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DISPENSA DI CHIRURGIA D’URGENZA E

PRONTO SOCCORSO
2022-2023
Volpi
Chirurgia d’Urgenza e Pronti soccorso-27/09/22-Prof. Volpi

CONCETTI GENERALI E MANAGEMENT DEL PAZIENTE CHIRURGICO


Emergenza-urgenza-elezione
Il problema della chirurgia d'urgenza e, in generale, della medicina delle emergenze è quello di
avere a che fare con pazienti che arrivano in emergenza o in urgenza.
Col termine “elezione” si intende la normale
programmazione dell'attività medica. Quindi, dopo aver
visitato un paziente, ad esempio in ambulatorio, si
programma il suo intervento chirurgico, tenendo conto di
quelli che sono i fattori di rischio legati ad esso.
Importanti però sono i concetti di urgenza ed emergenza.
L’emergenza è una situazione in cui il paziente è in immediato pericolo di vita per cui, se non
dovesse essere soccorso talvolta anche con delle terapie e delle manovre adeguate, il paziente
può morire nel luogo in cui si trova. Tale condizione potrebbe, ad esempio, essere dovuto a lesioni
di organi fondamentali che richiedono un immediato intervento chirurgico.
Poi abbiamo l'urgenza: differisce dall'emergenza però si potrebbe complicare nel giro di alcune
ore.
Inoltre, c’è anche l’urgenza differita.
Per chiarire questi termini, si cita l’esempio tipico, ovvero un’appendicite: di solito non si operano
tutte ma si osservano per alcune ore (a 6 e 12 h) perché non sempre si ricorre all’operazione; se si
dovesse complicare con una peritonite sarebbe considerata un'emergenza. Nel 70% dei casi però
le appendiciti sono tali da consentire una previa valutazione associata a monitoraggio nel corso
delle ore, giungendo ad un intervento chirurgico anche a distanza di ore: l'urgenza è differita.
Di base l'intervento chirurgico è una cosa che non è scevra da rischi, per cui si deve fare nel
momento in cui c'è l'indicazione alla terapia chirurgica e non per risolvere il problema
nell’immediato, proprio perché ci sono delle complicanze associate all’intervento stesso o nel
post-operatorio e, l’errore, potrebbe essere anche fatale.

TIPI DI ACCESSO IN CHIRURGIA D’URGENZA


1) La prima, la più grave: accesso diretto in
sala operatoria per coloro che
presentano una condizione di
emergenza.
Ad esempio, un trauma da incidente
stradale, una rottura di un aneurisma
dell'aorta, ecc.

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2) Nelle altre situazioni, fortunatamente più frequenti, i pazienti arrivano in un reparto di
chirurgia d’urgenza mediante pronto soccorso, successivamente alla cosiddetta
consulenza (in pronto soccorso viene chiesto l’intervento del chirurgo per valutare se il
paziente ha un’urgenza chirurgica in atto oppure no). Dopodiché si può direttamente
ricoverare il paziente oppure può essere eseguita la consulenza e poi è il chirurgo stesso
che indica il ricovero di questo paziente.
3) Rientro dopo dimissione→ è possibile anche ricoverare in chirurgia d'urgenza pazienti che,
dopo l’operazione, sono andati a casa e hanno manifestato una complicanza nel post-
operatorio; perciò, accedono direttamente al reparto perché ovviamente hanno ancora un
rapporto con l’equipe e con l'unità operativa.
4) pazienti in ambulatorio di chirurgia generale che hanno qualche situazione di emergenza o,
anche in questo caso, una complicanza post-operatoria→ quindi può essere necessario il
ricovero in urgenza.
Alcuni posti, come la guardia medica, non ricoverano direttamente ma per mezzo del pronto
soccorso. Anche in questo caso è importante un certo grado di diagnostica, di ragionamento
clinico, perché ci sono individui con vomito, diarrea, o condizioni che magari potrebbero essere
trattate con la sola terapia medica.
Oggigiorno il PS è quasi sempre ingolfato perché, essendoci anche il problema del covid-19, gli
spazi si riducono ulteriormente e, con la gestione di questi pazienti che possono anche non avere
alcuna urgenza, diventa ancora più difficile.

CODICI TRAIGE
Sono rappresentati da colori e servono a definire le
priorità sulla base della gravità della condizione del
paziente:
• Il codice rosso per un paziente che ha
tipicamente caratteristiche come:
- emergenza
- critico
- con pericolo di vita
- che ha un accesso immediato
alla terapia, alle cure, quindi alla sala operatoria o a farmaci salvavita
- sono pazienti che devono essere trattati prima di tutti.
• codice giallo:
- è una situazione mediamente critica: un’urgenza, in cui esiste il rischio che la
patologia di base si complichi diventando un codice rosso e che possa
determinare anche pericolo di vita.
• codice verde:
- poco critico, nel senso che non c’è un rischio evolutivo (non escludendo che
si possa trattare di una patologia importante)
- però non è né urgente né emergente ma è differibile.
• il codice bianco:
- sono pazienti che non hanno nessuna urgenza e che non necessitano di PS.
Prevede il pagamento del ticket.

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Questi ultimi due sono molto frequenti perché potrebbero essere gestiti da altre strutture come la
medicina di base ecc. ma si ricorre al PS per abbreviare i tempi: il codice bianco viene assegnato
spesso a pazienti che bypassano il medico curante, ingolfando il pronto soccorso e interferendo
con il trattamento delle reali emergenze.
In realtà ci sono altri codici, seppur più rari, come:
• Codice nero per disastri ambientali ecc.
• Codice arancione (usato in pandemia) per chi è contaminato (dal pdv nucleare, biologico,
chimico, radiologico);
• Codice Blu: funzioni vitali compromesse e viene assegnato all’esterno dell’ospedale da chi
effettua BLS o DAE, in caso anche di disastri di vario genere.
PRECEDENZE PER BAMBINI. ANZIANI E GRAVIDE e ovviamente in relazione al codice assegnato in
fase di triage.

Accanto è mostrato il nuovo sistema in cui il colore è


sostituito col numero; perciò, il codice rosso corrisponde
all’1; all'urgenza è assegnato il 2, 3 coincide con l’urgenza
differibile, 4 con l'urgenza minore e 5 con la non urgenza.
Per cui un paziente che ha una cisti sebacea suppurata
pretende di essere visitato perché per lui la situazione è
urgente, non capendo che una peritonite ha più importanza
dal punto di vista clinico della cisti sebacea suppurata: ecco
perché bisogna valutare anche i casi più gravi anche nel
rapporto con i pazienti.

Quando chiamare il chirurgo?


Molte volte si compie un errore, ovvero interpellare il
chirurgo per visitare un pz che in realtà non
richiederebbe il suo intervento, come nel caso del vomito
che può essere dovuto a centinaia di cause che non
richiederebbero la consulenza del chirurgo. Andrebbe
fatta per patologie che potrebbero avere necessità di un
intervento chirurgico.
La consulenza che di solito viene chiesta o in urgenza o in via ambulatoriale deve avere
determinate caratteristiche e sono:
• innanzitutto, è un paziente affetto
da una diagnosi che richiede un
intervento chirurgico, altrimenti si
sottrae tempo a casi complessi più
difficili, non rendendo un buon
servizio ai pazienti.
• dopo aver messo in atto le prime
indagini di laboratorio e le prime
terapie.

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• L’intervento del chirurgo è necessario se c'è una patologia in atto da operare
urgentemente.
Prima di chiedere una consulenza chirurgica un qualsiasi medico è tenuto a prestare le prime
cure. È necessario prima stabilizzare il paziente e poi chiedere la consulenza specialistica.
Una delle situazioni che la richiede è:

Il dolore addominale
Il dolore addominale non è sempre riferibile a
malattie di interesse chirurgico. Molto spesso ci
sono cause di tipo medico che però non vengono
valutate perché non si fa una buona anamnesi: se
il paziente è sveglio è più facile altrimenti bisogna
parlare con i familiari per cercare di capire le
cause. Anche l'esame obiettivo dirimerà qualche dubbio e permetterà di orientarsi verso una
consulenza chirurgica o meno. Per cui il dolore addominale deve essere indagato perché non
sempre patologico (come nella situazione in cui è correlato all’assunzione di un lassativo).

Quali sono le caratteristiche del dolore?


Attraverso queste domande è possibile
capire di che tipo di dolore si tratta, quali
sono le caratteristiche, indirizzando verso
una patologia o un'altra.
• La sede: deve essere descritta in
maniera seria, non approssimativa.
La zona anatomica è fondamentale
anche per capire il tipo di patologia,
oppure potrebbe essere DIFFUSO.
• E poi ovviamente il tipo di dolore. Ce ne sono tre:
1) Il dolore somatico che può essere superficiale (dolore da punta, la mialgia, ecc.) e profondo.
2) Quello viscerale: il viscere di per sé dà dolore se dovesse essere molto disteso, superando la
resistenza del viscere stesso, oppure essere associato all’uso di irritanti chimici o biologici. Si
parla di “colica”.
3) Può essere riferito: come il dolore
dell’infarto o quello da calcolosi della
colecisti che viene riferito alla base della
spalla destra.
• Poi bisogna valutare ovviamente la
qualità:
- dolore urente che il pz
riferisce come “bruciore”;
- dolore puntorio
(intramuscolo);
- trafittivo es. da calcoli, problemi cardiaci;
- gravativo: è quello che viene definito come “il senso di peso”.

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- colico: è un dolore che di solito è estremamente frequente nelle patologie
chirurgiche che riguardano gli organi cavi→ tipico dolore viscerale es. colica biliare,
colica appendicolare, colica renale, colica addominale. Associato o ad una causa
irritativa o alla distensione del viscere.
• La durata.
Il dolore può essere continuo, intermittente oppure a crisi alternate a periodi di
tranquillità.
È importante chiedere da quanto tempo si prova dolore e se si è presentato più volte o se
si dovesse trattare del primo.
• La relazione con atti o situazioni particolari. Ci sono dei dolori che possono comparire con
atti o decubiti particolari e possono scomparire. Può comparire in relazione con i pasti (a
digiuno o post prandium), oppure associati a patologia urologica o ginecologica (ciclo
mestruale, minzione, atti sessuali, defecazione).
• Presenza o meno di irradiazione e ovviamente distinguerne la sede.
• Un'altra informazione importantissima nell’anamnesi del paziente è appunto la resistenza
o meno ai comuni analgesici e agli antispastici.
Se è poco intenso, solitamente con un analgesico o un antispastico scompare.
Un errore che si fa frequentemente è che, ad un paziente con dolori addominali anche
frequenti associati a stipsi (per un fecaloma, stenosi o altre cause), si dà l'antispastico per
alleviare la sintomatologia, aggravando la condizione.

Quindi, ad un pz con dolore addominale, è importante porre delle domande:


• Dove?
• com'è? Se urente, puntorio, trafittivo, di tipo Colico…
• da quanto tempo?
• è la prima volta?
• quanto dura?
• Ha una relazione con qualcosa?

DOLORE ADDOMINALE NON CHIRURGICO

Si richiede una consulenza chirurgica quando c'è il dubbio che questa possa essere una malattia
suscettibile di intervento chirurgico.

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• A livello dell'apparato cardiorespiratorio quelle più frequenti sono: l'infarto del miocardio
e la polmonite. Il dolore epigastrico viene riscontrato nell'infarto del miocardio, mentre la
polmonite è responsabile di dolore addominale diffuso.
Anche la pericardite ed empiema pleurico possono essere delle altre patologie che si
possono confondere con patologie addominali.
• Patologie metaboliche come il diabete mellito, l’insufficienza renale cronica che sono
spesso causa di “ricoveri inappropriati”. Meno frequentemente l’avvelenamento da
piombo.
• Malattie ematologiche come la leucemia, la porfiria ma anche alcune anemie emolitiche
che, a causa dell’emolisi e quindi a causa dell’interessamento della milza, possono
produrre dolore addominale che però non è suscettibile di valutazione chirurgica.
• Le gastroenteriti di natura batterica o di natura virale che nei periodi di influenza o anche
spesso in estate, dopo le feste, possono insorgere (es. le salmonellosi). Un paziente con
vomito e diarrea quasi mai è di pertinenza chirurgica e quasi sempre ha una gastroenterite.
• Malattie neurologiche come l'herpes zoster, responsabile spesso di un mismanagement.
Talvolta il pz riferisce dolore al fianco sinistro per cui si sospetta di una patologia alla
colecisti, all'appendice, al rene ma, scoprendo la maglietta, si identificano le vescicole
dell'herpes zoster. Rientrano anche la sifilide, il Tabe dorsale, l’abuso di farmaci.
• Tutte le patologie urologiche e ginecologiche che servono per fare una diagnosi
differenziale con altre patologie addominali.

RICOVERI IMPROPRI E INAPPROPRIATI IN CHIRURGIA


I ricoveri impropri in chirurgia sono
parecchi:
- Il primo in assoluto è il fecaloma.
Un medico che visita un paziente che
ha problemi di stipsi o problemi di
occlusione intestinale o qualsiasi
problema inerente con l'apparato
digerente diciamo “inferiore”, deve
fare una esplorazione rettale:
1. per vedere se ci sono le feci→ se ci
sono le feci nell'ampolla vuol dire che c'è transito
2. per vedere come sono le feci→ se sono feci liquide e feci solide eccetera.
3. Per vedere soprattutto la presenza o meno di sangue o di altro.
Quindi un paziente anziano stitico che ha un fecaloma, non deve essere mandato in chirurgia:
può essere visitato dal pronto soccorso, si fa un’esplorazione rettale, si vede evidenzia la causa
e gli si fa fare un clistere.
- la stipsi cronica: si tratta da casa da parte del medico curante oppure se va in pronto
soccorso è utile fare un clistere evacuativo.
- La diarrea è un sintomo che in chirurgia si vede poco prima di un intervento. La diarrea
possono averla alcuni ragazzi con l’appendicite, pazienti che hanno qualche neoplasia a

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livello del colon o altro. Nella stragrande maggioranza dei casi le diarree sono dovute a
gastroenteriti.
- Una colica addominale: attraverso l'anamnesi e l'esame obiettivo si risale ad una diagnosi.
- La gastroenterite;
- La colecistite acuta alitiasica (vuol dire senza calcoli) è una situazione che può comparire in
corso di altre patologie e non deve essere operata perché non ci sono calcoli. Si cura con la
terapia medica e quindi il paziente non ha necessità di essere ricoverato in chirurgia.
- Un ittero ostruttivo. Per esempio, un paziente che è stato operato di colecistectomia che
presenta calcoli nel coledoco, non necessariamente deve essere ricoverato in chirurgia
perché, attraverso una procedura eseguita in ambulatorio che si chiama ERCP, è possibile
rimuovere i calcoli.
- Le emorragie digestive nei cirrotici, anticoagulati e antiaggreganti: oggi si ricorre
all’endoscopia ma ovviamente la condizione del pz va contestualizzata.
- stato anemico di NDD che necessita della diagnosi, in quanto non necessariamente
associati ad una lesione neoplastica a livello GI ma ad un tumore che può essere localizzato
in qualsiasi sede.
- I neoplastici terminali perché, a meno che necessitino di un’operazione, hanno bisogno di
un ambiente il più familiare possibile; perciò, è preferibile che stessero a casa.
- Politraumi in osservazione senza traumi addominali.
- Pancreatiti non complicate e screzi pancreatici non associati a colelitiasi: la cosa
fondamentale è che nel momento in cui la pancreatite non è associata a calcolosi della
colecisti o del coledoco, la pancreatite non è di interesse chirurgico ma bisognerà
riconoscere altre cause, es. ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, l’alcolismo, ecc.
ovviamente una pancreatite necrotico emorragica necessiterebbe di un intervento
chirurgico per ripulire la necrosi.

I RICOVERI APPROPRIATI

• La perforazione di un viscere
cavo: riguarda lo stomaco,
intestino, colon, retto. Si tratta di
un paziente che ha una
resistenza addominale, un
addome cosiddetto
“peritonitico”.

• Un’occlusione intestinale reale. L’occlusone intestinale non è una diagnosi ma è una


sindrome per cui si identificano segni e sintomi. Può essere associato al tumore del colon,
ad esempio. L’alvo è chiuso a feci e gas e deve essere persistente nel tempo per
determinare un’occlusione intestinale reale.

• Sanguinamento digestivo da tumori o patologia benigna che non beneficia di


angioembolizzazione.

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Ci sono alcune neoplasie che possono sanguinare, in cui il primo approccio viene fatto
attraverso l'introduzione di un catetere che arriva nei pressi del tumore e determina
un’embolizzazione a livello dei vasi afferenti a quel tumore.
• Ittero da neoplasie, da calcolosi del coledoco e della colecisti.
Ricorda che: l'ittero ostruttivo di natura chirurgica è un ittero a bilirubina prevalentemente
diretta che dimostra ostruzione delle vie biliari e dilatazione delle vie biliari.
• Le pancreatiti acute litiasiche e necrotico-emorragiche vengono ricoverate in chirurgia.
• Traumi chiusi e aperti.
• Altre patologie: empiema, idrope e carcinoma della colecisti.
• Corpi estranei come l’ingestione di essi;
• Tentato suicidio con sostanze caustiche e altre;
• Ecc.

I ricoveri impropri sono parecchi. Molte volte, durante un normale turno d’urgenza di 24 ore, solo
il 10-20% dei ricoveri sono appropriati.

Approccio chirurgico
Nel reparto chirurgico, a differenza di quello di medicina, c’è un intervento, per cui si definisce:
1) la fase pre-operatoria
2) fase operatoria
3) post-operatoria

Accanto sono elencati gli elementi che entrano in gioco nell’approccio


chirurgico.
1. Tra questi innanzitutto la cartella medica e infermieristica
(istituita negli ultimi 25 anni).
(la prof legge attentamente gli altri punti della slide in riferimento alle fasi dell’approccio)

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2. Poi c’è l'anamnesi classica che deve essere fatta con il solo pz e, se dovesse essere
minorenne, si potrebbe chiedere l’allontanamento del
genitore. Questo perché molto spesso, se c’è un familiare, si
omettono dei sintomi ed è necessario che questa fase non sia
indirizzata dal parente verso una diagnosi. Nell’anamnesi è
importante rilevare la familiarità e la storia clinica del pz
prossima e remota.
Nell’anamnesi patologico prossima si valutano:
- la modalità di insorgenza dei disturbi
- momento della comparsa
- condizione scatenante
- caratteristica del sintomo
- sintomi associati
- evoluzione
Quando però il paziente ha una condizione che richiede trattamento d’urgenza e c’è la necessità di
fare delle domande precise, devono essere sacrificate perché la decisione deve essere presa molto
velocemente. Ciò spiega perché gli interventi in emergenza sono ad altissimo rischio perché viene
omessa l’anamnesi. In tali casi è possibile reperire delle informazioni, però limitate, ad esempio dal
portafoglio ma di base non conosciamo i rischi, per cui la mortalità aumenta.
Perciò in queste situazioni, si procede con un iter indicato dall’acronimo SAMPLE:
1) Sintomi
2) Allergie
3) Medicazione (farmaci)
4) Patologie esistenti
5) Ultimo pasto del pz (soprattutto per le patologie addominali e per un eventuale intervento
chirurgico è importante definire se il pz ha mangiato o meno)
6) Evento scatenante il sintomo
ESAME OBIETTIVO
L’ispezione del paziente, soprattutto se politraumatizzato, è importante perché ci permette di
risalire ad una serie di informazioni utili alla stimazione del percorso diagnostico-terapeutico.
CONSIGLIO: denudare sempre il paziente
per ispezionarlo dalla testa ai piedi.
1) È importante la colorazione della cute
e delle mucose se pallida o se
manifesta ittero. Il pallore è più
frequente da osservare.
2) asimmetrie (es. addominale per la
presenza di una massa nei quadranti di
sinistra e quindi si vede questo aspetto
bombato dei quadranti di sinistra);

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3) deformazioni vere e proprie (patologiche o post-trauma);
4) la presenza di cicatrici che possono giustificare aderenze eccetera o anche dei laparoceli veri e
propri, responsabili di una sintomatologia dolorosa.
5) la presenza di lesioni (pensate per esempio ai traumi aperti dell'addome) siano essi d’arma da
fuoco, siano essi da arma bianca o di altra natura.
6) La presenza di protesi
7) Stent
8) la presenza di stomia
9) problemi di deficit sensoriali o iperestesia cutanea
10) menomazione
11) ricerca delle ernie nelle comuni sedi: valutare se ci sono porte erniarie solitamente a livello
inguinale, ombelicale e se ci sono delle cicatrici come appunto la presenza o meno di
laparoceli.

Ricorda che l'esame obiettivo è dato da:


1) Ispezione
2) La palpazione sia superficiale che profonda. Ad esempio:
- nei casi in cui c'è un addome peritonitico voi sentirete l’addome cosiddetto duro, ligneo,
contratto;
- nei casi in cui avrete un’occlusione intestinale invece l’addome è disteso e timpanico.
3) Percussione: per riscontrare aree di ottusità, come succede in caso di peritonite, o se ci
sono casi di ipertimpanismo come nei casi di occlusione.
4) La peristalsi è una cosa che bisogna valutare perché vuol dire che l'intestino sta
funzionando. Può essere:
- accelerata (come nelle fasi di occlusione intestinale ma anche durante una diarrea
normale),
- silenziosa (Torpida)
- normale.
5) esplorazione rettale.

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO
Esistono due tipi:
1. l'esame di routine è quello che viene fatto fondamentalmente in elezione, cioè
quando gli interventi sono programmati;
2. il paziente che arriva in urgenza→ ci sono solo
degli esami di urgenza che noi andremo a
chiedere.
Di solito gli esami che vengono chiesti urgenza sono:
1) l'emocromo;
2) la funzionalità biliopancreatica, tra cui l’amilasi e la lipasi;
3) la coagulazione;

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4) la funzionalità renale: creatinina, filtrato glomerulare, azotemia, elettroliti, eccetera.
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
La Diagnostica strumentale va per gradi: si
parte dagli esami radiografici più semplici par
arrivare a quelli più importanti.

• esami radiografici: soprattutto la


diretta dell'addome, ma anche la TAC
• ecografie, ecodoppler.
• la scintigrafia
• esami di tipo cardiologico come l’ECG che viene fatto prima di operare il paziente,
associato all’RX del torace. L’ Holter è un esame che si fa in elezione e non in urgenza.
• In alcuni casi si può fare un’endoscopia d'urgenza a scopo emostatico nei pazienti
sanguinanti.
ANATOMIA PATOLOGICA
Poi esiste la parte di anatomia patologica sia come esame
citologico che istologico, importanti per la definizione della
prognosi.
CONSENSO INFORMATO
Si tratta di un consenso che viene dato per tutte le procedure mediche, chirurgiche, assistenziali,
ecc, dopo che si è verificato un flusso
informativo tra il paziente e il medico. (la
prof dice che al Sud il paziente non è ben
informato ma si parla molto spesso con i
parenti)
Per cui tutte le procedure devono essere
sottoscritte dal paziente e, nel momento
in cui il paziente si rifiuta, non si può
procedere con la loro esecuzione.
PREPARAZIONE ALL’INTERVENTO
Si procede con una serie di procedure in modo tale che il pz giunga all’intervento chirurgico in
equilibrio. Tutto ciò non lo si può fare in
emergenza e in urgenza perché i tempi sono
così ridotti da non riuscire ad agire sui valori
non fisiologici.
È assolutamente necessario:
- Eseguire l’ECG, affinchè l’anestesista
dia l’ok per l’anestesia, infatti, prima

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dell’intervento si tiene conto del rischio anestesiologico (asa1-4);
- Eseguire l’Rx del torace.
Definire:
- le terapie eseguite dal paziente, come quelle anticoagulanti e antiaggreganti;
- i problemi respiratori: è necessario identificare la situazione respiratoria perché potrebbero
insorgere complicanze durante l’operazione tali da ricorrere ad intubazioni, ad es.;
- le infezioni in atto;
- necessità di seguire una dieta particolare;
- il controllo di malattie sistemiche e fattori di rischio
In urgenza è possibile correggere:

• alterazioni idroelettrolitiche
• glicemia
• per esempio pazienti scoagulati perché assumono il Coumadin e, su di essi, è possibile
correggere in qualche maniera il PT.
Ci sono delle profilassi che vengono fatte sia prima dell'intervento che dopo: una volta si puliva
l'intestino con dei clisteri, dei lassativi, ecc. Oggigiorno non si fa più questa preparazione perché si
è visto che non ci sono evidenze a riguardo importanti.
Si tratta di preparazioni estremamente importanti perché consentono di portare il paziente in sala
operatoria con un certo livello di sicurezza. Ciò non è possibile quasi mai nell'emergenza.
Nell’urgenza invece si può sistemare qualcosa.

FATTORI DI RISCHIO
- l'età: il neonato e un individuo
con età avanzata sono quelli con
maggiore rischio.
- L'elezione, l'urgenza e
l'emergenza: nell’elezione il
rischio è minore nell'emergenza è
elevato.
- Patologie a carico dell'apparato
respiratorio per cui è importarte
eseguire l’RX torace, la spirometria (non in
urgenza) e l'emogas.
- Dal punto di vista cardiovascolare per cui si
esegue ECG in urgenza ma anche, quando
possibile, un ecocardio, ecc.
Altri fattori di rischio importanti sono tutta questa
sfilza di malattie.
- Alterazioni dell'emostasi e della coagulazione.

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Per esempio abbiamo
avuto una paziente con
una perforazione
diverticolare però affetto
da malattia di von
Willebrand con anticorpi
antifattore VIII, una
paziente che ovviamente
ha un post operatorio per
noi terrificante perché
una paziente che non
coagula a cui bisogna somministrare una serie di farmaci costosissimi ma anche molte
unità di sangue. Quindi ovviamente tutti questi pazienti sono a rischio di complicanze e
anche a rischio di morte nel caso specifico sia in fase intraoperatoria che post-operatoria.
È necessario di base sospendere l’assunzione dell’anticoagulante.
• Epatopatie:
condizione responsabile di scompensi anche in caso di infezioni, alterazione del processo di
cicatrizzazione delle ferite, alterazione della coagulazione ecc.
• nefropatia all'ultimo stadio o pazienti dialitici, protagonisti di infezioni post-operatorie
• Il diabete
Rende necessario rivalutare la terapia. Questa patologia è responsabile di problemi nella
cicatrizzazione delle ferite oltre al fatto che c’è rischio di iperglicemia nel postoperatorio.
• Alterazione dello stato nutrizionale
Sia la cachessia (cioè il paziente che ha avuto un forte dimagrimento e che ha un peso non
ottimale), sia il paziente obeso (paziente ad elevato rischio di complicanze e di mortalità
anche per interventi poco importanti), avranno alterazione della cicatrizzazione delle ferite.
Segue l’elenco delle quattro categorie in cui i pz sono accomunati dal rischio di infezioni:
1) emorragie o shock emorragici saranno pazienti a rischio elevatissimo
2) Pazienti immunodepressi (pensate per esempio a coloro che assumono farmaci
antirigetto, quindi i vari trapiantati ecc.)
3) Pazienti con infezioni in atto
4) Pazienti che assumono cortisonici (si fa ridurre e sospendere l’assunzione prima
dell’intervento), anticoagulanti, antiaggreganti e antiepilettici possono poi sviluppare
complicanze importanti.
Anche l’insufficienza multifunzionale degli organi è la condizione in cui un paziente ha un
elevatissimo rischio di mortalità. Maggiori sono questi fattori, più c'è il rischio che ci possano
essere delle complicanze durante l'intervento e nel post operatorio.

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Chirurgia d’Urgenza – 29/09/2022 – prof.ssa Volpi

La chirurgia si divide in: maggiore, media e minore.

Esempi:
- Chirurgia minore → appendicite
- Chirurgia media → asportazione di una colecisti
- Chirurgia maggiore → asportazione di un colon o di un retto

Esiste, poi, una chirurgia ancora più specialistica, che è per esempio la chirurgia dei trapianti.
La terapia chirurgica può essere fatta in due maniere:

- per via laparotomica, cioè a cielo aperto, in cui l’addome è aperto normalmente, si incide col
bisturi e si espongono i visceri;
- per via laparoscopica: attraverso degli strumenti, i trocar, si inseriscono delle telecamere, si
gonfia con anidride carbonica l'addome del paziente, in maniera tale che gli organi si
distanzino tra di loro, e si introducono, da alcuni orifizi addominali, una telecamera e gli
strumenti stessi.
La laparoscopia è una situazione video assistita, in cui si utilizza una fibra luminosa, uno
strumento, una fibra ottica, che ci permette di entrare nell'addome e non solo di osservare, ma
anche di operare, attraverso il posizionamento di alcuni trocar che, attraverso alcuni fori fatti
all'interno dell’addome, vengono introdotti e che hanno varie funzioni, come se fossero delle
normali pinze chirurgiche: quindi ci saranno le forbici, ci sarà la pinza ecc. L’intervento più invasivo
sarà quello laparotomico, l’apertura dell’addome che, anche se fatta in maniera precisa sulla linea
alba, comunque determinerà la resezione della fascia e dei muscoli, mentre l'intervento
laparoscopico è un intervento in cui lo stress è minore rispetto a quello della laparotomia; infatti, i
pazienti si dimettono molto prima rispetto all'intervento laparotomico.
L’intervento chirurgico può essere radicale o palliativo. In particolare, questi due termini si usano
quando ci si trova di fronte a pazienti oncologici: un intervento radicale è quello in cui il chirurgo
ammette di aver asportato tutta la neoplasia visibile e toccabile, mentre nell’intervento palliativo
molto spesso la neoplasia non si asporta, ma si esegue un intervento chirurgico per migliorare la
qualità di vita del paziente. Quindi, l'intervento palliativo non è curativo: è una specie di bypass
che serve per migliorare la qualità di vita (che si immagina essere breve) del paziente.
Dopo un intervento radicale, bisognerà aspettare l'esito dell’esame istologico, che confermerà la
radicalità stessa dell'intervento chirurgico.
Si pensi ad una neoplasia dell’esofago ostruente, che ha dato già metastasi, in una persona
anziana con molti fattori di rischio: è ovvio che, in questo caso, non si asporterà tutto l'esofago
perché l'aspettativa di vita del paziente è molto bassa, anche considerando la diffusione della
neoplasia, per cui si posizionerà una protesi che cercherà di evitare l'ostruzione completa
dell'esofago, giusto per fare alimentare il paziente, ma il tumore rimarrà lì, quindi la malattia sarà
comunque evolutiva. Un paziente con grossi fattori di rischio, una malattia diffusa e magari un'età
avanzata non può essere sottoposto ad un intervento radicale di asportazione dell'esofago, inoltre
resterebbero tutte le metastasi in circolazione; quindi, si fa un intervento palliativo con
posizionamento di protesi.
14
Nel caso di un’ostruzione intestinale, si può fare una stomia e, in questo modo, si derivano le feci.
Quindi il paziente non sarà più occluso e potrà vivere un altro po'. Ci sono alcuni casi, che capitano
però in urgenza, che sono i tumori sanguinanti, soprattutto a livello dell’intestino: questi, in alcuni
casi, devono essere operati perché, anche facendo una stomia, se la neoplasia ha invaso i vasi,
continuerà a sanguinare, per cui in alcuni casi si può effettuare qualche legatura vascolare per
evitare un’angioembolizzazione e il sanguinamento, ma sono tutte palliazioni mirate a migliorare
la qualità di vita in un paziente terminale.
Quindi, questi possono essere gli aggettivi che descrivono il tipo di intervento chirurgico che viene
fatto e che di solito si leggono nelle lettere di dimissioni.

ASSISTENZA POST-OPERATORIA

L'assistenza post-operatoria si divide in un post-operatorio immediato e in un post-operatorio tardivo.

Si definisce mortalità intraoperatoria la morte che sopraggiunge entro 30 giorni dall’intervento:


quindi, qualsiasi cosa che accade entro i 30 giorni dall’intervento è relazionata con l'intervento
chirurgico stesso. Nel post-operatorio immediato, ciò che si controlla immediatamente e che
rappresenta la prima complicanza di cui non ci si rende conto è l'emorragia; quindi, la cosa
fondamentale da tenere in considerazione nel post-operatorio immediato è diagnosticare
precocemente le emorragie.

Nei giorni successivi, ci potrebbero essere altre patologie:


• infezione delle vie urinarie da catetere;

• infezione della ferita chirurgica;


• complicanze sistemiche legate, ad esempio, all'ipertensione o altro;
• delle complicanze vere e proprie di alcuni interventi chirurgici (es: deiscenze anastomotiche, cioè le
aperture delle anastomosi, che costituiscono un'importante complicanza chirurgica).
Successivamente, ci saranno le sequele, la riabilitazione, ecc…

Per quanto riguarda l’assistenza nel post-operatorio, parliamo di post-operatorio immediato


quando il paziente esce dalla sala operatoria e torna in reparto: di solito, il giorno dopo
l’intervento è la prima giornata post-operatoria (indicato su alcune cartelle come “pod”,
dall’inglese post operative day), oppure si parerà di pazienti in prima giornata → vuol dire che
sono passate 24 ore dall’intervento. Nel post-operatorio immediato, le complicanze sono facili:
l’emorragia, il laccio che ha mollato, il paziente che ha una complicanza in relazione all’anestesia
ecc., queste sono le cause più importanti. Nel post-operatorio tardivo la situazione cambia, il
paziente può avere complicanze sia legate all’intervento, sia ai fattori di rischio: lo scompenso
glicemico, crisi ipertensive, infarto del miocardio, mentre per quanto riguarda quelle legate
all’intervento chirurgico, l’emorragia è già meno frequente dopo i primi giorni, mentre può essere
frequente una deiscenza dell’anastomosi. Quest’ultima non può essere obiettivata al letto del
paziente prima della quinta giornata. Altre situazioni che possiamo avere sono delle raccolte: se il
paziente ha sanguinato prima, durante o dopo l’intervento, queste raccolte si possono formare e
magari infettarsi, determinando dei veri e propri ascessi.
Poi ci sono altre complicanze legate, per esempio, al posizionamento del catetere vescicale, quindi
infezioni delle vie urinarie, in relazione al fatto che
15il paziente è un fumatore, è obeso, in quanto
quasi tutti gli anziani e quasi tutti gli obesi si fanno il versamento pleurico e sono a rischio anche di
processi broncopneumonici importanti. Attualmente, il paziente, il giorno dopo l’intervento, viene
messo subito nella condizioni di muoversi (drenaggi permettendo), mentre prima rimaneva
immobile per oltre una settimana, quindi le complicanze pleuropolmonari erano molto più
frequenti.
Nel post operatorio, oltre alle complicanze dell’intervento, possiamo avere le sequele, per esempio
la perdita di alcune funzioni, interrotte o abolite dalla chirurgia, oppure in alcuni casi abbiamo in
chirurgia una vera e propria riabilitazione: i pazienti allettati per oltre 30 giorni hanno problemi
proprio a livello muscolare, hanno ipotonia e ipotrofia dei muscoli, per cui dobbiamo chiamare
prima il fisiatra e poi il fisioterapista per iniziare una fisioterapia prima passiva e poi attiva. Ci sono
poi anche le riabilitazioni particolari (ma che non interessano la chirurgia d’urgenza), come le
riabilitazioni nei casi di mastectomia o altri interventi un po’più particolari.

Dopo la dimissione del paziente, arriva l’esito dell'esame istologico e il paziente oncologico viene
inviato quasi sempre all'oncologo per eventuale terapia adiuvante da effettuare.
L’intervento chirurgico, a maggior ragione se viene effettuato in urgenza, è un intervento che
determina uno stress e quindi come tale dobbiamo considerarlo.
Lo stress modifica l’equilibrio di un organismo, minacciandone l’omeostasi. Esistono i cosiddetti
agenti stressanti (o stressor), che possono essere di varia natura: ragioni chimiche, fisiche,
meccaniche, emotive, che in qualche modo generano uno stress per l’organismo, innescando
quindi una risposta da parte dell’organismo stesso. La risposta allo stress è un meccanismo tipico
dei mammiferi che si realizza attraverso aree ipotalamiche e del tronco cerebrale, è una risposta
individuale ed è in relazione all’integrità dell’organismo stesso, all’età e ad una serie di fattori che
possono condizionarla. La risposta allo stress è quella che viene definita arousal, cioè “risveglio”: è
una reazione a qualcosa e stimola la risposta cardiovascolare, la respirazione ed il metabolismo.
Questo determina un’influenza su alcuni apparati, su alcuni comportamenti, che in alcuni casi sono
ridotti. Ad esempio, in seguito ad uno stress, uno non si alimenta più, oppure non riesce più a
dormire.
Dal punto di vista fisiopatologico, questo sistema può alterare l’attività gastrointestinale stessa e
determinare un’alterazione della risposta immunitaria.
Dunque, il trauma chirurgico determina un certo stress e ci sono due elementi che determinano
tale risposta e cioè l’anestesia e lo stress chirurgico.
Questa risposta allo stress fa partire una serie di altre risposte neuroendocrine, metaboliche,
immunologiche ed ematologiche, che sono estremamente importanti per la reazione allo stimolo
stesso. L’intervento chirurgico è proprio un’aggressione al paziente, ovviamente mediata da alcune
esigenze, ossia c’è la necessità di un intervento e quindi il paziente lo sopporta.

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La risposta al trauma, una risposta tipica dei mammiferi, quella che potremmo definire in gergo
come scarica di catecolammine, è una risposta conseguente ad un evento traumatico che si
abbatte su un soggetto sano. Tale risposta è finalizzata a conservare l’integrità dell’organismo. Se
tale reazione serve solo ad allontanare questo agente stressante, è un conto; se va oltre, evolve e
perdura nel tempo (ad es. a causa di un’infezione), produce degli effetti negativi anziché positivi,
che a lungo andare possono determinare insufficienza multifunzionale degli organi.

Lo stress chirurgico è proporzionale alla durata e alla complessità dell’intervento ed è


dato sia dall’intervento in quanto tale, sia dall’anestesia. È proporzionale nel senso che,
un intervento complesso di chirurgia maggiore durerà di più e determinerà lesioni
indotte dall’intervento sempre maggiori, quindi è come se venisse aumentata l’azione
dello stress e quindi anche la risposta.
Ad esempio, avremo un differente comportamento, una differente risposta, tra un
trapianto di pancreas ed un’appendicectomia.
Le situazioni chirurgiche che determinano lo stress sono:
• Manipolazioni tissutali: noi chirurghi spesso non ci accorgiamo che durante un
intervento sulla colecisti, ad esempio, andiamo a manipolare ileo, stomaco,
fegato e tutti questi fattori concorrono a determinare lo stress;
• Sezioni vascolari e nervose: la chiusura di vasi e la loro legatura, le lesioni accidentali di
rami nervosi;
• Quantità di sangue e plasma che vengono perse in corso di intervento e tutto ciò che ne
consegue in termini di emodinamica;
• Dolore, nella fase pre- e post-operatoria: aumenta lo stress;
• Paura;
• Farmaci;
• Digiuno: può essere precedente all’intervento;
• Modificazione dell’immagine corporea → es: interventi demolitivi come
mastectomia, amputazione addomino-perineale nei pazienti che presentano
poi una stomia; questa modificazione è prima un pensiero, poi diventa realtà e
aumenta lo stress del paziente;
• Perdita di funzione.

La risposta allo stress può passare per diverse fasi: risposta neuroendocrina e non neuroendocrina,
metabolica ed anabolica.

Queste tre fasi corrispondono più o meno a quelle che sono le fasi post-operatorie.

Nei casi di chirurgia d’elezione, è facile gestire anche queste risposte, si possono contrastare i
fattori di rischio o, perlomeno, migliorare la situazione pre-operatoria, ma a volte ciò non è
possibile, specialmente nella chirurgia d’urgenza, in cui ci troviamo ad affrontare, anche nel giro di
poche ore, situazioni difficili in pazienti che hanno una serie di patologie che non possono essere

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controllate (o al massimo possono essere controllate minimamente perché ci manca il tempo.
Ritornando alle tre fasi:
Risposta neuroendocrina: è quella catecolamminica, c’è prima l’azione dell’adrenalina e poi quella
della noradrenalina, che però dura un po’ di più. Nella risposta neuroendocrina, aumenta il
catabolismo glucidico, quindi la glicemia aumenta, aumenta la secrezione di glucagone, di β-
endorfine, aumenta la soglia del dolore.
Risposta non neuroendocrina: riguarda le proteine dello shock o di fase acuta, che vengono
prodotte a livello epatico quasi per limitare il danno e in qualche maniera favorire la riparazione e
rigenerazione. Inoltre, vi sono le citochine che giocano un ruolo importante in questi casi.
L’accesso alla sala operatoria che viene fatto in urgenza determina una situazione sicuramente più
problematica rispetto all’accesso che viene fatto in elezione: in una situazione d’emergenza e
urgenza, il rischio di mortalità è maggiore e molto spesso ci troviamo di fronte a pazienti anziani,
defedati, immunodepressi che non hanno, di fatto, dei meccanismi di compenso efficienti. Un
paziente di 40 anni potrebbe avere una determinata reazione, ma un paziente di 85 anni, magari
cardiopatico, anticoagulato, diabetico ecc., non avrà sicuramente la stessa risposta; infatti, dal
punto di vista dell’intervento chirurgico, può essere molto più stressante un intervento in un
paziente in età avanzata e con comorbidità, patologie in atto, infezioni in atto ecc.
L’intervento chirurgico è, quindi, un agente stressante, che non dura un attimo: abbiamo infatti
una fase pre-operatoria ed una fase intraoperatoria, in cui il paziente non ha coscienza di quello
che accade, ma nella quale le incisioni, le lesioni arteriose ecc. continuano a causare tale reazione,
che continua a mantenersi anche nel post-operatorio. Dopo ciò, ci sarà una fase in cui il paziente
ormai avrà proteine a disposizione per ricostruire i tessuti danneggiati, per tornare alla normalità,
e poi alla fine il paziente andrà a casa a passare la convalescenza, durante la quale avverrà la
riparazione in toto.
Bisogna prestare attenzione, soprattutto quando si è in urgenza, a tutte queste situazioni, per
comprendere quale sia il rischio e quale sia l’intervento migliore perché, ad esempio, possiamo
operare un paziente con una serie di fattori di rischio quando non si può più aspettare e il rischio
sarebbe maggiore del beneficio.

Se si guardano gli esami di un paziente che è stato operato il giorno prima o alcune ore prima, in
prima giornata si riscontrerà:
• aumento dei globuli bianchi, che indica la reazione di allarme;
• aumento della glicemia (in pazienti che non hanno né intolleranze, né diabete conclamato)
Il problema sarà proprio quello di ridurre questa fase neuroendocrina e metabolica per arrivare
subito alla fase anabolica. Se ci dovessero essere complicanze, il paziente potrebbe rimanere in
questa fase ipercatabolica per molto tempo e quindi, ovviamente, questa situazione potrebbe
peggiorare ed innescare altre situazioni che potrebbero portare ad insufficienza multiorgano.
Es: si effettua una anastomosi tra due segmenti intestinali, l’anastomosi cede ed il contenuto
all’interno dell’anastomosi, che è per lo più fecale, si riversa all’interno dell’addome. Il paziente

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potrebbe avere una peritonite stercoracea ed uno stato settico. Se questa situazione perdura per
diverso tempo, si può avere uno squilibrio a carico del paziente.

Semeiotica chirurgica addominale


È necessario avere una certa sistematicità che consenta di agire in maniera veloce in situazioni di
urgenza o presunta tale, in modo tale da individuare situazioni realmente urgenti senza creare
agitazione nel paziente e senza inviarlo inutilmente al pronto soccorso. Molto importante è
interessarsi all’anamnesi patologica prossima del paziente per capire ciò che gli sta succedendo.
Dal punto di vista semeiologico, si parla di quadranti addominali, di aree anatomiche e di sede e
localizzazione.
Il paziente si deve sempre valutare con un esame obiettivo perché noi possiamo leggere delle TAC
o delle ecografie e decidere di non operare, se il paziente è tranquillo, quindi la TAC e l’ecografia
non sono sempre dirimenti in condizioni di urgenza; a volte l’osservazione del paziente ed il
monitoraggio delle sue funzioni sono molto più importanti.

L’addome si può dividere in quadranti o regioni


addominali.
QUADRANTI: due superiori e due inferiori, delimitati
dalla linea xifo-pubica (che va dal processo xifoideo al
pube) e dalla linea ombelicale trasversa. Queste due
linee si incrociano a livello ombelicale. Ai vari quadranti,
corrispondono degli organi.

REGIONI: sono nove e sono presenti in


relazione a due linee verticali e due linee
orizzontali.
La linea orizzontale più in basso passa per la
spina iliaca antero-superiore di un lato e
raggiunge quella dell’altro lato, quella
superiore invece dal margine costale dx a
quello sx.
Mentre le linee verticali vanno dalla metà
dell’arcata costale fino al basso.
Quindi avremo:
- Superiormente: ipocondrio dx, epigastrio,
ipocondrio sx

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- Centralmente: fianco dx, regione ombelicale o paraombelicale o mesogastrio, fianco dx
- Inferiormente: fossa iliaca dx, ipogastrio o regione sovrapubica, fossa iliaca sx

NB: non bisogna confondere la fossa iliaca dx con la zona inguinale, che invece si trova
leggermente più in basso e confina con la fossa iliaca dx, ma sono due cose diverse.

Anche le regioni corrispondono a degli organi che sono contenuti all’interno:

Epigastrio: parte del fegato, parte dello stomaco, duodeno e pancreas


Ipocondrio dx: fegato e colecisti, a volte può esserci anche la flessura dx del colon
Ipocondrio sx: milza, che è molto più in alto del fegato, anche perché più piccola, flessura sx del
colon, coda del pancreas
Regione ombelicale: anse ileali, appendice
Fianco dx: colon ascendente dx e rene dx più in profondità
Fianco sx: colon discendente sx e rene sx più in profondità
Ipogastrio: vescica, utero, colon sigmoideo o anche il retto
Fossa iliaca dx: appendice e ovaio di dx
Fossa iliaca sx: colon sigmoideo, ovaio di sx

Si può utilizzare indifferentemente sia una


classificazione che l’altra, dipende dalla situazione
che stiamo analizzando: ad esempio, se ci sono
masse che occupano tutto il quadrante superiore
sx, scriveremo quadrante e non faremo
riferimento alle regioni.

Occorre immaginare di proiettare sull’addome del paziente questa suddivisione in regioni. A volte
questo può essere difficile perché ci possono essere pazienti sottoposti a interventi chirurgici che
hanno cicatrici che possono deformare il profilo dell’addome; queste cicatrici possono essere
abbastanza importanti perché possono indicare la sede della patologia per la quale il paziente è
finito in chirurgia d’urgenza. Ci sono, tra l’altro, delle cicatrici che, in base alla sede, possono
essere un segno obiettivo e quindi si può fare diagnosi del pregresso intervento che il paziente ha
subito.

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In questa immagine, a sinistra si vede l’incisione di
McBurney, che viene effettuata perlopiù per
appendicectomia, a destra si vede l’incisione
periombelicale, che si trova nei pazienti operati per
l’asportazione di un’ernia.
La donna B ha il taglio Pfannenstiel, quello del cesareo,
nascosto generalmente dagli slip.

Conoscere tutte queste cicatrici serve perché queste possono essere sede di laparoceli. Se non
abbiamo cicatrici sull’addome, non possiamo parlare di laparocele; se ce le abbiamo, si è prodotta,
attraverso quella breccia, un’erniazione dopo un intervento chirurgico.
Quindi, queste cicatrici sono importanti non solo per capire la patologia acuta in atto, ma anche
come dato anamnestico perché spesso il paziente non si ricorda di essere stato operato o non ce
lo dice e ci rendiamo conto che è inutile andare a cercare, per esempio, un’appendice in un
paziente che ha un’incisione di McBurney perché non ce l’ha più; a volte può succedere che il
paziente dica di essere stato sottoposto ad appendicectomia e abbiamo comunque trovato
l’appendice (più che altro un moncone appendicolare abbastanza lungo), ma sono situazioni
abbastanza rare.

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Quadrante superiore destro: se un paziente
ha un dolore, le cose da chiedere all’anamnesi
variano in base alla sede del dolore. In questo
caso, il dolore può essere dovuto a patologie
delle vie biliari, patologie epatiche,
appendicite sottoepatica (rara), pielonefriti
acute (molto frequenti) e a volte coliche
renali, perforazione coperta di un’ulcera
duodenale, pancreatite acuta; dove c’è
l’asterisco è più frequente una perforazione di
ulcera gastrica o duodenale in fase iniziale.
Quindi, per un dolore in questo quadrante,
l’obiettivo è quello di cercare di avere un
sospetto diagnostico, da cui si partirà per
richiedere le opportune indagini strumentali e di
laboratorio, per verificare se la diagnosi presunta
è reale.

Quadrante superiore sinistro: le patologie a


livello splenico sono importanti perché un
dolore può essere dovuto ad una
splenomegalia, ad un infarto splenico, ad una
rottura traumatica o patologica della milza;
anche in questo caso ci può essere
pielonefrite, colica renale, pancreatite della
coda pancreatica e ombelicale. Molto spesso
si trova la cicatrice e non più l’ombelico, che è
stato inglobato nella cicatrice.
Patologie a carico della flessura sx del colon e del colon sx → queste possibili diagnosi
si devono tradurre in domande al paziente sia sulla sua anamnesi patologica remota
sia sulla sua anamnesi patologica prossima.

Quadrante inferiore destro: la sintomatologia in questo


quadrante può voler dire un’appendicite acuta, diagnosi
che fanno spesso tutti tranne i chirurghi. L’atteggiamento
dei chirurghi è il seguente: se c’è un dolore in fossa iliaca
dx, bisogna valutarlo e monitorarlo e se ci sono dati che
fanno capire che è un’appendicite, allora il paziente si
porta in sala operatoria, altrimenti può essere un’altra
diagnosi (molto frequentemente) oppure un’appendicite
stessa che, se non evolve in forme più importanti, può

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essere trattata in maniera conservativa con la terapia medica, antibiotica ecc.
Il quadrante inferiore destro è sede anche di altre patologie: ileite di Crohn in fase acuta,
patologie a carico del cieco, del colon ascendente, della valvola ileocecale, gravidanza
extrauterina, annessite, malattia infiammatoria pelvica, calcolosi ureterale, complicazione di
un’ernia inguinale, magari con un’ansa che si è intrappolata a livello dell’orifizio inguinale.
Anche in questo caso, la diagnosi differenziale deve essere fatta prima di eseguire la TAC o
l’ecografia, cioè bisogna avere un sospetto reale sulla patologia. Per esempio, se una paziente
riferisce di aver avuto l’ultima mestruazione due mesi prima potrebbe essere una gravidanza, non
necessariamente ectopica; quindi, prima di fare un RX, bisogna fare una specie di anamnesi
patologica remota.
Ci sono appendici che vengono rimosse e poi, all’esame istologico, viene riscontrata
un’appendicite catarrale → probabilmente, quelle appendici non dovevano essere rimosse o non
avrebbero dato molto fastidio e dopo qualche mese il paziente torna con la stessa sintomatologia
e si scopre che aveva un’altra patologia.
Quindi, bisogna raccogliere bene i dati altrimenti la diagnosi può essere falsata e il trattamento
ritardato, con delle complicanze.

Quadrante inferiore sinistro: i sintomi possono


essere relativi a colon discendente e sigma, quindi
possiamo avere patologie come tumori,
diverticoli, stenosi post-infiammatorie, rottura di
gravidanza ectopica, processi flogistici a carico
degli annessi, calcolosi ureterale, ernia inguinale
complicata.

L’esame obiettivo addominale dovrà andare a valutare anche le porte erniarie, che sono, a parte la
linea epigastrica, l’ombelico e le regioni inguinali destra e sinistra. La laparoscopia permette di
osservare dei piccoli laparoceli a livello ombelicale perché si utilizza uno strumento che si chiama
trocar, un tubo cilindrico che viene inserito a livello dell’addome, attraverso il quale si mettono
telecamere, si insuffla aria ecc… Questo trocar si inserisce sempre tramite un’apertura degli strati
addominali per cui a volte in quest’orifizio, che è circa 1 cm, può intrappolarsi grasso peritoneale,
può essere pinzata qualche ansa o quando si mettono i punti può essere pinzata dal chirurgo,
quindi quella piccola cicatrice, anche se non è visibile come un’ernia, può essere sede di un
laparocele da trocar. Quindi, se il paziente dice, per esempio, di aver subito un intervento di
colecistectomia laparoscopica, bisogna controllare, oltre alle porte erniarie, anche l’ombelico e le
altre cicatrici da trocar perché possono essere sedi di laparoceli post colecistectomia. Poi ci sono
delle patologie che a volte non hanno una sede ben definita, ma che possono interessare quasi
tutto l’addome, e sono: la peritonite diffusa, l’occlusione intestinale, l’ischemia intestinale e la

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patologia aneurismatica dell’aorta, nel senso di aneurisma rotto o fissurato (di solito il dolore può
iniziare a livello centro-addominale, ma successivamente si diffonde in tutti i quadranti, quindi è
una situazione non diffusa, ma localizzata).

ISPEZIONE
Bisogna osservare e valutare eventuali asimmetrie, cicatrici di vecchia data o recenti (sono
ugualmente importanti).
PALPAZIONE
Bisogna usare sia la palpazione superficiale che quella profonda. Un addome peritonitico non sarà
trattabile, è duro, quasi ligneo. La palpazione profonda serve ad evocare dolori, per avere altre
informazioni.
PERCUSSIONE
Nella percussione, quello si va a valutare sull’addome sono l’ottusità o il timpanismo; di solito
esiste un normale timpanismo dell’intestino, alternato ad aree di ottusità (ad esempio nella fossa
iliaca sinistra, dove si trova il materiale fecale solido).
Con la palpazione, bisogna valutare se l’ottusità o il timpanismo sono localizzati, diffusi o,
addirittura, assenti. Un timpanismo diffuso potrebbe essere segno di un’occlusione intestinale,
mentre l’assenza di timpanismo potrebbe essere dovuta alla presenza di liquidi all’interno
dell’addome. Quindi, il dato che emerge dalla percussione può aiutare a fare una diagnosi
presunta preoperatoria.
AUSCULTAZIONE
Riguardo all’auscultazione, mettendo un fonendo sull’addome, possiamo sentire la normale
peristalsi: se si mette un fonendo a livello epigastrico mentre una persona sta mangiando e
bevendo si sentono dei “concerti”, ma sono dei “concerti” di natura non patologica, quindi
fisiologici.
Di solito, i rumori che si sentono sono i borborigmi.
Possiamo sentire del gorgoglio: mettendo il fonendo sull’addome e spingendo leggermente sulla
parete addominale sentiamo un gorgoglio dovuto allo spostamento di liquidi e di gas.
Altra cosa è il cosiddetto guazzamento, una specie di rumore come lo sciacquio, definito a livello
di semeiotica succussio Hippocratis, come quando c’è una stenosi pilorica, per cui se si mettono le
dita al di sotto dell’arcata costale, sia a destra che a sinistra, e si scuote il paziente con entrambe le
mani, si sentirà questo rumore di guazzamento che è tipico, perché se c’è una stenosi pilorica il
liquido all’interno dello stomaco ristagna e quindi si muove come se fosse in una vasca da bagno
piena d’acqua.
Ancora, con l’auscultazione è possibile sentire dei soffi in relazione a patologie o anche in
situazioni che riguardano i vasi addominali: li possiamo sentire, ad esempio, in splenomegalie
importanti, magari da iperafflusso, o spesso anche nelle patologie aneurismatiche.

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È possibile sentire anche sfregamenti (si sentono sia a livello toracico che addominale)
dovuti ad esiti di polisierositi o di visceriti, dove ci sono delle piccole aderenze, per cui
quando si invita il paziente a respirare o a muoversi, ci possono essere questi rumori.
Poi si può apprezzare, fondamentalmente, la peristalsi, che può essere assente (quindi
non si sente niente, non si sentono rumori), può essere torpida, quindi rallentata, può
essere aumentata, (per esempio se un paziente ha la diarrea può avere
iperperistaltismo, è normale). Se però questo iperperistaltismo si accompagna ad altri
segni, avrà un significato particolare: in alcuni casi si possono sentite dei cosiddetti
rumori metallici (paragonabili al rumore che fa la molla) nelle prime fasi di
un’occlusione.
Quindi, con l’auscultazione riusciamo ad avere parecchie notizie.

DESCRIZIONE DI MASSA O TUMEFAZIONE


La tumefazione è una cosa che si vede, oppure si può apprezzare, pur non essendo visibile,
palpando l’addome; quindi, la descrizione di una massa o di una tumefazione è il nostro obiettivo,
perché attraverso la descrizione di questa massa o di questa tumefazione si riesce ad avere
qualche informazione in più.
Quindi, la descrizione di una massa o di una tumefazione deve essere riportata all’esame obiettivo,
bisogna sempre trascriverla; capire subito di fronte a che cosa ci si trova può essere molto
importante per la diagnosi. Bisogna focalizzarsi su:
• sede: dove si trova (fossa iliaca, fianco, epigastrio, mesogastrio, ipogastrio);
• localizzazione: rispetto ai piani profondi, cioè, è visibile? Se la risposta è sì, allora è una
tumefazione, ed è localizzata sui piani superficiali, quindi non è endoaddominale;
• direzione: per esempio ci sono delle masse ovalari che hanno una direzione in senso
medio-laterale o latero-mediale, anche quello è importante;
• volume: la massa può essere voluminosa, a volte si può fare un paragone con qualcosa, ad
esempio la frutta o qualche altro oggetto;
• assieme al volume ovviamente la forma (ovalare, sferica, indefinita, a kiwi, ad arancia a
testa di feto);
• eventualmente annotare il diametro;
• limiti: distinti o indistinti, cioè se la massa che si sente sull’addome è la punta dell’iceberg, i
limiti di questa massa non si sentiranno, mentre a volte una cisti sebacea ha dei limiti
distinti, un lipoma ha dei limiti distinti;
• consistenza: può essere teso-elastica, quando all’interno c’è del liquido o tessuto che
determina una condizione di elasticità della zona; può essere molle, può essere dura, fino a
lignea; può essere fluttuante, per esempio un ascesso in fase iniziale sarà teso-elastico, ma
quando, su invito del medico, il paziente metterà per esempio degli impacchi caldo-umidi
(come la tipica borsa dell’acqua calda) sopra questo ascesso, il contenuto di quest’ultimo
andrà incontro a colliquazione, cioè diventerà fluido, quindi si sentirà l’avvallamento e a

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quel punto quell’ascesso potrà essere drenato; questo perché se si drena l’ascesso prima
che il suo contenuto colliqui, non verrà fuori assolutamente niente. Quindi è importante il
segno della fluttuazione, per qualsiasi tipo di accesso, perché ci fa capire che lì c’è del
liquido e che può essere drenato;
• mobilità: quando si sente una massa, sia quando è piccola che quando è grande, si deve
spostare con due dita o con tutta la mano o con tutte e due le mani (se è grande). In
questo modo, si può vedere se è mobile sia sui piani superficiali, cioè se la cute ci scorre
sopra, o se invece la massa è attaccata alla cute e anche sui piani profondi. Questa
situazione è molto importante per la diagnosi di una massa a livello della mammella, per
esempio (possiamo già presupporre la diagnosi tra una patologia benigna, come il
fibroadenoma, ed una maligna, come il carcinoma mammario).
• dolenzia: la massa è dolente? È dolente quanto? È dolente spontaneamente? O è dolente
quando la andiamo a palpare o a toccare? Questi sono tutti dati importanti che ci fanno
capire che situazione ci può essere a quel livello.
• colorito: la zona può essere sede di un’area iperemica, può essere calda al termotatto;
• eventuale pulsatilità di una massa: la pulsatilità è un dato molto importante perché in
alcuni ematomi, che sono in comunicazione con dei vasi arteriosi, si può trasmettere
appunto la pulsazione;
• eventuali rumori nella massa. Es: nel caso di un’ansa intestinale intrappolata in un orifizio
inguinale, si potranno sentire rumori di guazzamento o completa assenza di peristalsi
intestinale.
Da questo discorso, si evince che, per ogni massa (non solo a livello addominale), bisogna
raccogliere tutti questi dati, così come bisogna raccogliere dati a livello dell’anamnesi.
Di solito, quando un paziente arriva in chirurgia d’urgenza, si chiede seduta stante un diario clinico
e, nello specifico, l’anamnesi patologia prossima, cercando di capire se ci sono reali situazioni
d’urgenza. Nella stragrande maggioranza, dei casi i pazienti arrivano con dolore, febbre, ittero,
alterazioni o chiusura dell’alvo a feci e gas. Bisogna sempre chiedere al paziente se ha avuto altre
volte gli stessi sintomi, ma soprattutto da quanto tempo: se il paziente dice di avere dolore da 5
minuti può voler dire una cosa, da un mese può voler dire un’altra, da tre mesi potrebbe essere
ancora un’altra cosa. Quindi nell’anamnesi patologica prossima dobbiamo acquisire informazioni
che ci devono far capire subito: questo paziente va in sala operatoria? Potrebbe andare in sala
operatoria?
Successivamente, passiamo all’esame obiettivo, osserviamo la situazione, facciamo una diagnosi
presunta e chiediamo immediatamente eventuali esami di laboratorio; prima di quest’ultimo step,
però, bisogna prima fare una diagnosi presunta, altrimenti può capitare, ad esempio, che si veda la
TAC senza aver controllato le porte erniarie, per poi scoprire che il paziente ha un’ernia strozzata,
che solo perché non sono stati abbassati i pantaloni al paziente e non gli sono state toccate le
porte erniarie non si è riusciti ad individuare. Questo vuol dire che si prolunga il tempo
preoperatorio, quindi un’ansa che inizialmente era solo sofferente può diventare ischemica e
questo può portare alla necessità di resecarla. Bisogna valutare se la massa causa un aumento del
dolore durante la respirazione o con i movimenti dell’alvo.

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Dunque, ricapitolando, come si descrive una massa o una neoformazione?
Prof.ssa: Da dove si partirebbe per descrivere una cisti sebacea sull’avambraccio?
Studente: Descriviamo innanzitutto la sede, quindi l’avambraccio. Poi guardiamo la localizzazione,
quindi se la cisti si trova sulla faccia volare o dorsale, e la direzione: quindi, capire se la cisti si
estende più verso la piega del gomito o verso la mano.
Prof.ssa: per fare questo utilizzeremo i termini terzo distale, terzo mediale, terzo prossimale.
Studente: Successivamente cerchiamo di determinarne il volume, la forma ed eventualmente il
diametro, magari con un’indicazione sui cm della massa, e i limiti, che nel caso della cisti sebacea
dovrebbero essere distinti e regolari.
Prof.ssa: certo, si può prendere con due dita e spostarla, rendendosi conto che sotto è libera.
Studente: andiamo poi a guardare la consistenza, che nel caso di una cisti sebacea non infetta
potrebbe essere teso-elastica. Poi consideriamo la mobilità, che sarà libera, quindi la cisti è mobile
rispetto ai piani superficiali e a quelli profondi; ancora la dolenzia, che in questo caso non mi
aspetto venga evidenziata.
Prof.ssa: e se c’è dolore cosa ci fa capire?
Studente: probabilmente si sarà instaurato un processo infiammatorio. Andiamo ancora ad
osservare il colorito, che in questo caso mi aspetto omogeneo rispetto alla cute circostante.
Prof.ssa: se invece troviamo iperemia e aumento del termotatto?
Studente: anche in questo caso penso a un’infiammazione.

Prof.ssa: ora chiedo ad un altro studente di descrivere una massa, quindi una tumefazione, che
ritroviamo a livello dell’epigastrio, della linea mediana, di 5x5 cm di dimensione.
Studente: dunque abbiamo individuato la sede della massa in regione epigastrica a livello del terzo
superiore della linea mediana, un volume di 5x5 cm con limiti netti, forma sferica e consistenza
teso-elastica. La massa presenta mobilità che si può notare successivamente alla manovra di
Valsalva.
Prof.ssa: cosa si fa con la manovra di Valsalva?
Studente: si va a gonfiare la gota chiudendo naso e bocca, sforzandosi anche a livello addominale,
magari determinando una fuoriuscita della massa e ciò è visibile maggiormente nelle cisti.
Prof.ssa: questo però si osserva a livello addominale, fondamentalmente nelle ernie o nella
diastasi dei muscoli retti, che però non ha limiti distinti e consistenza teso-elastica. Da ciò che mi
stai descrivendo io mi sto orientando verso una cisti sebacea.
Studente: sì, una cisti sebacea. Questa non dà dolenzia al tocco e neanche a seguito di movimenti
del paziente; il colorito è quello cutaneo, la temperatura è normale, pari a quella corporea
superficiale, non c’è pulsatilità. Se non erro, quando c’è pulsatilità, soprattutto a livello mediale,
dobbiamo allarmarci per un aneurisma dell’aorta.
Prof.ssa: quindi tu mi hai descritto una cisti sebacea.

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Prof.ssa: ora vorrei che un altro studente mi descrivesse una grossa tumefazione a livello
epigastrico, magari se fosse un problema di ernia cosa potremmo trovare?
Studente: potremmo descriverla come una tumefazione visibile a livello del terzo medio-terzo
inferiore dell’epigastrio, con forma ovalare ma limiti indistinti, con diametro variabile in relazione
alle dimensioni dell’ernia, di circa 5 cm; la consistenza dovrebbe essere molle perché si tratta di
un’ansa intestinale erniata.
Prof.ssa: a meno che non sia intasata e dunque non sia così molle. Questo vale anche nel caso di
un infarcimento emorragico.
Studente: sì, a meno che non ci siano complicanze. La mobilità può essere riducibile oppure
irriducibile e in questo caso può andare anche incontro a complicanze, ma se non ci sono
complicanze può essere riducibile quindi mobile rispetto ai piani profondi.
Prof.ssa: sì, a differenza di una massa normale, come può essere una cisti o qualche altra cosa, di
solito le ernie, siccome sono delle anse, è difficile dire se siano mobili perché in realtà sono fisse
all’interno. Quindi possiamo parlare di mobilità quando parliamo degli strati del sottocute, del
piano muscolare, mentre quando siamo in addome è un po’ più difficile, a meno che non si stia
con le mani in addome, cioè durante l’intervento.
Studente: dobbiamo determinare se la massa è dolente. Se sì, vuol dire che c’è una complicazione,
diversamente un’ernia non complicata solitamente non dà dolore.
Prof.ssa: prima di mettere le mani cosa guardi nell’epigastrio? Perché può essere un’ernia
epigastrica ma anche qualche altra cosa. Se hai una cicatrice a cosa pensiamo a livello epigastrico?
Studente: a laparocele.
Prof.ssa: sì.

Prof.ssa: pensiamo, invece, a una tumefazione in regione ipogastrica a limiti indistinti.

[nella registrazione non si sentono le risposte dello studente, ma alla fine si arriva alla diagnosi
di globo vescicale]

Nei pazienti appena operati, il globo vescicale è una cosa molto frequente a causa dell’anestesia, a
maggior ragione però se hanno un problema a livello prostatico: dai 50 anni in poi, molto spesso la
prostata comincia ad aumentare di volume e ad un certo punto i pazienti vanno in ritenzione e
hanno un globo vescicale. Nel decorso post-operatorio, il paziente spesso, così come ha una
ritardata canalizzazione, può anche avere un globo vescicale; quindi, non urina e perciò si è
costretti, a volte, a mettere un catetere, per cui improvvisamente il dolore diminuisce perché ha
svuotato la vescica di 600 cc di urina. Quindi quando si vede un paziente così, ci interessa sapere
da quanto tempo ha questa tumefazione e se ha avuto altri disturbi perché una ritenzione acuta
immediata potrebbe voler dire una cosa, mentre se il paziente riferisce di non riuscire bene a
urinare da un po’ di tempo va indirizzato non da un chirurgo, ma da un urologo.
Nota: La risposta neuroendocrina, la cosiddetta scarica di adrenalina che noi abbiamo per paura o
per altro, è reale e a maggior ragione in queste persone, per cui il paziente a volte arriva in sala

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operatoria con delle pressioni elevatissime, che non sono in relazione alla patologia di base. Quindi
abbiamo questa risposta iperdinamica con le ammine vasoattive che hanno un ruolo
fondamentale. L’adrenalina è il primo fattore che entra in gioco, successivamente interviene anche
la noradrenalina.

CHIRURGIA ADDOMINALE (APPARATO DIGERENTE): SEMEIOTICA


È indispensabile che il linguaggio medico sia univoco per potersi comprendere ma anche per
evitare di commettere errori abbastanza grossolani.
A differenza di quanto accade nella chirurgia fatta in elezione, dove il medico ha materialmente
tutto il tempo necessario per studiare il caso clinico e valutarlo in relativa tranquillità, in chirurgia
d’urgenza (e più in generale in tutte le procedure d’urgenza) bisogna invece agire velocemente,
ricercando elementi che aiutino a formulare una diagnosi rapida, motivo per il quale si procede
innanzitutto con un’anamnesi patologica, prossima e remota, finalizzata ad individuare l’eventuale
presenza di patologie che potrebbero aiutare ad orientarsi, si continua con un celere esame
obiettivo che consenta di rilevare sintomi e segni utili alla diagnosi e quindi con la scelta di esami
che si possano effettuare in urgenza, in seguito al cui risultato viene decisa la terapia da eseguire,
che può anche includere l’intervento chirurgico.
A tal proposito, in chirurgia d’urgenza, ci sono dei “sintomi guida” dirimenti ed è necessario
conoscere ed imparare le modalità con cui devono essere indagati perché il paziente molto spesso
omette di riferire sintomi che non ritiene importanti e che, invece, potrebbero esserlo per il
medico, oppure il paziente può mentire, soprattutto se sono presenti i propri familiari (si pensi,
per esempio, ad una ragazzina con una gravidanza extrauterina in presenza dei propri genitori o ad
un marito che non voglia ammettere la propria dipendenza davanti alla moglie, ecc…), oppure
ancora il paziente può riportare sintomi che in realtà non possono essere ritenuti tali (ad esempio,
il paziente che sostiene di essere “allergico” all’aspirina perché quando ne fa uso ha “bruciore di
stomaco”→ è evidente che trattasi dell’azione gastrolesiva propria dell’aspirina, come di tutti i
FANS, per cui non è corretto parlare di “stato allergico”, tutt’al più si parlerà di relativa
“intolleranza” al farmaco in questione). Da qui, l’importanza dell’anamnesi che, sebbene condotta
velocemente, deve comunque permettere di estrapolare tutto ciò che può tornare utile ai fini
della diagnosi, “estrapolare” perché il paziente anche in urgenza (a meno che non sia in uno stato
davvero critico) è restio a parlare, a riferire della propria condizione e spesso si giustifica dicendo
di aver già raccontato tutto al PS quando, invece, è fondamentale che sia anche il chirurgo
(chiamato in consulenza) a doverlo inquadrare in un’ottica diversa per potere stabilire se
consentirne o meno il ricovero e, una volta ricoverato, candidarlo all’intervento chirurgico
d’urgenza, alla chirurgia differita o eventualmente ad una chirurgia d’elezione (programmabile) ed
è chiaro che questo non può accadere se si lascia gestire al paziente la conversazione,
permettendogli di riferire soltanto ciò che vuole e magari problematiche che poco hanno a che
vedere con l’urgenza.
Tra i principali SINTOMI-GUIDA, ci sono:
➢ il DOLORE, fondamentale nella diagnostica di alcune patologie di interesse chirurgico.
Quasi sempre presente nel pre- e post-operatorio, deve essere adeguatamente indagato

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perché già la semplice caratterizzazione del dolore è d’importante ausilio nella diagnosi.
Per esempio, il paziente che riferisce un dolore in fossa iliaca destra ha soltanto fornito
un’informazione sulla sede in cui il dolore è localizzato, ma non è affatto sufficiente. È
invece necessario approfondire ponendogli domande del tipo: da quanto tempo il dolore
persiste? È la prima volta che compare oppure è già comparso precedentemente? Nel
caso in cui fosse già comparso altre volte, si è tratto beneficio da un’eventuale terapia
analgesica ed antidolorifica? Che tipo di dolore è? Quali caratteristiche ha? Abbastanza
specifico dei visceri cavi è un dolore di tipo colico, cioè un dolore che facendosi
rapidamente ingravescente raggiunge l’acme e poi decresce, alle volte con un andamento
a poussée. Invece, il dolore gravativo o il dolore urente di solito si associano ad altre
patologie.
➢ DISFAGIA E RIGURGITO

➢ SINGHIOZZO

➢ ANORESSIA
➢ NAUSEA E VOMITO

➢ AEROFAGIA, METEORISMO
➢ DISPEPSIA, PIROSI, RGE

➢ DIARREA E STIPSI; ALVO CHIUSO ALLE FECI E/O GAS

➢ TENESMO (rettale), INCONTINENZA, SINTOMI PROCTOLOGICI

➢ ITTERO (SINTOMO + SEGNO a carattere generale per la cui presenza è


necessario comprendere se abbia o meno interesse chirurgico)
➢ EMATEMESI, MELENA, ENTERORRAGIA, PROCTORRAGIA, etc. (molto
frequenti in urgenza - emergenza)

La DISFAGIA è un sintomo tipico delle malattie


esofagee, sia organiche che funzionali, ed è
definita come una deglutizione difficoltosa
inerente prima i cibi solidi, poi anche i liquidi.
Dunque, è il passaggio attraverso l’esofago ad
essere difficoltoso e talora anche doloroso.
Per ODINOFAGIA si intende, invece, una
deglutizione dolorosa alta (a livello faringeo) che
può determinarsi per patologie banali, come per
esempio una tonsillite, o per patologie funzionali,
ostruttive per lo più di competenza
otorinolaringoiatrica.
In caso di disfagia, il paziente deglutisce, ma ad un certo punto il bolo si ferma nell’esofago per le

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cause più disparate, ad esempio per la presenza di una stenosi, di una neoplasia, di uno spasmo o
di altre cause funzionali. Importante è anche stabilire da quanto tempo persiste il disturbo per
capire se trattasi di una condizione pregressa e duratura o determinatasi immediatamente dopo
l’assunzione di un qualche alimento o l’ingestione volontaria o involontaria di corpi estranei (per
esempio, nei pazienti con deficit cognitivi o negli anziani). Da tutto ciò, la necessità di analizzare
sempre attentamente il sintomo, la sua durata ed in alcuni casi la sua qualità per comprendere se
sia reale o meno.
La DISPEPSIA è un altro sintomo che può comparire in numerose affezioni dell’apparato
digerente, è in realtà meglio definibile come una sindrome, cioè un insieme di vari sintomi e
segni.
Certo è che NON si deve parlare di difficoltà alla
digestione da parte del paziente, perché il
processo digestivo è un fatto prettamente
biochimico ed invece per dispepsia s’intende un
complesso sintomatologico che comprende un
senso di pesantezza e tensione a livello
epigastrico, generalmente postprandiale,
frequenti eruttazioni e borborigmi, alle volte
anche pirosi. Tutti sintomi, piuttosto aspecifici
che possono rilevarsi in moltissime patologie, sia
neoplastiche che non neoplastiche; si pensi, per
esempio, alla calcolosi della colecisti che, pur
essendo asintomatica nel 90% dei casi, nel
restante 10% dei casi può invece manifestarsi
anche con una semplice sindrome dispeptica
senza altri segni di complicanze.
Per PIROSI si intende una sensazione di dolore urente avvertito a livello epigastrico o anche
retrosternale (per lo più dietro l’apofisi xifoidea), è quel dolore che il paziente tipicamente riferisce
come “bruciore alla bocca dello stomaco” e può essere causato da problemi di natura motoria a
carico dell’esofago ma è pure un sintomo tipico di patologie come il RGE e l’esofagite, spesso in
presenza di ernia iatale anche molto voluminosa. Può essere inoltre un sintomo di patologia
gastrica.

Il VOMITO è l’espulsione forzata del contenuto


gastrico attraverso la bocca, un sintomo che in
chirurgia è foriero di molte informazioni. È una
condizione che può determinarsi con l’ausilio della
distensione gastrica.

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Da un punto di vista patogenetico, se ne distinguono tre tipi:
▪ di natura centrale;

▪ di natura riflessa → è associato, per lo più, a patologie gastrointestinali benigne;


▪ di natura ostruttiva → è quello di interesse chirurgico, deriva da un’ostruzione, un ostacolo
parziale o totale localizzato a livello gastrico o più a valle, che impedisce la regolare
progressione del contenuto gastroenterico in direzione oro-anale. Si deve poi tenere
presente che la persistenza del contenuto gastrico all’interno del viscere determina un
aumento delle secrezioni con lo scopo di facilitarne la progressione, ma in realtà l’unica
conseguenza che si realizza è l’ulteriore distensione del viscere per aumento dei liquidi
formantisi al suo interno e quindi l’insorgenza del vomito.
Nel vomito riflesso, il carattere è sempre e soltanto gastrico o biliare, non ci sono importanti dati
semeiologici da rilevare; invece, il vomito ostruttivo (prerogativa dei pazienti in chirurgia
d’urgenza, abbastanza tipico anche delle occlusioni) può avere caratteristiche variabili, dipendenti
dal livello e dal tipo di ostruzione.
Più specificamente, in base al proprio aspetto il vomito si distingue in:
▪ GASTRICO

▪ BILIARE

▪ ENTERICO

Il vomito gastrico può essere o meno alimentare (contenente cioè ingesti) e di conseguenza ha un
colore variabile a seconda della fase interdigestiva in cui compare, se pre- o post- prandiale.
L’eventuale presenza di una componente biliare rende il vomito gastrico di colore giallo chiaro fino
a verde scuro, in base ai tempi di ristagno della bile nello stomaco (per esempio, a digiuno).
Il vomito francamente biliare si presenta come un vomito dall’evidente colorito giallastro o
verdastro.
Il vomito enterico, infine, si presenta più denso e di colorito giallastro per la componente biliare e
comincia a farsi maleodorante a causa della stasi prolungata nell’intestino, sino a diventare un
vomito che si definisce FECALOIDE perché di colorito marrone scuro e con un tipico odore di feci,
che si determina allorquando il materiale emetico emesso è ormai putrefatto per abnorme
proliferazione della flora batterica intestinale a causa del lungo ristagno a questo livello.
Il vomito fecaloide è appunto riconoscibile per l’intensa maleodoranza evocativa dell’odore fecale,
mentre il vomito gastrico ha per lo più un odore ed un sapore acido da ipersecrezione cloridrica. Il
sapore che il vomito biliare lascia in bocca, invece, è tendenzialmente amaro.

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I caratteri del vomito sono molto importanti e devono essere attentamente indagati.
Al paziente che riferisce questo sintomo si deve anche chiedere quante volte si è verificato, se il
materiale emetico emesso è stato o meno abbondante e quali caratteristiche ha presentato,
nonché il rapporto con i pasti, allo scopo di ricavare informazioni utili a capire se la causa
determinante (per esempio, un’ostruzione) è datata o di recente insorgenza.
Il RIGURGITO è un sintomo spesso riferito dai
pazienti, ma erroneamente confuso con il
vomito e viceversa. In realtà sono due
condizioni completamente diverse, dato che
per rigurgito si intende il ritorno in bocca, con o
senza emissione, di materiale alimentare
ingerito oppure di succo gastrico. Più
specificamente, nella maggior parte dei casi il
rigurgito, riferendosi a materiale alimentare
non ancora giunto in contatto con il succo
gastrico, è sovente considerato sintomo di
patologia esofagea (per esempio un’ostruzione
alta o un diverticolo esofageo).

Il SINGHIOZZO è un sintomo poco frequente e si definisce come una contrazione


istantanea, spastica, involontaria ed afinalistica del diaframma, sostenuta da cause che
agiscono attraverso archi riflessi, le cui efferenze coinvolgono il nervo frenico. Di solito,
in chirurgia d’urgenza, il singhiozzo è un sintomo suggestivo del fatto che sotto il
diaframma possa esserci una raccolta di una determinata natura o una massa che
comprime il nervo frenico.

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Per NAUSEA s’intende la ripugnanza verso il cibo con senso di vomito imminente. Si tratta di un
sintomo assai frequente nei pazienti neoplastici ed è un disturbo a causa del quale il paziente non
si alimenta, persino l’odore delle pietanze che preferisce gli è insopportabile e può addirittura
arrivare ad evitare di bere. La nausea può non essere seguita dal vomito, ma quest’ultimo è di
solito preceduto dalla nausea (eccetto che nei casi di ipertensione endocranica).
Generalmente, la nausea si associa ad altri fenomeni neurovegetativi quali astenia, pallore,
bradicardia, sudorazione fredda, salivazione e riconosce alla base, grossomodo, le stesse cause
determinanti il vomito ma, soprattutto quando non associata al vomito, può anche essere dovuta
a fattori di altra natura, per esempio ad una condizione parafisiologica come la gravidanza.

L’ANORESSIA è la perdita dell’appetito. Può trattarsi di un fenomeno transitorio, da cause banali,


o di un fenomeno prolungato, da cause anche importanti, psichiche o organiche (per esempio una
neoplasia a carico del tubo digerente sia a carattere ostruttivo che non ostruttivo oppure
l’assunzione di farmaci chemioterapici). A questo tipo di pazienti va sempre chiesto se stiano
assumendo terapie che potrebbero giustificare come effetto collaterale la comparsa di anoressia,
ma è anche utile chiedere loro se non si alimentano perché hanno nausea o per totale mancanza
di appetito, una domanda, quest’ultima, attraverso la quale si può tentare di capire se si tratta di
un’anoressia psichica o di tipo organico.

Per TENESMO s’intende una sensazione penosa, continua o ripetuta, di stimolo alla defecazione;
quindi, il paziente avverte spesso la necessità di defecare come se non fosse riuscito ad eliminare
completamente tutte le feci presenti nell’ampolla rettale. Il tenesmo può essere dovuto ad
un’effettiva distensione/occupazione dell’ampolla rettale da parte di feci (come accade
frequentemente) o, alle volte, anche da parte di neoplasie benigne/maligne, fecalomi, oppure può
essere causato da stimoli flogistici sulla mucosa. Esiste, poi, il tenesmo vescicale che, chiaramente,
si associa a ben altri disturbi di carattere urinario.

L’INCONTINENZA FECALE è la riduzione o la perdita del controllo volontario (o automatico durante


il sonno) del passaggio di feci e gas attraverso l’ano.

Se ne distinguono, con finalità puramente semeiologica, 3 tipologie:

- incontinenza maggiore: emissione involontaria di feci solide, dure;


- incontinenza minore: emissione involontaria di gas o feci liquide;
- incontinenza paradossa: da distensione rettale ed incontinenza dello sfintere anale
interno (fecaloma).

Anche in questi pazienti è importante indagare il disturbo, chiedendo per esempio da quanto
tempo è comparso, perché spesso negli anziani l’incontinenza fecale maggiore può essere
presente da anni ed essere causata da altri fattori non di interesse chirurgico, oppure in altri casi
può trattarsi di neoplasie che in qualche modo possono aver “congelato” la pelvi, determinando
alterazioni della funzionalità del retto e del canale anale.
La stipsi è una condizione cronica, mentre quando il paziente si presenta in pronto soccorso con

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l’alvo chiuso a gas e feci, si è di fronte ad un quadro acuto.

Per quanto concerne gli altri “sintomi guida” citati nell’elenco iniziale come l’ittero, l’ematemesi o
la melena se ne parlerà approfonditamente nel capitolo delle emergenze epato-bilio-pancreatiche
e delle emorragie digestive. Ad ogni modo, per ognuno di questi sintomi, si deve sempre chiedere
al paziente l’epoca di insorgenza, la durata, la qualità ed il rapporto, per esempio, con i pasti,
affinché si possano ottenere informazioni utili a formulare un sospetto diagnostico.

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CHIRURGIA D’URGENZA E PS – Prof.ssa Volpi 06/10/2022
EMORRAGIA – ASPETTI GENERALI
L’emorragia è la fuoriuscita di sangue dal sistema che lo contiene, e per sistema intendiamo quello
arterioso, venoso e cardiaco.
Nel corso di un’emorragia, soprattutto un’emorragia massiva, il cuore si accorge di questa perdita
ematica, vedendosi ridotto il ritorno venoso e la pressione, e mette in campo tutta una serie di
meccanismi di compenso che, per funzionare al meglio, presuppongono la buona salute e
funzionalità di alcuni organi: il cuore stesso, l’apparato renale e una serie di strutture ghiandolari.
L’effetto combinato di questi meccanismi produce l’aumento della forza di contrazione del cuore,
l’aumento della gittata, la ridistribuzione dei liquidi corporei e del flusso sanguigno, l’attivazione
del sistema RA. È ovvio che non tutte le emorragie sono uguali, quelle minime non daranno origine
a nessun meccanismo di compenso, mentre quelle massive porteranno il paziente all’exitus in
pochi minuti.
In riferimento al timing di realizzazione, le emorragie possono essere distinte in:
- acute (nelle quali i meccanismi di compenso non sono ancora stati attuati)
- croniche (con meccanismi di compenso).
ES. Il paziente 70enne con stillicidio ematico continuo da emorroidi con 4 di emoglobina, non
shockato, deambulante e, apparentemente in salute, differisce dal paziente 30enne traumatizzato
con emorragia dell’arteria femorale, sempre con 4 di emoglobina, però shockato e incosciente,
non tanto perché il primo sia in migliori condizioni di salute, quanto piuttosto perché il 70enne ha
avuto il tempo di mettere in campo i meccanismi di compenso cui si accennava.
In base alla sede in cui si riversa il sangue, le emorragie si dividono in:
- interne (es. emoperitoneo);
- esterne (in queste circostanze è spesso possibile effettuare un’emostasi sul campo).
In base al vaso interessato si distinguono in:
- venose (a nappo, sangue scuro);
- arteriose (a spruzzi, zampillio sincrono con il battito cardiaco, sangue rosso vivo);
- capillari.
L’emorragia si produce in seguito ad una lesione del letto vascolare, lesione che può essere di
origine:
- organica (tumore, malattie dell’emostasi e della coagulazione sia primitive che secondarie);
- traumatica (incidenti stradali, ferite d’arma da fuoco, ecc.);
- iatrogena (in corso di procedura chirurgica ovvero di procedure radiologiche invasive).
Segue una classificazione clinico-strumentale datata, tuttavia ancora utilizzata in ambito
ospedaliero.

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Tipo Volume perso HB % volume Diuresi FC Stato Trasfusione
(cc) ematico (mL/h) mentale
Minima I < 500 11 < 15% > 30 < 100 Ansia NO
Modesta II 500 - 1000 9-10 15 – 25 % 20 – 30 100 Agitazione Non indisp.
Grave III 1000 – 2000 7-8 25 – 40 % 5 – 15 > 120 Confusione Necessaria
Massiva IV > 2000 <7 > 40 % <5 140 Letargia Indisp. urg.

Il quadro laboratoristico post-emorragico potrebbe mostrare un valore di emoglobina falsato, non


corrispondente a quello reale, questo perché è possibile che il pz non sia stato ancora reidratato e
si trovi in una condizione di emoconcentrazione. È quindi opportuno non fidarsi unicamente del
valore dell’emoglobina, ma esaminare anche ematocrito e azotemia; un valore elevato di
quest’ultima (es 100) ci conferma la condizione di concentrazione. Il valore di emoglobina andrà
rivalutato a distanza di qualche ora, dopo reidratazione, con suo probabile abbassamento.
Lo stato di agitazione caratteristico del pz emorragico è causato non tanto dalla preoccupazione
legata alla condizione clinica che lo affligge, quanto piuttosto dalla riduzione del livello di ossigeno
che raggiunge l’encefalo.
In ambiente extraospedaliero, quando non si abbiano a disposizione esami di laboratorio o non si
possa quantificare il volume ematico perso, l’indicatore più affidabile ed utilizzato per valutare la
gravita della emorragia è lo stato mentale del pz.
- La clinica dell’emorragia
A seconda della gravità dell’episodio si potranno riscontrare una combinazione delle seguenti
condizioni sintomatologiche:
- Alterazione dello stato mentale;
- Cute fredda, sudata (sudore freddo), pallida (il pallore riguarda sia cute che mucose);
- Sensazione di sete (insorge perché il centro della sete è molto sensibile alle variazioni di
volemia, può essere un indicatore di persistenza della condizione emorragica, magari nel
caso di una emorragia interna, post-terapia);
- Dispnea, polipnea;
- PA diminuita, polso piccolo e frequente;
- Oliguria, anuria (soprattutto nel pz anziano è opportuno posizionare in prima istanza un
catetere vescicale, perché ci permette di avere un dato attendibile della diuresi).
Il pz con emorragia va spogliato e osservato attentamente per indagare possibili focolai emorragici
non evidenti.
- Presidi terapeutici
I presidi terapeutici a disposizione del medico variano a seconda della struttura e del contesto in
cui questo si trovi ad operare (guardia medica, PS, ecc.), ed anche in base alla composizione
dell’equipe sanitaria (presenza di personale infermieristico).
Si raccomandano:

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- ALMENO 2 accessi venosi, uno centrale ed uno periferico (è indispensabile realizzarne
almeno 2 perché non è infrequente che si debba realizzare contemporaneamente una
trasfusione di sangue intero e di plasma, reidratante, ringer lattato o altri);
- Emostasi (nel caso di lesioni evidenti);
- Prelievo per determinazione gruppo ed esami d’urgenza;
- Terapia infusionale di liquidi, colloidi (es. emagel, con l’effetto di rialzare la PA), reidratanti,
glucosate (con particolare attenzione ai pz diabetici, nonostante in emergenza non sia
sempre nota la storia clinica), albumina, ringer (contrastante, quest’ultimo, una condizione
di acidosi metabolica da lieve a moderata);
- Terapia trasfusionale di sangue intero, plasma;
- Ossigenoterapia;
- Posizionamento catetere vescicale;
- Somministrazione di cortisonici (es. in paziente ipoteso in attesa che intervenga il
rianimatore);
- Presidi specifici, come la sonda SB nei casi di varici esofagee e il sondino naso-gastrico nei
casi di ematemesi non accertata (spesso le ematemesi che giungono in chirurgia dal PS
sono in realtà episodi di vomito caffeano o ristagno di cibo putrefatto nei pz con ernia
iatale);
- Richiesta di EGA per valutazione equilibrio acido-base (il valore di Hb dell’EGA potrebbe
essere discordante da quello risultante dal prelievo venoso, in questi casi fare fede al
valore di quest’ultimo, in quanto più attendibile);
- Trasferimento in sala operatoria.
DRENAGGI
Un drenaggio è un presidio chirurgico utile a promuovere la fuoriuscita di liquidi o aria (in
condizioni particolarmente gravi, si consideri uno pneumoperitoneo) da una cavità naturale o
neoformata. I liquidi drenati possono essere:
- risultato di una flogosi (essudato sieroso, siero-ematico, ematico, purulento);
- secrezioni normali degli organi coinvolti (biliare, pancreatica, ascitica, liquido enterico,
materiale fecale/fecaloide, linfa).
I drenaggi sono realizzati in materiali siliconici, inerti; sono flessibili, tali da poter essere introdotti
attraverso fori praticati attraverso la cavità addominale; per evitarne il dislocamento sono ancorati
alla cute.
I drenaggi, successivamente al loro collocamento, sono collegati ad un sistema di raccolta delle
secrezioni, in plastica o in silicone, tale da permetterci di esaminare visivamente la secrezione
(controllo qualitativo) e di quantificarla in volume (controllo quantitativo).
Possono essere categorizzati secondo il meccanismo di funzionamento:
- per capillarità, anche contro gravità: zaffo (garza), penrose;
- a caduta: kehr (tubo a T, per la via biliare), tubulare;
- in aspirazione: soffietti (spesso usati in chirurgia mammaria e tiroidea, i soffietti esercitano
una pressione negativa che richiama il contenuto della cavità in cui è stato posizionato il

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drenaggio; l’utilizzo dei soffietti non è possibile in ogni circostanza e il loro impiego va
valutato con attenzione per evitare complicanze).
La funzione che si persegue quando si posiziona un drenaggio è:
- evacuativa (più frequente);
- preventiva (es. nel momento in cui si effettua una ricanalizzazione e si chiude una stomia,
essendo la porzione in cui questa era localizzata, contaminata e lassa, vi si posiziona un
drenaggio per impedire che vi si formi un ascesso);
- terapeutica (es. instillazione di antibiotici).
I tipi di drenaggi sono:
- tubulari (petzer, jackson-pratt);
- kehr;
- pig-tail (percutanea epatica);
- laminari;
- penrose;
- zaffi.
Ulteriori criteri classificativi:
- per numero:
o singoli;
o doppi;
o multipli (la chirurgia che ne richiede di più è la toilette di una pancreatite acuta
necrotico-emorragica).
- per fissazione:
o liberi;
o ancorati.
Nel post-operatorio degli interventi di chirurgia maggiore è opportuno registrare qualitativamente
e quantitativamente l’essudato prodotto da ciascun drenaggio; presupponendo che i drenaggi
saranno multipli, a ciascuno di essi sarà assegnato un numero e ogni giorno si indicherà il volume e
l’aspetto dell’essudato prodotto; il volume sarà registrato anche nel foglio del bilancio idrico (vedi
oltre).
POST-OPERATORIO
La prima giornata post-operatoria è il giorno successivo dell’intervento, il giorno dell’intervento si
configura, invece, come giornata zero.
Rispetto al passato in cui il pz veniva fatto rimanere immobile per diversi giorni, attualmente sono
stati messi in campo dei protocolli (ERAS) che, al contrario, prevedono il precoce riacquisto della
mobilità del pz, con riduzione dei tempi di degenza. Viene da sé che questi protocolli vengono
applicati su di una platea di soggetti selezionata, non di certo sul “vecchietto con laparotomia xifo-
pubica”.

39
Nell’ambito di questi protocolli, quasi tutti i pz (fanno eccezione alcuni interventi di neurochirurgia
ed altri casi particolari), in prima giornata post-operatoria, possono andare in decubito
semiseduto; ciò consente anche una buona respirazione.
Generalmente i pz che siano stati sottoposti ad una chirurgia, nel post-operatorio sono monitorati
o con l’ausilio dei seguenti presidi:
- monitor con rilevazione ECG, PA, FC;
- catetere vescicale;
o valutando:
- i drenaggi (posizione, angolature (strozzature), compressione);
- il dolore (non sottovalutare la componente psichica del dolore);
- diuresi spontanea (possibile paresi vescicale post-anestesia o anche globo vescicale da
ostruzione del catetere, l’ostruzione può verificarsi ad esempio nei paziente che
mettono per la prima volta il catetere e la procedura di inserzione raschia il muco dalle
pareti, muco che va ad intasare il catetere stesso);
- riflesso della tosse (il pz eviterà di tossire perché ciò gli provoca dolore, è opportuno
invogliarlo a tossire magari invitandolo a coprire la ferita con le mani, allo scopo di
evitare l’accumulo di secrezioni a livello polmonare);
- controllo del corretto posizionamento del catetere venoso centrale (CVC), anche
mediante RX del torace.
Le complicanze sono categorizzate in:
- Precoci:
o Polmonari (atelettasie, ecc.);
o Cardiocircolatorie (crisi ipertensive, infarti muti, ecc.);
o Scompensi glicemici;
o Ipotermia;
o Squilibri elettrolitici.
- Tardive:
o Legate alla ferita chirurgica (infezioni, deiscenze, ematomi, ecc.);
o Infezioni vie urinarie (da catetere);
o Problemi respiratori (embolia polmonare, da scongiurare con terapia
antitromboembolica per 12-15gg);
o Ileo paralitico (dovrebbe regredire autonomamente in 3-4 giornata);
o Problemi di natura psichiatrica/neurologica;
o in chirurgia addominale: deiscenze, fistolizzazioni, raccolte endoaddominali,
peritoniti, pancreatiti, scompensi epatici).
BILANCIO IDRICO
Per bilancio idrico si intende l'insieme dei processi che consentono di bilanciare l'assunzione e la
perdita di liquidi nell'arco delle 24 ore, cioè il rapporto tra liquidi introdotti ed eliminati. In
sostanza, il bilancio idrico è la precisa stima delle entrate e delle perdite, misurate in termini
quantitativi nelle situazioni cliniche caratterizzate da elevate perdite patologiche (come nel caso di
emorragie, ileostomie, colostomie, poliuria, ecc.).

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Il bilancio idrico è rappresentato da un numero che può essere sia positivo che negativo.
In una situazione di normalità, ogni giorno si realizzano le seguenti perdite:
- Urine (1,2 L);
- Feci (200 mL);
- Perspiratio cutanea (600 mL);
- Perspiratio polmonare (400 mL)
per un totale di circa 2-2,4 L.
Queste perdite sono normalmente controbilanciate dall’apporto idrico che proviene
dall’alimentazione: 1,2 L dall’idratazione, 1 L dagli alimenti.
Alterazioni patologiche possono portare questo equilibrio a positivizzarsi (accumulo di liquidi) o a
negativizzarsi (disidratazione).
A seconda delle condizioni in cui il pz si trova (stomie, drenaggi, sondino naso-gastrico, ecc.) sarà
possibile, di volta in volta, andare a quantificare altre secrezioni/die, come:
- saliva (1,2 L), quantificabile in caso di inserimento di sondino naso-gastrico;
- succo gastrico (2 L);
- bile (700 mL);
- succo pancreatico (1,5 L);
- fistole digiunali (1,5 L);
- fistole ileali (1,5 L);
- fistole coliche (500 mL).
Accompagna la perdita di acqua anche il contestuale depauperamento di elettroliti: calcio, cloro,
sodio, magnesio e potassio.
Ogni grado centigrado oltre i 27° comporta una perdita ulteriore di 250 mL/die; un pz con febbre è
un pz che probabilmente si sta disidratando.
Una occlusione intestinale completa a livello del Treitz può comportare una perdita finanche di 7
L/die, con emoconcentrazione, anuria e sintomi neurologici.
Perdite variabili:
- diarrea (volume difficilmente calcolabile, il numero di scariche può darci un’idea dell’entità
della perdita);
- vomito;
- sudorazione (varia anche in baso al peso corporeo, oltre che alla T);
- drenaggi;
- fistole;
- sondino;
- emorragie (spesso anche non manifeste, ce ne accorgiamo perché il pz impallidisce e
diventa anurico).
Entrate variabili:
- idratazione e nutrizione (nel pz che si alimenta);

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- terapia endovena;
- nutrizione parenterale;
- sondino per nutrizione enterale.
Il bilancio idrico dovrebbe essere eseguito seguendo i ritmi circadiani, quindi con una valutazione
che dovrebbe cominciare alle 6 di mattina e concludersi alle 6 del giorno successivo, nella pratica
clinica questa indicazione difficilmente è rispettata e il bilancio viene cominciato e chiuso alla
mezzanotte.
Si raccomanda di prestare attenzione nella lettura del bilancio idrico perché risulta esserci la
cattiva abitudine, nei nostri contesti ospedalieri, di segnare a bilancio la quantità di liquidi che si
intende infondere in tutta la giornata, tutta insieme, all’inizio della giornata, piuttosto che quando
questa sia stata effettivamente infusa; questa abitudine pericolosa non ci permette di avere un
quadro chiaro della situazione istante per istante e potrebbe portarci a prescrivere un diuretico o
ulteriore idratazione ad un pz che in realtà non ne ha bisogno, inducendo magari una
disidratazione o peggio, edema polmonare.
Il bilancio idrico non deve sempre essere pari a 1 (parità), vi sono casi in cui è opportuno che
questo sia inferiore ad uno (cardiopatici a rischio di sovraccarico, nefropatici dializzati, epatopatici)
o superiore ad 1.
Segni clinici di iperidratazione:
- edema (malleoli, fianchi, addome);
- poliuria;
- ipertensione;
- turgore giugulari;
- scompenso cardiaco;
- insufficienza respiratoria.
Segni clinici di disidratazione:
- secchezza delle mucose e della cute;
- letargia;
- ipotensione;
- tachicardia;
- stato mentale confuso (specialmente negli anziani).
Per la valutazione dello stato di idratazione ci vengono in aiuto anche alcuni parametri
laboratoristici:
- azotemia;
- elettroliti;
- ematocrito;
- proteine totali;
- osmolarità;
- densità urine:
o < 1005 -> iperidratazione
o > 1025 -> disidratazione

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A seconda del valore del bilancio idrico e delle condizioni cliniche del pz, sarà compito del medico
andare a riequilibrare condizioni di iperidratazione (con riduzione dell’idratazione e
somministrazione di diuretici) e di disidratazione (idratazione e/o infusione).

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Chirurgia d’urgenza e Pronto soccorso-11/10/2022-Prof.ssa Volpi

INFEZIONI IN CHIRURGIA
Le INFEZIONI IN CHIRURGIA rappresentano degli eventi molto frequenti che comportano mortalità
e morbidità nel post-operatorio soprattutto in soggetti con numerosi fattori di rischio. L’infezione
non è mai a sé stante: è l’interazione tra germe, difese locali e sistemiche dell’ospite e l’ambiente
(nel quale va incluso anche il personale sanitario quindi il personale di sala operatoria, i chirurghi
che operano ecc).

Quindi l’infezione è il prodotto tra contaminazione batterica e virulenza, in rapporto alle difese
dell’ospite. Ovviamente maggiore è la virulenza dei batteri maggiore sarà il grado di infezione che è
sempre inversamente proporzionale alle difese dell’ospite. Per questo motivo tra i fattori di rischio
nelle scorse lezioni si è parlato di una serie di condizioni particolari: epatopatici, nefropatici,
immunodepressi, pazienti trapiantati o che fanno terapia cortisonica. In quest’ultimo caso di solito
si preferisce che il cortisone venga scalato fino ad annullarlo il giorno prima dell’intervento perché i
pazienti che fanno terapie cortisoniche hanno problemi sia nella cicatrizzazione delle ferite cutanee
e di parete sia nelle anastomosi intestinali.

Più i pazienti sono deboli, immunodepressi maggiore è il rischio di infezioni in chirurgia.


In chirurgia si osservano spesso infezioni perché ci sono una serie di situazioni “sporche” che
predispongono a contaminazione>ingresso>localizzazione> moltiplicazione, come secrezioni
biologiche, infarti e necrosi che poi vanno incontro a contaminazione batterica.

PULIZIA DEGLI INTERVENTI


Prima che gli ospedali diventassero aziende si utilizzavano dei cartellini di sala operatoria per
definire le operazioni della giornata, le profilassi, con patologie e diagnosi dei pz: si seguiva un
ordine che prevedesse prima interventi cosiddetti puliti e poi quelli sporchi. Partire con intervento
pulito presupponeva una minore diffusione dei germi all’interno della sala operatoria. Ad oggi sono
cambiati alcuni fattori come l’areazione delle sale operatorie e si osservano altre necessità tra cui
quella dell’equipe non solo chirurgica per eventuali consulti e tempistiche dell’azienda.
Dal punto di vista infettivologico gli interventi sono classificati come:

-PULITI: sono interventi in cui la tecnica è


perfetta. Si parla di tecnica perché l’intervento
fatto da una persona che è in training non sarà allo
stesso livello di una persona più esperta.
In questo tipo di interventi non ci sono
problematiche serie, non si aprono organi
viscerali dell’apparato gastroenterico,
respiratorio e urinario considerando che gli organi
più vicini all’esterno (bocca, faringe, orifizio anale,
retto, vagina, uretra) sono le zone più
contaminate del corpo umano. Il paziente non
presenta alcun segno di infiammazione che può

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evolvere da semplice pa catarrale ecc). Sono ad esempio interventi di ernia inguinale o di
asportazione di lobi tiroidei o di tutta la tiroide. Di solito negli interventi puliti non si fa alcuna
profilassi antibiotica a meno che non si vada a posizionare una protesi erniaria o una rete per
aumentare la resistenza della plastica che essendo di materiali inerti potrebbero diventare sede di
infezione. In questo caso, pur essendo l’intervento pulito, va fatta la profilassi antibiotica.

La presenza di pulizia dipenderà quindi anche dall’utilizzo o meno di profilassi antibiotica.


Questa classificazione si basa su:

- Tecnica
- Apertura di determinati apparati
- Flogosi.

Negli interventi potenzialmente contaminati, contaminati e sporchi, invece, si fa sempre la profilassi


antibiotica.

-INTERVENTI POTENZIALMENTE CONTAMINATI: Esempi di questo tipo di interventi sono: la


colecistectomia in cui non ci sono segni quindi nel paziente che ha calcoli da molto tempo e senza
alcuna condizione di urgenza o la gastrectomia. In questi casi non si fa fuoriuscire il contenuto nella
cavità addominale perché con le pinze che si usano il contenuto non si disperde seppure c’è una
potenziale contaminazione nel punto in cui si opera però è potenziale, non è certa. Anche in questo
caso c’è un’assenza di infiammazione.

-INTERVENTI CONTAMINATI: possono essere contaminati perché la tecnica è stata imperfetta, per
perdite dal tubo digerente, perché c’è una flogosi in atto (ad es. flogosi purulenta dove già si sa che
ci saranno germi). Un esempio può essere l’intervento di colecistectomia in una paziente che ha una
colecistite acuta.

-INTERVENTI SPORCHI: sono tipici di pazienti che vengono rioperati perché hanno complicanze
come una peritonite stercoracea determinata dalla la perforazione di alcuni visceri con fuoriuscita
del contenuto in addome; c’è la presenza di pus e non solo, ci può essere gangrena e materiale
necrotico o addirittura secrezioni o materiale urinario e fecale. C’è sempre apertura di viscere o
necrosi.
Attualmente si può usare la terapia antibiotica come profilassi negli interventi potenzialmente
contaminati ma poi si sospende, a volte si fa anche “one shot” quindi un’unica somministrazione
profilattica oppure si continua per 4 giorni dopo l’intervento. In generale anche nei pazienti con
fattori di rischio oltre la terza giornata non si fa mai la terapia antibiotica.

Negli interventi contaminati e sporchi, invece, non solo si fa la terapia antibiotica ma molto spesso
si fanno più antibiotici per coprire aerobi e anaerobi, gram+ e gram-.

Ovviamente per gli interventi sporchi è importante non lasciare in situ materiale purulento, fecale
perché altrimenti sicuramente il soggetto si reinfetterà e avrà bisogno di un reintervento.

Ciò a cui bisogna prestare attenzione è la prevenzione della contaminazione esogena ed


endogena dal momento che vengono già fatte la profilassi antibiotica e la medicazione delle ferite

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chirurgiche anche in ambiente settico (l’ambiente completamente asettico non si realizza da
nessuna parte ancor meno negli ospedali).

Bisogna inoltre cercare almeno di equilibrare i fattori di rischio se non si riesce ad eliminarli del
tutto. Nel paziente diabetico, ad esempio, valori elevati di glicemia persistenti non solo rallentano
la cicatrizzazione ma predispongono alle infezioni quindi in un diabetico la cosa fondamentale è
normalizzare la glicemia.

Nella prevenzione della contaminazione


esogena rientrano:
A. Preparazione del paziente
I focolai presenti devono essere trattati
prima dell’intervento. La durata della
degenza rappresenta un fattore di rischio per
le infezioni nosocomiali.
Ci deve essere poi la preparazione della cute.
Normalmente si segue un iter: si fa un bagno
la sera prima e la detersione subito prima
dell’intervento, tricotomia (anche con creme depilatorie-usate poco), iodizzazione della
cute al fine di eliminare focolai infettivi. Un paziente che ha già un’infezione non va in sala,
si preferisce fare prima terapia e una volta debellata procedere con la chirurgia.

B. Preparazione del team chirurgico: in sala operatoria ci sono cose che si possono toccare e altre
no quindi bisogna saperlo altrimenti si rischia di contaminare il campo operatorio. Include sia le
modalità di entrata del team in sala sia la pulizia. Ci sono una serie di misure che vengono
rispettate dal personale di sala. Mentre prima c’erano meno strumenti per la disinfezione adesso
ci sono più strumenti ma “c’è questa moda di andare in giro con le divise per cui con la divisa con
cui si è eseguito un intervento per un fecaloma si va a fare una consulenza in cardiochirurgia
portandosi appresso i germi”. In teoria la divisa andrebbe riposta nel cesto della roba sporca dopo
l’intervento cosa che nella pratica non avviene. C’è poi la vestizione del chirurgo che è intoccabile

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davanti e può essere toccato nella parte posteriore. E’ importante il lavaggio delle mani fino al
gomito, spazzolatura delle unghie e uso di guanti.

C. Preparazione della sala operatoria: ridurre al minio gli scambi con l’esterno (il chirurgo deve
rimanere in sala operatoria fino alla fine, non può ad esempio rispondere al telefono. Se ha bisogni
fisiologici si cambia e poi si riveste nuovamente).

D. Preparazione degli strumenti chirurgici

E. Tecnica operatoria: se non effettuata correttamente può trasformare un intervento


normalmente pulito in contaminato.
La tensione dei margini di una ferita predispone a necrosi degli stessi e a infezione in un secondo
momento.

F. Durata proporzionale alla entità della moltiplicazione e delle complicanze infettive.

Contaminazione endogena
La scelta della profilassi antibiotica dipende dal tipo di intervento che si andrà ad eseguire. Infatti
sappiamo che stomaco e duodeno sono poco popolati, a differenza del colon che presenta una
flora importante di germi sia aerobi sia anaerobi.
Ovviamente il chirurgo deve evitare di riversare il contenuto dei visceri o di promuoverne la
diffusione. Potremo osservare raccolte a livello pelvico o sottodiaframmatico a seconda della
posizione del pz nel post-operatorio (Trendelemburg/anti-Trendelemburg).
Tempo fa prima degli interventi soprattutto del colon si usava una preparazione per ridurre la
quantità di feci e pulire l’intestino come prima di una endoscopia. Le evidenze hanno però
dimostrato che questo non incide sulle infezioni per cui si riduce il consumo di scorie prima di questi
interventi ma non si adoperano queste soluzioni. La profilassi antibiotica è fondamentale ed è
molto efficace: può essere locale, sistemica o orale, negli interventi da contaminati in poi in
chirurgia si fa terapia sistemica, così come negli interventi in cui si usano materiali inerti che
possono dare infezione.

Non è necessario medicare ogni giorno le ferite pulite; al contrario, quelle sporche vanno medicate
ogni giorno per rimuovere il materiale e se c’è febbre e leucocitosi persistente vanno ispezionate
giornalmente eseguendo, se è il caso, un tampone per esame colturale per distinguere agente
eziologico cutaneo da agente proveniente dal colon. Se non sono ferite dopo interventi sporchi
possono essere medicate anche ogni 2-3 giorni a seconda dei casi.
È inoltre importante toccare la ferita per apprezzare possibili segni di flogosi e presenza di ascesso
[segno della fluttuazione] o secrezione dalla ferita (materiale di disfacimento
linfonecrotico/pus/sangue). Quando c’è una secrezione della ferita si fa SEMPRE partire un esame

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colturale anche se il paziente è apiretico, dopo 2 giorni potrebbe diventarlo e avendo già fatto un
esame colturale si sa già il germe responsabile della situazione infettiva.

Fattori di rischio per infezione chirurgica: età, obesità (sia per chirurgia in generale sia per infezioni
con tassi di mortalità elevati anche per chirurgia media), malnutrizione, DM, cirrosi, epatopatie
croniche scompensate, pz debilitati/terminali/immunodepressi.
Segue una carrellata di concetti di semeiotica da conoscere per l’esame. Uno dei patogeni che più
frequentemente ci dà infezioni è lo S. Aureo, facilmente distinguibile in coltura dai patogeni

residenti sulla cute per le diverse resistenze.


Com’è formato un ascesso: esternamente c’è una membrana piogenica e all’interno vi è un liquido
che andrà incontro a colliquazione, poi il pus cerca la via per drenare all’esterno per cui avremo le
varie manifestazioni come ascesso sebaceo, ascesso da cisti sacrococcigea, ascesso dentale ecc.
In questi casi con un minimo ascesso cutaneo è sbagliato che il mmg dia il Gentalyn perché non
penetrano a livello dell’ascesso, per cui quando si osservano i segni dell’ascesso si può:

- Aspettare normale apertura dell’ascesso all’esterno, ma il pz avrà dolore;


- Drenare l’ascesso con ago a seconda del tipo.

Prima che si arrivi alla colliquazione si può ricorrere al posizionamento di impacchi caldo-umidi
(borsa acqua calda) che determina colliquazione e drenaggio.
Bisogna drenare totalmente il pus dalla cavità onde evitare che l’ascesso si riformi: si facilita il
drenaggio posizionando ad esempio il drenaggio a zaffo o quello Penrose o delle garze.

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In caso di flemmone che diffonde lungo i tessuti sarà facile osservare tumefazione, aumento del
termotatto, iperemia.

Queste condizioni se prese in tempo possono essere risolte.

LESIONI TRAUMATICHE
Bisogna sempre ricordarsi che quando si vede un paziente traumatizzato oltre a denudarlo
completamente sul lettino è necessario descrivere qualsiasi lesione sia nella zona che nel tipo.

Questa cosa nei traumi e nelle lesioni traumatiche è estremamente importante: oltre a capire che
tipo di lesione ci troviamo davanti, dobbiamo anche capire quale è stato l’agente che ha potuto
produrre una lesione del genere e, quindi, anche la causa che ha determinato il trauma stesso; la
descrizione di queste lesioni è importante anche dal punto di vista medico-legale (tenete presente
che tra queste lesioni noi parleremo anche delle ferite da arma da fuoco, quindi capite bene dal
punto di vista medico-legale quanta e quale importanza possano avere in problemi di natura
legale, tipo omicidi, ecc.).
Distinguiamo le lesioni traumatiche in:
- Lesioni traumatiche provocate da agenti meccanici;
- Lesioni traumatiche provocate da agenti chimico-fisici.
La parte chirurgica interessa principalmente le lesioni traumatiche provocate da agenti meccanici;
perciò, non tratteremo nel dettaglio le lesioni provocate da agenti chimico-fisici (ustioni,
causticazioni, folgorazioni, sostanze ionizzanti) perché non riguarda la chirurgia d’urgenza.

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Le lesioni da agenti meccanici si dividono in due grosse famiglie:
- Ferite;
- Contusioni.
Ci sono situazioni in cui ci possono essere entrambi i meccanismi. Molto spesso, ad esempio
quando leggiamo i report del 118, ci rendiamo conto che non solo l'anatomia non viene
considerata, ma molto spesso lesioni che possono essere gravi sono misconosciute e non vengono
descritte, mentre altre lesioni di scarsa importanza lo sono.
Dobbiamo sempre tener conto sia della patogenesi, cioè del meccanismo in relazione al quale si
determina la patologia, sia dell’agente vulnerante, sia dell’intensità del trauma: questi sono i tre
cardini sui quali si poggia la descrizione e la diagnosi di questo tipo di lesione.
Nelle ferite è ben riconoscibile l’agente vulnerante, mentre nelle contusioni è ben visibile anche il
meccanismo patogenetico che ha determinato la lesione stessa (unghiature, morsi, strappamento
e schiacciamento, investimenti). In questo caso vi è un corpo smusso che fa da corpo contundente.
A seconda della forza con cui viene prodotto il colpo si possono verificare da semplici ecchimosi
fino alla necrosi.
Ciò che è importante è innanzitutto che nella ferita si vede la soluzione di continuo che non è
invece evidente nelle contusioni o per lo meno non in tutte; si riconosce, inoltre, il tipo di agente
vulnerante quindi si possono avere ferite da punta, taglio, punta e taglio, da arma da fuoco,
contuse in cui oltre alla soluzione di continuo c’è ecchimosi e necrosi, lacere in cui oltre alla ferita
e alla contusione c’è un meccanismo di strappamento (lacerazione) o lacero contuse.
Iniziamo con le CONTUSIONI. Cosa è una contusione?

È l’azione di un corpo
contundente a superficie
smussa (ad esempio, un
martello o mazza da baseball)
che agisce con violenza
dall’esterno.
Le lesioni determinate da
questo corpo contundente a
superficie smussa variano in
base all’intensità (o forza) del
trauma: più è intenso il trauma,
maggiore è il danno che procura
ai tessuti.

Nella classificazione vedete che le contusioni in relazione al trauma si distinguono in:


- Ecchimosi di primo grado;
- Ematoma;
- Necrosi.
(Molto spesso si confonde un'ecchimosi con un ematoma; quello che nel linguaggio gergale
chiamiamo livido in realtà è una ecchimosi, non un ematoma. L’ematoma è più importante di una
semplice ecchimosi.)

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ECCHIMOSI
È dovuto alla rottura di piccoli vasi o capillari; inizialmente si può osservare un'area eritematosa a
livello della superficie contusa e in alcuni casi c’è anestesia o ipoestesia (ossia perdita di
sensibilità).
Queste piccole rotture si chiamano petecchie, a poco a poco un insieme di petecchie produce una
suggellazione; se questa ecchimosi ha una disposizione di tipo laminare parliamo di soffusioni
emorragiche (frequenti negli arrotati negli incidenti stradali a livello della parete toracica e
addominale).
La violenza posta in questi casi è minore di quella che ci darà necrosi dei tessuti; infatti, l’ecchimosi
è la lesione che determina meno danni ai tessuti.

EMATOMA
Dal punto di vista clinico, osserviamo un ematoma quando si rompe un vaso un po' più grande,
fuoriesce del sangue che si raccoglie in una cavità neoformata, sia sottocutanea ma anche più
profonda (ad esempio all’interno dell’addome come gli ematomi epatici); questo ematoma di
solito va incontro a processi di riassorbimento, però ci sono molti casi in cui la raccolta di sangue è
piuttosto cospicua e si formano delle pseudocisti che possono essere riassorbite in lungo tempo
oppure possono determinare suppurazione con conseguente ascesso.
Le zone più frequenti sono quelle che hanno tessuti che si lasciano scollare, determinando proprio
anche dal punto di vista anatomico un ematoma abbastanza importante, e sono palpebre, scroto e
cuoio capelluto.
Dal punto di vista obiettivo, vediamo una tumefazione che inizialmente è dolente (a differenza
dell’ecchimosi che non fa male) spontaneamente e alla palpazione, non si riesce a toccare, poi
fluttua e diventa teso-elastica con aumento del termotatto; a volte c'è anche la presenza di
crepitio, quando all'interno di questa raccolta iniziano a formarsi dei coaguli che creano attrito con
le pareti (all’esame obiettivo si rilevano posizionando la mano sull’ematoma in corrispondenza dei
coaguli).
Quindi, nell'ematoma il danno è a carico di un vaso più grande e questo ci porta a porre una
maggiore attenzione a questo tipo di lesioni. In alcuni casi è necessaria l’emostasi che si può fare
talvolta solo in sala operatoria.

NECROSI
Un corpo contundente che
agisce con ancora più forza
determina la necrosi dei
tessuti.
Questa lesione traumatica è
dovuta sia al
danneggiamento tissutale
provocato dal colpo, sia alla
diminuzione dell’apporto
sanguigno al tessuto in
seguito alla rottura dei vasi
determinata dal colpo stesso
quindi vi è anche l’ischemia.

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Questa situazione determina una distruzione proprio del tessuto cutaneo e anche muscolare,
perché anche i piani profondi possono essere interessati. In alcuni casi la contusione è molto
importante però non danneggia la cute, a volte possiamo avere aree molto dolenti in cui però la
cute è integra.
Essendo contenuta emoglobina all’interno di queste lesioni è chiaro che ci sarà un cambiamento di
colore che da essere rosso vivo diventa rosso scuro, poi blu-verdino fino a diventare giallo.
Dal punto di vista clinico, inizialmente è presente ischemia del tessuto danneggiato, poi a poco a
poco compare il colore nerastro dovuto al fenomeno necrotico.
Ci sono alcune lesioni che interessano i vasi linfatici, per esempio quelle dei pugili a livello del
padiglione auricolare detti sieromi linfatici: i colpi ricevuti determinano la rottura dei vasi linfatici
con conseguenti piccole raccolte sierose, dunque possiamo notare tumefazioni che però sono
piene di linfa.
A volte, insieme a questo quadro contusivo che abbiamo visto (ecchimosi, ematoma e necrosi), ci
possono essere delle ABRASIONI e delle ESCORIAZIONI.
L'abrasione è la lesione più “stupida”, consiste nella discontinuità solo degli strati superficiali
dell'epidermide; nel momento in cui la lesione si approfondisce, può determinare anche una
lesione con esposizione proprio del derma sottostante, chiamata escoriazione.
Soprattutto nei casi di politrauma, incidenti stradali, colluttazione o altro, il paziente presenta
varie lesioni che devono essere riconosciute e descritte, perché potrebbero essere fondamentali
sia nella diagnosi di altre situazioni più importanti sia dal punto di vista medico-legale.
Io dico sempre che il paziente politraumatizzato bisogna spogliarlo dalla testa ai piedi e guardare
ogni sorta di lesione e soprattutto visitarlo: “il paziente presenta svariate ecchimosi” oppure “il
paziente presenta una soffusione emorragica a livello della parete addominale destra/sinistra”
oppure “il paziente presenta un ematoma a livello della faccia anteriore della coscia” oppure “il
paziente presenta aree necrotiche con perdita di sostanza a livello degli arti inferiori”.
Inoltre, molto spesso dobbiamo anche descrivere abrasioni ed escoriazioni, perché abbiamo visto
che in alcune contusioni non necessariamente ci sono le concomitanti lesioni cutanee, per cui
quando iniziamo a vederle dobbiamo renderci conto se sotto l’abrasione e sotto l’escoriazione c’è
magari una lesione più importante. Questo ci fa capire che le ecchimosi sono sì le lesioni “stupide”
che ci facciamo quotidianamente, ma che in pazienti politraumatizzati possono celare danni più
profondi. Di queste lesioni vanno sempre descritti: sede, grandezza e dimensioni. Ad esempio i
pazienti che vengono investiti o trascinati, anche se non hanno traumi dal punto di vista osseo,
hanno escoriazioni incredibili che a volte occupano tutta la schiena, la faccia posteriore degli arti
inferiori quindi devono essere documentate perché vuol dire che il paziente è stato trascinato.
Quindi sono tutte notizie che possono essere importanti.
Passiamo alle FERITE.
Le ferite, in relazione all’agente vulnerante, può essere:
- da punta;
- da taglio;
- da punta e taglio;
- da arma da fuoco;
- contuse;
- lacere;
- lacero-contuse.

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Nel caso della ferita è
riconoscibile l’agente che l’ha
determinata. Anche in questo
caso, il primo esame da fare è
quello obiettivo, che sarà
diverso da quello effettuato
per i casi di contusioni perché
la ferita è qualcosa di visibile,
quindi dobbiamo capire se è
una ferita superficiale o se è
una ferita profonda.

Il primo sguardo che bisogna dare in questi casi è a livello della sede: in alcune zone può non
essere importante, invece in altre sedi è essenziale, come nelle zone dotate di strutture vascolari
superficiali importanti, ad esempio a livello inguinale o a livello del collo, ecc.

Dobbiamo valutare il sanguinamento attivo, che può essere arterioso, venoso, a nappo. Questi
ultimi sanguinamenti si realizzano quando l’agente vulnerante agisce quasi tangenzialmente, di
conseguenza viene esposto il derma e il sanguinamento non deriva solo da un vaso sanguigno
distrutto, ma da una rete di vasi sanguigni: questo provoca un sanguinamento diffuso che viene
definito “a nappo” cioè una specie di laghetto. Se la ferita ha lesionato un vaso arterioso (ad es
l’arteria femorale) e non viene subito riconosciuta il paziente può morire in pochi minuti.

A volte possiamo avere proprio un ematoma pulsante che ci fa capire che la ferita è alimentata da
un vaso e ciò che si sente è la pulsazione riflessa.

Possiamo avere segni periferici di ischemia (cute fredda ad esempio)

In alcune ferite a livello addominale possiamo avere anche la fuoriuscita di visceri (eviscerazioni),
mentre a livello toracico possiamo avere la fuoriuscita di secrezioni e di aria. Questo ci dice
chiaramente che il paziente è in uno stato di emergenza e necessita di un trattamento chirurgico.
Ci sono casi caratterizzati da una grossa perdita di sostanza, che non interessa solo gli strati
superficiali e profondi (strato cutaneo e muscolare), ma anche organi viscerali.
È importante capire soprattutto nelle ferite da arma da fuoco il tragitto percorso dall’agente
vulnerante, perché in questa maniera si possono determinare anche delle lesioni interne che
dobbiamo considerare.
Bisogna inoltre valutare se la ferita è contaminata (ad esempio da una arma sporca di terreno)
perché bisognerà fare una profilassi antibiotica e anche antitetanica.

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Una ferita è una soluzione
di continuo recente delle
parti molli che determina
una discontinuità degli
strati superficiali.
A seconda della forza che
viene imposta dall’agente
vulnerante, potrà essere:
- ferita superficiale;
- ferita profonda (se
interessa anche i
piani muscolari più
profondi).

La ferita superficiale si descrive tranquillamente ed è il piccolo taglietto che vi fate mentre cucinate
o quando toccate i fogli dei libri; invece, quando la lesione giunge ai piani muscolari più profondi, la
ferita viene definita profonda.
In relazione al tragitto compiuto dall’arma, la ferita profonda è descritta come:
- PENETRANTE, se la ferita raggiunge una cavità del corpo (ad esempio, ferita penetrante
dell’addome con interessamento dello stomaco: l’agente vulnerante ha prodotto una
lesione che va dalla parete cutanea fino all’interno della cavità addominale);
- TRAPASSANTE, se l’agente vulnerante attraversa completamente un intero organo (ad
esempio, ferita trapassante a livello epatico);
- TRASFOSSA, se l’agente vulnerante attraversa una sede corporea e fuoriesce all’esterno
(sono più tipiche delle armi da fuoco).
Dal tipo di ferita si riesce a capire quale è l’agente vulnerante che l’ha causata (tranne in alcuni
casi in cui sono presenti anche contusioni che rendono più difficile il riconoscimento, però diciamo
in generale che molto spesso anche queste ultime vengono diagnosticate subito all’ispezione).
Ricapiatolando, le ferite possono essere:

1. Da punta;
2. Da taglio;
3. Da punta e taglio;
4. Contuse;
5. Lacere;
6. Lacero-contuse.

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- In una ferita da punta l’agente vulnerante è un corpo appuntito e sottile (ma può anche
essere un po' più spesso), che agisce su una superficie ristretta; le ferite da punta
presentano un foro d’entrata che riproduce l’agente vulnerante; per esempio, il morso di
serpente determina una ferita triangolare nel caso della vipera, cilindrica nel caso della
biscia o di altri serpenti, una iniezione intramuscolo determina con l'introduzione di un ago
una ferita e rimane questo puntino che ci fa capire che è stato un ago che ha determinato
la lesione), ecc.
- Nella ferita da taglio, invece, l’agente vulnerante è un agente che agisce strisciando e
premendo; sono le tipiche ferite da arma bianca. La ferita da taglio più frequente è la ferita
chirurgica, perché viene utilizzato il bisturi (che è l’agente vulnerante) che striscia e preme
sulla cute e sugli strati profondi. A seconda dei vasi che vengono interessati, queste ferite
saranno accompagnate da emorragie più o meno abbondanti. A volte si può creare anche
un lembo della cute o dei piani sottocutanei.
- Le ferite da punta e taglio sono causate da alcuni strumenti particolari, anche chirurgici
oppure da lame con una punta.
- Le ferite contuse sono quelle in cui c'è anche un meccanismo di contusione, per esempio la
ferita da martellata (frequente soprattutto nei casi di violenze domestiche); oltre alla
contusione sui piani profondi, la cute di solito presenta dei margini ecchimotici, edematosi,
irregolari e frastagliati.
- Nelle ferite lacere la ferita ha dei margini poco visibili, non è una ferita che sanguina molto;
di solito queste sono lesioni in cui al meccanismo di strappamento si associa anche quello
di stiramento.
- Nelle ferite lacero-contuse c'è un meccanismo di trazione e compressione; una ferita tipica
lacero-contusa è quella dovuta al morso di cane: la compressione è data dai denti
dell'animale, il quale poi non solo morde ma tira per lacerare. Si può osservare a seguito di
un trauma stradale.

Questa, per esempio, è una lacerazione a tutto


spessore della mano dovuta ad un incidente
sul lavoro. Quali e quante lesioni possiamo
descrivere? È presente una perdita di
sostanza; questa ferita la possiamo definire
“ferita a lembo”; l’immagine a sx è il prima e
quella a dx è il dopo la pulizia della ferita.

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Queste, per esempio, sono ferite da punta e
da taglio a scopo omicida: vedete che ce ne
stanno alcune che sembrano da punta, le
ferite più alte invece sono sicuramente
ferite da taglio. In questi casi va chiamato il
medico legale.

FERITE DA ARMA BIANCA

Le ferite da arma bianca sono


notevolmente aumentate negli ultimi anni
anche in Italia, nell'ambito di un aumento
generalizzato della violenza; questo per il
fatto che l'arma bianca è un'arma più
facile da reperire e detenere rispetto ad
altre, e quindi purtroppo ci sono molti
ricoveri per questo genere di ferite, a volte
non riconducibili alla criminalità
organizzata e legati a femminicidi oppure
lesioni colpose di altra natura.
Nel periodo post pandemia i numeri sono
aumentati ulteriormente anche in Italia.

L’immagine a sinistra è una ferita da punta in regione inguinale: vedete che è piccola, ma può
determinare una lesione dell'arteria femorale comune; ecco perché vi dicevo che bisogna
guardare il paziente perché anche una piccola ferita può essere importante.

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Nell’immagine a destra vediamo non solo una ferita lineare -per cui capiamo che l’agente
vulnerante è un coltello monolama-, ma anche una piccola zona di iperemia (tatuaggio) che
corrisponde ad una vera e propria ecchimosi, la quale ci fa capire che il coltello è penetrato tutto
all'interno della cavità addominale, per cui l’ecchimosi è il segno prodotto dall’impugnatura del
coltello (vuol dire che il coltello è affondato all'interno dell'addome, l'impugnatura ha toccato la
superficie addominale cutanea e ha determinato un’ecchimosi). Ecco perché vi dicevo che molto
spesso dalla lesione si riesce a capire anche quale è stato l’agente vulnerante.
FERITE DA ARMA DA FUOCO
Le ferite da arma da fuoco, purtroppo,
dalle nostre parti sono abbastanza
frequenti. Queste ferite vanno descritte
attentamente perché sono di interesse
medico legale. Sono ferite determinate
da proiettili animati da una forza viva,
ossia dalla combustione della polvere
da sparo.
Queste lesioni sono caratterizzate da:
un foro d'entrata, un tragitto e (non
sempre) il foro d'uscita; a volte accanto
a queste lesioni possiamo trovare segni
di ustioni o di tatuaggio in corrispondenza del foro d'entrata. Quando si vede il tatuaggio vuol dire
che la pistola è stata poggiata sulla cute della persona. Quindi, prima vi ho detto che il paziente
politraumatizzato deve essere “spogliato”, allo stesso modo anche quello che noi definiamo lo
"sparato” deve essere valutato a fondo: sarà poi una questione del medico legale, però nell'esame
obiettivo che noi facciamo a questo paziente dobbiamo tener conto se ci sono fori d’entrata o fori
d’uscita, inoltre quando c'è più di una lesione da arma da fuoco dobbiamo cercare di capire se il
numero dei fori d’entrata corrisponde al numero dei fori in uscita (se ci sono tre fori d'entrata e
uno solo d'uscita vuol dire che i proiettili sono ritenuti e magari sono ritenuti in organi molto
importanti, quindi dobbiamo sempre valutare e cercare di riconoscere il foro di entrata e il
tragitto).
Negli USA, dal momento che la quantità di armi che circolano è maggiore, i morti per arma da
fuoco sono stati maggiori rispetto al resto del mondo. L’Italia rappresenta il primo paese europeo
per numero di omicidi da arma da fuoco; questa situazione dovrebbe essere tenuta sotto
controllo, perché in Italia tra le persone comuni non circolano molte armi come invece negli Stati
Uniti, per cui queste lesioni appartengono per lo più alla criminalità organizzata.

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Negli Stati Uniti ci sono 2,97 omicidi
ogni 100 mila abitanti, in Italia il
rapporto è di 0,71 ogni 100 mila
abitanti.

Questa è una vecchia casistica che risale a


circa 35 anni fa: gli Stati Uniti erano già i
campioni, ma in questa classifica l’Italia non è
presente mentre negli ultimi anni il nostro
Paese ha scalato le classifiche mondiali per
lesioni da arma da fuoco rientrando in queste
classifiche.

Quali sono le lesioni da arma da fuoco?


Sono lesioni che si producono con
un'arma da fuoco, cioè un congegno che
sfrutta l’energia di gas sprigionati dalla
combustione rapida di polveri esplosive,
per lanciare a distanza delle masse
pesanti, come i proiettili.
Solo per vostra conoscenza personale,
abbiamo le armi da fuoco a bassa
energia o a elevata energia cinetica, a
proiettile singolo o a proiettili multipli,
che determinano lesioni individuali o di
massa.
Le armi con proiettili multipli sono i fucili a pompa (gli shotgun) e le armi da caccia; invece, pistole
e revolver (nell’immagine in basso a sinistra) sono a proiettili singoli.
Nel caso della pistola il bossolo viene espulso, nel revolver invece resta nel caricatore:
fortunatamente sono più diffuse le pistole, sicché è più semplice ritrovare il bossolo. Questo può
essere utile saperlo se ci si ritrova sul posto e si rinviene il bossolo che va consegnato al

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carabiniere. Nell’immagine in basso a destra vediamo le armi a canna lunga, fucili d’assalto M16 e
Kalashnikov.
Quali sono i fattori che ne aumentano la lesività?
1) L'arma: tipologia di arma,
tipologia di proiettili, velocità e massa
del proiettile;
2) Circostanze ambientali: si
riferisce alla situazione della criminalità
all'interno di una città, o ad un
ambiente bellico vero e proprio, o
ancora al terrorismo;
3) Organi e i tessuti colpiti: parti
molli, organi solidi, apparato vascolare,
apparato scheletrico; dobbiamo
cercare di capire -come vi dicevo
prima- che organo è stato
interessato/attraversato, perché la mortalità può essere importante. Ci sono proiettili che
“per fortuna” vanno ad ostruire dei vasi impedendo il sanguinamento. La maggior parte dei
proiettili, invece, determina la lesione di un vaso causando emorragia.
Come si determinano queste lesioni da arma da fuoco?
Nell’immagine in bianco c’è la cute, in giallo il sottocute, poi il muscolo e l’osso. Possiamo avere
varie tipologie di ferite.
Ferita superficiale: viene interessato il
piano superficiale, cute e sottocute;
Ferita profonda, semplice: è interessato
anche il piano muscolare;
Ferita profonda, trapassante: ferita da
arma da fuoco in cui vi è
l’attraversamento del proiettile che
fuoriesce poi dall’organo;
Ferita penetrante, semplice: la lesione
raggiunge una cavità corporea (ad
esempio, la cavità addominale) senza
fuoriuscirne;

Ferita penetrante, trasfossa: la lesione attraversa la cavità corporea e fuoriesce dalla cavità stessa
di solito dalla parte opposta.
Quindi tutti questi tipi di lesioni (1, 2, 2a, 3, 3a) possono essere causati da ferite da arma da fuoco.
Le ferite superficiali si suddividono in:
- Ferite superficiali “a doccia”;
- Ferite superficiali “a canale”.

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Nella ferita superficiale a doccia, il proiettile passa tangenzialmente a livello cutaneo e determina
proprio la formazione di una doccia; le ferite superficiali a canale sono le lesioni che si producono
spesso a livello degli arti e attraversano lo strato superficiale determinando la formazione di un
vero e proprio canale, al di sopra del quale può esserci tessuto necrotico. In questi casi non c’è
bisogno di ricovero, basta mettere una medicazione. Sono ferite di scarsa importanza, di solito si
trovano in soggetti pregiudicati.

Nell’immagine in alto a destra vediamo il foro di entrata. Si tratta di una ferita da arma da fuoco a
distanza ravvicinata (*riprende questa immagine più tardi*); come si capisce che è una ferita a
distanza ravvicinata? Perché la polvere da sparo ha determinato una lesione intorno al foro di
ingresso, quindi è presente un tatuaggio dovuto alla vicinanza del calore della polvere da sparo.

L’immagine in alto a sinistra è una ferita da guerra. L’immagine in alto a destra è un quadro che
nel passato si vedeva molto spesso, quando la caccia era più diffusa; infatti, queste lesioni sono
ferite da pallini di fucile da caccia, le peggiori (per certi versi) in assoluto perché possono
determinare sequele -anche a vita-, possono determinare lesioni importanti -a volte anche
mortali- e, se non sono mortali, bisognerà capire dove stanno tutti questi pallini, insomma un
grande lavoro per il medico e fortunati (si spera) esiti per il paziente.

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Questo è un altro esempio di ferita penetrante
da arma da fuoco: se la ferita non è
trapassante (dunque è presente ancora il
proiettile nel corpo), quando il proiettile viene
ritrovato in sala operatoria deve essere
consegnato immediatamente all'autorità
giudiziaria; di solito, quando c'è uno “sparato”,
in PS è accompagnato da Carabinieri o Polizia,
quindi si può dare a loro questo materiale.

(*riprende l’immagine della ferita da arma da fuoco a distanza ravvicinata*) In questa immagine
notiamo il foro di entrata del proiettile, che di solito assume una forma abbastanza regolare: il
proiettile è uscito dall'arma, non incontrando altri tessuti penetra nel tessuto corporeo e abbiamo
visto che al massimo può dare un tatuaggio nei pressi del suo foro di entrata, se l'arma è molto
vicina alla cute; quindi, provoca una ferita che può essere profonda, penetrante, trapassante o
trasfossa, come abbiamo già visto.
Il problema è che durante il passaggio all'interno della cavità addominale, all'interno di un organo
e pensate anche all'interno di un osso, il proiettile può essere in qualche maniera deformato.
Quindi che succede? Quando il proiettile fuoriesce dalla cavità addominale è un proiettile
deformato che determina un foro d'uscita non più regolare come quello di entrata, per cui i fori di
entrata sono abbastanza regolari, i fori di uscita possono presentare delle piccole contusioni
oppure possono assumere quasi l'aspetto di ferite profonde lacero-contuse. In sintesi, l'orifizio
d'uscita è un orifizio irregolare, a differenza di quello di entrata che è abbastanza regolare.
Talvolta il proiettile può determinare la frattura di alcune ossa (ad esempio dello sterno) creando
frammenti che possono agire da proiettili secondari e rendersi responsabili del decesso del
paziente (ad esempio una scheggia che va a finire nel cuore). Chiaramente più ossa sono
interessate più proiettili secondari si producono.
Tenete presente che, come vi ho già detto, bisogna SEMPRE chiedere nella anamnesi al paziente
quanti colpi ci sono stati; se il paziente non ha queste informazioni, bisogna chiedere alle autorità
giudiziarie che lo hanno accompagnato in PS, perché è importantissimo contare il numero dei fori
in entrata, paragonarli al numero dei fori di uscita e capire se ci sono proiettili ritenuti che devono
essere ricercati attraverso esami strumentali più approfonditi.
Potrebbero capitare pazienti che hanno un rapporto costante con le ferite da arma da fuoco,
soprattutto se sono pazienti che fanno parte della criminalità locale organizzata, per cui non è
sorprendente ritrovare proiettili ritenuti in più, derivati da vecchie sparatorie.
Quindi, in questo tipo di pazienti potreste ritrovare in alcuni casi altre lesioni o la presenza di corpi
estranei che i radiologi vi riferiranno come proiettili, anche in altri organi, che non hanno nulla a
che vedere con la lesione che si è determinata e si sta valutando nel momento della visita. È
importantissimo, dunque, valutare anche QUANTE lesioni sono presenti.

Quali sono le conseguenze di una ferita da arma da fuoco?

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Le conseguenze più comuni sono: il
sanguinamento, il dolore e la
diastasi (cioè l’allontanamento) dei
margini della ferita, i cui lembi si
allontanano sempre di più.
Ci possono essere, poi, altre
conseguenze più specifiche, ossia i
danni dovuti proprio al passaggio del
proiettile nei tessuti: un danno
tissutale, una lesione profonda, una
perdita di sostanza sia superficiale
sia profonda.
Per ultimo vi sono le conseguenze
che si instaurano in un secondo
momento, dopo la cicatrizzazione.

Come guarisce una ferita locale?


Le modalità di cicatrizzazione possono essere: per prima intenzione, per seconda intenzione o per
terza intenzione; queste modalità di cicatrizzazione valgono per tutti i tipi di ferite.
Una ferita che
guarisce per prima
intenzione è quella
in cui è sufficiente
solamente
l'avvicinamento dei
margini, è una tipica
ferita in cui i lembi
non sono diastasati,
cioè non sono
distanti tra loro,
e in cui si ha subito
l’iniziale
cicatrizzazione.
Diciamo che la
maggior parte delle
ferite guarisce per
prima intenzione.
Nella pratica clinica, invece, soprattutto nel caso di infezioni delle ferite chirurgiche, la guarigione
avviene per seconda intenzione. Prendiamo il caso di una infezione sopraggiunta sulla ferita: si ha
la produzione di secrezione che potrà essere prima sierosa, poi purulenta eccetera, fino a
scomparire grazie alle dovute medicazioni; a questo punto, piano piano la cicatrice si forma e inizia
il processo di guarigione della ferita, che sarà sicuramente più lento -a volte queste ferite
guariscono in parecchio tempo, ma l’importante è che la guarigione avvenga anche se a distanza di
tempo.

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Una ferita che guarisce per terza intenzione è una ferita infetta che abbiamo cercato in qualche
maniera di far cicatrizzare anche in tempi lunghi, ma non riesce a cicatrizzare perché magari ci
sono dei fattori relativi alla cute, al sottocute e al paziente stesso; allora, a livello chirurgico
andiamo a rimettere i punti per rifavorire la cicatrizzazione.
In sintesi, una ferita guarisce per prima intenzione quando è una ferita lineare, senza dilatazione e
distanziamento dei margini, e guarisce normalmente in 7-10 giorni; una ferita che guarisce per
seconda intenzione è una ferita sede di infezione che, poco a poco e lentamente, una volta
superata l'infezione, cicatrizza in tempi molto più lunghi e non è lineare; se la ferita non riesce a
guarire del tutto perché è una ferita infetta, una volta superata l'infezione, saremo noi chirurghi a
rimettere i punti e quindi far guarire la ferita per cosiddetta terza intenzione (questo è utile ad
esempio nei casi di reintervento). Le ferite che guariscono per terza intenzione necessitano di
frequenti medicazioni e si verificano soprattutto in soggetti con molti fattori di rischio.
In alcuni casi, per lesioni importanti, il paziente va portato in sala operatoria. A volte l’intervento
può essere molto complesso come nel caso in cui il proiettile venga sparato in addome e vada a
perforare 3-4 volte l’intestino e il colon: in questo caso ci può essere spandimento di secrezione
fecale quindi si rischia che le suture fatte non tengano. La ripresa di questi pazienti è abbastanza
difficile perché potrebbe rendersi necessaria la colostomia o l’ileostomia.

EMOPERITONEO
L’emoperitoneo rientra nel capitolo dell’addome acuto e può essere un’emergenza in chirurgia.
L’addome acuto è una sindrome (quindi segni e sintomi) comprendente numerose condizioni
morbose a varia eziologia. Queste hanno in comune fondamentalmente una situazione dolorosa a
livello addominale, insorgono acutamente, possono avere una prognosi infausta anche in breve
tempo e, molto spesso, beneficiano dell’intervento chirurgico, quindi il pz andrà in sala operatoria
in situazioni di urgenza o emergenza.
Nel classificare i vari quadri clinici che compongono questa sindrome si identificano:
- Perforazione
- Occlusione
- Emorragia digestiva ed emoperitoneo
- Altre patologie
Molto spesso, soprattutto un emoperitoneo in cui la perdita ematica è notevole, è una situazione in
cui il pz può arrivare non solo in urgenza, ma anche in emergenza non passando dal pronto
soccorso e andando direttamente in sala operatoria. Ovviamente non passa neanche dal reparto.
Abbiamo visto che sono quei pz in cui il rischio di mortalità è elevatissimo per 2 motivi principali:
o per il problema che ha determinato l’emoperitoneo, e quindi l’incidente stradale, l’incidente
sul lavoro, la rottura di qualche vaso sanguigno importante ecc;
o noi non conosciamo il fattore di rischio del pz, quindi ovviamente ci possiamo trovare di
fronte a pz sanissimi che magari reagiscono nella maniera migliore e pz di 80-90 anni
anticoagulati o con numerosi altri fattori di rischio che ovviamente reagiranno in un’altra
maniera.

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Quindi, dicevo, questa può essere un’emergenza. A volte, soprattutto se la perdita inizia come
lieve, può essere misconosciuta e quindi poi potrebbe portare a danni più seri.
Innanzitutto che cos’è l’emoperitoneo? È la presenza di sangue libero nella cavità addominale
dovuta a lesione di organi presenti nel cavo addominale. È una situazione in cui l’eziopatogenesi
può essere di natura:

 traumatica (es. frattura di milza in seguito a incidente stradale),


 iatrogena (es. durante procedure sia chirurgiche sia interventistiche come cateterizzazione
di qualche vaso sanguigno che prende una falsa strada, esame endoscopico con biopsia che
può determinare delle lesioni)
 spontanea che forse è il problema più serio e lo vedremo in relazione per lo più ad una
serie di patologie di natura neoplastica.
NB. Non dire all’esame che la prima causa di emoperitoneo è la perforazione dei visceri! Non è
così. L’eziopatogenesi è traumatica, iatrogena o spontanea. Nelle perforazioni i problemi sono
dovuti al contenuto del viscere che si riversa in cavità addominale, ci potrebbe essere qualche
piccolo vaso che si rompe ma non è emoperitoneo, è peritonite da perforazione.
Queste 3 cause sono importanti perché ovviamente ci sono trattamenti diversi a seconda della
causa determinante.
Vediamo l’emoperitoneo traumatico (riprenderemo l’emoperitoneo traumatico quando
tratteremo i traumi epatici e splenici). È dovuto fondamentalmente a incidenti stradali, infortuni
sul lavoro (che sembra stiano aumentando), tentativi di violenza, tentati suicidi (pensate per
esempio a volte i precipitati che possono presentare, oltre che lesioni a livello dell’apparato
osteoarticolare, lesioni di parenchimi e visceri). Può essere dovuto sia a traumi chiusi (nel 70-80%)
che a traumi aperti. I primi sono la maggior parte e possono interessare milza, fegato, rene o altri
organi con il coinvolgimento di più apparati nei politraumi; i secondi riconoscono come cause
ferite da arma bianca o ferite da arma da fuoco ecc.
Vediamo l’emoperitoneo iatrogeno. Può essere da:
- emorragie intraoperatorie, in caso di lesioni vascolari durante un intervento chirurgico;
- complicanza postoperatoria, infatti quando abbiamo fatto il postoperatorio abbiamo
parlato delle emorragie postoperatorie che sono importanti soprattutto nei primi giorni
dopo l’intervento (ad esempio un laccio che “molla”);
- complicanza di alcune procedure come arteriografie, angioembolizzazioni ecc che possono
lesionare direttamente il vaso.
L’emoperitoneo spontaneo è uno degli emoperitonei più difficili da diagnosticare perchè all’inizio
si capisce poco su cosa abbia il paziente. È una situazione molto grave che può portare a morte nel
giro di qualche secondo per shock ipovolemico e quasi sempre non è visibile. Le cause che possono
determinano un emoperitoneo spontaneo sono:
- patologie ginecologiche (gravidanza extrauterina, una rottura di cisti ovarica, la presenza di
endometriosi sanguinante, corpo luteo emorragico);
- rottura spontanea della milza patologica (è la milza affetta da malattie dell’apparato
emolinfopoietico come anemie emolitiche o leucemie; di solito questi pazienti presentano

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una splenomegalia che magari senza alcun trauma ma con un semplice starnuto la milza si
lacera per questo talvolta si opta per una splenectomia. Talvolta il polo inferiore della
milza, quando è patologica, può raggiungere la cresta iliaca);
- rottura spontanea del fegato perché per esempio c’è un ematoma sottocapsulare non
traumatico o ci sono tumori epatici primitivi e secondari;
- aneurismi dell’arteria splenica che a volte possono sanguinare e, essendo interessata
appunto un’arteria, possono portare e morte nel giro di pochissimo tempo, quindi si tratta
di una situazione estremamente grave. Per esperienza, i 2 casi che ho visto si sono salvati
perché i pz erano già in ospedale; se si fossero trovati in un’altra situazione, probabilmente
non ce l’avrebbero fatta. Si possono realizzare a distanza di alcuni mesi da incidenti stradali
e inizialmente possono non dare manifestazioni cliniche.
Quale è la clinica di questi pazienti? La clinica è quella che abbiamo visto in tutte le emorragie, è
sempre la stessa dalla forma lieve allo shock.
Segni e sintomi:
o pallore, anemia di cute e mucose, stato di sete, sudorazione fredda, polso piccolo e
frequente, dispnea, tachipnea,
o il dolore addominale è importante, inizialmente può essere localizzato nel punto in cui si è
prodotto il trauma o la lacerazione, poi può essere diffuso quando ovviamente la cavità
peritoneale si riempie di sangue. Talvolta l’addome può anche non essere dolente. In caso
di emoperitoneo spontaneo, quando è dovuto a cause di tipo ginecologico, si hanno
sintomi di tipo ginecologico o urologico e il dolore può essere a livello ipogastrico o
sovrapubico, poi ovviamente ci può essere dolorabilità del cavo di Douglas all’esplorazione
digito-rettale, ma questo non solo in questi pz.
Dal pdv dell’esame obiettivo, ci saranno eventuali lesioni all’ispezione. Come vi ho detto, ci
potrebbero essere soffusioni emorragiche, ecchimosi, ferite lacero-contuse oppure potrebbero
essere visibili i traumi da arma da fuoco o da arma bianca. A volte si può palpare la milza sotto
l’ombelico che potrebbe far sospettare una milza patologica. La sede delle lesioni cutanee
potrebbe indirizzare verso l’eventuale sede del traumatismo.
La contrattura della parete addominale, che è un dato oggettivo, si riscontra quando la cavità
addominale è già piena di sangue. A volte la contrattura è assente. A volte, inizialmente, la
contrattura può essere localizzata in corrispondenza della sede della lesione perché, se il pz è a
terra, il sangue si raccoglie nelle porzioni più declivi e non ha il tempo di irritare tutta la cavità
addominale, solo successivamente diventa diffusa.
La cosa che voi notate in questi pz è che, man mano che la cavità si riempie di sangue, scompare il
timpanismo. Succede perchè le anse sono distese in quanto il sangue le irrita. Diciamo che le anse
sono proprio al di sotto della fuoriuscita ematica e quindi, molto spesso, noi troviamo scomparsa
di timpanismo (come la scomparsa dell’area di Traube a livello gastrico) ed aumento dell’ottusità.
Dal pdv dell’auscultazione, appoggiando il fonendo su questi pz ci rendiamo conto che c’è silenzio
addominale: c’è una situazione di ileo paralitico perché il sangue irrita i visceri. Se ci sono lesioni
anche a carico del tubo gastrointestinale, ovviamente avremo anche altri segni. È importante in
questi casi l’esplorazione rettale, non tanto per determinare se ci sono feci in ampolla o se c’è

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sangue in ampolla, ma per capire se il cul di sacco retto-uterino è ripieno di sangue: noi possiamo,
attraverso l’esplorazione rettale, sentire questo cul di sacco che è molto dolente e occupato da
secrezione ematica. Ovviamente in questi casi è importante innanzitutto capire se il pz è cosciente
o meno e, se il pz è cosciente, noi dobbiamo cercare di capire che tipo di patologia sta avendo,
quindi magari una breve anamnesi ci può anche indirizzare sulla causa che ha determinato
l’emoperitoneo (ad esempio una possibile gravidanza in atto che però spesso è misconosciuta se
extrauterina).
Dal pdv della diagnostica non c’è niente di particolare. Al laboratorio si chiede: emocromo e
coagulazione (sono le cose fondamentali), funzionalità renale ed epatobilipancreatica (se si
sospettano traumi epatici), betaHCG (ovviamente nei casi in cui noi pensiamo ci possa essere una
gravidanza extrauterina), lipasi e amilasi. Il colesterolo e la VES non si fanno, possiamo fare D-
dimeri e la troponina, la pre-sepsina, ma questi gli esami importanti per l’urgenza perchè alcuni
esami vengono fatti solo in elezione e non in urgenza. Per esempio in urgenza non si fanno i
markers neoplastici. Gli esami di urgenza servono a capire se il pz deve essere portato in sala
operatoria o meno.

DIAGNOSTICA

 LABORATORIO (emocromo, funz. renale, funz.


epatobilipancreatica, PT, PTT, bhcg, ecc)
 ECO FAST/TAC per visualizzare il versamento
 ANGIOGRAFIA SELETTIVA CON/SENZA EMBOLIZZAZIONE
 CONSULENZE SPECIALISTICHE
- PUNTURA ESPLORATIVA ADDOME (in disuso-adesso non si fa più
per il rischio di shock e si preferisce l’ecofast)

Come terapia, rispetto all’emoperitoneo, ci sono una serie di procedure. A parte il trattamento
delle singole cause con procedure interventistiche, come mettere qualche spirale per evitare il
sanguinamento in qualche vaso sanguigno, diciamo che le più importanti sono:
- angioembolizzazione che a volte arresta l’emorragia prima di un intervento chirurgico
perché, anche se l’intervento viene effettuato in emergenza, ci sono comunque i tempi
tecnici (addormentamento del pz, l’allestimento del campo operatorio, l’arrivo dei
chirurghi) che fanno perdere tempo. Inoltre l’angioembolizzazione, quando è possibile farla
(perché a volte non è possibile farla), risolve da sola in poco tempo magari la situazione in
soggetti con fattori di rischio per l’intervento chirurgico.
- Laparotomia e laparoscopia
- Trattamento delle singole cause (trauma renale, geu)
[La parte che stiamo per trattare ovviamente non la faremo quando faremo le urgenze
epatobilipancreatiche, ma se uno vi chiede le urgenze epatobilipancreatiche, voi ci dovete mettere
anche la rottura delle neoplasie epatiche che sono non troppo frequenti ma le osserviamo spesso.]
Tra le cause di emoperitoneo spontaneo ci sono i tumori epatici primitivi e secondari.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, non sono gli angiomi a rompersi più
frequentemente. Questi, infatti, si rompono se sono di grosse dimensioni e superficiali. Quasi mai
l’angioma cresce notevolmente senza che si intervenga.

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I tumori epatici sono di 3 tipi: epatocarcinoma (HCC), adenoma e emangioma. Poi ci sono le
metastasi.
L’HCC è la causa più comune di emorragia spontanea dei tumori epatici (si verifica nel 3-15%) ed
ha un tasso di mortalità intraospedaliera (25-75%) che può variare a seconda delle casistiche e dei
centri, se ci sono centri specializzati o che la fanno una tantum. Questa emorragia spontanea può
portare ad un’emorragia intratumorale o sottocapsulare o intraperitoneale (quindi aprendosi
all’interno del peritoneo). Può esser associata, a seconda dell’entità, a vari sintomi di emorragia
fino allo shock ipovolemico. Essendo questi pazienti quasi sempre terminali, un intervento radicale
spesso non si può fare quindi vengono indirizzati a procedure di angioembolizzazione. Quando
l’hcc è diffuso o aumenta di dimensioni non è operabile quindi si preferisce una procedura di tipo
interventistico anziché chirurgico.
Abbiamo poi gli adenomi epatocellulari. Sono delle neoplasie epatiche benigne comuni che noi
riscontriamo principalmente nelle donne in età riproduttiva, quasi assenti nei maschi e in
associazione quasi sempre all’uso di contraccettivi orali estroprogestinici. Quindi in caso di
emoperitoneo nell’anamnesi va chiesto se la paziente ha assunto estroprogestinici orali. Possono
avere una iniziale sintomatologia tipo un dolore addominale o un’epatomegalia o emorragia
epatica sottocapsulare o shock. I segni sono di un emoperitoneo. Questo è un tumore molto
vascolarizzato quindi sanguina. L’approccio chirurgico talvolta dà meno vantaggi di quello
interventistico il quale migliora la morbidità e la mortalità. In questi casi può essere effettuata
un’embolizzazione arteriosa selettiva associata a volte anche ad un vero e proprio intervento
chirurgico: dopo il trattamento di emergenza per arrestare l’emorragia, si potrà fare una resezione
epatica, di solito perché ci possono essere complicanze che possono insorgere in un secondo
momento come ulteriore rischio di rottura o di trasformazione neoplastica in senso degenerativo
maligno. Quindi l’adenoma è un tumore tipico del sesso femminile in età giovanile. Questi pz
riescono ad avere una buona prognosi se il trattamento è quello adeguato.
Abbiamo poi gli emangiomi. Si ritrovano in tante ecografie, risultano spesso degli incidentalomi. La
frequenza con cui si rompono è inferiore rispetto ai 2 tumori citati prima (quasi mai avviene la
rottura), però, quando si rompono, hanno mortalità elevata perché spesso si rompono quelli di
volume elevato (emangiomi giganti). Tra tutti gli emangiomi, l’emangioma epatico è l’unico che
può sanguinare ma solo se supera i 4 cm. Se è superficiale c’è maggiore possibilità di rottura e
sanguinamento. In questo caso si può fare una angioembolizzazione. Per quelli grossi, chirurgia e
angioembolizzazione selettiva sono il gold standard. Quando si va a fare la chirurgia si asporta
l’area che è ischemica perché priva dell’afflusso ematico.
Poi dobbiamo tener presente che qualsiasi neoplasia intraparenchimale epatica che si rompe può
avere una prognosi migliore rispetto ad una neoplasia sottocapsulare, perché all’interno del
parenchima epatico è il parenchima stesso che fa da emostasi, mentre a livello sottocapsulare
qualsiasi cosa che aumenti di volume e si laceri svuota il suo contenuto direttamente in cavità
addominale.
Quindi diciamo che quando questi emangiomi sono al di sotto di 3-4 cm, quasi sempre sono
asintomatici e si trovano per caso.

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Ovviamente se voi troverete pz che hanno l’evidenza di un angioma, io vi direi di fare follow up
ecografico inizialmente ogni 6 mesi, poi ogni anno giusto per capire se questo emangioma
aumenta di volume.
Poi abbiamo la rottura da metastasi che è abbastanza rara, potenzialmente letale perché i tessuti
sono molto vascolarizzati e quindi possono determinare problemi molto seri. I fattori di rischio,
anche in questo caso, sono il fatto che siano sottocapsulari (quindi superficiali) e che siano a rapida
crescita potendo aumentare di dimensioni in poco tempo e presentando anche una eventuale
necrosi tumorale all’interno che può essere spontanea o determinata da chemioterapia. La febbre
inspiegabile (perché a volte ci sono pz che non sanno di avere una metastasi epatica, ma hanno
febbricola) può precedere la rottura ed è dovuta al riassorbimento di prodotti di degradazione in
relazione alla necrosi tumorale. Se la situazione peggiora ed evolve verso un’infezione vera e
propria, ci possono essere febbri di tipo settico. In questi casi si prende in considerazione subito
l’embolizzazione e poi eventualmente si può associare un intervento.
Per vostra conoscenza vi faccio vedere questa diapositiva.

È un disegno abbastanza semplice che vi fa capire gli interventi di chirurgia maggiore che si
possono fare sul fegato. L’anatomia umana normale divide il fegato in dx e sx, quindi i primi
interventi sono la lobectomia dx e sx (anche se non sempre corrispondono alla suddivisione
anatomica) *specifica che l’argomento sarà trattato meglio in seguito*. Il vero lobo di sx viene
considerato da taluni solo come il secondo, terzo e quarto segmento. Se noi portiamo via il fegato
dx + quarto segmento, avremo trisegmentectomia. Quindi vedete come a seconda delle
suddivisioni possiamo avere le lobectomie o, se asportiamo dei segmenti, le segmentectomie (se si
asportano 2 segmenti una bisegmentectomia, quando se ne asportano 3 una trisegmentectomia).
Quindi il fegato ci dà modo di scomporlo e, a volte, di poter effettuare degli interventi asportando
solo dei segmenti attraverso la conoscenza anatomica dei vasi sanguigni. Ovviamente questo tipo
di chirurgia presuppone una conoscenza superspecialistica dell’anatomia chirurgica del fegato.
Riassumendo, l’emoperitoneo è quindi un problema serio da un punto di vista diagnostico: il
dolore inizialmente può essere localizzato e a volte, soprattutto nelle fasi iniziali, non c’è. Se è un
traumatizzato bisogna capire dove ha dolore, altrimenti bisogna fare una anamnesi chiedendo di
possibili gravidanze e contraccettivi orali sondando tutte le cause di sanguinamento. In alcuni casi
è necessario fare la beta hcg.

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DOLORE AL QUADRANTE SUPERIORE SINISTRO

Le patologie del quadrante superiore-sinistro sono plurime: infarto, rottura o megalia della milza,
pielonefrite acuta, pancreatite acuta caudale, patologia della flessura sx del colon.
Caso clinico: Dolore in IPOCONDRIO SINISTRO. Cosa chiedo?
1. Chiedo l’entità e il tipo del dolore: trafittivo, puntorio, acuto, ecc, il paziente riferisce che è
gravativo
2. Chiedo da quanto tempo perdura: da qualche giorno
3. Ha avuto febbre? No
4. Ha mai avuto lo stesso dolore altre volte? (il dolore da ulcera ad esempio potrebbe essere
ricorrente)
5. Il dolore è fisso o irradiato? In questo caso no
6. Ha avuto alterazioni dell’alvo? Sì, ha un alvo chiuso a feci e non a gas da 4 giorni
7. Ha sangue nelle feci e qual è la consistenza delle feci? E’ stitico? (questo si chiede perché
per il paziente non andare di corpo per 3 giorni potrebbe essere normale mentre se dice
che la consistenza delle feci è cambiata bisogna approfondire)
8. Chiedo se urina e come sono le urine, se c’è ematuria o piuria, se ha una storia di calcolosi
renale? [questo va chiesto nel sospetto di pielonefrite]
9. Se ha avuto qualche patologia infettiva [si chiede nel sospetto di mononucleosi ma questo
vale solo se ha splenomegalia].

Anamnesi: il paziente ha dolore in ipocondrio sinistro, non irradiato, non ha febbre, alvo
chiuso a feci da 4 giorni e urine normocromiche.

Esame obiettivo: all’ispezione non c’è nulla da segnalare, alla palpazione si può avvertire un
po’ di dolore al fianco e all’ipocondrio sx, alla percussione un timpanismo maggiore nei
quadranti di destra, ottusità in fossa iliaca sinistra e peristalsi torpida (cioè si sente poco).
Esami di laboratorio (in urgenza)

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A questo punto che cosa si chiede?

ESAMI STRUMENTALI: Una diretta addome che evidenzia una distensione del colon di sinistra
e della flessura di sinistra con coprostasi.

Esplorazione digito-rettale Quando si pensa ad una qualsiasi patologia che determina


alterazione dell’alvo si fa una esplorazione digito-rettale!
A questo punto ci si orienta verso una patologia della flessura sinistra del colon. Se si trovano
feci dure facciamo un clistere perché vuol dire che le feci sono passate e sono arrivate
all’ampolla rettale. Aveva probabilmente un fecaloma a livello della giunzione retto sigma. Se il
pz non evacua si fanno altri accertamenti. Se il pz dice che ha avuto sangue e febbre bisogna
orientarsi verso altre diagnosi.
Terapia: clistere
Che si fa allora? Si dice di aumentare le scorie, parlare con il medico di medicina generale e bere
molto. Un altro dato importante è che il paziente ci può riferire che ogni tanto ha questo tipo di
disturbo: se ha 30 anni vuol dire che ha mangiato schifezze, se ne ha 50-60 si consiglia una
colonscopia. Se il paziente ha modificato l’alvo va fatta la tac e si indirizza ad una colonscopia.

In questo caso non si danno antidolorifici? Si potrebbero dare ma una volta risolta la
subocclusione non serve più. Quando il paziente è stitico a volte si dà buscopan che peggiora solo
la situazione. In quei casi bisogna far bere il paziente, dargli una dieta ricca di scorie e lavorare
“dalla parte in basso”. Se gli dai il lassativo e il buscopan il pz va in ps perché il lassativo richiama
acqua e alla diretta sembra occluso invece è suboccluso. L’associazione buscopan e lassativo è da
proscrivere. Meglio dare un antidolorifico qualsiasi.

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Chirurgia d’urgenza e pronto soccorso – 13/10/22 - prof.Volpi

TRAUMI ADDOMINALI
Questo è un argomento che interessa sia la medicina d’emergenza che la terapia intensiva e la
rianimazione. Di seguito verrà trattata esclusivamente la parte addominale, riservando alle altre
specialità e alle altre branche della chirurgia il resto.

Partendo dalla definizione di politrauma: è un evento traumatico che determina lesioni


contemporanee a livello di due o più organi o apparati, e si verifica frequentemente.

Se si dovesse riscontrare una frattura, verrebbe definito come trauma ad un arto mentre, se oltre
ad una frattura ci dovessero essere altre situazioni come una frattura costale, una lesione del
fegato, una lesione della milza, si tratterà di politrauma. Queste situazioni possono complicarsi
oltre che per la lesione vera e propria, anche con l’alterazione della funzionalità di organi e
apparati; pensiamo, per esempio, ai problemi di natura
respiratoria o cerebrale che possono realizzarsi. Quindi per
una migliore definizione, il politrauma è un evento
traumatico che determina lesioni contemporanee a più
organi o apparati con eventuali possibili compromissioni
delle funzioni respiratorie e circolatorie. Un politrauma
richiede sempre urgenza e, a volte, emergenza. Inoltre,
nonostante l’avanzamento nel trattamento di questi, la
mortalità resta sempre alta.

In Italia, negli ultimi 20 anni, le procedure relative


all’emergenza sono molto cambiate; la mortalità per politrauma ha una distribuzione tri-modale,
nel senso che ci sono tre picchi temporali in cui si può verificare l’exitus dall’inizio dell’evento
traumatico:

1) Il 50% dei pazienti traumatizzati può morire in pochi secondi o nel giro di qualche minuto,
addirittura, sul luogo dell’incidente: quest’elevata mortalità è in relazione a lesioni gravi, ad
esempio, una rottura di cuore, di grossi vasi, lacerazioni importanti a carico del tronco
encefalico, ecc., quindi è in relazione a lesioni incompatibili con la vita.
2) Il 30% della mortalità si realizza nel corso della golden hour, cioè, l’intervallo di tempo che
intercorre tra l’incidente e la terapia risolutiva del paziente.

Quanto più è ristretto questo intervallo, maggiori sono le


possibilità che ha il paziente di sopravvivere all’evento
traumatico, anche grave. Questa golden hour è di durata
variabile. In particolare, dipende dal tempo necessario per
effettuare visite specialistiche ed esami diagnostici di routine
per risalire alla diagnosi e stabilire il percorso terapeutico
idoneo; tenete presente che non tutti i centri hanno vicini un
ospedale con alta specializzazione o con specializzazioni di
natura traumatologica.

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Per cui il paziente, nonostante sia sopravvissuto al soccorso e al trasporto, può complicarsi con
shock emorragico per le elevate perdite ematiche, si possono riscontrare una rottura di fegato, di
milza, un ematoma extramurale, ipossiemia.

3) Nel 20% la mortalità avviene nei giorni e


settimane successive all’evento
traumatico, in genere a causa di
complicanze di situazioni traumatiche: le
cause di exitus sono rappresentate dalla
sepsi o insufficienza multifunzionale degli
organi. Si è cercato di migliorare il
soccorso sul luogo dell’evento traumatico
grazie a delle linee guida standardizzate e
ridurre la golden hour, così come
migliorare l’organizzazione del personale
e delle strutture, affinché possano
intervenire con competenza all’interno di questo breve intervallo così da ridurre i danni del
trauma ed evitare, se possibile, l’exitus. Perciò un miglioramento sul campo, un
miglioramento sul trasporto, un miglioramento all’accettazione sono i fattori su cui
possiamo incidere.

VALUTAZIONE PRIMARIA: elenchiamo (ABCDE) le valutazioni da effettuare sul posto del


politraumatizzato

A. Controllo della via aerea con immobilizzazione del rachide cervicale


B. Valutazione ed assistenza della respirazione
C. Controllo emorragie esterne, acquisizione vie venose, inizio terapia infusionale
D. Valutazione neurologica sommaria
E. Esposizione ed immobilizzazione provvisoria delle fratture

È molto importante per quanto riguarda le


lesioni traumatiche dell’addome, a parte la
valutazione primaria, stabilire se il paziente ha
un’emodinamica stabile o instabile. L’argomento
è stato già considerato quando è stato trattato
l’emoperitoneo, evento che si realizza dopo un
trauma splenico o un trauma epatico, per lo più.

Il politraumatizzato ha accesso facilitato anche in


PS e si pone attenzione all’emodinamica per
definire se stabile o meno.

Nel primo caso c’è il tempo per valutare meglio


la situazione dal punto di vista diagnostico e

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procedere con le terapie appropriate come la correzione di alcune lesioni che possono rendere, in
seguito, instabile il paziente, ad esempio le lesioni endocraniche, fratture soprattutto a carico di
lunghi segmenti ossei, quali il femore e correzione di lesioni viscerali che al momento non
sanguinano, ma che in seguito potrebbero farlo o determinare altro tipo di complicanze.

Invece nell’emodinamica instabile bisogna subito stabilizzare il paziente dal punto di vista
emodinamico, cioè effettuare un’immediata correzione delle lesioni di tipo emorragico perché il
rischio di vita è elevatissimo. Infatti, in questi casi ad esempio, si effettua una emostasi
compressiva con delle garze o spugne se c’è sanguinamento associato alla rottura del fegato. Con
la milza non è possibile effettuare questa procedura perché avremmo una perdita ematica massiva
e sarebbe difficile identificare il vaso lesionato, anche perché potrebbero essere multipli. In queste
situazioni di emodinamica instabile non si ricorre né tanto meno alla Tac ma si va in sala
operatoria.

Le lesioni dell’addome si presentano con una frequenza del 20% nell’ambito dei traumi che
richiedono trattamento chirurgico. In realtà sono molto più frequenti ma non sempre richiedono il
trattamento chirurgico. Il trauma addominale può comprendere lesioni di vari organi, di solito, dal
punto di vista clinico, possiamo osservare sul campo:

- segni cutanei legati a ecchimosi, ferite da punta, da taglio, escoriazioni, ferite


lacerocontuse ecc.;
- ci può essere una rapida distensione dell’addome per via della perdita ematica;
- dolorabilità in una zona particolare, fino ad una vera e propria difesa addominale in
relazione alla presenza di emoperitoneo, per la rottura di un viscere cavo o
parenchimatoso. Raramente si ha dolore per la rottura della milza e generalmente si
presenta se associata a lesioni di altri organi.
- molto spesso, osservando il pz e facendo l’esame obiettivo, ci si può rendere conto se c’è
dolorabilità e anomala mobilità della sinfisi pubica o delle ali iliache e che, associata al
fatto che si osservano lesioni ecchimotiche a quel livello, può ricondurre ad una frattura di
bacino;
- in alcuni casi può esserci un’uretrorragia visibile dopo il posizionamento del catetere. A
quest’ultimo si ricorre per valutare se c’è anuria per l’emorragia oppure per valutare se è
buona l’idratazione eseguita oppure per evidenziare una lesione uretrale con presenza di
sangue dal meato uretrale esterno e prostata non palpabile;
- un altro segno può essere l’ipotono dello sfintere anale, che può essere indice di una
lesione spinale. Questo è un quadro, più che generale, generico, in cui ci sono varie lesioni
che possono associarsi in un paziente traumatizzato.

Innanzitutto, si distinguono i traumi aperti dai traumi chiusi:

- Traumi aperti es. da arma bianca e da fuoco, incidenti, infortuni ecc.;


- Traumi chiusi con lesioni da contraccolpo e da colpo e sono i peggiori.

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Di seguito verranno analizzati i singoli traumi:

- milza (27%);
- rene;
- fegato;
- più raramente quelle dell’intestino anche se
possono dare esiti;
- parete addominale (traumi a doccia);
- ci sono anche lesioni da cinture di sicurezza (si
formano ematomi figurati);
- mesenteri, ovvero traumi da stiramento;
- pancreas anche se estremamente rari;
- quelli diaframmatici che sono lesioni da
contraccolpo o da scoppio come in situazioni
particolari come atti terroristici ecc.

TRAUMI EPATICI

In un’indagine molto interessante condotta in Italia


una decina di anni fa, dopo l’effetto protettivo delle
cinture di sicurezza, su 46 centri italiani (più di 2500
pazienti) si è visto che questo tipo di trauma è
maggiormente riscontrato nel sesso maschile in una
fascia di età tra 15 e 45 anni e con prevalenza di
traumi chiusi rispetto a quelli aperti.

La causa nella stragrande maggioranza dei casi, cioè


nel 73,5% (una percentuale altissima), era rappresentata da incidenti stradali, una percentuale non
trascurabile dell’8,5% (in aumento) per i casi di infortunio sul lavoro e la maggior parte sono
politraumi. Un’altra causa era rappresentata da violenza nel 7,5% ed infine c’erano gli incidenti
domestici nel 3%, percentuale abbastanza controllabile. Le modalità con cui si sono verificate e
determinate le lesioni sono lo schiacciamento, la compressione degli organi, la lacerazione vasale,
le decelerazioni (ugualmente importanti incidendo in quasi il 30%) e l’arma bianca intorno al 3,2%
ma che continua ad essere abbastanza stabile nel tempo.

Tra i traumatismi addominali il fegato è interessato da una


lesione nel 5% dei casi, mentre di solito sono più frequenti i
traumi a livello splenico.

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La mortalità legata a lesioni traumatiche del
fegato è del 20% dei casi ed è soprattutto
legata alla golden hour o alla situazione che il
soccorritore trova sul posto. Sono importanti
una serie di fattori come l’intervallo tra il
trauma e l’arrivo nella struttura ospedaliera
quindi, minore è questo intervallo, migliore è
l’outcome del paziente. Inoltre, l’intervallo tra
una valutazione iniziale e una terapia corretta,
perché può essere anche ridotto, ma se si
omette di sospettare una lesione a carico di un
organo interno pensando che il paziente possa
avere solamente, per esempio, una frattura a
livello delle ossa di un arto, in questa maniera aumenta l’indice di mortalità, perché il paziente
sarà trattato tardivamente e potrebbero seguire anche delle complicanze e perciò rientrare nel
30% che muore proprio durante la golden hour.

Un altro fattore è rappresentato dalle caratteristiche della struttura ospedaliera: in alcuni casi
l’ospedale più vicino può essere quello utile ai primi soccorsi, però si preferisce inviare il paziente
al centro specialistico più vicino. A volte questo non è possibile, per cui nei piccoli centri si fa
quello che viene definito il packing, cioè si porta comunque il paziente in sala operatoria, si
effettua una laparotomia, si cerca di tamponare localmente con garze che vengono lasciate
all’interno dell’addome, il paziente viene ricucito e viene mandato con ambulanza specializzata nel
primo centro di chirurgia specialistica più vicino. Un sanguinamento importante può portare
all’exitus, quindi per evitare perdite di tempo, si preferisce, innanzitutto, fare l’emostasi e poi
eventualmente resecare e rivalutare la situazione locale epatica.

Infine, la mortalità è legata alla presenza di lesioni associate, per via delle quali essa aumenta
notevolmente; ad esempio, nelle lesioni multiviscerali, multiorgano, non solo dal punto di vista
dell’ipovolemia, ma anche in relazione al fatto che più lesioni associate, magari a livello di visceri
possono compromettere anche l’immediato post-operatorio.

Dal punto di vista clinico è necessario valutare se il paziente è emodinamicamente instabile e


soprattutto se può peggiorare o addirittura morire
nell’immediato. Di solito si valutano sempre:

- i segni dello shock ipovolemico (la cute pallida e


fredda, l’ipotensione, la dispnea, l’oliguria);
- la reazione di difesa addominale localizzata
inizialmente, ma in seguito generalizzata.

Questi segni accanto a quelli dello shock ipovolemico,


indicano che un paziente potrebbe avere un’evoluzione
diversa anche nel giro di qualche minuto o ora.

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Il paziente, se emodinamicamente stabile, è cosciente, ha modesti sintomi soggettivi, un quadro
addominale che non ha reazione di difesa localizzata o generalizzata, può avere un po’ di
dolorabilità localizzata soprattutto in ipocondrio destro, potrebbe avere dei segni di ecchimosi a
livello dell’ipocondrio destro, ma essendo stabile questo paziente riceverà delle cure appena
giunto in pronto soccorso.

Dal punto di vista diagnostico, nel paziente stabile verranno


eseguiti tutti gli esami:

- l’emocromo;
- la funzionalità epatica, quali le transaminasi;
- la coagulazione;
- la funzionalità renale;
- l’ecografia;
- soprattutto la TAC addomino-pelvica, che è il gold
standard della diagnostica a livello epatico e permetterà
di capire l’entità della lesione e il trattamento che bisogna effettuare in questi pazienti;
- È anche importante svolgere un’angio-TC, un RX del torace, soprattutto nei casi in cui ci
siano non solo traumi toracici, ma nei casi in cui sospettiamo che il paziente possa anche
aver avuto un trauma toracico che non si rende obiettivo; eventualmente si ricorre anche
alla proiezione per coste, proprio per valutare la presenza di eventuali fratture costali.
- Inoltre, possiamo effettuare una laparoscopia non solo per fare delle diagnosi, nei casi in
cui non siamo sicuri che la TAC ci abbia fatto capire la situazione reale, ma in alcuni casi
questo esame che inizialmente ha funzione diagnostica, poi può essere utilizzata a scopo
terapeutico.

Nel paziente, invece, emodinamicamente instabile spesso non si possono effettuare gli esami
oppure non si hanno subito i risultati; molte volte viene sottoposto immediatamente a
laparotomia d’urgenza, anche senza un’esatta valutazione delle lesioni endo-addominali. Quando
abbiamo parlato dell’emergenza, abbiamo detto che questo è uno dei casi in cui pur di salvare la
vita al paziente, si accettano i rischi connessi a una diagnostica non effettuata. Questo è
importante, perché si fa cessare l’emorragia attraverso le manovre di emostasi e poi si può
valutare con calma quali sono le altre lesioni associate.

76
Quindi dal punto di vista dell’iter diagnostico,
innanzitutto, bisogna valutare le lesioni: il paziente
politraumatizzato deve essere denudato dalla testa ai
piedi, perché è necessario valutare ogni minima lesione
che potrebbe essere la “punta dell’iceberg”, per cui
delle piccole ecchimosi a livello sottocostale, a destra,
potrebbero essere indicative di un trauma a livello
epatico o, se a sinistra, di un trauma a livello splenico.

Le lesioni epatiche sono di vario tipo e potranno essere


trattate in due modalità differenti:

1) Trattamento conservativo;
2) Trattamento chirurgico (ricorda che a distanza
di qualche ora è necessario effettuare una TC
per valutare se risottoporre il pz ad un nuovo
intervento chirurgico nel caso in cui non ci siano
miglioramenti).

Di solito, tranne nel caso in cui si decide di effettuare un


trattamento conservativo, il paziente può essere
sottoposto a intervento chirurgico. Nei casi di chirurgia
maggiore o di coloro che giungono al PS instabili, in stato di shock, ecc. può essere appropriato un
monitoraggio continuo in una terapia intensiva o addirittura in una sub-intensiva di tipo chirurgico.
In seguito, verrà riportato nel reparto di chirurgia, si valuteranno eventuali complicanze e poi,
fortunatamente, potrà essere dimesso.

Alla dimissione si consigliano:

- un’ecografia;
- emocromo per valutare se c’è ancora sanguinamento;
- indici di funzionalità epatica perché si evidenzierebbero le transaminasi per un danno
epatocitario, associato ad una formazione, come un ascesso, che esercita compressione
sulle cellule;
- emocultura in caso di febbre.

La classificazione dell’American Association of Surgery of trauma (c’è per ogni organo) è utilizzata
per classificare anche i traumi epatici: ogni grado prevede la presenza di un ematoma, associato
ad una contusione, e lacerazione. Un fattore importante riguardo le lacerazioni è se siano al di
sotto della capsula glissoniana oppure all’interno del parenchima; per esempio, in quest’ultima
circostanza sono associate meno probabilmente delle complicanze rispetto ad uno localizzato a
livello sotto-glissoniano, perché se l’ematoma intraparenchimale si espande, il resto del
parenchima epatico attorno funge quasi da “tessuto emostatico”, a differenza del caso
dell’ematoma sottocapsulare in cui, aumentando la pressione all’interno dell’ematoma, questo si

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può lacerare e determinare emoperitoneo. Quindi in alcuni casi un ematoma della stessa
grandezza e intraparenchimale può essere sottoposto solo al trattamento conservativo mentre un
ematoma più piccolo sotto-glissoniano (sottocapsulare) può dare problemi e determinare
emoperitoneo.

In questa diapositiva (classificazione AAST) inoltre c’è un riferimento alla superficie interessata
(meno del 10%, dal 10 al 50% ecc.). A livello degli ultimi gradi (grado 4, grado 5) c’è la distruzione
del parenchima e sono situazioni che i radiologi definiscono “rottura a libro”, in cui il parenchima è
aperto a libro e in cui la distruzione del parenchima può
andare da 25% a oltre 75%.

EVOLUZIONE EMATOMA:

l’ematoma sotto-capsulare se non si alimenta, cioè se il


sangue non aumenta, può andare incontro a
regressione; invece, nel caso in cui persista l’emorragia,
può aumentare di volume e rompersi in addome.

Anche l’ematoma centro-parenchimale può andare in


regressione o ad espansione, ma ci può essere una
rottura dell’ematoma oppure una formazione a lungo andare di un ascesso intraparenchimale. In
alcuni casi l’ematoma si svuota nelle vie biliari e determina una condizione definita emobilia, cioè
la presenza di sangue all’interno delle vie biliari che fuoriesce attraverso il duodeno e si
evidenzierebbe melena o emorragia immotivata.

78
Un altro tipo di lesione importante oltre agli
ematomi, alle lacerazioni e alla distruzione del
parenchima, è rappresentato dalle avulsioni, cioè
delle lesioni a livello vascolare. La lesione di
contraccolpo determina uno stiramento dei vasi
epatici e quindi la lacerazione, non solo di vasi epatici,
ma anche altri; inoltre, attraverso questo
meccanismo, non solo si possono lacerare i vasi, ma si
possono totalmente staccare, di conseguenza in
questi casi sarà difficile una sopravvivenza; però se le
lesioni sono meno evidenti, le lacerazioni sono minime, ci può essere anche una sopravvivenza del
paziente.

Le lesioni di avulsione possono interessare anche vasi importanti come la vena cava, le
sovraepatiche, le vie biliari o la colecisti; quindi, a volte un trauma può essere altamente
invalidante. In alcuni casi, fortunatamente rari, i pazienti con traumatismo epatico vengono
addirittura sottoposti a trapianto di fegato in urgenza.

Il trattamento conservativo potrebbe essere


riservato alle piccole lacerazioni parenchimali
(in assenza di versamento endoaddominale di
materiale ematico). Si procede con
l’osservazione e una terapia medica e, a
distanza di 12/24 ore, monitoraggio con
l’ecografia o con la TAC, valutazione dei
parametri di funzionalità epato-bilio-
pancreatica, l’emocromo, la funzionalità
renale e la coagulazione.

Nei casi in cui ci siano delle situazioni particolari o nei casi di emobilia potrebbe essere importante
una embolizzazione arteriosa che eviterebbe un sanguinamento importante.

Invece, le situazioni di lesioni traumatiche del fegato che richiedono un trattamento con
laparotomia in urgenza sono:

- Le ferite penetranti da arma da fuoco


- Paziente emodinamicamente instabile con trauma chiuso dell’addome
- Segni evidenti di emoperitoneo sia alla TC che alla ecografia.

Ricapitolando:

- Piccole lacerazioni superficiali con piccoli ematomi subcapsulari non necessitano di


trattamento;

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- Qualche lacerazione capsulare richiede una emostasi diretta quindi una laparotomia
d’urgenza;
- Lacerazioni >3 cm o un ematoma con sanguinamento richiedono o emostasi diretta o
embolizzazione;
- La rottura parenchimale che determina quasi sempre l’emoperitoneo richiede la resezione
di parenchima epatico;
- Una rottura parenchimale estesa o lacerazioni cavo sopraepatiche richiede chirurugia
estrema ovvero chirurgia dei trapianti;

Il trauma epatico richiede un intervento di emostasi ma,


se l’emorragia è persistente, si effettua il trapianto. Nei
casi in cui è stata effettuata una resezione estesa per cui
rimane una parte minima di tessuto epatico, anche in tal
caso sarà necessario un trapianto.

COMPLICANZE DELLE LESIONI TRAUMATICHE

- Ematoma intraepatico: il pz deve essere seguito con follow up ecografico per valutare se
questo ematoma va in regressione oppure se evolve verso complicanze ascessuali;
- Ascessi intra e peri epatici
- Emobilia e quindi il pz presenterà melena. Effettuando una gastroscopia si va ad
evidenziare la presenza di sangue che fuoriesce dalla papilla di Water. In questo caso,
dunque, si tratta di esiti di un sanguinamento del trauma e in alcuni casi l’emobilia può
anche essere dovuta a dei piccoli aneurismi post traumatici che si possono sviluppare
proprio a livello delle arterie epatiche;
- Fistole biliari esterne e questo perché l’ematoma può determinare anche la lacerazione dei
canali biliari perciò, questi laghi di bile associati a sangue, possono farsi strada e
determinare queste fistole;
- Fistole bilio-pleuriche e bilio-bronchiali;
- Fistole bronco-biliari;
- Fistole artero-venose;
- Insufficienza epatica quando buona parte del parenchima non svolge più le sue normali
funzioni.

80
Di seguito saranno presentate delle immagini in merito all’argomento svolto:

1) 2)

1 Estesa lacerazione del fegato

2 qui il fegato è aperto a libro e quindi questo paziente avrà una resezione maggiore del fegato.

Nell’immagine accanto, nella seconda raffigurazione a sx, ci sono


varie lesioni che richiedono un trattamento conservativo, mentre
nella stessa a dx c’è una lesione da osservare perché può
rimarginarsi oppure può dare complicanze. Nella terza immagine
c’è l’ematoma sottocapsulare che può regredire o aumentare di
volume e rompersi in addome.

TRAUMI SPLENICI

A volte nei politraumi da schiacciamento, da precipitazione possiamo avere milza e fegato insieme
e le cose sono abbastanza difficili perché riuscire a fare l’emostasi con due organi così importanti
può essere molto difficile.

La milza fa da padrone nei traumi addominali con una percentuale abbastanza elevata. È un
organo spugnoso, quindi può creare un po’ di problemi sia nella diagnostica che nell’intervento
stesso rispetto al parenchima epatico.

Teniamo presente che i traumi splenici possono essere dovuti fondamentalmente a traumi veri e
proprio però ci sono anche le rotture spontanee oppure rotture per traumi insignificanti. Quelle
spontanee si hanno in caso di splenomegalia con la milza che addirittura arriva in fossa iliaca dx e
quindi sarà così piena di sangue (per esempio per malattie emolinfopoietiche) che può rompersi.
Può rompersi anche per minimi traumi su una milza patologica e necessitare addirittura di una
splenectomia, ad esempio in sala operatoria perché, per la mobilizzazione del pz, si mettono in
trazione i vasi che vanno incontro a rottura. (la prof legge la slide)

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Ci possono essere piccole lacerazioni
e grandi lacerazioni. Le prime possono
arrestarsi spontaneamente, le altre
possono essere molto ampie e
determinare exitus soprattutto in quei
casi di avulsioni, di apertura in due
della milza (es nello schiacciamento,
nell’arrotamento). A volte anche in
questo caso ci può essere la
formazione di un ematoma nel
parenchima, di una contusione che
non determina lacerazione della
capsula. Quando, invece, si ha una
lacerazione splenica consegue un
emoperitoneo. Questo sangue va a
finire nella cavità peritoneale e nella retrocavità degli epiploon. A volte, quando il sanguinamento
si è arrestato, si evidenzia quello che viene definito ematoma perisplenico e questa è una cosa che
si osserva alla tac che indica un versamento perisplenico. È ovvio che in questi casi bisogna aprire il
pz ma con la tac già si capisce che l’emorragia si è autoarrestata.

Quella che viene definita la “brutta bestia delle lesioni


traumatiche” a livello splenico è quella che si definisce
rottura in due tempi ed è una situazione che si può
verificare anche a distanza di giorni da una lacerazione
splenica e, soprattutto i pz che hanno piccoli traumi
che possono sembrare di scarsa importanza, poi in un
secondo momento possono sviluppare una situazione
di questo tipo. Inizialmente non presenta segni di
sanguinamento in atto e a distanza di qualche giorno
(soprattutto se non si esegue una tac o un’eco di
controllo per valutare l’evoluzione) può accadere che, in relazione alla lacerazione della capsula
stessa oppure di un’emorragia che si era arrestata e che riprende a funzionare, si ha l’aumento di
volume all’interno di questo ematoma e quindi la lacerazione e la presenza di emoperitoneo.
Perciò, ci sono due alternative:

- o un’emorragia che si era arrestata, non perché c’era un’emostasi reale ma per semplice
spasmo vasale, riprende a funzionare
- oppure un ematoma che, aumentando il suo contenuto, viene lacerato dalla pressione
interna (es. per ipertensione) e quindi si riversa nella cavità addominale.

Dunque, questa rottura in due tempi è una situazione che bisogna tenere sempre sotto controllo
nei casi in cui i pz non vengano operati, per cui nel monitoraggio bisogna osservare l’evoluzione
della lesione splenica per evitare rotture in due tempi quando il pz viene dimesso.

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Quali sono le lesioni traumatiche spleniche?

- Contusione
- Compressione
- Avulsione

L’AAST (American Association for the surgery of the trauma) prevede 5 gradi:

1. Piccola lesione splenica che può non necessitare di intervento chirurgico


2. Anche in questo caso potrebbe non necessitare un intervento chirurgico però va valutato il
riassorbimento
3. Dal terzo grado in poi sono situazioni che richiedono intervento chirurgico. Nel grado 3 in
particolare c’è una lacerazione che taglia il polo superiore della milza
4. La lacerazione interessa anche la parte vascolare (l’ilo splenico)
5. Nel grado 5 ci sono lesioni in più punti della milza con emoperitoneo massivo.

La lesione traumatica della milza è nel 30-70% dei casi una


lesione isolata però può essere associata a lesioni
fondamentalmente della gabbia toracica, anche traumi
lombari soprattutto in quelle situazioni che noi definiamo
da contraccolpo, ma possiamo avere anche lesioni del
diaframma, del fegato, del pancreas soprattutto a carico
della coda, del rene sx, delle ossa, della pelvi, del cranio.

Segni clinici del trauma della milza:

Dal punto di vista traumatico o abbiamo il pz con i segni dello shock ipovolemico e quindi siamo
già orientati verso un tipo di lesione splenica magari
supportata anche da un controllo tac o eco, oppure
dobbiamo andare a ricercare

 segni esterni, quali escoriazioni, ecchimosi a livello


di ipocondrio sx o alla base dell’emitorace di sx
 fratture costali, delle ultime coste sx concomitano
nel 50% dei casi, con addirittura la costa che penetra
a livello splenico
 segni e sintomi delle lesioni associate, nel 40% dei
casi.

Nei casi di emorragia minore, non abbiamo la sintomatologia dello shock ecc, ma potremmo avere

 dolore a livello del quadrante superiore sx dell’addome che a volte può irradiarsi alla spalla
sx e questo può farci pensare ad una lacerazione del polo superiore della milza e non dalla
parte ilare. Quindi, nei casi di emorragia minore la sintomatologia è minima.

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Dal pdv degli esami strumentali, il gold
standard è la tac in pz emodinamicamente
stabili o stabilizzati (perché molto spesso il
pz se arriva in ps o in reparto e diventa
instabile attraverso l’ausilio di terapia
infusionale soprattutto emotrasfusione
può diventare stabile). Altri esami
strumentali sono l’ecografia E-FAST,
l’ecografia con mdc che ovviamente non
viene fatta in tutti i presidi e poi l’eco-
doppler che può essere importante
soprattutto in quei casi in cui ci siano
lesioni vascolari ma non si riesce mai a fare in urgenza.

Questa è un tac con mdc e vedete la milza come è


diventata sottile, questo alone ipodenso intorno è un
ematoma perisplenico e sembrerebbe che ci sia una
piccola lesione, uno spot a livello della milza. C’è anche
una lesione posteriore delle coste che probabilmente ha
penetrato anche la milza a questo livello.

Questo è un altro tipo di lacerazione più o meno del polo


inferiore della milza però il sanguinamento è stato
abbondante perché lo ritroviamo nella cavità
addominale e quindi vuol dire che c’è la persistenza.

In questo caso c’è un ematoma strano,


intraparenchimale, anche questa milza è da togliere.

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La classificazione attualmente utilizzata non
è quella dell’AAST, ma quella della società
mondiale di chirurgia di emergenza che
classifica i traumi splenici in:

- Trauma splenico minore: pz


emodinamicamente stabili con
traumi chiusi e penetranti con grado
AAST I e II
- Trauma splenico moderato: sono le
lesioni AAST III e alcune di tipo IV
però non in fase di evoluzione.
- Trauma splenico severo: include pz
che sono emodinamicamente
instabili con traumi chiusi.

Terapia:

-medica: reidratazione, emotrasfusione, plasma expanders, albumina.

-conservativa: osservazione o angioembolizzazione soprattutto per traumi lievi o alcuni moderati e


prevede il posizionamento di una specie di spirale a livello dell’arteria splenica sia alla parte
prossimale che distale dell’arteria e così otteniamo l’arresto del sanguinamento.

-chirurgica: laparotomia e/o laparoscopia.

Ci sono una serie di trial nella letteratura mondiale che cominciano ad utilizzare non solo nei
traumi lievi ma anche moderati il trattamento conservativo con angioembolizzazione.

Tante volte per non rischiare, per paura di rotture di milza o altre complicanze, si effettuano
splenectomie anche non terapeutiche o non urgenti, mentre con il trattamento conservativo si
riducono gli interventi chirurgici, si riduce la quantità di sangue utilizzata, si riducono i costi, i
tempi di degenza, la mortalità, le complicanze addominali (es. emoperitoneo e infezioni) e si
mantiene la funzione splenica. Pensiamo per esempio alle infezioni da batteri capsulati a cui sono
esposti i pz che hanno subito splenectomia.

Nell’immediato post operatorio da splenectomia possiamo riscontrare aumento di GB e piastrine


per un periodo abbastanza lungo e ciò può richiedere (soprattutto quando le piastrine superano il
milione) un trattamento con eparina a basso pm.

Questa è una lacerazione bella aperta della milza con altre più
piccole quindi questa milza sicuramente ha determinato un
emoperitoneo anche abbastanza importante.

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ADDOME ACUTO
L’addome acuto è un quadro sindromico doloroso che comprende quadri diversi, ma potrebbe
essere anche confuso con un dolore addominale legato a interessamento secondario a molte
patologie diverse (da polmoniti, a anemia falciforme con conseguente emolisi, a herpes zoster, a
patologie urologiche e ginecologiche, a problematiche intestinali: occupazione di visceri,
emoperitoneo…).

L'addome acuto comprende una serie di malattie. È una sindrome, cioè un insieme di segni e
sintomi che riconoscono una varia eziologia, ossia una serie di condizioni morbose a carico
dell'addome che hanno delle caratteristiche precise:

- quasi sempre sono accompagnate da dolore;


- insorgono acutamente, quindi all'improvviso;
- possono avere una prognosi infausta, anche a breve termine;
- beneficiano nella grande maggioranza dei casi della terapia chirurgica.

Prima di parlare in generale dei vari quadri di addome acuto, anche in questo caso dobbiamo
ricordarci quali sono i casi di dolore addominale non chirurgico -perché, se voi non interrogate il
paziente e non lo visitate, mandate un herpes zoster con la diagnosi di addome acuto.

ll dolore addominale non chirurgico può essere dovuto ad altre patologie, per cui di fatto è un
dolore riferito. Può essere dovuto a:

 patologie dell’apparato cardiorespiratorio:


infarto del miocardio, polmonite, pericardite,
empiema pleurico
 patologie metaboliche: diabete mellito,
insufficienza renale cronica, avvelenamento da
piombo
 alcune malattie ematologiche: leucemia,
porfiria acuta intermittente, anemia falciforme
 infezioni intestinali: salmonellosi, enteriti virali, altre enteriti di natura batterica (che
provocano, oltre al dolore addominale, anche vomito e diarrea, solitamente)
 malattie neurologiche: Herpes Zoster, tabe dorsale
 abuso di farmaci: ad esempio, l’abuso di alcuni antibiotici che possono provocare diarrea,
per cui un dismicrobismo intestinale diventa addome acuto
 patologie urologiche e ginecologiche.

Questo per evidenziare che una buona anamnesi può servire a discriminare il dolore addominale
non chirurgico, molto frequente, da quello chirurgico.

Ora vediamo quali sono i più importanti quadri clinici chirurgici di addome acuto “vero”:

 Perforazione di un viscere (paziente perforato);


 Occlusione intestinale (paziente occluso);

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 Emorragia digestiva o emoperitoneo (paziente sanguinante);
 Varie patologie, che hanno tutte il DOLORE ADDOMINALE come sintomo fondamentale.

Capiamo, dunque, quanto sia importante la diagnostica differenziale, però prima della diagnostica
differenziale dobbiamo fare una buona anamnesi e un buon esame obiettivo.

EMORRAGIE DIGESTIVE

Per definizione, l’emorragia è la fuoriuscita di sangue dal sistema che lo contiene.


Una emorragia in assoluto può essere:
acuta o cronica, a seconda se si instaura immediatamente o a distanza di qualche giorno dal
trauma
interna, ossia in una cavità, oppure esterna
arteriosa o venosa, o anche capillare.
Sono patologie piuttosto frequenti, essenziali da
conoscere sia in PS sia in medicina generale.
Le inquadriamo in:
- Emorragie digestive superiori, le più frequenti;
- Emorragie digestive inferiori, le meno frequenti.
La discriminante è che l'emorragia si produca al di
sopra o al di sotto del ligamento di Treitz: l’angolo del
Treitz si trova a livello della flessura duodeno-digiunale;
questo è un ligamento che va a legarsi al pilastro destro
del diaframma. Le emorragie a valle di questo
ligamento, ossia dal digiuno in giù, sono definite
emorragie digestive inferiori; mentre, da questo
ligamento in su sono definite emorragie digestive
superiori.

Sintomatologia:
Il primo sintomo -sono quasi in ordine di importanza- è l’EMATEMESI: l'emissione di sangue
abbondante con vomito da emorragia in atto o recente; l'ematemesi è un sintomo tipico delle
emorragie digestive superiori, quindi è un'emorragia che si realizza a livello di esofago, stomaco e
duodeno. La riconosciamo sia con la vista sia dall’odore, diverso da quello tipicamente acido per le
secrezioni gastriche o dall’odore di putrefazione che è indice di ristagno di alimenti.

Anche in questo caso l’anamnesi è importante per la diagnosi per cui bisogna sempre domandare
ad esempio se invece il paziente ha avuto epistassi o sanguinamenti buccali per cui può aver
ingerito sangue, che sarà rosso vivo, o esaminare e differenziare la fuoriuscita di quantità più
modeste di sangue proveniente dalle vie aeree per altre patologie.

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Può essere:
- Massiva con sangue rosso, dovuta alla
rottura di varici esofagee o esofago-
gastriche (fondo); il sangue che fuoriesce
dalle varici è più denso rispetto al sangue
normale; si manifesta con sangue rosso
vivo o rosso scuro, con o senza presenza
di coaguli. Sono le emorragie più
importanti.
- Con Sangue scuro, a “posa di caffè” o
“vomito caffeano”, nelle emorragie
minori, che mi fa capire che il sangue è
stato digerito; può essere visibile nei casi
di ulcera peptica gastro-duodenale, nei
casi di neoplasia gastrica o anche nei casi di gastrite erosiva/emorragica.

Perché il paziente ha ematemesi e, poi, perché avrà melena? Se avete due pazienti, uno con
l’ematemesi e uno con la melena, voi vi dirigerete sicuramente da quello con l’ematemesi.
Perché?
L’ematemesi implica che nello stomaco c'è una grande quantità di sangue, che ha determinato una
distensione dello stomaco, di conseguenza la produzione del riflesso del vomito. Questa
distensione e l’instaurarsi del riflesso del vomito non è dovuto a pochi cc di sangue, ma ad una
grossa quantità, quindi vuol dire che questo paziente con ematemesi perde una certa quantità di
sangue importante.
Il paziente che ha episodi di ematemesi -può essere un episodio solo, ma possono essere anche
continui- può avere anche un modico sanguinamento, che magari si realizza perché ci sono altre
patologie concomitanti a livello gastrico per cui uno ha sia ristagno che sanguinamento; in questi
casi è molto facile che ci sia il vomito caffeano, che non è una vera e propria ematemesi, ma può
indurla. L’ematemesi di sangue rosso vivo, invece, è un'emergenza che può determinare anche
altre complicanze, pensate per esempio alla possibile polmonite ab-ingestis che può realizzarsi se
viene inalato del sangue.

Quindi, l’ematemesi è una situazione in cui il medico deve stare vicino al paziente; sappiamo già
quali sono i presidi che dobbiamo subito utilizzare in questo paziente, cioè assicurare gli accessi
venosi, valutare la stabilità emodinamica, eccetera.
Nell’ematemesi noi dobbiamo tener conto della pericolosità per il paziente per queste due
motivazioni, ed è una urgenza che mette il medico in allerta perché il paziente che ha più episodi
di ematemesi perde tantissimo sangue, quindi noi dobbiamo agire molto velocemente e cercare di
capire quali sono i presidi immediati che dobbiamo attuare, oltre ad avere anche un’idea di quale
tipo di ematemesi ci troviamo di fronte, cioè la causa fondamentalmente. Innanzitutto, valutate
realmente se è un’ematemesi: tutti i pazienti dicono di aver vomitato sangue, ma se voi andate a
indagare un pochettino nessuno di loro ha vomitato sangue, magari il paziente ha vomitato, si è
sforzato e ha fatto un colpo di tosse vedendo una stria di sangue; capite bene che non possiamo

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parlare di ematemesi. Non possiamo parlare di ematemesi senza il conato, senza il vomito: ci sono
delle situazioni in cui il paziente apre la bocca e fuoriesce sangue senza conato e senza vomito
reale, in quel caso non possiamo parlare di ematemesi, ma andrà fatta una diagnostica
differenziale con l’emottisi, per esempio, in cui il sangue è più rosso, contiene bollicine; magari il
paziente non ha nessuna sintomatologia addominale, invece ha una sintomatologia a carico
dell'apparato respiratorio. Oppure, dobbiamo anche valutare la possibilità che del sangue, per
esempio, dovuto a un’epistassi posteriore anche abbondante sia scolato -come accade di solito-
nello stomaco e, di conseguenza, il paziente potrebbe avere ematemesi, che però non dipende
dallo stomaco, ma dipende dal fatto che l'emorragia, ossia l’epistassi posteriore, sia scolata tutta
nello stomaco provocando ematemesi. -Ecco perché vi dico sempre che bisogna chiedere al
paziente le cose, altrimenti si prende la strada sbagliata e si fa una diagnosi errata, e poi il paziente
non viene curato tempestivamente. È ovvio che se il paziente viene da solo e sta avendo
ematemesi non lo possiamo sottoporre ad un interrogatorio, però possiamo chiedere ad un
collega, o a qualche altra persona, di recuperare informazioni dai parenti, i quali ci possono dire,
ad esempio, che il paziente è cirrotico. Ancora, possiamo vedere anche noi quando lo stiamo
visitando se ci sono segni clinici di ipertensione portale, per esempio, o possiamo chiedere al
paziente/ai parenti se ha assunto dei fans, se ha una patologia pregressa a livello dell'apparato
digerente tipo un’ulcera, possiamo chiedergli se ha avuto disturbi precedenti all’ematemesi
(magari il paziente può dire che aveva sempre bruciori allo stomaco), possiamo avere sintomi di
dimagrimento, sintomi dispeptici o altre cose che possono essere in relazione a una situazione di
tipo neoplastico, quindi ci possiamo orientare solo parlando con il paziente o chi per lui.

Il secondo sintomo è la MELENA: l’emissione di feci nere (sangue digerito per trasformazione di Hb
in ematina da parte dei succhi gastrici.
L’emorragia può essere medio-alta (più frequentemente) o bassa.
Un paziente che ha ematemesi quasi sempre avrà melena; in questi casi, siccome residuerà del
sangue a livello gastrico, il sangue è molto irritante, quindi il paziente avrà una parziale digestione
dell'emoglobina, producendo melena in un secondo momento.
L'odore della melena è molto pungente.

Anche in questo caso, la melena può essere confusa con una serie di altre situazioni: innanzitutto
con la cosiddetta “pseudomelena”, cioè cibi, come spinaci o altro, che possono alterare il colore
delle feci, che è un colore tipo posa di caffè; ci possono essere, per esempio, pazienti che stanno
assumendo ferro per os, motivo per il quale le feci appaiono più scure come se fossero melena
(paziente con presunta melena: nell'anamnesi del paziente, egli ci dice che da un mese assume il
ferro per os, e quindi magari la causa dell'anemia deve essere ricercata in altro); ci sono anche
alcune situazioni particolari in cui le feci risultano molto tinte, quasi ipercoliche, quasi nero-
verdastro, e a volte ci può essere qualche problema di diagnosi differenziale, per cui è
importantissimo anche qui fare un'anamnesi.
La melena è una situazione che inizialmente determina un minimo di dolore addominale, poi
avremo queste scariche di melena anche prolungate. Che informazioni ci dà la melena? Ci dice che
l'emissione di sangue c'è stata, magari che queste emissioni sono state uno stillicidio ematico da

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un po' di giorni, di conseguenza le feci compaiono come feci meleniche solo dopo un po’ di giorni
dall’emorragia digestiva. In questi pazienti si attivano dei meccanismi di compenso, per cui magari
un signore anziano, che ha una melena perché ha assunto troppi fans, arriverà da noi con un
valore di emoglobina molto basso perché, anziché avere un sanguinamento massivo, sta avendo
uno stillicidio e quindi i meccanismi di compenso si sono messi in moto, ecco perché magari con
un 6-7 di emoglobina il paziente è ancora stabile emodinamicamente. Dunque, capiamo quanto sia
sempre importante fare domande al paziente (o chi per lui) per capire quando si è instaurato, di
che tipo, che altri problemi ha avuto.

Un altro sintomo delle emorragie digestive è la PROCTORRAGIA: emissione di sangue rosso vivo
dall’ano. Può essere indipendente o dipendente dalla defecazione. Il colore vivo ci permette di
identificare la provenienza distale da colon retto o ano.
Il sangue può verniciare le feci, essere frammisto ad esse (colon trasverso o ascendente) o anche
essere occulto (SOF).
Parliamo di ENTERORRAGIA quando un sanguinamento proviene sicuramente dall'intestino, ma
non riusciamo a capire da quale zona in particolare.
A livello del colon l’enterorragia e la proctorragia non sono le due emorragie più importanti; ci può
essere melena anche per patologie a carico del colon, ossia alcuni episodi di melena a livello del
cieco e del colon ascendente, in cui il rimescolamento, l'azione batterica e altro, determinano una
sorta di melena.
Nelle enterorragie noi possiamo avere svariati quadri di
colorazione, dal sangue rosso vivo al sangue rosso
scuro, alla melena di recente osservazione, alla melena
vecchia; quello che dobbiamo evidenziare è che una
melena può essere grave se il paziente ce l'ha da molto
tempo e ha raggiunto livelli di emoglobina bassa, però
non dobbiamo dimenticare che quel paziente è sempre
un paziente che ha avuto episodi di melena o di
sanguinamento, per cui è un paziente in cui i
meccanismi di compenso si sono instaurati ed è stabile,
mentre a volte un paziente che ha ematemesi
improvvisa, anche se l'emoglobina inizialmente magari
sembra normale, può avere già problemi di instabilità
emodinamica.
Quindi, la melena è un’urgenza, ma l’ematemesi è un'emergenza.

Quali domande dobbiamo porre in presenza di proctorragia/enterorragia?


Innanzitutto, chiediamo al paziente da quanto tempo ha questa proctorragia (o enterorragia, se
ancora non sappiamo da che zona dell’intestino proviene); in seguito, è importante chiederne la
quantità di sangue visto, cioè se è molto intensa, se è lieve, se è a stillicidio ematico, se è un flusso
continuo; chiediamo poi se è dipendente o meno dalla defecazione -magari il paziente ci dice che
dopo che ha defecato ha questa emorragia, oppure che ce l'ha durante la defecazione, oppure che

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a prescindere dalla defecazione osserva questa presenza-; dobbiamo infine chiedere dove ritrova il
sangue, se sulla carta igienica, o frammisto alle feci, o quando evacui le feci si coprono di sangue
rosso vivo.
Per quale motivo è importante fare tutte queste domande al paziente? Perché, se il paziente ci
dice che si ritrova il sangue sulla carta igienica dopo la defecazione può essere un sangue
emorroidale rettale oppure è un sangue che vernicia le feci, quasi sicuramente è un
sanguinamento del tratto basso, dal colon di sinistra-sigma-retto-ano. Se invece il sangue è
frammisto alle feci, vuol dire che questo sangue proviene da tratti antecedenti, che magari ha
superato la valvola ileocecale, ha subito i fenomeni di rimescolamento e di riassorbimento che ci
sono a livello di colon destro e trasverso, quindi è giunto a fuoriuscire all’esterno in un'altra
maniera. Accanto a queste domande specifiche, voi dovete anche fare domande di natura
generale, se abbia avuto problemi a livello addominale, dolorabilità, altre situazioni, eccetera, che
possono farci pensare anche a situazioni di tipo neoplastico.

Nella stragrande maggioranza dei casi (80%) il decorso dell’emorragia gastrointestinale è benigno,
con autolimitazione spontanea; però si è visto che negli ultimi anni nonostante una serie di
miglioramenti dal punto di vista clinico, il tasso di mortalità per EGI non è migliorato in modo
statisticamente significativo (11% in Inghilterra, 1995). Che cosa vuol dire?
Cause ipotetiche di ciò sono probabilmente, l'aumento dell'età media, delle patologie e delle
patologie associate dei pz ricoverati (pensate al fatto che è aumentata l'età media della vita però
molti di questi pazienti oltre una certa età sono sottoposti a trattamento anche con
anticoagulanti), un maggior aumento dei disturbi di emostasi e coagulazione primitivi e secondari,
o anche l’aumento della prescrizione di FANS negli ultimi 20anni. Quindi sono delle patologie che
si sono certamente ridotte, ma non come ci aspettavamo dato il miglioramento della qualità della
vita e dell'età media.

Abbiamo affrontato i sintomi ma dobbiamo ora capire quali sono le cause e le patologie
sottostanti a queste emorragie gastrointestinali.
Riguardo le cause di emorragie digestive superiori acute (all’esame dovete elencarmele in maniera
sistematica, partite dall’esofago ed elencate tutte le emorragie che si possono incontrare,
scendendo di distretto man mano) le più frequenti sono:
- l'ulcera gastro-duodenale,
- le varici esofagee (ultimamente sono diventate meno frequenti perché, come ho già
spiegato, la vaccinazione per l'epatite B e la terapia per l'epatite C riducono l'incidenza di
queste infezioni virali e, quindi, riducono l'ipertensione portale; però permangono ancora i
vecchi pazienti e anche quelli in cui la causa non è post-epatitica, ma sono casi di
epatopatia alcolica evoluta),
- la gastrite erosiva-emorragica,
- la Sindrome di Mallory-Weiss.
Le meno frequenti sono:
- tumori oro-faringei ed esofagei,

91
- l'esofagite, che si determina di solito in concomitanza di altre malattie tipo l'ernia iatale o
la malattia da reflusso gastroesofageo,
- i diverticoli esofagei-duodenali,
- l’emobilia,
- eccetera.
Di fronte al paziente è sempre opportuno porre le domande giuste e osservare al fine di
distinguere situazioni molto diverse: oggi le cause più frequenti di emorragia digestiva acuta sono
l'ulcera gastroduodenale (emergenza chirurgica) e le gastriti erosive ed emorragiche (terapia
medica e gastroscopia di controllo), che riconoscono spesso una eziologia o dei cofattori di natura
iatrogena, cioè sono pazienti che vengono sottoposti a terapie con anticoagulanti o antiaggreganti
o che invece hanno fatto una terapia, per esempio, con fans.

Riguardo le cause di emorragie digestive inferiori abbiamo, sempre in ordine di frequenza:


- patologia ano-rettale
- neoplasia del colon
- malattia diverticolare: quando i diverticoli sanguinano lo fanno parecchio e sono difficili da
gestire
- emorragie sine materia: di cui non si riesce a identificare la causa patologica, molto spesso
sono delle piccole malformazioni artero-venose che sanguinano senza nessuna causa
apparente per cui questi pazienti hanno episodi ciclici che portano a ripresentarsi in PS più
volte e fare numerosi esami senza esiti di certezza.
Cause più rare possono essere:
- infarto mesenterico
- tumore del tenue
- diverticolo di Meckel
- strozzamento e invaginazioni intestinali
- ulcera solitaria del retto
- emopatie e terapie anticoagulanti

Cosa è importante fare per questi pazienti? Capire innanzitutto se il paziente è stabile o non
stabile: se non è stabile, cerchiamo di stabilizzare lo stato emodinamico con le opportune terapie
di cui abbiamo già parlato; capire se riusciamo a valutare più o meno la perdita che c'è stata e fare
una diagnosi veloce di natura per procedere nel tentativo di arrestare le emorragie; infine,
impedire il risanguinamento a breve termine e poi a lungo termine.
Con la classificazione dell'American College of Surgeons sulle emorragie riusciamo a capire se
l'emorragia è minima o invece è massiva.
Dal punto di vista clinico, il paziente presenta:
- uno stato mentale caratterizzato da ansia, agitazione, confusione e coma;
- la cute è fredda, sudata, pallida;
- il paziente ha sete;
- può essere dispnoico e polipnoico;

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- la pressione arteriosa può essere diminuita, il polso può essere piccolo e frequente, in
alcuni casi quasi impercettibile;
- dopo aver posizionato un catetere vescicale osserviamo se il paziente presenta oliguria o
anuria e in caso positivo può essere che la fonte di sanguinamento stia tornando.

Per quanto riguarda la terapia, è importante soffermarci sulla Sonda di Sengstaken-Blakemore,


che è uno dei presidi che ci permettono di fare anche terapia, cioè ci permettono di arrestare il
sanguinamento, di operare un’emostasi, fino a che il paziente poi non viene condotto in un centro
dove è possibile effettuare un’endoscopia d'urgenza e, quindi, un’emostasi endoscopica.
La sonda di Sengstaken-Blakemore è un presidio che viene utilizzato non nelle chirurgie, ma viene
utilizzato nei pronto soccorso per agire nel più breve tempo possibile per il paziente. Si utilizza
esclusivamente nei pazienti che soffrono di una patologia cronica a livello epatico, come una
cirrosi evoluta che ha determinato ipertensione portale e, quindi, la formazione di varici a livello
esofago-gastrico. Infatti, in un paziente che ha un modico sanguinamento noi non mettiamo la
sonda di Sengstaken, perché è un presidio che non può essere utilizzato se non in quelle situazioni
che lo richiedono realmente; a volte, anche se è abbastanza raro, capitano pazienti che non sanno
di avere un’ipertensione portale o una cirrosi, per cui si scopre questa malattia secondariamente
oppure siete voi a rendervene conto visitandoli e vedendo i segni di ipertensione portale, ossia il
caput medusae, l’addome batraciano, o altre situazioni che vi possono far pensare ad una
patologia epatica evoluta o scompensata.
La sonda di Sengstaken-Blakemore è un presidio in silicone, caratterizzato da un tubo che entra
attraverso il naso, percorre l’esofago, e presenta due palloncini: uno a livello esofageo e uno a
livello gastrico; questo perché è nell’ultimo tratto dell’esofago che ci sono le varici, ed è poi a
livello del fondo gastrico che ci sono le varici gastriche. La sonda presenta tre vie iniziali: la prima
serve a gonfiare il palloncino esofageo, la seconda per gonfiare il palloncino gastrico, la terza via è
una via pervia che giunge e continua nello stomaco e serve per aspirare i liquidi o per infonderli.
È un presidio molto comodo, perché nel paziente l'emorragia viene subito arrestata, anche se
l’inserimento è molto fastidioso da sopportare per il paziente e anche per noi è difficile
posizionarlo; nonostante tutto, è una situazione che ci permette di operare un’emostasi
immediata, in poche parole di salvare la vita del paziente in maniera repentina, perché, se questa
ematemesi non viene fermata il paziente o muore per shock ipovolemico o muore per inondazione
dei polmoni e successiva polmonite ab ingestis.

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(sbobina anno precedente)
Link del video: https://www.youtube.com/watch?v=KYiI2K55hXc
Vediamo un filmato in spagnolo fatto abbastanza bene sull’inserimento della sonda di
Sengstaken-Blakemore:
Indicazioni per varici esofagee. Materiale: vediamo subito la sonda di Sengstaken, il tubicino che
va a valle verso lo stomaco, il palloncino che si gonfia nello stomaco e il palloncino che si gonfia
nell’esofago. Vediamo le tre vie: la via nel mezzo che serve ad aspirare ed introdurre liquidi, la via
beige e quella rossa che servono per gonfiare i palloncini. Dopo aver gonfiato i due palloncini, ogni
palloncino gonfio distende e poi schiaccia le pareti del fondo gastrico e dell'esofago, e quindi
determina un’emostasi meccanica a quel livello.
Perché ci sono questa siringa e questi ferri? La siringa serve per introdurre a questo livello dei
liquidi o per aspirare il contenuto; le pinze servono a chiudere i palloncini esofago-gastrici dopo
averli gonfiati, per avere una tenuta stagna maggiore ed evitare che si sgonfino.
Prima di inserirlo, a verificare se il palloncino gastrico funziona provando a gonfiarlo: il palloncino
gastrico si gonfia, quindi funziona.
Sulla sonda poniamo un po’ di gel lubrificante con un po' di anestetico.
Facciamo collassare completamente i due palloncini, altrimenti sarà difficile introdurli.
Il paziente deve essere posto in posizione semi-seduta.
Vediamo l’operatore tenere in mano la sonda già lubrificata ed iniziare ad inserirla; in questo caso
è facile perché il paziente è addormentato, mentre purtroppo nella grande maggioranza dei casi il
paziente è sveglio e ha bisogno di qualcuno che gli tenga le mani perché il procedimento può
essere difficoltoso anche per lui.
Se il paziente ha ematemesi queste manovre vengono effettuate in maniera più veloce, non sono
così lente; noi, di solito, la mettiamo in condizioni molto precarie sia per il paziente che per noi.
Sono necessari gli occhialini, la maschera e il camice, se ce li avete a disposizione.
L’operatore controlla se la sonda ha raggiunto l’esofago.
La sonda è stata completamente posizionata: adesso bisogna verificare se la sonda ha raggiunto
lo stomaco, quindi tiriamo e aspiriamo. Una volta che arriva il sangue, bisogna gonfiare il
palloncino gastrico e tirare leggermente la sonda fino a quando non sentiamo una certa resistenza.
Il palloncino gastrico è il primo che si gonfia, perché una volta gonfiato proviamo a tirarlo e se non
viene su vuol dire che il palloncino è ben ancorato nello stomaco. Di solito il palloncino si gonfia con
circa 80 cc e si annota quanto abbiamo gonfiato, poi a seconda della costituzione del paziente la
misura varia fra i 70-90cc.
Ha gonfiato il palloncino gastrico.
Stacca la siringa, mette il tappino e prende un laccio (solitamente su usano delle pinze) per
chiudere del tutto il palloncino, perché se sfiata c’è il rischio che il paziente riprenda a sanguinare.
Gonfia il palloncino esofageo.
In questo video le manovre sono condotte in otto minuti, ma nel nostro caso la tempistica è di due
minuti.
Di solito il palloncino esofageo si gonfia con 120cc, poi bisogna tirare un pochettino prima di
fissarlo con un cerotto: se la narice risulta un pochino depressa -come mostrato nel video-, vuol
dire che l'avete posizionato nella maniera giusta.

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Infine, connettiamo la sonda con una busta di raccolta.
Quindi, abbiamo introdotto questa sonda, questo palloncino è un po' più lungo e arriva più o meno
all’esofago medio; il paziente, quando gonfieremo la sonda esofagea, avrà un po' di fastidio, ma è
necessario sopportare perché è ciò che poi determina la emostasi. Questa sonda si può tenere al
massimo per 12 ore, perché lo schiacciamento delle pareti esofago-gastriche può determinare delle
lesioni a livello della mucosa e comportare poi un altro tipo di perforazioni. Gonfiando prima il
pallone gastrico e poi quello esofageo, riusciamo a determinare l'arresto del sanguinamento e poi
stabilizzare il paziente dal punto di vista emodinamico, trasfondendolo, dandogli liquidi, sangue,
proteine, albumina, eccetera, e lo possiamo mandare in situazioni ottimali a fare poi una
gastroscopia. Nell’esofago-gastroscopia questo paziente potrebbe avere una sclerosi o una
iniezione di agenti vasocostrittori a livello delle varici esofago gastriche, in maniera tale da
determinare un’emostasi reale. In alcuni casi può essere anche ottimale fare una legatura delle
varici con delle piccole molline che vengono posizionate a livello dell'esofago arrestando
l'emorragia. Tenete presente che questa non è una cura, ma è un tamponamento: il paziente con la
cirrosi potrebbe risanguinare e, di solito, i sanguinamenti successivi al primo alzano di moltissimo
la mortalità in questi pazienti; quindi, i pazienti portatori di queste varici dovrebbero essere poi
sottoposti ad alcune procedure di derivazione per far scaricare i circoli collaterali che sono ad alta
pressione.

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Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso – 20/10/22 – prof.ssa Volpi

Continua delle emorragie digestive

Come inquadriamo le emorragie digestive? In:

- Emorragie digestive superiori, le più frequenti;

- Emorragie digestive inferiori, le meno frequenti.

Qual è la discriminante per parlare di emorragie superiori e inferiori?

Che l'emorragia si produca al di sopra o al di sotto del ligamento di Treitz: l’angolo del Treitz si
trova a livello della flessura duodeno-digiunale; questo è un ligamento che va a legarsi al pilastro
destro del diaframma. Le emorragie a valle di questo ligamento, ossia dal digiuno in giù, sono
definite emorragie digestive inferiori; mentre, da questo ligamento in su sono definite emorragie
digestive superiori.

Ricordiamo anche i possibili sintomi: melena, ematemesi a cui vanno ad aggiungersi i sintomi della
condizione che ha scatenato l’emorragia: possiamo vedere segni di cirrosi, di caput medusae, di
ascite. Spesso ci sono pazienti che vengono ricoverati per la “sindrome dell’anguria” in cui si
vedono dei coaguli sulla mucosa dello stomaco.

Detto ciò, il nostro obiettivo, la prima cosa da fare è sempre stabilizzare il paziente.

La prima causa di emorragia digestiva


superiore è l’ulcera gastro-duodenale,
seguita dalle gastriti erosivo-emorragiche,
che ormai stanno arrivando alla prima
posizione a scapito dell’ulcera; questo perché
aumentando l’età media della popolazione,
stanno aumentando i pazienti anziani che
assumono antiaggreganti, anticoagulanti,
ecc.

L’ulcera si avvia verso la posizione 4 di questa classifica.


E poi ci sono questi tumori meno frequenti, l’altra volta vi ho detto che a volte l’ematemesi non lo
è davvero, ma è un sanguinamento dalle vie respiratorie a livello del faringe in cui il paziente
deglutisce il sangue che può apparire come un ematemesi.
Ecco perché è importante fare domande al paziente (sintomi precedenti, com’è il sangue) per
comprendere l’origine dell’emorragia.

Esofagite ed ernie iatali sono in aumento.

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Nell’80% dei casi il decorso è benigno, spesso noi vediamo il pz a distanza di qualche giorno
dall’emorragia vera e propria, soprattutto se si presenta con melena e quindi quei meccanismi di
compenso di cui abbiamo parlato le altre volte sono già entrati in gioco. Quel pz arriverà da noi in
piedi, con un valore di emoglobina molto basso perché, anziché avere un sanguinamento massivo,
sta avendo uno stillicidio e quindi i meccanismi di compenso si sono messi in moto, ecco perché
magari con un 5-6 di emoglobina, come se fosse un anemia cronica. Questo invece non succede
nel pz in urgenza che perde abbastanza cc di sangue.

Quindi di solito è autolimitante, ma nonostante tutti i miglioramenti in medicina, il tasso di


mortalità, nel corso degli anni non è migliorato: questo per la motivazione che raccontavo prima,
ovvero pz che assumono farmaci che possono favorire o supportare sanguinamenti, tenendo
conto anche che la prescrizione dei FANS negli ultimi anni è aumentata (es. protezione gastrica,
antiacidi)

Quali sono invece le cause di emorragie digestive inferiori?

La patologia più frequente è quella ano-rettale: emorroidi e ragadi anali, possono portare anche a
valori molto bassi di Hb; seguite da neoplasie del colon, malattia diverticolare e poi le malattie
infiammatorie croniche e poi vi ho raccontato delle emorragie sine materia, in cui il pz ha un ciclico
ma piccolo sanguinamento dovuto ad angiodisplasie di cui non riusciamo a identificare la sede.
Infine, abbiamo cause più rare: derivate da un fatto mesenterico (?), i tumori del TEM, diverticolo
di Meckel, invaginazioni intestinali, ulcera solitaria del retto.

Quello che vi voglio far vedere oggi è la


Sonda di Sengstaken, è un presidio che
permette di arrestare il sanguinamento in
pazienti con rottura di varici esofagee o
gastriche, segno di ipertensione portale.
Può capitare che il paziente sia cosciente e ci
racconti che è un cirrotico, oppure che non ci
riesca poiché è già in una fase emorragica più
grave verso la perdita di coscienza, in quel
caso spetta a noi capirlo, osservando se ci
sono tutti quei segni e sintomi che possono
riferirsi ad uno stato di ipertensione portale
(es. ascite, addome batraciano, spider nevi,
caput medusae).
Se non siamo sicuri NON utilizziamo la sonda,
perché rischieremmo di aggravare la
situazione.

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La sonda di Sengstaken è un presidio in silicone, caratterizzato da un tubo che entra attraverso il
naso, percorre l’esofago, e presenta due palloncini: uno a livello esofageo e uno a livello gastrico;
questo perché è nell’ultimo tratto dell’esofago che ci sono le varici, ed è poi a livello del fondo
gastrico che ci sono le varici gastriche.

La prof mostra un video riguardante l’inserimento e l’uso della sonda, dovrebbe essere il seguente:
https://www.youtube.com/watch?v=KYiI2K55hXc;
Segue descrizione di difficile comprensione del video e sull’uso della sonda.

Vediamo subito la sonda di Sengstaken, il tubicino che va a valle verso lo stomaco, il palloncino che
si gonfia nello stomaco e il palloncino che si gonfia nell’esofago. La sonda ha due vie: la via nel
mezzo che serve ad aspirare sangue ed introdurre liquidi, l’altra via che serve per gonfiare i
palloncini. Dopo aver gonfiato i due palloncini, ogni palloncino gonfio distende e poi schiaccia le
pareti del fondo gastrico e dell'esofago, e quindi determina un’emostasi meccanica a quel livello.

Poi ci sono questa siringa e di una serie di pinze, a cosa servono? La siringa serve per introdurre a
questo livello dei liquidi o per aspirare il contenuto; le pinze servono a chiudere i palloncini
esofago-gastrici dopo averli gonfiati, per avere una tenuta stagna maggiore ed evitare che si
sgonfino.

Prima di inserirlo, a verificare se il palloncino gastrico funziona provando a gonfiarlo: il palloncino


gastrico si gonfia, quindi funziona.
Sulla sonda poniamo un po’ di gel lubrificante con un po' di anestetico.
Facciamo collassare completamente i due palloncini, altrimenti sarà difficile introdurli.
Il paziente deve essere posto in posizione semi-seduta.
Vediamo l’operatore tenere in mano la sonda già lubrificata ed iniziare ad inserirla; in questo caso
è facile perché il paziente è addormentato, mentre purtroppo nella grande maggioranza dei casi il
paziente è sveglio e ha bisogno di qualcuno che gli tenga ferme le mani perché il procedimento
può essere difficoltoso anche per lui.
Se il paziente ha ematemesi queste manovre vengono effettuate in maniera più veloce, non sono
così lente.

L’operatore controlla se la sonda ha raggiunto l’esofago, dopodiché bisogna verificare se la sonda


ha raggiunto lo stomaco; quindi, aspiriamo e verifichiamo che ci sia del succo gastrico.
Adesso bisogna gonfiare il palloncino gastrico a circa 80-120 cc ma in alcuni casi si può arrivare
fino a 200: per questa manovra è utile utilizzare una siringa più grande di quella utilizzata nel video
(da 30), per non dover ripetere l’operazione più volte. Va anche segnato in cartella quanti cc di aria
sono stati introdotti. Una volta che si è gonfiato, è importante tirare leggermente la sonda fino a
quando non sentiamo una certa resistenza, questo vuol dire che il palloncino si è attaccato al
fondo gastrico.

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A questo punto gonfieremo il palloncino esofageo, avremo bisogno di una pressione di almeno 80
per risolvere l’emostasi. Poi bisogna nuovamente tirare un pochettino la sonda prima di fissarla
con un cerotto: se la narice risulta un pochino depressa, vuol dire che l'avete posizionato nella
maniera giusta.
Infine, connettiamo la sonda con una sacca di drenaggio, che ci permette anche di valutare la
quantità di sangue persa.

Gonfiando prima il pallone gastrico e poi quello esofageo, riusciamo a determinare l'arresto del
sanguinamento e poi stabilizzare il paziente dal punto di vista emodinamico, trasfondendolo,
dandogli liquidi, sangue, proteine, albumina, eccetera, e lo possiamo mandare in situazioni
ottimali a fare poi una gastroscopia
La sonda è un presidio fondamentale per la sopravvivenza del pz, ma non può restare a lungo: va
tenuta al massimo 12 ore, si può arrivare a 24 nelle situazioni più gravi.

Inoltre, seppur non nasca per questo utilizzo, la sonda di Sengstaken può essere utilizzata in
emergenza anche per sanguinamenti emorroidali: il palloncino arresta l’emorragia a livello del
canale anale o del retto inferiore

Domanda di uno studente: per la sindrome di Mallory Weiss la sonda può essere utilizzata?
R: No, perché l’emorragia importante non è un elemento caratterizzante la patologia, al massimo
possiamo avere qualche ematemesi, ma il pz resta stabile.

D: Utilizzando la sonda, non induciamo epistassi col rischio di peggiorare la situazione?


R: Sì, accade ma è un sanguinamento minimo ed autolimitante, non ci preoccupa.

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INGESTIONE SOSTANZE ESTRANEE
Evento abbastanza comune. Può essere un evento:

o volontario (più frequente), in pz con patologie psichiatriche, detenuti (per uscire dal
carcere e finire in ospedale), a scopo suicida,
o involontario, in cui rientrano quelle tipiche dell’età pediatrica in cui il bambino pur
facendolo volontariamente non ne capisce la pericolosità

I corpi estranei non sono tutti pericolosi, va posta da subito la differenza tra boli alimentari (carne,
vegetali, misti) e corpi estranei propriamente detti, divisibili a loro volta in 2 categorie:

▪ appuntiti o taglienti, i più pericolosi (forchette, stuzzicadenti, pezzi di protesi dentarie)


▪ smussi (magneti, batterie, monete, corpi in plastica, bezoari)

Quali sono le sedi di impatto?


• ESOFAGO (Restringimento cricofaringeo, impronta dell’arco aortico, impronta del bronco
sinistro, iato esofageo)
• DIVERTICOLO DI MECKEL
• VALVOLA ILEO-CECALE
• APPENDICE
• FLESSURA SX DEL COLON
• INTESTINO CRASSO

Corpi allungati più lunghi di 6 cm incontrano difficoltà in corrispondenza del ginocchio duodenale.
Corpi rotondi di diametro superiore ai 2,5 cm (es. moneta da 2 euro) hanno difficoltà ad
attraversare il piloro, determinando un’occlusione intestinale alta.

Vediamo ora quali sono le caratteristiche dei pazienti, questi possono essere:

❖ Sani (ingestione accidentale durante i pasti)


❖ Affetti da patologie esofagee
❖ Alcolisti
❖ Pazienti psichiatrici, in cui ci può essere una psicosi vera e propria, una simulazione, un Pica
o un disturbo della personalità
❖ Pazienti geriatrici (es. con demenza)
❖ Detenuti
❖ Pz con bendaggio gastrico, in cui situazioni di stenosi post-operatorie possono determinare
l’accumulo di boli di tipo alimentare.

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Clinica

Possiamo avere pazienti asintomatici in cui il corpo si arresta e non determina problemi.

Oppure possiamo trovare diversi sintomi come odinofagia, disfagia, scialorrea, rigurgito salivare,
dolore gravativo retrosternale, steakhouse syndrome (ingestione accidentale di ossa presenti nelle
bistecche diffuse in più tratti del tubo digerente).

La prof mostra un’immagine di un pezzo di dentiera tipico dei pazienti geriatrici che le ingeriscono.
In questi casi non è richiesto un ricovero in chirurgia, si fa monitoraggio (condotta “wait and see”).
Quello che noi andremo a fare sarà monitorare il percorso del corpo estraneo attraverso il tubo
digerente (tramite Rx) e somministrare non lassativi (possibile creazione di coliche), ma integratori
che facilitano l’espulsione di materiale fecale e quindi poi la ricerca della protesi. Dunque, il
paziente eliminerà il corpo in maniera naturale, soprattutto se di piccole dimensioni.

Complicanze

Dipendono soprattutto dalla natura del corpo estraneo.

Tra i tipi di complicanze troviamo:

• Perforazione del viscere, soprattutto se il corpo estraneo è tagliente, con possibile


mediastinite o peritonite
• Ascesso
• Sanguinamento digestivo
• Occlusione intestinale (es. a livello valvola ileocecale)
• Fistolizzazione (corpo che decubita nella parete di un viscere, crea una piccola lacerazione
che a mano a mano fistolizza)
Fortunatamente la mortalità è molto bassa, così come è bassa la percentuale di soggetti che
finiscono in chirurgia generale. Questo anche perché la maggior parte dei corpi estranei si fermano
all’esofago, per cui è sufficiente un endoscopia per rimuoverli.

Diagnostica

Di solito è sufficiente la diagnostica radiologica (rx collo, torace addome), a volte può servire una
TAC.

Approcci terapeutici

In base alle caratteristiche del paziente e soprattutto del corpo estraneo, abbiamo

• Osservazione (wait and see)


• Endoscopia (d’urgenza, d’urgenza differita, d’elezione, controindicata)
• Intervento chirurgico (in presenza di complicanze)

101
La scelta e il timing della rimozione endoscopica dipenderanno da: tempo intercorso
dall’ingestione, età del paziente, condizioni cliniche, grandezza, forma, affilatezza, contenuto e
localizzazione del corpo estraneo. La rimozione può essere attuata con l’ausilio di: endoscopi
flessibili ed endoscopi rigidi. Tra i dispositivi endoscopici abbiamo: il cestello, cappuccio di gomma
(utile per gli oggetti appuntiti come bisturi o lamette) e pinza a coccodrillo.

L’endoscopia può essere fatta o spingendo il corpo estraneo oppure estraendolo. Di solito si fa in
sedazione, anche profonda.

Infine alcune considerazioni di carattere epidemiologico: l’ingestione di corpi estranei è più


prevalente nei maschi rispetto alle femmine. Non ci sono differenze tra italiani e
migranti/stranieri.

Tra le sedi la più colpita è l’esofago, seguita da stomaco, duodeno fino ad arrivare al colon-retto.
Casi particolari sono i corpi estranei arrivati al fegato tramite il circolo portale.
Tra i corpi estranei rimossi troviamo tra i più frequenti:

▪ boli alimentari smussi, come boli di carne e boli non specificati. Tra i boli alimentari
taglienti troviamo con maggior frequenza le spine di pesce e le ossa di pollo e di carne.
▪ boli non alimentari smussi abbiamo monete, anelli, dentiere, filtri di sigaretta, pile, catene,
sassi. Troviamo anche lamette (tipiche dei detenuti, le avvolgono in carta stagnola per farsi
meno male), stuzzicadenti che sono i più frequenti e possiamo anche avere coltelli,
piercing, spilli, antenne, crocifissi, oggetti metallici vari, frammenti di porcellana.

In conclusione, questa è una patologia che presenta un costo elevato perché richiede un accesso
in pronto soccorso, trasporto specializzato, esami strumentali, eventuale ricovero e intervento
chirurgico, oltre al fatto che è rischiosa per la salute di chi ne soffre.
Quindi è importante per i pazienti psichiatrici e detenuti eliminare la presenza di certi oggetti,
soprattutto di fronte a pz con eventi simili già riscontrati in anamnesi, col rischio di farsi male
davvero a furia di reiterare il gesto.

102
RITENZIONE DI CORPI ESTRANEI A LIVELLO COLON-RETTALE
Sono situazioni frequenti, anche se non ci sono vere e proprie casistiche.
Riguarda soggetti tipicamente maschili (il rapporto M: F è 28:1) non omosessuali.
La maggior parte dei pazienti è tra i 20-30 anni.
“Si spera di vederne di meno grazie all’avvento dei sex toys”

Il pz è spesso di difficile gestione per il personale, perché richiede l’attenzione esclusivamente del
medico: qualsiasi smorfia o mimica facciale lo mette in imbarazzo.
È poco collaborante, riluttante, mente o omette le cose. Vuole che sia visitato da solo, senza
parenti o accompagnatori.

La maggior parte dei corpi viene introdotta attraverso l’ano e volontariamente; più raramente si
tratta di violenza o ingestione.

Cause:
o Erotismo e autoerotismo (più comune)
o Violenza sessuale
o Traumi
o Lesioni iatrogene
o Demenza
o Psicopatie
o Patomimie

“Se ricordate l’anatomia, è facile sottolineare come quasi tutti i corpi non possano superare la
giunzione retto-sigma, ma poi non riescono più a tornare giù”

Sintomatologia
✓ Dolore addominale
✓ Tenesmo rettale
✓ Rettorragia
Nei casi più gravi: nausea e vomito, febbre, addome a barca con segni di perforazione intestinale;
addome con segni di occlusione intestinale

Quali sono gli oggetti più frequentemente ritrovati?


Vegetali (i più frequenti), bottiglie, pupazzini, tubi, condom, vibratori.
Le motivazioni riferite sono spesso fantasiose o non riferite affatto (assenza di motivazioni, è la
situazione più frequente)

In questi casi si può rimuovere il corpo estraneo in ambulatorio, senza ricovero ed è l’evenienza
migliore. Oppure si procede con l’intervento chirurgico. Per la rimozione dei corpi possiamo usare
una normale pinza, si possono utilizzare dei cateteri, ci sono varie possibilità.

103
INGESTIONE DI SOSTANZE CAUSTICHE
È un evento raro, ma è potenzialmente devastante in quanto può condurre ad exitus. L’ingestione
di caustici presenta quasi sempre complicazioni ed esiti invalidanti, come problemi di deglutizione
ed alimentazione e conseguente riduzione della qualità di vita.

È una problematica onerosa per il SSN in quanto spesso richiede una lunga degenza con interventi
chirurgici in emergenza, complicanze post-operatorie, periodi in terapia intensiva; terminata la
degenza e dunque risolto il problema organico, occorre valutare l’aspetto psichico, in quanto la
maggior parte dei pz ingeriscono caustici a scopo suicida.

Incidenza: sconosciuta, poche casistiche, molte ingestioni non arrivano all’attenzione del medico.

Tipi di ingestione
Può essere:
• VOLONTARIA: Solitamente di tipo suicida o in ambito di patologie psichiatriche (es pz con
allucinazioni)
• ACCIDENTALE: Più frequente nei bambini e nei pazienti senili che presentano un
decadimento cognitivo (“vecchietto che si è fatto un bicchierino di svelto pensando che
fosse limoncello”)

Vediamo innanzitutto cosa si intende per caustico: sostanza con pH >12 (alcale forte) o pH<2
(acido forte) che esplica il suo effetto lesivo tramite un’azione locale diretta sulla mucosa.
I prodotti più utilizzati sono: detersivi, sbiancanti a base di cloro o ossigeno, pulitori per metalli o
forni, disgorganti, detergenti, ammoniaca.

Gravità delle lesioni


È importante capire subito che tipo di sostanza ha ingerito il paziente, così da sapere che lesioni
aspettarci. Infatti, la gravità delle lesioni dipenderà da:
1. Caratteristiche chimico-fisiche della sostanza caustica
2. Tempo di contatto
3. Quantità e modalità di ingestione
4. Presenza o meno di replezione gastrica (stomaco pieno o vuoto)
Questi fattori vanno indagati facendo domande al paziente.

Meccanismo d’azione lesivo


➢ Alcali forti → necrosi colliquativa del tessuto; penetrando negli strati più profondi possono
determinare una perforazione dello stesso.
➢ Acidi forti → necrosi coagulativa della mucosa
➢ Agenti ossidanti → reazioni ossidative

104
Come classifichiamo i caustici?
Abbiamo:
o ACIDI FORTI, i più noti sono: acido cloridrico/muriatico, acido fluoridrico, acido fosforico,
acido nitrico, acido solforico.
Causano necrosi coagulativa per disidratazione, denaturazione delle proteine e
agglutinazione del citoplasma cellulare

o ALCALI FORTI, tra cui: ammoniaca, idrossido di sodio (soda caustica)


Causano una necrosi colliquativa per saponificazione della componente lipidica della
membrana cellulare e denaturazione delle proteine.
Il tessuto perde resistenza e si lacera

o AGENTI OSSIDANTI, come: varichina, candeggina (gli ipocloriti)


Danno reazioni ossidative con disidratazione e necrosi.

Di fronte ad un paziente che ha ingerito un caustico occorre cercare di capire da subito che tipo di
sostanza ha ingerito, a volte l’operatore del 118 dice ai familiari di portare il contenitore della
sostanza ingerita per facilitarne l’identificazione.
In ogni caso è bene contattare un centro antiveleni, nel nostro caso di Foggia o per alcune
sostanze particolari c’è quello del Niguarda (Milano).

A seconda della forma del caustico ingerito, possiamo avere lesioni particolari:
▪ Solido → ovviamente causano il massimo danno a bocca e faringe
▪ Liquidi → transitano velocemente a livello di bocca e orofaringe, e creano quindi il danno
maggiore a livello di esofago e stomaco.
▪ Vapore → causano lesioni, anche vere e proprie ustioni, a livello delle vie aeree

Oltre agli effetti locali, occorre anche valutare quelli sistemici, cosa più complessa.
In particolare monitoriamo sempre: calcemia, natriemia e soprattutto l’emogas.

Clinica
Oltre a piccole lesioni a livello orale (non frequenti), ci possono essere:
❖ Dolore
❖ Scialorrea
❖ Nausea
❖ In caso di acidi/alcali forti è possibile riscontrare segni di shock ipovolemico, come se il
paziente fosse disidratato, o di shock settico se le lesioni si approfondiscono molto.

A prescindere dalla gestione immediata del paziente, che può essere operato o meno, gestito e
nutrito per un certo periodo di tempo e/o rimandato a casa, quasi sempre questi pazienti,
nell’arco di 4 settimane avranno degli esiti cicatriziali stenotici, tali da richiedere nuovi interventi
chirurgici, anche di ricostruzione. E quindi si possono avere odinofagia, disfagia, vomito.

105
Eseguendo un transito esofago, si può vedere un esofago a corona di rosario oppure a forma di
tubo, quasi cilindrico, non sembra più un esofago in quanto è diventato rigido a causa della
cicatrizzazione.

Esami di laboratorio
Si richiedono in urgenza.
In particolare, valutiamo elettroliti (sodio, potassio, cloro, magnesio, calcio), funzionalità renale,
funzionalità epatica, alcolemia (per gli alcolisti) nelle donne spesso chiediamo la beta-HCG poiché
potrebbero essere incinta.
Poi occorre eseguire un EMOGAS per valutare pH, lattati e carbonati.

Ci sono alcuni esami che sono predittivi di una necrosi transmurale e che indirizzano quindi verso
una prognosi peggiore e sono: pH basso, alti livelli di lattato, test di funzionalità epatica alterati
(transaminasi), leucocitosi, livelli alti di PCR, insufficienza renale e trombocitopenia.

Consulenze specialistiche
I pazienti quasi mai vengono operati nella fase iniziale, ma vengono avviati ad una serie di
consulenze. La prima consulenza è sempre con il centro antiveleni e con il tossicologo; se la lesione
è alta contattiamo l’otorino.
Poi c’è lo psichiatra, per soggetti che hanno tentato il suicidio e possono reiterare il gesto: è
importante un controllo di questi pazienti 24 ore su 24.
Altro specialista può essere il nefrologo, il chirurgo toracico (in caso di mediastinite), il rianimatore
nei casi peggiori.

Esami strumentali
Il primo esame da effettuare è un Rx (collo, torace, addome) che ci permette di valutare la
presenza di aria libera, e quindi di una possibile perforazione in atto.
Dove si sospetta una complicanza, si può richiedere una TAC.

Più dibattuto è il tema dell’endoscopia. Di solito si dice che deve essere eseguita il prima possibile,
e non dopo. Perché?
La mucosa sarà troppo edematosa e se non c’è stata perforazione rischiamo di procurarla con
l’endoscopia. Quando facciamo endoscopia, infatti, si insuffla aria e se ci sono dei tessuti a rischio
possiamo lacerarli.
Meglio farla entro 6 ore, esponendo a meno rischi il pz. Per coloro che non hanno assunto grandi
quantità di sostanze, possiamo anche eseguirla entro 12 ore. Oltre questo intervallo di tempo, non
ha più valore diagnostico.

106
Esiste anche una classificazione, denominata classificazione di Zargar (la prof la descrive
abbastanza rapidamente, senza specificare i singoli gradi, che riporto dalla sbobina dello scorso
anno), basata proprio sul reperto endoscopico:
• Grado 1: assenza di lesioni (pazienti che inventano di aver ingerito caustici come i detenuti)
• Grado 2: edema ed iperemia della mucosa
• Grado 2A: erosioni, ulcerazioni, friabilità, vesciche, emorragie
• Grado 2B: ulcere più profonde e circonferenziali
• Grado 3A: aree piccole di necrosi
• Grado 3B: necrosi estesa

In ogni caso, ognuno di questi gradi ha scarso valore predittivo per gli esiti cicatriziali.
Una perforazione in atto, in torace e/o addome, è una controindicazione per l’esecuzione di una
endoscopia.
In sede peri-operatoria o intraoperatoria può essere d’aiuto al chirurgo avere l’endoscopista per
capire sede ed entità del danno sotto controllo visivo. Se durante l’esecuzione dovessero
verificarsi lesioni si è già in sala operatoria e vi si pone rimedio.
Quando si fa un controllo dell’endoscopia? Quando la situazione peggiora rapidamente, prima di
portare il pz in sala operatoria.
(credo che con “controllo dell’endoscopia” la prof intenda l’esecuzione di una seconda endoscopia,
rifacendomi sempre alle sbobine 21/22)

Terapia
Abbiamo una terapia in fase acuta e una terapia in fase tardiva.
In FASE ACUTA abbiamo ovviamente una nutrizione parenterale totale eseguendo un accesso
venoso centrale; si esegue terapia infusionale (per correggere eventuali disturbi elettrolitici),
antibiotica, antisecretiva (per evitare che le secrezione gastrica acida peggiori le cose),
antidepressiva, antipsicotica fino ad una terapia chirurgica.

In FASE TARDIVA, passata l’emergenza, si può pensare alla nutrizione enterale con sondino o con
digiunostomia.
Nei pz che invece riprendono una normale alimentazione per os, dopo un po’ di tempo ci possono
essere le stenosi cicatriziali e dunque verranno sottoposti più volte, in maniera seriata, a delle
dilatazioni endoscopiche, purtroppo mal sopportate dal paziente.

Evoluzione
È possibile l’exitus con o senza terapia intensiva.
Se non si realizza l’exitus o il ricovero in terapia intensiva, avremo:
- complicanze toraciche e addominali precoci (mediastiniti e peritoniti da perforazione)
- stenosi cicatriziali (occlusioni alte e basse)
- reiterazioni del gesto (da sottolineare, il pz vede nell’ospedale un ambiente familiare, in cui tutti
sono attenti alle sue esigente e dunque esegue ripetututamente il gesto)

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D: Quindi non c’è indicazione a lavanda gastrica o a induzione del vomito?
R: No, sono entrambe controproducenti, c’è il rischio di peggiorare la situazione.
Se il pz vomita rischia di portare la sostanza caustica nuovamente in esofago.
Anche facendolo bere, è vero che diminuisce la concentrazione del caustico, ma ne aumenta il
volume e la possibilità che ci siano altre lesioni.
Occorre capire che sostanza è stata ingerita, se c’è una patologia psichiatrica sottostante,
contattare il centro antiveleni e dare un supporto per evitare situazioni di shock.

D: Quando l’endoscopia è controindicata, cosa facciamo?


R: Rx addome; se riteniamo che non sia sufficiente, eseguiamo una TAC.

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Chirurgia d’urgenza (prof.ssa Annalisa Volpi) 25/10/2022

ADDOME ACUTO

L'addome acuto comprende una serie di


malattie, quindi è una sindrome, cioè un
insieme di segni e sintomi che riconoscono
una varia eziologia, ossia una serie di
condizioni morbose a carico dell'addome che
hanno delle caratteristiche precise:
- quasi sempre sono accompagnate da
dolore;
- insorgono acutamente, quindi a
all’improvviso;
- possono avere una prognosi infausta,
anche a breve termine;
- beneficiano nella grande maggioranza
dei casi della terapia
- chirurgica.

Prima di parlare in generale dei vari quadri di addome acuto, anche in questo caso dobbiamo
ricordarci quali sono i casi di dolore addominale non chirurgico -perché, se voi non interrogate il
paziente e non lo visitate, mandate un herpes zoster con la diagnosi di addome acuto, e questo
succede.

Il dolore addominale non chirurgico può essere dovuto ad altre patologie, per cui di fatto è un
dolore riferito. Può essere dovuto a:

 patologie dell’apparato cardiorespiratorio -infarto del miocardio, polmonite,


pericardite, empiema pleurico-, patologie metaboliche -

109
diabete mellito, insufficienza renale cronica, avvelenamento da piombo-,

 alcune malattie ematologiche -leucemia, porfiria acuta intermittente, anemia falciforme-,


infezioni intestinali -salmonellosi, enteriti virali, altre enteriti di natura batterica (che
provocano, oltre al dolore addominale, anche vomito e diarrea, solitamente)-
 malattie neurologiche -Herpes Zoster, tabe dorsale-,
 abuso di farmaci (ad esempio, l’abuso di alcuni antibiotici che possono provocare diarrea,
per cui un dismicrobismo intestinale diventa addome acuto),
 patologie urologiche e ginecologiche. Questo per evidenziare che una buona anamnesi può
servire a discriminare il dolore addominale non chirurgico da quello chirurgico.
Ora vediamo quali sono i più importanti quadri clinici:
- Perforazione di un viscere (paziente perforato);
- Occlusione intestinale (paziente occluso);

- Emorragia digestiva o emoperitoneo


(paziente sanguinante);
- Varie patologie, che hanno tutte il
DOLORE ADDOMINALE come sintomo
fondamentale.

Capiamo, dunque, quanto sia importante la diagnostica differenziale, però prima della diagnostica
differenziale dobbiamo fare una buona anamnesi e un buon esame obiettivo.

PERFORAZIONE DI VISCERE ADDOMINALE


Le sedi della perforazione di viscere addominale sono:
-esofago (terzo inferiore)
-stomaco
-duodeno
-digiuno
-ileo
-retto
Le cause
-ingestione di caustici
-ulcere
-tumori
-corpi estranei
-arma da fuoco/arma bianca

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-deiscenza d’anastomosi (sutura non regge, si crea una soluzione di continuo che determina la
fuoriuscita del contenuto dell’ansa intestinale interessata)
-cause iatrogene (clisteri, procedure endoscopiche)
-rotture da scoppio
-diverticoli
-ischemia intestinale (durante la fine del processo)
Patogenesi
Il viscere rotto riversa il suo contenuto nella cavità addominale ( succo gastrico, batteri, pus, corpo
estraneo, secrezione enterica) e questo determina una peritonite, ovvero infiammazione del
peritoneo.
La peritonite quindi può essere chimica, batterica, purulenta e stercoracea.
Cause di perforazione
1. Esofago:
-vomito impetuoso nella sindrome di Boerhaave, che determina una rottura spontanea
dell’esofago
-cause iatrogene: esofagoscopia, dilatazione meccanica
-ingestione di caustici
2. Stomaco, duodeno:
-ulcere gastroduodenali: 1/3 dei pazienti ha anamnesi negativa per sintomi legati all’ulcera e in
circa il 10-20% dei casi non sarà identificabile aria libera all’rx, che rappresenta il segno che ci
consente di effettuare la diagnosi di perforazione intestinale, per cui la sua assenza la rende più
difficile.
L’aria libera non è identificabile o perché l’omento copre la zona nella quale si accumula o a causa
di un affastellamento di anse intestinali, fatto sta che non si riesce ad identificarla
A tal proposito si ricorda che fino a 4 giorni dopo un intervento chirurgico a livello addominale si
troverà aria libera, è una condizione fisiologica.

-diverticoliti
3. Intestino
-ostruzione da strangolamento
-appendicite acuta e diverticolite di Meckel
-occlusione
4. Colon
Raramente si perfora spontaneamente
-Colon in cui il diametro supera 13 cm
-Pz trattati con cortisonici o immunosoppressori, motivo per cui questi trattamenti vanno sospesi
prima degli interventi sia per aiutare la cicatrizzazione sia per diminuire rischio di perforazione
-Diverticoliti

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-Malattie infiammatorie croniche

5. Colecisti
-Lesione iatrogena durante intervento
-Raramente colecistite acuta, perché questa darà sintomi prima di arrivare alla condizione di
perforazione
In tutti i siti poi ci potrà essere una perforazione da trauma o da corpo estraneo

Quadri
Spesso può capitare che un diverticolo perforato venga ad essere coperto da un’appendice
epiploica per cui, fortunatamente, la perforazione rimane localizzata.
Una semplice diverticolite acuta non è sempre una patologia tale da richiedere il ricovero in
ospedale ma può essere gestita dal pz col medico di medicina generale. A volte si ricoverano e si
tengono sotto osservazione magari con un controllo tramite tac e, quando la situazione si risolve,
si manda il pz a casa con dei consigli sull’alimentazione da seguire.
Esempio di perforazione da diverticoli con determinazione di una fistola a livello cutaneo: è una
situazione limite di cui il pz stesso si rende conto precocemente. Il problema sopraggiunge quando
la fistola si forma in comunicazione con altri visceri come il colon stesso, un’ansa ileale, la vescica.
In quest’ultimo caso il pz può riferire dei disturbi urinari come urine di colore diverso, piuria,
pneumaturia (= presenza di gas o aria nelle urine) oltre ad avere segno di Blumberg positivo,
dolorabilità in fossa iliaca sx e a livello dei quadranti addominali inferiori.
Esempio di ulcera duodenale perforata a livello della parete posteriore che penetra il pancreas: il
pz ha inizialmente una sintomatologia da perforazione però più sfumata perché non è libera in
addome. Il viscere rotto riversa il suo contenuto in addome come contenuto gastrico, secrezione
biliare, il corpo estraneo stesso, batteri, secrezione purulenta, secrezione enterica, determinando
una peritonite che può essere inizialmente solo chimica, soprattutto nelle perforazioni alte, e poi
evolve in quella batterica e purulenta, mentre per quelle più basse, c’è la possibilità di evoluzione
in peritonite stercoracea.
Per quanto riguarda la peritonite stercoracea, paradossalmente, le feci solide in addome sono
meno fastidiose delle feci liquide poiché queste si diffondono a tutta la cavità addominale, se il pz
è in posizioni quali la Trendelenburg o l’anti-Trendelenburg possono anche finire sotto il
diaframma e determinare degli ascessi sottodiaframmatici. Detto ciò, è comprensibile che questo
quadro non dipenda solo dalla qualità dello sversamento ma anche dalla durata della permanenza
in addome.
Nella perforazione di ulcera duodenale, il contenuto può essere anche di secrezione pancreatica
quindi di enzimi proteolitici che possono provocare ulteriori danni.
Clinica
• Dolore addominale e addome concavo “a barca” in cui la sola mano che sfiora il pz produce
dolore;
• Disidratazione poiché il pz perde liquidi e la situazione di flogosi stessa richiama liquidi;
• Shock settico (il pz va subito in sala operatoria);

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• Facies ippocratica ad aspetto affilato con i pomelli rossi e sudorazione calda (se è in shock
settico);
• Se il pz è ipovolemico avrà una facies sofferente con i segni della disidratazione (secchezza delle
fauci, visione offuscata, ecc…);
• Febbre a 38-39°C o febbricola;
• Vomito;
• Diarrea paradossa da irritazione viscerale;
• Alvo chiuso a feci e gas;
• Insufficienza multifunzionale.
N.B: i pz diabetici o che fanno uso cronico di cortisonici possono avere dei quadri caratteristici. Il
cortisone, essendo un antiinfiammatorio, può determinare un’alterazione della clinica, in questi
pazienti, cioè, possono non essere presenti la febbre, la dolorabilità addominale, ecc… portando
ad una perdita di tempo prezioso.
Infatti, se abbiamo un pz con diverticoli, non bisogna dare il cortisone che, appunto, può
mascherare i sintomi di perforazione diverticolare.
I diabetici, a volte, un po’ perché hanno carenza di potassio o altri disturbi elettrolitici, hanno una
sintomatologia atipica ed il quadro si “indovina” solo con gli esami di laboratorio (scompenso
importante della glicemia).
A prescindere dalla tac o dall’ecografia, il pz va sempre visitato quindi misceliamo la clinica con la
diagnostica strumentale e di laboratorio.
Esami di laboratorio:
• Leucocitosi (per lo più neutrofili);
• Alterazioni idro-elettrolitiche (pensiamo al pz che ha vomitato ed ha perso una grossa quantità di
potassio, di sodio);
• Insufficienza renale (azotemia alterata);
• Alterazioni a carico del PT;
• Alterazioni della quantità delle piastrine.
Diagnostica strumentale:
• Diretta addome in ortostasi che ci fa vedere la falce d’aria, tramite la quale
si può già fare diagnosi; (al lato vediamo l’immagine didattica che ci mostra la
falce d’aria ma nella maggior parte dei casi troviamo un accumulo di aria
anche dall’altro lato che ci potrebbe trarre in inganno, ma valutando la
proiezione latero laterale si capisce che si tratta della bolla gastrica.)
• Ecografia fast;
• TAC che è dirimente in un buon numero di casi.
Trattamento
Questi pazienti vanno trattati per il rischio di shock settico o ipovolemico quindi va sostenuto il
circolo per avere un’emodinamica stabile. Occorre prendere due accessi venosi o un accesso
venoso ed un catetere venoso centrale, mettere un sondino naso-gastrico per ridurre la quantità

113
di liquido sversato ed un catetere vescicale. È sempre utile stabilire il gruppo sanguigno perché
comunque sono pz che andranno in sala operatoria.
A questo si aggiunge:
• la terapia infusionale con soluzioni reidratanti e sostanze antagoniste dell’acidosi;
• la terapia antibiotica in relazione alla sede di perforazione;
• la terapia chirurgica del caso (ulcorrafia, duodenorrafia, ecc… fino all’intervento di Hartmann).
Es. Nel caso di perforazioni nella parte bassa del segmento rettale, le complicanze potranno essere
ascessi della fossa ischio-rettale, ed in questi casi l’intervento potrà essere fatto anche per via
transanale drenando la cavità purulenta attraverso il retto e l’ano.

Complicanze
Il rischio maggiore è lo shock settico.
Domanda: Alla percussione può esserci ottusità diffusa ma potrebbe esserci anche
ipertimpanismo?
Questo dipende dal tipo di perforazione che abbiamo. Possiamo avere ipertimpanismo se l’aria è
uscita e la perforazione si è coperta, se ci troviamo in presenza di ileo paralitico in seguito ad
irritazione peritoneale anche minima, e si può avere ottusità se è uscito tanto liquido.
Per esempio, nel caso della peritonite stercoracea nei quadranti addominali inferiori ci sarà
ottusità, in quelli superiori c’è ipertimpanismo. La riposta al nostro quesito la otteniamo se
facciamo muovere il paziente: in questo modo ci rendiamo conto che il suono alla percussione si
modifica, mentre nei casi di ileo paralitico si sentirà sempre nello stesso modo. Quando abbiamo
liquido e facciamo mettere in piedi il paziente il liquido andrà sotto, nei quadranti inferiori, e il gas
sopra.

OCCLUSIONE INTESTINALE
L’occlusione intestinale è l’arresto protratto nel tempo della progressione di solidi, liquidi e gas
all’interno del canale intestinale. Questo arresto è dunque diverso dalla stipsi, così come
differente è il paziente sub-occluso.
La subocclusione intestinale è invece una ostruzione temporanea del lume intestinale, a volte con
parziale canalizzazione, che regredisce spontaneamente o senza un intervento chirurgico. È tipica
degli anziani che hanno una abbondante coprostasi; spesso si risolve senza un intervento
chirurgico.
Tipi di occlusione intestinale:
1. Ileo meccanico: presenza di un reale ostacolo alla progressione intestinale (può essere una
ostruzione, compressione dall’esterno, una massa all’interno)
2. Ileo paralitico: incapacità di peristalsi efficace quantitativamente e qualitativamente, con
rilassamento diffuso della parete intestinale (non è una patologia che interessa il chirurgo ma le
due condizioni vanno spesso in diagnosi differenziale).
ILEO MECCANICO

114
Cause:
x Ostruzione: presenza di un ostacolo endoluminale (tumori vegetanti, corpi estranei, calcoli
biliari, fecalomi)
x Stenosi: presenza di un processo infiltrante parietale (tumori che possono determinare una
stenosi a manicotto riducendo il lume e la progressione, morbo di Crohn, esiti di frequenti episodi
di diverticolite)
x Compressione: presenza di una patologia extraluminale (tumori retroperitoneali, renali, masse
linfonodali, masse a livello dell’apparato genitale)
x Compromissione vascolare in fenomeni quali:
- Angolature: formazione di angoli acuti lungo il decorso intestinale, con formazione di aderenze
viscero-viscerali e viscero parietali, fenomeni spesso rinvenuti nei pazienti precedentemente
sottoposti a interventi chirurgici. A seguito di un intervento chirurgico possono formarsi dapprima
dei cingoli di fibrina, che poi diventano dei cingoli strozzanti o tra le anse stesse o tra le anse e la
parete. A volte queste aderenze possono essere rinvenute anche nei pazienti non operati, esito di
reiterati episodi infiammatori e non, come colecistite acuta magari con complicanze,
misconosciuta da parte del paziente, che possa poi dare origine ad aderenze che esitano in ileo
meccanico. Attraverso un angolo acuto è difficile che il contenuto possa passare. Queste
angolature possono anche formarsi in virtù di un meso troppo lungo.
- Strangolamento: tipico delle ernie interne ed esterne, c’è una grave compromissione della
vascolarizzazione perché le anse intestinali effettuino una rotazione sul loro asse e ciò può
determinare mancato afflusso dei vasi sanguigni arteriosi, mancato deflusso da quelli venosi. Si
genera un infarcimento emorragico con una necrosi di ansa. Queste patologie sono dovute a
invaginazione di un segmento intestinale, di solito è l’ileo, all’interno di un altro. In una sezione sul
piano trasversale la parete è a doppio binario (doppia parete). Lo strangolamento può anche
essere provocato da strozzamento da cingolo erniario.
ILEO PARALITICO
L’ileo paralitico solitamente non è una condizione trattata chirurgicamente, ma ci sono delle
eccezioni come le peritoniti stercoracee o le purulente.
Cause di ileo paralitico:
x Infiammazione del peritoneo: peritonite di qualsiasi origine
x Traumi dell’addome anche senza lesioni apparenti
x Interventi chirurgici: tutti gli interventi chirurgici in anestesia generale determinano un ileo
paralitico, tanto più importante quanto più prossima al tratto gastro-intestinale è la zona dove si
va ad operare. Quindi nei pazienti che hanno subito chirurgia addominale la ripresa della
canalizzazione sarà un po’ più stentata, mentre un paziente che è stato operato alla tiroide non
avrà grossi problemi, magari può avere stipsi qualche giorno, ma tendenzialmente si risolverà.
x Farmaci: oppiacei, neuroplegici, miorilassanti.

115
x Varie: la colica renale può determinare una peristalsi silente per via di una reazione del
peritoneo, diabete, ipopotassiemia
x Sindrome di Ogilvie (leggi Oghilvì): dilatazione acuta del colon in assenza di ostruzione
meccanica, tipica in pazienti diabetici, con ipopotassiemia grave. Di conseguenza la progressione
dall’ileo è alterata e ci possono essere quadri subocclusivi. Il colon è molto dilatato, fino a 10 cm,
osservabile all’RX addome.
Clinica
Il paziente occluso ha una serie di modificazioni dal punto di vista meccanico che spiegano il
meccanismo fisiopatologico di questa patologia.
La ostruzione può essere inizialmente anche solo parziale e, durante le fasi iniziali, l’intestino nel
tentativo di spingere il suo contenuto aumenta la peristalsi fino a che questa contrazione si
esaurisce e le pareti dell’intestino possono mostrarsi sfiancate. Anche durante l’esame obbiettivo
questo fenomeno è evidenziabile in quanto, se in un primo momento è possibile auscultare la
peristalsi molto attiva, quando l’intestino è dilatato ausculteremo una peristalsi torpida, fino a
sentire un silenzio intestinale.
Se provochiamo un movimento sull’addome durante l’esame obbiettivo avremo la possibilità di
sentire rumori dovuti al movimento del contenuto intestinale che determina i cosiddetti rumori
anforici.
La dilatazione del lume provoca anche un aumento della superficie dell’epitelio intestinale e un
danno della parete che si mostra congesta, iperemica e edematosa.
Alterazioni del riassorbimento determinano un’alterata produzione a livello intestinale di
prostaglandine, VIP, mediatori nocicettivi, nonché aumento della secrezione di acqua ed elettroliti
a monte della occlusione. Infatti, l’occlusione che determina ristagno del contenuto dell’ambiente
gastrointestinale, determina il richiamo di liquidi ed elettroliti a monte, incrementandone
ulteriormente la distensione.
L’assottigliamento della parete determina una compromissione vascolare con alterazione della
concentrazione di ossigeno, facendo divenire quell’ansa quasi ischemica. Quindi a questo punto i
liquidi ma anche i batteri contenuti nel materiale stagnante possono passare nella circolazione,
processo che prende il nome di traslocazione batterica, quasi come fosse una bomba che sta per
scoppiare.
L’incremento crescente, dovuto ai gas prodotti dai batteri, ai liquidi che si accumulano nel lume,
al cibo che viene introdotto attraverso l’alimentazione è come se andasse a generare una peristalsi
retrograda che si manifesterà con vomito. Attraverso il vomito possono essere persi non solo
succhi gastrici ma anche elettroliti. Quindi il paziente perde liquidi sia attraverso il vomito, sia
perché vengono sequestrati nelle anse intestinale, trasudando magari in cavità peritoneale. Quindi
è un paziente con una disidratazione e squilibrio elettrolitico importante. Questa stasi a livello
radiologico si evidenzia con il livello idro-aereo.

116
SINTOMI
x Il paziente non va di corpo, o se va di corpo è materiale proveniente dal tratto a valle della
occlusione
x Il paziente ha vomito, tanto più precoce quanto più alta è l’occlusione, e se questa è troppo
bassa in realtà il vomito potrebbe essere assente.
Ci possono essere tutti i tipi di vomito perché esso può provenire da tutti i tratti dell’apparato
gastro-intestinale:
-gastrico (marroncino, che può essere confuso con il vomito caffeano, ma si distingue da questo
perché presenta un odore di putrefazione degli ingesti che sono lì da parecchie ore),
-alimentare
- biliare (se si determina al di sotto della papilla di Water)
- fecaloide (nel momento in cui una occlusione ileale o colica determina la presenza di questa
nuance marroncina con un odore tipico, che ci fa capire che in quel vomito è presente una
componente batterica anaerobia).
Va determinata sia la quantità che la qualità del vomito.
x Dolore di tipo colico inizialmente, con un andamento che raggiunge un picco e poi decresce.
Quando l’intestino è completamente sfiancato il dolore cambierà: sarà un dolore gravativo e
diffuso.
x Chiusura dell’alvo a feci e gas (se l’occlusione è parziale si può avere apertura dell’alvo ai gas, e
nelle prime fasi della malattia abbiamo detto ci può essere canalizzazione del tratto dell’intestino a
valle della ostruzione)
x Squilibrio idro-elettrolitico
x Shock ipovolemico/settico
L’ecosistema batterico intestinale viene mantenuto da una serie di meccanismi tra cui:
- La competizione tra specie batteriche
- Interazione con l’ospite
- L’esistenza di una omeostasi tra la crescita batterica e la popolazione batterica persa attraverso
la defecazione (clearance del contenuto intestinale).
È ovvio che questo equilibrio può già divenire precario quando ad esempio il paziente è stitico.
Quando insorge una ostruzione a livello ileale la carica batterica cresce rapidamente fino a
raggiungere livelli qualitativi e quantitativi simili a quelli del contenuto colico (vomito fecaloide).
Se invece l’ostruzione è più bassa, ad esempio nel colon, si può generare una distensione abnorme
del viscere fino a quando non determinerà una apertura per una incontinenza da sfiancamento
della valvola ileocecale, con colonizzazione retrograda del tratto ileale con aggiuntivo quadro
occlusivo ileale. Non è escluso che l’aumento della pressione possa generare una rottura del colon,
che di solito avviene nel cieco-ascendente (rottura diastasica del cieco). Dunque, il vomito

117
gastrico-biliare è dovuto ad un’occlusione alta, duodenale mentre il vomito fecaloide è associato
ad un’occlusione bassa, a livello dell’ileo terminale e del colon. Il vomito è tanto più precoce
quanto più alta è la sede dell’occlusione, ecco perché la prima cosa da fare in un paziente occluso
è posizionare un SNG per detendere l’intestino, ridurre il dolore e valutare la qualità del vomito e
quindi se gastrico, biliare o fecaloide, che ci indirizza per una patologia alta o bassa. Inoltre, un
paziente può inalare delle sostanze e provocare una broncopatia ab-ingestis.

Diagnosi
x Valutazione della sintomatologia (da quanto tempo non va di corpo, da quanto non fa aria, ha
vomitato o meno, che tipo di vomito, per quanto tempo e da quando, la qualità, la quantità o la
febbre, che indica una evoluzione)
x Anamnesi sia fisiologia che patologica remota, sapere se i farmaci che assume possono aver
rallentato la peristalsi, ci sono pz allettati con decadimento cognitivo, in uno stato quasi
vegetativo, non aventi una forza di ponzamento sufficiente. Se il paziente ha avuto qualche
patologia addominale o pregressi interventi che possono essersi complicati con una sindrome
aderenziale. Chiedere le abitudini in merito all’alvo ed eventuali modifiche in senso stitico e
diarroico. A volte in pz con ostruzione ab estrinseco o ab intrinseco veniamo fuorviati dalla diarrea
paradossa, dovuta ad un’incompleta ostruzione (la parte solida non riesce a passare) per cui
vengono somministrati per os liquidi che aumentano la diarrea paradossa. Per qualsiasi dolore
addominale i medici somministrano l’antispastico che può aggravare la situazione, in quanto essi
alterano la progressione del contenuto. A volte viene somministrato anche un lassativo che
distende ulteriormente il canale addominale al posto di somministrate ad esempio un clistere.
x Esame obiettivo: ernie, cicatrici.
x Esame rettale per vedere se vi possono essere delle feci ad ostruire il canale e dunque con un
clistere si potrebbe risolvere. Se l’ampolla rettale risulta vuota allora bisogna richiedere una
consulenza chirurgica. Nell’ileo meccanico da ostruzione colica si può evidenziare un fecaloma,
frequente causa di occlusione intestinale nel paziente allettato. Spesso si verifica anche nei
soggetti più giovani che si idratano poco e dunque l’evacuazione risulta alterata dalla
disidratazione delle feci.
Esami di laboratorio
x Esami d’urgenza: glicemia, azotemia, emocromo, funzionalità epato-bilio-pancreatica,
coagulazione, d-dimeri
x Esami di routine
x Marker neoplastici
Diagnosi strumentale
Tolta la clinica, rappresentata da un addome disteso, va effettuata:

118
x Rx diretta dell’addome in ortostasi: livelli idroaerei aventi una caratteristica forma a manico
d’ombrello, presenti numericamente in maniera eccessiva rispetto alla normalità.
x Rx diretta addome a bandiera (allettati)
x Tac o eco, che ci precisa la localizzazione e il tipo di addome, indirizzandoci verso la laparoscopia
o meno
x Colonscopia, EGDS in elezione se vi è la canalizzazione del paziente
x Altro
In un pz occluso il clisma opaco può essere somministrato in elezione e non in urgenza.
Addome disteso tipico di un paziente con occlusione intestinale: con la palpazione superficiale
sentiremo le anse distese sotto la mano, mentre la palpazione profonda sarà difficile perché
provocherà vivo dolore. Dalla percussione risulterà un suono timpanico diffuso, a questo livello la
peristalsi sarà assente o torbida e si sentirà qualche rumore di tipo anforico, indice di intestino
disteso o dilatato.
TRATTAMENTO
La prima cosa da fare è il monitoraggio dei parametri vitali, per escludere uno shock ipovolemico o
settico, mediante la PA, ECG, T, FC, diuresi, bilancio idrico. A questi pazienti vengono somministrati
liquidi che vengono ritenuti in quanto il rene risulta affaticato dall’ipotensione. Trattamento
assoluto prevede:
x Digiuno assoluto
x Posizionamento di un SNG
x Apporto idroelettrico
x Antibioticoterapia
Posizionamento di protesi endoscopiche in pz che non possono essere operati a causa di un’età
avanzata o con una patologia neoplastica e altri fattori di rischio concomitanti a livello di sigma e
colon discendente che evitano la stenosi totale favorendone la canalizzazione. A volte può
dislocarsi.
Trattamento chirurgico riservato in casi d’urgenza, d’urgenza differita o d’emergenza in cui
dobbiamo fare la terapia del caso singolo o delle complicanze (perforazioni, peritoniti, necrosi
d’ansa, shock settico).
Mostra serie di slides con le varie e più frequenti cause.
Tratto stenotico conseguente ad un’ernia strozzata o ad una trombosi
mesenterica localizzata o ad un’enterite regionale dovuta al morbo di
Crohn, caratterizzata da ispessimento dell’ultima ansa intestinale e a
monte da una distensione.

119
Anastomosi scorrette tra trasverso e ultima ansa
ileale che in una complicanza può torcersi e per
risolverla va denotata. Se vi è sofferenza o si rifà
l’anastomosi o si reseca l’ansa.
Mostra anche volvolo ileale e sigmoideo o
appendicolare dove spesso si opta per la resezione. Frequenti sono i corpi estranei e i fecalomi
nell’intestino retto, soprattutto nei pz defedati privi di forza di ponzamento, dove si frammenta il
fecaloma per poi passare al clistere. Carcinoma primario o invasione secondaria e/o compressione.
Situazioni metastatiche con invasione, compressione, angolazione e torsione.
Le stenosi sono frequentemente a carico del colon o della flessura splenica. La stenosi pilorica è
tipicamente dovuta ad ulcera cronica. La sindrome del compasso mesenterico, in cui si ha
compressione ab estrinseco del duodeno con dilatazione a
monte e vomito.
Briglia aderenziale o torsione e angolazione del diverticolo
di Meckel.
Altra causa di occlusione è nell’ileo biliare una fistola tra la
colecisti e il duodeno-digiuno che permette ai calcoli biliari
di arrivare nella valvola ileo ciecale dando ostruzione.
Intussuscezione intestinale, data da un polipo che esercita a monte una forza di trazione sulla
parete.
PATOLOGIA ERNIARIA
La patologia erniaria risulta essere molto frequente.
Vi sono alcune regioni della parete addominale in cui le ernie si manifestano con massima
frequenza:
x La regione inguinale, da non confondere con la fossa iliaca
x La regione crurale
x La regione ombelicale e la linea alba
x La linea semilunare di Spigelio
x La regione lombare
x La regione otturatoria
Tra gli elementi costitutivi fondamentali di un’ernia sono importanti le porte erniarie. Valutiamo le
porte erniarie inguinali da entrambi i lati, crurali, sulla linea mediana e a livello addominale,
attraverso cui si realizza l’erniazione di visceri o altre strutture.
Nell’esame obiettivo di un pz occluso troviamo tumefazioni nelle regioni inguinali di cui dobbiamo
descrivere:
x Forma

120
x Dimensioni
x Consistenza che può essere molliccia, teso-elastica o dura in caso di ernie complicate o meno.
x Riducibilità totale o parziale
x Dolorabilità
x Impulso durante la manovra di Valsalva
x Contenuto se duro, può esserci l’epiploon o se molliccio delle anse.
In primis bisogna valutare la cute in corrispondenza di tale tumefazione, iperemica lacerata o
lesionata per capire se si è di fronte ad una flogosi erniaria o ad una complicanza. Nelle ernie
semplici risulta esserci una tumefazione visibile e palpabile (a volte dopo sforzi), riducibile a volte
dolente spontaneamente o alla palpazione; quindi, invitiamo il pz a ponzare o tossire e quindi
vedremo fuoriuscire l’ernia dopo sforzo o mentendo il dito verso il canale inguinale potremo
sentire l’impulso. Nelle ernie complicate a volte si hanno quadri di addome acuto con segni di
occlusione, con un’ernia inguinale strozzata e irriducibile.
Le complicanze:
x Irriducibilità totale o parziale.
x Infiammazione: può essere acuta o cronica, determinata da trauma o da infezione batterica.
x Intasamento: è l’accumulo di contenuto intestinale nelle anse dell’intestino erniato, che non
può progredire nel lume, a volte con dei clisteri la situazione può migliorare.
x Strozzamento: è determinato da improvvisa costrizione del peduncolo del contenuto erniario a
livello della porta con conseguente grave ostacolo circolatorio a livello del viscere erniato, che
conduce alla gangrena del contenuto in poche ore, in questi casi vi sarà la resecazione dell’ansa
intestinale.
x Rottura: è rara.
Le ernie importanti che si strozzano sono il bubbonocele e l’ernia inguino-scrotale, il pz ha
problemi ad urinare, dove oltre ad una plastica erniaria, noi abbiamo un post-operatorio più lungo,
in quanto i visceri contenuti nella sacca vanno riposizionati nella parete addominale e quindi vi
possono essere più complicanze.
In base all’estensione l’ernia si può distinguere:
x Punta d’ernia: quando il sacco occupa appena l’orifizio inguinale interno.
x Ernia intestinale: il sacco discende fino ad impegnare il canale inguinale.
x Bubbonocele: il sacco attraversa completamente in canale inguinale e sporge nel tessuto
sottocutaneo fuoriuscendo dall’orifizio inguinale esterno.
x Ernia inguino-scrotale: il sacco discende fino dentro allo scroto.
Riepilogando: per quanto riguarda la sintomatologia abbiamo una tumefazione che protrude
attraverso la parete addominale, rivestita da tegumenti. Dolore gravativo in corrispondenza della
tumefazione erniaria. Talora può essere completamente asintomatica rimanendo ridotta in cavità

121
addominale, fuoriuscendo solo in seguito a sforzi che aumentano la pressione endoaddominale. La
tumefazione della parete dell’addome appare di forma variabile ma tendenzialmente
rotondeggiante, di dimensioni variabili, con limiti che sfumano nel tessuto sottocutaneo, ricoperta
dalla cute. Appare importante valutare le modificazioni della tumefazione alla variazione della
pressione endoaddominale (Valsalva).
Come complicanze abbiamo lo strozzamento, l’occlusione intestinale, l’intasamento.
La diagnosi differenziale va con:
x Varicocele
x Idrocele
x Testicolo-ritenuto, neoplasie del testicolo
x Linfoadenopatia inguinale
La terapia è chirurgica, abbiamo una plastica della parete con l’utilizzo di reti non riassorbibili. Per
quanto riguarda le ernie crurali, possono causare occlusioni.
Dal punto di vista della diagnosi differenziale sono le più infime in quanto possono essere
misconosciute in donne obese, dove con grasso addominale diffuso vi è una difficile palpazione, in
quanto posta inferiormente al legamento inguinale, a volte piccolissime ma con sintomatologia
molto intensa e dolorosa.
LAPAROCELE
Per laparocele intendiamo la fuoriuscita di visceri addominali attraverso la breccia
muscoloaponeurotica della parete, in corrispondenza di una pregressa cicatrice o incisione
chirurgica.
È una complicanza post-operatoria che si manifesta in circa il 2 % di tutte le laparotomie.
I fattori predisponenti risultano essere:
x Infezione della ferita laparotomica (ad esempio quelle guarite per terza intenzione)
x BPCO e gli episodi di tosse violenta, che possono alterare la tenuta della faccia.
x Malattie dismetaboliche (diabete, insufficienza renale, cirrosi)
x Un difetto di tecnica chirurgica di sutura della laparotomia
x Varie: malnutrizione, pz plurioperati in cui nella parete addominale la fascia
muscoloaponeurotica è quasi inesistente.
Possono localizzarsi sulla linea mediana, a livello del retto dell’addome in relazione ad una
appendicectomia dove valgono le stesse regole citate precedentemente con la valutazione della
forma, della consistenza, della irriducibilità.
La terapia è chirurgica, abbiamo una plastica dell’ernia con il posizionamento di rete di materiale
non riassorbibile a meno che non vi siano infezioni in atto. A volte il laparocele si può formare in
fossa iliaca sinistra intorno alla stomia, in questi casi parliamo di laparocele peristomale che

122
vengono lasciati in loco, mentre a volte bisogna rifare la stomia. All’anamnesi bisogna chiedere al
pz il tipo di intervento che ha subito per capire se si possa ridurre spontaneamente o può andare
incontro a strozzamento, a volte tutto l’addome è un laparocele e in questo caso lo strozzamento
è difficile, al contrario di quando le porte sono piccole. In pazienti ad altissimo rischio come
cardiopatici, diabetici etc. questo tipo di intervento in elezione è controindicato, quindi saranno
operabili solo quelli in cui la canalizzazione non si sblocca e non riusciamo a ridurre il laparocele.
Seguono slides che illustrano casi vari

123
124
PERITONITI
Parliamo della classificazione delle peritoniti perché è una complicanza che si sviluppa nel corso di
addome acuto.
Il peritoneo è una membrana che può subire fenomeni di flogosi e di alterazione del liquido
contenuto all’interno. Questo liquido è di solito circa 20-30 ml a seconda della costituzione. Viene
prodotto in quantità costante (poco più di 1L al giorno) per idratare le superfici ed evitare che si
creino attriti tra le superfici e per facilitare lo scambio di sostanze e cellule immunitarie con il
plasma tramite la membrana peritoneale. Il liquido peritoneale è un misto di trasudato normale e
di prodotti di degradazione ovarica (essudato ovarico), fluidi tubali, mestruazioni retrograde,
secrezioni macrofagiche. È un liquido che ha anche una funzione importante nel momento in cui ci
sono degli attacchi alla membrana peritoneale.

125
Gli agenti che possono irritare il peritoneo sono quelli di qualsiasi flogosi, determinano ileo
paralitico che è una situazione quasi di protezione del contenuto enterico, ma, se persiste, crea
molti problemi.
Una situazione a livello peritoneale può portare, se portata avanti, a una risposta sistemica. Quindi
vedete il peritoneo non solo agisce localmente, ma è responsabile anche di una risposta sistemica.
Quindi, volendo fare un discorso generale, diciamo che gli agenti irritanti a livello peritoneale
determinano una risposta locale, un ileo paralitico e una risposta sistemica nel caso in cui
persistano.
La peritonite è la seconda causa più importante di sepsi, è caratterizzata da elevata morbilità e
mortalità, nella stragrande maggioranza dei casi è in relazione ad appendiciti, diverticoliti,
occlusione gastrointestinale. Ci sono un’altra serie di cause, ma queste sono quelle che si
riscontrano più facilmente, soprattutto le prime 2. Tenete presente che con l’automedicazione
questi quadri possono essere mascherati, per cui un pz che ha una diverticolite o un’appendicite
viene da noi dopo giorni e giorni in cui ha assunto antinfiammatori o antibiotici. Un altro
problema: tenete sempre presente che gli immunodepressi possono aver una clinica diversa, così
come i pz diabetici in cui il diabete è come se mascherasse i sintomi, per cui le reazioni possono
essere diverse e le patologie possono complicarsi più frequentemente.
Allora vediamo come facciamo la classificazione? La classificazione si fa secondo l’eziopatogenesi
(quindi la causa), secondo l’estensione, secondo l’evoluzione clinica.
Classificazione secondo l’eziopatogenesi, abbiamo:

 Peritoniti primitive: non sono molto frequenti e sono di solito delle peritoniti batteriche
spontanee che si possono realizzare per esempio in alcuni pz cirrotici, dovute per lo più
all’azione di streptococchi, stafilococchi, di alcuni gram -;
 Peritoniti secondarie: sono le più frequenti, sono quelle tipiche dovute a perforazione di
visceri per appendiciti, diverticoliti ecc. oppure iatrogene postoperatorie dovute a focolai
settici distanti. Vuol dire che durante un intervento chirurgico si può lesionare un’ansa
intestinale e determinare così una peritonite postoperatoria, che quindi può far peggiorare
l’intervento, oppure ci sono focolai settici che possono raggiungere il peritoneo per via
linfo-ematica;
 Peritoniti terziarie: si osservano in chirurgia perché o c’è antibiotico-resistenza o proprio
l’antibiotico non può essere utilizzato. Sono spesso in relazione all’uso sconsiderato che si
fa di antibiotici, per cui a volte si instaura un antibiotico resistenza anche abbastanza
velocemente.
Classificazione in base all’estensione:

 diffusa o generalizzata,
 localizzata o circoscritta,
 poi ci sono alcune aree particolari con le pelviperitoniti, in relazione a patologie a carico
dell’apparato urogenitale.
L’estensione della flogosi può essere dovuta a vari fattori: natura, sede, difese organismo ecc.
Classificazione secondo evoluzione clinica:

126
 acute: se controllate possono rientrare spontaneamente, ma se misconosciute possono
essere gravi, portare a shock settico e insufficienza multiorgano
 croniche: lasciano il tempo che trovano, fortunatamente non si osservano più quelle
tubercolari che erano tipiche 40-50 anni fa (e forse anche più) e poi ci sono quelle che sono
esiti delle pancreatiti acute necrotico emorragiche (PANE) e danno fondamentalmente
un’irritazione, una sindrome aderenziale ecc.
Dal pdv clinico il pz peritonitico è un pz sofferente. La cosa che si nota subito è la facies
ippocratica; è un pz che ha dolori addominali diffusi o localizzati; può avere segni di disidratazione
(secchezza fauci, secchezza cute, sete ecc.); può avere o meno febbre; può presentare in alcuni
casi vomito e diarrea o, quando si è instaurata già la condizione di ileo paralitico, avere l’alvo
chiuso a feci e gas. Dal pdv dell’esame obiettivo, a parte la compromissione dello stato generale, la
cosa che ci colpisce di questi pz è la reazione di difesa della parete. Vediamo, anche con
l’ispezione, l’addome a barca quasi incavato e, se mettiamo una mano sull’addome, non sentiremo
gli organi, ma sentiremo questa reazione di difesa della parete addominale. Molto spesso facendo
la percussione potremo avere quadri con timpanismo o ottusità a seconda che sia presente
all’interno della cavità addominale del liquido fuoriuscito dagli organi. All’auscultazione sentiremo
una peristalsi molto torbida, ma nella stragrande maggioranza dei casi ci sarà silenzio addominale.
MANAGEMENT
o Terapia intensiva e rianimazione
o Controllo del focus
o Trattamento antibiotico
o Chirurgia

Quando il pz è in shock settico, va in terapia intensiva e rianimazione. In generale per noi è


importante controllare il focus: per esempio se la peritonite è in relazione ad un’appendicite, noi
faremo l’intervento di appendicectomia e ripuliremo la cavità addominale da tutta la secrezione
purulenta che riusciremo ad osservare. Il trattamento antibiotico ovviamente va a coadiuvare la
chirurgia ed è estremamente importante. La terapia antibiotica è sempre empirica fino a che non
abbiamo l’esame colturale, però ci permette di aggredire questa peritonite subito.
Quindi la peritonite è la parte finale di una serie di situazioni a volte mascherate. Molto spesso noi
abbiamo un pz che ha direttamente peritonite senza avere prima dei sintomi o perché hanno
abusato di antibiotici e antidolorifici e il quadro viene sconvolto, o perché certe volte si ha proprio
prima la peritonite e poi si hanno gli altri sintomi. Ecco perché in questi casi, come vi dico mille
volte fino alla nausea, è importante fare una buona interrogazione al pz per sapere più o meno di
fronte a quale patologia ci troviamo. A volte, voi che volete sempre fare TC per tutto, la TC non ci
fa vedere proprio niente se non dell’aria; quindi, non ci dice la causa della presenza di questa aria.
Quindi noi ci troviamo ad avere diagnosi presunte, ma non corroborate da dati radiologici. Ecco
perché è importante fare una buona anamnesi e un buon esame obiettivo.

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PERITONITI
Cosa sono
Liquido peritoneale
Circa 1 litro al giorno, ci troviamo di tutto dentro
Le membrane peritoneali sono estremamente sensibili e si irritano per qualsiasi motivo
Risposta flogistica locale e ileo paralitico come meccanismo di difesa
La peritonite è la seconda causa di sepsi caratterizzata da elevata morbilità e mortalità.
Appendiciti, diverticoliti cause principali
Ma ci sono anche peritoniti più difficili da diagnosticare
Come le batteriche spontanee da streptococchi e stafilococchi che troviamo in pz epatopatici ma
anche senza causa
Sono rare ma danno problemi per la diagnosi differenziale
Noi vediamo le secondarie alla perforazione di viscere e iatrogene
Le terziarie sono quelle in cui l’irritazione a livello peritoneale è a causa di germi tutti resistenti
all’antibiogramma
Dal pdv eziopatogenetico
Dal pdv dell’estensione sono localizzate, diffuse e flogosi pelviche che chiamiamo pelviperitoniti
Abbiamo le acute e croniche, queste ultime sono rare da tbc magari
La maggior parte sono acute
Clinica: Dolori addominali e compromissione stato generale

Esame obiettivo
All’anamnesi facciamo solite domande e abbiamo visto che la cosa fondamentale è l’esame a
barca
Blumberg positivo ci deve far preoccupare
Blumberg localizzato che a seconda se ci troviamo a dx o a sx ci aiuta per eventuale sede
Timpanismo e silenzio addominale
Dal pdv del managemet
Dobbiamo capire cosa ha generato peritonite per eliminarlo
Appendicite
Colecistite acuta
Trattamento antibiotico, in questi pz dobbiamo fare emocultura ecc per capire germi e resistenze
Chirurgia che permette di eradicare infezioni
Domanda: Per le briglie aderenziali? -….

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Emergenze 27/10/22 Prof.ssa Volpi
Sbobinatore: Gianluca Mancini

APPENDICITE ACUTA
L’appendicite acuta è una patologia estremamente frequente, soprattutto nei Paesi
economicamente più avanzati, ed è anche la patologia che ha più processi diagnostici falsi: non è
semplice fare diagnosi di appendicite acuta o anche solo sospettarla.
É apparentemente la patologia più facile da diagnosticare, in realtà, per certi versi, risulta essere la
più difficile da diagnosticare perché il sintomo principale, cioè il dolore in fossa iliaca destra, è
comune a tante altre malattie.
Per avere un sospetto diagnostico di appendicite acuta dobbiamo aver valutato altre opzioni
diagnostiche, altre patologie che possono dare una sintomatologia simile oppure patologie di
organi contigui all’appendice.
La diagnosi è semplice quando il pz presenta una sintomatologia tipica, mentre è difficoltosa
quando presenta sintomi particolari o quando l’appendice stessa presenta varianti anatomiche
importanti.
Comunque sia, bisogna sempre fare diagnosi differenziale con tutti i dolori che possono insorgere
in fossa iliaca destra.
EPIDEMIOLOGIA

- Colpisce 1 individuo su 7 nel corso della vita

- Rappresenta l’urgenza chirurgica addominale più comune

- Ha una incidenza variabile dal 7 al 12% con distribuzione prevalente tra la 2° e 3° decade di vita

- È una delle cause più importanti di dolore addominale acuto

- È l’urgenza chirurgica non ostetrica più comune durante la gravidanza, con incidenza del 6,3 su
10.000 gravidanze ante-partum e del 9,9 per 10.000 nel post-partum.

L’appendicite acuta è una patologia di cui bisogna tenere conto anche nelle puerpere.

L’intervento di appendicectomia in passato veniva eseguito esclusivamente in laparotomia,


mentre adesso nella stragrande maggioranza dei casi si fa in laparoscopia. Tuttavia, la procedura
laparoscopica rappresenta il gold standard solo per le donne: nei maschi non ci sono evidenze che
tale procedura apporti maggiori benefici.

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EZIOPATOGENESI

L’appendicite acuta consegue all’ostruzione del lume appendicolare da parte di:

• Coproliti; è una evenienza presente nel 11-52% dei casi


• Iperplasia linfoide
• Corpi estranei (semini di alimenti)
• Parassiti
• Tumori primitivi e metastatici

ANATOMIA PATOLOGICA

Si determina una flogosi dell’appendice, che attraversa le stesse normali fasi della flogosi:

• Flogosi catarrale
• Flogosi purulenta
• Flogosi flemmonosa
• Flogosi gangrenosa

Le ultime 2 rappresentano appendiciti da operare, mentre le prime devono essere trattate in


maniera conservativa.

Nel 10% dei casi di appendicectomia l’intervento chirurgico poteva essere evitato: all’esame
istologico si leggerà appendicite catarrale o purulenta. Il timing dell’intervento è errato.

Queste sono varianti anatomiche che possono determinare problemi maggiori di diagnosi
differenziale:

• Retrocecale (fig. A)
• Pelvica (fig. B)
• Retrocecale trasversa (fig. C): dà problemi importanti
durante l’intervento
• Paracecale ascendente pre-ileale (fig. D)
• Paracecale ascendente post-ileale (fig. E)

NB. L’appendice infiammata non è così piccola, talvolta può


raggiungere le dimensioni di un’ansa intestinale.

131
CLINICA

• Dolore tipico: è un dolore gravativo, urente, in regione periombelicale o epigastrica che,


progressivamente, migra a livello della fossa iliaca destra nel punto di McBurney,
localizzato a livello del terzo laterale di una linea che congiunge l’ombelico con la cresta
iliaca. Il fatto che il dolore migri dalla regione periombelicale al punto di McBurney è
assolutamente indicativo di appendicite acuta.
<Il punto di McBurney è anche il punto a livello del quale si incide per eseguire l’intervento
di appendicectomia: l’incisione è detta incisione di McBurney.>
NB Molti fanno l’errore di considerare un dolore inguinale come dolore in fossa iliaca
destra.
Quindi, a meno che non ci sia una situazione di peritonite generalizzata con Blumberg
positivo, i sintomi/segni all’esame obiettivo dell’addome sono il dolore spontaneo e
provocato dalla palpazione nei punti di McBurney e, dalla parte opposta, il segno di Rovsing
• Dolore atipico: molto più frequentemente il dolore insorge in fossa iliaca destra, a livello
della regione lombare, sovrapubico (nei casi di appendicite pelvica), inguinale, scrotale; e
questo dipende anche dal tipo di localizzazione dell’appendice.
• Nausea e vomito: non sono frequenti
• Alvo chiuso a feci e gas: ileo paralitico per la peritonite conseguente.
• Diarrea (bambini o adolescenti)
• Febbricola o febbre

Non ci sono grosse alterazioni a carico della percussione: il paziente può essere comunque
canalizzato, e il timpanismo può essere normale; altre volte si sente un’area di consistenza
aumentata in fossa iliaca destra che è indice della formazione di un piastrone.

DIAGNOSI

Mettiamo che la diagnosi l’abbiamo fatta e siamo certi che si tratti


di un’appendicite acuta: se non si tratta di una forma da operare
bisogna aspettare che ci sia l’indicazione all’intervento.

Se non siamo convinti attendiamo 6h, durante le quali valutiamo


l’evoluzione del quadro clinico e laboratoristico.

La diagnosi si basa su:

• Anamnesi
• Esame obiettivo
• Esami di laboratorio: dopo aver ricoverato un paziente con sospetta appendicopatia acuta,
si procede andando a ricercare la presenza di alcuni cardini diagnostici

132
- leucocitosi neutrofila: si valuta il trend della leucocitosi e non solo il valore unico, trovato
in un singolo momento, cioè si va ad analizzare se la leucocitosi si mantiene elevata o
scende ai limiti della normale nel tempo. Questo perché un paziente che ha appendicite
catarrale con opportuna terapia antibiotica può andare incontro a restitutio ad integrum e
risoluzione della leucocitosi; in altri casi, invece, l’appendicite può persistere o aumentare
di grado e lo si vede proprio andando a valutare la leucocitosi che, in questo caso, non
tenderà a ridursi e suggerirà la necessità di procedere con intervento chirurgico
- alterazioni idro-elettrolitiche: sono legate alla febbre, al vomito, alla perdita di liquidi
- esame delle urine e urinocoltura: utili per la diagnosi differenziale; non sono esami da
fare in urgenza, tranne lo stick urinario perché può mettere in evidenza ematuria e
indirizzarci verso altre cause, però possono essere d’aiuto nei casi atipici (es. anziani)
- β-HCG: per escludere una gravidanza, sempre nelle donne in età fertile
- aumento della PCR, alterazione dei D-dimeri (se c’è evoluzione in senso flemmonoso e
gangrenoso), presepsina e procalcitonina, di cui quest’ultima però non si riesce ad avere in
urgenza.
Quindi, si procede con gli esami di urgenza al ricovero, un controllo a distanza di 6h e si
valuta l’evoluzione: se l’evoluzione della malattia è verso una progressione della flogosi il
paziente viene operato, in caso contrario si fa terapia antibiotica e si manda il paziente a
casa.
• Esami strumentali:
- ecografia addominale: permette di osservare la presenza di una “salsiccia” cioè una
struttura arrotolata, segno di una appendice aumentata di volume e con pareti edematose
- TAC addome-pelvi: per approfondire il quadro non chiaro all’ecografia e per escludere
patologie di origine ginecologica
- ecografia pelvica: quando c’è il dubbio di una patologia di tipo ginecologica
- RX diretta dell’addome: può essere richiesta nei pazienti all’inizio della malattia, quando
il dolore è abbastanza vago
- RX diretta ed ecografia renale: se si pensa che la sintomatologia possa essere dovuta a
un problema a livello urinario

Utili sono consulenze specialistiche (urologo, ginecologo): vengono richieste per leggere e
interpretare tutte queste indagini, soprattutto se si tratta non di una appendicite, bensì di una
patologia a partenza urologica o ginecologica.

Questi sono dei quadri TAC in cui è ben evidente:


nelle immagini a destra, l’appendice aumentata di
volume e con pareti ispessite;
nell’immagine a sinistra, una appendice (indicata
con la freccia) più o meno normale e,
anteriormente, del materiale con zone di ipo- e
iper-densità rappresentato dalle feci.

133
COMPLICANZE

Questa appendice infiammata può andare incontro ad una serie di complicanze a breve termine,
nella maggior parte dei casi, ma anche a lungo termine.

Complicanze a breve termine

• Perforazione: soprattutto nelle appendiciti gangrenose, l’appendice può perforarsi e dare


una situazione di peritonite

Nell’immagine si vede il cieco, l’appendice


(tratteggiata) e le anse intestinali che vanno a
coprire, arginare, la diffusione della peritonite: si
forma il piastrone. In questo caso, dal punto di vista
clinico, il paziente non ha molto dolore o, se lo ha, si
tratta di un dolore sordo, gravativo e alla palpazione
permette di apprezzare il piastrone, che non è una
vera e propria resistenza della parete addominale ma
è un dato importante anche per la diagnosi.

• Peritonite: inizialmente è localizzata, successivamente diventa diffusa (piastrone)

• Shock settico: una appendice infiammata in evoluzione purulenta e flemmonosa,


soprattutto negli anziani (pz defedati) in cui la diagnosi di appendicite acuta tarda ad
arrivare, può avere un decorso più grave con ascessi periappendicolari che possono
determinare sepsi fino allo shock settico

Complicanze a lungo termine

• Infezione della ferita e deiscenza: si verifica dopo qualche giorno dall’intervento,


soprattutto nei casi in cui l’intervento viene condotto in laparotomia o a cielo aperto, cioè
aprendo l’addome, perché i germi contenuti nel campo operatorio possono contaminare la
ferita chirurgica che non guarisce per prima intenzione, può determinare una deiscenza e
guarire per seconda o, addirittura, per terza intenzione. Nei pazienti con appendiciti
complicate o sottoposti ad appendicectomie per via laparotomica, può essere frequente la
formazione, anche a distanza di anni, di aderenze in loco.
• Infertilità nelle donne, per episodi frequenti di appendiciti, soprattutto se pelviche (vicino
agli ascessi)

134
DIAGNOSI DIFFERENZIALE

La DD rappresenta il problema principale nella diagnosi di appendicite acuta.

Vedete in questo disegno quanti apparati sono interessati


dalla diagnostica differenziale; la scelta di utilizzare una
figura di un corpo di donna risiede nel fatto che la
patologia ginecologica rappresenta una delle patologie più
frequenti che vanno in diagnosi differenziale con
l’appendicite acuta.

Quando ci si trova di fronte ad una donna fertile con dolore


al livello della fossa iliaca destra, va sempre fatto il
dosaggio della β-HCG e domande a riguardo della sua
attività sessuale per indagare la presenza ad es. di una
possibile gravidanza; a tale scopo è fondamentale che la paziente sia messa a proprio agio e che
durante il colloquio sia sola, senza genitori o altre persone che potrebbero condizionare le risposte
date da essa.

Le patologie che vanno in diagnosi differenziale con l’appendicite acuta sono:

• Patologie ginecologiche: sono le più frequenti e comprendono


- salpingite con ascesso tubo-ovarico
- aborto incompleto
- aborto settico
- gravidanza ectopica extrauterina
- rottura di cisti ovarica
- torsione di tumore ovarico
- endometriosi con o senza IUD
- ovulazione
• Patologie endoaddominali
- colica biliare (solo nei casi in cui l’appendice ha attacco alto o è molto lunga)
- carcinoma del colon destro (è un’evenienza molto frequente, soprattutto nei pazienti di
età avanzata, che, quindi, deve essere sospettata in pazienti con sintomatologia simile
dell’appendicite ma non in età giovanile)
- carcinoma dell’appendice
- mucocele
- ileite terminale o morbo di Crohn
- linfoadenite mesenterica
- diverticoli di Meckel (sono fonte di confusione perché possono dare l’idea alla TAC di
essere una appendice e, soprattutto, possono contrarre aderenze con l’appendice
mimando la presenza di un ascesso appendicolare)
- diverticolite a carico della parte terminale del sigma, che può essere spostato in regione
ipogastrica o fossa iliaca sinistra

135
• Patologie urinarie (del rene dx):
- litiasi
- idronefrosi
- pielonefriti
- cistiti (possono mimare delle appendiciti con appendice pelvica e dare, oltre al dolore in
fossa iliaca destra, anche disuria o piuria)
• Altre
- pleurite diaframmatica
- lombosciatalgie
- ernie discali
- patologie osteoarticolari
- ascessi a carico del muscolo ileo-psoas di dx (in pz tossicodipendenti)

La diagnosi differenziale si fa ponendo domande e visitando il paziente: non basta eseguire l’EO
addominale, ma vanno indagati anche gli altri apparati.

Questi sono punti e segni che


possono concorrere alla
diagnosi di appendicite acuta.

I punti più importanti sono


quello di McBurney e di Lanz.

Il segno di Rosving si evoca


facendo pressione sulla fossa
iliaca sx: l’aria si sposta verso il
colon dx e il sussulto da essa
provocato evoca dolore in
fossa iliaca dx.

Il segno di Blumberg è anche


importante.

Quando la peritonite diviene diffusa si ritroverà un addome a barca, a tavola.

Sono stati creati degli “Score” cioè dei sistemi utilizzati per standardizzare la diagnosi e cercare di
capire l’evoluzione della malattia, l’outcome. Questi sistemi di scoring sono basati sulla
sommazione di punti associati a segni, sintomi o valori di laboratorio e ne esistono di diversi (per
bambini o per adulti).

Quello più frequentemente usato è lo Score di Alvarado, utile per capire se la patologia necessita
di intervento chirurgico.

136
-negativo per appendicite (0-4)

- appendicite possibile (5-6): si fa la diagnostica differenziale con le altre patlogie

- appendicite probabile (7-8): si inizia a pensare alla possibilità di sottoporre il paziente a


intervento chirurgico

- appendicite certa (9-10): il paziente è sicuramente un paziente chirurgico

TERAPIA

Le appendiciti acute che si operano sono solo quelle in cui c’è l’indicazione all’intervento
chirurgico, pertanto, una semplice appendicite catarrale non si opera. Quindi, dopo la prima visita,
si procede gradualmente con:

• Monitoraggio clinico cioè si valuta nel corso delle ore come evolve la sintomatologia
rispetto al quadro osservato durante la prima visita e se ci sono variazioni nei livelli degli
esami di laboratorio
• Si tiene il paziente a digiuno e idratato, magari anche con glucosata
• Si può iniziare una terapia antidolorifica, ma con cautela perché a volte questa può
mascherare una evoluzione dell’appendicite con rischio di sviluppo di complicanze anche
gravi
• Terapia antibiotica è indicata e rappresenta la prima linea terapeutica dei pazienti non
complicati, i quai in alcuni casi possono andare incontro a guarigione senza ricorrere al
trattamento chirurgico
• Terapia chirurgica si prende in considerazione solo se, a distanza di qualche ora dopo aver
iniziato l’iter terapeutico, la sintomatologia persiste o peggiora e i neutrofili aumentano,
cioè il paziente è classificato come Score di Alvarado da 7 a 9-10.

- appendicectomia per via laparotomica: è l’intervento più eseguito al mondo; tuttavia,


attualmente questo tipo di chirurgia viene destinato ai casi in cui si ha la certezza della

137
presenza di ascessi, peritoniti generalizzati, complicanze o in cui la diagnosi pre-operatoria
è certa.
- appendicectomia per via laparoscopica: non è ancora il trattamento di scelta, a parte che
nelle donne per via del fatto che nel sesso femminile ci sono tante patologie ginecologiche
che possono mimare il quadro di appendicite acuta e, in questo modo, si evita di aprire
inutilmente la paziente e creare anche altri problemi.
Il trattamento laparoscopico determina minore incidenza di complicanze post-operatorie e una
minore degenza (con anche un risparmio economico).
In caso di presenza di pus o materiale fecale a livello addominale si effettuano lavaggi della cavità
peritoneale e instillazione topica di antibiotici.

DEISCENZA DELLE ANASTOMOSI


La deiscenza delle anastomosi è una complicanza post-operatoria che può interessare il paziente
nel ricovero post-operatorio oppure quando è già a casa, a distanza anche di 10-15 gg
dall’intervento.
L’anastomosi per definizione è l’unione di due strutture anatomiche tubulari cave, ottenuta
chirurgicamente attraverso suture: la sutura può essere eseguita manualmente oppure mediante
l’impiego di suturatrici meccaniche.
In base a come viene eseguita, l’anastomosi può essere:

• termino-terminale (TT)
• termino-laterale (TL)
• latero-terminale (LT)
• latero-laterale (LL)

138
Qui ho riassunto la maggior parte degli interventi chirurgici che si possono fare su un colon:

✓ emicolectomia destra
✓ emicolectomia sinistra
✓ resezione anteriore del
retto
✓ amputazione addomino-
perineale
✓ intervento di Hartmann

Nell’emicolectomia destra vengono asportati appendice, cieco, colon ascendente, flessura destra e
parte del colon trasverso.

Nell’emicolectomia sinistra vengono asportati parte del colon trasverso, flessura sinistra, colon
discendente e sigma.

Nella resezione anteriore del retto si asporta parte discendente del colon di sinistra, il sigma e la
parte superiore del retto.

Nell’amputazione addomino-perineale si asportano sigma, retto e anche la regione perineale: in


tal caso il pz necessiterà di una stomia permanente per espellere le feci.

A seguito di tali interventi sarà necessario il confezionamento di un’anastomosi per ripristinare la


continuità dell’apparato digerente.

139
L’intervento di Hartmann si esegue in caso di diverticoliti complicate: si esegue una resezione del
colon sigmoideo allargata alla porzione prossimale del retto, con successiva colostomia terminale
temporanea in fossa iliaca sinistra e chiusura e affondamento del moncone rettale.

Il pz guarisce dalla perforazione diverticolare e dopo qualche mese, quando l’infezione non c’è più,
si andrà a eseguire la ricanalizzazione del colon, rimettendo i due pezzi in continuità.

L’anastomosi eseguita dopo emicolectomia destra sarà detta “anastomosi ileo-colica TT”.

In caso di emicolectomia sinistra si abbassa la flessura sinistra del colon e si anastomizza con il
retto, realizzando una “anastomosi colo-rettale TT”.

L’anastomosi, quindi, consente di ripristinare la continuità dell’apparato GI.

Tuttavia, l’anastomosi può determinare come complicanza il Leakage Anastomotico. Esso è


dovuto ad alterazione della parete intestinale che riconosce varie cause:

− cause di natura tecnica


− cause imputabili al pz
− cause imputabili allo stato settico
− …

Nelle fasi iniziali si avrà una piccola filtrazione che farà sì che l’immediato post-operatorio del pz
non sia brillante: seppur si tratti di piccole quantità di materiale filtrato, tale materiale sarà ricco di
batteri che colonizzano il colon che potranno causare problemi nella cavità addominale.

Anche il miglior chirurgo può andare incontro a tale complicanza poiché non dipende solo dalla
tecnica, ma da vari fattori.

Nonostante le notevoli attenzioni, la deiscenza delle anastomosi continua a presentare un elevato


tasso di incidenza, con conseguente elevato tasso di morbilità e mortalità.

Il quadro può evolvere anche in sepsi e shock settico.

Nel migliore dei casi si ha comunque un allungamento della degenza, cosa che ad esempio nei pz
oncologici rappresenta una situazione grave perché li porta a tardare la terapia antineoplastica.

140
Esistono varie classificazioni del leakage, ma sono abbastanza tecniche. Abbiamo il leakage di I
grado, in cui c’è una piccola breccia di 5 cm al massimo con segni clinici moderati, fino ad ascessi o
presenza di peritonite perché i due segmenti suturati si aprono completamente e si determina
riversamento di materiale fecale a livello endoaddominale.

Classificazione di Soeters e Baeten

1. Piccolo leak
2. Rottura della parete laterale dell’anastomosi
3. Rottura >50% della circonferenza
4. Rottura con presenza di 2 monconi completamente separati

La deiscenza delle anastomosi non necessariamente insorge nell’immediato post-operatorio:


dobbiamo aspettare almeno il termine della quinta giornata di post-operatorio per valutare la
presenza di un’eventuale leakage.

Se il leakage continua ad aumentare potrebbe risultare utile fare una puntura TAC guidata o
posizionare un drenaggio in laparoscopia.

Se il leakage aumenta oltre il 50% sarà necessario eseguire l’intervento di Hartmann.

Quando ci sono ascessi e peritoniti, nell’ambito dell’intervento, si eseguono lavaggi della cavità
peritoneale.

Il pz con leakage il più delle volte appare asintomatico. Nel post-operatorio è normale che non si
canalizzi, che abbia un po’ di vomito e che abbia un po’ di febbricola.

Ad un certo punto il pz inizia ad avere problemi respiratori, come la dispnea, oppure di tipo
cardiocircolatorio, come escursioni di tipo pressorio.

All’ECG non si riscontra nulla; il pz potrà avere qualche squilibrio elettrolitico (tipicamente
ipopotassiemia).

Ad un certo punto vediamo che il pz precipita e sviluppa shock settico, si fa la TAC e si riscontra
una situazione di questo tipo.

Altre volte, quando la deiscenza è più semplice da notare, si osserva l’emissione dal drenaggio di
sangue, pus, materiale fecale e fecaloide (puzza come feci, ma non sembra siano feci)…

In tal caso la valutazione del liquido di drenaggio ci orienta e eseguiamo una TAC per valutare la
situazione e fare una diagnosi.

Le deiscenze delle anastomosi, in caso di leakage minimo, talvolta possono anche risolversi da
sole.

141
URGENZE EPATO-BILIO-PANREATICHE
Le Urgenze Epato-Bilio-Pancreatiche acute possono coinvolgere:

• Fegato
1. Emorragia
2. Rottura di tumori benigni
3. Rottura di tumori maligni
4. Epatiti acute fulminanti
5. Etc…
• Colecisti, vie biliari intra- ed extra-epatiche
1. Empiema
2. Sepsi da colangiti
3. Neoplasie sanguinanti e/o ostruenti
4. Coleperitoneo da perforazione della
colecisti
5. Sindrome post-colecistectomia
6. Complicanze ERCP
7. Etc…
• Pancreas
1. Pancreatiti acute litiasiche
2. Pancreatiti acute necrotico-emorragiche
3. Etc…

NB Le pancreatiti acute necrotico-emorragiche sono di interesse chirurgico poiché in alcuni casi è


necessario l’intervento chirurgico della necrosi sviluppatasi a livello pancreatico.

Possono interessare tanto i chirurghi quanto gli internisti.


Si tratta di patologie gravate da elevata mortalità e intersecate tra loro innanzitutto per motivi di
contiguità anatomica.

Le complicanze delle urgenze bilio-pancratiche spesso si rendono evidenti sottoforma di colestasi.

La colestasi si viene a determinare in


condizioni di ittero ostruttivo.

Si manifesta con:

− Subittero/ittero
− Prurito
− Feci acoliche/ipocoliche
− Urine ipercromiche

142
Si possono avere itteri a bilirubina mista anche nelle sepsi, senza che ci sia una patologia chirurgica
che sottende il quadro patologico.

Queste sepsi non si accompagnano all’aumento di transaminasi, ma aumenta solo la bilirubina.

Molto spesso né il pz ed i suoi familiari né il MMG si rendono conto che il soggetto è già itterico
quando la bilirubinemia si attesta intorno ai 4 mg/dL, perché la colorazione della cute varia poco e
non si nota.
Il subittero ha BIL<2 e viene valutato osservando le sclere, l’ittero può essere normale giallastro
oppure verdinico e rubinico quando i livelli di bil salgono.
Assieme a questo il pz presenta prurito che è un sintomo molto lamentato e che porta a lesioni da
grattamento.
Le feci diventano ipo/acoliche dal giallo molto chiaro al bianco di consistenza cretacea.
Al contrario le urine risultano ipercromiche e vengono dette color marsala.
Attraverso questa serie di sintomi ci orientiamo verso l’ittero .

Dal pdv biochimico la colestasi è data da:


- ↑bilirubina, Fosfatasi alcalina, GGT
- ↓VIT K e alterazione coagulazione.
Gli esami d’urgenza che facciamo sono:
- Emocromo
- Transaminasi
- Bilirubina diretta e indiretta
- GGT (no fosfatasi alcalina in urgenza)
- Coagulazione
- Presepsina
- D-dimeri
- Se interessato pancreas, lipasi e amilasi
- EPCR
- (No ves in urgenza)

Di colestasi ne esiste una epatica, una extraepatica e una intraepatica.

143
LITIASI DELLA COLECISTI

La litiasi della colecisti è una condizione patologica piuttosto frequente: la maggior parte dei pz
sono asintomatici (80-90%) e a volte si presentano in ospedale senza sapere di avere calcoli alla
colecisti.
La litiasi della colecisti si presenta in maniera sintomatica quando si ha un’ostruzione delle vie
biliari:

• Ostruzione del coledoco


• Ostruzione del dotto cistico

In caso di ostruzione del coledoco si ha ittero e possono determinarsi 2 urgenze:

− Pancreatite acuta
− Colangite batterica
La pancreatite acuta può essere uno screzio pancreatico, ma anche un dramma pancreatico.
La colangite batterica in alcuni casi può essere risolta con una terapia antibiotica, mentre in altri
casi ha bisogno di endoscopia operativa.

In caso di ostruzione del dotto cistico ci può essere una semplice colica biliare non complicata.
Il dolore colico è tipico dei visceri cavi e si realizza perché il viscere si distende, si cerca di superare
questa resistenza e questa contrazione utile per superare l’ostruzione determina dolore.
Quando il piccolo calcolo è passato il dolore cessa.
Il quadro si può risolvere semplicemente con una terapia antispastica e antinfiammatoria, a cui si
può associare un antibiotico in caso di febbre, leucocitosi, etc…
Questo pz può essere mandato a casa, magari mettendolo in lista per l’intervento di
colecistectomia.
Se il calcolo rimane nel cistico si può sviluppare flogosi della colecisti.

144
La maggior parte dei pz che operiamo per calcolosi della colecisti sanno di avere i calcoli o
comunque ce li hanno da tanto tempo: quasi mai la parete della colecisti è normale, è sempre
ispessita, come nella colecistite cronica.
Inizialmente può esserci una colecistite acuta. Se la colecisti continua a distendersi ci può anche
essere una perforazione che evolve in una peritonite biliare.
Altrimenti tale calcolo contenuto nella colecisti si scava una nicchia a livello della mucosa
colecistica, determina una lesione da decubito e si sviluppa una perforazione che non si apre
spontaneamente, ma che può dare luogo alla formazione di:

− fistola con duodeno, digiuno o colon


→ così nasce l’ileo biliare
− ascesso pericolecistico
→ può determinare una situazione di tipo settico
Quando abbiamo portato via la colecisti potremo continuare ad avere un’ostruzione del coledoco,
ma il pz non è più di interesse chirurgico: deve essere gestito dai gastroenterologi attraverso una
ERCP, una procedura di endoscopia operativa.
A volte, in alcuni pz, sono necessarie sia la procedura chirurgica che l’endoscopia operativa, le
quali vanno eseguite contestualmente in sala operatoria: si chiama “rendez vous”.
Dall’interno si va a vedere la papilla e il duodeno e dall’esterno il chirurgo si rende conto della
situazione locale della colecisti.

La litiasi della colecisti è dovuta al fatto che il fegato produce una bile litogena.
Portando via la colecisti non eliminiamo la causa che ha portato alla formazione dei calcoli: per
questo motivo, anche a distanza dalla colecistectomia, si possono riformare dei calcoli che
possono determinare l’ostruzione del coledoco.

Le complicanze della malattia litiasica sono:


o colecistite acuta
o idrope della colecisti
o empiema della colecisti
o calcolosi del coledoco
o colangite
o pancreatite acuta
o fistola colecisto-duodenale
o ileo biliare (occlusione intestinale)
o perforazione della colecisti
(peritonite)
o cancro della colecisti 1%

145
L’idrope della colecisti si può formare quando il calcolo non passa. Il liquido contenuto è definito
ad acqua di rocca e le pareti della colecisti sono normali, non come quelle che si trovano in caso di
colecistite cronica.
Nell’empiema avremo una colecisti ripiena di pus e con pareti ispessite; in tali pz il quadro può
evolvere verso una colecistite gangrenosa.
La fistola colecisto-duodenale si forma per la presenza di calcoli che decubitano sulla parete della
colecisti; tale situazione può portare allo sviluppo di ileo biliare.

Tutti i cancri della colecisti si associano ad una condizione di calcolosi, ma ovviamente non tutte le
condizioni di calcolosi evolvono verso lo sviluppo di neoplasie maligne.

Un’ostruzione del coledoco, oltre che da calcolosi, può essere determinata da processi patologici
della parete che portano a stenosi oppure da compressioni ab estrinseco.

La colangite acuta è una complicanza importante: si può andare in rianimazione per una colangite
acuta.

146
Essa si ritrova sia nei pz che hanno ancora la colecisti sia nei pz a cui la colecisti è stata tolta;
inoltre si può ritrovare anche in pz a cui, per varie ragioni, è stata apposta una protesi nella via
biliare.

Il calcolo non permette il passaggio della bile ed il pz ha l’ittero. Si ha prima una condizione di
flogosi acuta a cui, poi, si sovrappone una colonizzazione batterica per cui il pz svilupperà uno
stato febbrile.

Quindi il pz presenterà:

− dolore
− ittero
− febbre alta (39-40°C)

Ripetiamo le cause:

o litiasi della colecisti


o carcinoma del pancreas
o carcinoma della papilla di Vater
o stenosi biliare acquisita post VLC
o colecistectomia
o malposizionamento di protesi biliare
o compressione ab estrinseco da parte di altri
tessuti

NB L’ittero non compare in caso di calcolosi della colecisti, ma si presenta quando un calcolo
ostruisce il deflusso di bile attraverso il coledoco.

Dolore, febbre ed ittero rappresentano la triade di


Charcot.

In caso di sepsi il pz svilupperà prima uno stato


confusionale e poi uno shock settico: così si
definirà la pentade di Reynolds.

In un pz che ha litiasi della colecisti ed improvvisamente sviluppa ittero, febbre e dolore intenso,
non semplice di tipo colico e che non regredisce con l’assunzione di antispastici, si deve sospettare
la presenza di un calcolo nel coledoco e lo sviluppo di colangite ascendente.

Il pz colecistectomizzato, a maggior ragione un anziano, avrà una colangite ascendente.

147
Se ha ittero sappiamo già che il pz ha sviluppato un altro piccolo calcolo che ha determinato
l’insorgenza di tale sintomatologia.

Ci sono una serie di altre situazioni in cui può comparire un calcolo e sono quelle subito dopo un
intervento di colecistectomia (laparoscopica o laparotomica).

Ciò significa che, se dopo 10gg da tale intervento il pz diviene subitterico e poi itterico, esso andrà
sottoposto ad ecografia perché potrebbe essere che un calcolo durante l’intervento si sia spostato
nel coledoco; potrebbe anche essere un’altra complicanza dell’intervento chirurgico.

In ogni caso il pz va rimandato dal chirurgo e sottoposto ad ecografia.

La diagnosi di colangite acuta si basa su:

• laboratorio
− funzionalità epatica
− funzionalità bilio-pancreatica
− bilirubina
− leucocitosi neutrofila
− presepsina
• diagnosi strumentale
− ecografia
− TAC
− Colangio-RMN

L’ecografia può essere dirimente perché ci può far vedere la dilatazione delle vie biliari intra- ed
extra-epatiche per la calcolosi o per altre cause.

La colangio-RMN è più utile, ma non si esegue in urgenza: per cui se siamo in urgenza chiederemo
una TAC.

Il trattamento prevede:
o antibiotici, per gram negativi intestinali anaerobi
o digiuno
o reidratazione
o ERCP (colangio-pancreatografia-retrograda
endoscopica)
o Intervento chirurgico
L’intervento chirurgico può essere utile soprattutto quando l’ittero è complicanza dell’intervento
di colecistectomia.
Con la ERCP noi facciamo sia diagnosi che terapia, perché possiamo sia osservare il quadro
endoscopico sia intervenire con la rimozione di calcoli o con il posizionamento di endoprotesi.

148
La procedura non dura molto, con il pz
a digiuno e in sedazione. Può essere
più indaginosa se risulta necessario
rimuovere dei calcoli.
Mediante la ERCP possiamo anche
iniettare un mdc che ci consente di
eseguire una colangiografia
intraendoscopica.
La ripresa dell’alimentazione può
essere immediata.
Solo quando l’esame è indaginoso
possiamo riscontrare qualche piccola complicanza: può svilupparsi un processo pancreatitico, per
cui valutiamo gli enzimi pancreatici del pz.
In caso di tale complicanza il pz dovrà rimanere a digiuno dopo l’esecuzione della ERCP.

A volte, soprattutto in caso di stenosi della via biliare, bisogna fare una piccola incisione dello
sfintere dell’Oddi, una sfinterotomia, per facilitare il deflusso biliare, perché magari la calcolosi ha
determinato alterazioni che impedirebbero comunque il flusso della bile anche in assenza di calcoli.
Dopo la sfinterotomia lo sfintere di Oddi resta un po’ aperto, quindi ci potrebbero essere delle
sovrainfezioni e quindi delle colangiti ascendenti e in alcuni casi si può vedere aria nella via biliare.

149
Chirurgia d’urgenza e Pronto Soccorso
Prof. Volpi 10/11/22

PANCREATITE ACUTA

Oggi riprenderemo dalle emergenze delle vie bilio


pancreatiche parlando della pancreatite acuta.

Vedete questo algoritmo, questo schema? Vi fa vedere tutte le


complicanze della litiasi della colecisti.
In giallo sono quelle più strettamente chirurgiche e quelle in
rosa sono quelle più strettamente mediche.

Nonostante la calcolosi della colecisti sia una patologia


estremamente frequente, la maggior parte delle persone non
sa di avere un calcolo nella colecisti. Quindi molto spesso,
soprattutto i soggetti anziani, li vediamo in urgenza con situazioni
abbastanza gravi.

Vedete, una ostruzione del cistico determina una flogosi di tutta la


colecisti.
La colecisti si può perforare e dare peritonite biliare o
coleperitoneo.
Il calcolo può determinare la formazione di una fistola. Il calcolo
decubita sulla parete affetta da flogosi e alla fine può comunicare
con altri visceri cavi come il duodeno, il digiuno, il colon.
Può determinare anche un ascesso pericolecistico.
Invece, nel caso in cui si ostruisce il coledoco, la colangite batterica è la situazione più frequente.
La pancreatite acuta è un’altra situazione che ci può essere. Si va da un lieve screzio pancreatico a
quello che viene definito un vero e proprio dramma pancreatico in cui, tra le varie opzioni, c’è
anche l’exitus.
In questi casi la terapia è fondamentalmente l’endoscopia di tipo operativo.

Un’altra situazione può essere il sanguinamento nella via biliare e questa si chiama emobilia.
L’emobilia si manifesta con la melena.
Quindi un paziente che ha fatto una ERCP e che subito dopo ha una melena, voi che pensate? Che
abbia avuto qualche lesione a livello di papilla. A meno che poi non abbia avuto qualche altro tipo
di patologia.

Dicevamo che la migrazione del calcolo può dare origine ad una pancreatite acuta.
Purtroppo le pancreatiti sono patologie che continuano ad arrivare in chirurgia, a volte anche se
non ci sono calcoli.
Abbiamo detto che la pancreatite acuta chirurgica è quella da litiasi o alcuni casi di pancreatiti
necrotico – emorragiche che necessitano di intervento chirurgico.
Quindi la maggior parte delle forme lievi, soprattutto se non sono litiasiche, dovrebbero andare in

150
Medicina o in Gastroenterologia.
Fortunatamente queste forme lievi sono la maggior parte nel senso che nell’80% dei casi c’è un
rialzo dell’amilasi che scompare nel giro di qualche giorno, non ci sono compromissioni di organi
vicini e c’è la guarigione quasi sempre con restitutio ad integrum.
Invece nelle forme gravi, nella pancreatite necrotico emorragica, si determinano

• la necrosi del tessuto pancreatico


• la lacerazione di vasi sanguigni e quindi il sanguinamento. Ma non, come ha detto il vostro
collega, che determina emoperitoneo. L’emoperitoneo è rarissimo. Anche perché il
pancreas è posteriore
• possono essere complicate con l’exitus. A seconda del paziente possono evolvere in forme
abbastanza complicate con una prognosi diciamo poco tranquilla

Di solito l’età di comparsa della pancreatite acuta è intorno ai 40 – 50, un po’ più frequenti nei
maschi, soprattutto quelle alcoliche. Quelle biliari sono invece più frequenti nella donna.
La litiasi è un 30 %.
L’alcolismo è un 20%.
Ci sono altre pancreatiti miste alcoliche – biliari.
Poi ci sono pancreatiti post operatorie o abbiamo visto anche quelle dovute a ERCP che sono
molto frequenti.
Poi ci sono pancreatiti idiopatiche, da farmaci ecc
Da ipercolesterolemia, da ipertrigliceridemia … ma non sono di interesse chirurgico.

Sulla fisiopatologia della pancreatite è inutile che vi affannate. È per dimostrare due cose: che la
litiasi e quindi anche la stenosi dopo ERCP causa un problema di ostacolo al deflusso, mentre
l’alcool agisce in altra maniera, alterando le membrane e determinando lo stimolo alla secrezione
proteica. Quindi, comunque sia, determina una situazione di autodigestione. Il pancreas produce
degli enzimi che sono in grado di autodigerire il pancreas stesso.
Ovviamente, più dura questo stimolo, più dura e più profondo è a livello del tessuto pancreatico,
più determina una serie di danni a volte irreparabili.

Vediamo quali sono i sintomi.


Di solito in uno screzio pancreatico la sintomatologia non è molto evidente. Ci può essere un
piccolo dolore addominale, un’epigastralgia o anche un dolore addominale diffuso perché
ricordatevi che la pancreatite acuta si accompagna o ad una alterazione dell’alvo o ad un vero e
proprio ileo paralitico. Comunque sia, diciamo, ha una riduzione della peristalsi. Per cui molto
spesso il paziente non si rende conto, e neanche il medico che lo visita e che gli fa una anamnesi
superficiale, che probabilmente ha un problema pancreatico.

151
• Il dolore è quello più importante. Dolore addominale localizzato in epigastrio o irradiato a
ipocondrio di destra e di sinistra e a volte anche posteriormente. È chiamato dolore a
cintura o dolore a barra.
• Possiamo avere vomito
• Possiamo avere febbre
• Ileo paralitico e quindi il sintomo è l’alvo chiuso a feci e a gas da un giorno o da due giorni
• Quando visitate il paziente, chi non ha molta esperienza o una certa manualità può dire che
il paziente ha una perforazione. In realtà, invitando il paziente a parlare durante la
palpazione dell’addome, invitandolo a respirare, vi rendete conto che quando parla o
quando respira l’addome è contratto. È contratto perché è proprio una reazione antalgica
• Ci sono quadri ancora più gravi in cui il paziente arriva già con quadri di shock settico o
shock ipovolemico
• Ci può essere ittero o subittero che ovviamente è tipico di una situazione in cui c’è una
stenosi o comunque un ostacolo al deflusso
• Ci può essere una massa palpabile nei casi in cui la pancreatite ha recidivato più volte e si
sono formate delle strutture, come per esempio le pseudocisti, che a volte, nei soggetti
magri, possono essere palpabili e visibili sul profilo dell’addome

Ci sono poi sintomi tardivi, in 48 o 72 ore a volte, che sono

• Ascite
• Versamento pleurico. È quasi reattivo, quasi sempre associato perché la posizione del
pancreas è molto vicina al diaframma, molto vicina alla posizione dei seni costofrenici,
quindi quasi sempre una pancreatite importante fa un versamento pleurico

E poi ovviamente ci sono le complicanze sistemiche

• Shock settico
• A livello cardiaco e polmonare
• CID

152
Ovviamente in uno screzio pancreatico ci sarà qualche dolorino e un aumento dell’amilasi e niente
altro. Invece molto spesso un paziente può arrivare in shock per una pancreatite acuta necrotico
emorragica.

Esame obiettivo
L’addome è sicuramente dolente. Dovete capire se c’è realmente una perforazione o soltanto una
contrattura antalgica della parete addominale.
Potete vedere una massa, una tumefazione visibile nei pazienti magri o nei pazienti anziani.
Quello che vedete quasi sempre è questo meteorismo. Si sente aria intrappolata soprattutto lungo
la cornice cronica e, nei quadri di ileo paralitico, c’è una situazione di ipertimpanismo diffuso.

Molto spesso nella pancreatite acuta necrotico emorragica ci sono dei quadri un po’ particolari, un
po’ strani, che sono poi quelli che evolvono verso situazioni peggiori.
Un obeso litiasico con pancreatite acuta è un paziente che vi deve far paura. Magari ha anche il
diabete. Vi deve far paura perché in questi pazienti la sintomatologia, la clinica possono passare
sotto silenzio e quindi noi ci troviamo di fronte a delle complicanze senza che ce ne siano i sintomi.

Negli screzi pancreatici abbiamo un edema che può essere localizzato, possiamo avere un edema
della testa o della coda o può essere un edema diffuso.

Man mano che la pancreatite progredisce, possiamo avere


una necrosi vera e propria non solo del pancreas, ma
anche del tessuto adiposo, una liponecrosi.
Tutto questo materiale di disfacimento determina la
formazione di queste raccolte fluide che possono essere
vicine al pancreas, ma le potete trovare anche in altre
zone addominali. Si vedono chiaramente se voi fate un
esame TAC in questi pazienti o anche un esame
ecografico.
Quando si crea una pseudocisti, vuol dire che intorno c’è
un tessuto di granulazione che è espressione della reattività dell’organismo nei confronti di questa
secrezione.
Le pseudocisti possono essere enormi, possono sollevare lo stomaco. Infatti prima molto più
spesso di adesso, perché adesso la diagnostica per immagini è molto più sofisticata e quindi non
arrivano pseudocisti con un diametro magari di 20 o 30cm, mentre prima arrivavano e attraverso
lo stomaco si pungevano e si facevano svuotare.
Poi ovviamente materiale necrotico, materiale ematico, materiale che non riesce ad essere
assorbito può comportare una infezione vera e propria e quindi la formazione di un ascesso
pancreatico che può essere circoscritto o può anche formare degli ascessi satelliti.
A volte questa componente, questo ascesso pancreatico, si vede molto bene alla TAC.

(Mostra delle foto) Ecco, vedete, questo è un pancreas edematoso, congesto. Invece qua
incominciate a vedere delle alterazioni provocate da una necrosi emorragica. Vedete, qua ci sono i
vasi, perciò, se questa situazione di autodigestione arriva vicino a dei vasi importanti arteriosi o

153
venosi, può portare delle trombosi da compressione, ma anche delle lacerazioni.
Qui invece vedete un pancreas che ormai è in preda alla gangrena e molto probabilmente questo
pancreas non si riprenderà più oppure rimarrà qualche residuo di tessuto pancreatico. Proprio qui
la coda è meno interessata. Però diciamo che la situazione di insufficienza pancreatica in questo
paziente sarà importante.

Ci sono due segni ai quali molto spesso non si dà importanza e che sono indice di grave
pancreatite acuta.
Questo è un segno a livello della parete laterale dell’addome e invece quest’altro è in regione peri
e sotto ombelicale ed è in relazione all’infiltrazione del materiale ematico attraverso le fasce. Si fa
strada dalla parete posteriore (abbiamo visto dove è situato il pancreas) e poi piano piano
raggiunge anche la parete addominale anteriore.
Il Cullen e il Grey – Turner sono segni importanti e ci dobbiamo aspettare che il paziente sia
ipovolemico, con emoglobina bassa e già in uno stato settico o addirittura in uno stato di
coagulazione intravascolare disseminata.
[ Il segno di Cullen e il segno di Grey – Turner sono delle specie di ecchimosi. Il segno di Grey –
Turner si osserva a partire dal limite inferiore dell’arcata costale fino alla spina iliaca anteriore
superiore. Il segno di Cullen è periombelicale ma può arrivare fino al pube].

Ecco, in questo caso, vedete, la colecisti è diventata completamente gangrenosa. Probabilmente


era una pancreatite acuta litiasica. In questi casi bisogna vedere le aree di necrosi che sono
nerastre, qui già con la sovrainfezione batterica, e questo parenchima che ormai non serve più a
niente. Sembra quasi carbonizzato dal bisturi elettrico, ma in realtà non è così, è una necrosi
gangrenosa.

Ovviamente il quadro di pancreatite acuta che noi vediamo di solito è un quadro che può aver
bisogno nel giro di qualche ora di terapia intensiva.

Ci sono una serie di patologie che mimano questa condizione e


che dobbiamo comunque tenere sempre in considerazione per
evitare di dare ad un paziente un trattamento errato. Sono
questi: l’ulcera duodenale, l’ulcera gastrica perforata, un
infarto mesenterico, un’ostruzione intestinale, aneurisma
dell’aorta, delle coliche biliari magari con una colecistite
cronica evoluta, appendiciti, diverticoliti, infarto del miocardio,
ematoma dei muscoli addominali o della milza. Soprattutto
l’ematoma dei muscoli addominali può trarvi in inganno perché
un ematoma del muscolo retto dell’addome potrebbe
sembrare quasi un segno di Cullen. Ma vedete com’è diffuso sia
a destra sia a sinistra (parla del segno di Cullen) mentre
l’ematoma segue il decorso del muscolo retto dell’addome.

154
L’amilasi, la lipasi, la leucocitosi, la pcr, la presepsina, se sono pazienti che hanno un’infezione in
atto, sono gli esami più importanti, ma non solo.

Quando decidiamo che esami chiedere per il paziente, non bastano l’amilasi e la lipasi. Tu le vedi
alte e abbiamo capito.
Noi dobbiamo capire in che situazione stiamo, qual è l’evoluzione della pancreatite. E quindi
andiamo a chiedere anche la glicemia, le transaminasi, un emogas, l’LDH. Perché? Perché esistono
i cosiddetti criteri di Ranson che servono proprio per capire in che fase ci troviamo.
Ripeto, certe volte lo scompenso avviene nel giro di qualche ora. Perciò di solito questi criteri di
Ranson, che non sono una semplice cosa didattica da ricordare ma dal punto di vista clinico vi
potranno aiutare, anche per capire l’evoluzione.
E quindi ovviamente chiedere l’emogas, anche per guardare l’eccesso di basi, il pH, sono tutti dati
importanti che ci fanno capire se c’è un’evoluzione in atto della pancreatite o un miglioramento.
Ovviamente se la leucocitosi, l’iperamilasemia e la pcr persistono per alcuni giorni, anche in una
pancreatite non emorragica o per lo meno che è stata emorragica ma si è risolta nel giro di
qualche ora, probabilmente si ha la formazione di una pseudocisti per cui bisognerà monitorare
quel paziente.

Vediamo questi criteri non prima di aver definito


altre situazioni associate all’iperamilasemia.
A parte le altre malattie pancreatiche, ci sono anche
altri strani tumori extrapancreatici che a volte si
tengono in considerazione. Il mieloma addirittura o
anche la leucemia abbiamo visto comparire con
l’iperamilasemia. Ci sono anche altre situazioni.

Allora vediamo dal punto di vista strumentale e poi


passiamo ai criteri di Ranson.
Una radiografia diretta dell’addome e del torace diciamo che non è l’esame principale, ma è la
prima cosa che voi farete se state in un pronto soccorso o state in un reparto in caso di dolore
addominale. È il primo step dal punto di vista diagnostico nella diagnosi strumentale.
Per esempio si potrà vedere già il versamento pleurico in atto.
L’ecografia delle vie biliari e del pancreas andrebbe benissimo, ma i pazienti che hanno una
pancreatite acuta quasi mai sono magri, sono spesso obesi, e quindi è più difficile osservare il
pancreas in questi pazienti dal punto di vista ecografico.

La TAC addominale con mezzo di contrasto è l’esame


importante. Perché? Perché adesso vedremo che anche l’esame
TAC ha una stadiazione e ci fa capire l’evoluzione.
Quindi esami di laboratorio e TAC vanno insieme per capire se

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abbiamo una pancreatite necrotico emorragica e che tipo di pancreatite necrotico emorragica.
Esami importanti, come la colangio RMN, si possono fare nei giorni successivi più per capire bene
la situazione dei calcoli, se ci sono calcoli nella colecisti, se ci sono calcoli nel coledoco, se ce ne
stanno più di quelli che pensiamo, ecc..
Ovviamente nelle biliari a volte si può fare, quando la pancreatite non è necrotico emorragica, una
ERCP con sfinterotomia per ridurre l’ittero e togliere anche lo stimolo alla secrezione pancreatica.

Importanti sono i criteri di Ranson. Noi di solito li facciamo due volte, all’ingresso e dopo le prime
24 ore.

Un’età superiore ai 55 anni, una conta


di globuli bianchi oltre i 16 000, una
glicemia aumentata, l’aumento dell’LDH
sierico oltre le 350 unità e l’aumento
dell’AST oltre le 250 unità ci fanno
capire che ha una pancreatite. A
seconda del numero dei criteri presenti,
possiamo avere da 0 a 2 e la mortalità è
1, da 3 a 4 e la mortalità è del 16%.
Guardate invece 5, 6, 7 e 8 la mortalità
è elevatissima. 7 e 8 la mortalità è
100%.
Quindi tutte queste possono essere situazioni che ci fanno capire che il paziente o deve essere
trattato o deve andare in terapia intensiva. Perché, se si continua ad aspettare, magari può
portare all’exitus e, anche se noi lo operiamo, potrebbe andare verso l’exitus comunque.
La prognosi è favorevole se sono presenti meno di tre indici. La mortalità è abbastanza bassa se ci
sono due criteri o al massimo tre.

Quindi durante le prime 24 ore noi vediamo i meccanismi di compenso a quello che si è
determinato. E quindi la diminuzione dell’ematocrito può essere in relazione alla situazione di
ipovolemia sia per i liquidi sequestrati sia per il sangue che viene perso.
L’azotemia aumentata, quindi un paziente disidratato.
Il calcio plasmatico che si è ridotto. Perché? Perché tutte quelle situazioni di necrosi sia parcellare
che diffusa, necrosi ed emorragia, comporta una deposizione di calcio che ovviamente poi si riduce
a livello del sangue.
La pressione parziale di ossigeno può essere ridotta.
Ci può essere un deficit di basi ed ecco perché è importante anche fare l’emogas.
Il paziente a volte diventa edematoso con questa infiltrazione anche della parete addominale e
riusciamo a stimare un sequestro di liquidi nel terzo spazio più o meno intorno o maggiore di 6L.
Quindi, se abbiamo più di tre indici, la mortalità è elevatissima.
Più di tre indici vuol dire che l’ematocrito è diminuito, l’azotemia e la diminuzione del calcio.
Io certe volte, quando vengo chiamata per prendere il paziente con la pancreatite, vedo che
nessuno ha chiesto il calcio plasmatico. Andiamo solamente con l’emocromo e non andiamo a

156
vedere anche l’altra situazione. Perché magari una ipocalcemia nei giorni precedenti poteva già
farci capire che quel paziente stava avendo necrosi e gangrena.
I criteri di Ranson sono per evitarvi guai a voi e al paziente.
Facciamo sempre l’emogas. Un paziente in situazione grave sarà anche in acidosi.
Andiamo a vedere anche il deficit di basi che, se sarà maggiore di 4mmol, la situazione incomincia
ad essere grave.

Abbiamo poi quest’altro indice che viene usato meno. Ci


sono più o meno gli stessi criteri. Si fa a 48 ore dal
ricovero, ma proprio il fatto di essere a 48 ore dal
ricovero lo rende meno utile rispetto ai criteri di Ranson
che fotografano l’accesso del paziente e poi lo rivediamo
dopo 24 ore.

La TAC va di pari passo con i criteri di Ranson perché c’è questo TAC severity index che non so se
avete fatto in radiologia. Serve ai chirurghi per capire l’entità della pancreatite. C’è un grado A, B,
C, D, insomma con le lettere dell’alfabeto in relazione proprio a una situazione di normalità con la
lettera A e ad una situazione grave, con raccolte liquide multiple che è la lettera E.
Normale ovviamente è zero e poi aumenta 1, 2, 3 e 4…. Aumento volumetrico totale diffuso,
anomalie della ghiandola pancreatica associata a flogosi, raccolta liquida singola e raccolte liquide
multiple.
Oltre alle raccolte si aggiunge poi anche l’estensione della necrosi pancreatica, che alla TAC si vede
e si vede abbastanza bene.
Ovviamente a volte potete vedere il punteggio proprio scritto sul referto TAC di una pancreatite ed
è ovvio che, se noi ci troviamo un punteggio di 10,
la situazione è abbastanza seria.

Vi faccio vedere anche come si vede questa


situazione alla TAC.
Vedete, il grado A è quello che, abbiamo detto,
non ha grossi problemi. È il pancreas normale.
Quindi magari la pancreatite c’è ma non è
neanche screzio pancreatico.
Il grado B incomincia ad essere aumentato di
volume il pancreas.

157
Il grado C incominciano ad esserci questi segni di flogosi abbastanza importante.
Poi nel grado D incominciamo a vedere le singole raccolte.
Nel grado E vedete le raccolte come sono diventate grosse, che strada hanno preso, e spesso si
vedono così. In questo caso vedete anche la necrosi.
Quindi nei gradi A B C D E bisogna aggiungere la quantità di necrosi presente: meno di 30, tra 30 e
50 o più di 50.
Quindi anche una TAC fatta bene è importante dal punto di vista dell’evoluzione clinica e del
trattamento.
Tenete conto che anche in una situazione di questo tipo, quindi di grado D o E, magari con un
certo grado di necrosi pancreatica, è difficile per il chirurgo perché sono pazienti che spesso vanno
male e quindi l’intervento è veramente l’ultima sponda prima dell’exitus del paziente. Tenendo
conto che i risultati possono non essere brillanti.
Ecco perché qualcuno si è messo di impegno e ha fatto tutti i criteri di Ranson, ha fatto pure il
Glasgow e ha fatto pure questi indici di gravità della TAC.

Abbiamo detto più o meno quali sono le complicanze.


Sono le pseudocisti, la compressione degli organi
adiacenti, l’erosione dei vasi arteriosi e venosi,
l’ascessualizzazione, la pancreatite cronica ostruttiva.
Questa è tipica degli alcolisti che hanno episodi di
screzi, episodi di pancreatiti vere e proprie e alla fine
poi vedete il dotto di Wirsung che diventa quasi una
catena di rosario per tutte le stenosi post pancreatite.
E poi shock settico, ipovolemico, coagulazione
intravascolare disseminata, fino all’insufficienza multifunzionale di organi.

Riguardo la terapia, ovviamente, se il paziente ha una pancreatite seria, il dolore sarà forte.
Può essere una cosa che non riusciamo ad affrontare con i FANS e possiamo utilizzare anche la
morfina.
Dobbiamo prevenire lo shock. Questa è un’altra cosa importante. Questo paziente abbiamo visto
che è pieno di liquidi all’interno della cavità addominale, anche a livello del terzo spazio, però nei
vasi sanguigni ce n’è poco.
Di solito questi pazienti li teniamo, almeno all’inizio, a digiuno. Se la situazione dovesse persistere,
possiamo metterli anche in nutrizione parenterale.
Si blocca la secrezione gastrica. Quindi si possono utilizzare gli anti H2 e gli inibitori di pompa
protonica. Perché? Perché la distensione dello stomaco, diciamo il pranzo o la cena, stimolano la
secrezione gastrica e la secrezione gastrica mette in moto poi anche la secrezione pancreatica.
Quindi diciamo che si tiene il paziente a digiuno anche per questo motivo.
Per evitare la distensione gastrica si posiziona anche un sondino naso – gastrico.
Si possono dare dei farmaci che riducono per esempio la secrezione splancnica, come la
somatostatina o gli inibitori delle proteasi. In realtà non ci sono delle evidenze a riguardo.
Per esempio sul gabesato mesilato si pensa che non incida nell’evoluzione. Però quel poco lo fa
nella riduzione dell’amilasi e quindi voi lo troverete spesso nelle terapie, anche se non ci sono

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delle evidenze scientifiche a
riguardo. Cioè ci sono dei lavori,
ma non trial randomizzati, che
danno dei buoni risultati.
La terapia antibiotica abbiamo
visto che riduce la mortalità, ma
non la percentuale di infezione
della necrosi. Comunque bisogna
sempre fare una profilassi
antibiotica.
E poi ovviamente il paziente deve
essere preso e monitorato per
controllare e rendersi conto subito
di eventuali complicanze. Sono pazienti che bisogna tenere molto sotto controllo, pazienti che
molto spesso hanno bisogno di un’intensiva fondamentalmente, ma molto spesso stanno in
chirurgia e quindi bisogna gestirli.

Sulla terapia chirurgica voi


trovate un sacco di cose qua.
Diciamo che quello che bisogna
tenere in considerazione sono i
focus settici, quindi i grossi
ascessi, che devono essere
drenati. A volte questa
situazione può essere effettuata
in laparoscopia o in laparotomia.
Molto spesso lasciamo dei
drenaggi. Uno è per instillare soluzioni con antibiotici ecc e l’altro è per recuperare il liquido di
lavaggio. Cioè è come se lasciassimo un lavaggio endoaddominale costante.
Ci sono anche delle possibilità, una volta erano più frequenti, ed erano di mettere queste specie di
zip sulla parete addominale. Al paziente con una pancreatite acuta necrotico emorragica veniva
fatta ogni giorno in sala operatoria una toilette di tutti i foci infettivi e necrotici e poi c’era questa
zip che chiudeva di fatto la parete addominale. Non era una vera chiusura, era una specie di zip
con silicone che serviva per avvicinare i lembi della ferita. Questo paziente ogni giorno andava in
sala operatoria.
Possiamo fare asportazione della necrosi aprendo l’addome e poi mettendo il drenaggio.
Possiamo fare anche una necrosectomia open e poi riaprire ogni volta il paziente.
Possiamo fare anche una necrosectomia laparoscopica e drenare.
Possiamo fare quello che dicevo prima, quando c’è una pseudocisti, una necrosectomia

159
endoscopica andando ad aspirare la pseudocisti dallo stomaco.
Poi queste varie tecniche possono essere fatte insieme a seconda del quadro.
Abbiamo visto che uno può avere l’ascesso, la pseudocisti. Non è detto che o c’è l’ascesso o c’è….
ci sono quadri anche abbastanza particolari. L’approccio è legato al quadro e deve essere cucito
sul paziente.

Mostra una TAC: allora anche qua vedete una pancreatite acuta edematosa. In questo caso non
c’è il mezzo di contrasto e in questo caso c’è. Vedete qui la situazione di contrasto è abbastanza
diffusa. Invece in questi casi vedete com’è la situazione del pancreas: non prende il contrasto
diffusamente, ci sono queste aree ipodense e isodense. Poi c’è anche la situazione delle raccolte
fluide peripancreatiche che, da essere di qualche centimetro, man mano possono aumentare di
volume.
Ecco questa è una raccolta bella grossa. Qui ci dovrebbe essere lo stomaco che è schiacciato sopra.
Ecco perché si utilizza lo stomaco per svuotarle.
In queste due fotografie voi vedete una pancreatite di corpo o coda, quindi abbastanza localizzata.
Qui addirittura ci sono delle bolle e una necrosi infetta. Questo paziente probabilmente avrà un
diabete post pancreatite perché l’entità della necrosi è di un certo livello.

INFARTO INTESTINALE

Abbiamo parlato della brutta bestia che è la pancreatite acuta e adesso parliamo dell’altra brutta
bestia. Perché? Perché questa è ancora più difficile da diagnosticare. Si diagnostica tardivamente e
ha una mortalità elevatissima.
Come si fa ad ovviare a questa situazione? Bisogna pensare alla diagnosi perché, se non si pensa
alla diagnosi e la trattiamo come una gastroenterite, il paziente muore.

L’ischemia sappiamo che cos’è. Ovviamente inizialmente un danno dell’afflusso ematico provoca
una flogosi, un danno a livello cellulare, la necrosi e alla fine la perforazione del viscere.
Quali sono le situazioni a livello intestinale?
Possiamo avere l’ischemia acuta e cronica.
Diciamo che può essere non occlusiva, ma questa di solito non ci interessa perché è in
ipoperfusione, dovuta alla riduzione della gittata cardiaca per problemi cardiaci.
A noi interessa un po’ di più quella occlusiva che può essere determinata da

• Un’embolia dell’arteria mesenterica


• Una trombosi dell’arteria mesenterica
• Una trombosi della vena mesenterica

Ovviamente l’embolia arteriosa mesenterica è quella più frequente.


Ci sono poi anche le ischemie intestinali croniche che sono associate fondamentalmente ad
aterosclerosi e altre cause, ma anche queste non ci interessano.
A noi interessano le ischemie intestinali occlusive, dovute di solito ad embolia arteriosa
mesenterica o a trombosi venosa mesenterica.

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Guardate che bassa percentuale, da 0.09 a 0.2% di tutti i ricoveri nei reparti di emergenza, mentre
hanno un altissimo tasso di mortalità che va dal 24 al 94%.
Questa bassa percentuale di ricoveri non è perché il problema non esiste, è perché il problema
non si è affrontato, la diagnosi non si è fatta.
E anche in questo caso (si riferisce alla percentuale di mortalità) ecco perché c’è questa variazione
così ampia, in un reparto è il 24% e in un altro il 94%. Probabilmente quelli del 94% sono quelli
che hanno fatto la diagnosi. Quelli del 24% vuol dire che hanno tralasciato altre diagnosi.

Ovviamente il danno intestinale è in relazione alla diminuzione del flusso sanguigno a livello
mesenterico. Inizialmente è per questo che non si fa la diagnosi, perché il paziente non ha sintomi
o ha dei sintomi che non sono specifici, possono essere anche attribuibili ad una stipsi, per
esempio. Per cui, dicevo, in fase precoce solo il sospetto può portare alla diagnosi corretta.

Riguardo l’embolia della mesenterica i fattori di rischio sono

• Fibrillazione atriale
• Infarto del miocardio
• Patologia della valvola mitralica
• Aneurisma del ventricolo sinistro
• Endocarditi
• Storia di emboli

In questo caso, invece, (si riferisce alla trombosi dell’arteria mesenterica) i fattori di rischio sono

• Malattia aterosclerotica
• Perdita di peso
• Dolore post prandiale

Queste abbiamo visto che sono le situazioni più frequenti quindi vuol dire che in questi pazienti, se
c’è una sintomatologia anche di natura gastroenterica, dobbiamo prestare attenzione perché può
essere un segno di iniziale ischemia intestinale.

Quando arriva il paziente con un infarto intestinale, quindi con un’ischemia, molto spesso quello
che vediamo noi, perché ce lo ricoverano in reparto, è un paziente che magari è stato in pronto
soccorso con un sospetto di gastroenterite e poi il quadro è peggiorato sia dal punto di vista
settico sia dal punto di vista di parametri vitali.
Il problema è che noi ci rendiamo conto magari che questo paziente ha una diagnosi di ischemia
intestinale quando non è più manco operabile. Ecco perché la mortalità può essere elevatissima.
In alcuni casi l’embolia o la trombosi è talmente importante che non prende solo la mesenterica.
Noi una volta abbiamo visto un paziente che aveva tutto in necrosi, dallo stomaco fino al retto.
In questi casi capite bene che nessun intervento chirurgico fa i miracoli perché questi pazienti, così
come li abbiamo aperti, li richiudiamo.

Per cui, dicevo, l’importante è avere il sospetto di questa algia addominale strana che a volte un
paziente, che ha anche patologia della valvola mitralica o è fibrillante, oppure, come è capitato il

161
periodo Covid dove c’erano pochissime situazioni di …. nessuno si andava più a fare una visita
cardiologica di controllo, perciò noi insieme all’infarto intestinale scoprivamo la fibrillazione e il
paziente fino a quel momento non se ne era accorto.

Dal punto di vista clinico

• il dolore è la cosa più importante. A volte questo è il dato non vorrei dire patognomonico
perché utilizzerei una parola grossa, ma quando voi vedete un paziente con un dolore così
spropositato rispetto all’obiettività addominale, è uno che sta covando qualcosa di più
importante.
In questi casi l’anamnesi è fondamentale perché è un dolore improvviso e di intensità
importante, soprattutto quando c’è un embolo. Parte l’embolo e il paziente ha dolore.
Quando c’è, invece, un episodio di trombosi che è iniziato da qualche giorno, il dolore è
più graduale.
• Ci può essere la nausea, il vomito
• La diarrea bisogna tenerla in considerazione. Voi direte “ma quanti pazienti hanno la
diarrea”. E certo, ma la diarrea bisogna andarla a guardare, cioè a vedere con
l’esplorazione rettale che tipo di diarrea ha il paziente. Se ha una diarrea normale, non ci
creiamo problemi. Però se noi vediamo una diarrea muco sanguinolenta o una diarrea che
ha uno strano odore, allora dobbiamo cominciare a pensare che non sia una semplice
gastroenterite.
In alcuni casi c’è proprio un’enterorragia, una melena e in quel caso la vediamo.
• Ci può essere la febbre.
• E poi questo dato che, quando lo vedete, preoccupatevi sempre perché il paziente sta
male. Quella marezzatura cutanea, di solito alle gambe. Le gambe del paziente sono come
una mortadella, con delle aree più scure e delle aree più chiare. Questa marezzatura
cutanea è sempre indice di acidosi, di una situazione che sta evolvendo
• Possiamo vedere direttamente il paziente in shock settico
• Oppure, come già sapete, se si perforano i visceri, abbiamo una vera e propria peritonite.

Nell’ischemia cronica, che non è una cosa che interessa la chirurgia d’urgenza però ci può capitare,
il paziente viene già con una storia di angina abdominis. Che vuol dire? Vuol dire che, dopo che il
paziente mangia, di solito ha dolore. Così come la claudicatio si ha quando il paziente cammina, in
questo caso, dopo aver consumato il pasto, il paziente ha dolore perché tutta la stimolazione
impedisce un normale flusso ematico a livello intestinale.
Questo dolore, di solito epigastrico o periombelicale, è associato a nausea.
Questi sono pazienti che, se voi gli fate una TAC, si vede già la riduzione dei (?) dei vasi
mesenterici. Sono pazienti che andranno avanti così, magari avranno bisogno anche di una
nutrizione artificiale o parenterale in alcuni casi ma non sono pazienti per cui la chirurgia può
risolvere il problema.

Il dolore è sempre presente.


Osserviamo la diarrea, se è una diarrea normale, se è una diarrea muco sanguinolenta, se è

162
enterorragia o addirittura melena, anche in quei casi possiamo pensare ad un infarto. Soprattutto
se poi il paziente è anche fibrillante, magari in cura per una stenosi mitralica, ha fatto
recentemente un infarto.

Anche dal punto di vista di laboratorio non c’è niente che ci dica che è un infarto intestinale.
All’emogas può esserci l’acidosi metabolica.
Agli esami normali possiamo avere l’aumento delle transaminasi, LDH, CPK, D – dimeri.
A volte può essere aumentato soprattutto il PT.
Nell’ischemia cronica c’è un altro quadro però, a parte la leucocitosi, un pH che può essere verso
l’acidosi, un po’ di transaminasi aumentate che a volte nemmeno ci sono. A volte l’amilasi e la
lipasi possono essere aumentate.
Diciamo che dal punto di vista di laboratorio non abbiamo molto.
Un’acidosi metabolica ci fa mettere in allarme, è una delle cose più importanti.

Una situazione di ischemia intestinale determina ovviamente una situazione di occlusione.


Inizialmente un ileo paralitico può evolvere anche in altri quadri, come una perforazione.
Si può vedere alla diretta (intende rx diretta addome) le anse distese oppure possiamo vedere la
cosiddetta falce d’aria se c’è stata perforazione.

La TAC è un esame importante, ovviamente fatta con il mezzo di contrasto.


Possiamo anche effettuare una angioTAC, che è ancora più specifica, e vedere la pervietà o
l’occlusione dei vasi. Possiamo vedere la parete intestinale e l’elemento che ci fa capire è la
pneumatosi a livello della parete dell’ileo o del colon (ma diciamo che in questi casi più dell’ileo).

L’ecografia ci dà segni indiretti, perciò non è il gold standard.


TAC e angioTAC sono i più importanti.

In alcuni casi possiamo vedere la presenza di gas nel sistema portale. A volte troveremo anche il
gas a livello epatico. Questi sono quadri abbastanza difficili, ma ci sono e si possono trovare.

L’esame più importante è la TAC o l’angioTAC, che ci fa valutare la presenza di trombi e a volte ci
dice anche quanto sono lunghi i trombi per farci capire quanto è il tratto ostruito.

I pochi a cui si fa la diagnosi e che si portano in sala operatoria, potrebbero avere poi nel post
operatorio problemi in relazione alla riduzione della lunghezza dell’intestino e quindi una serie di
problematiche a gestione gastroenterologica.
La riduzione della lunghezza dell’intestino, soprattutto nei soggetti giovani, può essere importante
e quindi, a seconda della resezione intestinale che si fa, questi pazienti vengono presi poi in
consegna da gastroenterologi che danno la giusta dieta ed eventuale altro tipo di terapia.

Quale può essere l’obiettivo della terapia? Immediato ovviamente lo dobbiamo mantenere stabile
dal punto di vista emodinamico perché, se la pressione non sale, la situazione ischemica
interesserà anche altri organi.
Poi reidratazione, correzione di squilibri elettrolitici, antibiotici ad ampio spettro, eventualmente
emoderivati ed eventualmente ricovero o trasferimento in intensiva.

163
Nei casi in cui si apre il paziente, noi valutiamo l’entità dell’ischemia, valutiamo il colore e la
funzionalità dell’ansa intestinale perché, nei casi in cui non si può fare assolutamente più niente,
chiudiamo, mentre in altri casi decidiamo la quantità di ileo o di altro viscere da resecare.
Ci sono delle situazioni in cui possiamo risparmiare tessuto ileale, come ho detto anche nei casi di
ernia, mettiamo delle pezze calde e vediamo se, lasciando in tranquillità l’intestino, riprende una
certa vitalità e un certo colore.
Tenete presente che un intestino vitale voi lo vedete perché, nonostante l’anestesia, si muove, ha
questa specie di tremolio che vuol dire che ha peristalsi, che è un’ansa viva.
Quindi valutare la vitalità intestinale e ristabilire il flusso intestinale.
Se voi andate a rimettere due pezzi di intestino insieme su una mesenterica che magari è tutta
chiusa, già sapete che il paziente a distanza di una settimana tornerà in sala operatoria per un
altro infarto intestinale.
Certe volte le decisioni da prendere sono anche abbastanza difficili perché si tratta di portare via
ampie porzioni di intestino.

Allora, ovviamente il sondino naso gastrico e catetere vescicale e, anche in questi casi, controllo
con gli oppioidi.
Adesso si può ridurre il vasospasmo e, sempre attraverso quella via, fare infusione di trombolitici
che possono in qualche maniera ridurre il trombo e canalizzare il vaso.
Diciamo che, se c’è già una situazione di peritonite o di necrosi intestinale, queste cose non hanno
alcun senso e si preferisce usare sostanze come l’eparina e poi, se il paziente sopravvive e se ne va
a casa, si passerà al warfarin.

Allora vediamo che si fa.


Si apre l’addome, si valuta qual è l’ansa da resecare. Molto spesso si decide di fare un’ileostomia
perché, come vi ho detto, andare a fare un’anastomosi in un ambiente addominale contaminato
da germi di necrosi, da germi di putrefazione ecc, non è l’ottimale per un paziente perché
rischiamo di avere una deiscenza. Per cui molto spesso si può fare un’ileostomia e poi, se il
paziente sta bene, in un secondo momento si ricanalizzerà.

In alcuni casi possiamo utilizzare il Fogarty o degli stent endovasali.


I Fogarty sono questi cateteri a palloncino che noi introduciamo cercando di canalizzare il trombo.
Superato il trombo, viene gonfiato il palloncino e in questa maniera tiriamo giù il trombo.
Ovviamente sono procedure fatte in ospedale perché, se succede una qualsiasi cosa, la sala
operatoria sarà pronta.

(Fa vedere delle immagini) Ecco, vedete, questa è un’ansa che non è del tutto necrotica. Vedete
questo aspetto zebrato è tipico di un’ansa che ancora ce la può fare.
Invece guardate questa che è completamente necrotica. Queste sono tutte le anse a monte,
questa è un’ansa normale con il colorito che dovrebbe avere un’ansa normale.
Tenete presente che, quando abbiamo parlato delle occlusioni intestinali, abbiamo visto qualche
situazione di questo tipo. La situazione è la stessa nel senso che l’occlusione intestinale da
strangolamento è un infarto intestinale solo che è un infarto intestinale che si è stabilito in una
maniera diversa in un paziente che non ha una malattia dei vasi sanguigni, non spara emboli.

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Invece questi pazienti, con la fibrillazione atriale o con altre malattie, sono pazienti che sparano
emboli e quindi il rischio è elevatissimo, anche di recidiva.

Studente: “Professoressa, io non ho capito, il Fogarty lo usa il radiologo interventista o il


chirurgo?”
Prof: “Senti, il Fogarty lo usa il chirurgo vascolare perché in certe situazioni si chiamano i chirurghi
vascolari. Se sappiamo che la mesenterica ha un trombo e che magari questo trombo è recente è
possibile che il chirurgo vascolare lo utilizzi. Prima si faceva, ti sto parlando di quando io ero
specializzanda. Adesso, invece, si chiama sempre il chirurgo vascolare anche per una questione
medico legale. Però di solito se ne vengono i trombi in quella maniera o almeno si ricanalizza.
Diciamo che questa pratica si fa meno di prima. Adesso ci sono degli altri stent che sono più facili
da utilizzare e a volte si fanno con procedure radiologiche. Tenendo presente che la sala
operatoria deve essere sempre a disposizione.”

ESERCITAZIONE

La prof sceglie un quadrante addominale, in questo caso il superiore destro, e chiede ad uno
studente di interpretare il paziente e ad un altro studente di interpretare il medico. Lo scopo
dell’esercitazione è ricavare una diagnosi e impostare una terapia.

ESERCITAZIONE N1

P: “ Ho un forte dolore che è iniziato in epigastrio dopo aver mangiato, ero ad una festa, e adesso
lo sento a destra in alto”

M: “Come descriverebbe questo dolore? Mi ha detto che è intenso, ma è tipo pugnalata o sente
come dei crampi?”

P: “Non è crampiforme. È intenso ed è stato improvviso. Ero ad una festa, ho mangiato e, dopo
aver mangiato, ho avuto questo dolore che poi si è spostato a destra”

M: “Il dolore è continuo o intermittente?”

P: “Continuo”

M: “Lei assume farmaci come antinfiammatori, FANS o altro?”

P: “Niente”

M: “Cosa aveva mangiato alla festa?”

P: “Ho mangiato una pizza ai quattro formaggi”

M: “Ha già sofferto di questi tipi di dolori?”

P: “È la prima volta”

La prof suggerisce di insistere sull’anamnesi

165
M: “Il dolore è passato da solo?”

P: “Ce l’ho ancora”

Lo studente che interpreta il medico ha un sospetto di calcolosi per via dell’insorgenza improvvisa
dopo il pasto in assenza di storia clinica che lasci pensare ad un’ulcera.
La prof suggerisce di informarsi circa altri sintomi che la paziente avverte “tieni conto che non tutti
i pazienti ti dicono le cose. A volte secondo loro dei sintomi fanno parte di altre cose. Per esempio,
se sono ipertesi, non ti dicono che sono ipertesi e hanno problemi cardiologici perché magari non
hanno attinenza con il motivo dell’accesso in pronto soccorso. Quindi sei tu che devi andare a
grattare”.

P: “Ho vomitato una volta”

M: “Mi descriva il vomito”

P: “Era alimentare”

La prof sottolinea che, quando un paziente riferisce un vomito di tipo alimentare, bisogna sempre
chiedere quanto tempo dopo l’assunzione di cibo ha avuto l’episodio di emesi

M: “Dopo quanto tempo ha vomitato?”

P: “Dopo un’oretta. Avevo un po’ di nausea e ho vomitato una volta. Ma in realtà sono venuta
quasi subito in pronto soccorso perché stavo troppo male”

La prof suggerisce di informarsi circa le altre malattie della paziente e di chiedere notizie dell’alvo

M: “Va in bagno regolarmente?”

P: “Sì, ma il tempo è troppo breve. Sono venuta subito in pronto soccorso e non ho avuto tempo di
rendermene conto”

M: “L’aria la sta facendo?”

P: “No”

A questo punto lo studente che interpreta il medico chiede esami di laboratorio: un emocromo,
dosaggio della troponina in quanto l’origine del dolore è in epigastrio.
Per via del dolore intenso, sospetta una pancreatite e chiede lipasi e amilasi.
Per via del precedente sospetto di calcolosi, chiede la bilirubina, ma la prof dice che non è
necessario perché, se c’è calcolosi del coledoco, la paziente ha ittero o subittero.
La prof suggerisce di chiedere indici di flogosi e ricorda che la VES non si può chiedere in urgenza,
mentre la pcr sì.
Come esami strumentali lo studente suggerisce eco addome o TAC.
La prof dice che in questi casi si chiede sempre una diretta addome perché, con un quadro di
questo genere, la paziente può avere anche un po’ di coprostasi e quindi la diretta addome si

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chiede per escludere quadri acuti come occlusioni, perforazioni oppure un po’ di coprostasi.
La prof ricorda di procedere sempre prima all’esame obiettivo.

P: “L’addome non è trattabile. C’è una reazione di contrattura antalgica”

La diagnosi alla fine è pancreatite della testa.


La prof dice che, compatibilmente al quadro clinico, si poteva pensare ad un’ulcera perforata,
anche se l’ulcera perforata non causa quasi mai vomito proprio perché il viscere si perfora e il
liquido fuoriesce.

P: “Ho l’amilasi a 500 (al massimo arriva a 200)”

La prof dice che la lipasi aumenta dopo l’amilasi perciò, se troviamo le lipasi molto alte, vuol dire
che l’iperamilasemia si è avuta nei giorni precedenti.

Bisogna capire a che punto è la pancreatite. Rifacendoci ai criteri di Ranson, sembra una
pancreatite a mortalità bassissima, uno screzio pancreatico dovuto a cosa?
La paziente dice a farmaci, in particolare ai contraccettivi.
La prof dice che i contraccettivi sono più associati ad altre problematiche come la trombofilia, i
problemi epatici, ecc..
I farmaci, a parte alcuni farmaci che si usano in chemioterapia, non sono molto legati alla
pancreatite. Tranne i farmaci per il dimagrimento, quelli possono determinare episodi di
pancreatite.
In questo caso si pensa ad una pancreatite da ipercolesterolemia, ma il colesterolo va chiesto il
giorno dopo tra gli esami di routine e non in emergenza.
Per quello che riguarda la terapia, diamo un antidolorifico e poi la mandiamo in gastroenterologia
o in medicina. Ovviamente il trasferimento lo facciamo dopo aver fatto l’ecografia ed esserci
accertati che non ci siano calcoli.

ESERCITAZIONE N.2

P: “Ho avuto in mattinata un episodio di dolore molto intenso localizzato in mesogastrio che poi si
è spostato in fossa iliaca destra”

M: “Il dolore è insorto improvvisamente o è correlato ad un pasto?”

P: “ È insorto improvvisamente stamattina”

M: “Il dolore è un dolore sordo o è un dolore simile ad una pugnalata?”

P: “Non è insorto come una pugnalata, ma in maniera abbastanza improvvisa”

M: “Ci sono dei movimenti che lo esacerbano o lo fanno diminuire?”

P: “Camminando sento un dolore più intenso”

M: “Ci sono state alterazioni dell’alvo?”

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P: “Non vado in bagno da ieri”

M: “E aria la fa?”

P: “Sì”

M: “Ha febbre?”

P: “Sì”

M: “Quanta?”

P: “38.5°”

M: “Ci sono brividi?”

P: “Sì”

All’esame obiettivo il paziente presenta addome non trattabile limitatamente alla fossa iliaca
destra, un segno di Blumberg lievemente positivo, segno di McBurney positivo.
Viene richiesto emocromo, indici di flogosi …
Il paziente ha una importante leucocitosi neutrofila e la pcr elevata.
Il sospetto è di appendicite acuta.
Viene richiesta un’ecografia che potrebbe già essere diagnostica.
Si decide per un trattamento conservativo. Il paziente viene tenuto a digiuno e si fa terapia
antibiotica.
Non si danno antinfiammatori perché, se il paziente ha un’altra malattia o anche un’appendicite
acuta, noi con l’antinfiammatorio riduciamo la flogosi e non riusciamo a capire se c’è evoluzione in
senso suppurativo o flemmonoso e quindi se necessita di intervento chirurgico.
Se con digiuno, antibiotici e terapia infusionale la situazione si normalizza, il paziente può andare a
casa. Se, invece, la situazione peggiora, il paziente viene operato.
Quindi liquidi, terapia antibiotica, e un antidolorifico che non abbia una grande azione
antinfiammatoria. Si rivaluta dalle sei alle dodici ore dopo.

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Chirurgia d’urgenza e Pronto Soccorso 22/11/22 Prof.ssa Volpi

DIVERTICOLI DEL COLON


I diverticoli del colon sono definiti come delle evaginazioni mucose sacciformi che protrudono da
una struttura tubulare. La presenza di 1 o più diverticoli determina la condizione di diverticolosi.
Esistono poi gli pseudodiverticoli (proiezioni di mucose attraverso lo strato muscolare).
La presenza del solo diverticolo non implica necessariamente una diverticolite: nella stragrande
maggioranza dei casi sono asintomatici.
Si parla di diverticolite quando vi è un’infiammazione con o senza infezione del diverticolo
(quando c’è una sovrapposizione batterica il quadro è molto più importante)
La MALATTIA DIVERTICOLARE si caratterizza come diverticolosi sintomatica.
Possono avere un diametro che va dai 3 ai 10 mm.
È più frequente nei maschi fino ai 60 anni; dopo i 60 anni è più
frequente nelle femmine. È una malattia frequente nei paesi
occidentali ricchi e meno frequente in Asia. Spesso è asintomatica
(magari possono essere scoperti in una tac o colonscopia fatte per
un’altra ragione) ma può esordire con una complicanza. Sono
presenti dove non ci sono le tenie, ossia nelle zone di minor
resistenza della parete del colon. Questi diverticoli infiammati
possono andare incontro ad una perforazione e possono
determinare la formazione di fistole tra vescica, vagina, ecc.
N.B. il diverticolo è diverso da un’appendice epiploica. Le appendici
epiploiche possono infiammarsi dando appendagite, condizione
piuttosto rara
Come dicevamo prima, possono essere asintomatici o minimamente sintomatici o determinare
sequele a lungo termine importanti
Si localizzano più frequentemente a livello del colon sinistro.
I diverticoli del colon destro sono più difficili da diagnosticare.
Uno dei primi sintomi può essere un’occlusione intestinale a causa di un aumento di spessore della
parete del viscere che causa stenosi
Altre volte invece si può avere un ascesso che contrae rapporti con l’intestino, la vescica o con
peritoneo parietale. In caso di un ascesso che contragga rapporti con il peritoneo parietale, si può
avere la formazione di un’aderenza e flogosi così importanti da determinare una fistola cutanea da
cui uscirà anche materiale fecale.

169
● Complicanze dei diverticoli
Solo il 4% dei diverticoli dà una diverticolite di cui:
- Il 70% non dà complicanze, ed è di gestione gastroenterologica
- Il 30% dà complicazioni che sono di gestione chirurgica ma non sempre è necessaria
chirurgia. Queste complicanze sono:
o Ascesso
o Fistola
o Ostruzione
o Perforazione libera nella cavità addominale
o Emorragia diverticolare: ne abbiamo parlato sono per lo più quelli del colon dx e
sono situazioni che possono peggiorare rapidamente

● Classificazione di HINCHEY SHER

0 Diverticolite clinicamente lieve o diverticoli con ispessimento della Non complicato


parete del colon alla tc.
Condizione asintomatica, confusa con colica
1a Inizia ad esserci una reazione infiammatoria del grasso pericolico fino Non complicato.
al flemmone.
Condizione che comporta maggiore dolore.
Il semplice digiuno con terapia infusionale dà restitutio ad integrum
1b Ascesso pericolico o mesenterico Complicato
2 Ascesso intraddominale, pelvico o retroperitoneale Complicato
3 Peritonite purulenta generalizzata: la flogosi interessa tutti i Complicato
segmenti del colon di sn -> infiammazione generalizzata
Può portare a perforazione
4 Peritonite stercoracea Complicato

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● Classificazione WSES

Questa classificazione è specifica della diverticolite sinistra e utilizza la diagnostica per immagini
come ausilio
Ad esempio, vedere nel grado 1A si vedono bolle nella cavità addominale o piccolo versamento.
Questo non ancora chirurgico
Considera anche le dimensioni, perciò nel grado 1B abbiamo la presenza di un ascesso pericolico di
diametro <4cm, mentre nel 2° >4cm e ascesso pelvico
E vedete come considera anche degli elementi a distanza dal colon (quindi non solo l’area
adiacente al colon, il pericolon) ma anche la falce d’aria per esempio
Nel grado 3 invece c’è liquido diffuso senza aria addominale libera e infine grado 4 la presenza di
aria intraddominale libera con i liquidi diffusi
I radiologi usano questa classificazione.
È importante fare queste considerazioni perché un piccolo ascesso potrebbe essere drenato
facilmente

● Formazioni di fistole:
Sono situazioni difficili da gestire per i medici e i pazienti perché richiedono restrizioni maggiori
come digiuni prolungati, etc.. queste possono formarsi a livello di
- Vescica -> comportano fecaluria, infezioni ricorrenti (sempre più difficili da trattare anche
perché qui sono chiamati in causa tutti i batteri intestinali, non solo il banale e. coli),
pneumaturia. Se considerate che la parete vescicale è sottile, dunque è facile che si formi
una fistola, possiamo riscontrare questi segni anche al primo episodio
- Utero e vagina ->determina la presenza materiale fecale e gas in vagina
- Tenue -> cause diarrea intermittente e malassorbimento
- Parete addominale -> fistola cutanea

● Sintomi della diverticolite


- Dolore puntorio o gravativo fossa iliaca sin fianco sin
- Dolore sovrapubico anche urente continuo o a parossismi
- Alterazioni alvo in senso stitico o diarroico

171
- Pollachiuria disuria -> La congestione pelvica relativa alla diverticolite può determinare
congestione vescicale, quindi la pollachiura può non per forza essere relativa a complicanze
- Nausea febbre spesso con brivido vomito
- Nelle complicanze invece ci può essere:
o febbre più elevata (più alta di 37,5 che è tipica febbre da di diverticolite)
o Vomito con alvo chiuso a feci e gas, facies sofferente, dolore addominale intenso e
diffuso, addome a barca, enterorragia sangue rosso vivo o rosso scuro, shock
ipovolemico, shock settico, fecaluria, pneumaturia, orifizi fistolosi cutanei (parete
addominale, perineo, coscia) perdita di materiale fecale e gas dalla vagina

● EMORRAGIA DIVERTICOLARE
Una delle complicanze più importanti è l’EMORRAGIA DIVERTICOLARE
Il sanguinamento è frequente negli adulti e sicuramente è alimentato da utilizzo di FANS,
anticoagulanti e dalla stipsi.
La maggior parte dei diverticoli che sanguinano sono siti nel colon di sinistra, più raramente nel
colon di destra. Questo tipo di sanguinamento è molto pericoloso per il paziente per due motivi
principali:
- sono facili le recidive
- sono abbondanti e non si arrestano facilmente. (il rischio di recidiva dopo il primo sanguinamento
è di oltre il 50%)
Nella maggior parte dei casi (75%) cessa spontaneamente, il restante 25% richiede un intervento.
Ma quel 25% sono pz le cui emorragie possono ripetersi anche nel giro di alcune ore, quindi è
importante monitorare questi pz da un pdv emodinamico soprattutto se sono pz che usano fans o
anticoagulanti.
Clinicamente le emorragie diverticolari si presentano, oltre che con i sintomi considerati prima,
anche con:
- Sanguinamento non associato a dolore intenso
- Dolore trattabile (no flogosi, no coinvolgimento peritoneo )
- Segni di anemizzazione

DIAGNOSI
- ESPLORAZIONE RETTALE: con questa valutiamo se le feci sono verniciate di sangue o
frammiste a sangue.
È importante vedere il colore di eventuali tracce di sangue. Se rosso vivo ci si allarma e si
deve valutare bene l’emodinamicità del pz, mentre se sono di un rosso più scuro, il
sanguinamento può essere più datato.
Inoltre questo esame è importante anche per escludere altre patologie tipo emorroidi che
stanno sanguinando o ragadi.
- Palpazione

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- Colonscopia: con questa è possibile individuare la sede del sanguinamento, e dove
possibile, il chirurgo può posizionare eventualmente una CLIPS per bloccare il
sanguinamento. È un esame che non si fa mai in pz con diverticolite acuta! Siccome si
insuffla aria all’interno del viscere, qualora ci fosse una piccola lesione, questa potrebbe
distendersi e andare incontro a rottura. La si fa dopo minimo 15 giorni, di norma dopo 1-3
mesi dalla risoluzione fase acuta
- Arteriografia: che permette di fare angioembolizzazione del vaso
- Scintigrafia : con globuli rossi marcati, raramente necessaria. Non interventistica.
Questi ultimi due esami si fanno solo quando c’è sanguinamento, altrimenti è inutile
ESAMI DI LABORATORIO
Esami d’urgenza:
- Emocromo, funzionalità renale, coagulazione
- PCR, D-dimeri
- Presepsina (dosata in urgenza) procalcitonina (dosata in elezione) per valutare la presenza
di infezioni
- Elettroliti
- Esami colturali: indicati soprattutto in febbri molto elevate. Possono anche essere seriate.
Sono importanti da fare quando c’è il brivido. Se su 5 emocolture una positiva, questa è
dirimente.
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
- TC addominale e pelvica: gold standard. Il mezzo di contrasto può essere somministrato per
via anale o per os
- Colonscopia dopo risoluzione 1-3 mesi
- Rmn in elezioni per pz giovani e d incinte
- Ecografia: ha una sensibilità minore della tc, ed è operatore dipendente. Si possono segni
quali ispessimento parete del colon, edema del grasso pericolico,, massa infiammatoria
fistole intramurale… ma in genere non è dirimente
- Cistografia o cistoscopia, anche se è facile vedere fecaluria o pneumaturia. Importante fare
urinocoltura per più giorni. In genere causa un'infezione polimicrobica
- Ecotransvaginale e consulenza ginecologica.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
- Tumori del colon benigni e maligni per il dolore, per il sangue , per la massa riscontrabile in
un pz che ha sviluppato una stenosi
- Tumore ovaio
- Rottura di cisti ovariche e altre patologie
- Pielonefrite sinistra, colica renale
- MICI
- Appendicite
A volte diverticoli a livello del sigma distale o medio possono fare aderenze con ileo o colon dx ->
questo può causare una sintomatologia riferita a dx!

173
C’è anche la possibilità di avere una perforazione coperta: il diverticolo è perforato ma sia il grasso
pericolico che l’omento l’hanno tappato. Quindi c’è un po’ di aria ma rimane stabile. È importante
monitorare perché è possibile una restitutio ad integrum però ad un mese bisogna fare una
colonscopia
Terapia :
È in relazione alla gravità e alla presenza o meno di complicanze. Nella malattia lieve si ha una
restitutio ad integrum del tessuto e quindi basta una dieta liquida o semiliquida in aggiunta ad un
antibiotico. La dieta è importante ed anche un calo ponderale, perché se c’è grasso in addome è
più facile che si creino queste situazioni. Nelle prime fasi può essere utile fare una TAC guidata con
un drenaggio delle raccolte peritoneali se c’è un ascesso. (ma questo riguarda il fatto che il
paziente abbia avuto come complicanza l’ascesso). Nella malattia più importante i pazienti devono
essere ospedalizzati e vengono indirizzati alla chirurgia eseguita da specialisti. (Attenzione la prof
dice che è assolutamente controindicato prescrivere il CORTISONE a paziente con patologia
diverticolare perché può favorire una perforazione intestinale con peritonite!)
È importante ospedalizzare pz che fanno uso di FANS o anticoagulanti
Terapia antibiotica:
- Normix: è un farmaco che non venendo assorbito rimane nell’intestino. Viene largamente
usato ma non fa granchè
- Pentasa: anche qui, non ci sono evidenze scientifiche
- Metronidazolo con ciprofloxacina o con fluorochinolonici/bactrim/cefalexina
- Augmentin
- Moxifloxacina per
pz che non
possono prendere
metronidazolo
È una terapia empirica, in
6h si ha una riduzione del
dolore ma è comunque
importante fare esami
colturali

174
TERAPIA NON CHIRURGICHE
Riguardo la terapia NON CHIRURGICA abbiamo visto che il drenaggio endoscopico tc o eco guidato
è utile nei piccoli ascessi ed è quello più importante perché ti consente di drenare velocemente
anche di ascessi molto piccoli (<3 cm). Piccoli ascessi pericolici potrebbero anche risolversi con
antibiotici ad ampio spettro e con riposo intestinale.
Ma se gli ascessi sono più complicati bisogna indirizzare il paziente a chirurgia!
Sono da operare:
- Perforazione libera (falce d’aria) o con peritonite generalizzata
- Sintomi gravi che non rispondono a trattamento non chirurgico entro 3-5 gg e aumentano
la dolorabilità, la febbre. Il pz infatti va monitorato! Circa il 15-20% delle persone ricoverate
con diverticolite acuta richiede intervento chirurgico durante tale ascesso
- Casi di diverticolite non complicata con un elevato numero di recidive. Il numero di recidive
ci può far pensare ad una sottostante condizione di malacìa o stenosi
Quindi possiamo intervenire con una colectomia segmentale elettiva dopo un episodio di
diverticolite complicata, oppure per coloro i quali i sintomi si risolvono con antibiotici e/o
drenaggio, la chirurgia può essere eseguita elettivamente in un secondo momento, quando si può
fare una procedura singola piuttosto che in più fasi.

Invece in altre situazioni, quando c’è una diverticolite perforata con peritonite generalizzata, può
essere utile fare una stomia.

175
Lezione del 28/11/2022, prof.ssa Volpi

EMERGENZE ANORETTALI
La maggior parte dei disturbi e delle emergenze a livello anorettale vedono per oggetto pazienti
che passano molto tempo sul water o hanno dei comportamenti in cui è come se l'ano e il retto
fossero l'organo bersaglio di una serie di altre situazioni a livello psichico o anche situazioni più
importanti, per esempio un paziente con prurito anale che si procura lesioni all’orifizio anale
perché si gratta senza remora. Le emergenze si possono presentare in varie maniere, però di
solito, nella grande maggioranza dei casi, si presentano con dolore a livello anorettale,
sanguinamento e difficoltà nella evacuazione.

Emergenze anorettali:

 Emorroidi esterne trombizzate: il dolore è fortissimo, spesso sono pazienti gravi;


 Emorroidi interne complicate:
o Trombosi;
o Ascessi.
 Ragadi anali;
 Ascessi anorettali;
 Gangrena anale e perianale: è una situazione patologica di emergenza che può portare a
morte nel giro di qualche giorno;
 Prolasso rettale irriducibile: rende difficile anche la deambulazione o il sedersi. Spesso gli
si associa mucorrea: la parte di mucosa all'esterno produrrà muco per proteggersi
dall’ambiente esterno. Il paziente riferirà che oltre al dolore etc avrà secrezione mucosa, a
volte anche gelatinosa. È definito irriducibile perché di solito né il paziente né il personale
medico riescono a riposizionarlo in sede. Quando è irriducibile c'è anche il rischio dello
strozzamento e quindi i pazienti vanno trattati con emergenza, perché è una situazione di
ingombro sterico abbastanza importante;
 Traumi: spesso si tratta di infortuni sul lavoro. Un esempio tipico è l’impalamento, tipici
degli operai edili;
 Violenza sessuale: soprattutto nei bambini e nelle donne ma anche negli uomini;
 Corpi estranei ritenuti: possono, a seconda dei casi, determinare complicanze abbastanza
gravi;
 Carcinoma del canale anale, magari vegetante o sanguinante, se infiltrante i muscoli causa
conseguente dolore, diventando un’emergenza.
A queste situazioni spesso si possono associare prurito e mucorrea.
ESAME OBIETTIVO PROCTOLOGICO
La visita proctologica fa parte dell'esame obiettivo della chirurgia dell'addome. Per effettuarla è
possibile usare:

 Anoscopio;
 Esplorazione digito rettale.
Posizioni per l’esame obiettivo

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 Posizione di Sims: la posizione del paziente è in decubito laterale sinistro, invitando il
paziente ad avvicinare quanto più possibile le ginocchia al petto, così da rannicchiarsi in
posizione quasi fetale, guardando l’infermiere, mentre il medico lo assiste da dietro. La
spalla sinistra del paziente deve andare verso l'infermiere perché il paziente tenderà
spesso a girarsi ma, se si gira, cambia la sensibilità della regione anorettale. È quella più
utilizzata.
 Posizione genupettorale: difficilissima da tenere per l'anziano in quanto dovrebbe
arrampicarsi sulla barella, posizionare le ginocchia e mantenere le gambe divaricate per
tutto il tempo dell’esame obiettivo. In alcune circostanze può comunque essere quella
meglio indicata;
 Posizione ginecologica: in guardia medica non ci sono le sedie per la visita ginecologica. È
peraltro difficile per il paziente.
Ispezione
Nell'ispezione anale bisogna osservare:

 Forma dell’orifizio;
 Aspetto dell’ano:
o Sano;
o Patologico.
 Trombi etc.
 Simmetria: se è un ano patologico allora ci possono essere ascessi o altre patologie che lo
rendono asimmetrico.
 Eventuali lassità: il contenuto tende a scendere;
 Eventuale ipertono;
 Presenza di cicatrici: per ascessi perianali, per interventi su una ragade, per
emorroidectomia etc.
Un errore molto diffuso durante questa prima fase è quello di iniziare l’esplorazione non appena il
paziente si sistema senza fare l’ispezione. In questo modo però il paziente si contrae subito.
L'ispezione serve anche per tranquillizzare il paziente. Bisogna procedere lentamente, divaricando
leggermente i glutei per vedere se ci sono lesioni distali del canale anale. È importante invitare il
paziente a ponzare, cioè a sforzarsi così che le pliche anali si distendano lasciando visibile anche
l'ultima parte del canale anale.
È possibile già rinvenire muco, sangue, pus, feci etc.
Prima di iniziare la palpazione, nell’ispezione è importante rilevare un’eventuale beanza,
dilatazione indice di trauma anale, in quanto con la palpazione può essere evocato un riflesso
anale con conseguente contrazione dello stesso, nascondendo la beanza.
Palpazione
Viene fatta con il dito che può essere da 5 a 8,5 cm. Quindi è ovvio che chi ha le mani piccole potrà
andare poco più oltre il canale anale, mentre coloro i quali abbiano un dito un po’ più lungo
potranno entrare in ampolla e valutare le pareti nella parte inferiore dell'ampolla rettale.
Ovviamente per fare questa manovra è importante utilizzare sempre un lubrificante, che può

177
essere anche quello utilizzato per l’inserimento del catetere vescicale o anche il gel per l'ecografia
quando non c'è altro. Nell’esplorazione, si può partire da qualunque punto, usando il metodo
dell’orologio, paragonando l’orifizio anale a un orologio. Iniziando per esempio da ore 12, si
esplora tutta circonferenza, punto per punto, e ogni volta in cui si dovesse riscontrare qualcosa, la
si descrive in riferimento all’ora (ad ore 2, ore 5, ore 7:00 etc.). La manovra viene fatta in modo
tale che il dito cerchi di agganciare la parete laterale dell'ampolla rettale così da poter sentire le
strutture sottostanti. Con la palpazione è possibile esaminare:

 Anello anorettale
 Linea pettinata: si sente sul dito esploratore.
 Sangue: se presente;
 Muco: se presente;
 Colorito delle feci: importante distinguere le feci con sangue dalle feci frammiste a sangue
ehi.
 Termotatto: la temperatura locale può essere calda, aumentata;
 Edema;
 Suppurazione;
 Presenza di bottoncini di consistenza dura che possono essere orifizi di fistole pregresse
oppure possono essere ovviamente neoplasie
 Zone di malacia di parete: zone di rammollimento per interventi, ascessi inveterati
 Zone di anestesia cutanea o mucosa che possono far pensare ad altra patologia.
 Tono dello sfintere che comprime il dito: questo è importante perché
o Ipertono: può essere secondario a ragadi anali o neoplasie. Nei casi di ragade anale
il paziente ha dolore, non riesce ad evacuare e anche l'esplorazione digito-rettale
molto spesso è impossibile a causa dell’ipertono dello sfintere anale. In questi
pazienti, se necessario, la visita si fa in narcosi.
o Normotono;
o Ipotono: può essere un inizio di un’incontinenza.
Inoltre, a seconda della lunghezza del dito esploratore, attraverso la parete del retto, è possibile
anche esaminare altre strutture anatomiche adiacenti:

 Utero: è anche possibile riconoscere le varie fasi del ciclo mestruale, o si possono sentire
eventuali fibromi che possono essere anche calcifici.
 Prostata: potrebbe essere:
o Congestionata: quindi ha una consistenza più o meno normale;
o Calcifica: si chiede consulenza urologica perché ci potrebbe essere qualche altro
problema di tipo neoplastico;
 Cavo del Douglas: importante soprattutto in alcune patologie o per la diagnostica
differenziale per avere qualche informazione in più. Si può evocare dolore o è possibile
sentire addirittura il versamento. A volte quando c'è sangue, si percepisce un crepitio tipo
enfisema sottocutaneo, dovuto al rumore che generano i coaguli quando vengono
compressi;
 Coccige;
 Sacro;

178
 Pareti pelviche laterali destra e sinistra: a volte, per esempio, nei casi in cui il paziente
abbia una neoplasia nell'addome inferiore sinistro, cioè a livello pelvico, che confina con il
retto, andando a toccare la parete laterale è possibile addirittura evocare dolore nella zona
in cui c’è la neoplasia.

È importante non confondere le fistole sacro-coccige dalle fistole perianali: la fistola sacrococcigea
è alta, sopra la linea glutea e non c'entra assolutamente niente con l'orifizio anale.
MALATTIE EMORROIDARIA
È una patologia abbastanza frequente. Il 60% ne è affetto, ma la maggior parte non ne è
consapevole. L’emergenza è causata dalla trombosi.
Si dividono in:

 Emorroidi interne: interessano il plesso emorroidario interno, al di sopra della linea


pettinata, che separa il canale anale dall’ampolla rettale, porzione inferiore del retto.
 Emorroidi esterne: interessano il plesso emorroidario interno, al di sotto della linea
pettinata, dunque nel canale anale, lungo 3 cm, quindi facilmente osservabili all’ispezione.
Si presentano come sacchette, per la congestione. Possono essere mollicce oppure dure e dolenti
se si sviluppa una trombosi all’interno.
Le emergenze della malattia emorroidaria comprendono:

 Crisi emorroidaria: è caratterizzata dal dolore anale acuto per la trombosi. Le emorroidi
contengono il coagulo e appaiono bluastre e congeste. La consistenza può essere
parzialmente molle e parzialmente dura: in questo caso l’emorroide non è tutta occupata
dal trombo e quindi è più facile fare la manovra di riposizionamento all'interno.
 Sanguinamento: è stato già affrontato. Quasi sempre le emorroidi sanguinano a stillicidio,
che se protratto per lungo tempo può causare uno stato anemico. Nella maggior parte dei
casi questo non succede perché i pazienti con le emorroidi più o meno stitici ogni volta che
vanno di corpo ritrovano nelle feci un po’ di sangue.
Si possono associare a:

 Stipsi: se recente è da indagare;


 Ragade: la defecazione è difficile e dolorosa;
 Proctorragia.
Classificazione

 Primo grado: le emorroidi restano all’interno del canale anale. Per essere esaminate serve
l’utilizzo dell’anoscopio;
 Secondo grado: le emorroidi prolassano durante la defecazione e si riducono
spontaneamente;
 Terzo grado: le emorroidi prolassano e non si riducono spontaneamente ma il paziente
deve riposizionarle manualmente;
 Quarto grado: le emorroidi sono stabilmente prolassate e sono irriducibili sia per il
paziente che per il personale medico. Solitamente si associano al prolasso.

179
DIAGNOSI
Anamnesi

Esame obiettivo
Con o senza narcosi. Consiste nel:

 Esplorazione digito rettale


 Anoscopia
Quando ci si trova un paziente di una certa età (> 50 anni ca) con emorroidi, si deve sospettare che
le emorroidi possano essere secondarie a qualche processo neoplastico a monte; quindi, in questi
casi è utile fare un rettocolonscopia.
Diagnosi differenziale

 Melanoma: può essere anche non dolente invece le emorroidi con la trombosi sono
caratterizzate da dolore intenso;
 Tumore dell’ano;
 Ragadi anali;
 Fistole.
TERAPIA
Trattamento conservativo
Non esistono veri e propri farmaci per la trombosi emorroidaria. L’unica vera cura consiste
nell’eliminare il trombo.
Il trattamento conservativo è previsto per qualsiasi grado di malattia emorroidaria:

 Analgesici;
 Antiinfiammatori;
 Integratori: ad esempio Daflon o vitamine, per dare sostegno alle vene emorroidarie.
 Igiene;
 Risoluzione della stipsi;
 Idratazione;
 Dieta con alimenti ricchi di fibre;
 Legatura elastica: che consiste nell'andare a mettere un elastico intorno al vaso congesto e
fare una specie di garrota in maniera tale da far cadere il trombo.
 Evacuazione del trombo: nei casi più gravi in cui i farmaci non migliorino la sintomatologia,
si può tentare di riposizionare l’emorroide e lisare il trombo manualmente oppure
praticare un piccolo taglio per l’evacuazione. Il dolore forte e prolungato per la trombosi
scompare. Al più, il paziente potrebbe percepire il dolore per la piccola incisione, che però
dura pochissimo.
La vena trombizzata potrebbe anche rompersi spontaneamente, permettendo l’eliminazione del
trombo con conseguente sollievo del paziente.
Trattamento chirurgico

180
Riservato a emorroidi di terzo e quarto grado.
Le emorroidectomie si possono fare in tante maniere, sia con suturatrici meccaniche sia anche
manualmente.
Le emorroidi possono recidivare se il paziente non cambia abitudini, indipendentemente dalla
qualità dall'intervento chirurgico svolto.

RAGADI ANALI
La ragade anale è un’ulcera longitudinale a forma di racchetta della mucosa anale che va dal
margine muco-cutaneo fino alla linea dentata, in genere sulla linea mediana posteriore. Alle volte
è possibile osservare sul fondo della ferita i fasci dello sfintere. Nelle donne post-episiorrafia è
possibile trovarle anche sulla linea mediana anteriore. La ragade può anche cronicizzare e
determinare lo sviluppo di tessuto cicatriziale caratteristico chiamato “Polipo sentinella” che può
essere indicativo della presenza di una ragade sottostante. Una buona esplorazione, quindi,
permette di poter fare diagnosi anche in assenza di esplorazione digito-rettale (che risulterebbe
comunque difficile da svolgere per via del dolore).
Si forma solitamente per:

 Trauma del canale anale dovuto a defecazione dura


 Defecazioni frequenti e diarrea
 Infezioni delle ghiandole criptiche
SINTOMI

 Dolore 90%: fattore importante per la DD con l’emorroide: il dolore è pungente e


urente durante la defecazione e cessa dopo pochi minuti.
 Sanguinamento 85%
 Prurito
 Formazione di muco (bassa percentuale) dovuta al fatto che il pz ritiene le feci perché
ha paura del dolore provato durante la defecazione e questo stimola la secrezione
mucosa.
TERAPIA
Si possono utilizzare una pomata con tossina botulinica con lassativi, divulsione anale e
sfinterotomia. In passato si utilizzava la divulsione anale (per divaricare lo sfintere e favorire la
cicatrizzazione), ma con pochi risultati dal momento che il problema principale della lesione è che
si tratta di una ferita in corrispondenza di uno sfintere che non permette la cicatrizzazione per via
della continua stimolazione fecale.
PROLASSO RETTALE
Il prolasso rettale è una protrusione di un segmento del retto attraverso l'orifizio anale; la mucosa
rettale fuoriuscita si infiamma e si verifica stasi con corneificazione della stessa. La prima cosa da
fare in questa circostanza è quantificare la porzione di retto prolassato e questo può essere fatto
ponendo il dito tra la cute e il prolasso stesso.
ASCESSI

181
Sono una delle urgenze di questa regione, nell’immagine sono riportate tutte le possibilità.
L’ascesso perianale può essere visto all’ispezione, mentre quello della fossa ischio-rettale non sarà
visibile ma individuabile per via del dolore. Il più frequente in assoluto è quello perianale.
Si distinguono:

 Ascesso perianale: superficiale, tende a


suppurare verso la cute.
 Ascesso ischio-rettale: il più profondo,
attraversa lo sfintere e si estende nello spazio
ischio-rettale al di sotto del muscolo elevatore
dell’ano; si può diffondere nel lato opposto
formando un ascesso a ferro di cavallo.
 Ascesso pelvirettale: si forma al di sopra del
muscolo elevatore dell’ano, è abbastanza profondo e si può estendere al peritoneo o
agli organi addominali; causato da una diverticolite complicata o da una malattia
infiammatoria cronica.
 Ascesso intermuscolare alto: apprezzabile a seguito dell’esplorazione rettale.
 Ascesso pelvi rettale;
 Ascesso intersfinterico: tipico delle malattie croniche.
SINTOMI
Classici della flogosi: dolore, calore, tumefazione, ci può essere dolore inguinale, febbre spesso con
brivido e alta, astenia e secrezione purulento-ematiche.
DIAGNOSI

 Anamnesi: patologie croniche come diabete, immunodepressione


 EO
o Addome;
o Proctologico:
 Ispezione dell’ano: osservando la lesione questa sarà iperemica, al tatto può
apparire dura e quindi significare che l’ascesso è fresco e non si può intervenire, se
invece c’è una depressione in seguito alla palpazione vuol dire che è presente il pus
e può essere drenato d’urgenza. Se l’ascesso è duro e quindi non trattabile bisogna
consigliare al pz di usare la borsa d’acqua calda in modo da facilitare la
colliquazione gestibile a quel punto in PS. La gentamicina o cortisonici non servono
a nulla perché l’ascesso non assorbirà mai la pomata.
 Esplorazione digito-rettale o anoscopia in narcosi
 Ultrasonografia trans-anale: molto specifica e sensibile ma poco diffusa;
 TAC in urgenza può essere eseguita, ma sicuramente meglio la RMN.
o
TERAPIA
Se all’ispezione si osservano delle bolle è tipico di infezione, pertanto, sarebbe opportuna la
terapia antibiotica oltre al trattamento chirurgico. La terapia dell’ascesso è lunga, la risoluzione

182
dura più di 10 gg. Ad ogni medicazione si lascia lo zaffo di carta nella cavità per evitare che si
riformi il pus.
GANGRENA DI FOURNIER
Grave forma di fascite necrotizzante dovuta ad una infezione batterica acuta ed a carrattere
espansivo e necrotico che colpisce i tessuti molli del perineo, dell’ano e dello scroto.

L’infezione può essere causata da un un unico germe, Streptococcus pyogenes, ma nella maggior
parte dei casi l’eziologia è plurimicrobica, aereobi e anaerobi (con una decisa prevalenza degli
anaerobi come si può intuire dal tipico odore fetido e penetrante che esala dai tessuti infetti). La
lesione può essere associata a:

 Trombosi dei piccoli vasi del tessuto sottocutaneo che esita in una necrosi del tessuto
cutaneo, sottocutaneo stesso e della fascia.
 Patologie urologiche: soluzione di continuo a livello della fascia di buck del pene;
l’infezione si estende poi seguendo la tunica del dartos, si estende alla fascia di colles
del perineo e, successivamente, alla fascia di scarpa della parete addominale anteriore
(i testicoli risparmiati di norma.)
SINTOMI

 Flemmone espressione di cellulite dei tessuti molli


 Febbre
 Dolore
 Segni di tossicità sistemica fino allo shock settico
DIAGNOSI

 La diagnosi è clinica.
 Rx addome che può evidenziare la presenza di bolle aeree nel tessuto sottocutaneo.
 TC o RMN possono offrire info utili riguardo l’estensione in profondità delle lesioni
stesse.
 Esame colturale
TERAPIA

 Antibiotici EV
 Incisioni di scarico: il flemmone non contiene materiale purulento, è una fascite
necrotizzante per cui si fanno delle incisioni sul muscolo, sulla parete addominale o sui
glutei che hanno la funzione di scarico per evitare la compressione dei vasi.
 Ossigenoterapia iperbarica
 Trattamento chirurgico: sbrigliamento, stomie

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Lezione Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso Prof.ssa Volpi 29/11/2022

CATASTROFI E MAXIEMERGENZA

Per catastrofe, si intende qualunque evento che determini un danno a carico delle strutture di
soccorso. Oltre a questo, spesso sono presenti anche problemi a livello del personale che ci lavora.
Per maxi-emergenza si intende una condizione in cui non sono danneggiate né le strutture né il
personale: ne consegue che la situazione è più facile da gestire.

Le catastrofi sono solitamente associate non solo ad eventi naturali, ma anche a eventi causati
dall’uomo che possono essere fronteggiati attraverso l’intervento di singoli enti o amministrazioni
competenti per via ordinaria. Nelle catastrofi di secondo tipo invece, hanno le stesse cause viste
prima, ma a gestirle saranno enti e amministrazioni competenti per via ordinaria che
coopereranno tra loro (Protezione Civile, Regione e Ministero della Sanità). Le catastrofi di terzo
tipo, a causa della loro intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con delle misure
straordinarie spesso coordinate dalla Protezione Civile. Questi disastri possono essere:

• Naturali (fenomeno geologici, metereologici, idrogeologici);


• Tecnologici o Antropici (incidenti nei trasporti, incidenti industriali, collasso dei sistemi
tecnologici, incendi);
• Conflittuali (armi chimiche, batteriologiche, armi nucleari e conflitti in generale);
• Sociologici (epidemie, sommosse, carestie, grandi spostamenti di popolazioni).

Un acronimo molto utilizzato in queste circostanze è M.E.T.H.A.N.E. La prima lettera sta ad


indicare Incidente Maggiore (è tradotto dall’inglese): bisogna dare conferma di quanto accaduto
in maniera tale da mettere in moto la catena di misure straordinarie preposte a fronteggiarla. La E
indica che bisogna fornire l’esatta localizzazione del disastro. La T il tipo di incidente (stradale,
chimico ecc..) mentre la lettera H eventuali pericoli (H di Hazard) che bisogna segnalare come la
presenza di sostanze pericolose o che possono causare contaminazioni. A sta per Accesso, ovvero
che bisogna comunicare da dove arriveranno i soccorsi. La N fa riferimento al numero di persone
coinvolte, anche in maniera approssimativa, e fare una stima della gravità dei danni riportate alle
persone. L’ultima lettera, la E, stabilisce che bisogna comunicare se sul posto, ci sono già altri Enti
di soccorso per evitare che ci siano problemi (Polizia, VVF ecc…).

Un’altra cosa molto importante è quella di valutare la gravità del paziente. Ci si può aiutare
utilizzando dei codici, simili a quelli che si utilizzano nel Triage del P.S:

• Codice rosso indica pazienti che sono in immediato pericolo di vita che in alcuni casi
possono essere trattati con successo sul posto;
• Codice gialli che indica pazienti con lesioni potenzialmente pericolose ma che al momento
non mettono a rischio la loro vita;
• Codice verde che indica pazienti con lesioni non gravi;
• Codice blu che indica un paziente la cui condizione è così grave che la loro speranza di
sopravvivenza è ridotta anche se trattati adeguatamente;
• Codice nero paziente deceduto.

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Esiste un algoritmo che viene utilizzato dai soccorritori per definire la gravità della situazione: un
paziente che può camminare è un codice verde (attenzione che alcuni pazienti, dopo un trauma,
riescono a camminare comunque per poi perire lo stesso); se non può camminare è un codice
giallo. Da qui si stabilisce la sua frequenza respiratoria: codice giallo se inferiore ai 30 respiri al
minuto, rosso se superiore ai 30 e codice blu se il paziente non respira affatto. In caso di codice
giallo, si va a valutare il polso: se presente il codice è giallo altrimenti è rosso (anche se il polso e
piccolo e frequente). Infine, si valuta se il paziente risponde ad ordini semplici: se lo riesce a fare è
codice giallo in caso contrario sarà rosso.

Quando ci sono disastri di una certa portata, si potrebbe sentir parlare di Posto Medico Avanzato
I: si tratta di un presidio di prima diagnosi e di stabilizzazione in condizioni di maxi-emergenza. È
un presidio di primo aiuto in cui è possibile fare anche la diagnosi e la stabilizzazione del paziente.
in genere può essere ubicato in strutture fisse oppure in tende allestite appositamente per lo
scopo. Fondamentale è la presenza dell’area triage. Sono presenti poi aree dedicate ai pazienti:
aree rossi/gialli dove sono gestiti pazienti che rientrano in questi due codici e in cui è presente un
rianimatore che può intervenire in caso di stati particolari (IRA, Shock e stabilizzazione delle ferite
che sanguinano); aree delle emergenze relative dove troviamo pazienti meno gravi; aree deceduti
dove vengono eseguite le procedure di riconoscimento da parte dei familiari e delle autorità
competenti. L’ installazione del Posto Medico Avanzato è necessaria quando le condizioni dei
pazienti sono critiche e soprattutto quando sono numerosi e il trasporto rischierebbe di far
perdere delle vite umane. Va presa in considerazione l’installazione di queste strutture soprattutto
se gli ospedali sono lontani e se non sono in grado di fronteggiare questo tipo di emergenze.
Spesso questi presidi sono gestiti direttamente dal 118 e servono per trattare 5/10 feriti con
codice di gravità vicino al rosso, sono adoperati in caso di catastrofe in relazione all’indennità delle
strutture di soccorso. L’impiego è rapido: sono allestiti in circa 1 ora e il loro utilizzo è di solito
limitato a 12 ore. È fondamentale considerare anche la gravità dell’evento perché a volta è
necessario andar più lontano possibile.

Esistono anche Posti Medici Avanzati di secondo livello che sono usati in caso di disastri maggiori
e che sono usati quando non c’è possibilità di risposta da parte della struttura locale. Questi
presidi necessitano di più tempo per essere allestiti (solitamente 24 ore), permettono il
trattamento di 50 pazienti con codice di gravità fino al rosso e sono mantenuti per alcuni giorni (2-
3). Ciò determina ovviamente che il personale che dovrà lavorarci sarà numericamente superiore.

VIOLENZA DI GENERE

Le donne sono molto più violentate rispetto agli uomini (solitamente si parla di familiari, partner).
È anche vero il contrario ma i numeri sono nettamente meno alti e solitamente sono altri uomini a
farlo. I dati ISTAT riferiscono che il 31.5% delle donne ha subito nel corso della vita una forma di
violenza sessuale o fisica. Nel 202 la legge 113 è servita a dare qualche tutela in più agli operatori
sanitari che sono maggiormente a rischio in alcune realtà: guardia medica notturna o lavoro in
ospedali periferici. Il sistema di emergenza utilizzato dal Ministero della Salute, chiamato EMUR, si
attiva in emergenza e in un’emergenza. È stato creato proprio per fronteggiare questo problema.
Da questa indagine statistica è emerso che le donne che hanno avuto almeno un accesso al pronto

185
soccorso e ricevuto la diagnosi di violenza sono 16140 con un totale di accessi pari a 19166. Questi
due numeri diversi, indicano che spesso, una donna, si reca più volte al pronto soccorso dopo aver
subito una violenza. La cosa oscena è che nei pronto soccorso enelle guardie mediche, il personale
presente non è attrezzato a trattare i pazienti da un punto di vista medico, né da un punto di vista
psicologico che è la cosa più importante in quei momenti: in primis il sostegno psicologico è
fondamentale anche per indurre la paziente a sporgere denuncia. Un atteggiamento distaccato
non porterebbe da nessuna parte. La maggior parte delle pazienti che subiscono violenza (il 54%)
ha un’età compresa tra i 18 e i 44 anni, mentre tra i 45 e i 64 la percentuale si abbassa al 24%. Le
minorenni hanno una percentuale del 14% mentre le over 65 sono la fetta più piccola (4%). In
Italia ci sono delle linee guida nazionali redatte proprio per fronteggiare questo tipo di situazione
(a Bari, nel polifunzionale del policlinico, è presente un centro antiviolenza).

In questi casi, la prima cosa da fare, è isolare la paziente. Esiste una stanza separata del resto del
pronto soccorso, che accoglie le pazienti appena arrivano al pronto soccorso. Questo va fatto
soprattutto perché la paziente è spesso sotto shock e in uno stato di agitazione tale che anche gli
altri pazienti presenti nel pronto soccorso potrebbero farla agitare ancora di più. Potrebbe essere
preferibile che, a visitare e a parlare con la pazienti, siano Dottoresse o Infermiere donne almeno
all’inizio. Da un punto di vista pratico non dovrebbero essere distrutte le prove perché in questo
modo potrebbero essere presenti tracce del DNA dell’aggressore. Non bisognerebbe né gettare,
né cambiare l’abbigliamento perché potrebbero essere tracce di secrezioni. Non bisognerebbe
nemmeno lavarsi anche se spesso è una reazione istintiva. Non dovrebbe nemmeno lavarsi i denti,
usare collutorio e tantomeno tagliarsi le unghie perché, se si è difesa con le mani, potrebbero
essere presenti delle tracce di DNA dell’aggressore nuovamente. Queste persone vanno inviate
presso il centro locale per le violenze sessuali, che spesso corrisponde al pronto soccorso, dove è
presente del personale addestrato per queste situazioni. Altra cosa importante da fare è l’esame
obiettivo che deve essere correlato dall’acquisizione di filmati e di fotografie. Delle varie lesioni si
andranno a fare delle valutazioni accurate: se sono lacero contuse, da corpo contundente o
contusioni; si definisce la sede e l’estensione; la dimensione massima se ce ne sono più di una, la
forma e il colore e le caratteristiche dei margini in senso cranio caudale. Questo andrebbe fatto
anche se si è in guardia medica perché è un primo passo per aiutare la paziente. Se la cosa
peggiore è lo stato psicologico, è bene affidare la paziente al più vicino centro antiviolenza.

L’uso di corpi contundenti solitamente è utilizzato dall’aggressore per stordire la vittima: si


potrebbero avere ecchimosi, escoriazioni (attorno alla bocca) spesso legato alla pressione
esercitata dal palmo della mano. Si potrebbero avere anche lesioni lacero-contuse soprattutto
della mucosa interna del labbro e in casi di estrema aggressività anche l’avulsione dei denti (spesso
pazienti che si recano dal medico di medicina generale, hanno perso i denti senza una apparente
spiegazione). Per quanto riguarda il collo, il torace e l’addome, invece, sono comuni escoriazioni e
unghiature, ecchimosi per il tentativo di immobilizzare la vittima o anche segni dovuti al tentativo
di strappamento dei vestiti. A volte ci sono anche dei veri e propri ematomi. In alcuni casi ci sono
delle vere e proprie tracce di suzione o morsi. Per quanto riguarda la superficie posteriore del
tronco, spesso ci sono ecchimosi dovute soprattutto al punto su cui la donna viene poggiata e
causate anche dal peso dell’aggressore. Per quanto riguarda la regione ano-genitale, possono

186
essere presenti vari segni: escoriazioni, unghiature, ecchimosi. A volte sono anche utilizzati dei
mezzi di contenimento a livello dei polsi. Possono essere segnalati anche traumi a livello del
bacino. A livello anale si possono trovare nuovamente ecchimosi, lacerazioni e escoriazioni che
interessano il contorno dello sfintere anale. Bisogna prestare attenzione anche ad incrostazioni,
sperma, materiale spermatico nell’ampolla rettale (non sempre accade perché la paziente va di
corpo dopo la violenza). Trascorso un certo periodo di tempo, non ci sono elementi obiettivi per
fare diagnosi di violenza anale: infatti i segni tendono a comparire nel giro di qualche giorno
mentre le lacerazioni si presentano cicatrizzate, anche se profonde, nel giro di una settimana. Va
detto che le cicatrizzazioni possono anche essere il risultato di una ragade anale cicatrizzata e
quindi non possono essere attendibili come elementi di conferma dell’avvenuta violenza. L’ ano
beante, macroscopicamente evidenziabile, che permette di vedere l’interno del canale anale
seppur in un lasso di tempo estremamente breve. Nelle zone limitrofe agli organi genitali si
possono osservare lo stesso tipo di alterazioni: è importante conoscerle soprattutto da un punto di
vista medico legale.

In caso di aggressione fisica o minaccia è bene contattare il 112 (anche in caso di minaccia). Una
donna sposata con figli, aggredita dal marito, può essere denunciata per sottrazione di minore.
Esistono vari enti che si occupano di questo: applicazioni dello stato che si occupavano di spaccio e
bullismo oggi sono state estese anche per la segnalazione delle aggressioni. In caso di cure
mediche immediate è opportuno recarsi al pronto soccorso. Nel pronto soccorso sono presenti
figure che analizzano quanto successo alla paziente e stabiliscono se è necessario ricorrere ad altre
misure come il ricovero in caso di violenze particolarmente gravi. Gli operatori sociosanitari sono
anche in grado di indirizzare la paziente in un percorso specifico chiedendo ad esempio
l’intervento degli psicologi sia di associazioni di volontariato sia di enti pubblici.

Altra cosa molto importante che bisogna considerare è la possibilità di contrarre malattie
sessualmente trasmissibili (Sifilide, Gonorrea, Epatiti, HIV) e anche gravidanze indesiderate (spesso
si ricorre all’utilizzo della pillola del giorno dopo). Il percorso per queste pazienti comprende anche
la gestione soprattutto delle sequele psicologiche perchè sono più invalidanti rispetto alle lesioni
fisiche che bene o male tendono a risolversi.

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