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Indice
Renato Capozzi
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
15
23
24
126
Carlo Aymonino
Salvatore Bisogni
Gianni Braghieri
Antonio Monestiroli
Valeria Pezza
Uberto Siola
Daniele Vitale
142
38
52
66
78
104
Federica Visconti
150
160
Bibliografia
Indici
Perch un libro dal titolo Architettura Razionale 3 > 1973_2008 >? Perch ragionare
ancora, dopo sette lustri, sulla Triennale di Milano del 1973, sulla figura di Aldo Rossi,
sulla nostra disciplina? E soprattutto perch farlo oggi? Partirei dallultimo quesito, ossia
dal vero movente di questa operazione e di questo sforzo. In realt questo libro non
vuole per nulla essere una commemorazione o unagiografia di quella stagione e della
figura di Aldo Rossi, bens una testimonianza e una descrizione di quegli anni eroici dellarchitettura italiana: per con una chiara opzione di fondo sullo stato presente dellarchitettura. Proprio da questo stato bisogna partire per spiegare perch, con il sostegno
della Fondazione Internazionale per gli Studi Superiori di Architettura presieduta da Uberto Siola4 e lattenzione di Gianni Cosenza e della CLEAN che edita il volume, tre giovani
architetti, impegnati nel progetto e nella Scuola, certamente spinti da uninsolita e
demod ansia di certezze pi che da un improponibile ritorno allordine, ma anche
dalla necessit di riannodare i fili con la tradizione disciplinare ed i suoi fondamenti, interroghino i loro maestri delezione su quella stagione, sugli esiti che ha avuto e che
soprattutto pu ancora avere quel movimento razionale chiamato Tendenza 5. Questo
accade per la semplice ragione che lattuale destino dellarchitettura sembra a noi tutti
sempre pi oscuro nelle motivazioni, nel futuro e nel ruolo che questa antichissima disciplina pu ancora avere per la costruzione della scena fissa della vita degli uomini. Le
pseudo-teorie architettoniche di questi anni, o semplicemente il rifiuto o lassenza della
loro costruzione, lansia dellinedito, la ricerca dellinforme, del liquido, del programmaticamente in-fondato hanno condotto noi ed altri a ri-cominciare a riflettere sulla necessit
di ritrovare dei fondamenti al nostro operare, di ri-conoscere la specificit della nostra
disciplina, di re-cuperare a tutti i costi quel ruolo civile che larchitettura ha sempre avu-
to nel mettere in scena una collettivit consapevole. Oggi sempre di pi si assiste, come
denuncia Calvino6 ad una moltiplicazione incessante delle immagini, ad una perdita di
forma () nella vita cui poter opporre solo unidea di letteratura (leggi architettura).
Alle forme consuete, convenzionali, necessarie ed intelligibili che larchitettura e la citt
hanno sempre proposto si sono sostituite le in-formi ed auto-referenti figure7 della postmodernit 8 o surmodernit 9 che fanno perdere alle pure immagini accattivanti che si
propongono una qualsivoglia dignit di costruzione, sia sintattica, sia teoretica. Gli
oggetti alieni, privi di materialit pensati solo per la contingenza e per il transitorio, che
popolano le nostre citt sono determinati da una mera ragione mercantile10 e speculativa che ha trasformato larchitettura e la sua potenziale carica icastica e comunicativa in
facile veicolo di consenso etero-diretto e di rapido consumo e logoro. Anche le tematiche di questi anni sullecocompatibilit, lecosostenibilit, la provvisoriet, come pure un
ritorno ad un certo sociologismo pseudo-partecipativo, sono diventate spesso il pretesto per la rinuncia a qualunque costruzione logica e materiale dellarchitettura, della citt
e del territorio. Per realizzare questa condizione attuale dellarchitettura progammaticamente aperta11, debole12 e destrutturata si sono operate non poche indebite trasposizioni di riflessioni eteronome: dalla filosofia alla scienza (o tecnoscienza)13, dalleconomia al marketing commerciale, con interessanti analogie con il professionalismo ingenuo degli anni Settanta. Da questa condizione e dalle conseguenze disastrose sui destini di tutti noi che essa fa intravedere muove la nostra necessit di recuperare i nessi 14,
le relazioni tra le cose: in una, la razionalit del nostro mestiere. Credo che questa necessit abbia a che vedere, come alcuni hanno proposto, con una complessiva condizione generazionale15 e con la perdita progressiva ed irragionevole delle ragioni di fondo,
dei princip e dei fondamenti. Qualcuno, seguace della cosiddetta estetica della constatazione16, potrebbe opporre a tali tesi laccusa di conservatorismo o di inattualit
affermando che questa la nostra condizione, questa la nostra complessa17 societ
e che queste sono le forme complesse che meglio la rappresentano, per il semplice fatto che sono pervasivamente simili a se stesse. Rispondiamo che la costruzione dellarchitettura ha un fiato ben pi lungo18 dellattualit, della novit a tutti i costi e che la
semplice ri-flessione neutra e linconsapevole trasposizione del tempo presente non
sono altro che una rinuncia alla possibilit/necessit di esercitare uninterpretazione critica e progressiva della realt e del suo inevitabile mutamento. Riguardo alla ineluttabilit
della moltiplicazione delle forme, sempre pi virtuali19, ir-razionali, individualiste, arbitrarie
e senza costrutto, determinate dalla sintonia con linfinita, smisurata densit e moltitudine delle immagini pubblicitarie incessantemente prodotte dal nostro mondo globalizzato, obiettiamo che ben altro la corrispondenza delle forme dellarchitettura e della citt
con la collettivit che le esprime. Il problema che, nella attuale condizione postmoderna20 si semplicemente smarrita ogni idea di collettivit pensante o di cittadinanza
consapevole e cosciente del proprio ruolo, sostituita da una sommatoria di individualismi che si ipostatizza in una massa plastica uniformata, facilmente orientabile e deformabile di consumatori determinati nei bisogni e nel pensiero da fatti esterni alla propria
natura sostanziale, da immagini attraenti riprodotte dai Media21 e dalla societ dellinformazione22, da simulacri23 pi che da forme, paradigmi e tradizioni riconosciute e riconoscibili. Larchitettura di questi esordi di nuovo secolo, muovendo da unesasperata
ricerca espressiva e sperimentale, da una sorta di neo-organicismo mimetico delle for-
me della natura, si costruisce pregiudizialmente sul rifiuto di qualsivoglia riferimento teorico, di qualsivoglia capacit di mostrare il perch delle scelte, la ragione delle forme, la
ragione degli edifici, dalla scelta rovinosa di abbandonare lo studio e la costruzione condivisa della citt puntando viceversa alla moltiplicazione di de-architetture pseudoespressive che esibiscono solo la cifra autobiografica del proprio autore, la caratteristica ricerca della sorpresa, dellinedito e dellammaliante che le confuse circonvoluzioni
delle sue forme liquide24 e/o aggressive25 possono incessantemente riprodurre.
Tutto ci dimenticando il monito di Jorge Luis Borges quando fa dire ad Averro: Limmagine che un solo uomo pu formare non tocca nessuno26. Questa anti-architettura
del continuo e dellindifferenziato non consente alcuna possibilit di studio delle sue
parti costitutive ed elementarizzabili per la ovvia circostanza che il tutto indifferenziato
non analizzabile e quindi diviene costitutivamente, nel suo essere privo di rapporti interni e di misure27, in-conoscibile ed in-motivabile.
da questa analisi amara dellarchitettura nichilista28 contemporanea che prende le
mosse il nostro sforzo e la scelta di partire da un momento particolare e specifico della
vicenda architettonica italiana. Loccasione stata quella di una tesi di dottorato29 che si
intendeva condurre sullarchitettura italiana del dopoguerra e che opportunamente venne ri-orientata su uno specifico e nodale momento della sua complessa, a volte inestricabile, ed insolita vicenda30: la Triennale di Milano del 1973 appunto. A noi tutti parve che
invece di occuparsi di unennesima, generica e forse impossibile storia dellarchitettura
italiana, bisognasse concentrarsi su una singola e significativa questione, su un particolare fatto che avesse due caratteristiche principali: fosse circoscritto e documentabile
attraverso fonti dirette ed indirette; fosse uno di quei nodi problematici dal quale si sono
determinate le condizioni a seguire. La scelta cadde su quella Triennale non solo e non
tanto perch fosse, da pi parti, riconosciuta come uno dei pi importanti contributi italiani alla costruzione del dibattito architettonico, ma anche e soprattutto perch ritenevamo che i temi, le questioni di fondo, le ipotesi, i progetti, e le teorie che quella esperienza conteneva, quei giacimenti ancora aperti di cui parla George Kubler31, fossero quanto mai attuali e carichi di conseguenze ancora oggi. Quella esperienza, quel progetto unico, che come tutti sanno ruot attorno alla figura carismatica di Aldo Rossi e da questi
fu dominato, rappresent e rappresenta ancora uno dei pochi momenti di sintesi di una
feconda tradizione di pensiero sullarchitettura e sulla citt. Una sintesi che muove dallarchitettura classica fino al Rinascimento (Alberti, Palladio), dagli architetti della Rivoluzione (Boulle) ai maestri del Movimento Moderno (Loos, Mies, Le Corbusier, May, Hilberseimer, Tessenow e Schmidt) ed contraddistinta da un costante atteggiamento rifondativo della disciplina, da una scelta razionale sulla costruzione dellarchitettura e della citt, dalla ricerca e dal riconoscimento dei princip essenziali, degli archetipi di riferimento e da un rinnovato interesse nello studio dei suoi specifici caratteri formali, dalla
necessit di ri-costruire un corpus teorico32 cui riferirsi quale condizione necessaria per
una trasmissibilit del sapere, dalla ricerca continua e dalla riduzione a princip, a regole
conoscibili con la conseguente costruzione ed individuazione di un metodo33 enunciabile, descrivibile, intelligibile e verificabile nel progetto di architettura. In altre parole quel
momento, come tanti altri nel lungo e non transitorio spessore storico dellarchitettura,
strettamente interno a quella ricerca e tensione verso lelementarit, la chiarezza, ladeguatezza delle forme, la selezione dei tipi, ladozione di riferimenti, di exempla e quindi la
ricerca della riproducibilit e della variazione del gi noto contro linvenzione ab nihilo34 ed
il riconoscimento di maestri vicini e lontani, che alcuni hanno definito come aspirazione al
classico35 o futuro del classico36. Per dirla con Queneau37: Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero di regole che conosce pi libero del poeta che scrive quello che gli passa per la mente ed schiavo di altre regole che ignora.
Ma come raccontare quella vicenda senza cedere allagiografia o peggio al rammarico,
alla nostalgica e melanconica apologia di quegli anni che, come i nostri, erano pieni di
contraddizioni, di equivoci e di tentennamenti38, ma forse proprio per questo cos potenzialmente fertili? Ma soprattutto, come evitare quella equivoca degenerazione della cultura architettonica contemporanea che tende ad identificare la costruzione teorica con
le varie, maledette, vite al limite39 e le nutrite biografie e poetiche personali di alcuni
autori40? La scelta stata quella di individuare, in corpore viri, alcuni protagonisti di quella stagione e di quella Mostra e di ci che essa ha rappresentato in seguito in Italia, nel
mondo41 e soprattutto nella Scuola. La scelta stata quella di interrogare, di incalzare i
nostri recenti maestri, non avendo timore e vergogna di riconoscerli come tali, per capire quali erano allora i presupposti di quel movimento e di quel modo di intendere larchitettura e la citt e soprattutto quali di quei presupposti fossero ancora utili per la costruzione di un progetto collettivo e di una ipotesi rinnovata di tendenza, nel senso rogersiano, di termine mediano tra coerenza e stile42. Coloro che hanno risposto al nostro invito,
necessariamente escludente e parziale a fronte di molti altri personaggi non meno importanti, sono stati: Aymonino, Bisogni, Braghieri, Monestiroli, Pezza, Siola e Vitale, che qui
ringraziamo per la disponibilit ed il tempo che hanno voluto dedicarci e soprattutto per
aver raccolto questa sfida caricando noi tutti della responsabilit di questa impresa. Sette protagonisti a vario titolo43 di quella stagione e di quella esperienza, sette architetti
italiani, sette docenti ordinari dellUniversit Italiana, sette interviste, sette colloqui differenti nella forma, nella dimensione e nei caratteri ma molto meno nei contenuti e nelle
questioni di fondo. In non pochi casi vi una evidente coincidenza di punti di vista di
opzioni teoriche, di analisi sulla condizione attuale, una sostanziale unit pur nella inevitabile articolazione linguistica ed operativa. Non questa la sede, n vi lintenzione, di
descrivere nel dettaglio i contenuti specifici dei vari colloqui effettuati a pi riprese da Ivano La Montagna spesso in compagnia mia e di Federica Visconti: mi pare pi utile delineare una sorta di istruzioni per luso del libro nella speranza che possa essere condiviso da molti altri nei presupposti ma anche negli esiti e nei possibili sviluppi. Non vuole
essere solo un libro di storia o peggio di cronaca, non vuole solo raccontare come sono
andati quei fatti o darne una mera interpretazione, non vuole soffermarsi sugli aspetti
autobiografici o peggio aneddotici che pur evidentemente ci sono. Il libro vuole o vorrebbe proporsi, nella sua articolazione generale, come un contributo alla costruzione di un
complessivo progetto stilistico, al rinnovamento della teoria della progettazione architettonica e alla definizione ancor pi precisa dello studio dei fatti urbani e della conoscenza dellarchitettura della citt. Questo libro si propone, inoltre, di provare a definire e chiarire alcune questioni centrali che allora si posero: la necessit di una costruzione teorico-disciplinare condivisa44; il rapporto tra analisi e progetto o se si vuole tra architettura
e citt; il rapporto con lideologia o se si vuole con la realt e la politica; la necessit e i
caratteri di un possibile progetto collettivo. Al tempo stesso il libro tende costantemente
a proiettare quelle tematiche sulla condizione contemporanea verificandone la capacit
10
solo sia possibile ma necessario, ineludibile, irrinunciabile. Questa necessit avvertita per
varie ragioni che provo ad elencare. Rinunciare ad una ipotesi di architettura razionale,
ovvero di una architettura che sa dare spiegazione della sua costruzione e che si fonda sul
riconoscimento di paradigmi e sulla selezione di forme adeguate, significa rinunciare alla
necessit di un suo riconoscimento nel mondo48, significa limpossibilit di costruire una
teoria, un insieme strutturato di tecniche specifiche e quindi rendere possibile una reale e
positiva trasmissione del sapere, significa la rinuncia programmatica a ricercare nellarchitettura quei nessi, quelle rationes, quei rapporti reali e di senso che la raccordano indissolubilmente alla realt e alla vita delluomo, significa la rinuncia ad ogni autonomia della
disciplina. Tale rinuncia non solo apre il fianco a infondate intrusioni eteronome esterne e
a snaturamenti indebiti - dalle arti figurative, agli avanguardismi49 di ogni tipo, ai sociologismi, alla mercificazione, al dominio della tecnica50 e della tecnologia rispetto alla specifica
ricerca delle forme necessarie - ma addirittura prelude alla sua possibile estinzione51 come
necessit specifica dellagire e del pensiero delluomo nel mondo. Negare lipotesi razionale sullarchitettura significa, in altri termini, affidandosi ad un incessante divenire della
realt fenomenica 52, rinunciare a riconoscere nella citt e nella storia un patrimonio di forme e di insegnamenti che guidino e misurino il nostro operare consapevole nel nostro
tempo, significa rinunciare alla necessit di comprendere larchitettura ed il suo farsi, le sue
ragioni essenziali e le sue immutabili regole per poi riprodurle e rinnovarle. Significa, infine,
per dirla con Summerson, rinunciare al fine del classico ovvero alla ricerca di una rinnovata armonia delle parti passibile di dimostrazione53. A questo punto, cosa vogliamo
intendere positivamente per architettura razionale? Sembra pi utile nel rispondere a questa domanda usare parole di altri, a partire dal saggio portante, Architettura e Ragione 54,
in cui Uberto Siola e Rosaldo Bonicalzi, anche l usando a sostegno le parole di Aldo Rossi, scrivono: Laffermazione quindi di una prima discriminante fondamentale: il ruolo conoscitivo dellarchitettura, e pi in generale dellarte (e la coincidenza quindi, in ultima istanza, del momento analitico e momento progettuale nella coincidenza degli obiettivi e dei
momenti applicativi rispetto appunto al fine conoscitivo), pur nella singolarit delle esperienze, rappresenta quindi il segno pi preciso di una unit strutturale dei progetti presenti in Triennale, un segno ben pi concreto delle inevitabili affinit linguistiche che si possono ritrovare. Lassunzione dellatteggiamento razionalista appare allora in tutta la sua evidenza come momento specifico di scelta. Citando Rossi: Un discorso rigoroso sulla progettazione architettonica deve basarsi su dei fondamenti logici. Ed questo, nella sua forma pi generale, latteggiamento razionalista rispetto allarchitettura ed alla sua costruzione: credere nella possibilit di un insegnamento che tutto compreso in un sistema e dove
il mondo delle forme tanto logico e precisato quanto ogni altro aspetto del fatto architettonico e considerare questo come significato trasmissibile dellarchitettura come di ogni
altra forma di pensiero55.
Ed ancora, Salvatore Bisogni, nel medesimo numero di Controspazio del 1973 dedicato alla T15 affermava: [] larchitettura si propone come un fatto notevolmente definibile e razionale ed in quanto tale conoscibile, trasmissibile e perci tale da essere
costruita mediante un preciso campo di analisi: la citt, le sue forme, la sua storia;
assunta questultima come materia stessa dellarchitettura []56 e poi in altri colloqui ha
pi volte sottolineato che Larchitettura razionale quellarchitettura che espone con
chiarezza la sua costituzione, mostrando non solo le scelte costitutivo-stilistiche, ma
11
12
citazione Io per sono deformato dai nessi con tutto ci che qui mi circonda. Come un mollusco abita il suo guscio,
cos dimoravo nel diciannovesimo secolo il quale ora mi sta davanti come un guscio disabitato. Lo accosto allorecchio... di W. Benjamin, in Id., Il dramma del barocco tedesco (prima ed. 1928), Einaudi, Torino 1999.
15. Si vedano gli atti del convegno promosso da F. Purini a Roma, Generazioni e progetti culturali, in F. Purini, D. Nencini (a cura di), Generazioni e progetti culturali, Atti della giornata di studio, Gangemi, Roma 2007.
16. vero, ci serve unarchitettura che interroghi la realt come Betsky afferma, ma aggiungo io, che sappia, attraverso alla risoluzione che essa propone, assumere anche una distanza critica da essa, cio proporre un nuovo possibile. E per far questo non vanno proprio incoraggiate quelle visioni effimere che quasi sempre non sono affatto oggi prove tangibili di un mondo migliore ma consolazioni puramente seduttive attorno allo stato delle cose e riduzione delle
pratiche delle arti a pura comunicazione, da V. Gregotti, articolo cit., la Repubblica, 15 settembre 2008.
17. Si vedano I. Prigogine, Perch non pu esserci un paradigma di complessit, in G. Bocchi, M. Ceruti, La sfida della complessit, Feltrinelli, Milano 1985, et I. Prigogine, G. Nicolis, op.cit., Einaudi, Torino 1991.
18. Ibidem, V. Gregotti, cit., la Repubblica, 15 settembre 2008.
19. Cfr. T. Maldonado, Reale e Virtuale, Feltrinelli, Milano 1992.
20. Si vedano in generale G. Chiurazzi, op.cit., Milano 2002, ed in particolare J.F. Lyotard, La condition Postmoderne,
Minuit, Paris 1979, trad. it. La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, (trad. it. di C. Formenti), Feltrinelli, Milano
1985, ed in contrasto J. Habermas, Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwlf Vorlesungen, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Main 1985; (ed. it., Il discorso filosofico della modernit, Laterza, Bari 1982); F. Jameson, Postmodern, or
the Cultural Logic of Capitalism, in New Left Review, n. 146, luglio agosto 1984, (ed. it. a cura di S. Velotti, Il postmoderno e la logica culturale del tardo capitalismo), Garzanti, Milano 1989).
21. J. Sinclair, Images incorporated: advertising as industry and ideology, Croom Helm, London 1987, (ed. it., La societ
dellimmagine, FrancoAngeli, Milano 1991).
22. Si noti la non casuale analogia e sovrapponibilit etimologica tra i termini in-formazione ed in-forme; cfr. F. Fimiani,
Forme informi. Studi di Poetiche del visuale, Il Melangolo, Genova 2006 et, ivi, P. Valry, Degas Danse Dessin
(1933), in Id., uvres, Gallimard, Paris 1960, p. 1194.
23. Cfr. J. Baudrillard, Simulacres et simulation (1981), Galile, Mayenne 1991.
24. Cfr. Z. Bauman, Modernit liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; L. Prestinenza Puglisi, Hyperarchitettura, testo&immagine, Torino 1999, et H. Ibelings, Supermodernismo, Castelvecchi, Roma 2001.
25. Si veda la raccolta di saggi di C. Mart Ars, Silenzi eloquenti. Borges, Mies van der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza, Christian Marinotti Editore, Milano 2002.
26. J.L. Borges, La ricerca di Averro, in LAleph, in Id., Tutte le opere, Buenos Aires 1960, trad. it., Mondadori, Milano
1984, p. 844, citato in C. Mart Ars, op.cit., p. 23.
27. Sulla commensurazione Platone afferma: Che due cose si compongano bene da sole, prescindendo da una terza, in maniera bella, non possibile. Infatti, deve esserci in mezzo un legame che coniuga luna con laltra. E il pi bello di tutti i legami quello che di se stesso e delle cose legate fa una cosa sola in grado supremo Platone, Timeo, 31c;
ed analogamente Aristotele: Principio quel che di necessit non deve essere dopo altro () Ci che bello, sia una
figura sia ogni altra cosa costituita di parti, deve avere non soltanto queste parti ordinate al loro posto, ma anche una
grandezza che non sia casuale; il bello, infatti, sta nella grandezza (misura) e nellordinata disposizione delle parti ()
Aristotele, La Poetica, 1450b (7), 26-27, 34-37.
28. Su nichilismo e architettura si vedano: M. Cacciari, Architecture and Nihilism: On the Philosophy of Modern Architecture, Yale University Press, New Haven 1993; E. Severino, Tecnica e Architettura (a cura di R. Rizzi), Raffaello Cortina, Milano 2003, et R. Rizzi, Il Damon di Architettura, Pitagora, Bologna 2006.
29. I. La Montagna, 1973 - Aldo Rossi e la XV Triennale di Milano, tesi di dottorato in Storia dellArchitettura e della Citt,
XVII ciclo, Dipartimento Storia e Restauro, Universit degli Studi di Napoli Federico II, anno 2007; relatore: prof. arch. B.
Gravagnuolo; co-relatore: prof. arch. L. Di Mauro; co-relatore di area progettuale: prof. arch. R. Capozzi.
30. Si vedano in tal senso, oltre al fondamentale testo di M. Tafuri, Storia dellarchitettura italiana, 1944-1985, Einaudi,
Torino 1986 (ed. ampliata del saggio in Storia dellarte italiana. Il Novecento, Einaudi, Torino 1982) il video realizzato per
il Padiglione Italiano alla Biennale di Venezia, da G. De Finis e M. Francocci, MODERNiTALIA, su testo di F. Purini ed inoltre il catalogo Italia-y-26. Invito a Vema (a cura di F. Purini, N. Marzot, L. Sacchi), in particolare il D.A.I. Dizionario Architettonico Italiano, voci: Memoria e Teorie (a cura di D. Nencini), Editrice Compositori, Bologna 2006.
31. G. Kubler, The Shape of Time: Remarks on the History of Things, Yale University Press, New Haven 1962 (ed. it.,
La forma del tempo. La storia dellarte e la storia delle cose, Einaudi, Torino 1976).
32. Si vedano V. Gregotti, Necessit della teoria, in Casabella, n. 494, 1983, p. 12, et A. Monestiroli, Necessit della
teoria, in AA.VV., Il progetto di architettura (a cura di P. Portoghesi, R. Scarano), Newton & Compton, Roma 1999.
33. Si veda, in tal senso, A. Monestiroli, Questioni di metodo, in Id., La metopa e il triglifo, Laterza, Roma-Bari 2002.
34. Come afferma P. Valery: Lopera darte non una creazione una costruzione in cui lanalisi, il calcolo, la pianificazione svolgono il ruolo principale.
35. Cfr. A. Monestiroli, Il classico come aspirazione, in La modernit del classico (a cura di R. Neri, P. Vigano), Marsilio,
Venezia 2000 et G. Fusco, Il classico del moderno, Aion, Firenze 2007.
36. Cfr. S. Settis, Futuro del classico, Einaudi, Torino 2004.
13
37. Tratto da R. Queneau, Batons, chiffres et lettres, 1950, trad. it. di G. Bagiolo, pref. di I. Calvino, Segni, cifre e lettere, Einaudi, Torino 1981, citato in I. Calvino, op.cit., Mondadori, Milano 2000, p. 134.
38. Devo questa appropriata espressione al prof. Salvatore Bisogni.
39. Cfr. G. Contessi, Vite al Limite. Giorgio Morandi, Aldo Rossi, Mark Rothko, Christian Marinotti Editore, Milano 2004.
40. Si vuole qui criticare la conclusione della voce Teoria dellarchitettura di A. De Poli contenuta nella recente Enciclopedia dellArchitettura per i tipi Federico Motta nel 2008 e la coincidenza o riduzione, come in una certa critica darte,
dei principia e degli exempla ai dati autobiografici dei singoli autori ed anche una certa moda di contro tendenza a
sostenere che il contributo teorico aldorossiano sarebbe da ricercare esclusivamente nellAutobiografia scientifica o nei
Quaderni azzurri, e non nei suoi saggi a carattere progammaticamente scientifico.
41. Alla mostra furono invitati oltre a numerosi giovani architetti italiani provenienti da varie citt del paese anche un nutrito gruppo di stranieri da Stirling a Ungers sino ai Five Architects capeggiati da Eisenman. In tal senso si rileggano le sue
dichiarazioni in D. Lama, Eisenman: Architettura, il futuro dietro di noi, in Corriere del Mezzogiorno, sabato 18
novembre 2006, citato di seguito a p. 21.
42. Si veda il saggio di R. Bonicalzi e U. Siola, Architettura e Ragione, in Controspazio, n. 6, 1973, pp. 16-22.
43. Gli intervistati sia per ragioni generazionali, sia per i rispettivi ruoli (alcuni gi docenti ed altri appena laureati), parteciparono tutti, se pur con rilievo differente, alla Mostra o al catalogo Architettura Razionale alla T15. In particolare
Aymonino (Roma) e Bisogni (Napoli) nella III sezione Proposte, progetti o realizzazioni di sistemazioni urbanistiche su citt
campione (secondo Rossi la prima parte concettuale della mostra); Siola con L. Pisciotti, Braghieri con R. Bonicalzi,
Monestiroli con P. Rizzatto e A. Di Leo nella IV sezione Progetti su temi diversi elaborati da architetti o gruppi di
lavoro/Maestri (secondo Rossi la seconda parte concettuale della mostra); Siola come caposcuola (Napoli), Monestiroli, come relatore, Braghieri, Vitale, laureati e Pezza laureanda, con le loro tesi, sempre nella IV sezione Progetti su temi
diversi/ Scuole darchitettura; Braghieri e Vitale con E. Bonfanti (solo catalogo), R. Bonicalzi, F. Raggi (solo allestimento), A. Rossi (responsabile) e M. Scolari alla elaborazione ordinamento, allestimento della mostra e catalogo; U. Siola
con R. Bonicalzi agli scritti successivi e ad essa correlati (supra in Controspazio, n. 6, 1973) ed Aymonino e Siola, con
R. Krier, M. Scolari, Castro/Duval/Driss/Maggio, A. Rossi, J. Sawade, G. Grassi, L. Pisciotti, Semerani-Tamaro, V. Gregotti, Reinhardt/Reichlin/Helfenstein, J. Stirling, L. Krier, Aachen group, O.M. Ungers alla successiva mostra itinerante
Rational Architecture. The Architecture of the City (promossa dallArchitectural Association-London e da Art Net, a cura
di L. Krier e con il contributo dellAmbasciata di Germania) che sanc a livello internazionale il riconoscimento e laffermazione di quel movimento. Si veda in tal senso la locandina della mostra in retrocopertina.
44. Cfr. A. Monestiroli, op.cit., in AA.VV., Il progetto di architettura (a cura di P. Portoghesi, R. Scarano), Newton & Compton, Roma 1999.
45. Qui si riferisce al significato originario di Theoria come osservazione e critica della realt al tempo stesso ideale e
fenomenica.
46. Sulla complessa figura di Aldo Rossi si vedano gli atti del recente convegno internazionale di Studi La lezione di
Aldo Rossi promosso dalla facolt di Architettura Aldo Rossi di Cesena dellAlma Mater Studiorum dellUniversit di
Bologna, in A. Trentin (a cura di), La lezione di Aldo Rossi, Bononia University Press, Bologna 2008.
47. AA.VV., Teoria della progettazione architettonica, introduzione di G. Samon, Dedalo, Bari 1968, con scritti di G.
Canella, M. Coppa, V. Gregotti, A. Rossi, A. Samon, G. Scimemi, L. Semerani, M. Tafuri.
48. Si vedano in tal senso il colloquio con A. Monestiroli in questo volume, pp.66-75, ed il suo scritto: Lo stupore delle
cose elementari, Baesi. Ogni uomo tutti gli uomini, Milano 2007.
49. Ancor meno condivisibile appare poi nella mostra il richiamo al mondo immaginario dei film e dellarte (e aggiungerei della letteratura). Da essi credo la cultura dellarchitettura dovrebbe prendere le distanze, non per negarne i valori
importantissimi per il progetto ma a causa dellinsistente ed artificiosa confusione tra le diverse pratiche (una specie di
Gesamtkunstwerk della multimedialit) che invece, proprio al fine di discutere utilmente, devono mantenere chiare le
proprie identit da V. Gregotti, articolo cit., la Repubblica, 15 settembre 2008. Si veda inoltre, in tal senso P. Virilio,
Larte dellaccecamento, Raffaello Cortina, Milano 2007.
50. Si vedano, M. Heidegger, The Question Concerning Technology and Other Essays (a cura di W. Lovitt), Harper & Row,
New York 1977; E. Severino, op.cit.; R. Rizzi, op.cit., et V. Gregotti, Architettura, Tecnica e Finalit, Laterza, Bari 2002.
51. Si veda il recente saggio di V. Gregotti, Contro la fine dellarchitettura, Einaudi, Torino 2008, in aperta contrapposizione a F. La Cecla, Contro larchitettura, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
52. Si veda in tal senso lintroduzione di A. Monestiroli alla mostra-catalogo: M. Landsberger (a cura di), Architetti italiani a confronto, EDICIT, Foligno 2008, pp.6-7.
53. Tratto da: J. Summerson, The Classical Language of Architecture, London 1963, trad. it. Id., Il linguaggio classico
dellarchitettura. Dal Rinascimento ai maestri contemporanei, Einaudi, Torino 1970, p. 4. Devo il ricordo di questa citazione al prof. Gino Malacarne che la riprese in una sua recente lezione a Napoli.
54. R. Bonicalzi e U. Siola, op.cit., in Controspazio, n. 6, 1973.
55. A. Rossi, Architettura per i musei, in AA.VV., op.cit. (a cura di G. Samon), Dedalo, Bari 1968, p. 137.
56. S. Bisogni, Discussione sulla Triennale, in Controspazio, n. 6, 1973, p. 89.
57. Cfr. A. Monestiroli, Necessit della teoria, in AA.VV., op.cit., Newton & Compton, Roma 1999.
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Il contenuto delle interviste pubblicate in questo libro, stato per la prima volta
oggetto di discussione nel febbraio del 2007 come parte integrante della mia tesi di
dottorato2; pi precisamente, di quella stessa ricerca, linsieme dei colloqui costituiva il quarto ed ultimo capitolo, significativamente intitolato Incontro con i protagonisti. Racconto di unesperienza di Tendenza3.
Necessario dunque, per comprendere meglio finalit e contesto delle testimonianze raccolte, almeno un breve passaggio sul pi ampio ma specifico oggetto della
speculazione: Aldo Rossi e la XV Triennale di Milano; ovvero sulle ragioni che hanno
condotto alla sua individuazione e sul metodo di studio adoperato.
Tra le tante motivazioni che si possono rintracciare alla base di una ricerca (storica
o progettuale che sia), le pi forti sono, probabilmente, quelle di carattere personale, autobiografico. Sono quelle motivazioni cio in grado di stabilire un profondo
legame con la sfera emotiva e razionale della nostra stessa esistenza.
Tanto pi questo corrisponde al vero, quanto pi ci si sente coinvolti, appassionati al proprio lavoro; Boulle prima, Aldo Rossi come e dopo di lui, adoperavano il
termine esaltato.
Ed sicuramente a quella passione o a quellesaltazione che possibile far risalire
alcuni dei nostri irrinunciabili bisogni: il bisogno di confrontarsi con il pensiero e lopera dei maestri, il bisogno di sistemare e ordinare le esperienze e le riflessioni maturate in certo intervallo temporale, il bisogno infine di scavare e individuare le pi
profonde ragioni del proprio mestiere soprattutto quando, alla fine di un difficile percorso di formazione, ti si parano davanti poche e non di rado velenosissime prospettive - costruite tra laltro con grande forza, fondatezza e sottigliezza intellettuale.
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mai potuto realizzarlo, chiaro, ma tutto lo studio e i ragionamenti che stavano alla
base di quella proposta costituirono per noi e per Dardi, che chiamammo come collaboratore, riferimenti essenziali!
E in tutto questo mare magnum di fatti non ci scordiamo di Rogers.
Rogers uno che ha condizionato tutto e tutti! Da Aldo Rossi a Guido Canella, a
me, ma anche Gregotti, come no! e De Carlo. Anche De Carlo recalcitrando
insomma Rogers ci ha influenzati tutti.
Proprio non mi aspettavo di affrontare questo tema cos presto, ma visto che lha
tirato in balloanticipo la domanda sui suoi lavori presenti alla mostra e in particolare appunto su Roma Est.
Sentiamo.
Al centro della mostra si trova una grande tela intitolata La citt analoga4.
Questa tela rappresenta una citt, attraverso una visione prospettica singolare,
formata da architetture diverse riunite tra loro in ununica composizione. Il concetto di citt analoga, che ho formulato altrove come quello di un sistema compositivo costituito dallinsieme di diversi fatti architettonici, qui mostrato al pubblico in modo spettacolare. Esso indica anche il carattere positivo della citt
costruita dalluomo nel tempo e il valore dei monumenti come riferimento della
memoria collettiva. Queste le parole di Aldo Rossi nella presentazione della
mostra per il catalogo ufficiale della Triennale 15.
Alla mostra lei espone molti lavori. In uno stesso ambiente su due pareti contrapposte da un lato c Roma Est (progetto di Carlo Aymonino, Costantino Dardi,
Raffaele Panella: plastico, planimetria in bianco e nero, pannello in trasparenza
del PRG di Roma e disegni a colori) e dallaltro disegni e plastici di vari progetti
e concorsi: lUniversit degli studi di Cagliari, lUnit insediativa Monte Amiata,
la Galleria dArte contemporanea a Milano, il Padiglione italiano allEsposizione
di Osaka, lUnit psichiatrica a Venezia-Murano, il Liceo scientifico di Pesaro, il
progetto dellospedale a Venezia e il convento La Tourette di Le Corbusier.
Analizzando i contenuti di quellevento mi sono reso conto che Roma Est
quasi una mostra nella mostra, ma soprattutto rappresenta la pi chiara e coraggiosa materializzazione di quella citt analoga che Rossi, pur descrivendola ed
evocandola ripetutamente, non ha mai realizzato! Secondo lei cosa accomunava e cosa invece distingueva il vostro progetto per Roma Est dalla quella citt
analoga che il suo amico carissimo andava elaborando?
Questa domanda difficile! Cerchiamo di arrivarci piano piano
difficile perch La citt analoga di Rossi per me rimasta sempre una formulazione indefinita, quasi un sogno che evocava e io non sono mai riuscito ad afferrarla; tanto vero che gli mandavo delle cartoline in cui provavo a capire, con le quali
cercavo di trovare o proporre spunti. Era una cosa tutta sua, e lui stesso, credo, la
rielaborava continuamente nella sua testa.
Mi dicevadi queste cartoline spedite a Rossi.
Erano cartoline sulla messa in scena dellAida, potete immaginare che cos lAida
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Carlo Aymonino
La seconda questione: il lavoro collettivo. Nella lettera apparsa su Controspazio (il n. 6 del 1973) intitolata Perch ho fatto la Mostra di Architettura Internazionale, Aldo Rossi punta lindice su questo aspetto.
Nellintroduzione al testo lArchitettura Razionale, ancora scrive: Questo libro,
come ogni progetto, si preoccupa soprattutto delle relazioni che si stabiliscono
tra i fatti; pensabile che queste relazioni rendano il materiale pi omogeneo nella prospettiva di costruire un unico progetto. Per la costruzione di questo progetto abbiamo raccolto materiale concreto: progetti di architettura, scritti o disegnati, formulazioni, critiche etc.etc.... Rosaldo Bonicalzi e Uberto Siola nellarticolo
Architettura e Ragione (nello stesso numero di Controspazio) riportano unespressione meno impegnativa, ma comunque inequivocabile, quella di progetto collettivo. Coerenza, tendenza e stile - per dirla con Ernesto Nathan
Rogers - che fine ha fatto il progetto stilistico? Come si sviluppato? E infine in
che termini oggi potrebbe riproporsi una scelta di Tendenza?
Io trovo che collettivo sia il termine sbagliato. Collettivo era un termine che si usava
molto negli anni Sessanta/Settanta. Era abusato. Non mi piace e tra laltro io non ho
mai voluto adoperarlo proprio perch mi dava quella fastidiosa sensazione della
cosa fatta in comune, tutti insieme. Progetto unico invece va bene. Mi va bene perch significa che c una scelta del singolo, rimanda al fatto che ognuno fa la sua
scelta. Collettivo una cosa un po da Soviet, mentre unico mi va bene perch
legato al concetto dellobiettivo, dellunico obiettivo. Unico certo, perch no?
La posizione assunta su questo specifico aspetto terminologico importante per
quei legami, sottintesi nella domanda, che si stabilirono nelle successive polemiche su entrambe le definizioni. E cio, credo di non allontanarmi troppo dal vero
dicendo che nella sua risposta la scelta cos netta del termine unico insieme
allinterpretazione che ne ha fornito, coincida con il proposito di sgomberare il
campo da qualsiasi equivoco di tipo linguistico.
Certo! I linguaggi sono molto diversi. Sono diversissimi. Anche fra me e Aldo.
Guarda il Gallaratese. Sono due cose assolutamente differenti.
Qui la domanda vien fuori da sola: ma, al di l del colore, li c stata proprio carta bianca?
S. (ride) Quando poi scoppi il caso internazionale del Gallaratese e mi invitarono
dappertutto a tenere conferenze, naturalmente lultima domanda era quella. Si alzava lo studente di turno e mi chiedeva: Scusi ma perch Aldo Rossi?
Allora io rispondevo con una battuta, che per contiene sempre delle verit.
Proiettavo limmagine e dicevo: Quando ho fatto il progetto nella parte finale cera
rimasta questa stecca lunga circa 150 metri, larga 10 metri, alta tre piani, che non
sapevo come risolvere. Era totalmente fuori dal mio linguaggio! E siccome Aldo Rossi
non aveva lavoro e poteva essere utilissimo a Milano per tutti i rapporti con il Comune
- cos stato, ho ancora gli scritti, le lettere che lo testimoniano - gli diedi lincarico!
Lamor sacro e lamor profano!
(ride)
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stato mettere insieme due mondi no? E molti pensano che stia proprio in questo connubio la ricchezza di quellintervento. Da un lato le sue cose cariche di
geometrie e di colori e dallaltra questo giovanotto con un edificio tutto bianco.
S, s. Poi tutto ripetuto
Appunto senza variazioni.
Certo. Due cose assolutamente diverse.
Dunque, riprendendo il filo della domanda, analizzato il problema della duplice
definizione progetto unico e progetto collettivo in relazione agli obiettivi di una
certa Tendenza ci rimane in buona sostanza da capire se e in che termini - realistici? - oggi potrebbero riproporsi alcune di quelle scelte.
No. Non c possibilit. Intanto perch larchitettura diventata unaltra cosa.
Basta vedere Massimiliano Fuksas o Zaha Hadid.
Alieni.
Diversi. La prima stata Gae Aulenti, nessuno ha insegnato allUniversit!
Noi, invece, ceravamo tutti quanti, avevamo le riviste, naturalmente larchitettura e
poi i libri. Avevamo cio ununitariet di cultura che questi non hanno.
Cerano tra noi delle differenze enormi che per erano unite dallunitariet della cultura, mentre questi attuali non hanno nulla che li unisca. Tra Fuksas e Zaha Hadid
non esiste relazione!
Ma cosa implica questo? Pu implicare e indicare uno smarrimento anche delle
strutture e dei percorsi formativi? E infine, dove per noi sarebbe la cosa peggiore, pu implicare e indicare anche lo smarrimento dei maestri?
Certo, e infatti non a caso oggi ognuno corre per i fatti suoi. E corre il pi possibile
per farsi notare. Ha iniziato Renzo Piano, diciamocelo francamente! Tra laltro con
una capacit di lavoro enorme, pazzesca (ride di gusto). Non lho ritagliata, ma stata pubblicata una sua foto, nel suo studio, dove lui al centro di ottanta persone e
sembra proprio il vicer dellIndia quando lasci lIndia (ride ancora) e si fece fotografare con tutto il suo personale. Erano ottanta, quindi era proprio perfetta.
E cos Renzo Piano. E il punto che quando hai ottanta persone non puoi seguirli
ogni giorno tutti e di conseguenza, per forza, qualcuno o ognuno inventa. Giusto
Norman Foster, ma perch ingegnere, riuscito a lasciare il timbro su tutte o quasi le sue opere. Negli altri casi ci sono forti variazioni, a seconda di chi elabora il progetto. Come Passarelli
Questo riferimento a Passarelli mi fa pensare: Ma non - domando - che potrebbe riproporsi quella situazione alla quale si reag nel 1973? Vale a dire, a quel tipo
di professionalismo invadente e destrutturate il sistema della cultura e della speculazione?
No. completamente diversa. In effetti qui ci troviamo di fronte a degli architetti.
Questi sono tutti architetti, compresa la Zaha Hadid, ma anche Fuksas, e le loro
architetture si riconoscono.
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S,ma altri progetti, visti da fuori, almeno per me, sembrano molto tirati via, ecco.
E questa rivalutazione di Aldo Rossi, nella sua interezza diciamo, mi pare non labbia mai fatta nessuno. Si dovrebbe fare pi attenzione sugli ultimi anni.
Ne sono pienamente convinto! Da un certo punto in poi (credo gi dalla prima
met degli anni Ottanta) sembra verificarsi uno spostamento dasse di Aldo Rossi. Uno spostamento dasse che forse uno spostamento anche teorico?
Non so se fosse teorico. Credo si tratti pi di un problema di indifferenza; e infatti,
dal punto di vista teorico, in sostanza non ha pi prodotto niente.
Non pi riuscito a fare, per esempio, neppure quella Citt Analoga, il libro che
da molti anni aveva in mente di organizzare e portare a termine (e forse proprio
dal 1973 pi concretamente).
S!... Ma in particolare io mi riferisco proprio ai suoi ultimi dieci anni, al periodo dal
1987 al 1997. Non ha prodotto nulla a livello teorico, perch era disperso! (lunga
pausa).
Lo incontrai allaeroporto di Venezia, oppure a quello di Roma - questo non me lo
ricordo - ma mi rimasta impressa la sua espressione e ci che mi disse, lui scendeva da un aereo per risalire su un altro per andare chiss dove e mi disse: Carlo,
non ce la faccio pi!
Era stato risucchiato dal gigantesco ingranaggio dello star system?
Eh s, questo anche perch, anzi proprio per come era fatto, per come Aldo era
architetto intendo, non poteva reggere a quel sistema.
Di questi anni ci sono solo pochi progetti, e molto belli, ma molto belli in cui Rossi,
diciamo cos, riemerge! Mentre, ma quello molto prima, lexploit Modena, il cimitero, quello linizio anche del successo.
Beh! Anche quella del concorso per il Cimitero di Modena potrebbe essere una
storia a s. E anche l mi pare lei abbia qualche responsabilit!
Assolutamente(ride) e non c che dire: sono stati dei bei pasticci.
Io e Portoghesi.
Dunque eravamo rimasti al non ignoriamo che eravamo tutti comunisti
Ah, s! Questo per dire che era un mondo con una forte coerenza internaPerch
poi facevamo capo anche a Bianchi Bandinelli, larcheologo,cio era un mondo di
comunisti con gli attributiche non ha niente a che vedere con quello attuale
compreso Alicata che era un mostro. E a questo si aggiungevano dei riferimenti
forti come Rogers che non era comunista, ma era di sinistra, proprio nella mente. I
giovani erano comunisti e il mondo in cui si muovevano era di sinistra, ma di una
sinistra avanzata. Niente a che vedere con loggi.
Ma rispetto alle polemichevoglio dire in fondo non vi si accusava tanto di essere comunisti, quanto di calare queste vostre scelte politiche nellarchitettura e
cio di fare dellarchitettura ideologica.
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No! Questa cosa non labbiamo mai accettata n discussa perch alla fine non cera e non c mai stata. Nella sua omogeneit culturale era tra laltro un mondo molto ricco e con forti differenziazioni.
E rispetto a quel grillo parlante che era Bruno Zevi non c mai stato, non so,
un ripensamento, un ritorno analitico su certe scelte sulla scorta delle sue osservazioni. Non c mai stato un dubbio, unincertezza di fronte ai continui attacchi
di questa personalit - da tutti indistintamente poi ne stato riconosciuto il valore - che annoverava le vostre architetture un giorno tra quelle fasciste e un giorno tra quelle staliniste?
(ride) Cosa fu quando, ospiti, andammo insieme, io e Aldo, a Berlino Est5.
Eravamo ospiti perch avevamo fatto un patto con la Scuola di Architettura di Weimar per poter fare entrare i professori in Italia, visto che da l, non per colpa nostra,
non si poteva entrare. Ma quando a Berlino Est vedemmo la Stalinalleeapplausi
tra Aldo e me strepitosistrepitosi! Perch? Perch l c proprio la nostra architettura, nella sua differenza totale, che era quella di capire che non era lo stile a determinare il consenso, era anche un modo di intervenire nella citt! Il rapporto tra architettura e citt era fondamentale nello IUAV e noi ci siamo formati proprio in questo:
nel voler e dover capire questo rapporto tra architettura e citt.
Poi, anche l, Aldo poteva essere un po pi disponibile rispetto a me allarchitettura della Stalinallee, ma in fondo anche lui non aveva nulla a che vedere con quellarchitettura. Quello che avevamo capito che si trattava di un pezzo di citt strepitoso e che infatti tale rimasto! Soprattutto rispetto allOvest che era tutto cos,
era tutto
Interbau.
(con la penna fa uno schizzo, uno piccolo disegno sintetico dei due sistemi a confronto)
Questo (a destra) era a Est e questo (a sinistra) era a Ovest6.
Cera unenorme differenza!
Poi questa (a Est) aveva le colonne e tutto il restoma chi se ne frega! Questa
cosa qua (indica la cortina sfalsata) stava nella storia di Berlinoe la determinava
anche!
Torniamo allarchitettura, unaltra citazione da Rossi (catalogo ufficiale): Lattenzione al razionalismo, le correnti surrealiste, un rigoroso tecnicismo si possono
trovare dal punto di vista stilistico nei diversi progetti; ma ci che li riunisce la
volont di vedere in termini darchitettura quello che oggi possibile fareUn
progetto per diventare un fatto urbano ha bisogno di questa dialettica; ma esso
deve suscitarla ponendosi con una propria realt. La realt urbana e la realt del
progetto di architettura. Il rapporto fra analisi e progetto era unaltra questione
decisiva sulla quale si sono delineate posizioni differenti e caratterizzanti nellambito delle tesi e delle metodologie sviluppate dalla Tendenza. Quale ritiene sia
stato allora latteggiamento di fondo, se c stato, assunto rispetto alla questione di cui sopra? Ma soprattutto: quanto quel rapporto pu ancora oggi ritenersi
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la mia ultima follia(scompare nellaltra stanza studio e ritorna con un enorme foglio
di carta lucida disegnato a china, delle dimensioni di circa un metro per due metri e
mezzo)Questo il tempio di Giove Capitolino, quello dove stato sistemato il
Marco Aurelio, ed lultimo disegno che ho fatto. Una settimana di lavoro circa.
Aldo Rossi a modo suo era molto riconoscibile, era direttamente inventivo.
Del resto c una lunga e consolidata tradizione romana sul versante degli architetti non solo disegnatori, ma anche proprio pittorilei, Dardi, Purini
S certoLibera, Ridolfi, Quaroni
Ecco professore, rispetto alla questione del colore in architettura vorrei un chiarimento su quanto ha detto in una precedente intervista7, perch ne sono rimasto sorpreso e non poco. In quella circostanza, alla domanda su che importanza
hanno i colori in architettura lei ha detto per prima cosa i colori mi piacciono,
poi che sono importanti ma non determinanti e infine trovo quasi un imbroglio, se cos si pu dire, colorare gli edifici, perch tutto sommato non poi cos
importante.
Chi lo diceLo dico io?
Eh s! Di fronte al coloratissimo panorama delle sue opere ho pensato si trattasse di una dissimulazione, come dire un po british, per proteggere o distaccarsi da qualcosa di troppo intimo! unipotesi plausibile questa mia oppure le cose
stanno veramente cos, proprio come le ha esposte in precedenza?
No, lo posso anche spiegare.
In molte delle mie opere c colore, vero, ma se fossero tutte bianche sarebbe
uguale! Il colore pu essere un imbroglio. Ecco, questo volevo dire; che poi invece
un colore dato beneper esempio a Villa Medici quando era tutta gialla, invece di
quella brutta cosa che hanno fatto adesso che quasi bianca, dove il colore aiutava a vederla nel paesaggiocos va benissimo!
In ogni caso il colore rimane escluso dalle fasi fondamentali del progetto, e non
esercita alcun ruolo - penso per estremi a quello svolto nella poetica neoplastica - nel calibrare il peso di un volume allinterno di una composizione complessa.
Esatto! Assolutamente. Il colore lultima cosa da aggiungere.
Il colore una cosa aggiunta.
Carlo Aymonino
drato di 53x63 metri, completato, anche solo con qualche segno, anche solo con
una traccia per terra del Tempio. Io mi ricordo, ancora sotto il fascismo, che cera il
tempio di Venere e Roma, quello di fronte al Colosseo; aveva tutte le colonne sagomate in alloro e si leggeva chiaramente come era fattonon che voglio fare la
stessa cosama noi abbiamo consegnato un plastico bellissimo al Campidoglio
con le parti marroni che sono le fondazioni che fanno capire quanto siamo pi in
basso rispetto allaltezza che aveva. Eccolo l, (indica una stampa sulla parete di
fronte con un disegno del tempio di Giove) quel disegno di Luigi Canina, e aveva
quellaltezza! Mi piacerebbe portare questo progetto.
S! Lo porto le vado fra gli applausi!
* Carlo Aymonino, romano, ha partecipato alla XV Triennale con diversi progetti, il pi importante dei quali stato
sicuramente la Proposta architettonica per Roma Est. Allepoca dellesposizione aveva 47 anni. Fondamentali per
il dibattito architettonico in Italia sono stati i suoi Origini e sviluppo della citt moderna, Padova 1965, Lo studio
dei fenomeni urbani, Roma 1977. professore ordinario di Composizione architettonica dal 1967, accademico
dellAccademia Nazionale di San Luca dal 1976, della quale stato presidente dal 1995 al 1996. Dal 1963 al 1981
ha insegnato presso lIstituto Universitario di Architettura di Venezia, di cui stato Preside dal 1974 al 1979. Tra il
1980 e il 1985 stato assessore al Centro Storico di Roma. Ha insegnato Composizione architettonica presso la
Facolt di Architettura di Roma fino al 1994 per poi tornare a insegnare Composizione architettonica presso lIstituto Universitario di Architettura di Venezia. Tra le sue realizzazioni principali figurano: il complesso abitativo Monte Amiata al Gallaratese (1967/72), il Campus scolastico e il Centro Civico a Pesaro (1970/84). Ritiratosi dallinsegnamento continua a svolgere la sua attivit di progettista, il suo ultimo lavoro lo ha visto impegnato nel Progetto per la sistemazione del Giardino Romano nei Musei Capitolini.
Lintervista stata realizzata a Roma la mattina del 17 giugno 2006, nello studio del professore Carlo Aymonino,
in via Mormorata 169. Erano presenti alla discussione anche gli architetti Renato Capozzi e Federica Visconti.
1. C. Aymonino, Le origini dellurbanistica moderna, in Critica marxista, n. 2, 1964, poi ampliato in Id., Origini e
sviluppo della citt moderna, Marsilio, Padova 1965.
2. G. Samon, Lurbanistica e lavvenire delle citt, Laterza, Bari 1959.
3. L. Benevolo, Le origini dellurbanistica moderna, Laterza, Bari 1963.
4. Si tratta del dipinto omonimo di Arduino Cantfora presente nella sala centrale della mostra, tra la III e la IV sezione. Si veda in questo volume la foto a p. 149 e la ricostruzione dellorganizzazione della mostra di Ivano La Montagna nel bottello di retrocopertina. Successivamente durante la sua breve ma fertile permanenza allETH di Zurigo Rossi con E. Consolascio, B. Reichlin e F. Reinhart realizza il famoso collage intitolato Citt analoga, cfr. Fabio
Reinhart. Architettura della coerenza (a cura di F.S. Fera, L. Conti), CLUEB, Bologna 2007, p. 38.
5. Nel 1961 Aldo Rossi stato invitato nella RDT da Hans Schmidt (1893-1972), direttore della Deutsche Bauakademie di Berlino. Schmidt viene a mancare appunto nel 1972, ragione in pi per entrare a far parte della prima
Sala degli Omaggi della XV Triennale al fianco di Rogers scomparso nel 1969 e Bottoni morto proprio nel 1973.
6. Lo schizzo, non riportato, rappresentava, a destra, un sistema a redant, e, a sinistra, uno schema isorientato di
stecche parallele.
7. M.D. Morelli (a cura di), Venticinque domande a Carlo Aymonino, CLEAN, Napoli 2002.
Bene professore, abbiamo toccato tutte le questioni che ero venuto a sottoporle e la ringrazio per la disponibilit e la pazienza che mi ha dimostrato. Tuttavia
per chiudere, spero in bellezza, questo incontro mi rimane unultima domanda:
Se un Rossi analogo, le chiedesse una o pi opere per una mostra analoga a
quella del 1973, quale o quali opere porterebbe oggi?
Oggi? (lunga pausa) dura! Durissima! Mi piacerebbe portarne una sola, intanto! Mi
piacerebbe lultima, quella del Campidoglio. Naturalmente quella l sopra (indica la
planimetria sopra la porta) completata dal tempio di Giove che quellenorme qua-
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blema di fondo, la base di tutto, il manufatto o meglio la sua costituzione, sia esso
dentro la citt o fuori ed razionale solo quellarchitettura che espone con chiarezza
la sua costituzione, mostrando non solo le scelte costitutivo-stilistiche, ma anche e
soprattutto la ragione della sua forma linguistico-espressiva. Larchitettura razionale, in
altri termini, riesce a trovare e risolvere le difficolt del rapporto stile-linguaggio, riesce
a trovare e a raggiungere il senso ultimo degli edifici, ben sapendo che la maggioranza degli edifici non riescono a trovare questa insostituibile coerenza affinch la razionalit, larchitettura razionale emerga! Ad esempio il Gallaratese di Carlo Aymonino, di
quegli anni, pone questioni formative di nuove ipotesi architettoniche o pi semplicemente una interpretazione linguistica non solo della citt ma proprio delle forme
architettoniche punto basta? Il problema in tal senso si essenzializza ed molto interessante discuterne a partire dal confronto che pu sollecitare unaltro singolare progetto, quello di Segrate, in cui da un lato c Canella con la sua interpretazione razionale nelledificio del Municipio - esemplificativo di una sorta di triade linguistica formata da rigore strutturale, emozioni linguistiche, ma anche articolazioni e proposizioni
stilistiche molto interessanti che arrivano a negare la base costituitiva del manufatto
per privilegiarne la componente espressiva - e dallaltro c Rossi, c la sua piazza
metafisica con la famosa Fontana ed i rocchi di colonna che in realt possono sembrare tutto il contrario di quello che voleva fare Canella. Rossi a quei tempi aveva ancora realizzato pochissimo, ma molto significativo che il professionista Canella gli faccia fare la fontana e il professore Aymonino gli faccia fare il pezzo del Gallaratese:
entrambi stimavano Rossi e ne avevano colto le singolari doti. E difatti il Gallaratese
assai pi noto per il pezzo di Rossi che non per quelli di Aymonino. Il progetto di
Aymonino cambia registro rispetto alle case del Tuscolano fatte da studente per Quaroni e Ridolfi; quando Aymonino mette in discussione la tipologia a mio avviso confonde il tema, mentre, quasi per contrappunto, escono fuori la chiarezza ed il rigore di
Aldo Rossi.
Pensando a quegli anni mi viene anche da dire che poco in effetti sapevamo di quello che si faceva allestero, in Italia certo cera stato Terragni; a Napoli, in particolare,
Vaccaro e Franzi e lo straordinario esempio del monumentale Palazzo delle Poste,
capace di mettere insieme la razionalit di questa forma che si dilata, aperta ma sempre rigorosa, con allinterno certe emozioni/inflessioni o meglio certe interpretazioni
metafisiche. Rispetto a questa doppia natura dellarchitettura sono pochi quelli che
sono riusciti a mantenere un binario di razionalit e molti quelli che hanno inteso proporre una uscita emozionale: in tal senso emerge la figura di Rossi che al contrario di
Vaccaro, che quasi nasconde questa singolarit espressiva con quella fabbrica tirata
e senza sbavature, mette in scena i solidi, propendendo verso forme pure (gli archetipi) e la loro composizione.
Quindi lei professore guarda non tanto e non solo alle formulazioni teoriche, ma
innanzitutto ai progetti di quegli anni come lo Zen o il Monza San Rocco?
Ora il problema che si tratta di vedere quali sono le opere assunte dal mestiere: Zen
o Monza San Rocco o le Rinascenti che Gregotti riusciva a fare a Palermo e a Torino?
Lo Zen, per la verit, viene dopo ma si pone il problema di riproporre fuori dalla citt
consolidata il grumo ed alcune questioni che sono presenti nella citt della storia.
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Sono convinto che Gregotti oggi non rifarebbe quel progetto, Purini forse rimarrebbe
ancora legato a quella esperienza. Quelle insulae erano uno stadio intermedio di un
lavoro che di l a poco avrebbe portato al progetto per Vienna Sud. Un progetto sconcertante a cui lavorai parecchio con degli schizzi che poi Nicolin defin e precis nella
soluzione finale. Una grande piazza di 7-800 metri di lato con quattro entit solo
apparentemente differenti: uno spazio in cui irrompe la spina di Gregotti delle attrezzature civili. Il tessuto di Vienna Sud era composto dallalternanza di Hofe e Superblock
in omaggio, da un lato, alla linea di ricerca sovietica e, dallaltro, alla tradizione europea.
E fu proprio per lo Zen che studiai un sistema di superblock molto strutturati con servizi e botteghe al di sotto delle residenze a cui furono preferite poi le insule - una sorta
di isolato olandese - che si ripetono cercando al loro interno un sistema di gerarchie.
La radicalit sulla residenza di Rossi e Grassi del Monza San Rocco e chi lha pi ripetuta? Se chiedi - e non solo agli studenti attuali - ti diranno tutti che quello era un progetto tutto utopico per, daltro canto, io dico che era un progetto chiaro e tutto controllato architettonicamente: la misura della sua corte dipende dagli appartamenti e dai
soggiorni. Il San Rocco un sistema, un paradigma che poi, messo a confronto con
lo Zen, tutto il contrario. Zen una visione di accettazione dellesistente e il tentativo di dare consistenza e dignit alla periferia, mentre Monza San Rocco rifiuta tutto.
Lei quindi ritiene che ci che cont allora furono questi progetti e queste sperimentazioni?
Si appunto, molto pi degli scritti. Ieri, mentre pensavo a questa intervista e alle questioni che mi avevate anticipato avremmo trattato, ebbi unintuizione, cio di provare
a parlare solo di questioni di progettazione.
La seconda questione: il lavoro collettivo. Nella lettera apparsa su Controspazio
(il n. 6 del 1973) intitolata Perch ho fatto la Mostra di Architettura Internazionale,
Aldo Rossi punta lindice su questo aspetto. Nellintroduzione al testo lArchitettura Razionale, ancora scrive: Questo libro, come ogni progetto, si preoccupa
soprattutto delle relazioni che si stabiliscono tra i fatti; pensabile che queste relazioni rendano il materiale pi omogeneo nella prospettiva di costruire un unico progetto. Per la costruzione di questo progetto abbiamo raccolto materiale concreto:
progetti di architettura, scritti o disegnati, formulazioni, critiche etc.etc.... Rosaldo
Bonicalzi e Uberto Siola nellarticolo Architettura e Ragione (nello stesso numero di
Controspazio) riportano unespressione meno impegnativa, ma comunque inequivocabile, quella di progetto collettivo. Coerenza, tendenza e stile - per dirla con Ernesto Nathan Rogers - che fine ha fatto il progetto stilistico? Come si
sviluppato? E infine in che termini oggi potrebbe riproporsi una scelta di Tendenza?
Mi ricordo che quando arrivai alla Triennale rimasi molto meravigliato per il fatto che
cera questa sezione internazionale nella quale comparivano fra gli altri i progetti di
Stirling e di Krier. Il progetto collettivo da intendere proprio come la possibilit di mettere insieme delle persone che, pur nelle loro puntuali differenze, possono lavorare e
produrre delle cose. Io mi ricordo che Aldo Rossi era molto attento quando arrivavano le cose degli altri. Rossi faceva una descrittiva di quello che si stava producendo.
Da furbo napoletano potrei dire che Aldo aveva invitato gli stranieri per sottrarsi alli-
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solamento e alle critiche che avrebbe ricevuto per aver esposto i progetti per la Stalinallee. Ho scritto che siamo stati tutti rossiani, in unaltra occasione ho detto che lui
mi piaciuto, in quel momento, proprio per il suo coraggio. Ricordo bene, quando
andammo a Berlino con Giulio De Luca (quello dellArena Flegrea), mi feci fare una lettera di presentazione da Luigi Cosenza che conosceva Kurt Macritz, uno dei costruttori della Stalinallee. Allora si combin la cosa in modo tale che a Monaco di Baviera
io spedii la lettera di Cosenza. Dopo unora che eravamo a Berlino, ancora in albergo,
mi ricordo che arriv un assistente di Macritz con una Vespa e mi port via e io dormii a casa di questo signore vicino ad un cimitero ebraico di Berlino per due, tre giorni. Poi Macritz ci parl molto di Cosenza e di quello che stava facendo. Cosenza
godeva di un grande prestigio presso la DDR e non solo presso gli architetti comunisti occidentali. Io detti loro le notizie su Cosenza, un pomeriggio intero a discutere. Poi
tornai con questa Vespa in un posto dove incontrai qualcuno dellEnsemble del gruppo teatrale di Brecht.
Mi ricordo quando al suo corso ci raccont laneddoto della scatola di fiammiferi
lanciata sul tavolo e di quellarchitetto tedesco che disse: ecco questa lurbanistica di Le Corbusier.
Fu proprio a Berlino, alla mostra su Le Corbusier, era un architetto della DDR, la
mostra si fece proprio sulla Kurfsterdamme Strasse (Strasse des 17.Juni), quella
strada che porta alla colonna con langelo (quella di Wenders) e poi alla Porta di Brandeburgo. E questo architetto che mi accompagnava fece questa cosa della scatola di
fiammiferi che voi avete ricordato. Che poi in fondo era un modo di dire una falsa
verit che a noi che venivamo dallo sfacelo delle citt italiane di quegli anni sembrava che quella citt sovietica e accademica tutto sommato fosse una risposta.
Ritornando alla domanda iniziale, che significa oggi fare una scelta di Tendenza?
Secondo me oggi una scelta di Tendenza, tenuto conto di quello che successo, si
pu riproporre solamente nel chiarimento di quelle materie e questioni che crebbero e
vennero fuori in quel momento. Per cui lapprodo dovrebbe essere quello di riprendere i temi che erano presenti nei maestri italiani del dopoguerrameno plasticismo alla
Le Corbusier e pi dimostrazione della costruttibilit e della convenienza. Il linguaggio
deve cio piegarsi allipotesi stilistico-costruttiva, allo stile inteso come costituzione del
fatto architettonico: ogni epoca ha uno stile non tanto per lapparenza ma per come
affronta, anche in maniera innovativa rispetto alle epoche precedenti, i vari temi di
architettura, come una biblioteca o una casa.
Lo stile riguarda cio la costituzione dei manufatti che ovviamente hanno poi pure
unapparenza e quindi un linguaggio. La mancata distinzione tra stile e linguaggio, la
loro sovrapposizione, ha generato molti equivoci e nemmeno lopera Rossi ne poi
stata immune. Ma tornando alla Triennale io credo che Rossi avesse un obiettivo preciso, fosse mosso da una voluta faziosit: secondo me cercava una verit costitutiva
rispetto al linguaggio, voleva dimostrare come linguaggi differenti potessero venire sviluppati a partire da una costituzione condivisa in assenza della quale qualsiasi espressione linguistica fasulla. In questa ricerca di una costituzione condivisa per i manufatti contemporanei, nella ricerca di temi costitutivi, nella necessit di trovare figure
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Salvatore Bisogni
appropriate per questi temi sta la differenza tra linguaggio e stile ed anche il rapporto
con la citt, dal momento che queste nuove figure appropriate hanno, nella citt
appunto, un ruolo fondamentale.
Un esempio: lidea del teatro contemporaneo che viene proposta da Mies quando non
solo propone di aprire ledificio allesterno, ma soprattutto lavora sulla sua organizzazione secondo particolari disposizioni degli spazi destinati al pubblico e agli attori, traducendo in architettura un dato fondamentale del teatro contemporaneo che concerne appunto un nuovo rapporto pubblico/attori. Ho notato che nel Mannheim fra la
cavea, che appare una citazione vera e propria, e il teatro piccolo vi sono delle necessarie differenze.
Mi pare particolarmente adeguata, per il teatro delle commedie, la soluzione di un palcoscenico che una piccola stanza rispetto ad un grande terrazzo e come si impone
il teatro piccolo che tutta la scena, attorno alla quale ci sono pareti dietro cui gli attori vanno e vengono, un grande spazio che come un grande appartamento che si
affaccia su un terrazzo. Invece il teatro grande esattamente il contrario, ha la retorica giusta che deve esserci per i luoghi destinati ai grandi spettacoli: non solo i balletti e non solo la lirica, ma le tragedie e il teatro drammatico.
Pi ci ragiono e pi mi convinco che la questione centrale lo Stile e che si tratta di
una questione malamente trascurata: si studiato poco lo stile, cio come devono
essere fatte oggi le case, come devono essere fatti, ad esempio, gli edifici ad Aula2. Io
credo che pi che porre il problema e affannarsi a discutere di ideologia dellarchitettura, bisognerebbe - solo in apparenza semplicemente - chiedersi quali siano i palazzi (i temi di architettura) ragionando sui quali di volta in volta si sono prodotti degli
avanzamenti. E proprio lavorando su questi riferimenti, su queste architetture certe, si
potr costruire il nuovo per loggi. Io sto lavorando per esempio sul progetto di una
Biblioteca che, partendo dallincubo e/o dalla bellezza della Biblioteca di Boulle, prova a mettere insieme i tre elementi costitutivi del tema: laula, i libri e gli studiosi come
gli elementi costitutivi e inscindibili del manufatto.
Quindi a suo giudizio la questione del progetto collettivo lei la rintraccia proprio
nellaspirazione allo Stile.
Si certo. Secondo me la questione di tendere allo Stile rimane una necessit e bisogna continuare a lavorare al progetto stilistico senza cedere al linguaggio, cercando di
trovare nuove pulsioni non solo espressive, ma adeguate alle nuove esigenze contemporanee, al nuovo senso ed alla nuova costituzione possibile del manufatto.
Io pongo la questione anche in termini quasi pedagogici; queste esperienze hanno significato molto per chi vi ha partecipato, hanno formato una generazione successiva che ha cercato di continuare il lavoro nella direzione tracciata. Oggi pare
che ci sia piuttosto unassenza di riferimenti
Insisto che la questione centrale sempre quella dello stile. Affrontare questa questione nasce come necessit quando ci si rende conto che altrimenti non si va in nessun
posto. allora che chi ha ambizione si deve porre il problema di confrontarsi con gli
altri per raggiungere lo stile, o almeno per fissare alcuni punti certianche se apparentemente non ci sono progetti e propositi comuni.
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Quale ritiene sia stato allora latteggiamento di fondo, se c stato, assunto rispetto alla questione di cui sopra? Ma soprattutto: quanto quel rapporto pu ancora
oggi ritenersi importante, fertile, parafrasando Samon, nel passare dal processo
costitutivo delle idee intorno ad un oggetto architettonico da realizzare alle immagini disegnate e alla forma visualizzata nello spazio?
In Rossi forte questa triade - razionalismo, surrealismo, tecnicismo - che per mi
appare non sempre risolta anche perch, nel suo essere insieme surreale e metafisico, esprime due realt differenti.
Di cosa ha bisogno un progetto per diventare fatto urbano? Mies riesce a fare grandi
spazi urbani con sagome che non ti aspetti dalla pura geometria cartesiana ma che
hanno il loro realismo nella costruzione. Secondo me la questione urbana deve essere oggi posta con nuovo slancio ed interesse, facendo i conti con la realt come oggi
ci si presenta. Nelle mie recenti ricerche provo a comporre vari edifici, a formare luoghi, che io chiamo zolle, che non vogliono essere ripetute - anche se potrebbero essere ripetibili - che vogliono in qualche modo assolutizzare la loro singolarit.
Due o al pi tre edifici collettivi che siano congeniali e reciprocamente necessari e
staccati dalla citt. E questa operazione di costruzione di fatti urbani la faccio non solo
con miei progetti, ma anche con i progetti dei Maestri come nel caso del Mannheim
giustapposto allAccademia dello Spettacolo di Porro a Cuba.
Rispetto al rapporto Analisi/Progetto che informazioni trae dai contesti?
Io parto dalla forma delle architetture per creare un contrasto nel quale per ciascun
manufatto necessario allaltro: se avessi trovato un Mendelsohn o uno Scharoun gli
avrei proposto di fare un pezzo di fronte al Mannheim. Questa la mia idea di architettura e progetto stilistico per la citt, costruzione di un luogo fatto di differenze
pure che si contrappongono, come al Campo dei Miracoli di Pisa in cui avviene qualcosa di simile con tre edifici che, nelle loro sottili differenze, sono per analoghi: il campanile, il battistero e la chiesa con la sponda del Cimitero. importante sottolineare
che questo insieme di edifici non mai stato assorbito o raggiunto dalla citt e dalla
sua espansione recente. Le zolle si confrontano poi con i vari contesti in cui ne sono
ipotizzate le realizzazioni: come nel caso della zolla della conoscenza (Museo e Biblioteca) ove, dialetticamente, si confrontano a distanza la Monteruscello di Agostino Renna, gli scavi archeologici di Cuma ed i tessuti esistenti.
Torno a dire che nel rapporto analisi-progetto c anche la questione stilistica; non tanto come modo della forma ma, come dice Monestiroli, come lavoro sullo stile come
interpretazione del proprio tempo, che d risposta al problema di rappresentazione del
tempo presente. Questo il problema stilistico, poi ognuno lo interpreta in un certo
modo. Si parte da presupposti che sono stati dati perch c una condivisone non
solo tecnico-economica che porta a quelle cose in cui la tecnica e la costituzione si
sintetizzano, certe cose non sono interpretabili, o stai in una linea o non ci stai. Il progetto stilistico pu creare o gi un fatto collettivo; e deve essere un fatto di larga
condivisione che certamente non imposta da parte del costruttore. Lo stile quando
c, ed vero, sta nel tempo e non c avanguardia che possa tenerenon solamente lepidermide delle cose, la mera apparenza, che magari uno pu variare o imitare come fanno Gehry ed altri. Secondo me sono pochi quelli che riescono ad usci-
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Salvatore Bisogni
re da queste maglie e che alla fine stanno alla scommessa: stare dentro al progetto
stilistico e trovare uninnovazione possibile che a sua volta sta dentro un sistema; non
il sistema stesso come costruzione che si pu improvvisare, tutto questo porta
ancora una volta a parlare di progetto collettivo.
Quelli che vanno avanti, i vari Terragni, Cattaneo ecc. sono i grandi innovatori perch
vanno in avanscoperta e trovano nuovi rapporti con tecniche che sembrano una
scommessa, il che significa usare materiali e tecniche normali, per riuscire a far cantare3 gli edifici. Pochissimi ci riescono. Per esempio certe cose che fa Antonio Monestiroli sono belle, per come se arrivato ad un certo punto lui si bloccasse su delle
questioni, non va pi avanti. Io per mio conto faccio una chiesa a croce sbagliata e
poi la rifaccio quadrata, lui la fa buona, per gli manca quella forza che magari sta gi
l dentro nascosta. Allo stesso modo i lavori di Purini sono interessanti, intriganti perch cercano di aprire delle strade come la chiesa che ha realizzato in Puglia 50x50
m quadrata e pare che sia bella.
Forse non un caso che tre architetti italiani, tra i pochi che ancora ragionano di
composizione - cio lei, Monestiroli e Purini - si misurano col progetto di una chiesa e tutti e tre partendo dalla pianta quadrata (affinit).
Forse. Quella tonda la pi difficile. Giorgio Grassi ha provato a farla circolare.
Il Pantheon sacrale solo per le cose che dicono i preti, per tutte le immagini che lo snaturano, perch il Pantheon un edificio che non doveva essere sacraleIl Pantheon
non si pu dire che una piazza di mercato, ma di una forza laica straordinaria.
Ho discusso molto di questo problema del tema della chiesa con Pasquale Belfiore
che venne a vedere il mio progetto e rimase perplesso per la sua eccessiva trasparenza. Certo c un problema tecnico da risolvere per mitigare la troppa luce che entra.
evidente che serve una sottograta, ma il problema con che cosa e di che cosa
vada fatta, tale che non sembri una parete di un ufficio ma che si avvicini al senso del
manufatto. La trasparenza da fuori genera un senso di rifiuto. Questa trasparenza
allesterno sbagliata, mentre dallinterno funziona in rapporto alla natura. Questo
un problema a cui sto ancora lavorando.
Nel libro Care Architetture4, in chiusura del suo pezzo lei ha operato un accostamento importante. Ha detto che il grande lavoro di Rossi stato quello di aver
posto degli antemurali alle nostalgiche rievocazioni dei recenti quanto deboli passati, fino alle maniere intorno alla tradizione del nuovo. Poi proseguendo dice:
quegli antemurali posti attraverso Larchitettura della citt e la selezione dei progetti redatti per la Triennale di Milano del 1973, ci ricordano di essere stati rossiani. Perch proprio questi due momenti? interessante notare che mentre il primo, Larchitettura della citt, indistintamente riconosciuto come uno dei prodotti scientifici nel campo della teoria dellarchitettura pi alti del secolo scorso, il
secondo, la Triennale del 1973, ha prodotto in senso opposto quasi il massimo della polemica e la necessit di forti distinguo. Quando comincia e quando finisce il
periodo in cui siete stati rossiani? Ma soprattutto cosa successo dopo?
Quando incontrai Aldo Rossi avevo con me uno schizzo di Montecalvario su un foglio
extrastrong, mi presentai e gli chiesi che ne pensasse e Rossi mi disse: Perch non
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lo presenti alla Triennale?. Da quel momento ho lavorato con molta intensit al progetto, redigendone le diverse versioni e realizzando numerosi plastici.
Alla Triennale ricordo un Rossi sotto pressione, che era stato torturato con critiche frontali, ed io ebbi con lui dei problemi e delle incomprensioni per lallestimento. Devo ringraziare Bruno Reichlin che mi aiut nel disporre i pannelli ed i plastici, ma alla fine ad
Aldo piacque il progetto. Siamo stati tutti rossiani perch si capiva ed era chiaro a tutti che Rossi era il primo che invece di parlare stupidamente solo di linguaggio si preoccupava di un progetto comune e, come pochi altri, si poneva il problema di una nuova scala per la citt. Rossi nellaccettare quel mio progetto e nel dare fiducia a quello
schizzo probabilmente vide con chiarezza quello che cercavo di proporre: cambiare la
citt esistente non come atto gratuito ma come tentativo di misurarsi a varie scale, con
varie gradazioni e con varie questioni della citt. In questo mi identifico con latteggiamento di Rossi e non credo sia un caso che Samon e gli altri avvertirono limportanza della figura di Rossi e di quella Triennale. Quaroni stesso si sorprese quando seppe
che vi avevo partecipato. Per quella mostra Rossi si procur molte inimicizie.
Lessere stati rossiani coincise con la famosa ritirata italiana dal movimento moderno?
Allora ci fu una fuga dal moderno, per questo io ho detto noi tradimmo pure Cosenza perch Cosenza insisteva sul moderno e aveva ragione a farlo. Noi per capire le
cose ed i temi di quegli anni: le preesistenze ambientali, la continuit, la citt (questa
era Casabella) ci spingemmo verso una direzione opposta.
Un paese socialista paga il prezzo per aprire una strada che abbia decoro ed un tono
adeguato, la citt moderna non si capiva, ma era per ignoranza perch si conosceva
poco il moderno, perch di Moderno di qualit, esemplare non se ne vedeva o non si
conosceva abbastanza.
Il ragionamento sullanalisi urbana era come a dire: quello che devo fare in periferia me
lo studio in citt e da l prendo dei pezzi, delle articolazioni da riportare altrove. Secondo me invece il discorso vero dellarchitettura moderna non passa attraverso questo
canale artificioso, secondo me il vero problema nel rapporto con la natura che molti dicono essere perverso, negativo, pernicioso. Io non credo sia cos!
Che poi in un grande edificio la regola debba essere quella di un tracciato morfologico (cascame morfologia-tipologia)io non credo pi a questo. Io, nelle mie ricerche,
ho tentato di mettere insieme tre edificie gi questo crea grossi problemiecco cerco di metterli isolatamente che per si guardino, coesistanoin un primo momento
avevo ipotizzato un tracciato, quasi di tipo accademico, per linsieme ne risultato
debole, senza tensioni reciproche mentre quello che conta principalmente lassolutezza del manufatto e, non a caso, mi sono poi inventato questo tema, che forse ho
preso da altri: le zolle.
Pare che Rossi abbia usato questo termine a un certo punto nei Quaderni
Azzurri
Non saprei, la cosa che mi ricordo di Rossi che si arrabbi molto durante un intervento a Trieste al congresso dellINU. Ma non parl di zolle. Disse che a fronte delle
grandi ipotesi urbane si doveva tornare, per la costruzione della citt, a pochi e semplici elementi: un ponte, una strada ed alle loro relazioni reciproche.
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Non c larchitettura urbana, per cui sarebbe urbano ci che ha un tracciato, con i
suoi ascendenti nei Greci, Assiro Babilonesietc.
Se ci sono questi elementi semplici e ben fatti allora si pu raggiungere lequilibrio cercato e la cosa fatta. Quindi quello che conta sono gli edifici e come sono fatti. questa la questione!
Poi in rapporto alla citt questa riuscita compiutezza dellarchitettura che cosa stabilisce come rimando allidea della citt nella sua crescita e nel suo complesso?
Questa zolla che si viene a formare in maniera quasi autonoma con la sua logica
interna cosa diventa?
meccanico dire rimangono le coseChe cos che rimane uguale allinterno e allesterno, secondo me solo un aspetto, il resto determinato da condizionamenti esterni, anche non istituzionali o da autocondizionamenti che un determinato ambiente e
una determinata condizione urbana stimola.
Alcuni di noi hanno creato involontariamente un equivoco su Rossi e sullarchitettura
rossiana: quelle sue conformazioni che sono nuove, originali e prendono le mosse da
altre fonti e sicuramente non dallesistente. Rossi parte a suo modo da autori e condizioni particolari. Il pezzo di Bonfanti5 su come studiare Rossi bello ma non va a fondo, io mi chiederei ad esempio Che cosa deve Rossi a Breton? bisognerebbe partire
da alcuni suoi progetti specifici. Ma di quale periodo?
Se un periodo intermedio (prima che va in America) in cui ci stanno degli accostamenti di corpi che nascono dalla pura geometria, ma che invece secondo me nascono dentro le architetturazioni dei riferimenti (tipo Breton). Il fatto che poi questa
roba, questi materiali diventano nei progetti di Rossi una cosa bella perch opera delle scelte precise selezionando in specifici momenti allinterno di questa enorme mole
di materiali.
Lei professore ha avuto alcune importantissime occasioni di lavoro in collaborazione con Vittorio Gregotti pi che con Aldo Rossi. Ebbene, Gregotti, in relazione sia
allesperienza della Triennale del 1973, sia pi in generale al progetto culturale della cosiddetta Tendenza manifestava una sorta di profondo scetticismo. In quelle
occasioni di cui sopra, cosa le ha trasmesso quellatteggiamento di Gregotti? Cosa
accomunava e cosa distingueva il vostro pensiero a proposito del progetto rossiano? Un esempio per tutti! Nel dibattito su Controspazio6 successivo alla mostra
lei usa lespressione filo conduttore, mentre Gregotti dice filo ingarbugliato.
Mi piacerebbe avere il suo punto di vista sullargomento cos come sapere se vi
mai capitato di parlarne direttamente, magari, in una fittissima discussione a tre
(con Purini intendo).
Gregotti, essendo un figlio di lanieri del novarese, si consentiva una attivit professionale gi allora di alto livello, con Pierluigi Cerri e Emilio Battisti. Gregotti una persona
di livello e capisce immediatamente e prima di altri le questioni di fondo. Gregotti una
persona forte con una notevolissima cultura. Persone come Gregotti se avessero lavorato di meno, ma pur sempre con riconoscimenti seri, avrebbero potuto fare molto di
pi per la Scuola. Ho ritrovato alcuni studi per una piazza che mi affid al centro dello Zen, ma ricordo pure che dopo la Triennale mi guardava con sospetto o quanto
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Salvatore Bisogni
meno con cautela. Del resto Gregotti e Rossi appartenevano al gruppo dei ragazzi del
biliardo, degli allievi di Rogers e della sua Casabella, anche se Gregotti non rimasto rogersiano. Tra i due cera una competizione accettabile, un rispetto reciproco. Gregotti ha la forza, non sbaglia mai, non un irrequieto ed i suoi scritti recenti su la
Repubblica7 sono degni di grande rispetto. Vittorio mi ha dato molto e nella scuola di
Palermo discutevo tanto con gli studenti dello Zen avvertendo loro di approfondire criticamente la conoscenza di quel progetto per non trovarsi dopo cinquanta anni a parlarne male ipocritamente. Ho sempre difeso lo ZEN come una cosa mia personale,
anche se ho solo disegnato quella piazzettache del resto non fu mai costruita.
Come poi successo allinverso qualche anno fa a Parma dove alla Pilotta cerano i disegni del Gallaratese a fianco a quelli dello Zen
Sul Gallaratese Purini sollevava un problema di adeguatezza del pezzo di Rossi rispetto agli edifici di Aymonino. Io risposi con tutta franchezza che non ero daccordo anche
se rimaneva certo un problema di scelta tra le forme di Aymonino ed il rigore di Rossi.
Unespressione forte accomuna due suoi scritti: momenti eroici. Lei ha attraversato tutta quella stagione ed stato definito da Monestiroli uno degli ultimi maestri campani. Ecco perch la ricostruzione e lelenco dettagliato dei suoi momenti eroici potrebbe costituire lindice di una utile ricerca nel campo dellarchitettura
contemporanea. Vorrebbe provarci?
Una di quelle figure che potrebbe e dovrebbe ordinare questi momenti eroici Renato De Fusco, neo liberty agli inizi, poi allievo di Pane. Questo suo possibile ruolo lho
capito tardi, sarebbe stato molto utile al dibattito sullarchitettura ma forse stato
bloccato dallambiente napoletano. Penso che momenti eroici siano stati quei
momenti di svolta, quei lavori di Rossi o di Gregotti e tanti altri che hanno cambiato,
rinnovato larchitettura con i progetti pi che la Casabella di Rogers che aveva un
taglio ideologico a partire dalla questione delle preesistenze ambientali.
Domanda conclusiva: Se un Rossi analogo, le chiedesse una o pi opere per una
mostra analoga, quale/i opere porterebbe?
Il migliore progetto che ho realizzato - perch i progetti sono belli quando si realizzano - il mercatino di S. Anna di Palazzo. Il mercatino stato accolto bene, tanto
vero che ebbi allepoca la copertina di Casabella. Se dovessi portare una mia opera porterei quella.
Quanto ha dentro il mercatino, secondo lei, del progetto del 1973?
Il tentativo di fare lurlo c, ma per certe cose cercai di essere accorto. Il progetto non
nacque immediatamente come lo vedete oggi: in un primo momento volevo fare un
edificio che sovrapponesse al mercato un volume per i valdesi cha avevano donato
alla citt il lotto dove in precedenza cera una loro chiesa crollata. Poi venne fuori lidea di distinguere il mercato dal centro civico anche se poi le botteghe al piano terra
fungevano da elemento unificante.
Il mercatino la mia cosa migliore. Poi ci sono la scuola del Traiano, e quella di via
Aquileia ed alcune case a schiera che feci per Villa di Briano, parte di un progetto pi
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ampio per il centro del paese di cui stato realizzato solo il mercato. Queste case erano simili ad altre che avevo realizzato in unaltra localit, ma con la differenza che queste erano accostate a serie chiusa mentre quelle a serie aperta.
Aggiungerei anche il Museo che sto studiando per una ricerca MIUR: ha una valenza
quasi espressionista perch per cos dire prende la Neue Nationalgalerie di Mies, che
a suo modo ha una carica espressionista e la pone al di sopra di uno zoccolo.
La difficile scommessa che accetto quella di studiare unaula su soli quattro appoggi,
e Mies non ha mai fatto unaula cos grande con soli quattro punti; ricordo solo una piccola casa8 con una figura quadrata che ha quattro pilastrini al centro di ogni lato.
Quello che pu venire fuori il rapporto tra la base e laula alla Mies, cio il problema,
lavanzamento o se volete la variazione ammissibile trovare una base adeguata per
un aula di Mies: una vera e propria citazione. Nel basamento al centro della sala ipostila ho pensato di collocare il Laocoonte di Polidoro9. Io questa statua la metto sotto
perch buia la faccenda del divino, la metto al centro fra le quattro colonne che
mantengono i pilastri dellaula superiore. Limpostazione della figura tiene tutto questo
squilibrio che fusione drammatica.
Grazie professore del tempo che ci ha concesso.
Grazie a voi.
* Salvatore Bisogni, napoletano, stato allievo di Luigi Cosenza e di Ludovico Quaroni di cui stato pure assistente a Roma assieme a Manfredo Tafuri, Antonio Quistelli, Sergio Bracco, Lucio Barbera e altri. Ha insegnato Composizione architettonica prima a Palermo con Vittorio Gregotti e poi, dai primi anni Settanta, presso la Facolt di Architettura di Napoli, dove stato direttore dellIstituto di Analisi urbana e metodologia architettonica. Ha fatto parte del
collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Composizione architettonica presso lo IUAV di Venezia ed attualmente di quello del Politecnico di Milano. Ha pubblicato numerosi saggi e ricerche: Montecalvario questione aperta, Larchitettura del limite e Periferie tra le altre, ed ha promosso la traduzione e la pubblicazione di Groszstadt Architektur
ed Hallenbauten di Ludwig Hilberseimer. Ha preso parte con Gregotti al progetto per lo Zen di Palermo ed al concorso per Vienna Sud. Tra i suoi progetti realizzati meritano di essere ricordati: la scuola media al Rione Traiano, la
scuola materna a via Aquileia ed il mercatino di S. Anna di Palazzo a Napoli. In occasione del suo pensionamento la
Facolt di Architettura di Napoli e quella di Architettura Civile del Politecnico di Milano hanno promosso due mostre
sui suoi progetti e sulla sua attivit didattica e di ricerca. Nel 2008 stato insignito di un premio per la sua attivit dallAccademia di S. Luca.
Lintervista al professore Salvatore Bisogni stata realizzata a Napoli presso il suo studio in due riprese, nel 2006 e
nel 2008. Erano presenti Ivano La Montagna, Renato Capozzi e Federica Visconti.
1. S. Bisogni, A. Renna, Il disegno della citt. Napoli, Coop. Edit. Economia e Commercio, Napoli 1974.
2. Cfr. L. Hilberseimer, Hallenbauten, Edifici ad Aula, prefazione di S. Bisogni, CLEAN, Napoli 1998.
3. Cfr. P. Valry, Eupalinos, Lanima e la danza, Il dialogo dellalbero, Mondadori, Milano 1947.
4. Cfr. G. Polesello, Care architetture. Scritti su Aldo Rossi (a cura di P. Posocco, G. Radicchio, G. Rakowitz), Allemandi, Torino 2002.
5. Cfr. E. Bonfanti, Note sullarchitettura di Aldo Rossi. Elementi e costruzione, in Controspazio, n. 10, ottobre 1970,
poi in Id. Scritti di architettura / [di] Ezio Bonfanti (a cura di L. Scacchetti), CLUP, Milano1981 e recentemente in Id.,
Nuovo e moderno in architettura (a cura di M. Biraghi, M. Sabatino), Bruno Mondadori, Milano 2001.
6. Cfr. Discussione sulla Triennale, in Controspazio, n. 6, dicembre 1973, pp. 89-92.
7. V. Gregotti, Ma larchitettura non unarte ornamentale, pubblicato su la Repubblica il 15 settembre 2008; Id.,
Quante discussioni sul moderno, pubblicato su la Repubblica il 25 giugno 2008; Id., Milano - L'Architettura che
ama la bizzarria, pubblicato su la Repubblica il 2 aprile 2008.
8. Si tratta dello studio per una casa 50x50 piedi del 1951-52.
9. Agesandro, Polidoro e Atanodoro da Rodi, a met I secolo, Morte di Laocoonte, marmo bianco scoperta nel
506 nel Palazzo Nerone a Roma, riproduzione presa dopo il restauro nel 1960 che ha tolto le parti aggiunte.
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