INTRODUZIONE
CAPITOLO I
LO SCOMPENSO CARDIACO
CAPITOLO II
LA RIABILITAZIONE IN SOGGETTI CON SCOMPENSO
CARDIACO
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
1
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Tabella 1.1 - Definizione dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata
(HFpEF), media (HFmrEF) e ridotta (HFrEF)
2
Butler J. et al, “Developing therapies for heart failure with preserved ejection fraction: current state and future
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3
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Nei pazienti in cui non è presente una malattia miocardica sinistro ventricolare
rilevabile, lo scompenso cardiaco può essere legato ad altre cause cardiovascolari, quali
ipertensione polmonare, o malattie delle valvole cardiache. I pazienti con patologie non
cardiovascolari (per esempio l'anemia, o malattie polmonari, renali o epatiche) possono avere
sintomi simili o identici a quelli dello scompenso cardiaco, ognuno dei quali può complicare o
esacerbare la sindrome.
Un paziente che non ha mai manifestato i sintomi e/o segni tipici dello scompenso
cardiaco e con una FE ridotta è descritto come affetto da disfunzione sistolica sinistro
ventricolare asintomatica. I pazienti che invece presentano lo scompenso cardiaco da diverso
tempo sono identificati come affetti da scompenso cardiaco cronico. Un paziente sottoposto a
trattamento con sintomi e segni che rimangono invariati per almeno un mese è detto stabile.
Se lo scompenso cardiaco cronico stabile deteriora, il paziente potrebbe essere descritto come
scompensato, una situazione questa che può manifestarsi sia improvvisamente sia lentamente,
portando spesso all’ospedalizzazione. La comparsa de novo dello scompenso cardiaco
potrebbe presentarsi in forma acuta, per esempio, come conseguenza di infarto miocardico
acuto, o in modo graduale, per esempio in pazienti con cardiomiopatia dilatativa, nei quali i
sintomi si manifestano a volte per settimane o anche mesi prima di giungere a una diagnosi
definitiva. Sebbene i sintomi e i segni dello scompenso cardiaco possano risolversi, lo stesso
potrebbe non accadere con la disfunzione cardiaca sottostante, e pertanto il paziente resta a
rischio di scompenso ricorrente4.
In alcuni casi, tuttavia, lo scompenso cardiaco può essere dovuto a un problema che si
risolve completamente, come per esempio miocardite virale acuta, cardiomiopatia
di Takotsubo o tachicardiomiopatia. Altri pazienti, in particolare quelli affetti da
cardiomiopatia dilatata idiopatica, potrebbero manifestare anche un recupero sostanziale o
completo della funzione sistolica sinistro ventricolare nel caso di trattamento con terapie
moderne quali gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, i betabloccanti,
l’antagonista del recettore mineralcorticoide, l’ivabradina e/o la terapia di resincronizzazione
cardiaca (CRT). Si parla infine di scompenso cardiaco congestizio in caso di scompenso
cardiaco acuto o cronico con presenza di sovraccarico di volume.
Dal punto di vista della sintomatologia, si adotta la classificazione funzionale della
New York Heart Association (NYHA) per descrivere la gravità dei sintomi e l’intolleranza
allo sforzo. Tuttavia, la gravità dei sintomi è scarsamente correlata con molte misure della
4
Ponikowski P. et al., “2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure”,
European Journal of Heart Failure (2016)18, 899.
funzione sinistro ventricolare; sebbene vi sia una chiara relazione tra la gravità dei sintomi e
la sopravvivenza, pazienti con sintomi di media gravità potrebbero comunque incorrere in un
elevato rischio di ospedalizzazione e morte5. In alcuni casi, si adotta il termine scompenso
cardiaco avanzato in riferimento a pazienti con sintomi gravi, scompenso frequente e
disfunzione cardiaca grave6.
5
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6
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7
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9
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prognosis of heart failure The Rotterdam Study”, Eur Heart J England; 2004;25:1614–1619.
ospedaliera, ospedalizzazione), età e sesso della popolazione studiata, precedente infarto del
miocardio10.
Dati sui trend temporali basati sui pazienti ospedalizzati suggeriscono che l’incidenza
dello scompenso cardiaco potrebbe essere in riduzione, più per quello ridotto che per quello
preservato11. Lo scompenso cardiaco preservato e ridotto sembrano avere profili
epidemiologici ed eziologici diversi. Rispetto ai pazienti con scompenso cardiaco ridotto,
quelli con scompenso cardiaco preservato sono di età maggiore, più spesso di sesso
femminile, e presentano più comunemente una storia di ipertensione e fibrillazione atriale,
mentre è meno comune una storia di infarto del miocardio12.
L’eziologia dello scompenso cardiaco varia all’interno delle varie regioni del mondo e
tra di esse. Non vi è accordo rispetto a un singolo sistema di classificazione delle cause dello
scompenso cardiaco, con frequente sovrapposizione delle varie categorie (Tabella 1.2).
10
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11
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12
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Tabella 1.2 – Eziologie dello scompenso cardiaco
I sintomi dello scompenso cardiaco sono spesso non specifici e di conseguenza non
aiutano a discriminare tra questo e altre tipologie di problemi cardiaci (Tabella 1.3)
Sintomi e segni dello scompenso cardiaco dovuti a ritenzione idrica possono essere
rapidamente risolti con l’assunzione di diuretici. Segni quali elevata pressione venosa
giugulare e spostamento dell'impulso apicale, potrebbero essere più specifici, ma sono più
difficili da rilevare e hanno scarsa riproducibilità13. L’individuazione di segni e sintomi è
ulteriormente complicata in pazienti obesi, o in età avanzata o, ancora, affetti da malattia
polmonare cronica14. I pazienti più giovani con scompenso cardiaco presentano spesso
un’eziologia, presentazione clinica e esito diversi da quelli dei pazienti più anziani15.
È sempre importante ricostruire in modo accurato la storia del paziente, in quanto la
manifestazione di scompenso cardiaco in soggetti privi di una rilevante storia medica (per
esempio una causa potenziale di danno cardiaco) è insolita, mentre alcune caratteristiche, in
particolare un precedente infarto del miocardio, aumenta fortemente la probabilità di
scompenso cardiaco16. È necessario verificare a ogni visita lo stato dei sintomi, prestando
particolare attenzione alla presenza di congestione; tale verifica è fondamentale per
monitorare la risposta del paziente al trattamento e la sua stabilità nel tempo. La persistenza
dei sintomi nonostante il trattamento in corso indica nella maggior parte dei casi la necessità
di terapie aggiuntive, così come il loro peggioramento è uno sviluppo serio, che spesso espone
il paziente al rischio di ospedalizzazione urgente e di decesso, e richiede dunque la massiva
attenzione da parte del medico.
In fase di diagnosi iniziale si procede con l’analisi della concentrazione plasmatica dei
peptidi natriuretici (PN), la quale, in caso di tassi elevati, consente di stabilire una diagnosi
iniziale a partire dalla quale richiedere ulteriori indagini cardiache, quali l’ecocardiografia;
quest’ultima non si rende necessaria in pazienti con valori al di sotto del punto limite per
13
Kelder JC, et al, “The diagnostic value of physical examination and additional testing in primary care patients
with suspected heart failure”, Circulation 2011;124:2865–2873.
14
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15
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16
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Fonseca C., “Diagnosis of heart failure in primary care”, Heart Fail Rev 2006;11:95–107.
l'esclusione di importanti disfunzioni cardiache. I pazienti con livelli normali di PN hanno
meno probabilità di manifestare scompenso cardiaco.
Oltre all’analisi dei PN, si procede con elettrocardiogramma (ECG). Nel caso di
anormalità, aumenta la probabilità di diagnosi di scompenso cardiaco, ma questo tipo di
esame presenza bassa specificità17. A ogni modo, poiché le anormalità segnalate dall’ECG
forniscono informazioni sull’eziologia (per esempio infarto del miocardio) e sono di ausilio
nell’individuazione di una terapia, effettuare tale esame è parte della routine diagnostica dello
scompenso cardiaco.
Si procede infine con ecocardiografia, che risulta essere il test di maggior utilità per
stabilire la diagnosi di scompenso cardiaco. Tale esame fornisce informazioni immediate sul
volume, sulla funzione sistolica e diastolica ventricolare, ispessimento della parete,
funzionamento delle valvole e ipertensione polmonare; si tratta di informazioni cruciali non
solo per stabilire la diagnosi ma anche per determinare il trattamento più adeguato18.
17
Davie AP, et al., “Value of the electrocardiogram in identifying heart failure due to left ventricular systolic
dysfunction”, BMJ 1996;312:222.
Thomas JT, et al., “Utility of history, physical examination, electrocardiogram, and chest radiograph for
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445.
18
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failure with normal left ventricular ejection fraction by the Heart Failure and Echocardiography Associations of
the European Society of Cardiology”, Eur Heart J 2007;28:2539–2550.
1.3 TEST DIAGNOSTICI
19
Garbi M., et al., “Appropriateness criteria for cardiovascular imaging use in heart failure: report of literature
review”, Eur Heart J Cardiovasc Imaging 2015;16:147–153.
Lang RM, et al., “Recommendations for cardiac chamber quantification by echocardiography in adults: an
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Imaging”, Eur Heart J Cardiovasc Imaging 2015;16:233–270.
Gimelli A, et al., “Non-invasive cardiac imaging evaluation of patients with chronic systolic heart failure: a
report from the European Association of Cardiovascular Imaging (EACVI)”, Eur Heart J 2014;35:3417–3425.
1.4 TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
20
Ponikowski P. et al., “2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart
failure”, European Journal of Heart Failure (2016)18, 920.
CAPITOLO II
LA RIABILITAZIONE IN SOGGETTI CON SCOMPENSO
CARDIACO
2.1 LA RIABILITAZIONE CARDIOVASCOLARE: LE LINEE GUIDA NAZIONALI
21
WHO Committee Report, “Rehabiitation after cardiovascular diseases, with emphasis on developing
countries”, World Health Organization Technical Report Series, 831, pp. 209-221.
22
O’Connor G.T. et al., “An overview of randomized trials of rehabilitation with exercise after myocardial
infarction”, Circulation, 82, pp. 234-244, 1989.
Oldridge N.B. et al., “Cardiac rehabilitation after mycocardial infarction: combined experience of randomized
clinical trials”, Journal of the American Medical Association, 260, pp. 945-995, 1988.
23
University of New York, NHS Centre for Reviews and Dissemination “Cardiac rehabilitation”, Effective
Health Care, 4(4), 1998.
24
Wyer S., Joseph S., Earl L., “Predicting attendance at cardiac rehabilitation: a review and recommendations”,
Coronary Health Care, 5(4), pp. 171-177, 2001.
strumentali e supporto per favorire nel paziente il mantenimento di uno stile di vita adeguato e
per la prevenzione secondaria25.
In generale, i benefici derivanti da interventi di riabilitazione cardiovascolare
includono:
25
Giannuzzi P., “La riabilitazione cardiologica. Le Linee Guida e la realtà italiana”, Monaldi Archives, 66(2),
pp. 121-128, 2006.
26
Ivi, p. 123.
27
Granato Corigliano G., Riabilitazione cardiologica, Guida, Napoli, 1996, p. 38.
28
Giannuzzi P., “La riabilitazione cardiologica”, p. 124.
guida basate sull’evidenza) in altri paesi riadattandole al contesto italiano, sulla base delle
evidenze scientifiche prodotte successivamente alla pubblicazione delle SIGN29.
La riabilitazione cardiovascolare, come riportato nelle Linee Guida, si articola in tre
fasi.
La prima fase si svolge durante la fase acuta di malattia definita come IMA, sindrome
coronarica acuta, chirurgia cardiaca o angioplastica coronarica, o instabilizzazione di
scompenso cardiaco. Nel corso di questa fase, si procede in particolare valutando gli aspetti
clinici, rassicurando il paziente e i familiari, fornendo informazioni di tipo sanitario volti
anche a modificare eventuali pregiudizi sulla malattia e le sue conseguenze, valutando i fattori
di rischio, pianificando in modo adeguato la dimissione. il coinvolgimento della famiglia è
fondamentale a partire da questa fase precoce, così come lo è la preparazione dell’infermiere
relativamente alle tecniche di “counseling” che gli consentono di migliorare la conoscenza sia
del paziente che dei familiari o “caregivers” sulla malattia cardiaca e di contribuire a ridurre
gli eventuali stati di ansia e di depressione rispetto a chi riceve un’assistenza di routine.
La seconda fase si concretizza in un programma strutturato di valutazione globale del
rischio e di intervento complessivo comprendente attività fisica in ambiente ospedaliero e
supporto educazionale e psicologico con percorsi finalizzati a modificare gli specifici fattori
di rischio. Viene riconosciuto sempre più che entrambi i componenti possono essere
sviluppati in modo sicuro e con successo nell’ambito dell’assistenza primaria, intendendo per
quest’ultima quella disponibile sul territorio (MMG, attività distrettuali, ecc.). Un approccio
individualizzato riconosce la necessità di adeguare l’offerta di servizi alle necessità specifiche
del singolo individuo e dovrebbe includere:
a) un intervento informativo, educazionale e comportamentale per modificare credenze
errate sulle malattie cardiache, incoraggiare la sospensione del fumo e il raggiungimento o il
mantenimento di un peso corporeo ideale attraverso un’alimentazione corretta;
b) un programma di esercizio fisico finalizzato per il ritorno al lavoro o ad attività
lavorative non professionali;
c) l’impostazione di un programma a lungo termine con il supporto di un gruppo di
intervento multidisciplinare che dovrebbe includere cardiologo, psicologo, fisioterapista e
dietologo.
A questo intervento va aggiunto quello specifico sulle comorbilità e sulla
disautonomia presente nel singolo caso.
29
Griffo R. et al., “Linee guida nazionali su cardiologia riabilitativa e prevenzione secondaria delle malattie
cardiovascolari: sommario esecutivo”, G Ital Cardiol, 9 (4): 286-297, 2008.
La terza e ultima fase prevede il mantenimento a lungo termine dell’attività fisica e del
cambiamento nello stile di vita, in quanto il perseguimento di entrambi questi aspetti assicura
il mantenimento nel lungo termine dei benefici derivanti dall’intervento riabilitativo. Ulteriore
apporto positivo, può derivare dalla partecipazione del paziente a un gruppo locale di
supporto cardiaco o di autosostegno, che comprenda attività fisica da svolgere in una palestra
o in un centro ricreativo30.
30
Ibidem.
2.2 IL CICLO RIABILITATIVO CARDIOLOGICO
31
Linee Guida, p. 290.
32
Ibidem.
Tabella 2.1 Indicazioni alla cardiologia riabilitativa intensiva degenziale
Tipologia Indicazioni
Pazienti post-chirurgici Elevato rischio di nuovi eventi
cardiovascolari
Prima della settima giornata da intervento o
più tardivamente dopo periodi prolungati di
degenza in Rianimazione o Terapia Intensiva
Morbilità associate o complicanze di rilievo
Difficoltà logistiche/ambientali/socio-
assistenziali
Pazienti con scompenso cardiaco Necessità di terapie da titolare o infusive
Supporto nutrizionale o meccanico
Trattamento riabilitativo intensivo
Pazienti post-IMA/PTCA Rischio medio-alto di nuovi eventi
cardiovascolari
Complicanze-instabilità clinica
Morbilità associate significative
Elevato rischio di qualità di
vita/professionale
Dimissione da UTIC entro la quinta giornata
Rischio elevato di progressione della malattia
aterosclerotica
Difficoltà logistiche/ambientali/socio-
assistenziali
Pazienti post-trapianto cardiaco Valutazione per porre indicazione a trapianto
Verifica la persistenza dell’indicazione
Pazienti con cardiopatie non operabili Intervento finalizzato alla prevenzione del
deterioramento clinico e della progressione
della malattia di base
Fonte: Linee Guida
La riabilitazione cardiovascolare intensiva ambulatoriale (vedi Tabella 2.2) prevede
33
Ivi, pp. 290-291.
34
Ivi, p. 291.
Come anticipato, il ciclo riabilitativo ha inizio con la valutazione iniziale dello stato
del paziente, procedendo con la stratificazione del rischio a seconda del grado di stabilità (da
basso a medio-alto)35, nel corso della quale si procede a verificare e condizioni cliniche
generali, lo stato funzionale degli organi e degli apparati, il livello di deterioramento fisico, lo
stato delle capacità motorie, la funzione cardiovascolare sotto sforzo, comorbilità e terapia
farmacologia in atto. Particolare attenzione è posta anche allo stato nutrizionale e alle
abitudini alimentari, entrambi influenzabili in modo negativo da condizioni di tipo tanto
sociale, quali isolamento e condizioni economiche più o meno disagiate, quanto medico, quali
edentulia e iporessia. Infine, l’operatore si concentra sulla “persona”, valutandone gli stati
emotivi e cognitivi, la qualità e quantità del supporto sociale e familiare, ed educando il
paziente alla corretta gestione del programma di riabilitazione e della terapia farmacologica36.
A seguito della valutazione, ha inizio la parte pratica del ciclo riabilitativo relativa
all’esercizio fisico. Nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica, è molto frequente la
manifestazione di un forte disagio nell’effettuare l’esercizio fisico che può portare il paziente
a rifiutarsi completamente di partecipare alla riabilitazione, con conseguenti effetti negativi
generalizzati sulla funzione cardiocircolatoria, sulla tendenza dei muscoli scheletrici
all’atrofia; più avanza il deterioramento, maggior disagio manifesterà il paziente. È dunque
fondamentale che l’operatore guidi in modo adeguato il paziente nel training fisico in quanto
questo, interrompendo il circolo vizioso appena descritto, consente un adattamento funzionale
e strutturale degli apparati, con conseguente miglioramento emodinamico, ventilatorio e
metabolico37.
La tipologia di esercizio fisico da proporre al paziente varia a seconda degli aspetti
fisiologici e fisiopatologici dell’attività e degli effetti acuti o cronici che essa può avere dal
punto di vista cardiovascolare. Tali aspetti fisiologici e fisiopatologici possono così essere
riassunti:
1. Impegno cardiocircolatorio costante (attività aerobiche prolungate) o
intermittente;
2. Impegno cardiocircolatorio variabile a seconda dell’intensità dello sforzo,
quest’ultimo proporzionale alle richieste metaboliche dei muscoli impegnati;
35
Mezzani A., Cacciatore F., Giannuzzi P., Manuale delle metodiche e delle procedure di riabilitazione fisica in
cardiologia, Pime, Pavia, 2007.
36
Galati A., Vigorito C., Riabilitazione cardiologica, Edi-Ermes, Milano, 2012.
37
Giada F. et al., “Documento Cardiologico di Consenso della Task Force Multisocietaria : la prescrizione
dell’esercizio fisico in ambito cardiologico”, Monaldi Archives, 68, pp. 13-30, 2007.
l’unità di misura dell’intensità metabolica è il MET, equivalente metabolico, pari
all’ossigeno consumato per le funzioni basali dei vari organi da un uomo in
condizione di riposo, stimato in 3,5 ml di O2 per Kg di peso corporeo per minuto;
3. Risposta emodinamica allo sforzo variabile a seconda dell’esercizio; le attività
dinamiche sono di tipo aerobico e favoriscono la prevenzione primaria e
secondaria;
4. Rischio di complicanze cardiovascolari manifestabile con attività fisiche e sportive
dinamiche, a impegno sia costante che intermittente38.
Sulla base delle caratteristiche fisiologiche e fisiopatologiche appena illustrate, le
attività sportive possono essere suddivise in tre gruppi, ossia attività di tipo dinamico a
impegno cardiaco costante, attività di tipo dinamico a impegno cardio-circolatorio
intermittente, attività statiche o di potenze. Per il dettaglio si veda la Tabella 2.3.
(segue)
38
Ivi, pp. 22-24.
Fonte: Giada F. et al. 2007, p. 23.
39
Besweick A.D., et al., “Provision, uptake and cost of cardiac rehablitation programmes: improving services to
under-represented groups”, Heath Technology Assessment, 8(41), pp. 1-152, 2004.
40
Ingle L., et al., “Prognostic value of the 6 min walk test and self-perceived symptom in older patients with
chronic heart failure”, European Heart Journal, 28(5), pp. 560-568, 2007.
di tipo multidisciplinare finalizzati a prevenire la comparsa di nuova eventi cardiovascolari, a
ridurre il rischio di progressione della malattia e dell’eventuale disabilità41.
L’attività di riabilitazione è solitamente destinata a pazienti anziani con una malattia
cardiovascolare associata a una o più complicanze, comorbilità maggiore, deficit sul piano
funzionale e cognitivo, disturbi sul piano emotivo e isolamento sociale, fattori questi che
rappresentano una indicazione specifica alla riabilitazione42. D’altro canto, il sesso femminile,
l’età avanzata, scarsa scolarizzazione e deterioramento delle capacità funzionali rappresentano
di solito fattori che riducono la prescrizione della riabilitazione43.
Sebbene sia diffusamente raccomandata la partecipazione dei pazienti anziani a
programmi riabilitativi e preventivi, è ancora molto ridotto il numeri di soggetti che
effettivamente vi prendono parte, e ciò può essere in generale spiegato sia con l’incremento
età-correlato della frequenza di controindicazioni all’esercizio fisico, sia con altri fattori legati
per esempio agli spostamenti spaziali che il soggetto non è in grado in affrontare per
raggiungere il centro riabilitativo, la negazione della malattia, la presenza di uno stato
depressivo44.
Per ciò che concerne gli obiettivi che un programma di riabilitazione pensato per un
soggetto anziano intende perseguire, sicuramente è prioritario il miglioramento della capacità
funzionale, e con esso la prevenzione del progredire della malattia cardiovascolare e
41
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42
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Pasquali SK., et al., “Cardiac rehabilitation in the elderly”, Am Heart J, 142, pp.748-755, 2001..
43
Harlan WR, et al., “Importance of baseline functional and socio-economic factors for participation in cardiac
rehabilitation”, Am J Cardiol, 76, pp. 36-39, 1995.
44
Williams MA, Fleg JL, Ades PA, et al., “Secondary prevention of coronary heart disease in the elderly
(with emphasis on patients ≥ 75 years of age): an American Heart Association scientific statement from the
Council on Clinical Cardiology Subcommittee on Exercise, Cardiac Rehabilitation, and Prevention”,
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dell’insorgere di disabilità associate, il miglioramento delle condizioni psicologiche e
comportamentali e della qualità di vita. Come spiegano Fattirolli e colleghi, però,
45
Fattirolli F., et al., “Riabilitazione cardiologica nell’anziano”, Ital Heart J Suppl, 6 (12), pp. 788-795, 2005.
46
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dimostra lo studio condotto da Pu e colleghi, su un campione di donne di età media 77 anni,
affette da scompenso cardiaco moderato, un programma di training fisico di resistenza ha
comportato un generale incremento della capacità funzionale, della forza muscolare dell’arto
inferiore, della densità delle fibre muscolari, e dell’attività enzimatica ossidativa
mitocondriale50.
Inoltre, lo studio di Austin e colleghi ha dimostrato che un programma di riabilitazione
intensiva della durata di 8 settimane, a cui ha fatto seguito un programma di mantenimento
con 1 ora di esercizio a settimana per 16 settimane, è in grado di migliorare i sintomi dello
scompenso cardiaco, la performance fisica, la qualità della vita, e di ridurre le
ospedalizzazioni e le giornate complessive di degenza51.
50
Pu CT, Johnson MT, Forman DE, et al. Randomized trial of progressive resistance training to counteract the
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