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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

Facoltà di Medicina e Chirurgia


Corso di Diploma Universitario in Infermiere

TESI IN
INFERMIERISTICA CLINICA I APPLICATA ALLA
MEDICINA INTERNA E ALLA CHIRURGIA

Dall’ospedalizzazione al territorio:
L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

PRESENTATA DA: RELATORE CHIAR.MO PROF.


Matteo Montanari DDSI Cristina Fabbri
Matricola: 112288

Parole chiave:
• famiglia
• territorio
• infermiere di famiglia
• cure primarie
• case management

Sessione II

Anno accademico: 2001/2002


Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

INDICE

INTRODUZIONE…………………………………………………….…....……pag. V

PARTE I

CAPITOLO 1
LA MEDICINA GENERALE

1.1 Definizione…………………………………………………………….……...….…pag. 1
1.2 Storia della medicina generale………………..……………………..……….……pag. 2
1.3 Obiettivi……………….………………………………………………..…………...pag. 3
1.4 Il contesto…………………………………………………………….…….…….…pag. 6
1.4.1 Il singolo…………………..………………………………...….…………….……pag. 6
1.4.2 La famiglia………………………………………………………...………………pag. 12
1.4.3 L’ambiente.……………….………………………………………………….……pag. 19

CAPITOLO 2
LA LEGISLAZIONE

2.1 L’OMS……………….……………………………………………………...…...…pag. 21
2.1.1 “La salute 21”……………………….……………………………………….……pag. 22
2.1.2 Il corso di formazione ed il curriculum dell’infermiere di famiglia……...….……pag. 28
2.2 Il master di 1° livello………………………………………………………….……pag. 33
2.3 Il piano sanitario nazionale 2002/2004……………………………………………pag. 36
2.4 La normativa italiana…………………………………………………...…………pag. 40
2.4.1 Norme giuridiche………………………………………………………….………pag. 40
2.4.2 Norme extra-giuridiche……………………………………………………………pag. 42

I
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

PARTE II

CAPITOLO 3
L’INFERMIERE DI FAMIGLIA IN ITALIA

3.1 Il ruolo dell’infermiere di famiglia in Italia ……………………….……….……pag. 45


3.2 La definizione di Nursing…………………………………………………….……pag. 47
3.3 L’infermiere di famiglia nelle teoriche…………………………………..….……pag. 48
3.4 Il case management…………….…………………………………………..………pag. 53
3.4.1 L’infermiere case manager………………………………………………..………pag. 54
3.4.2 La professionalità e l’organizzazione del case manager…………………..………pag. 55
3.5 Lavorare in team…..…………………………………………………….…………pag. 57
3.6 Gli obiettivi dell’infermiere in sanità pubblica……..……………………………pag. 60
3.7 Analisi delle prestazioni infermieristiche…..……..……………………...………pag. 66
3.7.1 Che cosa pensano gli assistiti dell’infermiere di famiglia….……………..………pag. 66
3.7.2 Sperimentazione dell’assistenza domiciliare……..………………………….……pag. 76
3.7.3 Censimento delle infermiere che operano nella Medicina di Famiglia ……..……pag. 80
3.8 Le esperienze sul territorio…………....……..……………………………………pag. 85
3.8.1 L’ambulatorio di Oriago…..………....……..……………………………..………pag. 85
3.8.2 L’ambulatorio di Arezzo….……....……..……………………………...…………pag. 89

CAPITOLO 4
L’INFERMIERE DI FAMIGLIA ALL’ESTERO

4.1 La storia………………………………………………………….………….……pag. 93
4.1.1 Il percorso storico anglosassone………..……………………….………………pag. 93
4.1.2 Il percorso storico negli Stati Uniti……………………………...………………pag. 99
4.2 La formazione……………..……..………………………………………………pag. 100
4.2.1 Il percorso formativo anglosassone……………………………..………………pag. 101
4.2.2 Il percorso formativo negli Stati Uniti ……….…………………………………pag. 102
4.3 Le attività………………….………………………………….……..……………pag. 105
4.3.1 L’infermiere di famiglia anglosassone………..……………………..……..……pag. 105
4.3.2 L’infermiere di famiglia negli Stati Uniti……….………………………………pag. 107
4.3.3 Cure infermieristiche familiari in Slovenia………………………………...……pag. 109

II
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

4.3.4 Infermiere di salute famigliare in Botswana…………………………..…………pag. 109


4.3.5 L’infermiere di comunità in Romania……………………………………………pag. 109

CONCLUSIONI…………………………………………………...………………pag. 111

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………..……pag. 113

INDICE DELLE FIGURE


Figura 1: cosi sara’ la rete del futuro………………………………………………...…pag. VII
Figura 2: la famiglia e l’infermiere di famiglia come sistemi………………….……….pag. 16
Figura 3: l’infermiere di famiglia sotto “l’ombrello” della salute pubblica
e dell’assistenza primaria……………………………………………………..pag. 26
Figura 4: modello di collaborazione tra infermiera, cliente e medico………………….pag. 88

INDICE DEI GRAFICI


Grafico 1: popolazione giovane e anziana in Italia……………………………….……..pag. 7
Grafico 1: popolazione giovane e anziana in Italia……………………………………...pag. 8
Grafico 3: distribuzione percentuale delle principali cause di morte
per malattie cronico invalidanti………………………………………………pag. 8
Grafico 4: tipo di convivenza secondo il grado di disabilità:
distribuzione percentuale per sesso……………………………….………….pag. 10
Grafico 5: numero di patologie cronico invalidanti diagnosticate:
distribuzione dei soggetti osservati, per sesso e classe d'età…………………pag. 11
Grafico 6: percentuale degli intervistati per fasce d’età…………………………………pag. 68
Grafico 7: approccio alla figura dell’infermiere di famiglia
per consigli o informazioni……………………………………...……………pag. 70
Grafico 8: distribuzione percentuale delle prestazioni effettuate nei vari ambulatori…..pag. 71
Grafico 9: istogramma di confronto………………………………………….………….pag. 72
Grafico 10: percentuali di richieste di interventi a domicilio…………………….……..pag. 73
Grafico 11: motivazioni degli interventi a domicilio……………………………………pag. 74
Grafico 12: proposte per il miglioramento del sevizio………………………….……….pag. 75
Grafico 13: percentuali di ricoveri in ospedale e di istituzionalizzazioni…………….…pag. 79

III
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

INDICE DELLE TABELLE


Tabella 1: le tipologie di famiglie italiane……………………………..………………..pag. 12
Tabella 2: classificazione percentuale delle famiglie per tipologia
e partizione geografica……………………………………………….….….pag. 14
Tabella 3: riepilogo delle attività dell’anno 2000 nell’ambulatorio di San Leo.…...…..pag. 91
Tabella 4: la rapida crescita dei nurse practitioner negli anni 90………………….…...pag. 100
Tabella 5: le attività del nurse practitioner negli stati uniti…………………….………pag. 108

INDICE DEGLI SCHEMI


Schema 1: articolazione complessiva dei moduli o corsi di perfezionamento
del master in sanità pubblica………………………………………….……..pag. 34
Schema 2: i piani nazionali dal 1998 al 2004…………………………………………...pag. 36

IV
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

INTRODUZIONE

“Secondo me la missione delle cure infermieristiche in definitiva è quella di curare il malato


a casa sua (…) intravedo la sparizione di tutti gli ospedali e di tutti gli ospizi. (…) ma a che
cosa serve parlare ora dell’anno 2000? (Florence Nightingale, Pasqua 1889 )

In questo momento di crescente autonomia della professione, non solo teorica e legislativa,
ma con una ricaduta pratica, il campo in cui giocare le carte migliori è sicuramente il
territorio. Ed è proprio in questo contesto, associato alla politica “salute per tutti” perseguita
dall’OMS, nel quale sembra assumere un ruolo di cruciale importanza una nuova figura
professionale: l’infermiere di famiglia.
Questa figura è chiamata ad offrire un significativo contributo nel perseguire gli obiettivi volti
a promuovere e a conservare la salute della popolazione lungo tutto l’arco della vita; con
questo tipo di lavoro, flessibile e polivalente, gli infermieri di famiglia possono da un lato
individuare precocemente l’insorgenza di problemi di salute e garantirne la cura sin dal loro
insorgere, dall’altro possono facilitare le dimissioni precoci dei pazienti dalle altre strutture
sanitarie (ospedali o luoghi di convalescenza), reinserendo tempestivamente l’individuo nel
proprio contesto naturale: la propria dimora.
Il nucleo familiare torna ad essere il centro di raccordo dove, chi si occupa di assistenza, è
effettivamente in grado di gestire le situazioni tenendo conto degli aspetti psicologici e sociali
del singolo individuo, adattandosi a queste e non pretendendo di applicare soluzioni prefissate
per ogni tipo di paziente. “La famiglia avrà un punto di riferimento infermieristico al pari di
quello fino ad ora rappresentato dal medico, il quale fino ad oggi, per far fronte a situazioni
di bisogno, si addentrava in competenze non sue” 1.
Ancora oggi manca una figura vicino alla famiglia che sappia accompagnarla in delicati
passaggi condizionati dai problemi di salute. E’ facile pensare a strutture sanitarie che
prescrivono i comportamenti più idonei allo stato di salute del paziente, che però il soggetto
non è in grado di adottare a domicilio perché il contesto familiare non può o non sa
soddisfare: succede così che alcune prescrizioni non vengono attuate o che le strutture si
assumono l’onere di attivare perché non esiste una soluzione alternativa idonea.
Altrettanto evidente è la necessità di intervenire tempestivamente sugli stili di vita e sui fattori
comportamentali di rischio che presentano un impatto diretto e indiretto sull’evolversi delle
condizioni di salute di un individuo e della sua famiglia. E’ dato di fatto, ad esempio, che la

V
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

nostra società negli ultimi decenni abbia prodotto cambiamenti capaci di causare un forte
impatto sulla salute pubblica come:
• il continuo aumento della popolazione anziana;
• l’aumento delle malattie croniche e degenerative;
• la configurazione di una società multirazziale.
L’infermiere di famiglia è un professionista che opera in collaborazione con il medico di
medicina generale, la sua funzione primaria è quella di assicurare la continuità assistenziale
sia in ambito domiciliare, sia in quello ambulatoriale, fornendo tutti i servizi di maggior
richiesta degli utenti e diventando un punto di riferimento per la comunità anche per quanto
attiene l’informazione sanitaria, la prevenzione, la promozione della salute e l’accesso ai
sevizi che la Ausl mette a disposizione dei cittadini.
Il punto focale, il vero valore aggiunto alla professionalità e alla competenza degli infermieri
di famiglia, sta nel rapporto che si instaura con le famiglie e con i medici di base (Fig. 1),
agendo sulla loro possibilità di continuità assistenziale e cercando di dar vita a un’azione
educativa destinata a implementare le capacità di auto cura e, quando necessario, di
adattamento dei pazienti e della famiglia alla malattia cronica e invadente.
Nel corso delle attività che competono agli infermieri di famiglia, assumono rilevante
importanza le frequenti occasioni di contatto con ampie porzioni di popolazione: in questo
modo vengono a crearsi i presupposti per una diffusione capillare degli interventi. In secondo
luogo, gli operatori hanno la possibilità di interagire con vari organismi e gruppi locali (circoli
sociali, parrocchie, associazioni di volontariato) che sono nello stesso tempo attori e
“moltiplicatori” dell’educazione sanitaria nel contesto della comunità.
Il vivere negli stessi ambiti e il condividere gli stessi problemi facilita la realizzazione di
strumenti informativi destinati alla popolazione del proprio territorio, allo stesso modo facilita
la sperimentazione di nuovi metodi di diffusione delle informazioni che mirano all’attuazione
concreta dei progetti di educazione sanitaria indirizzati a ogni specifico gruppo.

1
Alessandro Battaglini da www.ipasvigorizia.it

VI
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Figura 1: COSI SARA’ LA RETE DEL FUTURO

INFERMIERE DI
SANITA’
PUBBLICA MEDICO DI
MEDICINA PERSONA
GENERALE

NUCLEO
FAMIGLIARE

INFERMIERE
DI FAMIGLIA
CAREGIVER

Da “Il sole 24 ORE Sanità” n°45, 27nov .- 3dic. 2001 pag. 32

L’obiettivo del lavoro è quello di delineare le caratteristiche di una nuova area di applicazione
della professionalità infermieristica: la medicina generale.
L’infermiere di famiglia è una figura nascente nel sistema sanitario italiano, una figura non
ancora chiaramente definita nell’ambito pratico, ma ben individuata nel contesto di
applicazione quale la famiglia e la comunità. Diviene necessario raccogliere le varie
testimonianze e la letteratura, che tuttora risulta carente in materia, allo scopo di capire e
verificare l’effettiva validità di un’infermiere che utilizza le proprie competenze per agire nel
contesto familiare, passando dall’ospedalizzazione al territorio, come un vero protagonista
delle ultime riforme sanitarie.
Per meglio comprendere l’evoluzione dell’infermiere di famiglia, è utile avvalersi del
percorso storico e legislativo che già è stato seguito in altre nazioni, facendo riferimento alle
difficoltà presenti e incontrate, in riferimento anche del sistema sanitario vigente.
Infine, se l’infermiere dovrà operare in famiglia, è di quest’ultima che si dovrà capire la
conformità e il contesto di appartenenza, con un forte richiamo al significato di collettività e
di comunità.

VII
PARTE I
CAPITOLO 1

CAPITOLO 1
LA MEDICINA GENERALE

1.1 DEFINIZIONE
“Il secondo millennio si è concluso all’insegna dell’estrema specializzazione in tutto lo
scibile umano e nei suoi campi d’applicazione, quella che ci prepariamo a vivere sarà
probabilmente un’epoca nella quale la conoscenza e l’esperienza maturate dovranno ridare
all’uomo la possibilità di analizzare ciascuna realtà in modo globale”2.
Il termine generale, che sinora aveva assunto una connotazione di tipo negativo indicando
superficialità, deve riappropriarsi di significati maggiormente esplicativi, ossia considerare il
paziente come un’insieme di elementi legati fra loro. L’acquisire costantemente conoscenza
ed esperienze in diversi ambiti è certamente una necessità per chi quotidianamente ha a che
fare con l’essere umano; ma l’utilizzo del sapere e delle abilità tecniche deve al fine
manifestare una visione di tipo olistico. Infatti solo partendo dal considerare ciascun
individuo, gruppo e comunità come entità uniche e particolari, con caratteristiche ed esigenze
ben definite è possibile attuare interventi adeguati.
Ecco allora che nel considerare la Medicina Generale dovremmo aver chiaro ch’essa non è
meramente una somma di una vasta gamma di specialità, ma piuttosto è una disciplina con
peculiarità ben definite, con un corpus di conoscenze proprie e che si avvale dell’esperienza
maturata nell’ambito di più specialità per far fronte alle diverse problematiche di salute a cui
si trova ad affrontare il paziente. A fianco del termine “generale”, si alternano termini come:
generica, di base, del territorio e di famiglia, una proliferazione di termini dovuta a differenze
sociali, storiche, linguistiche e politichesi quali si sono aggiunti confini legislativi e
burocrazia.
" La Medicina di Famiglia/Medicina Generale è una disciplina originale che ha funzioni,
compiti ed abilità specifiche. Essa si fa carico della prevenzione, della diagnosi, della
terapia, della riabilitazione e comunque dell’assistenza delle Persone sane e/o ammalate, nel
loro contesto familiare e sociale. Essa basa il proprio metodo clinico sulla relazione Medico-
paziente evitando la divisione tra mente e corpo e trattando la persona e la comunità a livello
olistico e non meccanicistico"3.

2
Alessandra Semenzato dal sito: www.aimef.org
3
Maso et al. 1999

1
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

1.2 STORIA DELLA MEDICINA GENERALE


Storicamente il medico che seguiva la comunità o “medico condotto”, nella sua vecchia
accezione, era innanzitutto il depositario delle confidenze e delle problematiche famigliari;
era colui che seguiva l’intero nucleo, nei momenti cruciali dell’esistenza, dalla nascita alla
morte. Rispondeva ad una sorta di vocazione, simile a quella religiosa, si rendeva disponibile
ad ogni necessità, richiesta, urgenza e rappresentava un punto di riferimento per la famiglia
assistita. La figura che ricopriva era quella di medico “pratico” in grado di risolvere
prontamente i problemi che gli venivano sottoposti e in grado di dare il consiglio giusto
quando questo veniva richiesto. Per far ciò spesso si avvaleva dell’aiuto di un’infermiera che,
se anche tale non era, sapeva tuttavia eseguire semplici medicazioni, iniezione e coadiuvare il
medico durante le visite. Spesso la formazione derivatagli avveniva “sul campo”, ma la sua
esperienza e le sue mansioni erano indispensabili per la serenità della comunità.
Nell’immaginario collettivo, la figura di questo medico pur essendo permeata di un certo
“sapore di tempi antichi” mantiene inalterato il fascino, il rispetto ed il rimpianto.
Osservando anche solo superficialmente la realtà del medico di base italiano dei giorni nostri,
scorgiamo un panorama certo variegato, ma vi ravvisiamo anche delusioni, frustrazioni,
richieste disattese, mancanza di definizione del ruolo. E tutto questo non solo è avvertito dai
cittadini, ma soprattutto da coloro che dovrebbero essere gli specialisti della salute nelle cure
primarie.
Nell’era dell’estrema specializzazione in tutti i campi dell’esperienza umana, in cui la visione
di tipo generale ha perso i connotati di considerazione globale ed approfondita dell’individuo,
si parla della medicina di base non più come di medicina generale o di famiglia, ma
intendendo un’offerta di un servizio che risponde velocemente alle richieste degli utenti, che
spesso usano il proprio medico di base come metodo accedere ad altri servizi, “più
specialistici”, servizi giudicati più idonei a far fronte alle necessità di salute.
La medicina generale sta perdendo il proprio ruolo basilare nelle cure primarie riconosciute
fondamentali dall’OMS che già a partire dagli anni settanta ha cercato di darne una corretta
definizione. Recentemente inoltre, sono state individuate le figure di riferimento prioritarie e
ne sono state descritte le relative competenze e capacità, in particolare si è affermato il ruolo
del medico di Medicina di Famiglia la cui descrizione ha seguito un processo evolutivo a
partire dalla definizione di Leeuwenhorst del 1977, dichiarazioni come Alma Ata ed i recenti
documenti come il Framework for Professional and Administrative Development in General
Practice/Family Medicine e, per ultimo, l’Health 21 nel 1999.

2
CAPITOLO 1

1.3 OBIETTIVI
Gli obiettivi fondamentali della Medicina di Famiglia sono gli elementi che meglio
rappresentano la professionalità degli operatori che ne fanno parte. Il Framework for
Professional and Administrative Development in General Practice/Family Medicine, nel 1998
fornisce una definizione delle peculiarità della medicina generale:
Generalità: la medicina generale si occupa di problemi di salute non selezionati
dell’intera popolazione, al suo interesse possono presentarsi casi acuti, (coliche renali,
malattie infettive); problemi cronici (scompensi cardiaci, diabete, ipertensione), e loro esiti
(deficit, limitazioni); i disagi incidono anche sulla sfera mentale con problemi di tipo
psicologico e psicopatologico (disagio esistenziale, difficoltà ad instaurare relazioni con gli
altri, disturbi mentali). Tutti i cittadini vengono considerati uguali, senza distinzione di razza,
sesso, età, cultura.
Continuità: la medicina generale si fa carico dei problemi di salute degli individui
dalla nascita, fino a tutta la durata della vita, inoltre non assiste gli individui solo durante la
malattia ma anche quando sono in salute seguendo con essi i periodi di transizione che
possono essere considerati critici, dai primi anni della fanciullezza e scuola, all’inizio del
lavoro, l’abbandono della casa, l’avvio di una propria famiglia, i cambiamenti di lavoro ed
infine il pensionamento.
La continuità dell’assistenza è la chiave per erogare un servizio di qualità per l’individuo che
sa di rapportarsi con un professionista che lo conosce e al quale può confidare i propri dubbi,
chiedere consigli, informazioni. I soggetti non vengono considerati solo esseri malati e degni
di attenzione solamente in questa fase, ma viene rivolta l’attenzione all’intera persona, con le
proprie esperienze, ed il proprio carattere. Inoltre conoscendo le influenze ambientali e
relazionali, avendo la possibilità di osservare la persona inserita nel proprio contesto di
appartenenza, si è così in grado di fare delle valutazioni maggiormente realistiche.
Globalità: la medicina generale fornisce una promozione integrata della salute, a
partire dalla prevenzione delle malattie ancora prima che si sviluppi uno stato morboso, grazie
all’educazione delle persone affinché assumano dei comportamenti che li mantengano in
salute il più a lungo possibile,
Durante la malattia, la terapia e le cure riabilitative/supporto, gli individui, in una prospettiva
fisica, hanno lo scopo di raggiungere la massima autonomia possibile; lo stesso ragionamento
è valido se si prende in considerazione la sfera psicologica e sociale sostenendo gli individui
nei momenti di crisi e favorendo il loro reinserimento nella comunità di appartenenza od in
centri protetti.

3
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Coordinamento: la medicina generale può occuparsi di molti problemi di salute


presentati dagli individui al loro primo contatto con il medico di famiglia ma, qualora
necessario, il medico o l’infermiere assicurerà un appropriato e tempestivo invio del paziente
ai servizi specialistici o ad altri professionisti sanitari informando i pazienti dei servizi a
disposizione e di come attivarli.
Anche se la presa in carico della persona viene affidata ad altri professionisti, medici e
infermieri rimangono i responsabili delle cure e devono mantenere un rapporto con gli altri
operatori che erogano prestazioni mediche e sociali, per essere costantemente informati dei
cambiamenti e utilizzare le proprie conoscenze per meglio affrontare le problematiche. E’
altrettanto importante la funzione di consigliare i pazienti in materia sanitaria e sulla
possibilità di eventuali cure alternative e nuove scoperte scientifiche in merito a determinate
patologie.
Collaborazione: il medico e l’infermiere di famiglia devono mantenere collegamenti
con altri professionisti sanitari, medici, infermieri e assistenti sociali, al fine di creare una
èquipe multidisciplinare attiva. Devono essere in grado di creare una fitta rete attorno
all’individuo, in modo da farlo sentire al centro delle proprie attenzioni e del progetto di cura,
per ottenere il massimo livello di salute possibile ed evitare sprechi di risorse.
Collaborazione significa anche rispettare le competenze altrui, ed attivare gli altri
professionisti in grado di affrontare in modo più appropriato la vasta gamma di problemi che
si possono incontrare, al fine di agire in estrema sicurezza ed efficienza per la persona.
Orientamento alla famiglia: la medicina di famiglia affronta i problemi di salute
degli individui nel contesto della loro situazione familiare, sociale, culturale e nell’ambiente
in cui essi vivono e lavorano. Tutti questi aspetti hanno un effetto considerevole sullo stato di
salute e malattia, sia in senso positivo, che in senso negativo e sono responsabili della
dinamica della salute in quanto sono soggetti a continui cambiamenti, non sono mai statici.
Il contesto familiare e sociale permette di valutare se i soggetti hanno relazioni interpersonali,
se si sentono soddisfatti della vita che conducono, se vivono situazioni d’emarginazione o se a
loro volta sono loro stessi il sostegno di altre persone della famiglia. Quest’ultima ha un peso
determinante in quanto permette di valutare se gli individui hanno rapporti sereni, se possono
contare sul sostegno di qualcuno, inoltre permette di rilevare se alcuni comportamenti di vita
sbagliati sono imputabili alla situazione familiare.
Non è raro vedere che la possibile dimissione ospedaliera è ritardata dalla mancanza di un
tessuto familiare in grado di prendersi cura della persona fino al momento della ripresa
dell’autonomia personale.

4
CAPITOLO 1

Orientamento alla comunità: i medici e gli infermieri di famiglia, vivendo


all’interno di una comunità, sono maggiormente consapevoli e sensibili ai bisogni di salute
della stessa, e dovrebbero essere pronti a collaborare con altri professionisti, gruppi di aiuto,
parrocchie o gruppi di volontariato per indurre cambiamenti positivi su problemi sanitari e
locali. Questo significa che nel focalizzare eventuali piani di prevenzione ed educazione
sanitaria si dovrà tener conto dei problemi e delle difficoltà associate alla comunità; esistono
ad esempio, delle differenze sostanziali tra gli insediamenti urbani e quelli rurali, differenze
nei nuclei famigliari, differenze nei rapporti fra essi, differenze che caratterizzano le scelte
operative, in considerazione inoltre delle risorse e ai mezzi ai quali poter far riferimento.
Le condizioni che permettono agli operatori in medicina generale di erogare servizi di qualità
sono rappresentate da condizioni strutturali, organizzative e professionali quali:
• utenza ben definita;
• servizio a tutta la popolazione;
• ambiente di lavoro facilmente accessibile;
• sistema di consulto, collaborazione, scambio di informazioni con altri professionisti;
• sistema retributivo equilibrato tra retribuzione fissa, quota capitaria e notula in modo da
incoraggiare una varietà di servizi e qualità;
• cartelle cliniche complete e orientate al problema;
• lavoro in team;
• organizzazione dell’ambulatorio (strutture, apparecchiature, personale ausiliario);
• formazione di base, specialistica e permanente;
• possibilità di ricerca;
• valutazione della qualità e dell’indice di gradimento;
• organizzazioni professionali in grado di identificare le esigenze professionali e
promuovere lo sviluppo.4
La medicina di famiglia consiste in quel complesso di funzioni, compiti e abilità, rivolte alla
prevenzione, diagnosi, terapia, riabilitazione ed assistenza alle persone, all’interno del loro
sistema sociale e familiare, prima del livello ospedaliero e specialistico.

4
Organizzazione Mondiale dei Collegi e delle Accademie dei medici generali e di famiglia (WONCA)

5
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

1.4 IL CONTESTO
Il nursing comunitario viene definito come un servizio di cure infermieristiche che collega
idealmente individui, famiglie, volontari e altri membri del team e con i quali condivide un
ruolo che combina la promozione, la prevenzione della malattia e la dimensione curativa e
riabilitativa.
L’American Nurse Association afferma che gli infermieri specializzati in quest’area hanno un
ruolo in espansione nel distribuire opportunità, ridurre i costi, implementare la qualità delle
cure, specialmente per la popolazione affetta da problemi cronici di salute, come per esempio
gli anziani, i poveri e le popolazioni rurali sotto servite.5

1.4.1 IL SINGOLO
Ogni anno assistiamo ad un progressivo mutamento delle caratteristiche della popolazione in
termini di prospettiva di vita, di stile di vita o di prognosi delle malattie.
Negli anni '70 e '80 in campo demografico si sono infatti avuti netti mutamenti di tendenza:
dopo il baby-boom degli anni '60, culminato nel 1964, la fecondità si è progressivamente
ridotta e ha negli anni recenti registrato i livelli i più bassi del mondo (1,2-1,3 figli per
donna); la durata media della vita si è allungata al di là di ogni ottimistica previsione,
superando i 74 anni per gli uomini e gli 81 per le donne; l'emigrazione verso l'estero ha
lasciato il posto a consistenti flussi d'immigrazione dal Terzo mondo e dai Paesi dell'Europa
orientale.
Con il ridursi delle nuove leve e il sempre più accentuato permanere in vita delle vecchie
generazioni, uno dei principali problemi del Paese - comune peraltro a tutti i Paesi a sviluppo
avanzato - è diventato quindi quello dell'invecchiamento della popolazione (grafico 1), per
l'incremento sia del numero delle persone anziane, sia della loro proporzione sul complesso
della popolazione. Un processo questo, demograficamente inevitabile, che prende le mosse da
fatti straordinariamente positivi - il sempre maggiore e vincente controllo sulle nascite
indesiderate e sulla morte precoce - ma che ha tante e tali ripercussioni a livello macro e
micro (sistema previdenziale, assistenziale, sanitario, dei consumi, per fare solo qualche
riferimento) da essere finalmente entrato nel dibattito politico quotidiano.

5
American Nurse Association, 1993

6
CAPITOLO 1

Grafico 1: POPOLAZIONE GIOVANE E ANZIANA IN ITALIA

milioni di abitanti 20
17 17,2 16
16,5 16,3 14,8
15 14 13
11
9 9,8 11,8
10 10,2
6,9 8,5 0-19
5,7
5 più di 60

0 0-19
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020
ANNO

Studio ILSA, dal sito: www.aging.cnr.it


La fascia di età compresa fra 0 e 19 anni ha avuto nel corso del tempo una progressiva diminuzione fino a ridursi
della metà in previsione nel 2020. L’andamento è opposto per la popolazione “over 60” che nel 2020 potrà
contare circa tre volte tanto gli individui che la costituivano negli anni 50’.

In generale il problema maggiore dell'invecchiamento riguarda la capacità da parte di ogni


sistema nazionale e sub-nazionale, di trovare efficaci e tempestivi adeguamenti della struttura
sociale ed economica all'accresciuto peso assoluto e relativo della popolazione anziana, in
particolare di quella ultraottantenne, i cosi detti "grandi vecchi" (grafico 2).
Problema tanto più complesso in quanto le trasformazioni demografiche agiscono in modo
lento e silenzioso e non è quindi facile saperle individuare e saper trovare tutti gli strumenti
necessari per mettere in atto le risposte politiche, culturali, psicologiche e organizzative
necessarie, e per fare in modo che l'invecchiamento demografico non si tramuti in processi
patologici, decadimento economico, culturale e politico dalle incontrollate e pericolose
conseguenze. Parallelo all’evoluzione dell’invecchiamento, anche il quadro delineato dalle
cause di mortalità ne subisce la modificazione. Aumenta l’aspettativa di vita e con essa
aumenta la possibilità di manifestazione di quelle malattie cronico invalidanti tumori, malattie
dell’apparato cardio-circolatorio e ictus (grafico 3), patologie che richiedono un elevato
livello di assistenza di base, sia in termini quantitativi che in termini qualitativi.

7
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Grafico 2: EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE ITALIANA PER CLASSI D’ETA’

610
520
700
390
600
320
500 0-19
230
400 190 20-59
210 230
%

100 120 140 150 165 200


300 60-79
100 110
130 140 150 145 120 110
200 100 110 60-79 più di 80
100 100 95 90 85 80 75 70 65
0-19
0
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020
ANNO

Studio ILSA, dal sito: www.aging.cnr.it


Gli andamenti in percentuale delle varie fasce d’età mostrano un diverso aumento che è maggiore con l’aumento
dell’età. Nel 2020 la fascia 0-19 raggiungerà l’85% di componenti rispetto al 1950, la fascia 20-59 il 110%, la
fascia 60-79 il 230% e gli over 80 ben il 610%.

Grafico 3: DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DELLE PRINCIPALI CAUSE DI


MORTE PER MALATTIE CRONICO INVALIDANTI.

8
CAPITOLO 1

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Nel sesso maschile la principale causa di morte è dovuta a patologie cronico invalidanti e a neoplasia maligna,
seguita dalle malattie cardio-vascolari; nel sesso femminile le due cause di morte hanno la priorità inversa e
assume un peso rilevante l’invalidità dovuta a frattura del femore, che in certi casi può portare alla morte della
persona.

Sempre legato all’aumento dell’età è la maggior frequenza dei quadri di MOF (Multi Organ
Failure), ossia la presenza di più patologie croniche dovute al progressivo decadimento di tutti
gli organi (grafico 5). Di conseguenza, i professionisti della medicina generale hanno la
possibilità di valutare la persona nel complesso, sia in termini di pluripatologia, sia nelle
conseguenze che queste hanno nella qualità di vita, avendo quindi la possibilità di modificare
comportamenti e stili di vita erronei e apportando il proprio contributo nel conseguente
adattamento che la persona si trova a dover affrontare.
Essendo malattie croniche, all’ospedale è riservata la fase dell’esordio acuto e della
riabilitazione, ma risulta carente il supporto fornito a seguito della dimissione, ossia a
domicilio (grafico 4). Di conseguenza vengono ritardate le dimissioni, i famigliari spesso
sono intimoriti al pensiero di dover gestire “da soli” pazienti a volte molto “complicati”.
La presenza di una figura a cui poter fare riferimento può aumentare la sicurezza in se stessi e
anche una sola visita di controllo può avere affetti molto positivi.

9
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Grafico 4: TIPO DI CONVIVENZA SECONDO IL GRADO DI DISABILITÀ:


DISTRIBUZIONE PERCENTUALE PER SESSO

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I soggetti maschili con una disabilità severa o totale convivono, nel 50% dei casi, con una persona di 65 anni o
più e nel restante 50% in famiglia o altro. I soggetti femminili, con disabilità severa , convivono con un’altra
persona di 65 o più solo nel 20% dei casi e la percentuale dei soggetti istituzionalizzati sale al 6.7%; le donne
con una disabilità totale vedono aumentare la percentuale dei soggetti istituzionalizzati e ben il 18.2% vive da
solo. La percentuale che vive con un’altra persona di 65 anni o più scende al 9.1%.

L’infermiere di famiglia trova quindi facilmente campo di applicazione a domicilio dove


spesso l’anziano torna a vivere spesso solo o con un convivente che trova difficoltà nel gestire
la situazione. Sarà richiesto un forte impegno in attività educative e preventive per le
potenziali complicanze, aiutando i familiari qualora si riscontrino difficoltà e favorendo
l’apprendimento di nuove abilità nell’assistenza di base, ma anche essere pronti a far fronte a
dubbi e incertezze che possono sorgere.

10
CAPITOLO 1

Osservando il comportamento della persona periodicamente si ha l’opportunità di rilevare


numerosi dati sull’andamento delle patologie segnalando ai professionisti di competenza più
appropriata eventuali dinamiche negative avendo sempre chiaro tutto il quadro completo della
salute e malattia della persona.

Grafico 5: NUMERO DI PATOLOGIE CRONICO INVALIDANTI


DIAGNOSTICATE: DISTRIBUZIONE DEI SOGGETTI OSSERVATI, PER SESSO E
CLASSE D'ETÀ

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In entrambi i sessi, con l’aumentare dell’età aumenta il numero di patologie presenti fino. Il 31,5% degli uomini
con 80-84 anni ha due o più patologie cronico invalidanti, mentre nelle donne la percentuale sale al 38,2%. Per
quanto riguarda le persone con 1 o 2 patologie, negli uomini di 65-69 anni la percentuale è già del 63,3% ,nelle
donne la percentuale è del 69,7%, percentuali che con l’avanzare dell’età diminuiscono in modo inversamente
proporzionale rispetto alle suddette.

11
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

1.4.2 LA FAMIGLIA
La famiglia è “costituita dall’insieme delle persone che coabitano, legate da vincoli affettivi o
di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela. Il nucleo è l’insieme delle persone che
formano una coppia con figli celibi o nubili, una coppia senza figli o un genitore solo con
figli. Una famiglia, quindi, può coincidere con un nucleo, può essere formata da un nucleo
più altri membri aggregati, da più nuclei o può non avere un nucleo se le persone sono sole, o
convivono con fratelli o figli divorziati o vedovi” 6.
La famiglia costituisce la cellula di base della società, esiste nei differenti sistemi sociali,
culturali, giuridici e politici presenti nel mondo. Le tipologie di famiglie che si possono quindi
delineare sono molte e tutte diverse fra loro, una diversità che sviluppa diversi metodi per
affrontare le problematiche che possono sorgervi all’interno.
Come già suddetto, la famiglia ha un ruolo fondamentale per la prevenzione e la cura delle
malattie e dei disagi di ogni elemento che la costituisce, la collaborazione che si può creare in
una famiglia “estesa” non può essere presente nella “famiglia unipersonale”, il cui singolo
elemento non avrà altri componenti su cui contare nel periodo di non autosufficienza.

Tabella 1: LE TIPOLOGIE DI FAMIGLIE ITALIANE


Famiglia nucleare (o naturale):
È COMPOSTA DA MARITO, MOGLIE E LORO FIGLI BIOLOGICI.
Si parla di famiglia cogestita quando entrambi i coniugi svolgono una propria attività professionale con superamento
della specializzazione dei ruoli e della divisione sessuale del lavoro.
La presenza di figli influenza le risorse economiche e il tempo libero.
L’assenza di figli può condurre i coniugi a cercare consulenza e assistenza.
Famiglia mista
COMPRENDE GENITORI, FIGLI BIOLOGICI E FIGLI NATI DA PRECEDENTI RELAZIONI CHE
CONVIVONO.
La natura delle situazioni di vita e lo stress di adattamento al cambiamento possono influenzare la salute.
Famiglia unipersonale
È COMPOSTA DA SINGOLI (STUDENTI, ANZIANI, IMPIEGATI).
Rappresenta il tipo di famiglia con il più alto turnover e durata limitata nel tempo dato l’alto costo dei servizi privati e
la carenza di servizi pubblici.
Famiglia estesa
È COMPOSTA DA MARITO, MOGLIE, FIGLI, NONNI E ALTRI PARENTI, CONTIENE ALMENO TRE
LEGAMI DI PARENTELA.
Offre più facilmente sostegno emotivo, assistenza ai bambini e aiuto economico finanziario.
Frequentemente è legata alla cultura contadina
Famiglia estesa modificata:
FORMATA DA DIVERSE FAMIGLIE NUCLEARI UBICATE IN DISTINTE ABITAZIONI, CHE TRA LORO
INTRATTENGONO VARI RAPPORTI;
le famiglie sono legate da diversi vincoli di parentela verticale e orizzontale;
frequente nelle realtà industriali occidentali.
Famiglia monogenitoriale
FAMIGLIE CON UNO O PIÙ FIGLI E UN SOLO GENITORE CONSEGUENTI A DIVORZIO, MORTE O
ABBANDONO DI UN CONIUGE.

6
Istat, Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia, indagine multi scopo, 1998.

12
CAPITOLO 1

Le circostanze della separazione influenzano l’impatto sulla famiglia.


Risorse finanziarie ridotte influenzano la salute.
Anche la salute emotiva può essere a rischio.
Famiglia comunitaria
È COMPOSTA DA PIÙ COPPIE E DAI LORO FIGLI CHE VIVONO IN COMUNITÀ PUR NON AVENDO
NECESSARIAMENTE LEGAMI DI PARENTELA PER MOTIVAZIONI RELIGIOSE, ECONOMICHE,
IDEOLOGICHE O ALTRO.
La stabilità delle relazioni può influenzare la salute.
Rapidi cambiamenti delle relazioni familiari possono essere causa di stress nei bambini.
Altri tipi di famiglia
COPPIE OMOSSESSUALI POSSONO CONVIVERE CON FIGLI NATI DA PRECEDENTI RELAZIONI
ETEROSESSUALI.
Potter P.A., Perry A.G., Basic Nursing, theory and practice, Ed Mosby, 1991

Le strutture e le funzioni familiari sono in continua evoluzione e si adattano alle tendenze


ambientali e sociali esterne. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, i fenomeni
dell’emigrazione, dell’industrializzazione e della modernizzazione, hanno contribuito allo
spostamento di famiglie dalla società rurale a quella industriale e con la progressiva
scomparsa della famiglia patriarcale verso le sempre più numerose famiglie nucleari. La
presenza di nonni e zii all’interno del nucleo famigliare è sempre più rara di fronte a famiglie
costituite soprattutto da genitori e figlio solamente.
Pertanto, indipendentemente dai cambiamenti, il concetto di famiglia sopravvive come nucleo
sociale importante in quasi tutte le società; può essere riferito sia ad individui uniti dal
matrimonio o dalla parentela, sia a persone che hanno in comune degli antenati o anche
un’appartenenza tribale o di clan. L’ICNP7 definisce la famiglia come “un raggruppamento di
esseri umani considerato come istitutivo di una cellula sociale o di un’entità collettiva e
composta di membri legati gli uni agli altri da legami di sangue, di parentela, di relazioni
giuridiche o affettive” 8.
Sempre secondo l’ICNP, la famiglia esiste per soddisfare i bisogni dei suoi membri.
Indipendentemente dalla sua composizione, essa svolge diverse funzioni essenziali, tra cui si
possono citare:
• allevare e nutrire i giovani;
• assicurare la sopravvivenza economica dei suoi membri e fornire sostegno;
• assicurare la sicurezza dei propri membri e proteggerli da minacce alla loro
sopravvivenza, in particolare nei confronti dei giovani, delle persone anziane e dei
portatori di handicaps;
• trasmettere le credenze, le tradizioni, e i valori culturali alle generazioni successive;

7
Classificazione Internazionale della Pratica e delle Cure Infermieristiche.
8
Pierantognetti P., Sansoni J., Giustizi M., “La famiglia e le cure, gli infermieri sempre con voi”, tratto da
“Professioni infermieristiche”, n° 55, giugno 2002, pp. 145-176

13
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

• fornire cure e sostegno in caso di malattia e di salute;


• favorire un clima propizio all’amore, al cameratismo e alle relazioni intime.
“In numerose società la famiglia si inscrive nel contesto collettivo più ampio come sistema e
per gestire l’insieme delle sue funzioni essa riceve l’aiuto e sostegno da parte delle istituzioni
socio-assistenziali, dei servizi legali, delle istituzioni religiose, delle scuole e dei servizi
sanitari”.
L’Istat, nel 1998, ha realizzato una classificazione per tipologia e partizione geografica delle
famiglie italiane come espresso nella tabella 2.

Tabella 2: CLASSIFICAZIONE PERCENTUALE DELLE FAMIGLIE PER


TIPOLOGIA E PARTIZIONE GEOGRAFICA
Una persona sola

nucleo
Famiglie con un

Un nucleo
senza altre persone
Coppie senza figli
senza altre persone
Coppie con figli
senza altre persone
Un solo genitore

Un nucleo
con altre persone
Coppie Senza figli

Coppie con figli


con altre persone
Un solo genitore

Fam due/più nuclei


senza altre persone

con altre persone

con altre persone


TIPOLOGIA
DI FAMIGLIA

Nord-Ovest 24,4 73,3 69,6 22,5 39,9 7,3 3,6 1,1 2,0 0,6 0,6

Nord-Est 22,6 73,5 68,3 20,1 40,4 7,7 5,2 1,4 3,2 0,5 1,6

Centro 23,8 72,4 66,7 20,3 39,9 6,6 5,6 1,4 3,4 0,8 1,9

Isole 18,6 79,1 76,2 16,8 50,9 8,5 3,0 0,6 1,4 0,9 0,7

Sud 17,6 79,4 75,8 16,5 51,8 7,5 3,6 0,7 2,2 0,7 1,1

ITALIA 21,7 75,2 70,8 19,6 43,9 7,3 4,3 1,1 2,6 0,7 1,2
Istat, l’Italia in cifre. Annuario 2000
Il 75,2 % delle famiglie sono costituite da un solo nucleo di cui il 70,8 % non comprende altre persone; il 43,9
% delle famiglie è formata da una coppia con figli senza altre persone esterne al nucleo e il 21,7 % sono
“famiglie” costituite da una singola persona.

La spinta alla formazione di nuclei sempre più ristretti è agevolata da motivi di lavoro, studio
o da separazione dei genitori, con conseguente spostamento di singoli individui spinti a
formare una nuova famiglia mononucleare. La società dei giorni nostri si raffigura come una
frammentazione di piccoli nuclei con la conseguente diminuzione del numero di legami
interpersonali fra i componenti.
In una famiglia composta da due o più nuclei collocata all’interno di una grande provincia,
ogni persona può avvalersi di un ricco tessuto sociale e nello stesso tempo lo stesso infermiere

14
CAPITOLO 1

di famiglia dovrà ampliare le attività principali, come l’educazione o la prevenzione, ad un


numero più consistente di persone. La famiglia costituita da un singolo elemento o da una
coppia senza figli incontrerà più difficoltà nel momento in cui la persona, ad esempio, perde
la propria autonomia necessitando di assistenza da parte di altre persone esterne al nucleo.
L’infermiere di famiglia, in quest’ultimo caso, potrà valutare il rientro nella famiglia d’origine
come nel caso di figlio trasferitosi per motivi di studio, oppure prendere contatti con le
associazioni di volontariato nel caso e strutture protette ne caso di una persona anziane che
vive sola o con un coniuge.
Viene sottolineato l’importanza di una figura che conosce le persone a cui fa riferimento e
meglio può valutare le soluzioni dei numerosi e diversi casi che si possono proporre ad esso.
La figura 2 illustra come l’infermiere e la famiglia con le quali lavora possano essere
considerate come sistemi operanti all’interno di un contesto o di un ambiente. La salute è vista
come l’equilibrio dinamico che si mantiene tra uno dei sistemi, esempio la famiglia o
l’individuo e l’ambiente. I sistemi suddetti non si possono definire sistemi statici ma dinamici
ossia in continuo cambiamento e sviluppo nel tempo, il lavoro dell’infermiere di famiglia è
un’attività interattiva in cui infermiere e famiglia sono patners con l’obiettivo di mantenere e
migliorare lo stato di salute della famiglia, aiutandola ad evitare o ad adattarsi agli stressors o
alle minacce per la salute.
“Le famiglie italiane vengono a caratterizzarsi sempre più per le risorse, capacità e
opportunità differenziate che esse posseggono in relazione ai processi di sviluppo economico
e alle garanzie di benessere e sicurezza sociale offerte dalle istituzioni pubbliche”9.
Migliorando le risorse culturali ed economiche, essa incrementa la sua cultura della salute, in
termini di prevenzione e abitudini di vita sane, e anche la sua capacità di riconoscere gli
eventi morbosi che è capace di affrontare autonomamente dalle situazioni in cui deve ricorrere
all’aiuto di un professionista. L’infermiere di famiglia agisce come guida nel processo
delicato ed impegnativo quale l’empowerment10 in ambito sanitario, sfruttando la propria
competenza e professionalità in ambito educativo, preventivo e curativo per poter ottimizzare
l’utilizzo di risorse e strumenti che sono presenti nella famiglia.

9
Donati P., “Famiglia e politiche sociali”, Manuale di sociologia, ed. F. Angeli, Milano, 1985.
10
letteralmente dall’inglese «favorire l’acquisizione di potere». Termine mutuato dalla psicologia di comunità
per indicare i processi attraverso i quali l’individuo svantaggiato acquisisce maggior potere partecipando ad
associazioni. Alcuni autori ne hanno dato varie definizioni. Rapaport (1981): «accrescere la possibilità dei
singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita». Levine e Perkins (1987): «un percorso essenziale
del cambiamento nella forma di aumentato accesso alle risorse per le persone a rischio, una di queste risorse è
l’informazione (conoscere strategie necessarie per adattarsi all’ambiente), l’altra è l’organizzazione sociale
(maggior coinvolgimento e partecipazione nel definire i problemi e nel prendere decisioni). Kiefer (1982): «il
raggiungimento di abilità politiche, di saper fare e di conoscenze, che costituiscono la capacità di partecipare con
competenza.

15
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Figura 2: LA FAMIGLIA E L’INFERMIERE DI FAMIGLIA COME SISTEMI

Da “Professioni infermieristiche” n°53, giugno 2002

E’ pertanto necessario che l’infermiere conosca a fondo la famiglia con cui collabora e in
base alle proprie conoscenze adotti i sistemi più appropriati e fornendo tutte le indicazioni,
nozioni e informazioni che gli individui richiedono.
Se l’infermiere generalmente si concentra sull’individuo in termini di valutazione e di
intervento, la famiglia viene considerata come contesto o oggetto di attenzione secondaria;
essa dovrà essere quindi coinvolta a livelli variabili in funzione della situazione.
L’infermiere dovrà valutare la famiglia come elemento del sistema di sostegno sociale
dell’individuo. In certi casi questo dato non potrà essere utilizzato nell’elaborazione del
programma di cure, in altri invece avrà un diverso significato in relazione alla volontà
dell’individuo.
La famigli dovrà essere considerata sia come un’entità singola che come la somma dei suoi
membri presi individualmente. In questo caso l’assistenza viene erogata ai diversi componenti
intesi come individui singoli piuttosto che alla famiglia come nucleo o unica entità destinata a
riceverla. Ogni membro viene considerato individualmente con una propria identità,
trascurando le relazioni esistenti tra lui e il resto del gruppo.
Le cure erogate a questo livello partono dalla considerazione che se viene garantita la salute di
ognuno dei membri potrà essere soddisfatto il complesso dei bisogni dell’insieme famigliare.
Pertanto “considerare la famiglia come una “non semplice somma dei suoi componenti”, torna
a sfidare l’approccio olistico in termini d’impatto delle famiglie sull’individuo e di quello
dell’individuo sulla famiglia”11.

11
Guadagnali M., “L’infermiere di famiglia, un ruolo e una presenza tra la gente”, tratto da “Professioni
infermieristiche”, n° 53, giugno 2002, pp. 55-70

16
CAPITOLO 1

Sempre più frequentemente , le cure infermieristiche si concentrano sulla famiglia intesa


come entità piuttosto che più semplicemente come somma dei singoli elementi.
Non tutte le famiglie sono, in grado di mobilitare le proprie risorse, esistono contesti in cui la
rete familiare, per diverse ragioni, può essere debole o assente e non in grado di assicurare
una adeguato aiuto ai suoi membri. Situazioni conflittuali all’interno del nucleo, relazioni
patologiche e stressanti, povertà e malattia come disabilità e malattie croniche gravi, sono
circostanze negative alla presa di coscienza delle risorse della famiglia in cui i membri
agiscono come satelliti al problema senza incidervi veramente. Per ovviare, contenere e
gestire all’interno della famiglia queste situazioni, è necessario che essa possa usufruire di reti
di sostegno sufficientemente forti e organizzate, come volontariato o associazionismo, la
possibilità di ricorrere a servizi privati e, infine, se può contare, ancora una volta, su
professionisti che, nel momento opportuno, si mostrano in grado di individuare e coordinare
l’intervento dei servizi più appropriati tra tutti quelli disponibili e di orientare le scelte della
famiglie in difficoltà, uno dei possibili ambiti di esercizio dell’infermiere di famiglia.

MODELLI DI VALUTAZIONE FAMIGLIARE


Se gli interventi infermieristici devono essere basati sui bisogni della famiglia, servono a tal
scopo modelli precisi che aiutino a capire la struttura famigliare e dove essa necessita di aiuto.
A tale scopo vari autori hanno creato modelli diversi, utili all’identificazione dei bisogni della
famiglia allo scopo di indirizzare la pratica infermieristica.

Il modello di valutazione e di intervento orientato verso la famiglia (FAIM dall’acronimo


inglese)
Il modello FAIM parte da un postulato secondo il quale perché la famiglia sia in grado di
mantenere la sua stabilità nel tempo, deve sviluppare tutta una serie di risposte ai fattori dello
stress dette linee di difesa e di resistenza. La famiglia presenta dei problemi quando i fattori di
stress penetrano i sistemi di difesa. La sua reazione dipende dalla profondità di penetrazione
del fattore dello stress nei cosiddetti sistemi e dalla sua capacità di mobilizzare la resistenza
per preservare la sua stabilità. Il modello è orientato:
a) alla promozione della salute e delle attività del benessere;
b) all’identificazione del problema e dei fattori familiari che attaccano le linee di difesa e
di resistenza;
c) la stabilità della famiglia e il suo funzionamento a livello della prevenzione e
dell’intervento.

17
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Lo strumento di valutazione che si basa su questo modello è costituito dall’ inventario delle
forze e dei fattori dello stress famigliare.

Il modello Friedman della valutazione della famiglia


Questo modello si basa sui sistemi strutturali e funzionali e sulle teorie dello sviluppo della
famiglia. L’approccio Friedman considera la famiglia come un sistema aperto in interazione
costante con le altre istituzioni sociali (sanitarie, educative e religiose) e si concentra sulla
struttura e sulle funzioni della famiglia. Lo strumento di valutazione, elaborato negli anni 70,
ha esteso il suo valore in seguito alle modifiche recenti che gli sono state apportate per
inserire le diagnosi e gli interventi infermieristici ed una prospettiva multiculturale.

Il modello Calgary della valutazione della famiglia (CFAM secondo l’acronimo inglese) e il
modello Calgary d’intervento con la famiglie (CFIM secondo l’acronimo inglese)
La CFAM e la CFIM mescolano i concetti di terapia famigliare e di terapia infermieristica e
sono basati sulla teoria dei sistemi, sulla cibernetica, sulle teorie delle comunicazioni, sulla
teoria del cambiamento e sulla biologia del sapere. La valutazione si concentra sulla raccolta
di informazioni relative alla situazione della famiglia dal punto di vista della sua struttura, del
suo sviluppo e del suo funzionamento. Si basa sulla identificazione delle forze e delle risorse
della famiglia.
La CFAM consiste in una specie di carta della famiglia e parte dal principio che essa è quello
che vuole essere. La CFIM offre uno strumento per decidere gli interventi in conformità alla
valutazione che è stata fatta della famiglia. Lo strumento si basa sul riconoscimento
dell’unicità di ogni famiglia che possiede delle forze specifiche che gli sono proprie. Gli
interventi mirano a rinforzare, promuovere e/o sostenere un suo funzionamento efficace nelle
aree cognitive affettive e comportamentali. L’obiettivo consiste nell’ aiutare i suoi membri a
scoprire nuove soluzioni che aiutino a ridurre e ad alleviare le sofferenze emozionali, fisiche e
spirituali.

Il modello OMS/EURO delle cure infermieristiche orientate verso la salute della famiglia
Il modello infermieristico di salute famigliare della regione europea dell’ OMS, aggiunto
recentemente ai modelli di valutazione, si basa su molti dei quadri già menzionati. Combina
degli aspetti della teoria dei sistemi (per analizzare la complessità delle cure sanitarie), della
teoria dell’interazione (per esaminare le relazioni infermieristiche con la famiglia e gli
individui) e della teoria dello sviluppo (per stimolare la consapevolezza e la comprensione

18
CAPITOLO 1

delle diverse tappe dello sviluppo dell’individuo e della famiglia e meglio definirle).
In questo contesto gli infermieri di famiglia sono definiti come coloro che “aiuteranno gli
individui e le famiglie a contrastare la malattia e la disabilità cronica, li aiuteranno nei periodi
di stress, passando una gran pane del loro tempo a lavorare a casa dei loro pazienti con le loro
famiglie”12.

1.4.3 L’AMBIENTE
Dalla Figura 2 si può facilmente osservare come l’ambiente possa incidere in ogni direzione
su ogni elemento del sistema infermiere/famiglia. Molti elementi dell’ambiente influiscono,
sia positivamente che negativamente, su questi sistemi, rafforzandone o indebolendone
l’esistenza e l’integrità.
Data la sua importanza non si può stereotipare il concetto di comunità come un modello unico
a cui poter fare riferimento, ma và analizzato sotto tutte le varie sfaccettature.
Come prima distinzione si può identificare un ambito rurale ed uno cittadino: le famiglie
collocate all’interno di un grande centro abitato può usufruire facilmente dei servizi che
questa offre, le distanze da percorrere sono minori, viene agevolato chi ha problemi di
deambulazione o non può avvalersi di un mezzo di trasporto proprio. Le attività fondamentali,
come fare la spesa o procurarsi beni di prima necessità, trovano meno difficoltà
nell’espletamento, favorito quindi dalla vicinanza fra famiglia e strutture.
L’ambiente rurale spesso è caratterizzato da una notevole distanza fra la famiglia e servizi, il
problema che può sorgere è riferito alle persone, come ad esempio gli anziani, che trovano
difficoltà a percorrere lunghi spostamenti. Inoltre chi vive in un contesto isolato da altre
abitazioni, come le abitazioni isolate montane, potrà godere meno della collaborazione che
può sorgere fra vari nuclei famigliari e quindi necessitare maggiormente di un aiuto esterno.
Lo stesso ragionamento è valido anche per le strutture sanitarie dove la persona che deve
usufruire frequentemente di prestazioni sanitarie (terapie giornaliere, medicazioni) si trova di
fronte a grandi spostamenti ( esempio comuni montani o a ubicazioni molto isolate) con un
conseguente dispendi di energie e un possibile aggravamento del quadro patologico.

“Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”

12
Wright L.M., “Nurses and families: a guide to family assesment and intervention”, F.A. Davis, Philadelphie,
1994.

19
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Se le persone non riescono a raggiungere le strutture sanitarie, le strutture sanitarie devono


raggiungere le persone. Ed è proprio per venire in contro alle esigenze dell’hinterland13
cittadino che si può trovare una delle necessità di avere personale qualificato che agisce sul
territorio e avvicinando il nucleo ospedaliero alle famiglie che ne sono più distanti.
Questa motivazione è stata alla base dello sviluppo dell’assistenza territoriale nel Canada,
dove per conformazione geografica e climatica, le persone hanno maggiori difficoltà negli
spostamenti verso le strutture sanitarie. Gli ospedali hanno adottato questa strategia per curare
le persone direttamente a domicilio evitando le difficoltà che insorgono negli spostamenti
verso gli stessi.

13
Tradotto dall’inglese: entroterra

20
CAPITOLO 2

CAPITOLO 2
LA LEGISLAZIONE

2.1 L’OMS
Per rispondere in modo adeguato ai bisogni espressi dai cittadini della Regione Europea e a
seguito delle politiche europee di salute per tutti, anche l’Unità per l’Infermieristica e
l’Ostetricia dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
cominciò ad elaborare uno studio sull’Assistenza Infermieristica nell’intento di rientrare
l’assistenza stessa, alla luce dei 38 obiettivi individuati. La prima Conferenza Europea
sull’Infermieristica fu la risposta alle necessità individuate e si tenne a Vienna nel 1988,
durante la quale nacque la “Dichiarazione di Vienna sull’Infermieristica in supporto degli
obiettivi Europei per la Salute per tutti” nella quale trovarono definizione diverse direttive. I
Ministri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che parteciparono alla Conferenza
raccomandarono lo sviluppo di servizi infermieristici innovativi, centrati sullo sviluppo della
Salute oltre che sulla malattia. Inoltre, secondo le direttive di Vienna, la pratica avrebbe
dovuto essere basata sull’assistenza sanitaria di base.
Dalla Conferenza di Vienna, le funzioni dell’infermiere: assistenziale, organizzativa -
gestionale, educativa e di ricerca trovarono una loro definizione, ma soprattutto riguardo alla
formazione professionale, si affermava l’opportunità di formare un “infermiere polivalente”,
il cui operato poteva trovare come contesto sia l’ospedale sia la comunità, con una profonda e
solida educazione di base che desse una forte enfasi alle tematiche dell’assistenza sanitaria
primaria.
La rappresentativa di Infermieri dei 32 Paesi Membri di tutta la Regione Europea abbracciò le
definizioni che scaturirono dalla conferenza avviando un progetto volto ai Governi con lo
scopo di a sviluppare programmi infermieristici per formare infermieri capaci di erogare
assistenza più adatta ai bisogni della gente e, contemporaneamente, a garantire una evoluzione
della Professione ricca di attrattive e gratificante per gli stessi professionisti.
La spinta che diede la Conferenza di Vienna sfociò nel progetto che seguì, definito “Nursing
in Action”14, elaborato nel 1993 con lo scopo di rafforzare l’infermieristica e l’ostetricia
affinché fossero entrambe in grado di supportare la politica di salute per tutti. Questa strategia

14
Salvage J., “Nursing in Action”, Ufficio Regionale Organizzazione Mondiale della Sanità per l’Europa,
Copenhagen, 1993

21
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

si indirizzava a due aspetti principali: leadership infermieristica e sviluppo della qualità


nell’assistenza.
L’ultimo punto era diretto a creare, nell’arco di sei anni, servizi orientati ad una assistenza di
base che ponga in primo piano la persona ed i suoi bisogni con il conseguimento di risultati in
termini di qualità , efficacia ed efficienza, ma anche rispettando i principi di equità e di
appropriatezza stabiliti dalla politica di salute per tutti.
A livello europeo, l’infermieristica iniziava a delineare i confini dell’assistenza adeguata al
quadro politico sanitario regionale delineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
A Monaco, nel giugno 1999, i ministri della sanità dei paese della Unione Europea aderenti
all’OMS si riunirono delineando una nuova figura infermieristica che apportasse un
contributo originale allo sviluppo sanitario e alle prestazioni dei sevizi in sanità: l’infermiere
di famiglia.
Partendo dall’esame di documenti contenenti proposte destinate ad incidere sull’assetto della
professione e sull’organizzazione del sistema sanitario. Tra le fonti prese in esame, il dossier
predisposto dal servizio per i rapporti internazionali e per le politiche comunitarie (Helsinki,
27-28 maggio 1999) fornì il modello di una nuova particolare figura di infermiere:
l’infermiere di famiglia.

2.1.1 “La salute 21”


“Salute 21”, la politica di salute per tutti per la Regione europea dell’OMS15, è stata approvata
dal Comitato Regionale OMS per l’Europa nel Settembre 1998 a seguito di ampie
consultazioni tra i 51 Stati membri ed altre grandi organizzazioni. Definisce 21 obiettivi da
perseguire nel corso del XXI secolo che articolano le aspirazioni della politica regionale. Essi
intendono favorire un quadro di riferimento per l’azione di ciascuno stato membro, in modo
che tutti possano definire le proprie politiche e strategie sanitarie in linea con quelle del
documento politico dell’OMS suddetto.
Il ruolo dell’infermiere di famiglia viene definito come un infermiere che:
“aiuterà gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica o nei momenti di
stress, trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio dei pazienti e con le
loro famiglie. Tali infermieri consigliano riguardo agli stili di vita ed ai fattori
comportamentali di rischio ed assistono le famiglie in materia di salute. Attraverso la
diagnosi precoce, essi possono garantire che i problemi sanitari delle famiglie siano curati al

22
CAPITOLO 2

loro insorgere. Con la loro conoscenza della salute pubblica, delle tematiche sociali, e delle
altre agenzie sociali, possono identificare gli effetti dei fattori socioeconomici sulla salute
della famiglia e indirizzare quest’ultima alle strutture più adatte. Possono facilitare le
dimissioni precoci dagli ospedali fornendo assistenza infermieristica a domicilio ed agire da
tramite tra la famiglia e il medico di famiglia, sostituendosi a quest’ultimo quando i bisogni
identificati sono di carattere prevalentemente infermieristico”16.
L’infermiere di famiglia acquisisce un ruolo durante tutto il continuum assistenziale,
compresa la promozione alla salute, la prevenzione della malattia, la riabilitazione e
l’assistenza ai malati e ai morenti. Anche se il titolo di “infermiere di famiglia” fa supporre
che l’oggetto dell’assistenza siano soltanto i membri delle famiglie così come comunemente
intese, in effetti il ruolo è molto più ampio, comprendendo tutte le persone della comunità, sia
che vivano con altri in una casa, sia che si tratti di persone senza dimora o emarginate, nonché
la comunità stessa. L’infermiere di famiglia sarà coinvolto nel processo di potenziamento
della comunità e nel lavoro congiunto con queste per incrementare le risorse ed i potenziali e
perché queste riescano a trovare soluzioni proprie ai loro problemi.
La salute 21 puntualizza:
“la famiglia (ambiente domestico) è l’unità base della società dove chi si occupa
dell’assistenza è in grado non soltanto di indirizzare le lamentele fisiche somatiche, ma anche
di tenere nel dovuto conto gli aspetti psicologici e sociali delle loro condizioni. Per chi offre
assistenza primaria è importante conoscere la situazione in cui vivono i pazienti: la casa, la
famiglia, il lavoro, l’ambiente fisico e sociale possono avere un peso considerevole sulle loro
malattie. Se gli operatori non sono consapevoli di questi fattori, alcuni sintomi insorgenti
possono venire interpretati in maniera non corretta ed i problemi non riconosciuti non
vengono curati. Ne possono risultare procedure di diagnosi e cura non necessarie che
aumentano i costi senza contribuire ad analizzare i problemi reali”17.
Viene rafforzata l’importanza che può avere una figura che possiede informazione sulla vita
dell’assistito; l’assistenza alla persona non sarà di conseguenza un’assistenza solo alla
malattia, ma un’assistenza alla vita della persona, nella malattia e nel contesto in cui si è
originata.

15
Health21: the health for all policy for the WHO European Region. Copenaghen, Ufficio Regionale OMS per
l’Europa, 1999.
16
Health21: the health for all policy for the WHO European Region. Copenaghen, Ufficio Regionale OMS per
l’Europa, 1999.
17
Health21: the health for all policy for the WHO European Region. Copenaghen, Ufficio Regionale OMS per
l’Europa, 1999.

23
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

L’obiettivo costante, che costituisce il fulcro del progetto Salute 21, è quello di “raggiungere
il pieno potenziale di salute per tutti”, attraverso il perseguimento di due grandi sfide:
• promuovere e proteggere la salute della popolazione lungo tutto l’arco della vita;
• ridurre l’incidenza delle malattie e degli incidenti più comuni ed alleviare le sofferenze
che questi causano.
Vi sono tre importanti valori che delineano il fondamento etico della Salute 21:
 la salute è un diritto umano fondamentale;
 equità in salute e solidarietà nelle azioni tra i paesi ed all’interno degli stessi e tra gli
abitanti;
 partecipazione e responsabilità dei singoli, dei gruppi, delle istituzioni e delle comunità
per uno sviluppo sanitario continuo.
Il documento pone la sua attenzione agli elementi che già fanno parte del ruolo di diversi tipi
di infermiere di comunità che lavorano in ambiti di assistenza primaria in tutta la Regione
europea. L’OMS in un suo sondaggio condotto dal programma di infermieristica ed ostetricia,
rilevò l’attività di diversi modelli di infermieristica di comunità, ma i ruoli e i titoli attribuiti a
questi professionisti nei vari paesi, delineavano un quadro molto vasto18. L’elemento che
funge da guida nel nuovo concetto di infermiere di famiglia è il rafforzamento di elementi
costituenti le basi di tale figura come l’interesse verso le famiglie e la casa come ambiente “in
cui i membri della famiglia possono farsi carico insieme dei problemi di salute e creare il
concetto di famiglia sana”19.

18
White, L.A. & Alexander, M.F. Community nursing:transitino curriculum. Afundation course to prepare
experienced hospital nurses to work in the community. Copenaghen, 1999.
19
Asvall, J. The Alma-Ata Declaration – 20 years of impact on the European Region of WHO. Ginevra, 1999.

24
CAPITOLO 2

OBIETTIVO 15 – UN SETTORE SANITARIO INTEGRATO.


Da qui al 2010, la popolazione della regione dovrà avere un migliore accesso
all’assistenza sanitaria di base centrata sulla famiglia e la comunità, sostenute da un
sistema ospedaliero atto a far fronte a diverse situazioni.
In particolare:
1. almeno il 90% dei paesi dovrà aver dato luogo a servizi di assistenza sanitaria di base
completa, che assicurino continuità delle cure utilizzando sistemi di orientamento dei
pazienti – garantendo un buon utilizzo delle risorse ed efficacia sul piano dei costi –
verso i servizi di cure ospedaliere secondaria e terziaria, e che effettuino il ritorno
dell’informazione verso questi;
2. in almeno il 90% dei paesi i medici e gli infermieri di famiglia dovranno formare il
nodo di quei servizi integrati di assistenza sanitaria di base, che dovrà fare riferimento
a équipes pluridisciplinari raggruppanti professionisti del settore sanitario, sociale e di
altri settori, e dovrà beneficiare della partecipazione della popolazione locale;
3. almeno il 90% dei paesi dovrà aver dato luogo a servizi sanitari che permettano agli
individui di partecipare alle cure, riconoscendo e sostenendo il loro ruolo di
dispensatori di assistenza.

Con l’obiettivo 15, l’OMS riconosce l’assistenza di base come elemento a fianco
dell’assistenza ospedaliera per creare un settore sanitario integrato. Questa integrazione è
duplice, da un lato si esprime in senso verticale, ossia fra professionisti di diversi settori,
dall’altra in senso orizzontale, tra professionisti che operano nello stesso settore.
Un sistema sanitario integrato si rivela più vantaggioso in termini economici, politici e sociali,
con una conseguente ottimizzazione delle risorse a guadagno della qualità dell’assistenza.
L’assistenza sanitaria di base deve essere completa e assicurare continuità delle cure
utilizzando sistemi di orientamento dei pazienti in termini di informazione clinica e in termini
di dover compiere scelte importanti.
Oltre alle figure sanitarie, entrano a far parte della definizione anche figure appartenenti a
servizi sociali e ad altri settori come le ONG (Organizzazioni Non Governative), scuole,
istituzioni, mezzi di comunicazione ed enti di volontariato, che costituiscono una grande
risorsa se inserite in un contesto concretamente organizzato ad uno scopo comune: la salute
della comunità. E chi meglio può conoscere le strategie migliori se non gli appartenenti alla
comunità stessa? non solo come componenti dell’equipe multidisciplinare, ma addirittura

25
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

come dispensatori di assistenza e di cure, con una graduale evoluzione in continua crescita
grazie alla guida di professionisti dei vari settori disciplinari.

Figura 3: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA SOTTO “L’OMBRELLO” DELLA


SALUTE PUBBLICA E DELL’ASSISTENZA PRIMARIA

Da “Professioni infermieristiche” n°55, giugno 2002

Ogni professionista deve essere consapevole del proprio ruolo e delle proprie conoscenze.
Dalla collaborazione e dall’interazioni nascono gli obiettivi e le strategie per il conseguente
raggiungimento. Non si deve dimenticare il rapporto di fiducia che si instaura fra gli elementi
dell’equipe e i membri della comunità e delle famiglie, fondamentali per tutti i professionisti
che si occupano del territorio nello svolgere funzioni di agente, guida e consigliere.

26
CAPITOLO 2

OBIETTIVO 18 – SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE PER LA SALUTE.


Da qui al 2010, tutti gli stati membri dovranno aver fatto in modo che i professionisti
della sanità e i professionisti di altri settori abbiano acquisito conoscenze, atteggiamenti
e capacità adeguate a proteggere e promuovere la salute.
In particolare:
1. la formazione dei professionisti della sanità dovrà posare sui principi della politica
della Salute per tutti, prepararli ad offrire servizi di promozione della salute, di
prevenzione, di trattamento e di riabilitazione di buona qualità e aiutarli a stabilire un
ponte tra la pratica clinica e l’azione in materia di sanità pubblica.
2. sistemi di pianificazione dovranno fare in modo che il numero dei professionisti della
sanità formati e la ripartizione tra le differenti discipline rispondano ai bisogni attuali
e futuri.
3 . tutti gli stati membri dovranno possedere le capacità appropriate per dare una
formazione specialistica concernente la dirigenza, la gestione e la pratica della sanità
pubblica.
4 . la formazione dei professionisti degli altri settori dovrà inculcare loro i principi
fondamentali della politica di Sanità per tutti e, più precisamente, trasmettere le
conoscenze sul modo in cui le loro attività potranno influire sui determinanti della
salute.

L’obiettivo 18 cita uno degli argomenti più importanti di questi ultimi anni: la formazione
insufficiente riguardo a contenuti giudicati come indispensabili alla messa in pratica di abilità
legate alla nostra professione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità richiama la
formazione ancora non adatta per mettere in atto interventi mirati alla salute della
popolazione. Sono richieste capacità di valutazione dei bisogni dei singoli e della collettività,
la capacità di elaborazione dei dati raccolti e di pianificazione del proprio operato in termini
di efficacia ed efficienza.
Le strategie proposte sono l’adeguamento del numero di professionisti operanti nel settore
della sanità pubblica in base alle necessità presenti e future, dotandoli di competenze e
capacità in materia di assistenza e rafforzando i contenuti meno approfonditi lungo una
formazione continua nel tempo.
La stessa collaborazione dell’equipe multidisciplinare permette un passaggio di conoscenze
fra i diversi professionisti che si trovano a collaborare nella risoluzione di un problema

27
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

comune in quanto la collaborazione è la migliore strategia per aumentare il livello di


professionalità del gruppo assistenziale.
Nella pratica comune la formazione viene vista in direzione di chi affina le proprie abilità in
una specifica branca della medicina, mentre chi opera nel settore della medicina generale
viene visto come colui che ha una formazione di basso livello. Con l’obiettivo 18 viene
smentita questa credenza in ragione della dichiarata necessità di una adeguata formazione
anche per chi opera in questo settore e che si trova comunemente di fronte alle problematiche
più diverse e di difficile interpretazione.

2.1.2 IL CORSO DI FORMAZIONE ED IL CURRICULUM


DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA
Lo scopo del curriculum è di formare l’infermiere di famiglia alla pratica nel ruolo definito
nella politica OMS Salute 21, tale obiettivo verrà raggiunto per mezzo di un curriculum
basato sulla competenza e sulla ricerca.

Requisiti d’accesso:
I partecipanti al corso saranno infermieri che hanno completato positivamente un programma
di formazione di base così come descritto nella Strategia Regionale OMS per la formazione
infermieristica ed ostetrica, denominata “Infermieri ed Ostetriche per la salute”.
Essi saranno quindi qualificati a lavorare sia in ospedale che nella comunità. Dovranno inoltre
aver completato almeno due anni di pratica dopo il diploma e aver fatto un’esperienza di tre
mesi di lavoro seguendo una famiglia a domicilio e nella sua comunità. Questo periodo dovrà
essere supervisionato da un infermiere di famiglia qualificato. Ad interim, in assenza di questa
figura infermieristica, la supervisione potrà essere effettuata da un infermiere di comunità
qualificato.
Sarà necessario ottenere il consenso informato da parte della famiglia ed appropriate leggi e
regolamenti andranno a specificare i diritti di entrambe le parti. Resta inteso che la relazione
professionale tra l’infermiere e la famiglia continuerà per tutta la durata del corso in modo che
lo studente possa testare i contenuti teorici nella pratica della vita della famiglia e delle sue
esperienze di salute/ malattia20.

28
CAPITOLO 2

Il quadro concettuale per l’infermiere di famiglia:


Il quadro concettuale fornisce un metodo per capire ed organizzare i concetti-chiave della
pratica infermieristica e del programma di formazione che prepara lo studente a quella pratica
in questo caso l’infermieristica di famiglia. Tale quadro fornisce direttive e punti focali
rendendo visibili i valori e gli obiettivi dell’attività.
Per descrivere il ruolo dell’infermiere di famiglia e orientare il curriculum presentato in questo
documento, il Gruppo di Pianificazione Curriculum ha elaborato, seguendo la teoria dei
sistemi, una teoria dell’integrazione ed una dello sviluppo21. La teoria dei sistemi fornisce un
utile modo di rappresentare ed analizzare la complessità di una situazione partendo dal
presupposto che l’assistenza è materia assai complessa. La teoria dell’integrazione incoraggia
le considerazioni riguardanti i rapporti infermiere/paziente e infermiere/famiglia ed i concetti
partnership e lavoro d’èquipe, fondamentali nella filosofia dell’assistenza primaria. La teoria
dello sviluppo è un importante aiuto per capire non soltanto il singolo individuo umano ma
anche lo sviluppo della famiglia nel contesto dei principali eventi della vita, comuni a tutti ma
variabili in intensità ed impatto a causa di molti fattori complessi.

Competenze e risultati dell’apprendimento


All’infermiere di famiglia è richiesto di essere competente come:
• Erogatore di assistenza
• Decisionalista
• Comunicatore
• Leader di comunità
• Manager

Contenuto del curriculum:


Il curriculum si articola in una serie di sette moduli. Fatta eccezione per il modulo introduttivo
che definisce l’ambito in relazione ai concetti e l’approccio all’insegnamento,
all’apprendimento ed alla valutazione del corso, tutti gli altri moduli avranno una componente
pratica. Due moduli si svolgeranno in contemporanea: ad esempio, il modulo introduttivo può
occupare un giorno alla settimana, seguito dal modulo sul processo decisionale anch’esso di un
giorno la settimana e nel frattempo potrebbe partire il primo modulo sull’assistenza. Questo

20
Guadagnali M., “L’infermiere di famiglia, un ruolo e una presenza tra la gente”, tratto da “Professioni
infermieristiche”, n° 53, giugno 2002, pp. 55-70
21
Marinella D’Innocenzo, ”Ambulatori Infermieristici e continuità assistenziale”, tratto da “Rivista
dell’Infermiere, Aggiornamenti professionali”, n°1, gennaio 2001, pp. 31-35
.

29
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

tipo di programmazione garantirebbe che gli studenti siano in contatto con l’erogazione
dell’assistenza mentre sono anche incoraggiati a vedere come i concetti teorici vengono
tradotti nella realtà della pratica sin dall’inizio del corso.

Strategie di insegnamento/apprendimento:
Le strategie di insegnamento/apprendimento e di valutazione impiegate nel corso saranno
congruenti ai principi pedagogici, in ragione del fatto che docenti e studenti porteranno nel
corso competenze esistenti, conoscenze rilevanti, capacità ed attitudini che contribuiranno ad
un processo formativo reciproco. La partecipazione attiva degli studenti, facilitata dagli
infermieri insegnanti che avranno un ruolo sia in ambito universitario che pratico e dai tutori
nella pratica, sarà la norma. Gli scenari assistenziali saranno il punto focale della maggior
parte dell’insegnamento che si servirà dell’approccio problem-solving oltre che di una diversa
serie di altri metodi. In generale, si privilegeranno gli approcci interattivi, tipo i seminari
condotti dagli studenti, il lavoro di gruppo, le sessioni di “chiacchiere”, le dimostrazioni
pratiche, ad esempio sulla valutazione della salute fisica, l’utilizzo di strumenti tecnici e le
tecniche di comunicazione verbale e non verbale. Per promuovere l’approccio interattivo si
dovranno utilizzare le risorse tecnologiche più aggiornate a disposizione dell’università a
seconda dello stato membro, per esempio i video interattivi. Ci sarà ancora spazio per i lettorati
ma questi costituiranno una minima parte del curriculum. I metodi di valutazione dovranno
essere adatti all’approccio dell’apprendimento nell’adulto, basarsi sulla ricerca e comprendere,
per esempio, progetti di lavoro, ricerche bibliografiche, presentazione di casi studiati,
valutazioni sanitarie, profili di comunità e contratti di apprendimento individuali.
Il successo di queste strategie di insegnamento/apprendimento e valutazione dipenderà
criticamente dalla disponibilità e dallo sviluppo di infermieri insegnanti adeguatamente
qualificati e preparati nell’impegno di insegnare agli adulti. Inoltre, l’approccio interattivo e di
problem-solving necessita di spazi adeguati, di biblioteche ed altre risorse tecnologiche, fatto
da tenere in considerazione al momento della programmazione.

I moduli delle lezioni:


- Il modulo 1, intitolato “Il corso per infermieri di famiglia, modulo introduttivo, concetti
pratica e teoria”, è volto a presentare i concetti chiave del corso, costituiti dalla figura
dell’infermiere di famiglia, dal concetto di competenza, problem solving, team work,
formazione permanente. Lo scopo del modulo è quello di utilizzare esperienze

30
CAPITOLO 2

professionali vissute in precedenza per cominciare a comprendere le nuove conoscenze


che lo studente andrà ad acquisire
- Il modulo 2, intitolato “Erogare assistenza: lavorare con le famiglie”, è rivolto ad
identificare i vari fattori che influenzano l’assistenza infermieristica alla famiglia, la
quale viene analizzata sotto diverse ottiche. Altri contenuti fondamentali riguardano
tematiche professionali sul ruolo, responsabilità, funzioni e prospettive professionali
legali ed etiche dell’infermiere di famiglia, sugli interventi di promozione, prevenzione,
cura e riabilitazione, sul processo di assistenza per la famiglia.
- Il modulo 3, “Il processo decisionale”, consentirà all’infermiere di ampliare le proprie
conoscenze e le capacità riguardo il processo decisionale.
- Il modulo 4, “Gestire l’informazione e la ricerca” ha lo scopo di aiutare l’infermiere a
sviluppare conoscenze e capacità relativamente alla comunicazione, alla gestione
dell’informazione, al sostegno della motivazione e alla ricerca. In particolare, viene data
rilevanza alla documentazione infermieristica, alla riservatezza dei dati, all’utilizzo di
sistemi informatici.
- Il modulo 5, “Erogare assistenza II: l’infermiere di famiglia –lavorare con le comunità”,
analizza gli aspetti riguardanti la comunità come ad esempio i determinanti sociali della
salute, l’epidemiologia, le malattie trasmissibili, tematiche riguardanti i gruppi
svantaggiati, la povertà, la discriminazione di razza, cultura o religione.
- Il modulo 6, “Gestire le risorse”, riguarda gli aspetti gestionali che hanno ricadute
sull’assistenza erogata in termini di qualità, efficacia ed efficienza e che interessano in
prima persona l’infermiere di famiglia e i servizi sanitari, ad esempio teorie e processi di
management, gestione delle risorse umane, controllo del budget, la famiglia come risorsa,
il ruolo di coordinamento o tematiche riguardanti la valutazione della qualità
assistenziale.
- Il modulo 7, “Leadership e lavoro multidisciplinare”, coinvolge tematiche che
caratterizzano il lavoro di équipe come teorie, processi e tecniche di leadership, ruoli,
responsabilità e funzioni, dinamiche di gruppo, temi legali e professionali, la famiglia
come membro dell’équipe.

Abilità acquisite:
l’infermiere di famiglia dovrà aver acquisito, al termine della formazione complementare, le
componenti fondamentali del ruolo che riguardano:
 l’erogazione di assistenza;

31
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

 il processo decisionale;
 la comunicazione;
 la leadership nell’ambito della comunità;
 il management.

L’infermiere di famiglia dovrà, infatti essere efficace e ed efficiente nel:


 identificare e valutare lo stato di salute e i bisogni degli individui e delle famiglie nel
loro contesto culturale e di comunità;
 prendere decisioni basate sui principi etici;
 pianificare, iniziare e fornire assistenza alle famiglie che fanno parte del carico di casi
definito;
 promuovere la salute degli individui, delle famiglie e delle comunità;
 applicare la conoscenza di diverse strategie di insegnamento ed apprendimento con i
singoli, le famiglie e le comunità;
 utilizzare e valutare diversi metodi di comunicazione;
 partecipare alle attività di prevenzione;
 coordinare e gestire l’assistenza, compresa quella delegata ad altro personale;
 documentare sistematicamente la propria pratica;
 creare, gestire ed utilizzare informazioni statistiche (dati) cliniche e basate sulla ricerca
per pianificare l’assistenza e definire le priorità nelle attività relative alla salute e alla
malattia;
 sostenere ed incoraggiare gli individui e le famiglie ad influenzare e partecipare alle
decisioni relative alla loro salute;
 definire standard e valutare l’efficacia delle attività infermieristiche di famiglia;
 lavorare da soli o in seno ad una équipe;
 partecipare alla definizione delle priorità nelle attività relative alla salute e alla
malattia;
 gestire il cambiamento ed esserne agenti;
 mantenere relazioni professionali ed un ruolo collegiale di sostegno con i colleghi;
 mostrare l’evidenza di un impegno alla formazione continua ed allo sviluppo
professionale.

32
CAPITOLO 2

Qualifica al termine del corso:


A completamento del corso con esito positivo, l’infermiere riceverà la qualifica di
specializzazione ed il riconoscimento accademico a livello post-laurea di infermiere di
famiglia.

2.2 IL MASTER DI I° LIVELLO


In Italia la legge 1098/40, articolo 3, introduce la Formazione complementare, ma con gli anni
le modificazioni normative e organizzative nell’ambito della formazione e
dell’organizzazione politico-sanitaria, hanno visto questa formazione spesso frammentata e
non orientata a contenuti disciplinari e operativi propri.
L’attivazione dei Diplomi universitari prima e la successiva emanazione di disposizioni
riferite alla programmazione, all’integrazione e all’accreditamento costituiscono oggi la
realizzazione di quanto affermato dai Decreti legislativi 502/92 e 517/93, oltre che il
raggiungimento di un importante obiettivo per la professione infermieristica.

Il Dm 739/94 individua cinque aree di Formazione specialistica:


1. SANITÀ PUBBLICA: Infermiere di Sanità pubblica;
2. PEDIATRIA: Infermiere pediatrico;
3. SALUTE MENTALE-PSICHIATRIA: Infermiere psichiatrico;
4. GERIATRIA: Infermiere geriatrico;
5. AREA CRITICA: Infermiere di Area critica.

Nella definizione del percorso formativo si sono accolte le indicazioni della Federazione
Nazionale Collegi IPASVI22 contenute nel documento Linee guida per un progetto di
formazione infermieristica complementare nelle aree previste dal Dm 739/94, concernente gli
approcci metodologici ai percorsi formativi, e il Curriculum proposto dall'Organizzazione
mondiale della sanità23 su L'infermiere di famiglia nel contesto della Salute 21, allo scopo di
favorire una Formazione complementare infermieristica omogenea e finalizzata
all’acquisizione delle funzioni e attività professionali che un infermiere, al termine di un

22
Federazione Nazionale Collegi IPASVI, Linee guida per un progetto di formazione infermieristica
complementare nelle aree previste dal Dm 739/94, Roma, 1998, Vol. 1
23
The family health nurse. Contex, conceptual framework and curriculum. Documento EUR/00/5019309/13,
Ufficio Regionale OMS per l'Europa, Copenaghen, Gennaio 2000.

33
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Master, deve essere in grado di esercitare, per contribuire in modo specifico e significativo
alla prevenzione e al trattamento di problemi prioritari di salute di una popolazione.

Il Master rappresenta un elemento formativo per lo sviluppo di competenze richieste dall’area


di formazione specifica, riconducibile alla formazione infermieristica post-base,
“specializzante”, prevista dal Dm 739/94, ponendosi i seguenti obiettivi generali:
• garantire una competenza professionale orientata ai problemi prioritari di salute della
popolazione e dei servizi afferenti all’Area della Sanità pubblica;
• offrire un contributo per l'acquisizione di crediti formativi/professionali per
l’accreditamento del professionista.
Il Master in Sanità pubblica è un corso di formazione avanzata, nel quale l’infermiere
acquisisce competenze professionali specifiche necessarie negli ambiti operativi della Sanità
pubblica in cui è necessario gestire (pianificare, realizzare, monitorare e valutare) strategie
assistenziali globali, continue, tempestive e di elevata qualità24.
Il Master è strutturato in 6 Moduli o Corsi di perfezionamento che sviluppano le specifiche
competenze dell’infermiere in Sanità pubblica e che ne caratterizzano il profilo.
Il Master ha una durata complessiva di 1500 ore corrispondenti a 60 Crediti formativi
universitari comprensivi di attività didattica formale ed esercitazioni (500 ore), attività di
studio guidato (450 ore) e insegnamento apprendimento - clinico/tirocinio (550 ore). Ogni
CFU corrisponde a 25 ore di lavoro per studente (ai sensi del Dm 509/99). Lo Schema 1
rappresenta la struttura complessiva del Master.

Schema 1: ARTICOLAZIONE COMPLESSIVA DEI MODULI O CORSI DI


PERFEZIONAMENTO DEL MASTER IN SANITA’ PUBBLICA
14 CFU 6 CFU 10 CFU 8 CFU 8 CFU 14 CFU 60 CFU
Epidemiologia
, metodologia Infermieristica Infermieristica
di analisi in basata nella Infermieristica Infermieristica
Educazione
Sanità sull’evidenza sorveglianza nei luoghi di di comunità e MASTER
alla salute
pubblica e scientifica e la del rischio lavoro di famiglia
Sistema ricerca infettivo
informativo
350 ORE 150 ORE 250 ORE 200 ORE 200 ORE 350 ORE 1500 ORE

24
Federazione Nazionale Collegi IPASVI, Linee guida per un progetto di formazione infermieristica di base
dell'infermiere, Roma, 1999, Vol. 2

34
CAPITOLO 2

Ciascun modulo è strutturato in obiettivi formativi, corsi integrati e settori scientifico


disciplinari, e prevede l'alternanza fra formazione in aula e contestualizzazione operativa
attraverso esercitazioni applicative, ricerche sul campo e tirocinio.
Sono previsti esami di corso integrato e la certificazione delle competenze acquisite nel
tirocinio sulla base del contratto di tirocinio stabilito.
L'infermiere di Sanità pubblica è un professionista che ha conseguito il Master
“Infermieristica in Sanità pubblica” ed ha acquisito competenze specialistiche per operare
negli ambiti specifici della Sanità pubblica e della Medicina di comunità.
Nell'ambito delle funzioni dell'infermiere, (Prevenzione – Diagnosi precoce – Educazione
alla salute, Assistenza, Educazione terapeutica, Gestione, Formazione, Consulenza, Ricerca),
e in riferimento alla normativa vigente (Direttiva Cee 453/77, Dlgs 353/94, Dm 739/94, legge
42/99, legge 251/2000) il Master “Infermieristica in Sanità pubblica” sviluppa attività relative
alla progettazione, attuazione e valutazione di:
 interventi di promozione e prevenzione della salute;
 interventi assistenziali alla persona, famiglia, caregiver;
 interventi di educazione – formazione;
 interventi di ricerca;
 interventi i consulenza;
 indagine epidemiologica e/o multidimensionale in comunità e/o famiglie;
 analisi organizzativa di organizzazioni, gruppi, associazioni.
Il metodo utilizzato per la progettazione del Master in Sanità pubblica, ha seguito un
approccio basato sull’individuazione dei problemi prioritari di salute della persona, della
famiglia e della comunità.
La scelta di orientare la formazione ai problemi prioritari di salute deriva dalla constatazione
che il sistema educativo rappresenta uno dei principali sistemi di sostegno del servizio e della
politica sanitaria.
Allo scopo è fondamentale che esso si orienti dinamicamente verso i problemi prioritari di
salute, connessi alle strategie preventive, educative e assistenziali25.

25
Dal sito: www.ipasvi.it

35
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

2.3 IL PIANO SANITARIO NAZIONALE 2002/2004


Il ministro della Salute Girolamo Sirchia ha presentato lo schema del nuovo Piano Sanitario
Nazionale 2002/2004 che, unitamente alla proposta di provvedimento sul lavoro dei medici
ospedalieri, delinea la cornice di fondo di una nuova, sostanziale, riforma sanitaria (la quarter,
come molti l’hanno definita)26.
Il Ministro della salute afferma: “Si tratta di un piano molto diverso da quelli del passato in
quanto le condizioni del paese sono profondamente mutate: sia perché siamo di fronte alla
devoluzione che vede le regioni protagoniste, pariteticamente al Ministero della salute nella
realizzazione degli obiettivi sanitari, sia perché è cambiata la situazione sanitaria del Paese
(l’invecchiamento della popolazione, unitamente al perfezionamento delle tecnologie e al
miglioramento dei farmaci, rappresenta una realtà nuova)”.
Nello schema sotto riportato si pone a confronto il piano nazionale 2002/2004 con i suoi
predecessori

Schema 2: I PIANI NAZIONALI DAL 1998 AL 2004

Rosy Bindi Umberto Veronesi Girolamo Sirchia


Il Psn 1998/2000 Il Psn 2001/2003 Il Psn 2002/2004
I Parte Le quattro sfide principali: I dieci Obiettivi strategici:
I cinque Obiettivi di salute 1.La rivoluzione Genetica 1. Monitoraggio dei livelli di
1.Promuovere comportamenti e stili 2.La rivoluzione Trapiantologica assistenza e riduzione delle liste
di vita per la salute 3.La rivoluzione Etica di attesa
(Alimentazione, Fumo, Attività 4.La rivoluzione lmmaginologica 2. Sviluppo dell’assistenza
fisica) socio-sanitaria integrata per
2.Contrastare le principali patologie Gli Obiettivi: i disabili, cronici e anziani
(Malattie cardiovascolari, Tumori, 1. Promuovere comportamenti e 3. Sviluppo
Malattie infettive e Aids, stili di vita per la salute
dell’ospedalizzazione a do-
Patologie da incidenti) (Alimentazione, Fumo, Attività
3.Migliorare il contesto ambientale fisica) micilio
(Aria, Acqua, Alimenti, Radiazioni, 4. Garanzia e monitoraggio della
Rifiuti) qualità delle cure e delle
tecnologie sanitarie

26
Rodolfi R., “Dalla devolution di Veronesi alla devolution di Sirchia”, tratto da “Panorama della Sanità”, n°
13, aprile 2002, pag. 14

36
CAPITOLO 2

4.Rafforzare la tutela dei soggetti 2. Contrastare le principali 5. Potenziamento del capitale


deboli ( I m m igrati, patologie (Malattie umano e sviluppo della
tossicodipendenze, Salute cardiovascolari, Tumori, Malat- formazione permanente
mentale) tie infettive e Aids, incidenti e 6. Trasformare i piccoli
5.Portare la sanità italiana in malattie professionali, altre ospedali in centri territoriali
Europa (Trapianti, Riabilitazione, patologie di particolare rilievo
Ammodernamento tecnologico,
per la riabilitazione, la
sociale) convalescenza, la prima
Sorveglianza del le patologie rare, 3. M i g l i o r a r e il contesto
Sistema Informativo Sanitario diagnosi il primo soccorso
ambientale (Aria, Acqua,
Il Parte 7. Potenziare i servizi di urgenza ed
Alimenti, Radiazioni, Rifiuti)
La seconda parte del Psn ‘98/2000, emergenza
4. Rafforzare la tutela dei soggetti
“Le strategie per il cambiamento”, 8. Promuovere la Ricerca e
deboli (Immigrati,
redatta successivamente, definisce i favorire gli investimenti
tossicodipendenze, Salute
Livelli Essenziali di assistenza 9. Sviluppare stili di vita salutari,
mentale)
(definizione strumenti e la prevenzione e la
5. Portare la sanità italiana in
finanziamento). comunicazione istituzionale
Europa (Fasi della vita e salute,
Gli ultimi 4 capitoli sono dedicati a sulla salute
Trapianti, Riabilitazione)
“Un programma nazionale per la 10. Promuovere l’uso corretto dei
6. Strategie per il cambiamento
qualità, ‘la sicurezza nelle strutture farmaci.
(Innovaz i o n e t e c n o l o g i c a ,
sanitarie”, “L’integrazione socio- Sorveglianza delle patologie
sanitaria, ‘La formazione delle rare, Autosufficienza del sangue
risorse umane” e ‘la Ricerca, la e degli emoderivati, Sanità
sperimentazione e lo sviluppo”. Il pubblica veterinaria, Sistema
Psn 98/2000, identifica numerosi Informativo Sanitario, Qualità,
documenti e provvedimenti Ampliamento ambito di tutela).
considerati prioritari da sviluppare La parte finale del Psn 2001.2003 è
nel triennio. Tra questi: 1 7 Linee dedicata a: Ricerca e alla
Guida (riabilitazione, Formazione, l’Ospedale del futuro,
organizzazione dipartimentale, l’Organizzazione del distretto, Inte-
formazione del personale, pediatria grazione socio-sanitaria, liste
ecc.), 8 documenti di d’attesa e livelli essenziali di
approfondimento (libera profes- assistenza.
sione intramoenia, liste di attesa,
decentramento fiscale, ecc.). 14
percorsi diagnostici e terapeutici e 5
Progetti Obiettivo (Anziani non
autosufficienti, Salute mentale,
Tossicodipendenze, salute degli
immigrati e Sostegno alla
maternità).

Da Panorama della Sanità, numero 13, aprile 2002 pag. 14

Prendendo in considerazione il secondo e il terzo obiettivo si nota il tentativo di creare una


rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
disabili. Premesso che la cronicità e la vecchiaia non sono stati finora affrontati nel nostro
Paese con la dovuta attenzione e con i dovuti strumenti, si ritiene che questo obiettivo sia
ormai indifferibile: la popolazione anziana cresce continuamente e con essa crescono le pluri-
patologie e le invalidità. Sempre più diviene necessario integrare davvero la prestazione
sanitaria con l‘assistenza sociale, cosa che oggi non sempre avviene e crea grave disagio ai

37
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

pazienti e alle loro famiglie. L’anziano e il disabile inoltre chiedono di poter essere assistiti al
loro domicilio, evitando il ricovero improprio in strutture ospedaliere o in residenze sanitarie
assistenziali, non appena questo è possibile. Mancano Centri di degenza riabilitativa postacuta
e di sollievo, centri diurni nei quali gli anziani possono essere assistiti, manca soprattutto un
sistema di presa in carico globale dell’assistito che ne risolva i bisogni sanitari e sociali e lo
guidi all’interno di una rete di servizi dove spesso egli si sente disorientato. Altre nazioni
hanno già provveduto a costituire un adeguato fondo assicurativo contro i rischi della non-
autosufficienza o comunque a reperire risorse capaci di assicurare all’anziano divenuto non-
autosufficiente e alla sua famiglia la possibilità di continuare una vita dignitosa, il nostro
Paese ancora non ha provveduto ad affrontare questo problema in modo adeguato ed è quindi
tempo che ciò avvenga.
Bisogna anche sviluppare la cosiddetta ospedalizzazione a domicilio ovvero trasferire a
domicilio del paziente alcuni servizi oggi erogati solo dall’Ospedale, incluse le cure palliative,
le terapie infusionali, la dialisi, etc. Viene presentato nel Piano un modello di cura ed
assistenza a domicilio che integra l’assistenza specialistica di tipo ospedaliero, quella
territoriale con i servizi sociali.

Gli obiettivi per i prossimi tre anni:


Per i tre anni di applicazione del Piano vengono fissati i seguenti obiettivi:
- avviare lo studio per l’identificazione di una adeguata sorgente di risorse per la copertura
dei rischi di non-autosufficienza;
- la sperimentazione di forme di “governo della rete” che integrino le competenze degli
Ospedali, delle ASL e dei Comuni, con ricorso anche all’utilizzo di gestori di servizio
privato nelle aree di sperimentazione.

Per molti anni l’Ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per
medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un
giusto merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza dalla propria
residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato
l’Italia a realizzare ben 1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili. Negli ultimi 20
anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di vita è cresciuta
fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia
dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su quella
dell’acuto.

38
CAPITOLO 2

Nel sesto obiettivo si prende in considerazione il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto


molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la
vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e
della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici.
Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle
palliative con assiduità e competenza e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio
con personale specializzato che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di
recarsi in ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo molto
soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento. A tal fine occorre che le Regioni sappiano
realizzare uno strategico e coraggioso ridisegno della loro rete ospedaliera, superando anche
resistenze di settore o interessi di parte, ed è anche necessaria una forte azione di
comunicazione con la popolazione interessata per la quale può essere utile il coinvolgimento
dei Sindaci delle aree metropolitane, che dispongono oggi di notevoli poteri.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni:
- costruire e potenziare, in accordo con le Regioni e con i Sindaci di alcune città
metropolitane, alcuni Centri di Eccellenza e collegare in rete tali Centri in modo da
realizzare un proficuo scambio di personale e conoscenze;
- convalidare il modello sperimentale per trasferirlo, progressivamente e in accordo con le
Regioni interessate, ad altri Centri di Eccellenza e grandi Ospedali metropolitani;
- prendere a modello alcune specialità mediche, come l’ematologia, che hanno già istituito
una rete coordinata fra i Centri operanti sul territorio nazionale per migliorare l’assistenza
ai pazienti in ogni area del Paese;
- attivare servizi di consulenza a distanza, compresa la telematica, per i medici di medicina
generale e per gli specialisti e sviluppare i mezzi per il trasporto sanitario veloce;
- attivare, in accordo con le Regioni, alcune sperimentazioni in altrettanti Irccs, in cui gli
enti siano trasformati in Fondazioni di tipo pubblico onde migliorare la gestione di tali
importanti istituti.

39
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

2.4 LA NORMATIVA ITALIANA


Per poter definire ed identificare le responsabilità, le competenze e le possibilità di sviluppo
dell’infermiere di famiglia in Italia, è indispensabile far riferimento ai documenti che
delineano il ruolo e le funzioni dell’infermiere, attraverso le norme giuridiche ed extra-
giuridiche.

2.4.1 NORME GIURIDICHE


Fra le norme giuridiche più importanti, ricordiamo:

Decreto legislativo 502/92, con le sue successive modificazioni e integrazioni, all’articolo 6


comma 3 ha attribuito al Ministero della Sanità il compito di individuare , in successivi atti
regolamentari, i profili delle professioni sanitarie, tra i quali figura anche quello
dell’infermiere, definito grazie al decreto ministeriale 739/94. Lo stesso decreto ha indirizzato
la definizione dei percorsi didattici post-base attraverso successivi decreti emanati dal
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica.

Decreto ministeriale 14 settembre 1994, n° 739 “Regolamento concernente l’individuazione


della figura e del relativo Profilo Professionale dell’infermiere”, nell’articolo 1 individua la
“figura professionale dell’infermiere, operatore sanitario che, in possesso del diploma
universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza
generale infermieristica”. L’articolo 2 definisce gli ambiti dell’assistenza infermieristica
(preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa) e la natura della stessa (tecnica, relazionale
educativa). In particolare, per quanto attiene all’argomento in oggetto, nell’articolo 1.3 (lettera
a), l’infermiere è colui che “partecipa all’identificazione dei bisogni di salute”, ed “identifica
i bisogni di assistenza infermieristica (…) della persona e della collettività” (lettera b).
L’infermiere, inoltre, “agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori
sanitari e sociali” (alla lettera e) ed infine “svolge la sua attività professionale in strutture
pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o
libero – professionale” (lettera g). L’articolo 5 definisce le aree di formazione infermieristica
post base che comprende cinque diverse aree, fra queste viene definita la formazione in sanità
pubblica, nella quale può essere collocata la formazione specialistica per l’infermiere di
famiglia.

40
CAPITOLO 2

Le innovazioni apportate con la legge 26 febbraio 1999, n. 42 recante “Disposizioni in


materia di professioni sanitarie”, sono rilevanti ed epocali.
Nella professione infermieristica viene abolito il ruolo di “professione ausiliaria” (articolo 1,
comma1), come sancito in passato nel Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265, sostituita dalla
denominazione “professione sanitaria”.
Viene abolito il mansionario (articolo 1, comma 2), approvato con D.P.R. 14 marzo 1974 n.
225, lanciando una nuova sfida e aprendo una nuova epoca, sancendo la fine del monopolio
della figura medica, quanto meno come unica figura riconosciuta come professionista a
livello normativo. Vengono indicati tre criteri guida inseriti nel contenuto dei profili
professionali, dalla formazione di base e post base ricevuta e dal codice deontologico27, si
avvia un’evoluzione della figura professionale dell’infermiere basata su un percorso di
maggiore autonomia del processo assistenziale. Secondo alcuni autori, il termine autonomia
viene espletato in relazione ai concetti di competenza e di responsabilità professionale, e
consiste nel prendere decisioni, agire come di conseguenza, e farsi carico delle proprie
responsabilità che ne conseguono. Altri autori, sostengono che non è possibile, per
un’infermiere, essere competente senza godere di autorità professionale, cioè di un’insieme di
competenza tecnica, autonomia, responsabilità, leadership.

La legge 10 agosto 2000 n. 251 recante la “disciplina delle professioni sanitarie


infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione
ostetrica” costituisce un importante traguardo raggiunto dalla professione infermieristica.
Viene riaffermata l’autonomia professionale nei campi di attività e funzioni esplicitate nel
profilo professionale e nel Codice Deontologico e “conferma il valore della professione
infermieristica per la salute dei cittadini, per la direzione e la gestione delle attività di
assistenza, di organizzazione del lavoro, di adozione di modelli di assistenza
personalizzata”28.
All’articolo 1, comma 1, della legge in esame, viene affermato l’importante principio
dell’autonomia professionale nello svolgimento delle attività finalizzato “alla prevenzione,
alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”, e con riferimento specifico alla
legge 42/99. L’adozione della metodologia della pianificazione dell’attività per obiettivi, già
richiamata da più norme a partire dal 1990, impegna gli infermieri a mettere in pratica tutti i
contenuti professionali di cui la legge stessa ne riconosce il possesso.

27
Benci L., “Professioni sanitarie non più ausiliarie”, tratto da “Rivista di diritto delle professioni sanitarie”, n°
1, gennaio 1999, pp. 12-16

41
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Il comma 3 dell’articolo 1 riporta l’affermazione molto importante della “attribuzione in tutte


le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza
infermieristica”, ciò implica la messa in atto dell’assistenza infermieristica personalizzata.

L’infermiere che intende svolgere la propria attività in regime libero professionale, ha come
riferimento l’articolo 2229 del Codice Civile il quale annovera la libera professione tra quelle
“intellettuali” e “protette”. Il libero professionista è il “prestatore d’opera intellettuale
effettuata in regime di autonomia tecnica e gerarchica nei confronti del cliente con ampia
discrezionalità sotto il profilo della tecnica professionale e con propria organizzazione del
lavoro. Tra i riferimenti più importanti troviamo l’articolo 348 del Codice Penale che punisce
l’esercizio abusivo, mentre è rimandato al Collegio Professionale il potere disciplinare verso
gli iscritti (lesioni al decoro e indipendenza della professione).
La legge 175 del 1992 sancisce le norme che regolano la pubblicità sanitaria che potrà essere
effettuata solamente mediante l’affissione di targhe sull’edificio di svolgimento delle attività,
oppure mediante inserzione sugli elenchi telefonici.

2.4.2 NORME EXTRA-GIURIDICHE


La promulgazione di un codice etico costituisce uno dei passi fondamentali del processo di
professionalizzazione, infatti esiste una caratteristica che, oggi meglio di qualsiasi altra,
costituisce la ragione di essere del Codice Deontologico: la finalità etica29. E’ sulla base di
tale finalità che il professionista agisce concretamente nel quotidiano.
“La funzione del codice non è quindi riducibile solamente all’avvenuto processo di
istituzionalizzazione della professione, alla difesa degli interessi propri della categoria o degli
elementi che la compongono, il compito prioritario del codice deontologico è quello
richiamare il professionista a un punto di vista, quello della morale che nel concreto agire
rischia di essere sottovalutato”30.
Il Codice Deontologico degli infermieri è preceduto da un “patto infermiere cittadino” il quale
sottende a un rapporto di partnership, tendenzialmente paritario, che vede entrambi gli attori
protagonisti attivi del processo assistenziale
Gli articoli più importanti e specifici, come guida e riferimento di principio per l’infermiere di

28
Ferri C., “Introduzione alla Legge 10 Agosto 2000, n° 251”, tratto da “L’infermiere”, n° 3, settembre-
dicembre 2000 pp. 4-6.
29
Bonanno A., “Nursing di comunità e valutazione dei bisogni socio-sanitari”, tratto da “Nursing Oggi”, n° 4,
dicembre 1999, pp. 24-28.
30
Da Re A., “La morale cercata in mille codici”, Il sole 24 ore libri, Milano, 1990.

42
CAPITOLO 2

famiglia, sono:
 1.1 “l’assistenza è servizio della persona e della comunità. Si realizza attraverso interventi
specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica, relazionale ed educativa”.
 2.2 “l’infermiere riconosce la salute come ben fondamentale dell’individuo e interesse
della collettività e si impegna a tutelarlo con attività di prevenzione, cura e riabilitazione”.
 2.3 “l’infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto ad uguale considerazione e le
assiste indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale ed economica, dalle cause di
malattia”.
 3.3 “l’infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e declina la
responsabilità quando ritenga di non poter agire con sicurezza. Ha il diritto e il dovere di
richiedere formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha
esperienza”.
 4.1 “l’infermiere promuove, attraverso l’educazione, stili di vita sani e la diffusione di una
cultura della salute; a tal fine attiva e mantiene la rete di rapporti tra servizi e operatori”.
 4.3 “l’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne facilita i rapporti
con la comunità e le persone a lui significative, che coinvolge nel piano di cura”.
 4.9 “l’infermiere promuove in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni possibili
di sicurezza psicofisica dell’assistito e della famiglia”.
 4.12 “l’infermiere si impegna a promuovere la tutela delle persone in condizioni che ne
limitano lo sviluppo o l’espressione di sé, quando la famiglia e il contesto non siano
adeguati ai loro bisogni”.
 4.16 “l’infermiere sostiene i familiari dell’assistito, in particolare nel momento della
perdita e nella elaborazione del lutto”.
 5.1 “l’infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui riconosce e rispetta lo
specifico apporto all’interno dell’equipe”.
 6.2 “l’infermiere compensa le carenze della struttura attraverso un comportamento ispirato
alla cooperazione, nell’interesse dei cittadini e dell’istituzione”31.

31
Calamandrei C., D’Addio L., “Commento al nuovo codice deontologico dell’infermiere”, ed. McGraw Hill,
Milano, 1999.

43
PARTE II
CAPITOLO 3

CAPITOLO 3
L’INFERMIERE DI FAMIGLIA IN ITALIA

3.1 IL RUOLO DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA IN ITALIA


L’infermiere di famiglia in Italia non possiede uno specifico campo di applicazione, questo è
dovuto alla mancanza di esperienza e alla recente applicazione di infermieri esercenti nel
settore della comunità.
I documenti citati al capitolo 2 delineano dettagliatamente sia l’ambito dove esercitare
l’infermieristica di comunità, sia le attività di tale professionista, ma la realtà italiana attuale è
un mosaico di professionisti che lavorano in ambiti diversi e con motivazioni diverse.
Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi per costruire un modello condiviso di infermiere
di famiglia; alcuni operatori del settore hanno affermato:
Giovanni Valerio del Comitato centrale della Federazione IPASVI: “all’infermiere di famiglia
si chiede in sostanza di adempiere ad una triplice funzione, innanzitutto quella di favorire un
contenimento dei costi sanitari e quella di migliorare allocazione di risorse economiche a cui
si mira incentivando l’assistenza domiciliare. Allo stesso tempo potrà garantire alle famiglie
la massima qualità delle prestazioni assistenziali in forma della sua prestazione. E infine - ma
non si tratta di un obiettivo residuale - potrà anche contribuire a un’ulteriore e più larga
affermazione dell’autonomia professionale.
Un ruolo poliedrico posizionato al centro di una rete di contatti a cui fanno capo operatori,
cittadini e strutture sanitarie, ma la sua autonomia si esprime anche nel lavoro
interdisciplinare, interagendo con le altre figure dell’equipe ch’eseguono il territorio. In
questo progetto diventa determinante il momento della formazione che permetterà
all’infermiere di famiglia di acquisire le competenze necessarie.32
Alessandra Semenzato, responsabile dell’Unità infermieristica del Dipartimento italiano di
medicina di famiglia (Aimef):”in Italia c’è ancora molto da fare, ma qualcosa si sta movendo
soprattutto nel Nord del Paese dove la diffusione dell’assistenza domiciliare ha creato un
terreno favorevole alla crescita di questo tipo di attività. Si offrono ampi spazi di autonomia
riscuotendo inoltre anche un buon gradimento da parte dei cittadini, sia in termini di qualità
dell’assistenza, sia in termini di rapidità della risposta sanitaria ricevuta.

32
Rampino M., “A fianco della famiglia”, tratto da “L’infermiere” n°4, aprile 2002, pp.6-8

45
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

E’ certamente possibile andare al di là delle proposte dell’OMS; lavorando fianco a fianco


con il medico di famiglia si possono svolgere compiti complementari senza essere solo degli
intermediari: si pensi ad esempio alla deospedalizzazione precoce, ai malati oncologici.
Sono situazioni nelle quali emerge tutta la forza del rapporto di fiducia che il medico di base e
l’infermiere di famiglia possono instaurare con gli assistiti”.33
Mario Falconi, segretario generale della federazione italiana dei medici di medicina generale
(Fimmg): “credo sia possibile importare in Italia un modello di infermiere di famiglia come
quello proposto dall’OMS, ma dobbiamo dare a questa figura una precisa dimensione tenendo
conto che nel nostro Paese scarseggiano gli infermieri professionali formati al territorio e, in
particolare, all’assistenza a domicilio. Ed è anche vero che spesso nel territorio troviamo
infermieri che sono passati a quest’area di intervento dopo l’attività usurante dell’ospedale.
Sarebbe opportuno quindi far si che il ruolo dell’infermiere professionale possa arricchirsi
attraverso una formazione specifica per l’assistenza domiciliare e residenziale. Deve però
essere disposto a lavorare in team, soprattutto con il medico di famiglia, senza mai sostituirsi
a lui”34
Fabio Severi, responsabile dell’ambulatorio infermieristico di S. Leo: “la funzione primaria
degli infermieri di comunità/famiglia è quella di assicurare la continuità assistenziale sia
nell’ambito domiciliare, sia in quello ambulatoriale, fornendo tutti i servizi di maggior
richiesta degli utenti e diventando un punto di riferimento per la comunità anche per quanto
attiene l’informazione sanitaria, la promozione della salute e l’accesso ai servizi che la aUsl
mette a disposizione dei cittadini”35
Christine Hancock, Presidente dell’ICN36 afferma che “ovunque gli infermieri sono attivi e la
loro attenzione è centrata sulla famiglia, la sua salute, la sua capacità di crescere, di prendersi
cura di se stessa e di partecipare alla vita di comunità”37.
Le basi su cui viene delineato l’infermiere di famiglia sono comuni a tutti, si sottolinea
l’importanza del rapporto con la famiglia, la collaborazione nell’équipe del territorio, la
professionalità e l’autonomia, la formazione più approfondita in questo settore.
Dall’insieme di queste caratteristiche e dalle definizioni del codice deontologico e dal profilo
professionale infermieristico, si possono classificare le attività dell’infermiere di famiglia

33
Semenzato A., “La professione infermieristica nell’ambulatorio di medicina generale”., tratto
da “Medicinae Doctor”, n° 7, aprile 1999, pp. 15-23.
34
Falconi M., “A fianco della famiglia”, tratto da “L’infermiere” n°4, aprile 2002, pp.6-8.
35
Severi F., Ballarini L., Brandini C., Gabellino I., Severi F., “Infermieri di comunità, l’esperienza di Arezzo”,
tratto da “L’infermiere” n°1, ottobre 2001, pp. 12-14.
36
International Council of Nursing (Consiglio Internazionale degli Infermieri)
37
Pierantognetti P., Sansoni J., Giustizi M., “La famiglia e le cure, gli infermieri sempre con voi”, tratto da
“Professioni infermieristiche”, n° 55, giugno 2002, pp. 145-176.

46
CAPITOLO 3

quale professionista del nursing, ma riuscire a descrivere in modo completo l’intera tipologia
di attività dell’infermiere di famiglia, è un tentativo arduo e probabilmente risulterebbe
incompleto sotto vari punti di vista.

3.2 DEFINIZINE DI NURSING


I profondi mutamenti sociali ed ideologici, che stanno alla base delle più recenti acquisizioni
teoriche nel modo di considerare i concetti di benessere, salute e malattia hanno provocato
mutazioni nel concetto di nursing.
Per poter definire un corretto concetto di Nursing in Medicina di Famiglia dovremmo
riconsiderare le sue peculiarità da un punto di vista generale: per Nursing intendiamo quella
precisa pratica che contraddistingue l’operare dell’Infermiere professionale, e più
precisamente quella metodologia decisionale/operativa che, partendo da una puntuale analisi
dei bisogni di salute dell’individuo di propria competenza e responsabilità, prevede una
sequenza logica ed organica di fasi, costituite da:
1) fissazione di obiettivi infermieristici da raggiungere in tempi prestabiliti;
2) scelta di prestazioni da erogare secondo criteri del tipo costo/efficacia e loro articolazione
in sequenze logico/temporali;
3) analisi ed organizzazione delle risorse disponibili;
4) scelta di particolari criteri per verificare i risultati;
5) erogazione delle prestazioni;
6) controllo intermedio e finale dei risultati conseguiti in termini sia di efficacia che di
efficienza.
L’infermiere professionale viene definito come colui che nella pratica infermieristica fa un
uso esperto della propria intelligenza pratica nel progetto creativo di cure per individui o
gruppi di individui che vivono in determinate uniche e mutevoli circostanze38.
Emerge così una figura professionale che è in grado di esaminare e valutare anche le proprie
capacità, come: la padronanza della scienza infermieristica e delle relative tecniche
pratiche, i propri approcci creativi alla pianificazione e all’erogazione dell’assistenza
infermieristica.
Sempre ricordando quanto asserito da D. Orem (1991) gli infermieri possono definirsi come
persone abili ed esperte che progettano e forniscono l’assistenza con una profonda

38
D. Orem, “Nursing: Concepts of Practice”, ed. Mosby, 1991.

47
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

comprensione del proprio ruolo nell’ambito della professione, del livello e dei limiti delle
proprie capacità.
La definizione di Nursing come servizio a disposizione della comunità e della società, è
fondamentale per poter mettere in evidenza la diversa tipologia di rapporti che gli infermieri
instaurano con le persone prese in cura, nonché della società che li riconosce come tali.
Nel considerare questo particolare aspetto del Nursing, potremmo osservare che nella
relazione infermiere/paziente più che essere l’uno l’erogatore dell’assistenza e l’altro il
beneficiario, sono dei “partners in care”; infermiere e paziente sono in grado di condividere
conoscenze e capacità. Il paziente/cliente gioca altresì un ruolo attivo nel prendersi cura di
sé, in una relazione all’interno della quale l’infermiere assume principalmente un ruolo di
educatore.

3.3 L’INFERMIERE DI FAMIGLIA NELLE TEORICHE


All’origine di ogni professione si trova lo sviluppo di un corpo di conoscenze specifiche che
costituiscono la base per l’applicazione pratica.
Tali conoscenze sono spesso espresse in termini di concetti e di teorie, specialmente nell’area
professionale che riguarda il comportamento e le scienze sociali. Così anche
l’infermieristica, quale professione giovane ed in evoluzione, sta sviluppando un insieme di
conoscenze, in termini di concetti e teorie, che serve di sostegno alla pratica.
Nell’infermieristica i concetti più significativi, cioè quelli che influenzano e determinano la
pratica, includono: uomo, persona, società, salute/malattia e nursing. Poiché i concetti, per
loro stessa natura, creano immagini astratte, essi tendono ad avere diversi significati e danno
origine a diverse interpretazioni; da questi diversi modi di individuare la pratica
infermieristica anche l’infermiere di famiglia trova le basi per il proprio ruolo.

Florence Nightingale: la sua teoria ha messo principalmente a fuoco l’ambiente del


paziente. L’infermieristica viene considerata distintamente dalla medicina e focalizzata nella
funzione di provvedere ad un ambiente che permetta alla natura di agire a favore del
paziente39.
Nella sua teoria il concetto più chiaramente definito è quello di società/ambiente inteso
probabilmente come l’ambiente limitato nel quale l’individuo si trova a vivere. La

39
Nightingale, “Notes on Nursing”, New York Dover Publications, Inc., 1969.

48
CAPITOLO 3

Nightingale tende a dare maggior risalto all’ambiente fisico che a quello psicologico o
sociale, ambiente considerato come l’insieme di tutte le condizioni e le influenze esterne che
agiscono sulla vita e sullo sviluppo di un organismo, capaci di prevenire, guarire oppure
contribuire alla malattia e alla morte.
La pratica infermieristica deve porre il paziente nella condizione migliore affinché la natura
agisca, in un ambiente sano atto a promuovere la salute, a favorire il miglioramento. Questo
approccio all’infermieristica è valido oggi come lo era più di cento anni fa, un approccio nel
quale l’infermiere di famiglia può trovare spunto per interagire con l’ambiente del paziente e
favorirne la salute.

Hildegard Peplau: il fulcro della sua teoria è costituito dal processo interpersonale
infermiera-paziente ritenuto parte integrante dell’infermieristica moderna.
L’uomo è definito come “un organismo che combatte alla sua maniera per ridurre la tensione
originata dai bisogni”; la salute come “una parola simbolo che implica la continua crescita
della personalità e di altri processi umani verso la creatività, costruttività e produttività sia
personale che comunitaria”40.
La società non è chiaramente definita dalla Peplau che però incoraggia il nursing a prendere
in considerazione la cultura e le abitudini della persona, per esempio, quando cambia
ambiente e deve adattarsi alla routine ospedaliera. L’infermiere di famiglia entra a far parte di
questo delicato passaggio, prima come raccordo fra i diversi professionisti della salute e
secondo come punto di riferimento per la persona che si viene a trovare in un ambiente
sconosciuto.
Il Nursing viene inteso come “un significativo processo terapeutico interpersonale, un
rapporto umano fra individuo malato o bisognoso di servizi sanitari ed un’infermiera
professionale preparata a riconoscere tali bisogni e rispondere con l’aiuto adeguato al
paziente”, una figura professionale che può essere quella dell’infermiere di famiglia.

Virginia Henderson: la sua teoria si basa sull’aiuto da fornire all’individuo per rendersi
indipendente e a fare a meno di questo aiuto appena possibile41.
Virginia Henderson considera le persone come esseri con dei bisogni fondamentali, bisogni
che sono compresi nei quattordici componenti. La società viene messa in rilievo
scarsamente, considera gli individui in rapporto alle loro famiglie, ma poco approfondito è il
rapporto con la comunità. La sua definizione di salute è basata sulla capacità dell’individuo

40
Peplau, “InternetionalRelationsin Nursing”, New York: G.P. Putnam’s Sons, 1952.

49
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

di funzionare indipendentemente, così come esposto nei quattordici bisogni. Le infermiere


devono operare per promuovere la salute e curare la malattia grazie ad un’assistenza definita
personalizzata in cui l’infermiere deve assumersi la responsabilità di identificare i problemi,
di convalidare continuamente la sua funzione, di migliorare i metodi e misurare gli effetti.
L’infermiere di famiglia, basandosi sulla teoria della Henderson, deve aiutare l’individuo a
riconquistare la salute o confortarlo nel momento della morte. L’infermiere deve sostituirsi
tutte le volte che lo ritiene necessario e la sua azione tenderà a mettere il paziente in
condizione di sentirsi completo o indipendente.

Dorothea Orem: nella sua teorica “l’infermieristica si interessa in modo particolare del
bisogno che l’individuo ha di svolgere attività di autoassistenza, la quale va potenziata e
diretta al fini di conservare la vita e la salute, riprendersi da malattie o da lesioni e far fronte
alle conseguenze di tali eventi”42.
La Orem crede che l’essere umano abbia il potenziale necessario per apprendere ed evolversi
e soddisfare i propri bisogni di autoassistenza, se l’individuo non è in grado di acquisire tali
nozioni, altri devono apprenderle in vece sua e provvedere ad assisterlo.
Per individuare le persone alle quali è indirizzata l’assistenza infermieristica, nella teorica
compare il termine “unità di servizio”, costituita da un singolo individuo o da un gruppo di
persone le cui relazioni interpersonali attirino l’interesse dell’infermieristica. Nel primo caso
individuare il contesto con cui l’individuo è in relazione, nel secondo considerare il gruppo
come unità.
Il concetto di salute si riconduce al concetto dell’OMS e introduce il concetto di assistenza
sanitaria preventiva, la quale racchiude in sé la promozione e il mantenimento della salute
(prevenzione primaria), il trattamento di malattie o ferite (prevenzione secondaria) e la
prevenzione delle complicanze (prevenzione terziaria).
La Orem sviluppa il concetto di nursing in tre parti interconnesse che sono: autoassistenza,
deficit nell’autoassistenza e sistemi infermieristici; l’arte del nursing si esplica nel fare una
corretta valutazione delle ragioni per le quali le persone possono ricevere aiuto del nursing
dando luogo a tre diversi sistemi: quello totalmente compensativo, quello parzialmente
compensativo e quello educativo e di sostegno determinando i ruoli sia dell’infermiere che
del paziente.

41
Henderson, “The nature of Nursing”, New York: The Macmillan Co., 1966.
42
Orem, “Nursing: Concept of Practice”, New York: McGraw-Hill, 1971.

50
CAPITOLO 3

Imogene King: la sua teorica è basata su un modello di sistema aperto finalizzato al


raggiungimento dello scopo43.
Gli individui sono considerati come esseri sociali, sensibili, razionali, coscienti, dominanti,
determinati, orientati verso l’azione e nel tempo. La famiglia è descritta come un sistema
aperto, un sistema sociale o un sistema interpersonale composto da un gruppo di individui che
interagiscono e la salute della famiglia come il risultato delle esperienze dinamiche di vita e
degli stressors ambientali ai quali la famiglia si adatta per raggiungere il suo massimo
potenziale. La salute è definita come un’esperienza dinamica di vita che richiede continui
adattamenti nei confronti degli elementi di stress mediante l’uso ottimale delle proprie risorse.
La società è il concetto principale nel modello della King, considerata una parte dei sistemi
sociali nell’ambito dei modelli dei suoi sistemi aperti.
Il Nursing viene definito un processo di azione, reazione ed interazione, mediante il quale
l’infermiere ed il paziente si scambiano informazioni sulle loro percezioni connesse alla
reciproca situazione.

Callista Roy: il suo modello è composto da cinque elementi: persona, scopo del nursing,
attività infermieristica, salute e ambiente. Le persone vengono considerate sistemi viventi
adattive, con comportamenti che possono essere classificati come risposte di adattamento
positive o negative. Tali comportamenti derivano dai meccanismi regolatore e cognitivo.
Detti meccanismi agiscono nell’ambito delle modalità di adattamento costituite da: funzione
fisiologica, concetto di sé, funzione di ruolo ed interdipendenza. La Roy afferma che il
ricevente di assistenza infermieristica può essere una persona, una famiglia, un gruppo, una
comunità o una società; ognuna di queste entità deve essere considerata dall’infermiere di
famiglia come un sistema solistico capace di adattarsi.
Lo scopo del Nursing è quello di favorire risposte positive in rapporto alle quattro modalità
di adattamento mediante l’utilizzazione di informazioni circa il livello di adattamento della
persona agli stimoli focali, contestuali e residuali. Le azioni infermieristiche comprendono
l’azione esercitata su detti stimoli atta a favorire una risposta positiva all’adattamento.
La salute è un processo di integrazione capace di raggiungere gli scopi riguardanti
padronanza. L’ambiente è l’insieme di stimoli interni ed esterni ad una persona44.

Betty Neuman: il suo modello rappresenta un’unità di approccio multidimensionale e totale


che può essere utilizzato per descrivere un individuo , un gruppo o un’intera comunità.

43
King, “A Theory for Nursing: Systems, Concepts, Process”, New York: Wiley, 1981.

51
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

La persona è considerata in senso multidimensionale composta di variabili fisiologiche,


psicologiche, socioculturali, evolutive e spirituali. Il concetto di famiglia del modello dei
sistemi di Neuman individua un sistema aperto in costante interazione con l’ambiente che lo
circonda, una armoniosa relazione tra i membri della famiglia sta ad indicare il successo dei
meccanismi di adattamento della famiglia all’ambiente.
L’ambiente è quel insieme di forze interne ed esterne che circondano gli uomini in ogni
momento, che influenzano il sistema e da esso vengono influenzate. “L’ambiente è dinamico
e rappresenta la mobilitazione inconscia di tutte le variabili proprie del paziente/famiglia, ivi
compresi i fattori di integrazione positiva, la stabilità e l’integrità”45.
La Neuman fa riferimento a livelli di benessere intesi come un continuum piuttosto che ad
un’alternarsi si benessere/malattia e lo scopo primario del Nursing è proprio quello del
raggiungimento e conservazione della stabilità del sistema paziente.

Madeleine Leininger: la sua teoria della “Diversità ed Universalità dell’assistenza


Culturale” è basata sui termini di nursing transculturale ed etno-nursing.
La Leininger fornisce solo la definizione di salute, ma considera le persone altruiste e capaci
di preoccuparsi dei bisogni, del benessere e della sopravvivenza degli altri.
La salute è “un stato di benessere che viene definito, valutato e praticato in base alla cultura
e che riflette la capacità degli individui di svolgere le attività quotidiane connesse al loro
ruolo in maniera culturalmente soddisfacente”. Il concetto di società è incluso nel concetto
stesso di cultura, questo binomio entra a far parte del tema principale della teoria e viene
definito come la totalità di un evento, di una situazione o di una esperienza.
Il Nursing è considerato come una professione coinvolta nella cultura e inerente
all’assistenza, dal momento che l’infermiera presta assistenza a persone appartenenti a
culture diverse tra loro.

44
Roy, “Introduction to Nursing: An Adaptation Mode” Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall, Inc., 1976.

52
CAPITOLO 3

3.4 IL CASE MANAGEMENT


Il Case Management rappresenta una metodologia di organizzazione dei servizi sanitari basata
sulla centralità dell’utente avente l’obiettivo della massima integrazione degli interventi
richiesti, erogati con maggiore appropriatezza possibile46. La gestione del caso richiede
l’adeguamento delle figure sanitarie tradizionali, e in primo luogo degli infermieri, a ruoli di
nuova responsabilità, in cui le capacità di valutare i bisogni, pianificare gli interventi e di
mantenere livelli di alta ed efficiente cooperazione tra gli operatori e i volontari della rete
informale cui l’assistito appartiene (familiari, amici, volontari) costituiscono le principali
caratteristiche.
Sorto con finalità esclusivamente rivolte al controllo dei costi degli interventi sanitari, il Case
Management è considerato uno strumento fondamentale per migliorare diversi aspetti della
qualità delle cure, come l’appropriatezza del livello di erogazione e l’accettabilità da parte
dell’utente.
Le numerose applicazioni del case management che si sono avute in molti paesi, pur con
caratteristiche diverse, condividono alcune logiche di fondo. Queste si possono riassumere in
decentralizzazione di responsabilità, risorse e poteri verso chi opera più vicino agli utenti,
utilizzo delle risorse disponibili per costruire piani individualizzati d’intervento il più
possibile appropriati rispetto ai bisogni dell’utenza ed orientamento dell’operato dei diversi
attori che forniscono care verso il raggiungimento di obiettivi chiari e da verificare nel corso
del tempo, tra di essi si può facilmente collocare l’infermiere di famiglia.
Si delinea un profilo del case mana ger come “regista” dell’assistenza, dotato delle risorse e
delle competenze necessarie per svolgere questo ruolo con continuità. Un case manager
responsabile del piano d’intervento dei servizi pubblici ed è capace di creare una rete con le
risorse informali e private che sostengono l’utente.
Il case management è ormai riconosciuto in molti paesi come un elemento fondamentale delle
nuove politiche sociosanitarie. Si tratta di un punto di forza delle nuove politiche di assistenza
nel territorio (community care) e di assistenza continuativa (long-term care), che viene
utilizzato in vari contesti concernenti l’allocazione, tra casi diversi e complessi, di risorse
scarse. I contesti includono, per esempio, la salute mentale, l’assistenza ai bambini, i servizi
per gli anziani e gli interventi medici ed infermieristici.
La ragione per cui il case management si è diffuso in tutto il mondo è che esso fornisce un
insieme di strumenti logici ed esperienze su come collegare assetti organizzativi, risorse ed
operatività agli scopi delle politiche sociosanitarie. In effetti, fornisce logiche e strumenti per

45
Neuman, “The Neuman System Model”, Norwalk, Conn.: Appleton & Lange, 1989.

53
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

collegare le nuove e più complesse finalità dei servizi agli strumenti per raggiungerle in
pratica.

3.4.1 L’INFERMIERE CASE MANAGER


Case management è un processo integrato finalizzato ad individuare i bisogni delle persone e
a soddisfarli nella maniera più adeguata, nell’ambito delle risorse disponibili, riconoscendo
che tali bisogni sono unici per ogni individuo. Per questa ragione, il case management,
enfatizza la necessità che siano i servizi ad adattarsi ai bisogni e non il contrario, e
l’importanza di evitare situazioni in cui questi ultimi sono presi in considerazione da ogni
servizio separatamente.
Il case management si articola generalmente in alcune funzioni fondamentali:
individuazione dei casi, esame dei criteri di eleggibilità, valutazione delle condizione
dell’utente (il cui grado di dettaglio ed ampiezza dipende dalle condizioni dell’utente);
progettazione ed attuazione del piano, monitoraggio nel corso del tempo ed (eventuale)
riaggiustamento del piano. E’ importante che le diverse funzioni siano collegate all’interno di
un processo continuativo.
Il ruolo dell’operatore di riferimento, che è il modo più corretto di tradurre in italiano Case
manager, consiste in una funzione operativa che, al di là della qualifica e della funzione
particolare in seno al processo diagnostico terapeutico, si concretizza nel supportare
l’integrazione delle risposte sanitarie intorno al cliente, con una specifica attenzione
all’appropriatezza, e quindi, ai costi. Pur non essendo una qualifica, quella del Case Manager
richiede un elevato livello di professionalità. Benché sia molto difficile descrivere le funzioni
del Case Manager, senza fare riferimento a un reale processo di cura, e quindi orientato verso
particolari tipi di utenti e di bisogni, è possibile descrivere un insieme di compiti di carattere
generale che devono essere assolti, indipendentemente dalla particolarità del settore operativo.
Questo insieme di compiti può essere descritto secondo un flusso che sintetizza un percorso
tipo. Nel dettaglio operativo subentrano molte variabili specifiche di cui si dovrà tenere conto,
ma è opportuno, per esigenze di semplicità e di schematizzazione, considerare in primo luogo
il nucleo centrale delle funzioni operative, prima di applicarle ad alcune tipologie assistenziali
concrete.

46
Lynda Juall Carpenito, “Piani di assistenza e documentazione”, Ed. Ambrosiana, Milano, 1991.

54
CAPITOLO 3

Le caratteristiche che permettono di beneficiare maggiormente del case management


includono:
 grande diversificazione tra i casi;
 instabilità nelle condizioni degli utenti;
 necessità di diversi tipi di contributi (input) forniti da diversi enti o da settori differenti di
uno stesso ente;
 la necessità di compiere interventi assistenziali in momenti nei quali non c e solitamente
disponibilità di servizi.
Attualmente ci sono numerosi modelli di case manager: a seconda dei casi l’infermiere è un
infermiere clinico, un assistente sociale, un dipendente di una compagnia di assicurazioni,
ecc.. Contestualmente, gli ambiti di lavoro possono essere rappresentati da un ospedale, un
centro comunitario, la case del paziente o un ambulatorio.

3.4.2 LA PROFESSIONALITA’ E L’ORGANIZZAZIONE DEL CASE


MANAGER
Il Case Management è “uno strumento collaborativo in grado di direzionare processi di
valutazione, di pianificazione, di implementazione, di monitoraggio e di valutazione finale
che mette i servizi in grado di soddisfare i bisogni di salute delle persone attraverso la
comunicazione e la facilitazione all’accesso delle risorse disponibili perseguendo esiti finali di
efficacia e qualità”. (Case Management Society of America, 1993).
In quanto può contribuire alla qualità dei servizi erogati, costituisce una delle risposte
possibili alla crescita incontrollata dei bisogni e delle richieste di prestazioni da parte delle
categorie a elevato consumo di prestazioni diagnostiche e terapeutiche che necessitano di
essere integrate.
Il Case Management è comunque un processo che implica il coordinamento dei servizi e il
controllo dei costi attraverso un professionista chiave responsabilizzato direttamente sul
caso (McCurry E., 1997). Non è una professione, nell’accezione più comune del termine, ma
un insieme di competenze e di pratiche specializzate che attingono dal bagaglio informativo e
di esperienza di differenti aree professionali.
Le competenze principali che i Case Managers devono possedere sono rappresentate dalla
capacità di valutare lo stato di malattia e di rappresentare secondo un ordine di priorità i
bisogni sanitari, conoscere i costi e la disponibilità dei servizi che incontrano quei particolari
bisogni per potere meglio indirizzare il percorso clinico del paziente. Ma, in aggiunta a queste

55
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

competenze, il Case Manager deve anche fornire supporto e incoraggiamento individuale,


saper comprendere il paziente dal punto di vista psicologico e intervenire con feed-back
appropriati, sviluppare e alimentare la sicurezza personale tendendo a far raggiungere risultati
in termini di autonomia e, specificamente, nella capacità di provvedere ai propri bisogni
sanitari quanto più è possibile senza l’aiuto di terzi (Fisher 1., 1996).
Nelle diverse situazioni, a seconda della tipologia e della intensità dei bisogni rappresentati,
potrà prevalere l’aspetto tecnico sanitario o quello socio relazionale. “Le varie forme di Case
Management possono disporsi lungo un continuum che riflette le dimensioni del diverso
coinvolgimento clinico con il paziente” (Bachrach L., 1992). Decisivo è il fattore umano del
Case Manager che deve, seguendo longitudinalmente la persona ammalata nel corso di un
episodio di cura, governare e disciplinare gli interventi razionalizzandone la sequenza.
“Benché l’idea sia molto semplice richiede grandi sforzi organizzativi perché possa essere
applicata su larga scala nell’erogazione di servizi sanitari complessi” (Scott i., Rantz M.,
1997). “Il Case Management è la predisposizione programmata di un insieme di elementi che
favoriscono il raggiungimento degli esiti desiderati” (Alitzer L., 1997) Questo set non è un
pacchetto rigido di procedure, in quanto la primaria esigenza sulla quale si fonda la pratica dei
Case Manager è la individualizzazione del trattamento, quindi l’attenta valutazione dei
bisogni determinerà processi fondamentaimente diversi a seconda dei casi, per questo motivo
possono essere indicati principi operativi sui quali tale processo si regge, o possono essere
descritti a scopo esemplificativo particolari processi, ma è molto più difficile estrarre e
definire in generale una procedura di Case Management.
L’organizzazione del case manager si differenzia nelle sue diverse tipologie ed efficienza; in
termini generali, si può affermare che gli interventi sono finalizzati a:
• ampliare l’accesso ai servizi territoriali per le persone in difficoltà;
• migliorare il sistema dei servizi;
• evitare l’entrata in strutture residenziali delle persone non autosufficienti quando ciò
risulterebbe inappropriato in termini di qualità della vita e dei costi.
L’impatto che questo potrà esercitare dipenderà da numerose variabili, tra cui la percentuale
di utenti seguiti da un case manager, la numericità di quest’ultimo, il numero di erogatori nel
mercato dei servizi e la capacità di mobilitare o coinvolgere l’opinione pubblica.

Tipologia di utenza: la natura della tipologia degli utenti determina non solo il mix delle
professionalità richieste al team di case management, ma anche il potenziale guadagno in effi-
cienza dell’equità attraverso l’applicazione di un intenso case management.

56
CAPITOLO 3

Associare il carico di casi per case manager alla tipologia di utenti servita è dunque necessario
per un efficiente uso delle risorse, altrimenti si causerebbe probabilmente un notevole spreco
di risorse fornendo un’eccessiva offerta di case management per casi semplici o impedirebbe
al case manager di ottenere i guadagni in termini di efficienza ed equità che potrebbero essere
raggiunti, impedendogli di dedicare abbastanza tempo e sforzi ai casi più complessi.

Ruolo del case manager nelle decisioni sulla presa in carico: la collocazione del case
manager nel percorso assistenziale dell’utente ed il suo ruolo rispetto alle decisioni sulla presa
in carico influenza fortemente la possibilità di sviluppare efficacemente una strategia di
allocazione delle risorse. Nel corso del tempo, il ruolo assunto dal case manager nelle
decisioni sulla presa in carico potrà influenzare le stesse percezioni in merito a quali sono le
priorità del servizio. Questo è vero sia per le percezioni del case manager sia per quelle degli
altri attori coinvolti nella rete dei servizi. Nel complesso, pertanto, il ruolo assegnato al case
manager sulle decisioni concernenti la presa in carico ha un impatto significativo sulla
capacità di allocare le risorse in maniera efficiente.

3.5 LAVORARE IN TEAM


Il concetto di team viene riportato come un gruppo di persone che uniscono i loro sforzi per il
raggiungimento di un obiettivo comune. La storia dell’uomo e di ognuno di noi è un
susseguirsi, anche inconsciamente, di formazioni di gruppi, basti pensare alla scuola, gruppi
sportivi, gruppi di ricerca e di lavoro.
Le definizioni che sono state date nel tempo sono varie, ma le caratteristiche di base, perché
un team possa avere successo, sono:
- condivisione di obiettivi comuni;
- diversità di conoscenze e competenze dei singoli componenti il team;
- disponibilità a dare supporto vicendevolmente;
- capacità di gestire correttamente i conflitti.
La stessa traduzione dal latino della parola collaborare significa “lavorare insieme”,
sottolineando il concetto alla base del lavoro in team di tutti i suoi membri.
La definizione di team ha subito un processo di crescita con una miglior definizione del
lavoro in team, allo scopo di meglio definire l’integrazione e l’interazione dei membri che lo
costituiscono. Per meglio comprenderne il significato dobbiamo prima puntualizzare quali

57
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

sono i prerequisiti indispensabili al fine di dare coordinamento, cooperazione ed efficacia al


lavoro di squadra. Essi sono:
- tutti i componenti del team devono aver accettato e compreso chiaramente l’obiettivo
prefissato unanimamente;
- ognuno deve avere consapevolezza del proprio ruolo, delle proprie capacità e della propria
responsabilità;
- ognuno deve avere consapevolezza del ruolo, delle capacità e della responsabilità anche di
tutti gli altri membri;
- deve esserci il rispetto vicendevole al fine di garantire flessibilità agli approcci;
- deve esserci disponibilità al dialogo, ed alla revisione critica.
Lo stesso codice deontologico evidenzia un particolare impegno etico dei professionisti nel
riconoscimento reciproco nel perseguire un obiettivo comune. Gli articoli 5.1 e 5.2
definiscono:
“l’infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui riconosce e rispetta lo
specifico apporto all’interno dell’equipe. Nell’ambito delle proprie conoscenze, esperienze e
ruolo professionale contribuisce allo sviluppo delle competenze assistenziali”.
“L’infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al
rispetto e alla solidarietà. Si adopera affinché la diversità di opinione non ostacoli il progetto
di cura”.
Attraverso il confronto e la condivisione di esperienze e conoscenze diverse, i veri elementi
dominanti nella scena del team work, si possono più facilmente abbattere le difficoltà che si
presentano essendo in grado contare su modalità di lavoro innovative nate dalla
collaborazione di un gruppo per consentire una maggior efficacia ed efficienza degli
interventi
Per quanto riguarda l’ambito della Medicina Generale è importante capire quali siano le
figure costituenti il team; dall’analisi della nostra realtà emerge un nucleo costituito dal
medico, dall’infermiere e dal cliente/paziente.

NUCLEO DEL TEAM FIGURE COADIUVANTI


Medico Familiari
Cliente/paziente Fisioterapista, logopedista, psicologo, assistente sociale, ecc...
Altri medici specialisti: cardiologo, otorino, ginecologo,
Infermiere
ortopedico, fisiatra, ecc...

58
CAPITOLO 3

Un team non è sempre costituito solo dal nucleo, spesso hanno un ruolo determinante altre
figure professionali e non, che grazie alle loro abilità collaborano apportando un contributo
notevole e un migliore applicazione dei progetti condivisi coadiuvando gli interventi.
Come possiamo già comprendere molti sono i vantaggi del lavorare in team; potremmo
sinteticamente identificarli come di seguito:
- ciascun componente può offrire competenze e capacità specifiche e diversificate tra loro;
- è possibile delegare parte del lavoro alle persone più abili a trattare un dato problema;
- ogni membro del gruppo può educare l’altro;
- possibilità di condividere idee e conoscenze;
- possibilità di ottimizzare la qualità delle cure e dell’assistenza.
In questo prospettiva il team è visto come un sistema dinamico e interagente, la cui struttura
deve essere in grado di assecondare varie esigenze, sia in base agli obiettivi preposti, che alla
disponibilità, alle problematiche, ed alle capacità di ogni suo componente.

Difficoltà/ostacoli
Contemporaneamente, ogni qual volta si costituisce un sistema complesso ed organizzato,
possono emergere tutta una serie di difficoltà ed ostacoli, che possono influire negatimene sul
risultato del lavoro del gruppo e sull’autostima dei diversi componenti.
Riassumendoli, essi sono:
- scarsa comprensione dei reciproci ruoli;
- duplicazione dei ruoli;
- carenza di tempo ed incremento del carico di lavoro;
- incremento dello stress e del burn-out;
- inefficiente comunicazione, per mancanza di tempo;
- mancanza di team meeting periodici.
Se da un lato il lavoro di squadra, come già abbiamo visto, valorizza tutta una serie di aspetti
positivi che assicurano efficacia agli interventi, stimolando ulteriormente la crescita
professionale di ognuno, dall’altro pone delle difficoltà sia di tipo oggettivo che soggettivo.
Lo scambio reciproco di idee, consigli, revisioni, valutazioni, porta ad un dispendio di tempo
e di energie che spesso non è valutato, soprattutto in termini economici, costituisce uno dei
più grandi ostacoli che funge da freno allo sviluppo di nuovi gruppi di lavoro.
Dall’altro lato però la conoscenza reciproca, nella maggior parte dei casi, porta ad essere
sempre più in sintonia i vari componenti del gruppo stesso, in modo tale che la comunicazione

59
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

e l’intesa vengono sempre più migliorate, portando così ad economizzare il tempo, si tratta
quindi di un investimento che porta in seguito a risultati migliori.
E’ di primaria importanza inoltre che il team si riservi un tempo nel quale riflettere, rivedere,
analizzare e decidere ogni sviluppo successivo in quanto la valutazione è il miglior strumento
per il miglioramento dei singoli e del gruppo.

Valutazioni dell’efficacia del lavorare in Team


Ritornando alla realtà della Medicina di Famiglia è opportuno, in conclusione di quanto
trattato sinora, rivalutare gli aspetti che determinano l’efficacia di impostare il lavoro tra
medico ed infermiere in senso collaborativo. A questo scopo è importante aver chiaro la
portata delle proprie conoscenze e capacità e a quale livello di interazione si può giungere per
ottenere dei risultati adeguati ai bisogni ed alle esigenze dell’individuo e della comunità.
Inoltre ogni professionista deve essere responsabile e consapevole che il proprio percorso
formativo deve svolgersi costantemente nel tempo: poiché l’aggiornamento e la formazione
continua sono i cardini per poter consolidare e convalidare una professionalità, le cui
caratteristiche sono la flessibilità e l’attenzione alle reali e mutevoli esigenze della società.

3.6 OBIETTIVI DELLINFERMIERE IN SANITA’ PUBBLICA


La classificazione riportata è basata sugli obiettivi dell’infermiere di sanità pubblica delineati
dalla Federazione Nazionale Collegi IPASVI in merito al master in Sanità Pubblica.
Tali attività hanno possibilità di essere svolte in regime ambulatoriale oppure a domicilio dei
pazienti che si trovano impossibilitati a raggiungere l’ambulatorio.

Promozione della salute – Prevenzione e diagnosi precoce


Pianificare, realizzare, valutare le attività di prevenzione
• Contribuire alla lettura epidemiologica del territorio, ivi compresi gli elementi sociali,
culturali, economici e politici
• Partecipare ai programmi di mantenimento e promozione della salute
• Partecipare ai programmi di prevenzione delle malattie, degli incidenti e degli infortuni
• Definire indicatori per la valutazione dell’efficacia ed efficienza dei servizi sanitari
• Raccogliere anamnesi di rischio
• Attuare inchieste epidemiologiche
• Diffondere i dati epidemiologici e proporre progetti educativi o di miglioramento
• Utilizzare e, se necessario, contribuire a costruire, un sistema di informazione per la
raccolta, l’inserimento e l’analisi dei dati in coerenza alla presa di decisione e alla

60
CAPITOLO 3

definizione dei bisogni e delle azioni di salute prioritarie, secondo il grado di urgenza e la
loro fattibilità economica
• Progettare e sviluppare una rete dei servizi nell’ambito della Sanità pubblica
• Svolgere attività di sorveglianza per gli accertamenti sanitari preventivi e periodici;
attuando controlli igienici
• a domicilio, nella comunità

Promuovere la sicurezza degli ambienti di lavoro e prevenire i rischi occupazionali


• Programmare e gestire, in base a protocolli concordati e alla normativa vigente,
accertamenti sanitari
• Attuare screening
• Elaborare i dati emersi dalla sorveglianza sanitaria per una valutazione epidemiologica
dello stato di salute dei gruppi a rischio e il successivo monitoraggio
• Collaborare con gli operatori dei Servizi di prevenzione nella identificazione dei rischi
presenti in specifici ambienti di lavoro
• Elaborare la mappa-rischi dei servizi ospedalieri
• Proporre, in collaborazione con altri operatori, le misure di prevenzione e di protezione
specifiche

Programmi di prevenzione per problemi sanitari specifici


• Progettare e realizzare in collaborazione con altri professionisti programmi di screening
per le popolazioni a rischio
• Monitorare lo sviluppo psicofisico e la crescita del bambino attraverso visite domiciliari e
screening
• Organizzare e attuare campagne vaccinali
• Individuare e prendere in carico bambini in difficoltà
• Assicurare sorveglianza e sostegno ai bambini presenti in “famiglie a rischio” e “comunità
a rischio”
• Favorire l’inserimento scolastico di bambini disabili o con difficoltà/disagio
• Organizzare programmi di sorveglianza, prevenzione e di controllo delle infezioni in ogni
presidio ospedaliero e/o nella comunità, orientato sia agli utenti sia agli operatori sanitari

Educare alla salute


• Individuare, in collaborazione con altri professionisti, i rischi psicofisici e sociali connessi
alla qualità di vita in ambito sociale e lavorativo
• Educare le persone e la comunità ad adottare stili di vita sani
• Progettare e realizzare, in una rete multidisciplinare, interventi informativi ed educativi
rivolti al singolo e alla collettività sulla identificazione dei fattori di rischio bersaglio
• Progettare e realizzare programmi di apprendimento rivolti a singoli o gruppi di lavoratori
per la prevenzione dei rischi e degli infortuni
• Collaborare con le aziende e i datori di lavoro nella progettazione di programmi di
formazione e informazione per i lavoratori
• Stimolare i lavoratori ad assumersi le proprie responsabilità per promuovere la salute negli
ambienti di lavoro
• Monitorare i cambiamenti ambientali ed individuali adottati dopo gli interventi di
formazione/informazione
• Fornire consulenza e supporto educativo ai genitori per una crescita sana del bambino
(alimentazione, cure igieniche, ruolo del gioco e degli stimoli affettivi…)
• Progettare e realizzare, in collaborazione con gli insegnanti delle scuole, specifici
programmi di educazione alla salute rivolti agli studenti per il controllo dei fattori di
rischio in rapporto alle fasce di età

61
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

• Partecipare a progetti di educazione e prevenzione rivolta agli adolescenti su


problematiche di salute fisica, relazionale e sociale (disturbi dell’alimentazione, fumo,
alcol, problemi affettivi e relazionali…)
• Incoraggiare le famiglie a rischio ad accettare l’aiuto di operatori competenti
• Progettare, realizzare e fornire consulenza, in collaborazione con altri professionisti,
interventi in materia di educazione sessuale
• Fornire consulenza su tematiche relative la procreazione responsabile e la contraccezione
• Fornire consulenza alla coppia su tematiche relative la qualità del rapporto interpersonale,
le problematiche di coppia e della famiglia.

Assistenza (comprensiva di tutti gli interventi di pianificazione, attuazione, valutazione


dell’assistenza)

Identificare le necessità assistenziali e pianificare l’assistenza a domicilio e nei servizi


sanitari territoriali
• Accogliere le persone e le loro famiglie nei diversi contesti e servizi
• Raccogliere l’anamnesi infermieristica familiare e personale e registrarla per la stima delle
necessità assistenziali
• Svolgere una funzione di filtro rispetto alle richieste dell’utente orientandolo verso i servizi
e gli operatori competenti
• Gestire colloqui di aiuto, tenendo conto delle implicazioni etiche, sociali e legali, attivando
le risorse adatte al caso
• Comunicare con la persona assistita a domicilio e la sua famiglia utilizzando modalità
comunicative efficaci
• Adattare le metodologie operative alle situazioni complesse e multiple che si incontrano a
domicilio e nella comunità
• Identificare nella persona assistita e nella famiglia il tipo e il livello di reazioni alla
malattia e/o disabilità e al loro trattamento
• Rilevare e valutare il livello di autonomia della persona
• Rilevare e valutare il livello di qualità di vita della persona
• Monitorare l’evoluzione nel tempo di segni e sintomi
• Diagnosticare i problemi della persona assistita correlati alla malattia, alla disabilita, al
trattamento, allo stile di vita, alle modificazioni delle attività di vita quotidiana, alla qualità
di vita percepita, alla situazione familiare e ambientale
• Identificare, in base alle condizioni cliniche, sociali e ambientali, gli interventi da adottare
nella soddisfazione dei bisogni della persona assistita
• Formulare il piano di assistenza individuale, integrato con altri operatori se necessario,
registrando gli obiettivi dell’assistenza da fornire e il programma delle attività da realizzare
• Supervisionare la qualità della formulazione dei piani di assistenza
• Prendere decisioni assistenziali in coerenza alla dimensione legale ed etica delle situazioni
affrontate
• Coinvolgere la persona assistita, la famiglia e altre persone-risorsa nella formulazione e
realizzazione del piano assistenziale
• Consultare altri professionisti per affrontare problematiche a carattere pluridisciplinare
• Fornire consulenza ad altri infermieri, non esperti in assistenza domiciliare e comunitaria,
in situazioni complesse

Applicare a domicilio il piano di assistenza e le prescrizioni diagnostico-terapeutiche


• Stabilire con l’utente e la famiglia una relazione di aiuto

62
CAPITOLO 3

• Eseguire interventi tecnici definiti nel piano di assistenza per il sostegno e lo sviluppo
dell’autonomia della persona assistita
• Partecipare all’elaborazione e applicazione di percorsi clinici integrati
• Organizzare la somministrazione dei programmi terapeutici e assicurane la compliance
• Rilevare segni e sintomi di effetti collaterali e complicanze dei trattamenti e segnalarli al
medico
• Collaborare con altri professionisti dell’équipe nell’applicazione e adattamento del piano di
cure integrato
• Documentare sulla cartella infermieristica l’assistenza realizzata
• Supervisionare la qualità delle informazioni registrate sulla cartella infermieristica
• Valutare l’assistenza infermieristica erogata

• Assistere la persona dopo la dimissione e nella fase post acuta e assicurare la continuità
delle cure a domicilio
• Organizzare la continuità delle cure a domicilio dopo un ricovero ospedaliero, attivando
persone- risorsa, mettendo a disposizione i presidi necessari, attivando la rete di operatori
con competenze specifiche alla situazione, istruendo sulle modalità assistenziali
• Informare e sostenere la persona assistita e la famiglia nelle fasi riabilitative
• Informare la persona assistita sulle opportunità offerte dai servizi territoriali utilizzabili a
supporto delle sue necessità
• Organizzare l’incontro della persona assistita con associazioni, volontari e gruppi di auto-
aiuto

Assistere la persona in fase terminale


• Applicare il programma delle cure palliative concordato con l’équipe
• Stabilire una relazione di aiuto per sostenere la persona assistita e la sua famiglia nel
processo della terminalità e del lutto

Educazione terapeutica finalizzata all’autogestione della malattia e del trattamento

• Identificare con la persona assistita e la sua famiglia gli stili di vita che possono
rappresentare fattore di rischio per la salute
• Valutare il tipo di informazioni in possesso della persona assistita e della sua famiglia e il
loro grado di comprensione
• Identificare i bisogni educativi della persona assistita e della famiglia
• Definire obiettivi educativi riferiti all’acquisizione da parte della persona assistita e la sua
famiglia di corrette abitudini di vita, tenendo conto della sua rappresentazione della
malattia e delle differenze comportamentali legate alla cultura di appartenenza
• Stabilire con la persona assistita e la famiglia un contratto educativo in cui siano definite le
strategie per far fronte ai problemi di salute
• Informare la persona assistita e la famiglia in modo mirato e scientificamente valido
• Predisporre materiale informativo relativo al controllo dei fattori di rischio e delle
complicanze
• Istruire la persona assistita e la famiglia ad autoidentificare segni e sintomi di complicanze
e a prevenire o ridurre gli effetti indesiderati dei trattamenti
• Utilizzare tecniche di counseling per sostenere la persona assistita a cambiare
comportamenti nello stile di vita e ad assumere decisioni nel controllo dei fattori di rischio
e nella gestione dei trattamenti
• Applicare metodi e mezzi educativi pertinenti alle esigenze individuate
• Identificare gli ostacoli all’apprendimento di comportamenti adattivi da parte della persona
assistita e della sua famiglia

63
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

• Utilizzare strategie efficaci per superare gli ostacoli dell’apprendimento di comportamenti


adattivi
• Valutare la capacità che la persona assistita e la famiglia hanno di seguire a domicilio il
programma terapeutico, di identificare i segni e sintomi di complicanze, di seguire le
procedure per i controlli che dovrà effettuare, di introdurre i cambiamenti nello stile di vita
La gestione (pianificare, controllare, valutare)

Pianificare
• Pianificare il proprio lavoro tenendo conto degli obiettivi del servizio e in modo coordinato
con l’organizzazione generale dell’istituzione
• Organizzare dei programmi di azione per problemi sanitari specifici e a differenti livelli
• Progettare procedure di raccolta dati, di comunicazione tra servizi e con enti
• Delegare ai collaboratori, sulla base della valutazione delle necessità assistenziali dei
malati, le attività assistenziali conformi al loro profilo
• Definire le priorità per utilizzare in modo ottimale le risorse esistenti
• Identificare tipologia e costi delle risorse strumentali ed ambientali, necessarie
all’assistenza infermieristica

Controllare
• Richiedere la collaborazione di altre risorse dopo aver valutato insufficienti le proprie
capacità e possibilità operative rispetto alla complessità degli interventi assistenziali e
preventivi
• Utilizzare le risorse applicando criteri di costo-efficacia
• Adattare le risorse e le attività per il raggiungimento degli obiettivi
• Utilizzare strumenti di integrazione (linee guida, procedure, protocolli assistenziali, piani
di assistenza standard) progettati con l’équipe o da altri servizi per omogeneizzare le
modalità operative
• Predisporre cartelle sanitarie di rischio, modulistica specifica
• Assicurare l’archiviazione delle posizioni sanitarie dei lavoratori e degli utenti
garantendone la conservazione e una funzionale consultazione
• Redigere relazioni sanitarie, rapporti sull’attività e statistiche
• Preparare e trasmettere l’informazione secondo i canali appropriati
• Utilizzare metodi di comunicazione interpersonale efficaci nel lavoro di équipe
• Utilizzare canali di comunicazione efficaci in relazione alla tipologia di informazioni da
trasmettere
• Collaborare con i componenti del team interdisciplinare nella realizzazione delle attività
• Gestire progetti di cambiamento per il miglioramento della qualità dell’assistenza
• Sostenere e monitorare processi di cambiamento ambientali e lavorativi volti al
miglioramento della salute, adottando tecniche di negoziazione e gestione dei conflitti
• Condurre un gruppo di lavoro volto a identificare rischi e misure di prevenzione
• Facilitare l’accesso dell’utenza ai servizi (informazione, orari, abolizione barriere
architettoniche, decentramento delle prestazioni essenziali…)
• Coinvolgere i cittadini e le loro associazioni nella valutazione del funzionamento del
servizio
• Supervisionare l’approvvigionamento di vaccini, farmaci, materiali e presidi dei servizi

• Garantire la continuità assistenziale a domicilio


• Favorire l’integrazione tra i servizi ospedalieri e domiciliari
• Attivare un lavoro di rete nella comunità per sostenere famiglie e anziani in difficoltà e a
rischio di istituzionalizzazione

64
CAPITOLO 3

Valutare
• Identificare la necessità di variare protocolli assistenziali di fronte a situazioni particolari e
concordarne l’adattamento
• Supervisionare la qualità della formulazione dei piani di assistenza
• Supervisionare la qualità delle informazioni registrate sulla cartella infermieristica
• Valutare l’assistenza infermieristica erogata

Consulenza

• Fornire consulenza ad altri operatori non esperti in Sanità pubblica


• Raccogliere i dati necessari per comprendere la situazione su cui è chiesto il contributo di
consulenza
• Coordinare un gruppo di lavoro su problematiche assistenziali specifiche
• Redigere un rapporto sulla consulenza

Funzione formazione

• Valutare il livello di competenza del personale infermieristico e del personale di supporto e


derivarne i bisogni formativi
• Pianificare programmi di formazione e preparare materiale didattico per il personale
sanitario
• Realizzare interventi educativi al personale rispetto a problematiche inerenti la
promozione, la prevenzione e l’educazione sanitaria
• Realizzare attività di tutorato nei confronti di studenti o di altri operatori in formazione nei
servizi di comunità e di Sanità pubblica
• Progettare e realizzare interventi formativi/informativi rivolti a studenti e professionisti
dell’area sanitaria sulla salute ambientale e sulla prevenzione dei rischi occupazionali
• Valutare l’efficacia della formazione sulla performance individuale dell’operatore
• Autovalutare il proprio livello di competenza professionale e derivarne i propri bisogni di
formazione
• Progettare e realizzare esperienze di autoapprendimento
• Autovalutare e migliorare il proprio livello di perfomance per risolvere nuovi problemi

Funzione ricerca

• Attuare progetti di ricerca selezionati sulla base dei problemi prioritari di salute e dei
problemi prioritari dei servizi
• Collaborare ai programmi di ricerca di pertinenza di Sanità pubblica
• Contribuire al miglioramento della qualità e dell’efficacia in tema di sanità comunitaria
• Contribuire all’analisi dei fattori che hanno influenza sulla salute
• Favorire e realizzare un programma di valutazione
• Identificare specifici problemi e aree di ricerca in ambito di Sanità pubblica
• Realizzare ricerche in collaborazione con équipe multidisciplinari
• Partecipare a ricerche epidemiologiche
• Partecipare a programmi di monitoraggio e controllo di eventi critici (per esempio di
rischio infettivo)
• Utilizzare i risultati delle ricerche per facilitare la presa di decisione

65
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

3.7 ANALISI DELLE ATTIVITÀ INFERMIERISTICHE


Per meglio comprendere la strada che questa figura sta percorrendo, sono stati effettuati vari
studi e analisi con lo scopo di carpire a fondo quali fossero i meccanismi che spingono la
richiesta dell’infermiere in sanità pubblica. Le indagini hanno analizzato il lavoro
dell’infermiere sotto l’aspetto quantitativo, quali e quante prestazioni nell’arco di tempo, e
sotto l’aspetto qualitativo per verificare il grado di soddisfazione e di gradimento rilevato
nella popolazione assistita.

3.7.1 COSA PENSANO GLI ASSISTITI DELL’INFERMIERA DI FAMIGLIA


Di Alessandra Semenzato, Infermiera professionale responsabile Dipartimento di Nursing, Marisa
Fingolo, Infermiera e Renata Casarin I.P.A.F.D. 47

Nell’ambito delle attività del dipartimento di Nursing dell’AIMEF, è stata recentemente


condotta una indagine conoscitiva, nella quale l’obiettivo principale consisteva nel
comprendere quale fosse la percezione del ruolo dell’infermiere che lavora accanto al medico
di medicina generale, da parte degli utenti. Questo lavoro si è svolto in collaborazione con
l’Università di Udine ed, in particolare con il contributo di una studentessa ha ritenuto di
utilizzare i dati rilevati, per la stesura della propria tesi di Diploma di Laurea, dal titolo
“Prospettive di sviluppo della professione infermieristica bell’ambito della Medicina
Generale”.
Si è pensato di coinvolgere in tale iniziativa alcuni ambulatori di medicina generale, con
caratteristiche lavorative simili, perciò i questionari sono stati inviati alle infermiere che
avevano risposto al censimento proposto dall’AIMEF lo scorso anno. Fra tutte però,
solamente due hanno aderito all’iniziativa. Inoltre hanno gentilmente accettato questa
proposta anche due medici, che da tempo si avvalgono della collaborazione di un infermiera.

 Ambulatorio 1: Fiesso d’Artico (VE)


 Ambulatorio 2: Oriago di Mira (VE)
 Ambulatorio 3: Sondrio
 Ambulatorio 4: Cellole (CE)

47
Per gentilissima concessione di Alessandra Semenzato, I.P. responsabile dell’Unità infermieristica del
Dipartimento italiano di medicina di famiglia (Aimef)

66
CAPITOLO 3

 Ambulatorio 5: San Potito Sannitico (CE)

Da segnalare che, mentre le prime tre infermiere collaborano con un unico medico, la quarta
lavora assieme a tre diversi medici di medicina generale: ciò significa che oltre ad avere un
carico di 4500 assistiti circa è presente in ambulatorio per molte ore nella giornata e questo, lo
vedremo in seguito, è stato a nostro parere, rilevante per quanto concerne l’analisi delle
risposte date dai pazienti stessi.

Gli intervistati
Sono stati intervistati in totale 174 maschi, e 283 femmine, che corrispondono alle seguenti
percentuali: il 38% dei maschi, il 62% delle femmine. La classe di età, che compare con
maggior frequenza, è compresa tra 46-65 anni e corrisponde al 37% degli intervistati. È stata
confermata una maggiore frequentazione dell’ambulatorio dei Medico Medicina Generale da
parte di donne tra i 46 e i 65 anni, rispetto ai maschi della stessa età.

In particolare è emerso:
14-30 16%
31-45 29%
46-65 37%
over 65 20%

Grafico 6: PERCENTUALE DEGLI INTERVISTATI PER FASCE D’ETA’

67
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

20%
36%
14-30
31-45
46-65
16% over 65

28%

Da quanto emerge visivamente, è doveroso fare una considerazione molto importante: come
possiamo osservare gli assistiti che maggiormente frequentano l’ambulatorio di medicina
generale (AMG), rientrano nelle fasce d’età media, comprese cioè tra i 30 e i 65 anni. Questo
contrasta in qualche modo con l’affermazione che sovente viene riproposta, riguardante
l’invecchiamento della popolazione e con le malattie e le complicanze ad essa correlate,
tipiche della senescenza. Ciò significa che le patologie rilevanti, per la medicina di famiglia,
sono le più disparate e che, soprattutto, danno modo di impostare il dialogo sulla prevenzione
e sull’educazione sanitaria dei singoli e dei gruppi familiari.

Elaborazione dati
Le sedici domande sono state elaborate allo scopo di verificare alcuni precisi aspetti dei
compiti e delle attività infermieristiche. In particolare ci premeva comprendere se, il rapporto
che gli utenti hanno instaurato con la loro infermiera, possa definirsi di fiducia, al pari di
quello del medico. E di conseguenza se il loro rapporto lavorativo possa essere concretamente
di collaborazione.
In secondo luogo è necessario comprendere l’intera gamma di attività che le infermiere
svolgono, sia all’interno dell’ambulatorio, sia al domicilio dei pazienti. Inoltre, esse sono state
distinte in attività di tipo pratico, di tipo relazionale, ed educativo.
Sono state prese in considerazione anche le proposte degli assistiti, in considerazione della
loro esperienza diretta; è stato chiesto loro di esprimere non solo un giudizio, ma anche alcuni
suggerimenti per ottimizzare il servizio.
Vediamo ora di analizzare le domande che maggiormente sono risultate essere significative.

Alla domanda “Ritiene utile la presenza dell’infermiere nell’ambulatorio del medico di


famiglia” è risultato:

68
CAPITOLO 3

NO 0.8%
SI 99%
NON appropriato 0.2% 48

Per quanto il risultato sia di facile interpretazione, vogliamo precisare che la scelta del temine
”utile”, risponde all’esigenza di facilitare la lettura della domanda. In realtà l’intento era
quello di verificare se e quanto questa figura fosse accettata dai pazienti, visto che ancora essa
non ricopre un ruolo accreditato formalmente.

Alla domanda “Si è mai rivolto all’infermiere per chiedere dei consigli o una prima
valutazione dei problemi o dei sintomi da riferire al medico” è risultato:
SI 65.7%
NO 32.6%
NON appropriato 1.7%.

Alla domanda “Se sì, li ha ritenuti utili” hanno risposto:


SI 97.7%
NO 2.3%

Da questi dati emerge chiaramente che i pazienti riconoscono all’infermiera, presente


nell’ambulatorio, capacità proprie di quel professionista in grado di dare risposte concrete alle
esigenze di salute. In questo caso si è voluto focalizzare l’attenzione sull’aspetto informativo
ed educativo. A questo proposito, gioca un ruolo fondamentale il rapporto di fiducia
professionale che, in prima istanza, l’infermiera riesce ad instaurare con i propri assistiti. E, di
conseguenza, il rapporto di collaborazione e stima che medico ed infermiera dimostrano di
saper sviluppare insieme.

Alla domanda “Si è mai rivolto all’infermiera per chiedere consigli o informazioni per la
prevenzione di alcune malattie come il diabete o l’ipertensione, oppure per tutelare la
propria salute o quella dei propri familiari?”

48
(Il termine non appropriato include le non risposte o quelle ritenute non corrette, esempio doppia risposta).

69
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

QUALCHE VOLTA 39%


SPESSO 24%
MAI 36%
NON appropriato 1%

Alla domanda successiva: “Se mai, perché”:


ESISTONO ALTRE STRUTTURE 9%
NON MI SONO POSTO IL PROBLEMA 91%

Grafico 7: APPROCCIO ALLA FIGURA DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA PER


CONSIGLI O INFORMAZIONI

1%
24%
36%
spesso
qualche volta
mai
non appropr.

39%

In questo caso si è voluto evidenziare l’aspetto preventivo, valutando se negli utenti vi sia una
sensibilità, un interesse reale alla tutela della propria salute. Possiamo notare che il 63% degli
intervistati ha comunque ritenuto un valido interlocutore l’infermiere di famiglia, in grado di
dare risposte adeguate, a tal riguardo. Tuttavia non esiste ancora, tra gli utenti una coscienza
diffusa dell’importanza degli atti preventivi, né tanto meno la conoscenza di chi
effettivamente possa trasmettere un sapere utile. Ciò porta ad una riflessione, che potrebbe
anche trasformarsi in un impegno futuro: poiché la “prevenzione” va fatta con costanza sulla
base dei bisogni e delle attese dei cittadini, si potrebbero creare degli spazi dedicati a
particolari tematiche rivolti appunto alla comunità. Questo, in un secondo momento, più
adeguato al singolo individuo visto e considerato che sempre più si tende a focalizzare molti
degli interventi sanitari in materia preventiva.

70
CAPITOLO 3

“In ambulatorio si rivolge per primo all’infermiera, per quali motivi?”

Attività infermieristiche Percentuali Percentuali Percentuali Percentuali Percentuali


intervistati Intervistati Intervistati intervistati intervistati
In ambulatorio
amb. 1 amb. 2 amb. 3 amb. 4 amb. 5
Consigli 34 66 58 87 12
Medicazioni 17 52 10 90 5
Iniezioni 18 52 11 66 10
Ripetizione ricette 72 63 87 64 43
Chiarimenti sulle terapie 5 24 23 61 3
Lavaggi auricolari 2 26 0 444 0
Informazioni S.S.N. 5 10 14 32 3
Esenzioni 7 2 8 14 2
Assistenza sanitaria 3 4 2 2 4

Grafico 8: DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DELLE PRESTAZIONI


EFFETTUATE NEI VARI AMBULATORI
Fiesso d'Oriago (VE)
Oriago di Mira (VE)

Consigli
9% 3%1%
1%
23%
3%3% 4% 2%
1% 21% Consigli Medicazioni
Medicazioni 8% Iniezioni
Iniezioni Ripetizioni di ricette
Ripetizioni ricette
Chiarimenti terapie
Chiarimenti terapie
10% Lavaggi auricolari 17%
Lavaggi auricolari

Informazioni S.S.N.
21% Informazioni S.S.N
45% 11% Esenzioni Esenzioni
17%
Assistenza sociale Assistenza sociale

Sondrio

Cellole (CE)

11% 0% Consigli
7% 10% 7% 3% Consigli
4% Medicazioni 0% Medicazioni
1% Iniezioni 13%
Iniezioni
40% 19%
Ripetizioni ricette Ripetizione ricette
Chiarimenti Terapie Chiarimenti terapie
Lavaggi auricolari Lavaggi auricolari
14%
27% Informazioni S.S.N- Informazioni S.S.N.
Esenzioni 20% Esenzioni
5% 5% 14%
Assistenza sociale Assistenza sociale

71
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

San Potito Sannitico (CE)

Consigli
0%4% 2% 5%
4%
15% Medicazioni
Iniezioni
6% Ripetizione ricette
Chiarimenti terapie
Lavaggi auricolari

52% 12% Informazioni S.S.N.


Esenzioni
Assistenza sociale

Proponiamo di seguito un istogramma che mette a confronto le singole attività


infermieristiche svolte nei diversi ambulatori: possiamo renderci conto che, oltre ad essere
molto articolate, la loro frequenza varia ampiamente da ambulatorio ad ambulatorio.
Evidentemente le opportunità è possibile crearle la dove nulla ancora vi è di definito: ogni
professionista può proporsi nel rispetto delle proprie capacità, della propria creatività, tenendo
sempre presenti le richieste dell’utenza.

Grafico 9: ISTOGRAMMA DI CONFRONTO

"In ambulatorio si rivolge per primo all'infermiera, per quali motivi?"

Ambulatorio 1
100
Ambulatorio 2
90 90
87 87 Ambulatorio 3
80 Ambulatorio 4
75
72 Ambulatorio 5
70
66 66
63 64 61
60 58
52 52
50
44
40
34 32
30
Percentuali 26
21 24 23
20 17 18 17
14 14
10 9 11 10
10 7 8 7
5 6 5 5
2 0 0 2 3 3 42 2
0
Chiarimenti
Ripetizioni di
Medicazioni
Consigli

Esenzioni
auricolari
Iniezioni

Informazioni
Lavaggi

Assistenza
sociale
terapie

SSN
ricette

In tutti gli ambulatori, la ripetizione di ricette ha una percentuale molto alta con una punta del 87%. Le
medicazioni hanno una conformazione diversa a seconda dell’ambulatorio con un 90% nell’ambulatorio 4 contro

72
CAPITOLO 3

il 9% dell’ambulatorio 5, cosi come i lavaggi auricolari che nell’ambulatori 5 non vengono eseguiti mentre in
altri raggiungono percentuali del 44%.

"Ha mai avuto necessità di richiedere un intervento infermieristico al proprio domicilio?"

Grafico 10: PERCENTUALI DI RICHIESTE DI INTERVENTI A DOMICILIO

Amb.1
100
90
84 Amb.2
80 76
70 Amb.3
60 56 Amb.4
44
40 Amb.5
30
24
Percentuali20 16
10

0
SI NO
Amb.1 24 76
Amb.2 30 70
Amb.3 16 84
Amb.4 90 10
Amb.5 56 44

Un altro aspetto rilevante ai fini della nostra indagine, riguarda le cure a domicilio.
Dall’istogramma che segue ci rendiamo conto di quanto sia diversificata tra i vari ambulatori,
non solo la richiesta da parte degli utenti, ma soprattutto la tipologia degli interventi. Al di là
delle prestazioni assistenziali direttamente collegate alla cura, emergono due dati importanti:
• La richiesta di consigli, che evidentemente viene espressa in concomitanza con la richiesta
d’interventi di tipo tecnico;
• La richiesta di supporto emotivo: spesso, e questo potrà confermarlo quel professionista
che ne abbia diretta esperienza, gli assistiti hanno bisogno di conferme, chiarimenti, o
semplicemente della presenza di chi possa comprendere e condividere un determinato
momento di disagio, malattia, sofferenza fisica, psicologica, affettiva. Ciò ha molta
rilevanza perché mette in luce l’essenza di tale relazione: il rapporto di fiducia tra il
professionista della salute ed i cittadini che lo hanno scelto; esso è unico. Nella difficoltà
ogni individuo ha necessità di potersi affidare a chi lo conosca comunque come essere

73
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

sano, nella sua globalità; senza che debba compiersi lo sforzo di mostrare questo o
quell’altro aspetto, come sovente avviene tra estranei.

"Se sì, per quali motivi?"

Grafico 11: MOTIVAZIONI DEGLI INTERVENTI A DOMICILIO


100

Nell’am 90
bulatori 83
80
o 4 73 72
l’inferm 70

iere dà 60
Percentuali

consigli
50
a
40
domicil 34
30
io nel 30

75% 20 19 19
15
dei casi 9
10 6 7 6
e l’83% 3 3 3 4 2 3
1 1
0
degli
Consigli Cure Sostegno/supporto Altro
interven emotivo

ti sono
per eseguire delle cure; negli altri ambulatori le percentuali sono più basse come gli ambulatori 1 e 5 con il 3% di
interventi a domicilio per dare consigli. La stessa diversità è evidente per quanto riguarda il supporto emotivo.

L’ultimo aspetto sul quale si vuole riflettere, riguarda i suggerimenti che gli utenti hanno
espresso, inerenti il giudizio dell’organizzazione del lavoro dell’infermiera in AMG. Giudizio
sia di tipo quantitativo che qualitativo. Essi sono stati espressi in due modi: tramite domande
chiuse ed aperte. Il risultato è stato interessante: molti nell’apprezzare il contributo
professionale dell’infermiera nella Medicina di Famiglia, sentono la necessità che la sua
presenza sia garantita attraverso l’ampliamento dell’orario lavorativo, (ricordiamo che
attualmente nella maggioranza dei casi copre solo mezza giornata). Inoltre, è emersa ancora
una volta l’esigenza di ricevere maggiori informazioni inerenti la prevenzione e l’educazione
sanitaria.

"Ha dei suggerimenti affinché questa nuova figura d'infermiera possa offrire un servizio
migliore nell'AMG?"

74
CAPITOLO 3

Grafico 12: PROPOSTE PER IL MIGLIORAMENTO DEL SEVIZIO

100
Percentuale

90 84%

80
73%
Ambulatorio Oriago
68%
70
61%
Ambulatorio Fiesso
D'Artico
60
53%

47%
50 Ambulatorio Caserta

38%
40
33% Ambulatorio Sondrio
30
22%
19%
17% 16%
20 14%
13%
11%

10 5%

0
Ampliare orario Maggiore Più consigli per Va bene così Altro
diservizio informazione evitare l’insorgenza
sulle terapie di malattie

Le persone intervistate in tutti gli ambulatori hanno espresso la necessità di dover ampliare l’orario di servizio e
un miglioramento dei servizi con un massimo dei 73% nell’ambulatorio di Caserta ed un minimo di 11%
nell’ambulatorio di Sondrio. Anche la domanda “va bene così” ha ottenuto risposte diverse con un massimo
dell’85% ed un minimo del5%.

CONCLUSIONI
Dall’indagine condotta risulta evidente che il ruolo dell’infermiera che opera accanto al
medico di famiglia è accettato e riconosciuto per la sua importanza all’interno
dell’ambulatorio di medicina generale.
La maggioranza degli intervistati ha dichiarato di aver instaurato un soddisfacente rapporto di
fiducia e che spesso, nei momenti di difficoltà, ritiene necessaria anche la sua presenza
accanto a quella del medico.
Come abbiamo potuto rilevare ci sono alcuni aspetti, nell’attività dell’infermiera di famiglia,
che meriterebbero di essere ampliati: tra questi, ad esempio, vi sono le cure a domicilio.
Sebbene siano poche le persone che hanno dichiarato di aver richiesto un intervento a
domicilio (40%), tutti lo reputano comunque soddisfacente.

75
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Solo per un ambulatorio vi è stata un’alta richiesta di visite a domicilio (90%), questo
probabilmente è da imputarsi, non tanto al numero di assistiti, peraltro elevato, quanto al
metodo organizzativo assistenziale che l’infermiera ha ritenuto opportuno adottare.
L’infermiera è in grado di rispondere in modo efficace ai bisogni degli assistiti, lo conferma
l’osservazione della maggioranza delle persone (96.75%) che auspica la sua presenza anche in
altri ambulatori di medicina generale, o addirittura l’ampliamento dell’orario di servizio, dove
è già presente.
In conclusione vogliamo dare risalto all’esclusivo rapporto che si è creato gli utenti e le loro
infermiere: alcune persone lo hanno voluto sottolineare firmando il questionario, anche se non
richiesto, altre hanno scritto alcune personali osservazioni. Le riportiamo così come le
abbiamo lette:
 “Una sua parola a volte ti consola”
 “La nostra infermiera professionale è tutto ciò che vorremmo avere. Ci sostiene, ci cura,
ci sgrida e ci accudisce nel modo più completo che il medico serve solo quando ne
abbiamo effettiva necessità”
 “Conoscere meglio il suo ruolo per essere certi di poter fare riferimento direttamente a
lei”
 “E’ molto necessaria”
 “Si richiede alta specializzazione”
 “Dare più spazio per imparare a proprie spese”
 “Permettere maggiore libertà d’intervento all’infermiera senza passare
obbligatoriamente attraverso il parere del medico”

3.7.2 SPERIMENTAZIONE DELL’ASSISTENZA DOMICILIARE


Università Cattolica Sacro Cuore Cattedra di geriatria P.U. Roberto BERNABEI
Provincia autonoma di Trento, aUSL Vallagarina, comune di Rovereto 49

Premessa:
Nel dicembre 1991, veniva approvato dal Consiglio dei Ministri il Progetto Obiettivo Anziani
che indicava tra gli interventi prioritari da compiere, quelli a favore degli anziani non
autosufficienti ed in particolare di attivare o potenziare, tra gli altri, i servizi di Assistenza
Domiciliare.

49
Dal sito: www.aging.cnr.it

76
CAPITOLO 3

In questo ambito l'attuazione del Progetto Obiettivo tramite una iniziale sperimentazione di
modelli assistenziali innovativi riveste certamente una importanza particolare. L'obiettivo
prioritario della sperimentazione eseguita nel Comune di Rovereto (TN), unitariamente alla
Provincia Autonoma di Trento e alla Unità Sanitaria Locale delle Vallagarina, è stato quello
di ottimizzare l'intervento socio-sanitario a favore degli anziani non autosufficienti o a rischio
di divenirlo (ottimizzazione del servizio di assistenza continuativa). Sulla base delle
esperienze internazionali, si è ipotizzato che la figura fondamentale nella gestione della rete
dei servizi geriatrici di assistenza continuativa possa essere il "coordinatore del caso",
l'operatore cioè che effettua la valutazione del potenziale cliente, determinandone
l'eleggibilità o meno a uno o più servizi della rete stessa. La rete integrata dei servizi necessita
infatti di un centro di coordinamento, che allo stesso tempo sia lo "sportello" unico a cui il
potenziale cliente possa rivolgersi per la valutazione dei suoi bisogni e la conseguente
allocazione al servizio in quel momento necessario.

Strutturazione della sperimentazione:


La sperimentazione ha avuto ufficialmente inizio nel gennaio 1995. Per dimostrare l'efficacia
della rete integrata dei servizi prevista dal modello assistenziale precedentemente delineato
("case management") si è proceduto alla randomizzazione in base all'età e al sesso degli
anziani che già ricevevano qualche servizio e di quelli che successivamente ne facevano
richiesta. Sono stati confrontati per la durata di un anno 100 anziani seguiti dal coordinatore
del caso secondo lo schema descritto (gruppo trattati) e 100 anziani seguiti in maniera
tradizionale (gruppo controlli). Il gruppo di trattati è stato valutato all'inizio, ad intervalli
prestabiliti (ogni due mesi) e alla fine della sperimentazione attraverso un adattamento della
scheda di valutazione utilizzata nel distretto della British Columbia (Canada) - Long-Term
Care Program Application and Admission Form. Inoltre, durante l'anno di sperimentazione in
entrambe i gruppi sono stati monitorati:
- la mortalità;
- i giorni di ospedalizzazione e di istituzionalizzazione;
- le visite mediche domiciliari;
- il consumo di farmaci;
- le prestazioni domiciliari erogate (sociali e sanitarie);
- la funzione fisica e mentale;
- gli indici di soddisfazione del cliente;
- gli indici di soddisfazione dei caregiver.

77
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Risultati
La sperimentazione si è conclusa quando l'ultimo cliente randomizzato ha terminato l'anno
prestabilito di osservazione (30/5/1996). I risultati sono dettagliatamente riportati nel grafico
13, dall'analisi è stato escluso un anziano del gruppo di trattati in quanto perso al follow-up.
La popolazione studiata non presentava all'inizio della sperimentazione differenze
significative tra il gruppo di trattati e di controllo sia per quanto riguarda le caratteristiche
socio-demografiche che lo stato funzionale (ADL e IADL), lo stato cognitivo ed affettivo. Ad
un anno di distanza la mortalità tra i due gruppi non ha mostrato differenze significative (12
decessi nel gruppo trattati contro 13 dei controlli). Le osservazioni più interessanti riguardano
il consumo delle risorse osservato durante l'anno di sperimentazione. Dall'analisi si evidenzia
come per ogni paziente del gruppo trattati ci sia stato un risparmio annuo superiore ai tre
milioni di lire, dovuto a:
 riduzione del numero totale di giorni di ospedalizzazione,
 riduzione del numero totale di giorni trascorsi in RSA (casa di soggiorno),
 ottimalizzazione degli interventi di assistenza domiciliare (sociale e sanitaria).

Ulteriori analisi dettagliate sulla qualità di vita e sulla soddisfazione rispetto ai servizi erogati
sono in fase di realizzazione. Considerazioni importanti riguardano infine il grado di
partecipazione dei vari operatori alla sperimentazione (medico di medicina generale,
infermiere professionale, assistente sociale, operatori di base). Il coinvolgimento è stato
certamente di proporzioni soddisfacenti, soprattutto tenendo presente che prima dell'inizio
della sperimentazione mai erano state fatte riunioni formali del team interdisciplinare al fine
di meglio programmare gli interventi.

Grafico 13: PERCENTUALI DI RICOVERI IN OSPEDALE E DI


ISTITUZIONALIZZAZIONI

78
CAPITOLO 3

CONCLUSIONI
Il risultato più importante ottenuto con la presente sperimentazione è stato la netta riduzione
dell'ospedalizzazione e della istituzionalizzazione, senza un sostanziale aumento dei servizi di
assistenza domiciliare. La verosimile migliore qualità di vita degli anziani seguiti dal
coordinatore del caso sarà ulteriormente verificata attraverso l'analisi di indicatori diretti come
il consumo di farmaci, le modificazioni della funzione fisica e mentale, gli indici di
soddisfazione del cliente e dei caregiver. Tuttavia, alla luce dei presenti risultati alcune
considerazioni possono essere fatte. Per una ottimizzazione del rapporto costo beneficio è

79
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

indispensabile una effettiva realizzazione della rete integrata di servizi (divisione di geriatria,
day hospital, RSA, ospedalizzazione a domicilio, assistenza domiciliare integrata, operatoti di
medicina generale), l'unica proposta capace di offrire un modello articolato e di collegare da
un lato l'ospedale e dall'altro il professionista di medicina generale. Il ruolo del coordinatore
del caso rappresenta certamente una innovazione importante capace di realizzare una reale
integrazione dei servizi sociali e sanitari e di consentire, come dimostrato inequivocabilmente
dalla sperimentazione, una razionalizzazione dell'assistenza erogata ed una diminuzione del
consumo delle risorse e quindi dei costi. Il tutto accompagnato da una migliore qualità della
vita dei protagonisti della sperimentazione stessa, gli anziani, poiché
mantenuti al proprio domicilio in misura significativa.

3.7.3 CENSIMENTO DELLE INFERMIERE CHE OPERANO NELLA


MEDICINA DI FAMIGLIA
di Alessandra Semenzato, infermiera – Responsabile Unità Infermieristica DIMF

“A sette mesi dalla pubblicazione, sulla rivista M.D. Medicinae Doctor, della proposta di
censire le infermiere che operano nella Medicina Generale in Italia, sono giunte solamente
cinque risposte scritte ed una tramite contatto telefonico. La necessità di contarle anche se
sommariamente, dato il limite rappresentato dal fatto che solo chi ha modo di leggere tale
rivista ha potuto parteciparvi, si è delineata innanzitutto allo scopo di fare luce sulla figura
dell’infermiere di famiglia che collabora col medico di medicina generale”.
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, nonchè altre organizzazioni autorevoli come
l’International Council of Nurses, ne hanno delineato le caratteristiche generali, individuando
i campi d’azione, gli strumenti operativi e le modalità d’interazione con altre professioni, ma
in Italia questa descrizione non sembra essere comune a tutti: spesso tale figura viene
assimilata all’infermiere che opera nel territorio nell’assistenza domiciliare, ma non vengono
attribuite competenze specifiche della medicina di famiglia.
Alla luce di queste emergenti necessità, è stato costruito un questionario allo scopo di
conoscere:
- le motivazioni delle scelta professionale,
- quali fossero le attività da loro svolte,
- i loro bisogni formativi,

80
CAPITOLO 3

- il loro giudizio critico riguardante la validità del loro interagire col medico di Medicina
Generale
“Il passo successivo sarà quello di quantificare le varie attività svolte, allo scopo di valutare
correttamente l’efficacia e l’opportunità della presenza delle infermiere nella medicina
generale italiana. Ciò ha grande importanza in una prospettiva futura di confronto con le
colleghe che già da molti decenni si stanno impegnando nella definizione di un “linguaggio
comune” indispensabile per ottenere il giusto credito. Nel mezzo dovrebbe porsi l’impegno
condiviso nel definire precisi percorsi formativi, individuabili attraverso una più
approfondita analisi sia delle esigenze di ciascun professionista, sia dell’ambito in cui si
opera ( inteso questo come: individui, gruppi, famiglie, comunità )”.

Analisi dei risultati:


Quattro infermiere operano nel nord dell’Italia, una al centro ed una al sud con un’età
compresa tra i 29 ed i 69 anni.
Le forme di contratto lavorativo sono principalmente due: la dipendenza e la collaborazione
coordinata, ma non è stato tuttavia precisato se nell’ambulatorio in cui operano queste
infermiere vi siano uno o più medici.
Tutte sono in possesso del diploma d’infermiera professionale, una solo di loro ha la
specializzazione in Ostetricia, le esperienze lavorative precedenti sono essenzialmente di tipo
ospedaliero e riguardano: il pronto soccorso, la cardiologia, l’assistenza agli anziani in casa di
cura, per periodi non ben precisati.

1 “Motivazioni della scelta lavorativa” :

 Interesse per la Medicina di Famiglia e sue opportunità (29 anni)


 Mi piace questo lavoro ed il contatto con il paziente (29 anni)
 Possibilità di lavorare a part-time non previsto all’epoca, in ospedale (42 anni)
 Qualificazione dello studio del Medico di Famiglia (47 anni)
 Interesse per il prossimo (69 anni)
“Ho voluto riportare l’età di queste professioniste, accanto ad ogni risposta, perché mi pare
indicativa sia per quanto riguarda la relativa preparazione di base, che come sappiamo
molto è variata negli ultimi anni, sia per il tipo di approccio a questo particolare lavoro, sia
per le prospettive future.
E’ importante a mio avviso che sia emersa la coscienza di appartenere ad una disciplina
sorretta da regole ed imperativi che la caratterizzano e diversificano in maniera peculiare,

81
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

nell’ambito delle cure primarie. Inoltre l’aspetto del “contatto”, di cura e attenzione verso il
paziente/prossimo acquisisce nella medicina di famiglia, una particolare connotazione”.
Non trascurabile infine l’entità del carico di lavoro: indubbiamente il part-time, l’autonomia
di gestione del lavoro, come vedremo in seguito, sono aspetti valutati assolutamente in senso
positivo.

2 “Tipo di attività svolte in ambulatorio”:

 Tutte svolgono mansioni di segreteria


 Soltanto due di loro si occupano della parte amministrativa
 Le attività prettamente infermieristiche (iniezioni, flebo, medicazioni, ecc…) sono
eseguite da tutte ad eccezione di una che non esegue flebo ed ECG.
 Tutte sono diversamente impegnate in attività di educazione sanitaria, consigli,
counselling, assistenza agli anziani, management di patologie croniche.

3 “Ritiene di dover approfondire le sue conoscenze e capacità?”:

Tutte concordi nell’essere assertive ad eccezione di una di loro.

4 “Quali approfondimenti ritengano opportuni per la loro professione”:

 Suggerimenti sulle terapie di routine


 Aspetti burocratici
 Prevenzione
 Aiuto al prossimo, consigli, counselling, aiuto nella solitudine
 Tutto
Le esigenze formative sono condizionate dall’impostazione del bagaglio di conoscenze e
capacità acquisite durante il percorso e gli anni di studio. Le tecniche d’esecuzione variano
con una frequenza sempre più elevata, l’importanza del focalizzare i propri interventi
assistenziali anche in base alla prevenzione (non solo intesa in senso lato) è un’acquisizione
relativamente recente nonché la capacità di occuparsi degli aspetti burocratici inerenti la
gestione dell’ambulatorio, sono tutte tematiche che necessitano di revisioni e approfondimenti
periodici. L’aggiornamento è la chiave giusta per creare professionisti abili e capaci di
affrontare le problematiche del paziente con efficacia ed efficienza.
L’età del singolo professionista, gli anni di esperienza lavorativa nell’ambito della medicina
di famiglia, e quindi le prospettive di carriera, condizionino le esigenze di approfondimento di

82
CAPITOLO 3

taluni argomenti rispetto ad altri. “In realtà credo sia importante in questa fase soprattutto il
confronto per cercare di trovare un “linguaggio comune” che possa in qualche modo
identificare e diversificare questa figura d’infermiera da tutte le altre”.

5 “Quali ritiene siano gli aspetti prioritari e peculiari di questa professione?” :

 Per tutte è importante il particolare rapporto che s’instaura con i pazienti


dell’ambulatorio di Medico di Famiglia;
 Per tutte è particolare il tipo di rapporto collaborativo col medico;
 L’autonomia professionale pare non così determinante, una sola di loro l’ha
menzionata;
 Il lavoro in team.
Una volta di più sono ribaditi due concetti fondamentali di questa professione:
 la relazione infermiera/paziente
 il rapporto di collaborazione col medico
La prima richiede alcune capacità imprescindibili, quali il saper: comunicare, ascoltare,
valutare,consigliare e indirizzare. Tutto ciò non può prescindere da una predisposizione
individuale, ma deve nascere da un’attenta padronanza delle dinamiche relazionali nonché
delle tecniche comunicative.
Il secondo necessita di un iter formativo che comprenda un’ampia conoscenza della disciplina
in causa e che si pone come una prima forma, se pur semplificata, di lavoro in team.

6 “Ritiene che la formazione di base sia adeguata per operare nella Medicina di Famiglia?”

Quattro di loro ritengono che la loro formazione di base si stata insufficiente per operare nella
Medicina di Famiglia, per le altre due è stata adeguata anche se sentono l’importanza di
doversi aggiornare periodicamente.
“Forse questa è una considerazione del tutto personale, ma è ancora un dato di fatto che
l’infermiere viene preparato per lo più ad operare all’interno di strutture ospedaliere. E
comunque anche gli interventi sul territorio non predispongono ad un tipo di rapporto di
dialogo e collaborazione col medico di Medicina Generale”.

7 “In che misura ha inciso l’esperienza personale di tipo pratico, maturata negli anni, a
inserirsi adeguatamente nella Medicina di Famiglia?”:

 Discretamente ( provenienza da P.S.);

83
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

 Molto, ma non in tutto;


 Fondamentale (ostetrica);
 Rapporto umano;
 Abbastanza (ancora in formazione).

8 “Ritiene che la disciplina Medicina di Famiglia possa costituire un ambito di sviluppo


interessante per la professione infermieristica?”:

Sì, è stata la risposta comune; anche se alcune di loro tengono a precisare l’importanza del
definire correttamente le competenze in modo tale da “non invadere la professionalità del
medico”, impegnandosi nella corretta valutazione dei bisogni assistenziali dei pazienti, al
saper consigliare ed educare.

Conclusioni:
“Per quanto scarsa sia stata la risposta a questo censimento, credo che come primo passo
possa rivelarsi un utile strumento d’indagine conoscitiva. Sia per quanto riguarda la
definizione di un ruolo, che qui in Italia ancora è misconosciuto, sia per quanto riguarda le
aspettative e prospettive future. E’ emerso un quadro certamente disomogeneo per quanto
riguarda il “tipo” di professionalità, ma senza dubbio omogeneo per quanto concerne le
attività, i tipi d’intervento, la volontà di progredire ulteriormente”.
Solo attraverso il dialogo è possibile il confronto, e solo attraverso il confronto è possibile
portare a maturazione delle idee costruttive.
Ora si tratta di comprendere se la collaborazione attiva tra medico ed infermiera nella
Medicina di Famiglia sia da considerarsi un elemento da ritenere fondamentale per il
miglioramento sia della qualità dell’assistenza ai cittadini, sia del lavoro stesso del singolo
professionista.
“Mi pare che da più parti giungano suggerimenti a favore di questa tesi (e non vorrei
sembrare monotona o tediosa nel voler menzionare i gia troppe volte citati documenti
dell’OMS !); resta indubbio che per portare avanti questo discorso occorrerà sensibilizzare
l’opinione pubblica ed il mondo politico, nonché trovare quelle giuste risorse in grado di
sostenere un tale impegno”50.
3.8 LE ESPERIENZE SUL TERRITORIO
La letteratura presa in esame, per quanto ampia fosse stata, non mi lasciava soddisfatto.
Continuamente si sottolinea la differenza che si crea quando si passa da un modello teorico

50
Alessandra Semenzato, infermiera – Responsabile Unità Infermieristica DIMF

84
CAPITOLO 3

alla pratica. Per meglio capire la portata di questa diversità ho voluto visitare gli ambulatori
dove il “teorico” infermiere di famiglia si trova svolgere il proprio lavoro e ad affrontare
quotidianamente i bisogni dei pazienti da lui seguiti, non più su modelli teorici, elenchi
puntati e tabelle, ma faccia a faccia con le persone.

3.8.1 L’AMBULATORIO DI ORIAGO


L’ambulatorio è situato ad Oriago di Mira, lungo la riviera del Brenta, con un bacino di
utenza di circa 1500 pazienti. Al suo interno collaborano diverse figure professionali quali:
medico di famiglia e infermiere di famiglia che sono presenti tutti i giorni della settimana
(escluso la domenica), e altri professionisti come psicologo, ginecologo, ecografista,
psichiatra, ecc. che collaborano e sono presenti un solo giorno alla settimana.
Tutti i membri dell’equipe lavorano in regime libero professionale.

L’ambiente:
Il momento in cui vi è l’accesso in ambulatorio è assai delicato ed importante: come
infermieri professionali abbiamo il primo contatto col pazienti, ed è in questo momento che
possiamo fare una prima valutazione dei suoi bisogni. A questo proposito lo spazio fisico nel
quale più professionisti collaborano si suddivide in più ambulatori, nei quali deve essere
garantita l’accessibilità, così come i collegamenti al suo interno, tra le varie parti.
La zona d’accesso consente il colloquio tra pazienti ed infermiera, in questo caso con
mansioni anche di segreteria, all’interno del quale l’infermiera dispone di tutti quegli
strumenti indispensabili per poter gestire al meglio tale compito e cioè: telefono, fax,
computer e tutto il materiale cartaceo occorrente. Naturalmente è richiesta la conoscenza di
tali strumenti indispensabile per l’utilizzo in modo appropriato delle risorse a disposizione,
risorse che agevolano e migliorano notevolmente il lavoro diminuendo la possibilità di errore.

Il ruolo dell’infermiere:
L’infermiere è la prima figura che il paziente vede all’ingresso nell’ambulatorio e con il quale
instaura un dialogo, l’avere buona padronanza del saper comunicare, saper cogliere i dati
rilevanti, saper porre le giuste domande di verifica e analisi, è indispensabile per instaurare
rapporti di fiducia ed assicurare credibilità e professionalità.
Spesso ci è semplicemente richiesto di ripetere la prescrizione di farmaci d’uso comune
(FANS, terapie in cronico: asma, diabete, ipertensione, contraccettivi, ecc...), di terapie

85
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

fisiche, di certificazioni varie, oppure informazioni di diverso tipo (dai servizi offerti dal
territorio a consigli di varia natura). Altrettanto spesso è richiesto un intervento di tipo
professionale che va dalle domande di delucidazioni sulla posologia, sugli effetti collaterali e
sulle modalità di assunzione dei farmaci, all’informazione su determinate patologie, sui
sintomi relativi, alla loro gestione, al riconoscimento delle complicanze, al significato di
determinate indagini diagnostiche, alla richiesta di interventi infermieristici o medici, a
seconda del loro giudizio.
Ecco che qui risulta essere fondamentale innanzitutto il rapporto di fiducia che si è in grado
di instaurare col paziente: questo è il nostro banco di prova, in quanto è il paziente stesso che
ha bisogno di verificare le nostre competenze, per convalidare il nostro ruolo.
Per essere in grado di instaurare rapporti di fiducia di tipo empatico, per mezzo dei quali poter
dare ad ognuno la reale possibilità di libera espressione. Ciò è fondamentale per poter poi
comprendere quando sia necessario informare, o educare, o saper ascoltare, e laddove sia
richiesto, essere capaci di fare counseling. Concettualmente è stato per così dire elaborato
innanzitutto nel nursing in ambito psichiatrico. Tuttavia oggi è ampiamente accettato come
una modalità terapeutica che si avvale di una serie di capacità e competenze di carattere
interpersonale, al fine di dare un valido supporto agli individui ed alle famiglie che per
svariati motivi non sono in grado di seguire un programma di educazione sanitaria.
“Il counseling è un processo interattivo di supporto, tra colui che offre dei consigli ad un
cliente, caratterizzato da accettazione, empatia, genuinità e congruenza. Questa relazione
consiste in una serie di interazioni che si approfondiscono nel tempo nelle quali chi consiglia,
attraverso una serie di tecniche attive e passive, prende in esame bisogni, problemi, e
sentimenti che interferiscono con il benessere e la capacità di adattamento alle situazioni
critiche del cliente”51.
E’ necessario precisare che nell’ambulatorio non arrivano soltanto i casi di interesse clinico,
spesso ci sono richieste di intervento immediato che esigono particolare considerazione: ad
esempio possono arrivare pazienti con coliche renali in atto, con crisi d’emicrania, con ferite
da medicare o suturare, e quant’altro di urgente possa esserci. Chiaramente ciò prevede che
nell’ambulatorio vi siano attrezzature e materiali in grado di darci la possibilità d’operare in
maniera adeguata: dai farmaci e materiale per iniezioni intramuscolari, fleboclisi e
vaccinazioni, agli strumenti per praticare suture.

51
Banks, L.J. 1985 - Counseling. In G.M. Bulechek & J.C. McCloskey, Nursing interventions: Treatments for
nursing diagnoses. Philadelphia: WB Saunders

86
CAPITOLO 3

Inoltre in ambulatorio possono esserci altri strumenti come: elettrocardiografo,


diatermocoagulatore, macchinari per poter eseguire indagini ematiche in tempo reale, tests
diagnostici come tamponi faringei e vaginali, materiali per pap-test o per eseguire test di
gravidanza, breath test, e così via. Per quanto riguarda poi le cure fisiche, le attrezzature di cui
poter disporre potrebbero essere: T.E.N.S., ionoforesi, laser ecc.. Quindi sarà di competenza
dell’infermiere anche la corretta gestione cura e manutenzione di tutta la strumentazione, dei
vari materiali presenti in ambulatorio, così come dell’organizzazione della farmacia.52
Le differenze di funzioni tra il lavoro svolto appunto nell’ambulatorio di Medicina Generale e
quello svolto all’interno dei reparti ospedalieri sulla base di quanto suddetto:

AMBULATORIO DI MEDICINA DI
FAMIGLIA REPARTO OSPEDALIERO

Continuità assistenziale Assistenza limitata nel tempo


Assistenza alla persona sana Assistenza alla persona malata
Autonomia professionale e rapporto paritario Inserimento in un sistema gerarchico
col MG
Alcune patologie gestite direttamente su
protocolli
Ampio spettro di patologie Spettro limitato di patologie
Ampio spettro di attività e compiti Attività e compiti limitati
Assistenza a domicilio
Rapporti con le famiglie costanti ed Rari rapporti con le famiglie
approfonditi
Attività di prevenzione ed educazione Scarsa attività di ed. sanitaria
sanitaria
Compiti amministrativi e di segreteria
Attività manageriale
Già ad un primo colpo d’occhio risultano evidenti le parole “autonomia” e “ampio spettro”, la
disciplina “Medicina di Famiglia” offre un’ampia gamma di possibili sviluppi per la
professione infermieristica maggiori di quelli a disposizione all’interno del reparto
ospedaliero.

52
Alessandra Semenzato, infermiera – Responsabile Unità Infermieristica DIMF
87
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Figura 4: MODELLO DI COLLABORAZIONE TRA INFERMIERA, CLIENTE E


MEDICO

TELEFONO – Richieste di:


• Informazioni
• Chiarimenti su terapie
• Modalità assunzione farmaci,
CLIENTE dosaggi, interazioni, effetti
collaterali
• Valutazione segni e sintomi
• Consigli
• Richiesta del medico
• Interventi a domicilio

ABILITA’ DI TIPO PRATICO. ABILITA’ DI TIPO EDUCATIVO:


• Iniezioni intramuscolari, • Saper informare, consigliare,
sottocutanee, educare
endovenose • Attività di counselling
• Medicazioni • Consigli dietetici relativi ai piani
• Rimozione punti di INFERMIERE di prevenzione
sutura • Management patologie croniche:
• Vaccinazioni ed saper coinvolgere attivamente
immunizzazioni l’individuo e la famiglia nella
• Lavaggi auricolari relativa gestione
• Test clinici • Programmazione di piani
• Attività di riabilitazione assistenziali
• Saper orientare e guidare gli
individui nelle scelte e
nell’adozione dei comportamenti
adeguati al mantenimento di un
corretto stile di vita
COLLABORANO

ABILITA’ PRATICHE ABILITA’ CLINICHE


• Piccola chirurgia • Management patologie
• Punture esplorative croniche
• Infiltrazioni • Impostazione piani di
• Esecuzione del pap-test
MEDICO prevenzione ed educazione
• Visite in ambulatorio sanitaria
• Visite a domicilio • Follow up alcune
patologie

CLIENTE

3.8.2 L’AMBULATORIO DI AREZZO

88
CAPITOLO 3

Gli ambulatori infermieristici, chiamati “centri Socio Sanitari”, sono diramazioni dei Distretti
e delineano il punto di contatto più avanzato tra la Azienda Sanitaria Locale e i cittadini.
Nascono in collaborazione con le strutture decentrate degli Enti Comunali e delle
Associazioni del Volontariato presenti nel territorio e sono finalizzati alla erogazione di
prestazioni di maggior richiesta degli utenti che sono fornite in modo capillare all’interno
delle zone periferiche di riferimento.
Gli ambulatori infermieristici sono stati aperti nella immediata periferia di Arezzo e in grosse
frazioni vicine: San Leo, Montagnano, Rigutino e Castiglion Fibocchi. Ogni ambulatorio è
condotto dal rispettivo infermiere di comunità: è lui a gestire l’assistenza ambulatoriale e
domiciliare della propria zona di competenza in collaborazione diretta con i medici di base e
le famiglie.
L’infermiere responsabile del centro è nominato con delibera specifica del Direttore Generale
in accordo con l’Unità operativa di assistenza Infermieristica Territoriale tra il personale più
qualificato ed esperto, inoltre l’appartenenza al territorio di competenza favorisce il rapporto
di fiducia con la popolazione residente, nonché con istituzioni locali.

Le attività dell’infermiere di comunità/famiglia


Negli ambulatori vengono effettuate, gratuitamente, medicazioni, iniezioni, controlli pressori
e della glicemia, elettrocardiogrammi, prelievi ematici, etc. ; si viene a creare una sorta di
importante e costante punto di riferimento per tutte le necessità di ordine sanitario e la
presenza dell’infermiere esperto, assicura continuità delle cure e informazioni adeguate e
corrette.
L’infermiere che ha piena autonomia operativa, cura inoltre il buon andamento generale del
centro, le incombenze di tipo amministrativo e i rifornimenti, la contabilizzazione per i
rapporti mensili delle attività e degli incassi per il CUP53 della AUSL.
La esemplificazione delle procedure burocratiche che caratterizza gli ambulatori da ottimi
risultati, tanto che sono stati dimezzati i tempi occorrenti per i prelievi di sangue al domicilio
dei pazienti e tutte le altre prestazioni vengono eseguite “in diretta”, così come le prenotazioni
CUP che rendono possibile il pagamento dei ticket senza code e problemi di parcheggio.

L’assistenza domiciliare

53
Centro Unico di Prenotazione della AUSL

89
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Passi ancora più importanti sono stati fatti nel settore dell’assistenza domiciliare, in
particolare per quanto riguarda l’assistenza degli anziani e agli utenti con malattie invalidanti.
La chiave di questo successo è la continuità assistenziale delle cure fornite assiduamente dallo
stesso operatore, che diviene punto di riferimento per il paziente e la famiglia in quanto
possono rivolgersi a lui in modo costante. Si apre così una gamma di possibilità finora
sconosciute o poco considerate.
All’oggi questa opportunità appare invece vincente per la promozione della salute nella
Comunità. In questo settore, gli infermieri si aprono grandi spazi di intervento per la
sperimentazione di protocolli operativi fondati sul potenziamento degli interventi di
educazione alla salute e di informazione sanitaria, che possono contribuire a migliorare lo
stato di salute e nel contempo razionalizzare l’uso delle risorse disponibili.
Uno studio condotto nel Distretto di San Leo ha messo a confronto la percentuale di
guarigione delle piaghe da decubito dell’ambulatorio condotto dall’infermiere di famiglia e
quelle trattate dagli infermieri del Distretto. La gestione da parte dello stesso operatore ha
dimostrato la maggiore efficacia rispetto ad un trattamento gestito dall’alternarsi di operatori
diversi.

Il ruolo strategico dell’infermiere di famiglia


Il punto focale, vero valore aggiunto alla professionalità e alla competenza degli infermieri di
comunità, sta nel rapporto che è stato instaurato con le famiglie e con i medici di base,
sfruttando la loro possibilità di continuità assistenziale e cercando di dar vita a un’azione
educativa destinata a favorire la capacità di autocura e, quando necessario, di adattamento dei
pazienti e della famiglia alla malattia cronica invalidante.
Il ruolo che si viene a creare può essere definito strategico perché permette una diffusione
capillare degli interventi e secondariamente la possibilità di interagire con vari organismi e
gruppi di risonanza locali (circoli sportivi, sociali, parrocchie, associazioni del volontariato)
che allo stesso tempo sono attori e moltiplicatori della educazione sanitaria nel contesto della
comunità locale.
Il vivere negli stessi ambiti e il condividere gli stessi problemi può facilitare nella
realizzazione di strumenti informativi destinati alla popolazione specifica del propri territorio
così come facilita la sperimentazione di nuovi metodi di diffusione delle informazioni
(contatto diretto, pubblicazioni, giornali di quartiere, feste, ecc.) con l’obiettivo di facilitare
l’accesso ai Servizi Sanitari e vedere in concreto i progetti di educazione sanitaria indirizzati
ad ogni specifico gruppo.

90
CAPITOLO 3

A questo proposito, le Circoscrizioni e i Consigli Comunali delle one interessate agli


Ambulatori Infermieristici, hanno ritenuto opportuno contattare o inserire direttamente gli
Infermieri di Comunità nelle commissioni Sanitarie e sociali dei rispettivi organismi.

Attività annuali degli ambulatori


L’efficacia del servizio nel suo complesso, è dimostrata anche dal numero di persone che sono
transitate o che, a vario titolo, hanno avuto a che fare con l’attività dei quattro ambulatori.
Durante il 2000 i contatti con il pubblico per le diverse attività sono stati 57.000, con una
media di 45 al giorno per ambulatorio; 13.000 le prenotazioni CUP e 23.000 le prestazioni
infermieristiche tra quelle ambulatoriali e quelle al domicilio dei pazienti.

Tabella 3: RIEPILOGO DELLE ATTIVITÀ DELL’ANNO 2000


NELL’AMBULATORIO DI SAN LEO54

ATTIVITA’ AMBULATORIALE ATTIVITA’ DOMICILIARE


Prelievi N° 1592 Prelievi N° 914
Monitoraggio P.A. N° 990 Monitoraggio P.A. N° 160
Terapie IM – SC - OS N° 810 Terapie IM – SC - OS N° 700
Stick Glicemici N° 106 Stick Glicemici N° 118
Medicazioni N° 136 Medicazioni N° 812
Cateterismi N° 0 Cateterismi N° 47
ECG N° 40 Lavaggi vescicali N° 94
Fleboclisi N° 46 Fleboclisi N° 25
Rettoclisi N° 6
ECG N° 6
TOTALE N° 3720 TOTALE N° 2892

Attività di CUP: prenotazioni annuali N° 4049


incasso ticket annuale £ 54.730.300
Punto informazioni AUSL: informazioni, referti, etc. N° 5735
Totale contatti con gli utenti nell’anno N° 16.162
Brevi conclusioni degli operatori

54
Per gentile concessione di Fabio Severi, responsabile dell’ambulatorio infermieristico di San Leo.

91
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

“C’è ancora molto da fare perché l’assistenza territoriale assuma il ruolo primario che le
spetta nell’ambito del riequilibrio del sistema dei servizi sanitari nei confronti di quelli
ospedalieri e nella promozione della salute per una vera razionalizzazione della spesa e la
riduzione dei ricoveri impropri”.
“Per la nostra condizione, esistono delle difficoltà nella dirigenza medica (e non solo) a
comprendere e valutare positivamente l’autonomia operativa e professionale applicata
concretamente dall’Infermiere di Comunità, non mancano i problemi di comunicazione e di
rapporto con i medici di famiglia e c’è una carenza di collegamento con gli altri Servizi
territoriali e con la struttura ospedaliera nel suo insieme. Talvolta vi è anche mancanza di
mezzi per svolgere con tranquillità il proprio lavoro e la rigidità degli orari di servizio, eredità
della mentalità ospedaliera che nel territorio non ha alcun senso con una conseguente
limitazione del nostro operato”.
“L’organizzazione diretta degli ambulatori secondo le necessità che gli utenti esprimono in
sede locale e l’attività complessiva dell’Infermiere di Comunità in rapporto diretto con i
medici di famiglia della propria zona di competenza, rendono possibile una assistenza
ambulatoriale e domiciliare di buona qualità entro la quale stiamo conducendo il tentativo di
sviluppare il ruolo dell’infermiere come educatore all’autocura e attivatore delle risorse
dell’utente per portarlo ad una maggiore responsabilizzazione sul suo progetto di salute, un
uso più razionale delle risorse, informazioni adeguate e un più facile accesso ai Servizi
dell’AUSL”.
“Quella dell’Infermiere di Comunità è comunque una attività estremamente affascinante, si
ritrovano valori forse dimenticati nella nostra professione, il rispetto e la considerazione della
gente ed anche quella dei medici che con noi riscoprono il vero valore e il significato
dell’assistenza”55.

55
Di Liza Ballerini (IP), Claudio Brandini (IP), Ida Gabelli (IP), Fabio Severi (DAI), responsabili degli
ambulatori infermieristici di Arezzo.

92
CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

L’INFERMIERE DI FAMIGLIA ALL’ESTERO

4.1 LA STORIA
L’assistenza sanitaria nel territorio è stata una scelta che molti altri stati hanno deciso di
affrontare e sviluppare al fine di soddisfare i bisogni sempre più emergenti di una popolazione
che mutava di anno in anno.
Il percorso storico che la figura dell’infermiere di famiglia ha affrontato all’estero, è
sicuramente utile per carpire quali sono state le motivazioni e le difficoltà presentatesi alle
infermiere pioniere in un ambito che chiedeva molto, ma ancora poco esplorato.
Le società del mondo occidentale, dal punto di vista demografico e sociale, hanno avuto uno
sviluppo comune nei seguenti aspetti:
 incremento della popolazione anziana;
 incremento delle malattie croniche e degenerative;
 incremento della multiculturalità;
 maggior attenzione ai concetti di benessere e di prevenzione da parte della collettività;
 maggiore richiesta di partecipazione e coinvolgimento nei progetti assistenziali da parte
della collettività;
 incremento dei bisogni di conoscenza e di educazione alla salute degli assistiti.
Dal punto di vista sanitario, il modo di assistere doveva modificare la propria politica per far
fronte alle necessità che il nuovo paziente manifestava di fronte all’infermiere, non più
solamente all’interno dell’ospedale, ma in grado di muoversi all’interno del territorio e
soprattutto all’interno delle famiglie di appartenenza degli assistiti.

4.1.1 IL PERCORSO STORICO ANGLOSASSONE


Le prime notizie certe riguardanti la presenza dell’infermiera accanto al General Practitioner
risalgono ai primi anni sessanta. Siamo di fronte ad un General Practitioner che lavorava per
lo più da solo, senza possibilità di offrire un servizio infermieristico ai propri assistiti ed è
proprio in questo periodo che entrano in scena le district nurses. I risultati all’atto pratico
furono subito evidenti, poiché vi fu un incremento delle prestazioni assistenziali, tuttavia non

93
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

fu sempre facile gestire il tipo di rapporto tra i due, perché per entrambe non erano chiare le
modalità di collaborazione, dove poteva spingersi una figura e dove cedere il passo all’altra.
Una cosa però era comune e certa a tutte: il loro ruolo non poteva limitarsi alla mera
esecuzione di particolari compiti delegati da altri, ma doveva arricchirsi di conoscenze e
capacità utili per collaborare apportando un contributo autonomo ed efficiente nella Medicina
Generale. Fu così che iniziò a delinearsi la prospettiva di creare una sorta di specializzazione
per creare uno specifico bagaglio culturale per poter operare in questo settore: il Practice
Nursing.
Agli inizi degli anni settanta potevano contarsi già 1500 practice nurses, un numero
sufficiente per costituire un gruppo professionale con responsabilità in una serie di compiti
quali: immunizzazioni, vaccinazioni, la cura della donna, medicazioni, iniezioni, rimozione
punti di sutura, prelievo di campioni ematici, esecuzione di ECG e lavaggi auricolari56.

Un’esperienza di Practice Nursing negli anni Sessanta:


Mrs Reddington lavorava in Grimsby, Lincolnshire nel 1969 come Practice Nurse (PN) per 6
ore la settimana. Aveva occupato il posto di un’altra infermiera che veniva da un reparto
chirurgico e che lavorava come PN per due ore la settimana e che principalmente si occupava
di lavaggi auricolari. Mrs Reddington aumentò sia l’orario di lavoro sia gli impegni a
cominciare col fare medicazioni ed iniezioni intramuscolari. Dai lavaggi auricolari,
medicazioni, iniezioni di routine come hydroxocobalamin, vaccinazioni ai bambini e per i
viaggiatori, il ruolo si accrebbe tramite l’esecuzione del Pap-test fino alla cura delle persone
con patologie croniche. Inoltre Mrs Reddington aiutava lo staff alla reception e nella gestione
delle attività di segreteria ed amministrazione. A quel tempo non esisteva un riconoscimento
economico adeguato al ruolo, tuttavia ella si rese conto del potenziale del practice nursing nel
riuscire a sviluppare maggiormente il proprio ruolo. Perciò si dedicò alla costituzione di
un’associazione locale delle practice nurses.
Dal sito www.aimef.org

Nel 1980 il Medical Research College, con lo scopo di censire la distribuzione e le funzioni
del personale infermieristico operante nel territorio, condusse un’indagine che mise in luce le
differenze esistenti fra le practice nurses, che erano impiegate nella medicina generale, e le
district nurses. Queste ultime erogavano prestazioni “tradizionali” sia al distretto sia al

56
Reedy B., 1980 - Nurses and nursing in primary care in England. Journal of the Royal College
of General Practitioner 30:483-489.

94
CAPITOLO 4

domicilio dei pazienti (medicazioni, rimozione dei punti di sutura, analisi delle urine). Le
practice nurses rivelarono di avere maggiore autonomia e competenze nel management di
patologie croniche ( esempio diabete e asma), patologie minori e nella valutazione di alcuni
sintomi non ancora diagnosticati presentati dai propri assistiti.
Ciò che aveva dato un maggior slancio alle practice nurse era la maggiore autonomia
territoriale, ossia l’assenza di un vincolo che le limitasse ad una struttura ben definita,
l’assenza di un sistema gerarchico ed una maggiore libertà nello svolgere le proprie attività
che aveva permesso l’acquisizione di maggiori competenze specifiche.
Il 1990 diede un grosso contributo all’evoluzione dell’infermiere di famiglia in seguito al
nuovo contratto per i General Practitioner; all’interno veniva evidenziata la possibilità di
incrementare il numero delle Practice Nurses impiegate nella medicina generale con un
conseguente forte impulso allo sviluppo del loro ruolo.
Il contratto prevedeva le seguenti competenze:
 controlli periodici riguardanti lo stato di salute degli assistiti nella fascia d’età
tra i16 ed i 74 anni allo scopo d’identificare patologie importanti quali l’ipertensione
arteriosa, il diabete, dipendenze da abuso di alcool e fumo. Questi controlli
consistevano nel rilevare pressione, peso, altezza, analisi delle urine.
 valutazione degli anziani al di sopra dei 75 anni: i GP furono obbligati ad
offrire loro una visita annuale per accertare il loro grado di autosufficienza. La
valutazione includeva: funzioni neurologiche, mobilità, condizioni mentali, fisiche;
l’ambiente, lo stato familiare e l’eventuale uso di medicinali.
 anamnesi dei nuovi assistiti: oltre alle valutazioni ed indagini di routine
veniva data ai GP l’opportunità d’eseguire le eventuali vaccinazioni ed il pap-test
alle donne. In questo modo i nuovi pazienti avevano l’occasione di conoscere anche
l’infermiera e le relative prestazioni assistenziali.
 piccola chirurgia: veniva riconosciuta, anche economicamente, questo tipo
d’attività ambulatoriale.
 attività di prevenzione e educazione sanitaria: fu riconosciuta l’importanza, del
ruolo della medicina di famiglia, nel promuovere il mantenimento dello stato di
salute piuttosto che, semplicemente, nel curare i particolari stati di malattia.
In questo specifico campo fu dato ampio spazio alla partecipazione delle practice nurses le
quali si specializzarono sempre più fino ad acquisire la denominazione di Nurse Practitioner.
Queste ultime acquisirono una maggior formazione e un lavoro non più per il medico di

95
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

medicina generale, ma in collaborazione con lo stesso. Nacquero così nuove aree di


competenza negli ambiti della cura e in attività di prevenzione atte alla:
- prevenzione delle patologie coronariche e dell’infarto;
- prevenzione dei tumori;
- prevenzione e management delle malattie mentali, soprattutto ansia e depressione;
- prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili;
- prevenzione degli incidenti domestici;
- Management di patologie croniche: con particolare riguardo al diabete e all’asma.
L’incremento delle attività fu accompagnato da un incremento del riscontro economico da
parte dello stato e dalla sempre più emergente necessità di collaborare con le Nurse
Practitioner.

Nel 1994, il Royal College of Nurses Institute of Advanced Nurse Education, diede una
definizione formale del ruolo del Nursing Practitioner nell’ambito delle cure primarie:
“un professionista in grado di offrire un servizio complementare a quello offerto dal General
Practitioner, allo scopo di garantire alle persone assistite un accesso immediato alle cure,
mediante:
 la valutazione clinica dei suoi problemi e bisogni,
 la gestione diretta dei relativi trattamenti che rientrano tra le conoscenze e le abilità di
competenza” 57.

Il Nurse Practitioner inoltre è colui che:


- prende decisioni professionali autonome;
- riceve i pazienti con problemi non ancora diagnosticati;
- valuta i pazienti a seconda dei fattori di rischio legati a specifiche malattie, nonché dei
primi segni di malattia;
- definisce col pazienti specifici programmi di prevenzione;
- fornisce supporto tramite counselling ed educazione sanitaria ad individui, famiglie e
gruppi;
- assicura la continuità assistenziale alla comunità;
- lavora collaborando con altri professionisti.

57
Royal College of Nursing of the United Kingdom Institute of Advanced Nursing Education.
Nurse Practitioner in Primary Health Care:Role Definition. London: RCN IANE.

96
CAPITOLO 4

Accanto a ciò vi sono citati i prerequisiti essenziali per il Nurse Practitioner e sono:
1) auto consapevolezza e capacità di rapportarsi con gli altri;
2) una conoscenza di base sufficientemente ampia ed approfondita da fornire le basi per poter
prendere decisioni;
3) una gamma di competenze che abbraccino il sapere clinico, psicologico e sociale.
Dunque per definire i capisaldi, attraverso i quali sviluppare questa professionalità, si dovrà
aver chiaro che la
CONOSCENZA
PROFESSIONALITÀ si fonda su CONSAPEVOLEZZA
COMPETENZA

“Ma come sarà possibile acquisire e praticare tutto questo nello specifico visto che
l’ambulatorio di medicina generale è ancora una realtà inesplorata: in modo graduale,
unicamente attraverso l’espletamento quotidiano di tale professione o piuttosto seguendo un
percorso di studi creato appositamente?
Spesso le ripercussioni sociali avvengono in maniera più rapida di quanto non sia possibile
fornire tempestivamente le risposte adeguate alle mutate esigenze: ecco perché si può
plasmare una data professionalità ancor prima che ne vengano definiti i limiti di competenza”
(A. Semenzato).

L’esperienza di Barbara Stillwell e Barbara Burke-Masters


Barbara Stillwell e Barbara Burke-Masters furono due pioniere in questo campo, così come è
stata documentata: Barbara Stillwell e Barbara Burke-Masters. In particolare la Stillwell
offriva un servizio complementare e talvolta “alternativo” a quello del General Practitioner
(GP). Riceveva al suo ambulatorio in Birmingham pazienti la cui diagnosi ancora non era
stata definita, interpretando segni e sintomi non ancora espressi; s’impegnava in programmi di
screening educando ed informando i pazienti; ad ogni visita dedicava del tempo al
counselling.
La Burke-Master invece si dedicava alla cura dei pazienti presso il loro domicilio, ed in
particolare assisteva i meno abbienti di Londra. Nell’approccio la Burke-Master era forse più
pratica: dava consigli, prescriveva un ampia gamma di medicinali compresi antibiotici e
sedativi, avendo comunque sempre come referente un medico della zona. Ciò avvenne perché
in quel periodo si creò un vuoto per quanto riguarda l’assistenza medica, proprio nelle zone
rurali ed in quelle urbane più povere.

97
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Parallelamente si evidenziò l’urgenza di trovare quelle figure professionali in grado di gestire


programmi di prevenzione e capaci di seguire i pazienti cronici, in maniera sistematica.
Secondo un’acuta osservazione di Fawcett-Henesy58, negli ultimi vent’anni in UK c’era stata
una rivoluzione virtuale molto importante. Storicamente il management delle malattie, la
salute, la nascita, la cura dell’infanzia, dell’anziano, il morire erano territori appartenenti
all’individuo ed alla comunità nella quale essi vivono, senza che vi fossero imposizioni di tipo
“biomeccanico”. Succedeva così che il dominio medico prendendo il sopravvento,
espropriava i diretti interessati, i veri attori, della capacità di gestire le loro stesse vite. Ed è
secondo questa presa di coscienza che i cittadini esprimono ancor oggi la necessità d’essere
informati e di partecipare ai piani di cura per se’ e per i propri familiari.
Il lavoro della Stilwell e della Burke-Masters confermava perciò che lo sviluppo di questa
nuova figura professionale aveva origine proprio dalla mancanza di un’assistenza qualificata,
dalla carenza di medici preparati, e dalle mutate richieste da parte della popolazione
concernenti il tipo di health care da loro desiderato.
Fu così che nel 1986, attraverso un lavoro condotto da Julia Cumberledge per conto di una
community nursing review, fu sostenuta l’idea di un nursing practitioner autonomo, con
un’ampia gamma di abilità specialistiche, che opera al fianco del General Practitioner al fine
di offrire un’assistenza sanitaria di alta qualità alla comunità. ( Neighbourhood nursing – A
Focus for Care: 1986 ). In seguito il Royal College of Nursing identificò tre aspetti essenziali
relativi al nursing, che furono riconosciuti dal governo nella definizione del “primary health
care nurse” del 1993 nel documento New World New Opportunities (NHSME, 1993: 12 para.
3.6):
Libero accesso al nursing care a chiunque ne faccia richiesta, con un servizio offerto
direttamente;
Disponibilità nell’impostare un piano di cura, valutando i problemi non ancora diagnosticati
dei pazienti, usando abilità proprie della professione infermieristica e quando necessario
mediate da quella medica; al fine di erogare programmi di cura e trattamento atti a favorire il
mantenimento dello stato di salute e a risolvere la malattia;
Un servizio autonomo di nursing capace di accettare o meno la presa in carico dei pazienti ed
in taluni casi di delegare ad altri professionisti secondo valutazioni obbiettive.

58
Steward L.,“Setting the scene for revolution.”, tratto da “Nursing Standard” n° 4, aprile 1998, pp. 21:35

98
CAPITOLO 4

4.1.2 IL PERCORSO STORICO NEGLI STATI UNITI


La nascita del ruolo dell’infermiere di famiglia negli Stati Uniti risale a più di 35 anni fa. Ciò
che diede la maggior spinta fu la necessità di un professionista che erogasse un’assistenza
primaria direttamente al domicilio, specialmente nelle aree urbane e rurali (Commissione
Carnegie, 1965).
L’infermiere di famiglia pediatrico fu la prima figura che si spinse nel campo dell’assistenza
infermieristica pubblica all’esterno di ospedali o cliniche; il ruolo di questa nuova figura era
focalizzato sulla promozione della salute e sulla assistenza comunitaria. Il primo progetto di
infermiere di famiglia pediatrico si concluse nel 1968 con il lavoro degli infermieri Loretta
Ford ed Henry Silver i quali permisero l’entrata in università di tale specializzazione.
“Inizialmente gli infermieri di famiglia non furono accettati dalle organizzazioni
infermieristiche, le quali si dimostrarono molto scettiche all’idea dell’infermiere separato
dall’ospedale” (Ford, 1986), così fino alla fine degli anni 60 vi furono pochi casi documentati
ed isolati fra loro.
Negli anni 70 vi fu una vera e propria espansione di questo ruolo emergente, in collaborazione
con i medici di medicina generale, gli infermieri di famiglia crearono una fitta rete di servizi
territoriali che permise di raggiungere una vastissima area di popolazione. Di conseguenza
alla affermazione sempre più salda di questa nuova figura, le leggi dei vari stati vennero
modificate riconoscendo e legittimando il ruolo dell’infermiere di famiglia. “Nel 1971, uno
dei primi programmi delineati dagli infermieri di famiglia chiamato “primex”, apri le porte
all’ingresso in università di Washington di tali professionisti” (Walker, 1972), nel 1973
esistevano già più di 65 corsi di specializzazioni per i professionisti di questo settore.
Nel 1974, le associazioni infermieristiche degli Stati Uniti aiutarono la legittimazione degli
infermieri di famiglia mediante la costituzione del “Council of Primary Care Nurse
Practitioner”, una modalità di associazione e successiva crescita del ruolo in continua
espansione, sia dal punto di vista formativo, con l’aumentare dei corsi di specializzazione, sia
dal punto di vista dell’autonomia e responsabilità dei professionisti.
Questo processo di espansione continuò anche negli anni 80 e nel 1985 il Council of Primary
Care Nurse Practitioner” pubblicò in un documento gli scopi e gli standard degli infermieri di
famiglia. Contemporaneamente, negli stessi anni, nacquero ulteriori associazioni come la
“National Association of Pediatric Nurse Practitioner (A.F.P.N.P.)” e la “American Academy
of Nurse Practitioner (A.A.N.P.)” con ulteriori pubblicazioni di scopi, standard e curriculum
allo scopo di meglio definire le competenze e il campo di applicazione degli infermieri di
famiglia.

99
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

La decade degli anni 90 portò una rapida crescita senza precedenti (tabella 4)
nell’affermazione del ruolo dell’infermiere di famiglia come in altri “indirect hospital-
based”59 e incontrò difficoltà con la crescente crisi fiscale della sanità negli Stati Uniti.

Tabella 4: LA RAPIDA CRESCITA DEI NURSE PRACTITIONER NEGLI ANNI 90


NUMERO DI CORSI DI
ANNO PROGRAMMI
INFERMIERI DI FAMIGLIA SPECIALIZZAZIONE

1992 32.000 119 235


1995 55.000 202 527
2001 78.251 327 826
Per gentile concessione dell’American Academy of Nurse Practitioner

Sbalorditivo non fu soltanto l’incremento del numero di professionisti e dei corsi di


formazione, anche “le vittorie in campo legislativo furono molte con un aumento dei fondi
stanziati a favore di questa crescita e l’affermazione del ruolo dell’infermiere di famiglia
come indipendente dall’autorità medica” (Pearson, 2001).
Ancora oggi si rileva un continuo incremento del numero di infermieri che si specializzano
nell’infermieristica di comunità, con un indice di crescita maggiore di tutte le altre
specializzazioni.

4.2 LA FORMAZIONE
Per poter porre le fondamenta che accreditino il ruolo dell’infermiere nell’ambito della
Medicina Generale, è necessario partire oltre che dai dati forniti dall’esperienza diretta,
dall’analisi di come altrove tale professione ha sviluppato il proprio corpus di conoscenze e
pratiche nello specifico. Teoria e pratica, pur essendo la prima in anticipo rispetto alla
seconda, hanno da sempre delineato il percorso formativo e lavorativo di tutte le professioni,
per tale motivo è importante conoscere come è avvenuto questo percorso in contesti diversi
dal nostro.

4.2.1 IL PERCORSO FORMATIVO ANGLOSASSONE

59
tradotto dall’inglese: professionisti “basati indirettamente sull’ospedale”

100
CAPITOLO 4

La definizione dei ruoli e delle funzioni del Nurse Practitioner fu accompagnata nel Regno
Unito da un intenso dibattito: alcuni utilizzarono l’espressione “role extension” per indicare
che l’attribuzione ed il riconoscimento delle funzioni proprie dovessero essere conferite
direttamente dal medico, attraverso il passaggio diretto delle competenze.60
Chiaramente ciò pose dei limiti allo sviluppo autonomo di questa nuova professionalità. Altri
preferirono aderire all’espressione di “role expansion” attraverso il quale veniva riconosciuto
il ruolo del Nursing come una “separata attività terapeutica” 61.
Il termine expansion fu inteso come lo sviluppo di un’ampia gamma di competenze e capacità
non delegate dalla professione medica ma fondanti su un’autonomia propria; inoltre in esso vi
è compresa la “visione olistica” propria del Nursing . E’ così possibile ottenere una
legittimazione del ruolo infermieristico attraverso l’ampia comprensione dei bisogni reali e
potenziali dei pazienti, piuttosto che ottenerla attraverso l’espletazione di compiti medici.
Ecco allora che nacque l’esigenza di individuare innanzitutto quali dovessero essere le
conoscenze di base necessarie per poter definire il ruolo di Nurse Practitioner. Esse devono
comprendere:
 biologia
 farmacologia
 fisiologia
 patologia
 l’apprendimento delle tecniche d’esame.
Tuttavia, non si trattava semplicemente di approfondire alcune discipline di base, che peraltro
già fanno parte del tradizionale bagaglio di conoscenze scientifiche dell’infermiere, ma si
trattava di acquisire tutta una serie di abilità di tipo pratico; è chiaro che l’apprendimento del
sapere teorico dovrebbe procedere contemporaneamente a quello di tipo pratico.
A seguito di un processo alquanto dibattuto e difficoltoso, all’istituzione di alcuni corsi di
specializzazione: già nel 1989 l’English National Board istituì un corso della durata di venti
giorni, indirizzato alle numerose infermiere che, provenienti dall’ospedale, si trovarono
impreparate ad operare in un ambiente completamente diverso. Inoltre, esse si trovarono a
doversi impegnare in compiti totalmente nuovi, come precedentemente evidenziati e, per i
quali dovevano essere in grado di prendere decisioni autonomamente. Al completamento di
tali corsi veniva loro rilasciato un certificato di partecipazione, previo superamento di prove

60
Davis J., 1992 - Expanding horizons. Nursing Times s.l. 88 (47): 37-39.
61
Robinson DK., “Nurse practitioner or mini doctor? Accident and Emergency Nursing”, New York, 1993

101
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

di tipo teorico e pratico sostenute alla fine del corso. Poco tempo dopo furono istituiti dei
corsi “tematici”, attraverso i quali poter approfondire argomenti quali:
 Management del diabete e dell’asma;
 Family Planning;
 Diagnosi infermieristiche e educazione. (Teaching and assessing in practice).
Infine si arrivò all’introduzione nel 1994 del “Post registration education and practice” da
parte dell’UKCC, basato sul concetto dell’aggiornamento e dell’approfondimento mediante la
partecipazione obbligata delle practice nurse ad almeno 5 giornate ogni tre anni per
l’approfondimento di particolari competenze ed abilità, atte al miglioramento della qualità
assistenziale.
Quest’obbligo era in linea con i principi dell’educazione professionale continua ed inoltre,
l’UKCC definì il ruolo dello “specialist practitioner” identificando un’area specifica per le
nurses che operavano nella comunità. All’interno di quest’area generale furono previste ben
otto diversi tipi di specializzazioni, una delle quali era rappresentata dal “general practice
nursing”.
Quest’ultimo passo conferì, pur attraverso numerose vicende, il giusto e meritato
riconoscimento del ruolo delle practice nurses, considerate una valida risorsa nell’ambito
delle cure primarie; le loro capacità potevano ben integrarsi con quelle di altri professionisti di
team di lavoro al fine di offrire un servizio alla comunità maggiormente efficiente e di alta
qualità.

4.2.2 IL PERCORSO FORMATIVO NEGLI STATI UNITI


La formazione in tale settore nasce nel 1968 ed è ancora attualmente in crescita; tale percorso
formativo è stato diviso in cinque periodi:
 Periodo Precursore: 1968-1970 (Precursor Period)
 Definizione del ruolo e legittimazione: 1971-1974 (Role Definition and Legitimization)
 Maturazione e consolidazione: 1975-1980 (Maturation and Consolidation)
 Il periodo di mantenimento: 1981-1990 (Maintenance Period)
 Il periodo di nuova espansione: 1991-2001 (The New Expansion Period)

Periodo Precursore: 1968-1970

102
CAPITOLO 4

Il primo programma di formazione per infermieri di famiglia fu istituito all’università del


Colorado grazie agli infermieri Loretta Ford ed Henry Silver nel 1968, i quali furono
precursori del percorso formativo in sanità pubblica. Nello stesso anno fu istituito il corso di
specializzazione per infermiere di famiglia pediatrico nell’università di Boston, dovuta alla
rapida espansione avvenuta in questi anni di tali professionisti.
L’anno successivo, l’università del Colorado istituì master certificati i quali richiedevano la
laurea in infermiere e un’esperienza lavorativa in ospedale. I fondi per la formazione furono
istituiti dal “Comprehensive Health Manpower Act”62 nel 1968 con lo scopo di aumentare
l’erogazione di cure primarie negli Stati Uniti.

Definizione del ruolo e legittimazione: 1971-1974


Nel 1972 anche l’università di Washington aprì le proprie porte in seguito al primo
programma formativo per gli infermieri di famiglia chiamato “primex”. Negli anni successivi
i programmi formativi proliferarono così come le università che istituirono corsi di
specializzazione post laurea e master certificati. Nel 1973 esistevano già più di 65 programmi
di formazione per gli infermieri di famiglia.
Dopo la costituzione del “Council of Primary Care Nurse Practitioner” fu messo in
discussione il curriculum formativo utilizzato fino ad allora mediante un documento
chiamato: “Philosophy, Conceptual Model and Terminal Competencies for the Education of
Nurse Practitioners”, in quanto era necessario porre più attenzione ad una maggior formazione
professionale.

Maturazione e consolidazione: 1975-1980


Questo quinquennio è stato caratterizzato dalle maggiori conquiste in campo formativo ed
universitario. Nel 1975 l’università del Colorado organizzò il primo convegno sulla
emergente necessità di una maggiore formazione e sulla stessa motivazione ne seguirono altri
27 fino al 2001.
Nel 1976 l’università del Nuovo Messico costituì le prime linee guida per il curriculum
dell’infermiere di famiglia, sotto la guida di Darlene Jelinek che pubblicò il documento:
“Guidelines for Family Nurse Practitioner, Curricular Planning”63.
Nel 1977 un altro grosso contributo fu apportato da Robert Wood Johnson il quale fondò la
“Nurse Faculty Fellowships in Primari Care”64 con l’impegno nel migliorare l’insegnamento,
la pratica e la ricerca nell’ambito delle cure primarie.

62
“Atto della salute globale degli uomini”

103
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Alla fine degli anni 80 esistevano più di 200 programmi di formazione e 20.000 infermieri di
famiglia erano attivi nel territorio degli Stati Uniti.

Il periodo di mantenimento: 1981-1990


Gli infermieri di famiglia, già affermati nel contesto della sanità pubblica, furono
caratterizzati da una lenta crescita fino al 1989, anno in cui vi fu il passaggio da formazione
post laurea a master con ulteriore specializzazione nell’infermieristica pubblica.. Da questo
momento furono molte le pubblicazioni in ambito di formazione, curriculum e competenze
professionali.
Uno studio effettuato nel 1987 calcolò la spesa effettuata fino ad allora nella formazione degli
infermieri di famiglia: 100 milioni di dollari, ma le conquiste non finirono qui. Altre
importanti pubblicazioni e nuovi master vennero istituiti fino alla fine degli anni 80.

Il periodo di nuova espansione: 1991-2001


La crescita senza precedenti, che caratterizzò negli anni 90, interessò sia il numero di
professionisti appartenenti alla sanità pubblica, sia il numero dei master di specializzazione
universitari.
Nel 1997 venne pubblicato il documento “Criteria for Evalutation of Nurse Practitioner
Programs”, approvato da 21 organizzioni nazionali con l’intento di uniformare i numerosi
percorsi formativi presenti su tutto il territorio nazionale.
Dal 1991 fino ai giorni nostri si è registrato un progressivo incremento del prestigio degli
infermieri di famiglia, aiutati dalle vittorie in campo legislativo e dalle continue pubblicazioni
scritte, allo scopo di meglio definire le competenze degli infermieri di famiglia. Il numero di
master per gli infermieri di famiglia, istituiti dalle università degli Stati Uniti, supera quello di
tutte le altre specializzazioni infermieristiche a testimonianza della necessità di una grande
formazione per i professionisti nell’infermieristica di comunità.

4.3 LE ATTIVITÀ
Descrivere le attività dell’infermiere di famiglia nelle società in cui è presente tale figura

63
“Linee guida per infermieri di famiglia. Pianificazione del curriculum”
64
“Associazione delle facoltà infermieristica delle cure primarie”

104
CAPITOLO 4

sarebbe impossibile, visto e considerata la notevole varietà di ambiti. In ogni nazione o


contesto, l’infermiere ha adattato la propria pratica alle necessità della comunità e delle
famiglie che ne fanno parte, fornendo un servizio flessibile e dinamico in grado di far fronte ai
bisogni, diversi da stato a stato, da regione a regione, da comunità a comunità.

4.3.1 L’INFERMIERE DI FAMIGLIA ANGLOSASSONE


Il team delle cure primarie in Inghilterra vede l’infermiere di famiglia impegnato in diversi
ruoli al servizio della famiglia e della comunità:
 Practice Nurse
 Nurse Practitioner
 Community Nurse

Practice Nurse
Il Practice Nurse è l’infermiere assunto dal medico di medicina generale. Il ruolo e i compiti
del Practice Nurse sono vari, ma in aggiunta ai tradizionali compiti dell’infermiere essi sono
coinvolti nella promozione della salute, nei controlli periodici dei pazienti, pratiche
amministrative e nell’assegnazione dei pazienti ai vari medici specialistici nel caso in cui
l’ambulatorio sia di tipo associato.
Un’indagine pubblicata nel 1995 esaminava il ruolo e le attività del Practice Nurse,
evidenziando il significativo incremento del tempo speso nelle attività amministrative, nelle
immunizzazioni e nelle attività di counselling. L’indagine evidenziava anche un aumento del
numero dei compiti svolti dal Practice Nurse come la chirurgia minore e la prevenzione delle
malattie.
Il Practice Nurse deve ottenere una qualificazione e l’iscrizione come “General Nurse”; il
Royal College of Nursing ha pubblicato un documento contenente la descrizione delle
competenze, l’avanzamento di carriera e le tipologie di contratti con il medico di medicina
generale.

Nurse Practitioner
Il Nurse Practitioner è il professionista che possiede un livello di educazione molto elevato,
una maggior competenza nelle attività cliniche ed una maggiore responsabilità rispetto al
Practice Nurse, ma differenti da quelle del medico di medicina generale. La somiglianza tra i
due termini “Practice Nurse” e “Nurse Practitioner” ha generato confusione fra i due ruoli. Il

105
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

primo lavora per il medico di medicina generale, il secondo collabora con lo stesso e assieme
a tutti i membri del team delle cure primarie.
Sebbene il concetto di Nurse Practitioner sia tuttora relativamente nuovo, è un’area che ha
ricevuto un’attenzione crescente negli ultimi anni. Uno studio pubblicato nel 1993 dimostrò il
parere favorevole dei medici di medicina generale nel collaborare con un’infermiere più
qualificato e con un maggior numero di competenze, soprattutto in ambito di prevenzione
delle malattie croniche.
Il ruolo riconosciuto del Nurse Practitioner può essere riassunto come:
 presa di decisioni professionali autonome;
 visita dei pazienti con problemi non ancora diagnosticati;
 valutazione dei pazienti a seconda dei fattori di rischio legati a specifiche malattie, nonché
dei primi segni di malattia;
 definizione dei programmi di prevenzione assieme al pazienti specifico;
 counselling ed educazione sanitaria ad individui, famiglie e gruppi;
 assicurazione della continuità assistenziale alla comunità;
 visite domiciliari;
 collaborazione con altri professionisti.
In un articolo pubblicato dal “British Journal of General Practice”, alcuni medici di medicina
generale affermano che, sebbene i Nurse Practitioner abbiano un più ristretto campo di
applicazioni, il carico di lavoro del medico viene notevolmente diminuito. I Nurse Practitioner
vengono considerati più vicini alla popolazione e viene ribadita la necessità di ampliare le
aree di competenza come l’educazione. Attualmente sono in atto nuovi corsi di
specializzazione istituiti dal Royal College of Nursing.

Community Nurse
Il termine “Community Nurse” ha prodotto un’ulteriore confusione nella definizione degli
operatori che sono attivi nella sanità pubblica. Comunemente viene definito come l’infermiere
che lavora all’interno della comunità e solitamente a domicilio dei pazienti, includendo nella
definizione anche le ostetriche o gli ausiliari dell’infermiere.
Il Community Nurse è un infermiere impiegato dalle autorità locali per la promozione della
salute in un ambito predefinito come la ricerca di stili di vita corretti per la popolazione o la
prevenzione delle malattie agendo sui fattori di rischio.
Il Community Nurse possiede una qualifica in infermieristica di comunità e la maggior parte
del loro lavoro può essere svolto, ad esempio, nel domicilio di persone affette da patologie

106
CAPITOLO 4

prevalentemente di tipo cronico, oppure nell’educazione dei pazienti recentemente dimessi


dall’ospedale. La figura delineata è una sorta di branca del Nurse Practitioner impiegato
soprattutto nelle prevenzione ed educazione della popolazione sia a domicilio, sia impiegato
all’interno di autorità locali.

4.3.2 l’INFERMIERE DI FAMIGLIA NEGLI STATI UNTI


Il Nurse Practitioner è un professionista che opera nell’ambito delle cure primarie in
collaborazione con gli altri professionisti della salute pubblica. Fornisce assistenza
infermieristica ad individui, famiglie e gruppi di popolazione, operando in diversi ambiti
come: ambulatorio, domicilio, ospedali, istituzioni, scuole, luoghi di lavoro, cliniche
pubbliche e private. Le attività sono focalizzate prevalentemente sulla prevenzione, cura ed
educazione, in collaborazione con il medico di medicina generale o in autonomia.
I Nurse Practitioner sono specializzati in vari ambiti tra i quali:
 Salute pubblica;
 Salute della famiglia;
 Salute pediatrica;
 Assistenza neonatale;
 Salute scolastica;
 Salute geriatrica;
 Salute della donna;
 Salute mentale.65

Le attività svolte dal Nurse Practitioner assumono una notevole variabilità a seconda del
master di specializzazione svolto dal Nurse Practitioner.

Tabella 5: LE ATTIVITÀ DEL NURSE PRACTITIONER NEGLI STATI UNITI

TIPO DI ATTIVITA’ SPECIFICA

65
Hickey, J.V., “Reformation of health care and implications for advanced nursing practice. Advanced practice
nursing”, Ed. Lippincott- Raven New York, 1996.

107
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

ASSISTENZA
• Ottenere una anamnesi rilevante sullo stato di salute del paziente;
• Prescrivere esami fisici appropriati all’età e all’anamnesi;
• Condurre procedure di screening preventive in base all’età e all’anamnesi del
Valutazione dello paziente (esami dell’udito, mammografia, esami della vista, ecc.);
stato di salute • Identificare i fattori di rischio riguardanti la salute del paziente;
• Prescrivere appropriati esami diagnostici (es. esami radiologici);
• Stima, valutazione e descrizione dello sviluppo
• Collaborare con gli altri operatori sanitari più adeguati al caso.
• Prescrivere appropriati esami diagnostici (es. esami radiologici);
Diagnosi • Formulazione di una diagnosi differenziale basandosi sull’anamnesi, su esami
fisici e referti clinici.
• Identificazione dei bisogni dei singoli, delle famiglie o della comunità,
basandosi sulla valutazione dei dati raccolti;
• Identificazione, implementazione e valutazione dei piani di assistenza indicati,
includendo interventi farmacologici e non farmacologici;
Case Management • Educare i pazienti e la famiglia per consentire una presa di coscienza sulla
situazione di salute e poter prendere decisioni in autonomia;
• Collaborare con altri professionisti e organismi locali;
• Rivalutare e modificare i piani di assistenza necessari per il raggiungimento
degli obiettivi prefissati.

Dal sito internet:” www.ispub.com”

Il ruolo del Nurse Practitioner continua la propria evoluzione in risposta ai continui


cambiamenti della società e delle necessità di cura che si vengono a creare. L’infermieristica
di comunità ha l’opportunità di rivendicare, come proprio campo di applicazione, la
conduzione delle cure primarie territoriali grazie alla figura del Nurse Practitioner quale
erogatore di assistenza, guida, educatore, ricercatore e amministratore.
Gli infermieri impegnati nel campo della formazione continuano la conquista di nuove
conoscenze in campo pratico e teorico per integrare i concetti appresi e far progredire il ruolo
del Nurse Practitioner66.
La possibilità di influenzare i comportamenti sanitari della popolazione ha permesso di
partecipare alla promozione della salute compiuta da organizzazioni per la salute pubblica a
livello locale, statale, nazionale ed internazionale.
Contemporaneamente all’affermarsi della necessità di tale figura, i Nurse Practitioner sono
considerati la maggiore risorsa nell’espansione dei servizi delle cure primarie negli Stati Uniti

108
CAPITOLO 4

e rappresentano un modello di l’espansione globale.

4.3.3 CURE INFERMIERISTICHE FAMILIARI IN SLOVENIA


Dal 1986, ogni distretto del paese possiede un’ infermiera comunitaria incaricata delle cure di
salute primaria che si trova in primo piano ed a contato continuo con le persone nei luoghi di
vita e di lavoro. Le cure vengono fornite alle famiglie secondo un approccio basato sul ciclo
di vita, dalla nascita alla morte, 24 ore su 24. L’infermiere assume in quest’ottica tutta una
diversità di ruoli: quello assistenziale, di decisore, di comunicatore, di leader comunitario e di
gestore dei servizi dispensati ai clienti , ai pazienti, alle famiglie e alle comunità locali.
L’obiettivo consiste nel mettere a disposizione delle famiglie un’infermiere abilitato per
lavorare insieme e vicino a loro in tutte le fasi del ciclo della vita, dalla nascita alla morte.

4.3.4 INFERMIERE DI SALUTE FAMIGLIARE IN BOTSWANA


In Botswana, dove l’infermiere di famiglia è riconosciuto da una ventina d’anni, l’approccio
scelto mette insieme le attribuzioni di un generalista che fornisce cure alla famiglia e quelle
di un infermiere che assiste un paziente malato.
La pratica delle cure infermieristiche familiari è definita nel quadro dei principi inerenti le
cure di salute primaria e affronta il mantenimento e la promozione della salute, 1’ assistenza
curativa per i membri della famiglia di tutte le età e in tutti gli stadi del ciclo di vita.
Le cure che comprendono sia i servizi assistenziali che quelli consultivi, sono generalmente
fornite dai centri di consultazione esterna in collaborazione con uno o più membri della
famiglia. La valutazione famigliare si basa sulla considerazione della famiglia come cellula
socioculturale lesa significativamente dai cambiamenti sociali intervenuti nel paese67.

4.3.5 L’INFERMIERE DI COMUNITA’ IN ROMANIA


L’assistenza di comunità è un concetto nuovo per la Romania. Gli sforzi finora compiuti sono
stati svolti soprattutto da piccole organizzazioni non governative (NGO), nel tentativo di
promuovere questo tipo di assistenza.
Nel 1995 questa fondazione costituì i primo progetto di assistenza domiciliare intitolato

66
Crosby F., Ventura M. R., Feldman, J. J., “Future research recommendations for establishing NP
effectiveness”, Ed. Lippincott-Raven, 1997.
67
“Norme di pratica per le infermiere familiari”, Associazione degli infermieri di Botswana, 2001

109
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

“Home Care for Elderly People”68, nel tentativo di creare un modello di servizi assistenziali di
qualità per le famiglie. Le persone selezionate per partecipare a questo progetto furono:
infermieri, assistenti sociali e fornitori di assistenza non sanitaria; tutti queste figure entrarono
a far parte del “family team”.
Il percorso formativo ha affrontato due grandi passi, il primo nel formare gli educatori per i
partecipanti al corso, il secondo nel formare questi ultimi in campo clinico, psicologico e
sociale.
Dopo un anno di sperimentazioni, i risultati ottenuti furono impressionanti al punto da
estendere il servizio in altre quattro città nell’anno successivo, utilizzando i partecipanti al
progetto come educatori.
Nel 1999 la figura dell’infermiere di comunità è diventata riconosciuta dalla legge e
l’assistenza a domicilio costituisce il punto nevralgico delle riforme sanitarie. Alla soglie del
2000, già 15.000 professionisti fanno parte di “family team”, ma “la formazione del
personale e le potenzialità espresse possono raggiungere livelli notevolmente più alti”69.

68
tradotto dall’inglese: “assistenza domiciliare per persone anziane”
69
Dal sito internet: www.homecare.ro

110
CONCLUSIONI

CONCLUSIONI

Le cure rivolte alla famiglia costituiscono un’attività centrale delle cure infermieristiche. Da
un punto di vista storico, gli infermieri hanno già portato l’assistenza alle persone nel loro
domicilio, ma la progressiva trasformazione delle famiglie in nucleari e la specializzazione
crescente delle cure sanitarie, sempre più orientate verso l’ambiente ospedaliero, hanno
determinato un’attenuazione di questo indirizzo. Con il ritorno all’assistenza comunitaria e
domiciliare e con il prevalere della consapevolezza sull’importanza delle relazioni famigliari
in tema di salute e malattia, l’attenzione si focalizza nuovamente sul nucleo di ogni società: la
famiglia.
Il percorso storico in altre nazioni mostra come l’infermiere possa esprimere le proprie
potenzialità in un ambito molto dinamico quale sia il territorio. L’infermiere ha la possibilità
di applicare la propria professionalità in un ambito ancora quasi inesplorato con
responsabilità, autonomia e continua crescita professionale. Quest’ultima non deve essere
interpretata come l’assunzione di maggiori compiti appartenenti alla professione medica, ma
una maggiore presa di coscienza delle nostre competenze, svolte con autonomia e
responsabilità decisionale.
Si tratta quindi di gestire il complesso sistema che ruota intorno alla famiglia, un sistema
dinamico che necessita di un’équipe multidisciplinare in grado di gestire tutte le necessità
della famiglia mediante un rapporto di fiducia e collaborazione.
Sono presenti tutti i presupposti perché anche in Italia possa evolversi la figura dell’infermiere
di famiglia il cui ruolo fondamentale, è quello di assistere la famiglia lungo tutto il percorso di
vita, non solo durante i periodi di malattia, ma agendo sulla prevenzione ed educazione.
Il Sistema Sanitario Nazionale ha adottato ultimamente una politica rivolta sempre
maggiormente al territorio con una riduzione dei tempi di ricovero e di accesso all’ospedale.
Gli effetti immediati sono una notevole riduzione dei costi, ma soprattutto un servizio
maggiormente gradito dalla popolazione che riscopre le cure portate direttamente al proprio
domicilio.
Le esperienze effettuate negli ambulatori di Oriago e di Arezzo mostrano le potenzialità
dell’infermiere che opera a contatto con le famiglie, le quali esprimono un notevole interesse
e gradimento del servizio loro offerto, dimostrata dalla funzionalità e dalle indagini
conoscitive svolte a tale riguardo.
Per un progetto così ambizioso nel nostro contesto sociale, l’infermiere deve prima acquisire
una maggiore formazione nell’ambito della sanità pubblica per acquisire gli strumenti
necessari a gestire in autonomia un ambito molto vario e dinamico quale il territorio.
111
Dall’ospedalizzazione al territorio: L’INFERMIERE DI FAMIGLIA

Con il parere favorevole della popolazione e di personalità che operano attivamente nel
settore delle cure primarie, si può affermare che l’impiego dell’infermiere all’interno della
comunità non sarà solamente un futuro irraggiungibile, ma al contrario un progetto su cui
investire in termini di persone e risorse, al fine di garantire un servizio di maggiore qualità
all’utenza.

112
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116
Un ringraziamento speciale
alla mia relatrice Cristina Fabbri che
con la sua grinta ha reso vani i motivi di sconforto
dinanzi alle difficoltà incontrate.
Ringrazio Alessandra Semenzato per
la disponibilità al dialogo e al confronto di idee .
Un altro ringraziamento a Fabio Severi per
la collaborazione dimostrata
e le preziose indicazioni fornite.
Ringrazio l’America Academy of Nurse Association
e l’Università del Colorado
per la collaborazione dimostrata
ed il numeroso materiale ricevuto.
Un ultimo ringraziamento a Daniela Alderuccio
per l’aiuto nelle traduzioni dei testi.

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