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Il monitoraggio emodinamico costituisce parte integrante della gestione del paziente critico di Te-
rapia Intensiva (ICU). E’ uno strumento essenziale per identificare precocemente gli stati di altera-
ta funzione cardiovascolare e guidarne la gestione terapeutica.
Possiamo identificare due categorie maggiori di pazienti che necessitano di monitoraggio emodi-
namico:
1) pazienti chirurgici ad alto rischio sottoposti ad ottimizzazione emodinamica perioperatoria
2) I pazienti critici di TI in cui il monitoraggio emodinamico viene applicato come guida per tratta-
mento dei diversi quadri di insufficienza cardiovascolare con lo scopo di raggiungere e mante-
nere la stabilità emodinamica nel paziente critico
.
Per il monitoraggio emodinamico oggi ci si può avvalere di diverse tecnologie che consentono:
A. La diagnosi ed il monitoraggio dei diversi quadri di shock;
B. Il monitoraggio del flusso(gittata cardiaca,CO)
C. Il monitoraggio del precarico
D. Il monitoraggio della ScvO2, SvO2;
E. La valutazione della fluid-responsiveness
F. La diagnosi e monitoraggio dell’ipertensione polmonare primitiva, delle patologie valvolari, degli
shunts intracardiaci, del tamponamento cardiaco e dell’embolia polmonare.
Da un punto di vista fisiologico, il monitoraggio cardiovascolare può essere suddiviso in due cate-
gorie: monitoraggio del macrocircolo e del microcircolo.
Possiamo inoltre classificarlo a seconda l’invasività della tecnica.
Per ogni tecnica di monitoraggio è essenziale la conoscenza del metodo, della tecnica di misura-
zione e delle loro caratteristiche.
Attualmente, in terapia intensiva, non esistono metodi ideali di monitoraggio emodinamico in grado
di fornire informazioni accurate, riproducibili, affidabili e non invasive su tutti i parametri del sistema
cardiovascolare. Uno strumento ideale dovrebbe fornire informazioni al medico per determinare gli
aggiustamenti appropriati ai trattamenti di rianimazione come l'espansione del volume e l'uso di
inotropi o vasopressori per correggere disturbi circolatori e migliorare la salute del paziente.
In assenza di questo strumento ideale, sono disponibili una moltitudine di tecniche che possono
essere impiegate sullo stesso paziente.
Pressione Sanguigna
La pressione sanguigna è una delle prime variabili monitorate dai medici. Questo parametro aiuta
a fornire informazioni sia quantitative che qualitative. Questi numeri, infatti, vengono confrontati
con i valori soglia che possono definire uno stato di shock, permettendo una diagnosi positiva.
Vanno comunque sempre presi in considerazione insieme ad essa le condizioni cliniche del pa-
ziente ( es. diabete, ipertensione, età avanzata etc..). I dati sulla pressione arteriosa hanno inoltre
valori predittivi e rappresentano un target terapeutico nel trattamento dello shock. La pressione
fornisce anche informazioni qualitative. Infatti, con la concomitante misurazione della gittata car-
diaca e della pressione centrale (CVP), può essere utilizzata per calcolare le resistenze vascolari
periferiche, e tutti questi parametri insieme consentono una diagnosi differenziale dello shock.
La pressione sanguigna comprende quattro componenti: pressione sanguigna sistolica (SBP),
pressione sanguigna diastolica (DBP), pressione sanguigna media e la pulse pression (PP). Lo
studio combinato di questi quattro elementi viene utilizzato per definire un profilo emodinamico.
La misurazione della pressione sanguigna può avvenire in modo invasivo e non invasivo.
La misurazione non invasiva della pressione una volta veniva eseguita utilizzando uno sfigmoma-
nometro con il metodo dell’auscultazione. Questo strumento prevede l’utilizzo di un bracciale, po-
sto preferibilmente sull'arteria brachiale che viene gonfiato ad una pressione superiore alla pres-
sione sistolica e poi sgonfiato lentamente. La comparsa e la scomparsa dei suoni di Korotkoff
(flusso turbolento) corrispondono rispettivamente alla SBP e alla DBP. Il metodo auscultatorio è
preferito al metodo di palpazione, che misura solo la PAS. Tuttavia questo metodo è difficile da
usare in terapia intensiva, specialmente durante le situazioni di emergenza. Inoltre, la misurazione
della PAS dipende dal flusso sanguigno locale di un flusso turbolento pulsante, responsabile dei
suoni uditi nella fase I. È quindi fortemente dipendente dal tono vasomotore distale. Pertanto, l'au-
scultazione è difficile o impossibile da misurare, specialmente durante una grave ipotensione o
uno stato di shock. Infine, l'aumento della rigidità arteriosa, come si osserva negli anziani o nei pa-
zienti affetti da aterosclerosi, può anche rendere meno comprimibile l'arteria brachiale e può altera-
re la trasmissione dei suoni di Korotkoff. Ciò porta alla sottostima della SBP misurata da uno sfig-
momanometro e alla sovrastima della DBP.
Oltre il metodo ‘ascoltatorio’ disponiamo di un metodo “oscillometrico” che misura piccole oscil-
lazioni della contropressione indotta in un vaso quando un bracciale occlusivo si sgonfia secondo
un algoritmo commercialmente protetto. Gradualmente, man mano che il bracciale si sgonfia, que-
ste oscillazioni passano attraverso un valore massimo per poi diminuire e scomparire. I dispositivi
che utilizzano questo metodo misurano solo la MAP (e calcolano sulla base di quest’ultima la SBP
e la DBP) come contropressione corrispondente alle oscillazioni massime.
Il metodo della “fotopletismografia digitale” misura le fluttuazioni cicliche del flusso sanguigno
che entra ed esce dal dito, preferibilmente l'indice, e fornisce valori corrispondenti al volume san-
guigno del dito. Questo metodo si basa sulla trasmissione della luce attraverso il dito. Un diodo
emette luce infrarossa per misurare il volume digitale. È collegato ad un sistema che assegna a
questo volume una pressione necessaria per mantenere il volume digitale e un volume arterioso
costante. Questa tecnica è nota come "volume-clamp" e consente il monitoraggio continuo della
pressione sanguigna battito per battito.
La ‘tonometria’ è un metodo utilizzato da decenni dagli oftalmologi per misurare la pressione in-
traoculare. Recentemente è stato sviluppato per misurare la pressione nelle arterie superficiali,
preferibilmente l'arteria radiale. Questo metodo prevede l'applicazione di una leggera pressione
con un trasduttore di pressione formato da un cristallo piezoresistivo sulla pelle sopra l'arteria ra-
diale e permette, superando la pressione extramurale, di misurare continuamente la pressione in-
tramurale trasmessa al sensore. La calibrazione del segnale radiale viene eseguita assumendo
che MAP e DBP siano identici tra le arterie brachiale e radiale. La curva della pressione aortica
centrale può quindi essere ricostruita utilizzando una funzione di trasferimento e validata in un'am-
pia popolazione di pazienti. Questo metodo potrebbe quindi quantificare più precisamente la com-
ponente pulsatile del postcarico del ventricolo sinistro a livello dell'aorta centrale. Tuttavia, sebbe-
ne convalidata in pazienti stabili in anestesia generale, la rilevanza di questa tecnica nei pazienti in
stato di shock resta da dimostrare.
Misurazione invasiva
La misurazione AP invasiva è preferita in tutti i casi in cui l'affidabilità della misurazione non invasi-
va è discutibile, sia per la sua scarsa precisione (ad es. in caso di aritmia o stati di estrema ipo- o
ipertenesione) sia per la mancanza di un sistema di misurazione continua che risulta necessaria
quando sono attesi cambiamenti ( ad esempio quando i pazienti stanno ricevendo farmaci vasoat-
tivi, inotropi positivi e/o trattamenti antipertensivi per via endovenosa). Le misurazioni invasive del-
la pressione sanguigna evitano distorsioni da sovra o sottostima della pressione arteriosa (princi-
palmente a scapito dei valori di SBP e DBP), che dipendono dalle caratteristiche del sistema idrau-
lico, che rappresenta il punto “più debole” della catena di misurazione. Attualmente sono disponibili
sistemi preassemblati con trasduttore di pressione elettrico per uso clinico. Questi sistemi di tra-
sduttori di pressione sanguigna monouso offrono un'accuratezza vitale nella misurazione della
pressione sanguigna. Pertanto, la MAP è un parametro preciso che viene misurato direttamente
dall'area sotto la curva della pressione sanguigna nel tempo e viene utilizzato nei casi di aritmia,
con errori di misurazione generalmente inferiori al 2%. In area critica il gold standard della misura-
zione arteriosa è tramite la via invasiva o cruenta. Questo avviene innanzitutto perché ci riporta
una valutazione rigorosa e continua della variabile fisiologica pressione. Ma il secondo motivo che
rende quasi obbligatorio il monitoraggio invasivo nel paziente critico è che noi molto spesso ab-
biamo bisogno di frequenti prelievi arteriosi per esempio per gli emogas e la presenza di una can-
nula sul torrente arterioso del malato ci permette di farlo senza dover bucare più volte l’arteria.
L’arteria radiale è l’accesso preferito perché è più superficiale e più facilmente localizzabile ma an-
che per questioni di sicurezza. Infatti una delle complicanze più temibili del posizionamento della
cannula è la trombosi. Noi approfittiamo dell’incannulazione della arteria radiale per il particolare
schema di irrorazione della mano che avviene tramite l’arteria radiale e la arteria ulnare. Quindi in
caso di trombosi della radiale la mano non subirà problematiche di perfusione con complicanze
talvolta distruenti perché esiste un circolo accessorio che vicaria quello ostruito che è appannaggio
della arteria ulnare. Il funzionamento di questo tipo di meccanismo va però verificato e questo vie-
ne fatto tramite il Test di Allen.
TEST DI ALLEN: si comprimono manualmente le due arterie del polso (radiale e ulnare) con la
mano del paziente chiusa e possibilmente in posizione rialzata o comunque oltre l'altezza del cuo-
re, a questo punto si apre la mano, il suo palmo apparirà bianco perché non irrorato, si rilascia
quindi la sola arteria ulnare e si valuta la ripresa di circolo:
– Test di Allen Positivo: se la mano diventa rosea in un tempo compreso tra i 6-7 secondi (circolo
collaterale ulnare efficace)
• se la mano riprende il colorito roseo in un tempo compreso tra gli 8 e i 14 secondi siamo in pre-
senza di un risultato dubbio, il consiglio è di considerare l'altro arto
– Test di Allen Negativo: se la mano riprende colorito in un tempo di 14 secondi il circolo collaterale
ulnare è assolutamente inefficace e mette a rischio il paziente di complicazioni sopra accennate
quindi la manovra di incanalamento radiale va evitata.
In caso di shock o condizioni di emergenza, l'arteria femorale è spesso preferito come punto da
incannulare. Le arterie brachiali e dorsalis pedis possono essere utilizzate come alternative. Si
raccomandano cateteri in teflon o poliuretano con un diametro massimo di cinque French per l'ar-
teria femorale o tre French per l'arteria radiale. Si consiglia inoltre di utilizzare un sistema di spurgo
per un flusso continuo di 2 ml/h, con la possibilità di ottenere uno spurgo manuale intermittente.
L'aggiunta di eparina non ha mostrato alcun beneficio. La complicanza più temuta del cateterismo
arterioso è la trombosi arteriosa. La prevenzione della trombosi dipende dalla scelta del materiale,
dall'esecuzione del test di Allen, dalle dimensioni del catetere e dalla durata del cateterismo. Un'al-
tra grave complicanza è l'infezione. L'applicazione di misure asettiche ne garantisce la prevenzio-
ne.
La MAP è la pressione che assicura il flusso sanguigno nel caso in cui non si tenga conto della
pulsatilità. Quindi, corrisponde alla pressione che fornisce la perfusione dell'organo, eccetto quella
del ventricolo sinistro, che è perfuso dall'arteria coronaria sinistra principalmente in diastole. La
MAP viene calcolata misurando l'area sotto la curva della pressione sanguigna e dividendo tale
valore per la durata del ciclo cardiaco (nel tempo). I dispositivi di monitoraggio della terapia inten-
siva in genere calcolano i valori della pressione sanguigna nell'arco di diversi secondi.
Quando si utilizzano uno sfigmomanometro e uno stetoscopio per misurare la pressione arteriosa,
la MAP può essere stimata con la formula:
Il flusso sanguigno è guidato dalla differenza di energia totale tra due punti. Sebbene la pressione
sia normalmente considerata la forza trainante del flusso sanguigno, in realtà è l'energia totale che
guida il flusso tra due punti. A questo proposito, lo studio del flusso non pulsatile a velocità costan-
te si basa sulla resistenza. Quando bilanciata, MAP è la pressione che fornisce teoricamente la
stessa gittata cardiaca in modalità continua (cioè non pulsata) secondo la relazione:
(MAP-MSP)-(RAP-MSP)=SVR X CO
Quindi
Dove MSP è la pressione di riempimento sistemica media, cioè la pressione teorica presente in
tutto il sistema circolatorio quando il flusso sanguigno è zero, RAP è la pressione atriale destra,
SVR è la resistenza vascolare sistemica e CO è la gittata cardiaca.
Nello shock, i trattamenti somministrati per aumentare la MAP aumentano la gittata cardiaca (cioè
la sostituzione del volume, l'inotropismo positivo) o la resistenza vascolare (vasopressore).
MSP rappresenta la pressione generata dal rinculo elastico nella circolazione sistemica durante
uno stato di assenza di flusso. La MSP non è misurabile nella pratica clinica ma può essere osser-
vata durante la morte di un paziente, pochi secondi dopo l'arresto cardiaco.
secondo il rapporto:
Spesso vengono calcolate solo le resistenze vascolari sistemiche (dette anche resistenze periferi-
che totali):
SVR = MAP/CO
RAP viene trascurato quando il valore attuale è basso (<5 mmHg). Tuttavia, SVR non ha un signi-
ficato fisiologico diretto né a riposo né durante le manovre dinamiche.
SVR non è semplicemente un valore teorico. Applicando infatti la legge di Poiseuille alla circola-
zione sistemica possiamo considerare che:
L'autoregolazione della MAP è un elemento chiave del sistema cardiovascolare. In fisiologia, una
forte diminuzione della MAP è normalmente compensata dalla stimolazione simpatica, che porta a
tachicardia riflessa, aumento della gittata sistolica (a causa di un effetto inotropo positivo e aumen-
to del precarico correlato alla venocostrizione) e vasocostrizione arteriosa sistemica. Nei pazienti
con shock settico o vasoplegia, questi meccanismi compensatori sono spesso obsoleti o difettosi.
Pertanto, una diminuzione della MAP può essere causata da una diminuzione della gittata cardia-
ca non sufficientemente compensata dalla vasocostrizione simpatica riflessa o da una diminuzione
sproporzionata della SVR dovuta alla vasodilatazione. Di conseguenza, è essenziale che questi
pazienti siano monitorati per la gittata cardiaca per determinare con precisione le proprietà re-
sponsabili della diminuzione della pressione sanguigna.
La MAP è determinata da vari meccanismi regolatori, incluso il baroriflesso. Questo riflesso è av-
viato da meccanocettori sensibili alla deformazione. Questi recettori chiamati "barocettori" si trova-
no nelle pareti delle grandi arterie sistemiche. I barocettori ad alta pressione si trovano nel seno
carotideo, nell'arco aortico e nell'atrio destro; i barocettori a bassa pressione si trovano nei vasi
polmonari. I neuroni che costituiscono questi barocettori hanno relè nel nucleo del tratto solitario
situato nel midollo. Gli impulsi dei barocettori carotidei non vengono rilevati se la MAP è inferiore a
60 mmHg. Appaiono gradualmente con l'aumento della pressione sanguigna fino a un massimo di
180 mmHg. Quando si attivano i barocettori, l'integrazione dei segnali nel nucleo del tratto solitario
porta sia all'inibizione dei neuroni simpatici situati nel midollo ventrolaterale rostrale sia all'eccita-
zione dei neuroni vagali cardiaci situati nel nucleo ambiguo e nel nucleo vagale dorsale. Il centro
vasomotorio gestisce il segnale efferente al cuore e ai vasi sanguigni e quindi influenza l'accop-
piamento vascolare-cardiaco. La risposta baroriflessa è opposta a quella della pressione sangui-
gna. I valori di MAP nelle grandi arterie sono spesso stabili; di conseguenza, la MAP è considerata
la pressione di perfusione nella maggior parte degli organi vitali. Quando il MAP scende al di sotto
del limite inferiore del plateau di autoregolazione, il flusso sanguigno regionale diventa dipendente
dalla MAP. Il limite inferiore della piastra autoregolante è 60-70 mmHg. Questi limiti variano con la
storia cardiovascolare di ciascun paziente, l'organo considerato, la patologia, l'attività metabolica e
l'uso di vasodilatatori. L'autoregolazione del flusso sanguigno dell'organo, che è la tendenza del
flusso sanguigno dell'organo a rimanere costante nonostante i cambiamenti nella pressione di
perfusione arteriosa, è un fenomeno onnipresente. Quattro meccanismi di autoregolazione, mio-
genico, metabolico, pressorio tissutale e feedback tubuloglomerulare, sono stati riconosciuti come
potenzialmente importanti, mentre un quinto possibile meccanismo, il controllo neurale locale, è
stato notato ma gli è stato dato poco credito. L'ipotensione è definita quando la MAP <60 mmHg.
Nei pazienti con una storia di ipertensione, una diminuzione della MAP superiore a 40 mmHg, ri-
spetto alla pressione iniziale, è considerata ipotensione, anche se la pressione è superiore a 60
mmHg. Tuttavia, non esiste un MAP minimo che assicuri un'adeguata perfusione di tutti gli organi
poiché il valore critico del MAP è diverso per ciascun organo. Pertanto, ci sono solo raccomanda-
zioni, specialmente nello shock settico, in cui il MAP minimo target è di 65 mmHg per prevenire
l'ipoperfusione d'organo. Queste raccomandazioni si basano su studi clinici che hanno dimostrato
che MAP >65 mmHg non migliorano la perfusione degli organi o l'ossigenazione dei tessuti. Tutta-
via, i pazienti anziani o ipertesi richiedono livelli di MAP più elevati.
Le porzioni prossimali del sistema arterioso (cioè l'aorta e le sue prime divisioni) sono ricche di
elastina e sono quindi “elastiche”. Infatti, questi vasi hanno la capacità di attutire le espulsioni car-
diache assorbendo parte del volume di eiezione sistolica ed eventualmente ripristinando il volume
durante la diastole (fenomeno Windkessel). Ciò fornisce un flusso sanguigno continuo. L'impatto
del battito cardiaco e della gittata sistolica sul sistema vascolare arterioso è percepibile come
un'onda di polso. Il PP ( pulse pressure) è la differenza tra la pressione sanguigna sistolica e dia-
stolica. Il suo valore, misurato in una determinata posizione nel sistema arterioso, è dipende dal
volume di sangue espulso e della elasticità dell’arteria. La pressione sistemica del polso è appros-
simativamente proporzionale alla gittata sistolica, o alla quantità di sangue espulso dal ventricolo
sinistro durante la sistole (azione di pompaggio) e inversamente proporzionale alla compliance.del-
l’aorta.
L'aorta ha la più alta compliance nel sistema arterioso dovuto in parte a una proporzione relativa-
mente maggiore di fibre di elastina rispetto alla muscolatura liscia e al collagene. Questo ha l'im-
portante funzione di smorzare l'uscita pulsatile (pressione massima della pompa) del ventricolo
sinistro, riducendo così la pressione del polso sistolico iniziale ma aumentando leggermente la
successiva fase diastolica (un periodo piuttosto simile al tempo di permanenza). Se l'aorta diventa
rigida a causa di disturbi come l'arteriosclerosi o l'aterosclerosi, la pressione del polso sarebbe
molto alta perché l'aorta diventa meno cedevole a causa della formazione di lesioni rigide alla pa-
rete dell'aorta (altrimenti flessibile).
PP sistemica (di solito misurata nell'arteria del braccio destro superiore) = Psystolic - Pdiastolic
per esempio.
• normale 120 mmHg - 80 mmHg = 40 mmHg o 33% della pressione sistolica
La pressione del polso polmonare (cuore-polmone) (PAP) è normalmente molto più bassa della
pressione sanguigna sistemica. Viene misurata mediante cateterizzazione del cuore destro o può
essere stimata mediante ecocardiografia transtoracica (TTE). La pressione arteriosa polmonare
normale è compresa tra 8 mmHg -20 mm Hg a riposo.[5]
per esempio.
• normale 15 mmHg - 8 mmHg = 7 mmHg 46,7%
È esperienza comune che, di fronte a una grave instabilità emodinamica, il primo passo sia quello
di monitorizzare la CO (Cardiac output). La misura della CO ha un importante significato emodi-
namico nella gestione del sistema cuore-circolo periferico, e rappresenta pertanto un obiettivo pri-
mario nello studio emodinamico in area critica. Sebbene per molti anni la misura della CO sia stata
possibile solo in modo invasivo attraverso il cateterismo dell’arteria polmonare con il catetere di
Swan-Ganz, attualmente la tecnologia moderna ha messo a disposizione degli intensivisti una se-
rie di metodiche di monitoraggio non invasivo che possono essere adeguatamente utilizzati diret-
tamente al letto del malato per la misurazione in continuo della CO.
La Pressione di incuneamento si ottiene quindi gonfiando lentamente il palloncino sulla punta del
catetere finché la pressione pulsatile non scompare. Si noti come la pressione di incuneamento è
allo stesso livello della pressione diastolica ma in caso ad esempio di ipertensione polmonare que-
sta relazione è alterata e la pressio-
ne di incuneamento risulta inferiore
alla pressione diastolica in arteria
polmonare. La pressione di incu-
neamento rappresenta la pressione
venosa sul lato sinistro del cuore. Se
andiamo a vedere il tracciato di que-
sta pressione vediamo: l’onda a pro-
dotta dalla contrazione dell’atrio sini-
stro, l’onda c prodotta dalla chiusura
della valvola mitrale ( durante la con-
trazione isometrica del ventricolo si-
nistro) e l’onda v che è prodotta dalla
contrazione sistemica del ventricolo
sinistro contro una valvola mitrale
chiusa. Queste componenti sono
spesso difficili da individuare ma una onda v elevata può essere segno i rigurgito mitralico. La
pressione di incuneamento è una misura della pressione di riempimento del ventricolo sinistro in
assenza di malattia valvola mitrale. Infatti in queste condizioni se gonfio il palloncino del catetere
per ostruire il flusso ( Q=0) , tra questi e l’atrio sinistro si crea una colonna statica di sangue e la
pressione di incuneamento sulla punta del catetere ( Pw) è equivalente alla pressione polmonare
capillare (Pc) e alla pressione
nell’atrio sinistro ( Pas ). La
pressione di incuneamento
rispecchia la pressione atriale
sinistra solo se la pressione
capillare polmonare è superio-
re a quella alveolare ( Pc >
PA). Altrimenti rispecchierà la
pressione alveolare. La pres-
sione capillare supera la pres-
sione alveolare quando la
punta del catetere arterioso
polmonare è inferiore al livello
dell’atrio sinistro o posteriore
all’atrio sinistro in posizione
supina.
Variazioni respiratorie della
pressione in incuneamento
suggeriscono che la punta del
catetere è in una regione in
cui la pressione alveolare su-
pera la pressione capillare. In questa situazione la pressione di incuneamento dovrebbe essere
misurata a fie espirazione quando la pressione alveolare è più vicina a quella atmosferica.
La pressione di incuneamento è spesso erroneamente scambiata per la pressione idrostatica nei
capillari polmonari. Come già detto la pressione di incuneamento viene misurata a flusso ematico
assente. Quando il palloncino viene sgonfiato e il flusso ricomincia la pressione nei capillari pol-
monari sarà superiore a quella nell’atrio sinistro e la differenza di pressione dipenderà dalla portata
(Q) e dalla resistenza al flusso nelle vene polmonari ( RV). Ossia :
Pc - Pas. = Q X RV
Pc - Pw. = Q X RV
Pertanto pressione di incuneamento e quella idrostatica devono essere diverse per creare un gra-
diente di pressione per il flusso venoso al lato sinistro del cuore. L’entita della differenza non è
chiara perché non è possibile determinare RV.
La pressione di incuneamento aiuta a differenziare l’edema polmonare idrostatico dalla sindrome
da distress respiratorio acuto (ARDS). Infatti una pressione di incuneamento nomale indica una
ARDS. Tuttavia poiché la pressione idrostatica capillare è superiore alla pressione di incuneamen-
to non è possibile escludere con la sola misurazione di una pressione di incuneamento normale la
diagnosi di edema polmonare idrostatico.
L’introduzione del catetere di Swan-Ganz nel circolo arterioso polmonare permette l’acquisizione di
una serie di parametri emodinamici sia diretti sia derivati, la cui interpretazione fornisce un utile
inquadramento del profilo emodinamico nel paziente critico. Applicando la tecnica della termodilui-
zione è possibile ottenere la misura della CO sia in modo estemporaneo sia in modo continuo. Il
principio della termodiluizione su cui si basa il monitoraggio della CO, sebbene postulato già nel
1954, è divenuto applicabile nella pratica clinica solo dagli anni Settanta proprio grazie all’introdu-
zione del catetere ideato dai dottori Swan e Ganz. Questo metodo permette di misurare il flusso
arterioso polmonare monitorizzando nel tempo le variazioni di temperatura che si verificano nel
sangue venoso misto dopo l’iniezione nel cuore destro di una sostanza a temperatura nota, diver-
sa da quella corporea.
Sul mercato esistono sistemi computerizzati che, opportunamente collegati al catetere di Swan-
Ganz, sono in grado di registrare le temperature del sangue in arteria polmonare, elaborarle ana-
logicamente e visualizzare su schermo la CO risultante alla fine della elaborazione della curva di
termodiluizione.
Il metodo della termodiluizione è intuitivamente semplice. Sulla punta del catetere di Swan-Ganz è
presente un sensore termico in grado di rilevare la temperatura del sangue venoso misto poiché,
quando il catetere è correttamente posizionato, la sua estremità distale è alloggiata nel cono del-
l’arteria polmonare. Se una quantità precisa (5-10 mL) di glucosata al 5% o soluzione fisiologica in
casi particolari, a temperatura nota, inferiore a quella corporea interna (ghiacciata 0-4 °C o a tem-
peratura ambiente) viene iniettata in bolo rapido dal lume prossimale del catetere di Swan-Ganz,
che alloggia in atrio destro seguendo le fasi del ciclo cardiaco tale soluzione passa nel ventricolo
destro e da questo viene eiettata in arteria polmonare. Il sangue venoso misto mescolandosi al
volume iniettato si raffredda e tale diminuzione di temperatura viene registrata dal sensore termico
quando il sangue passa in corrispondenza della punta del catetere. Il computer collegato al catete-
re di Swan-Ganz registra la temperatura corporea prima dell’iniezione e le sue successive varia-
zioni nel tempo, costruendo una curva temperatura/tempo dove la temperatura è riportata sulla
linea delle ascisse e il tempo sulle ordinate. La CO è derivata dal calcolo dell’area sottostante la
curva attraverso l’equazione modificata di Stewart-Hamilton.
La curva della CO sale rapidamente dopo l’iniezione della soluzione fredda fino a un valore di pic-
co che corrisponde alla maggiore differenza di temperatura misurata dal sensore; segue poi una
fase di discesa più lenta fino al ritorno alla linea di base a mano a mano che l’iniettato si distribui-
sce nel circolo polmonare con il flusso sanguigno e il sangue venoso misto refluo dalle camere de-
stre riacquista la sua normale temperatura.
La CO viene misurata analogicamente dalla macchina come l’area sottesa alla curva ed è inver-
samente proporzionale a questa. In condizioni di bassa CO la curva delinea generalmente un’area
piuttosto ampia, mentre in presenza di alta portata cardiaca, l’area è piccola. Questo comporta-
mento della curva di termodiluizione è facilmente comprensibile, dato che più elevato è il flusso di
sangue che passa in contatto nell’unità di tempo con il sensore termico sulla punta del catetere di
Swan-Ganz, come in condizioni di alta portata, tanto più rapidamente varierà la temperatura del
sangue in arteria polmonare descrivendo una curva con rapida salita che circoscrive una piccola
area per il veloce allontanamento del marcatore con il flusso polmonare. Ovviamente, in presenza
di bassa portata si verifica il fenomeno contrario e l’area della curva sarà ampia come espressione
di ridotta CO.
Durante le misurazioni con la tecnica del bolo descritta, il paziente dovrebbe essere in posizione
supina o sollevata a non più di 20° sul piano del letto altrimenti la CO può essere sottostimata per
effetto del ridotto ritorno venoso dovuto alla gravità. La stabilità del profilo emodinamico durante la
misura, necessaria a ottenere una curva di termodiluizione adeguata, può essere alterata da di-
verse condizioni e meccanismi fisiopatologici. Tra questi i principali sono:
• la meccanica respiratoria: soprattutto nel paziente ventilato meccanicamente, gli atti respiratori
influenzano il ritorno venoso e quindi il preload modificando l’assetto emodinamico;
• ritmo cardiaco: nel periodo di tempo in cui avviene la registrazione si sussegue una serie di cicli
cardiaci; se il ritmo si mantiene sinusale è assicurata una regolarità di battiti che viene meno in
(a) Curva di diluizione dell!indicatore colorato. (b) Curve di termodiluizione: curva in condizioni di CO normale (A);
curva da CO bassa (B); curva da CO alta (C).
presenza di aritmie, con conseguente disturbo emodinamico e interferenza con la diluizione del-
l’indicatore termico;
• shunt intracardiaci o intrapolmonari: tutte le situazioni in cui c’è ricircolo all’interno delle camere
cardiache alterano la misurazione della temperatura in quanto il sangue venoso misto e quello ar-
terioso si mescolano non garantendo più la validità della procedura;
• insufficienza tricuspidalica o venosa polmonare: in presenza di questi vizi valvolari il sangue ve-
noso misto rientra rispettivamente in atrio destro durante la sistole e in ventricolo destro durante la
diastole con alterazione della propagazione della soluzione fredda nel senso del ciclo cardiaco in-
validando quindi il meccanismo alla base del processo di termodiluizione;
• bassa portata: la procedura della termodiluizione è meno efficace in condizioni di ridotta CO per-
ché, aumentando il tempo che la soluzione fredda impiega per passare in corrispondenza del sen-
sore termico, diminuisce la possibilità che i parametri emodinamici si mantengano stabili nel perio-
do di misurazione.
Attualmente sono disponibili sistemi computerizzati di monitoraggio che, opportunamente collegati
a cateteri di Swan-Ganz predisposti allo scopo, permettono di misurare in continuo la CO, e altri
importanti parametri emodinamici che completano lo studio del profilo emodinamico nel paziente
critico. Anche questi sistemi si basano sul principio della termodiluizione, senza però dover ricorre-
re all’iniezione di boli di soluzioni fredde. Questo garantisce maggiore sicurezza nella procedura e
riduce significativamente i rischi a essa connessi. I cateteri di Swan-Ganz predisposti per questo
tipo di monitoraggio continuo sono dotati di un filamento di materiale in grado di rilasciare calore e
riscaldare così il sangue con cui è in contatto. Pertanto il sangue venoso misto, che esce dall’atrio
destro e dal ventricolo passa all’arteria polmonare, presenta una temperatura diversa da quella
basale del paziente. Il sensore termico posto sulla punta del catetere in arteria polmonare registra
la differenza di temperatura e costruisce automaticamente una curva di CO. Il software dello stru-
mento consente alla procedura di ripetersi a intervalli regolari di 3-6 minuti. La CO misurata appare
così costantemente sul display del monitor. Ovviamente questo è un metodo non propriamente
continuo, ma più correttamente semicontinuo, in quanto la CO visualizzata sul monitor si aggiorna
ogni 3-6 minuti, ma, rispetto ai metodi di misurazione estemporanea con la tecnica della termodi-
luizione, offre degli indubbi vantaggi. Innanzitutto evita la necessità di ricorrere a iniezioni di solu-
zione fredda nelle sezioni destre del cuore con risparmio di tempo e riduzione delle possibili com-
plicanze e dei rischi di infezione; non dipende dalla manualità dell’operatore e, soprattutto, permet-
te un monitoraggio continuo dell’emodinamica del paziente critico.
Il catetere arterioso polmonare fornisce altre informazioni sul la funzione cardiovascolare e il tra-
sporto sistemico di ossigeno. Vediamo altri parametri emodinamici che possono essere misurati o
derivati con il catetere AP.
Pressione venosa centrale. Se il catetere AP è posto correttamente la porta prossimale deve es-
sere situata in atrio destro e la pressione registrata corrisponde alla pressione atriale destra (RAP)
che come sappiamo è uguale alla pressione in vena cava superiore e queste pressioni collettiva-
mente sono chiamate pressione venosa centrale ( CVP) e in assenza di malattia valvolare tricu-
spidalica deve essere equivalente alla pressione teledistolica ventricolare destra ( RVEDP).
Il range normale per la CVP è 0-5 mmHg e può essere una pressione negativa in posizione sedu-
ta.
Indice cardiaco è dato dal rapporto tra il cardiac output ( CO) e la superficie corporea ( BSA, in un
adulto di taglia media è 1,7mm²)
CI= CO/BSA dove BSA (m²)= altezza ( cm) + peso ( Kg) - 60/100
Indice sistolico. Si tratta di una misura della performance cardiaca sistolica durante un ciclo car-
diaco.
SI= CI / FC
Valore normale è 20-40 ml/m²
Indice di resistenza vascolare sistemica ( SVRI). La resistenza idraulica della circolazione si-
stemica non una quantità misurabile per una serie di motivi. La resistenza vascolare sistemica
(SVR) invece è una misura globale della relazione tra la pressione sismica e il flusso. La SVR è
direttamente proporzionale alla perdita di pressione dell’atrio destro ( MAP - CVP ) e inversamente
proporzionale alla gittata cardiaca.
Per cui
SVRI = (MAP - CVP) / CI
Apporto di ossigeno . La velocità di traporto di ossigeno nel sangue arterioso è chiamata apporto
di ossigeno ( DO2) ed è dato da:
DO2 = CI X CaO2
Quindi:
Consumo di Ossigeno (VO2). Si tratta della velocità alla quale l’ossigeno viene portato dai capil-
lari sistemici ai tessuti. Il VO2 è calcolato cosi:
Dove CvO2 indica il contenuto di ossigeno sul versante venoso. Il sangue venoso in questo caso è
sangue venoso misto nell’arteria polmonare.
Frazione di estrazione di ossigeno ( O2ER). Indica l’assorbimento frazionale di ossigeno dal mi-
crocircolo sistemico ed è pari al rapporto tra consumo di O2 e apporto di O2. Moltiplicando per cen-
to si esprime in percentuale
Normalmente è circa 25 %.
Lo shock clinico può essere definito come una condizione in cui l’ossigenazione dei tessuti è in-
sufficiente per le esigenze del metabolismo aerobico. Dal momento che un VO2 inferiore al norma-
le può essere utilizzato come prova indiretta del metabolismo aerobico con ossigeno limitato una
VO2 inferiore al normale può essere utilizzata come evidenza indiretta di shock clinico. E quindi
può essere usato per distinguere una insufficienza cardiogena compensata da uno schock cardio-
geno.
Mentre la SvO2 riflette l’ossigenazione venosa di tutto il corpo e richiede la presenza di un catetere
arterioso polmonare, la ScvO2 è a riflesso dell'ossigenazione venosa del cervello e la parte supe-
riore del corpo. La sua misurazione è possibile attraverso un catetere venoso centrale posto nel
vena cava superiore a livello dell'atrio destro.
La SvO2 è una miscela di ossigenazione di sangue venoso dai territori della vena cava inferiore,
vena cava superiore e seno coronarico. Però, la SvO2 dipende da ciascun organo e ogni organo
estrae diverse quantità di O2 .
In condizioni fisiologiche normali, la SvO2 è più alto nella parte inferiore del corpo che nella parte
superiore del corpo. In determinate condizioni patologiche questa differenza è invertita. Durante
l’anestesia generale, a causa dell'aumento del flusso di sangue cerebrale e l'uso di farmaci ane-
stetici che inducono una riduzione dell'estrazione di O2 dal cervello , la ScvO2 è spesso maggiore
della SvO2 di circa il 5%. Un effetto simile si osserva nei pazienti con trauma cranico grave trattati
con barbiturici. La tendenza degli ultimi 10 anni è stata quella di utilizzare tecniche di monitoraggio
meno invasive e quindi spostare l’attenzione dalla misurazione della SvO2 alla ScvO2. Si potrebbe
sostenere che, poiché il ScvO2 richiede un catetere venoso centrale, sia una tecnica invasiva che
espone i pazienti a complicanze come infezioni o emorragie. Tuttavia, le linee venose centrali sono
spesso richieste in pazienti critici e potrebbe quindi essere utilizzato anche per il monitoraggio del
ScvO2.
Termodiluizione transpolmonare
Per pressione venosa centrale (PVC) si intende un valore pressorio (espresso in mmHg o in
cmH2O ) rilevato nel tratto terminale della vena cava superiore e corrispondente alla pressione
vigente nell'atrio destro. La rilevazione della PVC avviene grazie alla posa di un catetere venoso
centrale attraverso una vena profonda di grosso calibro (vena succlavia, o giugulare, o basilica o
più raramente safena).
Il valore di PVC permette di valutare il volume ematico circolante, la funzionalità cardiaca ed il ri-
torno venoso. Il range di normalità è però ancora oggetto di discussioni. Si stima che in un sogget-
to sano a riposo la PVC sia normalmente compresa tra 3 e 8 mmHg. Il limite inferiore, secondo
diverse fonti, ha un valore da 0 a 5, mentre il limite superiore va da 7 a 12 mmHg.
Vari fattori influiscono sui valori di PVC: ipovolemia o ipervolemia (diminuzione o aumento del vo-
lume ematico circolante), insufficienza cardiaca, ostacoli meccanici alla circolazione cardiaca, alte-
razioni della pressione intratoracica (ad esempio pneumotorace), farmaci, ventilazione meccanica.
Valori superiori alla norma indicano sovraccarico di volume, insufficienza cardiaca destra, aumento
della pressione intratoracica o turbe vasomotorie.
Valori inferiori alla norma indicano perdite di volume (emorragie, vomito, diarrea, shock) o turbe
vasomotorie. La PVC è un parametro che viene rilevato frequentemente nell'ambito dei monitorag-
gi post-operatori.
La misurazione della PVC può essere effettuata manualmente o tramite il monitor paziente.
Misurazione manuale. È necessario liberare da ogni tipo di infusione il lume distale del catetere
venoso centrale, effettuare un eventuale lavaggio a goccia rapida del cvc e collegare a quest'ulti-
mo un deflussore da flebo pieno di soluzione salina; tagliare il deflussore in modo da "allungare" il
lume del CVC di circa 20 cm, inserire il tubo nell'apposito listello di plastica che presenta un solco
al centro e una scala graduata in cm di H2O; posizionare perpendicolarmente al paziente il deflus-
sore (sempre collegato al lume) e porre lo zero della scala graduata all'altezza del cavo ascellare
(corrispondente all'altezza del cuore) del paziente; posizionare il paziente supino (eliminare anche
il cuscino); sconnetterlo dal respiratore se ventilato con pressioni positive; osservare quanti centi-
metri di salina rimangono nel deflussore partendo dallo zero. Il valore ottenuto è la PVC.
Misurazione con monitor paziente. È necessario disporre di linea con trasduttore per convertire
l'impulso meccanico del lume in impulso elettrico al monitor paziente. La linea col trasduttore va
collegata distalmente al lume distale del CVC e prossimalmente a una sacca di soluzione salina da
500 ml inserita in uno spremisacca gonfiato a 300 mmHg affinché garantisca un lavaggio continuo
del lume alla velocità di circa 3-5 ml/h. Tra i due estremi della linea è presente il trasduttore che
rileva l'impulso meccanico del sangue dal lume e lo trasmette in tempo reale al monitor paziente
fornendo un valore max, uno min e uno medio, fornisce inoltre un'onda sfigmica sempre visibile a
monitor. È necessario come per la misurazione manuale posizionare il paziente supino, sospende-
re ogni infusione nel CVC considerato e disconnettere per alcuni secondi durante la misurazione il
paziente dal respiratore.
La curva della CVP comprende diverse onde:
tre deviazioni ascendenti (a, c e v) e due forme
d'onda discendenti (x e y). L'onda “a" è dovuta
alla contrazione dell'atrio destro a seguito di
stimolazione elettrica e dell'onda P dell'ECG.
L'onda “c” è attribuita alla contrazione isovolu-
metrica del ventricolo destro che induce la val-
vola tricuspide a sporgere verso atrio di destra.
L'onda "x" è attribuita alla diminuzione della
pressione nell'atrio destro, che apre la valvola
tricuspide verso il basso durante l’eiezione del
ventricolo destro. L'onda “v” è formata da aper-
tura della valvola tricuspide quando il sangue
entra nel ventricolo destro. Il punto ‘z’ è la pres-
sione atriale prima della contrazione ventricola-
re.
La pressione venosa centrale è utilizzata per stimare la pressione dell’atrio destro, struttura in cui
affluisce tutta la circolazione venosa sistemica. Durante la diastole la valvola tricuspide rimane
aperta ed il sangue può fluire liberamente dall’atrio al ventricolo destro che quindi, in questa fase
del ciclo cardiaco, si comportano come un’unica cavità. Durante la diastole atrio e ventricolo destro
hanno pressioni simili tra loro, che diventano esattamente uguali alla fine della diastole.
Quindi la pressione venosa centrale ci dà informazioni sulla pressione in atrio destro e sulla pres-
sione del ventricolo destro al termine della diastole. La pressione venosa centrale è la somma di
due pressioni: 1) la pressione che il sangue esercita sulle pareti interne di atrio e ventricolo (la
pressione che distende le cavità cardiache) e 2) la pressione che agisce sulle pareti esterne di
atrio e ventricolo, determinata dalla pressione pleurica e pericardica (la pressione che comprime le
cavità cardiache). La pressione esterna al cuore può avere un ruolo importante nel determinare la
pressione venosa centrale. Pensiamo ad esempio ad un paziente con tamponamento cardiaco: la
pressione venosa centrale aumenta per l’effetto della pressione che comprime il cuore dall’ester-
no. In questo caso il volume del ventricolo destro (RV) sarà chiaramente ridotto pur in presenza di
una elevata pressione venosa centrale.
Una situazione analoga è riscontrabile durante la ventilazione a pressione positiva. L’aumento del-
la pressione intratoracica determina un aumento della pressione venosa centrale associato alla
riduzione del volume delle cavità cardiache di destra. É inaffidabile la relazione tra pressione ve-
nosa centrale e volume cardiaco, soprattutto nei pazienti sottoposti a ventilazione a pressione po-
sitiva. E’ evidente che l’unica pressione che ha una qualche relazione diretta con il volume cardia-
co è quella pressione che distende il cuore e che in fisiologia è definita pressione transmurale. Da
un punto di vista matematico è molto semplice calcolare la pressione transmurale: si deve fare la
differenza tra la pressione venosa centrale e la pressione esterna all’atrio. Se ad esempio avessi-
mo una pressione venosa centrale di 15 cmH2O ed una pressione esterna all’atrio destro di 10
cmH2O, la pressione transmurale sarebbe di 5 cmH2O. Il calcolo della pressione transmurale è
semplice, è però difficile stimare la pressione esterna all’atrio destro. Infatti potrebbe essere un
valore assimilabile alla pressione pleurica, ma sappiamo che la pressione pericardica non è uguale
alla pressione pleurica, ed in alcuni casi può essere molto diversa da questa (come ad esempio
nel tamponamento cardiaco). In assenza di malattie pericardiche, potrebbe comunque essere for-
se un’approssimazione clinicamente accettabi-
le assumere la pressione pleurica come stima
della pressione esterna al cuore. La pressione
pleurica può a sua volta essere approssimata
alla pressione esofagea. Di approssimazione
in approssimazione potremmo quindi arrivare
a conoscere la pressione transmurale dell’atrio
destro.
Invece la pressione venosa centrale è certa-
mente utile quando la utilizziamo per quello
che è: il valore assoluto della pressione in atrio
destro. E questa è una pressione importantis-
sima che è opportuno conoscere nei pazienti critici. Infatti dobbiamo essere consapevoli che una
elevata pressione venosa centrale (ad esempio > 10 mmHg) è da evitare. Un elevato valore di
pressione venosa centrale (indipendentemente dalla pressione transmurale e dal precarico) può
essere di per sé un problema. Se la pressione venosa centrale è elevata, la pressione nel sistema
venoso periferico deve essere ancor più elevata per consentire al ritorno venoso di fluire, per diffe-
renza di pressione, verso l’atrio destro. Ed a sua volta le pressioni nel circolo capillare devono es-
sere ancor più elevate delle pressioni venose in cui il sangue capillare si scarica. Ne consegue che
l’aumento della pressione idrostatica capillare sbilancia le forze descritte nell’equazione di Starling
verso la formazione di edema tissutale e conseguente ipossia cellulare.
Quindi il nostro obiettivo clinico dovrebbe essere volto principalmente alla maggior riduzione pos-
sibile della pressione venosa centrale fino al punto in cui questo non pregiudichi una sufficiente
perfusione tissutale (ricorda che tu in questo momento hai una pressione venosa centrale vicina a
0 mmHg e stai bene).
Inoltre il riscontro di elevati valori di pressione venosa centrale deve indirizzarci verso un ragionato
processo di diagnosi differenziale. Riprendendo i concetti prima esposti, dobbiamo valutare se la
causa sia una compressione dall’esterno del cuore destro (versamento pericardico? elevata pres-
sione intratoracica?), ridotta funzione del cuore di destra (infarto destro? miocardiopatia?), aumen-
to del post-carico del ventricolo destro (ipertensione polmonare?), riduzione della compliance ven-
tricolare (disfunzione diastolica), elevato precarico (sovraccarico di fluidi o disfunzione ventricola-
re?), valvulopatia (insufficienza tricuspidale? stenosi polmonare?).
Quando la pressione venosa centrale non è alta, essa non è di per sé un problema, non crea alcun
ostacolo al ritorno venoso. In caso di shock bisogna valutare se l’aumento di pressione venosa
centrale, che può essere ottenuto con la somministrazione di fluidi o di vasocostrittore, si associ ad
un miglioramento della portata cardiaca e della perfusione periferica.
Negli ultimi anni l’impiego di tecniche non invasive o comunque meno invasive della metodica tra-
dizionale, che prevede l’uso del cateterismo arterioso polmonare per la misura della CO, ha acqui-
sito un ruolo sempre maggiore in area critica. Sebbene il catetere di Swan-Ganz rimanga senza
ombra di dubbio il gold standard per il monitoraggio emodinamico della CO nel paziente critico, la
possibilità di ricorrere a metodi che che garantiscono risultati più che attendibili a spese di un’inva-
sività indubbiamente minore è sicuramente un vantaggio non trascurabile per la gestione emodi-
namica in pazienti complicati ed emodinamicamente instabili. I sistemi di monitoraggio attualmente
in commercio sono numerosi e caratterizzati da singole specificità tecniche che li rendono utilizza-
bili in varie realtà cliniche.
Tecniche semi-invasive
Questi sistemi di monitoraggio si basano sull’analisi del contorno del polso arterioso (Pulse Con-
tour) per la misurazione in continuo della CO. È pertanto indispensabile, come base di partenza, la
monitorizzazione della pressione arteriosa sistemica attraverso la cannulazione di un’arteria perife-
rica.
L’analisi della variazione della forma dell’onda pressoria permette di quantificare lo stroke volume
(SV) battito per battito e pertanto di risalire alla misura della CO, che è data dal prodotto dello SV
per la frequenza cardiaca (FC). Queste tecniche di monitoraggio si dividono in due gruppi a se-
conda che richiedano o meno una calibrazione per il monitoraggio tramite il confronto con una mi-
sura assoluta della CO (per esempio attraverso la termodiluizione).
Tra le tecniche che richiedono la calibrazione, le più conosciute sono il PiCCO [Pulse Contour
Cardiac Output] e il LiDCO [Lithium Dilution Cardiac Output].
PiCCO Questa tecnica permette la misura della CO integrando l’analisi della forma dell’onda arte-
riosa con il meccanismo di termodiluizione transpolmonare. Per questo motivo il sistema necessita
sia di una linea arteriosa periferica per il monitoraggio della PA, sia di un catetere venoso centrale
da cui effettuare la termodiluizione. Il PiCCO analizza la sola fase sistolica dell’onda pressoria, in-
tegrando la curva di pressione dall’apertura alla chiusura della valvola aortica. La termodiluizione
transpolmonare è il metodo utilizzato per la calibrazione necessaria.
LiDCO Anche questa metodica si avvale dell’associazione di due tecniche: l’analisi della forma del-
l’onda arteriosa e il meccanismo della termodiluizione transpolmonare per cui impiega il litio. Ana-
loga al PiCCO, si distingue per dettagli tecnici relativi alla misura della variazione dello SV e per
l’impiego del litio che la controindica nei pazienti che ne fanno uso cronico.
Le tecniche basate sull’analisi del Pulse Contour sono sicuramente vantaggiose per la loro scarsa
invasività; in particolare, il LiDCO non richiede neppure una linea venosa centrale come il PiCCO,
che ha però il vantaggio di poter essere utilizzato anche in ambito pediatrico. Seppure con effica-
cia dubbia nei bambini molto piccoli.
Il principale limite di queste metodiche consiste nella scarsa attendibilità dei dati nei pazienti in cui
la forma dell’onda pressoria è modificata da fattori meccanici quali la contropulsazione aortica, o
patologici come l’insufficienza aortica, o in quelli che presentano alterazioni del ritmo cardiaco. La
necessità di una calibrazione ripetuta durante il monitoraggio, seppure in tempi molto distanziati
(circa ogni 8 ore) è un altro fattore non trascurabile. Il loro impiego nel paziente emodinamicamen-
te instabile è comunque motivato dalla loro relativamente semplice applicazione e dalla scarsa in-
vasività che garantisce un monitoraggio continuo e adeguato della CO anche nei pazienti in cui
non si possa ricorrere al cateterismo arterioso polmonare. Ovviamente le limitazioni tecniche de-
vono essere considerate sia nella scelta del paziente da monitorizzare, sia nell’interpretazione dei
dati emodinamici. Ricordiamo che, analogamente a quanto succede con il monitoraggio invasivo,
anche con questi sistemi è possibile ricavare, oltre alla CO, anche una serie di parametri emodi-
namici derivati utili alla definizione del profilo emodinamico del paziente critico.
Tra le metodiche di Pulse Contour che non richiedono calibrazione, le più comunemente usate
sono il sistema Flo trac/Vigileo e il Mostcare.
Flo Trac/Vigileo. Questo sistema calcola la CO integrando l’analisi in tempo reale effettuata ogni
venti secondi del contorno dell’onda arteriosa con dati propri del paziente quali età, sesso, altezza
e peso corporeo. Consta di un sensore di flusso inserito in una linea arteriosa periferica (flo trac) e
di un monitor a essa collegato (Vigileo) .
Mostcare. Questa metodica non richiede calibrazione né l’inserimento di dati antropometrici del
paziente, in quanto non fa riferimento a parametri precalcolati, ma si basa sulla sola analisi della
forma dell’onda arteriosa beat-to-beat. Il principio su cui si fonda la tecnica è la teoria delle pertur-
bazioni secondo cui un sistema sottoposto a una perturbazione di qualunque natura tende a modi-
ficare il suo stato con il minore dispendio energetico.
Le metodiche che non richiedono calibrazione hanno il vantaggio di essere di più semplice e rapi-
da applicazione pur garantendo risultati altrettanto attendibili. Nel caso specifico del paziente car-
diochirurgico, l’impiego del Mostcare, ha il vantaggio di poter essere applicato anche nei pazienti
sottoposti a circolazione extracorporea, assistenza ventricolare e a contropulsazione aortica, in
quanto la misura della CO non è influenzata da tali supporti emodinamici meccanici.
Il sistema Vigileo, nell’ultima generazione di sensore, promette di fornire dati di CO attendibili an-
che nel paziente con valori estremi di CO, o in supporto con contropulsazione aortica. Il Vigileo in
ambito cardiochirurgico è stato validato come un efficiente sistema di monitoraggio emodinamico,
pur con una maggiore variabilità dei dati emodinamici rispetto a quelli ottenuti con metodiche inva-
sive. Resta comunque un sistema molto semplice nell’impiego, scarsamente invasivo e di diretta
applicazione.
Per quanto riguarda l’applicazione del Mostcare nella pratica clinica, la sua capacità di derivare,
attraverso l’algoritmo PRAM, due parametri quali il dP/dt e il Cardiac Cycle Efficiency (CCE) sta
assumendo particolare importanza. Il dP/dt rappresenta la pendenza della curva pressoria durante
la fase eiettiva ed è pertanto messo in relazione con la contrattilità cardiaca e l’impedenza aortica,
mentre il CCE appare come una misura della performance cardiovascolare. Sebbene sia indubbio
il valore di questi due parametri per la definizione del profilo emodinamico del paziente instabile,
resta ancora da comprenderne più esattamente il significato. Per questo motivo, seppure molto
promettente, il loro impiego nei vari scenari clinici e la loro corretta interpretazione restano ancora
oggetto di studio e necessitano di ulteriore validazione.
È da sottolineare che tutti i sistemi che si basano sull’analisi della forma dell’onda arteriosa richie-
dono per il corretto funzionamento del meccanismo un’estrema purezza e qualità del segnale
pressorio che, purtroppo, non è sempre facilmente ottenibile nei pazienti molto instabili emodina-
micamente. Questo può rappresentare un ulteriore limite alla loro applicazione nella pratica clinica
in UTI.
Ecocardiografia
Impedenzografia
Per concludere l’analisi dei sistemi di monitoraggio non invasivo della CO, non si può non parlare
dell’impedenzografia toracica che, tra tutti i sistemi di monitoraggio, è sicuramente l’unico comple-
tamente non invasivo in quanto non prevede la necessità di accessi vascolari né richiede l’introdu-
zione di sonde nel paziente. Il sistema impiega elettrodi di superficie e permette la rappresentazio-
ne grafica, in continuo su monitor, di parametri emodinamici centrali e periferici. Si tratta sicura-
mente di un sistema molto più completo di monitoraggio emodinamico in quanto rileva non soltanto
la CO, ma anche una serie di importanti parametri derivati che garantiscono una valutazione in
tempo reale del profilo emodinamico e delle sue variazioni nel tempo. Ovviamente, anche questo
sistema ha dei limiti di applicazione che dipendono da alcune condizioni patologiche come la pre-
senza di versamento pleurico, quadri di bassa portata o circolo iperdinamico in cui l’attendibilità
della misurazione è minore, ma nel complesso rimane un sistema di monitoraggio valido, utilizzabi-
le in scenari diversi senza alcuna lesività o invasività per il paziente.