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indice

3 Premessa

5 Introduzione

9 Il politrauma

13 Sicurezza e auto protezione sulla scena dell’evento

15 BLS al traumatizzato

24 Approccio al traumatizzato

25 Approccio al traumatizzato incarcerato

29 C.E.S.I.R.A.

30 S.T.A.R.T.

33 Le manovre del trauma

80 Il controllo delle emorragie

83 Le ustioni

87 Cenni di traumatologia speciale

110 Algoritmo BLS al traumatizzato

Conforme al protocollo della Regione Toscana


PREMESSA

“Presentare un libro che affronti in modo rigoroso e semplice il sup-


porto vitale al trauma non è facile; se questo libro deve in particolare
trattare il soccorso extraospedaliero al trauma, il compito diventa an-
cora più difficile.
Coloro che hanno già esperienza nel soccorso extraospedaliero pro-
babilmente sanno bene a cosa mi riferisco, gli altri se ne renderanno
conto nel corso della lettura del libro e durante la loro attività pratica.
Per tutte queste ragioni, anche in ambito internazionale, non è stato
finora possibile elaborare linee guida universalmente riconosciute
come per BLS e ALS.
Il più autorevole Ente Scientifico che da tempo si occupa della ste-
sura di linee guida sul trauma e della formazione del personale sa-
nitario nel mondo, American College of Surgeon, ha da sempre
focalizzato l’attenzione al soccorso intraospedaliero al trauma, la-
sciando ad organismi minori il compito di adattare queste linee guida
alla realtà territoriale.
Per queste ragioni, questo libro come gli altri, non rappresenta quello
che deve assolutamente essere fatto durante il soccorso al trauma-
tizzato e non risolve i vostri problemi: credo però che abbia il merito
di aver affrontato le difficoltà connesse a questa materia e di aver
cercato di modellare le attuali conoscenze della medicina critica e
della traumatologia alla realtà italiana ed in particolar modo a quella
toscana dove il Volontariato rappresenta uno dei principali interlo-
cutori per questa branca della medicina.
Lo scopo del libro è di poter garantire al lettore una serie di cono-
scenze e di abilità che siano applicabili in senso generale nella mag-
gioranza degli scenari di trauma, ben sapendo che l’applicazione di
linee guida in modo acritico espone inevitabilmente a rischio di falli-
mento”.
Andrea Franci, 2005

Abbiamo iniziato questa riedizione del manuale con le parole con cui il Dott. Andrea
Franci aprì la prima edizione. Un caloroso ringraziamento a lui ed ai volontari che
hanno fattivamente collaborato per la realizzazione di questo lavoro.

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INTRODUZIONE

Nell’ambito del soccorso a persone rimaste vittime di eventi traumatici, è


necessario conoscere alcuni fattori fondamentali di questo particolare tipo
di emergenza. Il trauma rappresenta la prima causa di morte in soggetti
con età inferiore ai 40 anni e non vi è dubbio che una delle varianti che in-
fluenza l’esito positivo di un intervento su di un traumatizzato sia il fattore
tempo. Quindi si deduce che: tanto minore è il tempo che intercorre
tra l’evento traumatico ed il soccorso quanto maggiori saranno le
possibilità di sopravvivenza e di recupero del traumatizzato.

Questo concetto è stato ormai dimostrato in modo certo e la conferma del-


l’importanza della precocità dell’intervento e dell’adeguatezza dei soccorsi
viene dall’analisi epidemiologica delle morti dovute a trauma.
La morte a seguito di un evento traumatico può essere descritta da un an-
damento trimodale, ovvero con tre picchi di mortalità:

• circa il 50% nei primi secondi o minuti dall’evento traumatico a


causa di lesioni non compatibili con la vita. Questa alta percentuale di morti
è modificabile solo dalla PREVENZIONE (educazione stradale, uso dei si-
stemi di sicurezza attiva e passiva, miglioramento della sicurezza sui luo-
ghi di lavoro ecc.).

• circa il 30% nelle prime ore dall’evento traumatico: questo gruppo di


persone sono quelle che più efficacemente possono giovarsi di trattamenti
rapidi e corretti ed ospedalizzazione rapida all’ospedale adeguato per le
loro lesioni.

• circa il 20% dopo giorni o settimane dall’evento traumatico spesso


a seguito di complicanze manifestatesi durante la degenza in ospedale
ma che spesso sono insorte e non sono state trattate sulla scena (danni
secondari). Da questo possiamo capire come molte delle vittime di traumi,
possono essere salvate da trattamenti precoci e ben eseguiti cominciati
sulla scena del trauma: non è un caso infatti che molti decessi di traumi
che avvengono in ospedale siano più o meno direttamente causati da una
gestione approssimativa del paziente sulla scena.

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Dall’esame di questi dati possiamo comprendere il significato della cosid-
detta “GOLDEN HOUR” (ora d’oro), così definita perché, da studi condotti
analizzando i dati sopra riportati, è emerso che gli interventi corretti attuati
nella prima ora dall’evento traumatico incidono in maniera significativa
sulla riduzione della mortalità e degli esiti invalidanti.
Le cause di morte e di danni permanenti nei traumatizzati sono dovute,
oltre che agli effetti diretti dell’impatto iniziale, anche all’instaurarsi di con-
dizioni come l’ipossia, mancanza di adeguato apporto di ossigeno, l’iper-
capnia, aumento di anidride carbonica nel sangue, l’ipotensione,
abbassamento della pressione arteriosa, oltre che alle conseguenze di
manovre e interventi effettuati in maniera non corretta.
Tutti i danni che sono conseguenza di manovre non eseguite o ese-
guite in modo scorretto, prendono il nome di DANNI SECONDARI.

Dato che la percentuale maggiore di decessi avviene prima dell’arrivo in


ambiente ospedaliero, appare evidente come uno degli obbiettivi da rag-
giungere sia quello di migliorare la qualità del soccorso nella fase iniziale.
Alla base di un buon risultato si pone il COORDINAMENTO di tutte le
azioni che vengono effettuate iniziando dalla fase di allertamento della
Centrale Operativa 118 concludendosi con l’arrivo del traumatizzato
presso una struttura ospedaliera adeguata pre il trattamento definitivo.

Tutti questi interventi sono riassunti nella cosiddetta


CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL TRAUMATIZZATO

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ALLARME TRIAGE TRATTAMENTO CENTRALIZZAZIONE TRATTAMENTO
PRECOCE SUL POSTO PRE-OSPEDALIERO OSPEDALIERO

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1. Attivazione tempestiva della Centrale 118.
2. Valutazione del numero delle persone coinvolte e della gravità delle
lesioni riportate in modo da poter garantire a ciascun ferito il soccorso
giusto al momento giusto.
3. Trattamento preospedaliero di base o avanzato in funzione del tipo di
mezzo inviato sul posto e prevenzione dei danni secondari
4. Trasporto nella struttura sanitaria più adeguata per il trattamento delle
lesioni del paziente.
5. Trattamento ospedaliero:
di esclusiva competenza dei sanitari ospedalieri.

Difficoltà connesse al trauma

L’attuazione completa dei protocolli risulta difficoltosa perché nell’ambito


delle emergenze sul territorio operano varie figure con caratteristiche pro-
fessionali e tecniche non omogenee; esiste inoltre una impossibilità cro-
nica di standardizzare gli interventi di emergenza traumatologica
adattandoli ad ogni situazione.
Ogni scenario in effetti presenta caratteristiche uniche con una serie di va-
riabili che lo rendono diverso da ogni altro e che rendono impossibile o
comunque molto difficile l’applicazione stretta degli algoritmi.
Questo significa che le linee guida devono essere conosciute in modo per-
fetto per permettere al soccorritore di potervisi discostare in modo co-
sciente ogniqualvolta lo scenario lo richieda.

Molte sono le variabili che devono essere considerate durante il soccorso


ad un traumatizzato e tra esse possiamo citare:

• Luogo dell’intervento non agevole o pericoloso.


• Paziente non collaborante.
• Variabilità degli scenari (tipologia, gravità delle lesioni riportate
e numero di persone coinvolte).
• Condizioni meteo (notte, nebbia, freddo ecc.)
• Coinvolgimento emotivo sia dei soccorritori che degli astanti

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Ne consegue che l’unica garanzia per effettuare azioni corrette è quella di
perseguire obbiettivi primari conosciuti da tutti coloro che sono chiamati
ad intervenire, ed acquisire, ognuno per le proprie competenze, la manua-
lità e le conoscenze nell’uso delle tecniche e dei dispositivi frequentando
corsi teorico pratici specifici.

La formazione deve perseguire quindi i seguenti obbiettivi:


• Fornire la conoscenza per poter effettuare correttamente il primo
trattamento al traumatizzato.
• Addestrare i Soccorritori ad agire in situazioni di emergenza
traumatologica ricordando che la fretta nell’esecuzione di una
qualunque manovra presuppone la mancanza di un’attenta
valutazione.
• Uniformare gli interventi in modo che tutti i Soccorritori seguano i
protocolli riconosciuti attualmente più validi ed efficaci.

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IL POLITRAUMA

Per trauma in medicina critica, intendiamo qualsiasi evento causato da


una forza fisica che agisca provocando un danno all’organismo.
Molto spesso assimiliamo il concetto di trauma a quello di incidente stra-
dale. In realtà, anche se nella nostro paese questo è spesso vero, ogni
agente fisico (calore, freddo, sostanze caustiche, armi da fuoco da taglio
o da punta, radiazioni ionizzanti) è capace di provocare traumi e quindi
traumatizzati.
Si definisce politraumatizzato un soggetto che ha subito due o più lesioni
a carico di organi od apparati diversi, almeno una delle quali talmente
grave da metterne in pericolo la vita.

Il primo trattamento al politraumatizzato è una delle emergenze più com-


plicate da affrontare, perché la gravità delle lesioni riportate va a sommarsi
ad eventuali patologie già presenti in quel paziente.

La regola principale è quella di compiere un’attenta valutazione dello sce-


nario prima d’intervenire ed intraprendere una qualunque manovra, per
non esporre a rischi sia i soccorritori che gli altri presenti ➨ AUTOPRO-
TEZIONE.
Inoltre il desumere la dinamica dell’evento, può orientare circa i possibili
traumi riportati dalla vittima.
È molto importante che il soccorritore sia in grado di eseguire una corretta
valutazione, della gravità dei feriti, (triage, secondo anello della catena
della sopravvivenza) in modo da valutare l’adeguatezza numerica dei
mezzi di soccorso rispetto al numero di persone infortunate.
Con il termine “TRIAGE” si definisce l’identificazione delle priorità di trat-
tamento di ogni ferito rispetto agli altri coinvolti nell’evento, in modo da ot-
timizzare le risorse.
Il triage possiede diverse connotazioni a seconda che si debba applicare
in condizioni di maxiemergenza o in condizioni in cui vi siano più persone
coinvolte in un evento che comunque può essere fronteggiato semplice-
mente con l’invio di un numero maggiore di mezzi di soccorso.
(vedi capitolo Triage a pagina 26).

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La prevenzione dei danni secondari

Il principale obiettivo del BLS al traumatizzato è quello di prevenire i


danni secondari. Si definiscono danni secondari, tutte quelle lesioni che il
paziente riporta non a causa del trauma ma per l’instaurarsi di condizioni
che al trauma sono legate e che sono (o meglio sarebbero state) correg-
gibili o addirittura evitabili da un soccorso extraospedaliero correttamente
eseguito.
Tra i principali danni secondari, vi sono l’ipotermia, le lesioni spinali,
l’ipotensione e l’ipossia. Sempre nell’ottica della prevenzione dei danni
secondari, esistono due tipi di approccio al traumatizzato che sono, come
vedremo più avanti, lo scoop and run e lo stay and play.

DANNO PRIMARIO e DANNO SECONDARIO: nel traumatizzato si pos-


sono avere quindi, due tipi di danno. Il primo è il cosiddetto danno prima-
rio, ovvero quello da imputare direttamente al trauma.
L’energia che entra in gioco nel trauma (spesso energia cinetica, ma anche
termica, ionizzante ecc.) agisce in modo lesivo sulla cute e viene trasferita
anche alle strutture sottostanti (muscoli, vasi, ossa, organi cavi ed organi
solidi) arrecandovi danni più o meno gravi in base alla quantità di energia,
al suo tempo di applicazione e alla resistenza del soggetto traumatizzato
(ad esempio un osso di un paziente anziano con osteoporosi sarà più fa-
cilmente fratturato da basse energie cinetiche rispetto a quello di un sog-
getto giovane senza osteoporosi). Il danno primario è causa di tutte le
morti immediate per trauma, cioè quelle del primo picco (50%) di mortalità
e di gran parte delle morti degli altri due picchi.
La restante parte delle morti possono e devono essere evitate dal perso-
nale sanitario, cominciando da quello che per primo soccorre il paziente.
I soccorritori (Medici, Paramedici, Volontari) possono ridurre queste morti
riconoscendo e trattando i danni primari (ad esempio una emorragia arte-
riosa o una ostruzione delle vie aeree), ma anche e soprattutto evitando
di provocare danni successivi con manovre eseguite scorrettamente o non
eseguite affatto (ad esempio non mantenere la posizione neutra, non som-
ministrare ossigeno, ventilare o non intubare il paziente, non ricoprire con
metallina il traumatizzato).

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Per tutto quello che abbiamo fin qui detto, il compito di ogni soccorritore
su un paziente politraumatizzato è quindi quello di:

• allertare il sistema di emergenza intraospedaliera (mediante la C.O.)


per cercare di ridurre il più possibile le perdite di tempo che possono
ritardare le cure definitive ➨ GOLDEN HOUR!

• prevenire i danni secondari eseguendo correttamente le manovre che


competono

• riconoscere, trattare e stabilizzare per quanto possibile i danni primari


derivati dal trauma.

L’equipe di soccorso e la definizione di ruoli

Vista la grande difficoltà nella gestione di uno scenario di trauma, l’equipe


di soccorso deve, già al momento della chiamata, definire i ruoli dei propri
componenti. La squadra deve agire coordinata dal Team Leader che ri-
partisce i ruoli all’interno della stessa.

Caratteristiche del Team Leader (T.L.):

• Il Team Leader è il volontario che dal primo momento dell’intervento


gestisce l’operato degli altri soccorritori, è la figura cardine della
squadra stessa che detta i ritmi alla squadra e le dà tranquillità.
• Dovrebbe essere il soccorritore più esperto e deve essere riconosciuto
come tale dagli altri membri della squadra.
• Durante l’intervento il Team Leader, oltre che dirigere il soccorso, ef-
fettua le valutazioni dello scenario dell’evento e le valutazioni primarie
sul paziente.
• Il Team Leader dovrebbe al rientro alla base, rianalizzare criticamente
le varie fasi dell’intervento sottolineando insieme a tutta l’equipe gli
aspetti positivi e quelli da correggere, senza colpevolizzare o accusare
il singolo componente ma cercando di trarre giusti insegnamenti per
tutta la squadra (debriefing).

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Negli interventi con mezzo di soccorso “medicalizzato”, il T.L. è ovvia-
mente il medico.
Tutte le manovre devono essere svolte parlando con sicurezza e tranquil-
lità, in maniera da infondere la stessa sicurezza ai colleghi.

Gli altri componenti della squadra di soccorso sono il 1° soccorritore (1°)


ed il 2° soccorritore (2°) nonché l’autista (A).

1° soccorritore: è il soccorritore che, coordinato dal T.L., si preoccupa


dell’immobilizzazione manuale della testa in posizione neutra fino al posi-
zionamento dell’asse spinale.
Il suo posizionamento nel caso di paziente traumatizzato deve essere au-
tomaticamente a livello della
testa in modo da garantire
l’immobilizzazione del ra-
chide cervicale (C-spine) in
posizione neutra.

Il 1° è anche tenuto a rimuo-


vere il casco in collabora-
zione con il 2°.

2º soccorritore: è il soccor-
ritore che, coordinato dal
T.L., si preoccupa del tampo-
namento delle emorragie
massive, dell’eventuale immobilizzazione della testa per la rimozione del
casco, del posizionamento del collare e di portare le attrezzature richieste
dal T.L.

Autista: collabora con il T.L. alla valutazione dello scenario già in fase di
avvicinamento in ambulanza, si preoccupa del posizionamento del mezzo
di soccorso in modo protettivo e accessibile ed infine collabora con l’equipe
di soccorso nelle manovre di mobilizzazione del ferito e nel fornire le at-
trezzature adeguate dall’ambulanza.

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SICUREZZA E AUTOPROTEZIONE SULLA SCENA DELL’EVENTO

La squadra di soccorso, deve tenere conto dei rischi che possono essere
presenti sulla scena in modo da poterli evitare.

In generale, dobbiamo:

• Individuare per quanto possibile, il pericolo studiando lo scenario.

• Adottare tutte quelle precauzioni comportamentali e strumentali adatte


ad evitare i possibili pericoli caso per caso.

L’esperienza ci insegna che ogni intervento di soccorso può presentare


pericoli potenziali o reali. In particolare, gli interventi in ambienti contami-
nati da materie pericolose quali gas infiammabili o agenti chimici, per ten-
tati suicidi, per soccorso ad alienati mentali, in zona a rischio elettrico, su
eventi sismici ecc..., sono da considerarsi ad alto rischio.

La gestione degli astanti

Chiunque si trovi sulla scena dell’intervento, non direttamente coinvolto


nè in possesso di una formazione specifica che lo riconduca alle opera-
zioni di soccorso, costituisce un intralcio ed un pericolo potenziale per le
operazioni del soccorso stesso.
Quindi questi soggetti, devono essere messi in condizione di non nuocere,
ovvero devono essere tenuti a distanza dalla scena dell’evento, per impe-
dire che vengano distrutte o manomesse “prove” (che possano servire alla
Polizia Giudiziaria), per ridurre il rischio di gesti inconsulti, ad esempio ac-
cendere una sigaretta in presenza di liquidi infiammabili, per limitare la loro
stessa esposizione ai rischi dello scenario.
Per ottenere l’attenzione necessaria ed il rispetto di quanto impartito, oc-
corre prima di tutto essere riconoscibili, quindi indossare un abbigliamento
identificabile, ed avere atteggiamento calmo ma fermo ed autoritario.
Ricordarsi che la persona che si ferma per curiosare, spesse volte non è
conscia dei rischi a cui va incontro.

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Il soccorso a pazienti su vetture incidentate

In caso di incidente stradale altri pericoli per la squadra di soccorso pos-


sono derivare dal veicolo stesso. Alcuni dispositivi della vettura possono
compromettere l’intervento se non addirittura causare lesioni ai soccorri-
tori; per evitare ciò è bene fare attenzione a:

Marmitta catalitica, questo tipo di marmitta, in condizioni di esercizio rag-


giunge gli 800°C, temperatura che può facilmente far incendiare l’even-
tuale carburante fuoriuscito o le sterpaglie sotto al veicolo.
In caso di veicolo ribaltato dobbiamo porre la massima attenzione a non
entravi in contatto; se raffreddate rapidamente possono esplodere.

Airbag, dispositivo di protezione posizionato sullo sterzo o sul cruscotto


ed azionato da sensori; qualora ci si trovi a lavorare in un abitacolo con
airbag inesplosi è bene cercare di ridurre al minimo i rischi sapendo che il
propellente di questi dispositivi è in grado di far gonfiare il pallone in circa
150 millisecondi.

Pertanto è utile:

• Disinserire la chiave dal quadro,


• Portare il sedile in posizione arretrata,
• Non eseguire lavori di taglio sulla superficie dell’airbag
• Scollegare la batteria non serve a disattivare gli airbag.

Windowbag, dispositivo di protezione posizionato sul montante degli spor-


telli, si attiva con un meccanismo simile a quello degli airbag.
La messa in sicurezza si esegue come per gli airbag.

Roll Bar, sono dispositivi presenti su tutte le auto cabriolet, su alcune vet-
ture sono a scomparsa e si azionano, fuoriuscendo da dietro i sedili po-
steriori, in caso di ribaltamento del veicolo.
Massima attenzione nello spostamento e nel riallineamento del mezzo ca-
briolet se i roll bar non sono usciti.

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BLS AL TRAUMATIZZATO

Il BLS nel trauma si avvale dei principi già affrontati e acquisiti nel BLS e
nel P-BLS. Anche esso prevede un algoritmo semplice organizzato a punti
che devono essere eseguiti in sequenza senza ometterne alcuno o inver-
tirne l’ordine.
Ogni punto dell’algoritmo inizia con una valutazione a cui segue una
azione. Non possiamo procedere al punto successivo se non si è effica-
cemente eseguito il punto precedente.
Il BLS nel trauma si compone di una VALUTAZIONE RAPIDA e di una
VALUTAZIONE PRIMARIA.

Valutazione Rapida è una valutazione che si esegue nei pazienti proni o


incarcerati in auto per decidere se eseguire una estricazione rapida (pa-
ziente che ha compromessa una o più funzioni vitali) o convenzionale
(paziente apparentemente stabile) e che precede la Valutazione Primaria,
non la sostituisce.
La valutazione rapida prevede una sommaria valutazione dello stato di co-
scienza, della presenza di respiro e della presenza di polso radiale che ci
permettono di avere un quadro iniziale della gravità del trauma.
Negli altri casi, pur essendo possibile un primo approccio con la valuta-
zione rapida, si preferisce eseguire direttamente la valutazione primaria.

1. C-spine: è immobilizzazione manuale della testa: il 1° blocca la testa


del paziente e la porta in posizione neutra. Unica eccezione per la quale
non è necessario l’immobilizzazione della testa è il paziente con ferita pe-
netrante semplice.

2. T.L. valuta la coscienza toccando e chiamando la vittima come per sve-


gliarlo, controlla l’attività respiratoria, il polso radiale e sulla base di queste
valutazioni decide sulle manovre da effettuare.

3. Tamponamento emorragie: il 2° blocca eventuali emorragie massive.

4. Indipendentemente dallo stato di coscienza, il T.L. deve rilevare e co-


municare immediatamente alla C.O. (118) eventuali tipi di trauma che pos-

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sono compromettere l’attività respiratoria quali:
- Lesioni maxillo-facciali
- Ustioni del volto e delle Vie Aeree
- Deviazione della Trachea
- Eccessivo gonfiore delle vene giugulari
- Lacerazioni o ferite profonde al collo
5. Immobilizzazione della testa:
il 2° soccorritore posiziona il collare.
6. Posizionamento:
il paziente viene posizionato sull’asse spinale o sul cucchiaio
(il posizionamento può avvenire subito o successivamente
a seconda dell’evento traumatico).
7. TL esegue la Valutazione Primaria.

Valutazione primaria (primary survey)

La valutazione primaria deve essere sempre eseguita sul paziente trau-


matizzato, anche se precedentemente si è applicato la Valutazione Ra-
pida. È il T.L. ad eseguirla, aiutato dal 1° e dal 2°.

A. Valutazione dello stato di coscienza

Si esegue con il 1° che sta già garantendo il C-Spine, chiamando e toc-


cando la vittima.
• allertare il 118 se incosciente
• posizionare il paziente supino
(vedi capitolo manovre di mobilizzazione del ferito)
• mantenere la posizione neutra
• scoprire il torace
• posizionare il collare cervicale
• T.L. controlla la pervietà delle vie aeree, solleva la mandibola e,
se necessario posiziona una cannula oro-faringea.
• controllo delle emorragie arteriose, in questa fase il medico può
decidere per l’intubazione oro-tracheale.

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B. Valutazione del respiro

Si esegue in modo diverso nel paziente cosciente e non cosciente.


Paziente cosciente:
• Il T.L. somministra ossigeno ad alto flusso 8/12 litri al minuto.
• Il T.L. scopre o fa scoprire il torace al paziente (se non già fatto prima)
per individuare eventuali traumi e per rilevare la frequenza respiratoria
e la simmetria dei movimenti del torace (OPACS).

OSSERVA ➨ Sollevamento del torace, se asimmetrico


e/o presenta avvallamenti: pericolo
PALPA ➨ Movimento ed instabilità della regione toracica:
pericolo
ASCOLTA ➨ Rumori respiratori
CONTA ➨ Frequenza respiratoria,
se maggiore di 20 atti al minuto: pericolo
SATURIMETRIA ➨ Se inferiore al 90% con ossigeno ad alti flussi:
pericolo
Paziente non cosciente:
Il T.L. valuta l’attività respiratoria e la presenza dei segni di circolo attra-
verso la manovra del G.A.S. per 10”
Respiro Presente:
Il T.L. effettua O.P.A.C.S. e somministra ossigeno ad alto flusso 8/12
litri al minuto.mantenendo la pervietà delle vie aeree.
Respiro Assente ma segni di circolo presenti:
Il T.L. effettua le ventilazioni 12 atti al minuto, (paziente immobilizzato su
asse spinale), altrimenti le effettua il 1° soccorritore garantendo il
C-Spine con la testa tra le sua ginocchia.
Respiro e segni di circolo assenti:
massaggio cardiaco con rapporto 30/2. La sequenza si ferma a questo
punto fino al ripristino delle funzioni vitali.
In questa fase il medico può decidere per l’intubazione oro-tracheale.

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C. Valutazione del circolo

Indipendentemente dallo stato di coscienza, valutata la presenza di emor-


ragie secondarie e colorito ed eventuale sudorazione della cute, nel
trauma è prioritario rilevare la presenza del polso radiale: è importante ri-
levare e comunicare alla C.O. la presenza di condizioni che possono com-
promettere l’attività cardiaca quali:

• Frequenza cardiaca in un adulto maggiore di 100 battiti al minuto.

• Polso radiale non percettibile


(pressione arteriosa massima < 80 mmHg).

Dopo aver valutato questi due parametri l’algoritmo si divide a seconda


dello stato di coscienza:

Paziente cosciente:
Dopo aver valutato la frequenza cardiaca (polso radiale o carotideo)
si passa al punto “D”.

Paziente non cosciente:


• Se il polso radiale è assente (paziente che respira)
il T.L. verifica la presenza del polso carotideo.

• Polso carotideo presente: (solo per valutazione frequenza cardiaca)


se l’attività respiratoria era assente, si continua con la ventilazione a
12 atti al minuto altrimenti si passa al punto “D”.

Occorre rilevare che il controllo del polso carotideo, effettuato sol-


tanto in assenza del polso radiale, HA L’UNICO SCOPO DI RILEVARE
LA FREQUENZA CARDIACA ED EVENTUALMENTE IL TIPO DI
POLSO, E NON L’ATTIVITÀ CARDIACA.

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D. Disability

Questo punto dell’algoritmo prende in considerazione lo stato neurologico


in modo più fine, in modo da capire se lo stato di coscienza sia più o meno
compromesso. Gli operatori sanitari utilizzano per questo tipo di valuta-
zione il Glasgow Coma Score, una scala a punteggio che è ormai inter-
nazionalmente adottata.
Per i soccorritori non sanitari, appare più semplice e comunque affidabile
l’utilizzo della scala AVPU.

A = ALERT: Il paziente è sveglio, ha gli occhi aperti, è collaborante


e risponde in maniera chiara e precisa a semplici domande:

• Come si chiama ?
• Dove abita ?
• Cosa è successo ?
• Che giorno è oggi ?

V = VERBAL: Il paziente ha gli occhi chiusi, ma li apre allo stimolo


verbale, risponde alle domande ma è confuso o tende a riassopirsi.

P = PAIN: Il paziente non risponde alle domande ma risponde allo


stimolo doloroso sul nervo infraorbitario (posto tra il terzo medio e quello
mediale dell’arcata sopraccigliare sulla piccola depressione che si trova
a questo livello e che si può apprezzare con la palpazione).
U = UNRESPONSIVE: Il paziente non risponde allo stimolo doloroso.

È evidente che procedendo da A ad U, si ha un grado di compromissione


della coscienza crescente. Dobbiamo anche tener presente che il livello
di coscienza di un traumatizzato durante un soccorso può essere flut-
tuante, in genere aggravandosi se le condizioni endocraniche o cardiore-
spiratorie si aggravano (vedi capitolo sul trauma cranico).

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E. Exposure

In questa fase si cercano rapidamente ma sistematicamente lesioni attri-


buibili all’evento traumatico, in modo da avere un’idea complessiva dello
stato del paziente e poterlo riferire alla centrale operativa.
• Il T.L. spoglia o fa spogliare il paziente (tagliando i vestiti dall’alto verso
il basso) per individuare eventuali altri traumi e ferite da trattare, inizia un
rapido esame della testa, poi passa al torace, all’addome, al bacino, ai ge-
nitali ed infine agli arti.
• Ricopre il paziente con un telo termico per prevenire l’ipotermia.

Il T.L. comunica la situazione al 118 ripercorrendo i punti secondo lo


schema usato per la loro rilevazione ovvero A - B - C - D - E, predispone,
se non già fatto l’immobilizzazione del paziente (asse spinale, materasso
a depressione, steccobende, etc.) prepara per il ricovero ospedaliero del
paziente, ricordandosi di tenere sempre sotto controllo lo stato di coscien-
za, il respiro ed il polso, riferendo al 118 eventuali variazioni del quadro
clinico durante il tragitto.

OGNI VOLTA CHE SI NOTANO SOSTANZIALI CAMBIAMENTI (in senso


peggiorativo) DI QUALUNQUE PARAMETRO VITALE (COSCIENZA RE-
SPIRO CIRCOLO) DURANTE LA VALUTAZIONE PRMARIA O DURANTE
IL TRASPORTO DOBBIAMO RIPARTIRE DACCAPO CON LE VALUTA-
ZIONI DELL’ABCDE, AVVERTENDO IMMEDIATAMENTE LA C.O. DEL
CAMBIAMENTO CLINICO.

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Dinamica del trauma

Durante un intervento di soccorso ad un traumatizzato dobbiamo prendere


in considerazione contemporaneamente alla Valutazione Primaria anche
come si è svolto l’evento traumatico, quali sono state le forze in gioco e
come hanno agito sul paziente. È infatti noto come a fronte di un apparente
mancanza di lesioni esterne di un paziente, se c’è stata la presenza di al-
cuni fattori dinamici durante il trauma, il paziente debba essere considerato
un politraumatizzato fino a prova contraria e quindi centralizzato in un
ospedale adeguato. Questo tipo di fattori dinamici, fanno definire il trauma
come a dinamica maggiore.
Anche la C.O. cerca di sapere dalla chiamata di allarme se vi siano a priori
uno o più di questi fattori in quanto ciò aiuta a definire il codice di gravità
e l’invio di un mezzo adeguato (medicalizzata ed eventualmente elisoc-
corso) anche se il ferito è apparentemente illeso.

Sono eventi a dinamica maggiore:

• caduta da oltre 5 metri di altezza


• presenza di persone decedute nello stesso veicolo
• proiezione all’esterno dell’abitacolo
• arrotamento
• necessità di estricazione prolungata (20 minuti)
• età inferiore a 5 anni o superiore a 55 anni
• frontale su strada statale
• bicicletta/moto contro auto/camion

È quindi importante, durante il soccorso, rendersi conto della dinamica del


trauma, compreso anche l’entità della deformazione dei veicoli ed il tipo
di veicoli coinvolti nella scena, comunicandoli insieme al risultato della Va-
lutazione Primaria alla C.O.

21
Le due scelte sul campo: scoop and run o stay and play?

I soccorritori che si trovano di fronte ad un traumatizzato, alla fine della


valutazione primaria hanno la necessità di prendere la decisione più im-
portante: immobilizzare il paziente e dirigersi rapidamente verso l’ospedale
(adeguato) oppure rimanere sulla scena per cercare di stabilizzare ed ese-
guire il primo trattamento terapeutico del paziente prima di ospedalizzarlo.
Queste due filosofie di comportamento sono, per il personale non medico,
dettate dalla C.O. 118 che, in base alla relazione della Valutazione Pri-
maria decide se far trasportare rapidamente il traumatizzato dall’ambu-
lanza non medicalizzata oppure se inviare sulla scena una ambulanza
medicalizzata ed eventualmente anche l’elisoccorso.
In linea di massima, tutte le situazioni non stabilizzabili (lesioni penetranti
del torace o dell’addome, emorragie arteriose esterne o interne) sono indi-
cazioni assolute per lo scoop and run anche in presenza di un medico
sulla scena, in quanto la stabilizzazione del paziente potrà essere ottenuta
solamente all’interno dell’ospedale.
In molti casi di emorragia incontrollabile, si preferisce non iniziare nem-
meno la fluidoterapia per guadagnare tempo da poter utilizzare in ospe-
dale, ben sapendo che le infusioni sul territorio non sarebbero comunque
sufficienti a garantire un rimpiazzo volemico adeguato.

22
La triade della morte
Con questo termine si indicano i tre fattori maggiormente responsabili della
morte del traumatizzato, che sono causa di danno secondario.
Essi sono ipossia, ipotensione, ipotermia.
Se il modo migliore di evitare il primo fattore è evidente, dobbiamo dire
che spesso nel tentativo di evitare il secondo possiamo causare il terzo.
La fluidoterapia massiva, infatti, se da un lato può migliorare l’ipoten-
sione, sicuramente peggiora la condizione ipotermica del traumatizzato
soprattutto se vengono infusi fluidi non riscaldati o peggio ancora freddi.
Per questa ragione, i fluidi in ambulanza dovrebbero essere riscaldati ed
è norma essenziale non mantenere le flebo in ambulanza nel periodo in-
vernale lasciandole all’interno della sede per poterle poi infondere almeno
a temperatura ambiente.

23
APPROCCIO AL TRAUMATIZZATO

SICUREZZA AMBIENTALE

VALUTAZIONE PRIMARIA
NO
SI

PAZIENTE STABILIZZABILE ?

SCOOP
AND
VALUTAZIONE SECONDARIA
RUN

IMMOBILIZZAZIONE

TRASPORTO/CENTRALIZZAZIONE

24
APPROCCIO AL TRAUMATIZZATO INCARCERATO

SICUREZZA AMBIENTALE

VALUTAZIONE RAPIDA

ESTRICAZIONE RAPIDA O CONVENZIONALE

VALUTAZIONE PRIMARIA

PAZIENTE STABILIZZABILE ?
NO
SI SCOOP
AND
VALUTAZIONE SECONDARIA
RUN

IMMOBILIZZAZIONE

TRASPORTO/CENTRALIZZAZIONE

25
Valutazione secondaria

La valutazione secondaria segue logicamente quella primaria e può essere


eseguita dal medico solo dopo la primaria e solo se il paziente è stato
stabilizzato durante quest’ultima. In tutti gli altri casi, una volta immobiliz-
zato adeguatamente il paziente dobbiamo procedere alla centralizzazione
nell’ospedale adeguato (comunicato dalla C.O.)
La Valutazione Secondaria ha lo scopo di rivalutare i parametri vitali,
di raccogliere alcune informazioni dello stato di salute del paziente (aller-
gie, terapie farmacologiche, patologie di base, ultimo pasto) e di eseguire
un esame testa-piedi più approfondito di quello fatto al punto E della Va-
lutazione Primaria per poter decidere quale sia la struttura adeguata per
il suo ricovero.

Essa prevede:

1. Rivalutazione continua dell’ABCD


2. Esame completo accurato testa - piedi
3. Verifica della dinamica dell’incidente
4. Raccolta delle informazioni sanitarie (malattie, farmaci, allergie)

Dobbiamo ribadire che questa fase del soccorso extraospedaliero da


parte dei soccorritori non è necessaria e che deve essere eseguita
solo da personale medico o paramedico e solo se il paziente è sta-
bile.
Per completezza, abbiamo deciso di riportare in questo manuale anche
questa fase, anche in considerazione che il soccorritore può e deve aiutare
il sanitario nella sua esecuzione, Il soccorritore comunque deve “monito-
rare “il paziente durante il trasporto in ospedale perché come sappiamo il
paziente vittima di trauma è soggetto al “rischio evolutivo".

26
IL TRIAGE

Il termine triage ha origine antica, essendo il termine con il quale in Oriente


si indicava la scelta delle sete più pregiate da parte dei mercanti. Succes-
sivamente, in epoca napoleonica, il termine è stato applicato alla scelta o
meglio all’attribuzione della priorità di trattamento medico dei soldati feriti
in battaglia, in modo che il maggior numero possibile potesse essere cu-
rato in modo efficace e recuperato per tornare al fronte.
In ambito civile, questo termine indica un metodo di lavoro che deve es-
sere applicato in modo sistematico per scegliere, attribuendo una priorità
di trattamento, chi debba essere visitato e curato per primo in un pronto
soccorso.
Ogni tipo di triage si basa sull’applicazione di schemi di valutazione che
devono produrre una codifica di gravità che classicamente è di tipo nume-
rico o cromatico (ad esempio codice 1-2-3-4 o bianco-verde-giallo-
rosso). Ogni operatore o mezzo di soccorso chiamato ad eseguire triage
su maxiemergenze o catastrofi deve avere a disposizione apposite tar-
ghette con numeri di codice o codici di colore per poter etichettare ogni
paziente rendendo immediatamente evidente anche ai successivi soccor-
ritori l’attribuzione del codice di triage. In ambito intraospedaliero ma anche
extrao-spedaliero vi sono due metodi di triage che trovano applicazione
diversa e che si differenziano in base all’effettiva grandezza del numero
di feriti da curare rispetto alla capacità di trattamento della struttura stessa.
Ad esempio un pronto soccorso opera quotidianamente con un metodo di
triage per gestire i propri accessi, ma dovrà adottare un diverso metodo di
triage nel caso di un massiccio afflusso di feriti per una catastrofe.
In questo caso infatti, il triage non stabilirà solo quale paziente verrà trat-
tato per primo ma anche quale paziente sarà così grave e con così poche
possibilità di sopravvivenza da non poter e non dover essere trattato per
non precludere risorse a coloro che si gioveranno sicuramente delle
stesse. Anche nell’emergenza territoriale il triage si applica in modo du-
plice: esiste un triage che il medico applica quando si trova di fronte ad un
numero di feriti discreto, con la possibilità per tutti di ricevere un tratta-
mento anche se non contemporaneo, mediante la richiesta e l’invio di più
mezzi di soccorso. In questo caso il triage serve a stabilire quale paziente
abbia necessità del trattamento immediato e quale possa attendere l’arrivo

27
dei successivi mezzi di soccorso. Questo tipo di triage è quello che più fre-
quentemente viene applicato in emergenza territoriale (ad esempio in un
incidente stradale con più di un ferito).
Quando però, nello stesso incidente stradale vi siano molti feriti che per la
gravità delle lesioni richieda un sostegno immediato delle funzioni vitali,
e vi sia solo un equipaggio sulla scena, si deve introdurre il concetto di
maxiemergenza e conseguentemente cambiare tecnica di triage, stabi-
lendo quale paziente trattare e quale no.
Questo metodo di triage è quello che si applica anche quando il numero
di feriti da trattare diviene talmente grande da creare per un tempo più
lungo, una sproporzione con le risorse disponibili al loro trattamento.
In questo caso si parla di catastrofe o, nel mondo anglosassone, di disa-
stro. Il termine catastrofe, infatti indica un evento dannoso per la comunità,
che crea uno sconvolgimento dell’ordine delle cose, della salute e dell’eco-
nomia all’interno di essa.

Protocolli di triage: è l’insieme di parametri che l’operatore deve consi-


derare per applicare il processo di triage stesso.
Esistono diversi protocolli di triage che si applicano per l’ambito intra o ex-
traospedaliero, per la maxiemergenza o la catastrofe e che variano a se-
conda della nazione che consideriamo.
Ogni protocollo di triage deve rispondere a esigenze precise come:
- facile memorizzazione
- rapida esecuzione
- elevata riproducibilità da parte di operatori con diversa tipologia e grado
di preparazione
- attendibilità nell’individuazione delle priorità di trattamento
Lo scopo di questo capitolo, comunque, non è quello di addestrare e pre-
parare il soccorritore volontario al triage, in quanto esso è e deve rimanere
un compito che spetta agli operatori sanitari professionali, per la sua deli-
catezza e per l’importanza delle decisioni di vita e di morte. Per questa ra-
gione, anche se a mio avviso il protocollo di triage italiano non rappresenta
il protocollo più valido a disposizione, sarà quello presentato in questo libro
in quanto ha il vantaggio di non prevedere la constatazione dei decessi
sul campo e quindi può, in casi estremi, essere applicato anche da soc-
corritori non professionali.

28
C.E.S.I.R.A.

SI Il protocollo italiano CE-


IL PAZIENTE
VERDE SIRA suddivide in tre
CAMMINA ?
classi di triage i pa-
NO zienti.
SI Le valutazioni che de-
È PRIVO DI
COSCIENZA ?
ROSSO vono essere fatte corri-
spondono alle iniziali
NO dell’acronimo CESIRA.
SI Esso prevede la valuta-
GRAVI zione della coscienza,
EMORRAGIE ?
ROSSO
della presenza di emor-
NO ragie gravi, dello stato
SI di shock, della presenza
ROSSO di insufficienza respira-
SHOCK ?
toria, di rotture e di altre
lesioni, attribuendo co-
NO
dici:
SI
INSUFFICENZA verde (urgenza dilazio-
RESPIRATORIA ?
ROSSO nabile nel tempo) a
rosso (emergenza con
NO necessità immediata di
SI trattamento).
ROTTURE
OSSEE ?
GIALLO Come già detto, il proto-
collo CESIRA non pre-
NO vede pazienti da non
SI trattare per le loro con-
ALTRE dizioni particolarmente
LESIONI ?
GIALLO
gravi.

Questo protocollo è di scarsa o nulla utilità nel triage delle maxiemergenze sia intra
che extraospedaliere dove il triage è eseguito da personale professionista.

29
S.T.A.R.T.

Un altro metodo utilizzato dal sistema 118 Soccorso per effettuare Triage
a livello extraospedaliero è lo S.T.A.R.T., acronimo di Simple Triage And
Rapid Treatment (“Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sa-
nitari nelle catastrofi” G.U. serie generale n. 81 del 6 aprile 2001) che for-
nisce ai soccorritori un semplice approccio passo-passo (step-by-step),
per valutare in breve tempo un grande numero di pazienti. Il metodo
S.T.A.R.T., infatti, consente un triage estremamente rapido (max 30 se-
condi a paziente), è semplice, facile da ricordare e da eseguire, tanto da
essere uno dei metodi di triage extraospedaliero più diffusi in Italia e nel
Mondo. Il metodo S.T.A.R.T,, inoltre, è adatto a Team misti di professio-
nisti Medici, Infermieri, e Soccorritori Volontari, e si presta ad essere effi-
cacemente utilizzato in tutti i casi in cui si renda necessario in ambiente
extraospedaliero eseguire un triage (luogo evento, P.M.A, fase di ospeda-
lizzazione). Il personale, sanitario e non, addetto al triage, assume un ruolo
molto particolare, poiché deve avere la capacità di riconoscere, in tempi
molto limitati, la gravità delle condizioni dei coinvolti, applicando un metodo
oggettivo e scarsamente condizionato dall'operatore.
I codici di criticità attribuiti ai pazienti secondo i vari tipi di triage sono di
tipo numerico o codici colore, come espresso nella tabella che segue:
Codice colore Priorità Descrizione
Pazienti con lesioni che li pongono in immediato rischio
ROSSO 1 di vita ma che possono essere trattate con successo
Pazienti con lesioni potenzialmente pericolose ma che
GIALLO 2 al momento non mettono a rischio la vita del paziente
Pazienti con lesioni non gravi che possono
VERDE 3 avere un trattamento dilazionabile
NERO 4 Pazienti deceduti

Gli strumenti indispensabili per un triage efficace ed efficiente sono con-


tenuti nel kit ambulanza contenente: fascette colorate per l'attribuzione del
codice colore, penne, torce e D.P.I. (dispositivi di protezione individuale).
Le squadre di triage impegnate sul cantiere apporranno ai pazienti le fa-
scette del colore appropriato.
Per applicare il metodo START il soccorritore deve porsi 4 semplici do-
mande ed eseguire se necessarie solo poche manovre salvavita.

30
START

IL PAZIENTE PUÒ SI
CAMMINARE ? VERDE

NO

IL PAZIENTE LIBERA
BLU
NO NO
RESPIRA ? VIA AEREE

SI

ATTI RESPIRATORI ATTI RESPIRATORI SI ROSSO


MINORI DI 30 AL MINUTO MAGGIORI DI 30 AL MINUTO

POLSO RADIALE NO ROSSO


PRESENTE

SI
NO ROSSO
ESEGUE ORDINI
SEMPLICI ?
SI GIALLO

31
LE MANOVRE DEL TRAUMA

Accanto alle conoscenze teoriche che sono elemento fondamentale nel


supporto vitale al traumatizzato, devono essere acquisite abilità pratiche
che riguardano l’estricazione, l’immobilizzazione ed il trasporto del pa-
ziente politraumatizzato.
Per tale ragione, in questa sezione sono riportate in modo dettagliato e
preciso le principali manovre che possono essere necessarie durante la
gestione del traumatizzato.
Sono convinto che quelle che seguono non rappresentano l’unica modalità
per gestire e mobilizzare un paziente traumatizzato ma sono comunque
un mezzo scientificamente rigoroso per uniformare i comportamenti delle
varie realtà locali del soccorso.
È il Team Leader che decide l’esecuzione di ogni manovra da eseguire,
adattandola caso per caso allo scenario che si trova a dover gestire.

33
Estricazione rapida

Obiettivo:
a. rimozione dall’auto di un ferito che
presenta alterazione di uno o più dei
parametri vitali.
b. rimozione di un ferito dall’auto per
accedere ad un altro ferito che pre-
senta alterazione di uno o più dei pa-
rametri vitali.
c. rimozione di un ferito in presenza
di un rischio evolutivo

Modalità di esecuzione:
T.L., 1°, 2° soccorritore, Autista.
L’estricazione deve essere conclusa
in 60”. Dopo l’esecuzione della valu-
Fig. 1
tazione rapida, il 1° si posiziona al-
l’esterno della vettura e mantiene la
testa in posizione neutra mentre.(Fig. 1)

Il T.L. disinserisce la chiave dal qua-


dro, se non già disinserita dall’auti-
sta.(Fig. 2)

Fig. 2

34
Fig. 3 Fig. 4

Il 2° posiziona il collare cervicale


entrando dalla parte opposta
dell’abitacolo (se questa non
fosse accessibile, il compito
spetta al T.L.) mentre il T.L. spo-
sta il paziente delicatamente in
avanti per facilitare l’inserimento
del collare. (Fig. 3-4)

Mentre il T.L. ed il 1° si prepa-


rano all’inizio dell’estricazione, il
2° si accerta della mobilità degli
Fig. 5
arti inferiori del paziente. (Fig. 5)

35
Fig. 6

T.L. e 1° cominciano la rotazione


mentre il 2° solleva e ruota gli arti in-
feriori (Fig. 6).
A questo punto il 2° raggiunge gli altri
due soccorritori e aiuta l’estricazione
del paziente prendendo la parte de-
stra mentre l’autista “zeppa” l’asse
spinale tra il sedile e i glutei del pa-
ziente.

Fig. 7

Quindi, mentre l’autista tiene salda-


mente l’asse spinale, e il 1° mantiene
la testa in posizione neutra, il T.L.
adagia il paziente sull’asse. (Fig. 7)

36
Fig. 8

Mentre l’autista
tiene saldamente
l’asse spinale, e
il 1° mantiene la
testa in posi-
zione neutra, il
T.L. aspetta il 2°
per prenderlo
sotto alle ascelle
e farlo scivolare
sull’asse in modo
che la testa arrivi
sul cuscino del-
l’asse spinale.
(Fig. 8-9)

Fig. 9

37
Estricazione convenzionale

Obiettivo:
rimuovere in sicurezza un ferito dall’auto immobilizzandolo con un corsetto
estricatore (uno dei più diffusi è il Kendrik Extrication Device).

Per la complessità della manovra e per il tempo necessario al corretto po-


sizionamento del KED (Fig. 1), l’estricazione convenzionale deve essere ri-
servata a situazioni stabili dal punto di vista della sicurezza dello scenario
e da quello dei parametri vitali del paziente, che non deve, inoltre, presen-
tare lesioni evolutive.
Per poter eseguire l’astricazione convenzionale, dobbiamo inoltre, avere
piena accessibilità al mezzo incidentato, preferendo, in caso contrario
l’estricazione rapida.

Fig. 1

38
Fig. 2
Modalità di esecuzione:

T.L., 1°, 2° soccorritore, Autista.

L’estricazione deve essere conclusa in


4-5 minuti.

Fig. 3

Il 1° entra in auto e mantiene la testa


dell’infortunato in posizione neutra di-
ventando il leader di manovra. (Fig 2-3)

39
Fig. 4
Il T.L. sposta delicatamente il to-
race del paziente in avanti per fa-
cilitare l’inserimento del collare
da parte del 2° (Fig. 4-5)
Fig. 5

Fig. 6

Una volta applicato il collare cer-


vicale, il 2° si porta dal lato del
paziente e si prepara all’inseri-
mento del KED in modo che l’ala
del corsetto risulti piegata verso
l’esterno e non si incastri nello
schienale. (Fig. 6)

40
Una volta inserito il KED fino in fondo al sedile, il 2° apre l’ala piegata e si
riporta dalla parte opposta dell’abitacolo, nel veicolo in modo da comple-
tare il posizionamento del KED assieme al T.L. Il 2° ed il T.L. adagiano il
paziente sul corsetto, fissano la testa con le due cinghie facendole passare
dalla fronte e dalla mentoniera del collare, ed agganciandole incrociate sul
velcro del corsetto. (Fig 7, 8,9,10)

Fig. 7 Fig. 8

Fig. 9 Fig. 10

41
Fig. 11
Se necessario è possibile inserire tra
il corsetto e la testa del pazienti l’ap-
posito guancialino di corredo per
mantenere la posizione neutra
Il T.L. ed il 2º agganciano le cinghie
addominali dall’alto verso il basso.
(Fig. 11)

e successivamente passano i cosciali


sotto le gambe del paziente e li ag-
ganciano stringendoli in modo incro-
ciato. (Fig 12)
Fig. 12

Fig. 13

Nel caso di sospetta frattura del ba-


cino i cosciali vengono fissati in modo
diretto, non incrociato.

Il T.L. stringe le cinghie addominali


dall’alto verso il basso avendo cura di
rincalzare l’eccesso delle cinghie in
modo da non intralciare le manovre di
estricazione. (Fig. 13)

42
Fig. 14 Fig. 15

Fig. 16

Il 2° sposta le gambe dell’infortunato men-


tre il T.L. e il 1° (uscito dall’abitacolo)
cominciano la manovra di rotazione e di
abbassamento del tronco in modo da ren-
dere possibile il superamento del montante
dello sportello. (Fig 14-15).

Fig. 17
L’autista al
momento
della com-
pleta rota-
zione del
paziente in-
serisce
l’asse spi-
nale tra i
glutei e il se-
dile. (Fig 16-17)

43
Quando il paziente risulta sdraiato sui sedili, il 2º si porta dalla parte della
testa e aiuta il T.L. alla estrazione del paziente mentre il 1º continua a te-
nere la testa per limitarne i movimenti. (Fig 18)

Fig. 18

Una volta che la vittima viene adagiata sull’asse spinale, dobbiamo allen-
tare le cinghie cosciali e anche quelle addominali per facilitare la respira-
zione.

44
La manovra di Rautek

La manovra di Rautek rappresenta una soluzione estrema nel campo


dell’estricazione dal veicolo di un paziente traumatizzato.
Essa è stata pensata e studiata per evacuare un ferito in condizioni di sce-
nario non stabilizzato e pertanto contraddice il dogma dell’autoprotezione
del soccorritore, e come tale non deve essere messa in pratica dall’equi-
paggio dell’ambulanza.
Per volere della Regione Toscana, in ogni caso, deve fare parte della for-
mazione del soccorritore volontario che dovrà comunque preferire l’estri-
cazione rapida con asse spinale nei casi in cui lo scenario sia stabile e
sicuro.
Negli altri non dovrà avvicinarsi alla scena se non quando essa sia dive-
nuta o resa sicura dal personale competente (VV.FF, CC,VV.UU. ecc.).
• La manovra di Rautek non offre alcun tipo di garanzia di allineamento
testa-collo-tronco per l’infortunato esponendolo a rischi reali di danni se-
condari.
• Questa manovra è oltremodo faticosa e rischiosa anche per il soccorri-
tore che si troverà a dover sollevare, ruotare e sostenere da solo il peso
del paziente, con ulteriore rischio di trauma per la coppia soccorritore-pa-
ziente.
• In questa ottica di sicurezza per soccorritori e ferito, l’uso della manovra
di Rautek è da abbandonare nell’ambito del soccorso riservandolo solo a
quelle situazioni in cui non vi sia disponibile un’asse spinale (e quindi non
vi sia un mezzo di soccorso) e in cui vi sia uno scenario stabile ma un pa-
ziente virtualmente incarcerato che necessiti di immediati trattamenti ria-
nimatori.
• Questa manovra, di cui peraltro esistono alcune varianti, sta scompa-
rendo da molti libri sul soccorso extraospedaliero al trauma sia statunitensi
che europei.
Per tutte queste ragioni, pratiche, di sicurezza, etiche e anche medico-le-
gali deve essere sempre preferita l’estricazione rapida con asse spinale.

45
La manovra di Rautek effettuata da un
unico soccorritore che, dopo aver effet-
tuato una valutazione rapida e controllato la
mobilità degli arti inferiori rispetto alle strut-
ture del veicolo, si pone a lato del ferito fa-
cendo passare il proprio arto superiore
destro dietro le spalle dell’infortunato, sotto
l’ascella destra del medesimo ad afferrare il
polso sinistro. (Fig. 1, 2, 3)

Fig. 1

Fig. 2

L’altro braccio, fatto


passare al di sotto
dell’ascella sinistra
va ad afferrare ed
immobilizzare la
branca mandibolare.
(Fig. 4)

Fig. 3

Fig. 4

46
L’estrazione avviene facendo compiere al
traumatizzato una rotazione sul sedile così
da presentare il paziente con le spalle alla
portiera. Nel caso che il ferito da estricare
sia dal lato opposto alla guida, la manovra
sarà la stessa ma con l’inversione degli arti
sia del soccorritore che del ferito.
(Fig. 5, 6, 7,8)

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

47
Posizionamento del collare cervicale

Obiettivo:

mantenere l’allineamento del rachide cervicale nel paziente vittima di un


trauma. L’utilizzo del collare cervicale è obbligatorio i tutti i pazienti trau-
matizzati ad eccezione dei feriti da arma da taglio (a meno che le ferite
non riguardino ovviamente la regione del collo).

Modalità di esecuzione:
due soccorritori sia con il collare monovalva che con quello bivalva.
Fig. 1
Il 1º mantiene da dietro la posi-
zione neutra spiegando al paziente
(se cosciente) cosa verrà fatto.
Il T.L. posiziona il collare mono-
valva impugnandolo per la zona
del mento e facendo passare la
parte posteriore da dietro la nuca
avendo cura di evitare sia i capelli
lunghi che i colli di giacche o giac-
coni e possibilmente anche pinze
fermacapelli e collane. (Fig. 1)

Una volta passato il collare, provvede a stringere la chiusura a velcro ser-


rando in modo adeguato il collare attorno al collo. (Fig. 2-3)

Fig. 2 Fig. 3

48
Per valutare se il collare è correttamente stretto, dobbiamo far parlare il
paziente (se cosciente) e verificare l’impossibilità di muovere la mandibola.
In ogni caso, non deve essere possibile inserire un dito tra il collo ed il col-
lare. Per l’inserimento del collare bivalve, il 1º mantiene la testa in posi-
zione neutra mentre il T.L. posiziona la parte anteriore del collare. (Fig. 4-5)
Fig. 4 Fig. 5

Successivamente il T.L. inserisce la parte posteriore e la chiude sempre


con il velcro anteriormente. (Fig 6-7)

Fig. 6 Fig. 7

49
Fig. 8

Per ambedue i tipi di collare, esistono diverse misure (che devono essere
presenti in ambulanza), comprese quelle pediatriche.
Si trovano in commercio collari monovalva adattabili a più misure mediante
una levetta di sblocco che fa alzare la parte anteriore e posteriore del col-
lare.
La misura corretta del collare è quella che deve permettere l’inserimento
conservando la posizione neutra della testa, poggiando con il suo margine
inferiore sul giugulo e con il suo margine superiore sulla mandibola ante-
riormente e sull’occipite posteriormente. (Fig. 8)
Un collare troppo basso tenderà a far flettere la testa in avanti, mentre uno
troppo grande farà estendere la testa all’indietro.
Il solo utilizzo del collare cervicale non garantisce un’adeguata immobiliz-
zazione del radiale cervicale, perciò il mantenimento del C-spine deve
proseguire fino alla immobilizzazione definitiva con cunei e lacci fermacapo
su asse spinale.

50
Rimozione del casco

Obiettivo:

rimuovere il casco (motociclistico, da lavoro ecc...) nel paziente trauma-


tizzato in modo da non esporre a rischi il rachide cervicale e rendere le
vie aeree disponibili per eventuali manovre; rendere immobilizzabile il pa-
ziente su asse spinale.
Fig. 1 Fig. 2

Fig. 3

Modalità di esecuzione:

la rimozione del casco viene ese-


guita solo con paziente riportato in Fig. 4

posizione supina mediante manovra


di prono-supinazione. (Fig.1)
Il 1º mantiene la posizione neutra
della testa afferrando il casco dai lati
(Fig. 2)
e dà l’OK al 2º che, slacciato (o
tagliato) il sottogola, passa le mani
sotto al casco per afferrare l’occipite
e gli zigomi. (Fig 3-4)

51
Fig. 5
La mano sull’occipite deve essere
posizionata in modo che le prime tre
dita aperte a ventaglio sostengano la
testa quando il casco verrà rimosso,
evitando l’estensione della stessa.
(Fig. 5)

All’OK del 2° il 1° comincia a rimuo-


vere il casco con movimenti alternati
Fig. 6 in avanti e indietro in modo da evi-
tare eccessive sollecitazioni alla
testa (Fig. 6-7) e avverte il 2° prima di ri-
muovere completamente il casco in
modo che si prepari a sorreggere la
testa.
Fig. 8

Il casco può essere rimosso quando


Fig. 7 la piramide nasale esce quasi com-
pletamente dal margine inferiore
della mentoniera.

Il 1° riprende la testa in posizione


neutra (Fig. 8) dando modo al 2° di po-
sizionare il collare cervicale.
(vedi paragrafo su posizionamento
del collare cervicale).

52
Pronosupinazione (roll-over)

Obiettivo:

Riportare in posizione supina il ferito trovato prono in modo da poter appli-


care la valutazione primaria.

Modalità di esecuzione:
la manovra deve essere eseguita con tre soccorritori.

I soccorritori si posizionano dalla parte opposta rispetto a dove guarda il


paziente in quanto la rotazione avverrà dalla parte opposta rispetto a dove
è ruotata la testa.
Il 1° si posiziona alla testa del Fig. 1

ferito inserendo le mani ai lati


della testa in modo da rendere
agevole il mantenimento della
posizione neutra durante la ma-
novra.
Il T.L. ed il 2º si posizionano di
fianco con le mani incrociate a
livello della spalla, del fianco,
del bacino e delle gambe,
avendo cura di cingere anche il
polso con la mano del T.L. (Fig. 1)

Fig. 2

Al via del 1° il T.L. ed il 2° co-


minciano a ruotare di 90° il pa-
ziente. (Fig. 2)

53
Fig. 3
A questo punto il T.L. può prendere
la testa per dar modo al 1° di spo-
starsi più di lato e di riposizionarsi
per completare la manovra. (Fig. 3-4)

Tale manovra, non sempre si rende


necessaria.

Fig. 4

Fig. 5
Ripresa in mano la testa, il 1º dà il
via per completare il roll-over e
adagiare a terra il paziente. (Fig. 5-6)

Fig. 6

Da notare che le mani dei soccorri-


tori, per adagiare a terra il ferito si
spostano verso la zona posteriore
del paziente per “frenare” la discesa
del corpo.

54
Pronosupinazione su spinale

Obiettivo:

Ruotare il paziente direttamente su asse spinale.

Modalità di esecuzione:
come per la manovra precedentemente descritta occorrono tre soccorri-
tori più un quarto soccorritore (auti- Fig. 7
sta) che deve inserire al momento
opportuno l’asse spinale.

Arrivati alla fase descritta in figura (Fig. 7)


l’autista inserisce dai piedi del ferito
l’asse spinale in modo da farla scor-
rere fino alla testa. (Fig. 8)

(sarà cura del 1° accertare l’arrivo del


Fig. 8
cuscino della spinale all’altezza della
testa del paziente),

e successivamente il T.L. ed il 2° spo-


stano la mano più lontana dalla testa
sul fianco e sulla spalla inferiori men-
tre le altre due mani afferrano le ma-
niglie dell’asse spinale e sollevano il Fig. 9

ginocchio più vicino alla testa per


poter alzarsi al momento della di-
scesa del paziente. (Fig. 8-9)

55
Fig. 10
I particolari della posizione delle mani
e delle gambe del T.L. e del 2° sono
illustrati in figura. (10-11)

Fig. 11
A questo punto il 1° dà il via per pro-
cedere ad una rapida discesa della
spinale e del paziente in terra mentre
i due si allontanano dalla spinale al-
zandosi in piedi. (Fig. 12-13)

Fig. 12

Fig. 13

Può essere talvolta necessario cen-


trare il paziente sull’asse con un sol-
levamento a ponte.

56
Pronosupinazione su spinale a tre soccorritori

Obiettivo:

Ruotare il paziente direttamente su asse spinale in presenza di tre soc-


corritori di Livello Avanzato

Modalità di esecuzione:
la manovra si esegue con tre
soccorritori. I soccorritori si
posizionano dalla parte op-
posta rispetto a dove guarda
il paziente in quanto la rota-
zione avverrà dalla parte op-
posta rispetto a dove è
ruotata la testa.

Fig. 1

Il 1 ° si posiziona alla testa del ferito inserendo le mani ai lati della testa in
modo da rendere agevole il mantenimento della posizione neutra durante
la manovra. Il T.L. ed il 2º si posizionano di lato avvicinando la tavola al
fianco del ferito. (Fig. 1)

Il T.L. ed il 2° si posizionano
con le ginocchia sopra la spi-
nale. (Fig. 2)

Fig. 2

57
Il T.L. ed il 2º si po-
sizionano con le
mani incrociate a li-
vello della spalla,
del fianco, del ba-
cino e delle gambe,
avendo cura di cin-
gere anche il polso
con la mano del T.L.
(Fig. 3)

Fig. 3

Al via del 1° il T.L.


ed il 2° ruotano di
90° il paziente. (Fig. 4)

Fig. 4

58
Fig. 5

A questo punto il T.L. ed il


2° scendono dalla tavola.
(Fig. 5)

Al nuovo via del 1°, i 2


soccorritori portano il pa-
ziente in posizione supina
con un movimento rapido
adagiandolo sulla tavola.
(Fig. 6)

Fig. 6

59
Caricamento su spinale (log-roll)

Obiettivo:

Ha lo scopo di caricare su asse spinale il paziente una volta ricondotto alla


posizione supina.
Fig. 1
Modalità di esecuzione:
per questa manovra sono necessari
tre soccorritori più l’autista.
Dalla posizione neutra con il 1º soc-
corritore alla testa, il T.L. ed il 2º si po-
sizionano al fianco con le mani
incrociate e in modo da bloccare le-
mani della vittima. (Fig. 1)

Fig. 2
Al via del 1º viene eseguita una rota-
zione in asse di 90° ed in questa fase
il T.L. può ispezionare il dorso del pa-
ziente alla ricerca di lesioni. (Fig. 2)

Fig. 3
A questo punto l’autista inserisce a
45° l’asse spinale. (Fig. 3)

60
Fig. 4
Al nuovo via del 1°, i quattro soc-
corritori riportano il paziente in
posizione supina con un movi-
mento rapido e contrario al prece-
dente. (Fig. 4)

Fig. 5
Può essere necessario eseguire
un sollevamento a ponte per cen-
trare il paziente sull’asse. (Fig. 5)

Fig. 6 Fig. 7

In (Fig. 6) è mostrata la
posizione del T.L. e
del 2° durante il solle-
vamento a ponte
(omesso per esigenze
fotografiche) il 1° soc-
corritore alla testa.

La (Fig. 7) mostra la po-


zione delle mani dei
soccorritori per ese-
guire il sollevamento a
ponte.

61
Fig. 1
Caricamento su spinale
con cucchiaio

Obiettivo:

Posizionare il ferito sull’asse spinale


senza esecuzione di rotazione in
asse. Tale tecnica è da preferirsi
Fig. 2 quando i componenti dell’equipe di
soccorso non sono adeguatamente
addestrati al caricamento diretto con
rotazione in asse.

Modalità di esecuzione: la manovra


prevede la presenza di tre soccorri-
tori, e può esporre la testa ed il ra-
chide cervicale a movimenti
Fig. 3 soprattutto nelle fasi di chiusura e
apertura delle serrature del cucchiaio.

Il 1º mantiene la testa in posizione


neutra stando però al davanti del pa-
ziente per non intralciare il T.L. che
dovrà chiudere il cucchiaio alla sua
estremità craniale. (Fig. 1)

Fig. 4 Fig. 5
Una volta che la chiusura
del cucchiaio è comple-
tata, al via del 1º si pro-
cede allo spostamento del
ferito sull’asse spinale e
sempre mantenendo l’im-
mobilizzazione della
testa, alla rimozione del
cucchiaio. (Fig. 2-3-4-5)

62
Fig. 1
Posizionamento dell’asse spinale
al paziente in piedi

Obiettivo:

Sebbene raramente utilizzato, il carica-


mento su spinale del paziente in posizione
Fig. 2
eretta è comunque da preferire in senso as-
soluto al far adagiare a terra il paziente per
caricarlo successivamente con una mano-
vra a terra.

Modalità di esecuzione:

sono necessari tre soccorritori e l’autista.

Il 1º avverte il paziente della manovra che


verrà eseguita e si porta quindi dietro ad
esso per mantenere la testa in posizione
neutra dando modo al T.L. di posizionare il
collare cervicale. (Fig. 1)
Fig. 3
A questo punto l’autista inserisce lateral-
mente e in obliquo l’asse spinale facendo
attenzione a non colpire il paziente. (Fig. 2)
Il TL ed il 2° centrano l’asse spinale sul pa-
ziente e passano il loro braccio interno sotto
l’ascella del paziente e afferrano con la
stessa mano la maniglia dell’asse spinale.
Con il braccio esterno afferrano la spalla del
paziente. Con il piede interno puntellano la
base dell’asse spinale per evitare che essa
scivoli improvvisamente nella fase di di-
scesa.
Il 1° si mantiene dietro il paziente e dietro
l’asse spinale. (Fig. 3)

63
Fig. 4

In (Fig. 4) viene mostrato il particolare


delle braccia di un soccorritore.

Fig. 5
Al via del 1° si esegue una lenta di-
scesa spingendo il paziente verso
l’asse spinale e mantenendo puntellata
la base dell’asse con il piede interno
mentre gradualmente il T.L. ed il 2° si
portano di lato all’asse e si piegano
verso terra e il 1° indietreggia e si piega
verso il basso. (Fig. 5)

Fig. 6
Alla fine della manovra il paziente si
trova sull’asse spinale e può essere
necessario riportarlo più in alto o più in
basso lungo l’asse spinale (a seconda
che il paziente sia basso o alto, rispet-
tivamente) facendolo scivolare sul-
l’asse con il 1° che mantiene la
posizione neutra della testa. (Fig. 6)

64
Fissaggio del paziente
sull’asse spinale

Obiettivo:

Assicurare il paziente sull’asse


spinale in modo da garantire
l’allineamento testa, collo,
tronco e rendere possibile mo-
Fig. 1 vimenti di rotazione sull’asse
maggiore e sull’asse minore
della tavola senza arrecare
danni al paziente. Al tempo
stesso, consente una adeguata
protezione termica fino all’arrivo
in ospedale.

Modalità di esecuzione:

almeno due soccorritori.


Il 1º continua a mantenere la
Fig. 2
posizione neutra mentre il 2º
posiziona i cunei fermacapo fis-
sandoli sul cuscino dell’asse
spinale. (Fig. 1)

A questo punto il 2º posiziona le


cinghie per fissare la testa fa-
cendole pas-sare sulla fronte e
sulla mentoniera del collare,
serrando e fermando ciascuna
Fig. 3 di esse in modo contemporaneo
da entrambi i lati per non spo-
stare la testa del paziente. (Fig. 2-
3)

65
I lacci devono essere passati attraverso gli anelli di fissaggio posti in ge-
nere sul cuscino e poi ribattuti anteriormente su se stessi.
La fase successiva prevede il posizionamento delle cinghie per il tronco e
per gli arti (generalmente chiamate “ragno”).
I due soccorritori collaborano a distendere le cinghie sul paziente, tenendo
conto che esiste un davanti ed un dietro del ragno (generalmente indivi-
duabile leggendo semplicemente le scritte su di esso) e spostando le cin-
ghie laterali in modo che si trovino ognuna alla giusta altezza per poter
essere passate a livello delle spalle, del torace, del bacino, delle cosce e
dei piedi. (Fig. 4)

Fatto questo, i due soccorritori


l’uno di fronte all’altro, passano
ogni cinghia sotto la corrispon-
dente maniglia e la riportano a
chiudere sulla linea mediana
con il velcro.

Fig. 4

66
La sequenza di chiusura è la seguente:

① ② ③ ④ ⑤

① - Cinghia delle spalle:


deve passare sopra le spalle della vittima.

② - Cinghia del bacino:


deve essere passata sul bacino a meno che non vi sia una frattura
del collo del femore, nel qual caso è consigliato spostarla a monte
della frattura stessa.
Questa cinghia dovrebbe, al suo ritorno verso la linea mediana,
circondare i polsi del paziente, soprattutto se è incosciente o molto
agitato, per evitare che gli arti superiori cadano durante il trasporto
o siano di intralcio durante le manovre.

③ - Cinghia toracica.

④ - Cinghia delle gambe.

⑤ - Cinghia dei piedi:

è l’ultima cinghia e deve essere subito stretta in modo da non


doverci ritornare.

67
Per stringere le cinghie è
consigliato spostarsi al di
sopra del paziente in modo
da poter esercitare una tra-
zione uguale e simmetrica
delle due parti, destra e si-
nistra come per le cinghie
fermacapo (operazione fa-
cente capo al Team Lea-
der). (Fig. 5-6)

A questo punto dobbiamo


passare a stringere le altre
quattro cinghie in modo
simmetrico e nello stesso
ordine con il quale le ab-
biamo agganciate, ovvero-
sia quella alle spalle, al
bacino, al torace e infine
alle gambe. (Fig. 7)

Fig. 5-6
Dobbiamo fare attenzione
al posizionamento delle cin-
ghie toracica (nella donna)
e del bacino (nell’uomo)
perché la prima deve es-
sere passata sotto i seni o
ben al di sopra e la se-
conda non deve passare
sopra i genitali ma deve es-
sere fermata a livello della
cintura.

68
Di grande importanza è il posizio-
namento di una metallina (con la
parte argentata a contatto diretto
con il corpo) prima di posizionare
il ragno (omessa nelle foto per
esigenze fotografiche) in modo da
proteggere dalla dispersione ter-
mica il paziente traumatizzato.
(Fig. 8-9)

(vedi valutazione primaria)

Fig. 7

Fig. 8-9

69
Immobilizzazione di un arto

Obiettivo:

l’immobilizzazione di un arto ha lo scopo di impedire allo stesso di muo-


versi sia a livello della eventuale rima di frattura che a livello delle artico-
lazioni fisiologiche che permettono all’arto di muoversi.
Per questo motivo, l’immobilizzazione per essere efficace deve compren-
dere l’articolazione a monte e quella a valle della frattura.

Modalità di esecuzione: la modalità varia a seconda di quale sia l’arto da


immobilizzare ma soprattutto in base al livello della lesione.

Per le lesioni della gamba e dell’avambraccio, il metodo più utilizzato è


quello della steccobenda. Essa può essere una steccobenda semplice,
una steccobenda a depressione o una pneumostecca. In ogni caso ne-
cessitano almeno due soccorritori per il loro posizionamento.

STECCOBENDA

70
Fig. 1

Un soccorritore mantiene
l’arto in asse, esercitando
una lieve ma costante tra-
zione su di esso come illu-
strato. (Fig. 1)

Contemporaneamente sol-
leva leggermente l’arto in
modo da rendere possibile
un agevole posizionamento
della steccobenda al di sotto
Fig. 2 dell’arto con i lacci verso l’in-
terno ed il velcro verso
l’esterno. (Fig. 2)

Il soccorritore che ha posizionato la steccobenda procede quindi alla


chiusura dei lacci avendo cura di evitare il passaggio diretto del laccio su
una eventuale frattura esposta.
A questo punto, nel caso della steccobenda a depressione, il soccorritore
deputato alla trazione dell’arto si occupa della pompa per sgonfiare la stec-
cobenda, mentre l’altro soccorritore modella mano a mano sul paziente
lo sgonfiaggio. (Fig. 2)

71
Fig. 3

A posizionamento ultimato, è
buona norma valutare la pre-
senza dei polsi periferici ad
esempio il pedidio (Fig. 4) per
l’arto inferiore ed il radiale
per quello superiore.

In modo da non
gonfiare troppo la
stecca ed evitare
compressioni ar-
teriose. (Fig. 3)

Localizzazione
dell’arteria pedidia
per la valutazione
del corretto af-
flusso di sangue
al piede.

Fig. 4

72
Fig. 5
Nel caso del posizionamento
di una steccobenda rigida.
(Fig. 5)

Fig. 6

la manovra è simile a quella


precedentemente descritta
con in più il posizionamento
di un cuscino sopra l’arto
prima della chiusura delle
strisce di velcro.
(Fig. 6-7)

Fig. 7

73
Immobilizzazione dell’arto inferiore per la frattura di femore

Obiettivo:

Immobilizzare l’arto inferiore in caso di frattura di femore. In questa eve-


nienza, infatti, l’uso della steccobenda è di scarsa o nulla efficacia e può
addirittura essere deleterio.
Una possibile modalità di trasporto è quella sull’asse spinale: dobbiamo
considerare che già il posizionamento dell’asse insieme a quello del ragno,
garantisce una discreta stabilità dell’arto leso.
In aggiunta a questo, se le condizioni del ferito sono stabili e non vi sono
altre lesioni che rendono il paziente un politraumatizzato, possiamo adot-
tare la seguente tecnica di immobilizza-
zione che serve a ridurre il rischio di
movimento dell’arto e della rima di frat-
tura, riducendo sia l’incidenza di lesioni
vascolari e nervose che il dolore.

Modalità di esecuzione:
sono necessari tre soccorritori.
Mentre il 1º se necessario mantiene la
posizione neutra, il 2º ripiegata un’ala del
corsetto (Fig. 1) lo posiziona di fianco al pa-
ziente, accanto all’arto fratturato.
Fig. 2

Fig. 1

Successivamente i tre soc-


corritori eseguono una rota-
zione in asse ruotando
l’infortunato sulla gamba
sana e inseriscono il corsetto
precedentemente preparato.
Fig. 2

74
Fig. 3

Riportato in posizione supina


estraggono l’ala da sotto il pa-
ziente e, inserito il cuscino del
corsetto tra le gambe, comin-
ciano a chiudere le cinghie
dall’alto verso il basso.
(Fig. 3)

Fig. 4

Se vi è un altro soccorritore, du-


rante l’intera manovra esso può
mantenere leggermente in tra-
zione dalla caviglia l’arto frattu-
rato per evitare eventuali
movimenti dei monconi ossei.
(Fig. 4)

L’ultima parte della manovra


prevede la chiusura della parte
distale del corsetto con i lacci
fermacapo per bloccare l’artico-
lazione del ginocchio. (Fig. 5)
Fig. 5

75
Stabilizzazione della frattura di bacino

Obiettivo:

Stabilizzare il bacino che ha subito una frattura. La stabilizzazione esterna


della frattura di bacino può essere di grande importanza in quanto oltre ad
essere una manovra antalgica rappresenta un efficace metodo di emo-
stasi. Le fratture del bacino sono, infatti, a grande rischio di sanguinamento
e possono determinare shock emorragico.

Modalità di esecuzione: Sono necessari tre soccorritori.


Fig. 1
Mentre il 1º si occupa
della posizione neutra
della testa. (Fig. 1)

Fig. 2
il T.L. ed il 2º posizionano
il paziente sul cucchiaio.
(Fig. 2)

76
Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5

e preparano sull’asse spi-


nale il corsetto già aperto.
(Fig. 3-4-5)

77
Fig. 6
A questo punto il pa-
ziente viene posizionato
sull’asse spinale e viene
rimosso il cucchiaio.
(Fig. 6-7)

Fig. 7

Fig. 8

Il T.L. ed il 2º cominciano
la chiusura delle cinghie
stringendole in modo de-
ciso avendo cura di evi-
tare i genitali esterni nel
paziente maschio. (Fig. 8-9)

78
Fig. 9

Per completare l’immobilizzazione è necessario allacciare anche i lacci


fermacapo a livello delle gambe.
A questo è possibile completare l’immobilizzazione sulla tavola spinale.
La fissazione esterna sulla scena di una frattura di bacino si è rivelata di
potenziale beneficio per quanto riguarda il controllo dell’emorragia che può
essere estremamente copiosa in alcuni tipi di frattura.
Questo tipo di manovra intrapresa precocemente sulla scena favorisce,
riaffacciando le rime di frattura, l’emostasi tramite la coagulazione.
Per evitare che i coaguli eventualmente formati vengano rimossi, è impor-
tante evitare la mobilizza- Fig. 10
zione del bacino: per
questa ragione la palpa-
zione del bacino (Fig. 10)
durante la valutazione
primaria e secondaria
sono state sempre più
messe in discussione in
quanto faciliterebbero la
rimozione di detti coaguli
e la ripresa del sanguina-
mento.

79
IL CONTROLLO DELLE EMORRAGIE

Le emorragie sono eventi potenzialmente mortali che devono essere, se


possibile, controllati sulla scena. Per il soccorso extraospedaliero le emor-
ragie sicuramente più importanti sono quelle arteriose, riconoscibili per il
colore più acceso del sangue e dal fatto che, soprattutto all’inizio, sono
zampillanti. Le emorragie venose sono invece riconoscibili per il sangue
rosso scuro e per il fatto che la fuoriuscita del sangue è più lenta e non
zampillante in quanto la spinta della pressione venosa non è pulsatile ed
è molto più debole di quella arteriosa. Dobbiamo comunque considerare
che in molti casi l’emorragia arteriosa prevedendo lesioni di una certa ri-
levanza, si accompagna a quella venosa delineando un quadro di emor-
ragia mista. Le emorragie si possono dividere anche in base alla sede
ovverosia interna o esterna.
Le emorragie interne sono più difficili da diagnosticare in quanto possiamo
solamente accorgerci dei segni e dei sintomi che accompagnano e carat-
terizzano lo shock emorragico. In alcuni casi possono ridursi parzial-
mente con il proseguire del sanguinamento creando un aumento della
pressione nella cavità in cui l’emorragia sta avvenendo, ma in nessun caso
è possibile mettere in atto manovre di emostasi. Per questa ragione, il trat-
tamento di uno shock emorragico da emorragia interna non può essere
fatto sul campo, ma deve essere intrapreso in ospedale nel più breve
tempo possibile (scoop and run). L’emorragia esterna invece, è facile da
riconoscere ma presenta la caratteristica (quella arteriosa) di non poter
sviluppare nemmeno in parte una autoemostasi.
In ogni caso, qualsiasi emorragia arteriosa o mista deve essere trattata in
breve tempo perché può risultare rapidamente fatale.
Nel soccorso extraospedaliero l’emorragia arteriosa esterna deve essere
immediatamente trattata fin dal primo approccio al paziente traumatizzato
(in effetti il controllo delle emorragie sarebbe al punto C della Primary Sur-
vey ma viene applicato di fatto al punto A). Esistono molti modi di trattare
efficacemente una emorragia arteriosa sul campo. La manovra da preferire
è senza dubbio quella della compressione diretta del focolaio emorragico.
Trattandosi di una emorragia arteriosa la pressione da esercitare deve es-
sere maggiore della pressione arteriosa e quindi si tratta spesso di una
pressione cospicua. Inoltre, l’emorragie arteriose non hanno alcuna pos-

80
sibilità di risolversi spontaneamente grazie alla coagulazione del sangue,
per cui la compressione deve essere mantenuta per tutto il tempo, fino al-
l’arrivo in ospedale. Qualora la compressione diretta non riesca ad arre-
Fig. 1
stare l’emorragia o non vi sia la possibilità di
esercitarla (ad esempio nel caso di amputazioni
o di fratture esposte con lesione vascolare) dob-
biamo ricorrere alla compressione nei cosiddetti
punti di compressione arteriosa che si trovano
alle radici degli arti. Per le emorragie dell’arto su-
periore, la compressione è a carico dell’arteria
brachiale e si esegue sulla superficie interna del
braccio: dobbiamo comprimere l’arteria brachiale
tra il nostro pugno e l’omero. (Fig. 1)

Per l’arto inferiore il punto di compressione è l’ar-


teria femorale che decorre a livello dell’inguine
Fig. 2
per poi portarsi verso la coscia. (Fig. 2)

Tale punto di compressione è valido per tutte le


emorragie arteriose dell’arto inferiore.
In casi molto particolari possiamo ricorrere ad
emostasi con mezzi aggiuntivi.

Le situazioni che lo possono richiedere sono:

- la compressione diretta e quella


sui foci di compressione non ha dato
i risultati sperati
- quando non abbiamo a disposizione un
soccorritore che si possa occupare della
compressione
- quando si debbano soccorrere altri feriti
- quando si debbano percorrere tratti di
strada, scale, campi o comunque percorsi
che non permetterebbero il mantenimento
della compressione manuale.

81
Gli strumenti che possiamo avere a disposizione per questo scopo sul-
l’ambulanza sono molteplici.
Esistono dei lacci da emostasi (tourniquet), delle catene rivestite di
gomma, delle bende pneumatiche da gonfiare attorno all’arto ferito.
Questi strumenti sono comodi, efficaci e di facile applicazione.
Lo svantaggio rispetto alla compressione manuale è dato dal fatto che la
loro pressione si esercita in modo concentrico su tutta la circonferenza
dell’arto bloccando completamente l’afflusso ematico ai tessuti.
La compressione manuale, invece, permette il passaggio di sangue da cir-
coli collaterali che impediscono la completa ischemia dell’arto anche se
l’arteria principale è compressa.
Nel caso che l’emostasi con una di queste attrezzature debba essere man-
tenuta per tempi lunghi (superiore ai 30 minuti) è consigliabile segnare
l’ora del posizionamento e allentarla di tanto in tanto per qualche secondo.

82
LE USTIONI

Le ustioni sono lesioni a carico del tessuto cutaneo, sottocutaneo e anche


di altri organi e apparati causate dal trasferimento di energia verso questi
tessuti. L’agente ustionante può essere classicamente il calore (fiamma,
liquidi, vapori o corpi caldi) ma anche il freddo o agenti chimici caustici.
Una particolare tipologia di agenti ustionanti sono le radiazioni ionizzanti
che però, vista la grande pericolosità delle stesse devono essere trattate
da equipe specializzate.

La gravità dell’ustione si valuta considerando tre parametri:


- la superficie corporea ustionata
- il grado dell’ustione
- il coinvolgimento di particolari distretti corporei.

Per quanto riguarda la


valutazione della superfi-
cie ustionata, è ormai
adottata da tutti la cosid-
detta regola del 9, che
assegna ad ogni distretto
corporeo un valore per-
centuale (9%, appunto)
che permette di stimare
l’estensione dell’ustione.

Il calcolo della superficie


ustionata è diverso per
l’adulto e il bambino
come mostra la figura.

83
Per il grado dell’ustione dobbiamo suddividere la gravità in quattro (per al-
cuni tre) gradi.
• Le ustioni di primo grado interessano solo l’epidermide; un esempio di
ustione di primo grado sono le scottature solari.
La cute è dolente e arrossata e non vi è formazione di bolle o vescicole.
Le ustioni di primo grado guariscono senza lasciare cicatrici.
• Le ustioni di secondo grado, coinvolgono l’epidermide e il derma.
La cute dolente, a seconda della profondità dell’ustione, può essere ve-
scicolosa.
Sono in genere dovute a liquidi bollenti, vapore o fiamme.
• Nell’ustione di terzo grado (o a tutto spessore), la lesione giunge a coin-
volgere il grasso sottocutaneo. La cute è carbonizzata, pallida, non dolente
in quanto sono distrutte anche le terminazioni nervose dolorifiche.
Questa ustione non guarisce da sola ma si rende sempre necessario l’in-
tervento chirurgico.
• Le ustioni di quarto grado (per alcuni assimilate a quelle di terzo) arrivano
a coinvolgere il tessuto muscolare e osseo. Sono lesioni devastanti e pos-
sono mettere in immediato pericolo di vita il paziente.

USTIONE 1° GRADO
(eritema solare)

USTIONE 2° GRADO
(comparsa di flittene)

USTIONE DI 3° - 4° GRADO
(carbonizzazione tissutale)

84
Trattamento del paziente ustionato

La prima regola del soccorritore assume capitale importanza nel soccorso


al paziente ustionato in quanto il rischio di ustione può essere presente
anche per i soccorritori. In particolare questo rischio può derivare sia da
uno scenario ancora non messo in sicurezza dai vigili del fuoco o dalle
squadre antincendio che dalla presenza nell’ambiente di sostanze cau-
stiche potenzialmente dannose.
Inoltre, anche semplicemente il contatto con il paziente non precedente-
mente raffreddato, può rappresentare un pericolo.
Per questa ragione la prima manovra di soccorso al paziente ustionato
prevede l’allontanamento dell’agente ustionante ed il successivo raffredda-
mento con acqua o salina sterile.
Gli indumenti dell’infortunato devono essere rimossi, avendo cura di ta-
gliarli attorno alle zone in cui siano adesi alla cute.
In una fase successiva, l’ustione va coperta con una medicazione umida
con salina e con garze sterili.
Durante il trasporto, il paziente ustionato può essere soggetto ad ipotermia
e quindi dovrà essere ricoperto con metalline.
Qualora vi siano ustioni di 2° o 3° grado di una superficie corporea supe-
riore al 20%, ustioni di 4° grado superiori al 10%, oppure complicate da
frat-ture o altri traumi, o ustioni in neonati e anziani, dovrebbero essere
trasferite rapidamente in centri specializzati (Centri Grandi Ustionati) al
trattamento di questa patologia.
Tra le complicanze maggiori del paziente ustionato troviamo le infezioni
che possono facilmente insorgere in quanto la cute ustionata non è in
grado di agire come barriera per l’ingresso di germi dall’esterno.
Per prevenire questo grave rischio, è di fondamentale importanza il cor-
retto trattamento delle zone ustionate fino dal momento del soccorso
sulla scena.
Le ustioni possono inoltre interessare distretti particolari del corpo che in-
dipendentemente dal grado e dalla superficie di cute ustionata rappresen-
tano di per sé dei segnali di allarme per i soccorritori: l’evidenza di sputo
carbonaceo, peli del naso, della barba e cute del volto ustionati ci de-
vono far pensare che il paziente abbia respirato aria calda e che quindi
sia a grave rischio di insufficienza respiratoria acuta per ustione

85
delle vie aeree superficiali e profonde. Questo in genere suggerisce la ne-
cessità di assicurare una via aerea definitiva mediante tubo orotracheale
per il rischio di edema delle vie aeree che renderebbe estremamente dif-
ficoltosa o addirittura impossibile una adeguata ventilazione;
- in caso di incendio, il paziente può presentare immediatamente o a di-
staza di tempo problemi respiratori legati, oltre che a quanto detto nel
punto precedente, anche all’inspirazione di gas tossici, prevalentemente
monossido di carbonio e cianuri che richiedono ossigeno ad alti flussi
nell’immediato e possono comunque rendere necessaria anche l’ossige-
noterapia iperbarica;
- nelle ustioni da elettricità il paziente può presentare gravi alterazioni del
ritmo cardiaco che possono portare anche all’arresto cardiaco e che
fanno passare in secondo piano il problema ustione; inoltre il passaggio
della corrente elettrica può determinare contrazioni muscolari involontarie
che possono causare lesioni muscolo-scheletriche, sempre ricordare che
l’ustionato è un traumatizzato;
- nel caso di coinvolgimento degli occhi specialmente se dovuto a contatto
con sostanze chimiche, occorre rimuovere le eventuali lenti a contatto e
lavare abbondantemente gli occhi con acqua o meglio ancora con gluco-
sio al 5%, per raffreddare la superficie oculare ed allontanare l’agente
caustico che ha causato il danno.

86
CENNI DI TRAUMATOLOGIA SPECIALE

In questa sezione del manuale, vengono trattate in modo semplice e ge-


nerale le lesioni di ogni singolo apparato, che possono essere presenti nel
paziente politraumatizzato e che rivestono particolare importanza per la
loro gravità e per la loro frequente necessità di trattamento sul campo.

È importante perciò che il soccorritore conosca tali lesioni per poter, al me-
glio supportare il medico o l’infermiere nell’esecuzione delle manovre atte
a trattare queste lesioni in modo rapido ed efficace.

Questa parte del manuale rappresenta un utile strumento di approfondi-


mento pur non essendo indispensabile per la formazione di base di un
soccorritore.

87
Trauma cranico

Per trauma cranico si intende ogni trauma che interessi la scatola cranica
ad eccezione del massiccio faciale (per il quale usiamo più correttamente
la definizione di trauma faciale o cranio-faciale se associato al trauma cra-
nico).

Anatomia del cranio: (Fig.1)


Fig. 1

Massiccio
faciale,

Neurocranio

Base
cranica.

La particolare conformazione anatomica della scatola cranica (rigida ed


inespansibile tranne che nel bambino piccolo) e dell’encefalo in essa con-
tenuto (struttura molle e facilmente lesionabile in quanto sottoposta a con-
traccolpi sulle pareti del cranio) rendono particolarmente a rischio di lesioni
questo distretto, in particolare nelle cadute. (Fig. 1, 2 e 3)

89
Fig. 2

meccanismo di
lesione
encefalica per
urto frontale e
occipitale.

Fig. 3

meccanismo di
lesione
encefalica per
da contraccolpo
dell’encefalo.

90
Per quanto detto finora, i traumi cranici possono essere patologie rapida-
mente evolutive che necessitano di una ospedalizzazione rapida in un cen-
tro dotato di neurochirurgia e di una massima sorveglianza durante il
trasporto.
Un ematoma subdurale o una emorragia intracerebrale, infatti, possono
far aumentare rapidamente di volume l’encefalo, ma non potendo esso
espandersi all’interno della scatola cranica, si viene a creare un aumento
di pressione endocranica che sposta e comprime l’encefalo stesso provo-
cando gravi e potenzialmente mortali turbe del suo funzionamento.

Fig. 4

Ematoma extradurale:
notare la grave compressione dell’en-
cefalo:
si sviluppano piuttosto lentamente po-
tendo dare perdita di coscienza anche
dopo alcune ore (intervallo libero).

Fig. 5

Ematoma subdurale:
estremamente pericoloso per la vita
del paziente per il rapido sviluppo:
richiede immediato intervento neuro-
chirurgico.

91
Il trauma cranico può essere una patologia a rapida evoluzione, per questo
al punto D della Valutazione Primaria è stata inserita una seconda valu-
tazione; più accurata dello stato di coscienza in modo da poter valutare
(tramite AVPU o per i medici il Glasgow Coma Score) il livello di co-
scienza al nostro arrivo, durante il soccorso ed il trasporto.
Segnali di allarme per una situazione intracranica in evoluzione (ematoma
subdurale, extradurale o emorragia intracerebrale) sono:
• agitazione psicomotoria (eccitazione, delirio, ripetitività delle domande
del paz. incapacità di soccorrerlo, ecc.) da differenziare dagli stati di abuso
di sostanze stupefacenti, dallo spavento per l’accaduto e dall’ abuso di al-
cool.
• alterazione delo stato di coscienza (coma) è il classico segno di danno
neurologico. Il coma è l’incapacità di rapportarsi con l’esterno e può essere
già presente all’arrivo della squadra di soccorso e rimanere stabile durante
l’intervento, oppure iniziare o peggiorare durante il soccorso stesso.
• intervallo libero è tipico dell’ematoma extradurale ovvero nel quale la
raccolta di sangue avviene tra la dura madre e l’osso.
In questi pazienti in genere si ha una transitoria perdita di coscienza im-
mediatamente con il trauma (che i soccorritori non vedono ma che gli
astanti talvolta possono riferire) che si risolve dopo qualche minuto, seguita
anche a distanza di alcune ore da un’altra perdita di coscienza. L’intervallo
cosciente tra le due perdite di coscienza, durante il quale spesso si svol-
gono le operazioni di soccorso, viene detto intervallo libero o intervallo lu-
cido (libero da incoscienza). Se il secondo episodio di perdita di coscienza
accade abbastanza ravvicinato con il primo, è possibile che i soccorritori
lo possano vedere, presentandosi come un rapido e improvviso peggiora-
mento (o nuovo peggioramento, per meglio dire) dello stato di coscienza
del traumatizzato, magari durante il trasporto in ospedale!
• crisi epilettiche se associate ad un trauma cranico sono espressione di
sofferenza della corteccia cerebrale, la parte più nobile dell’encefalo.
• arresto respiratorio si accompagna ad un qualche grado di alterazione
della coscienza in genere piuttosto grave (coma).

92
Frattura della base cranica

Rappresenta una grave situazione clinica in quanto la base su cui l’ence-


falo poggia (la base cranica, appunto) viene fratturata da un trauma che
spesso riguarda il massiccio faciale (trauma faciale) o il massiccio faciale
e il cranio (trauma cranio-faciale). (Fig. 1)
La frattura della base cranica è una situazione grave in quanto:
- indica che le forze in gioco sono state rilevanti - possibili altre lesioni
associate al trauma cranico (lesioni vertebrali, toraciche, addominali)
- si può avere perdita di liquor, il fluido che circonda l’encefalo e che lo
protegge
- la lesione della base cranica, essendo quest’ultima una struttura ossea,
provoca quasi inevitabilmente anche lesioni del tessuto encefalico.
Segni e sintomi della frattura della base cranica possono essere: (Fig. 5)

• perdita di liquor dal naso


rinorrea

• perdita di liquor dall’orecchio


otorrea

• perdita di sangue dal naso


epistassi

• perdita di sangue dall’orecchio


otorragia

• ematoma orbitarlo
segno del procione
Fig. 1

• ematoma retroauricolare
segno di Battle

Il trauma cranico può essere l’unico trauma rilevante del paziente (trauma
cranico puro) o più frequentemente associarsi ad uno o più traumi di altri
distretti. I distretti più frequentemente associati sono il massiccio faciale,
il rachide cervicale e il torace.

93
Trauma faciale

Il trauma faciale è tipico dei motociclisti, soprattutto per la diffusione di ca-


schi non integrali (caschi jet) che non danno alcuna protezione a questo
distretto anatomico.

I pericoli immediati di un trauma faciale sono:

• ostruzione delle vie aeree per sangue, denti avulsi, protesi fratturate
• trauma laringeo
• trauma rachide cervicale
• trauma cranico associato

Il trauma laringeo presenta alcune peculiarità che meritano di essere ricor-


date. Una frattura laringea può comportare un grosso problema per la
pervietà delle vie aeree in quanto la laringe è posta subito al di sopra
della trachea e pertanto è l’organo della fonazione (con le sue corde vocali)
e regola il flusso d’aria verso i polmoni. Il paziente con trauma laringeo,
pertanto, presenterà alterazioni di queste due importanti funzioni:

• disfonia (voce rauca, flebile o alterata)


• enfisema sottocutaneo del collo (presenza di aria nei tessuti)
• stridore inspiratorio (tipo crisi d’asma)
• grave difficoltà respiratoria

Il suo trattamento è garantire una gestione avanzata delle vie aeree me-
diante IOT o cricotirotomia.
Per i soccorritori, è di vitale importanza la somministrazione di O2 ad alti
flussi, il decubito semiseduto (sollevando l’asse spinale) e l’allertamento
della C.O. per l’eventuale invio di una equipe ALS o per uno SCOOP AND
RUN.

94
Trauma vertebrale

Il paziente traumatizzato deve essere considerato come portatore di una


frattura vertebrale (e quindi a rischio di lesione spinale) fin quando le in-
dagini diagnostiche radiologiche non hanno dimostrato il contrario.
La colonna vertebrale è formata da: (Fig. 1)

7 vertebre cervicali
Fig. 1
12 vertebre toraciche
5 vertebre lombari
5 vertebre sacrali fuse insieme
4 vertebre coccigee fuse insieme

Fig. 2

Le vertebre hanno una confor-


mazione cava al loro interno in
modo da, una volta impilate una
sopra l’altra, formare uno spa-
zio per ospitare il midollo spi-
nale.(Fig. 2 A)

Vertebra in sezione
assiale al centro il
canale vertebrale.

95
Questo canale vertebrale protegge il midollo (che è una sorta di insieme
di fibre nervose) che rappresenta la continuazione dell’encefalo ed ha la
funzione di innervare tramite i nervi spinali tutto il nostro corpo ad ecce-
zione della testa, sia da un punto di vista motorio che sensitivo. Il problema
della frattura vertebrale è legato al fatto che essa può rendere instabile la
vertebra stessa creando così i presupposti per uno spostamento di una
parte di essa verso il canale vertebrale ed il midollo in esso contenuto.

Sezione della co-


lonna vertebrale:
trauma che deter-
mina frattura di
una vertebra con
conseguente spo-
stamento in avanti
(frecce grandi) del
corpo vertebrale e
compressione del
midollo nel canale
vertebrale (freccia
sottile).

La lesione midollare, quindi, si può creare per compressione e/o sezione


delle fibre nervose che decorrono all’interno del midollo spinale.
Per fortuna, solo una piccola percentuale delle fratture vertebrali si associa
alla ben più grave lesione midollare.
Questa può essere già presente come lesione primaria, all’arrivo dei soc-
corsi, oppure si può creare come lesione secondaria in conseguenza di
una frattura vertebrale gestita in modo scorretto dai soccorritori o dagli
astanti, non mantenendo la posizione neutra e non immobilizzando il pa-
ziente con gli appositi dispositivi (collare cervicale, asse spinale, KED).
Questa eventualità è particolarmente drammatica sia per motivi etico-mo-
rali che medico-legali.
Perciò dobbiamo sempre considerare il traumatizzato come portatore po-
tenziale di frattura vertebrale e quindi a rischio di lesione spinale.

96
Lesione midollare

Nei casi in cui una lesione midollare si sia realizzata, e il paziente sia co-
sciente e in parte collaborante, è possibile riconoscere alcuni segni e sin-
tomi tipici della lesione.
Questi variano a seconda del livello a cui essa si è realizzata, in quanto
tanto più alta è la lesione tanto più gravi saranno i danni, in considerazione
del fatto che ancora pochi distretti del nostro corpo hanno già ricevuto i
propri nervi dal midollo.
Quindi, una lesione cervicale in genere porta una tetraplegia (impossibilità
di muovere i quattro arti) o addirittura un arresto respiratorio per paralisi
anche dei muscoli della respirazione, mentre una lesione spinale toracica
bassa o lombare può causare una paraplegia (paralisi degli arti inferiori)
in quanto a questo livello i nervi per i distretti superiori (arti superiori, to-
race) hanno già lasciato il midollo.

I segni e sintomi più comuni di lesione spinale sono:

• dolore alla schiena (per la frattura vertebrale)


• formicolii agli arti
• insensibilità agli arti
• riduzione della forza o paralisi degli arti
• shock spinale

Attenzione:

• circa il 30% dei pazienti con fratture vertebrali non presenta dolore
• il paziente incosciente non può riferire i sintomi né collaborare
per evidenziare i segni.
• le fratture vertebrali sono più frequenti di quanto non si pensi, spesso
sono multiple e sono massimamente probabili nei traumi cranici
e toracici.

97
Shock spinale

Lo shock spinale è un tipo particolare di shock che si può realiz-zare a


seguito di una lesione spinale alta (cervicale o toracica) che provoca una
sezione dei nervi che controllano la vasocostrizione dei vasi sanguigni:
vi è una massiccia e brusca vasodilatazione del letto vascolare che rende
inadeguato il volume di sangue in esso contenuto realizzando una sorta
di shock ipovolemico (a differenza dello shock emorragico dove è il san-
gue ad essere diminuito, qui la quantità di sangue è normale ma è il con-
tenente, ovverosia i vasi, ad essere aumentato).
I segni e sintomi dello shock spinale differiscono almeno in parte da quelli
dello shock emorragico e sono:
Tab.1

PARAMETRO SHOCK EMORRAGICO SHOCK SPINALE


Stato di coscienza Alterato Normale
Freq. Respiratoria Aumentata Noemale o Aumentata
Pressione Artiosa Normale ➛ Diminuita Normale ➛ Diminuita
Frequenza Cardiaca Aumentata Diminuita
Cute Pallida, sudata fredda Rossa, calda
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLO SHOCK EMORRAGICO E DI QUELLO SPINALE

Dobbiamo comunque rammentarci che nel paziente politraumatizzato,


questi due shock possono anche coesistere nel caso che un paziente
abbia anche una grave emorragia arteriosa: in questo caso, in genere i
sintomi e i segni dello shock emorragico prevalgono, ad eccezione di
una mancata o più modesta tachicardia.

Trauma toracico

I traumi toracici sono classificabili in chiusi e penetranti e possono riguar-


dare la gabbia toracica ma anche gli organi in essa racchiusi (polmoni,
cuore, trachea, esofago, grossi vasi). I traumi toracici causano circa il 25%
delle morti per trauma. Alcuni pazienti mostrano i segni ed i sintomi del
trauma toracico direttamente sulla scena: altri solamente in ospedale.

98
Per questo motivo è di grande importanza anche la conoscenza della di-
namica dell’evento in modo da supporre anche in assenza di danni visibili
alla gabbia toracica il rischio di lesioni agli organi interni .(Fig. 1)
Le lesioni del torace possono essere dovute sia al trauma diretto (ad
esempio urto contro il volante dell’auto nel guidatore sprovvisto di cinture
di sicurezza) o anche ad un meccanismo di brusca accelerazione o dece-
lerazione (ad esempio nella caduta dall’alto). Un trauma toracico può cau-
sare alterazioni che se non riconosciute e trattate prontamente possono
causare il decesso del ferito sulla scena. Fig. 1

Le più comuni e gravi sono:

• Pneumotorace aperto
• Pneumotorace iperteso
• Lembo costale mobile (volet costale)
• Tamponamento cardiaco
• Emotorace per lesione dei grossi vasi
• Ostruzione delle vie aeree

I traumi del torace possono coinvolgere anche or-


gani addominali per la possibilità che le ultime coste, definite coste mobili
perché non direttamente attaccate allo sterno (e quindi più fluttuanti), pos-
sano essere spinte all’interno lesionando la milza (a sinistra) o il fegato
(a destra) per poi tornare nella loro posizione originale.

Attenzione a :

- dispnea o tachipnea
- shock in assenza di emorragie esterne
- lesioni toraciche visibili (ferite soffianti, volet costale, ferite penetranti)
- asimmetria della parete toracica
- desaturazioni con SpO2 < 90% in O2 o non rispondenti all’O2 terapia
- segni di contusione o ferite sulla parete toracica (es. segno delle cinture
di sicurezza) che possono sempre suggerire una lesione toracica mag-
giore.

99
Pneumotorace aperto

Il pneumotorace aperto è dovuto ad una lesione della parete toracica che


metta in comunicazione con l’esterno la cavità polmonare.
Il polmone è inserito in un sacco detto pleura che lo protegge.(Fig. 1)
Nel pneumotorace aperto, si ha aria che entra e che esce in modo sin-
crono con gli atti respiratori dalla cavità pleurica.(Fig. 2)

Fig. 1 Fig. 2

(Fig. 1)

Schema della circolazione polmonare, camere cardiache, laringe, trachea, polmoni grossi
vasi (aorta, arterie, vene polmonari).

(Fig. 2)

Meccanismo patologico del pneumotorace aperto.


Il polmone si collassa parzialmente e si riespande ad ogni atto respiratorio. Con la freccia
doppia è evidenziata la lesione toracica che fa entrare e riuscire l’aria mettendo in comu-
nicazione la cavità pleurica con l’esterno.

100
L’impatto respiratorio di questa lesione è considerevole ma raramente si
ha il decesso del paziente sul campo a meno che non vi siano altre lesioni
associate. Il quadro clinico è caratterizzato da dispnea, tachipnea, dolore,
tachicardia e saturazione bassa che in genere risponde in qualche misura
alla ossigenoterapia.
Il trattamento sul campo è di natura conservativa in quanto abbiamo il
tempo per un trattamento ospedaliero. Quello che possiamo fare è la co-
siddetta medicazione della “ferita soffiante” mediante medicazione su
tre lati in modo da creare un meccanismo a valvola inverso che permetta
all’aria di uscire ma non di rientrare,(Fig. 3) tramite l’applicazione di una me-
dicazione impermeabile (garze bagnate, involucro plastico delle garze ste-
rili con la parte interna verso la ferita) sigillata su tre lati con cerotto.
Restano imperative la somministrazione di ossigeno ad alti flussi e il man-
tenimento del paziente con il tronco più alto delle gambe per migliorare la
dispnea (sollevando tutta l’asse spinale).

Fig. 3

Medicazione della ferita soffiante da pneumotorace aperto mediante me-


dicazione su tre lati: meccanismo a valvola che permette all’aria di uscire
dalla cavità pleurica e non rientrare.

101
Pneumotorace iperteso

Il pneumotorace iperteso è una condizione che mette a rischio imme-


diato di vita il paziente. Esso si può formare per una ferita penetrante o
per un trauma chiuso del torace che provochi la rottura dell’albero tracheo-
bronchiale nel suo decorso all’interno della pleura.(Fig. 14)
In entrambi i casi si crea un meccanismo a valvola per il quale l’aria entra
nel cavo pleurico ma non riesce ad uscire ritmicamente con gli atti del re-
spiro (come invece avviene per il pnx. aperto). Questo provoca un accu-
mulo di aria a pressione nella cavità pleurica che respiro dopo respiro
aumenta la pressione in questa cavità facendo collassare il polmone.

Fig. 4

Meccanismo di formazione del pnx. iperteso mediante meccanismo a valvola. Notare l’im-
patto emodinamico per l’ostacolo al ritorno venoso da parte soprattutto della Vena Cava
Inferiore che si inginocchia.
Perciò il pnx iperteso deve essere immediatamente trattato dal medico del territorio non
potendo essere delegato al medico in ospedale.

102
I sintomi del pneumotorace iperteso sono drammatici e rapidamente evo-
lutivi. Si possono dividere fondamentalmente in segni e sintomi respiratori
e segni e sintomi emodinamici. L’impatto emodinamico è spesso deva-
stante ed è quello responsabile della morte per pneumotorace iperteso.
L’impatto respiratorio è in genere serio ma non tale da causare la morte
del paziente (a meno che non vi sia la coesistenza di pneumotorace iper-
teso bilaterale destro e sinistro).

Segni e sintomi respiratori:

- Dispnea grave
- Deviazione della trachea
- Tachipnea
- Desaturazione

Segni e sintomi cardiovascolari:

- Tachicardia
- Turgore delle Giugulari
- Ipotensione
- Arresto cardiaco

In altre parole si viene a realizzare un ostacolo al ritorno del sangue dalla


periferia verso l’atrio destro con conseguente shock ipovolemico o, per
meglio dire, maldistributivo in quanto la quantità di sangue è normale ma
è come sequestrato in periferia (un pò come succede per la compressione
aorto-cavale nella donna in stato avanzato di gravidanza, supina) per cui
non partecipa alla circolazione turgore delle giugulari che non riescono a
scaricare il sangue in atrio destro.
Contemporaneamente, la pressione intratoracica rende anche più difficile
per il ventricolo destro la spremitura del suo sangue verso i polmoni tramite
le arterie polmonari con conseguente Scompenso Cardiaco Destro e
Shock Cardiogeno: in pratica si ha la coesistenza di due tipi di Shock,
ognuno dei quali di per sé sufficiente a provocare la morte del paziente!!

103
Lembo costale mobile (volet costale)

Il lembo costale mobile è il rientramento di una parte della gabbia tora-


cica durante l’inspirazione (quando dovrebbe espandersi) spesso asso-
ciata alla sua protrusione durante l’espirazione.
Esso è dovuto a lesione di più coste ognuna in più punti in modo da for-
mare un lembo indipendente che si comporta, come già detto, in modo
paradosso: quando il paziente inspira e la gabbia toracica si espande, es-
sorientra, quando il paziente espira e la gabbia toracica ritorna verso l’in-
terno, il lembo fuoriesce.(Fig. 1)

Fig. 1

Creazione di un lembo costale mobile per frattura


in due punti di tre coste.

Il reperto di un volet costale sul terreno


è un segno di allarme assoluto in quanto
per poter essere creato, l’energia entrata
in gioco è stata sicuramente grande.
Inoltre vi è sicuramente associata una
contusione polmonare e, frequentemente
un pneumotorace.
Per questo, il volet costale è una situa-
zione a rapida e potenzialmente fatale
evoluzione, che deve essere corretta chi-
rurgicamente (scoop and run).
Il paziente presenta segni di distress respiratorio (dispnea, tachipnea, de-
saturazione) associati variamente a quelli di impatto emodinamico (tachi-
cardia, shock).
Il trattamento è quello di cercare di medicare con fasciatura aderente il
lembo costale in modo da farlo tornare il più possibile solidale con la gab-
bia toracica limitandone il suo movimento paradosso e, ovviamente, som-
ministrare ossigeno ad alti flussi!!

104
Ferite penetranti del torace

Sono abbastanza comuni e possono essere dovute a proiettili o da corpi


taglienti o appuntiti (coltelli, pali ecc.).
Come per tutte le ferite penetranti, in qualunque distretto, i corpi penetrati
non devono essere rimossi, anzi, se possibile stabilizzati con pacchi di
garze, teli, cerotto in modo da cercare di non far muovere l’estremità con-
ficcata e non provocare ulteriori lesioni.
L’estrazione dei corpi penetrati deve essere fatta solo in ospedale perché
è prevedibile che il corpo penetrato stia svolgendo un ruolo di emostasi e
che, una volta rimosso, inizi una emorragia più grave di quella precedente.
Se il corpo penetrato è intrasportabile in ambulanza (ad esempio un
grosso macchinario o un palo di una inferriata) sarà necessario la sua ri-
duzione di dimensioni da parte dei Vigili del Fuoco in modo da rendere tra-
sportabile il paziente senza liberarlo dall’oggetto.

RICORDA: le ferite da taglio o da proiettile, se non riguardano zone poste


al di sopra della clavicola, sono gli unici traumi che possono essere trattati
senza immobilizzazione del rachide cervicale in quanto non vi sono pre-
supposti perché vi possa essere una lesione vertebrale.

Tutto ciò va a vantaggio di un rapido trattamento ospedaliero SCOOP AND


RUN.

105
Trauma addominale

Anche i traumi dell’addome possono essere classificati in chiusi e pe-


netranti. La cavità addominale è particolarmente esposta ad ambedue
questi traumi in quanto non è protetta da alcuna struttura ossea anterior-
mente e l’unica protezione deriva dal grasso sottocutaneo e dai muscoli
addominali. In essa sono contenuti visceri cavi (intestino tenue, colon, sto-
maco) e visceri solidi (fegato, milza, reni, pancreas) nonché grossi vasi
(vena Cava Inferiore, Aorta addominale ecc.) (Fig. 1)

Fig. 1

Cavità addominale: esofago, fegato,


stomaco intestino tenue e colon.

I differenti tipi di organi si comportano in modo


diverso in risposta ad un trauma: i visceri cavi
possono subire lesioni da scoppio, quelli solidi
si lacerano, i vasi possono subire lacerazioni da
stiramento.
Nel caso di una ferita penetrante ampia, si può
avere una fuoriuscita di visceri addominali che
non devono essere riposizionati in cavità, bensì bagnati con fisiologica ste-
rile e coperti con telini sterili.
Per questa ragione, nella valutazione secondaria ma anche in quella pri-
maria, durante la fase “E” dobbiamo renderci conto di tale eventualità.
Negli altri casi, il trauma addominale può essere accertato solo con i segni
indiretti e con i sintomi del paziente (se cosciente).
I segni indiretti e i sintomi di un trauma addominale sono: ematomi, con-
tusioni, dolore, addome peso, rapida comparsa di distensione addominale
e tutti i segni e i sintomi dello shock emorragico. (Tab. 1)
Il trattamento del trauma addominale è tipicamente chirurgico SCOOP
AND RUN in modo da sfruttare al meglio la Golden Hour.

106
Traumi del bacino

I traumi del bacino possono esitare in fratture delle ossa che lo compon-
gono e in lesioni degli organi contenuti nella cavità da esso formata, ovvero
la cavità pelvica. (Fig. 1)

Fig. 1 - Ossa del


bacino e cavità
pelvica da essa
formata.

Gli organi in esso contenuti sono la vescica, la prostata, l’utero, l’ultima


parte dell’intestino (retto) ed i genitali esterni maschili e femminili.
Sia nell’eventualità della lesione degli organi che, soprattutto, in quella
delle ossa del bacino (spesso abbiamo la coesistenza delle due lesioni) il
problema principale è quello del sanguinamento.
Una frattura multipla delle ossa del bacino può portare ad una perdita ema-
tica di circa 2000-2500 ml di sangue (circa il 50% del nostro volume totale,
considerando che un adulto di 70 Kg ha circa 5 litri di sangue) portando
quindi uno shock emorragico grave.

107
Ultimi lavori scientifici stanno mettendo sempre più in discussione l’opport-
nità di verificare tramite la soccussione del bacino (esercitare una forza di
circa 20 Kg bilateralmente sulle creste iliache) per valutare sulla scena del
trauma l’eventuale anormale mobilità del bacino stesso che suggerisce la
presenza di fratture multiple delle sue ossa. Il motivo è che tale manovra
della valutazione secondaria può causare la ripresa di un sanguinamento
osseo qualora questo si fosse arrestato per la formazione di un trombo
dovrebbe essere eliminata dalle procedure extraospedaliere.
Nel caso di fratture multiple di bacino certe, può risultare utile il posiziona-
mento del KED in modo opposto, ovvero con la parte del corsetto cervicale
verso i piedi e con quella più larga a fasciare il bacino in modo da creare
una sorta di compressione emostatica delle ossa fratturate.
(Vedi capitolo dedicato alle manovre)

Amputazioni

Per amputazione si intende la rimozione (nel nostro caso traumatica) per


strappamento o taglio di una parte del corpo, in genere un arto o parte di
esso. In alcuni casi, la tecniche chirurgiche consentono il reimpianto della
parte amputata (moncone) se questa è ben conservata e giunge in ospe-
dale in tempi ragionevoli (circa 6 ore dal trauma). Per questo motivo, il
soccorritore deve occuparsi non solo (anche se in primis) del paziente am-
putato, ma anche del suo moncone.

Trattamento del paziente: quello che deve essere applicato è senza dubbio
la Valutazione Primaria che prevede l’arresto delle emorragie arteriose.
In molti casi è sufficiente la compressione diretta della zona amputata o la
compressione sull’arteria a monte dell’amputazione. In casi eccezionali in
cui non riusciamo a controllare efficacemente l’emorragia, possiamo ricor-
rere al gonfiaggio del bracciale dello sfigmomanometro fino alla cessa-
zione dell’emorragia. Sono in dotazione di molte ambulanze anche appositi
tourniquet, ovvero dei lacci adatti per il blocco dei focolai emorragici, che
devono essere usati solo come estrema ratio, quando i tre metodi prece-
denti non hanno risolto la situazione.

108
Trattamento del moncone:
- cercare e recuperare il moncone
- lavarlo con poca soluzione fisiologica, asciugarlo.
- avvolgerlo in un telino sterile e poi inserirlo negli appositi sacchetti per
amputazioni o, in mancanza di questi, in un sacchetto di plastica.
- se possibile, mantenere il moncone freddo,
senza congelarlo e non a contatto diretto con il ghiaccio.
- non immergere le parti amputate in acqua o soluzioni saline.
- avvertire la C.O. della presenza di amputazione per la possibilità di
reimpianto.

Il trauma in gravidanza

Abbiamo già affrontato la gestione della donna in gravidanza nel manuale


del BLS, comunque è utile rammentare che lo stato gravidico porta alcune
modificazioni fisiologiche nella donna:
• volume respiratorio del 40%
• della frequenza respiratoria
(una frequenza di 20/min. può essere del tutto normale)
• fabbisogno di O2 à imperativo somministrare O2 ad alti flussi
della frequenza cardiaca a riposo
(una frequenza di 80-100/min. è piuttosto comune)
• Sindrome da compressione cavale
del tempo di svuotamento gastrico (più facilmente a stomaco pieno)
• della resistenza all’emorragia: in altre parole la donna gravida resiste ad
una emorragia arteriosa più a lungo prima di manifestare i segni eclatanti
dello shock emorragico!!

ATTENZIONE:
• presenza di due vittime da salvare à possibile taglio cesareo d’emer-
genza anche se la donna è deceduta se gli sforzi rianimatori continuano e
se vicini ad un ospedale à contattare la C.O.
Occorre comunque posizionare la donna sul fianco sinistro per evitare la
compressione aorto-cavale. Nel trauma questo è possibile posizionando
un cuneo (15-20cm) sotto il lato destro dell’asse spinale in modo da fissare
solidamente sia la paziente che l’asse.

109
B.L.S. ALL TRAUMATIZZATO A

V
Immobilizzazione manuale della s
testa in posizione neutra (
Sicurezza dello scenario

ALLERTARE IL 118
Applicazione del collare cevicale

NON COSCIENTE
e P
ĚŝŶĂŵŝĐĂĚĞůů͛ŝŶĐŝĚĞŶƚĞ Eventuale estricazione fl
(applicazione del collare se non fr
già posizionato) (O

Tamponamento immediato di A
eventuali emorragie massive p
a
Pervietà delle vie aeree
1

R
Valutazione rapida a
(incarcerato o prono) m
Valutazione Primaria fr

Dopo eventuale estricazione


immobilizzazione manuale O
della testa in posizione 8
neutra
O
COSCIENTE

Ispezione del collo

Applicazione del collare


cervicale
(se non posizionato prima )

Tamponamento immediato di
eventuali emorragie massive

110
a

di
8-
assenti
assistita
( G.A.S.)

O.P.A.C.S.
(O.P.A.C.S. )
B

segni di circolo

frequenza 30 2
12 atti al minuto
flussi rilevamento

8 12 litri / minuto
massaggio cardiaco

Ossigeno ad alti flussi


presenti: ventilazione
frequenza respiratoria
Valutazione del respiro e

Assente e segni di circolo

Respiro e segni di circolo


Presente :ossigeno ad alti

Assente

cardiaca
cardiaca
Presente

carotideo
Se assente
Polso radiale
C

Polso radiale o
Controllo polso
carotideo per la
del polso radiale

valutazione della
frequenza cardiaca
valuta la frequenza
alla respirazione e si

Rilevare la frequenza
Valutazione presenza

Si continua assistenza

P.A.S.inferiore 80mmhg
VALUTAZIONE FINE DELLO STATO DI COSCIENZA ED SE RITORNO DI CIRCOLO SPONTANEO CENTRALIZZAZIONE

111
ESAME DELLA VITTIMA PREVIO ALLERTAMENTO DELLA CENTRALE 118
D

A- stato di coscienza normale paziente sveglio


V. stato di coscienza alterato paziente risvegliabile tramite stimolo verbale
P. coscienza assente ma risponde allo stimolo doloroso
U. assenza di ogni tipo di risposta

Se possibile localizzazione dei traumi interrogando il paziente


Spogliare il paziente e valutare testa - piedi per rilevare presenza di traumi
E

Immobilizzazione del paziente proteggendolo da ipotermia con telino termico

ŽŵƵŶŝĐĂƌĞĂůůĂ͘K͘ů͛ĞƐŝƚŽĚĞůůĞǀĂůƵƚĂnjŝŽŶŝƵƐĂŶĚŽůŽƐĐhema A B C D E
Avvertire la C.O. di ogni variazione dei parametri vitali ricominciando daccapo A B C D E
BIBLIOGRAFIA

1. American College of Surgeon, Advanced trauma life support, 1997


2. Rippe et al. Trattato di terapia intensiva, Antonio Delfino Editore, 1997
3. Campbell J.E. Basic Trauma Life Support, 2000
4. www.trauma.org
5. C. R. F., Manuale di protezione civile, Piemme Editore, 1999
6. SVT il soccorso extraospedaliero al Traumatizzato, Andrea Franci

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