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TERAPIA ANTALGICA
FRANCESCO CASSETTA
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ANESTESIOLOGIA E TERAPIA ANTALGICA
PRINCIPI PER LA GESTIONE PRE-OPERATORIA
In tutti i casi che ad un paziente sia indicato l’approccio chirurgico, sia esso necessiti di anestesia profonda o
solo sedazione, esso deve essere inviato al pre-ricovero dove sarà attenzionato da visita anestesiologica.
L’anestesista deve definire la condizione clinica del paziente, stabilire un piano di anestesia e informare il
paziente o l’adulto esercente la patria potestà su tale programma.
L’obbiettivo è che il paziente possa giungere all’intervento chirurgico nella migliore condizione possibile e
quindi l’anestesista deve classificare il rischio anestesiologico ed eventualmente intervenire se possibile
per ottimizzare la condizione del paziente.
La valutazione anestesiologica deve essere tagliata per quanto riguarda l’obbiettivo anestesiologico che si
vuole raggiungere; non è considerabile un check-up del paziente in quanto la visita preoperatoria ha solo il
fine di ottimizzare il percorso del paziente nelle fasi operatorie in sicurezza.
Questa pratica prevede anche l’approfondimento tramite esami specifici e consulenze specifiche anche in
virtù di quale sarà l’approccio anestesiologico approntato.
VISITA PREOPERATORIA
Nel momento in cui l’anestesista avrà di fronte a sé il paziente per valutarlo negli aspetti importanti, lo stesso
andrà a classificare il paziente in base ad una scala denominata ASA (american society of anesthesiologists).
In tutte le classi ASA possiamo trovare un fattore aggravante che è quello emergenziale (E).
Questa classificazione ASA è anche considerata una classificazione interdisciplinare, in quanto ad esempio,
un chirurgo già dalla classificazione ASA si può rendere conto del rischio che si potrà incorrere in sala
operatoria.
VALUTAZIONE ANESTESIOLOGICA
L’anestesista deve apporre un approccio globale con il paziente, nel quale subentra anche una parte tecnica,
per permettere all’organismo di sopportare al meglio e superare un’aggressione, che può essere quella
chirurgica.
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Per eseguire una valutazione anestesiologica, si ha necessità di valutare alcuni importanti parametri tra i
quali:
Importante capire che tutte le scelte e decisioni vanno ragionate paziente per paziente.
TEST DIAGNOSTICI:
Sono quegli strumenti utili a cercare delle eventuali alterazioni che si possono in qualche modo correggere.
Per ogni test che si andrà a fare avremo dei falsi positivi e dei falsi negativi per questo bisogna ragionare su
ciò che è la sensibilità e specificità di ogni test.
In base al rischio che si può avere, si andranno a scegliere dei test anche poco specifici o sensibili se la cosa
conviene; ad esempio, i test per il covid che si predilige la possibilità di avere anche qualche positivo in più
anche se effettivamente negativi.
• Esami ematochimici: Gli esami ematochimici non vanno eseguiti di routine, ma solo in modo
selettivo in base ad un’accurata valutazione anamnestica e clinica (es. patologia surrenalica, tiroidea,
renale, terapia con diuretici, chemioterapia).
• ECG: È raccomandato in base alla valutazione ASA e al tipo di chirurgia cui è sottoposto il paziente.
Ad esempio, un ragazzo diciottenne con ASA1 non necessiterà di questo esame, come non ne
necessità un intervento chirurgico che abbia un’invasività molto limitata.
• RX torace: in passato veniva fatto un po' a tutti; attualmente è raccomandato su pazienti anziani,
fumatori, che riferiscono delle difficoltà respiratorie. Questo naturalmente non significa bypassare la
valutazione del torace e della funzionalità respiratoria di tutti i pazienti, viene maggiormente risolto
con una classica visita piuttosto che con un RX.
• Esame urine: a volte poco considerato, ma che in realtà può essere molto esaustivo per diagnosticare
alcune patologie.
• Test di gravidanza: in donne di età fertile andrebbe sempre eseguito, in quanto sottoporre una
paziente ad intervento chirurgico in stato di gravidanza misconosciuta potrebbe causare la perdita
del feto.
• Ecocardiogramma: rispetto ad un ECG può essere molto più interessante perché mi indica
maggiormente la funzionalità cardiaca.
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TIPOLOGIE DI CHIRURGIE
La branca dell’anestesiologia andrà a calibrare il suo approccio anche in base al tipo di intervento chirurgico
al quale il paziente sarà sottoposto.
• Chirurgia minore: fondamentalmente è una chirurgia di parete. In questo tipo di chirurgia alcuni
esami cominciano ad essere presi in considerazione solo in presenza di pazienti ASA 3 o 4, che sono
condizioni di comorbilità importanti che impattano sulla sopravvivenza.
• Chirurgia intermedia: si comincia ad andare più in profondità, come artroscopie e tonsillectomie.
Alcuni esami cominciano ad essere utili anche in pazienti ASA 2 come, ad esempio, una funzionalità
renale o un ECG.
• Chirurgia maggiore o complesse: si interviene su organi o apparati vitali con un’invasività
importante. In questo tipo di chirurgia anche in pazienti ASA1 vengono fatti esami come ad esempio
un emocromo.
Andremo a legare l’ASA con quello che sarà la chirurgia in modo da definire quali esami saranno più utili o
meglio indicati in ciascuna situazione.
Il rischio più grande in cui si può incorrere è quello dell’infarto peri-operatorio e quindi bisogna valutare
quale riserva funzionale di cui il paziente dispone, e anche valutare il soggetto in base all’esposizione al
rischio. Questi rischi possono essere correlati al tipo di intervento, al rischio sanguinamento, alla durata.
Bisogna andare ad analizzare tutti i fattori di rischio che possono in qualche modo essere legati al rischio
cardiovascolare: l’età, presenza di diabete, patologie coronariche o eventi ischemici pregressi.
Attualmente si utilizza l’acronimo MINS (Myocardial injury after noncardiac surgery) per definire un danno
cardiaco sviluppatosi in seguito ad un’ischemia durante o entro 30 giorni dall’intervento chirurgico.
➢ È stato stimato che i MINS hanno una prevalenza dell’8% a livello mondiale, nella chirurgia non
cardiaca, e che si correlano in maniera significativa con la mortalità a 30 giorni.
➢ Fattori di rischio legati al paziente che sono significativamente correlati alla probabilità di sviluppare
MINS sono: l’età avanzata, il diabete mellito, patologia coronarica o storia di stroke.
Inoltre, lo sviluppo di MINS ha una maggiore frequenza nei pazienti ai quali viene somministrata un’anestesia
neuro-assiale periferica rispetto a coloro che ricevono un’anestesia spinale.
Per capire quanto un paziente è in grado di sopportare un grado di stress, si fa riferimento a quella che è la
RISERVA FUNZIONALE RESIDUA CARDIACA espressa in MET (livello di equivalente metabolico).
Si valuta quale attività fisica effettua il paziente e in base a questo si classifica il paziente in una scala
numerica:
Il sovraccarico emodinamico a cui espone un intervento chirurgico medio non è superiore a quello a cui ci si
espone eseguendo uno sforzo > 4 MET. Per questo motivo questo è il cut off della capacità funzionale.
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Un soggetto MET 4 fondamentalmente è un paziente che può fare una camminata di una certa lunghezza
senza avere grossi problemi di stress.
Man mano che aumenta il grado di stress che l’organismo sopporta aumenterà anche la scala MET.
Attualmente nuovi studi, il MET REPAIR, stanno rivalutando il concetto per il quale sia corretto valutare il
MET4 corretto come cut-off.
Molto spesso utilizzate sono anche altre scale per la CONDIZIONE CARDIOVASCOLARE, che si basa su due
grosse scale; una è la Canadian Cardiovascular Society, l’altra più utilizzata è la NYHA (New York Heart
Association).
La NYHA riporta lo stato funzionale in scala da 1 a 4, in cui nella 1 troviamo assenza di dispnea sia sotto sforzo
che a riposo, mentre nella 4 troviamo dispnea anche in condizione di riposo. Questa valutazione viene fatta
in pazienti che riferiscono già di essere cardiopatici.
I pazienti possono essere classificati in tre categorie in base alla presenza di fattori di rischio
cardiovascolare:
valvulopatie gravi
aritmie gravi
o angina stabile
o diabete mellito
• età avanzata
• ECG anormale
IPERTENSIONE
Un altro grosso fattore da considerare è l’ipertensione, anche perché epidemiologicamente è molto rilevante
come fattore.
Una serie di studi ci illustrano come esiste una correlazione tra ipertensione e morbilità cardiaca;
tendenzialmente il cut-off che ci indica un grosso rischio chirurgico è la pressione diastolica al di sopra dei
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110 mmHg. Se non siamo in emergenza conviene portare il paziente in una posizione di controllo della
pressione arteriosa con una preparazione all’intervento mettendolo sotto terapia per cercare di stabilizzarla.
Il fumo è importante dal punto di vista di impatto che può avere su una anestesia; il danno instaurato negli
anni è una condizione che permane, ma si può migliorare la condizione cercandolo di non farlo incorrere in
una BPCO, che generalmente insorge dopo 30 anni di fumo.
Ad esempio, una condizione da attenzionare tantissimo è il diabete mellito; è una patologia che può avere
effetti drammatici.
Non bisogna soffermarsi sul fatto che il paziente riferisca di non essere diabetico ma vanno anche colti tutti
quei segni sistemici che ce lo possono far supporre.
TIROIDE
Le vie aeree possono essere compromesse in presenza di una qualsiasi massa tiroidea.
• Il problema principale nei pazienti ipertiroidei è la crisi tiroidea, che si verifica con maggior
frequenza se i segni di ipertiroidismo sono presenti.
FEGATO
Il rischio dell’intervento chirurgico e dell’anestesia è funzione sia dell’integrità del fegato che delle
complicanze associate.
Spesso questi pazienti presentano diminuzione delle resistenze periferiche, con un aumento della
mescolanza venosa e dello shunt, che può portare ad una circolazione iperdinamica e all’ipossia.
Il metabolismo dei farmaci può essere alterato sia a causa dell’aumento del volume di distribuzione che
della diminuzione del metabolismo.
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SCORE DI MORTALITA’ E DI GRAVITA’
APACHE
I criteri APACHE sono un metodo per diagnosticare la gravità di un paziente critico. Ad un maggiore punteggio
corrisponde una maggiore criticità e una maggiore probabilità di mortalità. In genere si applica ai pazienti
critici che vengono ricoverati in terapia intensiva. APACHE è un acronimo che significa Acute Physiologic
Assessment and Chronic Health Evaluation. È un punteggio finale che è dato dalla somma di una serie di
punteggi assegnati a determinati parametri vitali, esami ematochimici e notizie di natura anamnestica.
• Temperatura corporea
• Pressione arteriosa
• Frequenza cardiaca
• Frequenza respiratoria
• Ossigenazione
• pH arterioso
• Sodiemia
• Kaliemia
• Creatininemia
• Ematocrito
• Leucociti
• Glasgow Coma Scale
• Età
• Stato di salute cronico
• Bicarbonati
SAPS
Il SAPS Score ("Simplified Acute Physiology Score") è uno dei numerosi metodi utilizzati per valutare la
gravità delle malattie dei pazienti in terapia intensiva.
Questo sistema è particolarmente usato per descrivere la morbidità del paziente confrontata con i risultati
di un altro paziente e per descrivere la morbidità di un gruppo di pazienti confrontata con i risultati di un
altro gruppo di pazienti.
Il SAPS II si applica ai pazienti ammessi alle ICU, di età uguale o > di 15 anni. Il punteggio finale (intero
compreso tra 0 e 163) è calcolato attraverso la somma dei punteggi parziali associati a 15 misure fisiologiche
usuali di cui dev'essere scelto il peggior valore registrato durante le prime 24 ore di ricovero in ICU.
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Il rischio comunque può essere presente; si analizza l’anamnesi del paziente per sapere se esistono delle
storie di allergia a sostanze nello specifico.
Attualmente non esistono dei test routinari che ci possono far comprendere chiaramente la presenza di
specifiche allergie.
PREPARAZIONE FARMACOLOGICA
È molto importante per i pazienti che devono sottoporsi ad intervento chirurgico; di fatto sono molto pochi
i farmaci che andiamo a sospendere. Molti di questi farmaci vanno però gestiti ed ottimizzati:
• Ipoglicemizzanti orali: ad esempio, la metformina. Sono farmaci che vanno attenzionati nel
perioperatorio per evitare ipoglicemia ed iperglicemia estrema. Va eseguito uno stretto
monitoraggio della glicemia anche durante l’intraoperatorio in quanto un valore di 110 mg/dl riduce
mortalità e morbilità nei pazienti critici.
• Sostanze psicotrope: sono farmaci che vanno adattati ma non sospesi, in quanto la sospensione
potrebbe creare un’alterazione di un equilibrio raggiunto. Generalmente vanno sospesi gli inibitori
delle MAO.
Farmaci come beta-bloccanti, sartani, ace-inibitori vengono gestiti ma NON sospesi, in quanto
farmacologicamente potrebbero creare un problema e uno squilibrio della pressione arteriosa durante un
intervento chirurgico.
Problemi da attenzionare sono per i nuovi anticoagulanti orali, che a causa delle loro emivite lunghe vanno
sospesi perché possono portare a condizioni di sanguinamenti incontrollati, sempre a causa della loro
emivita. Per il perioperatorio per il trattamento a questi pazienti si può passare a eparina a basso peso
molecolare per poter ovviare l’effetto avverso degli NAO.
STORIA DELL’ANESTESIA
L’anestesia è una branca della medicina che possiamo considerare giovane in quanto l’anestesiologia
moderna nasce nella metà dell’800.
Precedentemente comunque veniva effettuata qualche forma di chirurgia, anche se superficiali o sugli arti,
queste perché ancora non esistevano tecniche di approfondimento del sensorio con farmaci di tipo oppioide.
Alcune molecole, come l’etere, già erano in uso nel 500, anche se approfondito nel’800 insieme al
cloroformio. Altri farmaci come il protossido d’azoto venivano usati, ma non avevano una vera azione
anestetica ma più un’azione esilarante che confondeva il paziente.
La vera anestesia nasce il 17 ottobre 1846, che fu effettuata al Massachusetts General Hospital, per una
estrazione dentaria. Questa anestesia fu eseguita tramite etere ed ebbe un discreto successo, anche se aveva
una mortalità piuttosto elevata.
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La ventilazione esterna tramite tubo endotracheale, fu scoperto nel 1878, mentre come primo anestetico
locale fu utilizzata la cocaina nel 1885.
Nel 1934 è entrato per la prima volta nel panorama medico il Tiopentone, un barbiturico, con emivita molto
breve, ancora in uso ad oggi, anche se spiazzato da nuove molecole come il propofol.
Nel 1942 è stato utilizzato per la prima volta il curaro che hanno ufficialmente aperto l’età dell’anestesia.
Ad oggi, l’anestesiologia è una specialità medica che di fatto negli anni si è estesa e quindi ad oggi sotto di
essa esistono vari aspetti riassumibili nei 4 pilastri dell’anestesia:
Il principale obbiettivo dell’anestesista è il mantenimento dell’omeostasi degli organi e sistemi, di cui il più
nobile è il cervello, a cui si offre il massimo per fornire una sufficiente perfusione e una buona pressione.
Ancora fondamentale è l’ottimizzazione dell’utilizzo dell’O2 a livello periferico e quindi la riduzione di ciò
che si possono considerare invasività sul paziente nel breve o più lungo termine.
I medici Anestesisti sono da considerarsi gli ultimi medici con una visione olistica del paziente, nel senso che
l’attività è generalista specializzata in quanto si vanno a gestire tutti gli organi e conoscere quindi tutte le
patologie che possono impattare sull’omeostasi, l’anestesista deve conoscere la chirurgia perché deve sapere
esattamente cosa il chirurgo andrà a fare e intervenire su tutte quelle alterazioni che può indurre e su quali
organi. Il medico anestesista è uno dei pochi specialisti che ha nel ventaglio di pazienti tutte le fasce di età,
dal neonato all’anziano.
FORME DI ANESTESIA
Ogni qualvolta un paziente viene sottoposto ad intervento chirurgico, viene effettuata una anestesia; questa
anestesia può essere in varie forme:
L’anestesia non è considerabile una terapia, ma è un qualcosa che si mette in essere per permettere un atto
chirurgico e quindi diagnostico o terapeutico. L’obbiettivo da perseguire è il permettere l’atto chirurgico;
affinché questo avvenga devono essere messe in atto 2 cose:
Come detto precedentemente, l’anestesia non essendo un atto terapeutico, non ci si aspetta che avvenga un
danno da essa; questo ha portato a sviluppare nei decenni un’attenzione a quello che è la sicurezza delle
procedure anestetiche; questo per minimizzare il rischio.
Per valutare i due punti sopraelencati, l’anestesista deve capire quale migliore formula offrire in base a quello
che è l’intervento chirurgico.
ANESTESIA LOCOREGIONALE
L’anestesia loco-regionale è una procedura di desensibilizzazione dell’organismo che si distingue
dall’anestesia generale perché anziché addormentare tutto il corpo, agisce solo sulla zona interessata
dall’intervento chirurgico.
Questa anestesia, rispetto all’anestesia generale, richiede la somministrazione di una quantità di farmaci
infinitamente minore, con una riduzione dei disagi del paziente. Ci sono pazienti poi che hanno un rischio
cardiocircolatorio piuttosto elevato per un’anestesia generale e per i quali è preferibile effettuare
un’anestesia loco-regionale. Laddove possibile considero questa anestesia di scelta rispetto all’anestesia
generale.
• Taglio cesareo: chirurgia di routine nel quale posso indurre una narcosi e quindi anestesia generale,
oppure possiamo offrire una tecnica locoregionale come una subaracnoidea o epidurale, andando
ad addormentare solo la zona stimolata, lasciando la paziente sveglia e collaborante. Generalmente
si va sempre a proporre una locoregionale in quanto meno impattante. La controindicazione di
questa pratica è la collaborazione del paziente in quanto esso deve comunque poter collaborare
durante l’intervento.
ANESTESIA LOCALE
L'anestesia locale, o topica, è l'anestesia di una parte del corpo (come un dente o un'area della pelle) senza
perdita della sensibilità tattile né della capacità motoria. Si distingue dalla anestesia regionale, che ha invece
lo scopo di anestetizzare una parte maggiore del corpo, come una gamba od un braccio.
Essa viene ottenuta tramite la somministrazione di anestetici locali, sostanze che agiscono bloccando il
canale degli ioni sodio, che trasmettono gli impulsi nervosi attraverso la membrana della cellula nervosa.
1. ABOLIZIONE DELLA COSCIENZA: si induce l’ipnosi con Perdita della coscienza e memoria
(anterograda) di ogni evento (sensazioni, stimoli e loro integrazione corticale). Il controllo dello stato
di coscienza è ottenuto mediante una razionale valutazione del tipo e della quantità di farmaci
utilizzati. La coscienza è il contatto con l’esterno del paziente, infatti non possiamo dire che in
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anestesia il soggetto stia dormendo ma è in stato di ipnosi, infatti, durante il sonno una parte di
coscienza comunque permane.
2. MIORISOLUZIONE: è a riguardo della tonicità muscolare. La miorisoluzione serve per permettere
alcuni atti chirurgici e per permettere e facilitare la ventilazione meccanica agendo appunto anche
sul rilasciamento della muscolatura respiratoria per non avere contrapposizioni e resistenze
muscolari. Se per esempio, in una chirurgia addominale non avremmo miorisoluzione, il chirurgo
sarebbe impossibilitato a richiudere l’addome per un’eviscerazione di riflesso e per resistenza
muscolare che si verrebbe a creare. Non è una componente utile per tutti gli interventi chirurgici;
infatti, per un intervento neurochirurgico sarà una componente di scarsa rilevanza.
3. SOPPRESSIONE DELLA RISPOSTA ALLO STRESS: questa comprende sia l’analgesia che la protezione
neurovegetativa. L’anestesia generale associa tutti e 3 gli elementi sopradescritti; si potrebbe però
andare a scorporarle in alcune situazioni, come ad esempio un cesareo, dove potrebbe essere utile
solo la soppressione della risposta allo stress gestendo quindi analgesia e risposta neurovegetativa.
Questi obbiettivi vengono raggiunti grazie ai farmaci, ma va considerato che sono pochissime le classi
farmacologiche che possono darmi un unico effetto; la maggioranza dei farmaci in uso vanno in parte in
overlap su altri componenti: esempi:
• il curaro, agendo esclusivamente sulla placca ha come unico effetto la miorisoluzione e quindi non
agisce né sulla coscienza né sul dolore.
• Gli oppiacei sono i farmaci d’elezione per la gestione della stimolazione dolorosa. Inducono anche
una quota di perdita di conoscenza e sonnolenza e amnesia.
• Le benzodiazepine sono farmaci
che agiscono maggiormente sul
livello di coscienza e danno una
parte di miorisoluzione. Non
hanno capacità di controllo sul
dolore.
• I neurolettici sono farmaci che
permettono di gestire una quota
di perdita di coscienza sia una
parte di gestione del dolore.
• Anestetici inalatori sono farmaci
che hanno un più ampio spettro
di azioni controllando in parte il
dolore, gestendo la perdita di
coscienza e una quota di
rilasciamento muscolare.
L’utilizzo di tutti questi farmaci, come visto non possono dare da soli un effetto di controllo generale ma
vanno usati in combinazione per avere la cosiddetta anestesia bilanciata.
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2. Si viene ad utilizzare una minor dose di ciascun farmaco e quindi andremo incontro ad una minore
quantità di effetti collaterali. Si otterrà una gestione di tutte le componenti che si vuole raggiungere
ma con dosaggi molto più bassi della singola molecola.
Ad esempio, se facciamo un dosaggio elevatissimo di Fentanest, il soggetto non sentirà più dolore e sarà
portato in uno stato di overdose e quindi completa perdita di coscienza; questo avrà un grosso impatto però
sull’omeostasi del paziente e anche successivamente.
Va considerato che qualunque farmaco ha effetti tossici, ma utilizzati nei dosaggi adeguati ed in sinergia tra
loro, di fatto si minimizzano gli effetti tossici e gli impatti omeostatici. Come è stato detto agli inizi del 900
l’anestesia è come un avvelenamento reversibile. Questo sta a significare che l’utilizzo di alcune dosi di
farmaco necessarie per indurre anestesia non sono utilizzabili in altri reparti che non siano la sala operatoria
o la terapia intensiva, perché il sostegno al paziente viene dato meccanicamente e quindi si induce
successivamente alla completa remissione. Ad esempio, la somministrazione di un barbiturico per indurre
anestesia è esponenzialmente superiore a ciò che viene dato per controllare una crisi epilettica. L’effetto
tossico dei farmaci è ben presente ma viene gestito e utilizzato allo scopo.
I farmaci utilizzati sono tutti ad emivita brevissima, in quanto si ha bisogno di un’azione rapida inizialmente,
ma che altrettanto rapidamente finisca nel momento in cui si vuole sospendere l’erogazione, cioè appena
finita la procedura chirurgica e quindi si vuole risvegliare il paziente.
In clinica viene offerta un’anestesia bilanciata, quindi bilanciare gli effetti dei vari farmaci che sinergicamente
possono dare un effetto finale globale; questo viene fatto per la modulazione dell’effetto di anestesia.
Esempio: tutti sappiamo che per un mal di testa un FANS impiega circa 20 minuti per esplicare il suo effetto;
se la noxa è persistente dopo circa 3 ore il dolore torna. Questo è l’onset di un farmaco e l’offset. In farmaci
con emivita così lunga è difficile regolare l’onset e l’offset e quindi si incorrerebbe il rischio che alla comparsa
dell’offset, una nuova somministrazione non sarebbe in grado di avere un onset rapido e quindi saremmo
scoperti per un determinato lasso di tempo.
Si devono utilizzare farmaci che impattino il meno possibile con l’omeostasi del paziente; di fatto qualsiasi
molecola somministrata in parte sarà di impatto con l’omeostasi del paziente; alcuni farmaci hanno dei
metabolismi più elevati rispetto ad altri, come ad esempio gli anestetici inalatori alogenati, questi avranno
un impatto sull’omeostasi relativo.
VISITA PREOPERATORIA
L’anestesista valuta le condizioni generali del paziente che dovrà essere sottoposto ad anestesia ed in base a
tale visita deciderà a quali esami preoperatori dovrà essere sottoposto il paziente. Dopo di che il medico
anestesista attribuirà ad ogni paziente un RISCHIO ANESTESIOLOGICO -ASA in base alle patologie Associate.
Si danno al paziente informazioni sul tipo di anestesia, facendo firmare un consenso informato e si danno le
istruzioni su come comportarsi nel periodo perioperatorio.
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DIGIUNO
Il paziente deve arrivare al tavolo operatorio digiuno perché, nel momento in cui si induce l’anestesia, il
paziente perde il controllo delle vie aeree e la capacità degli sfinteri esofagei e quindi può essere possibile il
rigurgito gastrico e quindi l’inondazione dell’albero bronchiale con successivo rischio di polmonite ab-
ingestis.
Ad oggi le linee guida dicono che l’ultimo pasto solido, che deve essere leggero, deve essere consumato 6-
8 ore precedentemente all’intervento e liquidi chiari (max 2 bicchieri) a 2 ore.
VALUTAZIONE PRE-INTUBAZIONE
Esaminare le strutture anatomiche delle alte vie respiratorie, della testa e del collo, con particolare
attenzione alle anormalità che potrebbero impedire l’intubazione: Mobilità colonna cervicale: flessione-
estensione collo, Articolazione temporo-mandibolare, Esame cavità orale: denti allentati, scheggiati,
rimuovere dentiere, ponti mobili.
Per valutare il rischio di intubazione difficile viene utilizzata una scala denominata Mallampati: in una scala
da 1 a 4 si valuta quanto segue:
Dove non è possibile utilizzare il laringoscopio possiamo attuare altre opsioni: o si fa un’intubazione da
sveglio con broncoscopio o in fase emergenziale si procede all’inserimento di device sovraglottici oppure
estremamente di esegue una cricotomia o tracheotomia d’urgenza dove si inserisce una cannula
direttamente in trachea.
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ANESTESIA GENERALE
1. Induzione: è il tempo che intercorre tra l’inizio della somministrazione degli anestetici e l’instaurarsi
di un’anestesia chirurgica; un livello di anestesia tale da permettere l’atto chirurgico. Questa fase
può essere effettuata sia EV, nella maggior parte dei casi, sia per via inalatoria. EV si utilizzano
farmaci ad emivita molto breve, ipnoinduttori, come il Propofol. Per via inalatoria si ricorre agli
alogenati o altri gas anestetici; è una sensazione sgradevole addormentarsi con la maschera così
come alcuni gas non sono gradevoli da inalare per odori e sapori sgradevoli fino all’irritazione
bronchiali; questo è più fattibile nel pediatrico (per evitare l’accesso venoso) e nel geriatrico (è più
soft nell’instaurarsi e di effetti cardiocircolatori). I farmaci utilizzati sono gli ipnotici come Propofol,
Tiopentone e midazolam (BDZ) e raramente chetamina (ha forti effetti allucinogeni). In fase
induttiva si inizia anche l’analgesia utilizzando farmaci oppioidi come il Fentanyl e Remifentanil.
2. Intubazione: si esegue nei pazienti già indotti in uno stato anestetico adeguato in quanto è un
momento di grande induzione di riflessi. Può essere sia orotracheale (la più comune) che
nasotracheale (maggior traumaticità). I farmaci utilizzati sono i miorilassanti non depolarizzanti-
curari come vecuronio, pancuronio e atracurio; per favorire l’intubazione si può utilizzare anche
succinilcolina a brevissima durata d’azione.
3. Controllo della respirazione: si controlla che il tubo sia in posizione corretta. Si inizia una ventilazione
manuale e poi si collega al ventilatore meccanico automatico.
4. Fase di mantenimento: è la fase in cui avviene fisicamente l’intervento chirurgico. Viene mantenuta
un’anestesia adeguata alla stimolazione chirurgica. La massima stimolazione nocicettiva in un
intervento è l’inizio.
5. Risveglio: costituisce il tempo conclusivo dell’anestesia generale, durante la quale il malato riacquista
progressivamente la propria coscienza e autonomia.
OPERAZIONI PRELIMINARI
Quando si interviene nell’induzione dell’anestesia, l’anestesista deve essere nel pieno controllo del soggetto;
il primo passo è controllare che tutte le apparecchiature siano in perfetto ordine e ben funzionanti, con
apposite check-list.
Il paziente deve arrivare in sala con un accesso vascolare adeguato all’intervento che deve fare, con un
calibro alquanto elevato, che permette una somministrazione rapida in caso di ripristino di volemia o una
trasfusione di GRC.
Gli strumenti di monitoraggio sono l’ECG, controllo di pressione che può essere invasiva (interventi lunghi e
complessi) o non invasiva, saturimetro e lettore di CO2. A questo si aggiunge il monitoraggio neuromuscolare
per quanto riguarda il blocco antalgico, misurare la profondità di anestesia che si basano su tracce
elettroencefalografiche.
Controllare anche tutto il necessario per intubazione orotracheale per l’assistenza manuale alla ventilazione.
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INDUZIONE ENDOVENOSA
Gli ipnoinduttori classici sono i barbiturici, il propofol e le benzodiazepine. Questi farmaci agiscono tutti sui
recettori per il GABA.
I barbiturici e il Propofol hanno effetti GABA-mimetici e si legano ad un sito specifico del recettore per il
GABA aprendolo; incrementano l’ingresso di Cl- nella cellula e quindi avviene un aumento
dell’iperpolarizzazione di membrana.
Le benzodiazepine hanno effetti GABA-nergici, nel senso che si legano ad un altro sito del recettore GABA
ed incrementano l’efficienza tra il GABA e il suo recettore. Per agire hanno bisogno della presenza di GABA,
da qui ne deriva il fatto dell’effetto tetto delle benzodiazepine, terminato il GABA termina l’incremento di
effetto. La presenza di GABA è scarsa nell’anziano, nell’alcolizzato, nei malnutriti e nei bambini molto piccoli;
in questi pazienti manca il precursore del GABA che è la tiamina.
BARBITURICI
In Italia vengono oramai poco utilizzati per indurre anestesia. Li distinguiamo in base alla loro durata d’azione:
Il Tiopentone determina la perdita di coscienza in 30 secondi con una dose induttiva di 3-5 mg/Kg. Induce una
riduzione della pressione arteriosa, della gittata cardiaca, in base alla dose somministrata; possiamo avere
tachicardia per compensare la riduzione della gittata. Induce anche un decremento della frequenza
respiratoria e del volume corrente fino all’arresto respiratorio.
È un acido, e in caso di stravaso o iniezione in arteria può dare luogo ad una necrosi tissutale.
Iniettato velocemente endovena, la concentrazione plasmatica raggiunge un picco massimo che rapidamente
decresce per effetto della ridistribuzione e solo in secondo tempo per metabolismo epatico. Il sito effettore
del farmaco è a livello cerebrale per cui per raggiungere questo sito questo dipenderà dal fatto che avremo
una differenza di concentrazione tra sangue e tessuto bersaglio, solubilità del tessuto e flusso ematico nel
tessuto.
La cosa che ci interessa molto sapere è quanto il farmaco penetra a livello muscolare e adiposo in quanto
sono le masse più rappresentative in quantità; questo è importante in quanto in somministrazione di lunga
durata, dopo il picco viene mantenuta una quota ematica, ma il farmaco andrà ad incanalarsi nei tessuti a
grande massa avendo quindi un effetto rebound, cioè il farmaco sarà ancora disponibile a livello tissutale e
quindi rilasciato in circolo e darà un effetto che incontrollatamente perdurerà nel tempo. Questo non avviene
con le somministrazioni single shot in quanto muscoli e adipe sono lenti ad assorbire farmaco e fisicamente
non hanno quindi il tempo di farlo.
PROPOFOL
È un alkilfenolo che è veicolato da una emulsione acquosa in lipide per cui si somministra un lipide. Essendo
un lipide ha elevata lipofilicità che determina quindi un ampio volume di distribuzione centrale e una vasta
distribuzione a compartimenti rapidi con successiva distribuzione ai tessuti muscolari e adiposi.
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Essendo anche il SNC un adipe, questa lipofilicità da possibilità di avere un onset molto rapida. Viene
metabolizzato a livello epatico ed eliminato a livello renale.
L’onset è molto rapido, circa 60 secondi, effetto braccio-testa con una durata del single shot di 5-10 minuti.
Questa durata è sufficiente perché possono essere utilizzati contemporaneamente altri farmaci, come gli
alogenati, che inizieranno il loro effetto in fase di offset del propofol.
Il propofol si può utilizzare anche in infusione continua ma vanno utilizzati degli algoritmi particolari che ci
dicono qual è la metabolizzazione del farmaco e quindi si somministra quella quota che viene di fatto
metabolizzata senza andare a correre il rischio della ridistribuzione.
Anche il propofol può dare un effetto dose-dipendente di cardio-depressione, con diminuzione di gittata e
pressione arteriosa e aumento della frequenza cardiaca; può dare depressione respiratoria fino all’arresto
respiratorio.
BENZODIAZEPINE
Le benzodiazepine agiscono stimolando il sistema GABAergico, Il GABA è un γ-amminoacido ed è il principale
neurotrasmettitore inibitorio del cervello. Esso espleta le proprie funzioni biologiche legandosi ai suoi
specifici recettori: il GABA-A, il GABA-B e il GABA-C. Sul recettore GABA-A è presente un sito di legame
specifico per le benzodiazepine (BZR). Le benzodiazepine si legano a questo sito specifico, attivano il
recettore e promuovono la cascata di segnali inibitori indotta dal GABA stesso.
Le benzodiazepine possono essere classificate in funzione della loro emivita plasmatica (un parametro che
fornisce indicazioni sulla durata d'azione di ciascuna benzodiazepina):
• Emivita lunga (1-4 giorni), a questa categoria appartengono ad esempio il diazepam, il flurazepam, e
il bromazepam.
Sono farmaci che danno un effetto sul centro del respiro molto meno importante degli altri farmaci
menzionati. Tendenzialmente sono più rischiosi se utilizzati in associazione con altri farmaci piuttosto che
l’utilizzo da soli.
Il farmaco più utilizzato è il midazolam, per via della sua breve emivita. Rispetto agli altri farmaci hanno
minore effetto di depressione cardiocircolatoria.
KETAMINA
è un farmaco analgesico-dissociativo utilizzato per l'induzione ed il mantenimento dell'anestesia ad oggi per
lo più in ambito veterinario, pediatrico e traumatologico.
Nell'uomo, quando somministrato per via endovenosa ed al dosaggio di 1 mg/kg, provoca analgesia e
anestesia nel giro di 30 secondi; lo stato anestetico perdura per un tempo variabile da 3 a 25 minuti e non
comporta depressione respiratoria o alterazione dei riflessi delle vie aeree.
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La ketamina può causare intensa attività onirica e, come già detto, talvolta psicosi allucinatoria. Al risveglio il
paziente deve recuperare gradatamente l'orientamento spazio-temporale e trovarsi in assenza di stimoli che
potrebbero provocare allucinazioni.
Le allucinazioni possono essere prevenute da una precedente somministrazione di una benzodiazepina, cui
può associarsi la acepromazina, il droperidolo, la xilazina, il butorfanolo, la medetomidina ed il propofol.
OPPIOIDI
Il meccanismo analgesico dei farmaci oppioidi è quello di potenziare le vie discendenti antinocicettive, che si
oppongono alla trasmissione del dolore. In periferia, inibisce le vie nocicettive afferenti nelle corna dorsali
del midollo spinale.
❖ Agonisti: molecole che legandosi al recettore, lo attivano evocando la risposta. Esempio la morfina
e il fentanyl.
❖ Antagonisti: molecole che legandosi al recettore bloccano l’effetto della molecola agonista. Sono
d’esempio il naloxone e naltrexone.
❖ Agonisti parziali: legando il recettore attivano una risposta inferiore agli agonisti. Esempio la
pentozocina.
Sono una grande classe farmacologica; Agli oppioidi si ricorre spesso prima di un'operazione chirurgica,
come premedicazione, con il fine di ridurre l'ansia, oppure per facilitare l'induzione dell'anestesia (ovvero il
passaggio dallo stato di vigilanza alla perdita di conoscenza) in associazione a farmaci come tiopental o
propofol, ed infine per ridurre le quantità necessarie di anestetici, ma soprattutto per fornire sollievo dal
dolore postoperatorio.; i più utilizzati sono il Fentanyl, Remifentanil e sufentanil. A livello di potenza di azione
il sufentanil è il più forte, poi il Remifentanil e per ultimo il Fentanyl.
Ciò che ci interessa molto per questi farmaci è l’emivita: il Remifentanil ha emivita breve e per cui va
somministrato in pompa, il fentanyl ha emivita media e sufentanil emivita lunga.
Tutti gli oppiacei portano alla riduzione della frequenza cardiaca e frequenza respiratoria e possono produrre
una certa rigidità toracica.
CURARI
Sono farmaci utilizzati per favorire l’intubazione e bloccare la contrazione dei muscoli striati lì dove serve.
Dopo poco dalla loro somministrazione il paziente sarà in apnea ventilatoria di tipo periferico e deve essere
assistito con la ventilazione meccanica a pressione positiva.
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Per eliminare l’effetto dei curari dobbiamo utilizzare dei farmaci che li vanno a spiazzare dalla placca
neuromuscolare e quindi permettere di nuovo alla acetilcolina di fare da neurotrasmettitore;
alternativamente esistono farmaci che vanno ad inglobare la molecola, valido solo per il rocuronio, ed
eliminata per via renale.
Naturalmente l’utilizzo dei farmaci curari deve avvenire in sala operatoria o nelle T.I. e l’uso deve essere
fatto dagli Anestesisti o sotto loro stretta vigilanza. Il rischio di provocare arresto respiratorio e conseguente
morte è altissimo, se l’utilizzo dei curari avviene in luoghi non sicuri e per mano di persone inesperte.
Gli Infermieri che hanno a che fare con questi farmaci devono conoscerne al meglio le caratteristiche
macroscopiche, per esempio differenza tra depolarizzanti e no. Devono inoltre essere a conoscenza del
funzionamento del respiratore automatico e di tutti i presidi ausiliari alle intubazioni difficili.
Altra avvertenza è quella di usare i farmaci curari dopo essersi accertati del buon posizionamento e
funzionamento dell’ago cannula introdotto al paziente. Inoltre, si dovrebbero sempre iniettare questi
farmaci dopo i farmaci induttori del sonno.
Piuttosto gravi sono le possibili conseguenze. Se la vena si rompe dopo l’introduzione del curaro e l’induzione
del sonno non può essere espletata, il paziente può andare incontro a morte per paralisi dei muscoli
respiratori in perfetto stato di coscienza. Comunque, anche senza arrivare all’estrema conseguenza, la
sensazione che l’operando prova in questi casi è assolutamente terribile e deve essere categoricamente
evitata.
INTUBAZIONE OROTRACHEALE
I primi tentativi di intubazione tracheale pubblicati risalgono ai secoli XVI e XVII. Nel corso del XVIII la difterite
e il croup (decesso per ostruzione vie aeree alte) erano malattie comuni e troviamo descritte tecniche di
intubazione naso-tracheale.
Nel 1885 O’ Dwyer pubblicò una casistica di 50 pazienti con croup sopravvissuti per il 30% ad un’intubazione
con un sottile tubo metallico.
Nel 1907 un otorino pubblicò una guida per l’endoscopia delle alte vie aeree e fissò le basi cliniche
all’intubazione tracheale.
ANATOMIA
Per l’intubazione orotracheale vengono prese in considerazione principalmente determinate aree
anatomiche:
• NASO: il naso a volte può essere preso in considerazione per poter eseguire un’intubazione naso-
tracheale. Va preso in considerazione però che la mucosa del naso è fortemente irrorata e
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chiaramente più delicata e quindi molto portata al sanguinamento. Ulteriore fattore da considerare
è la possibile deviazione del setto nasale che può quindi creare ulteriore ostacolo all’intubazione.
• BOCCA E MANDIBOLA: è un elemento anatomico cruciale da valutare prima di eseguire la
intubazione orotracheale. Vanno analizzati i pilastri e l’ugola e quindi come ci apparirà l’epiglottide e
la faringe per capire la difficoltà di intubazione.
• RINOFARINGE: in questo caso va particolarmente posta attenzione nei confronti dei bambini in
quanto possono essere affetti da ipertrofia delle adenoidi.
• OROFARINGE: va anche questa particolarmente posta in attenzione nei bambini perché in questa
sede possiamo avere un’ipertrofia delle tonsille.
• IPOFARINGE: l’epiglottide rappresenta il margine superiore dell’ipofaringe. La laringe, con i seni
piriformi ai due lati, si trova anteriormente all’ipofaringe.
• LARINGE: anatomicamente è la parte da raggiungere nella intubazione orotracheale; tramite il
laringoscopio andremo a visualizzare l’epiglottide e quindi le corde vocali. Lo scheletro della laringe
è costituito da cartilagine tiroide, cricoide, epiglottide.
• TRACHEA: ha lunghezza di circa
15 centimetri ed è costituita da
uno scheletro cartilagineo ad
anelli a C. La parte alta della
trachea inizia con la cartilagine
cricoidea mentre in fondo
abbiamo la biforcazione
principale per i bronchi di dx e sx.
la biforcazione dx è più dolce
come angolatura ed è come se
fosse una prosecuzione della
trachea, mentre il sinistro è
maggiormente angolato; questo rende più semplice una intubazione selettiva a dx piuttosto che a
sx. Se non si esegue un’intubazione selettiva, la punta del tubo deve rimanere all’incirca sulla metà
della lunghezza della trachea e comunque mai a ridosso della carena della trachea.
INDICAZIONI ALL’INTUBAZIONE
L’intubazione orotracheale di un paziente si esegue in caso di:
L’intubazione è una situazione molto delicata, in quanto il soggetto viene reso incapace di gestire le proprie
vie aeree e quindi vanno completamente gestite.
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VALUTAZIONE PRE-INTUBAZIONE
Il soggetto va valutato se effettivamente sia possibile eseguire un’intubazione agevole o no. È essenziale
esaminare le strutture anatomiche delle alte vie respiratorie, della testa e del collo, con particolare
attenzione alle anormalità che potrebbero impedire una adeguata procedura di intubazione.
1. Motilità della colonna cervicale: capacità del soggetto a flettere o iperestendere il collo.
2. Articolazione temporo-mandibolare: il paziente è in grado di aprire la bocca e quindi viene valutata
la distanza che si crea a bocca aperta tra gli incisivi.
3. Esame della cavità orale: controllare se ci sono denti allentati e danneggiati, rimuovere dentiere o
ponti mobili.
Esiste una scala denominata Mallampati; facendo aprire la bocca al soggetto e facendolo fonare andiamo a
vedere come si presenta la struttura anatomica del cavo orale in modo da poter valutare quanto sia
eseguibile in tranquillità la manovra di intubazione.
Molto importante è anche valutare la distanza tiro-mentoniera, cioè la distanza tra pomo d’Adamo e
mandibola; una breve distanza tra questi punti sicuramente risulterà in un’intubazione complessa.
Il paziente deve avere la capacità di aprire bene la bocca, almeno 40 mm tra gli incisivi; deve esserci una
distanza tra la incisura tiroidea e la mandibola di almeno 3 dita trasverse.
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Esistono maschere laringee ancora più performanti, come la Pro-seal, ci permette una maggiore protezione
delle vie aeree anche grazie ad un tubo di drenaggio per l’esofago al quale si può collegare un SNG. Altra
maschera è la fast-track, che ha una struttura può resistente.
Altro sistema è rappresantato dal catetere di Frova, che consiste in un lungo catetere molto sottile che viene
posizionato in trachea, utile in quanto già tramite il catetere stesso si può ossigenare il paziente e in secondo
luogo perché possiamo utilizzarlo come guida per farci scendere il tubo orotracheale.
In casi dove prevedciamo un’intubazione difficile si può utilizzare il fibrobroncoscopio che sotto visione
diretta della glottide si posiziona il broncoscopio come guida per far scendere il tubo orotracheale.
APPARECCHIATURA NECESSARIA
Nel gestire le vie aree di un paziente ci servirà:
• Laringoscopio: controllare sempre che sia funzionante con batterie efficienti. La lama è fatta in
maniera tale per cui vi sia appoggiata inferiormente la lingua e quindi utile in quanto scendendo
bisogna tendere a farla spostare sulla sinistra per crearci lo spazio idoneo in bocca.
• Tubi endotracheali: devono essere disponibili di diversa grandezza. Il tubo riporta delle tacche
numeriche che indicano i cm dalla punta. È costituito anche dalla cuffia e dalla valvola di cuffiaggio.
Vicino la cuffia ci sono due punti di repere che indicano la posizione che devono avere le corde vocali
nei confronti del tubo. Nel bambino può essere utilizzato un tubo endotracheale senza cuffia.
All’estremità dei tubi c’è sempre un attacco ISO da 15 mm.
• Mandrino: si tratta di un’anima utile a rinforzare il tubo endotracheale o che comunque per dare una
forma precostituita allo stesso.
• Pinza di Maggil: è una pinza che con la punta serve ad inserire il tubo; ad oggi è piuttosto inutilizzata,
in quanto di fatto a volte tende a complicare l’operazione di inserimento.
• Maschere: devono essere di diverse grandezze in modo da permetterci una corretta ventilazione.
Cannule di Guedel: ci permettono di non far cadere la lingua sulla parete posteriore.
Nel momento in cui ci si appresta all’intubazione, bisogna anche essere in grado di ventilare il soggetto nel
periodo immediatamente precedente l’intubazione; questo viene fatto normalmente con una maschera
facciale a valvola unidirezionale Maggil, a questo bisogna sempre avere a disposizione un aspiratore attivo
con sondini pronti in quanto potrebbe essere necessario aspirare secrezioni in urgenza.
TECNICHE DI INTUBAZIONE
• OROTRACHEALE: è la tecnica di più facile apprendimento e più
spesso impiegata; consiste nel creare un asse delle vie aeree diretto,
ci possiamo aiutare posizionando un cilindro dietro le spalle in modo
da aumentare l’iperestensione del capo e successivamente
posizionare lo stesso su un cuscinetto.
Si procede afferrando il manico del laringoscopio con la mano sx e la
bocca del paziente con la mano dx e con pollice e indice di questa mano si allontanano gli incisivi con
una manovra a forbice.
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Inserire la lama del laringoscopio dal lato dx della bocca e spingendolo verso sx si fa avanzare dal lato
dx della lingua.
Non va fatto un movimento di
flessione del polso, in quanto
altrimenti si farebbe leva sugli
incisivi del paziente. Si tenderà
ad alzare la testa con il
laringoscopio stesso. Una volta
che si sono scorte le corde
vocali si procede all’inserimento
del tubo.
Il tubo va inserito nella rima boccale di dx e sotto visione si cerca di posizionare; una volta
posizionato si esegue il cuffiaggio e tramite l’utilizzo di un capnografo si valuta la CO2 emessa e si ha
ancora maggiore certezza di corretto posizionamento.
• NASOTRACHEALE: viene eseguita soprattutto nei casi in cui il paziente è sveglio. Spingere
lentamente, ma fermamente il tubo attraverso la narice fino al retrofaringe (auscultare rumori
respiratori), avanzare fino alla glottide, continuando ad ascoltare rumori respiratori; se scompaiono
ritirare per alcuni centimetri e cambiare angolazione leggermente
Passare attraverso le corde vocali durante l’inspirazione: questo sarà segnalato da un accesso di tosse
e dall’impossibilità a parlare.
Gonfiare la cuffia e verificare la corretta posizione del tubo.
A volte questa tecnica è utilizzata in interventi di chirurgia maxillo-facciale per lasciare libero il cavo
orale per necessità di intervento.
VALUTAZIONE POSIZIONAMENTO
Una volta posizionato il tubo endotracheale e cuffiato lo stesso, viene visualizzata se c’è presenza di traccia
capnografica. Oltre a ciò, tramite fonendoscopio viene eseguita l’auscultazione del torace.
Altra cosa che può essere utilizzata come marker di corretto posizionamento del tubo è l’appannamento
dello stesso per uno scambio termico tra il tubo e l’aria espirata. Se è in esofago non avrà questo aspetto.
COMPLICANZE
Durante l’intubazione i rischi maggiori sono dovuti alla manovra stessa in quanto possono essere causati
danni sia ai denti che a protesi dentarie fisse; può succedere di creare lesioni alla faringe e alla laringe
anche con complicanze serie come lo sfondamento della trachea, soprattutto se si esegue la manovra con
tubo mandrinato.
Siccome l’intubazione è una manovra altamente riflessogena, possiamo avere delle problematiche
cardiovascolari come extrasistole, bradicardia e ipertensione.
Altre problematiche possono essere dovute alla posizione che viene fatta assumere dal paziente durante la
procedura chirurgica che durante gli spostamenti può avvenire una dislocazione del tubo e quindi il rischio di
imbroncamento o intubazione selettiva; dopo ogni spostamento del paziente va controllata la tacca graduata
e con il fonendoscopio per vedere con non ci sia stato movimento del tubo.
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Durante l’estubazione, in pazienti non sedati profondamente, potremmo avere rischio di laringospasmo;
potremmo avere aspirazione di materiale gastrico, quindi il soggetto deve avere lo stomaco vuoto o
comunque un buon riflesso per gestire le vie aeree.
APPARECCHIATURA DI ANESTESIA
L’apparecchiatura di anestesia, o work station di anestesia, svolge una triplice funzione:
Per il funzionamento è necessaria una sorgente di gas a cui il macchinario viene collegato. Esistono delle
colorazioni internazionali e collegamenti che identificano il tipo di gas, ad esempio l’O2 è bianco, il protossido
di azoto è il blu. L’aria compressa è a fascia bianca e nera.
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Una serie di manometri riportano le pressioni a monte dell’apparecchiatura. Grazie a dei riduttori di
pressione si scende da 250 BAR alla pressione atmosferica.
Il flussimetro funge da riduttore ulteriore che regola, tramite una valvola a spillo, la miscela tra aria e gas. È
comprensivo di colonna indicatrice che ci indica l’erogazione in Lt/min. la colonna è rappresentata da un
tronco di cono e l’indicatore essendo una sorta di zeppa man mano che si alza crea spazio tra le pareti del
tronco di cono.
Per motivi di sicurezza il flussimetro dell’O2 è sempre quello più vicino al paziente.
Questa miscela di gas viene successivamente arricchita con il vapore dell’alogenato e questo avviene
attraverso il passaggio nel vaporizzatore. Questo permette di erogare in maniera misurabile il vapore
alogenato.
La misurazione viene eseguito tramite MAC; si tratta della concentrazione alveolare minima che ci da
quell’effetto. Si valuta in %.
• Circuito aperto: significa che tutta la miscela che viene preparata per il paziente, viene da esso
inspirata e tutta viene espirata. In questo circuito la CO2 viene liberamente eliminata con
l’espirazione.
• Circuito chiuso: tutto ciò che il soggetto espira viene fatto di nuovi re-
inspirare. È il concetto del rebreathing. I vantaggi sono la non
emissione in ambiente di prodotti del paziente, minor consumo dei
farmaci e per il paziente non è necessario il riscaldamento della
miscela inspirata. Totale re-ispirazione della CO2 emessa. In questo
caso esistono sistemi di riassorbimento della CO2, che funzionano
tramite reazione chimica con calce sodata che purifica il respirato. Per
controllare lo stato di questi filtri esiste un sistema di colori che
assumono gli stessi e quindi dichiarano la loro efficienza.
• Circuito semiaperto/semichiuso: è il sistema con cui si lavora maggiormente; non tutto quello che
viene espirato viene fatto inspirare. La CO2 viene lievemente re-inspirata nel semiaperto, mentre nel
semichiuso abbiamo una notevole re-inspirazione.
Nel momento in cui si collega il sistema in sala operatoria è importante collegare anche dei sistemi di
evacuazione, che permettono al respirato del paziente di essere eliminato direttamente verso l’esterno e
non in sala operatoria, in quanto potrebbe risultare altrimenti pericoloso.
Le tubature di trasferimento devono avere un diametro tra 19 e 30 mm. Devono essere sufficientemente
rigide da prevenire inginocchiamenti e devono essere alquanto corte per prevenire i rischi di occlusione.
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ANESTESIA SPINALE ED EPIDURALE
Sono due tecniche di anestesia loco-regionale neuroassiale, tra le più importanti e frequentemente utilizzate.
Sotto la branca dell’anestesia locale rientrano più tecniche che possono essere distinte in base alla area
coinvolta per l’anestesia:
• Locale vera: iniezione di anestetico localmente per permettere piccoli interventi chirurgici.
• Blocco tronculare: blocco di trasmissione di un ramo o tronco di un nervo.
• Blocchi dei plessi nervosi: sono dei blocchi che si estendono ad un intera regione di innervazione,
come ad esempio il blocco del nervo sciatico.
• Blocchi centrali: sono i blocchi neuroassiali come epidurale e sub-aracnoidea.
ANATOMIA SPINALE
Il midollo spinale termina nel 60% della popolazione tra le
vertebre L1 e L2; questo però come comprensibile prevede
che ci siano delle variabili, infatti, un 30% termina più alto
cioè tra T12 e L1, mentre un 10% termina più in basso in
corrispondenza dello spazio tra L2 e L3.
Peer descrivere questa tecnica antalgica è importante ricordare le naturali curvature della colonna vertebrale
e il fisiologico andamento dei processi spinoso. I processi spinosi hanno diversa sporgenza in base all’altezza
della vertebra, infatti, le vertebre cervicali hanno processi spinosi molto più pronunciati infatti la C7 viene
denominata prominente, scendendo queste prominenze si attenuano a livello toracico per poi aumentare a
livello lombare.
Nell’eseguire invece una sub-aracnoidea il farmaco verrà iniettato nel liquor forando la duramadre.
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Per raggiungere questo spazio si hanno varie possibilità di accesso:
Se si pratica una anestesia epidurale non avremo la fuoriuscita di liquor che ci fa da repere, e questa è la
motivazione per cui viene considerata una tecnica più complessa di iniezione.
Altra tecnica è quella della goccia cadente; si mette una goccia sull’innesto dell’ago e nel momento che
raggiunge lo spazio peridurale questa goccia viene risucchiata dentro e quindi sappiamo di essere in sede.
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PUNTI DI REPERE ANATOMICI
L’anestesia spinale, essendo una tecnica a
cielo coperto ha bisogno di specifici punti di
repere per essere eseguita.
Al paziente può anche essere fatta assumere la posizione seduta; questa viene utilizzata quando viene
eseguita una anestesia peridurale o sub aracnoidea in maniera più comoda e utilizzata.
Si mette il paziente seduto, con le gambe rialzate su uno sgabello o simili in modo che le ginocchia si trovino
in un asse che sia sopra le creste iliache. Il soggetto deve essere inarcato con le spalle in basso in modo da
estendere e aprire il quanto più possibile i processi spinosi. L’infermiere si pone davanti al paziente
sorreggendo le spalle evitando che lo stesso compia movimenti impropri; anche in caso di svenimento così si
è in grado di gestire il paziente.
In pazienti particolari e anziani si può eseguire la puntura spinale anche in posizione prona, anche se questa
posizione si rende alquanto più complicata.
TIPI DI AGO
Gli aghi che vengono utilizzati si sono molto evoluti nel tempo; esistono due categorie:
VANTAGGI
• SUBARACNOIDEA: onset molto rapido, dopo 5 minuti dall’inoculazione il paziente può essere
operato. Abbiamo una certa precisione di estensione dell’azione del farmaco in quanto saremo certi
che al di sotto di dove si è punto avremo una anestesia. La diffusione dell’anestesia sarà abbastanza
standardizzata.
• EPIDURALE: con la puntura epidurale si può inserire un catetere che ci permette di non fare solo una
iniezione single-shot ma modulare l’anestesia nel tempo, come ad esempio per il parto dove
vedremo che il dolore si modifica nel tempo. L’anestesia si instaura più lentamente, 20 minuti circa,
è quindi ci dà un effetto cardiocircolatorio meno importante.
FARMACI SUBARACNOIDEA
Andremo a scegliere il farmaco in base alla sua durata di azione nel single-shot. Un intervento breve ci
permette di utilizzare farmaci a breve emivita, ad esempio la lidocaina, mentre per anestesie più lunghe la
scelta ricadrà su farmaci tipo mepivacaina e bupivacaina che hanno emivita più lunga.
All’anestetico locale possono essere aggiunti dei farmaci adiuvanti che ci aiutano ad incrementare la
potenza, come ad esempio oppiacei o clonidina.
• Iperbarico: farmaco più pesante del liquor, e quindi una volta iniettato tende a scendere e
precipitare.
• Isobarico: con stesso peso molecolare del liquor, tenderà a diffondersi in maniera uniforme,
• Ipobarico: con peso molecolare inferiore al liquor, che tenderà ad andare verso l’alto.
Questo concetto è importante in quanto si può in qualche modo indirizzare il farmaco verso le strutture che
si vogliono bloccare; queste condizioni vengono chiamate tecniche selettive. Con queste tecniche selettive
si possono utilizzare meno farmaci e quindi meno effetti collaterali perché grazie al peso molecolare si va a
bagnare solo selettivamente le fibre interessate ad essere anestetizzate.
Nelle punture epidurali o peridurali questo concetto non si applica in quanto pungendo un tessuto, il
farmaco si diffonderà in maniera alquanto omogenea nell’area.
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EFFETTI COLLATERALI
Siccome si va a bloccare il sistema nervoso simpatico potremmo avere un effetto cardiocircolatorio sia nella
puntura subaracnoidea sia sulla epidurale.
Siccome nella subaracnoidea l’onset è molto rapido, avremo un effetto molto più brutale rispetto ad una
peridurale che invece si instaura molto più lentamente; il risultato è che avremo nel primo caso una più
marcata ipotensione e conseguente tachicardia, mentre nel secondo caso si fornisce il tempo all’organismo
di attivare tutti quei meccanismi protettivi volti a ridurre l’instabilità emodinamica. La risposta bradicardica
è più rara. Il rischio di arresto cardiaco è molto basso.
Un fattore importante da tenere in considerazione è l’età in quanto i soggetti più anziani sono più propensi
a sviluppare ipotensione.
Un importante altro effetto collaterale è il blocco minzionale; laddove si fa una chirurgia in day surgery
bisogna somministrare farmaci ad emivita molto breve e controllare sempre che il paziente prima della
dimissione inizi di nuovo ad urinare spontaneamente.
Uno dei rischi più importanti è il rischio di lesioni al SNC; questo perché la tecnica della puntura epidurale e
subaracnoidea è una procedura a cielo coperto e quindi non ha visibilità della procedura. Se si entra con l’ago
è davanti si frappone un piccolo nervo, nel momento che si punge questo creerà delle lesioni. Non sono
lesioni frequenti, fondamentalmente si tratta di una tecnica sicura.
Una complicanza tardiva che può comparire è la cefalea post-puntura, dovuta normalmente ad una perdita
di liquor; è rarissima ad oggi con gli aghi attuali nella subaracnoidea. Con la peridurale se si va a perforare la
duramadre, il problema è molto più marcato.
Alcuni pazienti riportano la comparsa di dolore lombare successivamente a queste punture; in letteratura
non viene evidenziata la differenziazione tra la dolorabilità indotta dalla puntura piuttosto che dall’intervento
chirurgico in sé. Questi dolori potrebbero essere indotti semplicemente dal posizionamento sul tavolo
operatorio piuttosto che dalla puntura in sé.
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
Indichiamo come insufficienza respiratoria quando avviene un ridotto scambio di ossigeno e quindi di
passaggio dello stesso nel sangue.
Questo aspetto lo possiamo chiamare insufficienza respiratoria di tipo 1 o parziale; possiamo avere anche
un secondo livello di problematica che è legato all’accumulo di CO2 nel sangue, quando questa situazione
coesiste con la precedente allora parliamo di insufficienza respiratoria di tipo2 o totale.
Per conoscere la concentrazione di O2 e CO2 nel sangue dobbiamo misurare le pressioni parziali di O2 e CO2.
Vengono definite parziali perché una sostanza presente in forma gassosa in una superficie liquida è
direttamente proporzionale alla quantità di sostanza disciolta nel liquido stesso; maggiore è la presenza di
pressione sulla superficie liquida e maggiore sarà la presenza disciolta nello stesso.
Le pressioni parziali sono dovute a diversi fattori, ad esempio se abbiamo un bronco con un lume ristretto da
cui è difficoltosa la fuoriuscita di aria avremo per forza di cose un accumulo di CO2 negli alveoli derivanti da
quel bronco.
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Si parla di ipossiemia con valori PaO2 < 60 mmHg; si parla di ipercapnia con valori PaCO2 > 50 mmHg.
IPOSSIEMIA
È la mancanza di ossigeno. Un paziente con ipossiemia mostrerà iperventilazione e dispnea. Troveremo cute
pallida, fredda e sudata dalla vasocostrizione attuata dal sistema nervoso simpatico. Avremo una condizione
di tachicardia e PA aumentata a causa dell’adrenalina immessa dal SNS. Possiamo trovare turbe dell’umore,
cefalee, irritabilità ed epilessia; queste modifiche sono sempre imputabili alla scarica di adrenalina immessa
nel corpo a causa del deficit di O2. Per ultimo, laddove non c’è presenza di ossigeno avremo un danno
tissutale, questo perché non può essere utilizzata la respirazione cellulare dall’O2 e quindi viene prodotta
energia utilizzando il glucosio che poi dall’acido piruvico avremo produzione di acido lattico (lipolisi
anaerobia), l’iperproduzione di acido lattico crea una condizione di acidosi abbassando il Ph dell’organismo.
Uno dei metodi per capire quanto danno sta causando l’ipossiemia è proprio il dosaggio dei livelli di acido
lattico.
IPERCAPNIA
È l’accumulo nel sangue di CO2. Si manifesta con iperventilazione e dispnea proprio perché ci sono dei centri
regolatori nel SNC che cercano di aumentare la frequenza respiratoria per cercare di eliminare quanta più
CO2 possibile. La CO2 è un potente vasodilatatore cerebrale e questo crea cefalee e stravaso di liquido con
edema cerebrale aumentando di fatto la pressione intracranica. Oltre a ciò, altri disturbi del sistema nervoso
sono tremori grossolani (flapping), movimenti stereotipati soprattutto a livello mandibolare, ipertono
muscolare fino alla perdita progressiva dello stato di coscienza fino al coma.
ACIDOSI RESPIRATORIA
È una condizione causata dall’acido carbonico. La CO2 disciolta nel sangue e tessuti è in equilibrio con l’acido
carbonico; l’acido carbonico è in equilibrio tra H+ e bicarbonato.
Maggiore è la quantità di CO2 e maggiore sarà la quantità di acido carbonico e quindi maggiore sarà la
quantità di H+ prodotta e di fatto maggiori saranno i bicarbonati.
Il problema risiede nell’H+ che tende ad aumentare l’acidosi nel sangue. Possiamo determinare una
condizione di acidosi nel sangue con valori di Ph inferiori a 7,35 e questo causa diverse condizioni gravi.
Troveremo iperventilazione, astenia, nausea, vomito, aritmie cardiache, ottundimento dei sensi fino ad
arrivare all’arresto cardiorespiratorio.
Da un punto di vista chimico possiamo rappresentare queste equazioni tra CO2 disciolta nel sangue ma che
può diventare gassosa e bicarbonati che normalmente è disciolta nel sangue; si crea quindi un equilibrio
acido-base.
SOMMINISTRAZIONE O2TERAPIA
Il primo tentativo che si può fare difronte ad un’insufficienza respiratoria è aumentare la concentrazione di
O2, cioè far respirare al paziente una miscela più ricca di ossigeno, in cui la concentrazione relativa superi
il 21%.
Questa concentrazione può essere regolata per evitare di esporre il paziente ad eccessiva concentrazione di
ossigeno. Naturalmente questo diventa un problema quando abbiamo di fronte una situazione di accumulo
di CO2 in quanto erogando una concentrazione maggiore di O2, di conseguenza, avremo ancora un maggiore
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accumulo di CO2. Per questo vanno scelte concentrazioni che vanno a migliorare la PO2 ma non vanno ad
intaccare concentrazione di CO2 nel sangue e quindi in un incremento.
Modalità di somministrazione
All’aumentare del flusso la pressione diminuisce, questa riduzione è tanto più elevata quanto è più veloce il
flusso che viene generato.
I colori delle valvole a volte potrebbero variare per cui è essenziale leggere sempre ciò che viene riportato
sulla valvola stessa.
Se non è necessario erogare flussi elevato posso erogare O2 a flussi più bassi e
questo si può fare tramite maschere facciali semplici o cannule nasali.
Questi sistemi non avendo raccordi o valvole specifiche e quindi non creano
miscele di aria e quindi funzionano al 100% di O2. La proporzione la regolo
semplicemente regolando la velocità del flusso. Non si ha una sicurezza che il
paziente sottoposto a questa O2terapia abbia una FiO2 precisa come
invece avviene per la maschera di venturi. Generalmente le cannule
nasali vengono utilizzate ad una velocità massima di 4lt/min, oltre questo
valore si crea un flusso turbolento che diventa quindi non efficace.
In alcune patologie, in cui non è necessario vincere la resistenza data dai polmoni, i bassi flussi svolgono un
compito perfetto e anzi sono da considerare il dispositivo di elezione.
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Un sistema per arricchire ulteriormente la concentrazione di
ossigeno è la maschera RESERVOIRE. All’estremità della
maschera troviamo un sacchetto collegato che ha la funzione di
fare da riserva di ossigeno e in questo modo la miscela di O2
viene ulteriormente arricchita in quanto in ogni atto respiratorio
il paziente respirerà sia l’aria che sopraggiunge dal tubo, ma
anche quella presente nel sacchetto sottostante. Un problema
in cui possiamo incorrere è il rebreathing, consiste nel respirare
una parte di aria, e quindi CO2 che precedentemente abbiamo
espulso con l’espirazione; per evitare questo fenomeno la
reservoire utilizza delle valvole laterali che permettono la
fuoriuscita di CO2 prodotta con l’espirazione, viene
definita anche non rebreather mask. Esiste anche una
versione che non possiede queste valvole e quindi non
espelle completamente la CO2 prodotta, viene chiamata
partial rebreather mask. Esistono tutte e due le varianti in
quanto in alcuni casi abbiamo bisogno di far respirare aria
ricca di CO2; in una condizione di alcalosi respiratoria,
con pH superiore a 7,45. Questa alcalosi può presentarsi
in soggetti che iperventilano per vari motivi che possono
essere sia fisici con segnali trigger che psicogeni; una
complicanza dell’alcalosi può essere l’epilessia o aritmie
cardiache.
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La CPAP non è da confondere con un tipo di maschera o respiratore ma è una modalità di supporto alla
pressione positiva continua; praticamente ogni sistema che eleva la pressione naturale del polmone alla
respirazione è considerabile uno CPAP. Le ragioni per aumentare le pressioni sono 2: aumentare la pressione
parziale di ossigeno, cioè a parità di concentrazione ne passa nel sangue una quantità maggiore; la seconda
è che con una piccola pressione si aiuta a mantenere pervi gli alveoli che per ragioni varie sono ostruiti e
quindi aumenta la superficie per gli scambi respiratori. Le pressioni che si raggiungono normalmente sono di
5, 10, 15 cmH2O. La pressione espiratoria positiva PEP normalmente è di 0 cmH2O, se mettiamo un
dispositivo a pressione positiva andiamo ad aumentarla per cui non si avrà più il classico -5, +5 e 0 ma si avrà
ad esempio +5, +15 e 10.
Bisogna considerare il polmone come un sistema elastico, per cui per ogni pressione si genera un movimento
di volume.
I sistemi di ventilazione possono essere tarati o sulla pressione o sul volume. La relazione tra pressione e
volume può cambiare in quanto può cambiare la condizione del polmone e il livello di elasticità dello stesso;
possiamo trovare situazioni in cui per erogare le stesse pressioni sono necessari maggiori volumi o per
erogare gli stessi volumi sono necessarie maggiori pressioni.
Un incremento eccessivo di pressioni o un incremento eccessivo di volumi possono essere a loro volta un
meccanismo di danno in qaunto possono causare la rottura degli alveoli o causare ad esempio uno
pneumotorace; sono denominati barotraumi, traumi legati all’eccessive pressioni o volumi erogati dal
respiratore.
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BLS-D
SICUREZZA: Valutare la sicurezza dello scenario in cui si trova la vittima. Solo se la scena è sicura allora si può
procedere con l’ingresso in scena per valutazioni e soccorso.
VERIFICA UN’EVENTUALE RISPOSTA DELLA VITTIMA: Scuoti senza esagerare le sue spalle e chiedi ad alta
voce: «Signore/a mi sente?», ripetuto più volte a voce alta. Se risponde, lascialo nella posizione in cui lo hai
trovato, assicurati che non vi siano ulteriori pericoli; cerca di scoprire qual è il problema e fornisci assistenza
se necessario; rivalutalo regolarmente.
PERVIETÀ DELLE VIE AEREE: aprire la bocca della vittima per verificare che non vi siano corpi estranei, oppure
la lingua retroflessa, che ostruiscano il canale ed il passaggio di ossigeno. Posizionare la tua mano sulla sua
fronte ed estendi delicatamente la sua testa all’indietro; con i polpastrelli posizionati sotto l’estremità del
mento della vittima, sollevalo per aprire le vie aeree.
• Posizionati di fianco alla vittima e, mantenendo le vie aeree pervie, avvicina la tua guancia alla bocca del
paziente, mantenendo il tuo sguardo in direzione del suo torace;
• Nei primi minuti dopo un arresto cardiaco, la vittima può respirare in modo irregolare, con respiro lento e
rumoroso. Non confondere questa situazione con un respiro normale;
• Guarda se il torace si espande, ascolta se sono presenti suoni respiratori e senti la presenza di movimento
d’aria sulla tua guancia per non più di 10 secondi per determinare se la vittima sta respirando normalmente.
Si può eseguire la verifica simultanea della respirazione e del polso in meno di 10 secondi.
Se hai dei dubbi sul respiro, comportati come se la vittima non stesse respirando normalmente e preparati
ad iniziare la Rianimazione Cardio Polmonare.
• Se possibile, chiedi a qualcuno di chiamare il servizio di emergenza 112, altrimenti chiamalo tu stesso.
• Se possibile, rimani con la vittima mentre fai la chiamata di emergenza. Attiva il vivavoce del telefono per
facilitare la comunicazione con la centrale operativa.
• Se sei da solo, non allontanarti dalla vittima, inizia la Rianimazione Cardio Polmonare.
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INIZIA LE COMPRESSIONI TORACICHE
• Posiziona la parte prossimale del palmo di una mano (calcagno della mano) al centro del torace della
vittima; (ossia sulla metà inferiore dello sterno);
• Intreccia le dita delle mani e assicurati che non si applichi pressione sulle coste della vittima;
• Non applicare alcuna pressione sull’addome superiore o sulla parte terminale dello sterno;
• Posizionati verticalmente sul torace della vittima e premi verso il basso per circa 5 cm.
Dopo ogni compressione, rilascia del tutto la pressione sul torace senza perdere il contatto tra le tue mani e
lo sterno.
Dopo 30 compressioni, apri le vie aeree utilizzando ancora l’iperestensione del capo e il sollevamento del
mento.
• Chiudi il naso pinzandone le narici con l’indice e il pollice della mano poggiata sulla fronte. Fai in modo che
la bocca si apra, ma mantieni il mento sollevato;
• Prendi un respiro normale e posiziona le tue labbra attorno a quelle della vittima, assicurandoti di avere
una buona aderenza;
• Soffia in modo lento e graduale nella bocca controllando contemporaneamente l’escursione del torace per
circa 1 secondo come in un respiro normale; questa è una ventilazione efficace;
• Mantenendo l’iperestensione del capo ed il sollevamento del mento, stacca la tua bocca da quella della
vittima ed osserva che il torace si abbassi durante l’espirazione;
• Prendi un altro respiro normale e soffia nella bocca della vittima una volta ancora per un totale di due
ventilazioni efficaci;
• Non interrompere le compressioni toraciche per più di 10 secondi per erogare le due ventilazioni. Quindi,
riposiziona senza ritardo le mani nella posizione corretta sullo sterno ed effettua altre 30 compressioni
toraciche.
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• Se è presente più di un soccorritore, la Rianimazione Cardio Polmonare dovrebbe essere continuata mentre
le piastre vengono posizionate sul torace;
• Assicurati che nessuno tocchi la vittima mentre il defibrillatore analizza il ritmo. Se il defibrillatore non è
disponibile continua con la Rianimazione Cardio Polmonare.
• Premi il pulsante della scarica come indicato (i defibrillatori automatici erogheranno lo shock
automaticamente anticipati da un messaggio vocale, ma in Italia sono presenti per l’impiego laico
defibrillatori semiautomatici, in grado di erogare la scarica solo con aziende diretta del soccorritore, che deve
premere il pulsante);
• Non arrivano i soccorsi (volontari ANPAS o altre associazioni, o soccorsi avanzati del 112)
Se sei sicuro che la vittima stia respirando normalmente, ma è ancora incosciente mettila nella posizione
laterale di sicurezza (sdraiata su un fianco mantenendo la pervietà delle vie aeree se necessario).
È raro che la Rianimazione Cardio Polmonare da sola possa far ripartire il cuore. Se non sei sicuro se la vittima
si sia rianimata, continua la Rianimazione Cardio Polmonare.
• Coscienza;
• Movimento;
• Respiro
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SHOCK
Ci sono diversi meccanismi responsabili dell'ipoperfusione d'organo e dello shock. Lo shock può essere
dovuto a
• Una combinazione
Il trattamento inizia contestualmente alla valutazione del paziente. Si somministra ossigeno supplementare
per mezzo di una maschera facciale. Se lo shock è grave o la ventilazione inadeguata, è necessaria
l'intubazione delle vie aeree con la ventilazione meccanica. Si inseriscono due cannule EV di grosso calibro
(da 14 a 16) in due diverse vene periferiche. Quando non è possibile accedere rapidamente alle vene
periferiche, si può utilizzare come alternativa un catetere venoso centrale o, specialmente nei bambini, un
ago intraosseo.
SHOCK IPOVOLEMICO
Lo shock ipovolemico è causato da una riduzione critica del volume intravascolare. La diminuzione del
ritorno venoso (precarico) determina una riduzione del riempimento ventricolare e del volume di eiezione.
A meno che non sia compensata da un incremento della frequenza cardiaca, la gittata cardiaca si riduce.
Una causa frequente è rappresentata dal sanguinamento (shock emorragico), generalmente dovuto a
traumi, interventi chirurgici, ulcera gastroduodenale, varici esofagee o rottura dell'aneurisma aortico. Il
sanguinamento può essere evidente (p. es., ematemesi, melena) o nascosto (p. es., rottura di una gravidanza
ectopica).
Nello shock emorragico, è una priorità assoluta il controllo chirurgico del sanguinamento. La reintegrazione
di volume accompagna piuttosto che precedere il controllo chirurgico. Per la rianimazione sono utilizzati
sangue e soluzioni cristalloidi; in ogni caso, gli eritrociti concentrati, il plasma fresco congelato e le piastrine
vanno somministrati da subito e in un rapporto 1:1:1 in pazienti che potrebbero richiedere trasfusione
massiva. La mancata risposta di solito indica la somministrazione di un volume insufficiente o di un'emorragia
in atto non riconosciuta
SHOCK DISTRIBUTIVO
Lo shock distributivo è causato da un'inadeguatezza relativa del volume intravascolare determinata da una
vasodilatazione arteriosa o venosa; il volume del sangue circolante è normale. In alcuni casi, la gittata
cardiaca (e DO2) è elevata, ma il flusso ematico aumentato bypassa il letto capillare; questo bypass attraverso
gli shunt arterovenosi ossigeno causa ipoperfusione cellulare (come dimostrato dalla riduzione del consumo
di ossigeno). In altre situazioni, il sangue ristagna nel letto venoso di capacità e la gittata cardiaca diminuisce.
Lo shock distributivo può essere shock anafilattico; shock settico da tossine batteriche; gravi lesioni al
midollo spinale, di solito sopra T4 shock neurogeno; e l'ingestione di alcuni farmaci o veleni, come i nitrati,
oppiacei, e bloccanti adrenergici. Lo shock anafilattico e quello settico spesso hanno anche una componente
di ipovolemia.
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Lo shock distributivo accompagnato da grave ipotensione, dopo l'iniziale reintegrazione di liquidi con
soluzione fisiologica allo 0,9%, può essere trattato con farmaci inotropi o vasopressori (p. es., dopamina,
noradrenalina).
Nello shock cardiogeno, i difetti strutturali vengono riparati chirurgicamente. La trombosi coronarica viene
trattata con interventi percutanei come il posizionamento di stent, con l'intervento chirurgico di bypass
coronario o con la trombolisi.
Nello shock ostruttivo, il tamponamento cardiaco non traumatico richiede una pericardiocentesi
immediata, che può essere realizzata a letto del paziente. Un tamponamento cardiaco causato da trauma
richiede decompressione chirurgica e riparazione.
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