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1 DOLORE TORACICO 10
2 DISPNEA 28
3 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA 36
4 DOLORE ADDOMINALE 54
5 SHOCK CARDIOGENO 65
6 SHOCK IPOVOLEMICO 75
8 SHOCK ANAFILATTICO 93
9 DISTURBI ELETTROLITICI 99
10 SINCOPE 105
11 COMA 111
12 USTIONI 127
RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
_______________________________________________________
TRIAGE E ATLS
TRIAGE
Il triage rappresenta l'inizio di ogni emergenza in ospedale e spesso è fonte di errori.
L'enorme afflusso di pz in PS, dato comune a tutte le realtà sanitarie italiane per vari
fattori: culturali (non si accetta più di star male o di morire da anziani), timore che
un sintomo sottenda qualcosa di grave, problematiche organizzative territoriali.
Il 50% degli italiani riferisce di essersi recato in PS almeno una volta nella vita, le
statistiche riportano ben 30 milioni di pazienti visitati nel 2009.
E' un problema gravissimo da gestire. Il triage è quindi davvero un problema: se lo
inserite su pubmed, dal 1969 (data di creazione del triage) i numeri sono aumentati
esponenzialmente.
L’obiettivo del triage è proprio la definizione della priorità con cui il paziente verrà
visitato dal medico ed è da distinguere dalla visita medica. E' sull'ordine di priorità che
si creano veramente molti problemi.
Il triage si basa su quattro colori, anche detti codici: bianco, rosso, giallo e
verde. Nelle attività di Pronto Soccorso, il Triage è un “processo di selezione operato
da personale infermieristico specificamente addestrato (corsi ripetuti ogni anni per
adeguarsi ai cambiamenti), avente lo scopo di modulare l’accesso in sala visita
attraverso l’utilizzazione di una scala di priorità (codice colore)”.
ATLS
L’ATLS (acronimo che sta per ADVANCED TRAUMA LIFE SUPPORT) è stato
introdotto negli anni ’70 dall’ American College of Surgeons ed è un argomento
fondamentale in ambito traumatologico.
L’ATLS è un programma formativo per la gestione del politrauma riconosciuto a
livello internazionale che in un momento critico, come appunto è quello del trauma,
può fare davvero la differenza. Quindi quello che si vuole insegnare grazie a questo
approccio, è dare le giuste nozioni in modo tale da capire quali sono le condizioni
che bisogna trattare per prime e che mettono immediatamente a rischio la vita del
paziente (emergenze), poi quelle che determinano rischio di vita o la perdita dell’uso
degli arti nelle ore successive (urgenze) e, infine, le urgenze differibili.
L’approccio da seguire è l’ ABCDE (da ricordare che ciò che succede in A uccide
prima di ciò che succede in B e così via).
A: AIRWAY
Mantenere le vie aeree pervie (nel pz in coma, la lingua, che cade indietro, ostruisce
le vie respiratorie; il pz ustionato, dopo l’inalazione di fumi caldi, presenta edema
laringeo e faringeo con impedimento del passaggio dell’aria). Oltre a ciò è
fondamentale proteggere il rachide cervicale. A livello di C4, infatti, hanno origine le
fibre nervose del frenico e un danno a questo livello determina, quindi, difficoltà
ventilatoria. Le più importanti situazioni di emergenza saranno:
- Corpo estraneo nelle vie respiratorie (sangue compreso);
- Edema della glottide;
- Lingua;
- Compressioni esterne,
- Trauma della laringe,
- Trauma penetrante del collo;
- Rottura della trachea;
- Inalazione di materiale gastroesofageo (ab ingestis);
Le insidie nascoste nella valutazione delle vie aeree, ad esempio del paziente
ustionato che inala fumi caldi, sono:
- Malfunzionamento dell’attrezzatura;
- Mal posizionamento dell’attrezzatura;
- L’intubazione difficile (rara)
Ci sono molti presidi utilizzabili: canula orofaringea di Guedel che evita di dover fare
la sub lussazione della mandibola, l’intubazone naso-tracheale o oro-tracheale. In
generale un presidio che raggiunge la trachea è ottimo e garantisce la pervietà delle
vie aeree mentre i presidi sopra-glottici non sono altrettanto funzionali: utili
nell’immediato ma al paziente possono chiudersi le vie successivamente.
B: BREATHING
Respirazione e ventilazione. Se abbiamo una enorme contusione polmonare, l’aria
passa a differenza dell’ossigeno e può essere dunque necessario ventilare il pz a
pressione positiva.
Respirazione e ventilazione hanno l’obiettivo di garantire una buona meccanica e
quindi si valutano le possibili lesioni cervicali, le problematiche infiltrative (come
nelle contusioni polmonari) ecc..
La pervietà delle vie aeree non garantisce, di per sé, un’adeguata ventilazione. E’ necessario un
corretto ricambio di gas per ottimizzare l’ossigenazione e l’eliminazione dell’anidride carbonica.
L’efficacia della ventilazione è condizionata dalla funzionalità di polmoni, parete toracica e
diaframma. Ciascuna di queste componenti deve essere esaminata e valutata rapidamente. In
questo ambito vengono utilizzati:
- La saturimetria, cut off è 94%. Il saturimetro ci dice la saturazione
dell’emoglobina in relazione alla perfusione (il lobo dell’orecchio è il punto
migliore) e all’emoglobina ( un valore di 4 g/dl di Hb e 100% di saturazione è
una situazione peggiore di 15 g/dl di Hb e 93% di saturazione, viscosità a parte).
C: CIRCULATION
Stato emodinamico e controllo emorragia. Nel trauma l’ipotensione equivale a
emorragia fino a prova contraria. Bisogna ricordare anche che, di solito se:
- Il pz è ipoteso e tachicardico: shock emorragico;
- Il pz è ipoteso e bradicardico: problema neurogeno;
- Il pz è iperteso e bradicardico: problema espansivo intracranico con attivazione
meccanismi di compenso.
I campanelli d’allarme in questi casi saranno:
- Pressione: cut off 90 mmHg per la sistolica poiché garantisce un’ adeguata
perfusione cerebrale.
- Frequenza cardiaca, cut off 100bpm.
- Colorito cutaneo e temperatura (il paziente afroamericano tende a diventare più
grigio, in alternativa si guardano le sclere mentre il riempimento capillare non
serve a nulla).
- Marezzatura (la cute risulta pallida con striature cianotiche): sottende un quadro
di acidosi importante, segno di shock scompensato.
- Polso: le caratteristiche in questo ambito interessano poco, valutare la presenza/
assenza.
La prima cosa da fare è: controllare le emorragie, visibili e non (STOP THE
BLEEDING); Poi bisogna trattare l’ipotensione; Oggi si fanno 250 ml di ringer
lattato (acqua + NaCl 135 meq+ KCl + lattato: è una soluzione tamponata) oppure
soluzione fisiologica, 150 meq NaCl/l (non tamponata poiché non contiene K, è un po’
acidificante). Si crea una situazione di ipotensione controllata. Un litro di soluzione
fisiologica fornisce il sodio per un giorno, in quanto il fabbisogno è 140 meq NaCl/die
in un paziente di circa 70 kg.
D: DISABILITY
Al medico interessa la situazione della corteccia. Quindi fondamentale è il Glasgow
dove l’aspetto motorio è quello più importante. Una risposta motoria sotto 4 indica
che il paziente verosimilmente è in coma. E’ possibule utilizzare anche il sistema
AVPU classificando i pazienti in 4 classi in base allo stimolo ai quali sono in grado di
E: EXPOSURE ed ENVIROMENT
Esposizione pz e controllo ambientale (temperatura soprattutto). Successivamente
si passa alla valutazione secondaria e al trattamento definitivo. L’applicazione di
queste regole è ormai stata valutata come la migliore nell’ambito del trattamento dei
traumi.
Il paziente deve essere svestito completamente per consentire un’esplorazione
completa ed un agevole valutazione. Esposto il paziente bisogna fare attenzione
all’ipotermia quindi si vanno ad utilizzare coperte termiche o sistemi di
riscaldamento. È importante contrastare l’ipotermia perché dà acidosi dovuta alla
vasocostrizione, non fa funzionare il sistema immunitario (i globuli bianchi lavorano
meglio a 38°C) e non fa funzionare i fattori della coagulazione. Quindi l’ipotermia fa
sanguinare di più.
DOPO L’ABCDE
In aggiunta alla valutazione primaria ed alla rianimazione occorono:
• la valutazione dei parametri vitali
• il monitoraggio ECG,
• l’ecografia F.A.S.T.
• il catetere vescicale,
Catetere vescicale
Usato per valutare la diuresi, quindi lo stato emodinamico, ed anche la perfusione
renale in quanto il rene è l’organo che “risparmia i liquidi” quindi in caso di
ipovolemia si avrà una riduzione della diuresi. Diuresi che nell’adulto deve essere
almeno 30 ml/kg all’ora, meglio se 50 ml/kg per ora, ancora meglio è una diuresi
compresa fra 100 e 250 ml/kg per ora (10 ml/kg per ora nel bambino e 20ml/kg per
ora nel lattante)
Imaging
Ultimo presidio aggiuntivo è la possibilità della diagnostica per immagini
effettuando radiografie in proiezione frontale del torace e del bacino.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob di Emergenze del 12.05.2015, - Sbob di Emergenze del 07.04.2016,
ora 11.30-12.30 IL TRIAGE. Prof. ora 9.30-10.30 ATLS Prof. Spada, a
Zuccalà. cura di Andrea Corrao
- Sbob di Emergenze del 7.04.2016, ora
8.30-9.30 ATLS. Prof. Spada, a cura
di Fabrizio Crudo
Il dolore toracico è uno dei sintomi più importanti da valutare nel paziente al suo
ingresso in PS. Tale sintomo può essere imputato a diverse patologie, più o meno
gravi, ed è una delle principali fonti di errore in medicina d’emergenza, qualora
vengano sottovalutati elementi importanti nel processo diagnostico.
EZIOLOGIA
L’eziologia del dolore toracico è estremamente varia. Tra le cause più frequenti
ricordiamo quelle:
- Cardiache: SCA – Sindrome coronarica acuta, Pericardite, Tamponamento
cardiaco, Tachiaritmie, Bradiaritmie.
- Vascolari: come nel caso di Dissecazione aortica, Aneurisma dell’Aorta,
Tromboembolia polmonare.
- Polmonari, tra queste ricordiamo: PNX – Pneumotorace, Pneumomediastino,
Versamento pleurico/pleurite (il polmone di per sé non dà dolore, esso compare
in caso di coinvolgimento pleurico), Polmonite lobare (se è interessata la
Possiamo riconoscere una serie di fattori di rischio correlati con lo sviluppo della patologia
a livello cardiaco, che possiamo dividere in:
- Non modificabili: sesso (il sesso maschile fino ai 55-60 anni ha una maggiore
predisposizione rispetto al sesso femminile), età ( per gli uomini si ha una maggiore
incidenza sopra i 45 anni, nelle donne sopra i 55 anni), familiarità e predisposizioni
genetiche (es. alterazioni congenite del circolo coronarico);
- Modificabili: fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, vita sedentaria, obesità, diabete, ecc.
Su questi fattori ci si deve concetrare maggiormente, tentando di ridurli al massimo,
soprattutto in quei pazienti che presentano dei fattori di rischio non modificabili.
La compromissione della contrattilità cardiaca determina una riduzione della gittata cardiaca
con ridotta perfusione d’organo, in particolare del cervello e del rene. Infatti i disturbi dello
stato di coscienza e la contrazione della diuresi sono delle manifestazioni cliniche che
possono accompagnare la sintomatologia delle sindromi coronariche acute. Nelle fasi più
avanzate, si può raggiungere lo shock cardiogeno.
I markers cardiaci sono degli enzimi che fanno parte della struttura del miocardio, che
vengono rilasciate in circolo nel momento in cui si ha un danno ischemico. I principali
markers sono:
- Creatinin-chinasi (CK): e in particolare la sua forma cardio-specifica CK-MB. Questo
marker può essere rilevato dopo 3-4 ore dall’esordio dei sintomi, raggiunge il picco
intorno alle 24 ore, e ritorna a valori normali entro 72 ore. Tanto più alta è la
concentrazione della CK-MB nel plasma, tanto più estesa è la necrosi. La CK-MB dovrebbe
essere misurata nel siero almeno 3-4 volte al giorno nelle prime 48 ore, e poi almeno una
volta al giorno fino alla sua normalizzazione.
- Troponine: le troponine cardiache T ed I sono sia più specifiche di necrosi miocardica
rispetto alla CK-MB sia anche più sensibili, a causa della loro lunga emivita. Cominciano
ad aumentare 4-6 ore dopo l’esordio dei sintomi e raggiungono il picco a 24 ore o poco
più. Tuttavia, a differenza delle CK-MB, possoo rimanere elevate nel sangue per diversi
giorni, anche fino a due settimane dopo l’infarto.
- Altri indici di necrosi miocardica: tra questi ricordiamo sicuramente la mioglobina
( marker precoce ma poco specifico), la glutammico-ossalacetico transaminasi (GOT) e la
lattico-deidrogenasi (LDH).
Secondo l’Expert Consensus Document ci sono due tipi di infarto del miocardio:
1. Infarto miocardico spontaneo, correlato a rottura/erosione/dissezione
della placca aterosclerotica, con conseguente trombosi endoluminale che
determina una riduzione del flusso sanguigno o una embolizzazione distale;
2. Infarto miocardico secondario ad uno squilibrio domanda/richiesta di
ossigeno, soprattutto nei soggetti anziani.
SCORE DIAGNOSTICI
Esistono degli score che che vanno calcolati per valutare la probabilità che si tratti o
meno di un infarto. Si tratta di sistemi che consentono di affinare la capacità
diagnostica e soprattutto di superare la soggettività della diagnosi.
I l C H E S T- PA I N S C O R E è u n o s c o r e
diagnostico secondo cui si attribuisce un CHEST-PAIN SCORE
ESAMI DIAGNOSTICI
L’ ECG ha un’alta specificità per i quadri tipici, in quanto rivela il sopra- o il
sottoslivellamento e anomalie dell’onda T, ma ha anche una scarsa sensibilità;
potrebbe addirittura non mostrare alcuna anomalia. Vi possono essere molti quadri
subdoli ed è negativo per ischemia in circa il 50% degli infarti all’esordio.
Sono raccomandati dosaggi addizionali di Troponina I/T ad alta sensibilità (in modo
tale da avere una curva delle troponina) nel senso che non è sufficiente un unico
dosaggio per fare la diagnosi, ma almeno due o tre dosaggi; il timing dei dosaggi
della troponina T varia poi in base ai vari trial. Oggi è in voga l’algoritmo delle tre
ore, con due o tre dosaggi ogni tre ore.
Secondo le ultime linee guida consideriamo ischemica una troponina il cui aumento
rispetto alla prima determinazione è di almeno il 25-30%, facendoci quindi pensare
ad un’ischemia o ad una necrosi miocardica, al di sotto di questo valore il paziente
potrebbe avere un’angina instabile. Quindi una determinazione seriale è di
fondamentale importanza.
Un incremento o una riduzione dei livelli di troponina in misurazioni seriate sono
necessari perchè siano rispettati i criteri di infarto del miocardio.
Le linee guida ESC 2011 danno delle raccomandazioni per la stratificazione del
rischio. Secondo tali linee guida in un pz con sospetta SCA la diagnosi deve essere
basata su storia clinica, sintomi, EO, ECG e i biomarkers.
In un pz che si presenta in PS con dolore toracico è necessario richiedere:
- Chimica clinica, i valori di creatinina ad esempio ci diranno se la troponina elevata
è una troponina vera o da IR;
- Elettroliti, per capire se le anomalie elettrocardiografiche sono da ischemia o
squilibri elettrolitici;
- Transaminasi, possono essere un marker di un’ infezione virale che ha dato come
complicanza una miocardite;
- Emocromo;
- PEC (prove di emocoagulazione), sono importanti perchè soprattutto un pz
destinato alla sala emodinamica deve essere scoagulato e dobbiamo sapere da
quali valori partiamo;
- ECG ed RX torace sono fondamentali perchè consentono di escludere le cause
secondarie (pneumotorace, slargamento dell’aorta);
- Troponina che può essere associata a necrosi o all’apoptosi e quindi va sempre
contestualizzata. Un pz con dolore toracico, troponina normale, GRACE<140,
TIMI score 0-1 può essere dimesso con l’indicazione di eseguire un test da sforzo
che può essere eseguito direttamente in PS o in seguito ambulatorialmente.
Invece un pz con troponina normale ma con un GRACE e un TIMI score più
elevati verrà sottoposto ad un test di secondo livello( test provocativo) in base al
quale si deciderà se dimetterlo o ospedalizzarlo.
Oggi c’è molto di più sulla terapia delle sindromi coronariche acute, con un dibattito
aperto sul ruolo della morfina, in quanto si ritiene che in alcuni casi possa
peggiorare la situazione, considerando che si tratta di un analgesico che riduce la
motilità gastro-intestinale e può provocare vomito.
Per quanto riguarda la somministrazione di ossigeno, si è visto come questa nelle
prime 12h dopo lo STEMI è associata ad un significativo incremento della troponina
I e delle CK. Questo può essere letto come un fatto positivo o negativo. Se noi
abbiamo un picco di troponina I o T subito dopo un infarto, questo potrebbe
correlare con una prognosi non necessariamente peggiore, in quanto un valore molto
alto può essere associato sia ad un’importante area di estensione dell’infarto che ad
una rivascolarizzazione più precoce. L’aumento dei valori di troponina è legato al
fatto che il flusso coronarico “lava” quella zona di cuore necrotico e si riempie di
troponina. Un pz con alta estensione dell’area necrotica e poca troponina è un pz che
non ha più flusso coronarico.
Fibrinolisi
La fibrinolisi (o trombolisi) è stata ormai totalmente abbandonata in PS.
Si potrebbe fare con Streptochinasi (SK), Alteplase (tPA), Reteplase (r-PA) o
Tenecteplase (TNK-tPA), in realtà da noi non si usa più se non in condizioni in cui
non si ha disponibilità di un centro di unità coronarica. La trombolisi trova anche
indicazione nell’embolia polmonare, in particolare quando massiva.
Tenete presente che la trombolisi non è esente da rischi: in particolare ricordiamo il
rischio emorragico.
Ci sono, infatti, dei criteri di esclusione per cui, se per es. il paziente ha una
tendenza emorragica o ha avuto recentemente un’emorragia, bisogna andare a
valutare il rapporto rischi-benefici per evitare che il paziente possa andare incontro
ad una complicanza ugualmente fatale.
TAMPONAMENTO CARDIACO
Il paziente con dolore toracico potrebbe avere, in realtà, una pericardite. Dobbiamo
fare molta attenzione alla pericardite perché a volte questa può portare a
tamponamento cardiaco.
Il tamponamento cardiaco è dato dall'accumulo di una quantità di liquido di natura
imprecisata (essudato, trasudato, sangue), in un intervallo di tempo più o meno
TACHIARITMIE
FIBRILLAZIONE ATRIALE (FA)
E' la più frequente ed importante tra tutte le tachiaritmie ed è determinata dalla
totale desincronizzazione della attività atriale, che diventa disorganizzata e
frammentata, con assenza di contrazione atriale, e quindi onda P nell'ECG, e
mancata funzione di pompa atriale.
All'ECG quindi avremo: intervalli R-R irregolari e mancata visibilità delle onde P.
Fisiopatologia
La perdita di contrazione atriale (insieme con l'alta frequenza) riduce il riempimento
ventricolare diastolico di circa il 30%. Ne consegue la riduzione del tempo di
perfusione coronarica (che avviene essenzialmente in diastole) con possibile
precipitazione in ischemia miocardica. Ecco perché si dice che la FA può essere
causata da un'ischemia del miocardio o può essere causa di un'ischemia del
miocardio, la cosiddetta "ischemia da discrepanza": da un lato aumenta la richiesta di
ossigeno per l'aumento della frequenza, dall'altra si riduce il tempo di diastole e
quindi di perfusione coronarica.
Vi sono diversi tipi di FA:
Approccio al paziente
Inizialmente è necessario valutare la stabilità emodinamica (parametri vitali nella
norma senza segni di iniziale shock); se ha instabilità emodinamica bisogna
effettuare una cardioversione immediata, altrimenti sono necessarie una serie di
valutazioni che ci permetteranno non solo di fare la diagnosi, ma anche di
approcciare, dal punto di vista terapeutico, la patologia del paziente.
L’inquadramento iniziale presuppone l’esecuzione di:
- esami ematochimici (emocromo, SMA, NT-proBNP, PEC),
- anamnesi mirata indagando sull'insorgenza dei sintomi, sulla severità dei sintomi,
sulla presenza di pre-eccitazione ventricolare (ad es. WPW)
- calcolare il rischio trombotico futuro.
Esiste una scala, ed è la scala EHRA (EHRA SCORE) che consente di classificare il
paziente in base ai sintomi:
- I nessun sintomo
- II sintomi lievi-moderati, la normale attività quotidiana non è compromessa ma la
FA si può manifestare dopo esercizio fisico
- III sintomi severi, con alterazioni della normale attività domestica
- IV sintomi cosiddetti "disabilitanti"
Trattamento
Possiamo avere un duplice approccio: eseguire un Rate Control (agisco sulla
frequenza cardiaca rallentandola, lasciando però inalterato il ritmo della FA
sottostante), oppure un Rhythm Control (agisco sul ritmo somministrando dei
farmaci o facendo una cardioversione elettrica, in maniera tale da ripristinare il
ritmo sinusale).
Secondo le nostre linee guida, in generale, i due approcci sono equiparabili
Per quanto riguarda il controllo della frequenza, i farmaci che si possono utilizzare
sono:
- Digossina (0,5 mg per os oppure tramite infusione in 30 minuti, con dose di
mantenimento di 0,125 mg);
- Metoprololo o altro beta-bloccante (50 mg due volte al giorno) -digossina e
metoprololo possono essere utilizzati insieme;
- Verapamil, un calcio-antagonista, da utilizzare nei pazienti che non rispondono ai
primi due o che hanno delle controindicazioni (per esempio il paziente con
diabete, BPCO o ischemia degli arti inferiori può avere una controindicazione al
beta-bloccante). Il Verapamil a sua volta, però, è controindicato in pazienti con
insufficienza cardiaca.
- Diltiazem
Per quel che riguarda il controllo del ritmo, devo distinguere i pazienti i cui sintomi
sono insorti entro le 48 h, da quelli che hanno invece sintomi da più di 48 h.
Se tali manovre non sono sufficienti si passa alla terapia farmacologica. Il farmaco
più usato è l’adenosina, somministrata in bolo venoso: Contemporaneamente si
somministra ossigeno al paziente. Ogni bolo deve essere seguito da almeno 20 cc di
fisiologica perché il farmaco deve arrivare rapidamente al cuore. Quando si
cardioverte il paziente ha una sensazione caratteristica di ‘morte imminente’ perché
il cuore si ferma per qualche secondo prima di riprendere il suo ritmo sinusale.
Se non c’è cardioversione nemmeno dopo il terzo bolo si passa ad un altro farmaco
(Verapamil).
La controindicazione all’uso dell’adenosina è la ‘Sindrome di Wolff Parkinson White’,
una sindrome da pre eccitamento, che si riconosce perché c’è l’intervallo P-R
estremamente lungo. Se si somministra adenosina in questi paziente quando il
cuore riprende a battere si potrebbe innescare una tachicardia ventricolare.
DISSEZIONE AORTICA
Lesione dell’intima aortica tale da consentire al flusso ematico di slaminare l’intima
stessa creando un falso lume, riducendo la resistenza del vaso che può arrivare a
rompersi.
Esistono due tipi di dissecazione aortica, quella di tipo A e quella di tipo B, con
differenze anatomiche e terapeutiche.
• Nel tipo A è coinvolto l’arco aortico e può classicamente può comparire
anche un versamento pericardico, che non è una pericardite essudativa ma è
presenza di sangue all’interno del pericardio. Il paziente in questo caso
potrebbe morire per un tamponamento cardiaco. E’ la forma più insidiosa.
Ha un trattamento esclusivamente chirurgico, con sostituzione dell’aorta
ascendente con protesi valvolata (Bentall) o meno, in base al quadro che
abbiamo di fronte.
• Il tipo B interessa l’aorta discendete fino anche alle arterie sotto – renali,
mentre raramente sono coinvolte le arterie iliache (a differenza del tipo A in
cui sono comunemente interessate). Non ha un approccio chirurgico ma
osservazionale e solo in casi particolari si rende necessario il posizionamento
di un’endoprotesi. Per osservazione si intende il monitoraggio del paziente e
il controllo dei suoi parametri vitali, in particolare tenendo la pressione
arteriosa al di sotto dei 100 mmHg, perché spesso sono proprio i picchi
CAUSE POLMONARI
Nell’inquadramento generale l’Rx è di fondamentale importanza. Ecco perché ad
ogni paziente con dolore toracico bisogna eseguire un Rx. Questo è infatti il primo
esame di screening nel sospetto clinico di patologia polmonare e ci permette di fare
diagnosi di pneumotorace, di addensamento polmonare, di polmonite lobare, di
BPCO e di molte altre affezioni polmonari. C’è però un’altra metodica che, se usata
da mani esperte, può rivelarsi addirittura superiore all’Rx del torace: l’ecografia. Nel
caso di versamento pleurico, ad esempio, la sensibilità dell’auscultazione è del 42%,
quella dell’Rx del 39% e quella dell’ecografia del 92%. Nel caso della sindrome
alveolo – capillare la sensibilità dell’auscultazione è del 34%, quella dell’RX del 60%
e quella dell’ecografia del 98%. Nonostante però i più alti valori di specificità,
sensibilità e accuratezza diagnostica dell’ecografia rispetto all’RX il problema sorge
dal momento che l’ecografia deve essere eseguita da personale esperto, essendo un
esame operatore – dipendente, a differenza dell’RX, valutabile molto più facilmente.
COSTO-CONDRITE ACUTA
La costocondrite è una sindrome dolorosa del torace, risultante da un'infiammazione
a carico delle cartilagini collegate alle costole superiori della gabbia toracica. In
particolare coinvolge proprio le articolazioni condrosternali dando origine ad un
dolore toracico che può essere a destra o a sinistra (anche entrambi gli emitoraci),
può coinvolgere il processo xifoideo.
L’Eziologia può dipendere da traumi al torace, sforzi fisici eccessivi, infezioni virali,
batteriche o fungine, neoplasie maligne, fibromialgia, forme di artrite.
Alcuni pazienti che vengono in PS per dolore toracico da costo condrite acuta hanno
semplicemente tossito molto a causa di polmonite/influenza.
Il dolore è caratteristico: innanzitutto è evocabile; inoltre, il pz con infarto in corso
nell’indicare la sede del dolore (sterno) estende la mano (indica un regione più
ampia, un dolore mal localizzabile), il pz con patologia infiammatoria localizzata,
invece, spesso tende ad indicare la zona interessata con un dito (ovviamente vi
sono anche in questo caso delle eccezioni). Una tipica espressione del pz che ha
questo tipo di dolore è “come una coltellata, quando provo a respirare mi sento
mancare il fiato”: il dolore cardiaco non risponde al respiro (la pericardite, ad
esempio, se pieghi il busto migliora), l’infarto è un dolore sordo che non cambia con
gli atti respiratori e con la posizione, non risponde a nulla se non alla morfina o ai
nitrati. Quindi, per ciò che concerne la costo-condrite, questo è un aspetto
caratteristico: se il dolore aumenta con il respiro è un dolore legato al movimento
della gabbia toracica quindi si tratterà di un dolore di origine pleurica o intercostale
o muscolare o legato al movimento delle coste
La terapia di questo tipo di dolore è:
- FANS
- a volte dobbiamo utilizzare OPPIOIDI
- Combinazioni: paracetamolo-codeina/paracetamolo-tramadolo
Sindrome di Tietze
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, - Sbob di Emergenze del 04/04/2016,
8.30-9.30, Dolore toracico, prof. 11.30-12.30, Dolore toracico, prof.
Franceschi a cura di Stefano Sforna Franceschi a cura di Federica
- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, Tagliente.
9.30-10.30, Dolore toracico, prof. - Sbob di Emergenze del 04/04/2016,
Franceschi a cura di Isabella Tundo 12.30-13.30, Dolore toracico, prof.
- Sbob di Emergenze del 04/04/2016, Franceschi a cura di Ada Truma.
10.30-11.30, Dolore toracico, prof.
Franceschi a cura di Mariapia Stifano
Frequenza respiratoria
Si tratta di un parametro immediatamente disponibile che si valuta posizionando
una mano sul torace per contare gli atti respiratori in un minuto o in 30 secondi
(moltiplicando per due); la FR cambia in rapporto all’età del paziente:
- lattante 30-40 atti/min
- neonato 25-30 atti/min
- bambino (6-14anni) 20-25 atti/min
- adulto 12-20 atti/min
Si parla di bradipnea quando la FR<12 (nell’adulto).
Si parla invece di tachipnea quando in un adulto si superano i 20 atti al minuto,
mentre un 14enne che ha 25-28 atti/min può essere del tutto normale.
Meccanica respiratoria
Si valuta semplicemente guardando il malato ed è fondamentale per capire il
compenso e stabilire se necessita o meno di ossigeno. Si valuta, inoltre, il
rientramento degli spazi intercostali (tirage), l’uso dei muscoli intercostali, il
sollevamento delle spalle, il respiro altalenante, il movimento del diaframma.
Tempo di insorgenza
- Dispnea acuta: le cause più frequenti sono rappresentate da quelle allergiche,
edema polmonare, embolia polmonare, riacutizzazione BPCO, PNX. E’ necessario
prestare molta attenzione all’ossigeno da dare al paziente per il rischio di
inibizione del centro della respirazione con successiva ipercapnia: di solito ad un
BPCO si dà massimo un 30-35%.
Di fronte ad un paziente dispnoico bisogna anche considerare la possibilità che
questi abbia un attacco di panico (pz agitato, con dolore toracico, confuso per
l’ipocapnia legata all’iperventilazione, dispnoico). Di solito si fa respirare il
paziente in maschera BLB senza supplementazione di O2 o in una semplice
bustina per respirare la propria aria precedentemente espirata ricca in CO2.
- Dispnea progressiva, causata da embolia polmonare cronica, BPCO non riacutizzato.
Cianosi, marezzatura
Segni di grave sofferenza periferica, ipossia (come ad esempio nel paziente in shock)
Sintomi associati
Dolore toracico, acufene, cefalea, confusione mentale, nausea, vomito, dolore da
crisi ansiosa (sono tutti punti fondamentali da ricercare).
L’ossigenazione del sangue è diretta funzione della capacità del sangue di assorbire
ossigeno dagli alveoli. Il saturimetro legge solo la PaO2 e quindi la pressione
parziale di ossigeno, la quantità di gas disciolto nel sangue, non tiene conto
completamente della parte legata ai globuli rossi. Mentre tramite l’emogasanalisi,
che è sicuramente più attendibile della semplice saturazione dell’ossigeno, noi
riusciamo a valutare vari parametri quali il rapporto tra la PO2 in mmHg e la FiO2
che ci da un indice di valutazione dell’efficienza della barriera emato-alveolare.
L’altra cosa che rileva il saturimetro è la frequenza cardiaca, che deve essere sempre
correlata alla saturazione.
La normalità del rapporto P/F è 350-400. Possiamo avere delle situazioni, ad es.
nell’ARDS che è una malattia estremamente grave, in cui scende al di sotto di 200.
Questo è un rapporto che si calcola direttamente con l’EGA.
A volte uno scompenso cardiaco congestizio può essere causa di dispnea, soprattutto
da sforzo, e può dare edema polmonare acuto soprattutto quando non è ben trattato,
quando le richieste di ossigenazione tissutale sono maggiori rispetto alla
contrattilità miocardica e quindi c’è un’ipoperfusione periferica, c’è una riduzione
del circolo polmonare non c’è una buona ossigenazione del sangue e il paziente
lamenta dispnea.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, - Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
8.30-9.30, Dispnea, prof. Franceschi a 10.30-11.30, Dispnea, prof.
cura di Vincenzo de Marzo Franceschi a cura di Luisa Vitale
- Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
9.30-10.30, Dispnea prof. Franceschi
a cura di Alberto Giuffrida
Ipossiemia
I seguenti meccanismi possono agire da soli o in associazione nel causare l'ipossiemia
arteriosa:
- Una riduzione della pressione parziale di O2 inspirato (PiO2) si verifica ad alta quota
(come conseguenza della riduzione della pressione barometrica), durante l'inalazione di
gas tossici e in prossimità di incendi che consumano O2.
- L'ipoventilazione causa una caduta dei livelli di O2 alveolare (PAO2) e di O2 arterioso
(PaO2).
- La riduzione della diffusione è causata dalla separazione fisica di gas e sangue (come
nella patologia interstiziale polmonare diffusa) o dalla riduzione del tempo di transito dei
GR attraverso i capillari (come nell'enfisema polmonare con perdita di parte del letto
capillare).
- L'alterazione del rapporto ventilazione/perfusione regionale (V/Q) quasi sempre
contribuisce all'ipossiemia clinicamente importante. Le regioni del polmone scarsamente
ventilate ma con una buona perfusione producono una desaturazione; l'effetto dipende in
parte dal contenuto di O2 del sangue venoso misto. Una riduzione del contenuto di O2
nel sangue venoso misto peggiora ulteriormente l'ipossiemia. Le cause più frequenti sono
le affezioni che causano una scarsa ventilazione di alcune regioni del polmone (p. es.,
ostruzione delle vie aeree, atelettasie, addensamenti o edema di origine cardiogena o non).
Il grado di vasocostrizione polmonare ipossica, che allontana il flusso sanguigno dalle
zone poco ventilate, determina la misura nella quale una diminuzione della ventilazione
contribuisce all'ipossiemia. Poiché il sangue dei capillari proveniente dalle regioni del
polmone ben ventilate è già saturo di O2, l'iperventilazione con aumento della PaO2 non
Ipercapnia
I principali meccanismi che causano o contribuiscono all'ipercapnia sono un insufficiente
stimolo dai centri respiratori, una pompa ventilatoria difettosa, un carico di lavoro così
gravoso da affaticare i muscoli respiratori e le malattie polmonari intrinseche con grave
alterazione dei rapporti V/Q. Gli ultimi due meccanismi spesso coesistono.
Anche se un aumento nella pressione parziale di CO2 inspirata (p. es., in vicinanza di un
caminetto in casa o per inalazione volontaria di CO2) può occasionalmente causare
ipercapnia, l'ipercapnia quasi sempre indica un'insufficienza o uno scompenso della
ventilazione.
La PaCO2 è proporzionale alla produzione di CO2 (co2) ed è inversamente proporzionale
alla ventilazione alveolare (Va) come previsto dall'equazione standard (dove k è una
costante):
Un aumento della co2 dovuta a febbre, crisi epilettiche, agitazione o ad altri fattori è
solitamente compensato da un immediato aumento del Va. L'ipercapnia si sviluppa solo se
l'aumento della Va è sproporzionatamente basso.
L'ipoventilazione è la causa più comune di ipercapnia. Oltre all'aumento della PaCO2, è
presente acidosi respiratoria in misura dipendente dal grado di tamponamento tissutale e
renale.
Una riduzione della Va può essere dovuta a una riduzione della ventilazione totale (Ve),
spesso chiamata ipoventilazione globale, o a un aumento della ventilazione dello spazio
morto (Vd).
Un'overdose di stupefacenti con soppressione dei centri respiratori cerebrali è una causa di
ipoventilazione globale.
FISIOPATOLOGIA
La PaO2 e la PaCO2 riflettono l'adeguatezza e l'efficienza degli scambi gassosi fra i
polmoni e il sangue venoso. La PaCO2 di norma si mantiene nello stretto intervallo
compreso tra 35 e 45 mm Hg. Un aumento di produzione della CO2 (co2) comporta
normalmente un incremento appropriato dello stimolo ventilatorio e della
ventilazione alveolare (Va), prevenendo ogni incremento della PaCO2. La Va e la PaCO2
sono inversamente proporzionali ad ogni dato livello di co2.
CLINICA
Il paziente è tachipnoico e dispnoico e la cianosi si manifesta solo se i valori di
emoglobina sono sufficientemente elevati. Qualsiasi paziente con insufficienza
respiratoria acuta attiva i muscoli accessori della ventilazione, quindi l’osservazione
dello sternocleidomastoideo, delle pinne nasali, è una manifestazione importante
perché significa che il paziente è già in un quadro di scompenso.
Per quanto riguarda i rumori polmonari, essi sono rumori aspri(wheezing) , oppure
abbiamo un’alterazione dei rumori respiratori.
Inoltre non bisogna dimenticarsi che qualsiasi paziente con insufficienza respiratoria
acuta (ARF) ha un coinvolgimento cardiovascolare. Il cuore è una pompa che
funziona all’interno di un’altra pompa che è il torace , quindi le alterazioni delle
dinamiche polmonari e delle pressioni intratoraciche compromettono la performance
cardiaca.
Il paziente con problemi respiratori sviluppa, almeno nelle fasi iniziali, degli alti
livelli di depressione intrapleurica e questo produce la recessione degli spazi
sovrasternali e sovraclavicolari. Il gradiente nello spazio pleurico che noi
utilizziamo per produrre il normale volume corrente è pari a -2,-3 cmH2O. Il
paziente con insufficienza respiratoria acuta presenta nel suo spazio pleurico una
pressione di almeno -20,-25 cmH2O. Lo stesso problema avviene a livello degli
spazi intercostali (segno di Hoover, movimento verso l’interno delle coste inferiori
durante l’inspirazione). Quando si arriva a valori molto negativi (es,
-20,-30,-40cmH2O) gli spazi intercostali sono risucchiati verso l’interno. Questa è
energia dei muscoli respiratori presa e buttata via, che non produce movimento
polmonare, non produce volume corrente e genera un enorme consumo di ossigeno.
Per tutti questi motivi il paziente con insufficienza respiratoria acuta ha un
coinvolgimento emodinamico, ed ha un importante ipertono adrenergico, quindi è
tachicardico. Nei casi più gravi compare il respiro paradosso addominale , cioè i
movimenti del torace e dell’addome sono in antifase.
Abitualmente l’ossigeno va somministrato ad alti flussi, tranne che nel paziente con
BPCO , perché tali pazienti hanno già di per sé un drive respiratorio alterato che li
rende estremamente sensibili all’ipossia.
Somministrando ossigeno ad alti flussi e rendendoli quindi iperossici , viene
ulteriormente abbattuto il drive respiratorio in questi pazienti. Infatti i pazienti di
questo tipo , almeno nelle fasi iniziali, non devono ricevere una FiO2 (frazione
inspiratoria di O2) superiore a 0,35. L ‘emogasanalisi permette di conoscere
importanti parametri come la pCO2 e permette di capire ad esempio se il paziente è
in acidosi. Per eseguire l’EGA si effettua il prelievo arterioso.
Il prelievo arterioso va eseguito con il polso del paziente appoggiato su un cuscinetto
per esporre l’arteria radiale . Si inserisce l’ago prima obliquamente, poi quando si
osserva il flusso sanguigno all’interno dell’ago, quest’ultimo si può orizzontalizzare.
2. Valutare l’ossigenazione
- Presenza di ipossiemia;
Una volta valutata la clinica si passa ai dati dell’EGA. La prima cosa che si deve
valutare è l’ossigenazione, perché la prima causa di morte che possiamo rilevare in
emogas è un’eventuale ipossiemia. L’intervallo di valori normali per l’O2 all’emogas è
[60-100] mmHg.
Il valore di PaO2 = 60 mmHg è pari ad una saturazione di 90% misurata con il
pulsossimetro, secondo la curva di dissociazione dell’Hb a forma di “S italica”.
Secondo questa particolare curva, passando da 100 a 60 di PaO2, si passa da una
saturazione di 100% al 90%: il paziente sta benino. Invece al di sotto dei 60 mmHg,
la decrescita della saturazione corrispondente è molto più rapida perché più ripida è la
curva: passando quindi da una PaO2 di 60 a 50 mmHg abbiamo ad esempio una
saturazione che passa da 90 a 50%. (Valore normale PaO2 > 75 mmHg in aria
ambiente ).
Un paziente si dice ipossiemico se il valore di PaO2 <60 mmHg. Volendo essere più
rigorosi, dovremmo considerare come normale PaO2 < 75 mmHg, ma molti anziani,
pur avendo meno di 75 stanno benissimo ed è per questo che prendiamo come
riferimento 60.
- Valutazione degli scambi gassosi tramite il rapporto PaO2 / FiO2: valore normale > 300;
Un’altra domanda va fatta considerando la frazione di ossigeno inspirata (FiO2), e
cioè il rapporto PaO2/FiO2. In aria ambiente è 0,21, mentre se il paziente è ventilato
con maschera si deve guardare il colore del beccuccio che di solito, in maniera
codificata, è indice della FiO2 (es. il rosso di solito è il 40%; se invece si vuole dare
O2 ad una FiO2 = 100% si deve usare la maschera BLB).
Conoscendo FiO2, il rapporto PaO2/FiO2 è indice della capacità del paziente di
ossigenare il sangue, quindi la capacità del polmone di effettuare correttamente gli
scambi gassosi, in particolare per l’O2 (dell’anidride carbonica non ci preoccupiamo
perché, essendo lipofila, essa passa molto più facilmente anche quando il polmone
Un esempio: un paziente potrebbe avere HCO3- < 22 mmol/l per il solo motivo che
ha una PaCO2 bassissima, come nel caso di una giovane paziente con crisi di panico,
quindi in iperventilazione: in questo caso la paziente non è in acidosi metabolica, ha
solo la CO2 bassa; valutando il BE sarà zero. Un pz in shock settico invece avrà un
BE < -2 perché ha i lattati aumentati, è in acidosi metabolica.
L’ultimo punto cui dobbiamo prestare attenzione è proprio quello del meccanismo di
compenso: un’alterazione respiratoria può essere compensata con il metabolismo,
viceversa un’alterazione metabolica può essere compensata con il respiro. Per capire
quale sia l’alterazione iniziale e quale la compensatoria valutiamo il pH, perché è
l’alterazione iniziale che comanda, quella acuta, portando il pH verso di sé.
L’alterazione compensatoria tende a ripristinare il valore del pH portandolo
anch’essa verso di sé, ma non sempre riuscendoci.
Non esistono alterazioni completamente compensate: se ho il pH normale, vuol dire che
le alterazioni sono due, che vanno in direzioni diverse. Se hai un’alterazione primaria e
una di compenso, quella secondaria ti avvicina il pH alla normalità, ma non riesce a
Ketoacidi
- Diabete di tipo 1 insulino-dipendente (blocco del ciclo di Krebs): al paziente manca
insulina, non riesce a mettere in atto il ciclo di Krebs, l’acido piruvico proveniente
dal glucosio viene a sua volta trasformato in lattato per permettere al NADH di
scaricare (non riuscendolo al fare nel Ciclo di Krebs stesso che è bloccato).
Insufficienza renale: In questo caso non ci sono metaboliti, ma c’è riduzione bicarbonato per
mancata produzione renale e aumentata perdita urinaria.
Ossigenoterapia
La cosa fondamentale per le cellule è il delivery di ossigeno , che è dato dalla
seguente formula. Oxygen delivery= O2 content * cardiac output
O2 content = Hb * SaO2*1,34+ PaO2 *0,003
Quanto più alto è il volume/minuto del paziente tanto più la FiO2 sarà bassa. Ma
anche nell’ambito dello stesso respiro ci saranno delle variazioni della FiO2. Nella
fase iniziale del respiro, in cui il peak flow inspiratorio è massimale, e nella fase
finale dello stesso respiro, in cui il peak flow richiesto dal paziente è più basso. I
sistemi a basso flusso sono: semplici, confortevoli per il paziente , economici,
inaccurati.
Un altro problema che ci può essere con questi sistemi è che nel caso in cui si abbia
il paziente con basso rapporto volume/minuto, la FiO2(a pari flusso di ossigeno)
sarà più elevata , quindi si può essere convinti di somministrare O2 in condizioni di
sicurezza, cioè sotto 0,6, invece andate sopra. Questo genera: attivazione dei radicali
liberi e atelectasia da riassorbimento.
I sistemi a basso flusso sono inaccurati, quindi vengono usati solo in situazioni di
emergenza come il trasporto in ambulanza e in elicottero. Nei reparti e nel
trattamento cronico invece, questi sistemi non sono utilizzati se non per i primi
pochi iniziali minuti.
I sistemi ad alto flusso sono più accurati e forniscono un volume/minuto che è circa
3-4 volte il volume del paziente, quindi sono in grado di coprire variazioni di
volume/minuto molto maggiori. Il range di FiO2 va da 0,24 a 0,5.
Sistemi di umidificazione
Il sistema di umidificazione fisiologico è rappresentato dal naso e dal sistema dei
turbinati che serve a riscaldare e a umidificare l’aria .
L’aria ambiente ha un’umidità relativa del 50% e circa 10mg/l di acqua e 20°C. Negli
alveoli abbiamo un’umidità relativa del 100%, 37°C e 44 mg/l in termini di umidità
assoluta.
Tutte le situazioni in cui il paziente ventila in modo diverso, genera un volume/
minuto più elevato oppure è intubato, fanno sì che il sistema della mucosa nasale
sia alterato. Quindi gli alveoli ricevono gas freddi e/o troppo secchi. Quando ciò
accade la clearance mucociliare viene alterata in modo importante nell’arco di 2-3
ore. Dopo 5 ore iniziano a formarsi sulla mucosa dei conglomerati di secrezioni
secche. Alla fine delle 6 ore cominciano a formarsi microulcerazioni e a 12 ore ulcere a
livello delle vie aeree distali. Si può risolvere questo problema con tre sistemi, di cui
due si usano in respiro spontaneo e uno si usa in ventilazione meccanica. Essi sono:
- Umidificatori.
- Nebulizzatori.
- HMEs eg. Thermovent.
Gli umidificatori sono dei sistemi con un termostato, un bagno di acqua sterile sulla
superficie della quale viene fatto scorrere il flusso dell’ossigeno, che viene saturato al
100% e viene riscaldato. Non c’è perdita di acqua dal polmone e non possono essere
utilizzati per aggiungere acqua (che può essere aggiunta in patologie come l’asma in
cui in genere il paziente è fortemente disidratato). E’ un sistema rapido, economico,
semplice ed efficace, l’unica pecca è che funziona mantenendo sistemi in equilibrio
ma non aggiunge acqua addizionale.
Importanti sono le cannule nasali ad alto flusso umidificato. Sono connesse ad un
umidificatore attivo. Grazie ad esse i pazienti possono respirare spontaneamente
attraverso il naso flussi molto più alti di quelli di cui stavamo parlando prima.
Igiene bronchiale
Le secrezioni accumulate possono causare:
• Atelectasia
• Polmonite
• V/Q mismatch
• Ipossiemia
Farmacoterapia
I farmaci descritti sono necessari in un contesto di urgenza (pronto soccorso o
scompenso in reparto); non faremo riferimento ad anti leucotrienici e farmaci beta2
stimolanti long acting.
Possiamo riconoscere tre famiglie fondamentali:
Steroidi
Sono i farmaci che veramente risolvono il broncospasmo eliminandone la causa,
ovvero il rilascio di mediatori infiammatori, classicamente i leucotrieni. Riducono
l’infiammazione, quindi l’edema delle vie aeree. Sono poco efficaci nello stato acuto
di broncospasmo perché ci mettono 4-6 ore a fare effetto, ma vanno sempre
somministrati. Li mescoleremo con i beta2 stimolanti o con gli anticolinergici: prima
entreranno il beta2 stimolante e l’anticolinergico (maggiore latenza rispetto al
precedente) che ci daranno broncodilatazione rimuovendo lo spasmo dei muscoli
bronchiali; nel frattempo il corticosteroide farà effetto e produrrà la rimozione della
causa del broncospasmo.
Anche qui abbiamo una somministrazione aerosolica/MDI e, nelle forme più gravi,
somministrazione endovenosa in aggiunta.
Il Beclometasone è utilizzato in forma MDI al dosaggio di 42 microgrammi/puff (2
puffs). Il Desametasone è usato al dosaggio di 1 mg tramite nebulizzazione. Il
triamcinolone è poco utilizzato in Italia.
Per via endovenosa si possono usare:
- Idrocortisone: 2 mg/kg come dose iniziale e poi 2 mg/kg 4 volte al giorno.
- Metilprednisolone: 80-125 mg dose iniziale e poi 80 mg ogni sei ore per una crisi
d’asma estremamente severa.
Chiaramente va associata copertura gastrica con inibitori di pompa protonica.
Mucolitici
Grande buco nero, nel senso che quello che ci permette di rimuovere le secrezioni
più tenaci sono i cosiddetti aerosol blandi, gli unici che hanno un effetto dimostrato.
Sono in grado di liquefare le secrezioni inspessite e tenaci e sono basati su soluzioni
saline iper/ipo/isotoniche. Non utilizzate l’acqua distillata che ha un forte effetto
irritante (si usa per fare dei test di broncocostrizione indotta); al contrario
l’ipertonica è estremamente efficace nella reidratazione delle vie aeree ma quelle
molto ipertoniche (3/6%) sono in grado di indurre tosse; quindi sono anch’esse
molto irritanti. Quello che si utilizza è quindi una soluzione isotonica o
moderatamente ipertonica.
Per quanto riguarda i farmaci abbiamo l’acetilcisteina, farmaco meraviglioso
nell’overdose da paracetamolo, ma l’effetto mucolitico è molto ridotto.
Tornando all'ARDS questa non è altro che un edema polmonare, ma non è un edema
polmonare cardiogeno, non è generata dal fatto che la pressione all'interno dei
capillari polmonari è troppo alta per cui il fluido fuoriesce dai vasi e va negli alveoli;
l’ARDS è legata al fatto che a causa dell'infiammazione i capillari polmonari sono
“bucherellati” per cui solo conseguentemente a questo il fluido fuoriesce dai
capillari polmonari e si porta prima nell'interstizio e poi negli alveoli. È quindi un
edema polmonare lesionale, non cardiogeno.
Il pz con ARDS ha una malattia di tipo restrittivo, gli alveoli collassano non
essendoci surfattante quindi la capacità polmonare totale(CPT) è molto più bassa
così come la capacità funzionale residua (FRC) è molto più piccola, il che genera un
grosso aumento dello shunt intrapolmonare ed un'ipossiemia che non risponde
all'O2. Potrei pure dare ossigeno con la maschera Venturi, ma se il problema è lo
shunt questo non sarà utile; sarà necessario riespandere gli alveoli perchè solo in
questo modo riequilibrio ventilazione e perfusione.
Se io applico un livello di pressione positiva cioè una PEEP, l'FRC non torna come
nello stesso soggetto prima che si ammalasse, ma tende comunque a salire ed il
volume corrente si porta molto vicino alla CPT; col passare delle ore e dei giorni
l'FRC sale sempre più fino a normalizzarsi.
Un concetto fondamentale è che la ventilazione meccanica non è terapia, non cura,
anzi può generare danno polmonare addizionale. È uno strumento che serve per
guadagnare tempo, per tenere il pz in vita mentre lo si cura con i farmaci eziologici.
Se per esempio il pz presenta un'ARDS conseguente ad una polmonite
pneumococcica la vera terapia sarà la terapia antibiotica, ma se non si riesce a
tenerlo vivo per 3-4 gg, cioè il tempo che la terapia antibiotica faccia effetto, quel pz
muore.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob di Emergenze del 13/05/2015 - Sbob di Emergenze dell’11/04/2016,
ore 9:30 Prof. Cavallaro, L’emogas 11.30-12.30, insufficienza
analisi in 5 step. respiratoria acuta, prof. Conti, a cura
- Sbob di Emergenze dell’ 11/04/2016, di Sara Lillo
8.30-9.30, Gestione del paziente con - Harrison. Manuale di medicina, 31
insufficienza respiratoria acuta, prof. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
Conti a cura di Marcello Luigi Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
Salvatelli Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
- Sbob di Emergenze dell’11/04/2016, (Autore)
9.30-10.30, insufficienza respiratoria - Manuale MSD Italia - Malattie
acuta, prof. Conti, a cura di dell’apparato respiratorio
Francesco Paolo Damiano
Il dolore addominale è sicuramente una delle cause degli accessi più frequenti in PS, le
gastroenteriti sono molto frequenti ma sorprendentemente la metà dei pazienti che
lamenta dolore addominale non ha assolutamente nulla, non ha una patologia
organica ma può avere una patologia funzionale.
Nel trauma il dolore viscerale è sicuramente la forma più frequente, i visceri sono
molto sensibili ad una serie di stimoli, meccanici e chimici, quindi lo stiramento, la
distensione, la penetrazione, la trazione, la pressione e la contrazione sono
percepibili come fonte del dolore e non ultimo l’ischemia (l’ischemia intestinale ha
una prevalenza molto più alta di quella che si immagina, molti anziani si recano in
PS con un quadro di angina abdominis ).
Una delle caratteristiche della localizzazione del dolore viscerale è che è molto
imprecisa, a volte ci sono una serie di dolori riferiti come un dolore mesogastrico che
può corrispondere al duodeno o al digiuno, dolore epigastrico allo stomaco, il dolore
colico può essere endombelicale normalmente, un dolore in regione pelvica può essere
espressione di una patologia del sigma ma queste considerazioni devono tener conto di
un’ampia variabilità interindividuale, ad esempio molti pazienti riferiscono una
lombalgia che è un analogo di un dolore colico.
Il viscere ha uno strato muscolare, una sub mucosa con il plesso di Meissner ricco di
innervazioni quindi un processo patologico che coinvolge la sottomucosa provoca
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 54 A cura: di Andrea Perna
dolore: una delle principali cause di dolore è la presenza di meteorismo,
l’iperproduzione di gas che determina una iperdistensione del viscere che può causare
dolore e l’iperproduzione di gas può essere causata da diverse cose. Si sta sempre di
più approfondendo il ruolo del microbiota intestinale nella genesi di dolore
viscerale, per esempio l’appendicite o la diverticolite sono legate ad una disbiosi a
livello intestinale infatti la composizione del microbiota è completamente differente in
un paziente con diverticolite rispetto ad un soggetto normale.
Le patologie del tratto digerente più pericolose sono soprattutto quelle del colon
dove c’è la più alta concentrazione di batteri ma la stessa gastrite è dovuta alla
presenza di Helicobacter Pylori che può essere in molti casi un patogeno, in alcuni
casi selezionati potrebbe essere un simbionte perché la sua presenza è inversamente
proporzionale alla manifestazione di asma allergica, oppure potrebbe essere un
patogeno.
Per non avere dolore ci deve essere una integrità della mucosa con tutti i suoi
elementi. Quando i fattori avversi superano quelli protettivi si verifica la disbiosi: la
maggior parte dei pazienti che si presenta in PS con dolore addominale ha un
overgrowth di batteri, una traslocazione di batteri dal colon al piccolo intestino,
sindrome da malassorbimento e dolore addominale dovuto all’eccesso di gas.
Se il dolore è nel quadrante alto può essere dovuto a epatite, colangite, colica biliare,
se nel quadrante destro basso può essere legato a salpingite, ernia inguinale.
L’ulcera gastrica da Helicobacter Pylori più FANS è molto diffusa nei soggetti
dell’est, questo perché questi soggetti assumono aspirina in qualità di antidolorifico
che a lungo andare, insieme all’Helicobacter Pylori, darà ulcera perforante.
DOLORE ADDOMINALE IN PS
Se un paziente arriva in pronto soccorso tramite una diretta addome si vedrà che ci
sono dei piccoli livelli idroaerei come se ci fosse un stato occlusivo ma in realtà il
paziente ha una gastroenterite e non una occlusione intestinale; facendo questo
esame quindi il paziente è stato esposto inutilmente a radiazioni non aggiungendo
niente al sospetto diagnostico.
Al contrario in un paziente giovane si potrebbe preferire una ecografia addominale
che non espone il paziente a radiazioni e dà risposte anche più esaustive rispetto ad
una diretta addome. In futuro bisognerebbe fare più ecografie e soprattutto più TC a
discapito di una diretta addome perché in emergenza su un anziano con sospetto di
diverticolite è la TC che dirà se ha o non ha una perforazione, un coinvolgimento del
grasso mesenterico, una raccolta purulenta nello scavo pelvico e se il paziente
necessita di andare in sala operatoria.
Diagnosi finale
La maggior parte dei pazienti (46%) ha un dolore addominale generico cioè sono
dei pazienti che hanno fatto vari esami (esami del sangue, emocromo, ecografia e
TC) che sono risultati normali e quindi questi pazienti sono affetti da IBS (Sindrome
dell’intestino irritabile) e arrivano soprattutto in DEA di secondo livello pensando
che ci sia più competenza perché nonostante il dolore nessuno ha saputo dar loro
una spiegazione. I medici di medicina di emergenza devono saper riconoscere anche
questo gruppo di pazienti che non hanno nulla di organico o meglio nessuna
ESAMI DI LABORATORIO
Nel dolore addominale è importante fare le prove di emocoagulazione. Il paziente
potrebbe avere un aneurisma dell’aorta addominale che necessita di andare in
urgenza in sala operatoria e l’anestesista senza le prove di emocoagulazione non
permette l’inizio dell’intervento. Insieme alle prove di emocoagulazione bisogna
sempre fare la richiesta di emotrasfusione (con prove di compatibilità, gruppo
sanguigno).
In base al tipo di dolore che il paziente riferisce possiamo decidere gli esami di
laboratorio da richiedere.
Il dolore epigastrico come quello del quadrante destro in base al risultato degli
esami di laboratorio può indirizzare la diagnosi verso una colica biliare, un carico del
coledoco o un problema del pancreas o altro.
Si fanno gli esami di laboratorio e terapia della gastroenterite acuta che consiste in
liquidi (ripristinare le perdite di liquidi non necessariamente in vena, per esempio si
può somministrare una soluzione orale idratante che nei Paesi in via di Sviluppo è la
coca-cola; nel paziente che vomita spesso o nei pazienti defedati si preferisce la
reidratazione in vena) e probiotici che servono per bloccare la diarrea (come
saccharomyces boulardii).
Il paziente viene poi tenuto in osservazione per 12-24h fino a quando per lo meno
non passano i sintomi. Successivamente se c’è un miglioramento il paziente viene
dimesso ed eventualmente si fissa un appuntamento nell’ambulatorio di
gastroenterologia. Se c’è un mancato miglioramento, si distingue tra il paziente
che ha meno di 40 anni e non è obeso e il paziente che ha più di 40 anni o è obeso
per quanto riguarda l’esame strumentale che si andrà a fare.
Se il paziente che ha meno di 40 anni e non è obeso si preferisce l’eco, mentre se
paziente che ha più di 40 anni o è obeso si preferisce la TC addome con mdc,
questo perché nell’obeso l’eco ha meno sensibilità.
Se la TC non è diagnostica dimetto il paziente mentre se è diagnostica perché il
paziente per esempio non ha la gastroenterite ma ha la diverticolite che si può
manifestare nell’anziano con diarrea al di sotto del diverticolo e con vomito al di
sopra del diverticolo allora si fa un percorso di diagnosi e terapie mirate. Per
quanto riguarda l’eco addome che si fa nel paziente con meno di 40 anni e non è
obeso se è diagnostica si segue un percorso di diagnosi e terapie mirate mentre se
non è diagnostica e c’è un miglioramento allora verrà dimesso.
E’ importante valutare l’intensità del dolore con la scala VAS, sia all’ingresso in PS
sia all’uscita, per valutare l’efficacia della terapia antidolorifica. Molti FANS vengono
BIBLIOGRAFIA
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- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, prof. Franceschi a cura di Ilaria
10.30-11.30, Dolore addominale, Venezia
prof. Franceschi a cura di Luisa Vitale - Sbob di Emergenze del 05/04/2016,
- Sbob di Emergenze del 05/04/2016, 12.30-13.30, Dolore addominale,
11.30-12.30, Dolore addominale, prof. Franceschi a cura di Francesco
Ventruto
EZIOLOGIA
Le condizioni che possono provocare uno shock cardiogeno sono varie. Le più
frequenti sono riportate di seguito:
- Primitiva alterazione miocardica. Questa può comportare: una ridotta contrattilità,
come nel caso di un infarto miocardico acuto o una miocardiopatia congestizia;
una ridotta compliance come nella cardiomiopatia restrittiva o nella stenosi
subaortica ipertrofica.
- Fattori meccanici intracardiaci. Tra essi si annoverano: condizioni che causano
rigurgito ematico, come l’insufficienza mitralica acuta o la perforazione del setto
interventricolare; condizioni di ostruzione del flusso del ventricolo come una
stenosi aortica, una stenosi mitralica o un trombo a palla.
- Fattori meccanici intracardiaci. Si pensi ad un tamponamento cardiaco, ad
un’embolia polmonare massiva o a un’ipertensione polmonare primitiva.
- Gravi aritmie, ipo o ipercinetiche.
FISIOPATOLOGIA
Le cause sopraelencate agiscono aumentando i fattori determinanti il volume
sistolico (precarico, postcarico, contrattilità miocardica, sinergia di contrazione ed
elasticità del muscolo cardiaco), che, insieme alla frequenza cardiaca, regola la
portata cardiaca. Dal punto di vista fisiopatologico è possibile distinguere:
- Aumento del carico cardiaco:
- Precarico, cioè un sovraccarico diastolico di volume, si verifica in condizioni
quali insufficienze valvolari, shunt, miocardiopatie dilatative.
EVOLUZIONE E PROGNOSI
Lo shock cardiogeno è una consizione gravata da un alto tasso di mortalità che si
aggira intorno all’80%. La prognosi è strettamente vincolata alla causa determinante.
Gli elementi che devono guidare il giudizio clinico saranno:
- Il quadro clinico; l’efficacia del trattamento va valutata attraverso il miglioramento
dello stato di coscienza, della perfusione periferica (scomparsa delle marezzature
e della cianosi) e viscerale (ripresa della diuresi e della funzionalità epatica). Se la
terapia è efficace si assiste anche ad un miglioramento degli scambi respiratori,
della dinamica ventilatoria e a una normalizzazione bioumorale testimoniata dalla
scomparsa o dalla riduzione dell’acidosi metabolica, dell’iperlattemia e degli
squilibri idroelettrolitici.
- Il quadro emodinamico, in caso di efficacia di trattamento il paziente si stabilizza
emodinamicamente, e con il passare di 2/3 giorni diventa possibile lo
svezzamento dal sostegno terapeutico.
L’inefficacia delle manovre terapeutiche è testimoniata dal progressivo, ulteriore
deteriorarsi del quadro emodinamico e clinico, fino ad una franca refrattarietà ad
ogni tipo di trattamento, Questa inefficacia è spesso spia di un’evoluzione infausta
ed è particolarmente frequente nel caso lo shock perduri per 8-12 ore.
L’evoluzione sfavorevole spesso si accompagna a: insufficienza renale (funzionale
prima ed organica dopo), insufficienza epatica, enterite necrotizzante, CID, ulcere da
stress.
TERAPIA
Come nelle altre forme di shock, l’obiettivo della terapia deve essere quello di
migliorare e garantire un sufficiente apporto tissutale di O2, dato che il problema
fontamentale è rappresentato da un inadeguato apporto tissutale di O2 malamente
compensato tramite l’aumento del tasso di estrazione del gas.
Lo shock cardiogeno si cura cercando di migliorare la funzione cardiaca e
respiratoria.
Per la correzione di uno stato di shock cardiogeno occorre eseguire una diagnosi
tempestiva ed eseguire una terapia aggressiva e rapida.
Per eseguire una rapida diagnosi, una volta stabilizzato il paziente, è necessario
disporre di:
- Un monitoraggio emodinamico completo ottenuto tramite catetere di Swan-Ganz,
che permetterà attraverso la verifica della gittata cardiaca e delle pressioni di
incuneamento polmonari, di modulare la somministrazione dei farmaci in base
alle risposte emodinamiche;
- Un monitoraggio invasivo della pressione arteriosa.
- Monitoraggio dell’attività elettrica cardiaca il più completo possibile. Può essere
d’aiuto l’utilizzo dell’ecocardiogramma.
Il trattamento deve essere mirato ad ottimizzare la funzione respiratoria tramite
l’ossigenoterapia o il ricorso ad una ventilazione meccanica. Nell’ultimo caso è
possibile eliminare il costo del lavoro respiratorio (che risulta aumentato in caso di
shock tanto da causare un dirottamento del 30% della gittata cardiaca ai muscoli
respiratori), ottenendo una riduzione del consumo di O2 ed un miglioramento
dell’ossigenazione ematica. La correzione della crasi ematica è invece essenziale per
potenziare la capacità di trasporto dell’ossigeno da parte del sangue del paziente.
Vanno poi riequilibrati gli squilibri idro-elettrolitici, soprattutto le turbe del
potassio, calcio e magnesio che possono agire negativamente sulla conduttività
cardiaca ed innescare aritmie letali.
In caso di danni strutturali (ischemia, distacco di un muscolo papillare, etc) è
possibile procedere chirurgicamente o tramite radiologia interventistica per
migliorare la perfusione e quindi la funzione miocardica.
In caso di tamponamento cardiaco è mandatoria l’esecuzione di una
pericardiocentesi.
Adrenalina, Attiva sia i recettori alfa che beta. Alle dosi più basse
utilizzata nei (20-100 ng/kg/min) predominano gli effetti beta-
pazienti che agonisti. A dosi elevate (>100 ng/kg/min) quelli
presentano una alfa. La stimolazione dei recettori beta1 produce
potenti effetti inotropi e cronotropi positivi. A basse
grave depressione
dosi stimola i recettori beta2 determinando
contrattile
vasodilatazione con ridistribuzione del flusso ai
accompagnata da muscoli scheletrici. Con l’aumento della dose si
ipotensione, verifica l’azione sui recettori alfa con conseguente
scarsamente vasocostrizione periferica e aumento della pressione
responsive alle sistolica, senza variazioni della diastolica. ne
INOTROPI catecolammine di consegue un aumento della pressione differenziale.
POSITIVI prima scelta. Tali effetti possono provocare un aumento del lavoro
ventricolare sx con conseguente aumento del
consumo di O2 miocardico. L’adrenalina ha anche
un’azione broncodilatatrice con conseguente
miglioramento dell’ossigenzione. Ad alto dosaggio è
un importante vasocostrittore splancnico. Effetti
collaterali gravi sono: l’iperglicemia, l’ipofosfatemia,
l’ansia, pallore, tremori e debolezza muscolare.
Contropulsazione aortica
La contropulsazione aortica (IABC: intra aortic balloon counterpulsation; IABP: intra
aortic balloon pump) è il più diffuso sistema di assistenza circolatoria temporanea,
in grado di aumentare la velocità del flusso coronarico e diminuire l'afterload agendo
così favorevolmente sull'apporto e la richiesta di ossigeno da parte del miocardio.
Ideato negli anni sessanta come supporto meccanico nei gravi casi di insufficienza
ventricolare sinistra, mostrava i suoi limiti in quanto poteva essere inserito
solamente per via chirurgica, ed inoltre i materiali con i quali era costruito creavano
turbolenze al flusso sanguigno e sviluppo di emolisi massiva. Il perfezionamento
della tecnica e l'impiego di nuovi materiali hanno fatto si che l'IABC rivesta un ruolo
molto importante nel trattamento del miocardio ischemico e mal funzionante.
Il sistema consta di un palloncino di polyethylene montato su un catetere vascolare
semirigido e collegato tramite un tubo ad una consolle di comando, che è in grado di
monitorizzare l'ECG e la curva di pressione arteriosa sincronizzando l'insufflazione e
la desufflazione del palloncino con il ciclo cardiaco. Il pallone viene gonfiato con
elio,che essendo un gas inerte dotato di bassa viscosità ed alto coefficiente di
diffusione non crea alcun tipo di problema nel caso di rottura della membrana del
palloncino nel sistema vascolare.
Il palloncino è disponibile in varie misure. In base all'altezza, generalmente un
adulto richiede una capacità di insufflazione di 34-50 cc di gas(è possibile regolare il
volume di gonfiaggio del palloncino stesso). Il palloncino da 40 cc ha una lunghezza
di 263 mm ed un diametro di 15 mm.
consolle
Il catetere viene generalmente inserito per via percutanea attraverso l'arteria
femorale usando la tecnica di Seldinger e la sua punta è posizionata in aorta
discendente 1-2 centimetri sotto l'emergenza della arteria succlavia di sinistra e
sopra l'emergenza delle arterie renali. Il corretto posizionamento può essere
verificato usando la fluoroscopia o la radiografia del torace ed individuando il marker
radioopaco della punta del catetere a livello del 2°-3° spazio intercostale di sinistra.
E' di fondamentale importanza che la contropulsazione sia sincronizzata con la
sistole e la diastole, per far questo è possibile usare come trigger l'ECG, la curva di
pressione arteriosa o un pacemaker. Il palloncino può essere regolato con vari
rapporti rispetto al ciclo cardiaco: (da 1:1 a 1:3) e può seguirne la frequenza fino a
140-200 battiti/minuto. (Questi valori, impostazione dei rapporti con il ciclo
cardiaco e della frequenza di contropulsazione sono legati al tipo ed alla marca di
contropulsatore usato.)
L' insufflazione avviene all'inizio della diastole, caratterizzata dalla chiusura della
valvola aortica con l'incisura dicrota sulla curva di pressione arteriosa e la
desufflazione avviene durante la contrazione isovolumetrica o appena prima il picco
della successiva pressione sistolica sulla curva di pressione arteriosa. Sull' ECG l'
insufflazione inizia a metà della onda T e la desufflazione avviene prima della fine
del complesso QRS.
Emopompa
E’ una tecnica di recente introduzione. Un’elica all’estremità di un catetere permette
l’aspirazione del sangue dalla cavità ventricolare e la sua eiezione in aorta. Questa
pompa non occlusiva, producendo un flusso non pulsato, assicura una portata
massima di 3,5 L/min.
E’ un sistema semplice, rapido ed efficace. Elimina il lavoro esterno del ventricolo
insufficiente in misura maggiore all’aumentare dell’entità dell’insufficienza.
La riduzione del fabisogno energetico ed il miglioramento della perfusione
miocardica producono un nuovo equilibrio favorevole.
CEC
La circolazione extracorporea (CEC) o macchina cuore-polmone è un dispositivo
biomedicale che garantisce la sopravvivenza dei pazienti chirurgici sostituendo
temporaneamente le funzioni cardio-polmonari. Si tratta in generale di una sorta di
terza circolazione che funziona artificialmente durante l'intervento chirurgico
CLASSI DI FORRESTER
Forrester ha distinto 4 classi emodinamiche:
- I, Cardiac Index (CI) >2,2L/min/m2, Pulmonary Capillary Wedge Pressure
(pressione di incuneamento dei capillari polmonari (PCWP)<18 mmHg, assenza
di congestione polmnonare o ipoperfusione periferica. Tali pazienti necessitano di
un trattamento routinario in unità intensiva coronarica ed hanno una mortalità
del 3%.
- II, CI >2,2L/min/m2, PCWP >18 mmHg, segni di congestione polmnonare ma
non di ipoperfusione periferica. Tali pazienti necessitano di un trattamento con
diuretici ed, in seconda battuta, con vasodilatatori. Può essere necessario il ricorso
ad inotropi positivi. La mortalità è del 9%.
- III, CI <2,2L/min/m2, PCWP <18 mmHg, assenza di segni di congestione
polmnonare ma presenza di ipoperfusione periferica. In questi pazienti va
applicata una supplementazione volemica, successivamente si utilizzano
vasodilatatori ed inotropi. Può rendersi necessario il ricorso alla contropulsazione
aortica. La mortalità si aggira intorno al 23%.
- IV, CI <2,2L/min/m2, PCWP >18 mmHg, segni di congestione polmnonare e di
ipoperfusione periferica. E’ indispensabile il precoce avvio ad un’assistenza con
contropulsatore, e, se necessario, la correzione chirurgica di un’eventuale
complicanza meccanica dell’infarto. Inotropi, diuretici e vasodilatatori sono di
norma utilizzati. La mortalità di questo gruppo è intorno al 51%.
BIBLIOGRAFIA
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- Lezioni di terapia dello shock, Prof. - Harrison. Manuale di medicina, 31
Rocco Schiavello. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
- Manuali MSD-Italia, Malattie Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
endocrine e metaboliche Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
(Autore)
EZIOLOGIA
Lo shock ipovolemico può essere dovuto a:
- Emorragia esterna, dovuta ad un trauma o a un sanguinamento intestinale.
- Emorragia interna, in caso di emotorace, emoperitoneo, emopericardio, ematoma,
emorragia a livello pelvico, emorragia a livello di molteplici fratture ossee.
- Perdita di plasma, in caso di ustioni estese o intense dermatiti esfoliative.
- Perdita di liquidi ed elettroliti. Può essere:
- Esterna: come nel caso di vomito, diarrea, sudorazione eccessiva, stati
iperosmolari (chetoacidosi diabetica, coma iperosmolare non chetoacidosico)
- Interna: pancreatite, ascite, occlusione intestinale.
FISIOPATOLOGIA E SINTOMATOLOGIA
La fisiopatologia è caratterizzata da una marcata diminuzione delle pressioni di
riempimento con riduzione conseguente della portata cardiaca. La portata cardiaca
viene mantenuta da una tachicardia riflessa, mentre la vasocostrizione periferica su
base nervosa ed umorale contribuisce a mantenere una perfusione del cuore e del
sistema nervoso.
Se la perdita di volume eccede il 20-25% del volume intravascolare, i meccanismi di
compenso non sono più sufficienti. Il risultato è una condizione di ipotensione e
bassa gittata.
La ridotta portata causa una riduzione del trasporto di ossigeno tissutale che viene
compensata inizialmente con un aumento dell’estrazione tissutale dell’O2, con
conseguente aumento del differenziale arterovenoso della pO2. Successivamente si
sviluppa ipossia tissutale con conseguente acidosi.
Quando anche questi meccanismi di compenso falliscono, nonostante la
centralizzazione del circolo per mantenere la perfusione degli organi nobili, le
funzioni cardiocircolatoria e neurologica si deteriorano rapidamente con gravissimi
danni a carico di tutto l’organismo.
La sintomatologia dello shock ipovolemico costituisce la condizione clinica classica
dello stato di shock, con la presenza dei classici segni di attivazione adrenergica. Un
paziente in shock ipovolemico presenterà:
- Pallore, se c’è una riduzione dell’Hb.
- Ipotensione e tachicardia.
- Ipoperfusione periferica, vasocostrizione, pallore o cianosi delle estremità.
- Alterazioni dello stato di coscienza.
- Oliguria o anuria.
- Acidosi metabolica.
TERAPIA
Le soluzioni usate per l’infusione hanno caratteristiche diverse:
- Una soluzione glucosata al 5%, viene privata più o meno rapidamente del glucosio
attraverso il metabolismo, pertanto si può considerare come una soluzione
marcatamente ipotonica. Essa diffonde in tutta l’acqua corporea.Della soluzione
somministrata 3 parti si localizzeranno nello spazio intracellulare ed 1 parte in
quello intracellulare. Di 1 l di soluzione solo 85 ml rimarranno nel circolo.
Pertanto una soluzione glucosata non è la soluzione ideale da somministrare al pz
con shock ipovolemico.
La disputa è ancora in atto ma, per la maggiore disponibilità e per il minor costo,
vengono preferiti i cristalloidi. I vari studi sull’argomento presenti in letteratura
hanno permesso di comprendere che:
- Le soluzioni isotoniche sono efficaci plasma expanders, non vi è chiara evidenza
che il loro utilizzo porti ad un edema polmonare interstiziale;
- L’aumento della pressione a livello dei capillari polmonari è il maggior
determinante dell’accumulo di liquidi nell’interstizio polmonare. La conseguenza
clinica di tale assunto è che il monitoraggio della pressione polmonare è di
fondamentale importanza durante l’infusione di liquidi.
- Non c’è una netta differenza di outcame tra colloidi e cristalloidi.
Nel valutare gli effetti collaterali della terapia per il ripristino volemico con colloidi o
cristalloidi, è stato posto l’accento soprattutto sulle conseguenze esercitate sugli
scambi polmonari. Tuttavia anche altri sistemi possono risentire di una
reintegrazione di liquidi troppo rapida o abbondante; tra questi: apparato
gastrointestinale, cute e miocardio.
Nota: Nel paziente ipovolemico il flusso intestinale è particolarmente ridotto (compenso per
privilegiare gli organi nobili) tanto da creare una situazione di ischemia. La conseguenza di
tale condizione è l’alterazione dei sistemi di trasporto del glucosio, amminoacidi ed altre
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 78 A cura: di Andrea Perna
molecole, con perdita di proteine (soprattutto albumina) che vengono sequestrate nel lume
intestinale.
Nota: il trasporto di O2 è definito come il prodotto della gittata cardiaca per il contenuto
arterioso di O2. Il maggior determinante di quest’ultimo parametro è proprio la
concentrazione di Hb. Quando si verifica la riduzione della concentrazione di Hb, il trasporto
di O2 può essere mantenuto costante tramite l’aumento della gittata cardiaca. Tale
meccanismo di compenso risulta molto efficace nei pz che presentano un’adeguata funzione
cardiaca. Ciò spiega perchè, anche con una Hb< di 10 g/dl può non esserci indicazione
trasfusionale. Un parametro più appropriato potrebbe essere l’ossigenazione tissutale. Dei
metodi indiretti per valutare tale parametro possono essere: la pO2 nel sangue venoso misto
e la frazione d’estrazione tissutale di O2, i cui valori normali sono rispettivamente 40 mmHg
e 25%.
E’ necessario effettuare una valutazione globale del paziente, bisogna accertarsi della
presenza di: stabilità emodinamica, corretta ventilazione, diuresi ed equilibrio acido
base.
Un paziente stabile ovviamente può tollerare bene anche pressioni di O2 più basse
rispetto ad un paziente instabile.
La malattia di base svolge un ruolo fondamentale. Un paziente che presenta
un’importante malattia respiratoria presenterà un’ipossia periferica difficilmente
trattabile, mentre un cardiopatico avrà difficoltà ad attuare il compenso ottenuto
tramite l’aumento della gittata cardiaca, quindi richiederà valori ottimali di Hb.
Le raccomandazioni della National Consensus Conference on Preoperative Red Cell
Trasfusion indicano che:
- Se l’emoglobina è > di 10 g/dl la trasfusione è raramente necessaria.
- Se l’emoglobina è < di 7 g/dl la trasfusione è generalmente indicata.
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 79 A cura: di Andrea Perna
- Se l’emoglobina è tra 7 e 10 g/dl la necessità di trasfusione deve essere valutata
tramite sulla base della condizione del paziente, dei valori della frazione di
estrazione e della pressione di O2 nel sangue venoso.
Attualmente viene ritenuta più efficace la trasfusione del solo componente
deficitario. Infatti il sangue intero dei donatori viene frazionato nelle sue
componenti (emazie concentrate, piastrine, plasma fresco) che possono essere
reintegrate singolarmente all’occorrenza.
Il trattamento standard dello shock ipovolemico da emorragia si basa sulla
trasfusione di emazie concentrate e cristalloidi. La trasfusione di sole emazie
permette di evitare gli effetti collaterali spesso associati alla trasfusione di plasma e
piastrine.
Sia le piastrine che il plasma fresco non si possono ritenere sicure dal punto di vista
infettivo, soprattutto per quello che riguarda l’epatite C. L’allungamento del PT e
dell’aPTT non implica che il trattamento con il plasma fresco sia risolutivo. Pertanto
il trattamento profilattico con plasma fresco è sconsigliato in quanto esporrebbe il
paziente ad inutili rischi. Il trattamento con plasma fresco inoltre corregge le
alterazioni di laboratorio ma non il sanguinamento.
E’indicato l’utilizzo di plasma fresco quando l’emorragia è dovuta a un
sovradosaggio di cumarinici.
Nei pazienti politrasfusi spesso si osservano conte piastriniche < 100000 per mm3
con alterazione dei parametri di laboratorio senza che si verifichi una vera
coagulopatia con sanguinamento. Un sanguinamento spontaneo da sola
trombocitopenia avviene raramente per PTL > 20000 mm3.
BIBLIOGRAFIA
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- Lezioni di terapia dello shock, Prof. - Harrison. Manuale di medicina, 31
Rocco Schiavello. gen 2014 di Dan L. Longo (Autore),
- Manuali MSD-Italia, Malattie Anthony S. Fauci (Autore), Dennis L.
endocrine e metaboliche Kasper (Autore), Stephen L. Hauser
(Autore)
Per sepsi si intende una risposta sistemica a un’infezione. Se si hanno due dei
seguenti quattro criteri, si parla di “sindrome da risposta infiammatoria
sistemica” (SIRS):
• Temperatura: <36 °C, >38 °C;
• HR (heart rate): >90;
• RR (respiratory rate): >20;
• Globuli bianchi: aumentati, ridotti o con una percentuale di forme immature
>10%.
Questi criteri non sono però specifici di un’infezione: nella fase iniziale dell’ustione
ad esempio, quando di sicuro l’ustionato non è infetto, si possono avere tutti e
quattro i criteri; un maratoneta (stress fisco non patogeno) può avere queste
alterazioni, di sicuro RR e HR (eventualmente anche T); una pancreatite, quindi
patologia infiammatoria non per forza infettiva, può dare queste alterazioni.
Nel 2016 la Sepsis Definition Task Force si è riunita per fare il punto delle
conoscenze sulla sepsi e dare una definizione più precisa.
- La definizione di SIRS rimane la stessa, ricordando che avere la SIRS è diverso da
avere una sepsi.
- Per misurare l'insufficienza d'organo viene ribadita l'importanza del Sequential
Organ Failure Assessment (SOFA) score, facilmente calcolabile eseguendo
un'emogasanalisi e un prelievo ematico.
- La sepsi è definita come una disfunzione d'organo potenzialmente letale, causata da
una risposta disregolata dell'ospite all'infezione. Si considera come disfunzione
d'organo un aumento di 2 punti del SOFA score. La sepsi si può quindi considerare
come "una condizione che insorge quando la risposta dell'organismo all'infezione è
tale da danneggiare se stesso”.
- Non esiste più il termine "sepsi grave", perchè la disfunzione d'organo è intrinseca
al concetto di sepsi.
- Si può utilizzare in maniera valida anche il quickSOFA (qSOFA), ad esempio nei
PS più piccoli o a casa, basandosi su tre criteri d'allarme per definire un malato
settico:
- FR (frequenza respiratoria) >22/min
- GCS <13
- PAS <100mmHg
- Lo shock settico è definito come "un sottoinsieme della sepsi in cui le anomalie
circolatorie, cellulari e metaboliche sottostanti sono associate ad un maggior rischio
di mortalità rispetto alla sola sepsi". Tra i criteri diagnostici ritroviamo ipotensione
resistente ai fluidi (PAS<65mmHg), necessità di terapia vasopressoria e
iperlattatemia (>2mmol/L), perchè i lattati rimangono l'unico marker metabolico
di ridotta perfusione d'organo, sebbene un loro aumento possa essere legato
anche a condizioni diverse dalla sepsi.
EPIDEMIOLOGIA
La sepsi è la seconda più comune causa di morte nelle Unità intensive non
coronariche e la decima nei Paesi ad alto reddito, con una mortalità fra il 15 e il
EZIOLOGIA
La sepsi può essere causata da batteri e, in una percentuale minore di casi, da
micobatteri, miceti, protozoi (Plasmodium falciparum) e virus. La presenza di
microrganismi nel sangue non è indispensabile per lo sviluppo della sepsi. Le
emocolture risultano positive nel 20-40% dei casi di sepsi grave e nel 40-70% dei
casi di shock settico. I patogeni Gram+ (la cui incidenza è in progressivo aumento)
più comuni sono Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae, mentre i
Gram– più frequenti sono Escherichia coli, Klebsiella spp. e Pseudomonas
aeruginosa. Le sedi più frequenti di infezione sono il polmone, l’addome e l’apparato
urinario.
Lo shock settico è tipicamente distributivo al pari dello shock anafilattico,
neurogeno, tossico (da overdose). E’ caratterizzato da una marcata riduzione delle
resistenze periferiche e da una maldistribuzione generalizzata del flusso ematico.
Nella quasi totalità dei pazienti trattati con reintegro volemico la portata cardiaca
risulta superiore al normale. L’ipotensione è quindi da imputare principalmente alla
diminuzione delle RPT. Le alterazioni vascolari e cardiache risultano in
un’insufficienza cardiovascolare generalizzata.
FISIOPATOLOGIA
Tutte le manifestazioni dello shock settico sono riconducibili ad un complesso
meccanismo patogenetico basato sull’interazione dei prodotti tossici del batterio e le
difese dell’organismo ospite.
Tra le tante tossine esogene la più studiata è l’endotossina dei Gram-. Essa è un
componente liposaccaridico della porzione esterna della membrana batterica. I livelli
di endotossina richiesti per innescare la cascata di eventi dello shock settico possono
variare da paziente a paziente.
L’endotossina può essere funzionalmente divisa in 3 parti:
- La catena laterale O-polisaccaridica, responsabile della sierospecificità batterica è
responsabile dell’attivazione del complemento per via alternativa.
- La regione R-core, è la meno variabile tra i Gram-. Si pensa che Ab contro tale
porzione possano fornire una cross protezione nelle infezioni da Gram-.
- Il lipide A, è legato all’oligosaccaride del core ed è responsabile della tossicità
della tossina. Stimola il rilascio di citochine da parte dei macrofagi e può attivare
il complemento attraverso la via classica.
La risposta dell’organismo all’endotossina e alle altre molecole batteriche si esprime
mediante l’attivazione di cellule mediatrici e di reazioni plasmatiche embricate tra
loro. Vengono infatti attivati contemporaneamente: il complemento, la cascata della
coagulazione, il sistema delle chinine, le fosfolipasi plasmatiche con rilascio di
prostaglandine. Inoltre l’endotossina esercita un’importante azione chemiotattica
CLINICA
Alterazioni metaboliche
Si esaurisce l’attivazione ormonale (riduzione della produzione di cortisolo,
catecolamine, ormoni tiroidei), e soprattutto si riduce il consumo di O2 fino a valori
subnormali, indicando così il complessivo deficit ossidativo con prevalenza del
metabolismo anaerobio. Sul piano biochimico tale incapacità della cellula a utilizzare
O2 deriva da blocchi enzimatici multipli.
L’omeostasi glucidica non è più efficacemente regolata dal fegato: la diminuzione
dell’attività gluconeogenetica è l’aspetto più caratteristico e può manifestarsi con
normali valori di glicemia o con ipoglicemia. Anche il metabolismo proteico subisce
ulteriori sconvolgimenti che si sintetizzano in una inibizione delle vie metaboliche
di riutilizzo degli aminoacidi; mancata utilizzazione degli aminoacidi; mancata
utilizzazione degli aminoacidi a fine gluconeogenetico con conseguente riduzione
dell’ureogenesi, e soprattutto incapacità protidosintetica (sintesi di anticorpi,
proteine di fase acuta).
Il metabolismo lipidico subisce più profonde alterazioni e, come già nella fase di
scompenso, cessa di essere la fonte energetica preferenziale. La mancata ossidazione
degli acidi grassi può essere secondaria a deficit di cofattori utili per la beta-
ossidazione o più spiegabilmente ad anomalie metaboliche, quali per esempio
l’accentuazione di processi lipogenetici patologici.
La pompa sodio-potassio non riceve l’energia necessaria per il suo funzionamento e
si assiste a inversione del contenuto ionico tra l’ambiente intra ed extracellulare
(Na+ dentro le cellule; K+fuori). Ne deriva accumulo intracellulare di acqua che
comporta rigonfiamento cellulare a carico di ogni organo e tessuto con edema, sino a
una condizione di reale sequestro di liquidi dal compartimento intravascolare, che è
causa di ipovolemia e quindi ipotensione (shock settico) nonostante il compenso
cardiovascolare.
In definitiva è questa la fase in cui l’utilizzazione di qualunque substrato . incerta
(substrate energy failure): la condizione di grave ipometabolismo che ne deriva
Insufficienza circolatoria
Nelle fasi iniziali dello shock settico, quando il paziente non è stato ancora
sottoposto all’espansione volemica con fluidi (fluid resuscitation), l’ipotensione è
principalmente dovuta all’ipovolemia, in parte relativa, cioè dovuta al pooling
venoso e all’essudazione nello spazio interstiziale, e in parte assoluta, per la perdita
di liquidi da perspiratio (febbre, tachipnea) ed eventualmente da vomito, diarrea o
ridotta assunzione di liquidi. All’ipotensione può contribuire una riduzione della
gittata cardiaca per l’azione deprimente sul miocardio operata dai mediatori della
sepsi. Questa disfunzione miocardica può essere uno dei fattori determinanti della
riduzione del trasporto di O2 e dell’ipossia tissutale globale caratteristici dello shock
settico.
Dopo un’adeguata infusione di fluidi il profilo emodinamico in genere cambia, e
l’ipotensione è allora imputabile alla riduzione delle resistenze vascolari periferiche
da vasodilatazione. Dopo la fluid resuscitation la portata cardiaca può tornare
normale o anche aumentare rispetto ai valori di base e può allora rendersi evidente
la dilatazione delle cavità ventricolari cardiache che, prima del carico idrico, era
occultata dall’ipovolemia.
Insufficienza respiratoria
Nelle fasi iniziali l’ipossiemia è dovuta alle alterazioni del rapporto fra ventilazione e
perfusione, caratteristiche del danno polmonare acuto (Acute Lung Injury, ALI), con
un rapporto PaO2/FiO2 che scende sotto 300, e può progredire fino a rendere
necessarie l’intubazione e la ventilazione meccanica. La sindrome da distress
respiratorio acuto (Acute Respiratory Distress Syndrome, ARDS), che si sviluppa in
circa il 20% dei pazienti con shock settico, può comparire precocemente dopo
l’inizio della sepsi o nei giorni successivi. È una forma di edema polmonare acuto
più avanzata dell’ALI, determinato dall’aumento della permeabilità capillare
polmonare causato dalle citochine, ed è caratterizzato da:
-
- Insorgenza acuta di ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia, con rapporto PaO2/
FiO2 < 200;
- Multipli infiltrati polmonari bilaterali a distribuzione periferica alla radiografia del
torace;
- Assenza di segni di ipertensione atriale sinistra (wedge pressure o pressione di
incuneamento < 18 mmHg).
Alterazioni ematologiche
La trombocitopenia (<100.000/mm3) e l’alterazione dei parametri della
coagulazione globale (INR>1,5 e aPTT> 60s) sono le manifestazioni ematologiche
più frequenti della sepsi grave. A queste si aggiungono spesso l’aumento del
D-dimero e la riduzione del livello di antitrombina III. La CID, che rappresenta la
forma più grave dell’alterazione della coagulazione, si sviluppa meno frequentemente,
ma contribuisce alla disfunzione multiorgano attraverso la formazione di trombi nel
microcircolo. Più rare sono le manifestazioni emorragiche da consumo dei fattori
della coagulazione.
Alterazioni gastrointestinali
Le manifestazioni più importanti sono l’ileo paralitico, l’ulcera gastrica da stress e le
lesioni diffuse della mucosa intestinale.
Alterazioni epatiche
Il reperto più frequente è l’aumento della bilirubina, prevalentemente diretta, da
colestasi intraepatica. L’epatopatia ischemica da necrosi centrolobulare (“fegato da
shock”) è più rara e si manifesta con l’aumento di AST, ALT (anche > 2000 U/L) e
LDH (caratteristicamente il doppio delle transaminasi).
I pazienti che manifestano una combinazione qualsiasi dei segni della sepsi
dovrebbero essere sottoposti agli esami che più rapidamente evidenziano la
disfunzione d’organo: il lattato può essere misurato sul prelievo dell’EGA, se lo
strumento è disponibile nel PS; la SpO2 può essere immediatamente rilevata con un
saturimetro; la diuresi oraria può essere misurata dopo il posizionamento del
catetere di Foley collegato a un urinometro. Inoltre, gli infermieri di triage
dovrebbero essere istruiti a considerare ipoteso il paziente con pressione sistolica di
100 mmHg, ma che riferisce di avere normalmente una pressione maggiore, per
esempio 150/80. Questo paziente può essere in shock e, analogamente al soggetto
con pressione sistolica inferiore a 90 mmHg, dovrebbe essere sottoposto
rapidamente alla misurazione del lattato e all’esecuzione del fluid challenge. Un
altro segno estremamente importante è la marezzatura cutanea (una discromia
purpurea/bluastra della cute del tronco e/o degli arti), indicativa di ipossia tissutale
periferica, che deve essere attivamente ricercata rimuovendo gli indumenti del
paziente.
DIAGNOSI
Precocità della diagnosi
Il medico d’emergenza, di fronte a un paziente che “appare settico”, dovrebbe
ricercare immediatamente le manifestazioni cliniche e di laboratorio indicative di
disfunzione d’organo. La riduzione della mortalità in questa sindrome è stata
ottenuta con l’identificazione precoce dei pazienti con disfunzione d’organo che
MEDICINA DI EMERGENZA- URGENZA 88 A cura: di Andrea Perna
traggono maggiore beneficio da interventi terapeutici come la terapia antibiotica
tempestiva e la terapia precoce. Anche per la sepsi grave/shock settico, come per le
altre patologie acute tempo-dipendenti (infarto miocardico acuto, trauma e ictus
cerebrale ischemico), esiste una golden hour, cioè un periodo durante il quale
interventi terapeutici appropriati possono ridurre la mortalità. La terapia antibiotica
dovrebbe essere istituita subito dopo la raccolta dei campioni biologici per gli esami
colturali (se ciò non comporta un ritardo eccessivo), possibilmente entro 3 ore dalla
presentazione del paziente o entro 1 ora dall’insorgenza dell’ipotensione.
L’ottimizzazione emodinamica è efficace se ottenuta entro 6 ore dalla presentazione.
Il medico d’emergenza dovrebbe prendere in considerazione i fattori di rischio
epidemiologici (per esempio, rischio di contatto con paziente affetto da meningite) e
quelli relativi al paziente che aumentano il rischio di infezione (per esempio,
presenza di immunodepressione o di dispositivi protesici come cannule vascolari,
valvole cardiache o cateteri urinari). L’anamnesi e l’esame obiettivo dovrebbero
indirizzare verso il sito di infezione.
Esami di laboratorio
Le indagini di laboratorio utili sono l’esame emocromocitometrico con formula
leucocitaria, l’EGA e il livello plasmatico di glucosio, urea, creatinina, enzimi epatici
(AST e ALT), bilirubina, albumina, lattato, elettroliti (Na+, K+, Cl-,Ca++) e
proteina C reattiva. Leucocitosi neutrofila e granulociti immaturi, pur essendo tipici
di un’infezione batterica, hanno scarsa sensibilità e specificità e non possono quindi
essere utilizzati da soli per escluderla o confermarla. Dovrebbero, inoltre, essere
misurati il tempo di protrombina, l’aPTT, il d-dimero e il fibrinogeno per escludere o
confermare la presenza di CID.
La trombocitopenia è un fattore predittivo indipendente di insufficienza multiorgano
ed è associata a una prognosi sfavorevole. Sebbene aspecifico, l’aumento del d-
dimero sembra essere associato a sepsi grave/shock settico e morte, mentre livelli
decrescenti sono indicativi di una a una risposta positiva alla terapia.
L’aumento del lattato non è sempre accompagnato da una riduzione del livello di
bicarbonato o da un aumento del gap anionico. Inoltre, un valore elevato del lattato,
o il suo progressivo aumento, risulta associato a prognosi infausta nei pazienti con
infezione ricoverati in PS e la sua misurazione seriata può essere quindi usata per
valutare la risposta alla terapia. La ScvO2 dovrebbe essere misurata (e non
TERAPIA
L’approccio ad un paziente con shock settico deve essere mirato a:
- Stabilizzare la condizione emodinamica e correggere rapidamente ogni fattore
potenzialmente reversibile.
- Iniziare una terapia specifica della causa responsabile.
La gestione ottimale di un paziente in stato di shock settico comprende un rapido ed
aggressivo monitoraggio ed il ricovero in un’unita di terapia intensiva. Ogni sforzo
deve essere volto ad individuare i foci d’infezione al fine di poter drenare le raccolte
ed iniziare una terapia antibiotica specifica. E’ essenziale, prima di aver individuato
l’agente eziologico, cominciare una terapia empirica con antibiotici ad ampio
spettro.