Sei sulla pagina 1di 184

EMERGENZE MEDICHE

DOMANDE D’ESAME

1) Definizione di emergenza e urgenza.


2) Tempestività e competenza del soccorso.
3) La valutazione medica nelle maxi emergenze, prognosi quod vitam e
quod valetudinem
4). Il triage, i suoi codici e la sua importanza.
5). I mezzi di soccorso, i vari tipi e il loro equipaggiamento.
6). ritmi defibrillatili e i ritmi non defibrillatili nell’arresto cardiaco, il loro
trattamento.
7) Cardioversione elettrica e Defibrillazione elettrica, modalità del
trattamento.
8) La morte improvvisa: definizione, cause, dimensione del problema e
prevenzione.
9) Arresto cardiaco, l’importanza della diagnosi precoce
10) Rianimazione cardio polmonare e defibrillazione precoce.
11) I quattro anelli della catena della sopravvivenza.
12) Valutazione dello stato di coscienza.
13) GAS e MO.TO.RE metodologia e tempistica
14) Valutazione del circolo
15) Le compressioni toraciche: metodologia e compiti del soccorritore.
16) Il defibrillatore semiautomatico, descrizione e metodologia di utilizzo
17) Tempi della rianimazione cardiopolmonare RCP
18) Metodologia della rianimazione cardiopolmonare.
19) La posizione di sicurezza.
20) Soffocamento di un adulto cosciente, modalità di intervento
21) Soffocamento di un adulto incosciente, modalità di intervento
22)e aritmie ipocinetiche e le aritmie ipercinetiche, concetti
della emergenza e urgenza.
23) Analisi e trattamento del ritmo letale.

24) Analisi e trattamento del ritmo NON letale.


25) La tachicardia parossistica sopraventricolare diagnosi e
trattamento.
pag. 1
26) Cardioversione Elettrica.
27) Bradiiaritmie in emergenza
28)La fibrillazione atriale in emergenza
29) La tachicardia ventricolare ACLS algoritmo.
30) La fibrillazione ventricolare ACLS algoritmo.
31) La dissociazione elettromeccanica P.E.A.: diagnosi e
trattamento.
32) Farmaci in emergenza e loro uso.
33) Le sindromi coronariche acute
34) La riserva coronarica e i suoi determinanti
35) I determinanti del consumo miocardico di ossigeno.
36) Definizione Dolore toracico.
37) IV Definizione universale di infarto del miocardico,
definizione di danno o injury.
38) Il dolore toracico non correlato a sindrome coronarica
acuta.
39) Gestione del paziente con dolore toracico.
40) Elettrocardiogramma nel dolore toracico, interpretazione
dei vari aspetti
41) Esami strumentali nel dolore toracico
42) Biomarcatori enzimatici nel dolore toracico. La troponina
Ths gestione dei risultati
43) La probabilità pre-test nella sindrome coronarica acuta
44) Ipoglicemia e ipoglicemia reattiva. Valore soglia, sintomi e
segni.
45) Definizione e classificazione della ipoglicemia.
pag. 2
46) Cause di ipoglicemia e suo trattamento.
47) Chetoacidosi diabetica, definizione, diagnosi e trattamento.
48) Sintomi e Segni del paziente diabetico nella emergenza
49) Diagnosi e trattamento del paziente diabetico nella
emergenza.
50) Valutazione dello stato di coscienza in emergenza nel
paziente diabetico.
51) Emergenza, urgenza ipertensiva o crisi ipertensiva:
diagnosi e trattamento.
52) Valutazione della dispnea in emergenza o urgenza.
Significato e valutazione della classificazione New York Heart
Association.
53) Crisi di panico versus Crisi Isterica: diagnosi e trattamento.
54) Embolia Polmonare: dalla diagnosi al trattamento.
55) SCORE PESI (Pulmonary embolism severity index).
56) Indicatori di rischio di mortalità precoce nella embolia
polmonare.
57) Trattamentodella EP a rischio elevato o intermedio/alto con
instabilità emodinamica.
58) Trattamento della EP a rischio Intermedio/Basso e Basso 2.

59) Secondo le ultime linee guida come si classificano i pazienti


affetti da scompenso cardiaco.
60) La frazione di eiezione, definizione e diagnosi strumentale.
61) I
fattori precipitanti dello scompenso cardiaco stabile verso
l’edema polmonare acuto.

pag. 3
62) La
presentazione clinica del paziente con scompenso
cardiaco, le quattro varianti.
63) La
valutazione primaria in emergenza/urgenza intra ed
extraospedaliera al malato critico con segni e sintomi di
scompenso cardiaco.
64) Gli
esami diagnostici fondamentali in emergenza/urgenza
nello scompenso cardiaco acuto.
65) Obiettivi
del trattamento del paziente affetto da scompenso
acuto/stabile/acuto.
66) La pressione arteriosa media, calcolo e importanza della
stessa.
67) I farmaci di emergenza/urgenza nel paziente con
scompenso cardiaco acuto.
68) I farmaci dello scompenso in fase stabile.
69) La
funzione renale nel paziente affetto da scompenso
cardiaco.
70) La borsa del medico: strumenti e farmaci del pronto
intervento.

RISPOSTE D’ESAME:

1) Definizione di emergenza e urgenza.

pag. 4
L'EMERGENZA è una condizione che pone il paziente in imminente
pericolo di vita e richiede un intervento immediato.

L'urgenza è una condizione patologica caratterizzata da temporaneo


compenso delle funzioni vitali e che, in assenza di tempestivo e
adeguato trattamento, può evolvere verso l’emergenza e richiede un
soccorso adeguato e tempestivo.

Se è in gioco la sopravvivenza e sono necessarie interventi immediati,


entro pochi minuti, per sostenere o ripristinare i parametri vitali, allora si
parla di “emergenza”. Se invece sono necessari interventi pronti ma non
altrettanto immediati, entro alcune ore, allora si parla di “urgenza”.

2) Tempestività e competenza del soccorso.

pag. 5
Nell’approccio delle situazioni di emergenza/urgenza sanitaria, la
tempestività degli interventi è il primo fattore che condiziona il risultato,
da valutarsi non solo in termini di perdita di vite umane, ma anche di
durata dell’ospedalizzazione e di esiti invalidanti. La tempestività deve
accompagnarsi anche ad un ‘adeguata qualità degli interventi, poiché
nel trattamento dei soggetti in imminente pericolo di vita si amplifica
l’importanza della regola d’oro: evitare di perdere tempo con interventi
inutili o scarsamente efficaci o , peggio ancora di aggravare con
interventi controindicati, e praticare nel più breve tempo possibile gli
interventi utili, seguendo un’ordine di priorità basato sulla loro efficacia.
Per garantire questo è necessario fare riferimento alle linee guida di
valutazione/azione ben definite.

ES. Sequenza necessaria per garantire l’efficacia degli interventi in


situazioni di arresto cardiocircolatorio (ACC) o da sindrome coronarica
acuta(SCA) :

-Allarme immediato al Servizio d’Emergenza intra od extraospedaliero;

-Basic Life Support immediate (BLS);

-entro 3 min applicazione del defibrillatore automatico nell’ACC


intraospedaliero;

-entro 5 min applicazione del defibrillatore automatico nell’ACC


extraospedaliero;

-immediatamente a seguire Advanced Cardiac Life Support (ACLS);

-infine stabilizzazione delle funzioni vitali in terapia intensiva.

E in particolare, si considerino i tempi cronometrici stabiliti nella


sequenza di valutazione/ azione durante la Rianimazione
Cardiopolmonare (RCP) (Riquadro 1-2).

Il ritmo serrato di questi interventi è legato al fatto che in caso di


arresto cardiaco:

1. solo un tempestivo ripristino della circolazione può evitare


l'instaurazione e la progressione dell'encefalopatia anossica che inizia
dopo 4-5 min di arresto ed esita in danni neurologici permanenti o morte
dell'individuo (vedi pago 86);

2. l'effettuazione immediata delle compressioni toraciche consente di


sostenere le funzioni vitali nell'intervallo di tempo che precede il

pag. 6
trattamento atto a ripristinare la circolazione, che è costituito dalla
terapia elettrica e/o farmacologica (vedi pago 108);

3. per essere realmente efficace, la RCP deve essere effettuata


rispettando tempi e modalità ben de- finiti nell'esecuzione delle
procedure salvavita, in particolare attuando compressioni toraciche di
elevata qualità ed interrotte il meno possibile (vedi pago108);

4. ma poiché con il passar del tempo la RCP, anche se ben condotta,


diventa via via meno efficace (vedi pago 108), è fondamentale allertare
fin dall'inizio i servizi d'emergenza per garantire l'arrivo tempesti- vo di
personale addestrato e/ o dei presidi necessari

per riattivare la circolazione il più presto possibile

5. nella maggior parte dei casi di ACC per SCA l'arresto è provocato da
fibrillazione ventricolare (FV) o tachicardia ventricolare senza polso
(TYsp), il cui trattamento richiede la defibrillazione elettrica

6. ogni minuto di ritardo prima della defibrillazione significa la perdita


del 10-12% delle possibilità di successo, se nel frattempo nessuno ha
effettuato la RCP, oppure del 3-4% per ogni minuto di ritardo in caso di
RCP da parte soccorritori occasionali (Fig. 1-1): per conseguenza,
l'obiettivo da raggiungere è applicare il defibrillatore entro 3 minuti in
caso di ACC intraospedaliero ed entro 5 min negli altri casi, ricorrendo
alla defibrillazione semiautomatica in aree e settori strategici dove ne
sia prevedibile la necessità d'impiego (vedi pago 121);

7. non soltanto i tempi di attuazione del BLS e della defibrillazione, ma


anche il tempismo dell'ACLS influenza la sopravvivenza immediata e gli
esiti a distanza dopo ACC

pag. 7
3. La valutazione medica nelle maxi emergenze,
prognosi quod vitam e quo valetudinem e anche la
quarta domanda

Convenzionalmente si definisce maxi emergenza o catastrofe un


avvenimento dannoso per la collettività coinvolta, che sconvolge l'ordine
precostituito e determina uno squilibrio tra i bisogni delle vittime e le
risorse prontamente disponibili per far fronte alle necessità di soccorso.
Di qualsiasi tipo esse siano, le maxi emergenze sono contraddistinte
dalla carenza di formazioni e dalla presenza di rischi per gli operato- .
oltre che dalla necessità di raccogliere, classificare e smistare i feriti,
ospedalizzandoli in modo mirato e con un impiego ottimale delle risorse
disponibili.Per fronteggiare adeguatamente una maxiemergenza non si
può improvvisare, ma è necessaria un'accurata programmazione che
definisca i compiti e le modalità d'intervento per ciascuna delle diverse
componenti della catena dei soccorsi: quella sanitaria (costituita dal
personale del servizio di emergenza extraospedaliera 118 e degli Enti di
Soccorso), quella tecnica vigili del Fuoco e gruppi locali di Protezione
Civile), e quella costituita dalle Forze dell'Ordine.L'elaborazione di piani
d'intervento per una corretta risposta a fabbisogni enormemente
aumentati, prevede il ricorso a tre strumenti:

Strategia, che consiste nella pianificazione teorica dei piani d'intervento


per livelli e sulla base di ipotesi di rischio legate a condizioni territoriali
specifiche, che devono essere predisposti per tempo e collaudati; i piani
di intervento devono essere attuabili per qualsiasi tipo di evento e
territorio e in qualsiasi momento, e prevedere le problematiche di tutti

pag. 8
gli aspetti organizzativi del soccorso: comunicazione, ordine pubblico,
trasporti e soccorso sanitario.

Logistica, intesa come l'insieme delle persone e dei mezzi per rendere
operativo il piano d'intervento ed affrontare l'evento.

Tattica, che considera l'attuazione dei piani di soccorso sanitario.

Il triage (termine francese che indica "cernita" o "smistamento") è un


sistema utilizzato per selezionare i soggetti coinvolti in infortuni, gravi o
leggeri che siano, secondo classi di urgenza/emergenza crescenti, in
base alla gravità delle lesioni riportate o del loro quadro clinico.
Ogniqualvolta si verifica un'insufficienza di mezzi e personale rispetto ai
soggetti che hanno bisogno di aiuto, per calamità, disastri o
maxiemergenze tipici della Medicina delle Catastrofi, il triage è
funzionale a far sì che tutto l'impianto del soccorso funzioni
efficientemente per salvare il maggior numero di persone, dovendo a
volte scegliere di dirigere le cure solo verso chi, soccorso prontamente,
ha più probabilità di sopravvivere. tre sono state le raccomandazioni
riguardanti l'esecuzione del triage:

• il metodo di triage da utilizzare in sede extraospedaliera è lo START;

• il materiale per effettuare il triage deve rispondere a criteri di facile


visibilità, resistenza agli eventi atmosferici e deve essere
disponibile in quantitativi adeguati su tutti i mezzi di soccorso;

• il triage deve essere eseguito in quattro punti della catena dei


soccorsi: sul sito dell'evento (e/o area di raccolta), al PMA in
entrata, al PMA in uscita ed all'ingresso in ospedale.

• Con il protocollo START (Simple Triage and Rapid Treatment) si


effettua un'iniziale selezione dei feriti che sono in grado di
camminare (codice verde) e quindi si rilevano le funzioni vitali
nell'ordine B-C-D per distinguere fra urgenze assolute, relative e
decessi; se la vittima è in età pediatrica si applica il protocollo
JumpSTARTIn presenza di un elevato numero di vittime, nella prima
fase i soccorritori effettuano uno sweeping triage, cioè un triage
che nella categorizzazione prevede al massimo il codice rosso
(mantenendo la codifica del codice nero solo per medici/infermiere
nella fase del dimensionamento), con lo scopo di inviare immediata-
mente i casi più urgenti verso il PMA, dove si provvede al secondo
triage, al trattamento d'urgenza e, successivamente,
all'evacuazione delle vittime.

pag. 9
Lo sweeping triage ha l'obiettivo di evitare la morte per dissanguamento
o soffocamento, per quanto sia consentito da un primo soccorso, e di
individuare rapidamente e facilmente le vittime da trasferire
prioritariamente al PMA.

Il primo triage è semplificato dall'applicazione alle vittime di bracciali


contrassegnati con i codici colore, estremamente resistenti e
difficilmente asportabili; si evita cosi l'uso di pennarelli o di altri sistemi
più complicati di identificazione. I bracciali inoltre possono essere dotati
di etichette adesive con codice numerico utile all'identificazione dei
pazienti durante tutto l'iter diagnostico-terapeutico. Lo sweeping triage
con applicazione dei braccialetti è di competenza an- che dei
soccorritori MSB, mentre invece la compilazione delle schede di triage è
di competenza di medici ed infermieri.

Oltre ai classici codici colore Verde, Giallo e Rosso, vi sono i codici Blu
(personale con competenze BLS o BLSD) o Nero (medici) per indicare la
presenza di funzioni vita li compromesse.

Il codice Arancione va applicato quando c'è un'emergenza NBCR


(Nucleare Biologico Chimico Radio lgico), in cui si utilizza il protocollo di
triage "all'inverso" giacché le persone coinvolte che sono state per
menotempo esposte all'agente contaminante hanno - solitamente - più
possibilità di sopravvivenza.

Lo START (Fig.2-34), ideato dai Vigili del Fuoco di Newport Beach


(U.s.A.), in collaborazione con il sistema dei soccorsi sanitari, identifica
4 classi di priorità di trattamento seguendo una valutazione ASCO:

1. codice verde - necessità bassa/minima di trattamento;

2. codice giallo - necessità intermedia/dilazionabile di trattamento;

3. codice rosso - necessità di trattamento immediato

4. codice blu (nero se l'operatore è un medico) - decesso o lesioni


incompatibili con la sopravvivenza

5. L'operatore deve porsi quattro domande:

1. La vittima cammina?

pag. 10
• Se cammina è codificata come verde, con bassa priorità di trattamento
e con possibilità di evacuazione autonoma verso l'area medicalizzata.•
Se non cammina, la valutazione prosegue verificando il respiro.

2. La vittima respira?

• Se non respira neanche dopo l'apertura o la disostruzione delle vie


aeree le viene assegnato un co- dice blu o nero, non salvabile; se
dopo queste manovre riprende a respirare, le si assegna un codice
rosso (trattamento immediato).

• Se invece respira senza bisogno di aprire/ disostruire le vie aeree, si


calcola la frequenza respiratoria; se >30 atti/min si assegna un
codice rosso, se <30 atti/ min si prosegue con la valutazione della
circolazione.

3. 1/polso radiale è presente?

• Se il polso non è valutabile per lesioni agli arti o è assente, si


attribuisce un codice rosso.

• Se invece è presente si passa alla valutazione dello stato di


coscienza.

4. La vittima esegue gli ordini semplici?

• Se in base allo score AVPU la vittima è"P"ou"lesi assegna un


codice rosso.

• Se invece è "A" o "V" il codice è giallo.

Se le vittime sono in età pediatrica, viene utilizzato il protocollo


JumpSTART che, come lo START, suddivide le vittime in quattro
categorie di priorità di trattamento (verde, giallo, rosso, blu/nero) e le
valuta seguendo lo stesso schema ASCO.

pag. 11
I punti decisionali della valutazione sono adattati all'età apparente della
vittima (indicativamente lo START dovrebbe essere applicato a soggetti
con peso >45 kg).

Bisogna tenere presente che genitori o adulti con codi- ce verde in preda
al panico, al momento di muoversi verso l'area medicalizzata potrebbero
portare con loro i lattanti/bambini prima che questi possano essere
sottoposti al triage sul campo. Queste piccole vittime dovranno essere
rivalutate immediatamente nell'area verde, e se presente- ranno i criteri
dei codici giallo o rosso, dovranno essere inviate alle rispettive aree di
medicalizzazione/PMA accompagnate dagli adulti con lesioni minori che
difficilmente si separeranno da loro.

Se il lattante/bambino non respira dopo le manovre iniziali, diversamente


dall'adulto si procede al rilievo del polso; questo perché, a differenza
dell'adulto in cui l'apnea può essere la conseguenza di un arresto
cardiaco, il ripristino precoce della ventilazione in un lattante/bambino
con circolazione ancora presente può evitare l'arresto cardiaco; se si
palpa un polso arterioso, si provvede a somministrare immediatamente 5
ventilazioni di soccorso e, poi, a riva- lutare la respirazione. Se questa è
ripartita, il codice assegnato sarà rosso. Se invece non si ripristina o il
polso non è palpabile, il codice sarà blu/nero.

Se il lattante/bambino respira, nella valutazione della frequenza


respiratoria sono considerati due limiti, <15 e >45 atti al minuto, al di
fuori dei quali il codice è rosso. Se la frequenza è nel range di normalità,
si passa a valutare la circolazione verificando il polso (brachiale,
carotideo femorale). In caso di polso non palpabile si assegna un co-
dice rosso per il trattamento immediato; qualora invece il polso sia
palpabile, si passa a valuta re lo stato di coscienza.

A differenza dell'adulto, dove l'AVPU consente facilmente di distinguere


le quattro differenti possibilità, nella vittima in età pediatrica potremmo
avere più presentazioni cliniche:

• stato di vigilanza ("A"; soggetto sveglio e reattivo con eloquio


appropriato, o che muove lo sguardo verso la voce che lo chiama);

• risposta alla chiamata verbale (''V''; apre gli occhi alla chiamata);

• risposta adeguata allo stimolo doloroso ("P" appropriata, dove la


reazione al dolore consiste in apertura degli occhi, parole
appropriate, localizzazione dello stimolo doloroso con
allontanamento);

• risposta inadeguata allo stimolo doloroso ("P" inappropriata, con una


reazione al dolore senza localizzazione dello stimolo, movimenti

pag. 12
generalizzati o suoni privi di significato, postura decorticata o
decerebrata;

• assenza di risposta a qualsiasi stimolo ("U").In caso di "P"


inappropriata o di uU", verosimilmente lo stato neurologico è
compromesso in modo grave e tale da

mettere a rischio la protezione delle vie aeree, e quindi si assegna


un codice rosso.

5). I mezzi di soccorso, i vari tipi e il loro


equipaggiamento.

I mezzi più comunemente impiegati per il soccorso su ruote sono le


autoambulanze e l'automedica, con a bordo differenti tipologie di
equipaggi e di attrezzature.

L'automedica o veicolo leggero veloce serve al trasporto rapido della


squadra di soccorso e degli equipaggiamenti necessari sul luogo
dell'incidente per una ricognizione sanitaria, o per abbreviare i tempi
d'intervento in condizioni di traffico intenso, o per raggiungere
un'autoambulanza non medicalizzata già sul posto. La vettura deve avere
una capienza interna sufficiente per contenere nel baule il materiale
sanitario e trasportare la squadra di soccorso, che è formata da un
medico e ,un infermiere e un tecnico , l’automedica (Mezzo di Soccorso
Avanzato,MSA).

Le autoambulanze sono mezzi omologati per il soccorso o solo per il


trasporto. Nella configurazione di base, l'autoambulanza di soccorso
prevede un equipaggio costituito da un autista in possesso dei requisiti
previsti dalla normativa vigente e due soccorritori (Mezzo di Soccorso di
Base, ""58); in alcuni SSUEm 118 l'equipaggio è composto da uno o due
soccorritori, uno dei quali con funzioni di autista, e da un infermiere
opportunamente formato per l'attività di Soccorso Sanitario di Urgenza
ed Emergenza territoriale ed abilitato, a seguito di un percorso formativo
specifico, all'applicazione di algoritmi clinico assistenziali, validati ed
omogenei a livello regionale Mezzo di Soccorso Intermedio, MSI).
L'autoambulanza è trasformabile in Unità mobile di Terapia Intensiva se

pag. 13
viene equipaggiata con idonea attrezzatura e può essere un MSA od un
MSI a seconda del tipo di equipaggio a bordo.

Gli equipaggiamenti degli automezzi di soccorso sono di tipo sanitario e


di tipo ausiliario.

• Quelli sanitari servono per il primo soccorso (utilizzabili anche da parte


di personale non medico), il soccorso medicalizzato, il trasporto
sanitario d'urgenza.

• Gli equipaggiamenti ausiliari rappresentano i supporti tecnico-logistici alle


operazioni sanitarie e sono necessari per la sicurezza degli operatori, la
liberazione delle vittime intrappolate, le comunicazioni tra i componenti
la squadra di soccorso e con la Centrale Operativa.

Primo soccorso: Strumenti per il controllo delle vie aeree,


l'ossigenazione, la ventilazione con pressione positiva, l'emostasi e la
defibrillazione precoce.

Soccorso medicalizzato: Strumenti per il controllo avanzato delle vie


aeree, della ventilazione e della circolazione; liquidi e farmaci.

Immobilizzazione delle lesioni e mobilizzazione a traumatica delle


vittime Oltre alla barella auto caricante ed alla sedia per cardiopatici, i
dispositivi più comunemente in dotazione alle autoambulanze sono:

collari cervicali,corsetto per l'estricazione (KED),barella a cucchiaio,


tavola spinale,materasso a depressione,immobilizzatori per gli arti
(stecco bende), rigidi e/o a depressione.

L'elicottero sanitario, attrezzato come un'ambulanza dirianimazione, può


essere utilizzato per ogni tipo d'intervento di soccorso.

Grazie al suo vasto raggio d'azione, l'elicottero copre un'area


d'intervento molto maggiore rispetto ai mezzi su ruote, senza subire i
vincoli imposti dal traffico e dalle forze gravitazionali lineari e radiali che
condizionano la velocità dell'ambulanza con a bordo un paziente in
condizioni critiche. In zone di difficile accesso, l'elicottero consente un
soccorso medico immediato, oltre ad aumentare significativamente le
possibilità di utilizzare una singola équipe medicalizzata ad alta
prestazione.

I vantaggi per il paziente elitrasportato sono:

• tempo di permanenza del paziente al di fuori di una struttura "protetta"


esponenzialmente inferiore rispetto all'impiego di mezzi rotabili;

pag. 14
• possibilità di essere trasferito nell'ospedale più ido- neo per la
patologia a prescindere dalla distanza; elevate prestazioni mediche
durante il trasporto assistito garantite da personale sanitario
qualificato e dotato di attrezzature di avanguardia;

• effetti del "trauma da trasporto" assolutamente trascurabili.

L'équipe dell'elisoccorso è composta da un equipaggio. di condotta,


costituito da uno o due piloti e da un cosi detto specialista di bordo
(abilitato all'uso del verricello), e da un equipaggio sanitario costituito
da un

- medico rianimatore, da un infermiere e, di norma, daun tecnico di


elisoccorso del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e
speleologico, con la possibilità, nelle realtà più a rischio, della

presenza stagionale della Unità. Cinofila da Valanga.

Il personale sanitario deve aver effettuato una preventiva fase di


istruzione, esercitazione ed addestramento, oltre che per la specifica
competenza e ruolo professionale, anche per acquisire le conoscenze
indispensabili per operare su terreno montano o comunque impervio.
Ogni operatore deve essere anche fisica- mente idoneo ed allenato per
operazioni impegnative quali verricello e hovering.

Le dotazioni di materiale sanitario sono pressoché sovrapponibili a


quelle delle ambulanze di rianimazione, con in aggiunta una dotazione
specifica di suppor-

to tecnico all'equipaggio sanitario per operazioni in zone impervie.

6). Ritmi defibrillatili e i ritmi non defibrillatili nell’arresto cardiaco, il


loro trattamento.

pag. 15
RITMI DEFIBRILLABILI: FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE E TACHICARDIA
VENTRICOLARE SENZA POLSO

Se il ritmo di presentazione è defibrillabile, la strategia del trattamento


ha come obiettivo primario il ripristino dell'attività̀ dei normali segna
passi cardiaci, per cui la defibrillazione ha la priorità̀ assoluta. Al primo
obiettivo si affianca quello di garantire un'adeguata perfusione cerebrale
e coronarica con una RCP di qualità̀ . Il terzo obiettivo, in caso di
persistenza della FV/TYsp, è quello di individuare le cause sottostanti e
di intervenire con una terapia appropriata.

Le procedure iniziali del soccorso alla vittima di un arresto cardiaco


sono quelle del BLS o del BLSD

Il primo soccorritore ("A") è un medico che dopo aver accertato lo stato


di incoscienza della vittima:

- lancia l'allarme ("Carrello e team d'emergenza!");


- quindi posiziona il paziente per i passi successivi; non deve
spostarlo sul pavimento, poiché́ il letto è predisposta per
un'eventuale RCP, e basta allineare ed abbassare il letto e
sgonfiare il materassino antidecubito, qualora sia presente e in
funzione;
- effettua quindi la valutazione del respiro e dei segni di circolazione
in 10 secondi e, non riscontrando segni di vita, inizia
immediatamente le compressioni toraciche. Nel frattempo, viene
avvisato il team d’emergenza e un secondo soccorritore ("8 ",
infermiera) porta nella stanza il carrello d'emergenza con il
monitor/defibrillatore.
- Quando il defibrillatore arriva sulla scena mentre è in corso la RCP
sulla vittima dell'arresto cardiaco, il soccorritore che sta
eseguendo le compressioni toraciche le interrompe solo dopo è
stato completato il posizionamento degli elettrodi adesivi o a
piastra. Nel nostro esempio, /'infermiera ("8 ") controlla
rapidamente se è necessario asciugare o radere il petto oppure
scegliere una posizione alternativa degli elettrodi rispetto a quella
standard, e poi applica le piastre adesive senza interferire con
l'esecuzione delle compressioni toraciche ; accende quindi il
monitor defibrillatore.
- Se con l'analisi della traccia sul monitor si conferma la presenza di
FVo TVsp (Fig. 5-43e), la RCP continua anche mentre il
defibrillatore sta caricando (360 J di corrente monofasica o 150-
200 Jdi bifasica) e viene interrotta solo quando la carica è
completa.

pag. 16
- Nel momento in cui il defibrillatore è pronto per scaricare, la RCP
viene interrotta; il soccorritore addetto alla defibrillazione controlla
rapidamente che nessuno sia a contatto con la vittima e
somministra uno shock. '
- Le compressioni toraciche vanno interrotte per non più di 5
secondi in modo da poter erogare lo scarica; tempi maggiori
possono compromettere il risultato finale. è stato proposto di
continuare le compressioni toraciche durante l'erogazione della
defibrillazione (hands-on defibrillation), ma i benefici di
quest'approccio non sono stati dimostrati; i guanti utilizzati
generalmente come dispositivi di protezione individuale non
garantiscono un adeguato livello di isolamento elettrico.
- Subito dopo aver erogato lo shock si riprende immediatamente la
RCP 30:2 iniziando con le compressioni toraciche, senza
controllare sul monitor se il ritmo si è modificato e senza verificare
se il polso è ricomparso.

Anche se la defibrillazione è stata efficace, trascorrono alcuni


secondi (se non anche minuti) prima che compaia sul monitor una
traccia interpretabile e prima che cuore, stordito dalla scarica,
generi un polso apprezzabile; ogni ritardo nella ripresa della RCP
compromette ulteriormente le possibilità̀ di successo. Quindi è
possibile che lo RCP continui ad essere effettuata anche dopo che
lo scarica ha ripristinato un ritmo organizzato. Ciò̀ non è risultato
aumentare il rischio di ricorrenza di FV! Nsp. Invece, in caso di
asistolia post-shock lo RCP si i! dimostrata utile per convenirla in
FV/TYsp da trattare successivamente mediante defibrillazione.

- Si continua la RCP per 2 min, provvedendo appena possibile ad un


accesso venosa o intraosseo, poi si fa una breve pausa per
valutare il ritmo e, se si ricon- ferma FV o TVsp, si procede come
sopra per erogare una seconda scarica (360 Jdi corrente
monofasica o 150-360 J di bifasica, in quanto si può̀ utilizzare
corrente bifasica costante o a livelli crescenti); subito dopo si
riprendono le compressioni toraciche senza controllare ritmo o
polso.
- Si prosegue ancora con la RCP per 2 min, poi si fa una breve pausa
per valutare il ritmo e, se si riconferma FV o TVsp, si procede come
sopra per erogare una terza scarica (360 J di corrente monofasica
o 150-360 J di bifasica) e subito dopo si riprendono le compressioni
toraciche senza controllare ritmo o polso, alternando nuovamente
il soccorritore addetto alle compressioni.
- Somministrata la terza scarica, se nel frattempo è stato ottenuto
un accesso venosa o intraosseo, dopo la ripresa delle compressioni
toraciche si somministrano in bolo 300 mg di amiodarone e l mg di

pag. 17
adrenalina.
f farmaci vanno somministrati senza interrompere lo RCP;
l'infusione in bolo attraverso una vena periferica del braccio va
seguita da un lavaggio con almeno 20 mL di liquidi e dal
sollevamento verticale del braccio rispetto al tronco per 10-20 s in
modo da facilitare il passaggio nella circolazione centrale.
- Si continua con RCP per 2 min --> pausa per valutare il ritmo --> se
persiste FV o TV --> shock (360 J di corrente monofasica o 150-360
J di bifasica) --> ripresa immediata della RCP senza controllare
ritmo o polso --> adrenalina l mg in bolo EV/IO ogni 3-5 min (in
pratica una volta ogni due cicli di shock-RCP), considerando anche:
la verifica di qualità̀ della RCP e dell'apparato per la defibrillazione,
il controllo avanzato delle vie aeree, la somministrazione di un
secondo bolo di amiodarone (150 mg EV/IO) dopo 5 shock, la
correzione delle cause potenzialmente reversibili. Se con le prime
scariche non si ottiene il risultato voluto e FV/TVsp persistono o
ricorrono, durante lo RCP bisogna controllare se si può̀ migliorare
la qualità̀ delle compressioni: ricorrendo al controllo avanzato delle
vie aeree per poter passare alla RCP asincrona, verificando lo
posizione ed il contatto degli elettrodi sul torace, valutando
l'eventuale presenza di cause reversibili per agire di conseguenza.
- Se dopo un ciclo di RCP per 2 minuti all'analisi del ritmo si
evidenziano asistolia o PEA, il trattamento prosegue seguendo le
indicazioni dell'algoritmo per i ritmi non defibrillabili.

Analogo comportamento va tenuto anche nel caso in cui si evidenzi sul


monitor una FV fine, a basso voltaggio, confondibile con l'asistolia: si
deve continuare con RCP ed adrenalina per migliorare la perfusione
coronarica. In tal modo l'aumento dell'ampiezza e della frequenza della
FV potrà̀ consentirne più̀ facilmente il trattamento con una successiva
scarica elettrica. Defibrillare in caso di FV fine significa danneggiare
ulteriormente un miocardio già̀ gravemente sofferente.

Se, invece, dopo aver terminato un ciclo di RCP per 2 minuti all'analisi
del ritmo si evidenzia un ritmo organizzato (QRS regolari o stretti), va
effettuata la valutazione del polso e dei segni vitali. Questa va- lutazione
deve essere di breve durata e fatta solo in caso di ritmo organizzato. In
caso di dubbio sull'effettivo ROSC, si riprende la RCP. Se il ROSC si
conferma, va allora iniziato il trattamento intensivo post-arresto.

Se durante un ciclo di RCP guardando il monitor si vede che è comparso


un ritmo organizzato, non si devono interrompere le compressioni
toraciche per valutare il polso fino al termine dei 2 min di RCP, a meno
che il paziente non dia chiari segni di ripresa della circolazione
spontanea.

pag. 18
Se durante un ciclo di RCP la vittima dà segni di vita (apre gli occhi, si
muove, tossisce, respira normalmente), bisogna controllare il monitor: se
si evidenzia un ritmo organizzato (QRS regolari o stretti), va effettuata la
valutazione del polso e dei segni vitali. In caso di dubbio sull'effettivo
ROSC, si riprende la RCP. Se il ROSC si conferma, va allora iniziato il
trattamento intensivo post-arresto.

RITMI NON DEFIBRILLABILI: PEA ED ASISTOLIA

Qualsiasi ritmo che non produca un polso palpabile è una attività̀


elettrica senza polso (Pulseless Electrical Activity; PEA),
tradizionalmente etichettata anche come ElectroMechanical
Dissociation (EMD), ma che, più̀ propriamente, raggruppa diversi tipi di
aritmie:

 pseudo-EMD
 ritmi idioventricolari
 ritmi ventricolari di scappamento
 ritmi bradi-asistolici
 ritmi idioventricolari post-defibrillazione.

~ In altre parole, va considerata come PEA qualsiasi condizione d'arresto


cardiaco in presenza di un ritmo ECG compatibile con la presenza di
circolazione, che invece non c'è: il miocardio può̀ essere ancora in grado
di contrarsi, ma lo fa troppo debolmente per poter produrre un polso
palpabile.

Della massima rilevanza è il fatto che all'origine della PEA vi sono in


genere alterazioni che, prontamente identificate e corrette, possono
ancora essere reversibili (vedi avanti): le migliori possibilità̀ di
sopravvivenza per la vittima dell'arresto derivano dal pronto
riconoscimento e dal trattamento della causa sottostante. è come se
quel cuore mandasse un segnale delle sue possibilità̀ di ripresa, a patto
di essere messo nelle condizioni per farlo. Il

Si è invece in presenza di asistolia quando sul monitor compare un


tracciato piatto, eventualmente con lievi ondulazioni della linea di base
dovute ai movimenti del torace se la vittima dell'arresto è sottoposta a
ventilazione artificiale. Talvolta è possibile che un'atti- vità atriale
continui per un breve periodo dall’insorgenza di un'asistolia ventricolare,
per cui all'ECG si vedranno delle onde P non seguite da complessi QRS,
oppure che rari ed incostanti battiti ventricolari a QRS largo di
morfologia variabile (battiti agonici) compaiano nelle fasi terminali di
una rianimazione inefficace, con progressivo rallentamento ed

pag. 19
allargamento dei compiessi fino alla completa scomparsa dell'attività̀
elettrica.

~ L'asistolia rappresenta il più̀ delle volte una conferma della morte


piuttosto che un "ritmo" da trattare, fatta eccezione per situazioni nelle
quali una causa reversibile sia prontamente riconosciuta e corretta.

Sequenza del!’ACLS per asistolia o PEA

- Quando il monitor-defibrillatore arriva sulla scena mentre è in corso


la RCP sulla vittima dell'arresto cardiaco, il soccorritore che sta
eseguendo le compressioni toraciche le interrompe solo dopo che
un altro soccorritore ha completato il posizionamento degli
elettrodi adesivi o a piastra.
- Se sul monitor si osserva una linea piatta, si deve verificare
rapidamente se si tratta di un'asistolia reale. Una volta confermata
l'asistolia, così come nel caso in cui si osservi invece sul monitor
una PEA o una FV fine, si passa alla RCP con rapporto 30:2 per 2
minuti.

Per confermare l'asistolia si controlla che le impostazioni della


definizione o della sensibilità̀ del monitor non siano state escluse,
che gli elettrodi siano posizionati e collegati correttamente, e,
dopo aver selezionato la modalità̀ a tre derivazioni, cercando
rapidamente un ritmo in DI e DII. Se si stanno utilizzando le piastre,
vanno ruotate di 90' spostando lo piastra dalla posizione
sottoclaveare destra a quella sinistra e l'altra dall'apice alla linea
margino sternale destra allo stesso livello. l rilievo di asistolia con
sole onde P e lo disponibilità̀ di un monitor-defibrillatore
multifunzione può̀ far decidere di passare alla modalità̀ pacing
transcutaneo. Se si rileva invece una FV fine, a basso voltaggio, ci
si deve comportare come in caso di asistolia, continuando con RCP
e adrenalina per migliorare lo perfusione coronarica: l'aumento
dell'ampiezza e della frequenza della FV potrà̀ consentirne più̀
facilmente il trattamento dopo il controllo del ritmo al termine dei 2
min di RCP.

- A partire dal primo ciclo di RCP 30:2 per 2 min ci si deve


organizzare per ottenere prima possibile un accesso
venoso/intraosseo e il controllo avanzato delle vie aeree, iniziando
contemporaneamente la ricerca e la correzione delle cause
potenzialmente reversibili.
- Al termine dei 2 min di RCP si fa una breve pausa per valutare il
ritmo e, se si riconferma asistolia o PEA, si riprendono le
compressioni toraciche; se nel frattempo è stato ottenuto un

pag. 20
accesso venoso o intraosseo, dopo la ripresa delle compressioni
toraciche si somministra in bolo 1 mg di adrenalina. Poiché́ lo RCP
è faticosa, ogni due minuti bisogna cambiare l'addetto alle
compressioni toraciche. L'adrenalina va somministrata senza
interrompere lo RCP; l'infusione in bolo attraverso una vena
periferica del braccio va seguita da un lavaggio con almeno 20 ml
di liquidi e dal sollevamento verticale del braccio rispetto al tronco
per 10-20s in modo da facilitare il passaggio nella circolazione
centrale.
- Si continua con RCP per 2min  pausa per valutare il ritmo se
persiste asistolia o PEA ripresa immediata della RCP adrenalina
1 mg in bolo EV/ IO ogni 3-5 min, considerando anche: la verifica di
qualità̀ della RCP, il controllo avanzato delle vie aeree, la
correzione delle cause potenzialmente reversibili.
- Se dopo un ciclo di RCP per 2 minuti all'analisi del ritmo si
evidenziano FV/TYsp, il trattamento prosegue seguendo le
indicazioni dell'algoritmo per i ritmi defibrillabili.
- Se invece dopo aver terminato un ciclo di RCP per 2 minuti
all'analisi del ritmo si evidenzia un ritmo organizzato (QRS regolari
o stretti), va effettuata la valutazione del polso e dei segni vitali.
Questa valutazione deve essere di breve durata e va fatta solo in
caso di ritmo organizzato. In caso di dubbio sull'effettivo ROSC, si
riprende la RCP. Se il ROSC si conferma, va allora iniziato il
trattamento intensivo post-arresto.
- Se durante un ciclo di RCP guardando il monitor si vede che è
comparso un ritmo organizzato, non si devono interrompere le
compressioni toraciche per valutare il polso fino al termine dei 2
min di RCP, a meno che il paziente non dia chiari segni di ripresa
della circolazione spontanea.
- Se durante un ciclo di RCP la vittima dà segni di vita (apre gli
occhi, si muove, tossisce, respira normalmente), bisogna
controllare il monitor: se si evidenzia un ritmo organizzato (QRS
regolari o stretti), va effettuata la valutazione del polso e dei segni
vitali. In caso di dubbio sull'effettivo ROSC, si riprende la RCP. Se il
ROSC si conferma, va allora iniziato il trattamento intensivo post-
arresto.

pag. 21
7) Cardioversione elettrica e Defibrillazione elettrica, modalità del
trattamento.
La necessità di trattamento delle aritmie dipende dai sintomi e dalla gravità
dell'aritmia. Il trattamento è volto alle cause. Se necessario, si fa ricorso a una
terapia antiaritmica diretta, che comprende farmaci antiaritmici, cardioversione-
defibrillazione in corrente continua, cardiovertitore-defibrillatore
impiantabile, pacemaker (ed una speciale forma di stimolazione elettrica, terapia
cardiaca di risincronizzazione ) ablazione con catetere, intervento chirurgico , o una
combinazione di questi.
Uno shock transtoracico a corrente continua di sufficiente entità è in grado
di depolarizzare l'intero miocardio , rendendo tutto il cuore temporaneamente
refrattario a nuove depolarizzazioni. Quindi il segna passi con la maggiore frequenza
intrinseca, di solito il nodo seno-atriale, è in grado di riacquistare il controllo del
ritmo. Per questo la cardioversione-defibrillazione a corrente continua interrompe
molto efficacemente le tachiaritmie da rientro. Tuttavia, è meno efficace
nell'arrestare le tachiaritmie da aumentato automatismo in quanto è probabile che il
ritmo che emerge dopo lo shock sia quello del focus automatico e che quindi la
tachiaritmia recidivi. Per tachiaritmie diverse dalla fibrillazione ventricolare e dalla
tachicardia ventricolare senza polso, lo shock di corrente continua deve essere
sincronizzato al complesso QRS (e in questi casi si parla di cardioversione) poiché
uno shock che cade durante il periodo vulnerabile ventricolare (in prossimità del
picco dell'onda T) può indurre una fibrillazione ventricolare. Nella fibrillazione
ventricolare non è possibile né necessario sincronizzare lo shock con il complesso
QRS. Uno shock di corrente continua applicato senza sincronizzazione a un
complesso QRS si definisce defibrillazione.
La cardioversione o la defibrillazione a corrente continua si possono erogare sotto
forma di

 Corrente monofasica
 Corrente bifasica

pag. 22
La corrente monofasica viaggia in una direzione tra i due elettrodi. Nei dispositivi
bifasici, la corrente inverte la direzione a metà dell'onda di shock. Il dispositivo
bifasico richiede una minore energia e ha dimostrato di portare a tassi più elevati di
ritorno alla circolazione spontanea. Tuttavia, i risultati di sopravvivenza sono simili
con entrambi i dispositivi. La maggior parte dei defibrillatori esterni manuali e
automatici è ora bifasica, per la maggiore efficacia nel ripristino del ritmo sinusale. I
dispositivi bifasici sono anche di dimensioni più ridotte (rendendo i dispositivi
portatili).
Procedura per la cardioversione a corrente continua:
Quando la cardioversione a corrente continua è elettiva, i pazienti devono rimanere
a digiuno per 6-8 h per evitare la possibilità di aspirazione. Poiché la procedura è
dolorosa e preoccupante per il paziente, è necessaria una breve anestesia generale
o un'analgosedazione EV (p. es., fentanil 1 mcg/kg seguito da midazolam 1-2 mg ogni
2 minuti fino a un massimo di 5 mg). Devono essere presenti strumenti e personale
per assicurare la pervietà delle vie aeree . VIDEO

Gli elettrodi (piastre) usati per la cardioversione possono essere posizionati sul
torace antero-posteriormente (lungo il margine sternale sinistro a livello del 3°-4°
spazio intercostale e nella regione infrascapolare sinistra) o anterolateralmente (tra
la clavicola e il secondo spazio intercostale lungo il margine sternale destro e a
livello del quinto-sesto spazio intercostale in corrispondenza dell'apice cardiaco).
Dopo aver confermato al monitor la sincronizzazione con il complesso QRS, viene
erogato uno shock.

Il livello di energia da erogare varia in base all'aritmia da trattare. L'efficacia della


cardioversione e della defibrillazione aumenta con l'uso di shock bifasici, in cui la
polarità della corrente viene invertita durante il tragitto dell'onda di shock.

Per la defibrillazione della fibrillazione ventricolare o della tachicardia ventricolare


senza polso, il livello di energia per il primo shock è
 Da 120 a 200 joule per i dispositivi bifasici (o secondo le specifiche del
produttore), anche se molti professionisti utilizzano la massima potenza
del dispositivo in questa impostazione

 360 joule per i dispositivi monofasici (o secondo le specifiche del


produttore)

Gli shock successivi sono allo stesso (o a un più alto) livello di energia nei dispositivi
bifasici, e sono allo stesso livello nei dispositivi monofasici.

Per la cardioversione sincronizzata della fibrillazione atriale , il livello di energia per


il primo shock è
 Da 100 a 200 joule per i dispositivi bifasici (o in base alle specifiche del
produttore)

pag. 23
 200 joule per i dispositivi monofasici (o secondo le specifiche del
produttore)

Gli shock successivi sono allo stesso o più elevato livello di energia sia per i
dispositivi bifasici che per quelli monofasici.

La cardioversione-defibrillazione a corrente continua può anche essere applicata


direttamente al cuore in corso di toracotomia o usando un elettro catetere
intracardiaco; in questi casi sono necessari livelli di energia molto più bassi.

Complicanze della cardioversione a corrente continua:


Le complicanze sono di solito minori e comprendono battiti prematuri (extrasistole)
atriali e ventricolari e dolore muscolare. Meno comunemente, ma più probabilmente
se i pazienti hanno una funzione ventricolare sinistra gravemente compromessa o
vengono erogati shock multipli, la cardioversione scatena un danno dei miociti e si
determina dissociazione elettromeccanica.

8) La morte improvvisa: definizione, cause, dimensione del problema e


prevenzione;
DEFINIZIONE:

La morte cardiaca improvvisa è definita convenzionalmente come un decesso che avviene per
cause cardiache, con improvvisa perdita di coscienza a breve tempo
dall'insorgenza dei sintomi. Le sue caratteristiche principali sono legate
alla genesi non traumatica ed all'immediatezza della precipitazione degli
eventi, da ascriversi ad aritmie minacciose che producono, in ultima
analisi, l'arresto cardiocircolatorio.

FATTORI CASUALI E PREDISPONENTI:

Fra le possibili cause, la malattia coronarica rappresenta di gran lunga


quella più̀ frequente (80% dei casi) e spesso non è diagnosticata prima
dell'evento; gran parte degli studi di popolazione condotti nei paesi
industrializzati hanno dimostrato che i fattori di rischio della MCI sono
gli stessi della malattia coronarica aterosclerotica ed includono l'età̀
avanzata, il sesso maschile, la familiarità̀ per malattia coronarica, gli
aumentati livelli di colesterolo LDL, l'ipertensione, il fumo ed il diabete
mellito.

La disfunzione ventricolare sinistra severa con una frazione di eiezione


<35% è un importante indice predittivo del rischio di morte improvvisa.

pag. 24
La cardiomiopatia dilatativa, indipendentemente dalla causa o dalla
presenza d'insufficienza cardiaca scompensata, è un altro fattore
predittivo di MCI. I ventricoli dilatati favoriscono la dispersione della
depolarizzazione e/o ripolarizzazione ventricolare, creando delle "isole"
di tessuto ventricolare depolarizzate e ripolarizzate a velocità diverse, il
che facilita lo sviluppo di meccanismi di rientro che possono scatenare e
sostenere tachiaritmie ventricolari.

Nella cardiomiopatia ipertrofica, malattia familiare trasmessa dai parenti


di primo grado, il rischio di morte cardiaca improvvisa aumenta di circa
1'1%ogni anno; essa costituisce la causa più̀ comune di MCI nei giovani
atleti, essendo responsabile di un terzo di tali eventi, e chi ne è affetto
non può praticare sport a livello agonistico.

La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una patologia del


miocardio ereditaria che è caratterizzata da insufficienza cardiaca
destra, aritmie ventricolari a partenza dal ventricolo destro (cioè̀ una
tachicardia ventricolare con morfologia simile ad un blocco di branca
Sinistra), sincope e morte cardiaca improvvisa.

Una cardiopatia congenita è presente circa nello 0.8% di tutti i nati vivi;
grazie all'intervento cardiochirurgico, la maggior parte di essi arriva
all'età̀ adulta, ma un arresto cardiaco improvviso è una causa frequente
di morbilità̀ e mortalità̀ successive.

L'anomalia coronarica più̀ frequentemente associata a morte cardiaca


improvvisa è la sindrome da origine anomala dell'arteria coronaria
sinistra dall'arteria polmonare. In questa evenienza l'esercizio fisico può̀
scatenare sintomi ischemici, aritmie ventricolari e morte cardiaca
improvvisa a causa di un aumento del ritorno venosa che dilata il tronco
dell'arteria polmonare e, di conseguenza, comprime la coronaria
anomala che decorre nello spazio tra l'aorta e il tronco dell'arteria
polmonare.

Il rischio di morte cardiaca improvvisa in adulti e bambini con


cardiopatia congenita è maggiore per quelli con anomalie del cuore
sinistro di tipo ostruttivo (come la stenosi e la coartazione aortica)
oppure cardiopatie cianogeni (come l'anomalia di Ebstein, la
trasposizione dei grossi vasi e la tetralogia di Fallot). In questa
popolazione le morti cardiache improvvise avvengono principalmente
durante l'esercizio fisico e in metà dei casi sono causate da fibrillazione
ventricolare. Sono comuni anche aritmie di origine non ventricolare (ad
es., disfunzioni del nodo del seno, blocco atrioventricolare, tachiaritmie
sopra ventricolari), anche dopo la correzione chirurgica.

pag. 25
Una stenosi aortica severa può causare dispnea da sforzo, ischemia
miocardica e aritmie ventricolari che possono scatenare una sincope e
morte cardiaca improvvisa. La causa più̀ comune di stenosi aortica è la
valvola aortica bicuspide congenita che solitamente nell'età̀ adulta è
calcifica e con l'orifizio ristretto; oppure la sclerosi/calcificazione della
valvola aortica tricuspide, che può̀ verificarsi negli individui sopra i 70-80
anni di età̀ .

La malattia del nodo del seno, la cui causa è sconosciuta e che viene
considerata come una malattia degenerativa del sistema di formazione e
conduzione dell'impulso elettrico all'interno del cuore, colpisce il
pacemaker cardiaco primario e può̀ causare vertigini intermittenti,
sincope e morte cardiaca improvvisa. Anche se è più̀ comune nell'età̀
avanzata, un difetto primitivo di conduzione cardiaca può̀ verificarsi
anche nei neonati e nei bambini. Un altro importante gruppo di fattori
predisponenti alla MCI è costituito dalle canalopatie ereditarie.

La sindrome della morte improvvisa per causa aritmica è caratterizzata


da morte improvvisa che avviene al di fuori dell’ambiente ospedaliero in
giovani adulti (principalmente maschi) spesso durante il sonno o a
riposo, di solito senza alcun sintomo premonitore (compresa la sincope)
e senza anomalie anatomiche riscontrabili all’autopsia. L’analisi
genetica e cardiovascolare dei parenti di primo grado può identificare
una forma ereditaria di malattia cardiaca nota come canalopatia o
malattia dei canali ionici. Il flusso di ioni attraverso i canali è
responsabile della generazione e della propagazione del potenziale
d’azione dei cardiomiociti e della successiva ripolarizzazione. Questa
malattia è causata da mutazione dei geni che codificano per le proteine
responsabili della formazione e dell’interazione con i canali ionici del
sodio, potassio e calcio all’interno del cuore. La sindrome di Brugada si
verifica in cuori altrimenti normali ed è associata ad una incidenza del
40-60% di aritmie ventricolari pericolose per la vita e morte cardiaca
improvvisa. è una malattia ereditaria con carattere autosomico
dominante molto più comune negli uomini (soprattutto quelli tra i 20 e i
30 anni) che nelle donne. La causa è una perdita totale della funzione dei
canali del sodio o in un recupero più precoce dell'attivazione dei canali
del sodio. La sindrome di Brugada può essere identificata da uno
specifico insieme di alterazioni dell'ECG: un aspetto che assomiglia a
quello del blocco di branca destra e il sopraslivellamento del segmento
ST nelle derivazioni V1, V2 e V3 (Fig. 4- 1).

La sindrome da ripolarizzazione precoce è presente nell'1-2% degli adulti


(prevalentemente maschi) edè stata a lungo considerata una variante
benigna della

pag. 26
normale ripolarizzazione ventricolare. La sua prevalenza è maggiore
negli atleti(10%) e può raggiungere addirittura il 100% se si tratta
individui allenati con elevate performance di resistenza.

La sindrome del QT lungo è caratterizzata da un al- lungamento


dell'intervallo QT corretto (QTc), sincope e morte improvvisa causata da
una torsione delle punte o da una fibrillazione ventricolare.
L'allungamento del QT può essere di origine ereditaria o acquisita (ad es.
da ipopotassiemia, ipomagnesemia, ipocalcemia, anoressia, ischemia,
patologie del sistema nervoso centrale, alcuni farmaci antipsicotici e
antiaritmici).

La sindrome del QT corto (un intervallo QT <0.34 secondi) può essere


secondaria a ipercalcemia, acidosi, sindrome infiammatoria sistemica,
ischemia del miocardio, aumento del tono vagale o può̀ essere di origine
ereditaria autosomica dominante. è associata ad aritmie atriali, come
fibrillazione atriale, sincope, tachicardia ventricolare polimorfa,
fibrillazione ventricolare morte cardiaca improvvisa.

La tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica è un altro


disturbo geneticamente determinato che comporta un difettoso controllo
del flusso degli ioni da parte delle cellule del miocardio. Gli individui
affetti da questo disturbo presentano episodi di tachicardia ventricolare,
sincope, fino alla morte cardiaca improvvisa durante l'infanzia o nella
prima età̀ adulta in concomitanza di un esercizio fisico o uno stress
emotivo.

EPIDEMIOLOGIA:

È ormai da molti anni che le statistiche evidenziano come le malattie


cardiache costituiscono la prima causa di morte nei Paesi
industrializzati. Come prevedibile, in base a quanto detto in precedenza,
l'accurata analisi dei dati statunitensi suddivisi per fasce d'età̀ evidenzia
un primo picco di mortalità̀ da causa cardiaca nella popolazione da 1 a 9
anni, correlata alle cardiopatie congenite, e un successivo e
ingravescente aumento della frequenza degli attacchi ischemici
coronarici e, parallelamente, del tasso di mortalità̀ correlati con
l'avanzare dell'età̀ della popolazione adulta.

Per quanto riguarda l'Italia, i dati dell'annuario ISTAT 2014 attestano che
per i 613.520 decessi registrati nell'anno 2012 le malattie
cardiovascolari hanno costituito la prima causa di morte (75.098, pari
poco più̀ del 12% del totale) seguite, in seconda e terza posizione, da
altre malattie del sistema circolatorio: rispettivamente quelle
cerebrovascolari (61.255, pari al 10% del totale) e le altre malattie del

pag. 27
cuore (48.384, pari aIl'8%). In base ai dati epidemiologici attualmente a
disposizione è difficile stabilire quante di tutte le "morti cardiache"
registrate nelle statistiche mondiali siano state “morti cardiache
improvvise" o non piuttosto conseguenza dell'evoluzione di una
cardiopatia scompensata. Ciò̀ nonostante, l'OMS stima che negli Stati
Uniti si verifichino 300-350.000 eventi l'anno, con un'incidenza totale di
circa 1/1000 abitanti/anno. Anche se studi recenti tendono a
sottostimare o a sovrastimare tale proporzione, prevedendo in Europa
un'incidenza variabile fra 0.61/1000 abitanti/anno e 1.1/1000
abitanti/anno (350-700.000 MCI/anno). è verosimile che il rapporto 0.9-1
ogni 1000 abitanti/anno sia quello corretto. Il che significa, in Italia, una
stima di morti improvvise che varia tra i 55.000 ed i 60.000 casi annui
(una media di una MCI ogni 10 min).

PREVENZIONE:

Le aritmie più̀ spesso all'origine della MCI sono la FV e la TVsp; meno


frequente è l'esordio con asistolia e attività̀ elettrica senza polso. Queste
ultime, peraltro, potrebbero essere il risultato della registrazione tardiva
dell'evento (la FV degenera con il tempo in asistolia) o l'evento terminale
di cardiopatie avanzate. In tali evenienze, l'unico trattamento efficace è
costituito dalla defibrillazione elettrica, con probabilità̀ di successo che
diminuisce del 10-12% per ogni minuto di ritardo nell'attuazione di tale
provvedimento, se nel frattempo nessuno ha effettuato la RCP, o del 3-
4% per minuto in caso di RCP da parte dei soccorritori occasionali.
Anche se la maggior parte degli arresti cardiaci avviene a domicilio, e
solo nel 60% dei casi alla presenza di testimoni, un intervento
tempestivo ed efficace in caso di arresto cardiaco testimoniato può
consentire di salvare migliaia e migliaia di vite umane ogni anno. Da ciò̀
si potrà̀ facilmente capire che per far fronte alla più̀ importante
emergenza medica dei nostri anni e degli anni a venire sono di
fondamentale importanza le misure di prevenzione intese a limitare i
fattori di rischio coronarico e le strategie terapeutiche basate sul
riconoscimento dei segni e sintomi premonitori, con allarme immediato,
BLS immediato e defibrillazione precoce.

pag. 28
9) Arresto cardiaco, l’importanza della diagnosi precoce

10) Rianimazione cardio polmonare e defibrillazione precoce.

Diagnosi di arresto cardiaco:

 Valutazione clinica
 Monitoraggio cardiaco ed ECG
 A volte ricerca della causa (p. es., ecocardiografia, imaging al
torace [RX, ecografia], test degli elettroliti)

La diagnosi di arresto cardiaco viene fatta sulla base della presenza di


segni clinici di arresto respiratorio, assenza di polso e di coscienza. La
pressione arteriosa non è misurabile. Le pupille si dilatano e diventano
non reattive alla luce dopo diversi minuti.

È indispensabile posizionare un monitor cardiaco; esso può mostrare


una fibrillazione ventricolare , una tachicardia ventricolare o
un'asistolia. In alcuni casi è presente un ritmo (p. es., bradicardia
marcata) teoricamente in grado di mantenere il circolo; questo ritmo
può rappresentare una vera attività elettrica senza polso
(precedentemente chiamata dissociazione elettromeccanica) o
un'ipotensione estrema con l'impossibilità a percepire il polso.
Il paziente viene valutato per cause potenzialmente trattabili; un aiuto
mnemonico è "Hs e Ts":

 H:Hypoxia, hypovolemia, acidosi (hydrogen


ion), hyperkalemia o hypokalemia, hypothermia
 T:Tablet or Toxin ingestion (ingestion di tossina),
cardiac tamponade, tension
pneumothorax, thromboembolism (polmonare o coronaico)

pag. 29
Nell'arresto cardiaco pediatrico, l'ipoglicemia ( h di hypoglycemia) è
un'altra causa potenzialmente trattabile.
Sfortunatamente, la causa dell'arresto cardiaco spesso non può essere
identificata durante la rianimazione cardiopolmonare. L'esame clinico,
l'ecografia toracica durante la rianimazione cardiopolmonare e la RX
torace eseguita dopo il ritorno della circolazione spontanea a seguito di
toracostomia con ago possono rilevare uno pneumotorace durante
l'arresto, che suggerisce una causa per il pneumotorace iperteso.
L'ecocardiografia permette di rilevare le contrazioni cardiache e
riconoscere il tamponamento cardiaco, l'ipovolemia grave (cuore
vuoto), il sovraccarico ventricolare destro che suggerisce embolia
polmonare e le anomalie segmentarie della cinetica parietale
ventricolare sinistra che suggeriscono un infarto del miocardio.
Tuttavia, l'ecografia cardiaca transtoracica non deve essere eseguita
se richiede una significativa interruzione della rianimazione
cardiopolmonare.
I test ematici rapidi al letto del paziente possono rilevare livelli
anormali di potassio, contribuendo a confermare il sospetto che
l'arresto cardiaco sia stato causato da un'aritmia secondaria a
iperkaliemia.

Anamnesi fornita dalla famiglia o dai soccorritori può suggerire


overdose.

Per sottolineare l'importanza del fattore tempo, si consideri ad esempio


la sequenza necessaria per garantire l'efficacia degli interventi in quella
che fra le emergenze mediche è la più̀ grave e la più̀ frequente: l'arresto
cardiocircolatorio (ACC) da sindrome coronarica acuta (SCA), che in
Italia provoca circa 50.000 morti cardiache improvvise ogni anno:

 allarme immediato al Servizio d'Emergenza intra- od


extraospedaliero;
 Basic Life Support (BLS) immediate.
 entro 3 min applicazione del defibrillatore automatico nell'ACC
intraospedaliero;
 entro 5 min applicazione del defibrillatore automatico nell'ACC
extraospedaliero;
 immediatamente, a seguire, Advanced Cardiac Life Support (ACLS);
 infine, stabilizzazione delle funzioni vitali in Terapia Intensiva.

E in particolare, si considerino i tempi cronometrici stabiliti nella


sequenza di valutazione/ azione durante la Rianimazione
Cardiopolmonare (RCP).

pag. 30
Il ritmo serrato di questi interventi è legato al fatto che in caso di
arresto cardiaco:

1. solo un tempestivo ripristino della circolazione può̀ evitare


l'instaurazione e la progressione dell'encefalopatia anossica che inizia
dopo 4-5 min di arresto ed esita in danni neurologici permanenti o morte
dell'individuo;

2. l'effettuazione immediata delle compressioni toraciche consente di


sostenere le funzioni vitali nell'intervallo di tempo che precede il
trattamento atto a ripristinare la circolazione, che è costituito dalla
terapia elettrica e/o farmacologica;

3. per essere realmente efficace, la RCP deve essere effettuata


rispettando tempi e modalità̀ ben definiti nell'esecuzione delle procedure
salvavita, in particolare attuando compressioni toraciche di elevata
qualità̀ ed interrotte il meno possibile;

4. ma poiché́ con il passar del tempo la RCP, anche se ben condotta,


diventa via via meno efficace, è fondamentale allertare fin dall'inizio i
servizi d'emergenza per garantire l'arrivo tempestivo di personale
addestrato e/ o dei presidi necessari per riattivare la circolazione il più̀
presto possibile;

5. nella maggior parte dei casi di ACC per SCA l'arresto è provocato da
fibrillazione ventricolare (FV) o tachicardia ventricolare senza polso
(TYsp), il cui trattamento richiede la defibrillazione elettrica;

6. ogni minuto di ritardo prima della defibrillazione significa la perdita


del 10-12% delle possibilità̀ di successo, se nel frattempo nessuno ha
effettuato la RCP, oppure del 3-4% per ogni minuto di ritardo in caso di
RCP da parte soccorritori occasionali: per conseguenza, l'obiettivo da
raggiungere è applicare il defibrillatore entro 3 minuti in caso di ACC
intraospedaliero ed entro 5 min negli altri casi, ricorrendo alla
defibrillazione semiautomatica in aree e settori strategici dove ne sia
prevedibile la necessità d'impiego;

7. non soltanto i tempi di attuazione del BLS e della defibrillazione, ma


anche il tempismo dell'ACLS influenza la sopravvivenza immediata e gli
esiti a distanza dopo ACC.

10) Rianimazione cardio polmonare e defibrillazione precoce.

pag. 31
Nella persona colpita da arresto cardiaco, il sostegno di base delle
funzioni vitali (Basic Life Support, BLS) può essere effettuato da
chiunque senza l'ausilio di particolari strumenti, allo scopo di garantire il
mantenimento della perfusione coronarica e cerebrale durante il tempo
necessario all'arrivo dei soccorsi.

~ di estrema importanza che il BLS venga iniziato precocemente e sia


effettuato in modo appropriato: solo cosi si può rallentare l'evoluzione
verso l'encefalopatia post-anossica o la morte dell'individuo, in attesa
della terapia elettrica e/o farmacologica in grado di ripristinare la
circolazione spontanea. In caso di arresto cardiaco con ritmo di
presentazione defibrillabile, un adeguato BLS triplica le possibilit à̀ di
successo della "terapia elettrica e di sopravvivenza della vittima.

Malgrado l'importanza del BLS, esso viene praticato solo da una


minoranza dei testimoni occasionali di un arresto cardiorespiratorio
extraospedaliero. ~ un dato è fatto che la ripugnanza per il contatto con
la bocca di uno sconosciuto e la paura di contrarre infezione ~
costituiscono un forte deterrente alla ventilazione bocca-a-bocca. Questi
fattori contribuiscono, assieme alla mancanza di una preparazione
specifica sulle manovre elementari di soccorso, a far sì che la
rianimazione ~ cardiopolmonare con ventilazione bocca-a-bocca e
massaggio cardiaco esterno venga effettuata, nei Paesi europei, solo nel
20-40% dei casi in cui essa sarebbe veramente necessaria per le vittime
e senza alcun rischio per i soccorritori.

La popolazione dovrebbe essere informata del fatto e quando la


ventilazione bocca-a-bocca sia temuta o "'praticabile, e la vittima non
presenti segni di circolazione, praticando la RCP con sole compressioni
toraciche, senza ventilare, si possono ottenere comunque buoni risultati
in termini sia di sopravvivenza immediata sia di esiti neurologici a
distanza

Nei 60-80% dei casi di morte cardiaca improvvisa testimoniata, il ritmo


di esordio è costituito da FV/TYsp, che con il passare dei minuti
evolvono in asistolia o PEA. In queste situazioni, l'unica terapia efficace
è la defibrillazione elettrica e la probabilità̀ di un suo successo è
direttamente proporzionale al ritardo con cui viene applicata: per ogni
minuto che passa, le probabilità̀ diminuiscono del 10-12% in assenza di
RCP, e del 3-4% in caso di RCP da parte dei testimoni prima dell'arrivo
del defibrillatore.
Idealmente, la defibrillazione dovrebbe essere somministrata entro 1
minuto dall'insorgenza dell'aritmia, con garanzia di successo del 100%
(compatibilmente con la gravità dell'evento scatenante) come può
avvenire, ad esempio, nei laboratori d'emodinamica o in cardiochirurgia

pag. 32
In pratica, ci si avvicina a queste condizioni ideali se si diffonde l'uso dei
defibrillatori semiautomatici (DAE) anche da parte di personale non
necessariamente dotato di specifica competenza nell'interpretazione
dell'ECG. Queste apparecchiature, infatti, danno la garanzia di
defibrillare solo se necessario, in totale sicurezza, senza dover aspettare
l'arrivo del medico e addirittura, se prontamente disponibili sulla scena
dell'arresto cardiaco, senza neanche dover iniziare la RCP.

La defibrillazione dovrebbe essere garantita entro 3 minuti dall'allarme


in caso di ACC intraospedaliero, ed entro 5 minuti dalla richiesta d'aiuto
al sistema sanitario d'emergenza in caso di ACC extraospedaliero.

Si capisce facilmente, pertanto, il crescente interesse in quest'ultimo


decennio alla diffusione dei DAE in aree e settori strategici dove ne sia
prevedibile la necessità d'impiego implementando l'attivazione dei
programmi di defibrillazione pubblica

11) I quattro anelli della catena della sopravvivenza

~ Il successo della rianimazione dopo arresto cardiaco dipende da una


serie d'interventi critici; se solo uno di questi viene trascurato o
ritardato, l'esito finale sarà̀ invariabilmente negativo.

La metafora della Catena della sopravvivenza, coniata dall'American


Heart Association e universalmente adottata, definisce con chiarezza le
fasi fondamentali del soccorso alle vittime di un arresto cardiaco
sottolineando il seguente concetto: poiché́ una catena è forte quanto il
suo anello più̀ debole, cosi tutti gli anelli della catena devono essere forti
perché gli interventi terapeutici permettano di ottenere un risultato
favorevole.

Nella sua formulazione originale, la catena è composta da quattro anelli:

1. Riconoscimento precoce dell'arresto cardiaco e allarme


immediato;
2. BLS precoce;
3. defibrillazione precoce;
4. ALS precoce.

L'aggettivo "precoce" sta ad enfatizzare l'importanza del fattore tempo


nella sequenza degli interventi previsti nella Catena della Sopravvivenza.
È opportuno ricordare che Peter Safar (1924-2003), il pioniere

pag. 33
dell'emergenza medica, aveva proposto la definizione di Rianimazione
Cardiopolmonare e Cerebrale, invece di quella ormai più̀ familiare di
Rianimazione Cardiopolmonare, proprio per sottolineare come il vero
obiettivo della rianimazione sia quello di ridare la vita ad un paziente
senza reliquati neurologici da anossia cerebrale: ciò̀ si può̀ ottenere solo
lottando contro il tempo,
poiché́ le probabilità̀ di mantenere integro il cervello diminuiscono
rapidamente per ogni minuto di anossia.

Il primo passo d'importanza vitale è il riconoscimento dei segni e sintomi


premonitori di un arresto cardiaco e l'allarme immediato con richiesta
d'aiuto alla Centrale Operativa del Servizio per l'Emergenza
extraospedaliera o al gruppo d'emergenza intraospedaliero. Riconoscere
che una persona sta per andare in arresto cardiaco è estremamente
importante: le probabilità̀ che l'ACC sia la conseguenza di un infarto
miocardico acuto è almeno del 21-33% nella prima ora dopo l'inizio della
sintomatologia, e se i soccorritori arrivano sulla scena prima che la
vittima collassi le possibilità̀ di sopravvivenza sono significativamente
aumentate.

Si può̀ facilmente capire, pertanto, che nell'emergenza extraospedaliera


l'anello più̀ importante della catena è costituito dal comune cittadino e la
classe medica, gli educatori ed i politici dovrebbero sentire la
responsabilità̀ di informare e formare la popolazione su aspetti
fondamentali quali:

• la prevenzione dei fattori di rischio modificabili;


• l'individuazione precoce dei segni premonitori dell'arresto;
• l'attivazione immediata del sistema d'emergenza;
• le manovre essenziali da mettere in atto per sostenere le funzioni vita
li.

Gli altri anelli continuano con la domanda 10.

pag. 34
12) Valutazione dello stato di coscienza.
Per coscienza, in medicina, si intende “la consapevolezza di sé e
dell’ambiente circostante e la capacità di rispondere agli stimoli
ambientali” ed è il risultato di un insieme di processi che sono, fra gli
altri la vigilanza, la consapevolezza, l’attenzione, l’ideazione e la
memoria.

Il soccorritore che ha valutato che il luogo in cui si trova ed in cui deve


operare è sicuro, inizia la valutazione dello stato di coscienza.
La comunicazione con la persona deve avvenire sfruttando tutti i cinque
sensi.
Posti di fronte al corpo steso, per evitare movimenti del collo
dell'infortunato, la persona deve essere scossa leggermente per le spalle
e chiamata ad alta voce. Si noti che il solo stimolo vocale può risultare
inutile in caso di persone sorde. Nell'eseguire questa operazione, il
soccorritore presterà attenzione nel reggere una mano dell'assistito, per
prevenire la sua incolumità nel caso questo si risvegli e, in preda al
panico o sotto l'effetto di stupefacenti, tenti di aggredire il soccorritore.
Se il paziente non reagisce, allora la persona è definita incosciente e va
fatta immediata richiesta a chi ci sta vicino di chiamare il Numero
telefonico per le emergenze mediche (118 in Italia, 144 in Svizzera, 112
nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea) dichiarando che la
persona è incosciente. Nel caso in cui il paziente sia cosciente, può
essere comunque allertata la centrale per l'invio di personale qualificato
al fine di controlli più accurati. Valutato lo stato di coscienza, si
prosegue con le manovre di BLS.

La Glasgow Coma Scale, dall'inglese Scala del coma di


Glasgow o Scala di Glasgow o scala GCS (nota anche
in medicina come Glasgow Coma Score, "punteggio del coma di

pag. 35
Glasgow") è una scala di valutazione neurologica utilizzata da
personale medico e infermieristico per tenere traccia dell'evoluzione
clinica dello stato di coscienza di un paziente traumatizzato.

Essa si basa su tre tipi di risposta agli stimoli (oculare, verbale e


motoria) e si esprime sinteticamente con un numero che è la somma
delle valutazioni di ogni singola funzione (Eye, Verbal, Motor). Il
massimo punteggio è 15 (14 nella prima versione proposta della scala),
corrispondente ad uno stato di coscienza normale, e il minimo 3 che
indica un profondo stato di incoscienza.[1]
Quindi, contrariamente a quello che potrebbe far pensare il nome, non è
una gradazione del coma, ma una scala per tenere conto della gravità
del trauma in virtù di quanto è interessato lo stato di coscienza.
A ogni tipo di stimolo viene assegnato un punteggio e la somma dei tre
punteggi costituisce l'indice GCS; in alternativa, tale indice può venire
espresso in forma analitica (EVM) con i tre punteggi separati. L'indice
può andare da 3 (nel caso E1 V1 M1) a 15 (nel caso E4 V5 M6) [9].
Generalmente, le lesioni cerebrali sono classificate come[10]:

 Grave, con GCS ≤ 8


 Moderata, GCS 9-13
 Minore, GCS ≥ 14.

Glasgow Coma Scale

1 2 3 4 5 6

Allo
Apertura Allo stimolo
Nessuna stimolo Spontanea N/A N/A
occhi doloroso
verbale

Parla e Paziente
Nessun Confusione,
Risposta Suoni pronuncia orientato,
suono frasi N/A
verbale[11] incomprensibili parole, ma conversazione
emesso sconnesse
incoerenti appropriata

Anormale Flessione /
Estensione allo Localizzazione
Risposta Nessuna flessione Retrazione Obbedisce
stimolo dello stimolo
motoria risposta allo stimolo allo stimolo ai comandi
doloroso doloroso
doloroso doloroso

La scala di Glasgow può essere utilizzata nei bambini di età superiore ai


5 anni senza modifiche. I bambini più piccoli e i neonati non sono in

pag. 36
grado di fornire le risposte verbali necessarie affinché il professionista
possa utilizzare la scala per valutare la loro orientamento o obbedire ai
comandi per valutare la loro risposta motoria. Poiché un punteggio di
Glasgow Pediatrico è stato descritto inizialmente ad Adelaide,[12][13] sono
state apportate diverse modifiche senza che ne sia stata accettata
universalmente una particolare.[14] Le versioni seguenti derivano da
quelle di James e della Rete di Applicazione della Ricerca per le Cure di
Emergenza Pediatriche.[15][7]

Glasgow Coma Scale Pediatrica

1 2 3 4 5 6

Apertura Allo stimolo Allo stimolo


Nessuna Spontanea N/A N/A
occhi doloroso verbale

Nessun Gemiti allo Pianto allo


Risposta
suono stimolo stimolo Irritabile/Pianto Balbettio N/A
verbale[11]
emesso doloroso doloroso

Anormale Movimento
Estensione Flessione / Flessione /
Risposta Nessuna flessione spontaneo
allo stimolo Retrazione allo Retrazione
motoria risposta allo stimolo ed
doloroso stimolo doloroso al tocco
doloroso autonomo

L'AVPU è una scala di valutazione dello stato di coscienza che viene


utilizzata soprattutto nel sistema di soccorso extraospedaliero ed è
un'alternativa semplificata alla Glasgow Coma Scale(GCS)[1].
Lo stato di coscienza di un paziente, tramite AVPU, è il primo fattore che
viene preso in considerazione; nonostante ciò, la scala è utilizzata
specificamente per la valutazione neurologica da eseguirsi al
punto D dell'ABCDE[2] attraverso la risposta del paziente agli stimoli
esterni indotti dal soccorritore.
Lo stato di coscienza non è da confondere con lo stato di
consapevolezza: un paziente, infatti, può essere cosciente e responsivo
(alert) ma non essere consapevole, ad esempio, di dove si trovi.
AVPU è un acronimo le cui lettere stanno a
significare Alert, Verbal, Pain, Unresponsive e identificano ognuna uno
stadio di coscienza diverso in base al tipo di stimolo necessario per
evocare una risposta da parte del paziente.

pag. 37
 Alert (vigile): il paziente è sveglio e cosciente; questo stato
viene valutato positivamente se il paziente riesce a rispondere
in maniera chiara a semplici domande quali "Cosa è successo?"
o "Come si chiama?".
 Verbal (verbale): il paziente risponde anche muovendo gli occhi
o con atti motori ma solo a stimoli verbali, ovvero se chiamato,
mentre senza stimoli risulta confuso o assopito.
 Pain (dolore): il paziente non risponde agli stimoli verbali ma
soltanto agli stimoli dolorosi, scuotendo (nel paziente non
traumatizzato) e/o pizzicando la base del collo.
 Unresponsive (senza risposta): in questo stadio il paziente non
risponde né agli stimoli verbali né a quelli dolorosi e risulta
quindi completamente incosciente;

13) GAS e MO.TO.RE metodologia e tempistica

Con “manovra GAS “, acronimo di “guardare, ascoltare, sentire “, in


inglese “looking, listening, feeling“) nel soccorso si indica un insieme di
tre azioni specifiche utilizzate dai soccorritori di primo soccorso per
verificare se il soggetto respira o no e per monitorare rapidamente e
senza l’ausilio di macchinari, i segni vitali del soggetto da soccorrere,
utilizzando tre sensi: vista, udito e tatto.
La GAS si effettua generalmente alla lettera “B” della regola ABC, quindi
DOPO aver verificato la pervietà delle vie aeree (lettera “A”) e PRIMA di
verificare la circolazione (lettera “C”).

pag. 38
Se l’infortunato è incosciente in genere si usa la manovra GAS, se invece
è cosciente si usa la manovra OPACS.

La OPACS serve principalmente per verificare la “qualità” della


respirazione (certamente presente se il soggetto è cosciente), mentre la
GAS serve principalmente per verificare se il soggetto incosciente
respira o no.

Un caso frequente è la situazione in cui il primo soccorritore accorso sul


luogo di un incidente stradale, debba rapidamente verificare se
l’infortunato in stato di incoscienza o se stia respirando più o meno
normalmente, cioè con una frequenza respiratoria ed una estensione
toracica adeguate.

Vantaggi della GAS

 non ha alcun costo per la collettività;


 è facile da usare;
 può essere usata da chiunque, anche senza competenze mediche;
 non necessita di macchinari specifici;
 consente di intuire rapidamente quanto sia grave la situazione
(dando così informazioni più dettagliate all’operatore del Numero
Unico per le Emergenze 112);
 consente di capire se è necessario intervenire con tecniche di
rianimazione come la respirazione bocca a bocca;
 migliora le possibilità di evitare danni anche gravissimi ed
irreversibili all’infortunato;
 migliora le possibilità di evitare la morte del soggetto infortunato.

Esecuzione della GAS


Il soccorritore si pone a un lato della testa dell’infortunato e avvicina il
proprio orecchio alla bocca e al naso del soggetto, a circa 3 – 4 cm),
osservando contemporaneamente l’espansione del torace (in particolare
in caso di infortunato donna) e/o l’addome (in particolare se l’infortunato
è uomo), poggiandovi anche sopra delicatamente una mano. Il
soccorritore dovrà:

A) guardare

 l’espansione del torace e/o dell’addome: da notare che l’espansione


deve essere abbastanza ampia e la frequenza respiratoria al minuto
dovrebbe essere preferibilmente tra 12 e 20 atti al minuto,
 la bocca per la presenza di un corpo estraneo o per segni di
cianosi;

pag. 39
B) ascoltare la presenza di rumori respiratori, come eventuali sibili;
C) sentire il calore e la pressione dell’aria espirata sulle proprie guance.

Questa osservazione viene mantenuta per circa 10 secondi (contati ad


alta voce poiché contare ad alta voce serve a chi interviene nel
frattempo, e conosce i fondamenti della BLS, a capire senza
interrompervi che può essere necessario il suo aiuto). È necessario fare
attenzione a non confondere ansimi e gorgoglii emessi in caso di arresto
respiratorio con la respirazione normale. L’iperestensione si effettua
ponendo una mano sulla fronte e due dita sotto la protuberanza
mentoniera, in seguito portando la testa all’indietro sollevando il mento.

Mentre si effettua la manovra GAS il soccorritore valuta se sono presenti


elementi che manifestino la presenza di circolazione interna: movimenti
della persona, degli arti, colpi di tosse, respiro. La manovra è definita
MO.TO.RE. (Movimenti, Tosse, Respiro). Oltre a queste due operazioni, è
possibile la ricerca del polso (anche se varia da regione a regione per i
protocolli 118 di competenza), preferibilmente carotideo (premere con i
polpastrelli di indice e medio sulla carotide, posta lateralmente al pomo
di Adamo), giacché permette la percezione di battito cardiaco anche ad
una pressione arteriosa sistolica (massima) di 50 mmHg, mentre il polso
radiale e femorale non permettono di reperire battito con pressione
arteriosa sistolica inferiore a 80 mmHg. Comunque, poiché́ non è facile
cercare il polso carotideo soprattutto se non si è esperti, la presenza di
MO.TO.RE., anche quando il polso carotideo non è apprezzabile, è una
prova certa che il cuore sta battendo.

La ricerca di segni di circolo (MO.TO.RE.) non deve in nessun modo


ritardare le operazioni di soccorso, per cui in caso di dubbio, si assume
che l'attività cardiaca sia assente.
In assenza di MO.TO.RE. è indispensabile iniziare la rianimazione cardio-
polmonare RCP. Se si è da soli a soccorrere si chiama in questo
momento il 118. Se i soccorsi sono stati già chiamati, è importante
confermare che c'è una persona in arresto respiratorio e senza segni di
circolo.

pag. 40
14) Valutazione del circolo

C: Circulation

Mentre si effettua la manovra GAS il soccorritore valuta se sono presenti


elementi che manifestino la presenza di circolazione interna: movimenti
della persona, degli arti, colpi di tosse, respiro. La manovra è definita
MO.TO.RE. (MOvimenti, TOsse, REspiro). Oltre a queste due operazioni, è
possibile la ricerca del polso (anche se varia da regione a regione per i
protocolli 118 di competenza), preferibilmente carotideo (premere con i
polpastrelli di indice e medio sulla carotide, posta lateralmente al pomo
di Adamo), giacché permette la percezione di battito cardiaco anche ad
una pressione arteriosa sistolica (massima) di 50 mmHg, mentre il polso
radiale e femorale non permettono di reperire battito con pressione
arteriosa sistolica inferiore a 80 mmHg. Comunque, poiché non è facile
cercare il polso carotideo soprattutto se non si è esperti, la presenza di
MO.TO.RE., anche quando il polso carotideo non è apprezzabile, è una
prova certa che il cuore sta battendo.

La ricerca di segni di circolo (MO.TO.RE.) non deve in nessun modo


ritardare le operazioni di soccorso, per cui in caso di dubbio, si assume
che l'attività cardiaca sia assente.
In assenza di MO.TO.RE. è indispensabile iniziare la rianimazione cardio-
polmonare RCP. Se si è da soli a soccorrere si chiama in questo
momento il 118. Se i soccorsi sono stati già chiamati, è importante
confermare che c'è una persona in arresto respiratorio e senza segni di
circolo.

pag. 41
15) Le compressioni toraciche: metodologia e compiti del soccorritore.
Alla 15 la risposta sta nelle risposte precedenti

16) Il defibrillatore semiautomatico, descrizione e metodologia di utilizzo;

Nel DAE semiautomatico (che tuttavia è abitualmente, anche se


impropriamente, etichettato come automatico) o "a richiesta di scarica";
i condensatori si caricano solo dopo che siano state identificate una FV
o una TVsp, dopodiché́ l'apparecchio segnala che è necessaria la
defibrillazione e lascia all'operatore la decisione se impartire o meno lo
shock. Può̀ essere provvisto o non di un display per la visualizzazione
dell'ECG.

Un defibrillatore semiautomatico analizza automaticamente il ritmo


cardiaco, determina se per tale ritmo è necessaria una scarica e, se
essa è necessaria, seleziona sempre in modo automatico il livello di
energia necessario. L'utente che lo manovra non ha la possibilità di
modificare l'intensità della scarica o di forzarla se il dispositivo segnala
che non è necessaria.
Il funzionamento avviene per mezzo dell'applicazione di placche adesive
sul petto del paziente. Quando tali elettrodi vengono applicati al
paziente, il dispositivo controlla il ritmo cardiaco e – se necessario – si
carica e si predispone per la scarica. Quando il defibrillatore è carico,
per mezzo di un altoparlante, fornisce le istruzioni all'utente, ricordando
che nessuno deve toccare il paziente e che è necessario premere
l'apposito pulsante per erogare la scarica.
Dopo ciascuna scarica, il defibrillatore si mette «in attesa» e dopo due
minuti (corrispondenti a circa sei cicli di RCP) effettua nuovamente
l'analisi del ritmo cardiaco, e se necessario effettua una nuova scarica.
All'interno del DAE è presente una piccola «scatola nera» che, dal
momento in cui l'apparecchio viene acceso, registra tutti i rumori
ambientali tramite un microfono e l'elettrocardiogramma del paziente dal
momento in cui vengono collegate le placche.

pag. 42
l defibrillatore si presenta come una scatola di dimensioni variabili, a
seconda del modello che si possiede. Le sue dimensioni sono circa
30 cm per 30 cm per una ventina di altezza. Al suo interno si trova, oltre
agli elettrodi che sono due, anche un kit di rasatura per togliere i
possibili peli presenti sul petto della vittima (in alcuni si trovano, oltre
alle placche per adulto, anche quelle pediatriche).
Il defibrillatore, oltre ad effettuare per mezzo di elettrodiadesivi una
scarica elettrica che va a ristabilire un battito regolare del cuore, in
caso di un arresto cardio-respiratorio, effettua in maniera automatica
l'esame cardiaco della vittima cercando la sua pulsazione, e in caso di
arresto agisce sulla possibile fibrillazione che il cuore dopo
un infarto sviluppa per una durata molto breve.
Fondamentale è che gli elettrodi adesivi aderiscano perfettamente,
perché una loro adesione parziale o non corretta provocherebbe una
rilevazione sbagliata o in molti casi del tutto assente da parte del
defibrillatore.

Posizionamento degli elettrodi rispetto al cuore.


Una volta spogliato il paziente e rasata la parte sotto-clavicolare destra
e sotto-ascellare sinistra, si applicano i due elettrodi e si accende il
defibrillatore. I moderni D.A.E. sono in grado di guidare, tramite una voce
registrata, il soccorritore esperto o il semplice cittadino tramite le
poche tappe e manovre da effettuare.
Una volta acceso, l'apparecchio chiederà di collegare le placche
(elettrodi) al paziente e di inserire lo spinotto degli elettrodi nell'apposito
connettore. Una volta fatto ciò, il defibrillatore effettuerà l'analisi del

pag. 43
paziente, intimando, durante tale fase, di non toccare il paziente. A quel
punto, se riconosce un battito anche debole, dirà che la scarica non è
necessaria e richiederà di controllare la respirazione. Se riconosce
un ritmo cardiaco defibrillabile, come fibrillazione
ventricolare o tachicardia ventricolare, segnalerà la necessità della
scarica e si preparerà a scaricare. Se invece il cuore non batte o viene
rilevato un ritmo non defibrillabile, il DAE dirà che non è necessaria la
scarica e chiederà di riprendere le manovre di rianimazione
cardiopolmonare.
Il defibrillatore, mentre analizza il ritmo cardiaco del paziente tra un
ciclo di rianimazione cardiopolmonare e l'altro, segnala sempre di
allontanarsi dal paziente e di non toccarlo. Quando è necessario
effettuare la scarica, viene emesso un segnale acustico e si accende la
segnalazione luminosa del pulsante di scarica. In questo momento
l'apparecchio è pronto a scaricare, e la scarica viene erogata premendo
l'apposito pulsante. A questo proposito è utile ricordare agli astanti che
assistono ad una scena di rianimazione cardiopolmonare di prestare
molta attenzione a ciò che dice il soccorritore addetto all'utilizzo del
D.A.E. ed in particolare alla famosa "filastrocca di sicurezza": « via io, via
voi, via tutti», con la quale l'operatore intima a sé stesso, ad altri
soccorritori e a tutti i presenti di allontanarsi e non toccare il paziente.
Sarebbe opportuno spegnere tutti gli strumenti elettronici nelle
vicinanze del D.A.E. quando questo è in funzione.
Dopo aver scaricato, l'apparecchio va in pausa per circa 2 minuti,
trascorsi i quali effettua un'altra rilevazione delle funzioni elettriche del
cuore, tornando ad avvertire di non toccare il paziente. A questo punto,
se il cuore ha ripreso a battere, come detto prima, richiederà di
controllare il respiro.
Se il cuore non ha ripreso a battere, si deve continuare con la manovra
del BLS senza staccare gli elettrodi. Dopo 2 minuti, durante i quali i
soccorritori devono eseguire la RCP, lo strumento avvertirà che sta
nuovamente procedendo al controllo delle funzioni cardiache,
rammentando allo stesso tempo di non toccare il paziente, per poi
dichiarare se si deve effettuare una nuova scarica. Continuerà così
sempre, fino alla completa risoluzione del problema cuore-polmoni.
L'aspetto del defibrillatore e le sue funzioni come ordine di frasi possono
leggermente variare a seconda del modello e del tipo di strumento.
Resta comunque uno standard comune delle fasi che devono essere
effettuate.

17) Tempi della rianimazione cardiopolmonare RCP


pag. 44
 Non più di 10 secondi per valutare respiro/circolazione.
 Immediatamente dare l'allarme.
 Immediatamente passare alle compressioni toraciche nel soggetto
che non respira normalmente.
 15-18 secondi per effettuare 30 compressioni toraciche (frequenza
120-1OO/ min).
 Non più̀ di 10 secondi di interruzione della RCP per effettuare due
tentativi di ventilazione.
 1 secondo per erogare aria/ossigeno ad ogni ventilazione di
soccorso.
 Non più̀ di 5 secondi di interruzione della RCP per effettuare la
defibrillazione manuale.
 2 minuti di RCP prima di ricontrollare il ritmo cardiaco.
 Immediatamente riprendere la Rep dopo ogni controllo del ritmo
con o senza defibrillazione.
 Appena possibile: ossigeno, accesso venoso (EV) o intraosseo (la),
controllo avanzato delle vie aeree, eventuale ecografia.
 Adrenalina EV/IO appena possibile nei ritmi non defibrillabili, dopo
il 3° shock in quelli defibrillabili; da ripetere ogni 3-5 min.
 Amiodarone EV/IO prima dose dopo il 3° shock nei ritmi
defibrillabili; eventuale seconda dose dopo il 5° shock.
 10-20 secondi di sollevamento del braccio dopo somministrazione
di farmaci attraverso una vena periferica.
 Non più̀ di 5 secondi di interruzione della RCP per inserire il tubo in
trachea durante l'intubazione.
 Non più̀ di 10 secondi di interruzione della RCP per il controllo
ecografico sotto xifoideo.

18) Metodologia della rianimazione cardiopolmonare.

Nei primi minuti che seguono un ACC non causato da sufficienza


respiratoria acuta, come nel caso più frequente per l'adulto di arresto
cardiaco per sindrome coronarica acuta, il contenuto di ossigeno nel
sangue arterioso è elevato (circa 1.000 mL di O, legati all'emoglobina in
un soggetto di 70 kg, con Hb 15 g/dL e saturazione arteriosa in ossigeno
>90% al momento dell'arresto) e l'ipossiemia cerebrale e coronarica
sono dovute principalmente all'assenza di flusso ematico. Da ciò̀
emergono, in questi casi, sia l'importanza delle compressioni toraciche

pag. 45
per far circolare il sangue già -ossigenato, sia il presupposto teorico che
potrebbero bastare le sole compressioni toraciche, senza ventilazioni,
per una RCP anche di lunga durata (10 min o più, tenendo presente la
contemporanea diminuzione del consumo d'ossigeno da parte
dell'organismo). Questo presupposto è stato confermato da diversi studi
clinici osservazionali che giustificano l'incoraggiamento ad effettuare la
RCP con sole compressioni rivolto ai soccorritori che non sono
addestrati o non possono associarvi le ventilazioni (vedi avanti). Invece
ai soccorritori addestrati e in grado di eseguire le ventilazioni, le più̀
recenti linee guida raccomandano di effettuare sempre le compressioni
toraciche che le ventilazioni, a maggior ragione se l'arresto è la
conseguenza di un'ipossia grave, come generalmente accade nei
bambini e nei casi di soffocamento per gli adulti, dove la RCP deve
considerare necessariamente le ventilazioni di soccorso. Pertanto la
sequenza della RCP effettuata da soccorritori addestrati potrà̀ essere del
tipo A-B-C (Airway -eathing - Chest compression) oppure A-C-B in base
tipologia delle vittime ed ai protocolli locali.

Durante la RCP nell'adulto, l’ossigenazione e la rimozione della CO2


possono essere garantite erogando 2 ventilazioni ogni 30 compressioni
toraciche. ln tal modo si somministrano solo 5 ventilazioni/min circa, ma
la produzione di CO, durante l'arresto cardiaco è molto ridotta (in
rapporto direttamente proporzionale rispetto alla gettata cardiaca
generata dalle compressioni toraciche); l'aria insufflata dal soccorritore
è quella che egli espira, ma contiene una quantità̀ di ossigeno sufficiente
allo scopo, cioè̀ 16-17% di O2 invece del 21% normalmente presente
nell'aria ambiente, il che significa circa 125 mmHg di PO, a livello del
mare (1 Atm = 760 mmHg).

In 1 secondo si eroga un volume corrente di 500- 600 mL (6-7 mUkg) con


la tecnica bocca-a-bocca, che è la metodica standard, o con quella
bocca-a-naso, che è riservata ai soccorritori esperti per la ventilazione in
casi particolari.

Per evitare il contatto diretto delle proprie labbra con quelle della
vittima e tutelarsi in qualche modo dal rischio di trasmissione delle
infezioni, i soccorritori addestrati possono tenere sempre con sé ed
utilizzare al bisogno semplici dispositivi di protezione, a forma di
fazzoletto/ mascherina in materiale plastico trasparente con un orifizio
centrale munito di valvola unidirezionale, purché́ essi siano prontamente
disponibili e la loro applicazione non ritardi le manovre di rianimazione.

Se la prima ventilazione di soccorso non risulta efficace, prima di


effettuare la seconda ventilazione può̀ essere necessario ricontrollare
l'apertura delle vie aeree, ma in ogni caso non si devono effettuare più̀ di

pag. 46
due tentativi di ventilazione ogni volta prima di ritornare alle
compressioni toraciche.

Durante la ventilazione bisogna evitare di creare una pressione di


insufflazione eccessiva (>25 cm H2O), in quanto essa può̀ forzare il
passaggio di aria nello stomaco. L'insufflazione dell'aria in 1 secondo,
attualmente raccomandata, è ritenuta il giusto compromesso fra
l'opportunità̀ di evitare l'inflazione dello stomaco e la necessità di
riservare più̀ tempo possibile alle compressioni del torace.

In pratica durante la RCP 30:2 le due ventilazioni di soccorso devono


essere effettuate in non più di 10 secondi.

Per garantire l'efficacia del trattamento, il soccorritore deve assicurarsi


che la ventilazione del paziente sia adeguata: guardando l'espandersi e
l'abbassarsi del torace, sentendo sulla guancia e ascoltando il rumore
del flusso in uscita durante l'espirazione della vittima (GAS).

Se i soccorritori sono due, invece di uno solo, la RCP è meno faticosa in


quanto si possono alternare ogni due minuti (5 cicli 30:2) nell'esecuzione
delle compressioni toraciche. Ma perché́ sia efficace è necessario che
essi sappiano coordinare adeguatamente le loro azioni; pertanto, la RCP
a 2 è una procedura raccomandata solo a team di soccorso collaudati.

La posizione consigliata nella RCP a 2 è quella in cui soccorritori si


mettono uno davanti all'altro, rendendo così più̀ facile lo scambio dei
ruoli.

Il soccorritore addetto alle compressioni ne scandisce a voce alta la


sequenza ("10-20-27-28-29-30!") e l'addetto alla ventilazione scandisce il
numero dei ciel 30:2; dopo 5 cicli di compressioni e ventilazioni ("Quinto
ciclo!"), se il team è ben sincronizzato, sono passati due minuti. La
numerazione progressiva dei cicli consentirà̀ di stabilire con buona
approssimazione quanto tempo è trascorso dall'inizio della RCP all'arrivo
del DAE o dei soccorsi organizzati.

Se il soccorritore addetto alle compressioni è stanco e chiede di


cambiare posizione, termina la serie di 30 compressioni e si sposta al
capo della vittima per ventilarla, così il collega ha tutto il tempo di
prendere posizione per subentrare nell'effettuazione delle compressioni
toraciche senza inutili ritardi.

La RCP a due è ben coordinata e senza tempi morti se, non appena finita
una serie di 30 compressioni, il soccorritore alla testa della vittima è già

pag. 47
pronto ad influssare, e se la compressione del torace viene ripresa non
appena termina la seconda insufflazione e inizia l’espirazione.

19) La posizione di sicurezza

La posizione laterale di sicurezza è una tecnica di primo


soccorso utilizzata per permettere a una persona in stato
di incoscienza di respirare liberamente, e in questa persona bisogna
porre il paziente mentre si attende l’arrivo di soccorsi qualificati. È una
soluzione valida soprattutto quando il rapporto fra soccorritori e vittime
sia inferiore ad uno, e, pertanto, non possa essere garantito il controllo
continuo delle vie aeree per ciascuna di esse. La manovra dovrebbe
essere effettuata da almeno due soccorritori, uno dei quali si preoccupi
di mantenere sempre allineati capo, collo e tronco della vittima. Se un
soccorritore è da solo, ed è certo che non vi siano lesioni vertebra-
midollari:

1. Si inginocchia a lato della vittima e controlla che le gambe siano


allineate;
2. afferra il braccio della vittima più̀ vicino a sé e lo mette ad angolo

retto rispetto al corpo, con l'avambraccio pie- gato a 90° rispetto al


braccio e verso l'alto;
3. quindi piega sul torace il braccio più̀ lontano, appoggiandone la
mano sulla spalla della vittima;
4. solleva il ginocchio della gamba dello stesso lato;
5. quindi controlla che il piede sia ben appoggiato sul terreno;
6. poi afferra l'anca e la spalla e ruota la vittima verso di sé;
7. al termine della rotazione controlla la posizione della gamba libera,
controllando che resti piegata ad angolo retto a livello di anca e
ginocchio;
8. estende bene la testa per garantire che le vie aeree restino aperte,
estensione che può essere mantenuta anche posizionando la mano
del braccio libero sotto il mento della vittima;
9. Infine controlla periodicamente che la vittima continui a respirare
spontaneamente;

pag. 48
La manovra può essere eseguita anche in altri modi; essa dovrebbe
comunque garantire:

 la posizione laterale con il capo declive per il drenaggio delle


secrezioni;
 la stabilità della posizione;
 la possibilità̀ di passare con facilità e sicurezza (colonna cervicale)
dalla posizione laterale a quella supina, e viceversa;
 la facilità di accesso alle vie aeree;
 l'assenza di lesioni da compressione (schiacciamento di vasi e
nervi degli arti); se la vittima deve restare per lungo tempo nella
posizione laterale di sicurezza, è necessario ruotarla
periodicamente per evitare che rimanga sempre sullo stesso fianco
per più di 30 min.

Posizione Laterale di Sicurezza

pag. 49
20) Soffocamento di un adulto cosciente, modalità di intervento
21) Soffocamento di un adulto incosciente, modalità di intervento

L'ostruzione delle vie aeree da corpi estranei è un’evenienza che se non


viene rimossa può̀ portare a morte in pochi minuti. È un problema più̀
comunemente riscontrabile nei bambini; negli adulti si presenta
raramente ed è causato per lo più da grossi bocconi di cibo o frammenti
di protesi dentarie in soggetti con riflessi della tosse torpidi per abuso di
alcool o di sedativi, oppure con malattie neurologiche.

Poiché́ il suo riconoscimento è fondamentale per poter effettuare con


successo le manovre necessarie, è importante saper distinguere questo
tipo di emergenza da altre condizioni che in un adulto possono causare
distress respiratorio improvviso, cianosi o perdita di coscienza, come ad
es. lipotimia, infarto miocardico, crisi convulsive od altro.

Le modalità̀ di trattamento dipendono dalla gravità dell'ostruzione e dal


mantenimento o meno dello stato di coscienza.

In caso di ostruzione lieve, in cui la vittima è ancora in grado di parlare e


di tossire, non bisogna interferire con i suoi tentativi di espellere il corpo
estraneo.

1. In caso di ostruzione grave, con vittima cosciente che dà segni di


affaticamento, o smette di respirare e di tossire, allora bisogna
immediatamente:

 assestare fino a cinque colpi sulla schiena, fra le scapole, con il


palmo di una mano;

pag. 50
 controllare dopo ogni colpo sulla schiena se ha prodotto l'effetto
desiderato; lo scopo è quello di rimuovere l'ostruzione con ciascun
colpo, piuttosto che con la serie di 5;
 se non sono efficaci, somministrare fino a cinque compressioni
addominali;
 continuare alternando i colpi sulla schiena e le compressioni
addominali.

2. In caso di ostruzione grave, con vittima priva di coscienza, la


procedura è la seguente:

 se la vittima perde conoscenza mentre si stanno effettuando senza


successo i tentativi di disostruzione di cui sopra, sorreggerla
mentre si accascia al suolo in modo da attenuare l'impatto;
avvisare immediatamente iI112/118;
 iniziare la RCP con 30 compressioni toraciche, indipendentemente
dal fatto che i soccorritori esperti possano rilevare la presenza di
polso carotideo;
 dopo 30 compressioni, controllare rapidamente in bocca se è
visibile il corpo estraneo parzialmente espulso per rimuoverlo con
le dita, evitando qualsiasi manovra di rimozione alla cieca, e quindi
tentare 2 ventilazioni di soccorso prima di ricominciare con le
compressioni; ripetere il controllo in bocca ad ogni ciclo di 30:2
prima delle ventilazioni.

Nel 50% dei casi la disostruzione delle vie aeree non si ottiene con una
singola manovra, ma con l'associazione di più̀ di una tecnica. In caso di
successo, se si è utilizzata la manovra di Heimlich è opportuno valutare
successivamente la presenza di eventuali lesioni addominali.

PERCUSSIONE DELLA SCHIENA

È la prima manovra da effettuare sul soggetto con ostruzione grave delle


vie aeree che sia ancora cosciente, in piedi :

 mettersi al fianco della vittima ed un po' dietro


 con una mano, sostenerne il torace ben piegato in avanti, in modo
che il corpo estraneo, una volta spostato di sede, esca dalla bocca;
 con il palmo della mano libera, somministrare fino a cinque colpi
decisi sulla schiena, in mezzo alle scapole.

COMPRESSIONE DELL'ADDOME

La compressione addominale sub diaframmatica, detta anche manovra


di Heimlich, ha lo scopo di spingere bruscamente il diaframma verso

pag. 51
l'alto, creando una tosse artificiale così efficace da espellere il corpo
estraneo. Si applica alla vittima di un'ostruzione grave delle vie aeree
che sia ancora cosciente, in piedi, dopo aver somministrato senza
successo una serie di 5 colpi sulla schiena.

Dovrebbe essere effettuata da soccorritori esperti, per le possibili


complicanze: lesioni degli organi addominali, vomito ed inalazione. Non
deve essere effettuata, ovviamente. nelle gravide. Se la corporatura
della vittima o del soccorritore non consente questo tipo di approccio,
allora ci si deve limitare alla somministrazione dei colpi sulla schiena
fintanto ché la vittima rimane cosciente.

Tecnica:

 mettersi alle spalle della vittima circondandole la vita con le


braccia e tenendola piegata in avanti, in modo che il corpo
estraneo, una volta spostato di sede, esca dalla bocca;
 stringere una mano a pugno con il pollice all'interno e appoggiarla
contro l'addome della vittima, posizionandola sulla linea mediana,
poco sopra l'ombelico e sotto il processo xifoideo (sulla bocca
dello stomaco);
 quindi afferrare il pugno con l'altra mano e, premendolo contro
l'addome, esercitare in rapida sequenza delle brusche
compressioni verso l'interno e verso l'alto;
 effettuare le compressioni in sequenza: ogni spinta deve essere un
movimento distinto e separato da ripetere, se necessario, fino a
cinque volte.

22)Le aritmie ipocinetiche e le aritmie ipercinetiche, concetti


della emergenza e urgenza.
Il termine aritmia si riferisce a qualsiasi disturbo della frequenza, della
regolarità̀ , della sede di origine o della conduzione dell'impulso elettrico
cardiaco. Un'aritmia può̀ essere un singolo battito aberrante, una pausa
prolungata tra battiti, oppure un disturbo del ritmo sostenuto. Non tutte
le aritmie sono anomale o pericolose. Ad esempio, frequenze cardiache
da 35 a 40 battiti al minuto sono comuni e abbastanza normali negli

pag. 52
atleti ben allenati. Singoli battiti anomali, originati al di fuori del nodo
senoatriale, spesso si verificano nella maggior parte de- gli individui
sani. A volte esse passano inosservate da parte del paziente, o causano
solo un lieve fastidio, e vengono riconosciute occasionalmente durante
una visita medica di controllo; in altri casi, invece, esse provocano gravi
alterazioni dell'equilibrio emodinamico, con ipotensione severa o shock,
edema polmonare acuto, angina, sincope, se non anche morte cardiaca
improvvisa.

Qualunque sia l'aritmia, bisogna valutaria nel contesto clinico in cui si


verifica, perché́ l'instabilità̀ emodinamica di cui può̀ essere responsabile
dipende da più̀ fattori: frequenza cardiaca e durata dell'aritmia,
cardiopatia sottostante, condizioni di salute ed età̀ del paziente.

Esistono vari tipi di aritmia, a seconda della sede cardiaca coinvolta e


del tipo di anomalia elettrica.
Le aritmie si possono suddividere in aritmie
ipercinetiche (sopraventricolari e ventricolari) ed ipocinetiche.

Aritmie ipercinetiche

1) Aritmie sopraventricolari:

 Extrasistoli

 Tachiaritmie: Fibrillazione atriale, flutter atriale, tachicardia


reciprocante nodale (TRN), Sindrome di Wolff-Parkinson-
White;

2) Aritmie ventricolari

 Extrasistoli ventricolari, tachicardia ventricolare, fibrillazione


ventricolare;

Aritmie ipocinetiche

 Malattia del nodo del seno;

 Blocchi atrioventricolari;

Per gestire correttamente un’emergenza/urgenza aritmica bisogna


domandarsi prima di tutto come sta il paziente, e solo dopo di che tipo di
aritmia si tratta; è fondamentale effettuare un'attenta anamnesi clinica e
farmacologica, e valutare non soltanto la cardiopatia soggiacente, ma

pag. 53
anche i possibili fattori causali o concausali suscettibili di correzione
(che potrebbero essere alterazioni elettrolitiche, intossicazione
digitalica, ecc.).

Oltre alla somministrazione di ossigeno, che può̀ rendersi necessaria per


garantire livelli adeguati di SaO, (94-98%) nelle situazioni a rischio di
arresto cardiaco o successive ad esso, le opzioni disponibili nel
trattamento immediato delle aritmie sono:

1. farmaci antiaritmici e non,


2. cardioversione elettrica sincronizzata,
3. pacing elettrico,
4. manovre fisiche (manovre vagali, fist pacing, pugno precordiale).

Va tenuto ben presente che tutte queste opzioni possono essere a loro
volta aritmogene e, quindi, un peggioramento clinico può̀ essere il
risultato del trattamento piuttosto che la conseguenza dell'inefficacia
dello stesso.

Tutti i farmaci antiaritmici sono a loro volta aritmogeni e l'uso di cocktail


di farmaci antiaritmici o di dosi elevate di un solo farmaco può causare
depressione miocardica e ipotensione, che a loro volta aggravano
l'aritmia. Pertanto, ogni decisione in merito va presa con cautela
soprattutto nei casi refrattari al trattamento e nei pazienti sintomatici.

Per i pazienti con aritmie che causino un importante squilibrio


emodinamico è preferibile ricorrere in prima istanza alla terapia
elettrica, se prontamente disponibile.

La cardioversione elettrica sincronizzata serve ad interrompere la TV


con polso (TVcp) presente o le aritmie sopra ventricolari come la
fibrillazione ed il flutter atriale ed è tanto più indicata quanto più queste
aritmie sono sintomatiche.

La sincronizzazione dello shock elettrico con l'onda R sul tracciato ECG


riduce al minimo il rischio di indurre FV, il che potrebbe accadere se la
scarica raggiungesse il cuore nel periodo di refrattarietà̀ relativa (parte
discendente dell'onda T).

Pertanto, la cardioversione viene effettuata con shock elettrici


somministrati esattamente in corrispondenza dell'onda R.

La sincronizzazione può̀ essere difficile per la TV a causa dei complessi


larghi e delle morfologie variabili delle aritmie ventricolari; in tal caso,
se la sincronizzazione fallisce e il paziente è instabile, bisogna

pag. 54
somministrare shock non sincronizzati per evitare un eccessivo ritardo
nel ripristinare il ritmo sinusale.

L'energia necessaria per cardiovertire una TV dipende dalle


caratteristiche morfologiche e dalla frequenza dell'aritmia: la TVcp
polimorfa, più rapida e disorganizzata, si comporta come una FV e
richiede analogo trattamento.

Nei pazienti coscienti è necessaria l'anestesia generale o la sedazione.

Il pacing transcutaneo (procedura descritta nel Cap. 44 a pago 692)


trova indicazione nel trattamento delle gravi bradicardie con instabilità̀
emodinamica che non rispondono al trattamento con atropina o con
farmaci di seconda scelta. Vi sono compresi: i blocchi atrioventricolari
(BAV) completi, i blocchi atrioventricolari di secondo grado sintomatici,
la "sick sinus syndrome" sintomatica, le bradicardie indotte da farmaci
(ad es. amiodarone, digitale, l3-bloccanti, calcioantagonisti,
procainamide) o da un guasto irrimediabile del pacemaker interno, le
bradicardie idio-ventricolari, la fibrillazione atriale sintomatica a bassa
penetranza ventricolare, le bradicardie refrattarie durante la
rianimazione di uno shock ipovolemico e le bradiaritmie con un ritmo di
scappamento ventricolare maligno.

Nell'arresto cardiaco il pacing trova indicazione solo in caso di asistolia


con onde P.

In tal caso l'intensità̀ della corrente di stimolazione viene impostata


inizialmente sul valore massimo per poi ridurla dopo la cattura, mentre
invece nel paziente con bradicardia sintomatica si parte dal livello
minimo fino alla cattura del battito. In caso di asistolia con onde P
assenti, il ricorso al pacing si è dimostrato inutile.

In altre situazioni, come nei BAV di secondo e di terzo grado


relativamente asintomatici, come si può̀ osservare nei pazienti con
infarto miocardico inferiore, il pacing viene applicato in modalità̀ stand-
by per essere prontamente utilizzato in caso di deterioramento
dell'assetto emodinamico.

Del tutto particolare è la stimolazione overdrive (con una frequenza di


impulsi leggermente superiore a quella della tachicardia) che trova
indicazione in caso di TV con torsione delle punte per evitare una
ricaduta subito dopo la correzione dell'aritmia.

In ogni caso, la stimolazione transcutanea è impiegata come


provvedimento temporaneo fino all'inserimento di un pacemaker trans

pag. 55
venoso, o fino a che le cause sottostanti alla bradiaritmia non vengano
corrette.

Alcuni pazienti riescono a tollerare la stimolazione transcutanea, ma in


genere sono necessarie analgesia e sedazione.

Nonostante l'efficacia di questa (imbarazzante) procedura non è sia


stata chiaramente dimostrata, le linee guida suggeriscono di
considerare l'effettuazione temporanea del pacing mediante percussione
toracica manuale (list pacing) su pazienti coscienti con una bradiaritmia
emodinamicamente instabile, in attesa dell'imminente arrivo di
un'idonea apparecchiatura elettrica.

Tachicardia parossistica sopraventricolare

ECG

Frequenza 140-250 bpm.


Ritmo regolare.
Complessi QRS di solito normali, tranne i casi meno frequenti di blocco
di branca preesistente o frequenza-dipendente, oppure di conduzione
aberrante attraverso una via extra nodale, come il fascio di Kent nella
sindrome di Wolff-Parkinson-White; in tali casi non è facile differenziarla
dalla tachicardia ventricolare.
Onde P difficili da identificare o anomale, la cui cronologia e morfologia
dipendono dalla sede in cui si rea lizza il meccanismo di rientro.
L'intervallo PR può̀ essere assente.

Descrizione

~ una distinta sindrome clinica caratterizzata da parossismi di


tachicardia, con inizio improvviso e durata variabile da pochi secondi a
più̀ ore. ~ causata da un meccanismo di rientro, che più̀ frequentemente
riguarda il nodo AV da solo, e meno spesso è di tipo AV per presenza di
una via accessoria che collega un atrio al ventricolo sottostante
bypassando il normale sistema di conduzione.

~ un'aritmia relativamente benigna, generalmente ben tollerata dal


paziente giovane senza cardiopatia in atto, ma che se persiste anche per
breve tempo può̀ portare ad insufficienza cardiaca congestizia,
soprattutto nei soggetti con riserva cardiovascolare limitata, o ad una
grave angina nel paziente affetto da cardiopatia ischemica. In individui
suscettibili, può̀ essere scatenata da fumo, caffeina, ansia, stress e
numerosi farmaci. Talora è causata da un danno strutturale del nodo AV.

Trattamento
pag. 56
~ raro il caso di una tachicardia estremamente rapida (>250 bpm) che
comprometta la gettata cardiaca al punto tale da richiedere un
immediato trattamento con cardioversione elettrica. Più
frequentemente, invece, dopo aver iniziato la somministrazione di
ossigeno, se necessaria, ed ottenuto un accesso venoso, la TPSV può̀
essere trattata ricorrendo in prima istanza alle manovre vaga li ed
all'adenosina.

Successivamente, in base alla presenza o meno di dolore toracico,


ipotensione, insufficienza cardiaca od infarto miocardio, ci si può̀
orientare verso la terapia elettrica oppure verso la somministrazione di
farmaci (verapamil, amiodarone, esmololo, digossina).

Una volta superata la fase acuta, la prevenzione di ulteriori episodi si


può ottenere con procedure di ablazione che interrompano il circuito di
rientro all'origine della TPsV o il fascio anomalo della via accessoria.

Flutter atriale(ECG

Frequenza atriale di solito 300/min, compresa fra 220 e 360 bpm; la


frequenza ventricolare dipende dal grado di blocco della conduzione a
livello del nodo AV, che di solito è in un rapporto fisso di 2:1 , di 3:1
oppure di 4:1, ma può essere anche di 1:1 o variabile.

Ritmo regolare se il grado di blocco è costante, irregolare se il blocco a


livello del nodo AV è variabile.

Complessi QRS di solito normali.


Non si osservano vere onde P; la depolarizzazione atriale avviene in
senso caudo-craniale, dando origine ad onde "F", o di flutter, meglio
visualizzabili nelle derivazioni I, Il ed aVF con il tipico aspetto "a denti di
sega" o simile ad uno steccato. Le onde F vengono meglio identificate se
si ritarda transitoria- mente la conduzione AV con una manovra vagale.

Intervallo PR non misurabile.

Descrizione

È un'aritmia provocata da un macro rientro all'interno degli atri,


secondario a patologie cardiache organiche: valvulopatia mitralica o
tricuspidale, cuore polmonare, coronaropatia; raramente è causata da
intossicazione digitalica.

All'inizio questo tipo d'aritmia si presenta in modo parossistico con crisi


di più o meno breve durata; le crisi si fanno in seguito più prolungate e
possono precedere l'instaurarsi di una fibrillazione atriale cronica

pag. 57
Trattamento

Nel caso di un fiutter atriale con conduzione 1:1, la frequenza


ventricolare estremamente elevata (>250 bpm) altera la gettata cardiaca
al punto tale da richiedere un immediato trattamento con cardioversione
elettrica. Nelle altre situazioni, dopo aver iniziato la somministrazione di
ossigeno se necessaria, ed ottenuto un accesso venosa, la tachiaritmia
può̀ essere trattata ricorrendo in prima istanza alle manovre vagali ed
all'adenosina.

Successivamente, in base alla presenza o meno di dolore toracico,


ipotensione, insufficienza cardiaca od infarto miocardio, ci si può̀
orientare verso la terapia elettrica oppure verso la somministrazione di
farmaci (esmololo, verapamil, amiodarone, digossina).

Fibrillazione atriale

ECG

Frequenza atriale 350-600/min, non misurabile; frequenza ventricolare


molto più̀ lenta perché́ il nodo AV blocca la maggior parte degli impulsi.
Se la frequenza ventricolare è di 100 bpm o meno, il ritmo si dice
"controllato”. Se la frequenza è più di 100 bpm, si parla di "risposta
ventricolare rapida" e si si definisce la AF "non controllata".
Ritmo irregolarmente irregolare; è caratteristico di questa aritmia e la
rende facilmente riconoscibile anche alla sola palpazione del polso
(pufsus irreguraris perpetuus).

 Complessi QRS generalmente normali.


 Onde P assenti; vi sono invece onde "f" di fibrillazione meglio
identificabili in V1 e V2, dove si ap- prezza un'attività̀ atriale
irregolare, sia in termini d'ampiezza che di frequenza; in alcuni casi
l'ampiezza è così ridotta da far sembrare che non vi sia alcuna
attività atriale.
 Intervallo PR non misurabile.

Descrizione

È l'aritmia che s'incontra più frequentemente nella pratica clinica, ed è


caratterizzata da una completa disorganizzazione dell'attività̀ elettrica
atriale, dovuta a multipli microrientri contemporanei con impulsi elettrici
che depolarizzano solo piccole porzioni di miocardio atriale e vengono
trasmessi al nodo AV in modo casuale. Il nodo AV blocca la maggior
parte degli impulsi, consentendo solo ad alcuni il passaggio verso i
ventricoli. È per lo più associata a patologie miocardiche; nel contesto di

pag. 58
una malattia ischemica del cuore, la causa più̀ comune è l'aumento della
pressione in atrio sinistro secondaria ad insufficienza cardiaca
congestizia. Ma è anche possibile che essa si manifesti in forma
parossistica senza evidenza alcuna di cardiopatia. Può verificarsi
saltuariamente o essere cronica.

Non è di per sé un'aritmia pericolosa tranne quando è associata ad una


frequenza ventricolare molto elevata .

Trattamento

La scelta dipende dal rischio relativo per il paziente, de- terminato da tre
fattori: 1) la frequenza ventricolare, 2) la presenza o meno di dolore
toracico e dispnea e 3) la qualità̀ della perfusione periferica.

In caso di rischio elevato (> 150 bpm; dolore toracico; perfusione critica)
si esegue urgentemente la sequenza: eparina e cardioversione elettrica
--+ amiodarone al bisogno.

In caso di rischio intermedio (100-150 bpm; dispnea; ipoperfusione) e


basso « 100 bpm; sintomatologia lieve; perfusione buona) la scelta del
trattamento dipende dalla presenza o meno di alterazioni emodinamiche
e/o di miocardiopatie, oltre che dalla durata dell'aritmia (se >48 h:
pericolo di embolizzazione da tromba atriale), e può̀ essere orientata, a
seconda del caso, verso il rapido ripristino di un ritmo normale con
terapia elettrica o farmacologica, previa eparinizzazione, oppure verso la
sola riduzione della frequenza cardiaca con beta-bloccanti,
procrastinando a tempi successivi l'eventuale trattamento dell'aritmia.

BLOCCHI ATRIOVENTRICOLARI Blocco AV di 1° grado

ECG

 Frequenza dipendente dal ritmo di base.


 Ritmo dipendente dal ritmo di base.
 Complessi QRS normali .
 Onde P normali; segna passi nel nodo senoatriale.
 Intervallo PR superiore a 0.2 s, di solito in modo costante lungo la
striscia ECG.

Descrizione

Il BAV di primo grado è causato semplicemente da un ritardo nel


passaggio dell'impulso elettrico attraverso la giunzione AV.

pag. 59
In alcune circostanze può̀ essere fisiologico (per es. negli atleti), ma può̀
essere dovuto anche a patologia primaria del sistema di conduzione
(fibrosi) O ad ischemia.

Il ritardo di conduzione a livello della giunzione AV può̀ essere anche


provocato da ipertono vagale o dall'azione di farmaci come digitale,
calcioantagonisti e beta-bloccanti.

Trattamento

Non è necessario alcun trattamento d'urgenza

Blocco AV di 2" grado tipo I o Wenckebach

Frequenza atriale normale, solo lievemente più rapida di quella


ventricolare a causa dei battiti mancanti.
Ritmo atriale regolare, con ritmo ventricolare ir- regolare per le pause in
corrispondenza dei battiti non condotti.

Complessi QRS normali.


Onde P normali; ogni tre, quattro, o cinque onde P manca il complesso
QRS; segnapassi nel nodo senoatriale.
L'intervallo PR si allunga progressivamente sino a che l'impulso atriale
viene bloccato e l'onda P non viene seguita dal complesso QRS
(fenomeno di Lu- ciani-Wenckebach).

Descrizione

Tutto ciò che agisce sulla giunzione AV ritardandone la conduzione può


determinare un blocco di questo tipo: ipertono vagale, farmaci come
digitale, calcioantagonisti e j3-bloccanti. Si osserva nell'infarto del
miocardio quando l'ischemia raggiunge il sistema di conduzione. Nella
maggior parte dei casi è asintomatico e non ri- chiede un trattamento
immediato, ma costituisce pur sempre un segno d'allarme per la
possibile evoluzione verso gradi di blocco maggiori.

Trattamento

Nessun trattamento è richiesto se la frequenza cardiaca resta sopra i 60


bpm e la gettata cardiaca si mantiene su livelli adeguati alle esigenze
del paziente.

Se la frequenza ventricolare è inferiore a 60 bpm o se vi è ipotensione,


vasocostrizione periferica, altera zione dello stato mentale si mettono in
atto i provvedimenti descritti nell'Algoritmo per il trattamento della
bradicardia (pag.241).

pag. 60
Blocco AV di 2° grado tipo Il

ECG

Frequenza atriale normale; frequenza ventricolare più lenta dell'atriale


per gli impulsi non condotti

Ritmo atriale regolare; ritmo ventricolare irregolare, se il blocco è


intermittente o il rapporto di conduzione è variabile, oppure regolare, se
il rapporto di conduzione è costante.

• Complessi QRS normali, se il blocco è a livello del fascio di His, oppure


allargati, se il blocco è a livello delle branche (evenienza più frequente).

• Onde P normali, con segnapassi nel nodo senoatriale, ma non tutte


seguite dal complesso QRS. Ciò può̀ avvenire in modo casuale o può̀
esistere una relazione regolare tra l'onda P e il complesso QRS con
conduzione di 2:1,3:1 o più̀ (blocco 2:1 e blocco avanzato,
rispettivamente; per semplificazione didattica, qui essi sono trattati
assieme al blocco AV di 2° grado tipo Il).

Intervallo PR normale, quando presente.

Descrizione

Il blocco si verifica per lo più al di sotto del nodo AV, sia a livello del
fascio di His, sia delle sue branche; in quest'ultima evenienza, che è la
più frequente, il bIacco si manifesta per la contemporaneità̀ di un blocco
completo di branca destra o sinistra e di un'interruzione intermittente
della conduzione nella branca controlaterale. La conduzione attraverso
la giunzione AV non è alterata e quindi l'intervallo PR può risultare
normale.

Di solito è associato ad una lesione organica delle vie di conduzione e, a


differenza del blocco di 2° grado tipo I, raramente è dovuto ad aumento
del tono vagale od all'azione di farmaci.

~ un'aritmia pericolosa che può̀ progredire rapidamente verso il BAV


completo.

La successione di più̀ battiti non condotti e la bradicardia (blocco 2:1 e


blocco avanzato) si possono accompagnare a segni e sintomi di
ipoperfusione periferica e di scompenso cardiaco.

Trattamento

pag. 61
La comparsa di un BAV di secondo grado tipo Il, 2:1 e avanzato può̀
anche non richiedere nessun trattamento immediato, se la frequenza
cardiaca è superiore a 60 bpm e la gettata cardiaca risulta adeguata alle
esigenze del paziente, ma comunque fa prevedere la necessità di pacing
trans venoso a breve. Pertanto, ci si deve preparare tempestivamente
alla stimolazione elettrica, ricorrendo eventualmente al pacing
transcutaneo (verificare la tolleranza del paziente e il meccanismo di
cattura; somministrare farmaci analgesici e sedativi al bisogno). Nel
paziente sintomatico, qualora la stimolazione transcutanea non
risultasse efficace, in attesa del pacing trans venoso va considerata la
somministrazione di catecolamine (l'atropina è raramente efficace nei
blocchi infrondali).

Blocco AV di 3° O completo

ECG

• Frequenza atriale regolare; frequenza 40-60 bpm se il focus di


scappamento è giunzionale; 20-40 bpm se il focus è ventricolare.

Ritmo regolare.
I complessi QRS possono presentare conformazione normale se il segna
passi di scappamento si trova nella giunzione AV o nel fascio di His;
sono invece allargati se il segnapassi di scappamento è nei ventricoli.
Onde P di conformazione normale senza alcun rap- porto costante con i
complessi QRS. Il nodo senoatriale è il segna passi dell'atrio, ma gli
impulsi atriali sono bloccati a livello della giunzione AV. La
depolarizzazione dei ventricoli è determinata da un altro segna passi
posto nella giunzione AV (Fig. 11-25) o a livello inferiore (Fig. 11-26).
Quanto più basso è il livello del segna passi nei ventricoli, tanto più
bassa è la frequenza ventricolare e più bizzarri sono i complessi QRS.
Non vi è intervallo PR in quanto manca un rapporto costante tra onde P e
complessi QRS.

Descrizione

La frequenza ventricolare è determinata dalla sede del pacemaker di


scappamento: se si trova a livello del NAV o del tratto prossimale del
fascio di His può avere una frequenza compresa tra 40 e 60 bpm o a
volte superiore; un pacemaker che origina nelle fibre di Purkinje o nel
miocardio ventricolare ha una frequenza compresa fra 20 e 40 bpm, ed è
più soggetto a blocchi improvvisi, con conseguente asistolia.

pag. 62
Poiché́ nel BAV di terzo grado manca la sincronizzazione tra gli atri e i
ventricoli, questi ultimi non si riempiono completamente durante la
diastole e ciò̀ comporta un'ulteriore riduzione della gettata cardiaca.

Se la frequenza è molto bassa, la gettata può divenire insufficiente per


mantenere la coscienza e la riduzione della perfusione miocardica può
causare insufficienza cardiaca congestizia, angina pectoris, lVsp o FV.

Trattamento

In condizioni d'urgenza, quando il BAV completo si associa a segni di


perfusione inadeguata, si mettono in atto i provvedimenti descritti
nell'Algoritmo per il trattamento della bradicardia (pag. 241),
rappresentati fondamentalmente da stimolazione elettrica transcutanea
ed infusione di catecolamine. ~importante differenziare tra il BAV
completo e la presenza di frequenti complessi prematuri ventricolari.

23) Analisi e trattamento del ritmo letale. (penso


intenda la tachicardia ventricolare)
Fibrillazione ventricolare

ECG

Il tracciato della FV è caratteristicamente rappresentato da oscillazioni


elettriche di ampiezza, durata e conformazione variabili con frequenza
impossibile da determinare e onde P, QRS e T non riconoscibili. I
ventricoli presentano aree di miocardio normale alternate ad aree
ischemiche o lesionate che determinano un quadro caotico di
depolarizzazione e ripolarizzazione.

pag. 63
Una FV ad alto voltaggio di solito indica una recente insorgenza, e quindi
maggiori possibilità̀ di interromperla con una rapida defibrillazione; col
trascorrere del tempo l'ampiezza si riduce progressivamente e si ha la
FVa basso voltaggio seguita dalla FV fine che precede di poco la
cessazione totale dell'attività̀ elettrica. Per convenzione, il confine fra
FV fine ed asistolia è identificato nella presenza o meno di onde
elettriche di ampiezza pari o superiore a 1 mm (0.1 mV); comunque in
pratica per entrambe il trattamento è quello dell'asistolia.

Quando si osserva al monitor un ritmo simile alla FV bisogna controllare


rapidamente il paziente per escludere che le oscillazioni della linea di
base del tracciato siano dovute a tremori muscolari, ad elettrodi
staccati, o ad artefatti da movimento.

Descrizione

~la causa più̀ frequente di morte cardiaca improvvisa. ~ caratterizzata da


un movimento continuo, irregolare, peristaltico e vermicolare dei
ventricoli che perdo- no la loro azione di pompa in quanto le fibre
muscolari si contraggono in modo anarchico; si traduce sul piano clinico
con l'assenza di polso.
La FV può̀ essere primaria o secondaria e, con rare eccezioni, non è
spontaneamente reversibile.

La FV primaria è improvvisa ed è in genere dovuta a piccole aree,


sparse, di ipoperfusione del miocardio (ischemia miocardica transitoria,
focale, spesso risultato di vasospasmo, aggregati intravascolari o
ipotensione), sia In cuori già compromessi, sia in cuori "troppo sani per
morire". Questi ultimi possono riprendere una gettata cardiaca adeguata
se la fibrillazione ventricolare viene Interrotta.

La FV secondaria può̀ insorgere spontaneamente o essere provocata in


cuori compromessi ma ancora a ritmo oppure comparire dopo PEA o
asistolia. Fra i diversi fattori eziologici da considerare: TV, CPV con Rsu
T, al- lungamento del QT, ipopotassiemia, ipotermia, ipossia,
folgorazione.

Trattamento

La sola terapia efficace dell'arresto di circolo da FV è rappresentata


dalla defibrillazione elettrica associata alla RCP con eventuale
somministrazione di farmaci per prolungare il periodo di morte
reversibile (adrenalina e ossigeno) o per il trattamento della FV
persistente o ricorrente (amiodarone o lidocaina).

pag. 64
I defibrillatori semiautomatici esterni (DAE) consentono di praticare la
defibrillazione anche a soccorritori sprovvisti di specifica competenza
nell'interpretazione dell'elettrocardiogramma.

In circostanze del tutto particolari la FV può̀ essere convertita con il


pugno precordiale.

25) La tachicardia parossistica sopraventricolare diagnosi e


trattamento.

Tachicardia parossistica sopraventricolare

ECG

Frequenza 140-250 bpm.


Ritmo regolare.
Complessi QRS di solito normali, tranne i casi meno frequenti di blocco
di branca preesistente o frequenza-dipendente, oppure di conduzione
aberrante attraverso una via extranodale, come il fascio di Kent nella
sindrome di Wolff-Parkinson-White; in tali casi non è facile differenziarla
dalla tachicardia ventricolare.
Onde P difficili da identificare o anomale, la cui cro- nologia e morfologia
dipendono dalla sede in cui si rea lizza il meccanismo di rientro.
L'intervallo PR può essere assente.

Descrizione

~ una distinta sindrome clinica caratterizzata da parossismi di


tachicardia, con inizio improvviso e durata variabile da pochi secondi a
più ore. ~ causata da un meccanismo di rientro, che più frequentemente
riguarda il nodo AV da solo, e meno spesso è di tipo AV per presenza di
una via accessoria che collega un atrio al ventricolo sottostante
bypassando il normale sistema di conduzione.

~ un'aritmia relativamente benigna, generalmente ben tollerata dal


paziente giovane senza cardiopatia in atto, ma che se persiste anche per
breve tempo può portare ad insufficienza cardiaca congestizia,
soprattutto nei soggetti con riserva cardiovascolare limitata, o ad una
grave angina nel paziente affetto da cardio- patia ischemica. In individui
suscettibili, può essere scatenata da fumo, caffeina, ansia, stress e
numerosi farmaci. Talora è causata da un danno strutturale del nodo AV.

pag. 65
Trattamento

~ raro il caso di una tachicardia estremamente rapida (>250 bpm) che


comprometta la gettata cardiaca al punto tale da richiedere un
immediato trattamento con cardioversione elettrica. Più
frequentemente, invece, dopo aver iniziato la somministrazione di
ossigeno, se necessaria, ed ottenuto un accesso venoso, la TPSV può
essere trattata ricorrendo in prima istanza alle manovre vagali ed
all'adenosina.

Successivamente, in base alla presenza o meno di dolore toracico,


ipotensione, insufficienza cardiaca od infarto miocardio, ci si può̀
orientare verso la terapia elettrica oppure verso la somministrazione di
farmaci (verapamil, amiodarone, esmololo, digossina).

Una volta superata la fase acuta, la prevenzione di ulteriori episodi si


può ottenere con procedure di ablazione che interrompano il circuito di
rientro all'origine della TPsV o il fascio anomalo della via accessoria.

26) Cardioversione Elettrica.


La cardioversione elettrica sincronizzata serve ad interrompere la TV
con polso (TVcp) presente o le aritmie sopraventricolari come la
fibrillazione ed il flutter atriale ed è tanto più̀ indicata quanto più queste
aritmie sono sintomatiche.

La sincronizzazione dello shock elettrico con l'onda R sul tracciato ECG


riduce al minimo il rischio di indurre FV, il che potrebbe accadere se la
scarica raggiungesse il cuore nel periodo di refrattarietà̀ relativa (parte
discendente dell'onda T).

Pertanto, la cardioversione viene effettuata con shock elettrici


somministrati esattamente in corrispondenza dell'onda R.

La sincronizzazione può essere difficile per la TV a causa dei complessi


larghi e delle morfologie variabili delle aritmie ventricolari; in tal caso,
se la sincronizza- zione fallisce e il paziente è instabile, bisogna
somministrare shock non sincronizzati per evitare un eccessivo ritardo
nel ripristinare il ritmo sinusale.

L'energia necessaria per cardiovertire una TV dipende dalle


caratteristiche morfologiche e dalla frequenza dell'aritmia: la TVcp

pag. 66
polimorfa, più̀ rapida e disorganizzata, si comporta come una FVe
richiede analogo trattamento.

Nei pazienti coscienti è necessaria l'anestesia generale o la sedazione.

DEFIBRILLAZIONE MANUALE CON PIASTRE STANDARD

• Mentre la RCP viene effettuata da un assistente, accendere il monitor/


defibrillatore in modalità̀ "Shock" e selezionare la quantità̀ di energia da
somministrare in caso di FVfTVsp: 360 J nell'adulto e 4 J/kg nel bambino
se corrente monofasica, 150-200 J nell'adulto e 4 J/kg nel bambino se
corrente bifasica.

Preparare gli elettrodi a piastra applicandovi il gel conduttore; asciugare


eradere rapidamente la zona dove verranno applicati, se necessario.
Mentre la RCP con le compressioni toraciche continua, posizionare le
piastre sul torace, una in sede parasternale sotto la clavicola destra,
l'altra al disotto e a sinistra del capezzolo sinistro.

Se sul monitor compare FV/TV, senza far interrompere la RCP premere il


tasto di carica posto sulla piastra apice, ordinando
contemporaneamente che l'eventuale fonte di ossigeno e chi la gestisce
si allontanino almeno di 1 metro.

Quando il segnale acustico e luminoso avvisa che la carica è completa,


immediatamente ordinare di allontanarsi all'assistente che stava
effettuando la RCP, premere le piastre sul torace con una certa energia
(8 kg negli adulti, 5 nei bambini) per ridurre il volume polmonare e
l'impedenza, ed erogare lo shock premendo simultaneamente i pulsanti
di scarica delle due piastre.

Senza controllare il monitor, far riprendere immediatamente la RCP; in


questo modo, le compressioni toraciche dovrebbero essere state
interrotte per non più̀ di 5 secondi.

DEFIBRILLAZIONE AMANI LIBERE

A parte l'applicazione degli elettrodi adesivi, da effettuarsi senza


interrompere le compressioni toraciche, la procedura non si discosta da
quella standard con piastre, con la differenza che l'operatore ha le mani
libere per passare rapidamente tra le diverse modalità̀ di monitoraggio e
di trattamento. La posizione degli elettrodi adesivi può̀ essere quella
standard sopradescritta, oppure biascellare o antero-posteriore.

pag. 67
27) Bradiiaritmie in emergenza
Anche se i cardiologi definiscono come bradicardia una frequenza
cardiaca inferiore alle 60 pulsazioni al minuto, il cuore di molte persone,
in particolare quello degli atleti, batte normalmente a frequenze inferiori.

Va tenuto presente il concetto di bradicardia assoluta (frequenza


cardiaca inferiore ai 60 bpm) e bradicardia relativa: un soggetto con una
frequenza cardiaca di 65 pulsazioni al minuto ed una pressione arteriosa
sistolica di 80 mmHg può̀ avere una bradicardia relativa, In pratica, per
decidere se è necessario un trattamento, bisogna sempre cercare di
capire se quel cuore batte troppo lentamente rispetto alle esigenze del
paziente,

1 - Con instabilità̀ emodinamica

La terapia iniziale è di tipo farmacologico, riservando quella


elettrica (pacing) ai casi che non rispondono ai farmaci o ad
elevato rischio di asistolia, Come primo passo si somministra EV
0.5 mg di atropina, eventualmente ripetibile ad intervalli di 3-5 min,
fino alla dose massima di 3 mg l'atropina va somministrata con
cautela in caso di angina o IMA, in quanto un aumento eccessivo
della frequenza cardiaca può peggiorare l'ischemia o estendere la
zona infartuale, Va tenuto presente, inoltre, che nei pazienti con

pag. 68
trapianto cardiaco l'atropina paradossalmente può causare un
blocco AV di 2°_3°, o anche asistolia, e quindi va evitata,

1.A - Atropina efficace. Una volta corretta la bradi- cardia ci si deve


chiedere se il paziente presenta il rischio di asistolia,

1.Aa - Rischio assente ~ osservazione.

1.Ab - Rischio presente .... bisogna avviare il paziente verso il


trattamento definitivo con pacing endocavitario, In attesa
dell'intervento del cardio- logo, l'equilibrio emodinamico può̀ essere
garantito con misure temporanee quali il pacing transcutaneo,
previa sedazione ed analgesia del paziente, o la somministrazione
ripetuta di 0.

mg di atropina, fino ad un massimo di 3 mg, oppure l'infusione EV


continua di isoprenalina (5 mcg/min), adrenalina (2-10 mcg/min) e
dopamina (2-10 mcgl min). In alternativa possono essere considerati altri
farmaci come aminofillina (100-200 mg per iniezione lenta EV) se la
bradicardia è causata da un IMA inferiore O da lesione del midollo
spinale, oppure nel paziente cardio trapiantato; il glucagone EV trova
indicazione in caso di bradicardia da farmaci calcio antagonisti o ~-
bloccanti; al posto dell'atropina può̀ essere considerato il glicopirrolato.

1.B - Atropina non efficace. Persistendo la sintomatologia nonostante la


somministrazione di atropina, bisogna avviare il paziente verso il
trattamento definitivo con pacing endocavitario con le modalità
descritte al punto 1Ab.

2 - Senza instabilità̀ emodinamica

Prima di intraprendere qualsiasi azione, bisogna chiedersi se il paziente


presenta il rischio di asistolia.

2.A - Rischio assente  osservazione.

2.B - Rischio presente  anche se il paziente è asintomatico, va avviato


verso il trattamento definitivo con pacing endocavitario con le modalità̀
descritte al punto lAb.

28)La fibrillazione atriale in emergenza

pag. 69
La fibrillazione atriale (FA) è responsabile del 2% circa degli accessi al Dipartimento di Emergenza-
Urgenza (DEU) e rappresenta la più frequente causa aritmica di ricovero ospedaliero. La FA aumenta
notevolmente il rischio di eventi tromboembolici e spesso si associa ad una serie di comorbilità che
impattano negativamente sulla qualità di vita e sulla prognosi dei pazienti. Il DEU rappresenta spesso il
punto di primo accesso alle cure per pazienti con FA. La corretta gestione in acuto di tale aritmia ha un
notevole impatto non solo per la qualità di vita del paziente e per il suo outcome clinico, ma anche per la
razionalizzazione e la corretta gestione delle risorse impiegate

È l'aritmia che s'incontra più frequentemente nella pratica clinica, ed è


caratterizzata da una completa disorganizzazione dell'attività̀ elettrica
atriale, dovuta a multipli microrientri contemporanei con impulsi elettrici
che depolarizzano solo piccole porzioni di miocardio atriale e vengono
trasmessi al nodo AV in modo casuale. Il nodo AV blocca la maggior
parte degli impulsi, consentendo solo ad alcuni il passaggio verso i
ventricoli.

È per lo più̀ associata a patologie miocardiche; nel contesto di una


malattia ischemica del cuore, la causa più comune è l'aumento della
pressione in atrio sinistro secondaria ad insufficienza cardiaca
congestizia. Ma è anche possibile che essa si manifesti in forma
parossistica senza evidenza alcuna di cardiopatia. Può verificarsi
saltuariamente o essere cronica.

Non è di per sé un'aritmia pericolosa tranne quando è associata ad una


frequenza ventricolare molto elevata .

Trattamento

La scelta dipende dal rischio relativo per il paziente, determinato da tre


fattori: 1) la frequenza ventricolare, 2) la presenza o meno di dolore
toracico e dispnea e 3) la qualità della perfusione periferica.

In caso di rischio elevato (> 150 bpm; dolore toracico; perfusione critica)
si esegue urgentemente la sequenza: eparinacardioversione elettrica
 amiodarone al bisogno.

In caso di rischio intermedio (100-150 bpm; dispnea; ipoperfusione) e


basso « 100 bpm; sintomatologia lieve; perfusione buona) la scelta del
trattamento dipende dalla presenza o meno di alterazioni emodinamiche
e/o di miocardiopatie, oltre che dalla durata dell'aritmia (se >48 h:
pericolo di embolizzazione da tromba atriale), e può̀ essere orientata, a
seconda del caso, verso il rapido ripristino di un ritmo normale con
terapia elettrica o farmacologica, previa eparinizzazione, oppure verso la
sola riduzione della frequenza cardiaca con beta-bloccanti,
procrastinando a tempi successivi l'eventuale trattamento dell'aritmia.

pag. 70
29) La tachicardia ventricolare ACLS algoritmo.

Le procedure iniziali del soccorso alla vittima di un arresto cardiaco


sono quelle del BLS o del BLSD.

Il primo soccorritore ("A") è un medico che dopo aver accertato lo stato


di incoscienza della vittima (Fig. 5-41a):

 lancia l'allarme ("Carrello e team d'emergenza!", Fig. 5-41 b);


 quindi posiziona il paziente per i passi successivi; non deve
spostarlo sul pavimento, poiché́ il letto è predisposta per
un'eventuale RCP, e basta allineare ed abbassare il letto e
sgonfiare il materassino antidecubito, qualora sia presente e in
funzione;
 effettua quindi la valutazione del respiro e dei segni di
circolazione in 10 secondi e, non riscontrando segni di vita, inizia
immediatamente le compressioni toraciche. Nel frattempo, viene
avvisato il team d'emergenza e un secondo soccorritore ("8 ",
infermiera) porta nella stanza il carrello d'emergenza con il
monitor/defibrillatore.
 Quando il defibrillatore arriva sulla scena mentre è in corso la RCP
sulla vittima dell'arresto cardiaco, il soccorritore che sta
eseguendo le compressioni toraciche le interrompe solo dopo è
stato completato il posizionamento degli elettrodi adesivi o a
piastra. Accende quindi il monitor defibrillatore.
 Se con l'analisi della traccia sul monitor si conferma la presenza di
FV o TVsp (Fig. 5-43e), la RCP continua anche mentre il
defibrillatore sta caricando (360 J di corrente monofasica o 150-
200 J di bifasica) e viene interrotta solo quando la carica è
completa.
 Nel momento in cui il defibrillatore è pronto per scaricare, la RCP
viene interrotta; il soccorritore addetto alla defibrillazione controlla
rapidamente che nessuno sia a contatto con la vittima e
somministra uno shock. ' Le compressioni toraciche vanno
interrotte per non più̀ di 5 secondi in modo da poter erogare lo
scarica; tempi maggiori possono compromettere il risultato finale.
È stato proposto di continuare le compressioni toraciche durante
l'erogazione della defibrillazione (hands-on defibrillation), ma i
benefici di quest'approccio non sono stati dimostrati; i guanti
utilizzati generalmente come dispositivi di protezione individuale
non garantiscono un adeguato livello di isolamento elettrico.

pag. 71
 Subito dopo aver erogato lo shock si riprende immediatamente la
RCP 30:2 iniziando con le compressioni toraciche, senza
controllare sul monitor se il ritmo si è modificato e senza verificare
se il polso è ricomparso. Anche se lo defibrillazione è stata
efficace, trascorrono alcuni secondi (se non anche minuti) prima
che compaia sul monitor una traccia interpretabile e prima che
cuore, stordito dalla scarica, generi un polso apprezzabile; ogni
ritardo nella ripresa della RCP compromette ulteriormente le
possibilità̀ di successo. Quindi è possibile che lo RCP continui ad
essere effettuata anche dopo che la scarica ha ripristinato un
ritmo organizzato. Ciò̀ non è risultato aumentare il rischio di
ricorrenza di FV! Nsp. Invece, in caso di asistolia post-shock lo RCP
si i! dimostrata utile per convenirla in FV/TYsp da trattare
successivamente mediante defibrillazione.
 Si continua la RCP per 2 min, provvedendo appena possibile ad un
accesso venosa o intraosseo, poi si fa una breve pausa per
valutare il ritmo e, se si riconferma FV o TVsp, si procede come
sopra per erogare una seconda scarica (360 J di corrente
monofasica o 150-360 J di bifasica, in quanto si può̀ utilizzare
corrente bifasica costante o a livelli crescenti); subito dopo si
riprendono le compressioni toraciche senza controllare ritmo o
polso.
 Si prosegue ancora con la RCP per 2 min, poi si fa una breve pausa
per valutare il ritmo e, se si riconferma FV o TVsp, si procede come
sopra per erogare una terza scarica (360 J di corrente monofasica
o 150-360 J di bifasica) e subito dopo si riprendono le compressioni
toraciche senza controllare ritmo o polso, alternando nuovamente
il soccorritore addetto alle compressioni.
 Somministrata la terza scarica, se nel frattempo è stato ottenuto
un accesso venosa o intraosseo, dopo la ripresa delle compressioni
toraciche si somministrano in bolo 300 mg di amiodarone e l mg di
adrenalina.
I farmaci vanno somministrati senza interrompere lo RCP;
l'infusione in bolo attraverso una vena periferica del braccio va
seguita da un lavaggio con almeno 20 mL di liquidi e dal
sollevamento verticale del broccio rispetto al tronco per 10-20 s in
modo da facilitare il passaggio nella circolazione centrale.
 Si continua con RCP per 2 min pausa per valutare il ritmo  se
persiste FV o 'IV shock (360 J di corrente monofasica o 150-360 J
di bifasica)  ripresa immediata della RCP senza controllare ritmo
o polso  adrenalina 1 mg in bolo EV/IO ogni 3-5 min (in pratica una
volta ogni due cicli di shock-RCP), considerando anche: la verifica
di qualità̀ della RCP e dell'apparato per la defibrillazione, il
controllo avanzato delle vie aeree, la somministrazione di un

pag. 72
secondo bolo di amiodarone (150 mg EVlIO) dopo 5 shock, la
correzione delle cause potenzialmente reversibili. Se con le prime
scariche non si ottiene il risultato voluto e FVflVsp persistono o
ricorrono, durante lo RCP bisogna controllare se si può̀ migliorare
lo qualità̀ delle compressioni: ricorrendo al controllo avanzato delle
vie aeree per poter passare alla RCP asincrona, verificando la
posizione ed il contatto degli elettrodi sul torace, valutando
l'eventuale presenza di cause reversibili per agire di conseguenza.

 Se dopo un ciclo di RCP per 2 minuti all'analisi del ritmo si


evidenziano asistolia o PEA, il trattamento prosegue seguendo le
indicazioni dell'algoritmo per i ritmi non defibrillabili. Analogo
comportamento va tenuto anche nel caso in cui si evidenzi sul
monitor una FV fine, a basso voltaggio, confondibile con l'asistolia:
si deve continuare con RCP ed adrenalina per migliorare la
perfusione coronarica. In tal modo l'aumento dell'ampiezza e della
frequenza della FV potrà̀ consentirne più̀ facilmente il trattamento
con una successiva scarica elettrica. Defibrillare in caso di FV fine
significa danneggiare ulteriormente un miocardio già̀ gravemente
sofferente.
 Se, invece, dopo aver terminato un ciclo di RCP per 2 minuti
all'analisi del ritmo si evidenzia un ritmo organizzato (QRS regolari
o stretti), va effettuata la valutazione del polso e dei segni vitali.
Questa va- lutazione deve essere di breve durata e fatta solo in
caso di ritmo organizzato. In caso di dubbio sull'effettivo ROSC, si
riprende la RCP. Se il ROSC si conferma, va allora iniziato il
trattamento intensivo post-arresto.
 Se durante un ciclo di RCP guardando il monitor si vede che è
comparso un ritmo organizzato, non si devono interrompere le
compressioni toraciche per valutare il polso fino al termine dei 2
min di RCP, a meno che il paziente non dia chiari segni di ripresa
della circolazione spontanea.
 Se durante un ciclo di RCP la vittima dà segni di vita (apre gli
occhi, si muove, tossisce, respira normalmente), bisogna
controllare il monitor: se si evidenzia un ritmo organizzato (QRS
regolari o stretti), va effettuata la valutazione del polso e dei segni
vitali. In caso di dubbio sull'effettivo ROSC, si riprende la RCP. Se il
ROSC si conferma, va allora iniziato il trattamento intensivo post-
arresto.

pag. 73
31) La dissociazione elettromeccanica P.E.A.: diagnosi e
trattamento.
Qualsiasi ritmo che non produca un polso palpabile è una attività̀
elettrica senza polso (Pulseless Electrical Activity; PEA),
tradizionalmente etichettata anche come ElectroMechanical
Dissociation (EMD), ma che, più propriamente, raggruppa diversi tipi di
aritmie:

 pseudo-EMD
 ritmi idioventricolari
 ritmi ventricolari di scappamento
 ritmi bradi-asistolici
 ritmi idioventricolari post-defibrillazione.

pag. 74
~ In altre parole, va considerata come PEA qualsiasi condizione d'arresto
cardiaco in presenza di un ritmo ECG compatibile con la presenza di
circolazione, che invece non c'è: il miocardio può̀ essere ancora in grado
di contrarsi, ma lo fa troppo debolmente per poter produrre un polso
palpabile.

L'aspetto ECG di più̀ comune riscontro in questi casi è quello del ritmo
idioventricolare, un ritmo di scappamento che prende il sopravvento
quando i pacemaker dei siti superiori non funzionano più̀ ma che non è in
grado di provocare una contrazione meccanica del cuore tale da
generare un polso arterioso efficace.

Nella striscia ECG si osserva un ritmo di complessi ventricolari molto


lenti, di solito regolare (Fig. 11-42), anche se è possibile che un
pacemaker così inaffidabile scarichi irregolarmente. La frequenza sarà
20-40 bpm o anche meno.

Quando il ritmo idioventricolare compare in fase terminale - cioè quando


il paziente sta morendo - i complessi possono perdere parte della loro
forma e risultare molto irregolari. In questa fase si parla di ritmo
agonico, o cuore morente

All'origine della PEA vi sono in genere alterazioni che, prontamente


identificate, possono essere reversibili. t come se quel cuore ci
avvisasse delle sue possibilità di ripresa, a patto di essere messo nelle
condizioni per farlo.

Per ricordarle più facilmente, le principali cause di PEA potenzialmente


reversibili vengono suddivise nei seguenti due gruppi di quattro in base
alla lettera ini- ziale del corrispondente nome inglese (vedi pago 746).

Le quattro "H" (quattro ''l'' in italiano):

1. Ipovolemia (Hypovolemia);
2. Ipossia (Hypoxia);
3. Iper/lpopotassiemia (Hyperkalemia/Hypokalemia);
4. Ipotermia (Hypothermia).

Le quattro "T":

1. PneumoTorace iperTeso (Tension pneumothorax);


2. Tamponamento cardiaco (Tamponade/cardiac);
3. Sostanze Tossiche o Terapeutiche (Toxins/Tablets);
4. Ostruzione circolatoria Tromboembolica (Thromboemboli).

Trattamento
pag. 75
Oltre al riconoscimento ed alla correzione delle possibili cause
reversibili, la terapia dell'attività̀ elettrica senza polso, come quella
dell'asistolia, considera il ricorso ad RCP con ossigeno, accesso venoso
per somministrare adrenalina e liquidi, controllo avanzato delle vie
aeree.

32) Farmaci in emergenza e loro uso

Le informazioni più̀ rilevanti sulle indicazioni, il meccanismo d'azione, il


dosaggio e le precauzioni dei farmaci per la gestione dell'arresto
cardiaco e di quelli utilizzati per il trattamento delle aritmie minacciose
o sintomatiche, della disfunzione miocardica e della sregolazione
vasomotoria che sovente caratterizzano il periodo peri-arresto.

Questi farmaci dell'ACLS sono presentati in ordine alfabetico per


agevolarne la consultazione,

ADRENALINA

Indicazioni

Costituisce il farmaco di prima linea nell'arresto cardia- co da


asistolia/PEA oppure da FVlTVsp persistente o ricorrente.

AI di fuori dell'arresto cardiaco è indicata in caso di grave anafilassi, e


anche in questo caso costituisce il trattamento di prima linea, e di
bradicardia sintomatica che non risponda ad altri trattamenti prioritari.
Nello shock cardiogeno costituisce un trattamento di seconda linea.

Meccanismo d'azione

L'adrenalina è una catecolamina naturale con attività̀ sia alpha che beta-
adrenergica che riveste un ruolo fondamentale nel trattamento
dell'arresto cardiaco e delle reazioni anafilattiche gravi.

Nell'arresto cardiaco, il principale beneficio derivante dall'uso


dell'adrenalina è l'aumento della pressione di perfusione coronarica e
cerebrale.

Durante l'asistolia l'adrenalina è di aiuto nel riavviare l'attività̀ cardiaca


spontanea, in quanto migliora la perfusione e aumenta la contrattilità̀ del
miocardio.

pag. 76
In caso d'assenza di polso con complessi ECG atipici (PEA), la sola
somministrazione di adrenalina può̀ essere sufficiente a ripristinare una
valida contrazione cardiaca.

L'azione beta-stimolante con aumento di batmotropismo, cronotropismo,


dromotropismo ed inotropismo cardiaco è di minore importanza in corso
di RCP, ma dopo la ripresa della circolazione spontanea può̀ rivelarsi
vantaggioso o, al contrario, pericoloso. Infatti, se da una parte gli effetti
a e Il combinati fanno sì che dopo il ROSC la gittata cardiaca e la
pressione arteriosa siano elevate, con miglioramento del flusso
cerebrale e degli altri organi vitali, dall'altra parte tutto ciò̀ determina
anche un aumento del consumo di ossigeno miocardico. E in un cuore già̀
ischemico o ai limiti dell'ischemia l'aumento del consumo di O, può̀ avere
gravi conseguenze (FV, estensione dell'area infartuale).

Si comprende allora l'utilità̀ del monitoraggio capnografico durante la


RCP per somministrare l'adrenalina nel momento più̀ opportuno.

Nella crisi anafilattica l'adrenalina contrasta la vasodilatazione


periferica e riduce l'edema, in quanto agonista dei recettori a-
adrenergici. La sua attività̀ sui recettori beta-adrenergici dilata le vie
aeree (Il,), aumenta la forza della contrazione miocardica (Il,) e inibisce il
rilascio d'istamina e leucotrieni (Il,).

Dosaggio

In caso di arresto cardiaco da asistolia/PEA bisogna somministrare


appena possibile 1 mg in bolo EV e poi ripeterlo ogni 3-5 minuti fino alla
ripresa del ROSC; in caso di arresto cardiaco da FVITVsp persistente o
ricorrente bisogna somministrare dopo il terzo shock 1 mg in bolo EV e
poi ripeterlo ogni 3-5 minuti fino alla ripresa del ROS.

Se somministrata per vena periferica, dev'essere seguita da un rapido


bolo di 20 o più̀ mL di liquidi e dal sollevamento dell'arto rispetto al corpo
per una ventina di secondi, in modo da assicurarne la progressione verso
il cuore.

Sperimentalmente si è dimostrato che essa presenta una buona


biodisponibilità̀ anche dopo somministrazione endotracheale, ma questa
tecnica di somministrazione non viene più̀ considerata per gli adulti e
anche in età̀ pediatrica dalle più̀ recenti linee guida del 2015.

Per il trattamento della crisi anafilattica la dose 1M è, di 10 mcg/kg fino


ad un massimo di 500 mcg nell'adulto, ulteriormente ripetibile ogni 5 min
in base alla risposta del paziente. Nei casi in cui vi siano dubbi reali sulla

pag. 77
funzionalità̀ del circolo e sull'assorbimento del far- maco iniettato per via
intramuscolare, l'adrenalina può essere somministrata (solo da
specialisti!) per iniezione EV a boli da 50 mcg in base alla risposta. Se
sono necessarie dosi di adrenalina ripetute, iniziare l'infusione EV lenta
terminando la somministrazione stessa non appena si sia ottenuta la
risposta desiderata.

Quando viene usata come farmaco vasopressore o cronotropo positivo in


pazienti non in arresto cardiaco, l'adrenalina è somministrata in
infusione continua alla dose iniziale di 1 mcg/min, successivamente
regolata in base al la risposta emodinamica desiderata (in genere 2-10
mcg/min).

~ PALS La somministrazione delle dosi pediatriche richiede la


preparazione di una diluizione 1:10.000 del farmaco, che si ottiene
diluendo una fiala di adrenalina (1 mg in 1 mL) con 9 mL di soluzione
fisiologica. Un mL di tale soluzione (0.1 mg) è la dose da somministrare
EV/IO ad un bambino di 10 kg in arresto cardia- co, ripetibile ogni 3-5
min.

Quando viene somministrata in infusione continua, la dose è di 0.1-0.3


mcg/kg·min se si vogliono ottenere effetti Il-adrenergici, 0.3 o più
mcg/kg·m in se si cerca anche un effetto a-adrenergico.

Precauzioni

L'adrenalina non dev'essere aggiunta a sacche o flaconi che contengano


soluzioni alcaline (l'autossidazione delle catecolamine e dei composti
simpaticomimetici correlati dipende dal pH).

Anche a basse dosi, gli effetti inotropo e cronotropo positivo del farmaco
possono precipitare o aggravare l'ischemia miocardica per aumento
della frequenza e del post carico ventricolare.

L'adrenalina può̀ indurre o aggravare l'extrasistolia ventricolare,


specialmente nei pazienti in terapia digitalica. Essa causa, inoltre,
vasocostrizione nel distretto splancnico con ischemia intestinale.

AMIODARONE

Indicazioni

Le principali indicazioni di questo potente antiaritmico sono:

 FVITVsp persistente o ricorrente;

pag. 78
 Tachicardie con instabilità̀ emodinamica, dopo tre tentativi di
cardioversione;
 La TV emodicamente stabile, polimorfa e a QRS larghi di origine
incerta.

Nei pazienti con grave cardiopatia l'amiodarone EV è preferibile a


qualsiasi altro antiaritmico per il controllo delle aritmie ventricolari e
sopra ventricolari. Inoltre, risulta più sicuro per la minor incidenza di
effetti pro-aritmici.

Meccanismo d'azione

L'amiodarone è un farmaco antiaritmico stabilizzatore di membrana che


aumenta la durata del potenziale d'azione e del periodo refrattario nel
miocardio atriale e ventri- colare. La conduzione atrio-ventricolare è
rallentata, così come nelle vie accessorie. Prolunga l'intervallo QT.

L'amiodarone può evidenziare un effetto a-bloccante non competitivo e


un modesto effetto inotropo negativo alle dosi terapeutiche che si
accentua se il farmaco viene somministrato ad elevata velocità per via
endovenosa.

Dosaggio

In caso di FV/TVsp persistente o ricorrente, dopo i primi tre shock, va


somministrato assieme all'adrenalina un bolo iniziale di 300 mg di
amiodarone, diluito in 20 mL di soluzione glucosata a 5%; dopo i 15·
shock può̀ essere somministrato un altro bolo di 150 mg.

Nelle condizioni d'urgenza dettate dall'arresto, il farmaco può̀ essere


iniettato per via venosa periferica. Tuttavia, se il paziente ha già̀ in sede
un catetere venoso centrale, è preferibile somministrare il farmaco
attraverso questa via, evitando in tal modo il pericolo di tromboflebite
periferica.

In caso di tachicardia ventricolare o sopra ventricolare con instabilità̀


emodinamica, dopo 3 tentativi di cardioversione si somministra
amiodarone alla dose di 300 mg EV in 10-20 min (non in bolo, come
invece avviene nell'arresto cardiaco, per evitare che si manifesti- no gli
effetti inotropo negativi da elevati livelli plasmatici del farmaco in
presenza di cuore battente), seguita dall'infusione di 900 mg/24 h.

Per una TV emodinamicamente stabile si può somministrare una dose di


300 mg EV in 20-60 minuti, seguita dall'infusione di 900 mg/24 h. In

pag. 79
assenza di una linea venosa centrale, è accettabile anche una via
venosa periferica di grosso calibro, da sostituire con una via centrale
non appena possibile.

. ~ PALS
5 mg/kg in bolo EV dopo il terzo shock, ripetibili dopo il quinto shock.

Precauzioni

L'amiodarone può diventare paradossalmente aritmogeno, specialmente


se somministrato in concomitanza con tarmaci che prolungano
l'intervallo QT. Tuttavia, rispetto ad altri tarmaci antiaritmici utilizzati in
analoghe circostanze l'incidenza di effetti pro-aritmici è bassa.

I principali effetti negativi dell'amiodarone sono l'ipotensione e la


bradicardia, che vanno prevenuti rallentando la velocità della
somministrazione ed eventualmente trattati con liquidi e/o inotropi.
Gli effetti collaterali associati a somministrazione orale prolungata
(disfunzioni tiroidee, micro depositi corneali, neuropatia periferica e
infiltrati polmonari ed epatici) non sono importanti in fase acuta.

I livelli plasmatici di warfarin e digossina vengono aumentati


dall'amiodarone; di conseguenza, le loro dosi andrebbero dimezzate di
circa il 50%.

L'amiodarone ha un effetto additivo in presenza di trattamento con beta-


bloccanti e calcioantagonisti, con conseguente peggioramento del
blocco AV.

ATROPINA

Indicazioni

Fino a non molto tempo fa veniva usata subito dopo l'adrenalina anche
per la terapia dell'arresto cardiaco con asistolia o con PEA e bradicardia,
ma le più̀ recenti linee guida raccomandano questo tipo d'impiego
esclusivamente in caso di ACC in sala operatoria preceduto da una
bradicardia estrema per stimolazione vagale.

Nella fase del post-arresto è indicata come terapia di prima linea per i
pazienti con una bradicardia accompagnata o meno da segni e sintomi di
compromissione emodinamica.

pag. 80
L'atropina può̀ ristabilire la normale conduzione nodale AV e l'attività̀
elettrica nei pazienti con blocco AV di 1· grado o con blocco AV di 2·
grado tipo Mobitz I, e in qualche paziente con arresto cardiaco bradi
sistolico.

In caso di blocco AV di 2· grado tipo Mobitz Il o di blocco AV di 3· grado,


l'atropina dev'essere usata con cautela, solo dopo aver escluso la
presenza di un'ischemia, per il pericolo di tachicardie indesiderate, ed a
dosi non inferiori a 0.1 mg, per il pericolo di rallentamenti paradossi della
frequenza cardiaca.

Meccanismo d/azione

L'atropina antagonizza l'azione del neurotrasmettitore acetilcolina sui


recettori muscarinici. Di conseguenza blocca l'effetto del nervo vago sia
sul nodo senoatriale che sul nodo atrioventricolare, aumentando
l'automaticità̀ del seno e facilitando la conduzione AV.

Dosaggio

Viene somministrata in dosi di 0.5 mg EV ripetibili ad intervalli di 5


minuti fino all'ottenimento del risultato desiderato; la dose massima di è
3 mg, oltre la quale non si può̀ avere nessun ulteriore incremento della
sua efficacia.

Precauzioni

Una tachicardia indotta dall'atropina può̀ essere pericolosa per i pazienti


coronaropatici o con ischemia miocardica in atto; in tali casi, il farmaco
deve sempre essere somministrato con cautela, potendo scatenare FV o
TV ed estendere la zona infartuale.

L'atropina non va usata nei pazienti trapiantati di cuore, nei quali può̀
causare un blocco AV di alto grado e perfino l'arresto sinusale.

Dosi eccessive possono provocare una sindrome anticolinergica


caratterizzata da tachicardia, cute calda e arrossata, atassia,
annebbiamento della vista, delirio, anche coma. La somministrazione di
dosi inferiori a 0.5 mg può̀ provocare una bradicardia paradossa.

CALCIO CLORURO

Indicazioni

Durante la RCP, la somministrazione indiscriminata di calcio è


proscritta, in quanto le elevate concentra- zioni plasmatiche raggiunte

pag. 81
dopo somministrazione endovenosa possono avere azione negativa sul
cuore ischemico e possono compromettere il recupero delle funzioni
cerebrali.

Il calcio va pertanto somministrato nell'arresto solo quando


specificamente indicato, cioè̀ in caso di iperpotassiemia, ipocalcemia
(ad es., dopo molteplici emotrasfusioni), o tossicità̀ da calcioantagonisti.

AI di fuori dell'arresto cardiaco, è stata evidenziata l'utilità̀ del calcio nel


prevenire l'effetto ipotensivo del verapamil, al punto tale da
raccomandarne la somministrazione come premedicazione, da
effettuarsi 5-10 min prima di somministrare il calcioantagonista nei
pazienti con labilità̀ emodinamica o coronaropatia.

Meccanismo d'azione

Il calcio è un catione essenziale per l'accoppiamento eccitazione-


contrazione nel muscolo. In risposta alla stimolazione elettrica del
muscolo , gli ioni calcio entrano nel sarcoplasma dallo spazio
extracellulare e dal reticolo sarcoplasmatico vengono rapidamente
trasferiti ai siti di interazione tra i filamenti di actina e miosina del
sarcomero, per dare il via all'accorciamento delle miofibrille.

In tal modo il calcio incrementa la funzione contrattile miocardica.


L'effetto inotropo positivo è modulato dall'azione sulle resistenze
vascolari sistemiche, che possono essere sia aumentate che ridotte dal
calcio. Nel cuore normale l'azione inotropa e l'effetto vasocostrittore del
calcio producono un prevedibile aumento della pressione arteriosa.

Dosaggio

In caso di iperpotassiemia: 10 mL EV di calcio cloruro al 10% in 5-10


min, ripetendo la dose se necessario.

In caso di intossicazione da calcioantagonisti: 20 mL EV di calcio cloruro


al 10% ogni 2-5 minuti in caso di bradicardia severa e ipotensione e
successiva infusione se necessaria.

La soluzione di calcio cloruro è preferibile a quella di calcio gluconato


poiché́ produce livelli di calcio ionizzato nel plasma considerevolmente
più̀ elevati e più̀ prevedibili.

Per la profilassi, quando si somministrano calcioantagonisti: il cloruro di


calcio può̀ essere somministrato per via EV ad una dose di 2.4 mg/ kg di
soluzione al 10% (1.36 mEq di calcio per 100 mg di sale per mL) e
ripetuto, se necessario, ad intervalli di 10 minuti.

pag. 82
~ PALS Somministrare lentamente 20 mg/ kg EV/IO (0.2 mL/kg);al

I
massimo 2 g in1 dose

Precauzioni

Mentre nell'arresto cardiaco può essere somministrato in bolo rapido, in


presenza di circolazione spontanea va somministrato lentamente,
perché può provocare un rallentamento della frequenza cardiaca fino
all'arresto in sistole.

Il calcio va usato con molta cautela nei pazienti in terapia digitalica,


poiché́ aumenta l'irritabilità̀ ventricolare, specialmente se concomita
ipokaliemia.

Esso può anche causare vasospasmo nelle arterie coronarie e cerebrali.

Se sono somministrati assieme al sodio bicarbonato, i sali di calcio


precipitano come carbonato.

DOBUTAMINA

Indicazioni

La disfunzione miocardica nel periodo post-arresto cardiaco spesso


richiede il supporto con inotropi, a volte solo transitoriamente, e la
dobutamina è il trattamento maggiormente utilizzato in questo contesto.

La dopamina è ampiamente utilizzata in molte altre criticità̀


cardiocircolatorie e serve al trattamento dei pazienti con congestione
polmonare e bassa gettata e di quelli ipotesi con congestione polmonare
e disfunzione ventricolare sinistra che non tollerano una terapia con
farmaci vasodilatatori.

L'impiego di dobutamina e un moderato incremento della volemia


rappresentano il trattamento di scelta nei pazienti con infarto
ventricolare destro emodinamicamente significativo.

Meccanismo d'azione

È un'amina simpaticomimetica di sintesi ad azione inotropo positiva.


Stimola anche i recettori periferici a, ma l'effetto è contrastato dalla più̀
intensa stimolazione dei beta risultandone così una lieve
vasodilatazione; L'incremento della gittata cardiaca porta a sua volta ad
una diminuzione delle resistenze vascolari periferiche. A dosi

pag. 83
convenzionali (2-20 mcg/kg·min), la dobutamina ha minore tendenza a
causare tachicardia rispetto alla dopamina o all'isoproterenolo. Tuttavia,
dosi maggiori provocano tachicardia. È minimo il suo effetto sulla
richiesta miocardica di ossigeno e ciò determina un bilancio tra apporto
e domanda più favorevole di quanto non facciano noradrenalina e
dopamina. L’azione inotropa è inoltre compensata dall'incremento del
flusso coronarico. Perciò̀ la dobutamina non estende le dimensioni
dell'area infartuata e non provoca aritmie quando vie- ne somministrata
in modo tale da evitare significativi aumenti della frequenza. Dopamina e
dobutamina possono essere usate insieme (7.5 mcg/kg·min ciascuna),
con minor incremento della PAPO e minore congestione polmonare
rispetto a quanto avviene con la sola dopamina.

Dosaggio

La dobutamina può essere efficace a basse dosi (ad es. 0.5 mcg/kg·min).
Il range abituale è compreso tra 2 e 20 mcg/kg·min. Si deve usare la più
bassa dose efficace, determinata dal monitoraggio emodinamico. Nei
pazienti coronaropatici è necessario evitare di provocare un incremento
della frequenza cardiaca superiore al 10% rispetto ai valori iniziali.

Precauzioni

Una corretta somministrazione del farmaco richiede un adeguato


monitoraggio emodinamico e l'impiego di pompe d'infusione
volumetriche; il trattamento va quindi effettuato in aree intensive o
subintensive. La dobutamina può causare tachicardia, aritmie e
fluttuazione della pressione arteriosa. Può provocare ischemia
miocardica, specialmente se induce tachicardia. Altri effetti collaterali
descritti sono cefalea, nausea, tremori e ipokaliemia.

DOPAMINA

Indicazioni

Il trattamento con dopamina è indicato in caso di disfunzione miocardica


con vasoplegia nel periodo post-arresto o, comunque, in tutte le
condizioni di squilibrio emodinamico con ipotensione. ~considerato
anche come trattamento di seconda linea nel periodo post-arresto in
caso di bradicardia sintomatica o no.

Se si rende necessario un dosaggio superiore a 20 mcg/kg·min per


mantenere valori pressori accettabili, allora si passa alla noradrenalina.

pag. 84
Meccanismo d'azione

t il precursore chimico di adrenalina e noradrenalina che stimola i


recettori dopaminergici, beta1,-ed a-adrenergici in modo dose-
dipendente.

Basse dosi (1-2 mcg/kg·min) stimolano i recettori dopaminergici con


vasodilatazione cerebrale, renale e mesenterica. L'effetto diuretico della
dopamina a basse dosi, sebbene non sia ancora dimostrato
univocamente in studi clinici, sembra essere dovuto anche ad azione
natriuretica a livello del tubulo.

Nel range compreso tra 2 e 10 mcg/kg·min, la dopamina stimola sia i


recettori beta1 , (azione prevalente) che gli a-adrenergici, con aumento
della gittata cardiaca e solo un modesto incremento delle resistenze
vascolari sistemiche.

A dosi superiori a 10 mcg/kg·min, predomina l'effetto alpha e,


conseguentemente, si ha vasocostrizione periferica venosa ed arteriosa,
con spiccato aumento delle resistenze vascolari sistemiche e polmonari.

Dosaggio

La velocità iniziale d'infusione mediante pompa siringa è in genere di 1-5


mcg/kg·min, e può essere aumentata fino ad ottenere il miglioramento
della pressione arteriosa, della diuresi e degli altri indicatori di
perfusione degli organi bersaglio.

Per ridurre al minimo gli effetti collaterali, si deve impiegare la più bassa
velocità di somministrazione che consenta di ottenere un equilibrio
emodinamico soddisfacente.

L'infusione di dopamina dev'essere ridotta e poi sospesa in modo


graduale, con contemporanea espansione volemica (venendo a mancare
l'aumento del ritorno venoso da veno costrizione), per evitare un
collasso circolatorio.

Precauzioni

Il monitoraggio emodinamico è molto importante per il corretto uso di


questo farmaco nei pazienti con cardio- patia ischemica o con
insufficienza cardiaca congestizia. La dopamina incrementa la frequenza
cardiaca e può indurre o peggiorare le aritmie ventricolari e
sopraventricolari. A dosi elevate, il consumo di ossigeno e la produzione
di lattato da parte del cuore possono aumentare, a testimoniare un
incremento del flusso coronarico insufficiente per compensare l'aumento

pag. 85
del lavoro cardia- co. Questo squilibrio tra apporto e richiesta di
ossigeno può provocare o peggiorare un'ischemia miocardica. L'effetto
della dopamina può esser potenziato da- gli IMAO, per cui nei pazienti in
trattamento con questi farmaci si devono usare dosi pari ad un decimo di
quel- le normali. I pazienti in trattamento con fenitoina possono
presentare ipotensione durante somministrazione di dopamina. A pH
alcalino la dopamina viene lentamente inattivata; pertanto non va
aggiunta a soluzioni contenenti sodio bicarbonato o ad altre soluzioni
alcaline. Però la cinetica dell'inattivazione è sufficientemente lenta da
permettere che dopamina e farmaci alcalini come aminofillina, fenitoina,
e lo stesso sodio bicarbonato possano essere somministrati per un breve
periodo attraverso un unico catetere venoso. Come la noradrenalina,
anche la dopamina provoca necrosi tissutale ed escare cutanee in caso
di stravaso venosa nell'interstizio.

GLUCAGONE

Indicazioni

Nella fase del post-arresto cardiaco, la somministrazione di glucagone


può essere considerata come tratta- mento di seconda linea della
bradicardia, sintomatica o non, in caso di ACC da sovradosaggio di I>-
bloccanti o di calcioantagonisti.

Meccanismo d'azione

Il glucagone ha effetto iperglicemizzante mobilizzando le riserve


epatiche di glicogeno con conseguente liberazione di glucosio nel
sangue. Stimola la secrezione delle catecolamine e l'attivazione
dell'adenilatociclasi con formazione di cAMP ed aumento della
glicogenolisi, distensione della muscolatura liscia, effetti inotropo,
cronotropo e dromotropo positivi a livello del miocardio.

Dosaggio

Si inizia con un bolo EV di 5-10 mg seguito dall'infusione EV di 1-10 mg/h.

Il farmaco non deve essere somministrato a dosi maggiori di 1 mg/ l mL


per cui deve essere ricostruito con l'apposito solvente prima dell'uso ed
essere utilizzato subito dopo la preparazione. Effetti collaterali sono
iperglicemia, ipokaliemia, nausea e vomito, rare reazioni di
ipersensibilità̀ .

ISOPRENALINA

Indicazioni
pag. 86
Nella fase del post-arresto cardiaco, la isoprenalina (o isoproterenolo)
può essere considerata come tratta- mento di seconda linea della
bradicardia, sintomatica o no, per il suo spiccato effetto cronotropo
positivo.

Meccanismo d'azione

È un farmaco simpaticomimetico attivo sui recettori beta-adrenergici,


dotato di effetto inotropo positivo e cronotropo positivo, effetto
vasodilatatore periferico e broncodilatatore.

Dosaggio

Generalmente si inizia con l'infusione EV di 5 mg/min titolando la dose in


base alla risposta del paziente.

Precauzioni

È indispensabile un attento monitoraggio emodinamico ed evitare che la


bradicardia viri in tachicardia aumentando il consumo d'ossigeno
miocardico. Va evitata l'associazione con altre catecolamine in quanto i
loro effetti combinati possono indurre gravi aritmie; i farmaci possono
tuttavia essere somministrati in successione lasciando un adeguato
intervallo tra le dosi

LlDOCAINA

Indicazioni

La lidocaina va considerata nel trattamento di FV/TYsp persistente o


ricorrente solo quando non è disponibile l'amiodarone. Se questo diventa
successivamente disponibile, allora può subentrare alla lidocaina; se
invece si è già iniziato il trattamento con l'amiodarone, la lidocaina non
può̀ più̀ essere utilizzata.

Può̀ essere presa in considerazione se un paziente :a rimane in FV/TYsp


dopo la terza scarica. Dopo il ROS, si somministra in infusione continua
ai pazienti con significativo rischio di aritmie ventricolari maligne
(ipokaliemia, ischemia miocardica, importante disfunzione ventricolare
sinistra), per prevenire ricorrenze di FV/TYsp. La lidocaina è il farmaco
alternativo all'amiodarone (in sua assenza) anche nel trattamento della
TV senza compromissione emodinamica, così come nel trattamento
dell'extrasistolia ventricolare (più di 6 CVP al minuto, brevi periodi di
extrasistoli accoppiate o a salve, CVP polimorfi o con il fenomeno di R
su T).

pag. 87
Meccanismo d'azione

È un anestetico locale di tipo amidico efficace nell'innalzare la soglia d i


depolarizzazione durante la diastole e deprimere l'irritabilità̀ cardiaca in
caso di FV/TYsp persistente o ricorrente.

L'azione antifibrillatoria si ottiene con concentrazioni plasmatiche di


lidocaina (6 mcg/mL) più̀ alte di quelle necessarie per controllare
l'extrasistolia ventricolare (2-5 mcg/mL).

Normalmente la lidocaina non interferisce sulla contrattilità̀ miocardica,


sulla pressione arteriosa, sulla genesi d'aritmie atriali o sulla conduzione
intraventricolare, e può facilitare la conduzione AV. Ma nei pazienti con
disfunzione del ventricolo sinistro sarebbe dimostrato che essa deprime
la conduzione e la contrattilità̀ miocardica.

Dosaggio

Solo quando non è disponibile l'amiodarone, va considerata una dose


iniziale di lidocaina di 100 mg (1-1.5 mg/kg) in caso di FV e TVsp
persistente o ricorrente dopo il terzo shock. A questa dose iniziale si può
far seguire un ulteriore bolo di 50 mg. La dose totale non deve eccedere i
3 mg/kg durante la prima ora.

Nelle situazioni in cui non vi sia un arresto circolatorio, il bolo iniziale di


1-1.5 mg/kg va seguito da un'infusione di mantenimento di 30-50
mcg/kg·min (2-4 mg/ min), per ottenere rapidamente livelli terapeutici del
farmaco.

Per evitare livelli sub terapeutici di lidocaina dopo il bolo iniziale, è


consigliato un secondo bolo di 0.5 mg/ kg dopo 10 minuti. Se
l'extrasistolia ventricolare persiste, possono essere somministrati boli
aggiuntivi di 0.5-0.75 mg/ kg ogni 5-10 minuti, fino ad una dose totale di 3
mg/kg.

L'infusione di mantenimento deve essere regolata in accordo con i segni


clinici e con i livelli di concentrazione plasmatica del farmaco; va ridotta
del 50% se vi sono alterazioni del flusso ematico al fegato (shock, infarto
miocardico acuto, scompenso cardiaco congestizio), perché́ in tal caso
la clearance totale è ridotta.

La dose di mantenimento va ridotta anche nei pazienti con età̀ superiore


a 70 anni, per il minor volume di distribuzione. E poiché́ l'emivita del
farmaco è incrementata dopo 24-48 ore d'infusione continua, la dose di
mantenimento deve essere ridotta del 50% dopo 24 ore. In pratica, il

pag. 88
monitoraggio della concentrazione plasmatica della lidocaina è
necessario per evitarne gli effetti tossici.

Nei pazienti con insufficienza renale non è necessario modificare le dosi


di lidocaina poiché́ la sua eliminazione e il volume di distribuzione
rimangono immutati; tuttavia, in tale situazione si ha l'accumulo di
metaboliti con scarsa attività terapeutica ma neurotossica.

Precauzioni

Nell'arresto cardiaco i normali meccanismi di eliminazione non


funzionano; è possibile quindi che vengano raggiunte elevate
concentrazioni plasmatiche anche solo dopo una singola dose.

Dopo 24 ore di infusione continua la concentrazione plasmatica aumenta


significativamente: è necessario ridurre le dosi e rivalutare regolarmente
le indicazioni alla prosecuzione della somministrazione.
La tossicità̀ della lidocaina si manifesta a livello del sistema nervoso
centrale, soprattutto, e dell'apparato cardiocircolatorio.
Le alterazioni neurologiche più moderate comprendono: sonnolenza o
agitazione, disorientamento, alterazione delle capacità uditive,
parestesie e contrazioni muscolari. Tra gli effetti tossici più̀ gravi vi sono
crisi focali e crisi di grande male.

Il trattamento consiste nella sospensione del farmaco e, se necessario,


nella somministrazione di anticonvulsivanti (benzodiazepine, barbiturici
o fenitoina).

MAGNESIO

Indicazioni

La somministrazione di magnesio va considerata in caso di FV!TVsp


persistente o ricorrente nel sospetto di ipomagnesiemia e costituisce il
trattamento di scelta nei pazienti che presentano una TV con torsione
delle punte, tenendo presente che l'ipomagnesiemia è spesso associata
all'ipokaliemia.

Meccanismo d'azione

Il magnesio è un cofattore in numerose reazioni enzimatiche essenziale


per il funzionamento della pompa sodio-potassio. Agisce come un
fisiologico bloccante dei canali del calcio e blocca la trasmissione
neuromuscolare.

pag. 89
L'ipomagnesiemia è associata ad un'alta frequenza di aritmie cardiache,
a sintomi di insufficienza cardiaca e a morte improvvisa; può portare ad
una FVI TVsp persistente o ricorrente ed ostacolare il reintegro del
potassio intracellulare.

Dosaggio

La dose iniziale è di 2 g EV (4 mL di magnesio solfato al 50%) diluiti in 10


mL di soluzione glucosata al 5% e infusi in 1-2 minuti; può essere
ripetuta dopo 10-15 minuti.

Sono state usate con successo dosi anche maggiore fino a 5-10 g/h

In caso d'ipomagnesiemia controllata in Terapia Intensiva, si può


effettuare l'infusione continua di 0.5-1g/h.

~ PALS Somministrare 25-50 mg/kg EVlIO in 10-20I min. Dose massima 2

I
g.

Precauzioni

Gli effetti tossici dell'ipermagnesiemia, evenienza peraltro assai rara,


possono essere: depressione dei riflessi, paralisi flaccida, diarrea,
collasso circolatorio.

Il magnesio è escreto dai reni, ma gli effetti collaterali associati ad


ipermagnesiemia sono rari anche nel caso d'insufficienza renale.

NORADRENALINA

Indicazioni

La risposta infiammatoria sistemica che si sviluppa frequentemente nei


pazienti dopo un arresto cardiaco può causare una vasoplegia con
ipotensione talmente grave da richiedere la somministrazione di
noradrenalina, come in caso di shock settico, per mantenere la
pressione di perfusione coronarica e cerebrale su valori accettabili fino
a che non si ottenga un adeguato ripristino della volemia.

Meccanismo d'azione

È una catecolamina naturale che differisce chimica- mente


dall'adrenalina solamente per l'assenza di un gruppo metilico
sull'aminaterminale.

pag. 90
Adrenalina e noradrenalina sono approssimativamente equivalenti nella
loro capacità di stimolare i recettori l', cardiaci, mentre il loro effetto
relativo sui recettori adrenergici a e l', è completamente diverso. La
noradrenalina incrementa la contrattilità miocardica a causa del suo
effetto l',-adrenergico, mentre la sua potente azione a-adrenergica porta
ad un aumento delle resistenze vascolari tale da contrastare il suo
effetto inotropo positivo.

Il risultato netto è una marcata vasocostrizione con un parziale effetto


inotropo positivo sul miocardio.

Molti fattori influenzano l'effetto sulla gettata cardiaca (volume ematico,


resistenze vascolari, ecc.), ma il risultato è solitamente un incremento
della gettata.

Così come avviene con altri farmaci inotropo positivi, la noradrenalina


può aumentare il consumo di ossigeno miocardico.

Dosaggio

Generalmente l'infusione del farmaco mediante pompa-siringa inizia alla


dose di 0.5-1.0 mcg/min e viene poi regolata in base al mantenimento di
una pressione arteriosa adeguata (un criterio ragionevole è un valore
sistolico di almeno 90 mmHg).

La dose media nell'adulto è di 2-12 mcg/ min. I pazienti con shock


refrattario possono necessitare di dosi elevate, fino a 30 mcg/min, per
mantenere una pressione arteriosa valida.

L'uso di questo farmaco dev'essere visto come una misura transitoria e


la dose dev'essere ridotta o l'infusione sospesa non appena possibile.

Precauzioni

Nei pazienti che necessitano di noradrenalina, appena possibile si deve


attuare la misura diretta della pressione arteriosa e, se possibile, il
cateterismo dell'arteria polmonare per valutare le variazioni di gettata
sistolica, pressione di occlusione polmonare e resistenze vascolari.

L'infusione dovrebbe essere regolata mediante pompa volumetrica ed


avvenire attraverso una vena centrale, poiché́ lo stravaso del farmaco
attorno alla sede di veni puntura periferica può portare a necrosi dei
tessuti circostanti: in questi casi la zona di stravaso deve essere
infiltrata con fentolamina (10 mg in 10 mL di soluzione fisiologica).

pag. 91
La noradrenalina incrementa il consumo miocardico di ossigeno senza
aumentare parallelamente il flusso coronarico, e ciò̀ può̀ essere deleterio
nei pazienti con IMA od ischemia miocardica; inoltre provoca
vasocostrizione intensa nei distretti splancnico e renale.

50010 BICARBONATO

Indicazioni

La somministrazione di sodio bicarbonato durante l'ar- resto cardiaco e


la RCP o dopo il ROSC va presa in considerazione solo nei seguenti casi:

 iperkaliemia minacciosa per la sopravvivenza,


 arresto cardiaco associato a iperkaliemia,
 overdose di antidepressivi triciclici.

Meccanismo d'azione

Il sodio bicarbonato (NaHCO,) si dissocia in ioni sodio e bicarbonato.

In condizioni di acidosi, gli ioni bicarbonato si combinano con gli


idrogenioni per formare acido carboni- co e quindi CO, Se la ventilazione
e la perfusione sono normali, la CO, cosi prodotta è eliminata dai
polmoni.

Scopo principale della somministrazione di sodio bicarbonato è la


neutralizzazione degli acidi fissi prodotti da metabolismo anaerobico e
provenienti dai tessuti ischemici, per limitare le conseguenze di una
grave acidosi sulla funzionalità̀ di organi ed apparati e del miocardio in
particolare.

Negli arresti cardiaci di breve durata e subito trattati con la RCP, i


farmaci tampone di solito non sono necessari in quanto un'appropriata
ventilazione ed efficaci compressioni toraciche, fornendo ossigeno agli
organi vitali, limitano la formazione di acidosi ipercarbica e metabolica.
In questa fase, anzi, il bicarbonato risulterebbe più dannoso che utile in
quanto durante la RCP la gettata cardiaca e quindi il trasporto di CO, ai
polmoni e la sua rimozione in tale sede sono diminuiti: il surplus di CO,
prodotta dall'azione di tampone del bicarbonato non potrebbe essere
adeguatamente eliminato e così si aggraverebbe l'acidosi tessutale e
intracellulare.

La somministrazione di bicarbonato può essere presa in considerazione


solo dopo che gli interventi di sicura utilità̀ sono stati messi in atto, con
particolare indicazione in alcune circostanze, come nel caso di

pag. 92
preesistente acidosi metabolica, iperpotassiemia, oppure intossicazione
da triciclici o fenobarbital.

Anche nella fase successiva ad una RCP con esito positivo, l'acidosi
risultante dal lavaggio dei tessuti precedentemente ipoperfusi può
richiedere la somministrazione di sodio bicarbonato.

Dosaggio

Durante la RCP in un adulto, la dose iniziale di sodio bicarbonato che può


essere somministrato alla cieca è di 50 mEq EV per una sola volta.

Il trattamento ottimale si può effettuare durante il ricovero ospedaliero,


ricavando dall'analisi dell'equilibrio acido-base le indicazioni per stabilire
le dosi necessarie a mantenere il pH arterioso vicino al va lore di 7.4.

Nella fase immediatamente successiva alla ripresa del circolo si ha una


massiccia liberazione dai tessuti di acido carbonico e lattico; il
trattamento richiede un'attenta regolazione della ventilazione per
mantenere la PaCO, a 25-35 mmHg e prevede l'uso di NaHCO, solo per
correggere il deficit di basi.

Il sodio bicarbonato può essere somministrato anche in infusione


continua quando l'obiettivo terapeutico è una graduale correzione
dell'acidosi o l'alcalinizzazione del sangue (ad es. nell'intossicazione da
antidepressivi triciclici) o delle urine (ad es. nell'intossicazione da
barbiturici).

Precauzioni

In passato è stata data molta importanza all'acidosi metabolica ed alla


somministrazione di sodio bicarbonato durante l'arresto cardiaco,
sottolineando che l'acidosi ematica e tessutale riduce l'inotropismo
cardiaco e l'efficacia dell'adrenalina.

Alla luce delle più recenti acquisizioni, è il ruolo cruciale della PCO, che
invece dev'essere tenuto ben presente.

La prestazione del cuore ischemico è strettamente correlata alla PCO,


tissutale piuttosto che al pH extra-cellulare.

Gli idrogenioni liberati durante l'acidosi metabolica esercitano un effetto


inotropo negativo, ma tale effetto è molto più lento a stabilirsi rispetto a
quello che invece viene indotto più rapidamente dalla CO" e può non
essere pienamente evidente se non dopo 30 minuti dall'inizio
dell'acidosi.

pag. 93
In pratica, il grado delle variazioni dell'equilibrio acido-base osservate
durante RCP e, conseguentemente, l'indicazione all'impiego o meno del
bicarbonato, dipendono dalle caratteristiche del flusso ematico e dalla
durata dell’ischemia che ha preceduto l’inizio della RCP.

Un'inappropriata somministrazione del farmaco, con liberazione di CO, e


la sua rapida diffusione intra- cellulare, può produrre più danni che
benefici, causando acidosi del liquido cerebrospinale ed acidosi veno- sa
centrale (la presenza di acidosi venosa di fronte ad un'alcalosi arteriosa
è stata definita paradosso arterovenoso).

Va tenuto presente altresì̀ che gli altri effetti sfavorevoli del bicarbonato
di sodio includono: ipernatriemia e iperosmolarità plasmatica e,
soprattutto, in caso di alcalosi metabolica iatrogena, spostamento a
sinistra della curva di saturazione dell'ossiemoglobina, il che ostacola il
rilascio di ossigeno ai tessuti (un bel regalo per le cellule già semi
asfittiche!)

TEOFILLINA

Indicazioni

Nella fase del post-arresto cardiaco, la teofillina può̀ essere considerata


come trattamento di seconda linea della bradicardia, sintomatica o non.

Meccanismo d'azione

La teofillina (aminofillina) è un farmaco inibitore delle fosfodiesterasi


che aumenta la concentrazione tissutale di AMP ciclico e la liberazione
di adrenalina dalle surrenali, con effetti inotropo e cronotropo positivi.

Dosaggio

La teofillina viene somministrata EV come aminofillina, costituita da una


miscela di teofillina ed etilen di ammina, che ne aumenta di 20 volte la
solubilità. La dose raccomandata nell'adulto è 250-500 mg (5 mg/kg) per
infusione EV lenta.

Precauzioni

La teofillina ha una finestra terapeutica ristretta, con una


concentrazione ottimale nel plasma pari a 10- 20 mg/l. Livelli superiori,
raggiungibili con una iniezione troppo rapida, possono provocare effetti
collaterali come aritmie e convulsioni.

pag. 94
Trombolitici a pagina 687 capitolo 44 libro

33) Le sindromi coronariche acute

Le sindromi coronarica acute sono un gruppo di manifestazioni cliniche


imputabili ad ischemia miocardica acuta la cui causa è generalmente la
rottura di una placca aterosclerotica coronarica “vulnerabile” con
successiva aggregazione piastrinica, sovrapposizione trombotica e
riduzione o arresto del flusso. In base all’entità della stenosi/occlusione
ed alla sua pertinenza, si determina uno dei seguenti quadri clinici:
 Angina instabile: ischemia miocardica acuta senza significativa
necrosi miocardica.
 Infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST:
Ischemia miocardica acuta associata a necrosi miocardica
subendocardica
 Infarto miocardico acuto con sovraslivellamento del tratto ST:
ischemia miocardica acuta associata a necrosi miocardica
transmurale.
SEGNI E SINTOMI
Il sintomo principale è il dolore toracico anginoso oppressivo o
costrittivo. Il malato descrive in genere il dolore come una sensazione di
pesantezza, di compressione, di soffocamento o di costrizione toracica.
Il dolore ha tipicamente sede retrosternale, più raramente è avvertito
all’epigastrio o solo nelle sedi di irradiazione (il lato ulnare
dell’avambraccio sinistro, il braccio e la spalla sinistra, l’epigastrio, il
collo, la mandibola, il braccio destro, il dorso). Il dolore insorge spesso a
riposo, e se compare durante uno stress psico-fisico non regredisce con
il cessare dell’attività. Nell’angina instabile il dolore ha di solito durata
inferiore a 20 minuti; se persiste per oltre 20 min è verosimile che si
associ anche a necrosi del miocardio. Nello STEMI, in assenza della
riapertura del vaso occluso, il dolore si protrae per diverse ore, con
intensità variabile. La sintomatologia dolorosa si associa spesso a :
 Sudorazione fredda

pag. 95
 Sensazione angosciosa
 Nausea
 Vomito
Tali sintomi (neurovegetativi) possono essere gli unici presenti talvolta.
Il dolore infatti è assente nel 30% dei casi, soprattutto in età avanzata e
nei diabetici. Alcuni pazienti hanno una SCA in assenza di qualsiasi
sintomo; in questi la malattia viene diagnosticata a posteriori mediante
ECG, scintigrafia o ecografia, oppure in seguito a una complicanza
acuta, la più terribile delle quali è la morte improvvisa per fibrillazione
ventricolare. Continuo capitolo 25 manuale di cardiologia
Domanda 36 37 38 39 40 41 42 43 sul manuale di cardiologia

34) La riserva coronarica e i suoi determinanti


35) I determinanti del consumo miocardico di ossigeno.
METABOLISMO MIOCARDICO.
In condizioni basali il cuore consuma circa 6,5-10 ml/min/100 gr di
tessuto. Tale dispendio serve: 3-5% per l’attività elettrica, 20% per il
mantenimento dell’integrità cellulare, 72-75% per l’attività contrattile.
Determinanti del flusso coronario L’Ischemia Miocardica consiste in un
squilibrio tra domanda ed offerta di ossigeno.
Riserva coronaria.
A livello miocardico per l’elevata estrazione di O2 (circa il 70%) l’unico
meccanismo di compenso in caso di aumentato fabbisogno di O2 è
rappresentato da un proporzionale aumento del flusso coronarico,
determinato da una vasodilatazione del distretto coronarico arteriolare
(vasi di resistenza). La capacità massima di vasodilatazione secondaria
a uno stimolo metabolico è definita Riserva Coronarica. Capacità di
aumentare il flusso coronarico in rapporto alle aumentate esigenze
metaboliche del miocardio. Fattori che regolano il circolo coronarico. Si
distinguono in anatomici, meccanici, neurogeni e metabolici.
 Fattori anatomici: i vasi coronarici possono essere suddivisi in:
vasi di conduttanza (grossi rami epicardici e loro diramazioni) e
vasi di resistenza (rami intramiocardici e arteriole). Le resistenze
pag. 96
coronariche sono regolate da fattori estrinseci (azione compressiva
del miocardio ventricolare) e da fattori intrinseci (di natura
neuroormonale, miogena e metabolica).
 Fattori metabolici: l’aumento della richiesta metabolica del
miocardio determina idrolisi di ATP e conseguente liberazione di
adenosina nell’interstizio. L’adenosina induce una vasodilatazione
(antagonizzando l’ingresso dello ione Calcio all’interno delle cellule
muscolari lisce) soprattutto a livello dei vasi di resistenza, con un
conseguente aumento del flusso coronarico proporzionale
all’aumento delle richieste metaboliche. L’adenosina non è la sola
sostanza implicata nel processo (il sistema degli eicosanoidi,
l’attività nitrossido sintetasica) ma è verosimilmente la principale.
 Fattori meccanici: Il flusso coronarico si attua soprattutto in
diastole poiché in sistole i rami intramurali vengono virtualmente
occlusi dalla contrazione ventricolare. Ne consegue che la
tachicardia predispone allo sviluppo di ischemia, poiché accorcia il
tempo di diastole. Gli strati subendocardici sono generalmente i
più esposti all’ischemia, soprattutto perché maggiormente esposti
alla pressione diastolica endocavitaria.
 Fattori neurogeni: Le arterie coronarie sono innervate dal S.N.A. La
stimolazione dal ganglio stellato (ortosimpatico) determina
vasodilatazione (mediata dai recettori Beta) ma al contempo
aumento della contrattilità e della frequenza cardiaca. Il blocco
recettoriale Beta induce la comparsa di effetti alfa-mediati
(vasocostrizione). Metabolismo energetico delle cellule
miocardiche. Il metabolismo delle cellule miocardiche è
prettamente aerobico: le cellule estraggono il 70% dell’O2 del
sangue coronario. Un aumento della richiesta di O2 viene
soddisfatto solo dal proporzionale aumento del flusso coronario.

Nel miocardio l’estrazione di O2 è, in condizioni basali, circa 8-10


mL/min/100 g di tessuto, pari al 75% della quantità contenuta nel
sangue arterioso. Dato che l’estrazione è particolarmente elevata, gli
aumenti del consumo miocardico di O2 sono bilanciati principalmente
da un aumento del flusso coronarico. Naturalmente oltre al flusso 14
coronarico, l’apporto di O2 al miocardio è determinato direttamente
dalla PaO2, cioè dalla quantità di ossigeno contenuta nel sangue
arterioso. Condizioni, quali per esempio l’anemia, possono infatti
determinare per ogni livello di flusso, riduzioni proporzionali
dell’apporto di O2. I determinanti principali del consumo miocardico di
ossigeno sono rappresentati dalla frequenza cardiaca, la pressione
sistolica (o lo stress parietale del miocardio) e la contrattilità
ventricolare sinistra. Se uno qualsiasi di questi determinanti

pag. 97
raddoppiasse, il flusso coronarico dovrebbe aumentare del 50%
circa[2].

36) Definizione Dolore toracico.


Si definisce dolore toracico qualsiasi dolore che sia localizzato
anteriormente tra la base del naso e l’ombelico e posteriormente tra la
nuca e la 12° vertebra senza alcuna causa traumatica o altra causa
chiaramente identificabile.

37) IV Definizione universale di infarto del miocardico,


definizione di danno o injury.
La diagnosi di MINOCA (myocardial infarction with non-obstructive
coronary arteries) presuppone la valutazione dell’anatomia coronarica e
l’esclusione di coronaropatia ostruttiva23. Tuttavia nelle prime fasi della
gestione di tali pazienti, ovvero prima della coronarografia, è necessario
escludere la presenza di danno miocardico acuto non ischemico tramite
l’anamnesi, l’esame clinico, l’ECG, l’ecocardiogramma ed eventualmente
altri esami come l’angio-tomografia computerizzata.
Nella quarta definizione universale di infarto miocardico si è
standardizzato ulteriormente tale concetto, definendo il danno
miocardico acuto non ischemico come un aumento o diminuzione della
troponina cardiaca con almeno un valore superiore al 99° percentile del
valore limite di riferimento, in assenza di segni clinici, ECG o morfologici
indicativi di ischemia miocardica23.

38) Il dolore toracico non correlato a sindrome coronarica


acuta.

pag. 98
Il dolore toracico è un sintomo molto frequente. Molti pazienti sono
consapevoli che possa essere un segno allarmante per patologie
potenzialmente fatali e che richieda un'attenta valutazione anche
quando è di intensità ridotta. Altri pazienti, tra cui molti con patologie
gravi, minimizzano o ignorano il potenziale allarme. La percezione del
dolore (sia il carattere che la gravità) varia notevolmente sia a livello
individuale e sia tra uomini e donne. Comunque, descritto, il dolore
toracico non deve mai essere trascurato senza una spiegazione della
sua causa.

Cuore, polmoni, esofago e grandi vasi forniscono impulsi viscerali


afferenti attraverso gli stessi gangli autonomici toracici. L'origine di
uno stimolo doloroso in questi organi è tipicamente percepita a livello
del torace, ma poiché le fibre nervose afferenti si sovrappongono nei
gangli dorsali, il dolore toracico può essere avvertito come dolore
riferito a distanza, dalla regione ombelicale all'orecchio compresi gli
arti superiori.

Numerose patologie causano dolore o fastidio toracico. Queste


affezioni possono coinvolgere il sistema cardiovascolare,
gastrointestinale, polmonare, nervoso o muscoloscheletrico

Alcune patologie sono immediatamente pericolose per la vita


 Angina;
 Infarto;
 Sindrome aortica acuta:

 Dissezione aortica acuta. Si verifica quando una lesione dello


strato più interno della aorta consente al sangue di fluire tra gli
strati della parete aortica, costringendoli a separarsi. Si viene così
a verificare uno slaminamento della tonaca intima del vaso con
formazione di un secondo lume detto "falso lume". Nel tipo A è
coinvolta l'aorta ascendente e/o l'arco aortico. Nel tipo B è
coinvolta l'aorta discendente distalmente all'arteria succlavia
sinistra.

 Ematoma intramurale. Non c’è un lume di entrata e un lume di


uscita. E’ presente uno scollamento della tonaca media. E’ dovuto
alla rottura di alcuni vasi nella parete vascolare, questi sanguinano
e dà dolore. Può essere di tipo A qualora si formi in corrispondenza
dell’aorta ascendente e di tipo B nell’aorta discendente. Ulcera
aortica penetrante. E’ la rottura di un ematoma che si ulcera e c’è
passaggio di sangue all’interno. E’ un’evoluzione dell’ematoma.

pag. 99
 Embolia polmonare acuta. Spesso è determinata da trombosi
venosa profonda degli arti inferiori.
Aneurismi dell’aorta;

 Endocardite;

 Polmonite;

 Ematomi;

 Fratture ossee;

 Ernia iatale;

 Rottura dell’esofago;

 Pneumotorace iperteso;

39) Gestione del paziente con dolore toracico.

La causa più frequente del dolore toracico acuto è proprio la sindrome


coronarica, con una percentuale del 45% dei casi.
Di questo 45% solo il 17% è facilmente identificabile come sindrome
coronarica acuta alla presentazione.

Le problematiche legate alla gestione di questi pazienti sono di due tipi:

 Bisogna evitare le mancate diagnosi di sindrome coronarica acuta


perché́ ciò significa avere un alto tasso di possibilità̀ di morte;

 Bisogna evitare che ci sia un aumento di ospedalizzazione nei casi


che sono a basso rischio.

In dettaglio, alla base del percorso c’è la corretta valutazione del


sintomo di presentazione – è importante acquisire informazioni su epoca
di insorgenza, durata e persistenza del sintomo dalla presentazione. Si
definisce “dolore toracico” qualsiasi dolore che anteriormente si colloca
tra la base del naso e l’ombelico e posteriormente tra la nuca e la
dodicesima vertebra e che non abbia causa traumatica8.
Il dolore toracico può essere categorizzato in tipico (senso di pressione
toracica anteriore o posteriore/senso di morsa interna, oppure irradiato
ad entrambe le braccia) o atipico rispetto alla localizzazione.

pag. 100
A livello intraospedaliero si avvia normalmente il percorso di
valutazione che preveda un periodo di osservazione necessario al
riconoscimento eziologico che lo sottende: una SCA in quasi il 45% dei
casi, un’embolia polmonare nel 4% dei casi, uno pneumotorace
spontaneo nel 3% dei casi o nell’1% da dissecazione aortica o da
pericardite-miocardite acuta, oppure ad escludere/identificare cause di
dolore non cardiovascolari come quelle gastrointestinali (malattia
ulcerosa peptica, da reflusso gastroesofageo), polmonari (polmoniti,
pleurite), sindromi della parete toracica (dolore muscolo-scheletrico,
costocondrite, radiculopatia toracica, herpes zoster), psichiatriche
(ansia).
La diagnosi precoce e la conseguente stratificazione del rischio sono
essenziali per la pianificazione del trattamento più tempestivo ed idoneo
(invasivo o conservativo) e la scelta del reparto di degenza più
appropriato: unità di terapia intensiva coronarica, degenza cardiologica
ordinaria o medicina d’urgenza per coloro a cui viene diagnosticata una
patologia vascolare acuta; la dimissione precoce per quelli a cui viene
esclusa.
L’evoluzione e la continua, nonché innovativa, implementazione degli
strumenti diagnostici a disposizione in questa categoria di pazienti, in
particolare l’estesa adozione del dosaggio della troponina ad alta
sensibilità come marcatore precoce di danno ischemico, e l’evoluzione
dei test d’imaging non invasivo, sia a riposo che da stress, con un
significativo incremento della loro accuratezza diagnostica ha indotto le
recenti linee guida ad una rimodulazione dei percorsi diagnostici in
Pronto Soccorso integrando il dosaggio della troponina con i sintomi e
l’ECG10.
In dettaglio, viene raccomandata l’adozione di score di valutazione del
dolore (TIMI risk score e Heart score) che permettono di integrare in
modo standardizzato i dati anamnestici, obiettivi, elettrocardiografici e
biochimici, consentendo una stratificazione prognostica più accurata del
dolore.
L’ECG rappresenta l’esame basale e fondamentale. Deve essere
eseguito e valutato entro 10 min dal momento dell’arrivo in Pronto
Soccorso se il dolore è in atto o il più precocemente possibile se
cessato, e sulla base di elementi quali le variazioni del tratto ST, la
comparsa di blocco di branca sinistro o blocco atrioventricolare di grado
avanzato, permette rapidamente e con elevata certezza la diagnosi.
Il dosaggio/andamento alterato della troponina è attualmente
considerato in un contesto clinico suggestivo di ischemia miocardica
acuta, lo standard diagnostico di infarto miocardico acuto. Il suo
innalzamento avviene dopo 2-4 h dall’inizio dei sintomi e l’adozione della
troponina ad elevata sensibilità ha elevato il potere predittivo negativo
di un singolo test (circa il 95%, con due il 100%).

pag. 101
Il protocollo di dosaggio 0-3 h più utilizzato e attualmente raccomandato
dalle linee guida europee del 2015 sulle SCA senza sopraslivellamento
del tratto ST, si è rivelato utile specie nelle procedure di “rule out”,
garantendo un’affidabile dimissione precoce nei pazienti a basso rischio
con troponina negativa e deve essere adottato con modelli di gestione
concordati con il proprio Pronto Soccorso e volti soprattutto ad
accelerare i tempi di attesa, limitando il sovraffollamento.

CONCLUSIONE
La gestione del dolore toracico necessita di una stretta integrazione e
cooperazione tra tutte le figure coinvolte (medici, cardiologi, triagisti,
infermieri), compreso il paziente (informazione/condivisone dei percorsi,
ecc.). Il prerequisito è che l’organizzazione si basi su un condiviso,
“revised”, rapido percorso diagnostico-terapeutico con l’obiettivo di:
– confermare il sospetto di SCA e definire il successivo iter gestionale,
– stratificare il rischio e decidere il timing d’intervento,
– sospettare una cardiopatia oltre la coronaropatia,
– definire un percorso diagnostico una volta esclusa la SCA,
– rassicurare il paziente.
A tal fine l’istituzione di un Chest Pain Team in ogni struttura ospedaliera
rappresenta la formula organizzativa più efficace dal punto di vista
clinico ed economico, in cui una condivisione di competenze ottimizzi la
gestione di questa tipologia di pazienti, riducendo nello stesso momento
la percentuale di mancate diagnosi di SCA e un’ospedalizzazione
eccessivamente estensiva e dispendiosa di risorse.

Secondo le linee guida cardiologiche, al PS, il Chest Pain score serve a


stratificare il rischio.

Nel momento in cui la clinica, l’ECG e gli enzimi miocardici ci dicono che
c’è un alto rischio di infarto, il paziente va direttamente in
coronarografia.
Il problema si pone quando l’ECG è negativo e non c’è movimento degli
enzimi miocardici; il paziente ha un medio-basso rischio.

In questo caso sarebbe indicato eseguire una TC con mezzo di


contrasto.
Se questa ci consente di escludere una sindrome coronarica, possiamo
dimettere il paziente dopo 18-24 ore dall’ammissione in PS.
Un paziente con possibile embolia polmonare o dissecazione aortica
deve essere immediatamente inviato a fare una TC con mezzo di
contrasto.
La TC eseguita in emergenza ha lo svantaggio che non possiamo
preparare bene il paziente (bradicardizzazione soprattutto).

pag. 102
Quando il paziente non è inquadrabile è possibile fare solo un’angio TC
con protocollo triple rule out, cioè una sola acquisizione in cui sono
visualizzatili tutte e tre le patologie più importanti (sindrome coronarica
acuta, sindrome aortica acuta, embolia polmonare acuta).
Questo esame ci permette di fare una diagnosi rapida e di ridurre le
spese sanitarie.

I criteri di inclusione al triple rule out sono: capacità di trattenere il


respiro per 20 secondi, assenza di insufficienza renale, ritmo regolare,
sospetto moderato-basso di sindrome coronarica acuta.
I criteri di esclusione sono: controindicazione assoluta al mezzo di
contrasto (allergie o insufficienza renale grave), gravidanza,
tachiaritmie.

Le linee guida forniscono, in caso di dolore toracico acuto, le seguenti


raccomandazioni:
 se il paziente ha un rischio cardiovascolare basso (rischio di
morte a 30 giorni o eventi cardiaci avversi maggiori [MACE]
<1%), potrebbero non essere necessari ulteriori test cardiaci
urgenti;
 se il paziente ha un rischio cardiovascolare intermedio e non è
affetto da una coronaropatia nota, i test aggiuntivi possono

pag. 103
includere esami funzionali (ECG da sforzo, ecocardiografia da
stress, scintigrafia miocardica di perfusione da stresso
risonanza magnetica cardiaca da stress) o test anatomici
(angioTAC);
 se il paziente ha un rischio cardiovascolare intermedio e una
coronaropatia nota, i test aggiuntivi possono includere esami
funzionali o un’angiografia coronarica con tomografia
computerizzata in caso di coronaropatia non ostruttiva, solo
esami funzionali in caso di coronaropatia ostruttiva o
un’angiografia coronarica invasiva in caso di coronaropatia
della maggiore sinistra, del vaso prossimale o multivasale;
 se il paziente ha un alto rischio cardiovascolare (nuove
alterazioni ischemiche all’ECG, danno miocardico confermato
da cTn, nuova disfunzione sistolica ventricolare sinistra, nuova
ischemia moderata-grave ai test funzionali, instabilità
emodinamica o punteggio CDP ad alto rischio) devono essere
sottoposti un’angiografia coronarica invasiva;
 Altre possibili cause non ischemiche di dolore toracico acuto:
sindrome aortica acuta (valutabile con angioTAC), embolia
polmonare acuta (valutabile con angioTAC), la miopericardite
(valutabile con risonanza magnetica cardiaca) e la valvulopatia
(valutabile con l’ecocardiografia).

Per quanto riguarda il dolore toracico stabile, invece, le linee guida


forniscono le seguenti raccomandazioni:
 tra i pazienti senza una coronaropatia nota, è possibile
identificare quelli con bassa probabilità di coronaropatia
ostruttiva e una prognosi favorevole – per i quali potrebbero non
essere necessari ulteriori esami diagnostici – attraverso un
modello di probabilità pretest che prenda in considerazione età,
sesso e sintomatologia. Per escludere la presenza di una placca
calcifica può essere effettuato un test per quantificare il calcio
nelle coronarie;
 se il paziente ha un alto rischio cardiovascolare medio-alto e
nessuna coronaropatia nota, l’angioTAC è utile per la diagnosi
di coronaropatia e la stratificazione del rischio. L’imaging da
stress (ecocardiografia, imaging miocardico perfusionale o
risonanza magnetica cardiaca) è utile per diagnosticare
un’eventuale ischemia e stimare il rischio di MACE;
 se il paziente ha una coronaropatia ostruttiva nota e dolore
toracico stabile nonostante la terapia medica, l’imaging da
stress (ecocardiografia, imaging miocardico perfusionale o
risonanza magnetica cardiaca) è raccomandato per la diagnosi
di ischemia e la valutazione del rischio. I pazienti ad alto rischio

pag. 104
o quelli con ischemia moderata-grave devono essere sottoposti
a angiografia coronarica invasiva;
 se il paziente ha una coronaropatia non ostruttiva nota e dolore
toracico stabile nonostante la terapia medica è ragionevole
eseguire una angioTAC o un test da sforzo;
 se il paziente ha una coronaropatia non ostruttiva documentata,
sintomi persistenti stabili e ischemia miocardica documentata
tramite imaging, è ragionevole valutare la disfunzione
microvascolare e migliorare la stratificazione del rischio
utilizzando un test di funzionalità coronarica invasivo:
tomografia a emissione di positroni da stress con valutazione
della riserva frazionale di flusso o risonanza cardiaca
magnetica da stress con valutazione della riserva frazionale di
flusso;
 è preferibile evitare di procedere con esami sequenziali per le
conseguenze in termini di costi: il clinico dovrebbe selezionare
il test con maggiore probabilità di fornire una risposta alla
domanda clinica.

40) Elettrocardiogramma nel dolore toracico, interpretazione


dei vari aspetti

A livello internazionale il dolore toracico al triage viene valutato o sulle


caratteristiche cliniche del sintomo oppure sul riscontro del tracciato
elettrocardiografico. Il triage basato sulla descrizione del problema si
caratterizza per una alta sensibilità ma per una bassa specificità che
però aumenta del 100% circa con l’esecuzione e la valutazione dell’ECG.
Se il triage su base clinica riduce nettamente il rischio che i pazienti
attendano impropriamente la visita, la maggiore specificità che fornisce
l’esecuzione dell’ECG riduce il rischio delle attese al triage legate al
sovraffollamento che si possono verificare quando si accumulano, in
attesa, in fase di pre-visita, un numero rilevante di malati, anche per i
pazienti con codici di priorità elevati.
L’esecuzione dell’ECG nel corso della valutazione di triage, entro 10
minuti dall’arrivo in Pronto Soccorso, consente il riconoscimento della
presenza di un sopraslivellamento del tratto ST o di altre alterazioni del
tracciato. L’elettrocardiogramma, quindi, migliora l’inquadramento del
problema dolore toracico rispetto al triage basato esclusivamente sulla
presentazione clinica e l’integrazione sintomi-ECG permette di definire
un più corretto livello di priorità di accesso

Elettrocardiogramma (ECG) al triage

pag. 105
Tipi di Infarto
•Infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI)
•Infarto senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI)
•Blocco di branca sinistra (BBSx)
•Blocco di branca destra (BBDx)
Sede dell’Infarto
•Anteriore (derivazioni V1-V6-DI-aVL)
•Inferiore (derivazioni DII-DIII- aVF)
•Posteriore (ST sottoslivellato nelle derivazioni V1-V4 e ST
spraslivellato nelle derivazioni DII-DIII-aVF se infarto inferiore)
•Blocco di branca Sx
•Blocco di branca dx

41) Esami strumentali nel dolore toracico

Per gli adulti con dolore toracico acuto, si devono escludere immediate
minacce per la vita. La maggior parte dei pazienti deve inizialmente
essere sottoposta a pulsossimetria, ECG e RX torace. Nei pazienti con
instabilità emodinamica, un ecocardiogramma al letto del paziente può
essere utile anche per valutare ulteriormente le cause potenzialmente
letali. L'ecocardiografia può essere particolarmente utile per
identificare una disfunzione ventricolare sinistra o ventricolare destra,
un'evidenza di sovraccarico di pressione del ventricolo destro, una
patologia valvolare, dei versamenti pericardici e segni di un
tamponamento pericardico.
Se i sintomi suggeriscono una sindrome coronarica acuta o in
mancanza di altra chiara causa (in particolare nei pazienti a rischio),
vanno misurati i livelli di troponina. Una valutazione tempestiva è
essenziale, poiché se è presente un infarto del miocardio o un'altra

pag. 106
sindrome coronarica acuta, il paziente deve essere considerato per un
cateterismo cardiaco (quando possibile). Il cateterismo immediato è
indicato nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del
tratto ST all'ECG o in quelli senza sopraslivellamento del segmento ST
che provocano ipotensione, con aritmie ventricolari o con dolore
toracico persistente nonostante una gestione medica ottimale.
Alcuni risultati alterati di questi test confermano la diagnosi (p.
es., infarto del miocardio acuto , pneumotorace, polmonite). Altre
anomalie suggeriscono una diversa diagnosi o almeno la necessità di
perseguire ulteriori indagini (p. es., la presenza di un anormale contorno
aortico alla RX torace suggerisce necessità di test per la dissezione
aortica toracica). Pertanto, se i risultati di questi test iniziali sono
normali, dissezione dell'aorta toracica, pneumotorace iperteso e rottura
dell'esofago sono altamente improbabili. Tuttavia, nelle sindromi
coronariche acute, l'ECG può non cambiare per diverse ore o talvolta
non variare affatto, e nell'embolia polmonare l'ossigenazione può
essere normale. Pertanto, può essere necessario realizzare altri studi in
base ai dati anamnestici ed esame obiettivo (vedi tabella Alcune cause
del dolore toracico).
Poiché una singola misurazione, che risulti normale, di marker cardiaci
non esclude una causa cardiaca, i pazienti i cui sintomi suggeriscono
una sindrome coronarica acuta devono essere sottoposti a misurazioni
seriate del marker cardiaco troponina e a vari elettrocardiogrammi. Il
trattamento farmacologico per sospetta sindrome coronarica acuta è
iniziato in attesa dei risultati del 2° livello di troponina a meno che non
vi sia una chiara controindicazione. Una prova diagnostica come
l'assunzione di nitroglicerina sublinguale o un antiacido orale non
differenziano adeguatamente l'ischemia miocardica dal reflusso
gastroesofageo o dalla gastrite. Entrambi i farmaci possono alleviare i
sintomi di entrambe le patologie.
La troponina sarà elevata nelle sindromi coronariche acute eccetto
l'angina instabile, e spesso in altre patologie che danneggiano il
miocardio (p.es., miocardite, pericardite, dissezione aortica che
coinvolge il flusso coronarico, embolia polmonare, insufficienza
cardiaca, sepsi grave). La creatinchinasi (CK) può innalzarsi per un
danno a un qualsiasi tessuto muscolare; tuttavia, l'innalzamento
dell'isoenzima MB della creatinchinasi (CK-MB) è specifico per la
lesione miocardica. Tuttavia, la troponina è il marcatore standard delle
lesioni del muscolo cardiaco. I progressi nelle tecniche di dosaggio
della troponina ad alta sensibilità consentono una valutazione seriale
più rapida nei casi sospetti di sindrome coronarica acuta. Con il
miglioramento del valore predittivo negativo, la troponina ad alta
sensibilità ha anche il potenziale di ridurre la necessità di ulteriori test
in pazienti con biomarcatori negativi ed è stato dimostrato che

pag. 107
consente ai pazienti di essere dimessi più rapidamente (1). Recenti
linee guida raccomandano di basarsi su normali livelli di troponina e
una TC coronarica negativa come strategia affidabile per escludere la
sindrome coronarica acuta in pazienti con dolore toracico e senza segni
d'allarme (2). Anomalie del segmento ST nell'ECG possono essere
aspecifiche o dovute a pregressa patologia coronarica, così è
importante il confronto con precedenti ECG. Alcuni medici ai test
iniziali (in fase acuta o dopo diversi giorni) fanno seguire un ECG da
sforzo o un test di stress imaging.
Se si ritiene possibile un'embolia polmonare, viene eseguito il test D-
dimero nei pazienti a rischio basso e intermedio. La probabilità di
embolia polmonare è influenzata da numerosi fattori clinici, che
possono essere utilizzati per stabilire un approccio all'esecuzione degli
esami diagnostici. Molti di questi fattori sono inclusi nei sistemi di
punteggio che aiutano a determinare la probabilità di embolia
polmonare come il sistema di punteggio modificato di Wells, il sistema
di punteggio di Ginevra e i criteri di esclusione dell'embolia polmonare
(PERC— 3–5).
In pazienti con dolore toracico cronico, minacce immediate per la vita
sono poco probabili. La maggior parte dei medici inizialmente richiede
una RX torace ed esegue altri esami in base alla sintomatologia.

pag. 108
42) Biomarcatori enzimatici nel dolore toracico. La troponina
Ths gestione dei risultati
Marcatori cardiaci (marcatori sierici di danno cellulare del miocardio)
sono

 Enzimi cardiaci (p. es., isoenzima MB della creatinchinasi [CK-


MB])

 Contenuto delle cellule (p. es., troponina I, troponina T,


mioglobina)

Questi marcatori vengono rilasciati nel flusso sanguigno dopo necrosi


delle cellule del miocardio. I marker compaiono in tempi differenti dopo
la necrosi e i livelli si riducono a velocità diverse. La sensibilità e la
specificità per le lesioni delle cellule miocardiche variano
significativamente tra questi marcatori, ma le troponine (cTn) sono le
più sensibili e specifiche, e sono ora i marker di scelta. Recentemente
sono divenuti disponibili alcuni nuovi esami altamente sensibili per le
troponine cardiache che sono molto precisi. Questi saggi possono
misurare attendibilmente livelli di troponina (T o I) a partire da 0,003-
0,006 ng/mL (da 3 a 6 pg/mL); alcuni saggi di ricerca arrivano fino a
0,001 ng/mL (1 pg/mL).

Precedenti test meno sensibili per la troponina non riuscivano a


identificare le cTn se non nei pazienti che avevano avuto una malattia
cardiaca acuta. Così, un cTn test "positivo" (ossia, al di sopra del limite
di rilevamento) era molto specifico. Tuttavia, i più nuovi test ad alta
sensibilità per la cTn possono rilevare piccole quantità di cTn in molte
persone sane. Per questo, i livelli di troponina rilevati con i test ad alta
sensibilità per la cTn vanno riferiti ai valori normali e vengono definiti
elevati solamente quando sono più alti del 99% del valore della
popolazione di riferimento. Inoltre, nonostante un elevato livello di
troponina indichi un danno alle cellule miocardiche, questo non indica
la causa del danno stesso (in ogni caso ogni innalzamento delle
troponine incrementa il rischio di un esito non favorevole in molte
patologie). Oltre alla sindrome coronarica acuta, molti altri disturbi
cardiaci e non cardiaci possono elevare i livelli di cTn ; non tutti i livelli
elevati rilevati con hs-cTn rappresentano un infarto miocardico, e non
tutte le necrosi miocardiche sono il risultato di una sindrome
coronarica acuta quando l'eziologia è ischemica. Tuttavia, grazie
all'identificazione di bassi livelli di troponina, il test hs-cTn rispetto ad
pag. 109
altri test ha reso possibile la precoce identificazione dell'infarto
miocardico e ha rimpiazzato altri marker di danno cardiaco in molti
centri.
I pazienti in cui c'è il sospetto di una sindrome coronarica acuta devono
ricevere una valutazione della hs-cTn al momento del loro arrivo e dopo
2-3 h. La troponina deve essere misurata a 0 e 6 h se si utilizza un
dosaggio cTn standard.

Il livello di hs-cTn deve essere interpretato sulla base della probabilità


pre-test di malattia del paziente, che si stima clinicamente sulla base di

 Fattori di rischio per la sindrome coronarica acuta

 Sintomi

 Risultati ECG

Un'alta probabilità pre-test aggiunta a un elevato livello rilevato con un


test hs-cTn è altamente indicativa di sindrome coronarica acuta,
mentre una bassa probabilità pre-test con normali livelli di hs-cTn
rendono improbabile una sindrome coronarica acuta. La diagnosi è più
difficile quando i risultati dei test sono discordanti rispetto alla
probabilità pre-test, in questi casi test seriali di hs-cTn sono spesso
d'aiuto. Un paziente con bassa probabilità pre-test e un inizialmente
leggermente elevato livello di troponina rilevato con hs-cTn che rimane
stabile alla ripetizione del test probabilmente ha una malattia cardiaca
non-sindrome coronarica acuta (p. es., insufficienza cardiaca,
coronaropatia stabile). Tuttavia, se alla ripetizione dell'esame il livello
aumenta significativamente (ossia, > 20 al 50%) la probabilità di una
sindrome coronarica acuta diventa più alta. Se un paziente con elevata
probabilità pre-test ha un normale livello di troponina rilevato con hs-
cTn e che incrementa > 50% alla ripetizione del test, la sindrome
coronarica acuta è probabile; livelli continuativamente normali (spesso
includenti il test a 6 h e oltre se il sospetto è alto) suggeriscono la
necessità di ricercare diagnosi alternative.

pag. 110
43) La probabilità pre-test nella sindrome coronarica acuta

44,45,46) Ipoglicemia e ipoglicemia reattiva. Valore soglia,


sintomi e segni. Definizione e classificazione della ipoglicemia.
Cause di ipoglicemia e suo trattamento.

Si definisce ipoglicemia la presenza di livelli di glucosio plasmatico


talmente bassi da provocare un'attivazione del sistema nervoso
simpatico o una disfunzione del SNC, con una sintomatologia che in
genere si risolve prontamente dopo la normalizzazione dei livelli
glicemici.

Le cause possono essere molteplici; l'ipoglicemia da farmaci e


l'ipoglicemia alcolica sono responsabili della maggior parte dei casi di
ricovero ospedaliero.

pag. 111
I principali farmaci responsabili sono l'insulina e le sulfaniluree; altri
farmaci che meno comunemente pro- vocano ipoglicemia comprendono i
salicilati, più spesso nei bambini, il propranololo, alcuni antiparassitari
(chinino, pentamidina).

L'ipoglicemia alcolica è caratterizzata da compro- missione dello stato di


coscienza, stupor o coma in un paziente con un'alcolemia
significativamente elevata, e il quadro clinico è ascrivibile
principalmente all’ipoglicemia. La sindrome insorge in individui che
assumono alcol dopo un digiuno sufficientemente prolungato da rendere
dipendente dalla gluconeogenesi il rilascio di glucosio da parte del
fegato.

Le ipoglicemie a digiuno si verificano dopo un digiuno più o meno


prolungato. Possono essere dovute ad una riduzione della disponibilità̀ di
glucosio per difetti enzimatici, che limitano il rilascio di glucosio da
parte del fegato (ad es. deficit di glucoso-6-fosfatasi, fruttosio-1,6-
difosfatasi, glicogeno sintetasi) o alterano l'ossidazione degli acidi
grassi e la chetogenesi, o per deficit ormonali, ad es. ipopituitarismo ed
insufficienza surrenalica, oppure per deficit di substrati, come in caso di
epatopatia, insufficienza renale cronica, malnutrizione, ipotermia,
specialmente in soggetti diabetici. Le ipoglicemie a digiuno possono
essere provocate anche da un aumento dell'utilizzazione del glucosio,
come in caso di sepsi, tumori insulina-secernenti, presenza di anticorpi
anti recettoriali che mimano gli effetti dell'insulina, oltre che per
un'attività̀ fisica intensa in soggetti con riserve energetiche esaurite.

Le ipoglicemie post-prandiali, che insorgono dopo alcune ore dal pasto,


possono essere causate da un'eccessiva risposta secretoria insulinica al
momento del pasto, come può accadere per un accelerato ingresso ed
assorbimento del glucosio a livello intestinale nei pazienti che hanno
subito in precedenza un intervento chirurgico a carico del tratto
gastroenterico superiore (gastrectomia, gastrodigiunostomia), e come si
può osservare anche nel diabete di tipo Il in fase iniziale, o possono
essere associate ad un'inibizione acuta della produzione epa- tica di
glucosio quando vengono ingeriti determinati alimenti, come nella
intolleranza ereditaria al fruttosio, nella galattosemia, nell'ipersensibilità̀
alla leucina.

Il cervello utilizza il glucosio plasmatico come principale fonte di energia


nella maggior parte delle situazioni. La barriera ematoencefalica
impedisce il passaggio degli acidi grassi liberi legati all'albumina
plasmatica e la velocità di trasporto dei chetoni al cervello è troppo
bassa per soddisfarne il fabbisogno energetico, a meno che i livelli
plasmatici dei corpi chetonici durante il digiuno non siano notevolmente

pag. 112
aumentati. A livello cerebrale non è l'insulina che regola l'utilizzazione
del glucosio. Specifici centri situati all'interno del SNC con- trollano i
livelli di glucosio plasmatico e reagiscono a una potenziale carenza
aumentando rapidamente l'attività̀ del sistema nervoso adrenergico, cui
consegue il rilascio di adrenalina. Risposte neuroendocrine addizionali
comprendono l'aumento della secrezione di ormone della crescita e di
cortisolo e la riduzione della secrezione di insulina. La produzione
epatica di glucosio aumenta e la sua utilizzazione da parte dei tessuti
non nervosi diminuisce.

La stimolazione adrenergica e il glucagone svolgono ruoli cruciali nella


risposta acuta all'ipoglicemia, mentre la secrezione di ormone della
crescita e di cortisolo è tardiva e meno importante, anche se i deficit
cronici di questi ormoni possono compromettere la normale risposta
all'ipoglicemia. In caso di grave ipoglicemia, l'attività̀ dei centri cerebrali
superiori si riduce in modo da ridurre al minimo il fabbisogno energetico
del cervello. Qualora l'ipoglicemia in un paziente incosciente non venga
trattata rapidamente, ne possono conseguire convulsioni e deficit
neurologici irreversibili, o anche la morte.

La diagnosi deve essere sospettata sulla base di specifici dati clinici e


anamnestici e confermata dalla determinazione della glicemia, tenendo
presente che se la sintomatologia normalmente si manifesta per valori di
glicemia <50 mg/dL, in caso di neuropatia o vasculopatia cerebrale il
quadro clinico si può manifestare anche con valori superiori di glicemia.

L'ipoglicemia si presenta con due categorie di segni e sintomi:

1. iperattività̀ adrenergica con pallore, sudorazione, midriasi, polipnea,


irritabilità̀ , tremori, debolezza, palpitazioni e senso di fame; questi
sintomi possono mancare in caso di neuropatia diabetica e/o
trattamento con farmaci beta-bloccanti non selettivi;

2. manifestazioni a carico del SNC con astenia, cefalea, difficoltà di


concentrazione, stato confusionale, comportamento irrequieto ed
aggressivo che può essere interpretato come stato di ebbrezza, disturbi
visivi, sonnolenza, stupor, convulsioni e coma; i riflessi oste tendinei
sono nella norma ed il Babinsky talora è presente; frequentemente si ha
ipotermia.

La sintomatologia adrenergica compare di solito in seguito a riduzioni


della glicemia acute e meno marcate di quelle che causano l'insorgenza
di manifestazioni a carico del SNC.

pag. 113
Durante la raccolta dei dati anamnestici, bisogna indagare sulla terapia
seguita in caso di diabete mellito (insulina, sulfaniluree, emivita del
farmaco, dose, ultima somministrazione, variazioni o errori di posologia,
sede di iniezione dell'insulina) e l'eventuale presenza di fattori
scatenanti (apporto alimentare, esercizio fisico, farmaci, alcol, stress,
infezioni, epatopatie, insufficienza renale).

In assenza di diabete, occorre indagare sulle altre possibili cause di


ipoglicemia precedentemente elencate, a partire dall'etilismo e dalla
presenza di epatopatie.

La diagnosi viene confermata dall'esame estemporaneo della glicemia


con stick (anche se dà informazioni poco precise per valori glicemici <70
mg/dL) e mediante indagini di laboratorio, e dal rapido miglioramento
delle manifestazioni neurologiche dopo somministrazione rapida di
glucosio.

Viene definito come livello di glicemia abnorme- mente basso quello <50
mg/dL nell'uomo o <45 mg/dL nella donna (valori al di sotto dei limiti
inferiori osserva- ti in uomini e donne normali dopo un digiuno di 72 h) e
<40 mg/dL nei bambini; come già̀ detto in precedenza, valori superiori
sono comunque compatibili con una sintomatologia ipoglicemica in casi
particolari.

Parte del campione di sangue prelevato all'inizio deve essere conservata


come plasma congelato per determinare i livelli iniziali di insulina,
proinsulina e peptide C o per eseguire gli esami tossicologici quando
necessario. È opportuno eseguire la determinazione della lattacidemia e
del pH ematico e la ricerca dei corpi chetonici nel plasma.

Fra le indagini strumentali, è necessario un ECG all'ingresso e dopo 8-12


ore o alla dimissione del paziente nei pazienti con precedenti di
coronaropatia, in quanto l'ipoglicemia può costituire un fattore
aggravante.

Il trattamento considera la somministrazione immediata di glucosio.

Se il paziente è cosciente, si somministrano 10-20 g di saccarosio per os


(2-4 cucchiaini o zollette di zucchero in un bicchiere di succo di frutta o
di acqua).

Se il paziente non è cosciente ed è disponibile un accesso venoso, si


somministrano 10-20 g di glucosio in bolo EV (30-60 mL di glucosio 33%),
ripetendoli dopo alcuni minuti, fino alla ripresa della coscienza.

pag. 114
A seguire, si infonde soluzione glucosata al 10%, in modo da mantenere
la glicemia >100 mg/<L fino a quando il paziente ritorna ad alimentarsi
(possono essere necessarie anche 24-72 ore).

Se l'accesso venoso non è disponibile, in condizione di emergenza si


somministra glucagone 0.5-1 mg. (nei bambini, 0.025-0.1 mg/kg fino alla
dose massime, di 1 mg), proseguendo anche dopo il risveglio, nel caso in
cui permanga l'indisponibilità̀ di un accesso venosa o somministrando
saccarosio per os, onde evitare che
il paziente ricada nel coma. Il glucagone, infatti, innalza rapidamente la
glicemia, ma la sua azione è limitata a 60-90 minuti; va tenuto presente,
inoltre, che esso può causare vomito ed è scarsa mente efficace in caso
di digiuno prolungato, ipoglicemia alcolica o nel paziente epatopatico,
data la scarsa riserva di glicogeno epatico utilizzabile.

Se il paziente non risponde a 1 mg di glucagone entro 25 min, è


improbabile che ulteriori somministrazioni siano efficaci, quindi esse non
sono raccomandate.

Nei bambini, il trattamento iniziale EV viene iniziato infondendo


soluzione glucosata al 10% a una velocita di 3-5 mg/kg·min; è
sconsigliato l'impiego di soluzione glucosate a maggior concentrazione,
perché́ possono avere notevoli effetti osmotici e, in alcuni pazienti,
possono indurre marcata iperglicemia e spiccata stimolazione della
secrezione insulinica.
In tutti i casi è necessario un attento monitoraggio della glicemia con
stick ogni 15-60 minuti.
Se lo stato di incoscienza o i deficit neurologici non regrediscono entro
pochi minuti, ciò può costituire la sequela di un'ipoglicemia prolungata,
per edema o ischemia cerebrale, più facilmente osservabile nei pazienti
con vasculopatia cerebrale pregressa o latente. Le forme di ipoglicemia
conseguenti a eccesso di terapia insulinica possono essere gestite a
domicilio, istruendo adeguatamente il paziente ed i familiari su dosi,
tempi e modalità̀ di somministrazione del farmaco, mentre quelle
secondarie ad assunzione di sulfaniluree o alcol e quelle a digiuno
richiedono il ricovero ospedaliero per i necessari accertamenti e
l'aggiustamento della terapia.

47) Chetoacidosi diabetica, definizione, diagnosi e trattamento.

pag. 115
La chetoacidosi diabetica è definita dal riscontro di iperglicemia (>250
mg/dL) acidosi metabolica (pH <7.3, HCO; <15 mmol/L) e iperchetonemia
(>5 mmol/L) ed è causata dalla contemporaneità̀ di un deficit insulinico,
relativo od assoluto, e di un eccesso di fattori iperglicemizzanti
(glucagone, cortisolo ed adrenalina), che causano lo spostamento da un
metabolismo basato sull'ossidazione del glucosio a un metabolismo
ossidativa lipidico, con aumento degli acidi grassi liberi nel sangue e
loro conversione in corpi chetonici.

Nei pazienti affetti da diabete di tipo I, la chetoacidosi viene


comunemente precipitata da un'interruzione della terapia insulinica o da
un'infezione, un trauma o un infarto acuti che rendono insufficiente il
dosaggio insulinico abituale. Sebbene i pazienti affetti da diabete di tipo
2 raramente presentino una chetoacidosi, molti possono presentare
formazione di chetoni e acidosi (solitamente di grado lieve) a causa di
una riduzione dell'apporto alimentare e di una notevole riduzione della
secrezione insulinica dovute ad una grave e persistente iperglicemia.
L'iperglicemia provoca disidratazione cellulare per richiamo di acqua nel
settore extracellulare e diuresi osmotica con perdita di Na" K',CI-,Mg",
quando supera la soglia renale per il glucosio. L'aumento degli acidi
grassi liberi causa un incremento della chetogenesi, per la loro
conversione in corpi chetonici (acetone, aceto acetato, beta-
idrossibutirrato) a livello epatico, conseguente alla prevalenza
dell'azione del glucagone su quella dell’insulina.

Poiché i tessuti periferici non hanno il tempo di adeguare il loro


metabolismo mediante un aumentato utilizzo di corpi chetonici, si ha
chetosi. A pH fisiologico, i corpi chetonici si dissociano al 99%,
determinando un aumento degli H' e, quindi, acidosi metabolica. L'iper-
chetonemia provoca acidosi metabolica con compenso respiratorio e il
marcato aumento dell'escrezione urinaria di acido aceto acetico e beta-
idrossibutirrico rende obbligata la perdita di quote addizionali di Na' e K'.
L'acetone derivato dalla decarbossilazione spontanea dell'acido aceto
acetico si accumula nel plasma e viene lentamente eliminato con la
respirazione; esso è un anestetico del SNC, ma l'effettiva causa del
coma nella chetoacidosi diabetica è sconosciuta.

La diagnosi di chetoacidosi si basa su l riscontro clinico di segni e


sintomi quali anoressia, astenia, crampi muscolari, alito acetonico,
polidipsia, poliuria, cute secca e calda, calo ponderale; nausea, vomito e
dolore addominale possono indurre a sospettare un addome acuto di
interesse chirurgico (dolore e leucocitosi; soprattutto nei bambini) che,
peraltro, può anche essere il fattore scatenante della chetoacidosi. Nei
casi più gravi compaiono ipotensione, tachicardia, respiro profondo e
frequente (Kussmaul), ipotermia, grave disidratazione (cute non

pag. 116
sollevabile in pieghe, mucose asciutte, bulbi ipotonici e infossati),
ipotonia muscolare, iporeflessia, coscienza alterata sino al coma.

Durante la raccolta dei dati anamnestici in caso di diabete noto, bisogna


indagare sulla terapia (tipo, dose, ultima somministrazione) e sulla
presenza di condizioni di stress; in caso di diabete di nuova insorgenza,
si devono analizzare le cause scatenanti.

Le indagini estemporanee, eseguibili anche sul territorio utilizzando


strisce reattive, permetteranno di rilevare: glicemia capillare >250
mg/dL, glicosuria e chetonuria fortemente positive; va tenuto presente
che le strisce e le compresse reattive reperibili in commercio reagiscono
con l'acido aceto acetico (e debolmente con l'acetone), ma non con
l'acido beta-idrossibutirrico e, di conseguenza, esse possono
sottostimare in maniera significativa la quantità̀ di corpi chetonici
presenti.

In un paziente in coma, il primo riscontro di iperglicemia, chetonuria ed


iperventilazione permette di indirizzare la diagnosi e a differenziare il
coma chetoacidosico da altre tipologie di coma metabolico e non .

Il digiuno e la chetoacidosi alcolica possono causare chetonuria senza


iperglicemia; nell'etilista, anche la glicemia può̀ essere elevata, ma
solitamente non supera i 250 mg/ dL.

Con una valutazione di laboratorio più̀ completa si può riscontrare, oltre


all'aumento dei valori glicemici:

 acidosi metabolica con gap anionico aumentato per produzione e


accumulo di corpi chetonici;
 leucocitosi neutrofila (15.000-40.000/ mL) secondaria a
disidratazione o ad infezione intercorrente, che non va esclusa fino
a prova contraria;
 aumento della creatininemia per disidratazione;
 alterazione del bilancio idroelettrolitico, con riduzione del volume
idrico extracellulare e normo- o iponatriemia per perdita di acqua e
di sodio e spostamento osmotico di acqua dalle cellule; la kaliemia
è inizialmente elevata o ai limiti superiori della norma, data
l'acidosi, e il riscontro di valori ai limiti inferiori o bassi è indicativo
di ipokaliemia severa;
 CK, transaminasi e amilasi aumentate nel 30-50% dei casi, ma la
pancreatite viene osservata di rado in associazione con la
chetoacidosi diabetica.

pag. 117
Fra le indagini strumentali, l'ECG consentirà̀ di documentare eventuali
alterazioni da disionia e la radiografia del torace, assieme agli esami
culturali, segni di infezione a carico dell'apparato respiratorio.

Gli obiettivi principali del trattamento sono:

1. la rapida espansione del volume dei liquidi,


2. la correzione dell'iperglicemia e dell'iperchetonemia,
3. la prevenzione dell'ipokaliemia durante il trattamento e
4. l'identificazione e il trattamento di qualunque infezione batterica
associata.

La priorità̀ nel trattamento deve essere rivolta al reintegro della volemia


con soluzione salina isotonica e soluzioni colloidali, tenendo conto del
fatto che, a causa della diuresi osmotica, non tutti i liquidi somministrati
nelle prime ore vengono trattenuti (si possono perdere fino al 60-70% dei
liquidi somministrati), che eventuali fattori concomitanti (iperpiressia,
sudorazione, vomito, diarrea) possono determinare un aumento del
fabbisogno idrico, e che nel paziente con limitata riserva
cardiorespiratoria è necessario un attento monitoraggio
cardiocircolatorio per evitare un sovraccarico volemico. La
somministrazione di furosemide si rende necessaria se la diuresi risulta
contratta dopo il carico Idrico iniziale di almeno 3 litri.

La somministrazione di insulina si effettua mediante infusione EV 50


mUh di soluzione fisiologica contenente 10 U ogni 100 mL (5 U/h); nei
bambini si somministrano EV 0.1 U/kg·h. Può̀ essere iniettata in bolo EV
una dose iniziale di 5-10U negli adulti, e di 0.1 U/kg nei bambini.

L'insulina riduce la chetogenesi e l'osmolarità̀ plasmatica,


rispettivamente, attraverso la diminuzione dell’uso di acidi grassi liberi
al fegato (inibizione della Lipolisi) e della glicemia (aumentata
utilizzazione tissutale di glucosio e inibizione della gluconeogenesi).
Dopo la prima ora di trattamento, la glicemia dovrebbe ridursi di almeno
50 mg/dL o del 10% rispetto ai valori iniziali. Una risposta più lenta può
indicare insulino-resistenza (nel qual caso la dose/h di insulina dovrebbe
essere aumentata del 50-100%) e/o insufficiente somministrazione di
liquidi e/o inadeguata somministrazione di insulina.
Con la graduale correzione dell'acidosi, si può osservare ipokaliemia,
che va corretta di conseguenza. La somministrazione di sodio
bicarbonato in genere si rende necessaria solo se pH <7.0, per i
potenziali rischi di un'alcalinizzazione imprudente quali: alcalosi
metabolica tardiva da rimbalzo con aumento dell'affinità̀ di emoglobina
per l'ossigeno, acidosi paradossa a livello del sistema nervoso centrale e
peggioramento del livello di coscienza, ipokaliemia acuta.

pag. 118
La somministrazione di fosfato va riservata ai casi grave ipofosfatemia
«1 mg/dL), per migliorare la capacità tampone del plasma (aumentata
escrezione renale di idrogenioni) e la cessione di ossigeno ai tessuti
(aumento del 2,3-DPG).

In un secondo momento, poiché́ la riduzione dei livelli glicemici causata


dalla terapia insulinica è più rapida della risoluzione della chetoacidosi,
quando la glicemia scende a valori di 250 mg/dL è opportuno aggiungere
soluzione glucosata al 5% alla terapia infusionale per ridurre il rischio di
ipoglicemia. Si procede con l'infusione separata di soluzione glucosata e
soluzione fisiologica + insulina, mantenendo costante la velocità
d'infusione della prima soluzione e modificando quella della seconda in
base ai valori glicemici, con l'obiettivo di mantenerli vicini a 200-250
mg/dL, correggendo nel contempo l'eventuale ipokaliemia.

L'infusione EV continua di insulina regolare deve essere proseguita fino


alla scomparsa dei corpi chetonici dal plasma e dalle urine, dopodiché́ il
paziente può passare alla somministrazione sottocutanea di insulina
ogni 4-6 h. Ogni sospensione della terapia insulinica durante le prime 24
h dalla remissione di una chetoacidosi può esitare in una rapida
ricomparsa dell'iperchetonemia. Se il paziente li tollera, si possono
somministrare liquidi per via orale.

Il pH e i bicarbonati plasmatici di solito migliorano significativamente


entro 6-8 h, ma il ritorno a livelli plasmatici normali di bicarbonati può
richiedere 24 h.

Nelle prime ore di trattamento deve essere mantenuto il monitoraggio


dei parametri vitali (GCS, ECG, PA, FC, SaO,; PVC nei pazienti con grave
squilibrio cardiocircolatorio) ed un controllo orario della glicemia su
stick e della diuresi, previo cateterismo vescicale, e biorario dell'EGA
multi parametrica.

Per controllare i chetosi sono utilizzati come parametri di riferimento il


pH ed il gap anionico, non i corpi chetonici, in quanto le strisce al nitro
prussiato sono reattive solo all'aceto acetato e all'acetone, non al beta-
idrossibutirrato, che è presente nel plasma in concentrazioni molto
elevate. Durante la correzione dell'acidosi, il beta-idrossibutirrato viene
convertito in aceto acetato e quindi, nelle prime ore dall'inizio del
trattamento, la positività̀ della reazione può̀ rimanere ancora elevata.

I provvedimenti aggiuntivi sono costituiti dall'ossigenoterapia, dal


posizionamento di un sondino gastrico nei pazienti soporosi o in coma,
dalla profilassi tromboembolica con eparina a basso peso molecolare nei
pazienti a rischio, e dalla terapia antibiotica a largo spettro in caso di

pag. 119
sospetta infezione (previa raccolta di campioni per esami colturali) o di
manovre invasive.

Il decorso clinico si può̀ complicare per la comparsa di:

 acidosi ipercloremica, in rapporto con la maggiore perdita di sodio


rispetto al cloro e delle quantità̀ di NaCl somministrato, la cui
correzione avviene nelle 24-48 ore successive per compenso
renale;
 acidosi lattica, che va sospettata in presenza di gap anionico >40
mEq/L e quando il pH ed il gap anionico non vengono corretti dalla
terapia insulinica; ipovolemia e sepsi sono le concause più
frequenti; può̀ rendersi necessaria la correzione con sodio
bicarbonato;
 alterazioni elettrolitiche, soprattutto ipo- ed iperkaliemia;
 difficoltà di controllo della glicemia, soprattutto in caso di sepsi
con importante insulina-resistenza;
 edema cerebrale, osservabile soprattutto nei bambini e nei giovani,
per fortuna raramente, in caso di correzione troppo rapida
dell'iperglicemia o di iperidratazione, specie se si utilizzano
soluzioni ipotoniche; alcuni pazienti hanno sintomi premonitori es.,
cefalea improvvisa, rapida riduzione del livello di coscienza), ma in
altri la manifestazione iniziale è l'arresto respiratorio acuto;
l'edema cerebrale richiede un riscontro diagnostico con TC
cerebrale, la terapia con mannitolo ipertonico (che complica il
riassetto del bilancio idrico), ed è associato a prognosi infausta
(mortalità̀ nel 70% e recupero completo solo nel 10% dei casi);
 edema polmonare lesionale (ALI/ ARDS);
 gastrite e ulcere da stress.

Il tasso di mortalità̀ è circa del 10%; la presenza di ipotensione o coma al


momento del ricovero peggiora la prognosi e le principali cause di morte
sono il collasso circolatorio, l'ipokaliemia e le infezioni.

48) Sintomi e Segni del paziente diabetico nella emergenza


Il paziente diabetico può accedere in urgenza al Pronto Soccorso per
problemi circoscritti, connessi alla malattia quali:

· ipoglicemia grave o iperglicemia,

pag. 120
· iperosmolarità o chetoacidosi,

· comorbilità che scompensano il diabete o che producono iperglicemia.

I sintomi più frequenti del diabete mellito sono quelli dell'iperglicemia.


L'iperglicemia lieve del diabete mellito all'esordio è spesso
asintomatica; pertanto, la diagnosi può essere ritardata per molti anni
se lo screening di routine non è effettuato.

L'iperglicemia più significativa causa glicosuria e quindi una diuresi


osmotica, che porta a pollachiuria, poliuria e polidipsia, può progredire
fino all' ipotensione ortostatica e alla disidratazione. Una
disidratazione grave causa debolezza, spossatezza e alterazioni dello
stato mentale. I sintomi possono essere intermittenti in relazione alle
oscillazioni della glicemia.
La polifagia può accompagnare i sintomi dell'iperglicemia, ma non è di
solito avvertita come un problema primario dal paziente. L'iperglicemia
può inoltre causare dimagrimento, nausea e vomito, offuscamento della
vista e può predisporre alle infezioni batteriche o fungine.

I pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 si presentano,


caratteristicamente, con un'iperglicemia sintomatica e, a volte, con uno
stato di chetoacidosi diabetica. Alcuni pazienti vanno incontro a una
lunga ma temporanea fase di glicemia pressoché normale dopo un
esordio acuto di malattia (fase della luna di miele), a causa di un
parziale recupero della secrezione di insulina.
I pazienti con diabete di tipo 2 possono presentarsi con iperglicemia
sintomatica, ma sono spesso asintomatici e la loro patologia viene
diagnosticata per caso durante l'esecuzione di esami di routine. In
alcuni pazienti, i sintomi d'esordio sono quelli delle complicanze del
diabete, il che suggerisce che la malattia era presente già da tempo.
Alcuni pazienti esordiscono con un stato iperosmolare iperglicemico ,
specialmente durante un episodio di stress o quando il metabolismo del
glucosio è ulteriormente compromesso da farmaci come i
corticosteroidi.

49) Diagnosi e trattamento del paziente diabetico nella


emergenza .
La diagnosi di diabete mellito, in assenza di sintomi caratteristici quali
polifagia, polidipsia, poliuria e dimagrimento, è basata sulla presenza,
confermata da due diverse misurazioni, dei seguenti valori, ottenuti da
plasma venoso:
 Glicemia a digiuno  a 126 mg/dl dopo almeno 8 ore di digiuno

pag. 121
 Glicemia casuale  200mg/dl in qualsiasi ora della giornata
 Glicemia  200mg/dl 2 ore dopo carico orale di gr.75 glucosio

Valori di riferimento:

Parametri (MG/DL) Ottimali Accettabili


Glicemia a digiuno 80-120 <140
Glicemia 2 ore dopo 100-140 <160
pasti
Glicemia prima di 100-140 <160
dormire
HbA1c(%) =<6.5 =<7.5

Altri stati di disglicemia:

glicemia a digiuno 100-125 mg/dl (alterata glicemia a digiuno o impaired


fasting glucose, IFG) glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio 140-
199 mg/dl (ridotta tolleranza al glucosio o impaired glucose tolerance,
IGT) HbA1c 42-48 mmol/mol (6,00-6,49%) (solo con dosaggio allineato
IFCC) compatibile con IFG-IGT
Il diabete mellito si classifica come segue:

Diabete tipo 1: è causato da danno irreversibile della attività beta


cellulare, su base autoimmune o idiopatica, ed è caratterizzato da una
carenza insulinica assoluta; la variante LADA (Latent Autoimmune
Diabetes of the Adult) ha decorso lento e compare nell’adulto. La
prevalenza è circa dello 0.3% della popolazione, esordio eclatante con
sintomatologia, più comunemente sotto i 30 anni. Tendenza alla chetosi.
Le complicanze croniche non intervengono prima di alcuni anni dopo la
diagnosi. Richiede da subito il trattamento insulinico.

Diabete tipo 2: è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica,


che in genere progredisce nel tempo ma non porta mai a una carenza
assoluta di ormone e che si instaura spesso su una condizione, più o
meno severa, di insulino-resistenza su base multifattoriale. La
prevalenza è intorno al 6% della popolazione, esordio con sintomatologia
modesta o assente ad età comunemente maggiore di 40 anni. Le
complicanze possono essere presenti già alla diagnosi.

La terapia può prevedere dieta, farmaci orali, analoghi GLP1, insulina.

Diabete gestazionale: è causato da difetti funzionali analoghi a quelli del


diabete tipo 2, viene diagnosticato per la prima volta durante la

pag. 122
gravidanza; in genere regredisce dopo il parto per poi ripresentarsi
spesso a distanza di anni con le caratteristiche del diabete tipo 2.

Il trattamento generale del diabete per tutti i pazienti comporta


cambiamenti nello stile di vita, compresi dieta ed esercizio fisico. Il
monitoraggio appropriato della glicemia è essenziale per prevenire
le complicanze del diabete.
I pazienti con diabete mellito di tipo 1 sono trattati con insulina così
come con la dieta e l'esercizio fisico.
I pazienti con diabete mellito di tipo 2 sono spesso trattati inizialmente
con dieta ed esercizio fisico. Se tali misure non sono sufficienti per il
controllo glicemico, ai pazienti possono essere prescritti farmaci
antiperglicemici orali, il glucagone per via iniettabile, come nel caso
degli agonisti del recettore del peptide 1 simile al glucagone (GLP-1),
l'insulina, o una combinazione di questi farmaci.
Per alcuni pazienti con diabete, i farmaci sono somministrati per
prevenire le complicanze del diabete. I farmaci comprendono i
bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE-inibitori o
bloccanti del recettore dell'angiotensina II), le statine e l'aspirina.
Il trattamento insulinico è necessario in tutti i pazienti con diabete
mellito di tipo 1 perché diventano chetoacidotici nel caso di una sua
mancanza; è inoltre di aiuto per la gestione di molti pazienti con
diabete di tipo 2.

La sostituzione insulinica nel diabete di tipo 1 deve idealmente


mimare la funzione della cellula beta per soddisfare le esigenze basali e
postprandiali (sostituzione fisiologica o dosaggio bolo basale). Le
opzioni comprendono iniezioni multiple giornaliere con 2 tipi
di insulina sottocutanea o con insulina ad azione rapida o breve
somministrata da una pompa ad insulina che somministra una quantità
basale di insulina e boli aggiuntivi durante i pasti o per correggere un
alto livello di zucchero nel sangue. Entrambe le strategie richiedono
una grande attenzione alla dieta e all'esercizio fisico e alla tempistica
della dose di insulina tempistica.
Quando l'insulina è necessaria per i pazienti con diabete di tipo 2, il
controllo glicemico può essere spesso ottenuto con l'insulina basale
combinata con farmaci antiperglicemici non a base di insulina,
sebbene l'insulina prandiale possa essere necessaria in alcuni pazienti.
Con l'eccezione di casi di impiego regolare di insulina che viene
somministrata EV in pazienti ospedalizzati, l'insulina viene quasi
sempre somministrata sottocute.
È disponibile anche una preparazione di insulina per inalazione per i
pazienti che preferiscono non iniettarsi. Ha un inizio d'azione

pag. 123
leggermente più rapido rispetto all'insulina ad azione rapida iniettata
per via sottocutanea.
Farmaci antiperglicemici orali sono un cardine del trattamento per il
diabete mellito di tipo 2, insieme agli agonisti del recettore del peptide
1 simile al glucagone (GLP-1). I farmaci ipoglicemizzanti orali possono
 Migliorare la secrezione di insulina del pancreas
(secretagoghi)
 Sensibilizzare i tessuti periferici all'insulina (sensibilizzanti)
 Ridurre l'assorbimento gastrointestinale di glucosio
 Aumentare la glicosuria

Farmaci con differenti meccanismi d'azione possono agire in modo


sinergico.

Sulfoniluree
Le sulfoniluree (p. es., gliburide, glipizide, glimepiride) sono
secretagoghi dell'insulina. Abbassano la glicemia promuovendo la
secrezione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche e
possono migliorare secondariamente la sensibilità periferica ed epatica
all'insulina, riducendo la tossicità dovuta al glucosio. Le sulfoniluree di
prima generazione (acetoesamide, clorpropamide, tolazamide,
tolbutamide) provocano con maggiore probabilità effetti avversi e
vengono usati raramente. Tutte le sulfoniluree promuovono
l'iperinsulinemia e un aumento di peso di 2-5 kg che, con il tempo,
possono potenziare la resistenza insulinica e limitare la loro utilità.
Tutte possono provocare, inoltre, ipoglicemia. I fattori di rischio
comprendono un'età > 65 anni, l'uso di farmaci a lunga durata d'azione
(specialmente clorpropamide, gliburide o glipizide), un'alimentazione e
un esercizio fisico non correttamente pianificati e l'insufficienza renale
o epatica.
L'ipoglicemia causata da farmaci a lunga azione può durare per giorni
dopo l'interruzione del trattamento, a volte può causare danni
neurologici permanenti e può essere fatale. Per queste ragioni, alcuni
medici preferiscono ospedalizzare i soggetti in ipoglicemia, in
particolare se anziani. La clorpropamide può anche causare la sindrome
da secrezione inappropriata di ormone antidiuretico . La maggior parte
dei pazienti in terapia solo con sulfoniluree richiede, infine, ulteriori
farmaci per mantenere l'euglicemia, indicando che le sulfoniluree
possono esaurire la funzione cellulare beta. Tuttavia, il peggioramento
della secrezione insulinica e della resistenza insulinica è
probabilmente più una caratteristica del diabete mellito in sé che non
dei farmaci utilizzati per trattarlo.
Secretagoghi dell'insulina a breve durata d'azione
I secretagoghi insulinici ad azione rapida (repaglinide, nateglinide)
stimolano la secrezione insulinica in modo simile alle sulfoniluree.

pag. 124
Hanno però un'azione più rapida e possono stimolare la
secrezione insulinica più durante i pasti che in altri momenti. Hanno
quindi un'efficacia particolare nel ridurre l'iperglicemia postprandiale e
sembrano determinare un minor rischio di ipoglicemia. Ci può essere
qualche aumento di peso, sebbene evidentemente meno che con le
sulfoniluree. È poco probabile che pazienti che non hanno risposto ad
altri farmaci orali (p. es., sulfoniluree, metformina) rispondano a questi
farmaci.
Biguanidi
Le biguanidi (metformina) riducono la glicemia abbassando la
produzione epatica di glucosio (gluconeogenesi e glicogenolisi). Sono
considerati sensibilizzanti periferici all'insulina, ma la loro stimolazione
sulla captazione periferica del glucosio può essere semplicemente il
risultato dei loro effetti epatici. Le biguanidi riducono anche i livelli
lipidici e possono ridurre l'assorbimento di nutrienti dal tratto
gastrointestinale e aumentare la sensibilità delle cellule beta al
glucosio circolante La metformina è l'unico biguanide in commercio
negli Stati Uniti. È almeno altrettanto efficace rispetto alle sulfoniluree
nel ridurre la glicemia, causa raramente ipoglicemia e può essere usata
senza pericolo in associazione ad altri farmaci e all'insulina. Inoltre, la
metformina non causa aumento di peso e può anche favorire la perdita
di peso riducendo l'appetito. Tuttavia, il farmaco in genere causa effetti
avversi gastrointestinali (p. es., dispepsia, diarrea) che, nella maggior
parte dei soggetti, si risolve con il tempo. Meno comunemente, la
metformina causa malassorbimento di vitamina B12, ma un'anemia
clinicamente significativa è rara.
Il contributo della metformina allo sviluppo di un' acidosi
lattica potenzialmente letale è molto raro, ma il farmaco è
controindicato nei pazienti a rischio di acidosi (inclusi quelli con
insufficienza renale significativa, insufficienza cardiaca, ipossia o grave
malattia respiratoria, alcolismo, altre forme di acidosi metabolica o
disidratazione). Il farmaco deve essere sospeso in corso di interventi
chirurgici, di somministrazione EV di mezzi di contrasto e di qualsiasi
malattia grave. Molti soggetti trattati con metformina in monoterapia
alla fine richiedono l'aggiunta di un ulteriore farmaco.
Tiazolidinedioni
I tiazolidinedioni (pioglitazone, rosiglitazone) diminuiscono la resistenza
periferica all'insulina (sensibilizzanti all'insulina), ma il loro specifico
meccanismo di azione non è completamente compreso. Questi farmaci
legano un recettore nucleare presente soprattutto nelle cellule adipose
(peroxisome-proliferator-activated receptor-γ [PPAR-gamma]), che è
coinvolto nella trascrizione di geni che regolano il metabolismo
glicidico e lipidico. I tiazolidinedioni aumentano anche i livelli di
lipoproteine ad alta densità, riducono i trigliceridi e possono avere

pag. 125
effetti antinfiammatori e anti-aterosclerotici. I tiazolidinedioni hanno la
stessa efficacia delle sulfoniluree e della metformina nel ridurre
l'emoglobina A1C. I tiazolidinedioni possono essere utili
nel trattamento della steatosi epatica non alcolica .
Sebbene un tiazolidinedione (il troglitazone) abbia causato
un'insufficienza epatica acuta, i farmaci attualmente in commercio non
hanno dimostrato alcuna epatotossicità. Cionondimeno, è
raccomandato un periodico monitoraggio della funzione epatica. I
tiazolidinedioni possono causare edema periferico, soprattutto nei
pazienti che assumono insulina e possono peggiorare lo scompenso
cardiaco in pazienti predisposti. Un aumento di peso, dovuto alla
ritenzione di liquidi e a un aumento della massa grassa, è frequente e
può essere rilevante (> 10 kg) in alcuni pazienti. Il rosiglitazone può
aumentare il rischio di insufficienza cardiaca, angina, infarto del
miocardio, ictus, e fratture. Il pioglitazone può aumentare il rischio
di cancro alla vescica (sebbene i dati siano contrastanti), insufficienza
cardiaca e fratture.
Inibitori dell'alfa-glucosidasi
Gli inibitori dell'alfa-glucosidasi (acarbosio, miglitol) inibiscono
competitivamente gli enzimi intestinali che idrolizzano i carboidrati
della dieta; i carboidrati vengono digeriti e assorbiti più lentamente,
riducendo così la glicemia postprandiale. Gli inibitori dell'alfa-
glucosidasi sono meno efficaci di altri farmaci orali nel ridurre la
glicemia e spesso causano dispepsia, flatulenza e diarrea inducendo i
pazienti a sospendere la terapia. A parte ciò, si tratta di farmaci
altrimenti sicuri che possono essere utilizzati in combinazione con tutti
gli altri ipoglicemizzanti orali e con l'insulina.
Inibitori della dipeptidil peptidasi-4
Gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (p. es., alogliptin, linagliptin,
saxagliptin, sitagliptin) prolungano l'azione del peptide 1 simile
al glucagone (GLP-1) endogeno tramite inibizione dell'enzima dipeptidil
peptidasi-4 (DPP-4) che è implicato nella degradazione di GLP-1. Il
peptide 1 simile al glucagone (GLP-1) è un peptide prodotto
nell'intestino tenue che stimola la secrezione di insulina e inibisce la
secrezione di glucagone; prolungando la sua azione si abbassa quindi
la glicemia. Vi è un lieve aumento del rischio di pancreatite con
inibitori della dipeptidil peptidasi-4, ma sono altrimenti considerati
sicuri e ben tollerati. La diminuzione dell'emoglobina A1C è modesta
con gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4.
Inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2
Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (Sodium-glucose
co-transporter 2 [SGLT2]) (canagliflozina, dapagliflozina, empagiflozina,
ertugiflozina) inibiscono il cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 nel
tubulo prossimale del rene, che blocca il glucosio riassorbimento

pag. 126
causando glicosuria, e abbassando glucosio plasmatico. Gli inibitori del
co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 possono anche causare una
modesta perdita di peso e un abbassamento della pressione arteriosa.
Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 hanno
dimostrato di ridurre la mortalità, i principali eventi cardiovascolari
avversi e i ricoveri per insufficienza cardiaca in pazienti con un
aumentato rischio di malattie cardiovascolari. Inoltre, gli inibitori del
cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT-2) hanno dimostrato di
prevenire la progressione della malattia renale cronica nei pazienti con
diabete e con ridotta velocità di filtrazione glomerulare o albuminuria.

Gli effetti indesiderati più frequenti sono le infezioni genitourinarie, in


particolare le infezioni micotiche. Possono comparire anche sintomi
ortostatici. Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2
(SGLT-2) possono causare una chetoacidosi diabetica in pazienti con
diabete di tipo 1 e di tipo 2 e la chetoacidosi può verificarsi a livelli di
glicemia più bassi rispetto ad altre cause di chetoacidosi diabetica. La
diagnosi di chetoacidosi euglicemica da inibitori di SGLT-2 è spesso
ritardata a causa della riduzione degli zuccheri nel sangue. Un grande
studio ha dimostrato un aumento dell'amputazione degli arti inferiori
con il canagliflozin.
Agonista della dopamina
La bromocriptina è un agonista della dopamina che abbassa
l'emoglobina A1C di circa 0,5% con un meccanismo sconosciuto. Anche
se approvato per il diabete mellito di tipo 2, non è comunemente
utilizzato a causa dei potenziali effetti negativi.

Misure per prevenire o curare le complicanze del diabete mellito (1-3)


sono fondamentali, compresi
 ACE-inibitori o inibitori dei recettori dell'angiotensina II
 Aspirina
 Statine

Gli ACE-inibitori, o gli inibitori dei recettori dell'angiotensina II sono


indicati nei pazienti con evidenza di una nefropatia diabetica iniziale
(albuminuria), anche in assenza di ipertensione e sono una buona scelta
per il trattamento dell'ipertensione nei pazienti che sono affetti da
diabete mellito e che non hanno ancora mostrato una compromissione
renale.
Gli ACE-inibitori hanno dimostrato di prevenire gli eventi
cardiovascolari nei pazienti con diabete mellito. Il trattamento con un
ACE-inibitore o un inibitore dei recettori dell'angiotensina II è
raccomandato nei pazienti con malattia cardiovascolare
aterosclerotica nota per la prevenzione secondaria.

pag. 127
L'aspirina da 81 a 325 mg 1 volta/die ha un effetto protettivo sul
sistema cardiovascolare. L'aspirina è raccomandata per la prevenzione
secondaria nei pazienti con un'anamnesi positiva per malattia
cardiovascolare aterosclerotica. I benefici dell'aspirina nei pazienti
senza patologia cardiovascolare (ossia, per la prevenzione primaria)
sono meno chiari. L'aspirina può essere presa in considerazione per la
prevenzione primaria nei pazienti diabetici di età ≥ 50 anni, con almeno
un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare
aterosclerotica aggiuntivo e che non sono a maggior rischio di
sanguinamento. Nei pazienti > 70 anni, il rischio di sanguinamento può
superare i benefici della prevenzione primaria.
Le statine sono attualmente raccomandate dalle linee guida
dell'American Heart Association/American College of Cardiology per
tutti i pazienti diabetici dai 40 ai 75 anni di età. Viene utilizzato un
trattamento da moderato a ad alta intensità e la statina ad alta
intensità è raccomandata per i pazienti a rischio più alto di malattia
cardiovascolare aterosclerotica. Per tutti i pazienti con diabete e
malattia aterosclerotica associata o a rischio molto elevato di malattia
cardiovascolare aterosclerotica, è anche ragionevole puntare a un
livello di lipoproteine a bassa densità (LDL) < 70 mg/dL con statina
massimalmente tollerata e aggiunta di ezetimibe o di una proproteina
convertasi subtilisina/inibitore della kexina di tipo 9 (PCSK -9) se
necessario. Inoltre, l'ezetimibe o la terapia con inibitori della PCSK-9
devono essere utilizzati nei pazienti che sono intolleranti alla terapia
con statine. (Vedi tabella Statine per la prevenzione della malattia
cardiovascolare aterosclerotica in Dislipidemia). Per i pazienti < 40
anni o > 75 anni, le statine sono date in base alla valutazione
individuale del rapporto rischio: beneficio e alle preferenze del
paziente. I pazienti con diabete mellito di tipo 2 tendono ad avere alti
livelli di trigliceridi e lipoproteine piccole, dense a bassa densità (LDL)
e bassi livelli di HDL: questi devono ricevere una terapia aggressiva.

pag. 128
50) Valutazione dello stato di coscienza in emergenza nel
paziente diabetico.

51) Emergenza, urgenza ipertensiva o crisi ipertensiva:


diagnosi e trattamento.
Vi è generale accordo che l'ipertensione si debba definire come un
aumento della pressione arteriosa diastolica (oltre i 90 mmHg) e/o
sistolica (oltre i 140 mmHg) e nella pratica comune vengono
genericamente identificate come "crisi ipertensive" quelle situani in cui
si rileva un rialzo pressorio anomalo, più o meno associato a segni e
sintomi.

Non esiste un valore di pressione arteriosa sistolica/diastolica che


definisca di per sé la gravità di un'emergenza ipertensiva. Nella normale
pratica clinica la maggior parte dei pazienti con PA diastolica>130mmHg
vien ritenuta in pericolo e trattata più o meno rapidamente, mentre un
valore di 160/90 mmHg non viene ritenuto più di tanto preoccupante;
però se la PA arriva rapidamente a 160/90 mmHg in caso di eclampsia
gravidica, allora la situazione è davvero molto grave.
Per quanto siano importanti i livelli di PA raggiunti e la velocità del
raggiungimento, tuttavia i criteri che identificano le "urgenze ed
emergenze ipertensive" tengono conto di altri fattori, quali l'età del

pag. 129
paziente, sintomatologia e, in particolar modo, il danno provocato a
carico di organi bersaglio quali cervello, cuore e rene.

In base a questi criteri, si possono distinguere tre grandi categorie:

 emergenze ipertensive;
 urgenze ipertensive;
 ipertensione non complicata.

Un'emergenza ipertensiva è quella che provoca un'alterazione acuta di


uno o più organi bersaglio:

l'obiettivo terapeutico è ridurre la PA, entro pochi minuti e comunque


non oltre un'ora, al fine di proteggere la vita e la funzione di organi vitali,
anche se gli obiettivi terapeutici delle emergenze ipertensive. (riduzione
percentuale della pressione) hanno una variabilità considerevole.

Tra i criteri che permettono di giudicare la gravità della situazione e


quindi la necessità di intervenire rapidamente vi sono: il danno d'organo,
l'entità dell'elevazione pressoria e i tempi in cui si realizza tale
elevazione.

~ Le principali forme cliniche di emergenze ipertensive sono:

 encefalopatia ipertensiva;
 eclampsia gravidica;
 crisi adrenergica (feocromocitoma);
 ipertensione associata ad emorragia intracranica o ictus;
 crisi ipertensive dell'infanzia;
 aneurisma dissecante dell'aorta;
 ipertensione associata a edema polmonare acuto.

Un ' urgenza ipertensiva è invece quella senza evidenza clinica o


strumentale di danno d'organo; ciò nonostante, l'elevata pressione
arteriosa in un determinato contesto clinico è potenzialmente rischiosa
per l'insorgenza di complicanze, prima tra tutte la necrosi vascolare, che
possono manifestarsi quando la PA media si attesta sui 150 mmHg per la
durata di ore: l'obiettivo è ottenere un controllo della pressione arteriosa
entro 24 ore. Spesso è considerato come indicazione al trattamento un
valore arbitrario di pressione arteriosa >180/110 anche se l'effettivo
beneficio clinico non è ben definito.
~ Le principali forme cliniche di urgenze ipertensive sono:

 ipertensione maligna, ipertensione accelerata e crisi


sclerodermiche;

pag. 130
 ipertensione di rimbalzo dopo brusca sospensio-ne della terapia
antipertensiva;
 ipertensione associata ad infarto;
 ipertensione associata ad angina instabile;
 ipertensione pre- o post-operatoria;
 pre-eclampsia. Il
 ipertensione complicante trauma cranico;

Vi sono poi situazioni di ipertensione non complicata, che non provoca


danni d'organo né espone a particolari rischi il paziente, come
l'ipertensione sistolica severa ma cronica (con fondo oculare fino al li
stadio), l'elevazione acuta della PA associata ad ansia e l'iper- tensione
sistolica dell'anziano: l'obiettivo è impostare un corretto follow-up o
iniziare una terapia a lungo termine, in quanto un rapido abbassamento
della pressione può comportare più rischi che benefici.

L’anamnesi ha lo scopo di evidenziare la presenza e la cronologia di


sintomi indicativi di alterazioni a carico di SNC, apparato
cardiocircolatorio, renale, e di malattie correlabili al rischio ipertensivo,
di valutare, comportamenti del paziente in rapporto con l'eventuale
terapia antipertensiva, l'assunzione di farmaci o droghe ad azione
simpaticomimetica (ad es. cocaina e metanfetamine), e di escludere
un'eventuale gestosi gravidica.

Va quindi indagata la modalità d'insorgenza e la durata della


sintomatologia che ha richiesto l'intervento medico, considerando in
particolare i sintomi a carico del sistema nervoso centrale (cefalea,
modificazioni del visus, astenia, crisi comiziali e confusione), sintomi
cardiovascolari (dolore toracico, palpitazioni, dispnea, sincope, edemi
declivi o dolore violento irradiato posteriormente o in sede addominale)
e sintomi renali (anuria, edema, ematuria).
Con l'esame obiettivo si valuta lo stato di coscienza,la presenza di segni
neurologici focali, crisi comiziali di segni di congestione polmonare,
turgore giugulare, edemi periferici. Si controlla e monitorizza l'ECG e la
pressione arteriosa, verificandone i valori su entrambi gli arti; si
ricercano i segni di prevalente attività o alpha-adrenergica (aumento
delle pressioni sia sistolica che diastolica, senza aumento della
frequenza cardiaca) o beta-adrenergica (aumento della pressione
sistolica e differenziale, tachicardia).

Nella gravida, valori di PA diastolica superiori a 30 mmHg sin dal primo


trimestre, a 90 mmHg nel secondo, e comunque un aumento di 15 mmHg
rispetto a valori abituali prima della gestazione, soprattutto se
accompagnato da proteinuria ed edemi, sono segni di allarme per
l'eclampsia gravidica. È una complicanza della quale si verifica un

pag. 131
anomalo aumento delle resistenze vascolari periferiche, correlato
verosimilmente ad aumento della sensibilità vascolare all'angiotensina e
causato da riduzione della produzione di prostaglandine ad azione
vasodilatatrice per ischemia utero-placentare.
è necessaria in questi casi una diagnosi precoce, essendo la prognosi
dipendente dalla tempestività del trattamento medico e dal riposo.

Nei pazienti pediatrici va tenuto presente che l'encefalopatia ipertensiva


e lo scompenso cardiaco si manifestano anche per rialzi minimi della PA
e si realizzano a seguito di glomerulonefrite, pielonefrite cronicca, e nei
bambini con coartazione aortica, ipoplasia renale segmentale, malattie
nefrovascolari, trapianto renale.

L'esame obiettivo si completa con l'esame del fundus per evidenziare


edema della papilla (segno patognomonico di encefalopatia ipertensiva),
essudati o emorragie retiniche.

Fra le indagini strumentali necessarie per un primo inquadramento


diagnostico, l'ECG a 12 derivazioni consente di verificare la presenza
delle alterazioni proprie della sindrome coronarica acuta.

La pulsossimetria e l'EAB su sangue arterioso permettono di valutare le


conseguenze di uno scompenso ventricolare sinistro sugli scambi
gassosi intrapolmonari e sulla perfusione periferica.

La radiografia del torace permette di valutare il profilo cardiovascolare


ed eventuali segni di stasi. Nel sospetto di dissezione aortica, è
necessario un approfondimento diagnostico mediante angioTC ed
ecocardiografia transesofagea.

In presenza di alterazioni neurologiche significative si deve provvedere


ad una TC encefalo per escludere l'emorragia cerebrale.

Con gli esami di laboratorio si cerca di valutare la presenza di


un'alterazione della funzionalità renale che potrebbe rivelarsi con
ematuria, proteinuria, cilindri di globuli rossi, innalzamento dei livelli
dell'azoto ureico ematico, della creatinina o del potassio. Nel sospetto di
abuso di sostanze illecite, va preso in considerazione l'esame
tossicologico di sangue o urine. In tutte le donne con ipertensione in età
fertile va eseguito un test di gravidanza.

I fattori da tener ben presenti nel trattamento delle emergenze


ipertensive sono l'età del paziente, la volemia, la presenza di trattamenti
cronici, la durata dell'ipertensione, le condizioni generali preesistenti
all'evento acuto. Obiettivo della terapia è in genere ridurre gradualmente

pag. 132
la PA media di circa il 25% del valore iniziale o portare la PA diastolica a
100- 110 mmHg, senza voler raggiungere in tempi rapidi la
normalizzazione.

La disponibilità di farmaci potenti e a rapida azione ha migliorato i


risultati e la prognosi; tutta- via non bisogna dimenticare la possibilità di
complicanze dovute al brusco abbassamento della PA anche a valori
ritenuti "normali" per un adulto sano

con ipoperfusione cerebrale e insufficienza coronarica acuta. Con tali


terapie, infatti, si può avere una brusca caduta della pressione, da
mettere in relazione con lo stato di disidratazione e con i farmaci assunti
in precedenza; l'anziano, in particolar modo, possiede una ridotta
capacità di autoregolazione e un'aumentata sensibilità all'effetto dei
farmaci.

 Iniziare farmaci EV a breve durata d'azione (p. es., clevidipina,


esmololo, labetalolo) in pronto soccorso
 Ricoverare in unità di terapia intensiva
 Obiettivo: riduzione della pressione arteriosa media dal 20 al
25% in 1-2 h

Le emergenze ipertensive sono trattate in unità di terapia intensiva; la


pressione arteriosa viene ridotta in modo graduale (non
improvvisamente) utilizzando un farmaco EV titolabile, ad azione rapida.
La scelta del farmaco e la velocità e l'entità della riduzione pressoria
variano molto in base all'organo bersaglio interessato, ma di solito, è
adeguata una riduzione della pressione arteriosa media del 20-25% nel
giro di un'ora, con ulteriore titolazione sulla base dei sintomi. Non è
necessario raggiungere urgentemente valori "normali" di pressione
arteriosa. I farmaci tipici di prima scelta comprendono il nitroprussiato,
il fenoldopam, la nicardipina e il labetalolo). La nitroglicerina da sola è
meno potente.
I farmaci orali non sono indicati perché l'inizio della loro azione è
variabile e la loro titolazione è difficile. La nifedipina orale sebbene ad
azione rapida, riduce rapidamente la pressione arteriosa, può causare
ipotensione acuta che può portare eventi cardiovascolari e
cerebrovascolari ischemici acuti (a volte letali) e perciò non viene
raccomandata.

La clevidipina è un calcio-antagonista di 3a generazione che ha una


durata d'azione ultra-breve (entro 1-2 minuti), riduce la resistenza
periferica senza alterare il tono vascolare venoso e la pressione di
riempimento cardiaco. La clevidipina viene rapidamente idrolizzata
dalle esterasi del sangue e quindi il suo metabolismo non è influenzato

pag. 133
dalla funzionalità renale o epatica. È stato dimostrato che è efficace e
sicura nel controllo dell'ipertensione perioperatoria e nelle emergenze
ipertensive, è stata associata a una mortalità inferiore rispetto al
nitroprussiato.
La dose iniziale di clevidipina è di 1-2 mg/h, raddoppiando la dose ogni
90 secondi fino a quando si raggiunge l'obiettivo di pressione arteriosa,
poi la dose è aumentata di meno del doppio ogni 5-10 min. La
clevidipina può quindi essere preferibile rispetto al nitroprussiato per la
maggior parte delle emergenze ipertensive, anche se deve essere usata
con cautela in scompenso cardiaco acuto con ridotta frazione di
eiezione in quanto può avere effetti inotropi negativi. Se la clevidipina
non è disponibile, fenoldopam, nitroglicerina o nicardipine sono
alternative ragionevoli.

Il fenoldopam è un agonista del recettore della dopamina-1 che causa


vasodilatazione sistemica e renale e natriuresi. L'inizio di azione è
rapido e l'emivita è breve, rendendolo un'alternativa efficace al
nitroprussiato, con l'ulteriore beneficio di non attraversare la barriera
emato-encefalica. La dose iniziale è di 0,1 mcg/kg/min in infusione EV
con incremento di 0,1 mcg/kg ogni 15 minuti fino a un massimo di 1,6
mcg/kg/min.

Il labetalolo è un beta-bloccante con alcuni effetti alfa-1-bloccanti e


quindi causa vasodilatazione senza la tipica tachicardia riflessa di
accompagnamento. Può essere somministrato in infusione continua o in
boli frequenti; non è stato dimostrato che l'impiego di boli causi
ipotensione significativa. Il labetalolo è usato in gravidanza, nei disturbi
endocranici che richiedono il controllo della pressione arteriosa e dopo
un infarto del miocardio. Si infondono da 0,5 a 2 mg/min, aumentati fino
a un massimo di 4 fino 5 mg/min. Si inizia con boli di 20 mg EV seguiti
ogni 10 minuti da 40 mg, poi 80 mg (fino a 3 dosi), per un totale
massimo di 300 mg. Gli effetti avversi sono minimi, ma a causa
dell'effetto beta-bloccante, il labetalolo non deve essere usato nelle
emergenze ipertensive nei pazienti con asma. Dosi ridotte possono
essere utilizzate nell'insufficienza ventricolare sinistra in caso di
somministrazione simultanea di nitroglicerina.

Il nitroprussiato è un dilatatore arterioso e venoso, che riduce il


precarico e il postcarico; pertanto, è il più utile nei pazienti ipertesi
con insufficienza cardiaca. Inoltre, è utilizzato nell'encefalopatia
ipertensiva e, insieme ai beta-bloccanti, nella dissezione aortica. La
dose iniziale è di 0,25 fino a 1,0 mcg/kg/min con incrementi di 0,5
mcg/kg fino a un massimo di 8-10 mcg/kg/min; la dose massima viene
somministrata per ≤ 10 minuti per ridurre al minimo il rischio di

pag. 134
intossicazione da cianuri. Il farmaco viene rapidamente degradato in
cianuro e ossido nitrico (la molecola attiva). Il cianuro viene
detossificato a tiocianato. Tuttavia, la somministrazione di > 2
mcg/kg/min può causare un accumulo di cianuro con effetti tossici sul
sistema nervoso centrale e sul cuore; le manifestazioni cliniche
comprendono agitazione, convulsioni, instabilità cardiaca e acidosi
metabolica con gap anionico.
La somministrazione prolungata di nitroprussiato (> 1 settimana o, in
pazienti con insufficienza renale, da 3 a 6 giorni) causa accumulo di
tiocianato, con sonnolenza, tremori, dolore addominale e vomito. Tra gli
altri effetti avversi è presente orripilazione transitoria (cute anserina)
se la pressione arteriosa viene ridotta troppo rapidamente. I livelli di
tiocianato devono essere monitorati quotidianamente dopo 3 giorni
consecutivi di terapia e il farmaco deve essere sospeso se il livello di
tiocianato sierico è > 12 mg/dL (> 2 mmol/L). Dato che il nitroprussiato
viene degradato dalla luce ultravioletta, la sacca per infusione EV e il
deflussore sono avvolti da un rivestimento opaco. Sulla base di dati che
mostrano un aumento della mortalità con nitroprussiato rispetto a
clevidipina, nitroglicerina, e nicardipina, il nitroprussiato probabilmente
non deve essere più utilizzato quando altre alternative sono disponibili.

La nitroglicerina è un vasodilatatore più venoso che delle arteriole.


Può essere utilizzata nel trattamento dell'ipertensione durante e dopo
un intervento di bypass aortocoronarico , un infarto del miocardio
acuto, un' angina instabile e un edema polmonare acuto. La
nitroglicerina EV è preferibile al nitroprussiato di sodio nei pazienti con
coronaropatia grave, in quanto la nitroglicerina aumenta il flusso
coronarico, mentre il nitroprussiato tende a ridurre il flusso coronarico
nelle aree ischemiche, probabilmente per un "meccanismo di furto". La
dose iniziale è di 10-20 mcg/min aumentata di 10 mcg/min ogni 5 minuti
fino a ottenere il massimo effetto antipertensivo desiderato.
Nel controllo della pressione arteriosa a lungo termine, la nitroglicerina
deve essere associata ad altri farmaci. L'effetto avverso più frequente è
la cefalea (in circa il 2%); sono stati inoltre descritti tachicardia,
nausea, vomito, ansia, agitazione, contratture muscolari e cardiopalmo.

La nicardipina, un calcio-antagonista diidropiridinico con minore


effetto inotropo negativo rispetto alla nifedipina, agisce principalmente
come un vasodilatatore. Viene usata il più delle volte nell'ipertensione
postoperatoria e in gravidanza. La dose è di 5 mg/h EV, aumentata ogni
15 minuti fino a un massimo di 15 mg/h. Può causare flushing, cefalea e
tachicardia; può ridurre la velocità di filtrazione glomerulare nei
pazienti con insufficienza renale.

pag. 135
52) Valutazione della dispnea in emergenza o urgenza.
Significato e valutazione della classificazione New York Heart
Association.
La dispnea è un sintomo che viene descritto come la soggettiva
sensazione di respirare con difficoltà; potendo dunque variare da
individuo a individuo, la dispnea è un sintomo difficile da descrivere
obiettivamente ma è legato, in ogni caso, a un effettivo impedimento
incontrato durante la respirazione.

il nostro approccio al paziente dovrà seguire una metodica tesa ad


individuare rapidamente e a trattare immediatamente tutte le condizioni
potenzialmente pericolose per la vita del paziente, secondo il ben noto
acronimo ABCDE delle funzioni vitali, lasciando inizialmente in secondo
piano l’accuratezza diagnostica.

 A-Airway: valutazione della pervietà della via aerea


 B-Breathing: valutazione del respiro
 C-Circulation: valutazione del circolo
 D-Disability: valutazione dello stato neurologico
 E-Exposure: rapida valutazione testa-piedi

Logicamente molti dei pazienti dispnoici avranno un problema in B. La


valutazione di B può essere condotta secondo
l’acronimo OPACS (Osservo, Palpo, Ausculto, Conto, Saturimetria).

Innanzitutto ispezione ed osservazione del torace per valutare la


simmetria dei movimenti respiratori dei due emitoraci e l’eventuale
presenza di anomali pattern ventilatori; ricordiamoci che in questo
momento della valutazione ci interessano alterazioni macroscopiche, ad
esempio se un emitorace sia fermo e non partecipi alla dinamica della
ventilazione.

La palpazione ci farà individuare la possibile presenza di enfisema


sottocutaneo, l’auscultazione sui 4 campi, 2 apici e 2 basi polmonari, se
esista passaggio di aria su tutto l’ambito o se invece il murmure
vescicolare (MV) sia assente o estremamente ridotto su uno o più campi,
oltre alla presenza di grossolani rumori aggiunti, quali rantoli o segni di
broncospasmo.

pag. 136
L’assenza di MV implica 3 possibilità: o broncospasmo completamente
serrato o nello spazio pleurico esiste qualcosa che non dovrebbe esserci
come aria (PNX) o liquido, massivo versamento pleurico per sangue
(emotorace) o essudato/trasudato.

l conteggio della frequenza respiratoria (FR, normale tra 12-15 atti/m’) e


la saturimetria (SO2) completano la valutazione di B.

Problemi di B alla base della dispnea possono essere: pneumotorace,


crisi asmatica, polmonite, riacutizzazione di Bpco, Ards, versamento
pleurico, contusione polmonare conseguente a trauma.

Trovato un problema in B occorrerà risolverlo prima di procedere con la


restante valutazione; PNX e versamento pleurico massivo andranno
drenati, Ards e Bpco riacutizzata trattati con ventilazione non
invasiva e, in caso di insuccesso tramite intubazione tracheale e
ventilazione invasiva, crisi asmatica e Bpco gestite con
somministrazione di Beta 2 agonisti short acting per via inalatoria.

Problemi in C
Molti problemi di C possono avere ripercussioni sul respiro: un edema
polmonare acuto (Epa) sarà conseguenza di una primitiva patologia
cardiaca (sindrome coronarica acuta, insufficienza cardiaca,
miocardiopatie, vizi valvolari, ecc.).

Un quadro di shock darà come segno precoce un incremento della


frequenza respiratoria, così come una anemizzazione acuta. Un EPA
andrà immediatamente trattato con CPAP o NIV, a seconda delle
competenze personali e delle risorse a disposizione.

Problemi in D
In D lesioni midollari alte, fino a C4, provocheranno importantissimi
problemi respiratori per la paralisi della muscolatura, in primis
diaframma; un quadro di ipertensione endocranica si manifesterà, tra gli
altri segni, con bradipnea.

Quindi, alla fine della nostra rapida valutazione primaria avremo già
un’idea, anche se grossolana, della possibile genesi della dispnea
accusata dal paziente

Contemporaneamente all’esame obiettivo mirato sarà immediatamente


necessario avvalersi dell’ausilio di altri strumenti diagnostici.

Andrà ottenuto un Ega, meglio se arterioso e venoso, dopo avere iniziato


la somministrazione di O2 ed eseguita una POCUS (point of care

pag. 137
ultrasonogrphy), cioè un esame ecografico bedside. Monitoraggio Ecg
ed Ecg 12 derivazioni completeranno la nostra valutazione.

Nell’Ega devono essere valutati i seguenti parametri, in quest’ordine:


PO2, PH, PCO2, HCO3, BE e, se presenti, lattati. Fondamentale il calcolo
del P/F, rapporto tra PO2 e percentuale di O2 inspirata, normale se >350
(idealmente >400); se P/F inferiore a 350, ipossiemia moderata; se
inferiore a 200 ipossiemia severa; inferiore a 150 indicazione ad
intubazione tracheale (IOT) e ventilazione invasiva.

Tramite la POCUS dovremo avere risposte del tipo “tutto o nulla” a


nostre precise domande: esiste PNX? Esiste versamento pleurico?
Esistono aree di interstiziopatia intese come incremento di linee B, cioè
il polmone è nero, grigio, bianco? Se esistono queste aree di
interstiziopatia, sono settoriali (polmonite, contusione polmonare)
ubiquitariamente diffuse (Epa), diffuse a macchia di leopardo (ARDS)?

Esiste versamento pericardico? È tamponante? Esiste sovraccarico del


cuore destro? Esistono grossolani deficit della contrattilità miocardica?
Il paziente è pieno o vuoto (misurazione della VCI allo sbocco in atrio
destro e ella sua riduzione di calibro in inspirium per ottenere sommaria
valutazione della pressione venosa centrale, PVC)? Esiste un aneurisma
aortico? Esiste versamento peritoneale? Alla CUS (ecografia
compressiva venosa), esiste TVP prossimale?

La diagnosi tempestiva dello scompenso cardiaco è in grado di


prevenire e rallentare il decorso della malattia; per questo, è importante
definirne il livello di gravità. Esistono diversi modi di classificare lo
scompenso cardiaco, uno quei quali classifica i diversi gradi della
patologia in base al livello di limitazione dell'attività fisica del paziente.
In particolare, la dispnea è uno dei sintomi cardine di questa malattia
tanto da essere utilizzato per classificarla in base a livelli di gravità,
secondo le classi NYHA. Si tratta di una classificazione
clinica, stabilita dalla New York Heart Association[3] e adottata a livello
internazionale, che individua quattro classi funzionali di gravità
crescente (Classe I, II, III o IV) basate proprio su segni e sintomi della
patologia, utilizzate anche per quantificare l’invalidità dovuta allo
scompenso cardiaco (25-50-75-100%).

 Classe 1: scompenso cardiaco asintomatico.

Si registra la presenza di una cardiopatia, ma senza conseguenti


limitazioni dell'attività fisica. L'attività fisica ordinaria del paziente
non è limitata, ma possono comparire sintomi per attività superiori
all'ordinario.

pag. 138
 Classe 2: scompenso cardiaco lieve.

Il paziente sta bene a riposo, ma l’attività fisica moderata (come


salire due rampe di scale o salire alcuni gradini portando pesi
leggeri) provoca dispnea o affaticamento.

 Classe 3: scompenso cardiaco da moderato a grave.

L’attività fisica minima (come camminare per casa o salire mezza


rampa di scale) provoca dispnea o affaticamento, anche se il
paziente sta ancora bene a riposo.

 Classe 4: scompenso cardiaco grave.

Il paziente non riesce a svolgere alcun tipo di attività. Spossatezza,


dispnea o affaticamento sono presenti anche a riposo (seduti o
sdraiati a letto).

La classe NYHA si riferisce ad una valutazione funzionale e soggettiva


nei pazienti con cardiopatia e lo specialista che la certifica è, quindi, il
cardiologo. Questa classificazione viene anche utilizzata dai clinici e
dalle pubblicazioni mediche per descrivere la gravità dello scompenso
cardiaco e l'effetto del trattamento.

Se la classe NYHA 2 identifica un paziente che ha difficoltà a salire le


scale perché affanna, la classe NYHA 3 un paziente che riesce a
dormire steso, ma che riposa probabilmente da seduto, la classe NYHA
4, la più grave, indica uno stadio critico che richiede il ricovero in
Centri specializzati.

Entrambe le classi NYHA 3 e 4 richiedono l’ospedalizzazione, mentre la


classe NYHA 1-2 rendono necessaria una corretta impostazione della
terapia farmacologica, che rappresenta l’arma principale per migliorare
la prognosi, ridurre i sintomi e i ricoveri ospedalieri, oltre che per
garantire un’accettabile qualità di vita dei pazienti.

pag. 139
53) Crisi di panico versus Crisi Isterica: diagnosi e trattamento.
Un attacco di panico è l'improvvisa comparsa di un periodo distinto e
breve di intenso disagio, di ansia, o di paura accompagnati da sintomi
somatici e/o cognitivi. Il disturbo di panico consiste nella comparsa di
ripetuti attacchi di panico tipicamente accompagnati dalla paura di un
attacco futuro o da cambiamenti nel comportamento atti a evitare
situazioni che possono predisporre agli attacchi. La diagnosi è clinica.
Attacchi di panico isolati possono non richiedere alcun trattamento. Il
disturbo di panico viene trattato con terapia farmacologica,
psicoterapia (p. es., terapia dell'esposizione, terapia cognitivo-
comportamentale) o entrambe.

Un attacco di panico si manifesta con l'insorgenza improvvisa di


intensa paura o malessere accompagnati da almeno 4 dei 13 sintomi
elencati nella tabella Sintomi di un attacco di panico . I sintomi
generalmente raggiungono l'apice di intensità in 10 minuti e svaniscono
nell'arco di alcuni minuti, lasciando pochi elementi all'osservazione del
medico. Sebbene spiacevoli, a volte estremamente spiacevoli, gli
attacchi di panico non sono pericolosi dal punto di vista medico.

pag. 140
Sintomi di un attacco di panico
Cognitivi

Paura di morire
Paura di impazzire o di perdere il controllo
Sentimenti di irrealtà, estraneità (derealizzazione), o distacco da sé
(depersonalizzazione)

Somatici

Dolore o fastidio al petto


Vertigini, sentimenti instabili, o svenimento
Sensazione di soffocamento
Vampate o brividi
Nausea o dolori addominali
Intorpidimento o sensazioni di formicolio
Palpitazioni o aumento della frequenza cardiaca
Sensazione di respiro corto o di soffocamento
Sudorazione
Tremore o scosse

Gli attacchi di panico possono manifestarsi in qualsiasi disturbo


d'ansia, di solito in situazioni correlate alle caratteristiche centrali del
disturbo (p. es., una persona con la fobia dei serpenti può sviluppare
panico alla vista di un serpente). Tali attacchi di panico sono definiti
attesi. Gli attacchi di panico inaspettati sono quelli che si verificano
spontaneamente, senza alcun innesco apparente.
La maggior parte dei soggetti con disturbo da attacchi di panico si
aspetta in anticipo e ha paura di avere un altro attacco (ansia
anticipatoria) ed evita i posti o le situazioni che in precedenza avevano
scatenato il panico. Essi spesso temono di avere un pericoloso disturbo
cardiaco, polmonare o cerebrale e si rivolgono ripetutamente al proprio
medico di famiglia o al pronto soccorso in cerca di aiuto.
Sfortunatamente, in queste situazioni, l'attenzione è spesso focalizzata
sui sintomi fisici e talvolta non viene formulata una corretta diagnosi.

Diagnosi degli attacchi di panico e del disturbo di panico

 Criteri clinici

Il disturbo di panico viene diagnosticato dopo aver escluso i disturbi


organici che possono simulare l'ansia e quando i sintomi rispondono ai

pag. 141
criteri diagnostici stabiliti dal Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5).
I pazienti devono avere attacchi di panico ricorrenti (la frequenza non è
specificata) in cui ≥ 1 attacco è stato seguito da una o entrambe le
seguenti situazioni per ≥ 1 mese:

 Preoccupazione persistente di avere attacchi di panico


aggiuntivi o preoccupazione circa le loro conseguenze (p. es.,
perdere il controllo, impazzire)
 Risposta comportamentale maladattiva per gli attacchi di
panico (p. es., evitando le attività comuni, come l'esercizio o
le situazioni sociali per cercare di prevenire ulteriori attacchi)

Trattamento degli attacchi di panico e del disturbo di panico


 Spesso antidepressivi, benzodiazepine, o entrambi
 Spesso misure psicoterapeutiche (p. es., la terapia
dell'esposizione, la terapia cognitivo-comportamentale)

Alcuni soggetti guariscono senza trattamento, specialmente se


continuano a confrontarsi con le situazioni in cui si sono verificati gli
attacchi. Per gli altri, specialmente per chi non effettua alcun
trattamento, il disturbo di panico segue un decorso cronico e
altalenante.

I pazienti devono essere informati del fatto che la terapia spesso aiuta
a controllare i sintomi. Se non si sono sviluppati comportamenti di
evitamento, possono essere sufficienti la rassicurazione, l'educazione
sull'ansia e l'incoraggiamento per ritornare e rimanere nei luoghi in cui
gli attacchi di panico si sono verificati. Tuttavia, nel caso di un disturbo
di vecchia data che comporti attacchi frequenti e condotte di
evitamento, è probabile che il trattamento richieda una terapia
farmacologica combinata con una psicoterapia più intensiva.

Terapia farmacologica
Molti farmaci riescono a prevenire o a ridurre fortemente l'ansia
anticipatoria, l'evitamento fobico e il numero e l'intensità degli attacchi
di panico:

 Antidepressivi: le diverse classi di inibitori selettivi della


ricaptazione della serotonina , gli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina-noradrenalina , i modulatori
della serotonina, gli antidepressivi triciclici , e gli inibitori
delle monoaminossidasi, possiedono la stessa efficacia.
Tuttavia, gli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina-noradrenalina offrono il vantaggio potenziale di

pag. 142
produrre minori effetti avversi in confronto agli altri
antidepressivi.
 Benzodiazepine: questi ansiolitici agiscono più rapidamente
degli antidepressivi ma possiedono una maggiore probabilità
di indurre dipendenza fisica e alcuni effetti avversi, come la
sonnolenza, l'atassia e i problemi di memoria. (Vedi la tabella
Benzodiazepine in Disturbo d'ansia generalizzato:
trattamento.) Per alcuni pazienti, l'uso prolungato di
benzodiazepine è l'unico trattamento efficace.
 Antidepressivi più benzodiazepine: questi farmaci talvolta
nella fase iniziale sono usati in combinazione; l'effetto della
benzodiazepina va lentamente a ridursi dopo che
l'antidepressivo diventa efficace (anche se alcuni pazienti
rispondono solo al trattamento in combinazione).
Gli attacchi di panico spesso si ripresentano alla sospensione dei
farmaci.

L'isteria è un disturbo mentale complesso, caratterizzato dalla


presenza di uno o più sintomi sensitivo-motori (come, ad esempio,
paralisi, cecità e parestesie), che non possono essere giustificati da una
malattia neurologica o internistica nota.
Attualmente definita “disturbo di conversione”, l'isteria è considerata
lespressione - attraverso disordini di natura somatica - di conflitti
interiori che non trovano un riscontro su basi fisiologiche. L'insorgenza,
l'esacerbazione e il mantenimento dei sintomi sono attribuiti tipicamente
a fattori psichici e vengono favoriti da momenti di tensione emotiva
e stress.
Il meccanismo di “conversione" alla base dell'isteria è caratterizzato
dalla mancanza di controllo su atti ed emozioni, e dall'esagerazione
dell'effetto di certe stimolazioni sensoriali.
In genere, i sintomi isterici consistono in deficit evidenti che solitamente
interessano una funzione motoria o sensitiva. Ad esempio, i pazienti
potrebbero presentare: paralisi di un braccio o di una gamba, perdita di
sensibilità in una parte del corpo, disturbi
della marcia, astenia, convulsioni, cecità, visione
doppia, sordità, afonia, difficoltà di deglutizione, sensazione di nodo in
gola o ritenzione urinaria. Queste manifestazioni sono abbastanza gravi
da provocare una sofferenza significativa o da compromettere il
funzionamento sociale e lavorativo o di altri importanti ambiti.
La diagnosi dell'isteria viene presa in considerazione soltanto qualora
un esame fisico e le analisi di laboratorio abbiano preventivamente
escluso disturbi organici che possano pienamente giustificare la
sintomatologia e i suoi effetti.

pag. 143
Quando i disturbi isterici imitano una malattia funzionale, la diagnosi
differenziale può essere difficile: è comunque necessario escludere che
la sintomatologia sia su base organica, prima di ipotizzare l'origine
isterica della malattia.
Le manifestazioni sensitivo-motorie dell'isteria devono essere distinte da
quelle associate alle malattie neurologiche in base all'assenza sia
di segni obiettivabili, sia delle specifiche caratteristiche di
distribuzione dei disturbi.
I fenomeni dissociativi di alterazione della coscienza sono differenziabili
da quelli causati dalle principali malattie cerebrali in base a esiti normali
nei test sulle funzioni cognitive e in seguito all'assenza di alterazioni
alla tomografia computerizzata (TC), al tracciato
elettroencefalografico e alla risonanza magnetica (RM).

Nel trattamento dell'isteria è fondamentale instaurare una relazione


terapeutica di fiducia e supporto tra il paziente, uno psichiatra e un
medico di un'altra branca (es. neurologo o internista). Dopo aver
escluso le cause organiche e aver rassicurato che i sintomi non indicano
un grave disturbo sottostante, i pazienti potrebbero iniziare a sentirsi
meglio e a presentare un'attenuazione delle manifestazioni.
Un terapeuta può aiutare la persona isterica a risalire all'origine del
disturbo e a comprendere le ragioni del suo comportamento. In alcuni
casi, si rende necessario l'utilizzo di terapie familiari, modificazioni
ambientali, tecniche suggestive (quali l'ipnosi e la narcoanalisi) oppure il
ricorso a psicoterapie a breve termine.
L'ipnosi è una tecnica che agisce sulla dimensione fisica e psicologica
del paziente; durante una seduta, il professionista della salute può
aiutare il soggetto a sperimentare dei cambiamenti nelle sensazioni,
nelle percezioni o nel comportamento, che lo aiutino a controllare
l'influenza dello stress e dello stato mentale sulle proprie funzioni
corporee. L'ipnosi diventa, quindi, un mezzo per risolvere una situazione
psichica che causa una difficoltà non risolvibile con la sola forza di
volontà.
La narcoanalisi è una procedura che differisce dall'ipnosi per
la somministrazione di un sedativo, in grado di indurre nel paziente uno
stato di dormiveglia.
Per alcune persone, inoltre, è efficace la psicoterapia, inclusa la terapia
cognitivo-comportamentale. Quest'approccio è utile in quanto non lavora
solamente sulla psicologia della persona isterica, ma insegna a
mettersi alla prova nelle situazioni che causano ansia, fobia e conflitto
emotivo. L'obiettivo della terapia cognitivo-comportamentale consiste
nell'indebolire i legami tra gli stimoli e la percezione dei disturbi isterici.
Ciò consente di prendere consapevolezza con i propri conflitti interiori e
di imparare a gestire il problema.

pag. 144
La terapia farmacologica permette solamente di attenuare o contenere
i sintomi dell'isteria; in questo caso, può essere utile il ricorso
ad ansiolitici, antidepressivi e neurolettici.

54) Embolia Polmonare: dalla diagnosi al trattamento.


L'embolia polmonare è la terza più comune causa di morte
cardiovascolare negli Stati Uniti, con un'incidenza annua simile a quella
dell'infarto. La mortalità entro trenta giorni dalla diagnosi è del 45% in
presenza di shock, una condizione che si osserva nel 4-5% dei casi; nei
pazienti senza squilibri emodinamici e di età <50 anni la mortalità si
stima attorno all'1%.

L'embolia è causata dalla migrazione in un vaso del circolo arterioso


polmonare di una massa solida, liquida o gassosa di dimensioni varie
(embolo) proveniente da una sede periferica, attraverso una vena
sistema, o dal cuore destro.

L'embolia polmonare è nella maggior parte dei casi oltre il 95% una
tromboembolia e costituisce la complicanza di una trombosi venosa
profonda (TVP) degli arti inferiori. Essa si determina quando, da un
trombo formatosi in una vena al di sopra del ginocchio poplitee, femorali,
iliache) o da un trombo più distale estendendosi prossimalmente, si
distaccano frammenti più o meno voluminosi.

pag. 145
Embolia polmonare acuta e trombosi venosa profonda sono considerate
un'unica malattia;

La TVP si instaura quando una o più delle condizioni espresse dalla


triade di Virchow sono presenti: lo stato di ipercoagulabilità, la stasi
venosa e l'infiammazione.

I maggiori fattori di rischio per TVP sono l'età avanzata (>50 anni, con un
picco d'incidenza dell'1% a 80 anni). la stasi venosa, gli stati di
ipercoagulabilità e il danno endoteliale. La stasi venosa può essere la
conseguenza di immobilità generale (obesità, stile di vita sedentario,
disordini neurologici, anestesia generale) o di immobilità di un arto
(intervento chirurgico, trauma, paralisi neurologica). Lo stato di
ipercoagulabilità può essere ereditario (ad es, fattore V di Leiden,
mutazione del gene 20210A della protrombina, deficit di proteina C o S) o
acquisito (patologie maligne, gravidanza, assunzione di estrogeni,
sindrome da anticorpi antifosfolipidi). Il danno endoteliale può derivare
da un trauma, da un intervento chirurgico, da un accesso vascolare, da
un catetere vascolare a lunga permanenza o da una precedente trombosi
venosa profonda. La tromboembolia polmonare si è rivelata come prima
causa di morte nei pazienti sottoposti a interventi chirurgici.

Il rischio di embolia polmonare è assai più elevato se la trombosi non è


stata prontamente diagnosticata e non adeguatamente trattata: si
ritiene che in assenza di una corretta terapia oltre il 40% delle trombosi
venose profonde determinino embolia polmonare.

In percentuali molto minori l'embolo proviene dal cuore destro o dal


distretto cavale superiore.

Ancora meno frequentemente, l'embolia polmonare può essere causata


non dalla migrazione di un coagulo ematico, ma da altro materiale
solido, liquido o gassoso.
Tra le embolie polmonari non trombotiche, l'embolia adiposa post-
traumatica è la forma più frequente ed ha una mortalità del l 0%. Si
verifica a seguito di una frattura delle ossa lunghe (femore, tibia) e del
bacino, ma talvolta anche dopo un trauma del tessuto adiposo o di un
fegato steatosico.

L'embolia da liquido amniotico è una gravissima complicanza (mortalità


65-80%), che può presentarsi improvvisamente in qualunque fase del
parto ma nella maggioranza dei casi si verifica in travaglio di parto.

All'esame autoptico, nei vasi della circolazione polmonare materna si


riscontrano prodotti di origine fetale (cellule squamose, mucina, vernice

pag. 146
e lanuggine) ricoperti da leucociti materni.
La fisiopatologia dell'embolia amniotica non è del tutto chiara. Una
condizione presente frequentemente è la stretta correlazione temporale
fra la rottura delle membrane e la comparsa dei sintomi. Durante la
gestazione il liquido amniotico è separato dalla circolazione materna
dalle membrane fetali; al momento del parto, dopo la separazione della
placenta, i vasi uterini più superficiali dell'endometrio vengono esposti,
ma normalmente le contrazioni uterine ne determinano il collasso.
Quindi, sebbene la zona di impianto della placenta sia una delle probabili
vie di ingresso del liquido amniotico nella circolazione materna, sembra
improbabile che questo fenomeno avvenga se la parete dell'utero è ben
contratta.
Un altro tipo di embolia non trombotica è costituito dall'embolia gassosa
provocata dalla penetrazione di aria nel distretto venoso: per aspirazione
ad opera della negatività intrapleurica, ad es. durante le manovre di
cateterismo venosa centrale o interventi neurochirurgici; per immissione
forzata, iatrogena, ad es. per incidente durante circolazione
extracorporea; per brusca decompressione, come in caso di risalita
troppo rapida dopo immersioni subacquee. Va sottolineato che per avere
effetti letali devono entrare in vena acutamente elevate quantità di aria
(5-15 mL/kg).

Vanno ricordate infine altre due forme di embolia non trombotica,


costituite dall'embolia settica, che si può presentare in caso di
endocardite destra e foci infettivi responsabili di disseminazioni settiche
a distanza, e dall'embolia tumorale, per lo più associata a cancro
gastrico, epatico, renale, che si presenta sotto forma di cuore polmonare
subacuto o cronico.

La gravità della presentazione clinica dell'embolia polmonare dipende


sia dalle caratteristiche dell'ostruzione vascolare, sia dalle condizioni di
base del paziente.

L'interruzione improvvisa totale o parziale del flusso arterioso polmonare


può determinare:

 dispnea con ipossiemia per alterazione del rapporto VA/O,


desaturazione del sangue venoso misto da bassa gettata, shunt
attraverso il forame ovale, aree di infarto polmonare;
 alterazioni circolatorie: arresto cardiaco, riduzione del letto
arterioso ed ipertensione polmonare, cuore polmonare acuto,
ipotensione arteriosa sistemica, diminuzione della perfusione
coronarica, infarto polmonare.

pag. 147
Si potrebbe parlare genericamente di embolia polmanare acuta massiva
quando sia interessato oltre il 50% del letto vascolare polmonare
(almeno due rami lobari o l'equivalente), di embolia polmonare acuta
submassiva in caso di coinvolgimento del 30-40% del letto vascolare (un
segmento polmonare o l'equivalente), e di microembolia polmonare
cronica recidivante quando è interessato il microcircolo polmonare.
La classificazione clinica adottata nelle linee guida 2014 dell'European
Society of Cardiology (ESC) si basa sullo stato clinico dei pazienti al
momento della presentazione, con embolia polmonare ad alto rischio di
conferma, in presenza di shock o persistente ipotensione arteriosa, ed
embolia polmonare non ad alto rischio di conferma in loro assenza.

La sintomatologia dell'embolia massiva si presenta in modo drammatico


con dispnea improvvisa, non giustificata dal reperto obiettivo toracico, e
dolore precordiale violento "a colpo di pugnale", oppressivo,
accompagnato a senso di angoscia, o dolore epigastrico (ischemia del
ventricolo destro per cuore polmonare cuto, ipotensione arteriosa,
ridotta pertusione coronarica); il quadro clinico può rapidamente
evolvere ver- so l'arresto cardiaco con attività elettrica senza polso
(PEA). L'arresto cardiaco avviene in circa il 2% di tutti casi di embolia
polmonare diagnosticata, ma si stima che il 20-25% delle morti
cardiache improvvise secondario a questa patologia.
Nelle forme submassive compaiono segni e sintomi più o meno
accentuati di squilibrio cardiorespiratorio, quali dispnea, dolore toracico
di grado diverso, localizzato o diffuso, collasso cardiocircolatorio con
sudorazione algida e lipotimia, tachicardia con ritmo di galoppo, turgore
giugulare, cianosi, che possono essere accompagnati da tosse violenta,
emottisi, dolore toracico puntorio di tipo pleuritico, febbre.

I segni e sintomi classici della TVP sono dolore alla gamba o al


polpaccio, rossore, gonfiore, ipersensibilità e calore. Purtroppo, meno
del 50%dei pazienti con TVP confermata presenta questi segni e sintomi,
che peraltro si possono manifestare anche in caso di cellulite,
scompenso cardiaco congestizio, stasi venosa senza trombosi e lesioni
muscoloscheletriche. Pertanto, l'esclusione di TVP senza esami
diagnostici può essere complicata e va tenuto presente che la trombosi
veno- sa profonda è dimostrata solo nel 40% dei pazienti con embolia
polmonare accertata.

Due presentazioni infrequenti ma severe di TVP sono la phlegmosio


cerulea dolens, causata da un'ostruzione di alto grado che provoca un
aumento delle pressioni compartimentali e può compromettere la
pertusione dell'arto che si presenta molto gonfio e cianotico, e la
phlegmosio alba dolens, solitamente associata alla gravidanza, che ha

pag. 148
una fisiopatologia simile ma si presenta con l'arto ischemico a causa di
uno spasmo arterioso.

Il primo passo dell'iter diagnostica consiste nella valutazione del rischio


di TVP e di embolia polmonare. Alcuni strumenti decisionali, come i
sistemi a punteggio ideati da Wells, sono stati proposti per stratificare i
pazienti a seconda di una probabilità bassa, me- dia o alta di avere una
TVP e un'embolia polmonare prima di sottoporli ad esami diagnostici.
Nello score di Wells per la TVP, un punteggio di 3 o più rappresenta
un'alta probabilità; un punteggio di '-2 corrisponde a una probabilità
moderata; un punteggio pari a O indica una bassa probabilità di trombosi
venosa profonda. In quello per l'embolia polmonare, un punteggio >6
rappresenta un'alta probabilità; un punteggio 2-6 corrisponde a una
probabilità moderata; un punteggio <2 indica una bassa probabilità di
embolia polmonare.

Questo score è stato poi modificato in modo da classificare i pazienti in


due gruppi, a basso rischio di embolia ( punteggio=<4 ) o ad alto rischio
(punteggio >4), il che è diventato il modo abituale con cui esso viene
impiegato.

Oltre agli score di Wells, un altro sistema di classificazione a punteggio


diffusamente utilizzato è quello di Ginevra, recentemente aggiornato,
che non considera i criteri soggettivi presenti negli score di Wells.

Possono essere adottati anche i criteri di esclusione dell'embolia


polmonare (Pulmonory Embolism Rule-Out Criterio, PERC) per inquadrare
quei pazienti in cui il rischio di un test diagnostico supera il rischio che
vi sia un'embolia non diagnosticata). Se associati a una probabilità
clinica bassa, i criteri PERC negativi riducono all'% la possibilità che il
paziente abbia un'embolia.

~ Purtroppo accade non raramente che la probabilità clinica di embolia


polmonare sia difficilmente determinabile in base ai segni e sintomi di
presentazione, che possono essere più o meno suggestivi, e alla
valutazione dei fattori di rischio.

Per la diagnosi di trombosi venosa profonda, il dosaggio del D-dimero è


assai utile come criterio di esclusione dell'embolia quando risulta
negativo, mentre in caso di positività non è affidabile in quanto
altamente aspecifico (positivo anche in pazienti con neoplasie, traumi,
interventi chirurgici recenti, sepsi). Esso costituisce il test diagnostico
di primo livello nel gruppo di pazienti non ad alto rischio di embolia
polmonare, in quanto permette, se negativo, di escludere da ulteriori
indagini una percentuale elevata di pazienti.

pag. 149
Se il D-dimero risulta positivo, per escludere la TVP il paziente deve
essere sottoposto a un'ecografia venosa. L'ecografia duplex (la
combinazione in tempo reale di M-mode e del flusso Doppler), ha un'alta
sensibilità (97%) e un'alta specificità (94%) per la TVP es degli arti
inferiori; la sensibilità è minore per le TVP pelviche o isolate al polpaccio
(73%), e per la TVP degli arti superiori (56-100%).

L'ecografia consente di valutare la progressione o la regressione del


trombo e il rischio di embolia che raddoppia se la testa del trombo è
flottante. Con l'ecografia, si esplorano le vene addominali e pelviche, le
vene femorale comune, femorale superficiale e poplitea, la confluenza
della grande safena e la biforcazione tra femorale superficiale e
profonda. Le vene surali non vengono studiate di routine per la maggior
difficoltà di diagnosticare la TVP limitata al polpaccio e la bassa
probabilità di embolia, a meno che un trombo non venga identificato a
livello popliteo. L'ecografia ha valore diagnostico solo se positiva. La
TVP è visibile con gli ultrasuoni nel 20% circa dei pazienti ricoverati per
sospetta embolia polmonare e nel 40-70% di quelli con embolia provata
dall'angiopneumografia o dalla scintigrafia. Negli altri casi, è verosimile
che tutto il trombo sia ormai migrato (big bang theory). Pertanto la
negatività dell'ecografia non può escludere la diagnosi di embolia. Può
essere utile eseguire controlli seriati, perché, in qualche caso, i trombi
inizialmente limitati al polpaccio e non visibili possono estendersi
cranialmente ed embolizzare.
Per la diagnosi di embolia polmonare, l'emogasanalisi su sangue
arterioso non ha un valore diagnostico specifico, ma è importante per
valutare la gravità dell'ipossiemia e per vedere di quanto essa si
modifica dopo somministrazione di ossigeno al 100%.

Fra le indagini strumentali, la radiografia del torace e l'ECG sono quasi


sempre anormali (>80%) ma, per la diagnosi esatta di embolia, la
sensibilità e la specificità sono insoddisfacenti.

L'ECG permette di valutare segni aspecifici di sovraccarico del cuore


desto, che peraltro si evidenziano in una minoranza di pazienti.

I reperti più comuni alla radiografia del torace sono rappresentati da


opacità polmonari focali, innalzamento del diaframma e ingrandimento
cardiaco. Opacità pleuropolmonari (per lo più zone atelettasiche, aree
edematose-emorragiche o infarti incompleti) si osservano nel 70% circa
dei casi; altri segni, come l'infarto completo, sono di riscontro più raro e
le opacità infartuali non si osservano prima di 10-24 ore dall'esordio
clinico, talora più tardi. Un versamento pleurico mode- sto e
monolaterale si osserva in poco più del 30% dei casi.

pag. 150
Va precisato in proposito che l'occlusione embolica di un ramo arterioso
polmonare nel soggetto con normale funzione ventricolare sinistra non
provoca infarto polmonare, perché l'irrorazione della zona tributaria del
vaso colpito può essere assicurata dalla circolazione bronchiale
attraverso anastomosi tra le arterie bronchiali e le arterie polmonari.
Invece in caso di preesistente scompenso ventricolare sinistro l'infarto
polmonare emorragico è pressoché la regola, perché la stasi venosa del
piccolo circolo ostacola il flusso di sangue proveniente dalle arterie
bronchiali aggravando ulteriormente la stasi locale e favorendo lo
stravaso ematico intraparenchimale e l'infarto.

L'Rx del torace può anche essere negativo pur in presenza di un'embolia
massiva. La sua utilità consiste soprattutto nella esclusione di patologie
alternative; inoltre, saltuariamente, esso può comunque fornire
orientamenti positivi e, a posteriori, le modalità di risoluzione di
un'opacità polmonare possono far pensare a un infarto polmonare
(melting ice sign).

L'angioTC è l'indagine diagnostica di primo livello (prima ancora del


dosaggio del D-di- mero) nel gruppo di pazienti ad alto rischio di embolia
polmonare e nell'individuazione degli emboli localizzati nelle arterie
centrali (fino al IV ordine) presenta sensibilità e specificità elevate
(circa 95%; 100% fino alle arterie lobari); la tecnica multistrato consente
la valutazione adeguata di una percentuale maggiore (e statisticamente
significativa) di arterie subsegmentali, fino a quelle di V e VI ordine. Con
questa tecnica, è oggi possibile individuare emboli di 2 mm in arterie di
VII ordine.

L'angioTC polmonare mostra il coagulo come un difetto di riempimento


nelle arterie polmonari evidenziate dal mezzo di contrasto e presenta il
vantaggio di poter fornire diagnosi alternative in circa il 20% dei pazienti
in cui non vi è evidenza di embolia. Essa peraltro comporta il rischio di
esposizione alle radia- zioni, reazioni anafilattiche al mezzo di contrasto
e nefropatia indotta dal mezzo di contrasto; è controindicata nei pazienti
con una riduzione della funzione renale.

Negli ospedali in cui la scintigrafia polmonare ventilo/perfusionale sia


prontamente disponibile, questo esame può costituire una valida
alternativa all'angioTC, laddove quest'ultima sia controindicata e,
soprattutto, nei soggetti in giovane età e di sesso femminile, per ridurre
le possibili conseguenze dell'esposizione a radiazioni. La normalità
dell'esame esclude l'embolia, mentre la positività acquisisce una
specificità discreta solo se correlata alla probabilità clinica pre-test
raggiungendo, nei pazienti con alta probabilità clinica, un'elevata
accuratezza diagnostica (96%). Tuttavia, se la scintigrafia mostra alta

pag. 151
probabilità a fronte di una probabilità clinica intermedia o bassa,
l'accuratezza diagnostica scende all'80% e al 50%, rispettivamente.

L'ecocardiografia (transtoracica/transesofagea) ha sensibilità e


specificità limitate, esplora solo le arterie centrali e non ha un ruolo
clinico stabilito nella diagnosi dell'EPA. Tuttavia segni ecocardiografici
indiretti, come la ipocinesia ventricolare destra o la valutazione del
rigurgito tricuspidale, possono aiutare a stimare la gravità di un episodio
embolico già diagnosticato con altri mezzi. ln qualche caso l'ecografia
può consentire la diagnosi di embolia visualizzando trombi mobili
all'interno dell'atrio destro, se non anche in arteria polmonare o nei suoi
rami principali, e risultare determinante per il successivo trattamento
d'emergenza. Inoltre, questo strumento può essere un'utile aggiunta in
pazienti con segni/sintomi di embolia polmonare in cui sia controindicata
la l'angioTC polmonare (ad es., gravidanza, insufficienza renale) e una
scintigrafia non sia prontamente disponibile.

In conclusione, il percorso diagnostico nel sospetto di embolia


polmonare può essere riassunto negli algoritmi recentemente proposti
dall'European Society of Cardiology: uno per il gruppo di pazienti con
embolia polmonare non ad alto rischio di conferma e l'altro con embolia
polmonare ad alto rischio di conferma per la presenza di shock o
ipotensione. Una considerazione a parte va riservata agli aspetti clinici e
diagnostici peculiari di alcune embolie polmonari non trombotiche.

Il quadro clinico è estremamente variabile, dipendendo dall'agente in


causa.

L'embolia adiposa è caratterizzata da un intervallo libero di 24-72 h dal


trauma, seguito dalla comparsa di un tipico corteo sintomatologico con
alterazioni:

 neurologiche (irritabilità, confusione mentale, deli- rio fino al


coma),
 respiratorie (iperventilazione con ipossiemia, con un quadro
clinico-radiologico di ARDS/ALI),
 cardiocircolatorie (tachicardia, ipertensione).

L'embolia da liquido amniotico può essere preceduta da ipertono


dell'utero ed anomalie cardiotocografiche e presentarsi con
un'improvvisa ed inaspettata dispnea, agitazione, ipossia, ipotensione,
aritmie fino all'arresto cardiaco. Nelle pazienti che sopravvivono a
questa prima fase si riscontrano gravi segni bio-umorali e clinici di
coagulazione intravascolare disseminata con sanguinamento dai siti di
veni-puntura e/o dalla incisione chirurgica.

pag. 152
La diagnosi è di esclusione: qualunque condizione che determina
collasso cardiocircolatorio o emorragia massiva nel periodo del parto
dovrebbe essere presa in considerazione.

Le conseguenze cliniche dell'embolia gassosa di- pendono sia


dall'eziologia (nell'embolia da de compressione non si ha solo il blocco
del filtro polmonare, ma anche e soprattutto il blocco della circolazione
arteriosa) sia dalla quantità d'aria in circolo, che può causare solo una
transitoria ipossiemia che si risolve spontaneamente, oppure anche un
quadro simile a quello della tromboembolia massiva. Poiché !'ingresso di
aria nelle vene centrali può avvenire in corso di interventi chirurgici o di
procedure diagnostico terapeutiche invasive su pazienti critici e
monitorizzati, un attento controllo dell'ingresso d'aria nelle vene con
stetoscopio ed eco-doppler, e delle sue conseguenze con ECG,
saturimetria e capnometria, consente di rilevare precocemente
l'insorgenza del problema e di provvedere tempestivamente.

Nella maggior parte dei casi di embolia polmonare non trombotica,


l'evento è generalmente correlabile all'evento che lo ha provocato e la
terapia più opportuna può essere intrapresa senza indugi.

Per quanto attiene al trattamento sintomatico degli squilibri


cardiorespiratori causati dall'embolia polmonare, nell'approccio iniziale
al paziente in arresto cardiorespiratorio con attività elettrica senza
polso si adotteranno provvedimenti descritti nello specifico algoritmo,
effettuando il controllo della via aerea mediante intubazione mendo-
tracheale, la ventilazione in ossigeno al 100%, le compressioni del
torace, l'accesso venoso e la somministrazione di farmaci e liquidi, e
considerando l'embolia polmonare fra le possibili cause della PEA.

Se si ha la certezza o il ragionevole sospetto che l'arresto cardiaco sia


stato causato da un'embolia polmonare, ed a maggior ragione se in tali
evenienze la RCP standard non riesce a ripristinare la circolazione,
allora va considerata la somministrazione immediata di farmaci
trombolitici (alteplase). In base ai risultati favorevoli, in termini di
sopravvivenza e di outcome neurologico, ottenuti anche dopo 60 min di
RCP in un discreto numero di soggetti sottoposti a questo tipo di
trattamento, le linee guida dell'ERC e dell'AHA raccomandano di
prolungare la rianimazione cardiopolmonare per 60-90 min, se
necessario, dopo la somministrazione dei trombolitici. ln questo caso
sono assai utili, se non indispensabili, le apparecchiature per la RCP
meccanica.

pag. 153
Nel caso in cui il paziente presenti funzioni vitali conservate ma
instabili, è senza dubbio maggiore il tempo a disposizione per
stabilizzare al meglio i parametri vita li mediante:

 monitoraggio dell'ECG, della pressione arteriosa e della


pulsossimetria,
 istituzione di un accesso venoso di grosso calibro, se necessario,
ossigeno al 100% con maschera facciale munita di reservoir (target
SaO, 94-98%),
 somministrazione dei farmaci e dei liquidi necessari per correggere
l'eventuale ipoperfusione periferica.

Se le condizioni cliniche si stabilizzano, così come nei casi in cui fin


dall'esordio il paziente presenti funzioni vitali conservate e stabili, si
procede ad un'anamnesi attenta e ad un esame clinico completo, ed alla
richiesta di esami strumentali mirati in base alla stratificazione del
rischio, tenendo costantemente presenti due tipi di pericoli:

1. di un improvviso aggravamento delle condizioni cliniche del paziente;

2. di sottostimare il problema dal momento in cui il paziente sta meglio:


l'embolia polmonare non riconosciuta e non trattata è a rischio di
evoluzione successiva con elevato tasso di morbilità e mortalità, per
recidiva embolica, ipertensione polmonare e cuore polmonare cronico.

Il trattamento causale della malattia tromboembolica considera quattro


diversi tipi di interventi:

1. somministrazione di farmaci anticoagulanti;


2. trattamento trombolitico;
3. posizionamento di un ombrello cavale;
4. embolectomia chirurgica.

La terapia anticoagulante a dosi piene è di fondamentale importanza, in


quanto si è dimostrata in grado di ridurre la mortalità dal 30% al 10% in
caso di embolia polmonare.

Nel caso assai frequente in cui venga utilizzata l'eparina sodica non
frazionata (UFH), le dosi dovrebbero essere rapportate al peso del
paziente, con un bolo iniziale di 80 UI/kg EV seguito da 18 UI/kg·h EV. Il
tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTI) dovrebbe essere
controllato 6 ore dopo il bolo ed ogni 12-24 h, e mantenuto tra 55 e 80
secondi (1.5-2.5 volte il tempo normale). Il tradizionale bolo iniziale di
5.000 unità seguito da una infusione di 1000 unità/h è sottodosato nei
due terzi dei pazienti.

pag. 154
Va tenuto presente che, a differenza dei farmaci fibrinolitici, l'eparina
non è in grado di disgregare gli emboli, ma agisce unicamente
stabilizzando i trombi nel circolo venoso profondo e riducendo la
dimensione e la frequenza degli emboli che da qui si staccanò. Sebbene
l'eparina non abbia azione intrinsecamente trombolitica, accelera la
rimozione del trombo tra 48 e 72 ore favorendo l'azione della plasmina

Anche le eparine a basso peso molecolare (LMWH) e il pentasaccaride


fondaparinux sono farmaci sicuri ed efficaci.

Ottenuta la conferma diagnostica dell'embolia, il trattamento con


anticoagulanti PO deve essere iniziato il più presto possibile, e
preferibilmente lo stesso giorno in cui si è iniziata l'anticoagulazione per
via parenterale. Warfarin, acenocumarolo, fenprocumone, fenindione e
flunidione sono gli anticoagulanti orali più comunemente prescritti in
caso di embolia polmonare. La somministrazione di UFH, LMWH o
fondaparinux deve essere continuata per almeno 5 giorni, fino a quando
l'INR sia su valori di 2-3 per almeno due giorni consecutivi.

Il trattamento con anticoagulanti PO va continuato per 3-6 mesi per


ridurre significativamente il rischio di recidiva tromboembolica.

Non è sufficiente la sola terapia anticoagulante e bisogna ricorre ai


fibrinolitici in caso di:

• arresto cardiaco o instabilità emodinamica;


• segni e sintomi di scompenso cardiaco destro o scompenso
biventricolare;
• TVP estesa dell'asse venoso femoro-iliaco;
• alto rischio di recidive emboliche, ad es. per episodi pregressi di
embolizzazione o trombofilia accertata.

In tali evenienze gli schemi suggeriti per la terapia trombolitica sono:

a) urokinasi per via sistemica:

b) urokinasi per infusione locale attraverso il catetere usato per


l'angiografia polmonare: contestualmente al trattamento fibrinolitico
locale è possibile la fram-mentazione meccanica del trombo col catetere
angiografico. La ricanalizzazione meccanica transcatetere ha scarsa
efficacia negli emboli non recenti (>72 ore) che vanno incontro ad
organizzazione fibrotica ;
c) alteplasi (rtPA) per via sistemica (maggiore rapidità d'azione
trombolitica). L'efficacia della trombolisi è massima a 48 ore dall'evento
acuto ma è ancora utile fino a 7-10 giorni di distanza. Entro 5-6 ore

pag. 155
dall'inizio del trattamento trombolitico ed ogni 6 ore si controllano i
parametri della coagulazione, la presenza di ematuria o sanguinamento
dai cateteri o dai punti di iniezione. Se la trombolisi è corretta ed
efficace, l'aPTI ed il PT devono attestarsi su un valore doppio del
rispettivo valore basale, il fibrino- geno deve scendere di circa il 75% dai
valori iniziali e comunque non al di sotto di 80-110 mg/dl. Alla
sospensione del trattamento trombolitico dopo va- lutazione dei
parametri della coagulazione segue l'eparina sodica in infusione EV, poi
embricata col warfarin.

Il posizionamento di un filtro cavale transvenoso, per interrompere


l'embolizzazione a partenza dal distretto cavale inferiore, trova
indicazione se:
l. la terapia anticoagulante è controindicata;
2. si ha una recidiva embolica in corso di trattamento anticoagulante a
dosi piene;
3. si manifesta una grave emorragia durante il trattamento
anticoagulante.

L'embolectomia polmonare chirurgica è indicata se:

1. le condizioni del paziente sono talmente gravi che non si può


aspettare l'effetto dei trombolitici;
2. vi sono controindicazioni per i trombolitici o questi non abbiano
avuto effetto ed il paziente è in shock o presenta un rapido
deterioramento emodinamico;
3. è documentata la presenza di grossi trombi, specie se mobili, nelle
cavità cardiache destre.

Altri farmaci da considerare eventualmente, nella fase acuta del


trattamento, sono la morfina, a scopo antalgico e sedativo, il sodio
bicarbonato per la correzione di una grave acidosi metabolica (pH <7.1)
e gli antibiotici in caso di infarto polmonare, come profilassi di una
possibile infezione della zona necrotica.

Per quanto infine attiene al trattamento dell'embolia polmonare non


tromboembolica, alcune annotazioni particolari:

 embolia adiposa - trattamento di supporto delle funzioni vitali


 embolia da liquido amniotico - supporto delle funzioni vitali
evacuazione immediata dell'utero. Attenta osservazione clinica per
la possibile insorgenza di CIO. La mortalità è comunque molto
elevata;
 embolia gassosa - ossigeno iperbarico in caso di incidente
subacqueo. Nelle embolizzazioni da aria: terapia di supporto

pag. 156
(ossigeno, CPAP, liquidi, vaso- pressori), paziente in decubito
laterale sinistro;
 embolia settica - terapia antibiotica aggressiva, drenaggio
chirurgico o resezione polmonare in presenza di ascesso. Chiusura
con clip della vena cava inferiore; il solo filtro cavale non
impedisce il passaggio dei piccoli emboli.

55) SCORE PESI (Pulmonary embolism severity index).

Parametri Scala Versione semplificata


originale

Età anni Età anni 1 punto (se età˃80


anni)

Genere maschile +10 punti ‒

Storia del cancro +30 punti 1 punto

Storia di insufficienza cardiaca +10 punti 1 punto

Storia di malattia polmonare cronica +10 punti

Frequenza cardiaca ≥110 +20 punti 1 punto

Pressione sistolica <100 mmHg +30 punti 1 punto

Frequenza respiratoria ≥30 +20 punti ‒

Temperatura <36°C/96,8°F +20 punti ‒

pag. 157
Stato mentale alterato (disorientamento, letargia, stupore o +60 punti ‒
coma)

Saturazione O2 <90% +20 punti 1 punto

Il Polmonary Embolism Severity Index (PESI) è uno strumento di


stratificazione del rischio per determinare la mortalità dei pazienti con
embolia polmonare (PE) di nuova diagnosi. Supporta i medici
nell'identificazione dei pazienti che potrebbero potenzialmente essere
trattati in regime ambulatoriale

Stratificazione del rischio Punteggi Rischio mortalità a 30 giorni Rischio mortalità a 30 giorni

Classe I ≤65 rischio molto basso 0,0-1,6%

Classe II 66-85 a basso rischio 1,7-3,5%

Classe III 86-105 rischio intermedio 3,2-7,1%

Classe IV 106-125 alto rischio 4,0-11,4%

Classe V ˃125 alto rischio 10-24,5%

Valutazione del risultato. Se il punteggio PESI è > 85 (classi di rischio III –


V) o il punteggio sPESI è ≥ 1, il rischio è considerato alto e il paziente viene

pag. 158
valutato per la funzionalità ventricolare destra (EchoCG). Con un indice
<85 punti, il rischio di morte è basso e la terapia per l'EP può essere
eseguita in regime ambulatoriale.

Uno dei criteri per valutare il rischio di mortalità precoce per EP è la sua
classe secondo la scala PESI, che prevede la valutazione dei parametri
clinici e delle condizioni di comorbilità che influiscono sulla prognosi a 30
giorni.Il Polmonary Embolism Severity Index (PESI) è uno strumento di
stratificazione del rischio che è stato validato esternamente per
determinare la mortalità e l’esito dei pazienti con embolia polmonare (PE)
di nuova diagnosi.Nel contesto di un paziente con insufficienza renale o
gravi comorbilità, il giudizio clinico dovrebbe essere utilizzato rispetto al
PESI, poiché questi pazienti sono stati esclusi dallo studio di validazione.Il
punteggio PESI determina il rischio di mortalità e la gravità delle
complicanze.Il punteggio non richiede variabili di laboratorio.È pensato per
aiutare nel processo decisionale, non per sostituirlo. Il giudizio clinico
dovrebbe sempre avere la precedenza.Il punteggio PESI determina la
gravità clinica e può influenzare le impostazioni di trattamento per la
gestione dell’EP.I pazienti di classe I e II possono essere trattati in modo
sicuro come pazienti ambulatoriali nel giusto contesto clinico

56) Indicatori
di rischio di mortalità precoce nella embolia
polmonare (la risposta sta nella domanda 55 e 54)

57) Trattamentodella EP a rischio elevato o intermedio/alto con


instabilità emodinamica. (la risposta sta nella domanda 55 e
54)
58) Trattamento della EP a rischio Intermedio/Basso e Basso 2.
(la risposta sta nella domanda 55 e 54)

pag. 159
59) Secondo le ultime linee guida come si classificano i pazienti
affetti da scompenso cardiaco.
Classi Definizione Espressione consigliata

Classe I Evidenza e/o consenso generale È raccomandato/indicato


che un determinato trattamento o
intervento sia vantaggioso, utile
ed efficace

Classe II Evidenza contrastante e/o


divergenza di opinione circa
l’utilità/efficacia di un
determinato trattamento o
intervento

Classe IIa Il peso dell’evidenza/opinione è a Deve essere preso in


favore dell’utilità/efficacia considerazione

Classe IIb L’utilità/efficacia risulta meno Può essere preso in


chiaramente accertata sulla base considerazione
dell’evidenza/opinione

Classe III Evidenza o consenso generale Non è raccomandato


che un determinato trattamento o
intervento non sia utile/efficace
e che in taluni casi possa essere
dannoso

Non so quale delle due voglia le scrivo entrambe

pag. 160
La diagnosi tempestiva dello scompenso cardiaco è in grado di
prevenire e rallentare il decorso della malattia; per questo, è importante
definirne il livello di gravità. Esistono diversi modi di classificare lo
scompenso cardiaco, uno quei quali classifica i diversi gradi della
patologia in base al livello di limitazione dell'attività fisica del paziente.
In particolare, la dispnea è uno dei sintomi cardine di questa malattia
tanto da essere utilizzato per classificarla in base a livelli di gravità,
secondo le classi NYHA. Si tratta di una classificazione
clinica, stabilita dalla New York Heart Association[3] e adottata a livello
internazionale, che individua quattro classi funzionali di gravità
crescente (Classe I, II, III o IV) basate proprio su segni e sintomi della
patologia, utilizzate anche per quantificare l’invalidità dovuta allo
scompenso cardiaco (25-50-75-100%).

 Classe 1: scompenso cardiaco asintomatico.

Si registra la presenza di una cardiopatia, ma senza conseguenti


limitazioni dell'attività fisica. L'attività fisica ordinaria del paziente
non è limitata, ma possono comparire sintomi per attività superiori
all'ordinario.

 Classe 2: scompenso cardiaco lieve.

Il paziente sta bene a riposo, ma l’attività fisica moderata (come


salire due rampe di scale o salire alcuni gradini portando pesi
leggeri) provoca dispnea o affaticamento.

 Classe 3: scompenso cardiaco da moderato a grave.

L’attività fisica minima (come camminare per casa o salire mezza


rampa di scale) provoca dispnea o affaticamento, anche se il
paziente sta ancora bene a riposo.

 Classe 4: scompenso cardiaco grave.

Il paziente non riesce a svolgere alcun tipo di attività. Spossatezza,


dispnea o affaticamento sono presenti anche a riposo (seduti o
sdraiati a letto).

La classe NYHA si riferisce ad una valutazione funzionale e soggettiva


nei pazienti con cardiopatia e lo specialista che la certifica è, quindi, il
cardiologo. Questa classificazione viene anche utilizzata dai clinici e
dalle pubblicazioni mediche per descrivere la gravità dello scompenso
cardiaco e l'effetto del trattamento.

pag. 161
Se la classe NYHA 2 identifica un paziente che ha difficoltà a salire le
scale perché affanna, la classe NYHA 3 un paziente che riesce a
dormire steso, ma che riposa probabilmente da seduto, la classe NYHA
4, la più grave, indica uno stadio critico che richiede il ricovero in
Centri specializzati.

Entrambe le classi NYHA 3 e 4 richiedono l’ospedalizzazione, mentre la


classe NYHA 1-2 rendono necessaria una corretta impostazione della
terapia farmacologica, che rappresenta l’arma principale per migliorare
la prognosi, ridurre i sintomi e i ricoveri ospedalieri, oltre che per
garantire un’accettabile qualità di vita dei pazienti.

60) La frazione di eiezione, definizione e diagnosi strumentale.

La frazione di eiezione (FE) è un valore che restituisce la misura del


volume di sangue espulso dal ventricolo ad ogni battito. È utilizzato
come indice di funzionalità cardiaca ed è alla base di diagnosi di molte
patologie cardiache. Questa percentuale di sangue che viene espulsa nel
circolo arterioso o in quello venoso viene definita frazione di
eiezione (FE) ed è un parametro fondamentale per scegliere la migliore
strategia diagnostica e terapeutica.
La frazione di eiezione (FE) è un parametro che indica la funzione
sistolica globale del ventricolo.

Al fine di ottenere questo valore in percentuale è necessario disporre di


due dati principali:

 EDV (End Diastolic Volume): è il volume telediastolico, ovvero il


massimo volume di riempimento ventricolare raggiunto dalla
camera alla fine della diastole isotonica.
 ESV (End Sistolic Volume): è il volume telesistolico, vale a dire il
massimo volume di svuotamento ventricolare raggiunto dalla
camera alla fine della sistole isotonica.

pag. 162
A partire da questi due dati sarà facile calcolare la differenza in
percentuale dei due volumi, dunque la frazione di eiezione:

FE(%)= EDV-ESV/ EDV * 100

Il range di normalità "da libro" è tra 50% e 70%.[2] Il cutoff di normalità


è attualmente fissato al 50% dalle società di ecocardiografia, anche se
nella pratica clinica spesso si usa un cutoff inferiore pari al 40%.
Con l’ecografia cardiaca è possibile valutare e misurare la frazione di
eiezione cardiaca che è una importantissima misura utile a valutare
l’efficacia del cuore nella sua azione di pompa. Proprio grazie alla
frazione di eiezione il medico può classificare l’insufficienza cardiaca
secondo diverse gravità.
L’ecocardiografia (o ecocardio o ecocardiogramma) è un esame di
imaging radiologico ecografico incentrato sullo studio anatomico e
funzionale del cuore.

A differenza della TC o delle normali radiografie, l’ecografia non utilizza


radiazioni ionizzanti, per cui non necessita di alcuna precauzione e può
essere utilizzata su qualsiasi soggetto anche più volte a distanza
ravvicinata.
L’ecografia in genere e quindi anche l’ecografia del cuore non è un
esame invasivo, non è doloroso né pericoloso per la salute di qualunque
individuo e permette di ottenere importanti informazioni anatomiche e
funzionali riguardo:

 contrattilità del cuore

 morfologia anatomica del cuore, delle sue valvole e dell’aorta


prossimale

 flusso di sangue in entrata e in uscita dalle camere cardiache

61) I
fattori precipitanti dello scompenso cardiaco stabile verso
l’edema polmonare acuto

Il decorso clinico dello scompenso cardiaco è caratterizzato da periodi


di relativo benessere e da fasi di peggioramento clinico dovuti alla
progressione della malattia o a fattori precipitanti (infezioni, aritmie,
ipertiroidismo o altro). Man mano che la malattia progredisce i periodi di
benessere diminuiscono mentre aumentano i ricoveri e i periodi di
instabilizzazione.

pag. 163
E’ compito del MMG e del Cardiologo conoscere i fattori instabilizzanti
per prevenirli e, possibilmente, eliminarli.
1. Una delle cause più frequenti che aggravano o precipitano lo
scompenso è l’infezione, quasi sempre polmonare. La febbre può essere
assente per anergia dei pz. E’ importante sottoporre il pz a vaccinazione
antinfluenzale e antipneumococco.
2. Le aritmie sia ipercinetiche (fa ad alta risposta ventricolare e
tachicardia ventricolare) che ipocinetiche (blocchi, bradicardie) possono
rendere critiche le condizioni del pz. Il più delle volte si impone il
ricovero.
3. Non adesione alla terapia prescritta. Il MMG può verificare facilmente
dal numero delle prescrizioni la compliance del pz. E’ indispensabile la
collaborazione dei parenti per verificare che il pz assuma i farmaci e si
attenga alle prescrizioni comportamentali.
4. Controllo della Pressione Arteriosa, non raramente le poussée
ipertensive sono causa di scompenso acuto con edema polmonare.
5. La sincope in pazienti con cardiopatia organica in scompenso ha un
valore prognostico sfavorevole ed obbliga al ricovero urgente per
identificare la causa, che non raramente è la tachicardia ventricolare
con indicazione all’impianto del defibrillatore impiantabile.
6. Se il paziente assume betabloccanti da tempo e va incontro a
peggioramento clinico è molto probabile che la causa non sia il
betabloccante, evitare quindi di sospenderlo, poiché la sospensione
aumenta la mortalità; modulare eventualmente la dose del diuretico e
dell’ACEinibitore.
7. Assunzione di farmaci potenzialmente negativi, con effetti sulla
ritenzione idrosalina (cortisonici, FANS, estrogeni) antiblastici,
calcioantagonisti. Gli antidepressivi triciclici meritano una sorveglianza
speciale sia per l’effetto miocardiodepressivo che per l’effetto
proaritmico con induzione di tachicardia ventricolare e di morte
improvvisa. Evitarli!
8. Presenza di ischemia miocardica transitoria silente o sintomatica
verificabile nei casi dubbi con test da sforzo, ecostress o scintigrafia
miocardica. L’ischemia acuta impone il ricovero. La rivascolarizzazione,
quando possibile, migliora sia la sopravvivenza che la qualità di vita.
9. Educare il pz a controllare con costanza il peso corporeo e la diuresi.
L’incremento del peso corporeo è segno di accentuazione dello
scompenso con accumulo di acqua.
10. Verificare che non ci siano alterazioni della tiroide soprattutto in pz
che assumono amiodarone, l’ipertiroidismo è causa non rara di
instabilizzazione.
11. Eseguire l’emocromo per verificare la presenza di anemia. Recenti
lavori hanno dimostrato che ferro ed eritropoietina possono migliorare lo
scompenso se è presente anemia anche di modesta entità ( Hb < 12 gr).

pag. 164
12. Verificare se è presente insufficienza renale (creatinina > 2 gr); in
questi pz le recidive di scompenso hanno decorso più grave e il recupero
più lento, il controllo della volemia e degli elettroliti può presentare dei
problemi. Inoltre i trials con Aceinibitori hanno escluso pz con creatinina
> 2.5, per cui mancano dati certi su come comportarsi
13. La presenza di BCO comporta un aggravamento di prognosi sia per
l’ipossiemia che per le difficoltà di trattamento. Infatti questi pz non
possono assumere betabloccanti, spesso non tollerano gli Aceinibitori
per la tosse e d’altronde i beta 2 stimolanti, indicati per la forma
ostruttiva polmonare, sono controindicati nello scompenso. Inoltre
questi pz spesso hanno infezioni polmonari con aggravamento dello
scompenso

DAL PUNTO DI VISTA DEI MECCANISMI FISIOPATOLOGICI:


Il sistema renina-angiotensina-aldosterone è attivato dalla diminuzione
della portata di perfusione renale. Ne deriva un innalzamento
significativo delle [] plasmatiche di renina e di angiotensina II(Potente
vasocostrittore e stimolatore del sistema simpatico e della secrezione di
aldosterone) con aumento della ritensione del NA.

L’aumentata e prolungata increzione di angiotensina II e di aldosterone


determinano un ruolo dannoso sul cardiomiocita determinando:
• Una disfunzione endoteliale
• Una tossicità cellulare diretta
• Un’attività procollagene che partecipa al rimodellamento ventricolare

Il sistema nervoso simpatico (noradrenalina ) consente, all’inizio della


fase acuta, di mantenere un’emodinamica efficace aumentando la HR e
l’inotropismo.
Una stimolazione eccessiva di noradrenalina è associata a:
• un’apoptosi dei cardiomiociti
• un’ipertrofia
• una necrosi miocardica focale che aggrava il processo di
rimodellamento

L’ANP (atrial natriuretic peptide), secreto dagli atri ed il BNP (brain


natriuretic peptid e) secreto dai ventricoli al momento dell’instaurarsi di
una condizione di carico, sono gli antagonisti condizione di carico, sono
gli antagonisti fisiologici:
• dell’angiotensina II
• della secrezione dell’aldosterone
• del riassorbimento del sodio

pag. 165
La secrezione di endotelina I da parte delle cellule endoteliali, è un
potente vasocostrittore, specialmente renale. Interviene nei meccanismi
di ritenzione idrosodata e di aggravamento dell’insufficienza cardiaca
congestizia.

Il TNF alfa (Tumor Necrosis Factor) sembra ugualmente svolgere un


ruolo nefasto sulla contrazione dei cardiomiociti

Alcuni recenti lavori dimostrano che:


• Le statine
• Gli inibitori dell’enzima di conversione
• Lo spironolattone
• Gli antiossidanti
Sono tutti attivi sulla funzione endoteliale e possono avere un ruolo
benefico

Una poussée ipertensiva su di una cardiopatia ipertensiva preesistente


si accompagna ad una alterazione del rilasciamento ed ad una
alterazione diastolica che da origine all’EPA
Inoltre, la comparsa di una FA, si accompagna ad un aggravamento della
disfunzione diastolica ma anche ad una disfunzione sistolica con caduta
della portata cardiaca.
L’ipoperfusione renale che ne deriva attiva il sistema renina-
angiotensina-aldosterone che portano a segni secondari di sovraccarico.
Ugualmente, l’ipovolemia indotta da un trattamento medico depletivo o
vasodilatatore eccessivo su di un miocardio depletivo o vasodilatatore
eccessivo su di un miocardio compliante, tramite l’aldosterone e
l’angiotensina II, un’attivazione del sistema renina-angiotensina-
aldosterone con la costituzione secondaria di uno stato congestizio
legato alla ritenzione idrosodata.

62) La
presentazione clinica del paziente con scompenso
cardiaco, le quattro varianti.
La diagnosi tempestiva dello scompenso cardiaco è in grado di
prevenire e rallentare il decorso della malattia; per questo, è importante
definirne il livello di gravità. Esistono diversi modi di classificare lo
scompenso cardiaco, uno quei quali classifica i diversi gradi della
patologia in base al livello di limitazione dell'attività fisica del paziente.
In particolare, la dispnea è uno dei sintomi cardine di questa malattia
tanto da essere utilizzato per classificarla in base a livelli di gravità,

pag. 166
secondo le classi NYHA. Si tratta di una classificazione
clinica, stabilita dalla New York Heart Association[3] e adottata a livello
internazionale, che individua quattro classi funzionali di gravità
crescente (Classe I, II, III o IV) basate proprio su segni e sintomi della
patologia, utilizzate anche per quantificare l’invalidità dovuta allo
scompenso cardiaco (25-50-75-100%).

 Classe 1: scompenso cardiaco asintomatico.

Si registra la presenza di una cardiopatia, ma senza conseguenti


limitazioni dell'attività fisica. L'attività fisica ordinaria del paziente
non è limitata, ma possono comparire sintomi per attività superiori
all'ordinario.

 Classe 2: scompenso cardiaco lieve.

Il paziente sta bene a riposo, ma l’attività fisica moderata (come


salire due rampe di scale o salire alcuni gradini portando pesi
leggeri) provoca dispnea o affaticamento.

 Classe 3: scompenso cardiaco da moderato a grave.

L’attività fisica minima (come camminare per casa o salire mezza


rampa di scale) provoca dispnea o affaticamento, anche se il
paziente sta ancora bene a riposo.

 Classe 4: scompenso cardiaco grave.

Il paziente non riesce a svolgere alcun tipo di attività. Spossatezza,


dispnea o affaticamento sono presenti anche a riposo (seduti o
sdraiati a letto).

La classe NYHA si riferisce ad una valutazione funzionale e soggettiva


nei pazienti con cardiopatia e lo specialista che la certifica è, quindi, il
cardiologo. Questa classificazione viene anche utilizzata dai clinici e
dalle pubblicazioni mediche per descrivere la gravità dello scompenso
cardiaco e l'effetto del trattamento.

Se la classe NYHA 2 identifica un paziente che ha difficoltà a salire le


scale perché affanna, la classe NYHA 3 un paziente che riesce a
dormire steso, ma che riposa probabilmente da seduto, la classe NYHA
4, la più grave, indica uno stadio critico che richiede il ricovero in
Centri specializzati.

Entrambe le classi NYHA 3 e 4 richiedono l’ospedalizzazione, mentre la


classe NYHA 1-2 rendono necessaria una corretta impostazione della

pag. 167
terapia farmacologica, che rappresenta l’arma principale per migliorare
la prognosi, ridurre i sintomi e i ricoveri ospedalieri, oltre che per
garantire un’accettabile qualità di vita dei pazienti.

63) La
valutazione primaria in emergenza/urgenza intra ed
extraospedaliera al malato critico con segni e sintomi di
scompenso cardiaco.
Nell'ambito dell'emergenza-urgenza, intra ed extraospedaliera,
l'approccio clinico al malato critico con segni e sintomi di SC è in gran
parte standardizzato ed organizzato secondo protocolli, in modo tale che
possa essere sempre garantito, anche in contesti emotivamente e
logisticamente difficili, l'appropriata esecuzione delle manovre
necessarie alla stabilizzazione del paziente. Nel primo approccio
“frontale” al paziente critico (valutazione primaria – “Primary Survey”),
l'iter diagnostico-terapeutico prevede la rapida identificazione delle

pag. 168
criticità secondo approccio ABCDE ed eventuale inizio delle manovre di
rianimazione (supporto funzioni vitali secondo ACLS (Supporto vitale
cardiaco avanzato).

FC = Frequenza cardiaca; PA = Pressione Arteriosa; PV = Parametri


Vitali
La verifica della pervietà e la stabilizzazione delle vie aeree (Airway)
deve precedere qualsiasi intervento rianimatorio, comprendente
l'ispezione dell'area del collo e della trachea (trachea in asse, giugulari
turgide), seguita poi dalla valutazione e stabilizzazione della funzione
respiratoria (Respirazione) e quindi dell'emodinamica (Circolazione). Si
sottopone il paziente a monitoraggio ECG e dei parametri vitali; si
somministrare ossigeno supplementare secondo dispositivo opportuno
(bassi flussi, Venti-mask, alti flussi + serbatoio 12-15 l/min) se la
saturazione è inferiore al 90%. In seguito dovrà essere valutata la
presenza di danno neurologico o disabilità (Disability) e il paziente dovrà
essere valutato nel suo insieme (Exposure) per individuare la presenza di
altri tipi di lesione non direttamente compromettenti i parametri vitali.

64) Gli
esami diagnostici fondamentali in emergenza/urgenza
nello scompenso cardiaco acuto.

pag. 169
L'approccio diagnostico al paziente con sospetto scompenso cardiaco
deve essere iniziato in ambiente pre-ospedaliero da parte del servizio di
emergenza territoriale e poi continuato nel dipartimento di emergenza, in
modo da definire precocemente il quadro clinico del paziente
(inquadramento diagnostico e diagnosi differenziale) per iniziare il
trattamento specifiche ed arrestare un processo possibilmente
evolutivo.
In emergenza urgenza il medico può seguire un approccio mnemonico
sequenziale secondo lo schema ABDCE:

Approccio diagnostico ABCDE nello SC acuto

NYHA = Associazione cardiaca di New York; NT-proBNP = frammento


amminicoterminale del pro Peptide Natriuretico di tipo B; EGA =
Emogasanalisi arteriosa

1. A.ANAMNESI – L'anamnesi viene generalmente condotta in


parallelo con le prima manovra di stabilizzazione ed è
fondamentale per il corretto inquadramento del paziente e per la
diagnosi differenziale con sindromi dispnoiche di altra origine
(asma, riacutizzazione di BPCO, versamento pleurico, polmonite,
pneumotorace, embolia polmonare, intossicazioni, malattie
neuromuscolari, attacco di panico) e sindromi edemigene
(insufficienza venosa, farmaci, ipoproteinemia, insufficienza
epatica, insufficienza renale, sindrome nefrosica,
linfedema). Devono essere indagati tempi e modalità di insorgenza
della dispnea (classe funzionale NYHA), eventuali sintomi associati
(febbre, dolore toracico, cardiopalmo); Deve essere ricercata la
presenza nell'anamnesi personale di cardiopatie, ipertensione

pag. 170
arteriosa, diabete mellito, distiroidismi, esposizione a farmaci
cardiotossici o trattamento radiante.
2. B.BLOOD TEST (valuta NT-proB e concomitante prelievo ematico
per esami di laboratorio (raccomandati glucosio, emocromo,
elettroliti sierici, creatininemia, bilirubina, ALT), valutando il
dosaggio del D-dimero (nel sospetto di embolia polmonare, del TSH
e del Peptide Natriuretico (BNP o pro-BNP).Quest'ultimo, seppur
esame costoso, può essere utilizzato per la diagnosi differenziale
della dispnea: nel caso in cui il valore di BNP sia inferiore a 100
pg/mL o NT-proBNP inferiore a 300 pg/mLla diagnosi di SC è
improbabile; valori di NT-proBNP superiori a 300 pg/mL, soprattutto
in associazione ad anomalie del tracciato elettrocardiografico
rafforzano il sospetto di SC e rendono necessaria l'esecuzione di
una SCA, embolia polmonare e ipertensione polmonare, miocarditi,
tachiaritmie atriali e ventricolari, età avanzata, insufficienza
renale, cirrosi epatica, anemia e infezioni gravi (polmoniti e sepsi).
3. C.CARDIOPATIA ISCHEMICA – Verifica SCA o storia di cardiopatia
ischemica. Si esegue un ECG a dodici derivazioni (alto valore
predittivo negativo) per evidenziare la presenza di alterazioni di
tipo ischemico, aritmie e segni di cardiopatia strutturale quali
dilatazione atriale, ipertrofia-sovraccarico ventricolare. Nel caso di
sospetta genesi ischemica del SC è possibile dosare i marcatori
biochimici miocardio-specifici
4. D.DISFUNZIONE VS (ventricolo sinistro) – Approccio ecografico
cardio-toracico bed side (I livello) consente al medico dell'urgenza
di valutare in tempi rapidi l'aspetto complessivo del cuore, le
dimensioni e la cinetica delle camere cardiache, la presenza di
valvulopatie, trombosi, dissecazione aortica versamento
pericardico, le dimensioni e la compliance respiratoria della vena
cava inferiore, l'ecostruttura polmonare (linee B in caso di edema
interstiziale), la presenza di versamento pleurico e di segni che si
orientano verso altre cause di dispnea ( pneumotorace,
addensamenti di natura infiammatoria o infartuale, atelettasie).

pag. 171
 Nelle forme di SC con prevalente disfunzione sistolica si ha una
dilatazione del ventricolo sinistro con ipocinesia parietale e
riempimento contro
 Nelle forme prevalentemente diastoliche le dimensioni del
ventricolo sinistro sono normali e la FE può essere normale o solo
lievemente ridotta, ma il riempimento diastolico è alterato. Questo
fenomeno è apprezzabile allo studio eco Doppler del flusso
trans-). La disfunzione diastolica si osserva frequentemente nel
contesto della cardiopatia ischemica perché il rilascio ventricolare
è un processo attivo, energia-dipendente; inoltre, il sovraccarico
cronico di pressione e/o di volume conducono ad un
rimodellamento miocardico che comporta un aumento della rigidità
della parete.
 In molti casi lo SC è caratterizzato dalla coesistenza di disfunzione
sistolica e diastolica.

Fig.4 – Ecocardiogramma. Valutazione del flusso trans-mitralico (segni


di alterato rilascio diastolico).

1. E. EMOGASANALISI ARTERIOSA / II tipo o globale se concomitante


incremento della pCO2>45mmHg) e la necessità di O2-terapia
indirizzando il medico d'urgenza sul tipo di presidio da

pag. 172
utilizzare; permettere di valutare l'equilibrio acido-base (possibile
acidosi metabolica iperlattacidemica, acidosi respiratoria e
relativa. In caso di segni di ipoperfusione periferica o di indicazione
a trattamento con NIV vi è indicazione al cateterismo arterioso per
il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa e per la
ripetizione periodica di EGA.

Altri esami diagnostici


RX TORACE – L'esecuzione di una Rx torace per la ricerca dei segni di
stasi venosa polmonare, edema polmonare interstiziale o alveolare,
versamento pleurico, cardiomegalia (Figura 5,6) e per l'esclusione di
altre cause non cardiache di dispnea è indicata in tutti i pazienti con SC
evidente o sospetto; tuttavia in più del 20% dei casi di SC l'esame
radiografico risulta normale pertanto l'approccio ecografico clinico
integrato bed side è attualmente di prioritaria importanza nella
valutazione del paziente con sospetto SC (dispnea, sindrome
ipoperfusiva).

pag. 173
Fig.5 – Rx torace (a letto). Segni di congestione del piccolo
circolo. Associata cardiomegalia e versamento pleurico bilaterale
(maggiore a destra).
Fig. 6 – Torace Rx (supino). Segni di congestione del piccolo circolo,
associati a cardiomegalia. Presenza di PM e di punti metallici da
pregressa sternotomia mediana.

INTERROGAZIONE di PM (Pace-Maker), ICD (Defibrillatore Cardioverter


Impiantabile) o CRT (Pacing Biventricolare Resincronizzante) – I
dispositivi elettromedicali precedentemente impiantati nel paziente
possono mostrare eventi aritmici (ventricolari o non) come trigger dello
scompenso, datare l'insorgenza di una tachicardia sopraventricolare
nella previsione di un tentativo di cardioversione, possono dare dati
sull'impedenza toracica.

CATETERISMO ARTERIOSO POLMONARE – Il monitoraggio emodinamico


invasivo non è indicato nella diagnosi dello SC ma può essere utile nei
pazienti sintomatici e instabili emodinamicamente nonostante il
trattamento farmacologico ottimale.

ANGIOGRAFIA CORONARICA – Raccomandata nei pazienti con segni ECG


di STEMI o, comunque, SCA complicata da shock cardiogenico (ingresso
due ore dall'accesso nel dipartimento di Emergenza) nel tentativo di
rivascolarizzazione percutanea.

pag. 174
65) Obiettivi
del trattamento del paziente affetto da scompenso
acuto/stabile/acuto. 67) I farmaci di emergenza/urgenza nel
paziente con scompenso cardiaco acuto. 68) I farmaci dello
scompenso in fase stabile.

Il trattamento farmacologico e non farmacologico dello SC acuto


(stabilizzazione) deve essere effettuato nell'ambito del dipartimento di
emergenza-urgenza in parallelo alla valutazione iniziale e al
monitoraggio non invasivo continuo delle funzioni cardio-respiratorie
(pulsossimetria, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, monitor
ECG).
Il paziente con distress/insufficienza respiratoria e/o instabilità
emodinamica (shock cardiogenico) deve accedere direttamente ad una
postazione in cui possa essere garantito un supporto respiratorio
(ossigenoterapia, ventilazione non invasiva a pressione positiva o
intubazione) e circolatorio (farmacologico e/o meccanico con contro
pulsatore aortico) adeguato per poi essere trasferito in una unità di
terapia sub-intensiva o intensiva (preferibilmente cardiologica).
Durante la stabilizzazione del paziente i pazienti devono essere
identificati e gestiti le eventuali cause precipitanti lo SC acuto:

 SCA (indicazione a tentativo di rivascolarizzazione percutanea


entro 2 ore dall'accesso in ospedale)
 emergenza ipertensiva (il target terapeutico iniziale è
rappresentato da una riduzione della pressione arteriosa del 25%
durante le prime ore con vasodilatatori in associazione con
diuretici dell'ansa per via endovenosa)
 aritmie (in caso di instabilità emodinamica vi è indicazione a
cardioversione elettrica o pacing altrimenti possibilità di terapia
medica)
 causa meccanica acuta complicante SCA (rottura di parete libera
del ventricolo sinistro, difetto interventricolare, insufficienza

pag. 175
mitralica acuta), trauma cardiaco, insufficienza valvolare acuta
secondaria a endocardite, dissecazione aortica (valutare
indicazione a trattamento cardiochirurgico)
 tromboembolia polmonare (in caso di instabilità emodinamica vi è
indicazione a somministrazione di eparina non frazionata per via
endovenosa seguita dalla trombolisi sistemica, se vi sono
controindicazioni alla trombolisi possono essere valutate
l'embolectomia trans catetere o la trombo-endoarterectomia
polmonare chirurgica in emergenza).

Gli obiettivi del trattamento del paziente con SC sono:

 riduzione della dispnea


 mantenimento di una saturazione arteriosa dell'ossigeno (SpO2) >
92%
 mantenimento di una pressione arteriosa media (PAM) di almeno 65
mm Hg

La PAM si ottiene sommando alla pressione arteriosa diastolica un terzo


della pressione differenziale. PAM = PAD + (PAS-PAD)/3

 riduzione della frequenza cardiaca


 mantenimento di una diuresi > 0,5 mL/kg/h (deve essere
predisposto un controllo della diuresi, se necessario mediante
cateterismo vescicale).
 prevenzione o almeno limitazione del danno cardiaco e renale
secondario.

Il successivo trattamento dello SC acuto varia a seconda del profilo


clinico – emodinamico di presentazione in Pronto Soccorso. Il paziente
congesto ma senza segni di ipoperfusione periferica (profilo
emodinamico Warm-Wet precedentemente definito edema polmonare
normo-iperteso) presenta generalmente una rapida risposta al
trattamento medico. Il primo obiettivo è la riduzione del precarico che si
ottiene attraverso la somministrazione di diuretici dell'ansa in boli

pag. 176
singoli o in infusione continua ev (es. dose iniziale 20-40 mg di
furosemide nei pazienti naive o almeno equivalente alla dose abituale
assunta a domicilio ) e vasodilatatori ev (nitroderivati es. isosorbide
dinitrato da 1 mg/h fino a 10 mg/h); l'effetto venodilatatore di questi
ultimi può essere potenziato dalla somministrazione di oppiacei (es.
morfina 4-8 mg, ricordando la possibile depressione del drive respiratorio
e la comparsa di vomito) nei pazienti con dispnea di grado severo. Il
dosaggio deve essere titolato in base all'evoluzione clinica e ai valori
pressori con particolare attenzione ai pazienti affetti da stenosi mitralica
o aortica significativa.
Se SpO2 < 90% e la frequenza respiratoria > 25 atti/min oppure l'assenza
di risposta alla terapia medica è indicatore del ricorso precoce alla
ventilazione meccanica non invasiva (NIV), generalmente in modalità
CPAP (pressione positiva di fine espirazione o PEEP) ; in presenza di
distress respiratorio, acidosi respiratoria e ipercapnia è adeguata la
modalità BiPAP (pressione positiva di supporto + PEEP).
Nel paziente congesto e con segni di ipoperfusione, generalmente
ipoteso (Pa < 90mmHg), la ventilazione meccanica non invasiva è
sostanzialmente controindicata in quanto determina un aumento della
pressione intratoracica che riduce il ritorno venoso; il trattamento
prevede un supporto inotropo (es. dobutamina 2-20 mcg/kg/min) al fine di
incrementare la contrattilità cardiaca, associato a diuretici (dopo la
correzione dell'ipoperfusione) preferibilmente con monitoraggio intra-
arterioso della pressione arteriosa; in caso di shock cardiogeno con
marcata ipotensione non responsiva ad agenti inotropi e possibile
utilizzare farmaci vasopressori (es. noradrenalina 0,2-1 mcg/kg/min) allo
scopo di aumentare la perfusione degli organi vitali; deve essere
considerata l'intubazione orotracheale, così come nei pazienti con
depressione dello stato di coscienza o non responsivi alla NIV. In caso
di resistenza alla terapia diuretica è possibile considerare
l'ultrafiltrazione veno-venosa (indicazioni: oliguria persistente, k+ >
6,5mmol/L, pH < 7,2, urea > 150 mg/dL e creatinina > 3,4 mg/ dL).
La profilassi del tromboembolismo (es. con eparina a basso pm) è
raccomandata in tutti i pazienti che non presentano controindicazioni
alla terapia anticoagulante.
pag. 177
Per la riduzione della frequenza cardiaca in pazienti con FA ad elevata
risposta ventricolare media (FVM > 110 bpm) e possibile utilizzare
digossina (boli di 0,25-0,5 mg ev) e/o β-bloccanti, può essere considerato
anche l «amiodarone».
Il contropulsatore aortico, i dispositivi di assistenza al ventricolo sinistro
e di ossigenazione extracorporea trans-membrana (Extra-Corporeal
Membrane Oxygenation, ECMO) costituiscono delle soluzioni a ponte in
attesa del trattamento definitivo (es. intervento CCH in caso di rottura
del setto interventricolare o insufficienza mitralica acuta).

Il trattamento dello SC cronico o acuto stabilizzato è finalizzato a


migliorare il quadro sintomatico e la qualità della vita, a prevenire la
progressione della disfunzione cardiaca, a ritardare la comparsa dei
sintomi e a ridurre la mortalità, prevenendo ospedalizzazione.
Gli obiettivi terapeutici consistono nel contrastare il rimodellamento
cardiaco, l'attivazione neuroendocrina e delle citochine, la ritenzione dei
fluidi e la disfunzione renale. Poiché lo SC è una sindrome complessa,
l'approccio terapeutico richiede strategie diverse, finalizzate a obiettivi
diversi. Trattandosi di un processo probabilmente lento, l'effetto di
terapie di fondo molto precoci può manifestarsi solo dopo un certo
periodo di tempo, contrariamente agli effetti spesso più rapidi dei
trattamenti sintomatici. Il peso relativo degli obiettivi terapeutici può
variare nel tempo e nel singolo paziente, può richiedere aggiustamenti in
base alla variazione delle condizioni cliniche e dovrebbe tenere conto
delle preferenze del paziente, che deve essere informato sulla malattia e
sulle opzioni terapeutiche.

Figura 7 . Approccio terapeutico

pag. 178
ACEI = Inibitore dell'enzima di conversione dell'angiotensina; ARB =
bloccante del recettore dell'angiotensina II
ARNI = Blocco del recettore dell'angiotensina e inibitori neutri
dell'endopetidasi

L'approccio ABCDE (Figura 7) per il trattamento dello SC cronico e del


paziente con scompenso cardiaco acuto in via di stabilizzazione,
prevede un metodo decisionale sequenziale che mira
all'impiego/aggiustamento sistematico delle categorie di farmaci o
dispositivi previsti dalle Linee guida:

1. A.ACE inibitore (Angiotensin-Converting Enzyme Inhibitor, ACEI), in


tutti i pazienti sintomatici con frazione d'eiezione ridotta in
associazione a terapia Beta-bloccante. Nei pazienti intolleranti per
tutto l'ACE inibitore può essere sostituito da un antagonista del
recettore AT1 (Angiotensin II Receptor Blocker, ARB); tuttavia,
ACE inibitori e ARB condividono gran parte delle controindicazioni
(gravidanza, storia di angioedema, stenosi bilaterale delle arterie
renali o monolaterale in monorene anche funzionale).

ARNI = Angiotensin Receptor blockade and Neutral endopetidase


Inhibitors (peptidasi che inibiscono la degradazione dei peptidi
natriuretici), recentemente inserito nelle linee Guida europee di
Cardiologia, per l'effetto positivo sulla riduzione di
ospedalizzazione/mortalità in una popolazione di pazienti con SCC, FE<
40%, sintomatici nonostante terapia ottimale (in sostituzione all'ACE
inibitore ed associato al sartano).

1. B.Beta-bloccante, in tutti i pazienti con SC stabile riduce il rischio


di mortalità e ospedalizzazione (controindicato in caso di BAV
avanzato ed asma grave) da iniziare a basso dosaggio e titolare
fino alla dose “target” o fino alla dose massima tollerata; se la
terapia con beta-bloccante è già in corso non è necessario
sospenderla durante la riacutizzazione di SC.
2. C.Canrenoato di potassio

pag. 179
3. D.Diuretici (dell'ansa e tiazidici) per alleviare segni e sintomi di
congestione (non ridurre il rischio di ospedalizzazione o morte), in
acuzie vengono titolati/ottimizzati anche sulla base del profilo
emodinamico: l'aggiustamento posologico deve essere effettuato
sulla base del monitoraggio dei segni e sintomi di congestione, dei
valori di pressione arteriosa e sulla misura quotidiana del peso
corporeo. Il trattamento con diuretici e con ACE inibitorio o sartani
deve sempre essere condotto con attenzione alla funzionalità
renale e agli elettroliti.

Qualora i sintomi persistono, in presenza di FE VS ≤ 35% e ritmo sinusale


con frequenza cardiaca ≥ 70/min è indicatore l'impiego (aDd-on) di
ivabradina (da considerare anche in alternativa ai beta-bloccanti nei
pazienti intolleranti o con ipotensione arteriosa), per gli effetti positivi
sul miglioramento della qualità di vita, riduzione della ospedalizzazione e
riduzione della mortalità.

1. E. Terapia Elettrica. Nei pazienti che rimangono sintomatici


(classe NYHA II-IV) e in cui, nonostante la terapia farmacologica
ottimale, persista una FE ≤ 35% vi è indicazione ad impianto di PM
biventricolare con funzione di resincronizzazione cardiaca (CRT) se
presenza di ritmo sinusale e durata del QRS ≥ 130 ms.

In caso di cardiopatia post-ichemica o cardiomiopatia dilatativa non


ischemica con disfunzione sistolica del VS (FE ≤ 30%) vi è anche
indicazione a posizionamento di PM con funzione ICD (preferibilmente
PM biventricolare-defibrillatore) per la prevenzione della morte
improvvisa.

ALTRO. Nei pazienti ancora sintomatici (classe NYHA II-IV) considerare


la terapia con digossina (da utilizzare anche più precocemente per il
controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione
atriale) e/o idralazina-isosorbide di nitrato.

pag. 180
66) La pressione arteriosa media, calcolo e importanza della
stessa

La PAM si ottiene sommando alla pressione arteriosa diastolica un terzo


della pressione differenziale. PAM = PAD + (PAS-PAD)/3

La pressione arteriosa media (MAP) misura il flusso, la resistenza e la


pressione nelle arterie durante un battito cardiaco. Viene considerata
come la pressione media per ciclo cardiaco e come un surrogato della
perfusione tissutale. Sia le MAP alte che quelle basse possono indicare
problemi sottostanti. Una pressione arteriosa media (MAP) inferiore a 65
mmHg comporta il rischio di perfusione inadeguata, con conseguenti
complicanze.

Dunque, essa non corrisponde alla media aritmetica tra i valori della
pressione sistolica e quelli della diastolica; infatti per la maggior parte
della durata dell’onda pulsatoria la pressione arteriosa resta di solito più
vicina al valore diastolico che a quello sistolico. La pressione arteriosa
media è la media delle pressioni che istante per istante tendono a
sospingere il sangue nella grande circolazione. Pertanto, i fini della
progressione del flusso ematico nei tessuti, ciò che conta è appunto la
pressione arteriosa media.

pag. 181
69) La
funzione renale nel paziente affetto da scompenso
cardiaco.
In circa il 20-30% dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco (SC)
acuto si assiste ad un peggioramento della funzione renale (worsening
renal function o WRF) cui corrisponde un incremento della morbilità e
della mortalità cardiovascolare.

Le cause sono molteplici tra cui la ridotta perfusione renale in corso di


SC, la introduzione e la titolazione della terapia con farmaci inibitori del
sistema renina angiotensina aldosterone (RAASi), la terapia diuretica
eccessiva con ipovolemia.

Tuttavia la natriuresi provocata dai diuretici dell’ansa mediante un


feedback tubulo-glomerulare è in grado di determinare vasocostrizione
dell’arteriola afferente con conseguente riduzione della pressione di
perfusione glomerulare e conseguente nefroprotezione; pertanto il WRF
che ne consegue non necessariamente è indicatore di cattiva prognosi
ma sembrerebbe una risposta fisiologica all’incremento della diuresi,
che, piuttosto, potrebbe associarsi ad esiti favorevoli, come da
esperienze riportate in letteratura.

Il deterioramento della funzione renale registrato nei primi 4 giorni di


ricovero per scompenso cardiaco acuto non avrebbe un impatto
prognostico negativo in presenza di una buona risposta diuretica.

70) La borsa del medico: strumenti e farmaci del pronto


intervento.
Lo sfigmomanometro aneroide è meno ingombrante di quello a mercurio,
anche se necessita di una più frequente taratura per la possibile perdita
di precisione, ed insieme al fonendoscopio è lo strumento più usato.
L'otoscopio, di facile impiego, è utile per la diagnosi di patologie
dell'orecchio medio. L'abbassalingua e la torcia elettrica sono utili per

pag. 182
l'ispezione della bocca e della faringe e quest'ultima, anche per indagare
il riflesso pupillare alla luce. Il martelletto con i suoi accessori (ago e
pennellino) è d'aiuto nell'esame neurologico. L'oftalmoscopio, d'uso
meno comune, è facoltativo ed è consigliato solo al medico con
particolare esperienza in campo neurologico ed oculistico. I presidi
terapeutici sono numerosi e variano a secondo dell'attività preminente
del medico. Alcuni presidi terapeutici sono obbligatori, poiché servono
ad affrontare situazioni d'urgenza e per l'ingombro potrebbero essere
contenuti in una seconda borsa. Per esempio, è opportuno, dal punto di
vista medico-legale, che il medico che presta soccorso debba avere in
borsa i farmaci necessari per affrontare le emergenze.

Presidi diagnostici e terapeutici nella borsa del medico

Abbassalingua
Aghi Butterfly
Aghi cannula
Aghi sterili con filo
Bende orlate e standard
Bisturi monouso
Cannula oro-faringea
Cerotti
Deflussori
Fonendoscopio
Forbice
Garze sterili
Gel lubrificante
Guanti monouso
Laccio emostatico
Martelletto
Oftalmoscopio
Otoscopio
Pinza anatomica e chirurgica
Provette per prelievi
Salviette disinfettanti
Seghette per fiale
Sfigmomanometro
Siringhe sterili monouso (da insulina e da 2,5-5-10 ce)
Spaziatore per aerosol
Strisce reattive per glicemia
Strisce reattive per esame urina
Termometro
Torcia elettrica

pag. 183
I farmaci da tenere in borsa sono numerosi, alcuni di questi sono
indispensabili per affrontare le classiche situazioni d'urgenza (diuretici
nell'edema polmonare, ecc.), altri sono comunque utili (FANS,
antispastici in caso di colica renale, ecc.) e ci permettono di iniziare
immediatamente la terapia, senza dover aspettare l'acquisto dei farmaci,
che può essere problematico per le persone anziane, per il paziente che
abita lontano da farmacie e in caso di visita effettuata durante l'orario di
chiusura delle farmacie.

Acido acetilsalicilico compresse 100 mg


Adrenalina fiale autoiniettanti 0,33 mg
Aloperidolo fiale 5 mg o gocce
Aminofillina fiale 240 mg
Atropina solfato fiale 1 mg
Butilbromuro di ioscina fiale 20 mg
Clorfeniramina maleato fiale 10 mg
Clorpromazina cloridrato fiale 50 mg
Diazepam fiale 10 mg
Diclofenac fiale 75 mg
Digossina fiale 0,5 mg
Furosemide fiale 20 mg
Glucagen Hypokit fiale
Idrocortisone emisuccinato fiale 100-250-500 mg
Isosorbide dinitrato compresse sublinguali 5 mg
Ketoprofene sale di lisina fiale 160 mg
Levosulpiride fiale 25 mg
Metoclopramide fiale 10 mg
Morfina cloridrato fiale 1 ctg
Naloxone fiale 0,4 mg
Salbutamolo aerosol dosato l00 mcg/puff
Soluzione fisiologica flacone 50-100-250 ml
Soluzione glucosata al 33% fiale ev 10 ml
Trinitroglicerina aerosol 400 mcg/puff

pag. 184

Potrebbero piacerti anche