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1.

La concezione tomistica dell’essere


nell’interpretazione di E. Gilson
 1 Le “generazioni” in questione sono state così chiamate e illustrate da Ventimiglia 1997: 3-37.

1Etienne Gilson è giustamente considerato uno dei più grandi studiosi della filosofia medievale e in
particolare uno dei più acuti interpreti del pensiero di Tommaso d’Aquino. Di quest’ultimo egli ha
valorizzato soprattutto la concezione dell’essere, sostenendone l’assoluta originalità rispetto alla filosofia
di Aristotele. Mentre infatti quella che è stata chiamata da Giovanni Ventimiglia la “prima generazione” di
neotomisti (Garrigou-Lagrange, Mandonnet, Sertillanges, Manser e altri) aveva insistito soprattutto
sull’aristotelismo di Tommaso, per rivendicare il carattere anche rigorosamente filosofico, non solo
teologico, del suo pensiero, recentemente rilanciato dall’enciclica Aeterni Patris (1879), Gilson ha dato
vita, insieme con Maritain, Geiger, Fabro e altri, alla cosiddetta “seconda generazione”, impegnata
soprattutto nel rivendicare l’originalità di Tommaso rispetto ad Aristotele 1. Tale originalità è stata
riferita anzitutto da Gilson alla concezione tommasiana di Dio come Esse ipsum subsistens,
cioè come un ente la cui essenza sarebbe costituita dallo stesso essere, la quale presupporrebbe
il concetto di essere come actus essendi, distinto dall’essenza, un concetto del tutto sconosciuto ad
Aristotele.

2Gilson sostenne infatti in varie sue opere che Tommaso aveva attinto la sua concezione di Dio
come Esse ipsum dal passo di Esodo III 14, dove il Signore, rispondendo dal roveto ardente a Mosè
che gli aveva chiesto il suo nome, afferma Ego sum qui sum. Perciò, secondo Gilson, si può dire che
l’Esodo contenga una vera e propria metafisica, la quale infatti è stata poi chiamata “metafisica
dell’Esodo” e avrebbe ispirato i filosofi cristiani, tra cui soprattutto Tommaso d’Aquino, che avrebbe usato
il concetto aristotelico di atto per distinguere l’“essere” come atto dall’“essenza” come potenza,
introducendo in tal modo nella filosofia il concetto di actus essendi, assente in Aristotele. Tutta la
metafisica antica, cioè platonica e aristotelica, secondo Gilson, sarebbe una metafisica
dell’essenza, caratterizzata dalla mancanza del concetto di essere come atto, come lo sarebbe anche la
metafisica moderna, fondata da Francisco Suárez sulla scia di Giovanni Duns Scoto, che avrebbe
concepito l’essere come un’essenza, dando vita alla moderna “ontologia”. La rivalutazione dell’esistenza,
compiuta dall’esistenzialismo del Novecento, precorso peraltro da Kierkegaard, sarebbe dunque stata
anticipata, secondo Gilson, già da Tommaso.

 2 Gilson 1948. L’opera ha avuto nel 1962 una seconda edizione, riveduta e arricchita da una risposta (...)

3Benché Gilson abbia cura di distinguere l’essere di cui parla Tommaso dall’esistenza di cui parlano gli
esistenzialisti, e benché questa distinzione sia stata spesso sottolineata da tutti i tomisti della “seconda
generazione” (specialmente da Fabro), è un fatto che il libro di Gilson su L’être et l’essence, parlando
continuamente di esistenza, sia pure nel senso tomistico (si vedano i titoli dei capitoli III, IV, VI, VII,
VIII, IX, X), ha dato l’impressione di identificare l’actus essendi essenzialmente con l’esistenza, che già
Aristotele distingueva, come risposta alla domanda “se è”, dall’essenza, intesa come risposta alla
domanda “che cos’è”, anche se Aristotele non ammetteva certamente un atto di esistere che non fosse
atto di una determinata essenza2.

4Va detto inoltre, come è stato meritoriamente ricordato da Ventimiglia, che alla “seconda generazione”
di filosofi tomisti è seguita una “terza generazione” (De Vogel, Kremer, Beierwaltes, D’Ancona), la quale
ha mostrato che il concetto di Esse ipsum, ritenuto da Gilson una scoperta che la filosofia ha potuto fare
grazie alla conoscenza della Bibbia, era già presente in Platone e in tutto il platonismo antico (Filone di
Alessandria, Plutarco, Numenio di Apamea) e nel neoplatonismo. Anche il concetto di actus essendi, che
Gilson ritiene scoperta originale di Tommaso, è stato ricondotto al neoplatonismo dagli studi di Pierre
Hadot sul commento anonimo al Parmenide di Platone contenuto in un manoscritto di Torino, dallo stesso
Hadot attribuito a Porfirio, e dal ritrovamento in Plotino della distinzione tra ente ed essere e del concetto
di essere come puro agire. Così quella che, secondo Gilson, Fabro e altri, sembrava la più
originale scoperta filosofica di Tommaso, risultava essere in realtà un’eredità del
neoplatonismo, trasmessa a Tommaso da Agostino, dallo pseudo-Dionigi e dallo pseudo-
aristotelico Liber de causis.

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