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Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università degli Studi di Foggia

Chirurgia Generale I
Chirurgia Generale II
Chirurgia Generale III
Chirurgia Generale IV
Chirurgia d’Urgenza

Prof. Vincenzo Neri


Prof. Giuseppe Giordano
Prof. Antonio Ambrosi

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CLASSIFICAZIONE INTERVENTO CHIRURGICO
 Intervento Chirurgico d’Elezione o Programmato: c’è tutto il tempo a disposizione per
poter studiare il pz con le indagini diagnostiche più opportune, valutando sia la patologia di base da
trattare chirurgicamente, sia la presenza di eventuali altre patologie che se trascurate possono
provocare complicanze intra o postoperatorie, tali da rendere inutile l’intervento e impedire la
guarigione del pz. In tal caso il pz viene portato in sala operatoria nelle migliori condizioni per poter
superare lo stress operatorio ed evitare le complicanze.
 Intervento Chirurgico d’Urgenza immediata nel caso di pz in gravi condizioni
(politraumatizzati gravi) oppure urgenza differibile se c’è un po’ di tempo per studiare il pz
(occlusione intestinale non complicata). Le situazioni d’urgenza sono ad alto rischio di mortalità.
Inoltre, possiamo fare una distinzione tra:
- intervento di chirurgia maggiore: si interviene su più organi, ↑↑ stress chirurgico, alto rischio di
mortalità.
- intervento di chirurgia minore: si interviene solo sull’organo interessato (colecistectomia).
In base al grado di contaminazione possiamo fare una distinzione tra:
- intervento chirurgico pulito: rischio di infezione molto basso (colecistectomia per via video-
laparoscopica).
- intervento chirurgico contaminato: si agisce su visceri cavi potenzialmente sterili (stomaco,
colecisti) con possibilità di complicanze infettive.
- intervento chirurgico sporco: intervento a cielo aperto con alto rischio di complicanze settiche.
Inoltre, abbiamo L’intervento diagnostico come la laparoscopia esplorativa: consente di
osservare tutti i visceri addominali e di valutare le strutture interessate da una patologia.
Dal punto di vista Oncologico si fa una distinzione tra:
 Intervento Chirurgico Radicale: tumori nelle fasi iniziali, in assenza di metastasi linfonodali e a
distanza, è un intervento di tipo curativo perchè si asporta la massa neoplastica + una parte di
tessuto sano adiacente come margine di sicurezza oncologica per evitare che cellule neoplastiche
residue possano le recidive e metastasi con morte del soggetto + linfoadenectomia in caso di
metastasi linfonodali. E’ un intervento radicale dal punto di vista chirurgico e oncologico, con
grosse probabilità di guarigione per il pz.
 Intervento Chirurgico Palliativo: tumori nelle fasi avanzate con metastasi a distanza per cui è
inutile ricorrere ad un intervento ampiamente demolitivo, per cui si tratta di un intervento radicale
dal punto di vista chirurgico ma non oncologico.
L’Intervento chirurgico rappresenta un momento di grande stress per il pz per cui è molto
importante la fase di preparazione del pz all’intervento chirurgico o fase pre-operatoria.
La prima tappa della fase preoperatoria è la Visita Preoperatoria che si basa sull’anamnesi,
esame obiettivo, esami di routine preoperatoria, cioè indagini di laboratorio e strumentali.
 Anamnesi: raccolta accurata di tutte le informazioni che riguardano la storia clinica del pz, può
essere fisiologica, familiare, patologica remota e prossima.
 Esame Obiettivo: esame fisico del pz che si basa su 4 tappe, cioè ispezione, palpazione,
percussione, auscultazione.
Le indagini di routine preoperatoria sono:
 Indagini di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria, Hb, HCT, fx
renale, fx epatica...
 Rx Torace: fx respiratoria, patologie in atto o silenti clinicamente dell’apparato respiratorio.
 Consulenza Cardiologica, ECG, Ecocardiografia: per valutare la fx cardiocircolatoria, presenza
di patologie cardiache in atto o silenti clinicamente o pregresse.
La legge impone il Consenso Informato per evitare guai dal punto di vista medico-legale: cioè
occorre stabilire un buon rapporto di fiducia medico-pz, il medico deve descrivere in maniera
semplice la patologia di cui soffre il pz, le strategie terapeutiche e i risultati, cioè vantaggi e
svantaggi della tecnica chirurgica, possibilità di successo o di complicanze intra o post-operatorie.

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Infatti, la visita preoperatoria consente di valutare tutti i fattori di rischio e a quale classe di rischio
appartiene un pz: il Rischio Operatorio è la probabilità che nel periodo intra e postoperatorio
possano verificarsi delle complicanze tali da compromettere l’efficacia dell’intervento e la
guarigione del pz.
Tra i Fattori di Rischio abbiamo:
─ Età del pz: il pz anziano è ad “alto rischio chirurgico” perché è psico e immuno-depresso,
povero di riserve, denutrito, lento nel recupero, si adatta poco allo stress operatorio, tenendo conto
che in genere presenta un decadimento fisiologico della fx respiratoria, cardiocircolatoria, renale,
epatica, osteo-articolare...
─ Tipo di intervento: l’intervento di chirurgia maggiore e d’urgenza sono ad alto rischio.
─ malattie cardiovascolari, respiratorie, renali, nutrizionali.
Il RISCHIO CARDIOVASCOLARE è alto nei pz che hanno avuto un infarto acuto del miocardio
(IMA), insufficienza cardiaca, ipertensione arteriosa, tromboembolie.
L’Infarto del Miocardio nella maggior parte dei casi si riscontra nei pz anziani che devono essere
sottoposti ad intervento chirurgico, con mortalità pari al 70% dei casi, rispetto ai soggetti anziani
con cuore sano con mortalità pari al 26%.
Il rischio di recidiva cioè di un nuovo infarto, dipende dall’intervallo di tempo tra il primo infarto e
il momento in cui il soggetto viene sottoposto all’intervento chirurgico e che è tanto più basso
quanto più questo intervallo di tempo è alto: il rischio di recidiva è del 37% se il soggetto viene
sottoposto ad intervento chirurgico dopo 3 mesi dal primo infarto, scende al 11-16% se l’intervallo
di tempo è di 4-6 mesi, scende ulteriormente al 4-7% se l’intervallo di tempo è > 6 mesi.
L’Insufficienza Cardiaca, frequente nei soggetti anziani, spesso dovuta a cardiopatia ipertensiva,
cardiopatia ischemica, cardiomiopatia dilatativa, scompenso cardiaco da cuore polmonare cronico o
IMA, alterazioni del ritmo e della conduzione (aritmie), responsabili di alterazioni emodinamiche,
insufficienza circolatoria acuta post-operatoria che può essere aggravata dall’edema polmonare
acuto. Nel periodo intraoperatorio l’assistenza anestesiologica consente di ottenere una buona
stabilità emodinamica, ma bisogna stare attenti alle complicanze post-operatorie che dipendono
dalla gravità della cardiopatia, tipo di intervento e durata dell’anestesia.
Nei pz con Ipertensione Arteriosa bisogna continuare la terapia antipertensiva fino al giorno
dell’intervento per migliorare la stabilità emodinamica durante l’intervento stesso.
Altri fattori di rischio sono: le alterazioni dell’emostasi e coagulazione con alto rischio di
emorragie intra e postoperatorie oppure di tromboembolie fino alla CID o coagulazione
intravascolare disseminata (grave coagulopatia).
I pz ad alto rischio di tromboembolie sono: pz affetti da epatopatie croniche (cirrosi epatica),
nefropatie croniche, coagulopatie primitive e secondarie, varici degli arti inferiori, interventi
chirurgici ortopedici, ginecologici, prostatici che costringono il pz a stare immobile a letto per
lunghi periodi di tempo.
E’ importante la profilassi eparinica e il monitoraggio dei parametri emocoagulativi per valutare
l’efficacia della terapia, cioè si controlla:
- tempo di protrombina PT o tempo di Quick: per valutare la presenza di deficit della via comune
ed estrinseca della coagulazione cioè il deficit dei fattori della coagulazione V, VII, X, protrombina
e fibrinogeno.
- tempo di tromboplastina parziale PTT: per valutare la presenza di deficit della via comune ed
intrinseca della coagulazione.
La PROFILASSI EPARINICA si basa sulla somministrazione di 0,2 ml eparina calcica 2 volte/die
prima dell’intervento e per 4-5 gg nel periodo postoperatorio oppure fino a quando il pz non sarà in
grado di alzarsi dal letto. In genere, si somministra eparina calcica alla dose di 5000 UI due h prima
dell’intervento e poi ogni 8-12 h dopo l’intervento, fino a quando il pz non sarà in grado di alzarsi
dal letto.
Bisogna stare attenti alle emorragie acute tenendo conto della quantità di sangue che viene perso e
della velocità con cui viene perso fino allo shock ipovolemico e ipoperfusione degli organi vitali
con insufficienza cardiaca, renale, epatica e cerebrale, con morte del pz se non si interviene subito.

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SCORE SYSTEM di GOLDMAN
(analisi multifattoriale del rischio operatorio)

Lo Score System di Goldman consiste nell’assegnare un punteggio ad una serie di parametri che si
ottengono mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo, le indagini di laboratorio e strumentali, tipo di
intervento chirurgico ed altri fattori, ottenendo 4 classi di rischio crescente di complicanze
cardiovascolari, come la morte improvvisa da arresto cardiaco, IMA, edema polmonare acuto... per
cui si parla di analisi multifattoriale del rischio operatorio o score system di Goldman.
Vediamo quali sono questi parametri e il punteggio che si assegna a ciascuno di essi:

Anamnesi: - età > 70 anni. 10


- IMA < 6 mesi prima dell’intervento. 10
- IMA > 6 mesi prima dell’intervento. 5
Esame Obiettivo:
- III tono all’auscultazione cardiaca 11
(insuff. mitralica o aortica, difetti del setto ventricolare o atriale)
- stenosi aortica
(pz anziano con ipertensione arteriosa sisto-diastolica 3
o prevalentemente sistolica).
ECG: - fibrillazione ventricolare da IMA . 7
- extrasistoli ventricolari/min > 5 da IMA. 7
Dati di Laboratorio:
- PaO2 < 60 mmHg (ipossiemia). 3
- PaCO2 > 50 mmHg. 3
- azotemia > 15 mg/dl 3
- creatininemia > 3 mg/dl. 3
- HCO3- < 20 mEq/l. 3
Tipo di intervento:
- urgenza. 4
- d’elezione toracico o addominale. 3
Si ottengono 4 classi di rischio:
- classe I: 0-5 punti
- classe II: 6-12 punti
- classe III: 13-25 punti
- classe IV: oltre 26 punti.

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Il RISCHIO RESPIRATORIO è alto nei pz fumatori e nei pz che già presentano problemi
respiratori prima dell’intervento, come bronchite cronica, asma bronchiale, perché l’intervento
chirurgico e l’anestesia possono provocare ulteriori alterazioni dei volumi polmonari e dei flussi
respiratori.
Infatti, la laparotomia mediana provoca una < del 45% CV per 1-2 gg, gli interventi all’addome
superiore provocano una < di oltre il 60% del VRE, gli interventi all’addome inferiore provocano
una < di oltre il 25% del VRE.
La CFR e la VEMS o FEV1 subiscono una < alla 16^ h post-operatoria.
Gli interventi all’addome superiore e al torace inferiore provocano una < del VC o volume corrente
dovuto alla disfunzione del diaframma, dolore inspiratorio e deficit del riflesso della tosse che è ad
alto rischio di complicanze broncopolmonari post-operatorie perché favorisce il ristagno delle
secrezioni nell’albero bronchiale, con conseguente bronchite, polmonite, atelectasie polmonari, fino
all’insufficienza respiratoria, tenendo conto che l’anestesia provoca delle modificazioni respiratorie:
- anestesia generale: azione centrale depressiva e azione periferica sui bronchi con
broncocostrizione, < attività miocardica.
- anestesia loco-regionale, spinale ed epidurale: paralisi dei muscoli addominali con
vasodilatazione periferica e < del ritorno del sangue venoso al cuore.
Nel periodo post-operatorio il pz può andare incontro a ipossia (ridotta utilizzazione di O2 da parte
dei tessuti legata al dolore), bronchite, polmonite da riflesso della tosse inefficace.
Per cui bisogna studiare il pz nel periodo pre-operatorio con un Rx del torace, spirometria,
l’emogasanalisi, ricorrendo alla terapia antibiotica in presenza di infezioni batteriche e farmaci
mucolitici per rendere più fluide le secrezioni bronchiali e facilitare la loro espulsione con la tosse.
Dal punto di vista anestesiologico è preferibile l'anestesia generale con intubazione endotracheale e
ventilazione meccanica assistita.
Il RISCHIO RENALE deve essere valutato in tutti i pz chirurgici: l’insufficienza renale acuta post-
operatoria è ad alto rischio di mortalità specialmente nei pz anziani che presentano un decadimento
fisiologico della fx renale, oppure che presentano patologie dell’apparato renale prima
dell’intervento.
Un altro fattore di rischio è il DIABETE MELLITO che è una sindrome dismetabolica ereditaria a
patogenesi multifattoriale di competenza medica ma spesso richiede l’intervento chirurgico perché i
soggetti diabetici sono predisposti a varie malattie: ulcera peptica gastro-duodenale, pancreatite
acuta e carcinoma pancreatico, cirrosi epatica, retinopatie fino alla cecità, nefropatie con
insufficienza renale grave fino a richiedere l’emodialisi, cardiopatie, dislipidemie e
ipercoagulabilità del sangue con rischio di aterosclerosi, microangiopatie con ispessimento della
membrana basale dei capillari, alterazione della permeabilità della parete capillare, del trofismo
cellulare e deficit dei processi di riparazione dei vasi.
I pz diabetici sono più sensibili alle infezioni batteriche e fungine e possono andare incontro a
neuropatie sensitivo-motorie e neurovegetative con deficit dei movimenti dei muscoli esofagei,
gastro-enterici e urogenitali, con conseguente disfagia, atonia gastro-enterica, diarrea, difficoltà alla
minzione...
Quindi il pz diabetico è un soggetto ad alto rischio chirurgico: è necessaria la collaborazione tra il
diabetologo e il chirurgo, monitorando prima e dopo l’intervento glicemia, glicosuria, azotemia ed
altri parametri importanti, perchè lo stress chirurgico può favorire una crisi iperglicemica da
iperincrezione di adrenalina e cortisolo a livello surrenale oppure una crisi ipoglicemica da digiuno
prolungato.
La MALNUTRIZIONE è tipica dei pz anziani, anoressici, diabetici, pz che prima dell’intervento
sono sottoposti ad indagini strumentali che richiedono il digiuno assoluto e spesso dopo l’intervento
restano a digiuno per molte ore e vengono nutriti per via parenterale.
Per valutare lo stato di nutrizione del pz si valutano le proteine totali e il rapporto tra massa magra
proteica e massa grassa adiposa osservando lo spessore della cute del braccio (plica cutanea).
L’Immunodepressione Congenita o Acquisita (AIDS) sono ad alto rischio di mortalità
perioperatoria.

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VALUTAZIONE del RISCHIO ANESTESIOLOGICO
La Società Americana di Anestesiologia ASA (American Society of Anestesiology) ha stabilito
che esistono 5 classi di rischio anestesiologico crescente, tenendo conto che l’intervento chirurgico
rappresenta un momento di grosso stress per l’organismo umano.
Bisogna stabilire a quale classe di rischio appartiene il pz mediante:
- Anamnesi accurata del pz patologica remota e prossima, valutando la presenza di patologie
congenite o acquisite, se il pz ha il diabete o l’ipertensione arteriosa, interventi chirurgici pregressi.
- Esami di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria.
- Rx del Torace e consulenza cardiologica con ECG ed Ecocardiografia sono utili per la diagnosi di
patologie respiratorie e cardiocircolatorie in atto, oppure silenti clinicamente o pregresse.
Secondo la Classificazione ASA abbiamo 5 classi di rischio anestesiologico:
 Classe ASA I: pz sano, in buone condizioni generali, giovane-adulto, cioè si tratta di una
classe di rischio generica, legata solo all’intervento chirurgico perché si tratta di pz che non sono
affetti da patologie organiche o sistemiche gravi.
 Classe ASA II: pz che presentano una lieve malattia sistemica senza nessuna limitazione
funzionale, cioè che non compromette la normale attività del pz.
Ad esempio, si tratta di un pz affetto da una bronchite cronica, oppure un pz con obesità moderata,
diabete ben controllato con la terapia medica, infarto miocardico di vecchia data, ipertensione
arteriosa moderata e tenuta sottocontrollo con la terapia farmacologica antipertensiva.
 Classe ASA III: pz che presentano una patologia sistemica grave con limitazione funzionale
di grado moderato, cioè affetti da una patologia sistemica grave ma non invalidante.
Ad esempio, si tratta di un pz affetto da angina pectoris ben controllata dalla terapia, diabete
insulino-dipendente, obesità di tipo patologica, insufficienza respiratoria moderata.
 Classe ASA IV: pz che presentano una patologia sistemica grave, invalidante, che
rappresenta un pericolo costante per la sopravvivenza del pz.
Ad esempio, si tratta di un pz affetto da insufficienza cardiaca severa, angina pectoris “instabile”
poco sensibile al trattamento, insufficienza respiratoria, renale, epatica o endocrina di grado
avanzato, cioè si tratta di pz che devono essere tenuti sottocontrollo e che necessitano di terapia
continua per sopravvivere.
 Classe ASA V: pz moribondo, la cui sopravvivenza non è garantita per 24 h, con o senza
l’intervento chirurgico, ad esempio un pz politraumatizzato grave in stato di shock o coma, oppure
con infarto intestinale o un’altra situazione chirurgica d’urgenza, con poche possibilità di
sopravvivenza per il pz.
Per questo motivo è molto importante conoscere tutti i fattori di rischio e a quale classe di rischio
appartiene il pz, riferendo il tutto al pz e ai familiari in modo da evitare dei problemi dal punto di
vista medico-legale.

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Profilassi Preoperatoria
E’ importante per la preparazione del pz all’intervento chirurgico.
1) PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA per evitare le complicanze tromboemboliche nel
periodo post-operatorio: infatti, lo stress chirurgico sposta l’equilibrio tra coagulazione e fibrinolisi
verso la coagulazione favorendo l’insorgenza di tromboembolie in presenza di alcuni fattori di
rischio tromboembolici, cioè varici degli arti inferiori, obesità, interventi sul piccolo bacino con
interessamento dei vasi pelvici, interventi chirurgici ginecologici, prostatici, ortopedici che
costringono il pz a stare fermo e immobile per lunghi periodi di tempo a letto.
La Profilassi Antitromboembolica si basa soprattutto sulla somministrazione di eparina calcica
alla dose di 5000 UI due ore prima dell’intervento ed ogni 8-12 h nel periodo postoperatorio,
oppure eparina sodica a basso PM alla dose di 5000 UI per 7-15 gg dopo l’intervento, tenendo
conto che si tratta di farmaci molto maneggevoli e che agiscono efficacemente anche con una sola
dose giornaliera, essendo farmaci a lento assorbimento.
Inoltre, è importante che il pz si alzi dal letto entro 24-36 h dopo l’intervento, oppure bisogna
aiutare il pz a muovere le gambe per favorire la circolazione ed evitare il ristagno del sangue.
A tal proposito la chirurgia laparoscopica è quella più favorevole perché abbiamo un decorso post-
operatorio migliore, tanto che il pz in alcuni casi può ritornare a casa già dopo 24-36 h dopo
l’intervento, come nel caso della colecistectomia non complicata.
2) PROFILASSI RESPIRATORIA avviene con indagini di routine preoperatoria cioè l’Rx del
Torace, per individuare patologie dell’apparato respiratorio in atto o silenti clinicamente.
I “pz più a rischio“ sono quelli che già prima dell’intervento presentano patologie dell’apparato
respiratorio, cioè affetti da bronchite cronica, asma bronchiale e i soggetti fumatori perché il fumo
di sigaretta è il principale responsabile delle complicanze bronco-polmonari postoperatorie.
- il soggetto fumatore deve smettere di fumare da almeno 15 gg prima dell’intervento.
- assumere farmaci mucolitici per rendere più fluide le secrezioni bronchiali, evitando il ristagno nei
bronchi, favorendo la loro eliminazione, evitando bronchiti, polmoniti, atelectasie...
- analgesici contro il dolore postoperatorio perché questo provoca una < dei movimenti del muscolo
diaframma, della meccanica ventilatoria, favorendo le complicanze bronco-polmonari.
- il fisioterapista (nei grossi centri) prima dell’intervento fa svolgere al pz alcuni esercizi di
ginnastica respiratoria (gonfiare palloncini o soffiare in una bottiglia con cannuccia), che poi
ritorneranno utili dopo l’intervento per ripristinare la meccanica respiratoria, i movimenti del
diaframma e l’espansione dei polmoni.
3) PROFILASSI ANTIBIOTICA: importante per evitare le complicanze infettive (shock settico).
- il pz deve giungere in sala operatoria pulito.
- si disinfetta la cute con soluzioni antisettiche nel punto in cui avverrà l’incisione chirurgica e si
asciuga tamponando con un panno sterile e non strofinando per evitare di ricontaminare la zona
appena disinfettata da parte dei batteri presenti sulla cute adiacente alla zona di incisione, tenendo
conto che la ferita chirurgica rappresenta la via principale di ingresso dei microrganismi presenti
nell’aria e sulla cute (Staphylococcus epidermidis, Pseudomonas aeruginosa) responsabili di
infezioni opportunistiche.
- eseguire la depilazione nella sede di incisione con cautela evitando abrasioni o piccole ferite
cutanee che possono favorire l’ingresso dei microrganismi.
- cateteri e tubi di drenaggio devono essere sterili e devono essere rimossi dopo 36 h al massimo
perché possono veicolare microrganismi responsabili di infezioni opportunistiche.
- somministrare antibiotici ad ampio spettro d’azione 1-2 h prima dell’intervento per ottenere la
massima efficacia nel periodo operatorio.
La profilassi antibiotica è obbligatoria nel caso degli interventi sporchi con apertura del torace o
dell’addome, nel caso degli interventi contaminanti cioè quando si interviene su visceri cavi
potenzialmente sterili come lo stomaco e la colecisti ed è obbligatoria anche nel caso degli
interventi puliti nelle sale operatorie di chirurgia universitaria perché spesso sono superaffollate da

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chirurghi, infermieri, specializzanti e studenti, ecco perché è importante entrare in sala operatoria
muniti di camice, guanti, scarpe e cappellini sterili.
Inoltre, nel caso di interventi sull’apparato gastro-enterico è importante la dieta prima
dell’intervento, ricca di fibre, in modo da ridurre la massa fecale, poi si ripulisce l’intestino con
soluzioni lassative o clisteri, evitando che all’apertura dell’addome e del peritoneo ci sia la
contaminazione del peritoneo con peritonite acuta e shock settico, ad alto rischio di mortalità.
- stare attenti alla deiscenza postoperatoria cioè all’apertura dell’anastomosi, con passaggio del
contenuto intestinale nel cavo peritoneale che richiede un intervento chirurgico d’urgenza.
Le anastomosi eseguite con le suturatrici meccaniche o Stappler sono a basso rischio di deiscenza
rispetto alle suture eseguite manualmente.
Decorso Postoperatorio
Il Decorso Postoperatorio comincia dal momento in cui il pz viene esce dalla sala operatoria:
- è preferibile che il pz esca dalla sala operatoria in posizione semiseduta perché favorisce la
ventilazione, cercando di evitare le complicanze broncopolmonari.
- controllo dei principali segni vitali: P arteriosa, frequenza cardiaca, stato di coscienza del pz,
presenza del riflesso della tosse che è un importante meccanismo di difesa per evitare il ristagno
delle secrezioni nell’albero bronchiale e le complicanze broncopolmonari.
- controllare i drenaggi intratoracici e intraddominali che consentono di valutare la presenza di
emotorace ed emoperitoneo: si controlla se la busta collegata al tubo di drenaggio è piena o vuota
ma se è vuota non è detto che il pz non abbia emotorace o emoperitoneo, bisogna stare attenti
perché il tubo di drenaggio può essere piegato impedendo il deflusso del liquido e il riempimento
della busta, oppure il pz ha assunto un decubito sbagliato comprimendo il tubo di drenaggio con il
suo peso, oppure il tubo è ostruito da coaguli di sangue che devono essere rimossi aspirando il
liquido, senza iniettare soluzioni che potrebbero veicolare germi responsabili di gravi infezioni.
- controllare il dolore post-operatorio perché rappresenta un ulteriore fonte di stress per il pz e <
notevolmente i movimenti dei muscoli respiratori, in particolare del muscolo diaframma, favorendo
l’insorgenza delle complicanze broncopolmonari. Per cui si aggiungono farmaci analgesici nella
flebo per avere un’azione più rapida e duratura nel tempo.
- prelievo di sangue con esame emocromocitometrico con formula leucocitaria in modo da valutare
la presenza di infezioni (leucocitosi neutrofila), anemia (< Hb) mentre l’HCT (indice diretto della
volemia) + controllo della diuresi consente di valutare lo stato di idratazione del pz, per correggere
tempestivamente un eventuale squilibrio idro-elettrolitico.
Si controlla la fx renale, fx epatica, si controllano le proteine totali presenti nel siero, in particolare
l’albumina plasmatica.
- diuresi post-operatoria: può essere spontanea o indotta dal catetere: nel periodo post-operatorio è
molto utile la diuresi oraria, rispetto a quella delle 24 h, perché consente di valutare costantemente
lo stato di idratazione del pz in rapporto alla quantità di liquidi che si reinfondono.
- misurare la T°C corporea: in genere la febbricola indica lo stato di sofferenza e di stress del pz che
deve ancora recuperare la condizione fisica ottimale dopo l’intervento, mentre la presenza di febbre
alta (> 38°C) indica la presenza di una complicanza infettiva che deve essere tenuta sottocontrollo
mediante terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione.
In base allo stato generale del pz, si stabilisce se il pz può tornare ad alimentarsi regolarmente
oppure se ricorrere alla nutrizione per via parenterale totale (NPT).
- controllare la ferita chirurgica per verificare eventuali riaperture, eseguendo un’accurata
medicazione della ferita per favorire la cicatrizzazione ed evitare le infezioni.
- si invita il pz a muoversi per favorire la circolazione del sangue.
- si controlla la canalizzazione dell’intestino alle feci e ai gas per valutare la presenza di
subocclusioni od occlusioni intestinali.
- si rimuovono i cateteri, tubi di drenaggio, sondino naso-gastrico, perché questi perdono la loro
sterilità e possono favorire l’insorgenza delle infezioni.

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BILANCIO e RIEQUILIBRIO IDRO-ELETTROLITICO
Il Bilancio Idrico è molto importante nel periodo post-operatorio soprattutto nel caso di interventi
di chirurgia d’urgenza, di chirurgia maggiore, di lunga durata, digiuno prolungato, nel caso di pz
politraumatizzati gravi, ustioni gravi ed estese, emorragie acute con shock ipovolemico, emotorace,
emoperitoneo, emopericardio, tutte situazioni in cui si verifica una notevole perdita di liquidi con
grave squilibrio idro-elettrolitico e della volemia.
Bisogna stare attenti anche ai pz cardiopatici con insufficienza cardiocircolatoria, ai pz nefropatici
con insufficienza renale acuta o cronica, ai pz cirrotici con ipertensione portale e ascite.
L’H2O circolante nell’organismo rappresenta il 60-70% del peso corporeo totale: il compartimento
intracellulare contiene il 40% dell’H2O totale, un’altra parte è rappresentata dal plasma e un’altra
parte dai liquidi interstiziali.
L’acqua è abbondante nella massa magra, mentre la massa grassa è ricca di tessuto adiposo.
Il contenuto di H2O < col passare degli anni, infatti, il contenuto di acqua è massimo nel periodo
neonatale, poi si verifica un calo fisiologico con valori molto bassi nei soggetti anziani che
presentano una cute secca e rugosa.
La maggior parte dell’H2O presente nell’organismo viene introdotta dall’esterno, ecco perché si
consiglia di bere 1.5-2 litri di liquidi al giorno.
Una piccola quota di H2O viene ricavata dai cibi solidi e dai prodotti di ossidazione dell’organismo,
per cui ogni giorno vengono introdotti ~ 2600 cc di liquidi.
Oltre alle entrate dobbiamo considerare le uscite dei liquidi: normalmente vengono persi ~ 1.5 l/gg
di liquidi con le urine, mentre 250 cc vengono persi con le feci.
Poi ci sono le perdite insensibili: sudore (pz con febbre alta) con perdita di 250 cc di liquidi per
ogni grado di T°C corporea che aumenta, nel tentativo da parte dell’organismo di mantenere
costante la T°C corporea, riducendo gli eccessivi aumenti di calore.
Poi abbiamo la perspiratio insensibilis (perdite che avvengono a livello polmonare) e soprattutto le
perdite patologiche da ustioni gravi ed estese, emorragie acute fino allo shock ipovolemico, diarrea
profusa, vomito abbondante da occlusione intestinale alta, febbre molto alta di tipo settica...
Per cui si parla di DISORDINI del BILANCIO IDRICO con disturbi quantitativi o alterazioni
della volemia e disturbi qualitativi o alterazioni della [ ] e composizione dei liquidi.
I Disturbi Quantitativi cioè le alterazioni della volemia sono dovute alle emorragie acute,
ustioni gravi ed estese, traumi con rottura epatica, splenica o di grossi vasi addominali... con
shock ipovolemico tale da provocare gravi ripercussioni sugli organi vitali se non si interviene
subito cioè cuore, cervello, reni...
Il primo segno dell’ipovolemia è la sete persistente, mentre l’ipervolemia si manifesta con edema
generalizzato con segno della fovea cioè si preme con un dito a livello degli edemi declivi degli
arti inferiori e si crea una specie di fossetta.
L’Esame Emocromocitometrico evidenzia anemia con < Hb e globuli rossi, < HCT o ematocrito
che è un indice diretto della volemia, consente di valutare entità delle perdite e stato di
idratazione del pz. L’HCT viene definito come il rapporto tra il volume di plasma sanguigno e
volume occupato dai globuli rossi, cioè è il volume occupato dai globuli rossi in 100 ml di sangue.
I valori normali sono 40-54% nell’uomo e 36-46% nella donna.
In caso di disidratazione avremo un >> HCT per cui il pz si dice emoconcentrato, mentre in caso di
iperidratazione avremo un << HCT per cui il pz si dice emodiluito.
Molto utile è la valutazione della Diuresi Oraria in modo da verificare anche l’efficacia della
terapia medica e la misurazione della PVC o Pressione Venosa Centrale che ci dà informazioni
sullo stato di idratazione del pz e quantità di liquidi da reinfondere (vedi shock ipovolemico).
Le Cause responsabili delle alterazioni del bilancio idrico sono distinte in cause
preoperatorie, operatorie e postoperatorie.
 cause preoperatorie sono legate alla patologia di base del pz, come un’occlusione intestinale alta
con vomito abbondante e precoce, diarrea profusa, ustioni gravi ed estese, febbre molto alta di tipo
settica, uso eccessivo di clisteri con disidratazione di tipo iatrogena.
 cause operatorie: lesione intraoperatoria di un grosso vaso con grave emorragia difficile da controllare.
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 cause postoperatorie: digiuno prolungato del pz, mancato ripristino dell’equilibrio idro-elettrolitico.
Per cui è molto importante il Bilancio Idrico nel pz chirurgico che si ottiene facendo la somma
algebrica tra le entrate e le uscite: si usa il foglio del bilancio idrico che viene messo ai piedi del
letto del pz, segnando sulla parte sx tutte le entrate e sulla parte dx tutte le uscite.
– entrate: liquidi somministrati al pz per via parenterale cioè soluzioni idro-elettrolitiche, soluzioni
glucosate, plasma expanders, sangue intero o emoderivati, proteine (albumina plasmatica).
– uscite: liquidi persi dal pz attraverso la diuresi indotta dal catetere vescicale, tubi di drenaggio,
sondino naso-gastrico...
Nel caso di un pz in buone condizioni generali, peso medio di 70 Kg, il foglio del bilancio idrico
viene compilato 1 volta al giorno, somministrando ~ 1800 cc di soluzioni idroelettrolitiche.
Nel caso di pz in gravi condizioni il foglio del bilancio idrico viene compilato 2 volte al giorno,
segnando le entrate e le uscite dalle ore 8 alle ore 20 e dalle ore 20 alle ore 8 del giorno successivo,
somministrando 2000-3000 cc di liquidi, controllando l’HCT, la diuresi e la PVC.
Alla fine della giornata si fa la somma algebrica tra entrate e uscite, ottenendo 2 possibili risultati:
– bilancio idrico - se le uscite prevalgono sulle entrate, per cui il pz è ancora disidratato.
– bilancio idrico + se le entrate prevalgono sulle uscite, per cui stiamo sovraccaricando il pz, si ha
iperidratazione, oppure si tratta di un pz con insufficienza renale con oliguria perché valutando la
diuresi si nota che il pz urina poco nell’arco delle 24 h, trattenendo più liquidi, oppure si tratta di un
pz con insufficienza cardiocircolatoria per cui bisogna sospendere la somministrazione dei liquidi
per evitare ulteriori complicanze, come l’edema polmonare acuto.
SHOCK
Lo Shock o collasso circolatorio è una sindrome caratterizzata da insufficienza circolatoria acuta
con ipoperfusione tissutale e deficit del metabolismo e del catabolismo cellulare (rimozione dei
rifiuti metabolici), per cui si verifica una discrepanza tra contenente e contenuto cioè tra la capacità
dei vasi e il volume effettivo del sangue circolante, come succede in caso di shock ipovolemico da
< della massa sanguigna o shock cardiogeno per un deficit primitivo o secondario della pompa
cardiaca. Per cui possiamo fare una distinzione tra vari tipi di shock in base alla causa che l’ha
provocato, cioè shock ipovolemico, cardiogeno, settico, neurogeno, traumatico e post-operatorio,
anafilattico.
Lo SHOCK IPOVOLEMICO è dovuto alla rapida < del volume ematico circolante con
conseguente < P riempimento sistemica e del ritorno del sangue venoso al cuore (< precarico).
Le CAUSE dello shock ipovolemico sono diverse:
- emorragia acuta interna o esterna da traumi con emoperitoneo, emotorace, emorragia
gastrointestinale o retroperitoneale, aneurisma dissecante dell’aorta.
- occlusione intestinale, peritonite, pancreatite, ascite, ustioni gravi, reazioni di ipersensibilità
anafilattiche con < del volume plasmatico.
- deplezione di acqua ed elettroliti da inadeguata assunzione di liquidi e sali minerali, eccessiva
sudorazione, vomito e diarrea gravi, eccessive perdite urinarie (diabete mellito, sindrome nefrosica,
abuso di diuretici)
Quindi lo shock ipovolemico è caratterizzato da importanti alterazioni emodinamiche da cui deriva
tutta la sintomatologia. I SINTOMI dello shock ipovolemico sono:
- pallore della cute e soprattutto delle mucose (colore della cute può variare da un individuo ad un
altro a seconda della pigmentazione), sudorazione, < T°C cutanea cioè ipotermia da < afflusso di
sangue e azione del riflesso simpatico vasocostrittore, tachicardia, ipotensione arteriosa da < gittata
cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche con ipoperfusione tissutale, < apporto di ossigeno e
sostanze nutrienti con acidosi metabolica e ischemia cellulare, deterioramento degli organi vitali e
morte se non si interviene tempestivamente.
- midriasi (pupille dilatate), astenia, alterazione dello stato di coscienza cioè irrequietezza,
agitazione, confusione mentale, vertigini da ipoperfusione cerebrale.
- < diuresi con oliguria da ipoperfusione renale e deficit della filtrazione glomerulare plasmatica,
fino all’anuria.

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L’organismo reagisce mediante dei meccanismi di compenso che sono mediati dal SN simpatico
con intervento di sostanze neurosensoriali endogene e da meccanismi vasoregolatori locali:
- tachicardia nel tentativo di > gittata e frequenza cardiaca attraverso una maggiore contrattilità del
cuore.
- vasocostrizione arteriolare da stimolo adrenergico delle meta-arteriole del distretto splancnico,
cute e muscoli scheletrici, cercando di garantire la perfusione di cuore e cervello.
- maggiore stimolazione della midollare del surrene da parte del simpatico per il rilascio delle
catecolamine, come l’epinefrina, provocando vasocostrizione e ridistribuzione del sangue al cuore,
cervello e reni per la loro perfusione.
I meccanismi di compenso sono di breve durata ed inefficaci in caso di shock ipovolemico grave,
con evoluzione verso lo shock cardiogeno se non si interviene subito, perché non arriva più sangue
al cuore da pompare.
E’ molto importante il Monitoraggio dello shock ipovolemico che prevede diverse fasi:
1. Controllare la pervietà delle vie aeree e si ricorre alla ventilazione meccanica assistita.
2. Controllo della frequenza e del ritmo cardiaco per valutare precocemente le alterazioni cardio-
circolatorie, mentre l’ECG consente di valutare la presenza di battiti ventricolari prematuri
responsabili di gravi aritmie ventricolari e di altri disturbi della conduzione.
3. Misurazione della P Arteriosa che in caso di shock ipovolemico è difficile da eseguire con lo
sfigmomanometro a causa della vasocostrizione simpatica riflessa con riduzione dell’afflusso di
sangue all’avambraccio. Per questo motivo occorre individuare i polsi periferici, come il polso
radiale caratterizzato da un maggior afflusso di sangue e una minore vasocostrizione, oppure i polsi
centrali, come il polso carotideo e femorale: se il polso è ancora palpabile si incannula una di
queste arterie per via percutanea misurando la P arteriosa, mentre se la P arteriosa sistolica è < 80
mmHg, oppure le resistenze vascolari periferiche sono <, si dice che il polso è tardo, debole o
assente per cui si incannula l’arteria per via chirurgica.
In caso di < marcata del polso arterioso e ipotensione profonda, si deve subito intervenire per
evitare danni cerebrali e cardiaci rapidi e irreversibili, per cui si deve subito ripristinare la P
perfusione mettendo il pz in posizione orizzontale con le gambe leggermente sollevate per favorire
il ritorno del sangue venoso al cuore, somministrando possibilmente ossigeno supplementare per
mantenere una PaO2 almeno pari a 70 mmHg.
Infatti, bisogna evitare le alterazioni dell’equilibrio acido-base che vengono valutate mediante
l’emogasanalisi, misurando il pH ematico e i gas ematici: nelle fasi iniziali dello shock ipovolemico
si ha l’alcalosi respiratoria con iperventilazione nelle fasi iniziali dello shock, > pH e < PaCO2,
mentre nelle fasi avanzate il pz va incontro ad acidosi metabolica con < PaO2 e produzione di acido
lattico da ipossia tissutale anossica, cioè scarso apporto di O2 ai tessuti con condizione di
anaerobiosi che favorisce la produzione di acido lattico con ischemia cellulare oppure si va incontro
ad acidosi mista, cioè metabolico-respiratoria.
4. Esame Emocromocitometrico: valutiamo l’Hb per stabilire la presenza dell’anemia nel pz e
l’HCT ematocrito che è un indice diretto della volemia, definito come il rapporto tra il volume del
plasma sanguigno e il volume occupato dai globuli rossi, espresso in %, cioè indica il volume
occupato dai globuli rossi in 100 ml di sangue. Normalmente l’HCT è pari a 40-54% ♂ e 36-46%
♀. Bisogna ricordare che in caso di shock ipovolemico la < dell’ematocrito HCT non avviene sin
dalle fasi iniziali perché si ha una perdita equilibrata sia della parte liquida plasmatica che della
parte corpuscolata del sangue. La < HCT si noterà nel momento in cui reinfondiamo plasma
expanders nel pz. In base ai valori dell’HCT possiamo fare una distinzione tra:
- shock ipovolemico lieve o compensato se le perdite sono < 20%.
- shock ipovolemico medio se le perdite sono comprese tra il 20 e 40%.
- shock ipovolemico grave se le perdite sono > 40%.
Le indagini di laboratorio consentono di valutare la fx renale perché nello shock ipovolemico si ha
ipoperfusione renale con insufficienza renale acuta, oliguria fino all’anuria (azotemia,
creatininemia, clearance renale dell’urea, creatinina, , glicosuria, proteinuria, peso specifico urine).

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Inoltre, poiché il fegato mette a disposizione il suo sangue per cercare di ripristinare la volemia, si
avrà ischemia del parenchima epatico con necrosi delle cellule epatiche con conseguente ittero a
iperbilirubinemia diretta da insufficienza epatica.
Inoltre, si può avere shock settico in seguito alla alterazione della mucosa intestinale con azione
della flora batterica residente (leucocitosi neutrofila, > VES, febbre alta).
5. Misurazione della Pressione Venosa Centrale PVC, normalmente pari a 6-10 cmH2O,
rappresenta la P presente nella vena cava superiore che riflette la P media dell’atrio dx e la P
telediastolica ventricolare dx.
La PVC è molto importante perché da informazioni sull’indice di riempimento vascolare, ritorno
del sangue venoso al cuore, stato di idratazione del pz, consentendo di stabilire la quantità di
liquidi da reinfondere nel pz, valutando la risposta del pz ad un carico di volume.
La PVC è misurata mediante un catetere inserito nella vena cava superiore a partire da una vena
antecubitale cioè la vena giugulare esterna o interna oppure la vena succlavia.
Si reinfonde un carico di liquidi pari a 1-2 dl nel giro di 5-10 minuti e si misura la PVC:
- se la PVC resta costante significa che la quantità di liquidi che stiamo reinfondendo è giusta.
- se la PVC è bassa significa che il pz è ancora vuoto e dobbiamo reinfondere altri liquidi.
- se la PVC > rapidamente senza miglioramenti dell’emodinamica, anzi la situazione peggiora,
probabilmente ci troviamo di fronte ad una insufficienza cardiaca con < del ritorno venoso al cuore
e > PVC, per cui se reinfondiamo altri liquidi andiamo a sovraccaricare il muscolo cardiaco
aggravando la situazione (edema polmonare) e dobbiamo evitare di somministrare altri liquidi.
6. Controllare la Diuresi (oraria) cioè la quantità di urine emessa ogni h mediante un catetere
vescicale a permanenza: infatti, nello shock ipovolemico si ha ipoperfusione renale e < funzione
filtrazione glomerulare plasmatica, < della quantità di pre-urina, urina cioè < diuresi, oliguria fino
all’anuria.
L’organismo nelle fasi iniziali interviene con il meccanismo di compenso renina-angiotensina
provocando vasocostrizione delle arteriole afferenti al glomerulo e > P idrostatica intraglomerulare
nel tentativo di aumentare la perfusione renale, ma se non ripristiniamo la volemia il meccanismo di
compenso non è efficace e si va incontro ad una insufficienza renale acuta su base funzionale con
oliguria ad alto peso specifico (> 1020-1035), iperazotemia, < clearance renale di Na+, urea,
creatinina, che però tende a regredire nel giro di alcuni gg se si interviene subito con infusione di
una soluzione isotonica in 10 minuti oppure somministrando 100 cc di mannitolo al 20% per via
e.v. per richiamare i liquidi nei vasi.
Se la diuresi non viene ripristinata significa che siamo già nella fase di Insufficienza Renale Acuta
su Base Organica con necrosi tubulare acuta, retrodiffusione della pre-urina, tubuloressi cioè
sfaldamento delle cellule tubulari e della membrana basale con edema interstiziale compressivo,
ostruzione massiva dei tubuli distali e dei canali collettori.
In tal caso abbiamo oliguria a basso peso specifico delle urine (fino a 1010-1011) con iperazotemia,
ipercreatininemia, proteinuria, glicosuria, ematuria microscopica e < escrezione urinaria di Na+ e
urea dovuta al danno ischemico. In tal caso è necessaria la resezione parziale o totale del rene
ischemico (rene grinzo).
La TERAPIA dello shock ipovolemico si basa su:
- ripristino della volemia: sangue intero o emoderivati, plasma expanders cioè sostituti del
plasma, come i destrani macrodex e rheomacrodex che hanno un P.M. più o meno alto, tali da > il
volume plasmatico per assorbimento dell’acqua dagli spazi extracellulari.
Inoltre, si somministrano per via e.v. soluzioni isotoniche ed isosmotiche per contrastare la
disidratazione del pz cioè soluzioni fisiologiche a base di cristalloidi, Ringer lattato (contro
l’acidosi metabolica), albumina plasmatica (> la P colloidosmotica richiamando acqua nei vasi).
- ripristinare l’equilibrio idro-elettrolitico con soluzioni idro-elettrolitiche, cioè acqua, Na+, K+,
Ca2+ e soluzioni glucosate o glucosio per ripristinare l’equilibrio calorico.
Sono utili gli anticoagulanti, come l’eparina per evitare le complicanze tromboemboliche e gli
antibiotici ad ampio spettro d’azione per evitare lo shock settico.

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Lo SHOCK CARDIOGENO si verifica quando il cuore non riesce più a pompare il sangue e O2
in periferia, con conseguente < gittata cardiaca, > resistenze periferiche, > frequenza cardiaca,
P riempimento cardiaca ≤, cute fredda e sudata.
Le CAUSE dello shock cardiogeno sono: IMA, insufficienza valvolare acuta, grave insufficienza
cardiaca congestizia da cardiopatia ipertensiva o valvulopatia, miocardiopatie e miocarditi che
compromettono la fx sistolica, ostruzione meccanica della vena cava superiore con ostacolo al
ritorno venoso o al riempimento ventricolare sx, trombosi di una protesi valvolare mitralica e
mixoma atriale, aneurisma dissecante dell’aorta, stenosi aortica, trombosi della protesi valvolare
aortica responsabili di ostruzione all’efflusso ventricolare sx.
Lo SHOCK NEUROGENO è il classico svenimento da crisi vagale con perdita del tono
vasomotorio dovuta a: anestesia generale o spinale, lesione cerebrale o del midollo spinale,
farmaci, cioè barbiturici, agenti bloccanti adrenergici e gangliari.
Lo SHOCK TRAUMATICO O POSTOPERATORIO si deve a traumi violenti, interventi di
chirurgia maggiore...
Lo SHOCK ANAFILATTICO si deve a fenomeni anafilattici, azione di sostanze vasoattive, cioè
adrenalina, istamina, acetilcolina, acido nicotinico...
NB: per lo shock settico vedi dispensa Malattie Infettive
EMORRAGIE DIGESTIVE
L’Emorragia Digestiva è una perdita di sangue all’interno del lume dell’apparato digerente.
Si fa una distinzione tra emorragie digestive superiori che originano a monte del legamento di
Treitz ed emorragie digestive inferiori che originano a valle del Treitz.
Le emorragie digestive superiori rappresentano l’85-90% di tutte le emorragie con circa 100 nuovi
casi/100000 abitanti l’anno, mentre quelle inferiori solo il 10-15%.
Le emorragie digestive superiori in genere sono causate da un'ulcera peptica perforata gastro-
duodenale, rottura delle varici esofagee, gastrite erosiva, emorragica, lacerazione della giunzione
esofago-gastrica o malattia di Mallory-Weiss, tumori oro-faringei, esofagei, gastrici, perivateriani,
esofagiti.
Le emorragie digestive inferiori in genere sono causate da diverticoli del colon, carcinomi del
colon-retto, retto-colite ulcerosa emorragica, morbo di Crohn, angiodisplasie del colon con
emorragia di tipo venosa e incontrollabile con le trasfusioni, emorroidi e ragadi anali, infarto
mesenterico, strozzamento intestinale, volvolo, invaginazione intestinale.
Alcune volte l’emorragia digestiva origina dalle vie biliari, come in caso di carcinoma
dell’epatocoledoco o della colecisti, calcolosi biliare con conseguente emobilia, oppure deriva dal
pancreas, come in caso di una pancreatite acuta necrotico emorragica PANE.
Inoltre, abbiamo le emorragie digestive di natura iatrogena, ad esempio da terapia anticoagulante
in atto o pregressa, interventi chirurgici o indagini endoscopiche dell’apparato digerente o dei grossi
vasi addominali. Poi ci sono soggetti predisposti alle emorragie digestive, cioè con diatesi
emorragica, oppure le emorragie da rottura di un aneurisma aortico fissurato nell’esofago oppure
rottura di un innesto vascolare nel tubo digerente.
Secondo la Classificazione di Hoerr possiamo fare una distinzione tra:
 emorragia lieve con HCT ≥ 30%: il pz ha pallore e raramente lipotimia (perdita di coscienza
momentanea, cioè svenimento).
 emorragia grave compensata: perdita di sangue < 1 litro, avviene lentamente senza arrivare allo
stato di shock.
 emorragia grave scompensata: perdita di sangue > 1,5 litri, corrispondente al 20-25% della
massa sanguigna, fino ad arrivare ad uno stato di shock controllabile con terapia trasfusionale,
sangue intero o plasma expanders.
 emorragia cataclismatica o dissanguante con shock irreversibile e morte del pz.
Questa classificazione tiene conto solo della quantità di sangue che viene perso, mentre sono
importanti anche la velocità con cui il sangue viene perso, età del pz, peso, malattie associate.

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Infatti, se il pz perde una quantità di sangue pari a 1500-2000 ml rapidamente può andare subito
incontro ad un gravissimo stato di shock ipovolemico.
Se il pz perde una quantità di sangue superiore ma questa perdita avviene lentamente, l’organismo
riesce ad adattarsi ed è più facile controllare la situazione mediante le trasfusioni, purchè non si
tratti di emorragie recidivanti che avvengono a breve distanza tra loro e che il pz non abbia altre
patologie associate, cardiocircolatorie, respiratorie, renali.
I SINTOMI principali con cui si manifestano le emorragie digestive sono l’ematemesi e la melena,
e i sintomi dello shock ipovolemico:
L’Ematemesi è l’emissione di sangue attraverso il vomito in seguito al suo accumulo nello
stomaco, di colore rosso vivo fluido o ricco di coaguli, raramente ha un colore più scuro se il sangue
ha ristagnato per lungo tempo nello stomaco sottoposto all’azione digestiva del succo gastrico.
Nel 60% dei casi l’ematemesi è causata dall’ulcera peptica, altre volte dalla rottura delle varici
esofagee, gastrite erosiva, carcinoma gastrico... e si verifica quando il contenuto di sangue nello
stomaco è pari ad almeno 1 litro con conseguente vomito da distensione dello stomaco, per cui
l’ematemesi è indice di una grave emorragia digestiva. In tal caso una grossa quantità di sangue
passa nell’intestino stimolando la peristalsi, accelerando il transito del contenuto intestinale con
conseguente evacuazione di sangue rosso vivo misto alle feci (il sangue è il più potente lassativo).
Bisogna stare attenti a non confondere l’ematemesi con l’emottisi cioè la perdita di sangue
proveniente dalle vie respiratorie ed emesso in seguito a colpi di tosse, oppure con l’epistassi o
emorragia nasale.
La Melena è l’emissione di sangue con le feci, di colore rosso scuro, nero o piceo, posa di caffè
perché viene digerito dagli enzimi digestivi intestinali e dai batteri saprofiti, con trasformazione
dell’Hb in ematina, che in genere è indice di una emorragia avvenuta al di sopra della giunzione
ileo-cecale con perdita di sangue non esagerata, per cui non stimola la peristalsi intestinale e il
transito del contenuto intestinale sarà lento.
Per cui possiamo avere delle emorragie digestive con melena ed ematemesi, oppure solo con
melena mentre è impossibile avere emorragie digestive solo con ematemesi.
Ricordiamo che:
- ematochezia: emissione di sangue rosso vivo, misto a feci e coaguli oppure solo di sangue rosso
vivo, spesso dovuta ad una emorragia massiva del colon-retto.
- enteroraggia e proctoraggia: emissione di sangue rosso vivo misto a feci più o meno formate,
come in caso di sanguinamento delle varici emorroidarie.
- sangue occulto nelle feci: il sangue è visibile solo al laboratorio dovuto alla emissione cronica di
piccole quantità di sangue, < 50-100 ml.
Dobbiamo anche ricordare che l’assunzione di ferro, bismuto, carbon vegetale ed altri farmaci o
alimenti possono provocare l’emissione di feci di colore rosso scuro, simil melena (falsa melena).
La DIAGNOSI si basa su:
 Indagini di laboratorio: esame emocromocitometrico valutando soprattutto l’HCT che è un indice
diretto della volemia, l’Hb ed eventuali segni di insufficienza renale, segni di insufficienza epatica
(perché il fegato può subire delle lesioni da ipoperfusione epatica), parametri emocoagulativi (PT o
tempo di Quick, piastrine...), determinazione del gruppo sanguigno.
 Anamnesi: la storia clinica del pz può essere utile per valutare la sede e la natura dell’emorragia,
valutando la presenza di coagulopatie ereditarie, patologie gastroduodenali o interventi chirurgici
gastroduodenali pregressi, assunzione di FANS, anticoagulanti, patologie cardiovascolari…
 Esplorazione digito-rettale è utile per valutare se l’emorragia deriva da emorroidi sanguinanti,
da ragadi anali o da tumori del canale anale o dell’ano...
 Si applica il Sondino naso-gastrico (SNG) per aspirare il sangue, i coaguli, eventuali frammenti
di cibo non ancora digeriti presenti nello stomaco, verificando la presenza di sangue nello stomaco
ed è possibile eseguire un lavaggio con acqua e ghiaccio a scopo emostatico o con soluzioni
tamponanti. In presenza di ematemesi la presenza di sangue nello stomaco consente di orientarsi
verso un sanguinamento alto.

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Comunque, se si aspira solo succo acido-gastrico e bile significa che la sede dell’emorragia è bassa,
mentre se si aspira solo il succo gastrico non possiamo escludere la presenza di un sanguinamento a
sede alta, poiché potrebbe trattarsi di un’emorragia in sede duodenale con piloro competente che
impedisce il reflusso del sangue nello stomaco.
 Esofago-gastro-duodenoscopia o EGDS: indagine endoscopica molto importante per valutare
sede e natura di un’emorragia digestiva alta, anche se deve essere evitata in caso di emorragia in
atto e usata con molta cautela in anestesia locale. E’ utile per la diagnosi delle varici esofago-
gastriche, ulcera gastrica o duodenale, gastrite cronica erosiva, carcinoma gastrico, esofagite da
RGE, consente di lavare lo stomaco portando via il sangue, i coaguli e il materiale presente, di
bloccare direttamente una emorragia per via endoscopica e di intervenire chirurgicamente.
 Retto-sigmoidoscopia, Colonscopia, Pancolonscopia: indagini endoscopiche utili per valutare la
sede e la natura delle emorragie digestive inferiori del colon-retto. È necessario pulire l’intestino
con clisteri, poi si insuffla una piccola quantità di aria per evitare il distacco dei coaguli e la ripresa
del sanguinamento.
 Arteriografia selettiva con catetere di Seldinger: molto utile per le emorragie che originano dal
tenue e colon dx che sono molto difficili da esplorare con le altre indagini, consente di eseguire
direttamente l’embolizzazione del vaso sanguinante, somministrare farmaci vasocostrittori come
propanololo e vasopressina.
Si introduce un catetere nell’arteria femorale che viene condotto fino all’aorta addominale, al tronco
celiaco e alle due arterie mesenteriche, si inietta il m.d.c. e si osserva.
L’arteriografia selettiva del tronco celiaco consente di stabilire se l’emorragia deriva dallo stomaco,
duodeno, pancreas, fegato o dalla milza. L’arteriografia selettiva della a.m.s. fornisce informazioni
sulla vascolarizzazione del tenue e colon dx, mentre l’arteriografia selettiva della a.m.i. fornisce
informazioni sulla vascolarizzazione del colon sx e del retto.
Il m.d.c. consente di studiare le fasi della vascolarizzazione:
- Fase arteriosa: si valuta la presenza di un’eventuale vascolarizzazione anomala cioè circoli
neoformati che irrorano una neoplasia maligna, mentre in caso di emangioma avremo un fitto ed
ordinato incremento della trama vascolare.
- Fase parenchimale: può essere visualizzata direttamente la sede dell’emorragia digestiva per la
fuoriuscita di sangue ricco di m.d.c. nel lume intestinale.
- Fase del ritorno venoso: si verifica la presenza di circoli collaterali ectasici che può essere indice
di ipertensione portale.
 Laparotomia esplorativa: è utile prima del trattamento chirurgico nel caso ci siano ancora dubbi
sulla sede e natura dell’emorragia.
La TERAPIA MEDICA è rianimatoria e antishock: è importante il monitoraggio dello shock
ipovolemico e il ripristino della volemia (vedi shock ipovolemico).
In caso di emorragia da ulcera peptica si posiziona il sondino naso gastrico, si aspira tutto il
contenuto gastrico e si esegue un lavaggio dello stomaco mediante una soluzione di acqua e
ghiaccio che ha un effetto tamponante ed emostatico e si iniettano farmaci antagonisti dei recettori
H2 dell’istamina (anti-H2) cioè la ranitidina, cimetidina..., inibitori della pompa protonica, farmaci
riducenti il flusso splancnico cioè la somatostatina, octreotide, vasopressina.
Inoltre, si può ricorrere alla Terapia Endoscopica che può essere: iniettiva con soluzione di
adrenalina, sclerosante con adrenalina + polidocanolo, etanolo, sodio tetradecil solfato, sonde
termiche cioè elettrocoagulazione, Yag laser, meccanica con clips metalliche.
La Terapia Chirurgica dell’ulcera peptica si basa sulla pilorotomia + piloroplastica + vagotomia
tronculare, fino alla gastroresezione nei casi più gravi.
In caso di rottura delle varici gastro-esofagee si ricorre alla sonda salvavita di Sengstaken
Blakemore oppure alla Scleroterapia per via endoscopica.
La Terapia Chirurgica delle varici esofagee si basa sugli interventi derivativi e non derivativi.
La Terapia Chirurgica è indicata in caso di fallimento della terapia medica e/o endoscopica,
emorragia recidivante dopo terapia endoscopica, emorragie massive non controllabili con terapia
medica ed endoscopica.

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OCCLUSIONE INTESTINALE O ILEO

L’Occlusione Intestinale o Ileo è una grave sindrome caratterizzata dall’arresto brusco, acuto,
completo del transito del contenuto intestinale solido, liquido e gassoso.
L’occlusione intestinale rappresenta il 25% circa delle cause di addome acuto.
Dal punto di vista Eziologico l’occlusione intestinale può essere dovuta a cause meccaniche che
agiscono su un segmento circoscritto dell’intestino, interrompendone la canalizzazione e cause
non meccaniche da turbe neuro-muscolari della motilità intestinale che interessano segmenti di
varia lunghezza, anche tutto l’intestino, per cui possiamo fare una distinzione tra ileo meccanico
e ileo non meccanico o dinamico o paralitico.
L’Ileo Meccanico è un’ostruzione del lume intestinale che rende la peristalsi impotente a garantire
una normale progressione delle feci e gas dovuto a cause luminali, parietali o extraparietali.
 cause luminali: addensamento del meconio nei primi gg di vita, cioè di quella sostanza bruno-
verdastra che si accumula nell’intestino del feto e che dovrebbe essere espulsa nei primi gg di vita;
presenza di un corpo estraneo o di un grosso calcolo biliare che giunge nell’intestino attraverso
una fistola colecisto-duodenale (ileo biliare); ammasso di elminti (ascaridi); fecaloma cioè un
accumulo di feci nell’intestino tale da simulare la presenza di un tumore.
 cause parietali: malformazioni congenite come l’atresia duodenale o digiuno-ileale; malattie
infiammatorie croniche dell’intestino, cioè morbo di Crohn, diverticolite cronica; malattie
infiammatorie vascolari dell’intestino come una enterite ischemica con riduzione in addome di
un’ansa intestinale strozzata sofferente per l’ischemia; carcinoma infiltrante del colon sx,
carcinoma vegetante del colon dx...
 cause estrinseche con lesioni vascolari: volvolo cioè rotazione sull’asse di un’ansa intestinale
con arresto completo dell’alvo; invaginazione cioè ripiegamento di un tratto di intestino nel tratto
che lo segue; cingoli strozzanti e briglie aderenziali postoperatorie cioè aderenze cicatriziali che
nascono come esito di pregresse infezioni (peritonite, appendicite) o di interventi chirurgici.
 cause estrinseche senza lesioni vascolari: tumori di organi contigui, cioè pancreas,
retroperitoneo, utero, briglie, cingoli...
L’Ileo Paralitico, non meccanico o dinamico è determinato da una paralisi della muscolatura
intestinale con blocco della peristalsi e della progressione del contenuto intestinale, distinto in:
 ileo paralitico diretto da lesioni nervose locali o midollari, intossicazioni e ipokaliemia.
 ileo paralitico riflesso da traumi, interventi chirurgici addominali con apertura del peritoneo,
peritonite da appendicite acuta o perforazione di un viscere cavo, pancreatite acuta, infarto
intestinale, deiscenza di un’anastomosi intestinale; coliche biliari e renali, IMA, pericardite,
pleurite infiammatoria, torsione delle cisti ovariche e dei testicoli.
 ileo paralitico spastico da lesioni nervose centrali o periferiche (S. di Ogilvie), traumi,
farmaci, intossicazione alimentare soprattutto da funghi.
Inoltre, possiamo fare una distinzione tra occlusione intestinale semplice, doppia ad ansia chiusa e
con strangolamento.
 occlusione intestinale semplice: dovuta ad una stenosi senza sofferenza vascolare.
 occlusione intestinale doppia o ad ansa chiusa: dovuta a stenosi doppia con completo
isolamento, da volvolo, aderenze, briglie e ileo con valvola ileo-ciecale continente ad alto
rischio di rottura dell’ansa isolata al transito (perforazione diastasica del cieco).
 occlusione intestinale con strangolamento: si deve ad un’occlusione di tipo meccanica molto
grave perché si ha il blocco della vascolarizzazione dell’ansa interessata con conseguente
ischemia intestinale che evolve rapidamente verso la necrosi e la perforazione, come succede in
caso di un’ansa intestinale erniata e strozzata, invaginazione intestinale e volvolo.
Possiamo fare una distinzione tra occlusione intestinale alta a livello duodenale e prima porzione
del tenue, occlusione intestinale media a livello del tenue e colon dx, occlusione intestinale bassa
a livello del colon sx.
Dal punto di vista Fisiopatologico l’occlusione intestinale è caratterizzata da:

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 Alterazione dei gas: si ha l’accumulo di gas a monte dell’ansa intestinale occlusa con distensione
dell’intestino a monte e > P intraluminale. Il gas che si accumula è costituito per il 70% dall’aria
deglutita costituita soprattutto dall’azoto, poi CO2 (10%) che si sviluppa nel mesocolon tra il succo
gastrico acido e il succo pancreatico ricco di bicarbonati, passando. Una piccola quota di gas è
rappresentata dall’idrogeno e metano che derivano dalla putrefazione delle proteine e dalla
fermentazione degli zuccheri da parte dei batteri della flora intestinale.
 Alterazioni idroelettrolitiche: si ha l’accumulo di liquidi a monte dell’ansa occlusa, fino a 6-9
litri/di che derivano dalle secrezioni ghiandolari, cioè la saliva, succo gastrico, succo pancreatico
e bile. Normalmente i liquidi, elettroliti ed enzimi sono riassorbiti per il 98% prima di arrivare
alla valvola ileo-ciecale, mentre in caso di occlusione si accumulano a monte dell’ansa occlusa
con conseguente distensione dell’intestino e < della capacità di assorbimento intestinale di
liquidi ed elettroliti. Inoltre, normalmente la P endoluminale è di 2-4 cmH2O, mentre in caso di
occlusione intestinale arriva fino a 20-30 cmH2O nel tenue e 50 cmH2O nel colon, superando
così i valori della P venosa, soprattutto della vena porta dove la P è di 6-15 cmH2O, per cui si ha
la fase di edema e congestione della parete intestinale caratterizzata da stasi venosa ed edema,
trasudazione di liquidi nel lume intestinale, alterazione dei capillari della parete intestinale
con > permeabilità dei capillari e ulteriore trasudazione di plasma e sangue nel lume
intestinale e nel cavo peritoneale.
L’assorbimento intestinale di liquidi ed elettroliti si riduce man mano che si ha la distensione
delle anse fino a scomparire, ecco perché le anse a monte dell’ostacolo sono voluminose, piene
di un liquido più o meno emorragico, atoniche per l’assenza della peristalsi con comparsa di
petecchie ed erosioni emorragiche multiple.
L’organismo cerca di reagire con alcuni Meccanismi di Compenso, tra cui l’antiperistaltismo
che dirige il contenuto intestinale nello stomaco e verso l’esterno mediante il vomito.
Il vomito è precoce ed abbondante in caso di occlusione intestinale alta tenendo conto che la
superficie mucosa a disposizione per il riassorbimento dei liquidi ed elettroliti è scarsa, si ha
una maggiore perdita di elettroliti acidi, rappresentati dal Cl- presente nel succo acido gastrico,
nonché K+ e HCO3- presenti nella bile, per cui si ha alcalosi metabolica ipocloremica e
ipopotassiemica, con respiro rapido e superficiale.
Il vomito è tardivo in caso di occlusione intestinale bassa perché la superficie mucosa a
disposizione per il riassorbimento dei liquidi ed elettroliti è maggiore e perché la distensione
delle anse intestinali a monte dell’occlusione è più lenta e progressiva: in tal caso si ha una
maggiore perdita di elettroliti basici, rappresentati dal Na+ presente nel succo pancreatico e
nella bile con conseguente acidosi metabolica e ipopotassiemia, con polipnea.
In realtà, questo meccanismo pur opponendosi alla distensione intestinale provoca un grave
squilibrio idro-elettrolitico.
Un altro meccanismo di compenso è < del tono della muscolatura intestinale che in minima parte
< l’ipertensione endoluminale, ma si tratta di meccanismi che si esauriscono rapidamente e si ha
un nuovo > della P endoluminale.
Invece, in caso di occlusione intestinale con strangolamento si ha anche il sequestro di sangue
ricco di globuli rossi e proteine nel lume intestinale.
Se la causa della distensione persiste si va incontro alla fase ischemica con necrosi, perforazione
e peritonite in seguito al passaggio di liquido siero-ematico e di sostanze tossiche nel cavo
peritoneale, per cui il pz si trova in uno stato di shock ipovolemico e settico, con notevole
squilibrio idroelettrolitico, perdita di proteine plasmatiche, soprattutto l’albumina, notevoli
danni agli organi vitali da ipoperfusione se non si interviene tempestivamente.
 Iperproliferazione Batterica: la chiusura dell’alvo a feci e gas, favorisce il ristagno dei germi
nel tratto a monte dell’occlusione, soprattutto in caso di strangolamento poiché il contenuto
intestinale è più ricco di proteine e globuli rossi che favoriscono la proliferazione batterica e la
produzione delle endotossine responsabili dello shock tossico.
Dal punto di vista Anatomo-Patologico si nota la presenza di liquido siero-ematico nel cavo
peritoneale, spesso di odore fecaloide, con sierosa peritoneale arrossata e edematosa. Inoltre, la

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distensione delle anse è massima a monte dell’ostacolo e diminuisce allontanandosi dall’ostacolo
stesso in direzione orale, specie nelle occlusioni recenti, mentre in quelle iniziate da alcuni gg la
distensione interessa anche le anse più distanti.
Le anse presentano un colore cianotico, sono pesanti per la grande quantità di liquidi che
contengono, con Ø molto superiore alla norma. La parete intestinale è edematosa, più fragile
soprattutto in caso di ileo da strangolamento a causa della sofferenza ischemica dell’ansa fino alla
necrosi e perforazione nel giro di poche ore.
Dal punto di vista Clinico l’occlusione intestinale si manifesta con:
 dolore di tipo colico: dolore acuto, crampiforme, intermittente dovuto alla distensione delle
anse a monte dell’occlusione, > rapidamente di intensità, raggiungendo un picco massimo,
associato a borborigmi, poi si attenua con intervalli liberi caratterizzati da una lieve dolenzia.
La crisi dolorosa dura alcuni minuti e termina col finire della contrazione peristaltica (1-10’). Il pz
flette il tronco e le cosce sul bacino.
Nell’Ileo Dinamico spesso il dolore è assente, mentre nell’Ileo da Strangolamento il dolore è
continuo, violento, dovuto alla sofferenza ischemica dell’ansa ad alto rischio di perforazione e di
peritonite acuta con dolore continuo, violento, tende ad irradiarsi a tutto l’addome, la palpazione
dell’addome provoca reazione di difesa con contrattura di tipo lignea della parete muscolare
addominale il che è indice di irritazione peritoneale (addome acuto).
 vomito: si deve alla distensione progressiva dello stomaco in cui refluisce il contenuto intestinale
in seguito all’antiperistaltismo. Il vomito è prima alimentare, poi biliare e infine fecaloide in caso
occlusioni basse. Il vomito è precoce nelle occlusioni alte, è tardivo in quelle basse, può essere
assente nelle occlusioni a livello del colon se la valvola ileo-ciecale e continente.
Può essere accompagnato da nausea.
 chiusura dell’alvo a feci e gas: è tardiva nelle occlusioni alte perché è preceduta dallo
svuotamento di tutto il contenuto intestinale a valle dell’ansa occlusa, spesso diarroico, seguito
dalla chiusura dell’alvo, mentre è precoce nelle occlusioni basse.
 sintomi e segni di shock ipovolemico e settico: segni di disidratazione sono sete
persistente, lingua asciutta, pelle secca, occhi infossati, sudorazione, tachicardia, ipotensione
arteriosa, estremità fredde, pallore, polso piccolo e frequente, respiro superficiale nell’alcalosi,
polipnoico nell’acidosi, cioè il respiro si comporta come meccanismo di compenso degli squilibri
idroelettrolitici che avvengono nel pz. In caso di shock settico il pz presenta febbre alta con
leucocitosi neutrofila.
La Diagnosi si basa su:
 Esame Obiettivo:
All’Ispezione si nota: sovradistensione dell’addome da meteorismo o addome globoso, più
evidente a livello mesogastrico in caso di occlusione del tenue, a livello periferico (fianchi) in caso
di occlusione del colon con notevole alterazione del profilo dell’addome che è percorso da
movimenti peristaltici visibili in caso di ileo meccanico, immobile in caso di ileo paralitico.
Si possono notare anche dei movimenti peristaltici vivaci delle anse intestinali che si disegnano
al di sotto della parete addominale, di cui si valuta la sede, direzione, ritmo e durata, che
scompare nelle fasi avanzate e in caso di strangolamento dell’ansa intestinale dove la peristalsi
è assente. Inoltre, si valuta la presenza di eventuali cicatrici addominali perché l’occlusione può
essere dovuta a briglie o aderenze post-chirurgiche e si esplorano le zone erniarie per escludere
la presenza di un’ernia strozzata.
La Palpazione deve essere dolce per non stimolare la peristalsi, valutando se ci sono o meno i segni
di irritazione peritoneale, cioè contrattura di difesa della parete addominale da peritonite.
Alla Percussione si apprezza il meteorismo con timpanismo circoscritto o diffuso a tutto
l’addome disteso e la scomparsa dell’aia di ottusità epatica in seguito alla perforazione o
notevole distensione delle anse.
All’Auscultazione in caso di ileo meccanico si apprezzano borborigmi da iperperistaltismo se
l’ansa intestinale è notevolmente distesa dai liquidi e dai gas, mentre si apprezzano dei rumori di
tipo metallico se l’ansa intestinale è notevolmente distesa solo dai gas.

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Questi rumori sono assenti in caso di ileo paralitico per cui si parla di silenzio sepolcrale.
Nel momento in cui la peristalsi non riesce a vincere l’ostacolo si passa dall’ileo meccanico a quello
paralitico, con sovrapposizione tra i due addomi.
 Esplorazione digito-rettale: occlusione da tumore o fecaloma rettale, stenosi ano-rettale di
natura infiammatoria o tumorale, ampolla rettale vuota...
Se il dito esploratore si sporca di sangue bisogna sospettare la presenza di una invaginazione
intestinale o di una occlusione con sofferenza ischemica dell’ansa.
 Esami di laboratorio: consentono di valutare soprattutto la presenza di squilibri idrosalini con
disidratazione, con ipovolemia, emoconcentrazione (> HCT), iperproteinemia, perdita di Cl-, Na+ e
K+ nel siero, anche se la < del K+ intracellulare è messa in evidenza dall’ECG perché provoca una
riduzione della contrattilità muscolare e conducibilità nervosa con conseguente sottoslivellamento
del tratto ST, onda T piatta o negativa, comparsa dell’onda U.
 Rx senza m.d.c. in bianco dell’addome (diretta dell’addome): per stabilire la sede, l’aumento
della peristalsi con distensione delle anse a monte dell’occlusione che si dispongono a ventaglio o
parallelamente tra di loro e i livelli idro-aerei che si osservano in posizione ortostatica: si tratta di
immagini di contrasto dovute alla presenza dei liquidi e gas che ristagnano nell’intestino occluso da
almeno 3-4 h, dove i gas forniscono un’immagine radiotrasparente che sovrasta l’immagine
radiopaca fornita dai liquidi. Nelle occlusioni del tenue i livelli idro-aerei compaiono nelle parti
centrali dell’addome, disposti a “scalinata” o a “canna di organo” o a “corona di rosario”, mentre
nelle occlusioni del colon i livelli idro-aerei sono più periferici. Inoltre, nell’ileo meccanico le anse
distese, i livelli idro-aerei e il diaframma sono mobili, mentre nell’ileo paralitico tutto è immobile.
All’Rx dell’addome possiamo evidenziare anche il Pneumoperitoneo con presenza di aria sotto
diaframmatica o falce aerea sottodiaframmatica da perforazione dell’ansa intestinale.
La Terapia Medica in genere serve solo a preparare il pz all’intervento chirurgico.
Si introduce un sondino naso-gastrico utile per detendere le anse intestinali, bisogna ripristinare
l’equilibrio idro-elettrolitico (plasma expanders, albumina plasmatica, liquidi ed elettroliti),
ripristinare l’equilibrio proteico e calorico, bisogna correggere gli eventuali stati di acidosi mediante
l’infusione di bicarbonati, oppure gli stati di alcalosi mediante il cloruro di ammonio.
Bisogna stimolare la fx renale col mannitolo ed evitare le complicanze settiche con la
somministrazione di antibiotici ad ampio spettro.
La Terapia Chirurgica varia secondo la causa che ha provocato l’occlusione intestinale.
ILEO POSTOPERATORIO
- Alterazione prolungata della motilità intestinale: lievi disturbi del metabolismo elettrolitico,
trauma intraoperatorio massivo, contaminazione batterica massiva pre o intraoperatoria, cause
extraddominali (polmonite). Prognosi favorevole.
- Ileo paralitico da disturbi del metabolismo elettrolitico da ipopotassiemia, diabete, infezioni da
deficit della sutura, peritonite, ascessi residui, infezioni extraddominali, deiscenza addominale: è
necessaria una relaparotomia ma la Prognosi è sfavorevole.
- Ileo meccanico da formazione precoce di aderenze, stenosi intestinale da anastomosi troppo
stretta, malattia secondaria non corretta come un’aderenza preesistente, tumore misconosciuto: è
necessaria una relaparotomia con Prognosi relativamente favorevole.

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TRAUMI ADDOMINALI
I Traumi Addominali sono distinti in traumi chiusi e aperti.
I Traumi Addominali Aperti sono rappresentati dalle ferite parietali e dalle ferite penetranti.
I Traumi Addominali Chiusi sono rappresentati dalle contusioni parietali e viscerali.
Le Contusioni Viscerali sono le più importanti e, in particolare, le contusioni renali, spleniche ed
epatiche, più rare sono le contusioni pancreatiche, grossi vasi addominali, stomaco, intestino, vie
urinarie...
Le Contusioni Renali si verificano in seguito meccanismi di schiacciamento, stiramento, flessione
fino allo scoppio del rene.
Possiamo avere vari tipi di lesioni, cioè le lesioni sottocapsulari, le lesioni del parenchima renale, le
lesioni delle strutture di connessione vascolo-capsulari, le lesioni delle cavità renali e dell’ilo renale.
I SINTOMI sono rappresentati da dolore locale o diffuso, contrattura di difesa a livello lombare,
ecchimosi, ematoma, ematuria macroscopica con o senza coaguli, anemia più o meno grave, fino
alla morte del pz nel caso di distacco di un polo renale, scoppio o spappolamento del rene.
Per cui si tratta di una situazione chirurgica d’urgenza e non c’è il tempo necessario per la Diagnosi.
L’Rx renale evidenzia l’opacizzazione diffusa della loggia renale, le fratture delle coste e delle
vertebre, mentre l’ecografia renale e la TAC consentono di osservare l’ematoma sottocapsulare
circoscritto o diffuso, oppure extracapsulare o perirenale.
La Laparoscopia consente di esplorare la cavità addominale per osservare tutte le strutture
interessate dal trauma.
L’arteriografia selettiva dell’arteria renale consente di valutare la sede di origine dell’emorragia
consentendo al chirurgo di fare la scelta terapeutica più opportuna.
In genere si ricorre alla laparotomia e si esegue l’emostasi renale e la sutura del parenchima renale.
Nei casi gravi si ricorre alla resezione di un polo renale o alla nefrectomia.
Le Contusioni Spleniche sono dovute a traumi da schiacciamento a livello della parte bassa
dell’emitorace sx o ipocondrio sx, spesso associate alle fratture delle ultime coste, ma anche le
forme gravi di splenomegalia, come quelle di origine malarica, leucemica e mononucleosica,
possono provocare la rottura della milza.
Le lesioni spleniche sono di vario tipo, cioè possiamo avere un piccolo ematoma sottocapsulare, un
ematoma intrasplenico, lacerazioni capsulari o capsulo-parenchimali, fino al distacco di frammenti
o di tutta la milza dal suo peduncolo.
I SINTOMI nel caso delle lesioni sottocapsulari di modesta entità sono dolore all’ipocondrio sx che
si irradia alla spalla sx o “segno di Kehr”, contrattura di difesa all’ipocondrio sx, con palpazione di
una tumefazione profonda, molle, elastica e dolente, anemia, leucocitosi e febbre alta.
Nelle forme più gravi con rottura completa della milza si ha un dolore violento diffuso a tutto
l’addome, con addome acuto e stato di shock.
La DIAGNOSI si basa sull’Rx addome: ingrandimento dell’ombra splenica da ematoma
intracapsulare, mentre in caso di rottura splenica si nota ipodiafania a limiti sfumati, imprecisi
nell’ipocondrio sx con spostamento dello stomaco e del colon sx, mentre il diaframma è immobile.
L’ecografia, la TAC e la laparoscopia sono utili per verificare tutte le strutture interessate dal
trauma, anche se in genere si tratta di una situazione chirurgica d’urgenza, per cui non c’è il tempo
necessario per la diagnosi, perché dobbiamo salvare la vita del pz.
Spesso si ricorre alla splenectomia, farmaci coagulanti e correggendo lo shock ipovolemico.
Le Contusioni Epatiche sono dovute a traumi a livello dell’ipocondrio dx e parte inferiore
dell’emitorace dx, con maggiore interessamento dell’emifegato dx perché è ancorato alla vena cava
inferiore ed è più grande rispetto all’emifegato sx che è più piccolo e mobile.
Le lesioni epatiche possono essere:
- lesioni sottocapsulari con ematoma sottoglissiano più o meno esteso.
- lesioni capsulo-parenchimali con emoperitoneo.
- lesioni parenchimali con necrosi emorragica diffusa a tutto il fegato e alle vie biliari con
emobilia.

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Alcune volta all’ecografia o alla TAC epatica si osserva la presenza del “bilioma” cioè di una
raccolta notevole di bile, circoscritta, che si verifica in seguito alla lesione di un dotto biliare, fino
ad assumere un volume cospicuo perché viene rifornita continuamente di bile, la quale non trova
una via di scarico sufficiente, provocando dolore all’ipocondrio dx, epatomegalia e sepsi se la bile
s’infetta.
Si parla di lesioni relativamente benigne in caso di ematoma sottocapsulare con Ø < 10 cm e rottura
capsulo-parenchimale con profondità < 3 cm.
Si parla di lesioni modeste in caso di ematoma sottocapsulare con Ø > 10 cm e rottura capsulo-
parenchimale con profondità > 3 cm.
Si parla di lesioni gravi in caso di distruzione di un settore epatico, con ematoma massivo, lesione
della vena cava inferiore retroepatica o delle grosse vene sovraepatiche, rottura del peduncolo
epatico.
I SINTOMI sono dolore più o meno intenso a seconda dell’entità della lesione, localizzato
all’ipocondrio dx che tende ad irradiarsi a tutto l’addome, contrattura di difesa addominale (addome
acuto) shock ipovolemico da emorragia grave, anemia...
La DIAGNOSI si basa sull’ecografia epatica e l’angio-TAC anche se spesso si tratta di una
situazione chirurgica d’urgenza per cui non c’è il tempo per studiare il pz.
Si ricorre alla laparotomia mediana e trasversa sottocostale, si individuano le lesioni epatiche e
delle altre strutture, si riduce l’emorragia con il clampaggio del peduncolo epatico, si legano i vasi
sanguigni e le vie biliari principali, si riparano le strutture lacerate e si asportano le strutture
devitalizzate, cioè necrotiche, poi si sutura la superficie cruenta (sanguinante) mediante dei punti di
sutura a tutto spessore, ad X a U o incavigliati, eventualmente appoggiati su una spugna di fibrina
per favorire l’emostasi.
In caso di emorragia arteriosa si lega l’arteria epatica comune, mentre l’arteria epatica propria viene
lasciata libera per favorire la circolazione del sangue attraverso l’arteria gastro-duodenale e l’arteria
gastrica dx.
In caso di lacerazione del parenchima epatico, della vena cava inferiore retroepatica e delle grosse
vene sovraepatiche si ricorre alla esclusione vascolare totale del fegato mediante il clampaggio del
peduncolo epatico, della vena cava inferiore al di sopra dello sbocco delle vene renali e della vena
cava sovraepatica subito al di sotto del diaframma, provocando ischemia che viene tollerata dal
fegato per circa 1 h, tempo in cui si esegue l’epatectomia dx e la riparazione della vena cava con
una protesi, poi si esegue il declampaggio nello stesso ordine del clampaggio.
Le Contusioni Pancreatiche sono molto rare ma quasi sempre mortali, spesso dovute a traumi da
schiacciamento contro le vertebre lombari, come succede in caso di un incidente d’auto, con lesione
del parenchima pancreatico o rottura del pancreas e dei vasi, emorragia endo o extraperitoneale e
diffusione del succo pancreatico e degli enzimi digestivi con pancreatite acuta autodigestiva.
Le Contusioni dei Grossi Vasi Addominali sono molto gravi perché si ha l’interessamento
dell’aorta addominale e delle sue collaterali, vena cava inferiore, vena porta...ad alto rischio di
emoperitoneo con shock ipovolemico.

ASCESSO e FLEMMONE

Sono infezioni acute di interesse chirurgico del tessuto connettivo profondo cioè tessuto
sottocutaneo, sottomucoso, interstiziale, stromatico e tessuti più differenziati (tendini, fasce,
periostio e ossa). Il FLEMMONE può essere superficiale o profondo, circoscritto o diffuso: viene
distinto in flemmone sieroso, siero-fibrinoso, siero-leucocitario (banale cellulite), suppurativo,
gangrenoso e gassoso.
Il Flemmone suppurativo può essere di tipo circoscritto o diffuso.
Il Flemmone suppurativo circoscritto o ASCESSO è una cavità contenente pus, circondata da
una parete di tessuto connettivo profondo infiammato (membrana piogenica) con suppurazione
circoscritta, in genere causata da germi piogeni, cioè Staphilococchi e Streptococchi che penetrano
nell’ospite attraverso una soluzione di continuo della pelle o delle mucose, raramente dal Bacterium

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coli, Enterococchi che fanno parte della flora batterica residente e si portano nella sede
dell’infezione per contiguità o per via ematica o linfatica.
L’ascesso inizialmente è superficiale, poi si ha la suppurazione con progressiva distruzione delle
cellule tessutali e formazione della cavità, unica o multipla, sferica, contenente pus cremoso, denso,
biancastro-giallastro, inodore, costituito da PMN degenerati e morti, germi responsabili
dell’infezione e tessuto necrotico più o meno colliquato.
I SINTOMI quando l’ascesso è superficiale sono dolore urente, pulsante, tumefazione duro-elastica,
edematosa, arrossata, calda, deficit funzionale locale, associato a mialgia, cefalea, tachicardia,
febbre continua... Successivamente il dolore è spiccato nella parte centrale dell’ascesso in seguito a
fenomeni di fluidificazione del suo contenuto, la tumefazione > di volume ma è circoscritta,
l’arrossamento è più intenso e cianotico, la febbre è remittente o intermittente preceduta da brividi.
Quando l’ascesso è di piccole dimensioni si può avere il riassorbimento del pus con sostituzione
della cavità da parte di tessuto di granulazione che in alcuni casi va incontro a calcificazione,
oppure alla formazione di una capsula cicatriziale o di una pseudocisti sierosa o siero-mucosa. In
alcuni casi l’ascesso tende ad evacuare verso la cute o in una cavità vicina, oppure il pus ristagna
nella cavità e si possono formare dei tragitti fistolosi.
La TERAPIA: chemio-antibiotica per via generale, si usano impacchi caldi per sedare il dolore,
incisione della parete dell’ascesso nella parte più declive, drenaggio del pus, somministrazione di
antibiotici per alcuni gg nel postoperatorio.
In caso di ascesso endocavitario si ricorre alla resezione parziale o totale di un organo
(appendicectomia, colecistectomia...).
Il Flemmone suppurativo diffuso è un’infiammazione suppurativo-necrotica che tende a
diffondersi nel tessuto connettivo profondo, non circoscritta dalla membrana piogenica e in alcuni
casi l’essudazione sierosa è accompagnata dalla formazione di gas, per cui si parla di flemmone
gassoso con fenomeni vascolari e necrotici evidentii.
Il principale responsabile è lo Streptococco che penetra attraverso piccole ferite o ferite lacero-
contuse, interessando soprattutto soggetti immunodepressi, diabetici...
Il pz presenta febbre alta di tipo settica sin dalle fasi iniziali, preceduta da brividi, polso frequente,
lingua patinosa, dispnea, alcune volte nausea, vomito e diarrea.
Se il flemmone interessa il tessuto connettivo sottocutaneo, sottofasciale, intermuscolare, possiamo
apprezzare una tumefazione diffusa, consistenza dura, coperta da cute rosso-cianotica, con lividi e
flittene che aprendosi consentono di evidenziare aree di gangrena nei piani più profondi.
La tumefazione è dolorosa, tale da provocare impotenza funzionale notevole, con interessamento di
tendini, muscoli e infiammazione dei nervi e non regredisce nemmeno in seguito alla ulcerazione
della cute con fuoriuscita del materiale necrotico-suppurativo.
Può provocare Complicanze locali come emorragie da ulcerazione dei vasi, flebiti, artriti
suppurative, distruzione dei tendini e muscoli, oppure Complicanze generali come gli ascessi
polmonari e cerebrali, danni renali, sepsi e morte del pz se non si interviene tempestivamente.
La TERAPIA è chemioantibiotica e chirurgica con ampie incisioni multiple, drenando tutto il
materiale purulento, lavaggi con soluzioni antisettiche, detergenti e antibiotici ad azione locale.
Il Flemmone gangrenoso è un’infiammazione acuta del tessuto connettivo profondo caratterizzata
da gangrena e necrosi, di cui si conoscono 3 forme:
- gangrena gassosa o di guerra da Clostridium welchii, septicum, histoliticum: producono le
tossine citolitiche responsabili della colliquazione delle proteine e formazione di gas fetidi,
distruggendo i tessuti morti e danneggiando i tessuti vivi, tipica delle ferite da guerra, contaminate
dalla terra o dagli indumenti, che spesso provocano la morte del soggetto per gravi complicanze
settiche, nei casi più fortunati l’amputazione di un arto.
- gangrena del perineo rara, da cateteri infetti, uretriti e tumori dovuta all’azione di Streptococchi,
Bacterium coli ed altri germi anaerobi, responsabili del flemmone diffuso periuretrale.
- angina di Ludwig: flemmone gangrenoso del pavimento della bocca con tumefazione duro-lignea
che tende a spingere la lingua indietro, ostacolando la deglutizione, respirazione e fonazione, con
edema laringo-faringeo e morte in tempi brevi se non si agisce subito.

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FEGATO

Il Fegato è una grossa ghiandola esocrina, ovoidale, posta sotto al diaframma, occupa l’ipocondrio
dx, epigastrio e parte dell’ipocondrio sx cioè tutti i quadranti superiori della cavità addominale.
Il fegato riceve un duplice afflusso di sangue cioè uno arterioso-nutritizio attraverso l’arteria epatica
ed uno venoso-funzionale attraverso la vena porta che convoglia al fegato il sangue venoso refluo
dallo stomaco, intestino, pancreas e milza.
L’arteria epatica, vena porta, vasi linfatici, nervi e vie biliari costituiscono il peduncolo epatico che
decorre nello spessore del legamento epatoduodenale portandosi verso l’ilo epatico.
Dal tronco o tripode celiaco origina l’arteria epatica comune da cui originano l’arteria gastrica dx
e l’arteria gastroduodenale, poi si continua come arteria epatica p.d. fino all’ilo epatico dove si
divide in arteria epatica dx e sx da cui originano i rami per i vari segmenti epatici, soprattutto le
arteriole interlobulari che decorrono negli spazi portali, da cui originano le arteriole perilobulari che
si gettano nei sinusoidi.
La vena porta origina posteriormente alla testa del pancreas dalla confluenza della vena
mesenterica superiore e della vena lienale o splenica che a sua volta riceve la vena mesenterica
inferiore. La vena porta a livello dell’ilo epatico da origine al tronco dx e sx della vena porta da cui
derivano vari rami per i segmenti epatici, soprattutto le venule interlobulari e perilobulari che si
aprono nei sinusoidi intralobulari. Il deflusso del sangue dal fegato avviene attraverso le vene
centrolobulari che confluiscono nelle vene sottolobulari e nelle vene epatiche dx, sx e mediana,
fino alla vena cava inferiore, cioè alla circolazione sistemica.
Il fegato è ricoperto da tessuto connettivo collageno in cui decorrono i vasi sanguigni, linfatici e
nervi, e che a livello dell’ilo epatico diventa più spesso e penetra nel fegato costituendo la capsula
fibrosa perivascolare di Glisson che delimita delle piccole aree del parenchima epatico, dette lobuli
epatici classici, formati da numerose lamine cellulari anastomizzate e perforate che delimitano un
sistema labirintico di spazi irregolari detti sinusoidi cioè una rete di vasi capillari a decorso tortuoso
o rete mirabile venosa che confluisce il sangue dalla periferia del lobulo epatico verso la vena
centrolobulare e alle vene epatiche.
Il sangue che circola nei sinusoidi è artero-venoso: infatti, inizialmente le diramazioni sono distinte
e affiancate fino alla periferia del lobulo, poi confluiscono nello stesso sistema di drenaggio,
immettendosi nei sinusoidi intralobulari.
L’unità anatomo funzionale del fegato è la cellula epatica o epatocita che ha una forma
poliedrica a 6 o più facce, costituita da un polo vascolare ed un polo biliare:
─ polo vascolare: rivolto verso la parete endoteliale discontinua dei sinusoidi, tra cui c’è lo spazio
perisinusoidale di Disse dove si ha il passaggio del filtrato plasmatico e gli scambi di sostanze tra
cellule epatiche e il sangue cioè glucosio, proteine plasmatiche e lipoproteine elaborate dalla cellula
epatica e immessi in circolo.
─ polo biliare: rivolto verso le cellule epatiche adiacenti, consente il passaggio della bile nel
canalicolo biliare.
Il fegato dal punto di vista Anatomico viene suddiviso in 4 lobi cioè lobo dx, sx, quadrato e
caudato, dal punto di vista Chirurgico viene suddiviso in 8 segmenti dotati di autonomia vascolare
e biliare, il che è molto importante per le resezioni epatiche: a livello dell’ilo epatico la vena porta,
arteria epatica e il dotto epatico si biforcano dando origine ai peduncoli glissoniani di I ordine,
tributari dell’emifegato dx e sx, il cui piano di divisione è dato dalla vena sovraepatica sagittale
mediana, diretta dall’alto in basso e da dx verso sx, cioè dal margine sx della vena cava inferiore
verso il letto della colecisti.
I peduncoli glissoniani di I ordine si dividono nei peduncoli di II ordine, tributari ognuno di un
settore, per cui ogni emifegato ha un settore paramediano e uno laterale, separati da un piano in cui
decorrono le vene sovraepatiche dx e sx.
I peduncoli di II ordine si dividono in due, per cui ogni settore è divisibile in 2 segmenti, per cui il
fegato presenta 8 segmenti, da I a VIII disposti in senso orario a partire dal lobo caudato.

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Poiché le vene sovraepatiche decorrenti nei piani divisori drenano il sangue da due unità contigue,
devono essere risparmiate nella exeresi chirurgica di una di queste unità, legando solo le affluenti
del territorio che si asporta. Inoltre, grazie alla capacità rigenerativa del fegato è possibile la
resezione di grossi volumi di massa epatica: le cellule epatiche proliferano attivamente, insieme agli
endoteli e i dotti biliari, con fx epatica che ritorna normale se il parenchima residuo è sano.
Le Funzioni del fegato sono diverse:
 Secrezione biliare: il fegato produce da 600 a 1000 ml di bile al giorno. La bile è costituita per il
95% da H2O, poi da sali biliari, fosfolipidi, proteine, colesterolo, bilirubina ed elettroliti, soprattutto
Na+, Ca++, K+, Cl-. La bile viene riversata nei canalicoli biliari a livello del polo biliare della cellula
epatica e giunge alla cistifellea: dopo i pasti si ha l’intervento della colecistochinina che stimola la
contrazione e lo svuotamento della colecisti con passaggio della bile nelle vie biliari extraepatiche
fino al duodeno dove la bile svolge diverse funzioni: digestione e assorbimento intestinale di
sostanze liposolubili, cioè la vit.A, D, K, nonché della vit.B12, Cu2+, Fe2+, regolazione del bilancio
di colesterolo mediante la escrezione biliare diretta o la conversione in acidi biliari, escrezione di
sostanze cataboliche come la bilirubina, farmaci e tossine.
 Metabolismo proteico: attraverso il circolo portale gli aminoacidi giungono al fegato dove una
parte viene catabolizzata in urea (azotemia), una parte viene immessa in circolo e un’altra parte
viene usata per la sintesi di nuove proteine, come le α e β globuline, soprattutto l’albumina
plasmatica che regola la P oncotica o colloidosmotica, controllando il passaggio di H2O e soluti tra
il compartimento intra ed extracellulare, ecco perché in caso di ipoalbuminemia si ha la perdita dei
liquidi dai vasi con conseguente edema cutaneo o ascite (cirrosi). L’albumina è importante perché
trasporta nel plasma la bilirubina indiretta, acidi grassi, vitamine, ormoni, farmaci...
 Metabolismo glucidico: il glucosio viene immagazzinato sottoforma di glicogeno nel fegato
attraverso la glicogenosi e in caso di necessità viene riconvertito in glucosio attraverso la
glicogenolisi e immesso in circolo per essere usato come fonte di riserva energetica. Comunque, il
fegato, attraverso la gluco-neogenesi, riesce a ricavare il glucosio da fonti non carboidratiche, cioè
dalle proteine e lipidi, ecco perché in caso di sofferenza epatica si può andare incontro a
ipoglicemia, come in caso di insufficienza epatica in caso di epatite acuta, epatite alcolica ...
 Metabolismo lipidico: il fegato provvede alla conversione degli acidi grassi liberi in trigliceridi,
alla sintesi ed esterificazione del colesterolo, cioè il colesterolo viene coniugato agli acidi grassi e
veicolato con la bile all’intestino dove sono riassorbiti.
Le 4 maggiori classi di lipidi presenti nel plasma, cioè colesterolo libero, esteri del colesterolo,
fosfolipidi e trigliceridi, essendo insolubili in H2O, formano complessi con proteine specifiche e
sono veicolate nel plasma sottoforma di lipoproteine, cioè:
─ lipoproteine a densità molto bassa VLDL sintetizzate dal fegato.
─ lipoproteine a densità bassa LDL o colesterolo cattivo: rappresentano i principali trasportatori
del colesterolo nel siero, derivanti soprattutto dal catabolismo delle VLDL.
─ lipoproteine a densità alta HDL o colesterolo buono, prodotto a livello epatico e intestinale.
 Sintesi dei fattori della coagulazione: fibrinogeno o fattore I della coagulazione, fattori della
coagulazione vit.k dipendenti, cioè fattore II o protrombina, fattore V, VII, IX, X.
Inoltre, sintetizza alcuni fattori che regolano il processo della coagulazione, cioè l’antitrombina III,
la proteina C, cofattore eparinico II.
 Metabolismo ormoni e farmaci: il fegato svolge un’importante azione detossificante nei
confronti di sostanze endogene come gli ormoni, sia di sostanze esogene come farmaci e tossine.
 Metabolismo della bilirubina: la Bilirubina è il prodotto terminale del catabolismo dell’Hb
rilasciata dai globuli rossi invecchiati. Infatti, i globuli rossi hanno una vita media di ~ 120 gg al
termine della quale sono distrutti dalle cellule del sistema reticolo endoteliale e dalla milza
mediante il processo dell’emocateresi, perciò i globuli rossi rilasciano l’Hb che viene degradata in
seguito all’azione del sistema enzimatico eme-ossigenasi con conseguente distacco della globina
dal gruppo eme e formazione di ematina, poi si ha la perdita di ferro, la trasformazione
dell’ematina in protoporfirina IX, la rottura dell’anello tetrapirrolico e formazione della
biliverdina da cui deriva la bilirubina indiretta o non coniugata che è insolubile in acqua per cui

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si ha l’intervento dell’albumina plasmatica che ha la capacità di legarsi a 2 molecole di bilirubina
indiretta e di trasportarla al fegato. A livello della membrana della cellula epatica si ha la
scissione del legame tra albumina e bilirubina e si ha l’intervento di alcune proteine di trasporto
dette ligandine che veicolano la bilirubina nella cellula epatica dove avviene il processo della
glicuronazione, cioè la coniugazione tra la bilirubina indiretta e 2 molecole di acido glicuronico,
con formazione della bilirubina diretta o coniugata che è idrosolubile, cioè solubile in H2O. La
bilirubina diretta viene escreta nella bile che, a sua volta, a livello del polo biliare passa nei
canalicoli biliari, viene trasportata alla cistifellea che rappresenta il serbatoio naturale della bile.
Dopo i pasti si ha l’intervento della colecistochinina che favorisce la contrazione della cistifellea e
il passaggio della bile nelle vie biliari principali che conducono la bile al duodeno dove viene
degradata in corpi bilinoidi dalla flora batterica intestinale, cioè stercobilinogeno che
rappresenta la quota di pigmenti biliari eliminata con le feci e urobilinogeno che rappresenta la
quota di pigmenti biliari che viene riassorbita a livello intestinale e che ritorna al fegato
attraverso la circolazione entero-epatica, mentre solo una piccola quota sfugge alla riescrezione
epatica e viene eliminata con le urine.
Ricordiamo i valori normali:
─ nel soggetto adulto normale vengono distrutti ~ 7,5 gr di Hb in 24 h da cui derivano 260 mg di
bilirubina, a cui bisogna associare 40 mg di bilirubina di origine diversa (emolisi intramidollare di
eritrociti giovani, distruzione intramidollare di eritroblasti e precursori dell’eme, cioè le porfirine).
─ bilirubina totale = 0,20-1,20 mg/dl.
─ bilirubina diretta = 0,3-0,4 mg/dl.
─ bilirubina indiretta = 0,2-0,8 mg/dl sangue.
─ quantità di stercobilinogeno eliminato con le feci = 50-250 mg.
─ quantità di urobilinogeno eliminato con le urine 1-2 mg.
Le Vie Biliari Extraepatiche sono distinte in vie biliari principali e vie biliari accessorie.
Le vie biliari principali sono rappresentate dai dotti epatici dx e sx che originano dalla
confluenza dei canalicoli biliari provenienti dai segmenti epatici e che a livello dell’ilo epatico
convergono formando il dotto epatico comune che insieme al dotto cistico, proveniente dal collo
della colecisti, costituiscono il dotto coledoco che passa posteriormente alla prima porzione
duodenale e alla testa del pancreas e sbocca nell’ampolla duodenale maggiore insieme al dotto
pancreatico principale del Wirsung, dove c’è un sistema di fibrocellule muscolari lisce che
costituiscono lo sfintere di Oddi, sboccando a livello della parete mediale della seconda porzione
duodenale (porzione discendente).
Le vie biliari accessorie sono rappresentate dalla colecisti o cistifellea che rappresenta il
serbatoio naturale della bile, può contenerne fino a 50-60 cm³ di bile. E’ costituita dal fondo, corpo
e il collo a cui segue il dotto cistico.
La vascolarizzazione dei dotti epatici dx, sx e del dotto coledoco, si deve a rami della arteria epatica
e alle vene affluenti della vena porta.
La cistifellea è irrorata dalla arteria cistica ramo dell’arteria epatica dx oppure della arteria epatica
propria. Le vene costituiscono un tronco che sbocca nel ramo dx della vena porta.
Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi dell’ilo epatico, il linfonodo cistico e del dotto coledoco.

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ITTERO

L’Ittero è la colorazione giallastra della cute e delle mucose, soprattutto delle sclere che si
verifica quando > i livelli di bilirubina nel plasma.
Si parla di subittero se i livelli di bilirubina sono pari a 2 mg/dl con colorazione giallastra
delle sclere o altre mucose, mentre si parla di ittero franco se i livelli plasmatici della
bilirubina sono pari a 3-5 mg/dl sangue con colorazione giallastra della cute e delle sclere
poiché c’è affinità tra la bilirubina e l’elastina che è una proteina delle fibre elastiche delle
sclere. Possiamo fare una distinzione tra:
 Ittero a bilirubina indiretta o non coniugata in genere da iperemolisi cioè eccessiva
distruzione dei globuli rossi, da eritropoiesi esagerata con eccessiva produzione di globuli rossi,
deficit della capacità di trasporto intraepatico della bilirubina indiretta, deficit della glicuronazione.
 Ittero a bilirubina diretta o coniugata o ittero colestatico o ittero da stasi o ittero ostruttivo
che è l’ittero di interesse chirurgico poiché è causato da una ostruzione meccanica delle vie biliari
che può avvenire a diversi livelli ostacolando il deflusso della bile, dovuto alla presenza di calcoli,
stenosi infiammatorie, neoplasie, lesioni iatrogene, cisti da echinococco...
Inoltre, la Classificazione degli itteri prevede la distinzione tra ittero pre-epatico, epatico e post-
epatico a seconda che ci sia l’interessamento del compartimento ematico, delle cellule epatiche
o delle vie biliari.
L’ITTERO PRE EPATICO è un ittero a iperbilirubinemia indiretta o non coniugata, con funzione
epatica normale, causato da:
– iperemolisi che può essere congenita da anemia emolitica oppure acquisita di natura tossica,
immunitaria, infettiva (malaria), neoplastica (linfomi di Hodgkin). L’iperemolisi è caratterizzata
da eccessiva distruzione dei globuli rossi mediante emocateresi con notevole liberazione di Hb
e produzione di bilirubina indiretta che le cellule epatiche non riescono a coniugare ed
eliminare totalmente con accumulo di bilirubina indiretta (libera) nel sangue.
– ipereritropoiesi cioè eccessiva produzione di globuli rossi, come l’ittero di Israel da iperplasia
eritroblastica con lisi prematura dei globuli rossi e liberazione di Hb, talassemia, anemia
perniciosa, porfiria..
In genere, nell’ittero pre-epatico i livelli plasmatici della bilirubina sono ≤ 4 mg/dl sangue:
poiché la bilirubina indiretta è insolubile in acqua, non supera il filtro renale, per cui non si ha
l’eliminazione della bilirubina indiretta con le urine, ecco perchè abbiamo urine ipocromiche,
feci ipercromiche da > eliminazione dello stercobilinogeno intestinale con le feci.
L’ITTERO EPATO-CELLULARE può essere distinto in:
 ittero a iperbilirubinemia indiretta da deficit della glicuronazione della bilirubina.
 ittero a iperbilirubinemia diretta da deficit della escrezione della bilirubina diretta a livello
del polo biliare della cellula epatica.
Quindi l’ittero epato-cellulare si deve ad una sofferenza della cellula epatica con deficit della
captazione, elaborazione ed escrezione della bilirubina, come accade in caso di epatite virale,
cirrosi epatica, degenerazione tossica da alcol o farmaci, carcinoma epatocellulare che possono
essere caratterizzati da un > bilirubina totale e frazionata, < colesterolo totale, ipoalbuminemia,
< PT (somministrare vit. k), >> transaminasi GOT (AST aspartato aminotransferasi) e soprattutto
GPT (ALT alanina aminotransferasi), fosfatasi alcalina ≥.
Inoltre, il pz presenta feci ipocoliche o acoliche e prurito intenso da > sali biliari nel sangue.
L’ittero epato-cellulare può essere congenito o acquisito.
Tra le Forme Congenite abbiamo l’ittero fisiologico neonatale da deficit delle ligandine e
glicuronazione che normalmente si attivano dopo circa 1 mese dalla nascita.
Tra le Forme Acquisite abbiamo:
 ittero da latte materno a iperbilirubinemia indiretta da deficit della glicuronazione dovuto
ad una sostanza presente nel latte materno (3α-20β-pregnandiolo).
 ittero di Lucey-Driscall (neonatale) dovuto ad una sostanza presenta nel siero materno che
inibisce la glicuronazione.

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 sindrome di Crigler-Najjar: ittero a iperbilirubinemia indiretta distinta in sindrome di
Crigler-Najjar di tipo I da deficit della glicuronazione totale in cui solo una piccola quota o
nessuna di bilirubina indiretta viene coniugata, per cui si hanno delle gravi alterazioni
neurologiche con ittero nucleare o Kernicterus perchè la bilirubina indiretta si svincola
dall’albumina plasmatica e riesce a superare la barriera ematoencefalica immatura del
neonato, alterando i nucleoli della base dell’encefalo, provocando perdita dei riflessi,
convulsioni, strabismo oculare, nistagmo oculare, turbe cardiocircolatorie e respiratorie fino
alla morte nel primo anno di vita, raramente il bambino raggiunge l’adolescenza ma con gravi
disturbi neurologici.
Poi abbiamo la sindrome di Crigler- Najjar di tipo II da deficit parziale della glicuronazione, per
cui è meno grave del tipo I.
 sindrome di Gilbert: ittero a iperbilirubinemia indiretta da deficit della captazione della
bilirubina indiretta da parte delle cellule epatiche, si manifesta con debolezza, stanchezza...
 sindrome di Dubin-Johnson: ittero a iperbilirubinemia diretta da deficit della escrezione
della bilirubina nei capillari biliari con pigmentazione del fegato in seguito all’accumulo di un
pigmento nei lisosomi delle cellule epatiche, per cui si parla di ittero a fegato nero, con ittero
ingravescente, urine ipercromiche, spesso scoperta durante la gravidanza, mentre nella sindrome
di Rotor si hanno gli stessi sintomi ma senza la pigmentazione del fegato.
L’ITTERO POST-EPATICO è detto anche Ittero Ostruttivo o ittero da stasi o colestatico ed
è un ittero a iperbilirubinemia diretta o coniugata in seguito ad un ostacolo al deflusso della
bile, distinto in ittero ostruttivo intra ed extraepatico.
L’ittero ostruttivo intraepatico è dovuto ad un ostacolo a livello del polo biliare della cellula
epatica, come succede nelle donne al 7-8° mese di gravidanza a causa degli alti livelli di
estrogeno che vanno ad alterare la membrana della cellula epatica, oppure può essere dovuto ai
contraccettivi orali, alle infezioni delle vie biliari intraepatiche o colangiti con desquamazione e
necrosi dell’epitelio, per cui la bilirubina non riesce a defluire, si accumula nella cellula epatica
e poi rigurgita nel sangue con conseguente iperbilirubinemia diretta.
L’ittero ostruttivo extraepatico è una ostruzione delle vie biliari extraepatiche da calcoli,
neoplasie come il carcinoma della testa del pancreas o del dotto coledoco, pancreatite cronica
con sostituzione del parenchima pancreatico con tessuto fibroso che esercita una compressione
ab estrinseco sul fegato e vie biliari. Il pz presenta ittero intenso con colore giallo-verdastro
della cute e mucose, prurito intenso per ristagno dei sali biliari, feci chiare o acoliche per
l’ostruzione delle vie biliari, deficit del passaggio della bile nell’intestino con mancata
eliminazione dello stercobilinogeno, urine molto scure, color marsala perché la bilirubina diretta
è solubile in acqua, supera il filtro renale e viene eliminata con le urine.
Dal punto di vista Fisiopatologico l’ostruzione delle vie biliari è caratterizzata da un > P
nell’albero biliare con dilatazione a monte dell’ostruzione, a livello delle vie biliari
intraepatiche, distensione della colecisti e vie biliari con dolore tipico della colica epatica.
Il ristagno della bile nelle vie biliari provoca Alterazioni Anatomo Patologiche cioè
alterazione dei microvilli dei canalicoli biliari con edema e scarsa capacità secretiva,
irritazione dei canalicoli biliari e colangite cioè infiammazione con eccessiva produzione di
fibre collagene con fibrosi, rottura delle membrane dei canalicoli biliari e > fosfatasi alcalina.
Le Indagini di Laboratorio evidenziano: > bilirubina diretta nelle fasi iniziali, poi la cellula epatica
va incontro ad una maggiore sofferenza con deficit della captazione e glicuronazione con
conseguente > bilirubina indiretta, > fosfatasi alcalina iperprodotta dalle cellule epatiche a causa
dell’ostacolo al flusso biliare; ipoalbuminemia da deficit della sintesi proteica; deficit della sintesi
dei fattori della coagulazione vit.k dipendenti. Infatti, la bile non raggiunge il duodeno per cui i
sali biliari in essa contenuti non possono svolgere le proprie funzioni, cioè assorbimento delle
vitamine liposolubili, come la vit.k indispensabile per la sintesi dei fattori della coagulazione,
inoltre, i sali biliari si legano alle endotossine per evitare il loro passaggio in circolo, per cui nel
pz con ittero ostruttivo si possono verificare delle infezioni da gram¯.
Tra le cause più importanti di ittero ostruttivo abbiamo la calcolosi o litiasi biliare.

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CALCOLOSI della COLECISTI o COLELITIASI BILIARE

La Calcolosi della Colecisti o colelitiasi biliare è dovuta alla formazione di calcoli unici o
multipli nella colecisti che possono migrare nelle vie biliari principali, come nel dotto coledoco
provocando ittero ostruttivo, raramente i calcoli si formano direttamente nelle vie biliari principali.
Dal punto di vista Epidemiologico la litiasi biliare o colelitiasi è molto frequente nei Paesi
occidentali, colpisce soprattutto soggetti di sesso F con rapporto M/F = 1/3, dopo i 40 aa nel 15%
dei casi e verso i 70 aa nel 40% dei casi, in particolare le multipare ed è stata individuata anche una
certa predisposizione familiare cioè la colelitiasi può verificarsi in diversi soggetti della stessa
famiglia (mamme e figlie).
La colelitiasi è più frequente nelle donne perché gli ormoni femminili hanno effetti sia sulla
secrezione di colesterolo biliare, con tendenza alla più rapida cristallizzazione del colesterolo nella
colecisti, che sulla motilità colecistica provocando stasi biliare: il progesterone inibisce la motilità
colecistica attraverso un effetto diretto sulla muscolatura dell’organo.
Ecco perché la gravidanza rappresenta un ulteriore fattore predisponente, vista la quota elevata di
estrogeni e progesterone che caratterizza questa fase della vita della donna: durante la gravidanza si
riscontra una grossa quantità di sabbia biliare nella colecisti cioè si forma un deposito di cristalli di
colesterolo, bilirubinato e sali di Ca2+ che può favorire la formazione dei calcoli biliari, ma spesso si
ha la scomparsa della sabbia nei mesi successivi al parto.
Altri fattori di rischio litogenico sono: terapia ormonale sostitutiva nelle donne in
postmenopausa, ormonoterapia nei pz di sesso M con carcinoma prostatico, contraccettivi orali,
l’obesità favorisce sia la sintesi di calcoli di colesterolo sia la < della motilità della colecisti, il
rapido dimagrimento dovuto a diete a basso contenuto calorico è responsabile di ~ 1/3 dei casi di
calcolosi biliare perchè l’organismo cerca di compensare le perdite attraverso una > secrezione di
colesterolo nella bile, senza dimenticare che lo scarso stimolo prandiale provoca una < del
meccanismo di contrazione colecistica con conseguente stasi biliare.
Le diete prive di fibre e ricche di carboidrati raffinati o ricche di grassi aumentano il rischio di
calcoli biliari, mentre un effetto protettivo viene garantito dalle diete vegetariane e dal basso
consumo di bevande alcoliche. La colelitiasi biliare è frequente nei diabetici a causa della ridotta
motilità colecistica e all’> della secrezione biliare di colesterolo, senza dimenticare che spesso il
diabete si associa ad altri 2 fattori di rischio di colelitiasi cioè l’obesità e l’ipertrigliceridemia.
I calcoli possono essere di vario tipo: calcoli di colesterolo, pigmento biliare puro e misti.
I Calcoli di Colesterolo o Colesterolici in genere sono calcoli solitari che si formano in seguito
ad alterazioni metaboliche con precipitazione del colesterolo che può essere dovuto ad una
ipercolesterolemia costituzionale o alimentare, ipercolesterolemia temporanea come nelle
donne in gravidanza, con eccesso del tasso di ormoni steroidi nella bile, oppure la precipitazione del
colesterolo si deve ad una eccessiva produzione di sali biliari da parte dell’epatocita.
Sono costituiti da: colesterolo > 50%, fosfati, carbonato di Ca++, bilirubinato di Ca++, fosfolipidi,
acido palmitico, glicoproteine, mucopolisaccaridi.
Per cui il colesterolo viene sintetizzato a livello epatico, viene escreto nella bile in parte senza
subire modificazioni, in parte viene degradato in acidi biliari che in gran parte sono riassorbiti a
livello dell’ileo distale e veicolati al fegato mediante la circolazione entero-epatica per la sintesi di
nuovo colesterolo.
Il colesterolo è insolubile in acqua per cui ha bisogno di una sostanza lipidica per essere
solubilizzato, cioè la lecitina, e sostanze anfipatiche, cioè i sali biliari, in grado di formare con esse
delle micelle costituite da un nucleo centrale colesterolico, con associazione tra fosfolipidi e sali
biliari, circondato da molecole più solubili, cioè acidi biliari e lecitina.
Secondo il Triangolo di Admiral-Small per ottenere una corretta solubilizzazione del colesterolo
occorre avere un ottimo rapporto tra colesterolo, fosfolipidi e sali biliari cioè: colesterolo < 10%,
fosfolipidi < 20%, sali biliari > 70%.
La precipitazione del colesterolo avviene in seguito alla sovrasaturazione del colesterolo (>10%)
cioè viene superata la sua solubilizzazione, per cui > il deposito di colesterolo e < la quantità di

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acidi biliari che hanno il compito di stabilizzare la soluzione, per cui il colesterolo si solidifica su
un substrato di muco secreto dalla colecisti con formazione del calcolo.
La calcolosi colesterolica prevede 2 fasi:
─ fase di nucleazione con precipitazione del colesterolo intorno ad un nucleo centrale costituito da
cellule sfaldate dell’epitelio colecistico, batteri, glicoproteine, sali di Ca²+, pigmenti.
─ fase di accrescimento del calcolo per apposizione radiale o concentrica di cristalli di colesterolo.
I Calcoli di Pigmento Biliare Puro o bilirubinato di Ca²+ rappresentano il 10-20% dei casi, in
genere multipli, di piccole dimensioni, colorati cioè neri e si parla di black stones o bruni e si parla
di brown stones, di consistenza dura-friabile, privi di colesterolo ma costituiti da bilirubinato di
Ca++ e fosfati.
La precipitazione dei pigmenti biliari avviene in presenza di un’eccessiva quantità di bilirubina
indiretta non coniugata o monoconiugata nella bile, come può succedere in caso di cirrosi epatica
con insufficienza epatocellulare.
I Calcoli Misti sono i più frequenti, costituiti da colesterolo monoidrato, fosfolipidi, acidi e
pigmenti biliari, proteine e acidi grassi, spesso sono multipli, lisci e sfaccettati, consistenza dura,
colore grigio-biancastro o verdastro a seconda della prevalenza del colesterolo o dei pigmenti
biliari.
Dal punto di vista CLINICO la calcolosi della colecisti resta asintomatica fino a quando i calcoli
non migrano nel coledoco o nel dotto cistico con conseguente ostruzione e/o infiammazione.
Le forme asintomatiche possono essere scoperte casualmente mediante una Ecografia o altre
indagini richieste per altri motivi. Le forme sintomatiche sono caratterizzate dalla colica
biliare o epatica, sintomo più specifico della colelitiasi biliare, dovuto alla migrazione del
calcolo dalla colecisti nel dotto cistico o nelle vie biliari principali extraepatiche. La colica biliare si
manifesta con dolore improvviso e intenso in una situazione di pieno benessere, di intensità
costante, localizzato all’ipocondrio dx, si irradia verso l’epigastrio, al fianco e spalla dx,
soprattutto all’angolo inferiore della scapola di dx.
Il dolore in genere dura 15-30 min, raramente 1-4 h e tende a regredire progressivamente
spontaneamente o con analgesici o antispastici.
Il pz può presentare nausea, vomito prima alimentare, poi biliare, non ha la febbre, mentre in
presenza di febbre possiamo sospettare la presenza di una litiasi delle vie biliari extraepatiche con
flogosi secondaria della colecisti. Il pz è sofferente ed immobile nel letto, con respiro rapido e
superficiale, rispetto alla colica renale dove il pz è molto agitato, si muove continuamente nel letto
tentando di trovare una posizione antalgica.
Il segno di Murphy è +: la manovra di Murphy consiste in una palpazione profonda affondando la
mano sotto l’arcata costale dx, invitando il pz ad eseguire una inspirazione profonda, scatenando un
dolore vivo con blocco della respirazione.
Nelle ore o giorni successivi alla colica biliare può comparire subittero cioè colorazione giallastra
delle sclere, urine ipercromiche cioè iperpigmentate, feci acoliche cioè chiare e questa situazione
può regredire nel giro di qualche giorno oppure si può avere la migrazione di uno o più calcoli dalla
colecisti nel coledoco con conseguente ittero ostruttivo.
Infatti, la Litiasi delle vie biliari principali o epatocoledocica nel 70% dei casi è dovuta alla
migrazione di uno o più calcoli dalla colecisti nel coledoco, nel 30% dei casi i calcoli si formano
direttamente nel coledoco in seguito ad un’ostruzione parziale dovuta ad un calcolo residuo, stenosi
traumatiche o colangiti sclerosanti.
Il calcolo può raggiungere la papilla di Vater realizzando un meccanismo a valvola con ostruzione
parziale e intermittente e solo quando l’ostruzione diventa completa si hanno segni clinici e
bioumorali di colestasi:
 segni di stasi biliare cioè dolore, ittero con > fosfatasi alcalina, > γ-glutamil-transpeptidasi, >
bilirubina coniugata e > transaminasi.
 segni colangite acuta cioè la Triade di Charcot con dolore, febbre e ittero:
─ dolore: la colica biliare si manifesta nel 70-75% dei casi, in genere associato a nausea e vomito.

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─ febbre alta (39-40°C) insorge piuttosto rapidamente a volte con brividi e leucocitosi neutrofila
indice di colangite da ostruzione delle vie biliari con stasi della bile e sovrainfezione batterica.
─ ittero: in genere modesto e compare dopo un periodo più o meno lungo di disturbi dispeptici o
dopo una colica tipica, associato a prurito, feci ipocoliche o acoliche, urine ipercromiche. E’ un
ittero di intensità variabile, intermittente, poiché l’ostruzione coledocica è dovuta sia ad un fattore
meccanico sia allo spasmo e all’edema infiammatorio.
La palpazione dell’epigastrio e ipocondrio dx provoca dolore, la cistifellea non è palpabile
perché si ha la sclerosi della parete che perde la sua elasticità e non si distende.
Il pz può presentare turbe dispeptiche: < appetito, digestione lenta e laboriosa con
intolleranza per i cibi grassi, meteorismo post-prandiale, pirosi, eruttazioni e rigurgiti acidi,
nausea, vomito alimentare e poi biliare, cefalea, alvo irregolare con stipsi alternata a diarrea.
In alcuni casi il calcolo migra dal coledoco nel dotto pancreatico principale del Wirsung
ostruendolo e provocando il reflusso del succo pancreatico ricco di enzimi digestivi attivi nel
pancreas con conseguente pancreatite acuta biliare con > rapido e notevole dell’amilasi.
Ricordiamo che in alcuni casi il pz presenta la Triade di Saint cioè la calcolosi della colecisti è
associata alla diverticolosi del colon e all’ernia jatale, oppure la Tetrade di Captell se la calcolosi
della colecisti è associata alla diverticolosi del colon, ernia jatale e ulcera peptica.
La DIAGNOSI della colelitiasi si basa su:
 Anamnesi: storia clinica del pz, abitudini di vita cioè abuso di alcol, uso di farmaci epatotossici
(cloropomazina, isomiazide, alfa-metil-dopa), contatto con sostanze epatotossiche (idrocarburi
alogenati, fosforo bianco), epatite B pregressa. Se l’ittero insorge improvvisamente ed è associato a
calo ponderale dobbiamo sospettare la presenza di una neoplasia, se il pz ha delle coliche violente
con comparsa di ittero possiamo sospettare una coledoco-litiasi.
 Esame Obiettivo: valutiamo la presenza dell’ittero con colorazione giallastra della cute e delle
mucose, soprattutto delle sclere, perché c’è affinità tra le fibre elastiche delle sclere e la bilirubina,
dolore tipico della colica biliare, segno di Murphy +, prurito intenso dovuto alla eccessiva
presenza di sali biliari nel sangue, spesso insopportabile, esasperante, infatti si osservano delle
lesioni da grattamento soprattutto a livello delle mani e dei piedi, difficili da controllare con gli
antistaminici, e sono stati segnalati alcuni casi di suicidio.
 Indagini di Laboratorio: in caso di ittero ostruttivo abbiamo > bilirubina diretta, > fosfatasi
alcalina enzima prodotto dalle cellule epatiche, da ossa, intestino, reni, mammelle, ghiandole
salivari (v.n. = 50-150 U/l), > γGT che insieme agli altri parametri consente di valutare la difficoltà
allo scarico della bile nel duodeno, deficit della sintesi dei fattori della coagulazione vit.k
dipendenti, ipoalbuminemia e < del tempo di Quick da malassorbimento della vit. K (sindrome da
insufficienza epatocellulare). Si possono valutare anche i markers neoplastici, le feci acoliche o
ipocoliche, le urine ipercromiche color marsala, > transaminasi e del rapporto GOT/GPT (valori
normali 0,7-1,4) cioè enzimi responsabili della deamminazione degli aa, distinti in GOT o AST
(glutammato ossalacetica: 10-45 U/l M, 5-30 U/l F) prodotto dal tessuto epatico e da altri tessuti, e
GPT o ALT (glutammico piruvica: 10-40 U/l M, 5-35 U/l F) prodotta solo dal tessuto epatico.
 Rx diretto dell’Addome: non è utile perchè i calcoli di colesterolo sono radiotrasparenti, non
visibili all’Rx, mentre i calcoli di pigmento biliare puro sono radiopachi.
 Ecografia: è l’esame di prima scelta, semplice, non costoso, non invasivo, ripetibile, consente di
evidenziare la morfologia e lo stato di riempimento della colecisti, l’ispessimento della parete
colecistica in caso di colecistite acuta o cronica, la dilatazione delle vie biliari intra ed
extraepatiche, la struttura del parenchima epatico.
I calcoli si presentano come strutture iperecogene (riflettono gli ultrasuoni) contenute nel lume
della colecisti, a volte galleggianti nella bile in caso di calcoli di colesterolo puro, oppure adagiati o
strettamente aderenti alla parete colecistica. Caratteristico è il cono d’ombra distale cioè una
colonna priva di echi dietro al calcolo a causa di una completa riflessione degli ultrasuoni.
Ricordiamo che il meteorismo dovuto alla presenza di gas nel duodeno può mascherare
l’osservazione soprattutto della regione del coledoco terminale.

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 ERCP o Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica: esame radiografico dei dotti
pancreatici e delle vie biliari, eseguito dopo iniezione di un m.d.c. nei dotti pancreatici e nel
coledoco mediante incannulazione endoscopica, cioè si introduce il fibro-duodenoscopio per via
retrograda fino al duodeno, si incannula la papilla del Vater, si inietta il m.d.c., e si
somministra glucagone per via e.v. o un anticolinergico per via i.m. per determinare atonia e
rilasciamento dello sfintere di Oddi. L’esame dura 30-60 minuti. E’ Indicato per stabilire la
natura dell’ittero, diagnosi di tumori periampollari cioè tumori della papilla del Vater, tumori
del pancreas e dotti biliari, localizzazione di calcoli e stenosi dei dotti pancreatici e biliari,
consentendo di estrarre direttamente i calcoli, eseguire una papillotomia e prelievi bioptici,
inoltre diagnosi di colangite acuta, colangite sclerosante primitiva, pancreatite acuta e cronica,
malattia di Caroli, può essere usata nel periodo preoperatorio per drenare il pz mediante un
sondino naso-biliare.
L’ERCP è Controindicata nei pz gastro-resecati, alterazioni papilla di Vater, presenza di
diverticoli peripapillari, stenosi, neoplasie serrate; in questi casi si ricorre alla PTC.
Le Complicanze della ERCP sono:
─ pancreatite acuta: si verifica se anziché incannulare il dotto coledoco, incannuliamo il dotto
pancreatico di Wirsung con irritazione ed edema della papilla che impedisce il deflusso del succo
pancreatico nel duodeno con reflusso del succo pancreatico nel pancreas e pancreatite acuta. Dopo
la ERCP è opportuno il dosaggio degli enzimi pancreatici cioè amilasi, lipasi... in modo da ricorrere
eventualmente alla terapia opportuna.
─ perforazione duodenale ed emorragia da papillo-sfinterotomia.
─ colangite acuta.
─ sepsi.
─ mortalità (0,1%).
 PTC o Colangiografia Percutanea Transepatica: è un esame fluoroscopico delle vie biliari
dopo somministrazione di un m.d.c. nell’albero biliare con ago sottile, flessibile, detto ago di
Chiba, lungo 15 cm, con Ø 0,7 cm.
L’esame deve essere condotto in condizioni di asepsi, in sala operatoria, sedando il pz: sottoguida
ecografica, si invita il pz a inspirare profondamente e a trattenere il respiro, quindi si introduce l’ago
sotto l’arcata costale dx, a livello della linea ascellare media o anteriore, per cui estraendo il
mandrino si osserverà la fuoriuscita della bile soltanto se l’ago è penetrato in un ramo biliare
intraepatico. E’ possibile misurare la P a tale livello, raccogliere un campione di bile da esaminare,
poi si inietta il m.d.c. che si ferma a livello dell’ostacolo consentendo la diagnosi di sede e natura.
La PTC è Indicata soprattutto per le forme ostruttive alte consentendo la diagnosi differenziale
tra ittero ostruttivo e non ostruttivo, localizzazione, estensione e causa di una ostruzione
meccanica delle vie biliari.
La PTC è Controindicata nei pz con deficit della coagulazione del sangue (diatesi emorragica),
in presenza di cisti idatidea per evitare la rottura della cisti e la disseminazione del parassita, ma
soprattutto se le vie biliari non sono dilatate, come nelle colangiti croniche dove il m.d.c. non
passa e cui non si osserva niente.
Le Complicanze della PTC sono l’emorragia, emobilia, sepsi...
 Colangio-RMN o MRCP: è una colangiografia e.v. che consente la ricostruzione
tridimensionale delle vie biliari e pancreatiche mediante la RMN molto sensibile e specifica per le
patologie ostruttive delle vie biliari da calcoli, stenosi o anomalie congenite delle vie biliari.
Nei casi dubbi è molto utile la DIAGNOSI INTRAOPERATORIA mediante:
 Colangiografia Intraoperatoria Transcoledocica o Transcistica : indagine radiografica e
fluoroscopica delle vie biliari con iniezione del m.d.c. attraverso un tubo a T che viene inserito nel
coledoco durante l’intervento chirurgico, consentendo la Diagnosi Intraoperatoria di calcoli, stenosi
delle vie biliari, neoplasie e fistole dei dotti biliari.
 Ecografia Intraoperatoria: si mobilizza il duodeno con la manovra di Cocker e si applica
direttamente il trasduttore sulla parete della via biliare.

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 Coledocoscopia: esplorazione endoscopica delle vie biliari extraepatiche mediante il
coledocoscopio introdotto nel coledoco attraverso una coledocotomia o dopo una papillotomia per
via retrograda, osservando direttamente all’interno del coledoco.
La PROGNOSI della colelitiasi è favorevole in assenza di complicanze.
La TERAPIA della colelitiasi può essere medica conservativa o chirurgica.
La Terapia Medica è soprattutto dietetica evitando il consumo di alcol, cibi grassi, favorendo la
dieta ricca di fibre, associata ad una opportuna attività fisica, mentre la terapia farmacologica era
usata in passato in caso di calcoli di colesterolo, piccoli con terapia litica per os con acidi biliari,
cioè acido chenodesossicolico o acido ursodesossicolico (10-15 mg/kg/die) per favorire la
solubilizzazione del colesterolo ma è controindicata in caso di epatopatie, donne in età fertile per
evitare danni al feto, senza dimenticare che le possibilità di recidive sono del 50% dopo 7 aa.
La litotripsia extracorporea con onde d’urto (usata anche nella calcolosi renale) è indicata
soprattutto nel caso di calcoli di colesterolo con Ø ≤ 3 cm: i calcoli vengono frantumati e poi si
somministra per l’acido cheno-urso-desossicolico per os per solubilizzare i calcoli, in modo da
eliminarli naturalmente, anche se talvolta si hanno delle coliche oppure l’ostruzione della papilla
fino a provocare la pancreatite acuta.
La Terapia Chirurgica si avvale della colecistectomia video-laparoscopica a cielo chiuso
(chirurgia mininvasiva) consiste nell’inserire un tubo a fibre ottiche in sede ombelicale che consente
una videoscopia del campo operatorio e nell’introduzione videoguidata di due o più strumenti
operatori in altri punti addominali per eseguire l’asportazione della colecisti (incisione laparotomica
a livello ombelicale, sottocostale dx e epigastrica). Questa tecnica offre vari vantaggi e svantaggi:
─ vantaggi: riduzione del dolore post-operatorio, assenza di turbe respiratorie, conservazione della
peristalsi intestinale, ripresa rapida dell’alimentazione senza necessità di reidratare il pz per via e.v.,
degenza ospedaliera post-operatoria di 24-48 h al massimo, cicatrici molto piccole, rischio di
laparoceli e fenomeni aderenziali molto basso.
─ svantaggi: maggiore durata dell’intervento, possibilità di insorgenza di aritmie, oppure lesione di
un vaso arterioso parietale o di un viscere cavo o parenchimatoso o di una massa patologica da parte
del tre-quarti, cedimento di una graffetta emostatica con conseguente emoperitoneo o coleperitoneo,
migrazione di un piccolo calcolo della colecisti nelle vie biliari principali.
Queste complicanze sono molto limitate se l’intervento viene eseguito da mani esperte.
Se l’intervento risulta più difficile rispetto alle previsioni oppure insorgono degli imprevisti durante
l’intervento laparoscopico, si deve passare alla colecistectomia tradizionale con laparotomia
mediana o sottocostale o trasversale, asportando la cistifellea per via retrograda, cioè partendo dal
suo ilo, legando l’arteria cistica a parte.
Se i calcoli sono situati nel coledoco si ricorre alla coledocotomia sopraduodenale: si incide il
coledoco e lo si spreme per favorire l’uscita del calcolo. Se invece i calcoli sono bloccati a livello
della papilla di Vater si ricorre alla papillotomia transduodenale.
La papillotomia e la sfinterotomia per via endoscopica sono indicate in caso di papillite ed oddite
sclerosante: si dilata lievemente la papilla senza danneggiare lo sfintere per favorire l’uscita
spontanea dei calcoli, oppure si usa un catetere a palloncino o la sonda a castello di Dormia, oppure
la litotripsia con onde d’urto per favorire la rimozione dei calcoli.
Complicanze della Calcolosi Biliare
 COLECISTITE ACUTA: è la complicanza più frequente della colelitiasi biliare, dovuta alla
presenza di uno o più calcoli che irritano la parete della colecisti e nella maggior parte dei casi
ostruiscono il dotto cistico o il collo della colecisti con conseguente colecistite acuta litiasica
caratterizzata da edema nella zona dell’ostruzione, alterazione dei vasi sanguigni della parete della
colecisti, ristagno di bile nella colecisti che favorisce la proliferazione dei germi, come E. coli,
Klebsiella, Streptococcus e Clostridium responsabili di alcune infezioni di entità diversa, cioè
idrope, empiema e flemmone.
Ricordiamo che esiste anche la colecistite acuta alitiasica in cui l’ostruzione al deflusso della
bile dalla colecisti non è dovuta ad un calcolo, ma ad altre cause (trauma chirurgico, ustioni gravi ed

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estese, vasculite sistemica) favorendo la proliferazione dei germi e l’insorgenza delle infezioni che
rappresentano un terreno favorevole per la formazione dei calcoli.
I SINTOMI della colecistite acuta sono: dolore acuto all’ipocondrio dx e/o epigastrio, esacerbato
dal respiro e dai movimenti, talvolta irradiato alla spalla e scapola dx, che dura ~ 30-60 min;
febbricola, mentre in presenza di una febbre > 38,5ºC preceduta da brividi bisogna sospettare la
presenza di empiema o gangrena; inoltre il pz presenta nausea e vomito (alimentare - biliare).
All’ESAME OBIETTIVO si nota:
─ pz immobile con respiro rapido e superficiale, prevalentemente toracico mentre l’addome non
dà alcun contributo alla respirazione.
─ segno di Murphy +: si esegue una palpazione nel punto cistico, corrispondente alla zona al di
sotto dell’arcata costale dx, a livello del margine esterno del muscolo retto addominale, e si invita il
pz ad eseguire una inspirazione profonda, provocando dolore intenso con contrattura di difesa e
blocco della respirazione.
─ segno di Blumberg +: se dopo la palpazione profonda si toglie la mano improvvisamente, si ha
dolore acuto detto dolore da rimbalzo (addome acuto).
Gli Esami di Laboratorio evidenziano una modesta leucocitosi neutrofila, > VES, modesto >
bilirubina, fosfatasi alcalina e AST (GOT), mentre l’Ecografia Addominale è utile per
confermare la presenza dei calcoli, ispessimento della parete colecistica > 3-4 mm, > volume
della colecisti, possibile sviluppo di raccolte pericolecistiche da flemmone colecistico.
Infatti, se il calcolo passa dalla colecisti nel dotto cistico o nel coledoco ostruendoli, la bile non
defluisce nel duodeno ma ristagna nella colecisti e, in seguito a fenomeni di riassorbimento dei
pigmenti biliari e di secrezione della mucosa colecistica, diventa vischiosa, siero-mucosa
determinando il quadro della IDROPE della colecisti (mucocele) con distensione della colecisti
che > di volume, che in genere si verifica dopo 1-2 episodi di colica biliare. Il pz riferisce una
modica dolenzia e un senso di tensione epigastrica.
All’Esame Obiettivo la palpazione consente di individuare lateralmente al muscolo retto una
massa ovoidale o piriforme, di consistenza elastica, lievemente dolente, mobile col respiro,
senza contrattura di difesa addominale.
Alcune volte l’idrope resta asintomatica, può restare stazionaria o tende a regredire, alcune
volte evolve nell’EMPIEMA cioè si ha una superinfezione da germi piogeni con presenza di
materiale muco-purulento nella colecisti, dolore intenso all’ipocondrio dx, contrattura di difesa
circoscritta che rende difficile la palpazione della tumefazione, febbre alta e tachicardia.
L’empiema può evolvere nel FLEMMONE dovuto all’infiltrazione dell’essudato purulento nella
parete della colecisti, spesso con necrosi da decubito del calcolo o trombosi vasale.
La flogosi si estende alla superficie esterna della parete colecistica provocando delle aderenze con
l’epiploon, stomaco, duodeno, colon (formazione del piastrone), fino alla Perforazione in un’area
libera provocando peritonite oppure si ha la fistolizzazione con fistole bilio-digestiva
colecisto-duodenale o colecisto-digiunale con migrazione del calcolo dalle vie biliari
nell’intestino. I calcoli piccoli sono espulsi con le feci mentre se il calcolo ha un Ø > 2,5 cm si può
avere l’Ileo Biliare cioè una occlusione intestinale soprattutto a livello dell’angolo duodeno-
digiunale di Treitz oppure della valvola ileo-cecale.
L’Rx dell’addome mette in evidenza la presenza del calcolo, sede dell’ostruzione, livelli idro-
aerei e reflusso nelle vie biliari del m.d.c. introdotto con un sondino nel duodeno, anche se
spesso la diagnosi di ileo biliare è tardiva, con prognosi grave soprattutto nei pz anziani con gravi
epatopatie.
La Terapia prevede: pz a digiuno, posizionare il sondino nasogastrico, somministrare liquidi,
elettroliti, analgesici, antispastici ed antibiotici ad ampio spettro d’azione (cefalosporine,
ampicillina), e colecistectomia d’urgenza entro 72 h dall’episodio acuto.
Ricordiamo che esiste anche la Colecistite Acuta Post-operatoria (in genere alitiasica) rara, che
insorge dopo ~ 5-10 aa da un intervento chirurgico non correlato alle vie biliari, addominale o
extraddominale, ad esempio cardio-vascolare, oppure dopo traumi gravi, ustioni estese, nutrizione
parenterale totale prolungata o trasfusioni di sangue o terapia antibiotica protratta

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 COLECISTITE CRONICA: può nascere come evoluzione di una forma acuta o come forma a se
stante molto insidiosa. E’ caratterizzata dalla calcificazione della parete colecistica in seguito alla
precipitazione dei sali di Ca²+ con ulcerazione e congestione della mucosa, infiltrazione
linfocitaria, con presenza di calcoli e bile torbida nella colecisti, per cui si parla di colecisti a
porcellana.
I SINTOMI sono turbe dispeptiche cioè senso di peso epigastrico post-prandiale, eruttazioni,
pirosi, diarrea, nausea, raramente vomito, alcune volte cefalea post-prandiale, dolore in sede
epigastrica, ipocondrio dx e regione scapolare.
L’Esame Obiettivo può evidenziare dolenzia nel punto cistico e segno di Murphy +.
L’Ecografia dimostra la presenza dei calcoli e la fibrosi della parete che appare ispessita, l’Rx
evidenzia la presenza di una struttura radiopaca.
La Terapia è chirurgica con colecistectomia.
 Cancerizzazione: è una complicanza rara ma quasi sempre mortale (vedi dopo).
 Papillite e Oddite sclerosante: restringimenti fibrosi della papilla e dello sfintere di Oddi
associate nel 90% dei casi alla litiasi biliare con flogosi dovuta alla presenza di calcoli o
microlesioni legate al passaggio degli sferoliti di colesterolo. Si manifestano con dolore, febbre e
ittero (Triade di Charcot).
 EMOBILIA: è il mescolamento tra sangue e bile dovuto a traumi contusivi del fegato,
infiammazioni (colecistite emorragica, idatidosi epatica), aneurisma dell’arteria epatica o dei suoi
rami, neoplasie sanguinanti epatiche o delle vie biliari, cause iatrogene da colecistectomia con
fistola artero-biliare, unendo per sbaglio l’arteria con la parete della via biliare, agobiopsia epatica,
PTC... L’emobilia può essere lieve ed asintomatica che si risolve spontaneamente oppure
abbondante con formazione di coaguli che possono ostacolare il deflusso biliare con subittero o
ittero, dolore all’ipocondrio dx, ematemesi e melena, shock ipovolemico e anemia.
La Diagnosi avviene con l’Ecografia epatica, TAC e soprattutto con l’Arteriografia selettiva
dell’arteria epatica, utile per la scelta terapeutica.
La TERAPIA è Medica nelle forme lievi, Chirurgica d’Urgenza nelle forme gravi con sutura
epatica, emostasi, detersione e drenaggio delle vie biliari con tubo di Kehr, resezione epatica,
oppure si lega o embolizza il ramo arterioso che all’arteriografia è risultato sanguinante.
In caso di colecistite emorragica si ricorre alla colecistectomia, nelle forme neoplastiche alla
resezione epatica.

Infezioni delle vie biliari

Le infezioni delle vie biliari sono distinte in: angiocoliti o colangiti se sono interessate le vie biliari
intraepatiche, colecistite ed epatocoledococite se sono interessate le vie biliari extraepatiche.
La Colangite o Angiocolite è un processo infiammatorio delle vie biliari intraepatiche, spesso di
natura ostruttiva con stasi biliare da calcoli, tumori, stenosi iatrogena, oddite sclerosante, cisti da
echinococco.. che favoriscono l’intervento di alcuni microorganismi come il Bacterium coli,
Enterococchi, Staphilococchi, Streptococchi presenti normalmente nelle vie digestive e che
giungono alle vie biliari per via ascendente transpapillare, attraverso una fistola bilio-digestiva, per
via portale, per via arteriosa, per via linfatica oppure giungono dall’esterno mediante drenaggi
biliari, manovre iatrogene transepatiche o transpapillari.
Esistono 3 forme di gravità crescente:
 colangite acuta non suppurativa: caratterizzata dalla Triade di Charcot cioè dolore
all’ipocondrio dx gravativo, febbre più o meno alta con brividi, ittero modesto, intermittente.
 colangite acuta suppurativa: rapido decadimento delle condizioni generali del pz, febbre alta,
grave sofferenza epatica (analisi di laboratorio) e bile purulenta.
 colangite acuta suppurativo-ostruttiva: con abbondante raccolta di pus e distensione delle
vie biliari, microascessi epatici multipli, sepsi con febbre alta, confusione mentale,
disorientamento temporo-spaziale, fino al coma epatico.
La Triade di Charcot associata ai disordini psichici costituisce la Sindrome di Reynolds e Bargan.
La DIAGNOSI della colangite si basa su:
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 Indagini Laboratorio: leucocitosi, > VES, > transaminasi, > γGT, > bilirubina, emocoltura +.
 Ecografia: dilatazione delle vie biliari, sede dell’ostacolo, presenza di ascessi o calcoli.
 PTC e ERCP: dilatazione e stenosi delle vie biliari.
La TERAPIA prevede la somministrazione di antibiotici, decompressione delle vie biliari con un
drenaggio chirurgico esterno o per via percutanea transparietocolica o endoscopica transpapillare,
resezione chirurgica per rimuovere la causa ostruttiva.

La Malattia di Caroli I è una dilatazione congenita intraepatica dei dotti biliari, caratterizzata da
episodi ricorrenti di colangite fin dalla nascita, ad alto rischio di sepsi con ascessi epatici o
subfrenici, insufficienza epatica fino alla morte.
La Papillomatosi dei Dotti Biliari Intraepatici o Malattia di Caroli II è una rara malattia ad
eziologia sconosciuta, colpisce soggetti di sesso F adulto-anziani caratterizzata dalla presenza di
papillomi multipli secernenti muco in abbondanza, filante, vischioso, incolore, privo di sali e
pigmenti biliari, dilatando i dotti biliari con aspetto fusiforme o sacciforme, più o meno diffuso
a vari segmenti epatici, profondi o superficiali con aspetto a bozze del fegato, spesso recidivante
dopo resezione chirurgica. Si manifesta con senso di peso o dolore all’ipocondrio dx, calo
ponderale, anemia da emobilia, ittero ostruttivo, epatomegalia, colecisti palpabile.
La Diagnosi si basa su Indagini di Laboratorio con segni di colestasi, > enzimi epatici, sangue
occulto nelle feci, Ecografia, ERCP e TAC: lacune multiple intraepatiche e dilatazioni duttali.
La Prognosi è grave in presenza della colelitiasi, colangio-epatite, perdite di proteine ed elettroliti.
La Terapia prevede buoni risultati solo in caso di trapianto di fegato.
Spesso si opera il pz per una diagnosi sbagliata di colelitiasi ma all’apertura del coledoco fuoriesce
liquido mucoso abbondante, oppure nei giorni successivi si nota la raccolta di muco nel tubo di
Kehr posto nel coledoco per il drenaggio della bile.
CISTI
La CISTI o cisti vera è una raccolta di liquido, circoscritta in una cavità neoformata con pareti
proprie, generalmente rivestita da epitelio o endotelio, talvolta contenente materiale gelatinoso o di
consistenza poltacea. Invece si parla di Pseudocisti o cisti falsa se la cavità non è delimitata da
una parete propria ma è delimitata in parte dai tessuti circostanti e in parte dal tessuto connettivo di
reazione neoformato cioè le pareti derivano dalla reazione del tessuto circostante a raccolte di
natura infiammatoria o traumatica cioè raccolte liquide o semiliquide rappresentate da trasudati,
essudati, versamenti emorragici o linfatici, materiale necrotico.
Ricordiamo le pseudocisti pancreatiche tipica della necrosi colliquativa da pancreatite acuta o da
traumi, le pseudocisti ossee, gangli tendinei, gangli sinoviali a patogenesi incerta.
Possiamo fare una distinzione tra cisti da ritenzione, cisti da eterotopia cellulare, cisti parassitarie:
 cisti da ritenzione da ostruzione del dotto ghiandolare con conseguente accumulo di secreto e
distensione della parete, iperproliferazione delle cellule connettivali parietali e delle cellule
epiteliali di rivestimento. Interessano soprattutto la mammella con fibrosi cistica, la cute con cisti
sebacea, mucosa del cavo orale, ghiandola di Bartolini, fegato, reni...
 cisti da eterotopia cellulare derivano dalla proliferazione di cellule embrionali eterotopiche,
oppure di cellule adulte che in seguito ad un trauma vengono spostate dalla loro sede naturale.
Ricordiamo le cisti dermoidi con presenza di cute e annessi nella parete della cisti, le cisti
bronchiali, dentarie, del dotto tireo-glosso e paraovariche, più rare.
 cisti parassitarie sono rappresenta
 te soprattutto dalle cisti idatidee da echinococco.

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CISTI EPATICHE

Le Cisti Epatiche sono distinte in: cisti biliari congenite, fegato policistico, cisti solitarie congenite
e cisti parassitarie da echinococco granulosis o idaditosi epatica.
La cisti biliare congenita è una cisti da ritenzione associata alla malattia di Caroli I con
infiammazione delle vie biliari intraepatiche, con alternanza tra dotti biliari normali, aperti e dotti
biliari atrosici, chiusi, con conseguente dilatazione dei dotti e formazione di cisti contenenti la bile.
Il fegato policistico è caratterizzato dalla presenza di numerose cisti diffuse nel fegato o in alcune
zone, di volume diverso, a contenuto sieroso, non comunicanti con le vie biliari.
Le cisti solitarie congenite non sono sempre uniche ma alcune volte sono duplici o multiple.
La Cisti Parassitaria da Echinococco granulosis o idaditosi epatica è dovuta ad un parassita
detto Echinococcus granulosis (Cestode) che ha come ospite definitivo il cane o il lupo, mentre
l’uomo ospita il parassita nello stato larvale.
L’idaditosi epatica colpisce spesso la metà dx del fegato dove affluisce il sangue proveniente dalla
vena mesenterica superiore che trasporta l’embrione esacanto.
Spesso si tratta di una cisti multivescicolare, cioè contenente le cisti figlie e nipoti, che >
progressivamente di volume fino ad occupare una grossa parte del fegato.
Si tratta di una cisti proligera, cioè che da origine alle cisti figlie ed è circondata dal pericistio, cioè
da parenchima epatico atrofico compresso dalla cisti stessa.
Il pericistio è sottile se la cisti è giovane e viceversa.
Possiamo fare una distinzione tra vescicolazione endogena se le cisti figlie si raccolgono
all’interno della cisti idatidea e vescicolazione esogena se le cisti figlie raggiungono il pericistio, lo
superano e invadono il parenchima epatico formando altre cisti, fino alla completa distruzione delle
zone colpite.
I SINTOMI possono essere assenti per molti anni, poi provoca dolore gravativo e tensione
all’ipocondrio e alla spalla dx, epatomegalia.
Se la cisti è localizzata nell’emifegato dx, anteriormente si può palpare una tumefazione sotto
l’arcata costale, liscia, teso-elastica, poco dolente, solidale col fegato durante i movimenti
respiratori. Se la cisti è localizzata superiormente al fegato si hanno sintomi respiratori, cioè tosse,
dolore alla base dell’emitorace dx che risulta ipofonetico con < respiro.
Se la cisti comprime le vie biliari si ha ittero ostruttivo, se comprime la vena porta si ha ipertensione
portale, se comprime la vena cava inferiore si ha stasi di sangue venoso con edema agli arti
inferiori.
Tra le COMPLICANZE abbiamo:
─ infezioni da germi piogeni che giungono al pericistio con le vie biliari provocando una flogosi
purulenta: la cisti si stacca parzialmente dal pericistio e si trasforma in una sacca di pus e bile,
contenenti frammenti della membrana parassitaria e cisti figlie.
─ rottura della cisti massiva nel cavo peritoneale con grave shock settico, oppure si ha una
ecchimosi peritoneale, o la rottura della cisti in un’ansa intestinale con conseguente fistola bilio-
digestiva, soprattutto quando la cisti è localizzata a livello della faccia inferiore del fegato.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx addome: consente di valutare l’epatomegalia, il sollevamento e l’ipomobilità emidiaframma
dx, i livelli idro-aerei in seguito alla rottura della cisti.
 Ecografia: la cisti è ipoecogena o anecogena, sferica a margini netti, altre volte si notano delle
aree settate con aspetto a nido d’api dovute alla presenza di numerose cisti figlie.
 TAC: utile per valutare i rapporti tra cisti e vena cava inferiore, vena porta, anse intestinali... e per
la scelta terapeutica cioè la pericistectomia totale a cisti chiusa, la pericistectomia parziale o
subtotale, resezione epatica cioè segmentectomia, epatectomia dx o sx. La Terapia Medica è utile
per favorire la calcificazione del pericistio e la morte del parassita perché impedisce l’apporto di
sostanze nutrienti al parassita e la sua proliferazione.

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EPATITI SUPPURATIVE
Le Epatiti Suppurative sono rappresentate dall’ascesso epatico e dal pseudoascesso amebico (Paesi
Tropicali e Subtropicali)
L’ASCESSO EPATICO è frequente nei M adulti ed è causato da germi piogeni cioè Escherichia
coli e Staphilococcus aureus che possono raggiungere il fegato:
- per via portale da un’appendicite flemmonosa, colite ulcerosa, cancro gastrico ulcerato
(diffusione emo-metastatica o per continuità attraverso una tromboflebite).
- per via biliare ascendente da un’angiocolite.
- per via biliare discendente da un’area epatica devitalizzata o alterata per contusione, cisti
idatidea, tumore epatico.
- per contiguità da una colecistite suppurativa, ulcera peptica, cancro gastrico perforato nel fegato.
- per via arteriosa: da un focolaio suppurativo lontano.
- dall’esterno attraverso una ferita penetrante o un trauma epatico.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO la lesione può essere multicentrica con numerosi
piccoli ascessi, spesso l’ascesso è unico, di volume variabile, localizzato all’emifegato dx,
contenente pus giallo scuro, mescolato a bile e sangue, costituito da granulociti degenerati e morti,
detriti necrotici, fetido se è causato dal Bacterium coli o un anaerobio.
L’ascesso epatico può superare la barriera glissoniana diffondendosi verso l’alto con ascesso inter-
epato-diaframmatico, empiema pleurico dx o una fistola bilio-bronchiale, oppure si diffonde in
basso nel peritoneo, stomaco, colon, duodeno o vie biliari extraeptiche.
I SINTOMI sono: stato tossico ben evidente con febbre alta, continua o remittente con brividi e
sudorazione profusa, inappetenza, nausea, tachicardia, ittero da compressione delle vie biliari,
dolore all’ipocondrio dx irradiato alla spalla ed esacerbato dalla pressione, lieve > di volume
del fegato, < della motilità respiratoria dell’addome e della base polmonare dx, leucocitosi
elevata (20000 g.b.) con neutrofilia.
Tra le Complicanze abbiamo: empiema pleurico, peritonite, fistola bilio-bronchiale con vomica di
liquido bilio-purulento, fistola nel tubo gastro-enterico o nella via biliare con ematemesi e melena
per emobilia. In caso di microascessi multipli di origine biliare (litiasica) si ha una grave
angiocolite con febbre alta, dolori intensi, ittero, iperazotemia, oliguria.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx: > volume del fegato con sollevamento dell’emidiaframma dx, < della motilità diaframmatica,
versamento pleurico basale.
 Ecografia: evidenzia focolai anche di piccole dimensioni, ipoecogeni, circondati da una zona
iperecogena dovuta alla flogosi periascessuale.
 TAC: utile nei casi dubbi e per definire i rapporti tra ascesso e strutture contigue.
La TERAPIA prevede la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro d’azione, correzione
dell’equilibrio idro-elettrolitico, proteico e dell’anemia, incisione chirurgica e drenaggio dell’ascesso
per via laparotomica, raramente si ricorre alla resezione epatica come in caso di ascessi
superficiali, ascessi cronicizzati con parete sclerotica del lobo sx...
Tumori delle Vie Biliari Extraepatiche
I Tumori delle vie biliari extraepatiche sono rappresentati dal cancro della colecisti, cancro della
via biliare principale periilare, della via biliare principale distale e dell’ampolla di Vater. Il
cancro della papilla di Vater, del coledoco terminale insieme al carcinoma della testa del pancreas e
del duodeno rappresentano i tumori periampollari.
Il CARCINOMA della Colecisti è raro (1%) ma è molto aggressivo, colpisce soprattutto soggetti
di sesso F con età media di 60 anni, e nell’80% dei casi è associato alla colelitiasi, anche se non è
stata ancora dimostrata la relazione causa-effetto tra le due malattie: la colecistectomia profilattica è
indicata in presenza di calcoli di dimensioni > 3 cm con irritazione cronica della mucosa colecistica,
colecisti calcifica o a porcellana, anomalie anatomiche della via biliare principale.

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Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si tratta di un adenocarcinoma scirroso nell’80%
dei casi, raramente di un carcinoma a cellule squamose, e anaplastico (sarcoma).
Il carcinoma della colecisti si diffonde per continuità a tutta la parete colecistica, per contiguità al
fegato e vena porta, per via linfatica ai linfonodi dell’ilo epatico e pericoledocici che possono
comprimere le vie biliari e la vena porta.
I SINTOMI sono piuttosto tardivi cioè ittero ingravescente in seguito a compressione delle vie
biliari da parte della colecisti e linfonodi, e rapido decadimento delle condizioni generali del pz
con calo ponderale, anoressia, nausea, vomito, febbre ed è possibile palpare una massa dura,
irregolare, indolente, mobile nel respiro, solidale col fegato.
La DIAGNOSI si basa sull’Ecografia che evidenzia un ispessimento irregolare della parete
colecistica e la diffusione al fegato e linfonodi. La TAC e la RMN sono utili per la stadiazione
prechirurgica anche se nella maggior parte dei casi la stadiazione è intraoperatoria mediante
esplorazione laparoscopica con biopsie ed esame istologico estemporaneo al congelatore ,
valutando lo stadio della neoplasia secondo la Stadiazione Istologica di Nevin (1976):
- stadio 1: carcinoma in situ con interessamento della mucosa.
- stadio 2: carcinoma che invade la sottomucosa fino alla muscolare.
- stadio 3: carcinoma che invade tutta la parete della colecisti fino alla sierosa.
- stadio 4: il carcinoma interessa i linfonodi regionali (linfonodi dell’ilo epatico).
- stadio 5: carcinoma che invade il fegato o che ha dato metastasi linfonodali a distanza.
Negli stadi iniziali con interessamento solo della parete colecistica è sufficiente la colecistectomia
per via laparoscopica. Se il tumore interessa anche il parenchima epatico contiguo al letto della
colecisti si associa alla colecistectomia la resezione cuneiforme del parenchima epatico contiguo al
letto della colecisti e la linfoadenectomia dell’ilo epatico, fino alla resezione dei linfonodi
pericoledocici, del tripode celiaco e retropancreatici. Negli stadi terminali è inutile ricorrere
all’exeresi radicale perché i risultati sono insoddisfacenti, è possibile solo un trattamento palliativo
dell’ittero cioè ERCP o PTC con posizionamento di endoprotesi biliare o di un drenaggio
percutaneo interno-esterno.
La PROGNOSI è infausta con una mortalità del 75% entro 1 anno.

Colangiocarcinoma
Il Colangiocarcinoma rappresenta il tumore più frequente dell’albero biliare, può originare nei
dotti biliari intraepatici, nella regione ilare dove i dotti epatici dx e sx confluiscono a formare il
dotto epatico comune, oppure nelle vie biliari extraepatiche soprattutto nel dotto cistico e coledoco.
Il colangiocarcinoma ilare o tumore di Klatskin (o della biforcazione) è la forma più frequente,
colpisce M e F con età media di 60 anni: nei Paesi orientali sembra essere correlato alle infezioni da
Clonorchis sinensis e Opistorchis viverrini responsabili di angiocoliti cioè infezioni dei dotti
biliari intraepatici, con proliferazione adenomatosa dell’epitelio duttale, anche se il meccanismo di
cancerizzazione è ancora sconosciuto. Altri fattori di rischio sono le malattie infiammatori
croniche intestinali, soprattutto la retto-colite-ulcerosa, la colangite sclerosante, esposizione
professionale all’asbesto, alterazioni cistiche congenite dei dotti biliari come la cisti coledocica
e la malattia di Caroli I (dilatazione congenita dei dotti biliari intraepatici).
Dal punto di vista Istologico si tratta di un adenocarcinoma mucino-secernente nell’80% dei casi.
I SINTOMI sono secondari all’ostruzione dei dotti biliari cioè ittero e prurito che nelle fasi iniziali
possono essere intermittenti, poi si ha un rapido decadimento delle condizioni generali del pz con
anoressia, astenia, perdita di peso e febbre. All’esame obiettivo si nota epatomegalia oppure un
idrope della colecisti se il tumore è localizzato al di sotto del dotto epatico comune.
Le Indagini di Laboratorio evidenziano una colestasi con >> fosfatasi alcalina, mentre
l’Ecografia, TC e RMN evidenziano la dilatazione delle vie biliari, invasione del parenchima
epatico circostante e l’eventuale presenza di metastasi ai linfonodi addominali.
Spesso la diagnosi avviene solo con indagini invasive cioè ERCP e PTC che consentono di
visualizzare tutto l’albero biliare.
La TERAPIA è chirurgica radicale o parziale considerando i criteri di operabilità e inoperabilità:

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I criteri di operabilità sono tumori non estesi oltre le vie biliari, non infiltranti le strutture vascolari
afferenti ai dotti epatici dx e sx, condizioni generali del pz buone, assenza di insufficienza epatica.
I criteri di inoperabilità assoluta sono: tumore esteso oltre la confluenza biliare di II ordine, cioè
al parenchima epatico e ai piccoli dotti biliari con interessamento della vena porta e dell’arteria
epatica, cioè sono interessate entrambi i territori di distribuzione del fegato.
Per la scelta chirurgica si tiene conto della Classificazione dei colangiocarcinomi dell’ilo
secondo Bismuth con distinzione tra:
 Tipo I: tumore al di sotto della confluenza. Si ricorre alla resezione della via biliare.
 Tipo II: tumore che raggiunge la confluenza. Si ricorre alla resezione del I segmento epatico,
corrispondente al lobo caudato del fegato.
 Tipo IIIa: tumore infiltrante il dotto epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di dx (dotto
epatico dx). Si ricorre alla epatectomia dx.
 Tipo IIIb: tumore infiltrante il dotto epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di sx (dotto
epatico sx). Si ricorre alla epatectomia sx.
 Tipo IV: corrisponde alla associazione tra IIIa e IIIb, cioè si tratta di un tumore infiltrante il dotto
epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di dx e sx per cui non è possibile una resezione
radicale.
Dopo la resezione si esegue una ricostruzione con epato-digiuno-stomia secondo Roux: si esegue
una singola anastomosi con l’ansa digiunale se non si reseca la confluenza, oppure una doppia
anastomosi tra i dotti epatici dx e sx e l’ansa digiunale se si reseca la confluenza.
Molto utili sono l’Ecografia e la Colangiografia intraoperatoria per valutare se il tumore ha
infiltrato la vena cava, vena porta o l’arteria epatica: in questi casi si ricorre ad una terapia
palliativa-sintomatica con decompressione biliare per via percutanea transepatica con
posizionamento di endoprotesi che consentono il drenaggio della bile verso l’esterno e interno nel
duodeno, oppure per via endoscopica con sondino naso-biliare o endoprotesi.

Tumori Periampollari
I Tumori Periampollari sono rappresentati dal carcinoma della testa del pancreas, della papilla
di Vater, del coledoco terminale e del duodeno soprapapillari e peripapillari.
La caratteristica principale dei tumori periampollari è che comprimono la regione del coledoco
terminale provocando ittero ostruttivo che > lentamente e progressivamente con valori elevati
della bilirubinemia fino a 40 mg/dl sangue, non tende a regredire, per cui si parla di ittero
ingravescente che insorge senza dolore, associato a febbre, prurito, astenia, anoressia,
epatomegalia, ascite, perdita di peso, nausea, vomito, urine ipercromiche e feci acoliche.
Nel caso della litiasi biliare invece l’ittero ostruttivo ha un esordio improvviso in seguito alla
ostruzione delle vie biliari da parte di uno o più calcoli che passano dalla colecisti al coledoco, fino
a raggiungere la papilla di Vater, determinando spesso un ittero intermittente: infatti, se il calcolo
si blocca a livello della papilla di Vater impedisce il deflusso della bile nel duodeno con
conseguente iperbilirubinemia e ittero, se si sposta favorisce il deflusso della bile con <
bilirubinemia e scomparsa dell’ittero.
La vecchia Legge di Courvoisier Terrier dice che in presenza di ittero e fondo della colecisti
palpabile dobbiamo sempre sospettare la presenza di una neoplasia, in particolare di un tumore
periampollare che causa ostruzione a valle del sistema di scarico della bile e la dilatazione del fondo
della colecisti che così diventa palpabile.
In realtà, noi sappiamo che nella calcolosi biliare i calcoli si formano sempre nella colecisti,
irritando la mucosa della colecisti, con conseguente < della elasticità ed espansibilità della colecisti
stessa. Inoltre, quando il calcolo migra dalla colecisti alle vie biliari principali, si ha l’ostruzione al
deflusso della bile che così si accumula nella colecisti, si distende e può essere palpata a livello
dell’arcata costale in corrispondenza del margine esterno del muscolo retto addominale.
Per cui la legge di Courvaisier Terrier non ha valore assoluto ma relativo perché la colecisti può
essere palpata sia in caso di una colelitiasi biliare sia in caso di una neoplasia periampollare, anche
se nelle forme tumorali il carattere distintivo è l’ittero senza dolore associato a dimagrimento.

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La DIAGNOSI si basa su:
 Indagini di Laboratorio: > bilirubinemia totale e frazionata, > GOT e GPT, > fosfatasi
alcalina, > γ-GT, markers tumorali (CEA, Ca 19.9).
 ERCP o Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica oppure si ricorre alla PTC
sottoguida ecografica o TAC quando il tumore impedisce di incannulare la papilla di Vater.
 TAC: per valutare lo stadio in cui si trova la neoplasia, strutture interessate, dimensioni del
tumore, presenza di metastasi linfonodali o a distanza soprattutto epatiche e polmonari.
 Ecografia, Colangio-RM.
I tumori della papilla di Vater sono a basso indice di malignità con prognosi più favorevole
rispetto ai tumori del coledoco terminale che sono ad alto indice di malignità.
I tumori della Testa del pancreas hanno una prognosi più sfavorevole perché l’ittero è tardivo cioè
quando il tumore ha raggiunto delle grosse dimensioni (> 2 cm) con compressione delle vie biliari.
La TERAPIA dei tumori periampollari è chirurgica con duodeno-cefalo-pancreasectomia DCP
con resezione del 3° distale dello stomaco, duodeno, porzione terminale del coledoco, testa del
pancreas o tutto il pancreas in base alle dimensioni del tumore. Dopo la fase demolitiva si passa alla
fase di ricostruzione con tecnica di Whipple eseguendo una serie di anastomosi cioè epato-
digiunostomia, gastro-digiunostomia e pancreato-digiunostomia. Poichè i risultati sono scarsi in
genere si preferisce ricorrere alla chirurgia palliativa cioè alle derivazioni bilio-digestive:
pancreato-digiunostomia, gastro-entero anastomosi, coledoco-duodenostomia oppure alla terapia
palliativa per via endoscopica con drenaggio mediante sondino naso-biliare o protesi.

TUMORI EPATICI
I Tumori del Fegato possono essere benigni e maligni, di natura epiteliale o mesenchimale.
 tumori benigni di natura epiteliale: adenoma epatocellulare o epatoma benigno, adenoma dei
dotti biliari intraepatici o colangiocellulare, cistoadenoma dei dotti biliari intraepatici.
 tumori maligni di natura epiteliale: carcinoma epatocellulare o epatocarcinoma,
colangiocarcinoma (forma periferica, ilare o tumore di Klatskin), cistoadenoma dei dotti biliari
intraepatici, carcinoma epato-colangiocellulare, carcinoma indifferenziato.
 tumori benigni di natura mesenchimale: emangioma semplice e cavernoso, emangio-
endotelioma infantile, fibroma, leiomioma, lipoma (rarissimi).
 tumori maligni di natura mesenchimale: angiosarcoma, sarcoma embrionale, fibrosarcoma...
L’ADENOMA EPATOCELLULARE è un tumore benigno del fegato di natura epiteliale, si
presenta come un nodo duro, unico o multiplo, Ø 5-15 cm, circoscritto, privo di capsula,
disomogeneo a causa delle emorragie intratumorali. Colpisce soprattutto soggetti di sesso F con
età compresa tra i 15-50 anni favorito dall’abuso di contraccettivi orali, steroidi e ormoni
anabolizzanti, gravidanza, poichè è un tumore ormone dipendente.
Spesso si tratta di un tumore asintomatico per cui la diagnosi avviene casualmente mediante
un’ecografia richiesta per altri motivi oppure durante un intervento chirurgico o in sede autoptica.
Le forme più voluminose possono provocare dei sintomi cioè dolore addominale gravativo,
epatomegalia, ematoma intraepatico o emoperitoneo da rottura del tumore.
La DIAGNOSI si basa su:
 Ecografia e TAC: per individuare la sede e dimensioni del nodo.
 Angiografia: vascolarizzazione del tumore con vasi irradiati verso il centro del nodo.
 Agobiopsia ecoguidata: per la diagnosi di certezza.
La PROGNOSI è favorevole, non è mai stato segnalato alcun caso di cancerizzazione.
La TERAPIA è astensionista nelle forme di piccole dimensioni e asintomatiche, sottoponendo il pz
a controlli periodici mediante l’Ecografia e abolendo l’uso dei contraccettivi orali che possono
influenzare la crescita del tumore. L’exeresi chirurgica è indicata per le forme voluminose e
sintomatiche che crescono rapidamente, ad alto rischio di rottura con emorragia, che non
regrediscono dopo la sospensione della terapia ormonale e nelle donne che desiderano una nuova
gravidanza.

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Gli EMANGIOMI sono tumori benigni del fegato di natura mesenchimale, frequenti nel sesso F,
nelle multipare, dove entrano in gioco gli estrogeni, si presenta come una massa circoscritta
rosso-scura, spesso superficiale raramente profonda, di tipo semplice oppure cavernoso o
cavernoma che è la forma più frequente, costituita da ampi spazi pieni di sangue, rivestiti da uno
strato di cellule endoteliali e separati da tessuto di sostegno.
In genere, l’emangioma è asintomatico, mentre le forme voluminose provocano dolore per
compressione delle vie biliari, vena porta o vena cava inferiore, provocando stasi biliare, ittero...,
raramente si ha la rottura in peritoneo con shock settico e morte.
L’Ecografia e la TAC con m.d.c. evidenziano una struttura ipodensa, angiografia, esplorazione
laparoscopica.
Nel caso degli angiomi di piccole dimensioni e asintomatici si eseguono dei controlli periodici con
Ecografia 1 volta/anno o ogni 6 mesi per tenere la situazione sottocontrollo, mentre nelle forme
voluminose e sintomatiche si ricorre alla chirurgia.
TUMORI EPATICI MALIGNI
Il CARCINOMA EPATOCELLULARE O EPATOCARCINOMA (HCC Hepato Cellular Carcinoma)
rappresenta il 75-85% dei tumori maligni primitivi del fegato, origina dagli epatociti e viene
distinto in carcinoma epatocellulare non fibrolamellare e fibrolamellare.
Il Carcinoma epatocellulare non fibrolamellare rappresenta il 98% di tutti i tumori maligni
primitivi del fegato, frequente in Sud Africa, Paesi Tropicali, Sud-Est Asiatico, mentre in Europa il
picco più alto si registra in Italia, Grecia e Jugoslavia, colpisce soprattutto soggetti di sesso M con
rapporto M/F = 5/1 in presenza di cirrosi mentre in assenza di cirrosi c’è un certo equilibrio tra M e
F. L’età di insorgenza è variabile: in Sud Africa è tra i 20-40 anni, in Europa è tra i 40-60 anni, in
Giappone è tra i 60-70 anni.
Dal punto di vista EZIOLOGICO la forma non fibrolamellare è associata alla cirrosi epatica micro
o macronodulare nell’80% dei casi, per cui si parla di cancro-cirrosi che è post-epatica nel 70%
dei casi, alcolica nel 10% dei casi. Quando il quadro clinico di un pz cirrotico si aggrava
improvvisamente bisogna sempre sospettare una degenerazione neoplastica: il pz cirrotico è ad alto
rischio di cancerizzazione, per cui deve essere monitorato attentamente, tenendo conto che il
cirrotico peggiora lentamente e quasi mai all’improvviso.
Inoltre, esiste una stretta correlazione tra epatocarcinoma ed infezioni da virus dell’epatite B e C:
l’80% dei casi di epatopatia cronica di tipo B evolve in epatocarcinoma, più raramente epatite C che
ha una lenta evoluzione passando dalla fibrosi epatica alla cirrosi fino all’epatocarcinoma.
Questa evoluzione si riscontra solo nel 50% dei casi di epatocarcinoma da HBV.
Il Carcinoma epatocellulare fibrolamellare è molto raro, colpisce soprattutto soggetti giovani
con età media di 20-30 aa, con rapporto M/F = 1/2, solo nel 4% dei casi è associato alla cirrosi
mentre tra i fattori favorenti abbiamo agenti chimici come l’alcool (etanolo) e le aflatossine B1
che derivano dal metabolismo dell’Aspergillus flavus presente nelle derrate alimentari cioè arachidi,
soia, cereali molto consumati in Asia, Africa e America Latina dove il tumore è molto diffuso.
Il carcinoma epatocellulare fibrolamellare è un tumore a crescita lenta, con andamento più benigno
rispetto alla forma non fibrolamellare, presenta una pseudocapsula che lo delimita dal parenchima
epatico sano circostante, facilitandone l’exeresi chirurgica, per cui la prognosi è più favorevole con
sopravvivenza a lungo termine maggiore.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO il carcinoma epatocellulare non fibrolamellare si
presenta in maniera diversa se insorge su un fegato cirrotico o meno:
 in assenza di cirrosi si presenta come un nodo bianco-giallastro, più o meno grande, spesso
localizzato all’emifegato dx, non capsulato, raramente è plurinodulare con noduli multipli piccoli
che circondano la massa principale, con aree necrotico–emorragiche intratumorali.
 in presenza di cirrosi, che è la forma più frequente, è multicentrico, con distruzione più o meno
estesa del parenchima epatico.

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Dal punto di vista Istopatologico si fa una distinzione tra forme macroscopiche cioè infiltrante,
espansivo, misto infiltrante–espansivo, diffuso o multifocale, e forme microscopiche cioè
trabecolare (sinusoidale), pseudoghiandolare (acinoso), compatto e scirroso.
La CLASSIFICAZIONE CLINICA del carcinoma epatocellulare non fibrolamellare si basa su alcuni
parametri che indicano la presenza di una malattia in fase avanzata, cioè dimensioni del tumore,
presenza di ascite, albuminemia < 3 gr/dl, bilirubinemia > 3 mg/dl, con distinzione tra 3 stadi:
─ stadio I: non ci sono segni clinici di malattia in fase avanzata.
─ stadio II: sono presenti 1 o 2 segni clinici di malattia in fase avanzata.
─ stadio III: sono presenti 3 o 4 segni clinici di malattia in fase avanzata.
I SINTOMI sono assenti nel caso di tumori di piccole dimensioni, mentre i tumori più grandi
possono causare dolore al fianco dx e alla schiena, senso di peso, tensione addominale e disturbi
della digestione. Negli stadi più avanzati insorgono i sintomi dell'insufficienza epatica: ittero,
ascite in seguito alla diffusione del tumore al peritoneo con conseguente carcinosi peritoneale che
è indice di inoperabilità. Inoltre, calo ponderale, febbricola, astenia, anoressia, edema agli arti
inferiori da compressione della vena porta o della vena cava retroepatica con ostacolo al deflusso
del sangue venoso, epatomegalia con massa palpabile in sede epigastrica...
La DIAGNOSI si basa su:
 Esami di Laboratorio: > transaminasi GOT e GPT (indice di citolisi), > γGT, > fosfatasi
alcalina, > bilirubina totale e frazionata (indici di colestasi); PT e PTT (alterazioni della
coagulazione), markers epatite B e C, > α-fetoproteina parametro aspecifico importante solo se
raggiunge valori elevatissimi, > 200 ng/ml con specificità vicina al 100%, importante nel follow-up
postoperatorio (> 60 epatiti, cirrosi).
 Ecografia addominale: è l’indagine di approccio nei pz ad alto rischio di cancerizzazione cioè pz
cirrotici o con epatite cronica, consentendo la diagnosi delle forme tumorali anche di piccole
dimensioni, cioè < 2 cm. Quando il tumore è costituito solo dalle cellule tumorali si nota una massa
scura ipoecogena, mentre quando si hanno fenomeni emorragici e necrotici si osserva una
struttura iperecogena. La pseudocapsula appare come una struttura peritumorale iperecogena.
Per una diagnosi di certezza si può ricorrere alla biopsia epatica ecoguidata.
 TAC con m.d.c. (per via e.v.) utile per valutare la presenza di metastasi linfonodali e a distanza.
 RMN addome.
 Rx torace: metastasi polmonari.
 Arteriografia selettiva dell’arteria epatica (angiografia): consente di valutare se oltre alla massa
tumorale primitiva ci sono anche altri noduli più piccoli e di stabilire i rapporti tra la neoplasia e le
strutture vascolari del fegato, molto utile per il trattamento chirurgico. Si inietta il m.d.c. nell’arteria
epatica e si osserva una opacizzazione più o meno intensa e anomala del parenchima epatico
interessato. Utile anche per la diagnosi differenziale con gli angiomi epatici.
 Laparoscopia Esplorativa con biopsia mirata: consente di valutare la presenza di lesioni
sottocapsulari e l’invasione del peritoneo con carcinosi peritoneale, consente di eseguire delle
biopsie direttamente in sala operatoria per fare una scelta terapeutica adeguata.
La PROGNOSI è infausta in presenza di insufficienza epatica grave, emorragia da rottura delle
varici esofagee, grave deperimento generale del pz.
Per la stadiazione della neoplasia si ricorre alla Classificazione TNM:
─ T1: tumore con Ø < 2 cm.
─ T2: tumore con Ø compreso tra 2 e 5 cm.
─ T3: tumore con Ø > 5 cm che può infiltrare il lobo epatico controlaterale oppure è un tumore
associato alla cirrosi epatica nello stadio A o B di Child oppure si ha l’infiltrazione della vena
cava inferiore o delle vie biliari.
─ T4: tumore infiltra massivamente il fegato e può essere associato alla cirrosi nello stadio C.
─ N0: nessuna metastasi linfonodale.
─ N1: sono presenti le metastasi ai linfonodi dell’ilo epatico.
─ N2: sono presenti le metastasi ai linfonodi celiaci.
─ N3: sono presenti le metastasi ai linfonodi extraregionali.

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─ M0: nessuna metastasi a distanza.
─ M1: sono presenti metastasi a distanza, polmonari, ossee, cerebrali...
La TERAPIA si basa sulla resezione epatica in caso di tumori unicentrici o circoscritti, di Ø ≤ 2
cm, limitati ad un settore epatico, senza metastasi linfonodali e a distanza e segni di insufficienza
epatica grave: in assenza di cirrosi la resezione epatica può essere più estesa, sfruttando la capacità
rigenerativa delle cellule epatiche sane residue, con formazione di un parenchima epatico
funzionale ed è possibile rioperare il pz in caso di recidive o se la prima resezione epatica non è
stata sufficiente per l’asportazione di tutta la massa tumorale. Mentre in presenza di cirrosi fino a
qualche anno fa la resezione epatica era molto limitata perché la diagnosi era tardiva, con grave
insufficienza epatica, presenza di metastasi linfonodali e a distanza, tenendo conto che il fegato
cirrotico ha una scarsa capacità rigenerativa. Oggi grazie allo screening con ecografia nei pz ad alto
rischio cioè pz con cirrosi ed epatite cronica, la diagnosi è più tempestiva, per cui si può intervenire
sin dalle fasi iniziali eseguendo delle ecografie intraoperatorie per definire meglio la sede,
dimensioni del tumore, interessamento dei grossi vasi o delle strutture circostanti, in modo da
eseguire delle resezioni più o meno estese, segmentarie o sottosegmentarie, e riducendo il rischio
di gravi emorragie perioperatorie mediante il clampaggio preventivo temporaneo dei vasi ilari.
Sappiamo che dal punto di vista Anatomo Chirurgico il fegato viene suddiviso in 8 segmenti
epatici dotati di autonomia vascolo-biliare: infatti, a livello dell’ilo epatico la vena porta, arteria
epatica e il dotto epatico si biforcano dando origine ai peduncoli glissoniani di I ordine, tributari
dell’emifegato dx e sx, il cui piano di divisione è dato dalla vena sovraepatica sagittale mediana,
diretta dall’alto in basso e da dx verso sx, cioè dal margine sx della vena cava inferiore verso il letto
della colecisti. Da questi originano i peduncoli di II ordine, tributari ognuno di un settore, per cui
ogni emifegato ha un settore paramediano e uno laterale, separati da un piano in cui decorrono le
vene sovraepatiche dx e sx. I peduncoli di II ordine si dividono in 2, per cui ogni settore viene
suddiviso in 2 segmenti. Per cui si ottengono 8 segmenti epatici: segmenti I, II, III nell’emifegato
sx, segmenti IV, V, VI, VII, VIII nell’emifegato dx. Questa segmentazione è molto importante nella
chirurgia del fegato, tenendo conto che è possibile resecare anche una grossa quantità di parenchima
epatico grazie alla notevole capacità rigenerativa del fegato: per cui legando il peduncolo
glissoniano si ha un’ischemia nel suo territorio di irrorazione, mettendo in evidenza il piano di
scissione dove il chirurgo deve agire, risparmiando la vena sovraepatica che decorre nel piano di
divisione e drena dalle due unità contigue.
Possiamo fare una distinzione tra resezioni epatiche minori e maggiori.
 resezioni epatiche minori: indicate per i tumori che insorgono su un fegato cirrotico dotato di
una scarsa capacità rigenerativa e per i tumori benigni.
 resezioni epatiche maggiori: indicate per i tumori che insorgono su un fegato non cirrotico
dotato di una notevole capacità rigenerativa, rappresentate dalla epatectomia dx che può essere
allargata al lobo caudato, asportando il 70-80% della massa epatica, epatectomia sx, lobectomia dx
o sx.
Inoltre, le resezioni epatiche sono indicate in caso di carcinoma della colecisti diffuso al fegato,
lesioni traumatiche gravi, emobilia, cisti idatidee, metastasi tumorali uniche o circoscritte.
La resezione epatica avviene in 2 tempi:
─ tempo ilare con clampaggio dell’ilo epatico, escludendo il flusso ematico attraverso l’arteria
epatica p.d. e la vena porta.
─ tempo sovraepatico in cui si esclude la vena sovraepatica che decorre nel piano di scissione,
poiché questa vena drena sia dal segmento da resecare sia da quello adiacente.
Possiamo ricorrere alla manovra di Pringle con clampaggio temporaneo del peduncolo portale per
circa 15-30 min, poi si decampla per circa 10 min in modo da favorire la riperfusione del fegato,
evitando fenomeni di ischemia, poi si clampa per 15-30 min, per cui l’intervento dura molte h.
Nell’epatectomia dx bisogna escludere tutte le strutture che vanno a dx, cioè dotto biliare dx, ramo
dx arteria epatica e della vena porta, vena cava inferiore sopra lo sbocco delle vene renali e vena
cava sovraepatica subito sotto il diaframma, in modo da scheletrizzare la metà dx del fegato

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(analogamente per l’epatectomia sx). Per cui l’emifegato dx va in ischemia, diventa cianotico e si
forma una linea di demarcazione che facilita l’exeresi chirurgica.
Ricordiamo anche la Tecnica Orientale o Vietnamita secondo TON THAT TUNG con
digitoclasia in cui si divide il fegato a livello del piano scissurale con le dita: il chirurgo individua
con i polpastrelli i dotti vascolo-biliari e li chiude con una pinza, poi incide la capsula glissoniana,
individuando il peduncolo glissoniano che viene isolato e legato.
Inoltre, si evita l’emorragia mediante il clampaggio temporaneo dell’ilo epatico per circa 15 min, si
legano la vena cava retroepatica e le vene sovraepatiche, e si libera l’emifegato dx lungo il
legamento triangolare e coronarico fino alla vena cava inferiore.
La chemioterapia è indicata nei tumori inoperabili mediante infusione dei farmaci attraverso
l’arteria epatica o con chemioembolizzazione mentre la radioterapia è palliativa-sintomatica.
Il trapianto di fegato (ortotopico) non offre buoni risultati per cui è meglio destinare il fegato di un
donatore sano ad un pz cirrotico dove si ottengono dei risultati più soddisfacenti.
Metastasi Epatiche
Le Metastasi Epatiche nel 75% dei casi derivano da un carcinoma del colon-retto, nel 25% dei
casi da tumori delle ghiandole surrenali, carcinoma polmonare, melanoma, tumori delle ossa,
testicoli e ovaie. Si fa una distinzione tra metastasi sincrona quando si manifesta
contemporaneamente al tumore primitivo e metastasi metacrona quando si manifesta dopo alcuni
mesi o anni dalla diagnosi o asportazione del tumore primitivo.
Le metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale nel 25% dei casi sono sincrone, nel 75% dei casi
sono metacrone.
Nelle fasi iniziali le metastasi epatiche sono asintomatiche, poi si ha dolore addominale,
anoressia, calo ponderale, febbricola, ittero, epatomegalia, ascite, con prognosi sfavorevole.
La DIAGNOSI si basa su: Indagini di laboratorio con > CEA, > fosfatasi alcalina FA, > γGT, >
LDH, > GOT e GPT, > bilirubinemia, inoltre Ecografia, TAC, RMN, Biopsia ecoguidata,
Ecografia Intraoperatoria.
La PROGNOSI dipende dalla sede, istotipo e stadio in cui si trova la neoplasia primitiva valutando
il n° metastasi, n° lobi epatici interessati. Il carcinoma colo-rettale ha una prognosi migliore con
sopravvivenza a 5 aa dopo terapia chirurgica pari al 25-35% in assenza di malattie extraepatiche.
Abbiamo la Classificazione delle metastasi epatiche secondo Gennari indicando con la lettera H
la % di parenchima epatico che è stato sostituito dalla metastasi:
─ H1: sostituzione epatica ≤ 25%.
─ H2: sostituzione epatica pari a 25-50%.
─ H3: sostituzione epatica > 50%.
─ S: presenza di metastasi singole.
─ m: presenza di metastasi multiple solo in 1 lobo epatico.
─ b: presenza di metastasi bilaterali.
─ i: infiltrazione di organi o strutture contigue.
─ f: funzione epatica compromessa.
Le Indicazioni alla chirurgia sono: metastasi da adenocarcinoma colon-rettale allo stadio A-B di
Dukes, ben differenziato, metastasi unica, metacrona, fegato non cirrotico.
Le Controindicazioni alla chirurgia sono: metastasi epatiche > 4, metastasi extraepatica accertata
istologicamente, interessamento della vena cava inferiore, vene sovraepatiche, vena porta, I
segmento epatico (lobo caudato), cirrosi severa, cioè allo stadio C di Child-Pugh.
La TERAPIA è chirurgica con metastasectomia, segmentectomia unica o multipla, epatectomia dx
o sx. In caso di metastasi multiple si ricorre alla chemioterapia locale somministrando i farmaci
direttamente nel fegato incannulando l’arteria epigastrica dx con un catetere che viene portato fino
all’arteria epatica, collegato ad una pompa di infusione.

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IPERTENSIONE PORTALE
L’IPERTENSIONE PORTALE è una sindrome caratterizzata da un > della P vigente nel sistema
della vena porta, dovuto ad alcune patologie che ostacolano il deflusso del sangue venoso.
Il Sistema Portale è costituito dal Tronco della Vena Porta che si forma dietro la testa del
pancreas per la confluenza della vena mesenterica superiore, vena lienale o splenica e vena
mesenterica inferiore che spesso sbocca nella vena lienale poco prima che questa si unisca alla vena
mesenterica superiore.
I rami affluenti della vena porta sono: vena gastrica sx o coronaria dello stomaco, vena gastrica
dx o pilorica e vena ombelicale durante la vita fetale.
Il tronco della vena porta è situato nello spessore del legamento epato-duodenale insieme al dotto
coledoco e all’arteria epatica, si dirige verso l’ilo epatico dove si divide in un ramo dx e un ramo
sx, conducendo al fegato il sangue venoso refluo dei visceri addominali:
– la vena mesenterica superiore raccoglie il sangue venoso refluo dal tenue, colon dx, parte dello
stomaco, pancreas e grande omento. I rami affluenti della vena mesenterica superiore sono: vene
intestinali, vena ileo-colica, vena colica dx, vena colica media, vena pancreatico-duodenali, vena
gastroepiploica dx.
– la vena mesenterica inferiore raccoglie il sangue venoso refluo dal colon sx. I suoi rami affluenti
sono: vena colica sx, vene sigmoidee, vena rettale o emorroidaria superiore.
– vena lienale o splenica raccoglie il sangue venoso refluo dalla milza, pancreas, stomaco e grande
omento. I suoi rami affluenti sono: vena gastroepiploica sx, vene gastriche brevi, vene pancreatiche
e duodenali.
– Vene Porte Accessorie cioè: vene del legamento gastro-epatico, vene del legamento falciforme,
vene del legamento coronarico, vene paraombelicali, vene cistiche, vene nutritizie dei condotti
biliari, dei rami della vena porta e dell’arteria epatica, che sono indipendenti dal sistema portale e
che realizzano dei collegamenti virtuali tra sistema portale e circolazione sistemica che diventano
reali solo in condizioni patologiche.
Dai rami dx e sx della vena porta originano dei rami più piccoli che portano il sangue venoso al
sistema dei sinusoidi, dove il sangue venoso si mescola con quello arterioso proveniente
dall’’arteria epatica, subendo importanti modifiche biochimiche da parte degli epatociti e cellule di
Kupffer, poi passa nelle vene centrolobulari e nelle vene sovraepatiche fino a raggiungere la vena
cava inferiore.
In condizioni normali il flusso del sangue venoso nel sistema portale è di tipo epatopeto, cioè è
diretto al fegato e la progressione del sangue nel sistema portale è favorita dal gradiente pressorio
tra vena porta e vena cava inferiore: normalmente la P nella vena porta è di 10-12 cmH2O mentre
nella vena cava inferiore è di 9-10 cmH2O, creando un gradiente pressorio che consente al sangue
venoso presente nel sistema portale di vincere la resistenza della P venosa centrale e le resistenze
periferiche intra-epatiche.
In caso di ipertensione portale con un > della P fino a 50 cmH20, il flusso del sangue diventa
epatofugo, cioè il sangue trova l’ostacolo che può essere preepatico, intraepatico o postepatico e
torna indietro raggiungendo la circolazione generale grazie alla dilatazione delle anastomosi e
formazione dei circoli collaterali che favoriscono lo scarico del sangue nella vena cava inferiore.
Possiamo fare una distinzione tra circolo collaterale superiore e inferiore .
Il CIRCOLO COLLATERALE SUPERIORE è rappresentato dal Circolo Collaterale Gastro-
Esofageo: a livello della giunzione gastro-esofagea si realizza un’anastomosi tra i plessi venosi
sottomucosi e periesofagei dell’esofago e le vene sottomucose dello stomaco che però rappresenta
un fattore negativo perché si formano delle voluminose varici esofagee nella sottomucosa
dell’esofago che possono facilmente rompersi in seguito all’> della P venosa, al passaggio degli
alimenti o in seguito a colpi di tosse, provocando una grave emorragia.
Comunque, attraverso la vena lienale o splenica, le vene gastriche brevi e la vena gastrica sx o
coronaria stomacica, si può realizzare un circolo collaterale tra la vena cava superiore e la vena
cava inferiore, convogliando il sangue verso l’alto, cioè verso le vene esofagee, vena azigos ed
emiazygos, scaricando il sangue nella vena cava superiore, cioè nella circolazione generale.
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Il CIRCOLO COLLATERALE INFERIORE o Emorroidario si realizza a livello del canale
anale grazie all’anastomosi tra le vene emorroidarie o rettali superiori, tributarie della vena
mesenterica inferiore e le vene emorroidarie o rettali medie e inferiori, tributarie della vena
ipogastrica o iliaca interna che porta il sangue alla vena cava inferiore.
Le vene emorroidarie costituiscono il plesso emorroidario.
Anche in questo caso si possono formare delle grosse varici emorroidarie che all’esplorazione
digito-rettale si presentano come dei grossi gavoccioli: si parla di emorroidi sintomatiche
secondarie all’ipertensione portale che, rispetto alle emorroidi primitive idiopatiche o
criptogenetiche, non devono essere trattate chirurgicamente perché nei pz con ipertensione portale
le emorroidi rappresentano una valvola di scarico che consente al sangue di passare dal sistema
portale alla circolazione generale, per cui se si interviene chirurgicamente si può provocare una
grave proctoraggia difficile da controllare.
Inoltre, si possono sviluppare circoli collaterali secondari:
 Anastomosi a livello del peritoneo parietale con formazione del circolo collaterale retro-
peritoneale, cioè si realizza una comunicazione tra il circolo venoso preperitoneale e
retroperitoneale costituendo il sistema di RETZIUS o rete venosa retroperitoneale che nei pz con
ipertensione portale consente il passaggio del sangue dal sistema portale al sistema retroperitoneale,
fino alla vena cava inferiore. Infatti, il sistema di Retzius si realizza tra le radici delle vene
mesenteriche e delle vene addominali parietali cioè vene lombari, vena sacrale mediana, e viscerali
cioè vene renali, vene spermatiche interne, tributarie della vena cava inferiore.
 Anastomosi a livello della parete addominale anteriore: si realizza un’anastomosi porto-
sistemica per intervento delle vene porte accessorie che si attivano solo in condizioni patologiche
per favorire il deflusso del sangue. In particolare, si ha l’intervento della vena ombelicale, ramo
della vena porta, che durante la vita fetale porta al feto il sangue arterioso ossigenato e ricco di
sostanze nutrienti proveniente dalla placenta, percorrendo il cordone ombelicale con andamento a
spirale, penetra nell’addome del feto fino a sboccare nel ramo sx della vena porta da cui origina il
condotto venoso di Aranzio che sbocca nella vena epatica sx, tributaria della vena cava inferiore.
Dopo la nascita il cordone ombelicale viene legato per cui la vena ombelicale e il condotto venoso
di Aranzio vanno incontro ad un processo di obliterazione: la vena ombelicale si trasforma nel
legamento rotondo del fegato, mentre il condotto venoso di Aranzio si trasforma nel legamento
venoso del fegato.
In caso di ipertensione portale la vena ombelicale si apre, cioè diventa pervia, favorendo lo scarico
del sangue nel dotto di Aranzio che si dilata, favorendo il deflusso del sangue nella vena cava
inferiore.
Questo fenomeno è tipico della Cirrosi di Cruveilhier-Baumgarten con ipertensione portale da
blocco intraepatico e pervietà della vena ombelicale, caratterizzata dalla formazione del “caput
medusae” rilievi venosi che si espandono a raggiera dall’ombelico in seguito alle anastomosi tra la
vena ombelicale e le vene della parete addominale.
Attraverso la vena ombelicale, vene porte accessorie e vene paraombelicali il sangue può refluire
verso le vene sottocutanee della parete addominale, scorrendo verso l’alto in direzione della vena
cava superiore, con intervento delle vene intercostali e mammaria interna, e verso il basso in
direzione della vena cava inferiore, con intervento delle vene epigastriche superficiali e inferiori.
Successivamente il notevole versamento endoperitoneale provoca la compressione della vena cava
inferiore, per cui il circolo venoso superficiale assume un decorso prevalentemente verticale
assicurando il collegamento tra il sistema della vena cava inferiore e della vena cava superiore,
mediante anastomosi tra le vene epigastriche e intercostali, realizzando il circolo collaterale cava-
cava.

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La CLASSIFICAZIONE dell’IPERTENSIONE PORTALE tiene conto delle cause, con distinzione
tra ipertensione portale da iperafflusso di sangue, di tipo dinamico e ipertensione portale da
blocco, intraepatico, pre-epatico, post-epatico, di tipo statico.
L’IPERTENSIONE PORTALE da IPERAFFLUSSO di SANGUE è causata da una patologia
primitiva della milza con splenomegalia cioè la milza > di volume, per cui necessita di una
maggiore quantità di sangue, per cui > l’afflusso di sangue ma anche il deflusso di sangue dalla
milza che va ad incrementare il circolo portale con conseguente ipertensione portale da iperafflusso
di sangue, come succede in caso di:
 I° stadio della malattia di Banti con splenomegalia fibro-congestizia, iperafflusso di sangue alla
milza, > P intrasplenica e ipertensione portale, segni di ipersplenismo cioè sequestro e lisi di
globuli rossi, leucociti e piastrine da parte della milza con conseguente anemia, leucopenia e
piastrinopenia, fino ad andare incontro ad epatopatia e a cirrosi epatica.
 rottura di un aneurisma dell’arteria epatica nella vena porta.splenomegalia primitiva nei pz affetti
da malaria o talassemia.
 neoplasie spleniche, cioè linfomi di Hodgkin e non Hodgkin.
L’IPERTENSIONE PORTALE da BLOCCO è dovuta ad un ostacolo al flusso del sangue nel
sistema portale che può essere pre-epatico, intra-epatico o post-epatico.
L’ostacolo pre-epatico spesso si deve ad una trombosi della vena porta di vario tipo:
─ trombosi di natura infettiva o pileflebite a partire da un’infezione di un viscere addominale, ad
es. in caso di appendicite.
─ trombosi di natura tossica, come in caso di pancreatite acuta degenerativa.
─ trombosi di natura traumatica.
L’ostacolo pre-epatico può essere dovuto ad una atresia della vena porta, malformazione di
natura congenita, o ad una compressione ab estrinseco da carcinoma della testa del pancreas.
In tal caso il fegato è sano ma è pallido perché riceve il sangue solo dall’arteria epatica, mentre il
sangue venoso ristagna nel sistema portale.
L’Ostacolo Intraepatico rappresenta l’85-90% di tutte le forme di ipertensione portale ed è dovuta
alla cirrosi epatica di tipo atrofica di Morgagni-Laemec, dovuta a alcolismo, epatite virale B e C,
farmaci epatotossici, caratterizzata da degenerazione epatica diffusa, necrosi delle cellule epatiche,
sclerosi perilobulare ed endolobulare, rigenerazione nodulare degli epatociti e duttuli biliari,
notevole < volume epatico e formazione del circolo collaterale gastro-esofageo.
L’Ostacolo Post-epatico è tipico della Sindrome di Budd-Chiari dovuta ad una trombosi delle vene
sovraepatiche, con ipertensione portale e ascite precoce: il sangue venoso giunge al fegato mediante
la vena porta ma a causa dell’ostacolo a livello delle vene sovraepatiche, il sangue ristagna nel
fegato, con conseguente “fegato da stasi” e presenta delle dimensioni doppie o triple rispetto a
quelle normali ma se si ricorre subito alla terapia trombolitica il sangue comincia a defluire e il
fegato si sgonfia come se fosse una spugna.
L’ostacolo post-epatico può interessare anche la vena cava inferiore sovraepatica o il cuore dx,
come in caso di pericardite costrittiva con conseguente ipertensione portale e stasi venosa nella vena
cava, edema e varici agli arti inferiori, ectasie venose a livello della parete addominale...
Inoltre, possiamo fare una distinzione tra ipertensione portale globale e distrettuale in base al grado
di interessamento del sistema portale.
L’IPERTENSIONE PORTALE GLOBALE si verifica quando è interessato tutto il sistema portale
per un blocco post-epatico, come succede nella Sindrome di Budd-Chiari, blocco intraepatico da
cirrosi, oppure blocco pre-epatico da trombosi della vena porta o da iperafflusso di sangue alla
milza. In tal caso inserendo un ago collegato ad un manometro nella milza e nella vena mesenterica
superiore si possono eseguire delle misurazioni pressorie: se la P è alta in entrambe le sedi significa
che c’è una ipertensione portale globale.
L’IPERTENSIONE PORTALE DISTRETTUALE si verifica quando è interessata solo una parte del
sistema portale, come in seguito alla trombosi della vena splenica.
La vena splenica si dirige dall’ilo splenico verso il margine superiore del pancreas, al di sotto
dell’arteria splenica, ma in alcuni casi decorre dietro il corpo del pancreas, per cui in caso di

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pancreatiti acute o croniche si ha un effetto compressivo espansivo della vena splenica e la
trasmissione del processo infiammatorio alla parete esterna della vena splenica con periflebite, poi
si diffonde nel lume della vena con endoflebite e trombosi della vena splenica.
L’ostruzione della vena splenica può essere dovuta anche ad una compressione ab-estrinseco da un
tumore del pancreas.
Per cui a causa della ostruzione della vena splenica il sangue che proviene dalla milza trova
l’ostacolo e torna indietro, provocando ipertensione portale distrettuale a sx, mentre a dx nella vena
mesenterica superiore il sangue scorre regolarmente.
Se l’ostacolo interessa la vena mesenterica superiore, da tumore intra o retroperitoneale si ha
ipertensione portale distrettuale a dx.
Per quanto riguarda la PATOGENESI e i SINTOMI dell’IPERTENSIONE PORTALE
consideriamo la forma da blocco intraepatico di natura cirrotica che è la più frequente: in condizioni
normali nello spazio portale o centrolobulare c’è il tessuto connettivo contenente arteria
centrolobulare, vena centrolobulare, dottulo linfatico e piccolo dotto biliare.
In caso di cirrosi epatica si ha un processo di necrosi con distruzione delle cellule epatiche:
normalmente il fegato ha una notevole capacità rigenerativa ma nella cirrosi epatica il fegato questo
non succede poichè si ha una notevole degenerazione del parenchima epatico, la formazione di
tessuto fibroso cicatriziale che comprime tutte le strutture che si trovano nello spazio
centrolobulare: l’arteria centrolobulare ha una parete resistente per cui viene solo dislocata nella
parte periferica dello spazio portale mentre la vena centrolobulare ha una parete sottile e fragile,
viene compressa impedendo il deflusso del sangue venoso con conseguente ipertensione portale.
La compressione del dotto linfatico impedisce il deflusso della linfa nel sistema linfatico con
conseguente ASCITE cioè una raccolta di liquido sieroso trasudativo in cavità peritoneale.
La compressione del dotto biliare impedisce il deflusso della bile con conseguente ITTERO che
nel pz cirrotico è di tipo combinato cioè presenta sia un ittero a bilirubinemia indiretta o non
coniugata da insufficienza epatocellulare sia un ittero a bilirubinemia diretta o coniugata di tipo
meccanico da compressione ad estrinseco dei dotti biliari.
Il pz cirrotico nella fase florida presenta epatomegalia e splenomegalia da iperafflusso di sangue
alla milza, mentre nella fase di retrazione con processo fibro-cicatriziale si ha ipotrofia con < del
volume epatico, per cui il fegato diventa piccolo e duro.
Il pz cirrotico va incontro anche ad atrofia testicolare da deficit del metabolismo degli ormoni
sessuali a livello epatico (testosterone), porpora cutanea da deficit della sintesi dei fattori della
coagulazione vit.k dipendenti (somministrare vit.K ad alte dosi), calo ponderale, dita a bacchetta di
tamburo, edemi periferici, encefalopatia di grado variabile…
Inoltre, nel pz cirrotico con ipertensione portale si ha la formazione del circolo collaterale gastro-
esofageo con formazione delle varici gastro-esofagee, la cui rottura rappresenta la complicanza più
temibile dell’ipertensione portale, caratterizzata da ematemesi, melena fino allo shock ipovolemico.
Raramente si sviluppa il circolo collaterale inferiore o emorroidario con emorroidi secondarie
sintomatiche di ipertensione portale dalla cui rottura si ha una proctorragia molto grave e difficile
da tenere sottocontrollo.
La DIAGNOSI di Ipertensione Portale si basa su:
 Indagini di Laboratorio che evidenziano i segni di insufficienza epatica da cirrosi, cioè >
bilirubina diretta e indiretta, ipoalbuminemia, < PT da deficit della sintesi dei fattori della
coagulazione vit.k dipendenti. Inoltre, in caso di rottura delle varici esofagee possiamo valutare
l’entità delle perdite e dello shock ipovolemico: < HCT, anemia, insufficienza renale con < diuresi...
 Rx ed Endoscopia Esofago-Gastrica per visualizzare le varici gastro-esofagee: le varici si
formano tra il plesso venoso sottomucoso e periesofageo del 3° distale dell’esofago e il plesso
venoso sottomucoso del fondo gastrico. All’Rx con m.d.c. baritato si notano dei rigonfiamenti
presenti nel lume esofageo, cioè 3-4 colonne che possono occupare anche tutto il 3° distale
dell’esofago, dove il m.d.c. è costretto a deviare nelle zone più interne, con minus di riempimento
rispetto plus di riempimento tipico dell’ulcera peptica dove si ha una perdita di sostanza che viene
riempita dal m.d.c..

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 Angiografia con m.d.c. con tecnica di Seldinger: si incannula l’arteria femorale mediante un
catetere lungo e sottile, si prosegue attraverso l’arteria iliaca verso l’aorta addominale, fino al
tripode celiaco e si inietta il m.d.c. ottenendo 3 tempi:
tempo arterioso o fase arteriografica: si osservano i rami di divisione del tronco celiaco cioè arteria
epatica comune, arteria splenica e arteria gastrica sx.
tempo parenchimale o fase parenchimografica: si osserva la milza opacizzata.
tempo venoso o fase flebografica: è la fase del ritorno venoso, importante perché consente di
visualizzare l’albero portale e i circoli collaterali epatofughi, vena splenica che in caso di
ipertensione portale da cirrosi è dilatata, il fegato è ipotrofico mentre la milza è aumentata di
volume. Poi si incannula l’arteria mesenterica superiore ottenendo un tempo arterioso osservando
l’arteria mesenterica superiore, un tempo parenchimatoso osservando le anse intestinali, un tempo
venoso osservando la vena mesenterica superiore che insieme alla vena splenica costituisce la vena
porta, consentendo di osservare il circolo portale.
Inoltre, in caso di cirrosi epatica in fase avanzata possiamo osservare un altro segno radiologico
cioè la verticalizzazione del tronco portale perché il fegato è ipotrofico, piccolo, si retrae e si
trascina con se l’ilo epatico e la vena porta.
 Eco-Doppler: consente di studiare la morfologia e la dinamica del sistema portale vena cava
inferiore e vene epatiche, Ø dei vasi, flusso del sangue nei vasi, turbolenze, portata dei vasi ed è
utile per il monitoraggio post-operatorio degli shunt chirurgici porto sistemici.
 Laparoscopica con biopsia mirata: per valutare bene l’entità delle lesioni nel pz cirrotico e
soprattutto l’evoluzione nel carcinoma epatocellulare. In passato si ricorreva alla biopsia con ago di
Verres introdotto a cielo aperto per via transparieto-epatica, aspirando un frustolo di fegato e
facendo un esame istologico ma era ad alto rischio di emorragia, tenendo conto dello stato dei vasi e
del deficit della coagulazione del sangue.
 Spleno-Porto-Manometria pungendo la milza con un grosso ago collegato ad un manometro per
misurare la P presente nella milza e Spleno-Portografia per visualizzare graficamente la milza e la
vena porta, non sono più usate perché ad alto rischio di emorragia.
La PROGNOSI è grave soprattutto in caso di emorragia da rottura delle varici gastro-esofagee,
con mortalità pari al 25-40% dei casi.
La TERAPIA tiene conto della presenza dell’ascite, emorragie da rottura delle varici...
In caso di ascite la Paracentesi non è utile perchè non ci consente di monitorare le perdite e perchè è
ad alto rischio di sepsi. In questi pz è importante ripristinare le perdite idroelettrolitiche cercando di
evitare lo shock ipovolemico, somministrando plasma expanders, sangue intero o emoderivati,
albumina plasmatica, liquidi ed elettroliti. La paracentesi potrebbe essere utile in caso di asciti
abbondanti con notevole distensione dell’addome e sollevamento del diaframma che va ad
esercitare una compressione sui polmoni alterando la meccanica respiratoria.
Anche il Trattamento Chirurgico dell’ascite con la Tecnica di Le Veen non è più usato: prevede
l’applicazione di una valvola unidirezionale interposta a 2 tubi di silicone: un tubo presenta diversi
fori e va a pescare nel cavo peritoneale, mentre l’altro tubo viene fatto passare a livello sottocutaneo
della parete addominale e toracica a partire dal collo della vena giugulare interna: durante
l’inspirazione si ha un > di volume della gabbia toracica, la valvola viene schiacciata favorendo il
passaggio del liquido ascitico nella vena giugulare interna, mentre durante la espirazione la valvola
si dilata e aspira il liquido dall’addome, per cui si reinfonde il liquido ascitico in circolo, ma il
rischio di mortalità è pari al 10-15% e si hanno dei grossi squilibri emodinamici a causa
dell’immissione in circolo di una grossa quantità di liquidi, inoltre, è controindicata nei pz con
patologie renali, cardiopatici e presenza di varici esofagee che in seguito all’> della volemia
potrebbero rompersi aggravando la situazione.
L’emorragia da rottura delle varici esofagee è la complicanza più grave dell’ipertensione portale
perchè si può avere la perdita di una notevole quantità di sangue in pochi minuti, fino allo shock
ipovolemico e la morte del pz per arresto cardiaco. Per cui bisogna monitorare qual’è l’entità
dell’ipovolemia valutando l’HCT, diuresi, PVC e si ripristina la volemia.

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In presenza di un’emorragia digestiva la prima cosa da fare è una endoscopia perché nel pz
cirrotico l’emorragia può essere dovuta anche a ulcera da ipergastrinemia e se ricorriamo alla sonda
di Sengstaken Blakemore non riusciamo a bloccare il sanguinamento.
Mediante l’indagine endoscopica si valuta la sede dell’emorragia e si verifica se l’emorragia è
dovuta alla rottura delle varici gastro-esofagee, oppure se deriva da un ulcera gastro-duodenale,
gastrite emorragica erosiva, esofagite da RGE... L’esame endoscopico deve essere eseguito
possibilmente quando il pz non sanguina, altrimenti si deve cercare di fermare il sanguinamento
mediante la sclerosi endoscopica delle varici che è molto utile nei pz ad alto rischio chirurgico
cioè gruppo C di Child e se viene eseguita da un endoscopista esperto possiamo controllare
l’emorragia massiva nel 70% dei casi.
Se l’emorragia è causata dalla rottura delle varici esofagee si può ricorre al tamponamento
meccanico con la Sonda di Sengstaken Blakemore detta sonda salvavita spesso usata come
primo trattamento di emergenza al Pronto Soccorso.
La sonda è costituita da 3 vie: una via centrale che pesca nello stomaco e che consente di ripulire lo
stomaco dal contenuto di sangue, coaguli, frammenti di cibo non ancora digeriti, una via collegata
ad un palloncino longitudinale-cilindrico che viene alloggiato nella parte inferiore dell’esofago e
una via collegata ad un palloncino rotondeggiante che viene alloggiato nel fondo gastrico.
La sonda viene lubrificata e introdotta per via nasale con i palloncini sgonfi, fino a quando il
palloncino gastrico ha raggiunto lo stomaco: per essere sicuri che il palloncino gastrico abbia
raggiunto lo stomaco si prende una siringa, si aspira dalla via centrale e se fuoriesce il sangue
significa che siamo nello stomaco che è pieno di sangue.
A questo punto si inietta l’aria o l’acqua in modo da gonfiare il palloncino gastrico e si esercita una
certa trazione sulla sonda per far aderire tenacemente il palloncino al fondo gastrico. Poi si gonfia il
palloncino esofageo, fino 30 mmHg e si fissa la sonda con un cerotto al naso oppure si esercita su di
essa una modica trazione continua.
In tal modo si ottiene una compressione omogenea delle varici, bloccando l’emorragia
meccanicamente. Dobbiamo ricordare di sgonfiare il palloncino esofageo ogni 45 min per alcuni
minuti per evitare problemi di irrorazione, facendo attenzione perché la sonda può anche spostarsi e
andare a comprimere la trachea. Inoltre, la sonda è tollerata circa 12-24 h al massimo, per cui deve
essere rimossa per evitare la necrosi e la perforazione della parete esofago-gastrica. Nel 10% dei
casi rimuovendo la sonda si può avere la ripresa dell’emorragia per cui è necessaria la TERAPIA
CHIRURGICA che si basa su interventi derivativi e non derivativi:
Gli INTERVENTI DERIVATIVI consistono nelle anastomosi tra grossi vasi, come la derivazione
porto-cavale, spleno-renale prossimale e distale, mesenterico-cava.
La Derivazione Porto-Cavale prevede l’anastomosi vena porta-vena cava inferiore distinta in:
- anastomosi latero-laterale: la vena porta viene bloccata con delle pinze, poi si asporta una losanga
dalla parete laterale della vena cava inferiore e una losanga dalla parete laterale della vena porta e
si esegue l’anastomosi dal piano posteriore verso quello anteriore, si toglie la pinza consentendo la
comunicazione tra vena porta e vena cava inferiore.
Per cui il sangue trova l’ostacolo a livello epatico e passa dalla vena porta alla vena cava inferiore,
< l’ipertensione portale.
- anastomosi termino-laterale: tra il segmento terminale della vena porta e il segmento laterale della
vena cava inferiore.
La complicanza della derivazione porto-cava è l’encefalopatia porto sistemica:
normalmente il sangue attraverso il sistema portale giunge al fegato dove viene depurato dalle
sostanze tossiche, mentre nella derivazione porto-cavale il sangue passa direttamente nella vena
cava inferiore con tutte le sostanze tossiche che poi giungono al cervello, fino a provocare
un’encefalopatia di grado variabile da I a IV che si manifesta con turbe cerebrali,
disorientamento temporo-spaziale, disturbi neurologici, ipertono muscolare fino al coma e
morte del pz (iperammoniemia), ecco perché spesso si ricorre alla arterializzazione aggiuntiva
del fegato con impianto dell’arteria splenica nel fegato o con l’anastomosi tra arteria splenica e

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moncone distale della vena porta e con innesti venosi od alloplastici che partono dall’aorta o da un
ramo collaterale e giungono alla vena porta.
Inoltre, la derivazione porto-cavale non è possibile in caso di trombosi della vena porta o in caso di
verticalizzazione della vena porta.
La anastomosi spleno-renale prossimale o distale si realizza tra la vena splenica e la vena
renale sx distinta in:
- anastomosi spleno-renale prossimale termino-laterale: si lega il moncone distale della vena
splenica, si seziona a livello prossimale e si esegue l’anastomosi con la parete laterale della vena
renale sx, si asporta la milza.
- anastomosi spleno-renale prossimale latero-laterale: si asportano due losanghe laterali dalle vene e
si esegue l’anastomosi senza asportare la milza.
Nell’anastomosi spleno-renale distale secondo Warren la milza non viene asportata, mentre
la vena splenica viene scheletrizzata e liberata dal pancreas.
Si lega il moncone prossimale della vena splenica, mentre quello distale viene sezionato e si esegue
l’anastomosi termino-laterale con la vena renale sx.
Preventivamente si esegue una deconnessione tra la vena azigos e la vena porta, risparmiando la
vena gastroepiploica sx e i vasi gastrici brevi, favorendo il deflusso del sangue dalle varici esofagee
attraverso la milza nella vena renale sx che convoglia il sangue nella vena cava inferiore.
L’anastomosi mesenterico-cava ha una forma ad H perché si usa una protesi che viene messa a
ponte tra la faccia dx della vena mesenterica superiore e la faccia sx della vena cava inferiore.
Si può usare un innesto venoso autologo, cioè un segmento della vena giugulare (intervento di
Drapanas) oppure della vena safena (intervento di Stipa) ricavati dallo stesso pz.
Queste anastomosi minori sono ad alto rischio di trombosi perché le vene hanno un calibro più
piccolo rispetto alla vena porta e alla vena cava inferiore.
Gli INTERVENTI NON DERIVATIVI sono rappresentati dall’omentopessia e devascolarizzazione.
Nell’omentopessia si fissa il grande omento al peritoneo parietale o al grasso preperitoneale o al
tessuto sottocutaneo, mettendo in collegamento i vasi dell’omento (epiploon), tributari del sistema
portale, con le vene della parete addominale anteriore, tributarie della vena cava inferiore, ma in tal
caso si formano dei circoli collaterali insufficienti alla circolazione del sangue.
La devascolarizzazione delle varici si basa sulla legatura delle varici esofagee o la
deconnessione azigos-portale, studiando prima il pz con un’indagine endoscopica, TAC epato-
splenica, angiografia del sistema portale e indagini di laboratorio per stabilire a quale classe di
Child appartiene il pz. Infatti, Child ha individuato 3 gradi di rischio crescente del pz cirrotico,
tenendo conto dei valori della bilirubinemia, albuminemia, entità dell’ascite, grado
dell’encefalopatia e stato nutrizionale del pz.
- grado A: punteggio 5-6, corrisponde alla fase iniziale della cirrosi con bilirubinemia < 1-2 mg/dl,
albuminemia > 3,5 gr/dl, ascite assente, encefalopatia assente, stato nutrizionale è eccellente.
- grado B: punteggio 7-9, corrisponde alla fase intermedia della cirrosi con bilirubinemia 2-3 mg/dl,
albuminemia = 3-3.5 gr/dl, ascite scarsa, encefalopatia di I e II grado, stato nutrizionale è buono.
- grado C: punteggio 10-15, corrisponde alla fase terminale della cirrosi, grave, con bilirubinemia
> 3 mg/dl, albuminemia < 3 gr/dl, ascite moderata, encefalopatia di III e IV grado, stato nutrizionale
compromesso.
La legatura delle varici avviene per via toracica a livello della 8^ costa sx, oppure per via
addominale: si libera la parte inferiore dell’esofago esercitando una certa compressione su di esso
per ottenere un effetto emostatico. Si esegue una esofagotomia longitudinale e si esegue la legatura
con sutura continua delle 2 o 3 colonne varicose sottomucose, che viene prolungata fino alla
superficie interna dello stomaco ma spesso quando la compressione termina il sanguinamento
riprende come prima.
La deconnessione azigos-portale è l’interruzione dei vasi che alimentano il circolo collaterale
gastro-esofageo, cioè della vena gastrica sx lungo la piccola curvatura che si continua in alto con la
vena azigos a dx e con la vena emiazygos a sx che convogliano il sangue nella vena cava superiore.

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Con questa tecnica si devascolarizzano i 4/5 dello stomaco e 10-11 cm di esofago terminale,
risparmiando la zona prepilorica, per cui si ha un notevole acquattamento delle varici esofagee.
Si scheletrizza l’esofago addominale e lo stomaco prossimale, si lega l’arteria splenica per impedire
che arrivi sangue alla milza e dalla vena splenica al sistema portale, < molto l’ipertensione portale.
I vantaggi della deconnessione azigos-portale sono: è molto stabile nel tempo, può essere usata in
caso di insuccesso della terapia derivativa o se la tecnica derivativa non può essere usata e in caso
di recidive dopo un intervento derivativo.
L’unico svantaggio è che non può essere utilizzata in presenza di un fegato atrofico con grave
insufficienza epatica, cioè pz allo stadio C di Child per cui si ricorre alla scleroterapia delle varici
per via endoscopica con polidocanolo, sodio-tetradecil-solfato, cianoacrilato.

Varici ano-rettali sintomatiche di ipertensione portale

Le varici ano-rettali sintomatiche di ipertensione portale sono molto rare, interessano solo il 4%
dei pz cirrotici soprattutto quando l’ipertensione della vena emorroidaria superiore si ripercuote sul
plesso emorroidario provocandone la dilatazione, cioè si notano dei gavoccioli grossi, bluastri,
molli, che non provocano dolore, non sono pulsanti, responsabili di una grave emorragia difficile da
controllare, con fuoriuscita di sangue rosso scuro, venoso, rispetto a quello di tipo rosso tipico delle
emorroidi.
La DIAGNOSI avviene con la esplorazione digito-rettale, l’ano-rettoscopia, l’angiografia.
La TERAPIA con laccio elastico, crioterapia, emorroidectomia oppure con tamponamento mediante
palloncino o con garza per 12-24 h non sono molto efficaci.
Si può ricorrere alla scleroterapia endoscopica e alla transezione transanale del retto con suturazione
automatica a livello mucoso e sottomucoso, mentre le colonne vasali sono suturate con catgut
dall’estremo distale all’ampolla rettale.
ASCITE

L’Ascite è una raccolta di liquido sieroso, scarsamente corpuscolato nel cavo peritoneale, con
volume variabile da alcuni dl fino a molti litri (25 litri) per cui l’addome diventa globoso, assume un
aspetto a botte, ecco perché si parla di addome batraciano (rana)
Le asciti sono distinte in trasudative ed essudative in base ad alcuni parametri chimico-fisici
valutati con la Prova di Rivalta: si riempie una provetta con una soluzione di acido acetico al 3% e
poi si iniettano con una pipetta alcune gocce di liquido ascitico da esaminare.
Se la soluzione resta limpida, chiara, cioè non si ha l’intorpidimento della soluzione, si parla di
prova di Rivalta negativa (-), per cui si tratta di un ascite trasudativa caratterizzata da aspetto
limpido, colore giallo paglierino, peso specifico o densità ≤ 1008-1015, tasso proteico ≤ 2.5-3 gr%.
Se la soluzione subisce un intorpidimento, tipo “fumo di sigaretta”, si parla di prova di Rivalta
positiva (+), per cui si tratta di ascite essudativa con aspetto torbido, lattescente, colore roseo,
verdastro, bruno, peso specifico > 1015, tasso proteico > 3 gr%.
Le Cause di Ascite Trasudativa sono:
1) Ipertensione Portale da:
 stasi venosa generalizzata con fegato da stasi e ostacolo alla circolazione portale causata da
scompenso cardiaco congestizio grave o mediastino-pericardite cronica con difficoltà al deflusso
del sangue dalla vena cava inferiore all’atrio dx.
 occlusione delle vene sovraepatiche da tromboflebosi o sindrome di Budd-Chiari, oppure da
compressione estrinseca delle vene sovraepatiche o per aplasia congenita o cirrosi di Cruveilher-
Baumgarten. Nel pz cirrotico in fase avanzata il versamento ascitico è preceduto dalla ritenzione
renale di Na+ e H2O dovuto alla sindrome circolatoria iperdinamica da vasodilatazione arteriosa
periferica (circolazione splancnica) con < volemia, per cui si ha l’intervento del meccanismo di
compenso renina-angiotensina-aldosterone nel tentativo di provocare vasocostrizione delle arteriole
afferenti al glomerulo e la perfusione renale, ma questo tentativo non da alcun risultato per cui il pz
cirrotico va incontro alla sindrome epato-renale dove all’insufficienza epatica si associa
l’insufficienza renale con contrazione della diuresi.

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 ostacolo intraepatico alla circolazione portale da cirrosi alcolica, cirrosi postepatica e soprattutto
cirrosi epatica di Morgagni-Laemec dove il disordine strutturale intraepatico con proliferazione
connettivale è alla base dell’ostacolo da cui si genera un ascite abbondante.
 ostruzione della vena porta o dei suoi rami dovuta a linfonodi aumentati di volume in seguito a
metastasi da carcinoma gastrico, testa del pancreas, intestino, retto, testicoli, oppure da emopatie,
linfomi addominali, con conseguente ascite e ittero per compressione del coledoco.
2) Ipoalbuminemia con < P oncotica del sangue.
Le Cause di Ascite Essudativa sono:
 peritonite cronica di origine TBC o da salpingite.
 neoplasia peritoneale primitiva o secondaria, metastasi carcinomatosa peritoneale da tumore
ovaie, utero, stomaco, intestino.
 trasformazione del trasudato in essudato in seguito a paracentesi ripetute.
Inoltre, l’ascite può essere dovuta a:
─ cardiopatie: insufficienza della valvola tricuspide, pericardite costrittiva.
─ nefropatie.
─ lesioni del dotto toracico o dei collettori che vi affluiscono con ascite di tipo chilosa, pancreatite
acuta con comunicazione tra sistema duttale intrapancreatico e cavo peritoneale, rottura di una
pseudocisti pancreatica nel peritoneo con ascite pancreatica.
Dobbiamo ricordare che il liquido ascitico viene prodotto anche dalla superficie epatica filtrando
attraverso la capsula epatica, per cui si parla di “fegato che piange l’ascite”.
In caso di cirrosi epatica si parla di ascite benigna con ottusità alla percussione con concavità
rivolta verso l’alto, liquido giallo paglierino, con densità di 1012-1015.
In caso di cancro-cirrosi, metastasi epatiche o carcinosi peritoneale si parla di ascite maligna o
neoplastica caratterizzata da liquido trasudativo ematico.
L’Ascite è caratterizzata da vari reperti obiettivi:
– Ispezione: addome batraciano (a botte o a rana) con distensione della cute che si presenta
liscia, lucente, con smagliature più o meno evidenti, fino allo spianamento o estroflessione
della cicatrice ombelicale, ad alto rischio di ernia ombelicale.
– Palpazione: la parete addominale è trattabile e si percepisce il segno del fiotto, cioè
l’osservatore si dispone alla dx del pz che è in posizione supina, poggiando la mano sx a piatto
sulla regione del fianco dx, una mano del pz viene disposta lungo la linea mediana esercitando
una compressione con il margino ulnare per impedire la trasmissione degli impulsi lungo la
parete addominale che potrebbe essere rilevante nei soggetti adiposi, mentre l’osservatore
eserciterà con la mano dx dei piccoli urti alla parete addominale in corrispondenza del fianco
sx, percependo con la mano sx l’onda di percussione dovuta allo spostamento del liquido
contenuto nella cavità peritoneale.
– Percussione: consente la delimitazione del versamento. Quando il pz è in decubito supino il
liquido tende ad accumularsi in basso e a formare un livello orizzontale in alto che incontra la
parete addominale lungo una linea semicircolare a concavità rivolta verso l’alto.
Partendo dal centro dell’addome e percuotendo lungo linee raggiate, è possibile disegnare
questa linea in base al brusco cambiamento del suono plessico da timpanico dovuto al gas
presente nelle anse intestinali che galleggiano nel liquido al centro della cavità addominale, a
suono plessico ottuso dovuto al liquido libero a contatto diretto con la parete addominale.
In caso di versamento modesto si ricerca l’ottusità mobile: si invita il pz a decombere sul fianco
sx e si esegue la percussione dell’addome lungo una linea trasversale da dx verso sx; se vi è
liquido libero la regione del fianco dx darà un suono timpanico, mentre la regione del fianco sx
darà un suono ottuso. L’ottusità si sposta da un fianco all’altro con i movimenti laterali del corpo.
L’Rx in bianco dell’addome evidenzia una opacità diffusa e l’assenza del profilo del muscolo psoas
se il versamento supera il ½ litro.
L’Ecografia consente di evidenziare versamenti anche modesti, pari a 100 cm³.
La Paracentesi eseguita a vescica vuota, con il pz semiseduto e un po’ ruotato sul fianco sx,
prevede di pungere a livello della fossa iliaca sx mediante un ¾ del calibro di 3 mm, a metà strada

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tra la spina iliaca antero-superiore sx e l’ombelico: si aspira il liquido ascitico e si eseguono delle
indagini chimico fisiche per valutare la sua natura.
In caso di globo vescicale la percussione evidenzia un limite curvilineo con convessità verso
l’alto e in posizione sovrapubica.
In caso di cisti ovarica si ha la compressione laterale delle anse intestinali, con ottusità
mediana o paracentrale, margine superiore curvilineo con convessità verso l’alto, mentre
lateralmente ci sono le anse che forniscono un suono chiaro.
E’ importante ripristinare l’equilibrio idro-elettrolitico con albumina plasmatica, H2O ed elettroliti,
plasma expanders.

ERNIE ADDOMINALI

L’ERNIA è la fuoriuscita di un viscere o di una parte del viscere dalla cavità in cui è normalmente
contenuto, attraverso un’area di debolezza della parete o attraverso un orifizio o un canale naturale.
Possiamo fare una distinzione tra ernie esterne ed interne:
Le Ernie Esterne sono le più frequenti: in questo caso i visceri migrano fuori della cavità
addominale attraverso zone di minore resistenza della parete addominale, come succede nel caso
delle ernie addominali, cioè le ernie inguinali, ernie crurali o femorali, ernie ombelicali, ernie
della linea alba cioè le ernie epigastriche e mediane sottombelicali, poi le ernie o laparoceli post-
operatori, nonché le ernie lombari, otturatorie, ischiatiche, perineali e le ernie di Spiegel più rare.
Le Ernie Interne si verificano quando un viscere abbandona la cavità in cui normalmente è
contenuto e migra in un’altra cavità del corpo, impegnandosi attraverso orifizi naturali o anomali,
come succede nel caso delle ernie diaframmatiche, ernie vescicali, ernia peritoneale di Treitz...
Inoltre, possiamo fare una distinzione tra ernie congenite e acquisite.
Le Ernie Congenite sono dovute ad un difetto dello sviluppo della parete addominale, soprattutto a
livello ombelicale e inguinale, possono essere presenti sin dalla nascita oppure svilupparsi
sucessivamente dopo la nascita.
Ad esempio, nelle ernie inguinali congenite il sacco erniario deriva dalla mancata obliterazione
del dotto peritoneo-vaginale: infatti, il testicolo e le componenti del funicolo spermatico
normalmente verso l’8° mese di vita intrauterina, discendono dalla regione lombare alla cavità
scrotale, accompagnati da una estroflessione del peritoneo, detta dotto peritoneo-vaginale, che a
sviluppo completato si oblitera nella parte funicolare, mentre nella porzione testicolare resta pervio,
formando la tunica vaginale del testicolo.
L’incompleta o mancata obliterazione del dotto peritoneo-vaginale è alla base delle ernie inguinali
congenite o di un idrocele.
Le Ernie Acquisite si sviluppano in seguito alla dilatazione di canali o orifizi naturali, come il
canale inguinale, l’anello femorale, l’anello ombelicale, il forame otturatorio... in seguito a sforzi
muscolari con brusco > della P endoaddominale, oppure sono dovute a patologie o traumi, come ad
esempio le ernie diaframmatiche post-traumatiche, oppure le ernie o laparoceli post-operatori.
Le ernie possono essere dovute a CAUSE predisponenti e determinanti:
Tra le Cause Predisponenti abbiamo:
 alterazioni anatomiche congenite o acquisite, come la pervietà del dotto peritoneo-vaginale,
l’incompleta chiusura della parete addominale, presenza di aree di debolezza della parete
addominale.
 età del pz: nel neonato sono frequenti le ernie inguinali congenite per la mancata chiusura del
dotto peritoneo-vaginale, le ernie ombelicali congenite per difetto di chiusura dell’orifizio
ombelicale, le ernie diaframmatiche di Morgagni e Bochdalek da difetto di saldatura del diaframma.
Si tratta di ernie frequenti anche nei pz anziani a causa del deficit o debolezza della parete
muscolare.
 sesso: l’ernia inguinale è più frequente nei soggetti di sesso maschile per la pervietà del dotto
peritoneo-vaginale perché l’anello inguinale interno ha un calibro grande per consentire il passaggio
degli elementi del funicolo o cordone spermatico, oppure per sforzi ripetuti e prolungati o soggetti

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anziani con aree di debolezza dei muscoli laterali dell’addome, come il muscolo obliquo interno e il
muscolo trasverso (rapido dimagrimento).
Nella donna è più frequente l’ernia crurale o femorale a causa della svasatura del bacino dopo la
pubertà e una maggiore debolezza dell’anello femorale. L’ernia inguinale nella donna è rara perché
l’anello inguinale interno è piccolo in quanto non si ha il passaggio degli stessi elementi che si ha
nell’uomo e perché la donna è meno soggetta a sforzi fisici, anche se la gravidanza può indebolire le
pareti e > la P endoaddominale.
Le Cause Determinanti sono:
 notevole > della P endoaddominale: in condizioni normali e di riposo la P endoaddominale è
pari a 20-40 cmH2O e può salire fino a 100-150 cmH2O in seguito a starnuti , colpi di tosse, torchio
addominale, senza però provocare l’ernia a meno che non ci siano dei fattori predisponenti.
La P addominale può agire con un meccanismo di pulsione in seguito a sforzi fisici violenti,
prolungati e ripetuti, estroflettendo il peritoneo con formazione del sacco erniario, oppure con un
meccanismo di trazione con scivolamento verso l’esterno ed estroflessione del peritoneo.
 traumi diretti della parete addominale con rottura del muscoli, cute integra e formazione
dell’ernia o traumi indiretti da contusione o schiacciamento con improvviso > P addominale.
 ascite voluminosa responsabile soprattutto delle ernie ombelicali e inguinali.
 insufficienza respiratoria cronica con tosse persistente.
L’ernia è costituita da una porta, un sacco, dal contenuto, dagli involucri accessori tra sacco e cute.
La Porta è l’apertura muscolo aponeurotica della parete, attraverso cui il viscere passa dalla cavità
addominale verso l’esterno oppure dalla cavità addominale nella cavità toracica nel caso delle ernie
diaframmatiche.
Il Sacco è costituito da una estroflessione del peritoneo parietale, può avere una forma cilindrica,
conica, piriforme, a bisaccia, e presenta un colletto, un corpo e un fondo.
Il colletto è la parte ristretta del sacco a livello della porta erniaria, tra peritoneo e sacco p.d., il
corpo è la parte dilatata del sacco, mentre il fondo è la parte distale del sacco.
Il sacco può essere incompleto se non riveste completamente il contenuto dell’ernia (ernie da
scivolamento), oppure può essere assente (ernie diaframmatiche post-traumatiche, ernie vescicali).
Il Contenuto del sacco erniario è rappresentato da visceri (tenue, colon), epiploon...
Si parla di ernia riducibile o libera quando il suo contenuto può essere respinto nella cavità
addominale, mentre si parla di ernia irriducibile o aderente quando ciò non è possibile.
Inoltre, si parla di ernia composta o combinata quando il contenuto è rappresentato da 2 o più
visceri, ad esempio un’ansa intestinale e la vescica, mentre si parla di eventrazione quando il
contenuto è rappresentato da numerosi visceri addominali.
L’Involucro esterno o accessorio dell’ernia varia a seconda della regione erniaria ed è costituito
dai tessuti che il sacco spinge avanti a se, cioè tessuti interposti tra sacco e cute.

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ERNIE INGUINALI
Le Ernie Inguinali interessano la regione inguinale che è attraversata dal canale inguinale
dall’alto in basso, dall’esterno verso l’interno, dalla profondità in superficie, lungo nell’uomo 4-5
cm, mentre nella donna è un po’ più lungo ma più stretto.
Il canale inguinale è delimitato da 4 pareti, cioè anteriore, posteriore, superiore e inferiore:
 parete anteriore è molto spessa e resistente perché costituita da 3 strati che in senso antero-
posteriore sono l’aponevrosi di inserzione del muscolo obliquo esterno, tessuto connettivo
sottocutaneo e cute.
 parete posteriore è più sottile, costituita dalla fascia trasversalis che presenta lateralmente il
legamento di Hesselbach e medialmente il legamento di Henle, il tendine congiunto e il legamento
di Colles che è il fascio profondo di inserzione del muscolo obliquo esterno controlaterale. Tra
queste strutture la fascia trasversalis rappresenta quella di maggiore debolezza attraverso cui si
fanno strada le ernie inguinali dirette.
 parete superiore, interna o mediale è costituita dal margine inferiore del muscolo obliquo
interno e del muscolo trasverso che si uniscono medialmente formando il tendine congiunto.
 parete inferiore, esterna o laterale è costituita dal legamento inguinale che si porta dalla spina
iliaca antero-superiore al tubercolo pubico.
Inoltre, il canale inguinale presenta 2 orifizi:
 orifizio esterno o anello inguinale sottocutaneo posto lateralmente al tubercolo pubico, ha una
forma ovale e consente l’accesso alla cavità scrotale, è delimitato dai fasci aponevrotici del muscolo
obliquo esterno che formano 3 pilastri cioè il pilastro esterno che si fissa al tubercolo pubico, il
pilastro interno che si fissa alla sinfisi pubica e il legamento di Colles che proviene dal muscolo
obliquo esterno controlaterale.
 orifizio interno o anello inguinale addominale si trova posteriormente a livello della fascia
trasversalis, consentendo l’accesso alla cavità peritoneale, è protetto in alto e lateralmente dall’arco
aponevrotico del muscolo trasverso e dalle fibre del muscolo obliquo interno.
All’Ispezione il canale inguinale corrisponde ad una plica cutanea data dalla riflessione della pelle
sulla parete addominale dove si inserisce il legamento inguinale, costituendo la piega inguino-
scrotale che separa la regione dell’arto inferiore dall’addome.
Il canale inguinale contiene nell’uomo il funicolo spermatico, mentre nella donna contiene il
legamento rotondo dell’utero, struttura fibrosa con funzione di sostegno per l’utero.
Il Funicolo o cordone spermatico comprende diverse strutture, cioè:
- dotto deferente cilindrico, biancastro, consistenza dura, palpabile.
- arteria spermatica interna ramo dell’aorta addominale.
- arteria spermatica esterna ramo dell’arteria epigastrica inferiore.
- arteria deferenziale ramo dell’arteria vescicale superiore.
- plesso venoso pampiniforme costituito da numerose vene provenienti dal testicolo e
dall’epididimo anastomizzate tra loro e che cranialmente all’anello inguinale interno formano la
vena spermatica.
- vasi linfatici satelliti dei vasi spermatici interni ed affluenti dei linfonodi lombo-aortici.
- plesso nervoso spermatico e deferenziale.
- fibre muscolari lisce costituenti il muscolo cremastere interno.
La parete posteriore del canale inguinale presenta 3 pliche peritoneali, cioè:
- plica mediana che origina dai residui dell’uraco (da cui deriva il legamento vescicale medio).
- plica dei vasi epigastrici data dai vasi epigastrici inferiori.
- plica ombelicale laterale data dal residuo dell’arteria ombelicale.
Queste pliche delimitano le fossette inguinali cioè depressioni del peritoneo parietale, distinte in:
 fossetta inguinale esterna che corrisponde all’anello inguinale interno, posta lateralmente ai vasi
epigastrici, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali oblique esterne.
 fossetta inguinale media posta tra la plica epigastrica e la plica ombelicale laterale, corrisponde
alla parte media della parete posteriore del canale inguinale, cioè alla fascia trasversalis, molto
debole, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali dirette.
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 fossetta inguinale interna posta tra plica mediana e plica ombelicale laterale, a livello dell’anello
inguinale esterno, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali oblique interne, molto rare perchè
questa zona è quella più resistente del canale inguinale.
Quindi le ernie possono essere “Classificate” in ernia inguinale obliqua esterna, ernia inguinale
diretta, ernia inguinale obliqua interna.
L’ERNIA INGUINALE OBLIQUA ESTERNA è la più frequente, può essere congenita o acquisita.
La forma congenita deriva dalla mancata obliterazione del dotto peritoneo-vaginale, con
formazione del sacco erniario di tipo intrafunicolare, con dotto deferente adeso tenacemente al
sacco posteriormente, mentre gli altri elementi del funicolo spermatico sono sparsi sul sacco stesso.
Il sacco può presentare il contenuto sin dalla nascita o nelle settimane successive.
La forma acquisita deriva da uno sfiancamento dell’anello inguinale interno, delle strutture
connettivali della fascia trasversalis e dell’arco del muscolo trasverso.
Il sacco erniario si forma nella fossetta inguinale esterna e mediante l’anello inguinale interno
penetra nel canale inguinale occupandolo in parte o per tutta la sua lunghezza fino a raggiungere lo
scroto, con conseguente “ernia inguino-scrotale”.
In tal caso il sacco è extrafunicolare e a seconda dell’entità dell’ernia distinguiamo 4 forme:
- punta d’ernia se oltrepassa appena l’anello inguinale interno.
- ernia interstiziale se occupa il canale inguinale.
- bubbonocele se affiora all’anello inguinale esterno.
- ernia inguino-scrotale o oscheocele se giunge nello scroto.
Il contenuto delle ernie inguinali oblique esterne in genere è rappresentato da un’ansa intestinale.
L’ERNIA INGUINALE DIRETTA è sempre di tipo acquisita, fuoriesce dalla fossetta media della
parete posteriore del canale inguinale dove il punto di debolezza è dato dalla fascia trasversalis.
L’ernia inguinale diretta in genere non raggiunge delle grosse dimensioni perchè viene contenuta
dalla fascia trasversalis e dall’aponevrosi del muscolo obliquo esterno, senza mai raggiungere il
sacco scrotale, raramente si ha lo strozzamento perchè la porta erniaria è ampia ed elastica.
Il contenuto dell’ernia inguinale diretta in genere è rappresentato dal cieco a dx, dal sigma a sx,
alcune volte dall’epiploon, dalla vescica che scivola sul peritoneo costituendo parte integrante della
parete media del sacco e si parla di “ernia da scivolamento”.
L’ERNIA INGUINALE OBLIQUA INTERNA è molto rara, di tipo acquisita, la porta erniaria è data
dalla fossetta inguinale interna, posta tra plica mediana e plica ombelicale laterale, dove la parete
posteriore del canale inguinale è molto resistente, per cui l’ernia si forma solo in caso di notevole
debolezza muscolo-aponevrotica.
In genere, è un’ernia di piccole dimensioni, raramente supera l’anello inguinale esterno e il
contenuto del sacco erniario è dato dal tessuto adiposo prevescicale, dalla vescica o da diverticoli
vescicali.
I SINTOMI possono essere soggettivi, oggettivi e funzionali:
I Sintomi Soggettivi sono: presenza di una tumefazione che protrude attraverso la parete
addominale, non dolente né spontaneamente né alla palpazione, a meno che non ci siano delle
complicanze. Il pz riferisce una sensazione di peso, stiramento e fastidio a livello della tumefazione.
I Sintomi Oggettivi sono valutati con l’esame obiettivo: il pz viene visitato in posizione ortostatica,
cioè in piedi, poi in decubito supino.
Se all’Ispezione la tumefazione non è visibile perchè di piccole dimensioni o perchè è ridotta in
addome, si invita il pz a tossire od a eseguire la manovra di Valsalva cioè ponzamento addominale
con espirazione a glottide chiusa, determinando un > P venosa a livello addominale e toracico, cioè
a livello della vena cava inferiore e superiore, favorendo il riempimento del sacco erniario che
avviene a partire dal colletto verso il fondo del sacco, nello stesso tempo per stabilire di quale ernia
si tratta si mette il dito indice omolaterale alla tumefazione nell’orifizio esterno o anello inguinale
sottocutaneo in modo da apprezzare l’impulso che il contenuto erniario determina quando riempie il
sacco:
- se l’impulso viene percepito dalla punta del dito si tratta di un’ernia inguinale obliqua esterna.
- se l’impulso viene percepito dal dorso della 1^ e 2^ falange si tratta di un’ernia inguinale diretta.

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- se l’impulso viene percepito dalla parete mediale del dito si tratta di un’ernia inguinale obliqua
interna.
Inoltre, si verifica se la tumefazione si forma stando in posizione ortostatica prolungata, eseguendo
sforzi fisici e se si riduce in addome mettendosi in posizione supina oppure mediante la manovra
di riduzione incruenta del Taxis: si esercita una pressione dolce e progressiva con una mano
per cercare di far rientrare il contenuto del sacco erniario nella cavità in cui normalmente è
contenuto; in genere il viscere non viene ridotto in cavità addominale in presenza di complicanze
cioè strozzamento, irriducibilità, intasamento.
La Palpazione consente di valutare meglio i caratteri dell’ernia, cioè si apprezza:
─ tumefazione ricoperta da cute normale, non dolente, di dimensioni variabili, di forma cilindrica
nel caso dell’ernia inguinale obliqua esterna, che può raggiungere anche il sacco scrotale
provocando l’ernia inguino-scrotale, mentre ha una forma emisferica nel caso delle ernie inguinali
dirette e oblique interne, che in genere non raggiungono la borsa scrotale.
─ si valuta la superficie e la consistenza del sacco che varia a seconda del contenuto e della
presenza di complicanze: se il contenuto è un’ansa intestinale avremo un sacco con superficie liscia
e consistenza molle e in tal caso si valuta anche la presenza o meno dei movimenti peristaltici,
rumori o gorgoglii all’Auscultazione, con suono timpanico alla Percussione perché l’ansa è piena di
gas, soprattutto nelle forme voluminose inguino-scrotali, mentre se il contenuto è rappresentato
dall’epiploon, oppure ci sono complicanze come l’infiammazione o lo strozzamento erniario,
avremo un sacco con superficie granulosa e consistenza dura.
I Sintomi Funzionali dipendono dalla struttura erniata: se il contenuto è un’ansa intestinale
possiamo apprezzare un rumore di gorgoglio, turbe dispeptiche, con anoressia, nausea, vomito,
eruttazioni, turbe intestinali fino alla chiusura dell’alvo in caso di occlusione intestinale.
La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è tra l’ernia inguinale e l’ernia crurale: nell’ernia inguinale il
colletto del sacco si trova al di sopra del legamento inguinale, lateralmente ai vasi femorali, mentre
nell’ernia crurale si trova al di sotto del legamento inguinale, medialmente ai vasi femorali.
Nel caso dell’ernia inguinale mediante il dito indice è possibile introflettere la cute scrotale a dita di
guanto, stabilendo la posizione del sacco e i rapporti con il funicolo spermatico, mentre nell’ernia
crurale ciò non è possibile.
Inoltre, è importante la diagnosi differenziale tra l’ernia inguino-scrotale e l’idrocele mediante la
tecnica della transilluminazione: l’idrocele ha un contenuto liquido, è transilluminabile ed ha un
polo superiore netto ben delimitato, mentre l’ernia non è transilluminabile.
Poi si fa diagnosi differenziale tra ernia inguinale e tumefazione linfonodale mediante la palpazione,
osservando che i linfonodi non si muovono con i colpi di tosse rispetto all’ernia, oppure si ricorre
alla ecografia per valutare se la tumefazione è di natura neoplastica o di altro tipo.
La TERAPIA delle ernie inguinali può essere conservativa palliativa o chirurgica.
La Terapia conservativa palliativa consiste nell’applicazione del cinto erniario, cioè si riduce
l’ernia in addome e si mette un cuscinetto a livello della porta erniaria dove viene mantenuto fisso
mediante un sistema di cinghie rigido-elastico, ma è una tecnica che viene riservata solo per i pz che
non possono essere sottoposti all’intervento chirurgico, tenendo conto che il cinto erniario può
provocare un’infiammazione cronica delle strutture con cui è in contatto e lo strozzamento erniario.
La Terapia chirurgica d’elezione o d’urgenza in base alla presenza o meno delle complicanze.
Abbiamo la Tecnica tradizionale di Bassini con varie fasi:
- incisione di cute, sottocute e aponevrosi del muscolo obliquo esterno per tutta la lunghezza del
canale inguinale.
- nel caso delle ernie inguinali oblique esterne il sacco erniario e il funicolo o cordone spermatico
sono tenacemente adesi fra loro, per cui vengono esteriorizzati e poi si isola il funicolo dal sacco,
mentre nel caso delle ernie dirette e oblique interne il sacco e il funicolo hanno solo rapporti di
contiguità per cui è più facile il loro isolamento.
- si apre il sacco erniario e si riduce il viscere nella sede d'appartenenza, poi si chiude il colletto a
monte mediante un laccio, oppure si chiude con alcuni punti di sutura soprattutto se il colletto è
ampio, e si asporta il sacco.

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- si ricostruisce il canale inguinale, evitando la lesione dei vasi epigastrici, eseguendo una sutura a
punti staccati del margine inferiore del muscolo obliquo interno, del muscolo trasverso e della
fascia trasversalis al margine posteriore del legamento inguinale, in modo da ricostruire la parete
posteriore del canale inguinale, su cui viene adagiato il funicolo spermatico.
La sutura prevede l’uso di materiale non assorbibile o catgut cromico e si parla di ricostruzione con
plastica di trazione o di tensione.
Infine, si suturano i margini dell’aponevrosi del muscolo obliquo esterno, sottocute e cute.
L’inconveniente di questa tecnica è che chiudendo i punti di trazione si può avere l’ischemia dei
muscoli con possibilità di recidive pari al 5% circa.
Per evitare questi inconvenienti si ricorre alla Tecnica di Trabucco in cui il sacco erniario viene
isolato e affondato in addome senza aprirlo e si applica una rete di polipropilene a mo’ di tappo a
livello dell’anello inguinale interno e sulla fascia trasversalis, dove provoca una reazione
cicatriziale in modo da rafforzare la fascia stessa.
Se l’intervento viene eseguito da mani esperte il rischio di avere le recidive è pari allo 0%, evitando
l’ischemia e consentendo al pz di alzarsi dal letto già dopo 24 h dall’intervento, evitando le
complicanze trombo-emboliche e riducendo la degenza ospedaliera.
Sia la tecnica di Bassini che di Trabucco sono dette “tension-free”.
Molto utilizzata è anche la tecnica chirurgica per via laparoscopica soprattutto in caso di
recidiva, applicando la rete di polipropilene posteriormente.
COMPLICANZE delle Ernie Inguinali

Comprendono l’infiammazione, irriducibilità, intasamento, strozzamento.


L’INFIAMMAZIONE può essere acuta o cronica, di natura infettiva o traumatica.
La forma acuta può interessare sia il sacco che il contenuto con conseguente peritonite, oppure
interessa solo il contenuto provocando appendicite, epiplopite, enterite, a seconda del contenuto
stesso. L’infiammazione può interessare anche i tessuti perisacculari fino alla cute.
Il pz presenta dolore vivo, l’ernia è irriducibile e tende ad aumentare di volume.
La forma cronica è di tipo sierosa o sierofibrinosa che si verifica soprattutto in seguito alla azione
irritativa esercitata dal cinto erniario, che provoca irriducibilità dell’ernia progressiva, stipsi e una
lieve dolenzia.
La Terapia è chirurgica d’urgenza nelle forme acute per evitare altre complicanze (peritonite).
L’IRRIDUCUBILITA’ si verifica quando non è più possibile ridurre il contenuto erniario nella
cavità addominale dovuta a:
- presenza di briglie o aderenze tra sacco e contenuto in seguito ad infiammazione cronica da cinto
erniario.
- ernia di grosse dimensioni detta “incoercibile” perché non è possibile ridurla in addome.
- strozzamento e intasamento.
L’INTASAMENTO si verifica quando il contenuto del sacco è dato da un’ansa intestinale con
accumulo progressivo di feci e gas fino ad andare incontro all’occlusione intestinale di tipo
meccanica, soprattutto se è interessato il colon dove la consistenza fecale è maggiore.
L’intasamento è favorito dall’insufficienza della peristalsi intestinale soprattutto nei pz anziani,
dalla presenza di ernie voluminose con transito intestinale lento e difficile, dalla presenza di ernie
irriducibili con difficoltà meccaniche per presenza di aderenze.
L’intasamento è caratterizzato da un > progressivo delle dimensioni dell’ernia, dolore più o meno
forte, consistenza pastosa o dura e irriducibilità. Inoltre, si notano i segni della occlusione
intestinale, cioè meteorismo, dolori colici, iperperistalsi, progressiva chiusura dell’alvo a feci e gas,
vomito, disidratazione.
La Terapia è chirurgica d’urgenza.
Lo STROZZAMENTO è la complicanza più grave, dovuta all'improvvisa e completa irriducibilità
del viscere erniato con rapida e profonda modificazione della sua struttura.
Le Cause possono essere predisponenti e determinanti:

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 cause predisponenti: alterazioni anatomiche cioè porta erniaria stretta e rigida, ernie voluminose,
aderenze tenaci tra sacco e contenuto da infiammazione cronica da cinto erniario.
 cause determinanti: sforzi improvvisi, tosse violenta nei pz con bronchite cronica, asma,
enfisema, bronchiectasie, stasi improvvisa di materiale fecale e gas nell’ansa erniata.
Lo strozzamento erniario è caratterizzato soprattutto dalle turbe circolatorie poiché il viscere viene
compresso a livello della porta o del colletto del sacco erniario, con conseguente stasi venosa,
edema, > volume dell’ernia e formazione di un cingolo strozzante, fino all'ischemia, necrosi e
perforazione della parete dell’ansa intestinale, che si affloscia, mentre il materiale intestinale passa
nel cavo peritoneale provocando peritonite e shock settico.
Lo strozzamento si manifesta con un dolore forte e improvviso che si esacerba con la palpazione,
nausea, vomito, occlusione intestinale con alvo chiuso a feci e gas, pallore, sudorazione,
agitazione, polso piccolo e frequente, reazione di difesa con contrattura di tipo linea della
parete addominale con pz immobile (addome acuto) che sono segni di shock settico da peritonite,
sete intensa, lingua asciutta, occhi infossati cioè segni di disidratazione.
La Terapia è d’urgenza e viene distinta in terapia incruenta e cruenta:
La terapia incruenta prevede la manovra del Taxis per cercare di ridurre l’ernia in addome: il pz
deve mettersi in decubito supino, rilasciando i muscoli addominali, si somministrano antispastici e
antidolorifici e si usa un impacco freddo per cercare di ridurre l’edema e il volume dei gas presenti
nell’ansa intestinale strozzata. La manovra di Taxis consiste nel premere dolcemente con una mano
sull’ernia, mentre con l’altra mano si circonda il peduncolo erniario. La riduzione deve essere lenta
e progressiva per evitare di danneggiare o addirittura rompere l’ansa intestinale erniata.
La terapia cruenta si basa sull’erniectomia d’urgenza: dopo l’intervento si osserva l’ansa
intestinale e si utilizzano degli impacchi di soluzione fisiologica calda per favorire la circolazione
del sangue: se l’ansa intestinale riprende il suo colorito naturale e l’attività peristaltica, significa che
l’ansa è stata recuperata e si procede con l’ernioplastica, se ci sono delle aree a dubbia ripresa si
può decidere di affondare l’ansa, se invece persistono problemi di ischemia con necrosi dell’ansa si
ricorre alla resezione dell’ansa intestinale con anastomosi tra i monconi opposti per ristabilire la
continuità intestinale.
Ernia Crurale o Femorale
È un’ernia che si impegna nel canale crurale frequente nei soggetti di sesso femminile.
Il canale crurale è un piccolo spazio virtuale lungo 1-2 cm, diretto dall’alto in basso, medialmente
e anteriormente, delimitato in alto dal legamento inguinale, in basso dal muscolo pettineo e dal
legamento di Cooper, medialmente dal legamento lacunare di Gimbernat e lateralmente dalla vena
femorale.
Possiamo fare una distinzione tra punta d’ernia, ernia interstiziale incompleta ed ernia completa:
 punta d’ernia: supera lievemente l’anello crurale, cioè l’orifizio superiore del canale crurale,
attraverso cui passano l’arteria e la vena femorale avvolti da una guaina fibrosa.
 ernia interstiziale incompleta: il viscere erniato penetra nell’infundibulo, cioè nella zona del
canale crurale posta medialmente alla vena femorale e che è occupata da linfonodi e vasi linfatici,
limitata in alto dalla porzione mediale dell’anello crurale, per cui si parla di ernie crurali
infundibulari o linfolacunari che sono le più frequenti.
 ernia completa: il viscere erniato supera la fascia cribrosa, cioè il foglietto superficiale che
circoscrive il canale crurale, teso tra il muscolo sartorio e il muscolo adduttore medio, passando
sopra il triangolo di Scarpa, detta cribrosa perché è crivellata da numerosi fori che fanno da
passaggio a vasi e nervi che si portano dal tessuto sottocutaneo allo strato sottofasciale e viceversa,
come la vena safena interna (grande safena).
In genere, l’ernia crurale è di tipo acquisita per debolezza, frequente nelle donne perché hanno il
bacino e l’anello crurale più ampio, un’ampia lacuna dei vasi femorali, soprattutto nell’età adulta e
in gravidanza, mentre è molto rara nelle bambine.

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Spesso è asintomatica, altre volte provoca un dolore più o meno forte soprattutto se si sta in piedi
per lungo tempo o in seguito a sforzi eccessivi che > la P endoaddominale, tendendo a ridursi in
addome se si flette la coscia verso il bacino o in posizione supina.
Alla palpazione si apprezza una tumefazione piccola o grossa, rotondeggiante, lievemente dolente,
al di sotto del legamento inguinale, con superficie liscia o granulosa a seconda del contenuto.
Se il contenuto è un’ansa intestinale si può apprezzare alla percussione un suono ottuso, raramente
borborigmi, cioè gorgoglii prodotti dai gas intestinali quando si spostano in seguito alle contrazioni
dell’ansa stessa.
E’ importante la Diagnosi Differenziale con l’ernia inguinale: l’ernia crurale si sviluppa al di sotto
del legamento inguinale, apprezzando la pulsazione dell’arteria femorale (medialmente ai vasi
femorali).
Inoltre, bisogna stabilire se si tratta di una tumefazione linfonodale oppure della dilatazione
sacciforme dello sbocco della vena safena interna nel triangolo di Scarpa che ha una consistenza
molle, si riduce facilmente con la pressione, senza gorgoglio e si riforma non appena la pressione
cessa.
La TERAPIA è chirurgica con riduzione del viscere, asportazione del sacco e chiusura del canale
crurale con la plastica di Colzii applicando alcuni punti di sutura.

Laparocele

Il Laparocele è la fuoriuscita di un viscere addominale attraverso una breccia muscolo-


aponeurotica della parete addominale, che si verifica a livello di una precedente incisione
chirurgica, come una laparotomia, oppure lombotomia, perineoectomia (amputazione del retto
secondo Miles), ecco perché si parla di laparocele o ernia post-operatoria.
Le Cause sono:
- infezione della ferita chirurgica, sutura chirurgica eseguita male nel 50% dei casi.
- broncopatia cronica ostruttiva con tosse violenta, sforzi fisici.
Possiamo fare una distinzione tra laparocele mediano che si verifica a livello epigastrico e
periombelicale, e laparocele laterale a livello sottocostale, iliaco e lombare.
Le incisioni longitudinali sono a più alto rischio di laparocele rispetto alle incisioni trasversali,
perché sono ortogonali alle linee di forza dell’attività contrattile della muscolatura addominale.
La parete addominale muscolo-aponeurotica ha una funzione di contenimento dei visceri che si
esplica mediante le linee di forza orizzontali ed oblique determinate dai muscoli larghi, che sono
ancorati posteriormente alla fascia lombo dorsale ed anteriormente ai muscoli retti e alla linea alba.
Quando queste strutture perdono la loro solidità si possono avere vari problemi, cioè:
- alterazioni della dinamica respiratoria come in caso di laparocele della linea mediana in cui i
muscoli retti ruotano di ~ 90° rispetto al loro asse longitudinale fino ad assumere una posizione
ortogonale rispetto a quella originale, impedendo l’aumento della P endoaddominale e
compromettendo i movimenti del diaframma, con conseguente insufficienza respiratoria cronica e >
lavoro respiratorio.
- insufficienza vascolare venosa da deficit di pompa per > del lavoro respiratorio e < del ritorno
del sangue venoso al cuore.
- distensione dei visceri cavi e alterazione della peristalsi.
- ipertrofia dei muscoli addominali.
Inoltre, in base alla mobilità del contenuto possiamo fare una distinzione tra laparoceli riducibili o
mobili e laparoceli fissi o incarcerati:
 laparoceli riducibili o mobili quando il viscere non è tenacemente adeso alla parete del sacco
per cui in seguito ai movimenti respiratori o sforzi che > la P endoaddominale fuoriescono dal sacco
e possono essere ridotti in addome.
 laparoceli fissi o incarcerati quando il viscere è aderente al sacco per cui è immobile, non può
essere ridotto in addome, provocando una grave insufficienza respiratoria e si può andare incontro
allo strozzamento del laparocele.

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La DIAGNOSI si basa sull’Anamnesi valutando un pregresso intervento chirurgico laparotomico e
sull’Esame Obiettivo osservando la presenza di una tumefazione a livello della cicatrice
laparotomica, spesso dolente, che protrude in seguito all’aumento della P endoaddominale e che in
genere è riducibile con la manovra di Taxis.
La TERAPIA è chirurgica: si riduce il contenuto del laparocele, si reseca il sacco e si chiude la porta
del laparocele. Se l’omento è adeso al sacco del laparocele è necessaria la resezione dell’omento.
Dopo aver eseguito la plastica della parete muscolo-aponeurotica spesso è necessario escidere la
cicatrice cutanea e una porzione di cute circostante divenuta esuberante (brutta anche per l’estetica).
ERNIE DIAFRAMMATICHE

Il Diaframma è un muscolo a forma di cupola a concavità inferiore che separa la cavità toracica
dalla cavità addominale.
Presenta una parte centrale, detta centro frenico o tendineo del diaframma a forma di trifoglio,
perché è costituita da una foglia anteriore, una foglia dx e una foglia sx.
Tra la foglia anteriore e la foglia dx c’è l’orifizio della vena cava inferiore.
Inoltre, il diaframma presenta una parte lombare o vertebrale, una parte costale e una parte
sternale.
La parte lombare origina dai pilastri mediale e laterale del diaframma: il pilastro mediale viene
distinto in dx e sx, i quali si inseriscono sulla faccia anteriore delle vertebre lombari L2, L3, L4 e a
livello della L1 circoscrivono l’orifizio aortico che fa da passaggio all’aorta e al dotto toracico.
Poi c’è l’orifizio esofageo attraverso cui passa l’esofago e i nervi vaghi.
Lateralmente al pilastro mediale c’è una fessura (non sempre) attraverso cui passano il tronco
dell’ortosimpatico, i nervi grande e piccolo splancnico e la vena azigos.
La faccia supero-centrale del diaframma è in rapporto col mediastino, cioè pericardio, esofago e
aorta, mentre la faccia supero-laterale è in rapporto con le pleure e i polmoni.
La faccia infero-centrale del diaframma è in rapporto con fegato, fondo gastrico, milza, flessura sx
del colon, pancreas duodeno, mentre la faccia infero-laterale con i reni e le ghiandole surrenali.
La faccia superiore è vascolarizzata dalle arterie pericardico-freniche e dalle vene muscolo
freniche, mentre la faccia inferiore è vascolarizzata dalle arterie freniche inferiori e dalle vene
freniche inferiori.
L’innervazione si deve soprattutto al nervo frenico proveniente dal plesso cervicale responsabile
della innervazione motoria del diaframma e della innervazione sensitiva della pleura, pericardio e
peritoneo.
Durante una respirazione normale il diaframma si abbassa di 1-2 cm, sollevando le ultime coste e
ampliando la cavità toracica, essendo il diaframma un muscolo inspiratorio, con > P
endoaddominale.
Durante una respirazione forzata il diaframma si abbassa fino a 5-7 cm.
L’ERNIA DIAFRAMMATICA è la migrazione nella cavità toracica di un viscere addominale o
di una parte di esso attraverso un orifizio esofageo o una lacuna muscolare che interrompe la
continuità del muscolo diaframmatico, mentre la protrusione dei visceri dalla cavità toracica alla
cavità addominale è molto rara perché nella cavità toracica c’è una P negativa mentre nella cavità
addominale c’è una P positiva.
La CLASSIFICAZIONE delle ernie diaframmatiche prevede una distinzione tra ernie congenite e
acquisite e in particolare, si parla di:
- ernie dello jatus esofageo o ernie jatali.
- ernie diaframmatiche congenite da persistenza delle lacune embrio-fetali, cioè l’ernia postero-
laterale di Bochdalek e l’ernia del forame di Morgagni-Larrey o retrosternale.
- ernie diaframmatiche post-traumatiche.
- eventratio e relexatio diaframmatica.
Le ERNIE JATALI sono le ernie diaframmatiche più frequenti, soprattutto nei soggetti di sesso
femminile nel rapporto M/F di 1/2, con età tra i 50-70 aa.

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In genere, sono ernie acquisite in cui si ha la protrusione nella cavità toracica dei visceri addominali
attraverso orifizi o fessure naturali del diaframma, in seguito ad un > del Ø dell’orifizio o ad una
debolezza del sistema di contenzione dei visceri.
Gli orifizi sono: l’orifizio della vena cava inferiore, l’orifizio esofageo e l’orifizio aortico.
Le ernie dello jatus esofageo sono le più frequenti.
I mezzi di contenzione dei visceri sono le fibre di Burget, la membrana freno-esofagea di Laimer,
l’angolo di His che è un angolo iperacuto che si realizza tra il margine sx dell’esofago e il fondo
gastrico e che impedisce il reflusso del succo gastrico dallo stomaco nell’esofago.
Abbiamo detto che le ERNIE dello JATUS ESOFAGEO sono le più frequenti e sono classificate
in 3 tipi diversi, cioè:
- ernie da scivolamento che rappresentano il 95% di tutte le forme.
- ernie paraesofagee da rotolamento rappresentano il 4%.
- ernie da esofago corto o brachiesofago rappresenta solo l’1%.
L’ERNIA JATALE da SCIVOLAMENTO rappresenta il 95% di tutte le ernie diaframmatiche,
con maggiore incidenza nei soggetti di sesso femminile, nella fascia di età dei 40-60 aa.
Dobbiamo ricordare però che spesso queste ernie sono asintomatiche e sono scoperte casualmente
mediante indagini radiografiche o endoscopiche richieste per altri motivi, per cui le ernie jatali da
scivolamento sono sottostimate.
Nell’ernia iatale da scivolamento si ha la migrazione dalla cavità addominale verso la cavità
toracica attraverso l’orifizio esofageo del diaframma della giunzione esofago-gastrica più una parte
più o meno ampia del fondo.
Nella regione cardiale si localizza lo sfintere esofageo inferiore LES ad alta pressione, cioè si tratta
di uno sfintere che posto tra la regione toracica e quella addominale impedisce il reflusso del
materiale gastrico nell’esofago, data la differenza di P esistente tra addome e torace.
La giunzione esofago gastrica è mantenuta in sede sottodiaframmatica grazie ad alcuni “mezzi di
contenzione” anatomici, cioè la membrana freno-esofagea di Laimer e Bertelli costituita da
tessuto fibroso ed elastico, l’arteria gastrica sx, il legamento gastro-frenico, a cui si aggiunge
l’azione a tenaglia dei due pilastri mediali che formano lo jatus esofageo cioè il cosiddetto laccio di
Allison ed è importante l’angolo di His, cioè l’angolo acuto tra il lato sinistro dell’esofago
addominale e il lato mediale del fondo gastrico .
I FATTORI EZIOPATOGENETICI responsabili delle ernie jatali da scivolamento sono:
 debolezza delle strutture anatomiche di contenzione della regione cardiale, enorme lassità della
muscolatura diaframmatica che circonda l’esofago (laccio di Allison) con scivolamento dello
stomaco in alto e scomparsa dell’angolo di His.
 appiattimento del diaframma per > dei Ø della gabbia toracica da cifosi senile, scoliosi, enfisema
polmonare.
 > P addominale da stipsi cronica, ascite, gravidanza, obesità.
I SINTOMI spesso sono assenti, altre volte il pz presenta sintomi digestivi, cardiaci e generali da
emorragia occulta.
I Sintomi digestivi sono legati alla presenza o meno del Reflusso Gastro Esofageo RGE dovuto
alla scomparsa dell’angolo di His, < del tono dello sfintere esofageo inferiore o LES con
conseguente esofagite da RGE, quindi si ha la risalita o rigurgito del cibo in bocca soprattutto
durante il sonno, il pz riferisce di trovare il cuscino bagnato al risveglio, oppure quando il pz si
china a terra per prendere degli oggetti.
L’esofagite si manifesta con eruttazioni da incontinenza del cardias, pirosi, dolore urente epigastrico
e retrosternale che s’irradia al collo, mandibola e orecchio, di tipo precordiale (simile all’angina
pectoris dove però l’ECG è alterato).
Se il materiale che refluisce dallo stomaco nell’esofago viene inalato, si possono verificare delle
complicanze polmonari, come le polmoniti ab ingestis, bronchiti croniche...
La disfagia è un sintomo tardivo ed è espressione di stenosi cicatriziale dell’esofago da esofagite di
III grado: inizialmente la disfagia è saltuaria, poi diventa permanente, soprattutto verso i cibi solidi
e secchi, come pane e biscotti.

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I Sintomi Cardiaci si verificano nel caso di ernie voluminose, tali da spostare il cuore verso la
parete toracica, provocando tachicardia (cardiopalmo), dolori anginosi, fino alle crisi sincopali.
I Sintomi Generali sono rappresentati dall’anemia dovuta ad uno stillicidio emorragico della
mucosa gastrica risalita in torace cioè si verifica un’emorragia occulta, per cui il pz presenta pallore
della cute e delle mucose, astenia e dimagrimento, mentre rarissime sono le emorragie massive con
melena ed ematemesi.
La DIAGNOSI delle ernie iatali da scivolamento si basa su:
 Rx esofago-gastrico con m.d.c. con pz in posizione di Trendelenburg cioè supino su di un
piano obliquo con il capo più basso con un cuscino sotto l’addome, facendo ingerire al pz un m.d.c.
baritato: si nota un rigonfiamento con volume variabile da una noce ad un’arancia, posta al di sopra
del profilo diaframmatico, inoltre il radiologo potrebbe confermare la presenza di un eventuale
reflusso o delle sue complicanze, come l’esofagite caratterizzata da discinesie esofagee, contrazioni
multiple terziarie, ispessimento delle pliche esofagee, fino alle stenosi esofagee.
 Esofago-Gastroscopia: è utile sia per la diagnosi sia per fare la scelta terapeutica più opportuna
medica o chirurgica, consente di valutare il grado della lesione della mucosa, di eseguire
direttamente delle biopsie e di verificare se la linea Z si trova al di sopra dello jatus esofageo del
diaframma. Infatti, la linea Z rappresenta il limite tra la mucosa pavimentosa dell’esofago e quella
cilindrica dello stomaco.
 Manometria esofagea: consente di misurare la P dello sfintere esofageo inferiore che in tal caso
si trova dislocato in torace e di studiare la peristalsi esofagea.
 pHmetria esofagea nelle 24 h: un piccolo elettrodo viene introdotto per via nasale e fatto
scendere nell’esofago e nello stomaco per valutare la concentrazione idrogenionica, il n° e la durata
dei reflussi gastro-esofagei, la capacità di pulizia dell’esofago, stabilendo con il punteggio di De
Meester se effettivamente il reflusso è la causa di una prolungata persistenza del succo gastrico
nell’esofago.
La TERAPIA delle ernie iatali da scivolamento dipende dalla presenza dell’esofagite da RGE che
provoca i principali disturbi per il pz: la terapia può essere medica o chirurgica a seconda dell’entità
dell’esofagite.
In caso di esofagite di I grado caratterizzata solo da eritema si ricorre alla terapia medica con
farmaci antagonisti dei recettori H2 dell’istamina, cioè la ranitidina (Ranidil), cimetidina,
famotidina, a cui si associa l’omeprazolo per ridurre l’acidità gastrica e l’irritazione della mucosa
esofagea.
La Terapia Chirurgica è utile in caso di esofagite di II grado con ulcerazione da RGE ed emorragia
e di esofagite di III grado con stenosi da retrazione cicatriziale delle ulcere.
In passato si ricorreva alla tecnica di Lortat-Jacob, cioè si trattava di un intervento di tipo
anatomico con varie fasi: si riduceva in addome la parte del fondo gastrico erniata nel torace, con 2-
3 punti di sutura si restringeva lo jatus esofageo, si ricostruiva l’angolo di His fissando il fondo
gastrico al margine sx dell’esofago addominale.
Poi si è passati agli interventi di tipo funzionale che consentono di ricreare una zona ad alta P a
livello dell’esofago terminale per ristabilire una situazione fisiologica normale.
Abbiamo la fundoplicatio a 360° o circonferenziale secondo Nissen con plastica antireflusso,
cioè si esegue una rotazione di 360° di un manicotto del fondo gastrico e si applicano dei punti di
sutura tra la parete del fondo gastrico e la parete esofagea: il manicotto viene disteso dalla bolla
d’aria presente nel fondo gastrico esercitando così una certa P sull’esofago, si ha un > del calibro
dell’esofago addominale tale da impedire la sua migrazione nel mediastino e garantire il
meccanismo antireflusso.
Durante l’intervento occorre fare attenzione a non ledere il nervo vago di dx perché è importante
nella secrezione e motilità gastrica.
Inoltre, possiamo ricorrere alla fundoplicatio secondo Toupet in cui il manicotto del fondo
gastrico viene disteso fino alla metà posteriore dell’esofago, oppure alla fundoplicatio secondo
DOR in cui il manicotto di fondo gastrico viene disteso fino alla metà anteriore dell’esofago.

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Sono interventi eseguiti per via video-laparoscopica e durante l’intervento si esegue una
manometria per valutare se la P a livello del tratto LES è tale da impedire il RGE.
Se l’intervento viene eseguito da mani esperte non dovrebbero esserci problemi, mentre
l’insuccesso si verifica quando la plastica antireflusso è troppo stretta o larga o debole.
L’ERNIA JATALE da ROTOLAMENTO o PARAESOFAGEA è molto rara (4-5%),
caratterizzata da un esofago di lunghezza normale ma rettilineo, il cardias si trova regolarmente
sotto il diaframma, ma si forma un vero e proprio sacco peritoneale dove ernia prima il fondo
gastrico, poi una parte più o meno estesa della grande curvatura dello stomaco nel caso delle ernie
più voluminose, anche se la giunzione esofago-gastrica resta in posizione sottodiaframmatica.
Se il sacco è molto grande può ospitare anche tutto lo stomaco, ma essendo il colletto del sacco
piccolo con bordi fibrosi, si possono verificare delle complicanze, come lo strozzamento, e il
volvolo gastrico organo-assiale o mesenterico-assiale.
Nel volvolo organo-assiale lo stomaco ruota lungo il suo asse longitudinale, per cui la grande
curvatura e la piccola curvatura invertono la propria posizione di origine.
Nel volvolo mesenterico-assiale lo stomaco ruota lungo l’asse trasversale per cui la porzione distale
o pilorica dello stomaco si pone a sx rispetto alla porzione prossimale che viene tenuta in sede dalla
giunzione esofago-gastrica.
L’ernia da rotolamento può essere congenita o acquisita.
I SINTOMI non sono sempre evidenti, sono di origine meccanica, e correlati all’assunzione del cibo
che penetra nello stomaco dislocato in torace e lo distende.
Nel neonato in genere si manifesta con vomito alimentare, tosse ed eruttazioni.
Nell’adulto in genere si manifesta con dolore epigastrico o retrosternale post-prandiale, talora di
tipo pseudoanginoso perché s’irradia verso la spalla e il braccio sx.
In caso di volvolo gastrico si ha prima ristagno alimentare nello stomaco e poi il vomito.
In caso di strozzamento si ha dolore violento, vomito, difesa addominale, compromissione dello
stato generale del pz perché spesso si ha l’ulcera peptica da ristagno di materiale cloridro-peptico
nello stomaco erniato, dato il difficoltoso svuotamento attraverso lo iato, anemia dovuta alle
alterazioni distrofiche della mucosa fundica con deficit della secrezione del fattore intrinseco che è
indispensabile per l’assorbimento della vit.B12, per cui si tratta di un’anemia ipocromica
sideropenica, raramente si ha melena e/o ematemesi.
Non si hanno sintomi legati al RGE.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx semplice del Torace: se lo stomaco erniato presenta una quantità di gas sufficiente si osserva
una specie di tasca radiotrasparente all’interno del mediastino con un sottostante livello idro-aereo,
nei casi dubbi possiamo usare un m.d.c. baritato per escludere la presenza di neoformazioni cistiche
del polmone, diverticoli epifrenici...
 EGDS per valutare lo stato della mucosa gastrica, la presenza di ulcerazioni e la posizione
sottodiaframmatica del cardias (linea Z).
La TERAPIA è chirurgica: si riduce lo stomaco erniato per via addominale, si asporta il sacco e si
sutura la breccia residua.
Inoltre, si fissa il fondo o il corpo gastrico alla parete addominale o all’emidiaframma sx, e si
ricorre alla fundoplicatio per evitare il reflusso e le recidive.
L’ERNIA JATALE da ESOFAGO CORTO o BRACHIESOFAGO rappresenta solo l’1% delle
ernie diaframmatiche, in cui si ha la risalita nel torace di una parte dello stomaco perché in tal caso
l’esofago è più corto del normale, cioè termina al di sopra dello jatus esofageo del diaframma.
Può essere congenita o acquisita:
 forma congenita cioè durante la vita intrauterina si ha l’arresto della discesa dell’esofago in
addome perchè l’esofago è più corto rispetto alla norma per cui lo stomaco per trazione migra nel
torace dove viene irrorato dai vasi dell’aorta toracica.
 forma acquisita è dovuta all’esofagite da RGE con ulcerazione della mucosa e processo di
retrazione cicatriziale che interessa anche la tonaca muscolare.
I SINTOMI sono dolore, rigurgito e disfagia.

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La DIAGNOSI si basa sull’Rx esofago-gastrico, EGDS osservando che l’esofago è più corto
rispetto alle sue dimensioni reali, il punto in cui si passa dall’epitelio pavimentoso a quello
cilindrico (linea Z), il grado dell’esofagite e l’entità della stenosi.
La TERAPIA è chirurgica con riduzione dell’ernia, plastica della porta erniaria, fundoplicatio per
impedire il RGE e dilatazione del tratto stenotico.
La fundoplicatio viene eseguita per via toracotomica sx poiché è impossibile ridurre lo stomaco in
addome.
Ricordiamo che si parla di Triade di Saint quando l’ernia iatale è associata alla calcolosi della
colecisti e ai diverticoli del colon, tipica nei soggetti di sesso femminile, adulti, associata a stipsi
cronica.
Le ERNIE DIAFRAMMATICHE CONGENITE da persistenza delle lacune embrio-fetali
sono rappresentate dall’ernia postero-laterale di Bochdalek e l’ernia del forame di Morgagni-
Larrey o retrosternale.
L’Ernia postero-laterale di Bochdalek è anche detta ernia del canale pleuro-peritoneale perché
interessa la zona di Bochdalek, cioè quella zona triangolare posta tra parte lombare e costale del
diaframma, poco resistente, dove pleura e peritoneo vengono in contatto.
E’ un’ernia congenita, sprovvista di sacco peritoneale, dovuta al mancato sviluppo degli abbozzi
postero-laterali del diaframma, oppure ad un difetto di fusione tra gli abbozzi, con persistenza del
canale pleuro-peritoneale postero-laterale.
A causa di queste anomalie di sviluppo i visceri passano dal cavo addominale, dove perdono il
diritto di domicilio, nel cavo toracico, con eviscerazione, cioè si può avere la migrazione di vari
organi addominali che vanno a comprimere i polmoni, che non sviluppano completamente
(ipoplasia polmonare). Le strutture che più facilmente migrano sono le anse del tenue, il colon dx ed
il colon trasverso.
Nel 90% dei casi l’ernia si forma a sx perché a dx c’è il fegato che per le sue dimensioni impedisce
la migrazione nel torace dei visceri ed organi addominali.
Dal punto di vista CLINICO si fa la distinzione tra 3 forme, cioè:
- forme rapidamente mortali, spesso scoperte solo al tavolo autoptico.
- forme latenti, si manifestano con disturbi digestivi da occlusione o subocclusione intestinale, cioè
vomito, disidratazione, dolore di tipo colico ingravescente, e disturbi cardio-respiratori dovuti alla
compressione esercitata sul polmone e sul mediastino da parte dei visceri erniati cioè crisi di
insufficienza cardio-respiratoria, dispnea grave, tachicardia...
- forme suscettibili di terapia chirurgica.
E’ importante la Diagnosi prenatale, infatti è possibile individuare l’ernia diaframmatica già verso
la 18^ settimana di gestazione, in modo da programmare il parto e la terapia più opportuna alla
nascita del bambino.
Comunque, i visceri possono erniare nel torace anche dopo la nascita, progressivamente, fino a
provocare problemi respiratori, in particolare dispnea in seguito ad attività sportive.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx del torace mette in evidenza che la trachea e la punta del cuore sono spostati verso dx.
 Rx dell’apparato digerente con pasto baritato evidenzia la presenza degli organi e visceri
addominali nel torace e lo spostamento mediastinico.
 TAC è utile per la diagnosi di conferma.
La TERAPIA è chirurgica d’urgenza con ventilazione assistita: si riducono i visceri in addome e si
ricostruisce il diaframma.
L’Ernia del forame di Morgagni-Larrey o retrosternale è un’ernia congenita, provvista di sacco
peritoneale, dovuta alla persistenza di una lacuna retrosternale paramediana per la mancata
saldatura tra i fasci sternali e costali del diaframma.
Nel 90% dei casi i visceri addominali erniano a livello della fessura di dx perchè a sx c’è il sacco
pericardico.
Le strutture che in genere erniano sono il grasso pre-peritoneale con conseguente lipoma
dell’angolo cardio-frenico dx, oppure erniano il peritoneo parietale che riveste la superficie

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inferiore del diaframma, una parte del grande omento che trascina con se il colon trasverso che è il
viscere che più frequentemente ernia e che a sua volta si trascina la grande curvatura dello stomaco,
mentre il cardias resta al di sotto del diaframma, fino a provocare il volvolo gastrico, mentre
raramente si ha lo strozzamento dell’ansa colica erniata.
I SINTOMI non sono sempre evidenti, infatti nel 50% dei casi si tratta di ernie asintomatiche,
mentre le forme sintomatiche si manifestano con dolore epigastrico o costale persistente, nausea,
vomito, disturbi respiratori come tosse, dispnea, dolore alle basi polmonari.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx del torace in proiezione antero-posteriore e latero-laterale: opacità dell’angolo cardio-
frenico dx.
 Rx con clisma opaco e pasto baritato: stiramento del colon trasverso in alto, il cardias è sempre
in sede sottodiaframmatica, mentre si notano due bolle aeree gastriche, una sottodiaframmatica
corrispondente al fondo, l’altra sopradiaframmatica relativa alla grande curva dello stomaco che
ruotando migra nel torace.
La TERAPIA è chirurgica per via laparotomica.
Le ERNIE DIAFRAMMATICHE POST-TRAUMATICHE sono caratterizzate dal passaggio
degli organi addominali nella cavità toracica attraverso un’apertura del diaframma in seguito ad un
evento traumatico, incidenti d’auto o motociclistici, cadute dall’alto, ferite da arma bianca come
coltelli, frammenti di vetro o metallo, oppure ferite d’arma da fuoco, compressione tra due corpi
solidi, seppellimento, sollevamento pesi, sforzi violenti, con brusco > della P intraddominale,
tensione e lacerazione del diaframma che nel 90% dei casi interessa l’emidiaframma sx perché a dx
c’è il fegato che in un certo senso protegge l’emidiaframma dx.
I visceri che erniano sono lo stomaco che si trascina la milza se la breccia diaframmatica è ampia,
inoltre il colon, le anse del tenue, il grande omento, mentre rene e surrene erniano solo in caso di
disinserzione del diaframma dalla parete postero-laterale del torace.
Tutto ciò provoca un collasso polmonare con sbandieramento del mediastino, cioè si ha uno
spostamento controlaterale del mediastino, del sacco pericardico e del cuore, con grave
insufficienza cardio-respiratoria. Anche il pancreas può subire delle lesioni poiché può essere
schiacciato dallo stomaco contro la colonna vertebrale.
L’Esame Obiettivo mette in evidenza un’ottusità alla base toracica di sx e una < del murmure
vescicolare, mentre all’Rx del torace non si riesce a distinguere bene il profilo diaframmatico e si
nota ipodiafonia nel polmone sx in seguito all’emotorace oppure una iperdiafonia dovuta all’aria
della bolla gastrica. Il segno più importante è la discrepanza tra modesta raccolta idro-aerea nel
cavo pleurico e il grave spostamento del cuore verso dx: infatti, un pneumotorace parziale non
causerebbe mai una dislocazione cardiaca notevole, cosa che invece succede quando il fondo
gastrico migra nel torace.
La diagnosi di conferma viene data dall’Rx con m.d.c. baritato introdotto con sondino naso-
gastrico: se il bario risale al di sopra del profilo diaframmatico significa che il diaframma è
lacerato. Inoltre, se si iniettano 400-500 cc di aria nel cavo peritoneale e si esegue un Rx del torace
con pz in posizione semiseduta e si osserva pneumotorace, significa che il diaframma è lacerato
perché si ha il passaggio di aria dalla cavità addominale a quella toracica.
Anche l’Ecografia evidenzia la presenza di emotorace ed emoperitoneo mentre la TAC fornisce
maggiori dettagli sulle lacerazioni del diaframma.
In realtà, non c’è molto tempo per poter studiare bene il pz con tutte queste indagini perchè si tratta
di una situazione di emergenza, riducendo i visceri erniati in addome e chiudendo la breccia
diaframmatica con punti di sutura se la lesione è lineare oppure applicando una rete di contenzione
nel caso di lesioni più frastagliate. La via di accesso può essere toracotomica o laparotomica.

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EVENTRATIO e RELEXATIO Diaframmatica

La eventratio diaframmatica è l’innalzamento di un’area circoscritta della cupola diaframmatica,


soprattutto a livello dell’emidiaframma dx, mentre la relexatio è l’innalzamento di un
emidiaframma, che può avvenire sia a dx con risalita nel torace del fegato, sia a sx con risalita nel
torace dello stomaco, milza, colon e intestino tenue.
Nella relexatio dell’emidiaframma sx si realizza il cosiddetto stomaco a cascata, cioè il fondo
gastrico si innalza e ricade in avanti con volvolo gastrico.
I SINTOMI possono essere diversi: disturbi digestivi cioè senso di peso epigastrico, eruttazioni,
pirosi, dolori crampiformi, stipsi da subocclusione intestinale, disturbi respiratori cioè dispnea post-
prandiale, tosse con espettorato a volte ematico, sintomi cardiaci cioè tachicardia post-prandiale
causata dalla distensione gassosa dello stomaco per una eccessiva acutezza dell’angolo gastro-
esofageo che non permette il rilasciamento del cardias sotto pressione ed impedisce l’eruttazione,
inoltre, aritmie, extrasistoli, palpitazioni, fenomeni anginosi per intervento delle stimolazioni vagali
riflesse. L’Rx del torace evidenzia la risalita del diaframma e dei visceri addominali.
ESOFAGO
L’Esofago è quel tratto del tubo digerente che nel soggetto adulto ha una lunghezza di ~ 25-26 cm,
facendo seguito alla faringe a livello della C6, in corrispondenza del margine inferiore della
cartilagine cricoidea della laringe, passando dal collo nel torace e poi nell’addome attraverso
l’orifizio esofageo del diaframma, per cui possiamo distinguere 4 parti: parte cervicale (4-5 cm),
parte toracica (16 cm), parte diaframmatica (1-2 cm), parte addominale (3 cm) che comunica
con lo stomaco mediante il cardias. Inoltre, l’esofago presenta 4 restringimenti:
─ restringimento cricoideo a livello del margine inferiore della cartilagine cricoide della
laringe dove inizia l’esofago.
─ restringimento aortico a livello del versante posteriore dx dell’arco aortico.
─ restringimento bronchiale a livello del bronco principale di sx.
─ restringimento diaframmatico a livello dell’orifizio o jatus esofageo del diaframma.
Inoltre, l’esofago presenta 3 curvature fisiologiche: prima discende a ridosso della colonna
vertebrale dalla C6 alla T4 seguendone la curvatura anteriore, poi si discosta dalla colonna
vertebrale leggermente a dx nel torace e poi si sposta verso sx.
La parte cervicale è in rapporto anteriormente con trachea, lobo sx della tiroide e nervo ricorrente
sx, la parte toracica è in rapporto anteriormente con la trachea e bronco sx, posteriormente con la
colonna vertebrale fino alla T4, condotto toracico, aorta toracica discendente.
La parte addominale è in rapporto anteriormente con la faccia postero-inferiore o viscerale del lobo
sx del fegato, posteriormente con l’aorta addominale, i pilastri mediali del diaframma, il lobo
caudato del fegato, il fondo gastrico.
La parete dell’esofago è formata dalla tonaca mucosa rivestita da epitelio pavimentoso non
cornificato, tonaca sottomucosa connettivale lassa, tonaca muscolare con strato esterno
longitudinale e strato interno circolare. La tonaca sierosa è assente.
La Vascolarizzazione arteriosa della parte cervicale si deve alla arteria tiroidea inferiore che è un
ramo del tronco tireocervicale proveniente dalla arteria succlavia.
La parte toracica è vascolarizzata dalle arterie bronchiali e intercostali rami collaterali dell’aorta
toracica discendente, la parte diaframmatica e addominale dalle arterie freniche inferiori, rami
parietali dell’aorta addominale e dall’arteria gastrica sx collaterale viscerale dell’aorta addominale.
Il Drenaggio venoso a livello cervicale, toracico e diaframmatico spetta a vene affluenti della vena
cava superiore: vena azigos, vena tiroidea inferiore, vena frenica, vene bronchiali e vene
pericardiche. La parte addominale viene drenata dalla vena gastrica sx radice della vena porta.
Per cui si stabilisce un’anastomosi tra la vena cava superiore e la vena porta che è importante in
caso di ipertensione portale con comparsa delle varici esofago-gastriche.
Il Drenaggio linfatico spetta ai linfonodi cervicali profondi, linfonodi pretracheali, linfonodi
mediastinici posteriori e linfonodi gastrici superiori.

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L’Innervazione si deve a fibre parasimpatiche del nervo vago costituenti il plesso esofageo
importante per la peristalsi esofagea e fibre provenienti dall’ortosimpatico.
La FUNZIONE principale dell’esofago è di far progredire il cibo dalla faringe allo stomaco: il bolo
alimentare provoca un > della P endofaringea con rilasciamento del muscolo crico-faringeo e della
muscolatura esofagea a livello dello sfintere esofageo superiore UES che mantiene una P di
chiusura di 20-25 mmHg e contemporaneamente viene evitato il passaggio del cibo nelle vie
respiratorie o nel rinofaringe grazie alla chiusura della glottide, abbassamento della epiglottide,
risalita della laringe e accollamento del palato molle alla parete posteriore del rinofaringe.
Il bolo raggiunge l’esofago e mediante un’onda di contrazione peristaltica I procede fino allo
stomaco. In condizioni normali si tratta di un’onda unica a singolo picco che progredisce
dall’esofago prossimale a quello distale, non è mai ripetitiva e non compare mai spontaneamente, di
breve durata e genera una P di 25-40 mmHg, misurabile con la manometria esofagea.
Il tratto terminale dell’esofago presenta lo sfintere esofageo inferiore o LES che è quel segmento
lungo 3-4 cm al di sopra della giunzione gastro-esofagea, che presenta una P di chiusura di 15-20
mmHg e che si rilascia un attimo prima dell’arrivo dell’onda peristaltica, con azzeramento della P
nel momento in cui passa il bolo alimentare, mentre poi > per impedire il reflusso gastro-esofageo.
Il LES è controllato dal nervo vago e da un meccanismo ormonale: gastrina è ipertensiva,
serotonina, colecistochinina e glucagone sono ipotensivi.
In condizioni patologiche si può avere la comparsa di onde di contrazione II e III.

PATOLOGIE ESOFAGEE da CAUSTICI

I Caustici (sostanze che provocano bruciore) sono sostanze liquide o solide che spesso sono
ingerite per errore soprattutto dai bambini oppure da soggetti adulti in genere a scopo suicida.
I caustici possono essere di natura basica come la soda caustica e di natura acida come l’acido
muriatico, acido citrico iperconcentrato, acido solforico, acido cloridrico, acido fenico.
Queste sostanze possono provocare lesioni di diversa entità in base alla quantità di caustico ingerito,
sua concentrazione e a quanto tempo la sostanza staziona e resta in contatto con i tessuti: le sostanze
alcaline sono più viscose ed hanno un transito più lento nell’esofago, mentre le sostanze acide sono
meno viscose ed hanno un transito più veloce.
I punti critici dove la sostanza caustica staziona più a lungo sono i punti di restringimento
dell’esofago, soprattutto il restringimento cricoideo e diaframmatico.
Nei punti in cui la sostanza transita più velocemente si hanno lesioni minori cioè ustione di I grado
con eritema ed edema, ustione di II grado con flittene (vescicole), mentre nei punti in cui la
sostanza caustica staziona più a lungo si hanno lesioni maggiori cioè ustioni di III grado:
─ le sostanze caustiche di natura basica provocano lesioni multiple con necrosi colliquativa e
lesioni ulcerose in seguito alla denaturazione delle proteine e colliquazione dei tessuti con effetto
devastante.
─ le sostanze caustiche di natura acida provocano lesioni multiple con necrosi coagulativa e
formazione di escare, poiché la necrosi è più superficiale, che dopo ~ 10-15 gg cadono e sono
riparate da tessuto connettivo ricco di fibroblasti, con cicatrizzazione fino alla sclerosi da retrazione
cicatriziale e stenosi con restringimento progressivo del lume esofageo che impedisce la
comunicazione tra esofago e stomaco.
Le lesioni da caustici prevedono 3 fasi:
 fase iniziale o acuta: dopo l’ingestione della sostanza caustica il pz presenta un dolore urente
retrosternale ed epigastrico, scialorrea, disfagia, vomito ematico e stato di shock se l’ingestione
del caustico è massiva, fino alla morte per l’insorgenza di complicanze cioè edema della glottide
con asfissia, emorragia grave, mediastinite o peritonite...
Si deve subito ispezionare bocca, lingua e faringe, osservando la presenza di eritema, edema, ulcere.
L’Endoscopia è utile per valutare la sede e l’entità della lesione ma bisogna stare attenti in caso di
emorragia o necrosi massiva dell’esofago con pericolo di perforazione dell’esofago.

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Se la perforazione avviene in mediastino possiamo avere la mediastinite con enfisema
mediastinico cioè crepitii al collo con morte del pz nel 99% dei casi per shock settico e
complicanze pleuro-polmonari, ecco perché i pz sono tenuti in rianimazione.
Se la perforazione avviene in peritoneo possiamo avere segni di peritonite acuta con reazione di
difesa addominale lignea e segni di pneumoperitoneo con scomparsa dell’aia di ottusità epatica.
Il pz viene nutrito per via parenterale totale e si lascia un sondino naso-gastrico per aspirare tutto il
contenuto gastrico. Se la lesione è molto grave è necessario la resezione gastrica ed esofagea,
eseguendo una faringostomia e una digiunostomia: si sfila l’esofago dal collo verso l’addome e se il
pz sopravvive, si può sostituire l’esofago con il colon.
 fase subacuta: il pz supera la fase di shock iniziale e passa in una fase stato con segni di
esofagite, cioè disfagia grave e rigurgito per alcuni giorni. Mediante l’Endoscopia si valuta l’entità
delle lesioni, la presenza di escare che si staccano dopo ~ 2 settimane, spesso con lieve perdita di
sangue, la deglutizione ritorna normale ma tutto ciò trae in inganno perchè nel giro di qualche mese
o addirittura anni si va incontro alla fase cronica.
 fase cronica: si ha la riparazione delle aree ulcerate con formazione di cicatrici che vanno
incontro a retrazione fino alla stenosi con disfagia ingravescente (solidi, liquidi, saliva), rigurgiti
da stenosi esofagee con emissione del cibo subito dopo la deglutizione, scialorrea, calo
ponderale da iponutrizione cronica.
L’Rx con m.d.c. evidenzia la presenza di stenosi esofagee con dilatazioni a monte.
L’Endoscopia conferma la presenza delle stenosi e si possono eseguire dei prelievi bioptici per
escludere la cancerizzazione delle lesioni (lesioni precancerose).
Per rimuovere le stenosi possiamo agire per via endoscopica facendo scendere lentamente lungo un
filo guida le olive di Eder-Puestow o la sonda dilatatrice di Celestin o di Savary.
In caso di esofago con lume ridotto ad un filo possiamo sostituirlo con il colon dx o sx, oppure lo
stomaco o il digiuno, anastomizzato e portato fino al collo, passando nel letto esofageo o in un
tunnel retrosternale. Nei soggetti giovani si preferisce asportare l’esofago per evitare che col passare
del tempo si abbia un’evoluzione carcinomatosa.

Malformazioni Acquisite: DIVERTICOLI ESOFAGEI


Il Diverticolo è una estroflessione sacciforme della mucosa e/o sottomucosa esofagea che avviene
attraverso un locus minoris resistenziae della tonaca muscolare, cioè un punto di minore resistenza
della muscolatura della parete esofagea.
I diverticoli esofagei sono distinti in diverticoli dell’esofago alto, medio e basso cioè:
─ diverticolo faringo-esofageo di Zenker da pulsione interessa la parte prossimale cervicale
dell’esofago.
─ diverticolo paratracheo-bronchiale da trazione interessa la parte media toracica dell’esofago.
─ diverticolo epifrenico da pulsione interessa la parte distale addominale dell’esofago.
Dal punto di vista Patogenetico si fa una distinzione tra diverticoli da pulsione e da trazione:
I Diverticoli da Pulsione sono i più frequenti e sono dovuti ad un > della P endoluminale, cioè un
> della P interna dell’esofago che esercita una spinta contro le pareti del viscere causando una
estroflessione della parete nel punto di minore resistenza o debolezza con erniazione della mucosa e
sottomucosa. L’> della P endoluminale può essere di due tipi:
- fisiologico dovuto al passaggio del bolo alimentare che dilata l’esofago.
- patologico con estroflessione e sfiancamento della mucosa a livello di un punto di maggiore
debolezza della tonaca muscolare con formazione della sacca diverticolare.
In genere, il diverticolo da pulsione è sacciforme, rotondeggiante od ovale.
I Diverticoli da Trazione interessano esclusivamente l’esofago medio, tracheo-bronchiale,
soprattutto nei pz affetti dalla TBC, che presentano un focolaio flogistico con formazione di un
pacchetto di linfonodi che va incontro al processo di necrosi caseosa-cicatriziale, così come avviene
nel polmone, aderendo alla parete esofagea sui cui esercitano una trazione con effetto pinza e
formazione del diverticolo da trazione che più o meno ha una forma triangolare.

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Molto importante è il concetto dell’ectasia ortogonale: se il pz fosse sempre in decubito supino, il
diverticolo si svilupperebbe in tutte le direzioni seguendo le linee naturali del viscere ma poiché il
pz sta anche in piedi il diverticolo per effetto della gravità tende a pendere verso il basso con
riempimento (replezione) agevolato del diverticolo che > progressivamente di dimensioni fino ad
ostruire il lume esofageo.
Il diverticolo è costituito da colletto che rappresenta la porta d'ingresso del diverticolo, corpo e
fondo.
Gli alimenti possono seguire una duplice via: la via naturale lungo il lume esofageo, oppure
imboccano il colletto riempiendo il diverticolo che > progressivamente di dimensioni, esercitando
una compressione ad-estrinseco sulla parete dell’esofago soprattutto a sx perché il diverticolo
spesso si forma a sx, con conseguente < del lume esofageo, impedendo il passaggio degli alimenti
nello stomaco, fino a quando il pz è costretto ad interrompere l’alimentazione perché il diverticolo è
ormai pieno di cibo.
Tutto ciò provoca una grave disfagia paradossa perché il pz crede che il cibo finisca nello stomaco
mentre in realtà finisce nel diverticolo che > di volume fino a provocare disfagia e senso di
soffocamento.
Il Diverticolo Faringo-Esofageo di Zenker rappresenta il 90% dei diverticoli esofagei colpendo
soprattutto soggetti di sesso M con età media di 60 aa: in tal caso si ha l’estroflessione della tonaca
mucosa e sottomucosa esofagea a livello di un punto di debolezza della tonaca muscolare o
locus minoris resistenziae corrispondente al triangolo di Laimer cioè il punto di giunzione
faringo-esofagea, tra il muscolo costrittore inferiore della faringe e il muscolo crico-faringeo, che
rappresenta un’area di debolezza perché non è ricoperta da muscoli.
Si tratta di un diverticolo da pulsione perché è dovuto ad una ipertensione endoluminale patologica
che agisce contro la parete posteriore della giunzione faringo-esofagea con graduale estroflessione
della mucosa.
Il diverticolo si riempie di cibo e tende a svilupparsi verso il basso, comprimendo l’esofago fino a
ridurlo ad un esile filo.
Nel 50% dei casi il diverticolo di Zenker è associato all’ernia iatale o al RGE con > della P
endoluminale soprattutto a livello dello sfintere esofageo superiore.
I SINTOMI sono:
- disfagia perché il cibo si arresta a livello del collo e il pz cerca di favorire la sua progressione
muovendo la testa e comprimendosi il collo.
- rigurgito tardivo con cibo che ritorna alla bocca, oppure passa nelle vie respiratorie con tosse fino
a provocare una broncopolmonite ab ingestis.
- scialorrea, cioè eccessiva salivazione.
- alito di cattivo odore (fetido) da fermentazione del cibo che ristagna nella sacca diverticolare.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx faringo-esofageo con m.d.c. baritato in proiezione antero-posteriore e laterale, valutando
la sede, il volume e i rapporti del diverticolo: il m.d.c. riempie il diverticolo mettendo in evidenza
un livello idro-aereo in posizione di ortostasi, cioè il livello dove finisce la parte liquida, solida o
semisolida e comincia la parte aerea.
 Esame endoscopico consente di evidenziare il colletto del diverticolo, lo stato della mucosa che
può essere infiammata o ulcerata in seguito ad episodi di esofagite da RGE.
L’endoscopia deve essere eseguita con molta cautela perché c’è il rischio di perforare la parete del
diverticolo che è sottile e fragile.
Le Complicanze del diverticolo di Zenker sono:
- Infiammazione o Diverticolite: è dovuta al ristagno del cibo indigerito e putrefatto nel
diverticolo, trasformazione dei batteri saprofiti in batteri patogeni, proliferazione batterica e
infiammazione della mucosa del diverticolo cioè diverticolite oppure delle strutture adiacenti al
diverticolo con peridiverticolite fino alla flogosi settica nei casi più gravi.

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- Crisi di soffocamento: quando il cibo riempie il diverticolo si ha la dilatazione progressiva del
diverticolo, per cui il pz avverte una massa espansiva o un corpo estraneo che comprime la trachea
poiché la trachea si trova anteriormente all’esofago.
- Perforazione della parete diverticolare: la solidificazione del contenuto diverticolare provoca
l’erosione della mucosa del diverticolo con conseguente emorragia, ad alto rischio di fistola
esofago-tracheale, flemmone del collo o mediastinite che è letale nel 98% dei casi.
La Terapia è soprattutto chirurgica: si esegue un'incisione lungo il margine anteriore del muscolo
sternocleidomastoideo di sx, isolando i vasi del collo verso l’esterno, cioè vena giugulare e arteria
carotide, si giunge alla parete faringo-esofagea e al sacco diverticolare, isolando il colletto del
diverticolo. S'introduce una sonda dalla bocca fino al di sotto del diverticolo per evitare che dopo la
resezione del colletto si abbia la stenosi dell’esofago e si sutura con la suturatrice meccanica.
Se il diverticolo è piccolo oppure nel caso di pz anziani o particolarmente defedati, si ricorre alla
diverticolopessi: si sospende il fondo del diverticolo ai muscoli del collo in modo che il colletto si
trovi in posizione declive e la sacca non possa riempirsi.
Prima dell’intervento si esegue una manometria esofago-gastrica e una pH-metria delle 24 h: in
caso di ipertono dello sfintere esofageo superiore si esegue una miotomia del muscolo crico-
faringeo e della muscolatura esofagea sottostante per circa 4 cm per evitare le recidive.
Bisogna bloccare le cause che hanno provocato la formazione del diverticolo: RGE, ernia iatale…
I Diverticoli Epifrenici sono diverticoli da pulsione che in genere interessano il 3° distale
dell’esofago, leggermente al di sopra del diaframma, con Ø < 4 cm, raramente più grande.
In genere, sono associati a disordini della motilità esofagea come acalasia, oppure stenosi, ernia
iatale, che ostacolano il passaggio del cibo nello stomaco con > della P endoluminale, dilatazione
dell’esofago in toto o megaesofago e formazione del diverticolo epifrenico la cui parete è costituita
da tutti gli strati della parete esofagea.
I Sintomi sono: pirosi, disfagia, dolore retrosternale dovuto allo spasmo dello sfintere esofageo
inferiore e al RGE. La digestione può essere difficile con nausea ed eruttazioni, singhiozzo,
rigurgito di alimenti fetidi.
La Complicanza più frequente è l’esofagite da RGE.
La Diagnosi si basa su:
 Rx con m.d.c baritato che riempie il diverticolo consentendo la sua visualizzazione.
 Endoscopia per valutare la sede, colletto del diverticolo e le eventuali lesioni tipiche
dell’esofagite da RGE.
 Manometria e pHmetria esofagea per valutare le alterazioni del LES.
La Terapia è chirurgica con miotomia longitudinale del tratto esofageo inferiore associata ad una
plastica antireflusso per evitare le recidive e l’esofagite da RGE.
La resezione del diverticolo è indicata in caso di diverticoli voluminosi, con parete infiammata,
oppure in caso di diverticoli con colletto molto stretto.
Il Diverticolo Paratracheo-Bronchiale molto raro, è un diverticolo da trazione situato a livello
della biforcazione tracheale, dovuto ad una flogosi cronica a partenza polmonare, quasi sempre
tubercolare, con formazione di un pacchetto di linfonodi tra esofago e albero tracheo-bronchiale,
che aderiscono alla parete esofagea e vanno incontro ad un processo di necrosi caseosa cicatriziale
esercitando una trazione sulla parete esofagea, che si estroflette formando il diverticolo.
In genere, il diverticolo paratracheo-bronchiale ha una forma di cono, con colletto ampio non tende
ad aumentare di volume grazie alla presenza del tessuto cicatriziale circostante e alla reazione
infiammatoria periesofagea.
In alcuni casi si ha la suppurazione del linfonodo che si svuota nell’albero tracheo-bronchiale e nel
lume esofageo, con conseguente fistola esofago-tracheale che può guarire da sola con
cicatrizzazione, oppure mediante medicamenti eseguiti per via endoscopica tracheale ed esofagea,
mentre la terapia chirurgica è richiesta solo in caso di gravi complicanze cioè quando si crea una
comunicazione stabile tra apparato digerente e apparato respiratorio.
In genere è asintomatico perché è di piccole dimensioni, raramente è grande e con colletto stretto
tale da provocare diverticolite con disfagia e dolore toracico.

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In caso di fistola esofago-tracheale il pz presenta tosse violenta dopo ingestione di cibi liquidi e
broncopolmonite ab ingestis. In questo caso si posiziona un sondino naso-gastrico, si ripulisce
l’albero tracheo-bronchiale, si isola e si asporta la fistola, si chiude la breccia tracheale ed esofagea.
DISORDINI MOTORI o DISCINESIE ESOFAGEE

I Disordini Motori dell’Esofago o Discinesie Esofagee comprendono le alterazioni del tono,


della peristalsi e della coordinazione sfinterica dovute a diverse patologie, cioè acalasia esofagea,
spasmo esofageo diffuso e esofagiti da RGE.
L’ACALASIA ESOFAGEA è un’alterazione motoria congenita o acquisita dell’esofago,
caratterizzata da una incoordinazione motoria di natura funzionale del 3° distale dell’esofago fra
peristalsi e apertura del cardias o giunzione esofago-gastrica.
Infatti, si ha una stenosi funzionale con chiusura del 3° distale dell’esofago e riapertura a scatto, a
differenza della stenosi organica dove non si ha più la riapertura.
I SINTOMI della acalasia esofagea sono disfagia cioè difficoltà nel transito del bolo alimentare sia
per i cibi liquidi che solidi e spesso si tratta di una disfagia paradossa cioè maggiore per i liquidi
che per i cibi solidi: infatti, i cibi solidi per effetto della gravità possono favorire l’apertura a scatto
dell’esofago e riescono a passare nello stomaco, rispetto ai liquidi. Inoltre calo ponderale.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx esofageo: evidenzia un notevole > del Ø esofageo, con parte terminale che assume un aspetto
a “coda di topo” ridotto ad un filo. Nelle forme gravi l’esofago presenta delle dimensioni notevoli
per cui si parla di “megaesofago cardiospastico” dovuta al restringimento a valle con difficoltà del
passaggio del cibo nello stomaco, con ipertensione endoluminale, per cui l’esofago terminale
assume un “aspetto a calzino” perché si ripiega su se stesso e si appoggia sul diaframma.
In alcuni casi l’ipertensione endoluminale provoca la formazione del diverticolo epifrenico.
 Endoscopia dopo aver lavato bene l’esofago svuotandolo dai residui di cibo, osservando la
dilatazione del lume esofageo, l’entità dell’esofagite con eritema della mucosa, oppure ulcerazioni
ed emorragia. Inoltre, si può osservare il restringimento del tratto inferiore dell’esofago.
 Manometria esofagea: per valutare le alterazioni dei movimenti dell’esofago acalasico e il
notevole > della P endoluminale.
L’onda peristaltica I è assente mentre ci sono delle onde III ripetitive insufficienti, il LES non si
rilascia e la P anziché scendere a zero, si riduce solo del 30%, impedendo il passaggio del cibo nello
stomaco.
La TERAPIA è chirurgica con esofagocardiomiotomia extramucosa longitudinale secondo Heller
per via toracica o laparotomica: si incide la tonaca muscolare del tratto inferiore dell’esofago per
4-5 cm e per 2-3 cm sulla parete gastrica. Bisogna stare attenti a non perforare la tonaca mucosa.
Si esegue una plastica antireflusso per evitare l’esofagite da RGE e si controlla la situazione con
una manometria esofagea intraoperatoria.
SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO

Lo Spasmo Esofageo Diffuso è un disordine motorio dell’esofago caratterizzato da ipertono e


iperattività della muscolatura della metà inferiore dell’esofago, con onde peristaltiche III abnormi,
saltuarie, intermittenti alle onde peristaltiche I normali che avvengono simultaneamente in diversi
punti dell’esofago con onde a doppio picco, con P alta o bassa, la funzione del LES è normale.
I SINTOMI sono: dolore epigastrico o retrosternale, costante e violento durante la contrazione
alcune volte irradiato al dorso, disfagia.
La DIAGNOSI è utile durante l’attacco doloroso, altrimenti l’esofago appare normale: l’Rx
esofageo evidenzia un aspetto dell’esofago a cavatappi o a pila di piatti, mentre la manometria
esofagea evidenzia una serie di onde III simultanee e ripetitive in diversi punti dell’esofago.
La TERAPIA si basa sulla miotomia extramucosa longitudinale dei 2/3 inferiori dell’esofago per
via toracotomica sx senza interessare il LES per evitare una patologia iatrogena.

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ESOFAGITI da REFLUSSO GASTRO ESOFAGEO
L’Esofagite da Reflusso Gastro-Esofageo RGE si verifica in seguito a turbe della motilità
dell’esofago con reflusso del contenuto gastrico acido nell’esofago cioè HCl e pepsina, per cui si
parla di esofagite acida, più raramente si ha un reflusso alcalino cioè succo biliare e pancreatico,
per cui si parla di esofagite alcalina, spesso dovuta ad acloridria, gastrite atrofica, uso di H2-
antagonisti, piloroplastica, gastro-entero-anastomosi, resezione gastrica.
Queste sostanze vanno a provocare delle lesioni della mucosa esofagea, cioè l’esofagite da RGE.
In condizioni normali si ha l’intervento di alcuni Meccanismi Antireflusso, cioè tono del LES,
angolo di His, integrità dell’orifizio esofageo del diaframma tale da evitare l’ernia iatale da
scivolamento, mantenendo la giunzione esofago-gastrica in posizione sottodiaframmatica,
integrità della membrana freno-esofagea, tessuto retro-esofageo, pars condensa del piccolo
omento e arteria gastrica sx.
Il reflusso è fisiologico nel neonato consentendo di difendersi dai pasti abbondanti, viene
considerato patologico quando il bambino rigurgita frequentemente ed abbondantemente, con
vomito ripetuto, anemia, calo ponderale, crisi asmatiche, broncopolmoniti recidivanti.
Il RGE è patologico quando è frequente e si ha il ristagno prolungato dei succhi gastroduodenali nel
lume esofageo.
La CAUSA principale del RGE è l’incontinenza del LES dovuta a:
 cause esofagee: ipotonia del LES in caso di sclerodermia, fumo di sigaretta, esofagite e <
della resistenza della mucosa, farmaci calcio-antagonisti e colinergici, β-adrenergici, manovre
chirurgiche ed endoscopiche, < della clearance esofagea.
 cause gastriche: ritardo dello svuotamento, reflusso duodeno-gastrico da asincronismo della
peristalsi gastro-duodenale, > volume gastrico da pasti abbondanti o altre cause, > della P
gastrica in caso di obesità, gravidanza, ascite, abiti stretti, ernia iatale da scivolamento o
rotolamento, gastrectomia...
 ipotiroidismo, nevrosi.
 forme idiopatiche nel 10% dei casi.
Quindi dal punto di vista PATOGENETICO si ha una < del tono LES, che normalmente è chiuso
con una P di 15-20 mmHg, mentre nel pz con reflusso la P è sempre < 10 mmHg.
I SINTOMI del RGE variano a seconda dell’entità della lesione, cioè frequenza e durata degli
episodi, quantità di materiale refluito e sue caratteristiche, capacità di clearance dell’esofago,
potere neutralizzante della saliva.
Mediante l’indagine endoscopica è possibile distinguere l’esofagite da RGE in 3 gradi (Grading
Endoscopico):
 esofagite di I grado o esofagite eritemato-edematosa: la mucosa si presenta arrossata in toto o
a chiazze ed edematosa, cioè gonfia. Il pz presenta pirosi e dolore retrosternale irradiato al dorso,
spesso notturno o dopo ingestione di cibi irritanti, comparendo o accentuandosi in decubito
orizzontale. Questo stadio non ha corrispettivi radiologici.
 esofagite di II grado o esofagite ulcero-emorragica: la mucosa presenta delle ulcerazioni
piccole e superficiali oppure estese e profonde, che all’Rx si presentano come immagini di plus
della parete esofagea, che tendono a sanguinare quando vengono in contatto con l’endoscopio,
per cui si ha sangue occulto nelle feci ed anemia ipocromica. E’ utile la biopsia per la diagnosi
differenziale con il carcinoma esofageo. Il pz presenta dolore epigastrico continuo, urente,
gravativo, irradiato in sede retrosternale fino alla base del collo, di durata variabile da qualche
secondo a qualche minuto, disfagia, anemia acuta da emorragie macroscopiche cioè melena ed
ematemesi, e in alcuni casi la situazione peggiora in seguito alla perforazione dell’ulcera esofagea.
 esofagite di III grado o esofagite sclero-cicatriziale: dovuta alla riparazione delle ulcere da
parte di tessuto connettivale che va incontro alla sclerosi da retrazione cicatriziale, la zona
interessata diventa rigida, anelastica fino alla stenosi con dilatazione dell’esofago a monte che
viene confermata anche dall’Rx dell’esofago con pasto baritato. Il pz presenta disfagia continua,
ingravescente, scialorrea, rigurgito, dimagrimento, dolori scarsi.

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La DIAGNOSI del RGE oltre all’Endoscopia e all’Rx esofageo con m.d.c. si basa anche sulla
manometria e pH-metria esofagea consentono di valutare il n° dei reflussi e la loro durata, e il n°
di reflussi che hanno una durata > 5 minuti. Si applica il punteggio di De Meester: normalmente è
compreso tra 0 e 18, possono comparire anche 50 episodi di reflusso nelle 24 h, ma non più di 2 o 3
episodi con durata superiore a 5 minuti.
In caso di esofagite da RGE il punteggio di De Meester è nettamente superiore a quello normale.
Le COMPLICANZE del RGE sono:
L’emorragia si verifica in caso di ulcerazioni diffuse e profonde, con ematemesi, melena, shock
ipovolemico, anemia ipocromica.
La metaplasia della mucosa o esofago di Barrett è la sostituzione dell’epitelio pavimentoso del
segmento distale dell’esofago con epitelio cilindrico colonnare, tipico del corpo gastrico, cardias e
tenue, nel tentativo di riparare le lesioni ulcerose.
L’esofago di Barrett può favorire l’insorgenza di un’ernia iatale, una stenosi esofagea cicatriziale
con accorciamento dell’esofago e nel 5-6 % dei casi evolve in un adenocarcinoma essendo una
lesione precancerosa.
La stenosi è caratterizzata da un restringimento concentrico del lume esofageo e con disfagia
grave che richiede un trattamento chirurgico per favorire la comunicazione con lo stomaco.
La TERAPIA è medica nelle fasi iniziali: si somministrano farmaci bloccanti i recettori H2
dell’istamina, come la cimetidina, la ranitidina (Ranidil) e l’omeprazolo per ridurre l’acidità gastrica
e l’irritazione della mucosa esofagea.
Inoltre, si usano farmaci per > il tono del LES, come l’acido alginico ricavato dalle alghe,
carbenoxolone ricavato dalla liquirizia, e i procinetici che > la propulsione dell’onda peristaltica.
Il pz deve evitare di andare a letto a stomaco pieno, deve dormire tenendo la testa sollevata di 10-15
cm, evitare i pasti abbondanti, bere bevande gassate, alcool, limone, arance, cioccolata, succo di
pomodoro, grassi...
La stenosi viene eliminata con le dilatazioni usando le olive di Eder-Puestow o la sonda di Celestin
a calibro crescente oppure con un catetere a palloncino che viene gonfiato per dilatare la stenosi.
In caso di complicanze spesso sono necessarie le resezioni del tratto esofageo interessato.
Tumori dell’Esofago

I Tumori dell’esofago sono piuttosto rari, distinti in benigni come il leiomioma che origina dalla
muscolatura liscia esofagea, fibromi, lipomi, e tumori maligni come l’adenocarcinoma che
rappresenta il 60-70% di tutte le forme, mentre sarcomi, melanomi e linfomi sono rarissimi.
Il CARCINOMA ESOFAGEO è più diffuso in estremo oriente mentre in Italia è meno frequente
rispetto al cancro della mammella, polmone, colon-retto e stomaco, colpisce soprattutto soggetti di
sesso M con rapporto M/F = 3/1 ed età media di 60-70 aa. In genere interessa il 3° medio e inferiore
dell’esofago, raramente la parte cervicale, e possiamo fare una distinzione tra:
─ cancro stenosante: è la forma più frequente (43%), interessa il 3° inferiore o distale
dell’esofago, inizialmente ha uno sviluppo intraparietale, poi endoluminale, fino a provocare una
stenosi del lume esofageo che impedisce la comunicazione tra esofago e stomaco.
─ cancro vegetante (37%): interessa la parte intermedia o toracica dell’esofago, si sviluppa nel
lume esofageo con aspetto a cavolfiore, fino a provocare ostruzione esofagea.
─ cancro con placca ulcerata (20%) interessa la parte superiore o cervicale dell’esofago.
I Fattori Predisponenti sono:
─ assunzione di cibi e bevande bollenti soprattutto nei paesi tropicali, responsabili di ustioni
croniche che sono riparate da tessuto connettivale, per cui si ha displasia, metaplasia, fino alla
cancerizzazione; abuso di bevande alcoliche, tabacco, RGE persistente.
─ precancerosi: ulcerazioni croniche, esofagiti da caustici, membrane esofagee, metaplasia
cilindrica della mucosa esofagea o esofago di Barrett.
I SINTOMI nelle fasi iniziali sono assenti e spesso insorgono solo quando la neoplasia ha ostruito
più del 60% del lume esofageo provocando disfagia ingravescente prima per i cibi solidi, poi per i
liquidi, rapido calo ponderale, scialorrea, dolore epigastrico o retrosternale continuo da

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diffusione periesofagea del tumore con odinofagia (dolore al passaggio del bolo alimentare) e
sensazione di corpo estraneo, rigurgiti frequenti ad alto rischio di polmonite ad ingestis, sangue
occulto nelle feci e anemia ipocromica,
Le Vie di Diffusione del tumore sono:
- per continuità interessa tutta la parete esofagea fino al connettivo periesofageo.
- per contiguità si diffonde alla trachea, bronco principale di sx, laringe, tiroide, aorta, pericardio,
vene polmonari inferiori, colonna vertebrale, diaframma, lobo sx del fegato.
- per via linfatica alla ricca rete linfatica intraparietale, linfonodi latero-cervicali e sovraclaveari,
mediastinici periesofagei superiori, medi e inferiori, paratracheali e intratracheo-bronchiali,
linfonodi dell’ilo polmonare e del tronco celiaco.
- per via ematica provoca metastasi a distanza cioè epatiche, ossee, polmonari e cerebrali.
La DIAGNOSI si basa soprattutto sull’EGDS che consente di valutare la sede, l’ostruzione del
lume esofageo e soprattutto di eseguire delle biopsie multiple con esame istologico per valutare
la natura della neoplasia. L’Rx con pasto baritato è utile solo nelle fasi avanzate in presenza di
lesioni già sintomatiche, mentre per la stadiazione preoperatotia sono utili la TAC, RMN, Ecografia,
Laparoscopia utili per valutare la presenza di metastasi e lo stadio in cui si trova la neoplasia per
fare una scelta terapeutica opportuna. Abbiamo la Classificazione TNM:
─ Tis: tumore in situ, limitato alla tonaca mucosa.
─ T1: il tumore invade la sottomucosa.
─ T2: il tumore invade la muscolaris propria.
─ T3: il tumore invade l’avventizia.
─ T4: il tumore invade le strutture adiacenti cioè trachea, aorta, colonna vertebrale...
─ N0: nessuna metastasi linfonodale.
─ N1: metastasi ai linfonodi regionali cioè ai linfonodi cervicali, mediastinici, perigastrici.
─ M0: nessuna metastasi a distanza.
─ M1: metastasi a distanza.
La PROGNOSI in genere è sfavorevole: la diagnosi è tardiva e la diffusione della neoplasia alle
strutture adiacenti è immediata, dato che l’esofago non è rivestito da una tonaca sierosa.
Nelle fasi iniziali la sopravvivenza a 5 aa è del 60% mentre nelle fasi terminali è del 2%.
La TERAPIA chirurgica è il trattamento di prima scelta anche se raramente è possibile un
trattamento radicale poichè la diagnosi spesso è tardiva e perchè l’esofago dal punto di vista
anatomico si trova in sede intramediastinica, presenta un ricco drenaggio linfatico e vari rapporti
con le strutture adiacenti soprattutto con trachea, carena bronchiale, arco della vena azigos, aorta
discendente.
In caso di carcinoma del 3° medio o inferiore si ricorre alla esofago-gastroplastica per via
toraco-freno-laparotomica, tenendo conto che lo stomaco è riccamente vascolarizzato e presenta un
contenuto non settico: si isola l’esofago dalle strutture adiacenti e si esegue la resezione del tratto
esofageo interessato dal tumore più un lungo tratto a monte e a valle come limiti di sicurezza
oncologica, eventualmente associato alla asportazione dei linfonodi pericardiali, della piccola
curvatura gastrica, del tripode celiaco e arteria epatica comune.
Si scheletrizza lo stomaco cioè si lega l’arteria gastrica sx e lo stomaco viene tubulizzato cioè si
reseca la regione del cardias e il segmento craniale della piccola curva, costruendo un tubulo
costituito dalla regione antrale e grande curvatura gastrica, vascolarizzato dall’arteria gastrica dx e
gastroepiploica dx: il tubulo gastrico viene portato in alto attraverso l’orifizio esofageo del
diaframma, opportunamente dilatato, eseguendo un’anastomosi esofago-gastrica intratoracica
mediante la sutura meccanica con Stappler perchè la sutura manuale è ad alto rischio di deiscenza
in torace con mediastinite o in addome con peritonite e shock settico ad alto rischio di mortalità.
Spesso è necessaria la resezione di tutto l’esofago: si scolla l’esofago dalla parte membranosa o
posteriore della trachea, partendo dal basso verso l’alto, attraverso lo jatus esofageo del diaframma,
si scolla l’esofago dalla aorta discendente con le dita indice e pollice mediante la digito-plasia,
dopo aver dilatato lo sfintere esofageo del diaframma.

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Si lega l’arteria gastrica di sx, si esegue la manovra di Cocker o cocherizzazione cioè si libera
tutta la C duodenale e si esegue una piloroplastica incidendo longitudinalmente e suturando
trasversalmente il piloro che perde la fx sfinterica e garantisce il passaggio del contenuto
gastrointestinale. Si sfila l’esofago dal basso verso l’alto in modo che il tubulo gastrico avvolto da
una membrana di cellofan possa scivolare in alto prendendo il posto dell’esofago mentre il piloro
prende la posizione del cardias e lo stomaco viene anastomizzato alla faringe.
Il chirurgo può scegliere diverse vie per portare lo stomaco in alto, cioè:
- via sottocutanea davanti allo sterno, facile dal punto di vista chirurgico ma è molto fastidiosa per
il pz, esposta a tutti i traumi, brutta per l’estetica.
- via retrosternale attraverso un tunnel ricavato posteriormente allo sterno.
- via mediastinica: è la più valida perchè lo stomaco va ad occupare la sede naturale dell’esofago,
anche se perde la sua fx di serbatoio, per cui il pz dovrà fare dei pasti piccoli e frequenti, facili da
digerire.
Quando lo stomaco presenta dei problemi di vascolarizzazione, anomalie congenite o un tumore,
possiamo usare il colon trasverso e parte del colon sx, con peduncolo vascolare dato dall’arteria
colica sx, ramo dell’arteria mesenterica inferiore, eseguendo un’anastomosi laringo-colica in alto e
colo-gastrica in basso.
Spesso la terapia del carcinoma esofageo è solo palliativa-sintomatica per via endoscopica cioè
fotocoagulazione con laser, elettrocoagulazione, terapia fotodinamica, dilatazione e inserimento di
protesi metalliche espansibili, oppure si ricorre alla radioterapia che puó essere associata alla
polichemioterapia con cisplatino, 5FU, vindesina, con risoluzione della disfagia nei 2/3 dei pz.

STOMACO
Lo Stomaco è un viscere sacciforme posto tra esofago e duodeno, situato in cavità addominale al di
sotto del diaframma, occupando l’ipocondrio sx e parte dell’epigastrio, presenta parete anteriore,
parete posteriore, margine dx concavo o piccola curvatura, margine sx convesso o grande curvatura.
La parete anteriore è in rapporto col lobo sx del fegato, diaframma e muscolo trasverso
dell’addome. La parete posteriore è in rapporto col diaframma, faccia gastrica della milza,
ghiandola surrenale e rene sx, corpo del pancreas, colon trasverso e tramite l’interposizione del
mesocolon trasverso è in rapporto con la porzione ascendente del duodeno (4^ porzione), flessura
duodeno-digiunale e anse dell’intestino tenue mesenteriale.
La piccola curvatura dello stomaco abbraccia con la sua concavità l’aorta addominale, pilastri
mediali dx e sx del diaframma, tronco o tripode celiaco, plesso celiaco e colonna vertebrale.
La grande curvatura dello stomaco è in rapporto con il centro tendineo del diaframma (tramite
questo con il cuore), il muscolo trasverso dell’addome, la flessura sx del colon e il colon trasverso.
Inoltre, lo stomaco presenta 2 orifizi, cioè il cardias a livello della T10 che consente la
comunicazione tra l’esofago e lo stomaco, e il piloro a livello della L1 a dx della linea mediana che
permette la comunicazione tra stomaco e duodeno.
Lo stomaco può essere distinto in 3 parti cioè fondo, corpo e parte pilorica: il fondo è la parte
prossimale dello stomaco, ha una forma di cupola che si adatta alla concavità del diaframma, non è
mai occupato dal materiale gastrico ma da una grossa bolla d’aria detta “bolla gastrica”, il corpo è
la parte dilatata dello stomaco, la parte pilorica è costituita dall’antro pilorico e dal canale pilorico
che comunica col duodeno mediante lo sfintere pilorico.
Il fondo e il corpo rappresentano la parte acido-secernente, mentre l’antro pilorico la parte alcalino-
secernente e ormone secernente.
Il peritoneo riveste lo stomaco ad eccezione del cardias e una parte del fondo gastrico dove si
ripiega formando il legamento gastro-frenico. Poi abbiamo il legamento gastro-lienale che si porta
dalla faccia posteriore dello stomaco all’ilo splenico e in cui decorrono i vasi gastrici brevi,
collaterali dell’arteria gastro-lienale. Il peritoneo a livello della grande curvatura si ripiega a
formare il legamento gastro-colico che si porta dalla flessura sx del colon al colon trasverso, fino
alla flessura dx del colon e al duodeno, costituendo la radice anteriore del grande omento, mentre

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lungo la piccola curvatura il peritoneo forma il legamento epato-gastrico che si continua a dx col
legamento epato-duodenale formando il piccolo omento che si fissa al fegato.
La parete gastrica è costituita dalla tonaca mucosa, tonaca sottomucosa, tonaca muscolare e tonaca
sierosa peritoneale.
La superficie interna presenta le pieghe gastriche che tendono a scomparire con l’arrivo degli
alimenti perché si distendono, mentre a livello della piccola curvatura costituiscono il canale
gastrico o Magenstrasse che rappresenta la via che seguono i liquidi nello stomaco.
Lo stomaco presenta vari tipi di ghiandole:
 ghiandole cardiali tubulari composte, a livello del cardias.
 ghiandole gastriche p.d. o principali tubulari semplici, a livello del fondo e del corpo gastrico,
costituite da diversi tipi di cellule, cioè:
- cellule principali o adelomorfe: secernono il pepsinogeno, precursore della pepsina che è l’enzima
responsabile della digestione e scomposizione dei cibi in costituenti elementari.
- cellule di rivestimento o delomorfe: secernono l’HCl importante per la denaturazione delle
proteine in modo da portare il pH del succo gastrico a 2 consentendo la conversione da pepsinogeno
a pepsina, poi secernono il fattore intrinseco di Castle FI che è una glicoproteina legante la vit.B12
presente negli alimenti e che in caso di carenza è responsabile della anemia megaloblastica da
carenza di vit.B12.
- cellule enterocromaffini o argentaffini: secernono la serotonina che stimola la contrazione della
muscolatura liscia intestinale.
ghiandole piloriche a livello del piloro, sono costituite dalle cellule G secernenti la gastrina che
stimola la secrezione dell’HCl da parte delle cellule delomorfe delle ghiandole principali e dalle
cellule argentaffini secernenti la serotonina.
La Vascolarizzazione dello stomaco origina dal tronco o tripode celiaco che è costituito da 3 rami:
- arteria gastrica sx o coronaria dello stomaco.
- arteria epatica comune da cui nascono l’arteria gastrica dx o pilorica e l’arteria
gastroduodenale da cui origina l’arteria gastro-epiploica dx.
- arteria lienale o splenica da cui nascono l’arteria gastro-epiploica sx e i vasi gastrici brevi che
decorrono nello spessore del legamento gastro-lienale.
L’arteria gastrica sx si anastomizza con l’arteria gastrica dx lungo la piccola curvatura formando
un’arcata vascolare, mentre l’arteria gastro-epiploica dx e sx si anastomizzano lungo la grande
curvatura formando un’altra arcata.
Le due arcate si uniscono dietro al piloro dando origine ad una serie di vasi che penetrano nella
parete dello stomaco, formando un plesso muscolare e un plesso sottomucoso dando origine alle
arteriole per la mucosa.
Il drenaggio venoso dello stomaco si deve alla vena gastrica sx o coronaria dello stomaco e alla
vena gastrica dx o pilorica lungo la piccola curvatura, alle vene gastro-epiploiche dx e sx lungo
la grande curvatura, e alle vene gastriche brevi a livello del fondo, che sono affluenti della vena
vena mesenterica superiore e della vena lienale o splenica e cioè del sistema della vena porta.
Il drenaggio linfatico dello stomaco si deve ai linfonodi regionali dello stomaco di I livello o
perigastrici, linfonodi extragastrici di II livello, linfonodi di III livello, linfonodi di IV livello.
L’innervazione dello stomaco si deve a fibre parasimpatiche cioè ai tronchi vagali anteriore e
posteriore che innervano rispettivamente la parete anteriore e posteriore dello stomaco.
Dal tronco vagale anteriore origina un ramo discendente contiguo alla piccola curvatura, detto
nervo di Latarget da cui nascono numerosi filamenti che penetrano nella parete anteriore dello
stomaco. Inoltre, si deve ai rami dell’ortosimpatico che provengono dal 5-8° segmento toracico del
midollo spinale e si portano al plesso celiaco da cui originano i plessi gastrici superiore e inferiore
lungo la piccola e grande curvatura.
Le fibre para e ortosimpatiche formano il plesso mienterico di Auerbach nello spessore della
tonaca muscolare e il plesso di Meissner nello spessore della tonaca sottomucosa, regolando la fx
motoria e secretiva dello stomaco.
Il parasimpatico stimola l’attività secretiva e motoria mentre l’ortosimpatico la inibisce.

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Le Funzioni Gastriche sono diverse:
- funzione secretiva: muco ad azione protettiva e lubrificante, pepsinogeno, HCl e istamina.
- funzione motoria sia a stomaco vuoto (contrazioni da fame) ma soprattutto a stomaco pieno.
La peristalsi è sotto il controllo vagale e ormonale (gastrina e colecistochinina inibiscono la
contrazione dello stomaco prossimale e favoriscono quella della parte distale).
PATOLOGIE dello STOMACO
I DIVERTICOLI GASTRICI sono distinti in diverticolo vero e diverticolo falso o
pseudodiverticolo.
Il Diverticolo Vero in genere è un diverticolo congenito costituito da tutte e 3 le tonache della
parete gastrica che si verifica in seguito alla estroflessione per pulsione in un’area di debolezza
della parere stessa.
Il Diverticolo Falso o Pseudodiverticolo in genere è un diverticolo acquisito, dovuto alla trazione
esercitata sullo stomaco da aderenze di natura flogistica che si stabiliscono tra lo stomaco e la
cistifellea, linfonodi, pancreas, oppure sono dovuti alla epitelizzazione di un’ulcera penetrante con
estroflessione della mucosa e sottomucosa attraverso una zona di minore resistenza.
Nel 75% dei casi sono localizzati in sede sottocardiale a livello della parete posteriore dello
stomaco vicino alla piccola curva, nel 15% dei casi sono in sede prepilorica contigui alla piccola
curva, raramente sono localizzati a livello della grande curva, all’antro pilorico o al corpo.
I diverticoli gastrici sono asintomatici in 1/3 dei casi, negli altri casi provocano dolore epigastrico
post-prandiale, vomito, dispepsia, raramente emorragia di lieve entità in caso di complicanze, cioè
diverticolite, peridiverticolite, perforazione, ulcera peptica, cancerizzazione.
La Diagnosi si basa sull’Rx che evidenzia la presenza di un’immagine di plus a contorni regolari,
mentre l’esame endoscopico evidenzia il colletto del diverticolo e lo stato della mucosa gastrica.
La Terapia è medica antinfiammatoria, antispastici, H2-antagonisti, antibiotici in caso di necessità,
occorre seguire una dieta leggera, mentre la Terapia Chirurgica è necessaria in caso insuccesso
della terapia medica e soprattutto in presenza di complicanze.
La SINDROME da STENOSI PILORICA può essere causata da ulcera peptica e cancro antrale nei
soggetti adulti, stenosi pilorica ipertrofica nei lattanti dopo qualche settimana dalla nascita.
La stenosi pilorica impedisce lo svuotamento dello stomaco provocando vomito post-prandiale
tardivo o a digiuno, vomito alimentare abbondante, saltuario, cioè ad ogni pasto, dolore
addominale che migliora dopo il vomito, calo ponderale, disidratazione. Inoltre, a digiuno si può
osservare il segno dello sguazzamento da rimescolamento del liquido se esercitiamo delle scosse
sull’addome. La Diagnosi avviene mediante l’Rx e l’endoscopia.
La Terapia è chirurgica.
Il VOLVOLO GASTRICO è un’anomalia di posizione dovuta alla rotazione dello stomaco su uno
dei suoi assi, distinto in due tipi:
- volvolo organo-assiale (65%): la rotazione avviene lungo l’asse longitudinale dello stomaco per
cui grande curvatura e piccola curvatura invertono le proprie posizioni.
Il volvolo organo-assiale in genere è acuto con interessamento del meso e dei vasi portanti,
ostruzione delle vene e delle arterie con stasi e ischemia, fino alla necrosi viscerale, per cui si
manifesta con dolore epigastrico violento che si irradia posteriormente al dorso, nausea, vomito e
stato di shock, distensione addominale gassosa, turbe del ritmo con crisi anginosa.
- volvolo mesenterico-assiale (35%): la rotazione avviene lungo l’asse trasversale o orizzontale
dello stomaco per cui la porzione pilorica dello stomaco si pone a sx della porzione cardiale che è
tenuta fissa dalla giunzione esofago-gastrica.
Il volvolo mesenterico-assiale è di tipo cronico o intermittente e si manifesta con dolore epigastrico
vago, distensione addominale, vomito saltuario.
Il volvolo viene distinto in:
- volvolo primario o idiopatico da eccessiva motilità dello stomaco in seguito alla lassità delle
strutture di sostegno, come in caso di vomito o iperperistaltismo da eccessivo riempimento gastrico.
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- volvolo secondario: rappresenta il 75% dei casi da ernia dello jatus esofageo del diaframma, ernia
congenita o post-traumatica del diaframma, eventratio diaframmatica, risalita del diaframma dopo
resezione polmonare, ulcera peptica della piccola curva, neoplasia dell’antro pilorico.
L’Rx mette in evidenza la presenza di uno stomaco a cascata con due tasche sovrapposte.
La Terapia è chirurgica d’urgenza con resezione gastrica soprattutto nelle forme acute con parete
viscerale necrotica.
ULCERA PEPTICA

L’ULCERA PEPTICA è una malattia ad eziologia multifattoriale caratterizzata da una perdita di


sostanza che interessa la tonaca mucosa e alcune volte la muscolaris mucosae e la muscolare
propria con formazione di un cratere rotondo od ovale in genere localizzato a livello dell’antro
pilorico nell’ulcera gastrica o al bulbo duodenale nell’ulcera duodenale.
Spesso la lesione interessa contemporaneamente lo stomaco e il duodeno, oppure si diffonde da un
viscere all’altro, per cui si parla di ulcera gastro-duodenale.
L’ulcera duodenale spesso tende a guarire spontaneamente o con terapia medica, a meno che non ci
siano delle complicanze, ma rispetto all’ulcera gastrica non cancerizza mai.
Dal punto di vista Epidemiologico l’ulcera gastrica è più frequente in Giappone nei soggetti con
età compresa tra i 50 e i 65 aa, mentre l’ulcera duodenale è più frequente in Europa e USA nei
soggetti con età compresa tra i 40 e i 55 aa, con rapporto M/F di 3/1.
I Fattori Eziopatogenetici sono distinti in fattori aggressivi e deficit dei fattori difensivi.
- fattori aggressivi: ipersecrezione acida cloridro-peptica, farmaci ad azione gastrolesiva (FANS),
l’alcool, disordini psicomotori e dietetici...
- deficit dei fattori difensivi: deficit della secrezione alcalina e mucosa, deficit del meccanismo di
inibizione della secrezione gastrica, alterazione della barriera mucosa.
Normalmente la mucosa gastrica è resistente all’azione digestiva del succo gastrico grazie alla
secrezione del muco, alla superficie delle cellule epiteliali e alla stretta connessione tra le cellule,
che costituiscono una vera e propria barriera di protezione, impermeabile, così come la mucosa
duodenale non viene mai lesionata dal chimo che le giunge.
L’Ulcera Gastrica è dovuta al deficit dei fattori difensivi della mucosa, infatti spesso insorge nei pz
affetti da una gastrite cronica da reflusso duodenale di acidi biliari e succo pancreatico, causata da
< del tono dello sfintere pilorico e deficit degli ormoni enterici ad azione tonica cioè
colecistochinina e secretina con flusso retrogrado di HCl e pepsina, associati ad una < della
capacità riparativa della mucosa, per cui è un danno che si autoamplifica perchè si ha la
retrodiffusione degli idrogenioni che stimolano la secrezione acido-gastrica.
L’Ulcera Duodenale è dovuta ad una maggiore azione dei fattori aggressivi con ipersecrezione
acida associata o meno ad una riduzione della capacità di neutralizzazione a livello duodenale.
Altri fattori di rischio sono:
- accelerato svuotamento gastrico associato o meno ad un ritardato svuotamento duodenale.
- fumo di sigaretta: provoca una riduzione della secrezione dei bicarbonati a livello del pancreas che
rappresentano il tampone naturale dell’acido gastrico a livello duodenale.
- stress con intervento dell’ipotalamo che stimola la secrezione acido-peptica per via vagale.
- farmaci gastrolesivi, soprattutto i FANS cioè i farmaci antinfiammatori non steroidei, come
l’aspirina, indometacina, fenilbutazone, piroxicam..., cortisonici.
L’aspirina altera le proprietà chimico-fisiche del muco, < il flusso di sangue alla mucosa, < la
produzione dei bicarbonati, inibisce la ciclossigenasi essendo un farmaco antinfiammatorio
impedendo la conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine che hanno azione
gastroprotettiva.
Comunque, negli ultimi anni è stato dimostrato che tra gli agenti eziologici più importanti
dell’ulcera peptica c’è l’Helicobacter pylori, cioè un batterio Gram¯, mobile perché dotato di
flagello, che viene trasmesso all’uomo mediante la carne di pollo, vitello, maiale, ovini, latte crudo,
raramente per via respiratoria o sessuale (rapporti oro-anali).

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La presenza dell’Helicobacter pylori è stata dimostrata nel 70-80% dei casi d' ulcera gastrica e nel
90-95% dei casi di ulcera duodenale.
L’infezione da Helicobacter pylori colpisce oltre il 50% della popolazione a livello mondiale,
provocando nella gran parte dei casi una gastrite cronica, soprattutto antrale, ma solo un
sottogruppo di questi pz è ad alto rischio di andare in contro ad un’ulcera peptica.
Dal punto di vista Anatomo Patologico l’ulcera peptica in genere è unica, rotondeggiante e si parla
di “ulcera solitaria”, raramente si tratta di un’ulcera duplice o multipla, di forma ovale, ellittica o
allungata, con la base ricoperta spesso da un essudato bianco-grigiastro.
L’ulcera gastrica in genere interessa l’antro pilorico e i 2/3 distali della piccola curva, a circa 6 cm
dal duodeno, raramente interessa il cardias e si presenta come una lesione escavata, rotonda od
ovale, con cratere di profondità variabile e con Ø di 1-2 cm che insorge su mucosa edematosa ed
iperemica, margini del cratere perpendicolari alla base, rilevati rispetto alla mucosa circostante.
L’ulcera duodenale in genere è localizzata a livello della parete anteriore del bulbo duodenale, a 2-
3 cm dal piloro: si presenta come una lesione unica, con Ø di ~ 1 cm, raramente > 3 cm per cui si
parla di ulcere giganti, raramente si tratta di ulcere combacianti, una sulla parete anteriore e una
sulla parete posteriore del bulbo, per cui si parla di kissing ulcers.
La morfologia è simile a quella dell’ulcera gastrica.
I SINTOMI dell’ulcera gastrica e duodenale differiscono fra di loro soprattutto per quanto riguarda
il tipo di dolore, raramente si tratta di forme asintomatiche.
L’ulcera gastrica si manifesta con dolore epigastrico crampiforme o puntorio postprandiale
precoce perché si manifesta nel giro di 30 minuti dopo i pasti associato a bruciore o pirosi, dura ~
1-2 h, per cui il pz si trova in uno stato di benessere a stomaco vuoto.
In alcuni casi il pz avverte una sensazione di gonfiore, oppure un dolore molto intenso che
s'irradia all’ipocondrio sx e alla colonna toraco-lombare, notturno o diurno.
Raramente il pz ha nausea e vomito da distensione gastrica o piloro-spasmo o da ulcera pilorica
stenosante, oppure si ha una emorragia occulta con anemia ipocromica sideropenica.
L’ulcera gastrica viene distinta in 3 tipi:
─ tipo I: tipica dei soggetti anziani, le lesioni ulcerose interessano la piccola curvatura con
gastrite cronica atrofica e < deficit dei meccanismi di difesa, con acidità ridotta o normale,
spesso con test + per Helicobacter pylori. E’ importante la diagnosi differenziale con il carcinoma
superficiale dello stomaco o early gastric cancer.
─ tipo II: più frequente in soggetti giovani-adulti, le lesioni ulcerose interessano la sede pre-
pilorica, con acidità gastrica elevata, spesso associata all’ulcera duodenale.
─ tipo III: le lesioni ulcerose sono localizzate in sede antrale, spesso associata a stenosi pilorica
o all’uso cronico di FANS.
L’ulcera duodenale si manifesta con dolore epigastrico urente, sordo o costrittivo, che insorge
dopo ~ 2-3 h dai pasti per cui è un dolore postprandiale tardivo definito come dolore da fame perchè
si manifesta a stomaco vuoto, in genere durante la notte, per cui il pz si trova in uno stato di
benessere a stomaco pieno o usando gli antiacidi, mentre non appena lo stomaco si svuota e il suo
contenuto diventa acido il dolore ricompare.
Raramente si ha vomito da spasmo o stenosi pilorica, nausea ed eruttazioni acide.
La DIAGNOSI dell’ulcera peptica si basa soprattutto sugli esami strumentali, mentre l’anamnesi e
l’esame obiettivo non forniscono dati sufficienti per una diagnosi di certezza.
Tra gli esami strumentali abbiamo:
 Rx con tecnica a doppio contrasto: il pz deve essere a digiuno e l’esame deve essere eseguito nella
fase attiva della malattia.
L’ulcera gastrica si presenta come una nicchia cioè un’immagine di plus che sporge lungo la
piccola o grande curvatura dello stomaco, con aspetto a cono, a sperone, sacciforme, contorni
regolari e più o meno profonda a seconda del grado di penetrazione dell’ulcera nella parete gastrica.
Inoltre, si possono notare i processi infiammatori che accompagnano la lesione ulcerosa:
convergenza delle pliche della mucosa gastrica verso la nicchia, segno dell’indice da contrazione
spastica degli strati circolari e trasversali della muscolatura gastrica.

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Inoltre si possono osservare le deformazioni dello stomaco: a borsa di tabacco in caso di ulcera della
piccola curva, a clessidra in caso di ulcera della grande curva, a sacco in caso di ulcera stenosante
dell’antro pilorico.
L’ulcera duodenale si presentano come una nicchia a forma di coccarda.
 esame endoscopico: consente di valutare la sede colpita, forma dell’ulcera, eventuali perdite di
sangue ed è possibile eseguire dei prelievi bioptici multipli a livello dei bordi e del fondo del cratere
ulceroso, perchè nel 2% dei casi l’ulcera peptica può evolvere verso il carcinoma gastrico, mentre
l’ulcera duodenale non cancerizza mai, tenendo presente che se la lesione è benigna bisogna sempre
tenere sottocontrollo la situazione mediante dei prelievi bioptici periodici, in modo da poter
intervenire tempestivamente, nelle fasi iniziali del carcinoma gastrico.
 test rapido all’ureasi, urea breath test o test del respiro, esame istologico con colorazione Giemsa
o esame colturale per individuare l’Helicobacter pylori.
La TERAPIA dell’ulcera peptica in passato era solo chirurgica mentre oggi è possibile tenere
sottocontrollo la situazione mediante la terapia medica.
La Terapia Medica dell’ulcera peptica: evitare stress fisici e psichici, cibi stimolanti la secrezione
acida, cioè il brodo di carne, fritti, insaccati, caffè, bevande gassate, alcolici, evitare l’uso di farmaci
gastrolesivi (FANS e in particolare l’Aspirina).
Tra i farmaci abbiamo gli antiacidi, come il bicarbonato di calcio, il bicarbonato di sodio,
l’idrossido di alluminio e magnesio, ma soprattutto gli anti-H2 cioè farmaci antagonisti dei
recettori H2 dell’istamina (recettori situati nelle cellule parietali della mucosa gastrica produttrici
dell’HCl): ranitidina (Ranidil), cimetidina, famotidina, nixatidina, roxatidina, che hanno una
struttura simile a quella dell’istamina e agiscono per azione competitiva, inibendo la secrezione
acido-gastrica. Nel giro di 1 settimana si ha la scomparsa del dolore e nel giro di 1-2 mesi nel 90%
dei casi si ha la cicatrizzazione dell’ulcera.
La terapia deve essere personalizzata, facendo attenzione all’eventuale insorgenza di effetti
collaterali, cioè la < degli androgeni, sindromi neurologiche, disturbi del ritmo cardiaco.
A questi farmaci si può associare anche l’omeprazolo che agisce bloccando la produzione di
idrogenioni da parte delle cellule parietali per la sintesi di HCl.
Invece, per l’eradicazione dell’Helicobacter pylori si ricorre alla somministrazione di antibiotici per
7-10 gg: bismuto-metronidazolo-tetraciclina, bismuto-metronidazolo-amoxicillina, omeprazolo-
metronidazolo-claritromicina, omeprazolo-metronidazolo-amoxicillina.
La Terapia Chirurgica si basa su interventi non resettivi di tipo funzionale oppure interventi
resettivi di tipo organico.
Gli interventi non resettivi di tipo funzionale si basano sulla vagotomia utile per ripristinare la fx
gastrica, distinta in vagotomia tronculare doppia o selettiva anteriore e posteriore e vagotomia
superselettiva o gastrica prossimale o parietale.
Nella vagotomia tronculare doppia bisogna isolare e sezionare i due tronchi vagali, anteriore e
posteriore, determinando sia una < della secrezione gastrica sia la paralisi gastrica o gastroplegia
con conseguente pilorospasmo, impedendo lo svuotamento gastrico, per cui è necessaria una
piloroplastica cioè si incide longitudinalmente il piloro e si sutura trasversalmente, in modo da
impedire lo spasmo del piloro, poiché le fibre muscolari vengono interrotte, favorendo lo
svuotamento gastrico.
Per evitare questi inconvenienti si preferisce ricorrere alla vagotomia superselettiva o vagotomia
gastrica prossimale o parietale acido-secretiva, in cui non si sezionano i tronchi vagali ma si
sezionano tutte le terminazioni nervose anteriori e posteriori che vanno allo stomaco lungo la
piccola curva e che sono satelliti dei piccoli vasi che partono dall’arcata artero-venosa che sottende
la curva stessa: si sezionano solo i rami a direzione trasversale che sono acido-secernenti, fino a
livello dell’angolo cardiale, < la secrezione acida del 60-70%, risparmiando i rami antrali che sono
motori, evitando la piloroplastica.
Bisogna stare attenti perché basta trascurare un solo ramuscolo per rendere inefficace la vagotomia,
come ad esempio la mancata resezione del “nervo criminale o nervo assassino” situato dietro
l’angolo di His nella regione fundica che favorisce l’ipersecrezione acida.

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Invece, bisogna risparmiare la cosiddetta “zampa d’oca”, cioè l’ultima terminazione nervosa che
innerva l’antro pilorico, per salvare la motilità gastrica.
La Terapia Chirurgica è indicata per le ulcere che non rispondo alla terapia medica, recidive precoci
dopo sospensione della terapia farmacologica, tenendo presente che spesso il pz si rifiuta di
assumere i farmaci per lunghi periodi di tempo, in caso di complicanze cioè perforazione, stenosi,
emorragia massiva e cancerizzazione.
L’intervento resettivo di tipo organico prevede una fase demolitiva, cioè la resezione gastrica
distinta in resezione alta, polare o superiore se l’ulcera interessa la parte prossimale dello
stomaco e resezione bassa, distale o inferiore se interessa la parte distale dello stomaco.
Poi c’è la fase di ricostruzione per ristabilire la continuità del tubo digerente mediante la tecnica
di BILLROTH I o anastomosi gastro-duodenale termino-terminale oppure mediante la tecnica
di BILLROTH II o anastomosi gastro-digiunale antecolica o retrocolica, dopo resezione,
chiusura ed esclusione del duodeno dal transito alimentare (affondiamo il duodeno).
Nella Billroth I il chimo raggiunge il duodeno, stimolando la secrezione bilio-pancreatica e
l’increzione degli ormoni duodenali e procede normalmente nel digiuno, cioè si rispetta la fisiologia
gastro-duodenale (condizione di isosmolarità).
Nella Billroth II il chimo giunge direttamente al digiuno con iperosmolarità e edema
dell’anastomosi perché viene attirata acqua con conseguente sindrome dell’ansa afferente, per cui
bisogna riconvertire la Billroth II nella Billroth I, cioè si esegue una gastro-digiuno-
duodenoplastica con ansa digiunale in posizione antiperistaltica per evitare che lo stomaco si
svuoti rapidamente.
La sindrome dell’ansa afferente è una ostruzione cronica dell’ansa: il contenuto gastrico raggiunge
il digiuno causando la liberazione di colecistochinina e secretina che stimolano la secrezione bilio-
pancreatica, per cui l’ansa si distende provocando dolore epigastrico post-prandiale, lo stomaco si
svuota rapidamente e spesso si ha vomito biliare con sollievo per il pz.
Dopo l’intervento di resezione gastrica ci possono essere delle complicanze a breve termine cioè
emorragie post-operatorie, gastroplegia con ritardo della canalizzazione intestinale, deiscenza
dell’anastomosi con fistole ad alto rischio di mortalità, perforazione gastrica, pancreatite acuta post-
operatoria, oppure le complicanze a lungo termine cioè recidive, diarrea, malassorbimento e
malnutrizione, gastrite da reflusso biliare o alcalina, cancro del moncone gastrico, sindrome
dell’ansa afferente.
Le COMPLICANZE dell’ulcera peptica sono:
L’Emorragia Massiva è una complicanza molto grave con mortalità pari al 5-10% ed è più
frequente nell’ulcera gastrica in seguito all’erosione di un vaso di grosso calibro, come l’arteria
gastrica sx in caso di ulcera della piccola curva, oppure l’arteria gastro-duodenale in caso di ulcera
della parete posteriore del bulbo.
L’emorragia massiva si manifesta con ematemesi cioè l’emissione di sangue col vomito melena
cioè evacuazione di feci scure, nere, picee, posa di caffè, sintomi e segni di shock ipovolemico.
La DIAGNOSI si basa su:
 Esofago-gastro-duodenoscopia EGDS che consente di escludere la presenza di varici esofagee e
la gastrite emorragica come fonte di sanguinamento, di valutare l’evoluzione dell’emorragia che se
è a getto richiede un intervento chirurgico d’urgenza.
 Esami di Laboratorio consentono di valutare l’entità dell’anemia, l’HCT che è un indice diretto
della volemia.
La TERAPIA prevede l’applicazione di un sondino naso-gastrico in modo da aspirare il contenuto
gastrico e monitorare le perdite, eseguendo lavaggi gastrici con soluzione fisiologica ghiacciata e
iniettando H2 antagonisti. La nutrizione avviene per via parenterale.
Si somministrano sangue intero o emoderivati, plasma expanders, albumina plasmatica, H2O, Na+,
Ca++, K+ per ripristinare la volemia, l’equilibrio idro-elettrolitico...
Se il sanguinamento persiste si esegue un’emostasi per via endoscopica con elettrocoagulazione o
termocoagulazione o fotocoagulazione col laser o con iniezione locale di sostanze sclerosanti,
altrimenti si ricorre alla resezione gastrica.

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La Penetrazione si verifica in caso di ulcere profonde e interessa il pancreas, il fegato, le vie biliari,
il colon trasverso, provocando dolore intenso e continuo che dall’epigastrio si irradia al dorso se la
penetrazione avviene nel pancreas, oppure si irradia all’arcata costale dx se la penetrazione avviene
nel fegato o nelle vie biliari, oppure si irradia ai quadranti addominali superiori se la penetrazione
avviene nel colon.
La TERAPIA è chirurgica con resezione gastrica associata alla vagotomia, con colecistectomia in
caso di fistole colecisto-gastrica o colecisto-duodenale.
La Perforazione può essere coperta o in peritoneo libero.
La perforazione coperta avviene lentamente e viene preceduta da processi aderenziali tra peritoneo
ed omento che tamponano la perforazione. Il pz presenta dolore continuo e profondo, senza
compromissione delle condizioni generali.
La perforazione in peritoneo libero avviene rapidamente con passaggio del contenuto gastro-
duodenale in cavità peritoneale, con peritonite e sepsi ad alto rischio di mortalità.
La perforazione può essere dovuta ad un pasto abbondante, ai FANS...
Il dolore è improvviso, violento, trafittivo, a colpo di pugnale, che dall’epigastrio si irradia in sede
precordiale, al dorso, alla spalla, a tutto l’addome, associato più o meno a vomito riflesso e chiusura
dell’alvo a feci e gas.
La Palpazione dell’addome provoca dolore e contrattura di difesa addominale, lignea.
La Percussione evidenzia una riduzione o scomparsa dell’aia di ottusità epatica dovuta al
pneumoperitoneo che all’Rx dell’addome senza m.d.c. si presenta come una bolla gassosa detta
“falce aerea sottodiaframmatica”, dovuta alla presenza di aria libera nel cavo peritoneale.
Nei casi dubbi è utile l’esplorazione laparotomica.
La Terapia è chirurgica d’urgenza: applicazione del sondino naso-gastrico, antibioticoterapia,
lavaggio peritoneale, sutura della lesione per via laparoscopica.
La Stenosi si verifica nel 3-4% dei casi di ulcera peptica, spesso localizzata al piloro o alla prima
porzione duodenale. La stenosi può essere:
- stenosi funzionale da edema e spasmo duodenale con ostacolo al transito, ristagno gastrico e
vomito, risolvibile con la terapia medica.
- stenosi organica più grave dovuta ad episodi ripetuti di cicatrizzazione dell’ulcera con alterazione
della parete e coartazione progressiva fino a impedire la comunicazione tra stomaco e duodeno, per
cui lo stomaco non si svuota più completamente, si ha un senso di tensione epigastrica, pirosi,
vomito di residui alimentari ingeriti da alcuni giorni prima.
Per cui si ha < appetito, calo ponderale, dolore crampiforme tardivo che cessa solo col vomito
abbondante, lenta disidratazione con alcalosi metabolica ipocloremica ed ipopotassiemica.
All’Rx dell’addome si nota una notevole dilatazione dello stomaco con iperperistaltismo nelle fasi
iniziali per cercare di superare l’ostacolo, poi si ha atonia gastrica con onde peristaltiche
insufficienti e volume gastrico enorme tale da occupare buona parte della cavità addominale.
L’Endoscopia è utile per confermare la dilatazione dello stomaco e perché grazie alla biopsia si
dimostra la natura cicatriziale o tumorale della stenosi.
La TERAPIA è chirurgica: si applica il sondino naso-gastrico per ripulire lo stomaco del suo
contenuto per evitare problemi di polmonite ad ingestis durante il vomito e si corregge lo squilibrio
idro-elettrolitico e calorico.
L’intervento si basa sulla vagotomia + drenaggio oppure vagotomia + resezione, mentre nei pz ad
alto rischio si ricorre alla gastro-entero-anastomosi.
La Cancerizzazione si verifica solo nel 2% circa dei casi di ulcera gastrica, mentre l’ulcera
duodenale non cancerizza mai.
La diagnosi di certezza è data dalla biopsia endoscopica multipla su vari frammenti prelevati dai
bordi e fondo dell’ulcera, associata alla citologia su spazzolato.
La TERAPIA è chirurgica, ampiamente demolitiva.

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L’ULCERA da STRESS è responsabile della gastrite acuta emorragica con < resistenza mucosa, <
flusso ematico a livello della mucosa e < dei fattori neutralizzanti gli H+, raramente si ha
ipersecrezione acida, nel 50% dei casi si ha alterazione della barriera mucosa con
retrodiffusione idrogenionica dovuta alla flogosi della parete.
Tra le Complicanze abbiamo l’emorragia digestiva per interessamento dei vasi parietali fino allo
shock ipovolemico. La Diagnosi avviene mediante l’esame endoscopico.

TUMORI dello STOMACO

I tumori dello stomaco sono distinti:


 tumori benigni: il più frequente è il polipo o adenoma, mentre leiomioma, schwannoma,
mioma, fibroma, angioma sono più rari.
 tumori maligni: il carcinoma gastrico è il più frequente mentre linfomi, sarcomi e maltomi
sono più rari.
I POLIPI o ADENOMI sono tumori benigni di natura epiteliale, spesso localizzati a livello
dell’antro pilorico, possono essere sessili cioè con base di impianto grande e peduncolo corto,
oppure peduncolati cioè con base di impianto piccola e peduncolo molto lungo.
Possono essere asintomatici, scoperti casualmente mediante un esame endoscopico richiesto per
altri motivi, oppure sintomatici soprattutto nel caso di polipi con peduncoli molto lunghi perchè
l’onda peristaltica spinge il polipo oltre il piloro, con difficoltà a ritornare indietro, provocando
un’ostruzione a livello del piloro. Raramente si tratta di tumori sanguinanti con melena ed
ematemesi. Si interviene chirurgicamente.

CARCINOMA GASTRICO
Il CARCINOMA GASTRICO è un tumore maligno dello stomaco di natura epiteliale che
colpisce soprattutto soggetti di sesso M con rapporto M/F = 3/1 ed età compresa tra i 50-70 aa, è più
diffuso in Giappone e altri paesi orientali, mentre è più raro nei Pesi Occidentali dove rappresenta la
35^ causa di morte per cancro nonostante la sua incidenza sia in costante declino.
In Italia l’incidenza è di ~ 32 nuovi casi/100000 abitanti/anno.
I FATTORI di RISCHIO sono:
 fattori dietetici: eccessivo consumo di carne e pesce affumicati e conservati sotto sale, alimenti
ipoproteici e ricchi di grassi, dieta povera di frutta e verdura (antiossidanti).
 probabile azione oncogena delle nitrosamine che si formano nello stomaco in seguito all’azione di
germi in ambiente acido a partire dai nitrati alimentari e nitriti usati come conservanti.
 fattori ambientali: fumo di sigaretta, cancerogeni professionali cioè carbone, nichel, amianto.
 fattori ereditari: anamnesi familiare + per carcinoma gastrico soprattutto nei soggetti che
presentano lesioni precancerose, maggiore insorgenza nei gemelli omozigoti, nei pz affetti da
sindrome di Linch tipo II, e presenza di alterazioni genetiche predisponenti come l’attivazione
del gene cMET e l’inattivazione del gene p53.
 precancerosi gastriche distinte in lesioni precancerose e condizioni precancerose:
Le lesioni precancerose sono alterazioni tissutali più o meno evolute verso il cancro, come la
displasia che è un’alterazione citologica cioè della forma, dimensioni, rapporto nucleo/citoplasma,
attività mitotica, grado di differenziazione cellulare, distinta in displasia lieve e moderata che deve
essere tenuta sottocontrollo mediante una biopsia ogni 6 mesi, e displasia grave che deve essere
trattata subito chirurgicamente.
Le condizioni precancerose sono alterazioni tissutali che hanno maggiore tendenza a sviluppare
un cancro rispetto ad un tessuto sano, tra cui abbiamo:
─ ulcera peptica gastrica (2%), poliposi gastrica.
─ pz gastroresecati per ulcera peptica con tecnica di Billroth II sviluppano il cancro del moncone
residuo dopo 10-15 anni dal trattamento nel 6-10% dei casi, in seguito a reflusso biliare dall’ansa
afferente con gastrite cronica atrofica e displasia di grado variabile che sono precancerosi gastriche,
per cui i gastroresecati devono essere monitorati mediante endoscopia e biopsie 1 volta ogni 2-3 aa.

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─ gastrite cronica atrofica: flogosi cronica con scomparsa progressiva delle ghiandole presenti
nella mucosa gastrica che va in contro a metaplasia intestinale, displasia epiteliale fino alla
cancerizzazione. Si fa una distinzione tra gastrite cronica atrofica di tipo A che interessa la mucosa
acido-peptica del fondo-corpo gastrico determinando iposecrezione acida (ipoacloridria), anemia
perniciosa da deficit della sintesi del fattore intrinseco FI importante per l’assorbimento della vit-
B12 di natura autoimmune cioè da Ab anticellule parietali e Ab anti-FI e gastrite cronica
atrofica di tipo B che interessa l’antro favorita dal reflusso biliare alcalino e infezioni da
Helicobacter pylori con ipersecrezione acido-peptica.
L’Helicobacter pylori è un batterio Gram– che colonizza la mucosa gastrica provocando una
gastrite cronica superficiale fino all’atrofia della mucosa con metaplasia intestinale ad alto
rischio di cancerizzazione, per cui è importante il controllo con endoscopia ed esame istologico e
l’eradicazione dell’Helicobacter pylori con antibiotico terapia.
─ gastropatia ipertrofica o malattia di Menetriere: caratterizzata da ipertrofia della mucosa
gastrica, soprattutto a livello antrale, colpendo la componente ghiandolare o epiteliale, con
ipocloridria e proteino-dispersione, ha una degenerazione maligna nel 20 % dei casi.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO (istopatologico) si tratta di un adenocarcinoma che
nel 51% dei casi interessa il piloro e antro pilorico, poi corpo gastrico, piccola curvatura, cardias
(7%) e raramente la grande curvatura e viene distinto in carcinoma precoce o Early Gastric Cancer
e carcinoma gastrico avanzato.
Il CARCINOMA GASTRICO PRECOCE o EARLY GASTRIC CANCER è una forma superficiale,
che interessa mucosa e sottomucosa gastrica e indipendentemente dalla presenza o meno di
metastasi linfonodali, ha una prognosi favorevole con sopravvivenza a 5 anni dopo trattamento
in oltre il 90% dei casi, infatti, la mucosa e sottomucosa gastrica presentano una ricca rete linfatica
e possiamo avere metastasi linfonodali sin dalle fasi iniziali rispettivamente nel 4% e 20% in caso di
interessamento della tonaca mucosa e sottomucosa.
E’ un tumore a crescita lenta, con tempo di raddoppiamento della massa tumorale che oscilla
tra i 2 e i 10 anni e recidive tardive rispetto al carcinoma gastrico avanzato.
Quindi è molto importante la Prevenzione Primaria evitando i fattori di rischio, soprattutto
dietetici, eradicazione dell’Helicobacter pylori, e la Prevenzione Secondaria come in Giappone
dove tutti i soggetti con età > 40 anni sono sottoposti a screening mediante un esame endoscopico,
biopsie con esame citologico e istologico, Rx a doppio contrasto, mentre in Italia lo screening è
riservato solo ai soggetti ad alto rischio cioè pz con età > 40 anni con sintomatologia gastrica,
gastroresecati per un’ulcera gastrica, pz affetti da ulcera gastrica, polipi adenomatosi, gastrite
cronica atrofica e soggetti predisposti con anamnesi familiare + per carcinoma gastrico.
L’early gastric cancer in genere ha un Ø < 2 cm, raramente si tratta di forme voluminose con 8-10
cm di Ø. Esistono 3 forme macroscopiche, cioè:
 tipo I o esofitico: si sviluppa nel lume gastrico puó essere di aspetto polipoide, nodulare o villoso.
 tipo II superficiale distinto nei sottotipi elevato, piano o depresso.
 tipo III ulcerato o escavato: molto frequente con lesioni ulcerose spesso multiple.
I Sintomi spesso sono assenti, altre volte sono aspecifici cioè sensazione di peso epigastrico,
dolenzia, eruttazioni, difficoltà nella digestione.
La Diagnosi si basa sulla gastroscopia con biopsie multiple delle lesioni.
La Terapia si basa sulla Resezione Mucosa Endoscopica (EMR), resezione combinata
endoscopica-laparoscopica-laparotomica della parete dello stomaco, laserterapia.
Il CARCINOMA GASTRICO AVANZATO per definizione è un tumore che ha superato la
sottomucosa e infiltrato la tonaca muscolare, sottosierosa, sierosa e strutture adiacenti.
Dal punto di vista Anatomo Patologico macroscopico abbiamo Classificazione di Borrmann
con distinzione tra una forma ulcerata, vegetante e infiltrante:
─ forma ulcerata: si presenta come una massa fungoide più o meno voluminosa con ulcerazione
crateriforme a margini duri e rilevati, più o meno profonda nella parete gastrica, raramente
raggiunge la sierosa e i visceri contigui, come fegato e pancreas. E’ una forma friabile (si rompe in
tanti frammenti) responsabile di emorragia occulta, raramente massiva.

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─ forma vegetante: si presenta come una vegetazione superficiale di tipo polipoide, piccolo oppure
a cavolfiore, più voluminoso ma raramente interessa tutto lo stomaco.
─ forma infiltrante: tende ad infiltrare la parete gastrica che è ispessita e rigida.
Dal punto di vista Istologico abbiamo la Classificazione di Lauren con distinzione tra:
─ forma di tipo intestinale con cellule neoplastiche che crescono espandendosi nella mucosa
gastrica, corrispondente alla forma espansiva della classificazione di Ming, con prognosi buona.
─ forma di tipo diffusa costituito da cellule piccole ad anello con castone che infiltrano tutta la
parete gastrica, dotate di scarsa adesione cellulare per cui si diffondono a distanza dalla massa
tumorale primitiva, corrispondente alla forma infiltrativa secondo la classificazione di Ming, con
prognosi sfavorevole.
Il carcinoma gastrico può Diffondersi:
─ per continuità a tutta la parete gastrica.
─ per contiguità al pancreas, fegato, mesocolon trasverso... e per via transcelomatica al peritoneo
con conseguente carcinosi peritoneale, ascite più o meno evidente.
─ per via linfatica alle stazioni linfonodali di I, II, III, IV livello.
─ per via ematica: attraverso la vena porta si hanno metastasi epatiche e superando il filtro epatico
si hanno metastasi polmonari, ossee, cerebrali.
Dal punto di vista chirurgico le stazioni linfonodali sono distinte in 4 livelli:
 linfonodi di I livello o perigastrici: linfonodi pericardiali, della piccola e grande curvatura, sovra
e infrapilorici.
 linfonodi di II livello o extragastrici: linfonodi dell’ilo splenico, arteria gastrica sx, arteria
epatica comune, arteria splenica, pancreatico-duodenali anteriori e posteriori, periesofagei.
 linfonodi di III livello: linfonodi della regione retropancreatica, arteria mesenterica superiore e
inferiore, tripode celiaco.
 linfonodi di IV livello: linfonodi intra-aorto-cavali.
I SINTOMI sono molto vaghi e aspecifici cioè perdita di peso, digestione lunga e laboriosa con
senso di sazietà precoce, perdita di appetito, anoressia, senso di peso epigastrico. Inoltre,
singhiozzo per interessamento del nervo frenico in caso di neoplasia del fondo gastrico, disfagia in
caso di neoplasie del cardias, stenosi e vomito post-prandiale in caso di neoplasie del piloro,
mentre in caso di neoplasie di tipo ulcerative abbiamo soprattutto pirosi, anemia sideropenica da
sangue occulto, raramente emorragia massiva con ematemesi e melena. Spesso la diagnosi è
tardiva in presenza di metastasi con dolori alle ossa, comparsa del segno di Concato-Troisier cioè
palpazione di una tumefazione linfonodale dura in sede sovraclaveare sx, dolore addominale,
epatomegalia, ascite da carcinosi peritoneale e ittero.
La DIAGNOSI del carcinoma gastrico si basa su:
 EGDS: per la diagnosi precoce del carcinoma gastrico sin dalle fasi iniziali, eseguendo delle
biopsie multiple con esame citologico e istologico per la diagnosi di certezza e nei centri
specializzati l’Ecografia endoscopica per la stadiazione locale della neoplasia.
 Rx con pasto baritato con tecnica a doppio contrasto utile solo nelle fasi avanzate: rigidità e
deformazioni della parete gastrica, rottura delle pliche gastriche, difetti di riempimento nelle
forme vegetanti (immagini di minus), immagine di plus nelle forme ulcerate, incontinenza o
stenosi pilorica, stenosi cardiale.
 Esami di Laboratorio: markers tumorali (CEA, AFP, Ca19.9) utili per il follow-up post-
operatorio per valutare la ripresa della neoplasia.
Per la stadiazione della neoplasia sono utili ETG addominale, TC torace, addome e cranio per
valutare la presenza di metastasi linfonodali e a distanza, esplorazione laparoscopica con
biopsie mirate a livello della sierosa peritoneale.
Per la stadiazione abbiamo la Classificazione TNM:
─ Tis: carcinoma intraepiteliale in situ.
─ T1: invasione della lamina propria della mucosa e/o sottomucosa (early gastric cancer).
─ T2: invasione della tonaca muscolare e la sottosierosa.
─ T3: invasione della sierosa senza interessare le strutture adiacenti.

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─ T4: infiltrazione delle strutture adiacenti cioè milza, colon trasverso, fegato, diaframma,
pancreas, tenue, retroperitoneo, reni e surreni.
─ N0: non ci sono metastasi ai linfonodi.
─ N1: metastasi ai linfonodi di I livello perigastrici entro 3 cm dai margini del tumore.
─ N2: metastasi ai linfonodi perigastrici oltre 3 cm dai margini del tumore, fino ai linfonodi di
II livello extragastrici.
─ M0: non ci sono metastasi a distanza.
─ M1: presenza di metastasi epatiche, polmonari, ossee, peritoneali, cerebrali...
La PROGNOSI dipende dalla sede del tumore, tipo istologico, stadio della neoplasia.
La TERAPIA è chirurgica radicale nelle forme localizzate associata a radio–chemioterapia
adiuvante con possibilità di sopravvivenza a 5 aa nel 70% dei casi.
La Chirurgia Radicale (laparotomia) prevede una fase demolitiva e una ricostruttiva.
Nella Fase Demolitiva si esegue la gastrectomia totale con linfoadenectomia estesa: è
necessaria la manovra di Kocker liberando la C duodenale dalla testa del pancreas, scheletrizzando
la 1^ porzione duodenale, asportando i linfonodi peripancreatici e retropilorici, si esegue la
transezione del duodeno ad un paio di cm dal piloro e la transezione dell’esofago ad un paio di cm
dal cardias.
La Fase Ricostruttiva è importante per la ricanalizzazione del tubo digerente:
 anastomosi esofago-duodenale termino-terminale: non è più usata perché provoca l’esofagite
da reflusso alcalino.
 anastomosi esofago-digiunale termino-laterale su ansa ad Ω con anastomosi latero-laterale
al piede dell’ansa secondo Hoffman-Sweet con esclusione del duodeno dalla ricanalizzazione.
 esofago-digiuno-duodeno plastica secondo Longmire o plastica dell’ansa digiunale
interposta: si interpone un’ansa digiunale tra esofago e duodeno consentendo di ripristinare il
transito duodenale: è la tecnica migliore, cioè si tratta di un autotrapianto in cui si seziona l’ansa
digiunale lungo il peduncolo della 4^ arcata vascolare, perché è l’ansa più lunga (20-25 cm) che
arriva facilmente in alto, passando dalla sede sottomesocolica a quella sovramesocolica attraverso
un occhiello ricavato nel mesocolon, eseguendo l’anastomosi esofago-digiunale termino-terminale
a monte e l’anastomosi digiuno-duodenale termino-terminale a valle (Treitz).
Col passare del tempo si ha un > del Ø dell’ansa digiunale sostituendo in parte la fx di serbatoio
dello stomaco, mentre gli ingesti che giungono nel duodeno continuano a stimolare i meccanismi
neurormonali e i riflessi neurovegetativi, e la peristalsi impedisce l’esofagite da reflusso alcalino.
In caso di anomalie vascolari o altri problemi si ricorre all’anastomosi esofago-digiunale termino-
laterale su ansa alla roux con estremo prossimale collegato al duodeno, detta anastomosi ad Y:
una parte degli ingesti affluisce al duodeno percorrendo l’ansa digiunale in senso antiperistaltico,
mentre la maggior parte degli ingesti passa nel digiuno. Se almeno il 20-30% degli ingesti prende la
via del duodeno si ritiene accettabile la digestione e ciò viene dimostrato mediante un Rx con
m.d.c..
Le anastomosi si eseguono mediante le Suturatrici Meccaniche o Stappler realizzando una
corona di punti metallici, messi a distanza regolare, che è a basso rischio di deiscenza, rinforzata da
punti di sutura manuali o dal tissucol cioè una colla di fibrina umana per una maggiore sicurezza.
Per scegliere l’ansa intestinale migliore da poter anastomizzare all’esofago si ricorre alla tecnica
della transilluminazione: si spengono tutte le luci della sala operatoria ad eccezione della luce
mobile posta sul letto operatorio che viene messa contro l’intestino in modo da scegliere il
segmento di ansa digiunale che ha il miglior profilo vascolare.
In caso di tumori in fase avanzata, inoperabili, la terapia è palliativa sintomatica mediante
laserterapia o elettrofotocoagulazione con YAG laser e Argon laser o endoprotesi in caso di
stenosi, radio e chemioterapia.
Il Linfoma Gastrico è un tumore maligno di origine linfoide che origina dalla mucosa gastrica
ricca di tessuto linfatico e si diffonde a tutta la parete gastrica, ai linfonodi regionali, linfonodi sovra
e sottodiaframmatici, e si dissemina in altri visceri. Può essere di tipo polipoide, ulcerato o

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infiltrante. In genere si tratta di linfomi primitivi non Hodgkin, in particolare si tratta di un
maltoma cioè di un linfoma a grandi cellule B derivante dal tessuto linfoide associato alle
mucose (MALT Mucosa Associated Lymphoid Tissue) che rappresenta il 50% di tutti i linfomi
gastrici con picco di incidenza intorno ai 50 anni, spesso associato all’infezione da Helicobacter
pylori.
I Sintomi sono sovrapponibili al carcinoma gastrico per cui la diagnosi di certezza avviene solo
mediante Endoscopia con biopsia ed esame cito-istologico.
La Terapia è chirurgica con gastrectomia totale associato alla radio-chemioterapia.
DUODENO
Il Duodeno è quella parte dell’intestino, lunga ~ 30cm, Ø 47 mm, che origina a livello della L1 a dx
della linea mediana, facendo seguito al piloro, terminando a sx della L3 con la flessura duodeno-
digiunale, continuandosi con il digiuno.
Ha la forma di una C, cioè di un anello incompleto, aperto in alto che abbraccia con la sua concavità
la testa del pancreas.
Può essere suddiviso in 4 porzioni, cioè porzione superiore, discendente, orizzontale e ascendente.
La porzione superiore è la parte mobile del duodeno, origina con il bulbo duodenale e comunica
con la parte discendente mediante la flessura superiore del duodeno. E’ rivestita dal peritoneo ad
eccezione della zona dove si inserisce il legamento epato-duodenale.
Le altre porzioni del duodeno sono fisse e sono rivestite dal peritoneo solo sulla faccia anteriore.
Nella porzione discendente sboccano il dotto pancreatico accessorio del Santorini e più
caudalmente sboccano nella papilla di Vater il dotto coledoco e il dotto pancreatico principale di
Wirsung.
La porzione discendente è incrociata trasversalmente dalla radice del mesocolon trasverso, per cui si
ha un segmento sovramesocolico e uno sottomesocolico.
La porzione orizzontale incrocia l’aorta addominale e la vena cava inferiore ed è scavalcata dalla
vena e dalla arteria mesenterica superiore.
La porzione ascendente è l’ultima parte del digiuno che si porta dal basso verso l’alto
continuandosi con il digiuno mediante l’angolo duodeno-digiunale di Treitz.
I mezzi di fissità del duodeno sono: il peritoneo parietale, il dotto coledoco e i dotti pancreatici, i
vasi mesenterici superiori, il legamento di Treitz che fissa l’angolo duodeno-digiunale al
diaframma.
La parete del duodeno presenta la tonaca mucosa, muscolaris mucosae, tonaca sottomucosa
costituita da tessuto connettivo lasso, tonaca muscolare costituita da uno strato esterno
longitudinale e uno strato interno circolare, tonaca sierosa peritoneale riveste in parte il duodeno.
La vascolarizzazione arteriosa si deve all’arteria pancreatico-duodenale superiore, ramo
dell’arteria gastro-duodenale, all’arteria pancreatico-duodenale inferiore, ramo dell’arteria
mesenterica superiore.
Le vene pancreatico-duodenali superiore e inferiore sono tributarie della vena porta.
Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi pancreatico-duodenali, linfonodi dell’arteria epatica,
linfonodi dell’arteria mesenterica superiore e linfonodi periaortici.
Il duodeno ha il compito di accogliere il chimo acido che proviene dallo stomaco, il secreto biliare e
pancreatico.
Le cellule epiteliali secernono degli ormoni importanti per la regolazione della secrezione biliare e
pancreatica cioè nel duodeno viene regolato il processo digestivo:
- polipeptide inibitore gastrico GIP (enterogastrone) che inibisce la motilità e la secrezione acida a
livello gastrico.
- secretina che stimola la secrezione pancreatica dei bicarbonati.
- colecistochinina che stimola la secrezione enzimatica del pancreas ed eccita la contrazione della
cistifellea favorendone lo svuotamento.
- gastrina che stimola la secrezione gastrica.

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I Diverticoli del Duodeno sono molto frequenti dopo quelli del colon, distinti in congeniti e
acquisiti, spesso sono unici e localizzati a livello della parete mediale della porzione discendente,
raramente interessano le altre porzioni.
In genere, sono asintomatici, altre volte provocano dolore modesto, senso di peso post-prandiale,
nausea, meteorismo, diarrea saltuaria, ma si tratta di sintomi che si manifestano solo quando lo
svuotamento del diverticolo è difficoltoso e > di volume.
Altre volte si ha ittero ostruttivo, colangite, raramente pancreatite ostruttiva se il diverticolo è
localizzato alla papilla di Vater.
La sintomatologia diventa spiccata in caso di complicanze, come la diverticolite, la perforazione del
diverticolo con peritonite, shock settico, fistolizzazione nel colon o nella cistifellea, emorragia
microscopica o macroscopica più rara.
La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco osservando la presenza di una estroflessione della
parete, di dimensioni variabili e forma grossomodo rotondeggiante e sull’EGDS.
La TERAPIA dipende dalla sintomatologia che provoca il diverticolo e dalla presenza delle
complicanze che possono richiedere anche un trattamento chirurgico d’urgenza.
I Tumori del duodeno sono distinti in benigni e maligni.
Tra i Tumori Benigni abbiamo gli adenomi o polipi di natura epiteliale, unici o multipli, distinti in
tubulari o semplici, villosi e misti (lesioni precancerose), il leiomioma, il fibroma, il lipoma,
l’angioma di natura mesenchimale, ma rari.
Spesso sono asintomatici, raramente provocano dispepsia, dolore, emorragia macro o microscopica,
coliche biliari e ittero ostruttivo se il tumore è in sede peripapillare.
La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco osservando immagini di minus rotondeggianti, a
margini netti e regolari, ma soprattutto sull’endoscopia valutando sede, dimensioni, eseguendo
biopsie mirate.
Tra i Tumori Maligni il più importante e frequente è l’adenocarcinoma, meno frequenti sono i
linfomi non-Hodgkin. Spesso si tratta di tumori secondari cioè dovuti ad altre neoplasie, come il
carcinoma della testa del pancreas o del colon.
L’adenocarcinoma spesso è localizzato in sede sottopapillare (57%), altre volte in quella
peripapillare (32%)e soprapapillare (7%)
I SINTOMI sono dispepsia, anemia sideropenica, calo ponderale, mentre in caso di stenosi
duodenale si ha vomito biliare e dolore epigastrico crampiforme se il tumore è sottopapillare,
mentre nel caso del tumore peripapillare si ha ittero ostruttivo.
La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco immagini di minus a margini irregolari, pareti
duodenali rigide, endoscopia con biopsia mirata valutando sede, dimensioni e presenza di tumori di
piccole dimensioni sfuggiti alla radiografia, TAC e RMN per stabilire se il tumore è di origine
intestinale oppure se origina da altre sedi e per valutare la diffusione alle strutture circostanti.
La TERAPIA è chirurgica radicale con ampia resezione associata a linfoadenectomia estesa.
Se il tumore interessa il bulbo duodenale o l’inizio della porzione discendente si esegue la resezione
gastrica distale secondo Billroth II.
Se il tumore interessa la porzione orizzontale e ascendente si esegue una larga duodenostomia dopo
la derotazione intestinale (caratteristica della vita fetale).

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INTESTINO TENUE MESENTERIALE
L’intestino tenue mesenteriale è la parte più lunga dell’intestino (~ 7 m), inizia a livello
dell’angolo duodeno-digiunale e termina nella fossa iliaca dx dove sbocca nel cieco mediante la
valvola ileo-cecale. é costituito da 2 porzioni: il digiuno lungo 2-3 m e l’ileo lungo 3-4 m circa.
Si parla di piccolo intestino o intestino tenue mesenteriale perché è compreso nello spessore del
margine libero di un’ampia piega di peritoneo detta mesentere che si porta dalla parete posteriore
dell’addome al margine anteriore dell’intestino tenue, ecco perché il tenue è dotato di una certa
motilità con formazione di numerose anse o circonvoluzioni ad andamento flessuoso che formano la
matassa intestinale, al di sotto del colon trasverso e mesocolon trasverso fino alla pelvi.
La parete del tenue è costituita dalla tonaca mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa.
La tonaca mucosa è rivestita da epitelio cilindrico monostratificato con cellule caliciformi
mucipare, ha un aspetto vellutato perché è ricca di villi intestinali dove si aprono le ghiandole
intestinali tubulari semplici o cripte di Galeazzi.
La cellula enterica o enterocita ha 2 funzioni: assorbimento delle sostanze nutritive che avviene a
livello dei villi e secrezione di enzimi proteolitici, lipolitici, glicolitici, mucina...che avviene a
livello delle ghiandole. In ogni villo penetra un vaso linfatico che è deputato all’assorbimento dei
grassi digeriti o chilo, in modo che questi giungano al dotto toracico e al grande circolo.
Per cui la rete capillare sanguigna assorbe zuccheri, acqua, amminoacidi, il 30% dei grassi e li
trasporta al fegato mediante il sistema della vena porta, a partire dalla vena mesenterica superiore.
La mucosa presenta dei rilievi o pieghe circolari o valvole conniventi di Kerking, i noduli
linfatici solitari nel digiuno e i noduli linfatici aggregati o placche di Peyer nell’ileo, responsabili
della produzione delle IgA secretorie, importanti per la difesa antibatterica e antivirale.
La tonaca sottomucosa è costituita da connettivo lasso ricco di vasi sanguigni e di reti nervose.
La tonaca muscolare presenta uno strato esterno longitudinale e uno strato interno circolare,
responsabile della motilità del tenue per mescolare e far progredire le sostanze digerite.
La tonaca sierosa peritoneale è rappresentata dal mesotelio e da uno strato di connettivo
sottomesoteliale.
La vascolarizzazione arteriosa è data dalle arterie intestinali, rami collaterali dell’arteria
mesenterica superiore, che si anastomizzano formando 4-5 arcate.
Dall’ultima arcata nascono le arterie rette che sono terminali, vascolarizzano la parete intestinale
raggiungendo la tonaca mucosa dove formano i vasellini arteriosi che si distribuiscono alle
ghiandole intestinali, ai villi e ai noduli linfatici.
La vascolarizzazione venosa si deve alle vene intestinali che confluiscono nella vena mesenterica
superiore e da qui nella vena porta.
I vasi linfatici sono satelliti dei vasi sanguigni con ricca rete linfatica nelle varie tonache.
L’innervazione spetta alle fibre parasimpatiche provenienti dal nervo vago e alle fibre
ortosimpatiche provenienti dal 5-8° segmento toracico del midollo spinale.
Si portano al plesso celiaco raggiungendo l’intestino tenue mediante il plesso mesenterico superiore
che nello spessore della parete intestinale forma il plesso sottosieroso, il plesso sottomucoso di
Meissner e il plesso mienterico di Auerbach.
Il parasimpatico stimola la motilità intestinale e la secrezione, mentre l’ortosimpatico la inibisce,
così come avviene nello stomaco.

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DIVERTICOLI del TENUE
I diverticoli del tenue sono rappresentati dal DIVERTICOLO di MECKEL che è una malattia
congenita dovuta alla mancata involuzione del dotto vitellino o onfalo-mesenterico che
nell’embrione mette in comunicazione la parte intracelomatica dell’intestino con la vescicola
ombelicale.
Si tratta di un diverticolo unico che in genere si sviluppa sul bordo antimesenterico dell’ileo a circa
50-70 cm dalla valvola ileo-cecale, come un estroflessione a dito di guanto più o meno lunga e
fluttuante. Altre volte si presenta come una estroflessione a cuneo oppure si presenta come una
estroflessione molto estesa.
In genere, il diverticolo di Meckel è asintomatico ed è scoperto casualmente mediante un esame
radiologico richiesto per altri motivi, oppure in occasione di un intervento chirurgico per altre
patologie.
Nel 30-40% dei casi il diverticolo di Meckel va incontro ad alcune COMPLICANZE, cioè
diverticolite, ulcera peptica diverticolare, occlusione intestinale, strangolamento erniario, raramente
cancerizzazione.
La diverticolite è la complicanza più frequente dovuta all’infezione del diverticolo in seguito al
ristagno del materiale intestinale nella sacca diverticolare, che può essere di natura catarrale,
suppurativa, flemmonosa, gangrenosa, perforativa, come nel caso dell’appendicite, provocando
dolore periombelicale e sintomi sovrapponibili all’appendicite acuta, cioè nausea, vomito, ileo
paralitico e febbre.
L’occlusione intestinale si ha in seguito alla torsione del diverticolo lungo il proprio asse oppure
alla torsione dell’intestino sul diverticolo con occlusione di tipo meccanica o all’invaginazione del
diverticolo (ileo meccanico).
L’ulcera peptica diverticolare si deve alla presenza di isole eterotopiche di mucosa gastrica
acido-secernente e si manifesta con dolore post-prandiale in sede periombelicale ed epigastrica,
fino ad andare incontro ad emorragie o perforazione del diverticolo con addome acuto, peritonite e
morte del pz se non si interviene subito.
Lo strangolamento erniario si verifica se il diverticolo penetra in un sacco erniario inguinale con
conseguente strangolamento.
Le complicanze si verificano soprattutto se il diverticolo insorge sul versante antimesenterico dove
la parete è più sottile, può facilmente infiammarsi e perforarsi.
La DIAGNOSI si basa sull’Rx che evidenzia una estroflessione allungata a livello del margine
libero dell’ileo terminale.
La TERAPIA è chirurgica:
- in caso di estroflessione a dito di guanto si ricorre ad una semplice resezione con tecnica simile
alla appendicectomia: viene legato con un laccio alla base, tagliato e affondato, come se si trattasse
di una appendicite.
- in caso di estroflessione a cuneo si ricorre alla resezione con sezione cuneiforme del bordo
intestinale su cui è impiantato il diverticolo.
- in caso di estroflessione molto estesa e presenza di complicanze si ricorre alla resezione dell’ansa
intestinale con anastomosi termino-terminale.

92
INSUFFICIENZA VASCOLARE CRONICA CELIACO MESENTERICA
(claudicatio mesenterica)

L’Insufficienza vascolare cronica celiaco mesenterica è una sindrome causata da un insufficiente


apporto di sangue soprattutto alle prime anse digiunali che può essere dovuta:
 cause estrinseche: tumori del pancreas o dello stomaco, metastasi linfonodali, tumori
retroperitoneali che comprimono i vasi provocando l’insufficienza vascolare.
 cause intrinseche: sono più importanti, in particolare l’aterosclerosi del tronco o tripode celiaco,
arteria mesenterica superiore o inferiore, le arteriopatie non aterosclerotiche associate a Lupus
Eritematoso Sistemico (LES), artrite reumatoide, arteriti e aneurismi.
Un’altra causa è il cosiddetto “furto aorto-iliaco”: in presenza di una trombosi aorto-iliaca che
all’origine dell’arteria mesenterica inferiore o di una ostruzione dell’arteria mesenterica superiore,
si crea un circolo collaterale intermesenterico tra l’arcata di Riolano e l’arcata di Drummond che a
sua volta forma un circolo collaterale con il territorio delle arterie ipogastriche e delle arterie
femorali. Attraverso questo circolo collaterale avviene un furto o diversione di sangue agli arti
inferiori, soprattutto nella deambulazione (camminata) e in caso di coma, peggiorando l’ischemia
celiaco-mesenterica e i sintomi.
Il furto si può verificare anche dopo interventi chirurgici aorto-iliaci per il ripristino del circolo
periferico: in presenza di una ischemia celiaco-mesenterica compensata da un circolo collaterale, il
furto di sangue dall’aorta agli arti inferiori, può mettere in crisi il compenso idrodinamico
intestinale.
I SINTOMI sono: dolore epigastrico od ombelicale o iliaco, gravativo o crampiforme post-
prandiale, che dura 1-3 h, poi si attenua e scompare. Se l’ischemia peggiora si ha dolore continuo e
in caso di furto aorto-iliaco compare o si accentua con il movimento degli arti inferiori.
Inoltre, si ha dimagrimento, turbe dell’alvo con crisi diarroiche iniziali, poi stipsi ostinata e
fenomeni sub-occlusivi. La sindrome può restare stazionaria per molto tempo perché si creano i
circoli collaterali, poi si aggrava con notevole dimagrimento da malassorbimento fino alla entero-
colite-ischemica con ulcerazione della mucosa ed enterorragia, stenosi intestinale, infarto
intestinale.
La DIAGNOSI si basa sull’Eco-doppler, l’arteriografia selettiva con catetere arterioso secondo la
tecnica di Seldinger per evidenziare le stenosi, ostruzioni arteriose, estensione, diffusione e
sviluppo dei circoli collaterali.
La TERAPIA dietetica e farmacologica con anticoagulanti, fibrinolitici, antispastici, analgesici,
anti-aterosclerotici, dà scarsi risultati. La terapia chirurgica dipende dalla causa e dalla sede
dell’ostruzione arteriosa. Se l’ischemia è dovuta ad una arteriopatia intrinseca si ripristina la
circolazione mediante il reimpianto vasale, endoarteriectomia e by pass con materiale autologo
(vena safena) o sintetico (Dracon) anastomizzato prossimalmente all’aorta subito sotto il diaframma
per ottenere un flusso anterogrado. Nella stenosi isolata si ricorre ad angioplastica percutanea.

93
INFARTO INTESTINALE
L’INFARTO INTESTINALE rappresenta la drammatica ed irreversibile conseguenza
dell’ischemia mesenterica acuta evoluta verso la necrosi della parete intestinale con rischio di
mortalità pari al 75-90% dei casi.
La CAUSA principale è l’Ischemia Intestinale da occlusione di natura embolica o trombotica
aterosclerotica di un’arteria principale tributaria dell’intestino con improvvisa interruzione
dell’afflusso di sangue, O2, sostanze nutrienti e notevoli danni dell’epitelio e della mucosa, fino a
fenomeni necrotico-emorragici e perforazione della parete intestinale.
L’infarto intestinale spesso si deve all'occlusione della arteria mesenterica superiore e questo
trova una giustificazione anatomica perché l’arteria mesenterica superiore nasce ad angolo acuto
dall’aorta addominale 2 cm al di sotto del tronco o tripode celiaco, passando dietro la testa del
pancreas, scavalcando la porzione orizzontale del duodeno, penetrando nella radice del mesentere e
raggiungendo la fossa iliaca dx dove si continua con l’arteria ileocolica che è un suo ramo
collaterale. Per cui anatomicamente è facile che un embolo partendo dal cuore (ventricolo sx) possa
imboccare e ostruire l’arteria mesenterica superiore, con ischemia e infarto nel territorio di
distribuzione della a.m.s. anche se una funzione vicariante può essere svolta dall’arteria colica
media, ramo collaterale dell’a.m.s. con infarto limitato ad una parte dell’emicolon dx.
L’a.m.s. è responsabile della vascolarizzazione del duodeno, tenue, colon ascendente, emicolon
trasverso dx, pancreas, attraverso i suoi rami collaterali, cioè:
- arteria pancreatico-duodenale inferiore: vascolarizza duodeno e testa del pancreas.
- arterie intestinali: rami digiunali e ileali, vascolarizzano il digiuno e l’ileo (tenue).
- arteria ileocolica: rami colici, rami cecali, arteria appendicolare e rami ileali.
- arteria colica dx.
- arteria colica media.
Alcune volte l’embolo ostruisce le arterie iliache comuni dx o sx, rami di divisione dell’aorta
addominale, fino a raggiungere i rami collaterali diretti agli arti inferiori (a. femorale), oppure
ostruisce le arterie carotidi (con interessamento del cervello), mentre è difficile che prenda la strada
delle arterie renali perché anatomicamente presentano una curva maggiore.
Altre volte interessa l’arteria mesenterica inferiore o il tronco o tripode celiaco.
L’arteria mesenterica inferiore nasce dall’aorta addominale 3-4 cm al di sopra dell’origine delle
arterie iliache comuni, terminando con l’arteria rettale o emorroidaria superiore.
L’a.m.i. è responsabile della vascolarizzazione dell’emicolon trasverso sx, colon discendente, colon
ileo-pelvico e intestino retto, attraverso i suoi rami collaterali, cioè: arteria colica sx, arterie
sigmoidee, arteria rettale o emorroidaria superiore.
Il tronco o tripode celiaco origina dalla parete anteriore dell’aorta addominale, sotto l’orifizio
aortico del diaframma, è costituito dalla arteria gastrica sx o coronaria stomacica, arteria epatica
comune e arteria lienale o splenica, per cui è responsabile della vascolarizzazione dell’esofago
inferiore, dello stomaco, duodeno, fegato, milza e pancreas.
Dal punto di vista EZIOPATOGENETICO possiamo fare una distinzione tra ischemia intestinale
occlusiva arteriosa o venosa e non occlusiva.
L’Ischemia Intestinale Occlusiva Arteriosa può essere:
- occlusione arteriosa di natura embolica tipica dei pz cardiopatici con fibrillazione, pre-IMA,
valvulopatie con stratificazioni trombotiche da cui possono staccarsi degli emboli che attraverso il
flusso sanguigno raggiungono e ostruiscono l’a.m.s... oppure dei pz diabetici, pz con ipertensione
arteriosa o patologia trombotica aterosclerotica con alterazioni dei vasi e della circolazione.
- occlusione arteriosa di natura iatrogena: arteriografia, interventi in cui si lega per sbaglio un vaso
arterioso.
- aneurisma dissecante dell’aorta di IV tipo esteso dall’arco aortico all’aorta addominale e a.m.s.
- arteriti, traumi...
L’Ischemia Intestinale Occlusiva Venosa spesso si deve ad una tromboflebite a carico della vena
mesenterica superiore, associata a flebiti del bacino e degli arti inferiori o a processi settici
addominali, oppure a trombosi della vena porta con ipertensione portale oppure dopo una
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splenectomia con trombosi della vena splenica e ipertensione portale da iperafflusso di sangue,
derivazioni spleno-renale secondo Warren, ipercoagulazione del sangue in gravidanza, abuso di
contraccettivi orali, neoplasie, deficit di antitrombina III, oppure processi infiammatori come la
peritonite, diverticolite, appendicite acuta, pancreatite, malattie infiammatorie croniche
dell’intestino, che rappresentano il 10% di tutti i casi di infarto intestinale.
L’Ischemia Intestinale Non Occlusiva o Funzionale a Basso Flusso in passato era quasi del tutto
sconosciuta, mentre oggi rappresenta oltre il 50% dei casi. Può essere di varia natura:
- natura cardiogena nei pz con gravi cardiopatie: insufficienza cardiaca, fibrillazione, pre-IMA.
- natura infettiva, come nei pz con setticemia (tifo).
- sindromi neurologiche come nei pz con meningite o mielite.
- shock ipovolemico, ipotensione arteriosa e insufficienza del circolo periferico.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO l’infarto intestinale spesso interessa l’intestino
tenue in seguito all’occlusione dell’a.m.s.. che presenta un colore rosso-cianotico, pareti ispessite,
edematose, lucenti, contenuto intestinale è abbondante, semiliquido, più o meno emorragico da
danno dell’epitelio e dei vasi capillari, nelle fasi avanzate si va incontro alla necrosi con
perforazione della parete intestinale e passaggio del materiale emorragico-purulento nel cavo
peritoneale, con peritonite acuta e shock settico. In alcuni casi si va incontro alla coagulazione
intravascolare disseminata CID con gravi danni al cuore, polmoni, reni da ipoperfusione, fino allo
shock e alla morte se non si interviene tempestivamente.
La SINTOMATOLOGIA prevede 3 stadi:
 Stadio Spastico: dolore addominale improvviso, violento da spasmi intestinali in sede epigastrica
o mesogastrica, di tipo colico, associato a vomito prima acquoso o alimentare, poi biliare e
fecaloide, diarrea da iperperistaltismo acquosa o sanguinolenta, tale da mascherare l’occlusione
paralitica delle anse colpite dall’infarto. Dopo circa 2-3 h il dolore si attenua, si ha una fase
stazionaria ma dopo circa 12 h la situazione tende a peggiorare.
 Stadio Paralitico: dolore addominale diffuso, incoercibile, persistente, resistente a qualsiasi
tipo di terapia antalgica, chiusura dell’alvo a feci e gas da assenza della peristalsi, raramente
enterorragia.
 Stadio Peritonitico da perforazione intestinale con peritonite, reazione di difesa addominale,
febbre alta, leucocitosi neutrofila, disidratazione, pessime condizioni generali del pz, morte nel giro
di 3 gg dall’inizio dei sintomi.
La DIAGNOSI prevede:
- Esame Emocromocitometrico: il pz è emoconcentrato (disidradato) con ematocrito HCT > 50-
55%. Inoltre, leucocitosi neutrofila, > VES da shock settico.
- Emogasanalisi: acidosi metabolica è l’unico segno precoce della malattia, con < pH e > pCO2 da
ipossia tissutale.
- Rx diretta addome: utile solo nelle fasi avanzate, evidenzia i livelli idro-aerei, distensione gassosa
delle anse intestinali di tipo paralitico, presenza di gas nella vena porta da necrosi intestinale.
- Arteriografia selettiva dell’a.m.s. con tecnica di Seldinger: indagine molto utile per stabilire se
l’ischemia è occlusiva o non occlusiva, valutando la gravità e la sede della lesione ischemica.
- TAC: > di volume delle anse intestinali con parete molto assottigliata, emorragia sottomucosa
con dissociazione dei tessuti, aria libera in addome.
In realtà, non c’è molto tempo a disposizione per studiare il pz perché si tratta di una situazione di
emergenza, infatti, la PROGNOSI spesso è sfavorevole con alto rischio di mortalità (75-90%) a
causa della diagnosi tardiva, uso di terapia medica inutile, lesioni irreversibili, presenza di aria nella
vena porta.
In presenza di un pz con arteriopatia nota, fibrillazione atriale e sintomi addominali evidenti,
dobbiamo subito sospettare un infarto intestinale.
La TERAPIA si basa sulla rivascolarizzazione intestinale se si interviene nella fase iniziale della
malattia che è reversibile entro 12 h dall’inizio dei sintomi: embolectomia dell’a.m.s. con catetere
di Fogarty per estrarre l’embolo, trombectomia, reimpianto delle arterie viscerali, tecniche di
by-pass aorto-mesenterico.

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Nelle fasi avanzate si ricorre a laparotomia d’urgenza con resezione del tratto intestinale colpito
(stomia temporanea e poi definitiva) associato a somministrazione di antibiotici ad ampio spettro,
ripristino delle perdite idro-elettrolitiche, eparina (anticoagulante).
Spesso è necessaria un’exeresi intestinale estesa fino al digiuno prossimale o all’ileo distale
compreso un tratto del colon dx, provocando la sindrome dell’intestino corto con grave squilibrio
metabolico da scarso assorbimento intestinale, incompatibile con la vita.

TUMORI del TENUE

I TUMORI del TENUE sono distinti in benigni e maligni, sono piuttosto rari, rappresentano
solo il 3-4% di tutte le neoplasie dell’apparato gastro-enterico.
Tra i Tumori Benigni del Tenue abbiamo gli adenomi cioè polipi e papillomi che sono i più
frequenti e importanti perché nel 7% dei casi possono andare incontro ad evoluzione carcinomatosa,
più rari sono mioma, fibroma, lipoma, angioma e neurinoma.
L’Adenoma o polipo adenomatoso si sviluppa nel lume intestinale con Ø variabile da pochi
mm ad alcuni cm, può essere peduncolato o sessile e viene distinto in tubulare o semplice,
villoso e misto, mentre più rara è la forma multipla da poliposi adenomatosa con grado di displasia
lieve, moderato o severa ad alto rischio di cancerizzazione.
In genere sono asintomatici, diventano sintomatici in caso di complicanze cioè stenosi o
ostruzione intestinale, invaginazione ileo-cecale nelle forme con peduncolo lungo, emorragia
soprattutto in caso di angiomi, adenomi e neurinomi, raramente si ha la perforazione.
I sintomi sono aspecifici cioè dolore addominale post-prandiale, melena o sangue occulto nelle
feci, anemia, alvo irregolare.
La Diagnosi non è semplice:
 Rx con tecnica a doppio contrasto e il clisma ileale: difetti di riempimento e alterazioni della
parete intestinale.
 Enteroscopia (endoscopia del tenue): consente la diagnosi del tumore solo se è localizzato nella
parte prossimale o distale del tenue, data la lunghezza del tenue.
 Arteriografia selettiva dell’a.m.s.: può essere utile in caso di angiomi sanguinanti.
La Terapia è chirurgica con resezione del tratto intestinale e anastomosi tra i monconi opposti.
Tra i Tumori Maligni del Tenue abbiamo il carcinoma di natura epiteliale, linfosarcoma,
fibrosarcoma e leiomiosarcoma di natura mesenchimale (rari).
Spesso si tratta di forme secondarie a metastasi o diffusione di neoplasie a partire da altri organi,
come utero, ovaie, colon, retto, stomaco, pancreas, con prognosi infausta.
Il Carcinoma rappresenta il 10% ~ dei tumori maligni del tenue, colpendo soprattutto soggetti con
età compresa tra i 50 e 70 aa, in particolare a livello della parte prossimale del digiuno.
I Sintomi inizialmente sono molto vaghi cioè dolore modesto e incostante, stipsi, inappetenza,
calo ponderale e anemia, poi la sintomatologia diventa più evidente soprattutto per la presenza
delle complicanze, cioè l’occlusione intestinale, emorragia, perforazione (rara).
L’Rx con pasto opaco e clisma ileale evidenzia le alterazioni della parete intestinale, i
restringimenti del lume intestinale, anche se spesso la diagnosi avviene solo in sala operatoria.
La Terapia è chirurgica con ampia exeresi, asportazione del mesentere e dei linfonodi.

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COLON

Il Colon è quella parte dell’intestino che si estende dalla valvola ileo-cecale al retto, lunga circa
1.50 m, distinto in 4 porzioni: colon ascendente, trasverso, discendente, sigmoideo o ileopelvico.
Il colon ascendente si porta dal basso in alto, dal cieco alla flessura dx del colon, dalla fossa iliaca
dx all’ipocondrio dx (12-15 cm), rivestito dal peritoneo sulla parete anteriore, laterale e mediale,
mentre la parete posteriore non è rivestita dal peritoneo perché va a rivestire la parete addominale
posteriore.
La flessura dx del colon o epatica è quel tratto del colon ad angolo acuto, posto nell’ipocondrio dx
a cui segue il colon trasverso che presenta una curva con convessità rivolta in basso e in avanti, che
si porta dall’ipocondrio dx nella parte superiore della regione mesogastrica e poi risale
nell’ipocondrio sx. Il colon trasverso è rivestito completamente dal peritoneo ed è connesso alla
parete addominale posteriore mediante un’ampia piega peritoneale detta mesocolon trasverso che
divide la cavità peritoneale in un piano sovramesocolico e in un piano sottomesocolico.
La flessura sx del colon o splenica è posta nell’ipocondrio sx continua con il colon discendente
che si porta dall’alto in basso nella fossa iliaca sx, descrivendo una piccola curva con concavità
mediale. Il peritoneo riveste il colon discendente ad eccezione della parete posteriore.
Infine, il colon ileopelvico o sigma che passa dalla fossa iliaca sx nella piccola pelvi, per cui è
distinto in colon iliaco e colon pelvico.
Il colon ha un calibro maggiore rispetto al tenue, la parete è costituita da 4 tuniche, cioè mucosa,
sottomucosa, muscolare e sierosa.
Comunque, dal punto di vista chirurgico, tenendo conto della circolazione sanguigna e linfatica, si
fa una distinzione tra colon dx e colon sx.
Il COLON DX comprende il ceco che è la parte mobile del colon dx, presenta la valvola ileo-
cecale, colon ascendente, flessura dx del colon fino al 3° prossimale del colon trasverso, che sono
fisse ai piani posteriori retroperitoneali, per cui il colon dx corrisponde al territorio di
vascolarizzazione dell’arteria mesenterica superiore i cui rami collaterali sono arteria ileo-colica,
arteria colica dx e nel 40% dei casi dall’arteria colica media.
La vascolarizzazione venosa si deve alla vena colica dx e alla vena ileo-colica che confluiscono
nella vena mesenterica superiore e da qui nella vene porta.
Il drenaggio linfatico si deve ad una ricca rete linfatica presente nello spessore della parete
intestinale, ai linfonodi epicolici intraparietali e paracolici, linfonodi del mesocolon trasverso e
linfonodi della arteria mesenterica superiore.
L’innervazione del colon dx si deve al nervo vago e al plesso celiaco.
Il COLON SX comprende il 3° distale del colon trasverso, la flessura sx del colon, il colon
discendente che sono fissi ai piani posteriori retroperitoneali e il colon ileo-pelvico o sigma che è la
parte mobile del colon sx.
Per cui il colon sx corrisponde al territorio di distribuzione dell'arteria mesenterica inferiore i cui
rami collaterali sono l’arteria colica sx che si anastomizza con l’arteria colica dx superiore
formando l’arcata di Riolano, le arterie sigmoidee e l’arteria emorroidaria o rettale superiore
che è il ramo terminale dell’a.m.i.
Questi rami collaterali si anastomizzano formando l’arcata marginale di Drummond.
Inoltre, si realizza l’arcata di Villemin tra a.m.s. e a.m.i. e l’arcata di Rio Branco tra arteria epatica
e arteria mesenterica inferiore.
Il drenaggio venoso si deve alla vena mesenterica inferiore attraverso la vena emorroidaria o
rettale superiore le vene sigmoidee e la vena colica sx, poi risale lungo l’angolo duodeno-digiunale
e dietro la testa del pancreas sboccando nella vena splenica.
Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi marginali posti tra parete intestinale e arcata marginale di
Drummond, ai linfonodi intermedi posti tra i rami di divisione dell’a.m.i. e ai linfonodi centrali
posti all’origine dell’a.m.i.
L’innervazione del colon sx si deve al plesso mesenterico inferiore e alle fibre parasimpatiche del
plesso ipogastrico o presacrale.

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Le Funzioni del colon sono: assorbimento di H2O e Sali (colon dx), formazione di feci solide,
piccoli movimenti di segmentaziome che rallentano il transito favorendo il rimescolamento del
contenuto semiliquido, grandi movimenti propulsivi o peristaltici che favoriscono il transito delle
feci verso il retto per stimolare la defecazione.
In caso di alterazione della fx del colon si può andare incontro alla stipsi o alla diarrea tipiche della
Sindrome del Colon Irritabile cioè un disturbo funzionale del colon molto diffuso in tutto il
mondo, le cause non sono ancora chiare mentre i meccanismi patogenetici sono 3: ipermotilità del
colon, abbassamento della soglia di sensibilità della parete intestinale, intervento della componente
nervosa cerebrale, cioè stress, ansia…
I sintomi principali sono diarrea, stipsi e dolore addominale (non sempre presente), per la diagnosi
sono sufficienti l’anamnesi, esame obiettivo ed Rx addome a doppio contrasto.
La stipsi si deve ad un maggiore assorbimento di H2O per un’alterazione della motilità del colon,
con spasmo o atonia muscolare. In caso di stipsi grave con mancata defecazione per alcuni gg, si ha
malessere generale, senso di peso alla testa, cefalea, irrequietezza, svogliatezza, difficoltà di
concentrazione, spasmi dolorosi, ad alto rischio di complicanze cioè diverticolosi, formazione dei
fecalomi ed emorroidi. E’ importante l’uso di agenti formanti massa, fibre, crusca, bisogna evitare i
lassativi perché sono responsabili della melanosi aggravando la colite.
La diarrea si deve ad una < assorbimento dei liquidi, > secrezione intestinale per una spiccata
attività contrattile del colon, con n° evacuazioni da 3-4 scariche/gg fino a 25-30 scariche/gg nelle
forme più gravi con conseguente disidratazione, oliguria, calo ponderale, defedamento generale.
La flora batterica del colon è abbondante con ~ 1 miliardo di batteri in un frammento di feci ed ha
proprietà di difesa e di digestione di proteine e zuccheri non completamente digeriti.

RETTO COLITE ULCEROSA

La RETTO COLITE ULCEROSA è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da lesioni


confinate alla mucosa, tendenti all’emorragia che nel 40-50% dei casi interessa il retto e si estende
al sigma, nel 30-40% dei casi si estende a monte del sigma e nel 20% dei casi interessa tutto il
colon. E’ molto diffusa in Nord Europa, Nord America e Australia, soprattutto nei soggetti con età
compresa tra i 20 e i 40 aa, raramente colpisce i bambini e soggetti di razza negra, mentre è più
frequente negli ebrei.
L’EZIOLOGIA è sconosciuta, forse è legata alle allergie alimentari, reazioni autoimmuni,
alterazioni biologiche dell’epitelio, disturbi psicosomatici...
Nel 10% dei casi ha un carattere familiare cioè colpisce diversi membri della stessa famiglia.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO le lesioni interessano il retto e si estendono
prossimalmente in modo uniforme e progressivo, non in maniera segmentaria cioè con tratti sani
alternati alle lesioni, come succede nel morbo di Crohn.
La mucosa è edematosa, di colore rosso-vivo, umida per eccesso di muco, con degenerazione
dell’epitelio superficiale e lesioni emorragiche, poi la mucosa viene ricoperta da essudato
fibrinoso-purulento al di sotto del quale si formano dei piccolissimi granuli giallastri, ricchi di
PMN, dovuti ad ascessi criptici, la cui rottura provoca la formazione di ulcere piccole e multiple
o ulcere estese e serpiginose, raramente profonde fino alla tonaca muscolare e sanguinanti.
Inoltre, si formano numerose vegetazioni polipoidi o pseudopolipi infiammatori nel tentativo di
riparare le lesioni della mucosa e che hanno scarsa tendenza a regredire.
Inoltre, nelle fasi iniziali la parete e il Ø dell’intestino sono normali, poi la parete si ispessisce per
ipertrofia della muscolatura fino a provocare una stenosi.
I SINTOMI sono:
─ diarrea a spruzzo incontenibile fino a 10-20 scariche diarroiche al giorno con espulsione di
sangue e soprattutto materiale muco-purulento, di cattivo odore, fino alla disidratazione. Alcune
volte si ha una dermite perianale, emorroidi, tenesmo rettale tra le scariche diarroiche.
─ dolore addominale crampiforme, soprattutto nella fossa iliaca sx, con meteorismo e reazione di
difesa della parete muscolare addominale che è indice di irritazione peritoneale.
─ febbre più o meno alta fino a 40°C nelle forme gravi, con > VES, leucocitosi neutrofila.
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─ aggravamento delle condizioni generali del pz con anemia sideropenica da perdita di sangue
con le feci, gravi alterazioni dell’assorbimento idro-salino e notevole perdita di proteine,
soprattutto dell’albumina e calo ponderale.
Possiamo distinguere 3 quadri clinici: forma remittente-recidivante, forma cronica e forma acuta.
 forma remittente-recidivante: rappresenta il 95% dei casi, ha un esordio subdolo, i sintomi
durano alcune settimane e scompaiono spontaneamente con fase di remissione che può durare
alcune settimane o anni, favorendo il ripristino quasi totale della mucosa del colon, ma si possono
avere delle recidive con sintomi e lesioni di entità uguale, più lievi o più gravi di quelli precedenti.
 forma cronica è caratterizzata da fenomeni di iperplasia della mucosa superstite al processo
infiammatorio e formazione di pseudopolipi costituiti da tessuto di granulazione e tessuto
connettivo, ricoperti da mucosa. Non si ha mai una completa remissione della malattia.
 forma acuta può essere una forma acuta a se stante o è una riacutizzazione di una forma
remittente-recidivante, raramente di una forma cronica.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx diretto dell’addome: dilatazione del colon notevole in caso di megacolon tossico,
pseudopolipi, alterazioni della parete, pneumoperitoneo da perforazione intestinale.
Il clisma opaco evidenzia la < del Ø intestinale, margini irregolari della parete del colon per la
presenza di pseudopolipi, immagini di plus di riempimento da ulcerazioni.
Il clisma opaco è controindicato nel megacolon tossico e in caso di perforazione.
 Colonscopia: deve essere eseguita con cautela per la fragilità della parete intestinale, si osserva
l’edema della mucosa, ulcere sanguinanti, pseudopolipi. Si possono effettuare prelievi bioptici
per la diagnosi di conferma o per individuare una displasia grave o una eventuale cancerizzazione.
Le COMPLICANZE della retto-colite sono:
 carcinoma del colon-retto nel 3-11% dei casi con rischio che > proporzionalmente alla
durata della malattia; in genere si tratta di neoplasie multifocali, piatte e difficili da
diagnosticare, metastatizzano rapidamente, per cui anche se il pz è asintomatico sono
necessarie delle colonscopie preventive con biopsie multiple ogni 15-20 cm.
 perforazione nel 2-3% dei casi.
 megacolon tossico nel 4% dei casi: è responsabile della colite ulcerosa acuta fulminante che è
una grave complicanza dovuta ad una riacutizzazione della malattia, raramente rappresenta la fase
iniziale della malattia, favorita dai medicamenti (antidiarroici), colonscopia e clisma opaco.
Il colon presenta una parete molto sottile e fragile. I sintomi sono dolori addominali intensi,
distensione addominale da meteorismo, alvo diarroico nelle fasi iniziali, poi chiuso a feci e a gas,
contrattura di difesa della muscolatura addominale, segni di shock settico fino alla morte del pz.
 emorragia massiva nel 3-4% dei casi da vasculite necrotizzante della mucosa (colectomia).
 stenosi benigna nel 6-11% dei casi.
 pericolangite: infiammazione degli spazi portobiliari e flogosi concentrica attorno ai dotti
biliari intraepatici con assenza di manifestazioni cliniche e innalzamento della ALP.
 colangite sclerosante: infiammazione cronica ad eziologia ignota che interessa i dotti intra
ed extraepatici che non risponde a terapia cortisonica, anzi > il rischio di colangiocarcinoma.
La TERAPIA della retto colite ulcerosa in genere è Medica, nel 20% dei casi è Chirurgica.
La Terapia Medica consente di ottenere la remissione della malattia nel 75-80% delle forme
remittenti-recidivanti:
− pz a riposo, dieta ipercalorica e ipolipidica, < l’apporto di fibre con la dieta.
− ripristino dell’equilibrio metabolico ed idro-elettrolitico, nutrizione parenterale temporanea.
− < della diarrea mediante anticolinergici, loperimide, difenossilato 2-3 volte/die.
− sulfasalazina alla dose di 500 mg 2 volte/die per os.
− corticosteroidi cioè prednisone 40-60 mg/die a scalare.
− immunomodulatori cioè azatiorpina e 6-mercaptopurina, ciclosporina.
La Terapia Chirurgica è indicata nelle forme acute, forme che non rispondono alla terapia medica,
complicanze emorragiche, recidive frequenti, cancerizzazione, presenza di displasia severa,
megacolon tossico che è una situazione di emergenza chirurgica.

99
L’intervento consiste nella colectomia totale con anastomosi ileo-rettale; se le lesioni rettali sono
gravi si ricorre alla procto-colectomia totale, intervento più radicale, con pessime condizioni di vita
del pz perché la fx sfinteriale rettale viene persa. In caso di notevole interessamento del retto ma
con integrità della funzione sfinteriale si esegue una colectomia totale con proctectomia prossimale
fino a 6-8 cm dall’ano e ileostomia temporanea di scarico per migliorare la qualità di vita del pz.
MORBO di CROHN
Il MORBO di CROHN è una malattia infiammatoria cronica granulomatosa che può interessare
qualsiasi segmento del canale alimentare, dalla bocca all’ano, anche se colpisce l’ileo terminale e
colon nel 56 % dei casi e si parla di ileite terminale, nel 30 % dei casi interessa solo il tenue, nel
15 % il colon-retto, raramente colpisce altre sedi.
Spesso colpisce soggetti giovani con età di 20-30 aa, può interessare anche bambini e anziani di
qualsiasi razza.
L’EZIOLOGIA è sconosciuta, forse è legata a infezioni intestinali da Yersinia enterocolitica,
Campilobacter, Shigella, Salmonella, abitudini alimentari e predisposizione genetica.
E’ stata proposta la Teoria del Freddo: questa patologia è studiata da oltre 100 anni e col passare
del tempo si è visto che è molto diffusa nei paesi freddi e con l’avvento dei frigoriferi,
congelatori… l’incidenza della malattia è aumentata anche nei paesi più caldi. Gli alimenti
conservati a -2/-10°C consentono la sopravvivenza dei germi che poi si depositano a livello dei
follicoli intestinali favorendo l’infezione.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si fa una distinzione tra forme diffuse e forme
circoscritte stenosanti, che possono essere di tipo acuto, subacuto o cronico.
Le forme ad inizio acuto o subacuto interessano soprattutto l’ileo terminale simulando
un’appendicite acuta, ecco perché spesso il chirurgo interviene d’urgenza ma durante l’intervento si
rende conto che l’appendice è normale mentre l’ultima ansa ileale è dilatata, rosso-violacea,
edematosa, mesentere è ispessito, edematoso con linfonodi ingrossati, tumefatti e arrossati.
La fase cronica è quella di interesse chirurgico caratterizzata da parete intestinale ispessita,
edematosa, infiammata, rigida, sclerotica, accorciata con superficie sierosa arrossata, spesso con
restringimenti del lume intestinale fino alla stenosi e dilatazione dell’intestino a monte.
Si tratta di lesioni segmentarie cioè con tratti sani alternati a tratti lesionati, con netta differenza tra
il segmento lesionato e quello sano a monte e a valle, per cui si parla di ileite segmentaria.
Le lesioni della superficie interna sono:
- ulcere superficiali simil aftoidi da microascessi nella compagine di un aggregato linfocitario, alla
base delle cripte ghiandolari.
- ulcere sottomucose fissurali, longitudinali, serpiginose, a solco d’aratro o a lama di coltello,
unite da ulcere trasversali.
- aspetto ad acciottolato: formazione di papule tra le lesioni ulcerose, per edema e iperplasia della
sottomucosa cioè aree ipertrofico-edematose alternate ad aree atrofiche.
Le lesioni istologiche sono:
- infiammazione transmurale: infiltrato di linfociti e plasmacellule in tutti gli strati della parete.
- granulomi sarcoidi: accumuli di 3-5 cellule epitelioidi con o senza cellule giganti in un infiltrato
linfo-plasmocitario, limiti netti, spesso localizzati nella sottomucosa.
Per i SINTOMI abbiamo:
- fase prodromica : dura alcuni mesi o anni: < appetito, dispepsia e dimagrimento,
- fase acuta o subacuta: sintomi sovrapponibili a quelli dell’appendicite acuta, cioè dolore
addominale improvviso nella fossa iliaca dx o periombelicale, diarrea con 6-8 scariche/gg con feci
liquide talora miste a sangue, febbricola, nausea, vomito, tachicardia, leucocitosi, calo ponderale.
Raramente si ha una contrattura di difesa addominale con dolenzia alla palpazione profonda.
- fase cronica è quella più importante, si manifesta con dolore addominale continuo, urente,
pulsante in presenza di fistole o ascessi, oppure di tipo colico in caso di fenomeni subocclusivi. Il pz
presenta steatorrea intermittente, alcune volte sangue occulto nelle feci da ulcerazione della mucosa,
alcune volte stipsi e calo ponderale da malassorbimento, denutrizione e anemia.

100
Le COMPLICANZE del morbo di Crohn sono:
─ ostruzione intestinale da ispessimento della parete intestinale e notevole restringimento del
lume fino alla stenosi e dilatazione delle anse a monte dell’ostruzione.
─ fistolizzazione: comunicazione anomala tra il segmento intestinale e un viscere contiguo o la
cute: fistole entero-enterica, entero-colica, entero-vescicale con passaggio di feci o gas nelle urine
cioè fecaluria o pneumaturia e grave infezione delle vie urinarie, inoltre fistole entero-cutanea,
colo-colica, colo-vescicale, colo-cutanea, fistole perianali molto gravi e difficili da trattare.
─ perforazione intestinale con ascesso peritoneale o retroperitoneale e sepsi, oppure perforazione
in peritoneo libero con peritonite.
─ emorragia massiva, megacolon tossico e cancerizzazione.
La DIAGNOSI del morbo di Crohn si basa su:
 Esami di Laboratorio: aspecifici con ipoalbuminemia, > VES, leucocitosi, anemia sideropenica
da perdita di sangue occulto oppure anemia megaloblastica da malassorbimento di acido folico e
vit.B12, ipokaliemia, steatorrea da deplezione di sali biliari, esame batteriologico e parassitologico
delle feci.
 Rx Addome con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto importante perché consente di
individuare ispessimento della parete con < del Ø, lesioni ulcerose, fistole, stenosi, livelli idro-aerei
a scalinata da occlusione intestinale e dilatazioni a monte della stenosi, lesioni ad acciottolato.
 Colonscopia e Rettosigmoidoscopia: lesioni superficiali della mucosa e consente di fare prelievi
bioptici. Consente la diagnosi differenziale con la retto colite ulcerosa.
 Ecografia vie urinarie e Urografia: fistole entero-vescicali.
La PROGNOSI è riservata: la malattia ha carattere progressivo e tende a riaccendersi e ad
estendersi.
La TERAPIA Medica è utile nelle fasi iniziali della malattia:
− alleviamento della sintomatologia dei crampi intestinali: anticolinergici, difenossilato (2-5
mg), loperamide (2-4mg), codeina (15-30 mg) fino a 4 volte/die.
− sulfasalazina: acido 5-amminosalicilico retard a dosaggi minimi efficaci.
− terapia corticosteroidea: prednisone ad alte dosi (40-60 mg/die) a scalare; idrocortisone (200-
300 mg/die) a scalare.
− antibiotici a largo spettro d’azione contro Gram− e anaerobi (metronidazolo 1-1,5 gr/die);
ciprofloxacina.
− immunomodulanti: azatioprina (2-3.5 mg/Kg/die); 6-mercaptopurina (1.5-2.5 mg/die).
− terapia biologica con Ab monoclonali anti TNFα che è una citochina, cioè un mediatore flogistico
molto coinvolto nella patogenesi del morbo di Crohn.
Inoltre, dieta priva di lattosio specialmente se il pz ha la diarrea e dolori addominali, povera di lipidi
nei pz con steatorrea, povera di scorie per ridurre lo stimolo meccanico sulle pareti lesionate.
La TERAPIA Chirurgica è indicata in caso di fallimento della terapia medica e in caso di
complicanze: resezione del segmento intestinale colpito e anastomosi tra i segmenti sani.
La chirurgia migliora la qualità di vita del pz, ma le recidive hanno un’incidenza notevole: 10%
dopo 1 anno e 100% dopo 18 anni.

101
DIVERTICOLI del COLON

I DIVERTICOLI del COLON sono estroflessioni sacculari, a dito di guanto della mucosa dovute
alla presenza di aree di debolezza della muscolatura o locus minoris resistenziae e all’ > della P
intraluminale, più frequenti nel colon discendente e sigma, poiché il calibro è minore rispetto al
colon dx, per cui la P intraluminale è maggiore e perché la muscolatura gioca un ruolo importante
per far progredire le feci. Per cui si tratta di diverticoli acquisiti da pulsione.
Si fa una distinzione tra diverticolosi, malattia diverticolare e diverticolite: la diverticolosi si
riferisce all’aspetto anatomico della patologia, mentre la malattia diverticolare si riferisce
all’aspetto clinico della patologia che è sintomatica solo nel 20% dei casi, in genere con sintomi
identici alla sindrome del colon irritabile, oppure con sintomi più gravi in caso di complicanze.
La DIVERTICOLOSI indica la presenza dei diverticoli, raramente unici, ma in media in n°
variabile da 10 a 30 e in qualche caso anche un centinaio, soprattutto a livello del colon sx, tra la
tenia mesenterica e le tenie laterali, senza alterare la fx colica, infatti, la diverticolosi è asintomatica
nell’80% dei casi e viene scoperta casualmente mediante un esame radiologico o endoscopico
richiesto per altri motivi. I diverticoli del colon sono molto frequenti nei soggetti anziani
ultraottantenni, raramente nei soggetti più giovani.
L’EZIOPATOGENESI è legata a 3 fattori:
- dieta povera di scorie, fibre, frutta e verdura, ricca di proteine, con < della massa fecale e dei
movimenti peristaltici e indebolimento della muscolatura della parete del colon.
- incoordinazione motoria tra sigma e retto con formazione di camere ad alta P endoluminale che
favoriscono la formazione dei diverticoli.
- processo di invecchiamento del tessuto connettivo e formazione di aree di debolezza della parete
intestinale.
La MALATTIA DIVERTICOLARE viene distinta in malattia diverticolare non complicata e
complicata.
La Malattia Diverticolare non complicata si manifesta con sintomi tipici della sindrome del colon
irritabile, cioè lievi dolori addominali nella fossa iliaca sx, stipsi oppure diarrea.
La Malattia Diverticolare complicata è caratterizzata da alcune complicanze: diverticolite e
l’emorragia.
La DIVERTICOLITE è l’infiammazione del diverticolo che si verifica in seguito al ristagno del
materiale fecale nel diverticolo con proliferazione batterica, edema, congestione, sviluppo di
microperforazione coperta del tessuto peridiverticolare, fino alla formazione di un ascesso, aderenze
ad organi vicini con o senza fistolizzazione o con perforazione nel cavo peritoneale, oppure fibrosi
con stenosi e subocclusione intestinale. La diverticolite può essere acuta o cronica.
La Diverticolite Acuta può essere di tipo catarrale, flemmonosa, perforativa con peritonite
circoscritta o generalizzata, oppure si ha fistolizzazione viscerale, soprattutto colo-vescicale con
pneumaturia cioè presenza di aria nelle urine, oppure fecaluria cioè presenza di feci nelle urine
mentre quelle colo-ileale, colo-uterina, colo-vaginali, colo-cutanea sono più rare.
I SINTOMI sono:
- dolore violento in fossa iliaca sx, continuo, spesso notturno, alvo irregolare e febbre, nausea e
vomito sono rari.
- alcune volte disturbi della minzione, cioè disuria e pollachiuria, perché l’uretere di sx decorre
posteriormente al sigma e può essere interessato dal processo infiammatorio.
- in caso di perforazione con peritonite acuta circoscritta o generalizzata si ha una reazione di difesa
della parete addominale con segni di sepsi, cioè febbre alta, leucocitosi neutrofila, > VES, > PCR.
- in caso di stenosi e subocclusione intestinale da pseudotumore infiammatorio o episodi aderenziali
abbiamo alterazioni del transito intestinale con meteorismo.
La Diverticolite Cronica può essere cronica ab inizio oppure può nascere come evoluzione della
forma acuta: si può formare uno pseudotumore infiammatorio stenosante, oppure delle membrane o
briglie aderenziali che possono provocare l’occlusione intestinale o le fistolizzazioni, con
emorragia lieve, controllabile, raramente massiva fino allo shock ipovolemico.

102
L’Emorragia è complicanza della malattia diverticolare dovuta alla erosione dei vasi parietali ed è
la causa più frequente di emorragie digestive inferiori, spesso autolimitantesi, altre volte richiede
una terapia di supporto per ripristinare la volemia: il sangue è rosso vivo, alcune volte più scuro.
La DIAGNOSI si basa su:
 Rx Diretto Addome: evidenzia il pneumoperitoneo con falce aerea sottodiaframmatica in caso di
perforazione del diverticolo.
 Rx con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto: evidenzia la morfologia dei diverticoli
rotondeggianti, restringimento o accorciamento a fisarmonica del sigma in seguito all’ispessimento
della muscolatura circolare, eccessiva segmentazione colica da ipermotilità oppure stenosi colica da
episodi ripetuti di peridiverticolite con flogosi cronica pericolica. Questa indagine deve essere
evitata in caso di perforazione perché è ad alto rischio di peritonite da bario.
 Colonscopia: presenza del colletto del diverticolo, sede, presenza di emorragie, consente di
escludere la presenza di un carcinoma o del morbo di Crohn, ma è controindicata in caso di stenosi
o occlusione intestinale perché il passaggio dello strumento endoscopico è più difficoltoso e
potrebbe causare dei traumi intestinali.
 Ecografia e TAC per individuare raccolte sottodiaframmatiche da perforazione intestinale e
ascessi paracolici con eventuale fistolizzazione.
La TERAPIA nelle forme asintomatiche scoperte casualmente si basa su una dieta ad alto residuo
cioè ricca di fibre, scorie naturali, pane integrale, frutta, verdura, crusca, per > la massa fecale,
accelerare il transito intestinale e favorire le evacuazioni, riducendola P endoluminale.
Nelle forme sintomatiche con segni di alterazione funzionale del colon, senza segni di flogosi, la
terapia è dietetica e medica con farmaci antispastici e procinetici.
In presenza di complicanze flogistiche si somministrano farmaci antibiotici ad ampio spettro
d’azione per via parenterale cioè metronidazolo e cefalosporine, antiinfiammatori, analgesici,
antispastici, dieta liquida e nei casi più gravi nutrizione parenterale totale.
La Terapia Chirurgica è indicata in presenza di complicanze: tecnica di Hartmann in due tempi
con resezione del segmento intestinale interessato, chiusura del moncone distale che viene
affondato nel cavo pelvico, il moncone prossimale viene portato all’esterno (stomia cutanea) e poi
si decide se eseguire la ricanalizzazione tra i 2 monconi, con stomia definitiva. In presenza di
peritonite purulenta o fecale è necessario il lavaggio peritoneale esteso con una soluzione
antisettica.
TUMORI del COLON
I Tumori del Colon sono distinti in tumori benigni e maligni, di natura epiteliale o connettivale.
 Tumori benigni di natura epiteliale:
─ adenomi o polipi tubulari, villosi e misti, poliposi adenomatosa familiare (FAP).
─ amartomi: poliposi giovanile, sindrome di Peutz-Jeghers.
 Tumori maligni di natura epiteliale: carcinoma del colon-retto.
 Tumori benigni di natura connettivale: fibromi, lipomi, leiomiomi, angiomi.
 Tumori maligni di natura connettivale: linfomi, leiomiosarcomi, fibrosarcomi, angiosarcomi.
Gli Adenomi o Polipi adenomatosi sono i tumori benigni epiteliali del colon più frequenti,
distinti in adenoma tubulare o semplice, villoso e misto o tubulo-villoso più raro.
Gli Adenomi semplici o tubulari sono i più frequenti (20-30%) colpiscono soprattutto soggetti
adulti di sesso M, spesso sono sessili con base di impianto larga e puduncolo corto, raramente
peduncolati con base di impianto stretta e peduncolo lungo, nel 70% dei casi sono solitari o unici,
le sedi più colpite sono il sigma e il retto, con Ø variabile da pochi mm a 7-8 cm.
Nel 50% dei casi sono asintomatici, altre volte provocano anemia da perdita cronica occulta di
sangue con le feci, oppure dolore e stipsi da subocclusione nelle forme più voluminose o da
trazione esercitata dal polipo sulla parete intestinale.
Gli Adenomi villosi o papillomi possono provocare anche mucorrea abbondante con emissione di
muco abbondante, chiaro, simile all’albume d’uovo.

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La Diagnosi si basa sulla ricerca del sangue occulto nelle feci, Rx con clisma opaco con tecnica
a doppio contrasto e Colonscopia o Retto-sigmoidoscopia eseguendo prelievi bioptici per la
diagnosi istologica tenendo conto che i polipi sono lesioni precancerose.
Il rischio di cancerizzazione dipende da vari fattori:
─ istotipo: l’adenoma semplice o tubulare cancerizza nel 5% dei casi, l’adenoma villoso nel 30-
40% dei casi, mentre l’adenoma misto nel 20% dei casi.
─ dimensioni del polipo: i polipi con Ø < 1 cm cancerizzano solo nell’1% dei casi, i polipi con Ø di
1-2 cm nel 10% dei casi, i polipi con Ø > 2 cm nel 20% dei casi.
─ numero dei polipi: in caso di polipi multipli o poliposi il rischio di cancerizzazione è più alto.
La Terapia si basa sulla polipectomia per via endoscopica, oppure resezione segmentaria del
colon se non è possibile raggiungere per via endoscopica l’adenoma, se l’adenoma è voluminoso,
oppure colectomia totale in caso di poliposi diffusa.
I risultatti sono favorevoli ma bisogna controllare la situazione mediante delle colonscopie
periodiche perché si possono formare nuovi polipi.
La Poliposi adenomatosa familiare (FAP) rappresenta solo l’1% di tutti i tumori del colon, è una
forma a trasmissione AD dovuta alla mutazione inattivante del gene oncosoppressore APC posto sul
braccio lungo del cromosoma 5, caratterizzata dalla formazione di un n° elevatissimo di polipi
adenomatosi, centinaia o migliaia, di varie dimensioni, peduncolati o sessili, localizzati nel colon-
retto, stomaco, duodeno, in genere non presenti sin dalla nascita ma si formano nei primi 10 aa di
vita, restando asintomatici per lungo tempo e solo intorno ai 30-35 anni si manifestano con diarrea,
dolori addominali, rettorragia, spesso associati a osteomi multipli della mandibola, ipertrofia
dell’epitelio pigmentato della retina.
E’ importante lo screening nei parenti di primo grado con età > 20 anni mediante test genetici per
valutare le mutazioni del gene APC che non è sempre presente, Rx con clisma opaco e tecnica
del doppio contrasto e Colonscopia con biopsia ed esame istologico tenendo conto che il rischio
di cancerizzazione è alto e bisogna intervenire subito chirurgicamente.
La Sindrome di Peutz-Jeghers è una sindrome molto rara a trasmissione AD, con polipi
amartomatosi diffusi nel tenue, stomaco e colon, colpisce soprattutto soggetti giovani, caratterizzata
da iperpigmentazione della cute e mucosa delle labbra, cavità orale, vaginale, faccia volare
delle dita delle mani e piedi, spesso è asintomatica oppure si manifesta con emorragia occulta,
dolore addominale, occlusione meccanica. Cancerizzano nel 50% dei casi per cui si ricorre a
polipectomia per via endoscopica o chirurgica, resezione dei segmenti intestinali contenenti
numerosi polipi.
La Poliposi familiare del colon è caratterizzata da polipi amartomatosi multipli a livello del
colon, stomaco e duodeno che vanno incontro a degenerazione neoplastica, associati a osteomi
multipli della mandibola, tumori desmoidi, ipertrofia dell’epitelio pigmentato della retina.
Infine, ricordiamo il Tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC o sindrome di Lynch
malattia ereditaria AD da alterazione dei geni del mismatch repair hMLH1 e hMSH2, con alterazione
dei meccanismi di riparazione del DNA e instabilità dei microsatelliti, distinta in sindrome di Lynch
di tipo 1 con tumori del colon e di tipo 2 con tumore del colon, stomaco, tenue, vie biliari,
endometrio, uretere, pelvi renale.
Per la diagnosi è importante l’anamnesi familiare + con presenza della neoplasia in almeno 3
membri della famiglia di cui almeno 2 sono parenti di primo grado, presenza del tumore in
almeno 2 generazioni e in almeno un soggetto con età < 50 aa.
Il CARCINOMA del COLON rappresenta il 95% di tutti i tumori maligni del colon e la neoplasia
più frequente dell’apparato gastro-enterico, nel 70% dei casi colpisce il sigma e il retto per cui si
parla di carcinoma del colon-retto.
E’ molto diffuso nei paesi occidentali, colpisce M e F con età media di 60-70 anni e picco massimo
a 80 anni. Negli ultimi decenni si è registrato un notevole incremento dell’incidenza della neoplasia,
rappresentando la 2^ causa di morte dopo il carcinoma polmonare nei M e carcinoma mammario
nelle F. In Italia l’incidenza è di ~ 40 nuovi casi/100000 abitanti/anno.
Tra i Fattori di Rischio abbiamo:

104
 abitudini alimentari scorrette: dieta ricca di grassi animali e proteine, povera di fibre cereali,
frutta e verdura con riduzione della massa fecale, rallentamento del transito intestinale e contatto
più prolungato della massa fecale e dei fattori oncogeni con la superficie intestinale cioè nitrati e
nitriti alimentari, trasformati in nitrosamine dalla flora batterica intestinale.
In Italia il carcinoma del colon-retto è meno diffuso nelle regioni del Sud grazie alla dieta
mediterranea ricca di fibre. Il rischio è alto nei soggetti in sovrappeso o obesi e nei fumatori
soprattutto di pipa e sigaro che favoriscono lo sviluppo dei polipi.
 malattie infiammatorie dell’intestino: retto-colite ulcerosa emorragica con rischio di
cancerizzazione nel 3-11% dei casi soprattutto per le forme estese pseudo-polipose e di vecchia
data. Il rischio è minore nel caso del morbo di Crohn.
 lesioni precancerose:
─ polipi adenomatosi tubulari, villosi e misti.
─ poliposi adenomatosa familiare (FAP).
─ polipi amartomatosi distinti in polipi giovanili e sindrome di Peutz-Jeghers.
─ tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC o sindrome di Lynch.
 predisposizione familiare: anamnesi familiare + per il carcinoma del colon-retto, poliposi
adenomatosa familiare FAP, tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC con rischio
elevato in caso di storia familiare + per carcinoma del colon in 2 o più parenti di I grado soprattutto
se la neoplasia è insorta prima dei 50 anni.
 pz operati per cancro colo-rettale o in altra sede per persistenza di fattori cancerogeni.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si tratta di un’adenocarcinoma perché origina dalle
ghiandole mucose, distinto in carcinoma del colon dx di tipo vegetante o polipoide (11%) e
carcinoma del colon sx di tipo scirroso (33%), mentre il cancro ulcerato interessa il retto (50%).
Il CARCINOMA del COLON DX è una forma vegetante o polipoide che si sviluppa nel lume
intestinale con aspetto a fungo o a cavolfiore, consistenza friabile, superficie e margini irregolari.
In genere non provoca occlusione perché le feci che arrivano dall’ileo nel colon di dx sono liquide
e il loro transito non viene ostacolato dalla neoplasia e perché il tessuto neoplastico si accresce
nella parte interna della massa neoplastica e va in disfacimento necrotico nella parte periferica
poiché a tale livello non avviene il processo della neoangiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi
che irrorano la neoplasia (ipossia) mentre ciò avviene nella parte centrale.
I Sintomi sono molto tardivi cioè diarrea con emissione di feci poltacee, decadimento delle
condizioni generali del pz, astenia, calo ponderale, dolore ai quadranti addominali di dx, sangue
occulto nelle feci e anemia ingravescente.
Il CARCINOMA del COLON SX è una forma di cancro scirroso detto anche infiltrante, anulare-
stenosante perché prima infiltra la parete intestinale, poi si estende per tutta la sua
circonferenza, restringendo il lume intestinale con stenosi fino all’occlusione intestinale,
tenendo conto che il colon sx presenta un Ø < rispetto al colon dx e le feci sono dense. In caso di
occlusione si ha la dilatazione delle anse a monte, che cessa a livello della valvola ileo-cecale se
questa è continente, per cui si crea un’ansa chiusa con notevole > P endoluminale, che provoca
ischemia e perforazione della parete, spesso a livello del cieco (perforazione diastasica) con
peritonite generalizzata: la perforazione interessa soprattutto il cieco perché ha un Ø maggiore,
parete muscolare più sottile e l’ipertensione si ripercuote su di essa.
Se la valvola ileo-cecale è incontinente la dilatazione si estende al tenue.
I Sintomi sono disturbi dell’alvo con stipsi ingravescente oppure stipsi alternata a diarrea, con
senso di peso epigastrico e al fianco sx, poi insorge la Sindrome da stenosi intestinale di König
che si manifesta con dolore addominale crampiforme, meteorismo e iperperistalsi che consente di
osservare le anse intestinali sulla parete addominale, alterazioni dell’alvo con rettoragia cioè
emissione di sangue di colore rosso vivo dal retto da solo o frammisto a feci o diarrea muco-
sanguinolenta, tenesmo rettale cioè sensazione dolorosa a livello dello sfintere anale associato a
stimolo all’evacuazione, defecazione in più tempi ravvicinati, stipsi di recente insorgenza oppure
falsa defecazione con senso di evacuazione incompleta ed è possibile palpare una massa

105
addominale in genere in fossa iliaca sx. La stenosi può evolvere verso l’occlusione intestinale fino
alla perforazione con peritonite generalizzata e aggravamento delle condizioni generali del pz.
Il Cancro Ulcerato interessa soprattutto il retto e si parla di carcinoma del retto, si presenta come
un cratere a margini rilevati, duri, irregolari, si manifesta con turbe dell’alvo ed emorragia con
emissione di sangue di colore rosso vivo, talvolta misto a muco nelle feci, evacuazione di feci
nastriformi, tenesmo rettale, dolore gravativo perineale.
Ricordiamo che il carcinoma del colon-retto può presentarsi sotto forme multiple distinte in
Sincrone se si manifestano contemporaneamente nello stesso segmento o in segmenti adiacenti ed
aventi la stessa area di drenaggio linfatico o Metacrone se si manifestano a distanza di mesi o anni
dall’asportazione del tumore primitivo.
Le Vie di Diffusione del carcinoma del colon sono:
─ per continuità: il tumore infiltra progressivamente tutta la parete intestinale fino al peritoneo con
carcinosi peritoneale diffusa e ascite emorragica.
─ per contiguità: il tumore infiltra gli organi adiacenti cioè vescica, ureteri, vagina, prostata e
vescicole seminali (dal retto).
─ per via linfatica: metastasi ai linfonodi regionali cioè linfonodi epicolici a livello della parete
intestinale, linfonodi pericolici ai linfonodi dell’arteria ileo-colica, arteria colica dx, sx e colica
media, mentre il carcinoma del retto provoca metastasi ai linfonodi dell’arteria emorroidaria
superiore fino ai linfonodi lombo-aortici, iliaci interni e ipogastrici.
─ per via ematica: metastasi epatiche, polmonari, cerebrali e ossee.
La Diagnosi precoce della neoplasia si basa su Test di Screening nei soggetti a rischio elevato cioè
soggetti con età > 50 anni, anamnesi familiare +, poliposi e malattie infiammatorie croniche
del colon-retto. Lo screening si basa su alcune indagini che consentono di fare diagnosi e terapia
precoce della neoplasia:
 ricerca del sangue occulto nelle feci 1 volta/anno: è l’esame più semplice ma meno affidabile
da eseguire su almeno 3 campioni di feci prelevati in 3 gg consecutivi. Questo test può dare
risultati falsi + cioè può essere + per cause non tumorali come emorroidi, coliti, gastriti, ulcere...
 esplorazione rettale.
 colonscopia almeno 1 volta ogni 4-5 anni.
La Colonscopia con biopsie multiple consente di valutare l’istotipo e la presenza di un eventuale
secondo tumore sincrono detto polipo sentinella in evoluzione carcinomatosa.
L’Rx con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto è utile solo in fase avanzata, osservando la
parete intestinale irregolare e rigida, difetti di riempimento, polipi sentinella, mentre la
valutazione sierica dei markers tumorali CEA e Ca19.9 è utile per il follow-up post-operatorio
valutando la ripresa della neoplasia con recidive e la presenza di metastasi.
L’Ecografia addome, TC.. sono utili per la stadiazione della neoplasia.
La PROGNOSI dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia, presenza o meno di metastasi
linfonodali e a distanza. A tal proposito è utile la Classificazione TNM:
─ Tis: carcinoma in situ, intraepiteliale, limitato alla tonaca mucosa.
─ T1: la neoplasia infiltra la tonaca sottomucosa.
─ T2: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria.
─ T3: invade la sottosierosa, tessuti pericolici o perirettali non rivestiti dal peritoneo.
─ T4: la neoplasia supera il peritoneo viscerale e infiltra gli organi adiacenti per contiguità.
─ N0: non si hanno metastasi ai linfonodi regionali.
─ N1: metastasi in 1-3 linfonodi regionali.
─ N2: metastasi in 4 o più linfonodi regionali.
─ N3: metastasi ai linfonodi dell’arteria ileo-colica, colica dx, colica media, colica sx, arteria
mesenterica inferiore ed emorroidaria superiore.
─ M0: non si hanno metastasi a distanza.
─ M1: metastasi a distanza.
Molto importante è la Stadiazione di DUKES (carcinoma del colon-retto):

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 stadio A: neoplasia limitata alla tonaca mucosa e sottomucosa, senza metastasi (T1, T2, N0,
M0) con sopravvivenza a 5 anni > 90%.
 stadio B1: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria, senza metastasi (T3, N0, M0)
con sopravvivenza a 5 anni pari all’85%.
 stadio B2: la neoplasia infiltra la sierosa, senza dare metastasi (T4, N0, M0) con
sopravvivenza a 5 anni del 70-80%.
 stadio C1: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria e provoca metastasi ai linfonodi
regionali pericolici o perirettali (ogni T, N1) con sopravvivenza a 5 anni nel 25% dei casi.
 stadio C2: la neoplasia infiltra la sierosa e provoca metastasi linfonodali regionali ed
extraregionali e a distanza con morte del pz dopo qualche mese o anno dalla terapia.
La TERAPIA è chirurgica radicale nelle fasi iniziali della malattia, senza metastasi, con exeresi del
tratto intestinale colpito dalla neoplasia più alcuni cm a monte e a valle come limiti di sicurezza
oncologica, associata a linfoadenectomia estesa.
In caso di carcinoma del colon dx si ricorre ad emicolectomia dx con anastomosi ileo-colica, in
caso di carcinoma del colon sx si esegue una emicolectomia sx con anastomosi termino-terminale
tra colon trasverso prossimale e retto ma in caso di occlusione intestinale, tumori sanguinanti o
perforati, si ricorre ad emicolectomia sx secondo Hartmann con colonstomia sx temporanea con
ricanalizzazione intestinale a distanza di almeno 3 mesi dal primo intervento.
In caso di carcinoma del colon-retto molto basso in passato si ricorreva all’amputazione
addomino-perineale secondo Miles ma la anastomosi era di tipo manuale e molto invalidante,
mentre oggi le anastomosi sono più sicure grazie alle suturatrici automatiche o Stappler
consentendo anastomosi più basse, fino a 3 cm dall’ano.
Il carcinoma del retto, rispetto a quello del colon, è più sensibile alla radioterapia preoperatoria e
postoperatoria per sterilizzare le micrometastasi residue, < il rischio di recidive e migliorare la
sopravvivenza, associata alla chemioterapia con infusione continua di 5-FU e acido folico (vitamina
che potenzia l’azione del 5-FU). Tra i chemioterapici di ultima generazione abbiamo l’oxaliplatino e
irinotecan per vie e.v., capecitabina e UFT per os.
Inoltre è possibile la terapia biologica con farmaci specifici per le cellule tumorali, senza
danneggiare le cellule sane, in genere associata alla chemioterapia, tra cui abbiamo:
─ cetuximab: Ab monoclonale diretto contro il recettore EGF (Epidermal Growth Factor) la cui
iperespressione sulla superficie delle cellule tumorali è indice di aggressività.
─ bevacizumad: Ab monoclonale diretto contro la VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)
impedendo la formazione della rete vascolare che consente al tumore di alimentarsi, bloccando la
crescita della massa tumorale.
Nelle fasi avanzate in presenza di metastasi la terapia è palliativa-sintomatica.
Il follow-up postoperatorio si basa sulla valutazione dei markers tumorali, ricerca di sangue
occulto nelle feci, ecografia epatica, Rx torace, Rx con clisma opaco e colonscopia 1 volta/anno.
Inoltre si consiglia il pz una Terapia Dietetica idonea per evitare di sovraccaricare l’intestino:
─ evitare cibi ricchi di scorie perchè favoriscono una maggiore produzione di gas (meteorismo)
cioè asparagi, cipolla, aglio, funghi, pesce, uova, insaccati, salumi, birra, bevande gassate,
cavoli, cavolfiori, prugne, pesche, fichi, cachi, frutta secca, legumi, radici amare, rape, verdura
cruda, trippa...
Dopo 3 settimane dall’intervento è possibile introdurre nella dieta uno di questi alimenti alla volta,
gradualmente.
─ evitare cibi che favoriscono la stipsi (costipazione) cioè noci, noccioline, vino rosso, cioccolata,
grano, latte bollito, sedano, formaggi secchi, uva passa.
─ consumare frutta e verdura centrifugata, frullata e nei primi mesi si consigliano mele e carote
che sono astringenti.
─ bere molti liquidi, almeno 2-3 litri/die, preferibilmente tra i pasti per non accelerare il transito
intestinale, tra cui acqua, thè al limone, caffè leggero, spremute di agrumi filtrate, succhi di
frutta o verdure centrifugate.

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─ il succo di mirtilli, spremute filtrate di agrumi, prezzemolo, spinaci lessati e yogurt inibiscono il
maleodore e il meteorismo.
MALATTIE del Retto e dell’Ano
L’Intestino Retto è quella parte dell’intestino che fa seguito al sigma e si estende fino all’ano.
Presenta 3 porzioni: canale ano-rettale o retto perineale che ha la fx di continenza delle feci,
ampolla rettale o retto sottoperitoneale, retto soprampollare o peritoneale o alto retto.
E’ molto importante la vascolarizzazione arteriosa del retto perché si deve a 4 peduncoli:
- peduncolo superiore: arteria emorroidaria o rettale superiore, ramo terminale dell’a.m.i.,
vascolarizza l’ampolla rettale.
- peduncolo medio: arteria emorroidaria o rettale media, ramo dell’arteria pudenda interna o
dell’arteria ischiatica, rami collaterali dell’arteria ipogastrica, vascolarizza la parte media
dell’ampolla.
- peduncolo inferiore: arterie emorroidarie inferiori, rami dell’arteria pudenda interna,
vascolarizzano il canale ano-rettale, lo sfintere esterno e la cute anale.
- peduncolo posteriore: esili rami provenienti dall’arteria sacrale media, vascolarizzano la faccia
posteriore del retto.
Il drenaggio venoso si deve alle vene emorroidarie superiori che confluiscono nella vena
mesenterica inferiore e nella vena porta, alle vene emorroidarie medie e inferiori satelliti della
vena ipogastrica. Poi abbiamo il plesso emorroidario interno nella sottomucosa del 3° superiore del
canale ano-rettale, formato da dilatazioni sacculari che costituiscono 2 colonne a dx, antero-
laterale e postero-laterale e 1 colonna a sx, con possibili gavoccioli intermedi. Da queste colonne
originano dei vasi che si dirigono alle vene emorroidarie superiore, media e inferiore e si creano
anastomosi tra la vena porta e la vena cava inferiore, con possibili emorroidi sintomatiche di
ipertensione portale.
Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi emorroidari superiori, perirettali, ipogastrici, inguinali...
L’innervazione si deve al plesso pudendo che fornisce il nervo emorroidario inferiore importante
per i movimenti del muscolo elevatore dell’ano e dello sfintere esterno, poi si deve al plesso
lombare e al plesso sacrale che forniscono fibre ortosimpatiche e parasimpatiche per lo sfintere
lisci.
EMORROIDI
Le EMORROIDI sono dilatazioni ectasiche del plesso venoso emorroidario ano-rettale a livello
della zona delle valvole di Morgagni dove i rami delle vene emorroidarie superiori si
anastomizzano con i rami delle vene emorroidarie medie e inferiori.
Le emorroidi colpiscono entrambi i sessi, a partire dalla pubertà, raggiungendo il picco di incidenza
verso i 40-50 anni.
L’EZIOPATOGENESI non è molto chiara: secondo alcuni sono dovute a cause congenite con
debolezza delle pareti venose, a cui si sovrappongono delle cause acquisite come l’ipertensione
venosa distrettuale, secondo altri sono dovute ad un iperafflusso di sangue in seguito ad una
esagerata apertura delle anastomosi artero-venose del plesso emorroidario (contengono sangue
rosso-vivo), oppure ad un indebolimento delle strutture di sostegno, come il legamento di Parks, per
cui i gavoccioli sanguigni prolassano lentamente, con scivolamento anale, ostacolando il deflusso
venoso. Secondo altri queste teorie sono associate tra loro, per cui si parla di patologia ad eziologia
multifattoriale.
Tra i Fattori Predisponenti più importanti abbiamo:
- stipsi cronica in cui l’evacuazione richiede un notevole > della P addominale che però ostacola il
circolo venoso refluo, mentre le feci dure stirano in senso distale l’ano-derma.
- diarrea cronica e la gravidanza possono indebolire le strutture di sostegno, con lassità dei
legamenti e compressione delle vene nel distretto pelvico.
- ortostatismo statico prolungato, cioè il soggetto sta fermo e in piedi per molte ore, può favorire
l’insorgenza delle emorroidi poiché la P venosa emorroidaria passa da 25 cmH2O, tipica del
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decubito orizzontale, a 75-80 cmH2O nell’ortostatismo, salendo ulteriormente in caso di sforzi per
motivi professionali o sportivi.
- frequente associazione tra emorroidi ed ipertensione portale.
Possiamo fare una distinzione tra emorroidi esterne ed interne (sopra o sotto il legamento di Parks):
 emorroidi esterne: sono sottocutanee o sottocuteneo-mucose, sono visibili, e sono dovute alla
iperplasia del plesso emorroidario esterno.
 emorroidi interne: sono le più frequenti ed importanti, non sono visibili fino a quando non
prolassano al di fuori del canale ano-rettale, trascinando l’ano-derma. Sono dovute all’iperplasia del
plesso emorroidario interno.
In genere, le emorroidi interne si raccolgono in 3 colonne: 2 colonne a dx in posizione antero-
laterale e postero-laterale e 1 colonna a sx in posizione laterale, anche se ci possono essere dei
piccoli gavoccioli accessori. Il nodo emorroidario è costituito da un accumulo di vasi sanguigni
dilatati, con forma rotondeggiante, volume variabile da una nocciola ad una noce, peduncolo
vascolare al suo polo superiore, ricoperto dalla mucosa e sanguina facilmente.
I SINTOMI sono:
- emorragia o proctorragia in genere modesta, compare durante la defecazione o subito dopo la
defecazione sottoforma di un gocciolamento di sangue rosso-vivo (per le anastomosi artero-venose).
In genere, è saltuaria, raramente è frequente ed abbondante, come in caso di ipertensione portale.
- prolasso: è tipico delle emorroidi interne, interessando uno o tutti i gavoccioli in seguito allo
scivolamento dei nodi emorroidari all’esterno dell’orifizio anale.
A tal proposito le emorroidi interne sono distinte in 4 gradi:
 I grado: si tratta di semplici ectasie venose visibili con l’endoscopio o con lo stiramento digitale
bilaterale del contorno anale in modo da rovesciare la mucosa e invitando il malato a spingere.
 II grado: il prolasso compare durante la defecazione e si riduce subito dopo la defecazione.
 III grado: il prolasso si ha in seguito a sforzi e sim riduce solo manualmente.
 IV grado: il prolasso è stabile ed irriducibile.
Nei prolassi di III e IV grado spesso si ha la perdita di liquido sieroso, maleodorante per la presenza
di tracce fecali e compare una dermite perianale che provoca un prurito intenso, persistente,
fastidioso, difficile da controllare e recidivante.
- dolore: in genere di modesta entità, con senso di peso o corpo estraneo a livello ano-rettale, prurito
perianale, dolore all’atto della defecazione. Il dolore diventa molto intenso in caso di complicanze.
Le COMPLICANZE delle emorroidi sono: tromboflebite, strozzamento e ragade anale.
La Tromboflebite emorroidaria è la complicanza che spesso induce il pz a rivolgersi dal medico
perché provoca dolore intenso, tenesmo rettale, ingrossamento e indurimento di uno o più
gavoccioli interni o prolassati oppure di un nodo emorroidario esterno non più riducibile e
svuotabile con la pressione. Alcune volte la tromboflebite guarisce da sola con la organizzazione
del trombo ma può anche evolvere nella suppurazione con ascessi e fistole.
Lo Strozzamento emorroidario è causato da uno spasmo persistente dell’apparato sfinterico su un
prolasso emorroidario. I gavoccioli diventano duri per la trombosi, tesi, molto dolorosi, si ha
tenesmo rettale e vescicale.
Se lo strozzamento persiste i nodi vanno in gangrena e spesso si formano ascessi e fistole.
La Ragade anale è un’ulcera lineare della cute anale, spesso solitaria, localizzata sulla linea
mediana posteriore, lunga alcuni mm, al confine tra canale anale e cute, con disordine circolatorio
locale e stasi venosa, soprattutto nei pz con stipsi cronica con evacuazione di feci molto dure che
alterano la mucosa provocando spasmo sfinterico molto doloroso subito dopo il passaggio delle
feci, che può durare da alcuni minuti fino a 1-2 h, per cui il pz cerca di evitare la defecazione
aggravando la stipsi, creando così un circolo vizioso.
Alcune volte il pz presenta una semplice sensazione di fastidio e prurito, oppure si ha la perdita di
qualche goccia di sangue rosso-vivo durante la defecazione.
La Terapia delle ragadi anali può essere Medica usando delle pomate e supposte antispastiche,
antinfiammatorie ed anestetiche, blandi lassativi, bagni caldi.

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La Terapia Chirurgica è indicata per le ragadi di vecchia data e recidivanti, che non rispondono alla
terapia medica, ricorrendo alla sezione parziale dello sfintere interno o sfinterotomia interna.
La DIAGNOSI delle emorroidi si basa su:
- Anamnesi: è importante stabilire se la proctorragia avviene durante o subito dopo la defecazione
con gocciolamento di sangue rosso-vivo, di provenienza sfinterica o sottosfinterica.
Inoltre, se si tratta di sangue misto a feci, oppure se viene emesso sottoforma di coaguli ed ha un
colore rosso scuro, il che potrebbe far pensare ad una retto-colite ulcerosa o al morbo di Crohn,
oppure ad un tumore del retto, come un polipo o un carcinoma.
- Esplorazione digito-rettale: si notano i gavoccioli emorroidari ingrossati, di consistenza molliccia,
più o meno dolenti, escludendo la presenza di processi infiammatori o tumorali del retto.
- anoscopia e retto-sigmoidoscopia utili nei casi dubbi perché un polipo villoso o un cancro iniziale
del retto possono sfuggire all’esplorazione rettale.
La TERAPIA può essere medica o chirurgica.
La Terapia Medica è sia farmacologica che igienico-dietetica per correggere la stipsi con alimenti
ricchi di fibre, crusca, blandi lassativi, evitando le bevande alcoliche, eseguendo una maggiore
attività fisica, un’accurata igiene dopo la defecazione, bagni locali freddi per ridurre l’apporto di
sangue o caldi che agiscono come miorilassanti sfinterici.
Si possono usare delle supposte e pomate antiflogistiche, decongestionanti, analgesiche e
vasocostrittrici: sono utili per sedare il dolore, il prurito e migliorare la circolazione nei capillari che
irrorano l’ano.
Bisogna evitare la vita sedentaria e cercare di fare delle passeggiate o attività fisica sportiva, evitare
il sovrappeso perché incide sulla circolazione del sangue, occorre bere almeno 2 litri di acqua al
giorno, evitare le bevande alcoliche e limitare il consumo del vino soprattutto nel periodo in cui i
sintomi sono più forti.
Le donne devono evitare dei pantaloni troppo attillati perché possono provocare delle fastidiose
irritazioni. Se la terapia medica fallisce oppure ci troviamo di fronte ad emorroidi complicate si
ricorre alla rimozione delle emorroidi per via endoscopica soprattutto per quelle di I e II grado,
oppure per via chirurgica per quelle di III e IV grado.
La rimozione delle emorroidi per via endoscopica prevede diverse tecniche: iniezione di soluzioni
sclerosanti nella sottomucosa, legatura elastica, crioterapia con azoto liquido congelando i
gavoccioli, tecnica a raggi infrarossi cioè si sfrutta l’azione termica per provocare la coagulazione
intravascolare, oppure il raggio laser ad CO2 per distruggere i peduncoli emorroidari più
voluminosi.
La Terapia chirurgica si basa sulla emorroidectomia associata alla sfinterotomia interna in caso di
ipertono sfinterico.
MALATTIE dell’APPENDICE ILEO CECALE
L’Appendice ileo-cecale è un piccolo viscere di lunghezza variabile da 3 a 22 cm che s'impianta
sull’intestino cieco nel punto in cui confluiscono le 3 tenie, cioè la tenia anteriore, media e
posteriore, cioè sulla parete mediale del cieco, 2-3 cm al di sotto dell’orifizio ileo-ciecale,
terminando con una estremità libera che spesso occupa una posizione discendente nell’addome,
entrando in rapporto con il muscolo psoas e penetrando per un breve tratto nella piccola pelvi.
L’appendice vermiforme può occupare anche una posizione ascendente cioè è diretta in alto,
decorrendo lungo la faccia posteriore del cieco oppure supera il fondo portandosi sulla faccia
anteriore, risalendo anche fino al rene o al fegato.
In alcuni casi l’appendice ha una posizione mediale verso la cavità addominale, entrando in
rapporto con le anse intestinali, il che rappresenta una situazione molto pericolosa in caso di
appendicite acuta perché interessa precocemente la cavità peritoneale.
Infine, può assumere una posizione laterale fra cieco e parete addominale laterale a livello del
muscolo psoas.
La parete dell’appendice è costituita dalla tonaca sierosa, dalla tonaca muscolare che contiene il
plesso nervoso di Auerbach, dalla tonaca sottomucosa che contiene il plesso nervoso sottomucoso

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di Meissner, dalla muscolaris mucosae e dalla tonaca mucosa che è ricca di tessuto linfatico che
forma dei follicoli linfatici, abbondanti nell’infanzia e nell’adolescenza, separati da uno strato di
cellule epiteliali che costituiscono le cripte tubulari che hanno una disposizione simile a quella della
tonsilla palatina, ecco perché l’appendice è detta anche “tonsilla addominale”.
La vascolarizzazione arteriosa si deve alla arteria appendicolare ramo dell’arteria ileo-colica,
mentre quella venosa si deve alle vene appendicolari tributarie della vena ileo-colica e, a sua volta,
del sistema portale. Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi pericecali.

APPENDICITE ACUTA
L’Appendicite Acuta è un’infiammazione acuta dell’appendice ciecale, molto diffusa, con
incidenza pari a circa 1 caso ogni 500 abitanti e rappresenta la patologia che più frequentemente
richiede un intervento chirurgico d’urgenza. Il picco di incidenza si ha nell’infanzia e
nell’adolescenza, anche se può interessare qualsiasi fascia di età.
Il FATTORE EZIOPATOGENETICO più importante è l'ostruzione che si ha in seguito ad una
angolazione o torsione dell’appendice sul suo asse, oppure l’ostruzione è dovuta ad un corpo
estraneo o coprolito (frammento di feci tipico dei pz anziani) oppure ad una iperplasia del
tessuto linfatico specie nei soggetti giovani, oppure ad una retrazione sclerotica circoscritta
dovuta a precedenti infezioni nei pz più anziani.
Tenendo conto che l’appendice già presenta un lume piuttosto ristretto, succede che in seguito alla
ostruzione si ha il ristagno del materiale intestinale, dei corpi estranei o coproliti, nel lume
appendicolare favorendo la proliferazione dei batteri che abitualmente vivono nell’intestino, cioè
E.coli, Staphilococchi, Streptococchi, Bacteroides..., che provocano l’infiammazione.
Raramente l’infezione avviene per via ematogena a partire da una tonsillite, faringite, virosi, poiché
l’abbondante tessuto linfatico appendicolare fa da richiamo per i germi circolanti.
Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO abbiamo 4 forme che in genere rappresentano gli
stadi evolutivi ingravescenti della malattia:
 appendicite acuta catarrale è caratterizzata da iperemia, edema, iperplasia linfatica ed
infiltrazione leucocitaria della mucosa e sottomucosa, con formazione di essudato siero-leucocitario
che distende il viscere con conseguente idrope appendicolare.
 appendicite acuta purulenta è dovuta all’intervento dei germi della suppurazione, con
infiammazione di tutta la parete, formazione di materiale purulento che si accumula nell’appendice
provocando empiema appendicolare con appendice ingrossata, ispessimento parietale e punta a
forma di clava. La mucosa è congesta e può presentare delle ulcerazioni profonde fino alla sierosa
con conseguente perforazione.
 appendicite acuta flemmonosa suppurativa interessa tutta la parete ed è caratterizzata dalla
formazione di ascessi con essudato fibrinoso-purulento abbondante sulla sierosa.
La flogosi interessa anche il peritoneo che riveste il cieco, l’ultima ansa ileale e il peritoneo
parietale contiguo, con conseguente peritonite circoscritta fibrinoso-purulenta (ascesso
appendicolare) nella fossa iliaca dx, con formazione del “piastrone ileo-ciecale”, cioè una
tumefazione a limiti indistinti, molto dolorosa, cute iperemica, febbre, stato tossico evidente, che
richiede un intervento chirurgico d’urgenza per evitare l’evacuazione dell’ascesso verso la cute ma
soprattutto verso il cavo peritoneale con conseguente peritonite generalizzata e shock settico.
 appendicite acuta gangrenosa è dovuta all’> P endoluminale, stasi sanguigna, ischemia, necrosi
e gangrena, fino alla perforazione e peritonite generalizzata con shock settico, anche fatale.
La necrosi si deve alla trombosi vasale da grave appendicite ostruttiva, con azione necrosante
diretta da parte di germi anaerobi ed è favorita dal decubito di un corpo estraneo endoluminale.
I SINTOMI dell’appendicite acuta sono:
- dolore addominale: insorge in uno stato di pieno benessere per il pz o dopo 2-3 gg di disturbi
dispeptici cioè inappetenza, nausea, alvo irregolare, cefalea.
Il dolore è violento, inizialmente di tipo colico, parossistico, poi continuo, localizzato nella fossa
iliaca dx e che tende ad irradiarsi verso la coscia dx oppure verso la regione lombare o glutea.

111
In alcuni casi il dolore è localizzato all’epigastrio o in sede periombelicale, dovuto all’irritazione
del ganglio celiaco da parte delle strutture simpatiche dell’appendice che sono compresse
dall’essudato. Tutto ciò può indurre ad una diagnosi sbagliata di ulcera gastro-duodenale o di
colecistite.
- nausea e vomito da eccitamento del ganglio celiaco: il vomito inizialmente è di tipo alimentare,
poi diventa di tipo biliare e infine di tipo fecaloide nella fase peritonitica.
- alvo chiuso a gas da ileo paralitico, raramente alle feci, infatti, si può avere diarrea.
- febbre fino a 38-39°C con notevole discrepanza retto-ascellare.
- polso piccolo e frequente pari a 80-90 bat/min, leucocitosi con globuli bianchi > 10000/mm³.
La DIAGNOSI si basa su:
 Anamnesi valutando sintomi e segni.
 Esame Obiettivo: all’Ispezione si nota una < dell’espansione respiratoria dell’addome
specialmente nelle fasi avanzate, i colpi di tosse possono accentuare il dolore nella fossa iliaca dx.
La Palpazione evidenzia una contrattura di difesa muscolare nella fossa iliaca dx o più diffusa e
consente di individuare i punti dolorosi, cioè:
- punto di Mc Burney che corrisponde al punto medio della linea che unisce la spina iliaca antero-
superiore all’ombelico.
- punto di Lanz posto tra il terzo laterale sx e il terzo medio della linea bispino-iliaca che unisce la
spina iliaca antero-superiore dx e sx.
Inoltre, si valuta la presenza del segno di Blumberg cioè si preme con la mano a livello della fossa
iliaca dx e poi sollevando la mano il pz avverte un dolore (“da rimbalzo”) oppure si valuta la
presenza del segno di Rovsing cioè si esegue una palpazione profonda nella fossa iliaca sx e,
paradossalmente, si ottiene la comparsa o l’accentuazione del dolore nella fossa iliaca dx, forse in
seguito allo spostamento dell’aria intracolica che distende il cieco e alla compressione della zona
infiammata per lo spostamento dei visceri.
All’Auscultazione dell’addome si può notare l’assenza dei movimenti peristaltici intestinali.
 Ecografia addome: piastrone ileo-ciecale in fossa iliaca dx e ascesso appendicolare.
 Rx diretta senza m.d.c.: corpi estranei o coproliti.
La Diagnosi Differenziale è con la:
- colica epatica caratterizzata da dolore e reazione di difesa addominale nell’ipocondrio dx che
tende ad irradiarsi verso la spalla dx (colecistite acuta).
- colica renale dx: dolore intenso in fossa iliaca dx-regione lombare e tende ad irradiarsi verso i
genitali esterni, la reazione di difesa addominale è modesta o assente. Il pz è molto agitato, si
muove continuamente cercando di trovare una posizione antalgica, per ridurre il dolore; ematuria
mentre il pz con appendicite acuta resta fermo perché qualsiasi movimento accentua il dolore.
- pancreatite acuta (iperamilasemia), ulcera peptica perforata (dolore più violento).
- prostatite o vescicolite individuata con l’esplorazione digito-rettale.
- cistite o pielonefrite individuata con l’esame delle urine.
- ileite terminale acuta (Morbo di Crohn pa anziani), diverticolo di Meckel (pz giovani).
- salpingite o salpingo-ovarite (malattia infiammatoria pelvica, soggetti di sesso F).
Inoltre, ricordiamo che la diagnosi di appendicite acuta è difficile nel caso delle forme atipiche
dovute alla sede anomala dell’appendice con appendicite retrociecale, pelvica, sottoepatica,
appendicite sx in caso di situs viscerum inversus.
La TERAPIA: somministrare antibiotici ad ampio spettro d’azione cioè metronidazolo e
+ -
cefalosporine (contro Gram e gram ), associati ad antinfiammatori; chirurgica d’urgenza con
appendicectomia (incisione secondo McBurney o pararettale in fossa iliaca dx): si esegue una
piccola incisione addominale trasversale per evitare di lesionare i nervi diretti al muscolo retto di
dx, oppure si esegue un’ampia laparotomia longitudinale dx o mediana nei soggetti obesi, adiposi,
oppure nel caso di dubbi diagnostici.
I rischi più elevati si hanno in caso di perforazione appendicolare con peritonite e shock settico.

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APPENDICITE CRONICA
L’Appendicite Cronica è un’infiammazione cronica dell’appendice che può nascere come
evoluzione di un’appendicite acuta oppure può nascere come una forma cronica ab inizio.
L’appendicite cronicizzata è la conseguenza di processi aderenziali, sclerosi dell’appendice,
infezioni latenti nel ricco tessuto linfatico.
L’appendice cronica ad inizio o cronica p.d. secondo molti anatomo-patologici non esiste o è una
situazione eccezionale ed è attribuita a pregressi episodi acuti banali non diagnosticati.
L’incidenza è più alta nell’infanzia e nella pubertà, soprattutto nel sesso femminile.
L’appendicite cronica può essere di tipo filiforme, sclerotica, aderente al cieco, al mesentere,
all’epiploon, agli annessi femminili, oppure può essere voluminosa, libera, con mesentere ispessito
e adenopatia satellite. Nel lume possono essere presenti coproliti o corpi estranei (semi d’uva,
noccioli di ciliegia...).
I SINTOMI dell’appendicite cronica sono:
- dolore saltuario, intermittente nella fossa iliaca dx, irradiato alla radice della coscia dx, raramente
alla regione glutea o lombare, che tende ad accentuarsi dopo pasti abbondanti oppure cibi indigesti.
- dispepsia con < appetito, nausea, stipsi, diarrea e febbricola.
In alcuni casi i sintomi sono atipici con dolore epigastrico associato a nausea, inappetenza, pirosi,
orientando verso una gastrite, ulcera gastro-duodenale...
Nel sesso femminile l’appendice si accompagna spesso a processi patologici ginecologici, come la
salpingite, ovarite, retroversione uterina, perché ci sono estesi collegamenti linfatici tra organi
genitali interni e l’appendice. In alcuni casi si hanno alterazioni del ciclo mestruale, cioè
dismenorrea, ipo o ipermenorrea, e disuria.
La DIAGNOSI avviene con:
- Rx con pasto baritato o con clisma opaco: consente di individuare i segni di una probabile flogosi
cronica, come la mancata o parziale iniezione dell’appendice, arresto temporaneo del bario per
transito rallentato, stasi ileale prolungata delle ultime anse.
La TERAPIA è Chirurgica nelle forme cronicizzate, mentre nelle forme ab inizio spesso si ricorre a
Terapia medico-dietetica con antispastici, lassativi blandi, crusca, dieta leggera, soprattutto
nell’adulto, mentre nel bambino si ricorre alla Chirurgia perché c’è sempre il rischio di un attacco
acuto.

INVAGINAZIONE ILEO CIECALE

L’Invaginazione ileo-ciecale si verifica quando la parte terminale dell’ileo penetra attraverso la


valvola ileo-ciecale nel cieco.
Le cause possono essere predisponenti, come un polipo intestinale con peduncolo lungo che può
essere spinto dai movimenti peristaltici al di la della valvola ileo-ciecale trascinandosi una parte
dell’intestino tenue nel colon, fino a provocare occlusione intestinale, per cui si ricorre
all’intervento di disinvaginazione riportando il tenue nella sua posizione naturale dove viene fissato
con alcuni punti.
PERITONEO

Il Peritoneo è una membrana sierosa che riveste la cavità addominale e buona parte dei visceri in
essa contenuti.
E’ costituita da un foglietto parietale e da un foglietto viscerale che sono in continuità tra loro,
formando la cavità peritoneale, cioè una cavità virtuale che nell’uomo è chiusa mentre nella donna
comunica con l’esterno mediante gli orifizi tubarici.
Il peritoneo parietale riveste tutta la parete anteriore dell’addome, le pareti laterali dell’addome,
parete posteriore e le pareti laterali della vescica e a vescica piena il peritoneo costituisce la tasca
peritoneale prevescicale.
Il peritoneo riveste la parete anteriore del retto, costituendo la cavità vescico-rettale, mentre nella
donna riveste la faccia anteriore del corpo e del fondo uterino, costituendo lo sfondato vescico-
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uterino, faccia posteriore del corpo uterino e faccia posteriore-superiore della vagina, riflettendosi
in alto per ricoprire la parete anteriore del retto, costituendo lo sfondato utero-vagino-rettale e
quindi la tasca di Douglas.
Inoltre, riveste gli ureteri, vasi spermatici, vena cava inferiore, aorta addominale, reni, surreni, 3°
distale della porzione discendente del duodeno, terza e quarta porzione duodenale e il pancreas,
tranne la coda.
Il peritoneo viscerale riveste tutti i visceri sovramesocolici, cioè fegato, stomaco, bulbo duodenale
e milza, e tutti i visceri sottomesocolici, cioè tenue, colon e retto.
Il tenue è completamente rivestito dal peritoneo viscerale che lo fissa posteriormente all’addome
mediante il mesentere, mentre il colon dx e sx sono rivestiti solo sulla parete anteriore ed il retto
solo nella porzione inferiore.
Il grande omento è una lamina di peritoneo che come una specie di grembiule è teso tra lo stomaco
e il colon.
La borsa omentale o retrocavità degli epiploon è un ampio recesso peritoneale del compartimento
sovramesocolico, compreso tra il fegato in alto e a dx, lo stomaco in avanti, il peritoneo parietale
indietro, la milza a sx, e che comunica con la cavità peritoneale mediante il forame epiploico di
Winslow.
Il peritoneo ha diverse funzioni:
- meccaniche: consente lo scivolamento dei visceri e il loro adattamento in base all’alimentazione,
allo stato di deplezione e replezione.
- secerne 20-30 cc di liquido peritoneale nelle 24 h.
- assorbe eventuali liquidi attraverso la via portale, cavale e linfatica.
- rappresenta una barriera di protezione contro le infezioni grazie agli istiociti della membrana
peritoneale e alla formazione di aderenze.

PERITONITE ACUTA

La Peritonite Acuta è un processo infiammatorio del peritoneo distinta in peritonite acuta diffusa e
peritonite acuta circoscritta.
La Peritonite Acuta diffusa è un'infiammazione molto grave, ad alto rischio per la vita del pz, per
cui richiede un trattamento d’urgenza, dovuta ad una invasione batterica o un insulto chimico del
peritoneo a partire da un organo addominale e si fa una distinzione tra Peritonite Acuta Secondaria
Settica e Asettica.
La Peritonite Acuta Secondaria Settica può essere dovuta a batteri aerobi come E. coli,
Streptocchi, Enterobacter, Klebsiella, Enterococchi, Proteus e batteri anaerobi come Bacteroides,
Clostridium, Bacterium fragilis.
Le Cause sono diverse:
- Diffusione da un focolaio infiammatorio addominale, come in caso di appendicite acuta, colecistite
acuta, diverticolite, ascesso epatico.
- Perforazione di un viscere cavo, come in caso di un’ulcera peptica perforata, perforazione di
diverticolo, perforazione diastasica a monte di occlusione, perforazione di colecisti, appendice o
altri organi addominali flogosati, perforazione di megacolon tossico, perforazione della vescica
perforazioni iatrogene in corso di esami endoscopici o radiologici.
- Ischemia con gangrena di un viscere cavo, come in caso di infarto intestinale, occlusione
intestinale con strozzamento, volvolo, invaginazione.
- Complicanze dopo interventi chirurgici: deiscenza di un’anastomosi, pancreatite post-operatoria,
contaminazione batterica intraoperatoria, ischemia e gangrena dei visceri cavi.
Le Peritoniti Acute Secondarie Asettiche sono dovute all’invasione della cavità peritoneale da
parte di sostanze chimico-tossiche irritanti, cioè:
- succo acido gastrico in caso di ulcera peptica perforata, ma ricordiamo che il succo gastrico è
contaminato da batteri aerobi e anaerobi provenienti dalla flora del cavo orale.
- secreto pancreatico in caso di pancreatite acuta o traumi del parenchima pancreatico.

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- bile con conseguente coleperitoneo da colecistite acuta perforata, neoplasia della colecisti con
perforazione, perforazione patologica o iatrogena delle vie biliari.
La bile è sterile ed è un irritante chimico molto potente, ma può essere contaminata da batteri in
corso di varie patologie provocando una peritonite settica biliare.
- urina: la contaminazione peritoneale da parte dell’urina con conseguente uroperitoneo si verifica
in caso di rottura intraperitoneale traumatica o spontanea della vescica.
- sangue in genere non è irritante per il peritoneo ma dalla lisi dei globuli rossi con liberazione
dell’Hb e del ferro ferroso si ha una lieve irritazione del peritoneo, favorendo l’insorgenza di una
infezione batterica secondaria.
L’emoperitoneo si deve ad una rottura spontanea di un’arteria viscerale, spesso l’arteria splenica,
ad una rottura spontanea o traumatica del fegato o della milza, ad una rottura di una gravidanza
extrauterina.
- materiale fecale: in seguito a perforazione dell’intestino passa nel cavo peritoneale, va incontro a
fenomeni putrefattivi e si parla di peritonite stercoracea.
- bario: usato come m.d.c. per esami radiologici, può riversarsi in cavità peritoneale in caso di
perforazioni di un viscere cavo ed essendo molto irritante genera una reazione peritoneale
granulomatosa o peritonite da bario. Per cui in caso di sospetta perforazione viscerale, l'esame
radiologico deve essere eseguito con mezzi di contrasto idrosolubili.
Dal punto di vista Anatomo Patologico inizialmente la peritonite si presenta come un’infezione di
natura sierosa, con superficie peritoneale iperemica, congesta e ricoperta da un sottile velo di
essudato, poi l’essudato diventa siero-fibrinoso o siero-purulento e si deposita sulle anse intestinali
con conseguente ileo paralitico riflesso, cioè occlusione intestinale, meteorismo e dilatazione delle
anse intestinali.
L’essudato siero-emorragico o emorragico è tipico della peritonite da pancreatite acuta, infarto
intestinale, occlusione intestinale da strangolamento, invaginazione intestinale o volvolo.
I Sintomi nelle fasi iniziali sono:
- dolore acuto, brusco, violento, continuo, localizzato prima a livello della sede colpita, cioè
epigastrio in caso di perforazione di un’ulcera gastro-duodenale, fossa iliaca dx in caso di
appendicite acuta, fossa iliaca sx in caso di diverticolite sigmoidea perforata, poi il dolore si
diffonde più o meno a tutto l’addome.
- chiusura dell’alvo a feci e gas (ileo paralitico riflesso da peritonite acuta).
- vomito riflesso, singhiozzo.
- polso piccolo e frequente, febbre alta, tachicardia e ipotensione arteriosa, che indicano uno stato
di shock.
Nelle fasi terminali il pz presenta:
- pallore, cute fredda e sudata, occhi infossati, labbra secche, lingua asciutta, cute anelastica, sete
persistente, fame d’aria, oliguria, polso debole, che indicano uno stato di disidratazione del pz.
L’ESAME OBIETTIVO è molto utile:
- Ispezione: il pz è immobile nel letto in posizione supina con le ginocchia flesse, qualsiasi
movimento accentua il dolore, anche un colpo di tosse. Per cui la respirazione è prevalentemente
toracica, rapida e superficiale mentre l’addome è fermo e non da alcun contributo alla respirazione.
- Palpazione superficiale e profonda evidenziano la presenza di dolore e la reazione di difesa
dell’addome, lignea, prima circoscritta, poi diffusa più o meno a tutto l’addome, il che consente di
escludere la presenza di un’occlusione meccanica dell’intestino dove la contrattura di difesa
addominale è assente e il dolore si accentua progressivamente ed è associato a borborigmi ad alta
tonalità.
Inoltre, la contrattura di difesa è assente o modesta in caso di coliche epatiche, mentre è assente nel
caso delle coliche renali dove il pz è agitato, in continuo movimento nel tentativo di trovare una
posizione più o meno antalgica, cioè capace di far ridurre il dolore.
Inoltre, alla palpazione si nota la presenza del segno di Blumberg cioè si esegue la palpazione e
sollevando la mano dall’addome si ha un’accentuazione del dolore, per cui si parla di “dolore da

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rimbalzo”, oppure il segno di Murphy in caso di colecistite acuta perforata (palpazione e blocco
della respirazione).
- Percussione: < o scomparsa dell’aia di ottusità epatica da pneumoperitoneo in seguito alla
perforazione dei visceri contenenti gas che si interpone tra fegato e parete toraco-addominale.
- Auscultazione: assenza della peristalsi e dei borborigmi intestinali da ileo paralitico riflesso.
- Esplorazione digito-rettale: dolore intenso se si preme sulla tasca di Douglas, dove si raccoglie
l’essudato.
La DIAGNOSI si basa su:
- Indagini di laboratorio: leucocitosi, disidratazione con > HCT, > azotemia, > creatininemia,
alterazioni biochimiche legate alla reazione catabolica cioè iperglicemia da resistenza periferica
all’insulina, iperazotemia, ipoalbuminemia, oppure alterazioni secondarie ad insufficienza d’organo,
cioè epatica, renale e respiratoria.
Ricordiamo che nei soggetti anergici (immunodepressi) e nelle fasi tardive la febbre e la leucocitosi
possono essere assenti.
- Emogasanalisi: alcalosi respiratoria per iperventilazione da stimolo sul centro del respiro da
ipossiemia, acidosi metabolica da shock ipovolemico e settico, ipossiemia da ARDS.
- Rx diretta dell’addome senza m.d.c.: evidenzia la presenza di gas libero nelle parti più alte
dell’addome, cioè la “falce aerea sottodiaframmatica” che è indice di perforazione di un viscere
cavo con pneumoperitoneo, la presenza di ileo paralitico riflesso con anse intestinali dilatate e
immobili e i livelli idro-aerei (ansa sentinella), la scomparsa del profilo dei muscoli ileo-psoas.
- Ecografia: evidenzia la presenza di versamento libero in addome, processi flogistici epato-bilio-
pancreatici, presenza di ascessi, inoltre sotto guida ecografica possiamo eseguire una puntura
esplorativa percutanea con esame colturale, biochimico e citologico del materiale aspirato.
In caso di dubbio diagnostico possiamo ricorrere a:
- puntura o puntura-lavaggio peritoneale esplorativa con esame chimico-fisico, citologico e
colturale del liquido aspirato: la presenza di più di 500 globuli bianchi/ml dopo lavaggio con 1 litro
di soluzione fisiologica è strettamente correlato con la presenza di una infezione intraddominale.
- Laparoscopia: è utile per la diagnosi e la scelta terapeutica, riducendo il margine di errore di
laparotomie inutili dal 40 al 10%. Si fa una piccola incisione sulla parete addominale e si introduce
un endoscopio nella cavità peritoneale, osservando lo stato della sierosa peritoneale ed eseguendo
prelievi bioptici per valutare la natura dell’infezione e ricercare i batteri responsabili, in modo da
ricorrere ad una terapia antibiotica mirata. In attesa dei risultati si ricorre ad antibiotici ad ampio
spettro d’azione.
E’ importante la diagnosi precoce della peritonite per intervenire tempestivamente con terapia
medico-chirurgica adeguata e salvare la vita del pz.
La PROGNOSI è molto grave con alto rischio di mortalità in presenza di sepsi e insufficienza
multiorgano (80%).
La TERAPIA prevede di monitorare accuratamente il pz, controllando HCT, PVC, diuresi oraria
che è utile per monitorare le perdite e ci dice se la terapia di reidratazione del pz è efficace con
ripresa della minzione, P arteriosa, frequenza cardiaca, polso, frequenza respiratoria.
Bisogna correggere le alterazioni metaboliche e idroelettrolitiche reinfondendo liquidi,
elettroliti, plasma expanders, albumina plasmatica, ringer lattato.. si applica un sondino naso-
gastrico soprattutto in presenza di vomito utile per monitorare le perdite ed evitare la polmonite ab
ingestis.
Si ricorre alla terapia antibiotica ad ampio spettro, cioè contro i Gram+ e Gram–, aerobi e
anaerobi cioè cefalosporine, aminoglicosidi, metronidazolo o clindamicina.
In presenza di insufficienza respiratoria si ricorre alla somministrazione di O2 con catetere nasale o
alla ventilazione meccanica assistita nelle forme più gravi.
Dopo questa prima fase che deve essere rapida si ricorre all’intervento chirurgico d’urgenza con
incisione laparotomica mediana per accedere facilmente a tutti i quadranti addominali.
L’intervento chirurgico varia a seconda della patologia che ha causato la peritonite.

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E’ importante il lavaggio della cavità peritoneale mediante una soluzione fisiologica, antibiotici ad
azione locale e soluzioni antisettiche (povidone-iodio) associato all’inserimento di drenaggi
multipli sia a caduta che in aspirazione (entrata-uscita). Monitoraggio post-operatorio.
La Peritonite Acuta Circoscritta è un processo infiammatorio sieroso, siero-fibrinoso o purulento
localizzato in un’area circoscritta della sierosa peritoneale perché viene bloccata dai visceri e
organi circostanti, come succede in caso di un’appendicite acuta retrociecale, perforazione coperta
di un’ulcera duodenale o un diverticolo del colon o di una pseudocisti pancreatica, pelviperitonite.
Infine, possiamo fare una distinzione tra:
La Peritonite preoperatoria da appendicite perforata con peritonite localizzata o generalizzata o
da necrosi pancreatica infetta. La sorgente dell’infezione spesso viene rimossa solo parzialmente.
La Peritonite Intraoperatoria da contaminazione batterica esterna, spesso di natura iatrogena da
cateteri o drenaggi, oppure da contaminazione batterica interna, come in caso di apertura di un
organo cavo non sterile, oppure in caso di occlusione intestinale, carcinoma gastrico, con infezioni
particolarmente resistenti agli antibiotici.
La Peritonite Postoperatoria si deve a complicanze che si verificano dopo un intervento
chirurgico, come succede in caso di deiscenza di un’anastomosi intestinale, rottura di un moncone,
lesione a carico di organi cavi non individuata, come il distacco di aderenze peritoneali eseguite in
condizioni di scarsa visibilità, oppure infezione di un coagulo.
Inoltre, abbiamo la peritonite postoperatoria da malattie secondarie come da colecistite acuta e
appendicite acuta.

TUMORI RETROPERITONEALI
Lo Spazio retroperitoneale è quella zona occupata da tessuto connettivo lasso compreso tra il
peritoneo parietale e lo strato muscolo fasciale a livello della parete addominale posteriore
contenente diversi organi: pancreas, duodeno, reni, surreni, ureteri, aorta addominale, vena cava
inferiore, arteria e vena iliaca comune dx e sx, tripode celiaco, arteria e vena renale dx e sx, vene
mesenteriche superiore e inferiore, linfonodi lombo-aortici, plesso celiaco...
I TUMORI RETROPERITONEALI sono rarissimi, rappresentano solo lo 0,01-0,2 % di tutti i
tumori, appartenenti al gruppo dei tumori delle parti molli che interessano il retroperitoneo nel
12% dei casi, ma soprattutto gli arti superiori e inferiori nel 53% dei casi, il tronco nel 20% e il
distretto cervico-facciale.
Possono essere benigni o maligni a prognosi sfavorevole perché i sintomi sono aspecifici, sfumati
o assenti nelle fasi iniziali, per cui la diagnosi e la terapia sono tardive.
I tumori retroperitoneali nel 75% dei casi sono di origine mesenchimale, negli altri casi sono di
origine neuroectodermica ed embrionali.
Tra i tumori mesenchimali benigni abbiamo i fibromi, lipomi, rabdomiomi.
Tra i tumori mesenchimali maligni abbiamo i fibrosarcomi, liposarcomi che sono i più frequenti e i
rabdomiosarcomi che sono molto aggressivi, si accrescono rapidamente infiltrando gli organi vicini.
I tumori retroperitoneali di origine neuroectodermica o tumori nervosi sono più frequenti
nell’infanzia, originano dalla guaina nervosa e sono rappresentati dal neurinoma o schwannoma
benigno o maligno (nervi), oppure originano dal simpatico o parasimpatico, come il
ganglioneuroblastoma benigno e maligno.
I tumori di origine embrionale o vestigiale rappresentano solo l’1% dei tumori retroperitoneali e
sono rappresentati dai teratomi benigni e maligni.
I SINTOMI possono essere assenti per lunghi periodi di tempo e si manifestano solo quando il
tumore ha raggiunto delle notevoli dimensioni comprimendo le strutture adiacenti: in questi casi si
può anche palpare una tumefazione, che provoca dolore di diversa intensità, nausea, stipsi,
senso di peso in regione lombare, disturbi urinari, ematuria, disuria, pollachiuria.
In caso di compressione della vena cava inferiore e delle vie linfatiche, si possono avere edemi agli
arti inferiori, dilatazione dei vasi addominali superficiali e varicocele.

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Si ha una rapida compromissione delle condizioni generali del pz, perdita di peso, anche 10-20
kg in pochi mesi, febbricola per lunghi periodi di tempo.
La DIAGNOSI si basa su:
 TAC, RMN, ecografia: consentono di stabilire la sede del tumore, i rapporti con le strutture
adiacenti, la natura cistica o solida del tumore.
 Rx con clisma opaco consente di valutare la presenza di compressioni, spostamenti dello stomaco
e dell’intestino.
 Urografia consente di evidenziare la compressione o lo spostamento dei reni e ureteri.
 Aortografia e arteriografia selettiva addominale e cavografia inferiore a partire dai vasi
femorali, consentono di evidenziare gli spostamenti e le stenosi dei vasi, fornendo utili informazioni
al chirurgo sulla vascolarizzazione del tumore.
 Laparoscopia: consente di valutare l’integrità dei visceri addominali e indirettamente di
confermare la sede del tumore in seguito allo spostamento del peritoneo parietale posteriore verso le
parti anteriori dell’addome.
 Biopsia con ago sottile sottoguida ecografica prevede di asportare un frammento di tessuto e di
valutare la natura istologica del tumore.
A tal proposito esiste il grading istologico secondo Russel con distinzione tra 3 gradi: grado G1
ben differenziato, grado G2 moderatamente differenziato, grado G3 scarsamente differenziato ad
alto grado di malignità e con prognosi sfavorevole.
La Prognosi dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia. Ricordiamo la classificazione TNM:
- T1: neoplasia con Ø < 5 cm.
- T2: neoplasia con Ø > 5 cm.
- T3: neoplasia interessa le strutture adiacenti.
- N0: nessuna metastasi linfonodale.
- N1: presenza di metastasi linfonodali.
- M0: nessuna metastasi a distanza.
- M1: presenza di metastasi a distanza.
La TERAPIA è chirurgica per via laparotomia mediana xifopubica o per via toraco-freno-
laparotomica oppure lombotomia antero-laterale extraperitoneale o posteriore transcoccigea a
seconda della sede interessata con exeresi parziale o totale degli organi e vasi colpiti.
VARICI ARTI INFERIORI
Le VARICI degli Arti Inferiori o Vene Varicose sono dilatazioni patologiche permanenti di una
o più vene degli arti inferiori che si allungano ed assumono un decorso serpiginoso.
Ricordiamo anche le varici del retto o emorroidi interessano il plesso emorroidario, le varici dello
scroto o varicocele interessano il plesso pampiniforme, le varici gastro-esofagee nei pz con
ipertensione portale, le varici del plesso pelvico con interessamento delle vene uterine e vescicali, le
varici del collo con interessamento delle vene giugulari e le varici dell’arto superiore.
Dal punto di vista ANATOMICO le vene degli arti inferiori sono distinte in:
- vene superficiali: vena grande e piccola safena.
- vene profonde: vene tibiali anteriori e posteriori, vena poplitea, vena peronica, vena femorale.
- vene perforanti o comunicanti: collegano il sistema venoso superficiale a quello profondo.
La Vena Grande Safena (safena interna) origina davanti al malleolo mediale o interno o tibiale
come continuazione della vena marginale mediale del piede, decorre lungo la faccia mediale della
gamba, fino al ginocchio, lungo la faccia antero-mediale della coscia a livello del margine mediale
del muscolo sartorio, fino al triangolo femorale dove sbocca nella vena femorale.
I rami collaterali della vena grande safena sono: vena epigastrica superficiale, vena safena anteriore,
vena safena accessoria, vene pudende esterne, vena circonflessa iliaca superficiale, vena grande
anastomotica che consente l’anastomosi con la vena piccola safena.
La Vena Piccola Safena (safena esterna) origina dietro il malleolo esterno o laterale o fibulare
come continuazione della vena marginale laterale del piede, sale lungo il margine laterale del

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tendine calcaneale e lungo la faccia postero-mediale della gamba fino a raggiungere il cavo popliteo
dove sbocca nella vena poplitea.
I rami collaterali della vena piccola safena sono: vene sottocutanee della regione posteriore della
gamba e del cavo popliteo, vena femoro-poplitea.
Si tratta di vene provviste di valvole che dirigono il flusso sanguigno dagli arti inferiori verso il
cuore, impedendo il flusso retrogrado: se queste valvole sono inefficienti il sangue refluisce verso le
gambe, provocando la dilatazione delle vene con stasi venosa periferica, edema e disturbi trofici.
Le varici degli arti inferiori sono distinte in varici primitive, idiopatiche o essenziali e varici
secondarie o sintomatiche.
Le VARICI PRIMITIVE, IDIOPATICHE o ESSENZIALI originano nel sistema venoso
superficiale. I soggetti a rischio sono: soggetti che per motivi di lavoro devono stare in piedi per
gran parte della giornata, donne in gravidanza, anziani e soggetti obesi.
L’insorgenza delle vene varicose durante la gravidanza si deve allo squilibrio ormonale, cioè
all’iperestrogenismo che provoca una < del tono della parete venosa con ipertensione venosa in
seguito alla apertura di shunt artero-venosi, notevole > della portata arteriosa nel distretto utero-
pelvico e passaggio di una certa quantità di sangue arterioso ad alta P nelle vene con dilatazione o
ectasia delle vene superficiali, cioè piccola e grande safena, che decorrono nel tessuto sottocutaneo,
sono meno protette rispetto alle vene profonde, cioè vena femorale, vena poplitea e vene tibiali, che
sono protette da muscoli volontari.
Spesso le vene varicose sono già presenti nelle donne prima della gravidanza e durante la
gravidanza si può avere un’infiammazione detta flebite caratterizzata da crampi dolorosi, prurito,
sensazione di pesantezza alle gambe, formazione di lesioni ulcerose.
Inoltre, esiste una predisposizione familiare cioè le varici possono interessare vari membri della
stessa famiglia.
Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO spesso le varici interessano la vena grande safena,
altre volte la vena piccola safena o i vasi comunicanti e possiamo fare una distinzione tra:
- varici serpiginose: sono le più frequenti, caratterizzate da un > del Ø e lunghezza delle vene.
- varici sacculari: la dilatazione interessa solo una parte della circonferenza della vena.
- varici cilindriche: la dilatazione interessa tutta la circonferenza della vena.
- varici ampollari: la dilatazione interessa piccoli segmenti sovrapposti della vena.
Si ha un ispessimento della parete della vena, atrofia delle fibre muscolari ed elastiche, la parete
diventa sempre più debole, ipoelastica, si sfianca progressivamente e in caso di flebite si notano
anche delle calcificazioni.
I SINTOMI delle varici primitive sono:
- senso di pesantezza o affaticamento degli arti inferiori che si accentua durante la giornata
soprattutto se si sta in piedi per molte h, si attenua col riposo e tenendo gli arti leggermente
sollevati.
- edema malleolare con gonfiore alle caviglie, soprattutto nelle ore serali, scompare col riposo a
letto.
- turgore doloroso alle vene.
All’Esame Obiettivo le vene varicose si presentano come dei cordoni bluastri e si parla di ectasie
venose superficiali, che alla Palpazione presentano una consistenza molle, elastica, sono riducibili e
indolenti. Nelle fasi avanzate si notano delle discromie cutanee emosideremiche cioè alterazioni
della pigmentazione della cute, lesioni eczematose con prurito intenso e ulcere al terzo distale delle
gambe. Si tratta di disturbi che tendono ad accentuarsi durante l’estate perché il caldo provoca
vasodilatazione.
Inoltre, possiamo eseguire alcune Manovre Semeiologiche:
 Manovra di Rima Trendelenburg per la vena grande safena per valutare l’insufficienza della
vena grande safena: il pz sta in decubito supino, si solleva l’arto inferiore di 60° per favorire lo
svuotamento delle varici, si applica un laccio elastico alla radice della coscia per chiudere le vene
superficiali, poi il pz si alza dal letto, si rimuove il laccio e se le varici si riempiono rapidamente
dall’alto verso il basso significa che le valvole della vena grande safena sono insufficienti, se

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invece le varici si riempiono in seguito a sforzi che vengono fatti compiere al pz significa che c’è
un’insufficienza dei vasi comunicanti, se invece pur non rimuovendo il laccio elastico le varici si
riempiono rapidamente è probabile che ci sia un’insufficienza della vena piccola safena poiché non
c’è alcun laccio che blocca l’afflusso di sangue nella vena poplitea.
 Manovra di Rima Trendelenburg per la vena piccola safena per valutare l’insufficienza della
vena piccola safena: il pz inizialmente in decubito supino, si solleva l’arto inferiore, si applica un
laccio alla radice della coscia per bloccare la vena grande safena e un laccio al di sotto del
ginocchio per bloccare la vena piccola safena.
Poi il pz si alza e il medico comprime con un dito lo sbocco della piccola safena nella vena poplitea
e toglie il laccio a livello del ginocchio: inizialmente i vasi della gamba restano vuoti, mentre non
appena si toglie il dito se le varici si riempiono rapidamente dall’alto in basso significa che c’è
un’insufficienza della piccola safena, se invece togliendo il dito le varici non si riempiono ma solo
dopo aver rimosso il laccio a livello della coscia significa che c’è un’insufficienza della vena
grande safena.
 Manovra di Pratt per valutare l’insufficienza dei rami comunicanti: si solleva l’arto inferiore per
svuotare le varici, si mette un laccio elastico alla radice della coscia, si comprime tutto l’arto
inferiore con una fascia elastica molto stretta, il pz si alza e si toglie lentamente la fascia dall’alto in
basso in modo che dopo la decompressione si ha il riempimento rapido delle varici e si contrassegna
la cute con una matita dermografica perché questa zona corrisponde ad una perforante insufficiente.
Si sposta il laccio elastico dalla radice della coscia al di sotto della zona contrassegnata e si rimuove
un altro tratto di fascia per ricercare anche le altre perforanti insufficienti.
Per la Diagnosi Differenziale tra varici primitive e secondarie è utile la manovra di Rima
Trendelenburg, la fono-varicografia secondo Martorell o prova del soffio da reflusso, cioè si
applica il fonendoscopio a livello delle varici e si toglie il laccio elastico: nel caso delle varici
primitive o essenziali si percepisce un soffio modesto, nel caso delle varici secondarie ad una
fistole artero-venosa il soffio è più intenso, nelle varici secondarie post-flebitiche il soffio non si
apprezza. E’ molto utile l’Eco-Doppler per studiare l’emodinamica del circolo profondo.
La TERAPIA delle varici degli arti inferiori può essere medica o chirurgica.
La Terapia Medica può essere Palliativa mediante la compressione con calza elastica, oppure
Curativa farmacologica somministrando farmaci flebotrofici, come i flavonoidi (diasmina,
esperidina) oppure gli estratti della centella asiatica per migliorare il microcircolo favorendo gli
scambi tra sangue e interstizio.
Molto utile è la Terapia Sclerosante cioè si iniettano delle sostanze sclerosanti in vena (salicilato di
sodio, soluzioni saline ipertoniche) che provocano una chiusura dei vasi e si applica un bendaggio
per comprimere la zona e favorire la scomparsa della varice.
Non bisogna iniettare la sostanza sclerosante in un’arteria per evitare l’ischemia dell’arto con
gangrena e in caso di errore bisogna lasciare l’ago in arteria e iniettare una soluzione fisiologica +
eparina.
Il pz deve evitare di stare in piedi a lungo e deve riposarsi frequentemente, tenendo le gambe
leggermente sollevate rispetto al tronco, le calze elastiche evitano il gonfiore controbilanciando la
pressione venosa, mentre la marcia stimola la circolazione sanguigna nelle gambe.
La Terapia Chirurgica si basa sull’escissione della grande e/o della piccola safena per estrazione o
stripping mediante una sonda flessibile, munita di una testina metallica a margini taglienti. Si
esegue prima la crossectomia sezionando e legando le collaterali che sboccano nella safena.
Tra le COMPLICANZE delle varici degli arti inferiori abbiamo: rottura, flebite e ulcera varicosa.
La Rottura delle Varici si deve all’eccessivo sfiancamento delle vene e ai processi degenerativi
delle pareti venose con emorragia esterna abbondante se il vaso è beante, per cui si deve ricorrere
subito alla compressione della vena con una fasciatura o alla legatura della vena.
Raramente si ha un’emorragia interstiziale con ecchimosi ed ematomi sottocutanei, dolore vivo che
impedisce qualsiasi tipo di movimento, che in genere si riassorbe spontaneamente con il riposo,
oppure mediante impacchi caldo-umidi e pomate a base di eparina.

120
La Flebite e Tromboflebite si hanno in caso di varici di vecchia data, nei soggetti anziani,
diabetici, abrasioni o ferite superficiali a livello delle varici o malattie infettive.
Il trombo si forma come risposta all’infiammazione della parete vasale (flebite): il trombo
inizialmente è costituito da piastrine e fibrina, poi anche dai globuli rossi.
I fattori di rischio della trombosi sono: stasi di sangue venoso agli arti inferiori, lesioni vascolari,
ipercoagulabilità del sangue.
I SINTOMI sono eritema cutaneo, gonfiore, dolore, calore, comparsa di un cordone duro, dolente
lungo il decorso della vena varicosa.
In genere, le tromboflebiti distali non sono di natura emboligena per cui sono sufficienti calze
elastiche e calciparina, oppure la trombectomia in anestesia locale.
La tromboflebite prossimale a livello dello sbocco safenico è ad alto rischio di embolia polmonare
perché la trombosi si estende facilmente alla vena femorale, per cui si deve ricorrere alla chirurgia
d’urgenza.
L’Ulcera Varicosa interessa la faccia mediale o laterale del terzo inferiore della gamba con edema
e infiammazione, senso di peso, prurito intenso e si forma un’ulcera rotonda o ovale, che tende
progressivamente a circondare tutta la gamba, con margini netti e regolari, oppure irregolari e
frastagliati, con fondo grigiastro, secernente un liquido siero-purulento, spesso fetido.
E’ utile la Profilassi: riposo a letto per alcuni gg, gambe sollevate, uso di soluzioni locali
epitelizzanti e antisettiche per facilitare la riparazione delle lesioni, fino alla compressione elastica,
mobilizzazione attiva dell’arto, ricoprendo l’ulcera con sostituti cutanei che consentono gli scambi
gassosi con l’esterno e si oppongono alla contaminazione batterica e dopo la riparazione delle
lesioni si esegue la legatura e asportazione delle safene o “stripping”.
Se l’ulcera non guarisce completamente e i tessuti periulcerosi sono molto compromessi è
indispensabile asportare la regione interessata, ricoprendola con un innesto cutaneo.
Le VARICI SECONDARIE o SINTOMATICHE sono più rare, originano nel sistema venoso
profondo in seguito ad una insufficienza valvolare o ad una occlusione congenita o acquisita con
conseguente dilatazione delle vene superficiali.
Dal punto di vista clinico abbiamo varie forme:
 Varici Secondarie alla sindrome post-flebitica dovuta ad una trombosi venosa profonda di
vecchia data che nel 50% dei casi interessa l’arto inferiore sx, per una trombosi del segmento
iliaco-femorale, popliteo-femorale.. e a causa dell’ostruzione il sangue prende la via delle vene
comunicanti, dilatandole, si formano dei circoli collaterali, per cui il sangue raggiunge e
sovraccarica il circolo venoso superficiale con conseguente formazione delle varici sintomatiche.
I SINTOMI sono senso di peso all’arto, tensione dolorosa in posizione eretta o prolungata
deambulazione (camminata), edema duro-fibrotico, varici sintomatiche, placche dermo-
ipodermiche, vaste chiazze cutanee discromiche, eczema, ulcerazioni cutanee.
Inoltre, sintomi osteo-articolari: dolore osseo spontaneo o alla palpazione, rigidità e dolore
articolare della caviglia e del ginocchio, e segni radiologici come la decalcificazione dei capi
articolari tibio-tarsici.
L’Eco-Doppler consente di valutare il flusso venoso localizzando i vasi perforanti incontinenti.
La Terapia Medica nelle fasi iniziali prevede la compressione con calze elastiche, somministrando
farmaci antiflogistici e vaso-protettivi, mentre nelle fasi avanzate si ricorre alla Terapia Chirurgica
cioè stripping delle vene varicose quando all’Eco-Doppler il sistema venoso profondo risulta pervio
e con valvole efficienti, mentre la grande safena è dilatata e con valvole inefficienti.
Negli altri casi si ricorre alla legatura dei punti di fuga delle perforanti incontinenti, costringendo il
sangue a defluire attraverso il circolo venoso profondo.
La Complicanza più grave è il distacco del trombo con embolia polmonare: l’embolo attraverso il
flusso ematico raggiunge e ostruisce il tronco principale dell’arteria polmonare o i suoi rami
collaterali provocando uno shock cardiogeno da notevole < gittata cardiaca ed exitus in pochi
minuti, nei casi più fortunati solo problemi respiratori ed emodinamici: insufficienza respiratoria
con dispnea, tosse, emottisi, collasso alveolare da riduzione del surfactant e atelectasia, ipertensione

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polmonare con insufficienza ventricolare dx, tachicardia e < gittata cardiaca, tumefazione delle vene
giugulari al collo, pallore, per cui si parla di cuore polmonare acuto.
Varici Secondarie di natura iatrogena da legatura chirurgica sbagliata delle vene del circolo
venoso profondo.
Varici Secondarie a comunicazioni artero-venose anomale (fistole artero-venose) con passaggio
di una notevole quantità di sangue arterioso ad alta P a quello venoso con formazione delle varici.

PANCREAS
Il Pancreas è una ghiandola posta in posizione retroperitoneale, trasversalmente e davanti alle
prime due vertebre lombari, presenta una parte esocrina a secrezione esterna e una parte endocrina
a secrezione interna.
La Parte Esocrina secerne il succo pancreatico, ~ 1500-2000 ml/24 h, ricco di enzimi digestivi:
─ enzimi proteolitici: tripsina, chimotripsina, carbossipeptidasi continuano la digestione delle
proteine iniziata dalla pepsina.
─ enzimi glicolitici: amilasi scinde l’amido e il glicogeno in destrina e maltosio.
─ enzima lipolitici: lipasi, attivata dai sali biliari, scinde i grassi neutri in acidi grassi e glicerina.
Il succo pancreatico è chiaro, incolore, alcalino (pH = 8.5 ~), ricco di H2O, elettroliti soprattutto il
bicarbonato che ha lo scopo di portare l’ambiente duodenale ad un pH ottimale, cioè ~ 6.8 per
favorire l’azione degli enzimi digestivi.
La Parte Endocrina è rappresentata dalle isole pancreatiche di Langherans costituite da diversi
tipi di cellule deputate alla secrezione di vari ormoni, cioè:
- cellule β: producono l’insulina.
- cellule α: distinte in cellule A che producono il glucagone, cellule D che producono la
somatostatina e cellule PP che producono il polipeptide pancreatico che inibisce la secrezione della
tripsina e della bile, inducendone l’accumulo nella cistifellea.
L’insulina favorisce la polimerizzazione del glucosio nel fegato e nei muscoli e la combustione del
glucosio liberato da questi serbatoi, cioè regola la glicemia o tasso di glucosio nel sangue.
In caso di carenza di insulina si va incontro al diabete pancreatico in cui il fegato converte gli a.a.
e altri substrati in glucosio, con conseguente perdita proteica, il glucosio viene metabolizzato di
meno e si ha l’> glicemia. Se l’insulina viene prodotta in eccesso si va incontro alla sindrome
ipoglicemica. Il glucagone ha azione iperglicemizzante grazie alla mobilizzazione del glucosio dal
fegato.
Il pancreas è annesso al duodeno per mezzo del dotto pancreatico principale o maggiore di
Wirsung che si apre nella papilla duodenale maggiore e del dotto pancreatico accessorio di
Santorini che si apre nella papilla duodenale minore.
Il pancreas presenta 3 parti, cioè testa, corpo e coda.
La testa è accolta nella concavità della C duodenale, è incrociata anteriormente dalla radice del
mesocolon trasverso che delimita una porzione sovramesocolica e una porzione sottomesocolica da
cui origina il processo uncinato incrociato dalla arteria e dalla vena mesenterica superiore.
Posteriormente alla testa del pancreas c’è la vena cava inferiore, mentre l’aorta addominale si trova
dietro al corpo del pancreas.
La coda del pancreas sottile e piatta o arrotondata e tozza, è in rapporto con l’ilo della milza
mediante il legamento pancreatico-duodenale che rappresenta un mezzo di fissità del pancreas
insieme alla C duodenale e al peritoneo parietale posteriore.
La vascolarizzazione arteriosa si deve alle 2 arcate pancreatico-duodenali una sulla faccia anteriore
e una sulla faccia posteriore della testa del pancreas in seguito all’anastomosi tra arteria
pancreatico-duodenale superiore (ramo dell’arteria gastro-duodenale) e arteria pancreatico-
duodenale inferiore (ramo dell’arteria mesenterica superiore) da cui origina anche l’arteria
pancreatica inferiore che percorre il margine inferiore del corpo del pancreas.
L’arteria splenica decorre lungo il margine supero-posteriore del pancreas, dando origine a diversi
rami arteriosi che penetrano nella ghiandola pancreatica e si anastomizzano tra loro.
Le vene sono tributarie della vena splenica e delle vene mesenteriche, cioè della vena porta.

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A livello della testa del pancreas si formano delle arcate venose che corrispondono a quelle
arteriose.
Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi pancreatico-duodenali, linfonodi mesenterici superiori,
linfonodi splenici, linfonodi retropancreatici, linfonodi preaortici e iuxtacavali.
L’innervazione spetta al plesso celiaco o ai plessi perivasali che originano da quello celiaco: si
tratta di fibre ortosimpatiche e parasimpatiche vagali che stimolano la fx secretiva e sensitiva del
pancreas.

PANCREATITE ACUTA AUTODIGESTIVA

La Pancreatite Acuta è una malattia infiammatoria acuta del pancreas e dei tessuti
peripancreatici, detta autodigestiva perché è caratterizzata dall’autodigestione della ghiandola da
parte degli enzimi proteolitici e altri enzimi secreti dal pancreas esocrino.
Nell’80% dei casi ~ si tratta di una patologia di entità lieve-moderata tenuta sottocontrollo con la
stabilizzazione emodinamica con infusione di liquidi, elettroliti e farmaci analgesici per controllare
il dolore, mentre nel 20% dei casi si tratta di una patologia di entità grave con mortalità pari al 60%
dei casi: la mortalità può essere precoce, entro la prima settimana, in caso di insufficienza
multiorgano, con al primo posto l’ARDS, oppure mortalità tardiva, dopo la prima settimana, in
caso di complicanze settiche.
In genere, insorge verso i 40-50 anni con rapporto M/F pari a 2/1, in Italia l’incidenza è di 5-6 nuovi
casi/100000 abitanti/anno.
Dal punto di vista EZIOLOGICO abbiamo varie cause:
 calcolosi biliare: è responsabile del 50-60% dei casi di pancreatite acuta soprattutto nei pz
anziani con anamnesi + per colelitiasi, legata al passaggio dei calcoli dalle vie biliari nel dotto
pancreatico di Wirsung ostacolando il deflusso pancreatico, per cui si ha la retrodiffusione degli
enzimi pancreatici già attivi nel parenchima pancreatico e si parla di Teoria della Retrodiffusione
degli enzimi pancreatici con autodigestione del parenchima pancreatico da parte di vari enzimi cioè
─ tripsina provoca la colliquazione dei tessuti o necrosi colliquativa.
─ fosfolipasi A2 provoca la distruzione dello strato polipeptidico delle membrane cellulari con
necrosi coagulativa.
─ elastasi provoca la distruzione delle fibre elastiche (elastina) presente nei vasi con pancreatite
acuta emorragica.
 abuso di alcol: è responsabile del 30% dei casi la pancreatite acuta, infatti l’alcool altera la
composizione del secreto pancreatico e attiva gli enzimi pancreatici direttamente nel parenchima
pancreatico prima che questi raggiungano i dotti pancreatici, con formazione di coaguli o tappi
proteici nei dotti pancreatici, ostruzione e ipersecrezione (Teoria dell’ostruzione-secrezione), fino
allo spasmo dello sfintere di Oddi.
La Pancreatite Acuta Alcolica spesso colpisce soggetti giovani verso i 30 anni con consumo di alcol
giornaliero pari a circa 150 gr., ma è stato dimostrato che anche un consumo di alcol pari a 50
gr./die protratto per un arco di tempo variabile da 4 a 6 anni può provocare la pancreatite acuta.
Nel 10% dei casi la pancreatite acuta è Idiopatica cioè ad eziologia sconosciuta.
Nel restante 10% dei casi è dovuta ad altre cause:
- tumori periampollari: provocano l’ostruzione al flusso biliare e pancreatico.
- ulcera peptica duodenale penetrante in pancreas.
- cause iatrogene l’ERCP nel 3% dei casi può provocare la pancreatite acuta.
- farmaci: corticosteroidi, estrogeni (contracettivi orali), tetracicline...
- traumi addominali, interventi chirurgici (gastrectomia, chirurgia biliare, splenectomia).
- pz obesi e forti mangiatori.
- iperparatiroidismo con ipercalcemia e > [Ca2+] nel secreto pancreatico che provoca
un’attivazione prematura delle proteasi.
Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO si fa una distinzione tra pancreatite acuta
eritematosa, edematosa, emorragica e pancreatite acuta necrotico-emorragica detta P.A.N.E. o
fulminante che è la più grave perché provoca delle gravi manifestazioni sistemiche.
123
Nelle fasi iniziali si ha edema con > parziale o totale del volume della ghiandola pancreatica,
mentre nelle fasi avanzate la ghiandola appare tumefatta, infarcita di sangue, si ha l’infiltrazione del
retroperitoneo da parte di materiale siero-ematico che in alcuni casi si riassorbe, mentre in altri casi
evolve nelle pseudocisti, per cui il pancreas diventa palpabile e, inoltre, il liquido può infettarsi con
conseguente formazione di ascessi pancreatici.
Inoltre, il liquido siero-ematico può infiltrare gli interstizi muscolari fino al tessuto sottocutaneo a
livello dei fianchi, mentre anteriormente si diffonde tra le pagine del meso.
I SINTOMI della pancreatite acuta sono: dolore epigastrico di intensità variabile da moderato a
severo, definito a sbarra o a cintura perché si irradia ai fianchi, vertebre lombari e regione
sottoscapolare sx, è continuo, trafittivo, crampiforme, peggiora in clinostatismo mentre viene
alleviato dalla posizione seduta o dalla posizione fetale (gambe e tronco piegati verso il bacino).
Il dolore è provocato dalla distensione della capsula pancreatica in seguito all’edema, irritazione
delle terminazioni nervose simpatiche intraparenchimali e del plesso celiaco da parte dell’essudato
contenente enzimi attivi. Il dolore spesso è associato a nausea, vomito, prima alimentare poi
biliare, improvviso, abbondante, distensione addominale da meteorismo che è segno di ileo
paralitico riflesso da peritonite e all’Rx addominale in posizione ortostatica si osserva l’ansa
sentinella con un piccolo livello idro-aereo.
All’Esame obiettivo il pz si presenta sofferente, sudato, con estremità fredde e cianotiche,
respiro superficiale, polso rapido ma debole, ipotensione arteriosa, tachicardia, febbricola dopo
alcuni gg dall’evento acuto in seguito alla compressione del coledoco intrapancreatico da edema o
infarcimento emorragico della testa del pancreas.
Alla Palpazione si osserva un dolore diffuso con contrattura di difesa addominale che è indice di
peritonite. Solo quando il pancreas è voluminoso si può palpare una tumefazione profonda o
superficiale se l’epiploon è ingrossato e granuloso.
Un segno tardivo è il segno di Grey Turner cioè ecchimosi o soffusioni emorragiche ai fianchi
che è indice di necrosi pancreatica retroperitoneale con emorragia (prognosi sfavorevole).
La pancreatite acuta edematosa nell’80% dei casi ha un decorso favorevole, tende a guarire senza
dare complicanze, risolvendosi nell’arco di 2 settimane, bisogna stare attenti però alle frequenti
recidive con conseguente Pancreatite Subacuta Recidivante responsabile di lesioni necrotiche.
Se la lesione necrotica interessa una piccola zona del parenchima pancreatico si ha la formazione di
cicatrici con progressiva scomparsa dei sintomi, ma alcune volte la cicatrizzazione dell’area
necrotica può ostacolare il deflusso del secreto pancreatico in seguito alla compressione del dotto di
Wirsung, favorendo le recidive con riacutizzazione della pancreatite e creazione di un circolo
vizioso che può essere interrotto solo chirurgicamente.
In caso di lesioni necrotiche estese e multiple si possono avere COMPLICANZE locali:
formazione di pseudocisti in seguito alla colliquazione delle necrosi del parenchima pancreatico
con materiale necrotico-emorragico, circoscritte da una pseudoparete di tipo infiammatorio.
raccolte fluide peripancreatiche e ascite pancreatica da comunicazione tra sistema duttale e cavità
peritoneale o da rottura delle pseudocisti in peritoneo.
ittero ostruttivo da compressione del coledoco intrapancreatico da edema della testa del pancreas.
ascessi pancreatici da infezione delle necrosi: raccolta di pus delimitata da una parete flogistica.
Inoltre, possiamo avere delle COMPLICANZE sistemiche in seguito al passaggio in circolo di varie
sostanze tossiche, enzimi attivati (proteasi), istamina, sostanze vasoattive, fino all’insufficienza
multiorgano con manifestazioni di vari tipo:
apparato cardiovascolare: tachicardia, disidratazione, ipovolemia, ipotensione arteriosa e shock.
apparato respiratorio: versamento pleurico, atelettasie, insufficienza respiratoria e ARDS (Adult
Respiratory Distress Syndrome).
apparato urinario: alterazione della perfusione renale, necrosi tubulare acuta, oliguria e
insufficienza renale acuta.
alterazioni metaboliche: iperglicemia, ipocalcemia dovuta al rilascio di acidi grassi da parte delle
lipasi che sequestrano calcio e formano saponi insolubili e irritazione neuromuscolare fino alla
tetania ipocalcemica e acidosi metabolica.

124
La DIAGNOSI si basa su:
 Indagini di Laboratorio:
- valutazione dell’amilasi sierica: > amilasi sierica oltre 1000 µ/l, anche se l’amilasemia ha una
sensibilità dell’80%, specificità del 20-60% perché l’amilasi è un enzima prodotto dal pancreas,
ghiandole salivari, fegato, tenue, reni e ovaie, viene eliminato soprattutto mediante le urine, i valori
normali sono di 35-115 U/l di sangue e l’> amilasi sierica avviene in caso di pancreatite acuta e per
altre patologie, cioè ascessi pancreatici, traumi pancreatici, colecistite acuta, ulcera peptica
perforata, occlusione intestinale, tumori del polmone, esofago, ovaie, insufficienza renale, ustioni
gravi ed estese…
Inoltre, l’iperlipidemia può interferire con il dosaggio dell’amilasemia, la [ ] dell’amilasi sierica non
è proporzionale con la gravità della malattia e la persistenza di iperamilasemia dopo un episodio di
pancreatite acuta suggerisce lo sviluppo di una pseudocisti.
In genere, nelle forme non complicate i livelli di amilasi sierica > dopo 2-12 h dall’inizio dei
sintomi con un picco intorno alle 12-72 h e ritornano normali dopo circa 1 settimana.
- valutazione della lipasi sierica: in genere > dopo 4-8 h dall’esordio clinico, con picco dopo 24 h
ed una graduale < dopo 14 gg. La sensibilità e la specificità sono più alte rispetto all’amilasi sierica,
soprattutto nel caso delle pancreatiti acute alcoliche.
- > bilirubina, transaminasi, fosfatasi alcalina sono indice di pancreatite acuta litiasica.
 Ecografia: in condizioni normali fornisce una sensibilità del 95% ma in presenza di pancreatite
acuta la sensibilità si < notevolmente a causa del meteorismo intestinale che impedisce di valutare
la morfovolumetria del fegato, pancreas e vie biliari intra ed extraepatiche, le alterazioni dovute alla
pancreatite cioè l’edema con zona ipoecogena omogenea, la necrosi con alternanza di aree ipo e
iperecogene, presenza di calcoli nelle vie biliari, raccolte fluide peripancreatiche, pseudocisti.
 TAC addome con m.d.c.: da eseguire almeno 24 h dopo la comparsa dei sintomi, evidenzia un
ingrandimento diffuso o segmentario della ghiandola, presenza di contorni regolari o meno, necrosi
pancreatica e grado di distruzione del parenchima, presenza di pseudocisti, quindi è utile per
valutare se intervenire o meno con intervento chirurgico ed escludere una neoplasia tra le cause
dell’attacco di pancreatite acuta.
 Colangio-RMN: utile in caso di dubbio diagnostico sull’etiologia biliare della pancreatite.
 ERCP: deve essere eseguita entro 24 h dall’esordio dei sintomi soprattutto se si sospetta una
pancreatite acuta biliare, eseguendo direttamente una sfinterotomia per rimuovere il calcolo.
 Rx diretto addome senza m.d.c. in ortostasi: presenza di un’ansa sentinella con un piccolo
livello idro-aereo dovuta alla distensione gassosa del duodeno da occlusione intestinale, consente di
escludere una perforazione viscerale e un’ischemia intestinale.
 Rx Torace eseguita entro 24 h dal ricovero è utile per evidenziare un versamento pleurico
soprattutto sx da reazione infiammatoria all’essudato che dal pancreas perviene alla pleura
attraverso i linfatici del diaframma.
La Diagnosi Differenziale è con la colecistite acuta e colica biliare, colangite, ischemia
mesenterica, occlusione intestinale, aneurisma aorta addominale.
La PROGNOSI dipende dall’entità della pancreatite: le forme lievi-moderate in genere tendono ad
autorisolversi in 10-15 gg, senza alterazioni funzionali-morfologiche del pancreas, mortalità pari
allo 0%, mentre le forme severe sono caratterizzate da estesa distruzione della ghiandola con lesioni
necrotiche-emorragiche, mortalità del 10% in caso di necrosi sterile, oppure 25% in caso di necrosi
infetta.

125
Nella pratica clinica si usano una serie di parametri per classificare i pz con pancreatite acuta, di cui
i più usati sono i Criteri di Ramson, soprattutto in America anche se ha lo svantaggio di richiedere
almeno 48 h di osservazione clinica del pz prima di poter essere applicati.
In pratica il chirurgo americano Ramson studiando 100 pz con pancreatite acuta ha individuato 11
fattori prognostici sfavorevoli ed ha stabilito che la gravità della pancreatite acuta dipende dalla
presenza di 3 o più di 3 di questi fattori valutati all’ingresso del pz in ospedale e dopo 48 h, cioè:
All’Ingresso (al momento del ricovero):
1) Età > 55 anni.
2) Leucociti > 16000/mm³ sangue.
3) Glicemia > 200 mg/dl sangue.
4) LDH sierica > 350 U/l.
5) Transaminasi AST (GOT) > 250 U/l sangue.
Entro 48 h:
6) Decremento dell’Ematocrito HCT > 10%.
7) Incremento Azotemia (urea plasmatica) > 5 mg/dl.
8) Calcemia < 8 mg/dl.
9) PaO2 < 60 mmHg (ipossiemia).
10) Deficit basi equivalenti BE > 4 mEq/l.
11) Ipoalbuminemia con albumina plasmatica <32 g/l e perdita di liquidi > 6 litri.
Dalla valutazione di questi criteri si ottiene che:
- in presenza di 0-2 criteri la mortalità è < 1%.
- in presenza di 3-5 criteri la mortalità è del 10-20%.
- in presenza di un n° criteri > 5 la mortalità è > 50%.
Ricordiamo che in Inghilterra si usano i Criteri di Glasgow valutando solo 8 parametri entro le 48
h ed abbiamo anche i Criteri di APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation)
che seppur scomodo da calcolare ha il vantaggio di essere attuato immediatamente all’atto del
ricovero del pz, può essere ripetuto giornalmente per monitorizzare la progressione della malattia,
fornendo una predittività di gravità similare a quella fornita dai criteri di Ranson.
Inoltre, per valutare la gravità della malattia sono utili alcuni Test Biochimici, soprattutto il
dosaggio della Proteina C reattiva in 2^-3^ giornata dove se i livelli sierici sono > 120mg/l sangue
ci troviamo di fronte ad una forma grave di pancreatite.
La TERAPIA in passato era quasi sempre chirurgica mentre oggi la Terapia Medica consente di
ottenere dei risultati molto soddisfacenti monitorando il pz in un reparto di terapia intensiva.
Il trattamento delle forme lievi-moderate si basa soprattutto sulla idratazione e controllo del dolore.
Il pz deve essere tenuto a riposo a letto, sottoposto a nutrizione parenterale totale (digiuno per ~ 7
gg) e si ricorre alla infusione di liquidi e analgesici.
L’applicazione del sondino naso-gastrico è utile per il trattamento sintomatico della nausea,
vomito e distensione addominale da ileo duodenale e ipersecrezione: si aspira il secreto acido
gastrico e si somministrano farmaci H2-antagonisti dell’istamina per via parenterale (ranitidina)
utili per la prevenzione dell’ulcera peptica.
Possiamo somministrare farmaci che inibiscono la secrezione pancreatica come la somatostatina
nativa per via e.v., oppure l’octreotide che ha una emivita lunga e in alcuni casi consente di
bloccare l’emorragia, favorire il riassorbimento della pseudocisti, riducendo il rischio di sepsi e
riducendo la degenza ospedaliera in caso di pancreatite acuta severa. I risultati non sono sempre
buoni, alcune volte apportano solo un lieve miglioramento.
Per ristabilire l’equilibrio idro-elettrolitico si ricorre alla infusione di 2-6 litri/die di liquidi ed
elettroliti, plasma expanders, albumina plasmatica, sangue intero, monitorando HCT, PVC e diuresi
che deve rimanere al di sopra dei 30 ml urine/h, monitorare e correggere la ipocalcemia presente nel
30% dei casi e l’ipopotassiemia.
Per controllare il dolore si somministrano analgesici, come la Meperidina o la Pentazocina alla dose
di 100-150 mg ogni 4 h per via i.m., bisogna evitare gli oppiacei perché spesso provocano lo

126
spasmo dello sfintere di Oddi con > della lipasemia e gli antispastici specie in presenza di
occlusione intestinale per non aggravare la situazione.
La nutrizione del pz avviene per via parenterale totale (NPT) soprattutto se si prevede che il pz
non riprenderà l’alimentazione entro 7 giorni dall’ospedalizzazione.
Il problema medico è quello di stabilire quando il pz potrà riprendere l’alimentazione per os, dato
che non esistono studi controllati a tal riguardo. Nella pratica clinica si tiene conto della presenza
dei sintomi: se il pz non ha più dolore da molto tempo, si riprende l’alimentazione per os, ma deve
essere prontamente sospesa se la sintomatologia dolorosa ricompare.
E’ importante la Terapia delle Complicanze: durante la prima settimana le complicanze più
temibili sono l’insufficienza respiratoria e lo shock in seguito al rilascio in circolo di citochine come
l’interleuchina-6, l’interleuchina-8 e del fattore attivatore delle piastrine PAF che producono effetti
sistemici con ipotensione e trasudazione di fluidi dai capillari polmonari agli alveoli e insufficienza
respiratoria, fino all’insufficienza cardiocircolatoria, oliguria.
Ecco perchè è importante tenere sottocontrollo il pz in un reparto di Unità Intensiva.
In presenza di insufficienza respiratoria con PaO2 < 60 mmHg si ricorre alla ossigenoterapia.
Per la Prevenzione delle infezioni e ridurre il rischio di mortalità si somministrano antibiotici ad
ampio spettro d’azione, tenendo presente che dopo la prima settimana la causa più frequente di
morte del pz con pancreatite acuta è la sepsi pancreatica per la presenza di aree necrotiche infette in
seguito alla migrazione di batteri dal tratto gastrointestinale (colon): possiamo somministrare la
Ciprofloxacina e il Metronidazolo per 7-14 giorni che hanno una buona capacità di penetrazione nel
tessuto pancreatico e sono molto efficaci contro i gram-.
Nei pz con pancreatite acuta necrotica emoraggica si ricorre alla somministrazione di antibiotici per
via e.v., cioè Imipeman-cilastatina, Cefuroxime e Ceftazidime, oppure di antibiotici attivi per via
orale sulla flora batterica intestinale.
In caso di pancreatite acuta di natura biliare si ricorre alla ERCP d’urgenza con papillo-
sfinterotomia endoscopica entro 24 h, soprattutto se si sospetta una colangite, con estrazione del
calcolo biliare, fino alla colecistectomia laparoscopica o laparotomica in caso di notevole
compromissione dello stato generale del pz e drenaggio biliare esterno con tubo di Kehr.
Se la TAC evidenzia la presenza di focolai necrotici o il pz presenta segni clinici come febbre alta,
tachicardia, leucocitosi, si ricorre alla laparotomia e necrosectomia evitando eccessive exeresi in
presenza di un pancreas passibile di una guarigione spontanea, oppure evitando delle exeresi
insufficienti in presenza di un pancreas ancora in preda a fenomeni autodigestivi ad alto rischio di
mortalità: se la lesione interessa il corpo-coda del pancreas si ricorre alla pancreasectomia sx, se
interessa la testa del pancreas senza interessare la C duodenale si ricorre ad una pancreasectomia
subtotale, se interessa la testa e l’istmo si ricorre alla necrosectomia e a drenaggi multipli cioè
drenaggi con entrata-uscita per il lavaggio peritoneale e drenaggi nei punti di deflusso del materiale
necrotico soprattutto lungo le docce parieto-coliche, radice del mesentere e tasca di Douglas, mentre
la pancreasectomia totale è ad alto rischio di mortalità.
Le Pseudocisti si sviluppano nel 10-15% dei casi di pancreatite acuta grave, nel 40% dei casi si
risolvono nell’arco di 6 settimane, mentre nel 20% dei casi possono dare delle complicanze,
possono aumentare di volume e dare sintomi, per cui si interviene chirurgicamente.

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PANCREATITE CRONICA
La Pancreatite Cronica è un processo infiammatorio cronico ad evoluzione progressiva
scleroatrofica diffusa o limitata ad un settore ghiandolare.
Una recente classificazione proposta dalla Scuola di Verona distingue 3 forme: pancreatite cronica
primitiva, pancreatite cronica secondaria od ostruttiva, pancreatite cronica ereditaria.
La Pancreatite Cronica Primitiva è una forma ad eziologia sconosciuta, a patogenesi immunitaria,
i “fattori di rischio” sono: abuso cronico di alcool, dieta ricca di proteine e grassi...
La pancreatite cronica primitiva ha un’alta incidenza sia nei Paesi sviluppati, soprattutto nei soggetti
di sesso M con età media di 40 anni, sia nei Paesi Tropicali asiatici o africani, nonostante la dieta
povera di proteine e di grassi, con esordio verso i 12 anni in entrambi i sessi, per cui si parla di
Pancreatite Cronica Tropicale Giovanile.
La Pancreatite Cronica Secondaria o Ostruttiva è considerata come l’evoluzione di una
pancreatite acuta soprattutto se recidivante, il fattore eziologico principale è la colelitiasi biliare.
Spesso le lesioni colpiscono la testa del pancreas con microcalcificazioni, raramente calcoli duttali.
La Pancreatite Cronica Ereditaria colpisce soggetti molto giovani, verso i 10 anni, di entrambi i
sessi, caratterizzata dal fatto che almeno altri due membri della stessa famiglia presentano la stessa
malattia.
Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO si nota un lieve ingrossamento del pancreas,
consistenza lignea a focolai disseminati, cioè non è uniforme, che in genere interessa solo la testa,
raramente tutta la ghiandola. Si tratta di una lesione scleroatrofica che compromette prima la
funzione esocrina e poi quella endocrina del pancreas.
I SINTOMI sono: dolore da pasti abbondanti e abuso di alcol, dovuto alla compressione del plesso
celiaco e delle fibre nervose intrapancreatiche: dolore intenso difficile da trattare, ricorrente,
profondo, in sede epigastrica o periombelicale, si irradia al dorso e al fianco sx.
La palpazione tende ad esacerbare il dolore che presenta una intensità variabile dalla sensazione di
peso epigastrico al dolore atroce. Durante la crisi dolorosa il pz assume una posizione antalgica.
Inoltre, il pz presenta dispepsia con inappetenza, nausea, meteorismo e diarrea.
L’Insufficienza Esocrina si manifesta con steatorrea e creatorrea da malassorbimento intestinale, e
dimagrimento rapido ed evidente.
Se viene colpita la testa del pancreas si ha stenosi duodenale con ristagno gastrico e vomito biliare,
aggravando la situazione.
L’ittero ostruttivo può essere progressivo da compressione del coledoco, simulando un tumore con
dilatazione della cistifellea (legge di Courvoisier-Terrier) oppure con intensità oscillante e
doloroso, simulando una calcolosi epato-coledocica.
Inoltre, nel 50% dei casi di pancreatite di lunga durata può insorgere la Sindrome Diabetica che si
manifesta con dolore, malassorbimento, intolleranza glucidica e diabete mellito insulino-dipendente
da ridotta produzione di insulina e maggiore resistenza periferica all’insulina stessa.
In alcuni casi si ha un’emorragia gastro-esofagea dovuta alla rottura delle varici gastro-esofagee da
ipertensione portale in seguito alla compressione o trombosi della vena splenica e ascite.
Raramente si apprezza una tumefazione epigastrica dovuta alla formazione di pseudocisti oppure si
ha una pleurite reattiva.
La DIAGNOSI si basa su:
Anamnesi ed Esame Obiettivo: si valutano segni e sintomi, decadimento delle condizioni generali
del pz, presenza del dolore addominale e le sue caratteristiche.
Indagini di Laboratorio: si esegue il prelievo del sangue nella fase acuta dolorosa perché solo in
questa fase si osserva l’> degli enzimi pancreatici nel siero, soprattutto amilasi e lipasi, che rispetto
alle pancreatiti acute è modesto. Inoltre, si ha un > bilirubina, > fosfatasi alcalina, > transaminasi
che spesso sono espressione di una colestasi extraepatica da compressione del coledoco.
Poi si ha iperglicemia a digiuno con glicosuria in caso di recidiva dolorosa, e iperglicemia dopo
prova da carico di glucosio che è indice di scompenso glico-metabolico.

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Nelle fasi avanzate si ricorre al test al glucagone per valutare la riserva funzionale endocrina del
pancreas e al test di tolleranza all’insulina per valutare un’eventuale insulino-resistenza nel pz con
diabete, utili per la scelta terapeutica, valutando se somministrare insulina e/o antidiabetici orali.
Inoltre, si valuta la riserva funzionale esocrina in base alla quantità di grassi eliminati con le feci: in
caso di valori > 7 gr/24 h significa che la fx esocrina del pancreas si è ridotta del 10% rispetto al
normale, per cui il pz avrà la steatorrea, cioè si ha un’abbondante evacuazione di feci ricche di
grassi, di colore grigio chiaro, tipo alluminio, il che è indice di deficit della secrezione esocrina,
cioè deficit della secrezione della lipasi. Inoltre, il deficit della secrezione esocrina può manifestarsi
con la creatorrea da deficit della tripsina, cioè si ha il deficit della digestione delle proteine con
conseguente evacuazione di feci ricche di fibre muscolari indigerite.
 Rx diretto dell’addome: evidenzia le calcificazioni pancreatiche radiopache più o meno diffuse.
 Ecografia: mette in evidenza una struttura disomogenea, la dilatazione del dotto di Wirsung, le
calcificazioni e la presenza di cisti o pseudocisti da cui si può aspirare anche il loro contenuto.
 TAC: consente di escludere la presenza di masse neoplastiche.
 ERCP: consente di osservare il sistema duttale pancreatico e le vie biliari che in caso di
pancreatite cronica presentano un decorso anomalo con alternanza tra segmenti dilatati e stenotici,
lesioni da calcoli... L’ERCP fornisce informazioni utili per il trattamento chirurgico.
La PROGNOSI dipende dalla gravità della malattia, dall’entità dell’insufficienza esocrina del
pancreas, del malassorbimento, presenza di ittero, diabete, ipertensione portale...
La TERAPIA Medica prevede di abolire l’uso dell’alcool, evitare le diete iperlipidiche e
iperproteiche, eventualmente si somministra l’insulina, analgesici, antispastici per le forme molto
dolorose, il glucagone per inibire la secrezione pancreatica, la cimetidina e ranitidina per inibire la
secrezione acido-gastrica ed evitare di stimolare la secrezione pancreatica.
La Terapia Chirurgica è indicata per le forme resistenti alla terapia medica, in presenza di ittero e
ipertensione portale e se si sospetta la natura maligna della pancreatite cronica.
La papillo-sfinterotomia per via endoscopica consente di estrarre i calcoli presenti nel Wirsung
con un catetere a palloncino, posizionando uno stent o un cateterino naso-pancreatico. I calcoli più
grossi possono essere frammentati con le onde d’urto (ultrasuoni).
Se le lesioni hanno interessato il corpo e la coda del pancreas si ricorre alla pancreasectomia sx,
mentre se hanno interessato la testa senza colpire il duodeno, si ricorre alla pancreasectomia
subtotale, ricordando che la DCP è ad alto rischio di mortalità.
TUMORI del PANCREAS Esocrino

Il CARCINOMA PANCREATICO rappresenta il 93% ~ dei tumori maligni del pancreas, con alta
incidenza nei Paesi industrializzati, costituendo la 5^ causa di morte per tumore nel mondo
occidentale, dopo il carcinoma polmonare, colon-retto, stomaco e prostata, colpisce soprattutto
soggetti di sesso M con rapporto M/F = 4/1 con età media di 60-70 anni.
L’EZIOLOGIA non è molto chiara mentre tra i Fattori di Rischio abbiamo il fumo di sigaretta,
abuso di alcool, dieta ricca di grassi e proteine, povera di vegetali, carcinogeni professionali,
variante ereditaria-familiare della pancreatite cronica...
Dal punto di vista ISTOLOGICO nel 90% dei casi si tratta di un adenocarcinoma duttale cioè
origina dalle cellule epiteliali del dotto di Wirsung, raramente si tratta di un carcinoma giganto-
cellulare, adenocarcinoma squamoso, carcinoma mucinoso, carcinoma a cellule acinari, carcinoma
anaplastico indifferenziato, nell’1% dei casi si tratta di forme cistiche, cioè di un adenocistoma o di
un cistoadenocarcinoma.
Il carcinoma del pancreas nel 70% dei casi colpisce la testa, nel 30% dei casi colpisce il corpo-coda.
Si diffonde per contiguità alle vie biliari, duodeno, stomaco, vasi mesenterici superiori e vasi
splenici (ipertensione portale distrettuale da trombosi neoplastica della vena splenica), per via
linfatica ai linfonodi peripancreatici e retropancreatici, linfonodi pericoledocici, para-aortici, per
via ematica provoca metastasi epatiche, polmonari e ossee. Inoltre, può interessare il peritoneo
per via linfatica o per innesto tumorale con carcinosi peritoneale e ascite maligna.

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Dal punto di vista CLINICO i sintomi e segni sono aspecifici e tardivi, per cui la diagnosi è
tardiva, avviene quando il tumore ha già un Ø > 5 cm con presenza di metastasi nell’80% dei casi.
In genere i sintomi d’esordio sono anoressia e calo ponderale che possono precedere la diagnosi
anche di molti mesi, mentre nelle fasi avanzate compaiono ittero, dolore e rapido decadimento
delle condizioni generali del pz. L’ittero e il dolore sono più precoci nel carcinoma della testa del
pancreas rispetto alle forme del corpo-coda, consentendo una diagnosi e un trattamento più precoci
e maggiori possibilità di soprvvivenza.
In caso di carcinoma della testa del pancreas o cefalo-rachidiano si ha ittero da stasi,
ingravescente a iperbilirubinemia diretta, senza il dolore tipico della colica epatica, dovuto allo
sviluppo della neoplasia prima nel lume del coledoco intrapancreatico e poi nella parete, fino a
provocare ostruzione, con segno di Courvaisier-Terrier + nel 40% dei pz con carcinoma
pancreatico, cioè colecisti distesa, non dolente, palpabile per la stasi biliare in assenza di
colangite e senza colica biliare, mentre nell’ittero di origine litiasica in genere la colecisti non è
palpabile perché l’ostruzione con stasi biliare provoca l’infiammazione e ispessimento della parete
della colecisti con sclero-atrofia, per cui la colecisti perde la sua elasticità, non si distende e non
può essere palpata. Inoltre il pz presenta urine ipercromiche color marsala, feci acoliche e prurito.
In caso di carcinoma del corpo-coda l’ittero è tardivo e si ha solo in seguito a metastasi epatiche o a
compressione delle vie biliari da parte dei linfonodi ingrossati in seguito alla metastasi.
Il dolore è in sede epigastrica, sordo, a cintura perchè si irradia ai fianchi, al dorso, in seguito
alla infiltrazione del plesso celiaco, spesso è notturno, esacerbato dal cibo, si attenua in posizione
seduta o fetale con flessione delle gambe sul bacino.
Se il tumore comprime il dotto di Wirsung impedisce il deflusso del succo pancreatico nel duodeno,
con conseguente dispepsia, perdita dell’appetito, anoressia con repulsione per la carne e cibi
grassi, astenia, malassorbimento intestinale e decadimento rapido delle condizioni generali del
pz con calo ponderale, nausea, vomito, diarrea, steatorrea cioè evacuazione abbondante di feci
ricche di grassi indigeriti, creatorrea, cioè evacuazione di feci ricche di proteine non digerite.
La DIAGNOSI si basa su:
 Ecografia Addome (ETG): è l’esame di prima scelta nel pz itterico per valutare la presenza di
calcoli nelle vie biliari, dilatazione delle vie biliari intra ed extraepatiche, oppure si osserva una
massa ipoecogena e l’eventuale presenza di metastasi epatiche o carcinosi peritoneale con ascite.
Spesso le immagini fornite dall’ecografia sono mascherate dal meteorismo intestinale per cui si
ricorre alla TC addome con m.d.c. valutando sede e dimensioni della neoplasia, presenza di
metastasi, interessamento di strutture vascolari.
Spesso la diagnosi avviene solo in sala operatoria mediante Esplorazione Laparoscopica utile per
la stadiazione e la scelta terapeutica perchè in caso di metastasi epatiche e carcinosi peritoneale il
tumore è definito inoperabile, per cui si ricorre a terapia palliativa-sintomatica mediante
drenaggio delle bile con posizionamento di una protesi biliare attraverso ERCP o PTC se la
papilla di Vater non può essere incannulata. L’ERCP può essere utile anche per il drenaggio
preoperatorio della bile.
Le Indagini di Laboratorio mostrano parametri aspecifici cioè iperamilasemia, iperamilasuria,
iperglicemia, steatorrea, creatorrea, > fosfatasi alcalina, > transaminasi, > bilirubina, markers
tumorali CA 19.9 utili nel follow-up post-operatorio.
La PROGNOSI in genere è infausta perchè la diagnosi avviene quando il tumore è inoperabile.
La Classificazione TNM è molto importante per la scelta terapeutica e la prognosi:
─ T1: tumore con Ø ≤ 2 cm.
─ T2: tumore con Ø compreso tra 2 e 6 cm.
─ T3: tumore con Ø > 6 cm che invade per contiguità le strutture adiacenti.
─ N0: non ci sono metastasi linfonodali.
─ N1: metastasi ai linfonodi peripancreatici anteriori, posteriori, superiori e inferiori, distinto
in N1a con focolaio microscopico in un linfonodo, N1b con focolaio macroscopico in un linfonodo
N1c con focolai multipli micro e macroscopici.
─ N2: interessamento dei linfonodi periaortici e mesenterici superiori distali.

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─ M0: assenza di metastasi a distanza.
─ M1: presenza di metastasi epatiche e altre metastasi intraddominali, soprattutto peritoneali,
e metastasi extraaddominali cioè polmonari e ossee.
La TERAPIA dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia: in caso di carcinoma del corpo-coda
raramente è possibile un trattamento radicale con pancreasectomia sx e splenectomia perchè
spesso la diagnosi avviene quando il tumore è inoperabile.
In caso di tumore della testa del pancreas, di piccole dimensioni, senza metastasi, si ricorre alla
Duodeno-cefalo-pancreasectomia DCP secondo Whipple e Child per via laparotomica
mediana, caratterizzata da una Fase Demolitiva asportando in blocco il duodeno, 1^-2^ ansa
digiunale, testa del pancreas, colecisti e vie biliari distali, 2/3 distali dello stomaco associato a
linfoadenectomia estesa. Nella Fase Ricostruttiva si esegue l’anastomosi gastro-digiunale e
sull’ansa digiunale stessa si eseguono l’anastomosi del dotto epatico per favorire il drenaggio
della bile e l’anastomosi pancreatico-digiunale per conservare la fx esocrina detta a telescopio
poichè il moncone pancreatico viene infilato o incappucciato nel moncone digiunale.
Tra le Complicanze della DCP abbiamo la deiscenza dell’anastomosi con fistolizzazione,
digestione enzimatica retroperitoneale, emorragia, fino allo shock settico e morte del pz.
Inoltre bisogna valutare se il tumore ha infiltrato la vena mesenterica superiore: se ha infiltratato un
tratto di lunghezza < 1,5 cm si può resecare questo tratto e si esegue un’anastomosi termino-
terminale dei monconi opposti (end-to-end), mentre se ha infiltratato un tratto > 1,5 cm non si deve
resecare perché è impossibile avvicinare i due monconi opposti per l’anastomosi, per cui si esegue
la splenectomia, cioè si asporta la milza, tutto il pancreas, mentre la vena splenica viene girata e
anastomizzata al moncone terminale della v.m.s. (by-pass) consentendo di operare un tumore
ritenuto inoperabile ma solo se ha dato metastasi locali.
La Pancreasectomia Totale PT è più efficace perché la linfoadenectomia è più estesa e completa
con maggiore radicalità oncologica. Nella Fase Demolitiva si asportano in blocco il pancreas, milza,
duodeno, 1^-2^ ansa digiunale, 1/3 distale stomaco e la cistifellea, mentre nella Fase Ricostruttiva
si esegue la anastomosi bilio-digestiva e gastro-digiunale evitando l’anastomosi pancreatica.
Tra le Complicanze della PT abbiamo il diabete mellito difficile da controllare mediante la
terapia insulinica e dietetica, con crisi ipoglicemiche gravi, retinopatia e nefropatia diabetica.
Alla chirurgia si associano la radio-chemioterapia (5FU) neoadiuvante e adiuvante, ma in genere la
sopravvivenza a 5 anni è < 5%. In caso di tumore inoperabile si ricorre a terapia palliativa-
sintomatica contro il dolore e l’ittero mediante anastomosi bilio-digestiva o posizionando una
protesi biliare mediante ERCP o PTC.

Tumori del Pancreas Endocrino

I Tumori del pancreas endocrino sono neoplasie secernenti ormoni ed hanno in comune la
proprietà di produrre la serotonina, l’istamina e la dopamina a partire dalle ammine endogene
(APUD ammine precursor uptake & decarbossilation).
Si tratta di tumori a cellule insulari rappresentati dall’insulinoma (70-75%) che deriva dalle cellule β
secernenti l’insulina, glucagonoma dalle cellule A secernenti il glucagone, somatostatinoma dalle
cellule D secernenti la somatostatina, PPoma dalle cellule PP secernenti il polipeptide pancreatico.
Queste cellule sono in grado di secernere altri peptidi regolatori, come la gastrina, VIP e si parla di
gastrinoma a VIPoma. Le neoplasie del pancreas endocrino si riscontrano nell’80% dei pz affetti
dalla sindrome endocrina multipla multipla di tipo neoplastica MEN-1 o sindrome di Wermer,
di natura ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dall’associazione tra
iperparatiroidismo, tumori dell’ipofisi (adenoma), tumori del pancreas endocrino, raramente
adenoma tossico della tiroide da morbo di Basedow, tiroidite di Hashimoto, e adenoma
corticosurrenalico.
L’INSULINOMA nel 95% dei casi è benigno, nell’80% dei casi è singolo, Ø compreso tra 1-5 cm,
colpendo soprattutto i soggetti di sesso F con età media di 50 anni.

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Può colpire qualsiasi settore del pancreas, dal punto di vista ISTOLOGICO è un adenoma ben
capsulato, facile da enucleare soprattutto se benigno e superficiale, mentre le forme maligne e
profonde nella testa del pancreas sono più difficili da individuare ed enucleare.
E’ caratterizzato da un’eccessiva produzione di insulina da parte delle cellule β con Triade di
Whipple cioè > insulinemia, coma ipoglicemico a digiuno o dopo attività fisica con glicemia <
40 mg/dl e reversibilità dei sintomi dopo la infusione e.v. di glucosio (fino a provocare obesità),
altrimenti il coma ipoglicemico può provocare danni al SNC, convulsioni e morte. La crisi
ipoglicemica può essere preceduta da segni nervosi cioè disorientamento temporo-spaziale,
afasia, convulsioni, paralisi, perdita della coscienza e coma; segni digestivi cioè dolori
addominali crampiformi, vomito, diarrea; segni cardiovascolari cioè crisi anginose, aritmie,
tachicardia, ipo o ipertensione.
La Diagnosi si basa sul dosaggio della glicemia in caso di digiuno prolungato nelle 24 h,
valutando l’entità dell’ipoglicemia e l’insorgenza dei sintomi tipici dell’insulinoma, tendenti a
regredire con l’assunzione del glucosio; dosaggio radioimmunologico dell’insulina, rapporto
insulina/glicemia > 0,3 a digiuno e si valuta l’> del peptide C associato all’iperinsulinismo.
La TAC e la RMN forniscono utili informazioni sulla sede, dimensioni del tumore.
E’ utile l’Ecografia intraoperatoria per la Terapia chirurgica:
- se il tumore è localizzato al corpo-coda si ricorre alla pancreasectomia sx.
- se il tumore è localizzato alla testa, è piccolo, superficiale e benigno si ricorre alla enucleazione.
- se il tumore è maligno si ricorre alla DCP.
Ricordiamo la resezione secondo Deman: si affetta il pancreas a partire dalla coda e si monitorizza
la glicemia. Quando la glicemia > e l’insulinemia <, ci fermiamo con la resezione perché abbiamo
ottenuto un buon risultato.
Il GASTRINOMA nell’85% dei casi interessa il pancreas, altre volte il duodeno, nel 70% dei casi è
multiplo, nel 60% dei casi è maligno, Ø compreso tra 2-10 cm, spesso associato alla sindrome di
Zollinger-Ellison, e nel 25-50% dei casi alla sindrome di MEN-1.
La sindrome di Zollinger Ellison è caratterizzata dall’associazione di ulcere gastro-duodeno-
digiunali, spesso multiple con ipersecrezione acido-gastrica, dolore, dispepsia, diarrea profusa
da malassorbimento. E’ dovuta ad una iperplasia delle cellule non-β delle isole pancreatiche o al
gastrinoma con ipersecrezione della gastrina.
L’ulcera peptica da gastrinoma è più grave di quella tipica, con frequenti emorragie e perforazioni.
La Diagnosi si basa sulla valutazione quantitativa della secrezione gastrica basale di HCl,
dosaggio radioimmunologico della gastrinemia (> 300 pg/ml), TAC, RMN, arteriografia
selettiva e il cateterismo portale, anche se spesso solo con l’esplorazione operatoria o
ecografica si riesce ad individuare il tumore.
La Terapia si basa sulla DCP per le forme cefaliche e Pancreasectomia sx o totale per le forme
del corpo-coda, associate ad una estesa linfoadenectomia. In caso di metastasi epatiche o in altre
sedi si ricorre alla chemioterapia con 5-fluorouracile e streptozotocina.
La terapia medica con cimetidina, ranitidina, inibitori della pompa protonica, consente di <
l’ipersecrezione acida e limitare le lesioni ulcerose, ma non è tollerata per lunghi periodi di tempo e
può provocare degli effetti collaterali gravi.
Il VIPoma è caratterizzato da un’eccessiva secrezione del polipeptide intestinale vasoattivo VIP
da parte delle cellule non-β, benigno nel 40% dei casi, maligno nel 35%, negli altri casi si tratta di
una semplice iperplasia. Spesso è responsabile della Sindrome di Verner-Morrison dove il VIP
stimola la secrezione di elelettroliti ed acqua soprattutto nell’intestino tenue, colon, a livello
pancreatico ed epatobiliare, con conseguente diarrea acquosa profusa, ipopotassiemia grave
(perdita di K+), ipovolemia, acloridria e disidratazione, fino al quadro dell’acidosi metabolica
ipokaliemica-ipercloremica perché il VIP inibisce la secrezione della gastrina da parte delle
cellule gastrino-secernenti e stimola la glicogenolisi epatica con conseguente iperglicemia.
La Terapia si basa sulla correzzione dell’equilibrio idroelettrolitico, acido-basico e glucidico,
enucleazione chirurgica per le forme cefaliche, pancreasectomia sx per le forme del corpo-coda.

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Il GLUCAGONOMA, molto raro, è caratterizzato da un’eccessiva secrezione del glucagone e si
manifesta con eritema necrotico migrante o rush cutanei localizzati al perineo, ai contorni della
bocca, con formazione di papule e bolle che si rompono ed evolvono in croste, diabete in genere
lieve e controllabile con la dieta, dimagrimento, anemia, diarrea, turbe psichiche.
Il SOMATOSTATINOMA è un tumore maligno caratterizzato da un’eccessiva secrezione della
somatostatina, in genere la diagnosi è tardiva con presenza di metastasi nei 3/4 dei casi a causa di
sintomi tardivi e aspecifici, legati all’azione della somatostatina che inibisce la secrezione
dell’insulina con diabete mellito di lieve entità, inibisce la secrezione pancreatica con diarrea e
steatorrea, inibisce la contrazione della colecisti favorendo la litiasi biliare, provoca dispepsia da
ritardato svuotamento gastrico e ipocloridria da inibizione della secrezione acido-gastrica.
Il PPoma è caratterizzato da un’eccessiva produzione del polipeptide pancreatico PP.
IPERTENSIONE ARTERIOSA di Interesse Chirurgico
L’Ipertensione Arteriosa di interesse chirurgico può essere dovuta a diverse cause:
La COARTAZIONE AORTICA è una stenosi congenita dell’aorta nel punto di congiunzione tra
arco e aorta discendente, subito dopo l’impianto dell’arteria succlavia di sx, dovuta ad un difetto
che si ha a tale livello, nel 10% dei casi associata alla pervietà del dotto arterioso di Botallo.
Il dotto arterioso di Botallo prima della nascita consente il collegamento tra l’arteria polmonare e
l’arco aortico, mentre dopo la nascita si chiude perchè si ha l’attivazione della respirazione e
l’arteria polmonare deve portare sangue ai polmoni. La mancata obliterazione del dotto di Botallo
determina uno shunt sx-dx dall’aorta (ad alta P) verso l’arteria polmonare (a bassa P), per cui si ha
un > lavoro ventricolare sx, sovraccarico del circolo polmonare, tachicardia, dispnea, soffio
continuo sistolico e diastolico (treno che passa in un tunnel), danza dei vasi ilari da pulsazione
abnorme dell’arteria polmonare valutabile all’Rx, fino ad andare incontro a endocardite, grave
insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, morte del pz prima dei 30 anni.
Il pz con coartazione aortica presenta ipertensione cefalo-brachiale con cefalea, disturbi visivi,
epistassi, sensazione di freddo agli arti inferiori.
La DIAGNOSI si basa sull’angiografia per via arteriosa o venosa per definire la sede e lunghezza
della stenosi, presenza di altre malformazioni, Eco-color Doppler, cateterismo cardiaco.
La TERAPIA è chirurgica con resezione del tratto stenotico e anastomosi termino-terminale, oppure
aortoplastica con patch e ripristino del normale lume aortico, legatura del dotto di Botallo con
doppio laccio usando materiale non riassorbibile.
L’intervento può essere eseguito tra gli 8 e 15 anni tranne che in presenza di scompenso
nell’infanzia dove il trattamento è precoce.
Poi ci sono patologie surrenali responsabili di ipertensione arteriosa di interesse chirurgico.
Le ghiandole surrenali sono ghiandole endocrine, poste in posizione retroperitoneale che
poggiano sul polo superiore dei reni dx e sx e presentano una parte corticale e una parte midollare:
Nella parte corticale o corteccia surrenale avviene la secrezione di 3 gruppi di ormoni regolata dalla
corticotropina ipofisaria ACTH o ormone adrenocorticotropo: mineralcorticoidi, glicocorticoidi e
corticoidi ad attività sessuale (androgena ed estrogena).
- mineralcorticoidi abbiamo l’aldosterone e il dessossicorticosterone che controllano il ricambio
idroelettrolitico: a livello del tubulo renale > il riassorbimento del Na+ e favoriscono l’escrezione
del K+. Tutto ciò è regolato dal sistema renina-angiotensina.
- glicocorticoidi abbiamo cortisolo, corticosterone, 11-deidro-corticosterone che controllano il
ricambio glucidico provocando iperglicemia ed aumento del glicogeno epatico per neoglicogenosi
proteica (ricava glucosio dalle proteine), controllano il ricambio proteico cioè inibiscono la sintesi
proteica e favoriscono il catabolismo delle proteine, inoltre, controllano il ricambio lipidico cioè
mobilizzano i lipidi aumentando il tessuto adiposo.
Inoltre, riducono i fenomeni reattivi della flogosi, cioè riducono la permeabilità capillare, reazione
fagocitaria e fibroblastica, riducono il n° eosinofili in circolo, regolano l’omeostasi, superando
aggressioni esterne ed interne.
Nella parte midollare si ha la secrezione di 2 catecolamine, cioè la adrenalina e la noradrenalina.

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La noradrenalina è il mediatore fisiologico dell’ortosimpatico, agisce sui recettori ά causando
vasocostrizione e quindi un rapido > resistenze periferiche.
Se viene prodotta in eccesso si ha un > P massima e minima e un lieve > gittata cardiaca.
L’adrenalina agisce sui recettori β ed esercita un’azione antagonista, cioè vasodilatazione e un
forte > gittata cardiaca con tachicardia.
Se viene prodotta in eccesso provoca ipertensione arteriosa accessionale, con agitazione, angoscia,
> metabolismo basale, > T°C corporea e > glicemia.
Le lesioni surrenaliche responsabili di ipertensione arteriosa di interesse chirurgico sono: sindrome
di Conn, sindrome di Cushing e feocromocitoma.
La SINDROME di CONN è una sindrome da iperfunzione della corticale del surrene con
iperaldosteronismo primitivo che nell’85% dei casi è causato da un adenoma surrenalico, mentre
negli altri casi si deve ad una semplice iperplasia.
I SINTOMI sono astenia muscolare, paralisi periodiche, tetania intermittente, poliuria e
soprattutto ipertensione arteriosa, ipopotassiemia con alterazioni dell’ECG cioè
sottoslivellamento del tratto ST, onda T appiattita o negativa, comparsa di onde U.
Le Indagini di Laboratorio evidenziano una eccessiva escrezione urinaria di K+ (ipopotassiemia)
e una ridotta escrezione di Na+ (ipersodiemia), > dell’aldosterone plasmatico e < della renina,
enzima prodotto dalle cellule iuxtaglomerulari renali che trasforma l’angiotensinogeno (proteina
prodotta dal fegato), in angiotensina, ha azione vasocostrittrice e stimola la secrezione
dell’aldosterone. Se il sangue che affluisce al rene è scarso si ha un > angiotensina e di aldosterone
con ipertensione nefrogena da iperaldosteronismo secondario, con > della renina plasmatica, mentre
in caso di iperaldosteronismo primitivo la renina <.
La TAC consente di individuare anche la presenza di adenomi di piccole dimensioni.
La TERAPIA è chirurgica con asportazione del surrene, mentre quella medica si basa sulla dieta
iposodica, somministrazione di potassio e spironolattone, ma è utile solo nelle forme iperplastiche.
La SINDROME di CUSHING è caratterizzata da un’eccessiva produzione di cortisolo e steroidi
glicoattivi dovuta:
- tumore benigno o maligno del surrene: adenoma o adenocarcinoma.
- eccessiva increzione ipofisaria di ACTH (corticotropina ipofisaria) con iperplasia surrenale
bilaterale in presenza o meno di un tumore basofilo dell’ipofisi.
- eccessiva e prolungata somministrazione di cortisone (forme iatrogene).
Il pz subisce un cambiamento del suo aspetto, assume un volto a luna piena, accumulo di grassi alla
nuca, si parla di collo di bufalo, irsutismo, comparsa di strie violacee sulle mammelle, addome e
natiche, comparsa di acne, dolori ossei dorso-lombari per osteoporosi, depressione, scomparsa
attività sessuale, turbe caratteriali fino a vere e proprie psicosi.
Il pz presenta ipertensione arteriosa, iperglicemia fino al diabete, > cortisolo plasmatico,
ipopotassiemia (< K+) e ipersodiemia (> Na+).
La DIAGNOSI si basa sull’Rx, TAC e RMN per osservare l’ingrossamento della sella turcica da
grossi adenomi, ma anche quelli più piccoli di 5 mm di diametro, la TAC consente di osservare
bene i surreni.
Il pz va incontro a morte nel giro di pochi anni se viene lasciato a se.
La TERAPIA nelle forme tumorali è chirurgica con surrenectomia unilaterale per via lombotomica o
laparotomica nelle forme voluminose. Nelle forme iperplastiche da iperincrezione ipofisaria di
ACTH si ricorre alla telecobalto-terapia ipofisaria nei casi meno gravi, mentre per quelli più gravi
alla surrenectomia bilaterale totale con conseguente iposurrenalismo acuto che richiede la terapia
sostitutiva endocrinologica.
Il FEOCROMOCITOMA è un tumore benigno della midollare del surrene, solo nel 10% dei casi si
tratta di un tumore maligno o feocromoblastoma con metastasi linfonodali e a distanza.
In genere, colpisce i soggetti adulti con incidenza leggermente superiore nel sesso femminile,
spesso associato ad altri tumori di origine neuroectodermica, cioè che originano da cellule
provenienti dalla cresta neurale, costituendo la sindrome endocrina multipla di tipo neoplastica

134
di Sipple o di MEN-II con feocromocitoma, carcinoma della midollare della tiroide,
neurofibromatosi...
I SINTOMI sono: ipertensione arteriosa da iperincrezione di catecolamine, cioè adrenalina e
noradrenalina. La noradrenalina provoca vasocostrizione con ipertensione che in genere non viene
avvertita dal pz, anche se è una ipertensione permanente, mentre la adrenalina provoca una crisi
ipertensiva parossistica, grave e resistente ai comuni farmaci anti-ipertensivi, con malessere, dolore
toracico improvviso, tachicardia, cardiopalmo, cefalea, ansia, tremori, nausea, P altissima fino a
300/150 mmHg, convulsioni e insufficienza cardiaca.
La crisi ipertensiva può essere scatenata dall’alcol, farmaci (metoclopramide, cloropromazina,
antidepressivi triciclici, caffeina, teofillina), sforzi fisici, cambi di postura, tosse, defecazione,
minzione, attività sessuale, ansia, pasto abbondante…
La crisi ipertensiva può manifestarsi peridocamente varie volte durante la settimana, dura da pochi
minuti ad alcune h, terminando con la < P arteriosa, sudorazione profusa, iperglicemia e glicosuria.
L’evoluzione è grave perché l’ipertensione col passare del tempo provoca danni cerebrali, retinici,
renali e cardiaci.
La DIAGNOSI si basa sulla valutazione dell’escrezione urinaria dell’acido vanilmandelico che è
un metabolita delle 2 catecolamine (>10 mg/24 h).
La TAC Addome è utile per le forme voluminose, la scintigrafia con I131 per evidenziare aree di
ipercaptazione da aumentato funzionamento, RMN è utile in caso di feocromocitoma in gravidanza
e in età pediatrica.
La TERAPIA è medica antiipertensiva preoperatoria con propanololo e chirurgica con
surrenectomia laparoscopica o laparotomica, legando la vena surrenalica per evitare la crisi
ipertensiva intraoperatoria e una brusca < P postoperatoria da improvvisa cessazione del
vasospasmo.
L’Ipertensione Arteriosa di interesse chirurgico secondaria a patologie renali viene distinta in
Ipertensione nefrovascolare e Ipertensione nefroparenchimale:
L’Ipertensione Arteriosa Nefrovascolare è pre-renale, spesso dovuta all’aterosclerosi dell’arteria
renale, oppure ad aneurismi, arteriti.., lesione estrinseca all’arteria, come una cisti, tumore dell’ilo
renale, tumore retroperitoneale cioè renale, surrenale...
Se il rene riceve una scarsa quantità di sangue con ipoperfusione renale e < della funzione di
filtrazione glomerulare plasmatica, si ha l’intervento del meccanismo di compenso renina-
angiotensina-aldosterone con > produzione della renina e trasformazione dell’angiotensinogeno in
angiotensina con vasocostrizione delle arteriole afferenti ed efferenti al glomerulo nel tentativo di
favorire la perfusione del glomerulo, ma l’angiotensina stimola la corticale del surrene a produrre
una maggiore quantità di aldosterone responsabile di ipertensione arteriosa sistemica. Inizialmente
questo meccanismo è protettivo perché favorisce un maggiore afflusso di sangue al rene ischemico
e l’ > Pa, renina e > escrezione sodica, poi lo stato ipertensivo provoca sclerosi con rene grinzo,
aggravando la situazione.
L’Ipertensione Arteriosa Nefroparenchimale è intra-renale, dovuta a cisti renali, pielonefrite,
TBC, tumori (Willms), cause iatrogene come la legatura anomala di un vaso.
I SINTOMI dell’ipertensione arteriosa nefrogena sono gli stessi ma più gravi di quelli
dell’ipertensione essenziale, cioè cefalea, vertigini, ansia, segni cardiaci e retinici.
Comunque, nella maggior parte dei casi l’ipertensione essenziale è di tipo familiare, ha un decorso
lento e progressivo e si manifesta soprattutto nei soggetti adulto-anziani, mentre l’ipertensione
nefrogena ha un decorso più rapido e grave colpendo soprattutto soggetti giovani.
Gli Esami di Laboratorio evidenziano una ipopotassiemia, > reninemia, catecolamine urinarie e
metaboliti sono normali. L’Eco-Doppler consente di valutare se il flusso di sangue nelle arterie
renali è normale o meno, l’aortografia e l’arteriografia selettiva dell’arteria renale con tecnica di
Seldinger sono utili per valutare la presenza di placche aterosclerotiche con stenosi del lume
arterioso, la presenza di iperplasie fibro-muscolari della tonaca media, aneurismi a valle della
stenosi, fistole artero-venose, compressioni estrinseche da parte di cisti, tumori...

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La TERAPIA è chirurgica nell’ipertensione nefroparenchimale con interventi più o meno
conservativi nel caso di lesioni benigne, altrimenti si ricorre alla nefrectomia.
Nell’ipertensione nefrovascolare si ricorre alla rivascolarizzazione del rene ischemico avvalendosi
di varie tecniche: disostruzione arteriosa, resezione del segmento stenotico con anastomosi
termino-terminale tra i monconi arteriosi, sostituzione del segmento stenotico con trapianto di una
vena autologa (vena safena) o con una protesi, reimpianto aortico dell’arteria renale post-stenotica,
by-pass aorto- renale post-stenotica con autotrapianto venoso o protesi.
La nefrectomia è indicata quando non è possibile ricorrere alle tecniche di rivascolarizzazione
oppure quando il flusso renale è completamente assente.
In caso di aterosclerosi dell’arteria renale e stenosi fibromuscolari possiamo ricorrere alla
dilatazione del vaso con un palloncino gonfiabile collegato ad un cateterino introdotto per via
retrograda attraverso l’arteria femorale e collocato nel segmento ristretto, con notevoli vantaggi per
il pz e il chirurgo, ottimi risultati e scarse complicanze, come l’embolizzazione, emorragie da
cateterino, trombosi..
TIROIDE
(vedi dispensa Endocrinologia)
MAMMELLA

La Mammella è una ghiandola tubulo acinosa distinta in dx e sx, occupa lo spazio compreso tra lo
sterno e una linea verticale tangente al margine antero-mediale dell’ascella, estendendosi dalla 3^
alla 6^ costa. Descriviamo il capezzolo con superficie irregolare e pigmentata, 10-12 minuscoli pori
che rappresentano gli orifizi di sbocco dei dotti galattofori.
Il capezzolo è circondato da un’areola circolare di 4-5 cm di Ø, con superficie pigmentata e con
lievi protuberanze dette tubercoli di Morgagni, corrispondenti alle sottostanti ghiandole sebacee che
durante la gravidanza vanno incontro ad ipertrofia con formazione dei tubercoli di Montgomery.
Al di sotto della cute c’è lo strato adiposo anteriore o preghiandolare organizzato in piccole logge
adipose separate da creste fibrose, mentre posteriormente c’è lo strato adiposo retromammario più
sottile e non suddiviso in logge adipose.
La ghiandola mammaria è ricoperta da una capsula di tessuto fibroso ed è formata da 10-20 lobi
indipendenti, suddivisi in lobuli e acini, caratterizzati da un canale escretore o dotto galattoforo.
La vascolarizzazione arteriosa spetta ai rami perforanti dell’arteria mammaria interna a livello
mediale, mentre a livello laterale e inferiore abbiamo i rami dell’arteria mammaria esterna o
toracica laterale, l’arteria scapolare inferiore e superiore e i rami delle arterie intercostali. Le
arterie mammarie sono rami dell’arteria succlavia.
La vascolarizzazione venosa si deve alle vene superficiali che drenano nella vena giugulare esterna,
alla vena cefalica, alle vene sottocutanee addominali e alle vene profonde che drenano nella vena
mammaria interna ed esterna. Dai quadranti inferiori della mammella il sangue defluisce nelle vene
epigastriche superiori e nelle vene toraco-epigastriche, satelliti delle vene femorali.
Il drenaggio linfatico si deve al plesso linfatico superficiale o subareolare che raccoglie la linfa da
gran parte della mammella, areola e cute, raggiungendo i linfonodi del cavo ascellare e al plesso
linfatico profondo o fasciale che raccoglie la linfa dalla parete posteriore della mammella,
attraverso dei collettori che affluiscono ai linfonodi ascellari decorrendo nella fascia del muscolo
grande pettorale, mentre altri collettori si portano ai linfonodi interpettorali di Rotter posti tra
muscolo grande e piccolo pettorale.
La conoscenza dei linfonodi è molto importante per la terapia chirurgica del carcinoma mammario
perché la prognosi dipende dalla presenza o meno di metastasi linfonodali.
Possiamo fare una distinzione tra 3 livelli di linfonodi in rapporto al muscolo piccolo pettorale:
linfonodi ascellari di I livello o inferiori, linfonodi ascellari di II livello o intermedi, linfonodi
ascellari di III livello o superiori.

136
L’innervazione della mammella spetta ai rami perforanti dei nervi intercostali IV, V e VI, poi
abbiamo dei nervi più superficiali che originano dal plesso cervicale superficiale e dai nervi
perforanti anteriori del II, III, IV, V e VI nervo intercostale.
La mammella è bersagliata da vari ormoni che interagiscono con dei recettori specifici:
─ estrogeni: stimolano la proliferazione delle cellule della ghiandola mammaria.
─ progesterone: prodotto dai corpi lutei delle ovaie, al menarca, con la prima ovulazione, influenza
la morfologia ghiandolare, la proliferazione del connettivo mammario e la suddivisione della
mammella in lobuli, durante la gravidanza provoca un > di volume della mammella nella fase
proliferativa, mentre negli ultimi mesi di gestazione stimola la fase secretoria con produzione del
colostro, mentre dopo il parto stimola la produzione del latte materno.
Al termine dell’allattamento, oppure dopo un parto senza allattamento o dopo un aborto, inizia la
fase di regressione della mammella che < di volume.
─ androgeni surrenali: vengono metabolizzati ad estrogeni e sembrano essere i responsabili della
metaplasia apocrina dell’epitelio.
─ prolattina PRL: inibisce la secrezione di progesterone da parte del corpo luteo e stimola i recettori
per gli estrogeni.
Lo squilibrio ormonale può provocare un’alterazione dei processi evolutivi e regressivi, involuzione
senile della mammella, con displasie ghiandolari e notevole sensibilità degli epiteli agli stimoli
oncogeni.
Tumori Mammari

I Tumori Mammari sono distinti in benigni e maligni.


 Tumori Benigni: il fibroadenoma mammario è la forma più frequente, mentre sono più rari il
papilloma intraduttale, tumore filloide, fibroma puro, lipoma, angiomi, tumori misti da metaplasia
dei tessuti mammari o da inclusione di germi embrionali, cioè condromi, osteomi, cisti dermoidi...
 Tumori Maligni: carcinoma mammario, sarcoma, angiosarcoma, tumore carcinoide, linfoma,
plasmocitoma, melanoblastoma, endotelioma, peritelioma e l’istiocitoma maligno.
Il Fibroadenoma Mammario è un tumore benigno di natura epiteliale che colpisce soggetti di età
compresa tra i 20 e 30 anni. In genere è unico, circoscritto, raramente multiplo e bilaterale. E’
delimitato da una capsula che spesso è incompleta consentendo la comunicazione con la ghiandola
mammaria. Può essere anche di tipo cistico e si parla di adenoma cistico.
Il fibroadenoma spesso viene individuato dalla pz come un nodulo piccolo (1-2 cm) e indolente,
sferico o ovale, di consistenza teso-elastica e non duro-lignea come il carcinoma mammario,
spesso localizzato nel quadrante superiore esterno della mammella, ricoperto da cute sana, non
aderente alla cute, muscoli e alla ghiandola mammaria circostante, per cui è mobile alla
palpazione e non si apprezzano tumefazioni dei linfonodi ascellari. L’evoluzione è molto lenta,
resta stazionario per molti anni e può > di volume durante il ciclo mestruale o la gravidanza.
La mammografia evidenzia la struttura omogenea con margini netti e regolari della tumefazione.
La Terapia è chirurgica conservativa con enucleazione del nodulo.
Il Tumore Filloide è una forma giganto-cellulare cosi detta perché può raggiungere dimensioni tali
da interessare tutta la ghiandola mammaria per cui richiede la mastectomia radicale ma non è una
forma benigna vera e propria perché tende a recidivare localmente anche per più di 10 volte dopo
terapia.
Il CARCINOMA MAMMARIO è il tumore più frequente nella donna, rappresentando la 1^ causa di
morte per tumore, a cui seguono il carcinoma polmonare, utero, colon-retto e gastrico,
rappresentando la 2^ causa di morte dopo le malattie cardiovascolari.
E’ molto diffuso nei Paesi industrializzati, in Italia sono diagnosticati 31000 nuovi casi/anno, raro
tra i 20-30 anni mentre l’incidenza > progressivamente con l’età, raggiungendo il picco tra i 40-70
anni, probabilmente per cause di natura ormonale, poiché il carcinoma mammario è un tumore
ormone-dipendente con stretta relazione tra secrezione ormonale e insorgenza del tumore.
I Fattori di Rischio più importanti sono:

137
 familiarità: anamnesi familiare + cioè si tratta di soggetti predisposti dove il carcinoma può
interessare mamme, figlie e sorelle della stessa generazione e di quelle successive, con rischio
maggiore nelle sorelle di donne colpite da carcinoma prima della menopausa e con probabilità di
sviluppare il carcinoma tanto elevata quanto più precoce è stata l’età d’insorgenza del carcinoma
nella mamma. Il carcinoma familiare della mammella (e ovaio) è legato a mutazioni dei geni
oncosoppressori BRCA1 e 2, normalmente deputati alla riparazione dei danni del DNA, sono
espressi durante la fase M del ciclo cellulare e bloccano il ciclo in caso di danno genetico attraverso
l’intervento della proteina p21 (inibitore delle chinasi ciclino-dipendenti). E’ stato dimostrato che
nell’80% dei casi si ha solo la mutazione del gene BRCA1 ma le mutazioni del gene BRCA2 nelle
cellule germinali > il rischio di sviluppare il tumore del 50%.
Nelle donne con mutazioni del gene BRCA1 questi tumori insorgono più precocemente e c’è un >
rischio di sviluppare il tumore controlaterale.
 stato nubile cioè donne che non hanno mai avuto una gravidanza (nullipare) o che hanno avuto
la prima gravidanza dopo i 35 anni con mancata azione protettiva da parte del progesterone.
 mancanza di allattamento: l’allattamento rappresenta un fattore di protezione, infatti il
carcinoma mammario è più frequente nelle nubili e nelle donne che pur avendo portato a termine
delle gravidanze hanno rinunciato all’allattamento al seno per il neonato, preferendo quello
artificiale oppure non hanno potuto allattare.
Altri fattori di rischio di media e piccola importanza sono:
 età > 40 anni: tutte le donne devono sottoporsi periodicamente ad alcuni esami importanti per la
diagnosi precoce del carcinoma mammario, come la mammografia ed è utile l’autopalpazione.
 fattori ormonali: gli ormoni sessuali giocano un ruolo importante, infatti, si è visto che nelle
donne ovariectomizzate il carcinoma mammario è meno frequente, mentre le donne che assumono
gli ormoni estrogeni in post-menopausa o contraccettivi orali in età fertile hanno un rischio
maggiore di sviluppare il carcinoma.
 neoplasia benigna della mammella, come la mastopatia fibrocistica e il fibroadenoma:
rappresentano un fattore predisponente, associate a squilibri ormonali e caratterizzate da ristagno
intraduttale di secrezioni e di epitelio desquamato.
 menarca precoce, menopausa tardiva, gravidanza: se la vita fertile della donna è lunga il
rischio di sviluppare il carcinoma mammario è maggiore perché la stimolazione ormonale è più
lunga nel tempo. Le gravidanze non portate a termine con aborti ripetuti spontanei o provocati sono
a rischio di carcinoma perché alla tempesta ormonale tipica delle fasi iniziali della gravidanza non
segue l’intervento progestinico della seconda fase della gravidanza.
 esposizione ripetuta alle radiazioni ionizzanti soprattutto nelle donne portatrici di mutazioni
del gene dell’atassia-teleangectasia con deficit dei sistemi di riparazione del DNA.
 stile di vita: abuso di bevande alcoliche, dieta povera di vegetali, frutta e fibre, fumo di
sigaretta che inibisce l’enzima aromatasi alterando l’increzione di estrogeni, vita sedentaria.
 obesità, diabete, ipotiroidismo, malattie autoimmuni raramente associati al cr. mammario.
L’obesità è un fattore di rischio perché nel tessuto adiposo c’è l’enzima aromatasi che, soprattutto
in menopausa trasforma le catene alifatiche dei grassi in estrogeni, con rischio più alto di sviluppare
il carcinoma mammario.
Inoltre, le donne che già hanno avuto il carcinoma mammario in un seno hanno un rischio di 5-10
volte maggiore di svilupparlo nel seno controlaterale rispetto alle donne che non l’hanno mai avuto.
Spesso il carcinoma mammario è associato al carcinoma del colon e delle ovaie.
Se una donna giunge all’osservazione con un nodulo palpabile di circa 1 cm di Ø, probabilmente ha
già una storia preclinica di 8 anni di carcinoma e nel 35% dei casi possiamo osservare delle
micrometastasi.
Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO possiamo distinguere 4 forme cioè carcinoma
scirroso o scirro, carcinoma solido, mastite carcinomatosa, carcinoma di Paget.
Ricordiamo che la mammella viene suddivisa in 4 quadranti: supero-esterno, supero-interno, infero-
esterno e infero-interno. Il quadrante più colpito è quello supero-esterno, probabilmente perché è
ricco di parenchima mammario. Spesso si notano dei focolai neoplastici multipli nello stesso

138
quadrante e si parla di Carcinoma Multifocale, oppure in quadranti diversi rispetto al nodulo
principale e si parla di Carcinoma Multicentrico.
Il CARCINOMA SCIRROSO è la forma più frequente, rappresenta il 75% dei casi, di consistenza
molto dura, dal punto di vista istologico viene distinto in carcinoma duttale infiltrante e
carcinoma lobulare infiltrante:
 carcinoma duttale infiltrante: rappresenta l’80% di tutte le forme, si presenta in forma nodulare
che infiltra la membrana basale.
 carcinoma lobulare infiltrante: rappresenta il 20% di tutte le forme, non è nodulare ma spesso è
multifocale e bilaterale.
Il CARCINOMA SOLIDO viene distinto in carcinoma encefaloide e carcinoma gelatinoso:
 carcinoma encefaloide: ha una consistenza molle e può raggiungere dimensioni tali da
deformare il profilo mammario, al taglio presenta delle zone centrali necrotico-emorragiche e
istologicamente si fa una distinzione tra carcinoma midollare costituito da cordoni di cellule
epiteliali voluminose e carcinoma papillare raro, costituito da formazioni papillari ben evidenti.
 carcinoma gelatinoso o colloide: presenta un liquido gelatinoso, translucido e istologicamente
corrisponde al carcinoma muciparo con cellule ad anello incastonato secernenti muco.
La MASTITE CARCINOMATOSA o carcinoma infiammatorio: caratterizzata da un > di
volume della mammella, che si presenta arrossata con ipertermia locale, edema, aspetto a
buccia d’arancia, lieve dolore, ma al taglio non si osserva suppurazione o segni di flogosi
corrispondenti ai segni esterni. Istologicamente corrisponde al carcinoma duttale nel 92% dei casi
oppure al carcinoma lobulare infiltrante nell’8% dei casi.
Il CARCINOMA di PAGET rappresenta il 2% ~ dei carcinomi mammari nelle donne con età
compresa tra 50-60 anni. Inizialmente si localizza al capezzolo e all’areola che si presenta
arrossata, granulosa o eczematosa, talora si formano delle croste e delle piccole ulcerazioni da
cui fuoriesce siero o sangue, mentre dopo alcuni mesi o anni si nota un nodulo retroareolare
palpabile che infiltra i dotti galattofori.
Istologicamente il carcinoma di Paget nelle fasi iniziali è caratterizzato dalle cosiddette cellule a
gocce di cera nell’epidermide, mentre nella fase di nodo palpabile si notano cellule atipiche che
superano la membrana basale dell’epidermide e dei dotti galattofori.
Dal punto di vista CLINICO il carcinoma mammario (forma scirrosa) nelle fasi iniziali si presenta
sottoforma di un nodulo di consistenza duro-lignea, spesso localizzato nel quadrante supero-
esterno della mammella, di forma rotondeggiante e irregolare, volume variabile in base al
momento della diagnosi (autopalpazione), superficie irregolare, indolente, immobile perché fa
corpo con il parenchima ghiandolare circostante.
Inoltre, possiamo osservare edema in seguito all’infiltrazione dei vasi linfatici presenti nel derma e
le alterazioni della cute che riveste il nodulo o tutta la mammella, con rossore, appiattimento
di un tratto della curvatura della mammella o segno della smorfia, oppure l’aspetto a buccia
d’arancia in seguito all’infiltrazione dei vasi linfatici o linfangite.
Altri segni di allarme sono la secrezione siero-ematica o ematica dal capezzolo o la retrazione
della mammella con asimmetria, retrazione del capezzolo o retrazione della ghiandola in toto.
Il carcinoma provoca linfoadenopatia ascellare cioè si nota un > di volume dei linfonodi ascellari
di consistenza dura, inizialmente mobili, poi confluiscono tra loro e si fissano ai piani profondi e
alla cute, per cui sono immobili, il che è un indice prognostico negativo.
La DIAGNOSI si basa su:
 Anamnesi: bisogna stabilire l’inizio del menarca o della menopausa, regolarità del ciclo
mestruale, età della prima gravidanza e n° delle gravidanze, allattamento al seno del neonato,
anamnesi familiare + per carcinoma mammario, presenza di patologie ovariche, uso di
contraccettivi orali.
 Esame Obiettivo: deve essere eseguito in periodi lontani dal flusso mestruale perché può
provocare edema e ingrossamento della mammella. La pz viene esaminata a torace nudo,
confrontando le due mammelle.

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─ Ispezione: si valuta la simmetria tenendo presenti come punti di repere il giugulo dello sterno e
le clavicole, volume, forma, colore della cute, cute increspata a buccia d’arancia, retrazioni
cutanee, appiattimento della curva del profilo mammario, eritema cutaneo, eczema e
ulcerazioni (carcinoma di Paget), presenza di retrazioni o lesioni del capezzolo, secrezione
spontanea o dopo compressione del capezzolo.
Le secrezioni possono essere di vario tipo: siero-ematiche o ematiche (monolaterale) in caso di
neoplasie, soprattutto un papilloma dei dotti galattofori e Carcinoma di Paget, verdastre o bianco-
grigiastre in caso di mastopatia fibrocistica o ectasia duttale, lattescenti in caso di iperprolattinemia,
purulente in caso di mastite o galattoforite, limpide e abbondanti in caso di ectasia duttale.
─ Palpazione: la pz deve stare sdraiata sul lettino tenendo la mano omolaterale al seno da palpare
sulla testa in modo da far rilasciare i muscoli pettorali.
Possiamo ricorrere alla palpazione per prensione cioè si afferra la mammella tra il pollice e le
altre dita facendo scorrere fra di loro la massa ghiandolare, in modo da riconoscere tutte le
formazioni presenti nello spessore della ghiandola, ma dobbiamo ricordare che spesso gli acini
ghiandolari sono duri e ingrossati, ecco perché si preferisce la palpazione a piatto cioè la
palpazione della mammella con le mani a piatto quadrante per quadrante, compreso il
prolungamento ascellare, valutando la presenza di masse sospette, dimensioni, contorni,
consistenza che è duro lignea in caso di carcinoma mammario, l’eventuale aderenza alla cute ed
ai tessuti profondi, superficie della massa, presenza del dolore tenendo presente che il carcinoma
mammario non provoca dolore, mentre le neoplasie benigne e i processi infiammatori della
mammella provocano dolore.
Poi si invita la pz ad appoggiare le mani sui fianchi esercitando una certa forza in modo da far
contrarre i muscoli pettorali, spostando la ghiandola sul torace in ogni direzione per stabilire se il
nodulo è mobile o immobile.
Per verificare se c’è un’aderenza tra il nodulo e i dotti galattofori si afferra il capezzolo tra indice
e pollice, si tira in avanti, mentre con l’altra mano si verifica se la massa si sposta, il che potrebbe
indicare la presenza di un carcinoma o di un papilloma dei dotti galattofori.
Poi si passa alla palpazione della mammella controlaterale eseguendo le stesse manovre.
Inoltre, è molto importante la Palpazione dei linfonodi ascellari e sovraclaveari: ci mettiamo
di fronte alla pz che deve tenere l’arto rilasciato, lungo i fianchi, si introducono le punte delle dita
tese in profondità nel cavo ascellare, tenendo il palmo della mano rivolto verso il torace (mano dx
per il lato sx e viceversa), e si procede alla palpazione dei linfonodi esaminando prima il pilastro
anteriore dell’ascella, poi l’apice e il pilastro posteriore.
La palpazione dei linfonodi sovraclaveari è più facile soprattutto durante uno sforzo perché
diventano più superficiali.
In caso di interessamento dei linfonodi avremo un > di volume e di consistenza dei linfonodi, che
tendono a confluire tra loro formando dei pacchetti linfonodali in caso di metastasi.
Tra le indagini strumentali per valutare la natura del nodulo abbiamo:
 Ecografia: è l’indagine di prima scelta prima dei 40 anni; il carcinoma mammario si presenta
sottoforma di noduli solidi, iperecogeni, rispetto ai noduli liquidi, ipoecogeni, ma bisogna stare
attenti perchè anche il fibroadenoma è iperecogeno.
 Mammografia: indagine radiologica di prima scelta dopo i 40 anni mentre prima dei 40 anni non
è molto utile perché il tessuto mammario è più denso, fornisce la stessa opacità del nodulo,
rendendo difficile la distinzione tra tessuto neoplastico e parenchima sano circostante, per cui si
ricorre all’ecografia. Alla mammografia i noduli sono radiopachi, con margini irregolari,
sfumati, spesso con diramazioni a stella. E’ possibile osservare anche le forme microscopiche,
non palpabili con presenza di microcalcificazioni a contorni irregolari, distribuite irregolarmente
in aree circoscritte dovute alla formazione di piccoli depositi di calcio nelle aree necrotiche, che è
indice di malignità: le microcalcificazioni si osservano mediante lenti di ingrandimento speciali.
 Duttogalattografia: indicata in presenza di secrezioni ematiche o siero-ematiche del capezzolo, si
introduce una cannula sottile nel capezzolo, si perfonde il dotto galattoforo con m.d.c. radio-opaco e

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si esegue una mammografia evidenziando i difetti di riempimento del dotto dovute a vegetazioni
intraduttali.
 Agoaspirato con ago sottile sottoguida ecografica con esame citologico FNAB: pre-operatorio,
fornisce diversi risultati cioè materiale inadeguato alla diagnosi, nodulo benigno, nodulo
atipico/probabilmente benigno, nodulo sospetto/probabilmente maligno, nodulo maligno.
 Microbiopsia percutanea con aghi tranciati da 14-18 gauge (G): ad alta sensibilità e specificità
per la diagnosi di carcinoma invasivo ma è più costosa, traumatica per la pz e più suscettibile di
errori di campionamento rispetto alla citologia.
 Agobiopsia con aspirazione forzata o Mammotome: in anestesia locale si esegue mediante il
bisturi una piccola incisione locale attraverso cui si introduce un ago da 11 gauge aspirando 20
frustoli di 20 mm di lunghezza e 3 mm di Ø. La biopsia può essere eseguita su noduli palpabili o
non palpabili sottoguida ecografica o stereotassica, più sensibile e specifica rispetto alla citologia e
microistologia convenzionali ma è più costosa. Esistono anche altre tecniche di Biopsia definite
ABBI, SITE SELECT con cannule di 20 mm di Ø introdotte attraverso un’incisione cutanea di 3 cm,
asportando materiale più voluminoso di 5-20 mm di Ø e 20 mm di lunghezza, ma è eseguita a cielo
aperto per cui bisogna agire in ambiente sterile.
 Biopsia escissionale intraoperatoria con esame estemporaneo al congelatore: durante
l’intervento si asporta il nodulo e l’anatomo patologo esegue una indagine istologica al congelatore
per valutare la natura del nodulo e può fornire al chirurgo 3 tipi di risposta:
─ positiva: il nodulo presenta le cellule neoplastiche: il chirurgo può continuare l’intervento.
─ negativa: il nodulo non presenta le cellule neoplastiche.
─ materiale inadeguato per la diagnosi MID se il prelievo non è stato eseguito correttamente o in
caso di neoplasie con cellule neoplastiche scarse (carcinoma scirroso).
In questo modo si decide se ricorrere ad una terapia chirurgica radicale o palliativa.
Le Vie di Diffusione del carcinoma mammario sono:
 per contiguità con infiltrazione delle vie linfatiche adiacenti al tumore.
 per continuità con infiltrazione della cute, fascia del muscolo pettorale, muscolo pettorale e
strutture più profonde.
 per via linfatica: gli emboli neoplastici si staccano dalla massa primitiva e attraverso le vie
linfatiche raggiungono le stazioni linfonodali ascellari, distinte in :
─ linfonodi ascellari di I livello o inferiori posti all’esterno del margine inferiore del muscolo
piccolo pettorale, sono circa 12-16 linfonodi, cioè il 45% circa dei linfonodi ascellari. Si tratta dei
linfonodi dell’arteria mammaria esterna.
─ linfonodi ascellari di II livello o intermedi compresi tra il margine laterale e mediale del
muscolo piccolo pettorale (35%) e linfonodi interpettorali di Rotter.
─ linfonodi ascellari di III livello o superiori posti a livello del margine supero-mediale del
muscolo piccolo pettorale, dove la vena ascellare diventa succlavia (15%).
 per via ematica: si ha l’infiltrazione delle vene nel cui lume si staccano degli emboli neoplastici
che, mediante il flusso ematico, giungono al cuore dx, ai polmoni, superano il filtro polmonare
diffondendosi attraverso la circolazione sistemica nell’organismo, soprattutto alla colonna
vertebrale, femore, bacino, cranio, coste, fegato, ovaie e cervello.
 diffusione per via linfo-ematica: gli emboli neoplastici attraverso la corrente linfatica giungono al
dotto toracico, che drena nella vena succlavia, consentendo la diffusione del tumore per via ematica.
L’Ecografia è utile per evidenziare le metastasi epatiche, la Scintigrafia ossea per evidenziare le
metastasi ossee, l’Rx del torace per individuare le metastasi polmonari, la TAC cranica per le
metastasi cerebrali, RMN a contrasto dinamico per la stadiazione loco-regionale valutando la
presenza di un tumore multifocale o multicentrico, ristadiazione locale delle neoplasie dopo
chemioterapia adiuvante, diagnosi di recidive dopo terapia chirurgica e radioterapica,
metastasi da carcinoma primitivo misconosciuto, controllo dell’integrità delle protesi
mammarie e studio del parenchima nelle pz con protesi.
La Classificazione TNM consente di stadiare la neoplasia e di dare un giudizio prognostico:
─ Tx: il tumore primitivo non può essere definito.

141
─ Tis: carcinoma in situ intraduttale o intralobulare o carcinoma di Paget non ancora
individuato all’esame obiettivo e con le indagini strumentali.
─ T1: tumore con Ø ≤ 2cm.
─ T2: tumore con Ø 2–5 cm.
─ T3: tumore con Ø > 5 cm.
─ T4: tumore di qualsiasi dimensione che ha infiltrato la cute con edema, cute a buccia
d’arancia, piccole ulcerazioni oppure tumore che ha infiltrato la parete toracica (coste e muscolo
dentato anteriore), oppure tumore con caratteri della mastite carcinomatosa cioè infiammazione
della mammella con infiltrazione dei vasi linfatici da parte delle cellule neoplastiche, con
conseguente edema, cute a buccia d’arancia, arrossamento, segno dello scalino cioè tra cute
interessata dalla neoplasia edematosa e cute sana circostante si nota un avvallamento netto.
─ N0: nessuna metastasi linfonodale.
─ N1: presenza di metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali con linfonodi mobili.
─ N2: presenza di metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali con linfonodi fissi.
─ N3: presenza di metastasi ai linfonodi mammari interni omolaterali.
─ M0: non ci sono metastasi a distanza.
─ M1: presenza di metastasi a distanza e metastasi ai linfonodi sopraclaveari.
La prognosi dipende da vari fattori:
 dimensioni del tumore: tumori con Ø > 2 cm hanno una prognosi peggiore rispetto ai più piccoli.
 aggressività del tumore: abbiamo il Grading Istologico che fornisce il grado di differenziazione
cellulare, cioè grado G1 o tumore ben differenziato a prognosi favorevole, grado G2 o tumore
moderatamente differenziato, grado G3 o tumore scarsamente differenziato o anaplastico con
prognosi sfavorevole perché sono molto aggressivi, provocando metastasi linfonodali e a distanza,
con morte in tempi brevi.
 età del pz > 45 anni.
 stato dei recettori ormonali: le cellule che presentano recettori specifici per gli ormoni sono più
differenziate, per cui la neoplasia sarà meno aggressiva, con possibilità di sfruttare la terapia ormonale.
 cinetica cellulare: velocità di proliferazione delle cellule neoplastiche e di crescita della massa tumorale.
 aderenza tra tumore e cute o piano costale con prognosi peggiore.
 metastasi ai linfonodi ascellari: bisogna considerare il n° dei linfonodi interessati, che può essere <
= > 3, se si ha l’interessamento dei linfonodi ascellari di III livello il rischio di ripresa neoplastica
dopo l’intervento chirurgico è notevole. Bisogna controllare bene tutte le stazioni linfonodali perché
spesso si verifica il salto di livello cioè il I livello viene saltato, colpendo direttamente i linfonodi
ascellari di II e III livello. Se il tumore ha interessato anche i linfonodi sovraclaveari e i linfonodi
mammari interni con metastasi mediastinica, è inutile ricorrere ad un intervento radicale,
demolitivo, perché il tumore si trova in una fase molto avanzata (tumore incontrollabile).
La TERAPIA è Chirurgica: inizialmente (1920-1960) si ricorreva alla Mastectomia radicale
secondo Halsted (1894) asportando tutta la mammella, muscoli grande e piccolo pettorale, tutti i
linfonodi del cavo ascellare, fino ai linfonodi della catena mammaria interna, cioè si trattava di un
trattamento ampiamente demolitivo, poi si è passati alla Mastectomia radicale secondo Madden
con asportazione della mammella, cute e fascia del muscolo grande pettorale, tutti i linfonodi del
cavo ascellare, risparmiando i muscoli grande e piccolo pettorale, ottenendo buoni risultati nella
fase ricostruttiva e per l’estetica della pz, anche se il problema non è di natura estetica ma è quello
di garantire una certa sicurezza oncologica, evitando la ripresa della neoplasia.
Poi si è passati alla Mastectomia radicale secondo Patey con asportazione della mammella, cute
e muscolo piccolo pettorale, risparmiando il grande pettorale cioè il pilastro anteriore dell’ascella
per evitare grossi danni estetici, la deformazione della gabbia toracica, danni funzionali con
limitazione dell’adduzione del braccio, consentendo una buona ricostruzione della mammella.
La linfoadenectomia prevede l’asportazione dei linfonodi ascellari fino a quelli di III livello,
compresi i linfonodi interpettorali di Rotter proprio perché si asporta il muscolo piccolo pettorale.

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Dopo la mastectomia si esegue la Radioterapia adiuvante per ridurre il rischio di recidive,
irradiando la sede del tumore primitivo, la parete toracica e i linfonodi sovraclaveari, associata a
Chemioterapia e Ormonoterapia adiuvante.
Nel 1975 nell’Istituto dei tumori di Milano è stato presentato lo studio di Chirurgia Conservativa
cioè l’Intervento di Quadrantectomia associata alla linfoadenectomia e alla radioterapia della
mammella residua o QUART e la tumorectomia o TART (ancora in fase di studio) dove la sigla
RT sta per radioterapia che viene usata dopo l’intervento per evitare la ripresa locale della
neoplasia. La QUART è indicata per le neoplasie con Ø max 2 cm oppure di 3 cm ma non aderenti
alla fascia del muscolo grande pettorale e in assenza di linfonodi ascellari palpabili, mentre la
TART è indicata per le neoplasie fino ad 1 cm di Ø, asportando solo il nodulo.
La QUART consiste nell’asportare il quadrante mammario interessato, la cute sovrastante, una
parte dell’areola, la fascia del muscolo grande pettorale nella sede colpita e poi si esegue lo
svuotamento ascellare in blocco con exeresi ghiandolare.
Dopo l’exeresi si ricorre alla Radioterapia con sorgenti ad alta energia (45-50 Gy) cioè telecobalto,
acceleratore lineare, sterilizzando eventuali foci neoplastiche microscopiche ed evitando le recidive.
Le sequele della radioterapia sono la comparsa di fibrosi, < del volume e della consistenza del
parenchima mammario residuo, fibrosi del parenchima dell’apice polmonare, raramente
fratture, paralisi da lesione del plesso brachiale, pericarditi, necrosi dello sterno.
Nella QUART è importante il rapporto tra dimensioni del tumore e della mammella per 2 motivi:
- motivo oncologico: se la neoplasia si trova nello stadio T3, cioè tumore con Ø > 5 cm, è
necessario avere un quadrante grande per poter asportare la neoplasia e almeno 2 cm di margine
sano intorno alla neoplasia, cosa non possibile per le mammelle piccole.
- motivo estetico: nel caso di mammelle piccole i risultati estetici sono scarsi, per cui occorre
evitare delle exeresi allargate, molto demolitive.
Per quanto riguarda la Linfoadenectomia bisogna considerare 2 tecniche:
 Biopsia del linfonodo sentinella: consente di valutare lo stato del primo linfonodo di drenaggio
linfatico del tumore primitivo detto linfonodo sentinella LS, basandosi sulla teoria che in caso di
metastasi del linfonodo sentinella è possibile presagire l’interessamento degli altri linfonodi
locoregionali. Si tratta di una tecnica radioimmunologica intraoperatoria: si inietta un tracciante
colloidale radioattivo (99mTc) in sede peritumorale e dopo qualche minuto si osserva mediante una
sonda scintigrafica per localizzare il segnale del radiocolloide sul letto operatorio. Se il linfonodo
sentinella è privo di cellule neoplastiche è possibile evitare l’asportazione degli altri linfonodi,
altrimenti si ricorre a linfadenectomia ascellare.
 Tecnica del salto linfonodale: la prima stazione linfonodale più vicina alla neoplasia viene
saltata, mentre la metastasi interessa le stazioni linfonodali più lontane che devono essere asportate.
In genere, la ripresa della neoplasia si verifica nel giro di 2 anni, periodo di tempo in cui la pz viene
sottoposta a follow-up con mammografia dopo 6 mesi dall’intervento e poi dopo 1 anno.
La ricostruzione plastica della mammella prevede l’uso degli espansori cutanei o skin
expanders, cioè protesi di silicone.
La Chemioterapia neoadiuvante o preoperatoria è indicata nel caso di tumori voluminosi,
cercando di < le dimensioni del tumore, per facilitare la quadrantectomia ed evitare la mastectomia,
valutando se il pz risponde alla chemioterapia: in caso di pz responders possiamo usare lo stesso
ciclo polichemioterapico nel periodo postoperatorio mentre in caso di pz non responders è
necessario cambiare il ciclo polichemioterapico.
La chemioterapia adiuvante viene usata dopo ~ 1 mese dall’intervento chirurgico (QUART) per
distruggere eventuali micrometastasi, ricorrendo a cicli di polichemioterapia con Ciclofosfamide,
Methotrexate, 5FU (CMF) oppure Ciclofosfamide, Adriamicina e 5FU, Taxani, Vinorelbina,
Gemcitabina, con dosaggio personalizzato a seconda che si tratti di un pz in menopausa o meno.
L’endocrinoterapia si basa sulla terapia ormonale competitiva con SERM cioè modulatori
selettivi per i recettori degli estrogeni come il tamoxifene che agisce legandosi ai recettori specifici
per gli estrogeni, anche se si possono verificare casi di resistenza al farmaco soprattutto se le cellule
neoplastiche presentano dei recettori anomali, oppure si ha la selezione di cloni cellulari recettori

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ormono-indipendenti. Inoltre si ricorre a terapia ormonale inibente con inibitori dell’enzima
aromatasi (formestano, examestano, anastrozolo, letrozolo) e con agonisti LH-RH (leuprolide) per
avere il blocco estrogenico totale.
La scelta della terapia ormonale dipende da alcuni fattori:
- espressione dei recettori ormonali (≥ 10 Fmol/l).
- donne in post-menopausa: sono più sensibili alla terapia ormonale, anche se ci sono delle pz con
recettori ormonali positivi non responders e pz con recettori ormonali negativi responders.
- intervallo libero da malattia: pz con recettori ormonali + (R+) hanno una neoplasia più
differenziata e meno aggressiva, a lenta evoluzione, per cui hanno un lungo intervallo libero da
malattia, con possibilità di agire con la terapia ormonale, mentre un intervallo libero da malattia
breve indica una neoplasia più aggressiva, con recettori ormonali – (R-) o scarsamente +, per cui si
ricorre alla chemioterapia.
- trattamenti precedenti: se la pz è già stata trattata con la terapia ormonale e non ha risposto, è
inutile passare ad una terapia ormonale più forte o diversa.
- metastasi ossee, tessuti molli, polmone ed epatiche dopo un lungo intervallo libero da malattia.
Il Follow-Up post-terapia medico-chirurgica si basa sull’esame clinico e mammografia,
raramente Ecografia epatica, TC addome, Scintigrafia ossea, Markers tumorali sierici.
Addome Acuto

Per ADDOME ACUTO si intende una sindrome addominale a rapida insorgenza dominata da
dolore addominale acuto che spesso richiede un trattamento di chirurgia d’urgenza.
Le Cause sono:
 perforazioni viscerali: ulcera peptica, colecistite acuta, diverticolite acuta, appendicite acuta,
pancreatite acuta, occlusione intestinale, ischemia intestinale, traumi chiusi, aperti, iatrogeni,
emoperitoneo da gravidanza ectopica, rottura aneurisma aortico, rottura splenica o epatica,
patologie ginecologiche (rottura di gravidanza ectopica, salpingite acuta, torsione di una cisti
ovarica, rottura di una cisti endometriosica).
 addome acuto non chirurgico:
─ cause endoaddominali: infezioni virali o batteriche intestinali, epatite acuta, colica biliare,
colica renale, pielonefrite acuta, cistite acuta.
─ toraciche: IMA, pericardite acuta, embolia polmonare.
─ metaboliche: diabete mellito scompensato o chetoacidosi diabetica, uremia, porfiria acuta
intermittente, intossicazione da piombo, allergie.
─ nervose: herpes zoster addominale, tumori o traumi vertebro-midollari.
In presenza di un pz con dolore addominale acuto spesso non c’è molto tempo da perdere per le
indagini di laboratorio e strumentali, nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene solo in
sala operatoria, bisogna intervenire tempestivamente per salvare la vita del pz.
La Diagnosi prevede:
 Esame Obiettivo:
─ dolore intenso ad insorgenza acuta, sede e irradiazione, effetti del dolore sulla respirazione,
alimentazione, defecazione, variazione del dolore con il decubito, movimento o posizione
seduta.
─ nausea, vomito, alterazioni dell’alvo con diarrea, stipsi, chiusura dell’alvo a feci e gas.
─ presenza di febbre preceduta o meno da brividi (sepsi).
─ valutare la facies, posizione o decubito assunto dal pz.
─ segni vitali: respiro, polso, P arteriosa, T°C.
─ esame fisico del torace: segni di flogosi.
─ Esame fisico dell’addome: cicatrici, peristalsi visibile, zone erniarie..., presenza di
contratture di difesa localizzata o diffusa alla palpazione superficiale, segno di Rovsing, segno
di Blumberg, segno di Murphy... Alla Percussione si valuta la scomparsa dell’aia di ottusità
epatica (pneumoperitoneo con versamento libero da valutare con Rx diretto addome con falce aerea

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sottodiaframmatica, presenza di livelli idro-aerei intestinali). All’Auscultazione si valuta la
peristalsi in caso di sospetto di occlusione intestinale.
─ esplorazione digito-rettale e vaginale: utile in caso di flogosi pelvica con dolore.
 Indagini di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria, HCT, elettroliti,
amilasi, esame urine...
 Indagini Strumentali: Rx standard addome, Ecografia addominale, TAC, angiografia
(emorragie), Laparoscopia esplorativa.

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