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FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di laurea in Fisioterapia

Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche

Coordinatore Prof. Daniele La Barbera

LA RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE CON SCOMPENSO


CARDIACO CONGESTIZIO

TESI DI LAUREA DI RELATORE


MICHELANGELO MAGRI’ PROF. DOMENICO DI RAIMONDO
INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I
LO SCOMPENSO CARDIACO

1.1 DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO


1.1.1 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOLOGIA
1.2 DIAGNOSI
1.3 TEST DIAGNOSTICI
1.4 TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

CAPITOLO II
LA RIABILITAZIONE IN SOGGETTI CON SCOMPENSO
CARDIACO

2.1 LA RIABILITAZIONE CARDIOVASCOLARE: LE LINEE GUIDA NAZIONALI


2.2 IL CICLO RIABILITATIVO CARDIOLOGICO
2.3 LA RIABILITAZIONE CARDIOVASCOLARE NEI PAZIENTI ANZIANI

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE

La riabilitazione cardiovascolare (RC) è un intervento complesso offerto ai


pazienti con malattia cardiaca, che include componenti di educazione alla salute, consigli
sulla riduzione del rischio cardiovascolare, l’attività fisica e la gestione dello stress.
Essa modifica significativamente la prognosi del paziente (riduzione del 27% per
tutte le cause di mortalità e riduzione del 31% della mortalità per malattia cardiaca
cronica), riducendo il numero di ricoveri ospedalieri non pianificati, oltre ad apportare
miglioramenti nella capacità di esercizio, nella qualità della vita, e nel benessere
psicologico.
Negli ultimi anni i pazienti ammessi alla RC sono caratterizzati da una crescente
instabilità clinica, con un complesso scenario di comorbidità che si sovrappongono al
fisiologico invecchiamento ed alla patologia cardiologica di base che richiede l’intervento
di riabilitazione.
Tutto ciò ha richiesto un cambiamento radicale nel mondo della riabilitazione,
particolarmente per ciò che concerne i trattamenti riabilitativi diretti alla popolazione più
anziana, sempre più complessa e polipatologica. Le indicazioni riabilitative più frequenti
fino agli anni Novanta riguardavano essenzialmente l’astensione dal fumo, controllo della
dieta e soprattutto dell’assunzione di lipidi, controllo della pressione arteriosa,
miglioramento della tolleranza all’esercizio fisico; lo scopo del programma riabilitativo
era consentire al soggetto la ripresa delle attività lavorative e il recupero del benessere
psicologico, con particolare attenzione alla gestione dello stress. Si tratta di scopi ancora
presenti nei programmi riabilitativi per soggetti adulti, ma che mal si adattano nel caso di
pazienti anziani, nei quali, nella maggior parte dei casi, le disabilità associate
rappresentano il principale problema da gestire.
La cura dei pazienti anziani nella riabilitazione parte dalla valutazione dei
problemi presenti al momento del ricovero, continua attraverso la fase di stabilizzazione
clinica e la prevenzione di eventi clinici avversi e poi prosegue nel recupero della fragilità
e della disabilità attraverso percorsi di recupero riabilitativo, guidato da un’attenta
valutazione clinica e la valutazione funzionale sulla base della valutazione complessiva
geriatrica (CGA), che consente di individuare le molteplici dimensioni della persona
anziana e di valutare le malattie (comorbilità), le funzioni (cardiovascolare, fisiche e
cognitive) ed eventuali deficit (nutrizionale, disabilità e fragilità), considerando anche il
supporto sociale di cui il paziente eventualmente dispone. Essa identifica nuovi concetti
legati al paziente anziano: deficit multifattoriale, il relativo recupero e quindi la
complessità del caso clinico, quest’ultima in passato identificata sulla base di un valore
del tutto personale.
La rivoluzione demografica che si è avuta alla fine del secolo scorso nei paesi
industrializzati, e in particolare in Italia, ha determinato una rivoluzione nella medicina
clinica e nella riabilitazione, con la necessità di un approccio alla valutazione diagnostica
e alla riabilitazione terapeutica-individuale più complesso, in grado di assicurare
un’informazione costante in strutture di assistenza a diversi livelli di organizzazione
sanitaria e socio-sanitaria.
Questo scenario epidemiologico ha modificato l’organizzazione ospedaliera verso
"intensità di cura". In età avanzata, infatti, è l’alta prevalenza di malattie multiple, spesso
in fase terminale, con atipici presentazione clinica e quindi l’approccio diagnostico-
valutativo e terapeutico di questi pazienti deve essere guidato da un CGA ed a sua volta
da un sistema più complesso di gestione clinica. Diversi studi hanno dimostrato che il
CGA limita l’incidenza e la gravità di esiti quali la disabilità e mortalità nei pazienti
anziani.
Bisogna inoltre evidenziare che la comorbidità dà luogo a una serie di situazioni
molto complesse. Nel paziente anziano con malattia cardiaca, infatti, è frequente
l’individuazione simultanea di comorbilità extra-cardiache e di malattie cardiovascolari
multiple. La disabilità che si associa alla comorbilità è spiegata dalla perdita progressiva
della riserva funzionale di vari organi e sistemi, caratterizzando in tal senso la fisiologia
dei diversi stadi dell’età geriatrica.
A partire dal 1993, con il lavoro pionieristico di Ades e colleghi, numerosi sono
gli studi che hanno dimostrato l’efficacia della riabilitazione cardiaca nei soggetti anziani,
in particolare con riferimento alla tolleranza all’esercizio fisico, alla qualità della vita e al
funzionamento fisico generale.
Scopo del presente lavoro, articolato in due capitoli, è analizzare la riabilitazione
cardiovascolare applicata in particolar modo ai soggetti affetti da scompenso cardiaco.
Nel primo capitolo, adottando un approccio medico, l’attenzione sarà concentrata
sulla malattia, lo scompenso cardiaco appunto, illustrandone aspetti epidemiologici ed
eziologici, i criteri e i test diagnostici utilizzati, e il trattamento farmacologico previsto.
Il secondo capitolo verterà nello specifico sulla riabilitazione cardiovascolare in
soggetti con scompenso cardiaco. Dopo aver illustrato la riabilitazione cardiovascolare e
l’evoluzione che l’ha interessata nel corso degli anni, con attenzione agli studi effettuati,
si continuerà illustrando il ciclo riabilitativo e la sua applicazione a soggetti anziani.
CAPITOLO I
LO SCOMPENSO CARDIACO
1.1 DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi tipici, quali


dispnea, edema declive e affaticamento, cui si accompagnano altri segni, come elevata
pressione giugulare, rantoli polmonari ed edemi periferici, causati da un’anormalità cardiaca
strutturale e/o funzionale, dalla quale consegue un output cardiaco ridotto e/o una pressione
intracardiaca elevata a riposo o sotto stress.
La definizione attuale di scompenso cardiaco si riferisce agli stati in cui i sintomi
clinici sono evidenti. Prima che questi ultimi diventino evidenti, possono essere riscontrate
nei pazienti anomalie asintomatiche, quale la disfunzione sinistro ventricolare sistolica o
diastolica, precursori dello scompenso cardiaco. Riconoscere tali segni precursori è
fondamentale in quanto iniziare il trattamento nelle fasi iniziali della sindrome riduce
notevolmente il tasso di mortalità1.
Il riscontro di una causa cardiaca alla base è centrale nella diagnosi dello scompenso
cardiaco. Si tratta di solito di un’anormalità miocardica che causa la disfunzione ventricolare
sistolica e/o diastolica. Tuttavia, anche le anormalità delle valvole, del pericardio,
dell’endocardio, del ritmo e del battito cardiaco possono essere causa dello scompenso
cardiaco, e più di una delle anormalità appena elencate è spesso associata alla sindrome.
La terminologia principalmente utilizzata per la descrizione dello scompenso cardiaco
adotta la misurazione della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE). Lo scompenso
cardiaco interessa un’ampia gamma di pazienti, da quelli con FE normale, tipicamente
maggiore o uguale al 50%, e scompenso cardiaco con FE preservata, a quelli con FE ridotta,
ossia con FE inferiore al 40%, e scompenso cardiaco con FE ridotta (Tabella 1.1).

1
The SOLVD Investigators, “Effect of enalapril on mortality and the development of heart failure in
asymptomatic patients with reduced left ventricular ejection fractions”, N Engl J Med, 1992;327:685–691.
Wang TJ, “Natural history of asymptomatic left ventricular systolic dysfunction in the community”, Circulation
2003;108:977–982.
Tabella 1.1 - Definizione dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata
(HFpEF), media (HFmrEF) e ridotta (HFrEF)

Fonte: Ponikowski P. et al., 2016.

La differenziazione dei pazienti con scompenso cardiaco in base alla FE è importante


in quanto giustifica i diversi aspetti eziologici, demografici, di comorbilità e di risposta alle
terapie sottostanti2.
La diagnosi di scompenso cardiaco preservato è più problematica di quella di
scompenso cardiaco ridotto in quanto nel primo caso i pazienti non presentano dilatazione
sinistro ventricolare ma piuttosto un ispessimento della parete ventricolare o una riduzione
della dimensione sinistro atriale quale segno di un aumento delle pressioni di riempimento. La
maggior parte presenta inoltre una riduzione del riempimento sinistro ventricolare o della
capacità di aspirazione, classificata anche come disfunzione diastolica, che è generalmente
accettata come la causa più probabile di scompenso cardiaco in questi pazienti (da qui il
termine scompenso cardiaco diastolico). Tuttavia, la maggior parte dei pazienti con
scompenso cardiaco ridotto (scompenso cardiaco sistolico) presentano anche una disfunzione
diastolica, e lievi anormalità della funzione sistolica sono state riscontrate anche in pazienti
con scompenso cardiaco preservato.
È stata dunque evidenziata un’area grigia tra scompenso cardiaco ridotto e scompenso
cardiaco preservato3. Questi pazienti presentano una FE compresa tra 40% e 40%, che ha dato
dunque luogo alla definizione di uno scompenso cardiaco intermedio (HFmrEF). I pazienti
con scompenso cardiaco intermedio presentano lieve disfunzione sistolica, ma con
caratteristiche di disfunzione diastolica (Tabella 1.1).

2
Butler J. et al, “Developing therapies for heart failure with preserved ejection fraction: current state and future
directions”, JACC Heart Fail 2014;2:97–112.
3
McMurray JJV. et al, “ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2012:
The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure 2012 of the European
Society of Cardiology. Developed in collaboration with the Heart”, Eur J Heart Fail 2012;14:803–869.
Nei pazienti in cui non è presente una malattia miocardica sinistro ventricolare
rilevabile, lo scompenso cardiaco può essere legato ad altre cause cardiovascolari, quali
ipertensione polmonare, o malattie delle valvole cardiache. I pazienti con patologie non
cardiovascolari (per esempio l'anemia, o malattie polmonari, renali o epatiche) possono avere
sintomi simili o identici a quelli dello scompenso cardiaco, ognuno dei quali può complicare o
esacerbare la sindrome.
Un paziente che non ha mai manifestato i sintomi e/o segni tipici dello scompenso
cardiaco e con una FE ridotta è descritto come affetto da disfunzione sistolica sinistro
ventricolare asintomatica. I pazienti che invece presentano lo scompenso cardiaco da diverso
tempo sono identificati come affetti da scompenso cardiaco cronico. Un paziente sottoposto a
trattamento con sintomi e segni che rimangono invariati per almeno un mese è detto stabile.
Se lo scompenso cardiaco cronico stabile deteriora, il paziente potrebbe essere descritto come
scompensato, una situazione questa che può manifestarsi sia improvvisamente sia lentamente,
portando spesso all’ospedalizzazione. La comparsa de novo dello scompenso cardiaco
potrebbe presentarsi in forma acuta, per esempio, come conseguenza di infarto miocardico
acuto, o in modo graduale, per esempio in pazienti con cardiomiopatia dilatativa, nei quali i
sintomi si manifestano a volte per settimane o anche mesi prima di giungere a una diagnosi
definitiva. Sebbene i sintomi e i segni dello scompenso cardiaco possano risolversi, lo stesso
potrebbe non accadere con la disfunzione cardiaca sottostante, e pertanto il paziente resta a
rischio di scompenso ricorrente4.
In alcuni casi, tuttavia, lo scompenso cardiaco può essere dovuto a un problema che si
risolve completamente, come per esempio miocardite virale acuta, cardiomiopatia
di Takotsubo o tachicardiomiopatia. Altri pazienti, in particolare quelli affetti da
cardiomiopatia dilatata idiopatica, potrebbero manifestare anche un recupero sostanziale o
completo della funzione sistolica sinistro ventricolare nel caso di trattamento con terapie
moderne quali gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, i betabloccanti,
l’antagonista del recettore mineralcorticoide, l’ivabradina e/o la terapia di resincronizzazione
cardiaca (CRT). Si parla infine di scompenso cardiaco congestizio in caso di scompenso
cardiaco acuto o cronico con presenza di sovraccarico di volume.
Dal punto di vista della sintomatologia, si adotta la classificazione funzionale della
New York Heart Association (NYHA) per descrivere la gravità dei sintomi e l’intolleranza
allo sforzo. Tuttavia, la gravità dei sintomi è scarsamente correlata con molte misure della

4
Ponikowski P. et al., “2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure”,
European Journal of Heart Failure (2016)18, 899.
funzione sinistro ventricolare; sebbene vi sia una chiara relazione tra la gravità dei sintomi e
la sopravvivenza, pazienti con sintomi di media gravità potrebbero comunque incorrere in un
elevato rischio di ospedalizzazione e morte5. In alcuni casi, si adotta il termine scompenso
cardiaco avanzato in riferimento a pazienti con sintomi gravi, scompenso frequente e
disfunzione cardiaca grave6.

1.1.1 EPIDEMIOLOGIA ED EZIOLOGIA

La prevalenza dello scompenso cardiaco dipende dalla definizione applicata; a ogni


modo essa è approssimativamente l’1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati,
percentuale che supera il 10% di incidenza se si considera la fascia d’età over 707. Tra le
persone over 65 anni che hanno richiesto assistenza sanitaria di base per dispnea da sforzo, in
un caso su sei non sarà riconosciuto lo scompenso cardiaco, principalmente preservato8. I
rischio di scompenso cardiaco all’età di 55 anni è del 33% per gli uomini e del 28% per le
donne9. La proporzione di pazienti con scompenso cardiaco preservato è compresa tra 22% e
73%, a seconda della definizione applicata, del setting clinico (assistenza di base, clinica

5
McMurray JJV., “Clinical practice. Systolic heart failure”, N Engl J Med 2010;3623:228–238.
Chen J, Normand S-LT, Wang Y, Krumholz HM., “National and regional trends in heart failure hospitalization
and mortality rates for Medicare beneficiaries, 1998–2008”, JAMA 2011;306:1669–1678.
Dunlay SM, Redfield MM, Weston SA, Therneau TM, Hall Long K, Shah ND, Roger VL., “Hospitalizations
after heart failure diagnosis a community perspective”, J Am Coll Cardiol 2009;54:1695–1702.
6
Metra M. et al., “Advanced chronic heart failure: a position statement from the Study Group on Advanced
Heart Failure of the Heart Failure Association of the European Society of Cardiology”, Eur J Heart Fail 9:684–
694.
7
Mosterd A, Hoes AW., “Clinical epidemiology of heart failure”, Heart 2007;93:1137–1146.
Redfield MM, Jacobsen SJ, Burnett JC, Mahoney DW, Bailey KR, Rodeheffer RJ., “Burden of systolic and
diastolic ventricular dysfunction in the community: appreciating the scope of the heart failure epidemic”, JAMA
2003;289:194–202.
Bleumink GS, Knetsch AM, Sturkenboom MCJM, Straus SMJM, Hofman A, Deckers JW, Witteman JCM,
Stricker BHC, “Quantifying the heart failure epidemic: prevalence, incidence rate, lifetime risk and prognosis of
heart failure The Rotterdam Study”, Eur Heart J England; 2004;25:1614–1619.
Ceia F, Fonseca C, Mota T, Morais H, Matias F, De Sousa A, Oliveira AG., “Prevalence of chronic heart failure
in Southwestern Europe: the EPICA study”, Eur J Heart Fail 2002;4:531–539.
8
van Riet EES, Hoes AW, Limburg A, Landman MAJ, van der Hoeven H, Rutten FH., “Prevalence of
unrecognized heart failure in older persons with shortness of breath on exertion”, Eur J Heart Fail 2014;16:772–
777.
Filippatos G, Parissis JT., “Heart failure diagnosis and prognosis in the elderly: the proof of the pudding is in the
eating”, Eur J Heart Fail 2011;13:467–471.
9
Bleumink GS. et al., “Quantifying the heart failure epidemic: prevalence, incidence rate, lifetime risk and
prognosis of heart failure The Rotterdam Study”, Eur Heart J England; 2004;25:1614–1619.
ospedaliera, ospedalizzazione), età e sesso della popolazione studiata, precedente infarto del
miocardio10.
Dati sui trend temporali basati sui pazienti ospedalizzati suggeriscono che l’incidenza
dello scompenso cardiaco potrebbe essere in riduzione, più per quello ridotto che per quello
preservato11. Lo scompenso cardiaco preservato e ridotto sembrano avere profili
epidemiologici ed eziologici diversi. Rispetto ai pazienti con scompenso cardiaco ridotto,
quelli con scompenso cardiaco preservato sono di età maggiore, più spesso di sesso
femminile, e presentano più comunemente una storia di ipertensione e fibrillazione atriale,
mentre è meno comune una storia di infarto del miocardio12.
L’eziologia dello scompenso cardiaco varia all’interno delle varie regioni del mondo e
tra di esse. Non vi è accordo rispetto a un singolo sistema di classificazione delle cause dello
scompenso cardiaco, con frequente sovrapposizione delle varie categorie (Tabella 1.2).

10
Rutten FH, Cramer M-JM, Grobbee DE, Sachs APE, Kirkels JH, Lammers J-WJ, Hoes AW., “Unrecognized
heart failure in elderly patients with stable chronic obstructive pulmonary disease”, Eur Heart J 2005;26:1887–
1894.
11
Gerber Y, et al., “A contemporary appraisal of the heart failure epidemic in Olmsted County, Minnesota, 2000
to 2010”, JAMA Intern Med 2015;175:996–1004.
Owan TE, Hodge DO, Herges RM, Jacobsen SJ, Roger VL, Redfield MM., “Trends in prevalence and outcome
of heart failure with preserved ejection fraction”, N Engl J Med 2006;355:251–259.
12
Owan TE, Hodge DO, Herges RM, Jacobsen SJ, Roger VL, Redfield MM., “Trends in prevalence and
outcome of heart failure with preserved ejection fraction”, N Engl J Med 2006;355:251–259.
Meta-analysis Global Group in Chronic Heart Failure (MAGGIC), “The survival of patients with heart failure
with preserved or reduced left ventricular ejection fraction: an individual patient data meta-analysis”, Eur Heart
J 2012;33:1750–1757.
Tabella 1.2 – Eziologie dello scompenso cardiaco

Fonte: Ponikowski P. et al., 2016.

Molti pazienti presentano patologie diverse, cardiovascolari e non, che causano lo


scompenso cardiaco, e la loro identificazione è parte dell’iter diagnostico iniziale, in quanto
offre specifiche opportunità terapeutiche.
1.2 DIAGNOSI

I sintomi dello scompenso cardiaco sono spesso non specifici e di conseguenza non
aiutano a discriminare tra questo e altre tipologie di problemi cardiaci (Tabella 1.3)

Tabella 1.3 – Sintomi e segni tipici dello scompenso cardiaco

Fonte: Ponikowski P. et al., 2016.

Sintomi e segni dello scompenso cardiaco dovuti a ritenzione idrica possono essere
rapidamente risolti con l’assunzione di diuretici. Segni quali elevata pressione venosa
giugulare e spostamento dell'impulso apicale, potrebbero essere più specifici, ma sono più
difficili da rilevare e hanno scarsa riproducibilità13. L’individuazione di segni e sintomi è
ulteriormente complicata in pazienti obesi, o in età avanzata o, ancora, affetti da malattia
polmonare cronica14. I pazienti più giovani con scompenso cardiaco presentano spesso
un’eziologia, presentazione clinica e esito diversi da quelli dei pazienti più anziani15.
È sempre importante ricostruire in modo accurato la storia del paziente, in quanto la
manifestazione di scompenso cardiaco in soggetti privi di una rilevante storia medica (per
esempio una causa potenziale di danno cardiaco) è insolita, mentre alcune caratteristiche, in
particolare un precedente infarto del miocardio, aumenta fortemente la probabilità di
scompenso cardiaco16. È necessario verificare a ogni visita lo stato dei sintomi, prestando
particolare attenzione alla presenza di congestione; tale verifica è fondamentale per
monitorare la risposta del paziente al trattamento e la sua stabilità nel tempo. La persistenza
dei sintomi nonostante il trattamento in corso indica nella maggior parte dei casi la necessità
di terapie aggiuntive, così come il loro peggioramento è uno sviluppo serio, che spesso espone
il paziente al rischio di ospedalizzazione urgente e di decesso, e richiede dunque la massiva
attenzione da parte del medico.
In fase di diagnosi iniziale si procede con l’analisi della concentrazione plasmatica dei
peptidi natriuretici (PN), la quale, in caso di tassi elevati, consente di stabilire una diagnosi
iniziale a partire dalla quale richiedere ulteriori indagini cardiache, quali l’ecocardiografia;
quest’ultima non si rende necessaria in pazienti con valori al di sotto del punto limite per

13
Kelder JC, et al, “The diagnostic value of physical examination and additional testing in primary care patients
with suspected heart failure”, Circulation 2011;124:2865–2873.
14
Rutten FH, et al., “Recognising heart failure in elderly patients with stable chronic obstructive pulmonary
disease in primary care: cross sectional diagnostic study”, BMJ 2005;331:1379.
Hawkins NM, Petrie MC, Jhund PS, ChalmersGW, Dunn FG, McMurray JJV, “Heart failure and chronic
obstructive pulmonary disease: diagnostic pitfalls and epidemiology”, Eur J Heart Fail 2009;11:130–139.
Daniels LB, et al., “How obesity affects the cut-points for B-type natriuretics peptide in the diagnosis of acute
heart failure. Results from the Breathing Not Properly Multinational Study”, Am Heart J 2006;151:999–1005.
15
Wong CM. et al., “Clinical characteristics and outcomes of young and very young adults with heart failure: the
CHARM programme (Candesartan in Heart Failure Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity)”, J
Am Coll Cardiol 2013;62:1845–1854.
Wong CM. et al., “Heart failure in younger patients: the Meta-analysis Global Group in Chronic Heart Failure
(MAGGIC)”, Eur Heart J 2014;35:2714–2721.
16
Davie P, Francis CM, Caruana L, Sutherland GR, McMurray JJ, “Assessing diagnosis in heart failure: which
features are any use?”, QJM 1997;90:335–339.
Mant J. et al., “Systematic review and individual patient data meta-analysis of diagnosis of heart failure, with
modelling of implications of different diagnostic strategies in primary care”, Health Technol Assess 2009;13:1–
207, iii.
Oudejans I. et al., “Clinical evaluation of geriatric outpatients with suspected heart failure: value of symptoms,
signs, and additional tests”, Eur J Heart Fail 2011;13:518–527.
Fonseca C., “Diagnosis of heart failure in primary care”, Heart Fail Rev 2006;11:95–107.
l'esclusione di importanti disfunzioni cardiache. I pazienti con livelli normali di PN hanno
meno probabilità di manifestare scompenso cardiaco.
Oltre all’analisi dei PN, si procede con elettrocardiogramma (ECG). Nel caso di
anormalità, aumenta la probabilità di diagnosi di scompenso cardiaco, ma questo tipo di
esame presenza bassa specificità17. A ogni modo, poiché le anormalità segnalate dall’ECG
forniscono informazioni sull’eziologia (per esempio infarto del miocardio) e sono di ausilio
nell’individuazione di una terapia, effettuare tale esame è parte della routine diagnostica dello
scompenso cardiaco.
Si procede infine con ecocardiografia, che risulta essere il test di maggior utilità per
stabilire la diagnosi di scompenso cardiaco. Tale esame fornisce informazioni immediate sul
volume, sulla funzione sistolica e diastolica ventricolare, ispessimento della parete,
funzionamento delle valvole e ipertensione polmonare; si tratta di informazioni cruciali non
solo per stabilire la diagnosi ma anche per determinare il trattamento più adeguato18.

17
Davie AP, et al., “Value of the electrocardiogram in identifying heart failure due to left ventricular systolic
dysfunction”, BMJ 1996;312:222.
Thomas JT, et al., “Utility of history, physical examination, electrocardiogram, and chest radiograph for
differentiating normal from decreased systolic function in patients with heart failure”, Am J Med 2002;112:437–
445.
18
Paulus WJ et al., “How to diagnose diastolic heart failure: a consensus statement on the diagnosis of heart
failure with normal left ventricular ejection fraction by the Heart Failure and Echocardiography Associations of
the European Society of Cardiology”, Eur Heart J 2007;28:2539–2550.
1.3 TEST DIAGNOSTICI

Il principale esame diagnostico per la diagnosi e l’individuazione del trattamento dello


scompenso cardiaco è l’imaging cardiaco. Delle molteplici modalità disponibili,
l’ecocardiografia è il metodo più frequentemente scelto per pazienti con sospetto scompenso
cardiaco per questioni di accuratezza, disponibilità, portabilità, sicurezza e costi.
L’ecocardiografia può essere completata con altre modalità scelte a seconda della loro
capacità di rispondere a precise domande cliniche e prendendone in considerazione rischi e
controindicazioni19.
Altri test diagnostici utilizzati sono la radiografia del torace, l’ecocardiografia
transtoracica, l’ecocardiografia transesofagea, l’ecocardiografia da stress, la risonanza
magnetica cardiaca, la Tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT), la scintigrafia
ventricolare, la tomografia ad emissione di positroni (PET), l’angiografia coronarica,
tomografia cardiaca computerizzata (TC).

19
Garbi M., et al., “Appropriateness criteria for cardiovascular imaging use in heart failure: report of literature
review”, Eur Heart J Cardiovasc Imaging 2015;16:147–153.
Lang RM, et al., “Recommendations for cardiac chamber quantification by echocardiography in adults: an
update from the American Society of Echocardiography and the European Association of Cardiovascular
Imaging”, Eur Heart J Cardiovasc Imaging 2015;16:233–270.
Gimelli A, et al., “Non-invasive cardiac imaging evaluation of patients with chronic systolic heart failure: a
report from the European Association of Cardiovascular Imaging (EACVI)”, Eur Heart J 2014;35:3417–3425.
1.4 TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

Per i pazienti sintomatici con scompenso cardiaco ridotto, si consigliano trattamenti


con inibitori dell’enzima di conversione dell'angiotensina (ACEI), che riducono la mortalità e
morbilità.
Si raccomandano anche i betabloccanti, in particolare laddove il paziente presenta una
storia di infarto del miocardio e disfunzione sistolica sinistro ventricolare, al fine di ridurre il
rischio di decesso. È opinione diffusa che gli ACEI e i betabloccanti siano tra loro
complementari, e la loro assunzione può iniziare nello stesso momento non appena si effettua
la diagnosi di scompenso cardiaco ridotto.
Ulteriore terapia farmacologica prevede l’assunzione dell’antagonista del recettore
mineralcorticoide (MRA) cos’ da ridurre il rischio di ospedalizzazione e il tasso di mortalità.
Altri farmaci consigliati sono gli inibitori del recettore dell’angiotensina e della
neprilisina (ARNI), che nel lungo termine riportano risultati migliori rispetto agli ACEI nelal
riduzione dell’ospedalizzazione per peggioramento dello scompenso cardiaco, della mortalità
cardiovascolare e della mortalità in generale.
Vi sono poi gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (ARB) in grado di ridurre
la mortalità cardiovascolare e l’ospedalizzazione. È stato dimostrato che i vantaggi della loro
combinazione con gli ACEI prevalgono sui rischi solo in un gruppo selezionato di pazienti.
Nel caso di scompenso cardiaco preservato, relativamente ai sintomi, laddove sia
presente congestione, si raccomanda l’assunzione di diuretici; relativamente
all’ospedalizzazione, per i pazienti in ritmo sinusale, essa è ridotta dall’assunzione di
nebivololo, digossina, spironolattone, e candesartan, mentre per i pazienti in fibrillazione
atriale, i betabloccanti sembrano non avere alcuna efficacia; relativamente al tasso di
mortalità, studi effettuati sugli ACEI, sugli ARB, sui betabloccanti e gli MRA hanno
dimostrato la loro efficacia nella riduzione del rischio di decesso in pazienti con scompenso
cardiaco preservato o intermedio. Tuttavia, in pazienti in età avanzata, affetti da scompenso
cardiaco preservato, ridotto o intermedio, il nebivololo è in grado di ridurre sia il rischio di
decesso che quello di ospedalizzazione20.

20
Ponikowski P. et al., “2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart
failure”, European Journal of Heart Failure (2016)18, 920.
CAPITOLO II
LA RIABILITAZIONE IN SOGGETTI CON SCOMPENSO
CARDIACO
2.1 LA RIABILITAZIONE CARDIOVASCOLARE: LE LINEE GUIDA NAZIONALI

Come definito dall’OMS, la riabilitazione cardiovascolare è un processo


multifattoriale finalizzato nel breve termine a ricondurre il paziente a una condizione di
stabilità clinica, limitare le eventuali disabilità che sono conseguenza della malattia, favorire
la conservazione e/o la ripresa di un ruolo attivo in società, e, nel lungo termine, ridurre il
rischio che possano manifestarsi ulteriori eventi cardiovascolari. In generale, dunque, essa
mira a favorire un miglioramento della qualità della vita21.
L’efficacia della riabilitazione cardiovascolare è stata dimostrata da una serie di studi
condotti negli anni Ottanta, dai quali si è evinto che gli interventi riabilitativi attuati sono
normalmente associati a una riduzione della mortalità per cause cardiache, e non solo22. Nel
decennio a seguire, un ulteriore studio ha suggerito che la riabilitazione cardiovascolare è in
grado di favorire il recupero, di consentire ai pazienti il raggiungimento e mantenimento di un
miglior stato di salute, e di ridurre il rischio di decesso in soggetto con malattia cardiaca23.
Nel 2001, uno studio randomizzato controllato ha mostrato che interventi semplici, con costi
contenuti e con base teorica, in questo caso la teoria del comportamento pianificato, sono in
grado di aumentare le attese della riabilitazione cardiovascolare, consentendo ai pazienti di
sperimentarne i benefici da essa derivati24.
Un programma di riabilitazione cardiovascolare prevede in primo luogo assistenza
clinica, stratificazione del rischio e ottimizzazione della terapia; in secondo luogo, programmi
di attività fisica e di educazione sanitaria per rendere il paziente consapevole dei rischi
correlati alla malattia in corso, come appunto lo scompenso cardiaco qui in preso in esame; in
terzo luogo, la valutazione degli aspetti psicologici, sociali e lavorativi del paziente per la
realizzazione di interventi il più possibile specifici e mirati; infine, controlli clinici e

21
WHO Committee Report, “Rehabiitation after cardiovascular diseases, with emphasis on developing
countries”, World Health Organization Technical Report Series, 831, pp. 209-221.
22
O’Connor G.T. et al., “An overview of randomized trials of rehabilitation with exercise after myocardial
infarction”, Circulation, 82, pp. 234-244, 1989.
Oldridge N.B. et al., “Cardiac rehabilitation after mycocardial infarction: combined experience of randomized
clinical trials”, Journal of the American Medical Association, 260, pp. 945-995, 1988.
23
University of New York, NHS Centre for Reviews and Dissemination “Cardiac rehabilitation”, Effective
Health Care, 4(4), 1998.
24
Wyer S., Joseph S., Earl L., “Predicting attendance at cardiac rehabilitation: a review and recommendations”,
Coronary Health Care, 5(4), pp. 171-177, 2001.
strumentali e supporto per favorire nel paziente il mantenimento di uno stile di vita adeguato e
per la prevenzione secondaria25.
In generale, i benefici derivanti da interventi di riabilitazione cardiovascolare
includono:

“riduzione e controllo dei sintomi, miglioramento della tolleranza


allo sforzo e della capacità lavorativa, miglioramento dell’assetto lipidico,
metabolico e del profilo di rischio cardiovascolare globale, riduzione del
fumo, miglioramento della capacità di gestione dello stress e della vita di
relazione e, in generale, maggiore sensazione di benessere. Tutto questo si
associa ad attenuazione del processo aterosclerotico con significativa
riduzione della incidenza di successivi eventi cardiovascolari, delle
ospedalizzazioni e, in ultima analisi, di morbilità e mortalità totale” 26.

Come spiega Granato Corigliano, l’intervento riabilitativo dovrebbe essere preceduto


da una valutazione funzionale propedeutica di un soggetto che prevede esame anamnestico
clinico completo, esame psicologico, ecg dinamico sec. Holter, ecocardiogramma, telemetria
elettrocardiografica, spirometria, ergometria, eventuale scintigrafia miocardica, eventuale
coronarografia27.
Secondo quanto stabilito dall’OMS, la riabilitazione cardiovascolare si articola su tre
livelli, ossia uno base, in cui sono inclusi interventi e cure realizzato all’interno della
comunità, uno intermedio, riferito a interventi che hanno luogo presso l’ospedale locale, e uno
avanzato, per quei servizi e prestazioni disponibili presso centri di riabilitazione28.
In contesto italiano, nel 2008, il gruppo di lavoro istituito presso l’Agenzia per i
Servizi Sanitari Regionali (ASSR) ha elaborato le Linee Guida della cardiologia riabilitativa e
preventiva, assumendo come presupposto che nella riabilitazione cardiovascolare sono inclusi
i concetti tanto di riabilitazione cardiologica quanto quello di prevenzione secondaria. Punto
di partenza metodologico, è stato un riesame delle linee guide SIGN (Scottish Intercollegiate
Guidelines Network, rete multidisciplinare di operatori inglesi e scozzesi che producono linee

25
Giannuzzi P., “La riabilitazione cardiologica. Le Linee Guida e la realtà italiana”, Monaldi Archives, 66(2),
pp. 121-128, 2006.
26
Ivi, p. 123.
27
Granato Corigliano G., Riabilitazione cardiologica, Guida, Napoli, 1996, p. 38.
28
Giannuzzi P., “La riabilitazione cardiologica”, p. 124.
guida basate sull’evidenza) in altri paesi riadattandole al contesto italiano, sulla base delle
evidenze scientifiche prodotte successivamente alla pubblicazione delle SIGN29.
La riabilitazione cardiovascolare, come riportato nelle Linee Guida, si articola in tre
fasi.
La prima fase si svolge durante la fase acuta di malattia definita come IMA, sindrome
coronarica acuta, chirurgia cardiaca o angioplastica coronarica, o instabilizzazione di
scompenso cardiaco. Nel corso di questa fase, si procede in particolare valutando gli aspetti
clinici, rassicurando il paziente e i familiari, fornendo informazioni di tipo sanitario volti
anche a modificare eventuali pregiudizi sulla malattia e le sue conseguenze, valutando i fattori
di rischio, pianificando in modo adeguato la dimissione. il coinvolgimento della famiglia è
fondamentale a partire da questa fase precoce, così come lo è la preparazione dell’infermiere
relativamente alle tecniche di “counseling” che gli consentono di migliorare la conoscenza sia
del paziente che dei familiari o “caregivers” sulla malattia cardiaca e di contribuire a ridurre
gli eventuali stati di ansia e di depressione rispetto a chi riceve un’assistenza di routine.
La seconda fase si concretizza in un programma strutturato di valutazione globale del
rischio e di intervento complessivo comprendente attività fisica in ambiente ospedaliero e
supporto educazionale e psicologico con percorsi finalizzati a modificare gli specifici fattori
di rischio. Viene riconosciuto sempre più che entrambi i componenti possono essere
sviluppati in modo sicuro e con successo nell’ambito dell’assistenza primaria, intendendo per
quest’ultima quella disponibile sul territorio (MMG, attività distrettuali, ecc.). Un approccio
individualizzato riconosce la necessità di adeguare l’offerta di servizi alle necessità specifiche
del singolo individuo e dovrebbe includere:
a) un intervento informativo, educazionale e comportamentale per modificare credenze
errate sulle malattie cardiache, incoraggiare la sospensione del fumo e il raggiungimento o il
mantenimento di un peso corporeo ideale attraverso un’alimentazione corretta;
b) un programma di esercizio fisico finalizzato per il ritorno al lavoro o ad attività
lavorative non professionali;
c) l’impostazione di un programma a lungo termine con il supporto di un gruppo di
intervento multidisciplinare che dovrebbe includere cardiologo, psicologo, fisioterapista e
dietologo.
A questo intervento va aggiunto quello specifico sulle comorbilità e sulla
disautonomia presente nel singolo caso.

29
Griffo R. et al., “Linee guida nazionali su cardiologia riabilitativa e prevenzione secondaria delle malattie
cardiovascolari: sommario esecutivo”, G Ital Cardiol, 9 (4): 286-297, 2008.
La terza e ultima fase prevede il mantenimento a lungo termine dell’attività fisica e del
cambiamento nello stile di vita, in quanto il perseguimento di entrambi questi aspetti assicura
il mantenimento nel lungo termine dei benefici derivanti dall’intervento riabilitativo. Ulteriore
apporto positivo, può derivare dalla partecipazione del paziente a un gruppo locale di
supporto cardiaco o di autosostegno, che comprenda attività fisica da svolgere in una palestra
o in un centro ricreativo30.

30
Ibidem.
2.2 IL CICLO RIABILITATIVO CARDIOLOGICO

Il ciclo riabilitativo cardiologico prevede in primo luogo la visita al paziente e l’analisi


della cartella clinica, e prosegue l’elaborazione ed esecuzione di un piano di lavoro. La
programmazione del ciclo inizia nel momento in cui il paziente viene dimesso e può essere di
tipo ambulatoriale, “per pazienti più autonomi, più stabili, a basso rischio e che richiedono
minore supervisione”, o degenziale, “per pazienti più complicati, instabili a medio-alto rischio
31
e disabili” . Il ciclo può inoltre essere di tipo intensivo, con differenze tra modalità
ambulatoriale e degenziale, o estensivo.
La riabilitazione cardiovascolare intensiva degenziale (vedi Tabella 2.1),

eroga assistenza attraverso due livelli di cura, il ricovero ordinario


(codice 56) e il day-hospital per pazienti a medio-alto rischio, disabili e più
complessi. È in grado di assicurare tutela medica e “nursing” dedicato,
interventi e prestazioni ad elevata intensità riabilitativa e media-elevata
intensità assistenziale clinica a pazienti che hanno superato la fase acuta della
malattia indice, ma che permangono a medio- alto rischio potenziale di
instabilità clinica a riposo o durante attività di recupero sotto sforzo. La
durata dell’intervento intensivo è di norma di 2-6 settimane per il ricovero
ordinario e 4-8 settimane per l’accesso in day-hospital. La durata è regolata
(così come la priorità d’accesso) sul grado di complessità assistenziale del
paziente32.

31
Linee Guida, p. 290.
32
Ibidem.
Tabella 2.1 Indicazioni alla cardiologia riabilitativa intensiva degenziale
Tipologia Indicazioni
Pazienti post-chirurgici Elevato rischio di nuovi eventi
cardiovascolari
Prima della settima giornata da intervento o
più tardivamente dopo periodi prolungati di
degenza in Rianimazione o Terapia Intensiva
Morbilità associate o complicanze di rilievo
Difficoltà logistiche/ambientali/socio-
assistenziali
Pazienti con scompenso cardiaco Necessità di terapie da titolare o infusive
Supporto nutrizionale o meccanico
Trattamento riabilitativo intensivo
Pazienti post-IMA/PTCA Rischio medio-alto di nuovi eventi
cardiovascolari
Complicanze-instabilità clinica
Morbilità associate significative
Elevato rischio di qualità di
vita/professionale
Dimissione da UTIC entro la quinta giornata
Rischio elevato di progressione della malattia
aterosclerotica
Difficoltà logistiche/ambientali/socio-
assistenziali
Pazienti post-trapianto cardiaco Valutazione per porre indicazione a trapianto
Verifica la persistenza dell’indicazione
Pazienti con cardiopatie non operabili Intervento finalizzato alla prevenzione del
deterioramento clinico e della progressione
della malattia di base
Fonte: Linee Guida
La riabilitazione cardiovascolare intensiva ambulatoriale (vedi Tabella 2.2) prevede

prestazioni ad elevata intensità riabilitativa e a bassa intensità


assistenziale clinica. La durata dell’intervento (sempre in relazione alla
complessità del paziente e del programma relativo) è di norma di 8-12
settimane. […]. L’intervento è soprattutto finalizzato alla prevenzione
secondaria secondo le seguenti componenti:
- valutazione basale del rischio,
- assistenza clinica e ottimizzazione della terapia finalizzate a
rimuovere i sintomi e mantenere un’adeguata stabilità,
- interventi specifici per il recupero funzionale e training fisico per il
mantenimento di una buona capacità funzionale e uno stile di vita attivo,
- supporto educazionale e “counseling” per una riduzione del rischio
cardiovascolare e l’effettivo cambiamento dello stile di vita (intervento sui
lipidi, ipertensione, fumo, sovrappeso, alimentazione),
- interventi psico-comportamentali, - adeguato follow-up33.

La riabilitazione cardiovascolare estensiva, invece, segue quella intensiva e prevede


“programmi più semplice di mantenimento a lungo termine nel territorio con il supporto di
iniziative e servizi nella comunità”34.

Tabella 2.2 – Indicazioni alla cardiologia riabilitativa intensiva a livello ambulatoriale


Tutti i pazienti post-acuti, salvo quelli con indicazione a CR degenziale o successivamente ad
essa
Pazienti con cardiopatia ischemica cronica
Pazienti con scompenso cardiaco in fase stabile
Soggetti ad alto rischio cardiovascolare
Fonte: Linee Guida

33
Ivi, pp. 290-291.
34
Ivi, p. 291.
Come anticipato, il ciclo riabilitativo ha inizio con la valutazione iniziale dello stato
del paziente, procedendo con la stratificazione del rischio a seconda del grado di stabilità (da
basso a medio-alto)35, nel corso della quale si procede a verificare e condizioni cliniche
generali, lo stato funzionale degli organi e degli apparati, il livello di deterioramento fisico, lo
stato delle capacità motorie, la funzione cardiovascolare sotto sforzo, comorbilità e terapia
farmacologia in atto. Particolare attenzione è posta anche allo stato nutrizionale e alle
abitudini alimentari, entrambi influenzabili in modo negativo da condizioni di tipo tanto
sociale, quali isolamento e condizioni economiche più o meno disagiate, quanto medico, quali
edentulia e iporessia. Infine, l’operatore si concentra sulla “persona”, valutandone gli stati
emotivi e cognitivi, la qualità e quantità del supporto sociale e familiare, ed educando il
paziente alla corretta gestione del programma di riabilitazione e della terapia farmacologica36.
A seguito della valutazione, ha inizio la parte pratica del ciclo riabilitativo relativa
all’esercizio fisico. Nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica, è molto frequente la
manifestazione di un forte disagio nell’effettuare l’esercizio fisico che può portare il paziente
a rifiutarsi completamente di partecipare alla riabilitazione, con conseguenti effetti negativi
generalizzati sulla funzione cardiocircolatoria, sulla tendenza dei muscoli scheletrici
all’atrofia; più avanza il deterioramento, maggior disagio manifesterà il paziente. È dunque
fondamentale che l’operatore guidi in modo adeguato il paziente nel training fisico in quanto
questo, interrompendo il circolo vizioso appena descritto, consente un adattamento funzionale
e strutturale degli apparati, con conseguente miglioramento emodinamico, ventilatorio e
metabolico37.
La tipologia di esercizio fisico da proporre al paziente varia a seconda degli aspetti
fisiologici e fisiopatologici dell’attività e degli effetti acuti o cronici che essa può avere dal
punto di vista cardiovascolare. Tali aspetti fisiologici e fisiopatologici possono così essere
riassunti:
1. Impegno cardiocircolatorio costante (attività aerobiche prolungate) o
intermittente;
2. Impegno cardiocircolatorio variabile a seconda dell’intensità dello sforzo,
quest’ultimo proporzionale alle richieste metaboliche dei muscoli impegnati;

35
Mezzani A., Cacciatore F., Giannuzzi P., Manuale delle metodiche e delle procedure di riabilitazione fisica in
cardiologia, Pime, Pavia, 2007.
36
Galati A., Vigorito C., Riabilitazione cardiologica, Edi-Ermes, Milano, 2012.
37
Giada F. et al., “Documento Cardiologico di Consenso della Task Force Multisocietaria : la prescrizione
dell’esercizio fisico in ambito cardiologico”, Monaldi Archives, 68, pp. 13-30, 2007.
l’unità di misura dell’intensità metabolica è il MET, equivalente metabolico, pari
all’ossigeno consumato per le funzioni basali dei vari organi da un uomo in
condizione di riposo, stimato in 3,5 ml di O2 per Kg di peso corporeo per minuto;
3. Risposta emodinamica allo sforzo variabile a seconda dell’esercizio; le attività
dinamiche sono di tipo aerobico e favoriscono la prevenzione primaria e
secondaria;
4. Rischio di complicanze cardiovascolari manifestabile con attività fisiche e sportive
dinamiche, a impegno sia costante che intermittente38.
Sulla base delle caratteristiche fisiologiche e fisiopatologiche appena illustrate, le
attività sportive possono essere suddivise in tre gruppi, ossia attività di tipo dinamico a
impegno cardiaco costante, attività di tipo dinamico a impegno cardio-circolatorio
intermittente, attività statiche o di potenze. Per il dettaglio si veda la Tabella 2.3.

Tabella 2.3 - Classificazione delle attività fisiche, sportive e di palestra

(segue)

38
Ivi, pp. 22-24.
Fonte: Giada F. et al. 2007, p. 23.

Affinché possa essere effettivamente efficace, un programma riabilitativo deve essere


fortemente individualizzato, sulla base delle informazioni raccolte dall’operatore nel corso
della prima fase del ciclo riabilitativo (valutazione), onnicomprensivo, prendendo cioè in
considerazione non solo le informazioni fornite dal medico che ha seguito il paziente
(valutazione medica) e dagli esami eseguiti (valutazione strumentale), ma anche quelle dello
psicologo – alla luce dei possibili effetti negativi che eventuali stati depressivi o da stress
possono avere sulla riabilitazione stessa e sui tempi di ripresa del paziente -, e dalla famiglia
che assiste il soggetto, e che dunque essendovi a contatto per un maggior periodo di tempo
rispetto ai medici e agli operatori, è in grado di segnalare eventuali informazioni e
cambiamenti non rilevate da quelli. L’efficacia del programma riabilitativo aumenta se il suo
avvio è precoce, se lo stesso dura per molto tempo, e se l’operatore lo sottopone a continua
rivalutazione, adottando l’intensità degli esercizi (riducendola o aumentandola) a seconda
della risposta che ottiene dal paziente.
Una seduta di training prevede essenzialmente quattro momenti. In primo luogo,
l’operatore illustra al soggetto gli esercizi che si intende svolgere e lo scopo a cui essi sono
preposti, in modo da rendere sin dall’inizio il soggetto partecipe dell’attività di training. Si
procede dunque fornendo le istruzioni sia per svolgere il singolo esercizio sia per controllare
la respirazione. Nel corso dell’esercizio, o al termine di questo, l’operatore spiega al paziente
gli eventuali errori commessi in fase di esecuzione, e propone delle alternative nel caso si
siano manifestate delle difficoltà. Infine, l’operatore sottolinea i progressi fatti, agendo in tal
modo positivamente sui livelli di motivazione del paziente, e incentivandolo a proseguire con
il ciclo riabilitativo.

2.2.1 Un esempio di protocollo riabilitativo


Di seguito si propone un esempio di protocollo riabilitativo per paziente con
scompenso cardiaco stabile con ridotta frazione di eiezione.
Come già detto in precedenze, le prime fasi del protocollo prevedono la presa in carico
del paziente e la sua valutazione da parte dell’operatore.
Si procede dunque individuando la tecnica di riabilitazione respiratoria più adatta alla
situazione, quali:
- BC: Breathing Control (Respiro Controllato). Si tratta di un respiro calmo, fatto a
volume corrente, usando la parte inferiore del torace, mantenendo rilassate le
spalle e la parte alta del torace. Il BC è molto importante in quanto previene il
broncospasmo e l’aumento delle resistenze delle vie aeree, permettendo pause di
riposo e favorisce il rilassamento dell’utente. Queste ultime variano (come durata)
da utente a utente.
- TEE: Thoracic Expansion Exercise (Esercizi di espansione toracica) Sono respiri
profondi con accentuazione della fase inspiratoria ed espiratoria non forzata. Dopo
una espirazione passiva a FRC, si richiede all’utente una inspirazione lenta dal
naso fino a TLC, con apnea teleinspiratoria di circa 3secondi, seguita da una
espirazione non-forzata a labbra socchiuse;
- FET: Forced Expiration Tecnique (Tecniche di espirazione forzata) Consiste in 1 o
2 Huff, ovvero espirazioni forzate ma non violente, eseguite contraendo la
muscolatura addominale e mantenendo sia la bocca che la glottide aperta. Si parte
da medi o bassi volumi polmonari, se si vogliono mobilizzare le secrezioni più
distali, o da alti volumi, se si desidera avere un effetto a livello prossimale: l’huff è
sempre combinato con una serie di B.C.
- E.L.T.G.O.L. (espirazione lenta totale a glottide aperta in decubito laterale)
L’utente giace in decubito laterale con la regione polmonare che si intende
disostruire a contatto con il piano di appoggio ed esegue delle espirazioni lente da
CFR fino a RV, tenendo bocca e glottide aperte. Nel caso in cui l’utente non sia in
grado di mantenere la glottide aperta, può essere utilizzato, come facilitazione, un
boccaglio di cartone. Questo ha una duplice funzione: garantire l’apertura della
glottide ed amplificare i rumori respiratori. L’espirazione deve essere lenta per
evitare l’aumento delle resistenze delle vie aeree, causato da una prematura
chiusura delle stesse. Il fisioterapista può aiutare l’utente ponendosi dal lato
dorsale di questo e, utilizzando la mano e l’avambraccio caudale, esercita, a partire
dai quadranti addominali inferiori, una spinta diagonale sui visceri, mentre la mano
craniale stabilizza l’emitorace sopralaterale. Questa manovra può essere eseguita
per 10/15 minuti per lato. L’utente può essere addestrato all’esecuzione in
autonomia di questa tecnica.
- ACBT (Active Cycle of Breathing Techniques) E’ composto da periodi di respiro
controllato (BC), esercizi di espansione toracica (TEE) ed espirazioni forzate
(FET). La procedura deve essere adattata al tipo di utente per numero di ripetizioni
per singolo esercizio e una volta appresa, può essere utilizzata dall’utente anche in
maniera autonoma
- Assistenza alla tosse. Negli utenti post-operati di chirurgia toracica o addominale
viene eseguita l’assistenza alla tosse, che consta di manovre messe in atto per
produrre una tosse efficace in presenza di dolore e deficit della parete addominale
dovuta all’atto chirurgico. L’assistenza alla tosse viene effettuata tramite il
contenimento della parete addominale e delle ferite chirurgiche, manualmente o
con fasce/ panciere, e accentuando la flessione delle anche, per aumentare la
pressione intra-addominale, garantendo così una migliore efficacia nella fase
espulsiva. L’utente, una volta appresa la manovra, sarà addestrato alla sua
autogestione.
Si procede dunque individua le tecniche di riabilitazione motoria più adeguata, per
prevenire rigidità e dolori muscolari e articolari, ipotrofia e ipostenia muscolare, disfunzioni
circolatorie, piaghe da decubito.
Per ciò che concerne la rieducazione motoria, essa verte principalmente sulla
mobilizzazione passiva, attiva/assistita, attiva, o contro resistenza dei 4 arti, sulle variazioni
posturali al letto e sui passaggi posturali, sulla progressiva riverticalizzazione, e sulla ripresa
del cammino e riadattamento allo sforzo fisico.
2.3 LA RIABILITAZIONE CARDIOVASCOLARE NEI PAZIENTI ANZIANI

Nei soggetti anziani, la riabilitazione cardiovascolare è differente da quella condotta in


pazienti più giovani, ed è essenzialmente finalizzata alla conservazione della mobilità,
dell’autosufficienza e delle funzioni mentali39.

All’ingresso del paziente, l’equipe formula un progetto riabilitativo che viene


esplicitato e dettagliato nel programma riabilitativo, clinico e assistenziale. Settimanalmente
l’equipe si ritrova e valuta l’andamento del recupero del paziente nel tempo. Le carte di
controllo esprimono graficamente questo andamento così da facilitarne una lettura a tutti i
componenti dell’equipe. Sulla base di dati preliminari relativi alla nostra utenza, per ogni
carta di controllo sono stati definiti gli andamenti attesi ed i possibili scostamenti dalla media
(limiti di confidenza). Per lo scompenso cardiaco la principale carta di controllo utilizzata è
menomazion especifica, con il 6’ minutes walking test come misura di outcome.
Il 6’ minutes walking test è un test molto diffuso per la valutazione dello stato
funzionale in pazienti con scompenso cardiaco cronico. Lo studio condotto da Ingle e
colleghi, ha dimostrato che questo test è in grado di funzionare quale importante predittore
della mortalità in pazienti con scompenso cardiaco cronico. Lo studio ha interessato una
popolazione iniziale di 1592 pazienti, 212 dei quali deceduti rappresentando in tal senso una
percentuale del 13.3%. Nei restanti pazienti, il tempo medio al periodo di follow-up è stato di
36,6 mesi. Cinque variabili sono state mantenute quali predittori indipendenti di ogni causa di
mortalità, ossia la ridotta distanza percorsa nel test, segni di affanno notturno, uso di
betabloccanti, valori elevati di NT-proBNP, e ridotta concentrazione dell’emoglobina. È stato
inoltre dimostrato che il test è un importante predittore diagnostico in pazienti con disfunzione
sistolica sinistro ventricolare avanzata40.
Nei pazienti anziani, la riabilitazione cardiovascolare e la prevenzione secondaria in
seguito a scompenso cardiaco rappresentano un processo di cura unico che prevede interventi

39
Besweick A.D., et al., “Provision, uptake and cost of cardiac rehablitation programmes: improving services to
under-represented groups”, Heath Technology Assessment, 8(41), pp. 1-152, 2004.
40
Ingle L., et al., “Prognostic value of the 6 min walk test and self-perceived symptom in older patients with
chronic heart failure”, European Heart Journal, 28(5), pp. 560-568, 2007.
di tipo multidisciplinare finalizzati a prevenire la comparsa di nuova eventi cardiovascolari, a
ridurre il rischio di progressione della malattia e dell’eventuale disabilità41.
L’attività di riabilitazione è solitamente destinata a pazienti anziani con una malattia
cardiovascolare associata a una o più complicanze, comorbilità maggiore, deficit sul piano
funzionale e cognitivo, disturbi sul piano emotivo e isolamento sociale, fattori questi che
rappresentano una indicazione specifica alla riabilitazione42. D’altro canto, il sesso femminile,
l’età avanzata, scarsa scolarizzazione e deterioramento delle capacità funzionali rappresentano
di solito fattori che riducono la prescrizione della riabilitazione43.
Sebbene sia diffusamente raccomandata la partecipazione dei pazienti anziani a
programmi riabilitativi e preventivi, è ancora molto ridotto il numeri di soggetti che
effettivamente vi prendono parte, e ciò può essere in generale spiegato sia con l’incremento
età-correlato della frequenza di controindicazioni all’esercizio fisico, sia con altri fattori legati
per esempio agli spostamenti spaziali che il soggetto non è in grado in affrontare per
raggiungere il centro riabilitativo, la negazione della malattia, la presenza di uno stato
depressivo44.
Per ciò che concerne gli obiettivi che un programma di riabilitazione pensato per un
soggetto anziano intende perseguire, sicuramente è prioritario il miglioramento della capacità
funzionale, e con esso la prevenzione del progredire della malattia cardiovascolare e

41
World Health Organization, “Rehabilitation after cardiovascular diseases, with special emphasis on
developing countries. Report of WHO Expert Committee”, World Health Organ Tech Rep Ser, 831, pp. 1-122,
1993.
Williams MA, Fleg JL, Ades PA, et al., “Secondary prevention of coronary heart disease in the elderly
(with emphasis on patients ≥ 75 years of age): an American Heart Association scientific statement from the
Council on Clinical Cardiology Subcommittee on Exercise, Cardiac Rehabilitation, and Prevention”,
Circulation, 105, pp. 1735-43, 2002.
Ades PA., “Cardiac rehabilitation and secondary prevention of coronary heart disease”, N Engl J Med, 345, pp.
892-902, 2001.
Thompson PD., et al., “Exercise and physical activity in the prevention and treatment of atherosclerotic
cardiovascular disease: a statement from the Council on Clinical Cardiology (Subcommittee on Exercise,
Rehabilitation, and Prevention) and the Council on Nutrition, Physical Activity, and Metabolism (Subcommittee
on Physical Activity)”, Circulation, 107, pp. 3109-3116, 2003.
42
Beswick AD. et al,. “Provision, uptake and cost of cardiac rehabilitation programmes: improving services to
under-represented groups”, Health Technol Assess, 8, pp. 1-152,2004.
Pasquali SK., et al., “Cardiac rehabilitation in the elderly”, Am Heart J, 142, pp.748-755, 2001..
43
Harlan WR, et al., “Importance of baseline functional and socio-economic factors for participation in cardiac
rehabilitation”, Am J Cardiol, 76, pp. 36-39, 1995.
44
Williams MA, Fleg JL, Ades PA, et al., “Secondary prevention of coronary heart disease in the elderly
(with emphasis on patients ≥ 75 years of age): an American Heart Association scientific statement from the
Council on Clinical Cardiology Subcommittee on Exercise, Cardiac Rehabilitation, and Prevention”,
Circulation, 105, pp. 1735-43, 2002.
dell’insorgere di disabilità associate, il miglioramento delle condizioni psicologiche e
comportamentali e della qualità di vita. Come spiegano Fattirolli e colleghi, però,

Il rapporto tra miglioramento della capacità funzionale e qualità di vita


nell’anziano è complesso: anche un piccolo incremento della capacità di
sostenere uno sforzo può tradursi in un grande vantaggio nell’autonomia e
nelle performance della vita quotidiana, mentre la qualità della vita può essere
influenzata in misura rilevante anche dalle condizioni emozionali o cognitive,
e da specifiche condizioni funzionali di organi ed apparati diversi da quello
cardiovascolare45.

Come detto precedente, fine ultimo del programma riabilitativo è agevolare il


mantenimento nel lungo periodo di una attività fisica regolare, in modo da ridurre il rischio di
decesso per cause cardiovascolari, anche in soggetti di età superiore a 75 anni46, ritardando
altresì la progressione della coronaropatia47.

Nel caso di pazienti affetti da scompenso, il percorso di cura prevede programmi di


riabilitazione specifici; il training fisico è finalizzato a migliorare la capacità funzionale, le
alterazioni neuroumorali, l’emodinamica da sforzo, la perfusione e il metabolismo
muscolare48.
In un soggetto anziano, l’apparato muscolo-scheletrico risulta alterato non solo dal
punto di vista funzionale e metabolico ma anche a causa del deperimento fisico generale, dalla
sarcopenia che caratterizza il processo di invecchiamento, e dall’arteriopatia periferica.
Sebbene non siano numerosi gli studi effettuati su anziani con scompenso cronico49, come

45
Fattirolli F., et al., “Riabilitazione cardiologica nell’anziano”, Ital Heart J Suppl, 6 (12), pp. 788-795, 2005.
46
Manson JE, Greenland P, LaCroix AZ, et al., “Walking compared with vigorous exercise for the prevention of
cardiovascular events in women”, N Engl J Med, 347, pp. 716-25, 2002.
47
Niebauer J, Hambrecht R, Velich T, et al., „Attenuated progression of coronary artery disease after 6 years of
multifactorial risk intervention: role of physical exercise”, Circulation, 96, pp. 2534-41, 1997.
48
Pina IL, Apstein CS, Balady GJ, et al, for the American Heart Association Committee on exercise,
rehabilitation, and prevention. Exercise and heart failure: a statement from the American Heart Association
Committee on exercise, rehabilitation, and prevention. Circulation 2003; 107: 1210- 25.
Linke A, Adams V, Schulze PC, et al. Antioxidative effects of exercise training in patients with chronic heart
failure: increase in radical scavenger enzyme activity in skeletal muscle. Circulation 2005; 111: 1763-70.
49
Gottlieb SS. Exercise in the geriatric patient with congestive heart failure. Am J Geriatr Cardiol 2001; 10:
264-8.
dimostra lo studio condotto da Pu e colleghi, su un campione di donne di età media 77 anni,
affette da scompenso cardiaco moderato, un programma di training fisico di resistenza ha
comportato un generale incremento della capacità funzionale, della forza muscolare dell’arto
inferiore, della densità delle fibre muscolari, e dell’attività enzimatica ossidativa
mitocondriale50.
Inoltre, lo studio di Austin e colleghi ha dimostrato che un programma di riabilitazione
intensiva della durata di 8 settimane, a cui ha fatto seguito un programma di mantenimento
con 1 ora di esercizio a settimana per 16 settimane, è in grado di migliorare i sintomi dello
scompenso cardiaco, la performance fisica, la qualità della vita, e di ridurre le
ospedalizzazioni e le giornate complessive di degenza51.

50
Pu CT, Johnson MT, Forman DE, et al. Randomized trial of progressive resistance training to counteract the
myopathy of chronic heart failure. J Appl Physiol 2001; 90: 2341-50.
51
Austin J. et al., Randomized controlled trial of cardiac rehabilitation in elderly patients with heart failure. Eur J
Heart Fail 2005; 16:411-7.
CONCLUSIONI

Nei pazienti cardiopatici in fase post-acuta o cronica, in particolare se affetti da


malattia coronarica o scompenso cardiaco, la riabilitazione cardiovascolare rappresenta il
modello standard di trattamento globale; essa rappresenta inoltre la forma di prevenzione
secondaria più strutturata e di maggior efficacia nel breve e lungo termine.
Nel programma riabilitativo ruolo fondamentale è riconosciuto all’esercizio fisico, in
virtù dei positivi effetti terapeutici biologici che lo contraddistinguono, e che lo rendono
indispensabile al pari del trattamento farmacologico.
A seguito dell’introduzione del training fisico, anche il trattamento di soggetti affetti
da scompenso cardiaco ha subito una serie di modifiche, includendo in esso, appunto,
l’esercizio fisico quale agente per coadiuvare il miglioramento delle capacità funzionali, della
qualità della vita, e per ridurre il rischio di decesso a seguito dell’insorgenza di eventi clinici
avversi o di un peggioramento della funzione cardiaca.
Come si è avuto modo di sottolineare nel corso di questo lavoro, sebbene i dati relativi
all’applicazione di programmi di riabilitazione cardiovascolare nella popolazione anziana
affetta da scompenso cardiaco siano scarsi, si segnala in letteratura la possibile efficacia degli
stessi.
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