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Dolore cronico benigno e maligno

Il dolore è un'esperienza sensoriale percepita a livello del sistema nervoso centrale come un'emozione
sgradevole.
Con il termine nocicezione si intendono tutti quei meccanismi di trasmissione dello stimolo doloroso
dalla periferia al sistema nervoso centrale. L’interazione delle diverse aree cerebrali che elaborano il
segnale nocicettivo, ne consente la presa di coscienza, così si ha la percezione del dolore.
Tale percezione dolorifica può essere suddivisa in diverse componenti:
- una componente sensitivo-discriminativa che consente di localizzare lo stimolo e di
quantificarne qualità ed intensità;
- una componente affettivo-emozionale che consente all'individuo di reagire al dolore
affettivamente parlando;
- una componente cognitivo-valutativa che consta nella capacità di valutazione del dolore a
seconda dell'educazione ricevuta e del contesto sociale.

Il dolore viene distinto in dolore acuto, conseguente ad un processo infiammatorio, e dolore cronico.
Quest’ultimo perdura per lungo tempo ed è causato da un'alterazione del nervo, che se prolungata ne
modifica la stessa struttura fisiologica.
Analizzando nel dettaglio il percorso dello stimolo doloroso dalla periferia al sistema nervoso
centrale, vengono coinvolti
i nocicettori che sono i rivelatori dello stimolo doloroso a diversi livelli. La natura dello stimolo può
essere di tipo chimico, meccanico-fisico o termico.
Lo stimolo viene poi condotto lungo le fibre nocicettive, successivamente al nervo sensitivo e dopo
al nervo spinale. Le fibre nocicettive possono essere amieliniche, in tal caso trasmettono lo stimolo
lentamente e sono responsabili del dolore tedioso, oppure mieliniche, ovvero possono trasmettere lo
stimolo più velocemente e sono responsabili del dolore puntorio.
Il nervo spinale giunge fino alla materia grigia del midollo spinale, dove a livello delle corna spinali
forma due fasci: il fascio spinotalamico, che trasmette stimoli di tipo cutaneo, somatico e viscerale,
risalendo il midollo fino al talamo ed il fascio spino reticolare, che trasmette stimoli di tipo somatico
e viscerale.
Giunti al SNC lo stimolo viene analizzato ed integrato in diversi livelli.
- A livello bulbare vengono coinvolti alcuni nuclei per l'analisi dello stimolo, da qui si
dipartono le vie discendenti in grado di modulare la percezione dolorosa, mediante
neurotrasmettitori, altre fibre che giungono fino ai muscoli per permettere la reazione motoria
allo stimolo doloroso ed altre fibre ancora che giungono al sistema cardiovascolare e
respiratorio.
- A livello mesencefalico si hanno le reazioni emozionali al dolore, da qui si dipartono le fibre
che regolano la reazione neuroendocrina.
- A livello talamico (corteccia cerebrale) si ha la percezione sensitivo-discriminatoria del
dolore, ovvero si localizza la provenienza dello stimolo, la qualità e quantità, cui
corrisponderanno reazioni motorie e sensoriali.
Tali livelli rappresentano le vie discendenti del dolore, le quali ne modulano la percezione a livello
sovra spinale, nella sostanza grigia periacqueduttale e nella regione ventro-mediale del bulbo. La
modulazione del dolore avviene mediante la liberazione di neurotrasmettitori, soprattutto oppioidi
endogeni, la loro produzione varia da individuo ad individuo, perciò, si parla di “soglia del dolore”.
Le vie discendenti hanno come bersagli i neuroni nocicettivi spinali e gli interneuroni (inibitori o
eccitatori), gli stessi neuroni delle vie ascendenti spino-talamiche.
Concludendo, potremmo riassumere dicendo che le vie ascendenti trasmettono lo stimolo dalla
periferia al SNC, mentre le vie discendenti riducono lo stimolo dolorifico e lo riconducono a livello
centrale.Le malattie caratterizzate da dolore sono migliaia ma, al di là del numero di malattie, i
meccanismi patogenetici che stanno alla base del dolore si contano sulle dita di una mano.
Se riconosco questi tipi diversi di dolore e la clinica di questi tipi diversi di dolore posso anche
impostare una terapia fondata sui meccanismi patogenetici principali.
Ad esempio, un dolore infiammatorio viscerale come l’appendicite ha meccanismi patogenetici di
base simili a quelli di una osteoartrosi infiammata quindi dovrò utilizzare lo stesso tipo di farmaco
pur esistendo delle differenze e delle peculiarità tra dolore viscerale e dolore osteoarticolare.
Quindi è importante andare a riconoscere i diversi tipi di dolore che sono il dolore infiammatorio,
quello neuropatico, quello meccanico strutturale, il dolore disfunzionale come la fibromialgia e
talvolta delle combinazioni di queste differenti tipologie.
Una tipologia di dolore che può creare qualche problema al medico è il dolore misto in cui coesistono
esattamente nella stessa localizzazione un dolore che sta iniziando che è un dolore di natura
neuropatica e un processo infiammatorio che funge da meccanismo scatenante, per cui ancora la
lesione neuropatica non è particolarmente pronunciata ma comunque il sito ectopico viene stimolato
da un processo infiammatorio.

Tenendo conto dei diversi meccanismi patogenetici, i diversi farmaci devono essere classificati
seguendo questo meccanismo patogenetico quindi per un dolore infiammatorio userò farmaci
antinfiammatori come fans, corticosteroidi, mentre per il dolore neuropatico userò farmaci che
bloccano la conduzione dolorosa.
Poi ci sono farmaci che agiscono anche a livello della sinapsi spinale dove sia il dolore infiammatorio
che neuropatico convergono e converge anche il dolore misto che ha due meccanismi diversi. I
farmaci che agiscono a livello della sinapsi spinale sono molteplici a partire dal paracetamolo, gli
oppiacei, i gaba pentinoidi e anche molecole non nuove ma che da qualche anno emergono in quanto
presentano un meccanismo d'azione che si sta rivelando utile per il dolore neuropatico ma anche per
il dolore misto. Ad esempio, una di queste molecole è la L-acetilcarnitina che lavora appunto inibendo
il rilascio del glutammato a livello della sinapsi spinale e siccome a livello di questa sinapsi passa sia
il dolore infiammatorio che neuropatico quindi questa molecola spicca in un contesto di terapia di
combinazione cioè in cui il dolore si cura combinando da subito farmaci coinvolti nel trattamento del
dolore stesso. Quindi questa molecola trova spazio in combinazione con altri farmaci nel trattamento
del dolore sia infiammatorio che neuropatico che soprattutto nel dolore misto.
Il fatto di combinare i farmaci ci offre la possibilità di usare ogni singolo principio attivo a dosaggio
più basso, non bassissimo ma più basso rispetto che se lo utilizzassimo da solo. Molti di questi farmaci
come la L-acetilcarnitina, sono farmaci sicuri e lo stesso possiamo dire di farmaci come il
paracetamolo e le sue combinazioni. Quindi salvo specifiche interazioni farmacologiche che
ovviamente vanno evitate, la combinazione di farmaci analgesici a basso dosaggio può offrire un
maggiore profilo di sicurezza.
Il paziente che assume oppiacei per il trattamento del dolore cronico corre il rischio di sviluppare una
dipendenza. Sia il mondo della tossicodipendenza che il mondo del dolore sono uniti in un unico
calderone. L’elevato consumo negli Stati Uniti di oppiacei, sia da un punto di vista terapeutico che
da un punto di vista dell’abuso, ha generato numerose morti negli ultimi anni per cui c'è un allarme
negli Stati Uniti ma si tratta di una situazione diversa rispetto a quella italiana. In Italia, prima di tutto,
il consumo di oppiacei è svariate volte inferiore rispetto a quello degli Stati Uniti dove non c'è la
percezione della dipendenza e c'è un abuso di prescrizione di oppiacei per il dolore che è molto forte
mentre questo da noi è ridotto.
Questi farmaci hanno un’importante azione a livello del Sistema Nervoso Centrale. L'epidemiologia
e la neurologia dimostrano che il paziente con il dolore cronico è un paziente che con molta difficoltà
svilupperà una dipendenza. Esiste questo rischio, che si aggira intorno al 3% ma si tratta di pazienti
che hanno dei fattori di rischio che possono essere riconosciuti come le malattie psichiatriche, l'abuso
di sostanze, la marginalità sociale. Pazienti che non hanno questi fattori di rischio difficilmente
svilupperanno una vera e propria tossicodipendenza. Quindi è giusto vigilare su questo problema
senza cadere nell’oppioidofobia.

Farmaci innovativi nella terapia del dolore.


Se guardiamo le molecole che sono comparse negli ultimi anni, apparentemente non c'è nulla di nuovo
per il trattamento nella terapia del dolore.
L'ultima molecola che è arrivata alla disponibilità del medico è il tapentadolo che è una molecola
innovativa perché ha un meccanismo duplice. Essa è infatti un’agonista dei recettori miu e un inibitore
del reuptake della noradrenalina quindi interferisce almeno in due punti della trasmissione del dolore,
interferisce con la trasmissione sinaptica a livello delle corna posteriori del midollo spinale tramite
l'agonismo miu e attraverso il potenziamento dell’azione della noradrenalina, rilasciata dalle vie
discendenti, insiste sul meccanismo d'azione di quella sinapsi essendo particolarmente utile come
molecola nel dolore infiammatorio, nel dolore neuropatico e nel dolore misto in cui tutte e due le
componenti possono essere presenti quindi è una molecola innovativa.
Poi nella terapia del dolore abbiamo visto in questi anni molecole non nuove che però sono state
formulate in maniera intelligente cioè con la possibilità di modificare la somministrazione, ad
esempio, il Fentanil che viene molto utilizzato oggi.
Un'altra molecola rivisitata in maniera molto intelligente è la lidocaina, una lidocaina topica, non
transdermica, che si ferma lì e funziona bloccando la conduzione dolorosa. Quindi se noi sappiamo
riconoscere dove è localizzato il pain generator e se il pain generator è sufficientemente superficiale
in quanto la lidocaina non va in profondità, orientativamente intorno al centimetro, è possibile
raggiungere il pain generator e inibire la conduzione degli impulsi.
Questo può essere fatto classicamente nel dolore neuropatico quando il pain generator è superficiale
per esempio nella neuropatia post-herpetica. Ci sono però molte condizioni di dolore infiammatorio,
per esempio nell’epicondilite, in cui il pain generator, il tessuto infiammato è di sotto e siccome la
lidocaina non blocca i canali solo se c'è il dolore neuropatico ma anche se c'è quello infiammatorio,
quindi, lo possiamo utilizzare in tutte e due le situazioni però è estremamente importante che sia ben
chiaro che il pain generator deve essere superficiale e raggiungibile da una lidocaina topica che
penetra per quello che abbiamo detto.
I farmaci oppiacei sono fondamentali nella terapia del dolore. Esistono interazioni di questi farmaci
con altre classi di farmaci. Il problema delle interazioni farmacologiche sta diventando sempre più
importante nella medicina pratica e nella farmacoterapia in quanto possiamo avere una interazione
farmacologica tutte le volte che somministriamo due farmaci. Inoltre, le nostre popolazioni sono
sempre più vecchie e utilizzano sempre più farmaci per il trattamento di diverse patologie. Di
conseguenza il rischio di interazione farmacologica è sempre più elevato e l'interazione farmacologica
in quanto tale non avrebbe nessun significato se non fosse una delle cause più importanti di reazione
avversa ai farmaci.
Gli oppiacei sono farmaci che portano con sè una serie di reazioni avverse, alcune delle quali anche
importanti ma sono farmaci irrinunciabili per il trattamento del dolore cronico di grado medio severo
per non parlare poi naturalmente del dolore oncologico. Di conseguenza diventa di grande importanza
comprendere quando possiamo avere interazioni farmacologiche degli oppiacei con altri farmaci,
cercando di minimizzare l’interazione farmacologica stessa. Esempi di interazioni sono quelle con i
glucocorticoidi. Il sistema del citocromo p450 è, per molti oppiacei usati in terapia, il sistema
principale di metabolizzazione e in particolar modo il cit p453 a4 il quale notoriamente può andare
incontro ad induzione cioè può aumentare la sua espressione nei diversi tessuti con particolare
riferimento al fegato. Dunque, è assolutamente evidente che se ho un farmaco che è metabolizzato
dal 3 a4 e il 3a4 aumenta di quantità, questo farmaco viene metabolizzato ancora di più e vado
incontro a fallimenti terapeutici perché sono al di sotto della concentrazione plasmatica ottimale. I
glucocorticoidi con particolare riferimento al desametasone sono farmaci che possono indurre
l'espressione 3a4 e allora un paziente che stava bene e a regime con una terapia con oppiacei che per
motivi diversi assuma desametasone, può vedere ricomparire un dolore legato al fatto che dopo
qualche giorno vi è stata questa induzione. Quindi siccome il desametasone e i glucocorticoidi in
generale nel set oncologico sono molto utilizzati e nel set oncologico molto spesso sono utilizzati gli
oppiacei, quindi, questo tipo di interazione deve essere tenuta presente. Molti beta bloccanti, con
particolare riferimento al carvedilolo, sono metabolizzati dal cit p450 2d6 e anche alcuni oppiacei
sono metabolizzati da questo cit in particolare codeina e tramadolo che vengono attivati in questo
caso dal 2d6 e il problema del 2d6 è che è un cit che è poco espresso nel fegato. Rappresenta infatti
solo l’1,5% di tutti i cit epatici ma metabolizza molti farmaci quindi se ho 2-3 farmaci che vengono
metabolizzati dal 2d6, è facile rischiare di avere delle problematiche di metabolizzazione con uno dei
due. Quindi per esempio, quando somministro carvedilolo e tramadolo uno dei due farmaci potrebbe
essere metabolizzato di meno. Nel caso del carvedilolo avrei un problema di ridotta terapia per lo
scompenso e nell'altro caso avrei una riduzione della terapia a livello analgesico, quindi, bisogna
tenere presente quale è il cit coinvolto nel metabolismo di questi farmaci.
Ci sono alcuni oppiacei che non subiscono una metabolizzazione da parte del cit p450 ma vengono
direttamente glucuronidati cioè passano direttamente nella fase 2 e vengono eliminati sotto forma di
glucuronati a livello renale. Tra questi per esempio ricordiamo la morfina, l’idromorfone e più
recentemente il tapentadolo. Per questi farmaci la probabilità di interazione farmacologica è
sicuramente ridotta per quanto riguarda il cit p450. Quindi chiaramente nel pz politrattato una
considerazione su questo può essere fatta. Il dolore neuropatico è un dolore derivante da un danno o
da una lesione a carico del sistema somatosensoriale quindi ci deve essere un danno, una lesione a
livello del sistema somatosensoriale che può interessare il neurone periferico, il midollo spinale, le
strutture sovraspinali.
Ci sono diversi tipi di dolore neuropatico con differenze anche l'uno rispetto all'altro che naturalmente
da un punto di vista patogenetico prevedono dei meccanismi comuni.
La grande differenza tra il dolore neuropatico e il dolore nocicettivo è che nel dolore neuropatico il
punto di partenza degli stimoli dolorosi non è più il tessuto infiammato perché la fibra è stata
interrotta, è stata lesionata quindi il dolore parte dal punto di lesione della fibra che in quel punto si è
modificata, si è creata una struttura ectopica mentre il dolore nocicettivo è normotopico. Invece, il
meccanismo di partenza del dolore neuropatico è ectopico con modificazione dell’espressione di
proteine e una zona del nervo che o in maniera spontanea, pensiamo ad esempio ad una nevralgia
post-herpetica o in maniera evocata, pensiamo per esempio al neuroma di Morton o alle compressioni
radicolari, evoca dolore partendo da questo focolaio ectopico. Modificazioni che si realizzano quindi
in periferia ma che si realizzano anche dall'altra parte del neurone dorsale, del ganglio dorsale. Ad
esempio, la compressione periferica è la condizione più frequente perché anche qui abbiamo
modificazioni delle caratteristiche della fibra, aumentata espressione di canali al calcio, d’ingresso di
calcio, liberazione di grande quantità di neurotrasmettitore. Quindi in queste condizioni diventa
ragionevole usare dei farmaci che blocchino proprio questi canali al calcio. Dunque, il dolore
neuropatico è molto diverso dal nocicettivo. Infatti, mentre il dolore nocicettivo, il sistema nocicettivo
del dolore del sistema infiammatorio, per esempio, il sistema nocicettivo funziona perfettamente
controllando la situazione in periferia, nel dolore neuropatico il sistema nocicettivo che è ammalato
non funziona più correttamente. Cause di queste anomalie del sistema nocicettivo sono
molteplici. L'ictus, per esempio, è una causa di intensissimo dolore legato a lesioni alte della via
nocicettiva. Il diabete è un'altra causa di danneggiamento delle fibre. Le cause possono essere
molteplici. Spesso nell'ambito delle malattie osteorticolari il dolore deriva proprio da fenomeni
compressivi o infiammatori a carico della fibra nervosa e quindi una lesione della fibra periferica.
Queste forme, insieme alla neuropatia diabetica dolorosa e all'herpes sono le più frequenti. Nel dolore
neuropatico abbiamo un focolaio ectopico che scarica ad altissima frequenza e riesce a raggiungere
le corna posteriori del midollo spinale perché sfrutta la propagazione del potenziale d'azione
attraverso l'azione dei canali del sodio voltaggio dipendenti. Se inizio a bloccare questi canali, per
esempio, con un anestetico locale come la lidocaina anche somministrata topicamente o per via orale,
inizio ad ottenere degli effetti sulla propagazione dell’impulso.
L'altro problema è collegato alla liberazione di grandi quantità di neurotrasmettitore correlato all’
abnorme espressione di questi canali del calcio che possa essere controllato attraverso Gaba
pentinoidi come pregabalin e gabapentin. I Gaba pentinoidi hanno proprio questa attività sulla sinapsi
e sulla parte del neurone periferico lesionato, controllano l'ingresso di calcio, quindi, sono tipicamente
i farmaci del dolore neuropatico. Inoltre, importanti, per quanto riguarda il trattamento del dolore
neuropatico, sono i farmaci che interferiscono con l'attività delle vie inibitorie discendenti, farmaci
che fanno aumentare l'attività di noradrenalina e serotonina nelle corna posteriori del midollo spinale
e limitano la trasmissione degli impulsi nervosi. Al primo posto troviamo gli antidepressivi triciclici
che sono farmaci carichi di effetti avversi, i più efficaci nel trattamento del dolore neuropatico e gli
inibitori selettivi della serotonina e della noradrenalina tipo la duloxetina che hanno una funzione
simile. Questi sono fondamentalmente i capisaldi della terapia nel dolore neuropatico poi in terza
linea sono stati messi gli oppiacei per gli effetti e per il rischio di dipendenza.
Tra questi, il tramadolo che è efficace nel trattamento del dolore neuropatico.
Il tapentadolo è un farmaco giovane, quindi, è difficile dire dove si posizioni nel trattamento del
dolore neuropatico anche se è promettente.
Il gabapentin è un farmaco di prima linea insieme agli antidepressivi triciclici e ai bloccanti dei canali.
Ci sono poi la capsaicina, la lidocaina topica che hanno applicazione in certi tipi di dolore
neuropatico. Il dolore cronico accomuna molte persone, è una condizione che diventa disabilitante
per il paziente che ne è affetto. Esistono dei veri e propri percorsi diagnostico assistenziali per la
gestione delle patologie legate al dolore.
Il dolore cronico non è un sintomo ma una malattia in cui ci sono fenomeni di neuroplasticità
neuronale e quindi deve essere trattato come una modulazione di malattia.
Nel 20% della popolazione adulta questa malattia esiste.
Molto importanti sono farmaci come il Tapentadolo che ha un ruolo sull’azione noradrenergica
migliorando il controllo del dolore e risolvendo problematiche di neuroplasticità centrale e il cerotto
di lidocaina al 5% che è una terapia indicata per il dolore neuropatico localizzato che è una tipologia
di dolore dovuta a una disfunzione del sistema nervoso somatosensoriale che è localizzato in una
specifica aerea del corpo.
Questo tipo di cerotto consente una modulazione del dolore a livello topico e non a livello sistemico,
quindi, bisogna somministrare il farmaco in maniera corretta per una corretta modulazione della
malattia che sta creando quel dolore.
Il dolore comporta un peggioramento della qualità della vita e alterazioni di neuroplasticità centrale
che sono ridotte grazie all'uso di questi farmaci.
La nostra terapia modula non solo il dolore ma modula anche l’immunità e le capacità cognitive e di
neuroplasticità corticali.
Il cerotto viene prescritto ormai da anni come farmaco di prima linea per quanto riguarda il dolore
neuropatico generalizzato. Non si pone l'attenzione solo sul togliere il dolore ma anche sul curare
quei problemi che il dolore può creare. Lo psicologo all'interno di una equipe di medicina del dolore
ha diversi ruoli. Importante è la valutazione dell’intensità e dell’esperienza del dolore nel paziente. Il
sostegno al paziente è fondamentale.
Lo psicologo partecipa alla parte diagnostica e al sostegno psicologico attraverso consulenze o
utilizzo di tecniche psico-corporee per la gestione del dolore.
Spesso il dolore cronico è associato a disturbi dell'umore come depressione o ansia, il paziente nella
vita quotidiana si isola dagli altri e interrompe delle attività.
Questo può essere contrastato sin dal momento della diagnosi. La patologia dolorosa cronica
influenza il paziente nella sua qualità di vita come succede ad esempio con il mal di schiena, la
fibromialgia o il dolore pelvico.
Il dolore è una malattia invalidante e va contrastato rispettando i tempi del paziente. Esistono approcci
psico-educazionali, incontri di gruppo in cui viene condivisa l'esperienza del dolore. Questi
rappresentano momenti di condivisione, di racconto.
Le tecniche psico-corporee comprendono approcci che uniscono corpo e mente, componenti sia
affettive che fisiologiche. Molto usato è il training psicologico e tecniche di consapevolezza corporea
che derivano dalla meditazione. Il dolore è una sensazione spiacevole, che coinvolge tutta la sfera
emotiva anche in relazione a un contesto familiare e sociale. Ci difende da ciò che è offensivo per
noi. Se allunghiamo la mano verso una superficie che scotta, la sensazione dolorosa di bruciore
preserva il nostro organismo inducendoci a ritrarre la mano. Il dolore ci permette di avvertire la
presenza di una patologia, una frattura, una lesione, una infiammazione. Sono segnali che ci
consentono di capire che qualcosa nel nostro organismo non va. Diventa malattia quando il dolore
cronicamente non viene trattato. Il dolore senza lesione è malattia, cronicizzazione di processi
nocicettivi che coinvolgono il sistema nervoso centrale. Ad esempio, nell’ arto fantasma, non c'è più
una parte del corpo, eppure, c'è dolore che deriva dal fatto che l'amputazione di un arto determina una
lesione traumatica che a sua volta determina la rottura di un tronco nervoso generando la
riorganizzazione del moncone e quindi dando il neurinoma. La riorganizzazione rende questa parte
più sensibile a stimolazioni esterne che normalmente non sono percepite come dolorose. Questi
processi di riorganizzazione a livello del snc, del midollo spinale, dell’encefalo determinano una
condizione in cui viene percepito un dolore continuo dell’arto che non c'è. Attualmente non c'è una
terapia efficace per questa patologia. Abbiamo dei farmaci che possono alleviare questo processo
intervenendo sul snc ma non lo controllano pienamente perché non è ancora bene stato capito il
meccanismo patogenetico. Altro esempio è il dolore del parto per cui esistono tecniche di controllo
del dolore. È un dolore fisiologico costituito da tante componenti. C’è la componente nocicettiva cioè
di stimolazione dei tessuti, il feto deve procedere nel canale del parto con sollecitazione e
stimolazione dei tessuti perineali generando contrazioni e c'è inoltre una componente legata
all’aspettativa del dolore e l’ansia. In più anche il contesto culturale influenza questa condizione. Ci
sono donne che vogliono vivere questa componente dolorosa per essere più legate al prodotto del
concepimento. C'è una componente nocicettiva che può essere controllata e allo stesso modo può
essere controllata la componente ansiosa. A tal proposito esiste una fase di preparazione che aiuta la
paziente a capire che cosa è il travaglio, che cosa è il parto e c'è una fase in cui possiamo controllare
in modo ottimale il dolore del travaglio e quindi la stimolazione dei tessuti. Il gold standard in questo
caso è l'analgesia peridurale che è una tecnica che ci consente, tramite la somministrazione di
anestetico locale e di oppiacei somministrati in prossimità delle radici nervose a livello del distretto
lombare che poi raggiungono la regione perineale e il collo dell’utero, il controllo del dolore. La
stimolazione nervosa che attraversa queste radici nervose può essere bloccata dall’anestetico locale.
È un blocco di carattere reversibile che è possibile eseguire tramite il posizionamento di un cateterino
a livello del canale vertebrale, nello spazio peridurale. Ciò consente alle donne di vivere l'esperienza
del parto in modo sereno e senza dolore. Un dolore diffuso è quello legato alle cefalee. Queste
possono essere divise in due gruppi. Quella emicranica classica, neurovascolare e la muscolotensiva.
Esiste anche una componente facente parte della sfera neurovascolare che è la cefalea a grappolo.
Negli ultimi anni sono stati fatti progressi nel trattamento e nell’approccio alla cefalea. Esistono
farmaci usati sia per la cefalea emicranica, sia a grappolo che muscolotensiva. Il problema è
soprattutto nelle forme croniche in cui si è fatto un abuso di farmaci che ha creato un adattamento dei
pazienti ai farmaci che così non sono più efficaci. Esistono centri in cui è possibile fare un Wash out
della terapia.
Altra categoria di dolore è quella post-postoperatorio.
Il dolore post-operatorio spaventa il paziente. Oggi si usano sempre più frequentemente pompe
infusionali. Per molti pazienti esiste la convinzione che il dolore sia collocato esclusivamente nell’
immediato post-operatorio. In realtà non è così. L'intervento chirurgico offende l'organismo. Le
tecniche di anestesia devono proteggere il paziente dal dolore chirurgico. I processi che determinano
questi insulti infiammatori, tissutali, traumatici danno alterazioni neuroendocrine, metaboliche che
vanno controllate. Le tecniche anestesiologiche controllano ciò determinando un migliore controllo
del dolore, favorendo una rapida dimissione ed un rapido recupero. Esistono diverse tecniche ma il
primo controllo è dato dall'anestesia che si pratica durante l’intervento chirurgico. Queste pratiche
comprendono tecniche locoregionali, la peridurale per controllare il dolore nelle chirurgie soprattutto
addominali. Prevedono anche infusione di farmaci attraverso pompe, sistemi in cui il paziente può
autosomministrarsi l’analgesico a seconda delle esigenze. Il dolore cronico può essere dovuto anche
a patologie banali come la lombalgia o l’infiammazione del trigemino e questi sono dolori che
incidono sulla qualità della vita del paziente. Il problema del trattamento del dolore cronico sta nella
comprensione dei meccanismi patogenetici. A livello del snc si instaurano modificazioni dovute a
continue stimolazioni, le cellule diventano ipereccitabili quindi anche se poi manca la stimolazione
nocicettiva quelle cellule portano l’informazione a livello di sistemi superiori inviando il messaggio
doloroso. La terapia non è ottimale perché il dolore cronico è difficile da trattare. Si instaurano infatti
condizioni di cronicizzazione. Nel dolore cronico vi è una lesione che permane nel tempo e determina
questa condizione, ciò va distinto dalla condizione in cui non esiste più la lesione. La componente
emotiva del paziente è data da cambiamenti del snc dove ci sono aree tipo quella limbica che ricevono
informazioni dalla periferia, vengono percepite dalla corteccia e ciò ci consente di localizzare il dolore
e di stabilirne l’intensità. Questo coinvolge ogni tipo di dolore cronico.
Il dolore e in particolare quello cronico è ancora oggi uno dei problemi sanitari più gravi, ma è ancora
poco conosciuto e poco affrontato.
Le statistiche dimostrano che il dolore cronico ha un impatto negativo sui costi per la società e sulla
qualità della vita. La IASP (associazione internazionale per lo studio del dolore) definisce il dolore
come “una esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata ad un danno tessutale reale o
potenziale”. Il dolore è quindi una esperienza soggettiva ed è influenzato da fattori culturali e da altre
variabili psicologiche. Con dolore cronico si intende quel dolore “che si protrae oltre il normale
decorso di una malattia acuta o al di la del tempo di guarigione previsto” (IASP). Protraendosi nel
tempo, il dolore cronico può causare effetti negativi gravi a livello psicologico e sulla qualità della
vita.
La Wisconsin Medical Society lo definisce come “dolore persistente, continuo o ricorrente di durata
superiore a 6 settimane o di intensità sufficiente a produrre effetti negativi sul benessere del paziente,
sui livelli funzionali e sulla qualità della vita”. Quando il tessuto periferico viene danneggiato
vengono liberati i mediatori dell’infiammazione (serotonina, bradichinina, calcitonina e sostanza P)
che inducono le fibre dei nervi nocicettori a sensibilizzare il tessuto periferico, per cui si innesca la
sensazione dolorosa (iperalgesia primaria). La depolarizzazione ripetuta delle fibre afferenti primarie
porta ad una liberazione continua di neurotrasmettitori verso i neuroni secondari del midollo spinale,
da cui deriva la sensibilizzazione centrale e l’iperalgesia secondaria.

A differenza del dolore acuto, quindi, non costituisce un segnale della presenza di stimoli nocivi o di
danno ai tessuti, ma può determinare pesanti conseguenze sulla vita di relazione e sugli aspetti
psicologici e sociali della persona, come: riduzione dell’attività fisica fino alla immobilità, nutrizione
inadeguata con calo ponderale, disturbi del sonno, dipendenza dai farmaci, isolamento sociale. Il
dolore è perciò molto più di un sintomo. Può essere considerato una malattia che va controllata perché
può creare un circolo vizioso che prolunga e peggiora il dolore stesso.
Le categorie del dolore cronico.
Come già specificato, il dolore può essere classificato in 3 categorie, che richiedono interventi e
trattamenti diversi:
- dolore nocicettivo (risposta fisiologica ad un impulso esterno). Può essere di origine
muscolare o di tipo meccanico compressivo (post traumatico, tumorale);
- dolore neuropatico (causato da un danno o disfunzione del Sistema nervoso, come la
sciatalgia, la neuropatia diabetica, le nevralgie post erpetiche);
- dolore idiopatico (di origine non nota).
Il dolore cronico è un dolore misto, bisogna quindi fare riferimento alle 3 componenti. Il trattamento
del dolore cronico può prevedere diversi approcci, ma è sempre consigliabile un piano
multidisciplinare che preveda l’associazione di più interventi, farmacologici e non (chirurgia,
fisioterapia). L’anestesista che si occupa di terapia del dolore è il consulente di prima scelta, lo
specialista che coordinerà le varie branche chirurgiche e non per l’impostazione della terapia
adeguata.

Dolore cronico benigno


Per dolore cronico benigno si intende il dolore che accompagna spesso un elevato numero di malattie
di natura non neoplastica. Si calcola che il dolore cronico benigno affligga fino al 40% della
popolazione con un importante impatto sulla vita quotidiana dei pazienti per i suoi effetti sulle
relazioni familiari e sociali, che possono arrivare fino alla perdita del lavoro, cui è associato un
considerevole costo economico in quanto più della metà dei pazienti con dolore cronico possono
essere parzialmente o totalmente disabili per periodi di giorni o mesi (si stima che in Europa si
perdono 500 milioni di giornate lavorative l’anno a causa del dolore cronico con un costo per
l’economia europea di oltre 34 milioni di €).
Le cause più frequenti di dolore cronico benigno sono l’artrite e l’osteoartrite, ma numerose sono le
patologie cui è associato dolore severo: lombalgia, polimialgia, diabete, Herpes Zoster ecc.
Il dolore cronico può essere classificato in due grandi famiglie a seconda del meccanismo
patogenetico e della fisiopatologia: dolore nocicettivo e dolore neuropatico.
Il dolore nocicettivo è quello che si manifesta per attivazione dei recettori periferici, somatici o
viscerali, attivati da stimoli fisici, chimici, termici. Tipicamente il dolore nocicettivo è quello che
accompagna patologie quali l’artrite, le patologie articolari, i dolori colici.
Il dolore neuropatico è dovuto a una alterazione della trasmissione o della genesi del segnale a livello
del sistema nervoso ed è sempre associato a segni neurologici positivi o negativi ed è sempre riferito
nell’area di innervazione dei nervi interessati. Esempi tipici del dolore neuropatico sono il dolore da
arto fantasma, la neuropatia diabetica o da Herpes Zoster.
Frequentemente i due tipi di dolore possono coesistere con la prevalenza dell’uno o dell’altro come
nel caso della lombalgia associata a sciatalgia.
Risulta quindi evidente che un corretto trattamento del dolore cronico non può prescindere dal
puntuale riconoscimento della natura del dolore stesso e dei meccanismi patogenetici che ne sono alla
base.
Negli ultimi anni l’Industria Farmaceutica ha messo a disposizione dei medici di Terapia del Dolore
numerose nuove molecole di farmaci analgesici e diverse formulazioni farmacologiche, indicate per
il dolore nocicettivo o per il dolore neuropatico, che permettono di trattare con successo la maggior
parte delle sindromi dolorose.
Oltre alla terapia farmacologica sono a disposizione dei medici di Terapia del Dolore numerose
tecniche invasive o mini-invasive per il trattamento di alcune sindromi dolorose, quali le infiltrazioni
articolari o peridurali, le tecniche neurolesive che agiscono interrompendo le vie di trasmissione del
dolore, la neurostimolazione elettrica periferica o centrale, ecc. che possono essere prese in
considerazione in base alle condizioni specifiche delle diverse sindromi dolorose.

Dolore cronico maligno


Il dolore oncologico non è determinato solo dalla lesione, dalla compressione del nervo ma anche dal
cambiamento del snc che diventa più eccitabile e ciò influisce sullo stato di ansia. È qualcosa di più
complesso di un semplice sintomo. Il dolore è un meccanismo fisiologico di difesa con cui
l'organismo segnala al cervello, tramite stimoli al sistema nervoso, la presenza di una minaccia interna
o esterna all'integrità dell'organismo stesso. Scopo della stimolazione dolorosa è che l'individuo
allertato risponda alla minaccia, evitando così eventuali danni maggiori. Tipico è l'esempio della
sensazione che si prova a contatto con una fiamma, che istintivamente spinge a spostare la mano; o
del dolore di un arto fratturato, che costringe all'immobilità, facilitando così la guarigione. Nel caso
del cancro, tuttavia, uno studio condotto una decina di anni fa e pubblicato sulla rivista scientifica
Pain ha valutato che solo nel 64% dei casi la comparsa di questo sintomo aiuta a diagnosticare la
malattia.
Non tutti i pazienti oncologici infatti provano dolore. Si calcola che, durante la malattia, lo provi dal
30% al 50% dei pazienti; nelle fasi più avanzate, tuttavia, questo sintomo si fa più frequente, colpendo
dal 70% al 90% dei pazienti. Nella maggioranza dei casi esiste però la possibilità di controllarlo.
Ognuno avverte il dolore in maniera individuale e non esiste una comune soglia di sopportazione. I
medici lo sanno, per cui non si deve temere di chiedere sollievo, anche se altri pazienti con la stessa
malattia sembrano tollerare meglio i sintomi dolorosi.
Il dolore dovuto al cancro può essere acuto, per esempio quando è provocato dalle conseguenze
immediate di un intervento, o cronico quando il sintomo tende a persistere per mesi, seppure con
notevoli fluttuazioni della sua intensità in relazione all'andamento della malattia e delle cure.
Le fluttuazioni di intensità del dolore da cancro sono comuni e il verificarsi di episodi significativi di
dolore che sfuggono al controllo di una terapia è stato definito breakthrough pain, o "dolore da
sfondamento"; in questo caso il medico aggiungerà alla terapia un ulteriore antidolorifico da prendere
al bisogno.
L'intensità del dolore non è necessariamente correlata alla gravità della malattia: piccoli tumori che
comprimono un nervo possono farsi sentire molto più di altri di maggiore aggressività ed estensione.
A seconda delle cause che lo provocano, il dolore oncologico può essere avvertito come:
- Punture di spilli, formicolii, sensazione dolorosa di freddo o altre forme di alterazioni della
sensibilità, bruciore o scosse (quando sono compressi o coinvolti nervi).
- Profondo, sordo o pulsante (per esempio quando è dovuto all'infiltrazione di un osso da parte
della malattia).
- Trafitture o crampi (quando sono ostruiti o compressi dei visceri).
A volte il dolore può essere avvertito in una sede diversa da quella dell'organo colpito (dolore riflesso)
oppure nonostante l'organo ammalato sia stato amputato chirurgicamente: è questo il caso della
sindrome dell'arto fantasma, che può interessare anche il seno asportato nella mastectomia. Il dolore
oncologico può dipendere dalla malattia o anche dai suoi trattamenti.
La massa tumorale può provocare dolore in vari modi, ostruendo visceri come l'intestino,
comprimendo o infiltrando il tessuto nervoso stesso oppure ossa, articolazioni o altri tessuti innervati.
Inoltre, la sensazione dolorosa può essere evocata dalla distensione della capsula che riveste alcuni
organi (è il caso del fegato) o dalla pressione su cavità chiuse come il sistema nervoso centrale, a
causa dell'aumento di volume occupato dal tumore che cresce.
Talvolta sono gli stessi trattamenti usati per combattere la malattia a provocare dolore acuto o cronico,
di minore o maggiore intensità.
Il dolore post-operatorio dopo un intervento chirurgico in genere si può controllare e passa in pochi
giorni, ma talvolta può provocare lesioni nervose che si manifestano con sensazioni dolorose e
possono permanere anche a distanza di mesi dalla fine delle cure, senza che ciò significhi un ritorno
della malattia.
Lo stesso fenomeno può essere provocato dalla radioterapia, che può anche arrossare, irritare e
bruciare la pelle oppure provocare cicatrici dolorose.
Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono provocare bruciore nella sede di iniezione,
intorpidimenti e formicolii alle mani e ai piedi; altri possono favorire la formazione di afte in bocca
così fastidiose da ostacolare l'alimentazione e la deglutizione.
Di questi possibili effetti collaterali si tiene conto valutando i pro e i contro di ogni trattamento.
La terapia del dolore fa parte a pieno titolo delle cure contro il cancro ed è giusto chiedere al proprio
medico tutti i possibili provvedimenti, farmacologici e non, per alleviare il sintomo, eventualmente
anche ricorrendo a uno specialista. Oggi, infatti, esistono molti sistemi che consentono di controllare
e rendere sopportabile il dolore nella grande maggioranza dei casi.
L’ Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che in presenza di dolore da cancro si deve subito
somministrare un farmaco per alleviarlo, secondo una scala a gradini progressivi da risalire a mano a
mano che la terapia precedente perde di efficacia:
- analgesici non oppiacei (per esempio il paracetamolo o tutti gli analgesici antinfiammatori
non steroidei, anche detti FANS);
- oppiacei deboli (per esempio la codeina);
- oppiacei forti (per esempio la morfina), a dosi crescenti.
Il passaggio da un tipo di trattamento al successivo o l'aumento delle dosi deve permettere di
controllare i sintomi in modo soddisfacente per il paziente. Questo scopo si raggiunge aumentando
gradualmente la dose di oppiaceo, attraverso un processo detto di titolazione. Una volta individuata
la dose di oppiaceo efficace, è necessario somministrarla a orari fissi, prevedendo dosi aggiuntive da
prendere in caso di intensificazioni improvvise. Agli oppiacei si possono sempre continuare ad
affiancare paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei.
La persistenza dello stimolo doloroso facilita alterazioni nella trasmissione dell'impulso nervoso che
lo rinforzano e lo rendono più difficilmente controllabile: anche per questo è bene chiedere sempre
un sollievo al dolore, senza cercare di sopportarlo a ogni costo. In questo modo si rischia infatti di
alimentarlo e amplificarlo nel tempo, rendendone più difficile il trattamento.
Ci sono altri farmaci che possono migliorare la qualità di vita del paziente con dolore oncologico. Si
tratta dei farmaci detti adiuvanti, che pur non agendo direttamente sul dolore, aumentano l'efficacia
degli analgesici.
I più usati sono i cortisonici, gli antidepressivi e gli antiepilettici, che il medico deve prescrivere con
attenzione soppesando in ogni caso rischi e benefici del trattamento.
Gli steroidi vengono utilizzati soprattutto per la loro forte azione antinfiammatoria, per esempio per
ridurre la pressione nel cranio in presenza di tumori o metastasi cerebrali; antidepressivi e
antiepilettici possono essere utili soprattutto nel dolore neuropatico.
È fondamentale sottolineare che il dolore oncologico si può e si deve trattare e che oggi abbiamo gli
strumenti per controllarlo o renderlo sopportabile nella maggior parte dei casi, sfatando l'idea che la
morfina sia il "segno della fine" e che il suo uso vada ridotto al minimo.
Gli effetti collaterali degli analgesici non oppiacei sono spesso sottovalutati rispetto a quelli degli
oppiacei, ma anche gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e il paracetamolo, a dosi elevate
prolungate nel tempo, possono avere conseguenze indesiderate: danni al fegato per il paracetamolo,
gastrointestinali per i FANS in genere e cardiaci per alcuni di loro (i cosiddetti coxib). Per questo
anche il loro uso deve essere sempre valutato e prescritto dal medico.
L'uso degli oppiacei è spesso frenato dal timore che questi possano dare dipendenza: in realtà, se il
paziente assume i farmaci a scopo analgesico alle dosi e con le modalità indicate dal medico, questa
evenienza è molto rara. Un'altra cosa è la tolleranza, cioè il fatto che con il tempo l'organismo in un
certo senso "si abitui" al farmaco per cui ne occorre una dose maggiore per controllare lo stesso
sintomo. Questo fenomeno è normale, non è segno di dipendenza e non deve creare preoccupazione
perché in genere il medico può provvedere aumentando la dose o aggiungendo altri provvedimenti
per controllare il dolore. I farmaci oppiacei comunque non sono certo privi di effetti collaterali, che
devono essere soppesati rispetto al beneficio ed eventualmente contrastati con altri rimedi.

Gli effetti collaterali più comuni associati all'uso terapeutico dei farmaci oppiacei sono:
- a carico del sistema nervoso centrale: è comune inizialmente un po' di sonnolenza, che di
solito si risolve in pochi giorni; confusione, vertigini, allucinazioni e altri disturbi si possono
controllare aggiustando la dose;
- a carico dell'apparato gastroenterico: circa la metà dei pazienti trattati con oppiacei va
incontro a stitichezza, un sintomo che non sembra correlato alla dose del farmaco e va
prevenuto con lassativi o trattato con altri farmaci. La somministrazione per via transdermica,
con appositi cerotti medicati applicati sulla pelle, incide meno sulla motilità intestinale. Tra il
20% e il 40% dei pazienti in cura va inoltre incontro a nausea e vomito, ma anche questi
sintomi possono essere adeguatamente controllati con l'aggiunta di farmaci specifici;
- a carico del sistema neurovegetativo: la stimolazione di particolari vie nervose da parte degli
oppiacei può seccare la bocca, ostacolare l'evacuazione di urina e abbassare la pressione
arteriosa quando ci si alza bruscamente;
- a carico della cute: questi farmaci possono provocare anche prurito e aumentare la
sudorazione.
Tutti questi effetti collaterali si possono ridurre con altri rimedi oppure modificando il tipo di farmaco,
la sua dose, la via di somministrazione e migliorando l'idratazione del paziente per facilitare
l'eliminazione della sostanza da parte dei reni.
Oltre che con i farmaci analgesici, il dolore può essere controllato in molti altri modi:
Le stesse terapie anticancro (chirurgia, chemioterapia e altri farmaci, radioterapia) possono essere
sfruttate per ridurre la dimensione della massa e quindi ridurre il dolore. Si dice in questo caso che si
utilizzano a scopo palliativo;
Farmaci analgesici possono essere somministrati anche tramite cateteri inseriti da un anestesista nello
spazio che circonda il midollo spinale. Questo metodo viene utilizzato per controllare il dolore dopo
importanti interventi chirurgici, ma talvolta anche quando non si riesce a controllare il dolore cronico
in altro modo. Richiede tuttavia l'assistenza di personale specializzato;
Blocchi nervosi possono essere effettuati devitalizzando nervi specifici responsabili della
trasmissione del dolore da una determinata zona;
Interventi di immobilizzazione delle ossa colpite da metastasi (cementoplastica e vertebroplastica)
servono a ridurre il dolore e il rischio di fratture patologiche;
Piccoli accorgimenti della vita quotidiana possono contribuire a dare sollievo. Per esempio, cambiare
posizione nel letto ogni due ore aiuta a prevenire rigidità e piaghe da decubito. Beneficio si può trarre
anche da massaggi, impacchi caldi o freddi, esercizi di rilassamento e di respirazione. Infine, cercare
di distrarsi chiacchierando, leggendo o guardando la televisione può aiutare a distogliere l'attenzione
dal dolore;
Altri metodi, di cui non è stata ancora dimostrata scientificamente l'efficacia, possono tuttavia
risultare utili per alcuni pazienti: tra questi la stimolazione elettrica transcutanea (TENS),
l'agopuntura o altre forme di medicina complementare di cui comunque il medico deve essere sempre
informato per essere sicuri che non siano dannose e non interferiscano con le altre cure.
Non esiste un esame strumentale che consenta di misurare il dolore che, come si è già detto, è
un'esperienza del tutto soggettiva. Tuttavia, è molto importante per i medici conoscere bene le
caratteristiche del sintomo, attraverso una serie di domande rivolte al paziente, per cercare di capire
quali ne potrebbero essere le cause, ed eventualmente, se possibile, rimuoverle.
Occorre anche una valutazione quantitativa, cioè stabilire l'intensità del dolore avvertito dal paziente,
per capire se la cura funziona e quando eventualmente occorre cambiarla. Per questo si usano in
genere delle scale di diverso tipo, che possono essere verbali (da "nessun dolore" a "insopportabile"),
numeriche (da 0 a 10) o analogiche visive, attraverso disegni, utili soprattutto con i bambini.
Molto importante è il rapporto stretto medico-paziente e la modulazione del trattamento
farmacologico. Nel paziente affetto da cancro bisogna valutare l’aspettativa di vita, la visione del
futuro, la presenza di un dolore che rende la vita impossibile. Tutto ciò giustifica la complessità della
malattia. Bisogna sempre informare il paziente. Oggi chi soffre di cancro ha buone possibilità di
guarire o aumentare la propria sopravvivenza. Non sempre il sintomo dolore vuol dire che la malattia
progredisce, questo bisogna specificarlo al paziente. Bisogna informarlo sulla terapia, sul
miglioramento che ci aspettiamo, le complicanze e gli effetti collaterali che derivano dalla terapia.
Faccende di vita normali nell’ oncologico possono creare problemi, il paziente allettato per andare in
bagno fa movimenti che possono essere dolorosi, bisogna modificare lo stile di vita, supportare queste
problematiche, programmare interventi con la famiglia o in collaborazione con il sistema sanitario
nazionale. La malattia va affrontata e va curata valutando trattamenti sistemici e localizzati. Ad
esempio, se abbiamo una localizzazione ossea della malattia, un trattamento radioterapico risolve
quel tipo di problema oppure un intervento ortopedico può risolvere il problema. Il trattamento deve
essere mirato al sintomo dolore con farmaci che agiscono su recettori responsabili della genesi della
trasmissione del dolore stesso. Ad esempio, antinfiammatori o oppiacei deboli o forti o tramite
tecniche o farmaci adiuvanti. Possiamo anche eseguire i blocchi della trasmissione del dolore se tutto
questo fallisce, tramite i blocchi nervosi che possono essere temporanei usando l'anestetico locale o
lo steroide oppure prolungati nel tempo come tecniche di radiofrequenza o di crioablazione o tramite
uso di sistemi impiantati all’ interno del snc. Ciò può rappresentare un contributo importante nel
paziente terminale a completamento di un approccio terapeutico. Per esempio, il blocco dei nervi
intercostali per dolori della parete toracica o il blocco del nervo celiaco o per il dolore pelvico cronico
non solo neoplastico ma in donne con dolori ginecologici. Il dolore pelvico cronico non oncologico
è complesso a livello patogenetico, è una sindrome che spesso parte da una patologia d’organo, ad
esempio, una cistite o una endometriosi o patologie vulvari trascurate o misconosciute che danno un
allargamento della sintomatologia. A volte si individua e cura la causa ma resta il dolore. Ciò preclude
scene di vita quotidiana come ad esempio funzioni fisiologiche, il movimento o l'attività sessuale.
Anche qui assistiamo a un processo di sensibilizzazione centrale cioè gli stimoli dalla periferia
giungono al snc e ne modificano le caratteristiche quindi il snc diventa più sensibile alla percezione
del dolore. Andare in bagno diventa doloroso anche in assenza di una stimolazione dolorosa. In questi
pazienti c'è anche una problematica di carattere sociale ed emotivo, spesso sono pazienti che hanno
subito abusi nell’ infanzia, quindi, c'è una componente emozionale e un substrato organico. È
importante un approccio multidisciplinare quindi l'approccio deve essere più strutturato con la figura
del terapista del dolore, del ginecologo, dell’internista, dello psicologo. Il dolore neuropatico che
coinvolge la componente centrale spesso è il più difficile da controllare. Spesso non risponde alle
terapie farmacologiche. Ci sono dei farmaci che abbassano la soglia di stimolazione nocicettiva e
approcci di carattere neurochirurgico. Usare la neurostimolazione centrale a livello del midollo può
essere fondamentale come avviene tramite la somministrazione di farmaci per via centrale o allo
stesso modo intervenire dal punto di vista neurochirurgico tramite interventi mirati. È un diritto del
paziente essere curato per il dolore e il dolore deve essere rilevato e registrato. Da ciò deriva
l’importanza di una organizzazione dal punto di vista strutturale, una rete territoriale e ospedaliera di
terapia del dolore per terapie di livello superiore. Fa paura del dolore la non conoscenza dello stesso.
Per controllare la componente emotiva, la reattività personale, bisogna informare il paziente e
associare il dolore a una lesione, una patologia. Il dolore per molti pazienti rappresenta un modo per
manifestare un disagio personale, familiare, una componente emotiva, sociale. Un disagio nascosto
può essere palesato in questo modo. La soglia del dolore però cambia anche in maniera fisiologica.
Non tutti reagiamo allo stesso modo a uno stimolo. Per molti lo stimolo doloroso significa
semplicemente essere avvisati di una componente nociva, per altri no. Anche durante la gravidanza
la soglia del dolore è diversa. Col progredire della gravidanza la soglia del dolore cambia. La donna
si prepara al parto e la soglia del dolore aumenta. L'ultima settimana della gravidanza il dolore viene
avvertito di meno rispetto all'inizio della gravidanza. Quindi cambia la fisiologia ma cambia anche il
contesto. Il dolore cronico può portare a malumore, depressione quindi è importante il supporto
psicologico. È un circolo vizioso perché c'è una connessione tra i centri del dolore e quelli che
controllano l'umore, c'è un problema di carattere neurofisiologico. La depressione influisce
positivamente sull’eccitazione nella trasmissione del dolore per cui chi è depresso soffre di più. Tutto
ciò che può interrompere questo circolo vizioso va adottato sia per quanto riguarda il dolore benigno
che per quello maligno.

“Io non conosco nessuna preghiera più bella di quella che concludeva gli antichi spettacoli teatrali
dell’India. Dice: Possano tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore!”
(Arthur Schopenhauer)

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