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Terapia

Medica e
Nutrizione

Prof.ssa M. Zanetti
C.I. Medicina Interna
a.a. 2022/23
1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

INTRODUZIONE

Bisogna aver fatto prima le prove in itinere per accedere all’esame finale.

I testi consigliati: manuale di terapia medica, Washington/Basics in clinical nutrition, L. Sobotka ed


Galen (nutrizione)

TRATTAMENTO DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

Il grafico mostra trial clinici (cerchietti) che


evidenziano la correlazione diretta tra l’aumentare
dei livelli di pressione arteriosa sistolica e malattia
cardiovascolare, in cui per essa si intende sia il
gruppo delle complicanze di tipo ischemico
(aterosclerosi) sia di tipo degenerativo (es.
cardiomiopatia dilatativa). Più si riesce ad
abbassare la pressione e maggiore è la
prevenzione degli eventi cardiovascolari.

La pressione arteriosa è definita ottimale quando la sistolica è <120mmHg e la diastolica


<80mmHg.

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

PA NORMALE: sistolica 120-129mmHg/ diastolica 80-84mmHg.


Erroneamente viene detto che la PA è normale fino intorno a 140/90 ma in questa situazione si è
già in pre-ipertensione.
L’ipertensione sistolica isolata è una condizione in cui si rileva una sistolica >=140 e una diastolica
<90. È caratteristica dei pazienti anziani, dovuta all’irrigidimento dell’albero arterioso quindi alla
perdita dell’elasticità dei vasi ed è caratterizzata da un aumento della pressione differenziale.
Dal punto di vista clinico è un problema poiché i farmaci non agiscono selettivamente sulla sistolica
o la diastolica ma tendono ad abbassare entrambe. Per l’anziano avere una pressione elevata
significa assicurare una perfusione cerebrale corretta, si può avere una situazione paradossale in
cui si tratta il pz e si vede che non è più iperteso ma ha lacune amnesiche dovute ad un
deterioramento cognitivo su base vascolare. Quando ci si trova in questa situazione ci sono target
individualizzati che rendono il giudizio clinico meno stringente tollerando anche cut-off più elevati.

EPIDEMIOLOGIA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE


L’ipertensione arteriosa è la prima causa globale di morte prematura e annovera un numero molto
elevato di decessi (nel 2015, 10 milioni di decessi), ma soprattutto è un fattore di rischio maggiore
per alcune patologie di tipo cardiovascolare:
• Scompenso cardiaco
• Fibrillazione atriale (ha anche altre cause non strettamente collegate)
• Insufficienza renale cronica (per lo sviluppo di aterosclerosi nei vasi renali)
• Arteriopatia periferica (per l’aterosclerosi a carico delle grandi e delle piccole arterie dei vasi
inferiori)
• Declino cognitivo
• Retinopatia (ipertensiva o diabetica)

Domanda d’esame: quali sono le complicanze di tipo cardiovascolare dell’ipertensione arteriosa?

SCREENING E DIAGNOSI
L’ipertensione arteriosa di solito è asintomatica ed è definita un killer silente. Questo vuol dire che
non dà segni e sintomi diretti; infatti un paziente può avere cronicamente dei valori pressori elevati
e non rendersene conto fino allo sviluppo di un evento acuto cardiovascolare. Le linee guida dicono
che tutti gli adulti di età uguale o superiore ai 18 anni dovrebbero avere una rilevazione della
pressione arteriosa almeno una volta ogni 5 anni. Nelle persone in cui c’è un primo riscontro di un
valore border-line dovrebbe essere implementato un monitoraggio; nel caso in cui si rilevino valori
elevati la diagnosi deve essere confermata o in più visite o se fattibile anche per mezzo dell’Holter
pressorio domiciliare delle 24 ore eccetto però in caso di ipertensione severa (grado 3, pz ad alto
rischio) dove si inizia sempre il trattamento. Nel corso della visita la misurazione deve essere rilevata
più volte a distanza di 1-2 minuti. Se c’è uno spostamento >=10 mmHg bisogna effettuare ulteriori
misurazioni. La PA è data dalla media dei due valori, di solito va presa da entrambe le braccia. Si
considera sempre la misurazione più elevata perché può essere che il paziente, soprattutto se
anziano, abbia un problema di aterosclerosi quindi il livello del sistema arterioso, che dal cuore di
sinistra raggiunge l’arto, può essere più alto da una parte rispetto all’altra.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO


L’obiettivo primario è ottenere la massima riduzione a lungo termine del rischio cardiovascolare e
quindi della pressione. Si parla di gestione globale del rischio cardiovascolare poiché non è solo
la pressione che entra in gioco ma bisogna valutare sempre tutti i fattori di rischio e stabilire per
ciascuno di essi un obiettivo.
I fattori di rischio CV sono:
1. Sesso maschile
2. Età (M>55 anni/F>65 anni)
3. Fumo

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

4. Dislipidemia (cut-off riferiti a popolazione che non ha avuto un evento CV: colesterolo
totale>190mg%, LDL>115mg%,HDL<40mg%,trigliceridi> 150mg%)
dopo un evento cv i cut-off si abbassano in maniera importante mentre i trigliceridi non sono
strettamente correlati al rischio cv ma hanno un loro rischio residuo
5. Obesità addominale (circonferenza addominale M>102 cm, F>88cm)

Danni d’organo asintomatici:


• Presenza di malattia cv
• Ipertrofia ventricolare sinistra (aumento dello spessore
della parete)
• Ispessimento a livello delle carotidi
• Insufficienza renale
• Presenza di microalbuminuria (complicanza tipica del
diabete ma si riscontra anche nel pz iperteso)

Malattie che impattano direttamente sul rischio cv:


• diabete mellito
• malattia cv o renale accertata: cerebrovasculopatia (ictus ischemico o emorragico)
cardiopatia ischemica (IMA,angina)
scompenso cardiaco
insufficienza renale
retinopatia

Mettendo insieme tutti questi fattori di rischio è


possibile graduare il paziente calcolando il suo
rischio cardiovascolare come basso, medio,
elevato, molto elevato. Questo si traduce in un
rischio di mortalità a 10 anni; si può dire al pz che
se non vengono trattati i suoi fattori di rischio ha
questa probabilità di contrarre a 10 anni un
evento maggiore anche fatale.

Sommando il peso dei fattori di rischio ai


livelli di PA che si trovano nel paziente si
riesce a capire in quale casella di rischio
ricade.

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

TERAPIA ANTIIPERTENSIVA

Un paziente va sempre trattato farmacologicamente in presenza di un’ipertensione arteriosa di grado


2 o 3 (PAS >160, PAD>100) a qualsiasi livello di rischio CV, simultaneamente alle modifiche
comportamentali.
In presenza di un’ipertensione di grado 1 (PAS 140-159/PAD 90-99):
Se adulto (18-65 anni):
• si suggeriscono le modifiche comportamentali (dimagrire, camminare, non fumare, …)
• in presenza di un rischio basso-moderato senza danno d’organo e dopo il fallimento delle
modifiche comportamentali si dà la terapia
• in presenza di rischio elevato o danno d’organo si parte subito con la terapia assieme alle
modifiche comportamentali

se anziano (65-80 anni) si introducono le misure comportamentali però la terapia si valuta in base
al paziente (secondo la tollerabilità)
Nell’anziano >80aa ma fit, ovvero con un buon grado di autonomia, la terapia viene data solo se
PAS>160mmHg questo perché sono anziani con altre comorbilità e si rischiano interazioni
farmacologiche.
In presenza di una pressione medio-elevata (PAS 130-139/PAD 85-89) in qualsiasi paziente si
introducono le misure comportamentali.

In tutti i pazienti l’obiettivo della terapia è portare la pressione <140/90 però se la tollerano bene
l’obiettivo è di farla scendere ulteriormente a <130/80. Nell’anziano va bene anche fino 130-139 di
PAS.

INERZIA TERAPEUTICA
È un concetto molto rilevante che vede il problema della prescrizione e dell’assunzione dei farmaci
soprattutto nelle patologie croniche, sia dal punto di vista del medico sia quello del paziente.
Nell’immagine a destra si vede come in uno studio di ipertesi
trattati, il monitoraggio nel tempo mostra che il
raggiungimento del target si verifica in circa il 50% dei casi.
Per quanto riguarda il medico, questo è dovuto al fatto che
molti clinici sono riluttanti a trattare l’ipertensione in maniera
aggressiva ma bisogna cercare di esserlo per abbassare il
rischio cardiovascolare.
L’altro fattore riguarda il paziente dove maggiore è il numero
di compresse che deve prendere e minore è la sua aderenza
terapeutica.
Nella terapia ipertensiva quasi mai è sufficiente un unico
principio attivo, anzi, nella quasi totalità dei casi, è
necessario
associare 2-3
farmaci diversi.

Ecco perché nel domicilio si prescrivono le


associazioni e negli ultimi anni ci sono aziende che
producono associazioni di 3 principi attivi
antiipertensivi.
Un’altra ragione è che l’ipertensione ha una natura
multifattoriale quindi ci sono pazienti che rispondono
di più al calcio-antagonista, altri all’ACE-inibitore.

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

Tabella riassuntiva

MODIFICHE COMPORTAMENTALI
I pazienti, in prima battuta, devono sempre ricevere questo tipo counseling poiché queste modifiche
hanno un importante effetto di riduzione dei livelli pressori.
Queste comprendono:
• Abolizione del fumo
• Calo ponderale
• Riduzione consumo di alcol, se eccessivo
• Esercizio fisico
• Dieta iposodica
• Incremento dell’apporto alimentare di frutta e verdura
• Riduzione dei grassi totali alimentari

Considerazioni sulla tabella sopra:


• in un paziente sovrappeso, una variazione ponderale di 2-9 kg può abbassare la pressione
di 5-6 mmHg; es. in un paziente di 100 kg se si riesce a portarlo a 95kg non cambierà la
classe BMI ma si otterrà un importante beneficio in termini di valori pressori
• l’attività fisica abbassa di 2-3 mmHg ma si intende un’attività aerobica (marcia, nuoto,..)
poiché un’attività di resistenza (es. sollevamento pesi, endurance) aumenta la PA perché
aumentano le resistenze periferiche
• mettendo assieme queste attività non si ha un effetto additivo ma una diminuzione di 4-5
mmHg
• La riduzione dell’introito di sale porta ad una diminuzione graduale con il tempo (2-3 anni)

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022

SCELTE TERAPEUTICHE

Se il paziente non ha un danno d’organo le principali classi di farmaci sono sovrapponibili. La cosa
principale è l’entità della riduzione dei valori pressori. In questa situazione si può cambiare il farmaco
senza controindicazioni finchè non si trova quello che il paziente tollera meglio.
Le classi di farmaci ipertensivi sono:
• diuretici
• ß-bloccanti
• calcio-antagonisti
• ACE-inibitori
• sartani-bloccanti recettoriali dell’angiotensina II

Domanda d’esame: con cosa inizi la terapia per l’ipertensione?


Un ACE-inibitore o un sartano oppure un calcio-antagonista o un diuretico.
I ß-bloccanti non sono di prima scelta, a meno che il paziente non abbia un problema cardiologico.
Identificare una classe come prima scelta è molto importante perché difficilmente ci si fermerà alla
monoterapia; quindi bisogna conoscere i specifici effetti collaterali di ogni farmaco quando si
associano. C’è una tollerabilità diversa da paziente a paziente.
L’unica categoria di farmaci che è meno efficace nell’abbassamento della pressione sono i diuretici
tiazidici (idroclorotiazide, la più utilizzata).
Ci sono anche altri farmaci:
• alfa-bloccanti
• farmaci che agiscono a livello del SNC, come la clonidina che è molto utilizzata
perché è disponibile sia per os, sia per via transdermica e intramuscolo; abbassa
molto rapidamente la pressione
• farmaci che agiscono sui recettori imidazolinici (non verranno trattati)
• agonisti dei recettori alfa2 adrenergici

Questi farmaci non sono consigliati come prima scelta ma vengono utilizzati in terapia di
associazione avendo usi ed indicazioni specifici.

Oltre alle caratteristiche del paziente la scelta terapeutica è influenzata da ulteriori fattori:
• se ci sono farmaci già provati in passato dal pz ma per i quali magari ha avuto effetti
indesiderati come la tosse da ACE-inibitore o edemi declivi da calcio-antagonisti
• in base al suo profilo di rischio
• costo dei farmaci (ormai sono usciti dal brevetto e sono disponibili i generici)
• preferenza espressa dal paziente; anche dove non ci sono controindicazioni di tipo
medico il punto di vista del pz va rispettato

Ayman Ouaissa Diego Cestaro


1.2 Terapia medica e Nutrizione 12/10/2022

DIURETICI TIAZIDICI
Nonostante siano presentati per primi, non sono la prima scelta.

MECCANISMO D’AZIONE: blocco del simporto Na/Cl nel tubulo distale.

PRINCIPI ATTIVI
- Idroclortiazide: solitamente da 25 mg, più basso in formulazioni associate
- Metolazone: solitamente associato alla furosemide per aumentarne l’effetto (es. nel paziente
epatopatico con ascite prima dell’esecuzione della paracentesi).
- Clortalidone
- Indapamide (Stati Uniti)

EFFETTI INDESIDERATI: già a 12,5 mg hanno un effetto, seppur modesto, sulla pressione, però
se raddoppiamo il dosaggio gli effetti indesiderati si fanno sentire precocemente.
- Cardiovascolari
o Ipotensione ortostatica (assieme agli alfa-1 antagonisti)
o Ipovolemia
- Metabolici -> chiedere SEMPRE quale terapia stia assumendo il paziente! Nei primi tre casi
è importante cambiare il farmaco, mentre per quanto riguarda l’iperuricemia è necessario
stare attenti nei pazienti che presentano già livelli elevati di acido urico:
o Iponatriemia
o Ipokaliemia
o Ipomagnesemia
o Ipercalcemia
o Iperuricemia
o Iperglicemia (3-4 mg/dL in più)
o Alcalosi metabolica ipercloremica (raro)

CONTROINDICAZIONI
- ASSOLUTE: GOTTA
- RELATIVE: GRAVIDANZA

INTERAZIONI FARMACOLOGICHE E PUNTI D’ATTENZIONE


- Digitale: farmaco usato soprattutto per le aritmie atriali -> l’ipokaliemia potenzialmente
causata dai diuretici tiazidici aumenta la cardiotossicità;
- Nella razza nera o negli individui > 55 aa sono considerati una prima scelta alla stregua dei
Ca antagonisti;1
- Basso costo;
- A basse dosi producono un effetto di abbassamento della PA quasi massimale senza
causare disionie.2

ACE INIBITORI E SARTANI


Sono i farmaci che agiscono sul sistema Renina Angiotensina.

ACE INIBITORI
Agiscono come inibitori dell’enzima di conversione dell’Angiotensina I in Angiotensina II.
Il principio attivo è stato inizialmente identificato nel veleno di vipera come un fattore potenziante
l’effetto della bradichinina.

1
Da Linee Guida Americane
2
a dosi più elevate hanno scarso vantaggio sulla PA a fronte di significative variazioni di K, Na, acido urico, glucidi e
lipidi.

Sbobinatore: Sara Zubin – Revisore: Marta Morin


1.2 Terapia medica e Nutrizione 12/10/2022

Studi successivi hanno permesso di isolare e caratterizzare questo fattore fino allo sviluppo e alla
messa in commercio del primo farmaco ACE inibitore: il Captopril (prescritto solo in pazienti
ricoverati e monitorizzati, es. un paziente con IMA in cui voglio abbassare la PA ma non sono certo
che possa sopportare farmaci ad emivita più lunga).
L’Enalapril (Enapren da 5 mg e 10 mg) è uscito successivamente mentre quelli più moderni hanno
dei gruppi lipofilici che possono attraversare la membrana cellulare e agire all’interno della cellula.
In ospedale utilizziamo il RAMIPRIL nelle formulazioni di 2,5 mg e 5 mg perché è indicato sia
nell’abbassamento della PA ma ha anche la compelling indication di funzionare nel paziente
diabetico con albuminuria da nefropatia diabetica, bloccando il processo di danno e la proteinuria
fino a determinare una regressione completa del problema.
Molti ACE inibitori sono profarmaci, altri sono già in forma attivata e la somministrazione avviene in
una o due somministrazioni/die.
Ricordiamo che ogni farmaco ha una potenza diversa: Captopril < Fosinopril < Enalapril < =
Lisinopril.

EFFETTI COLLATERALI
- Ipotensione: soprattutto alla prima somministrazione, per cui bisogna avvisare il paziente e,
se normoteso, iniziare la terapia a dosi basse ed aumentarle gradualmente;
- Tosse: in circa 5-20% dei pazienti si ha in forma secca e persistente, che si può sviluppare
all’inizio della terapia o anche dopo qualche mese, dovuta all’accumulo polmonare di peptidi
quali la bradichinina, sostanza P o altri mediatori. Si super mettendo eventualmente un
sartano;
- Angioedema: 0.1-0.2% dei pazienti la sviluppa durante la prima settimana di trattamento, a
volte anche nelle prime ore dopo la somministrazione. Coinvolge la gola, la lingua, la bocca
e la laringe attraverso un meccanismo sconosciuto, forse anche in questo caso è dovuto ad
un accumulo di bradichinina. Il farmaco va assolutamente sospeso;
- Teratogenicità;
- Neutropenia ed epatotossicità: rari, ma gravi;3
- Esantema: allergia all’ACE inibitore che si manifesta dopo un mese con papule od orticaria.

APPLICAZIONI TERAPEUTICHE
- IPERTENSIONE ARTERIOSA;
- MICROCIRCOLO: si osserva riduzione delle resistenze periferiche, con calo della PA sia
sistolica che diastolica;
- RENE: è fisiologicamente molto sensibile all’azione vaso costrittiva della Angiotensina II,
quindi si osserva vasodilatazione renale, con aumento della velocità di filtrazione glomerulare
con dilatazione delle arteriole renali sia afferenti che efferenti. I circoli arteriosi coronarico e
cerebrale sono dotati di efficaci meccanismi di controllo, per cui la perfusione in queste aree
è mantenuta;
- CUORE: si osserva una riduzione dell’IVsx e del rimodellamento cardiaco che avviene nei
pazienti ipertesi da lungo tempo;
- SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO: miglioramento sintomatologico e azione su
remodelling, miglioramento del quadro emodinamico, della perfusione renale, riduzione degli
edemi, miglioramento della gittata cardiaca per riduzione delle resistenze periferiche,
riduzione della FC;
- INFARTO MIOCARDICO E PREVENZIONE DEL REINFARTO: nelle prime fasi del post
infarto riduce l’area di necrosi della zona infartuata; il re infarto viene prevenuto attraverso la
riduzione del lavoro cardiaco;
- INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
o Vasodilatazione renale con aumento della filtrazione;
o Aumento della permeabilità selettiva delle membrane di filtrazione;
o Riduzione della proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice
extracellulare.

33
a Cattinara hanno avuto pochi casi, solitamente vengono imputati gli antibiotici

Sbobinatore: Sara Zubin – Revisore: Marta Morin


1.2 Terapia medica e Nutrizione 12/10/2022

CONTROINDICAZIONE
- STENOSI BILATERALE DELL’ARTERIA RENALE (nella monolaterale possono essere
utilizzati ma vengono preferiti altri farmaci);
- IPERKALIEMIA (tipica dei pz con IRC avanzata).

PUNTI D’ATTENZIONE
- Prima scelta soprattutto nei giovani < 55 anni;
- Prima scelta nei diabetici;
- Attenzione all’ipotensione da prima dose, specialmente in associazione con diuretici
- Monitoraggio della funzione renale ed elettroliti.4

SARTANI (AT1 ANTAGONISTI – BLOCCANTI RECETTORE ANGIOTENSINA II)


Sono farmaci con effetti simili agli ACE inibitori e vengono usati in prima linea quando questi ultimi
non sono tollerati.
Il capostipite è il LOSARTAN, usato anche a Cattinara da 50 e da 100 mg; attualmente troviamo in
commercio numerose molecole: Candesartan, Irbesartan, Telmisartan, Valsartan, Eprosartan.
N.B. per entrare in azione, questi farmaci necessitano di 2-3 settimane per raggiungere l’effetto
massimo quindi si addicono più al paziente ambulatoriale, piuttosto che a quello ricoverato.

EFFETTI AVVERSI
- Iperkaliemia
- Angioedema
- Ipotensione sintomatica – vertigini

INTERAZIONI FARMACOLOGICHE
- FANS (aumento dell’incidenza del danno renale -> classico caso di IRA su IRC in cui, dopo
aver escluso le cause più frequenti, devo analizzare tutti i farmaci che il pz assume in quanto
la vasodilatazione improvvisa può indurre ischemia renale per calo della perfusione del rene
stesso);
- Antialdosteronici - Spironolattone (iperkaliemia)

CALCIO ANTAGONISTI (bloccanti i canali del Calcio)


Il Calcio citosolico attiva i meccanismi cellulari responsabili della contrazione della muscolatura
liscia, previa attivazione dei canali del Calcio voltaggio dipendenti, la cui conduttanza aumenta in
seguito a depolarizzazione cellulare.
Sono divisi in due gruppi:
- Diidropiridinici [Amlodipina (Norvasc da 5 e 10 mg), Nifedipina (Adalat – capostipite-),
Lacidipina] -> usati per il trattamento della PA;
- Non – diidropiridinici (Diltiazem, Verapamil…) -> usati come antiaritmici.

FARMACODINAMICA (tipica domanda d’esame: che effetti hanno i Ca-antagonisti sul cuore?)
- Riduzione delle resistenze periferiche
- Riduzione delle resistenze coronariche
- Inotropismo negativo
- Dromotropismo negativo
- Cronotropismo negativo

4
se un pz la assume e ha creatinina di 1.6 mg/dL cosa fare? Quando raggiunge i 2 mg/dL è utile sentire il nefrologo,
mentre se peggiora rapidamente ovviamente deve essere sospeso (in nefrologia vedremo che molti pz con IR sono
anche ipertesi ma per questi motivi non vedremo utilizzare molto questa classe di farmaci).

Sbobinatore: Sara Zubin – Revisore: Marta Morin


1.2 Terapia medica e Nutrizione 12/10/2022

Vengono usati nel trattamento delle aritmie sopra ventricolari.5

EFFETTI COLLATERALI
- Edemi declivi (soprattutto prima generazione);
- Flushing (vasodilatazione improvvisa)
- Cefalea
- Stipsi (azione su muscolatura liscia)

CONTROINDICAZIONI: GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO


Excursus: una volta venivano utilizzati anche nell’ambito dell’evento ictale in cui c’è sempre una PA
elevata che può essere sia causa che conseguenza. Tuttavia, molti studi successivi hanno
evidenziato come l’abbassamento repentino della PA risulti deleterio sul tessuto cerebrale
ischemico, dunque ora si preferiscono farmaci come la Clonidina.
In caso di crisi ipertensiva senza segni di interessamento cerebrale posso somministrare
l’Amlodipina.

PUNTI D’ATTENZIONE
- Efficaci nell’ipertensione lieve-moderata, usati soprattutto in associazione;
- Particolarmente efficaci negli anziani o nella popolazione nera, nei quali è preponderante la
condizione di bassi livelli di renina (rispondono poco agli ACE inibitori)

FARMACI ATTIVI SUL SISTEMA ADRENERGICO (non sono di prima scelta)


1) FARMACI ATTIVI SU RECETTORE ALFA

o AGONISTI
§ ALFA 2 AGONISTI
• Clonidina
• Alfa – metil – dopa

o ALFA 1 ANTAGONISTI (bloccano sia i vasi di resistenza che quelli di capacitanza;


riduzione della PA in posizione eretta > supina con possibile ipotensione posturale in
prima dose. Possono dare aumento riflesso della FC e della renina – transitorio – e
ritenzione idrosalina)
• Prazosina (sono usati soprattutto nella terapia
dell’ipertrofia prostatica cronica)
• Terazosina

Domanda classica d’esame: qual è la classe di antiipertensivi che provoca più frequentemente
ipotensione ortostatica? Alfa 1 antagonisti, seguiti dai diuretici tiazidici -> non prescriverli in anziani
con storia di cadute e ipertensione sistolica isolata.

EFFETTI COLLATERALI DELLA CLONIDINA


- Sonnolenza
- Astenia
- Depressione
- Secchezza delle fauci e sfregamento oculare (inibizione della secrezione)

5
Es. Se un paziente con SCC arriva in FA posso somministrare un Ca antagonista, se la pressione è permissiva, ma
devo tenere a mente che abbiamo un effetto anche sulla pompa sia per quanto riguarda la FC che l’inotropismo!
Tutti i farmaci che agiscono sulla FC (Ca antagonisti, Beta bloccante…) agiscono anche sulla PA! La caratteristica dello
SCC, specie se a FE ridotta, a meno che non sia una crisi ipertensiva con EPA, è che giunge in PS sempre con PA
normale, quindi, o diamo un Beta-bloccante o la Digitale, che non ha effetto sulla PA ma è controindicata nei pazienti ipo
o iperkaliemici, per l’aumento di aritmie come la torsione di punta o nei pazienti in IRA perché accumulano
maggiormente il farmaco con effetti collaterali maggiori.

Sbobinatore: Sara Zubin – Revisore: Marta Morin


1.2 Terapia medica e Nutrizione 12/10/2022

- Diminuzione della libido


- Sindrome da sospensione improvvisa per up – regulation recettoriale -> ipertensione da
rebound (-> sospendere gradualmente)

2) FARMACI ATTIVI SUL RECETTORE BETA: inibizione dell’attività adrenergica


(i recettori beta sono UBIQUITARI e i farmaci agiscono prevalentemente su cuore –
inotropismo, cronotropismo, velocità di conduzione e automatismo-; sul rene hanno effetti
modesti; a livello vascolare provocano vasodilatazione)

o AGONISTI

§ NON SELETTIVI -> trattamento SC e arresto cardiaco


• Isoproterenolo
• Dobutamina
§ B2 AGONISTI -> trattamento dell’asma
§ Salbutamolo

o ANTAGONISTI

§ NON SELETTIVI -> trattamento ipertensione, angina, glaucoma


• Propranololo
• Timololo
§ B1 ANTAGONISTI SELETTIVI -> trattamento ipertensione, angina,
aritmie
• Metoprololo
• Atenololo
• Nebivololo
• Bisoprololo

INDICAZIONI TERAPEUTICHE
- Non sono farmaci di prima linea;
- INDICATI in caso di
• Donne che desiderano una gravidanza
• Pazienti giovani in cui ACE inibitori o sartani sono controindicati
• Pz con indicazioni stringenti al loro uso (es. cardiopatia ischemica)
- Se pz in terapia e PA ben controllata non è necessario rimpiazzarli
- In caso di sospensione scalare gradualmente

Sbobinatore: Sara Zubin – Revisore: Marta Morin


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

Continuazione della lezione sulla terapia dell’ipertensione arteriosa…

FARMACI ATTIVI SUL RECETTORE BETA


Riprendendo il discorso della lezione precedente, i farmaci che agiscono sul recettore beta possono
essere di due tipi: AGONISTI e ANTAGONISTI, entrambe le categorie poi si distinguono in farmaci
SELETTIVI e in farmaci NON SELETTIVI.

I beta agonisti NON selettivi più utilizzati sono:

• Isoproterenolo: utilizzato soprattutto nell’arresto cardiaco, quindi in acuto;


• Dobutamina: usata principalmente nello scompenso cardiaco in fase avanzata.

Esistono poi farmaci beta2 agonisti; tra questi di particolare importanza è il SALBUTAMOLO,
farmaco principale nella terapia di BPCO e ASMA.

Per quanto riguarda invece i famaci antagonisti del recettore beta, distinguiamo anche in questo
caso due tipologie: beta-bloccanti non selettivi e i beta1 selettivi.

Tra i beta-bloccanti non selettivi rientrano il propanololo e il timololo, entrambi farmaci che si
possono usare nel trattamento dell’ipertensione, dell’angina e del glaucoma.

Il propanololo in realtà presenta due indicazioni principali:

1. Controllare i sintomi da ipersecrezione di ormoni tiroidei in corso di ipertiroidismo, a


prescindere dalla causa dell’ipertiroidismo stesso. Infatti, quando l’ipertiroidismo viene
trattato con terapia medica, viene fatta una terapia per bloccare la secrezione di ormone
tiroideo. Questa terapia impiega però del tempo per avere effetto e nel frattempo vengono
somministrati farmaci in grado di bloccare i sintomi simpatici, tra cui appunto il propanololo;
2. Nella cirrosi epatica complicata con varici esofagee, costituisce infatti la terapia medica delle
varici esofagee, abbassando la pressione e riducendo il rischio di rottura.

Il timololo invece è un collirio che viene di solito utilizzato in ambito oculistico, per controllare la
pressione intraoculare.

I farmaci beta1-selettivi si utilizzano per trattare l’ipertensione arteriosa, alcune aritmie


(principalmente la fibrillazione atriale), ma anche nella cardiopatia ischemica in prevenzione
secondaria. I principali principi attivi utilizzati sono l’atenololo, il metropololo, il nebivololo e il
bisoprololo.

Il bisoprololo è il farmaco principe dello scompenso cardiaco, si trova in compresse a vario dosaggio,
dove quella a dosaggio più basso è a 1.25mg. Può essere somministrato fino a 10mg al giorno.

Quando si utilizzano i b1-bloccanti, in funzione deli loro effetti cronotropo, inotropo e dromotropo
negativi, bisogna sempre monitorare, soprattutto quando si passa da un dosaggio all’altro:

• La frequenza cardiaca, la quale non deve scendere sotto i 60 bpm;


• La pressione arteriosa;
• Gli edemi e l’aumento di peso, soprattutto nel paziente con SC a FE ridotta.

Sono però delle alterazioni temporanee, successivamente prevarrà l’effetto positivo del farmaco. Il
bisoprololo, infatti, è un farmaco che si somministra al termine della fase acuta.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

Un’altra indicazione all’uso di questi farmaci è in nefrologia, in combinazione con ACE-inibitori e i


calcio-antagonisti, per il lieve effetto che hanno nel sistema Renina-Angiotensina.

I beta1-bloccanti hanno inoltre diversa emivita e potenza e quindi un diverso effetto nel regolare la
pressione e la frequenza cardiaca; ad esempio, l’atenololo ha un’emivita piuttosto lunga, quindi in
un paziente instabile si preferisce dare il bisoprololo

Beta Bloccanti-Ruolo nella Terapia (frequente domanda d’esame)


Per quanto riguarda la terapia dell’ipertensione arteriosa, questa prevede di prima battuta l’utilizzo
di 3 farmaci:

• Un farmaco che agisce sul sistema renina-angiotensina;


• Un calcio-antagonista;
• In terza battuta un diuretico tiazidico.

Il beta-bloccante, invece, NON è di prima scelta. Si dà principalmente:

• Ai pazienti giovani, in cui è evidente una componente ansiosa nell’insorgenza


dell’ipertensione;
• A persone in cui la pressione tende a salire non appena si verifica un evento
ansiogeno. (Anche in queste situazioni, comunque, si deve sempre valutare che non si
possano dare comunque ace-inibitori o i sartani);
• A donne che desiderano una gravidanza;
• In pazienti che hanno le cosiddette “compelling indications”, ad es. pz con ipertensione
e cardiopatia ischemica, in cui c’è indicazione all’uso del beta-bloccante in primis per la
cardiopatia ischemica e quindi si sfrutta anche l’effetto anti ipertensivo.

Resta comunque sempre fondamentale basarsi anche sul paziente che si ha davanti. Se infatti
dovesse già avere in terapia un beta-bloccante e la pressione fosse comunque ben controllata, non
è imperativo applicare a tutti i costi le linee guida, ma si può anche lasciare la terapia corrente, se il
paziente ne trae beneficio.

Altra cosa importante, se si dovesse decidere di sospendere il beta-bloccante, sarebbe importante


andare a rimuoverlo gradualmente e scalando il dosaggio. Questo va fatto per evitare l’effetto
rebound che si verifica ogni qualvolta si dovesse sospendere di colpo un farmaco che agisce a livello
del Sistema Nervoso Simpatico.

Quindi i farmaci che controllano la pressione arteriosa agiscono su vari organi:

• I beta-bloccanti agiscono prevalentemente a


livello cardiaco e indirettamente a livello
renale;
• I diuretici a livello renale;
• Gli ACEinibitori e i sartani bloccano la cascata
che converte l’angiotensina I in angiotensina
II.

I farmaci anti-aldosteronici, invece, non sono famaci antipertensivi.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

STRATEGIE TERAPEUTICHE
Il trattamento va iniziato gradualmente, valutandolo nel corso delle settimane. La terapia
inizialmente può prevedere, in base ai valori pressori o alla presenza o meno di altri fattori, anche in
questo caso sarà quindi importante considerare il paziente che si ha davanti, uno o due farmaci,
comunque somministrati a basso dosaggio. Ovviamente è probabile che nel corso del trattamento,
per raggiungere il target pressorio, si debba adottare una terapia di associazione tra due o più
farmaci.

Le associazioni tra i vari farmaci sono diverse: l’associazione classica prevede un bloccante del
RAAS (ACEinibitori o sartani) + Ca antagonista + un diuretico. Già da qualche anno questa
associazione è disponibile in un’unica compressa, questo per ridurre il numero di pastiglie che il
paziente dovrà assumere.

Ci sono poi anche altre combinazioni:

I beta bloccanti vanno comunque in generale sempre prescritti. Bisogna inoltre fare sempre
attenzione ai pazienti anziani o in generale ai pazienti fragili, nei quali è possibile, previa attenta
valutazione somministrare un solo farmaco. Questo per evitare che entrino in poli farmaco-terapia;
da indicazione, infatti, non si dovrebbero somministrare più di cinque pillole nei pazienti anziani, o in
pazienti con ridotta funzionalità renale.

Quando si va a fare una terapia di associazione è importante fare attenzione anche alle interazioni
tra i farmaci. Se per esempio si va a somministrare un ACE-inibitore e un sartano, che agiscono
sulla stessa linea, questi possono dare più facilmente effetti collaterali, in quanto si blocca
completamente la via RAAS. Un effetto collaterale derivante da ciò è l’iperkaliemia.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

CONTROINDICAZIONI

Ci sono delle controindicazioni alla prescrizione dei vari farmaci; per esempio, se il paziente soffre
di gotta, non gli andrà prescritto il diuretico tiazidico.

Per quanto riguarda la somministrazione di beta-bloccanti, dev’essere sempre ponderata;


nell’asma o nella BPCO, è importante sottolineare che devono essere forme severe affinché vi sia
indicazione a prescrivere questi farmaci.

Un discorso analogo vale anche per l’utilizzo dei farmaci che agiscono sul sistema nervoso simpatico
e che vengono dati ai pazienti con arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori; anche in questo caso
l’arteriopatia dev’essere severa.

Per quanto riguarda le controindicazioni all’uso dei beta-bloccanti nei pazienti con aritmie, è
necessario fare delle differenze:

• I pazienti che presentano BAV sono più a rischio di incorrere a bradiaritmie: il beta-bloccante
deve essere usato con cautela;
• I pazienti che presentano altri disturbi di conduzione come blocchi di branca o emiblocchi
non sono a rischio di incorrere a bradiaritmie: il beta-bloccante può essere usato
tranquillamente.

I calcio antagonisti diidropiridinici invece non hanno particolari controindicazioni, al contrario dei
calcio antagonisiti non diidropiridinici, che hanno alcune controindicazioni cardiache (questi
sono infatti farmaci antiaritmici).

Gli ACEinibitori sono invece controindicati in gravidanza il pregresso edema angioneurotico,


l’iperkaliemia.

I sartani hanno controindicazioni simili.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

IPERTENSIONE RESISITENTE ALLA TERAPIA


Si parla di ipertensione resistente alla terapia quando un paziente continua ad avere valori
pressori non adeguati, pur essendo in terapia antiipertensiva con tre farmaci.

Questa situazione può derivare da una mancata compliance del paziente, oppure da abitudini di vita
non corrette. Il paziente potrebbe anche trovarsi in uno stato di ipervolemia plasmatica, ma in tal
caso avrebbe dei segni e sintomi piuttosto specifici (edemi ad esempio). Potrebbe trattarsi anche di
un caso di ipertensione da camice bianco; tuttavia, l’ipotesi più probabile è che si tratti di ipertensione
secondaria.

L’ipertensione secondaria può essere causata da diverse condizioni:

• Stenosi dell’arteria renale, è la causa più frequente;


• Iperaldosteronismo;
• Feocromocitoma;
• Insufficienza renale cronica.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

Queste sono le cause più frequenti di ipertensione secondaria, pertanto andando a ricercare i livelli
di aldosterone e delle catecolammine, valutando la funzionalità renale, e facendo un doppler delle
arterie renali, è possibile accertare o escludere una di queste cause.

RISCHIO CV NEL PAZIENTE IPERTESO


Attualmente il calcolo dell’indice di rischio cv è raccomandato solo nei pazienti che ancora non
vengono considerati ad alto rischio per presenza accertata di malattia cardiovascolare, renale e
diabete. Nei pazienti ad alto rischio, infatti, si inizia subito una terapia farmacologica e inoltre in
genere si prevede l’aggiunta di un farmaco.

Non è inoltre raccomandata la terapia antiaggregante con aspirina a bassa dose (100mg) in
prevenzione primaria.

Da ricordare anche l’esistenza di polimorfismi del gene che codifica per ACE e che predispongono
all’ipertensione alcune persone, tuttavia non viene raccomandato l’utilizzo routinario di test genetici
per identificare questi polimorfismi.

TERAPIA ANTICOUAGULANTE (lezione 2)


TERAPIA ANTITROMBOTICA
L’obiettivo della terapia antitrombotica è di ridurre la mortalità dovuta alle patologie trombotiche, in
particolare la TVP che può portare all’embolia polmonare, o la fibrillazione atriale da cui può
derivare un ictus su base cardio-embolica.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

Le patologie dovute invece a complicanze da embolizzazione delle placche in un paziente con


aterosclerosi hanno invece indicazioni per una terapia antiaggregante.

La terapia antitrombotica è una terapia salvavita. Se infatti non si riescono ad utilizzare i farmaci
antitrombotici il prima possibile, quasi inevitabilmente il paziente andrà incontro ad embolizzazione.

La terapia con anticoagulanti e antiaggreganti ha quindi lo scopo di prevenire la formazione del


trombo, di limitare la sua estensione e di stabilizzare il trombo impedendone l’embolizzazione.

I farmaci trombolitici, come l’urochinasi o l’attivatore del plasminogeno, accelerano la lisi del
trombo. Vengono utilizzati in genere in acuto, nell’ ictus o nell’infarto miocardico, e devono essere
somministrati entro delle finestre temporali terapeutiche molto ristrette.

La formazione del trombo prevede diverse fasi per cui si può andare ad agire su ognuna di esse:

• La trombogenesi incomincia con un danno vascolare, su cui si può intervenire riducendo i


fattori di rischio;
• Il secondo step prevede l’adesione, l’attivazione e l’aggregazione piastrinica. In questo
caso si possono somministrare antiaggreganti;
• Il terzo step è la generazione di trombina e formazione di fibrina. In questa fase si
possono somministrare gli anticoagulanti;
• Infine, si ha la formazione di plasmina e si useranno quindi i fibrinolitici.

TERAPIA ANTIAGGREGANTE
La terapia antiaggregante si utilizza invece in prevenzione secondaria nei pazienti con storia di
patologia cardiovascolare. Fino a qualche anno fa si utilizzava anche nei pazienti ad alto rischio in
prevenzione primaria, ma ormai questa pratica è stata tolta dalle linee guida; quindi, si tende a non
farla più.

È una terapia che segue le fasi di formazione del trombo; la prima fase è la fase vascolare in cui si
va in contro a disfunzione endoteliale

Nella seconda fase, la fase piastrinica, si possono utilizzare diversi principi attivi con funzione
antiaggregante:

• ASPIRINA (Cardioaspirin 100mg, Ascripin


200mg);
• TIENOPIRIDINE: (Ticlopina, un vecchio
farmaco dato a 250mg che però ha alcuni
effetti collaterali come diarrea e leucopenia);
• CLOPIDOGREL e PRASUGREL sono i più
Utilizzati;
• Farmaci che agiscono sul recettore dell’ADP
P2Y12;
• Farmaci che agiscono contro la glicoproteina IIb7IIIa.

Le ultime due categorie di farmaci sono usate più dagli specialisti come i cardiologi, piuttosto che in
medicina interna, dove si tende ad usare di più l’aspirina e il clopidogrel.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.1 Nutrizione e Terapia 26/10/2022

INDICAZIONI PER LA TERAPIA ANTIAGGREGANTE


Le indicazioni all’utilizzo della terapia antiaggregante sono pertanto:

• Prevenzione secondaria dell’infarto miocardico (ASA, clopidogrel, prasugrel, ticagrelor);


• Prevenzione dell’infarto miocardico in pazienti con angina instabile o vasculopatie
periferiche;
• Prevenzione dell’ictus e del TIA (ASA);
• Dopo angioplastica o procedure di tipo cardiologico.

Anche questi farmaci possono dare effetti collaterali, tra cui diarrea, leucopenia, trombocitopenia
(clopidogrel), emorragie, cefalea, rash cutanei e vertigini.

La terza fase, invece, è la fase coaugulativa. Qui si attiva il sistema il sistema della coagulazione.
Si farà quindi prevenzione e trattamento della trombosi in quattro situazioni:

• Fibrillazione atriale;
• TVP;
• Embolia polmonare;
• Trombofilie congenite ed acquisite ad es. deficit fattore V di leydig, deficit di proteina S,
deficit di proteina C. Una classe di pazienti che presentano trombofilia acquisita e che sono
uno dei motivi per cui i NAO sono molto utilizzati, sono i pazienti neoplastici.

TROMBOSI VENOSA PROFONDA


La TVP è responsabile di due quadri clinici piuttosto tipici, ovvero la tromboembolia venosa TEV e
l’embolia polmonare acuta.

La TVP è una situazione correlata quindi a molte complicanze di tipo tromboembolico e pertanto
vede come terapia cardine l’anticoagulazione, salvo controindicazioni.

(una domanda frequente può essere quando utilizzare la terapia anticoagulante in un paziente con
TVP. Dipende dalla causa).

L’obiettivo della terapia anticoagulante nella TVP è


di prevenire la crescita del trombo, di prevenire le
complicanze precoci (estensione del coagulo, EP,
sanguinamento maggiore per la terapia
anticoagulante) e tardive (se non si tratta in maniera
efficace il sistema venoso dell’arto ne risente con
sindrome post trombotica, che porta a ulcere e
varici. Se invece il trombo embolizza a livello
polmonare senza che venga notato può portare a
ipertensione polmonare tromboembolica cronica.

È inoltre importante ricordare che nonostante bisogna sempre ponderare l’utilizzo della terapia
anticoagulante in base al rapporto rischio-beneficio, per il paziente, in realtà quasi sempre
l’anticoagulante viene dato ugualmente, ponendo in secondo luogo il rischio di sanguinamento del
paziente, che verrà ovviamente strettamente controllato.

Sbobinatore: Di Lucca Daniel Revisore: Franceschin Daniele


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

FATTORI DI RISCHIO PER SANGUINAMENTO IN CORSO DI TERAPIA


ANTICOAGULANTE
Tra i principali fattori di rischio troviamo:
Ø Paziente anziano (> 75aa): bisogna ricordare che spesso il paziente anziano è in
polifarmacoterapia e l’anticoagulante (soprattutto il warfarin) ha molte interazioni con altri
farmaci. Solitamente per queste persone andrebbero prescritti farmaci solo strettamente
necessari. All’inizio si riteneva che i NAO non interagissero con nessun farmaco, ma in realtà
anch’essi hanno interazioni e potenziano soprattutto farmaci cardiologici (es. amiodarone).
Ø Precedente sanguinamento: importante e recente, soprattutto del tratto gastroenterico e
cerebrale.
Ø Neoplasie (metastatiche): le metastasi sono molto vascolarizzate e dunque il rischio di
sanguinamento è elevato. A differenza di un tempo, oggi i NAO vengono molto utilizzati.
Ø Insufficienza renale: alcuni farmaci hanno una clearance renale e si accumulano nel
sangue, con maggiore probabilità di sviluppare gli effetti collaterali.
Ø Insufficienza epatica: da tenere conto in caso di farmaci con eliminazione epatica.
Ø Trombocitopenia essenziale e secondaria: se le piastrine sono basse (<100.000) e viene
utilizzato Warfarin (che inibisce i fattori della coagulazione vitamina K dipendenti) o l’eparina,
aumenta il rischio di sanguinamento.1
Ø Terapia antiaggregante concomitante: molto comune, soprattutto nei pazienti del reparto
di cardiologia (es. paziente con infarto e FA che prende anticoagulante e antiaggregante
perché bisogna agire sia sul versante venoso che su quello arterioso).
Ø Poca compliance del paziente: con l’utilizzo dei NAO i pazienti non fanno il controllo
dell’INR e dunque diventa più difficile valutare la compliance del paziente.
Ø Recente chirurgia: soprattutto neurochirurgia e interventi oculistici.
Ø Storia di cadute recidivanti, tipico degli anziani.
Ø Abuso etilico: si associa a insufficienza epatica e piastrinopenia.

ANTICOAGULAZIONE INIZIALE (primi 10 giorni)


L’anticoagulazione deve essere iniziata immediatamente: un ritardo nella terapia può aumentare il
rischio di embolizzazione, potenzialmente pericolosa per la vita.
Secondo la modalità “tradizionale”, le possibilità a disposizione sono:
- Eparina a basso peso molecolare sottocute (LMWH o EBPM);
- Fondaparinux in alternativa: indicato per paziente con piastrinopenia indotta da eparina, ha
meno interazione con le piastrine;
- Inibitori del fattore Xa (Rivaroxaban o Apixaban) per os (DOAC);
- Eparina non frazionata (UFH), sottocute.

Mentre una volta c’era necessità di ospedalizzare, oggi ad un paziente che arriva in PS può essere
somministrato un NAO e poi mandato a casa.
In generale la scelta avviene in base a diversi fattori, tra cui: l’esperienza del medico, la disponibilità
dei mezzi, i rischi di sanguinamento, le comorbidità del paziente, le preferenze del paziente, i costi
e la convenienza.
Bisogna ricordare che il warfarin non può essere somministrato da solo come anticoagulante iniziale
per la TVP perché servono circa 48-72h affinché entri in funzione; i NAO hanno effetto più rapido.

1
[Da sbobine 2017] Esempio: un paziente con cirrosi epatica e ipertensione portale ha una riduzione delle
piastrine in circolo perché le piastrine vengono sequestrate dalla milza e quindi si avrà trombocitopenia -> se
si aggiunge eparina (che provoca trombocitopenia) e Warfarin (che inibisce i fattori della coagulazione vitamina
K dipendenti) il rischio di sanguinamento aumenta molto.

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

EPARINA2
Nonostante l’utilizzo importante dei nuovi farmaci anticoagulanti,
l’eparina viene ancora utilizzata molto nella bridging therapy.

È una molecola di origine naturale, normalmente presente nei


mastociti, che si lega all’antitrombina III, potenziandone
notevolmente l’attività, ovvero l’inibizione dei fattori della
coagulazione X attivato e II attivato. In seguito l’eparina si stacca
dal complesso per ri-complessare altre molecole di antitrombina
III. [da sbobine 2016]

Esistono due tipi di eparina:


• A basso peso molecolare/frazionata (EBPM), che agisce sul fattore Xa; utilizzata per
prevenzione e terapia della TVP. Ha un’emivita più lunga dell’eparina non frazionata.
• Standard/non frazionata (UFH), che agisce sul fattore IIa e Xa. Può essere somministrata
sottocute o per via endovenosa (importante da ricordare!):
è Eparina calcica = sottocute
Utilizzata nella prevenzione (es. paziente immobilizzato). Dipendono dalla clearence
renale: devono essere valutati funzionalità e dosaggio.
è Eparina sodica = endovena
Utilizzata in situazioni di urgenza (es. TVP che non risponde alla terapia). Aggiustato il
dosaggio in base al peso del paziente, bisogna monitorare l’effetto con aPTT ogni 6h. Ha
un effetto molto rapido.
Si utilizza in condizioni in cui c’è instabilità emodinamica, quale l’embolia polmonare,
indicazione alla trombolisi, magari in un paziente che può avere una funzione renale
compromessa. [da sbobine 2017]

Per riassumere:
- eparina a basso peso molecolare e NAO à
non necessitano di monitoraggio
- eparina ev non frazionata à monitoraggio con
aPTT
- warfarin à monitoraggio con INR
La professoressa consiglia di ripassare INR,
aPTT e tutte quelle belle cose da farmacologia.

Tra le principali reazioni avverse delle eparine si annoverano:


Ø emorragie, in acuto;
Ø trombocitopenia, visibile nell’arco di 2-3 giorni;
Ø osteoporosi, in cronico;
Ø ipersensibilità.
Bisogna ricordare che questi effetti sono maggiori nell’eparina non frazionata, ma sono comunque
presenti anche nell’eparina a basso peso molecolare.

2
Nota: si consiglia di riprendere le sbobine della Decorti perché la professoressa ha dato per scontato le
nostre conoscenze di farmacologia e ha spiegato le cose in modo molto rapido L

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

TROMBOCITOPENIA EPARINO-INDOTTA (HIT)


A discapito del nome, è una patologia protrombotica: si manifesta tramite l’aumentata tendenza a
formare processi trombotici.
Circa il 3% dei pazienti trattati con eparina sviluppa questo quadro, il quale dipende anche dal tipo
di eparina utilizzata: si ha effetto maggiore con eparine non frazionate, minore con quelle a basso
peso molecolare.
La frequenza della malattia è maggiore nei reparti di chirurgia (dove l’eparina è usata per profilassi
tromboembolismo in caso di immobilizzazione prolungata oppure per profilassi chirurgica), ostetricia
e medicina (sempre nei casi di allettamento prolungato).
Di solito è un processo piuttosto rapido che si sviluppa entro i primi 5-10gg, massimo fino alle 2
settimane successive. Se il paziente ha pregressi anticorpi circolanti avviene entro 5 giorni (per
meccanismo immunitario di tipo 2).

Esistono due tipi:


Ø Tipo I: molto comune, non autoimmune, è dovuta all’effetto dell’eparina sulle piastrine
(eparina stimola secrezione di ATP, che fa aggregare le piastrine)
Ø Tipo II: riduzione più marcata delle piastrine (> 50%), su base autoimmune; il paziente
sviluppa segni e sintomi associati all’attivazione delle piastrine e della coagulazione.
La cosa importante è escludere la presenza di clinica associata a HIT.
Nella pratica clinica però non è sempre facile capire che piastrinopenia e trombosi venosa o arteriosa
siano associate come conseguenza di un’attivazione piastrinica e della coagulazione.

A fianco il meccanismo “che conoscete bene”:


1. l’eparina si lega al fattore piastrinico 4 (PF4)
presente sulla piastrina;
2. viene indotta la formazione di anticorpi;
3. si forma un immunocomplesso;
4. viene riconosciuto l’immunocomplesso
5. da una parte si ha la rimozione delle piastrine
da parte dei macrofagi splenici à trombocitopenia
6. dall’altra si ha l’attivazione delle piastrine à
trombosi

La slide a fianco viene letta


velocemente, si riporta per
completezza.

In caso di sospetto clinico elevato di


HIT è possibile cercare gli anticorpi
contro il fattore piastrinico 4, ma non
è uno degli esami più semplici da fare.

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

Seguono alcuni nomi di eparine a basso peso


molecolare, che vengono riportati per
completezza.

Di solito il dosaggio prevede 1000 unità ogni 10kg


di peso (es. una persona di 60kg riceverà 6000
unità)
- Una volta al giorno come profilassi; a
differenza dell’aspirina infatti, l’eparina
viene utilizzata in prevenzione primaria,
quindi in un paziente con fattori di rischio
per TVP ed EP (immobilizzazione,
intervento chirurgico, frattura, allettamento
prolungato).
- Due volte al giorno come trattamento per TVP o EP presenti.

La dose va ridotta in caso di insufficienza renale, basandosi anche sul filtrato glomerulare. .

Il Fondaparinux rappresenta un’alternativa sia per i soggetti con HIIT, sia per i pazienti cirrotici con
trombosi portale, che tendenzialmente sintetizzano pochi fattori della coagulazione, fattore V-VII,
Leiden, quindi è predisposto a farsi una trombosi; mi trovo a trattare un paziente con 60.000 piastrine
e non possiamo rischiare una trombocitopenia.

Nello schema classico di anticoagulazione si inizia l’eparina e contemporaneamente il warfarin, per


raggiungere un INR terapeutico di 2-3 dopo circa 3 giorni. (Nei pazienti con valvole cardiache
meccaniche l’INR terapeutico è 2-3.5). una volta raggiunto l’INR terapeutico si interrompe l’eparina.
Gli schemi terapeutici prevedono terapia duale (eparina a basso peso molecolare + warfarin) oppure
un anticoagulante orale diretto in monoterapia, senza necessità di pretrattamento con eparina.

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI

Il Dabigatran ha come target la trombina, mentre Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban hanno come
target il fattore Xa.
Sono estremamente pratici, in quanto somministrati per os, 1/ 2 volte al giorno e, a differenza del
warfarin, hanno un’emivita da 6 a 15 ore, quindi nell’arco di un giorno si possono interrompere.
Un altro dettaglio importante è l’escrezione renale, alcuni ne hanno una più rilevante, altri più
contenuta: in un paziente con IRC al 3 stadio, in cui l’eparina va ridotta e il warfarin non è indicato,
l’Apixaban si può usare tranquillamente, mentre gli altri vanno valutati caso per caso; nel paziente
dializzato (IRC stadio 4-5) non sono indicati.
Un’altra caratteristica da considerare è la presenza di un antidoto:
- Warfarin: possiamo utilizzare la vitamina K se il poaziente ha INR elevato ma non
sanguinamento in atto; utilizziamo plasma fresco concentrato se ha INR elevato e
sanguinamento in atto;
- Dabigatran: è disponibile un anticorpo monoclonale, l’Idarucizumab; il Dabigatran viene
somministrato in forma di profarmaco, che si attiva nel tratto gastroenterico e talvolta provoca
nausea, proprio per questa ragione in passato non era molto utilizzato, finché non si è
scoperta appunto l’esistenza dell’antidoto;
- Per gli altri anticoagulanti orali non è disponibile un antidoto, tuttavia si può somministrare
plasma fresco concentrato, contenente fattore X e fattore II, o addirittura un concentrato di
fattore X.

TERAPIA AMBULATORIALE

Va presa in considerazione quando i pazienti hanno le seguenti caratteristiche:


- Emodinamicamente stabile
- Basso rischio di sanguinamento: valutato tramite score; privo di precedenti episodi di
sanguinamento; non cirrotico; non piastrinopenico; sottoposto a gastroscopia di controllo
dopo 1 mese dall’episodio di ulcera gastrica sanguinante
- Assenza di IRC
- Condizioni ambientali e assistenziali appropriate per la somministrazione e la sorveglianza
della terapia anticoagulante (supporto del caregiver, accesso telefonico, comprensione e
capacità di tornare in ospedale in caso di deterioramento)

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

Non è appropriata:
- TVP massiva: coinvolgimento iliaco-femorale
- Embolia polmonare sintomatica concomitante
- Alto rischio di sanguinamento durante la terapia anticoagulante
- Comorbidità o altri fattori che richiedono cure ospedaliere

ANTICOAGULAZIONE A LUNGO TERMINE

- Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban (inibitori diretti del fattore Xa)


- Antagonisti della vitamina K (warfarin)
- Dabigatran (inibitore della trombina)
- (eparina LMW e Fondaparinux)

Posso utilizzarli tutti, devo solo decidere la durata della terapia sulla base dei fattori di rischio del
paziente. In alcuni pazienti l’agente utilizzato è lo stesso che è stato scelto per l’anticoagulazione
iniziale, in altri appartiene a una classe diversa.
Se il paziente deve sottoporsi a un intervento, soprattutto se ortopedico, nel perioperatorio si effettua
un protocollo di “bridging”, cioè per 2-3 giorni post-intervento si utilizza la terapia eparinica a dose
piena, in quanto essa è più facilmente gestibile grazie alle due dosi giornaliere. Una volta conclusa
l’eparina si può passare al warfarin, oppure a un nuovo anticoagulante orale.
Durante i periodi di transizione deve essere assicurata la completa anticoagulazione e le interruzioni
devono essere ridotte al minimo durante i primi tre mesi di anticoagulazione a lungo termine (periodo
a rischio più elevato di trombosi ricorrente).
Una decisione sulla durata ottimale dell’anticoagulazione deve tenere in considerazione la presenza
o l’assenza di eventi scatenanti, i fattori di rischio per recidiva o sanguinamento.
Per la maggior parte dei pazienti con un primo episodio di TVP (a eziologia nota o sconosciuta), gli
anticoagulanti devono essere somministrati per tre mesi piuttosto che per periodi più brevi.
[integrazione da slide]

CONTROINDICAZIONI ALLA TERAPIA ANTICOAGULANTE

Le controindicazioni assolute sono:


- Emorragia in atto
- Grave diatesi emorragica
- Intervento chirurgico/ procedura recente, pianificato o di emergenza, ad alto rischio di
sanguinamento
- Trauma grave
- Emorragia intracranica acuta

Le controindicazioni relative sono:


- Emorragia ricorrente da teleangectasie gastrointestinali, alla gastroscopia si osserva
iperemia diffusa del corpo gastrico
- Tumori cerebrali
- Aneurisma dell’aorta addominale con ipertensione mal controllata (bisogna risolvere
l’ipertensione)
- Dissezione aortica stabile
- Intervento chirurgico/procedura recente, pianificato o di emergenza, a basso rischio di
sanguinamento

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


2.2, Terapia medica e nutrizione (Zanetti) 26.10.22

- La trombocitopenia, se la conta piastrinica è >50.000/microlitro, non è una controindicazione


agli anticoagulanti

GRAVIDANZA

La gravidanza è un fattore di rischio per lo sviluppo di TVP, sia perché aumentano gli estrogeni, sia
per un ridotto deflusso venoso agli arti inferiori.
L’eparina EBPM sottocute è l’agente preferito per l’anticoagulazione iniziale e a lungo termine nelle
donne in gravidanza con TVP acuta.
Questo agente è preferito perché ha un profilo di sicurezza più favorevole, soprattutto se confrontato
con warfarin. Il warfarin, infatti, attravrsa la placenta e può provocare embriopatia se somministrato
tra la sesta e la nona settimana di gravidanza.
Le forme endovenose e sottocutanee di eparina non frazionata UFH sono alternative all’eparina
LMW. [integrazione da slide].

Fiorenza Boscarol Martina Conzutti


3.1 Terapia medica 9/11/2022

Ripresa del discorso sui nuovi anticoagulanti orali (NAO)


Sono 4 molecole che differiscono per peso molecolare. Apixaban, Edoxaban e Rivaroxaban
agiscono sull’attivazione del fattore X, Dabigatran invece agisce sulla conversione del fattore II (da
protrombina a trombina).
Modalità di escrezione
Ci poniamo un problema: come utilizziamo questi farmaci in pazienti che hanno insufficienza epatica
o insufficienza renale?
L’insufficienza epatica in questo caso non è un grosso problema: il paziente che ne è affetto
solitamente è piasrtinopenico e ha un allungamento dell’INR, quindi le indicazioni alla terapia
anticoagulante sono molto limitate, restringendosi solo alla trombosi della vena cava. Anche in
quest’unico caso, si preferirà comunque utilizzare l’eparina ad altri tipi di anticoagulanti che hanno
un emivita più lunga e sono più difficili da sospendere nel caso di emorragia.
In questa slide sono mostrate le vie di
escrezione prevalenti di ogni NAO:

• Dabigatran à 80% renale e 20%


citocromi (epatica);
• Rivaroxabanà 40% renale e 65%
epatica;
• Apixaban à 27% renale e 73%
epatica (ha il maggior
metabolismo epatico);
• Edoxaban à 50% renale e 50%
epatica.
Da tenere conto quando si prescrive uno di questi farmaci è anche l’emivita che varia dalle 5-9h del
Rivaroxaban nelle persone giovani a un massimo di 17h per il Dabigatran. Sono molto maneggevoli
come farmaci: oltre ad essere utili perché il loro effetto incomincia da subito, sono anche
relativamente semplici da sospendere, rappresentando una buona via di mezzo tra eparina e
Warfarin.
Principali indicazioni terapeutiche

• prevenzione di ictus e embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale


La terapia anticoagulante è infatti uno dei tre pilastri del controllo della FA che vedremo tra
poco:
1) rischio tromboembolico
2) gestione del ritmo
3) gestione della frequenza
NB: devo fare attenzione alla
presenza di patologie
valvolari concomitanti alla
FA. In alcune patologie si
possono utilizzare in altre no:
sono controindicati i NAO
quando ho protesi valvolari
meccaniche, quando ho una
stenosi mitralica da moderata
a severa.

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.1 Terapia medica 9/11/2022

Vanno usati con cauzione quando ho effettuato una valvuloplastica aortica transcutanea e non
sono ancora stati raccolti dati sufficienti sulla stenosi aortica severa. In tutte le altre forme si
possono usare i NAO senza problemi.

• trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare e prevenzione di


loro recidive
• prevenzione primaria di episodi tromboembolici in pazienti adulti sottoposti a chirurgia
sostitutiva elettiva totale dell’anca o del ginocchio (= interventi ortopedici elettivi maggiori)
Dosaggi

Tengo in considerazione una riduzione del dosaggio:

• in quei pazienti che hanno un rischio di sanguinamento aumentato


• nei pazienti che hanno insufficienza renale avanzata1
• nelle persone molto anziane (anche per rischio caduta)
• nelle persone che pesano meno di 60 kg
• se sono in corso trattamenti concomitanti che possono avere delle interazioni con gli
anticoagulanti.
Interazioni dei NAO

Ci sono delle forti interazioni tra il Dabigatran e il Dronedarone, farmaco antiaritmico della stessa
classe dell’Amiodarone. Il Dabigatran potenzia la sua attività del 70-100%.
Sempre il Dabigatran interagisce con il Verapamil, un calcio-antagonista facile da trovare assieme
all’anticoagulante nella terapia della fibrillazione atriale, utilizzato per ridurre la frequenza e le
tachiaritmie sopraventricolari. Potrei trovarmi ad utilizzarlo per rallentare in un primo momento
l’aritmia, per scoprire che tipo di ritmo ha il pz normalmente. Il giorno dopo, se il pz è in cura con
Dabigatran, ha un sanguinamento spontaneo perché si potenzia il suo effetto. Questo avviene anche
con il Diltiazem e l’Apixaban.

1
per la valutazione della funzione renale si considera la VFG (non il valore secco della creatinina)

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.1 Terapia medica 9/11/2022

La Claritromicina è un altro farmaco problematico: infatti, in geriatria qui a Trieste non è mai
prescritta perché (1) allunga il QT e (2) perché nei pz che fanno anticoagulanti allunga l’INR. Al suo
posto noi usiamo la Levofloxacina.
Anche alcuni antifunginei hanno questo tipo di potenziamento nei confronti dei NAO, come ad
esempio il Fluconazolo.
Per iniziare un anticoagulante, i NAO sono sempre da preferire. Prima di cominciare controllo
sempre funzione renale, epatica ed emocromo.
Follow up
Durante il follow up considero l’aderenza del paziente alla terapia, parametro difficile da valutare
perché ci si basa su quello che il paziente ci riporta. Se si è il medico di base, si possono contare le
scatole di medicinale prescritte nell’arco di tempo che intercorre tra le due visite.
Si valuta la presenza di eventi tromboembolici o emorragici spontanei, con manifestazione tipica
sanguinamento gengivale o sangue nelle urine.
Valutiamo anche gli effetti avversi: ad esempio il Dabigatran, essendo pro farmaco, può provocare
sensazione di nausea/vomito. Si controllano eventuali farmaci concomitanti aggiunti e si fanno
ripeter gli esami di laboratorio al paziente una volta all’anno.
Inoltre, si deve effettuare una rivalutazione del rischio trombotico ad ogni visita: ad esempio, un
paziente che si opera all’anca dopo un po’ può smettere l’anticoagulante à rivaluto e aggiusto la
terapia.
Dato che la compliance dei pazienti è spesso un problema, sono stati studiati diversi metodi per
aumentare l’aderenza alla terapia con NAO: esempi sono il monitoraggio elettronico dell’assunzione
del farmaco (sebbene un po’ lontana come idea dato che i grandi anziani non usano il pc), si può
incentivare il caregiver a controllare il paziente che sappiamo essere poco compliante oppure si
potrebbero creare dei database nelle farmacie per monitorare l’acquisto del farmaco.
Switch da Vka a Noac
Come faccio a decidere quando sospendere il Warfarin e incominciare il NAO se quest’ultimo ha
72h di emivita e gli anticoagulanti orali hanno emivita dalle 5 alle 17h? Vado a valutare l’INR:

• se il paziente ha INR > 3 postpongo lo switch, la terapia con Warfarin funziona male/il pz non
è compliante e non è il caso di passare al NAO in quel momento;
• se l’INR è < 2 posso iniziare immediatamente il NAO;
• se è tra 2 - 2,5 inizio il NAO immediatamente o il giorno dopo;
• se è tra 2,5 - 3 rivaluto l’INR a distanza di 1-3gg.
Provvedimenti in caso di emorragie da NAO à per il Dabigatran abbiamo l’antidoto, costituito da
un anticorpo monoclonale che si chiama Idarucizumab (nome commerciale Praxbind): agisce
rapidamente ed è molto utile in PS, nel caso in cui arrivino ad esempio persone che fanno uso di
Dabigatran che hanno avuto un incidente d’auto.
È stato studiato anche un nuovo farmaco, in arrivo prossimamente in commercio, che si chiama
Andexanet alfa e va ad agire limitando le emorragie da inibitori del fattore Xa ( funziona per
apixaban, rivaroxaban ed edoxaban).

FIBRILLAZIONE ATRIALE – cenni per la terapia anticoagulante


La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune negli adulti. La sua incidenza sale con l’aumentare
dell’età. Il principale esito della FA da temere è l’ictus, assieme allo scompenso cardiaco e alla morte
improvvisa se si associa a parossismi di elevata frequenza.
La FA può essere parossistica – ossia caratterizzata da episodi di FA breve e variabile e con
risolizione spontanea, oppure persistente/permantente.

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.1 Terapia medica 9/11/2022

Nel caso della fibrillazione parossistica, il nostro obiettivo terapeutico sarebbe quello di prevenire il
rischio tromboembolico. Questi pazienti saranno quindi in terapia anticoagulante ma non in terapia
antiaritmica, in quanto non ancora necessaria.
Diagnosi di FA
La diagnosi della FA di solito incomincia dalle caratteristiche del polso: si troverà un polso aritmico
con variabilità dell’ampiezza. Si passerà poi all’ECG di conferma che dimostrerà una perdita
dell’onda P, con intervalli RR diversi l’uno dall’altro.
Quando troviamo un paziente con FA parossistica, la prima cosa che ci verrebbe in mente di fare è
chiamare la medicina d’urgenza per fare la cardioversione e riportare il paziente a ritmo sinusale.
In realtà, sarebbe più giusto aspettare, perché il 50% delle FA parossistiche rientrano
spontaneamente nelle 48h. Inoltre, dobbiamo prestare attenzione a ricordarci che alcune FA hanno
delle cause organiche, le principali sono:

• l’ipertiroidismo à controllo il TSH


• l’ipokaliemia à la soluzione è infondere potassio
• l’ipomagnesemia à anche il magnesio, essendo correlato al potassio nei suoi movimenti
come ione, può scatenare FA se carente. Se non funziona la correzione del potassio, provo
con quella del Mg. Dopo averlo corretto, va trovata la causa della carenza di Mg.
Questa è spesso da ricercare nei farmaci assunti dal paziente, primi tra tutti i diuretici
tiazidici. Un caso tipico che si ritrova spesso è quello del paziente scompensato che prende
diuretici in dosi massicce ma ha anche un po’ di IR acuta su base pre renale: il rene, per via
dei diuretici, si sblocca e comincia ad urinare, ma perde K e Mg che non vengono reintegrati
à FA parossistica.
Possiamo avere dei pz con FA che hanno una normale risposta ventricolare (50-100bpm): in
questo caso, come detto prima, troverò l’anticoagulante ma non l’antiaritmico.
Ci sono poi dei pazienti con un’elevata risposta ventricolare (>100 bpm): sono sintomatici,
inizialmente presentano cardiopalmo, a lungo andare possono riportare scompenso cardiaco da
elevata frequenza e riempimento inefficace.
L’ultima categoria è quella della risposta ventricolare non efficace (< 50 bpm), in questo caso,
soprattutto se la bassa risposta si instaura improvvisamente, abbiamo sintomi di tipo neurologico
tipo sincope, perdita di coscienza, ipotensione ortostatica.
I cardini per la terapia della FA sono riduzione del rischio tromboembolico e gestione di ritmo e
frequenza.
Uso per valutare il rischio tromboembolico lo score CHA2-DS2-Vasc. Tratto quando il punteggio è
maggiore di 2. Il rischio di ictus sale al salire del punteggio.

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.1 Terapia medica 9/11/2022

Cosa faccio quando il punteggio è paria a 1? Nella


donna il punteggio parte sempre da 1, per definizione.
Ma una donna che ha 1 è come un maschio che ha 0,
quindi per essere valutata come da trattare o meno ha
bisogno di arrivare almeno al punteggio di 2.
Il maschio che ha 1 invece è un caso un po’ ambiguo:
va valutato in base alle sue condizioni, vedo quali sono
i suoi fattori di rischio tramite una buona anamnesi e
decido se incominciare il trattamento o meno.
Un altro fattore da tenere in considerazione è il rischio
emorragico, soprattutto nelle persone anziane e in chi
ha un rischio di caduta elevato. Per valutarlo si usa il
punteggio HAS-BLED: troviamo i vari items valutati da
quest’ultimo nella slide in basso a destra.
Il fatto che un paziente abbia uno score alto (> o = a 3),
ma abbia anche un’indicazione assoluta al trattamento
anticoagulante, spinge verso la scelta di prescrivere un
NAO rispetto al Warfarin, che sono ugualmente
protettivi nei confronti degli eventi tromboembolici, ma
sono sicuramente meglio da gestire quando c’è un
sanguinamento.
I sanguinamenti che possiamo riscontrare sono soprattutto l’ictus emorragico oppure sanguinamenti
dal tratto gastrointestinale (es. varici esofagee, ulcere gastriche..).

Ovviamente dobbiamo ricordare che, sebbene i dati delle


sperimentazioni garantiscono un basso rischio di
sanguinamento con l’assunzione dei NAO, nel mondo reale
la situazione è meno controllata rispetto alle sperimentazioni.
Ci troviamo con pazienti di varia natuara, non per forza
sempre complianti e con patologie multiple (ergo che
svolgono una politerapia) sicuramente più difficili da gestire
rispetto a quelli dei trial clinici.

Riportiamo infine la tabella con i principali nomi


commerciali degli anticoagulanti orali, per saperci
orientare dal momento in cui li troviamo in terapia ad un
paziente.

Domanda studente:
Se un signore anziano cade ed è in terapia anticoagulante cosa si fa? (Anticipazione caso clinico)
Mettiamo caso che arrivi in PS un signore che è caduto, e sta facendo Pradaxa (Dabigatran). La
prima cosa da fare è una TAC encefalo senza MDC urgente. Ricordiamoci che questo è un esame
fondamentale, in quanto ci permette di salvare molte vite in PS. Ci dice se c’è o meno un’emorragia
cerebrale. Se l’emorragia non c’è ma il pz presenta sintomi neurologici, può esserci il dubbio che

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.1 Terapia medica 9/11/2022

questi siano dati da un embolo generato dal fatto che il pz non si è attenuto alla terapia. In questo
caso si fa il controllo dopo 24h, che dimostrerà la presenza o meno di un evento ischemico.

CASO CLINICO
Signora Maria, 69 anni, arriva al pronto soccorso con l’ambulanza in stato confusionale. Chi la trova
per strada ci riferisce che la signora all’arrivo del 118 era vigile e orientata, rallentata sia nella
deambulazione che nell’eloquio, con un deficit di forza dal lato sinistro (ci fa pensare che abbia un
evento ischemico focale). È in terapia anticoagulante orale per due recenti ictus dovuti ad una FA di
base. Non si sa quando sono insorti questi sintomi, ma il nipote dice che in precedenza non aveva
problemi cognitivi.
Alla visita del PS ha un polso aritmico con frequenza 88 bpm, normofrequente, quando arriva il deficit
all’emisoma di sinistra non c’è più.
Quello che viene riportato come stato confusionale dagli operatori dell’ambulanza è in realtà quello
che noi dovremmo definire come delirium à sindrome neuropsichiatrica severa caratterizzata da
un deficit dell’attenzione e disfunzione cognitiva globale. È un sintomo rilevante: quando il paziente
ha un episodio di delirium, significa che il cervello non è integro. Il numero di episodi di delirium che
si verificano, anche se poi rientrano, sono strettamente correlati all’insorgenza di demenza. I fattori
che possono indurre il delirium sono infezioni, disidratazione, ictus, dolore, disturbi metaboloci.
Il delirium della signora era ipercinetico, caso un po’ più semplice da riconoscere rispetto agli episodi
ipocinetici, in cui invece il paziente non risponde ed è sonnolenta.
Il valore dell’INR è 1,19, valore troppo basso per una paziente in terapia anticoagulante.
Nella TC encefalo effettuata in urgenza si vede molto bene una zona grande ipodensa, che ci fa
pensare ad un evento ischemico. Ci sono anche altre piccole zone ipodense al talamo destro e
all’emisfero cerebellare di destra che però vengono categorizzate come vecchie lesioni.
In PS viene chiamato il neurologo, che dopo l’esame obiettivo effettuato afferma che si tratta di un
episodio di stato confusionale in una paziente con segni di ischemia cerebrale in fase subacuta.
Consiglia di ripetere la TC capo a 24h e di rivalutarla per vedere se è possibile introdurre un NAO.
Il secondo giorno alla TC l’area ischemica è più evidente. Non ci sono nuove lesioni. La paziente
però diventa sonnolenta e scarsamente collaborante, lo stato confusionale non c’è più (nonostante
abbia virato verso uno stato più letargico).
Il neurologo decide di sospendere il Coumadine per 7gg, e di fare terapia con ASA a 300mg e
adeguata copertura gastrica. Decide anche di riprendere il Coumadine una volta passati i 7gg dopo
aver effettuato una nuova TC encefalo.

… il caso clinico continua nella sbobina 3.2 …

Lorenza Nadaia Rachele Tulissi


3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

CASO CLINICO
La terapia con ASA qui indicata come terapia consigliata ad un dosaggio di 300 mg/die, ha però
delle controindicazioni. Innanzitutto ha un effetto antitrombotico molto meno efficace rispetto al
Warfarin e, l’ASA, ha molti effetti collaterali, anche gravi come i sanguinamenti gastro-enterici.

Domanda della Prof.ssa: “Ma allora perché la terapia consigliata è ASA 300 mg/die, voi siete
d’accordo? E perché non ha reintrodotto un Warfarin? O visto che aveva un INR di 1,17 non ha
inserito un NAO?”
Risposta: perché se si inizia una terapia anticoagulante su una lesione entro 48h dall’insorgenza c’è
il rischio che la lesione da ischemica diventi emorragica. Quindi per i prossimi 7 giorni la paziente si
accontenterà di una copertura minore.

Domanda di uno studente: “E a proposito dell’edema cerebrale?”


Risposta Prof.ssa: “ma la paziente non aveva edema cerebrale. In un paziente con edema cerebrale
è necessaria una decompressione della scatola cranica e va valutata (soprattutto dal neurologo) lo
spostamento della linea mediana.
Questa oltre a caratterizzare l’edema guida anche la terapia.
Di solito la terapia è con il mannitolo 100ml 4/6 volte al giorno, necessita di monitoraggio perché
è un diuretico osmotico che può dare poliuria e rischia di dare disidratazione con IRA.
Al mannitolo, di solito, si aggiunge anche uno steroide che però deve essere in grado di oltrepassare
la barriera ematoencefalica come il desametasone (usato anche nella terapia contro il covid) che
può essere usato anche in metastasi ed ischemie che danno edema.”

L’ASA è quindi usato come anti-aggregante, viene spesso prescritto anche in terapia cronica
dell’ictus ischemico embolico da carotidopatia, non da fibrillazione atriale.
Un’altra cosa da notare è il dosaggio da 300mg, infatti questa è una dose da carico perché la
cardioaspirin è da 100mg ma necessità comunque di una inziale dose da carico per essere efficace.

FATTORI DI RISCHIO DELL’ICTUS ISCHEMICO


Come fattori di rischio nell’ictus ischemico si possono annoverare:
 l’ipertensione arteriosa,
 il fumo,
 l’ipercolesterolemia,
 il diabete,
 l’alimentazione,
 l’inattività fisica,
 l’obesità,
 l’eccesso di alcool,
 la fibrillazione atriale.

I due più importanti sono l’ipertensione arteriosa, che causa danni alle pareti dei vasi cerebrale
eventualmente esitanti in ictus, e la fibrillazione atriale, che aumenta il rischio di 5 volte.

La paziente del caso clinico precedente in realtà avrebbe potuto avere un TIA (Transient ischemic
attack), perché quel deficit che aveva focale si era poi risolto spontaneamente.
Infatti in un TIA i sintomi hanno una durata minore (inferiore a 24h anche se la maggior parte dei
pazienti hanno sintomi da 5 a 30 minuti) con una TC cerebrale negativa sia all’insorgenza dei sintomi
sia dopo 48h.
Resta il fatto che è una situazione da tenere sotto controllo, infatti si stima che circa un terzo delle
persone che presentano un TIA in futuro andranno incontro ad ictus vero e proprio.

Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello


e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

IL TRATTAMENTO DELL’ICTUS1
Il trattamento gold-standard è la riperfusione mediante trombolisi ev. e/o trobectomia
meccanica, nel minor tempo possibile dal sospetto diagnostico, verificata l’assenza di
controindicazioni mediche o diagnosi alternative, mediante neuroimaging cerebrale (TC cerebrale,
TC multimodale o RMN encefalo).
Esiste anche una terza possibilità con “anticoagulante” [il suono scatta e non si sente io suppongo
sia questo] orale.
L’ictus deve essere considerato un’emergenza medica tempo dipendente, prima si interviene e
minori saranno gli esiti della malattia.

IMAGING
Una TC encefalo senza mdc deve essere fatta a 24-48 ore dall’esordio dei sintomi, è indicata in
tutti gli IS e ICH (emorragia intracerebrale).
Successive Tc encefalo di controllo sono indicate se:
 cambia lo stato del paziente
 sopraggiungono nodi decisionali (ad esempio nodi terapeutici: inizio/reintroduzione di DOAC
dopo IS cardioembolico o ICH in paziente fibrillante)
L’ecodoppler dei TSA è sempre indicato entro 72 ore dall’esordio nella diagnostica dell’ictus
ischemico qualora non già disponibile un’angioTC dei vasi epiaortici.
Tale esame deve prevedere almeno:
 la valutazione della presenza/assenza di placche lungo tutto il tratto esplorabile di carotidi e
vertebrali
 la definizione delle caratteristiche delle placche stesse (con particolare riferimento a segni di
ulcerazione o instabilità di placca)
 la quantificazione del grado di stenosi, esplicandone sede anatomica e criteri di valutazione
 la definizione della velocità di flusso per quantificare correttamente il grado di stenosi

PREVENZIONE SECONDARIA ICTUS ISCHEMICO


Nella prevenzione secondaria dell’ictus ischemico in un paziente senza cardioembolismo, a maggior
rischio di sanguinamento cerebrale, è indicata la terapia con un uso cronico ASA 100mg 1/die per
7-8 giorni dopo un periodo inziale con dose da carico di 300mg/die.

Esistono però alcune situazioni in cui si possono ritrovare due antiaggreganti:


 nel paziente con TIA/minor stroke a basso rischio di sanguinamento è indicata la
terapia doppia con ASA-clopidogrel da valutare in prima giornata con dose da carico,
seguita poi da dosaggio standard per 21 giorni.
In pazienti che però presentano una patologia cardiaca o una patologia aterotrombotica
severa si può proseguire fino a 90 giorni dall’evento ischemico.
 Se però il paziente che è già in terapia con aspirina manifesta un secondo evento
ischemico cerebrale è indicato lo shifting verso un altro antiaggregante (clopidrogrel).
Non è indicato passare ad anticoagulante e non è indicata la triplice anti aggregazione
piastrinica.
Domanda non udibile
Risposta prof: “Certo. Ovviamente bisogna indirizzare tutti i fattori di rischio quando un paziente ha
un ictus senza fibrillazione atriale. Il paziente tipico che si vede in reparto è una donna sulla
settantina patrona della famiglia, in sovrappeso, con l’ipertensione e diabete, che improvvisamente
ha un evento ischemico.

1Domanda frequente del Prof. Biolo


Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

In questi pazienti è quindi necessario controllare i fattori di rischio con una corretta terapia
dell’ipertensione evitando valori pressori troppo alti, una efficace stabilizzazione della placca
andando anche a valutare la criticità della stenosi del vaso.
Quindi tenendo in considerazione questi due fattori (grado di stenosi e stabilizzazione della placca)
bisogna valutare la migliore terapia anche con un chirurgo vascolare.

Ma oltre ad una terapia antiipertensiva con sartano e all’occorrenza un calcio antagonista
si usa anche una statina che oltre ad abbassare i livello di colesterolo stabilizza anche la
placca.

o TARGET COLESTEROLO/ LDL: 55mg/dL


o TARGET DI EMOGLOBINA GLICATA: in una persona giovane <6,5%, in una persona
anziana che ha già avuto un evento ischemico cerebrale e rischia ipoglicemia deve rimanere
sotto i 7%.

Nella prevenzione secondaria dell’ictus ischemico in un paziente con stroke è raccomandato il


controllo dei valori pressori per raggiungere un target di 140/90 mmHg, nel paziente con diabete
mellito il target da raggiungere è di 130/80 mmHg (target consigliato anche nel paziente con
epatopatia).

Nel paziente con TIA/ictus per il controllo dei valori pressori i farmaci da preferire sono nell’ordine gli
ACE-inibitore, calcioantagonisti e diuretici.

Nel paziente con TIA/Ictus è raccomandato il controllo lipidico ponendo attenzione ai valori di LDL
con l'obiettivo di ridurre i valori di LDL > 50% rispetto ai valori al baseline o di mantenere LDL <70
mg/dL.
Inoltre è raccomandato l'utilizzo di statine per il migliore controllo lipidico: i maggiori benefici sono
stati riscontrati con l'impiego di Atorvastatina 80mg/die, gli inibitori di PCSK9 possono rappresentare
un'alternativa terapeutica alla statina in associazione con Ezetimibe nel controllare i livelli di LDL.

In questo gruppo di pazienti è importante il controllo dei valori glicemici mantenendo come
obiettivo di compenso glicemico l'emoglobina glicata ≤7-8% (sia per DM tipo I che per DM tipo II), il
controllo glicemico va ottimizzato per singolo paziente: nei soggetti anziani con pluricomorbidità e
con storia di DM> 10 anni è ragionevole ottenere un compenso glicemico con emoglobina glicata
≤8%, nel paziente più giovane con storia più recente di DM i valori attesi sono ≤7%, un controllo
glicemico più stretto (valori di emoglobina glicata ≤6,5%) può essere preso in considerazione per il
paziente con recente storia di malattia (DM), assenza di patologia cardiovascolare e lunga
aspettativa di vita.

…Riprendendo il caso clinico, la paziente fa l’ECO TSA e viene registrata una placca a sinistra
semicircolare all’origine della carotide interna che determina una stenosi del 35% senza altre
alterazioni di rilievo.
Tra l’altro è una signora con disfunzione ventricolare sinistra con una frazione di eiezione del 35%
(molto probabilmente la FA è legata anche a questo).

Veniamo a conoscenza inoltre di una insufficienza mitralica moderata e in territorio vertebro-basilare,


un pregresso TIA. La paziente poi soffre di demenza senile con afasia da ischemia cerebrale a
focolaio.
La presenza di una placca alla carotide interna di sinistra, che però non è emodinamicamente
rilevante, potrebbe portare all’indicazione di un anticoagulante in aggiunta ad antiaggregante.
È da valutare anche però i rischi di fare questo tipo di terapia con un paziente anziano, mentre nel
giovane è più usuale e sicuro.
Procedendo al ricovero viene integrata alla anamnesi il fatto che la paziente è vedova, che vive da
sola in un appartamento al piano terra, ha una figlia e un nipote molto presenti, che cammina senza

Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello


e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

ausili. Inoltre è una pregressa fumatrice, ha la 5° elementare e ha fatto numerosi accessi al PS per
cadute accidentali.

Tutte queste informazioni sono utili soprattutto nel momento in cui inseriamo una terapia per capire
come il paziente vive e come gestisce la sua vita quotidiana.
 SCALA 4AT (per il delirium ed esplora la vigilanza, lo stato di conoscenza, l’attenzione,
variazioni acute nello stato di coscienza o decorso fluttuante): 3 (possibile deficit cognitivo)
 MMSE (mini mental state examination): 14,4 corretto per età e scolarità. Indicativo di deficit
cognitivo moderato
 TEST DELL’OROLOGIO (il paziente disegna l’orologio e indica successivamente l’ora): 1/5
 HACHINSKI ISCHEMIC SCORE: 12 indicativo di demenza vascolare
Una volta ricoverata la paziente continua con i suoi episodi di delirium con confusione notturna,
allucinazioni e episodi di agitazione e per questo viene prescritto l’anti-psicotico aloperidolo.
A 7 giorni la TC è sovrapponibile alla precedente, la nota lesione ipodensa cortico-sottocorticale a
livello dell'area motoria di dx da riferire a lesione ischemica è in fase subacuta e circoscritta.

DIMISSIONI
Alla dimissione la diagnosi è FA non valvolare in terapia con anticoagulante con antagonisti della
vitamina K non in grado di mantenere l’INR nel range terapeutico è indicata quindi la terapia
anticoagulante orali diretti.
Gli esami ematochimici sono nella norma.
Vengono fatti la CHA2DS2-VASc Score che da 6 punti (9,7% rischio di ictus/anno) e la HAS-Bled
Score che da 3 punti (alto rischio di sanguinamento maggiore).
Per le comorbilità viene fatta la scala CIRS in cui in medicina interna si usa soprattutto il Charlos
Comorbidity Index nella quale si tengono conto numericamente delle malattie che affliggono la
paziente; invece in geriatria si usa scala che indica sia il numero delle patologie, ma in cui viene
anche richiesto la gravità della malattia.
Nella nostra paziente lo scompenso cardiaco è una importante comorbilità.
Per quanto riguarda le attività di vita quotidiana presenta un valore di 2 su 6, ma è una paziente
comunque fragile presentando una CFS (Clinical Frailty Scale ) di 6 su 9.

Viene infine dimessa con:


• Dabigatran | 10 mg I cp ore 8 e ore 20
• Atorvastatina 40 mg I cp ore 20
• Aloperidolo 2mg/ml 10 gtt ore 20
Quindi ci si concentra su di una terapia anticoagulante, una terapia ipolipemizzante e si prescrive
anche un anti-psicotico. L’ipertensione non necessità di terapia al momento delle dimissioni.

Quindi concludendo:
 il delirium è una sindrome neuropsichiatrica severa e può essere sintomo di gravi
condizioni patologiche sottostanti (in questo caso ictus). Usiamo il termine “delirium”, come
da classificazione internazionale.
 L’ictus è un’emergenza medica tempo-dipendente, ma, con le nuove metodiche di
radiodiagnostica neurologica, il trattamento con trombolisi o trombectomia non è più
subordinato solo al tempo, ma anche al volume di tessuto nervoso potenzialmente
recuperabile.
Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

 L’età di per sé non è controindicazione a trombolisi o trombectomia; per i pazienti con


multimorbidità, disabilità e fragilità pre-ictus vi sono pochi studi, ma il trattamento non è
controindicato.
 Una storia di cadute di per sé non è controindicazione a trattamento con anticoagulanti
(NOAC), ma devono essere prese precauzioni e valutare i fattori di rischio sanguinamento.
 La prevenzione dell’ictus con NOAC è indicata nei pazienti con demenza; è controindicata
nei pazienti severamente fragili e terminali (le linee guida non sono chiarissime a riguardo).
 HAS-BLED elevato non è una controindicazione all’uso dei NOAC, ma è uno strumento che
aiuta nella gestione del follow-up del paziente con fibrillazione atriale.

TERAPIA ANTIARITMICA2
La professoressa dice che essendo andato in pensione il prof Cattin possiamo by-passare tutta la
parte della farmacologia e concentrarci su quello che ci interessa.

Riporto la classificazione di Vaughan Williams studiata al terzo anno per il corso di farmacologia.
Prima classe: è la classe più vecchia di farmaci antiaritmici ed interagiscono con canali al sodio
voltaggio dipendenti andando a bloccarli. Le cellule che scaricano con maggiore frequenza,
responsabili dell'aritmia, sono quelle che si aprono di più permettendo un maggiore ingresso del
farmaco. In poche parole il farmaco andrà ad agire quasi esclusivamente a questo livello.
I principali farmaci che troviamo sono:
 Chinidina
 Lidocaina
 Propafenone, flecainide

Seconda classe: è la classe dei beta bloccanti. Si legano quindi al recettore beta delle cellule
cardiache impendendo il legame delle catecolamine e quindi l'apertura dei canali al sodio e al
potassio delle cellule pacemaker.
Principale farmaco:
 Propanololo

Terza classe: è la classe dei farmaci antagonisti dei canali del potassio. Essi interagiscono con i
canali al potassio, responsabili della ripolarizzazione; in pratica sono farmaci che prolungano il
potenziale d'azione. Possiedono anche deboli azioni beta bloccanti e bloccano anche i canali al
calcio. Provocano inoltre una vasodilatazione periferica se dati per via endovena.
Principali farmaci:
 Amiodarone
 Sotalolo

Quarta classe: è la classe dei farmaci calcio antagonisti. Hanno un'azione di rallentamento della
conduzione dal nodo seno atriale al nodo atrioventricolare.
Principali farmaci:
 Diltiazem
 Verapamil

2 In questo argomento ci saranno molte integrazioni da sbobine 2021 + slide (tutto ciò che è in
corsivo) perché a nostro parere la lezione è molto povera di informazioni potenzialmente utili o con
riferimenti durante la lezione al “questo ve lo guardate dalle slide”.
Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

La slide rappresenta un algoritmo molto utile relativa ad una tachiaritmia documentata:

Si definisce tachiaritmia un’aritmia che manifesta una frequenza superiore a 100 bpm. Di
fondamentale importanza è riconoscere l’origine, che può essere di due tipo: sopraventicolare o
ventricolare.
L’importanza di questa distinzione la si deve al tipo di trattamento e prognosi, che risultano
completamente diversi.

Quindi con una tachiaritmia con battito superiore ai 100 bpm la prima cosa che si va a valutare è il
complesso QRS, ovvero la sua larghezza.
 QRS è inferiore a 120 msec, circa 3 quadratini, (stretto) più probabilmente si tratterà di una
aritmia sopraventricolare.
Riflette un’alterazione de ritmo a genesi sopraventricolare. In questo capitolo una delle
condizioni in assoluto più frequente è la fibrillazione atriale caratterizzata da: ritmo
irregolare: frequenza sopra i 100 bpm e un QRS sotto i 120 msec.
Si possono avere anche altre condizioni riassunte nella slide con vari acronimi ma
complessivamente meno frequenti.
 QRS è largo (maggiore di 120 msec) la situazione è più preoccupante.
Sicuramente ci possono essere delle condizioni strane che originano a livello atriale, ma più
frequentemente il “QRS largo chiama il ventricolo”.
Riflette un’alterazione del ritmo con genesi ventricolare. In questo capitolo una delle più
importanti è la tachicardia ventricolare con particolare attenzione a quelle sostenute
(ovvero protratte per un periodo superiore a 30 secondi. La tachicardia ventricolare ha
elevato rischio di degenerazione in fibrillazione ventricolare, una condizione che genera
arresto cardiaco).

Con QRS stretto è necessario valutare la regolarità o meno per capire l’eventuale possibilità di
interrompere o rallentare l’aritmia.

A parte le manovre vagali, come ad esempio il riflesso del seno carotideo, il quale non viene più
effettuato in pronto soccorso in quanto è presente il rischio di una embolizzazione da placca
carotidea con successivo evento ischemico cerebrale, oggi si procede alla somministrazione di un
antiaritmico (Adenosina) endovena se regolare.
Con questo farmaco, in caso di aritmia sopraventicolare, si blocca l’evento, oppure, in seguito alla
sua somministrazione, può ricomparire il ritmo sottostante presente.
Nel caso invece in cui si presenti irregolare, il 98% dei casi è associato ad una fibrillazione atriale
con conseguente trattamento differente.

Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello


e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

Riporto dal Rugarli per completezza i principali quadri patologici che possiamo trovare nelle due
categorie sopracitate. Per chi volesse approfondire il discorso invito a consultare Rugarli volume 1
al capitolo 6 delle aritmie dove vengono spiegate nel dettaglio.
Tra le principali tachiaritmie sopraventricolari troviamo:
- Extrasistole;
- Tachicardie sopraventricolari;
- Flutter e fibrillazione atriale
Tra le principali tachiaritmie ventricolari inseriamo:
- Tachicardia ventricolare;
- Flutter ventricolare;
- Fibrillazione ventricolare.

L’altro grande capitolo delle aritmie è quello delle bradiaritmie al momento non approfondito dalla
prof. Per consulto colume 1 capitolo 6 del Rugarli.
Bradiaritmie: consistono in anomalie della formazione o della conduzione dell’impulso sinusale.

FIBRILLAZIONE ATRIALE
È un’aritmia molto frequente nella popolazione con
un andamento che vede un progressivo aumento
della prevalenza con il crescere dell’età: molto bassa
per età inferiori ai 55 anni ma, intorno agli 80 anni,
arriva ad essere maggiore del 10%, specie nel sesso
maschile (in linea di massima una condizione più
frequente nel maschio che nella femmina).
Si tratta di una diagnosi molto frequente, che si può
trovare nei reparti di cardiologia ma non
esclusivamente in quanto la si può individuare anche
nei reparti di medicina interna.

La FA aumenta la mortalità in maniera significativa:


- Circa 2 volte nelle donne
- 1.5 volte nell’uomo
- è inoltre responsabile di un aumento di 5 volte del rischio di ictus (circa il 20-30% degli ictus
sono dovuti ad una FA).
- Nei pazienti con pregressi eventi CAD (coronary artery disease – cardiopatia senza
scompenso) possono presentare FA nel 12.5% dei casi e SCAD (sindrome coronarica acuta)
nel 10%.
- Pazienti con valvulopatie o scompenso cardiaco poiché il cuore aumenta in dimensione
compromettendo anche il tessuto di conduzione che viene sovvertito.
Tutto ciò è importante perché se un paziente ha determinati parametri, soprattutto volume e
dimensioni atriali dilatati all’ecocardio, è da riflettere con attenzione se sia il caso di ripristinare un
ritmo sinusale, essendo molto probabile la recidiva in caso di condizione anatomica sottostante.
- Il 20-30% dei pazienti con FA presenta anche scompenso cardiaco.
- Il rischio di FA aumenta con l’età.

Associazione con altre patologie:


- Ipertensione arteriosa;
- Infarto;
- Scompenso cardiaco;
- Obesità;
- BPCO dovuta a una ipertensione polmonare che a sua volta genera un ingrandimento
dell’atrio destro (in tutti i quadri di cuore polmonare cronico);
- OSAS
- IRC che determina un aumento progressivo dell’incidenza di FA;
- Abuso di alcol.
Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

Le principali cause di morbidità e mortalità associate con


FA sono:
- aumento di mortalità totale e ictus;
- numero di ospedalizzazioni;
- disfunzione ventricolare sinistra;
- declino cognitivo e demenza.

Principali pattern di FA:


o FA di primo riscontro: situazione frequente, che può creare dei problemi, specie se il
paziente non è sintomatico; talvolta, infatti, il paziente presentandosi all'osservazione
potrebbe avere una FA non documentata in precedenza.
In situazioni come questa è fondamentale datare l’evento perché il tipo di trattamento, ovvero
il ripristino del ritmo sinusale, cambia in base a quando il quadro patologico si è presentato:
prima delle 48/72 ore o dopo questo intervallo.
Il motivo per cui esiste questo cut-off dipende dal fatto che più passa il tempo più è probabile
che si possano formare dei trombi all’interno dell’atrio; pertanto, mentre per una FA recente
sarà possibile intervenire direttamente con terapia antiaritmica, per FA non databili si dovrà
intervenire con terapia anticoagulante, per cercare di sciogliere eventuali trombi, e solo
successivamente eseguire terapia antiaritmica per cercare di ripristinare il ritmo sinusale.
(NdS: Ricordare, inoltre, che i trombi si possono formare in atrio soprattutto a livello
dell'auricola. Da qui la necessità, prima di intervenire ripristinando il ritmo sinusale, di un eco
transesofageo che permetta di documentare o escludere eventuali trombi proprio in questo
sito altrimenti non esplorabile.

Fatto questo è possibile intervenire ripristinando il ritmo sinusale con cardioversione


elettrica/farmacologica)
o FA parossistica: è una FA che si autolimita nell'arco delle 48 ore. In alcuni i casi i parossismi
si possono protrarre anche per un periodo di 7 giorni. Tutte le FA che si cardiovertono entro
i 7 giorni vanno considerate parossistiche.
o FA persistente: la FA in questo caso dura più di 7 giorni e richiede risoluzione farmacologica
o elettrica.
o FA di lunga durata: durata della FA che perdura per un periodo superiore a un anno.
o FA permanente: dove la presenza è accettata da paziente e medico; non vengono posti in
atto interventi di controllo del ritmo (di solito il trattamento è solo della frequenza).

Altra classificazione che si può mettere in atto è quella basata sulle cause di una FA:
o Tutte le patologie che provocano una modifica dell'architettura cardiaca (soprattutto atrio):
scompenso, cardiopatia ischemica.
o FA secondaria a patologie valvolari come stenosi mitralica o anche protesi valvolari.
o FA focale dovuta alla presenza di foci ectopici che scaricano in assenza di una patologia
organica.
o FA postoperatoria (post interventi di cardiochirurgia e chirurgia toracica
o FA genetica
o FA isolata che di solito si verifica in assenza di patologie o altri trigger.

Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello


e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

Storia naturale
Un paziente che ha un evento di FA
parossistica, anche se ha una ipokaliemia
sottostante che sicuramente può essere
una concausa, è un individuo
geneticamente predisposto: al primo
evento susseguirà il secondo e poi il terzo,
verrà cardiovertito, ma poi la possibilità
che vada incontro ad una FA persistente,
poi persistente di lunga durata e infine
permanente è molto elevata.
Ovviamente gli obbiettivi cambiano in
relazione al cambiamento e progredire
della storia: inizialmente ci si potrà valere
di cardioversione (farmacologica o
elettrica) – antiaritmici – ablazione –
terapia anticoagulante continuativa fin dall’inizio, dove il controllo della frequenza è l’obbiettivo più
importante.

Domini per il trattamento della FA: trattamento del ritmo e della frequenza
1. diagnosticare la presenza ed il tipo di FA
2. valutare la presenza ed il tipo di sintomi
3. individuare i fattori di rischio e le patologie
predisponenti
4. valutare e trattare il rischio
tromboembolico e quello emorragico
5. controllare il ritmo
6. controllare la frequenza cardiaca
7. gestire la FA con un approccio integrato

Domande che devono essere rivolte al paziente con FA sospetta o certa per accertarne
l’impatto clinico sulla qualità di vita e sull’outcome della FA:
- Durante l’episodio aritmico il ritmo cardiaco è percepito regolare o irregolare?
- Esistono fattori precipitanti come esercizio fisico stress emotivo o assunzione di alcool?
- Durante l’episodio aritmico i sintomi sono moderati o severi?
(la severità può essere espressa utilizzando l’HERA score che è simile al CCS-SAF score)
- Gli episodi aritmici sono frequenti o sporadici e sono di breve o lunga durata?
- È presente storia di patologie concomitanti come ipertensione, malattia coronarica,
scompenso cardiaco, vasculopatia periferica, malattia cerebrovascolare, ictus, diabete o
malattia polmonare cronica?
- È presente abitudine all’abuso di alcool?
- È presente storia familiare di fibrillazione atriale?

Esami aggiuntivi ai fini della stratificazione del rischio CV:


 Esami ematochimici:
funzionalità tiroidea – funzionalità epatica (transaminasi, bilirubina, GGT) – funzionalità
renale – dosaggio del pro-BNP (in caso di CHF) – assetto coagulativo (PT/INR, PTT, TT), in
previsione della terapia anticoagulante.
 Le linee guida suggeriscono anche esami di 2^ livello:
ecocolordoppler cardiaco – ecocardio transesofageo – test ergometrici per cardiopatia
ischemica – ecocolordopper carotideo-vertebrale – spirometria nei casi di BPCO.

Sbobinatore: Marco Pilotto Revisore: Alessandra Ramuscello


3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

Occorre fare una buona valutazione nei pazienti di età maggiore di 65 anni, allo scopo di evidenziare
altre patologie come: ipertensione, SCC, patologie valvolari, BPCO, OSAS, MRGE (malattia da
reflusso), diabete, obesità, patologie della tiroide, malattia renale cronica, abuso di acool, fumo.

Nel PS qui a Trieste tutti i pazienti negli esami urgenti si valutano:


 Glicemia
 Na/K
 Urea
 Creatinina
 AST/ALT
 Emocromo
 PCR
 In genere compreso anche INR

La FA è spesso asintomatica ma in un 15-30% dei casi ci sono sintomi importanti come: astenia –
faticabilità – vertigini – dispnea – palpitazioni – precordialgie.
Esiste una classificazione che, a seconda del numero di sintomi presenti, valuta in quale classe si
appartiene. Questo influisce successivamente sul trattamento.

Esistono una serie di segni clinici che, quando presenti, richiedono che la FA venga trattata
tempestivamente con il coinvolgimento di uno specialista (cardiologo interventista o di medicina di
urgenza):
o Instabilità emodinamica, ovvero, una PA inferiore a 100 mmHg
o Frequenza cardiaca elevata
o Bradicardia sintomatica (che si manifesterà con sincope o anche lipotimia che si manifesta
con sensazione di mancamento, vertigine e svenimento)
o Presenza di angina che di solito si associa a un'alta frequenza; viene definita angina da
discrepanza ovvero la frequenza è talmente elevata che il riempimento cardiaco non è
sufficiente con conseguente riduzione dell'apporto di sangue a livello coronarico.
o Attacco ischemico transitorio
o Ictus

Valutazione clinico-strumentale del paziente con FA:


L'indagine anamnestica è rivolta a stabilire i sintomi legati alla FA e l'eventuale presenza di sintomi
di natura cardiaca, al di fuori dell'accesso tachiaritmico (per esempio dispnea, dolore precordiale). È
fondamentale l'esecuzione di un esame obiettivo con rilevazione dei parametri vitali (compresa
saturazione di ossigeno).
Meritano particolare rilievo i quadri clinici di presenza di dolore toracico, vale a dire tutti quei casi in cui
l'ECG documenta, oltre alla FA, anche la presenza di una ipoperfusione miocardica (ad esempio
onde T invertite o altri segni compatibili con ischemia coronarica).
Il dolore precordiale deve essere sempre visto come un campanello di allarme, ed è un sintomo che
va valorizzato e monitorato nel tempo (con ECG ma anche con la troponina).
Inoltre, devono essere sempre definiti (la prof non li approfondisce ma riporto la slide per
completezza):

Sbobinatore: Marco Pilotto Revisore: Alessandra Ramuscello


3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

Pattern aritmico
Data del primo episodio
Modalità di interruzione
Risposta alla somministrazione di farmaci
Presenza di cardiopatia
sottostante per decidere se agire
maggiormente sul mantenimento
della frequenza oppure se trattare
con ripristino del ritmo sinusale.

Valutare con grande attenzione anche gli score CHADS-VASc per quanto riguarda il rischio
tromboembolico, ma anche lo score HAS-BLED per la stratificazione del rischio emorragico.
Quest'ultimo è utile per rimuovere le cause che aumentano il rischio emorragico, indirizzando il
paziente sul tipo di farmaco da usare (ciò non va inteso nel senso di ridurre la prescrizione
dell’anticoagulante; per cui se c’è l’indicazione con il CHAD-VASc va fatto anche lo score HAS-BLED
per avere informazioni di tipo aggiuntivo).
Il rischio trombotico ha un peso maggiore
del rischio emorragico, è significativo per
valori di CHAD- VASc>1 (>2 nelle
donne). Le condizioni che incidono sul
rischio trombotico spesso sono le stesse
che influenzano il rischio emorragico.
Particolare attenzione va posta alla
stenosi mitralica e ai soggetti con protesi
valvolare meccanica che presentano
elevato rischio tromboembolico e devono
essere scoagulati con i farmaci
antagonisti della vitamina K, monitorando
l'INR che deve essere mantenuto tra 2-3
(2.5-3.5 nei soggetti con protesi valvolari
meccaniche).

Esistono fattori di sanguinamento


modificabili, potenzialmente modificabili e non modificabili:
 nei primi rientrano quei pazienti che presentano ipertensione (dove agendo sull'ipertensione
potrò ridurre il rischio), pazienti con INR molto labile, pazienti che fanno terapie che
favoriscono condizioni di sanguinamento (si può rivedere la terapia affinché il rischio si
azzeri), abuso di alcol.
 Nei secondi ritroviamo anemia (che si può correggere), la funzione renale (si può stabilizzare
evitando che peggiori), insufficienza epatica e piastrinopenia (che possono essere gestite a
seconda della causa che le ha determinate).
 Nei terzi troviamo età, ictus, presenza di insufficienza renale in stadio avanzato con necessità
di trattamento dialitico, cirrosi epatica, neoplasie e fattori genetici.

Trattamento dell'aritmia:
Si articola in tre momenti:
 Management del rischio tromboembolico
 Trattamento dell'aritmia che si articola in: ripristino del ritmo sinusale e rallentamento della
frequenza

Quando si pensa al controllo del ritmo cardiaco? In base al fattore tempo.


È noto infatti che si possa agire sul controllo del ritmo scegliendo tra cardioversione elettrica o
farmacologica se:

Sbobinatore: Marco Pilotto Revisore: Alessandra Ramuscello


3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022

1. Paziente con FA di recente insorgenza 3(<48h):

- CON instabilità emodinamica4: si esegue cardioversione elettrica, e copertura


anticoagulante con eparina a basso peso molecolare a dose non profilattica (es. 60 kg – 6000
x2). Si prosegue la terapia anticoagulante (AVK o NAO) per 4 settimane dopo la
cardioversione, in assenza di fattori di rischio tromboembolici.
Se il paziente non è in grado di riferire con certezza quando è iniziata la sintomatologia ma
è instabile, pertanto è necessaria la cardioversione, si procede con un ecocardio
transesofageo per valutare la presenza di trombi intra-cardiaci.

- SENZA instabilità emodinamica: si esegue cardioversione elettrica5 o farmacologica, con


copertura anticoagulante ed ecocardiogramma.

2. Paziente con FA permanente di lunga durata oppure una FA non databile o dilatazione
atriale (maggiore di 55 mm) la cardioversione non va effettuata e ci si deve limitare al
controllo della FC.
Il concetto è che se c’è qualcosa di anatomico sull’atrio non si fa la cardioversione.
Pertanto se è normo-frequente verrà prescritto un anticoagulante e potrà fare rientro a
casa, con frequenza elevata si deve controllare la frequenza, con frequenza bassa (i
peggiori) si dovrà valutare il rischio di caduta e di sincope con eventualmente impianto del
pacemaker.

Nota: l’impianto del pacemaker ha delle indicazioni ben precise: come clinica dovranno esserci delle
sincopi con caduta, alterazioni ECG, FA di base, blocchi atrio-ventricolari di II e III grado.

Caso clinico: donna entrata per sincope in terapia con Fluoxetina con QT lungo. Non si è riusciti a
valutarla al momento del suo arrivo ma verosimilmente nel momento di dismissione della
Fluoxetina (SSRI – inibitore ricaptazione della serotonina) il QT è rientrato.
Però questa signora aveva una storia lunghissima di accessi al Ps per sincope, pertanto
probabilmente un nesso con il farmaco c’è.
Quindi attenzione nell’eventuale prescrizione del pacemaker: per prima cosa è necessario eseguire
un wash-out farmacologico eliminando tutti i farmaci potenzialmente abbassatori della frequenza
(anche B-bloccante, Ca-antagonista per la pressione), per poi poter eseguire l’Holter (monitoraggio
per 24h) e vedere il risultato.
24 ore dopo il posizionamento dell’Holter, al ritorno in visita del paziente anche se questo
continuasse ad essere bradicardico con una frequenza di 54-55bpm, ma senza alcun episodio di
sincope in questo arco di tempo, l’indicazione al pacemaker non c’è.
Al contrario invece un blocco atrio-ventricolare di III grado è un’indicazione assoluta all’impianto.

3. I farmaci antiarirmici possono prolungare il QRS e il QTc


4. Anche altri farmaci come gli antidepressivi, antibiotici (es. Claritromicina) possono avere
effetti sul QRS e soprattutto sul QT allungandolo.

L’uso dei armaci antiaritmici è importate per ripristinare/mantenere il ritmo sinusale, tuttavia la
prognosi cardiovascolare e la mortalità, soprattutto se un paziente ha una patologia di base
cardiologica non variano con il controllo della frequenza e del ritmo.
Nel senso che molti pazienti possono continuare a vivere per molti anni con la persistenza di un FA
(senza ripristino di ritmo sinusale) ma con una frequenza cardiaca ben controllata.

3
Con presupposto che il paziente sia sintomatico e quindi se ne accorga. Infatti se non è possibile
datare l’inizio dei sintomi non si può procedere alla cardioversione.
4
Pressione inferiore a 100 mmHg
5
abbastanza impegnativa, mentre per quella farmacologica viene iniettato un farmaco endovena e
quindi è meno impattante.
Sbobinatore: Marco Pilotto Revisore: Alessandra Ramuscello
4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

Ripresa lezione precedente


Si è parlato delle indicazioni per il controllo del ritmo sinusale in corso di FA e si è visto quando è
indicata la cardioversione elettrica (CVE) e quando quella farmacologia (TIPICA DOMANDA PER
LA LODE ALL’ESAME).

RIPRISTINO DEL RITMO SINUSALE


Come scegliere la strategia per il ripristino del ritmo sinusale in FA

Ricapitolando, un paziente emodinamicamente instabile va sottoposto ad una cardioversione


elettrica (CVE) di emergenza, previa anestesia e sedazione, ed ecocardiografia transesofagea se
non si riesce a datare l’evento. Questo iter è valido sempre e comunque per la gestione del rischio
tromboembolico.

Quando invece il paziente non è emodinamicamente instabile, cioè ha una pressione superiore ai
100 mmHg e soprattutto ha delle condizioni permissive, la domanda da porsi è: è presente una
patologia cardiaca strutturale?
Per esempio, ha avuto un infarto del miocardio, magari qualche anno prima quando ancora non
c’erano farmaci che agissero contro il remodelling (ACE-inibitori, sartani ed in parte i β-bloccanti), o
ha una cardiomiopatia dilatativa o ancora una cardiopatia valvolare che determina un aumento delle
dimensioni degli atri?1

× Se la risposta è NO: è il caso di pazienti, anche giovani, che possono avere delle FA
parossistiche, che magari sono ipertiroidei misconosciuti.
Allora si prosegue con Ibutilide, Flecainide o Propafenone.
Sono farmaci che cardiovertono farmacologicamente, non rallentano la frequenza. Vanno
utilizzati per soggetti con cuori sani.

1
In qualche modo questo differenzia la medicina interna dalla cardiologia, perché il cardiologo ha la possibilità
di fare immediatamente un ecocardiogramma o un’ecoscopia.
Ci sono pazienti free living che vivono tranquilli ma hanno delle cardiopatie misconosciute, soprattutto valvolari,
come la stenosi aortica, la stenosi mitralica, o la stenosi in corso di malattia reumatica, molto frequente prima
dell’arrivo della penicillina. Sono pazienti che fino ad un certo momento sono completamente asintomatici, poi
sviluppano una FA, fanno una visita cardiologica e si trovano gli atri dilatati perché c’è di base una patologia
che non è mai stata trattata.
Quindi è utile poter effettuare un ecocardiografia, perché permette di quantificare la dimensione delle camere
e decidere quale debba essere l’obiettivo: il ripristino del ritmo sinusale o il semplice controllo della frequenza.

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

L’ibutilide (come l’adenosina) è un farmaco della medicina d’urgenza usata in PS, mentre la
flecainide e il propafenone hanno un utilizzo più ampio e sono usati meno in urgenza.

✓ Se la risposta è SI: il farmaco d’indicazione è sempre l’amiodarone.


L’amiodarone è un farmaco potente, per cui la sua prescrizione in genere è ben ponderata.
In un paziente che lo assume non si sospende a cuor leggero perché sicuramente il pz ha
una forte indicazione di base: è infatti un farmaco molto efficace ma con molti effetti
collaterali.

Importante ricordare di valutare sempre la necessità di anticoagulazione!


➢ Se sono passate più di 48h e il paziente è emodinamicamente stabile, si può anche pensare
di prescrivergli l’anticoagulante per tre settimane.
Bisogna accertarsi che il pz effettivamente assuma il NAO2 o il warfarin (questo monitorabile
attraverso la misurazione dell’INR) e poi, dopo le tre settimane, se l’INR ha un valore tra 2 e
3, si fa la cardioversione farmacologica.
Attenzione perché se durante le tre settimane l’INR scende sotto i 2, va ricominciato tutto da
capo: bisogna avere documentate tre settimane di anticoagulazione efficace.

AMIODARONE
• INDICAZIONI PRIMARIE:
1. Soppressione della tachicardia ventricolare (in 2° o 3° linea in pazienti che hanno una
storia di cardiopatia o aritmie anche ventricolari che non possono essere trattate in
altro modo);
2. CV farmacologica in presenza di una cardiopatia strutturale (ad esempio in corso di
FA, come visto precedentemente);
3. Mantenimento del ritmo sinusale in FA o flutter parossistici, ma con la dovuta
attenzione.
• EFFETTI COLLATERALI:
1. Fibrosi polmonare;
2. Ipo/ipertiroidismo (agisce sulla deiodasi periferica);
3. Aumento AST/ALT (transaminite);
4. Sintomi neurologici;
5. Problemi del visus, per deposito del farmaco a livello della retina, motivo per cui questi
pazienti devono essere periodicamente sottoposti all’esame del fundus oculi.
NB: se un paziente sviluppa ipertiroidismo come conseguenza all’assunzione di
amiodarone, questo non verrà sospeso, ma si tratterà in aggiunta la patologia tiroidea.
Prevale l’indicazione per l’amiodarone.
• NOTE:
Si può somministrare in fiale ma in questo caso ha un’emivita molto breve, per cui comunque
bisognerà poi continuare per os la terapia di mantenimento. Quindi si può fare il carico e
dopo continuare con le compresse.
1. Lento inizio d’azione se assunto per OS, sono necessari 7-10 gg affinché
l’amiodarone dia i suoi effetti;
2. Ampio volume di distribuzione;
3. Emivita estremamente lunga (2 settimane), per cui, qualora fosse necessario
interromperlo, il wash out ci sarà dopo 2 settimane;
4. Nonostante la frequenza d’uso, per gli effetti collaterali va considerato come 2° o 3°
scelta.
Anche se, in corso di trial clinici per le aritmie ventricolari, per dimostrare l’efficacia di
un intervento, di un defibrillatore o di altri farmaci, il farmaco di paragone è sempre
l’amiodarone perché è un farmaco molto efficace.
Bisogna anche considerare che la maggior parte dei pazienti a cui viene
somministrato sono pazienti anziani. Nei giovani si cerca di intervenire con l’impianto
di un ICD (Implantable Cardioverter Defibrillator) o con un trapianto.

2
Nuovi anticoagulanti orali: rivaroxaban, apixaban e dabigatran.

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

5. Nonostante il prolungamento del QT, la tachicardia ventricolare con torsione di punta


(TdP) è molto meno frequente che con altri farmaci di classe III.

IBUTILIDE
• INIDICAZIONI PRIMARIE:
1. Usato estemporaneamente per la CV farmacologica in FA/flutter: viene somministrato
ev, e una volta rispristinato il ritmo sinusale il farmaco viene interrotto.
• EFFETTI COLLATERALI:
1. Prolungamento QT, che a sua volta favorisce l’insorgenza della tachicardia
ventricolare con torsione di punta, motivo per cui questo farmaco viene sempre
somministrato sotto monitoraggio con la telemetria;
2. Ipotensione;
3. Torsione di Punta.
• NOTE:
1. Può essere somministrato solo ev in 10 minuti, poi il pz torna al ritmo sinusale;
2. Monitoraggio con telemetria per 4 ore;
3. Avere un defibrillatore a disposizione.

FLECAINIDE e PROPAFENONE
Molto utilizzati in adulti e anziani perché sono farmaci che i pazienti stessi in autonomia possono
utilizzare estemporaneamente quando avvertono la FA parossistica. È un approccio che prende il
nome di “pill in the pocket”: il pz ha il farmaco sempre a disposizione e quando inizia a percepire il
cardiopalmo, assume 1 o 2 compresse a seconda della prescrizione.
• INDICAZIONI PRIMARIE:
1. Utilizzati per la CV farmacologica in pz ambulatoriali con storia di FA parossistica;
2. Terapia di mantenimento del ritmo sinusale in corso di FA/flutter parossistici.
• EFFETTI COLLATERALI e TOSSICITÀ
1. Rischio di morte in presenza di cardiopatia coronarica (CAD) e SCC (scompenso
cardiaco congestizio).
Situazione tipo: paziente anziano che non ha mai avuto problemi cardiaci per cui non
ha mai fatto un ecocardio. Percepisce il cardiopalmo, va dal cardiologo, fa un ECG
che documenta una FA parossistica. È un paziente tutto sommato sano, che si
autogestisce, per cui si comincia col propafenone e poi eventualmente con la
flecainide. Succede poi che a distanza di 1-2 mesi dall’inizio della terapia il pz viene
ricoverato per SCC come primo episodio, si indaga la possibile causa dello
scompenso (ad esempio l’ipertensione arteriosa, una patologia ischemica o valvolare
sottostante), e ci si accorge che mesi prima il pz ha iniziato la terapia col propafenone.
Allora si interrompe la somministrazione del propafenone e lo scompenso regredisce.
Questo paziente va sottoposto ad un ecocardio perché anche se non è noto,
verosimilmente c’è un cuore non così sano.
2. Anomalie di conduzione (bradicardia sinusale, blocco AV), come tutti i farmaci
antiaritmici;
3. Effetto inotropo negativo, motivo per cui non vanno prescritti in pz con storia di
scompenso, così come i calcio antagonisti non diidropiridinici (verapamil e diltiazem).

TORSIONE DI PUNTA
A lato, tipico tracciato ECG di una torsione
di punta indotta da farmaci.
La TdP può essere favorita da tutti i farmaci
che prolungano il QT, non solamente gli
antiaritmici.
Lo switch terapeutico è raccomandato
quando QTc (QT corretto per frequenza
cardiaca) >500 msec; quindi, se il pz sta

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

assumendo un antiaritmico, va sospeso e considerato un altro approccio.


In presenza di torsione di punta, il trattamento prevede: solfato di magnesio ev (indipendentemente
dai livelli sierici).

Quindi quali sono le condizioni che aumentano il QT?


▪ Difetti genetici dei canali ionici, come la sindrome di Brudada o la sindrome di Wolff-
Parkison-White, ma sono condizioni genetiche rare, che di solito sono di competenza
della cardiologia, non della medicina interna;
▪ Disionie (K+, Ca2+);
▪ Farmaci, molto più frequentemente delle sindromi genetiche.

Sottolineiamo la presenza di:


o Farmaci cardiovascolari, soprattutto gli antiaritmici ma anche dobutamina (inotropo
positivo), la noradrenalina (amine vasoattive utilizzate nel trattamento dello SCC e dello
shock);
o Farmaci del SNC: aloperidolo (SERENASE® utilizzato spesso in reparto di notte come
farmaco antipsicotico e contro il delirium), citalopram (antidepressivo), gli SSRI come
olanzepina, paroxetina, quetiapina (SEROQUEL ®, molto utilizzato), sertralina e il litio;
o Farmaci del tratto gastroenterico: domperidone (PERIDON®), ondasertron (antiemetico di
2° linea, utilizzato spesso nei pazienti oncologici per il trattamento del vomito post-
chemioterapia. Proprio per questo suo effetto collaterale viene somministrato al massimo 1
volta al giorno, a differenza della metoclopramide (PLASIL®) che può essere invece
somministrata fino a 3 volte al giorno);
o Farmaci del tratto respiratorio: come il salbutamolo, molto utilizzato;
o Antibiotici: come i macrolidi (azitromicina, claritromicina), i chinolonici (ciprofloxacina,
revofloxacina);
o Farmaci antivirali, antiparassitari e antimicotici, che sono però meno utilizzati;
o Farmaci decongestionanti nasali e antistaminici;
o Altri: afluzosina (alfa-litico usato per l’ipertrofia prostatica benigna).

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

Come scegliere il farmaco migliore per mantenere il ritmo sinusale in caso di


FA o flutter parossistico
Una volta ripristinato il ritmo sinusale (con amiodarone, ibutilide, flecainide o propafenone), questo
deve essere mantenuto:
• In assenza di patologie cardiache significative, il pz continuerà con lo stesso farmaco dato
per il ripristino del RS: propafenone, flecainide o sotalolo.
Il sotalolo è un beta-bloccante ma, a differenza di bisoprololo, metoprololo e atenololo che
vengono utilizzati per il controllo della frequenza cardiaca, il sotalolo ha caratteristiche
particolari per cui può essere usato anche per il mantenimento del ritmo sinusale. In ogni
caso, non è molto utilizzato perché, affinché abbia effetto, è necessario utilizzare la dose
massima che ha effetti collaterali importanti come ipotensione, astenia e depressione. Il
dosaggio massimo è di 3 volte al giorno;
• In presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, il pz continuerà con l’amiodarone;
• In caso di cardiopatia ischemica, il pz continuerà con il sotalolo;
• In caso di cardiopatia valvolare, il pz continuerà con l’amiodarone, perché verosimilmente
ci sarà anche una concomitante alterazione morfologica e strutturale del ventricolo.

Suggerimenti per un corretto utilizzo dei farmaci antiaritmici


• I farmaci antiaritmici sono indicati quando il paziente è sintomatico, soprattutto in caso di
fibrillazione atriale3. Normalmente una aritmia atriale non è considerata una situazione
maligna, a meno che la frequenza non arrivi ad essere eccessivamente alta (es. 200-280
bpm) o bassa. In questi casi è più la frequenza che importa, rispetto al ritmo.
È stato dimostrato che l’uso degli antiaritmici nelle aritmie atriali non riduce la mortalità e
gli eventi cardiovascolari. La mortalità in questi casi viene ridotta dai farmaci che agiscono
sulla causa sottostante.
L’unico possibile vantaggio del regolarizzare il ritmo, è che, se il ritmo si mantiene, si può
pensare di togliere la terapia anticoagulante.
• Se un farmaco antiaritmico non funziona, dev’essere sostituito con un altro. Non è
raccomandato associare più farmaci antiaritmici.
NB: in caso di fibrillazione atriale che non si risolve in seguito a terapia farmacologica in
paziente anziano, controllare in primis che non sia ipertiroideo o che non ci siano disionie. In
secondo luogo, se non risponde al primo farmaco, non ne va aggiunto un altro, bisogna
provare a sostituirlo.

3
In questi casi il paziente si può presentare normofrequente, bradicardico o tachicardico.

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

Se si dovesse aggiungere un altro antiaritmico è importantissimo monitorare il paziente con


ECG ogni giorno perché aumenta molto il rischio di anomalie nella conduzione, con possibile
rallentamento eccessivo della FC, allargamento del QRS, ecc.
• Gli antiaritmici possono avere effetti pro-aritmici.
• Sono controindicati nelle bradiaritmie e in pazienti con QTc>500msec.
• È raccomandato il monitoraggio periodico dell’ECG per valutare: FC, QRS, QTc, e la
presenza di aritmie. Il fatto che il paziente non abbia precedenti problemi cardiologici non
dà sicurezza che non ne possano comparire.

CONTROLLARE LA FREQUENZA CARDIACA


La frequenza cardiaca a riposo nei pazienti con FA dovrebbe essere mantenuta <110 bpm, questo
porta ad un outcome migliore rispetto ad un valore <80 bpm.
I farmaci di prima linea sono (FREQUENTE DOMANDA D’ESAME):
1. Beta-bloccanti (soprattutto i β1 selettivi non con ISA4)
2. Calcio-antagonisti non diidropiridinici
3. Digossina

DIGOSSINA5
È un farmaco molto importante perché è l’unico dei tre che può essere utilizzato in caso di
pressione bassa. Se infatti un paziente ha una FC di 150-160 bpm ha solitamente anche una
pressione bassa, poiché in diastole il cuore non ha tempo di riempirsi bene.
Questo impedisce l’uso sia dei calcio-antagonisti, che comporterebbero un ulteriore abbassamento
di pressione, sia dei beta-bloccanti per lo stesso motivo.

Meccanismo d’azione
La digossina causa un incremento del tono vagale, portando a:
• Bradicardia sinusale;
• Aumento del periodo refrattario nel nodo AV;
• Ridotta velocità di conduzione nel nodo AV.
Essa provoca anche un aumento della concentrazione intracellulare di calcio, ma il suo effetto sulla
contrattilità è clinicamente irrilevante.

Indicazioni:
1. FA e flutter a rapida risposta ventricolare;
2. Raramente per lo scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione.

Nella pratica clinica l’indicazione è quasi sempre per la FA. I pazienti con FA e scompenso, se hanno
prescritta la digossina, è per il controllo della frequenza, non per aumentare l’inotropismo. La
digossina non ha effetto inotropo negativo ma non aumenta nemmeno la frazione di eiezione.
In alcuni casi si può trovare prescritta a pazienti con uno scompenso cardiaco destro (anche se
sempre più raramente), nelle situazioni di ipertensione polmonare – primitiva o secondaria.

A causa della potenziale tossicità è considerata un farmaco di 2° o 3° linea, e non viene utilizzata
a meno che entrambe le situazioni siano presenti.
È potenzialmente uno degli antiaritmici più tossici, con una finestra terapeutica molto stretta.
Particolarmente a rischio sono i pazienti con funzione renale instabile.
Dà numerose interazioni farmacologiche.
La digossinemia va costantemente monitorata, soprattutto per controllare i livelli superiori del range
di normalità, per il rischio di tossicità.

4
ISA= attività simpatico-mimetica intrinseca
5
Da slide: La digitalis purpurea veniva inizialmente utilizzata per il trattamento dello scompenso cardiaco nel
XVIII secolo. Nel 20esimo secolo vari composti con struttura ed effetti simili sono stati isolati e raggruppati
sotto il nome comune di glicosidi cardiaci. La digossina è quello meglio conosciuto e più utilizzato.

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

La digossina è controindicata in caso di:


1. Bradiaritmie, es: FA a bassa frequenza. In questi casi è necessario fare un wash-out di tutti
i farmaci antiaritmici;
2. Tachicardie ventricolari, in questi casi controllare la larghezza del QRS;
3. Alterazioni ioniche: ipokaliemia, ipercalcemia.
Prima di iniziare una terapia con la digitale è infatti importantissimo monitorare le ionemie
con degli esami urgenti, soprattutto il potassio. In questi casi, se è basso, si inizia una doppia
somministrazione: sia la soluzione fisiologica con potassio, sia i boli di digitale.
4. Insufficienza renale, soprattutto dallo stadio III, quando il VFG è inferiore a 60ml/min, perché
è un farmaco che si accumula facilmente. Proprio per questa ragione va monitorata
periodicamente la digossinemia.

NB: se arriva un paziente da casa che presenta una frequenza cardiaca elevata ed è già in
terapia con digitale, bisogna chiedere la digossinemia, perché magari la concentrazione
plasmatica del farmaco non è sufficiente; quindi, magari si può fare un bolo estemporaneo
di digitale, e poi si rivaluta.
- Se si presenta un paziente con insufficienza renale e comunque l’unico farmaco
somministrabile è la digossina, esistono dei protocolli di somministrazione su come
indurre la digitalizzazione rapida per ev. La soluzione normalmente è quella di aumentare
gli intervalli tra una somministrazione e l’altra, facendo prima la dose da carico.
Solitamente sono 0,01-0,02mg/kg di cui il 50% si dà subito, poi 25% dopo 6h e l’altro
25% dopo 12h.
Es: il pz pesa 60kg; quindi, la dose totale è di 0,6mg (0,01mg×60kg). Subito gli si dà la
fiala da 250µg/ml e il resto nelle ore successive e la mattina dopo gli si prescrive una
digossinemia urgente.
- Frequentemente si tratta invece di un’insufficienza renale con causa pre-renale, poiché
a causa dell’alta frequenza si ha una pressione bassa e una ipoperfusione renale. In
questi casi, se si rallenta la frequenza con la digossina tutto il quadro migliora. Infatti, in
diastole il cuore si riempirà meglio, ci sarà di conseguenza una migliore perfusione e il
giorno successivo si sarà risolta anche l’insufficienza renale acuta, potendo così
completare la digitalizzazione.

Effetti della tossicità


La tossicità cardiaca aumenta in caso di disionie
e consiste in effetti proaritmici.
La tossicità non cardiaca aumenta in caso di
sovradosaggio, e sono sintomi ascrivibili
soprattutto al sistema gastrointestinale, come
nausea e vomito (e altri descritti nell’immagine a
lato).

È possibile vedere gli effetti della tossicità della


digossina anche all’ECG, in cui c’è una tipica
inversione dell’onda T (“con scucchiaiamento
dell’onda”) e la frequenza è piuttosto bassa.
In questo tracciato è possibile notare anche
l’assenza di onda P; quindi, ci si trova in una
situazione di fibrillazione atriale a bassa frequenza,
anche se il ritmo sembra piuttosto regolare.

Quali sono le altre condizioni che possono dare un’onda T così invertita?

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

- La T invertita è presente in caso di ischemia subendocardica, ma con caratteristiche molto


diverse: in quelle situazioni la T è a punta negativa e simmetrica (in questo tracciato invece
è asimmetrica).
- Un’ipotesi più plausibile potrebbe essere l’ipertrofia ventricolare sinistra, a causa del
remodelling dato dall’ipertensione. L’onda T negativa starebbe a indicare che c’è un aumento
delle dimensioni del ventricolo.
- Tossicità da digitale.
Ovviamente la clinica sarà diversa nei due casi (prendendo in considerazione solo gli ultimi due).

Come scegliere il farmaco per rallentare la frequenza in FA


In questo caso le condizioni determinanti nella scelta non
saranno più riferibili all’eventuale instabilità emodinamica,
com’era invece per scegliere il farmaco migliore per regolare il
ritmo, ma si farà riferimento invece all’eventuale presenza
sottostante di determinate patologie cardiache.

Interessa sapere se il paziente:


- ha uno scompenso in atto;
- ha una storia di disfunzione ventricolare sinistra (con
FE <40%).

× Se presente una di queste patologie cardiovascolari i


calcio-antagonisti non diidropiridinici e i beta-bloccanti non si
possono utilizzare a causa del loro effetto inotropo negativo
che peggiorerebbe la problematica. L’unica eccezione
eventualmente è per il beta-bloccante, essendo il farmaco di
prima scelta, che magari si introduce a basse dosi (iniziando con 1,25mg di bisoprololo) in
modo che non abbia effetti sulla pressione.
Ovviamente questo non si applica ai pazienti che hanno una FC di 150-160 bpm, altrimenti
il bisoprololo a dosi così basse non dà alcun beneficio.
Se la frequenza è alta e il paziente presenta scompenso in atto o disfunzione ventricolare
bisogna ricorrere alla digossina.
× Altrimenti, se non sono presenti altre problematiche cardiologiche, i farmaci di prima scelta
sono i calcio-antagonisti non diidropiridinici e i beta-bloccanti.

In entrambi i casi l’obbiettivo della terapia è quello di prolungare la conduzione a livello del nodo
AV.

CALCIO-ANTAGONISTI NON DIIDROPIRIDINICI: DILTIAZEM E VERAPAMIL

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

Questa categoria di calcio-antagonisti ha proprietà antiaritmiche. Agiscono bloccando i canali del


calcio di tipo L (long-action).

Bisogna ricordarsi che i diidropiridinici vengono utilizzati esclusivamente per il loro effetto di
abbassamento della pressione arteriosa (es: amlodipina - NORVASC®), dato che agiscono
maggiormente a livello delle resistenze vascolari (mentre non hanno un effetto significativo a livello
di cuore, pompa cardiaca e sistema di conduzione).

• INDICAZIONI:
Dall’altra parte, i non diidropiridinici hanno principalmente l’effetto di rallentamento e
riduzione della funzione di pompa del cuore, quindi vengono utilizzati per:
1. Il controllo della frequenza nelle aritmie sopraventricolari (FA e flutter);
2. Il diltiazem viene usato molto più frequenemente del varapamil, soprattutto nelle FA
ad alta risposta ventricolare.
In particolare, l’indicazione principale del diltiazem soprattutto in PS è per l’edema
polmonare acuto in corso di crisi ipertensiva con sottostante FA. Questo proprio
per la sua azione duplice di rallentamento della FC e abbassamento della pressione
arteriosa.
È disponibile per somministrazioni ev in forma di fiale e per OS. Dopo la
somministrazione non è necessario il monitoraggio continuo del paziente, se non per
confermare che la pressione e la frequenza si siano abbassate.

NB: se un paziente sta assumendo cronicamente il verapamil per la sua FA e prende l’amlodipina
per la pressione, non sarebbe l’ideale. Bisognerebbe rivalutare probabilmente l’uso del non
diidropiridinico, sostituendolo con il beta-bloccante.
Altrimenti, assumere due farmaci con lo stesso meccanismo d’azione, per quanto con effetti diversi,
può aumentare la probabilità che si presentino gli effetti collaterali.

• EFFETTI COLLATERALI:
1. Ipotensione;
2. Bradicardia sinusale (che consiste nell’effetto desiderato);
3. Blocco AV, anche se raro, avviene solitamente in caso di sovradosaggio e
somministrazione veloce.

È preferibile non utilizzarli in corso di scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta


(scompenso cardiaco sistolico).
In questi casi è preferibile la digossina, e se proprio non è possibile somministrarla,
piuttosto si sceglie il beta-bloccante che ha effetto anche sul remodelling cardiaco,
somministrandolo con cautela.

Annalisa Saldarelli Claudia Ceretta


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

B BLOCCANTI
Si tratta di un’ampia famiglia di farmaci che presentano selettività per diversi recettori:
• Farmaci che determinano il blocco del recettore β1 à sono farmaci cardioselettivi,
impiegati prevalentemente in cardiologia. Hanno effetto inotropo negativo in quanto sono in
grado di ridurre la frequenza e la contrattilità cardiaca (acutamente). Vengono impiegati, ad
esempio, per ridurre la frequenza nelle aritmie sopraventricolari.
• Farmaci che determinano il blocco del recettore β2à quelli utilizzati in terapia sono
tipicamente agonisti e vengono impiegati nella terapia per l’asma in quanto inducono
broncodilatazione.
• Farmaci che determinano il blocco del recettore α1à agiscono riducendo le resistenze
vascolari, sono dunque degli antipertensivi.

Nella tabella sottostante è possibile osservare alcuni principi attivi molto impiegati e con indicazioni
differenti (la Prof.ssa procede con la lettura della tabella):

Sindromi coronariche acute

Impiegato per lo più


in pronto soccorso.

Ipertensione secondaria a iperproduzione di catecolamine


(feocromocitoma) in previsione dell’intervento chirurgico
EFFETTI COLLATERALI
È possibile distinguere:
• Effetti collaterali cardiaci
o Effetti sulla conduzioneà bradicardia sinusale e blocco AV.
o Riacutizzazione SCCà per effetto inotropo negativo.
o Sindrome da sospensione improvvisa di beta bloccantià caratterizzata da
tachicardia, ipertensione, agitazione.
• Effetti collaterali non cardiaci (comuni a quando vengono impiegati per il trattamento
dell’ipertensione arteriosa)
o Broncospasmoà controindicati in pz con asma o BPCO severi1
o Depressione
o Impotenza
o Astenia
o Ipoglicemie asintomaticheà se i pz diabetici hanno una polineuropatia importante e
non avvertono le ipoglicemie l’impiego di questi farmaci può determinare ipoglicemie
molto gravi.

1
Ricordare all’esame

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

COME CONTROLLARE LA FREQUENZA IN PAZIENTE CON FA:


ALGORITMO
È necessario distinguere due quadri:
• Pz con una frazione di eiezione del ventricolo sinistro <40% è possibile impiegare la
digossina o, con molta cautela, i beta bloccanti. Nel caso in cui il pz trattato con digossina
manifesti una riduzione della pressione, non tolleri il farmaco o nel caso in cui il farmaco non
abbia effetto, è possibile aggiungere la digossina. Qualora il pz venga trattato con digossina
e questa non funzioni2, è possibile aggiungere un beta bloccante. L’indicazione è quella di
andare in range con la digossina prima di aggiungere il beta bloccante per evitare effetti
collaterali.
• Pz con una frazione di eiezione del ventricolo sinistro >40% è possibile trattare pazienti
con:
o Beta bloccantià come il bisoprololo (2.5mg o addirittura 5mg, laddove la dose
massima è di 10 mg al giorno).
o Calcio antagonisti.
o Digossinaà anche se tipicamente in questa situazione si parte con un beta
bloccante.
Ai beta bloccanti e ai calcio antagonisti è possibile aggiungere la digossina, come alla
digossina è possibile aggiungere un beta bloccante o calcio antagonisti qualora non venga
raggiunto l’effetto desiderato.

Se la terapia farmacologica non è efficace, va considerata l’ablazione del nodo seno atriale.

Domanda: nello scompenso in 3 scelta non si può dare amiodarone? L’amiodarone cardioverte. Se
il paziente non è scoagulato per almeno 3 settimane l’amiodarone non si aggiunge.

TACHIARITMIE VENTRICOLARI
Sono molto meno frequenti della FA ma è fondamentale
conoscerle. È importante sottolineare che la tachiaritmia
ventricolare, soprattutto se sostenuta, non è una causa di
sincope ma di arresto cardiaco.

A lato è possibile visualizzare diversi tracciati rappresentati


la TV. [Integrazione con sbobine 17-18] Tra le tachiaritmie
ventricolari si ricordano:
• TV non sostenuta.
• TV monomorfa sostenuta: una serie di complessi
di origine ventricolare che si mantengono e non
sono isolati. Hanno una durata ben precisa nel
tempo e possono determinare collasso cardiocircolatorio. È la più temuta, può evolvere a
FV.
• TV polimorfa: si possono osservare dei battiti di origine ventricolare con morfologia
particolare, diversa da quella sinusale. Essi possono avere un significato innocente o, se
inquadrati in ECG di pazienti post-infarto, in trattamento con Ibutilide o in corso di terapia con
altri farmaci antiaritmici, possono avere implicazione gravi e devono essere trattate, oltre che
prevenute.
• FV (Fibrillazione Ventricolare).

In presenza di extrasistoli è fondamentale valutare la frequenza e la forma. In un cuore sano la


presenza di extrasistoli può essere legata a diverse condizioni (sistema neurovegetativo, stress) ma
non vi sono forme ventricolari. L’approccio alle aritmie ventricolari deve quindi basarsi sull’assunto
che hanno un andamento maligno dove non altrimenti provato.

2
NB: secondo alcuni medici la digossina funziona sempre ma è la risposta del paziente a cambiare.

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

La caratterizzazione dell’aritmia prevedere la caratterizzazione della stabilità emodinamica, della


durata, della morfologia e della presenza o meno di una cardiopatia organica. È inoltre fondamentale
la valutazione complessiva del rischio di arresto cardiaco e di necessità di ablazione o di ICD
(defibrillatore cardiaco impiantabile), di solito svolta dal cardiologo.

In area medica è possibile riscontrare un pz che, a seguito di sincope o ECG alterato, viene
sottoposto a holter 24/h il quale evidenzia la presenza di run di tachiaritmia ventricolare sostenuta.
Questo è un paziente che va sottoposto a terapia con amiodarone e bisogna mantenerlo fino a
quando il farmaco la concentrazione plasmatica non è in range.

CAUSE DI TACHICARDIA VENTRICOLARE


1. Cardiopatia preesistente
o Coronaropatia e cardiopatia ischemica
o Valvulopatie
o Cardiomiopatie congenite (Sindrome di Brugada, Wolff-Parkinson-White, tetralogia di Fallot,
Sindrome di Marfan) e acquisite
2. Squilibri ionici/elettrolitici
o Ipokaliemia, o ipopotassiemia
o Ipocalcemia
o Ipomagnesiemia
3. Altri fattori di rischio
o Farmaci e sostanze (antidepressivi o Intossicazione da monossido di
triciclici, cocaina) carbonio
o Abuso di alcol o Traumi al torace
o Caffeina o Stress fisico ed emotivo

TERAPIA NON FARMACOLOGICA


Prima di impostare una terapia è fondamentale riconoscere una tachicardia ventricolare da una
tachicardia parossistica sopraventricolare.
La tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare sono dei ritmi che vanno defibrillati.
L’ICD (defibrillatore cardiaco impiantabile) è indicato in prevenzione primaria e secondaria (superiori
alla terapia farmacologica) in pazienti con:
• Cardiomiopatie.
• LVEF<35%.
• Displasia aritmogenica del VD.
• Sindromi del QT lungo e di Brugada.

È invece controindicato in caso di:


• TV incessante
• Recente IMA (<40 giorni)à dopo un IMA è possibile riscontare aritmie, soprattutto nella
prima settimana, ma più ci si allontana dall’evento, maggiore è la possibilità di risolverle con
terapia medica.
• Pz psichiatrici.
• Aspettativa di vita <12-24 mesi

In presenza di TV da cause idiopatiche e con cuore sano è possibile svolgere ablazione


transcatetere con radiofrequenza.

TERAPIA FARMACOLOGICA
PRIMA LINEA
• Amiodarone sia in acuto che in cronico. L’amiodarone e in grado di agire sia a livello atriale
che a livello ventricolare. In cronico previene la TV sostenuta e la FV nel 60% dei pazienti. È
molto efficacie ma ha una latenza di 5 giorni e si ottiene una copertura totale dopo 4-6
settimane. È un farmaco di prima scelta in prevenzione I e II a cui viene paragonato l’ICD.

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

• Agenti di classe II (b bloccanti, soprattutto il Sotalolo): agiscono sia a livello atriale che
ventricolare. Sono in grado di aumentare la sopravvivenza post MI del 25-40%: in pazienti
che sono andati incontro ad IM, quando all’ECG è presente extrasistole ventricolare, questi
risultano essere a rischio e vengono tipicamente impiegati questi farmaci.

SECONDA LINEA
• Sotalolo (classe 3). Bisogna porre attenzione in caso di pazienti predisposti allo sviluppo di
SCC, come per tutti i farmaci di questa classe, perché possono andare incontro a IMA.
Questo avviene soprattutto se si inizia il trattamento con un dosaggio elevato.
• Lidocaina (classe IB) somministrata solo in forma endovenosa non in profilassi perché
aumenta la mortalità da bradiaritmia. Ha inoltre effetti sul SNC come confusione e vertigini e
ha inoltre azione depressiva. Quando all’ECG si riscontra TV, si somministra lidocaina e si
trasferisce il paziente in medicina d’urgenza o in cardiologia.
• Fenitoina nelle aritmie ventricolari da tossicità digitalica.

Se la diagnosi differenziale tra TV e tachiaritmia sopraventricolare è errata e vengono somministrati


agenti di classe I (flecainide e propafenone) in corso di TV, si assiste ad aumento della mortalità.

CONSIDERAZIONI PARTICOLARI
• Gli agenti di classe IV (calcio antagonisti) NON vanno usati nelle aritmie ventricolari, portano
infatti al collasso emodinamico. Hanno effetto inotropo negativo.
• La FV che avviene entro 72 ore dall’IM non richiede terapia cronica e non è associata ad un
elevato rischio di ricorrenza.
• Se si ha una tachicardia ventricolare con torsione di punta in una sindrome del QT lungo è
possibile impiegare:
o Solfato magnesio 1-2 g (fino a 4-6 ev)
o Cardioversione elettrica
Se QT lungo è acquisito, una volta risolto l’episodio, è fondamentale identificare la causa
(soprattutto vanno considerati i farmaci).

BRADIARITMIE
Le cause cardiogene di sincope sono le aritmie, sia le tachiaritmie che le bradiaritmie. Tra queste è
possibile distinguere:
• Bradiaritmia sinusaleà la causa più frequente è l’ipertono vagale. Si
presenta tipicamente in atleti, soprattutto agonisti, oppure a seguito
dell’impiego di alcuni farmaci (soprattutto antiaritmici). Questa
condizione è tipicamente benigna e non si associa a sincope, dunque
non è indicato l’impianto di pacemaker.
• Blocco AV di 1 grado (QT >0,2 ms)à Non si associa tipicamente a sincope (FC
conservata) e dunque ad impianto di pacemaker.
• Blocco AV di 2 grado Mobiz 1à (intervalli RR variabili e intervalli PQ variabili).
È un’aritmia in cui la pausa è lunga e salta un complesso QRS. Può determinare
bradiaritmie spinte con sincope, perdita di coscienza e ipoperfusione cerebrale
[Sbobine 17-18].

• Blocco AV di 2 grado Mobiz 2 e il blocco atrio ventricolare di 3 gradoà possono


determinare bradiaritmie spinte con sincope, perdita di coscienza e ipoperfusione cerebrale.

Le bradiaritmie che provocano sincope sono i blocchi AV di 2 grado tipo Mobitz 1 e 2 e il blocco
AV di 3 grado, tutte situazioni in cui l’attività atriale è completamente disgiunta dalla ventricolare.
[domanda d’esame!] Più il blocco è distale lungo il sistema di condizione del cuore, più la FC si
riduce. Necessitano di trattamento solo le bradiaritmie che causano sincope, quindi i blocchi AV
di 2 grado tipo Mobitz 1 e 2 e il blocco AV di 3 grado. [Sbobine 17-18].

PRINCIPI GENERALI DI TRATTAMENTO


Giulia Provenza Silvia Cherchi
4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

• STABILITA’: Il paziente è stabile emodinamicamente?


• SINTOMI: il paziente è sintomatico (ha storia di sincope)?
• INSORGENZA: aritmia potenzialmente reversibile e transitoria? Le aritmie potenzialmente
reversibili e transitorie sono: aritmie post-infarto, bradi-aritmie indotte da terapia
farmacologica, disionie (ipo- o iper- Kaliemie: spesso molte aritmie insorgono in condizioni
di ipoKaliemia isolata o associata a ipomagnesemia). È opportuno risolvere la disionia per
risolvere di conseguenza anche l’aritmia.
• SEDE: a che livello del sistema di conduzione?
• PM: il paziente richiede l’impianto del PM?

NB: l’indicazione al PM non è data dai blocchi di branca ma da quelli detti precedentemente
(blocco AV di 2 grado, di 3 grado e trifascicolare).

FARMACO-ATTENZIONI: TO DO AND NOT TO DO LIST


PRESCRIZIONE INAPPROPRIATA: DEFINIZIONE
Prescrizione di un farmaco che:
• Ha l'indicazione sbagliata o che non ha alcuna indicazione (misprescrizione es. digitale
in una TV).
• Presenta un alto rischio di reazioni avverse cioè interazioni farmaco-farmaco o farmaco-
patologia o di eventi avversi da farmaco.
• È inutilmente costoso. Vi è una branca della farmacologia che prende il nome di drug
repurposing che propone di utilizzare vecchi farmaci come l’aspirina e scoprire nuove
indicazioni. Di questi farmaci si conoscono meglio gli effetti avversi. Secondo gli oncologi, in
accordo con nuovi studi, l’aspirina sarebbe in grado di ridurre la velocità di crescita delle
cellule tumorali.
• Durata del trattamento troppo breve (ipoprescrizione) o troppo lungo (iperprescrizione). Es.
paziente con polmonite comunitaria trattata con amoxicillina/clavulanato claritromicina e che,
al momento della dimissione presenta un rialzo della PCR ma asintomatica. Viene quindi
trattata con piperacillina/tazobactam e la paziente resta altri 15 giorni in ospedale. Viene poi
dimessa.
• Mancata prescrizione di un farmaco clinicamente indicato, in assenza di
controindicazioni specifiche.

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

POLITERAPIA
Viene definita come l’assunzione di più di 4 farmaci. Questa è soprattutto dovuta all’aumentare
dell’età, si assiste infatti contestualmente ad un aumento
del numero di patologie (indice di comorbidità) e dunque di
farmaci prescritti.
La politerapia aumenta il rischio di sviluppare aventi avversi
e dunque porta ad un aumento del numero di farmaci
prescritti per trattare gli effetti avversi (cascata prescrittiva).

Vi sono dei criteri per una corretta prescrizione: Criteri di


Beers e Criteri STOPP/START.

CRITERI DI BEERS PER INAPPROPRIATEZZA


PRESCRITTIVA (v 2019, sono stati recentemente
aggiornati anche se difficili da utilizzare). In cartella sono necessarie due firme per la prescrizione
di un farmaco, questo permette un controllo maggiore. Secondo questi criteri è possibile classificare
i farmaci in diversi gruppi:
o Farmaci potenzialmente inappropriati
o Farmaci che possono peggiorare una patologia/sindrome
o Farmaci da utilizzare con cautela
o Farmaci con importanti interazioni farmacologiche
o Farmaci da valutare con attenzione in caso di insufficienza renale

Inoltre:

Vi sono diverse tabelle molto specifiche 3ma di difficile fruibilità (integrato con Sbobine 2020-2021):

3
Evidenziato con una freccia ciò che interessa alla Prof.ssa.

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

Prendendo in analisi i farmaci anticolinergici: l’associazione di anti-muscarinici come l’atropina,


utilizzata dagli oculisti e nel trattamento delle bradicardie, con altri anti-muscarinici e/o ipratropio
bromuro, broncodilatatore somministrato sotto forma di aerosol nel trattamento dell’asma e della
BPCO, può causare un peggioramento del declino cognitivo e favorire le cadute in particolare nei
pazienti anziani. Un altro farmaco impiegato in pz con la BPCO e ora non più impiegato è il teodur,
questo va assolutamente evitato.

Utilizzato frequentemente
nelle neuropatie

Utilizzato nel trattamento


dell’ulcera peptica (1
generazione). Impiegato in
Attacco acuto gotta
terapia intensiva perché ha
un’emivita di sole 12h e non
24.
Problemi con i criteri di Beers:

Giulia Provenza Silvia Cherchi


4.2, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022

• Molti farmaci non utilizzati in Europa (incentrati sul prescrittore US).


• Non strutturati.
Pertanto non vengono utilizzati nella pratica clinica di routine.

CRITERI STOPP/START
Sono criteri che indicano quando una terapia va bloccata o va impostata. Si distinguono:
• Prescrizioni potenzialmente inappropriate (STOPP): 65 criteri
• Prescrizioni potenzialmente appropriate (START): 22 criteri

Farmaco ipertensivo che blocca inoltre il


remodelling cardiaco, rallentando la
progressione della malattia

Esempi criteri di STOPP [integrato con sbobine 20-21]:


• Paziente a cui viene prescritto un diuretico4 dell'ansa per il trattamento dell’edema alla
caviglia. Se il paziente non presenta nessuna patologia che causi ipervolemia, come
scompenso cardiaco, cirrosi epatica con ipertensione portale o insufficienza renale, la
caviglia gonfia potrebbe essere correlata ad una flebopatia degli arti inferiori. Questo è un
criterio per fermare la somministrazione del diuretico, le calze compressive infatti risultano
più appropriate in questi pazienti.
• Paziente a cui è stato prescritto l’IPP per ulcera peptica a piena dose terapeutica per più di
8 settimane. Dopo 8 settimane di trattamento per l’ulcera è indicata riduzione della dose o
sospensione se non vi sono segni di riacutizzazione o sanguinamento, tanto più se un
paziente ha eseguito una gastroscopia di controllo che ne evidenzia la guarigione.

4
La docente parla di amlodipina, un calcio antagonista, ma la slide fa riferimento a diuretici dell’ansa.

Giulia Provenza Silvia Cherchi


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

La scorsa volta abbiamo parlato dei criteri di Beers per le interazioni farmacologiche per le possibili
prescrizioni sbagliate. Tali criteri non sono sistematici e sono difficilmente applicabili.
Dal punto di vista dell’utilizzo, risultano essere maggiormente impiegabili i criteri START e STOPP.

CRITERI START e STOPP


Quando si deve prescrivere un farmaco bisogna valutare: la terapia che il paziente sta già
effettuando, i problemi attuali del paziente (ciò che in quel momento non va bene) e ciò che dovrebbe
avere e non ha oppure ciò che non è stato aggiunto in quel momento ma nel momento in cui lo vedo,
c’è.

Esempi: CRITERI STOPP


1. Un paziente si presenta con diuretico dell’ansa per edema degli arti inferiori, ma quell’edema
non è dovuto ad una sindrome edemigena (scompenso cardiaco, cirrosi epatica, sindrome
nefrosica). Non c’è nessuna evidenza di efficacia per questo farmaco. Le calze compressive
sarebbero più appropriate.
2. -Un paziente si presenta con PPI per ulcera peptica a piena dose terapeutica per >8 settimane.
Non è appropriato; sarebbe indicata una riduzione o sospensione della dose.

Esempi: CRITERI START


1. ace inibitore a seguito di im acuto: il paziente ha avuto in infarto miocardico massivo, con
frazione di eiezione ridotta all’ecocardio. Al momento della dimissione il medico deve pensare
all’ace inibitore (ma anche al beta bloccante) per il remodelling miocardico.
2. ACE inibitore per scompenso cardiaco cronico:
3. Terapia anti-piastrinica nel diabete mellito se sono presenti fattori di rischio CVD: si tratta di
prevenzione secondaria.

CRITERI STOPP: PRESCRIZIONI POTENZIALMENTE


INAPPROPRIATE
I criteri STOPP sono suddivisi per sistema: seguirà carrellata di ogni sistema1
1. SISTEMA CARDIOVASCOLARE
Quando ci si mette di fronte ad una prescrizione, bisogna sempre essere critici e mantenere la mente
aperta. In particolare, ci sono dei pazienti che vedono un medico molti anni prima, per cui bisogna
sempre valutare l’appropriatezza della prescrizione precedente.

DIGOSSINA e FUNZIONE RENALE


La funzione renale con il tempo tende a deteriorarsi. Ci sono molti farmaci che i pazienti continuano
ad assumere, nonostante la problematica renale. Un esempio di ciò è proprio la digossina (digitale).
Se il paziente assume la digitale ma il GFR è < di 50 mL/min, la situazione è rischiosa e andrebbe
tolta.

METFORMINA2 e FUNZIONE RENALE


Un altro farmaco con queste caratteristiche è metformina, molto utilizzata nei pazienti diabetici.
Nonostante la sua indubbia efficacia, in pazienti che la assumono da 20 anni, con anche nefropatia
diabetica, ipertensione metabolica e invecchiamento; andrebbe tolta e sostituita.

DIURETICO DELL’ANSA e IPERTENSIONE ARTERIOSA


Domanda d’esame: La FUROSEMIDE NON si utilizza per l’ipertensione arteriosa, ma si utilizza
l’IDROCLORO TIAZIDE.

1 Trattiamo i più frequenti ed errori dove il medico può cadere.


2 Nota dello Sbobinatore: Non rientra nei CV, ma la Prof ne parla, per cui la riporto.

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

DIURETICO TIAZIDICO IN PZ CON STORIA DI GOTTA


Si tratta di un caso frequente; in particolare il paziente tipo è di mezza età, con sindrome metabolica,
iperteso, con diabete trattato con metformina e ha iperuricemia con gotta. Tutti questi eventi appena
citati si possono sommare nel corso del tempo e nessuno ha mai pensato di togliere il diuretico
tiazidico; andrebbe tolto.

BETA BLOCCANTI
Possono essere potenzialmente inappropriati in caso di somministrazioni per asma SEVERO o se
prescritti con in combinazione con il Verapamil. I grossi problemi a cui possono contribuire questi
farmaci (Beta Bloccante + Verapamil) sono: effetto ionotropo negativo (bradicardia) e sincopi.

ASPIRINA
È un farmaco molto frequente e molti pazienti continuano ad assumerla. Una volta (quando la Prof.
frequentava la scuola di specializzazione) veniva somministrata come terapia primaria e ancora oggi
si trovano pazienti con questa terapia.
Ad esempio, il paziente tipo è un iperteso, diabetico e senza la storia di eventi cardiovascolari, che
assume l’aspirinetta. Il dosaggio cronico per l’aspirina è 100 mg, non 150mg. Se si aumenta la dose,
non si ha alcun effetto benefico in più, ma si aumentano solamente gli effetti collaterali.
Inoltre, bisogna prestare attenzione in caso di ulcera peptica pregressa, specialmente se l’aspirina
è prescritta senza inibitore di pompa protonica (o antagonisti H2= Ranitidina). La Ranitidina non si
somministra più.
Non va utilizzata nemmeno in assenza di patologia cardiovascolare.
Bisogna anche prestare altissima attenzione in caso di tripla anticoagulazione. La tripla
anticoagulazione si può trovare in pazienti con storia cardiovascolare recente con anche magari la
fibrillazione atriale. La tripla anticoagulazione (Enoxaparina, Warfarin e Aspirina), ma anche la
doppia anticoagulazione (Aspirina + Warfarin) sono pericolosissime, specialmente per i pazienti
anziani. Va anche valutata anche l’associazione di solo l’aspirina con il NAO, indicato invece per
non solo per l’anticoagulazione ma anche per l’anti-aggregazione.

La prof racconta di un suo paziente di 66 anni con FA e sindrome coronarica acuta. Seguito dalla
Cardiologia, assumeva NAO e sospendeva aspirina. Si presenta in Geriatria per sanguinamenti
improvvisi e conseguente anemizzazione acuta. Si eseguono EGDS, colonscopia e video-capsula,
tutte negative per emorragie. Si propone al paziente di effettuare un angiotac urgente, spiegandogli
che l’emorragia è visibile solamente se è il sanguinamento è attivo in quel momento. A questo punto,
il paziente riporta che per fargli provocare l’emorragia è sufficiente somministrargli il Rivaroxabam.
Alla gastroscopia successiva si notano ectasie diffuse da gastropatia congestizia, con segni di
recente sanguinamento. Quindi, bisogna prestare attenzione alla doppia aggregazione, ma a volte
anche solo un farmaco anticoagulante (e antiaggregante) può determinare questo tipo di problemi.

WARFARIN
Se il paziente presenta una trombosi venosa profonda, ci si deve sempre domandare la causa
scatenante: trauma, estrogeni e progestinici, immobilizzazione protratta o intervento chirurgico,
trombofilia sulla base di una neoplasia o embolia polmonare. Se viene riconosciuta la causa, bisogna
trattarla e sospendere l’anticoagulazione; non va portata avanti a vita!
Inoltre non è appropriata la terapia in associazione con Aspirina, Clopdrogrel se ci sono disturbi
emorragici concomitanti.

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI CARDIOLOGICHE POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Digossina - dose a lungo termine> 125 μg / die con funzionalità renale ridotta (eGFR<50
ml/min)
Diuretico -solo per edema della caviglia, ovvero nessun segno clinico di SCC
dell'ansa - monoterapia in prima linea per l'ipertensione
Diuretico -storia di gotta
tiazidico
Beta- -non cardioselettivi con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
bloccanti -in combinazione con verapamil
Calcio- -costipazione cronica
antagonisti -diltiazem o verapamil con insufficienza cardiaca di classe NYHA III o IV
Aspirina -storia passata di ulcera peptica senza antagonista del recettore H2 dell'istamina o
inibitore della pompa protonica
-dose > 150 mg al giorno
-assenza di sintomi suggestivi di patologia in atto o pregressa vascolare coronarica,
cerebrale o periferica
-aspirina e warfarin in combinazione senza antagonisti del recettore H2
dell'istamina (eccetto cimetidina a causa dell'interazione con warfarin) o PPI
-trattamento delle vertigini non chiaramente attribuibili a malattie cerebrovascolari
Warfarin - per la prima trombosi venosa profonda non complicata per > 6 mesi
- /aspirina/clopidogrel con disturbi emorragici concomitanti

2. SISTEMA NERVOSO CENTRALE


ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI
Sono dei farmaci che presentano molti effetti collaterali. Non vanno prescritti in casi di demenza, in
quanto accelerano il decadimento cognitivo.
Presentano un effetto anche sulla conduzione cardiaca, quindi in caso cardiologico va attenzionato
l’uso.
In caso di stipsi, andrebbero evitati, anche se in realtà non si considera molto.
Andrebbero evitate le associazioni con un oppioide (depressione del SNC) o un bloccante dei canali
del calcio o se paziente presenta ipertrofia prostatica o una storia di ritenzione urinaria.

BENZODIAZEPINE
Rappresentano un'altra classe di farmaci molto abusati, subito dopo i PPI. I metaboliti che hanno
una lunga emivita possono dare effetti sullo stato di vigilanza, ma contribuiscono al processo di
caduta degli anziani e alterano la capacità di conduzione di autoveicoli.

NEUROLETTICI
È sbagliato usarli a lungo termine come ipnotici o in caso di storia di Parkinson.

FENOTIAZINE
È sbagliato usarli in caso di epilessia.

SSRI – INIBITORI SELETTIVI RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA e IPONATREMIA


Situazione che si trova molto spesso in medicina interna. L’iponatremia, oltre a poter essere
associata all’utilizzo dei diuretici tiazidici, può essere associata agli SSRI. Se il sodio è basso, va
rivisto l’antidepressivo!

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

Ricapitolando:
FARMACI PRESCRIZIONI SNC POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Antidepressivi - storia di demenza
triciclici - glaucoma
- disturbi della conduzione
- stipsi
- con un oppioide o un bloccante dei canali del calcio
- con ipertrofia prostatica o storia di ritenzione urinaria
Benzodiazepine - ad azione prolungata a lungo termine (> 1 mese), ad es. clordiazepossido,
fluazepam,
nitrazepam, clorazepato e benzodiazepine con metaboliti ad azione prolungata,
ad es. diazepam
Neurolettici - a lungo termine (cioè> 1 mese) come ipnotici
- storia di Parkinson
Fenotiazine - epilessia
Inibitori selettivi - storia clinicamente significativa di iponatremia
della ricaptazione
della serotonina
(SSRI)

3. SISTEMA GASTRTOINTESTINALE
ANTIDIARROICI: DIFENOSSILATO, LOPERAMIDE O CODEINA FOSFATO
Se il paziente si presenta con diarrea da causa inspiegata, è inutile bombardarlo di Loperamide o
Immodium; bisogna trovare la causa. Lo stesso discorso si ripete in caso di una gastroenterite di
origine batterica o virale. Un’altra situazione in cui è controindicato l’antidiarroico è la sepsi.

METOCLOPRAMIDE
Questo farmaco non va somministrato in caso di Parkinsonismi, in quanto esacerba i sintomi
extrapiramidali della patologia.

ANTISPASTICI ANTICOLINERGICI
Non vanno somministrati in caso di stipsi.

Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI GI POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Difenossilato, - trattamento della diarrea di causa sconosciuta
loperamide o - trattamento di infezioni gravi gastroenterite cioè diarrea sanguinolenta,
codeina fosfato iperpiressia o grave tossicità sistemica
PPI -per ulcera peptica a pieno dosaggio terapeutico per >8 settimane
Farmaci antispastici - costipazione cronica
anticolinergici

4. SISTEMA RESPIRATORIO
TEOFILINA
Questo farmaco non è più in commercio. Veniva usato per la BPCO.

CORTICOSTEROIDI
Si usano nella BPCO, solo se è presente una crisi severa (come la digossina per FA nello
scompenso cardiaco). Se la BPCO è di stadio 2 o 3 in fase quiescente, somministro lo steroide per
via inalatoria. Esso viene metabolizzato per via epatica e non ha effetti sistemici.

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

IPRATOPIO
Viene molto utilizzato nei pazienti con glaucoma severo, ma non dovrebbe essere usato.

Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI RESP POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Teofillina - monoterapia per la BPCO
Corticosteroidi - sistemici invece di corticosteroidi inalatori per la terapia di mantenimento in
BPCO da moderata a grave
Ipratropio - nebulizzato con glaucoma

5. SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO


FANS
Attenzione alla somministrazione in pazienti con rischio di sanguinamento e ulcera duodenale a cui
dovrebbe essere associato il PPI. Hanno anche un’azione a livello renale, in quanto agendo sulla
ciclossigenasi, hanno un effetto sul flusso renale. Se il paziente presenta GFR < 30 mL/min non
andrebbe prescritto. Bisogna stare attenti anche al warfarin. Inoltre, bisogna prestare la massima
attenzione a somministrarlo in caso di cirrosi epatica, in quanto può presentare delle varici esofagee
e di conseguenza può presentarsi un’emorragia GI superiore. In questo tipo di pazienti, per la terapia
antalgica è preferibile somministrare un oppioide, preferibilmente il tramadolo.

CORTICOSTEROIDI
I farmaci DIRMARD (Disease-modifying antirheumatic drugs) sono dei farmaci che tengono sotto
controllo le malattie reumatologiche. Non si tratta solamente dei nuovi farmaci biologici ma anche
farmaci della vecchia generazione. Sarebbe meglio sempre provare questi farmaci, per introdurli.
Tuttavia, bisogna prestare attenzione al cortisone a lungo termine (>3 mesi) ha importanti effetti
collaterali.

FARMACO PRESCRIZIONI MSK POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE


FANS -con storia di ulcera peptica o emorragia gastrointestinale, a meno che con
antagonisti dei recettori H2, o PPI concomitanti
-con ipertensione moderata-grave
-> 3 mesi per alleviare i sintomi dell'osteoartrite lieve
-con insufficienza renale cronica (GFR<30 ml/min)
-insieme a warfarin
-a lungo termine o colchicina per il trattamento cronico della gotta dove no
controindicazione all'allopurinolo
-cirrosi epatica: rischio di sanguinamento GI superiore
Corticosteroidi -a lungo termine (> 3 mesi) in monoterapia per l'artrite reumatoide o osterartrite

6. SISTEMA UROGENITALE
ANTIMUSCARINICI
Come detto in precedenza, non dovrebbero essere utilizzati nelle persone con demenza.

ALFA-BLOCCANTI
Farmaci come l’alfuzosina, la terazosina e la doxasosina sono spesso utilizzati nel trattamento
dell’ipertrofia prostatica e, se il paziente ha un catetere urinario a lungo termine non sono proprio il
massimo.

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

FARMACO PRESCRIZIONI URO POTENZIALMENTE INAPPROPIATE


Antimuscarinici -con demenza
-con glaucoma cronico
-con stipsi cronica
-con ipertrofia prostatica cronica
Alfa-bloccanti -con catetere urinario a lungo termine
-nei maschi con incontinenza urinaria

7. SISTEMA ENDOCRINO
SULFOLINUREE
Usati un tempo nella terapia del diabete, ora non si usano più (come la teofillina, vista
precedentemente).

BETA-BLOCCANTI
Ricordare che possono mascherare un’ipoglicemia.

ESTROGENI
Tromboembolia venosa, storia di tumori alcuni tumori alla mammella o altre situazioni più rare.

FARMACO PRESCRIZIONI ENDOCRINO POTENZIALMENTE INAPPROPIATE


Sulfolinuree -a lunga durata d’azione (glibenclamide o clorpropamide) nel DMT2
Beta-bloccanti -DM e frequenti episodi di ipoglicemia
Estrogeni -storia di cancro al seno o tromboembolia venosa
-senza progestinico in pazienti con utero intatto

8. PERSONE SOGGETTE A CADUTE


Benzodiazepine e tutti i farmaci neurolettici che agiscono sul SNC. Fanno parte di questa categoria
anche tutti i farmaci che determinano ipotensione ortostatica, di cui i più frequenti sono (domanda
fatta all’esame):
• gli alfa-litici, soprattutto l’alfuzosina. Questi farmaci sono molto usati nel trattamento
dell’ipertrofia prostatica, ma trovano inoltre un altro impiego, anche se in misura minore, nel
trattamento dell’ipertensione arteriosa in particolari categorie di pazienti, come quelli in IRC,
in cui non si possono usare gli ACE inibitori e i sartani. Il rischio di ipotensione ortostatica è
comunque molto alto, tanto che negli USA l’FDA li ha tolti dal commercio per il trattamento
dell’ipertensione arteriosa;
• i diuretici tiazidici, come l’idroclorotiazide. L’effetto di ipotensione ortostatica dato dai
diuretici tiazidici è comunque molto inferiore rispetto a quello dato dagli alfa-litici.
Anche gli oppiacei, soprattutto se presi a lungo termine, possono aumentare la probabilità di caduta
del paziente.

FARMACI CHE INFLUISCONO NEGATIVAMENTE SU PERSONE SOGGETTE A CADUTA


Benzodiazepine
Farmaci neurolettici
Antistaminici di prima generazione
Farmaci vasodilatatori con ipotensione ortostatica
Oppiacei a lungo termine

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

9. ANALGESICI
OPPIACEI
Bisogna cercare di non utilizzare gli oppiacei per il trattamento lieve/moderato, evitando inoltre
quando possibile i più potenti come morfina e fentanil. Attenzione anche all’effetto della stipsi che
questi farmaci possono dare: in questi casi si possono combinare ossicodone e naloxone, che
antagonizza gli effetti collaterali a livello intestinale.
Per questa classe di farmaco bisogna quindi evitare:
• l’uso di potenti oppiacei a lungo termine, ad es. morfina o fentanil, come prima linea di terapia
per il dolore lieve/moderato;
• oppiacei per >2 settimane in pazienti con storia di stipsi cronica senza lassativo
concomitante;
• oppiacei a lungo termine in pazienti con demenza senza documentata indicazione di tipo
palliativo o di sindrome da dolore cronico moderato/grave.

10. FARMACI DUPLICATI DELLA STESSA CLASSE


Qualsiasi prescrizione di farmaci della stessa classe (es. 2 oppioidi, FANS, SSRI, ace-inibitori e
sartani…) è considerata inappropriata, in quanto agiscono sullo stesso meccanismo.

CRITERI START
SISTEMA NUMERO CRITERI
Cardiovascolare 8
Respiratorio 3
Nervoso Centrale 2
Gastrointestinale 2
Muscoloscheletrico 3
Endocrino 4

1. SISTEMA CARDIOVASCOLARE
WARFARIN
Il warfarin e i NAO sono da dare in presenza di fibrillazione atriale cronica. Questa è una situazione
molto frequente. Quando si riscontra un ECG suggestivo di FA, bisogna chiedere al paziente se
sapeva di averla e, in caso, da quando. Spesso poi, si passa a revisionare la storia del paziente, in
cerca di una visita cardiologica che affermi la presenza di FA. Se non si trova nulla, si è tenuti a
pensare che il paziente abbia una FA di nuovo riscontro che non si sa quando è iniziata. In questi
casi quindi è sbagliato fare la cardioversione farmacologica, ma bisogna iniziare la terapia
anticoagulante (che sia il warfarin o un NAO). Si controlla quindi la funzione renale, il rischio di
sanguinamento, il peso, l’età, il rischio di caduta e tutto ciò che è necessario per scegliere il NAO
più adatto e la posologia migliore.

ASPIRINA
Storia di eventi cardiovascolari.

STATINE
Non solo in prevenzione primaria dell’ipercolesterolemia, ma anche in prevenzione secondaria dopo
un evento cerebrovascolare, una storia di cardiopatia ischemica o arteriopatia obliterante degli arti
inferiori. È ancora dibattuta l’utilità delle statine al disopra di una certa età, dove andrebbe a dare più
che altro interazioni pericolose con altri farmaci in poli-prescrizione. In questi casi, bisogna valutare
il singolo paziente; se questo ha una buona qualità della vita ed ha un’aspettativa di vita >5 anni, la
statina va messa, magari evitando il dosaggio massimo ma un po’ ridotta.
Carlo Cortese Matteo Turoldo
5.1, Terapia Medica 14.11.2022

ACE INIBITORE
Nel post infarto del miocardio.

BETA-BLOCCANTI
Nella cardiopatia ischemica (anche se ultimamente si sono estesi anche al post infarto).

FARMACO QUANDO INIZIARLO


Warfarin (o NAO) -in presenza di FA cronica
Aspirina -in presenza di FA cronica e controindicazione
a warfarin (e NAO)
-storia di aterosclerosi coronarica, cerebrale o
vascolare periferica
-storia di evento cardiovascolare
Statine -storia di malattia coronarica, cerebrale o
vascolare periferica, se lo stato funzionale
dimostra indipendenza per le attività della vita
quotidiana e aspettativa di vita >5 anni
ACE inibitori -post infarto acuto del miocardio
Beta-bloccanti -angina stabile cronica

2. SISTEMA RESPIRATORIO
Nel caso di asma e BPCO lieve/moderata userò Beta-2-agonisti (salbutamolo) e anticolinergici
inalatori (formoterolo o salmeterolo), mentre per asma e BPCO moderato/grave userò corticosteroidi
inalatori (beclometasone). Nell’insufficienza respiratoria cronica con valori di pO2 inferiore a 50
mmHg il paziente dovrebbe invece avere il proprio ossigeno a domicilio.

FARMACO QUANDO INIZIARLO


Beta-2-agonisti o anticolinergici inalatori -asma o BPCO da lieve a moderata
Corticosteroide inalatorio -asma moderato/grave o BPCO, dove previsto
FEV1 <50%
Ossigenoterapia domiciliare -insufficienza respiratoria cronica di tipo 1 o di
tipo 2 documentata

3. SISTEMA NERVOSO CENTRALE


L-DOPA
La professoressa era precedentemente abituata che per iniziare il trattamento con questo farmaco,
il paziente dovesse prima essere inquadrato dal neurologo, che spesso si traduce col fare la SPECT.
Da quando è in geriatria invece, la l-dopa viene data in maniera più semplice come ex-iuvantibus:
se il paziente presenta dei segni di extrapiramidalismo, gli viene somministrata da l-dopa e, se
funziona, viene dimesso con il farmaco.

ANTIDEPRESSIVI
Farmaco probabilmente con un’ampia ipoprescrizione in alcuni reparti, soprattutto in quelli per acuti,
a causa del timore per le interazioni farmacologiche.

FARMACO QUANDO INIZIARLO


L-DOPA -malattia di Parkinson idiopatica con
menomazione funzionale e disabilità
Antidepressivi -sintomi depressivi moderati/gravi

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

4. SISTEMA GASTROINTESTINALE

FARMACO QUANDO INIZIARLO


PPI -grave stenosi peptica o MRGE che richiede
dilatazione
Fibre alimentari -malattia diverticolare cronica (e NON acuta!) e
sintomatica con costipazione

5. SISTEMA MUSCOLOSCHELETRICO
BIFOSFONATI E VITAMINA D
Usati molto nell’osteoporosi, ma anche se il paziente sta seguendo una terapia cronica a base
steroidea. Quando si prescrivono gli steroidi per un tempo prolungato, si può dare subito anche la
vitamina D, per prevenire danni a livello osseo. I bifosfonati rappresentano in questo caso il livello
successivo alla vitamina D e vengono dati dopo aver approfondito la qualità ossea calcolando DEXA
e T-score.

FARMACO QUANDO INIZIARLO


Farmaco antireumatico specifico -malattia reumatoide attiva di durata >12
settimane
Bifosfonati -terapia di mantenimento con corticosteroidi
Integratore di calcio/vitamina D -osteoporosi (frattuta da fragilità)

6. SISTEMA ENDOCRINO

FARMACO QUANDO INIZIARLO


Metformina -diabete di tipo 2 +/- sindrome metabolica (in
assenza di insufficienza renale → GFR<50
ml/min)
ACE inibitore o sartani -diabete con nefropatia cioè proteinuria o
microalbuminuria +/- insufficienza renale
(GFR<50 ml/min)
Antiaggregante piastrinico -diabete mellito con fattori di rischio
cardiovascolare coesistenti
Statine -diabete mellito se sono presenti fattori di
rischio cardiovascolare maggiori

PREVALENZA PRESCRIZIONI POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE


UTILIZZANDO STOPP/START

Prescrizioni potenzialmente Omissioni potenziali di


inappropriate (STOPP) (%) prescrizione (START) (%)
Cure primarie 21.4 22.7
Secondo livello di cura 34.5 57.9
Case di riposo 49.8-55

Di seguito una tabella che lega l’evento avverso ai farmaci potenzialmente inappropriati che lo
possono causare.

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.1, Terapia Medica 14.11.2022

Evento avverso Farmaci potenzialmente inappropriati


Cadute Benzodiazepine, oppioidi, ipnoinducenti
sedativi, antipsicotici

Disturbi metabolici / elettrolitici Diuretici


Danno renale acuto Diuretici / farmaci nefrotossici
Costipazione / subocclusione intestinale Oppioidi
Gastrite / ulcera peptica FANS
Ipotensione ortostatica sintomatica Alfa-bloccanti, diuretici
Bradicardia sintomatica Beta-bloccanti

ESEMPIO
Maschio di 70 anni, arriva per una caduta, in cui ha subito un trauma contusivo.
Diagnosi attuali: ipercolesterolemia, fibrillazione atriale cronica, cardiopatia ischemica.
Storia medica: cataratta, gotta, insonnia.
Dati biochimici: Col: 341 mg/dL, eGFR 30 ml/min /1,73 m2, HbA1c 7.4%, K 6,0 mEq/L
Farmaci attuali: digossina 250 mcg 1 c/die, idroclorotiazide 25 mg 1 c/die, flurazepam 30mg 1 c/die
(ultimi 3 anni), allopurinolo 300 mg/die

Applicazione di STOPP, cosa non va bene e devo togliere / cambiare:


Digossina: da cambiare per la funzionalità renale compromessa (non dovrebbe essere >125 mcg
in questi casi) e per il potassio alto.
Diuretico tiazidico per la storia di gotta; il diuretico inoltre potrebbe alzare i valori di potassio, ma
in questo caso il valore alto del potassio è dato dalla crush-syndrome e rabdomiolisi dovute alla
caduta. Anche il valore di eGFR può trarre in inganno, in quanto non ci è dato sapere se è sotteso
da un processo acuto o cronico, se è un’IRA o IRA su IRC.
Flurazepam: è a lunga durata d’azione, fatto che rende più probabili le cadute.
Allopurinolo: 300 mg è la dose piena ed è troppo alta per la funzione renale del paziente.

Applicazione di START, cosa introduciamo che il paziente non ha:


Statina per l’ipercolesterolemia.
NAO per la fibrillazione atriale cronica.
Beta-bloccante: può essere preso in considerazione per la fibrillazione atriale, ma solo dopo aver
monitorato la frequenza del paziente, in quanto potrebbe non averne bisogno. Potrebbe invece
essere considerato maggiormente per la cardiopatia ischemica, in quanto l’ACE inibitore non è forse
il farmaco più adatto a causa del 30 di filtrato glomerulare (il nefrologo in realtà guarda solamente la
creatinina: se è sopra a 2 non dà l’ACE inibitore, mentre lo può dare con cautela nel caso contrario).
Da pensare infine come trattare il diabete: forse non è il caso di dare l’insulina ad un anziano che ha
storia di cadute. La scelta potrebbe orientarsi verso le glifozine o i nuovi farmaci antidiabetici (come
un GLP1 agonista).
Febuxostat al posto dell’allopurinolo, troppo pesante per il rene.
Si può sostituire il flurazepam con una benzodiazepina a breve durata d’azione, come il
midazolam.

Domanda: si può usare il febuxostat anche con una storia di cardiopatia ischemica? In medicina
interna sì, la cosa non viene particolarmente valorizzata (si prendono comunque sempre in
considerazione l’anamnesi del paziente e come si evolve la storia della gotta e della cardiopatia).

Carlo Cortese Matteo Turoldo


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

ANTIBIOTICI
Il numero di infezioni nosocomiali sta aumentando esponenzialmente per cui l’infettivologo viene
chiamato in consulenza tantissime volte, per associare i farmaci giusti e per dare il via libera
all’utilizzo di certi antibiotici. È anche vero però, che con una degenza media di 9 giorni e con 1/3
dei motivi di ricovero rappresentato da polmoniti, da insufficienza respiratoria e da infezione delle
vie urinarie, un medico deve saper prescrivere l’antibiotico anche senza dover chiamare
l’infettivologo, eventualmente lo si fa in un secondo step. L’obiettivo della lezione è di dare l’ABC
della prescrizione in Med. Interna.
Cose da ricordare per prescrivere un antibiotico:
1. Revisioni delle principali diagnosi di malattie infettive
2. Memorizzazione della copertura empirica
3. La maggior parte delle volte la scelta dell’antibiotico si basa su una scelta empirica.
È importante tenere presente che la scelta della copertura è sempre una scelta empirica. Serve
ricordare la Microbiologia e la Fisiopatologia per riconoscere il patogeno responsabile di un
determinato quadro clinico, soprattutto se il paziente viene dalla comunità, e per potersi quindi
orientare nella scelta dell’antibiotico più corretto. Quando viene chiesto un esame colturale, che sia
una banale urinocoltura o sul liquor cerebrospinale, il laboratorio tiene il campione fino a 5 giorni. Se
risultasse positivo prima meglio, ma se così non fosse passano 5 giorni. Se cerco il micobatterio
della tubercolosi per il risultato dell’esame colturale serve ancora più tempo.
[La slide sottostante è un possibile argomento di domanda all’esame. Importante ricordare questa
slide anche per l’esame di Med. Interna, non solo per la provetta di Terapia Medica.] Schema sacro
degli antibiotici.

β- LATTAMICI
La Penicillina G è un farmaco che copre sia i Gram + che i Gram -; la sua indicazione clinica cardine
per la quale viene ancora utilizzata è l’endocardite batterica (oltre che la sifilide, che è però meno
frequente), nonostante sia è un farmaco di difficile uso perché presente in fiale di diverse unità che
vanno fatte ogni 6 ore.
La Penicillina G sostanzialmente copre lo Stafilococco Aureo Meticillino-sensibile (methicillin-
susceptible S. aureus - MSSA).
GRAM +

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

Nell’antibiogramma viene sempre testata la risposta all’Oxacillina. Quando il patogeno è sensibile


a quest’ultima allora è meticillino-sensibile e si possono utilizzare Ampicillina, Amoxicillina ecc.
altrimenti serve cambiare categoria.
Nel caso di sviluppo di resistenze attraverso la produzione di β-lattamasi lo step successivo è
rappresentato da Ampicillina Sulbactam o Amoxicillina Clavulanato (nome commerciale
Augmentin). Questi ultimi però non coprono lo Stafilococco Aureo Meticillino-resistente (MRSA); se
si sospetta un’infezione da Stafilococco Aureus, ad esempio nel caso di infezione cutanea come
cellulite (o più raramente infezione polmonare in pazienti colonizzati da patogeni multiresistenti per
storia di numerosi accessi in ospedale, ricoveri a lungo termine, utilizzo sconsiderato di antibiotici)
bisogna passare allo step successivo (Vancomicina).
La Vancomicina, mai somministrata in bolo, si trova in fiale e si somministra lentamente o con
pompa nell’arco delle 24h per avere una concentrazione plasmatica efficace da monitorare con il
dosaggio della vancomicinemia.

L’utilizzo della Vancomicina, soprattutto se non viene utilizzata per il periodo minimo indispensabile
assicurandosi che raggiunga delle concentrazioni plasmatiche efficaci, favorisce la selezione
dell’Enterococco Vancomicino-resistente (VRE). In questo caso il problema viene superato con
l’utilizzo del Linezolid. Essendo un farmaco di ultimissima battuta va usato solo se il patogeno è
resistente a tutto il resto secondo l’antibiogramma e previo consulto con l’infettivologo.

GRAM -
Seguendo l’altro braccio dello schema si vede che la Penicillina G è attiva anche sugli Streptococchi
e in particolare sull’Escherichia Coli.
Si ricorda che nelle infezioni delle vie urinarie si può utilizzare in prima battuta la Fosfomicina e in
seconda battuta una β-lattamina come l’Amoxicillina, che ha però lo svantaggio di dover essere
assunta 3 volte al giorno, o l’Ampicillina. Per avere un’ulteriore estensione dello spettro che copra
anche Proteus e Klebsiella si aggiunge un inibitore delle β-lattamasi come il Clavulanato o il
Sulbactam.
Esistono però alcuni patogeni che non sono coperti, in particolare lo Pseudomonas Aeruginosa,
tipicamente causa di infezioni respiratorie anche se viene trovato pure nelle urine. Il problema si
supera con la Piperacillina Tazobactam1 (Pip. Tazo.) che viene somministrata per le infezioni
respiratorie al secondo livello (dopo un ciclo fallimentare con Amoxi - Clavulanato) e per le infezioni
nosocomiali, le infezioni delle vie urinarie e le infezioni del tratto gastro-enterico ma non come prima
scelta (si preferiscono chinolonici o Metronidazolo per gli anaerobi). La Piperacillina Tazobactam
non copre però E. Coli ESBL e ceppi di Klebsiella multiresistenti.
In questi casi si usa un carbapenemico come Imipinem o Meropenem. Imipenem si trova sotto al
Meropenem in una scala gerarchica di maneggevolezza e costo, ha però qualche problema: spesso
si usa in associazione con la cilastatina ma bisogna tenere conto della funzione renale (attenzione
a insufficienza renale), al contrario del Meropenem che viene quindi utilizzato dai nefrologi per la più
facile gestibilità nelle insufficienze renali acute. Entrambi invece abbassano la soglia per l’epilessia:
se il paziente è epilettico sarebbe meglio evitare di dare un carbapenemico.
Caso clinico: paziente in geriatria con disfagia severa che continuava a inalare. Primo step
Amoxicillina Clavulanato, secondo step Piperacillina Tazobactam e terzo step carbapenemico
insieme ad una copertura per i Gram +. Il caso poi si è risolto brillantemente perché l’otorino ha fatto

1
10 anni fa si utilizzava generosamente la Levofloxacina, ora si sono sviluppate molte resistenze a causa del suo utilizzo
eccessivo.

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

una FESS (functional endoscopic sinus surgery) scoprendo che il paziente aveva delle posture
facilitanti per cui quando inghiottiva bastava farlo mettere in determinate posizioni.

CEFALOSPORINE

L’altra classe di farmaci molto utilizzata è quella delle cefalosporine. Passando dalla prima alla
quarta generazione c’è un viraggio dello spettro per cui quelle di prima e seconda sono molto attive
sui Gram +, la terza generazione è una via di mezzo, la quarta generazione ovvero il Cefepime
agisce soprattutto sui Gram -.

Principale indicazione della Cefazolina (1° generazione) è la profilassi prima di qualsiasi manovra
come il posizionamento di un pace-maker (somministrare 1h prima) o una PEG (un singolo shot 1h
prima).
Ceftazidima, Ceftriaxone, Cefotaxima (3° generazione) vengono abbastanza prescritti, soprattutto
il Ceftriaxone che è contenuto nel Rocefin, per alcune infezioni addominali come la colecistite perché
è somministrato con una singola dose che può essere somministrata per via intramuscolo anche in
ambiente extra-ospedaliero. La Cefotaxima viene utilizzata anche a volte nelle polmoniti ma in
genere se il paziente ha indicazione a questo potrà utilizzare anche una Piperacillina Tazobactam
che ha una copertura maggiore e viene data per via parenterale.
Il Cefepime (4° generazione) ha indicazione soprattutto per lo Pseudomonas Aeruginosa. La
sensibilità per Cefepime, carbapenemici o Piperacillina Tazobactam orienta verso questo batterio; i
carbapenemici sono i migliori in questo caso, somministrabili anche il caso di sospetto di sepsi da
Gram -, la Piperacillina Tazobactam un po’ meno.

CHINOLONICI
1° generazione Ciprofloxacina, attiva soprattutto verso Gram -. Si può trovare sotto forma di
compresse o somministrabile per via endovenosa (poco usata).

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

Quando si parla di chinolonici urinari si intende la


Ciprofloxacina. Nelle infezioni delle vie urinarie non
complicate si usa quest’ultima oppure l’Amoxicillina.
Quando invece si sale, es. un’infezione complicata in
un paziente che non ha un apparato urogenitale
normale perché ad esempio un portatore di un
catetere a permanenza, non si dà Amoxicillina ma
Ciprofloxacina come prima scelta. In realtà poi conta
anche come si presenta clinicamente il paziente: se ha
febbre e altri segni di compromissione sistemica si
verte anche in quel caso verso la Ciprofloxacina.

2° generazione Levofloxacina, attiva soprattutto verso Gram -. Si può trovare sotto forma di
compresse o in fiale. Rappresenta il principale chinolonico polmonare.
Dosaggio: 250mg riduzione per filtrato, 500mg dose piena, 750 mg dose solitamente prescritta per
le polmoniti dato l’alto numero di resistenze in assenza di IR in mono-somministrazione per via
endovenosa o orale.
Un paziente a domicilio può trattare una polmonite o con Amoxicillina Clavulanato + Claritromicina
o con Levofloxacina in caso di allergia alla Penicillina.
3° generazione Moxifloxacina, attiva soprattutto verso Gram +. È un farmaco molto utilizzato dagli
otorini perché copre tutte le infezioni delle alte vie respiratorie come faringiti e sinusiti.
4° generazione disponibile ma non ancora utilizzata in Italia.
I chinolonici coprono in parte anche i microrganismi atipici, il Mycobacterium tuberculosis e in misura
minore anche lo Pseudomonas Aeruginosa.
Esempio: un paziente arriva con una sintomatologia polmonare e inizia il chinolonico, fa
successivamente una broncoscopia con riscontro di tbc o un Quantiferon positivo. La situazione è
drammatica se ha già iniziato ad assumere il chinolonico perché ci può essere una risposta
temporanea al chinolonico che altera il risultato degli esami e la sintomatologia. Per evitare questo,
il consiglio è di non usare mai un chinolonico se si sospetta la tbc con un’infezione respiratoria acuta
concomitante.

ANTIBIOTICI CONTRO ANAEROBI


Si può fare una distinzione tra le infezioni del tratto addominale e quelle del tratto genito-urinario; di
solito nel tratto addominale devo coprire soprattutto i Gram – e per questo i chirurghi utilizzano molto
i chinolonici come la Ciprofloxacina associati a Amoxicillina Clavulanato. Devo però anche
coprire gli anaerobi, ad esempio in caso di diverticolite, colecistite, colangite o polmoniti ab-ingestis
dove l’aspirazione è di flora batterica proveniente dall’intestino.
In caso di infezione del tratto addominale o genitourinario si prescrive il Metronidazolo. Quando si
trova prescritta la Clindamicina, antibiotico che viene prescritto negli altri casi e che agisce
soprattutto sui tessuti molli (es. cellulite che non deve evolvere in fascite) e contro i Gram +,
probabilmente è perché è stata ipotizzata la presenza di S. Aureus.
Se si trattasse di una cosa lieve come un’erisipela si può mettere Amoxicillina ma se il paziente ha
segni di compromissione sistemica serve pensare alla Vancomicina per lo MRSA associata a
qualcosa per gli anaerobi finché non si ha l’antibiogramma (solitamente la Clindamicina).

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

SCELTA RAGIONATA DEGLI ANTIBIOTICI


Per scegliere un antibiotico, oltre a conoscerne le indicazioni, devo tenere conto di altri parametri.

• Ospite, domandarsi se il paziente è a rischio di patogeno multiresistente come:


o persona anziana, soprattutto se
vive in una struttura sanitaria,
o diabetico (più suscettibile a
infezioni cutanee o delle vie urinarie e
MRSA),
o paziente ospedalizzato
recentemente ovvero fino a 6 mesi
prima (infezioni associate alle cure
sanitarie),
o HIV, cancro o pazienti
immunodepressi in generale.
Se ci si trova di fronte ad un paziente, già ricoverato in passato per un’infezione x con allegato
antibiogramma, che torna con lo stesso problema, verosimilmente la terapia fatta in precedenza ha
fallito poiché il patogeno non è stato eradicato completamente e devo ri-prescriverla. La tentazione
di utilizzare il precedente antibiogramma è molto elevata ma questo non va fatto.

• Patologia
• Patogeno in base alla sede dell’infezione
• Decidere cosa coprire e cosa lasciare fuori. La tentazione sarebbe quella di mettere la
Vancomicina, un carbapenemico, una copertura per i funghi per essere sicuri e
successivamente fare una de-escalation therapy all’arrivo del colturale passando a un solo
farmaco. Così facendo, soprattutto se il paziente ha fatto una terapia antibiotica pregressa,
la possibilità che il colturale venga negativo è molto alta. A questo punto, supponendo anche
che stia rispondendo alla terapia, in base a quale criterio da tre passo a uno? Diventa difficile.
È necessario fare dei ragionamenti prima.
Ad esempio, lo MRSA se il paziente viene con la polmonite non è la prima cosa che penso di andare
a coprire.

INFEZIONI CHE SI POSSONO TROVARE SPESSO IN MED INTERNA


CAP
Il paziente immunocompetente, di solito la persona giovane, ha come patogeno atipico principale il
Mycoplasma pneumoniae e questo risponde in maniera fantastica all’Azitromicina, ora venduta in
scatolette da 3 cc con emivita di 48h ovvero terapia di 6 giorni, un ciclo completo.
Nel caso di paziente con comorbidità, nell’adulto o in una persona con recente esposizione a
antibiotici si utilizza:

• Amoxicillina Clavulanato in associazione con un macrolide


• fluorochinolonico respiratorio (Levo o Moxifloxacina).

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

HAP
Le polmoniti ospedaliere invece necessitano di una copertura ad ampio spettro e serve orientarsi
anche in base a dove si trova il paziente, se in terapia intensiva o in un setting di cura differente.
Si utilizza:

• Cefepime,
• carbapenemico per lo Pseudomonas + Piperacillina Tazobactam,
• Vancomicina.
Attenzione alla DD tra insufficienza respiratoria acuta ed embolia polmonare; ora la polmonite da
Covid spesso unisce le due cose, la polmonite virale che sostanzialmente è una polmonite
interstiziale con un aspetto simile a quella da atipici con un ulteriore interessamento vascolare.
MENINGITE
Le meningiti non sono frequenti ma si possono trovare. Il quadro tipico è di un paziente che arriva
con alterazione dello stato di coscienza, con febbre che non risponde o risponde male alla terapia
antipiretica. Quando si inizia la terapia ad ampio spettro con ad es. Piperacillina Tazobactam o
Amoxicillina endovena non risponde, la febbre non scende. Una volta visti due tre pazienti le febbri
centrali si riconoscono perché le ricadute sul sensorio sono evidenti e la modalità di respiro è
caratteristica.
I patogeni sono Streptococco Pneumoniae, N. meningitidis, H. influenzae.
I protocolli aggiornati per i pazienti di età superiore a 50 anni prevedono l’utilizzo di tre farmaci: una
cefalosporina che di solito è il Ceftriaxone + Vancomicina + Ampicillina (se si pensa alla Listeria
monocytogenes). Di solito si parte con tutti e tre fino al risultato dell’analisi del liquor. L’utilizzo di uno
steroide, soprattutto se ci si trova di fronte ad una meningite da Streptococco (S. pneumoniae),
riduce significativamente i sintomi e gli esiti neurologici ed è anche associato a una riduzione della
mortalità. Lo steroide che passa la barriera emato-encefalica è il desametasone.
Attenzione al ritardo diagnostico: è molto frequente il caso di anziano con febbre e con alterazione
dello stato di coscienza in cui prima si va a escludere tutto il resto come una polmonite e un’infezione
delle vie urinarie e dove spesso si ricade nelle febbri di origine sconosciuta (FUO) prima di prelevare
il liquor tardivamente. Inoltre, attenzione alla meningite batterica che può mimare quelle virali
soprattutto nelle fasi precoci.
CELLULITE
Cefalosporine oppure Vancomicina se il paziente non migliora, per cui si deve sospettare lo
MRSA.
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
CISTITE SEMPLICE
I patogeni responsabili sono E. Coli, Klebsiella e Enterococcus.
Gli antibiotici di prima scelta sono:

• Fosfomicina
• Nitrofurantoina, antibiotico che non ha un assorbimento sistemico, stessa copertura della
Fosfomicina, copre il Coli ma è meno semplice da utilizzare perché sono più compresse da
assumere più volte al giorno
• Amoxicillina
• Trimetoprim-SMX in assenza di insufficienza renale.

Maria Letizia Moro Elisa Righele


5.2 Terapia Medica e Nutrizione 14.11.2022

PIELONEFRITE
Se l’infezione si complica diventando una pielonefrite si utilizzano la Ciprofloxacina oppure il
Ceftriaxone.
Attenzione che i fluorochinolonici non sono indicati in prima linea.
Esempio: ragazza soggetta a cistite che si porta in viaggio Ciproxin (Ciprofloxacina) per sicurezza
dato che funzionerà sicuramente. Questo non va fatto perché sarebbe “come sparare con un bazuca
contro una formica”, si ha il rischio di selezionare patogeni resistenti. La vecchia Fosfomicina
funziona nel 90% dei casi in un apparato urinario non compromesso.
SEPSI
Quando non si sa come iniziare e il paziente è grave, settico, va messa una copertura ad ampio
spettro con:

• Piperacillina Tazobactam con possibile associazione a Vancomicina,


• carbapenemico come Imipenem e Meropenem + copertura per MRSA.
FUNGHI
Le persone soggette a infezioni fungine sono i diabetici, gli immunodepressi come pazienti
trapiantati, ematologici e oncologici.

RICAPITOLANDO:
1. È un’infezione batterica o virale? Fare anamnesi, emocromo completo con formula, PCR e
procalcitonina (assimilabile ad un indicatore della severità dell’infezione).
2. Conoscere i principali patogeni responsabili di infezione nella sede anatomica interessata e
impostare terapia empirica.
3. Conoscere la flora batterica prevalente nella struttura ospedaliera; il Comitato Infezioni
Ospedaliere ha pubblicato recentemente una revisione del libretto con le linee guide che
dovrebbe includere l’esito delle ricognizioni fatte nella nostra struttura per sapere i patogeni
più rappresentati.
4. Considerare i trattamenti precedenti (2-4 settimane) seguiti dal paziente per le eventuali
resistenze.
5. Considerare i fattori specifici dell’ospite come
• età
• immunodepressione
• funzione epatica e renale
• durata dell’ospedalizzazione
• severità della patologia.

6. A 3 giorni fare il punto sull’effetto dell’antibiotico: servono 72h per avere una risposta clinica,
eventuali esami colturali e l’antibiogramma. Spesso se il paziente ha già iniziato a domicilio
un antibiotico e arriva in ospedale perché persiste la febbre, non viene cambiato l’antibiotico
ma si può agire sulla gravità clinica o, se si ritiene che non sia completamente coperto, si
aggiunge qualcosa. Non si sospende ciò che ha già iniziato.
Attenzione al fatto che dopo 3 gg gli antibiotici ad ampio spettro alterano il microbiota e
selezionano i ceppi resistenti, aumentando il rischio per Clostridium difficile.

7. Scegliere l’antibiotico a spettro più ristretto, con il minor rapporto costo-efficacia e la minore
tossicità. Appena è possibile cominciare la de-escalation therapy.

Maria Letizia Moro Elisa Righele


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

MALNUTRIZIONE: SCREENING E VALUTAZIONE NUTRIZIONALE


La professoressa denota come molti specializzandi seppur conoscendo i concetti generali siano
carenti nelle conoscenze pratiche per il trattamento della malnutrizione. L’obiettivo di questa parte
di corso è dare delle indicazioni che possano avere utilità per ogni specialità, sia nel territorio che in
ospedale.
Definizione di MALNUTRIZONE 1: stato subacuto o cronico di squilibrio nutrizionale in cui una
combinazione di diversi gradi di iper/iponutrizione e attività pro-infiammatoria determinano un
cambiamento della composizione corporea e una ridotta funzione
La malnutrizione include sia l‘ipernutrizione che la denutrizione perché identifica un’alterata
composizione della massa corporea senza far riferimento alla quantità di massa rispetto all’altezza
(BMI).
Il BMI con il tempo si è dimostrata una definizione grossolana che andrebbe rivista. Per fare un
esempio, il limite inferiore di 18.5 può essere accettabile per un adolescente in crescita o centenario,
in altre fasi della vita è assolutamente troppo basso per rientrare in un range di normalità.
La malnutrizione va suddivisa in base alla presenza di un cambiamento della composizione
corporea, un’alterata funzione e la presenza/assenza di uno stato infiammatorio. Esistono
malnutrizioni:
- Pure: persone che non mangiano, il paradigma è l’anoressia nervosa.
- Con stato infiammatorio, in cui il paradigma è la cachessia (in particolare quella oncologica).

Nella classificazione dei disturbi nutrizionali rientrano anche i deficit di micronutrienti, denominata
anche dall’OMS come fame nascosta.
Lo stato nutrizionale dovrebbe essere sempre valutato durante la raccolta dell’anamnesi fisiologica.
La valutazione si compone in:
1. Screening per i fattori di rischio
2. Diagnosi
3. Valutazione medica e parametri obbiettivi di laboratorio e strumentali
4. Trattamento

1
Non vi è una definizione di malnutrizione accettata universalmente. Tuttavia la seguente è ampiamente
riconosciuta anche da ESPEN (European Society for Clinical Nutrition and Metabolism)

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

INDIVIDUAZIONE DEL RISCHIO DI MALNUTRIZIONE (SCREENING)


STRUMENTI PER INDIVIDUARE IL RISCHIO DI MALNUTRIZIONE
Il soggetto a rischio per malnutrizione viene individuato mediante degli score.
Si tratta di semplici questionari che individuano il rischio di malnutrizione e soprattutto di eventi
avversi, e determinano se il paziente potrebbe trarre beneficio dal supporto nutrizionale.
[Slide] Sono disponibili strumenti pratici e validati per lo screening e per il trattamento dei pazienti a
rischio di malnutrizione; purtroppo questi strumenti non trovano grande applicazione, e così si
genera un grande problema di sotto-diagnosi.
È bene conoscere quale score utilizzare in relazione al paziente che si va a valutare:
- Per pazienti ospedalizzati di comunità: MUST (Malnutrition Universal Screening Tool), il più
utilizzato.
- Per anziani: MNA (Mini Nutritional Assessment) per valutare il rischio. Esistono 22 score
validati in ambito geriatrico.
- Per pazienti adulti ospedalizzati: NRS 2002, prima parte per lo screening e la seconda per
la diagnosi.
- Per bambini: STAMP (Screening Tool for the Assessment of Malnutrition in Paediatrics),
STRONGkids.
Anche se i questionari sono mirati a popolazioni specifiche esistono degli item comuni:
- Entità del calo ponderale: vengono considerati come cut-off una perdita del del 5% del peso
in 6 mesi o del 10% in tempo indefinito. La perdita di peso percentuale è il parametro più
importante, supera anche il concetto di BMI. Ad esempio, in un paziente oncologico durante
una chemioterapia quello che conta è la percentuale di peso perso, non quello raggiunto. Un
uomo che inizia la chemioterapia pesando 136kg e dopo il trattamento raggiunge gli 80kg non
è da considerarsi un vantaggio, come si credeva in passato, poiché ha raggiunto un BMI
normopeso: un tale calo ponderale è un indice di aumentata mortalità.
- Basso BMI: il cut-off inferiore è variabile a seconda dello score utilizzato in funzione anche
dell’età. Il valore fisiologico nell’anziano è 22.
- Riduzione significativa delle ingesta2 nell’ultima settimana o nei 10 giorni precedenti il
ricovero.

MUST SCORE
Score nato in Inghilterra, ideato dalla British Association for Parenteral & Enteral Nutrition (BAPEN)
che valuta:
- BMI
- calo ponderale non programmato
- riduzione delle ingesta per più di 5 gg.
[è consigliabile leggere le slide]. Si fa la somma dei punteggi per ogni marcatore.
- 0, rischio basso  non si fa niente ma si dovrebbe comunque ripetere dopo una settimana.
- 1, rischio medio  monitorare le ingesta e rivalutarlo a 3 giorni.
- 2 o superiore, rischio alto  si è tenuti ad iniziare un trattamento eventualmente
rivolgendosi ad uno specialista.
In ogni caso registrare se il paziente è obeso.

2
Cibo ingerito

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

NRS 2002
Nelle cartelle in uso a Cattinara a pagina 2, relativa all’anamnesi fisiologica, si trova l’NRS 2002. È
uno score che propone al medico le seguenti domande:
1. BMI inferiore a 20.5
2. Perdita di peso involontaria nei 3 mesi precedenti
3. Riduzione dell’introito nell’ultima settimana
4. Malattia grave (es ICU)  i malati di area critica hanno attivazione metabolica dovuta alla
risposta dell’acuto che induce un aumentato catabolismo. Per questa eventualità si ha un
protocollo dedicato.
Se la risposta è NO a tutte le domande va ripetuto settimanalmente, se invece è Sì a una o più
domande nella parte relativa allo screening si passa alla seconda parte per la diagnosi di
malnutrizione. Nella seconda parte (non presente nelle cartelle) si attribuisce un punteggio in base
alla malattia.

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

La seconda parte indica la severità della patologia, prevede una parte in cui viene gradualizzato
l’entità del calo ponderale data soprattutto dalla riduzione degli introiti e dal BMI sommato alla
severità della patologia. Può ricadere in gruppi diversi a seconda severità (lieve =1, Moderato=2,
elevato=3).
NB: il pz ha età maggiore di 70aa è di default3 assegnato alla categoria di rischio con punteggio 1
perchè effettivamente presenta un rischio maggiore di malnutrizione.

DIAGNOSI
Per far diagnosi si parte dallo screening  se positivo si fa una valutazione attraverso due criteri:
1) Criterio Fenotipico
a) Calo ponderale involontario
b) Basso indice di massa corporea
c) Ridotta massa muscolare: Non è pratica di routine la valutazione della massa muscolare.
Non esistono strumenti dedicati, si passa dal giudizio soggettivo (strumento di minore
affidabilità) alla DEXA (gold standard).
[Integrazione coorte 2017] si fa con il bioimpedenzometro o la presenza di un radiologo che con una
TAC vede la quantità di massa muscolare a livello di L3 da cui si riesce a ottenere la muscolarità di
tutto l’organismo. Se questi 2 metodi non sono disponibili allora bisogna usare i proxi e si approssima
dalla circonferenza del braccio o del polpaccio i quali dipendono molto dal muscolo. È stato fatto un
ottimo lavoro pubblicato quest’ anno dall’ American Journal of Nutrition in cui sono definiti i cutoff
della circonferenza del polpaccio per sesso, età, e indice di massa (fondamentale in quanto esistono
dei fattori di correzione da applicare per paragonarlo ai range di normalità). Bisogna anche
considerare il proprio giudizio clinico andando al letto del paziente e facendosi un’idea sulla sua
massa muscolare (consigliato guardare sia le gambe sia a livello degli interossei).

2) Criterio Eziologico
a) Ridotto introito e assorbimento calorico
b) Patologia cronica o presenza di uno stato infiammatorio (quasi onnipresente negli
ospedalizzati, derivato dai livelli di PCR o PCT)
La diagnosi di malnutrizione va dunque segnalata e caratterizzata. Una volta che si arriva alla
diagnosi, la malnutrizione deve essere segnalata nella lettera di dimissione: deve essere codificata,
non basta scrivere malnutrizione. È importante perché purtroppo la diagnosi di malnutrizione

3
La professoressa ricorda che è lo stesso per le donne a cui viene assegnato un punteggio di 1 nella
valutazione di CHA2-DS2-Vasc per il rischio trombotico

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

aumenta gli indici di Case Mix, ovvero aumenta la complessità del paziente qualsiasi sia la sua
condizione di base in quanto ha un effetto a 360 gradi.

VALUTAZIONE MEDICA
Da eseguire in seguito alla diagnosi.
1) Anamnesi
a) Variazioni ponderali recenti e introito alimentare: già chieste in sede di screenig
b) Abitudini dietetiche
c) Allergie e intolleranze alimentari
d) Farmaci (anoressia, funzione GIS): esistono farmaci che provocano iporessia o anoressia
(e.g. i chemioterapici), altri hanno effetto oressizzante (e.g. gli steroidi, che provocano anche
aumento della deposizione di adipe lungo lo scheletro assiale e aumentato catabolismo
muscolare)
e) Capacità funzionale: astenia
f) Patologie acute e croniche
g) Nausea e vomito
h) Disfagia a cui si associano i cosiddetti sintomi NIS4 (Nutrition Impact Symptoms)
i) Stipsi e diarrea
j) Attività fisica
k) Disturbi psicologici/psichiatrici: non si chiamano più disturbi del comportamento alimentare
DNA (Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione)

2) Esame obbiettivo
a) Valutazione della massa muscolare e tessuto adiposo sottocutaneo. Per avere un’idea della
massa muscolare si vanno a vedere:
i) La bolla del Bichat.
ii) I muscoli interossei. Esiste, infatti, uno strumento per misurare lo spessore dell’adduttore
del pollice.
iii) Le pliche bicipitale e tricipitale.
iv) La circonferenza del braccio ma soprattutto del polpaccio, quella più fortemente
correlata alla massa muscolare: il cut-off è stabilito a 31 cm per chi ha un BMI fra 20-25.
In generale i cut-off vanno corretti per sesso e per età.
b) Ispezione e palpazione per segni di ritenzione idrica: edemi solitamente posizionali e ascite.
Ricordarsi che gli edemi al volto sono tipici della sindrome nefrosica.
c) Deficit di vitamine e minerali: sono estremamente sfuggenti, quando si manifestano
clinicamente identificano un deficit è già severo. L’argomento viene trattato più estesamente
nella seconda parte della lezione. Le principali manifestazioni cliniche delle ipovitaminosi
sono:
i) glossiti correlate a carenza di ferro o vitamina B12, quest’ultima dà anche anemia
macrocitica e cheilite, il ferro dà anche anemia microcitica.
ii) irritabilità neuromuscolare per deficit di calcio e fosforo. NB: quando si presentano
deficit neurologici è sempre da considerare il rischio di aritmia.

3) Test funzionali: secondo alcuni questo è il punto che conta maggiormente, poiché in alcuni casi
c’è discrepanza tra lo stato fisico del paziente e la sua effettiva capacità di svolgere le proprie
attività autonomamente. Per la valutazione funzionale si tiene conto di:
a) FUNZIONE MUSCOLARE:

4
alterazioni del gusto e dell'olfatto, mucosite, nausea, costipazione, dolore e suo trattamento o mancanza di
respiro. La Professoressa nomina anche xerostomia.

Lara Pasin Mattia Biber


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i) Funzione muscolare con dinamometro per misurare la forza. Si è stabilito che per la
mano la forza peso da vincere deve essere almeno di 27kg per un uomo e 16kg per una
donna. È il primo test da eseguire nella diagnosi della sarcopenia.
ii) Performance fisica: Short Physical Performance Battery Test (SPPBT) eseguito da un
fisioterapista che prevede di mantenere per 10s i piedi uno davanti all’altro, poi il tallone
a livello della punta dell’altro piede, infine uno di fianco all’altro. Successivamente si
chiede al paziente di camminare per 4 metri e di sedersi e alzarsi per cinque volte da una
sedia a braccia conserte, cronometrandolo. Si è dimostrato che esiste una correlazione
tra il punteggio ottenuto al SPPBT e la presenza di sarcopenia. Il SPPBT fa parte della
valutazione anestesiologica in preparazione ad una chirurgia elettiva: se un paziente è
sarcopenico sarà più difficile da ventilare e poi estubare poiché ad una sarcopenia degli
arti inferiori corrisponde una sarcopenia del diaframma. È stato quindi introdotto il
concetto di pre-abilitazione che prevede: esercizi prima dell’intervento chirurgico e, a
Milano, implementare la dieta con proteine del siero del latte e lo yogurt greco.
b) [slide] FUNZIONE MUSCOLARE RESPIRATORIA (e.g. flusso di picco, FEV1)
c) [slide] FUNZIONE COGNITIVA
d) FUNZIONE IMMUNITARIA  Linfocitopenia. Un malnutrito ha quasi sempre i linfociti bassi,
c’è una selezione a livello midollare delle cellule da produrre. In caso di malnutrizione una
delle prime funzioni che si perde è la produzione di linfociti. Con l’aggravarsi dello stato
patologico (e.g. anoressia nervosa severa) si cade nella pancitopenia. Per questo motivo
molto spesso il ricovero ospedaliero di un paziente malnutrito è dovuto a un’infezione
severa.

4) Esami di laboratorio
a) Pannello completo di routine: emocromo con formula, funzione epatica e renale, marker di
flogosi, sodio, calcio e potassio (per la sindrome da rialimentazione)
b) Proteine sieriche (albumina, prealbumina, transferrina)
c) Vitamine (B12, D), oligoelementi (ferro e zinco), minerali (K +, Ca2+, P, Mg2+)
d) Bilancio azotato: l’azoturia è un indice catabolico usato solo in terapia intensiva

ALBUMINA
Fra i tanti ruoli che ricopre, l’albumina è ranche un marcatore di fase acuta in caso di
infiammazione/infezione. Questo si spiega con l’aumento della permeabilità vascolare e il
conseguente stravaso nel terzo spazio con conseguente ipoalbuminemia da sequestro. A tal
ragione prima di considerare l’albumina come marker nutrizionale è bene abbassare la PCR
risolvendo lo stato infiammatorio.
L’albumina ha un’emivita di 20 giorni (turnover molto lento). In terapia intensiva per ovviare a questo
problema si misura la pre-albumina che ha un’emivita molto più breve (2-3 giorni). Il precursore
permette di monitorare il paziente nel breve termine, molto importante soprattutto in terapia
intensiva.
A completamento del pannello laboratoristico per le proteine sieriche, in corso di malnutrizione si
aggiungono anche la transferrina e la proteina legante il retinolo, specialmente nei pazienti
ambulatoriali affetti da malassorbimento cronico.

Lara Pasin Mattia Biber


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Le proteine sieriche sono di produzione epatica, pertanto risultano ridotte in caso di insufficienza
epatica. Le concentrazioni seriche si riducono anche in caso di aumento del volume di distribuzione
per aumento terzo spazio o in caso di aumentato catabolismo indipendentemente dallo stato
nutrizionale.

CAUSE DELLA MALNUTRIZIONE


Individuato uno stato di malnutrizione è bene risalire alla causa, tipicamente:
1) Assunzione insufficiente di alimenti: tipico delle disabilità e di numerose malattie.
2) Effetti di malattie e relative cure: Conseguente riduzione della quantità di cibo consumato.
Ad esempio: inappetenza, problemi di deglutizione e effetti collaterali dei farmaci. Le malattie
possono inoltre indurre un aumento del catabolismo.
3) Assenza di specifiche responsabilità delle autorità sanitarie e del personale sanitario:
Formazione e strumenti di monitoraggio accentuano il problema della malnutrizione.
In una raccolta dati fatta qualche anno fa a Trieste si è dimostrato che il motivo principale per
cui in reparto viene saltato il pasto è il digiuno su prescrizione medica in preparazione a una
procedura medica (trasfusione, gastroscopia, prelievo ematico).5
Il 50% dei pazienti ospedalizzati non termina il pasto offerto e il 30% pazienti curati a casa consuma
solo metà del pranzo, non soddisfacendo le proprie esigenze nutrizionali.

CONSEGUENZE DELLA MALNUTRIZIONE


L’assenza di un monitoraggio sistematico dei rischi della malnutrizione ha rappresentato spesso
un’occasione mancata di intervento tempestivo e prevenzione del problema. Inoltre, anche se
diagnosticata, la malnutrizione non viene sempre curata adeguatamente. Spesso meno del 50% dei
pazienti con diagnosi di malnutrizione riceve trattamenti.
1. Percentuali di morbilità e mortalità più elevate in patologie acute e croniche: i pazienti
malnutriti sono soggetti a un maggior numero di complicanze, sia mediche che chirurgiche,
rispetto a quelli nutriti correttamente.
 Sviluppo di ulcere da decubito
 Insufficiente guarigione delle ferite
 Complicanze post-operatorie: insufficienze renale grave, polmonite e insufficienza
respiratoria
 Maggior rischio di infezioni: Il rischio di contrarre infezioni è tre volte superiore nei pazienti
ospedalizzati malnutriti.
2. Conseguenze connesse a una scarsa qualità di vita nel paziente a domicilio: la
malnutrizione ha un impatto particolarmente negativo sugli anziani e ne compromette
funzioni, motilità e autonomia.
3. La malnutrizione ha un impatto negativo sulla crescita e sullo sviluppo dei bambini con
malattia croniche. Si entra in uno stato di stunting, cioè quando il bambino non cresce.
In AcCo era fatto uno studio nel 2002 in cui sono stati suddivisi 5698 pazienti in base al rischio
nutrizionale che ha dimostrato come uno stato di malnutrizione sia legato ad effetti avversi nel
tempo. La differenza nella sopravvivenza era circa del 30% tra i due gruppi.

5
La professoressa racconta di un paziente che per circa 10 gironi ha aspettato un’amputazione di piede
diabetico (intervento sporco) rimanendo a digiuno fino ad ora di pranzo tutti i giorni.

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

CONSEGUENZE ECONOMICHE
Nei pazienti ospedalizzati:
- Prolungamento della durata della degenza ospedaliera, anche nei bambini
- Aumento dei ricoveri reiterati
- Ritardo della dimissione
Nei pazienti in comunità
- Aumento del numero di visite dei medici di famiglia
- Aumento il numero dei ricoveri in ospedale
- Prolungamento della degenza ospedaliera
I costi della malnutrizione sono doppi rispetto a quelli del sovrappeso e dell’obesità. In queste
patologie infatti, il problema è piuttosto l’aumento del rischio cardiovascolare per lo sviluppo di
sindromi coronariche acute. Tuttavia, il carico in cronico non è paragonabile a quello di un malnutrito
perché il problema cardiologico una volta individuato e trattato non porta conseguenze nel lungo
tempo quanto la malnutrizione.

EPIDEMIOLOGIA
- 33 milioni di persone sono a rischio malnutrizione in Europa.
- 1 su 5 ricoverati in ospedale è a rischio di malnutrizione. Tra gli anziani la malnutrizione è
particolarmente diffusa, di conseguenza l’invecchiamento della popolazione porterà ad
un’accentuazione del problema negli anni a venire. Nello specifico si hanno 1 malnutrito su 3
negli ospedali, più di 1 malnutrito su 3 nelle case di cura e 1 a rischio di malnutrizione su 3 a
casa.
Più importante da ricordare è la diffusione della malnutrizione rispetto alla patologia:
- Patologie gastrointestinali: se
l’intestino non funziona ovviamente si
avrà una riduzione dell’apporto di
nutrienti. Questo non avviene solo
nelle MICI.
- Patologie respiratorie: BPCO
- Demenza: nella demenza è un vero e
proprio sintomo. Non si deve ricorrere
al trattamento dello stato nutrizionale
perché non si migliorerebbe la
mortalità; si tratterebbe di
overtreatment. Quando un soggetto
non mangia significa che la patologia
sta progredendo, i familiari vanno
informati per evitare il sospetto di un
fallimento terapeutico
- Oncologia
- Infezione: sia nelle malattie infettive
sia nei reparti per acuti generici

Le tabelle sottostanti mostrano una metanalisi condotta della Società Italiana della Nutrizione
Artificiale e del Metabolismo (SINPE) degli studi effettuati negli ultimi 15 anni in Italia in cui si fa una
analisi della prevalenza e il costo economico della malnutrizione.

Lara Pasin Mattia Biber


6.1 Terapia Medica e Nutrizione 23.11.2022

I dati ottenuti dimostrano come rispetto alla situazione vista in precenda ci sia stato un
peggioramento con circa una persona su due malnutrita in ospedale e il 70% in RSA.

L’analisi è stata fatta anche su pazienti pediatrici.

L’aumento dei costi è imputabile agli elementi sopracitati della durata. Si va dal miglior scenario di 3
milioni peggior scenario di 16 milioni.
Un integratore costa tra 1 e 2 € per un totale di 4€ al giorno. Una sacca da 500ml di soluzione
fisiologica costa 0,80€, ogni giorno se ne assume un litro, mentre una sacca per la nutrizione
parenterale costa 14 €. I farmaci biologici hanno costi molto più elevati e inoltre risponde solo il 30-
40% dei pazienti. I costi per affrontare la malnutrizione sono relativamente bassi, sarebbe
consigliabile investirci di più.
MISURE DA ADOTTARE [slide]
Prerequisiti indispensabili per il successo della terapia:
- è necessario un coinvolgimento di tutti gli operatori del settore a tutti i livelli
- consapevolezza e formazione e educazione sono fondamentali per il buon esito della terapia
- controlli e attività di miglioramento della qualità dovrebbero essere quasi inclusi in qualsiasi
iniziativa volta a combattere la malnutrizione
- è necessario condividere sistematicamente le buone pratiche
Domanda: durante il corso di semeiotica si è parlato di come la suddivisione in somatotipi
(endomorfo, mesomorfo, ectomorfo) sia una classificazione superata. Ora però sta tornando la
concezione che le persone hanno lo stesso peso, ma composizione diversa (ossatura, massa magra
e massa grassa). Non è che si è fatto uscire dalla porta un concetto per farlo rientrare dalla finestra?

Risposta: Una professoressa di Pavia ha dimostrato che il peso dello scheletro ha delle differenze
che non sono così rilevanti da poter stabilire una classificazione. Quello che conta come già è la
composizione di massa magra e massa grassa perché si riflette sulla funzionalità. Si sta diffondendo
una nuova modalità di calcolare dose per la chemioterapia è bene non usare peso e altezza ma
basarsi sulla qualità di massa muscolare per una dose più precisa e meno tossica.

Lara Pasin Mattia Biber


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

TRATTAMENTO DELLA MALNUTRIZIONE


Per i nutrizionisti e gli internisti l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di garantire l’utilizzo
dell’intestino del paziente laddove sia mantenuta la normale funzionalità intestinale, per evitare di
causare danni importanti e talvolta irreversibili.1
La prof.ssa racconta il caso di un signore di 65 anni, il quale si era recato in ospedale per una
mucosite del cavo orale con disfagia assoluta, conseguente alla chemio-radioterapia con cui era in
trattamento per un tumore della lingua; a causa di ciò, era in stato di disidratazione severa. Essendo
il paziente a forte rischio di infezione del cavo orale, favorita anche dalla terapia steroidea in corso,
si potrebbe pensare di procedere con la nutrizione parenterale: in questo caso, però, la nutrizione
parenterale non è indicata perché il paziente non presenta problematiche gastrointestinali. Infatti,
dopo appena 5 giorni di digiuno, l’intestino può andare incontro a traslocazione batterica per
allargamento delle tight junctions cellulari: se non si cura il microbiota intestinale, si incorre nel rischio
di selezionare ceppi batterici patogeni con possibile sviluppo di infezioni intestinali, soprattutto se il
soggetto è anche immunocompromesso. Nel caso di un paziente come quello appena descritto, ci
sono diverse opzioni per la nutrizione:

• Se il paziente riesce a nutrirsi, senza rischio di ab ingestis, si possono utilizzare gli ONS,
(Oral Nutrizional Supplements), ovvero supplementi nutrizionali orali; si tratta di alimenti
a fini medici speciali che necessitano della prescrizione medica (non sono gli integratori
classici che si trovano in farmacia o nei supermercati);
• Se il paziente non riesce ad assumere nemmeno gli ONS, ma la funzionalità intestinale non
è compromessa, si può ricorrere alla nutrizione enterale;
• Nel caso in cui il paziente abbia una funzionalità intestinale compromessa, si deve optare
per la nutrizione parenterale.
La diagnosi precoce è di fondamentale importanza per un trattamento efficace della malnutrizione;
il monitoraggio con strumenti sperimentali dovrebbe essere una pratica di routine.
Per il trattamento è possibile utilizzare diverse strategie, come regimi dietetici, integratori orali,
alimentazione enterale o nutrizione parenterale.2

Purtroppo, nei reparti ospedalieri la nutrizione parenterale è spesso abusata, senza rispettare le
indicazioni al trattamento nutrizionale e l’effettivo fabbisogno energetico del paziente.
Per impostare correttamente il trattamento nutrizionale bisogna saper calcolare il fabbisogno
energetico di una persona; la spesa energetica totale (TEE) di una persona è la somma di tre
componenti:

• Il principale è la spesa energetica a riposo (REE = Resting Energy Expenditure), cioè la


spesa energetica quotidiana minima di una persona necessaria a mantenere le funzioni vitali
dell’organismo, come quelle del SN autonomo (regolazione della temperatura corporea, del
battito cardiaco,..). Corrisponde al 70% del totale ed è anche definita come “metabolismo
basale”. A differenza del peso dello scheletro, che presenta solo minime variazioni, nel caso

1
La prof. ha detto letteralmente: “Il mantra di ogni nutrizionista e di ogni medico è che, se l’intestino funziona,
bisogna utilizzarlo, altrimenti si incorre nel rischio di causare importanti danni al paziente”.
2
Integrazione da slide

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

della REE c’è una variabilità interindividuale rilevante: alcuni soggetti presentano una spesa
energetica a riposo più bassa (ipometabolismo), mentre per altri è più alta (ipermetabolismo).
Dipende, oltre che dalla genetica, anche da altre variabili:
o sesso
o peso
o altezza
o età: il metabolismo basale tende ad essere più elevato nei giovani e a ridursi con
l’avanzare dell’età.
Inoltre, alcune patologie, classificate come Rischio Nutrizionale 2 o 3, aumentano la REE
attraverso lo stimolo neuro-ormonale e citochinico all’ipotalamo e i cambiamenti nella
secrezione di citochine e neurotrasmettitori, che provocano una mobilizzazione delle scorte
energetiche.
Da sbobine 2017: Ci sono poi situazioni che aumentano il metabolismo basale e queste sono
tipicamente i traumi, le infezioni, e la risposta di fase acuta. Anche nel paziente febbrile
aumenta per la produzione del calore.
Ad esempio, una persona a digiuno, all’inizio utilizza il glicogeno epatico (che fornisce
all’incirca 1000 kcal, non sufficienti a sopperire al bisogno energetico giornaliero), poi i lipidi,
che sono una fonte enorme di chilocalorie (1 g di lipidi forniscono 9 kcal, mentre 1 g di
proteine o carboidrati forniscono 4 kcal), e solo alla fine vengono intaccate le proteine.
L’organismo catabolizza le proteine solo per ultime e cerca di conservarle il più a lungo
possibile: infatti, i soggetti sottoposti a digiuno sano hanno una quota di albumina conservata.
Invece, quando si tratta di una patologia a rischio nutrizionale, i primi nutrienti ad essere
consumati sono proprio le proteine provenienti dal muscolo, con conseguente sarcopenia.

• la spesa energetica correlata all’attività fisica (AEE), corrispondente circa al 25% della
spesa totale3, ma può arrivare fino al 70% per gli atleti di alcuni sport professionistici.

• la termogenesi indotta dalla dieta (DIT) corrisponde alla produzione di calore in seguito
all’assunzione di un pasto e incide per un 5% sul totale. È più elevata se il pasto è ricco di
proteine e determina un aumento della temperatura corporea che può durare per circa 10
ore dall’assunzione del pasto.

MASSA CORPOREA E UTILIZZO ENERGETICO


Ci sono organi che consumano più energia di altri, come si può osservare
dall’immagine a fianco. La spesa energetica in percentuale è principalmente
dovuta a 4 organi: il cervello, il fegato, il cuore e i reni. Questi organi
rappresentano solo il 5% del peso corporeo totale ma sono responsabili del 66%
del consumo di energia.

3
in una persona non sedentaria che ad esempio raggiunge i 10.000 passi al giorno.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

Il muscolo è responsabile del 23% del consumo totale, ma questo valore può variare perché deve
essere aggiustato sulla base della quota effettiva di massa muscolare individuale. In realtà, il
muscolo consuma meno energia in termini percentuali rispetto a cervello, fegato e cuore, ma,
essendo la sua massa preponderante nel nostro organismo, nel complesso la spesa energetica a
riposo è molta di più.
C’è quindi correlazione diretta tra quantità di massa e spesa energetica.

CALCOLO DEL FABBISOGNO ENERGETICO


Il fabbisogno energetico si può calcolare facilmente con la seguente formula: 25 limite inferiore
30 limite superiore
25-30 kcal x kg di peso corporeo
Nell’adulto con peso stabile la spesa energetica deve essere pari all’introito. Ci sono poi
aggiustamenti che devono essere fatti, ad esempio:
o nei soggetti in sovrappeso, nei quali bisogna ridurre del 20% il fabbisogno calcolato per
ottenere un dimagrimento;
o nei soggetti con paralisi e sarcopenici, nei quali la massa muscolare è meno rappresentata e,
quindi, hanno un fabbisogno inferiore;
o soggetti con alcune malattie come il Morbo di Parkinson e la Corea di Huntington: si tratta di
patologie che portano ad irrigidimento e contrazione muscolare, per cui dispendio energetico
è elevatissimo.
Le patologie, a seconda del tipo e del grado di severità, modificano il fabbisogno energetico.
Se ci si trova di fronte ad un paziente che ha una patologia severa, le linee guida del calcolo
sostengono che:
• Nella fase in cui essa è attiva (quindi quando la PCR è elevata) e, ad esempio, il paziente ha
avuto un intervento di chirurgia addominale maggiore, non è necessario fornirgli una grande
quantità di calorie: il fabbisogno è pari a 20-25 kcal per kg di peso (ammesso che non sia un
soggetto obeso, perché in tale caso bisogna approfondire maggiormente e valutare il singolo
caso).
• Nella fase di recupero anabolico, anche se è il paziente è allettato, servono 25-30 kcal per kg
di peso perché si è spenta la risposta di fase acuta ed il paziente ha bisogno di ricostruire.4

FORMULA DI BENEDICT-HARRIS
Si tratta di un calcolo approssimativo, ma con un buon potere predittivo per alcuni gruppi di pazienti,
in particolare quelli ricoverati in medicina interna.
Per calcolare il fabbisogno, bisogna inserire negli appositi software reperibili online l’età del paziente,
il sesso, l’altezza, il peso e i fattori correttivi, per severità di patologia oppure per livello di attività
fisica (si moltiplica per 1.5 se il paziente svolge attività fisica agonistica).

4
Integrazione sbobine 2017 – la professoressa ha solo mostrato la slide con le due formule.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

CALORIMETRIA
Il gold standard per la misurazione del fabbisogno energetico è la calorimetria indiretta, che
fornisce il fabbisogno del soggetto nel determinato momento in cui viene fatta la misurazione.
La misurazione si basa sulla quantità di ossigeno che viene consumata nell’aria inspirata e la
quantità di anidride carbonica prodotta; infatti, i processi vitali possono essere considerati come un
“ciclo di combustione”: viene consumato ossigeno e prodotta anidride carbonica, in quantità
variabili in base al processo metabolico considerato.
Il rapporto tra VCO2 e VO2 corrisponde al quoziente respiratorio,
che misura la qualità dei substrati ed è misurato dal calorimetro:
o Per i carboidrati è pari a 1, poiché quando si ossida 1 mole di
glucosio vengono usate 6 molecole di O2 e prodotte 6
molecole di CO2;
o Per i lipidi sono necessarie 23 molecole di ossigeno per ossidare 1 mole di acido palmitico
(usato come esempio di acidi grassi a lunga catena). Vengono prodotte 16 molecole di CO2 a
fronte di un consumo di 23 molecole di ossigeno. Il rapporto è più basso, pari a 0.746, essendo
la quantità di O2 superiore a quella di CO2 usata.
Quindi, si deduce che, quando il QR si abbassa, significa che il metabolismo sta consumando lipidi,
mentre quando si alza si sta consumando glucidi. Ovviamente il nostro organismo non usa mai o
uno o l’altro, si parla di un consumo misto, ragione per cui in genere il QR valutato dalla macchina
è un valore medio dato dal metabolismo sia lipidico che glucidico, che corrisponde circa a 0.8-09.

Esistono diverse tipologie di calorimetro utilizzabili:


- Diretto (respiration chamber): misura le
variazioni di temperatura, però viene utilizzato
solo in ambito di ricerca.
- Indiretto (ventilation hood): usato nella pratica
clinica; durante la misurazione il paziente deve
essere fermo, per cui la macchina restituisce
solo il valore del metabolismo basale;
- Portatile usato negli sportivi per valutare anche
la spesa energetica correlata all’attività fisica.

La calorimetria indiretta è in grado di:


o Fotografare i cambiamenti metabolici per impostare il piano nutrizionale;
o Fornire le informazioni per determinare il bilancio calorico;
o Personalizzare il piano nutrizionale evitando l’ipo- e l’ipernutrizione.

Si tratta di uno strumento particolarmente usato in terapia intensiva, poiché la macchina si può
collegare al tubo a T5 o alla cannula, in caso di tracheostomia, e può misurare in tempo reale la CO2
prodotta, così da risalire, attraverso specifiche formule, alla spesa energetica.

5
Raccordo per umidificazione e arricchimento in O2 dei gas inspirati spontaneamente dal paziente.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

In terapia intensiva è molto importante


conoscere il fabbisogno energetico dei
pazienti per impostare la terapia
nutrizionale: il rischio, infatti, è
l’ipernutrizione. Nelle prime 24h di
ricovero, i pazienti si trovano in una fase
di massimo catabolismo, in quanto
l’organismo sfrutta le sue riserve
energetiche: se si somministra una dieta
ipercalorica, si aumenta in modo
significativo la quota di infezioni nel
paziente e le complicanze, quali
iperglicemia o insulino-resistenza, febbre o difficoltà di svezzamento dalla ventilazione meccanica.
Allo stesso modo, però, anche l’iponutrizione comporta delle conseguenze:
- Debolezza
- Difficoltà motorie
- Difficoltà di svezzamento dal ventilatore
- Polmonite
- Piaghe da decubito
- Alterata guarigione delle ferite.
Più il paziente è fragile, dunque, più sarà richiesta precisione nella misurazione della spesa
energetica.

FATTORI MODIFICANTI LA SPESA ENERGETICA NEL PAZIENTE ACUTO


Fattori che diminuiscono la spesa energetica:

- Farmaci sedativi, come il propofol, il - Dialisi, in quanto alcuni sistemi


quale contiene un’importante quota contengono il citrato, per prevenire la
lipidica con il rischio di apportare calorie coagulazione del sangue nel passaggio
in eccesso al paziente. attraverso i tubi; il citrato, però, è un
- Analgesici metabolita coinvolto nella sintesi di
- Miorilassanti glucosio, per cui fornisce un ulteriore
- Antiflogistici apporto energetico al paziente.
- Antipiretici - Vasocostrizione
- Shock - Disfunzione d’organo

Fattori che aumentano la spesa energetica:

- Dispnea - Infiammazione
- Brivido - Febbre
- Convulsioni - Ferite
- Delirium - Fisioterapia

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

MISURAZIONI ALTERNATIVE ALLA CALORIMETRIA


Le patologie acute severe (traumi, ustioni, sepsi, chirurgia maggiore) e alcune patologie croniche
(neoplasie) sono caratterizzate da un ipermetabolismo, con aumento della REE. Se non è disponibile
la calorimetria indiretta nel paziente non di area critica si può utilizzare la formula di Harris-
Benedict6:
Maschi REE = 66.5 + (13.8 x peso) + (5.0 x altezza) – (6.8 x età)
Femmine REE = 665.1 + (9.6 x peso) + (1.8 x altezza) – (4.7 x età)

Considerazioni sulla formula:


- È possibile migliorare il calcolo moltiplicando il risultato ottenuto per i fattori di correzione, come
severità di patologia e livello di attività fisica (LAF).
- Non tiene conto della composizione corporea.
- È validata per soggetti di età compresa tra 18-65 anni senza patologie.

Se non è disponibile il calcolo di Harris-Benedict, per il paziente di area non critica si può calcolare
il fabbisogno con la formula 25-30 kcal x kg al giorno. Sarebbe meglio iniziare con 25 kcal per kg
al die e poi aumentare gradualmente per evitare l’iponutrizione.7

6
La professoressa riferisce che non bisogna saperla, ma solo dire a cosa serve: riporto per completezza.
7
Integrazione da slide.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

FABBISOGNO DI MICRONUTRIENTI
Integrazione da slide:
I CARBOIDRATI
Sono la principale fonte energetica nelle diete occidentali
Coprono il 20-40% di TEE
Se TEE = 2500 kcal, il fabbisogno di carboidrati è pari a 300-400 g/die.
Il cervello umano consuma 6 g/h di carboidrati, circa 140 g/die.
I carboidrati hanno diverse funzioni:
- Prevengono la chetogenesi;
- Pervengono l’utilizzo degli amminoacidi nella gluconeogensi e perciò preservano la massa
magra.
Sono classificati in:
- Monosaccaridi (glucosio, fruttosio, galattosio)
- Disaccaridi (saccarosio, lattosio, maltosio)
- Oligosaccaridi (maltodestrine)
- Polisaccaridi (amido e fibre)

I LIPIDI
Sono una fonte energetica e costituiscono il tessuto adiposo.
Hanno funzione di carrier delle vitamine liposolubili A, D, E e K (assunzione minima pari al 10-
15% del fabbisogno energetico per l’assorbimento ottimale).
Sono precursori della sintesi di modulatori della funziona immunitaria.
Contribuiscono alla sensazione di sazietà post-prandiale.
Non bisogna superare il 30-35% del fabbisogno calorico giornaliero totale.
Sono classificati in:
- Saturi: sono di provenienza animale e la loro assunzione è associata all’aumento di colesterolo
LDL; non devono superare il 10% del fabbisogno totale.
- Monoinsaturi: sono i principali componenti della dieta mediterranea (ac.oleico) e la loro
assunzione è associata ad una riduzione di colesterolo LDL e del rischio CV. Inoltre, stimolano
la secrezione biliare.
- Polinsaturi (PUFA): sono presenti nell’olio di girasole, soia e mais. Sono suddivisi in omega 3
e omega 6 e sono acidi grassi essenziali. La loro assunzione deve essere >5% del fabbisogno
totale.

LE PROTEINE
Funzioni:
- Sintesi di tessuti
- Precursori di neurotrasmettitori
- Costituiscono buona parte degli anticorpi, di enzimi, di trasportatori presenti nel sangue
- Costituiscono i sistemi acido-base
L’introito minimo raccomandato è: 0.8 g/kg/die
L’introito ottimale in un adulto sano è: 1-1.1 g/kg/die
In condizioni di ipermetabolismo l’introito può arrivare fino a 2 g/kg/die.
Sono classificati in:
- non essenziali
- condizionatamente essenziali (glutammina, glicina, arginina)
- essenziali (istidina, leucina. Isoleucina, lisina, fenilalanina, metionina, treonina, triptofano e
valina)

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

COMPOSIZIONE DI UNA DIETA STANDARD

Una dieta standard contiene una quantità di carboidrati che copre il 50-60% del fabbisogno totale;
nello specifico gli zuccheri semplici dovrebbero rappresentare meno del 25% del totale, mentre quelli
complessi più del 25%. Le fibre, in realtà, sono oggi considerate quasi come un immunonutriente:
infatti, riducono la mortalità cardiovascolare, sono precursori degli acidi grassi a catena corta
(soprattutto quelli solubili), e hanno un ruolo importante nell’insulino-resistenza; per questo l'OMS
sostiene che il fabbisogno di fibre si attesti intorno ai 25-30 gr, anche se non hanno una grande
importanza ai fini del fabbisogno dei macronutrienti.
Per quanto riguarda i lipidi, devono coprire il 30-35% del fabbisogno, ma è universalmente
riconosciuto che deve essere considerata la qualità e non la quantità.
Gli acidi grassi saturi dovrebbero assolutamente essere meno del 10%, prediligendo invece gli acidi
grassi mono- e polinsaturi. Quelli monoinsaturi sono l’acido oleico (cioè l’olio d'oliva), mentre quelli
polinsaturi sono gli omega-3 (DHA e EPA8) e gli omega-6.
Gli omega-6 sono quelli a maggiore attività antinfiammatoria e vengono anche utilizzati
nell’immunonutrizione per le proprietà antinfiammatoria e immunomodulatoria; l’acido oleico, invece,
è coinvolto nella modulazione dell'insulino-resistenza, motivo per cui è molto enfatizzato nelle linee
guida della sana nutrizione per il diabete (tutte le forme enterali per il diabete ne contengono una
certa quantità). L’EPA è importante anche in ambito neurologico, poiché è correlato alla funzione
cerebrale e, in particolare, alla mielinizzazione degli assoni.
Gli acidi grassi polinsaturi sono essenziali, quindi devono essere assunti con la dieta. Ad esempio,
quelli di origine vegetale (che derivano dai semi) hanno concentrazioni di EPA e DHA molto basse;
se non se ne assume una quota sufficiente, la loro sintesi a partire dall’acido alfa-linolenico è
estremamente inefficiente (meno del 5% di alfa-linolenico viene trasformato in EPA e DHA). La fonte
principale per questi acidi grassi è il pesce azzurro, come ad esempio salmone e sgombro.
Quando si fa un piano per un paziente che non è in grado di alimentarsi autonomamente e dipende
da apporti esterni, si deve fare particolare attenzione alla scelta della miscela: è fondamentale che
ci sia una quantità sufficiente di acidi grassi polinsaturi.
Il fabbisogno proteico, pari a circa il 15-20%, è di circa 0.8-1.1 g/kg (dati OMS). Questi valori sono
in realtà deficitari, soprattutto nei pazienti con polimorbidità o ricoverati, per i quali il fabbisogno sale
a 1.1-1.5 g/kg. Ci sono, però, delle condizioni particolari a cui fare attenzione: nei pazienti con
insufficienza renale di stadio IV (pre-dialitica) l’apporto proteico va aggiustato sulla base delle
condizioni cliniche del paziente.

8
DHA = acido deicosaesanoico; EPA = acido eicosapentenoico.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

Anche in questo caso, esistono proteine che contengono amminoacidi essenziali (proteine
nobili), per cui bisogna stare attenti a garantire il corretto fabbisogno di tali amminoacidi, che
corrisponde all’assunzione di 5-19 mg/kg di proteine nobili. Le fonti alimentari che contengono
questo tipo di proteine sono la carne, i latticini, le uova; in vegetali e legumi9 il loro contenuto è molto
basso.
Come si può dedurre, è fondamentale tenere in considerazione, oltre che la quantità totale di lipidi
e proteine da assumere, la qualità di tali nutrienti.

La terapia nutrizionale è una disciplina clinica sviluppatasi in ambito preventivo; si occupa di


garantire una valutazione dietetica adeguata in base alle influenze della specifica patologia
sull’alimentazione.
Inoltre, per assicurarsi la compliance del paziente e grazie alla disponibilità in commercio di farmaci
in grado di mimare il profilo fisiologico, si è concordi nel suggerire di lasciare una certa libertà al
paziente stesso. Ci sono tuttavia degli items che devono essere discussi: ad esempio, la quantità
totale di carboidrati è estremamente variabile, soprattutto sulla base delle preferenze del soggetto;
in ogni caso, si devono considerare preventivamente le complicanze e i target prefissi con la terapia.
Ad esempio, un soggetto che vuole assumere una dieta per il 70% lipidica lo può fare, a meno di
non essere un soggetto diabetico che va in chetoacidosi; la cosa importante è il monitoraggio del
peso corporeo, dell’andamento metabolico e lipidico e del continuo apporto di carboidrati e proteine,
per evitare di andare incontro a deficit nutrizionali.

MICRONUTRIENTI ESSENZIALI
Tra i micronutrienti essenziali si individuano vitamine e oligoelementi.
Le vitamine si dividono in liposolubili (in rosso) e idrosolubili (in verde).
Le vitamine liposolubili si accumulano nel tessuto adiposo; ciò
significa che un soggetto con una quantità di adipe discreto è difficile
sviluppi un deficit di proteine liposolubili, pur risultando bassi i valori
ematici rilevati. Viene proposto l'esempio dei pazienti bariatrici, nei cui
esami ematochimici è ricorrente il deficit di vitamina D: in realtà, questa
vitamina non è presente in quantità ridotte, ma è distribuita nel tessuto
adiposo.
Le vitamine idrosolubili, invece, hanno un turnover molto più rapido e l’organismo non ne possiede
delle scorte, motivo per cui devono essere introdotte con la dieta.
Un soggetto con una dieta varia e completa (cioè compresa di carni e latticini) difficilmente svilupperà
un deficit nutrizionale, a meno che non presenti una patologia sottostante; per questo, il rischio di
deficit di oligoelementi e/o vitamine10 è correlato a:
• Patologie preesistenti che causano anoressia, inadeguata digestione o assorbimento: l'anemia
perniciosa è responsabile del tipico deficit di ferro e/o vitamina B12; l’ileite terminale e le MICI
causano malassorbimento intestinale con ridotto apporto di vari nutrienti e micronutrienti.
• Aumentate perdite tramite fistole, aspirati, liquidi biologici, drenaggi, ustioni, dialisi;
• Aumento dei fabbisogni (ipermetabolismo, fase anabolica di ripresa dopo una malattia).

9
La soia è il legume che contiene la maggior quantità di proteine nobili, ma si devono mangiare molti kg di
soia per coprire completamente il fabbisogno amminoacidico essenziale.
10
Vengono esclusi da questa lista i soggetti vegani, che tendono ad un deficit selettivo di vitamina B12.

Anna Casalini Irene Cosma


6.2, Terapia Medica e Nutrizione 23/11/2022

Sono riportate nella seguente tabella le principali patologie correlate a deficit vitaminici specifici (la
prof.ssa si limita a leggere la slide soffermandosi sulla terza colonna):

TOSSICITÀ
Per le vitamine idrosolubili, la tossicità è rara; infatti, possono essere somministrate in quantità fino
a 100 volte superiori l’introito raccomandato giornaliero (RDA = Recommended Daily Allowance)
senza l’insorgenza di sintomi da tossicità.
Per le vitamine liposolubili, in particolare la vitamina D, la tossicità è più frequente. Il limite di
sicurezza è posto a quantità fino a 10 volte il RDA, valore piuttosto alto che corrisponderebbe a circa
10 fiale al giorno di vitamina D (la posologia usuale in soggetto con osteoporosi è di 1 fiala al giorno).
Alle dosi raccomandate, la tossicità da oligoelementi è rara.

Domande:
Per quanto riguarda i vegani, si è detto che con la sola assunzione di elementi vegetali non si riesce
a sopperire al deficit di aminoacidi essenziali. Visto l'aumento della diffusione di questo tipo di dieta,
è stato osservato un aumento degli accessi ospedalieri di persone vegane per deficit nutrizionali?
In realtà, nella popolazione vegana, le persone hanno una forma mentis che porta sia al rispetto
verso gli animali che al rispetto di un corretto stile di vita, per cui, sulla base di questi principi, si
confrontano e si informano continuamente, anche grazie a forum online. Ciò significa che conoscono
molto bene i deficit cui sono a rischio e per questo fanno molto uso dei supplementi nutrizionali.
Di fatto, il grosso problema della dieta vegana è il deficit di vitamina B12, ma non sono da dimenticare
anche i deficit di DHA ed EPA; quest’ultimo è più difficile da diagnosticare: mentre i sintomi di un
deficit da vitamina B12 sono ben riconoscibili, nel caso di deficit di DHA ed EPA le manifestazioni
sono principalmente deficit di performance cerebrale, alterazione della composizione delle
membrane cellulari, aumentata tendenza alle infezioni, ecc. Non è possibile dosare le concentrazioni
degli acidi grassi, motivo per cui è molto difficile fare un’associazione tra la sintomatologia e il deficit.
Nel caso di bambini cresciuti con una dieta vegana per scelta di entrambi i genitori, ci sono dei
problemi o dei rischi particolari?
Proprio l’anno scorso si è tenuta una “lezione” su questo argomento. Per quanto riguarda la crescita,
è possibile il recupero completo in caso di leggero ritardo di crescita secondario ad una dieta
deficitaria fin dalla tenera età. Nel caso, invece, di giovani adulti (15-20 anni) che scelgono
autonomamente di approcciarsi a questa dieta, si è osservato un cambiamento marcato nelle loro
“abitudini sociali”: le ragazze, in particolar modo, tendono a non bere alcol, a non fumare, a non
uscire spesso con gli amici, ma al tempo stesso hanno un aumentato rischio di sviluppare altre
malattie psichiatriche, come l’anoressia.

Anna Casalini Irene Cosma


7.1, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

BENEFICI CLINICI DEL SUPPORTO NUTRIZIONALE


I benefici del supporto nutrizionale sono universalmente riconosciuti, però sono scarsamente messi
in pratica: questo perché in passato non si avevano dati forti sugli effetti del trattamento nutrizionale,
mentre ora ce ne sono molti e tutti sono concordi nell’affermare che questo trattamento sia un ottimo
riduttore di rischio. Questo di seguito (immagine a
destra) è un lavoro molto simile a quello mostrato
nelle scorse lezioni: si è dimostrato che il rischio
nutrizionale elevato (NRS uguale o superiore a 3)
presenta una mortalità molto più elevata. Più
aumenta il rischio nutrizionale (da 3 a 5), maggiore
è la mortalità nel lungo periodo. Tra i pazienti che
necessitano di un intervento, si è visto che vi è una
gradazione della severità, motivo per cui bisogna
intervenire più tempestivamente in quelli con un
grading maggiore.
Questa invece (immagine a sinistra) è
un’analisi Cochrane del 2017: queste sono
delle enormi metanalisi che prendono in
considerazione tutto lo scibile in letteratura
scientifica riguardo un dato argomento. Sono
così grandi che andando a leggere i risultati,
esse generano la maggior parte delle volte
delle risposte non certe al 100%, finiscono
quasi sempre con un nulla di fatto a causa, ad
esempio, della mancanza di dati e della bassa
qualità degli studi. Quella del 2017 è stata una pietra tombale per quanto riguarda la nutrizione,
poiché ha evidenziato una relazione controversa tra la nutrizione ed il paziente ospedalizzato a
rischio nutrizionale alto (NRS 3,4,5). L’effetto del supporto sugli outcome clinici non è chiaro: c’è un
aumento di peso. Dal 2017 quindi si sono iniziati ad effettuare degli studi di intervento: questi sono
più difficili da effettuare rispetto agli osservazionali, perché prevedono la messa in atto di una serie
di misure pratiche e una stretta e rigida documentazione (il protocollo deve essere seguito in modo
molto preciso e ciò implica un maggiore impegno da parte del team).
Questo (immagine a destra) in realtà è uno
studio del 2016 che ha dimostrato l’outcome , in
pazienti di età superiore ai 65 anni, con un grado
di NRS moderato-severo allo screening tramite
subjective global assestment, della
somministrazione di un integratore per via orale,
350 kcal/2 die, quindi 700 kcal/die: non c’è effetto
significativo sulla combinazione dell’end point,
quindi prima ri-ospedalizzazione o morte, però
se si scompongono i dati tra riammissione a 90
giorni e mortalità si vede un significativo effetto
sulla mortalità. Da questo studio appena
affrontato ne è stato eseguito un altro, studio
EFFORT, (in alto a sinistra a pagina seguente)
paradigmatico perchè dimostra la messa in atto della buona pratica clinica. Questi erano dei pazienti
di un dipartimento di area medica (ricoverati in diversi reparti), i quali venivano sottoposti allo
screening entro 24h dall’ospedalizzazione e da questi dati venivano settati i fabbisogni tramite la
formula di Harris Benedict. A parte veniva calcolato il fabbisogno proteico, 1.2-1.5 g pro-kilo di peso,
fino a 0.8 in pz con IRC. Veniva poi stabilito il fabbisogno di micronutrienti ed infine si valutavano

Carla Ougomah Olagot Eugenia Botter


7.1, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

eventuali popolazioni con patologie speciali ad es. IR (ridurre apporto di fosforo), pancreatite
(regolazione della quota lipidica).
Dopodiché, l’intervento partiva
con lo schema a lato:
- Alimentazione
spontanea orale, counseling.
Il/la dietista va dal pz, gestisce e
trascrive la dieta;
- Supplementi nutrizionali
orali, nel caso in cui il pz non
riuscisse a raggiungere il 75% del
fabbisogno calorico e proteico
nelle 24-48h;
- Nutrizione artificiale,
enterale o parenterale nel caso
in cui dopo altre 24-48h il pz non
sia ancora riuscito a raggiungere
il fabbisogno.
Si è rilevato che la maggior parte
dei pazienti aveva bisogno di poco se si pensa a 25-30 kcal pro-kilo (mediamente 1500 nella donna
e 1800 nell’uomo), questi pz infatti avevano bisogno solamente di 290 kcal e 10g di proteine con un
raggiungimento del target da parte di circa l’80% del totale dei pz. Questo risultava in una riduzione
significativa dell’end point primario composito, quindi riduzione della mortalità per tutte le cause,
trasferimento in terapia intensiva, riospedalizzazione non elettiva, complicanze maggiori e stato
funzionale. Se ne tratto 25, uno incontrerà il target composito.
Nel secondo round si sono effettuate analisi anche per il declino funzionale superiore al 10%, i
famosi pz che entrano in ospedale totalmente autosufficienti ma quando tronano a casa sono
completamente allettati. Il trattamento nutrizionale permette di prevenire il declino funzionale severo,
è una delle strategie che concorrono a questo risultato.
Si è poi svolta un’analisi per sottogruppi, all’incirca 20 studi tutti pubblicati in riviste molto importanti:
questa ad esempio (immagine a destra)
dimostra che se si ha un pz molto
infiammato, con PCR>100, il
trattamento nutrizionale non funziona.
Questa è una tipica richiesta di
consulenza: che cosa fare con pz che
ha albumina bassissima ma PCR molto
levata? Prima è necessario cercare di
ridurre la PCR e solamente dopo si
riparlerà dello stato nutrizionale. Le
consulenze poi arrivano sempre senza
un peso, con impossibilità di calcolo di
un fabbisogno e molto spesso anche
senza l’indicazione dell’apporto
spontaneo. Successive analisi
appartenenti allo stesso gruppo,
partono da un pool di circa 2 mln di pz;
vengono estratti quelli con malnutrizione, da questi vengono a loro volta estratti quelli che avevano
ricevuto il supporto nutrizionale rispetto a quelli che non lo avevano ricevuto: si dimostrava un
significativo miglioramento della mortalità ospedaliera e soprattutto una riduzione significativa della
mortalità globale. Il trattamento ha un effetto significativo sia sulla mortalità che sulla ri-
ospedalizzazione a 30 giorni.
Un dato successivo è fornito da una metanalisi del 2019 sugli effetti del trattamento nutrizionale, la
quale afferma che se prendiamo in considerazione gli studi, soprattutto quelli pubblicati dopo il 2014,
c’è un effetto significativo: il diamante si sposta, non è grande però c’è evidenza che il trattamento

Carla Ougomah Olagot Eugenia Botter


7.1, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

nutrizionale sia efficace (immagine a destra).


Stesso discorso si può attuare con le ri-
ospedalizzazioni generiche, non quelle
programmate.

→ PZ CON SCOMPENSO CARDIACO


Si è anche qui dimostrato che la percentuale
dei pz con rischio nutrizionale che
sopravvivono a seguito del trattamento sono
quelli con NRS più elevato, soprattutto quelli
con scompenso cronico peggiorato da affezioni
polmonari come BPCO (poiché questi vanno in
contro a cachessia, quelli con cardiopatia
ischemica tendenzialmente si spostano verso
sovrappeso e sindrome metabolica).

→ PZ ONCOLOGICI
Quando il pz oncologico viene ospedalizzato
vuol dire che è successo qualcosa di brutto: o
la patologia è peggiorata oppure ha avuto un
incidente, conseguente soprattutto a tossicità
da trattamento. Indipendentemente dallo
stadio di patologia, quando il paziente
oncologico riceve un trattamento nutrizionale
ha un aumento della sopravvivenza, dato molto
importante anche per quelli che sono in fase
palliativa.

→ PZ CON INSUFFICIENZA RENALE


Uno dei modelli di severa malnutrizione nei pz
negli stadi più avanzati, si parla di stadio IV, pz sia in pre-dialisi che dializzati. I nefrologi, tra i vari
specialisti, sono quelli che tendenzialmente ne sanno di più quanto concerne la nutrizione. Questi
pazienti vengono gradati in base alla severità per rischio nutrizionale: quelli con rischio più elevato
sono quelli che beneficiano di più dal trattamento nutrizionale.

Quando si investe in nutrizione, su di una persona come ad esempio il/la dietista, c’è un risparmio
netto rispetto alla spesa sanitaria globale del pz ospedalizzato, proprio perché alla fine dei conti si
rientra su quella che è la mortalità, le complicanze, la durata della degenza, le ri-ospedalizzazioni
ripetute e lo stato funzionale post ricovero.
Sono state prodotte anche delle linee guida e dei parametri da controllare, sempre dallo stesso
gruppo svizzero che ha prodotto lo studio EFFORT: questo studio è riuscito a mettere nero su bianco
quelle che prima erano solo delle norme di buona condotta con evidenza clinica ma che mancavano
di uno studio come questo. Come si fa quindi il monitoraggio della terapia nutrizionale? È necessario
dapprima rilevare parametri clinici con l’esame obiettivo e poi dati di laboratorio che prevedono un
monitoraggio variabile.
Altra cosa molto importante è che per la direzione sanitaria è quasi impossibile provvedere alla
richiesta di intervento di dietisti in tutti i reparti: ecco che interveniamo noi futuri medici che abbiamo
seguito le lezioni della professoressa (😉). In pz con NRS di 1-2 non sarà necessario rivolgersi alla
dietista. Quando viene seguito lo schema a lato, soltanto il 2% viene eletto a nutrizione artificiale e
il restante 98% invece è trattato o con dieta spontanea o con i supplementi. Anche quando si gira
nei reparti, la maggior parte delle volte, quando si vede una sacca di nutrizione parenterale, quella
è frutto di una prescrizione sbagliata in quanto si è sopravvalutato il rischio nutrizionale.
Riassumendo, le più recenti evidenze dimostrano che la terapia nutrizionale è clinicamente efficace,
in ospedale le evidenze sono ancora più forti. Oltre a ridurre la mortalità ed altri esiti clinici
sfavorevoli, è economicamente più vantaggiosa. Il percorso nutrizionale deve essere strutturato (non
fai da te) e la personalizzazione è un punto importante per raggiungere i target.

Carla Ougomah Olagot Eugenia Botter


7.1, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Quando è che si decide una terapia nutrizionale supplementare o una artificiale? Quando è
necessario chiamare il dietista?
Innanzitutto, diamo una definizione di nutrizione artificiale: nutrizione enterale e parenterale.
La definizione di Nutrizione medica o trattamento nutrizionale include anche i supplementi orali
perché sono alimenti a fine medico speciale. In Friuli, per alcune classi di pazienti, si possono
prescrivere e quindi i pz li ricevono gratuitamente al proprio domicilio per un periodo definito senza
ulteriori oneri.
Si chiede allo stesso pz o al personale di registrare quanto mangia del vassoio e successivamente
si promuove lo screening. Da qui si capisce se il pz è malnutrito tramite i diversi criteri già descritti.
Che cosa vuol dire Assunzione orale spontanea inadeguata? Il pz per un periodo uguale o
superiore a 7 giorni non mangia niente. ciò può essere conseguente a una chirurgia andata male
oppure a una patologia neurologica (es ictus) oppure a intubazione. Un altro esempio di assunzione
spontanea inadeguata è l’assunzione di meno della metà del pasto solito del pz.
Che cosa vuol dire malnutrizione imminente? Implica il fatto che il pz ha un severo rischio
nutrizionale, quindi, punteggio elevato allo screening oppure albumina < 3 in presenza di disfunzione
epatica (secondo la prof però questo genera un po' di confusione, abbiamo visto che l’albumina può
scendere anche per motivi indipendenti dalla disfunzione epatica)
L’intestino oltre alla funzione digestive di assorbimento, funzione immunitari e oltre al ruolo nella
risposta ipermetabolica, è importante perché possiede il microbiota. Tramite la sua funzione di
barriera e il mantenimento corretto del microbiota evita la traslocazione batterica.
Secondo studi effettuati su animali a digiuno con CVC, ai quali, ad intervalli diversi è stato asportato
e studiato l’intestino, hanno dimostrato che dopo soli 5 giorni la barriera inizia ad allargarsi con
iniziale lassità delle gap Junction. Questo facilità la traslocazione batterica. Alla comparsa di infezioni
in pazienti a digiuno e defedati talvolta è difficile stabilire se il microorganismo derivi dall’ambiente
ospedaliero o ad esempio dal tratto gastroenterico.
Esistono dei supplementi nutrizionali orali, da non confondere con gli integratori venduti nei
supermercati.
Possono essere:
• Completi, contenendo tutti i macronutrienti a percentuali variabili a seconda della necessità.
• modulari, composti da un singolo nutriente in polvere come le proteine del siero del latte
Whey proteins o a base di TGF-β (utilizzato nei bambini con le MICI che induce una
regressione del morbo di Chronn paragonabile a quella ottenuta nell’adulto con lo steroide.)
• Specifici per patologia, con una composizione ad oc come quelli per il diabete con bassa
percentuale di maltodestrine.
Ci sono moltissimi dati a supporto dell’elevata efficienza soprattutto in determinate popolazione
come quella anziana dove i supplementi modulari a base proteica si sono dimostrati efficaci nella
riduzione di ulcere da pressione.
Bisogna tenere a mente che sono pur sempre supplementi alla dieta e non sostitutivi.

È sempre la miglior opziona da proporre?


In determinati casi, soprattutto, nel paziente oncologico, bisogna fare i conti prima di proporre un
supplemento al paziente, poiché l’alternativa del SNG se proposto viene solitamente rifiutato. È
meglio, se lo si ritiene più efficiente, partire con il SNG e poi tornare indietro piuttosto che avere un
paziente che anche con tre supplementi non raggiunge le chilocalorie necessarie.
Bisogna ricordare che i supplementi hanno la stessa tollerabilità e hanno gli stessi problemi delle
miscele per la nutrizione enterale.

Carla Ougomah Olagot Eugenia Botter


7.1, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Nutrizione enterale
La nutrizione enterale richiede un accesso che può essere di 3 tipi:
• Accesso gastrico: SNG o gastrostomia secondo diverse
modalità
• Accesso Duodenale un sondino un po’ più lungo che
procede sino alla prima ansa del duodeno o un stomia
duodeno digiuno stomia poco usata.
• Accesso nel Digiuno: digiunostomia chirurgica, effettuata in
sala tipico nei Tumori dell’esofago in cui viene tubulizzato lo
stomaco.

Le principali indicazioni per cui è indicata la nutrizione enterale


sono tutte quelle patologie in cui il tratto gastro enterico è
funzionante quindi assorbe ma non è in grado di assumere.
I primi pazienti sono quelli neurologici nelle malattie
neurodegenerativi, neuro vascolari, neurochirurgici e terapia
intensiva. Nei pazienti con disfagia non dovuta a una patologia
ostruttiva esofagea,
ostruzioni a livello di capo collo ed esofago e patologie psichiatriche. (es nell’anoressia nervosa è di
routine)
Nel caso di un’ostruzione è fondamentale capire l’entità dell’ostruzione. Se con l’endoscopio non si
riesce a superare l’ostruzione allora si sceglie la via parenterale.

Le controindicazioni invece sono:


• Ileo meccanico/paralitico
• Peritonite o in una situazione instabile emodinamicamente.
• Instabilità metabolica come il coma diabetico sia chetoacidoso che osmolare.
• Impossibilità ad un accesso intestinale come formazioni congenite come le ernie gastriche
iatali grandi con rischio di inalazione molto elevato
• Nausea e vomito severi
• Fistole intestinali ad alta portata, che buttano fuori più di 1.5/2 L al giorno e le fistole alte
In alcuni reparti come la terapia intensiva con pazienti emodinamicamente instabili a volte
preferiscono usare una via parenterale con gestione di fluidi in più che è estremamente più
complesso di una via enterale per semplice abitudine.

Posizionamento e valutazione
Per il posizionamento è fondamentale valutare la sede e la
durata dell’accesso. Se ho bisogno di un periodo inferiore a 4
settimane la nutrizione enterale o parenterale è definita a breve
termine, sopra le 4 settimane a lungo termine. Il SNG dopo 4/6
settimane va rimosso per il rischio di decubito sull’ esofago con
possibile stenosi infiammatoria.
È importante da subito sapere quindi la prognosi del paziente e
determinare il rischio di aspirazione, che è la più specifica
complicanza nella nutrizione.
1. Naso digiunale con rischio alto
2. Sopra le 4 settimane con rischio basso allora si opta per una gastrostomia
3. Con rischio elevato sopra le 4 settimane digiunostomia.
Una volta posizionato il SNG per assicurarsi che la manovra sia stata eseguita nel modo corretto si
utilizza il fonendoscopio, si può controllare che il con un saturimetro il paziente, che non inizi a
desaturare e in ultima battuta si può effettuare un RX per valutare che il SNG sia in sede
Sottodiaframmatica.

Carla Ougomah Olagot Eugenia Botter


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

NUTRIZIONE ENTERALE
Se c’è necessità di nutrizione per più di 4 settimane si pensa direttamente ad un accesso a livello
dello stomaco. In particolare, si hanno due opzioni: la prima è una gastrostomia endoscopia
percutanea (PEG), posizionata dai gastroenterologi, la seconda una gastrostomia percutanea
radiologica, sotto controllo fluoroscopico (PRG). Sono tecniche largamente impiegate perché più
economiche ed effettuate in anestesia locale.
Le gastrostomie possono essere posizionate anche in sala operatoria che risulta conveniente solo
in corso di altro intervento e quindi se il paziente è già in anestesia generale. Lo stesso vale per la
laparoscopia.
Esistono poi anche le enterostomie post-chirurgiche, si parla quindi di digiunostomie, posizionate,
invece, sempre in corso di intervento o in laparoscopia.

Gastrostomia: Tecniche
Peg con tecnica “pull”: il paziente viene preparato
come se dovesse effettuare una gastroscopia, gli si fa
firmare un consenso per la sedazione profonda con
Midazolam. L’acquisizione del consenso risulta essere
un aspetto talvolta problematico in quanto spesso i
pazienti che hanno indicazione a metterla, come pz
con ictus, prima dell’evento morboso improvviso
stavano bene per cui non si era resa necessaria la
nomina di un amministratore di sostegno. Spesso
accadeva che non potendo far firmare il consenso, la
procedura non venisse effettuate nonostante vi fosse
indicazione assoluta. Talvolta si riesce a bypassare
questa problematica effettuando una PRG che non
richiede sedazione profonda.
Tornando alla tecnica: si effettua un’endoscopia,
l’endoscopio giunge a livello dello stomaco,
transillumina, per cui il punto dove si trova lo stomaco
è visibile anche dall’esterno, attraverso un ago si
punge, l’endoscopio recupera il filo guida che viene
estratto dalla bocca e sul filo guida viene infilata la
sonda costituita da un tubicino che si vede in parte
all’esterno e da un anello di ancoraggio che si chiama
Bumper.
Il diametro del tubicino esterno è pari a 20 French e questo costituisce un vantaggio rispetto alla
PRG (12/14 French) in quanto risulta molto più semplice da gestire a casa: bisogna considerare che
attraverso la PEG si somministrano farmaci, idratazione e nutrizione e con un diametro più piccolo
aumentano i problemi legati a un eventuale intasamento. La radiologica al contrario della PEG non
ha un anello interno che funge da ancoraggio ma è la parte interna stessa del filo che si arriccia
formando una matassina che blocca il tutto (bloccato ulteriormente da punti di sutura).
PRG con tecnica “push”. Il pz deve essere portatore di un sondino naso gastrico dalla sera
precedente. Nel sondino naso gastrico viene iniettato del bario, il quale evidenzia il filo del sondino
e l’interno dello stomaco alla fluoroscopia. Dove si vede il bario, si punge dall’esterno e si fissa la
PRG. Come anestetico invece del Midazolam si usa solo un po’ di lidocaina a livello della parete
addominale. Non prevedendo sedazione profonda, quindi, la PRG risulta essere indicata per tutti i
pz con insufficienza respiratoria come i pz con SLA (ad un certo punto della malattia necessitano di
questo tipo di nutrizione ma possono presentare contemporaneamente problematica respiratorie).

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Controindicazioni assolute alla PEG


• Situazioni anatomiche in cui manca la transilluminazione: obesità (il rischio è dato dal fatto
che lo spessore addominale è troppo affinché il gastroenterologo riesca a vedere dove
pungere), malposizionamento dello stomaco, cifosi importante;
• Ascite abbondante; il rischio è di pungere un’ansa intestinale che galleggia nel liquido
ascitico.
• Disturbi importanti della coagulazione: piastrinopenia severa (<80mila), INR >2 (basta
somministrare un po’ di vitK; ma se il pz è in terapia con NAO vanno sospesi prima del
posizionamento della PEG).

Controindicazioni relative alla PEG


• Cancro gastrico: rischio di disseminazione;
• Ulcera gastrica;
• Carcinosi peritoneale: si rischia di disseminare;
• Ascite;
• Obesità;
• Varici esofagee: soprattutto se c’è stato sanguinamento recente.

Nell’arco di un mese si consolida la fistola gastro-


cutanea e il paziente può smettere di portare
l’anello che dopo un mese inizierebbe a pesare
sulla parete dello stomaco. Dopo un mese,
quindi si toglie e si mette una specie di bottone,
una sonda a basso profilo che all’interno è
gonfiata come un piccolo palloncino che viene
riempito d’acqua (di solito 5cc). Questo tipo di
device consente ai pz che hanno una vita più
attiva di muoversi agevolmente. Può succedere
che il palloncino si rompa o si afflosci
provocando la fuoriuscita della sonda. In tal caso
innanzitutto sarà necessario chiudere la stomia aperta che tende a richiudersi nel giro di poche ore
(dalle 2 alle 12 ore). Per cui la prima cosa da fare è quella di inserire un catetere di Foley del diametro
della sonda utilizzata per la PEG e si gonfia il palloncino del catetere di Foley. Il problema è che il
catetere di Foley non ha un sistema di ancoraggio e deve essere fissato: se entra verso l’interno e
si incastra a livello del piloro o passa oltre il piloro è molto problematico. Per cui bisogna al più presto
programmare la sostituzione.
La nutrizione enterale è una procedura molto sicura anche se la percezione è che non sia così:
tempo fa a degli infermieri era stato somministrato un questionario in cui veniva chiesto se fosse più
pericolosa l’enterale o la parenterale e la risposta più data era stata l’entrale. Tutta via le complicanze
di queste procedure sono molto poche è infrequenti: per la maggior parte dolore in loco o infezioni.
Le complicanze più gravi, invece, sono molto più rare. Complicanze quali:
• peritonite (stravaso di contenuto gastrico nel peritoneo)
• perforazione di un’ansa intestinale
• inglobamento del disco all’interno dello stomaco perché se troppo tirato questo tenderà a
comprimere eccessivamente la parete.

Un altro tipo di accesso utilizzato è la digiunostomia che in particolare si usa quando c’è rischio di
aspirazione oppure quando lo stomaco non funziona. È una tecnica particolarmente usata in terapia
intensiva in cui secondo le linee guida è fondamentale controllare il volume gastrico residuo che
deve assestarsi attorno ai 500 ml e andrebbe controllato se il pz presenta clinica con addome

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

meteorico o diarrea. Oppure è una procedura che interessa un pz che presenta una paresi gastrica
persistente inseguito a intervento chirurgico o per cui è impossibile posizionare la PEG.

Diapositiva riassuntiva (per pre e


post pilorico si intende stomaco e
duodeno/digiuno). Per quanto
riguarda il metodo di
somministrazione, quando un pz
è allettato si usa un’infusione
continua con pompa (nei reparti
la pompa per nutrizione si
identifica perché è viola, esiste un
sistema approvato dall’UE che si
chiama ENFit per cui tutte le
siringhe/accessi/raccordi per la
nutrizione sono compatibili solo
tra di loro). Quando un paziente
deambula, invece, si usa un
metodo di somministrazione in
bolo anche senza pompa per cui
si somministra una bottiglia da 500 ml in 2 ore come se fosse un pasto. [La prof legge la slide].

LE MISCELE NUTRIZIONALI

Le miscele per nutrizione enterale derivano da prodotti naturali, anche quelle industriali, e si
presentano in forma liquida o semiliquida.
Le miscele naturali artigianali, ossia fatte in casa, tritate e somministrate al paziente tramite
sondino nasogastrico, un tempo venivano utilizzate per la terapia di pazienti cronici (anche pediatrici,
ad es. con paralisi cerebrale infantile o malformazioni intestinali) con nutrizione enterale, soprattutto
nel Sud Italia. Sono usate in cardiochirurgia e terapia intensiva ma attualmente ne è sconsigliato
l’utilizzo sia in ambito ospedaliero che domiciliare, poiché vi è un maggior rischio di contaminazione
batterica e una perdita rilevante di micronutrienti dovuta alla preparazione del cibo tritato, che non
permette di misurare l’esatto apporto nutrizionale.

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

A partire dalle miscele naturali si sono sviluppate quelle artificiali, distinte in:
- Semi-elementari, composte da nutrienti parzialmente idrolizzati;
- Polimeriche o ‘standard’;
- Specifiche con composizione specifica per patologia.
Vedremo ora ognuna di queste tre tipologie nello specifico.

Le miscele artificiali semi-elementari contengono nutrienti allo stato naturale, sono pre-digerite e
vengono date nei pazienti che soffrono di patologie legate al malassorbimento, come quelle
infiammatorie croniche (MICI) o la sindrome da intestino corto. Altre indicazioni (da slide):
enteropatie da raggi, pre e post-chirurgia del tratto intestinale, paziente critico, svezzamento dalla
NP.

Sono composte da oligopeptidi, carboidrati semplici e non complessi (monosaccaridi, disaccaridi,


maltodestrine) e lipidi di origine vegetale, mentre sono assenti fibre, lattosio e glutine (e sono quindi
tollerate anche da pazienti allergici alle proteine del latte). Il fabbisogno di micronutrienti è raggiunto
con la somministrazione di 1500 ml di miscela.

Le miscele semi-elementari sono composte di piccole molecole e hanno quindi un’osmolarità più
alta rispetto alle formule standard. Questo le rende più facilmente assorbibili e digeribili, ma dà allo
stesso tempo un maggior rischio di diarrea, per cui ad oggi il loro uso è più limitato di un tempo.

Le miscele polimeriche o ‘standard’ sono quelle più comunemente usate nei reparti ospedalieri.
Contengono proteine, glucidi e lipidi complessi che derivano da comuni alimenti o sostanze trattate
industrialmente. Si distinguono in base alle calorie in ipo, normo o ipercaloriche e in base al
contenuto proteico in normo o iperproteiche. Possono essere arricchite con fibre o essere specifiche
per pazienti pediatrici

Le miscele a formulazione specifica dipendono dalla patologia. Ad esempio, un paziente affetto


da IRC avrà un fabbisogno di fosforo e potassio diversi per cui non potrebbe assumere miscele
standard. Vi sono anche miscele specifiche per pazienti immunocompromessi e che contengono
componenti che stimolano il sistema immunitario (‘immunonutrienti’, quali arginina, glutamina, acidi
nucleici, acidi grassi omega 3..).. N.d.S.: la professoressa legge rapidamente le slide su DM, IRC,
sorvola IR e dice che non chiederà all’esame la composizione di queste miscele.

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Il team della prof.ssa Crocé ha molto lavorato sulla nutrizione nel paziente con insufficienza epatica,
poiché questi pazienti possono giungere alla nostra attenzione in uno stato di digiuno che nel
paziente con IE causa un peggioramento dello stato di salute nonostante la somministrazione di
aminoacidi. Per questo, ad oggi è indicata la somministrazione di una miscela ipercalorica che
contiene aminoacidi ramificati o branched-chain aminoacids (BCAA ovvero Leucina, Isoleucina, e
Valina – è semplice ricordarli grazie all’acronimo LIV) e lipidi facilmente assorbibili. Questo permette
di prevenire l’encefalopatia epatica.

CRITERI DI SCELTA DELLE MISCELE PER NE

Relativi al paziente:
- Patologia di base e stato metabolico: condizionano i fabbisogni e la sede di infusione;
- Funzione gastrointestinale: condiziona le caratteristiche della miscela.

COMPLICANZE DELLA NUTRIZIONE ENTERALE


Le complicanze possibili sono poche ma fondamentali da conoscere per trattarle.

Possono essere:
• Correlate all’accesso
• Correlate all’infusione
o Complicanze correlate al sito di inserzione
o Complicanze correlate alla gestione (come viene fatta la procedura)
▪ Aspirazione: è la complicanza più temibile. Il paziente aspira il materiale
somministrato e sviluppa una polmonite chimica da aspirazione, in genere
severa, anche perché chi fa nutrizione enterale è già per definizione un
paziente complesso;
▪ Sintomi GI (alterazioni dell’alvo, nausea, distensione), sono in genere minori;
▪ Conseguenze metaboliche: possono essere gravi, ma si manifestano più
frequentemente con la nutrizione parenterale.

N.d.S: la prof.ssa ha elencato le complicanze senza approfondirle. La parte successiva è stata


integrata con le sbobine della coorte 2017 per completezza.

COMPLICANZE CORRELATE ALL’INSERZIONE

Sono complicanze minori.

SNG
• Epistassi: sia con il sondino che con la PEG si può avere sanguinamento locale, in genere
minimo;
• Intubazione vie aeree: con il SNG bisogna fare attenzione quando si inserisce a non
sbagliare e finire in trachea, cosa che può essere grave. È fondamentale inviare sempre tutti

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

i pazienti, anche quelli che vengono seguiti da casa, a fare una radiografia per verificare il
posizionamento prima di iniziare ad usare l’accesso;
• Rottura varici esofagee: nel paziente epatopatico avanzato, es. in coma epatico, in cui c’è
necessità di una nutrizione affinché il coma non peggiori. Quando si va a mettere il sondino,
bisogna fare attenzione a non creare danni a livello di varici esofagee;
• Malposizionamento, di solito in trachea

PEG
• Sanguinamento
• Puntura accidentale di altri visceri, es. intestino
• Pneumoperitoneo, conseguente a perforazione o di intestino o di stomaco
• Decesso, rarissimo

COMPLICANZE CORRELATE ALLA GESTIONE

SNG
• Decubito: se viene lasciato in sede troppo a lungo, può decubitare sull’esofago creando serie
lezioni della parete, di conseguenza dopo 6 settimane va rimosso;
• Reflusso gastroesofageo: il sondino mantiene beante il cardias, favorendo i meccanismi del
reflusso e anche dell’aspirazione, soprattutto nei pazienti incoscienti;
• Dislocazione;
• Ostruzione.

PEG
• Lesione peristomale: si possono creare arrossamenti e lesioni e, soprattutto se il tubo è
piccolo, ci può essere fuoriuscita di materiale gastrico acido/caustico che erode la pelle
procurando una lesione rossastra. È uno dei casi in cui bisogna smettere di utilizzare la PEG,
passare alla parenterale e aspettare che la cute guarisca e l’ostio rimargini;
• Infezione del sito
• Buried bumper
• Erosione o ulcera gastrica
• Fistole: soprattutto con PEG mal posizionata;
• Volvolo: più che con la PEG si vedono con la digiunostomia, in cui il tubicino localizzato a
livello della prima ansa digiunale può provocare una torsione dell’ansa digiunale.

ASPIRAZIONE

È la complicanza più severa e causa più frequente di ricovero, ed è anche il motivo per cui di solito
la nutrizione enterale non viene avviata. In realtà ci sono molte evidenze che dimostrano che la
microaspirazione, ovvero l’aspirazione salivare, avviene nel 50% delle persone durante il sonno, ma
questo non porta a problemi di insufficienza respiratoria. Sono stati fatti studi anche su pazienti in
nutrizione enterale, e si è visto che sono più a rischio quelli che presentano un alterato stato di
coscienza. Di conseguenza, il rischio è maggiore nei pazienti neurologici (ictus ed emorragie
cerebrali che possono dare disfagia) e ricoverati in ICU con sondino e in sedazione, i quali, oltre ad
essere incoscienti, non presentano il riflesso della tosse.

Fattori favorenti:
• Alterazione stato di coscienza
• Grave RGE
• Paresi gastrica
• Abbondante ristagno gastrico
• Ostruzione pilorica

Francesca Micele Diletta Paneghetti


7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Fattori protettivi
Aiutano a prevenire l’aspirazione. Sono di pertinenza prevalentemente infermieristica.
• Infusione con paziente semiseduto: il paziente durante la somministrazione andrebbe
sempre tenuto seduto a 45°. Se durante il tirocinio dovessimo accorgerci di qualche paziente
con SNG completamente disteso, siamo autorizzati ad alzare lo schienale del letto (capita
spesso che durante manovre di igiene lo si abbassi e poi ci si dimentichi di rialzarlo);
• Infusione continua vs bolo: se si somministra tramite pompa di infusione anziché a boli, lo
stomaco si riempie di meno e si ha meno rischio di aspirazione;
• Infusione post-pilorica vs pre-pilorica: prima del piloro il rischio è maggiore;
• Utilizzo stomie vs sonde
• Utilizzo tubi endotracheali cuffiati: la tracheostomia deve avere una tracheo cuffiabile, ovvero
deve poter essere gonfiata per aumentare la pressione;
• Utilizzo procinetici: es. domperidone, motilium, peridon, favoriscono lo svuotamento dello
stomaco.

ALTERAZIONI DELL’ALVO

Diarrea
Viene anche detta intolleranza alla
nutrizione artificiale. Quando succede,
soprattutto se il pz è arrivato a target
dell’induzione o utilizza una miscela
particolare, si riduce la velocità, si
ritorna a 40cc/ora e si rimette una
miscela standard. Quando un pz ha
diarrea, però, soprattutto se sta
facendo terapia antibiotica, è
fondamentale escludere che si tratti di
infezione da Clostridium Difficile. È
importante quindi effettuare una
coprocoltura. Per quanto riguarda i
fattori scatenanti correlati alla nutrizione (visibili nella slide) a parte l’intolleranza ad alcuni nutrienti il
resto è correlato alla procedura, riguardano quindi l’infermiere: ad esempio la velocità di
somministrazione è troppo alta o la miscela non è stata conservata correttamente e c’è una
contaminazione batterica, oppure non è stato cambiato tutti i giorni il set come da linee guida.

Stipsi
Meno frequente della diarrea. È correlata a:
• Diete prive o povere di fibre
• Insufficiente apporto di liquidi
• Patologie neuromuscolari
• Farmaci che riducono la motilità
• Immobilità fisica, es. nel paziente allettato.

Secondo il FUT il paziente non deve fare nutrizione continua ma durante le 12 ore diurne gli deve
essere somministrata la nutrizione mentre nelle 12 ore notturne gli deve essere somministrata
l’idratazione, il rapporto deve essere 1:1 (ad ogni ml di nutrizione deve corrispondere 1 ml di acqua).
Per coloro che fanno i boli, invece, quando si somministra la terapia si danno anche 200/300cc di
acqua ogni volta (il fabbisogno d’acqua corrisponde circa a 30 cc pro kilo). Quando un paziente è
stitico, nelle ore notturne, deve essere aumentata l’acqua (un pz con scompenso cardiaco viene
gestito meglio se la somministrazione dell’acqua avviene per intestino piuttosto che endovena).
Francesca Micele Diletta Paneghetti
7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022

Un’altra possibile soluzione è quella di inserire le fibre. Infine, è importante indagare la causa e
trattare eventualmente la patologia neuromuscolare sottostante, ad esempio, o modificare
un’eventuale terapia che prevede farmaci che riducono la motilità intestinale.

Francesca Micele Diletta Paneghetti


8.1 Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

PRINCIPI DI NUTRIZIONE ARTIFICIALE PARENTERALE


La nutrizione parenterale prevede la somministrazione di nutrienti endovena in quantità tale da
incontrare il fabbisogno del paziente, in particolare nel caso in cui fosse necessario arricchire
l’introito nutrizionale con specifici substrati. Essa è ad esclusivo appannaggio del medico, l’unico in
grado di prescriverla e monitorarla (contrariamente alla nutrizione enterale, che può essere
monitorata anche dal dietista). La nutrizione parenterale (NP), una volta prescritta, viene preparata
dal farmacista.
Le indicazioni alla nutrizione parenterale:
1. Quando l’intestino non è funzionante, l’indicazione principale. Si apre tuttavia una zona
grigia, costituita da tutti quei casi in cui il paziente, nonostante l’intestino integro, non risulta
collaborante e va trattato: è il caso dell’anoressia nervosa, delle demenze.
2. Quando l'intestino non è accessibile: per esempio nel caso di neoplasie delle vie digestive o
aeree superiori, con effetto stenosante o comprimente, che impediscono al gastroenterologo
il posizionamento del sondino.
3. Quando la nutrizione entrale non è sicura, ovvero quando c’è un elevato rischio di
aspirazione.
4. Quando il fabbisogno nutrizionale non viene raggiunto dalla nutrizione spontanea o da quella
enterale: nel pz sottoposto a chirurgia bariatrica, come supporto postoperatorio, o nel pz
oncologico, qualora gli effetti della chemioterapia (nausea, diarrea) ne inducano un calo
ponderale severo. In questo caso viene definita nutrizione parenterale supplementare,
poiché il paziente continua ad introdurre alimenti per via orale.

Le controindicazioni alla nutrizione parenterale:


1. Sistema gastroenterico funzionante. Nonostante questa controindicazione, non è infrequente
incontrare pz in grado di digerire i cibi cui è stata prescritta impropriamente la nutrizione
parenterale. È necessario quindi domandarsi criticamente se sia necessaria caso per caso.
2. Durata del trattamento nutrizionale parenterale stimato <5 giorni in pazienti non severamente
malnutriti. Anche in questo caso sono frequenti le prescrizioni improprie: i pazienti in attesa
di chirurgia in elezione vengono tenuti a digiuno, e non di rado l'operazione viene posticipata
più volte; con ciò si obbliga il paziente a saltare uno o più pasti per diversi giorni, con un
impatto sullo stato nutrizionale.
3. Impossibilità al posizionamento di un accesso venoso: problematica sempre più rara in
reparto, grazie anche al posizionamento eco-guidato.
4. Paziente terminale: in particolare se l’aspettanza di vita è inferiore ai 30 giorni
5. Quando i rischi superano i potenziali benefici: non ha senso esporre un paziente terminale
ai rischi della nutrizione parenterale, come il sovraccarico di liquidi e quindi l’insufficienza
respiratoria, se non sono previsti benefici a lungo termine. In questi casi viene attuata una
nutrizione di conforto, concedendo al paziente di assaggiare ciò che desidera ma senza una
finalità nutrizionale.
6. In caso di severa insufficienza epatica e/o renale: mentre l’insufficienza renale compromette
la gestione dei liquidi somministrati, quella epatica rende inficia la somministrazione dei
nutrienti. È necessario in prima battuta agire sulle cause e solo dopo aver stabilizzato il
paziente somministrare la nutrizione.
7. Instabilità di circolo, in particolare nell’ischemia intestinale. In questo caso bisogna evitare di
sovraccaricare l’organo ischemico fornendo nutrienti tramite una via non fisiologica, ovvero
il circolo venoso periferico. Nei pazienti con FE ridotta inoltre può non essere ideale
aggiungere altro volume circolante ad elevata osmolarità.

Michele Malesani Gaia Lunardon


8.1 Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

GLI ACCESSI VENOSI


Verranno ora discussi i criteri da osservare
nella scelta dell’accesso venoso e della
nutrizione parenterale.
1. In primo luogo, è necessario capire la
finalità dell’accesso venoso: in
generale il pz sottoposto a NP segue
altri regimi terapeutici per via
endovenosa (per esempio il pz
oncologico in chemioterapia, o quello
ematologico che necessita di una
costante somministrazione di
emoderivati), pertanto vanno
considerate le altre esigenze cliniche
per ottimizzare il posizionamento degli accessi. Nel caso in cui la NP sia integrativa si potrà
optare per un accesso periferico, con un calibro venoso inferiore, dal momento che sarà
necessario somministrare un volume di liquidi ridotto. Al contrario, nel caso di una NP totale,
sarà indicato un accesso venoso centrale.
2. Vanno poi considerati quali sono gli infusati: alcuni di essi sono flebolesivi o aggressivi nei
confronti dei tessuti, con pH variabile.
3. Il tempo del trattamento: fino a un mese è considerata NP a breve termine, tra 3-6 mesi
come NP di media durata, se >6 mesi come NP a lunga durata.
4. Il luogo: se la NP viene svolta in sede extra-ospedaliera è necessario un accesso sicuro.
5. Modalità d’uso: se l’impiego è continuo o discontinuo, giornaliero od episodico.
6. Condizioni del patrimonio venoso.
7. Stile di vita e compliance del paziente.
8. Esperienza gestionale del supporto medico-infermieristico territoriale. A Trieste, nello
specifico, l’infermiere si occupa sia della gestione della nutrizione enterale a domicilio (in
genere due volte al mese) sia di quella parenterale, recandosi fino a due volte al giorno dal
pz per la sostituzione delle sacche. Il medico controlla mensilmente l'accesso venoso.

A prescindere dai siti d’inserzione (che possono essere i più disparati: dal cavo popliteo all'ascella),
gli accessi venosi vengono classificati in base alla posizione della punta del catetere:

ACCESSO PERIFERICO: il sito d’inserzione e la punta si trovano in una vena periferica, in


genere del braccio. Viene posizionato tramite una procedura di incannulamento venoso standard,
viene impiegato per una NP di breve durata (in genere <10-15 giorni, già dopo 72h si può osservare
arrossamento del sito di inserzione) con esclusivamente soluzioni a bassa osmolarità (<850
mOsm/L). A tali concentrazioni, considerando 1500 mL al giorno (volume medio fornito per evitare
un sovraccarico di liquidi) si forniscono al paziente circa 1000 kcal: si tratta quindi di una nutrizione
di supporto da impiegare o in pazienti sottoposti a digiuno per breve periodo o in pazienti che
comunque si alimentano per os. L’indicazione principale all’accesso periferico è quindi evitare il
posizionamento dell’accesso venoso centrale.
I devices utilizzati sono:
- l’agocannula, un piccolo catetere (5-6 cm) con permanenza di 72-96h ad utilizzo esclusivamente
ospedaliero,
- il midline, impiegato per terapie superiori a 6 giorni: è un catetere più lungo (15 cm) posizionato
tramite eco-guida. Non va confuso con un accesso centrale, tramite di esso infatti si possono
somministrare solo soluzioni ad osmolarità ridotta.
Domanda di uno studente (non si sente) sulle differenze tra midline ed agocannula. Risposta: il
midline è più stabile dell’agocannula e difficilmente si disloca; tuttavia, presenta un rischio di
trombizzazione paragonabile. Viene impiegato per NP >6 giorni.

Michele Malesani Gaia Lunardon


8.1 Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

ACCESSO CENTRALE: la punta del catetere si trova nel terzo inferiore della vena cava
superiore o a livello della giunzione tra cava e atrio destro. Spesso il catetere viene inserito
perifericamente, in una zona distante da foci infettivi potenziali, come la vena omerale o quella
brachiale. Da qui, grazie ad una lunga porzione interna, raggiunge la posizione centrale. Consente
l’infusione di NP con osmolarità >850 mOsm/L, ad elevato contenuto calorico, proteico ed elettrolitico
(nelle nutrizioni periferiche il potassio, a causa della sua flebolesività, viene integrato per os) con un
rapporto tra kcal e volume di 1:1. Permette quindi il completo raggiungimento del fabbisogno
giornaliero e la creazione di una via stabile per somministrare anche altri farmaci.
I devices utilizzati sono:
- PICC (Peripherally Inserted Central Catheter): catetere che viene inserito a livello del braccio (di
solito vena brachiale) la cui punta arriva a livello centrale, lungo 40-60cm. Viene impiegato per NP
ed infusioni centrali per periodi <6 mesi con uso continuo o discontinuo. Viene inserito con guida
ecografica ed è necessario che il pz ne controlli settimanalmente la pervietà. La punta può avere
una conformazione variabile ad una, due o tre vie: quest’ultima, nonostante la comodità che offre
nell’uso, presenta un maggior rischio infettivo, a fronte del quale spesso si preferisce inserire due
PICC ad una o più vie; in genere ciò si osserva nei pz oncologici, in cui il rischio derivante da una
possibile infezione è più alto. Le tre vie sono impiegate nei reparti “più sicuri”, come in Rianimazione.
Il vantaggio principale offerto da questo device rispetto ai cateteri centrali tradizionali (es. Catetere
giugulare) è il minor rischio infettivo (dato l’inserimento a livello del braccio). A causa del calibro
minore, tuttavia, presenta un rischio di trombizzazione maggiore.
- Catetere esterno tunnellizzato: presenta un segmento di lunghezza variabile posto esternamente
alla medicazione, per poi inserirsi nel vaso. Rimangono in sede anche 2-3 anni. La particolare
disposizione consente di osservare facilmente il sito di entrata e il segmento esterno rende più
complesso per i microbi cutanei l’accesso al circolo, scongiurando le infezioni.
- PORT: sistema totalmente impiantabile costituito da un serbatoio sottocutaneo (che crea una
piccola e poco visibile sporgenza sulla cute del paziente) e da un tratto interno. All’occorrenza,
tramite un ago specifico (ago T o di Huber), si punge la cute accedendo al serbatoio sottocute.
Questo device viene impiegato in particolare in ambito oncologico, dove le somministrazioni di
chemioterapico sono generalmente settimanali. Non risulta adeguato infatti per un utilizzo quotidiano
né alla terapia parenterale. Si consideri poi che le infezioni della tasca del PORT richiedono un
approccio chirurgico.
Esistono poi altri accessi centrali (cateteri venosi standard) che utilizzano vena giugulare interna,
vena succlavia (minor rischio infettivo) o vena femorale. Gli accessi femorali, alla luce del loro alto
rischio infettivo, non vengono mai usati per NP, a meno che non ci si trovi in condizioni estreme.
Tutti i cateteri vengono sempre posizionati sotto guida ecografica.
Di seguito vengono riassunte le principali differenze tra catetere tunnellizzato e PORT:

Michele Malesani Gaia Lunardon


8.1 Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

COMPLICANZE LEGATE AGLI ACCCESSI PER LA NUTRIZIONE PARENTERALE


Le complicanze si distinguono in:

IMMEDIATE – si manifestano entro 48 ore e sono associate all’impianto del catetere. Questo gruppo
di complicanze è variabile per frequenza e tipo. Esse dipendono dall’esperienza dell’operatore,
dall’utilizzo della guida ecografica (il cui impiego riduce le complicanze ed è indicato in tutte le linee
guida) e dall’accesso scelto, in particolare dal calibro della vena.
Le complicanze immediate vengono distinte in base alla frequenza:
Frequenti:
1. Ematoma da puntura arteriosa accidentale
2. Pneumotorace – si osserva meno del 5% dei casi e maggiormente negli individui molto magri.
In genere è dovuto ad una puntura a livello dell’apice polmonare, quando il catetere si trova
nella succlavia.
3. Aritmia – da discesa della guida metallica o della punta del CVC in atrio o addirittura in
ventricolo. Sono molto rare come complicanze.
4. Mal posizionamento del catetere – il catetere si ripiega nelle vene del collo senza giungere
nella struttura bersaglio.
L'insuccesso dell’incannulazione in generale è più frequente in pazienti con BMI<20 o >30, sottoposti
a pregressa chemioterapia e/o numerose incannulazioni, a pregressa chirurgia o radioterapia. Le
pregresse procedure a carico delle vene hanno particolare peso nel pz pediatrico con insufficienza
intestinale (per i più svariati motivi), poiché è l'integrità del patrimonio venoso che consente l’impiego
della NP, scongiurando o per lo meno rimandando il trapianto di intestino (che è una procedura
gravata da scarsi outcomes).
Come già visto per la PEG, anche dopo il posizionamento del CVC è sempre opportuno acquisire
una RX toracica (soprattutto quando il rischio teorico di pneumotorace è alto).
Domanda di uno studente: quante volte, nella stessa sede, può essere inerito un cvc? Una volta. Se
non si riesce al primo approccio in generale si cambia sede. La difficoltà sta nel fare il giro dentro
alla succlavia, e solo se no si riesce si provano altrie sedi nel distretto superiore. L’accesso femorale
è sconsigliato (è l’ultima spiaggia), sia per il rischio infettivo sia perché disturba la deambulazione.
Rare:
1. Embolia gassosa – da ingresso di aria.
2. Emotorace
3. Tamponamento cardiaco
4. Decesso – osservato sporadicamente, generato da complicanza maggiore intratoracica.

TARDIVE – possono insorgere a distanza di una settimana dal posizionamento o al momento della
rimozione. In questa categoria, le più importanti sono quelle di tipo infettivo (le altre vengono definite
non infettive).
Non infettive:
Meccaniche
1. Pinch-off – pizzicamento del tratto di catetere che passa tra la clavicola e la prima costa,
quando viene posizionato per via succlavia;
2. Kinking – inginocchiamento di un tratto del catetere;
3. Rottura del catetere;
4. Disconnessione del reservoir (per es. nel PORT);
5. Dislocazione della punta;

Michele Malesani Gaia Lunardon


8.1 Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

6. Rimozione accidentale; Attenzione soprattutto ai pazienti agitati, in cui generalmente è


indicata la PEG. Si preferisce che il paziente strappi la PEG piuttosto che il catetere venoso
centrale, perché nella PEG il trauma è piccolo e si risolve spontaneamente, mentre nel caso
di strappamento del CVC – se non ci si accorge immediatamente – il paziente rischia una
emorragia;
7. Ostruzione parziale o completa da fibrin sleeve o trombi ematici intraluminali.

Trombotiche (trombosi venosa CVC-correlata) – le cause sono le seguenti:


1. Diatesi trombofilica del paziente;
2. Materiale di composizione del catetere. Generalmente molto biocompatibili;
3. Trauma sulla vena da parte della punta del catetere;
4. Composizione delle miscele nutritive (o procedura scorretta di somministrazione).
In caso di trombosi, clinicamente si potrà osservare un reticolo venoso marcato in assenza di sintomi
particolari. Per scongiurare questa complicanza (la più comune) le linee guida sottolineano
l’importanza dell’ecografo nel posizionamento, e fino a poco tempo fa consigliavano il lavaggio
periodico con soluzione eparinata.

Michele Malesani Gaia Lunardon


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

COMPLICANZE TARDIVE INFETTIVE


Sono le complicanze più importanti, si suddividono in:
- Infettive locali;
- Infettive sistemiche;
- Tromboflebite (su base infettiva).
INFETTIVE LOCALI
Interessano cute e sottocute. Vanno sospettate nel paziente in cui vi è la comparsa di flogosi
(eritema, indurimento, arrossamento, dolore e tumefazione) con o senza presenza di essudato a
livello di:
- Emergenza del catetere;
- Tasca (Port);
- Tunnel (Groschong, Hickman);
È necessario escludere la presenza di puntate febbrili e raccogliere
mediante tamponi dei campioni sul punto di emergenza del catetere per
effettuare degli esami culturali, facendo attenzione a prelevare solo il
materiale del secreto; una volta raccolti, l’infermiere può procedere con
le medicazioni giornaliere con Clorexidina o Betadine (asepsi).
INFETTIVE SISTEMICHE
- Infezione con ipertermia, brivido e leucocitosi;
- Sepsi.
INFEZIONI DA CVC
La sepsi da catetere (Catheter-related bloodstream infection o CRBSI) è definita come
un’infezione del torrente ematico con almeno una emocoltura positiva da una vena periferica, che si
manifesta in portatori di CVC, con segni clinici di infezione (febbre, brividi e/o ipotensione) quando
sono state escluse altre sedi di infezione.
Il meccanismo alla base della CRBSI riconosce la
seguente sequenza:
1. Colonizzazione della punta del catetere da
parte di un patogeno: i microrganismi più
frequentemente coinvolti sono gli
stafilococchi coagulasi-negativi.
L’infezione deriva quindi nella maggior parte
dei casi dalla cute;
2. Infezione della tasca;
3. Flebite dei cateteri PICC e Midline.
Tra le potenziali sorgenti di contaminazione dei
dispositivi intravascolari si riconoscono:
- Mani contaminante del personale sanitario
 ogni volta che si manipola un CVC
bisogna utilizzare guanti sterili e creare un
campo sterile;
- Manovre infermieristiche;
- Disinfettanti contaminati;
- Contaminazione di soluzioni infuse per via
endovenosa (colonizzazione endoluminale);
- Microflora cutanea del paziente;
- Auto-infezione (per via ematogena o
diffusione esterna).

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

La diagnosi si basa su metodiche culturali:


- Tecniche che prevedono la rimozione del catetere (solo se non vi è altra scelta)  coltura
del CVC;
- Tecniche che non prevedono la rimozione del catetere  doppia emocoltura da catetere
centrale e periferico. Si sospende l’utilizzo del CVC, ma non viene rimosso.
Per ridurre l’incidenza della rimozione del CVC causata da
infezione, specie nel caso di cateteri impiantati con serbatoio, è
stata ideata una nuova terapia che consiste nell’irrigazione del
CVC con concentrazioni elevate di antibiotico da lasciare in situ
per alcune ore (fino a 24 ore) in modo da raggiungere livelli
battericidi nel biofilm in cui i germi sono indovati (lock therapy).
Si tratta di un salvataggio estremo. Tuttavia, nella maggior parte
dei casi è difficile ottenere una bonifica completa del catetere.
La soluzione più semplice resta quindi la rimozione del catetere.
Bisogna attendere che le colture del paziente si negativizzino
prima di applicarne uno nuovo, altrimenti anche quest’ultimo
verrà colonizzato.
Per la prevenzione di infezioni da CVC occorre seguire il bundle, ovvero una serie di procedure
standardizzate necessarie per il corretto posizionamento ed utilizzo del CVC con il minor numero di
complicanze possibili. Il posizionamento del catetere richiede due infermieri: uno sterile e uno non
sterile, responsabile della preparazione del campo.
Le principali azioni del bundle prevedono:
 Utilizzare cateteri tunnelizzati e impiantati (valore confermato solo nell’ uso a lungo termine);
 Utilizzare cateteri rivestiti di antimicrobici (valore dimostrato solo nell’ uso a breve termine);
 Utilizzare un accesso periferico (PICC) quando possibile;
 Scelta appropriata del sito di inserimento;
 Venipuntura ecoguidata;
 Uso di massime precauzioni di barriera durante l'inserimento;
 Istruzione adeguata e formazione specifica del personale;
 Politica adeguata del lavaggio delle mani;
 Uso di clorexidina 2% come antisettico cutaneo;
 Adeguata medicazione del sito di uscita;
 Disinfezione di hub, rubinetti e connettori senza ago;
 Cambio regolare del set di somministrazione.
Raccomandazioni sulle linee diffusive:
 Cambiare i set per l’infusione (deflussori e rubinetti) ogni 72 ore, a meno che non si sospetti
o sia documentata un’infezione;
 Cambiare le linee usate per somministrare sangue, prodotti del sangue o emulsioni di lipidi
entro 24 ore dall’inizio dell’infusione;
 Usare un deflussore per ogni sacca;
 Cambiare le linee per la somministrazione di propofol ogni 6 o 12 ore;
 Si può sostituire il set d’infusione ogni 72 ore di una soluzione contenente solo destrosio e
aminoacidi;
 Prima e dopo la manipolazione delle linee infusive l’operatore deve lavarsi le mani con saponi
o gel antisettici;
 Dopo aver disinfettato l’estremità del catetere con clorexidina al 2% in soluzione alcolica (o
con iodopovidone o con alcol) si potrà provvedere alla sostituzione delle linee infusive;
 Utilizzare preferibilmente un catetere venoso centrale con il minor numero di porte o lumi;
 Non usare pomate o creme antibiotiche nei siti di inserimento (ad eccezione dei cateteri di
dialisi) perché potrebbero favorire infezioni fungine e resistenze agli antibiotici.

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

MISCELE PER NUTRIZIONE PARENTERALE

Le miscele utilizzate nella nutrizione parenterale (NP) possono essere:


 Miscele pre-costituite commerciali;
 Soluzioni singole commerciali:
o AA ad uso generale o speciale  le soluzione singole di AA ramificati, utilizzate un
tempo nel trattamento dell’encefalopatia epatica, sono ormai cadute in disuso;
o Glucosio  soluzioni glucosate al 5% e 10% (somministrazione periferica), 20% e
33% (somministrazione centrale tramite CVC data la maggiore osmolarità). In un
quadro di ipoglicemia severa per eccesso di insulina lenta se il paziente non tiene 5-
10% in periferica e necessita di infusione per almeno 24h vi sono due possibilità: a)
si posizionano due accessi; b) si chiama il rianimatore per posizionare un PICC1.
Le miscele possono essere di due tipi:
 Binarie: contenenti i principali nutrienti ad
esclusione dei lipidi (AA + glucosio);
 Ternarie (“all in one”): contenenti i principali
nutrienti compresi i lipidi (AA + glucosio + lipidi). Si
presentano sotto forma di sacche a 3
compartimenti separati; al momento dell’utilizzo,
arrotolando la sacca si mettono in comunicazione
i tre compartimenti ottenendo una miscela
omogenea. Ne esistono diverse in commercio (es.
olimel).
Le miscele possono essere:
- Preconfezionate:
 Sono specialità medicinali registrate con A.I.C.;
 Esistono numerose formulazioni industriali con diversa composizione (es. variazione
macronutrienti, elettroliti, volume, osmolarità, ecc.)  miscele binarie, ternarie (con
diversi tipi di emulsioni lipidiche);
 Vanno conservate a temperatura ambiente e miscelate prima dell’infusione;
 Non sono adatte a tutte le condizioni cliniche e a tutte le fasce d’età;
 Non contengono vitamine ed oligoelementi  vitamine e oligoelementi vengono
aggiunti solo successivamente non essendo dotati di una stabilità elevata in
sospensione;
- Magistrali:
 Sono preparati galenici magistrali  preparazione personalizzata della sacca sterile
per nutrizione parenterale da parte del farmacista su prescrizione del medico; come

1
Ipoglicemia: correggere con soluzione glucosata (5-40%).

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

tale deve rispondere alle norme di buona preparazione dei medicinali in farmacia
secondo la farmacopea ufficiale XII Ed. 2008.
 Dato il costo elevato, il loro utilizzo a Trieste è generalmente limitato al reparto di
neonatologia (preparazione delle sacche per prematuri). Tuttavia, è possibile
richiederle al Burlo in casi selezionati (es. pazienti sovrappeso o malnutriti,
insufficienza renale od epatica, etc.).

FATTORI IN GRADO DI ALTERARE UNA MISCELA


I fattori in grado di alterare una miscela per NP sono:
- Tempo: la sacca va cambiata ogni 24h (vanno segnate data e ora sulla sacca);
- Temperatura;
- pH (da mantenere entro valori di 5.5-7);
- Attivazione attinica (luce solare): non devono essere esposte direttamente alla luce solare;
- Ossigeno disciolto;
- Inquinamento microbiologico;
- Presenza di molecole reattive (es. riboflavina, cationi bivalenti, fosfati, solfiti);
- Presenza di catalizzatori (es. oligoelementi).
Conseguenze chimico-fisiche delle alterazioni:
- Reazione di Maillard (Glucosio – AA);
- Alterazione delle vitamine (es. Vit. C, B2);
- Ossidazione degli aminoacidi (es. Cys – Tyr – Trph);
- Formazione dei precipitati (es. CaHPO4, sono i più
gravi);
- Assorbimento sulle plastiche (es. insulina);
- Alterazione dei lipidi nelle all-in-one, se mescolate
troppo presto;
 Rottura emulsione;
 Idrolisi dei trigliceridi;
 Irrancidimento.

RICHIESA NPT
Il modulo a lato va compilato per richiedere alla farmacia
ospedaliera le miscele parenterali totali (NPT)
preconfezionate: la richiesta è nominativa e va compilata ogni
volta che si richiedono le sacche (ogni 2-3 giorni in media).
A differenza delle miscele parenterali periferiche, quelle centrali
presentano un’osmolarità elevata (varia da 1300mOsm\L a

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

1500mOsm\L)2. La massima osmolarità tollerata da una vena periferica è di circa 700 – 750 mOsm\L
(cut-off miscele periferiche), motivo per cui la somministrazione di miscele a maggiore osmolarità è
responsabile di una flebite chimica. È importante quindi segnalare sempre in maniera chiara sul
foglio di terapia se la miscela è da somministrare attraverso CVC o catetere periferico.
Nel modulo si possono poi scegliere le concentrazioni di macro- e micro-nutrienti desiderate. La
lettera “E” indica la presenza di oligoelementi. Da tener presente che:
- Il glucosio e i lipidi servono solo per soddisfare il fabbisogno calorico  il primo step è
calcolare il fabbisogno calorico del paziente (con formula di Harris-Benedict o 25-30 kCal/kg)
per controllare se corrisponde alle calorie non proteiche contenute nella sacca;
- Il conto delle proteine, data la sua importanza e il minimo contributo sulle calorie totali,
dev’essere fatto separatamente  bisogna tener conto delle patologie del paziente (es.
insufficienza renale) per la scelta della sacca, considerato che il contenuto in proteine varia
dai 50g fino a 100g;
- Si decide il tipo di sacca e il suo volume totale in base alla capacità del paziente di gestire i
liquidi (es. IRC).
Esempi di applicazione clinica delle sacche presenti nel modulo:
- Nutrispecial Lipid trova indicazione nel paziente nefrologico: consiste di un piccolo volume
totale (625ml) ed è caratterizzata da una quantità di lipidi elevata. I lipidi forniscono 9kcal/g;
- Olimel N9E trova indicazione nel paziente in condizione catabolica: ha contenuto
amminoacidico elevato;
- Olimel N7E: essendo una formulazione caratterizzata da un contenuto glucidico elevato non
va prescritta nel paziente con tendenza all’insulino-resistenza.

2
Il plasma ha un’osmolarità di circa 300mOsm\L.
Silvia Prosdocimo Francesca Muffato
8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

COMPLICANZE METABOLICHE DELLA NUTRIZIONE ARTIFICIALE


Domanda d’esame! Le complicanze metaboliche della nutrizione enterale sono uguali a quelle della
NP pur essendo generalmente meno severe e più rare, trattandosi di una via più fisiologica. Questo
è il motivo per cui l’enterale viene considerata una via più sicura.

CASO CLINICO
- AD, maschio di 65 anni
- Dal verbale del PS (24/11):
 Situazione attuale: paziente inviato dall’Oncologia per ricovero per disidratazione (PA 80/50,
somministrato Emagel 500 ml 1 flc con miglioramento della volemia), non assume nulla per
os da 5 giorni
 La disidratazione è conseguente a mucosite orale
+ radiodermite di grado 3 post Radioterapia +
Cetuximab in paziente con diagnosi di carcinoma
squamoso dell’orofaringe localmente avanzato
 Recente calo ponderale (da 80 a 70 kg in 2 mesi)
 Contattata geriatria, disponibile posto letto se
tampone negativo
 Tampone naso-faringeo negativo
- Esami di laboratorio:
 Emoglobina di 9.6 g/dL e MCV di circa 89 fl 
anemia normocitica;
 Piastrine nella norma.
- Come impostare il trattamento?
1. Per prima cosa bisogna accertarsi che il paziente presenti un accesso venoso 
fondamentale non solo per la nutrizione parenterale e l’idratazione ma anche per la
somministrazione delle terapie (es. terapia steroidea per la mucosite) essendo il paziente
impossibilitato all’assunzione per os;
2. Bisogna scegliere il tipo di catetere più adatto  in tal caso un CVC a medio termine (il
paziente presentava già un PICC);
3. La disidratazione è strettamente correlata all’IRA (complicanza)  si controllano gli elettroliti
e la creatininemia rispetto alla precedente o, in alternativa alla creatinina, si calcola la VEGF.
Un altro marcatore surrogato di disidratazione, che può ritardare l’inizio della nutrizione
artificiale, è la sodiemia  in una condizione di iper-sodiemia (valore ≥ 146 mEq/L) la
somministrazione di una miscela ad osmolarità elevata può peggiorare il quadro, motivo per
cui si avvia la nutrizione artificiale solo quando si ha una normalizzazione dei livelli di sodio;
4. Altri marcatori da tenere in considerazione per l’impostazione del trattamento sono:
a. Albumina  in questo caso è bassa (2.70g/dL) ma verosimilmente reale, non si tratta
infatti di un paziente con flogosi in atto;
b. Emoglobina  essendo bassa (9.6 g/dL) bisogna indagare se l’anemia è conseguenza
della terapia con Cetuximab o se è legata ad una carenza di ferro (ferritinemia);
5. Un paziente che ha perso 10kg in due mesi e che non mangia da 5 gironi secondo la scala
di valutazione della malnutrizione è un soggetto a rischio elevato  si tratta di un paziente
malnutrito, aldilà del suo indice di massa corporea, perché presenta perdita di peso e severità
di patologia;
6. Le linee guida europee prevedono l’utilizzo del sondino naso-gastrico nella mucosite di grado
1 e 2 e l’utilizzo della terapia parenterale a partire dal grado 3. Quando si imposta un
trattamento nutrizionale in questo tipo di paziente è necessario avere degli accorgimenti
perché il rischio di complicanze è elevato.
Le complicanze metaboliche della nutrizione artificiale possono essere suddivise in:
 Precoci:
o Squilibri idro-elettrolitici;
o Alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e azotato;

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

o Alterazioni dell’equilibrio acido-base;


o Refeeding Syndrome.
Alterazioni del metabolismo e dell’equilibrio acido-base si riscontrano più frequentemente nei
pazienti che seguono una terapia parenterale3, mentre la Refeeding Syndrome va
considerata sia per la terapia parenterale che enterale.

 Tardive:
o Alterazioni epatobiliari;
o Alterazioni del metabolismo osseo;
o Carenze di micronutrienti: queste sono più frequenti con la terapia enterale.
Si riscontrano perlopiù in pazienti da anni in terapia nutrizionale.

COMPLICANZE PRECOCI
 Squilibri idro-elettrolitici, si possono riscontrare due situazioni:
 Eccesso: (vedi paziente oncologico/terminale)
a. Ritenzione idro-sodica;
b. Sovraccarico cardiocircolatorio.
Da tenere in considerazione soprattutto nella nutrizione parenterale, che prevede
l’utilizzo di miscele ad alta osmolarità: è necessario correggere le disionie, se presenti,
prima di procedere con la parenterale.
 Carenza:
a. Disidratazione iperosmolare;
b. Shock ipovolemico.
Da tenere in considerazione soprattutto nella terapia enterale: quando non viene prevista
la somministrazione dell’acqua insieme alla formula con rapporto 1:1 (1mL di acqua e
1mL di formula) si rischia di incorrere nella disidratazione iperosmolare fino ad arrivare
allo shock ipovolemico.
 Alterazioni equilibrio acido-base:
 Ipo-ipernatriemia: l’iponatremia è tipica della somministrazione a lungo termine di una
parenterale periferica (ipocalorica e, di conseguenza, presenta una minor concentrazione di
sodio); l’ipernatremia si verifica nei pazienti con insufficienza renale e nei pazienti con
disidratazione;
 Ipo-iperpotassiemia: le sacche tendono ad essere un po’ povere di potassio per cui bisogna
fare continui controlli e vedere se implementarlo in altro modo;
 Ipo-ipermagnesiemia: l’ipokaliemia è solitamente legata a un deficit di magnesio: agendo su
uno dei due si corregge anche l’altro;
 Ipo-iperfosforemia: preoccupa più l’ipofosforemia poiché è segno di sindrome da
rialimentazione;
 Ipo-calcemia: la concentrazione di calcio depositata nelle sacche non è un dato assoluto
perché il calcio circola legato all’albumina per cui bisognerà indagare i livelli di albumina per
correggere il valore e in caso valutare il calcio ionizzato;
 Acidosi metabolica ipercloremica;
 Acidosi ipopotassiemica.

 Alterazioni del metabolismo glucidico:


 Iperglicemia, glicosuria, diuresi osmotica, disidratazione. L’iperglicemia è una situazione
molto frequente con la terapia parenterale (50% dei pazienti) e può essere dovuta ad una
eccessiva somministrazione di glucosio, oppure ad un’eccessiva velocità d’infusione dello

3
N.B. Questo non significa che la terapia enterale non dia complicanze!

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

stesso (questa è la causa più frequente, perché le sacche di solito hanno una composizione
standard). Un’altra causa può essere l’insulino-resistenza. È importante monitorare i valori
della glicemia, per non slatentizzare un’iperglicemia. Anche lo stato settico e la terapia con
corticosteroidi sono associati ad insulino-resistenza. Un altro problema che si può verificare
è che gli zuccheri semplici, quando non vengono utilizzati, si accumulano a livello del fegato
e in periferia formando glicogeno, ma possono essere anche convertiti in trigliceridi. Per
questo motivo, accade spesso che compaia un’ipertrigliceridemia molto marcata (>500
mg/dl) che espone il paziente al rischio di pancreatite acuta.
 Ipertrigliceridemia, aumento di AST, ALT, GGT;
 Ipoglicemia: di solito compare quando viene sospesa improvvisamente la terapia parenterale
in un paziente che la assumeva da tempo, in quanto persiste la produzione di insulina
endogena da parte del pancreas; andrebbe quindi sospesa gradualmente con scalo.

 Alterazioni del metabolismo azotato:


 Iperammoniemia: attenzione ai pazienti con cirrosi epatica! (situazione più frequente);
 Acidosi metabolica ipercloremica;
 Iperazotemia pre-renale.

 Alterazioni del metabolismo lipidico:


 Carenze di acidi grassi essenziali: sono frequenti perché i pazienti non mangiano e vengono
tenute per molto tempo sacche periferiche, carenti di queste componenti;
 Ipertrigliceridemia: può verificarsi per una quantità eccessiva di lipidi nella sacca (>1g/kg/die)
o nei pazienti con deficit di lipoprotein-lipasi (diabete mellito, ipotiroidismo);
 Reazione da lipidi (febbre, brivido, malessere): causata da un’eccessiva rapidità
nell’infusione di lipidi (>1mg/kg/min).

 Refeeding syndrome (vedi sotto)

COMPLICANZE TARDIVE
Interessano pazienti in terapia parenterale da molto tempo.
 Complicanze epatobiliari: il primo rischio è che si verifichi un depauperamento del patrimonio
venoso, il secondo è lo sviluppo di steatoepatite/steatonecrosi che può portare a cirrosi e fibrosi.
Altre complicanze possono essere: colestasi intraepatica, anormalità biochimiche (transaminasi,
fosfatasi alcalina) e colelitiasi (quando un paziente non ha più accessi e si alzano le transaminasi
è da mettere in lista trapianti cit.!).

 Complicanze del metabolismo osseo:


o Ipofosfatemia, ipocalcemia, ipercalciuria;
o Bilancio calcio negativo;
o Osteoporosi.

 Carenze di micronutrienti

REFEEDING SYNDROME (O SINDROME DA RIALIMENTAZIONE)


È una patologia molto grave descritta per la prima volta nei prigionieri giapponesi dopo la Seconda
Guerra Mondiale: in seguito alla rialimentazione dopo un lungo periodo di digiuno, si notò che
svilupparono uno scompenso cardiaco intrattabile, a genesi apparentemente sconosciuta.
Dopo un lungo periodo di deprivazione alimentare si attivano: la glicogenolisi, la gluconeogenesi e
il catabolismo proteico con una deplezione e un consumo progressivo delle proteine, dei grassi e

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

dei minerali; a ciò si aggiunge una scarsa capacità nel


gestire il carico di liquidi (es. per ipoalbuminemia).
Quando al paziente viene somministrata una nutrizione di
tipo parenterale avviene uno shift all’anabolismo: l’arrivo dei
nutrienti stimola la secrezione di insulina che aumenta la
captazione di glucosio e degli oligoelementi, con aumento
della sintesi di glicogeno e di proteine; aumentano anche
l’utilizzo di tiamina (vitamina B1) e l’uptake del potassio,
che passa dal compartimento extracellulare a quello
intracellulare.
Come conseguenza, dal punto di vista laboratoristico e clinico, il paziente presenta:
- Ipokaliemia, ipomagnesemia e ipofosfatemia, disionie che possono causare aritmie molto
gravi (soprattutto l’ipokaliemia);
- Deficit di tiamina, può avere conseguenze neurologiche importanti come l’encefalopatia di
Wernicke. La vitamina B1 rappresenta una delle componenti più rilevanti dell’organismo in
quanto cofattore di enzimi coinvolti in importanti processi biochimici, quali glicolisi e ciclo
degli acidi tricarbossilici; in sua assenza i substrati non vengono utilizzati con conseguente
calo di produzione di ATP, cui segue un ridotto funzionamento della pompa cardiaca. Di
fronte ad un paziente malnutrito con scompenso cardiaco, la somministrazione di tiamina lo
rende recettivo a tutta la terapia per lo scompenso cardiaco (diuretico, ACE-inibitore o
sartano, beta-bloccante, ecc.); viceversa, se il deficit non viene corretto non vi sarà alcuna
risposta.
- Ritenzione idrica e edema, per azione dell’insulina sul tubulo renale dove provoca
ritenzione e riassorbimento d’acqua.
Questo insieme di alterazioni biochimiche e segni clinici caratterizza la refeeding syndrome o
sindrome da rialimentazione.
Le possibili manifestazioni cliniche della sindrome4 comprendono:
- Convulsioni;
- Delirium;
- Encefalopatia di Wernicke;
- Ipotensione;
- Scompenso cardiaco (con riduzione della gittata cardiaca);
- Aritmie;
- Insufficienza renale;
- Ileo paralitico;
- Anemia;
- Iperglicemia;
- Edemi periferici;
- Parestesie e fascicolazioni;
- Rabdomiolisi.
È necessario quindi identificare correttamente il soggetto a rischio (anziano malnutrito, digiuno
prolungato, etilisti, anoressia nervosa, cachessia neoplastica, etc.) per prevenire questo tipo di
complicanze.
CRITERI DIAGNOSTICI
Per constatare la presenza di una sindrome da rialimentazione fino a qualche anno fa si seguivano
i criteri del NICE:

4
In grassetto quelle nominate dalla prof a lezione.

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

[La prof afferma che non serve impararli a memoria]

CARATTERISTICHE CLINICHE E DI LABORATORIO


La sindrome da refeeding può avere diverse facce: si parla di refeeding biochimico, caratterizzato
da bassi elettroliti (K, P, Mg), e di refeeding clinico, che si manifesta con edemi periferici o
sovraccarico di fluidi; nei casi più gravi può comparire una disfunzione d’organo, soprattutto
cardiaca o cerebrale.

Solitamente le alterazioni elettrolitiche compaiono prima delle manifestazioni cliniche: immaginando


una piramide la base è costituita da un gran numero di pazienti con disionie, di cui solo una piccola
parte va incontro al quadro clinico (punta della piramide).
Rimane quindi estremamente importante prevenire i sintomi clinici correggendo le alterazioni idro-
elettrolitiche e somministrando, successivamente, la tiamina, prima di iniziare la nutrizione
parenterale/enterale.
PREVENZIONE E TRATTAMENTO
 Identificare i pazienti a rischio;
 Correggere e monitorare fosforo/potassio, sodio, cloro, magnesio;
 Supporto nutrizionale: “iniziare lentamente (<50% dell’energia calcolata) e avanzare
lentamente”, quindi si calcola il fabbisogno totale con la solita formula di Harris-Benedict, si
somministra metà il primo giorno e poi si sale gradualmente con l’obiettivo di arrivare al target
entro la prima settimana, superata la quale il paziente si considera fuori pericolo;
 Supplementare Vitamine (B1, B6, B12 etc.) ed elettroliti, prima di iniziare la somministrazione
dell’enterale si somministra il polivitaminico.

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022

MONITORAGGIO DELLA NA
I parametri vanno controllati periodicamente nei
pazienti il cui trattamento è di lunga durata; questi
non sono solo parametri nutrizionali o correlati
all’accesso, ma anche clinici: il paziente che va in
terapia artificiale di solito ci va per un altro
problema, che va considerato. La prognosi della
malattia di base condiziona anche la prognosi della
nutrizione. Ad esempio, un paziente neurologico
che ha avuto un ictus e che si riabilita dalla disfagia
dopo un anno toglie la PEG (se presente) e mette il
sondino; viceversa, se il paziente ha un tumore del
distretto capo-collo con conseguente disfagia, si
attendono alcuni anni perché se dovesse
ripresentare una recidiva potrebbe essere utile
tenere la PEG.

Silvia Prosdocimo Francesca Muffato


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

INSUFFICIENZA INTESTINALE
CASO CLINICO

Maschio di origine indiana, nato il 19/10/1988 da gravidanza gemellare. Alla nascita pesa 2400 g, e
presenta un quadro di occlusione intestinale per volvolo; dunque, deve essere sottoposto a
resezione intestinale estesa con ileostomia terminale (residui 2 cm di digiuno + 10 cm di ileo), quadro
che lo condanna a nutrizione parenterale domiciliare notturna 7 giorni su 7.

Quando successivamente giunge all’attenzione medica presenta i seguenti dati antropometrici: H


170 cm, 50 kg, BMI 17.3 e fabbisogno calorico giornaliero pari a 1800 kcal. Per quanto riguarda i
dati di laboratorio, l’albumina risulta 3.8g/dl, le AST 40 e gli altri enzimi epatici elevati rispetto ai valori
standard, nello specifico ALT 51 e GGT 70. Questo rialzo di ALT e GGT è verosimilmente ascrivibile
ad un iniziale danno di steatosi epatica conseguente alla nutrizione parenterale protratta nel tempo.
Il programma di nutrizione parenterale in corso consiste in una soluzione personalizzata di 1350 ml
in 12 h, 7/7 gg, che fornisce circa 1500 Kcal (HC 210 g, Pr 49 g, Lip 50 g).
Considerando che il pz dispone ancora di un tratto di intestino funzionante, assume un supplemento
spontaneo orale quantificabile con altre 1500 Kcal (si tenga presente che nonostante il fabbisogno
del paziente sia di 1800 Kcal, vista la presenza di un ridotto residuo intestinale l’assorbimento sarà
inferiore alle Kcal somministrate).

A febbraio 2018, presenta una febbricola da oltre 3 settimane. Il medico che lo segue prescrive un
ecocardiogramma che riscontra una massa di 21x7.5 mm adesa alla punta del catetere in atrio dx.
Vengono effettuate emocolture che risultano positive, con conseguente diagnosi di endocardite
batterica. Dunque, il pz viene ricoverato in Malattie Infettive per il proseguo della terapia e si opta
per rimuovere il PICC.
Il problema è che durante la sua vita il paziente aveva già visto posizionarsi 50 accessi venosi
centrali e gli è stato esplicitamente detto che una volta inserito il PICC in questione non sarebbe
stato possibile inserirne di altri. Quindi il pz gira per i vari centri di nutrizione italiani, in cerca di un
trapianto di intestino che, però, viene posticipato il più possibile poiché rappresenta l’ultima strategia
terapeutica disponibile e non viene eseguito ovunque, ma solo in grandi centri.

Quando il pz giunge all’attenzione della Prof, si è preso un piccolo accesso periferico per la NP
anche se non rappresenta la soluzione ideale.

[A quanto pare il pz ha scritto un libro “Ventiquattro frammenti di noi” che la Prof inclue nelle slide e
che vi riportiamo qua sotto.

“Ne ho passate davvero tante nella mia vita. Per i primi 3 anni sono stato dentro e fuori l’ospedale
di Trieste, il mio periodo all’asilo e le scuole elementari sono stati problematici perché non potevo
mangiare tutto quello che mangiavano gli altri, ma andatelo a spiegare a un bambino di 4 o 5 anni.
Sono cresciuto deriso dai bambini e dai ragazzi che distorcendo il mio nome di origine indiana mi
chiamavano Amicotappo, perché a causa della mia condizione non ero certo tra i più corpulenti o
alti del gruppo.
Mio padre è sempre stato presente mi ha sempre seguito in tutti i miei viaggi in Italia e in Europa
alla ricerca di una cura. Lui era con me tutte le volte che ho dovuto affrontare un cambio di catetere
attraverso cui mi sono alimentato per anni, lui era con me tutte le volte che ho avuto qualche
complicazione e ho dovuto affrontare toracotomie, sternotomie e d altri interventi per un totale di
80”].

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

DEFINIZIONE CLINICA
L’insufficienza intestinale (Intestinal Failure), dal punto di vista internistico, rappresenta la riduzione
della funzione intestinale al di sotto del minimo necessario per l’assorbimento di
macronutrienti, acqua ed elettroliti, tale da richiedere la supplementazione per via
endovenosa, al fine di mantenere uno stato di salute.
Diversa è l’insufficienza
intestinale enterica (Intestinal
Insufficiency), intesa come
malassorbimento, che però
non richiede un supplemento
endovenoso per mantenere
un corretto stato di salute e
favorire la crescita, o
comunque non prevede la
supplementazione di tutti i
macro e micro nutrienti.
Rientrano in quest’ultima
categoria le malattie
infiammatorie intestinali
croniche, la Celiachia etc.

Ci sono condizioni che NON si possono considerare insufficienza intestinale:1

• ridotto introito alimentare ma funzione intestinale intatta come ipofagia correlata a malattia,
anoressia nervosa o qualsiasi altro disordine psichiatrico;

• alterata funzione intestinale ma assorbimento intestinale conservato come


deglutizione alterata, odifagia, NE come terapia per la malattia di Crohn in fase attiva2;

• uso di NP per rifiuto di NE altrimenti efficace. È il caso della NP posizionata senza che ci
sia una chiara indicazione);

• riduzione dell’assorbimento intestinale ma la salute e gli obiettivi di crescita


possono essere mantenute da supplementazione orale o NE;

• necessità di supplementazione di sole vitamine e oligoelementi; per esempio la celiachia, in


particolare nell’adulto, può non manifestarsi con un calo di peso ma unicamente con anemia,
correggibile con supplementazione di ferro.

CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE
Sulla base dell’esordio, dei criteri metabolici e prognostici, è possibile suddividere l’insufficienza
intestinale (IF) in:

• Tipo I - acuta, di breve durata e di solito autolimitantesi, tipica dei pazienti che vanno
incontro ad un’operazione chirurgica;

1 La prof non ha specificato, ma crediamo si intenda Intestinal Failure


2 Come detto nella precedente lezione, soprattutto in età pediatrica esistono delle formulazioni di nutrizione
immunomodulate, che hanno un effetto simile ai corticosteroidi e spengono la malattia senza che serva
somministrare quest’ultimi.

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

• Tipo II - condizione acuta prolungata, più frequente della precedente, si verifica spesso
in pazienti metabolicamente instabili, richiede un approccio complesso multidisciplinare e
supplementazione endovenosa per un periodo variabile di settimane o mesi;

• Tipo III - condizione cronica, può rappresentare l’evoluzione della tipo II, si verifica
in pazienti metabolicamente stabili e richiede supplementazione endovenosa per mesi o
anni. Può essere reversibile o irreversibile.

Le patologie responsabili di dell’IF di tipo III sono:

Benigne (principalmente pz pediatrici) Maligne (principalmente pz più adulti)

evoluzione di una IF tipo II prolungata fase finale


di una neoplasia addominale o pelvica
risultato di patologie progressive gastrointestinali
o sistemiche
malattie digestive congenite

Le patologie alla base di un’insufficienza intestinale cronica benigna sono suddivisibili a loro
volta in 5 gruppi, ordinati in base alla prevalenza (dalla condizione più frequente a quella più
rara):

1) Sindrome dell’intestino corto, una condizione acquisita, conseguente a resezioni


intestinali massive in caso di
o Infarto mesenterico (ischemia, volvolo);
o Tumori embrionali intestinali;
o Traumi3;
o Diverticolosi del tenue.

2) Pseudostruzione o Sindrome di Ogilvie o CIPO (chronic intestinal pseudo obstruction)4,


malattia rara, congenita o acquisita, che conduce a problematiche di mobilità intestinale. Da
un punto di vista anatomopatologico può essere
o Miopatica, alterazione prettamente a carico delle cellule muscolari della parte
muscolare;
o Neuropatica, legata alla degenerazione delle cellule nervose, assomiglia al Morbo di
Hirschsprung;5
o Mesenchimopatia (molto rara).

3La prof riporta il caso di un operario che fa un incidente sul lavoro. Nonostante sia andato contro ad un
bancale, presenta un rachide perfettamente integro, senza fratture. Tuttavia, si forma un’incisione all’origine
dell’arteria mesenterica superiore che non si è riusciti a chiudere tramite cateterismo endovascolare, con
conseguente ischemia intestinale massiva → resezione intestinale → intestino corto.

4 La pseudo-ostruzione intestinale o Sindrome di Ogilvie è una malattia motoria dell'intestino,


caratterizzata da un rallentato transito e da una ridotta capacità propulsiva che consenta di spingere il cibo
lungo il tubo enterico. Conseguenze di tale alterazione sono, in genere, nausea e difficoltà digestiva ricorrenti,
stitichezza e, spesso, intense coliche addominali. [integrazione dal web]

5Il Morbo di Hirschsprung, detto anche Megacolon congenito agangliare, è una patologia causata da un
difetto di innervazione, in seguito ad un arresto nello sviluppo e nella migrazione delle cellule nervose gangliari,
che si manifesta con una forte difficoltà nell’evacuazione delle feci [integrazione dal web]

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

3) Fistole spontanee o acquisite (chirurgiche), come nel caso delle ileostomie. Infatti, più
l’intervento si localizza nelle porzioni alte dell’intestino, maggiore è la perdita di liquidi ma
soprattutto di macro e micro nutrienti.
Le fistole in questione possono essere anche temporanee e costruite per mettere a riposo
l’intestino.

4) Danno della mucosa che provocano disturbi dell’assorbimento


o Malattia di Crohn (ileite terminale);6
o Enterite attinica;
o Celiachia refrattaria;
o Linfangectasie;
o Immunodeficienza comune variabile (rarissima);7

5) Ostruzione meccanica

Per quanto riguarda invece l’insufficienza intestinale cronica secondaria a neoplasia attiva,
essa prevede l’integrazione della NP al trattamento, soprattutto se al momento della
chemioterapia presenta una sintomatologia tale per cui non riesce ad alimentarsi a sufficienza.
È stato dimostrato che la NP aiuta il pz e lo supporta al termine della terapia antitumorale.
[“Se vedete i pz oncologici è come entrare nell’arena, nel Colosseo, il torero con il toro davanti.
Il medico rappresenterebbe il torero perché vi è l’idea impropria che la nutrizione salvi la vita al
paziente, quando invece essa aiuta a completare il trattamento antitumorale, il vero salvavita”
cit. – non l’abbiamo capita].

Il trattamento con NP è controverso e varia da Paese a Paese a causa di:


• normativa e sistemi di rimborso diversi;
• inappropriato uso del Port posizionato per la chemioterapia;

6Per causare un quadro di insufficienza intestinale la MICI deve esse severa. Di queste, però, se ne vedono
poche perché disponiamo di un arsenale terapeutico efficace.

La Prof fa l’esempio un ragazzo polacco affetto da Chron con danno esteso, probabilmente con una o più
stenosi, che è stato operato più volte e dunque presenta una condizione di intestino corto. Questo paziente
viene sempre invitato ad intervenire nei congressi europei di nutrizione e racconta la sua storia anche al
Parlamento Europeo, a rappresentanza di tutti gli altri pazienti che si trovano in una condizione simile.

7Altro esempio di una paziente ricoverata in pneumologia qualche anno fa per insufficienza respiratoria, con
BMI 11. La diagnosi di immunodeficienza comune variabile, alla base del malassorbimento intestinale, è
arrivata solo dopo 5 anni, dopo multipli ricoveri per infezioni polmonari ricorrenti e, solo tardivamente, la
paziente ha potuto iniziare una terapia parenterale.

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

• atteggiamenti diversi verso le cure palliative (in alcuni casi è vista come supporto del fine
vita in altri no)

Nella tabella, si evidenzia la differenza


tra l’Italia e gli altri paesi meno
compassionevoli. Nel nostro paese, una
volta che il malato oncologico ha
ricevuto una diagnosi terminale, si
continua a trattarlo con la NP, a
differenza di altri paesi europei dove non
ci si focalizza più sull’obiettivo
nutrizionale. Si apre però un dibattito: il
20% di pz muoiono per malnutrizione e
non per la patologia oncologica alla
base. Pertanto, nonostante con la
nutrizione questi pz sarebbero comunque deceduti, probabilmente la loro aspettativa e qualità di
vita sarebbero risultate migliori.
In ogni caso, si tenga presente che la nutrizione parenterale non è in genere raccomandata
per pazienti con aspettativa di vita < 2-3 mesi, visto comunque il rischio di andare incontro a
sepsi da catetere.

INTESTINO CORTO
Si parla di intestino corto quando la lunghezza del tratto
residuo è inferiore ai 200 cm. Esistono varie tipologie di
intestino corto a seconda delle caratteristiche dell’intervento
chirurgico: se il paziente presenta un’enterostomia terminale
per esempio cutanea, il quadro sarà differente da anastomosi
digiunocolica o da un’anastomosi digiunoileocolica. Questo è
da tenere presente per la riabilitazione e per le possibilità di
svezzamento dalla nutrizione parenterale.

L’intestino corto è la causa principale di insufficienza


intestinale cronica di tipo III.

Le conseguenze fisiopatologiche dell’intestino corto includono:

• Perdita di funzioni di trasporto e assorbimento in relazione alla sede della resezione,


ciò comporta una condizione di malassorbimento selettivo generalizzato, a seconda del tratto
resecato;
• Alterata secrezione di entero-ormoni digiunali (gastrina, colecistochinina, secretina,
motilina, GIP) e ileali (enteroglucagone, neurotensina, peptide yy, GLP1 e GLP2); per
esempio un’ipersecrezione di gastrina può provocare rilascio massivo di succhi gastrici acidi
a livello del piccolo intestino e, se manca la valvola ileocecale, il succo gastrico può scendere
fino al colon con conseguenze negative per il microbiota intestinale.

[Integrazione Sbobine coorte 2017 (utile soprattutto per comprendere i punti che seguono)

I peptidi YY, il GLP-1 e il GLP-2 vengono rilasciati nella prima fase della secrezione alla vista
del cibo e hanno la funzione di secernere insulina per l’assorbimento di glucosio, ma anche
di rallentare lo svuotamento gastrico (ileal brake, letteralmente “freno ileale”), al fine di
favorire l’assorbimento ottimale dei macro e micronutrienti. Se la zona ileo-colica viene
asportata si verificherà uno svuotamento molto rapido con un riflesso ileo-colico marcato. Ne

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

consegue la comparsa improvvisa di diarrea post-prandiale profusa, con steatorrea e alimenti


non digeriti].

• Ipersecrezione gastrica, con diminuzione conseguente del pH endoluminale che inattiva


enzimi pancreatici e danneggia la mucosa, provocando una gastrite erosiva;

• Incremento della velocità di transito, in seguito alla perdita


della funzione ileal brake (vedi immagine a dx), che si verifica
quando viene interessata dalla resezione la zona della valvola
ileocecale. Infatti, la zona vicino alla valvola è molto ricca di
cellule che secernono enterormoni, che hanno un’azione anche
sulla motilità dello stomaco, oltre che sulla velocità del tratto
intestinale.

Date le importati ripercussioni funzionali risultanti dalla


presenza o meno della valvola ileo-ciecale, il chirurgo segnala
sempre, dopo un intervento, in aggiunta alla lunghezza del tratto
resecato e di quello residuo, se la valvola ileocecale è rimasta
in sede o meno, nonché descrive il tipo di anastomosi eseguita,
nel caso fortuito che sia stato eseguito un unico intervento. Altre
volte, infatti, è necessario eseguire multipli interventi e con
pazienza bisogna ricostruire la storia del pz per risalire alla
lunghezza di intestino rimanente, in modo da impostare la
corretta terapia.

Le conseguenze cliniche dell’intestino corto includono invece:

• Diarrea acquosa, disidratazione;


• Malassorbimento di macro e micronutrienti
o Deficit di vitamine ed elettroliti, soprattutto preoccupano le disionie da carenza di
potassio poiché, anche somministrando potassio per bocca, non si ripristinano valori
nella norma a causa della NP;
o Malnutrizione proteico-calorica;
o Anemia (ferro, folico, B12);
o Osteoporosi e osteomalacia, a causa della carenza di vitamina D e riduzione
dell’assorbimento del calcio;
o Acidosi (da perdita di bicarbonato nelle secrezioni
intestinali).
- Malassorbimento dei Sali biliari che provoca
o Colestasi, colelitiasi
o Nefrourolitiasi ossalica da calcoli da ossalato di calcio
(a lungo termine)
o Overgrowth batterico

Nello specifico, a seconda del tratto interessato gli effetti


sull’assorbimento saranno differenti. Se interessato l’ileo, in
particolare l’ultima ansa, possono essere compromessi
l’assorbimento dei Sali biliari, acidi grassi a catena corta, vitamine
liposolubili (A, D, E, K) e B12. Nel primo caso, la mancata
ricaptazione dei Sali biliari provoca una diarrea che non risponde
all’azione dell’Imodium (loperamide) e che viene dunque trattata
somministrando colestiramina, un farmaco un tempo usato per

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

controllare i livelli di colesterolo, ma in questo caso prescritta per prevenire la diarrea causata dai
Sali biliari.
Per quanto riguarda la riduzione dell’assorbimento di B12, il rischio è di sviluppare anemia
macrocitica megaloblastica: di fronte ad un paziente pallido, astenico e che presenta in anamnesi
resezione gastrica o diagnosi di Morbo di Chron, una delle ipotesi diagnostiche deve essere proprio
questa.
Il ferro e i macronutrienti sono assorbiti nei tratti più alti dell’intestino e dunque per un
malassorbimento a questi livelli deve verificarsi una resezione massiva (come 10 cm).
L’acqua viene internalizzata prevalentemente nel colon.

Tra le condizioni peggiori, come detto precedentemente, vi è la resezione della valvola ileocecale
che causa:
• Riduzione del tempo di transito nel piccolo intestino con conseguente malassorbimento;
• Overgrowth batterico con malassorbimento di vitamina B12, lipidi e acidi biliari
e conseguente diarrea;
• Dilatazione e ridotta motilità del piccolo intestino;
• Traslocazione batterica;
• Danno epatico.

L’immagine sottostante è uno schema riassuntivo di quali sostanze sono assorbite nelle varie
componenti dell’apparato digerente. La Prof consiglia di utilizzarla anche per l’esame di Medicina
Interna per avere una panoramica delle conseguenze del malassorbimento, a seconda delle zone
interessate.

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

SCELTA TERAPEUTICA
In primis è necessario studiare il
malassorbimento dal punto di vista
anatomico, nel caso di una
chirurgia, ed eziologico se il
problema è clinico.
Il trattamento può essere di tipo
conservativo o sostitutivo. In
entrambi i casi si supporta il pz con
NP, rivalutandolo periodicamente
nella speranza che il fabbisogno
energetico si riduca e che il pz
riesca a svezzarsi dalla nutrizione.
Infatti, l’intestino può andare
incontro a riabilitazione.
Ci sono delle condiziono che richiedono senza dubbio la nutrizione parenterale:
• In base alla lunghezza del tratto residuo
o < 100 cm con anastomosi digiunocolica- sotto i due metri si parla di intestino corto
ma quando l’intestino residuo è inferiore al metro si sa che il paziente necessiterà di
una nutrizione parenterale, soprattutto se il pz presenta una digiunostomia terminale;
o < 65 cm con anastomosi digiunocolica;
o < 30 cm con anastomosi digiunoilelae.

• In base all’assorbimento
o Se il fabbisogno calorico è < 84% della spesa energetica a riposo;
o Se l’acqua assorbita è < 1.41 L/d3, condizione tipica del paziente con diarrea
importante (ecco perché in chirurgia le perdite fecali vengono quantificate).

• motilità
o deficit parziale o totale

Dunque, i fattori che comportano una dipendenza dalla nutrizione e parenterale sono:
• anatomia dell’intestino residuo
o lunghezza dell’intestino tenue
o presenza del colon
o presenza dell’ileo terminale della valvola ileocecale

• presenza della malattia nell’intestino residuo


o M di Crohn, enteriti attiniche, vasculiti

• Livello di adattamento dell’intestino residuo [vedi paragrafi successivi]

La Prof fa un altro esempio di una paziente che va incontro ad una resezione intestinale due volte e
solo alla fine con la NP migliora. Di seguito si riporta il caso su cui la professoressa non si è però
soffermata:
«Intorno al 2004-2005 si sono susseguiti sempre più ricoveri e accessi al PS per via di inspiegabili
coliche che si sono tramutati nel tempo in dolori sempre più forti e costanti, tali da obbligarmi a
ricercare una causa chiara e netta, che non mi veniva fornita. Diagnosi che ancora oggi, a 50 anni

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

e un vissuto tra sala operatoria, e rianimazione non mi è stata resa ancora nota. Sono state fatte
diverse supposizioni: porfiria, morbo di Crohn e sindrome aderenziale post-chirurgica [parto
cesareo]. Ho subito un intervento di resezione di una larga fetta di intestino. Larga sì,
nonostante quello che mi era stato detto inizialmente dai chirurghi che mi hanno fatto sapere
unicamente che non avevo perduto molto.
Mi ero imposta una rigorosa dieta da seguire forse le cose non erano andate bene fino a quel
momento anche per questo.
Nell’estate del 2016 un dolore si è acceso in me ed è aumentato, aumentato e mi sentivo morire
dal dolore. In PS ricordo di aver letto sulla cartella clinica le parole «il paziente giunge in reparto in
coma, oppure se mi concentro riaffiora un frammento di vita durante il quale qualcuno dice «Questa
non la riprendiamo. Facciamo comunque un tentativo».
Sono stata dimessa con una diagnosi di infarto intestinale, mi era divenuto impossibile
alimentarmi normalmente e tutto quello che mangiavo si traduceva in dolori e vomito continui. A
lungo andare le forze mi stavano abbandonando. Mi sono messa alla ricerca di una soluzione e alla
fine l’ho trovata. Sono stata indirizzata presso quello che pensavo essere un semplice
gastroenterologo e invece è divenuto la mia salvezza. Dopo aver provato con diversi integratori sono
stata indirizzata verso la nutrizione parenterale, dalla quale sono ormai dipendente con catetere
Port-a-cath. 4 o 5 giorni la settimana sono vincolata alla mia nutrizione per un totale di 12-14 ore
circa, col tempo ho imparato a gestirla da sola. Ho recuperato il peso perduto, e la mia vita ha trovato
un equilibrio insperato dopo tutto quello che ho patito».

SVEZZAMENTO DA NP
In generale, il distacco dalla NP dipende
dall’adattamento intestinale che a sua volta è
relazionato a:

• Patologia di base
• Tipo di chirurgia eseguita
• Quantità del supporto nutrizione necessario
• Utilizzo di alcuni farmaci
Si tenga presente che la sopravvivenza dei pz in
nutrizione parenterale domiciliare è piuttosto elevata.
Come si evidenzia del grafico a sinistra, a 5 anni il 70%
dei pz è ancora vivo, a significare che la NP funziona
(in assenza di diagnosi terminale).
Qual è la probabilità di staccarsi dalla enterale? Fino a due anni di follow up la maggior parte dei
pz può svezzarsi dalla NP, mentre successivamente la curva raggiunge un plateau, poiché
termina la possibilità di riabilitazione dell’intestino stesso (grafico a destra).

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

Di seguito sono elencati i fattori che condizionano l’autonomia nutrizionale e la possibilità di


svezzamento dalla NPD:
• fabbisogni del paziente (stato nutrizionale, “taglia”), più il pz è robusto, maggiore sarà
richiesta di assorbimento, mentre i pz più minuti, con fabbisogno inferiore, hanno maggior
possibilità di staccarsi;
• anatomia dell’intestino residuo;
• presenza di malattia nell’intestino residuo;
• processo di adattamento dell’intestino residuo;
• possibilità di alimentazione orale/enterale;
• ottimizzazione della terapia conservativa (dietetica, farmacologica).
Per valutare se l’intestino sta andando incontro a riabilitazione o meno, si può misurare il livello di
citrullina plasmatica, la cui quantità nel plasma rispecchia la massa degli enterociti. Infatti, la
citrullina è un amminoacido prodotto dalla mucosa intestinale, direttamente proporzionale alla
capacità di assorbimento intestinale e alla quantità di intestino presente. Dunque, la probabilità di
indipendenza dalla NP si riduce significativamente se:

- Colon < 57%


- Citrullina plasmatica < 20 micromol/l (<6 mesi). Se < 14 µmol/L significa dipendenza a vita
da NP [non serve sapere i cut-off per l’esame]

ADATTAMENTO INTESTINALE
L’adattamento intestinale rappresenta un processo fisiologico e spontaneo di compensazione per
aumentare l’assorbimento in seguito a resezioni intestinali estese. Comprende modificazione
strutturali e funzionali dell’intestino, evidenziate sia su modelli animali sperimentali sia sull’essere
umano. Inizia precocemente e varia tra un individuo e l’altro. Si protrae per 1-2 anni ed è assente o
molto alterato nella digiunostomia terminale, ovvero quando viene resecato ampiamente il colon.
In particolare, nell’animale si è osservato:
• Modificazioni strutturali (ileo)
o Iperplasia, angiogenesi, incremento di villi e cripte
o Dilatazione, allungamento intestino residuo

• Modificazioni funzionali (più importanti)


o incremento delle funzioni di trasporto, ovvero i tratti di intestino residuo vicariano ed
assumono funzioni non normalmente proprie di quel tratto. Per esempio, il colon
diventa in grado di assorbire sia macro sia micronutrienti;
o incremento della differenziazione cellulare nelle cripte;
o rallentamento del transito;
o aumento dell’assorbimento.
NB: Se alla TAC di un pz con resezione intestinale, si nota scritto che il colon o il piccolo intestino
sono dilatati NON si tratta di un referto patologico, ma una conseguenza della resezione. Anzi, è un
fatto positivo, indice dell’adattamento intestinale in atto.
Molti di questi reperti sono stati dimostrati anche a livello dell’uomo (non trattati integrazione da
slide):
• Sono presenti allungamento, dilatazione e rallentamento del transito
• Più incostante il reperto di iperplasia (studi più frammentari, varia distanza dalla resezione,
resezione di varia entità, scarsa o nulla alimentazione per os)
• Alcuni studi evidenziano incremento delle funzioni di trasporto di glucosio e calcio per unità
di lunghezza e oligopeptidi a livello colico.

Anna Trost Angelo Gentile


9.1, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

L’adattamento è influenzato da una serie di fattori:


• Fattori promuoventi (non chirurgici):
o Presenza endoluminale di nutrienti e complessità della dieta. Ecco spiegato
perché i pazienti riprendono a mangiare il prima possibile, appena l’ileo chirurgico si
risolve. Inoltre, più la dieta è complessa maggiore è l’adattamento, tanto che si
pianifica una dieta speciale per favorire il processo di adattamento;
o Presenza endoluminale di specifici nutrienti, ovvero ci sono specifici nutrienti che
stimolano maggiormente l’assorbimento rispetto ad altri;
o Presenza nel lume di secrezioni bilio-pancreatiche. Per le secrezioni biliari non vi
è un grande margine d’azione per ripristinare l’assorbimento, a differenze delle
secrezioni pancreatiche per le quali esiste una terapia per malassorbimento causato
da deficit di succo pancreatico: si somministra la pancreolipasi (Creon), compresse
da 10000 unità date ogni giorno, 1 ogni 10 chili (Pz di 80 kg assume 8 compresse al
die).
o Ormoni intestinali e non.

La NE se c’è assorbimento residuo e il pz non riesce a mangiare si


può fare almeno precocemente

Rappresenta l’ultima spiaggia!

Anna Trost Angelo Gentile


9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

FATTORI NUTRIZIONALI COINVOLTI NELL’ADATTAMENTO

• Lipidi: soprattutto gli acidi grassi a catena corta che sono prodotti dal microbiota intestinale
a partire dai carboidrati il beta-idrossibutirrato.
Tra acidi grassi saturi e insaturi e tra omega 3 e omega 6 ancora dati contrastanti
• Amminoacidi: il transito endoluminale ne è la maggior fonte per gli enterociti.
La glutamina è la fonte energetica più importante per gli enterociti oltre che substrato per la
sintesi proteica, ma solo negli studi preclinici.
• Carboidrati: Presentano un carico osmotico elevato e provocano diarrea a volte.
NB: I nutrienti più complessi hanno funzione trofica maggiore

Gli acidi grassi a catena corta hanno un effetto benefico a livello del fegato perché stimolano la
gluconeogenesi e la lipogenesi.

Come si va a valutate la terapia dietetica?


La cosa migliore sarebbe sapere quanto assorbe l’intestino perché basterà fare una sottrazione.
Ad esempio se l’intestino funziona al 50% e il paziente introduce 1500kcal assorbirà 750Kcal e
quindi so che le altre 750Kcal le dovrò dare per via parenterale.
Quota calorica: BEE x attività fisica + quota calorica non assorbita
Dovrà consigliare poi:
• Incoraggiare l’iperalimentazione (Frazionare i pasti e ridurre il volume) eccetto nei pazienti
con intestino residuo molto corto.
• Ridurre la quota glucidica per il carico osmotico
• Incrementare l’assunzione di liquidi fino ad ottenere una diuresi>= 1L/die senza infusione
• Ridurre la somministrazione/assunzione di bevande ipotoniche e gassate ai pazienti con
digiunostomia terminale perchè, stimolando le secrezioni da parte dell’intestino, favoriscono
la disidratazione e favorire l’assunzione di gluco-saline normoosmolari.
• Ridurre il contenuto di scorie ed utilizzare preferibilmente fibre solubili.

APPROCCIO CHIRURGICO
Chirurgia riparativa:
-Se c’è una fistola si ripara
-Si ripristina la continuità intestinale prima
possibile. Se il paziente ha una stomia
considerare se è arrivato il momento di
ripristinare la continuità

Allungamento intestinale:
-Tecnica Bianchi: l’intestino viene sezionato a metà,
creando, così, un doppio lume in questo modo la
superficie assorbente si raddoppia.
-STEP (enteroplastica trasversale seriata) dove
l’intestino viene sezionato e vengono create delle
“festonature” per allungare la superficie- è un intervento
fatto soprattutto nell’adulto

Trapianto intestinale:
-piccolo intestino con il colon
-altri organi addominali
-parete addominale.

Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset


9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

A sinistra possiamo vedere i vari tipi di trapianto che


possono essere effettuati e possiamo anche notare, in
basso, la percentuale di sopravvivenza nei trapiantanti,
ci sono centri che hanno anche il 54% (un paziente su
due).
Proprio per questo non vanno date false speranze ai
pazienti e finché si può sarebbe preferibile portarlo
avanti con una terapia conservativa.

CHIRURGIA RIABILITATIVA

Ritornando al paziente trattato all’inizio:


A febbraio 2018 ricovero c/o Mal infettive per endocardite batterica riscontro di masserella di
21x7.5mm adesa alla punta del catetere in atrio dx.
Viene rimosso il PICC.
Nel corso della sua vita posizionati 53 accessi centrali per NP, non reperibile ulteriore accesso
centrale e quindi avviato al trapianto intestinale (negli Stati Uniti)
Il paziente è sopravvissuto è si è laureato con una tesi: “La qualità di vita nella sindrome da intestino
corto”.
È venuto a mancare ad agosto dell’anno scorso per rigetto del trapianto. Aveva trapiantato cinque
organi.

Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset


9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

TERAPIA FARMACOLOGICA

NUOVE PROSPETTIVE TERAPUTICHE: TEDUGLUTIDE


Adesso c’è anche il suo derivato la Semaglutide.
È un analogo ricombinate del GLP-2 prodotte con cellule di E.Coli.
Il GLP-2 è un ormone prodotto nel SNC, dalle cellule L dell’intestino (part terminale dell’ileo e colon)
in risposta al pasto e dalle cellule alfa del pancreas e dalla quale derivano la glicentina, il glucagone
e il GLP-1. Tale ormone è rapidamente degradato dall’enzima dipeptidasi.
La teduglutide differisce dal GLP-2 per la sostituzione dell’aa alanina in posizione 2.n terminale con
l’aa glicina questo gli permette di resistere all’azione della dipetidasi e allungamento dell’emivita sino
a 2 ore. È un farmaco che viene somministrato per via sottocutanea (no OS).
Nei modelli preclinici e clinici si è visto che:
• Riduce l’apoptosi degli enterociti e stimola la crescita cellulare aumentando la profondità
delle cripte intestinali e l’latezza dei villi.
• Migliora la perfusione della parete intestinale e la funzionalità della barriera.
• Migliora l’assorbimento intestinale
• Inibisce lo svuotamento gastrico (come gli agonisti del GLP-1).
• Incrementa i livelli circolanti di citrullina.
Il costo è importante (circa 20.000 euro) perché ancora coperto da brevetto; proprio per questo sono
stati definiti dei criteri di prescrizione, anche se adesso sono stati ampliati anche per il fatto che è
stato scoperto il suo derivato la Semaglutide.

EFFETTI IN STUDI
CLINICI
È dimostrato che riduce
la dipendenza da
somministrazione
parenterale:
-riduce il volume
riduce la frequenza
d’infusione

Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset


9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

EFFETTI AVVERSI
• Aumentato rischio di sviluppo di
adenomi e adenocarcinomi del colon.
In realtà non è stato ancora visto, il
farmaco è stato introdotto da poco
quindi bisognerà aspettare ancora
qualche anno.
• Polipi colo-rettali.
• Ostruzione gastrointestinale
• Patologie della colecisti, vie biliari e
pancreatite.
• Sovraccarico di fluidi
• Aumenta l’assorbimento di alcuni
farmaci
Con il passare del tempo tutti questi effetti
collaterali non si sono verificati per cui si è dimostrato che è una terapia sicura.
Un’ulteriore cosa che veniva affermata è che una volta smessa la somministrazione di Teduglutide
tutto tornava come prima; in realtà il paziente può avere ancora un po’ bisogno di nutrizione
parenterale ma non come all’inizio, come se ci fosse una memoria metabolica.

CONSIDERAZIONI:

Domanda: abbiamo parlato di pazienti pediatrici seguiti da appunti i pediatri ma una volta passati
alla maggiore età c’è un passaggio verso un’equipe adulta?
Risposta: abbiamo due centri di riferimento per l’adulto: uno a Torino e l’altro a Bologna e sono in
contatto con la parte pediatrica e hanno prodotto dei documenti, uno in particolare che si occupa
della transizione e definisce in maniera molto specifica da che momento il paziente deve essere
preso in carico e con quali modalità. Quando il ragazzo ha 16-17 anni le visite dovrebbero avvenire
in presenza della persona che dovrà seguire il ragazzo durante la maggiore età e c’è anche proprio
la proposta di una cartella in comune per transitare in maniera assolutamente sicura.
C’è un caso ambiguo di una ragazza seguita fino a 18 anni del Burlo e poi superata la maggiore età
ha un po’ perso i riferimenti.
Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset
9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

Caso 2: piove sul bagnato

GM ha 66 anni, friulano, affetto da anni dalla Glicogenosi di tipo 2, detta anche Malattia di Pompe.
Dal 2009 è in terapia con un farmaco orfano, l’Alglucosidasi-alfa, con dosaggio di 20 mg/kg ev ogni
2 settimane.

Viene ricoverato in pneumologia per insufficienza respiratoria acuta su cronica.


Alla visita si nota un macroscopico decadimento organico e viene richiesta una valutazione
nutrizionale.

All’anamnesi prossima:
- Non deambula da almeno 10 anni
- Da 5 anni usa la NIV, sempre con maggiore intensità
- Continua a perdere peso, fino ad arrivare a pesare meno di 55kg
- Nega disfagia
- Assume circa 1600 kcal/die, ripartite in due pasti
- Poche proteine animali (si stanca a masticare)
- Il pasto dura poco e non riesce a finire il piatto (gli manca l’aria)

In tabella si osservano i parametri funzionali, di


interesse nutrizionale.

Quindi, il paziente a risoluzione del quadro


respiratorio viene dimesso con potenziamento della
NIV.
Viene prescritta una dieta frazionata ipercalorica e iperproteica a consistenze modificate, a causa
del rischio di inalazione.
Vengono anche forniti degli integratori proteici da addizionare agli alimenti (proteine del siero del
latte), avendo 2.8 di albumina.
Infine, viene rimandato a rivalutazione presso il servizio nutrizionale territoriale.

Un anno dopo, al controllo pneumologico il pz riferisce di essere dipendente dalla NIV 24/7, vi è un
ulteriore calo ponderale, non è compliante con la terapia nutrizionale impostata e lamenta disfagia
per cibi solidi.

Pertanto, si ricovera nuovamente in pneumologia: in


tabella i nuovi parametri funzionali

Oltre alla variazione del peso e del BMI, il valore


dell’albumina associato alla PCR fa capire trattarsi di
una malnutrizione vera.

Si nota anche presenza di acidosi e Hb quasi


dimezzata con MCV 72 e ferritina <8, segni di anemia
sideropenica microcitica.

Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset


9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022

Il quadro clinico si è quindi complicato, con diverse componenti che contribuiscono al peggioramento
globale:
- Insufficienza respiratoria con ipercapnia
- Anemia severa
- Peggioramento della malnutrizione
- Peggioramento della performance muscolare

In generale, ma specie per l’anemia, non vi è una chiara consecutio causa-effetto, non si capisce
chi causi cosa.
Il paziente pertanto viene inviato verso una ventilazione meccanica: si confeziona una tracheostomia
e si avvia la ventilazione invasiva risolvendo il quadro respiratorio.

Nel paziente tracheostomizzato con una malattia muscolare la seguente strategia da adottare è
l’esecuzione di PEG, con avviamento di una nutrizione enterale con una miscela di tipo standard,
ossia polimerica ipercalorica e iperproteica. Il target è 30 kcal/kg/die e 1.4 g/kg/die di proteine.

Per quanto riguarda l’anemia, è l’alterazione che ha probabilmente fatto precipitare il fragile
equilibrio.
Dopo vari accertamenti diagnostici (EGDS, colonscopia, TC) si trova l’origine alla base:
adenocarcinoma del sigma stadio II.

A stabilizzazione clinica, il paziente sarà sottoposto a resezione secondo Hartmann in


videolaparoscopia. Il chirurgo 5 giorni prima dell’intervento imposta una NE con una miscela
polimerica iperproteica, MCT, Omega-3 e Omega-6, Arginina, a coprire i fabbisogni di circa 2000
kcal.

Tuttavia, nell’immediato post-operatorio, il pz lamenta febbre con incremento degli indici di flogosi,
dispnea con abbondante muco fuoriuscente dalla tracheostomia: segni di polmonite da ventilatore.
La terapia per la polmonite da ventilatore consta di antibiotico ad ampio spettro e non amoxicillina.

Alla risoluzione della VAP, il paziente però lamenta dolore addominale, stipsi, ematochezia, febbre
e iniziale ischemia della stomia. All’esecuzione della TC si evidenziano dunque segni di colite
ischemica.
Viene dunque sottoposto ad un re-intervento chirurgico di colectomia totale (in 8° giornata),
mantenendo la valvola ileo-ciecale.
Viene confezionata una ileostomia e il paziente è trasferito presso la terapia intensiva, proseguendo
la NE.
Con l’ileostomia e la NE si ha tuttavia molto probabilmente una situazione di creazione di fistola ad
alta portata, quindi l’assorbimento non è sufficiente e l’elevata osmolarità della miscela favorisce la
fuoriuscita di liquidi secretori intestinali: il paziente va incontro a disidratazione e IRA su base pre-
renale.

Dal punto di vista nutrizionale, a questo punto viene avviata NPT via CVC e potenziata l’idratazione
con Reidratante terza (RIII).
La stomia perde ogni giorno circa 3.5 litri di acqua, in lento calo; c’è un costante miglioramento della
funzionalità renale con ioni nella norma e viene impostata una terapia antibiotica ad ampio spettro.

Il paziente viene così dimesso in 10° giornata post operatoria in corso di svezzamento da NPT a
favore della NE che terminerà dopo circa 3 mesi con output da stomia entro livelli accettabili (<600
ml/die). Torna a 6 mesi con un peso di 56kg senza supporto della NPT.

Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

Si propongono dei casi clinici reali di difficoltà crescente, di conseguenza potrebbero differire
leggermente dalle nozioni accademiche finora acquisite. All’esame vengono forniti dei sintomi e si
discute una diagnosi differenziale, ma spesso nella discussione si va ad esplorare anche le
conseguenze, le complicanze e la gestione degli imprevisti.

I CASO CLINICO
Signora di 82 anni, casalinga, fumatrice fino a 30 anni fa, vive con il marito di cui si occupa, aiutata
da due figli ma limitata dal punto di vista funzionale poiché cammina con bastone.

APR
 Interstiziopatia sclerosante
 Scompenso cardiaco cronico
 Ipertensione arteriosa essenziale
 Extrasistolia ventricolare monomorfa bigemina, senza trattamento
 Dislipidemia in trattamento
 Aterosclerosi carotidea non critica
 Ischemia cronica cerebrale
 Pregresso COVID-19 paucisintomatico
 Pregresse colecistite acuta alitiasica, colangite e biliopancreatite in calcolosi della via biliare
principale sottoposta a ERPC con sfinterotomia, bonifica e colecistectomia per via
laparoscopica
 Ipotiroidismo subclinico
 Coxartrosi e gonartrosi verosimilmente a causa del bastone
 Recentemente, intervento di cataratta bilaterale; degenerazione maculare bilaterale legata
all’età

ANAMNESI FARMACOLOGICA
- Bisoprololo 1,25 mg 1 cp ore 8
- Furosemide 25 mg 1 cp ore 8
- Pantoprazolo 20 mg 1 cp ore 7
- Valsartan 80 mg 1 cp ore 8
- Simvastatina 20 mg 1 cp ore 8
Sebbene la quantità di farmaci non sia eccessiva se si considera l’anamnesi, è comunque possibile
modificare la terapia eliminando il pantoprazolo.

APP E INDAGINI PRELIMINARI


La pz accede in PS per dispnea, riferendo riduzione di mobilizzazione nelle ultime settimane dopo
l’intervento di cataratta. All’arrivo satura SpO2 80% in AA, viene posizionata una Venturi al 31%,
viene fatto tampone naso-faringeo che risulta negativo.
EO: mv ridotto/assente in base sx, crepitii in base dx, edema arto inferiore sx.
Pz si presenta con PA buona, leggermente tachicardica e non febbrile.
ECG: ritmo sinusale con 86 bpm, onde T negative in derivazioni precordiali da V2 a V5 non
presenti in precedente ECG. A questo punto bisogna sempre ricercare troponina ma soprattutto
dolore toracico.
EGA: in VM 31% risulta pH 7,41; pCO2 33,9; PO2 105 (quindi verosimilmente si può ridurre
l’ossigeno); HCO3- 22; spO2 98%. Prima di tutto si osserva pH e pCO2, il pH sembra normale ma la

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

pCO2 è scesa, osservando i bicarbonati si deduce che si tratta di un’alcalosi respiratoria


compensata.

ECOGRAFIA:
- Polmone: sliding pleurico mantenuto, pattern B bilaterale
- Cuore: sezione dx dilatata, vena cava inferiore di 23 mm ipocollabente in inspirio
- Arto inferiore sx: TVP femoro-poplitea.

ESAMI EMATOCHIMICI
Iponatriemia, urea, e creatinina aumentata. La co-presenza di ipercreatininemia e alcalosi
compensata suggerisce comunque una prevalenza della componente respiratoria su quella renale.

PROBABILITÀ PRE-TEST
Sarebbe importante a questo punto considerare
anche INR e D-dimero, ma in realtà di fronte a
una clinica simile il D-dimero non è necessario:
combinazione di segni e sintomi clinici con
presenza di fattori predisponenti per TEV
(tromboembolismo venoso) consente di
classificare il paziente con sospetta embolia
polmonare in categorie di probabilità clinica o
pre-test, che corrispondono a un aumento di
prevalenza effettiva di embolia polmonare
confermata. Si utilizzano principalmente gli score di Ginevra rivisitato e di Wells. Si parla di
probabilità di embolia del 10% (bassa), 30% (moderata) e 65% (alta), corrispondenti a punteggio di
Wells rispettivamente inferiore a 2, compreso tra 2 e 6 estremi inclusi e superiore a 6. In questo
caso, la pz presenta sintomi di TVP ma nessuna diagnosi alternativa (es. emotrombofilia congenita,
neoplasia, terapia estroprogestinica), perciò il punteggio è già di 6 e il D-dimero non è necessario.
Tale valore è un prodotto della fibrinolisi e livelli elevati indicano un trombo di recente formazione,
ma bisogna tenere presente che è un’indagine poco specifica e altamente sensibile. Infatti, è
facile trovare livelli elevati di D-dimero in seguito anche a piccoli traumi e la pz è stata recentemente
sottoposta a intervento di cataratta. Livelli negativi sono altamente sensibili per assenza di embolia
polmonare e se associati a un rischio pre-test basso-moderato sono sufficienti per escluderne la

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

diagnosi. In sintesi: se il rischio pre-test risulta basso-moderato faccio il D-dimero, altrimenti


non è necessario.

IMAGING
A questo punto si fa angio-TC per
confermare la diagnosi ed effettivamente
si rileva embolia polmonare sub-
massiva con presenza di trombi
grossolani a carico delle principali
diramazioni delle arterie polmonari
bilateralmente, estesi per diversi
centimetri, con lieve aumento di calibro
dei vasi ilari. A livello parenchimale si segnala enfisema diffuso, bronchiettasie e aspetto a vetro
smerigliato, coerentemente con la nota pneumopatia a carattere sclerosante.

TERAPIA
- Pz va quindi in Medicina d’Urgenza, viene trattata con ossigenoterapia con HFNC e in
seguito con VM 40%.
- Somministrata poi terapia anticoagulante con enoxaparina a dosaggio ridotto per la
funzione renale (100 UI pro Kg/die)
- Corretta iponatriemia con bolo di soluzione fisiologica
- Per segni clinici e laboratoristici di scompenso (NT-proBNP > 35000 pg/mL) si aumenta
dosaggio diuretico
- Per tendenza a ipotensione sospesa terapia antipertensiva con Valsartan
ECG risulta inalterato - onde T negative da V2 a V6, che non sarebbe esattamente il pattern
dell’embolia polmonare, servono quindi ulteriori indagini. Si esegue quindi ecocardio transtoracico
per cui si evidenzia una disfunzione ventricolare dx probabilmente secondaria all’embolia, infatti
presenta pressioni polmonari elevate.

GERIATRIA
Pz trasferita in geriatria, dove si compie valutazione iniziale: la signora si presenta vigile e
collaborante, orientata spazio/tempo, eupnoica con VM 40%, PVC nei limiti e RAG negativo. Cute e
mucose appaiono normoidratate, mentre l’edema all’arto inferiore sx è improntabile fino alla coscia.
EO neurologico: Mingazzini I e II eseguiti senza slivellamenti, non deficit di forza.

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

EO torace: mv normotrasmesso, crepitazioni bibasali, qualche ronco a sx. Attività cardiaca ritmica,
toni puri, pause apparentemente libere.
EO addome: trattabile, non dolente né dolorabile, peristalsi presente, organi addominali non
palpabili; Murphy, Blumberg e Giordano negativi. Catetere vescicale in sede.
NB! La professoressa ci tiene a sottolineare che questa è la valutazione fatta in campo professionale
e “fatta male”, noi all’esame dobbiamo ricordarci lo schema ispezione  palpazione  percussione
 auscultazione e scrivere tutto dimostrando di sapere, organo per organo.

VMD – VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE


La prof si limita a scorrere le immagini e a commentarle brevemente
Si valuta la funzione cognitiva tramite la SPMSQ (Short Portable
Mental Status Questionnaire). Bisogna fare chiaramente attenzione
all’origine della persona: si fa l’esempio di una signora a cui si è
chiesto il nome del Papa e di tutta risposta la pz ha detto di essere
anglicana e la sua funzione cognitiva era
perfettamente integra. Tramite la scala di
Norton si valuta il rischio di caduta, mentre le
comorbidità si indagano tramite la CIRS
(Cumulative Illness Rating Scale). Importante
per il ricovero è la scala ADL che valuta la
capacità di compiere le attività quotidiane, in
questo caso la pz ha un punteggio di 1/6,
mentre in pre-ricovero si compila la IADL che
valuta la capacità dell’uso di strumenti
(punteggio massimo nel caso in esame). Alla valutazione MNA sullo stato
nutrizionale la pz riporta uno stato discreto e un BMI di 28.

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

Si valuta poi la fragilità con la scala CFS e la pz risulta


moderatamente fragile. Si tratta di una scala entrata in auge
durante la pandemia quando il criterio per l’entrata in terapia
intensiva è stato fissato in base all’età, 80 anni, suscitando
parecchio scalpore in quanto bisognerebbe considerare invece la
fragilità a prescindere dall’età per capire se un pz è in grado di
sopportare una terapia invasiva.
In base poi a tutte queste scale, alla situazione sociale e al
numero di farmaci assunti, si calcola indice prognostico
multidimensionale che indica mortalità e rischio di
riospedalizzazioni fino a 5 anni.

DECORSO
A completamento diagnostico viene eseguita eco-doppler agli AAII con evidenza di trombosi femoro-
poplitea. Si prosegue terapia anticoagulante parenterale, inizialmente con eparina a basso peso
molecolare, poi sostituita con apixaban 10 mg x 2 per 7 gg, 5 mg x 2 a seguire, inoltre viene
posizionata una calza elastocompressiva per evitare comparsa di flebopatia varicosa, secondo lo
schema qui presentato. Il motivo per cui non si è introdotto subito l’apixaban è probabilmente legato
al fatto che la pz non era ancora stabile a livello di filtrato glomerulare e di fabbisogno di ossigeno.

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

Pochi giorni dopo:


- Peggioramento della saturazione, RX torace è negativo per addensamenti ma l’EGA rileva
ipossiemia ipercapnica, probabilmente a causa della sua pneumopatia sclerosante. Si inizia
terapia con tiotropio (steroide per via inalatoria)
- Segni di ritenzione idrica, quindi si aumenta terapia diuretica per os
- Progressivo miglioramento clinico fino a completo svezzamento da ossigenoterapia
- Programmata rimozione Foley e avvio FKT

Si registra tuttavia un nuovo rialzo degli indici di flogosi senza sintomatologia respiratoria, PCR arriva
a 118,9 mg/L. All’urinocoltura si evidenzia un quadro di IVU (a causa del Foley) da Klebsiella
pneumoniae e Proteus mirabilis, si esegue quindi ciclo antibiotico per os di amoxicillina-clavulanato
per 6 gg, al che la PCR scende a 5,8 mg/L.
La pz viene valutata dal fisiatra e inizia FKT, muovendo qualche passo ma necessitando ancora di
aiuti per lo spostamento da letto a poltrona.

DIMISSIONE
La donna viene dimessa in RSA per FKT dopo l’attivazione del distretto di competenza, viene
consigliata una visita pneumologica a completo miglioramento clinico. Le prescrizioni terapeutiche
ora sono:
- Apixaban 5 mg 1 cp ore 8 1cp ore 20
- Bisoprololo 1,25 1 cp ore 8
- Simvastatina 20 mg 1 cp ore 8
- Furosemide 25 mg 2 cp ore 8
- Spiriva Respimat (tiotropio) 2,5 mcg 1 inalazione ore 8

CONCLUSIONI
L’incidenza dell’embolia polmonare è 8 volte superiore negli individui anziani rispetto alla quinta
decade di vita. Nel caso della signora, i principali fattori di rischio erano immobilità post-intervento,
ipertensione arteriosa e sovrappeso. La presentazione clinica dell’embolia polmonare è molto
varia, in questo caso si è trattato di dispnea, ma si può avere anche emottisi, dolore toracico e pre-
sincope/sincope.

Si riporta questa slide che non viene commentata dalla prof, in quanto semplice
promemoria

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.1 Terapia medica e Nutrizione 16 Dicembre 2022

II CASO CLINICO
Uomo di 91 anni, vedovo, vive solo in appartamento al piano terra, riceve assistenza dai due figli
solo in faccende domestiche più pesanti e deambula senza ausili.
VMD: ADL pre-ricovero 5-6 e IADL 6/8, funzione cognitiva intatta ma BMI di 18 e MNA di 15, presenta
quindi malnutrizione.
APR
- Cardiopatia ischemica multipla postinfartuale e valvolare con severa disfunzione VSX
(FE 32%), pregressi IMA multipli sia STEMI sia NSTEMI, gli ultimi nel 2022
- Protesi valvolare aortica per stenosi aortica, residuo leak periprotesico, insufficienza
mitralica moderata, aneurisma aorta addominale
- Pacemaker bicamerale per parossismi di BAV II grado Mobitz 2, blocco di branca sx
- IRC
- Pregresso TIA
- Aterosclerosi carotidea non critica, ipercolesterolemia, alterata tolleranza a glucosio

TERAPIA DOMICILIARE
- ASA 100 mg 1 cp/die
- Lansoprazolo 30 mg 1 cp/die
- Furosemide 25 mg 1 cp/die + 1 cp a gg alterni
- Spironolattone 25 mg 1 cp/die a gg alterni
- Bisoprololo 1,25 mg 1 cp/die
- Rosuvastatina/ezetimibe 20/10 mg 1 cp/die
- Fino a due gg prima faceva anche Clopidogrel 75 mg, interrotto per ematoma
- Recentemente ridotto il diuretico per ipotensione
Giunge in PS per astenia e ipotensione da diversi giorni. Qui si presenta vigile e orientato T/S,
collaborante, eupnoico in AA, con PA di 90/60, FC di 60 bpm R e SpO2 98% AA. Sono tuttavia
evidenti: disidratazione muco-cutanea ed edemi declivi improntabili al livello di AAII e dorso. PVC
aumentata, RAG positivo. Si evidenziano lividi cutanei, esiti di ecchimosi post-contusive. All’EO
toracico il mv risulta ridotto in base dx e si avvertono crepitii basali a sx; a livello cardiaco si evidenzia
un soffio sistolico di 2/6 in mesocardio.
La diagnosi più ovvia a questo punto risulta essere quella di scompenso cardiaco.

Diego Cestaro Ayman Ouaissa


10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Riflessione: si suppone che ci sia uno scompenso cardiaco riacutizzato poiché in questo caso
abbiamo edemi declivi improntabili bilateralmente, RAG positivo, PVC aumentata… il passo
successivo è andare a vedere la situazione polmonare: questo paziente presenta un versamento
pleurico a destra (tipico dello scompenso cardiaco congestizio).
Quando, invece, il versamento si localizza a sinistra si può pensare allo scompenso cardiaco ma
anche a processi neoplastici, polmonite… Inoltre, è rilevante che lo SC esclusivamente destro non
presenta edema polmonare acuto.

All’esame se si è estremamente sicuri si può scrivere una diagnosi sola!

ACCERTAMENTI DIAGNOSTICI ESEGUITI

Commento: il rene è suggestivo di una IRC di base; tra gli esami ematici nulla è in ordine: la creatinina è alta
(IRA su IRC) accompagnata a iponatriemia, iperkaliemia, aumento dell’uremia.
Queste ultime sono da abbassare con la terapia medica e, se presente refrattarietà al trattamento medico, va
avviata la dialisi.
L’aumento spontaneo dell’INR è dovuto a un fegato da stasi.

DIAGNOSI DEFINITIVA
è IRA SU IRC con IPERKALIEMIA SECONDARIA in SCOMPENSO CARDIACO
RIACUTIZZATO (destro? – in quadro di fegato da stasi).

TRATTAMENTO (dello scompenso cardiaco congestizio)


o Bicarbonati ev e idratazione -> correzione dell’acidosi metabolica dovuta al quadro
ipoperfusivo;
o Drip di diuretico: Furosemide 20 mg 5 fiale in 250 mL di soluzione fisiologica 0.9% a 10
mL/ora;
o Kayexalate (sodio-polistirene sulfonato) -> correzione dell’iperkaliemia;
o Vitamina K 1 fiala per os -> correzione dell’INR;
o Catetere di Foley -> monitoraggio del bilancio idrico

EVOLUZIONE DEL QUADRO CLINICO


Durante la degenza c’è un ulteriore peggioramento della funzione renale (BIS 1= 11 mL/min/1,73m2)
ed epatica. Permane il quadro di iperkaliemia ed iponatriemia e l’aumento spontaneo dell’INR in
quadro di acidosi metabolica con consumo di bicarbonati evidente all’EGA venoso. Vengono dunque
chieste le valutazioni nefrologica e cardiologica.

VALUTAZIONE NEFROLOGICA
EO: PA 85/50 mmHg; cute e mucose asciutte; edemi declivi, oliguria: 200 cc di urine ematiche.
Diagnosi nefrologica: quadro di IRA oligurica su IRC.

Sbobinatore: Sara Zubin


Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

Conclusioni: in considerazione dell’età e delle severe comorbidità non vi è indicazione al trattamento


dialitico ma prosecuzione del trattamento conservativo con idratazione per correggere l’ipovolemia
e stimolazione diuretica per tentativo di ripristinare la diuresi.

VALUTAZIONE CARDIOLOGICA
Ecoscopia: VS dilatato, ipocinetico, severamente disfunzionante, IM moderata, disfunzione protesi
aortica con leak peri protesico moderato, VD con disfunzione moderata-importante, IT moderata,
VCI dilatata e ipomobile, versamento pleurico destro. L’IRA riconosce come origine la bassa portata
cardiaca.
Diagnosi cardiologica: quadro di scompenso cardiaco avanzato con peggioramento della funzione
renale in possibile quadro da bassa portata.
Conclusioni: continuare con idratazione e stimolazione diuretica, eventualmente valutare breve ciclo
di dobutamina 2,5 mcg/Kg/min1. Si definisce, quindi, un quadro di sindrome cardio-renale.2

SINDROME CARDIO-RENALE
Definizione: spettro di alterazioni che coinvolge sia il cuore che i reni, in cui la disfunzione acuta di
un organo può indurre una disfunzione acuta o cronica nell’altro.
Genesi della CRS:
o Elevate pressioni venose centrale e renale
o Insufficiente riempimento arterioso
o Elevate pressioni intra - addominali
o Perturbazioni neuro - ormonali
o Stress ossidativo
I pazienti si dividono in due macrogruppi: quelli con sindrome cardio-renale e quelli con sindrome
reno-cardiaca in base al primum movens, entrambe possibili sia in una forma cronica che in una
forma acuta.
Meccanismo d’azione: il cuore è incapace di generare un adeguato flusso anterogrado con
conseguente ipoperfusione renale. Ne consegue una congestione venosa renale con esaurimento
del meccanismo di compensazione renale che esita in una riduzione del eGFR.
è Scenario di presentazione: contrazione della diuresi con corrispondente incremento
dei valori sierici di creatinina e urea.

MODULAZIONE DELLA TERAPIA (ripresa del caso clinico)


Prosegue la terapia già impostata:
o Bisoprololo 1,25 mg/die (stop con dobutamina perché la pressione non era permissiva)
o Correzione disionie, bicarbonati, idratazione ev
o Furosemide inizialmente in continuo + boli ev -> solo boli -> infine per os
Avviata la dobutamina 2,5 mcg/Kg/min (tot 13 gg).

PROBLEMATICHE INTERCORRENTI
Viene rimosso il catetere vescicale con tentativo di ripresa della minzione spontanea cui segue
comparsa di agitazione psico – motoria con fluttuazione dello stato di coscienza e componente
allucinatoria. All’eco - bed - side si rileva presenza di globo vescicale per cui viene riposizionato il
catetere di Foley con risoluzione dell’episodio di delirium.

VALUTAZIONE NUTRIZIONALE
Peso = 47 Kg; BMI = 18 kg/mq in severa deplezione della massa muscolare accompagnata da
scarso appetito.
Vengono stimati i fabbisogni nutrizionali energetici (30 Kcal/Kg) e proteici (0,8 g/Kg) con un BMI
desiderabile di 22 Kg/mq.

1
Il suo utilizzo è ‘rischioso’ in quanto c’è la possibilità che il paziente non si svezzi più dalla dobutamina con
peggioramento immediato ad ogni tentativo di rimozione della terapia.
2
I medici avevano chiesto un parere sull’utilizzo del glicosurico (antidiabetico ora approvato anche nell’ambito dello
SCC) ma il cardiologo ha detto di no a causa dell’età.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

Si opta per una dieta ipercalorica a controllato apporto di carboidrati semplici con alimenti morbidi e
integrazione con ONS ipercalorici – ipoproteici per paziente nefropatico (250 Kcal – 5 g di
proteine/brick).

ALLA DIMISSIONE

VISITA AMBULATORIALE POST – DIMISSIONE


o Paziente vigile, tranquillo, disorientato nello spazio, orientato nel tempo
o PA 80/60 mmHg, FC 64 R, SpO2 96% in AA
o Peso attuale: 49 Kg
o Mucose asciutte, minime succulenze peri malleolari e al dorso
o EO toracico: crepitazioni basali a sx, MV ridotto con consensuali crepitazioni basali a dx
o Ecoscopia: VCI ipocollabente (circa 1,7 cm); linee B bilaterali polmonari, a destra piccola
falda di versamento pleurico con consensuale polmone atelettasico.
Conclusioni: pz in relativo compenso, mantenute le indicazioni terapeutiche precedentemente
fornite.

TAKE HOME MESSAGES


è Le tre principali traiettorie dello SCC sono:
o Miglioramento verso il target desiderato
o Stallo successivo a miglioramento iniziale
o Peggioramento clinico/non miglioramento3
è La trajectory check è molto difficile e imprevedibile nel paziente geriatrico a causa di
frequente sintomatologia atipica, complessità clinica ascrivibile a sindrome da fragilità e
comorbidità + difficoltà di svezzare questi pazienti dalle terapie endovenose.
è È importante la presa in carico multidisciplinare con la figura centrale del geriatra nella
coordinazione di un team cardio – nefro – geriatrico. Lo strumento cardine è la Valutazione
Multi-Dimensionale e poi si prosegue con la personalizzazione della cura rispetto al paziente
singolo.

3
Inizialmente il paziente del caso clinico era stato inviato in reparto per una presa in carico di tipo palliativo, ma, vista
la sua autonomia di partenza, si è poi tentato il possibile per riportarlo in uno stato di compenso.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

3° CASO CLINICO

INTRODUZIONE
Studentessa universitaria affetta da
insufficienza intestinale secondaria a
CIPO4 primaria congenita in forma
neuropatica, intestino corto da esiti
chirurgici, sacroileite e severa
malnutrizione proteico-calorica. La
paziente è stata seguita dal Burlo fin dai
primi anni d’età per storia di occlusioni
intestinali recidivanti dovute
sostanzialmente all’assenza delle
strutture gangliari intestinali. Viene
classificata come portatrice di un’insufficienza intestinale di tipo III, ovvero una condizione cronica
in paziente metabolicamente stabile, richiedente supplementazione endovenosa per mesi o anni, a
carattere reversibile o irreversibile.

STORIA CLINICA: APR 0-18


Nei primi 12 mesi dalla nascita viene sottoposta a 4 interventi chirurgici per occlusione intestinale in
corso di stenosi di anse ileali con confezionamento di enterostomie. A 15 mesi viene chiusa la
ciecostomia. Le condizioni permangono stabili fino a 6 anni con crescita adeguata.
Successivamente si hanno delle riacutizzazioni con occlusioni intestinali recidivanti con nuovo
ricorso alla chirurgia per resezioni segmentarie (anastomosi entero-enterica del tenue e
ileocolonstomia subito al di sopra della valvola ileocecale).
Gli interventi determinano un intestino corto con necessità di nutrizione parenterale che dopo
svezzamento verrà sospesa nel corso degli anni.
Precauzionalmente viene posizionata una PEG a scopo di drenaggio per svuotare periodicamente
lo stomaco (1 volta al giorno).
A 10 anni ha un episodio di tromboembolia polmonare senza recidive mentre permane una flogosi
con infezione intestinale cronica a livello del bottone della PEG a dispetto di terapia antibiotica
continuativa.
Dopo i 18 anni viene seguita dal MMG, dal nutrizionista del distretto, dal gastroenterologo, dal
chirurgo e dal reumatologo.
Nutrizionalmente viene supportata in quanto residua un’importante sindrome da malassorbimento
attraverso NP domiciliare.

VALUTAZIONE DEL GASTROENTEROLOGO/CHIRURGO/REUMATOLOGO


Diagnosi reumatologica: dall’età di 18 anni riscontro di sacroileite sinistra confermata alla RMN.
Vengono eseguiti tentativi di terapia a base di:
o Sulfasalazina: scarsa risposta per malassorbimento;
o Infliximab: successo terapeutico ma sospeso per elevato rischio infettivo (PICC + PEG +
intestino colonizzato);
o Sulfasalazina + coxib: discreto compromesso.

CLASSIFICAZIONE (in grassetto quelle prese in considerazione per questo caso)


o Spondiloartrite assiale (spondilite anchilosante, ma mai eseguito HLAB27)
o Artrite psoriasica
o Spondiloartrite enteropatica (associata a IBD)
o Artrite reattiva (secondaria a IVU e infezioni intestinali)

4
CIPO = Pseudo ostruzione cronica intestinale: malattia con prevalenza del 0.8/100.000; rapporto M/F 1,5:1; età di
esordio: qualsiasi età. Simile all’Hirschsprung provoca una ridotta funzionalità intestinale con dilatazione delle anse. La
possibilità di svezzamento dalla nutrizione parenterale è veramente molto bassa per questi pazienti.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

Diagnosi gastroenterologica: subocclusioni recidivanti con mantenimento di PEG detensiva e terapia


medica.
Diagnosi chirurgica: patologia del canale anale con ragadi e fistola paranale con formazione di
ascesso e ricorso alla chirurgia.
è Campanello d’allarme: paziente con sacroileite che evolve in artrite, malassorbimento, fistole
paranali e ragadi portano a pensare che possa essere affetta da Morbo di Chron.

APR - 18 anni in su
Nel 2016 viene ricoverata per malnutrizione
e disidratazione severa e viene avviata la
terapia con NP inizialmente via MidLine e
poi via PICC.
Viene dimessa ma ricoverata nuovamente
dopo 6 mesi per subocclusioni recidivanti,
malnutrizione proteico calorica con
febbricola e peggioramento del quadro
reumatologico. Al riscontro di elevati livelli
di E. Coli nel liquido di drenaggio
gastrostomico viene avviata una bonifica
antibiotica con risoluzione dei quadri
enterico ed articolare e mantenimento della
NP via PICC. In seguito la paziente manca
ai controlli per impegni personali.

Nel 2017: quadro di astenia profusa; paziente ipotesa e disidrata con riscontro di anemia microcitica
(HB 6.2 g/dL, MCV 70.5 fl) e severa disionia (K = 2.33 mEq/L) per cui viene ricoverata nuovamente.
Ipotesi anemia microcitica in questo caso specifico:
o Flogosi cronica: esclusa perché dovrebbe essere normocromica e normocitica;
o Malassorbimento: considerata perché la ferritina si conferma bassa.
L’ipokaliemia, invece, si spiega con la tendenza della paziente a svuotare frequentemente lo
stomaco, soprattutto durante le riacutizzazioni (mediamente 4600 mL/die) determinante una
verosimile alcalosi metabolica ipocloremica corretta con infusione di soluzione fisiologica ed
elettroliti concentrati. Viene anche trasfusa con 2 U di emazie concentrate e SOF sempre positivo.
A quadro clinico rientrato viene eseguita una EGDS: non lesioni mucose apparenti, non segni di
sanguinamento; ed una colonscopia: substenosi dell’anastomosi ileo-colica con evidenza di flogosi
ileale in presenza di fistola paranale anteriore e ragade anale in fase di guarigione.

TERAPIA ALLA DIMISSIONE


o Ileite (Malattia di Chron): Budesonide 3 mg 3 c/die
o Malnutrizione: miscela personalizzata: giorni 7/7, 12-13 h

MARZO 2018
Si presenta in Reparto per astenia
ingravescente e sintomi simil-influenzali.
Riferisce che il PICC spande gocce di
miscela parenterale e che è in attesa di
sostituzione dello stesso.
Durante l’osservazione ha un picco febbrile
a 38° con tosse stizzosa e al torace si
rilevano crepitii medio basali a destra.
Vengono chiesti gli esami ematici urgenti e
un RX torace in cui non si evidenzia nulla a livello dei campi polmonari.
N.B. nella polmonite la clinica precede la diagnostica radiologica.

Sbobinatore: Sara Zubin


Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022

TERAPIA
Piperacillina-Tazobactam aggiustata per VFG (trattata come una HAP).

ALTRI APPROFONDIMENTI
Esame ematico colturale:
o Esame della punta del catetere;
o Doppio prelievo da catetere centrale e periferico e valutazione del differential time to
positivity.5
In questo caso vengono eseguiti entrambi e il CVC si positivizza per cocchi gram + a grappolo in 6
h contro le 12 h del CVP -> la causa è l’infezione del CVC.6

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
o SEPSI DA CATETERE
o ENDOCARDITE SETTICA CON EMBOLIZZAZIONE POLMONARE

ALTRI APPROFONDIMENTI
Ecocardio transtoracico + Ecocardio transesofageo: endocardite della valvola tricuspide con
vegetazione in parte adesa all’atrio destro con lieve IM.

TERAPIA
Sospesa Piperacillina-Tazobactam, inizia l’Oxacillina.
Ripete l’RX torace con comparsa di sfumato addensamento al campo medio a destra. PCR oscillante
e ogni tanto febbre.

TAC TORACE: addensamenti multipli con escavazione che depongono per presenza di multipli
focolai di embolizzazione settica a partenza dal focus endocarditico.

DECORSO CLINICO
Diagnosi: endocardite da MSSA su valvola tricuspide nativa, ascessi polmonari e versamento
saccato, batteriemia versosimilmente PICC correlata in paziente con sindrome dell’intestino corto.
Si consiglia:
o Visita del chirurgo toracico (che sceglie di non drenare il versamento);
o Prosecuzione della terapia con Oxacillina;
o Aggiunta la Levofloxacina per il quadro polmonare;
o Rivalutazione cardiochirurgica alla luce di RMN cardiaca (stabile);
o Monitoraggio degli indici di flogosi.

Viene trasferita in Malattie Infettive dove prosegue la terapia antibiotica con necessità di aggiunta di
terapia steroidea ad alte dosi per riacutizzazione del quadro di artrite enteropatica in diversi distretti.
Viene infine dimessa con CVC femorale destro, sostituito poi con un PICC.

PROBLEMI APERTI
o Persistenza di anemia moderata da deficit marziale, periodicamente corretta con terapia;
o Malnutrizione proteico calorica dipendente da NP (7/7); volume totale mal tollerato per
comparsa di edemi declivi e periorbitari.
è Anche qui è importante la gestione del paziente all’interno di un’equipe multidisciplinare.

5
Emocolture convenzionali prelevate contemporaneamente dal catetere e dal sangue periferico. La positività si ha
quando entrambe le colture dal CVC risultano positive 2 ore e più prima rispetto a quelle dal sangue periferico.
6
Il laboratorio chiama sempre per i dati critici in modo da impostare precocemente la terapia antibiotica mirata. In
questo caso lo Stafilococcus Aureus era sensibile quasi a tutto
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin

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