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EMERGENZE-URGENZE- Prof.

Callegaro Lezione 1
Sottile differenza caratterizzata essenzialmente dal FATTORE TEMPO.
URGENZA: evento la cui evoluzione determina una minaccia per la vita.
EMERGENZA: evento che determina una immediata minaccia per la vita.
Definizione di emergenza
L’emergenza è qualsiasi condizione clinica che richiede un trattamento immediato (rischio di
morte).
Perché trattamento immediato?
Nell’emergenza il trattamento deve essere immediato perché sono compromessi gli organi vitali
(deficit totale o parziale degli organi vitali).
Organi vitali
Gli organi vitali sono gli organi interni indispensabili per la vita. Sono: cervello, cuore, polmone.
Questi tre organi sono in relazione tra di loro:
• In caso di improvviso arresto respiratorio nel soggetto sano si ha l’arresto cardiaco in circa
7-8 minuti.
• In caso di improvviso arresto cardiaco sono immediati l’arresto respiratorio e la perdita di
coscienza.
• In caso di improvvise lesioni cerebrali, compromettenti i centri neurovegetativi vitali, si ha
l’arresto respiratorio e cardiaco.
I pazienti critici: sono tutti quei pazienti che hanno una compromissione degli organi vitali tale da
richiedere un supporto extra-corporeo continuo di tipo meccanico e/o farmacologico.
ACCESSO ALLA RIANIMAZIONE E ALLA TERAPIA INTENSIVA
La rianimazione e la terapia intensiva si occupano di tutti i pazienti critici e di tutti quei pazienti in
cui è alto il rischio che lo possano diventare.
Nelle UTI (Unità di Terapia Intensiva) hanno accesso:
• I pazienti critici che richiedono un trattamento intensivo;
• I pazienti che necessitano di un monitoraggio intensivo dei parametri vitali perché possono
diventare o ritornare critici
• I pazienti che per il tipo di intervento chirurgico non possono essere svezzati dalla
ventilazione meccanica al tavolo operatorio 8es. cardiochirurgia, chirurgia toracica etc.)
Schematicamente, la rianimazione si distingue in:
• Sostegno di base delle funzioni vitali (BLS): rappresentala prima rianimazione di emergenza
e consiste nel sostenere mediante le manovre di rianimazione cardiopolmonare le funzioni
vitali compromesse;
• Ripristino delle funzioni vitali: consiste nel ristabilire attraverso supporti farmacologici,
strumentali e meccanici le funzioni vitali compromesse per portare verso la norma i
parametri vitali;

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• Mantenimento delle funzioni vitali: è la vera fase della terapia intensiva che segue la
rianimazione.
Le differenze
Le unità di terapia intensiva si differenziano dagli altri reparti per:
• La tipologia dei pazienti ricoverati (intensivi, potenzialmente intensivi, da svezzare);
• La necessità di posti-letto attrezzati per le cure intensive con presidi tecnici e attrezzature
per il monitoraggio e la terapia, indispensabili per il trattamento e la sorveglianza del
paziente intensivo, o potenzialmente tale (unità paziente);
• La necessità di sorveglianza intensiva: l’intensività comprende una sorveglianza continua
non solo strumentale ma anche con presidio fisico da parte degli infermieri (con un rapporto
minimo di un infermiere dedicato di riferimento ogni due pazienti intensivi e con presenza
di medico rianimatore sempre disponibile)
• La necessità di terapia intensiva medica e infermieristica: l’intensività presuppone la
necessità di supporti extracorporei meccanici e/o farmacologici continui
I pazienti critici
I pazienti critici si differenziano dagli altri pazienti:
• Per la gravità;
• Per essere dipendenti per la vita da supporti extracorporei;
• Per essere dipendenti per la vita dalla costante cura del personale sanitario;
• Per l’impossibilità quasi sempre di esprimere i propri bisogni;
• Per l’impossibilità quasi sempre di riferire i sintomi della malattia;
• Perché non scelgono volontariamente il ricovero.
LA SEMEIOTICA DELLA GRAVITA’
La malattia si esprime attraverso i sintomi riferiti dal malato e viene riconosciuta attraverso i segni
oggettivi osservati dal medico/infermiere.
I segni sono di tipo clinico e strumentale.
Esempio: il paziente riferisce senso di vertigine e confusione (sintomi), noi osserviamo sudore e
pallore (segni oggettivi clinici), alla rilevazione strumentale ritroviamo una ipoglicemia (segno
oggettivo strumentale).
La valutazione clinica rientra tra le attività routinarie di sorveglianza, assistenza e cura
dell’infermiere di TI.
La valutazione clinica è indispensabile per:
• Fare un’analisi dei bisogni primari del paziente e dei problemi in atto e potenziali;
• Per stabilire il piano di cura, le strategie e le pratiche assistenziali;
• Per rilevare le modificazioni dello stato clinico riferendolo al medico rianimatore e ai medici
consulenti;
• Per poter rivalutare tempestivamente il piano terapeutico.

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Il paziente critico spesso non è in grado di riferire i sintomi, quindi bisogna imparare a riconoscere i
segni clinici e strumentali della gravità e/o dell’emergenza attraverso cui la patologia grave o
l’emergenza si manifesta.
Riconoscerli può evitare l’evolversi della gravità in morte, o evitare il passaggio dalla morte clinica
(arresto cardiorespiratorio improvviso) alla morte biologica (irreversibilità dei danni cellulari dovuti
all’arresto).
L’osservazione attenta da parte dell’infermiere può salvare una vita.
LE CARATTERISTICHE SEMEIOLOGICHE CLINICHE DELL’EMERGENZA
Ci sono dei segni che devono fare allertare l’infermiere in TI e che possono essere segni che
preludono ad un aggravamento o ad una emergenza.
Ovviamente alla semiotica clinica in TI l’infermiere associa la semeiotica strumentale ricavata dal
monitoraggio invasivo e non invasivo.
I segni neurologici
Il sensorio è integro quando il paziente non presenta modificazioni del suo contegno psichico ( es:
risponde prontamente alla nostra chiamata ed esegue gli ordini).
Le alterazioni depressive del sensorio sono:
• Obnubilamento;
• Sonnolenza (il paziente è risvegliabile);
• Stupore (il paziente tiene gli occhi aperti ma si presenta attonito);
• Coma (lo stato più grave, quando vi è una perdita della coscienza).
Le prime tre alterazioni, ad esempio, si possono riscontrare negli stati settici severi, il coma trae
origine da lesioni dirette del sistema nervoso (traumi, ictus etc.) o indirette come ad esempio nei
comi metabolici.
Le alterazioni irritative vanno dal delirio calmo/violento, in cui il paziente pronuncia parole
sconnesse o grida agitate, alle allucinazioni in cui vi è una distorsione della percezione della realtà.
Un esempio è il delirium tremens dell’alcolista.
I principali segni neurologici sono:
• Le convulsioni: dipendono dalla irritazione o bassa soglia di eccitabilità cerebrale e possono
essere parziali, interessanti una parte del corpo, o generalizzate (es: convulsioni febbrili, da
epilessia, in corso di encefalite etc.)
Sono sempre un’emergenza perché il paziente perde la coscienza, c’è l’arresto respiratorio, possono
procurare traumi da caduta o la tipica lesione da “morsicatura” della lingua.
• Le paresi e paralisi periferiche e dei nervi cranici: indicano sempre una lesione del SNC o
del SNP, possono precedere il coma.
• L’aspetto della facies e le sue modificazioni nel tempo sono sempre espressione del grado di
sofferenza.
I segni cutanei

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• Il colorito della pelle: dipende dalla quantità di pigmento, dallo stato di irrorazione capillare,
dalla quantità di globuli rossi ed emoglobina, dalla saturazione di ossigeno.
• Il pallore: dipende o da una riduzione del patrimonio di globuli rossi ed emoglobina (es:
shock emorragico), che si accompagna al pallore delle sclere, o da una vasocostrizione
periferica con riduzione della gittata cardiaca (es: shock cardiogeno) e senza riduzione della
gittata (es: dolore, paura, freddo)
• La cianosi: colorito bluastro della pelle (evidente soprattutto nelle unghie, nelle labbra, nelle
orecchie) che dipende dalla quantità di emoglobina ridotta (non ossigenata), quando il
contenuto di emoglobina ridotta nel capillare supera i 5gr% compare la cianosi (es: la
bronchite cronica, la polmonite, in cui vi è un deficit della funzione respiratoria con
riduzione dell’ossigeno circolante e della saturazione dell’emoglobina, lo scompenso
cardiaco in cui vi è una stasi della circolazione periferica ed un aumento dell’estrazione di
ossigeno e riduzione dell’emoglobina ossigenata)
• Il colorito terreo: si ha negli stati agonici, terminali
• La temperatura cutanea: in condizioni di normalità rispecchia la temperatura interna, il
centro termoregolatore la mantiene costante, entro certi limiti di temperatura ed umidità
esterna, attraverso i meccanismi di produzione e perdita di calore
• L’ipotermia: (<36°) si ha o per disfunzioni del centro termoregolatore con ridotta
produzione di calore (es: in alcuni casi di morte cerebrale) o per aumentata perdita di calore
( es: anestesia generale ed interventi con esposizione di superfici prolungati, in cui il calore
viene perso attraverso le superfici esposte e l’anestesia non fa mettere in atto i meccanismi
fisiologici di produzione del calore. Lo shock emorragico con rimpiazzo rapido con
emoderivati freddi. L’esposizione in ambienti freddi, senza mezzi di copertura, durante i
trasporti o le attese). L’ipotermia non controllata (<34,5°) può portare a morte per
bradicardia severa fino all’arresto.
• L’ipertermia (>37.5°) si ha o per un aumento della produzione di calore (es: stati febbrili
settici, disfunzioni del centro termoregolatore da trauma cranico, emorragia cerebrale etc.) o
per mancata dispersione di calore (es: colpo di calore da elevate temperature ed umidità). Si
parla di iperpiressia sopra i >40°. L’ipertermia anche se modesta può essere un’evenienza
grave, se vi è una bassa soglia convulsivante. Sopra i 40.5° si manifestano sempre i disturbi
del sensorio fino al coma. Sopra i 42° non vi è compatibilità con la vita (es: morte da colpo
di calore non trattato).
• Le asimmetrie di calore: al termotatto indicano sempre un’irrorazione disfunzionale (es:
piede sinistro freddo rispetto al destro in frattura della gamba sinistra indica una riduzione
del flusso arterioso a sinistra, che se non corretto porterà alla necrosi).
• Il sudore: normalmente la nostra pelle si presenta asciutta. La presenza di sudore, in assenza
di caldo esterno o di febbre, in presenza di cute fredda indica un’attivazione neurovegetativa
importante (es: ipoglicemia, dolore intenso, sincope etc).
• Il crepitio: la presenza di una sensazione di crepitio (come quando si schiaccia la neve)
quando si tocca la cute indica la presenza di aria nel sottocute (es: gangrena, enfisema
sottocutaneo da pneumotorace)
I segni respiratori
Le modalità respiratorie in TI sono:
• Respiro spontaneo con e senza ossigenoterapia

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• Respiro spontaneo tramite tuboendotracheale o cannula tracheostomica con e senza
ossigenoterapia
• Ventilazione meccanica assistita e controllata (invasiva e non invasiva tramite tubo
endotracheale o cannula tracheostomica).
Ispezione: si intende osservare come il paziente respira. Normalmente la frequenza respiratoria è
12-16 atti respiratori al minuto nell’adulto, il ritmo è regolare e la respirazione avviene senza
difficoltà, infatti, non ce ne accorgiamo.
L’espansione dei due emitoraci normalmente avviene in modo simmetrico, se vi è una espansione
asimmetrica vuol dire che l’aria non arriva in modo simmetrico in entrambi gli emitoraci (es:
stenosi del bronco con atelettasia, pneumotorace, etc.)
Normalmente durante la fase inspiratoria tutto il torace si espande, se sono presenti dei rientramenti
inspiratori (giugolo, epigastrio, intercostali) vi è un ostacolo al flusso aereo (es: stenosi tracheali,
asma, ostruzione parziale del tubo endotracheale e della tracheotomia etc).
I principali segni respiratori sono:
• Il crepitio ed il gonfiore dovuto ad aria sul torace indicano la presenza di un passaggio di
aria dall’apparato respiratorio alla cute, come accade nei pneumotraci
• La bradipnea: è un’evenienza grave, perché può preludere all’arresto respiratorio dipende da
una disfunzione del centro respiratorio come ad esempio nell’overdose da eroina, o negli
stati agonici.
• La tachipnea: è un meccanismo di compenso che l’organismo mette in atto per accelerare gli
scambi gassosi alveolari.
In patologia la si osserva:
-quando la respirazione procura dolore per ridurre le escursioni respiratorie (es: fratture
costali, ferite chirurgiche, pleuriti etc. = respiro frequente e superficiale)
-per azione diretta sul centro del respiro (trauma cronico)
-riduzione della superficie di scambio (es: polmoniti); aumentata richiesta di ossigeno (stati
febbrili settici)
• La dispnea: è un sintomo riferito ad ogni forma di respirazione difficoltosa, in cui vengono
messi in funzione tutti i muscoli accessori della respirazione, vi è alitamento delle ali nasali,
embricatura delle labbra, vi è un aumento della frequenza e il paziente ha la sensazione di
angoscia e fame d’aria e cerca la posizione seduta (ortopnea).
La dispnea indica sempre una grave compromissione della funzione respiratoria (es: crisi di
asma severa) o cardiorespiratoria (es: scompenso cardiaco severo).
• L’apnea prolungata: è l’arresto respiratorio.
Le apnee transitorie sono presenti quando vi è una compromissione del centro del respiro.
• Le secrezioni: sono normalmente prodotte nell’albero respiratorio e vengono eliminate con i
meccanismi fisiologici di clearence. Se il paziente è sottoposto a ventilazione meccanica
vengono normalmente aspirate per evitarne la stasi, sono fluide e trasparenti.
In presenza di patologia le secrezioni possono diventare patologiche per quantità fino a
raggiungere la broncorrea, per qualità come le secrezioni purulente in corso di
broncopolmonite ed ematiche come nei gravi edemi polmonari.
La mancata aspirazione delle secrezioni provoca l’ingombro tracheo-bronchiale, grave
difficoltà respiratoria fino all’arresto.

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• L’emoftoe e l’emottisi: sono sempre espressione di severa compromissione polmonare
perché indicano un interessamento dei capillari o della circolazione polmonare.
• La cianosi: è indicativa di un difetto di ossigenazione.
I rumori respiratori
Noi normalmente respiriamo senza far rumore, si sente solo il fiato. Alcuni rumori sono
apprezzabili senza l’ausilio del fonendoscopio.
• Rumori secchi:
-stridore: si ha nei casi di stenosi laringee e spesso si accompagna a rientramento del giugulo
(es: stenosi da granulazioni da intubazione)
-fischi e sibili: dipendono da stenosi bronchiali e bronchiolari (es: asma, essudato vischioso
etc.). L’ostruzione parziale del tubo endotracheale e della tracheotomia da parte di essudato
denso o di secrezioni essiccate produce un rumore soffiato nel paziente in respirazione
spontanea.
• Rumori umidi:
-rantoli: dipendono dalla presenza di secrezioni e sono udibili senza ausili quando l’essudato
raggiunge i grossi bronchi. L’essudato che si rende manifesto all’ispezione o
all’ascoltazione va sempre rimosso se il paziente non riesce ad espellerlo con la tosse o è in
ventilazione.
I segni cardiocircolatori
I segni si evidenziano per prima cosa dall’esame obiettivo generale con l’osservazione di:
• Facies (indicativa di una estrema sofferenza)
• Colorito della cute (pallore, cianosi, sudore)
• Dispnea (fino all’ortopnea obbligata)
• Presenza di edema polmonare
• Alterazione della coscienza (da riduzione del flusso ematico cerebrale)
• Turgore delle giugulari ( come nei versamenti, pericarditi)
• Presenza di edemi
• Contrazione della diuresi (per riduzione della gittata e centralizzazione del circolo).
I principali segni cardiocircolatori sono:
• L’esame del polso con le sue caratteristiche ci può dare molti elementi sulla gravità. Il polso
si distingue in polso centrale (carotideo) e periferico (radiale), i più usati per la semeiotica.
• La tachicardia: è normale dopo uno sforzo come compenso alle maggiori richieste
dell’organismo, ma è anche presente in molte affezioni (dalla febbre allo shock emorragico)
ed è una costante risposta allo stress. Sopra una certa frequenza diventa rischiosa perché può
preludere alla tachicardia ventricolare e alla fibrillazione ventricolare.
• La bradicardia: è una condizione meno frequente in TI, può essere legata all’uso o
all’intossicazione da farmaci o veleni, ad un aumento della pressione intracranica.
Sotto una certa frequenza diventa rischiosa perché prelude all’asistolia, all’arresto cardiaco.
• L’arresto cardiaco è indicato dall’assenza di polso centrale, clinicamente sono indistinguibili
l’arresto da asistolia o da fibrillazione ventricolare, la diagnosi è solo elettrocardiografica.
• Le aritmie rilevate al polso sono l’espressione periferica delle aritmie cardiache, ma la
diagnostica differenziale è elettrocardiografica. Possono essere estremamente pericolose.

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• La forza e l’ampiezza del polso: dipendono dalla contrazione e dalla gittata cardiaca.
Un polso radiale piccolo, o addirittura assente può essere espressione di ipotensione come
negli stati di shock o di eccessiva vasocostrizione per cui l’onda sfigmica non si propaga, in
questi casi si apprezzano solo i polsi centrali.
I PAZIENTI IN INSUFFICIENZA RESPIRATORIA -Prof. Callegaro Lezione 1 parte 2
L’insufficienza respiratoria (IR) è una sindrome dovuta ad un deficit del sistema respiratorio tale da
compromettere lo scambio gassoso e/o la ventilazione.
L’insufficienza è acuta quando vengono superati i meccanismi di compenso messi in atto
dall’organismo per superare l’ipo-ossigenazione e/o l’ipercapnia.
L’insufficienza respiratoria può procedere fino all’arresto respiratorio a cui segue perdita di
coscienza ed arresto cardiaco.
I pazienti in insufficienza respiratoria in TI possono essere:
• Pazienti senza patologie respiratorie precedenti che pervengono in TI perché vanno in IR e
necessitano di una ventilazione meccanica (es: polmonite massiva)
• Pazienti con IR cronica che pervengono in TI perché scompensati acutamente e necessitano
di ventilazione meccanica (es: episodio influenzale in bronchite cronica)
• Pazienti ricoverati in TI per altre cause e che vanno incontro ad IR (es: coma da ictus
cerebrale e IR legata a mancata pervietà delle prime vie aeree da “caduta dalla lingua”; es:
polmonite nosocomiale in trauma addominale.
Il sistema respiratorio
E’ composto dal punto di vista anatomo-funzionale da:
• Un compartimento extrapolmonare (pompa ventilatoria)
-centro encefalico della respirazione (drive respiratorio)
-SNP e placca neuro-muscolare (trasmissione drive)
-muscoli respiratori (esecuzione del drive)
-gabbia toracica (impalcatura)
-spazio pleurico (“tirante”)
-alte vie respiratorie (trasporto flusso aereo al e dal polmone)
• Un compartimento polmonare (scambio gassoso)
-basse vie respiratorie (trasporto da e agli alveoli)
-alveoli (scambi gassosi alveolo/capillare)
-circolazione polmonare (scambi gassosi alveolo/capillare, trasporto nella circolazione
sistemica).
La circolazione sistemica, il cuore e la circolazione polmonare sono intimamente integrati tra di
loro. Il cuore è una pompa dentro la pompa respiratoria, per cui qualsiasi problema grave nel
polmone si riflette sul cuore e viceversa.
Alcune misure degli scambi respiratori
L’ossigenazione ematica (espressa come pressione parziale di ossigeno arteriosa PaO2, unità di
misura mmHg) dipende:
• Dalla FiO2 (frazione inspirata di ossigeno)

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• Dalla pressione parziale degli altri gas negli alveoli
• Dalla diffusione dell’ossigeno attraverso la memrana alveolo-capillare
• Dal rapporto ventilazione/perfusione
• Dall’estrazione di ossigeno
La capnia ematica (espressa come pressione parziale di anidride carbonica arteriosa PaCO2, unità
di misura mmHg dipende:
• Dalla ventilazione alveolare
• Dalla diffusione della CO2 attraverso la membrana alveolo capillare
• Dalla produzione di CO2
Si parla di effetto shunt quando vi è un’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, nel senso
che vi sono quote di polmone più perfuse che ventilate.
Normalmente tanta è la superficie di polmone perfuso dai capillari, quanta la superficie di polmone
ventilato (superficie alveolare), per cui il rapporto ventilazione/perfusione è molto vicina a 1 (vicino
perché esiste fisiologicamente una piccola quota di shunt).
Quando ad esempio succede una patologia per cui quote di aveoli non sono ventilati ma persiste la
perfusione del capillare (esempio fase iniziale della broncopolmonite) il rapporto si altera, perché il
numeratore (ventilazione) si riduce mentre la perfusione rimane la stessa.
Praticamente il sangue pre-capillare che arriva all’unità alveolare non si può ossigenare al contatto
con l’alveolo e quindi nel post-capillare arriverà sangue non ossigenato.
Se le zone di polmone dove c’è shunt sono vaste il paziente sarà molto ipo-ossigenato e questa ipo-
ossigenazione potrà risultare refrattaria alla ventilazione con aumento della FiO2.
Si parla di effetto spazio morto quando vi è un’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, nel
senso che vi sono quote di polmone più ventilate che perfuse.
Emogasanalisi arteriosa
Rileva le pressioni dei gas ematici, il pH ematico e i parametri da questi derivati.
Serve a valutare le alterazioni degli scambi gassosi e dell’equilibrio acido-base.
Valori normali di un soggetto sano non fumatore in aria ambiente (FiO2 – frazione inspirata di
ossigeno=0.21) nel sangue arterioso: pO2=100-04mmHg pCO2=40 +/- 4 mmHg, pH=7.4 +/-
00.4HCO3 =24 +/- 2 mmol/L
In un soggetto sano non fumatore e senza patologie respiratorie preesistenti in aria ambiente si parla
di: ipossiemia per Po2 <60mmHg e di ipercapnia per Pco2> 50 mmHg.
Nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica i valori di riferimento sono diversi, perché sono
abituati alla ipossia e alla ipercapnia.
Il pH, la PCO2, insieme ai bicarbonati e alle altre basi tamponi (BE), servono a valutare l’equilibrio
acido-base (EAB).
L’organismo umano ha molti sistemi di compenso per mantenere il Ph nella norma, ma il pH può
modificarsi (diventare più acido o più alcalico) per cause respiratorie o metaboliche quando i
meccanismi di compenso si esauriscono.

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La concentrazione di (H+) è determinata dal bilancio pCO2 e concentrazione (HCO3-) secondo
l’equazione “non logaritmica” di Henderson.Hasselbach(H+)= pCO2/HCO3- per cui:
• Se la PCO2 aumenta, aumenta la H+ ed il pH si riduce determinando acidosi
• Se la PCO2 si riduce, si riduce la H+ ed il pH aumenta determinando alcalosi
• Se la HCO3 aumenta, si riduce la H+ ed il pH aumenta determinando alcalosi
• Se la HCO3 si riduce, la aumenta H+ ed il pH si riduce determinando acidosi
-Quando aumenta l’anidride carbonica acutamente nella bronchite cronica acutizzata il pH diventa
acido perché già i meccanismi di compenso sono spinti al massimo dalla situazione cronica.
-Quando c’è una ipossia acuta in un soggetto sano si può avere eccessiva produzione di acido lattico
per il metabolismo anaerobico ed il pH diventa più acido per eccessiva (H+).
-Quando c’è molta perdita di HC1 dal sondino nasogastrico messo a caduta il pH aumenta perché la
H+ diminuisce per la perdita.
Indice di siegel
È il rapporto PaO2/FiO2; è un parametro molto usato per valutare l’entità dell’alterazione dello
scambio di ossigeno.
Nel soggetto normale più si aumenta la FiO2 erogata più aumenta la pO2 ematica.
Se vi è un’alterazione nella diffusione dell’ossigeno dall’alveolo al capillare non tutto l’ossigeno
passa nel sangue e questo rapporto diminuisce (l’ossigenazione rimane bassa nonostante si aumenti
l’erogazione di ossigeno).
Nel soggetto sano non fumatore in aria ambiente l’indice di Siegel è>300 perché PaO2/FiO2=
104/0.21= 495; lo stesso soggetto, se non intervengono patologie, posto sotto ventilazione ad
esempio a FiO2 0.40 avrà sempre un indice >300 perché PaO2/FiO2= 208/0.40.
Questo indice si correla alla frazione di shunt.
SaO2, SpO2: indica la quantità di emoglobina saturata dall’ossigeno.
Se la PaO2 (arteriosa) è buona, la SaO2 (arteriosa) sarà buona 99/100%; se non vi sono problemi
circolatori (es: vasocostrizione) anche la SpO2 (percutanea) sarà 99/100%, perché tutto il sangue
ossigenato arriva ai capillari percutanei.
Shunt
Una certa quota di sangue raggiunge il circolo arterioso dopo aver attraversato regioni alveolari non
ventilate.
La differenza: la paO2 è la quota di ossigeno disciolto nel sangue arterioso, espressa sottoforma di
pressione parziale.
La SaO2 indica la quota di ossigeno legato all’emoglobina, espressa attraverso la quantità
percentuale di emoglobina saturata.
ETCO2 e PetCO2 (end tidal CO2-CO2 di fine espirazione pressione parziale di CO2 alveolare alla
fine della espirazione).

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ETCO2 o PetCO2
Parametro molto usato ed utilissimo nei pazienti in ventilazione. Misura la pCO2 che il paziente ha
alla fine della espirazione negli alveoli (PACO2 di fine espirazione, dove A sta per alveolare). Si
usa per l’analisi il gas di fine espirazione perché quando si espira la prima parte di gas espirato
appartiene alle alte vie aeree, poi alle basse vie aeree ed infine agli alveoli.
Nel soggetto sano non fumatore, è correlabile alla PaCO2 (arteriosa), infatti la PaCO2 è solo circa
3-5 mmHg più alta rispetto alla PetCO2, perché tutta la CO2 prodotta e che si trova nel sangue
viene eliminata, diffonde bene attraverso la membrana alveolo-capillare (es per la PaCo2 di 40
ETCO2 37).
Questo gradiente si altera ed aumenta molto in diverse patologie (ad es: quando vi sono malattie
come la bronchite cronica avanzata, i meccanismi di compenso si alterano, la CO2 non diffonde più
bene nella membrana alveolo-capillare e accade che mentre si ha una PaCO2 (arteriosa molto alta)
la ETCO2 è quasi normale (es: PaCO2 65 ETCO2 45), si ha una ritenzione di CO2.
Classificazione insufficienza respiratoria:
• Rapidità di insorgenza
-acuta
-cronica
-riacutizzata su cronica
• Entità:
-lieve
-moderata
-grave
• Tipologia del danno:
1. Danno ventilatorio:
-lesione/disfunzione centrale (neuro-drive, es: lesioni tronco encefalo, farmaci
depressori tipo oppiacei, etc.)
-lesione/disfunzione midollare e sistema neuromuscolare (trasmissione drive, es:
lesioni midollari, dei motoneuroni, etc; es: miastenia, tetano, paralisi da curari etc)
-lesione/disfunzione muscolare (esecuzione del drive, es: distrofia muscolare,
poliomiosite, etc.)
-lesione/disfunzione della gabbia toracica (impalcatura es: cifoscoliosi, fratture
costali multiple)
-lesione/disfunzione dello spazio pleurico (“tirante” es: pneumotorace, emotorace)
-lesione/disfunzione delle alte vie respiratorie (trasporto flusso aereo al e dal
polmone, es: inalazione di corpo estraneo con ostruzione delle alte vie, stenosi
tracheali post intubazione etc)
-da aumento della pressione endoaddominale (impossibilità di valide escursioni
diaframmatiche, es: ascite, ileo, paralitico, interventi su addome superiore)
2. Danno del compartimento polmonare:
-lesione/disfunzione a livello delle basse vie respiratorie (trasporto da e agli alveoli,
es: asma,bronchiolite, etc)
-lesione/disfunzione a livello alveolare (scambi gassosi alveolo/capillare
es:polmonite, atelettasia)
-alterazione della circolazione polmonare (scambi gassosi alveolo/capillare, trasporto
nella circolazione sistemica, es:embolia polmonare, ipertensione polmonare)

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-da problemi cardiologici (l’insufficienza respiratoria non è primitiva, es: edema
polmonare acuto (EPA) cardiogeno)
• Tipologia dell’alterazione degli scambi gassosi: classificazione basata sugli effetti che
l’alterazione degli scambi gassosi e il rapporto ventilazione/perfusione hanno sui gas ematici
(PaO2,PaCO2).
-insufficienza respiratoria prevalentemente ipossica
-insufficienza respiratoria prevalentemente ipercapnica
.insufficienza respiratoria mista
• Valori della SpO2
-insufficienza respiratoria acuta propriamente detta SpO2 <90%
-insufficienza respiratoria cronica riacutizzata SpO2 <90%
-insufficienza respiratoria moderata/lieve SpO2 >90%
• Eziologia: classificazione basata sull’eziopatogenesi delle patologie respiratorie
Approccio dell’infermiere di terapia intensiva al paziente in insufficienza respiratoria in respiro
spontaneo (insufficienza respiratoria acuta)
Riconoscere i segni respiratori di gravità
• Se incosciente
-BLS
-eventuale intubazione e rianimazione
• Se cosciente
-chiamare il medico di guardia
-riferire quanti più particolari possibili sulla modalità di esordio, segni e sintomi
-se non presente inserire saturimetro e segnalare SpO2
-posizionamento mascherina per O2 a FiO2 0.4
-avvicinare il carrello di intubazione (sempre controllato) per eventuale intubazione di
emergenza, accendere il respiratore
-inserire l’aspiratore (sempre pronto con i sondini)
-esecuzione di terapia di emergenza (es: antiasmatici)
-se non presente monitoraggio ECG-PA-Temp-FR
-se non presente accesso venoso periferico
-emogasanalisi, eventuale incannulazione di arteria (materiale per l’incannulazione di arteria
periferica o femorale sempre disponibile)
-inserimento di sng
-inserimento di catetere vescicale
-eventuale incannulazione di vena centrale (materiale per l’incannulazione di vena centrale
sempre disponibile)
-esecuzione di esami ematochimici
-esecuzione di esami strumentali (ECG)
-esecuzione di esami radiologici
-esecuzione di terapia
-posizionamento di eventuali drenaggi
-sorveglianza intensiva clinica/strumentale per 2° valutazione
-eventuale ampliamento monitoraggio invasivo con cateterismo arterioso polmonare
(catetere di SWG) (materiale sempre disponibile)

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Indicazioni
• Indicazioni all’intubazione in terapia intensiva:
-controllo delle vie aeree (ad esempio caduta della lingua da stato di incoscienza anche se
con respirazione sufficiente)
-rimozione di secrezioni, corpo estranei
-esecuzioni di indagini (ad esempio broncoscopia in un soggetto a rischio9
-l’insufficienza respiratoria con necessità di ventilazione meccanica invasiva (attraverso il
tubo endotracheale è possibile somministrare alcuni farmaci, come quelli utili nell’arresto
cardiaco)
• Indicazioni alla ventilazione in terapia intensiva:
-criteri clinici di ordine generale e respiratorio (ordine generale ad esempio: le condizioni
possono essere tanto critiche da un punto di vista generale es: shock emorragico in trauma
dell’addome, che si può decidere di porre in ventilazione, per evitare di arrivare allo
scompenso, anche se in atto non c’è una insufficienza respiratoria severa o c’è ancora
un’emogasanalisi accettabile)
-criteri emogasanalici
La ventilazione meccanica
La ventilazione meccanica, tramite respiratore automatico, sostiene la funzione respiratoria
compromessa e serve a ripristinare e mantenere un’adeguata ventilazione alveolare fino a
miglioramento delle condizioni che hanno portato all’insufficienza respiratoria.
Si distingue in:
• Ventilazione invasiva (IV): viene effettuata con l’applicazione di protesi respiratorie, quali
tubi endotracheali e tracheotomie.
• Non invasiva (NIV): viene effettuata senza l’applicazione di protesi respiratorie, quali tubi
endotracheali o tracheostomia, e si può attuare mediante maschera facciale, nasale, oro-
nasale, casco pressurizzato (scafandro).
E’ possibile ventilare il paziente con diverse modalità di ventilazione, che semplicisticamente
possono essere suddivise in:
• Modalità controllata: in cui il paziente non ha un suo respiro spontaneo (es: anestesia
generale, paralisi dei muscoli respiratori da lesioni midollari alte etc)
• Modalità assistita: in cui il paziente ha un suo respiro spontaneo anche se insufficiente ed il
ventilatore lo supporta con un grado di supporto dipendente dalla capacità respiratoria del
paziente.
Approccio dell’infermiere di terapia intensiva al paziente in insufficienza respiratoria in
ventilazione
• Presidio fisico (prevenzione delle disconnessioni del paziente dal ventilatore,
prevenzione delle auto estubazioni. Prevenzione dei problemi e complicanze)
• Sorveglianza clinica per il rilevamento dei segni di gravità respiratoria e
cardiocircolatoria, e delle quantità e qualità dei drenaggi
• Sorveglianza strumentale (allarmi monitor- ventilatore- pompe)
• Rilevamento dei parametri orari o cadenzati
• Allertamento del medico, riferire quanti più particolari possibili sulla modalità di
esordio, segni e sintomi dei problemi e complicanze

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• Nursing respiratorio
• Esecuzione emogasanalisi
• Esecuzione esami ematochimici
• Esecuzione esami radiologici
• Esecuzione della terapia
Monitoraggio del paziente in insufficienza respiratoria in respiro spontaneo e in ventilazione
Scopo del monitoraggio:
• Interpretazione fisiopatologia del paziente
• Diagnosi/terapia/nursing respiratorio
• Valutazione immediata delle variazioni cliniche
• Tipologia
• Non invasivo-invasivo
Monitoraggio non invasivo
• Ecg in continuo, PAO non invasiva in continuo o discontinuo. Il monitoraggio dei parametri
emodinamici è indispensabile perché qualsiasi problema grave nel polmone riflette sul cuore
e viceversa.
• SpO2 è un parametro ormai indispensabile, che da misurazioni in continuo e che riduce il
numero di emogasanalisi
• ETCO2 o PetCO2: parametro molto usato in continuo, utilissimo nei pazienti in
ventilazione, sia essi ammalati che sani e che riduce il numero di emogasanalisi. (ad es: un
paziente con trauma cranico a polmoni sani in ventilazione deve mantenere una CO2 che
non sia troppo bassa o troppo alta. Dato che l’ETCO2 è bene correlata con la PaCO2, con
uno scarto di 3 mmHg, posso ridurre molto in numero di emogosanalisi di controllo). In
caso di arresto cardiaco diventa =0 perché non arriva più sangue a carico di CO2 all’alveolo
ventilato.
• Allarmi dal ventilatore meccanico:sono utilissimi perché rendono conto di una buona forma
di ventilazione per il paziente e perché allertano su eventuali complicanze repiratorie. I
principali sono:
-allarmi di pressione (es: se c’è un’alta pressione nelle vie aeree molto probabilmente può
esserci un’ostruzione, se una bassa pressione c’è una bassa pressione può esserci una
disconnessione dal ventilatore)
-allarmi di volume: ad es: se c’è un alto volume il paziente può essere iperventilato perché
comincia ad avere un migliore respiro spontaneo, se c’è un basso volume in respiro assistito
può essere assistito in modo insufficiente o c’è una disconnessione)
-allarme di frequenza (segnala le frequenze troppo alte o basse)
-di gas su O2 e CO2 : indicano ad ese DiO2 e la variazione a quanto stabilito, avvertendo se
c’è un abbassamento nell’erogazione da bmabola o O2 centralizzato, per ETCO2. Per la
PACO2 può essere presente nel ventilatore il capnografo, che rivela la curva di eliminazione
di CO2 nel ciclo resiratorio.
Monitoraggio invasivo
• Emogasanalisi singola rilevazione da arteripuntura: utile nei pzienti in cui busogna valutare
il grado di insufficienza.

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• Emogasanalisi singola rilevazione da cateterismo arterioso: indispensabile nei pazienti in
terapia intensiva in insufficienza respiratoria per valutare l’andamento della malattia,
l’efficacia della ventilazione
• Analisi gas ematici in continuo arterioso (poco usato per il costo)
• PA invasiva in continuo
• PVC in continuo e discontinuo

-Il monitoraggio dei parametri emodinamici è fondamentale perché, come si è detto, qualsiasi
problema grave nel polmone si riflette sul cuore e viceversa.
-Il monitoraggio mediante cateterismo arterioso è pressochè la norma nei pazienti in TI (non
ventilati o ventilati) per evitare anche arteri-punture ripetute.
-Il monitoraggio continuo o discontinuo della PVC non è la norma e si stabilisce in base alla
patologia.
-Il cateterismo arterioso polmonare è riservato a casi particolari, in cui si ha l necessità di fare
diagnosi, stabilire il migliore trattamento e seguire l’evoluzione della malattia con la terapia.
INSUFFICIENZA CARDIOCIRCOLATORIA- Prof. Callegaro Lezione 2
L’insufficienza cardiocircolatoria (ICC) è una sindrome dovuta ad un deficit funzionale del sistema
cardiocircolatorio tale da compromettere, ad esaurimento dei meccanismi di compenso, la
funzionalità cellulare per l’impossibilità di rispondere alle richieste metaboliche.
• Fin quando il sistema cardiocircolatorio e l’organismo riescono a mettere in atto i
meccanismi di compenso la ICC può decorrere in modo asintomatico o poco
sintomatico;
• Quando i meccanismi di compenso si esauriscono compaiono i segni e sintomi dello
scompenso, che può avvenire in modo:
-cronico
-acuto
(l’insufficienza cardiocircolatoria può procedere fino all’arresto cardiaco a cui segue
immediata perdita di coscienza e arresto respiratorio).
Lo scenario
I pazienti in insufficienza cardiocircolatoria in terapia intensiva possono essere:
• Pazienti senza patologie cardiovascolari precedenti: in cui ICC insorge acutamente,
presentano gravi segni di scompenso o shock e necessitano di supporti oltre che
farmacologici in continuo anche di supporti meccanici.
Esempi:
-un grave infarto del miocardio è ricoverato normalmente in UTIC, ma se il paziente
necessita di ventilazione meccanica verrà ricoverato presso una Rianimazione;
-un grave stato di shock emorragico in postoperatorio che ha portato a compromissione
generale l’organismo, es. coagulopatia, insufficienza respiratoria, anche non necessitante di
ventilazione etc., non rimarrà in Chirurgia ma sarà ricoverato presso una Rianimazione.

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• Pazienti con patologie cardiovascolari precedenti: con ICC cronica che pervengono in TI
perché scompensati acutamente e necessitano di supporti meccanici o per eccessiva
compromissione dello stato clinico (es: edema polmonare in valvulopatico)
• Pazienti ricoverati in TI per altre cause: e che vanno incontro ad ICC acuta (es: shock settico
da infezione nosocomiale in paziente in coma da ictus cerebrale)
Parametri rilevati alla base del monitoraggio emodinamico in terapia intensiva
Il cuore dal punto di vista anatomo-funzionale è una pompa indispensabile per far arrivare ossigeno
e substrati a tutti i tessuti attraverso la rete vasale. E’ suddiviso nelle:
• Sezioni destre: che ricevono il sangue refluo dai tessuti, attraverso le vene cave, e lo
trasportano ai polmoni, attraverso le arterie polmonari, per eliminare la CO2.
-Sono un emisistema a capacitanza (cioè a riempimento perché le vene non hanno la stessa
vasomotilità delle arterie).
• Sezioni sinistre: che ricevono il sangue refluo ossigenato dai polmoni, attraverso le vene
polmonari, e lo trasportano ai tessuti, attraverso la aorta.
-Sono molto semplicisticamente un emisistema a resistenza (le arterie e le arteriole possono
vasocostringersi e dilatarsi).
Monitoraggio
• ECG in continuo: cardine del monitoraggio emodinamico non invasivo. Si ottengono
informazioni sulla frequenza e sul ritmo cardiaco. Nel paziente non affetto da patologia
coronarica si utilizza la derivazione D2, nel coronaropatico si utilizza anche D5 perché si
monitorizza meglio il tratto ST.
• PAO non invasiva in continuo e discontinuo
• PAO invasiva in continuo: parametro routinario, permette di rilevare la PA sistolica e
diastolica. La PA media è derivata dalla formula: PAM= PAD+1/3(PAS-PAD). La PAM
rende conto della perfusione d’organo.
Con la rilevazione non invasiva si rilevano solo i valori numerici.
Con la rilevazione invasiva si rileva anche la forma d’onda della pressione sistemica.
La PA invasiva si ricava tramite incannulazione arteriosa (le arterie più usate sono: la
radiale,l’omerale,la femorale,la pedidia).
La forma dell’onda di pressione presenta:
-una branca ascendente al cui apice si rileva la PAS
-una branca discendente alla cui base si rileva la PAD e dove si trova
-l’incisura dicrota che rileva la chiusura della valvola aortica alla fine della sistole.
Dall’onda di pressione si possono ricavare molte informazioni:
-la rapida ascesa della branca ascendente indica una buona contrattilità miocardica
-le variazioni dell’onda con gli atti respiratori indica una ipovolemia
-la presenza di una bassa incisura dicrota, fin quasi ad essere non rilevabile indica basse
resistenze.
La pressione sistemica dipende:
-dalla contrattilità cardiaca
-dal volume ematico circolante
-dalle resistenza vascolari periferiche
Per cui la PA si abbassa quando, esauriti i meccanismi di compenso,la pompa cardiaca non è
efficiente, il volume ematico diminuisce, le resistenza vascolari periferiche diminuiscono.

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• PVC (pressione venosa centrale) in continuo o discontinuo: parametro routinario nelle ICC,
indica la pressione misurata a livello della vena cava, atrio destro, mediante catetere venoso
centrale (CVC) in vena succlavia o vena giugulare interna.
Non ha significato come valore assoluto (norma 0-10cm H2O), ma sono importanti le
modificazioni (trend).
Semplicisticamente la PVC esprime il bilancio tra:
-funzione cardiaca
-volume ematico circolante
-la capacitanza (riempimento) venoso.
In molti casi, associato ad altri dati, è un parametro molto utile per la diagnosi e la terapia,
perché ci può fornire degli elementi di valutazione sul riempimento del cuore e sulla sua
funzionalità, ma purtroppo in molti altri casi non è assolutamente dirimente ed è necessario
elevare il grado di monitoraggio emodinamico (SWG).
Per esemplificare:
-a cuore sano, se il volume ematico circolante è basso per delle perdite, i vasi venosi (a
capacitanza) saranno meno riempiti di volume e di conseguenza la PVC, che misura la
pressione di vena cava, si abbasserà.
-se il cuore sinistro non pompa bene, ed il volume circolante è buono, le pressioni nel cuore
destro aumentano e questo si rifletterà sulle vene cave afferenti al cuore destro e la PVC
risulterà più alta.
• PAP (pressione arteriosa polmonare) in continuo e parametri derivati tramite cateterismo
con catetere si Swan-Ganz (SWG): parametro non routinario, utilizzato ai fini diagnostici e
terapeutici in alcune forme di ICC.
Il catetere di Swan-Ganz permette di misurare:
-la PVC
-la PAP sistolica, diastolica, media
-la PCWP (pressione capillare incuneata); in assenza di vizi valvolari la PCWP è pressochè
sovrapponibile alla pressione atriale sinistra (LAP), che a sua volta indica il riempimento del
cuore.
Mediante la tecnica della termodiluizione si può ottenere:
-la gittata cardiaca (CO)
-le resistenze vascolari sistemiche (SVR) e polmonari (PVR)
• SPO2: è un cardine del monitoraggio emodinamico non invasivo, anche se negli stati di
shock non è sempre attendibile, non essendo sovrapponibile alla SaO2, per l’ipoperfusione
periferica.
• DIURESI ORARIA: è un parametro molto importante della funzionalità del sistema
cardiovascolare, infatti qualsiasi deficit cardiovascolare si ripercuote sulla portata ematica
renale ed il filtrato urinario diminuisce. La norma = 1ml/kg/h
• MONITORAGGIO RESPIRATORIO: il monitoraggio dei parametri respiratori è
indispensabile perché qualsiasi problema grave cardiocircolatorio si riflette sul polmone e
viceversa.
Le emergenze/urgenze cardiovascolari in TI
Sono molteplici e di varia etiopatogenesi:
• Le crisi ipertensive
• L’arresto cardiaco

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• L’ipotensione
• Gli stati di shock
Shock
Definizione: sindrome da insufficienza circolatoria acuta con perfusione tissutale inadeguata
rispetto ai fabbisogni metabolici. Diagnosi e terapia precoce aumentano la sopravvivenza del
paziente.
La circolazione sistemica è la risultante tra:
• L’attività di pompa del cuore
• Il trasporto del sangue nel letto vascolare
• La quantità di sangue circolante

Tipi di shock:
• Shock cardiogeno: legato a deficit della pompa cardiaca
• Shock ipovolemico: legato a deficit acuto del volume circolante
• Shock settico: legato alle alterazioni del microcircolo causate dalle infezioni
• Shock anafilattico: legato a forme di ipersensibilità immediata
Fasi cliniche dello shock:
• Preshock o shock “compensato” (non ipotensione in clinostatismo). I meccanismi di
compenso cardiocircolatori sono ancora in grado mantenere un certo grado di omeostasi
circolatoria (per es. una perdita del 10% del volume ematico può associarsi a normotensione
o ipotensione lieve → concetto di golden hour per la terapia)
• Shock vero e proprio o fase di “scompenso circolatorio acuto”: i meccanismi di regolazione
della pressione arteriosa non sono più sufficienti a mantenere l’omeostasi e compaiono
ipotensione in clinostatismo e segni di insufficienza di organo (reversibile).
La comparsa di questi segni consegue, a seconda della patogenesi dello shock, a uno o più
dei seguenti:
-riduzione del 20-50% della volemia efficace
-una riduzione dell’indice cardiaco a <2.5 L/min/m2
-effetto dei mediatori della sepsi.
• Shock irreversibile: sono presenti segni di insufficienza d’organo non reversibili in tempi
brevi o a volte irreversibili (oliguria da necrosi tubulare acuta, coma da ipoperfusione
cerebrale, insufficienza respiratoria da ARDS etc).
Shock cardiogeno:
Sindrome clinica conseguente a grave compromissione della funzione di pompa cardiaca. E’
caratterizzata dall’incapacità del cuore, nonostante ci sia un adeguato volume ematico
(normovolemia), a produrre un flusso di sangue sufficiente a rispondere, a riposo, alle richieste
metaboliche dei tessuti. (shock a bassa gittata)
• Miopatico:
-IMA VS (>40%)
-IMA VD
-MIOCARDITE
-AGENTI CARDIOTOSSICI

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-CONTUSIONE MIOCARDICA
• Meccanico:
-DISFUNZIONE PROTESI VALVOLARE
-IM DA ROTTURA DEI PAPILLARI O CORDE TENDINEE
-IA DA DISSEZIONE AORTA ASC. NELL’ANELLO VALV
-ROTTURA ANEUR VENTRIC
• Aritmico:
-TACHI- E BRADIARITMIE
• Ostruttivo:
-EMBOLIA POLMONARE MASSIVA
-TAMPONAMENTO PERICARDICO
-PNEUMOTORACE IPERTESO
-PERICARDITE COSTRITTIVA
(Ha anche una componente di shock ipovolemico perché il precarico è ridotto)
Segni e sintomi:
Sono legati al fatto che ai tessuti non arriva più un flusso di sangue sufficiente e quindi non arrivano
in quantità adeguata sia l’ossigeno che i substrati energetici rispetto alle esigenze dei tessuti.
• IPOTENSIONE: PAS<90 o PAM<60 o riduzione di 30mmHg della PA rispetto alla PA
basale del paziente, non rispondente all’espansione volemica.
Il polso è piccolo o inapprezzabile e frequente per la tachicardia di compenso all’ipotensione
ed è possibile la presenza di aritmie anche gravi.
L’organismo risponde alla ipotensione con la vasocostrizione (produzione di catecolamine),
che serve a preservare gli organi vitali.
Infatti con la vasocostrizione si ha la cosiddetta “centralizzazione del circolo”, cioè una
maldistribuzione della massa ematica che viene trasportata prevalentemente a carico del
cuore, cervello, polmone a scapito degli altri organi e apparati.
La sola ipotensione non è sinonimo di shock cardiogeno se non vi sono associati i segni di
ipoperfusione, perché lo shock si ha solo quando il trasporto di ossigeno e substrati è
inadeguato alle richieste attuali.
• OLIGURIA: diuresi oraria <0.5 ml/kg/h fino all’anuria per riduzione della portata renale.
• IPOPERFUSIONE PERIFERICA: cute fredda, pallida, sudata, cianosi dell’estremità;
corrisponde unaSpO2 bassa o non rilevabile.
• IPOPERFUSIONE CEREBRALE: agitazione ed ansia intensa con sensazione di morte.
• TACHIPNEA, DISPNEA,ORTOPNEA: per messa in atto di tutti i meccanismi di compenso
per ossigenare i tessuti o per la presenza di edema polmonare acuto (EPA)
• SEGNI DI IPOPERFUSIONE DI ORGANI APPARATI: (es: fegato che arriva alla necrosi,
intestino che si ulcera)
• ACIDOSI METABOLICA: per inizio di metabolismo anaerobico da ipossigenazione
tissutale
• SEGNI DI STASI POLMONARE: perché il deficit di pompa si ripercuote sulla circolazione
polmonare, provocando un aumento delle pressioni polmonari, che può arrivare fino
all’EPA.
L’EPA cardiogeno è una condizione patologica caratterizzata da un aumento dell’acqua
extravascolare polmonare, conseguente ad un eccessivo aumento della pressione capillare
polmonare.

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EDEMA POLMONARE ACUTO: la sintomatologia varia dalla dispnea ingravescente all’ortopnea
obbligata, dalla percezione di fini rantoli all’asma cardiaco e alla percezione di rantoli fini a marea
montante (l’aumento delle pressioni polmonari, se la volemia è adeguata, si riflette in un aumento
della PVC>10).

Terapia dello shock cardiogeno: si basa fondamentalmente sui farmaci cardiovascolari che possono
migliorare la performance cardiaca.
• Eventuale trattamento delle aritmie
• Adrenalina
• Inotropi positivi
• Bicarbonati
• Contropulsazione aortica
Shock ipovolemico
E’ una condizione patologica caratterizzata da un deficit acuto del volume circolante, a cui
consegue senza trattamento una inadeguata perfusione tissutale. (Shock a bassa gittata)
Si classifica in:
• Shock emorragico: dovuto a perdita di sangue verso l’esterno (es. trauma da ferita
penetrante) e verso l’interno (es. emotorace, emoperitoneo in trauma chiuso).
-traumi penetranti o contusivi (aperti o chiusi) toracici, addominali, pelvici
-fratture osee
-emorragie del tratto gastroenterico superiore o inferiore
-rottura di aneurisma aortico

• Shock ipovolemico non emorragico: dovuto alla perdita di volume plasmatico (es:
ustioni estese con formazioni di flittene in cui si raccoglie molto plasma, oppure
gastroenteriti dove si perdono molti liquidi con la diarrea o il vomito).
-perdite insensibili (ustioni, colpo di calore
-perdite gastroenteriche (vomito, diarrea, fistole intestinali)
-perdite renali (diabete insipido, insufficienza surrenalica, poliurie in genere)
-sequestro in 3° spazio (occlusione intestinale, peritonite, ischemia mesenterica,
pancreatite acuta)
Successione degli eventi
Perdita lenta di 500-1000 ml di sangue → in posizione supina reazioni emodinamiche poco evidenti
Perdita rapida di 500-1000 ml di sangue → in posizione supina reazioni emodinamiche evidenti
Perdita rapida di 2000 ml di sangue → incompatibile con la vita se non trattata
Attenzioni nello shock emorragico:
• La diagnosi di shock emorragico è più spesso anamnestica e clinica prima che di
laboratorio (anemia) o sulla base di parametri emodinamici
• Il paziente traumatizzato ipoteso e tachicardico è da considerare in shock emorragico
fino a prova contraria.

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Segni e sintomi: sono legati al fatto che ai tessuti non arriva più un flusso di sangue sufficiente e
quindi non arrivano in quantità adeguata sia l’ossigeno che i substrati energetici rispetto alle
esigenze dei tessuti. Sono in relazione alla gravità, cioè all’entità del deficit di volume circolante e
quindi al grado di “centralizzazione del circolo”:
• IPOTENSIONE: compare con perdite superiori al 15% della massa ematica circolante ed è
rispondente alla espansione volemica.
Nella prima fase può non rilevarsi ipotensione per la vasocostrizione compensativa posta in
atto dal sistema simpatico (scarica catecolaminica)
-La scarica catecolaminica riduce la PA differenziale, perché aumentano le resistenze
vascolari e la PAD.
-Vi è riduzione della PA in ortostatismo
-Il polso è piccolo o inapprezzabile e frequente per la tachicardia di compenso
all’ipotensione.
• PVC: se non vi sono patologie cardiache la PVC è bassa anche <0
• OLIGURIA: diuresi oraria <0.5 ml/kg/h fino all’anuria per riduzione della portata renale da
centralizzazione del circolo
• IPOPERFUSIONE PERIFERICA: cute fredda e pallida a cui corrisponde una SpO2 bassa o
non rilevabile. Le sclere, se lo shock è emorragico, saranno anche esse pallide.
• IPOPERFUSIONE CEREBRALE: da agitazione a ansia intensa fino alla perdita di
coscienza
• SEGNI RESPIRATORI: techipena, per messa in atto di tutti i meccanismi di compenso per
ossigenare i tessuti
• IPOPERFUSIONE DI ORGANI E APPARATI: fegato che arriva alla necrosi, intestino che
si ulcera
• ACIDOSI METABOLICA: per inizio di metabolismo anaerobico da ipossigenazione
tissutale.
La sola ipotensione non è sinonimo di shock ipovolemico se non vi sono associati i segni di
ipoperfusione, perché lo shock si ha solo quando il trasporto di ossigeno e substrati è inadeguato
alle richieste attuali.
Terapia dello shock ipovolemico: si basa fondamentalmente sulla espansione volemica con sostituti
o emoderivati secondo la causa dello shock.
• Infusione di liquidi
• Emotrasfusioni
• Ossigenoterapia
• Inotropi positivi
Shock settico
E’ una sindrome clinica, conseguente a un’infezione, caratterizzata da ipotensione sistemica
refrattaria alla espansione volemica, associata a ipoperfusione e disfunzioni d’organo da alterazione
del microcircolo. (shock ad alta gittata)
SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica):
è la risposta a stimoli infettivi (e non), caratterizzata da almeno due delle seguenti condizioni:
-TC > 38 o < 36

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-FR >20/min o PaCO2 <32
-FC >90
-GB >12000 o <4000 o <10% forme immature
SIRS è una risposta ad una serie di stimoli infettivi e non ( ustioni, pancreatite, traumi etc), la cui
evoluzione, se non correttamente trattata, può essere una MOF (Multiple Organ Failure):
insufficienza progressiva di 2 o piu’ organi.
SEPSI: SIRS con evidenza clinica di infezione
SEPSI GRAVE: sepsi associata ad ipotensione rispondente all’espansione volemica, con alterazioni
da ipoperfusione.
SHOCK SETTICO: Sepsi grave refrattaria all’espansione volemica associata a ipoperfusione e
disfunzione d’organo, con necessità di uso di farmaci inotropi/vasoattivi.
MOF:
-ARDS o polmone da shock
-Alterazioni cardiache
-Alterazioni renali
-Alterazioni cerebrali
-CID
-Alterazioni pancreatiche e gastrointestinali
SEPSI E SHOCK SETTICO: molto semplicisticamente la sepsi e lo shock settico conseguono
all’incontrollato rilascio dei mediatori della sepsi da stimolazione del sistema immunitario da parte
di un’ infezione.
I mediatori così attivati in modo incontrollato producono un’alterazione del microcircolo:
• Alterazione del tono vasale con stasi capillare e aumento della permeabilità vasale
• Danni alla funzionalità cellulare diretti e da ipoperfusione
• In particolare attivazione del sistema coagulativo con la tendenza alla formazione di
microtrombi capillari
• Inoltre hanno un’azione diretta depressiva sul miocardio
Segni e sintomi dello shock settico: sono legati, sia all’alterazione del microcircolo e alle
microtrombosi, per cui ai tessuti non arrivano più in quantità adeguata l’ossigeno e i substrati
energetici rispetto alle esigenza dei tessuti stessi, che ai danni diretti della funzionalità cellulare, che
alla depressione miocardica.
• FEBBRE: non è sempre presente; la presenza al contrario di ipotermia rende la prognosi
peggiore.
• IPOTENSIONE: non rispondente alla espansione volemica.
-E’ legata nella prima fase alla riduzione delle resistenze vascolari periferiche, alla
ipovolemia da aumento della permeabilità vasale, alla depressione del miocardio.
-Nella seconda fase lo shock settico diventa sovrapponibile a quello a bassa gittata con
vasocostrizione.

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• FREQUENZA CARDIACA: il polso è piccolo o inapprezzabile e frequente per la
tachicardia di compenso all’ipotensione.
• PVC: se non vi è una precedente cardiopatia, la PVC è bassa (perché tutto il volume ematico
ristagna nel microcircolo).
• OLIGURIA: diuresi oraria < 0,5 ml/Kg/h fino all’anuria per:
-riduzione della portata renale
-da lesione diretta da parte dei mediatori
-dalle microtrombosi
• SEGNI CUTANEI:
-cute calda nella fase iniziale per la vasodilatazione periferica, a cui corrisponde
una SpO2 sovrapponibile alla SaO2. Nella seconda fase cute algida per la
vasocostrizione.
-possono essere presenti lesioni cutanee secondarie o ai microtrombi, o all’invasione
dei germi infettanti, o da microemboli settici
• SEGNI NERUOLOGICI: da agitazione ad ansia intensa fino alla perdita di coscienza da
ipoperfusione cerebrale o secondaria a danno d’organo
• SEGNI RESPIRATORI: tachipnea per messa in atto di tutti i meccanismi di compenso per
ossigenare i tessuti, fino alla dispnea, che richiede la ventilazione, per la presenza di distress
respiratorio acuto (ARDS), dovuto ad aumento della permeabilità capillare polmonare, al
danno diretto, alle microtrombosi.
• SEGNI DI IPOPERFUSIONE DI ORGANI E APPARATI: es: fegato che arriva alla
necrosi, l’intestino che si ulcera, etc.
• ACIDOSI METABOLICA: grave, per inizio di metabolismo anaeorobico da
ipossigenazione tissutale
• ALTERAZIONI EMOCOAGULATIVE: da attivazione del sistema della coagulazione, che
possono manifestarsi con sanguinamenti di varia entità e con la coagulazione intravascolare
disseminata (CID)
Terapia dello shock settico:
La terapia si basa fondamentalmente sulla antibioticoterapia, l’espansione volemica, sull’uso di
vasocostrittori ed inotropi, e sull’uso di agenti specifici sui disturbi coagulativi propri della sepsi.
• Infusione di liquidi
• Antibioticoterapia
• Ossigenoterapia
• Steroidi (?)
• Inotropi positivi
• Anticorpi contro le endotossine
• Anticorpi anticitochine
Shock anafilattico
E’ una forma patologica sistemica, conseguente a una reazione di ipersensibilità immediata, che può
essere mortale, in cui gli organi più frequentemente coinvolti sono la cute, l’apparato respiratorio, il
cardiocircolatorio,il gastrointestinale.
L’anafilassi è una reazione da ipersensibilità mediata dagli anticorpi di classe IgE. Il contatto con
l’allergene provoca produzione di IgE specifiche, che si fissano sui basofili e mastociti. . La

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riesposizione all’allergene ed il legame di quest’ultimo alle IgE comporta l’attivazione dei
mastociti, con rilascio di diverse sostanze (istamina, leucotrieni, trombossani, bradichinina, PGR,
CD4, ed E4), in grado di causare vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, con
fuoriuscita dei liquidi dall’interstizio, broncocostrizione.
Reazioni anafilattoidi: Sono clinicamente indistinguibili da quelle anafilattiche, anche se la
liberazione dei mediatori avviene con un meccanismo diretto e non mediato dalle IgE.
La degranulazione mastocitaria avviene al primo contatto con farmaci ad attivita’ istamino
liberatrice diretta (ASA, FANS, oppiacei), sostanze che determinano l’ attivazione della via classica
od alternativa del complemento con produzione di anafilotossine, in grado di provocare
degranulazione mastocitaria (mezzi di contrasto iodati,plasma expanders etc)
-Il tempo di latenza fra l’esposizione all’allergene e l’insorgenza dei sintomi varia da pochi secondi
a >h. Dipende dalla via di introduzione e dalla struttura chimica dell’allergene.
-Esistono forme di anafilassi bifasica, in cui dopo un primo episodio acuto, si ha un miglioramento,
con successiva nuova ripresa della sintomatologia dopo alcune ore.
Segni e sintomi dello shock anafilattico:
Sono legati alla abnorme attivazione da parte di antigeni del sistema dei mediatori
dell’ipersensibilità.
• MANIFESTAZIONI CUTANEE: variano dal prurito all’orticaria fino all’angioedema
• MANIFESTAZIONI RESPIRATORIE: variano da costrizione alla gola, all’asma mortale,
all’edema della glottide
• MANIFESTAZIONI GASTROENETERICHE: variano dalla nausea al vomito alla diarrea
• MANIFESTAZIONI CARDIOVASCOLARI: variano dalle aritmie, all’ipotensione fino allo
shock
• IPOTENSIONE: da vasodilatazione massiva, dovuta ai mediatori,e tachicardia
compensatoria.
• PVC: la PVC è bassa perché il volume ematico è sequestrato nel microcircolo per la
vasodilatazione (ipovolemia relativa)
• DIURESI:
-contrazione della diuresi (necessità di monitoraggio diuresi) → diuresi 24 ore < 400 ml o
diuresi oraria < 0.5 ml/Kg/h
-urine concentrate (scure)
-peso specifico elevato (> 1020)
-sodiuria bassa
-rapporto Na/K urinario invertito
Terapia dello shock anafilattico:
• Infusione di liquidi
• Adrenalina
• Broncodilatatori
• Steroidi
• Antistaminici
• Inotropi positivi
• Ossigenoterapia

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Approccio dell’infermiere al paziente in ICC non ancora assistito
• Se incosciente:
-BLS
-eventuale intubazione e rianimazione
• Se cosciente:
-chiamare il medico di guardia
-riferire quanti più particolari possibili sulla modalità di esordio, segni e sintomi
-posizionare mascherina per O2 a FiO2 0,4
-se non presente inserire saturimetro e segnalare SpO2
-avvicinare il carrello di intubazione (sempre controllato) per eventuale intubazione di
emergenza e accendere il respiratore se progressione verso IR
-se non presente, monitoraggio -ECG -PA non invasiva
-temp- FR
-se ipotensione severa posizione supina, o trendelemburg se ipovolemia
-se non presente, accesso venoso periferico o direttamente incannulazione di vena centrale
se impossibile reperire vena periferica (materiale per incannulazione vena cetrale sempre
disponibile)
-rilevazione PVC
-esecuzione di terapia di emergenza (es: inotropi, vasoattivi, antiaritmici anche in drip)
-incannulazione di arteria, emogasanalisi (materiale per incannulazione arteria periferica o
femorale sempre disponibile)
-inserimento di catetere vescicale
-inserimento di sng
-esecuzione di esami ematochimici
- esecuzione di esami strumentali (ECG- Ecocardio etc)
- esecuzione di esami radiologici
-esecuzione di terapia
-sorveglianza intensiva clinica/strumentale per 2° valutazione
-eventuale ampliamento monitoraggio invasivo con cateterismo arterioso polmonare
(catetere di SWG)(materiale sempre disponibile)
Approccio dell’infermiere di TI al paziente in ICC in trattamento
• Presidio fisico
• Prevenzione delle discontinuità terapeutiche dai drip di farmaci vasoattivi con immediata
sostituzione delle siringhe. Prevenzione problemi e complicanze.
Infatti il paziente in ICC può presentarsi:
-con poco o molto supporto farmacologico cardiovascolare
-stabilizzato emodinamicamente dalla terapia farmacologia continua
-instabile o molto instabile nonostante dalla terapia farmacologia continua, molto sensibile
alla minima sospensione farmacologia.
Il controllo delle siringhe e delle pompe di infusione continua è determinante per
la dipendenza di questi pazienti dai farmaci in drip.
• Sorveglianza clinica per il rilevamento dei segni di gravità cardiocircolatoria e respiratoria
• Sorveglianza strumentale (allarmi monitor –pompe -ventilatore)
• Rilevamento dei parametri orari o cadenzati

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• Allertamento del Medico, riferire quanti più particolari possibili sulla modalità di esordio,
segni e sintomi dei problemi e complicanze
• Nursing al paziente con problemi emodinamici
• Esecuzione emogasanalisi
• Esecuzione esami ematochimici
• Esecuzione esami strumentali
• Esecuzione esami radiologici
• Esecuzione della terapia
Monitoraggio del paziente in ICC
• Interpretazione fisiopatologia del paziente
• Diagnosi / terapia / nursing respiratorio
• Valutazione immediata delle variazioni cliniche
Non invasivo:
-ECG in continuo
-PAO non invasiva in continuo o discontinuo
-SpO2
-ETCO2 o PetCO2
-Allarmi del ventilatore meccanico.
Invasivo:
-PA invasiva in continuo
-PVC in continuo e discontinuo
-Emogasanalisi da cateterismo arterioso
-Cateterismo arterioso polmonare mediante catetere di SWG.
IL COMA Prof. Callegaro Lezione 3
Il coma rappresenta il 3 – 5 % delle cause di ricorso ai Dipartimenti di Emergenza/Urgenza.
Il coma è una sindrome clinica caratterizzata da una mancata risposta a qualsiasi stimolo esterno o
bisogno interno. E’ la perdita della consapevolezza di sé e dell’ambiente che circonda per cui
l’individuo non ha percezione dei propri bisogni primari, non ha distinzione di ciò che accade
all’esterno e dipende per la sopravvivenza dagli altri; il paziente tiene gli occhi chiusi e non è
risvegliabile anche con stimoli adeguati.
Le alterazioni della coscienza possono essere di diverso grado:
• Sonnolenza
• Sopore
• Coma
Possono essere transitorie o prolungate.

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I gradi di profondità sono:
• COMA: alterazione dello stato di coscienza per cui nessuno stimolo può riportare il pz. allo
stato di veglia
• OTTUNDIMENTO, SOPORE, TORPORE: il pz. è in dormiveglia,con diminuzione
dell’attenzione, ma conservata capacità di reagire o rispondere a stimoli verbali. La
comprensione degli ordini è incompleta e parziale.
• STUPOR: il pz. riesce a raggiungere e a mantenere lo stato di veglia solo se è
continuamente stimolato in modo vigoroso; appena lo stimolo cessa lo stato di veglia viene
perso.
Scale di valutazione
Esistono diverse scale per valutare l’alterazione della coscienza e la profondità del coma, in
relazione anche al tipo di coma.
La scala più usata (per il trauma cranico) è il Glasgow Coma Scale (GCS) che considera tre
variabili agli stimoli:
• L’apertura degli occhi
• La risposta motoria
• La risposta verbale
Diagnostica clinica del coma
• Stato di coscienza
• Tipo di respiro
• Dimensioni e reattività pupillare
• Movimenti oculari, r. oculo-vestibolari
• Risposte motorie dei muscoli scheletrici
Il paziente in coma non è risvegliabile ma può anche muoversi.
La gravità del coma è indicata dalla tipologia di movimento allo stimolo doloroso, se:
• Coordinato
• Patologico
• Assente
Le principali alterazioni motorie sono:
• Paratonia
• Decorticazione
• Decerebrazione
• Decerebrazione AASS, ipotonia AAII
• RIGIDITA’ IN DECEREBRAZIONE/DECORTICAZIONE
Respirazione
Il pz. in coma può presentare:
• un respiro spontaneo sufficiente, se il coma è superficiale

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• un respiro spontaneo non sufficiente per ostruzione delle prime vie aeree da caduta della
lingua, per perdita del tono muscolare, per cui basta solo assicurare la pervietà delle vie
respiratorie (ad es: uso della cannula di Guedel) per riportarlo alla sufficienza e non dover
sottoporre il paziente a ventilazione meccanica
La profondità del coma è tale che, se anche la pervietà è assicurata dai presidi (cannula, tubo), il
respiro rimane insufficiente o assente per compromissione del drive respiratorio centrale ed è
necessaria in questo caso la ventilazione meccanica.
Alterazioni del respiro
• Respiro di Cheyne-Stokes (emisferi)
• Iperventilazione neurogena centrale (mesencefalo)
• Respirazione apneustica (ponte)
• Respirazione a grappolo (ponte-bulbo)
• Respirazione atassica (bulbo)
Le pupille nel coma:
• Coma metabolico: piccole, reattive
• Lesione diencefalica: piccole, reattive
• Ernia uncale: midriasi rigida
• Lesione mesencefalica: intermedie, fisse
• Lesione pontina: puntiformi
• Lesione tectale: diametro aumentato, fisse
Emodinamica
Nel paziente comatoso, che respira o è ventilato meccanicamente, l’attività cardiaca è sempre
mantenuta, se si provvede ad una idonea fluidoterapia.
Può essere presente instabilità emodinamica o può presentarsi un arresto cardiaco in relazione al
tipo e gravità di lesione encefalica presente.
Eziologia
La perdita di coscienza può essere dovuta sia ad una causa primitivamente neurologica, sia essere
conseguente a una grave compromissione degli altri due organi vitali (cuore e polmone), perché
sono in relazione di intima interdipendenza.
• un arresto respiratorio provocherà nel volgere di pochi minuti la perdita della coscienza per
la mancanza di ossigeno a cervello
• un arresto cardiaco provocherà un immediata perdita della coscienza per la mancanza di
sangue al cervello.
Classificazione
Funzionale → areattività psicogena
Organico:
• strutturale:
-sopratentoriale
-sottotentoriale

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• tossico-metabolico:
-endogeno
-esogeno
Eziologia
• cause vascolari (es: emorragie e ischemie cerebrali)
• tumori cerebrali primitivi o metastasi
• infezioni nervose (es: encefaliti, meningiti etc.)
• infezioni sistemiche (es: alcuni stati settici o shock settico)
• cause metaboliche
• da farmaci o droghe
• da ipossia o ipo-perfusione cerebrale diffusa (es: coma post-anossico da arresto
cardiorespiratorio)
Coma traumatico:
• Commozione cerebrale
• Ematoma extradurale
• Ematoma subdurale acuto o cronico
Coma infettivo:
• Meningite e meningoencefalite
• Ascesso cerebrale
• Encefalopatia da stati settici
Coma vascolare:
• Emorragia subaracnoidea
• Emorragia cerebrale
• Infarto cerebrale
• Encefalopatia ipertensiva
• Tromboflebite cerebrale
Coma epilettico
Coma tumorale:
• Neoplasie sopratentoriali extracerebrali /intracerebrali
• Neoplasie sottotentoriali del tronco / delcervelletto
Coma da alterazione della termoregolazione
• Ipotermia
• Colpo di calore
Coma tossico:
• Tossici acidi o prodotti di degradazione degli acidi
- Paraldeide
- Alcol metilico
- Etilene glicole

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- Cloruro d’ammonio
• Inibitori enzimatici
- Metalli pesanti
- Fosfati organici
- Cianuro
- Salicilati
• Farmaci sedativi
- Barbiturici
- Ipnotici non barbiturici
- Tranquillanti
- Bromuri
- Alcol etilico
- Anticolinergici
- Oppiacei
Coma metabolico:
• Ipossia:
- malattie cardio-polmonari
- avvelenamento da ossido di carbonio
• Ischemia:
- diminuzione del flusso cerebrale da:
- infarto acuto del miocardio
- malattie polmonari
- iperviscosità
- insufficienza cardiaca congestizia
• Ipoglicemia
• Insufficienza epatica
• Insufficienza renale
• Disturbi dell’equilibrio acidobase:
- Ipo-natremia, iper-natremia (acqua e sodio)
- Acidosi (metabolica, respiratoria)
- Alcalosi (metabolica , respiratoria )
- Ipercalcemia , ipocalcemia
• Iper-ipofunzione endocrina
- Tiroide (mixedema , tireotossicosi )
- Paratiroide ( ipo - iperparatiroidismo )
- Surrene ( Morbo di Addison , M.di Cushing, Feocromocitoma )
Vocabolario
Miosi: restringimento del diametro pupillare
Midriasi: dilatazione del diametro pupillare
Anisocoria: diverso diametro pupillare nei due occhi
Riflesso fotomotore: restringimento del diametro pupillare quando occhio esposto alla luce
Riflesso corneocongiuntivale: chiusura della palpebra se la cornea viene stimolata toccandola con
un corpo estraneo

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Riflesso ciliospinale: dilatazione della pupilla al dolore
Risposta motoria distonica: il braccio, anziché avvicinarsi in flessione per allontanare lo stimolo
doloroso, si allontana in estensione
Risposta in decerebrazione: ipertono estensorio degli arti agli stimoli o spontaneo
Amnesia anterograda: perdita della memoria a partire dal trauma
Amnesia retrograda: perdita della memoria del trauma e dei momenti precedenti

Cenni di anatomia
L’encefalo è costituito dal:
• Cervello
• Tronco encefalico
• Cervelletto
Cervello
Composto da due emisferi, che sovrintendono alle funzioni intellettive e cognitive superiori, da cui
partono i segnali per comandare la muscolatura scheletrica e a cui arrivano le afferenze sensitive. I
due emisferi sono uniti tra di loro dal diencefalo, dove si trovano i centri delle funzioni
neurovegetative, che regolano i bisogni fondamentali fame/sete, sonno/veglia, caldo/freddo (centro
della sazietà, della sete, della temperatura etc.) e dove si trovano i centri delle emozioni.
Tronco encefalico
Situato nella fossa cranica posteriore, è separato dal cervello dal tentorio, una lamina fibrosa. E’
composto dal mesencefalo, ponte, bulbo, midollo allungato da cui si dipartono tutti i nervi che
vanno verso la periferia. Nel tronco si trovano la sostanza reticolare ascendente (SRA), i centri
cardiocircolatorio e respiratorio ed i nuclei dei nervi cranici che sovrintendono ai riflessi mediati dai
nervi cranici (fotomotore, deglutizione, tosse, corneocongiuntivale etc.)
Cervelletto
Situato in fossa cranica posteriore, sovrintende l’equilibro/postura e controlla i movimenti
involontari che accompagnano i movimenti volontari. Le cellule nervose inoltre soffrono molto
rapidamente per una riduzione del flusso ematico cerebrale, per una riduzione dell’apporto di O2,
per una riduzione dell’apporto di glucosio.
Fisiopatologia
Gli effetti di una neurolesione dipendono:
• sede anatomica,
• estensione della lesione
• condizioni cerebrali (vascolari) di partenza.
Ad esempio, se la lesione interessa solo una zona motoria avremo solo una plegia o paresi dei
muscoli corrispondenti alla zona cerebrale lesa, se interessa la zona del linguaggio avremo difficoltà
dell’eloquio.

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Possono ancora comparire ad esempio convulsioni localizzate e generalizzate, come segno di
irritazione di quella zona cerebrale corrispondente.
Aree del linguaggio
Area di Broca: piede della terza circonvoluzione frontale
Area di Wernicke: Prima circonvoluzione temporale, parte supero-posteriore
Fascicolo arcuato
Invece qualsiasi lesione che interessa direttamente o indirettamente la SRA causa coma. Infatti
sembra che sia propria questa zona responsabile dello stato della coscienza e delle sue alterazioni.
ARAS (activating reticular ascending system)
• Moruzzi e Magoun (1949): la stimolazione dell’ARAS provoca il risveglio dell’animale
addormentato, la sua distruzione causa coma
• È una entità più fisiologica che anatomica, includendo strutture del tronco encefalico e del
diencefalo.
Fisiopatologia del coma
Le lesioni focali degli emisferi cerebrali non causano stupor o coma a meno che non alterino le
strutture del tronco encefalico.
Pertanto, le malattie che causano stupor o coma devono danneggiare diffusamente il cervello o
direttamente le strutture profonde o entrambi.
Cause del coma:
• Lesioni espansive sopratentoriali che invadono le strutture profonde, danneggiando i sistemi
reticolari ascendenti.
• Lesioni sottotentoriali espansive o distruttive che direttamente ledono il tronco encefalico.
• Malattie metaboliche che in modo diffuso deprimono o sospendono la funzione cerebrale.
PIC
Il cervello è allocato dentro la scatola cranica che è inestensibile, al cui interno vige una pressione,
la pressione intracranica (PIC) che è determinata dal volume dei tre costituenti:
• parenchima cerebrale
• liquor
• sangue
Viene generalmente misurata in TI ponendo un catetere dentro i ventricoli perforando il cranio a
livello del vertice. (VN = 0-15 mmHg)
Quando uno dei tre componenti aumenta di volume per una grave neurolesione (es: aumento del
comparto sangue per un emorragia cerebrale, aumento del comparto parenchima per un tumore,
aumento del comparto liquor per edema interstiziale) esistono dei meccanismi di compenso per
evitare che la PIC aumenti.

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Meccanismi di compenso:
• spostamento del sangue dalle vene intracraniche e dai seni venosi nelle vene giugulari (70%
del compenso)

• rapido passaggio del liquor intracranico nel distretto spinale (30%)


Quando i meccanismi di compenso si esauriscono, la PIC aumenta in modo esponenziale, per cui
aumenti anche minimi del volume intracranico determinano incrementi di PIC sempre maggiori.
Quando la PIC diventa troppo elevata (es: trauma cranico con grave edema cerebrale) il flusso
ematico che va al cervello trova un ostacolo, per cui il flusso ematico cerebrale si riduce fino ad
arrestarsi, per cui il cervello totalmente ischemico va in necrosi e muore,
Pressione di perfusione cerebrale (PPC)
La pressione di perfusione cerebrale (PPC) è la pressione necessaria affinché l’organo venga
perfuso, nel caso dell’encefalo è uguale: PPC = PAM – PIC
Quindi se la PIC aumenta troppo, la PPC non sarà sufficiente a garantire un flusso ematico adeguato
alle necessità metaboliche del cervello.
Ipertensione endocranica
Segni clinici:
• cefalea
• vomito a getto
• confusione
• iperventilazione
• ipertensione sistemica per poter vincere la pressione endocranica accompagnata da
bradicardia riflessa.
• Vomito:proiettivo, non preceduto da da nausea
• Disturbi della vigilanza
• Papilla da stasi (edema papillare all’esame del fundus oculare, calo del visus)
• Bradicardia da riflesso vagale
• Paralisi del VI n.c.
• Complicanze: ernie cerebrali (del cigolo sotto la falce, dell’uncus attraverso il tentorio o
delle tonsille cerebellari attraverso il forame occipitale)
• Cefalea: inizia la mattina o causa il risveglio notturno
Cause:
edema cerebrale, emorragia, espansione del liquor per idrocefalo, masse neoplastiche
Ripercussioni:
• Meccaniche: dislocazione tessuto cerebrale-incuneamento
• Circolatorie: riduzione della perfusione cerebrale = ischemia

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Per evitare che i meccanismi di compenso si esauriscano precocemente, bisogna favorire lo scarico
venoso attraverso le giugulari:
-posizionare il tronco e la testa a 30°
- annullare l’iperestensione del capo sul tronco
Erniazioni
Le neurolesioni possono anche provocare spostamenti di zone cerebrali (erniazioni)-
Ad es., un ematoma extradurale traumatico destro può determinare uno spostamento dell’emisfero
destro verso sinistra ed in basso, provocando un’ernia di parte dell’emisfero destro attraverso il
forame del tentorio, e di conseguenza una compressione diretta del tronco (comparsa di anisocoria
per compressione del III nervo cranico, oculomotore) e la possibilità di morte immediata per
compressione dei centri cardiorespiratori.
Approccio dell’infermiere di TI al paziente in coma
Il paziente neuroleso, che va in coma, può morire:
• per il danno primitivo subito (danno encefalico esteso o danno in sede encefalica vitale)
• per i danni secondari da amplificazione della lesione primitiva per mancata o carente
assistenza
Un paziente comatoso ha necessità di assistenza immediata e continua per potere non solo
sopravvivere all’evento acuto ma anche per non aggravare la situazione con un’amplificazione del
danno.
Infatti, le cellule nervose sono molto sensibili alle carenze perfusionali, ossigenative o nutrizionali e
l’edema cerebrale tende ad amplificarsi anche con l’ipercapnia.
Se il paziente neuroleso non ha una buona ossigenazione/ perfusione cerebrale (es: paziente
ipossico, ipoteso), il suo danno non tanto esteso o grave può amplificarsi, perché le zone
perilesionali (penombra) possono essere già al limite della loro ossigenazione-perfusione e quindi
basta poco per farle andare in ischemia ed ipossia e quindi in necrosi.
Al riscontro della perdita di coscienza bisogna immediatamente predisporsi per il sostegno delle
funzioni vitali indipendentemente da quale che siano le cause eziologiche→ BLS
Valutare prioritariamente i parametri vitali :

• respirazione
-assicurare la pervietà delle vie aeree (rimuovere corpi estranei, protesi, vomito......)
-monitorare frequenza del respiro e Sat. O2
- somministrare O2
• circolazione
-monitorare la PA
-monitorare l’ECG
Le riserve cerebrali di glucosio forniscono energia per circa 2 minuti dopo l’interruzione del flusso
sanguigno; la perdita di coscienza avviene dopo 8 - 10 secondi dall’interruzione del flusso. Trattare
immediatamente ipotensione , aritmie severe.

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Inoltre:
• assicurare sempre un accesso venoso «valido»
• rilevare temperatura ascellare e rettale
• mettere catetere vescicale
• posizionare sondino naso-gastrico se si prevede vomito (prevenire ab ingestis), se i riflessi
faringei sono assenti occorre effettuare prima la protezione delle vie aeree mediante
intubazione
Eseguire prelievi per valutazione di:
• emocromo
• glicemia
• creatinemia, sodiemia, potassiemia, cloremia, calcemia
• alcolemia
• emogasanalisi
Emogasanalisi:
• Acidosi respiratoria (ipercapnia) è la causa più frequente di compromissione dello stato di
coscienza e l’effetto è accentuato dall’ipossiemia (insufficienza respiratoria periferica, depressione
respiratoria da farmaci, da alcool).
• Acidosi metabolica (chetoacidosi diabetica, coma iperosmolare, acidosi lattica, shock settico
avanzato, encefalopatia uremica, salicilati, paraldeide, metanolo, glicole etilenico, isoniazide).
Alcalosi respiratoria (encefalopatia epatica, intossicazione iniziale da salicilati, shock settico
all’esordio, iperventilazione psicogena).
Alcalosi respiratoria (rara, vomito prolungato,assunzione di alcali)
Valutare sempre se si è in presenza di CAUSE IMMEDIATAMENTE RISOLVIBILI quali:
• oppioidi : miosi pupillare serrata (a spillo), presenza di «buchi»agli arti...:
somministrare Naloxone fl e.v. in bolo (Narcan fl 0,4 mg ; da 1 a 5 fl ): immediato risveglio del
paziente.
ipoglicemia : il coma ipoglicemico è una emergenza ed il persistere dello stato ipoglicemico porta a
danno neuronale irreversibile. Somministrare 50 ml di sol. glucosata al 33 – 50 % (pari a 25-50 g di
glucosio) endovena in 2 – 3 minuti.; il «risveglio» del paziente è quasi immediato.
Eseguire sempre stick glicemico di fronte a coma d’etiologia sconosciuta. Eseguire sempre stick
glicemico di fronte a coma di etiologia sconosciuta.
In assenza di notizie sospettare sempre :
• ipoglicemia
• ingestione di farmaci
• esposizione a tossici (carbossiemoglobina, anticolinesterasici....)
• traumi cranici recenti?
N.B. Nello stato postepilettico prolungato e nel coma ipoglicemico possono riscontrarsi segni
neurologici transitori come emiparesi, emiplegia.

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Nel coma tossico-metabolico la reattività pupillare alla luce è sempre conservata tranne in caso di:
• anossia: pupille midriatiche non reagenti
• anticolinergici: pupille midriatiche non reagenti
• colinergici: pupille puntiformi e non reagenti
• oppiacei: pupille puntiformi e non reagenti
• barbiturici: pupille in posizione intermedia o midriatiche (a seconda della dose ingerita) e
non reagenti
• ipotermia: pupille in posizione intermedia e non reagenti
Approccio dell’infermiere di TI al paziente in coma:
• chiamare il medico di guardia
• BLS
• Mascherina di FiO2 40% se il pz respira
• Monitoraggio
• Accesso venoso
• Terapia di emergenza
• Incannulazione arteria, emogasanalisi
• SNG
• Catetere vescicale
• Esami ematochimici/radiologici/strumentali
• 2° valutazione
• Esecuzione terapia
• Ampliamento monitoraggio invasivo
Glasgow coma scale (GCS)
E’ stata sviluppata dai neurochirurghi Graham Teasdale e Bryan Jennet per seguire ed annotare
facilmente l’evoluzione clinica dello stato del pz in coma. E’ una scala di valutazione molto
semplice, nata per consentire al personale infermieristico di valutare con rapidità, con la rilevazione
di soli tre parametri, la profondità e lemodificazioni nel tempo dello stato di coma.
Si basa su tre tipi di risposta agli stimoli:
• Oculare
• Verbale
• Motoria
Si esprime sinteticamente con un numero che è la somma delle valutazioni di ogni singola funzione.
Ad ogni tipo di risposta allo stimolo viene assegnato un punteggio, la somma dei tre punteggi delle
risposte costituisce l’indice GCS.
Il punteggio massimo di 15 si ottiene per il paziente vigile e cosciente.
Il punteggio minimo di 3 si ottiene per il paziente in coma molto profondo.
Il punteggio <8 indica coma grave.
E’ sempre necessario annotare se il pz non può avere risposte perché ad esempio ha edema o
ecchimosi palpebrali tali da non poter aprire gli occhi, o ancora non può rispondere verbalmente
perché è intubato, o ancora le risposte sono falsate da sedazione.

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La scala di Glasgow non è adatta ai bambini, specialmente sotto i 36 mesi d età, perché il bambino
non ha ancora padronanza del linguaggio. Per questo è stata messa a punto la Pediatric Glasgow
Coma Scale, una versione modificata del GCS da applicare ai bambini più piccoli.
Terapia di emergenza nel pz in coma:
• Correzione delle cause cardiache
• Correzione dell’anossia-ipossia
• Correzione dell’ipovolemia
• Correzione dell’ipoglicemia
• Somministrare antidoti specifici (NARCAN-ANEXATE)
• Lavanda gastrica
• Arrestare le convulsioni (VALIUM)
Morte cerebrale
Clinicamente si evidenzia, se il pz è gia assstito in TI (ventilazione etc.) con un coma areflessico per
compromissione irreversibile del tronco:
• Nessuna risposta motoria
• Nessuna apertura degli occhi agli stimoli dolorosi
• Nessuna risposta verbale
• Midriasi fissa non reagente alla luce
• Assenza di riflessi riferibili al tronco, come tosse, deglutizione, cornocongiuntivale
• Apnea non rispondente alla ipercapnia
Norme per accertamento e certificazione di morte cerebrale
Legge 29 dicembre 1993
Nei soggetti da lesioni encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie la durata dell’osservazione
deve essere non inferiore a :
• 6 ore per adulti e bambini > 5 aa di età
• 12 ore per età compresa da 1 a 5 aa
• 24 ore per bambini di età < 1 anno
L’accertamento deve essere effettuato da un collegio nominato dalla direzione sanitaria e composto
da neurologo, anestesista rianimatore e da un medico legale che siano dipendenti di strutture
pubbliche.
LE INFEZIONI IN TERAPIA INTENSIVA-Prof. Callegaro Lezione 4
La pianificazione della prevenzione delle infezioni acquisite in terapia intensiva
Le infezioni sono laprima causa di morte tardiva del paziente critico in Terapia Intensiva. Molte
delle infezioni acquisite in TI sono evitabili con una adeguata opera di prevenzione e risulta
cruciale il ruolo dell’Infermiere in quest’ambito sia sul piano operativo che su quello organizzativo.
L’attività di prevenzione si svolge su due livelli:

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• a livello operativo, nel momento stesso in cui l’Infermiere opera direttamente sul paziente
seguendo i protocolli stabiliti di prevenzione delle infezioni nosocomiali

• a livello dell’organizzazione nel momento stesso in cui l’Infermiere pianifica le modalità


della prevenzione sia per il singolo malato che per la collettività dei malati.
Pianificazione
Come richiesto dalla metodologia clinica, la pianificazione delle prestazioni infermieristiche per
prevenire le infezioni nosocomiali in Terapia Intensiva necessita di tre momenti:
1) Raccolta dati
2) Diagnosi
3) Strategia terapeutica
Raccolta dati
E’ la valutazione del rischio di contrarre infezioni da parte del pz, e questo viene valutato attraverso
la raccolta dell’anamnesi e dei dati obiettivi. L’ anamnesi dovrà essere rivolta:
- alla patologia causa del ricovero,
- alla ricerca di patologie coesistenti,
- all’uso di farmaci che possono favorire le infezioni
- alle ospedalizzazioni precedenti
I dati obiettivi non si riferiranno solo allo stato clinico del pz ma anche ai dati di invasività
strumentale che ci renderanno edotti della criticità complessiva del paziente.
Ad esempio, un paziente denutrito, diabetico, asmatico in corticoterapia, che perviene in
Rianimazione per insufficienza respiratoria trattata con ventilazione meccanica, ha un rischio
specifico di contrarre una polmonite da ventilazione per la presenza della intubazione e ventilazione
meccanica, ma anche un rischio generalmente più ampio per la presenza di denutrizione, di diabete
e di terapia cortisonica.
Diagnosi
E’ la valutazione dei problemi prioritari e la definizione degli obiettivi da raggiungere in base al
rischio, che abbiamo precedentemente definito.
Se ci rifacciamo all’ esempio precedente il primo problema è l’insufficienza respiratoria e la
necessità della ventilazione, per cui la nostra attenzione deve essere posta prima di tutto verso la
prevenzione della polmonite da ventilazione, come obiettivo da raggiungere. Il paziente però ha
anche il problema del diabete, per cui obiettivo da raggiungere diventa anche il controllo glicemico.
Ancora il paziente è denutrito, imperativo diventa allora come obiettivo porre attenzione alla
nutrizione del paziente affinché mantenga un adeguato apporto calorico giornaliero. E così
continuando, analizzando minuziosamente la presenza di presidi o manovre che possono favorire
l’insorgenza di infezioni.

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Strategia terapeutica
E’ stabilire quali tipi di prestazioni sono necessarie per raggiungere gli obiettivi definiti e stabilire i
tempi di attuazione.
Così, sempre rifacendosi all’esempio precedente, per la prevenzione delle polmoniti da ventilazione
si stabilirà come e quante volte effettuare l’igiene del cavo orale per ridurre l’indice di
colonizzazione, o come e quante volte saranno eseguite le broncoaspirazione o il cambio dei tubi
corrugati o altro ancora. Così come si stabilirà il controllo glicemico attraverso il monitoraggio
glicemico e l’uso del drip di insulina, o altro ancora in base agli obiettivi definiti. In ultimo partendo
dal terzo punto si potrà definire la quantità e il tipo di materiale da usare per attuare la prevenzione
delle infezioni, e da qui fare una programmazione d’uso utile sia dal punto di vista organizzativo
che economico.
Etiopatogenesi delle infezioni acquisite in terapia intensiva
1) il paziente si ricovera in TI per malattie infettive specifiche, tanto gravi da comprometterne gli
organi vitali (es: meningoencefaliti, polmoniti etc.),
2) il paziente si ricovera in TI per gravi infezioni chirurgiche (es: shock settico in post-operatorio
complicato),
3) il paziente acquisisce durante la degenza in TI una infezione (es: polmonite da ventilazione)
I microrganismi più frequentemente responsabili di infezioni sono:
• batteri
• funghi
• virus
• protozoi e parassiti nelle TI dove affluiscono pazienti immunocompromessi.
Vocabolario
• Agente causale: E’ il microrganismo infettante. Si tratta di batteri, virus, funghi, protozoi o
parassiti in grado di determinare malattia ogniqualvolta penetrino nell’organismo umano
superandone le difese immunitarie.
• Ospite: E’ l’organismo nel quale penetra, cresce e si moltiplica il microrganismo infettante.
• Flora microbica endogena: E’ la flora presente sulla cute e sulle mucose e che qui vi vive e
si moltiplica senza svolgere un ruolo patogeno se l’individuo è in buona salute. I germi
presenti vengono detti saprofiti, autoctoni, commensali, proprio per indicarne la non
patogenicità diretta.
• Flora microbica esogena: E’ la flora microbica che perviene nell’organismo dall’esterno
attraverso i meccanismi di trasmissione.
I meccanismi di impianto
L’impianto della flora batterica nell’organismo umano dipende da diversi meccanismi:
• adesione batterica
• interferenza batterica
• processi di rimozione batterica

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Adesione batterica
E’ la capacità del batterio di attaccarsi ad una superficie organica tramite strutture specializzate
dette “adesine” di tipo filamentoso (fimbrie) o di tipo di appendice estroflessa (glicocalice).
Interferenza batterica
E’ la capacità che hanno alcuni batteri che si sono già insediati come commensali in un distretto
corporeo, di interferire con l’insediamento di un’altra specie, inibendone la crescita tramite la
sintesi di sostanze tossiche per la nuova specie batterica che tenta di insediarsi.
Processo di rimozione batterica
Nell’organismo ci sono diversi meccanismi per eliminare i batteri “sgraditi”:
• la desquamazione cellulare produce una pressione selettiva sull’adesione eliminando le
cellule sulle quali si sono fissati i batteri ed esponendone di nuove che saranno a loro volta
colonizzate dai batteri presenti nell’ambiente.
• I movimenti muscolari aumentano la rimozione dei batteri adesi alle superfici mucose
(masticazione, peristalsi).

• I flussi unidirezionali (saliva, liquidi gastrointestinali, urine, secrezioni tracheobronchiali,


lacrime) lavano le superfici mucose, rimuovendo i batteri più o meno aderenti.

• Nell’albero tracheobronchiale il movimento dell’epitelio ciliato e il riflesso della tosse, sono


importanti fattori per impedire la colonizzazione da parte delle popolazioni batteriche e si
avvalgono di ulteriori meccanismi di supporto atti allo scopo e rappresentati da enzimi
particolari (lisozima salivare) o da cellule anticorpali che fissandosi sulla superficie dei
batteri ne mascherano i supporti e ne impediscono l’adesione (immunoglobuline di
superfice), ovvero ancora da cellule in grado di catturare e digerire i germi ( fagociti o
cellule “spazzine”).

• Soprattutto a livello gastrointestinale e vaginale hanno effetto anche le variazioni del pH:
il pH acido mantenuto dalla flora lattica inibisce lo sviluppo dei bacilli Gram negativi nella
vagina; il pH acido dello stomaco diviene alcalino quando si somministrano farmaci
antiacidi e così si favorisce l’insediamento nello stomaco di batteri Gram negativi tipo lo
pseudomonas: se il paziente inala nelle vie aeree contenuto gastrico per deficit del riflesso
della tosse e della deglutizione, è ad alto rischio di sviluppare la polmonite da pseudomonas.
Quando sono presenti questi processi di rimozione solo i batteri con notevole capacità di adesione
sono in grado di insediarsi gli altri sono eliminati rapidamente
Quando tali processi mancano ( es: assenza di peristalsi per chirurgia addominale), la possibilità che
una popolazione batterica possa insediarsi è mantenuta dal meccanismo dell’interferenza esercitato
dalla flora endogena contro quella esogena; se, per antibioticoterapia massiccia o malnutrizione,
neanche questo meccanismo di difesa è esercitabile, il rischio di insediamento di specie batteriche
aggressive è molto elevato.

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I meccanismi di difesa
L’organismo umano dispone di una serie di meccanismi di difesa contro le infezioni i quali possono
essere alterati da numerosi fattori legati sia alla malattia di base del paziente, sia a diversi farmaci
da esso assunti o a procedure invasive diagnostiche e/o terapeutiche a cui il paziente viene
sottoposto.
Barriere anatomiche
• Rivestimento cutaneo: integro e dotato della sua flora saprofita.
Le affezioni che lo alterano come i traumi e le ustioni, o le procedure mediche come gli
interventi chirurgici, la chemioterapia e la radioterapia, le manovre endoscopiche, il
posizionamento di sonde, drenaggi e cateteri, ne riducono notevolmente le capacità di
difesa.
• Rivestimento mucoso: integro, dotato dei flussi unidirezionali, dei riflessi neurovegetativi,
del movimenti muscolari, del patrimonio anticorpale locale.
Le affezioni che lo alterano sono fondamentalmente rappresentate dalla malnutrizione e
dalle procedure mediche già descritte per il rivestimento cutaneo.
Immunità
• Immunità aspecifica: globuli bianchi, fagociti.
Le neoplasie, il diabete, l’insufficienza renale ed epatica, la malnutrizione sono le affezioni
di base che la indeboliscono come le procedure mediche di emodialisi, circolazione
extracorporea, terapia cortisonica, chemio e radioterapia.
• Immunità specifica: umorale, anticorpi o immunoglobuline con funzione di inattivazione,
lisi, neutralizzazione, citotossicità nei confronti degli agenti infettanti.
Le affezioni che alterano l’immunità umorale sono rappresentate dalle leucemie, i linfomi, la
malnutrizione e la splenectomia ( poiché è l’organo dove si producono in massima parte le
immunoglobuline ).
Tra le procedure mediche, la terapia con cortisonici e la chemioterapia (dette
“immunosoppressive” ).
• Immunità cellulare: utilizza una popolazione dei globuli bianchi, i linfociti detti helper in
quanto cooperano con le immunoglobuline nell’eliminazione del patogeno o killer quando
esplicano direttamente effetto citotossico sulla cellula batterica.
Flora batterica
Flora commensale endogena o saprofita: protegge l’organismo dall’insediamento di specie
batteriche potenzialmente patogene con il meccanismo dell’interferenza batterica, stimola la
produzione anticorpale, aiuta a svolgere determinate funzioni (es. quella
digestiva). Necessita di un certo pH ambientale per cui i farmaci antiacidi ne sopprimono l’attività e
inoltre le terapie antibiotiche protratte ne impediscono la sopravvivenza.
La flora endogena o saprofita è schematicamente composta da quattro popolazioni batteriche:
• cutanea
• orofaringea
• intestinale
• genitourinaria

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Alcuni siti corporei sono normalmente STERILI:

• cervello
• cuore
• polmone
• osso
• muscolo
• occhio
• liquido cerebrospinale, pleurico, pericardico, articolare, peritoneale
• sangue.
La colonizzazione e l’infezione
Contaminazione
Presenza transitoria di microrganismi su superfici inanimate (oggetti, polveri, liquidi) o sulla
superficie corporea (es. cute delle mani, mucosa del cavo orale), senza invasione dei tessuti e senza
alcuna reazione dell’organismo ospite.
-I germi contaminanti sono occasionali.
-In genere non riescono a moltiplicarsi (pertanto non sono invasivi).
-Normalmente si eliminano con il normale lavaggio.
Toccando un qualunque oggetto ci contaminiamo le mani. Le contaminazioni nei comuni ambienti
di lavoro sono in generale innocue tanto che i contaminanti si eliminano con acqua e sapone.
In ospedale i contaminanti possono invece essere dei patogeni che il personale può trasferire ai
pazienti. Questo perché la flora batterica ospedaliera rispetto a quella presente nella comunità è
molto più aggressiva in quanto per anni è stata sottoposta alla pressione selettiva degli antibiotici
abituandosi a essere resistente.
Ecco perché il personale a seconda delle procedure che deve svolgere sul paziente (più o meno
invasive), per decontaminarsi le mani utilizzerà diversi tipi di lavaggio (sociale, antisettico,
chirurgico) utilizzando tempi, presidi e materiali via via crescenti in capacità di asepsi
e/o sterilità. Lo stesso dicasi per il lavaggio e l’antisepsi del paziente al riguardo della cute integra
e/o lesa che prevede pertanto l’utilizzo adeguato di detergenti e antisettici.
Lavaggio delle mani
Il lavaggio delle mani rappresenta una delle migliori tecniche per ridurre la diffusione delle
infezioni ospedaliere.
I Centers for Desease Control ( Atlanta,Usa )classificano questa misura in prima categoria , quindi
in grado da sola di ridurre il tasso di infezione ( < riduzione del 40% di tutte le infezioni
ospedaliere).
• Lavaggio sociale: con il termine lavaggio sociale delle mani si intende il lavaggio con acqua
e sapone.
Perché ?

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L’uso del sapone è fondamentale per l’eliminazione dello sporco, di materiale organico, di
una parte di microrganismi transitori e di parte di quelli residenti.
• Lavaggio antisettico: questo tipo di lavaggio delle mani si basa sull’impiego
di agenti antisettici (sostanze che arrestano o prevengono la crescita di microrganismi)
Perché?
E’ praticato per ottenere riduzione di microrganismi residenti oltre a quelli transitori
Prodotti:
- Clorexidina e iodofori (batteri gram +, batteri gram - mycobacterium tubercolosis, funghi,
virus)→buona / discreta
• Lavaggio preoperatorio: Viene eseguito prima di ogni procedura chirurgica fino ad ottenere
il più alto livello di decontaminazione dalle mani.
Perché?
Per prevenire la diffusione di germi dalle mani al campo operatorio, in caso di rottura o
presenza di micro fori nei guanti.
Prodotti:
- Clorexedina e iodofori: hanno un effetto per alcune ore in quanto hanno effetto per i
microrganismi che dagli strati profondi si trasferiscono sulla mano.
Colonizzazione
Presenza su superfici inanimate o nei siti corporei di microrganismi che crescono e si moltiplicano
attivamente senza evidenti manifestazioni cliniche o reazioni immunitarie obiettivabili.
Tuttavia la popolazione microbica non è più transitoria (come nel caso della contaminazione), ma
residente e quindi potenzialmente pericolosa allorché i microrganismi invadano altre sedi
normalmente sterili ( es. il sangue), causando malattia.
A tal proposito però i microrganismi devono essere favoriti dalla riduzione delle difese immunitarie
sistemiche o locali
-es. parete intestinale che si perfora mettendo la flora batterica fecale in contatto col peritoneo o
favorendone l’ingresso nei vasi sanguigni).
- es. pazienti con riduzione del patrimonio anticorpale a causa di terapia immuno- soppressiva per
trapianto d’organo sottoposti a procedure mediche invasive come l’incannulazione venosa centrale:
dal sito cutaneo di penetrazione del catetere, la flora microbica cutanea può migrare nel sangue e
provocare setticemia
La colonizzazione di un sito corporeo normalmente sterile espone l’organismo umano alla malattia
infettiva. Essa può avvenire:
• per via ENDOGENA perché una popolazione batterica saprofita trasloca da un sito all’altro
divenendo patogena. Esempi:
-dall’intestino al sangue
-dal cavo orale al polmone per inalazione
-dalla cute che è lesa in prossimità dell’ingresso di un catetere intravscolare al sangue della
vena o dell’arteria incannulata.
• per via ESOGENA quando una popolazione batterica viene trasferita al paziente per
trasporto manuale durante le cure da parte del personale o a partire dall’ambiente. Esempi:

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- il liquido di umidificazione è contaminato da pseudomonas che va a colonizzare le vie
aeree di un paziente intubato, le cui difese immunitarie sono indebolite per via di una terapia
cortisonica, raggiungendo il polmone si svilupperà la
polmonite da pseudomonas;
-oppure dal liquido di perfusione contaminato al
sangue).
Infezione
E’ il risultato dell’interazione fra un microrganismo infettante e un organismo ospite. Prevede un
contatto tra i due che avviene:
• durante la trasmissione (per contatto diretto o per via aerea) se il germe è di origine esogena,
• durante la traslocazione se il germe è di origine endogena.
L’infezione può essere crociata, e in tal caso la popolazione batterica di un paziente viene trasferita
a un altro paziente. La trasmissione avviene in genere tramite le mani del personale o tramite lo
strumentario medicale.
In un primo tempo si avrà la colonizzazione dell’ospite da parte del microrganismo che proviene
dall’esterno o da un sito corporeo in cui non è patogeno: esso crescerà e si moltiplicherà attivamente
senza dare sintomi clinici.
In un secondo tempo, superate le difese immunitarie del paziente, esprimerà i sintomi clinici della
malattia infettiva vera e propria.
L’infezione può essere:
• COMUNITARIA: acquisita in comunità es. scuole, uffici etc.
• OSPEDALIERA: si manifesta durante o dopo il ricovero in ospedale e la cui origine è
direttamente correlata con l’ospedalizzazione non essendo essa presente neppure in
incubazione al momento del ricovero.
Nel caso delle terapie intensive, bisognerà fare attenzione alla correlazione con la precedente
degenza in altri reparti ospedalieri dove il paziente può avere acquisito infezioni nosocomiali.
Es: Un bambino con trauma cranico dal PS viene ricoverato in rianimazione:
• dopo 48h sviluppa il morbillo: questa non è un’infezione ospedaliera bensì comunitaria che
il piccolo aveva in incubazione al momento del ricovero.

• dopo 7 gg sviluppa una cistite da pseudomonas: questa è un’infezione acquisita in ospedale


ascrivibile alla cateterizzazione vescicale.
Rischio
• LEGATO AL PZ:
-Tipo di malattia / evento causante il ricovero
-Età (anziani, bambini)
-Altre malattie concomitanti (es. diabete,cardiopatia)

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-Condizioni di immunodepressione (terapia steroidea, radio o chemioterapia, malattie
ematologiche, trapianto d’organo, emodialisi, interventi chirurgici in circolazione
extracorporea, malnutrizione)
• LEGATO ALL’AMBIENTE:
- Altri degenti (vicini di letto)
- Materiali / Strumentario (possono essere contaminati)
- Struttura (se è scarsamente idonea a proteggere da eventi infettanti: es. alta densità, scarsi
ricambi d’aria in sala degenza ).
• CONTATTO:
- Durata della degenza
- Qualità / Durata delle procedure invasive
- Operatori, Visitatori.
Pazienti particolarmente esposti:
• con patologia specifica che riduce le difese immunitarie (es. trapiantati)
• tutti coloro che vengono sottoposti a manovre strumentali invasive per diagnosi e/o terapia.
Gravità dell’infezione in dipendenza da:
• Condizioni del paziente (“critiche” o non)
• Virulenza del patogeno e resistenza al trattamento
• Distretto interessato ( es. liquor, valvole cardiache )
• Possibilità di diffondere ad altri distretti.
Infezione delle basse vie respiratorie (IBVR)
Eziopatogenesi: Le infezioni respiratorie (I.R.) rappresentano circa il 16%-25% di tutte le infezioni
ospedaliere (I.O.) e si posizionano al 2° posto per tasso di mortalità, dopo le batteriemie.
Classificazione: Le infezioni respiratorie vengono classificate in:
• Infezioni delle alte vie respiratorie: rappresentano circa 1/3 di tutte le I.R. (faringo-laringiti,
tracheiti, sinusiti ecc.)
• Infezioni delle basse vie respiratorie: pari ai restanti 2/3 delle I.R. (bronchiti, polmoniti,
pleuriti, ascessi polmonari )
E’ possibile prevenire la maggior parte di esse attraverso la messa in opera di corrette procedure
assistenziali e l’Infermiere svolge un ruolo fondamentale in questa opera di prevenzione e controllo
in quanto eroga assistenza diretta al paziente manipolando presidi ed attrezzature specifici per il
trattamento.
Sono le infezioni delle basse vie aeree (IBVR) a meritare un’attenzione particolare in quanto più
gravi e difficili da gestire. Esse ci riguardano molto da vicino per il semplice fatto che colpiscono
prevalentemente pazienti di Terapia Intensiva (T.I.).
Associate o meno a focolaio polmonare, quindi si parlerà di:
• semplici tracheobronchiti (in assenza di focolaio pneumonico)
• di POLMONITE vera e propria, la cosiddetta PNEUMONIA per gli Autori inglesi, in
presenza di focolaio pneumonico.

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Incidenza:
Varia, secondo le statistiche e la tipologia di T.I., fino a circa il 40% con un tasso di mortalità
aggiuntiva che può variare dal 13% al 55%. Ciò vuol dire che su 100 pazienti di T.I. che
contraggono infezioni, circa 40 possono acquisire IBVR e su di essi grava un rischio di morte
aggiuntiva rispetto alla propria patologia di base.
Eziologia:
E’ sovrapponibile a quella di tutte le altre I.O.. Tra i principali germi imputati ricordiamo lo
Pseudomonas aeruginosa, lo Stafilococco aureus, lo Streptococco pneumoniae, l’Enterobacter,
l’Acinetobacter, la Serratia marcescens ed ultimi ma non per importanza i Miceti, le cui infezioni
stanno rilevandosi molto problematiche.
La polmonite
Eziologia:
• Ematogena: da un altro focolaio settico presente nell’organismo
• Correlata o meno alla ventilazione meccanica assistita (VAM)
La VAP (ventilator associated pneumonia) può avere un esordio precoce o tardivo a seconda dei
tempi di insorgenza. (l’intubazione associata a VAM aumenta il rischio di contrarre polmonite).
La VAP precoce: Si manifesta clinicamente dopo 48 ore dall’intubazione endo-tracheale e
ventilazione meccanica ed in genere trae origine da:
- contaminazione durante le manovre di intubazione stessa
- inalazione massiva dovuta alla compromissione dei riflessi protettivi delle prime vie aeree derivata
dalla perdita di coscienza
La VAP tardiva: La polmonite insorge dopo le 72 ore dall’intubazione E.T. e VAM ed è di norma
conseguente all’aspirazione nei polmoni di germi colonizzatori oro-faringei e gastrici.
Fattori di rischio della VAP: essi sono legati:
• al paziente stesso:
- Età avanzata: correlata alla presenza di patologie senili con insufficienza pluri-organica;
- Stati patologici acuti e/o cronici: patologie che possono in un certo senso predisporre il
paziente ad una IBVR. Per esempio: il diabete perché l’iperglicemia rappresenta una
condizione ideale per la proliferazione dei germi in quanto il glucosio è il loro substrato
energetico ideale; i traumatismi polmonari perché la contusione del parenchima polmonare,
associata alla presenza dell’ematoma (ottimo terreno di coltura per i germi), vanno a limitare
la funzionalità dell’organo impedendone la normale ossigenazione, condizione
predisponente questa allo sviluppo di germi anaerobi; gli interventi toraco-addominali
perché caratterizzati entrambi da una forte compromissione della funzionalità respiratoria e
dell’espansione toracica, sia per interessamento diretto dovuto alla presenza di drenaggi, sia
per il dolore, sia per la comparsa della cosiddetta “sindrome compartimentale addominale”
(quella tipica iperestensione addominale che impedisce al
diaframma di abbassarsi regolarmente durante la respirazione).
Tutte queste condizioni causano ipoventilazione e quindi ipossigenazione delle basi
polmonari.

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• alle terapie cui è sottoposto:
- Le terapie cortisoniche e immunosoppressive (es. nei pazienti trapiantati): entrambe
riducono le difese immunitarie del paziente;
- Le terapie antibiotiche, specie se empiriche e prolungate perché possono selezionare ceppi
batterici resistenti;
- Le terapie antiacide, che modificando il ph gastrico riducendone l’acidità
(alcalinizzandolo), rendono lo stomaco il posto ideale per la colonizzazione di enterobatteri
gram -;
- La sedazione, in quanto aumenta la possibilità di inoculo di germi nell’albero bronchiale.
• all’ambiente che lo circonda: questi fattori, a differenza dei precedenti, sono dei meccanismi
esogeni in cui giocano un ruolo determinante il personale sanitario e tutti quei presidi e
attrezzature che vengono a contatto con il paziente.
Al primo posto, come sempre, troviamo le MANI del personale, continuamente colonizzate
da germi e di contro mai lavate correttamente, a cui si associa l’uso improprio dei GUANTI,
che molto spesso non vengono cambiati quando si passa da un paziente a un altro.
Altro fattore di rischio è l’uso di STRUMENTAZIONE NON STERILE durante le manovre
di intubazione e di broncoaspirazione come i laringoscopi, broncoscopi, tubi endotracheali,
sondini di aspirazione, soluzioni per broncolavaggi, lubrificanti ecc., i quali devono essere
opportunamente trattati e/o sostituiti prima di ogni manovra successiva.
L’uso di CIRCUITI-CONDENSE-NEBULIZZATORI CONTAMINATI provoca
inevitabilmente l’inalazione di gas contaminati da germi e l’introduzione di
essi a livello delle basse vie respiratorie.
Quando infatti il liquido nel reservoir del nebulizzatore viene contaminato, l’aerosol
prodotto può contenere alte concentrazioni di germi che vanno a depositarsi nel basso tratto
respiratorio del paziente, e poiché il tubo endotracheale permette l’accesso diretto verso
le basse vie, è palesemente comprensibile quanto sia azzardata la somministrazione di
aerosol contaminati nei pazienti intubati.

Il coma come fattore di rischio


Il coma, sia spontaneo che farmacologicamente indotto, è uno stato di alterazione della coscienza ed
in quanto tale caratterizzato dalla depressione dei fattori protettivi delle prime vie aeree, cioè la
tosse e la deglutizione.
Il paziente in coma non tossisce, non deglutisce, non respira o presenta deficit parziali di queste
funzioni. Questi deficit, associati all’allettamento obbligato del paziente, non fanno altro che
favorire la stasi del muco e delle secrezioni colonizzate da germi, sia a livello polmonare che
nell’oro-faringe.
Per ovviare a tutto ciò, interveniamo noi con manovre cosiddette “invasive” le quali da un lato
assicurano al paziente la sopravvivenza ma da un altro lato lo espongono ad ulteriori problemi di
natura infettiva.
• L’intubazione endo-tracheale(ET) associata alla ventilazione meccanica assistita (VAM)
tramite cui si avrà inevitabilmente inoculo di germi dall’esterno nell’albero bronchiale.
Ciò può verificarsi tramite:
-la manovra di intubazione, con il trasporto di colonie di germi dall’orofaringe
-l’inalazione di secrezioni oro-faringee lungo il peritubo, perchè i tubi in commercio sono
dotati di cuffie a depressione che tendono a sgonfiarsi per evitare decubiti

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-la broncoaspirazione quando viene eseguita in carente asepsi.
• posizionamento del sondino naso-gastrico (S.N.G.) con relativa somministrazione di
nutrizione enterale (N.E.).
Tali manovre, associate alla posizione supina obbligata del paziente, avranno anche esse dei risvolti
negativi: si verificherà infatti la risalita verso l’ esofago di contenuto gastrico, minimo o massivo,
colonizzato da germi, parte del quale può passare in trachea (a prescindere se il paziente sia intubato
o meno).
Questa risalita è dovuta all’insufficienza del cardias per la presenza del SNG sempre in situ, e ciò
permette la migrazione di germi verso l’alto tramite la sonda.
Patogenesi delle IBVR
• IL REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO, sia esso minimo che massivo, è caratterizzato dalla
risalita di secrezioni gastriche verso le alte vie digerenti e da qui inalate in trachea. Tale
fenomeno viene accentuato dalla presenza del SNG (per la continua incontinenza del
cardias) e dalla posizione supina prolungata.
• LA MICROASPIRAZIONE, caratterizzata dalla inalazione di secrezioni oro-faringee
nell’albero bronchiale. Questo è un meccanismo di per sé fisiologico, sempre presente in noi
anche se non ce ne accorgiamo (es. durante il sonno), ma che tende ad accentuarsi in caso di
turbe della coscienza e della deglutizione.
Infezioni delle basse vie urinarie (IBVU)
Si definiscono infezioni delle basse vie urinarie (IBVU) le infezioni a carico della vescica, uretra e
prostata.
Incidenza:
Da studi condotti sulle infezioni ospedaliere si evince che le infezioni a carico delle basse vie
urinarie sono nell’ordine del 30- 40%. Tali infezioni sono più frequenti in T.I. perché tutti i pazienti
sono cateterizzati.
Segni e sintomi:
Secondo uno dei criteri del CDC 1988,USA per parlare di infezioni delle vie urinarie sintomatiche è
necessario che vi sia la presenza di almeno uno dei seguenti sintomi/segni,in assenza di altri
possibili cause:
• Febbre (>38°C)
• Urgenza a urinare
• Pollachiuria
• Disuria
• Tensione sovrapubica
Le IBVU hanno un’alta incidenza sia per la pericolosità che per la frequenza delle manovre
legate al cateterismo vescicale. Infatti si è visto che le IBVU aumentano in modo esponenziale se la
cateterizzazione non viene eseguita nel rispetto del protocollo, se non viene eseguito il lavaggio
antisettico delle mani, se non viene usato il catetere a circuito chiuso.
In uno studio condotto in pazienti con catetere a permanenza si è visto che:

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• con il sistema aperto dopo 7gg il 100% dei pazienti aveva contratto un infezione

• con il sistema chiuso la possibilità di contrarre un’infezione è proporzionale alla durata


della cateterizzazione.
L’alta incidenza dipende anche dalla presenza di un’alta carica batterica nella zona perineale e nel
meato urinario, per cui, se non viene eseguita una corretta antisepsi prima e durante la
cateterizzazione, i rischi sono maggiori rispetto ad altre zone proprio per la presenza di questa alta
carica.
Eziologia:
L’agente maggiormente responsabile dell’IBVU è l’ E. Coli.
L’origine dell’infezione può essere
• esogena o crociata, cioè quando la trasmissione avviene tramite il personale sanitario, gli
strumenti e i materiali utilizzati per scopi diagnostici e terapeutici,i disinfettanti o da un
paziente all’altro;
• endogena, è un’infezione sostenuta da microrganismi dell’individuo stesso, che possono
anche essere esterni all’apparato urinario e che vengono introdotti in esso in modo diverso
attraverso la sacca, la giunzione catetere-sacca, il meato urinario e la zona perineale.
Vie di accesso dei microrganismi:
• microrganismi migrano alla vescica, lungo l’esterno del catetere nel foglietto mucoso
periuretrale;
• migrano in vescica lungo il lume interno del catetere, in seguito a contaminazione della
giunzione catetere-drenaggio o della sacca di raccolta delle urine;
• vengono direttamente introdotti in vescica al momento della cateterizzazione.
Crescita batterica:
• planctonica: i batteri si depositano in superficie nelle urine; basta incrementare l’apporto di
liquidi unito alla somministrazione di antibiotici per stroncare l’infezione.
• a biofilm: i batteri si depositano sulla superficie del catetere, vengono inglobati in un film
proteico che si incrosta con i sali urinari; in questi casi l’antibiotico non è in grado di venire
a contatto con i batteri, quindi per eradicare l’infezione è necessario rimuovere il catetere
(Pseodomonas e Proteus).
Infezioni associate a dispositivi intravscolari
I dispositivi intravascolari usati in terapia intensiva sono di vario tipo ed è, con il passare degli anni,
progressivamente aumentato il loro uso.
Con la medicina moderna, sempre più invasiva e sempre più tecnologica, sono cambiate in maniera
rilevante molte procedure terapeutiche e diagnostiche, così come i materiali e le forme dei cateteri
vascolari.
I cateteri più usati in terapia intensiva sono:

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• cateteri per incannulare la vena centrale
• cateteri per incannulare le arterie
• cateteri per incannulare le vene periferiche

Il rischio infettivo è maggiore per i primi due, poiché gli agenti infettanti possono arrivare con
estrema facilità al cuore e agli altri organi vitali.
Come altrettanto elevato è il rischio infettivo per alcuni speciali cateteri vascolari (catetere di Swan-
Ganz, introduttori per arterie, cateteri per emodialisi, cateteri tunnellizzati, PORT, ecc.) che però
sono di uso più raro e specialistico.
Uso:
• farmaci ed infusioni per via endovenosa
• trasfusioni di sangue ed emoderivati.
• nutrizione parenterale
• monitoraggio emodinamico (pressione
• arteriosa invasiva, pressione venosa centrale, pressione dell’arteria polmonare, ecc...).
• emodialisi ed emofiltrazione
Complicanze infettive dei DIV:
I dispositivi intravascolari possono dare complicanze infettive di tipo locale, nel caso in cui è
interessata la zona del punto di inserzione del catetere.
I segni clinici dell’infezione locale sono: l’eritema (calore), il gonfiore, il dolore e, più raramente, la
presenza di materiale purulento.
Le infezioni sistemiche possono essere a loro volta suddivise dal punto di vista epidemiologico in
batteriemie e sepsi
• Nella batteriemia l’infezione primaria è nel sangue e da qui si può diffondere agli altri
organi.
• Nella sepsi ,invece, l’infezione insorge primitivamente negli altri organi ed in seguito si può
estendere anche al sangue
La mortalità dei pazienti con infezioni sistemiche in terapia intensiva è comunque molto elevata sia
che si tratti di batteriemie che di sepsi.
Le infezioni sistemiche possono essere associate ad:
• infezione del catetere vascolare
• infezione dei liquidi d’infusione.
L’agente patogeno più frequente nelle batteriemie da infusione contaminate è la serratia. Questo è
un tipico germe che trova il suo ambiente ideale nei liquidi, come ad esempio le soluzioni lipidiche
spesso presenti nelle soluzioni parenterali.
I microrganismi più frequenti nelle batteriemie da catetere vascolare, in terapia intensiva, sono
invece:

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• lo stafilococco aureus
• i bacilli gram negativi
• la candida.
Etiopatogenesi
• I germi possono penetrare nel torrente circolatorio attraverso il punto d’inserzione del catetere o
attraverso il suo punto di raccordo.
• Poi vi sono casi in cui le infusioni da somministrare e, addirittura, i cateteri stessi possono risultare
contaminati ancora prima del loro utilizzo, quando vengono meno i principi di sterilità o di sana
conservazione.
• Inoltre il dispositivo vascolare può anche infettarsi per “disseminazione ematogena” da un
focolaio a distanza (per esempio da una ferita chirurgica)
Le batteriemie possono essere favorite o ostacolate da alcuni fattori.
Se, ad esempio, le condizioni di un paziente sono molto critiche e quindi le sue difese immunitarie
sono molto basse, ci sarà una predisposizione maggiore ad acquisire un’infezione sistemica.
Sono da preferire tipi di catetere vascolari “lisci” in quanto anche la loro porosità facilita
l’annidamento di microrganismi ed il poliuretano, a tal proposito, sembra essere il meno “rugoso”.
Se la tecnica di inserzione non è stata perfettamente sterile i rischi di infezione aumentano
considerevolmente.
Anche il tempo di permanenza del catetere influisce sui rischi d’infezione, quindi vanno rimossi il
prima possibile.
I principi di sterilità e di asepsi vanno rispettati durante tutto il periodo di giacenza del catetere.
Il mantenimento della linea infusionale deve inoltre avvenire attuando manovre ineccepibili.
Infezioni del sito chirurgico
Per definire l’infezione della ferita chirurgica secondo il CDC1999,USA è necessario che vi siano i
seguenti criteri:
• L’infezione si sviluppa entro 30 gg dall’intervento;
• L’infezione interessa soltanto la cute o il tessuto sottocutaneo dell’incisione;
• Presenza di almeno uno dei seguenti:
- secrezione purulenta dall’incisione superficiale;
- isolamento di un m.o. da una coltura ottenuta con tecniche asettiche dai fluidi o dai tessuti
dell’incisione superficiale;
- presenza di almeno uno dei seguenti sintomi/segni:
dolore,tensione superficiale,gonfiore localizzato,eritema,etc...
La maggior parte delle infezioni della ferita chirurgica viene acquisita durante l’intervento: se una
ferita è pulita e asciutta, infatti, nell’arco di poche ore dall’intervento non è più suscettibile
all’aggressione da parte di m.o.

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Eziopatogenesi
In fase postoperatoria, le infezioni possono essere acquisite attraverso i drenaggi chirurgici o, nel
caso di infezioni non ancora rimarginate al momento della medicazione.
Le più comuni fonti per l’infezione chirurgica sono:
• flora cutanea del paziente
• tessuti dell’ospite infetti o contaminati nel corso di interventi
• mani del personale
• drenaggi chirurgici
In fase postoperatoria, le infezioni possono essere acquisite attraverso:
• i drenaggi chirurgici o
• nel caso di infezioni non ancora rimarginate al momento della medicazione.
Le più comuni fonti per l’infezione chirurgica sono:
• flora cutanea del paziente
• tessuti dell’ospite infetti o contaminati nel corso diinterventi
• mani del personale
• drenaggi chirurgici.
ANESTESIA E RIANIMAZIONE-Prof. Callegaro Lezione 5
Anestesia: abolizione, mediante l’utilizzo di farmaci, della sensibilità dolorosa, anche patologica, in
corso di atti chirurgici. Si distinguono, in particolare:
• Anestesia generale, che comporta l’abolizione della coscienza
• Anestesia loco-regionale, che interessa una limitata parte del corpo e non comporta quindi
l’abolizione della coscienza.
Anestesia chirurgica: è l’insieme delle metodiche volte ad annullare o quantomeno a ridurre entro
certi limiti accettabili il dolore chirurgico.
L’anestesiologia moderna ha, infatti, condizionato lo sviluppo di molte tecniche chirurgiche,
consentendo l’effettuazione di interventi così estesamente demolitivi o l’aggressione di organi di
così vitale importanza in pazienti in condizioni generali compromesse da essere giudicati, appena
pochi anni or sono, assolutamente irrealizzabili.
Anestesia generale:
Con il termine di anestesia generale (o narcosi) si intende una condizione di depressione controllata
e reversibile del Sistema Nervoso Centrale che è accompagnata da perdita della coscienza (ipnosi),
da abolizione della sensibilità dolorifica (analgesia), da scomparsa del tono muscolare e della
motilità volontaria e riflessa (miorisoluzione); tale depressione è determinata da particolari farmaci
chiamati agenti anestetici.
Gli scopi principali dell'anestesia generale sono:
• ipnosi (abolizione della coscienza)
• analgesia (abolizione del dolore)

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• miorisoluzione (rilassamento/paralisi dei muscoli)
• amnesia (abolizione del ricordo di tutto quanto accade)
Ipnosi: perdita di coscienza (intesa come capacità di recepire sensazioni e stimoli e di integrarli a
livello corticale) e della memoria di ogni evento prodottosi durante l’intervento
Analgesia e protezione neurovegetativa: abolizione della percezione cosciente del dolore (analgesia)
e protezione neurovegetativa intesa come soppressione, o quantomeno controllo, delle risposte
neurovegetative al dolore ed al traumatismo chirurgico (es. sudorazione, lacrimazione, variazioni
emodinamiche, risposte neuroormonali, ecc.)
Miorisoluzione: si rende necessaria per favorire alcune manovre anestesiologiche (es.intubazione) e
soprattutto l’attività chirurgica, con il rilasciamento dei muscoli soprattutto della parete addominale.
Non esiste quindi “l’anestetico ideale”, ma ciascuno dei farmaci presenta caratteristiche che ne
consentono e ne consigliano l’uso in associazione con gli altri (quantomeno con alcuni), in modo da
esaltarne gli effetti favorevoli, limitando quelli negativi anestesia bilanciata in cui la tecnica di
anestesia esprime maggiore sicurezza e flessibilità.
I farmaci per l’anestesia generale
• PENTOTHAL o TPS: fa parte della classe dei barbiturici (derivati dall’acido gamma-amino-
butirrico, GABA); riduce il metabolismo e il flusso ematico cerebrale.
Si distribuisce ai tessuti più perfusi come il cervello dando l’effetto clinico. Poi avviene la
redistribuzione verso tessuti meno perfusi come il muscolo → fine dell’effetto della dose di
induzione.
-Dose: 3-5 mg/Kg
-Diluizione: 1 gr/40 ml di acqua per preparazioni iniettabili: 25 mg/ml
-Il farmaco si lega alle proteine plasmatiche. La parte libera, non legata è quella attiva
farmacologicamente (pz. ipoproteinemico: ridurre la dose; pz. etilista: il dosaggio va
aumentato per induzione enzimatica)
-Metabolismo epatico, ma il risveglio dipende dalla redistribuzione
-Effetti sul SNC: riduzione del metabolismo cerebrale, depressione dell’EEG dose
dipendente fino a EEG piatto
-Respirazione: depressione del respiro dose dipendente
-Cardiovascolare: Riduce la gittata, aumenta la FC con aumento del consumo di ossigeno da
parte del miocardio
-Complicanze: rash cutaneo al torace e al volto che regredisce di solito spontaneamente,
necrosi acuta della mano con dolore lancinante se iniettato per sbaglio in arteria, edema e
dolore per stravaso in tessuti extravascolari.
• PROPOFOL (DIPRIVAN): viene utilizzato sia come induttore per anestesia generale che,
da solo, per sedazioni in rapide manovre diagnostiche o chirurgiche
(Esempi: gastroscopie, rettoscopie, aborti, raschiamenti)
Metabolismo epatico per glicurono-coniugazione, trasformato in composti idrosolubili ed
eliminati per via renale
-Effetti sul cuore: ipotensione anche importante, accompagnata da bradicardia momentanea
-Effetti sulla respirazione: provoca apnea la cui durata dipende dalla dose e dal tempo di
somministrazione (solitamente 30-60 secondi)
-Effetti sul SNC: diminuisce la pressione endocranica. Essenzialmente è un ipnotico, non è
certo se abbia proprietà analgesiche.

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-Fleboirritante: può provocare dolore vivo in sede di iniezione se la vena è di piccolo
calibro, come nella mano.
Di solito è un farmaco ben tollerato e considerato piacevole da parte dei pazienti:
l’induzione è dolce e al risveglio descrivono spesso una sensazione di benessere.
-Dosaggio: 2 mg/kg per indurre una vera anestesia generale
Per blande sedazioni come in gastroscopia: 1 mg/kg.
• MIDAZOLAM (IPNOVEL): è un potente sedativo utilizzato nella premedicazione dei
pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico; è utilizzato anche in terapia intensiva per la
sedazione estemporanea dei pazienti (bolo da 1 a 5 mg ev) o in pompa siringa (50 in 50 ml
si Sol. Fis., a 2 -3 ml/ora); è utilizzato anche come induttore dell’anestesia generale.
Può dare:
-disorientamento, specie nei pazienti anziani
-sonnolenza
-disturbi della memoria
-potenziamento degli effetti di altre molecole deprimenti il SNC 8etanolo)
-tolleranza e dipendenza
• SUCCINILCOLINA (MIDARINE): miorilassante depolarizzante (depolarizza la placca
neuromuscolare), a brevissima durata di azione, viene utilizzato per favorire l’intubazione
tracheale. (La brevissima durata di azione può essere di vitale importanza se il paziente non
è intubabile e/o inventilabile. Ci sarà ripristino di attività respiratoria propria in pochi minuti
→ salvezza)
Durata breve perché idrolizzata dalle pseudocolinesterasi
presenti nel fegato e nel plasma (se il pz ha poche colinesterasi per patologie epatiche, il
blocco può risultare molto più lungo del previsto).
Complicanze:
-Bradicardia anche importante, fino all’asistolia in alcuni casi, soprattutto dopo una seconda
somministrazione ravvicinata
-Dolore muscolare postoperatorio causato dalle fascicolazioni muscolari asincrone prima del
blocco
-Aumento del K+ tale da determinare anche arresto cardiaco in determinate patologie (es.
ustionati e malattie neuromuscolari)
-Aumento pressione intraoculare, (per contrazione delle miofibrille dell’occhio e per
vasodilatazione dei vasi oculari) quindi non si deve usare in pazienti con traumi
dell’occhio o con glaucoma
-Aumento pressione intracranica, quindi non andrebbe usato in pazienti con traumi o tumori
cerebrali
-Nel paziente emorragico, es. nell’aneurisma dell’aorta addominale rotto, non andrebbe
usato per il rischio che le fascicolazioni muscolari favoriscano l’emorragia in un paziente al
momento tamponato.
• ATRACURIUM (TRACRIUM): curaro non depolarizzante largamente usato in anestesia
generale; Si usa per mantenere il rilasciamento muscolare dopo avere intubato il paziente
utilizzando la succinilcolina o direttamente per l’intubazione del paziente (non
depolarizzante, quindi non ci sono fascicolazioni, nel postoperatorio il paziente non avverte
dolore muscolare)
Se intubazione difficile o impossibile, non c’è modo di antagonizzare il farmaco prima di 20
minuti circa (se il paziente diventa inventilabile??)
• ALTRI CURARI DI COMUNE UTILIZZO:

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-Vecuronio (Norcuron)
-Cisatracurium (Nimbex)
Per l’intubazione tracheale bisogna attendere circa 120 secondi, avendo onset più lento della
succinilcolina.
Come per la succinilcolina, si può avere blocco prolungatro in pazienti con bassi livelli di
colinesterasi.
• NEOSTIGMINA (PROSTIGMINA): antagonista dei curari non depolarizzanti.
-Dosaggio: generalmente 4 fiale somministrate assieme ad atropina che ne antagonizza gli
effetti cardiaci (bradicardia e, a volte, comparsa di aritmie)
• FENTANIL (FENTANEST): morfinomimetico 50 volte più potente della morfina nel
provocare analgesia chirurgica. (premedicazione, durante anestesia generale, sedazione in
continua in rianimazione associato a benzodiazepine)
Complicanze:
-Nausea e vomito
-Depressione respiratoria
-Ipotensione e bradicardia
Dato che provoca insufficienza respiratoria non dovrebbe essere usato in pazienti obesi e/o
già compromessi nel quadro respiratorio.
In caso di apnea da Fentanest, la terapia si basa sulla somministrazione di naloxone, che lo
antagonizza.
• REMIFENTANIL (ULTIVA): rapido inizio e termine dell’effetto, entro 5 minuti
indipendentemente dalla durata di somministrazione; usato in sala operatoria, per induzione
dell’anestesia generale come per il mantenimento della stessa; usato anche in terapia
intensiva per il trattamento del dolore. La somministrazione avviene in infusione continua
con pompa siringa.
Complicanze:
-Depressione respiratoria, come tutti i morfinici
-Rigidità muscolare: si sospende l’infusione e si ha una risoluzione della sintomatologia
dopo pochi minuti
-Ipotensione e bradicardia dose dipendente, si tratta con la riduzione della velocità di
infusione
• ANESTETICI ALOGENATI: mantenimento dell’anestesia generale: Sevoflurane
(Sevorane), Isoflurane (Forane).
L’effetto dipende dalla solubilità del gas nel sangue e dalla concentrazione inspirata del gas.
Più è solubile nel sangue, più farmaco sarà richiesto perchè arrivi a saturare il sangue per cui
l’induzione sarà più lenta.
Gas meno solubili come il protossido d’ azoto saturano il sangue con piccole concentrazioni
quindi l’induzione è rapida.
• KETAMINA (KETANEST): E’ l’unico farmaco tra quelli usati in anestesia che non
deprime il sistema respiratorio e cardiocircolatorio. Provoca analgesia e perdita di coscienza
con una anestesia definita dissociativa.
L’effetto si ha in pochi secondi (30’’).
-Farmaco di prima scelta per indurre anestesia generale nel paziente in stato di shock
-Utilizzato nelle medicazioni dei pazienti ustionati in respiro spontaneo
-Nel taglio cesareo, poiché non passa la barriera placentare, può essere usato per aumentare
l’effetto dell’induttore di anestesia generale in caso di estrazioni fetali difficoltose

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-nei bambini: sedazione, per via i.m., per consentire l’incannulamento di vena periferica.
Somministrato e.v. per la rapida riduzione di fratture.
• DROPERIDOLO (SINTODIAN): E’ un neurolettico (tranquillante maggiore), usato per
dare la cosiddetta “protezione neurovegetativa”.
Gli effetti farmacologici sono:
-catatonia (disinteresse e distacco dall’ambiente)
-potenziamento degli analgesici
-azione antiemetica
Fase preoperatoria
• Premedicazione del paziente, mezz’ora prima dell’ingresso in c.o. mediante ansiolitici (nei
casi indicati)
• All’arrivo nel blocco operatorio, si incannula una vena periferica con agocannula di misura
adeguata al tipo di intervento e alle necessità di infusione o trasfusione
• Si posiziona il pz. sul lettino operatorio
• Si monitorizza il pz con NIBP, pulsossimetro, ECG
Preparazione all’induzione
• Maschera facciale di diametro adeguato al paziente, da collegare al sistema di ventilazione
in ossigeno con va e vieni
• Cannula di Mayo: è una cannula di materiale plastico dotata di un rinforzo nella zona dove,
una volta posizionata in modo adeguato, si appoggeranno le arcate dentarie del paziente.
Serve a mantenere pervie le prime vie respiratorie tenendo ferma la lingua sulla base della
bocca, impedendone di cadere all'indietro andando ad ostruire il passaggio dell'aria nella
faringe.
• Laringoscopio a lama curva di dimensioni adeguate al paziente e/o secondo preferenze
dell’anestesista; è lo strumento che è utilizzato per introdurre il tubo endotracheale nella
corretta posizione.
• Tubo tracheale (diametro 7.0 per donne e 7.5 per uomini), con cuffia già testata e sgonfiata
completamente; permette la respirazione durante anestesia generale
• Lubrificante per il tubo tracheale
• Mandrino (in caso di difficoltà all’intubazione): In caso di difficoltà all’intubazione per
mancata visualizzazione della glottide in corso di laringoscopia diretta, il mandrino, di
plastica, più o meno rigido, a seconda del modello, viene inserito nel lume del tubo
tracheale. La rigidità del mandrino ci dà la possibilità di modificare l’angolazione della parte
distale del tubo stesso (ad uncino) consentendoci di posizionare correttamente il
tubo. Il mandrino DEVE essere rimosso PRIMA dell’introduzione del tubo in trachea, una
volta che esso è posizionato a livello della glottide, per prevenire danni alla trachea stessa.
• Pinze di Magill se l’intubazione è nasotracheale: Consentono di afferrare il tubo tracheale,
passato dalle coane, e di indirizzarlo verso la glottide qualora esso tenda a progredire verso
l’esofago (glottide alta)
• Siringa per gonfiare la cuffia del tubo tracheale
• Aspiratore sempre pronto per eventuali rigurgiti

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Monitoraggio in anestesia
• ECG (solitamente la derivazione II)
• Pulsossimetro (se attendibile, la frequenza delle pulsazioni riflette quella dell’ECG).
Importanza del saturimetro:
-Informa su desaturazine del pz a volte misconosciuta: senza il saturimetro, ad esempio, nel
pz. anemico la manifestazione clinica può essere ritardata.
-Ad es., l’intubazione esofagea ovviamente provoca calo repentino della SaO2. Attenzione
però che una buona ventilazione pre-intubazione ritarda la comparsa di questo segnale di
allarme.
-Le modificazioni della saturimetria non avvengono in tempo reale: guardare sempre la
clinica.
• Capnometro (dopo intubazione conferma il posizionamento del tubo in trachea e valuta
comunque la ventilazione più o meno adeguata del paziente).
Importanza della capnometria:
-Intubazione alla cieca: uno dei parametri più importanti è la capnometria: se il tubo è in
realtà in esofago, ovviamente non ci sarà la curva della PCO2.
-Controllo della ventilazione: se PCAO2 è alta, il paziente probabilmente è ipoventilato,se è
bassa, probabilmente il pz è iperventilato
-La PCO2 si riduce improvvisamente anche nell’embolia polmonare. Si azzera nell’ACC.
Segno di riuscita di una rianimazione cardiopolmonare è infatti la ricomparsa della
curva della PCO2
• Pressione arteriosa non invasiva (NIBP): potrebbe non essere utile in corso di ipotensione
marcata
• Pressione arteriosa cruenta: mediante cateterino inserito in a. radiale, attendibile anche in
ipotensione importante
• Monitoraggio della diuresi: la sacca di raccolta è il più semplice sistema per controllare la
produzione di urine durante una procedura chirurgica. Richiede il posizionamento di un
catetere in vescica. Il controllo della diuresi intraoperatoria è utilizzato solo in particolari tipi
di interventi e non di "routine".
• Rilevazione della temperatura corporea: Il controllo della temperatura corporea in corso di
anestesia si attua semplicemente con delle sonde termometriche che comunemente sono
posizionate a livello del faringe o dell'esofago. Queste sonde consentono un controllo
continuo della temperatura il cui valore è visualizzato in un display, come quello riportato
nell'immagine.
• Controllo della pressione arteriosa
Induzione dell’anestesia
• Preparazione dei farmaci necessari all’induzione e al proseguimento dell’anestesia, inclusi
farmaci di emergenza ritenuti necessari, marcando le siringhe con segni di riconoscimento
e/o con etichette adesive.
• Si induce il paziente con l’agente ipnotico mentre si somministra ossigeno tramite maschera
facciale collegata a va e vieni.
• Dopo la somministrazione del miorilassante, si procede all’intubazione tracheale.
• Dopo posizionamento del tubo tracheale lo si cuffia e lo si collega al respiratore tramite
l’apposito circuito.
• Si ausculta il torace per verificare il corretto posizionamento del tubo

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• Si inizia il mantenimento dell’anestesia generale mediante i gas alogenati e/o mediante
farmaci endovenosi.
• Soprattutto nei primi minuti, si monitorizza di frequente la P.A. per possibili ipotensioni
farmaco-indotte.
Mantenimento dell’anestesia
• Gas anestetici alogenati (sevorane, isoflurane) vengono somministrati dal respiratore
assieme all’ossigeno ed eventualmente al protossido di azoto
• I farmaci endovenosi (propofol, remifentanil) vengono invece somministrati mediante
pompa siringa impostata alla velocità di infusione desiderata, che può essere modificata
secondo le esigenze.
• Curaro per il rilasciamento muscolare
Termine dell’anestesia
• Pochi minuti prima della fine dell’intervento ci si prepara alla fase di risveglio, diminuendo
il dosaggio dei farmaci usati nel mantenimento dell’anestesia generale.
• Si prepara il farmaco antagonista del curaro, la prostigmina, generalmente somministrata
assieme ad atropina, che ne antagonizza gli effetti sulla frequenza cardiaca (bradicardia).
• Si preparano di solito 5 fiale di prostigmina e 3 fiale di atropina (1,5 mg), miscelate o in
siringhe separate a seconda delle scelte personali dell’anestesista
• Graduale risveglio del paziente dopo smaltimento dei gas e dei farmaci endovenosi
somministrati.
• Valutare il grado di decurarizzazione: chiedere al paziente di stringere le mani, sollevare la
nuca dal lettino
• Aspirare nel tubo tracheale e nel cavo orale
• Se il pz presenta autonomia respiratoria, si rimuove il tubo tracheale NON PRIMA di avere
sgonfiato completamente la cuffia del tubo
• Eventualmente si assiste il pz dopo estubazione con maschera facciale collegata a va e vieni
Anestesia in emergenza- urgenza

• Mantenere la calma anche in condizioni di emergenza


• Organizzare l’assistenza: dare compiti specifici al personale
• Verificare che un ordine impartito sia stato ben compreso
• Occhio clinico: valutazione del paziente senza fidarsi ciecamente del monitoraggio
• Eventualmente cercare aiuto: 4 mani sono meglio di 2
• Cercare di tamponare al meglio le situazioni di emergenza: es. se compare ipotensione
grave, somministrare liquidi e plasma expanders mentre si identificano le cause
Fattori che influenzano la scelta delle tecniche:

• La reale emergenza: l’intervento è davvero indifferibile?


• La storia medica del paziente (terapie assunte, allergie, riferiti problemi in precedenti
anestesie)
• Intervallo dall’ultimo pasto (spesso in urgenza i pazienti non sono a digiuno)
• Alternative all’intubazione ( se è possibile eseguire anestesia loco-regionale)
• La possibilità o la certezza che l’intubazione sarà difficile

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Paziente a stomaco pieno
Il rischio è che il paziente possa vomitare senza essere in grado di proteggere le vie aeree in
quanto addormentato. Le conseguenze, gravissime, sono essenzialmente due:

• Una asfissia per ostruzione completa delle vie aeree


• Una inalazione di vomito con conseguente polmonite ab-ingestis
-Se possibile, attendere 6 ore dall’ultimo pasto.
-Valutare possibili fattori aggravanti (atonia gastrica nei diabetici, gravidanza, occlusione
intestinale, ernia jatale)
-Se possibile eseguire anestesia locoregionale.
-Ridurre il rischio somministrando antiemetici e gastroprotettori
-Si deve addormentare? Induzione rapida e manovra di Sellick
-Premedicazione con antiemetici e gastroprotettori
-Approntare tutto il materiale necessario all’intubazione
-Ossigenazione del paziente in O2 puro per 3-5 minuti
-Indurre rapidamente e subito dopo somministrare succinilcolina
-A questo punto l’I.P. deve fare la manovra di Sellick: comprimere la cartilagine cricoide con 3 dita
e sostenere il collo con l’altra mano fino a nuovo ordine dell’anestesista; a intubazione avvenuta,
cuffiare rapidamente il tubo con la siringa (protezione delle vie aeree) e SOLO DOPO l’I.P. può
rilasciare la pressione delle dita.
Il paziente in shock
Tutti i farmaci per indurre l’anestesia hanno l’effetto di deprimere il miocardio e indurre
vasodilatazione, quindi il paziente si ipotende ulteriormente.
Nel paziente in shock si può avere ACC all’induzione.
Per minimizzare gli effetti dei farmaci, l’induzione deve essere eseguita con estrema lentezza,
sospendendo la somministrazione appena il paziente perde coscienza.
In alcuni casi, il paziente arriva già non cosciente, quindi la somministrazione di ipnoinducenti può
essere del tutto omessa.
Nel paziente in ACC, non servono farmaci, l’intubazione viene eseguita direttamente.
Alterazioni dello stato di coscienza
Si deve valutare lo stato di coscienza del paziente:

• Se il paziente ha una coscienza depressa, il dosaggio di ipnoinduttore deve essere ridotto


• Se invece il paziente è molto agitato può occorrere una dose aumentata per ottenere la
perdita di coscienza

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Ferite aperte del bulbo oculare
Si devono evitare i farmaci che aumentano la pressione endooculare (Ketamina, succinilcolina)
Anestesia locoregionale
Si distinguono principalmente:
• Peridurale
• Spinale
• Caudale
• Plessica
Anestesia spinale o subaracnoidea
Indicazioni: Interventi chirurgici sotto l’ombelico
Materiale necessario:
-Ago specifico per anestesia spinale, generalmente di 24, 25, 27 Gì
-Marcaina iperbarica 0,5%
-Occorrente per campo sterile (telini, disinfettante, arcelle)
-Siringa per iniettare anestetico
Metodica:

• Si repertano le creste iliache, la linea che unisce le due creste passa per L4
• Il paziente viene monitorizzato con NIBP, ECG
• Si posiziona il pz seduto o in decubito laterale a seconda del tipo di intervento (se laterale,
il pz sarà posizionato sdraiato SUL lato da operare, si pone il paziente in posizione fetale,
testa contro ginocchia, in modo da aprire gli spazi intervertebrali.
• Si introduce l’ago nello spazio evidenziato fino alla fuoriuscita del liquor
• Si inietta l’anestetico locale lentamente. Il paziente avvertirà caldo agli arti inferiori, che,
soggettivamente, saranno sempre più “pesanti”
• Al termine della procedura il paziente viene fatto sdraiare supino, con cuscino sotto testa e
spalle e si monitorizza la PA
• Dopo pochi minuti l’anestesia avrà raggiunto il livello desiderato, che viene verificato
mediante test dolorifici
Controindicazioni:

• Alterazioni della coagulazione


• Piastrinopenia
• Infezione cutanea vicino al sito di iniezione
• Malattie neurologiche
Complicanze immediate:

• Ipotensione anche marcata


• Nausea e vomito correlati con ipotensione

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• Bradicardia fino alla completa asistolia
• Insuccesso (completo o parziale)
• Il pz può non tollerare la paralisi degli arti ed agitarsi
Gestione complicanze immediate:

• Efedrina 1 fiala a 10 ml, o Effortil 1 fiala a 10 ml.


• Atropina 0,5 mg ev
• Riempimento rapido (1000 ml) con cristalloidi prima della esecuzione dell’anestesia
previene nella maggior parte dei casi l’insorgenza di tali complicanze
• Benzodiazepine e.v. dopo l’esecuzione dell’anestesia è molto utile per tranquillizzare il
paziente (Attenzione alla depressione respiratoria nell’anziano)
• Se il pz non è convinto ed ha paura della metodica prima ancora di iniziare, cambiare
direttamente tecnica anestesiologica
Complicanze tardive:

• Cefalea
• Back pain
• Ematoma spinale con paralisi arti inferiori e necessità di intervento neurochirurgico
immediato
• Infezioni (meningiti)
Anestesia peridurale (cervicale, toracica, lombare, caudale)
Si utilizza per:

• Interventi al torace
• Interventi all’addome
• Interventi al dorso
• Interventi al perineo
• Interventi agli arti inferiori
• Taglio cesareo e parto analgesia
• Vasodilatazione arteriosa nel caso di spasmi od occlusioni vascolari degli arti inferiori
Tecnica:

• Posizione laterale o seduta


• Vie di accesso mediana o paramediana
• Metodo della perdita di resistenza:
- a mandrino liquido: Individuato lo spazio desiderato, si fa avanzare l’ago collegato alla
siringa piena di fisiologica esercitando una pressione netta e continua sullo
stantuffo. Appena l’ago oltrepassa il legamento giallo lo stantuffo sfugge in avanti. Si è
nello spazio peridurale.
- a mandrino gassoso: Differisce dal precedente metodo in quanto si
riempie la siringa di aria. Invece di una pressione costante si esercita una pressione
intermittente. Appena oltrepassato il legamento giallo la siringa si svuota.

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Dose test:
Dopo l’inserimento del catetere, si prova una dose test con 3 ml di anestetico locale. Se
dopo pochi minuti il paziente non avverte i sintomi di una anestesia spinale, quindi con
formicolio agli arti inferiori fino alla paralisi, si può essere tranquilli che il catetere è
posizionato correttamente.
Se non eseguiamo questo test, e somministriamo direttamente l’anestetico locale (20 ml
marcaina, o carbocaina, o lidocaina, o naropina) avremo il Blocco spinale totale, con
ipotensione, bradicardia, perdita di coscienza, arresto respiratorio, arresto
cardiocircolatorio nei casi più gravi. La terapia si basa sull’intubazione tracheale, sulla
somministrazione di farmaci atti a ristabilire una valida PA, sull’infusione rapida di liquidi.
Controindicazioni:

• Infezioni cutanee
• Alterazioni delle prove di coagulazioni
• Piastrinopenia
Complicanze:

• Ipotensione
• Nausea e vomito
• Blocco spinale totale
• Cefalea
• Infezioni locali
• Meningiti
• Rottura del catetere peridurale
• Ematomi peridurali per trauma sulle vene epidurali con conseguente compressione
Midollare
Fasi dell’ anestesia generale
E’ utile distinguere tre fasi:

• preoperatoria:
– visita anestesiologica
– preanestesia
• intraoperatoria:
– induzione
– mantenimento
– risveglio
• postoperatoria
Fase preoperatoria
Visita anestesiologica:

• Contatto psicologico per allontanare l’ansia,l’inquietudine o la paura,rispondendo a tutte le


domande in modo chiaro
• raccolta dell’anamnesi

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• esame obiettivo
• richiesta di ulteriori approfondimenti diagnostici
• indicazioni terapeutiche per correggere eventuali condizioni patologiche che possono
interferire con il decorso perioperatorio (es.anemia, asma, infezione-infiammazione delle
vie aeree, squilibri idroelettrolitici e dell’equilibrio acido-base, fumo, ecc.)
• consenso informato alla anestesia ed alla somministrazione di emoderivati
• eventuale prescrizione di farmaci atti a favorire il sonno la notte precedente l’intervento
• prescrizione dei farmaci della “preanestesia” o “premedicazione”, allo scopo di diminuire
l’ansia ed il dolore preoperatorio, se presente,provocare amnesia, ridurre le dosi dei
farmaci utilizzati all’induzione
Rischio operatorio:
Mira a quantificare la probabilità di complicanze e/o decesso in un paziente candidato ad un
intervento chirurgico:

• rischi legati all’anestesia → r. anestesiologico:


-non è proporzionale all’ “importanza” dell’anestesia stessa: l’atto anestesiologico
comporta sempre di per sé caratteristiche di rischio totale (impiego di farmaci
estremamente potenti e potenzialmente tossici)
-risposta individuale del paziente
-efficienza e competenza del personale
-disponibilità di attrezzature e monitoraggi
• rischi legati all’intervento chirurgico →rischio chirurgico:
-è proporzionale all’ “importanza” dell’atto chirurgico:
-chirurgia “maggiore” e “minore” in termini di invasività e tipo di apparato interessato
-intervento di elezione o d’urgenza
-durata dell’intervento
-conoscenza e manualità dell’operatore
-disponibilità di strumenti e apparecchiature
• rischi legati alle preesistenti condizioni del malato: è la variabile più importante nella
valutazione del rischio operatorio
-Classificazione ASA (American Society of Anesthesiologists):
1 pz. in buona salute
2 malattie sistemiche senza limitazione funzionale
3 gravi malattie sistemiche con limitazione funzionale
4 gravi malattie sistemiche con pericolo di vita
5 pz. moribondo che non può sopravvivere 24 con o senza intervento
-Classificazione NYHA (New York Heart Association) per il paz. cardiopatico:
1 asintomatico
2 sintomatico dopo un normale sforzo fisico
3 sintomatico dopo uno sforzo fisico minore del normale
4 sintomatico a riposo

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Fase intraoperatoria:

• Verificare l’identità dell’operando, il tipo e la sede dell’intervento


• verificare la presenza della cartella clinica ed anestesiologica e la presenza e sottoscrizione
del consenso informato all’anestesia e all’intervento chirurgico
• informarsi su eventuali novità rispetto a quanto comunicato o verificato durante la visita
anestesiologica
• verificare l’attuazione della preparazione igienica dell’operando (recente bagno-doccia,
igiene orale, depilazione, rimozione di gioielli, protesi dentarie,apparecchi acustici
attenzione a non perderli !!!, smalto alle unghie, trucco, ecc.)
• verificare l’osservanza del digiuno preoperatorio
• accertarsi se l’operando ha necessità di mingere o defecare
• verificare lo stato d’ansia ed eventualmente trattarlo
• informare l’operando di eventuali ritardi
• accesso venoso (sede, diametro, tipo di soluzione,ecc.)
• antibioticoprofilassi
• trasferimento in sala operatoria
Induzione dell’anestesia

• verifica corretto funzionamento di:


-monitor
-apparecchio di anestesia
-aspiratore di secrezioni
-posizionamento sul letto operatorio
• verificare la pervietà della via venosa
• applicare i sistemi di monitoraggio:
-pulsossimetria
-ECG (3-5 derivazioni)
-pressione arteriosa non invasiva (NIBP)
• se già precedentemente posizionati, verificare pervietà e
• adeguatezza di catetere vescicale e sondino naso gastrico (SNG)
• preossigenazione
• somministrazione-erogazione dei farmaci dell’induzione (es.oppiacei, ipnoinduttori,
miorilassanti)
• avere tutto il materiale pronto ed essere mentalmente attenti ad affrontare un eventuale
episodio di vomito-rigurgito ed inalazione del contenuto gastrointestinale)
• intubazione (avere a disposizione il materiale per intubazioni difficili !!!)
-filtri-umidificatori
-verifica corretta intubazione
-Capnometro
-impostazione-collegamento al ventilatore
• posizionamento SNG
• completare monitoraggio e linee venose:
-incannulamento arteria (radiale, omerale) per monitoraggio invasivo PA

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-incannulamento vena “centrale” (v.giugulare interna- esterna, v.succlavia,ecc.) per
infusione –monitoraggio pressione venosa centrale (PVC)
-sonda temperatura
-catetere vescicale
-catetere di Swan-Ganz/PiCCO/LiDCO
• posizionamento definitivo dell’operando
• misure di prevenzione ipotermia
• misure di protezione degli occhi
Mantenimento dell’anestesia

• Adeguare la profondità dell’anestesia al diverso tipo di intervento chirurgico e alle sue fasi
• compensare le perdite idroelettrolitiche ed ematiche (reintegro volemico):
-accesso/i venoso/i
-qualità e quantità del reintegro: cristalloidi, colloidi naturali ed artificiali, plasma fresco e
piastrine, sangue o globuli rossi concentrati, sangue recuperato (autologo)
-monitoraggio dell’entità e dell’efficacia del rimpiazzo
• prevenire-correggere:
-l’instabilità emodinamica (es.ipertensione,ipotensione, aritmie,ecc.)
-le complicanze respiratorie (es. bronco-laringospasmo, dislocazione-ostruzione del tubo
tracheale, pnx, ipossiemia, ipercapnia, infezioni,ecc.)
-le complicanze neurologiche, centrali e periferiche
-le complicanze allergiche
-l’ipotermia
-l’ipertermia maligna
Il risveglio

• ripresa della ventilazione spontanea


• ripristino dello stato di coscienza
• estubazione
• immediato periodo postoperatorio (sala di risveglio)
Problemi del risveglio:

• ritardo nel ripristino dello stato di coscienza


• alterazioni cardiovascolari
• alterazioni respiratorie
• alterazioni renali
• nausea e vomito
• singhiozzo postoperatorio
• irritazione faringo-laringea
• brivido postoperatorio e ipotermia
• eccitazione postoperatoria
Ritardo nel ripristino dello stato di coscienza:

• effetto farmacologico prolungato:

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-sovradosaggio
-sensibilità individuale elevata (età, variazioni biologiche,effetti metabolici)
-ridotto legame proteico
-eliminazione rallentata degli anestetici
-ridotto metabolismo epatico
-ipossia ed edema cerebrale
• encefalopatia metabolica:
-disturbi epatici, renali, endocrini, del sistema nervoso centrale
-ipossia ed ipercapnia
-shock ed acidosi
-ipoglicemia, iperglicemia e sindromi iperosmolari
-disturbi elettrolitici ed intossicazione d’acqua
-ipotermia ed ipertermia
-farmaci neurotossici
• ipotensione arteriosa:
-ipovolemia
-contrattilità miocardica compromessa
-resistenze periferiche
Alterazioni cardiovascolari:

• Ipertensione arteriosa:
-ipertensione preesistente
-attivazione del sistema nervoso vegetativo
(dolore,agitazione,ipossiemia,ipercapnia,distensione vescicale,ipotermia,brivido)
-eccessiva idratazione
Alterazioni respiratorie:

• Inadeguata ventilazione postoperatoria:


-persistente curarizzazione
-analgesici, anestetici
-ostruzione delle vie aeree superiori, laringospasmo,broncospasmo
-ostacolo al movimento della gabbia toracica e/o del diaframma
• Ipossiemia postoperatoria:
Fattori predisponenti:
-età, obesità, fumo
-malattie respiratorie e cardiache
-sepsi e stati di shock
-durata dell’anestesia, tecnica di ventilazione, sede dell’intervento
-immobilità, dolore, medicazioni restrittive
-pneumoperitoneo, distensione addominale
-incisione chirurgica
-disturbi elettrolitici
-posizione supina
-acidosi
-FRC ed alterazione del rapporto ventilazione-perfusione

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-alterazione della clearance muco-ciliare
-del consumo d’ossigeno (brivido, ipertermia, eccitazione postoperatoria, ecc.)
-atelettasia
-pneumotorace
-edema polmonare cardiogeno e non cardiogeno
-infezione
Nausea e vomito:
età, sesso, struttura fisica, predisposizione individuale,premedicazione anestetica, tipo
d’anestesia, durata dell’anestesia,sede dell’intervento chirurgico, distensione gastrica, secrezioni o
sangue in faringe, dolore, difficoltà respiratoria, intempestiva riassunzione di cibo, assunzione
precoce o brusca della posizione eretta e della deambulazione, trasporto, ipossiemia, ipercapnia,
ipotensione
Eccitazione postoperatoria:

• Ipossiemia
• Ipercapnia
• Acidosi
• ischemia cerebrale
• farmaci (es.ketamina)
• dolore
• globo vescicale
• dilatazione gastrica
• medicazioni ed apparati gessati contentivi
Posizionamento intraoperatorio del paziente chirurgico
Gli obiettivi di una corretta postura sono:

• sicura dal punto di vista statico


• confortevole, in armonia con le fisiologiche escursioni di tutte le articolazioni
• assicurare una ottimale esposizione dei siti chirurgici
• prevenire le possibili complicanze (danni da pressione, neuropatie, compromissioni
vascolari e respiratorie)
Fattori di rischio:

• Età:
-vascolarizzazione precaria per arteriosclerosi
-cute più sottile
-massa muscolare e grasso sottocutaneo ridotti
-maggiore esposizione delle prominenze ossee
-immobilità articolare da malattia degenerativa preesistente
-plegia da pregressi incidenti cerebro-vascolari
• Peso corporeo:
-pz. magri: non hanno adeguata protezione delle prominenze ossee

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- pz. obesi: da compressione di vasi sanguigni e nervi nei punti di appoggio con diminuzione
della perfusione tissutale
• Stato nutritivo:
-malnutrizione e deplezione proteica influenzano lo sviluppo di danni da pressione
intraoperatoria
• malattie favorenti:
-alcoolismo
-beri-beri
- porfiria
-gotta
-diabete mellito
-neuropatie periferiche
- insufficienza vascolare
- Immunodepressione
• lesioni cutanee preesistenti
Meccanismi responsabili dell’insorgenza di un danno da posizionamento:

• Pressione: l’effetto gravitazionale che agisce sul corpo del paziente nel senso del letto,
raggiunge pressioni che possono determinare ischemia tessutale
• Attrito: danni da attrito si sviluppano quando la cute del paziente sfrega o si muove contro
superfici ruvide quali lenzuola, presidi per posture, cinghie o in seguito all’utilizzo di rasoi e
teli adesivi.
Il danno può essere superficiale o profondo.
• Forze elastiche: i danni da posizionamento dovuti alle forze elastiche si instaurano quando
la cute del paziente rimane ferma, mentre i tessuti interni si muovono. Un esempio è lo
spingere o il trascinare il paziente alla fine del tavolo operatorio dopo avere sistemato le
gambe sui supporti, anziché alzarli con una traversa.
Danni da posizionamento:

• Ulcere da compressione: lesione causata da una pressione continuata che porta al


danneggiamento dei tessuti interni; può essere precoce o tardiva
• Danni funzionali:
-app.respiratorio: per ostacolo dell’escursione toracica
-app.cardio-vascolare: es. sequestro di sangue nelle parti declivi del corpo con conseguente
ipotensione
• Danni neurologici: da tensione e/o stiramento prolungati o compressione di un nervo o
plesso
• Alopecia
La checklist per la sicurezza in sala operatoria
È uno strumento guida per l’esecuzione dei controlli, a supporto delle equipe operatorie, con la
finalità di favorire in modo sistematico l’aderenza all’implementazione degli standard di sicurezza
raccomandati per prevenire la mortalità e le complicanze post- operatorie.
È composto da 20 items.

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Si compone di tre fasi:
1) Sign in, si svolge prima dell’induzione dell’anestesia, richiede la presenza di tutti i
componenti dell’equipe e comprende i seguenti controlli:
-Conferma da parte del paziente di identità, procedura,sito e consenso
-Sito marcato
-Controlli per la sicurezza dell’anestesia
-Identificazione dei rischi del paziente

2) Time out: è un breve momento di pausa chirurgica che si svolge dopo l’induzione
dell’anestesia e prima dell’incisione cutanea:
-Presentazione dell’equipe
-Chirurgo, anestesista ed infermiere confermano il paz.,il sito, la procedura ed il corretto
posizionamento
-Anticipazione di eventuali criticità
-Profilassi antibiotica
-Visualizzazione immagini
3) Sign out: L’obiettivo è quello di facilitare l’appropriato trasferimento delle informazioni
all’equipe ed al personale responsabile per l’assistenza del paziente dopo l’intervento.
-L’infermiere di sala conferma verbalmente insieme all’equipe operatoria nome della
procedura chirurgica registrata, conteggio strumenti, etichettatura del campione
chirurgico ecc..
-Revisione degli elementi critici per l’assistenza post-operatoria
-Profilassi del tromboembolismo post-operatorio
La checklist compilata può essere collocata nella documentazione clinica del paziente oppure
archiviata per la valutazione della qualità degli interventi.

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