paziente ed avere
atteggiamenti che indicano sincera attenzione ed interesse), sia verbale (evitare le “trappole” e
gli atteggiamenti negativi, ascoltare, comprendere, far dire alla persona cosa pensa, sente,
ecc.).
Un aspetto fondamentale della capacità di creare empatia consiste nel non essere
investigativo e nell’evitare di proporre subito ipotesi esplicative o soluzioni affrettate. In questa
fase il principale compito dell’operatore è quello di ascoltare o, al limite, di fare qualche
domanda, per avere maggiori dettagli, non in tono investigativo ma con curiosità. L’obiettivo
generale di creare un clima supportivo, centrato sul paziente, nel quale egli trovi facilità ad
esplorare i conflitti e fronteggiare le sue difficoltà, è spesso favorito dalla conoscenza del
paziente che il Sanitario può aver costruito nel tempo.
A tale scopo risulta evidente che affrontare “di petto” eventuali disaccordi o resistenze ne
induce il rafforzamento invece della diminuzione, producendo un peggioramento del clima
relazionale ed un abbassamento del livello di empatia. Nel counseling è fondamentale aiutare il
paziente a formarsi nuove percezioni piuttosto che discutere per contestare le sue o cercare di
imporgliene di nuove. E’ dunque inutile che l’operatore sanitario ribatta punto su punto le
obiezioni o gli spunti di resistenza che il paziente mette innanzi, ma piuttosto che cerchi di
canalizzare l’energia che la resistenza comporta al fine di trasformarla in una risorsa per
trovare nuove soluzioni. E’ dunque utile una conoscenza delle “trappole della comunicazione”.
Esistono modalità di interazione che indicano una difficoltà dello stabilirsi di una
relazione di fiducia. Queste modalità vengono definite trappole della comunicazione,
perché spesso creano difficoltà di comprensione, bloccano la creazione di una reale
alleanza e possono portare alla rottura della relazione. Occorre, quindi, prestare loro
particolare attenzione, soprattutto nei primi incontri.
Alcuni atteggiamenti suscitano resistenza nelle persone, altri inducono
atteggiamenti passivi. La resistenza verso le argomentazioni del Sanitario rende assai
difficile qualunque progresso nella direzione del cambiamento, anche se quest’ultimo
fosse nei pensieri del paziente: si potrebbe dire che la meta che si vorrebbe raggiungere
può diventare sgradevole se così è la persona che la indica. L’atteggiamento passivo
impedisce al paziente di utilizzare le proprie risorse e alimenta il suo disimpegno
nell’affrontare la propria situazione problematica
Molto spesso le trappole sono la conseguenza del desiderio sincero di voler
“correggere” situazioni, comportamenti, atteggiamenti, credenze, ecc. che possono
portare o stanno portando danni, sofferenze e conflitti al paziente. Sono quindi l’esito di
una propensione che di per sé è positiva, che spinge a cercare di affrontare direttamente
le difficoltà osservate. Non c'è proprio nulla di sbagliato in questa “buona intenzione”. Il
punto, però, è che così facendo non consideriamo che le persone hanno anche la
necessità di mantenere un proprio equilibrio (complesso e spesso faticoso) e che non
sempre (o non subito) sono convinte che il cambiamento sia necessario o possibile. Ogni
cambiamento, come processo che mette in crisi un equilibrio, comporta sempre costi, tra
cui paura e incertezza, relazioni diverse da prima, investimenti di tempo e denaro. Tutti
questi elementi spingono nella direzione contraria al cambiamento, alimentando cioè il
mantenimento dello status quo.
Le trappole causano spesso resistenza proprio perché non considerano l’effetto che
hanno le “buone intenzioni” del counselor sulla rappresentazione della situazione del
paziente. I tentativi di convincere i pazienti che hanno un problema, la continua
insistenza sui benefici legati al cambiamento, le indicazioni esplicite sui modi in cui i
pazienti dovrebbero cambiare, gli avvertimenti sulle conseguenze negative di un mancato
cambiamento sono tutte argomentazioni direttamente a favore del cambiamento. Esse
rischiano quindi di aumentare la resistenza, e quindi di ridurre, a loro volta, le probabilità
che si verifichi qualsiasi cambiamento. Se la resistenza dei pazienti aumenta occorre che
il Sanitario modifichi i propri atteggiamenti e le proprie modalità relazionali. L'obiettivo è
quello di minimizzare la resistenza, senza contrastarla in modo attivo ed anzi evitando di
rafforzarla con definizioni rigide e unilaterali delle difficoltà dei pazienti. Tutti gli
atteggiamenti che hanno la probabilità di accrescere la resistenza vanno quindi evitati
perché hanno l’effetto di trasmettere (spesso involontariamente) una svalutazione del
paziente e/o una esagerata autovalutazione dell’operatore, di ostacolare l’instaurarsi di
una relazione di fiducia, di spingere la persona ad allontanarsi, a chiudersi, a difendersi.
Il modello degli stadi del cambiamento di Prochaska e DiClemente (8) è tra i punti
di riferimento più noti e rilevanti negli interventi legati alla cessazione del fumo. Gli stadi
del cambiamento descrivono l’aspetto temporale della disponibilità al cambiamento.
Secondo questo modello il cambiamento non è un fenomeno del tipo “tutto o niente” ma
un processo graduale che attraversa specifici stadi, seguendo un percorso ciclico e
progressivo, descrivibile facilmente e sul quale si può agire intenzionalmente con attività
opportune. Questo modello, applicabile ai comportamenti umani in generale, è stato
concepito proprio osservando quanto accade normalmente ai fumatori nel processo
decisionale che porta ad abbandonare la sigaretta (9).
E’ importante sottolineare che in ogni stadio l’intervento di counseling si dimostra
efficace. Il compito del Professionista è quello di riuscire ad accelerare questo percorso e
ad aiutare la persona a progredire nel processo, accompagnandola se possibile fino alla
decisione di abbandonare il fumo di sigaretta, e anche successivamente, per consolidare
e rendere duratura questa decisione.
• Per prima cosa occorre quindi prendere atto, rispettosamente, della posizione della
persona (constatare serenamente che non c’è accordo fra Professionista e paziente),
cercando di far capire che si è compreso il suo punto di vista e le sue “resistenze” al
cambiamento (una riformulazione di quanto detto dal paziente è molto utile in questo
caso).
• E’ utile chiedere al paziente quali sono state le sue personali “buone ragioni” per
provare ad attuare questa scelta e rinforzare questa decisione offrendo sostegno attivo,
informazioni ed eventuali consigli.
In tutti le situazioni sopra elencate è utile ricordare che lo spirito collaborativo promosso
dai principi e delle abilità di base del Counseling Motivazionale possono essere di grande
aiuto per ottenere il risultato di concordare con il paziente interventi più efficaci,
differenziati in relazione alle sue caratteristiche, utili dal punto di vista sanitario (fondati
sulle competenze professionali del Sanitario) e possibili (che il paziente può e vuole
attuare), come frutto di una negoziazione all’interno di un modello “collaborativo” di
relazione.
3. Abilità di base del Counseling Motivazionale Breve
Negli interventi sul consumo di alcol, così come in tutti gli altri interventi che riguardano
comportamenti o stili di vita non salutari, per facilitare la “centratura sulla persona” e
agevolare l’espressione delle motivazioni personali al cambiamento al MMG può essere utile la
conoscenza e la pratica di alcune abilità di base del Counseling Sanitario Motivazionale:
1. la capacità di Evocare (Fare domande, Chiedere), utilizzando le Domande Aperte,
2. la capacità di Elaborare (Ascoltare, Comprendere), utilizzando le Riformulazioni
3. la capacità di Sostenere (incoraggiare l’empowerment), utilizzando i rinforzi positivi.
3.1. Evocare. Ai fini pratici ed operativi le domande si possono dividere grosso in due
categorie a seconda dell’effetto che hanno sulle persone a cui sono rivolte: Domande Chiuse e
Domande Aperte.
Le Domande Chiuse sono domande che permettono una risposta breve e non stimolano
la conversazione. Generalmente producono risposte del tipo sì/no o che restituiscono
informazioni puntuali che descrivono cioè di ciò che è, ossia fatti e contenuti che hanno un
carattere di evidenza (chi, quando, dove, quanto, ecc.). In questo modo, forniscono
informazioni puntuali ma non sono adatta ad esplorare i vissuti, le rappresentazioni e le
motivazioni della persona, limitando l’orizzonte della conversazione ai fatti certi. Le domande
chiuse sono utili in questa direzione e non sono ovviamente da bandire; occorre
semplicemente ricordare che sono poco utili, quando è opportuno comprendere il punto di vista
del paziente rispetto ad una situazione o a un cambiamento che si prospetta.
Oltre alle Domande Chiuse in senso grammaticale (ossia le domandi a cui si può e
deve rispondere solo Sì o No) fanno parte delle domande chiuse anche le domande
informative, ossia quelle domande che richiedono informazioni e dati precisi.
Il medesimo effetto pratico delle domande chiuse è riscontrabile in altri tipi di
domande, come le domande alternative (Succede questo…, oppure questo…?) che non
sembrano essere buoni strumenti per favorire l’esplorazione in quanto comunicano che le
possibilità di risposta sono decise dal Professionista e non dalla persona; quest’ultima
viene quindi escluso dalla possibilità di decidere i percorsi e i passaggi logici del dialogo
e, in certi casi, dell’intervento.
Per converso anche le domande generiche (troppo aperte, ad es. Cosa mi dice
oggi…? Cosa ne pensa del consumo di bevande alcoliche?), non facilita la conversazione
in quanto non consentono di capire dove il MMG vuole arrivare facendo supporre che
quest’ultimo abbia “secondi fini” e un controllo occulto del dialogo.
Infine le domande indagatorie, che iniziano con “perché, come mai, per quale
ragione” sembrano limitare le capacità di espressione in quanto fanno riferimento ad una
causalità rigida e sembrano nascondere un atteggiamento giudicante o di critica; in
generale contrastano con un clima di apertura e di accettazione.
Le Domande Chiuse sono d’altro canto assai utili quando è necessario “stringere” i
tempi, arrivare ad una definizione chiara dei vincoli, fissare punti fermi nella discussione.
Le Domande Aperte sono domande alle quali non si può rispondere sbrigativamente o con
un si/no e, quindi, incoraggiano l’interlocutore a parlare diffusamente della propria situazione.
La caratteristica distintiva delle domande aperte è che interrogano su una “qualità”
dell’esperienza della persona, sul “significato personale” di un avvenimento, sulle
caratteristiche di un “vissuto”.
Le Domande Aperte iniziano quindi con alcuni avverbi o pronomi interrogativi
(cosa, come, quale, in che modo, in che senso, ecc.) orientati alla esplorazione della
qualità dell’esperienza. Ricordiamo che pur iniziando con avverbi o pronomi interrogativi,
non sono domande aperte, bensì domande informative (chiuse), le domande relative alla
identità o ad altre caratteristiche (chi, quanto, quando, dove).
Le domande aperte hanno l’effetto di convogliare sulla persona l’attenzione
dell’operatore e il focus dell’intervento (sono quindi domande centrate sulla persona).
Esse sono un mezzo per mantenere il contatto, stimolando la conversazione e
l’approfondimento dei temi.
All’interno dello spirito del Counseling Sanitario Motivazionale le domande aperte
sono una ottima chiave di entrata nei temi relativi ai comportamenti e stili di vita non
salutari e, se sostenute da una adeguata capacità di riformulazione, consentono di
esplorare gli aspetti legati alla motivazione al cambiamento in modo utile e produttivo.
3.2. Elaborare. Esiste un’altra abilità relazionale, ancora più efficace delle Domande
Aperte, per centrare la relazione sulla persona: consiste nel restituire (ossia in pratica “dire di
riflesso” al paziente) ciò che si è compreso di quello che egli ha affermato. Questo modello di
interazione, tecnicamente, viene chiamato Riformulazione: consiste nel dare una “feedback”
diretto al paziente di quello che si è compreso, in forma di “descrizione” (ossia come una
affermazione, non come una domanda).
Se adeguata, la riformulazione è molto empatica, perché la persona si sente compresa.
Anche se non è ben centrata diventa un errore utile perché invoglia la persona a spiegare la
differenza tra ciò che aveva in mente e quello che il Professionista ha compreso, stimolando
quindi la persona a spiegarsi meglio.
Per evitare le Trappole della comunicazione o per uscirne se necessario, per invogliare la
persona a dire di più, a farsi comprendere meglio e magari parlare dei propri aspetti
motivazionali in relazione al cambiamento, è molto utile quindi, come già ricordato, conoscere
abilità relazionali che consentano di affiancare all’essere “orientato” anche la capacità di
“centrarsi sulla persona”.
La modalità relazionale in assoluto più centrata sulla persona, in cui il soggetto è l’altro, è
la Riformulazione, in cui il Professionista formula una ipotesi su cosa la paziente vuole dire e
gliela propone sotto forma di affermazione (ipotetica). E’ molto importante che questa
restituzione sia formulata, in qualche modo, in veste ipotetica: non possiamo in effetti sapere
se abbiamo davvero compreso il significato che aveva in mente la persona. La riformulazione
non può e non deve quindi essere assertiva, né celare un atteggiamento valutativo (del tipo: io
ti dico che questa cosa è questo). La riformulazione è un tentativo del Professionista di
ricrearsi una rappresentazione fedele di un qualcosa che sta nella testa dell’altro. Questo
processo funziona, sia che io abbia colto il significato sia che abbia “sbagliato”, perché
trasmette sia il desiderio di comprendere sia l’esito, per forza approssimativo, di questo
desiderio.
Possiamo in sintesi dire che le Riformulazioni sono la comunicazione di una ragionevole
supposizione sul significato delle parole del paziente, restituita dal Professionista sotto forma di
affermazione, una descrizione “di riflesso” alla persona del contenuto della sua comunicazione.
Diviene in tal modo un tentativo di comprensione, restituita con attenzione dal Professionista,
e ha l’effetto di comunicare accettazione, ascolto ed empatia.
Occorre prestare molta attenzione nel sostenere in quanto, se il Professionista non fonda
l’intervento su elementi realistici e riferiti specificatamente alla persona e alla sua condizione
(che egli stesso ha dunque descritto e in cui crede), corre il rischio di offrire banali
rassicurazioni che hanno l’effetto di minimizzare e svalutare le difficoltà e ostacolare il
mantenimento di un buon clima relazionale (trappola della consolazione). Occorre sottolineare
infine che importanti ricerche internazionali hanno dimostrato che l’utilizzo di queste abilità di
base accrescono il livello di collaborazione, sono particolarmente efficaci nel promuovere
elementi motivazionali, accrescono la percezione di autonomia, promuovono l’empatia e
producono un sufficiente orientamento verso la risoluzione delle situazioni problematiche
(Apodaca et al. 2009).
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