Sei sulla pagina 1di 177

La chirurgia non è così facile come può apparire…

Diamine! Fai l’incisione, tagli l’arteria sbagliata,


ti fai prendere dal panico, crolli singhiozzante in un angolo…
Dopo tutto questo ti lavi e controlli la lista
per sapere chi devi ammazzare dopo pranzo. E’ massacrante!
Dr. Perry Cox “Scrubs”
INDICE
CAPITOLO TITOLO PAGINA

INTRODUZIONE TRIAGE E ATLS 1

1 DOLORE TORACICO 10

2 DISPNEA 28

3 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA 36

4 DOLORE ADDOMINALE 54

5 SHOCK CARDIOGENO 65

6 SHOCK IPOVOLEMICO 75

7 SEPSI E SHOCK SETTICO 82

8 SHOCK ANAFILATTICO 93

9 DISTURBI ELETTROLITICI 99

10 SINCOPE 105

11 COMA 111

12 USTIONI 127

13 TRAUMA CRANICO 142

14 DOLORE ED ANALGESIA 153

15 TERAPIA IPERBARICA 164

RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
_______________________________________________________
TRIAGE E ATLS

TRIAGE
Il triage rappresenta l'inizio di ogni emergenza in ospedale e spesso è fonte di errori.
L'enorme afflusso di pz in PS, dato comune a tutte le realtà sanitarie italiane per vari
fattori: culturali (non si accetta più di star male o di morire da anziani), timore che
un sintomo sottenda qualcosa di grave, problematiche organizzative territoriali.
Il 50% degli italiani riferisce di essersi recato in PS almeno una volta nella vita, le
statistiche riportano ben 30 milioni di pazienti visitati nel 2009.
E' un problema gravissimo da gestire. Il triage è quindi davvero un problema: se lo
inserite su pubmed, dal 1969 (data di creazione del triage) i numeri sono aumentati
esponenzialmente.

L’ aumento così importante di afflusso in PS è dovuto a:


- Motivazione culturale (non accettazione della morte e della malattia, con tanto di
aneddoti dei nonnini della geriatria all'interno della quale il prof lavora).
- Assistenza sanitaria legata alla diagnosi strumentale; in medicina difensiva si
parla spesso di overprescrizione di esami. Ma alle volte la gente non si accontenta
di una banale diagnosi di bronchite, vuole una rx torace. Questa visione è figlia
dello svilimento della figura del medico di base, visto dal pz come banale
prescrittore, che spesso delega i casi più annosi: c'è una sorta di crisi di identità
della figura.
- Tempi eccessivamente lunghi per prestazioni ambulatoriali; Un follow up
oncologico mette davanti a tempistiche lunghe e non potendosi permettere un
privato sociale si usa l'escamotage del PS.
- Aumento della popolazione non inserita nel SSN;
- Invecchiamento della popolazione, che significa necessariamente patologie, tanto
croniche quanto riacutizzazioni di queste ultime.
- Evoluzione dei DEA (dipartimenti di emergenza e accettazione): sono divenuti da
luogo di transito a luogo di diagnosi e cura (si pensi all'obi – osservazione breve
intensiva, 36 ore di osservazione). Questo crea problemi gestionali anche da parte
del personale infermieristico e medico, che deve farsi in quattro magari lasciando
scoperti altri pazienti.
- Soppressione/trasformazione di piccoli ospedali, questo determina una maggiore
affluenza verso i ps più grandi.
- Ticket, pazienti che non hanno possibilità economica di effettuare una visita
specialistica, usano l'escamotage del ps per poterla effettuare comunque.

Il sistema di “Triage” è uno strumento organizzativo rivolto al governo degli


accessi non programmati ad un servizio per acuti, per assegnare il grado di priorità
per il trattamento quando si è in presenza di molti pazienti.
La codifica per colore del triage riguarda, essenzialmente, non la gravità ma
l'urgenza di trattamento: un soggetto tranquillo con un lieve dolore di stomaco può
avere un infarto e quindi è un cod. rosso, un paziente neoplastico con forte dolore

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 1 A cura: di Andrea Perna


che sta per morire non è un cod. rosso perchè oltre a somministrare morfina non si
può fare granchè, il dolore insopportabile è l'evolversi di una condizione terminale.

L’obiettivo del triage è proprio la definizione della priorità con cui il paziente verrà
visitato dal medico ed è da distinguere dalla visita medica. E' sull'ordine di priorità che
si creano veramente molti problemi.

STORIA DEL TRIAGE


Originato dall’attività del personale sanitario operante sul fronte occidentale della
Grande Guerra (sulla scorta di quanto praticato dalle truppe napoleoniche), il triage
è stato concepito per far sì che nelle grandi emergenze l'impianto del soccorso
funzioni efficientemente per salvare il maggior numero di persone, anche scegliendo
di dirigere le cure solo verso chi, soccorso prontamente, abbia più probabilità di
sopravvivere.
Nella grande guerra è nato per gestire le emergenze, accanto ai pz venivano messe
delle bandiere: nera, soggetto destinato a morire; rossa: da soccorrere al volo; gialla:
da soccorrere in un secondo momento. Negli anni 70-80 è arrivato in ps, in Italia più
tardi.

Il triage si basa su quattro colori, anche detti codici: bianco, rosso, giallo e
verde. Nelle attività di Pronto Soccorso, il Triage è un “processo di selezione operato
da personale infermieristico specificamente addestrato (corsi ripetuti ogni anni per
adeguarsi ai cambiamenti), avente lo scopo di modulare l’accesso in sala visita
attraverso l’utilizzazione di una scala di priorità (codice colore)”.

OBIETTIVI DEL TRIAGE


1. Assicurare immediata assistenza al malato che giunge in emergenza;
2. Indirizzare alla visita medica i pazienti secondo un codice di priorità;
3. Identificare le priorità e l’area (es trauma center, shock center) più
appropriata di trattamento;
4. Smistare i pazienti non urgenti;
5. Ridurre i tempi di attesa per la visita medica; (anche se per i pazienti meno
gravi – i codici bianchi- con il triage i tempi d'attesa potrebbero esser più
lunghi, se confrontati ad un accesso alla sala visita basato solo sull'ordine
d'arrivo in pronto soccorso); NB. In alcuni ps i codici bianchi non vengono
visitati o vengono rivisti in giornate successive, per evitare ricoveri inutili e
perdite di tempo.
6. Ridurre lo stato d’ansia (state attenti: l'ansia è contagiosa, mi è capitato di
vedere barricate di pz che minacciavano inferimeri e medici)
7. Migliorare la qualità delle prestazioni professionali del personale in Pronto
Soccorso (addirittura alcuni tipi di dolori, e quindi di trattamenti
antidolorifici, potrebbero eventualmente essere trattati già dall'infermiere al
triage. Dal punto di vista legislativo l'infermiere non può far diagnosi: c'è un
rischio legale e la situazione è annosa);
8. Valutare periodicamente le condizioni dei pazienti in attesa;
9. Fornire informazioni sanitarie ai pazienti e ai loro familiari.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 2 A cura: di Andrea Perna


I codici colore:
Soggetto in pericolo imminente di vita, per il quale l’accesso alle prestazioni
di PS deve essere immediato.

Paziente in potenziale pericolo di vita, per il quale l’immediatezza


dell’accesso è subordinata all’eventuale presenza di altre situazioni di
emergenza. (max 15 min attesa)

Paziente che necessita di prestazioni mediche differibili. (max 30 min attesa)

Deceduto – non rianimabile. (giunge cadavere)


Argento – anziano fragile.
Paziente che non necessita di prestazioni sanitarie d’urgenza e che potrebbe
usufruire di assistenza extraospedaliera.(paga il ticket)

Contaminazione NBCR (nucleare – biologica – chimica – radiologica)

Ostetricia – violenza carnale.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 3 A cura: di Andrea Perna


La composizione del trauma team
Questo primo nucleo va allertato
immediatamente e deve essere
parimenti disponibile
nell'immediato, nel giro di pochi
secondi o pochissimi minuti.
Tutto è programmato e ciascuno
ha un suo compito. Ognuno
deve sapere cosa farà l'altro e
deve fare il suo senza intralciare
gli altri, se non per pochi istanti
(defibrillazione, intubazione). Il
coordinatore è sempre
localizzato dietro alla testa del
paziente.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 4 A cura: di Andrea Perna


L'attività del Triage si articola in:
• Accoglienza: raccolta di dati, di eventuale documentazione medica, di
informazioni da parte di familiari e/o soccorritori, rilevamento segni, sintomi,
parametri vitali e registrazione.
• PRESA IN CARICO: IL PAZIENTE AL TRIAGE È GIÀ NEL PERCORSO DI
CURA (se il paziente muore in attesa di visita in ps, sono perseguibili per
legge tutti quanti dovevano prendersene cura)
• Tale aspetto è particolarmente evidente nei servizi di Emergenza dotati di
Triage Avanzato (es, faccio ecg al pz già in ps).

ATLS
L’ATLS (acronimo che sta per ADVANCED TRAUMA LIFE SUPPORT) è stato
introdotto negli anni ’70 dall’ American College of Surgeons ed è un argomento
fondamentale in ambito traumatologico.
L’ATLS è un programma formativo per la gestione del politrauma riconosciuto a
livello internazionale che in un momento critico, come appunto è quello del trauma,
può fare davvero la differenza. Quindi quello che si vuole insegnare grazie a questo
approccio, è dare le giuste nozioni in modo tale da capire quali sono le condizioni
che bisogna trattare per prime e che mettono immediatamente a rischio la vita del
paziente (emergenze), poi quelle che determinano rischio di vita o la perdita dell’uso
degli arti nelle ore successive (urgenze) e, infine, le urgenze differibili.

Le finalità dell’ATLS sono:


- Rapida e accurata valutazione;
- Stabilizzazione, in base alle priorità;
- Stabilire le necessità del pz e valutare le risorse disponibili;
- Organizzare trasferimento al centro di trattamento definitivo;
- Garantire un trattamento ottimale.

Il trauma è una situazione patologica improvvisa, brutale. Secondo i dati


epidemiologici è la principale causa di morte dal primo anno di vita fino ai 40 anni.
Da un punto di vista puramente economico, riguarda una fetta di popolazione che è
nel pieno dell’attività lavorativa, quindi si capisce come sia deleterio sotto il profilo
della produttività. L’ATLS fornisce, quindi, un linguaggio comune per la gestione di
queste situazioni.

Secondo il grafico della mortalità provocata da trauma:


- Nel 50% dei casi la morte è immediata (causa più
frequente è l’emorragia cranica o la rottura dei grossi
vasi);
- Nel 30% dei casi il decesso si verifica nelle ore
successive (in PS);
- Il restante 20% riguarda la morte per sepsi o meglio
ancora per Multiple Organ Dysfunction.
In ambito traumatologico fondamentale è il tempo. Il
trauma è una patologia tempo sensibile (si parla di ore o
minuti). È inoltre una patologia sistemica: i pz diventano

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 5 A cura: di Andrea Perna


immunodepressi, coagulopatici, malnutriti, acidotici ed è a causa di queste
condizioni che il soggetto muore.

L’approccio da seguire è l’ ABCDE (da ricordare che ciò che succede in A uccide
prima di ciò che succede in B e così via).

A: AIRWAY
Mantenere le vie aeree pervie (nel pz in coma, la lingua, che cade indietro, ostruisce
le vie respiratorie; il pz ustionato, dopo l’inalazione di fumi caldi, presenta edema
laringeo e faringeo con impedimento del passaggio dell’aria). Oltre a ciò è
fondamentale proteggere il rachide cervicale. A livello di C4, infatti, hanno origine le
fibre nervose del frenico e un danno a questo livello determina, quindi, difficoltà
ventilatoria. Le più importanti situazioni di emergenza saranno:
- Corpo estraneo nelle vie respiratorie (sangue compreso);
- Edema della glottide;
- Lingua;
- Compressioni esterne,
- Trauma della laringe,
- Trauma penetrante del collo;
- Rottura della trachea;
- Inalazione di materiale gastroesofageo (ab ingestis);
Le insidie nascoste nella valutazione delle vie aeree, ad esempio del paziente
ustionato che inala fumi caldi, sono:
- Malfunzionamento dell’attrezzatura;
- Mal posizionamento dell’attrezzatura;
- L’intubazione difficile (rara)
Ci sono molti presidi utilizzabili: canula orofaringea di Guedel che evita di dover fare
la sub lussazione della mandibola, l’intubazone naso-tracheale o oro-tracheale. In
generale un presidio che raggiunge la trachea è ottimo e garantisce la pervietà delle
vie aeree mentre i presidi sopra-glottici non sono altrettanto funzionali: utili
nell’immediato ma al paziente possono chiudersi le vie successivamente.

B: BREATHING
Respirazione e ventilazione. Se abbiamo una enorme contusione polmonare, l’aria
passa a differenza dell’ossigeno e può essere dunque necessario ventilare il pz a
pressione positiva.
Respirazione e ventilazione hanno l’obiettivo di garantire una buona meccanica e
quindi si valutano le possibili lesioni cervicali, le problematiche infiltrative (come
nelle contusioni polmonari) ecc..
La pervietà delle vie aeree non garantisce, di per sé, un’adeguata ventilazione. E’ necessario un
corretto ricambio di gas per ottimizzare l’ossigenazione e l’eliminazione dell’anidride carbonica.
L’efficacia della ventilazione è condizionata dalla funzionalità di polmoni, parete toracica e
diaframma. Ciascuna di queste componenti deve essere esaminata e valutata rapidamente. In
questo ambito vengono utilizzati:
- La saturimetria, cut off è 94%. Il saturimetro ci dice la saturazione
dell’emoglobina in relazione alla perfusione (il lobo dell’orecchio è il punto
migliore) e all’emoglobina ( un valore di 4 g/dl di Hb e 100% di saturazione è
una situazione peggiore di 15 g/dl di Hb e 93% di saturazione, viscosità a parte).

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 6 A cura: di Andrea Perna


Quello che a noi interessa è la delivery dell’O2 alla periferia. Il secondo
problema è l’impossibilità di lettura per un’elevata vasocostrizione del paziente,
altro problema è l’eventuale presenza di smalto sulle unghie nella donna.
- L’esame emogasanalitico: misura la pO2 nel sangue arterioso.

Problematiche emergenti di un paziente durante la valutazione primaria del torace:


- PNX (pneumotorace) iperteso;
- Tamponamento cardiaco;
- Emotorace massivo;
- Rottura del diaframma (più frequente a sinistra perché a destra c’è il fegato);
- PNX iatrogeno dovuto a ventilazione a pressione positiva, ad esempio in
paziente con pnx semplice. (per chiarire il concetto riporto quanto scritto sul
libro ATLS per medici: ‘Quando, in un paziente incosciente, si rendono necessarie
l’intubazione e la ventilazione, la procedura stessa può slatentizzare o aggravare uno
pneumotorace e l’esame obiettivo del torace deve essere ripetuto.’

C: CIRCULATION
Stato emodinamico e controllo emorragia. Nel trauma l’ipotensione equivale a
emorragia fino a prova contraria. Bisogna ricordare anche che, di solito se:
- Il pz è ipoteso e tachicardico: shock emorragico;
- Il pz è ipoteso e bradicardico: problema neurogeno;
- Il pz è iperteso e bradicardico: problema espansivo intracranico con attivazione
meccanismi di compenso.
I campanelli d’allarme in questi casi saranno:
- Pressione: cut off 90 mmHg per la sistolica poiché garantisce un’ adeguata
perfusione cerebrale.
- Frequenza cardiaca, cut off 100bpm.
- Colorito cutaneo e temperatura (il paziente afroamericano tende a diventare più
grigio, in alternativa si guardano le sclere mentre il riempimento capillare non
serve a nulla).
- Marezzatura (la cute risulta pallida con striature cianotiche): sottende un quadro
di acidosi importante, segno di shock scompensato.
- Polso: le caratteristiche in questo ambito interessano poco, valutare la presenza/
assenza.
La prima cosa da fare è: controllare le emorragie, visibili e non (STOP THE
BLEEDING); Poi bisogna trattare l’ipotensione; Oggi si fanno 250 ml di ringer
lattato (acqua + NaCl 135 meq+ KCl + lattato: è una soluzione tamponata) oppure
soluzione fisiologica, 150 meq NaCl/l (non tamponata poiché non contiene K, è un po’
acidificante). Si crea una situazione di ipotensione controllata. Un litro di soluzione
fisiologica fornisce il sodio per un giorno, in quanto il fabbisogno è 140 meq NaCl/die
in un paziente di circa 70 kg.

D: DISABILITY
Al medico interessa la situazione della corteccia. Quindi fondamentale è il Glasgow
dove l’aspetto motorio è quello più importante. Una risposta motoria sotto 4 indica
che il paziente verosimilmente è in coma. E’ possibule utilizzare anche il sistema
AVPU classificando i pazienti in 4 classi in base allo stimolo ai quali sono in grado di

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 7 A cura: di Andrea Perna


rispondere. A per l’attività spontanea, V per gli stimoli verbali, P per il dolore, U per
quelli non responsivi.
Il GCS è un metodo rapido e semplice per determinare il livello di coscienza e
rappresenta un attendibile indice prognostico, in particolare la componente che
valuta la migliore risposta motoria. Se non viene calcolato nella valutazione
primaria, il computo del GCS deve essere effettuato come parte dell’esame
neurologico più dettagliato nel corso della valutazione secondaria
I pazienti che aprono spontaneaamente gli occhi, obbediscono ai comandi e sono
orientati hanno un punteggio GCS totale di 15 punti; mentre quelli che non
muovono gli arti, presentando flaccidità, non aprono gli occhi e non emettono suoni
raggiungono il punteggio minimo (3 punti). Un punteggio GCS uguale o inferiore
ad 8 punti corrisponde alla definizione, universalmente accettata, di coma o
lesione cerebrale grave. Un trauma cranico con GCS compreso tra 9 e 12 viene
definito “moderato”, mentre quello con un punteggio tra 13 e 15 è classificato come
“lieve”.)
Può verificarsi un peggioramento neurologico, spesso repentino anche nei pazienti
con adeguata sorveglianza. Tipico esempio è il paziente che “parla e poi muore”
normalmente associato a ematoma extradurale acuto. Il problema può essere
minimizzato facendo una frequente rivalutazione neurologica.

E: EXPOSURE ed ENVIROMENT
Esposizione pz e controllo ambientale (temperatura soprattutto). Successivamente
si passa alla valutazione secondaria e al trattamento definitivo. L’applicazione di
queste regole è ormai stata valutata come la migliore nell’ambito del trattamento dei
traumi.
Il paziente deve essere svestito completamente per consentire un’esplorazione
completa ed un agevole valutazione. Esposto il paziente bisogna fare attenzione
all’ipotermia quindi si vanno ad utilizzare coperte termiche o sistemi di
riscaldamento. È importante contrastare l’ipotermia perché dà acidosi dovuta alla
vasocostrizione, non fa funzionare il sistema immunitario (i globuli bianchi lavorano
meglio a 38°C) e non fa funzionare i fattori della coagulazione. Quindi l’ipotermia fa
sanguinare di più.

Ultima indicazione riguarda un metodo rapido e semplice per eseguire un ABCDE


in 10 secondi. Bisogna chiedere semplicemente al pz come si chiama e cosa è
successo. Il soggetto ASCOLTA E RISPONDE. Ciò significa che le vie aeree sono
pervie perché parla (A), riesce a tirar fuori fiato, quindi ventila (B), risponde in
maniera adeguata , quindi è perfuso con una pressione sistolica che è almeno di 90
mmHg, valutabile con la sola analisi del polso radiale (C). Ricordare che se il pz ha
polso, ha almeno una sistolica di 80-90 mmHg. Ha un Glasgow di 15-sensorio
integro (D). Abbiamo fatto, così, un ABCDE in brevissimo tempo.

DOPO L’ABCDE
In aggiunta alla valutazione primaria ed alla rianimazione occorono:
• la valutazione dei parametri vitali
• il monitoraggio ECG,
• l’ecografia F.A.S.T.
• il catetere vescicale,

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 8 A cura: di Andrea Perna


• tubi di drenaggio,
• sondino naso gastrico e imaging.

L’ecografia F.A.S.T.(focus abdominal sonography for trauma).


Si effettua l’ecografia secondo una procedura rapida, appunto F.A.S.T, andando a
guardare 4 quadranti: periepatico, perisplenico, pericardico e pelvico. Più quadranti
hanno versamento, maggiore è l’entità dell’emorragia.
Esempi: se abbiamo presenza di sangue in regione pericardica ci troviamo davanti ad
un possibile tamponamento cardiaco, bastano 50cc di sangue in un paziente normale
perché il pericardio è inestensibile. Il recesso di Morrison dietro il fegato può
raccogliere una gran quantità di sangue.

Catetere vescicale
Usato per valutare la diuresi, quindi lo stato emodinamico, ed anche la perfusione
renale in quanto il rene è l’organo che “risparmia i liquidi” quindi in caso di
ipovolemia si avrà una riduzione della diuresi. Diuresi che nell’adulto deve essere
almeno 30 ml/kg all’ora, meglio se 50 ml/kg per ora, ancora meglio è una diuresi
compresa fra 100 e 250 ml/kg per ora (10 ml/kg per ora nel bambino e 20ml/kg per
ora nel lattante)

Tubi di drenaggio e Sondino Naso gastrico


È, se consigliato, consentito l’uso di tubi di drenaggio (toracico, addominale, etc..).
Ed infine, se non controindicato, si può inserire un sondino gastrico per detendere lo
stomaco e per favorire il ritorno venoso perché tutti i pazienti traumatizzati hanno
una gastroparesi, lo stomaco si gonfia e comprime la cava inferiore e quindi la
compiance cardiaca.

Imaging
Ultimo presidio aggiuntivo è la possibilità della diagnostica per immagini
effettuando radiografie in proiezione frontale del torace e del bacino.

Trasferimento del paziente


Il paziente deve essere trasferito in centro adeguato, in modo adeguato, nei tempi
adeguati.

BIBLIOGRAFIA

___________________________________________________________________________

- Sbob di Emergenze del 12.05.2015, - Sbob di Emergenze del 07.04.2016,
ora 11.30-12.30 IL TRIAGE. Prof. ora 9.30-10.30 ATLS Prof. Spada, a
Zuccalà. cura di Andrea Corrao
- Sbob di Emergenze del 7.04.2016, ora
8.30-9.30 ATLS. Prof. Spada, a cura
di Fabrizio Crudo

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 9 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 1
_______________________________________________________
DOLORE TORACICO

Il dolore toracico è uno dei sintomi più importanti da valutare nel paziente al suo
ingresso in PS. Tale sintomo può essere imputato a diverse patologie, più o meno
gravi, ed è una delle principali fonti di errore in medicina d’emergenza, qualora
vengano sottovalutati elementi importanti nel processo diagnostico.

Il dolore toracico più conosciuto e anche abbastanza frequente è quello tipico da


cardiopatia ischemica con sintomatologia algica retrosternale ed irradiata al braccio
sinistro; spesso si possono avere anche dolori atipici, irradiati al braccio destro, ad
entrambe le braccia, al giugulo (che può rendere difficile la dd con il reflusso
gastroesofageo), alla mascella (soprattutto a sinistra), all’epigastrio (in dd con
patologie di cardias e stomaco) o al dorso (in dd con le patologie dell’aorta).
Se un paziente, soprattutto anziano, presenta un dolore dall’ombelico in su è sempre
bene fare un ECG, poiché un dolore addominale può essere causato da un infarto del
miocardio e negli anziani, soprattutto se di sesso femminile, i sintomi sono spesso
sfumati.

Nell’inquadramento del dolore toracico risulta di fondamentale importanza indagare


alcune caratteristiche. tra queste:
- Sede/Irradiazione;
- Qualità del dolore;
- Durata, importante per la dd tra infarto del miocardio ed angina pectoris;
- Frequenza e numero degli episodi;
- Fattori scatenanti/lenitivi: ad esempio se si scatena tipicamente in posizione
clinostatica possiamo sospettare MRGE;
- Sintomatologia associata: ad esempio nella cardiopatia ischemica si può avere
dispnea e sudorazione algida;
- Risposta alla terapia antalgica, non necessariamente con antidolorifici: ad
esempio un paziente con MRGE risponderà immediatamente agli inibitori della
pompa protonica.

EZIOLOGIA
L’eziologia del dolore toracico è estremamente varia. Tra le cause più frequenti
ricordiamo quelle:
- Cardiache: SCA – Sindrome coronarica acuta, Pericardite, Tamponamento
cardiaco, Tachiaritmie, Bradiaritmie.
- Vascolari: come nel caso di Dissecazione aortica, Aneurisma dell’Aorta,
Tromboembolia polmonare.
- Polmonari, tra queste ricordiamo: PNX – Pneumotorace, Pneumomediastino,
Versamento pleurico/pleurite (il polmone di per sé non dà dolore, esso compare
in caso di coinvolgimento pleurico), Polmonite lobare (se è interessata la

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 10 A cura: di Andrea Perna


pleura), Neoplasia del polmone/metastasi, di cui il dolore può essere anche il
primo sintomo.
- Gastrointestinale: MRGE, la più frequente. Gastrite, molto diffusa, da HP o da
farmaci. Pancreatite, anche se il dolore in questo caso è tipicamente a barra
irradiato posteriormente. Colica biliare, Colangite, Colecistite, Ulcera peptica,
Infarto splenico.
- Infiammatoria / Muscolo Scheletrica: Costo-condrite acuta. Strappo/
contrattura muscolare, tipico di chi fa sport o di chi, ad esempio per un episodio
influenzale, in caso di elevata sensibilità bronchiale, ha tossito molto ed a lungo, a
volte anche per un mese. Trauma. Frattura costale non complicata, spesso
frattura patologica in soggetti osteoporotici. Crollo vertebrale, tipico degli
anziani, irradiato dal dorso in avanti, seguendo la terminazione nervosa che dalla
vertebra va verso lo sterno; se il dolore segue l’andamento della costa può andare
in dd con l’Herpes Zoster, con classica irradiazione metamerica. Infiltrazione
parietale neoplastica, ad esempio da un tumore del polmone, a volte senza altri
segni o sintomi.
- Altre cause più o meno frequenti saranno:
• Vasculite, ad esempio in arteriti che coinvolgono le coronarie, come nella
sindrome di Churg-Strauss.
• Miocardite, tipica nei giovani, ad eziologia virale, ad esempio in caso di
mononucleosi infettiva. In questo caso è facile sospettare un evento del
genere, in quanto, in soggetti estremamente giovani, l’infarto del miocardio
è estremamente raro, ad eccezione di due condizioni: le anomalie
anatomiche delle coronarie, soprattutto negli sportivi, e l’assunzione di
cocaina, che può determinare vasospasmo in soggetti particolarmente
sensibili alla sostanza.
• Anemia, anche per discrepanza se non c’è abbastanza ossigeno per il
fabbisogno cardiaco.
• Scompenso cardiaco ipercinetico, in modo analogo alle tachiaritmie.

SCA - SINDROME CORONARICA ACUTA


Le sindromi coronariche acute sono un insieme di diversi quadri clinici caratterizzati da
una cardiopatia ischemica, con segni e sintomi che insorgono a causa di un restringimento,
più o meno severo, delle arterie coronarie. A seconda della coronaria interessata, l’ischemia
andrà a riguardare una determinata porzione del miocardio.
A livello fisiologico, è bene specificare come il miocardio è un tessuto fondamentalmente
aerobico. A riposo, il consumo di ossigeno del miocardio è elevato, tanto che nel passaggio
attraverso il tessuto cardiaco viene estratto circa il 70-80% dell’ossigeno contenuto nel
sangue arterioso. Gli altri tessuti hanno un’estrazione dell’ossigeno del 25%. Sotto sforzo,
invece, per soddisfare la richiesta cardiaca di ossigeno, vista la limitata possibilità di
aumentarne l’estrazione, non resta che aumentare il flusso di sangue nelle coronarie. Infatti
il flusso di sangue sotto esercizio può aumentare di 4-6 volte rispetto la condizione di riposo.
La capacità di aumentare il flusso in condizione di sforzo, o comunque in seguito all’uso di
determinati farmaci che aumentano il consumo di ossigeno, è possibile grazie alla riserva
coronarica. Quindi la riserva coronarica è la capacità di incremento massimo del flusso,
rispetto alla base, in risposta a uno stimolo metabolico.

Quando le arterie coronarie sono ostruite da placche aterosclerotiche si ha una interruzione


del flusso ematico al muscolo cardiaco. A seconda del grado di ostruzione e dalla durata
dell’ipoperfusione coronarica, il tessuto bersaglio può essere a rischio di ischemia, insulto o
infarto.
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 11 A cura: di Andrea Perna
L’ischemia è una condizione in cui si verifica una discrepanza tra il consumo e l’apporto di
ossigeno al miocardio, che può avvenire in presenza di un aumento della richiesta
miocardica, di una riduzione del flusso coronarico o di entrambi (es. placca aterosclerotica
che determina una riduzione del flusso significativa soltanto sotto sforzo).
Le principali condizioni che determinano una riduzione dell’apporto di ossigeno sono: placca
aterosclerotica (in assoluto la più frequente), vasospasmo (con le coronarie completamente
libere e non ostruite), anemia e ipossia (condizioni che determinano una riduzione del
contenuto di ossigeno nel sangue a livello coronarico) e trombosi su placca.
L’aumentata richiesta di ossigeno si ha in molte condizione, le principali sono: aumento della
frequenza cardiaca e della contrattilità (ad esempio sotto sforzo, o nei test con dipiridamolo),
aumento del post carico, ipertensione arteriosa, stenosi aortica, ipertermia, attivazione del
tono simpatico e condizioni ansiose.
È bene precisare come nella maggior parte dei casi, l’ischemia si viene a presentare nel
momento in cui si ha una interazione tra entrambi i fattori che determinano un ridotto
apporto di ossigeno, nonché un’aumentata richiesta.
Fino ad una stenosi del 40-50% non si hanno delle riduzioni della riserva coronarica, per cui
avremo delle stenosi emodinamicamente non significative. Tra il 40% e il 70% la riserva
coronarica tenderà a diminuire, senza tuttavia avere delle riduzioni eccessive. Nel momento
in cui la stenosi sarà compresa tra il 70-90% avremo invece una stenosi severa. Al di soprà
del 90% si ha una stenosi completa del vaso, con la caduta completa della riserva coronarica,
e la mancata perfusione del miocardio interessato.
Il meccanismo fisiopatologico delle sindromi coronariche acute è più o meno sempre lo
stesso: si ha inizialmente una placca ateromasica a livello dei vasi coronarici, che
successivamente va incontro a rottura, con insorgenza di fenomeni infiammatori trombogeni,
ed embolizzazione distale che va ad ostruire i vasi.

Possiamo riconoscere una serie di fattori di rischio correlati con lo sviluppo della patologia
a livello cardiaco, che possiamo dividere in:
- Non modificabili: sesso (il sesso maschile fino ai 55-60 anni ha una maggiore
predisposizione rispetto al sesso femminile), età ( per gli uomini si ha una maggiore
incidenza sopra i 45 anni, nelle donne sopra i 55 anni), familiarità e predisposizioni
genetiche (es. alterazioni congenite del circolo coronarico);
- Modificabili: fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, vita sedentaria, obesità, diabete, ecc.
Su questi fattori ci si deve concetrare maggiormente, tentando di ridurli al massimo,
soprattutto in quei pazienti che presentano dei fattori di rischio non modificabili.

Con la riduzione dell’apporto di ossigeno si ha il passaggio dal metabolismo aerobico a


quello anaerobico, che determina, oltre ad una riduzione della produzione di energia sotto
forma di ATP, anche un accumulo di metaboliti acidi (es. acido lattico) che vanno a
determinare un’alterazione dei flussi ionici trans-membrana con modifiche dell’integrità
della membrana della cellule miocardiche, alla base poi del danno ischemico.

Nell’ischemia cardiaca possiamo distinguere tre fasi:


- Fase ischemica: quando il metabolismo aerobico inizia a virare verso un metabolismo
anaerobico. In questa fase il danno è ancora reversibile;
- Fase di insulto: se la perfusione continua a diminuire, il metabolismo aerobico cessa e
rimane solo il metabolismo anaerobico, con accumulo dei metaboliti acidi;
- Fase della necrosi: se la perfusione non viene ristabilita entro 20 minuti, si ha la necrosi
miocardica e non sono più recuperabili dal punto di vista funzionale.

La compromissione della contrattilità cardiaca determina una riduzione della gittata cardiaca
con ridotta perfusione d’organo, in particolare del cervello e del rene. Infatti i disturbi dello
stato di coscienza e la contrazione della diuresi sono delle manifestazioni cliniche che
possono accompagnare la sintomatologia delle sindromi coronariche acute. Nelle fasi più
avanzate, si può raggiungere lo shock cardiogeno.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 12 A cura: di Andrea Perna


I quadri clinici che ne derivano dipendono dall’entità e dalla durata dell’occlusione
coronarica, e sono alterazioni elettrocardiografiche, associate a variazioni dei markers
cardiaci. Infatti le prime cose da fare nel momento in cui si presenta un soggetto in cui si ha
il sospetto di una sindrome coronarica acuta, sono un prelievo di sangue, per valutare i
markers cardiaci, nonché un ECG, per poi tenerlo in osservazione.

I markers cardiaci sono degli enzimi che fanno parte della struttura del miocardio, che
vengono rilasciate in circolo nel momento in cui si ha un danno ischemico. I principali
markers sono:
- Creatinin-chinasi (CK): e in particolare la sua forma cardio-specifica CK-MB. Questo
marker può essere rilevato dopo 3-4 ore dall’esordio dei sintomi, raggiunge il picco
intorno alle 24 ore, e ritorna a valori normali entro 72 ore. Tanto più alta è la
concentrazione della CK-MB nel plasma, tanto più estesa è la necrosi. La CK-MB dovrebbe
essere misurata nel siero almeno 3-4 volte al giorno nelle prime 48 ore, e poi almeno una
volta al giorno fino alla sua normalizzazione.
- Troponine: le troponine cardiache T ed I sono sia più specifiche di necrosi miocardica
rispetto alla CK-MB sia anche più sensibili, a causa della loro lunga emivita. Cominciano
ad aumentare 4-6 ore dopo l’esordio dei sintomi e raggiungono il picco a 24 ore o poco
più. Tuttavia, a differenza delle CK-MB, possoo rimanere elevate nel sangue per diversi
giorni, anche fino a due settimane dopo l’infarto.
- Altri indici di necrosi miocardica: tra questi ricordiamo sicuramente la mioglobina
( marker precoce ma poco specifico), la glutammico-ossalacetico transaminasi (GOT) e la
lattico-deidrogenasi (LDH).

Le sindromi coronariche acute possono essere classificate come segue:


- Infarto STEMI, con sovraslivellamento del tratto ST.
- Infarto NSTEMI, senza sovraslivellamento del tratto ST. È importante distinguere
STEMI e NSTEMI, in quanto, nonostante la mortalità e la morbilità siano simili
tra le due forme, l’approccio terapeutico è completamente diverso: in caso di
STEMI si procede subito all’angioplastica primaria, mentre ciò non viene fatto per
il NSTEMI, il che lo rende più subdolo dell’altro.
- Angina Stabile o da Sforzo, è una sindrome cronica che si manifesta più
frequentemente come angina da sforzo, da freddo o da stress. E' la forma più
diffusa della malattia e per questo viene denominata anche angina pectoris tipica.
Insorge generalmente durante sforzi fisici ed in generale in tutte quelle situazione
che richiedono un maggiore afflusso di sangue al cuore. In questi casi la gravità
della sintomatologia è costante e non peggiora significativamente con il
trascorrere dei mesi. Oltre a rappresentare la forma più diffusa, l'angina stabile o
da sforzo è anche la meno grave, dato che gli episodi acuti sono prevedibili in
frequenza ed intensità e per questo motivo curabili tramite specifici medicinali in
grado di prevenire o far cessare l'attacco.
- Angina instabile. Sindrome caratterizzata da un progressivo intensificarsi dei
sintomi anginosi o dalla nuova comparsa di angina a riposo o notturna o dalla
comparsa di episodi anginosi di durata protratta. L'angina instabile è provocata da
un improvviso aumento del grado di ostruzione al flusso, dovuto alla rottura della
placca fibrosa che ricopre un ateroma con conseguente adesione delle piastrine.
Nell'angina instabile,  1/3 dei pazienti studiati angiograficamente presenta trombi
parzialmente occludenti nel vaso che serve l'area ischemica. Tale percentuale è
probabilmente sottostimata, a causa della difficoltà a individuare un trombo
mediante angiografia. Rispetto all'angina stabile, il dolore dell'angina instabile è
generalmente più intenso, dura più a lungo, insorge per sforzi lievi o si verifica

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 13 A cura: di Andrea Perna


spontaneamente a riposo (angina da decubito), è progressivo (crescendo) o è
caratterizzato dalla combinazione di diversi fra questi aspetti. Circa il  30% dei
pazienti con angina instabile andrà probabilmente incontro a un IMA entro
3  mesi dall'esordio; la morte improvvisa è meno comune. La presenza di
significative modificazioni  ECG durante dolore indica un aumentato rischio di
IMA o di morte improvvisa. L'angina instabile è un'emergenza medica da trattare
in unità coronarica (UTIC).
- Angina di Printzmetal (Vasospastica), da non sottovalutare, ad insorgenza
soprattutto nelle persone giovani e di notte, dovuta allo spasmo di un grosso vaso
epicardico; clinicamente il paziente avrà dolore toracico e l’ECG mostrerà un
sovraslivellamento del tratto ST. Fortunatamente lo spasmo è transitorio ma può
associarsi ad eventi aritmici anche fatali. Si tratta con i calcio-antagonisti, che
prevengono l’insorgenza del vasospasmo. Anche l’angina microvascolare, o
sindrome X cardiaca, dovuta ad un aumento del tono dei piccoli vasi intramurali,
può dare dolore toracico ma è una forma benigna in quanto non dà aritmie.

Secondo l’Expert Consensus Document ci sono due tipi di infarto del miocardio:
1. Infarto miocardico spontaneo, correlato a rottura/erosione/dissezione
della placca aterosclerotica, con conseguente trombosi endoluminale che
determina una riduzione del flusso sanguigno o una embolizzazione distale;
2. Infarto miocardico secondario ad uno squilibrio domanda/richiesta di
ossigeno, soprattutto nei soggetti anziani.

SCORE DIAGNOSTICI
Esistono degli score che che vanno calcolati per valutare la probabilità che si tratti o
meno di un infarto. Si tratta di sistemi che consentono di affinare la capacità
diagnostica e soprattutto di superare la soggettività della diagnosi.

I l C H E S T- PA I N S C O R E è u n o s c o r e
diagnostico secondo cui si attribuisce un CHEST-PAIN SCORE

punteggio in base a dei parametri specifici: SEDE DEL DOLORE PUNTEGG


localizzazione, carattere, irradiazione e sintomi IO
associati. Le modalità di attribuzione del Retrosternale e precoridale 3
punteggio sono riportate in tabella.
Emitorace sx, collo 2
Se lo score è maggiore di 4, avremo un dolore
mandibola, epigastrio
“tipico” con una probabilità medio-alta di avere
a che fare con un’angina pectoris. Se lo score è Carattere oppressivo 3

minore di 4, si tratta di un dolore “atipico” Apex -1


associato ad una bassa probabilità di angina
Pesantezza, senso di 2
pectoris.
costrizione
Molti pazienti giungono in PS con un’ischemia
miocardica e un ECG perfettamente normale; Irradiazione al braccio, 1
spalla, collo mandibola
ciò non vuol dire che il paziente non abbia
avuto una sindrome coronarica acuta o che non Coesistenza di dispnea, 2
nauesea, sudorazione
si tratti di un’angina preinfartuale. Sono questi i
algida
casi in cui applicare il calcolo del Chest-pain
score.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 14 A cura: di Andrea Perna


Da una revisione della letteratura recente è emerso che le donne con età superiore ai
65 anni presentano in generale meno sintomi e più ambigui, meno dolore toracico e
più dispnea. Per cui sopratutto nelle donne è necessario porre molta attenzione
perché i sintomi in alcuni casi possono essere del tutto fuorvianti.

In un paziente che si presenta con dolore toracico, la prima ipotesi da considerare è


la sindrome coronarica acuta, anche perchè è la più grave e a più elevata mortalità
(ricordare che la prima causa di morte nel mondo occidentale sono le malattie
cardiovascolari).
Se ci sono anomalie del tratto ST/T occorre fare una diagnosi differenziale tra angina
instabile ed infarto STEMI; l’unico biomarker che ci consente di differenziarle è la
troponina.
In caso di sottoslivellamento del tratto ST o comunque di un’inversione dell’onda T
in alcune o in tutte le derivazioni, la troponina discrimina: se essa è al di sopra del
range, il paziente ha uno STEMI, viceversa il paziente ha un’angina instabile.

Nota: Nella classificazione di Braunwald l’angina instabile e lo STEMI vengono considerate la


stessa sindrome, semplicemente varia la troponina, in una c’è necrosi miocardica diffusa
(STEMI) nell’altra no.

I fattori che incrementano la probabilità di una sindrome coronarica acuta sono


principalmente:
- Età avanzata;
- Sesso maschile;
- Storia positiva familiare di CAD;
- Malattie arteriche periferiche (claudicatio, piede diabetico, ulcere vascolari, ecc.);
- Diabete mellito;
- Insufficienza renale (causa di per se un aumento della troponina I; il valore
diagnostico della troponina in un paziente con IR diventa a volte confondente
perchè ci sono delle cause non cardiache di elevazione della troponina)
- Infarto miocardico precedente;
- Precedente rivascolarizzazione coronarica (bypass o angioplastica).

ESAMI DIAGNOSTICI
L’ ECG ha un’alta specificità per i quadri tipici, in quanto rivela il sopra- o il
sottoslivellamento e anomalie dell’onda T, ma ha anche una scarsa sensibilità;
potrebbe addirittura non mostrare alcuna anomalia. Vi possono essere molti quadri
subdoli ed è negativo per ischemia in circa il 50% degli infarti all’esordio.

L’ Ecocardiogramma è invece un esame diagnostico dotato sia di alta specificità che


di elevata sensibilità. Se il paziente ha un’ischemia in una specifica sede del cuore,
essa si ripercuoterà sulla contrattilità di quella sede, con alterazione della cinesi
osservabile con questa metodica. Il territorio sarà ipocinetico in caso di ischemia,
acinetico in caso di infarto. Ovviamente il quadro si complica nel momento in cui il
paziente abbia già avuto in passato delle anomalie ischemiche con pregresse
alterazioni della cinetica cardiaca; in questo caso l’ecocardiogramma diventa uno
strumento utile se lo vado a paragonare con quello precedente considerando anche
se nel frattempo c’è stato un peggioramento o un miglioramento dei sintomi.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 15 A cura: di Andrea Perna


La Troponina I e la Troponina T hanno altissima sensibilità ma scarsa specificità
perchè ci sono delle forme secondarie di ipertroponinemia (IR, crisi ipertensiva,
tachiaritmia, ipertiroidismo, stress fisico, attività fisica intensa). Quindi la troponina
è uno strumento utile ma non è discriminatorio al cento per cento, la devo
contestualizzare all’interno di quel determinato caso clinico.

Un ECG suggestivo di SCA è raramente aspecifico. In caso di sopraslivellamento


del tratto ST in tutte le derivazioni, difficilmente si tratterà di uno STEMI, più
probabilmente avremo a che fare con una pericardite. Nella pericardite l’anomalia
elettrocardiografica è diffusa, nell’infarto è prevalentemente localizzata nell’area
irrorata da quell’arteria andata incontro ad occlusione. All’ ecocardiogramma
vedremo del liquido intorno al cuore e saremo quindi in grado di fare diagnosi di
pericardite; rimarrà da stabilire se si tratta di una pericardite costrittiva o meno,
anche in relazione ai sintomi riferiti.
Importante è il confronto con ECG precedenti nei soggetti con anamnesi remota
positiva, portatori di PMK, pazienti con blocchi di branca o pre-eccitazione. Se il
paziente si presenta in PS con dolore toracico e non ha sotto- o sopraslivellamenti
ma ha un blocco di branca sx non presente ai precedenti ECG, in quel caso il blocco
di branca sx è un analogo ischemico e il pz ha una SCA fino a prova contraria.
E’ importante seguire ECG seriati nei casi dubbi.

Un ECG negativo, in presenza di clinica e/o marcatori dubbi, non esclude la


possibiltà di SCA. Possiamo infatti trovarci dinanzi ad un paziente che un’ora
prima ha avuto una forma anginosa risoltasi spontaneamente, il cui ECG si presenta
normale.
In questi pazienti è bene eseguire il dosaggio della troponina e un test ergometrico
da sforzo o un test provocativo con stress farmacologico (la scintigrafia miocardica
con dipiridamolo oppure un ecocardio da stress farmacologico con dobutamina) per
essere in grado di escludere o meno con maggior certezza una SCA.

Sono raccomandati dosaggi addizionali di Troponina I/T ad alta sensibilità (in modo
tale da avere una curva delle troponina) nel senso che non è sufficiente un unico
dosaggio per fare la diagnosi, ma almeno due o tre dosaggi; il timing dei dosaggi
della troponina T varia poi in base ai vari trial. Oggi è in voga l’algoritmo delle tre
ore, con due o tre dosaggi ogni tre ore.
Secondo le ultime linee guida consideriamo ischemica una troponina il cui aumento
rispetto alla prima determinazione è di almeno il 25-30%, facendoci quindi pensare
ad un’ischemia o ad una necrosi miocardica, al di sotto di questo valore il paziente
potrebbe avere un’angina instabile. Quindi una determinazione seriale è di
fondamentale importanza.
Un incremento o una riduzione dei livelli di troponina in misurazioni seriate sono
necessari perchè siano rispettati i criteri di infarto del miocardio.

GRACE Risk Model Normogram


Il GRACE è un sistema a punteggio sviluppato da un registro multinazionale di pz
con SCA, basato sull’utilizzo di diversi parametri (identificati come fattori di rischio
indipendenti, FR) tra i quali ricordiamo: Killip class, pressione sistolica (SBP),
frequenza cardiaca, età, livelli di creatinina. Ad ogni FR viene assegnato un proprio

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 16 A cura: di Andrea Perna


punteggio. Il tasso di eventi aumenta in modo significativo con l’aumentare dello
score.

TIMI Risk Score


Anche in questo caso vengono considerati diversi parametri che costituiscono un
fattore di rischio di cardiopatia ischemica; tra essi vanno ricordati:
- L’età >65 anni (aumenta di circa tre volte il rischio di cardiopatia ischemica;
- una stenosi coronarica (aumenta il rischio di CAD del 50%);
- Più di 3 fattori rischio per coronaropatia;
- Modifiche del tratto ST >0,5mm;
- Più di 2 episodi di angina nelle ultime 24h;
- Assunzione di ASA entro una settimana prima;
- Elevati marker di necrosi miocardica.
A ciascuno dei parametri viene attribuito 1punto.
Lo score influenza dunque il percorso diagnostico e terapeutico del paziente.

Le linee guida ESC 2011 danno delle raccomandazioni per la stratificazione del
rischio. Secondo tali linee guida in un pz con sospetta SCA la diagnosi deve essere
basata su storia clinica, sintomi, EO, ECG e i biomarkers.
In un pz che si presenta in PS con dolore toracico è necessario richiedere:
- Chimica clinica, i valori di creatinina ad esempio ci diranno se la troponina elevata
è una troponina vera o da IR;
- Elettroliti, per capire se le anomalie elettrocardiografiche sono da ischemia o
squilibri elettrolitici;
- Transaminasi, possono essere un marker di un’ infezione virale che ha dato come
complicanza una miocardite;
- Emocromo;
- PEC (prove di emocoagulazione), sono importanti perchè soprattutto un pz
destinato alla sala emodinamica deve essere scoagulato e dobbiamo sapere da
quali valori partiamo;
- ECG ed RX torace sono fondamentali perchè consentono di escludere le cause
secondarie (pneumotorace, slargamento dell’aorta);
- Troponina che può essere associata a necrosi o all’apoptosi e quindi va sempre
contestualizzata. Un pz con dolore toracico, troponina normale, GRACE<140,
TIMI score 0-1 può essere dimesso con l’indicazione di eseguire un test da sforzo
che può essere eseguito direttamente in PS o in seguito ambulatorialmente.
Invece un pz con troponina normale ma con un GRACE e un TIMI score più
elevati verrà sottoposto ad un test di secondo livello( test provocativo) in base al
quale si deciderà se dimetterlo o ospedalizzarlo.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 17 A cura: di Andrea Perna


TERAPIA
A differenza di qualche anno fa in cui il PS era solamente un luogo di smistamento,
oggi i pz vi stazionano almeno 24h e quindi si esegue l’imprinting terapeutico, per
cui è di fondamentale importanza che si tratti di un approccio terapeutico adeguato
per evitare eventi avversi ed un peggioramento della prognosi.
La terapia di base della SCA si basa su alcuni fondamenti che vengono declinati a
seconda della gravità (STEMI, NSTEMI, angina instabile):
- Doppia antiaggregazione piastrinica;
- Anticoagulazione pre- e/o periprocedurale (prima o durante l’angioplastica);
- Altri farmaci collaterali.
La terapia “storica” si basava su un insieme di farmaci indicati con l’acronimo
MANO: morfina, aspirina, nitrati, ossigeno.

Oggi c’è molto di più sulla terapia delle sindromi coronariche acute, con un dibattito
aperto sul ruolo della morfina, in quanto si ritiene che in alcuni casi possa
peggiorare la situazione, considerando che si tratta di un analgesico che riduce la
motilità gastro-intestinale e può provocare vomito.
Per quanto riguarda la somministrazione di ossigeno, si è visto come questa nelle
prime 12h dopo lo STEMI è associata ad un significativo incremento della troponina
I e delle CK. Questo può essere letto come un fatto positivo o negativo. Se noi
abbiamo un picco di troponina I o T subito dopo un infarto, questo potrebbe
correlare con una prognosi non necessariamente peggiore, in quanto un valore molto
alto può essere associato sia ad un’importante area di estensione dell’infarto che ad
una rivascolarizzazione più precoce. L’aumento dei valori di troponina è legato al
fatto che il flusso coronarico “lava” quella zona di cuore necrotico e si riempie di
troponina. Un pz con alta estensione dell’area necrotica e poca troponina è un pz che
non ha più flusso coronarico.

Nel trattamento del paziente con angina è importantissima la diagnosi differenziale


tra STEMI e NSTEMI, perché in un paziente con STEMI non si può perdere troppo
tempo: una volta eseguito l’ECG, il paziente dev’essere trasferito immediatamente
in unità coronarica e in sala di emodinamica perché il trattamento dello STEMI è
l’angioplastica primaria (PCI).
Anche il farmaco, ovviamente, è importante: se non è possibile effettuare la PCI –
perché non sempre noi possiamo avere a disposizione una sala di emodinamica,
possiamo prendere in considerazione di trattare lo STEMI con la fibrinolisi o, se
proprio vogliamo trattare il paziente con qualcosa di farmacologico, l’unico farmaco
indicato è l’aspirina, dopodiché il paziente deve essere trasferito subito in UTIC
dove deve essere sottoposto a coronarografia e PCI.

Terapia dell’infarto STEMI


Angioplastica primaria (PCI)
C’è una diretta relazione tra la mortalità e il tempo di angioplastica (ecco dunque
l’importanza di non perdere tempo con il paziente STEMI): se la PCI viene fatta
entro 90’ la mortalità è del 3%, se la tempistica di intervento è, invece, superiore ai
150’ la mortalità è del 7,4%.
Quindi, se un paziente lamenta un dolore toracico, con sopraslivellamento del tratto
ST, una volta fatto il prelievo per la valutazione delle troponine, il paziente va subito

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 18 A cura: di Andrea Perna


trasportato in UTIC per ridurre le conseguenze dell’infarto stesso. Prima si
rivascolarizza, prima il paziente guarirà e ovviamente minore sarà il tessuto
miocardico perso.
L’angioplastica primaria ha cambiato la storia naturale dello STEMI, ecco perché,
paradossalmente, lo STEMI è considerato “meglio” dell’NSTEMI, perché con la
vascolarizzazione si risolve il problema.

Fibrinolisi
La fibrinolisi (o trombolisi) è stata ormai totalmente abbandonata in PS.
Si potrebbe fare con Streptochinasi (SK), Alteplase (tPA), Reteplase (r-PA) o
Tenecteplase (TNK-tPA), in realtà da noi non si usa più se non in condizioni in cui
non si ha disponibilità di un centro di unità coronarica. La trombolisi trova anche
indicazione nell’embolia polmonare, in particolare quando massiva.
Tenete presente che la trombolisi non è esente da rischi: in particolare ricordiamo il
rischio emorragico.
Ci sono, infatti, dei criteri di esclusione per cui, se per es. il paziente ha una
tendenza emorragica o ha avuto recentemente un’emorragia, bisogna andare a
valutare il rapporto rischi-benefici per evitare che il paziente possa andare incontro
ad una complicanza ugualmente fatale.

Antiaggreganti e altri farmaci


L’unica terapia farmacologica immediata possibile nello STEMI è la somministrazione di
acido acetilsalicilico, sia per os (500 mg) che in vena (250 mg). Dopodiché il
paziente va in UTIC -in realtà le linee guida prevedono una doppia terapia
antiaggregante.
In letteratura, però, non esiste evidenza del vantaggio nella somministrazione di un
secondo antiaggregante prima di eseguire la coronarografia, ecco perché, al momento
attuale, si preferisce l’uso di Prasugrel, un antiaggregante di seconda generazione,
che però può essere somministrato solo ad albero coronarico noto. Questo perché
esiste un unico studio, in cui il farmaco è stato testato e ne è stata dimostrata
l’efficacia solo nel periodo post-coronarografia.
Per cui spetta al cardiologo, dopo la procedura, decidere se dare o meno il Prasugrel
al paziente. In concomitanza all’aspirina, si può operare una gastroprotezione, sia con
antiacidi, come la Ranitidina (300 mg e.v.), sia con inibitori di pompa protonica
(Esomeprazolo 40 mg).

Terapia dell’infarto non NSTEMI


Nell'infarto NSTEMI, invece, abbiamo più opzioni terapeutiche e sono quasi
totalmente a carico del medico di medicina di emergenza-urgenza. La terapia è
articolata come segue:
- Aspirina masticabile 500 mg oppure 250 mg e.v.
- Antiaggreganti piastrinici. Abbiamo due possibilità: il Ticagrelor o il Clopidogrel
In entrambi i casi si inizia con una dose carico: del Clopidogrel diamo 300 mg per os
di dose carico, seguita da 75 mg/die; nel caso del Ticagrelor facciamo una dose
carico di 180 mg per os, seguita da 90 mg due volte al giorno.
Il Clopidogrel è un profarmaco, cioè un farmaco che ha bisogno del metabolismo
epatico per essere attivato. Il Ticagrelor non è un profarmaco ma agisce
immediatamente. Inoltre il Clopidogrel ha un'attivazione citocromica. Questo vuol dire

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 19 A cura: di Andrea Perna


che circa il 30-40% della popolazione generale mostra una resistenza citocromica al
Clopidogrel (quindi il Clopidogrel in questi pazienti non ha alcun effetto) e
purtroppo non ci sono a disposizione in PS test per conoscere la presenza di questa
particolare resistenza.
- Gastroprotettori: anche in questo caso Ranitidina (300 mg e.v.) o Esomeprazolo
(40 mg) da sottolineare come alcuni studi hanno dimostrato che gli inibitori di
pompa protonica diminuiscono l'azione del Clopidogrel, quindi tra i vari
svantaggi, c'è anche un interazione tra farmaci.

Fondamentali, oltre agli antiaggreganti, nelle SCA sono:


- Beta-bloccanti o i calcio-antagonisti non diidropiridinici (Altiazem, Diltiazem): i
beta-bloccanti sono di fondamentale importanza perché, riducendo la frequenza
cardiaca, riducono il consumo dell'ossigeno. Bisogna però fare attenzione ai
pazienti ipotesi o con shock cardiogeno in atto (paziente ipoteso, tachicardico), in cui
la somministrazione dei beta-bloccanti non farà che peggiorare il quadro di shock.
- ACE-inibitori o i sartani (i sartani trovano particolare indicazione nel paziente
diabetico).
- Statine: sono di fondamentale importanza, sia in prevenzione ma soprattutto nel
trattamento acuto perché, non solo riducono i livelli di colesterolo, ma riducono
anche l'infiammazione sistemica determinando un rimodellamento della placca in
senso positivo e, in ultima analisi, in particolare ad alto dosaggio, riducono la
mortalità dopo evento coronarico acuto.
- Nitrati: sono dei vasodilatatori veno-arteriosi che riducono il ritorno venoso, il
precarico, la PA, il postcarico, il lavoro cardiaco e quindi alla fine riducono il consumo di
ossigeno. Tuttavia sono dei farmaci sintomatici: non vanno usati in cronico ma solo
in acuto, vanno quindi dati nei pazienti con dolore toracico in atto e pressione
elevata. Attenzione perché c'è controindicazione all'assunzione dei nitrati
nell'infarto inferiore (che determina in genere ipotensione e quindi la riduzione
del precarico comporta peggioramento dell'ischemia -in questo caso bisogna
somministrare liquidi per sfruttare la legge di Frank-Starling) e nell'infarto
posteriore del ventricolo desto -addirittura in questo causo aumentano la
mortalità, determinando una caduta dei valori pressori.
- Ossigeno.
- Morfina: riduce il dolore, il rilascio catecolaminergico, la frequenza cardiaca, il consumo di
ossigeno, riduce anche il danno ischemico. Non bisogna aver paura di usare la morfina
(in boli refrattari di 2-3 mg, ripetibili ogni 20-30 minuti), ma, in questo caso
bisogna fare attenzione perché in alcuni soggetti può determinare una reazione
avversa agli oppioidi con vomito e si rischia addirittura di peggiorare il quadro. In
più in quest'ultima circostanza non si rende più possibile l'utilizzo di Clopidogrel
e Ticagrelor.

TAMPONAMENTO CARDIACO
Il paziente con dolore toracico potrebbe avere, in realtà, una pericardite. Dobbiamo
fare molta attenzione alla pericardite perché a volte questa può portare a
tamponamento cardiaco.
Il tamponamento cardiaco è dato dall'accumulo di una quantità di liquido di natura
imprecisata (essudato, trasudato, sangue), in un intervallo di tempo più o meno

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 20 A cura: di Andrea Perna


breve, sufficiente ad indurre una pressione diastolica transmurale tale da ridurre e
poi impedire la diastole del ventricolo destro

La diagnosi è sempre ecografica. Il tamponamento si avrà soprattutto, inizialmente,


sulle sezioni destre perché sono quelle a più bassa pressione e quindi con una
resistenza minore. I segni di sospetto clinico di tamponamento sono:
- Turgore delle giugulari;
- Tachicardia sinusale;
- Polso paradosso (polso schioccante ma accorciato in durata);
- Dispnea inizialmente da sforzo, poi a riposo;
- Intensa astenia, perché cala sia il flusso polmonare che quello periferico;
- Segni di shock.

In questi casi bisogna immediatamente intervenire con una pericardiocentesi


d'urgenza. Esistono due tecniche:
- Tecnica classica "alla cieca": si punge a livello dello xifoide puntando verso la spalla
con un angolo di 45° circa rispetto alla superficie corporea e si entra in
aspirazione.
- Tecnica ecoguidata: è la migliore. Si localizza il cuore con l'ecografo, dopodiché si
punge dove si vede il cuore con lo spessore di versamento maggiore e si inserisce
il catetere per via transtoracica, attraverso le coste, seguendo l'ago durante la
puntura e si va a drenare il versamento, lasciando poi il drenaggio aperto per
eventuale riformazione del liquido.
Entrambe queste tecniche hanno vantaggi e svantaggi: sicuramente gli svantaggi
maggiori si hanno nella tecnica classica che potrebbe portare a danneggiamento di altri
organi per passaggio trans-epatico o trans-pleurico o a trasfissione miocardica
(evenienze molto rare nella tecnica ecoguidata). Potrebbe poi esserci un versamento
multiplo, insaccato, perciò magari drenando una sacca singola il tamponamento
resta.

TACHIARITMIE
FIBRILLAZIONE ATRIALE (FA)
E' la più frequente ed importante tra tutte le tachiaritmie ed è determinata dalla
totale desincronizzazione della attività atriale, che diventa disorganizzata e
frammentata, con assenza di contrazione atriale, e quindi onda P nell'ECG, e
mancata funzione di pompa atriale.
All'ECG quindi avremo: intervalli R-R irregolari e mancata visibilità delle onde P.

Fisiopatologia
La perdita di contrazione atriale (insieme con l'alta frequenza) riduce il riempimento
ventricolare diastolico di circa il 30%. Ne consegue la riduzione del tempo di
perfusione coronarica (che avviene essenzialmente in diastole) con possibile
precipitazione in ischemia miocardica. Ecco perché si dice che la FA può essere
causata da un'ischemia del miocardio o può essere causa di un'ischemia del
miocardio, la cosiddetta "ischemia da discrepanza": da un lato aumenta la richiesta di
ossigeno per l'aumento della frequenza, dall'altra si riduce il tempo di diastole e
quindi di perfusione coronarica.
Vi sono diversi tipi di FA:

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 21 A cura: di Andrea Perna


- Parossistica, che insorge e si risolve entro le 48 ore
- Persistente, dura più di 7 giorni
- Persistente "Long-Standing", persiste per più di un anno
- Permanente, è quella resistente a terapia.

Approccio al paziente
Inizialmente è necessario valutare la stabilità emodinamica (parametri vitali nella
norma senza segni di iniziale shock); se ha instabilità emodinamica bisogna
effettuare una cardioversione immediata, altrimenti sono necessarie una serie di
valutazioni che ci permetteranno non solo di fare la diagnosi, ma anche di
approcciare, dal punto di vista terapeutico, la patologia del paziente.
L’inquadramento iniziale presuppone l’esecuzione di:
- esami ematochimici (emocromo, SMA, NT-proBNP, PEC),
- anamnesi mirata indagando sull'insorgenza dei sintomi, sulla severità dei sintomi,
sulla presenza di pre-eccitazione ventricolare (ad es. WPW)
- calcolare il rischio trombotico futuro.

Esiste una scala, ed è la scala EHRA (EHRA SCORE) che consente di classificare il
paziente in base ai sintomi:
- I nessun sintomo
- II sintomi lievi-moderati, la normale attività quotidiana non è compromessa ma la
FA si può manifestare dopo esercizio fisico
- III sintomi severi, con alterazioni della normale attività domestica
- IV sintomi cosiddetti "disabilitanti"

Trattamento
Possiamo avere un duplice approccio: eseguire un Rate Control (agisco sulla
frequenza cardiaca rallentandola, lasciando però inalterato il ritmo della FA
sottostante), oppure un Rhythm Control (agisco sul ritmo somministrando dei
farmaci o facendo una cardioversione elettrica, in maniera tale da ripristinare il
ritmo sinusale).
Secondo le nostre linee guida, in generale, i due approcci sono equiparabili

Per quanto riguarda il controllo della frequenza, i farmaci che si possono utilizzare
sono:
- Digossina (0,5 mg per os oppure tramite infusione in 30 minuti, con dose di
mantenimento di 0,125 mg);
- Metoprololo o altro beta-bloccante (50 mg due volte al giorno) -digossina e
metoprololo possono essere utilizzati insieme;
- Verapamil, un calcio-antagonista, da utilizzare nei pazienti che non rispondono ai
primi due o che hanno delle controindicazioni (per esempio il paziente con
diabete, BPCO o ischemia degli arti inferiori può avere una controindicazione al
beta-bloccante). Il Verapamil a sua volta, però, è controindicato in pazienti con
insufficienza cardiaca.
- Diltiazem

Per quel che riguarda il controllo del ritmo, devo distinguere i pazienti i cui sintomi
sono insorti entro le 48 h, da quelli che hanno invece sintomi da più di 48 h.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 22 A cura: di Andrea Perna


Questo perché la cardioversione si può effettuare sia farmacologicamente che
elettricamente solo nei pazienti che hanno un'insorgenza entro le 48 h, altrimenti
rischio di indurre un tromboembolismo è importante.
Quindi, se il paziente si presenta in PS entro le 48 h:
- ed è emodinamicamente stabile faccio la cardioversione;
- se il paziente non è emodinamicamente stabile, eseguo un ecocardiogramma:
- se ha una patologia strutturale il farmaco di prima scelta è l'amiodarone (5mg/kg,
con una dose successiva di 50 mg/h), perché è il farmaco che da meno problemi
- se non ha una patologia strutturale posso utilizzare la flecainide (2mg/kg in 10
minuti, dopodiché si può decidere di fare una seconda somministrazione dopo
2-3 h) o il propafenone (ha le stesse indicazioni della flecainide). Posso
utilizzare anche il Vernakalant, che è simile al propafenone ma da noi non è
ancora approdato.
Una volta che si è ripristinato il ritmo sinusale, il paziente deve restare in
osservazione per le successive 6 h. Se viene ripristinata una stabilità emodinamica si
può procedere con la cardioversione, altrimenti possiamo andare a controllare la
frequenza cardiaca con un beta-bloccante, con la digossina o con un calcio-
antagonista.
Una cosa fondamentale è che tutti questi pazienti devono essere trattati con
anticoagulanti orali (OAC).

Il rischio tromboembolico può essere calcolato mediante algoritmi come il


CHA2DS2-VASc RISK.
Questo è uno score che comprende diversi parametri, tra cui:
- insufficienza cardiaca congestizia
- ipertensione
- età > 75 aa (2 punti)
- diabete mellito
- stroke, TIA o fenomeni tromboembolici precedenti (2 punti)
- malattie vascolari
- età compresa tra 65-74 aa
- sesso femminile
Il massimo score è 9. Se il rischio è uguale a 0, non vi è indicazione all'utilizzo di
OAC, al massimo si può dare l'aspirina (75-300 mg/dir). Se il rischio è uguale a 1, si
possono dare sia OAC che aspirina.Se il rischio è uguale o maggiore di 2 sono
necessari gli OAC.

L'aspirina, però, è un farmaco che andrebbe dato solamente nella prevenzione


secondaria degli stroke e dell'infarto e non per prevenire il rischio tromboembolico,
perché, a differenza degli OAC, non ha nessun antidoto: se un anziano che prende
cardioaspirina dovesse cadere e accidentalmente battere la testa, avrebbe
un'importante emorragia, nei confronti della quale non si può né intervenire
farmacologicamente, né tanto meno chirurgicamente.
Quindi l'aspirina sarebbe meglio non usarla proprio in questi casi e, se necessario
(per i pazienti con rischio 1, o quelli con rischio maggiore o uguale a 1), si
dovrebbero usare anticoagulanti orali (warfarin -un cumarinico), i nuovi anticoagulanti
orali (apixaban, dabigatran, rivaroxaban) oppure l'eparina a basso pero molecolare
(enoxaeparina).

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 23 A cura: di Andrea Perna


TPSV
La tachicardia parossistica sopraventricolare è definita come: tachicardia
sopraventricolare a mantenimento spontaneo, solitamente in assenza di cause
secondarie, sostenuta da un impulso elettrico che cortocircuita all’interno del nodo A/
V.
Dal punto di vista fisiopatologico la TPSV è sostenuta da un circuito di rientro a
livello del nodo atrioventricolare. La TPSV caratteristicamente non deve essere
trattata necessariamente con i farmaci ma è una di quelle aritmie che possiamo
trattare con le manovre vagali:
- Manovra di Valsalva.
- La compressione simultanea dei bulbi oculari.
- La testa in acqua fredda.
- Massaggio del seno carotideo.

Se tali manovre non sono sufficienti si passa alla terapia farmacologica. Il farmaco
più usato è l’adenosina, somministrata in bolo venoso: Contemporaneamente si
somministra ossigeno al paziente. Ogni bolo deve essere seguito da almeno 20 cc di
fisiologica perché il farmaco deve arrivare rapidamente al cuore. Quando si
cardioverte il paziente ha una sensazione caratteristica di ‘morte imminente’ perché
il cuore si ferma per qualche secondo prima di riprendere il suo ritmo sinusale.
Se non c’è cardioversione nemmeno dopo il terzo bolo si passa ad un altro farmaco
(Verapamil).
La controindicazione all’uso dell’adenosina è la ‘Sindrome di Wolff Parkinson White’,
una sindrome da pre eccitamento, che si riconosce perché c’è l’intervallo P-R
estremamente lungo. Se si somministra adenosina in questi paziente quando il
cuore riprende a battere si potrebbe innescare una tachicardia ventricolare.

DISSEZIONE AORTICA
Lesione dell’intima aortica tale da consentire al flusso ematico di slaminare l’intima
stessa creando un falso lume, riducendo la resistenza del vaso che può arrivare a
rompersi.
Esistono due tipi di dissecazione aortica, quella di tipo A e quella di tipo B, con
differenze anatomiche e terapeutiche.
• Nel tipo A è coinvolto l’arco aortico e può classicamente può comparire
anche un versamento pericardico, che non è una pericardite essudativa ma è
presenza di sangue all’interno del pericardio. Il paziente in questo caso
potrebbe morire per un tamponamento cardiaco. E’ la forma più insidiosa.
Ha un trattamento esclusivamente chirurgico, con sostituzione dell’aorta
ascendente con protesi valvolata (Bentall) o meno, in base al quadro che
abbiamo di fronte.
• Il tipo B interessa l’aorta discendete fino anche alle arterie sotto – renali,
mentre raramente sono coinvolte le arterie iliache (a differenza del tipo A in
cui sono comunemente interessate). Non ha un approccio chirurgico ma
osservazionale e solo in casi particolari si rende necessario il posizionamento
di un’endoprotesi. Per osservazione si intende il monitoraggio del paziente e
il controllo dei suoi parametri vitali, in particolare tenendo la pressione
arteriosa al di sotto dei 100 mmHg, perché spesso sono proprio i picchi

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 24 A cura: di Andrea Perna


ipertensivi a rompere l’intima e quindi a portare il paziente allo shock
emorragico e alla morte.

Fattori di rischio per la dissecazione aortica saranno:


- Fattori di rischio cardiovascolare (paziente iperteso, diabetico, con aterosclerosi e
di sesso maschile.
- Sindrome di Marfan, anomalia del collagene che coinvolge quindi anche le arterie,
in particolare l’aorta, e che ha un aspetto caratteristico: sono pazienti molto alti
con le braccia sproporzionate rispetto al tronco.
- Età > 70 anni.
- Uso di cocaina, Precedenti episodi di dissecazione, Abuso di cocaina, Gravidanza.
Il dolore toracico della dissezione aortica spesso si irradia posteriormente o a volte
addirittura da solo dorsalgia.
Se il paziente ha delle comorbidità naturalmente la sua prognosi peggiora e le sue
condizioni sono ancora più gravi.

CAUSE POLMONARI
Nell’inquadramento generale l’Rx è di fondamentale importanza. Ecco perché ad
ogni paziente con dolore toracico bisogna eseguire un Rx. Questo è infatti il primo
esame di screening nel sospetto clinico di patologia polmonare e ci permette di fare
diagnosi di pneumotorace, di addensamento polmonare, di polmonite lobare, di
BPCO e di molte altre affezioni polmonari. C’è però un’altra metodica che, se usata
da mani esperte, può rivelarsi addirittura superiore all’Rx del torace: l’ecografia. Nel
caso di versamento pleurico, ad esempio, la sensibilità dell’auscultazione è del 42%,
quella dell’Rx del 39% e quella dell’ecografia del 92%. Nel caso della sindrome
alveolo – capillare la sensibilità dell’auscultazione è del 34%, quella dell’RX del 60%
e quella dell’ecografia del 98%. Nonostante però i più alti valori di specificità,
sensibilità e accuratezza diagnostica dell’ecografia rispetto all’RX il problema sorge
dal momento che l’ecografia deve essere eseguita da personale esperto, essendo un
esame operatore – dipendente, a differenza dell’RX, valutabile molto più facilmente.

Oltre all’inquadramento generale con Rx del torace ed ecografia ci sono esami


ematochimici di fondamentale importanza:
- Emocromo, soprattutto quando sospettiamo una polmonite per andare a vedere i
globuli bianchi.
- Proteina C reattiva.
- Creatinina.
- Procalcitonina, pro – ormone della calcitonina, marker di infezione batterica e
soprattutto di sepsi. Ottimo marker anche di risposta alla terapia antibiotica.

MALATTIA DA REFLUSSO GASTRO – ESOFAGEO


La malattia da reflusso gastroesofageo MRGE è causata da complicanze patologiche
del reflusso gastroesofageo (RGE). Si parla di malattia quando quando il reflusso
causa sintomi (pirosi, rigurgito) o quando, con la gastroscopia, si evidenziano
lesioni infiammatorie a carico dell'esofago (esofagite), o ulcere, o trasformazione
metaplastica della mucosa (esofago di Barrett). I sintomi sono molto simili a quelli
dell’infarto miocardico: Dolore epigastrico, Dolore retroscapolare, Pirosi, Asma,
Rigurgito, Dispnea.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 25 A cura: di Andrea Perna


Il reflusso gastroesofageo è dovuto ad un’incontinenza del cardias, della valvola
esofagea inferiore, per vari motivi: cancro del cardias, ernia iatale.
Il reflusso acido o, peggio ancora, di bile, a livello esofageo, dove la mucosa non è
attrezzata per resistere a queste sostanze, può provocare delle lesioni.
Quando un paziente si presenta i PS bisogna sempre chiedere se ha mai fatto una gastroscopia o
se è a conoscenza di avere un ernia iatale perché la causa del suo dolore toracico potrebbe essere il
reflusso gastroesofageo e non un infarto.

La vera diagnosi di MRGE si fa con l’esofagogastroduodenoscopia con biopsie, cosa


che naturalmente non può essere eseguita in PS. Per questo, se si sospetta questa
patologia, si consiglierà al paziente di fare una visita specialistica alla dimissione dal
PS cosi da approfondire e verificare il nostro sospetto diagnostico. In PS, in caso di
dolore toracico, la diagnosi di MRGE è solo previa esclusione di tutte le altre cause.
Nella terapia farmacologica gli inibitori di pompa protonica giocano un ruolo
fondamentale.

COSTO-CONDRITE ACUTA
La costocondrite è una sindrome dolorosa del torace, risultante da un'infiammazione
a carico delle cartilagini collegate alle costole superiori della gabbia toracica. In
particolare coinvolge proprio le articolazioni condrosternali dando origine ad un
dolore toracico che può essere a destra o a sinistra (anche entrambi gli emitoraci),
può coinvolgere il processo xifoideo.
L’Eziologia può dipendere da traumi al torace, sforzi fisici eccessivi, infezioni virali,
batteriche o fungine, neoplasie maligne, fibromialgia, forme di artrite.
Alcuni pazienti che vengono in PS per dolore toracico da costo condrite acuta hanno
semplicemente tossito molto a causa di polmonite/influenza.
Il dolore è caratteristico: innanzitutto è evocabile; inoltre, il pz con infarto in corso
nell’indicare la sede del dolore (sterno) estende la mano (indica un regione più
ampia, un dolore mal localizzabile), il pz con patologia infiammatoria localizzata,
invece, spesso tende ad indicare la zona interessata con un dito  (ovviamente vi
sono anche in questo caso delle eccezioni).  Una tipica espressione del pz che ha
questo tipo di dolore è “come una coltellata, quando provo a respirare mi sento
mancare il fiato”: il dolore cardiaco non risponde al respiro (la pericardite, ad
esempio, se pieghi il busto migliora), l’infarto è un dolore sordo che non cambia con
gli atti respiratori e con la posizione, non risponde a nulla se non alla morfina o ai
nitrati. Quindi, per ciò che concerne la costo-condrite, questo è un aspetto
caratteristico: se il dolore aumenta con il respiro è un dolore legato al movimento
della gabbia toracica quindi si tratterà di un dolore di origine pleurica o intercostale
o muscolare o legato al movimento delle coste
La terapia di questo tipo di dolore è:
- FANS
- a volte dobbiamo utilizzare OPPIOIDI
- Combinazioni: paracetamolo-codeina/paracetamolo-tramadolo

Sindrome di Tietze

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 26 A cura: di Andrea Perna


E’ una malattia infiammatoria delle cartilagini costali
(cioè delle coste) e sternali (cioè dello sterno), che Box. Terapia farmacologica: la scala
provoca dolore, gonfiore e senso di intorpidimento in analgesica a tre gradini
corrispondenza delle sedi colpite. Eziologia
sconosciuta. Nel trattamento del dolore i farmaci analgesici
Somiglia alla costo-condrite ma non è la stessa andrebbero impiegati con un criterio sequenziale
(terapia per step) impostato sul rapporto beneficio/
malattia(seppur, per certi versi, le due
rischio.
patologie si assomiglino molto). La terapia per Step è stata concepita nel 1986
Simile è la terapia, ma la caratteristica saliente dall’OMS ed è comunemente nota come “scala a
è  che il punto interessato appare gonfio, tre gradini del dolore”.
doloroso alla pressione, ma il pz confermerà
che il tipo d dolore evocato è lo stesso che lo DOLORE LIEVE
Paracetamolo o FANS +/- adiuvanti
ha portato al PS (assicurarsene è importante DOLORE MODERATO
perchè  non è detto che non possa essere Oppioidi minori
presente conteporaneamente un infarto). +/- Paracetamolo o FANS +/- adiuvanti
La terapia consiste in: riposo e farmaci DOLORE FORTE
Oppioidi forti
antinfiammatori (FANS e corticosteroidi). +/- Paracetamolo o FANS
L a prognosi, con le cure adeguate, è +/- adiuvanti
solitamente positiva.
Questa scala non ci soddisfa pienamente perché i pz
non sono dei gradini, ci sono indicazioni e
controindicazioni (es pz con dolore lieve e cirrosi
epatica che non può assumere paracetamolo). È una
scala aleatoria disegnata per persone al primo
approccio alla tp del dolore.
In emergenza la scelta della tp non deve tenere conto
soltanto dell’intensità del dolore ma anche:
➢ delle caratteristiche del dolore
➢ della frequenza e durata del dolore
➢ del profilo di ogni singolo paziente (età,
malattie concomitanti e terapie già in atto)

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, - Sbob di Emergenze del 04/04/2016,
8.30-9.30, Dolore toracico, prof. 11.30-12.30, Dolore toracico, prof.
Franceschi a cura di Stefano Sforna Franceschi a cura di Federica
- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, Tagliente.
9.30-10.30, Dolore toracico, prof. - Sbob di Emergenze del 04/04/2016,
Franceschi a cura di Isabella Tundo 12.30-13.30, Dolore toracico, prof.
- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, Franceschi a cura di Ada Truma.
10.30-11.30, Dolore toracico, prof.
Franceschi a cura di Mariapia Stifano

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 27 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 2
______________________________________________________
DISPNEA

La dispnea è una sensazione soggettiva avvertita dal paziente, che riferisce di


“respirare male, avere poco ossigeno”. A volte un paziente riferisce chiaramente di
sentirsi soffocare, questo naturalmente dipenderà dalla gravità del quadro clinico.
È possibile descrivere dispnee da sforzo così come dispnee a riposo, ovviamente lo
sforzo e l’esercizio possono esacerbare la dispnea, ma possono dare anche una stima
della gravità della dispnea stessa.
Nel momento in cui ci si trova a gestire un paziente affetto da dispnea è opportuno
indagare una serie di caratteristiche cliniche sia per capire la gravità del quadro e
fare diagnosi sia per capire quale paziente necessita di ricovero e quale invece può
essere trattato a domicilio.
Innanzitutto bisogna valutare se si tratta di una forma inspiratoria (come nelle
patologie tracheali) o espiratoria (come nella BPCO). Bisogna poi considerare:
- la durata del sintomo e la sua persistenxa
- la comparsa di cianosi e/o marezzature
- la frequenza respiratoria
Tra le altre caratteristiche su cui è necessario focalizzarsi nell’approccio ad un
paziente dispnoico troviamo:
- tutte le condizioni associate al quadro clinico di base (ad esempio possiamo avere
un paziente con dispnea e marcata astenia che ha sicuramente anche ipossia,
oppure un paziente con dispnea e sudorazione algida che potrebbe avere una
concomitante cardiopatia, ma il paziente potrebbe anche essere dispnoico e
astenico a causa di un’anemia)
- la meccanica respiratoria (il paziente respira normalmente con il torace o sforza
anche la muscolatura addominale? È fondamentale saperlo perché
l’attivazione dei muscoli accessori ci può dare un’idea sulla gravità della
fatica respiratoria)
- l’insorgenza (questo è importante perché la riacutizzazione della BPCO,
l’embolia polmonare, l’edema polmonare acuto sono patologie ad insorgenza
acuta, mentre la BPCO ingravescente non riacutizzata è a ad andamento
progressivo. Questo ha implicazioni terapeutiche importanti perché un
paziente con BPCO non riacutizzata può essere agevolmente trattato in OBI
- osservazione breve intensiva - e poi dimesso dopo 1-2 giorni)
- la risposta alla terapia (è possibile dimettere un paziente se c’è stato un
marcato miglioramento della terapia, altrimenti deve essere ricoverato
perché evidentemente o si è sbagliato a fare la diagnosi o il paziente ha una
patologia così grave da necessitare terapie più aggressive).

Valutazione iniziale del paziente dispnoico


Dispnea inspiratoria o espiratoria
Nel caso di dispnea inspiratoria siamo di fronte ad una situazione di emergenza in
cui bisogna immediatamente valutare la pervietà delle vie respiratorie (e considerare
edema della glottide, corpo estraneo, laringospasmo, croup, laringite, compressione
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 28 A cura: di Andrea Perna
estrinseca da masse tumorali della tiroide); bisogna risolvere la situazione in
maniera davvero rapida, massimo entro 5 minuti. 

La dispnea espiratoria, invece, si associa più spesso a fenomeni di ostruzione delle
piccole vie aeree e fenomeni di air trapping. Si può presentare secondariamente ad
una condizione di asma (allergico, cardiaco quando le pareti bronchiali sono
imbibite di essudato) o BPCO; in questi casi il paziente respira sempre con
l’addome.
Le Forme miste sono quasi sempre secondarie a malattie gravi, come asma severo,
dispnea parossistica notturna, edema polmonare acuto.

Frequenza respiratoria
Si tratta di un parametro immediatamente disponibile che si valuta posizionando
una mano sul torace per contare gli atti respiratori in un minuto o in 30 secondi
(moltiplicando per due); la FR cambia in rapporto all’età del paziente:
- lattante 30-40 atti/min
- neonato 25-30 atti/min
- bambino (6-14anni) 20-25 atti/min
- adulto 12-20 atti/min
Si parla di bradipnea quando la FR<12 (nell’adulto).
Si parla invece di tachipnea quando in un adulto si superano i 20 atti al minuto,
mentre un 14enne che ha 25-28 atti/min può essere del tutto normale.

Meccanica respiratoria
Si valuta semplicemente guardando il malato ed è fondamentale per capire il
compenso e stabilire se necessita o meno di ossigeno. Si valuta, inoltre, il
rientramento degli spazi intercostali (tirage), l’uso dei muscoli intercostali, il
sollevamento delle spalle, il respiro altalenante, il movimento del diaframma.

Tempo di insorgenza
- Dispnea acuta: le cause più frequenti sono rappresentate da quelle allergiche,
edema polmonare, embolia polmonare, riacutizzazione BPCO, PNX. E’ necessario
prestare molta attenzione all’ossigeno da dare al paziente per il rischio di
inibizione del centro della respirazione con successiva ipercapnia: di solito ad un
BPCO si dà massimo un 30-35%. 

Di fronte ad un paziente dispnoico bisogna anche considerare la possibilità che
questi abbia un attacco di panico (pz agitato, con dolore toracico, confuso per
l’ipocapnia legata all’iperventilazione, dispnoico). Di solito si fa respirare il
paziente in maschera BLB senza supplementazione di O2 o in una semplice
bustina per respirare la propria aria precedentemente espirata ricca in CO2.
- Dispnea progressiva, causata da embolia polmonare cronica, BPCO non riacutizzato.

Cianosi, marezzatura
Segni di grave sofferenza periferica, ipossia (come ad esempio nel paziente in shock)

Sintomi associati
Dolore toracico, acufene, cefalea, confusione mentale, nausea, vomito, dolore da
crisi ansiosa (sono tutti punti fondamentali da ricercare).

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 29 A cura: di Andrea Perna


Fattori scatenanti
Esposizione a pollini, polvere, alimenti ecc. (soprattutto per le forme allergiche);
sforzo fisico.

Risposta alla terapia


Se si presenta un paziente con embolia polmonare (alla dispnea si può associare
tachicardia, ipotensione, broncospasmo) che viene trattato erroneamente come
BPCO riacutizzata chiaramente le sue condizioni cliniche non miglioreranno.
Valutando la risposta alla terapia somministrata si capirà, quindi, se la diagnosi
posta è corretta o meno.
Per aiutarsi nella diagnosi di dispnea ci si può avvalere dell’algoritmo OPACS:
- Osservo
- Palpo
- Ausculto (murmure, rumori aggiunti umidi o secchi, abolizione del
murmure. Se il paziente è in condizioni critiche ci si può basare anche sulla
semplice auscultazione anteriore)
- Conto la FR
- rilevo la Saturazione (attenzione a non valutare questo parametro in maniera
critica, senza considerare cioè l’intero quadro clinico)
Normalmente al di sotto del 93% si parla di saturazione deficitaria.

Il fisiologico atto del respirare è composto da due parti fondamentali: ventilazione


alveolare (capacità di rimuovere CO2 dagli alveoli ad ogni respiro) e ossigenazione del
sangue.
Ci sono una serie di condizioni patologiche che si associano ad un’ipocapnia (come
l’embolia polmonare, in cui abbiamo un sequestro di vasi) o ad una ipercapnia
(come la BPCO, perché il paziente non riesce ad eliminare CO2).
L’ossigenazione è la capacità del sangue di assorbire O2 dagli alveoli; ovviamente
risente della patologia che stiamo valutando.

Quando usiamo il saturimetro dobbiamo considerare che esso legge esclusivamente


la PaO2 e quindi non tiene conto della parte di O2 legata ai globuli rossi, mentre
tramite l’emogasanalisi (che è sicuramente più attendibile della saturazione
dell’ossigeno) si riescono a valutare anche altri parametri come il rapporto tra PaO2
e frazione inalata.
Il saturimetro fornisce anche il valore della frequenza cardiaca, valore da correlare
sempre alla saturazione.
Può accadere di avere un disturbo respiratorio e quindi si osserva una frequenza
aumentata come risposta normale o anche secondaria all’innesco di una tachiaritmia
da ipossia, ma il paziente può anche essere ipossiemico per una causa strettamente
cardiaca. Come già detto, attraverso l’emogas è possibile ricavare anche il rapporto
P/F che normalmente è pari a circa 350-400; nell’ARDS può raggiungere valori pari
a 200-100. La ventilazione alveolare, invece, è il volume di aria che il paziente è in
grado di mobilizzare con un atto respiratorio allo scopo di ossigenare il sangue ed
eliminare CO2. La PCO2 normale è 40mmHg.
Il volume minuto ventilatorio (circa 4,5-6 lt/min) è il prodotto della ventilazione di ogni
singolo atto per la frequenza respiratoria.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 30 A cura: di Andrea Perna


Valutando l’emogas del paziente bisogna fare attenzione alla possibilità che i
parametri di CO2 e O2 si presentino assolutamente normali, pur in presenza di una
condizione patologica; questo può accadere se il paziente mette in atto un compenso
e respira, ad esempio, ad una frequenza molto superiore alla norma.

La saturazione di ossigeno viene spesso interpretata dai sanitari come unico


parametro di valutazione di efficacia respiratoria e questo è un errore che spesso
viene commesso.
L’atto del respirare è composto da due parti fondamentali: l’ossigenazione del sangue e
la ventilazione alveolare, ovvero la capacità di rimuovere CO2 dagli alveoli ad ogni
respiro.
La respirazione quindi non è solo importante per acquisire ossigeno, ma anche e
soprattutto per rimuovere l’anidride carbonica, quindi ci sono una serie di
condizioni che si assoceranno ad un ipocapnia o un’ipercapnia. L’ipocapnia può essere
espressione di malattie ben precise, ad esempio il paziente con embolia polmonare sarà
ipossico e ipocapnico perché c’è un sequestro di alveoli e di vasi deputati agli scambi
respiratori e quindi il paziente non riesce ad ossigenare e quindi la CO2 sarà bassa. Al
contrario il paziente BPCO avrà un’ipossia e un’ipercapnia cioè non riesce ad eliminare
anidride carbonica.
Sia l’ipocapnia che l’ipercapnia possono essere espressione di un disturbo
respiratorio importante e grave.

L’ossigenazione del sangue è diretta funzione della capacità del sangue di assorbire
ossigeno dagli alveoli. Il saturimetro legge solo la PaO2 e quindi la pressione
parziale di ossigeno, la quantità di gas disciolto nel sangue, non tiene conto
completamente della parte legata ai globuli rossi. Mentre tramite l’emogasanalisi,
che è sicuramente più attendibile della semplice saturazione dell’ossigeno, noi
riusciamo a valutare vari parametri quali il rapporto tra la PO2 in mmHg e la FiO2
che ci da un indice di valutazione dell’efficienza della barriera emato-alveolare.

L’altra cosa che rileva il saturimetro è la frequenza cardiaca, che deve essere sempre
correlata alla saturazione.
La normalità del rapporto P/F è 350-400. Possiamo avere delle situazioni, ad es.
nell’ARDS che è una malattia estremamente grave, in cui scende al di sotto di 200.
Questo è un rapporto che si calcola direttamente con l’EGA.

Una pressione parziale di CO2 normale è di 40mmHg. Il volume minuto ventilatorio


(circa 4,5-6 L/min) è il prodotto della ventilazione di ogni singolo atto per la
frequenza respiratoria. I parametri di CO2 e O2 normali possono non esserlo se il
paziente ottiene tali valori con una frequenza di 32 atti al minuto.

La dispnea può avere una causa cardiaca, muscoloscheletrica, gastrointestinale,


vascolare o respiratoria pura. Spesso nei pazienti anziani le cause possono essere
miste, più frequentemente miste cardiache e respiratorie.
- A livello polmonare: polmonite, pneumotorace, pneumomediastino, il versamento
pleurico/pleurite o la neoplasia del polmone/metastasi sono frequenti cause.
Un’altra frequente causa è la BPCO.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 31 A cura: di Andrea Perna


- Cause cardiache: edema polmonare acuto, scompenso cardiaco congestizio (faccio
20m, il cuore fa fatica, ristagno di liquidi a livello polmonare e mi viene la
dispnea), sindrome coronarica acuta (che può precipitare in edema polmonare
acuto o in uno scompenso cardiaco importante), tamponamento cardiaco,
tachiaritmie e bradiaritmie.
- Cause vascolari: tromboembolia polmonare (grazie al miglioramento delle
tecniche diagnostiche, con le TC di ultima generazione, oggi si riescono a vedere
anche quadri pseudonormali che non danno manifestazioni cliniche). La trombosi
venosa profonda è un fattore di rischio, ma il principale fattore di rischio per
embolia polmonare sono i traumi. Quindi il paziente politraumatizzato, il
paziente chirurgico che fa chirurgia ortopedica è ad elevatissimo rischio di
embolia polmonare. Immaginate la difficoltà di un paziente politraumatizzato che
ha come complicanza un’embolia polmonare che noi dobbiamo trattare con gli
anticoagulanti e nel frattempo magari ha l’emorragia cerebrale, l’emotorace,
l’emoperitoneo o sanguinamenti vari. Quindi diventa veramente una patologia
estremamente insidiosa in questi pazienti), la dissezione aortica, l’aneurisma
dell’aorta, alcune malattie autoimmuni che possono coinvolgere il circolo
polmonare come le vasculiti (es. Churg-Strauss, Granulomatosi di Wegener).
- A livello gastrointestinale la malattia da reflusso, la gastrite, soprattutto del
cardias, possono dare dei sintomi respiratori. Da ricordare che il paziente con
esofagite da reflusso può mimare una sintomatologia cardiaca e anche avere
un’asma associato (cosiddetto asma intrinseco, cioè asma caratterizzato dalla
negatività di tutte le prove allergiche).
- Muscoloscheletriche: le fratture costali, crollo vertebrale, infiltrazione parietale
neoplastica possono dare dispnea. Nel paziente che ha fratture costali, se la
frattura è composta, si verifica quella che si chiama dispnea antalgica, cioè il
paziente non riesce a respirare bene perché se espande troppo la gabbia toracica
percepisce dolore e per non farsi venire dolore ha un respiro superficiale e se il
paziente ha una patologia cardiaco-polmonare sottostante respirando in maniera
più superficiale va in ipossia quindi diventa ancora più dispnoico. Ecco perché
spesso questi pazienti con fratture costali anche non complicate vanno trattenuti
in ospedale, poiché c’è il rischio che a casa vadano in ipossia. Il crollo vertebrale si
può manifestare con una dispnea, soprattutto donne anziane osteoporotiche
possono avere dei crolli vertebrali o per piccoli traumi o spontanei, oppure
pazienti con localizzazione tumorale di una vertebra, anche in quel caso si realizza
una dispnea antalgica, cioè il paziente non respira bene perché se espande la
gabbia toracica gli viene dolore alla schiena, però questa è una cosa che dobbiamo
sempre rilevare e chiedere: “respira male perché ha dolore o perché non riesce a
respirare indipendentemente dal dolore?”. Poi l’infiltrazione parietale neoplastica
può essere un’altra causa.
- Altre cause: l’anemia e lo scompenso cardiaco ipercinetico sono delle altre forme
che possono dare dispnea. Se il paziente ha 3 di Hb fa fatica a respirare, non ha un
disturbo respiratorio primario, ma è semplicemente anemico. Ecco perché in tutti
pazienti che noi vedremo dovremo sempre fare gli esami del sangue. Quelli sono
pazienti che voi non conoscete, che non avete mai visto. Mai fidarsi di quello che
vi dicono i parenti, gli accompagnatori, i figli, i genitori, etc… Sempre prendere
tutto con le molle, sempre fare gli esami.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 32 A cura: di Andrea Perna


A volte la dispnea può essere espressione di un versamento pleurico che può essere
da scompenso cardiaco o si può associare ad un focolaio bronco pneumonico o a una
neoplasia polmonare; qualora ci sia irritazione pleurica il versamento pleurico è
consensuale.
All’Rx torace bisogna subito valutare se il versamento è monolaterale o bilaterale
perché se è bilaterale spesso è un versamento pleurico da scompenso cardiaco; se è
monolaterale invece vuol dire che c’è una patologia di quel polmone o della pleura
stessa. Un esempio è il mesotelioma, tumore della pleura che si associa a questo
tipo di condizione oppure una polmonite che si estende alla pleura dà dolore o
tumore che coinvolge pleura.

Generalmente il polmone non dà mai dolore, il polmone non è innervato da fibre


algogene, il versamento è una raccolta di liquido che può essere essudato o
trasudato che è differente se deriva da tumore o polmonite e si accumula nello scavo
pleurico provocando dolore.
A volte il versamento è di modesta entità e non ha alcuna rilevanza sulla meccanica
respiratoria del paziente oppure può essere importante ed essere causa di dispnea.
I sintomi sono dispnea ingravescente con peggioramento in poche settimane di tipo
improvviso con dolore associato di tipo pleurico trafittivo che corrisponde agli atti
del respiro; un infarto differentemente difficilmente risponde agli atti del respiro, è
un dolore sordo che c’è indipendentemente dagli atti del respiro. Se è associato ad
edemi declivi o bilaterali che possono essere sottostanti come un edema interstiziale
o uno alveolare l’eziologia sarà differente, come in caso di presenza di tumori, le
neoplasie polmonari o pleuriche possono dare versamento pleurico. Anche qui per la
diagnosi si usa l’Rx torace, auscultatoriamente mettendo un fonendo sul torace non
si sentirà nulla, totale silenzio auscultatorio. Anche l’ecografia è molto precisa e può
dare informazioni.

La terapia è spesso conservativa e se il versamento è bilaterale si potenzia la terapia


diuretica; se c’è scompenso cardiaco si usano alcune classi di beta-bloccanti come il
carvedilolo, farmaci che migliorano la contrattilità cardiaca anche se in acuto
possono determinare un peggioramento della patologia, sono farmaci che vanno
sempre iniziati in un setting ospedaliero quindi la prima cosa da fare per un paziente
che arriva in PS con versamento pleurico bilaterale, oltre che ospedalizzarlo perché
ad alto rischio va sottoposto ad un potenziamento della terapia diuretica e ciò si
realizza passandola per via endovenosa; al contrario, se è monolaterale bisogna
ricercare la causa sottostante come un tumore oppure se il versamento è massivo si
potrebbe pensare di drenarlo e appena il paziente respira meglio viene dimesso.
L’interventistica quindi è effettuata quando c’è un cospicuo versamento oppure per
necessità diagnostica, quando c’è un sospetto di tumore del polmone con
versamento pleurico massivo si può introdurre un drenaggio non solo per favorire
l’evacuamento ma anche per indurre un citologico che serve ad isolare magari un
microrganismo oppure qualche cellula tumorale.
La toracentesi viene fatta in questa maniera: un ago viene introdotto nel cavo
pleurico al livello di VI-VII spazio intercostale per capire in primis se si tratta di un
essudato o di un trasudato oppure per capire se c’è del sangue dentro. Con un tubo
di drenaggio si può togliere la maggior parte del liquido in maniera tale da dare
sollievo al paziente o si aspira con una siringa.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 33 A cura: di Andrea Perna


EDEMA POLMONARE ACUTO
E’ una delle più importanti patologie respiratorie, se non riconosciuto subito e
trattato tempestivamente può portare alla morte del paziente. Si tratta di un eccesso
di liquidi nel polmone. Se ne distinguono due tipi: l’edema polmonare acuto
alveolare e quello interstiziale, quello alveolare è una forma più grave, quello
interstiziale è una forma iniziale, spesso vediamo delle forme miste interstizio-
alveolari. E’ sempre conseguenza di una patologia cardiaca, in seguito ad un
problema pressorio o ad una defaiance del ventricolo sinistro.

Si trova spesso nell’infarto con il coinvolgimento del ventricolo sinistro per


insufficienza acuta, nella polmonite, soprattutto nell’anziano, sempre associata ad
insufficienza ventricolare sinistra o nella crisi ipertensiva grave, con il paziente che
ha ad esempio 250-150 di pressione e insufficienza ventricolare acuta da
sovraccarico pressorio elevato e tutto si ripercuote sul circolo polmonare e il
paziente va in edema polmonare acuto.
E’ quindi il carico pressorio o l’insufficienza ventricolare sinistra che determina un
ristagno di liquidi a livello polmonare e il paziente diventa marcatamente dispnoico,
il ristagno di sangue venoso induce un ingorgo e in effetti all’auscultazione si
percepisce un gorgoglio, spesso si sente anche senza fonendoscopio, basta avvicinare
l’orecchio alla bocca del paziente per capire che ha un edema polmonare acuto;
ovviamente questo liquido, che è un trasudato, fuoriesce negli alveoli inondandoli, si
mescola all’ossigeno e produce quel rumore caratteristico, a volte è presente ma non
sempre l’escreato rosato, una commistione tra liquido, gas e sangue che viene
emesso dalla bocca del paziente come una schiuma rosata.

Per quanto riguarda la sintomatologia c’è una dispnea dall’esordio improvviso


altamente ingravescente con senso di morte imminente, a volte può comparire dopo
un litigio, un alterco, una scarica catecolaminica in un paziente con storia di
scompenso cardiaco fa salire la pressione inducendo l’edema polmonare acuto.

Bisogna fare attenzione all’uso di Fans: essi riducono la produzione di prostaglandine


quindi riducono la funzionalità renale quindi il paziente che usa Fans ad alto
dosaggio da lungo tempo trattiene liquidi anche senza accorgersene fino a quando
un alterco, un litigio, non fa precipitare la situazione. C’è la comparsa di rantoli,
cianosi, il paziente è cianotico, marezzato, non riesce a respirare, pensa di morire, è
marcatamente agitato. In questo caso la diagnosi è molto semplice, si procede con
l’auscultazione, basta guardare il paziente, con Rx toracico.

La terapia può essere medica o ventilatoria; in quella medica la fanno da padrone i


nitrati ma solo nell’edema polmonare acuto iperteso che è la forma più frequente;
bisogna fare attenzione all’edema polmonare acuto ipoteso e alla cardiomiopatia
dilatativa in cui il trattamento non va fatto con i nitrati perché la pressione
scenderebbe ancora di più e il quadro clinico peggiorerebbe.
Il diuretico è un farmaco secondario al nitrato perché la sola vasodilatazione
arteriosa e venosa fa si che si riassorba l’edema a livello polmonare. La morfina può
essere indicata perché il paziente ha panico, ansia, senso di morte imminente, e
questo può peggiorare il suo respiro, e la morfina può controllare questa ansia
avendo un effetto sedativo sul paziente e la meccanica respiratoria migliora.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 34 A cura: di Andrea Perna


Un’altra possibilità che prescinde dall’uso dei farmaci è la CPAP, con un aumento
della PEP, con contrapposizione della pressione intra-alveolare alla pressione
idrostatica dell’edema. Ci sono un modello a maschera e uno a casco, di fatto è una
pressione positiva che fa si che il trasudato a livello polmonare venga riassorbito dal
circolo polmonare, si abbassa la pressione e aumenta la diuresi, è un sistema
meccanico che a prescindere dai farmaci determina di per sé una riduzione dei valori
pressori quindi la CPAP va usata con molta cautela nel paziente ipoteso perché è una
procedura che tende a ipotendere.

A volte uno scompenso cardiaco congestizio può essere causa di dispnea, soprattutto
da sforzo, e può dare edema polmonare acuto soprattutto quando non è ben trattato,
quando le richieste di ossigenazione tissutale sono maggiori rispetto alla
contrattilità miocardica e quindi c’è un’ipoperfusione periferica, c’è una riduzione
del circolo polmonare non c’è una buona ossigenazione del sangue e il paziente
lamenta dispnea.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, - Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
8.30-9.30, Dispnea, prof. Franceschi a 10.30-11.30, Dispnea, prof.
cura di Vincenzo de Marzo Franceschi a cura di Luisa Vitale

- Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
9.30-10.30, Dispnea prof. Franceschi
a cura di Alberto Giuffrida

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 35 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 3
_______________________________________________________
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA

Si definisce insufficienza respiratoria la presenza di scambi gassosi inadeguati a


causa della disfunzione di una o più componenti dell’apparato respiratorio.
Vi sono due varietà principali di insufficienza respiratoria acuta: ipossiemica (di tipo
I, o parziale, lung failure) e ipercapnica (di tipo II o totale, pump failure).
L’IR ipossiemica è caratterizzata da una saturazione arteriosa di ossigeno inferiore al
90% in presenza di una frazione respiratoria di ossigeno > di 0,6. Può essere causata
da una polmonite, edema polmonare, emorragia alveolare, embolia polmonare.
L’ipossiemia deriva da un disaccoppiamento tra ventilazione e perfusione e da uno
shunt intrapolmonare. L’insufficienza respiratoria di tipo I è la forma più comune, si
può riscontrare praticamente in tutte le condizioni patologiche che coinvolgano i
polmoni.
L’insufficienza respiratoria ipercapnica è caratterizzata da acisosi respiratoria con pH
>7,30. Deriva dalla riduzione della ventilazione o dall’incremento dello spazio
morto fisiologico. Le condizioni che più frequentemente determinano insufficienza
respiratoria ipercapnica sono malattie neuromuscolari come la miastenia gravis, e le
malattie respiratorie come l’asma e la BPCO. In questo tipo di insufficienza
respiratoria la pCO2 è tipicamente maggiore di 50 mmHg. Nelle forme acute su
croniche, come nelle riacutizzazioni di BPCO la pCO2 raggiunge anche valori più
elevati. In una prima fase i reni tentano di tamponare compensare questo eccesso di
acidità, mettendo in circolo dei bicarbonati. Quando anche questo meccanismo di
compenso diventa insufficiente, compare l’acidosi respiratoria, una condizione che
rappresenta un’emergenza medica.

Ipossiemia
I seguenti meccanismi possono agire da soli o in associazione nel causare l'ipossiemia
arteriosa:
- Una riduzione della pressione parziale di O2 inspirato (PiO2) si verifica ad alta quota
(come conseguenza della riduzione della pressione barometrica), durante l'inalazione di
gas tossici e in prossimità di incendi che consumano O2.
- L'ipoventilazione causa una caduta dei livelli di O2 alveolare (PAO2) e di O2 arterioso
(PaO2).
- La riduzione della diffusione è causata dalla separazione fisica di gas e sangue (come
nella patologia interstiziale polmonare diffusa) o dalla riduzione del tempo di transito dei
GR attraverso i capillari (come nell'enfisema polmonare con perdita di parte del letto
capillare).
- L'alterazione del rapporto ventilazione/perfusione regionale (V/Q) quasi sempre
contribuisce all'ipossiemia clinicamente importante. Le regioni del polmone scarsamente
ventilate ma con una buona perfusione producono una desaturazione; l'effetto dipende in
parte dal contenuto di O2 del sangue venoso misto. Una riduzione del contenuto di O2
nel sangue venoso misto peggiora ulteriormente l'ipossiemia. Le cause più frequenti sono
le affezioni che causano una scarsa ventilazione di alcune regioni del polmone (p.  es.,
ostruzione delle vie aeree, atelettasie, addensamenti o edema di origine cardiogena o non).
Il grado di vasocostrizione polmonare ipossica, che allontana il flusso sanguigno dalle
zone poco ventilate, determina la misura nella quale una diminuzione della ventilazione
contribuisce all'ipossiemia. Poiché il sangue dei capillari proveniente dalle regioni del
polmone ben ventilate è già saturo di O2, l'iperventilazione con aumento della PaO2 non

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 36 A cura: di Andrea Perna


compensa pienamente l'alterato rapporto V/Q. Tuttavia, un aumentato apporto di O2
inverte in modo drammatico l'ipossiemia quando l'alterazione del rapporto V/Q,
l'ipoventilazione o i disturbi della diffusione ne sono la causa, perché la PaO2 delle stesse
regioni mal ventilate aumenta abbastanza da permettere una piena saturazione dell'Hb.
Quando i pazienti respirano O2 al 100%, solo gli alveoli perfusi che sono totalmente non
ventilati (regioni di shunt) contribuiscono all’ipossiemia.
- Lo shunt (lo sbocco diretto del sangue venoso nella circolazione arteriosa) può essere
intracardiaco, come nelle cardiopatie congenite destro- sinistre cianogene o può
manifestarsi per il passaggio attraverso anormali canali vascolari intrapolmonari (p. es., le
fistole arterovenose polmonari). Le cause più frequenti sono le malattie polmonari che
producono uno squilibrio regionale V/Q, con ventilazione regionale quasi o totalmente
assente.
- La commistione del sangue venoso con desaturazione anormale con il sangue
arterioso diminuisce la PaO2 nei pazienti con malattie polmonari e alterazioni degli
scambi gassosi intrapolmonari.

Ipercapnia
I principali meccanismi che causano o contribuiscono all'ipercapnia sono un insufficiente
stimolo dai centri respiratori, una pompa ventilatoria difettosa, un carico di lavoro così
gravoso da affaticare i muscoli respiratori e le malattie polmonari intrinseche con grave
alterazione dei rapporti V/Q. Gli ultimi due meccanismi spesso coesistono.
Anche se un aumento nella pressione parziale di CO2 inspirata (p.  es., in vicinanza di un
caminetto in casa o per inalazione volontaria di CO2) può occasionalmente causare
ipercapnia, l'ipercapnia quasi sempre indica un'insufficienza o uno scompenso della
ventilazione.
La PaCO2 è proporzionale alla produzione di CO2 (co2) ed è inversamente proporzionale
alla ventilazione alveolare (Va) come previsto dall'equazione standard (dove k è una
costante):

Un aumento della co2 dovuta a febbre, crisi epilettiche, agitazione o ad altri fattori è
solitamente compensato da un immediato aumento del Va. L'ipercapnia si sviluppa solo se
l'aumento della Va è sproporzionatamente basso.
L'ipoventilazione è la causa più comune di ipercapnia. Oltre all'aumento della PaCO2, è
presente acidosi respiratoria in misura dipendente dal grado di tamponamento tissutale e
renale.
Una riduzione della Va può essere dovuta a una riduzione della ventilazione totale (Ve),
spesso chiamata ipoventilazione globale, o a un aumento della ventilazione dello spazio
morto (Vd).

Un'overdose di stupefacenti con soppressione dei centri respiratori cerebrali è una causa di
ipoventilazione globale.

FISIOPATOLOGIA
La PaO2 e la PaCO2 riflettono l'adeguatezza e l'efficienza degli scambi gassosi fra i
polmoni e il sangue venoso. La PaCO2 di norma si mantiene nello stretto intervallo
compreso tra 35 e 45 mm Hg. Un aumento di produzione della CO2 (co2) comporta
normalmente un incremento appropriato dello stimolo ventilatorio e della
ventilazione alveolare (Va), prevenendo ogni incremento della PaCO2. La Va e la PaCO2
sono inversamente proporzionali ad ogni dato livello di co2.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 37 A cura: di Andrea Perna


La ParteriosaO2 è considerevolmente più bassa della Po2inspirata (PiO2) e poco più
bassa della PalveolareO2.
La Po2 del gas inalato viene calcolata dalla percentuale della frazione di O2 inspirato
(FiO2) moltiplicata per la pressione barometrica (Pb). Per l'aria a livello del mare,
PiO2= 0,21 x 760 mmHg =160 mmHg.
Non appena entra nelle vie aeree superiori, il gas inspirato viene saturato dal vapore
acqueo. Al livello del mare e, a normale temperatura corporea, (37°C ), l'acqua
esercita una pressione parziale di 47 mm Hg. Dopo saturazione con vapore acqueo,
la Po2 è lievemente diluita.
Po2= 0,21x(760-47)=149mm Hg.
Ai fini pratici, la Po2 del gas inalato che entra negli alveoli può essere approssimata
moltiplicando la FiO2 x7 (p. es., per l'aria ambiente, 21 x 7 = 147 mm Hg; per
l'ossigeno al 40%, 40 x 7 = 280 mm Hg).
Poiché la pressione gassosa totale negli alveoli deve rimanere costante, maggiore è la
quantità di CO2 che entra negli alveoli, minore deve essere la PaO2. In un paziente
che assume una dieta alimentare normale, il quoziente respiratorio (cioè, il rapporto
CO2/O2) è pari non a 1 ma a circa 0,8, quindi ogni mm PaCO2 allontana in effetti 1,25
mm PaO2. (Il quoziente respiratorio è influenzato dalla quantità relativa di grassi e di
carboidrati contenuti nella dieta, aumentando fino a quasi 1 con un'alimentazione
ricca di carboidrati e scendendo fino a quasi 0,7 con un'alimentazione ricca di
grassi.) A scopo clinico, la ParteriosaCO2 può essere assunta come uguale alla
PalveolareCO2. Perciò, la PaO2 può essere calcolata dall'equazione PaO2 = FiO2 (Pb-
Ph2o) -1,25 PaCO2.

Per l'aria ambiente, con una ParteriosaCO2 di 40 mm Hg, la PaO2 = 147-50 = 97 mm


Hg.
Il normale valore di Va è circa 5 l/min, come lo è anche per la perfusione (Q). Se Va
e Q fossero perfettamente uguali (cioè V/Q = 1), ParteriosaO2 e PalveolareO2
sarebbero uguali. Il rapporto medio V/Q di un polmone normale è, tuttavia, circa
0,8. Questo livello di squilibrio V/Q è causa di una ParteriosaO2 che è 5-15 mm Hg
più bassa della PaalveolareO2, come se il 2% del sangue arterioso polmonare (venoso
misto) fosse immesso direttamente nella circolazione polmonare venosa senza
partecipare allo scambio gassoso (shunt). La differenza tra PartO2 e PalvO2 (A-aDO2)
riflette direttamente il grado di disaccoppiamento del rapporto V/Q , cioè, la gravità
del danno polmonare intrinseco.
La PartO2 per un ventenne sano, che respiri aria in ambiente chiuso, è circa 90 mm
Hg. La PaartO2 normale all'età di 70 anni è circa 75 mm Hg. Questa riduzione
fisiologica della PartO2 con l'età è il risultato di una diminuzione del ritorno elastico
polmonare (enfisema senile) che porta a una chiusura delle più piccole vie aeree nel
range del volume corrente, con una ulteriore riduzione del rapporto medio V/Q dei
polmoni.
Una PiO2 più bassa del normale necessariamente porta all'ipossiemia, senza alcuna
alterazione della relazione V/Q e senza un aumento della A-aDO2.
L'ipoventilazione può portare da sola all'ipossiemia, anche senza una patologia
polmonare intrinseca. Se la PartCO2 aumenta da 40 a 80 mm Hg, come può verificarsi
in un'overdose di sedativi, la PaartO2 deve scendere di 50 mm Hg, da 90 a 40 mm Hg.
La causa di gran lunga più comune di ipossiemia è l'alterato rapporto V/Q.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 38 A cura: di Andrea Perna


Nei pazienti con BPCO, la perdita delle proprietà elastiche tissutali, il broncospasmo
e le secrezioni vischiose concorrono nel peggiorare il rapporto V/Q nei polmoni. Le
aree con basso rapporto V/Q determinano ipossiemia; le aree con un alto rapporto
portano a una ventilazione sprecata (spazio morto), aumentando il lavoro
respiratorio e contribuendo all'ipercapnia. A meno che le vie aeree siano totalmente
occluse, l'ipossiemia viene rapidamente corretta con piccoli incrementi della FiO2, in
quanto vi è un forte gradiente di diffusione verso le aree di ipossia alveolare.
Tipicamente, una FiO2 tra il 24 e il 28% è sufficiente a correggere l'ipossiemia dovuta
all'alterato rapporto V/Q.
Le aree che sono completamente non ventilate (per collasso o inondamento
completo degli alveoli), ma sono ancora perfuse, determinano uno shunt di sangue
destro-sinistro. Lo shunt comporta un'ipossiemia che è più refrattaria agli aumenti
della FiO2 poiché l'O2 non può raggiungere la superficie di scambio dei gas. Questi casi
richiedono spesso la ventilazione meccanica e la pressione positiva teleespiratoria
(PEEP) per incrementare la FRC e aprire le vie aeree occluse.

CLINICA
Il paziente è tachipnoico e dispnoico e la cianosi si manifesta solo se i valori di
emoglobina sono sufficientemente elevati. Qualsiasi paziente con insufficienza
respiratoria acuta attiva i muscoli accessori della ventilazione, quindi l’osservazione
dello sternocleidomastoideo, delle pinne nasali, è una manifestazione importante
perché significa che il paziente è già in un quadro di scompenso.
Per quanto riguarda i rumori polmonari, essi sono rumori aspri(wheezing) , oppure
abbiamo un’alterazione dei rumori respiratori.
Inoltre non bisogna dimenticarsi che qualsiasi paziente con insufficienza respiratoria
acuta (ARF) ha un coinvolgimento cardiovascolare. Il cuore è una pompa che
funziona all’interno di un’altra pompa che è il torace , quindi le alterazioni delle
dinamiche polmonari e delle pressioni intratoraciche compromettono la performance
cardiaca.

Il paziente con problemi respiratori sviluppa, almeno nelle fasi iniziali, degli alti
livelli di depressione intrapleurica e questo produce la recessione degli spazi
sovrasternali e sovraclavicolari. Il gradiente nello spazio pleurico che noi
utilizziamo per produrre il normale volume corrente è pari a -2,-3 cmH2O. Il
paziente con insufficienza respiratoria acuta presenta nel suo spazio pleurico una
pressione di almeno -20,-25 cmH2O. Lo stesso problema avviene a livello degli
spazi intercostali (segno di Hoover, movimento verso l’interno delle coste inferiori
durante l’inspirazione). Quando si arriva a valori molto negativi (es,
-20,-30,-40cmH2O) gli spazi intercostali sono risucchiati verso l’interno. Questa è
energia dei muscoli respiratori presa e buttata via, che non produce movimento
polmonare, non produce volume corrente e genera un enorme consumo di ossigeno.
Per tutti questi motivi il paziente con insufficienza respiratoria acuta ha un
coinvolgimento emodinamico, ed ha un importante ipertono adrenergico, quindi è
tachicardico. Nei casi più gravi compare il respiro paradosso addominale , cioè i
movimenti del torace e dell’addome sono in antifase.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 39 A cura: di Andrea Perna


APPROCCIO AL PAZIENTE CON ARF
Nel caso di un paziente con ARF si deve somministrare immediatamente ossigeno.
Questo permette di stabilizzare il paziente, di monitorizzarlo, di quantificare il grado
di insufficienza respiratoria e di andare avanti. Il paziente con insufficienza
respiratoria acuta va posizionato in posizione semiseduta. Questo produce un
miglioramento cardiovascolare. A questo punto si ricorre all’esame clinico( cercare
soprattutto di auscultare i rumori respiratori ). Una volta effettuato l’esame clinico
si passa agli esami strumentali, classicamente la radiografia del torace in due
proiezioni e l’elettrocardiogramma. Si esegue anche l’emogasanalisi. Se necessario si
ricorre al prelievo di campioni microbiologici e all’utilizzo di tools diagnostici
specifici.
Ricapitolando,l’approccio clinico al paziente con ARF prevede:
• somministrazione di ossigeno
• posizione semiseduta
• esame clinico
• radiografia del torace+ECG
• emogasanalisi
• campioni microbiologici
• tools diagnostici specifici

Abitualmente l’ossigeno va somministrato ad alti flussi, tranne che nel paziente con
BPCO , perché tali pazienti hanno già di per sé un drive respiratorio alterato che li
rende estremamente sensibili all’ipossia.
Somministrando ossigeno ad alti flussi e rendendoli quindi iperossici , viene
ulteriormente abbattuto il drive respiratorio in questi pazienti. Infatti i pazienti di
questo tipo , almeno nelle fasi iniziali, non devono ricevere una FiO2 (frazione
inspiratoria di O2) superiore a 0,35. L ‘emogasanalisi permette di conoscere
importanti parametri come la pCO2 e permette di capire ad esempio se il paziente è
in acidosi. Per eseguire l’EGA si effettua il prelievo arterioso.
Il prelievo arterioso va eseguito con il polso del paziente appoggiato su un cuscinetto
per esporre l’arteria radiale . Si inserisce l’ago prima obliquamente, poi quando si
osserva il flusso sanguigno all’interno dell’ago, quest’ultimo si può orizzontalizzare.

La diagnostica più rapida e utilizzata di più in pronto soccorso è l’ossimetria, che


richiede pochi secondi per il monitoraggio. Situazioni di alterazione del segnale
ossimetrico sono ad esempio l’ipoperfusione periferica e la presenza di emoglobine
patologiche.

Altro esame è la capnometria, che misura i livelli di CO2


nell’aria espirata .
Il capnometro è uno strumento con un lettore ad infrarossi
in grado di analizzare il livello di CO2 . Tratto AB: dal
valore basale la curva sale durante l’espirazione e dà
un’idea del contenuto di CO2 negli alveoli a più rapido
svuotamento . Tratto BC: plateau, si svuotano gli alveoli a
ventilazione uniforme. Il punto massimo della curva(punto
C) si chiama PetCO2 (end tidal pCO2), ossia la CO2 di
fine volume corrente ed è una misura che ci dà un’idea

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 40 A cura: di Andrea Perna


della pressione arteriosa di CO2. Nei soggetti normali il gradiente tra PaCO2 e
PetCO2 è < 5 mmHg. Non è così invece nelle malattie cardiache e nelle malattie di
tipo embolico. Nel paziente embolico, le unità alveolocapillari. Sono ventilate ma
non perfuse. Quindi l’aria che esce da questi alveoli conterrà poca CO2, di
conseguenza la PetCO2 non correlerà più con la PaCO2. Tratto CD = fase
inspiratoria durante la quale si registra una caduta della pCO2 fino al punto D , il
quale segna la fine della respirazione. Quello appena illustrato è il capnogramma
normale.

APPROCCIO IN 5 PASSI PER LA LETTURA DELL’EGA


Un approccio in 5 passi per l’interpretazione dell’EGA è semplice e utile per leggere
l’esame e per dire quali sono le cause più comuni di alterazione.

1. Come sta il paziente?


È la prima domanda che ci si pone ancor prima di analizzare i dati stessi. Bisogna
valutare se il paziente è in coma, se ha problemi di emodinamica o respirazione.
Questo perché lo stesso emogas in due persone che stanno diversamente dal punto
di vista clinico, mi dice cose completamente diverse.

2. Valutare l’ossigenazione
- Presenza di ipossiemia;
Una volta valutata la clinica si passa ai dati dell’EGA. La prima cosa che si deve
valutare è l’ossigenazione, perché la prima causa di morte che possiamo rilevare in
emogas è un’eventuale ipossiemia. L’intervallo di valori normali per l’O2 all’emogas è
[60-100] mmHg.
Il valore di PaO2 = 60 mmHg è pari ad una saturazione di 90% misurata con il
pulsossimetro, secondo la curva di dissociazione dell’Hb a forma di “S italica”.
Secondo questa particolare curva, passando da 100 a 60 di PaO2, si passa da una
saturazione di 100% al 90%: il paziente sta benino. Invece al di sotto dei 60 mmHg,
la decrescita della saturazione corrispondente è molto più rapida perché più ripida è la
curva: passando quindi da una PaO2 di 60 a 50 mmHg abbiamo ad esempio una
saturazione che passa da 90 a 50%. (Valore normale PaO2 > 75 mmHg in aria
ambiente ).
Un paziente si dice ipossiemico se il valore di PaO2 <60 mmHg. Volendo essere più
rigorosi, dovremmo considerare come normale PaO2 < 75 mmHg, ma molti anziani,
pur avendo meno di 75 stanno benissimo ed è per questo che prendiamo come
riferimento 60.

- Valutazione degli scambi gassosi tramite il rapporto PaO2 / FiO2: valore normale > 300;
Un’altra domanda va fatta considerando la frazione di ossigeno inspirata (FiO2), e
cioè il rapporto PaO2/FiO2. In aria ambiente è 0,21, mentre se il paziente è ventilato
con maschera si deve guardare il colore del beccuccio che di solito, in maniera
codificata, è indice della FiO2 (es. il rosso di solito è il 40%; se invece si vuole dare
O2 ad una FiO2 = 100% si deve usare la maschera BLB).
Conoscendo FiO2, il rapporto PaO2/FiO2 è indice della capacità del paziente di
ossigenare il sangue, quindi la capacità del polmone di effettuare correttamente gli
scambi gassosi, in particolare per l’O2 (dell’anidride carbonica non ci preoccupiamo
perché, essendo lipofila, essa passa molto più facilmente anche quando il polmone

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 41 A cura: di Andrea Perna


non è capace di scambiare correttamente – l’O2 passa solo se il polmone funziona
bene). L’intensità e il grado di alterazione dello scambio polmonare è valutabile quindi
tramite il rapporto PaO2/FiO2:
- Il valore normale è >300
- Nell’intervallo [200-300] siamo già in una condizione di alterazione degli
scambi
- < 200 siamo in una condizione grave e molto grave se < 100, e in questo
caso forse dovremmo pensare di sostenere il paziente con una ventilazione
esterna che sostituisca la funzione polmonare.
Nota: per calcolare il rapporto considero che matematicamente 0,21 è pari a circa 1/5,
quindi PaO2/FiO2 = PaO2: 1/5 = PaO2 x 5;
Le cause dell’alterazione degli scambi più comuni saranno:
o Shunt (alveoli pieni di aria e non ventilati): Nello shunt abbiamo un’area di
polmone completamente collassata, quindi non è ventilata ma solo perfusa.
In questo caso il sangue venoso entra con una saturazione al 75% ed esce con
la stessa. La commistione tra questo sangue proveniente dalla zona di shunt
e quello che esce dalle aree correttamente ventilate e perfuse provoca una
caduta della saturazione complessiva.
o Alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione: normalmente V/Q <1 apice,
>1 base, ovvero abbiamo fisiologicamente una maggiore ventilazione agli
apici e una maggiore perfusione alle basi: circa 0,24 di ventilazione agli apici
e 0,82 alle basi; 0,07 di blood flow agli apici e 1,25 alle basi. Questa è la
normale oscillazione di questi parametri.
o Alterazioni della diffusione della membrana, aumento dello spessore
membrana alveolo-ematica. Essendo l’ossigeno non particolarmente lipofilo,
se ci sono alterazioni della membrana o dell’interstizio, l’ossigeno viene
scambiato con difficoltà.
o L’ipossiemia dell’aria (rara)

3. Determinare il pH (o concentrazione H+) – valori normali 7.35-7.45


- Il paziente è in acidosi se pH < 7.35
- Il paziente è in alcalosi se pH > 7.45
Queste alterazioni possono avere due cause, una respiratoria e una metabolica. Se
voglio sapere se la mia alterazione dipende dall’una o dall’altra devo guardare la
CO2: passiamo quindi alla 4 e penultima domanda.

4. Determinare la capnia e componente respiratoria del pH - valore normale 35-45


- Se il pH < 7.35 e la PaCO2 > 45 mmHg – acidosi respiratoria
- Se il pH > 7.45 e la PaCO2 < 35 mmHg – alcalosi respiratoria
Abbiamo detto che la concentrazione della CO2 non dipende dalla qualità degli
scambi gassosi. Se voglio far salire la CO2, faccio in modo che la persona ventili di
meno, perché la CO2 dipende dalla ventilazione.
VCO2 VCO2 VCO2
PaCO2 = = =
Va FR × Vtidal FR × (Vtot − Vspmorto)
Questa formula dice che la CO2 dipende dalla VCO2, ovvero la produzione dagli
organi (che possono influenzare la CO2 in minima parte), ma soprattutto dalla
frequenza respiratoria che moltiplica il volume totale a cui sottraggo il volume dello

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 42 A cura: di Andrea Perna


spazio morto. Una patologia nella quale aumenta in modo considerevole lo spazio
morto in un tempo rapidissimo è l’embolia polmonare, soprattutto quella massiva
(prossimale bilaterale) in cui gli emboli ostruiscono i vasi, per cui i polmoni rimangono
ventilati ma non perfusi.
Di seguito sono riportate le cause della riduzione del volume minuto, quindi della
ventilazione:
– Riduzione frequenza
• Riduzione coscienza (es. malattia neurologica)
• Farmaci (es. oppiacei)
• BPCO (ipercapnia cronica, recettori starati)
• Iperossia (somministrazione alta FiO2)
– Riduzione volume
• Durezza polmone, torace, addome (edema, addome gonfio)
• Aumento resistenza bronchiale (BPCO, asma)
• Debolezza muscolare respiratoria (es. curaro, mal.
neurologiche, mal. muscolari)
– Aumento spazio morto
• Embolia polmonare molto grave
Non sempre questa riduzione dipende da cause polmonari. Ci sono malattie del
polmone, quali l’aumento della durezza del polmone o aumento delle resistenze
bronchiali che determinano riduzione del volume o di nuovo l’embolia polmonare
con aumento dello spazio morto. Ma la prima serie di cause fa vedere condizioni che
poco hanno a che fare col polmone, come ad esempio una patologia neurologica
acuta. Es. un paziente con emorragia cerebrale massiva cui viene fatta una TC cranio
può morire in TC a causa di un’acidosi respiratoria, così come lo stesso vale per un
paziente in coma: stando sdraiato gli si chiudono le vie aeree e muore di ipercapnia
pur avendo i polmoni sani e funzionali. Patologie quindi le più svariate, anche extra-
polmonari, possono essere causa di morte per ipercapnia: il trauma cranico, la
miastenia gravis (perché magari, finito l’effetto del farmaco, i muscoli miastenici del
paziente non funzionano più correttamente e il paziente respira male).

Le insufficienze respiratorie osservabili saranno:


- Ipossica: ha solo problemi di alterazione degli scambi d’ossigeno
o bassa PaO2
o normale o bassa PaCO2 per il compenso
o somministrazione OSSIGENO
- Ipossico ipercapnica con acidosi respiratoria: ci sono alterazioni a carico
dell’ossigeno e della CO2 e in pazienti come questo l’O2 deve essere
somministrato con prudenza e bisogna aumentare la ventilazione:
o bassa PaO2
o alta PaCO2 con basso pH
o somministrare OSSIGENO con prudenza e aiutare la ventilazione,
considerando NIV o IOT e ventilazione

5. Determinare la componente metabolica: è l’ultima domanda che dobbiamo


affrontare
– Se il pH < 7.35 e i HCO3- < 22 mmol l-1 base excess < -2 mmol
l-1) – acidosi metabolica

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 43 A cura: di Andrea Perna


– Se il pH > 7.45 e i HCO3-> 26 mmol l-1 (base excess > +2 mmol
l-1) – alcalosi metabolica

Per valutare la componente metabolica della nostra alterazione dobbiamo guardare il


bicarbonato (HCO3-), che normalmente ha un valori [22-26].
Bisogna fare attenzione che però la CO2 nel sangue reagisce con H2O per formare
acido carbonico, e quest’ultimo si dissocia in H+ e HCO3-. Quindi, quando un
paziente è in acidosi respiratoria, tramite questa reazione la CO2 va ad alimentare la
formazione dei bicarbonati che aumentano e saranno più alti del normale. Nella
lettura dell’EGA in questo caso, l’aumento dei HCO3- potrebbe far pensare ad
un’alcalosi metabolica. Questo è sbagliato perché è prima di tutto un’acidosi (per
questo bisogna sempre valutare prima il pH), e inoltre quei bicarbonati derivano
dalla CO2.

La differenza per capire se i HCO3- vengono dal metabolismo o da trasformazione


della CO2 la fa il “base excess” (BE). Il BE è quell’eccesso di HCO3- (o mancanza se
negativo) che ci dovrebbe essere in relazione a quel determinato valore di CO2. La
macchina che analizza il campione di EGA legge la CO2: ad es. PaCO2=60 mmHg in
un malato ipercapnico; la macchina poi legge anche il valore di HCO3- : per i motivi
che abbiamo detto esso è alto, ad es. 30. A questo punto però la macchina rimisura
il valore di HCO3- ad un valore di CO2 normale (40 mmHg): in questo modo gli
HCO3- in eccesso a causa della CO2 se ne vanno (reazione inversa) e la macchina
calcola la differenza tra la concentrazione [HCO3-] che il sangue avrebbe con CO2
normale e [HCO3-] con la PaCO2 reale, che è il BE. Se tale valore è negativo, vuol
dire che ci sono meno HCO3- di quelli che ci dovrebbero essere, quindi siamo in acidosi
metabolica, se tale valore è invece positivo gli HCO3- sono più alti di quello che
dovrebbe essere e quindi siamo in alcalosi metabolica.

Un esempio: un paziente potrebbe avere HCO3- < 22 mmol/l per il solo motivo che
ha una PaCO2 bassissima, come nel caso di una giovane paziente con crisi di panico,
quindi in iperventilazione: in questo caso la paziente non è in acidosi metabolica, ha
solo la CO2 bassa; valutando il BE sarà zero. Un pz in shock settico invece avrà un
BE < -2 perché ha i lattati aumentati, è in acidosi metabolica.

Un secondo esempio, più complesso: un paziente in acidosi respiratoria per BPCO


da alcuni giorni con un compenso renale avrà un BE positivo, perché l’alcalosi
provocata dal rene è metabolica in risposta all’alterazione acidotica respiratoria.

L’ultimo punto cui dobbiamo prestare attenzione è proprio quello del meccanismo di
compenso: un’alterazione respiratoria può essere compensata con il metabolismo,
viceversa un’alterazione metabolica può essere compensata con il respiro. Per capire
quale sia l’alterazione iniziale e quale la compensatoria valutiamo il pH, perché è
l’alterazione iniziale che comanda, quella acuta, portando il pH verso di sé.
L’alterazione compensatoria tende a ripristinare il valore del pH portandolo
anch’essa verso di sé, ma non sempre riuscendoci.
Non esistono alterazioni completamente compensate: se ho il pH normale, vuol dire che
le alterazioni sono due, che vanno in direzioni diverse. Se hai un’alterazione primaria e
una di compenso, quella secondaria ti avvicina il pH alla normalità, ma non riesce a

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 44 A cura: di Andrea Perna


ripristinarlo. Pazienti che hanno ad es. un’alcalosi metabolica e un’acidosi respiratoria
contemporaneamente, avranno 7,4 di pH con HCO3- alto e la PaCO2 bassa, ma in
questo caso le alterazioni, come già detto, saranno due.

Bisogna considerare inoltre che non tutti i meccanismi di compenso si instaurano


con la stessa velocità: la compensazione respiratoria si mette in atto subito, per cui
se si sviluppa una acidosi metabolica per uno stato di shock, contemporaneamente
l’organismo attiva l’effetto di compensazione respiratoria con iperventilazione.
Viceversa il compenso metabolico è più lento, ci mette almeno 12-24 h: è per questo
che se creo un’ipercapnia (es. tramite soffocamento), si instaura rapidamente
un’acidosi che conduce a morte prima che il rene possa attivare il compenso e
fornire il HCO3- che possa alzare il pH.

Di seguito sono riportati i principali metaboliti determinanti acidosi:


Lattati (valore normale <2): sono prodotti dai tessuti in mancanza di O2
- Shock di ogni tipo (mancanza O2 cellulare)
- Sepsi (alterazione mitocondrio)
- Insufficienza epatica (scorretto metabolismo lattato): in questo caso si deve
considerare che il fegato è coinvolto nel ciclo di Cori, per cui i lattati normalmente
vengono trasformati e smaltiti tramite questo ciclo, ma il sistema risulta
compromesso nell’insufficienza epatica
- Farmaci tossici sul metabolismo O2 (es. cianuro): il cianuro impedisce alla cellula di
utilizzare l’O2, quindi la cellula produce lattati

Ketoacidi
- Diabete di tipo 1 insulino-dipendente (blocco del ciclo di Krebs): al paziente manca
insulina, non riesce a mettere in atto il ciclo di Krebs, l’acido piruvico proveniente
dal glucosio viene a sua volta trasformato in lattato per permettere al NADH di
scaricare (non riuscendolo al fare nel Ciclo di Krebs stesso che è bloccato).

Insufficienza renale: In questo caso non ci sono metaboliti, ma c’è riduzione bicarbonato per
mancata produzione renale e aumentata perdita urinaria.

Nell’acidificazione metabolica dovuta ai lattati o ai chetoacidi avete una carica positiva,


mentre la carica negativa di HCO3- diminuisce di pari passo; in un’acidosi o un’alcalosi a
partenza renale invece c’è il Cl- che fa da parte negativa, quindi in questo caso avrete anche
un’alterazione della cloremia in funzione di quella dei HCO3-.

TRATTAMENTO IN ACUTO DELL’ARF


Terapia a pressione ambientale;
La terapia a pressione ambientale si basa su quattro cardini:
• Ossigenoterapia;
• Terapia di umidificazione ( serve a reidratare e a riscaldare i gas che vengono
forniti);
• Terapia di igiene bronchiale;
• Terapia farmacologica;

Ossigenoterapia
La cosa fondamentale per le cellule è il delivery di ossigeno , che è dato dalla
seguente formula. Oxygen delivery= O2 content * cardiac output
O2 content = Hb * SaO2*1,34+ PaO2 *0,003

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 45 A cura: di Andrea Perna


Il valore dell’emoglobina è un punto nodale del trattamento del paziente.
L’ O2 content è molto più dipendente dai livelli di emoglobina che dalla gittata (entro
certi limiti). Nello stabilizzare il paziente è importante stabilizzare rapidamente
l’emoglobina. Lo scopo dell’ossigenoterapia è quello di migliorare la PaO2
incrementando la FiO2(frazione inspiratoria di ossigeno).
Valori di FiO2 normalmente utilizzati vanno da 0,24 a 0,6 . Non si deve superare 0,6
altrimenti c’è il rischio di produzione di radicali liberi dell’ossigeno che possono
danneggiare ulteriormente il polmone. Inoltre se fate respirare a lungo con miscele
iperossiche si possono avere delle atelectasie da riassorbimento dell’ossigeno e il
volume polmonare tende a ridursi. Quindi FiO2>0,6 non sono indicate per un uso a
lungo termine.
L’ossigenoterapia a pressione ambientale viene somministrata con :
• Sstemi a basso flusso, a performance variabile;
• Sistemi ad alto flusso, a performance fissa( significa che raggiungono livelli
di FiO2 elevato, stabile entro un certo range di flusso)

I sistemi a basso flusso sono sostanzialmente i sistemi con reservoir. Consistono in


una maschera con valvole unidirezionali con cui quindi il paziente non aspira aria
dall’esterno. Aspira solo l’O2 del flusso primario e del reservoir (che a sua volta
viene riempito dal flusso continuo di ossigeno). Quindi durante la fase espiratoria il
reservoir si riempie, durante la fase inspiratoria successiva il paziente aspira il flusso
fresco di gas che arriva più una quota di ossigeno contenuta nel reservoir. Sono
sistemi alquanto imperfetti perché la FiO2 non è stabile , varia da respiro a respiro e
da paziente a paziente. La FiO2 quindi fluttua in maniera imprevedibile e fluttua in
funzione delle dimensioni di O2 reservoir, del flusso di O2 che stiamo erogando e
del pattern respiratorio del paziente.

Quanto più alto è il volume/minuto del paziente tanto più la FiO2 sarà bassa. Ma
anche nell’ambito dello stesso respiro ci saranno delle variazioni della FiO2. Nella
fase iniziale del respiro, in cui il peak flow inspiratorio è massimale, e nella fase
finale dello stesso respiro, in cui il peak flow richiesto dal paziente è più basso. I
sistemi a basso flusso sono: semplici, confortevoli per il paziente , economici,
inaccurati.

Un altro problema che ci può essere con questi sistemi è che nel caso in cui si abbia
il paziente con basso rapporto volume/minuto, la FiO2(a pari flusso di ossigeno)
sarà più elevata , quindi si può essere convinti di somministrare O2 in condizioni di
sicurezza, cioè sotto 0,6, invece andate sopra. Questo genera: attivazione dei radicali
liberi e atelectasia da riassorbimento.
I sistemi a basso flusso sono inaccurati, quindi vengono usati solo in situazioni di
emergenza come il trasporto in ambulanza e in elicottero. Nei reparti e nel
trattamento cronico invece, questi sistemi non sono utilizzati se non per i primi
pochi iniziali minuti.

I sistemi ad alto flusso sono più accurati e forniscono un volume/minuto che è circa
3-4 volte il volume del paziente, quindi sono in grado di coprire variazioni di
volume/minuto molto maggiori. Il range di FiO2 va da 0,24 a 0,5.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 46 A cura: di Andrea Perna


Questi sistemi sono tutti basati sull’effetto Venturi. C’è un
canale primario che viene pressurizzato con l’ossigeno
dalla presa a muro, con un numero di litri di O2
prestabiliti che non devono essere superati. Il flusso
primario di ossigeno viene miscelato con un flusso
secondario di aria ambiente con una quota di miscelazione
fissa.

Deve essere prescelta la FiO2 minima che fornisce


un'accettabile PaO2.

Sistemi di umidificazione
Il sistema di umidificazione fisiologico è rappresentato dal naso e dal sistema dei
turbinati che serve a riscaldare e a umidificare l’aria .
L’aria ambiente ha un’umidità relativa del 50% e circa 10mg/l di acqua e 20°C. Negli
alveoli abbiamo un’umidità relativa del 100%, 37°C e 44 mg/l in termini di umidità
assoluta.
Tutte le situazioni in cui il paziente ventila in modo diverso, genera un volume/
minuto più elevato oppure è intubato, fanno sì che il sistema della mucosa nasale
sia alterato. Quindi gli alveoli ricevono gas freddi e/o troppo secchi. Quando ciò
accade la clearance mucociliare viene alterata in modo importante nell’arco di 2-3
ore. Dopo 5 ore iniziano a formarsi sulla mucosa dei conglomerati di secrezioni
secche. Alla fine delle 6 ore cominciano a formarsi microulcerazioni e a 12 ore ulcere a
livello delle vie aeree distali. Si può risolvere questo problema con tre sistemi, di cui
due si usano in respiro spontaneo e uno si usa in ventilazione meccanica. Essi sono:
- Umidificatori.
- Nebulizzatori.
- HMEs eg. Thermovent.

Gli umidificatori sono dei sistemi con un termostato, un bagno di acqua sterile sulla
superficie della quale viene fatto scorrere il flusso dell’ossigeno, che viene saturato al
100% e viene riscaldato. Non c’è perdita di acqua dal polmone e non possono essere
utilizzati per aggiungere acqua (che può essere aggiunta in patologie come l’asma in
cui in genere il paziente è fortemente disidratato). E’ un sistema rapido, economico,
semplice ed efficace, l’unica pecca è che funziona mantenendo sistemi in equilibrio
ma non aggiunge acqua addizionale.
Importanti sono le cannule nasali ad alto flusso umidificato. Sono connesse ad un
umidificatore attivo. Grazie ad esse i pazienti possono respirare spontaneamente
attraverso il naso flussi molto più alti di quelli di cui stavamo parlando prima.

Mentre i sistemi Venturi sono a 28-30l/min, questi forniscono flussi a 50 l/min


nell’adulto e 25 l/min nel bambino di gas al 100% di umidità e a 37°C . Quindi non
alterano la clearance mucociliare delle vie aeree superiori, lavano lo spazio morto di
faringe e cavità nasali rimuovendo così CO2 senza che il paziente respiri e
producono 2-3cmH20 di pressione positiva che aiuta a tenere gli alveoli ben espansi.
Questi sistemi si chiamano HFNC( high flow nasal cannula), e sono utilizzati
sempre più frequentemente .

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 47 A cura: di Andrea Perna


La loro efficacia è stata dimostrata attraverso uno studio che ha messo in evidenza
come l’HFNC abbia un effetto benefico sull’ossigenazione e sui segni clinici in ICU
dei pazienti con ARF. Migliorano infatti la frequenza respiratoria, la dispnea, la
recessione sovraclavicolare , l’asincronia toraco-addominale, la pulsossimetria e la
frequenza cardiaca.
Per valutare la dispnea si mostra al paziente una scala visiva analogica, in cui gli si
chiede di indicare quanto grave considera la sua difficoltà respiratoria.

I nebulizzatori sono sistemi in grado di produrre degli aerosol con microparticelle di


acqua o di acqua all’interno della quale abbiamo disciolto dei farmaci. Le particelle
sono di 2-5 micron e quindi sono in grado di arrivare con il flusso respiratorio molto
perifericamente. Un vantaggio quindi è quello di riuscire a far arrivare questo vapore
acqueo molto distalmente, l’altro è quello di essere in grado di aggiungere acqua al
sistema. Sono in grado di aggiungere 150-1500mg/l di acqua, quindi potenzialmente
sono anche pericolosi, per cui non sono adatti per un uso continuo, perché i gas
umidificati alterano anch’essi la clearance muco-ciliare( come i gas freddi e secchi).
Sono sistemi utili per liquefare le secrezioni secche e per somministrare farmaci. II
nebulizzatori sono di due tipi: i nebulizzatori che sfruttano l’effetto Venturi e i
nebulizzatori ad ultrasuoni.
Va usato solo per brevi somministrazioni del farmaco. Non vanno utilizzati per
umidificare.

Igiene bronchiale
Le secrezioni accumulate possono causare:
• Atelectasia
• Polmonite
• V/Q mismatch
• Ipossiemia

L’atelectasia favorisce l’insorgenza di infezioni e provoca una polmonite. L’ostruzione


delle vie aeree più distali determina una maldistribuzione del rapporto V/Q e
quest’ultimo evento determina una ipossiemia.
Queste complicanze possono essere evitate con una profilassi che consiste in:
• Fisioterapia del torace-drenaggio posturale, percussione del torace, cough
assist( sistemi che producono tosse artificiale)
• Spirometri incentivi
• Somministrazione di aerosol

Se è presente già atelectasia , si utilizzano tre meccanismi per cercare di risolverla:


• Aspirazione endotracheale( rimuove le secrezioni alla cieca)
• Broncoscopia a fibre ottiche(prima scelta)
• Fisioterapia del torace

Farmacoterapia
I farmaci descritti sono necessari in un contesto di urgenza (pronto soccorso o
scompenso in reparto); non faremo riferimento ad anti leucotrienici e farmaci beta2
stimolanti long acting.
Possiamo riconoscere tre famiglie fondamentali:

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 48 A cura: di Andrea Perna


- Broncodilatatori
- Steroidi: riducono l’edema della mucosa respiratoria su base flogistica.
- Mucolitici: se ne parla molto ma la loro efficacia è molto discutibile.

Tra i broncodilatatori ricordiamo:


- Beta2 Stimolanti Sono i principali; estremamente efficaci sia come aerosol che
come MDI (le bombolette pressurizzate); hanno un effetto rilassante sulla
muscolatura liscia bronchiale. I farmaci di questa famiglia utilizzati sono:
- Salbutamolo: in assoluto il più utilizzato in urgenza (ricordate che non stiamo
parlando di farmaci di mantenimento negli asmatici, nei COPD di lungo
periodo; stiamo parlando di uso in acuto). Nella forma nebulizzata è
somministrato al dosaggio di 2,5-5 mg, nella forma MDI 90 microgrammi/puff,
4-6 volte al giorno.
- Metaproterenolo: in Italia non si utilizza
- Epinefrina Racemica o Epinefrina standard: soprattutto nei bambini asmatici e
affetti da bronchiolite. Considerato di seconda/terza scelta nell’adulto. Viene
somministrata al dosaggio di 0,5 ml ogni ora. Non esiste in formato MDI.
I principali effetti collaterali (molto maggiori con l’epinefrina, moderati con il
salbutamolo) saranno: tachicardia, tremori, iperglicemia, ipokaliemia (producono il
passaggio di potassio all’interno della cellula).
A proposito di ipokaliemia: il salbutamolo è il farmaco di prima scelta nel trattamento
dell’iperkaliemia nei pazienti che non possono essere dializzati; stiamo parlando di iperkaliemie
importanti in pazienti oligo-anurici, dove la dialisi è il trattamento principale visto che glucosio e
insulina non possono essere somministrati. Se voi avete un paziente che non può essere
immediatamente dializzato, sfruttate questo effetto collaterale del salbutamolo per stabilizzare il
paziente e produrre un abbassamento abbastanza rapido (anche 1-2 mEq/L) della kaliemia.

- Teofillina, è un farmaco estremamente pericoloso con una finestra terapeutica estremamente


ridotta. Dovete conoscerla ma non la dovete usare: molto meno efficace dei beta2 stimolanti,
presenta molti più effetti collaterali e le evidenze cliniche che funzioni veramente e
rapidamente in acuto (paziente scompensato con broncospasmo acuto), sono molto ridotte. In
alcuni paesi è stato addirittura ritirato dl mercato. E’ un inibitore della fosfodiesterasi
commercializzato come aminofillina (miscela di teofillina e etilendiammina, che
rende il preparato estremamente solubile in acqua). Il suo problema è che
rimuove il broncospasmo quando la concentrazione plasmatica è di 10 mg/L, ma è
tossica per il SNC (convulsioni anche in chi non è epilettico) e per il cuore (FA
con alta risposta ventricolare anche nei non cardiopatici) per una concentrazione
di 20 mg/L. È necessario un monitoraggio basale, o almeno un dosaggio quotidiano
per essere sicuri di essere in range terapeutico.

- Anticolinergici: il tono bronchiale è regolato da due impulsi: adrenergici


(broncodilatazione) e vagomimetici (broncocostrizione). Questi farmaci sono
vagolitici quindi inibiscono il riflesso vago mediato. Da soli hanno un blandissimo
effetto broncodilatatore ma potenziano moltissimo l’effetto dei beta2 stimolanti;
per questo vanno sempre somministrati insieme e fortunatamente sono
miscelabili nello stesso aerosol. In Italia il più usato è l’Ipratropio bromuro. Esso ha
un tempo di effetto molto più lento dei beta2: fa effetto dopo 20 min. dalla
somministrazione a differenza dei beta2 che hanno una latenza di 4 min. Si

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 49 A cura: di Andrea Perna


utilizza Nebulizzato: 0.5 mg per dose (15 gocce) o MDI: 18 μg/puff, 2 puff 4-6/
die.

Steroidi
Sono i farmaci che veramente risolvono il broncospasmo eliminandone la causa,
ovvero il rilascio di mediatori infiammatori, classicamente i leucotrieni. Riducono
l’infiammazione, quindi l’edema delle vie aeree. Sono poco efficaci nello stato acuto
di broncospasmo perché ci mettono 4-6 ore a fare effetto, ma vanno sempre
somministrati. Li mescoleremo con i beta2 stimolanti o con gli anticolinergici: prima
entreranno il beta2 stimolante e l’anticolinergico (maggiore latenza rispetto al
precedente) che ci daranno broncodilatazione rimuovendo lo spasmo dei muscoli
bronchiali; nel frattempo il corticosteroide farà effetto e produrrà la rimozione della
causa del broncospasmo.
Anche qui abbiamo una somministrazione aerosolica/MDI e, nelle forme più gravi,
somministrazione endovenosa in aggiunta.
Il Beclometasone è utilizzato in forma MDI al dosaggio di 42 microgrammi/puff (2
puffs). Il Desametasone è usato al dosaggio di 1 mg tramite nebulizzazione. Il
triamcinolone è poco utilizzato in Italia.
Per via endovenosa si possono usare:
- Idrocortisone: 2 mg/kg come dose iniziale e poi 2 mg/kg 4 volte al giorno.
- Metilprednisolone: 80-125 mg dose iniziale e poi 80 mg ogni sei ore per una crisi
d’asma estremamente severa.
Chiaramente va associata copertura gastrica con inibitori di pompa protonica.

Mucolitici
Grande buco nero, nel senso che quello che ci permette di rimuovere le secrezioni
più tenaci sono i cosiddetti aerosol blandi, gli unici che hanno un effetto dimostrato.
Sono in grado di liquefare le secrezioni inspessite e tenaci e sono basati su soluzioni
saline iper/ipo/isotoniche. Non utilizzate l’acqua distillata che ha un forte effetto
irritante (si usa per fare dei test di broncocostrizione indotta); al contrario
l’ipertonica è estremamente efficace nella reidratazione delle vie aeree ma quelle
molto ipertoniche (3/6%) sono in grado di indurre tosse; quindi sono anch’esse
molto irritanti. Quello che si utilizza è quindi una soluzione isotonica o
moderatamente ipertonica.
Per quanto riguarda i farmaci abbiamo l’acetilcisteina, farmaco meraviglioso
nell’overdose da paracetamolo, ma l’effetto mucolitico è molto ridotto.

Terapia a pressione positiva


Con la definizione di “terapia a pressione positiva” intendiamo tutte le forme di
pressione positiva applicate alle vie aeree a supporto di qualsiasi fase del ciclo
respiratorio. Questo è realizzabile per mezzo di ventilatori meccanici o di altri
sistemi più semplici che vengono applicati a pazienti con riserve cardiopolmonari
compromesse, ovvero con muscoli respiratori e polmoni non più in grado di
funzionare a causa di un problema patologico.
Il ventilatore è un device che applica una pressione positiva alle vie aeree con criteri
che variano a seconda delle diverse modalità.
Normalmente noi inspiriamo generando una pressione subatmosferica, cioè si
genera un gradiente tra l'ambiente e le nostre vie aeree che crea un flusso

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 50 A cura: di Andrea Perna


proporzionale allo sforzo. L'espirazione invece nella razza umana ed in tutti i
mammiferi è di norma passiva: il sistema respiratorio (polmone + gabbia toracica)
tende a ritornare nella posizione originaria producendo una pressione chiamata
pressione di retrazione o “recoil elastico” che riporta in equilibrio il sistema.
Quando ventiliamo a pressione positiva non facciamo altro che applicare al pz una
pompa che spinge un “blocchetto” di aria e ossigeno nelle vie aeree del pz stesso per
un certo numero di volte al minuto; di norma si utilizza un valore uguale alla
frequenza respiratoria normale che varia da 14 a 16 atti respiratori al minuto in un
adulto. I pz che devono essere ventilati meccanicamente vanno però trattati con una
ventilazione protettiva, quindi non forniremo loro i 10ml pro kg di volume corrente
tipici di un adulto sano ma un volume corrente più piccolo.

La PEEP(positive end-expiratory pressure/pressione positiva di fine


espirazione) generata esercita sugli alveoli chiusi una pressione continua che li
riapre: questo fenomeno si chiama reclutamento alveolare. Reclutando gli alveoli il
volume polmonare, che è ridotto soprattutto nelle patologie di tipo restrittivo,
aumenta; l'ossigenazione quindi migliora mentre il lavoro respiratorio si riduce.
Il ventilatore non è altro che una pompa artificiale che lavora in sostituzione,
quando il pz è intubato e reso apnoico con dei sedativi e dei miorilassanti, oppure in
affiancamento, quando si opta per una ventilazione non invasiva adoperando una
maschera facciale, al sistema respiratorio del pz.
Nel primo caso il ventilatore genera tutto il lavoro che serve per far respirare il pz,
per cui si parlerà di ventilazione controllata, mentre nel secondo caso il ventilatore
integra i muscoli respiratori del pz che continuano a lavorare ma sono aiutati, e
parleremo di ventilazione assistita.
I ventilatori moderni sono alimentati o con l'energia elettrica o con l'energia fornita
dai gas compressi della centrale dei gas medicali dell'ospedale, il ventilatore riceve
così l'input di energia e lo trasforma in un output ovvero in una pressione applicata
alle vie aeree generata dal flusso di aria e ossigeno (il flusso diviso per il tempo di
applicazione genera un volume); infine c'è un sistema elettronico di controllo che
governa che tutto ciò avvenga all'interno delle richieste generate dal settaggio del
ventilatore e se così non fosse emette un allarme.

Ipotizzando un ventilatore alimentato a gas compressi, nella fase inspiratoria questo


presenterà la valvola espiratoria chiusa e la valvola inspiratoria aperta, così i gas del
serbatoio si equalizzano nella via aerea e forniscono il flusso al pz. La macchina è
governata da un computer che ci indica quando è stato fornito sufficiente flusso, così
successivamente si chiuderà la valvola inspiratoria e si aprirà quella espiratoria in
modo che il pz possa espirare passivamente.

È possibile lavorare con due logiche:


1) a volume controllato: il medico sceglie il volume corrente da dare al pz ed il
numero di volte che questo volume corrente deve essere dato;
2) a pressione controllata: esistono dei ventilatori più semplici nei quali il
clinico non decide il volume ma la pressione da applicare alle vie aeree.
La valvola espiratoria ha in realtà due funzioni: permette al paziente di espirare ed
oltre a questo, chiudendosi solo in parte, produce la PEEP. Se metto questa valvola
in posizione non completamente aperta bensì semichiusa faccio sì che la pressione

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 51 A cura: di Andrea Perna


all'interno delle vie aeree del pz al termine dell'espirazione non arrivi mai a zero ma
si mantenga di un valore compreso tra 5 e 10 cm di H2O; <5 è inutile, >10 è
pericoloso per il sistema cardiovascolare del pz.
Impedendo al polmone di sgonfiarsi completamente una quota di gas rimane
intrappolata al suo interno e di conseguenza la capacità funzionale residua aumenta.
Dato che le patologie che di solito si trattano con la ventilazione meccanica sono di
norma prevalentemente di tipo restrittivo è possibile in questo modo correggere il
deficit respiratorio.

Tornando all'ARDS questa non è altro che un edema polmonare, ma non è un edema
polmonare cardiogeno, non è generata dal fatto che la pressione all'interno dei
capillari polmonari è troppo alta per cui il fluido fuoriesce dai vasi e va negli alveoli;
l’ARDS è legata al fatto che a causa dell'infiammazione i capillari polmonari sono
“bucherellati” per cui solo conseguentemente a questo il fluido fuoriesce dai
capillari polmonari e si porta prima nell'interstizio e poi negli alveoli. È quindi un
edema polmonare lesionale, non cardiogeno.
Il pz con ARDS ha una malattia di tipo restrittivo, gli alveoli collassano non
essendoci surfattante quindi la capacità polmonare totale(CPT) è molto più bassa
così come la capacità funzionale residua (FRC) è molto più piccola, il che genera un
grosso aumento dello shunt intrapolmonare ed un'ipossiemia che non risponde
all'O2. Potrei pure dare ossigeno con la maschera Venturi, ma se il problema è lo
shunt questo non sarà utile; sarà necessario riespandere gli alveoli perchè solo in
questo modo riequilibrio ventilazione e perfusione.
Se io applico un livello di pressione positiva cioè una PEEP, l'FRC non torna come
nello stesso soggetto prima che si ammalasse, ma tende comunque a salire ed il
volume corrente si porta molto vicino alla CPT; col passare delle ore e dei giorni
l'FRC sale sempre più fino a normalizzarsi.
Un concetto fondamentale è che la ventilazione meccanica non è terapia, non cura,
anzi può generare danno polmonare addizionale. È uno strumento che serve per
guadagnare tempo, per tenere il pz in vita mentre lo si cura con i farmaci eziologici.
Se per esempio il pz presenta un'ARDS conseguente ad una polmonite
pneumococcica la vera terapia sarà la terapia antibiotica, ma se non si riesce a
tenerlo vivo per 3-4 gg, cioè il tempo che la terapia antibiotica faccia effetto, quel pz
muore.

Quando è necessario intubare il pz ed iniziare una ventilazione a pressione positiva?


1) pz apnoico, che va rianimato e se rimane ancora apnoico immediatamente
intubato, oppure un pz che non è completamente apnoico ma che ha un
pattern respiratorio incompatibile con la sopravvivenza (ad esempio se è in
gasping non è totalmente apnoico ma ha un ridotto volume corrente);
2) pz che ha un'insufficienza respiratoria acuta in atto, con pH <7,30 (acidosi
respiratoria) o una saturazione di O2 del 90% pur erogando O2 ad alto
flusso;
3) pz che non ha ancora parametri così gravi ma rischia di averli presto, per
esempio nel caso di un soccorso in elicottero di un pz soporoso, non
responsivo, con ritmo respiratorio irregolare, tachipnoico e con saturazione
del 91% nonostante la maschera dell'O2; non è un pz apnoico o con un'ARDS

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 52 A cura: di Andrea Perna


in atto, però è molto probabile che durante il volo in elicottero il pz si
scompensi, ed intubarlo in elicottero è decisamente più difficile.
Quando si è in dubbio è sempre preferibile procedere con l'intubazione.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Sbob di Emergenze del 13/05/2015 - Sbob di Emergenze dell’11/04/2016,
ore 9:30 Prof. Cavallaro, L’emogas 11.30-12.30, insufficienza
analisi in 5 step. respiratoria acuta, prof. Conti, a cura
- Sbob di Emergenze dell’ 11/04/2016, di Sara Lillo
8.30-9.30, Gestione del paziente con - Harrison. Manuale di medicina, 31
insufficienza respiratoria acuta, prof. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
Conti a cura di Marcello Luigi Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
Salvatelli Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
- Sbob di Emergenze dell’11/04/2016, (Autore)
9.30-10.30, insufficienza respiratoria - Manuale MSD Italia - Malattie
acuta, prof. Conti, a cura di dell’apparato respiratorio
Francesco Paolo Damiano

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 53 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 4
_______________________________________________________
DOLORE ADDOMINALE

Il dolore è un’esperienza non dimensionale che ha aspetti discriminativi arricchiti


con criteri relazionali e cognitivi personali quindi il concetto di dolore può differire
da un soggetto ad un altro.
Nella neuroanatomia si considerano due tipi di fibre che emergono dal corno
posteriore del midollo spinale, le fibre Aδ e le fibre c, le prime responsabili del
dolore somatico, le seconde del dolore viscerale.
Il dolore addominale è un dolore primitivo viscerale ed è più frequente nel sesso
femminile perché c’è una più alta concentrazione di fibre c.
Nel dolore viscerale sono prodotte tutta una serie di sostanze, le citochine, ma anche
dei neurotrasmettitori, la serotonina, la bradichinina, la noradrenalina che sono in
grado di attivare le fibre algogene e a livello post-sinaptico ci sono tutta una serie di
sostanze, i recettori degli oppioidi, presenti anche a livello intestinale che possono
mitigare o influenzare il dolore.

Il dolore addominale è sicuramente una delle cause degli accessi più frequenti in PS, le
gastroenteriti sono molto frequenti ma sorprendentemente la metà dei pazienti che
lamenta dolore addominale non ha assolutamente nulla, non ha una patologia
organica ma può avere una patologia funzionale.

Nel trauma il dolore viscerale è sicuramente la forma più frequente, i visceri sono
molto sensibili ad una serie di stimoli, meccanici e chimici, quindi lo stiramento, la
distensione, la penetrazione, la trazione, la pressione e la contrazione sono
percepibili come fonte del dolore e non ultimo l’ischemia (l’ischemia intestinale ha
una prevalenza molto più alta di quella che si immagina, molti anziani si recano in
PS con un quadro di angina abdominis ).

Una delle caratteristiche della localizzazione del dolore viscerale è che è molto
imprecisa, a volte ci sono una serie di dolori riferiti come un dolore mesogastrico che
può corrispondere al duodeno o al digiuno, dolore epigastrico allo stomaco, il dolore
colico può essere endombelicale normalmente, un dolore in regione pelvica può essere
espressione di una patologia del sigma ma queste considerazioni devono tener conto di
un’ampia variabilità interindividuale, ad esempio molti pazienti riferiscono una
lombalgia che è un analogo di un dolore colico.

Abbiamo il dolore proiettato: se si ha la colica biliare il dolore si può avvertire anche


alla spalla destra, molti hanno solo dolore alla spalla destra e non hanno dolore
addominale quindi il dolore riflesso assume un’importanza notevole nella diagnosi
differenziale; bisogna fare attenzione al dolore epigastrico che può essere sintomo di
dolore cardiaco, di ischemia della parte inferiore del cuore che può manifestarsi con
epigastralgia e spesso è confuso con il reflusso gastroesofageo.

Il viscere ha uno strato muscolare, una sub mucosa con il plesso di Meissner ricco di
innervazioni quindi un processo patologico che coinvolge la sottomucosa provoca
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 54 A cura: di Andrea Perna
dolore: una delle principali cause di dolore è la presenza di meteorismo,
l’iperproduzione di gas che determina una iperdistensione del viscere che può causare
dolore e l’iperproduzione di gas può essere causata da diverse cose. Si sta sempre di
più approfondendo il ruolo del microbiota intestinale nella genesi di dolore
viscerale, per esempio l’appendicite o la diverticolite sono legate ad una disbiosi a
livello intestinale infatti la composizione del microbiota è completamente differente in
un paziente con diverticolite rispetto ad un soggetto normale.

Le patologie del tratto digerente più pericolose sono soprattutto quelle del colon
dove c’è la più alta concentrazione di batteri ma la stessa gastrite è dovuta alla
presenza di Helicobacter Pylori che può essere in molti casi un patogeno, in alcuni
casi selezionati potrebbe essere un simbionte perché la sua presenza è inversamente
proporzionale alla manifestazione di asma allergica, oppure potrebbe essere un
patogeno.

Per non avere dolore ci deve essere una integrità della mucosa con tutti i suoi
elementi. Quando i fattori avversi superano quelli protettivi si verifica la disbiosi: la
maggior parte dei pazienti che si presenta in PS con dolore addominale ha un
overgrowth di batteri, una traslocazione di batteri dal colon al piccolo intestino,
sindrome da malassorbimento e dolore addominale dovuto all’eccesso di gas.
Se il dolore è nel quadrante alto può essere dovuto a epatite, colangite, colica biliare,
se nel quadrante destro basso può essere legato a salpingite, ernia inguinale.
L’ulcera gastrica da Helicobacter Pylori più FANS è molto diffusa nei soggetti
dell’est, questo perché questi soggetti assumono aspirina in qualità di antidolorifico
che a lungo andare, insieme all’Helicobacter Pylori, darà ulcera perforante.

DOLORE ADDOMINALE IN PS
Se un paziente arriva in pronto soccorso tramite una diretta addome si vedrà che ci
sono dei piccoli livelli idroaerei come se ci fosse un stato occlusivo ma in realtà il
paziente ha una gastroenterite e non una occlusione intestinale; facendo questo
esame quindi il paziente è stato esposto inutilmente a radiazioni non aggiungendo
niente al sospetto diagnostico.
Al contrario in un paziente giovane si potrebbe preferire una ecografia addominale
che non espone il paziente a radiazioni e dà risposte anche più esaustive rispetto ad
una diretta addome. In futuro bisognerebbe fare più ecografie e soprattutto più TC a
discapito di una diretta addome perché in emergenza su un anziano con sospetto di
diverticolite è la TC che dirà se ha o non ha una perforazione, un coinvolgimento del
grasso mesenterico, una raccolta purulenta nello scavo pelvico e se il paziente
necessita di andare in sala operatoria.

Diagnosi finale
La maggior parte dei pazienti (46%) ha un dolore addominale generico cioè sono
dei pazienti che hanno fatto vari esami (esami del sangue, emocromo, ecografia e
TC) che sono risultati normali e quindi questi pazienti sono affetti da IBS (Sindrome
dell’intestino irritabile) e arrivano soprattutto in DEA di secondo livello pensando
che ci sia più competenza perché nonostante il dolore nessuno ha saputo dar loro
una spiegazione. I medici di medicina di emergenza devono saper riconoscere anche
questo gruppo di pazienti che non hanno nulla di organico o meglio nessuna

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 55 A cura: di Andrea Perna


patologia che deve essere trattata in emergenza e i saranno quindi affetti da disturbi
funzionali. Il 4% dei pazienti avrà infezioni delle vie urinarie, l’1% appendicopatia, il
7% colica biliare, 7% colica renale, il 5% la diverticolite, il 2% diarrea.

La diverticolite è una condizione abbastanza frequente ma non va operata, le linee


guida dicono che l’80% dei pazienti con diverticolite va trattata con terapia
antibiotica e non con ricovero in ambiente chirurgico tranne nel caso di forme
francamente perforate o con raccolte ascessuali nello scavo pelvico. Si possono
riscontrare delle microperforazioni che guariscono con l’antibiotico e non vanno
operate e quindi si sceglie la terapia conservativa. In questi pazienti è importante fare
sempre gli esami del sangue. Per esempio nel caso di un anziano al quale facendo una
TC si identifica una diverticolite, si può fare un trattamento a domicilio con gli
antibiotici sistemici che sono soprattutto i fluorochinoloni (ciprofloxacina o
levofloxacina) o il metronidazolo. Fare l‘esame del sangue è importante perché se il
paziente ha insufficienza renale bisogna decidere se dare fluorochinoloni e a quale
dosaggio in base alla creatinina clearance, soprattutto se si dimette il paziente con
terapia domiciliare. È importante l’emocromo per andare per esempio a vedere il
numero dei globuli bianchi. È importante anche andare a valutare la funzionalità
epatica.

L’analisi strumentale è fondamentale, è importante capire quando fare un esame


piuttosto che un altro (TC o eco) mentre la risonanza in emergenza non si usa, la si
può consigliare al paziente alla dimissione.
Gli esami da prendere in considerazione in emergenza sono la TC e l’Ecografia.
L’ecografia per esempio addominale è un esame che bisogna saper fare e
comprendere bene per esprimere con certezza che lì c’è una diverticolite o un
ispessimento della parete; quando l’ecografista non è esperto è sempre meglio fare una
TC.
L’anamnesi e i sintomi di accompagnamento sono fondamentali. Bisogna chiedere se il
paziente ha sempre avuto quel dolore oppure è una cosa nuova per esempio; sono
solo una minoranza dei casi i pazienti con addome acuto, la maggior parte sono
pazienti che vengono dopo aver avuto per molto tempo un dolore addominale e non
trovano spiegazione ai loro sintomi. L’anamnesi e i sintomi addominali insieme
all’esame obiettivo sono fondamentali.

Ci sono una serie di patologie chirurgiche che comportano dolore addominale:


- Negli anziani: Diverticolite, Arteriopatie addominali, fecaloma. Gli anziani
perdono lo stimolo della sete quindi soprattutto se non hanno assistenza da parte
dei familiari tendono a non bere e non bevendo le feci si concentrano e si formano
i fecalomi che causano occlusione. Il paziente francamente occluso presenta un
addome globoso, peritonitico mentre a volte può essere suboccluso. L’ischemia
intestinale la cui diagnosi si fa con la TC o con l’endoscopia rappresenta una
emergenza medica che spesso richiede la chirurgia per la resezione dell’area
coinvolta o altre volte si adotta una terapia più conservativa.
- Nei pazienti con età inferiore ai 15 anni saranno più frequenti: Appendicite,
Diverticolite di Meckel, Invaginazione.
- Nei pazienti di sesso maschile invece possono verificarsi:Torsione del funicoloe
Globo vescicale. La torsione del funicolo può portare alla sterilità se non viene

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 56 A cura: di Andrea Perna


riconosciuta. Molti pazienti anziani con ipertrofia prostatica non ben controllati,
che urinano poco, arrivano in PS con globo vescicale e dolore addominale con
rischio molto alto di rottura della vescica.
- Nelle donne spesso sono presenti Annessiti e/o cisti ovariche, Gravidanze
extrauterine.
- Nei pazienti precedemente sottoposti ad interventi chirurgici potremo avere:
Aderenze (crisi subocclusive), Recidive.

A volte l’occlusione intestinale si può manifestare con diarrea, non necessariamente


l’alvo è chiuso a feci o gas (quadro classico). Nel caso di occlusione con diarrea tutto
ciò a monte della occlusione viene eliminato con vomito, ciò ce è a valle per
aumento dell’attività intestinale che sta cercando di eliminare l’ostacolo viene
eliminato come diarrea. Quindi si può erroneamente pensare che un paziente
anziano con vomito e diarrea abbia una gastroenterite, in realtà il paziente è occluso
e presenta diarrea paradossa. L’esame strumentale toglierà ogni dubbio.

ESAMI DI LABORATORIO
Nel dolore addominale è importante fare le prove di emocoagulazione. Il paziente
potrebbe avere un aneurisma dell’aorta addominale che necessita di andare in
urgenza in sala operatoria e l’anestesista senza le prove di emocoagulazione non
permette l’inizio dell’intervento. Insieme alle prove di emocoagulazione bisogna
sempre fare la richiesta di emotrasfusione (con prove di compatibilità, gruppo
sanguigno).
In base al tipo di dolore che il paziente riferisce possiamo decidere gli esami di
laboratorio da richiedere.
Il dolore epigastrico come quello del quadrante destro in base al risultato degli
esami di laboratorio può indirizzare la diagnosi verso una colica biliare, un carico del
coledoco o un problema del pancreas o altro.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 57 A cura: di Andrea Perna


Al contrario quando un paziente ha dolore in fossa iliaca destra, sinistra o in
ipogastrio bisogna analizzare anche l’esame delle urine e quindi il dolore addominale
può essere dato da infezione delle vie urinarie.

Chiedere sempre le beta-HCG che possono essere plasmatiche o urinarie in tutte le


donne in età fertile perché l’embrione sol oquando raggiunge certe dimensioni può
essere individuato alla ecografia.
In alcuni soggetti l’infarto si può presentare come dolore addominale epigastrico,
mesogastrico e periombelicale soprattutto negli anziani e nelle donne anziane perché
nelle donne i sintomi dell’infarto possono essere del tutto atipici e fuorvianti.
Quindi bisogna sempre fare l’ECG e quando necessario la troponina.

Algoritmo per Caratteristiche Cliniche di Presentazione


Vi è un algoritmo diagnostico applicabile al pronto soccorso che dà indicazioni su
che tipo di esami fare e come trattare il paziente in base alle caratteristiche di
presentazione.
Un paziente arriva in PS perché ha:
1. Addome Acuto e/o Massa pulsante;
2. Quadro suggestivo per Gastroenterite Acuta;
3. Epigastralgia con o senza vomito;
4. Vomito ripetuto e alvo chiuso a feci e/o a gas;
5. Dolore addominale non epigastrico;

Addome Acuto e/o Massa pulsante


Per alcuni medici il paziente con massa pulsante deve andare direttamente in sala
operatoria senza fare la TC.
Generalmente si fa una TC addome
con mdc e poi si porta il paziente in
sala operatoria perché la massa
pulsante è molto spesso riferibile a
un aneurisma della aorta addominale
che magari si è rotto o si sta
rompendo. Osservando l’addome di
molte persone magre si nota una
massa che è l’aorta pulsante
fisiologica.
Se si affondano le due mani nell’addome se il paziente ha l’aneurisma si riesce a
valutarlo, vado a vedere se effettivamente vi è una dilatazione dell’aorta. Al contrario
nel soggetto normale l’aorta è dritta e palpandola non si individua una dilatazione.

Quadro suggestivo per Gastroenterite Acuta


In questo caso è molto importante l’anamnesi: se si presenta un paziente con
gastroenterite acuta bisogna verificare se nella scuola tutti i bambini hanno avuto
la diarrea, oppure in una famiglia una persona ha trasmesso vomito e diarrea agli
altri componenti della famiglia e in questi casi si identifica una eziologia virale: si
tratterà del classico virus parainfluenzale o nei paesi tropicali del rotavirus. A volte
queste infezioni possono esordire come uno stato influenzale, una rinite, un mal di

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 58 A cura: di Andrea Perna


gola, un raffreddore e deve essere un quadro uguale da ritrovare in tutti gli altri
membri della famiglia o nella scuola.

Si fanno gli esami di laboratorio e terapia della gastroenterite acuta che consiste in
liquidi (ripristinare le perdite di liquidi non necessariamente in vena, per esempio si
può somministrare una soluzione orale idratante che nei Paesi in via di Sviluppo è la
coca-cola; nel paziente che vomita spesso o nei pazienti defedati si preferisce la
reidratazione in vena) e probiotici che servono per bloccare la diarrea (come
saccharomyces boulardii).
Il paziente viene poi tenuto in osservazione per 12-24h fino a quando per lo meno
non passano i sintomi. Successivamente se c’è un miglioramento il paziente viene
dimesso ed eventualmente si fissa un appuntamento nell’ambulatorio di
gastroenterologia. Se c’è un mancato miglioramento, si distingue tra il paziente
che ha meno di 40 anni e non è obeso e il paziente che ha più di 40 anni o è obeso
per quanto riguarda l’esame strumentale che si andrà a fare.
Se il paziente che ha meno di 40 anni e non è obeso si preferisce l’eco, mentre se
paziente che ha più di 40 anni o è obeso si preferisce la TC addome con mdc,
questo perché nell’obeso l’eco ha meno sensibilità.
Se la TC non è diagnostica dimetto il paziente mentre se è diagnostica perché il
paziente per esempio non ha la gastroenterite ma ha la diverticolite che si può
manifestare nell’anziano con diarrea al di sotto del diverticolo e con vomito al di
sopra del diverticolo allora si fa un percorso di diagnosi e terapie mirate. Per
quanto riguarda l’eco addome che si fa nel paziente con meno di 40 anni e non è
obeso se è diagnostica si segue un percorso di diagnosi e terapie mirate mentre se
non è diagnostica e c’è un miglioramento allora verrà dimesso.

Epigastralgia con o senza vomito


Spesso il paziente che presenta epigastralgia ha un problema cardiaco. Bisogna
sempre fare ECG, esami ematochimici, eventuale troponina T, PEC.
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 59 A cura: di Andrea Perna
Gli esami di laboratorio permettono di fare diagnosi senza esami strumentali. Un
paziente che ha un dolore epigastrico irradiato all’ipocondrio destro e ha le
transaminasi alte potrebbe avere una colica biliare o una colestasi; se presenta anche
le lipasi alte oltre alle amilasi elevate avrà una pancreatite acuta che si può associare
alla stasi delle vie biliari quando il calcolo si incunea nel coledoco e c’è un ristagno
sia di bile che di succhi pancreatici. Al contrario se il paziente ha un
sopraslivellamento del tratto ST e la troponina elevata non sarà un problema
addominale ma sarà un problema cardiaco.
Se questi esami non sono diagnostici, se il paziente ha meno di 40 anni e non è
obeso si fa l’eco addome mentre se il paziente è obeso si fa la TC addome con
mdc. Se sia l’eco che la TC sono normali dopo la terapia (con PPI o ranitidina che
nella gastrite acuta ed esofagite acuta è molto efficace mentre in cronico perde
efficacia fino al 70%) e c’è stata una osservazione clinica in OBI per 12 ore si può
fare la dimissione. Bisogna porre attenzione alla troponina se si pensa che quel dolore
abbia origine cardiaca e bisogna valutare l’ECG e fare un secondo dosaggio della
troponina a tre ore per escludere che il paziente abbia avuto una necrosi miocardica.
Se poi non siamo confidenti con l’ECG e le troponine possiamo decidere di fare alla
fine un ecocardiogramma o accertamenti di secondo livello. Il paziente con
miglioramento viene dimesso con un appuntamento in ambulatorio di gastro. Se
c’è un mancato miglioramento si fa un EGDS perché si potrebbe sospettare la
presenza di una neoplasia a livello dello stomaco che si manifestava con dolore
epigastrico. Se l’EGDS è negativa e il paziente migliora viene dimesso mentre se il
paziente continua ad avere sintomi e il paziente non ha fatto la TC addome con mdc
si può decidere di farla e alla fine se è tutto normale il paziente viene dimesso.
Vomito ripetuto e alvo chiuso a feci e/o a gas

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 60 A cura: di Andrea Perna


Questa è una condizione che fa presuppore una ostruzione a livello intestinale.
Se il paziente ha alvo occluso a feci o gas, l’addome si gonfia e il paziente vomita
perché la via alta è l’unica via libera per la fuoriuscita. Bisogna sempre avviare gli
esami come ECG, eventuale troponina t, emocromo, e anche prove di
emocoagulazione e l’RX del torace perché l’anestesista necessita di RX per
addormentare il paziente durante un intervento in urgenza. La TC addome con
mdc però in questo caso è l’unico esame che dice se il paziente è occluso e per quale
motivo è occluso (infarto intestinale, massa aggettante, fecaloma etc). L’eco in
questo caso è molto aspecifica.
Se la TC è diagnostica si intraprende il percorso diagnostico e terapie mirate:
spesso si porta il paziente in sala operatoria in urgenza oppure si può osservare il
paziente in ambiente chirurgico e iniziare una terapia con idratazione e digiuno, si fa
una esplorazione rettale e se ci sono dei fecalomi si vanno a rimuovere manualmente
o con tecniche endoscopiche.
Se la TC non è diagnostica si fa una terapia con osservazione clinica 12-24 ore; se
c’è un miglioramento si dimette il paziente con appuntamento in ambulatorio di
gastroenterologia mentre se non c’è il miglioramento si ricovera sempre il
paziente perché a volte la TC può anche sottostimare delle situazioni e risultare
negativa

Dolore addominale non epigastrico


Il dolore addominale non epigastrico è molto frequente, il paziente ha un dolore
diffuso a volte a destra o a sinistra. Bisogna sempre fare gli esami ematochimici,
emocromo e prove di emocoagulazione. Se il paziente è obeso si fa una TC addome
con mezzo di contrasto; se il paziente non è obeso si fa una eco addome.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 61 A cura: di Andrea Perna


Se la TC non è diagnostica si fa una terapia ed osservazione clinica in OBI 12-24
ore (3 ore nel non obeso) e se c’è un miglioramento si dimette con
appuntamento in ambulatorio altrimenti se non c’è miglioramento se il paziente
non ha fatto precedentemente una TC allora la si fa ed eventualmente si fa il
ricovero se il disturbo non si risolve.
Se si fa l’eco e il disturbo non si risolve allora si fa la TC, questo perché non si
possono dimettere pazienti che possono avere una patologia chirurgica (per esempio
l’appendicite è subdola).

Patologie dimissibili da PS/OBI


In assenza di complicanze, dopo opportuna terapia con miglioramento clinico ed
eventualmente degli esami di laboratorio, con appuntamento già programmato per
visita di controllo
• Gastrite e/o Esofagite acuta e/o reflusso gastroesofageo;
• Gastroenterite acuta;
• Dolore addominale con esami del sangue e strumentali con esito negativo;
• Emorragia digestiva superiore (si fa una gastro o una colon di urgenza,
CPRE etc) in base a Rockall score (0) e classificazione di Forrest (III) à da
valutare anche in base alla compliance del paziente;
• Rimozione di corpo estraneo senza complicanze;
• Ingestione di caustici senza lesioni riscontrate all’EGDS;
• Rettorragia di lieve entità;
• Urolitiasi con risoluzione del dolore;
• Diverticolite in assenza di perforazione e/o coinvolgimento delle strutture
adiacenti;
• Cistite;

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 62 A cura: di Andrea Perna


Esami obbligatori per pazienti candidati ad intervento chirurgico
Da aggiungere a quelli già eseguiti nei vari percorsi:
• ECG
• RX torace
• PEC
• Gruppo sanguigno
A priori non si può sapere se un paziente avrà bisogno di un intervento chirurgico,
lo si può immaginare in base al quadro clinico. Ecco perché è importante
avvantaggiarsi facendo questi esami.

TRATTAMENTO DEL DOLORE ADDOMINALE


Nel caso di addome acuto è importante mantenere il paziente a digiuno, idratarlo e
chiamare il chirurgo che provvederà a valutarlo e decidere per l’intervento chirurgico
se necessario.
Nell’addome non acuto la faccenda si complica, perché la terapia può essere medica
o chirurgica; eziologica o sintomatica, solo per alleviare la sintomatologia che ha
portato il paziente in PS.

Esempi di terapia eziologica:


- Pz con riacutizzazione del Morbo di Crohn: terapia con cortisone;
- Pz con infezione da Yersinia o Salmonella evidenziata all’esame delle feci:terapia
antibiotica appropriata all’eziologia.

Mentre in Medicina interna si fa prima la diagnosi e poi si inizia la terapia, in


medicina d’urgenza si inizia una terapia sintomatica prima ancora di effettuare la
diagnosi: questo è di fondamentale importanza perché si lotta contro il tempo. Non è
possibile tenere tutti i pazienti 20ore in PS per effettuare tutti gli esami necessari, ma
spesso si può iniziare una terapia per alleviare la sintomatologia del pz e, se questa
sparisce, si può dimettere il pz in tutta tranquillità.

Si possono somministrare vari farmaci per il dolore addominale:


- La colica biliare passa con i FANS,
- La colica renale passa con i FANS: non bisogna mai somministrare gli spasmolitici
perché, invece di favorire l’espulsione del calcolo, determinando una paralisi degli
ureteri, ne riducono l’espulsione. E’ invece corretto dare FANS e idratare il
paziente per favorire l’espulsione del calcolo. In un pz con storia di calcolosi e
coliche renali, la diagnosi è facile; in un pz che ha la sua prima colica renale è
importante un’adeguata diagnosi differenziale con:
- Cisti annessiale;
- Gravidanza ectopica in una donna giovane si può manifestare con un dolore
simile;
- Rottura di una cisti ovarica;
E’ importante eseguire un’eco delle vie urinarie e, nel caso in cui non venga
individuato il calcolo, l’urologo consiglia l’esecuzione di una Rx addome in bianco
che è molto sensibile nel trovare il calcolo.

E’ importante valutare l’intensità del dolore con la scala VAS, sia all’ingresso in PS
sia all’uscita, per valutare l’efficacia della terapia antidolorifica. Molti FANS vengono

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 63 A cura: di Andrea Perna


somministrati per il dolore addominale: è un errore pensare che essi diano solo
tossicità gastrica, in quanto causano una tossicità gastrointestinale. Per esempio,
l’aspirina (acido acetilsalicico) danneggia lo stomaco poiché inibisce la sintesi di
prostaglandine, va a inibire la sintesi di muco protettivo non solo nello stomaco, ma
in tutto l’apparato GI.
Possiamo usare il FANS in un addome acuto non chirurgico ma non lo possiamo
utilizzare in un pz che dovrà andare in sala operatoria per il suo effetto
antiaggregante, che aumenta il rischio chirurgico.

Lo stomaco è sottoposto solo a un passaggio del FANS, mentre nell’intestino c’è un


doppio passaggio, perché dopo l’assorbimento il FANS giunge al fegato dove viene
metabolizzato e poi escreto con la bile nel duodeno. E’ interessante notare quindi
l’effetto del FANS sul microbiota: riduce la concentrazione di lattobacilli e di
biobatteri e riduce la sintesi di muco per un’azione inibente sulle goblet cells.
Il muco è importante perché mantiene i batteri e le sostanze nocive lontane dagli
enterociti; questo strato di muco è maggiore nel colon che nello stomaco, quindi
ricordate che in un paziente con dolore addominale acuto il FANS si può
somministrare, ma con estrema cautela. quando si riduce lo strato di muco, succede
che dei batteri nocivi vengono a contatto con l’epitelio causando dolore: ecco perché
pazienti che usano cronicamente possono avere non solo ulcere gastriche, ma anche
coliti a causa dell’alterazione del piccolo e del grande intestino.

In PS, il farmaco più sicuro da utilizzare è il paracetamolo. Esso ha vari vantaggi:


- si può usare nell’addome acuto
- si può somministrare endovena (efficace entro 1h) o sublinguale, orosolubile (ha
la stessa efficacia della formulazione e.v. ma con effetto più lento in 2h)
- non aumenta la permeabilità intestinale
- non altera l’aggregazione piastrina a differenza di tutti gli altri FANS e quindi non
mette a rischio un eventuale intervento chirurgico

Possiamo anche utilizzare gli oppiodi (sono disponibili anche combinazioni


paracetamolo + oppiodi), ma ricordate che essi causano ileo paralitico, che può
essere un grosso problema, per esempio nel caso in cui il paziente abbia un’
occlusione intestinale.
Quando un paziente non risponde alla terapia analgesica, è inutile continuare con
ulteriori farmaci, ma bisogna sperimentare nuove tecniche; per esempio, nella
pancreatite acuta si può allertare il terapista del dolore, il quale potrà fare una
neurolisi del plesso celiaco, che darà molto sollievo.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, prof. Franceschi a cura di Ilaria
10.30-11.30, Dolore addominale, Venezia
prof. Franceschi a cura di Luisa Vitale - Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, 12.30-13.30, Dolore addominale,
11.30-12.30, Dolore addominale, prof. Franceschi a cura di Francesco
Ventruto


MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 64 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 5
_______________________________________________________
LO SHOCK CARDIOGENO

Lo shock cardiogeno è una grave sindrome clinica caratterizzata da un inadeguato


apporto tissutale di ossigeno causata da un’insufficiente funzione della pompa
cardiaca. Tale condizione risulta caratterizzata da:
- Ipotensione sistemica, la pressione sistolica scende a valori inferiori di 90 mmHg
(80 mmHg se la pressione è misurata tramite metodiche non invasive), mentre la
diastolica sotto i 60 mmHg; tale condizione deve essere mantenuta per almeno 60
minuti e deve essere resistente al carico idrico o necessitare di inotropi per
mantenere la pressione > di 90 mmHg.
- Alterato stato mentale, che testimonia l’ipoperfusione cerebrale;
- Segni di ipoperfusione periferica, evidenziata da cute algida, pallida, marezzata e/o
cianotica;
- Segni di ipoperfusione viscerale, come una massiva oliguria (VFG <20 ml/h).
- Alterazioni della funzione respiratoria, espressione di una congestione del circolo
polmonare; i segni più evidenti saranno tachipnea/dispnea, rantoli etc.
- Emodinamicamente lo shock cardiogeno è definito come Presenza di indice
cardiaco inferiore a 2.2 l/min/m2 con una pressione media dei capillari polmonari
> 15-18 mmHg

EZIOLOGIA
Le condizioni che possono provocare uno shock cardiogeno sono varie. Le più
frequenti sono riportate di seguito:
- Primitiva alterazione miocardica. Questa può comportare: una ridotta contrattilità,
come nel caso di un infarto miocardico acuto o una miocardiopatia congestizia;
una ridotta compliance come nella cardiomiopatia restrittiva o nella stenosi
subaortica ipertrofica.
- Fattori meccanici intracardiaci. Tra essi si annoverano: condizioni che causano
rigurgito ematico, come l’insufficienza mitralica acuta o la perforazione del setto
interventricolare; condizioni di ostruzione del flusso del ventricolo come una
stenosi aortica, una stenosi mitralica o un trombo a palla.
- Fattori meccanici intracardiaci. Si pensi ad un tamponamento cardiaco, ad
un’embolia polmonare massiva o a un’ipertensione polmonare primitiva.
- Gravi aritmie, ipo o ipercinetiche.

FISIOPATOLOGIA
Le cause sopraelencate agiscono aumentando i fattori determinanti il volume
sistolico (precarico, postcarico, contrattilità miocardica, sinergia di contrazione ed
elasticità del muscolo cardiaco), che, insieme alla frequenza cardiaca, regola la
portata cardiaca. Dal punto di vista fisiopatologico è possibile distinguere:
- Aumento del carico cardiaco:
- Precarico, cioè un sovraccarico diastolico di volume, si verifica in condizioni
quali insufficienze valvolari, shunt, miocardiopatie dilatative.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 65 A cura: di Andrea Perna


- Postcarico, consiste in un sovraccarico sistolico o di pressione, per patologie
quali: stenosi valvolari, ipertensione arteriosa, miocardiopatia ipertrofica
ostruttiva.
- Diminuzione dell’inotropismo (riduzione della massa contrattile), si verifica in
condizioni quali: miocardiopatie, cardiopatia ischemica, ipertrofia e fibrosi.
- Dissinergia (discinesie segmentali), come nel caso della cardiopatia ischemica,
miocardiopatie ed aritmie.
Le condizioni esaminate fin ora rientrano nella classe dell’insufficienza cardiaca
iposistolica.

- Diminuzione del rilassamento miocardico od ostacoli all’afflusso: causano una


riduzione del precarico. Condizioni che configurano tale situazione saranno:
miocardiopatia ipertrofica, cardiopatia ischemica, stenosi degli osti
atrioventricolari, ipertrofia e fibrosi cardiaca, tamponamento cardiaco, pericarditi.
Questo quadro configura quella che si definisce insufficienza cardiaca
ipodiastolica.

EVOLUZIONE E PROGNOSI
Lo shock cardiogeno è una consizione gravata da un alto tasso di mortalità che si
aggira intorno all’80%. La prognosi è strettamente vincolata alla causa determinante.
Gli elementi che devono guidare il giudizio clinico saranno:
- Il quadro clinico; l’efficacia del trattamento va valutata attraverso il miglioramento
dello stato di coscienza, della perfusione periferica (scomparsa delle marezzature
e della cianosi) e viscerale (ripresa della diuresi e della funzionalità epatica). Se la
terapia è efficace si assiste anche ad un miglioramento degli scambi respiratori,
della dinamica ventilatoria e a una normalizzazione bioumorale testimoniata dalla
scomparsa o dalla riduzione dell’acidosi metabolica, dell’iperlattemia e degli
squilibri idroelettrolitici.
- Il quadro emodinamico, in caso di efficacia di trattamento il paziente si stabilizza
emodinamicamente, e con il passare di 2/3 giorni diventa possibile lo
svezzamento dal sostegno terapeutico.
L’inefficacia delle manovre terapeutiche è testimoniata dal progressivo, ulteriore
deteriorarsi del quadro emodinamico e clinico, fino ad una franca refrattarietà ad
ogni tipo di trattamento, Questa inefficacia è spesso spia di un’evoluzione infausta
ed è particolarmente frequente nel caso lo shock perduri per 8-12 ore.
L’evoluzione sfavorevole spesso si accompagna a: insufficienza renale (funzionale
prima ed organica dopo), insufficienza epatica, enterite necrotizzante, CID, ulcere da
stress.

Un giudizio prognostico può essere elaborato raggruppando le varie condizioni in 3


grandi gruppi:
- Shock cardiogeno da infarto miocardico acuto. E’ la causa più frequente. Complica
circa il 10% degli infarti, soprattutto anteriori. La mortalità è elevata quando la
condizione di shock è legata alla distruzione della massa miocardica, soprattutto
quando è interessato più del 35% del tessuto miocardico. Buoni risultati sono
ottenuti con le procedure di rivascolarizzazione precoce (spesso angioplastica, in
extremis trombolisi o bypass) in caso di ischemia acuta. In questi casi la mortalità
scende sotto la soglia del 50%. Nel caso di lesioni meccaniche post infaruali, come

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 66 A cura: di Andrea Perna


nell’aneurisma del ventricolo sx o nella rottura della valvola mitralica per distacco
di un un muscolo papillare, oltre la mortalità immediata (molto alta), resta
elevata anche la mortalità post intervento chirurgico (> 60%).
- Shock cardiogeno da ostacolo al riempimento; il tamponamento cardiaco ha una
delle prognosi migliori, quando trattato precocemente. Più severa risulta la
prognosi dell’embolia polmonare massiva. La dissezione aortica che si complica
con un’insufficienza aortica acuta, un infarto o una dissezione coronarica e
comunque con una condizione di perfusione inefficace, ha comunque una
prognosi severa.
- Shock cardiogeno in corso di scompenso cronico, E’ una delle condizioni che si
presta in maggior misura del trattamento medico. Ovviamente in tale situazione
esiste una prognosi sfavorevole a lungo termine.

TERAPIA
Come nelle altre forme di shock, l’obiettivo della terapia deve essere quello di
migliorare e garantire un sufficiente apporto tissutale di O2, dato che il problema
fontamentale è rappresentato da un inadeguato apporto tissutale di O2 malamente
compensato tramite l’aumento del tasso di estrazione del gas.
Lo shock cardiogeno si cura cercando di migliorare la funzione cardiaca e
respiratoria.
Per la correzione di uno stato di shock cardiogeno occorre eseguire una diagnosi
tempestiva ed eseguire una terapia aggressiva e rapida.
Per eseguire una rapida diagnosi, una volta stabilizzato il paziente, è necessario
disporre di:
- Un monitoraggio emodinamico completo ottenuto tramite catetere di Swan-Ganz,
che permetterà attraverso la verifica della gittata cardiaca e delle pressioni di
incuneamento polmonari, di modulare la somministrazione dei farmaci in base
alle risposte emodinamiche;
- Un monitoraggio invasivo della pressione arteriosa.
- Monitoraggio dell’attività elettrica cardiaca il più completo possibile. Può essere
d’aiuto l’utilizzo dell’ecocardiogramma.
Il trattamento deve essere mirato ad ottimizzare la funzione respiratoria tramite
l’ossigenoterapia o il ricorso ad una ventilazione meccanica. Nell’ultimo caso è
possibile eliminare il costo del lavoro respiratorio (che risulta aumentato in caso di
shock tanto da causare un dirottamento del 30% della gittata cardiaca ai muscoli
respiratori), ottenendo una riduzione del consumo di O2 ed un miglioramento
dell’ossigenazione ematica. La correzione della crasi ematica è invece essenziale per
potenziare la capacità di trasporto dell’ossigeno da parte del sangue del paziente.
Vanno poi riequilibrati gli squilibri idro-elettrolitici, soprattutto le turbe del
potassio, calcio e magnesio che possono agire negativamente sulla conduttività
cardiaca ed innescare aritmie letali.
In caso di danni strutturali (ischemia, distacco di un muscolo papillare, etc) è
possibile procedere chirurgicamente o tramite radiologia interventistica per
migliorare la perfusione e quindi la funzione miocardica.
In caso di tamponamento cardiaco è mandatoria l’esecuzione di una
pericardiocentesi.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 67 A cura: di Andrea Perna


Il trattamento farmacologico dello shock cardiogeno deve mirare a ripristinare il
ritmo cardiaco, migliorare la frequenza cardiaca, agire sul precarico, intervenire sul
postcarico, migliorare l’inotropismo.
Nei casi più gravi ed estremi si può ricorrere all’assistenza meccanica del circolo
tramite circolazione extracorporea.

CLASSI DI FARMACI UTILIZZATI NELLO SHOCK CARDIOGENO

NITROPIRUSSATO E’ un potente vasodilatatore arterioso (meno


DI SODIO, 0.5-5 efficace sulle vene), da impiegare sotto
microg/Kg/min monitoraggio del pre e post carico per non
sino penalizzare la pressione arteriosa diastolica e di
all’ottenimento conseguenza la perfusione coronarica. Gli
d e l l ’ e ff e t t o effetti collaterali più frequenti sono: la
desiderato. tossicità, la pseudotolleranza e la tachicardia
riflessa. Il profilo farmacocinetico è favorevole
data la brevissima durata d’azione.

I D R A L A Z I N A Potente vasodilatatore arteriolare con effetto


10-40 mg ogni 4 inotropo positivo. ha una lunga durata
ore d’azione, pertanto la sua utilità è più limitata.
VASODILATATORI E’ frequentemente associata ad un’importante
tachicardia riflessa che causa una riduzione del
tempo di riempimento diastolico con
conseguente aumento del consumo miocardico
di O2. l’effetto max si presenta dopo 15-40’; la
durata d’azione è tra le 4 e le 12 ore.

F E N T O L A M I N A E' un alfa-bloccante che agisce sui recettori pre


1-2 microg/kg/min e post sinaptici, E’ molto più uattivo sui vasi
arteriosi che su quelli venosi. Gli effetti
emodinamici si manifestano entro 15’ e
raggiungono un picco entro 30’. Possono
durare fino a 60’ dalla sospensione.

L I D O C A I N A , La tachicardia è un importante meccanismo di


PROCAINAMIDE, compenso nell’insufficienza cardiaca, ma
VERAPAMIL, l’aumento della frequenza riduce la perfusione
DGITALE, coronarica ed aumenta il consumo di O2 da
NIFEDIPINA. parte del muscolo miocardico. Nello shock
cardiogeno risulta fondamentale il
ANTIARITMICI mantenimento di una frequenza cardiaca
adeguata e di un buon ritmo sinusale.
L’atteggiamento terapeutico deve contemplare
interventi farmacologici e/o elettrici. Va
ricordato che la clearance di questi farmaci
risulta ridotta in un pz con shock cardiogeno.

DIGITALE Non riveste un ruolo primario nel trattamento


dello shock cardiogeno, se non come
antiaritmico, quando indicato e come terapia
INOTROPI cardiocinetica di fondo durante le fasi di
POSITIVI svezzamento farmacologico, in associazione ad
altri inotropi.
Il farmaco inoltre presenta alto rischio di
tossicità.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 68 A cura: di Andrea Perna


Hanno un profilo farmacocinetico favorevole
data la breve emivita e al rapido steady-state
(10’). La cessazione degli effetti si verifica in
10-15’ dalla sospensione. Hanno un ampio
spettro di proprietà emodinamiche, da quelle
vasopressorie della noradrenalina a quelle
prevalentemente inotrope della dobutamina.
CATECOLAMMINE
Po s s o n o e s s e r e u t i l i z z a t e i n m a n i e r a
variamente combinata per aumentare lo spettro
d’azione. Servono a migliorare e stabilizzare
l’emodinamica del paziente, aumentando il
Cardiac Output, la pressione arteriosa e la
perfusione periferica. Le catecolammine più
utilizzate nello shock cardiogeno sono la
dopamina e la dobutamina.

Adrenalina, Attiva sia i recettori alfa che beta. Alle dosi più basse
utilizzata nei (20-100 ng/kg/min) predominano gli effetti beta-
pazienti che agonisti. A dosi elevate (>100 ng/kg/min) quelli
presentano una alfa. La stimolazione dei recettori beta1 produce
potenti effetti inotropi e cronotropi positivi. A basse
grave depressione
dosi stimola i recettori beta2 determinando
contrattile
vasodilatazione con ridistribuzione del flusso ai
accompagnata da muscoli scheletrici. Con l’aumento della dose si
ipotensione, verifica l’azione sui recettori alfa con conseguente
scarsamente vasocostrizione periferica e aumento della pressione
responsive alle sistolica, senza variazioni della diastolica. ne
INOTROPI catecolammine di consegue un aumento della pressione differenziale.
POSITIVI prima scelta. Tali effetti possono provocare un aumento del lavoro
ventricolare sx con conseguente aumento del
consumo di O2 miocardico. L’adrenalina ha anche
un’azione broncodilatatrice con conseguente
miglioramento dell’ossigenzione. Ad alto dosaggio è
un importante vasocostrittore splancnico. Effetti
collaterali gravi sono: l’iperglicemia, l’ipofosfatemia,
l’ansia, pallore, tremori e debolezza muscolare.

Noradrenalina, è I suoi effetti clinici sono dovuti principalmente


utilizzata all’azione alfa e beta 1 agonista. A basse dosi (<30
principalmente ng/kg/min) sono particolarmente evidenti gli effetti
nello shock settico beta1 agonisti, con aumento del cronotropismo e
grave in cui è dell’inotropismo. All’aumentare del dosaggio
compaiono e diventano preponderanti gli effetti
presente una
sulla vasocostrizione. Per infusioni a basse dosi la
marcata
stimolazione beta 1 miocardica determina un
ipotensione. aumento del consumo di O2 bilanciato
d a l l ’ i n c r e m e n t o d e l fl u s s o c o r o n a r i c o
(autoregolazione). Si assiste ad un incremento dei
valori pressori e riduzione riflessa della frequenza
cardiaca. E’ un potente vasocostrittore splancnico e
renale. Diminuisce il livelli di insulina ed incrementa
quelli di glucosio, glicerolo e corpi chetonici. Le
perturbazioni metaboliche sono meno pronunciate
che con l’adrenalina. Gli effetti collaterali sono da
ascriversi principalmente alla vasocostrizione con
aumento della PA e di conseguenza del postcarico.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 69 A cura: di Andrea Perna


Dobutamina, 2 Il D -dimero è un beta-agonista con effetti
microg/kg/min e prevalentemente beta1, mentre L-dimero è un
lentamente debole alfa agonista. l’effetto complessivo è una
incrementata fino potente stimolazione beta1 cardiaca con una
moderata vasodilatazione. Ha effetti inotropi e
ad effetto
minimi effetti cronotropi. Il suo utilizzo si associa
desiderato. Dopo
all’aumento della contrattilità, del Cardiac Output
72 tolleranza
con ninimi effetti sulla pressione arteriosa e sulla
emodinamica frequenza cardiaca. Viene considerato un farmaco di
prima scelta nel trattamento dell’insufficienza
cardiaca congestizia postinfartuale. Sebbene le
disritmie siano il principale effetto sfavorevole,
queste si verificano meno frequentemente rispetto
all’utilizzo di altre catecolammine. La dobutamina è
particolarmente indicata nei casi di adeguata
pressione arteriosa e inadeguato Cardiac Output.
Negli ipotesi può accentuare una riduzione della
vascolarizzazione periferica.

Dopamina I suoi effetti sono determinati da un’attivazione alfa


e beta dose dipendente. A basse dosi (<2 microg/
Kg/min) sono attivati selettivamente i recettori
dopaminergici. A dosi intermedie (2-5 microg/Kg/
min) predominano gli effetti beta. A dosi elevate (>
10 microg/Kg/min) sono predominanti gli effetti
dell’attivazione alfa-adrenergica.L’effetto più
INOTROPI favorevole della dopamina a basse dosi è la
POSITIVI vasodilatazione renale e splancnica mediata dai
recettori dopaminergici. A dosi intermedie stimola
l’aumento della contrattilità e del Cardiac Output
senza incidere sulla frequenza e sulla PA. La
dopamina può inibire il drive ipossico della
ventilazione agendo sui chemiocettori carotidei. Può
inoltre aumentare la quota di shunt polmonare per
l’incremento del flusso nelle regioni polmonari mal
ventilate. L’effetto collaterale più importante si
verifica alle alte dosi, è rappresentato dall’intensa
vasocostrizione periferica che può condurre alla
gangrena delle estremità.

INIBITORI DELLE Sono farmaci capaci di garantire un effetto inotropo


FOSFODIESTERASI positivo senza causare gli effetti collaterali tipici
delle catecolammine. La loro azione si esplica
sull’inibizione selettiva della frazione III della
fosfodiesterasi, deputata all’idrolisi del cAMP nelle
cellule miocardiche e vascolari. A livello cardiaco tali
farmaci causano un aumento del rilasciamento
(azione lusitropa positiva), mentre a livello vascolare
causano un aumento della dilatazione. A queste si
associa l’azione inotropa positiva. Per la loro
molteplice azione vengono chiamati inodilatatori.
Capostipite di questa classe è l’amrinone. Esso però
presenta una lunga emivita e la lenta eliminazione,
soprattutto nei pazienti a bassa portata e con
insufficienza renale può causare importanti effetti
collaterali quali: trombocitopenia, alterazioni della
funzionalità epatica, vomito e nausea incoercibile.
L’enoximone invece si è dimostrato particolarmente
efficace nel trattamento dello shock cardiogeno a
breve termine.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 70 A cura: di Andrea Perna


ASSISTENZA MECCANICA DEL CIRCOLO
Rappresenta l’extrema ratio per i pazienti in shock cardiogeno non responsivo alla
terapia farmacologica o nella speranza di ottenere una stabilità emodinamica in
attesa del tempo necessario a realizzare un intervento risolutivo (chirurgico o
trapianto).

Contropulsazione aortica
La contropulsazione aortica (IABC: intra aortic balloon counterpulsation; IABP: intra
aortic balloon pump) è il più diffuso sistema di assistenza circolatoria temporanea,
in grado di aumentare la velocità del flusso coronarico e diminuire l'afterload agendo
così favorevolmente sull'apporto e la richiesta di ossigeno da parte del miocardio.
Ideato negli anni sessanta come supporto meccanico nei gravi casi di insufficienza
ventricolare sinistra, mostrava i suoi limiti in quanto poteva essere inserito
solamente per via chirurgica, ed inoltre i materiali con i quali era costruito creavano
turbolenze al flusso sanguigno e sviluppo di emolisi massiva. Il perfezionamento
della tecnica e l'impiego di nuovi materiali hanno fatto si che l'IABC rivesta un ruolo
molto importante nel trattamento del miocardio ischemico e mal funzionante.
Il sistema consta di un palloncino di polyethylene montato su un catetere vascolare
semirigido e collegato tramite un tubo ad una consolle di comando, che è in grado di
monitorizzare l'ECG e la curva di pressione arteriosa sincronizzando l'insufflazione e
la desufflazione del palloncino con il ciclo cardiaco. Il pallone viene gonfiato con
elio,che essendo un gas inerte dotato di bassa viscosità ed alto coefficiente di
diffusione non crea alcun tipo di problema nel caso di rottura della membrana del
palloncino nel sistema vascolare.
Il palloncino è disponibile in varie misure. In base all'altezza, generalmente un
adulto richiede una capacità di insufflazione di 34-50 cc di gas(è possibile regolare il
volume di gonfiaggio del palloncino stesso). Il palloncino da 40 cc ha una lunghezza
di 263 mm ed un diametro di 15 mm.
consolle
Il catetere viene generalmente inserito per via percutanea attraverso l'arteria
femorale usando la tecnica di Seldinger e la sua punta è posizionata in aorta
discendente 1-2 centimetri sotto l'emergenza della arteria succlavia di sinistra e
sopra l'emergenza delle arterie renali. Il corretto posizionamento può essere
verificato usando la fluoroscopia o la radiografia del torace ed individuando il marker
radioopaco della punta del catetere a livello del 2°-3° spazio intercostale di sinistra.
E' di fondamentale importanza che la contropulsazione sia sincronizzata con la
sistole e la diastole, per far questo è possibile usare come trigger l'ECG, la curva di
pressione arteriosa o un pacemaker. Il palloncino può essere regolato con vari
rapporti rispetto al ciclo cardiaco: (da 1:1 a 1:3) e può seguirne la frequenza fino a
140-200 battiti/minuto. (Questi valori, impostazione dei rapporti con il ciclo
cardiaco e della frequenza di contropulsazione sono legati al tipo ed alla marca di
contropulsatore usato.)
L' insufflazione avviene all'inizio della diastole, caratterizzata dalla chiusura della
valvola aortica con l'incisura dicrota sulla curva di pressione arteriosa e la
desufflazione avviene durante la contrazione isovolumetrica o appena prima il picco
della successiva pressione sistolica sulla curva di pressione arteriosa. Sull' ECG l'
insufflazione inizia a metà della onda T e la desufflazione avviene prima della fine
del complesso QRS.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 71 A cura: di Andrea Perna


Gli Effetti primari ed immediati della IABC saranno:
- Aumento della disponibilità di ossigeno al miocardio per aumento della pressione
diastolica.
- Diminuzione della domanda di O2 da parte del miocardio come risultato di una
riduzione dell’afterload.
Gli effetti secondari saranno:
- Aumento: gittata cardiaca, indice cardiaco, perfusione periferica, diuresi.
- Diminuzione: pressione diastolica in arteria polmonare, pressione capillare
incuneata, frequenza cardiaca.
Le principali indicazioni all’utilizzo della contropulsazione aortica saranno: la grave
instabilità emodinamica postuma ad un IMA, l’angina instabile resistente alla terapia
medica, angina post infartuale, insufficienza cardiocircolatoria prima di un
intervento cardiochirurgico correttivo.
Lo svezzamento dalla contropulsazione aortica può essere eseguito riducendo
progressivamente il rapporto tra i battiti assistiti e non o riducendo l’entità
percentuale di insufflazione del pallone rispetto al volume totale. La rimozione del
catetere è da realizzare quanto prima se l’apparecchiatura viene spenta, per evitare la
realizzazione di fenomeni tromboembolici.
Saranno controindicazioni assolute:
- Occlusione distale aortica o severa stenosi
- Dissecazione aortica
- Aneurisma aorta toracica o addominale
- Severa insufficienza della valvola aortica
Saranno controindicazioni relative:
- Severi disturbi vascolari periferici
- Bypass arteriosi aortici o ileofemorali
- CI all'eparina o ad altri farmaci ev. anticoagulanti
- Moderata insufficienza della valvola aortica
- Tachiaritmie incontrollate (HR > 140 battiti/min).
Le principali complicanze di questa tecnica sono rappresentate: dalla perforazione o
dissezione o lacerazione aortica; da fenomeni tromboembolici; dalla sepsi; dalla
rottura del pallone.

Emopompa
E’ una tecnica di recente introduzione. Un’elica all’estremità di un catetere permette
l’aspirazione del sangue dalla cavità ventricolare e la sua eiezione in aorta. Questa
pompa non occlusiva, producendo un flusso non pulsato, assicura una portata
massima di 3,5 L/min.
E’ un sistema semplice, rapido ed efficace. Elimina il lavoro esterno del ventricolo
insufficiente in misura maggiore all’aumentare dell’entità dell’insufficienza.
La riduzione del fabisogno energetico ed il miglioramento della perfusione
miocardica producono un nuovo equilibrio favorevole.

CEC
La circolazione extracorporea (CEC) o macchina cuore-polmone è un dispositivo
biomedicale che garantisce la sopravvivenza dei pazienti chirurgici sostituendo
temporaneamente le funzioni cardio-polmonari. Si tratta in generale di una sorta di
terza circolazione che funziona artificialmente durante l'intervento chirurgico

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 72 A cura: di Andrea Perna


aspirando il sangue prima che arrivi al cuore destro, cioè dalla vena cava superiore e
da quella inferiore (sangue desaturato), convogliandolo attraverso cannule e tubi in
un ossigenatore e reimmettendolo poi nel sistema arterioso del paziente.
Le complicanze maggiormente associate alla tecnica saranno:
- Sindrome da bassa portata.
- Emorragia post-operatoria.
- Tamponamento cardiaco.
- Insufficienza respiratoria.
- Sindrome post-perfusionale (si tratta di una reazione fisiopatologica, espressione
clinica delle alterazioni microcircolatorie e parafisiologiche della CEC. Si
manifesta con dolore toracico, febbre, leucocitosi, aumento della permeabilità
capillare con accumulo interstiziale ed imbibizione del parenchima pomonare).
- Insufficienza renale.
- Danni neurologici.

CLASSI DI FORRESTER
Forrester ha distinto 4 classi emodinamiche:
- I, Cardiac Index (CI) >2,2L/min/m2, Pulmonary Capillary Wedge Pressure
(pressione di incuneamento dei capillari polmonari (PCWP)<18 mmHg, assenza
di congestione polmnonare o ipoperfusione periferica. Tali pazienti necessitano di
un trattamento routinario in unità intensiva coronarica ed hanno una mortalità
del 3%.
- II, CI >2,2L/min/m2, PCWP >18 mmHg, segni di congestione polmnonare ma
non di ipoperfusione periferica. Tali pazienti necessitano di un trattamento con
diuretici ed, in seconda battuta, con vasodilatatori. Può essere necessario il ricorso
ad inotropi positivi. La mortalità è del 9%.
- III, CI <2,2L/min/m2, PCWP <18 mmHg, assenza di segni di congestione
polmnonare ma presenza di ipoperfusione periferica. In questi pazienti va
applicata una supplementazione volemica, successivamente si utilizzano
vasodilatatori ed inotropi. Può rendersi necessario il ricorso alla contropulsazione
aortica. La mortalità si aggira intorno al 23%.
- IV, CI <2,2L/min/m2, PCWP >18 mmHg, segni di congestione polmnonare e di
ipoperfusione periferica. E’ indispensabile il precoce avvio ad un’assistenza con
contropulsatore, e, se necessario, la correzione chirurgica di un’eventuale
complicanza meccanica dell’infarto. Inotropi, diuretici e vasodilatatori sono di
norma utilizzati. La mortalità di questo gruppo è intorno al 51%.

SHOCK BOX DI BALOOKI


Si articola in 4 classi emodinamiche utilizzando come parametri la PCWP e la
LVSWI (left ventriculsr stroke work index). In tal modo si ha una valutazione più
realistica della funzione ventricolare, essendo contemplati nel LVSWI sia il precarico
che il postcarico. Le classi sono così divise:
- I, LVSWI >20g m/m2, PCWP < 18 mmHg. In questa classe la prima mossa
terapeutica è caricare adeguatamente il ventricolo per consentirgli di esprimere,
con un output volemico adeguato, le sue capacità di lavoro non o parzialmente
compromesse.
- II, I, LVSWI <20g m/m2, PCWP < 18 mmHg. In questi casi l’ottimizzazione del
precarico può far guadagnare in performance il ventricolo, ma anche precipitarlo

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 73 A cura: di Andrea Perna


in una condizione di grave insufficienza. Bisogna agevolare la funzione cardiaco
con un sostegno inotropo e vasodilatatorio.
- III, I, LVSWI >20g m/m2, PCWP > 18 mmHg. Bisogna ridurre il precarico entro
limiti meno pericolosi per il circolo polmonare. Possono essere utilizzati diuretici,
vasodilatatori, assicurandosi di non compromettere le prestazioni miocardiche.
L’impiego di inotropi può consentire un migliore svuotamento ventricolare,
mantenendo la performance ventricolare a pressioni di riempimento meno
compromissorie per gli scambi polmonari.
- IV, I, LVSWI <20g m/m2, PCWP > 18 mmHg. Mentre nelle altre classi le
modificazioni emodinamiche sono in qualche modo correggibili con il trattamento
medico, in questa classe il trattamento invasivo aggressivo è basato sull’assistenza
meccanica al circolo e l’eventuale trattamento chirurgico d’urgenza. La mortalità è
del 70%.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Lezioni di terapia dello shock, Prof. - Harrison. Manuale di medicina, 31
Rocco Schiavello. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
- Manuali MSD-Italia, Malattie Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
endocrine e metaboliche Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
(Autore)

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 74 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 6
_______________________________________________________
LO SHOCK IPOVOLEMICO
Lo shock è definito come l’incapacità della circolazione di fornire una quantità di
ossigeno adeguata alle richieste metaboliche dell’organismo. Nello shock
ipovolemico ciò avviene per una riduzione della massa circolante e dell’ematocrito.

EZIOLOGIA
Lo shock ipovolemico può essere dovuto a:
- Emorragia esterna, dovuta ad un trauma o a un sanguinamento intestinale.
- Emorragia interna, in caso di emotorace, emoperitoneo, emopericardio, ematoma,
emorragia a livello pelvico, emorragia a livello di molteplici fratture ossee.
- Perdita di plasma, in caso di ustioni estese o intense dermatiti esfoliative.
- Perdita di liquidi ed elettroliti. Può essere:
- Esterna: come nel caso di vomito, diarrea, sudorazione eccessiva, stati
iperosmolari (chetoacidosi diabetica, coma iperosmolare non chetoacidosico)
- Interna: pancreatite, ascite, occlusione intestinale.

FISIOPATOLOGIA E SINTOMATOLOGIA
La fisiopatologia è caratterizzata da una marcata diminuzione delle pressioni di
riempimento con riduzione conseguente della portata cardiaca. La portata cardiaca
viene mantenuta da una tachicardia riflessa, mentre la vasocostrizione periferica su
base nervosa ed umorale contribuisce a mantenere una perfusione del cuore e del
sistema nervoso.
Se la perdita di volume eccede il 20-25% del volume intravascolare, i meccanismi di
compenso non sono più sufficienti. Il risultato è una condizione di ipotensione e
bassa gittata.
La ridotta portata causa una riduzione del trasporto di ossigeno tissutale che viene
compensata inizialmente con un aumento dell’estrazione tissutale dell’O2, con
conseguente aumento del differenziale arterovenoso della pO2. Successivamente si
sviluppa ipossia tissutale con conseguente acidosi.
Quando anche questi meccanismi di compenso falliscono, nonostante la
centralizzazione del circolo per mantenere la perfusione degli organi nobili, le
funzioni cardiocircolatoria e neurologica si deteriorano rapidamente con gravissimi
danni a carico di tutto l’organismo.
La sintomatologia dello shock ipovolemico costituisce la condizione clinica classica
dello stato di shock, con la presenza dei classici segni di attivazione adrenergica. Un
paziente in shock ipovolemico presenterà:
- Pallore, se c’è una riduzione dell’Hb.
- Ipotensione e tachicardia.
- Ipoperfusione periferica, vasocostrizione, pallore o cianosi delle estremità.
- Alterazioni dello stato di coscienza.
- Oliguria o anuria.
- Acidosi metabolica.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 75 A cura: di Andrea Perna


DIAGNOSI DI SHOCK O DI SHOCK INCOMBENTE
Vi può essere una condizione di shock grave o di rischio di shock in presenza di:
- Ipotensione, definita nell’adulto come pressione arteriosa sistolica inferiore a 90
mmHg, Alcuni soggetti possono avere cronicamente una pressione inferiore
inferiore senza alcun disturbo, mentre alcuni soggetti ipertesi possono avere una
condizione di shock con valori pressori normali.
- Ipotensione ortostatica, alcuni pazienti possono non essere francamente ipotesi in
clinostatismo, ma lo divengono rapidamente se passano dalla posizione sdraiata a
quella seduta. Una riduzione pressoria di 10-20 mmHg ed un aumento superiore
a 15 bpm di frequenza cardiaca dopo 5 minuti dal passaggio dal clino
all’ortostatismo sono indicativi di una riduzione del volume circolante. Gli
ipertensivi assunti cronicamente possono ugualmente essere responsabili di
questo fenomeno.
- Ipoperfusione periferica, con estremità fredde cianotiche, sudate, con polsi
periferici deboli o assenti.
- Alterazione dello stato di coscienza, il paziente può essere vigile oppure
manifestare alterazioni dello stato di coscienza sia in senso eccitatorio (ansia,
irrequietezza, agitazione) che inibitorio (sedazione, confusione, coma).

VALUTAZIONE DELLA PERDITA EMATICA


Uno schema basato sulla valutazione di semplici parametri fisiologici permette di
valutare l’entità della perdita di sangue in 4 classi di pazienti ipovolemici,come
riportato in tabella.

TERAPIA
Le soluzioni usate per l’infusione hanno caratteristiche diverse:
- Una soluzione glucosata al 5%, viene privata più o meno rapidamente del glucosio
attraverso il metabolismo, pertanto si può considerare come una soluzione
marcatamente ipotonica. Essa diffonde in tutta l’acqua corporea.Della soluzione
somministrata 3 parti si localizzeranno nello spazio intracellulare ed 1 parte in
quello intracellulare. Di 1 l di soluzione solo 85 ml rimarranno nel circolo.
Pertanto una soluzione glucosata non è la soluzione ideale da somministrare al pz
con shock ipovolemico.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 76 A cura: di Andrea Perna


- Soluzione cristalloide isotonica con il plasma (ringer lattato) somministrata in
sede intravascolare diffonderà liberamente tra i compartimenti intra ed
extravascolare senza alterare gli equilibri del liquido intracellulare. Un litro di
soluzione aumenta la volemia di 250 ml.
- Soluzione salina ipertonica, si distribuisce principalmente nel compartimento
extracellulare; aumentando di molto l’osmolarità extracellulare, richiama acqua
dal comparto intracellulare.
- Soluzione colloidale si distribuisce nello spazio intravascolare. la membrana
cellulare è poco penetrabile alle grosse particelle colloidali in soluzione, pertanto
esse tendono a restare in circolo. Una percentuale prossima al 100%
dell’infusione somministrata resta nel circolo richiamando acqua dagli altri
comparti. Lo stesso comportamento si verifica nei colloidi naturali (albumina,
plasma) o artificiali.

Il trattamento dello shock ipovolemico è costituito da 3 elementi fondamentali:


- Espansione del volume intravascolare;
- Ripristino della capacità di trasporto per l’ossigeno;
- Terapia di eventuali difetti emostatici.
Altre misure possono essere attuate a seconda della condizione che ha causato
l’ipovolemia importante. Tra esse ricordiamo:
- Posizione di Trendelemburg, aumenta il ritorno venoso al cuore;
- Ossigenoterapia;
- Utilizzo di analgesici;
- Monitoraggio dei parametri vitali (ECG, pressione arteriosa, diuresi, PVC);
- Farmaci vasocostrittivi;
- Digitale;
- Interventi chirurgici.
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 77 A cura: di Andrea Perna
Espansione del volume intravascolare
Le soluzioni di prima scelta nel ripristino della volemia sono quelle cristalloidi.
L’espansione del volume vascolare con l’utilizzo di cristalloidi assicura un adeguato
riempimento venoso ed il mantenimento di adeguate pressioni. Il principale
svantaggio consiste nel rischio che si verifichi un edema polmonare o tissutale. La
terapia deve essere eseguita contemporaneamente ad un monitoraggio dei parametri
vitali ed il carico di liquidi deve essere graduale, per non sovraccaricare troppo il
sistema cardiovascolare. Se si rispettano queste accortezze laterapia con cristalloidi
risulta efficace e il rischio di edema polmonare è basso.

Alcuni autori sostengono che l’espansione volemica dovrebbe essere eseguita


tramite l’infusione di soluzioni colloidi. Come giustificazioni alla loro affermazione
essi adducono che:
- L’uso di colloidi porta ad una più rapida e duratura correzione del deficit di
volume intravascolare secondario ad emorragia.
- L’uso di colloidi previene la formazione dell’edema polmonare mantenendo
un’adeguata pressione osmotica.
- L’uso di cristalloidi diluisce in maniera eccessiva le proteine plasmatiche,
riducendo la pressione oncotica e favorendo l’insorgenza di edema polmonare.
- L’edema periferico dovuto ad una massiva infusione di cristalloidi ritarda la
guarigione delle ferite ed il trasporto dei nutrienti.

D’altro canto i cristalloidi: reintegrano più velocemente il volume interstiziale,


ridotto dopo uno shock emorragico; il rapido equilibrio tra volume intravascolare ed
interstiziale riduce le oscillazioni della pressione polmonare, riducendo il rischio di
edema polmonare; L’albumina passa fisiologicamente nell’interstizio polmonare,
pertanto, l’uso di colloidi sembrerebbe favorire l’accumulo di albumina in tale
interstizio.

La disputa è ancora in atto ma, per la maggiore disponibilità e per il minor costo,
vengono preferiti i cristalloidi. I vari studi sull’argomento presenti in letteratura
hanno permesso di comprendere che:
- Le soluzioni isotoniche sono efficaci plasma expanders, non vi è chiara evidenza
che il loro utilizzo porti ad un edema polmonare interstiziale;
- L’aumento della pressione a livello dei capillari polmonari è il maggior
determinante dell’accumulo di liquidi nell’interstizio polmonare. La conseguenza
clinica di tale assunto è che il monitoraggio della pressione polmonare è di
fondamentale importanza durante l’infusione di liquidi.
- Non c’è una netta differenza di outcame tra colloidi e cristalloidi.

Nel valutare gli effetti collaterali della terapia per il ripristino volemico con colloidi o
cristalloidi, è stato posto l’accento soprattutto sulle conseguenze esercitate sugli
scambi polmonari. Tuttavia anche altri sistemi possono risentire di una
reintegrazione di liquidi troppo rapida o abbondante; tra questi: apparato
gastrointestinale, cute e miocardio.

Nota: Nel paziente ipovolemico il flusso intestinale è particolarmente ridotto (compenso per
privilegiare gli organi nobili) tanto da creare una situazione di ischemia. La conseguenza di
tale condizione è l’alterazione dei sistemi di trasporto del glucosio, amminoacidi ed altre
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 78 A cura: di Andrea Perna
molecole, con perdita di proteine (soprattutto albumina) che vengono sequestrate nel lume
intestinale.

La terapia con cristalloidi determina edema a livello:


- Intestinale, con alterazioni della barriera intestinale, accumulo intraluminale di
proteine e ioni, riduzione dell’assorbimento di nutrienti. La conseguenza di ciò
può essere un ileo paralitico o un’importante diarrea.
- Miocardico. La sua presenza è stata dimostrata solamente con l’uso dei
cristalloidi. L’uso dei colloidi sembra prevenirlo.
- Cutaneo. L’edema della cute è associato ad una ridotta ossigenazione degli strati
più superficiali. La diretta conseguenza di tale condizione è la ritardata guarigione
delle ferite ed un aumento della possibilità d’infezione delle stesse.
- Sistema nervoso centrale. L’elevata infusione di liquidi può comportare la
formazione di edema cerebrale specialmente se vengono compromessi la barriera
emato-encefalica e i meccanismi di autoregolazione cerebrale.

Ripristino della capacità del trasporto di O2


Tradizionalmente, nel paziente critico, l’obiettivo è quello di mantenere una
concentrazione di Hb superiore ai 10 g/dl. Tale risultato è possibile con la terapia
trasfusionale. Recentemente tale pratica è stata criticata e le indicazioni trasfusionali
sono state riviste. Infatti da alcuni studi è emerso che anche concentrazioni di Hb <
10 g/dl possono essere ben tollerate dopo un’emorragia, se associate ad una
correzione adeguata della volemia. Pertanto, nella fascia di concentrazione di Hb tra
i 7 e i 10 g/dl, la possibilità di trasfusione deve essere valutata in base a parametri
diversi dalla concentrazione di Hb o dall’ematocrito.

Nota: il trasporto di O2 è definito come il prodotto della gittata cardiaca per il contenuto
arterioso di O2. Il maggior determinante di quest’ultimo parametro è proprio la
concentrazione di Hb. Quando si verifica la riduzione della concentrazione di Hb, il trasporto
di O2 può essere mantenuto costante tramite l’aumento della gittata cardiaca. Tale
meccanismo di compenso risulta molto efficace nei pz che presentano un’adeguata funzione
cardiaca. Ciò spiega perchè, anche con una Hb< di 10 g/dl può non esserci indicazione
trasfusionale. Un parametro più appropriato potrebbe essere l’ossigenazione tissutale. Dei
metodi indiretti per valutare tale parametro possono essere: la pO2 nel sangue venoso misto
e la frazione d’estrazione tissutale di O2, i cui valori normali sono rispettivamente 40 mmHg
e 25%.

E’ necessario effettuare una valutazione globale del paziente, bisogna accertarsi della
presenza di: stabilità emodinamica, corretta ventilazione, diuresi ed equilibrio acido
base.
Un paziente stabile ovviamente può tollerare bene anche pressioni di O2 più basse
rispetto ad un paziente instabile.
La malattia di base svolge un ruolo fondamentale. Un paziente che presenta
un’importante malattia respiratoria presenterà un’ipossia periferica difficilmente
trattabile, mentre un cardiopatico avrà difficoltà ad attuare il compenso ottenuto
tramite l’aumento della gittata cardiaca, quindi richiederà valori ottimali di Hb.
Le raccomandazioni della National Consensus Conference on Preoperative Red Cell
Trasfusion indicano che:
- Se l’emoglobina è > di 10 g/dl la trasfusione è raramente necessaria.
- Se l’emoglobina è < di 7 g/dl la trasfusione è generalmente indicata.
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 79 A cura: di Andrea Perna
- Se l’emoglobina è tra 7 e 10 g/dl la necessità di trasfusione deve essere valutata
tramite sulla base della condizione del paziente, dei valori della frazione di
estrazione e della pressione di O2 nel sangue venoso.
Attualmente viene ritenuta più efficace la trasfusione del solo componente
deficitario. Infatti il sangue intero dei donatori viene frazionato nelle sue
componenti (emazie concentrate, piastrine, plasma fresco) che possono essere
reintegrate singolarmente all’occorrenza.
Il trattamento standard dello shock ipovolemico da emorragia si basa sulla
trasfusione di emazie concentrate e cristalloidi. La trasfusione di sole emazie
permette di evitare gli effetti collaterali spesso associati alla trasfusione di plasma e
piastrine.

Le emazie sono disponibili in tre forme:


- Emazie concentrate, ottenute tramite centrifugazione e rimozione del surnatante.
La massa di emazie è uguale a quella di una sacca di sangue intero mentre plasma
e citrato sono ridotti.
- Emazie lavate, sono emazie concentrate lavate con una soluzione isotonica sterile.
La componente di plasma e citrato è quasi nulla. Presentano il rischio di
contaminazione batterica dovuta al tipo di lavorazione più complessa.
- Emazie congelate, sono più conservabili rispetto alla forma liquida. Questo tipo di
lavorazione permette la preparazione e lo stoccaggio di grandi quantità di sacche.

Di seguito sono riportati gli algoritmi per il trattamento delle emorragie.


In caso di emorragia massiva è opportuno:
- Assicurare una corretta ventilazione;
- Valutare i segni vitali iniziali;
- Posizionare un catetere venoso di grosso calibro, almeno 14 G, effettuare un prelievo per
stabilire il gruppo AB0, eseguire emocromo, PEC, chimica clinica e creatinina.
- Infondere cristalloidi rapidamente (> 100 ml/min) fino ad aumento e stabilizzazione della
pressione arteriosa.
- Compressione sul sito dell’emorragia. Se si sospetta un’emorragia interna valutare la
necessità di un intervento chirurgico.
- Valutare la volemia correlandola al ritmo di sanguinamento. Il deficit volemico va stimato
in base alla clinica, alla presenza di evidenza della perdita, dei dati di laboratorio e del
volume già infuso.
- Ordinare un numero appropriato di unità di sangue.
- Posizionare un secondo catetere venoso.
- Se l’emorragia non accenna a diminuire, trasfondere emazie concentrate.
- Se l’emorragia è massiva, ordinare emazie universali (0 Rh-) e successivamente quelle
dello stesso gruppo del pz.
- Riscaldare la stanza e tutte le soluzioni, nonchè il materassino termico a 37°C.
- Dopo la trasfusione di 6-8 unità di emazie concentrate, trasfondere plasma fresco
congelato al rapporto di 1-2 unità ogni 2 ulteriori trasfusioni di emazie.
- Dopo 8-10 unità di emazie concentrate trasfondere piastrine con rapporto 1:1 con le unità
di emazie eccedenti le 8-10 iniziali.
- Se il pz presenta deficit volemico, dei fattori della coagulazione, delle piastrine, essi vanno
corretti all’inizio della terapia infusionale.
- Monitorare periodicamente i segni vitali e i dati di laboratorio.
- Somministrare 1 g di CaCl2 ogni 4-6 unità di emazie solo se infuse
velocemente.monitorare l’intervallo QT.
- Considerare metodiche chirurgiche o radiologiche interventistiche per stoppare
l’emorragia.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 80 A cura: di Andrea Perna


- Considerare la possibilità di utilizzo di un sistema di recupero per il sangue.
- Mantenere la temperatura corporea del paziente.

In caso di emorragia subacuta bisogna considerare che:


- Un’ipovolemia cronica è spesso presente nei pazienti lungodegenti;
- La perdita ematica può essere difficile da valutare ed i parametri vitali sono spesso normali
o solo lievemente diminuiti.
- Il deficit subacuto è quasi la norma nei pazienti con infezioni croniche di media entità. Tali
pazienti tollerano male qualsiasi forma di stress, anestesia ed eventuale emorragia.
- Il trattamento più efficace è la trasfusione di emazie. Tale indicazione è tuttavia
controversa.
- Il trattamento con colloidi o cristalloidi aumenta la diuresi ma non la volemia.

Terapia dei difetti dell’emostasi


I componenti più frequentemente utilizzati sono plasma fresco e piastrine. Nella
maggior parte dei pazienti emorragici il trattamento con cristalloidi ed emazie
assicura una valida rianimazione. Nel caso di trasfusioni massive, con reintegro
superiore ad 1,5 volte la volemia possono verificarsi dei sanguinamenti secondari al
deficit dei componenti emostatici. Il verificarsi di tale evenienza aumenta
all’aumentare della quantità di emazie e di liquidi reintegrati. La sua eziopatogenesi
è dovuta alla diluizione dei fattori della coagulazione. Gli esami di laboratorio in
genere dimostrano:
- Ridotta conta piastrinica;
- Tempo di sanguinamento prolungato;
- Aumento dell’aPTT e del PT.
- Riduzione del fibrinogeno.

Sia le piastrine che il plasma fresco non si possono ritenere sicure dal punto di vista
infettivo, soprattutto per quello che riguarda l’epatite C. L’allungamento del PT e
dell’aPTT non implica che il trattamento con il plasma fresco sia risolutivo. Pertanto
il trattamento profilattico con plasma fresco è sconsigliato in quanto esporrebbe il
paziente ad inutili rischi. Il trattamento con plasma fresco inoltre corregge le
alterazioni di laboratorio ma non il sanguinamento.
E’indicato l’utilizzo di plasma fresco quando l’emorragia è dovuta a un
sovradosaggio di cumarinici.
Nei pazienti politrasfusi spesso si osservano conte piastriniche < 100000 per mm3
con alterazione dei parametri di laboratorio senza che si verifichi una vera
coagulopatia con sanguinamento. Un sanguinamento spontaneo da sola
trombocitopenia avviene raramente per PTL > 20000 mm3.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Lezioni di terapia dello shock, Prof. - Harrison. Manuale di medicina, 31
Rocco Schiavello. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
- Manuali MSD-Italia, Malattie Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
endocrine e metaboliche Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
(Autore)


MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 81 A cura: di Andrea Perna


CAPITOLO 7
_______________________________________________________
SEPSI E SHOCK SETTICO


Per sepsi si intende una risposta sistemica a un’infezione. Se si hanno due dei
seguenti quattro criteri, si parla di “sindrome da risposta infiammatoria
sistemica” (SIRS):
• Temperatura: <36 °C, >38 °C;
• HR (heart rate): >90;
• RR (respiratory rate): >20;
• Globuli bianchi: aumentati, ridotti o con una percentuale di forme immature
>10%.

Questi criteri non sono però specifici di un’infezione: nella fase iniziale dell’ustione
ad esempio, quando di sicuro l’ustionato non è infetto, si possono avere tutti e
quattro i criteri; un maratoneta (stress fisco non patogeno) può avere queste
alterazioni, di sicuro RR e HR (eventualmente anche T); una pancreatite, quindi
patologia infiammatoria non per forza infettiva, può dare queste alterazioni.

Nelle vecchie definizioni si parlava di sepsi quando in caso di presenza di SIRS e un


sospetto di infezione. C’era già una distinzione tra infezione e risposta
infiammatoria sistemica.
Sempre in passato si parlava di sepsi grave in presenza di una sepsi e una
disfunzione d’organo, evidente clinicamente o anche solo dal punto di vista
biochimico.
Un passo culturale importante è stato fatto dopo 20 anni, con l’aggiornamento del
2012. L’attenzione è sempre focalizzata sui quattro criteri della SIRS, ma l’attenzione
si sposta anche sull’alterato stato mentale. La confusione mentale è un segno
d’allarme del paziente settico. Questo avviene perché anche il cervello è un organo
flusso/pressione-dipendente, ma non è solo questo: se voi tenete a mente che la
sepsi è una sindrome sistemica infiammatoria, le citochine possono essere implicate
nella disfunzione cerebrale (disfunzione citochinica), come anche in quella
polmonare e renale.
La sepsi attualmente è definita come la presenza di infezione (probabile o
documentata) insieme a manifestazioni sistemiche di infezione.

Lo shock settico è una sepsi grave associata a ipotensione refrattaria. Ragionevoli


criteri per porre diagnosi sono rappresentati da: presenza di emocolture positive,
ipotensione refrattaria, assenza di altre cause di shock. E’ possibile distinguere uno
shock settico ipodinamico (o freddo) da uno shock settico iperdinamico (o caldo). Per
ipotensione si intende una pressione diastolica < di 90 mmHg o una riduzione di 40
mmHg rispetto ai valori abituali.

Setticemia è in termine impreciso, impiegato impropriamente come sinonimo di sepsi o


di SIRS.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 82 A cura: di Andrea Perna


Al 2012 risalgono anche i Surviving Sepsis Care Bundles, ossia raccomandazioni con
lo scopo di migliorare l'outcome nella gestione dei pz settici attraverso il
riconoscimento e il trattamento precoce di questi pz. Entro le 3 ore occorre:
- Misurare i livelli di lattati;
- Ottenere emocolture prima della somministrazione di antibiotici;
- Somministrare antibiotici ad ampio spettro;
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 83 A cura: di Andrea Perna
- Somministrare 30 ml/kg di cristalloidi in presenza di ipotensione o di lattati
≥4mmol/L.

Nel 2016 la Sepsis Definition Task Force si è riunita per fare il punto delle
conoscenze sulla sepsi e dare una definizione più precisa.
- La definizione di SIRS rimane la stessa, ricordando che avere la SIRS è diverso da
avere una sepsi.
- Per misurare l'insufficienza d'organo viene ribadita l'importanza del Sequential
Organ Failure Assessment (SOFA) score, facilmente calcolabile eseguendo
un'emogasanalisi e un prelievo ematico.
- La sepsi è definita come una disfunzione d'organo potenzialmente letale, causata da
una risposta disregolata dell'ospite all'infezione. Si considera come disfunzione
d'organo un aumento di 2 punti del SOFA score. La sepsi si può quindi considerare
come "una condizione che insorge quando la risposta dell'organismo all'infezione è
tale da danneggiare se stesso”.
- Non esiste più il termine "sepsi grave", perchè la disfunzione d'organo è intrinseca
al concetto di sepsi.
- Si può utilizzare in maniera valida anche il quickSOFA (qSOFA), ad esempio nei
PS più piccoli o a casa, basandosi su tre criteri d'allarme per definire un malato
settico:
- FR (frequenza respiratoria) >22/min
- GCS <13
- PAS <100mmHg
- Lo shock settico è definito come "un sottoinsieme della sepsi in cui le anomalie
circolatorie, cellulari e metaboliche sottostanti sono associate ad un maggior rischio
di mortalità rispetto alla sola sepsi". Tra i criteri diagnostici ritroviamo ipotensione
resistente ai fluidi (PAS<65mmHg), necessità di terapia vasopressoria e
iperlattatemia (>2mmol/L), perchè i lattati rimangono l'unico marker metabolico
di ridotta perfusione d'organo, sebbene un loro aumento possa essere legato
anche a condizioni diverse dalla sepsi.

EPIDEMIOLOGIA
La sepsi è la seconda più comune causa di morte nelle Unità intensive non
coronariche e la decima nei Paesi ad alto reddito, con una mortalità fra il 15 e il

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 84 A cura: di Andrea Perna


50%. Le morti per sepsi in Europa sono intorno a 150.000/anno. Il numero dei casi
è destinato ad aumentare a una frequenza pari all’1,5% all’anno dall’attuale
prevalenza di 3 casi/1000 abitanti. L’aumento è dovuto all’incremento delle
popolazioni a rischio: anziani con più comorbilità e con i problemi associati
all’istituzionalizzazione, pazienti con patologie neoplastiche o sottoposti a terapie
immunosoppressive o trapianto, uso crescente di procedure invasive. Circa la metà
di questi pazienti è ricoverata attraverso il PS.

EZIOLOGIA
La sepsi può essere causata da batteri e, in una percentuale minore di casi, da
micobatteri, miceti, protozoi (Plasmodium falciparum) e virus. La presenza di
microrganismi nel sangue non è indispensabile per lo sviluppo della sepsi. Le
emocolture risultano positive nel 20-40% dei casi di sepsi grave e nel 40-70% dei
casi di shock settico. I patogeni Gram+ (la cui incidenza è in progressivo aumento)
più comuni sono Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae, mentre i
Gram– più frequenti sono Escherichia coli, Klebsiella spp. e Pseudomonas
aeruginosa. Le sedi più frequenti di infezione sono il polmone, l’addome e l’apparato
urinario.
Lo shock settico è tipicamente distributivo al pari dello shock anafilattico,
neurogeno, tossico (da overdose). E’ caratterizzato da una marcata riduzione delle
resistenze periferiche e da una maldistribuzione generalizzata del flusso ematico.
Nella quasi totalità dei pazienti trattati con reintegro volemico la portata cardiaca
risulta superiore al normale. L’ipotensione è quindi da imputare principalmente alla
diminuzione delle RPT. Le alterazioni vascolari e cardiache risultano in
un’insufficienza cardiovascolare generalizzata.

FISIOPATOLOGIA
Tutte le manifestazioni dello shock settico sono riconducibili ad un complesso
meccanismo patogenetico basato sull’interazione dei prodotti tossici del batterio e le
difese dell’organismo ospite.

Tra le tante tossine esogene la più studiata è l’endotossina dei Gram-. Essa è un
componente liposaccaridico della porzione esterna della membrana batterica. I livelli
di endotossina richiesti per innescare la cascata di eventi dello shock settico possono
variare da paziente a paziente.
L’endotossina può essere funzionalmente divisa in 3 parti:
- La catena laterale O-polisaccaridica, responsabile della sierospecificità batterica è
responsabile dell’attivazione del complemento per via alternativa.
- La regione R-core, è la meno variabile tra i Gram-. Si pensa che Ab contro tale
porzione possano fornire una cross protezione nelle infezioni da Gram-.
- Il lipide A, è legato all’oligosaccaride del core ed è responsabile della tossicità
della tossina. Stimola il rilascio di citochine da parte dei macrofagi e può attivare
il complemento attraverso la via classica.
La risposta dell’organismo all’endotossina e alle altre molecole batteriche si esprime
mediante l’attivazione di cellule mediatrici e di reazioni plasmatiche embricate tra
loro. Vengono infatti attivati contemporaneamente: il complemento, la cascata della
coagulazione, il sistema delle chinine, le fosfolipasi plasmatiche con rilascio di
prostaglandine. Inoltre l’endotossina esercita un’importante azione chemiotattica

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 85 A cura: di Andrea Perna


nei confronti dei PMN. Ultimamente si è data importanza anche al ruolo svolto
dall’NO nella vasodilatazione alla base dello shock settico.
Le più importanti citochine coinvolte nella patogenesi dello shock settico saranno:
- TNF-alfa. Presenta un effetto miocardiodepressivo.
- IL-1, IL6.
- Interferone gamma.
Lo shock settico è una condizione di inadeguato apporto periferico di O2. Esso può
essere facilmente determinato valutando 2 parametri fondamentali: estrazione
periferica dell’O2 e pO2 nel sangue venoso misto. Altro segno della ridotta
ossigenazione tissutale è l’aumento della lattacidemia.

Quando l’apporto periferico di O2 non è adeguato alle richieste metaboliche


dell’organismo, nonostante l’aumento della frazione di estrazione, la quantità di O2
diminuisce ed i tessuti per sopravvivere utilizzano vie metaboliche anaerobie.
Nello shock settico però si verifica un evento paradossale: nonostante le richieste
dell’organismo siano aumentate del 50%, nonostante sia presente un circolo
iperdinamico, l’estrazione periferica di O2 risulta addirittura ridotta.

CLINICA
Alterazioni metaboliche
Si esaurisce l’attivazione ormonale (riduzione della produzione di cortisolo,
catecolamine, ormoni tiroidei), e soprattutto si riduce il consumo di O2 fino a valori
subnormali, indicando così il complessivo deficit ossidativo con prevalenza del
metabolismo anaerobio. Sul piano biochimico tale incapacità della cellula a utilizzare
O2 deriva da blocchi enzimatici multipli.
L’omeostasi glucidica non è più efficacemente regolata dal fegato: la diminuzione
dell’attività gluconeogenetica è l’aspetto più caratteristico e può manifestarsi con
normali valori di glicemia o con ipoglicemia. Anche il metabolismo proteico subisce
ulteriori sconvolgimenti che si sintetizzano in una inibizione delle vie metaboliche
di riutilizzo degli aminoacidi; mancata utilizzazione degli aminoacidi; mancata
utilizzazione degli aminoacidi a fine gluconeogenetico con conseguente riduzione
dell’ureogenesi, e soprattutto incapacità protidosintetica (sintesi di anticorpi,
proteine di fase acuta).
Il metabolismo lipidico subisce più profonde alterazioni e, come già nella fase di
scompenso, cessa di essere la fonte energetica preferenziale. La mancata ossidazione
degli acidi grassi può essere secondaria a deficit di cofattori utili per la beta-
ossidazione o più spiegabilmente ad anomalie metaboliche, quali per esempio
l’accentuazione di processi lipogenetici patologici.
La pompa sodio-potassio non riceve l’energia necessaria per il suo funzionamento e
si assiste a inversione del contenuto ionico tra l’ambiente intra ed extracellulare
(Na+ dentro le cellule; K+fuori). Ne deriva accumulo intracellulare di acqua che
comporta rigonfiamento cellulare a carico di ogni organo e tessuto con edema, sino a
una condizione di reale sequestro di liquidi dal compartimento intravascolare, che è
causa di ipovolemia e quindi ipotensione (shock settico) nonostante il compenso
cardiovascolare.
In definitiva è questa la fase in cui l’utilizzazione di qualunque substrato . incerta
(substrate energy failure): la condizione di grave ipometabolismo che ne deriva

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 86 A cura: di Andrea Perna


(riduzione del consumo di O2) ne è l’espressione fisiopatologica più evidente con
rilevanti conseguenze a carico di ogni organo e tessuto.

Insufficienza circolatoria
Nelle fasi iniziali dello shock settico, quando il paziente non è stato ancora
sottoposto all’espansione volemica con fluidi (fluid resuscitation), l’ipotensione è
principalmente dovuta all’ipovolemia, in parte relativa, cioè dovuta al pooling
venoso e all’essudazione nello spazio interstiziale, e in parte assoluta, per la perdita
di liquidi da perspiratio (febbre, tachipnea) ed eventualmente da vomito, diarrea o
ridotta assunzione di liquidi. All’ipotensione può contribuire una riduzione della
gittata cardiaca per l’azione deprimente sul miocardio operata dai mediatori della
sepsi. Questa disfunzione miocardica può essere uno dei fattori determinanti della
riduzione del trasporto di O2 e dell’ipossia tissutale globale caratteristici dello shock
settico.
Dopo un’adeguata infusione di fluidi il profilo emodinamico in genere cambia, e
l’ipotensione è allora imputabile alla riduzione delle resistenze vascolari periferiche
da vasodilatazione. Dopo la fluid resuscitation la portata cardiaca può tornare
normale o anche aumentare rispetto ai valori di base e può allora rendersi evidente
la dilatazione delle cavità ventricolari cardiache che, prima del carico idrico, era
occultata dall’ipovolemia.

Insufficienza respiratoria
Nelle fasi iniziali l’ipossiemia è dovuta alle alterazioni del rapporto fra ventilazione e
perfusione, caratteristiche del danno polmonare acuto (Acute Lung Injury, ALI), con
un rapporto PaO2/FiO2 che scende sotto 300, e può progredire fino a rendere
necessarie l’intubazione e la ventilazione meccanica. La sindrome da distress
respiratorio acuto (Acute Respiratory Distress Syndrome, ARDS), che si sviluppa in
circa il 20% dei pazienti con shock settico, può comparire precocemente dopo
l’inizio della sepsi o nei giorni successivi. È una forma di edema polmonare acuto
più avanzata dell’ALI, determinato dall’aumento della permeabilità capillare
polmonare causato dalle citochine, ed è caratterizzato da:
-
- Insorgenza acuta di ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia, con rapporto PaO2/
FiO2 < 200;
- Multipli infiltrati polmonari bilaterali a distribuzione periferica alla radiografia del
torace;
- Assenza di segni di ipertensione atriale sinistra (wedge pressure o pressione di
incuneamento < 18 mmHg).

Danno renale acuto


L’insulto renale acuto (Acute Kidney Injury, AKI) ed è caratterizzato da una
produzione di urina inferiore a 0,5 mL/kg/ora per almeno 1 ora e/o da un aumento
della creatinina di più di 0,5 mg/dL rispetto al valore basale noto o calcolato (usando
l’equazione MDRD o un’analoga stima della creatinina basale) o a livelli superiori a
2 mg/dL in valori assoluti (in assenza di insufficienza renale cronica). Si sviluppa in
circa il 50% dei pazienti con shock settico e, in molti casi, regredisce rapidamente dopo
il ripristino della volemia. L’eziologia è multifattoriale: disidratazione, ipotensione
con ipoperfusione, danno endoteliale da mediatori infiammatori e prodotti tossici

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 87 A cura: di Andrea Perna


derivanti dall’interazione neutrofili-endotelio, danno da riperfusione, trombosi del
microcircolo renale. Data l’alta mortalità della sepsi associata ad AKI, anche con il
supporto della dialisi, è importante che il paziente con sepsi sia sottoposto alla
“risuscitazione” con i fluidi in modo tempestivo e “aggressivo” per prevenire questa
complicanza.

Alterazioni ematologiche
La trombocitopenia (<100.000/mm3) e l’alterazione dei parametri della
coagulazione globale (INR>1,5 e aPTT> 60s) sono le manifestazioni ematologiche
più frequenti della sepsi grave. A queste si aggiungono spesso l’aumento del
D-dimero e la riduzione del livello di antitrombina III. La CID, che rappresenta la
forma più grave dell’alterazione della coagulazione, si sviluppa meno frequentemente,
ma contribuisce alla disfunzione multiorgano attraverso la formazione di trombi nel
microcircolo. Più rare sono le manifestazioni emorragiche da consumo dei fattori
della coagulazione.

Alterazioni gastrointestinali
Le manifestazioni più importanti sono l’ileo paralitico, l’ulcera gastrica da stress e le
lesioni diffuse della mucosa intestinale.

Alterazioni epatiche
Il reperto più frequente è l’aumento della bilirubina, prevalentemente diretta, da
colestasi intraepatica. L’epatopatia ischemica da necrosi centrolobulare (“fegato da
shock”) è più rara e si manifesta con l’aumento di AST, ALT (anche > 2000 U/L) e
LDH (caratteristicamente il doppio delle transaminasi).

I pazienti che manifestano una combinazione qualsiasi dei segni della sepsi
dovrebbero essere sottoposti agli esami che più rapidamente evidenziano la
disfunzione d’organo: il lattato può essere misurato sul prelievo dell’EGA, se lo
strumento è disponibile nel PS; la SpO2 può essere immediatamente rilevata con un
saturimetro; la diuresi oraria può essere misurata dopo il posizionamento del
catetere di Foley collegato a un urinometro. Inoltre, gli infermieri di triage
dovrebbero essere istruiti a considerare ipoteso il paziente con pressione sistolica di
100 mmHg, ma che riferisce di avere normalmente una pressione maggiore, per
esempio 150/80. Questo paziente può essere in shock e, analogamente al soggetto
con pressione sistolica inferiore a 90 mmHg, dovrebbe essere sottoposto
rapidamente alla misurazione del lattato e all’esecuzione del fluid challenge. Un
altro segno estremamente importante è la marezzatura cutanea (una discromia
purpurea/bluastra della cute del tronco e/o degli arti), indicativa di ipossia tissutale
periferica, che deve essere attivamente ricercata rimuovendo gli indumenti del
paziente.

DIAGNOSI
Precocità della diagnosi
Il medico d’emergenza, di fronte a un paziente che “appare settico”, dovrebbe
ricercare immediatamente le manifestazioni cliniche e di laboratorio indicative di
disfunzione d’organo. La riduzione della mortalità in questa sindrome è stata
ottenuta con l’identificazione precoce dei pazienti con disfunzione d’organo che
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 88 A cura: di Andrea Perna
traggono maggiore beneficio da interventi terapeutici come la terapia antibiotica
tempestiva e la terapia precoce. Anche per la sepsi grave/shock settico, come per le
altre patologie acute tempo-dipendenti (infarto miocardico acuto, trauma e ictus
cerebrale ischemico), esiste una golden hour, cioè un periodo durante il quale
interventi terapeutici appropriati possono ridurre la mortalità. La terapia antibiotica
dovrebbe essere istituita subito dopo la raccolta dei campioni biologici per gli esami
colturali (se ciò non comporta un ritardo eccessivo), possibilmente entro 3 ore dalla
presentazione del paziente o entro 1 ora dall’insorgenza dell’ipotensione.
L’ottimizzazione emodinamica è efficace se ottenuta entro 6 ore dalla presentazione.
Il medico d’emergenza dovrebbe prendere in considerazione i fattori di rischio
epidemiologici (per esempio, rischio di contatto con paziente affetto da meningite) e
quelli relativi al paziente che aumentano il rischio di infezione (per esempio,
presenza di immunodepressione o di dispositivi protesici come cannule vascolari,
valvole cardiache o cateteri urinari). L’anamnesi e l’esame obiettivo dovrebbero
indirizzare verso il sito di infezione.

Febbre ed esami colturali


La febbre è uno dei segni più caratteristici della presenza di infezione, ma la
temperatura può variare da individuo a individuo e con il momento della giornata.
Essa tende a essere più bassa al mattino e nei soggetti anziani, nei pazienti con
disfunzione miocardica o con shock. Per questo motivo, anche in assenza di febbre,
occorre eseguire le emocolture se sono presenti altri segni di SIRS (per esempio,
tachicardia e tachipnea) insieme a una fonte sospetta di infezione. È importante,
prima di istituire la terapia antimicrobica, il prelievo di campioni colturali
appropriati per l’identificazione dei patogeni e la valutazione della loro suscettibilità
agli antibiotici. Almeno due set di emocolture dovrebbero essere ottenuti da siti di
puntura differenti.
Campioni di urine per l’urocoltura dovrebbero essere raccolti in tutti i pazienti
settici.

Esami di laboratorio
Le indagini di laboratorio utili sono l’esame emocromocitometrico con formula
leucocitaria, l’EGA e il livello plasmatico di glucosio, urea, creatinina, enzimi epatici
(AST e ALT), bilirubina, albumina, lattato, elettroliti (Na+, K+, Cl-,Ca++) e
proteina C reattiva. Leucocitosi neutrofila e granulociti immaturi, pur essendo tipici
di un’infezione batterica, hanno scarsa sensibilità e specificità e non possono quindi
essere utilizzati da soli per escluderla o confermarla. Dovrebbero, inoltre, essere
misurati il tempo di protrombina, l’aPTT, il d-dimero e il fibrinogeno per escludere o
confermare la presenza di CID.
La trombocitopenia è un fattore predittivo indipendente di insufficienza multiorgano
ed è associata a una prognosi sfavorevole. Sebbene aspecifico, l’aumento del d-
dimero sembra essere associato a sepsi grave/shock settico e morte, mentre livelli
decrescenti sono indicativi di una a una risposta positiva alla terapia.
L’aumento del lattato non è sempre accompagnato da una riduzione del livello di
bicarbonato o da un aumento del gap anionico. Inoltre, un valore elevato del lattato,
o il suo progressivo aumento, risulta associato a prognosi infausta nei pazienti con
infezione ricoverati in PS e la sua misurazione seriata può essere quindi usata per
valutare la risposta alla terapia. La ScvO2 dovrebbe essere misurata (e non

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 89 A cura: di Andrea Perna


calcolata) con un emogasanalizzatore provvisto di CO-ossimetro su un campione di
sangue venoso prelevato in modo intermittente da un catetere venoso centrale
posizionato nella vena cava superiore. La ScvO2 può anche essere monitorata in
modo continuo con un catetere venoso centrale provvisto di fibra ottica.

Marcatori di infiammazione (come la proteina C-reattiva) e di sepsi (come la
procalcitonina) possono essere utili se sono disponibili in PS. La prima è, tuttavia,
aspecifica e tende ad aumentare tardivamente e la seconda ha un lungo turnaround
time e non ne sono ancora stati chiariti i valori di cutoff.

TERAPIA
L’approccio ad un paziente con shock settico deve essere mirato a:
- Stabilizzare la condizione emodinamica e correggere rapidamente ogni fattore
potenzialmente reversibile.
- Iniziare una terapia specifica della causa responsabile.
La gestione ottimale di un paziente in stato di shock settico comprende un rapido ed
aggressivo monitoraggio ed il ricovero in un’unita di terapia intensiva. Ogni sforzo
deve essere volto ad individuare i foci d’infezione al fine di poter drenare le raccolte
ed iniziare una terapia antibiotica specifica. E’ essenziale, prima di aver individuato
l’agente eziologico, cominciare una terapia empirica con antibiotici ad ampio
spettro.

MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 90 A cura: di Andrea Perna


Le misure terapeutiche da adottare in un paziente con shock settico possono essere
divise in 5 punti fondamentali:
1) Trattamento dell’insufficienza circolatoria, correggendo la volemia ed utilizzando
farmaci inotropi per favorire la funzionalità cardiaca. Quando la fluidoterapia
aggressiva si rivela incapace di migliorare la funzione emodinamica è necessario
intervenire con farmaci inotropi e vasopressori. La terapia inotropa va presa in
considerazione, pur in assenza di ipotensione ed oliguria, se sono presenti i
segni di ipoperfusione periferica. Nello shock settico si assiste ad una rapida
depressione miocardica ad opera del TNF alfa, pertanto, anche in caso di un
Cardiac Output conservato inizialmente, si consiglia una terapia di supporto
farmacologico precoce. E’ spesso necessario ricorrere a dosi elevate di
catecolammine. L’obiettivo è quello di riuscire ad aprire i distretti vascolari,
disomogeneamente vascocostretti e di incrementare il flusso mediante inotropi.
La dopamina è il farmaco di prima scelta nel management dello shock settico
refrattario per l’azione che esplica sui recettori beta-adrenergici (inotropa) e alfa-
adrenergici (vasopressiva). Nei pz con adeguata pressione arteriosa può essere
utilizzata la dobutamina.
2) Trattamento dell’infezione, si esegue un’antibiotico terapia, prima empirica poi
specifica, accompagnata dal trattamento del focolaio infettivo. La rapida terapia
antibiotica