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Analogia Prop Attribuz Teologic PDF
Analogia Prop Attribuz Teologic PDF
d. CURZIO NITOGLIA
18 novembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/analogia_prop_attrib_teolog.htm
Introduzione
● Secondo il filosofo domenicano ceco Tomas Tyn morto a Bologna nel 1990
l’analogia di attribuzione intrinseca (che “rapporta solo soggetto a soggetto”)
risale a Francisco Suarez (+ 1617), che in questo sfugge di poco al panteismo.
Rispondo
● L’analogia riguardo alla teologia o al problema dei ‘Nomi Divini’ per il Dottore
Comune (S. Th., I, qq. 12-13, Commento ai Nomi Divini di Dionigi l’Areopagita) è
una predicazione unius ad alterum per prius et posterius (per es. l’essere si
attribuisce a Dio e alle creature); questa è un’attribuzione intrinseca in quanto
l’essere è intrinseco a Dio e alle creature, ma per prius et per essentiam al
Creatore e per posterius et per partecipationem alle creature. Non è pertanto la
predicazione di duorum vel plurium ad unum (per es. la salute è attribuita
all’uomo, alla medicina, alla bistecca, all’aria…); quest’ultima è un’attribuzione
estrinseca e la salute si trova intrinsecamente solo nell’analogato principale
(l’uomo) mentre è estrinseca agli analogati secondari e non specifica alcuna
priorità/posteriorità tra di loro. Mi pare allora evidente che in teologia sia più
consono l’uso dell’analogia di attribuzione intrinseca che quello dell’analogia di
proporzionalità. Infatti Dio è buono e l’uomo è buono, ma prima di tutto (per
prius) è buono Dio e poi anche l’uomo (per posterius) e lo è grazie alla bontà (per
essentiam o infinita) di Dio, che è ricevuta dall’uomo (per partecipationem o
limitatamente), ossia ha un po’ di bontà. Come si vede l’analogia di attribuzione
intrinseca esprime la presenza di Dio nelle creature come loro causa efficiente e
la sua infinita trascendenza, come Esse per essentiam. Nell’analogia di
proporzionalità, invece, non vi è un primo e un secondo analogato, ma tutti sono
analogati senza una priorità e posteriorità.
● P. Fabro (+ 1995) nega che l’interpretazione sull’analogia del Gaetano sia quella
più esatta per far teologia ossia per parlare di Dio dopo averne dimostrato
l’esistenza. Egli preferisce l’analogia di attribuzione intrinseca soprattutto per
quanto riguarda il discorso teologico su Dio per evitare lo scoglio del nichilismo
teologico (equivocità dell’essere, Mosè Maimonide) e il pericolo del panteismo
(univocità dell’essere, Scoto/Suarez). Secondo Fabro, San Tommaso quando spiega
il significato del linguaggio teologico, si richiama pochissime volte all’analogia di
proporzionalità, mentre parla spesso di un’analogia secundum prius et posterius,
che è quella di attribuzione e precisamente intrinseca, la quale viene fatta
secondo un rapporto di priorità (dell’analogato principale su quello secondario) e
dipendenza (dell’analogato secondario o ens ab alio dall’analogato principale o
Ens a se); inoltre l’analogia estrinseca non è atta a condurci a parlare di Dio e si
applica piuttosto agli enti creati (la salute attribuita all’uomo, alla passeggiata,
alla bistecca, al sole).
● L’analogia si fonda sulla causalità efficiente. Ora il rapporto tra causa ed effetto
comporta necessariamente una certa somiglianza tra di loro. Omne agens agit sibi
simile. Quando la causa è Dio, l’effetto, essendo una creatura finita, non può
essere eguale a Dio, ma vi è solo una lieve somiglianza assieme ad una grandissima
dissomiglianza, e questa è una somiglianza analogica. Tutte le perfezioni che Dio
comunica alle creature (anche le perfezioni pure) non hanno mai parità di
possesso, esse sono possedute per essentiam o per partecipationem. Inoltre tale
possesso avviene secondo un prius et posterius ossia una priorità e una
dipendenza. Soprattutto per capire il significato di essere/essenza/ente (che è il
cuore della metafisica tomistica ascendente a Dio e discendente da Dio) l’analogia
più consona è quella di attribuzione intrinseca. Il concetto forte di essere come
atto ultimo di ogni essenza (che era sfuggito al Gaetano il quale confondeva
essere ed esistenza) si capisce meglio ricorrendo all’analogia di attribuzione
intrinseca, la quale considera i rapporti tra gli analogati (rapporto di soggetto a
soggetto e non rapporto di rapporti o proporzioni) secondo priorità e posteriorità.
Ora l’essere come atto ha un analogato principale a cui l’esse appartiene in tutta
la sua pienezza e perfezione, senza nessun limite, mentre l’esse si dice
secondariamente degli analogati secondari o per partecipationem, dove si realizza
solo parzialmente e finitamente, grazie al loro rapporto con l’analogato principale
da cui derivano la loro parte di essere. Non si può dire - come fa Tomas Tyn - che
l’intrinsecità dell’analogia di attribuzione le derivi dalla proporzionalità. Invece le
viene dal rapporto tra analogato principale e analogato secondario, che è di
causalità/effetto e di priorità/posteriorità. Quindi l’attribuzione è intrinseca
proprio perché l’essere è attribuito per prius et causaliter all’Esse per essentiam e
per posterius et effectualiter all’ens per partecipationem. L’atto di essere
appartiene a tutti gli analogati, ma a pieno titolo solo all’Esse per essentiam dal
quale ogni altro analogato secondario riceve l’esse per partecipationem. Solo Dio
è il suo stesso essere (Ego sum qui sum, Javèh), mentre tutte le creature hanno
solo una parte finita di essere dato loro da Dio. Così il rapporto di priorità e
posteriorità non è soltanto estrinseco o nominale, ma intrinseco e reale, come
quello che intercorre tra la causa efficiente e il suo effetto: un rapporto di
partecipazione. Gli enti finiti hanno l’atto di essere perché l’hanno ricevuto
dall’Esse per essentiam, che non ha l’essere, ma è l’Essere stesso sussistente,
l’Esse ipsum subsistens. L’analogia di attribuzione intrinseca mette bene in luce il
nesso di causa/effetto e l’ordine di priorità/posteriorità tra Dio e gli enti creati.
Quindi è la sentinella più valida contro il panteismo, il quale si trova virtualmente
in Scoto e Suarez per la loro concezione dell’essere come univoco e non per la
buona sistematizzazione suareziana della divisione del concetto di analogia, anche
se la sua concezione o definizione di analogia non può essere seguita.
● P. Fabro ribalta la teoria del card. Gaetano seguita dal p. Tyn. La questione è
assai lunga (dura da circa 500 anni) e dibattuta. Non mi sento in grado di poterla
risolvere io con assoluta certezza. Ma non getterei a mare la rivalutazione
dell’analogia di attribuzione del p. Fabro e ritengo che certe accuse del p. Tyn
all’analogia di attribuzione intrinseca (inesistente in S. Tommaso, inventata da
Suarez e tendenzialmente panteista) siano sinceramente esagerate ed infondate.
Soprattutto dobbiamo sempre ricordarci che il rapporto sussistente tra S.
Tommaso e i tomisti è quello di analogia, ove vi è una piccola somiglianza e una
grandissima differenza. I Domenicani sono soliti dire: “si vis intelligere Cajetanum,
lege Thomam”. In fatto di tomismo l’Angelico è l’analogato principale e noi siamo
solo analogati secondari.
1°) per causalità: le perfezioni miste a qualche limite (l’ente per partecipazione o
le creature) si trovano in Dio causalmente, in quanto Dio è la loro Causa prima
incausata;
2°) per affermazione: le perfezioni pure, senza alcun limite (essere, unità, verità,
bontà e bellezza) si trovano formalmente o intrinsecamente in Dio e quindi si può
affermare che Dio è l’Essere, l’Uno, il Vero, il Bene, il Bello per essenza o per se
stesso sussistente, contrariamente alla in-esprimibilità di cui parla Maimonide;
infine
3°) per negazione: si esclude ogni limite (corpo, morte, male) e si giunge così al
L’errore per eccesso è la “univocità”, che rende la creatura della stessa sostanza
di Dio (monismo panteista ascendente o discendente), che nulla ha a che vedere
con il tomismo strettamente originario e anti-modernista.
● Invece secondo Dionigi, san Tommaso e la sana ragione sublimata dalla prima (S.
Tommaso), seconda (Gaetano e Ferrariensis) e terza scolastica (Sanseverino,
Liberatore, Zigliara, Gredt, Hugon, Garrigou-Lagrange, Tyn, Fabro e Mondin), i
nomi di Dio, se sono “perfezioni pure”, si predicano di Lui per “analogia”, ossia in
maniera sostanzialmente diversa e accidentalmente simile, vale a dire l’essere si
trova in Dio in maniera formale ed eminente (Dio è realmente e infinitamente
Essere), mentre l’essere si trova nelle creature in maniera formale o intrinseca e
reale, ma imperfettamente e limitatamente (l’angelo, l’uomo, il cane, la pianta,
il sasso esistono o hanno l’essere, ma in maniera limitata e imperfetta). Questa è
la vera analogia tomistica.
● Infatti l’errore panteista o della “univocità” tra Dio e creato, asserisce che la
conoscenza e l’unione piena con Dio si raggiunge solo attraverso la natura umana,
in virtù di una conoscenza intuitiva (ontologismo) e anche magica (gnosis,
teurgia).
● Abbiamo già citato il padre Mondin che giustamente vede nel nichilismo l’esito
ultimo del panteismo: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore
della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna:
epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito
dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio si identifica panteisticamente
col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o “ucciso” [nichilisticamente] come
realtà oggettiva in sé e per sé esistente».
● Giovanni Reale parla di «nichilismo come la radice dei mali d’oggi» e propone la
saggezza classica come terapia dei mali dell’uomo d’oggi. Vediamo quali
indicazioni e consigli ci fornisce lo studioso dell’antichità greco-romana.
Innanzitutto parte dalla considerazione che «il nichilismo si radica in questo tipo
di società [contemporanea, progressista, tecnologico-scientista]. Infatti, gli
ingranaggi del sistema programmato e assolutizzato considerano la verità, la
bellezza e la libera scienza come mali se non come pericoli pubblici» e continua:
«a mio giudizio, tutti i mali di cui soffre l’uomo di oggi hanno proprio nel
nichilismo la loro radice. Nel XX secolo si è verificato ciò che Nietzsche aveva
predetto». Onde passa a proporre un rimedio: «la vittoria sul nichilismo mediante
il recupero di ideali e di valori supremi». L’essere come atto ultimo e l’analogia.
Ma, avverte che «non è un’operazione facile, poiché implica una vera e propria
rivoluzione spirituale»: il ritorno alla metafisica classica e all’analogia,
perfezionata dalla scolastica tomistica, e «non affatto un ritorno acritico a certe
idee del passato, ma l’assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della
saggezza antica o perenne. […] Seneca illustra a perfezione l’intento che mi
propongo […]: “Se vorrai star bene, cura soprattutto la salute dell’anima, e poi
quella del corpo” (Lettera a Lucilio, XV, 1-2). “Gli studi sono stati la mia salvezza;
è merito della filosofia se mi sono alzato dal letto e se sono guarito: a lei sono
debitore della vita” (Ibidem, LXXVIII, 3)». La cultura contemporanea, secondo il
Reale, ha «perduto il senso di quei grandi valori che, nell’età antica e medievale
[…] costituivano i punti di riferimento essenziali, e in larga misura irrinunciabili,
nel pensare e nel vivere». Alla filosofia attuale o post-moderna, manca la ragion
d’essere, il fine e lo scopo di vivere, la risposta al “perché?”. Questo è il
nichilismo filosofico, ove i valori supremi (essere, conoscere, morale, finalità) si
“s-valorizzano”, infatti non restano più l’essere per partecipazione e per essenza,
la realtà, la verità, il bene, resta solo il “nulla”. È l’antropocentrismo della
modernità, che dopo essersi auto-deificato in un delirio di onnipotenza, si è
rivoltato contro se stesso in un impeto di follia auto-lesionista. Dopo aver negato
la trascendenza, la si vorrebbe uccidere assieme a Dio e a tutti i valori ad esso
connessi. Per non restare solo alla pars destruens, Nietzsche e il nichilismo
vorrebbero uscire dall’annichilazione totale dei valori tramite la volontà di
potenza, come oltrepassamento del nichilismo: «Il traslocamento dei valori dalla
sfera dell’essere e della trascendenza alla sfera immanente della volontà di
potenza, costituiscono la tappa conclusiva e compiuta [pars construens] del
nichilismo». L’uomo ha cercato, così, di dare a se stesso gli attributi che prima
conferiva a Dio. Ma, “l’uccisione di Dio” comporta anche l’eliminazione di tutte le
proprietà e gli attributi divini, per cui dopo aver “ucciso Dio” l’uomo resta senza
Dio e senza potersi appropriare delle sue qualità; mentre il Dio tradizionale,
trascendente e personale, lo aveva reso “partecipe della sua natura divina” (II
Petri), in maniera limitata e finita, tramite la Morte e Resurrezione di Cristo,
fonte della grazia santificante. “Chi troppo vuole nulla stringe”: prima (con la
modernità idealista) l’uomo o l’Idea ha preteso di prendere il posto del Dio reale e
oggettivo; poi con la post-modernità nichilistica l’uomo ha voluto “uccidere Dio” e
ogni “Idea” di Dio, pur soltanto soggettiva, per fare il super-uomo. Ma, è rimasto
solo con se stesso, disperato e votato sartrianamente al suicidio. Il deicidio
nichilistico dell’Essere immutabile e trascendente, si fonda sulla volontà di
potenza creatrice e sul divenire o evoluzione parimenti creatrice.
d. CURZIO NITOGLIA
18 novembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/analogia_prop_attrib_teolog.htm
NOTE:
[1] L’analogia di proporzionalità propria dice similitudine di rapporto. Ogni categoria di enti ha un
suo proprio modo di essere e tra questi modi di essere c’è una certa somiglianza di rapporto. Per
esempio Dio sta al suo essere, come l’uomo sta al suo, come l’animale sta al suo, come la pianta e il
minerale stanno al loro. L’essenza di Dio e quella delle creature menzionate sono sostanzialmente
diverse, però essi sono simili perché ognuno di loro ha l’essere che gli è proporzionato (somiglianza
proporzionale e non di uno all’altro). Si tratta di una somiglianza di rapporti nel modo di avere -
ognuno a modo suo - l’essere che gli corrisponde o che gli è proporzionato. Si tratta di un rapporto
complesso, un rapporto di rapporti o proporzioni.
[2] L’essere come atto ultimo perfeziona l’essenza e così l’ente, che è un’essenza avente l’essere,
esce fuori dalla sua causa e dal nulla ed esiste. L’esistenza (da ex- esistere, uscir fuori) è l’effetto
dell’essere come atto ultimo che è la causa della esistenza. Questa nozione originale dell’essere
come atto ultimo è il vertice della filosofia tomistica, la quale supera quella aristotelica, che si era
fermata all’essenza e non era giunta all’essere che attua ultimamente ogni essenza. Gaetano (pur
nella genialità del suo Commento alla Somma Teologica) non ha colto questa originalità
dell’Angelico, ha confuso essere con esistenza ed ha presentato un tomismo come un semplice
commento, anche se approfondito, di Aristotele.
[3] S. Thomae Aquinatis, In librum Beati Dionysi de Divinis Nominibus Expositio, a cura di Ceslao
Pera, Roma-Torino, Marietti, 1950.
[4] Ceslao Pera, in La Somma Teologica di San Tommaso d’Aquino, a cura dei Domenicani Italiani,
Firenze, Salani, 1972, “Introduzione generale”, Prefazione: Le fonti del pensiero di S. Tommaso nella
Somma Teologica, pp. 60-77, cfr. anche S. Th., I, q. 13, aa. 1-12, I Nomi Divini, commento e note a
cura di p. Ceslao Pera, Firenze, Salani, 1972, vol. 1°, pp. 292-345.
[5] S. Tommaso d’Aquino, Commento ai Nomi Divini di Dionigi, Bologna, ESD, 2004, vol. I,
“Introduzione” a cura di Battista Mondin, p. 5 ss. Cfr. B. Mondin, Il problema del linguaggio
teologico dalle origini ad oggi, Brescia, Queriniana, II ed., 1975.
[6] La “partecipazione” è un concetto che san Tommaso mutua più da Platone che da Aristotele;
esso gli servirà nella quarta via per dimostrare l’esistenza di Dio. Padre Cornelio Fabro (La nozione
metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Milano, Vita e Pensiero, 1939;
Partecipazione e causalità in S. Tommaso, Torino, SEI, 1961) ha messo in luce più di tutti il fatto che
san Tommaso non è un puro commentatore di Aristotele, ma il perfezionatore dello Stagirita, che si
fermava all’atto primo o forma sostanziale o essenza, mentre l’Angelico ha precisato che, se la l’atto
primo (forma, sostanza-essenza) informa la potenza, l’essenza a sua volta è ultimata dall’essere che
è l’atto ultimo o perfezione ultima di tutte le forme, essenze e perfezioni prime. Onde la metafisica
di Aristotele è filosofia dell’essenza (atto primo), mentre quella tomistica è filosofia dell’essere (atto
ultimo), il quale si ritrova nelle creature in maniera limitata e per partecipazione (“partem-capere”)
dell’Essere infinito, incausato e causante di Dio che è l’ipsum Esse subsistens.
[7] Cfr. Tomas Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Bologna, ESD, 1991;
rist. Verona, Fede e Cultura, 2009.
[8] Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Dieu son existence et sa nature, Parigi, Beauchesne, 2 voll, 1919.
[9] Cfr. C. Fabro, Neotomismo e Neosuarezismo, Piacenza, Alberoni, 1941, rist. Segni, Edizioni Verbo
Incarnato, 2007.
[10] Cfr. C. Fabro, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Milano,
Vita e Pensiero, 1939; Id., Partecipazione e causalità in S. Tommaso, Torino, SEI, 1961.
[11] P. Carosi, Corso di filosofia, IV vol., Ontologia: Dio, Roma, Paoline, 1959, p. 228.
[12] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., p. 373.
[13] Saggezza antica. Terapia per i mali dell’uomo d’oggi, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1995, p.
11.
[15] Ibidem, p. 6
[16] Ivi.
[17] Ibidem, p. 7.