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Medica e
Nutrizione
Prof.ssa M. Zanetti
C.I. Medicina Interna
a.a. 2022/23
1.1 Terapia medica 12 Ottobre 2022
INTRODUZIONE
Bisogna aver fatto prima le prove in itinere per accedere all’esame finale.
SCREENING E DIAGNOSI
L’ipertensione arteriosa di solito è asintomatica ed è definita un killer silente. Questo vuol dire che
non dà segni e sintomi diretti; infatti un paziente può avere cronicamente dei valori pressori elevati
e non rendersene conto fino allo sviluppo di un evento acuto cardiovascolare. Le linee guida dicono
che tutti gli adulti di età uguale o superiore ai 18 anni dovrebbero avere una rilevazione della
pressione arteriosa almeno una volta ogni 5 anni. Nelle persone in cui c’è un primo riscontro di un
valore border-line dovrebbe essere implementato un monitoraggio; nel caso in cui si rilevino valori
elevati la diagnosi deve essere confermata o in più visite o se fattibile anche per mezzo dell’Holter
pressorio domiciliare delle 24 ore eccetto però in caso di ipertensione severa (grado 3, pz ad alto
rischio) dove si inizia sempre il trattamento. Nel corso della visita la misurazione deve essere rilevata
più volte a distanza di 1-2 minuti. Se c’è uno spostamento >=10 mmHg bisogna effettuare ulteriori
misurazioni. La PA è data dalla media dei due valori, di solito va presa da entrambe le braccia. Si
considera sempre la misurazione più elevata perché può essere che il paziente, soprattutto se
anziano, abbia un problema di aterosclerosi quindi il livello del sistema arterioso, che dal cuore di
sinistra raggiunge l’arto, può essere più alto da una parte rispetto all’altra.
4. Dislipidemia (cut-off riferiti a popolazione che non ha avuto un evento CV: colesterolo
totale>190mg%, LDL>115mg%,HDL<40mg%,trigliceridi> 150mg%)
dopo un evento cv i cut-off si abbassano in maniera importante mentre i trigliceridi non sono
strettamente correlati al rischio cv ma hanno un loro rischio residuo
5. Obesità addominale (circonferenza addominale M>102 cm, F>88cm)
TERAPIA ANTIIPERTENSIVA
se anziano (65-80 anni) si introducono le misure comportamentali però la terapia si valuta in base
al paziente (secondo la tollerabilità)
Nell’anziano >80aa ma fit, ovvero con un buon grado di autonomia, la terapia viene data solo se
PAS>160mmHg questo perché sono anziani con altre comorbilità e si rischiano interazioni
farmacologiche.
In presenza di una pressione medio-elevata (PAS 130-139/PAD 85-89) in qualsiasi paziente si
introducono le misure comportamentali.
In tutti i pazienti l’obiettivo della terapia è portare la pressione <140/90 però se la tollerano bene
l’obiettivo è di farla scendere ulteriormente a <130/80. Nell’anziano va bene anche fino 130-139 di
PAS.
INERZIA TERAPEUTICA
È un concetto molto rilevante che vede il problema della prescrizione e dell’assunzione dei farmaci
soprattutto nelle patologie croniche, sia dal punto di vista del medico sia quello del paziente.
Nell’immagine a destra si vede come in uno studio di ipertesi
trattati, il monitoraggio nel tempo mostra che il
raggiungimento del target si verifica in circa il 50% dei casi.
Per quanto riguarda il medico, questo è dovuto al fatto che
molti clinici sono riluttanti a trattare l’ipertensione in maniera
aggressiva ma bisogna cercare di esserlo per abbassare il
rischio cardiovascolare.
L’altro fattore riguarda il paziente dove maggiore è il numero
di compresse che deve prendere e minore è la sua aderenza
terapeutica.
Nella terapia ipertensiva quasi mai è sufficiente un unico
principio attivo, anzi, nella quasi totalità dei casi, è
necessario
associare 2-3
farmaci diversi.
Tabella riassuntiva
MODIFICHE COMPORTAMENTALI
I pazienti, in prima battuta, devono sempre ricevere questo tipo counseling poiché queste modifiche
hanno un importante effetto di riduzione dei livelli pressori.
Queste comprendono:
• Abolizione del fumo
• Calo ponderale
• Riduzione consumo di alcol, se eccessivo
• Esercizio fisico
• Dieta iposodica
• Incremento dell’apporto alimentare di frutta e verdura
• Riduzione dei grassi totali alimentari
SCELTE TERAPEUTICHE
Se il paziente non ha un danno d’organo le principali classi di farmaci sono sovrapponibili. La cosa
principale è l’entità della riduzione dei valori pressori. In questa situazione si può cambiare il farmaco
senza controindicazioni finchè non si trova quello che il paziente tollera meglio.
Le classi di farmaci ipertensivi sono:
• diuretici
• ß-bloccanti
• calcio-antagonisti
• ACE-inibitori
• sartani-bloccanti recettoriali dell’angiotensina II
Questi farmaci non sono consigliati come prima scelta ma vengono utilizzati in terapia di
associazione avendo usi ed indicazioni specifici.
Oltre alle caratteristiche del paziente la scelta terapeutica è influenzata da ulteriori fattori:
• se ci sono farmaci già provati in passato dal pz ma per i quali magari ha avuto effetti
indesiderati come la tosse da ACE-inibitore o edemi declivi da calcio-antagonisti
• in base al suo profilo di rischio
• costo dei farmaci (ormai sono usciti dal brevetto e sono disponibili i generici)
• preferenza espressa dal paziente; anche dove non ci sono controindicazioni di tipo
medico il punto di vista del pz va rispettato
DIURETICI TIAZIDICI
Nonostante siano presentati per primi, non sono la prima scelta.
PRINCIPI ATTIVI
- Idroclortiazide: solitamente da 25 mg, più basso in formulazioni associate
- Metolazone: solitamente associato alla furosemide per aumentarne l’effetto (es. nel paziente
epatopatico con ascite prima dell’esecuzione della paracentesi).
- Clortalidone
- Indapamide (Stati Uniti)
EFFETTI INDESIDERATI: già a 12,5 mg hanno un effetto, seppur modesto, sulla pressione, però
se raddoppiamo il dosaggio gli effetti indesiderati si fanno sentire precocemente.
- Cardiovascolari
o Ipotensione ortostatica (assieme agli alfa-1 antagonisti)
o Ipovolemia
- Metabolici -> chiedere SEMPRE quale terapia stia assumendo il paziente! Nei primi tre casi
è importante cambiare il farmaco, mentre per quanto riguarda l’iperuricemia è necessario
stare attenti nei pazienti che presentano già livelli elevati di acido urico:
o Iponatriemia
o Ipokaliemia
o Ipomagnesemia
o Ipercalcemia
o Iperuricemia
o Iperglicemia (3-4 mg/dL in più)
o Alcalosi metabolica ipercloremica (raro)
CONTROINDICAZIONI
- ASSOLUTE: GOTTA
- RELATIVE: GRAVIDANZA
ACE INIBITORI
Agiscono come inibitori dell’enzima di conversione dell’Angiotensina I in Angiotensina II.
Il principio attivo è stato inizialmente identificato nel veleno di vipera come un fattore potenziante
l’effetto della bradichinina.
1
Da Linee Guida Americane
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a dosi più elevate hanno scarso vantaggio sulla PA a fronte di significative variazioni di K, Na, acido urico, glucidi e
lipidi.
Studi successivi hanno permesso di isolare e caratterizzare questo fattore fino allo sviluppo e alla
messa in commercio del primo farmaco ACE inibitore: il Captopril (prescritto solo in pazienti
ricoverati e monitorizzati, es. un paziente con IMA in cui voglio abbassare la PA ma non sono certo
che possa sopportare farmaci ad emivita più lunga).
L’Enalapril (Enapren da 5 mg e 10 mg) è uscito successivamente mentre quelli più moderni hanno
dei gruppi lipofilici che possono attraversare la membrana cellulare e agire all’interno della cellula.
In ospedale utilizziamo il RAMIPRIL nelle formulazioni di 2,5 mg e 5 mg perché è indicato sia
nell’abbassamento della PA ma ha anche la compelling indication di funzionare nel paziente
diabetico con albuminuria da nefropatia diabetica, bloccando il processo di danno e la proteinuria
fino a determinare una regressione completa del problema.
Molti ACE inibitori sono profarmaci, altri sono già in forma attivata e la somministrazione avviene in
una o due somministrazioni/die.
Ricordiamo che ogni farmaco ha una potenza diversa: Captopril < Fosinopril < Enalapril < =
Lisinopril.
EFFETTI COLLATERALI
- Ipotensione: soprattutto alla prima somministrazione, per cui bisogna avvisare il paziente e,
se normoteso, iniziare la terapia a dosi basse ed aumentarle gradualmente;
- Tosse: in circa 5-20% dei pazienti si ha in forma secca e persistente, che si può sviluppare
all’inizio della terapia o anche dopo qualche mese, dovuta all’accumulo polmonare di peptidi
quali la bradichinina, sostanza P o altri mediatori. Si super mettendo eventualmente un
sartano;
- Angioedema: 0.1-0.2% dei pazienti la sviluppa durante la prima settimana di trattamento, a
volte anche nelle prime ore dopo la somministrazione. Coinvolge la gola, la lingua, la bocca
e la laringe attraverso un meccanismo sconosciuto, forse anche in questo caso è dovuto ad
un accumulo di bradichinina. Il farmaco va assolutamente sospeso;
- Teratogenicità;
- Neutropenia ed epatotossicità: rari, ma gravi;3
- Esantema: allergia all’ACE inibitore che si manifesta dopo un mese con papule od orticaria.
APPLICAZIONI TERAPEUTICHE
- IPERTENSIONE ARTERIOSA;
- MICROCIRCOLO: si osserva riduzione delle resistenze periferiche, con calo della PA sia
sistolica che diastolica;
- RENE: è fisiologicamente molto sensibile all’azione vaso costrittiva della Angiotensina II,
quindi si osserva vasodilatazione renale, con aumento della velocità di filtrazione glomerulare
con dilatazione delle arteriole renali sia afferenti che efferenti. I circoli arteriosi coronarico e
cerebrale sono dotati di efficaci meccanismi di controllo, per cui la perfusione in queste aree
è mantenuta;
- CUORE: si osserva una riduzione dell’IVsx e del rimodellamento cardiaco che avviene nei
pazienti ipertesi da lungo tempo;
- SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO: miglioramento sintomatologico e azione su
remodelling, miglioramento del quadro emodinamico, della perfusione renale, riduzione degli
edemi, miglioramento della gittata cardiaca per riduzione delle resistenze periferiche,
riduzione della FC;
- INFARTO MIOCARDICO E PREVENZIONE DEL REINFARTO: nelle prime fasi del post
infarto riduce l’area di necrosi della zona infartuata; il re infarto viene prevenuto attraverso la
riduzione del lavoro cardiaco;
- INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
o Vasodilatazione renale con aumento della filtrazione;
o Aumento della permeabilità selettiva delle membrane di filtrazione;
o Riduzione della proliferazione delle cellule mesangiali e la produzione di matrice
extracellulare.
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a Cattinara hanno avuto pochi casi, solitamente vengono imputati gli antibiotici
CONTROINDICAZIONE
- STENOSI BILATERALE DELL’ARTERIA RENALE (nella monolaterale possono essere
utilizzati ma vengono preferiti altri farmaci);
- IPERKALIEMIA (tipica dei pz con IRC avanzata).
PUNTI D’ATTENZIONE
- Prima scelta soprattutto nei giovani < 55 anni;
- Prima scelta nei diabetici;
- Attenzione all’ipotensione da prima dose, specialmente in associazione con diuretici
- Monitoraggio della funzione renale ed elettroliti.4
EFFETTI AVVERSI
- Iperkaliemia
- Angioedema
- Ipotensione sintomatica – vertigini
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE
- FANS (aumento dell’incidenza del danno renale -> classico caso di IRA su IRC in cui, dopo
aver escluso le cause più frequenti, devo analizzare tutti i farmaci che il pz assume in quanto
la vasodilatazione improvvisa può indurre ischemia renale per calo della perfusione del rene
stesso);
- Antialdosteronici - Spironolattone (iperkaliemia)
FARMACODINAMICA (tipica domanda d’esame: che effetti hanno i Ca-antagonisti sul cuore?)
- Riduzione delle resistenze periferiche
- Riduzione delle resistenze coronariche
- Inotropismo negativo
- Dromotropismo negativo
- Cronotropismo negativo
4
se un pz la assume e ha creatinina di 1.6 mg/dL cosa fare? Quando raggiunge i 2 mg/dL è utile sentire il nefrologo,
mentre se peggiora rapidamente ovviamente deve essere sospeso (in nefrologia vedremo che molti pz con IR sono
anche ipertesi ma per questi motivi non vedremo utilizzare molto questa classe di farmaci).
EFFETTI COLLATERALI
- Edemi declivi (soprattutto prima generazione);
- Flushing (vasodilatazione improvvisa)
- Cefalea
- Stipsi (azione su muscolatura liscia)
PUNTI D’ATTENZIONE
- Efficaci nell’ipertensione lieve-moderata, usati soprattutto in associazione;
- Particolarmente efficaci negli anziani o nella popolazione nera, nei quali è preponderante la
condizione di bassi livelli di renina (rispondono poco agli ACE inibitori)
o AGONISTI
§ ALFA 2 AGONISTI
• Clonidina
• Alfa – metil – dopa
Domanda classica d’esame: qual è la classe di antiipertensivi che provoca più frequentemente
ipotensione ortostatica? Alfa 1 antagonisti, seguiti dai diuretici tiazidici -> non prescriverli in anziani
con storia di cadute e ipertensione sistolica isolata.
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Es. Se un paziente con SCC arriva in FA posso somministrare un Ca antagonista, se la pressione è permissiva, ma
devo tenere a mente che abbiamo un effetto anche sulla pompa sia per quanto riguarda la FC che l’inotropismo!
Tutti i farmaci che agiscono sulla FC (Ca antagonisti, Beta bloccante…) agiscono anche sulla PA! La caratteristica dello
SCC, specie se a FE ridotta, a meno che non sia una crisi ipertensiva con EPA, è che giunge in PS sempre con PA
normale, quindi, o diamo un Beta-bloccante o la Digitale, che non ha effetto sulla PA ma è controindicata nei pazienti ipo
o iperkaliemici, per l’aumento di aritmie come la torsione di punta o nei pazienti in IRA perché accumulano
maggiormente il farmaco con effetti collaterali maggiori.
o AGONISTI
o ANTAGONISTI
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
- Non sono farmaci di prima linea;
- INDICATI in caso di
• Donne che desiderano una gravidanza
• Pazienti giovani in cui ACE inibitori o sartani sono controindicati
• Pz con indicazioni stringenti al loro uso (es. cardiopatia ischemica)
- Se pz in terapia e PA ben controllata non è necessario rimpiazzarli
- In caso di sospensione scalare gradualmente
Esistono poi farmaci beta2 agonisti; tra questi di particolare importanza è il SALBUTAMOLO,
farmaco principale nella terapia di BPCO e ASMA.
Per quanto riguarda invece i famaci antagonisti del recettore beta, distinguiamo anche in questo
caso due tipologie: beta-bloccanti non selettivi e i beta1 selettivi.
Tra i beta-bloccanti non selettivi rientrano il propanololo e il timololo, entrambi farmaci che si
possono usare nel trattamento dell’ipertensione, dell’angina e del glaucoma.
Il timololo invece è un collirio che viene di solito utilizzato in ambito oculistico, per controllare la
pressione intraoculare.
Il bisoprololo è il farmaco principe dello scompenso cardiaco, si trova in compresse a vario dosaggio,
dove quella a dosaggio più basso è a 1.25mg. Può essere somministrato fino a 10mg al giorno.
Quando si utilizzano i b1-bloccanti, in funzione deli loro effetti cronotropo, inotropo e dromotropo
negativi, bisogna sempre monitorare, soprattutto quando si passa da un dosaggio all’altro:
Sono però delle alterazioni temporanee, successivamente prevarrà l’effetto positivo del farmaco. Il
bisoprololo, infatti, è un farmaco che si somministra al termine della fase acuta.
I beta1-bloccanti hanno inoltre diversa emivita e potenza e quindi un diverso effetto nel regolare la
pressione e la frequenza cardiaca; ad esempio, l’atenololo ha un’emivita piuttosto lunga, quindi in
un paziente instabile si preferisce dare il bisoprololo
Resta comunque sempre fondamentale basarsi anche sul paziente che si ha davanti. Se infatti
dovesse già avere in terapia un beta-bloccante e la pressione fosse comunque ben controllata, non
è imperativo applicare a tutti i costi le linee guida, ma si può anche lasciare la terapia corrente, se il
paziente ne trae beneficio.
STRATEGIE TERAPEUTICHE
Il trattamento va iniziato gradualmente, valutandolo nel corso delle settimane. La terapia
inizialmente può prevedere, in base ai valori pressori o alla presenza o meno di altri fattori, anche in
questo caso sarà quindi importante considerare il paziente che si ha davanti, uno o due farmaci,
comunque somministrati a basso dosaggio. Ovviamente è probabile che nel corso del trattamento,
per raggiungere il target pressorio, si debba adottare una terapia di associazione tra due o più
farmaci.
Le associazioni tra i vari farmaci sono diverse: l’associazione classica prevede un bloccante del
RAAS (ACEinibitori o sartani) + Ca antagonista + un diuretico. Già da qualche anno questa
associazione è disponibile in un’unica compressa, questo per ridurre il numero di pastiglie che il
paziente dovrà assumere.
I beta bloccanti vanno comunque in generale sempre prescritti. Bisogna inoltre fare sempre
attenzione ai pazienti anziani o in generale ai pazienti fragili, nei quali è possibile, previa attenta
valutazione somministrare un solo farmaco. Questo per evitare che entrino in poli farmaco-terapia;
da indicazione, infatti, non si dovrebbero somministrare più di cinque pillole nei pazienti anziani, o in
pazienti con ridotta funzionalità renale.
Quando si va a fare una terapia di associazione è importante fare attenzione anche alle interazioni
tra i farmaci. Se per esempio si va a somministrare un ACE-inibitore e un sartano, che agiscono
sulla stessa linea, questi possono dare più facilmente effetti collaterali, in quanto si blocca
completamente la via RAAS. Un effetto collaterale derivante da ciò è l’iperkaliemia.
CONTROINDICAZIONI
Ci sono delle controindicazioni alla prescrizione dei vari farmaci; per esempio, se il paziente soffre
di gotta, non gli andrà prescritto il diuretico tiazidico.
Un discorso analogo vale anche per l’utilizzo dei farmaci che agiscono sul sistema nervoso simpatico
e che vengono dati ai pazienti con arteriopatia ostruttiva agli arti inferiori; anche in questo caso
l’arteriopatia dev’essere severa.
Per quanto riguarda le controindicazioni all’uso dei beta-bloccanti nei pazienti con aritmie, è
necessario fare delle differenze:
• I pazienti che presentano BAV sono più a rischio di incorrere a bradiaritmie: il beta-bloccante
deve essere usato con cautela;
• I pazienti che presentano altri disturbi di conduzione come blocchi di branca o emiblocchi
non sono a rischio di incorrere a bradiaritmie: il beta-bloccante può essere usato
tranquillamente.
I calcio antagonisti diidropiridinici invece non hanno particolari controindicazioni, al contrario dei
calcio antagonisiti non diidropiridinici, che hanno alcune controindicazioni cardiache (questi
sono infatti farmaci antiaritmici).
Questa situazione può derivare da una mancata compliance del paziente, oppure da abitudini di vita
non corrette. Il paziente potrebbe anche trovarsi in uno stato di ipervolemia plasmatica, ma in tal
caso avrebbe dei segni e sintomi piuttosto specifici (edemi ad esempio). Potrebbe trattarsi anche di
un caso di ipertensione da camice bianco; tuttavia, l’ipotesi più probabile è che si tratti di ipertensione
secondaria.
Queste sono le cause più frequenti di ipertensione secondaria, pertanto andando a ricercare i livelli
di aldosterone e delle catecolammine, valutando la funzionalità renale, e facendo un doppler delle
arterie renali, è possibile accertare o escludere una di queste cause.
Non è inoltre raccomandata la terapia antiaggregante con aspirina a bassa dose (100mg) in
prevenzione primaria.
Da ricordare anche l’esistenza di polimorfismi del gene che codifica per ACE e che predispongono
all’ipertensione alcune persone, tuttavia non viene raccomandato l’utilizzo routinario di test genetici
per identificare questi polimorfismi.
La terapia antitrombotica è una terapia salvavita. Se infatti non si riescono ad utilizzare i farmaci
antitrombotici il prima possibile, quasi inevitabilmente il paziente andrà incontro ad embolizzazione.
I farmaci trombolitici, come l’urochinasi o l’attivatore del plasminogeno, accelerano la lisi del
trombo. Vengono utilizzati in genere in acuto, nell’ ictus o nell’infarto miocardico, e devono essere
somministrati entro delle finestre temporali terapeutiche molto ristrette.
La formazione del trombo prevede diverse fasi per cui si può andare ad agire su ognuna di esse:
TERAPIA ANTIAGGREGANTE
La terapia antiaggregante si utilizza invece in prevenzione secondaria nei pazienti con storia di
patologia cardiovascolare. Fino a qualche anno fa si utilizzava anche nei pazienti ad alto rischio in
prevenzione primaria, ma ormai questa pratica è stata tolta dalle linee guida; quindi, si tende a non
farla più.
È una terapia che segue le fasi di formazione del trombo; la prima fase è la fase vascolare in cui si
va in contro a disfunzione endoteliale
Nella seconda fase, la fase piastrinica, si possono utilizzare diversi principi attivi con funzione
antiaggregante:
Le ultime due categorie di farmaci sono usate più dagli specialisti come i cardiologi, piuttosto che in
medicina interna, dove si tende ad usare di più l’aspirina e il clopidogrel.
Anche questi farmaci possono dare effetti collaterali, tra cui diarrea, leucopenia, trombocitopenia
(clopidogrel), emorragie, cefalea, rash cutanei e vertigini.
La terza fase, invece, è la fase coaugulativa. Qui si attiva il sistema il sistema della coagulazione.
Si farà quindi prevenzione e trattamento della trombosi in quattro situazioni:
• Fibrillazione atriale;
• TVP;
• Embolia polmonare;
• Trombofilie congenite ed acquisite ad es. deficit fattore V di leydig, deficit di proteina S,
deficit di proteina C. Una classe di pazienti che presentano trombofilia acquisita e che sono
uno dei motivi per cui i NAO sono molto utilizzati, sono i pazienti neoplastici.
La TVP è una situazione correlata quindi a molte complicanze di tipo tromboembolico e pertanto
vede come terapia cardine l’anticoagulazione, salvo controindicazioni.
(una domanda frequente può essere quando utilizzare la terapia anticoagulante in un paziente con
TVP. Dipende dalla causa).
È inoltre importante ricordare che nonostante bisogna sempre ponderare l’utilizzo della terapia
anticoagulante in base al rapporto rischio-beneficio, per il paziente, in realtà quasi sempre
l’anticoagulante viene dato ugualmente, ponendo in secondo luogo il rischio di sanguinamento del
paziente, che verrà ovviamente strettamente controllato.
Mentre una volta c’era necessità di ospedalizzare, oggi ad un paziente che arriva in PS può essere
somministrato un NAO e poi mandato a casa.
In generale la scelta avviene in base a diversi fattori, tra cui: l’esperienza del medico, la disponibilità
dei mezzi, i rischi di sanguinamento, le comorbidità del paziente, le preferenze del paziente, i costi
e la convenienza.
Bisogna ricordare che il warfarin non può essere somministrato da solo come anticoagulante iniziale
per la TVP perché servono circa 48-72h affinché entri in funzione; i NAO hanno effetto più rapido.
1
[Da sbobine 2017] Esempio: un paziente con cirrosi epatica e ipertensione portale ha una riduzione delle
piastrine in circolo perché le piastrine vengono sequestrate dalla milza e quindi si avrà trombocitopenia -> se
si aggiunge eparina (che provoca trombocitopenia) e Warfarin (che inibisce i fattori della coagulazione vitamina
K dipendenti) il rischio di sanguinamento aumenta molto.
EPARINA2
Nonostante l’utilizzo importante dei nuovi farmaci anticoagulanti,
l’eparina viene ancora utilizzata molto nella bridging therapy.
Per riassumere:
- eparina a basso peso molecolare e NAO à
non necessitano di monitoraggio
- eparina ev non frazionata à monitoraggio con
aPTT
- warfarin à monitoraggio con INR
La professoressa consiglia di ripassare INR,
aPTT e tutte quelle belle cose da farmacologia.
2
Nota: si consiglia di riprendere le sbobine della Decorti perché la professoressa ha dato per scontato le
nostre conoscenze di farmacologia e ha spiegato le cose in modo molto rapido L
La dose va ridotta in caso di insufficienza renale, basandosi anche sul filtrato glomerulare. .
Il Fondaparinux rappresenta un’alternativa sia per i soggetti con HIIT, sia per i pazienti cirrotici con
trombosi portale, che tendenzialmente sintetizzano pochi fattori della coagulazione, fattore V-VII,
Leiden, quindi è predisposto a farsi una trombosi; mi trovo a trattare un paziente con 60.000 piastrine
e non possiamo rischiare una trombocitopenia.
Il Dabigatran ha come target la trombina, mentre Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban hanno come
target il fattore Xa.
Sono estremamente pratici, in quanto somministrati per os, 1/ 2 volte al giorno e, a differenza del
warfarin, hanno un’emivita da 6 a 15 ore, quindi nell’arco di un giorno si possono interrompere.
Un altro dettaglio importante è l’escrezione renale, alcuni ne hanno una più rilevante, altri più
contenuta: in un paziente con IRC al 3 stadio, in cui l’eparina va ridotta e il warfarin non è indicato,
l’Apixaban si può usare tranquillamente, mentre gli altri vanno valutati caso per caso; nel paziente
dializzato (IRC stadio 4-5) non sono indicati.
Un’altra caratteristica da considerare è la presenza di un antidoto:
- Warfarin: possiamo utilizzare la vitamina K se il poaziente ha INR elevato ma non
sanguinamento in atto; utilizziamo plasma fresco concentrato se ha INR elevato e
sanguinamento in atto;
- Dabigatran: è disponibile un anticorpo monoclonale, l’Idarucizumab; il Dabigatran viene
somministrato in forma di profarmaco, che si attiva nel tratto gastroenterico e talvolta provoca
nausea, proprio per questa ragione in passato non era molto utilizzato, finché non si è
scoperta appunto l’esistenza dell’antidoto;
- Per gli altri anticoagulanti orali non è disponibile un antidoto, tuttavia si può somministrare
plasma fresco concentrato, contenente fattore X e fattore II, o addirittura un concentrato di
fattore X.
TERAPIA AMBULATORIALE
Non è appropriata:
- TVP massiva: coinvolgimento iliaco-femorale
- Embolia polmonare sintomatica concomitante
- Alto rischio di sanguinamento durante la terapia anticoagulante
- Comorbidità o altri fattori che richiedono cure ospedaliere
Posso utilizzarli tutti, devo solo decidere la durata della terapia sulla base dei fattori di rischio del
paziente. In alcuni pazienti l’agente utilizzato è lo stesso che è stato scelto per l’anticoagulazione
iniziale, in altri appartiene a una classe diversa.
Se il paziente deve sottoporsi a un intervento, soprattutto se ortopedico, nel perioperatorio si effettua
un protocollo di “bridging”, cioè per 2-3 giorni post-intervento si utilizza la terapia eparinica a dose
piena, in quanto essa è più facilmente gestibile grazie alle due dosi giornaliere. Una volta conclusa
l’eparina si può passare al warfarin, oppure a un nuovo anticoagulante orale.
Durante i periodi di transizione deve essere assicurata la completa anticoagulazione e le interruzioni
devono essere ridotte al minimo durante i primi tre mesi di anticoagulazione a lungo termine (periodo
a rischio più elevato di trombosi ricorrente).
Una decisione sulla durata ottimale dell’anticoagulazione deve tenere in considerazione la presenza
o l’assenza di eventi scatenanti, i fattori di rischio per recidiva o sanguinamento.
Per la maggior parte dei pazienti con un primo episodio di TVP (a eziologia nota o sconosciuta), gli
anticoagulanti devono essere somministrati per tre mesi piuttosto che per periodi più brevi.
[integrazione da slide]
GRAVIDANZA
La gravidanza è un fattore di rischio per lo sviluppo di TVP, sia perché aumentano gli estrogeni, sia
per un ridotto deflusso venoso agli arti inferiori.
L’eparina EBPM sottocute è l’agente preferito per l’anticoagulazione iniziale e a lungo termine nelle
donne in gravidanza con TVP acuta.
Questo agente è preferito perché ha un profilo di sicurezza più favorevole, soprattutto se confrontato
con warfarin. Il warfarin, infatti, attravrsa la placenta e può provocare embriopatia se somministrato
tra la sesta e la nona settimana di gravidanza.
Le forme endovenose e sottocutanee di eparina non frazionata UFH sono alternative all’eparina
LMW. [integrazione da slide].
Vanno usati con cauzione quando ho effettuato una valvuloplastica aortica transcutanea e non
sono ancora stati raccolti dati sufficienti sulla stenosi aortica severa. In tutte le altre forme si
possono usare i NAO senza problemi.
Ci sono delle forti interazioni tra il Dabigatran e il Dronedarone, farmaco antiaritmico della stessa
classe dell’Amiodarone. Il Dabigatran potenzia la sua attività del 70-100%.
Sempre il Dabigatran interagisce con il Verapamil, un calcio-antagonista facile da trovare assieme
all’anticoagulante nella terapia della fibrillazione atriale, utilizzato per ridurre la frequenza e le
tachiaritmie sopraventricolari. Potrei trovarmi ad utilizzarlo per rallentare in un primo momento
l’aritmia, per scoprire che tipo di ritmo ha il pz normalmente. Il giorno dopo, se il pz è in cura con
Dabigatran, ha un sanguinamento spontaneo perché si potenzia il suo effetto. Questo avviene anche
con il Diltiazem e l’Apixaban.
1
per la valutazione della funzione renale si considera la VFG (non il valore secco della creatinina)
La Claritromicina è un altro farmaco problematico: infatti, in geriatria qui a Trieste non è mai
prescritta perché (1) allunga il QT e (2) perché nei pz che fanno anticoagulanti allunga l’INR. Al suo
posto noi usiamo la Levofloxacina.
Anche alcuni antifunginei hanno questo tipo di potenziamento nei confronti dei NAO, come ad
esempio il Fluconazolo.
Per iniziare un anticoagulante, i NAO sono sempre da preferire. Prima di cominciare controllo
sempre funzione renale, epatica ed emocromo.
Follow up
Durante il follow up considero l’aderenza del paziente alla terapia, parametro difficile da valutare
perché ci si basa su quello che il paziente ci riporta. Se si è il medico di base, si possono contare le
scatole di medicinale prescritte nell’arco di tempo che intercorre tra le due visite.
Si valuta la presenza di eventi tromboembolici o emorragici spontanei, con manifestazione tipica
sanguinamento gengivale o sangue nelle urine.
Valutiamo anche gli effetti avversi: ad esempio il Dabigatran, essendo pro farmaco, può provocare
sensazione di nausea/vomito. Si controllano eventuali farmaci concomitanti aggiunti e si fanno
ripeter gli esami di laboratorio al paziente una volta all’anno.
Inoltre, si deve effettuare una rivalutazione del rischio trombotico ad ogni visita: ad esempio, un
paziente che si opera all’anca dopo un po’ può smettere l’anticoagulante à rivaluto e aggiusto la
terapia.
Dato che la compliance dei pazienti è spesso un problema, sono stati studiati diversi metodi per
aumentare l’aderenza alla terapia con NAO: esempi sono il monitoraggio elettronico dell’assunzione
del farmaco (sebbene un po’ lontana come idea dato che i grandi anziani non usano il pc), si può
incentivare il caregiver a controllare il paziente che sappiamo essere poco compliante oppure si
potrebbero creare dei database nelle farmacie per monitorare l’acquisto del farmaco.
Switch da Vka a Noac
Come faccio a decidere quando sospendere il Warfarin e incominciare il NAO se quest’ultimo ha
72h di emivita e gli anticoagulanti orali hanno emivita dalle 5 alle 17h? Vado a valutare l’INR:
• se il paziente ha INR > 3 postpongo lo switch, la terapia con Warfarin funziona male/il pz non
è compliante e non è il caso di passare al NAO in quel momento;
• se l’INR è < 2 posso iniziare immediatamente il NAO;
• se è tra 2 - 2,5 inizio il NAO immediatamente o il giorno dopo;
• se è tra 2,5 - 3 rivaluto l’INR a distanza di 1-3gg.
Provvedimenti in caso di emorragie da NAO à per il Dabigatran abbiamo l’antidoto, costituito da
un anticorpo monoclonale che si chiama Idarucizumab (nome commerciale Praxbind): agisce
rapidamente ed è molto utile in PS, nel caso in cui arrivino ad esempio persone che fanno uso di
Dabigatran che hanno avuto un incidente d’auto.
È stato studiato anche un nuovo farmaco, in arrivo prossimamente in commercio, che si chiama
Andexanet alfa e va ad agire limitando le emorragie da inibitori del fattore Xa ( funziona per
apixaban, rivaroxaban ed edoxaban).
Nel caso della fibrillazione parossistica, il nostro obiettivo terapeutico sarebbe quello di prevenire il
rischio tromboembolico. Questi pazienti saranno quindi in terapia anticoagulante ma non in terapia
antiaritmica, in quanto non ancora necessaria.
Diagnosi di FA
La diagnosi della FA di solito incomincia dalle caratteristiche del polso: si troverà un polso aritmico
con variabilità dell’ampiezza. Si passerà poi all’ECG di conferma che dimostrerà una perdita
dell’onda P, con intervalli RR diversi l’uno dall’altro.
Quando troviamo un paziente con FA parossistica, la prima cosa che ci verrebbe in mente di fare è
chiamare la medicina d’urgenza per fare la cardioversione e riportare il paziente a ritmo sinusale.
In realtà, sarebbe più giusto aspettare, perché il 50% delle FA parossistiche rientrano
spontaneamente nelle 48h. Inoltre, dobbiamo prestare attenzione a ricordarci che alcune FA hanno
delle cause organiche, le principali sono:
Domanda studente:
Se un signore anziano cade ed è in terapia anticoagulante cosa si fa? (Anticipazione caso clinico)
Mettiamo caso che arrivi in PS un signore che è caduto, e sta facendo Pradaxa (Dabigatran). La
prima cosa da fare è una TAC encefalo senza MDC urgente. Ricordiamoci che questo è un esame
fondamentale, in quanto ci permette di salvare molte vite in PS. Ci dice se c’è o meno un’emorragia
cerebrale. Se l’emorragia non c’è ma il pz presenta sintomi neurologici, può esserci il dubbio che
questi siano dati da un embolo generato dal fatto che il pz non si è attenuto alla terapia. In questo
caso si fa il controllo dopo 24h, che dimostrerà la presenza o meno di un evento ischemico.
CASO CLINICO
Signora Maria, 69 anni, arriva al pronto soccorso con l’ambulanza in stato confusionale. Chi la trova
per strada ci riferisce che la signora all’arrivo del 118 era vigile e orientata, rallentata sia nella
deambulazione che nell’eloquio, con un deficit di forza dal lato sinistro (ci fa pensare che abbia un
evento ischemico focale). È in terapia anticoagulante orale per due recenti ictus dovuti ad una FA di
base. Non si sa quando sono insorti questi sintomi, ma il nipote dice che in precedenza non aveva
problemi cognitivi.
Alla visita del PS ha un polso aritmico con frequenza 88 bpm, normofrequente, quando arriva il deficit
all’emisoma di sinistra non c’è più.
Quello che viene riportato come stato confusionale dagli operatori dell’ambulanza è in realtà quello
che noi dovremmo definire come delirium à sindrome neuropsichiatrica severa caratterizzata da
un deficit dell’attenzione e disfunzione cognitiva globale. È un sintomo rilevante: quando il paziente
ha un episodio di delirium, significa che il cervello non è integro. Il numero di episodi di delirium che
si verificano, anche se poi rientrano, sono strettamente correlati all’insorgenza di demenza. I fattori
che possono indurre il delirium sono infezioni, disidratazione, ictus, dolore, disturbi metaboloci.
Il delirium della signora era ipercinetico, caso un po’ più semplice da riconoscere rispetto agli episodi
ipocinetici, in cui invece il paziente non risponde ed è sonnolenta.
Il valore dell’INR è 1,19, valore troppo basso per una paziente in terapia anticoagulante.
Nella TC encefalo effettuata in urgenza si vede molto bene una zona grande ipodensa, che ci fa
pensare ad un evento ischemico. Ci sono anche altre piccole zone ipodense al talamo destro e
all’emisfero cerebellare di destra che però vengono categorizzate come vecchie lesioni.
In PS viene chiamato il neurologo, che dopo l’esame obiettivo effettuato afferma che si tratta di un
episodio di stato confusionale in una paziente con segni di ischemia cerebrale in fase subacuta.
Consiglia di ripetere la TC capo a 24h e di rivalutarla per vedere se è possibile introdurre un NAO.
Il secondo giorno alla TC l’area ischemica è più evidente. Non ci sono nuove lesioni. La paziente
però diventa sonnolenta e scarsamente collaborante, lo stato confusionale non c’è più (nonostante
abbia virato verso uno stato più letargico).
Il neurologo decide di sospendere il Coumadine per 7gg, e di fare terapia con ASA a 300mg e
adeguata copertura gastrica. Decide anche di riprendere il Coumadine una volta passati i 7gg dopo
aver effettuato una nuova TC encefalo.
CASO CLINICO
La terapia con ASA qui indicata come terapia consigliata ad un dosaggio di 300 mg/die, ha però
delle controindicazioni. Innanzitutto ha un effetto antitrombotico molto meno efficace rispetto al
Warfarin e, l’ASA, ha molti effetti collaterali, anche gravi come i sanguinamenti gastro-enterici.
Domanda della Prof.ssa: “Ma allora perché la terapia consigliata è ASA 300 mg/die, voi siete
d’accordo? E perché non ha reintrodotto un Warfarin? O visto che aveva un INR di 1,17 non ha
inserito un NAO?”
Risposta: perché se si inizia una terapia anticoagulante su una lesione entro 48h dall’insorgenza c’è
il rischio che la lesione da ischemica diventi emorragica. Quindi per i prossimi 7 giorni la paziente si
accontenterà di una copertura minore.
L’ASA è quindi usato come anti-aggregante, viene spesso prescritto anche in terapia cronica
dell’ictus ischemico embolico da carotidopatia, non da fibrillazione atriale.
Un’altra cosa da notare è il dosaggio da 300mg, infatti questa è una dose da carico perché la
cardioaspirin è da 100mg ma necessità comunque di una inziale dose da carico per essere efficace.
I due più importanti sono l’ipertensione arteriosa, che causa danni alle pareti dei vasi cerebrale
eventualmente esitanti in ictus, e la fibrillazione atriale, che aumenta il rischio di 5 volte.
La paziente del caso clinico precedente in realtà avrebbe potuto avere un TIA (Transient ischemic
attack), perché quel deficit che aveva focale si era poi risolto spontaneamente.
Infatti in un TIA i sintomi hanno una durata minore (inferiore a 24h anche se la maggior parte dei
pazienti hanno sintomi da 5 a 30 minuti) con una TC cerebrale negativa sia all’insorgenza dei sintomi
sia dopo 48h.
Resta il fatto che è una situazione da tenere sotto controllo, infatti si stima che circa un terzo delle
persone che presentano un TIA in futuro andranno incontro ad ictus vero e proprio.
IL TRATTAMENTO DELL’ICTUS1
Il trattamento gold-standard è la riperfusione mediante trombolisi ev. e/o trobectomia
meccanica, nel minor tempo possibile dal sospetto diagnostico, verificata l’assenza di
controindicazioni mediche o diagnosi alternative, mediante neuroimaging cerebrale (TC cerebrale,
TC multimodale o RMN encefalo).
Esiste anche una terza possibilità con “anticoagulante” [il suono scatta e non si sente io suppongo
sia questo] orale.
L’ictus deve essere considerato un’emergenza medica tempo dipendente, prima si interviene e
minori saranno gli esiti della malattia.
IMAGING
Una TC encefalo senza mdc deve essere fatta a 24-48 ore dall’esordio dei sintomi, è indicata in
tutti gli IS e ICH (emorragia intracerebrale).
Successive Tc encefalo di controllo sono indicate se:
cambia lo stato del paziente
sopraggiungono nodi decisionali (ad esempio nodi terapeutici: inizio/reintroduzione di DOAC
dopo IS cardioembolico o ICH in paziente fibrillante)
L’ecodoppler dei TSA è sempre indicato entro 72 ore dall’esordio nella diagnostica dell’ictus
ischemico qualora non già disponibile un’angioTC dei vasi epiaortici.
Tale esame deve prevedere almeno:
la valutazione della presenza/assenza di placche lungo tutto il tratto esplorabile di carotidi e
vertebrali
la definizione delle caratteristiche delle placche stesse (con particolare riferimento a segni di
ulcerazione o instabilità di placca)
la quantificazione del grado di stenosi, esplicandone sede anatomica e criteri di valutazione
la definizione della velocità di flusso per quantificare correttamente il grado di stenosi
In questi pazienti è quindi necessario controllare i fattori di rischio con una corretta terapia
dell’ipertensione evitando valori pressori troppo alti, una efficace stabilizzazione della placca
andando anche a valutare la criticità della stenosi del vaso.
Quindi tenendo in considerazione questi due fattori (grado di stenosi e stabilizzazione della placca)
bisogna valutare la migliore terapia anche con un chirurgo vascolare.
Ma oltre ad una terapia antiipertensiva con sartano e all’occorrenza un calcio antagonista
si usa anche una statina che oltre ad abbassare i livello di colesterolo stabilizza anche la
placca.
Nel paziente con TIA/ictus per il controllo dei valori pressori i farmaci da preferire sono nell’ordine gli
ACE-inibitore, calcioantagonisti e diuretici.
Nel paziente con TIA/Ictus è raccomandato il controllo lipidico ponendo attenzione ai valori di LDL
con l'obiettivo di ridurre i valori di LDL > 50% rispetto ai valori al baseline o di mantenere LDL <70
mg/dL.
Inoltre è raccomandato l'utilizzo di statine per il migliore controllo lipidico: i maggiori benefici sono
stati riscontrati con l'impiego di Atorvastatina 80mg/die, gli inibitori di PCSK9 possono rappresentare
un'alternativa terapeutica alla statina in associazione con Ezetimibe nel controllare i livelli di LDL.
In questo gruppo di pazienti è importante il controllo dei valori glicemici mantenendo come
obiettivo di compenso glicemico l'emoglobina glicata ≤7-8% (sia per DM tipo I che per DM tipo II), il
controllo glicemico va ottimizzato per singolo paziente: nei soggetti anziani con pluricomorbidità e
con storia di DM> 10 anni è ragionevole ottenere un compenso glicemico con emoglobina glicata
≤8%, nel paziente più giovane con storia più recente di DM i valori attesi sono ≤7%, un controllo
glicemico più stretto (valori di emoglobina glicata ≤6,5%) può essere preso in considerazione per il
paziente con recente storia di malattia (DM), assenza di patologia cardiovascolare e lunga
aspettativa di vita.
…Riprendendo il caso clinico, la paziente fa l’ECO TSA e viene registrata una placca a sinistra
semicircolare all’origine della carotide interna che determina una stenosi del 35% senza altre
alterazioni di rilievo.
Tra l’altro è una signora con disfunzione ventricolare sinistra con una frazione di eiezione del 35%
(molto probabilmente la FA è legata anche a questo).
ausili. Inoltre è una pregressa fumatrice, ha la 5° elementare e ha fatto numerosi accessi al PS per
cadute accidentali.
Tutte queste informazioni sono utili soprattutto nel momento in cui inseriamo una terapia per capire
come il paziente vive e come gestisce la sua vita quotidiana.
SCALA 4AT (per il delirium ed esplora la vigilanza, lo stato di conoscenza, l’attenzione,
variazioni acute nello stato di coscienza o decorso fluttuante): 3 (possibile deficit cognitivo)
MMSE (mini mental state examination): 14,4 corretto per età e scolarità. Indicativo di deficit
cognitivo moderato
TEST DELL’OROLOGIO (il paziente disegna l’orologio e indica successivamente l’ora): 1/5
HACHINSKI ISCHEMIC SCORE: 12 indicativo di demenza vascolare
Una volta ricoverata la paziente continua con i suoi episodi di delirium con confusione notturna,
allucinazioni e episodi di agitazione e per questo viene prescritto l’anti-psicotico aloperidolo.
A 7 giorni la TC è sovrapponibile alla precedente, la nota lesione ipodensa cortico-sottocorticale a
livello dell'area motoria di dx da riferire a lesione ischemica è in fase subacuta e circoscritta.
DIMISSIONI
Alla dimissione la diagnosi è FA non valvolare in terapia con anticoagulante con antagonisti della
vitamina K non in grado di mantenere l’INR nel range terapeutico è indicata quindi la terapia
anticoagulante orali diretti.
Gli esami ematochimici sono nella norma.
Vengono fatti la CHA2DS2-VASc Score che da 6 punti (9,7% rischio di ictus/anno) e la HAS-Bled
Score che da 3 punti (alto rischio di sanguinamento maggiore).
Per le comorbilità viene fatta la scala CIRS in cui in medicina interna si usa soprattutto il Charlos
Comorbidity Index nella quale si tengono conto numericamente delle malattie che affliggono la
paziente; invece in geriatria si usa scala che indica sia il numero delle patologie, ma in cui viene
anche richiesto la gravità della malattia.
Nella nostra paziente lo scompenso cardiaco è una importante comorbilità.
Per quanto riguarda le attività di vita quotidiana presenta un valore di 2 su 6, ma è una paziente
comunque fragile presentando una CFS (Clinical Frailty Scale ) di 6 su 9.
Quindi concludendo:
il delirium è una sindrome neuropsichiatrica severa e può essere sintomo di gravi
condizioni patologiche sottostanti (in questo caso ictus). Usiamo il termine “delirium”, come
da classificazione internazionale.
L’ictus è un’emergenza medica tempo-dipendente, ma, con le nuove metodiche di
radiodiagnostica neurologica, il trattamento con trombolisi o trombectomia non è più
subordinato solo al tempo, ma anche al volume di tessuto nervoso potenzialmente
recuperabile.
Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022
TERAPIA ANTIARITMICA2
La professoressa dice che essendo andato in pensione il prof Cattin possiamo by-passare tutta la
parte della farmacologia e concentrarci su quello che ci interessa.
Riporto la classificazione di Vaughan Williams studiata al terzo anno per il corso di farmacologia.
Prima classe: è la classe più vecchia di farmaci antiaritmici ed interagiscono con canali al sodio
voltaggio dipendenti andando a bloccarli. Le cellule che scaricano con maggiore frequenza,
responsabili dell'aritmia, sono quelle che si aprono di più permettendo un maggiore ingresso del
farmaco. In poche parole il farmaco andrà ad agire quasi esclusivamente a questo livello.
I principali farmaci che troviamo sono:
Chinidina
Lidocaina
Propafenone, flecainide
Seconda classe: è la classe dei beta bloccanti. Si legano quindi al recettore beta delle cellule
cardiache impendendo il legame delle catecolamine e quindi l'apertura dei canali al sodio e al
potassio delle cellule pacemaker.
Principale farmaco:
Propanololo
Terza classe: è la classe dei farmaci antagonisti dei canali del potassio. Essi interagiscono con i
canali al potassio, responsabili della ripolarizzazione; in pratica sono farmaci che prolungano il
potenziale d'azione. Possiedono anche deboli azioni beta bloccanti e bloccano anche i canali al
calcio. Provocano inoltre una vasodilatazione periferica se dati per via endovena.
Principali farmaci:
Amiodarone
Sotalolo
Quarta classe: è la classe dei farmaci calcio antagonisti. Hanno un'azione di rallentamento della
conduzione dal nodo seno atriale al nodo atrioventricolare.
Principali farmaci:
Diltiazem
Verapamil
2 In questo argomento ci saranno molte integrazioni da sbobine 2021 + slide (tutto ciò che è in
corsivo) perché a nostro parere la lezione è molto povera di informazioni potenzialmente utili o con
riferimenti durante la lezione al “questo ve lo guardate dalle slide”.
Sbobinatore e revisore: Alessandra Ramuscello
e Marco Pilotto
3.2 Terapia Medica e Nutrizione 09/11/2022
Si definisce tachiaritmia un’aritmia che manifesta una frequenza superiore a 100 bpm. Di
fondamentale importanza è riconoscere l’origine, che può essere di due tipo: sopraventicolare o
ventricolare.
L’importanza di questa distinzione la si deve al tipo di trattamento e prognosi, che risultano
completamente diversi.
Quindi con una tachiaritmia con battito superiore ai 100 bpm la prima cosa che si va a valutare è il
complesso QRS, ovvero la sua larghezza.
QRS è inferiore a 120 msec, circa 3 quadratini, (stretto) più probabilmente si tratterà di una
aritmia sopraventricolare.
Riflette un’alterazione de ritmo a genesi sopraventricolare. In questo capitolo una delle
condizioni in assoluto più frequente è la fibrillazione atriale caratterizzata da: ritmo
irregolare: frequenza sopra i 100 bpm e un QRS sotto i 120 msec.
Si possono avere anche altre condizioni riassunte nella slide con vari acronimi ma
complessivamente meno frequenti.
QRS è largo (maggiore di 120 msec) la situazione è più preoccupante.
Sicuramente ci possono essere delle condizioni strane che originano a livello atriale, ma più
frequentemente il “QRS largo chiama il ventricolo”.
Riflette un’alterazione del ritmo con genesi ventricolare. In questo capitolo una delle più
importanti è la tachicardia ventricolare con particolare attenzione a quelle sostenute
(ovvero protratte per un periodo superiore a 30 secondi. La tachicardia ventricolare ha
elevato rischio di degenerazione in fibrillazione ventricolare, una condizione che genera
arresto cardiaco).
Con QRS stretto è necessario valutare la regolarità o meno per capire l’eventuale possibilità di
interrompere o rallentare l’aritmia.
A parte le manovre vagali, come ad esempio il riflesso del seno carotideo, il quale non viene più
effettuato in pronto soccorso in quanto è presente il rischio di una embolizzazione da placca
carotidea con successivo evento ischemico cerebrale, oggi si procede alla somministrazione di un
antiaritmico (Adenosina) endovena se regolare.
Con questo farmaco, in caso di aritmia sopraventicolare, si blocca l’evento, oppure, in seguito alla
sua somministrazione, può ricomparire il ritmo sottostante presente.
Nel caso invece in cui si presenti irregolare, il 98% dei casi è associato ad una fibrillazione atriale
con conseguente trattamento differente.
Riporto dal Rugarli per completezza i principali quadri patologici che possiamo trovare nelle due
categorie sopracitate. Per chi volesse approfondire il discorso invito a consultare Rugarli volume 1
al capitolo 6 delle aritmie dove vengono spiegate nel dettaglio.
Tra le principali tachiaritmie sopraventricolari troviamo:
- Extrasistole;
- Tachicardie sopraventricolari;
- Flutter e fibrillazione atriale
Tra le principali tachiaritmie ventricolari inseriamo:
- Tachicardia ventricolare;
- Flutter ventricolare;
- Fibrillazione ventricolare.
L’altro grande capitolo delle aritmie è quello delle bradiaritmie al momento non approfondito dalla
prof. Per consulto colume 1 capitolo 6 del Rugarli.
Bradiaritmie: consistono in anomalie della formazione o della conduzione dell’impulso sinusale.
FIBRILLAZIONE ATRIALE
È un’aritmia molto frequente nella popolazione con
un andamento che vede un progressivo aumento
della prevalenza con il crescere dell’età: molto bassa
per età inferiori ai 55 anni ma, intorno agli 80 anni,
arriva ad essere maggiore del 10%, specie nel sesso
maschile (in linea di massima una condizione più
frequente nel maschio che nella femmina).
Si tratta di una diagnosi molto frequente, che si può
trovare nei reparti di cardiologia ma non
esclusivamente in quanto la si può individuare anche
nei reparti di medicina interna.
Altra classificazione che si può mettere in atto è quella basata sulle cause di una FA:
o Tutte le patologie che provocano una modifica dell'architettura cardiaca (soprattutto atrio):
scompenso, cardiopatia ischemica.
o FA secondaria a patologie valvolari come stenosi mitralica o anche protesi valvolari.
o FA focale dovuta alla presenza di foci ectopici che scaricano in assenza di una patologia
organica.
o FA postoperatoria (post interventi di cardiochirurgia e chirurgia toracica
o FA genetica
o FA isolata che di solito si verifica in assenza di patologie o altri trigger.
Storia naturale
Un paziente che ha un evento di FA
parossistica, anche se ha una ipokaliemia
sottostante che sicuramente può essere
una concausa, è un individuo
geneticamente predisposto: al primo
evento susseguirà il secondo e poi il terzo,
verrà cardiovertito, ma poi la possibilità
che vada incontro ad una FA persistente,
poi persistente di lunga durata e infine
permanente è molto elevata.
Ovviamente gli obbiettivi cambiano in
relazione al cambiamento e progredire
della storia: inizialmente ci si potrà valere
di cardioversione (farmacologica o
elettrica) – antiaritmici – ablazione –
terapia anticoagulante continuativa fin dall’inizio, dove il controllo della frequenza è l’obbiettivo più
importante.
Domini per il trattamento della FA: trattamento del ritmo e della frequenza
1. diagnosticare la presenza ed il tipo di FA
2. valutare la presenza ed il tipo di sintomi
3. individuare i fattori di rischio e le patologie
predisponenti
4. valutare e trattare il rischio
tromboembolico e quello emorragico
5. controllare il ritmo
6. controllare la frequenza cardiaca
7. gestire la FA con un approccio integrato
Domande che devono essere rivolte al paziente con FA sospetta o certa per accertarne
l’impatto clinico sulla qualità di vita e sull’outcome della FA:
- Durante l’episodio aritmico il ritmo cardiaco è percepito regolare o irregolare?
- Esistono fattori precipitanti come esercizio fisico stress emotivo o assunzione di alcool?
- Durante l’episodio aritmico i sintomi sono moderati o severi?
(la severità può essere espressa utilizzando l’HERA score che è simile al CCS-SAF score)
- Gli episodi aritmici sono frequenti o sporadici e sono di breve o lunga durata?
- È presente storia di patologie concomitanti come ipertensione, malattia coronarica,
scompenso cardiaco, vasculopatia periferica, malattia cerebrovascolare, ictus, diabete o
malattia polmonare cronica?
- È presente abitudine all’abuso di alcool?
- È presente storia familiare di fibrillazione atriale?
Occorre fare una buona valutazione nei pazienti di età maggiore di 65 anni, allo scopo di evidenziare
altre patologie come: ipertensione, SCC, patologie valvolari, BPCO, OSAS, MRGE (malattia da
reflusso), diabete, obesità, patologie della tiroide, malattia renale cronica, abuso di acool, fumo.
La FA è spesso asintomatica ma in un 15-30% dei casi ci sono sintomi importanti come: astenia –
faticabilità – vertigini – dispnea – palpitazioni – precordialgie.
Esiste una classificazione che, a seconda del numero di sintomi presenti, valuta in quale classe si
appartiene. Questo influisce successivamente sul trattamento.
Esistono una serie di segni clinici che, quando presenti, richiedono che la FA venga trattata
tempestivamente con il coinvolgimento di uno specialista (cardiologo interventista o di medicina di
urgenza):
o Instabilità emodinamica, ovvero, una PA inferiore a 100 mmHg
o Frequenza cardiaca elevata
o Bradicardia sintomatica (che si manifesterà con sincope o anche lipotimia che si manifesta
con sensazione di mancamento, vertigine e svenimento)
o Presenza di angina che di solito si associa a un'alta frequenza; viene definita angina da
discrepanza ovvero la frequenza è talmente elevata che il riempimento cardiaco non è
sufficiente con conseguente riduzione dell'apporto di sangue a livello coronarico.
o Attacco ischemico transitorio
o Ictus
Pattern aritmico
Data del primo episodio
Modalità di interruzione
Risposta alla somministrazione di farmaci
Presenza di cardiopatia
sottostante per decidere se agire
maggiormente sul mantenimento
della frequenza oppure se trattare
con ripristino del ritmo sinusale.
Valutare con grande attenzione anche gli score CHADS-VASc per quanto riguarda il rischio
tromboembolico, ma anche lo score HAS-BLED per la stratificazione del rischio emorragico.
Quest'ultimo è utile per rimuovere le cause che aumentano il rischio emorragico, indirizzando il
paziente sul tipo di farmaco da usare (ciò non va inteso nel senso di ridurre la prescrizione
dell’anticoagulante; per cui se c’è l’indicazione con il CHAD-VASc va fatto anche lo score HAS-BLED
per avere informazioni di tipo aggiuntivo).
Il rischio trombotico ha un peso maggiore
del rischio emorragico, è significativo per
valori di CHAD- VASc>1 (>2 nelle
donne). Le condizioni che incidono sul
rischio trombotico spesso sono le stesse
che influenzano il rischio emorragico.
Particolare attenzione va posta alla
stenosi mitralica e ai soggetti con protesi
valvolare meccanica che presentano
elevato rischio tromboembolico e devono
essere scoagulati con i farmaci
antagonisti della vitamina K, monitorando
l'INR che deve essere mantenuto tra 2-3
(2.5-3.5 nei soggetti con protesi valvolari
meccaniche).
Trattamento dell'aritmia:
Si articola in tre momenti:
Management del rischio tromboembolico
Trattamento dell'aritmia che si articola in: ripristino del ritmo sinusale e rallentamento della
frequenza
2. Paziente con FA permanente di lunga durata oppure una FA non databile o dilatazione
atriale (maggiore di 55 mm) la cardioversione non va effettuata e ci si deve limitare al
controllo della FC.
Il concetto è che se c’è qualcosa di anatomico sull’atrio non si fa la cardioversione.
Pertanto se è normo-frequente verrà prescritto un anticoagulante e potrà fare rientro a
casa, con frequenza elevata si deve controllare la frequenza, con frequenza bassa (i
peggiori) si dovrà valutare il rischio di caduta e di sincope con eventualmente impianto del
pacemaker.
Nota: l’impianto del pacemaker ha delle indicazioni ben precise: come clinica dovranno esserci delle
sincopi con caduta, alterazioni ECG, FA di base, blocchi atrio-ventricolari di II e III grado.
Caso clinico: donna entrata per sincope in terapia con Fluoxetina con QT lungo. Non si è riusciti a
valutarla al momento del suo arrivo ma verosimilmente nel momento di dismissione della
Fluoxetina (SSRI – inibitore ricaptazione della serotonina) il QT è rientrato.
Però questa signora aveva una storia lunghissima di accessi al Ps per sincope, pertanto
probabilmente un nesso con il farmaco c’è.
Quindi attenzione nell’eventuale prescrizione del pacemaker: per prima cosa è necessario eseguire
un wash-out farmacologico eliminando tutti i farmaci potenzialmente abbassatori della frequenza
(anche B-bloccante, Ca-antagonista per la pressione), per poi poter eseguire l’Holter (monitoraggio
per 24h) e vedere il risultato.
24 ore dopo il posizionamento dell’Holter, al ritorno in visita del paziente anche se questo
continuasse ad essere bradicardico con una frequenza di 54-55bpm, ma senza alcun episodio di
sincope in questo arco di tempo, l’indicazione al pacemaker non c’è.
Al contrario invece un blocco atrio-ventricolare di III grado è un’indicazione assoluta all’impianto.
L’uso dei armaci antiaritmici è importate per ripristinare/mantenere il ritmo sinusale, tuttavia la
prognosi cardiovascolare e la mortalità, soprattutto se un paziente ha una patologia di base
cardiologica non variano con il controllo della frequenza e del ritmo.
Nel senso che molti pazienti possono continuare a vivere per molti anni con la persistenza di un FA
(senza ripristino di ritmo sinusale) ma con una frequenza cardiaca ben controllata.
3
Con presupposto che il paziente sia sintomatico e quindi se ne accorga. Infatti se non è possibile
datare l’inizio dei sintomi non si può procedere alla cardioversione.
4
Pressione inferiore a 100 mmHg
5
abbastanza impegnativa, mentre per quella farmacologica viene iniettato un farmaco endovena e
quindi è meno impattante.
Sbobinatore: Marco Pilotto Revisore: Alessandra Ramuscello
4.1, Terapia medica e nutrizione 10/11/2022
Quando invece il paziente non è emodinamicamente instabile, cioè ha una pressione superiore ai
100 mmHg e soprattutto ha delle condizioni permissive, la domanda da porsi è: è presente una
patologia cardiaca strutturale?
Per esempio, ha avuto un infarto del miocardio, magari qualche anno prima quando ancora non
c’erano farmaci che agissero contro il remodelling (ACE-inibitori, sartani ed in parte i β-bloccanti), o
ha una cardiomiopatia dilatativa o ancora una cardiopatia valvolare che determina un aumento delle
dimensioni degli atri?1
× Se la risposta è NO: è il caso di pazienti, anche giovani, che possono avere delle FA
parossistiche, che magari sono ipertiroidei misconosciuti.
Allora si prosegue con Ibutilide, Flecainide o Propafenone.
Sono farmaci che cardiovertono farmacologicamente, non rallentano la frequenza. Vanno
utilizzati per soggetti con cuori sani.
1
In qualche modo questo differenzia la medicina interna dalla cardiologia, perché il cardiologo ha la possibilità
di fare immediatamente un ecocardiogramma o un’ecoscopia.
Ci sono pazienti free living che vivono tranquilli ma hanno delle cardiopatie misconosciute, soprattutto valvolari,
come la stenosi aortica, la stenosi mitralica, o la stenosi in corso di malattia reumatica, molto frequente prima
dell’arrivo della penicillina. Sono pazienti che fino ad un certo momento sono completamente asintomatici, poi
sviluppano una FA, fanno una visita cardiologica e si trovano gli atri dilatati perché c’è di base una patologia
che non è mai stata trattata.
Quindi è utile poter effettuare un ecocardiografia, perché permette di quantificare la dimensione delle camere
e decidere quale debba essere l’obiettivo: il ripristino del ritmo sinusale o il semplice controllo della frequenza.
L’ibutilide (come l’adenosina) è un farmaco della medicina d’urgenza usata in PS, mentre la
flecainide e il propafenone hanno un utilizzo più ampio e sono usati meno in urgenza.
AMIODARONE
• INDICAZIONI PRIMARIE:
1. Soppressione della tachicardia ventricolare (in 2° o 3° linea in pazienti che hanno una
storia di cardiopatia o aritmie anche ventricolari che non possono essere trattate in
altro modo);
2. CV farmacologica in presenza di una cardiopatia strutturale (ad esempio in corso di
FA, come visto precedentemente);
3. Mantenimento del ritmo sinusale in FA o flutter parossistici, ma con la dovuta
attenzione.
• EFFETTI COLLATERALI:
1. Fibrosi polmonare;
2. Ipo/ipertiroidismo (agisce sulla deiodasi periferica);
3. Aumento AST/ALT (transaminite);
4. Sintomi neurologici;
5. Problemi del visus, per deposito del farmaco a livello della retina, motivo per cui questi
pazienti devono essere periodicamente sottoposti all’esame del fundus oculi.
NB: se un paziente sviluppa ipertiroidismo come conseguenza all’assunzione di
amiodarone, questo non verrà sospeso, ma si tratterà in aggiunta la patologia tiroidea.
Prevale l’indicazione per l’amiodarone.
• NOTE:
Si può somministrare in fiale ma in questo caso ha un’emivita molto breve, per cui comunque
bisognerà poi continuare per os la terapia di mantenimento. Quindi si può fare il carico e
dopo continuare con le compresse.
1. Lento inizio d’azione se assunto per OS, sono necessari 7-10 gg affinché
l’amiodarone dia i suoi effetti;
2. Ampio volume di distribuzione;
3. Emivita estremamente lunga (2 settimane), per cui, qualora fosse necessario
interromperlo, il wash out ci sarà dopo 2 settimane;
4. Nonostante la frequenza d’uso, per gli effetti collaterali va considerato come 2° o 3°
scelta.
Anche se, in corso di trial clinici per le aritmie ventricolari, per dimostrare l’efficacia di
un intervento, di un defibrillatore o di altri farmaci, il farmaco di paragone è sempre
l’amiodarone perché è un farmaco molto efficace.
Bisogna anche considerare che la maggior parte dei pazienti a cui viene
somministrato sono pazienti anziani. Nei giovani si cerca di intervenire con l’impianto
di un ICD (Implantable Cardioverter Defibrillator) o con un trapianto.
2
Nuovi anticoagulanti orali: rivaroxaban, apixaban e dabigatran.
IBUTILIDE
• INIDICAZIONI PRIMARIE:
1. Usato estemporaneamente per la CV farmacologica in FA/flutter: viene somministrato
ev, e una volta rispristinato il ritmo sinusale il farmaco viene interrotto.
• EFFETTI COLLATERALI:
1. Prolungamento QT, che a sua volta favorisce l’insorgenza della tachicardia
ventricolare con torsione di punta, motivo per cui questo farmaco viene sempre
somministrato sotto monitoraggio con la telemetria;
2. Ipotensione;
3. Torsione di Punta.
• NOTE:
1. Può essere somministrato solo ev in 10 minuti, poi il pz torna al ritmo sinusale;
2. Monitoraggio con telemetria per 4 ore;
3. Avere un defibrillatore a disposizione.
FLECAINIDE e PROPAFENONE
Molto utilizzati in adulti e anziani perché sono farmaci che i pazienti stessi in autonomia possono
utilizzare estemporaneamente quando avvertono la FA parossistica. È un approccio che prende il
nome di “pill in the pocket”: il pz ha il farmaco sempre a disposizione e quando inizia a percepire il
cardiopalmo, assume 1 o 2 compresse a seconda della prescrizione.
• INDICAZIONI PRIMARIE:
1. Utilizzati per la CV farmacologica in pz ambulatoriali con storia di FA parossistica;
2. Terapia di mantenimento del ritmo sinusale in corso di FA/flutter parossistici.
• EFFETTI COLLATERALI e TOSSICITÀ
1. Rischio di morte in presenza di cardiopatia coronarica (CAD) e SCC (scompenso
cardiaco congestizio).
Situazione tipo: paziente anziano che non ha mai avuto problemi cardiaci per cui non
ha mai fatto un ecocardio. Percepisce il cardiopalmo, va dal cardiologo, fa un ECG
che documenta una FA parossistica. È un paziente tutto sommato sano, che si
autogestisce, per cui si comincia col propafenone e poi eventualmente con la
flecainide. Succede poi che a distanza di 1-2 mesi dall’inizio della terapia il pz viene
ricoverato per SCC come primo episodio, si indaga la possibile causa dello
scompenso (ad esempio l’ipertensione arteriosa, una patologia ischemica o valvolare
sottostante), e ci si accorge che mesi prima il pz ha iniziato la terapia col propafenone.
Allora si interrompe la somministrazione del propafenone e lo scompenso regredisce.
Questo paziente va sottoposto ad un ecocardio perché anche se non è noto,
verosimilmente c’è un cuore non così sano.
2. Anomalie di conduzione (bradicardia sinusale, blocco AV), come tutti i farmaci
antiaritmici;
3. Effetto inotropo negativo, motivo per cui non vanno prescritti in pz con storia di
scompenso, così come i calcio antagonisti non diidropiridinici (verapamil e diltiazem).
TORSIONE DI PUNTA
A lato, tipico tracciato ECG di una torsione
di punta indotta da farmaci.
La TdP può essere favorita da tutti i farmaci
che prolungano il QT, non solamente gli
antiaritmici.
Lo switch terapeutico è raccomandato
quando QTc (QT corretto per frequenza
cardiaca) >500 msec; quindi, se il pz sta
3
In questi casi il paziente si può presentare normofrequente, bradicardico o tachicardico.
DIGOSSINA5
È un farmaco molto importante perché è l’unico dei tre che può essere utilizzato in caso di
pressione bassa. Se infatti un paziente ha una FC di 150-160 bpm ha solitamente anche una
pressione bassa, poiché in diastole il cuore non ha tempo di riempirsi bene.
Questo impedisce l’uso sia dei calcio-antagonisti, che comporterebbero un ulteriore abbassamento
di pressione, sia dei beta-bloccanti per lo stesso motivo.
Meccanismo d’azione
La digossina causa un incremento del tono vagale, portando a:
• Bradicardia sinusale;
• Aumento del periodo refrattario nel nodo AV;
• Ridotta velocità di conduzione nel nodo AV.
Essa provoca anche un aumento della concentrazione intracellulare di calcio, ma il suo effetto sulla
contrattilità è clinicamente irrilevante.
Indicazioni:
1. FA e flutter a rapida risposta ventricolare;
2. Raramente per lo scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione.
Nella pratica clinica l’indicazione è quasi sempre per la FA. I pazienti con FA e scompenso, se hanno
prescritta la digossina, è per il controllo della frequenza, non per aumentare l’inotropismo. La
digossina non ha effetto inotropo negativo ma non aumenta nemmeno la frazione di eiezione.
In alcuni casi si può trovare prescritta a pazienti con uno scompenso cardiaco destro (anche se
sempre più raramente), nelle situazioni di ipertensione polmonare – primitiva o secondaria.
A causa della potenziale tossicità è considerata un farmaco di 2° o 3° linea, e non viene utilizzata
a meno che entrambe le situazioni siano presenti.
È potenzialmente uno degli antiaritmici più tossici, con una finestra terapeutica molto stretta.
Particolarmente a rischio sono i pazienti con funzione renale instabile.
Dà numerose interazioni farmacologiche.
La digossinemia va costantemente monitorata, soprattutto per controllare i livelli superiori del range
di normalità, per il rischio di tossicità.
4
ISA= attività simpatico-mimetica intrinseca
5
Da slide: La digitalis purpurea veniva inizialmente utilizzata per il trattamento dello scompenso cardiaco nel
XVIII secolo. Nel 20esimo secolo vari composti con struttura ed effetti simili sono stati isolati e raggruppati
sotto il nome comune di glicosidi cardiaci. La digossina è quello meglio conosciuto e più utilizzato.
NB: se arriva un paziente da casa che presenta una frequenza cardiaca elevata ed è già in
terapia con digitale, bisogna chiedere la digossinemia, perché magari la concentrazione
plasmatica del farmaco non è sufficiente; quindi, magari si può fare un bolo estemporaneo
di digitale, e poi si rivaluta.
- Se si presenta un paziente con insufficienza renale e comunque l’unico farmaco
somministrabile è la digossina, esistono dei protocolli di somministrazione su come
indurre la digitalizzazione rapida per ev. La soluzione normalmente è quella di aumentare
gli intervalli tra una somministrazione e l’altra, facendo prima la dose da carico.
Solitamente sono 0,01-0,02mg/kg di cui il 50% si dà subito, poi 25% dopo 6h e l’altro
25% dopo 12h.
Es: il pz pesa 60kg; quindi, la dose totale è di 0,6mg (0,01mg×60kg). Subito gli si dà la
fiala da 250µg/ml e il resto nelle ore successive e la mattina dopo gli si prescrive una
digossinemia urgente.
- Frequentemente si tratta invece di un’insufficienza renale con causa pre-renale, poiché
a causa dell’alta frequenza si ha una pressione bassa e una ipoperfusione renale. In
questi casi, se si rallenta la frequenza con la digossina tutto il quadro migliora. Infatti, in
diastole il cuore si riempirà meglio, ci sarà di conseguenza una migliore perfusione e il
giorno successivo si sarà risolta anche l’insufficienza renale acuta, potendo così
completare la digitalizzazione.
Quali sono le altre condizioni che possono dare un’onda T così invertita?
In entrambi i casi l’obbiettivo della terapia è quello di prolungare la conduzione a livello del nodo
AV.
Bisogna ricordarsi che i diidropiridinici vengono utilizzati esclusivamente per il loro effetto di
abbassamento della pressione arteriosa (es: amlodipina - NORVASC®), dato che agiscono
maggiormente a livello delle resistenze vascolari (mentre non hanno un effetto significativo a livello
di cuore, pompa cardiaca e sistema di conduzione).
• INDICAZIONI:
Dall’altra parte, i non diidropiridinici hanno principalmente l’effetto di rallentamento e
riduzione della funzione di pompa del cuore, quindi vengono utilizzati per:
1. Il controllo della frequenza nelle aritmie sopraventricolari (FA e flutter);
2. Il diltiazem viene usato molto più frequenemente del varapamil, soprattutto nelle FA
ad alta risposta ventricolare.
In particolare, l’indicazione principale del diltiazem soprattutto in PS è per l’edema
polmonare acuto in corso di crisi ipertensiva con sottostante FA. Questo proprio
per la sua azione duplice di rallentamento della FC e abbassamento della pressione
arteriosa.
È disponibile per somministrazioni ev in forma di fiale e per OS. Dopo la
somministrazione non è necessario il monitoraggio continuo del paziente, se non per
confermare che la pressione e la frequenza si siano abbassate.
NB: se un paziente sta assumendo cronicamente il verapamil per la sua FA e prende l’amlodipina
per la pressione, non sarebbe l’ideale. Bisognerebbe rivalutare probabilmente l’uso del non
diidropiridinico, sostituendolo con il beta-bloccante.
Altrimenti, assumere due farmaci con lo stesso meccanismo d’azione, per quanto con effetti diversi,
può aumentare la probabilità che si presentino gli effetti collaterali.
• EFFETTI COLLATERALI:
1. Ipotensione;
2. Bradicardia sinusale (che consiste nell’effetto desiderato);
3. Blocco AV, anche se raro, avviene solitamente in caso di sovradosaggio e
somministrazione veloce.
B BLOCCANTI
Si tratta di un’ampia famiglia di farmaci che presentano selettività per diversi recettori:
• Farmaci che determinano il blocco del recettore β1 à sono farmaci cardioselettivi,
impiegati prevalentemente in cardiologia. Hanno effetto inotropo negativo in quanto sono in
grado di ridurre la frequenza e la contrattilità cardiaca (acutamente). Vengono impiegati, ad
esempio, per ridurre la frequenza nelle aritmie sopraventricolari.
• Farmaci che determinano il blocco del recettore β2à quelli utilizzati in terapia sono
tipicamente agonisti e vengono impiegati nella terapia per l’asma in quanto inducono
broncodilatazione.
• Farmaci che determinano il blocco del recettore α1à agiscono riducendo le resistenze
vascolari, sono dunque degli antipertensivi.
Nella tabella sottostante è possibile osservare alcuni principi attivi molto impiegati e con indicazioni
differenti (la Prof.ssa procede con la lettura della tabella):
1
Ricordare all’esame
Se la terapia farmacologica non è efficace, va considerata l’ablazione del nodo seno atriale.
Domanda: nello scompenso in 3 scelta non si può dare amiodarone? L’amiodarone cardioverte. Se
il paziente non è scoagulato per almeno 3 settimane l’amiodarone non si aggiunge.
TACHIARITMIE VENTRICOLARI
Sono molto meno frequenti della FA ma è fondamentale
conoscerle. È importante sottolineare che la tachiaritmia
ventricolare, soprattutto se sostenuta, non è una causa di
sincope ma di arresto cardiaco.
2
NB: secondo alcuni medici la digossina funziona sempre ma è la risposta del paziente a cambiare.
In area medica è possibile riscontrare un pz che, a seguito di sincope o ECG alterato, viene
sottoposto a holter 24/h il quale evidenzia la presenza di run di tachiaritmia ventricolare sostenuta.
Questo è un paziente che va sottoposto a terapia con amiodarone e bisogna mantenerlo fino a
quando il farmaco la concentrazione plasmatica non è in range.
TERAPIA FARMACOLOGICA
PRIMA LINEA
• Amiodarone sia in acuto che in cronico. L’amiodarone e in grado di agire sia a livello atriale
che a livello ventricolare. In cronico previene la TV sostenuta e la FV nel 60% dei pazienti. È
molto efficacie ma ha una latenza di 5 giorni e si ottiene una copertura totale dopo 4-6
settimane. È un farmaco di prima scelta in prevenzione I e II a cui viene paragonato l’ICD.
• Agenti di classe II (b bloccanti, soprattutto il Sotalolo): agiscono sia a livello atriale che
ventricolare. Sono in grado di aumentare la sopravvivenza post MI del 25-40%: in pazienti
che sono andati incontro ad IM, quando all’ECG è presente extrasistole ventricolare, questi
risultano essere a rischio e vengono tipicamente impiegati questi farmaci.
SECONDA LINEA
• Sotalolo (classe 3). Bisogna porre attenzione in caso di pazienti predisposti allo sviluppo di
SCC, come per tutti i farmaci di questa classe, perché possono andare incontro a IMA.
Questo avviene soprattutto se si inizia il trattamento con un dosaggio elevato.
• Lidocaina (classe IB) somministrata solo in forma endovenosa non in profilassi perché
aumenta la mortalità da bradiaritmia. Ha inoltre effetti sul SNC come confusione e vertigini e
ha inoltre azione depressiva. Quando all’ECG si riscontra TV, si somministra lidocaina e si
trasferisce il paziente in medicina d’urgenza o in cardiologia.
• Fenitoina nelle aritmie ventricolari da tossicità digitalica.
CONSIDERAZIONI PARTICOLARI
• Gli agenti di classe IV (calcio antagonisti) NON vanno usati nelle aritmie ventricolari, portano
infatti al collasso emodinamico. Hanno effetto inotropo negativo.
• La FV che avviene entro 72 ore dall’IM non richiede terapia cronica e non è associata ad un
elevato rischio di ricorrenza.
• Se si ha una tachicardia ventricolare con torsione di punta in una sindrome del QT lungo è
possibile impiegare:
o Solfato magnesio 1-2 g (fino a 4-6 ev)
o Cardioversione elettrica
Se QT lungo è acquisito, una volta risolto l’episodio, è fondamentale identificare la causa
(soprattutto vanno considerati i farmaci).
BRADIARITMIE
Le cause cardiogene di sincope sono le aritmie, sia le tachiaritmie che le bradiaritmie. Tra queste è
possibile distinguere:
• Bradiaritmia sinusaleà la causa più frequente è l’ipertono vagale. Si
presenta tipicamente in atleti, soprattutto agonisti, oppure a seguito
dell’impiego di alcuni farmaci (soprattutto antiaritmici). Questa
condizione è tipicamente benigna e non si associa a sincope, dunque
non è indicato l’impianto di pacemaker.
• Blocco AV di 1 grado (QT >0,2 ms)à Non si associa tipicamente a sincope (FC
conservata) e dunque ad impianto di pacemaker.
• Blocco AV di 2 grado Mobiz 1à (intervalli RR variabili e intervalli PQ variabili).
È un’aritmia in cui la pausa è lunga e salta un complesso QRS. Può determinare
bradiaritmie spinte con sincope, perdita di coscienza e ipoperfusione cerebrale
[Sbobine 17-18].
Le bradiaritmie che provocano sincope sono i blocchi AV di 2 grado tipo Mobitz 1 e 2 e il blocco
AV di 3 grado, tutte situazioni in cui l’attività atriale è completamente disgiunta dalla ventricolare.
[domanda d’esame!] Più il blocco è distale lungo il sistema di condizione del cuore, più la FC si
riduce. Necessitano di trattamento solo le bradiaritmie che causano sincope, quindi i blocchi AV
di 2 grado tipo Mobitz 1 e 2 e il blocco AV di 3 grado. [Sbobine 17-18].
NB: l’indicazione al PM non è data dai blocchi di branca ma da quelli detti precedentemente
(blocco AV di 2 grado, di 3 grado e trifascicolare).
POLITERAPIA
Viene definita come l’assunzione di più di 4 farmaci. Questa è soprattutto dovuta all’aumentare
dell’età, si assiste infatti contestualmente ad un aumento
del numero di patologie (indice di comorbidità) e dunque di
farmaci prescritti.
La politerapia aumenta il rischio di sviluppare aventi avversi
e dunque porta ad un aumento del numero di farmaci
prescritti per trattare gli effetti avversi (cascata prescrittiva).
Inoltre:
Vi sono diverse tabelle molto specifiche 3ma di difficile fruibilità (integrato con Sbobine 2020-2021):
3
Evidenziato con una freccia ciò che interessa alla Prof.ssa.
Utilizzato frequentemente
nelle neuropatie
CRITERI STOPP/START
Sono criteri che indicano quando una terapia va bloccata o va impostata. Si distinguono:
• Prescrizioni potenzialmente inappropriate (STOPP): 65 criteri
• Prescrizioni potenzialmente appropriate (START): 22 criteri
4
La docente parla di amlodipina, un calcio antagonista, ma la slide fa riferimento a diuretici dell’ansa.
La scorsa volta abbiamo parlato dei criteri di Beers per le interazioni farmacologiche per le possibili
prescrizioni sbagliate. Tali criteri non sono sistematici e sono difficilmente applicabili.
Dal punto di vista dell’utilizzo, risultano essere maggiormente impiegabili i criteri START e STOPP.
BETA BLOCCANTI
Possono essere potenzialmente inappropriati in caso di somministrazioni per asma SEVERO o se
prescritti con in combinazione con il Verapamil. I grossi problemi a cui possono contribuire questi
farmaci (Beta Bloccante + Verapamil) sono: effetto ionotropo negativo (bradicardia) e sincopi.
ASPIRINA
È un farmaco molto frequente e molti pazienti continuano ad assumerla. Una volta (quando la Prof.
frequentava la scuola di specializzazione) veniva somministrata come terapia primaria e ancora oggi
si trovano pazienti con questa terapia.
Ad esempio, il paziente tipo è un iperteso, diabetico e senza la storia di eventi cardiovascolari, che
assume l’aspirinetta. Il dosaggio cronico per l’aspirina è 100 mg, non 150mg. Se si aumenta la dose,
non si ha alcun effetto benefico in più, ma si aumentano solamente gli effetti collaterali.
Inoltre, bisogna prestare attenzione in caso di ulcera peptica pregressa, specialmente se l’aspirina
è prescritta senza inibitore di pompa protonica (o antagonisti H2= Ranitidina). La Ranitidina non si
somministra più.
Non va utilizzata nemmeno in assenza di patologia cardiovascolare.
Bisogna anche prestare altissima attenzione in caso di tripla anticoagulazione. La tripla
anticoagulazione si può trovare in pazienti con storia cardiovascolare recente con anche magari la
fibrillazione atriale. La tripla anticoagulazione (Enoxaparina, Warfarin e Aspirina), ma anche la
doppia anticoagulazione (Aspirina + Warfarin) sono pericolosissime, specialmente per i pazienti
anziani. Va anche valutata anche l’associazione di solo l’aspirina con il NAO, indicato invece per
non solo per l’anticoagulazione ma anche per l’anti-aggregazione.
La prof racconta di un suo paziente di 66 anni con FA e sindrome coronarica acuta. Seguito dalla
Cardiologia, assumeva NAO e sospendeva aspirina. Si presenta in Geriatria per sanguinamenti
improvvisi e conseguente anemizzazione acuta. Si eseguono EGDS, colonscopia e video-capsula,
tutte negative per emorragie. Si propone al paziente di effettuare un angiotac urgente, spiegandogli
che l’emorragia è visibile solamente se è il sanguinamento è attivo in quel momento. A questo punto,
il paziente riporta che per fargli provocare l’emorragia è sufficiente somministrargli il Rivaroxabam.
Alla gastroscopia successiva si notano ectasie diffuse da gastropatia congestizia, con segni di
recente sanguinamento. Quindi, bisogna prestare attenzione alla doppia aggregazione, ma a volte
anche solo un farmaco anticoagulante (e antiaggregante) può determinare questo tipo di problemi.
WARFARIN
Se il paziente presenta una trombosi venosa profonda, ci si deve sempre domandare la causa
scatenante: trauma, estrogeni e progestinici, immobilizzazione protratta o intervento chirurgico,
trombofilia sulla base di una neoplasia o embolia polmonare. Se viene riconosciuta la causa, bisogna
trattarla e sospendere l’anticoagulazione; non va portata avanti a vita!
Inoltre non è appropriata la terapia in associazione con Aspirina, Clopdrogrel se ci sono disturbi
emorragici concomitanti.
Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI CARDIOLOGICHE POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Digossina - dose a lungo termine> 125 μg / die con funzionalità renale ridotta (eGFR<50
ml/min)
Diuretico -solo per edema della caviglia, ovvero nessun segno clinico di SCC
dell'ansa - monoterapia in prima linea per l'ipertensione
Diuretico -storia di gotta
tiazidico
Beta- -non cardioselettivi con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
bloccanti -in combinazione con verapamil
Calcio- -costipazione cronica
antagonisti -diltiazem o verapamil con insufficienza cardiaca di classe NYHA III o IV
Aspirina -storia passata di ulcera peptica senza antagonista del recettore H2 dell'istamina o
inibitore della pompa protonica
-dose > 150 mg al giorno
-assenza di sintomi suggestivi di patologia in atto o pregressa vascolare coronarica,
cerebrale o periferica
-aspirina e warfarin in combinazione senza antagonisti del recettore H2
dell'istamina (eccetto cimetidina a causa dell'interazione con warfarin) o PPI
-trattamento delle vertigini non chiaramente attribuibili a malattie cerebrovascolari
Warfarin - per la prima trombosi venosa profonda non complicata per > 6 mesi
- /aspirina/clopidogrel con disturbi emorragici concomitanti
BENZODIAZEPINE
Rappresentano un'altra classe di farmaci molto abusati, subito dopo i PPI. I metaboliti che hanno
una lunga emivita possono dare effetti sullo stato di vigilanza, ma contribuiscono al processo di
caduta degli anziani e alterano la capacità di conduzione di autoveicoli.
NEUROLETTICI
È sbagliato usarli a lungo termine come ipnotici o in caso di storia di Parkinson.
FENOTIAZINE
È sbagliato usarli in caso di epilessia.
Ricapitolando:
FARMACI PRESCRIZIONI SNC POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Antidepressivi - storia di demenza
triciclici - glaucoma
- disturbi della conduzione
- stipsi
- con un oppioide o un bloccante dei canali del calcio
- con ipertrofia prostatica o storia di ritenzione urinaria
Benzodiazepine - ad azione prolungata a lungo termine (> 1 mese), ad es. clordiazepossido,
fluazepam,
nitrazepam, clorazepato e benzodiazepine con metaboliti ad azione prolungata,
ad es. diazepam
Neurolettici - a lungo termine (cioè> 1 mese) come ipnotici
- storia di Parkinson
Fenotiazine - epilessia
Inibitori selettivi - storia clinicamente significativa di iponatremia
della ricaptazione
della serotonina
(SSRI)
3. SISTEMA GASTRTOINTESTINALE
ANTIDIARROICI: DIFENOSSILATO, LOPERAMIDE O CODEINA FOSFATO
Se il paziente si presenta con diarrea da causa inspiegata, è inutile bombardarlo di Loperamide o
Immodium; bisogna trovare la causa. Lo stesso discorso si ripete in caso di una gastroenterite di
origine batterica o virale. Un’altra situazione in cui è controindicato l’antidiarroico è la sepsi.
METOCLOPRAMIDE
Questo farmaco non va somministrato in caso di Parkinsonismi, in quanto esacerba i sintomi
extrapiramidali della patologia.
ANTISPASTICI ANTICOLINERGICI
Non vanno somministrati in caso di stipsi.
Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI GI POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Difenossilato, - trattamento della diarrea di causa sconosciuta
loperamide o - trattamento di infezioni gravi gastroenterite cioè diarrea sanguinolenta,
codeina fosfato iperpiressia o grave tossicità sistemica
PPI -per ulcera peptica a pieno dosaggio terapeutico per >8 settimane
Farmaci antispastici - costipazione cronica
anticolinergici
4. SISTEMA RESPIRATORIO
TEOFILINA
Questo farmaco non è più in commercio. Veniva usato per la BPCO.
CORTICOSTEROIDI
Si usano nella BPCO, solo se è presente una crisi severa (come la digossina per FA nello
scompenso cardiaco). Se la BPCO è di stadio 2 o 3 in fase quiescente, somministro lo steroide per
via inalatoria. Esso viene metabolizzato per via epatica e non ha effetti sistemici.
IPRATOPIO
Viene molto utilizzato nei pazienti con glaucoma severo, ma non dovrebbe essere usato.
Riassumendo:
FARMACO PRESCRIZIONI RESP POTENZIALMENTE INAPPROPRIATE
Teofillina - monoterapia per la BPCO
Corticosteroidi - sistemici invece di corticosteroidi inalatori per la terapia di mantenimento in
BPCO da moderata a grave
Ipratropio - nebulizzato con glaucoma
CORTICOSTEROIDI
I farmaci DIRMARD (Disease-modifying antirheumatic drugs) sono dei farmaci che tengono sotto
controllo le malattie reumatologiche. Non si tratta solamente dei nuovi farmaci biologici ma anche
farmaci della vecchia generazione. Sarebbe meglio sempre provare questi farmaci, per introdurli.
Tuttavia, bisogna prestare attenzione al cortisone a lungo termine (>3 mesi) ha importanti effetti
collaterali.
6. SISTEMA UROGENITALE
ANTIMUSCARINICI
Come detto in precedenza, non dovrebbero essere utilizzati nelle persone con demenza.
ALFA-BLOCCANTI
Farmaci come l’alfuzosina, la terazosina e la doxasosina sono spesso utilizzati nel trattamento
dell’ipertrofia prostatica e, se il paziente ha un catetere urinario a lungo termine non sono proprio il
massimo.
7. SISTEMA ENDOCRINO
SULFOLINUREE
Usati un tempo nella terapia del diabete, ora non si usano più (come la teofillina, vista
precedentemente).
BETA-BLOCCANTI
Ricordare che possono mascherare un’ipoglicemia.
ESTROGENI
Tromboembolia venosa, storia di tumori alcuni tumori alla mammella o altre situazioni più rare.
9. ANALGESICI
OPPIACEI
Bisogna cercare di non utilizzare gli oppiacei per il trattamento lieve/moderato, evitando inoltre
quando possibile i più potenti come morfina e fentanil. Attenzione anche all’effetto della stipsi che
questi farmaci possono dare: in questi casi si possono combinare ossicodone e naloxone, che
antagonizza gli effetti collaterali a livello intestinale.
Per questa classe di farmaco bisogna quindi evitare:
• l’uso di potenti oppiacei a lungo termine, ad es. morfina o fentanil, come prima linea di terapia
per il dolore lieve/moderato;
• oppiacei per >2 settimane in pazienti con storia di stipsi cronica senza lassativo
concomitante;
• oppiacei a lungo termine in pazienti con demenza senza documentata indicazione di tipo
palliativo o di sindrome da dolore cronico moderato/grave.
CRITERI START
SISTEMA NUMERO CRITERI
Cardiovascolare 8
Respiratorio 3
Nervoso Centrale 2
Gastrointestinale 2
Muscoloscheletrico 3
Endocrino 4
1. SISTEMA CARDIOVASCOLARE
WARFARIN
Il warfarin e i NAO sono da dare in presenza di fibrillazione atriale cronica. Questa è una situazione
molto frequente. Quando si riscontra un ECG suggestivo di FA, bisogna chiedere al paziente se
sapeva di averla e, in caso, da quando. Spesso poi, si passa a revisionare la storia del paziente, in
cerca di una visita cardiologica che affermi la presenza di FA. Se non si trova nulla, si è tenuti a
pensare che il paziente abbia una FA di nuovo riscontro che non si sa quando è iniziata. In questi
casi quindi è sbagliato fare la cardioversione farmacologica, ma bisogna iniziare la terapia
anticoagulante (che sia il warfarin o un NAO). Si controlla quindi la funzione renale, il rischio di
sanguinamento, il peso, l’età, il rischio di caduta e tutto ciò che è necessario per scegliere il NAO
più adatto e la posologia migliore.
ASPIRINA
Storia di eventi cardiovascolari.
STATINE
Non solo in prevenzione primaria dell’ipercolesterolemia, ma anche in prevenzione secondaria dopo
un evento cerebrovascolare, una storia di cardiopatia ischemica o arteriopatia obliterante degli arti
inferiori. È ancora dibattuta l’utilità delle statine al disopra di una certa età, dove andrebbe a dare più
che altro interazioni pericolose con altri farmaci in poli-prescrizione. In questi casi, bisogna valutare
il singolo paziente; se questo ha una buona qualità della vita ed ha un’aspettativa di vita >5 anni, la
statina va messa, magari evitando il dosaggio massimo ma un po’ ridotta.
Carlo Cortese Matteo Turoldo
5.1, Terapia Medica 14.11.2022
ACE INIBITORE
Nel post infarto del miocardio.
BETA-BLOCCANTI
Nella cardiopatia ischemica (anche se ultimamente si sono estesi anche al post infarto).
2. SISTEMA RESPIRATORIO
Nel caso di asma e BPCO lieve/moderata userò Beta-2-agonisti (salbutamolo) e anticolinergici
inalatori (formoterolo o salmeterolo), mentre per asma e BPCO moderato/grave userò corticosteroidi
inalatori (beclometasone). Nell’insufficienza respiratoria cronica con valori di pO2 inferiore a 50
mmHg il paziente dovrebbe invece avere il proprio ossigeno a domicilio.
ANTIDEPRESSIVI
Farmaco probabilmente con un’ampia ipoprescrizione in alcuni reparti, soprattutto in quelli per acuti,
a causa del timore per le interazioni farmacologiche.
4. SISTEMA GASTROINTESTINALE
5. SISTEMA MUSCOLOSCHELETRICO
BIFOSFONATI E VITAMINA D
Usati molto nell’osteoporosi, ma anche se il paziente sta seguendo una terapia cronica a base
steroidea. Quando si prescrivono gli steroidi per un tempo prolungato, si può dare subito anche la
vitamina D, per prevenire danni a livello osseo. I bifosfonati rappresentano in questo caso il livello
successivo alla vitamina D e vengono dati dopo aver approfondito la qualità ossea calcolando DEXA
e T-score.
6. SISTEMA ENDOCRINO
Di seguito una tabella che lega l’evento avverso ai farmaci potenzialmente inappropriati che lo
possono causare.
ESEMPIO
Maschio di 70 anni, arriva per una caduta, in cui ha subito un trauma contusivo.
Diagnosi attuali: ipercolesterolemia, fibrillazione atriale cronica, cardiopatia ischemica.
Storia medica: cataratta, gotta, insonnia.
Dati biochimici: Col: 341 mg/dL, eGFR 30 ml/min /1,73 m2, HbA1c 7.4%, K 6,0 mEq/L
Farmaci attuali: digossina 250 mcg 1 c/die, idroclorotiazide 25 mg 1 c/die, flurazepam 30mg 1 c/die
(ultimi 3 anni), allopurinolo 300 mg/die
Domanda: si può usare il febuxostat anche con una storia di cardiopatia ischemica? In medicina
interna sì, la cosa non viene particolarmente valorizzata (si prendono comunque sempre in
considerazione l’anamnesi del paziente e come si evolve la storia della gotta e della cardiopatia).
ANTIBIOTICI
Il numero di infezioni nosocomiali sta aumentando esponenzialmente per cui l’infettivologo viene
chiamato in consulenza tantissime volte, per associare i farmaci giusti e per dare il via libera
all’utilizzo di certi antibiotici. È anche vero però, che con una degenza media di 9 giorni e con 1/3
dei motivi di ricovero rappresentato da polmoniti, da insufficienza respiratoria e da infezione delle
vie urinarie, un medico deve saper prescrivere l’antibiotico anche senza dover chiamare
l’infettivologo, eventualmente lo si fa in un secondo step. L’obiettivo della lezione è di dare l’ABC
della prescrizione in Med. Interna.
Cose da ricordare per prescrivere un antibiotico:
1. Revisioni delle principali diagnosi di malattie infettive
2. Memorizzazione della copertura empirica
3. La maggior parte delle volte la scelta dell’antibiotico si basa su una scelta empirica.
È importante tenere presente che la scelta della copertura è sempre una scelta empirica. Serve
ricordare la Microbiologia e la Fisiopatologia per riconoscere il patogeno responsabile di un
determinato quadro clinico, soprattutto se il paziente viene dalla comunità, e per potersi quindi
orientare nella scelta dell’antibiotico più corretto. Quando viene chiesto un esame colturale, che sia
una banale urinocoltura o sul liquor cerebrospinale, il laboratorio tiene il campione fino a 5 giorni. Se
risultasse positivo prima meglio, ma se così non fosse passano 5 giorni. Se cerco il micobatterio
della tubercolosi per il risultato dell’esame colturale serve ancora più tempo.
[La slide sottostante è un possibile argomento di domanda all’esame. Importante ricordare questa
slide anche per l’esame di Med. Interna, non solo per la provetta di Terapia Medica.] Schema sacro
degli antibiotici.
β- LATTAMICI
La Penicillina G è un farmaco che copre sia i Gram + che i Gram -; la sua indicazione clinica cardine
per la quale viene ancora utilizzata è l’endocardite batterica (oltre che la sifilide, che è però meno
frequente), nonostante sia è un farmaco di difficile uso perché presente in fiale di diverse unità che
vanno fatte ogni 6 ore.
La Penicillina G sostanzialmente copre lo Stafilococco Aureo Meticillino-sensibile (methicillin-
susceptible S. aureus - MSSA).
GRAM +
L’utilizzo della Vancomicina, soprattutto se non viene utilizzata per il periodo minimo indispensabile
assicurandosi che raggiunga delle concentrazioni plasmatiche efficaci, favorisce la selezione
dell’Enterococco Vancomicino-resistente (VRE). In questo caso il problema viene superato con
l’utilizzo del Linezolid. Essendo un farmaco di ultimissima battuta va usato solo se il patogeno è
resistente a tutto il resto secondo l’antibiogramma e previo consulto con l’infettivologo.
GRAM -
Seguendo l’altro braccio dello schema si vede che la Penicillina G è attiva anche sugli Streptococchi
e in particolare sull’Escherichia Coli.
Si ricorda che nelle infezioni delle vie urinarie si può utilizzare in prima battuta la Fosfomicina e in
seconda battuta una β-lattamina come l’Amoxicillina, che ha però lo svantaggio di dover essere
assunta 3 volte al giorno, o l’Ampicillina. Per avere un’ulteriore estensione dello spettro che copra
anche Proteus e Klebsiella si aggiunge un inibitore delle β-lattamasi come il Clavulanato o il
Sulbactam.
Esistono però alcuni patogeni che non sono coperti, in particolare lo Pseudomonas Aeruginosa,
tipicamente causa di infezioni respiratorie anche se viene trovato pure nelle urine. Il problema si
supera con la Piperacillina Tazobactam1 (Pip. Tazo.) che viene somministrata per le infezioni
respiratorie al secondo livello (dopo un ciclo fallimentare con Amoxi - Clavulanato) e per le infezioni
nosocomiali, le infezioni delle vie urinarie e le infezioni del tratto gastro-enterico ma non come prima
scelta (si preferiscono chinolonici o Metronidazolo per gli anaerobi). La Piperacillina Tazobactam
non copre però E. Coli ESBL e ceppi di Klebsiella multiresistenti.
In questi casi si usa un carbapenemico come Imipinem o Meropenem. Imipenem si trova sotto al
Meropenem in una scala gerarchica di maneggevolezza e costo, ha però qualche problema: spesso
si usa in associazione con la cilastatina ma bisogna tenere conto della funzione renale (attenzione
a insufficienza renale), al contrario del Meropenem che viene quindi utilizzato dai nefrologi per la più
facile gestibilità nelle insufficienze renali acute. Entrambi invece abbassano la soglia per l’epilessia:
se il paziente è epilettico sarebbe meglio evitare di dare un carbapenemico.
Caso clinico: paziente in geriatria con disfagia severa che continuava a inalare. Primo step
Amoxicillina Clavulanato, secondo step Piperacillina Tazobactam e terzo step carbapenemico
insieme ad una copertura per i Gram +. Il caso poi si è risolto brillantemente perché l’otorino ha fatto
1
10 anni fa si utilizzava generosamente la Levofloxacina, ora si sono sviluppate molte resistenze a causa del suo utilizzo
eccessivo.
una FESS (functional endoscopic sinus surgery) scoprendo che il paziente aveva delle posture
facilitanti per cui quando inghiottiva bastava farlo mettere in determinate posizioni.
CEFALOSPORINE
L’altra classe di farmaci molto utilizzata è quella delle cefalosporine. Passando dalla prima alla
quarta generazione c’è un viraggio dello spettro per cui quelle di prima e seconda sono molto attive
sui Gram +, la terza generazione è una via di mezzo, la quarta generazione ovvero il Cefepime
agisce soprattutto sui Gram -.
Principale indicazione della Cefazolina (1° generazione) è la profilassi prima di qualsiasi manovra
come il posizionamento di un pace-maker (somministrare 1h prima) o una PEG (un singolo shot 1h
prima).
Ceftazidima, Ceftriaxone, Cefotaxima (3° generazione) vengono abbastanza prescritti, soprattutto
il Ceftriaxone che è contenuto nel Rocefin, per alcune infezioni addominali come la colecistite perché
è somministrato con una singola dose che può essere somministrata per via intramuscolo anche in
ambiente extra-ospedaliero. La Cefotaxima viene utilizzata anche a volte nelle polmoniti ma in
genere se il paziente ha indicazione a questo potrà utilizzare anche una Piperacillina Tazobactam
che ha una copertura maggiore e viene data per via parenterale.
Il Cefepime (4° generazione) ha indicazione soprattutto per lo Pseudomonas Aeruginosa. La
sensibilità per Cefepime, carbapenemici o Piperacillina Tazobactam orienta verso questo batterio; i
carbapenemici sono i migliori in questo caso, somministrabili anche il caso di sospetto di sepsi da
Gram -, la Piperacillina Tazobactam un po’ meno.
CHINOLONICI
1° generazione Ciprofloxacina, attiva soprattutto verso Gram -. Si può trovare sotto forma di
compresse o somministrabile per via endovenosa (poco usata).
2° generazione Levofloxacina, attiva soprattutto verso Gram -. Si può trovare sotto forma di
compresse o in fiale. Rappresenta il principale chinolonico polmonare.
Dosaggio: 250mg riduzione per filtrato, 500mg dose piena, 750 mg dose solitamente prescritta per
le polmoniti dato l’alto numero di resistenze in assenza di IR in mono-somministrazione per via
endovenosa o orale.
Un paziente a domicilio può trattare una polmonite o con Amoxicillina Clavulanato + Claritromicina
o con Levofloxacina in caso di allergia alla Penicillina.
3° generazione Moxifloxacina, attiva soprattutto verso Gram +. È un farmaco molto utilizzato dagli
otorini perché copre tutte le infezioni delle alte vie respiratorie come faringiti e sinusiti.
4° generazione disponibile ma non ancora utilizzata in Italia.
I chinolonici coprono in parte anche i microrganismi atipici, il Mycobacterium tuberculosis e in misura
minore anche lo Pseudomonas Aeruginosa.
Esempio: un paziente arriva con una sintomatologia polmonare e inizia il chinolonico, fa
successivamente una broncoscopia con riscontro di tbc o un Quantiferon positivo. La situazione è
drammatica se ha già iniziato ad assumere il chinolonico perché ci può essere una risposta
temporanea al chinolonico che altera il risultato degli esami e la sintomatologia. Per evitare questo,
il consiglio è di non usare mai un chinolonico se si sospetta la tbc con un’infezione respiratoria acuta
concomitante.
• Patologia
• Patogeno in base alla sede dell’infezione
• Decidere cosa coprire e cosa lasciare fuori. La tentazione sarebbe quella di mettere la
Vancomicina, un carbapenemico, una copertura per i funghi per essere sicuri e
successivamente fare una de-escalation therapy all’arrivo del colturale passando a un solo
farmaco. Così facendo, soprattutto se il paziente ha fatto una terapia antibiotica pregressa,
la possibilità che il colturale venga negativo è molto alta. A questo punto, supponendo anche
che stia rispondendo alla terapia, in base a quale criterio da tre passo a uno? Diventa difficile.
È necessario fare dei ragionamenti prima.
Ad esempio, lo MRSA se il paziente viene con la polmonite non è la prima cosa che penso di andare
a coprire.
HAP
Le polmoniti ospedaliere invece necessitano di una copertura ad ampio spettro e serve orientarsi
anche in base a dove si trova il paziente, se in terapia intensiva o in un setting di cura differente.
Si utilizza:
• Cefepime,
• carbapenemico per lo Pseudomonas + Piperacillina Tazobactam,
• Vancomicina.
Attenzione alla DD tra insufficienza respiratoria acuta ed embolia polmonare; ora la polmonite da
Covid spesso unisce le due cose, la polmonite virale che sostanzialmente è una polmonite
interstiziale con un aspetto simile a quella da atipici con un ulteriore interessamento vascolare.
MENINGITE
Le meningiti non sono frequenti ma si possono trovare. Il quadro tipico è di un paziente che arriva
con alterazione dello stato di coscienza, con febbre che non risponde o risponde male alla terapia
antipiretica. Quando si inizia la terapia ad ampio spettro con ad es. Piperacillina Tazobactam o
Amoxicillina endovena non risponde, la febbre non scende. Una volta visti due tre pazienti le febbri
centrali si riconoscono perché le ricadute sul sensorio sono evidenti e la modalità di respiro è
caratteristica.
I patogeni sono Streptococco Pneumoniae, N. meningitidis, H. influenzae.
I protocolli aggiornati per i pazienti di età superiore a 50 anni prevedono l’utilizzo di tre farmaci: una
cefalosporina che di solito è il Ceftriaxone + Vancomicina + Ampicillina (se si pensa alla Listeria
monocytogenes). Di solito si parte con tutti e tre fino al risultato dell’analisi del liquor. L’utilizzo di uno
steroide, soprattutto se ci si trova di fronte ad una meningite da Streptococco (S. pneumoniae),
riduce significativamente i sintomi e gli esiti neurologici ed è anche associato a una riduzione della
mortalità. Lo steroide che passa la barriera emato-encefalica è il desametasone.
Attenzione al ritardo diagnostico: è molto frequente il caso di anziano con febbre e con alterazione
dello stato di coscienza in cui prima si va a escludere tutto il resto come una polmonite e un’infezione
delle vie urinarie e dove spesso si ricade nelle febbri di origine sconosciuta (FUO) prima di prelevare
il liquor tardivamente. Inoltre, attenzione alla meningite batterica che può mimare quelle virali
soprattutto nelle fasi precoci.
CELLULITE
Cefalosporine oppure Vancomicina se il paziente non migliora, per cui si deve sospettare lo
MRSA.
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
CISTITE SEMPLICE
I patogeni responsabili sono E. Coli, Klebsiella e Enterococcus.
Gli antibiotici di prima scelta sono:
• Fosfomicina
• Nitrofurantoina, antibiotico che non ha un assorbimento sistemico, stessa copertura della
Fosfomicina, copre il Coli ma è meno semplice da utilizzare perché sono più compresse da
assumere più volte al giorno
• Amoxicillina
• Trimetoprim-SMX in assenza di insufficienza renale.
PIELONEFRITE
Se l’infezione si complica diventando una pielonefrite si utilizzano la Ciprofloxacina oppure il
Ceftriaxone.
Attenzione che i fluorochinolonici non sono indicati in prima linea.
Esempio: ragazza soggetta a cistite che si porta in viaggio Ciproxin (Ciprofloxacina) per sicurezza
dato che funzionerà sicuramente. Questo non va fatto perché sarebbe “come sparare con un bazuca
contro una formica”, si ha il rischio di selezionare patogeni resistenti. La vecchia Fosfomicina
funziona nel 90% dei casi in un apparato urinario non compromesso.
SEPSI
Quando non si sa come iniziare e il paziente è grave, settico, va messa una copertura ad ampio
spettro con:
RICAPITOLANDO:
1. È un’infezione batterica o virale? Fare anamnesi, emocromo completo con formula, PCR e
procalcitonina (assimilabile ad un indicatore della severità dell’infezione).
2. Conoscere i principali patogeni responsabili di infezione nella sede anatomica interessata e
impostare terapia empirica.
3. Conoscere la flora batterica prevalente nella struttura ospedaliera; il Comitato Infezioni
Ospedaliere ha pubblicato recentemente una revisione del libretto con le linee guide che
dovrebbe includere l’esito delle ricognizioni fatte nella nostra struttura per sapere i patogeni
più rappresentati.
4. Considerare i trattamenti precedenti (2-4 settimane) seguiti dal paziente per le eventuali
resistenze.
5. Considerare i fattori specifici dell’ospite come
• età
• immunodepressione
• funzione epatica e renale
• durata dell’ospedalizzazione
• severità della patologia.
6. A 3 giorni fare il punto sull’effetto dell’antibiotico: servono 72h per avere una risposta clinica,
eventuali esami colturali e l’antibiogramma. Spesso se il paziente ha già iniziato a domicilio
un antibiotico e arriva in ospedale perché persiste la febbre, non viene cambiato l’antibiotico
ma si può agire sulla gravità clinica o, se si ritiene che non sia completamente coperto, si
aggiunge qualcosa. Non si sospende ciò che ha già iniziato.
Attenzione al fatto che dopo 3 gg gli antibiotici ad ampio spettro alterano il microbiota e
selezionano i ceppi resistenti, aumentando il rischio per Clostridium difficile.
7. Scegliere l’antibiotico a spettro più ristretto, con il minor rapporto costo-efficacia e la minore
tossicità. Appena è possibile cominciare la de-escalation therapy.
Nella classificazione dei disturbi nutrizionali rientrano anche i deficit di micronutrienti, denominata
anche dall’OMS come fame nascosta.
Lo stato nutrizionale dovrebbe essere sempre valutato durante la raccolta dell’anamnesi fisiologica.
La valutazione si compone in:
1. Screening per i fattori di rischio
2. Diagnosi
3. Valutazione medica e parametri obbiettivi di laboratorio e strumentali
4. Trattamento
1
Non vi è una definizione di malnutrizione accettata universalmente. Tuttavia la seguente è ampiamente
riconosciuta anche da ESPEN (European Society for Clinical Nutrition and Metabolism)
MUST SCORE
Score nato in Inghilterra, ideato dalla British Association for Parenteral & Enteral Nutrition (BAPEN)
che valuta:
- BMI
- calo ponderale non programmato
- riduzione delle ingesta per più di 5 gg.
[è consigliabile leggere le slide]. Si fa la somma dei punteggi per ogni marcatore.
- 0, rischio basso non si fa niente ma si dovrebbe comunque ripetere dopo una settimana.
- 1, rischio medio monitorare le ingesta e rivalutarlo a 3 giorni.
- 2 o superiore, rischio alto si è tenuti ad iniziare un trattamento eventualmente
rivolgendosi ad uno specialista.
In ogni caso registrare se il paziente è obeso.
2
Cibo ingerito
NRS 2002
Nelle cartelle in uso a Cattinara a pagina 2, relativa all’anamnesi fisiologica, si trova l’NRS 2002. È
uno score che propone al medico le seguenti domande:
1. BMI inferiore a 20.5
2. Perdita di peso involontaria nei 3 mesi precedenti
3. Riduzione dell’introito nell’ultima settimana
4. Malattia grave (es ICU) i malati di area critica hanno attivazione metabolica dovuta alla
risposta dell’acuto che induce un aumentato catabolismo. Per questa eventualità si ha un
protocollo dedicato.
Se la risposta è NO a tutte le domande va ripetuto settimanalmente, se invece è Sì a una o più
domande nella parte relativa allo screening si passa alla seconda parte per la diagnosi di
malnutrizione. Nella seconda parte (non presente nelle cartelle) si attribuisce un punteggio in base
alla malattia.
La seconda parte indica la severità della patologia, prevede una parte in cui viene gradualizzato
l’entità del calo ponderale data soprattutto dalla riduzione degli introiti e dal BMI sommato alla
severità della patologia. Può ricadere in gruppi diversi a seconda severità (lieve =1, Moderato=2,
elevato=3).
NB: il pz ha età maggiore di 70aa è di default3 assegnato alla categoria di rischio con punteggio 1
perchè effettivamente presenta un rischio maggiore di malnutrizione.
DIAGNOSI
Per far diagnosi si parte dallo screening se positivo si fa una valutazione attraverso due criteri:
1) Criterio Fenotipico
a) Calo ponderale involontario
b) Basso indice di massa corporea
c) Ridotta massa muscolare: Non è pratica di routine la valutazione della massa muscolare.
Non esistono strumenti dedicati, si passa dal giudizio soggettivo (strumento di minore
affidabilità) alla DEXA (gold standard).
[Integrazione coorte 2017] si fa con il bioimpedenzometro o la presenza di un radiologo che con una
TAC vede la quantità di massa muscolare a livello di L3 da cui si riesce a ottenere la muscolarità di
tutto l’organismo. Se questi 2 metodi non sono disponibili allora bisogna usare i proxi e si approssima
dalla circonferenza del braccio o del polpaccio i quali dipendono molto dal muscolo. È stato fatto un
ottimo lavoro pubblicato quest’ anno dall’ American Journal of Nutrition in cui sono definiti i cutoff
della circonferenza del polpaccio per sesso, età, e indice di massa (fondamentale in quanto esistono
dei fattori di correzione da applicare per paragonarlo ai range di normalità). Bisogna anche
considerare il proprio giudizio clinico andando al letto del paziente e facendosi un’idea sulla sua
massa muscolare (consigliato guardare sia le gambe sia a livello degli interossei).
2) Criterio Eziologico
a) Ridotto introito e assorbimento calorico
b) Patologia cronica o presenza di uno stato infiammatorio (quasi onnipresente negli
ospedalizzati, derivato dai livelli di PCR o PCT)
La diagnosi di malnutrizione va dunque segnalata e caratterizzata. Una volta che si arriva alla
diagnosi, la malnutrizione deve essere segnalata nella lettera di dimissione: deve essere codificata,
non basta scrivere malnutrizione. È importante perché purtroppo la diagnosi di malnutrizione
3
La professoressa ricorda che è lo stesso per le donne a cui viene assegnato un punteggio di 1 nella
valutazione di CHA2-DS2-Vasc per il rischio trombotico
aumenta gli indici di Case Mix, ovvero aumenta la complessità del paziente qualsiasi sia la sua
condizione di base in quanto ha un effetto a 360 gradi.
VALUTAZIONE MEDICA
Da eseguire in seguito alla diagnosi.
1) Anamnesi
a) Variazioni ponderali recenti e introito alimentare: già chieste in sede di screenig
b) Abitudini dietetiche
c) Allergie e intolleranze alimentari
d) Farmaci (anoressia, funzione GIS): esistono farmaci che provocano iporessia o anoressia
(e.g. i chemioterapici), altri hanno effetto oressizzante (e.g. gli steroidi, che provocano anche
aumento della deposizione di adipe lungo lo scheletro assiale e aumentato catabolismo
muscolare)
e) Capacità funzionale: astenia
f) Patologie acute e croniche
g) Nausea e vomito
h) Disfagia a cui si associano i cosiddetti sintomi NIS4 (Nutrition Impact Symptoms)
i) Stipsi e diarrea
j) Attività fisica
k) Disturbi psicologici/psichiatrici: non si chiamano più disturbi del comportamento alimentare
DNA (Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione)
2) Esame obbiettivo
a) Valutazione della massa muscolare e tessuto adiposo sottocutaneo. Per avere un’idea della
massa muscolare si vanno a vedere:
i) La bolla del Bichat.
ii) I muscoli interossei. Esiste, infatti, uno strumento per misurare lo spessore dell’adduttore
del pollice.
iii) Le pliche bicipitale e tricipitale.
iv) La circonferenza del braccio ma soprattutto del polpaccio, quella più fortemente
correlata alla massa muscolare: il cut-off è stabilito a 31 cm per chi ha un BMI fra 20-25.
In generale i cut-off vanno corretti per sesso e per età.
b) Ispezione e palpazione per segni di ritenzione idrica: edemi solitamente posizionali e ascite.
Ricordarsi che gli edemi al volto sono tipici della sindrome nefrosica.
c) Deficit di vitamine e minerali: sono estremamente sfuggenti, quando si manifestano
clinicamente identificano un deficit è già severo. L’argomento viene trattato più estesamente
nella seconda parte della lezione. Le principali manifestazioni cliniche delle ipovitaminosi
sono:
i) glossiti correlate a carenza di ferro o vitamina B12, quest’ultima dà anche anemia
macrocitica e cheilite, il ferro dà anche anemia microcitica.
ii) irritabilità neuromuscolare per deficit di calcio e fosforo. NB: quando si presentano
deficit neurologici è sempre da considerare il rischio di aritmia.
3) Test funzionali: secondo alcuni questo è il punto che conta maggiormente, poiché in alcuni casi
c’è discrepanza tra lo stato fisico del paziente e la sua effettiva capacità di svolgere le proprie
attività autonomamente. Per la valutazione funzionale si tiene conto di:
a) FUNZIONE MUSCOLARE:
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alterazioni del gusto e dell'olfatto, mucosite, nausea, costipazione, dolore e suo trattamento o mancanza di
respiro. La Professoressa nomina anche xerostomia.
i) Funzione muscolare con dinamometro per misurare la forza. Si è stabilito che per la
mano la forza peso da vincere deve essere almeno di 27kg per un uomo e 16kg per una
donna. È il primo test da eseguire nella diagnosi della sarcopenia.
ii) Performance fisica: Short Physical Performance Battery Test (SPPBT) eseguito da un
fisioterapista che prevede di mantenere per 10s i piedi uno davanti all’altro, poi il tallone
a livello della punta dell’altro piede, infine uno di fianco all’altro. Successivamente si
chiede al paziente di camminare per 4 metri e di sedersi e alzarsi per cinque volte da una
sedia a braccia conserte, cronometrandolo. Si è dimostrato che esiste una correlazione
tra il punteggio ottenuto al SPPBT e la presenza di sarcopenia. Il SPPBT fa parte della
valutazione anestesiologica in preparazione ad una chirurgia elettiva: se un paziente è
sarcopenico sarà più difficile da ventilare e poi estubare poiché ad una sarcopenia degli
arti inferiori corrisponde una sarcopenia del diaframma. È stato quindi introdotto il
concetto di pre-abilitazione che prevede: esercizi prima dell’intervento chirurgico e, a
Milano, implementare la dieta con proteine del siero del latte e lo yogurt greco.
b) [slide] FUNZIONE MUSCOLARE RESPIRATORIA (e.g. flusso di picco, FEV1)
c) [slide] FUNZIONE COGNITIVA
d) FUNZIONE IMMUNITARIA Linfocitopenia. Un malnutrito ha quasi sempre i linfociti bassi,
c’è una selezione a livello midollare delle cellule da produrre. In caso di malnutrizione una
delle prime funzioni che si perde è la produzione di linfociti. Con l’aggravarsi dello stato
patologico (e.g. anoressia nervosa severa) si cade nella pancitopenia. Per questo motivo
molto spesso il ricovero ospedaliero di un paziente malnutrito è dovuto a un’infezione
severa.
4) Esami di laboratorio
a) Pannello completo di routine: emocromo con formula, funzione epatica e renale, marker di
flogosi, sodio, calcio e potassio (per la sindrome da rialimentazione)
b) Proteine sieriche (albumina, prealbumina, transferrina)
c) Vitamine (B12, D), oligoelementi (ferro e zinco), minerali (K +, Ca2+, P, Mg2+)
d) Bilancio azotato: l’azoturia è un indice catabolico usato solo in terapia intensiva
ALBUMINA
Fra i tanti ruoli che ricopre, l’albumina è ranche un marcatore di fase acuta in caso di
infiammazione/infezione. Questo si spiega con l’aumento della permeabilità vascolare e il
conseguente stravaso nel terzo spazio con conseguente ipoalbuminemia da sequestro. A tal
ragione prima di considerare l’albumina come marker nutrizionale è bene abbassare la PCR
risolvendo lo stato infiammatorio.
L’albumina ha un’emivita di 20 giorni (turnover molto lento). In terapia intensiva per ovviare a questo
problema si misura la pre-albumina che ha un’emivita molto più breve (2-3 giorni). Il precursore
permette di monitorare il paziente nel breve termine, molto importante soprattutto in terapia
intensiva.
A completamento del pannello laboratoristico per le proteine sieriche, in corso di malnutrizione si
aggiungono anche la transferrina e la proteina legante il retinolo, specialmente nei pazienti
ambulatoriali affetti da malassorbimento cronico.
Le proteine sieriche sono di produzione epatica, pertanto risultano ridotte in caso di insufficienza
epatica. Le concentrazioni seriche si riducono anche in caso di aumento del volume di distribuzione
per aumento terzo spazio o in caso di aumentato catabolismo indipendentemente dallo stato
nutrizionale.
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La professoressa racconta di un paziente che per circa 10 gironi ha aspettato un’amputazione di piede
diabetico (intervento sporco) rimanendo a digiuno fino ad ora di pranzo tutti i giorni.
CONSEGUENZE ECONOMICHE
Nei pazienti ospedalizzati:
- Prolungamento della durata della degenza ospedaliera, anche nei bambini
- Aumento dei ricoveri reiterati
- Ritardo della dimissione
Nei pazienti in comunità
- Aumento del numero di visite dei medici di famiglia
- Aumento il numero dei ricoveri in ospedale
- Prolungamento della degenza ospedaliera
I costi della malnutrizione sono doppi rispetto a quelli del sovrappeso e dell’obesità. In queste
patologie infatti, il problema è piuttosto l’aumento del rischio cardiovascolare per lo sviluppo di
sindromi coronariche acute. Tuttavia, il carico in cronico non è paragonabile a quello di un malnutrito
perché il problema cardiologico una volta individuato e trattato non porta conseguenze nel lungo
tempo quanto la malnutrizione.
EPIDEMIOLOGIA
- 33 milioni di persone sono a rischio malnutrizione in Europa.
- 1 su 5 ricoverati in ospedale è a rischio di malnutrizione. Tra gli anziani la malnutrizione è
particolarmente diffusa, di conseguenza l’invecchiamento della popolazione porterà ad
un’accentuazione del problema negli anni a venire. Nello specifico si hanno 1 malnutrito su 3
negli ospedali, più di 1 malnutrito su 3 nelle case di cura e 1 a rischio di malnutrizione su 3 a
casa.
Più importante da ricordare è la diffusione della malnutrizione rispetto alla patologia:
- Patologie gastrointestinali: se
l’intestino non funziona ovviamente si
avrà una riduzione dell’apporto di
nutrienti. Questo non avviene solo
nelle MICI.
- Patologie respiratorie: BPCO
- Demenza: nella demenza è un vero e
proprio sintomo. Non si deve ricorrere
al trattamento dello stato nutrizionale
perché non si migliorerebbe la
mortalità; si tratterebbe di
overtreatment. Quando un soggetto
non mangia significa che la patologia
sta progredendo, i familiari vanno
informati per evitare il sospetto di un
fallimento terapeutico
- Oncologia
- Infezione: sia nelle malattie infettive
sia nei reparti per acuti generici
Le tabelle sottostanti mostrano una metanalisi condotta della Società Italiana della Nutrizione
Artificiale e del Metabolismo (SINPE) degli studi effettuati negli ultimi 15 anni in Italia in cui si fa una
analisi della prevalenza e il costo economico della malnutrizione.
I dati ottenuti dimostrano come rispetto alla situazione vista in precenda ci sia stato un
peggioramento con circa una persona su due malnutrita in ospedale e il 70% in RSA.
L’aumento dei costi è imputabile agli elementi sopracitati della durata. Si va dal miglior scenario di 3
milioni peggior scenario di 16 milioni.
Un integratore costa tra 1 e 2 € per un totale di 4€ al giorno. Una sacca da 500ml di soluzione
fisiologica costa 0,80€, ogni giorno se ne assume un litro, mentre una sacca per la nutrizione
parenterale costa 14 €. I farmaci biologici hanno costi molto più elevati e inoltre risponde solo il 30-
40% dei pazienti. I costi per affrontare la malnutrizione sono relativamente bassi, sarebbe
consigliabile investirci di più.
MISURE DA ADOTTARE [slide]
Prerequisiti indispensabili per il successo della terapia:
- è necessario un coinvolgimento di tutti gli operatori del settore a tutti i livelli
- consapevolezza e formazione e educazione sono fondamentali per il buon esito della terapia
- controlli e attività di miglioramento della qualità dovrebbero essere quasi inclusi in qualsiasi
iniziativa volta a combattere la malnutrizione
- è necessario condividere sistematicamente le buone pratiche
Domanda: durante il corso di semeiotica si è parlato di come la suddivisione in somatotipi
(endomorfo, mesomorfo, ectomorfo) sia una classificazione superata. Ora però sta tornando la
concezione che le persone hanno lo stesso peso, ma composizione diversa (ossatura, massa magra
e massa grassa). Non è che si è fatto uscire dalla porta un concetto per farlo rientrare dalla finestra?
Risposta: Una professoressa di Pavia ha dimostrato che il peso dello scheletro ha delle differenze
che non sono così rilevanti da poter stabilire una classificazione. Quello che conta come già è la
composizione di massa magra e massa grassa perché si riflette sulla funzionalità. Si sta diffondendo
una nuova modalità di calcolare dose per la chemioterapia è bene non usare peso e altezza ma
basarsi sulla qualità di massa muscolare per una dose più precisa e meno tossica.
• Se il paziente riesce a nutrirsi, senza rischio di ab ingestis, si possono utilizzare gli ONS,
(Oral Nutrizional Supplements), ovvero supplementi nutrizionali orali; si tratta di alimenti
a fini medici speciali che necessitano della prescrizione medica (non sono gli integratori
classici che si trovano in farmacia o nei supermercati);
• Se il paziente non riesce ad assumere nemmeno gli ONS, ma la funzionalità intestinale non
è compromessa, si può ricorrere alla nutrizione enterale;
• Nel caso in cui il paziente abbia una funzionalità intestinale compromessa, si deve optare
per la nutrizione parenterale.
La diagnosi precoce è di fondamentale importanza per un trattamento efficace della malnutrizione;
il monitoraggio con strumenti sperimentali dovrebbe essere una pratica di routine.
Per il trattamento è possibile utilizzare diverse strategie, come regimi dietetici, integratori orali,
alimentazione enterale o nutrizione parenterale.2
Purtroppo, nei reparti ospedalieri la nutrizione parenterale è spesso abusata, senza rispettare le
indicazioni al trattamento nutrizionale e l’effettivo fabbisogno energetico del paziente.
Per impostare correttamente il trattamento nutrizionale bisogna saper calcolare il fabbisogno
energetico di una persona; la spesa energetica totale (TEE) di una persona è la somma di tre
componenti:
1
La prof. ha detto letteralmente: “Il mantra di ogni nutrizionista e di ogni medico è che, se l’intestino funziona,
bisogna utilizzarlo, altrimenti si incorre nel rischio di causare importanti danni al paziente”.
2
Integrazione da slide
della REE c’è una variabilità interindividuale rilevante: alcuni soggetti presentano una spesa
energetica a riposo più bassa (ipometabolismo), mentre per altri è più alta (ipermetabolismo).
Dipende, oltre che dalla genetica, anche da altre variabili:
o sesso
o peso
o altezza
o età: il metabolismo basale tende ad essere più elevato nei giovani e a ridursi con
l’avanzare dell’età.
Inoltre, alcune patologie, classificate come Rischio Nutrizionale 2 o 3, aumentano la REE
attraverso lo stimolo neuro-ormonale e citochinico all’ipotalamo e i cambiamenti nella
secrezione di citochine e neurotrasmettitori, che provocano una mobilizzazione delle scorte
energetiche.
Da sbobine 2017: Ci sono poi situazioni che aumentano il metabolismo basale e queste sono
tipicamente i traumi, le infezioni, e la risposta di fase acuta. Anche nel paziente febbrile
aumenta per la produzione del calore.
Ad esempio, una persona a digiuno, all’inizio utilizza il glicogeno epatico (che fornisce
all’incirca 1000 kcal, non sufficienti a sopperire al bisogno energetico giornaliero), poi i lipidi,
che sono una fonte enorme di chilocalorie (1 g di lipidi forniscono 9 kcal, mentre 1 g di
proteine o carboidrati forniscono 4 kcal), e solo alla fine vengono intaccate le proteine.
L’organismo catabolizza le proteine solo per ultime e cerca di conservarle il più a lungo
possibile: infatti, i soggetti sottoposti a digiuno sano hanno una quota di albumina conservata.
Invece, quando si tratta di una patologia a rischio nutrizionale, i primi nutrienti ad essere
consumati sono proprio le proteine provenienti dal muscolo, con conseguente sarcopenia.
• la spesa energetica correlata all’attività fisica (AEE), corrispondente circa al 25% della
spesa totale3, ma può arrivare fino al 70% per gli atleti di alcuni sport professionistici.
• la termogenesi indotta dalla dieta (DIT) corrisponde alla produzione di calore in seguito
all’assunzione di un pasto e incide per un 5% sul totale. È più elevata se il pasto è ricco di
proteine e determina un aumento della temperatura corporea che può durare per circa 10
ore dall’assunzione del pasto.
3
in una persona non sedentaria che ad esempio raggiunge i 10.000 passi al giorno.
Il muscolo è responsabile del 23% del consumo totale, ma questo valore può variare perché deve
essere aggiustato sulla base della quota effettiva di massa muscolare individuale. In realtà, il
muscolo consuma meno energia in termini percentuali rispetto a cervello, fegato e cuore, ma,
essendo la sua massa preponderante nel nostro organismo, nel complesso la spesa energetica a
riposo è molta di più.
C’è quindi correlazione diretta tra quantità di massa e spesa energetica.
FORMULA DI BENEDICT-HARRIS
Si tratta di un calcolo approssimativo, ma con un buon potere predittivo per alcuni gruppi di pazienti,
in particolare quelli ricoverati in medicina interna.
Per calcolare il fabbisogno, bisogna inserire negli appositi software reperibili online l’età del paziente,
il sesso, l’altezza, il peso e i fattori correttivi, per severità di patologia oppure per livello di attività
fisica (si moltiplica per 1.5 se il paziente svolge attività fisica agonistica).
4
Integrazione sbobine 2017 – la professoressa ha solo mostrato la slide con le due formule.
CALORIMETRIA
Il gold standard per la misurazione del fabbisogno energetico è la calorimetria indiretta, che
fornisce il fabbisogno del soggetto nel determinato momento in cui viene fatta la misurazione.
La misurazione si basa sulla quantità di ossigeno che viene consumata nell’aria inspirata e la
quantità di anidride carbonica prodotta; infatti, i processi vitali possono essere considerati come un
“ciclo di combustione”: viene consumato ossigeno e prodotta anidride carbonica, in quantità
variabili in base al processo metabolico considerato.
Il rapporto tra VCO2 e VO2 corrisponde al quoziente respiratorio,
che misura la qualità dei substrati ed è misurato dal calorimetro:
o Per i carboidrati è pari a 1, poiché quando si ossida 1 mole di
glucosio vengono usate 6 molecole di O2 e prodotte 6
molecole di CO2;
o Per i lipidi sono necessarie 23 molecole di ossigeno per ossidare 1 mole di acido palmitico
(usato come esempio di acidi grassi a lunga catena). Vengono prodotte 16 molecole di CO2 a
fronte di un consumo di 23 molecole di ossigeno. Il rapporto è più basso, pari a 0.746, essendo
la quantità di O2 superiore a quella di CO2 usata.
Quindi, si deduce che, quando il QR si abbassa, significa che il metabolismo sta consumando lipidi,
mentre quando si alza si sta consumando glucidi. Ovviamente il nostro organismo non usa mai o
uno o l’altro, si parla di un consumo misto, ragione per cui in genere il QR valutato dalla macchina
è un valore medio dato dal metabolismo sia lipidico che glucidico, che corrisponde circa a 0.8-09.
Si tratta di uno strumento particolarmente usato in terapia intensiva, poiché la macchina si può
collegare al tubo a T5 o alla cannula, in caso di tracheostomia, e può misurare in tempo reale la CO2
prodotta, così da risalire, attraverso specifiche formule, alla spesa energetica.
5
Raccordo per umidificazione e arricchimento in O2 dei gas inspirati spontaneamente dal paziente.
- Dispnea - Infiammazione
- Brivido - Febbre
- Convulsioni - Ferite
- Delirium - Fisioterapia
Se non è disponibile il calcolo di Harris-Benedict, per il paziente di area non critica si può calcolare
il fabbisogno con la formula 25-30 kcal x kg al giorno. Sarebbe meglio iniziare con 25 kcal per kg
al die e poi aumentare gradualmente per evitare l’iponutrizione.7
6
La professoressa riferisce che non bisogna saperla, ma solo dire a cosa serve: riporto per completezza.
7
Integrazione da slide.
FABBISOGNO DI MICRONUTRIENTI
Integrazione da slide:
I CARBOIDRATI
Sono la principale fonte energetica nelle diete occidentali
Coprono il 20-40% di TEE
Se TEE = 2500 kcal, il fabbisogno di carboidrati è pari a 300-400 g/die.
Il cervello umano consuma 6 g/h di carboidrati, circa 140 g/die.
I carboidrati hanno diverse funzioni:
- Prevengono la chetogenesi;
- Pervengono l’utilizzo degli amminoacidi nella gluconeogensi e perciò preservano la massa
magra.
Sono classificati in:
- Monosaccaridi (glucosio, fruttosio, galattosio)
- Disaccaridi (saccarosio, lattosio, maltosio)
- Oligosaccaridi (maltodestrine)
- Polisaccaridi (amido e fibre)
I LIPIDI
Sono una fonte energetica e costituiscono il tessuto adiposo.
Hanno funzione di carrier delle vitamine liposolubili A, D, E e K (assunzione minima pari al 10-
15% del fabbisogno energetico per l’assorbimento ottimale).
Sono precursori della sintesi di modulatori della funziona immunitaria.
Contribuiscono alla sensazione di sazietà post-prandiale.
Non bisogna superare il 30-35% del fabbisogno calorico giornaliero totale.
Sono classificati in:
- Saturi: sono di provenienza animale e la loro assunzione è associata all’aumento di colesterolo
LDL; non devono superare il 10% del fabbisogno totale.
- Monoinsaturi: sono i principali componenti della dieta mediterranea (ac.oleico) e la loro
assunzione è associata ad una riduzione di colesterolo LDL e del rischio CV. Inoltre, stimolano
la secrezione biliare.
- Polinsaturi (PUFA): sono presenti nell’olio di girasole, soia e mais. Sono suddivisi in omega 3
e omega 6 e sono acidi grassi essenziali. La loro assunzione deve essere >5% del fabbisogno
totale.
LE PROTEINE
Funzioni:
- Sintesi di tessuti
- Precursori di neurotrasmettitori
- Costituiscono buona parte degli anticorpi, di enzimi, di trasportatori presenti nel sangue
- Costituiscono i sistemi acido-base
L’introito minimo raccomandato è: 0.8 g/kg/die
L’introito ottimale in un adulto sano è: 1-1.1 g/kg/die
In condizioni di ipermetabolismo l’introito può arrivare fino a 2 g/kg/die.
Sono classificati in:
- non essenziali
- condizionatamente essenziali (glutammina, glicina, arginina)
- essenziali (istidina, leucina. Isoleucina, lisina, fenilalanina, metionina, treonina, triptofano e
valina)
Una dieta standard contiene una quantità di carboidrati che copre il 50-60% del fabbisogno totale;
nello specifico gli zuccheri semplici dovrebbero rappresentare meno del 25% del totale, mentre quelli
complessi più del 25%. Le fibre, in realtà, sono oggi considerate quasi come un immunonutriente:
infatti, riducono la mortalità cardiovascolare, sono precursori degli acidi grassi a catena corta
(soprattutto quelli solubili), e hanno un ruolo importante nell’insulino-resistenza; per questo l'OMS
sostiene che il fabbisogno di fibre si attesti intorno ai 25-30 gr, anche se non hanno una grande
importanza ai fini del fabbisogno dei macronutrienti.
Per quanto riguarda i lipidi, devono coprire il 30-35% del fabbisogno, ma è universalmente
riconosciuto che deve essere considerata la qualità e non la quantità.
Gli acidi grassi saturi dovrebbero assolutamente essere meno del 10%, prediligendo invece gli acidi
grassi mono- e polinsaturi. Quelli monoinsaturi sono l’acido oleico (cioè l’olio d'oliva), mentre quelli
polinsaturi sono gli omega-3 (DHA e EPA8) e gli omega-6.
Gli omega-6 sono quelli a maggiore attività antinfiammatoria e vengono anche utilizzati
nell’immunonutrizione per le proprietà antinfiammatoria e immunomodulatoria; l’acido oleico, invece,
è coinvolto nella modulazione dell'insulino-resistenza, motivo per cui è molto enfatizzato nelle linee
guida della sana nutrizione per il diabete (tutte le forme enterali per il diabete ne contengono una
certa quantità). L’EPA è importante anche in ambito neurologico, poiché è correlato alla funzione
cerebrale e, in particolare, alla mielinizzazione degli assoni.
Gli acidi grassi polinsaturi sono essenziali, quindi devono essere assunti con la dieta. Ad esempio,
quelli di origine vegetale (che derivano dai semi) hanno concentrazioni di EPA e DHA molto basse;
se non se ne assume una quota sufficiente, la loro sintesi a partire dall’acido alfa-linolenico è
estremamente inefficiente (meno del 5% di alfa-linolenico viene trasformato in EPA e DHA). La fonte
principale per questi acidi grassi è il pesce azzurro, come ad esempio salmone e sgombro.
Quando si fa un piano per un paziente che non è in grado di alimentarsi autonomamente e dipende
da apporti esterni, si deve fare particolare attenzione alla scelta della miscela: è fondamentale che
ci sia una quantità sufficiente di acidi grassi polinsaturi.
Il fabbisogno proteico, pari a circa il 15-20%, è di circa 0.8-1.1 g/kg (dati OMS). Questi valori sono
in realtà deficitari, soprattutto nei pazienti con polimorbidità o ricoverati, per i quali il fabbisogno sale
a 1.1-1.5 g/kg. Ci sono, però, delle condizioni particolari a cui fare attenzione: nei pazienti con
insufficienza renale di stadio IV (pre-dialitica) l’apporto proteico va aggiustato sulla base delle
condizioni cliniche del paziente.
8
DHA = acido deicosaesanoico; EPA = acido eicosapentenoico.
Anche in questo caso, esistono proteine che contengono amminoacidi essenziali (proteine
nobili), per cui bisogna stare attenti a garantire il corretto fabbisogno di tali amminoacidi, che
corrisponde all’assunzione di 5-19 mg/kg di proteine nobili. Le fonti alimentari che contengono
questo tipo di proteine sono la carne, i latticini, le uova; in vegetali e legumi9 il loro contenuto è molto
basso.
Come si può dedurre, è fondamentale tenere in considerazione, oltre che la quantità totale di lipidi
e proteine da assumere, la qualità di tali nutrienti.
MICRONUTRIENTI ESSENZIALI
Tra i micronutrienti essenziali si individuano vitamine e oligoelementi.
Le vitamine si dividono in liposolubili (in rosso) e idrosolubili (in verde).
Le vitamine liposolubili si accumulano nel tessuto adiposo; ciò
significa che un soggetto con una quantità di adipe discreto è difficile
sviluppi un deficit di proteine liposolubili, pur risultando bassi i valori
ematici rilevati. Viene proposto l'esempio dei pazienti bariatrici, nei cui
esami ematochimici è ricorrente il deficit di vitamina D: in realtà, questa
vitamina non è presente in quantità ridotte, ma è distribuita nel tessuto
adiposo.
Le vitamine idrosolubili, invece, hanno un turnover molto più rapido e l’organismo non ne possiede
delle scorte, motivo per cui devono essere introdotte con la dieta.
Un soggetto con una dieta varia e completa (cioè compresa di carni e latticini) difficilmente svilupperà
un deficit nutrizionale, a meno che non presenti una patologia sottostante; per questo, il rischio di
deficit di oligoelementi e/o vitamine10 è correlato a:
• Patologie preesistenti che causano anoressia, inadeguata digestione o assorbimento: l'anemia
perniciosa è responsabile del tipico deficit di ferro e/o vitamina B12; l’ileite terminale e le MICI
causano malassorbimento intestinale con ridotto apporto di vari nutrienti e micronutrienti.
• Aumentate perdite tramite fistole, aspirati, liquidi biologici, drenaggi, ustioni, dialisi;
• Aumento dei fabbisogni (ipermetabolismo, fase anabolica di ripresa dopo una malattia).
9
La soia è il legume che contiene la maggior quantità di proteine nobili, ma si devono mangiare molti kg di
soia per coprire completamente il fabbisogno amminoacidico essenziale.
10
Vengono esclusi da questa lista i soggetti vegani, che tendono ad un deficit selettivo di vitamina B12.
Sono riportate nella seguente tabella le principali patologie correlate a deficit vitaminici specifici (la
prof.ssa si limita a leggere la slide soffermandosi sulla terza colonna):
TOSSICITÀ
Per le vitamine idrosolubili, la tossicità è rara; infatti, possono essere somministrate in quantità fino
a 100 volte superiori l’introito raccomandato giornaliero (RDA = Recommended Daily Allowance)
senza l’insorgenza di sintomi da tossicità.
Per le vitamine liposolubili, in particolare la vitamina D, la tossicità è più frequente. Il limite di
sicurezza è posto a quantità fino a 10 volte il RDA, valore piuttosto alto che corrisponderebbe a circa
10 fiale al giorno di vitamina D (la posologia usuale in soggetto con osteoporosi è di 1 fiala al giorno).
Alle dosi raccomandate, la tossicità da oligoelementi è rara.
Domande:
Per quanto riguarda i vegani, si è detto che con la sola assunzione di elementi vegetali non si riesce
a sopperire al deficit di aminoacidi essenziali. Visto l'aumento della diffusione di questo tipo di dieta,
è stato osservato un aumento degli accessi ospedalieri di persone vegane per deficit nutrizionali?
In realtà, nella popolazione vegana, le persone hanno una forma mentis che porta sia al rispetto
verso gli animali che al rispetto di un corretto stile di vita, per cui, sulla base di questi principi, si
confrontano e si informano continuamente, anche grazie a forum online. Ciò significa che conoscono
molto bene i deficit cui sono a rischio e per questo fanno molto uso dei supplementi nutrizionali.
Di fatto, il grosso problema della dieta vegana è il deficit di vitamina B12, ma non sono da dimenticare
anche i deficit di DHA ed EPA; quest’ultimo è più difficile da diagnosticare: mentre i sintomi di un
deficit da vitamina B12 sono ben riconoscibili, nel caso di deficit di DHA ed EPA le manifestazioni
sono principalmente deficit di performance cerebrale, alterazione della composizione delle
membrane cellulari, aumentata tendenza alle infezioni, ecc. Non è possibile dosare le concentrazioni
degli acidi grassi, motivo per cui è molto difficile fare un’associazione tra la sintomatologia e il deficit.
Nel caso di bambini cresciuti con una dieta vegana per scelta di entrambi i genitori, ci sono dei
problemi o dei rischi particolari?
Proprio l’anno scorso si è tenuta una “lezione” su questo argomento. Per quanto riguarda la crescita,
è possibile il recupero completo in caso di leggero ritardo di crescita secondario ad una dieta
deficitaria fin dalla tenera età. Nel caso, invece, di giovani adulti (15-20 anni) che scelgono
autonomamente di approcciarsi a questa dieta, si è osservato un cambiamento marcato nelle loro
“abitudini sociali”: le ragazze, in particolar modo, tendono a non bere alcol, a non fumare, a non
uscire spesso con gli amici, ma al tempo stesso hanno un aumentato rischio di sviluppare altre
malattie psichiatriche, come l’anoressia.
eventuali popolazioni con patologie speciali ad es. IR (ridurre apporto di fosforo), pancreatite
(regolazione della quota lipidica).
Dopodiché, l’intervento partiva
con lo schema a lato:
- Alimentazione
spontanea orale, counseling.
Il/la dietista va dal pz, gestisce e
trascrive la dieta;
- Supplementi nutrizionali
orali, nel caso in cui il pz non
riuscisse a raggiungere il 75% del
fabbisogno calorico e proteico
nelle 24-48h;
- Nutrizione artificiale,
enterale o parenterale nel caso
in cui dopo altre 24-48h il pz non
sia ancora riuscito a raggiungere
il fabbisogno.
Si è rilevato che la maggior parte
dei pazienti aveva bisogno di poco se si pensa a 25-30 kcal pro-kilo (mediamente 1500 nella donna
e 1800 nell’uomo), questi pz infatti avevano bisogno solamente di 290 kcal e 10g di proteine con un
raggiungimento del target da parte di circa l’80% del totale dei pz. Questo risultava in una riduzione
significativa dell’end point primario composito, quindi riduzione della mortalità per tutte le cause,
trasferimento in terapia intensiva, riospedalizzazione non elettiva, complicanze maggiori e stato
funzionale. Se ne tratto 25, uno incontrerà il target composito.
Nel secondo round si sono effettuate analisi anche per il declino funzionale superiore al 10%, i
famosi pz che entrano in ospedale totalmente autosufficienti ma quando tronano a casa sono
completamente allettati. Il trattamento nutrizionale permette di prevenire il declino funzionale severo,
è una delle strategie che concorrono a questo risultato.
Si è poi svolta un’analisi per sottogruppi, all’incirca 20 studi tutti pubblicati in riviste molto importanti:
questa ad esempio (immagine a destra)
dimostra che se si ha un pz molto
infiammato, con PCR>100, il
trattamento nutrizionale non funziona.
Questa è una tipica richiesta di
consulenza: che cosa fare con pz che
ha albumina bassissima ma PCR molto
levata? Prima è necessario cercare di
ridurre la PCR e solamente dopo si
riparlerà dello stato nutrizionale. Le
consulenze poi arrivano sempre senza
un peso, con impossibilità di calcolo di
un fabbisogno e molto spesso anche
senza l’indicazione dell’apporto
spontaneo. Successive analisi
appartenenti allo stesso gruppo,
partono da un pool di circa 2 mln di pz;
vengono estratti quelli con malnutrizione, da questi vengono a loro volta estratti quelli che avevano
ricevuto il supporto nutrizionale rispetto a quelli che non lo avevano ricevuto: si dimostrava un
significativo miglioramento della mortalità ospedaliera e soprattutto una riduzione significativa della
mortalità globale. Il trattamento ha un effetto significativo sia sulla mortalità che sulla ri-
ospedalizzazione a 30 giorni.
Un dato successivo è fornito da una metanalisi del 2019 sugli effetti del trattamento nutrizionale, la
quale afferma che se prendiamo in considerazione gli studi, soprattutto quelli pubblicati dopo il 2014,
c’è un effetto significativo: il diamante si sposta, non è grande però c’è evidenza che il trattamento
→ PZ ONCOLOGICI
Quando il pz oncologico viene ospedalizzato
vuol dire che è successo qualcosa di brutto: o
la patologia è peggiorata oppure ha avuto un
incidente, conseguente soprattutto a tossicità
da trattamento. Indipendentemente dallo
stadio di patologia, quando il paziente
oncologico riceve un trattamento nutrizionale
ha un aumento della sopravvivenza, dato molto
importante anche per quelli che sono in fase
palliativa.
Quando si investe in nutrizione, su di una persona come ad esempio il/la dietista, c’è un risparmio
netto rispetto alla spesa sanitaria globale del pz ospedalizzato, proprio perché alla fine dei conti si
rientra su quella che è la mortalità, le complicanze, la durata della degenza, le ri-ospedalizzazioni
ripetute e lo stato funzionale post ricovero.
Sono state prodotte anche delle linee guida e dei parametri da controllare, sempre dallo stesso
gruppo svizzero che ha prodotto lo studio EFFORT: questo studio è riuscito a mettere nero su bianco
quelle che prima erano solo delle norme di buona condotta con evidenza clinica ma che mancavano
di uno studio come questo. Come si fa quindi il monitoraggio della terapia nutrizionale? È necessario
dapprima rilevare parametri clinici con l’esame obiettivo e poi dati di laboratorio che prevedono un
monitoraggio variabile.
Altra cosa molto importante è che per la direzione sanitaria è quasi impossibile provvedere alla
richiesta di intervento di dietisti in tutti i reparti: ecco che interveniamo noi futuri medici che abbiamo
seguito le lezioni della professoressa (😉). In pz con NRS di 1-2 non sarà necessario rivolgersi alla
dietista. Quando viene seguito lo schema a lato, soltanto il 2% viene eletto a nutrizione artificiale e
il restante 98% invece è trattato o con dieta spontanea o con i supplementi. Anche quando si gira
nei reparti, la maggior parte delle volte, quando si vede una sacca di nutrizione parenterale, quella
è frutto di una prescrizione sbagliata in quanto si è sopravvalutato il rischio nutrizionale.
Riassumendo, le più recenti evidenze dimostrano che la terapia nutrizionale è clinicamente efficace,
in ospedale le evidenze sono ancora più forti. Oltre a ridurre la mortalità ed altri esiti clinici
sfavorevoli, è economicamente più vantaggiosa. Il percorso nutrizionale deve essere strutturato (non
fai da te) e la personalizzazione è un punto importante per raggiungere i target.
Quando è che si decide una terapia nutrizionale supplementare o una artificiale? Quando è
necessario chiamare il dietista?
Innanzitutto, diamo una definizione di nutrizione artificiale: nutrizione enterale e parenterale.
La definizione di Nutrizione medica o trattamento nutrizionale include anche i supplementi orali
perché sono alimenti a fine medico speciale. In Friuli, per alcune classi di pazienti, si possono
prescrivere e quindi i pz li ricevono gratuitamente al proprio domicilio per un periodo definito senza
ulteriori oneri.
Si chiede allo stesso pz o al personale di registrare quanto mangia del vassoio e successivamente
si promuove lo screening. Da qui si capisce se il pz è malnutrito tramite i diversi criteri già descritti.
Che cosa vuol dire Assunzione orale spontanea inadeguata? Il pz per un periodo uguale o
superiore a 7 giorni non mangia niente. ciò può essere conseguente a una chirurgia andata male
oppure a una patologia neurologica (es ictus) oppure a intubazione. Un altro esempio di assunzione
spontanea inadeguata è l’assunzione di meno della metà del pasto solito del pz.
Che cosa vuol dire malnutrizione imminente? Implica il fatto che il pz ha un severo rischio
nutrizionale, quindi, punteggio elevato allo screening oppure albumina < 3 in presenza di disfunzione
epatica (secondo la prof però questo genera un po' di confusione, abbiamo visto che l’albumina può
scendere anche per motivi indipendenti dalla disfunzione epatica)
L’intestino oltre alla funzione digestive di assorbimento, funzione immunitari e oltre al ruolo nella
risposta ipermetabolica, è importante perché possiede il microbiota. Tramite la sua funzione di
barriera e il mantenimento corretto del microbiota evita la traslocazione batterica.
Secondo studi effettuati su animali a digiuno con CVC, ai quali, ad intervalli diversi è stato asportato
e studiato l’intestino, hanno dimostrato che dopo soli 5 giorni la barriera inizia ad allargarsi con
iniziale lassità delle gap Junction. Questo facilità la traslocazione batterica. Alla comparsa di infezioni
in pazienti a digiuno e defedati talvolta è difficile stabilire se il microorganismo derivi dall’ambiente
ospedaliero o ad esempio dal tratto gastroenterico.
Esistono dei supplementi nutrizionali orali, da non confondere con gli integratori venduti nei
supermercati.
Possono essere:
• Completi, contenendo tutti i macronutrienti a percentuali variabili a seconda della necessità.
• modulari, composti da un singolo nutriente in polvere come le proteine del siero del latte
Whey proteins o a base di TGF-β (utilizzato nei bambini con le MICI che induce una
regressione del morbo di Chronn paragonabile a quella ottenuta nell’adulto con lo steroide.)
• Specifici per patologia, con una composizione ad oc come quelli per il diabete con bassa
percentuale di maltodestrine.
Ci sono moltissimi dati a supporto dell’elevata efficienza soprattutto in determinate popolazione
come quella anziana dove i supplementi modulari a base proteica si sono dimostrati efficaci nella
riduzione di ulcere da pressione.
Bisogna tenere a mente che sono pur sempre supplementi alla dieta e non sostitutivi.
Nutrizione enterale
La nutrizione enterale richiede un accesso che può essere di 3 tipi:
• Accesso gastrico: SNG o gastrostomia secondo diverse
modalità
• Accesso Duodenale un sondino un po’ più lungo che
procede sino alla prima ansa del duodeno o un stomia
duodeno digiuno stomia poco usata.
• Accesso nel Digiuno: digiunostomia chirurgica, effettuata in
sala tipico nei Tumori dell’esofago in cui viene tubulizzato lo
stomaco.
Posizionamento e valutazione
Per il posizionamento è fondamentale valutare la sede e la
durata dell’accesso. Se ho bisogno di un periodo inferiore a 4
settimane la nutrizione enterale o parenterale è definita a breve
termine, sopra le 4 settimane a lungo termine. Il SNG dopo 4/6
settimane va rimosso per il rischio di decubito sull’ esofago con
possibile stenosi infiammatoria.
È importante da subito sapere quindi la prognosi del paziente e
determinare il rischio di aspirazione, che è la più specifica
complicanza nella nutrizione.
1. Naso digiunale con rischio alto
2. Sopra le 4 settimane con rischio basso allora si opta per una gastrostomia
3. Con rischio elevato sopra le 4 settimane digiunostomia.
Una volta posizionato il SNG per assicurarsi che la manovra sia stata eseguita nel modo corretto si
utilizza il fonendoscopio, si può controllare che il con un saturimetro il paziente, che non inizi a
desaturare e in ultima battuta si può effettuare un RX per valutare che il SNG sia in sede
Sottodiaframmatica.
NUTRIZIONE ENTERALE
Se c’è necessità di nutrizione per più di 4 settimane si pensa direttamente ad un accesso a livello
dello stomaco. In particolare, si hanno due opzioni: la prima è una gastrostomia endoscopia
percutanea (PEG), posizionata dai gastroenterologi, la seconda una gastrostomia percutanea
radiologica, sotto controllo fluoroscopico (PRG). Sono tecniche largamente impiegate perché più
economiche ed effettuate in anestesia locale.
Le gastrostomie possono essere posizionate anche in sala operatoria che risulta conveniente solo
in corso di altro intervento e quindi se il paziente è già in anestesia generale. Lo stesso vale per la
laparoscopia.
Esistono poi anche le enterostomie post-chirurgiche, si parla quindi di digiunostomie, posizionate,
invece, sempre in corso di intervento o in laparoscopia.
Gastrostomia: Tecniche
Peg con tecnica “pull”: il paziente viene preparato
come se dovesse effettuare una gastroscopia, gli si fa
firmare un consenso per la sedazione profonda con
Midazolam. L’acquisizione del consenso risulta essere
un aspetto talvolta problematico in quanto spesso i
pazienti che hanno indicazione a metterla, come pz
con ictus, prima dell’evento morboso improvviso
stavano bene per cui non si era resa necessaria la
nomina di un amministratore di sostegno. Spesso
accadeva che non potendo far firmare il consenso, la
procedura non venisse effettuate nonostante vi fosse
indicazione assoluta. Talvolta si riesce a bypassare
questa problematica effettuando una PRG che non
richiede sedazione profonda.
Tornando alla tecnica: si effettua un’endoscopia,
l’endoscopio giunge a livello dello stomaco,
transillumina, per cui il punto dove si trova lo stomaco
è visibile anche dall’esterno, attraverso un ago si
punge, l’endoscopio recupera il filo guida che viene
estratto dalla bocca e sul filo guida viene infilata la
sonda costituita da un tubicino che si vede in parte
all’esterno e da un anello di ancoraggio che si chiama
Bumper.
Il diametro del tubicino esterno è pari a 20 French e questo costituisce un vantaggio rispetto alla
PRG (12/14 French) in quanto risulta molto più semplice da gestire a casa: bisogna considerare che
attraverso la PEG si somministrano farmaci, idratazione e nutrizione e con un diametro più piccolo
aumentano i problemi legati a un eventuale intasamento. La radiologica al contrario della PEG non
ha un anello interno che funge da ancoraggio ma è la parte interna stessa del filo che si arriccia
formando una matassina che blocca il tutto (bloccato ulteriormente da punti di sutura).
PRG con tecnica “push”. Il pz deve essere portatore di un sondino naso gastrico dalla sera
precedente. Nel sondino naso gastrico viene iniettato del bario, il quale evidenzia il filo del sondino
e l’interno dello stomaco alla fluoroscopia. Dove si vede il bario, si punge dall’esterno e si fissa la
PRG. Come anestetico invece del Midazolam si usa solo un po’ di lidocaina a livello della parete
addominale. Non prevedendo sedazione profonda, quindi, la PRG risulta essere indicata per tutti i
pz con insufficienza respiratoria come i pz con SLA (ad un certo punto della malattia necessitano di
questo tipo di nutrizione ma possono presentare contemporaneamente problematica respiratorie).
Un altro tipo di accesso utilizzato è la digiunostomia che in particolare si usa quando c’è rischio di
aspirazione oppure quando lo stomaco non funziona. È una tecnica particolarmente usata in terapia
intensiva in cui secondo le linee guida è fondamentale controllare il volume gastrico residuo che
deve assestarsi attorno ai 500 ml e andrebbe controllato se il pz presenta clinica con addome
meteorico o diarrea. Oppure è una procedura che interessa un pz che presenta una paresi gastrica
persistente inseguito a intervento chirurgico o per cui è impossibile posizionare la PEG.
LE MISCELE NUTRIZIONALI
Le miscele per nutrizione enterale derivano da prodotti naturali, anche quelle industriali, e si
presentano in forma liquida o semiliquida.
Le miscele naturali artigianali, ossia fatte in casa, tritate e somministrate al paziente tramite
sondino nasogastrico, un tempo venivano utilizzate per la terapia di pazienti cronici (anche pediatrici,
ad es. con paralisi cerebrale infantile o malformazioni intestinali) con nutrizione enterale, soprattutto
nel Sud Italia. Sono usate in cardiochirurgia e terapia intensiva ma attualmente ne è sconsigliato
l’utilizzo sia in ambito ospedaliero che domiciliare, poiché vi è un maggior rischio di contaminazione
batterica e una perdita rilevante di micronutrienti dovuta alla preparazione del cibo tritato, che non
permette di misurare l’esatto apporto nutrizionale.
A partire dalle miscele naturali si sono sviluppate quelle artificiali, distinte in:
- Semi-elementari, composte da nutrienti parzialmente idrolizzati;
- Polimeriche o ‘standard’;
- Specifiche con composizione specifica per patologia.
Vedremo ora ognuna di queste tre tipologie nello specifico.
Le miscele artificiali semi-elementari contengono nutrienti allo stato naturale, sono pre-digerite e
vengono date nei pazienti che soffrono di patologie legate al malassorbimento, come quelle
infiammatorie croniche (MICI) o la sindrome da intestino corto. Altre indicazioni (da slide):
enteropatie da raggi, pre e post-chirurgia del tratto intestinale, paziente critico, svezzamento dalla
NP.
Le miscele semi-elementari sono composte di piccole molecole e hanno quindi un’osmolarità più
alta rispetto alle formule standard. Questo le rende più facilmente assorbibili e digeribili, ma dà allo
stesso tempo un maggior rischio di diarrea, per cui ad oggi il loro uso è più limitato di un tempo.
Le miscele polimeriche o ‘standard’ sono quelle più comunemente usate nei reparti ospedalieri.
Contengono proteine, glucidi e lipidi complessi che derivano da comuni alimenti o sostanze trattate
industrialmente. Si distinguono in base alle calorie in ipo, normo o ipercaloriche e in base al
contenuto proteico in normo o iperproteiche. Possono essere arricchite con fibre o essere specifiche
per pazienti pediatrici
Il team della prof.ssa Crocé ha molto lavorato sulla nutrizione nel paziente con insufficienza epatica,
poiché questi pazienti possono giungere alla nostra attenzione in uno stato di digiuno che nel
paziente con IE causa un peggioramento dello stato di salute nonostante la somministrazione di
aminoacidi. Per questo, ad oggi è indicata la somministrazione di una miscela ipercalorica che
contiene aminoacidi ramificati o branched-chain aminoacids (BCAA ovvero Leucina, Isoleucina, e
Valina – è semplice ricordarli grazie all’acronimo LIV) e lipidi facilmente assorbibili. Questo permette
di prevenire l’encefalopatia epatica.
Relativi al paziente:
- Patologia di base e stato metabolico: condizionano i fabbisogni e la sede di infusione;
- Funzione gastrointestinale: condiziona le caratteristiche della miscela.
Possono essere:
• Correlate all’accesso
• Correlate all’infusione
o Complicanze correlate al sito di inserzione
o Complicanze correlate alla gestione (come viene fatta la procedura)
▪ Aspirazione: è la complicanza più temibile. Il paziente aspira il materiale
somministrato e sviluppa una polmonite chimica da aspirazione, in genere
severa, anche perché chi fa nutrizione enterale è già per definizione un
paziente complesso;
▪ Sintomi GI (alterazioni dell’alvo, nausea, distensione), sono in genere minori;
▪ Conseguenze metaboliche: possono essere gravi, ma si manifestano più
frequentemente con la nutrizione parenterale.
SNG
• Epistassi: sia con il sondino che con la PEG si può avere sanguinamento locale, in genere
minimo;
• Intubazione vie aeree: con il SNG bisogna fare attenzione quando si inserisce a non
sbagliare e finire in trachea, cosa che può essere grave. È fondamentale inviare sempre tutti
i pazienti, anche quelli che vengono seguiti da casa, a fare una radiografia per verificare il
posizionamento prima di iniziare ad usare l’accesso;
• Rottura varici esofagee: nel paziente epatopatico avanzato, es. in coma epatico, in cui c’è
necessità di una nutrizione affinché il coma non peggiori. Quando si va a mettere il sondino,
bisogna fare attenzione a non creare danni a livello di varici esofagee;
• Malposizionamento, di solito in trachea
PEG
• Sanguinamento
• Puntura accidentale di altri visceri, es. intestino
• Pneumoperitoneo, conseguente a perforazione o di intestino o di stomaco
• Decesso, rarissimo
SNG
• Decubito: se viene lasciato in sede troppo a lungo, può decubitare sull’esofago creando serie
lezioni della parete, di conseguenza dopo 6 settimane va rimosso;
• Reflusso gastroesofageo: il sondino mantiene beante il cardias, favorendo i meccanismi del
reflusso e anche dell’aspirazione, soprattutto nei pazienti incoscienti;
• Dislocazione;
• Ostruzione.
PEG
• Lesione peristomale: si possono creare arrossamenti e lesioni e, soprattutto se il tubo è
piccolo, ci può essere fuoriuscita di materiale gastrico acido/caustico che erode la pelle
procurando una lesione rossastra. È uno dei casi in cui bisogna smettere di utilizzare la PEG,
passare alla parenterale e aspettare che la cute guarisca e l’ostio rimargini;
• Infezione del sito
• Buried bumper
• Erosione o ulcera gastrica
• Fistole: soprattutto con PEG mal posizionata;
• Volvolo: più che con la PEG si vedono con la digiunostomia, in cui il tubicino localizzato a
livello della prima ansa digiunale può provocare una torsione dell’ansa digiunale.
ASPIRAZIONE
È la complicanza più severa e causa più frequente di ricovero, ed è anche il motivo per cui di solito
la nutrizione enterale non viene avviata. In realtà ci sono molte evidenze che dimostrano che la
microaspirazione, ovvero l’aspirazione salivare, avviene nel 50% delle persone durante il sonno, ma
questo non porta a problemi di insufficienza respiratoria. Sono stati fatti studi anche su pazienti in
nutrizione enterale, e si è visto che sono più a rischio quelli che presentano un alterato stato di
coscienza. Di conseguenza, il rischio è maggiore nei pazienti neurologici (ictus ed emorragie
cerebrali che possono dare disfagia) e ricoverati in ICU con sondino e in sedazione, i quali, oltre ad
essere incoscienti, non presentano il riflesso della tosse.
Fattori favorenti:
• Alterazione stato di coscienza
• Grave RGE
• Paresi gastrica
• Abbondante ristagno gastrico
• Ostruzione pilorica
Fattori protettivi
Aiutano a prevenire l’aspirazione. Sono di pertinenza prevalentemente infermieristica.
• Infusione con paziente semiseduto: il paziente durante la somministrazione andrebbe
sempre tenuto seduto a 45°. Se durante il tirocinio dovessimo accorgerci di qualche paziente
con SNG completamente disteso, siamo autorizzati ad alzare lo schienale del letto (capita
spesso che durante manovre di igiene lo si abbassi e poi ci si dimentichi di rialzarlo);
• Infusione continua vs bolo: se si somministra tramite pompa di infusione anziché a boli, lo
stomaco si riempie di meno e si ha meno rischio di aspirazione;
• Infusione post-pilorica vs pre-pilorica: prima del piloro il rischio è maggiore;
• Utilizzo stomie vs sonde
• Utilizzo tubi endotracheali cuffiati: la tracheostomia deve avere una tracheo cuffiabile, ovvero
deve poter essere gonfiata per aumentare la pressione;
• Utilizzo procinetici: es. domperidone, motilium, peridon, favoriscono lo svuotamento dello
stomaco.
ALTERAZIONI DELL’ALVO
Diarrea
Viene anche detta intolleranza alla
nutrizione artificiale. Quando succede,
soprattutto se il pz è arrivato a target
dell’induzione o utilizza una miscela
particolare, si riduce la velocità, si
ritorna a 40cc/ora e si rimette una
miscela standard. Quando un pz ha
diarrea, però, soprattutto se sta
facendo terapia antibiotica, è
fondamentale escludere che si tratti di
infezione da Clostridium Difficile. È
importante quindi effettuare una
coprocoltura. Per quanto riguarda i
fattori scatenanti correlati alla nutrizione (visibili nella slide) a parte l’intolleranza ad alcuni nutrienti il
resto è correlato alla procedura, riguardano quindi l’infermiere: ad esempio la velocità di
somministrazione è troppo alta o la miscela non è stata conservata correttamente e c’è una
contaminazione batterica, oppure non è stato cambiato tutti i giorni il set come da linee guida.
Stipsi
Meno frequente della diarrea. È correlata a:
• Diete prive o povere di fibre
• Insufficiente apporto di liquidi
• Patologie neuromuscolari
• Farmaci che riducono la motilità
• Immobilità fisica, es. nel paziente allettato.
Secondo il FUT il paziente non deve fare nutrizione continua ma durante le 12 ore diurne gli deve
essere somministrata la nutrizione mentre nelle 12 ore notturne gli deve essere somministrata
l’idratazione, il rapporto deve essere 1:1 (ad ogni ml di nutrizione deve corrispondere 1 ml di acqua).
Per coloro che fanno i boli, invece, quando si somministra la terapia si danno anche 200/300cc di
acqua ogni volta (il fabbisogno d’acqua corrisponde circa a 30 cc pro kilo). Quando un paziente è
stitico, nelle ore notturne, deve essere aumentata l’acqua (un pz con scompenso cardiaco viene
gestito meglio se la somministrazione dell’acqua avviene per intestino piuttosto che endovena).
Francesca Micele Diletta Paneghetti
7.2, Terapia Medica e Nutrizione 30/11/2022
Un’altra possibile soluzione è quella di inserire le fibre. Infine, è importante indagare la causa e
trattare eventualmente la patologia neuromuscolare sottostante, ad esempio, o modificare
un’eventuale terapia che prevede farmaci che riducono la motilità intestinale.
A prescindere dai siti d’inserzione (che possono essere i più disparati: dal cavo popliteo all'ascella),
gli accessi venosi vengono classificati in base alla posizione della punta del catetere:
ACCESSO CENTRALE: la punta del catetere si trova nel terzo inferiore della vena cava
superiore o a livello della giunzione tra cava e atrio destro. Spesso il catetere viene inserito
perifericamente, in una zona distante da foci infettivi potenziali, come la vena omerale o quella
brachiale. Da qui, grazie ad una lunga porzione interna, raggiunge la posizione centrale. Consente
l’infusione di NP con osmolarità >850 mOsm/L, ad elevato contenuto calorico, proteico ed elettrolitico
(nelle nutrizioni periferiche il potassio, a causa della sua flebolesività, viene integrato per os) con un
rapporto tra kcal e volume di 1:1. Permette quindi il completo raggiungimento del fabbisogno
giornaliero e la creazione di una via stabile per somministrare anche altri farmaci.
I devices utilizzati sono:
- PICC (Peripherally Inserted Central Catheter): catetere che viene inserito a livello del braccio (di
solito vena brachiale) la cui punta arriva a livello centrale, lungo 40-60cm. Viene impiegato per NP
ed infusioni centrali per periodi <6 mesi con uso continuo o discontinuo. Viene inserito con guida
ecografica ed è necessario che il pz ne controlli settimanalmente la pervietà. La punta può avere
una conformazione variabile ad una, due o tre vie: quest’ultima, nonostante la comodità che offre
nell’uso, presenta un maggior rischio infettivo, a fronte del quale spesso si preferisce inserire due
PICC ad una o più vie; in genere ciò si osserva nei pz oncologici, in cui il rischio derivante da una
possibile infezione è più alto. Le tre vie sono impiegate nei reparti “più sicuri”, come in Rianimazione.
Il vantaggio principale offerto da questo device rispetto ai cateteri centrali tradizionali (es. Catetere
giugulare) è il minor rischio infettivo (dato l’inserimento a livello del braccio). A causa del calibro
minore, tuttavia, presenta un rischio di trombizzazione maggiore.
- Catetere esterno tunnellizzato: presenta un segmento di lunghezza variabile posto esternamente
alla medicazione, per poi inserirsi nel vaso. Rimangono in sede anche 2-3 anni. La particolare
disposizione consente di osservare facilmente il sito di entrata e il segmento esterno rende più
complesso per i microbi cutanei l’accesso al circolo, scongiurando le infezioni.
- PORT: sistema totalmente impiantabile costituito da un serbatoio sottocutaneo (che crea una
piccola e poco visibile sporgenza sulla cute del paziente) e da un tratto interno. All’occorrenza,
tramite un ago specifico (ago T o di Huber), si punge la cute accedendo al serbatoio sottocute.
Questo device viene impiegato in particolare in ambito oncologico, dove le somministrazioni di
chemioterapico sono generalmente settimanali. Non risulta adeguato infatti per un utilizzo quotidiano
né alla terapia parenterale. Si consideri poi che le infezioni della tasca del PORT richiedono un
approccio chirurgico.
Esistono poi altri accessi centrali (cateteri venosi standard) che utilizzano vena giugulare interna,
vena succlavia (minor rischio infettivo) o vena femorale. Gli accessi femorali, alla luce del loro alto
rischio infettivo, non vengono mai usati per NP, a meno che non ci si trovi in condizioni estreme.
Tutti i cateteri vengono sempre posizionati sotto guida ecografica.
Di seguito vengono riassunte le principali differenze tra catetere tunnellizzato e PORT:
IMMEDIATE – si manifestano entro 48 ore e sono associate all’impianto del catetere. Questo gruppo
di complicanze è variabile per frequenza e tipo. Esse dipendono dall’esperienza dell’operatore,
dall’utilizzo della guida ecografica (il cui impiego riduce le complicanze ed è indicato in tutte le linee
guida) e dall’accesso scelto, in particolare dal calibro della vena.
Le complicanze immediate vengono distinte in base alla frequenza:
Frequenti:
1. Ematoma da puntura arteriosa accidentale
2. Pneumotorace – si osserva meno del 5% dei casi e maggiormente negli individui molto magri.
In genere è dovuto ad una puntura a livello dell’apice polmonare, quando il catetere si trova
nella succlavia.
3. Aritmia – da discesa della guida metallica o della punta del CVC in atrio o addirittura in
ventricolo. Sono molto rare come complicanze.
4. Mal posizionamento del catetere – il catetere si ripiega nelle vene del collo senza giungere
nella struttura bersaglio.
L'insuccesso dell’incannulazione in generale è più frequente in pazienti con BMI<20 o >30, sottoposti
a pregressa chemioterapia e/o numerose incannulazioni, a pregressa chirurgia o radioterapia. Le
pregresse procedure a carico delle vene hanno particolare peso nel pz pediatrico con insufficienza
intestinale (per i più svariati motivi), poiché è l'integrità del patrimonio venoso che consente l’impiego
della NP, scongiurando o per lo meno rimandando il trapianto di intestino (che è una procedura
gravata da scarsi outcomes).
Come già visto per la PEG, anche dopo il posizionamento del CVC è sempre opportuno acquisire
una RX toracica (soprattutto quando il rischio teorico di pneumotorace è alto).
Domanda di uno studente: quante volte, nella stessa sede, può essere inerito un cvc? Una volta. Se
non si riesce al primo approccio in generale si cambia sede. La difficoltà sta nel fare il giro dentro
alla succlavia, e solo se no si riesce si provano altrie sedi nel distretto superiore. L’accesso femorale
è sconsigliato (è l’ultima spiaggia), sia per il rischio infettivo sia perché disturba la deambulazione.
Rare:
1. Embolia gassosa – da ingresso di aria.
2. Emotorace
3. Tamponamento cardiaco
4. Decesso – osservato sporadicamente, generato da complicanza maggiore intratoracica.
TARDIVE – possono insorgere a distanza di una settimana dal posizionamento o al momento della
rimozione. In questa categoria, le più importanti sono quelle di tipo infettivo (le altre vengono definite
non infettive).
Non infettive:
Meccaniche
1. Pinch-off – pizzicamento del tratto di catetere che passa tra la clavicola e la prima costa,
quando viene posizionato per via succlavia;
2. Kinking – inginocchiamento di un tratto del catetere;
3. Rottura del catetere;
4. Disconnessione del reservoir (per es. nel PORT);
5. Dislocazione della punta;
1
Ipoglicemia: correggere con soluzione glucosata (5-40%).
tale deve rispondere alle norme di buona preparazione dei medicinali in farmacia
secondo la farmacopea ufficiale XII Ed. 2008.
Dato il costo elevato, il loro utilizzo a Trieste è generalmente limitato al reparto di
neonatologia (preparazione delle sacche per prematuri). Tuttavia, è possibile
richiederle al Burlo in casi selezionati (es. pazienti sovrappeso o malnutriti,
insufficienza renale od epatica, etc.).
RICHIESA NPT
Il modulo a lato va compilato per richiedere alla farmacia
ospedaliera le miscele parenterali totali (NPT)
preconfezionate: la richiesta è nominativa e va compilata ogni
volta che si richiedono le sacche (ogni 2-3 giorni in media).
A differenza delle miscele parenterali periferiche, quelle centrali
presentano un’osmolarità elevata (varia da 1300mOsm\L a
1500mOsm\L)2. La massima osmolarità tollerata da una vena periferica è di circa 700 – 750 mOsm\L
(cut-off miscele periferiche), motivo per cui la somministrazione di miscele a maggiore osmolarità è
responsabile di una flebite chimica. È importante quindi segnalare sempre in maniera chiara sul
foglio di terapia se la miscela è da somministrare attraverso CVC o catetere periferico.
Nel modulo si possono poi scegliere le concentrazioni di macro- e micro-nutrienti desiderate. La
lettera “E” indica la presenza di oligoelementi. Da tener presente che:
- Il glucosio e i lipidi servono solo per soddisfare il fabbisogno calorico il primo step è
calcolare il fabbisogno calorico del paziente (con formula di Harris-Benedict o 25-30 kCal/kg)
per controllare se corrisponde alle calorie non proteiche contenute nella sacca;
- Il conto delle proteine, data la sua importanza e il minimo contributo sulle calorie totali,
dev’essere fatto separatamente bisogna tener conto delle patologie del paziente (es.
insufficienza renale) per la scelta della sacca, considerato che il contenuto in proteine varia
dai 50g fino a 100g;
- Si decide il tipo di sacca e il suo volume totale in base alla capacità del paziente di gestire i
liquidi (es. IRC).
Esempi di applicazione clinica delle sacche presenti nel modulo:
- Nutrispecial Lipid trova indicazione nel paziente nefrologico: consiste di un piccolo volume
totale (625ml) ed è caratterizzata da una quantità di lipidi elevata. I lipidi forniscono 9kcal/g;
- Olimel N9E trova indicazione nel paziente in condizione catabolica: ha contenuto
amminoacidico elevato;
- Olimel N7E: essendo una formulazione caratterizzata da un contenuto glucidico elevato non
va prescritta nel paziente con tendenza all’insulino-resistenza.
2
Il plasma ha un’osmolarità di circa 300mOsm\L.
Silvia Prosdocimo Francesca Muffato
8.2, Terapia Medica e Nutrizione 07/12/2022
CASO CLINICO
- AD, maschio di 65 anni
- Dal verbale del PS (24/11):
Situazione attuale: paziente inviato dall’Oncologia per ricovero per disidratazione (PA 80/50,
somministrato Emagel 500 ml 1 flc con miglioramento della volemia), non assume nulla per
os da 5 giorni
La disidratazione è conseguente a mucosite orale
+ radiodermite di grado 3 post Radioterapia +
Cetuximab in paziente con diagnosi di carcinoma
squamoso dell’orofaringe localmente avanzato
Recente calo ponderale (da 80 a 70 kg in 2 mesi)
Contattata geriatria, disponibile posto letto se
tampone negativo
Tampone naso-faringeo negativo
- Esami di laboratorio:
Emoglobina di 9.6 g/dL e MCV di circa 89 fl
anemia normocitica;
Piastrine nella norma.
- Come impostare il trattamento?
1. Per prima cosa bisogna accertarsi che il paziente presenti un accesso venoso
fondamentale non solo per la nutrizione parenterale e l’idratazione ma anche per la
somministrazione delle terapie (es. terapia steroidea per la mucosite) essendo il paziente
impossibilitato all’assunzione per os;
2. Bisogna scegliere il tipo di catetere più adatto in tal caso un CVC a medio termine (il
paziente presentava già un PICC);
3. La disidratazione è strettamente correlata all’IRA (complicanza) si controllano gli elettroliti
e la creatininemia rispetto alla precedente o, in alternativa alla creatinina, si calcola la VEGF.
Un altro marcatore surrogato di disidratazione, che può ritardare l’inizio della nutrizione
artificiale, è la sodiemia in una condizione di iper-sodiemia (valore ≥ 146 mEq/L) la
somministrazione di una miscela ad osmolarità elevata può peggiorare il quadro, motivo per
cui si avvia la nutrizione artificiale solo quando si ha una normalizzazione dei livelli di sodio;
4. Altri marcatori da tenere in considerazione per l’impostazione del trattamento sono:
a. Albumina in questo caso è bassa (2.70g/dL) ma verosimilmente reale, non si tratta
infatti di un paziente con flogosi in atto;
b. Emoglobina essendo bassa (9.6 g/dL) bisogna indagare se l’anemia è conseguenza
della terapia con Cetuximab o se è legata ad una carenza di ferro (ferritinemia);
5. Un paziente che ha perso 10kg in due mesi e che non mangia da 5 gironi secondo la scala
di valutazione della malnutrizione è un soggetto a rischio elevato si tratta di un paziente
malnutrito, aldilà del suo indice di massa corporea, perché presenta perdita di peso e severità
di patologia;
6. Le linee guida europee prevedono l’utilizzo del sondino naso-gastrico nella mucosite di grado
1 e 2 e l’utilizzo della terapia parenterale a partire dal grado 3. Quando si imposta un
trattamento nutrizionale in questo tipo di paziente è necessario avere degli accorgimenti
perché il rischio di complicanze è elevato.
Le complicanze metaboliche della nutrizione artificiale possono essere suddivise in:
Precoci:
o Squilibri idro-elettrolitici;
o Alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e azotato;
Tardive:
o Alterazioni epatobiliari;
o Alterazioni del metabolismo osseo;
o Carenze di micronutrienti: queste sono più frequenti con la terapia enterale.
Si riscontrano perlopiù in pazienti da anni in terapia nutrizionale.
COMPLICANZE PRECOCI
Squilibri idro-elettrolitici, si possono riscontrare due situazioni:
Eccesso: (vedi paziente oncologico/terminale)
a. Ritenzione idro-sodica;
b. Sovraccarico cardiocircolatorio.
Da tenere in considerazione soprattutto nella nutrizione parenterale, che prevede
l’utilizzo di miscele ad alta osmolarità: è necessario correggere le disionie, se presenti,
prima di procedere con la parenterale.
Carenza:
a. Disidratazione iperosmolare;
b. Shock ipovolemico.
Da tenere in considerazione soprattutto nella terapia enterale: quando non viene prevista
la somministrazione dell’acqua insieme alla formula con rapporto 1:1 (1mL di acqua e
1mL di formula) si rischia di incorrere nella disidratazione iperosmolare fino ad arrivare
allo shock ipovolemico.
Alterazioni equilibrio acido-base:
Ipo-ipernatriemia: l’iponatremia è tipica della somministrazione a lungo termine di una
parenterale periferica (ipocalorica e, di conseguenza, presenta una minor concentrazione di
sodio); l’ipernatremia si verifica nei pazienti con insufficienza renale e nei pazienti con
disidratazione;
Ipo-iperpotassiemia: le sacche tendono ad essere un po’ povere di potassio per cui bisogna
fare continui controlli e vedere se implementarlo in altro modo;
Ipo-ipermagnesiemia: l’ipokaliemia è solitamente legata a un deficit di magnesio: agendo su
uno dei due si corregge anche l’altro;
Ipo-iperfosforemia: preoccupa più l’ipofosforemia poiché è segno di sindrome da
rialimentazione;
Ipo-calcemia: la concentrazione di calcio depositata nelle sacche non è un dato assoluto
perché il calcio circola legato all’albumina per cui bisognerà indagare i livelli di albumina per
correggere il valore e in caso valutare il calcio ionizzato;
Acidosi metabolica ipercloremica;
Acidosi ipopotassiemica.
3
N.B. Questo non significa che la terapia enterale non dia complicanze!
stesso (questa è la causa più frequente, perché le sacche di solito hanno una composizione
standard). Un’altra causa può essere l’insulino-resistenza. È importante monitorare i valori
della glicemia, per non slatentizzare un’iperglicemia. Anche lo stato settico e la terapia con
corticosteroidi sono associati ad insulino-resistenza. Un altro problema che si può verificare
è che gli zuccheri semplici, quando non vengono utilizzati, si accumulano a livello del fegato
e in periferia formando glicogeno, ma possono essere anche convertiti in trigliceridi. Per
questo motivo, accade spesso che compaia un’ipertrigliceridemia molto marcata (>500
mg/dl) che espone il paziente al rischio di pancreatite acuta.
Ipertrigliceridemia, aumento di AST, ALT, GGT;
Ipoglicemia: di solito compare quando viene sospesa improvvisamente la terapia parenterale
in un paziente che la assumeva da tempo, in quanto persiste la produzione di insulina
endogena da parte del pancreas; andrebbe quindi sospesa gradualmente con scalo.
COMPLICANZE TARDIVE
Interessano pazienti in terapia parenterale da molto tempo.
Complicanze epatobiliari: il primo rischio è che si verifichi un depauperamento del patrimonio
venoso, il secondo è lo sviluppo di steatoepatite/steatonecrosi che può portare a cirrosi e fibrosi.
Altre complicanze possono essere: colestasi intraepatica, anormalità biochimiche (transaminasi,
fosfatasi alcalina) e colelitiasi (quando un paziente non ha più accessi e si alzano le transaminasi
è da mettere in lista trapianti cit.!).
Carenze di micronutrienti
4
In grassetto quelle nominate dalla prof a lezione.
MONITORAGGIO DELLA NA
I parametri vanno controllati periodicamente nei
pazienti il cui trattamento è di lunga durata; questi
non sono solo parametri nutrizionali o correlati
all’accesso, ma anche clinici: il paziente che va in
terapia artificiale di solito ci va per un altro
problema, che va considerato. La prognosi della
malattia di base condiziona anche la prognosi della
nutrizione. Ad esempio, un paziente neurologico
che ha avuto un ictus e che si riabilita dalla disfagia
dopo un anno toglie la PEG (se presente) e mette il
sondino; viceversa, se il paziente ha un tumore del
distretto capo-collo con conseguente disfagia, si
attendono alcuni anni perché se dovesse
ripresentare una recidiva potrebbe essere utile
tenere la PEG.
INSUFFICIENZA INTESTINALE
CASO CLINICO
Maschio di origine indiana, nato il 19/10/1988 da gravidanza gemellare. Alla nascita pesa 2400 g, e
presenta un quadro di occlusione intestinale per volvolo; dunque, deve essere sottoposto a
resezione intestinale estesa con ileostomia terminale (residui 2 cm di digiuno + 10 cm di ileo), quadro
che lo condanna a nutrizione parenterale domiciliare notturna 7 giorni su 7.
A febbraio 2018, presenta una febbricola da oltre 3 settimane. Il medico che lo segue prescrive un
ecocardiogramma che riscontra una massa di 21x7.5 mm adesa alla punta del catetere in atrio dx.
Vengono effettuate emocolture che risultano positive, con conseguente diagnosi di endocardite
batterica. Dunque, il pz viene ricoverato in Malattie Infettive per il proseguo della terapia e si opta
per rimuovere il PICC.
Il problema è che durante la sua vita il paziente aveva già visto posizionarsi 50 accessi venosi
centrali e gli è stato esplicitamente detto che una volta inserito il PICC in questione non sarebbe
stato possibile inserirne di altri. Quindi il pz gira per i vari centri di nutrizione italiani, in cerca di un
trapianto di intestino che, però, viene posticipato il più possibile poiché rappresenta l’ultima strategia
terapeutica disponibile e non viene eseguito ovunque, ma solo in grandi centri.
Quando il pz giunge all’attenzione della Prof, si è preso un piccolo accesso periferico per la NP
anche se non rappresenta la soluzione ideale.
[A quanto pare il pz ha scritto un libro “Ventiquattro frammenti di noi” che la Prof inclue nelle slide e
che vi riportiamo qua sotto.
“Ne ho passate davvero tante nella mia vita. Per i primi 3 anni sono stato dentro e fuori l’ospedale
di Trieste, il mio periodo all’asilo e le scuole elementari sono stati problematici perché non potevo
mangiare tutto quello che mangiavano gli altri, ma andatelo a spiegare a un bambino di 4 o 5 anni.
Sono cresciuto deriso dai bambini e dai ragazzi che distorcendo il mio nome di origine indiana mi
chiamavano Amicotappo, perché a causa della mia condizione non ero certo tra i più corpulenti o
alti del gruppo.
Mio padre è sempre stato presente mi ha sempre seguito in tutti i miei viaggi in Italia e in Europa
alla ricerca di una cura. Lui era con me tutte le volte che ho dovuto affrontare un cambio di catetere
attraverso cui mi sono alimentato per anni, lui era con me tutte le volte che ho avuto qualche
complicazione e ho dovuto affrontare toracotomie, sternotomie e d altri interventi per un totale di
80”].
DEFINIZIONE CLINICA
L’insufficienza intestinale (Intestinal Failure), dal punto di vista internistico, rappresenta la riduzione
della funzione intestinale al di sotto del minimo necessario per l’assorbimento di
macronutrienti, acqua ed elettroliti, tale da richiedere la supplementazione per via
endovenosa, al fine di mantenere uno stato di salute.
Diversa è l’insufficienza
intestinale enterica (Intestinal
Insufficiency), intesa come
malassorbimento, che però
non richiede un supplemento
endovenoso per mantenere
un corretto stato di salute e
favorire la crescita, o
comunque non prevede la
supplementazione di tutti i
macro e micro nutrienti.
Rientrano in quest’ultima
categoria le malattie
infiammatorie intestinali
croniche, la Celiachia etc.
• ridotto introito alimentare ma funzione intestinale intatta come ipofagia correlata a malattia,
anoressia nervosa o qualsiasi altro disordine psichiatrico;
• uso di NP per rifiuto di NE altrimenti efficace. È il caso della NP posizionata senza che ci
sia una chiara indicazione);
CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE
Sulla base dell’esordio, dei criteri metabolici e prognostici, è possibile suddividere l’insufficienza
intestinale (IF) in:
• Tipo I - acuta, di breve durata e di solito autolimitantesi, tipica dei pazienti che vanno
incontro ad un’operazione chirurgica;
• Tipo II - condizione acuta prolungata, più frequente della precedente, si verifica spesso
in pazienti metabolicamente instabili, richiede un approccio complesso multidisciplinare e
supplementazione endovenosa per un periodo variabile di settimane o mesi;
• Tipo III - condizione cronica, può rappresentare l’evoluzione della tipo II, si verifica
in pazienti metabolicamente stabili e richiede supplementazione endovenosa per mesi o
anni. Può essere reversibile o irreversibile.
Le patologie alla base di un’insufficienza intestinale cronica benigna sono suddivisibili a loro
volta in 5 gruppi, ordinati in base alla prevalenza (dalla condizione più frequente a quella più
rara):
3La prof riporta il caso di un operario che fa un incidente sul lavoro. Nonostante sia andato contro ad un
bancale, presenta un rachide perfettamente integro, senza fratture. Tuttavia, si forma un’incisione all’origine
dell’arteria mesenterica superiore che non si è riusciti a chiudere tramite cateterismo endovascolare, con
conseguente ischemia intestinale massiva → resezione intestinale → intestino corto.
5Il Morbo di Hirschsprung, detto anche Megacolon congenito agangliare, è una patologia causata da un
difetto di innervazione, in seguito ad un arresto nello sviluppo e nella migrazione delle cellule nervose gangliari,
che si manifesta con una forte difficoltà nell’evacuazione delle feci [integrazione dal web]
3) Fistole spontanee o acquisite (chirurgiche), come nel caso delle ileostomie. Infatti, più
l’intervento si localizza nelle porzioni alte dell’intestino, maggiore è la perdita di liquidi ma
soprattutto di macro e micro nutrienti.
Le fistole in questione possono essere anche temporanee e costruite per mettere a riposo
l’intestino.
5) Ostruzione meccanica
Per quanto riguarda invece l’insufficienza intestinale cronica secondaria a neoplasia attiva,
essa prevede l’integrazione della NP al trattamento, soprattutto se al momento della
chemioterapia presenta una sintomatologia tale per cui non riesce ad alimentarsi a sufficienza.
È stato dimostrato che la NP aiuta il pz e lo supporta al termine della terapia antitumorale.
[“Se vedete i pz oncologici è come entrare nell’arena, nel Colosseo, il torero con il toro davanti.
Il medico rappresenterebbe il torero perché vi è l’idea impropria che la nutrizione salvi la vita al
paziente, quando invece essa aiuta a completare il trattamento antitumorale, il vero salvavita”
cit. – non l’abbiamo capita].
6Per causare un quadro di insufficienza intestinale la MICI deve esse severa. Di queste, però, se ne vedono
poche perché disponiamo di un arsenale terapeutico efficace.
La Prof fa l’esempio un ragazzo polacco affetto da Chron con danno esteso, probabilmente con una o più
stenosi, che è stato operato più volte e dunque presenta una condizione di intestino corto. Questo paziente
viene sempre invitato ad intervenire nei congressi europei di nutrizione e racconta la sua storia anche al
Parlamento Europeo, a rappresentanza di tutti gli altri pazienti che si trovano in una condizione simile.
7Altro esempio di una paziente ricoverata in pneumologia qualche anno fa per insufficienza respiratoria, con
BMI 11. La diagnosi di immunodeficienza comune variabile, alla base del malassorbimento intestinale, è
arrivata solo dopo 5 anni, dopo multipli ricoveri per infezioni polmonari ricorrenti e, solo tardivamente, la
paziente ha potuto iniziare una terapia parenterale.
• atteggiamenti diversi verso le cure palliative (in alcuni casi è vista come supporto del fine
vita in altri no)
INTESTINO CORTO
Si parla di intestino corto quando la lunghezza del tratto
residuo è inferiore ai 200 cm. Esistono varie tipologie di
intestino corto a seconda delle caratteristiche dell’intervento
chirurgico: se il paziente presenta un’enterostomia terminale
per esempio cutanea, il quadro sarà differente da anastomosi
digiunocolica o da un’anastomosi digiunoileocolica. Questo è
da tenere presente per la riabilitazione e per le possibilità di
svezzamento dalla nutrizione parenterale.
[Integrazione Sbobine coorte 2017 (utile soprattutto per comprendere i punti che seguono)
I peptidi YY, il GLP-1 e il GLP-2 vengono rilasciati nella prima fase della secrezione alla vista
del cibo e hanno la funzione di secernere insulina per l’assorbimento di glucosio, ma anche
di rallentare lo svuotamento gastrico (ileal brake, letteralmente “freno ileale”), al fine di
favorire l’assorbimento ottimale dei macro e micronutrienti. Se la zona ileo-colica viene
asportata si verificherà uno svuotamento molto rapido con un riflesso ileo-colico marcato. Ne
controllare i livelli di colesterolo, ma in questo caso prescritta per prevenire la diarrea causata dai
Sali biliari.
Per quanto riguarda la riduzione dell’assorbimento di B12, il rischio è di sviluppare anemia
macrocitica megaloblastica: di fronte ad un paziente pallido, astenico e che presenta in anamnesi
resezione gastrica o diagnosi di Morbo di Chron, una delle ipotesi diagnostiche deve essere proprio
questa.
Il ferro e i macronutrienti sono assorbiti nei tratti più alti dell’intestino e dunque per un
malassorbimento a questi livelli deve verificarsi una resezione massiva (come 10 cm).
L’acqua viene internalizzata prevalentemente nel colon.
Tra le condizioni peggiori, come detto precedentemente, vi è la resezione della valvola ileocecale
che causa:
• Riduzione del tempo di transito nel piccolo intestino con conseguente malassorbimento;
• Overgrowth batterico con malassorbimento di vitamina B12, lipidi e acidi biliari
e conseguente diarrea;
• Dilatazione e ridotta motilità del piccolo intestino;
• Traslocazione batterica;
• Danno epatico.
L’immagine sottostante è uno schema riassuntivo di quali sostanze sono assorbite nelle varie
componenti dell’apparato digerente. La Prof consiglia di utilizzarla anche per l’esame di Medicina
Interna per avere una panoramica delle conseguenze del malassorbimento, a seconda delle zone
interessate.
SCELTA TERAPEUTICA
In primis è necessario studiare il
malassorbimento dal punto di vista
anatomico, nel caso di una
chirurgia, ed eziologico se il
problema è clinico.
Il trattamento può essere di tipo
conservativo o sostitutivo. In
entrambi i casi si supporta il pz con
NP, rivalutandolo periodicamente
nella speranza che il fabbisogno
energetico si riduca e che il pz
riesca a svezzarsi dalla nutrizione.
Infatti, l’intestino può andare
incontro a riabilitazione.
Ci sono delle condiziono che richiedono senza dubbio la nutrizione parenterale:
• In base alla lunghezza del tratto residuo
o < 100 cm con anastomosi digiunocolica- sotto i due metri si parla di intestino corto
ma quando l’intestino residuo è inferiore al metro si sa che il paziente necessiterà di
una nutrizione parenterale, soprattutto se il pz presenta una digiunostomia terminale;
o < 65 cm con anastomosi digiunocolica;
o < 30 cm con anastomosi digiunoilelae.
• In base all’assorbimento
o Se il fabbisogno calorico è < 84% della spesa energetica a riposo;
o Se l’acqua assorbita è < 1.41 L/d3, condizione tipica del paziente con diarrea
importante (ecco perché in chirurgia le perdite fecali vengono quantificate).
• motilità
o deficit parziale o totale
Dunque, i fattori che comportano una dipendenza dalla nutrizione e parenterale sono:
• anatomia dell’intestino residuo
o lunghezza dell’intestino tenue
o presenza del colon
o presenza dell’ileo terminale della valvola ileocecale
La Prof fa un altro esempio di una paziente che va incontro ad una resezione intestinale due volte e
solo alla fine con la NP migliora. Di seguito si riporta il caso su cui la professoressa non si è però
soffermata:
«Intorno al 2004-2005 si sono susseguiti sempre più ricoveri e accessi al PS per via di inspiegabili
coliche che si sono tramutati nel tempo in dolori sempre più forti e costanti, tali da obbligarmi a
ricercare una causa chiara e netta, che non mi veniva fornita. Diagnosi che ancora oggi, a 50 anni
e un vissuto tra sala operatoria, e rianimazione non mi è stata resa ancora nota. Sono state fatte
diverse supposizioni: porfiria, morbo di Crohn e sindrome aderenziale post-chirurgica [parto
cesareo]. Ho subito un intervento di resezione di una larga fetta di intestino. Larga sì,
nonostante quello che mi era stato detto inizialmente dai chirurghi che mi hanno fatto sapere
unicamente che non avevo perduto molto.
Mi ero imposta una rigorosa dieta da seguire forse le cose non erano andate bene fino a quel
momento anche per questo.
Nell’estate del 2016 un dolore si è acceso in me ed è aumentato, aumentato e mi sentivo morire
dal dolore. In PS ricordo di aver letto sulla cartella clinica le parole «il paziente giunge in reparto in
coma, oppure se mi concentro riaffiora un frammento di vita durante il quale qualcuno dice «Questa
non la riprendiamo. Facciamo comunque un tentativo».
Sono stata dimessa con una diagnosi di infarto intestinale, mi era divenuto impossibile
alimentarmi normalmente e tutto quello che mangiavo si traduceva in dolori e vomito continui. A
lungo andare le forze mi stavano abbandonando. Mi sono messa alla ricerca di una soluzione e alla
fine l’ho trovata. Sono stata indirizzata presso quello che pensavo essere un semplice
gastroenterologo e invece è divenuto la mia salvezza. Dopo aver provato con diversi integratori sono
stata indirizzata verso la nutrizione parenterale, dalla quale sono ormai dipendente con catetere
Port-a-cath. 4 o 5 giorni la settimana sono vincolata alla mia nutrizione per un totale di 12-14 ore
circa, col tempo ho imparato a gestirla da sola. Ho recuperato il peso perduto, e la mia vita ha trovato
un equilibrio insperato dopo tutto quello che ho patito».
SVEZZAMENTO DA NP
In generale, il distacco dalla NP dipende
dall’adattamento intestinale che a sua volta è
relazionato a:
• Patologia di base
• Tipo di chirurgia eseguita
• Quantità del supporto nutrizione necessario
• Utilizzo di alcuni farmaci
Si tenga presente che la sopravvivenza dei pz in
nutrizione parenterale domiciliare è piuttosto elevata.
Come si evidenzia del grafico a sinistra, a 5 anni il 70%
dei pz è ancora vivo, a significare che la NP funziona
(in assenza di diagnosi terminale).
Qual è la probabilità di staccarsi dalla enterale? Fino a due anni di follow up la maggior parte dei
pz può svezzarsi dalla NP, mentre successivamente la curva raggiunge un plateau, poiché
termina la possibilità di riabilitazione dell’intestino stesso (grafico a destra).
ADATTAMENTO INTESTINALE
L’adattamento intestinale rappresenta un processo fisiologico e spontaneo di compensazione per
aumentare l’assorbimento in seguito a resezioni intestinali estese. Comprende modificazione
strutturali e funzionali dell’intestino, evidenziate sia su modelli animali sperimentali sia sull’essere
umano. Inizia precocemente e varia tra un individuo e l’altro. Si protrae per 1-2 anni ed è assente o
molto alterato nella digiunostomia terminale, ovvero quando viene resecato ampiamente il colon.
In particolare, nell’animale si è osservato:
• Modificazioni strutturali (ileo)
o Iperplasia, angiogenesi, incremento di villi e cripte
o Dilatazione, allungamento intestino residuo
• Lipidi: soprattutto gli acidi grassi a catena corta che sono prodotti dal microbiota intestinale
a partire dai carboidrati il beta-idrossibutirrato.
Tra acidi grassi saturi e insaturi e tra omega 3 e omega 6 ancora dati contrastanti
• Amminoacidi: il transito endoluminale ne è la maggior fonte per gli enterociti.
La glutamina è la fonte energetica più importante per gli enterociti oltre che substrato per la
sintesi proteica, ma solo negli studi preclinici.
• Carboidrati: Presentano un carico osmotico elevato e provocano diarrea a volte.
NB: I nutrienti più complessi hanno funzione trofica maggiore
Gli acidi grassi a catena corta hanno un effetto benefico a livello del fegato perché stimolano la
gluconeogenesi e la lipogenesi.
APPROCCIO CHIRURGICO
Chirurgia riparativa:
-Se c’è una fistola si ripara
-Si ripristina la continuità intestinale prima
possibile. Se il paziente ha una stomia
considerare se è arrivato il momento di
ripristinare la continuità
Allungamento intestinale:
-Tecnica Bianchi: l’intestino viene sezionato a metà,
creando, così, un doppio lume in questo modo la
superficie assorbente si raddoppia.
-STEP (enteroplastica trasversale seriata) dove
l’intestino viene sezionato e vengono create delle
“festonature” per allungare la superficie- è un intervento
fatto soprattutto nell’adulto
Trapianto intestinale:
-piccolo intestino con il colon
-altri organi addominali
-parete addominale.
CHIRURGIA RIABILITATIVA
TERAPIA FARMACOLOGICA
EFFETTI IN STUDI
CLINICI
È dimostrato che riduce
la dipendenza da
somministrazione
parenterale:
-riduce il volume
riduce la frequenza
d’infusione
EFFETTI AVVERSI
• Aumentato rischio di sviluppo di
adenomi e adenocarcinomi del colon.
In realtà non è stato ancora visto, il
farmaco è stato introdotto da poco
quindi bisognerà aspettare ancora
qualche anno.
• Polipi colo-rettali.
• Ostruzione gastrointestinale
• Patologie della colecisti, vie biliari e
pancreatite.
• Sovraccarico di fluidi
• Aumenta l’assorbimento di alcuni
farmaci
Con il passare del tempo tutti questi effetti
collaterali non si sono verificati per cui si è dimostrato che è una terapia sicura.
Un’ulteriore cosa che veniva affermata è che una volta smessa la somministrazione di Teduglutide
tutto tornava come prima; in realtà il paziente può avere ancora un po’ bisogno di nutrizione
parenterale ma non come all’inizio, come se ci fosse una memoria metabolica.
CONSIDERAZIONI:
Domanda: abbiamo parlato di pazienti pediatrici seguiti da appunti i pediatri ma una volta passati
alla maggiore età c’è un passaggio verso un’equipe adulta?
Risposta: abbiamo due centri di riferimento per l’adulto: uno a Torino e l’altro a Bologna e sono in
contatto con la parte pediatrica e hanno prodotto dei documenti, uno in particolare che si occupa
della transizione e definisce in maniera molto specifica da che momento il paziente deve essere
preso in carico e con quali modalità. Quando il ragazzo ha 16-17 anni le visite dovrebbero avvenire
in presenza della persona che dovrà seguire il ragazzo durante la maggiore età e c’è anche proprio
la proposta di una cartella in comune per transitare in maniera assolutamente sicura.
C’è un caso ambiguo di una ragazza seguita fino a 18 anni del Burlo e poi superata la maggiore età
ha un po’ perso i riferimenti.
Sbobinatore: Carlotta Salvi Revisore: Caterina Ambroset
9.2, Terapia Medica e Nutrizione 14/12/2022
GM ha 66 anni, friulano, affetto da anni dalla Glicogenosi di tipo 2, detta anche Malattia di Pompe.
Dal 2009 è in terapia con un farmaco orfano, l’Alglucosidasi-alfa, con dosaggio di 20 mg/kg ev ogni
2 settimane.
All’anamnesi prossima:
- Non deambula da almeno 10 anni
- Da 5 anni usa la NIV, sempre con maggiore intensità
- Continua a perdere peso, fino ad arrivare a pesare meno di 55kg
- Nega disfagia
- Assume circa 1600 kcal/die, ripartite in due pasti
- Poche proteine animali (si stanca a masticare)
- Il pasto dura poco e non riesce a finire il piatto (gli manca l’aria)
Un anno dopo, al controllo pneumologico il pz riferisce di essere dipendente dalla NIV 24/7, vi è un
ulteriore calo ponderale, non è compliante con la terapia nutrizionale impostata e lamenta disfagia
per cibi solidi.
Il quadro clinico si è quindi complicato, con diverse componenti che contribuiscono al peggioramento
globale:
- Insufficienza respiratoria con ipercapnia
- Anemia severa
- Peggioramento della malnutrizione
- Peggioramento della performance muscolare
In generale, ma specie per l’anemia, non vi è una chiara consecutio causa-effetto, non si capisce
chi causi cosa.
Il paziente pertanto viene inviato verso una ventilazione meccanica: si confeziona una tracheostomia
e si avvia la ventilazione invasiva risolvendo il quadro respiratorio.
Nel paziente tracheostomizzato con una malattia muscolare la seguente strategia da adottare è
l’esecuzione di PEG, con avviamento di una nutrizione enterale con una miscela di tipo standard,
ossia polimerica ipercalorica e iperproteica. Il target è 30 kcal/kg/die e 1.4 g/kg/die di proteine.
Per quanto riguarda l’anemia, è l’alterazione che ha probabilmente fatto precipitare il fragile
equilibrio.
Dopo vari accertamenti diagnostici (EGDS, colonscopia, TC) si trova l’origine alla base:
adenocarcinoma del sigma stadio II.
Tuttavia, nell’immediato post-operatorio, il pz lamenta febbre con incremento degli indici di flogosi,
dispnea con abbondante muco fuoriuscente dalla tracheostomia: segni di polmonite da ventilatore.
La terapia per la polmonite da ventilatore consta di antibiotico ad ampio spettro e non amoxicillina.
Alla risoluzione della VAP, il paziente però lamenta dolore addominale, stipsi, ematochezia, febbre
e iniziale ischemia della stomia. All’esecuzione della TC si evidenziano dunque segni di colite
ischemica.
Viene dunque sottoposto ad un re-intervento chirurgico di colectomia totale (in 8° giornata),
mantenendo la valvola ileo-ciecale.
Viene confezionata una ileostomia e il paziente è trasferito presso la terapia intensiva, proseguendo
la NE.
Con l’ileostomia e la NE si ha tuttavia molto probabilmente una situazione di creazione di fistola ad
alta portata, quindi l’assorbimento non è sufficiente e l’elevata osmolarità della miscela favorisce la
fuoriuscita di liquidi secretori intestinali: il paziente va incontro a disidratazione e IRA su base pre-
renale.
Dal punto di vista nutrizionale, a questo punto viene avviata NPT via CVC e potenziata l’idratazione
con Reidratante terza (RIII).
La stomia perde ogni giorno circa 3.5 litri di acqua, in lento calo; c’è un costante miglioramento della
funzionalità renale con ioni nella norma e viene impostata una terapia antibiotica ad ampio spettro.
Il paziente viene così dimesso in 10° giornata post operatoria in corso di svezzamento da NPT a
favore della NE che terminerà dopo circa 3 mesi con output da stomia entro livelli accettabili (<600
ml/die). Torna a 6 mesi con un peso di 56kg senza supporto della NPT.
Si propongono dei casi clinici reali di difficoltà crescente, di conseguenza potrebbero differire
leggermente dalle nozioni accademiche finora acquisite. All’esame vengono forniti dei sintomi e si
discute una diagnosi differenziale, ma spesso nella discussione si va ad esplorare anche le
conseguenze, le complicanze e la gestione degli imprevisti.
I CASO CLINICO
Signora di 82 anni, casalinga, fumatrice fino a 30 anni fa, vive con il marito di cui si occupa, aiutata
da due figli ma limitata dal punto di vista funzionale poiché cammina con bastone.
APR
Interstiziopatia sclerosante
Scompenso cardiaco cronico
Ipertensione arteriosa essenziale
Extrasistolia ventricolare monomorfa bigemina, senza trattamento
Dislipidemia in trattamento
Aterosclerosi carotidea non critica
Ischemia cronica cerebrale
Pregresso COVID-19 paucisintomatico
Pregresse colecistite acuta alitiasica, colangite e biliopancreatite in calcolosi della via biliare
principale sottoposta a ERPC con sfinterotomia, bonifica e colecistectomia per via
laparoscopica
Ipotiroidismo subclinico
Coxartrosi e gonartrosi verosimilmente a causa del bastone
Recentemente, intervento di cataratta bilaterale; degenerazione maculare bilaterale legata
all’età
ANAMNESI FARMACOLOGICA
- Bisoprololo 1,25 mg 1 cp ore 8
- Furosemide 25 mg 1 cp ore 8
- Pantoprazolo 20 mg 1 cp ore 7
- Valsartan 80 mg 1 cp ore 8
- Simvastatina 20 mg 1 cp ore 8
Sebbene la quantità di farmaci non sia eccessiva se si considera l’anamnesi, è comunque possibile
modificare la terapia eliminando il pantoprazolo.
ECOGRAFIA:
- Polmone: sliding pleurico mantenuto, pattern B bilaterale
- Cuore: sezione dx dilatata, vena cava inferiore di 23 mm ipocollabente in inspirio
- Arto inferiore sx: TVP femoro-poplitea.
ESAMI EMATOCHIMICI
Iponatriemia, urea, e creatinina aumentata. La co-presenza di ipercreatininemia e alcalosi
compensata suggerisce comunque una prevalenza della componente respiratoria su quella renale.
PROBABILITÀ PRE-TEST
Sarebbe importante a questo punto considerare
anche INR e D-dimero, ma in realtà di fronte a
una clinica simile il D-dimero non è necessario:
combinazione di segni e sintomi clinici con
presenza di fattori predisponenti per TEV
(tromboembolismo venoso) consente di
classificare il paziente con sospetta embolia
polmonare in categorie di probabilità clinica o
pre-test, che corrispondono a un aumento di
prevalenza effettiva di embolia polmonare
confermata. Si utilizzano principalmente gli score di Ginevra rivisitato e di Wells. Si parla di
probabilità di embolia del 10% (bassa), 30% (moderata) e 65% (alta), corrispondenti a punteggio di
Wells rispettivamente inferiore a 2, compreso tra 2 e 6 estremi inclusi e superiore a 6. In questo
caso, la pz presenta sintomi di TVP ma nessuna diagnosi alternativa (es. emotrombofilia congenita,
neoplasia, terapia estroprogestinica), perciò il punteggio è già di 6 e il D-dimero non è necessario.
Tale valore è un prodotto della fibrinolisi e livelli elevati indicano un trombo di recente formazione,
ma bisogna tenere presente che è un’indagine poco specifica e altamente sensibile. Infatti, è
facile trovare livelli elevati di D-dimero in seguito anche a piccoli traumi e la pz è stata recentemente
sottoposta a intervento di cataratta. Livelli negativi sono altamente sensibili per assenza di embolia
polmonare e se associati a un rischio pre-test basso-moderato sono sufficienti per escluderne la
IMAGING
A questo punto si fa angio-TC per
confermare la diagnosi ed effettivamente
si rileva embolia polmonare sub-
massiva con presenza di trombi
grossolani a carico delle principali
diramazioni delle arterie polmonari
bilateralmente, estesi per diversi
centimetri, con lieve aumento di calibro
dei vasi ilari. A livello parenchimale si segnala enfisema diffuso, bronchiettasie e aspetto a vetro
smerigliato, coerentemente con la nota pneumopatia a carattere sclerosante.
TERAPIA
- Pz va quindi in Medicina d’Urgenza, viene trattata con ossigenoterapia con HFNC e in
seguito con VM 40%.
- Somministrata poi terapia anticoagulante con enoxaparina a dosaggio ridotto per la
funzione renale (100 UI pro Kg/die)
- Corretta iponatriemia con bolo di soluzione fisiologica
- Per segni clinici e laboratoristici di scompenso (NT-proBNP > 35000 pg/mL) si aumenta
dosaggio diuretico
- Per tendenza a ipotensione sospesa terapia antipertensiva con Valsartan
ECG risulta inalterato - onde T negative da V2 a V6, che non sarebbe esattamente il pattern
dell’embolia polmonare, servono quindi ulteriori indagini. Si esegue quindi ecocardio transtoracico
per cui si evidenzia una disfunzione ventricolare dx probabilmente secondaria all’embolia, infatti
presenta pressioni polmonari elevate.
GERIATRIA
Pz trasferita in geriatria, dove si compie valutazione iniziale: la signora si presenta vigile e
collaborante, orientata spazio/tempo, eupnoica con VM 40%, PVC nei limiti e RAG negativo. Cute e
mucose appaiono normoidratate, mentre l’edema all’arto inferiore sx è improntabile fino alla coscia.
EO neurologico: Mingazzini I e II eseguiti senza slivellamenti, non deficit di forza.
EO torace: mv normotrasmesso, crepitazioni bibasali, qualche ronco a sx. Attività cardiaca ritmica,
toni puri, pause apparentemente libere.
EO addome: trattabile, non dolente né dolorabile, peristalsi presente, organi addominali non
palpabili; Murphy, Blumberg e Giordano negativi. Catetere vescicale in sede.
NB! La professoressa ci tiene a sottolineare che questa è la valutazione fatta in campo professionale
e “fatta male”, noi all’esame dobbiamo ricordarci lo schema ispezione palpazione percussione
auscultazione e scrivere tutto dimostrando di sapere, organo per organo.
DECORSO
A completamento diagnostico viene eseguita eco-doppler agli AAII con evidenza di trombosi femoro-
poplitea. Si prosegue terapia anticoagulante parenterale, inizialmente con eparina a basso peso
molecolare, poi sostituita con apixaban 10 mg x 2 per 7 gg, 5 mg x 2 a seguire, inoltre viene
posizionata una calza elastocompressiva per evitare comparsa di flebopatia varicosa, secondo lo
schema qui presentato. Il motivo per cui non si è introdotto subito l’apixaban è probabilmente legato
al fatto che la pz non era ancora stabile a livello di filtrato glomerulare e di fabbisogno di ossigeno.
Si registra tuttavia un nuovo rialzo degli indici di flogosi senza sintomatologia respiratoria, PCR arriva
a 118,9 mg/L. All’urinocoltura si evidenzia un quadro di IVU (a causa del Foley) da Klebsiella
pneumoniae e Proteus mirabilis, si esegue quindi ciclo antibiotico per os di amoxicillina-clavulanato
per 6 gg, al che la PCR scende a 5,8 mg/L.
La pz viene valutata dal fisiatra e inizia FKT, muovendo qualche passo ma necessitando ancora di
aiuti per lo spostamento da letto a poltrona.
DIMISSIONE
La donna viene dimessa in RSA per FKT dopo l’attivazione del distretto di competenza, viene
consigliata una visita pneumologica a completo miglioramento clinico. Le prescrizioni terapeutiche
ora sono:
- Apixaban 5 mg 1 cp ore 8 1cp ore 20
- Bisoprololo 1,25 1 cp ore 8
- Simvastatina 20 mg 1 cp ore 8
- Furosemide 25 mg 2 cp ore 8
- Spiriva Respimat (tiotropio) 2,5 mcg 1 inalazione ore 8
CONCLUSIONI
L’incidenza dell’embolia polmonare è 8 volte superiore negli individui anziani rispetto alla quinta
decade di vita. Nel caso della signora, i principali fattori di rischio erano immobilità post-intervento,
ipertensione arteriosa e sovrappeso. La presentazione clinica dell’embolia polmonare è molto
varia, in questo caso si è trattato di dispnea, ma si può avere anche emottisi, dolore toracico e pre-
sincope/sincope.
Si riporta questa slide che non viene commentata dalla prof, in quanto semplice
promemoria
II CASO CLINICO
Uomo di 91 anni, vedovo, vive solo in appartamento al piano terra, riceve assistenza dai due figli
solo in faccende domestiche più pesanti e deambula senza ausili.
VMD: ADL pre-ricovero 5-6 e IADL 6/8, funzione cognitiva intatta ma BMI di 18 e MNA di 15, presenta
quindi malnutrizione.
APR
- Cardiopatia ischemica multipla postinfartuale e valvolare con severa disfunzione VSX
(FE 32%), pregressi IMA multipli sia STEMI sia NSTEMI, gli ultimi nel 2022
- Protesi valvolare aortica per stenosi aortica, residuo leak periprotesico, insufficienza
mitralica moderata, aneurisma aorta addominale
- Pacemaker bicamerale per parossismi di BAV II grado Mobitz 2, blocco di branca sx
- IRC
- Pregresso TIA
- Aterosclerosi carotidea non critica, ipercolesterolemia, alterata tolleranza a glucosio
TERAPIA DOMICILIARE
- ASA 100 mg 1 cp/die
- Lansoprazolo 30 mg 1 cp/die
- Furosemide 25 mg 1 cp/die + 1 cp a gg alterni
- Spironolattone 25 mg 1 cp/die a gg alterni
- Bisoprololo 1,25 mg 1 cp/die
- Rosuvastatina/ezetimibe 20/10 mg 1 cp/die
- Fino a due gg prima faceva anche Clopidogrel 75 mg, interrotto per ematoma
- Recentemente ridotto il diuretico per ipotensione
Giunge in PS per astenia e ipotensione da diversi giorni. Qui si presenta vigile e orientato T/S,
collaborante, eupnoico in AA, con PA di 90/60, FC di 60 bpm R e SpO2 98% AA. Sono tuttavia
evidenti: disidratazione muco-cutanea ed edemi declivi improntabili al livello di AAII e dorso. PVC
aumentata, RAG positivo. Si evidenziano lividi cutanei, esiti di ecchimosi post-contusive. All’EO
toracico il mv risulta ridotto in base dx e si avvertono crepitii basali a sx; a livello cardiaco si evidenzia
un soffio sistolico di 2/6 in mesocardio.
La diagnosi più ovvia a questo punto risulta essere quella di scompenso cardiaco.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Riflessione: si suppone che ci sia uno scompenso cardiaco riacutizzato poiché in questo caso
abbiamo edemi declivi improntabili bilateralmente, RAG positivo, PVC aumentata… il passo
successivo è andare a vedere la situazione polmonare: questo paziente presenta un versamento
pleurico a destra (tipico dello scompenso cardiaco congestizio).
Quando, invece, il versamento si localizza a sinistra si può pensare allo scompenso cardiaco ma
anche a processi neoplastici, polmonite… Inoltre, è rilevante che lo SC esclusivamente destro non
presenta edema polmonare acuto.
Commento: il rene è suggestivo di una IRC di base; tra gli esami ematici nulla è in ordine: la creatinina è alta
(IRA su IRC) accompagnata a iponatriemia, iperkaliemia, aumento dell’uremia.
Queste ultime sono da abbassare con la terapia medica e, se presente refrattarietà al trattamento medico, va
avviata la dialisi.
L’aumento spontaneo dell’INR è dovuto a un fegato da stasi.
DIAGNOSI DEFINITIVA
è IRA SU IRC con IPERKALIEMIA SECONDARIA in SCOMPENSO CARDIACO
RIACUTIZZATO (destro? – in quadro di fegato da stasi).
VALUTAZIONE NEFROLOGICA
EO: PA 85/50 mmHg; cute e mucose asciutte; edemi declivi, oliguria: 200 cc di urine ematiche.
Diagnosi nefrologica: quadro di IRA oligurica su IRC.
VALUTAZIONE CARDIOLOGICA
Ecoscopia: VS dilatato, ipocinetico, severamente disfunzionante, IM moderata, disfunzione protesi
aortica con leak peri protesico moderato, VD con disfunzione moderata-importante, IT moderata,
VCI dilatata e ipomobile, versamento pleurico destro. L’IRA riconosce come origine la bassa portata
cardiaca.
Diagnosi cardiologica: quadro di scompenso cardiaco avanzato con peggioramento della funzione
renale in possibile quadro da bassa portata.
Conclusioni: continuare con idratazione e stimolazione diuretica, eventualmente valutare breve ciclo
di dobutamina 2,5 mcg/Kg/min1. Si definisce, quindi, un quadro di sindrome cardio-renale.2
SINDROME CARDIO-RENALE
Definizione: spettro di alterazioni che coinvolge sia il cuore che i reni, in cui la disfunzione acuta di
un organo può indurre una disfunzione acuta o cronica nell’altro.
Genesi della CRS:
o Elevate pressioni venose centrale e renale
o Insufficiente riempimento arterioso
o Elevate pressioni intra - addominali
o Perturbazioni neuro - ormonali
o Stress ossidativo
I pazienti si dividono in due macrogruppi: quelli con sindrome cardio-renale e quelli con sindrome
reno-cardiaca in base al primum movens, entrambe possibili sia in una forma cronica che in una
forma acuta.
Meccanismo d’azione: il cuore è incapace di generare un adeguato flusso anterogrado con
conseguente ipoperfusione renale. Ne consegue una congestione venosa renale con esaurimento
del meccanismo di compensazione renale che esita in una riduzione del eGFR.
è Scenario di presentazione: contrazione della diuresi con corrispondente incremento
dei valori sierici di creatinina e urea.
PROBLEMATICHE INTERCORRENTI
Viene rimosso il catetere vescicale con tentativo di ripresa della minzione spontanea cui segue
comparsa di agitazione psico – motoria con fluttuazione dello stato di coscienza e componente
allucinatoria. All’eco - bed - side si rileva presenza di globo vescicale per cui viene riposizionato il
catetere di Foley con risoluzione dell’episodio di delirium.
VALUTAZIONE NUTRIZIONALE
Peso = 47 Kg; BMI = 18 kg/mq in severa deplezione della massa muscolare accompagnata da
scarso appetito.
Vengono stimati i fabbisogni nutrizionali energetici (30 Kcal/Kg) e proteici (0,8 g/Kg) con un BMI
desiderabile di 22 Kg/mq.
1
Il suo utilizzo è ‘rischioso’ in quanto c’è la possibilità che il paziente non si svezzi più dalla dobutamina con
peggioramento immediato ad ogni tentativo di rimozione della terapia.
2
I medici avevano chiesto un parere sull’utilizzo del glicosurico (antidiabetico ora approvato anche nell’ambito dello
SCC) ma il cardiologo ha detto di no a causa dell’età.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022
Si opta per una dieta ipercalorica a controllato apporto di carboidrati semplici con alimenti morbidi e
integrazione con ONS ipercalorici – ipoproteici per paziente nefropatico (250 Kcal – 5 g di
proteine/brick).
ALLA DIMISSIONE
3
Inizialmente il paziente del caso clinico era stato inviato in reparto per una presa in carico di tipo palliativo, ma, vista
la sua autonomia di partenza, si è poi tentato il possibile per riportarlo in uno stato di compenso.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022
3° CASO CLINICO
INTRODUZIONE
Studentessa universitaria affetta da
insufficienza intestinale secondaria a
CIPO4 primaria congenita in forma
neuropatica, intestino corto da esiti
chirurgici, sacroileite e severa
malnutrizione proteico-calorica. La
paziente è stata seguita dal Burlo fin dai
primi anni d’età per storia di occlusioni
intestinali recidivanti dovute
sostanzialmente all’assenza delle
strutture gangliari intestinali. Viene
classificata come portatrice di un’insufficienza intestinale di tipo III, ovvero una condizione cronica
in paziente metabolicamente stabile, richiedente supplementazione endovenosa per mesi o anni, a
carattere reversibile o irreversibile.
4
CIPO = Pseudo ostruzione cronica intestinale: malattia con prevalenza del 0.8/100.000; rapporto M/F 1,5:1; età di
esordio: qualsiasi età. Simile all’Hirschsprung provoca una ridotta funzionalità intestinale con dilatazione delle anse. La
possibilità di svezzamento dalla nutrizione parenterale è veramente molto bassa per questi pazienti.
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin
10.2 Terapia medica e nutrizione 16 Dicembre 2022
APR - 18 anni in su
Nel 2016 viene ricoverata per malnutrizione
e disidratazione severa e viene avviata la
terapia con NP inizialmente via MidLine e
poi via PICC.
Viene dimessa ma ricoverata nuovamente
dopo 6 mesi per subocclusioni recidivanti,
malnutrizione proteico calorica con
febbricola e peggioramento del quadro
reumatologico. Al riscontro di elevati livelli
di E. Coli nel liquido di drenaggio
gastrostomico viene avviata una bonifica
antibiotica con risoluzione dei quadri
enterico ed articolare e mantenimento della
NP via PICC. In seguito la paziente manca
ai controlli per impegni personali.
Nel 2017: quadro di astenia profusa; paziente ipotesa e disidrata con riscontro di anemia microcitica
(HB 6.2 g/dL, MCV 70.5 fl) e severa disionia (K = 2.33 mEq/L) per cui viene ricoverata nuovamente.
Ipotesi anemia microcitica in questo caso specifico:
o Flogosi cronica: esclusa perché dovrebbe essere normocromica e normocitica;
o Malassorbimento: considerata perché la ferritina si conferma bassa.
L’ipokaliemia, invece, si spiega con la tendenza della paziente a svuotare frequentemente lo
stomaco, soprattutto durante le riacutizzazioni (mediamente 4600 mL/die) determinante una
verosimile alcalosi metabolica ipocloremica corretta con infusione di soluzione fisiologica ed
elettroliti concentrati. Viene anche trasfusa con 2 U di emazie concentrate e SOF sempre positivo.
A quadro clinico rientrato viene eseguita una EGDS: non lesioni mucose apparenti, non segni di
sanguinamento; ed una colonscopia: substenosi dell’anastomosi ileo-colica con evidenza di flogosi
ileale in presenza di fistola paranale anteriore e ragade anale in fase di guarigione.
MARZO 2018
Si presenta in Reparto per astenia
ingravescente e sintomi simil-influenzali.
Riferisce che il PICC spande gocce di
miscela parenterale e che è in attesa di
sostituzione dello stesso.
Durante l’osservazione ha un picco febbrile
a 38° con tosse stizzosa e al torace si
rilevano crepitii medio basali a destra.
Vengono chiesti gli esami ematici urgenti e
un RX torace in cui non si evidenzia nulla a livello dei campi polmonari.
N.B. nella polmonite la clinica precede la diagnostica radiologica.
TERAPIA
Piperacillina-Tazobactam aggiustata per VFG (trattata come una HAP).
ALTRI APPROFONDIMENTI
Esame ematico colturale:
o Esame della punta del catetere;
o Doppio prelievo da catetere centrale e periferico e valutazione del differential time to
positivity.5
In questo caso vengono eseguiti entrambi e il CVC si positivizza per cocchi gram + a grappolo in 6
h contro le 12 h del CVP -> la causa è l’infezione del CVC.6
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
o SEPSI DA CATETERE
o ENDOCARDITE SETTICA CON EMBOLIZZAZIONE POLMONARE
ALTRI APPROFONDIMENTI
Ecocardio transtoracico + Ecocardio transesofageo: endocardite della valvola tricuspide con
vegetazione in parte adesa all’atrio destro con lieve IM.
TERAPIA
Sospesa Piperacillina-Tazobactam, inizia l’Oxacillina.
Ripete l’RX torace con comparsa di sfumato addensamento al campo medio a destra. PCR oscillante
e ogni tanto febbre.
TAC TORACE: addensamenti multipli con escavazione che depongono per presenza di multipli
focolai di embolizzazione settica a partenza dal focus endocarditico.
DECORSO CLINICO
Diagnosi: endocardite da MSSA su valvola tricuspide nativa, ascessi polmonari e versamento
saccato, batteriemia versosimilmente PICC correlata in paziente con sindrome dell’intestino corto.
Si consiglia:
o Visita del chirurgo toracico (che sceglie di non drenare il versamento);
o Prosecuzione della terapia con Oxacillina;
o Aggiunta la Levofloxacina per il quadro polmonare;
o Rivalutazione cardiochirurgica alla luce di RMN cardiaca (stabile);
o Monitoraggio degli indici di flogosi.
Viene trasferita in Malattie Infettive dove prosegue la terapia antibiotica con necessità di aggiunta di
terapia steroidea ad alte dosi per riacutizzazione del quadro di artrite enteropatica in diversi distretti.
Viene infine dimessa con CVC femorale destro, sostituito poi con un PICC.
PROBLEMI APERTI
o Persistenza di anemia moderata da deficit marziale, periodicamente corretta con terapia;
o Malnutrizione proteico calorica dipendente da NP (7/7); volume totale mal tollerato per
comparsa di edemi declivi e periorbitari.
è Anche qui è importante la gestione del paziente all’interno di un’equipe multidisciplinare.
5
Emocolture convenzionali prelevate contemporaneamente dal catetere e dal sangue periferico. La positività si ha
quando entrambe le colture dal CVC risultano positive 2 ore e più prima rispetto a quelle dal sangue periferico.
6
Il laboratorio chiama sempre per i dati critici in modo da impostare precocemente la terapia antibiotica mirata. In
questo caso lo Stafilococcus Aureus era sensibile quasi a tutto
Sbobinatore: Sara Zubin
Revisore: Marta Morin