Jean Nouvel guest editor 2022

Urban globalisation
Looks
1073
novembre / november 2022 periodico mensile Data di uscita 04/11/2022
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Helsinki, Finland, 2022

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Novembre
November 2022
Direttore editoriale / Editorial director Walter Mariotti
A cura di / Presented by Elena Sommariva

Giulia Ricci Punti di vista / Points of view. James Stewart, Damiano Cerrone II

Alberto Mingardi Private equity. Seagram Building, New York III

GR, ES Letture / Good reads IV

Manuel Orazi Editori / Publishers. Rosanna Cappelli, Electa V

Valentina Petrucci
V Influssi / Influences. Matteo Thun, Milano / Milan VI

Alessandro Benetti Sostenibilità / Sustainability. Andrés Jaque / Office for Political Innovation + Miguel Mesa del Castillo VII

Giuseppe Basile Grafica / Graphics. Domus è stata la mia vita / Domus has been my life VIII

Paul Smith Luoghi comuni / Common places. Meccano IX

Alessandro Benetti Ospitalità / Hospitality. Lissoni Casal Ribeiro, Beijing, China X

GR Recensioni / Reviews. Lisbon Architecture Triennale XI

ES Arte pubblica / Public art. Anila Rubiku, Vierzon, Francia / France XII

ES Bambini / Kids. Delve Architects, Londra / London XIII

Silvana
v Annicchiarico Talenti / Talents. Olga Flór, Eindhoven, Paesi Bassi / the Netherlands
T XIV
Antonio Armano Aziende / Companies. Occhio, Monaco di Baviera, Germania / Munich, Germany XV
Bianca Pichler Interni / Interiors. Paradisiartificiali, Milano / Milan XVII

Loredana Mascheroni Illuminazione / Lighting. Alberto e/and Francesco Meda, Foscarini XVIII

Massimo Valz-Gris Complementi / Accessories. Mono, PLH XIX

LM Ibridi / Hybrids. Gionata Gatto, JCP Universe XX

Marina Jonna Fiere / Fairs. Habitat Valencia XXI

Cristina Moro Mnemosine. Storie di oggetti / Stories of objects. Rodolfo Bonetto, iGuzzini XXII
Andrea Bajani Case d’altri / Others’ houses. Scrivere è macchiarsi la camicia mangiando / XXIII
Writing is staining your shirt while you’re eating

Market
k news
La Marzocco, J&A Consultants XXV

Inserto / Insert

MVG Edison Next. La grande bellezza dell’energia / The great beauty of energy XXVIII

Rassegna

Marianna Guernieri Spazi del lavoro / Work places XXXVIII

Marziani / Martians
Walter Mariotti
W Giordano Bruno Guerri XLIX

Inserto / Insert

MVG Luiss. Università italiana, visione globale / An Italian university, a global vision L

A destra: schizzi di Gionata

Gatto per i vasi della serie
Coloniae, prodotti da JCP
Universe (vedi pagina XX)

•Right: design sketches

by Gionata Gatto for the
Coloniae series of vases,
manufactured by JCP
Universe (see page XX)
II DIARIO
Punti di vista / Points of view
Progettare la città con i dati
I dati sono una grande risorsa per disegnare città
migliori. Come applicarli alle città reali e non solo alle
smart city? Rappresentano adeguatamente i cittadini?
Ne parlano James Stewart e Damiano Cerrone
Data is a great resource for designing better cities.
How can we apply it to real cities and not just smart
cities? Does it adequately represent citizens? James
Stewart and Damiano Cerrone discuss this
James Stewart Damiano Cerrone
Insegna all’Università di È un urbanista ed è fra
Edimburgo e all’Institute for i fondatori di SPIN Unit,
Science, Technology and una società di ricerca
Innovation. È tra i fondatori e innovazione urbana con
dell’Edinburgh Living Lab (2013). sedi a Helsinki e a Tallinn.
• Stewart is a lecturer at the • Cerrone is an urbanist
University of Edinburgh and the and co-founder of SPIN Unit,
Institute for Science, Technology an urban research and
and Innovation. He co-founded innovation practice based in
the Edinburgh Living Lab in 2013. Tallinn and Helsinki.
Bernardo Rodriguez / SVA, School of Visual Arts, New York
Questo mese, le illustrazioni delle rubriche Punti di vista e Case
d’altri nascono dalla collaborazione con SVA, che ha scelto per
Domus un suo ex studente, Bernardo Rodriguez. Nato nella
Repubblica Dominicana nel 1996, Rodriguez si è trasferito a
New York nel 2002. Nel 2018 si è laureato in Illustrazione presso
la Syracuse University e, nel 2022, ha ottenuto un master in
Illustration Visual Essay presso la SVA, oltre al Paula Rhodes
Memorial Award for Excellence per l’illustrazione.
• This month, the illustrations in the Points of view and Others’
houses columns originate from the collaboration with SVA, which
for Domus has chosen one of its alumni, Bernardo Rodriguez.
Born in the Dominican Republic in 1996, Rodriguez moved to New
York in 2002. In 2018 he graduated in illustration from Syracuse
University, and in 2022 he received an MFA from SVA’s Illustration
as Visual Essay programme, with the Paula Rhodes Memorial
Award for Excellence in Illustration.
Testo / Text
Giulia Ricci
James Stewart Mi sono avvicinato al
Living Lab Movement a metà degli anni
2000. L’obiettivo dei Living Lab è mediare
tra comunità, governi e stakeholder,
usando i dati per migliorare le città.
All’epoca il concetto di dati veniva
promosso come il futuro per le smart
city. Noi, invece, volevamo applicarlo
alle città reali. È difficile, perché lo stesso
modello non funziona per ogni città.
Tutte le amministrazioni municipali
raccolgono dati, ma spesso questi non
vengono trasformati in informazioni utili
(evidence). Abbiamo iniziato a lavorare
a questi progetti subito dopo la crisi
del 2008, cioè quando i finanziamenti
governativi sono stati pesantemente
tagliati. Le istituzioni pubbliche hanno
così perso la capacità di lavorare i dati e
oggi devono rivolgersi a società private.
Per altre realtà interessate – come la
polizia, gli operatori sociali o le società dei
trasporti – il problema sta nel fatto che
non hanno possibilità di condividere le
banche dati per ragioni di riservatezza.
Questo per dare un’idea del contesto in
cui ci muoviamo.
Damiano Cerrone Mi ritrovo in queste
osservazioni, ma nei Paesi scandinavi
la situazione è forse opposta: i Governi
stanno investendo abbondantemente
nella digitalizzazione e abbiamo così
troppi dati. I politici oggi tendono a
scegliere policy guidate solamente dai
dati, mentre noi promuoviamo invece un
approccio informato dai dati. Non conta
quanti ne abbiamo a disposizione se
non hanno significato per le persone.
Perciò, per colmare questo divario, il
nostro lavoro consiste nel fondere big
data e thick data con campagne di
crowdsourcing e con la creazione di
significati condivisi.
JS In fin dei conti, i dati sono integrati in
un processo di analisi e classificazione
per creare informazioni utili a orientare le
decisioni. Bisogna sempre chiedere chi
può realizzare questo processo, chi abbia
il potere di farlo e in che modo si possano
aiutare le parti interessate a produrre
informazioni utili a influenzare le decisioni.
Se queste informazioni mancano, le
decisioni diventano puramente politiche.
L’idea di base è dare voce a chi non
riesce a farsi ascoltare, soprattutto in
termini quantitativi. La definizione di dati Nel momento stesso in cui si entra nel
è ancora ambigua, dobbiamo capire che
senso darle.
DC Quello che stai evidenziando è
importante. I dati vanno processati
collettivamente, a livello delle comunità,
perché possono raccontare storie
contraddittorie a seconda del contesto.
La presenza di bar e ristoranti in una parte i dati verranno utilizzati contro di te,
di città, per esempio, può suggerire un
ambiente eterogeneo ma, se gli esercizi
domus 1073 Novembre November 2022
Illustrazione / Illustration
Bernardo Rodriguez
sono riclassificati secondo i servizi, può
emergere che lo stesso spazio urbano
sia monocorde, che offra solo attività per
il tempo libero. Credere in una “scienza
urbana” generale è problematico,
perché le città sono troppo complesse.
È il motivo per cui l’analisi sociale è
necessaria: noi organizziamo sessioni di
sense-making con cittadini e stakeholder
(in presenza o con media come la
piattaforma Maptionnaire) prima di
coinvolgere i politici. Un metodo né nuovo
né sufficiente, e tuttavia essenziale.
JS Abbiamo organizzato molti di
questi incontri, formando commissioni
pubbliche con figure diverse per definire
dove occorra raccogliere dati e come
possano essere usati, stimolando il
dibattito su dati inediti. Se diventa una
pratica quotidiana sorgono dei problemi:
c’è chi si presenta continuamente perché
ha una determinata visione del mondo,
mentre altri considerano questi incontri
un modo per oliare gli ingranaggi di
soluzioni interessate.
DC Di recente, sono venuti alla ribalta
i movimenti Data Justice e Open Data.
Il movimento Open Data, orientato
verso trasparenza e libertà di accesso
ai dati (e a molto altro), ha un problema:
i dati spesso vengono rilasciati troppo
velocemente e senza considerare
possibili conseguenze negative. Rendere
pubblici i big data può favorire player già
forti invece delle comunità locali. I primi,
infatti, hanno le competenze e le risorse
per analizzare le dinamiche delle attività
urbane e umane, mentre le persone
comuni hanno a malapena gli strumenti
per accedere a questi insiemi di dati, e
ancor meno possono riuscire a dar loro
un senso. Quanto a Data Justice solo gli
esperti hanno un’idea chiara di quante
informazioni siano pubbliche e di come
usarle. Forse non ci si rende conto che
c’è anche una questione di privacy: la
pubblicazione di dati sulle infrastrutture
e sull’uso del territorio può arrivare a
toccare questoni di sicurezza nazionale.
JS Credo che ci siano due equivoci.
Il movimento Data Justice sostiene
che il pregiudizio stia nei dati e che i dati
non rappresentino adeguatamente gli
individui marginalizzati, ma è il contrario.
contesto dello Stato sociale si viene
sottoposti a un massiccio rilevamento di
dati a scopo di controllo e di profilazione.
Dall’altra parte, chi già usa gli Open Data
possiede competenze e risorse per
usare questi dati a proprio personale
beneficio. In generale, credo che il
problema stia a monte: se sei vulnerabile,
non importa quanto un set di dati sia
perfettamente imparziale.
domus 1073 Novembre November 2022
Designing the city with data
James Stewart I got involved in
the Living Lab Movement in the mid-
2000s. The challenge of Living Labs is
to operate as intermediaries among
communities, governments and a series
of stakeholders, and use the data as a
means to make the city better. At the
time, the concept of data was heavily
promoted as the future in smart cities;
instead, we wanted to understand
what it meant in the context of real
cities. It’s hard to do because the same
model doesn’t work for every city.
Each municipality collects information,
but often that data is not turned into
evidence. We started working in these
projects right after the 2008 crisis, and
that’s when government funding was
massively cut. Therefore, public entities
then lost capacities to work on data.
Today they must commission private
companies. With other stakeholders,
such as the police, social workers or
transportation companies, the problem
is that they’re not allowed to share
databases because of data protection.
This is to give a sense of the world we
live in.
Damiano Cerrone I can connect with
this, although here in Nordic countries
it’s probably the opposite: governments
are heavily investing in digitalisation and
we end up having too much data. What is
happening is that policymakers are now
tending towards data-driven policies,
while we want to shift towards data-
informed ones. It doesn’t matter how
much data we have if it doesn’t matter to
people. So, to bridge this data-relevance
gap, we merge big data and thick data
through crowdsourcing campaigns and
collective sensemaking.
JS In the end, data is used to create
evidence for decision-making. Evidence
is what is obtained when data is
incorporated into an evidence process.
We should always ask who can produce
it, who has the power, and how we
need to support players to produce
evidence that will influence decision-
making. If we don’t have evidence, then
decision-making is just political. The idea
behind this is to give voice to those who
normally don’t have their voices heard,
especially in quantitative terms. The
definition of data is still slippery; we must
still understand what it could be.
DC What you are stressing is important:
we must process data collectively, at
the community level. Data can present
you with conflicting stories depending
on how it is characterised. Street cafes,
bars and restaurants in every building
might suggest a diverse environment,
but if you reclassify them according
to the activities they offer, you would
see a monotonous urban space with
only leisure activities. There’s an issue
with believing in a general “science of
cities”, because cities are too complex.
That’s why we include citizens’ science
in our research process, organising
sensemaking sessions with citizens and
stakeholders (in person or through media
such as Maptionnaire) before going to
policymakers. This method is not new or
enough, but it’s essential.
JS We did a lot of these events, putting
together different figures in public juries
to explore where data might be created,
how it might be used, and to stimulate
discussion around novel data. It takes
time and expertise to make them work. If
you start doing it as an everyday practice
it becomes puzzling: some people
continue to show up because they have
a certain vision of the world, and others
consider these meetings as a way to
oil the wheels of old stories. In these
meetings, however, you just get the same
participants as always with axes to grind.
DC Recently, the data justice and
open data movements are making
the headlines; they are coming up
together. The open data movement,
which seeks to find solutions to pressing
issues through transparency and free
access to data (and much more) has a
problem: data is often released too fast
and without assessing the negative
externalities of making it openly available.
Open big data can reinforce big players
instead of the local community. The
former have the capacity and resources
to analyse urban and human activity
patterns in cities, while common people
barely have the tools to download such
datasets, even less make sense of them.
About data justice, only experts have a
clear idea of how much information is
public and how it can be used. People
may not feel this as a privacy issue, but
open data about infrastructure and land
use can be a matter of national security.
JS I think there are two misconceptions.
About the data justice movement, it
states that bias is in the data and that
data underrepresents the marginalised,
but it’s quite the opposite. At the very
moment when you engage with the
welfare state, you are massively
overdatafied for control purposes and
profiling. On the other hand, those who
can use open data are people who
already have the power and resources
to turn that data into evidence for their
own benefit. Generally speaking, I think if
you are poor and vulnerable, data will be
used against you; it doesn’t matter if it’s a
perfectly unbiased data set.
Private equity
Seagram Building, New York
Al 375 di Park Avenue, il Seagram Building
è uno di quegli edifici che non possono
che essere a New York. Lo progettò,
assieme a Philip Johnson, Ludwig Mies
van der Rohe, uno di quegli espatriati
europei, fuggiti all’autoritarismo e alle
bombe che, nel Dopoguerra, avrebbero
reso grande l’America. Gli elementi
strutturali sono visibili dall’esterno: la
grande struttura d’acciaio portante,
la facciata continua a vetro. È noto
anche per i murales realizzati da Mark
Rothko per la sala del ristorante del
Four Seasons, al piano terra, parte dei
quali oggi sono alla Tate. Il committente
è un’azienda canadese, la Seagram,
che oggi fa parte del gruppo Coca-Cola
e all’epoca, negli anni Cinquanta, era
il più grande produttore al mondo di
alcolici. Bronzo e vetro fumé richiamano
l’eleganza setosa di un whisky torbato.
Nei 157 metri del Seagram Building c’è
qualcosa di più che l’assalto al cielo che
danno tanti grattacieli newyorkesi e non
risiede soltanto nella facciata continua
che, spiegano gli architetti, qui assume
nuove dimensioni. Sta più di tutto nella
piazza antistante, che fa parte dell’edificio
e che è una specie di sagrato, per
questa cattedrale del Novecento. È una
piazza spoglia, con un alto pennone di
bronzo e poi fontane e vasche d’acqua
rettangolari, orlate di gradini, su entrambi
i lati. Proprio queste sue caratteristiche,
come suggeriva Lewis Mumford, ci
consentono di contemplare lo spazio
stesso. Appena usciti dalla metropolitana
dall’altro lato della strada o prima di
rincorrere un taxi su Park Avenue, sul
sagrato si respira, anche se non si è tanto
fortunati da dover entrare in chiesa. In
questo, c’è il genio dei due architetti e
pure tutto il senso di una committenza
privata che non si chiude in sé stessa,
che non costruisce per sé soltanto, si
proietta verso l’esterno, partecipante
consapevole e attiva dello spazio urbano,
cui non sottrae e, anzi, offre non solo
attività, lavoro, profitto, ma anche la
bellezza, appunto, di un respiro.
DIARIO III
Testo / Text Alberto Mingardi
• Designed by Ludwig Mies van der
Rohe together with Philip Johnson, the
Seagram Building at 375 Park Avenue is
one of those skyscrapers that could only
be in New York. Van der Rohe was one
of the many European expats who had
fled from bombs and authoritarianism
and who, after the war, helped to make
America what it is today. The structural
elements can be seen from the outside,
with the load-bearing steel frame visible
through the facade of full-height plate
glass windows. It is also famous for
Mark Rothko’s murals made for the Four
Seasons restaurant on the ground floor,
some of which are today kept at the Tate.
The client was the Canadian company
Seagram, which is now part of the
Coca-Cola group and, in the 1950s, was
the world’s largest owner of alcoholic
beverage lines. Bronze and tinted glass
recall the silky elegance of peated
whisky. Standing 157 metres tall, the
Seagram Building does more than just
challenge the sky, which is the feeling
one gets from many skyscrapers in New
York, and it is not merely the facade that
takes on new dimensions. The sensation
mostly comes from its plaza, which is
part of the building and forms a kind of
parvis for this 20th-century cathedral. A
bare expanse with a tall bronze flagpole,
on both sides the plaza has stepped
rectangular pools of water with fountains.
As Lewis Mumford suggested, these
features allow viewers to appreciate the
quality of the open space. Upon exiting
the subway station or before hailing
a taxi on Park Avenue, the parvis lets
you breathe, although not everyone is
lucky enough to enter this steel temple.
Here lies the genius of both architects,
as well as the sensitivity of a private
client that was not closed in on itself.
Instead of building for self-interest alone,
it projected itself outwards as an active
and conscious participant of the urban
space, taking nothing away from it but
offering the beauty of room to breathe
along with activity, work and profit.
Photo © Christina Horsten/dpa / Alamy
IV DIARIO
Letture / Good reads
Collective
Processes
Autore / Author
Natalie Donat-Cattin
Casa editrice / Publisher
Birkhauser
Negli ultimi dieci anni, la parola collettivo
nell’ambito dell’architettura si è diffusa
prepotentemente. Da una parte ciò è
dovuto al fatto che sempre più (sedicenti
e non) collettivi hanno consolidato
la loro presenza nel dibattito, a seguito
della nascita di quelli che il libro sceglie
come ‘pionieri’ degli anni 2000,
ovvero i milanesi Baukuh, i berlinesi
Raumlabor e il network internazionale
Zuloark. Dall’altra, perché la loro
organizzazione interna e i processi che
connotano la loro produzione parlano
di valori che si sono affermati nelle
generazioni dei più giovani in contrasto
alla competizione presente negli studi di
architettura. Questo libro è fra i primi
a indagare le molteplici forme e a
tracciare il panorama dei collettivi
(europei, in particolare) fondati fra il 2009
e il 2019. GR
• Over the last ten years, the word
“collective” has become pervasive in
the field of architecture. On one hand,
this is because more and more (self-
proclaimed or otherwise) collectives
have consolidated their presence in
architectural discourse, following the
rise of those whom this book singles
out as “pioneers” from the 2000s, i.e.
Baukuh (Milan), Raumlabor (Berlin) and
the international network Zuloark. On
the other, it is because their internal
organisation and the processes that
characterise their practice speak of
values that have established themselves
in younger generations, in contrast with
the competition in architecture studios.
This is one of the first books to explore the
many forms of collectives and outline the
collective scene (especially European)
founded between 2009 and 2019. GR
LWRNTZ [work
in progress]
Autori / Authors
Mikael Olsson, Jan-Erik Lundström
Casa editrice / Publisher
Andersson Örn
Liberato dalle vocali, il cognome di uno
dei maestri del Moderno svedese diventa
il titolo di questo libro, facendosi simbolo
dell’interpretazione che accoglie. Le agili
dimensioni non devono tradire: oltre a
inaugurare la produzione di una nuova
casa editrice, la pubblicazione è un primo
estratto dell’esplorazione (per l’appunto,
in progress) che Olsson sta conducendo
sull’opera di Sigurd Lewerentz (1885-
1975). Il saggio del critico e curatore
Jan-Erik Lundström contestualizza la
ricerca e mette allo specchio fotografo
e architetto. Il libro arriva inoltre quasi in
coincidenza con la chiusura della prima
mostra completa sull’opera dell’architetto
presso ArkDes, il centro nazionale di
architettura e design di Stoccolma,
corredata da un imponente catalogo,
curato dal direttore Kieran Long e dai due
fondatori di Andersson Örn. GR
• The surname of a Swedish master of
modern architecture has been stripped
of vowels to become the title of this book,
symbolising the interpretation presented
on its pages. The volume’s slenderness
should not deceive: as well as launching
the production of a new publishing
house, the book is an initial extract of
photographer Mikael Olsson’s research
on the work of Sigurd Lewerentz (1885-
1975). The essay by critic and curator Jan-
Erik Lundström contextualises Olsson’s
study and parallels the photographer
with the architect. It was published
almost to coincide with the closing of the
architect’s first extensive show at ArkDes,
the centre of architecture and design
in Stockholm, and is accompanied by
an impressive catalogue edited by its
director Kieran Long and by Andersson
Örn’s two founders. GR
The Pliable
Plane
Autore / Author
Penelope Curtis
Casa editrice / Publisher
MACK
Nel secondo Novecento, architettura
e scultura sono termini spesso usati
per descriversi a vicenda: l’architettura
è definita scultorea, la scultura è
architettonica. Partendo da questa
constatazione, Penelope Curtis analizza
i diversi modi in cui, dal Dopoguerra, la
scultura si è infiltrata nell’architettura,
identificando il muro come luogo
privilegiato di questa intersezione.
A servizio della sua tesi, la storica
dell’arte britannica considera una serie
di tipologie di spazi diversi – bunker,
santuari, monumenti ai caduti ed edifici
pubblici –, prende in esame lo sviluppo
di materiali nuovi come il calcestruzzo,
l’opera avanguardista di artisti come
Henry Moore, Anni Albers e Costantino
Nivola. Il volume fa parte della nuova
collana di architettura lanciata
dall’editore tedesco in autunno. ES
• In the second half of the 1900s,
architecture and sculpture became
words often used to describe one
another: architecture was considered
sculptural while sculpture was seen
as architectural. Starting from this
observation, Penelope Curtis analyses
the ways in which sculpture, since
the post-war period, has infiltrated
architecture, identifying the wall as the
preferred place for this intersection. In
support of her thesis, this British art
historian considers a series of spatial
typologies – bunkers, shrines, veteran
monuments, public buildings – and
examines the development of new
materials like concrete as well as the
avant-garde work of artists such as Henry
Moore, Anni Albers and Costantino Nivola.
The book is part of a new architecture
series launched this autumn. ES
domus 1073 Novembre November 2022
Futures of
the Architectural
Exhibition
Curatori / Editors
Reto Geser, Michael Kubo
Casa editrice / Publisher
Park Books
Qual è il senso e il ruolo che le mostre
di architettura hanno e hanno avuto da
mezzo secolo a questa parte? In modo
semplice, ma non didascalico, questo
piccolo volume mette in fila una serie
di conversazioni sul tema, condotte, dal
2018 al 2021, da sette curatori (Mario
Ballesteros, Giovanna Borasi, Ann Lui,
Ana Miljački, Zoë Ryan, Martino Stierli e
Shirley Surya) invitati a tenere conferenze
pubbliche o condurre seminari con gli
studenti di alcune università statunitensi.
Piattaforme e luoghi di dibattito, ricerche
artistiche e momenti di riflessione:
le rassegne internazionali sono tutto
questo e altro ancora, e – spoiler – hanno
il compito e la responsabilità di fare
capire, anche e soprattutto ai non addetti
ai lavori, quanto gli aspetti politici e
ambientali della progettazione finiscano
per condizionare la vita di tutti noi. ES
• What is the meaning and role that
architectural exhibitions have and
have had for the past 50 years? With
a simple yet thorough approach, this
small volume lines up a series of
conversations on this topic, held from
2018 to 2021 by seven curators (Mario
Ballesteros, Giovanna Borasi, Ann Lui,
Ana Miljački, Zoë Ryan, Martino Stierli
and Shirley Surya) who were invited to
hold public conferences or seminars
with students from several American
universities. Platforms and places of
debate, artistic research and moments
of reflection: international events are all
this and more, and – spoiler alert – have
the task and responsibility of making us
understand – also and especially for non-
professionals – how much political and
environmental aspects in design end up
conditioning all of our lives. ES
domus 1073 Novembre November 2022
50U
Autore / Author
Various authors
Casa editrice / Publisher
Archis
Il 2 dicembre 1971 è la data scelta dagli
Emirati Arabi Uniti per celebrare la loro
formazione. Questo libro è il ritratto
del Paese in occasione dei suoi 50
anni, attraverso 50 persone scelte
per raccontarlo. Fra questi, Yasser Bin
Khediya, uomo d’affari e filantropo che
l’ha ideato, commissionato e sviluppato
con la grafica olandese Irma Boom.
Rem Koolhaas – che con Yasser
Bin Khediya nel 2019 ha proposto di
realizzare a Dubai un monumento per
“onorare la generosità” degli emiratini –
compare qui come ‘analista’,
al fianco di storici, scrittori, imprenditori,
astronauti, ministri, collezionisti, sarti,
fotografi, artisti, specialisti di tecnologie e
progettisti. Realizzato da una
squadra editoriale internazionale,
è corredato dalle fotografie di Charlie
Koolhaas. GR
• The United Arab Emirates chose to
celebrate its foundation on 2 December
1971. This book is a portrait of the country
on the occasion of its 50th anniversary,
described by 50 people who have been
selected to tell its story. These include
Yasser Bin Khediya, a businessman
and philanthropist who conceived,
commissioned and developed the
volume together with Dutch graphic
designer Irma Boom. Rem Koolhaas – who
with Bin Khediya in 2019 proposed the
construction of a monument in Dubai to
“honour the generosity” of the Emiratis – is
presented here as an “analyst”, alongside
historians, writers, entrepreneurs,
astronauts, ministers, collectors, tailors,
photographers, artists, technology
specialists and designers. Published with
an international team, it also includes
photos by Charlie Koolhaas. GR
Bold Ventures
Autore / Author
Charlotte Van den Broeck
Casa editrice / Publisher
Vintage Publishing
La giovane scrittrice e poetessa belga
Charlotte Van den Broeck raccoglie in
questo delizioso volume 13 “tragedie
architettoniche”, opere tanto ambiziose
quanto imperfette che, in modo più o
meno diretto, sono state fatali per la vita
dei loro stessi ideatori. Ci sono, per citare bookshop e del merchandising nei musei
un paio di esempi, la chiesa barocca
di San Carlo alle Quattro Fontane,
capolavoro di Francesco Borromini
che però non la vedrà mai ultimata, e il
teatro Knickerbocker a Washington DC
di Reginald Geare che, crollato sotto la
neve, uccise 95 persone. In un libro che
mescola memoir, storia, biografica e
critica, la figura dell’architetto assume una costruito per decenni da Francesco
dimensione epica: è un eroe romantico
che punta all’eternità attraverso edifici
che vogliono raggiungere il cielo ma, a
volte, malauguratamente, finiscono per
dissolversi tra le sue mani. ES
• In this charming volume, the young
Belgian writer and poet Charlotte Van
den Broeck gathers 13 “architectural
tragedies”, works that were both
ambitious and imperfect and that, more
or less directly, were ruinous for the lives
of their creators. To cite a few examples:
the baroque Church of San Carlo alle
Quattro Fontane, a masterpiece by
Francesco Borromini that, however, he
would never see finished, and Reginald
Geare’s Knickerbocker Theatre in
Washington, DC, that, after collapsing due
to snow, killed 95 people. In a book that
combines memoirs, history, biography
and criticism, the figure of the architect
takes on an epic dimension: a romantic
hero who strives for eternity with
buildings that seek to touch the sky but,
sometimes, unfortunately, end up slipping
through their fingers. ES
Publishers
Rosanna Cappelli, Electa
Nata a Teramo, Rosanna Cappelli ha
studiato archeologia prima a Perugia e
poi a Heidelberg prima di approdare a
Roma dove vive, dividendosi tra la sede
Electa nella capitale e quella milanese, a
Segrate. È felice di poter tornare a parlare
di editoria dopo due anni di pause forzate.
Come è arrivata all’Electa?
Nel 1997, occupandomi dei grandi musei
archeologici di Napoli e Pompei, e del
Colosseo.
Com’è evoluta la casa editrice?
Da dicembre 2019 sono amministratore
delegato, la nomina è coincisa con lo
scorporo di Einaudi, Mondadori (già
Elemond) ed Electa. Le ultime due sono
state accostate per via dei libri illustrati
Mondadori, una collana a soggetto vario
che ha fatto da ponte fra le due anime. In
futuro vorremmo riuscire a restituire al
marchio Electa la sua purezza editoriale.
È stata nominata subito prima del
Covid-19, come lo avete affrontato?
Il Covid era come una nuvola,
indecifrabile e imprevedibile, ci
chiedevamo quanto sarebbe durato
senza avere risposte. Alcune grandi
mostre, come quella sui marmi Torlonia
a Roma, erano in alto mare; altre, come
quella su Giulio Romano a Mantova,
erano allestite, ma chiuse; altre sono
saltate. Si è ridotto il perimetro dei
e abbiamo iniziato a progettare libri e
mostre impossibili, da cui è nato il gruppo
di lavoro sul movimento Bloombsbury,
ora in mostra a Palazzo Altemps e il libro
di Nadia Fusini su Virginia Woolf per la
nuova collana “A–Z”.
E per l’architettura?
Abbiamo un grande patrimonio editoriale
Dal Co: è nostra intenzione preservarlo,
magari in una veste più accessibile
come la collana “Architetti e architetture”.
Vorremmo anche integrare la ricerca
architettonica nelle grandi mostre corali,
come la recente sui Farnese a Parma
curata da Simone Verde.
DIARIO V
Testo / Text Manuel Orazi
• Born in Teramo, Abruzzo, Rosanna
Cappelli studied archaeology in Perugia
and then in Heidelberg before moving to
Rome, where she now lives, dividing her
time between the Electa HQ there and
the one in Milan, at Segrate. She is happy
to be back discussing publishing after a
hiatus of two long years.
How did you end up at Electa?
I started in 1997, working with the major
archaeological museums of Naples and
Pompeii, as well as the Colosseum.
How has Electa evolved?
I’ve been CEO since December 2009. My
appointment coincided with the split-up
of Einaudi, Mondadori (formerly Elemond)
and Electa. The latter two were merged
due to Mondadori’s illustrated books, a
series that acted as a bridge between
the two publishers. In the future, we’d like
to restore Electa’s original mission.
You were appointed right before
Covid-19. How did you deal with this?
Covid was like an indecipherable and
unpredictable cloud. We wondered how
long it would last, without getting any
answers. Some major exhibitions, such
as the one in Rome on the Torlonia works
in marble, were up in the air. Others, like
the one on Giulio Romano in Mantua,
were mounted but then closed. Others
were cancelled altogether. Museum
bookshops and merchandising came
to a standstill and we started to plan
impossible books and shows, which gave
rise to the work team on the Bloomsbury
Group, now at Palazzo Altemps, and the
book by Nadia Fusini on Virginia Woolf for
the new “A–Z” series.
And for architecture?
We have an immense legacy that
Francesco Dal Co has amassed over the
decades. It’s our intention to safeguard it,
maybe making it more accessible, like the
“Architetti e architetture” series. We’d also
like to integrate architectural research in
major group exhibitions, like the recent
one on the Farnese in Parma curated by
Simone Verde.
Photo © ???????????
VI DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Influssi / Influences Testo / Text Valentina Petrucci Ritratto / Portrait Nacho Alegre

Matteo Thun: “L’idea è sempre

un acquerello”
“Avevo circa 15, forse 16 anni. Studiavo In basso: il designer e architetto Matteo • Bottom: the designer and architect
pittura all’Accademia di Salisburgo. Thun. Sotto: Oskar Kokoschka, Sleeping Matteo Thun. Below: Oskar Kokoschka,
Woman, 1907-1908. Litografia a colori su Sleeping Woman, 1907-1908. Colour
Il mio maestro era Oskar Kokoschka”. carta, pubblicata dalla Wiener Werkstätte. lithograph on paper, published by the
È impaziente nel raccontarsi, Matteo 23,5 x 21,5 cm Wiener Werkstätte. 23.5 x 21.5 cm
Thun, classe 1952, altoatesino, architetto
e designer italiano. “Kokoschka aveva
un’ossessione per le donne, sembrava
quasi più interessato a loro che alla
pittura. Decisi così di andarmene.
Approdando alla ‘bottega’ di Emilio
Vedova, un artista strepitoso, un
interprete colto nella sua idea di libertà
e d’astrazione, così intima. La sua,
appunto. I suoi amici erano Max Ernst,
Pablo Picasso, Ettore Sottsass. Per me
fu un momento travolgente, stimolante,
soprattutto sul piano intellettuale”. Thun si
laurea in architettura presso l’Università
degli studi di Firenze, poi torna a Milano.
A fondare, proprio insieme a Sottsass, il
Gruppo Memphis. Un percorso naturale,
un viaggio sentimentale, una continuità
ordinata che lo spinge verso una materia
consorella. Dalla pittura all’architettura.
“La mia stanza da bambino, nella casa
di Bolzano dove sono cresciuto, aveva
affreschi gotici sul soffitto. Una pittura
di fine Quattrocento, primi anni del
Cinquecento. È così contemporanea
la pittura gotica. Quella senese, per
esempio, è affascinante, sofisticata”. Thun
si dilunga nella sua grande passione per
Sonia Delaunay e Rosemarie Trockel.
Un amore che definisce “sincero, la vera
idea del bello”. “Quando inizio un progetto,
Photo © Neue Galerie New York / Art Resource / Scala, Firenze / SIAE 2022

parto sempre da un acquerello poiché

ha un vantaggio: di per sé è poco preciso,
con un ampio margine di libertà nella
lettura dello stesso. L’idea è sempre
un acquerello e, quando il progetto è
concluso e i lavori sono terminati, regalo
quell’idea al committente, un ricordo del
principio e della sua evoluzione nascosta
nella sua imprecisione. Sottsass era
estremamente preciso e severo,
soprattutto nei suoi disegni, al contrario
di me. Quando non capivo, mi diceva
sempre: ‘Guarda attentamente. Tu non hai
guardato bene’”.

Matteo Thun: “The idea is
always a watercolour”
“I was around 15 years old, maybe 16.
I was studying painting at the Salzburg
Academy, and my teacher was Oskar
Kokoschka.” Born in 1952 in Alto Adige,
Italian architect and designer Matteo
Thun comes straight to the point
when retracing his past.
“Kokoschka was obsessed with
women; he almost seemed more
interested in them than in painting.
So I decided to leave. I went to the
‘workshop’ of Emilio Vedova, who
Photo © Nacho Alegre
Picasso and Ettore Sottsass. For me,
it was an amazingly stimulating time,
especially intellectually.”
Thun graduated in architecture
from the University of Florence and
then returned to Milan to create the
Memphis Group with Sottsass.
It was a natural course, a sentimental
journey, an ordered continuity that led
him to a sister discipline: from painting
to architecture. “My childhood bedroom
at my home in Bolzano, where I grew up,
had Gothic frescoes on the ceiling. It’s
a style of painting from the late 1400s,
early 1500s, and yet Gothic painting
for Sonia Delaunay and Rosemarie
Trockel. “They had a sincere and
true idea of beauty,” he says. “When
I embark on a design, I always start
from watercolours because this
technique has a distinct advantage: in
itself it’s not precise but it offers a wide
margin of freedom in interpretation.
The idea is always a watercolour, and
when the design is concluded and
the work is done, I give that idea to the
client as a souvenir of the inception
and its evolution concealed in its
imprecision. Unlike me, Sottsass
was extremely precise and rigorous,

was an incredible artist and a refined is so contemporary. Its Sienese especially with his drawings. When I
interpreter in his personal and intimate iterations, for example, are fascinating didn’t understand something, he would
idea of freedom and abstraction. He and sophisticated.” Thun also talks always say: ‘Look carefully. You didn’t
was friends with Max Ernst, Pablo at length about his great passion look the right way.’”
VII DIARIO
Sostenibilità / Sustainability
Una casa-dispositivo climatico ed
ecologico tra le colline della Murcia
Nei sobborghi di Molina de Segura,
cresciuti disordinatamente sulle colline
aride e franose della Murcia, Andrés
Jaque e il suo Office for Political Innovation
progettano una casa unifamiliare che,
pur replicando il principio dell’edificio
isolato su lotto individuale, si propone
come un manifesto potente contro il
consumo di suolo. La Rambla Climate-
House è una palafitta sospesa sul
margine accidentato di un calanco,
luogo di massima fertilità e ricchezza
biologica, solitamente sacrificato alle
esigenze di un’urbanizzazione rapida
e standardizzata. Il suo volume aereo
racchiude e protegge un vuoto di pianta
ovale, spazio delimitato dove tentare
la ricostituzione di un frammento di
ecosistema. Pensata dai suoi progettisti
come “un dispositivo climatico ed
ecologico”, la casa raccoglie le acque
piovane e le sue stesse acque grigie e ne
regola automaticamente la distribuzione
nel terreno tramite sensori di umidità e
conducibilità. Il padiglione è un’architettura
dalla forma irregolare, anch’essa ‘erosa’,
che combina con maestria estetiche
differenti: il minimalismo contemporaneo
dei colori pastello, dei pavimenti in resina
e del raffinatissimo balcon filant anulare
in marmo; il low-tech ambientalista e
contro-culturale di lamiere metalliche e
strutture a vista; l’allusione radical degli
oblò e delle finestre bombate. Case
study house dei nostri giorni, la Rambla
Climate-House ricorda le sue celebri
antecedenti losangeline per il suo
carattere sperimentale, per l’attenzione al
contenimento dei costi e per l’ambizione
di porsi come precedente e punto di
riferimento – incontri e visite regolari sono
organizzati con le comunità e le autorità
locali. Non ultimo, rievoca, madeleine
allusiva e non citazione diretta, il rapporto
panoramico tra l’intimità trasparente
dell’interno domestico e il suo intorno
brullo che fu di un Lautner o di un Ellwood.
Una differenza fondamentale, però,
allontana la casa moderna da quella
contemporanea: lì, il terreno era piano
d’appoggio e occasione per il virtuosismo
strutturale, mentre il paesaggio era il
lontano orizzonte urbano verso cui si
rivolgeva l’edificio-opera d’arte. Qui, al
contrario, l’architettura si fa infrastruttura
di supporto alla biodiversità del suolo su
cui sorge e fa fiorire da esso un minuscolo,
edenico paesaggio di prossimità.
Testo / Text Alessandro Benetti
In questa pagina: la residenza Rambla
Climate-House progetto di Andrés Jaque
/ Office for Political Innovation + Miguel
Mesa del Castillo, a Molina de Segura
(Murcia, Spagna), 2021. La casa organizza
una sequenza di spazi interconnessi
attorno a una sezione ellittica
domus 1073 Novembre November 2022
Foto / Photos José Hevia
A climate-friendly house-
device in the hills of Murcia
The suburbs of Molina de Segura sprawl
across the arid, landslide-prone hills of
Murcia. Here, Andrés Jaque and his Office
for Political Innovation have designed a
detached house that, while replicating
the principle of the isolated building on
an individual lot, serves as a powerful
manifesto against wasteful land use. The
Rambla Climate-House is raised on stilts
above the rugged edge of a gully, a place
of maximum fertility and biological wealth,
usually sacrificed to the needs of rapid
and standardised urban growth. Its airy
volume surrounds and protects the void in
its oval plan, an enclosed space intended
to recreate a fragment of the ecosystem.
Conceived by its designers as “a climate-
friendly ecological device”, the house
collects rainwater as well as its grey water,
with humidity and conductivity sensors
automatically regulating the water’s
distribution in the ground. The irregularly
shaped pavilion is itself “eroded” like the
gully. With various forms of aesthetic
mastery, it combines the contemporary
minimalism of pastel colours, resin floors
and the refined marble ring-shaped
continuous balcony; the environmentalist
and counter-cultural low-tech of sheet
metal and exposed structures; and the
radical allusions of portholes and bulging
windows. A case study house for our time,
the Rambla Climate-House recalls its
famous Los Angeles antecedents with
its experimental character, tight budget
and the ambition to serve as a precedent
and a frame of reference. Regular
gatherings and visits are organised with
communities and the local authorities.
Finally, as an allusive madeleine, not a
direct quotation, it evokes the panoramic
relationship between the transparent
intimacy of the domestic interior and
the barren surroundings of a Lautner
or Ellwood. But an essential difference
distances those modernist houses from
this contemporary home. In those cases,
the land was a level support offering
scope for structural virtuosity, and the
landscape was the distant urban skyline
faced by the building-artwork. Here, by
contrast, architecture becomes a kind of
infrastructure to support the biodiversity
of the land it rests on, enabling a small,
Edenic landscape of proximity to flourish
within it.
• This page: the Rambla Climate-House
project designed by Andrés Jaque / Office
for Political Innovation + Miguel Mesa
del Castillo, in Molina de Segura (Murcia,
Spain), 2021. The residence organises
a sequence of interconnected spaces
around an elliptical section
MAXI PANNELLI SCORREVOLI, SELF BOLD CONTENITORE. DESIGN GIUSEPPE BAVUSO
VIII DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Grafica / Graphics Testo / Text Giuseppe Basile

Mille lingue progettuali e mille visioni,

sempre nel rispetto del lettore
Nel raccontare la mia esperienza a
Domus devo partire da una premessa:
non mi piace parlare del grafico editoriale
come di un artista e, per questo, amo
il termine graphic designer perché ci
colloca nell’abito delle professioni del
progetto. Mentre un artista non sa dove
lo porterà l’opera che intraprende, io ho
chiaro in mente il risultato che desidero,
con pregi e limiti. Quando arrivai io
(1988, ndr), Domus era già una delle
riviste italiane più prestigiose di sempre,
indispensabile all’architettura, al design
e all’arte. Pensavo che ci avrei lavorato
un paio d’anni e, invece, ho visto passare
15 direttori e vissuto grandi amicizie
e grandi litigi. Non avrebbe potuto
andare diversamente, visto il rapporto
strettissimo che mi ha legato a tutti loro, 2

e ai redattori. Che poi è il legame che c’è

1 svolta fu il progetto che Simon Esterson
Ricordiamo lo storico art director di Domus, scomparso
lo scorso settembre, attraverso il suo recente intervento
ad Ascoli Piceno per i 40 anni dell’Ordine degli Architetti
The long-time art director of Domus passed away this
September, and we remember him with a talk he gave
in Ascoli Piceno for the 40th anniversary of the local
Institute of Architects
tra la grafica e l’architettura: la grafica di
una pagina è, con la sua griglia e i suoi
elementi decorativi, come la facciata di
un edificio. A Domus, anche il rapporto
con il lettore è particolare: gli architetti
capiscono il progetto grafico, sanno
valutare la qualità fotografica e quella
della carta e, ovviamente, sanno se le
pagine sono esaustive o meno. Domus
cambiò radicalmente sotto la direzione
di Vittorio Magnago Lampugnani. Con lui
arrivarono i computer e vennero portate
via le forbici, le squadre, la colla e i taglierini
che usavamo per disegnare a mano
le pagine. La rivista divenne bilingue e,
quindi, realmente internazionale. Un’altra
disegnò per Deyan Sudjic, puntando sulla
cura tipografica e la grande attenzione
alle immagini. Il giornale di Alessandro
Mendini, alla seconda direzione, invece,
lo progettai io. Alessandro aveva idee
molto chiare e puntava a quello che lui
chiamava un “neoclassicismo grafico”. In
copertina rispolverammo le illustrazioni
e proposi che, questa volta, la mano
fosse sempre la stessa. Gli feci il nome
di Lorenzo Mattotti solo per scoprire che
si conoscevano personalmente e che
ci aveva già pensato anche lui. Nel 2013,
con la direzione di Nicola Di Battista,
ebbi l’occasione di fare un grande lavoro
sulla corporate identity. Di quel periodo
è anche il progetto ambiziosissimo
“Arch and Art” che vide cinque artisti e
cinque architetti di rango cimentarsi in
un progetto comune. Infine, il 10 x 10 x 10, il
percorso decennale che sta conducendo
la rivista al centenario del 2028,
accompagnata da 10 celebri architetti-
direttori. Nonostante per la direzione di
Michele De Lucchi avessimo fatto fare
il progetto a Mark Porter, sapevo bene
che ogni direttore successivo avrebbe
richiesto modifiche importanti. E così è
stato. Cito Tadao Ando, che mi chiese una
grafica essenziale, con molti bianchi. Lui fu
entusiasta del risultato e io mi resi conto
che, di fatto, avevo rivoluzionato il progetto
originario. Che poi è quello che è sempre
successo negli ultimi 40 anni, quando
Domus ha utilizzato 1.000 lingue e 1.000
visioni diverse, ma sempre coltivando il
rispetto per il lettore.

3 4 5 6
domus 1073 Novembre November 2022
1,000 design languages
and 1,000 visions, always
respecting the reader
In discussing my experience at Domus,
I must start from a premise: I don’t like
talking about editorial graphic designers
as artists, which is why I love the term
“graphic designer”, as it places us in the
field of the design professions. While
artists don’t know where a work will lead
them, I have a clear idea of the result
I’m aiming for, with all its strengths and
limits. When I arrived here [in 1988],
Domus was already one of Italy’s most
prestigious magazines for architecture,
design and art. I thought I’d be here for
a couple of years, but instead I’ve seen
15 editors come and go, and I’ve had
great friendships as well as quarrels.
It couldn’t have been any other way,
given the close relationship that has
bound me to all of them and the editorial
staff. It’s similar to the bond between
graphics and architecture: the design
of a page is, with its grid and decorative
elements, like the facade of a building.
Domus also has a special relationship
with its readers: architects understand
a graphic design, they can assess the
quality of the photos and paper, and they
know if the pages are exhaustive or not.
Domus changed radically when Vittorio
Magnago Lampugnani became editor.
With him, computers were introduced
and scissors were thrown out, along with
the set squares, glue and cutters we
used to design the pages by hand. The
magazine became bilingual and truly
international. Another watershed was
the design Simon Esterson conceived
for Deyan Sudjic, focusing on quality
typography and images. I designed the
magazine for Alessandro Mendini’s
second editorship. Alessandro had clear
ideas and strove for what he called
“graphic neoclassicism”. We went back to
illustrations for the cover, and I suggested
that this time we should only use one
7 2004
8 fabbrica. Il Meccano piaceva ai
artist. I thought of Lorenzo Mattotti, only
to find out they knew one another and
Alessandro was already considering him
for the job. In 2013, with Nicola Di Battista
as editor, I worked a lot on corporate
identity. During that time the ambitious
“Arch and Art” project was launched,
which invited five top artists and five top
architects to develop a shared project.
Then came 10 x 10 x 10, the decade-long
project that is leading the magazine to its
100th anniversary in 2028, accompanied
by 10 prestigious architect-editors. Under
Michele De Lucchi the graphic design was
entrusted to Mark Porter, but I knew that
every successive director would make big
changes. I must mention Tadao Ando, who
wanted a streamlined design with plenty
of blank space. He was delighted with the
result and I realised I had revolutionised
the original design. And that’s what has
always happened over the past 40 years,
as Domus has used 1,000 different
languages and 1,000 visions, but always
nurtured respect for the reader.
1 “Arch and Art”, poster, 2016. 2 Copertina /
Cover Domus 801, 1999. 3, 4, 5, 6 Copertine
supplementi / Covers of the supplements
Green, Contract e / and Smart City, 2017-
2019. 7. Omaggio ad / Tribute to Alessandro
Mendini, Domus 945, 2011. 8 Copertina /
Cover Domus 1019, 2017. 9 Pierre Restany.
Il critico come artista, Editoriale Domus,
Common places
Meccano
I giocattoli creati da Frank Hornby
erano più che giochi. Nutrivano la
fantasia dei bambini, tra cui la mia.
Frank Hornby iniziò a costruire
modellini nel 1899 per i suoi due figli,
usando barrette di metallo perforate
in modo da accogliere dadi e bulloni,
asticelle e assali, tutti costruiti da lui
nel tempo libero, quando lavorava
come contabile per un importatore di
carni di Liverpool. Quando, nel 1902,
il suo datore di lavoro gli prestò
cinque sterline per brevettare l’idea,
mise in commercio la sua prima
scatola con il nome Mechanics Made
Easy, “La meccanica resa facile”.
Cinque anni dopo, cambiò il nome
in Meccano e aprì la sua prima
bambini e anche ai loro genitori, che
lo consideravano – letteralmente
– un’occupazione costruttiva,
facendolo così diventare un
popolarissimo regalo di Natale e di
compleanno. Più tardi, Frank inventò
i Dinky Toys e i trenini Hornby, e
divenne milionario.Ho ereditato la mia
scatola del Meccano da mio fratello
maggiore e ricordo di averci costruito
un sacco di cose, compresa una
moto con il sidecar e una gru con
tanto di carrucole e bracci.
Soprattutto, però, quello che mi
piaceva era il modo in cui il Meccano
insegnava a sperimentare. Si
potevano mettere insieme i pezzi
e scoprire di avere costruito una
cosa un po’ strana, il che induceva
a costruire qualcos’altro. Faceva
appello al lato di me cui piace
allontanarsi dagli schemi prestabiliti.
Incoraggio i miei designer a dipingere,
a disegnare, a ritagliare e a incollare,
e a farlo non sugli schermi del
computer su cui lavorano di solito,
ma fisicamente, in parallelo. È un
esercizio che insegna a sorprendere
se stessi: è questo che il Meccano ha
fatto per me.
DIARIO IX
Testo / Text Paul Smith
• The toys that Frank Hornby created
were far more than playthings.
They nurtured and freed children’s
imaginations, including mine. Hornby
began making models for his two
sons in 1899, using metal strips with
equidistant perforated holes that
could accommodate nuts and bolts
or shafts and axles, all of which he
made at home in his spare time
while working as a bookkeeper at a
meat-importing business based in
Liverpool. After his employer lent him
five pounds to patent his innovative
idea, he sold his first kit under the
name Mechanics Made Easy in 1902.
Five years later he changed the
name of his metal construction sets
to Meccano and proceeded to open
his first factory. Children loved them,
and so did children’s parents, who
saw these toys as – quite literally – a
constructive hobby, making them
become a very popular Christmas
and birthday present. Subsequently,
he invented Dinky Toys and Hornby
model railways, and became a
millionaire. I inherited a Meccano
kit from my older brother and I
remember making a lot of things,
including a motorbike and sidecar
and a crane complete with pulleys
and levers. But most of all, I loved the
way it taught you how to experiment.
You might put the pieces together
and find that you had made
something a bit odd, and that would
lead you on to make something
else. It appealed to the side of me
that likes getting away from the
formulaic. I have always encouraged
my designers to paint, draw, cut out
and collage – not instead of using the
computer screens on which
they normally work, but in parallel
with them. It is an exercise that
can show you how to surprise
yourself, which is precisely what
Meccano did for me.
© Paul Smith
X DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Ospitalità / Hospitality Testo / Text Alessandro Benetti Foto / Photos Tsing Lim

Un accostamento potente
tra la natura e le rovine industriali
Inaugurato a inizio 2022 per le Olimpiadi
invernali di Pechino, lo Shangri-La
Shougang Park Hotel di Lissoni Casal
Ribeiro partecipa alla riattivazione di un
sito ex industriale, rifunzionalizzando le
sue architetture di grande scala come
spazi dell’accoglienza – un tema già
affrontato dallo studio milanese per
esempio con il Mamilla di Gerusalemme
(2009) e il Conservatorium di Amsterdam
(2012). Le 282 camere si organizzano
nel Guestrooms Building, volume
parallelepipedo movimentato da fenditure
verticali, dagli aggetti di tettoie, baldacchini
e finestre ‘spesse’, oltre che dalla texture
dei suoi prospetti in mattoni. Passerelle
in quota lo collegano al Main Building
delle aree comuni, fulcro concettuale e
funzionale del progetto, che colonizza lo
scheletro di un’antica centrale elettrica.
Un’elegante facciata di vetro dalla
tessitura complessa racchiude un’aula
di circa 20.000 m2 per 20 m di altezza,
Photos © Tsing Lim @ AGENT PAY

che Lissoni Casal Ribeiro trasforma

in uno spazio piranesiano, polisemico,
controllatissimo, ma non minimalista. Al
suo interno sopravvivono as found le
monumentali strutture in calcestruzzo,
sovradimensionate e inconsapevolmente
brutaliste; galleggiano i volumi di legno
della reception e delle aree lounge, A powerful combination of as well as the textures of its brick the bars and restaurants. There is also
sospesi sull’open space dei bar e dei nature and industrial heritage exterior. Elevated bridges connect a boldly sculptural China-red winding
ristoranti; si avvita una rampa color rosso it to the Main Building with its more staircase. Here, as elsewhere in the hotel,
Cina, plastica e sgargiante. Qui, come Opened in early 2022 for the Winter communal areas. This is the conceptual references to the global (chandeliers
altrove nell’hotel, riferimenti globali (gli Olympics in Beijing, the Shangri-La and functional heart of the project, and many pieces of furniture), the
chandelier e molti arredi), locali (grafiche Shougang Park Hotel designed by which co-opts the frame of a former local (traditional Chinese graphics and
e colori della tradizione cinese) e site- Lissoni Casal Ribeiro participates in the power plant. An elegant glass facade colours) and the site-specific (exposed
specific (impianti e strutture a vista) reactivation of a former industrial site, with a complex pattern encloses a systems and frameworks) propose a
propongono un’estetica complessa per repurposing its large-scale architecture hall measuring approximately 20,000 complex aesthetic for these high-end
gli spazi del lusso contemporaneo. Echi as a hospitality venue. The Milanese square metres and 20 metres in contemporary spaces.
di raffinate architetture non-occidentali studio had already tackled this theme height. Lissoni has transformed this Echoes of refined non-Western modern
moderne e contemporanee, da Lina with the Mamilla Hotel in Jerusalem area into a Piranesi-inspired space: and contemporary architecture, from
Bo Bardi a Vo Trong Nghia, risuonano (2009) and the Conservatorium Hotel in polysemous, highly controlled but Lina Bo Bardi to Vo Trong Nghia, resound
nell’accostamento potente tra la natura Amsterdam (2012), for example. never minimalist. The interior also in the powerful combination of nature
– la vegetazione rigogliosa e lo specchio The 282 rooms are located in the incorporates the original monumental – the lush vegetation and the pool of
d’acqua – e le rovine industriali. Come Guestrooms Building, which takes the concrete structures, oversized and water – and industrial heritage. As Piero
spiega Piero Lissoni, “il Main Building è una form of a parallelepiped enlivened by unintentionally brutalist. In the reception Lissoni explains: “The Main Building is a
piazza coperta, un mercato e soprattutto vertical slits, cantilevering canopies, and lounge areas, the wooden volumes covered plaza, a market and especially a
un grande giardino d’inverno”. rooftop screenings and “thick” windows, are suspended over the open space of spacious winter garden.”

In questa pagina: Shangri-La Shougang

Park Hotel, Pechino, progetto dello studio
Lissoni Casal Ribeiro inaugurato nel 2022
in occasione delle Olimpiadi Invernali

•This page: Shangri-La Shougang Park

Hotel, Beijing, project by Lissoni Casal
Ribeiro inaugurated in 2022 on the
occasion of the Winter Olympics
XI DIARIO
Recensioni / Reviews
Visioni di futuro circolare alla
Triennale di Architettura di Lisbona
Photo © DFOX
Di fronte alle recenti crisi, prima
fra tutte quella climatica, molti dei
tanti eventi di architettura di questo
autunno riflettono sulla relazione con
l’ambiente: dalla Biennale di Tallinn
alla Triennale di Oslo.
In questo panorama, la Triennale
di Lisbona spicca perché realizza
connessioni fra diversi punti
della capitale, che già è, in sé, uno
spettacolo topografico fra Oceano
Atlantico, fiume Tago e sette colli.
Giunta alla sua sesta edizione –
che durerà fino al 5 dicembre 2022 –
quest’anno porta il titolo “Terra”
e ha come curatori Cristina Veríssimo
e Diogo Burnay.
La chiave scelta dai curatori include
visioni di futuro, ma, di fatto, si radica
nella ricerca di un sistema circolare
che possa “portare maggiore
equilibrio fra comunità, risorse e
processi”, limitando il consumo
eccessivo di risorse.
Il programma della Triennale articola
questo principio in quattro mostre,
quattro libri, tre premi e tre giorni di
conferenze (“Talk, Talk, Talk”, dal 26 al
28 ottobre) e una selezione di progetti
indipendenti.
Le mostre principali sono “Multiplicity”
curata da Tau Tavengwa e Vyjayanthi
Rao al Museo do Chiado, ‘Retroactive’
di Loreta Castro Reguera e José Pablo
Ambrosi al MAAT Central Tejo, “Cycles”
Photo © Hugo David
di Pamela Prado e Pedro Ignacio
Alonso al Garagem Sul del CCB e,
infine, “Visionaries” di Anastassia
Smirnova con lo studio olandese
domus 1073 Novembre November 2022
Testo / Text Giulia Ricci
Lisbon Architecture Triennale:
visions of a circular future
Many of the architectural events this
autumn reflect on our relationship with
the environment: from the Tallinn Biennale
to the Oslo Triennale. In this scenario, the
Lisbon Triennale stands out as it creates
connections between various locations
in the capital, a topographical wonder
between the Atlantic, the River Tagus and
its seven hills. The Triennale’s sixth edition,
until 5 December 2022, is titled “Terra” and
its chief curators are Cristina Veríssimo
and Diogo Burnay. Their visions of the
future include a circular system to “foster
greater balance between community,
resources and processes”, limiting the
consumption of resources.
This theme is explored with four
exhibitions, four books, three prizes, three
days of conferences (“Talk, Talk, Talk”,
held between 26 and 28 October) and
independent projects.
The main shows are “Multiplicity” curated
by Tau Tavengwa and Vyjayanthi Rao
at the Museu do Chiado; “Retroactive”
by Loreta Castro Reguera and José
Pablo Ambrosi at the MAAT Central Tejo;
“Cycles” by Pamela Prado and Pedro
SVESMI. Fra i quartieri più interessanti Ignacio Alonso at the Garagem Sul in the
c’è Belém, che ospita sia il CCB sia CCB; and “Visionaries” by Anastassia
la ex centrale termoelettrica Central Smirnova with the Dutch studio SVESMI.
Tejo, oltre al Museo delle Carrozze One of the most interesting districts is
di Paulo Mendes da Rocha (2015) e Belém, which hosts the CCB and the
Photo © Sara Constança
l’ampliamento del MAAT di Amanda former Central Tejo power station, plus
Levete Architects (2016). the Museu dos Coches by Paulo Mendes
Questi due recenti interventi da Rocha (2015) and the MAAT upgrade
scavalcano Avenida Brasília con una by Amanda Levete Architects (2016).
serie di passerelle, ricucendo la città These two recent interventions pass
consolidata al fiume. In alto: ingresso del CCB – Garagem Sul. over Avenida Brasília with a series of
Il MAAT ospita inoltre fino all’8 Sopra: “Cycles” al CCB (fino al 12.2.2023). platforms, reuniting the consolidated
Sotto, da sinistra: “Multiplicity” al MNAC
marzo 2023 “Exist/Resist – Works by (fino al 8.1.2023); “Exist Resist”, al MAAT
city by the river. Until 8 March 2023, the
Didier Fiúza Faustino: 1995–2022”, (fino all’8.3.2023) MAAT is also hosting “Exist/Resist – Works
una mostra sui 30 anni di lavoro by Didier Fiúza Faustino: 1995-2022”,
dell’architetto e artista franco- • Top: CCB – Garagem Sul entrance. a show on the French-Portuguese
Above: “Cycles” at CCB (until 12.2.2023).
portoghese, uno sguardo irriverente Below, from left: “Multiplicity” at MNAC
architect and artist’s irreverent view of
sulla contemporaneità connotato al (until 8.1.2023); “Exist Resist”, at MAAT contemporaneity characterised by a
tempo da un tono giocoso e crudo. (until 8.3.2023) playful yet crude tone.
Photo © Pedro Pina. Courtesy of EDP Foundation, MAAT
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XII DIARIO
Arte pubblica / Public art
Anila Rubiku: partire dal locale
per affrontare le ingiustizie globali
The Swing of Injustice, l’installazione
permanente che Anila Rubiku ha
realizzato a Vierzon in occasione
della terza Biennale d’architecture du
Fonds Régional d’art contemporain
(FRAC Centre-Val de Loire), è l’esito di
un percorso artistico avviato nel 2013
a Tirana nel carcere femminile di media
sicurezza Ali Demi. Qui, con lo psicologo
Jeffrey Adams, l’artista italiana di origine
albanese aveva ascoltato le storie delle
detenute, condannate nella maggior parte
dei casi per uxoricidio commesso dopo
avere subito anni di violenze domestiche.
I primi lavori frutto di quegli incontri erano
sbarre forgiate nel ferro, delicati dipinti ad
acquerello e ricami colorati su tessuto.
A distanza di quasi 10 anni, Rubiku torna
sullo stesso tema con un progetto
presentato da Elisa Fulco e Antonio
Leone dell’Associazione Acrobazie.
“Parto sempre dal locale, per affrontare
un discorso globale”, spiega. La casa di
reclusione albanese, per esempio, è stata
il viatico per affrontare questioni come la
violenza sulle donne e la parità di genere
in un mondo pensato al maschile.
“A Vierzon, ho scelto un piccolo parco
urbano tra due fiumi, e ho realizzato
un’altalena”, spiega, “che vuole essere
una metafora della fragilità della vita: se la
appesantisci troppo, finisce per crollare. È
colorata, porta un messaggio di speranza
ed è un oggetto semplice, fatto con pochi
materiali: acciaio per la struttura, legno
per le sedute e corde. Non m’interessa
che sia considerata un’opera d’arte, ma
piuttosto che sia qualcosa di utile per i
bambini del posto e i loro genitori”.
domus 1073 Novembre November 2022
Testo / Text Elena Sommariva Foto / Photo François Lauginie
Anila Rubiku: start locally
to face global injustices
The Swing of Injustice, the permanent
installation that Anila Rubiku created
in Vierzon for the third Biennale
d’architecture du Fonds Régional d’art
contemporain (FRAC Centre-Val de
Loire), is the result of an artistic journey
initiated in 2013 in Tirana at the Ali Demi
women’s correctional facility. There,
with psychologist Jeffrey Adams, the
Italian artist of Albanian origin listened to
the stories of the inmates, the majority In questa pagina: le installazioni The • This page: the installations The Swing
of whom were sentenced for killing Swing of Injustice (sopra) e Hope is the of Injustice (above) and Hope is the thing
thing with feathers (sotto) di Anila Rubiku with feathers (below) by Anila Rubiku
their partners after enduring years of fanno parte della Biennale d’architecture are part of the Biennale d’architecture
domestic violence. The first works from du Fonds Régional d’art contemporain du Fonds Régional d’art contemporain
these encounters were bars made in “Infinite Freedom: a World for a Feminist “Infinite Freedom: a World for a Feminist
iron, delicate watercolour paintings and Democracy” (fino al 1.1.2023) Democracy” (until 1.1.2023)
colourful embroideries on fabric. Almost
ten years later, Rubiku has returned to
this topic with a project presented by
Elisa Fulco and Antonio Leone of the
Associazione Acrobazie. “I always start
locally to face global issues,” she explains.
The Albanian prison, for example, was the
viaticum to tackle issues such as female
violence and gender equality in a world
seen through the eyes of men. “In Vierzon,
I chose a small urban park between two
rivers, and I built a swing,” she explains,
“which aims to be a metaphor for the
fragility of life: if you put too much weight, it
falls down. It is colourful, bears a message
of hope, and is a simple object made with
Photo © Anila Rubiku
few materials: steel for the frame, wood for
the seat and rope. I don’t care if it’s seen as
a work of art, but rather I hope it is useful
for local kids and their parents.”
vimar.com
XIII DIARIO
Bambini / Kids
Insegnare il rispetto dell’ambiente
all’asilo con il progetto sostenibile
Fondato nel 2017 da Edward Martin
e Alex Raher, Delve Architects ha il
proposito dichiarato di “portare un tocco
spensierato e personalizzabile nel
progetto di architettura”.
Come indica il nome stesso, ‘scavare’,
l’obiettivo dei due ex compagni di
università è esaminare a fondo il
processo progettuale e, collaborando
con altre pratiche, creare spazi “che
abbiano un impatto positivo sul modo
in cui viviamo e lavoriamo”. L’intenzione
viene confermata dal loro progetto
più recente, l’asilo nido The Learning
Tree di Romford, sobborgo di East
London. Nato dalla conversione di
un ex magazzino di 460 m2, si basa
sull’idea che un’architettura sostenibile
e un progetto flessibile – che invita a
esplorare lo spazio, che permette libertà
di movimento ed è aperto a molteplici
usi – possa riflettersi nell’approccio
educativo adottato dai committenti,
il cosiddetto Curiosity Approach di
chiara matrice montessoriana e
steineriana che lascia ai bambini la
massima autonomia e libertà. Storal
Learning, società leader nell’assistenza
all’infanzia e nell’istruzione, crede inoltre
che sia importante insegnare fin dalla
più tenera età il rispetto dell’ambiente
circostante, oltre a quello del pianeta
nel suo insieme. Tradotta in termini
architettonici, l’idea si concretizza per
esempio nelle partizioni vetrate, che
inondano gli ambienti di luce naturale,
e nell’utilizzo di materiali come legno,
compensato e gomma riciclata. La
scelta dei materiali è stata pensata
per fornire un progetto il più sostenibile
possibile e, allo stesso tempo, introdurre
i bambini a una varietà di materiali
e superfici che di solito non sono
contemplati per gli spazi educativi.
Alla sala da pranzo, disegnata in modo
da potervi svolgere funzioni diverse
quando non è utilizzata per mangiare,
si accede da tutte le altre stanze,
racchiuse da pareti con gli angoli
arrotondati. Le pareti divisorie curve e le
pareti con archi a tutto sesto sono tutte
rivestite di legno di pino chiaro. Gli oblò
all’interno delle pareti aggiungono un
elemento giocoso all’ambiente.
La trasformazione dell’ex edificio
commerciale in asilo è stata realizzata
in soli sei mesi facendo fronte ai vincoli
dettati dal budget contenuto.
© Delve Architects
Testo / Text Elena Sommariva
Teaching respect for the
environment at nursery
school with sustainable
design
Founded in 2017 by Edward Martin
and Alex Raher, Delve Architects aims
“to bring a lighthearted, personable
approach to architectural design”.
As the studio’s name suggests, the
goal of these two former university
companions is to take a deep dive
into the design process and, in
collaboration with other practices, to
create spaces “that have a positive
impact on how we live and work”.
This intention is borne out by their
latest project, The Learning Tree
nursery school in the East London
suburb of Romford.
Repurposing a former warehouse
measuring 460 square metres, it
invites users to explore the space while
allowing for freedom of movement and
enabling multiple uses. The underlying
idea is that sustainable architecture
and flexible design can be reflected in
the clients’ educational methodology,
the so-called Curiosity Approach
In questa pagina: l’asilo nido The Learning
Tree progetto di Edward Martin e Alex
Raher, fondatori di Delve Architects,
a Romford, sobborgo di East London.
L’architettura sostenibile e flessibile invita
a esplorare lo spazio, lasciando ampia
libertà di movimento secondo l’approccio
educativo di stampo montessoriano
adottato dai committenti
• This page: The Learning Tree nursery
school designed by Edward Martin and
Alex Raher, founders of Delve Architects,
in Romford, East London. The sustainable
and flexible architecture invites children to
explore the space, allowing great freedom
of movement according to the Montessori-
inspired educational approach adopted by
the clients
domus 1073 Novembre November 2022
Foto / Photos Fred Howarth
inspired by Montessori and Steiner
principles, which allows children the
greatest independence and freedom.
Storal Learning, a leader in childcare
and education, also believes it is
important to teach children to respect
their environment and the planet from
an early age. In architectural terms,
the idea takes shape, for example, in
the glass partitions, which flood the
space with natural light, and in the use
of natural materials such as wood,
plywood and recycled rubber.
This choice of materials is intended
to provide the most sustainable
design possible, while at the same
time introducing kids to a variety
of materials and surfaces that are
normally not used in educational
spaces. Conceived to host various
functions when not used for eating, the
dining hall is accessed by all the other
rooms, which are enclosed by walls
with rounded corners.
The curved partitions and walls with
round arches are all clad in light-
coloured pine wood.
The portholes in the walls add a playful
element to the setting.
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XIV DIARIO
Talenti / Talents
Portare comfort, calore e identità
negli spazi standardizzati
A sinistra: OIga Flór, artista e designer di
Eindhoven, fotografata in occasione della
sua mostra all’Hotel MOTTO di Vienna.
A destra e sotto: alcune opere del progetto
Under Cover che, attraverso l’arte tessile,
prova a trasformare spazi anonimi, poco
accoglienti e poco confortevoli
•Left: OIga Flór, artist and designer from
Eindhoven, photographed for her exhibition
at the Hotel MOTTO in Vienna.
Right and below: some works from her
Under Cover project that, through textile
art, seeks to transform nondescript
spaces that are not very inviting or cosy
Photo Pierre Castignola
Testo / Text Silvana Annicchiarico
Chi non ha mai provato il disagio di
trovarsi in una sala d’attesa, nei corridoi
di un ufficio pubblico o anche in un luogo
di lavoro strutturato come open space
o hot desking? Sono quasi sempre
spazi anonimi, freddi, spersonalizzati.
Poco accoglienti, poco confortevoli.
Capaci di trasferire l’anonimato del
luogo sulle persone che – sia pure
temporaneamente – in quel luogo
transitano o lavorano. Sei lì e senti che
rischi di finire per assomigliare – tuo
malgrado – al luogo in cui ti trovi. Olga
Flór, artista e designer di Eindhoven,
con il progetto Under Cover ha provato
a riportare comfort, calore e identità in
questi spazi standardizzati. L’ha fatto
sulla scorta di un’esperienza deprimente
vissuta in prima persona nel gelo di
alcuni non-luoghi. L’ha fatto ricorrendo a
un sapere antico come l’arte tessile, da
sempre legata all’idea di calore, colore
e comfort. Ha disegnato cioè stoffe di
diversi colori e ne ha fatto di volta in volta
una coperta, un arazzo o un coprisedia
per ricoprire mobili, pareti e oggetti.
“Sotto copertura” anche i luoghi più freddi
e sterili sembrano riacquistare nuova vita,
ridiventano intimi e caldi, cominciano a
ritrovare barlumi di una possibile identità.
In questo modo, però, Flór ambisce a
riscaldare non solo i nostri mobili e spazi,
ma anche a cambiare le nostre attitudini,
offrendo una possibile risposta al nostro
bisogno di calore, di avvolgimento
e – perché no – anche di fuga. Il suo
lavoro prende ispirazione dalla nostra
tendenza a trasformare costantemente
l’ambiente che ci circonda, accumulando
disordine, coprendo le pareti o addirittura
nascondendoci dietro le cose.
Le tasche delle sue stoffe, gli oggetti da
indossare e gli arazzi che coprono i muri
prolungano istantaneamente i nostri
mobili, le nostre pareti e i nostri corpi,
consentendoci di stabilire un rapporto
più stretto con l’habitat e con gli spazi in
cui trascorriamo parte del tempo della
nostra vita.
domus 1073 Novembre November 2022
Bringing comfort and identity
to standardised spaces
Who hasn’t felt uncomfortable in a
waiting room, the corridor of a public
office, or even at work in an open space
or at a hot-desking station? These are
almost always nondescript, cold and
depersonalised spaces. Neither inviting
nor cosy, they are able to transfer
the anonymity of the location to the
people who – though temporarily – pass
through or work in these places. You
are there and feel like you will end up
resembling – unwittingly – that place
where you find yourself. With her Under
Cover project, Olga Flór, an artist and
designer from Eindhoven, has tried to
restore comfort, warmth and a sense of
identity to these standardised spaces.
Her idea was prompted by depressing
first-hand experience in the anonymity
of several non-places. Using the ancient
craft of textiles, which has always been
connected to an idea of warmth, colour
and comfort, she designed fabrics with
different colours and with each of them
she made a blanket, tapestry or seat
cover for furniture, walls and objects.
When you’re “under cover”, even the
coldest and most sterile places seem
to take on new life, becoming intimate
and warm with the flicker of a potential
identity. Flór not only strives to warm
up our furniture and spaces but also
change our behaviours, offering a
possible response to our need for
warmth, envelopment and – why not
– escape. Her work is inspired by our
tendency to constantly transform our
surroundings, accumulating disorder,
covering walls or even hiding behind
things. The pockets of her fabrics,
the wearable objects and tapestries
covering walls instantaneously extend
our furniture, walls and bodies, allowing
us to establish a closer relationship with
our habitat and the spaces where we
spend a part of the time of our lives.
XV DIARIO
Aziende / Companies
Occhio, tra design, tecnologia
e cultura della luce
Photo Robert Rieger
Axel Meise, fondatore e Fondatore e designer di Occhio, dunque
imprenditore e creativo allo stesso
designer di Occhio, ne tempo, binomio molto raro rispetto al
racconta il percorso: da passato, quando il mondo era un luogo
icona del design tedesco meno complicato, Axel Meise negli anni
Novanta era proprietario di un negozio
a brand internazionale del di lampade a Monaco di Baviera.
segmento del lusso All’epoca, durante una ‘folgorazione’
avvenuta per frustrazione, ha capito
Axel Meise, founder di cosa aveva bisogno il mercato. “In
negozio si potevano trovare lampade
and designer of Occhio, di ogni genere e marca, che però non
describes his company’s dialogavano tra loro”, spiega Meise. “Nella
journey: from an icon of convinzione che la luce fosse sinonimo
di qualità della vita, abbiamo iniziato a
German design to an sviluppare un sistema di illuminazione
international luxury brand multifunzionale, coerente in termini di
forma e design. Sono partito da questa
idea e la seguiamo ancora oggi”. Nata nel
1999, Occhio è un’azienda in fortissima
espansione grazie alla qualità della
luce, al suo design premiato a livello
internazionale, al concetto di “joy of use”,
ovvero il piacere di utilizzo, e grazie infine
all’approccio olistico che la caratterizza
fin dai primi passi e che ha avuto grande
impulso e ampliamento nell’era del LED.
“Il marchio Occhio è più del solo prodotto.
Offriamo una cultura della luce, in quanto
Testo / Text Antonio Armano
crea atmosfere, emozioni e comunanza
tra le persone raccolte in un ambiente,
come accadeva nella notte dei tempi
intorno al fuoco”, racconta Meise.
“Nonostante l’innovazione tecnologica
porti un livello sempre maggiore di
complessità progettuale, oggi le lampade
Occhio si possono controllare non solo
dal telefono, ma anche con un semplice
gesto della mano, touchless e intuitivo.
Questa ‘rivoluzione culturale’ è rivolta
al professionista e all’utente finale che
viene messo in condizione di diventare
il designer della luce nel proprio spazio
vitale”. La percentuale di mercato di
Occhio è per il 70 per cento composta
da clienti privati e per il 30 per cento da
grandi progetti, anche se questi ultimi
stanno aumentando moltissimo. Nel
periodo del Covid-19, l’azienda ha preso
vento in coda, ma è difficile dire se ci
sia una relazione causale, data la forte
crescita degli ultimi anni che ha fatto di
Occhio la storia di maggior successo
a livello internazionale tra i produttori di
lampade di design nella fascia alta.
La serie più iconica è Mito, caratterizzata
dalla testa riflettente che, con la sua
circolarità, richiama l’occhio greco. “Il
domus 1073 Novembre November 2022
nostro obiettivo è l’unicità. Non facciamo
cose che esistono già”, racconta Meise.
“Prendiamo Mito: esistevano lampade
ad anello, ma la nostra si differenzia
per il suo tipico cut, ovvero un taglio, e
i comandi a sensore, che permettono
di accendere, regolare e direzionare
l’intensità con un semplice gesto”.
Mito si è arricchita della serie da tavolo
e da lettura Gioia – Gioia equilibrio,
Gioia tavolo, Gioia lettura –, presentata
quest’anno al Salone del Mobile e già
preordinata con una lista di attesa,
nonostante siano prodotti sofisticati e
costosi. L’elemento di novità è l’innovativo
braccio orientabile in qualsiasi direzione
e in altezza, con una cinetica miracolosa
e apparentemente misteriosa, essendo
privo di giunti o viti a vista. Il nome
dell’azienda e quelli dei prodotti sono
italiani. “È il Paese del design e, come
designer, mi sono appassionato all’Italia.
Naturalmente, anche il clima e lo stile
di vita hanno la loro importanza. Ho
trascorso un po’ di tempo a Firenze
quando avevo 20 anni. Anche per questa
connessione esperienziale ed emotiva
ho deciso di dare alla mia azienda un
nome italiano. In effetti, i prodotti Occhio
domus 1073 Novembre November 2022
potrebbero essere italiani per il design,
ma sicuramente sono tedeschi per
la tecnologia”. Meise mantiene viva la
passione transalpina con soggiorni
a Gargnano, sul Lago di Garda, in una
casa “piccola, ma molto architettonica”,
progettata dal tedesco Titus Bernhard.
Nel 2021 Occhio ha aperto un flagship
store a Milano in corso Monforte, la “via
della luce”. “Visitando l’Occhio store
Milano ci si rende conto che facciamo le
cose in modo completamente differente”,
dice Meise. Un altro store monobrand
è stato inaugurato a Shanghai
quest’anno nell’ambito della strategia di
internazionalizzazione. Altri seguiranno
nel 2023 a Londra, Amsterdam e Zurigo”.
Il mercato di riferimento è l’area di lingua
tedesca: Germania, Austria e Svizzera.
Anche il Benelux è molto importante, ma
l’obiettivo è coprire l’intera Europa, i Paesi
nordici e anche il Sud, a partire dall’Italia.
Da quando Goethe ha pronunciato la
famosa frase prima di morire, “Mehr
Licht” (“Più luce”), sono passati quasi
due secoli. “Più luce non significa
luce migliore. Questo è un grande
equivoco”, spiega Meise, la cui azienda
ha collaborato al restauro di Seven
Pagina a fronte, da sinistra: la lampada
Gioia equilibrio; Axel Meise, fondatore e
CEO di Occhio con la lampada Mito largo. In
questa pagina: la lampada Mito cloud
•Opposite page, from left: the Gioia
equilibrio lamp; Axel Meise, founder and
CEO of Occhio with the Mito largo lamp.
This page: the Mito cloud lamp
Palms, la villa di Thomas Mann a Pacific
Palisades, Los Angeles. “Occhio propone
gli strumenti per disegnare gli spazi con
la luce e creare la migliore atmosfera.
Ancora una volta, l’essere umano è
al centro. Un tempo, si accendeva o
spegneva la luce. Ora si può fare molto di
più: nella tecnologia di controllo avanzata,
nella qualità della sorgente luminosa LED
e nelle ottiche che servono a direzionarla.
Le lampade Occhio permettono di
‘giocare’ con la luce in base alle necessità
e alle emozioni. Per tutta la vita non ho
fatto altro che giocare con la luce: da
giovane era una grande passione, poi è
diventata anche una professione”.
Occhio, between lighting
design, technology
and culture
The founder and designer of Occhio,
Axel Meise is both a businessman and
a creative mind – a rare combination
compared to the past, when the world
was a less complicated place. In the
1990s he owned a lighting store in
Munich. At that time, during a “eureka
moment” out of frustration, he realised
what the market really needed: “In
stores you were able to find luminaires
of all kinds and brands, which however
did not dialogue with each other,”
explains Meise. “Convinced that good
light is a synonym for quality of life, we
began developing a multifunctional
lighting system, consistent in terms of
form and design. I started with this idea
and we still follow it.”
Founded in 1999, Occhio is a very
fast-growing company thanks to
its quality of light, its internationally
recognised design, its concept of the
“joy of use”, and its holistic approach
that has always made it stand out and
has had great impulse and expansion
in the LED age. “The Occhio brand is
more than just a product. We provide
a new culture of light as it creates
atmospheres, mood, emotions and
community between people, just like
around a fire since age-old times,”
says Meise. “Despite technological
innovation that brings much more
design complexity, Occhio luminaires
can be controlled not only by mobile
phone, but also with a simple gesture
of the hand – touchless and intuitive.
This ‘cultural revolution’ is aimed at
professionals as well as the final users,
who become the lighting designers of
their personal spaces.”
The company’s market is composed
of 70 per cent private clients and 30
per cent large-scale projects, even
though these are growing at a fast rate.
Covid-19 gave a tailwind to the brand,
but it is hard to say if the effect was
correlated, given the consistent growth
over recent years that has turned
Occhio into the best international
success story in the field of luxury
design luminaires.
The most iconic Occhio series is Mito.
With its circular head and thanks to its
special shape, Mito calls to mind an
exclusive piece of jewellery. “Our goal is
uniqueness. We don’t make things that
already exist,” says Meise. “Take Mito:
ringed luminaires did already exist,
but ours is different. Its characteristic,
subtly defined ‘cut’ and sensor controls
– which allow users to turn it on and
off, dim it via gesture control, and
adjust and direct the intensity with
a simple gesture – make Mito really
DIARIO XVI
unique.” Mito is enriched by the new
table and reading series Gioia – Gioia
equilibrio, Gioia tavolo and Gioia lettura
– presented this year at the Salone
del Mobile and already on pre-order
with a long waiting list, even though
the products are sophisticated and
in a high price range. The innovative
tapered arms can be moved in almost
any direction and height, with a
miraculous and seemingly mysterious
kinetic, since it has no exposed hinges
or screws. The names of the brand
and its products are Italian. “Italy is the
homeland of design and, as a designer,
I fell in love with the country. Obviously,
also the climate and the Italian lifestyle
played a certain role. I spent some time
in Florence when I was 20. Also, thanks
to this experiential and emotional
connection I decided to give an Italian
name to my company. Actually, Occhio
products could be Italian for their
design, but they are unquestionably
German for their technology.”
Meise keeps his love for Italy alive
by vacationing in Gargnano on Lake
Garda, in a “small but very architectural”
home designed by the German Titus
Bernhard.
In 2021 Occhio opened a flagship store
in Milan on Corso Monforte, the “street
of light”. “By visiting the Occhio store
Milano, you realise that we make things
in a totally different way,” says Meise.
Another flagship store was opened
in Shanghai this year as part of an
internationalisation strategy. Others
will follow in London, Amsterdam and
Zurich in 2023. The company’s principal
markets are Germany, Austria and
Switzerland. Furthermore, Benelux is
already strong. The goal is to cover all
of Europe, the Nordic Countries and
also the South, starting with Italy.
Almost two centuries have passed
since Goethe pronounced his
famous final words before dying,
Mehr Licht (“More light”). “More light
doesn’t mean better light. This is a
big misconception,” explains Meise,
whose brand has collaborated on the
restoration of Seven Palms, Thomas
Mann’s villa along the Pacific Palisades,
Los Angeles. “Occhio offers the tools
to design spaces with light and create
better atmospheres. Once again,
humans are at the centre of it all. In
the past you would turn a light on or
off. Now light does much more: with
advanced controlled technology,
with the quality of LED light sources,
and with innovative control systems.
Occhio luminaires allow users ‘to play’
with light based on need and feeling.
I’ve done nothing my entire life but
play with light: as a boy it was a great
passion, then it became a profession
as well.”
XVII DIARIO
Interni / Interiors
Un’oasi milanese tra piume di
gallina e astrattismo americano
Nell’Oasi di Ines, mini-appartamento di
36 m2 ristrutturato da Paradisiartificiali,
si condensano tanti temi di riflessione
‘milanesissimi’: la casa di ringhiera, un
abitare minimo, lo spazio personalizzato,
che parla del e al cliente. “Ci piace
interpretare il progetto con una vena
fantastica e una componente ludica”,
raccontano. Sancendo una complicità
emotiva con i committenti, creano spazi
evocativi, di forte rappresentazione
scenica, anche con budget ridotti. L’Oasi
di Ines è al quarto piano di una casa
di ringhiera, tra il vuoto dello scalo di
Porta Romana e i nuovi insediamenti
dell’area Symbiosis. Qui, in alcuni isolati
a corte d’inizio Novecento si colgono
ancora tracce di una Milano popolare
che, trasferendosi nella città, sostituì alla
vita sull’aia quella nel cortile. Da queste
suggestioni nasce il tema della zona
giorno e l’uovo, metafora della circolarità
dell’esistenza, ne diventa protagonista.
Come in un film di Kusturica, galline, piume,
uova e ricette prendono vita in cucina
nell’opera dell’illustratore ucraino Pavel
Zhovba. Con un gesto di sintesi surreale
e provocatorio, il bagno diventa invece la
location di una mostra di Ellsworth Kelly.
“Volevamo trasformare i colori delle piume,
i suoni delle stoviglie e il profumo del
bucato in esperienza percettiva, ci serviva
decostruire il visibile”. Con comuni piastrelle
colorate, Paradisiartificiali riproduce alcune
opere del maestro americano. In pochi
metri e con gesti puntuali, in un’alleanza
creativa e plurale tra autori, committenza e
fornitori, lo spazio si risignifica, prende vita e
comincia a vibrare.
domus 1073 Novembre November 2022
Testo / Text Bianca Pichler Foto / Photo Fabio Bascetta
A sinistra: la cucina con l’opera The
chicken sisters dell’illustratore ucraino
Pavel Zhovba (sopra in dettaglio) impressa
sulle piastrelle bianche 10 x 10 cm di CE.SI.
Ceramic. Sotto: il bagno trasformato in una
mostra personale di Ellsworth Kelly.
Al progetto ha contribuito la stylist
Veronica Leali
• Left: the kitchen with the work The
chicken sisters by the Ukrainian illustrator
Pavel Zhovba (detail above) printed on the
white tiles (10 x 10 cm) by CE.SI. Ceramic.
Below: the bathroom transformed into a
solo show by Ellsworth Kelly. The stylist
Veronica Leali also contributed to the
project
A Milanese oasis among
chicken feathers and
American abstraction
The Oasi di Ines, a 36-square-metre 4th-
floor flat renovated by Paradisiartificiali,
incorporates some “very Milanese”
themes: the typical casa di ringhiera,
a minimal lifestyle and a customisable
space that speaks about and to the
client. “We like designing in an imaginative
and playful way,” say the designers. By
establishing an emotional connection
with clients, they create visually impactful
spaces, also on limited budgets. Oasi
di Ines lies between the Porta Romana
railway yard and the new Symbiosis
district. Here, there are still traces of Milan’s
early 1900s working class, which, having
moved to the city, swapped farmyard life
with courtyard life. This reflection inspired
the theme of living areas and the egg,
a metaphor for the circle of life, which
becomes the protagonist. The kitchen
is animated by hens, feathers, eggs and
recipes thanks to Ukrainian illustrator
Pavel Zhovba’s The chicken sisters, while
the bathroom is the setting for a surreally
provocative show by Ellsworth Kelly. “We
wanted to turn the colours of feathers, the
sounds of pots and pans and the scent of
fresh laundry into perceptive experiences,
so we had to deconstruct the visible.”
Paradisiartificiali has recreated works
by the American artist. In a few square
metres, and in a creative and collective
alliance between designers, clients and
suppliers, the space thereby takes on new
meaning and vibrancy.
 Ona Collection

Simple as Nature
Inspired by the Mediterranean. Natural colours, pure lines and soft shapes.
This is Ona: a timeless, versatile and sustainable bathroom collection.
roca.com/ona
XVIII DIARIO
Illuminazione / Lighting
Un Luminator a 360 gradi
firmato Meda
Se si pensa a una lampada a piantana
da terra che emana luce indiretta, il
riferimento cardine è sicuramente
il Luminator, anzi, i Luminator: quello
disegnato da Pietro Chiesa nel 1933
per FontanaArte e quello di Achille e
Pier Giacomo Castiglioni per Flos del
1955. Entrambe le versioni storiche sono
accomunate da una stessa estetica
semplice e funzionale e da un ricorso
a pochi elementi assemblati, oltre che
dall’emettere la luce solo dal diffusore
superiore: una soluzione sicuramente
efficace a livello di immagine, con il suo
rimando a una torcia fuori scala, ma certo
limitante dal punto di vista illuminotecnico.
Ecco, quindi, che a quasi 70 anni dall’ultimo
Luminator Alberto e Francesco Meda
decidono di ripensarlo per Foscarini,
ampliandone la funzionalità e creando
un apparecchio illuminante capace di
emanare luce a 360°. Il loro approccio
ingegneristico si è applicato sulla
creazione di una struttura triangolare
dotata di LED: una sorta di gabbia
all’interno della quale è stato collocato un
estruso di plastica opalina che diffonde
la luce. Questo consente alla lampada
di emettere luce d’ambiente ai lati e una
luce indiretta a soffitto, mantenendo
un’estetica sobria e non esibendo
la sua complessità tecnologica, in linea
con l’approccio che contraddistingue
da sempre il lavoro di Alberto Meda,
condiviso anche da Francesco. La
tipologia di fonti di Chiaroscura varia,
per un differente apporto luminoso: sulla
sommità è inserito un LED che emana
una luce potente, indiretta, mentre lungo
La lampada Chiaroscura disegnata da
Alberto e Francesco Meda per Foscarini.
Il suo corpo sottile è composto da superfici
opache e luminose realizzate con estrusi
in alluminio (̀disponibili in rosso scuro
e titanio) e PMMA a prismi longitudinali
tutta l’altezza di uno degli estrusi di
alluminio è alloggiata una striscia LED
che produce una luce indiretta a parete
o diffusa nell’ambiente a seconda di
come viene orientata la lampada. Anche
la struttura di Chiaroscura asseconda
questo cambio di percezione visiva:
dato che è composta da tre semiarchi
che descrivono una particolare sezione
triangolare. È̀ un alternarsi di superfici
opache e luminose realizzate con estrusi
di alluminio e PMMA a prismi longitudinali,
una scelta materica che offre dei vantaggi
tecnici: il metacrilato fa infatti da diffusore
al LED ed evita i cortocircuiti. Come
il suo antecedente storico, Chiaroscura
è realizzata con pochi componenti, così
da agevolare l’assemblaggio, le
riparazioni e la sostituzione dei LED.
• The Chiaroscura lamp designed by
Alberto and Francesco Meda for Foscarini.
Its slender body is composed of matt and
luminous surfaces made with aluminium
extrusions (also available in dark red and
titanium) and longitudinal PMMA prisms
domus 1073 Novembre November 2022
Testo / Text Loredana Mascheroni
A 360-degree Luminator
signed Meda
When you think of a floor lamp that gives
off diffused light, the main reference
is unquestionably the Luminator – or
rather, the Luminators: the one designed
by Pietro Chiesa in 1933 for FontanaArte
and then the one by Achille and Pier
Giacomo Castiglioni for Flos in 1955.
Both historic versions share the same
simple and functional aesthetic and
the use of few assembled parts, as
well as a light source located on top.
This is certainly an effective solution
for its visual impact, reminiscent of
an oversized flashlight, but it is also
limiting from a technical perspective.
So, almost 70 years since the last
Luminator, Alberto and Francesco
Meda have decided to reissue one for
Foscarini, expanding its functionality
and creating a lamp that can emit light
through 360 degrees. Their engineering
approach has been applied to the
creation of a triangular structure fitted
with LEDs: a sort of cage holding an
opaline plastic extrusion that diffuses
light. This allows the lamp to give off
ambient light to the sides and indirect
light towards the ceiling, while keeping
its streamlined aesthetic without
showing off its complex technology,
which is in line with the approach that
has always characterised the work of
Alberto Meda and his son Francesco.
The type of light sources in Chiaroscura
varies to differentiate the amount
of light: an LED is fitted at the top to
give off bright yet indirect light, while
an LED strip is attached to the entire
length of one of the lateral aluminium
extrusions to produce ambient lighting
on the walls or throughout the room
depending on how the lamp is oriented.
The structure of Chiaroscura also
follows this new visual perception, since
it is composed of three semi-arches
that trace out a particular triangular
section. It is an alternation of matt
and luminous surfaces made with
aluminium extrusions and longitudinal
PMMA prisms, a choice that offers
some technical advantages. In fact,
methacrylate acts as the LED diffuser
and avoids short circuits. Just like its
historic antecedent, Chiaroscura is
made with few elements to simplify
assembly, repair and replacement.
XIX DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Complementi / Accessories Testo / Text Massimo Valz-Gris

Tutti i colori e le forme del Bauhaus

in un interruttore
Dichiaratamente ispirata alle forme e ai Switches inspired
colori del Bauhaus, Mono è l’ultima linea
by the shapes and colours
lanciata da PLH, l’azienda milanese nata
nel 2005 con l’obiettivo di trasformare la of the Bauhaus
placca di comando elettrica in un vero e The main feature of Mono lies in the use
proprio oggetto di design. of buttons that in turn conceal other
La caratteristica principale di Mono buttons, thereby managing numerous
risiede nell’utilizzare tasti che, a loro functions without a proliferation of
volta, ne nascondono altri, in modo switches. To compensate for any
da gestire numerose funzioni senza il imperfections in the wall, the backplates
proliferare di interruttori. Per assorbire are two millimetres thick, separating
le eventuali imperfezioni della parete, le them just enough from the wall to avoid
placche hanno uno spessore posteriore problems of flawed adherence.
di 2 mm che le stacca dal muro quanto The casing and buttons are made from
basta per evitare problemi di aderenza solid aluminium using CNC machines,
non perfetta. Scocche e pulsanti sono while the back is 3D printed from nylon
ricavati direttamente da un massello di filaments. The surface finish is obtained
alluminio attraverso l’utilizzo di macchine with the application of a ceramic film
a controllo numerico, mentre il retro patented by the American CeraKote
viene prodotto con la stampa 3D di company, designed to be tough and at
filamenti di nylon. La finitura superficiale the same time pleasant to the touch.
è eseguita con l’applicazione di un The basic model comprises a single
film ceramico brevettato dall’azienda round tilting button measuring
americana CeraKote, pensato per essere 59 millimetres in diameter and set at the
resistente e, allo stesso tempo, piacevole centre of a square body measuring
al tatto. Il modello base prevede un 80 x 80 millimetres.
singolo tasto tondo basculante di 59 The button’s four cardinal points
mm di diametro al centro di una scocca conceal four switches.
quadrata di 80 x 80 mm: i quattro punti A smaller button – 29 millimetres in
cardinali celano altrettanti interruttori. La diameter – can be set in the same
medesima placca può supportare un casing and rotated to control three
tasto più piccolo – 29 mm di diametro functions. There is also a rectangular
– che, ruotando, controlla tre funzioni. casing measuring 80 x 152 millimetres
C’è poi anche una scocca rettangolare in which two circular buttons
di 80 x 152 mm in cui possono essere can be set, either of the same size
montati due tasti circolari della stessa or one large and one small, in order
dimensione, oppure uno grande e uno to control 8 or 7 command functions
piccolo, in modo da garantire il controllo, respectively. Finally, there is a version
rispettivamente, di otto e sette funzioni. in which the button is combined with a
C’è, infine, una versione in cui il tasto è power socket.
abbinato a una presa. Quanto ai colori, A palette of 16 colours is available,
sono 16 quelli disponibili, scelti per avere chosen to create matching or
soluzioni cromatiche armoniche oppure contrasting chromatic combinations.
a contrasto. Anche i simboli delle funzioni The symbols of the functions can be
sono personalizzabili: le icone scelte further customised.
dal cliente possono essere incise al The icons chosen by the client can be
laser sulla corona dei tasti, così come laser engraved on the crown of the
si possono apporre loghi e fregi sulla buttons, and logos and friezes can
scocca. likewise be applied to the casing.

In questa pagina: alcune varianti di Mono,
collezione in alluminio realizzata con film
ceramico CeraKote disegnata da Enrico
Corelli, fondatore e CEO di PLH. Mono è
formalmente ispirata al lavoro di Josef
Albers, esponente di spicco del Bauhaus,
in particolare alle forme geometriche
(quadrato e cerchio) e ai colori usati
dall’artista tedesco. Restano al centro
del progetto valutazioni ergonomiche e di
semplicità d’uso
• This page: some variants of Mono, the
range in aluminium finished with a film of
CeraKote ceramic and designed by Enrico
Corelli, founder and CEO of PLH. Mono’s
forms are inspired by the work of Josef
Albers, a leading exponent of the Bauhaus,
drawing especially on the geometric
shapes (square and circle) and colours
used by the German artist. The principles
of ergonomics and simplicity are at the
heart of the project
XX DIARIO
Ibridi / Hybrids
Ripensare lo spazio
partendo dalle piante
Sono lontani i tempi in cui studiava
allo IUAV e aveva per maestri Michele
De Lucchi e Tobia Scarpa. La lezione
imparata a Venezia su come operare una
sintesi tra forma e funzione attraverso
l’oggetto non l’ha dimenticata, ma
Gionata Gatto ha poi navigato lontano
dall’industria del design, afflitta da una
frenesia che mette in moto meccanismi
che non condivide. La svolta arriva
con Stefano Mancuso e il laboratorio
di ricerca di neurobiologia delle piante
LINV, e il conseguente dottorato a Londra
il cui tema è stato la progettazione
multispecie, che postula come specie
animali e vegetali siano anch’esse
interlocutrici della società e si chiede
quindi come cambierebbero i nostri spazi
di vita e le nostre abitudini quotidiane
se includessimo anche altre specie
nella progettazione, e quali scenari
futuri di collaborazione potrebbero
delinearsi all’interno dei nostri modi di
vivere. L’ultima risposta che Gatto dà
a questa ricerca è Coloniae, una serie
di prodotti che guardano alle modalità
di interazione delle piante tra loro e a
come i complementi d’arredo possono
essere colonizzati dal verde all’interno
della casa. Ideata per JCP Universe ed
esposta allo scorso Salone del mobile
di Milano, comprende vasi, tavoli e
paravento composti da lastre di metallo
forato che permettono alle piante di
arrampicarsi e di colonizzare l’oggetto,
che da contenitore diventa contenuto.
Tutte le componenti meccaniche e le viti
sono a vista, il manufatto base è grezzo,
sarà il verde a ingentilirlo. Gli oggetti
sono quindi pensati come abitazioni
per specie vegetali che poi possono
legarsi anche a elementi circostanti e
assumere il dominio dello spazio: agenti
che definiscono un organismo ibrido
co-partecipato dall’azione umana. Il
processo creativo non è quindi riservato
al designer, ma aperto ad altre entità
la cui azione è imprevedibile. Si crea un
prototipo in costante evoluzione, un inno
alla perdita di controllo.
Testo / Text Loredana Mascheroni
Rethinking objects starting
from plants
Long past are the days when Gionata
Gatto studied at the IUAV and had
Michele De Lucchi and Tobia Scarpa
as teachers. Although he has never
forgotten all he learnt in Venice about how
to achieve a synthesis between form and
function through the object, he has since
veered away from the design industry,
which is driven by a frenzy that triggers
mechanisms he felt unable to share. His
turning point came with Stefano Mancuso
and the LINV, the laboratory for research
into plant neurobiology, followed by a
PhD in London in multispecies design
that postulates the ways plant and
animal species interact with society.
This prompted him to question how our
living spaces and everyday habits would
change if we included other species in
design, and what scope for collaboration
might be possible in the ways we live.
The most recent answer to emerge
domus 1073 Novembre November 2022
Tavolino e vasi della serie Coloniae,
design Gionata Gatto per JCP Universe.
La struttura è in lastre di alluminio
perforate con finiture in rame opaco,
bronzo opaco o argento opaco
•Table and vases of the Coloniae series,
designed by Gionata Gatto for JCP
Universe. The structure is in perforated
aluminium sheets with matt copper, matt
bronze or matt silver finishes
from Gatto’s research is Coloniae, a
series of products exploring the ways
plants interact with each other and how
greenery can colonise furnishings in the
home. Created for JCP Universe and
exhibited at the latest Salone del Mobile
in Milan, it comprises vases, tables and
screens of perforated metal sheets
that enable plants to climb up them
and colonise the object, which from a
container becomes the content. All the
mechanical components and screws
are exposed. The basic product is raw,
ready for greenery to soften it. In this way,
the objects are conceived as dwelling
places for plants, which can then also
bind to surrounding elements and start
taking over the space. They become
agents that define a hybrid organism
shared by human action. The creative
process is therefore not restricted to the
designer, but open to other entities whose
actions are unpredictable, giving rise to a
constantly evolving prototype.
A celebration of a loss of control.
Design A. Casalini
XXI DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Fiere / Fairs Testo / Text Marina Jonna

Il ritorno di Habitat a Valencia,

capitale europea del design
Giovane, creativa, piena d’arte, mondana. The return of Habitat in
Parliamo dell’affascinante Valencia che Valencia, Europe’s design
accoglie la Città delle Arti e delle Scienze
di Calatrava, la passeggiata verde dei
capital 2022
giardini del Turia, la Cattedrale, la Marina Young, creative, fashionable and brimming
di Chipperfield e Vasquez. In bilico tra with art. This is Valencia, a fascinating city
avanguardia e tradizione, Valencia that is home to the Ciudad de las Artes y
non smette mai di stupire. Soprattutto las Ciencias by Calatrava, the lush Turia
quest’anno, che la World Design Gardens, a cathedral and the Marina
Organization l’ha eletta Capitale mondiale by Chipperfield and Vasquez. Poised
del design, mostre, eventi e installazioni between innovation and tradition, Valencia
Photo Josep Gil. Courtesy of Visit Valencia

hanno animato la città rendendola ancora never disappoints. Especially this year,
più interessante e coinvolgente [1]. since the World Design Organization has
Per questa edizione ha anche riaperto chosen it as the World Design Capital,
i battenti Habitat, la storica fiera che si with exhibitions, events and installations
è presentata con tre diverse sezioni: bringing the city to life and making it even
arredamento e illuminazione; tessile; more interesting and alluring [1]. This year
cucina. Tre eventi che, su un’area also saw the reopening of the historic
espositiva di otto padiglioni e oltre 1 Habitat furniture fair, which offered three
90.000 m2 lordi, hanno riunito quasi sections: furniture and lighting, textiles,
1.000 espositori: 83 per cento di aziende and kitchens. These 3 events in 8 pavilions
spagnole e 17 per cento internazionali covering over 90,000 m2 hosted almost
per l’arredo; 89 per cento spagnoli e 11 1,000 stands. For furniture, 83 per cent of
per cento internazionali per la cucina the brands were Spanish and 17 per cent
e il tessile. L’anima iberica si è tuttavia were international, while for the kitchens
espressa soprattutto nei settori mobile e and textiles sections, 89 per cent were
luci dove sono emerse alcune tendenze Spanish and 11 per cent were international.
dell’interior design made in Spain. Prima The Iberian soul especially shone through
su tutte, la cultura del vivere en plein air, 2 in the furniture and lighting showcase,
con numerose proposte per l’outdoor, where a number of trends emerged from
come gli eleganti mobili di Ramón Esteve the made-in-Spain design universe. Above
per Vondom [8] o le lampade di David all, the culture of living “en plein air”, with
Abad per B.lux. Fortissima l’attenzione several outdoor proposals, such as Ramón
alla sostenibilità con arredi in materiali Esteve’s elegant furniture for Vondom
riciclati, come la sedia Fluit di Archirivolto [8] or the lamps by David Abad for B.lux.
per Actiu [7], fino a fioriere ricavate Great attention was paid to sustainability
all’interno di pannelli fonoassorbenti come with recycled materials, including the
OTOgreen di Rafa Ortega per Greenarea Fluit chair by Archirivolto for Actiu [7], and
[3], che ospitano piante decorative che 3 the OTOgreen planters integrated into
non necessitano di manutenzione e sound-absorbing panels by Rafa Ortega
allo stesso tempo intelligente soluzione for Greenarea [3]. Holding decorative
acustica grazie ai pannelli, anch’essi in plants that require no maintenance, the
materiale riciclato. latter are also intelligent acoustic solutions
Un altro tema emerso durante la thanks to the panels made from recycled
fiera è stata la convivialità, espressa materials. Another theme explored
attraverso sedute ampie e generose: at the fair was conviviality, expressed
Isla di Sebastian Herkner per Gandia with comfy and inviting chairs: Isla by
Blasco [2]; la sedia Oru di Patricia Urquiola Sebastian Herkner for Gandia Blasco [2]
per Andreu World [5]. Focus anche 4 5 and the Oru Chair by Patricia Urquiola for
sull’artigianalità, come nelle poetiche Andreu World [5]. Craftsmanship was also
lampade Omma firmate da Eli Gutiérrez spotlighted thanks to the poetic Omma
per LFZ, simili a foglie di luce [4]. All’interno lamps resembling leaves of light, designed
della fiera la mostra “Nude” era dedicata ai by Eli Gutiérrez for LFZ [4]. Within the fair,
giovani talenti. L’iniziativa, the “Nude” exhibition was dedicated to
che ha compiuto 20 anni, è stata celebrata young talents. The initiative, which turned
con la mostra “Nude. 20 años. 20 20 this year, was celebrated with the show
Photo © Brava

diseñadores” al Centre del Carme Cultura “Nude. 20 años. 20 diseñadores” at the

Contemporània che ospitava anche Centre del Carme Cultura Contemporània,
una personale dedicata a uno dei più 6 which also hosted a solo show on one of
interessanti talenti spagnoli, Jaime Hayon Spain’s most outstanding talents, Jaime
[6]. Il titolo “InfinitaMente” allude all’infinito Hayon [6]. The title “InfinitaMente” alluded
creativo della sua mente che prende to the creative infinity of his mind that is
spunto da qualsiasi cosa lo circondi: inspired by anything surrounding him. All
basta saperla osservare con occhi diversi he has to do is look at things from a fresh
e si trasforma in un quadro, in un arredo perspective, and anything can become a
o in uno schizzo all’interno dei suoi painting, a piece of furniture or a drawing
incredibili sketch book. in his incredible sketchbooks. A source of
Un’ispirazione, fissata in una pagina, in inspiration immortalised on a page, just
attesa di uscire e prendere forma. 7 8 waiting to take shape.
XXII DIARIO
Mnemosine
La lampada di un progettista
jazz che amava i motori
“Più sculture che oggetti e più giochi che
lampade”. Con queste parole Domus
presenta, nel luglio del 1972, le Novità
per la casa viste all’Eurodomus, la fiera
moderna che promuove il dialogo tra
design e arte e dove gli stand sono vere e
proprie installazioni d’autore.
Qui fa la sua comparsa Nitia, la lampada
che Rodolfo Bonetto (1929-1991) disegna
per iGuzzini, in metacrilato e acciaio inox.
Austera e fatta di pochi elementi, sembra
provenire da un’officina meccanica.
Bonetto – otto Compassi d’oro e una
carriera parallela come batterista jazz – è
un progettista appassionato di auto e
motori che applica la sua conoscenza
della tecnologia e dei processi produttivi
ai prodotti su piccola scala che ancora
non godono di particolare attenzione
al disegno delle forme, come motori,
elettrodomestici, sveglie, telefoni e,
naturalmente, lampade.
Nitia è pubblicata su Domus insieme
ad altre ‘colleghe’ del periodo – come la
Papera di Cini Boeri di resina poliestere e
la Cammino di Angelo Mangiarotti di vetro
opalino e acciaio cromato – lampade
che spiegano in quale direzione stiano
andando i progettisti, che piegano lamiere,
colorano resine, recuperano scarti
industriali alla ricerca di nuovi materiali
con cui realizzare oggetti pratici e dai costi
contenuti. Il risultato è un design dalle
forme semplici, evocative e geometriche,
quasi scultoree.
La lampada di Bonetto, come si vede
Photo Miro Zagnoli
dai disegni d’archivio, nasce dalla
sovrapposizione di volumi puri: sul cilindro
che accoglie la fonte di luce trova alloggio
un secondo elemento curvilineo, chiuso
da un disco che crea una luce d’ambiente.
Nelle prime ricerche il designer esita tra
una forma appuntita, come una fiamma
che arde su una base, e un volume sferico,
per poi optare per la soluzione finale:
tagliare la sfera e adoperarne solo una
porzione. Nasce così Nitia, una lampada
definita “da comodino” sulle pagine di
Domus, che produce una luce diffusa e
non si surriscalda, grazie ai fori disposti a
cerchio sul vetro, come sulle carrozzerie
delle automobili che assolvono alla
stessa funzione.
Dopo 50 anni, l’azienda marchigiana
iGuzzini rispolvera la lampada dai suoi
archivi, attualizzandone i materiali e
la fonte di luce, per abbracciare cicli
produttivi sostenibili e a minore impatto
energetico, e la include nella nuova
collezione Italian Echoes. Insieme alle
lampade Polsino di Gio Ponti (1968), Zurigo
di Luigi Massoni (1966) e Sorella (1972),
prodotta da Harvey (denominazione
originale de iGuzzini), Nitia va ad
arricchire il progetto di valorizzazione
Courtesy of iGuzzini
della storia dell’azienda, in direzione di un
“rinascimento etico ed estetico”, dove
il passato diventa uno strumento per
ridefinire il futuro.
Sopra: la lampada Nitia disegnata da
Rodolfo Bonetto nel 1971 e rimessa in
produzione quest’anno da iGuzzini nella
collezione Italian Echoes. Sotto: schizzi
originali di Bonetto dall’archivio dell’azienda,
fondata nel 1959 a Recanati, in provincia
di Macerata
Testo / Text Cristina Moro
• Above: the Nitia lamp designed by Rodolfo
Bonetto in 1971 and reissued this year by
iGuzzini in the Italian Echoes collection.
Below: Bonetto’s original sketches from the
archive of the company founded in 1959 in
Recanati, in the province of Macerata
domus 1073 Novembre November 2022
The lamp by a jazz designer
who loved engines
“More sculptures than objects, more
games than lamps.” With these words,
in July 1972 Domus presented the
new products for the home seen
at Eurodomus, the modern fair that
promoted a dialogue between design
and art, with stands that were true
designer installations. This is where the
Nitia lamp designed by Rodolfo Bonetto
(1929-1991) for iGuzzini made its debut. In
methacrylate and stainless steel, austere
and with few elements, it was something
out of a mechanic’s shop. Bonetto – with
eight Compassi d’Oro awards and a
parallel career as a jazz drummer – was
a passionate designer of cars and
engines who applied his knowledge of
technology and production processes to
small-scale objects that still today lack
deserved attention for the design of their
forms: engines, appliances, alarm clocks,
telephones and, naturally, lamps. Nitia
appeared in Domus alongside its “peers”
of the time: the Papera by Cini Boeri in
polyester resin, and the Cammino by
Angelo Mangiarotti in opaline glass with
a chrome-plated base. These lamps
illustrated the direction designers
were headed in, bending sheet metal,
colouring resins and salvaging industrial
discards in search of new materials
with which to create practical objects
at affordable prices. The result was a
design with simple, evocative, geometric
and almost sculptural forms.
Bonetto’s lamp, as can be seen from the
archive drawings, is made by overlapping
pure volumes. The cylinder that hosts the
light source also holds a second curved
element, closed by a disc that creates
an ambient light. During initial research,
the designer was undecided between
a pointed form, like a flame burning on a
base, or a sphere. He then decided to cut
the sphere and use only a part of it.
Thus Nitia was born, described by
Domus as a “bedside table” lamp that
creates soft lighting and does not
overheat, thanks to the holes forming a
circle on the glass, like the ones used in
automobiles.
After 50 years, the Marches-based
company iGuzzini has dusted off the
lamp from its archive, updating the
materials and light source to embrace
sustainable production cycles with
limited energy consumption, and
including it in the new collection Italian
Echoes. Along with the lamps Polsino by
Gio Ponti (1968), Zurigo by Luigi Massoni
(1966) and Sorella (1972), manufactured
by Harvey (the original name of iGuzzini),
Nitia will enrich the company’s story,
headed towards an “ethical and
aesthetic renaissance” where the past
becomes a tool to define the future.
La solidità è la nostra natura, il dettaglio la nostra passione.

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XXIII DIARIO domus 1073 Novembre November 2022

Case d’altri / Others’ houses Testo / Text

Andrea Bajani
Illustrazione / Illustration
Bernardo Rodriguez

Scrivere è macchiarsi
la camicia mangiando
Perché Case d’altri
Dentro le case degli altri mi sento
il personaggio di una storia che non ho scritto
io, ma in cui mi è facilissimo inserirmi.
Una casa, soprattutto se arredata,
ha sempre una trama. Gli oggetti, le foto
disposte sugli scaffali, gli arredi, raccontano
quel che c’è di più umano: trovare il proprio
posto nel mondo e fare del mondo
un posto che ci assomiglia.
Questa passione mi ha portato negli anni
a scrivere in case non mie. Scrivere di quelle
case significa scrivere di ciò che nel più
profondo cerchiamo, il senso di noi stessi
dentro una storia.
Abitare, nel senso più profondo del termine
è essere il protagonista di una storia fatta
di spazi. AB
• Why Others’ houses
In others’ houses I feel I’m a character
in a story I didn’t write, but that it’s very
easy for me to fit into.
A house, especially when furnished, always
has a plot. The objects, the photos arranged
on the shelves, the furniture, all recount
what is most human: finding our place
in the world and making the world a place
that resembles us.
Over the years, this passion has led me
to write in houses that are not mine.
Writing about those houses means writing
about what we seek in the depths, the sense
of ourselves within a story.
Living, in the deepest sense of the term,
means being the protagonist of a story made
up of spaces. AB

Nella sua casa di

Vecchiano, pur avendo
uno studio attrezzato,
perfetto e fotogenico,
Antonio Tabucchi scriveva
al tavolo della cucina, tra
le briciole rimaste lì dalla
cena prima. È la vita che
conta: la letteratura è
soltanto uno dei luoghi in
cui si manifesta

In his house in Vecchiano,

despite having a perfectly
equipped and photogenic
studio, Antonio Tabucchi
wrote at the kitchen table,
among breadcrumbs
left from dinner. All that
counts is life: literature is
simply one of the places
where it manifests itself

Andrea Bajani
Scrittore e poeta, è nato a
Roma nel 1975. Vive a Houston,
Texas, dove insegna alla
Rice University. Il suo ultimo
romanzo, finalista al Premio
Strega e al Premio Campiello,
è Il libro delle case, pubblicato
da Feltrinelli nel 2021.

• Bajani is a writer and poet.

Born in Rome in 1975, he lives
in Houston, Texas, where he
teaches at Rice University. His
latest novel, a finalist for the
Strega Prize and the Campiello
Prize, is Il libro delle case,
published by Feltrinelli in 2021.
domus 1073 Novembre November 2022
Se prendere un treno o un aereo per
andare a impiantare una storia lontano
da casa è sempre stato il mio istinto,
per molto tempo ne ho avuto uno più
praticabile: cercare, dentro la casa in cui
abitavo, il posto perfetto. Quello e quello
soltanto in cui, secondo le mie illusioni
di allora, le parole si sarebbero fidate a
uscire nel bianco senza timore di essere
impallinate dal cinismo del mondo.
Spostare il tavolo sotto una finestra,
attrezzare un angolo in sala, o persino in
corridoio, ha fatto parte per molto tempo
di quegli atti scaramantici, tipici della
categoria, che sottendono un pensiero
indicibile. Che l’anima, se così la vogliamo
chiamare, si manifesti solo in condizioni
specifiche. Che tra l’atto della scrittura e la
pratica religiosa ci sia una parentela. Che
insomma, la pagina che compare sia una
sorta di preghiera esaudita.
Inutile dire che tutto questo spostarmi
per casa e poi per il pianeta per cercare
il luogo in cui fare chiesa dimostra
soprattutto la correlazione tra scrivere
e fallire. Scrivere, semplicemente, non
sempre succede, anche se sul tuo tavolo
il sole disegna una linea perfetta, o fuori
dalla finestra ci sono le Tuileries.
Resta un fatto, però, che mi sono sempre
chiesto in quale stanza della loro casa
scrivessero gli scrittori che mi hanno
segnato. Non tanto per poi poterli
imitare, ma appunto per fare una specie
di mappatura di tutte le chiese. Per
progettare un pellegrinaggio impossibile.
Per questa ragione, entrare nella casa di
Antonio Tabucchi e restare sulla soglia del
suo studio in contemplazione è stato un
atto di devozione e di invidia.
La casa italiana di Tabucchi sta in uno
svincolo della statale che taglia in due il
comune di Vecchiano, a 20 minuti da Pisa.
È un fabbricato a due piani, una vecchia
casa contadina risistemata negli anni
Settanta. Vi si accede, in auto, con una
manovra complessa che o funziona
subito, o il resto sarà un aggiustamento
del tiro continuo o una linea sulla fiancata.
Un patio, se così lo si può definire, tra
vegetazione frondosa e un’incannucciata
che fa da garage, dà l’accesso al
pianterreno. Lì, distribuiti in un’infilata di
stanze, ci sono una sala, un soggiorno
che sfonda e in fondo fa tutt’uno con la
cucina, un ingresso e poi, per l’appunto,
lo studio. Al piano di sopra, tre stanze da
letto. Dovunque, librerie dal pavimento
al soffitto. Come edera sui muri, i libri si
erano presi le pareti di casa.
Era un paio di anni prima che Tabucchi, in
un marzo spietato, se ne andasse a stare
nel rovescio del mondo dei vivi.
Lo studio se ne stava lì, abbacinato
di luce. E mentre Tabucchi trafficava
affaccendato per casa, io me ne stavo
sulla soglia di quel mondo a guardare
quello che mi pareva uno scorcio di
sensatezza. Se c’era una stazione in cui
l’anima poteva avere voglia di scendere,
non poteva che essere quella stanza. La
scrivania lunga, l’abat-jour, una piccola
torre di libri, fogli di carta, penne e matite
raccolte. Di fronte, centinaia di volumi di
poesia, come affacciati in balcone a fare il
tifo allo scrittore seduto.
Sapevo che Tabucchi aveva scritto
Sostiene Pereira in un’estate a Vecchiano,
a inizio anni Novanta. Era legittimo,
guardando quello studio, pensare che lì
Pereira, saltato fuori dal quaderno, si fosse
poi messo a dettare.
Di quel primo soggiorno ricordo poi un
risveglio notturno, non nuovo per me, visto
che i sogni non di rado buttano giù la porta
del sonno e mi guardano attoniti dai piedi
del letto. Di solito comincio a girare per
casa per seminarli.
Quando ho fatto perdere le tracce di me,
ritorno a dormire. Ma quella notte una
luce al piano di sotto mi fece prendere
a piedi nudi la via delle scale. Quale che
fosse la ragione di quel chiarore, alla
peggio avrei bevuto un po’ d’acqua. Di
rado i sogni ti inseguono fino alla luce del
giorno, elettrica o naturale che sia. Scesi
le scale, passai accanto allo studio, che
era una specie di lago notturno, e arrivai
finalmente in soggiorno. Seduto al tavolo
di cucina, Antonio Tabucchi scriveva a
mano sopra un quaderno nero. Piedi nudi
sul pavimento, scriveva tra le briciole di
pane rimaste lì dalla cena, le tovagliette
spostate quel tanto che serviva per non
intralciare l’azione. Pur avendo uno studio
attrezzato, disposto a setting perfetto
per le foto da scrittore di rango, Tabucchi
scriveva in cucina. Solo la vita che
succede, sembrava dire quell’uomo che io
guardavo di spalle, non visto da lui, aiuta la
vita a entrare nei libri. Non c’è altro che la
vita che conta, la letteratura è soltanto uno
dei luoghi in cui si manifesta. Ma servono
le briciole di pane perché la vita si fidi a
venire, perché scodinzoli tra i nostri piedi
nudi, mentre chiediamo alle parole di farci
vivere di più.
Di quel soggiorno ricordo il suo sguardo,
quando gli passai davanti in ingresso
e dopo in uscita. Mi salutò come se la
mia presenza fosse un fatto consueto,
e al contempo come se mi vedesse dal
finestrino, mentre proseguiva chissà dove.
Tornai su, e poi mi rimisi nel letto con la
percezione molto netta che non mi ero
sbarazzato del tutto dei sogni.
Piuttosto ero passato, senza soluzione di
continuità, dai miei ai sogni di un altro: che
quella a cui avevo assistito, quella notte,
era stata un’intensa e allucinata lezione di
stile. “Non mi considero un maniaco dello
stile”, aveva detto qualche anno prima al
suo traduttore greco. “Sono disordinato
in generale, sono una persona che si
macchia la camicia mentre mangia, e
la cui scrittura, allo stesso modo, non è
proprio un portento di limpidezza”. Questo
è stile. Il resto è professionismo.
Writing is staining your shirt
while you’re eating
My instinct has always been to catch
a train or a plane to go and compose a
story far from home. But for a long time,
I did have a more workable solution.
Namely, looking for the perfect place in
the house where I lived. According to my
illusions at the time, that was the single
spot where the words would dare to come
out onto the blank page without fear of
being shot down by worldly cynicism.
For a long time, the act of moving a table
under a window, setting up a corner in the
living room, or even in the corridor, was
one of the propitiatory things I did that
were typical of my vocation and underlay
an ineffable thought: the notion that the
soul – if that’s what we want to call it – only
manifests itself in specific conditions.
And that there’s an affinity between the
act of writing and religious practice. In
short, the page that emerges is a sort of
answered prayer.
Needless to say, all this moving around
the house and later around the planet to
find a place where I could make a church
demonstrates above all a correlation
between writing and failure. Put simply,
writing doesn’t always happen, even if
the sun traces a perfect line on your table
or there’s a view of the Tuileries outside
your window. But for writers who have
left a mark on me, I’ve always wondered
in which room of the house they did their
writing. Not so much to imitate them as
to map out all their churches. To plan an
impossible pilgrimage.
This is why entering Antonio Tabucchi’s
house and standing contemplatively
at the doorway of his study was an act
of devotion and envy. Tabucchi’s Italian
house stands on a junction along the road
that cuts in half the town of Vecchiano, 20
minutes from Pisa. It’s an old two-storey
farmhouse that was converted in the
1970s. Driving up involves a complex
manoeuvre, which you either get right on
the first attempt or you end up perpetually
adjusting your aim – or scratching the side
of your car. The ground floor is accessed
via a patio – if that’s what you can call it –
between leafy vegetation and a trellis that
serves as a garage. This level contains a
hall, a living room that leads into and joins
up with the kitchen, a lobby and the study,
all arranged in an enfilade. Upstairs there
are three bedrooms. Everywhere there
are bookshelves from floor to ceiling. Like
the ivy on the outside walls, books had
taken over the interior.
It was a couple of years before Tabucchi
departed for the antipode of the world
of the living on a merciless day in March.
The study was there, dazzling with light.
While Tabucchi bustled about the house,
I stood on the threshold of that world
admiring what seemed to me to be a
DIARIO XXIV
picture of good sense. If ever there were
a station where the soul might have
wished to alight, it could only have been
that room. The long desk, the table lamp,
a small tower of books, sheets of paper,
a pile of pens and pencils. In front of the
desk were hundreds of volumes of poetry,
as if on a balcony cheering on the seated
writer. I knew Tabucchi had written Pereira
Maintains one summer in Vecchiano in
the early 1990s. Observing that study, it
was legitimate to think that here Pereira
had jumped out of a notebook and started
dictating.
Of that first stay, I recall waking up once
in the middle of the night. That wasn’t new
for me, since it’s not rare for dreams to
knock down the door of sleep and gaze
at me with astonishment from the foot of
the bed. I usually start wandering around
the house to shake them off, and when
I’ve covered my tracks I go back to bed.
But that night, a light from the ground
floor prompted me to venture barefoot
down the stairs. Whatever the reason
for the glimmer, at worst I’d have a drink
of water. Dreams seldom pursue you
towards the light of day, be it electric or
natural. I descended the stairs, walked
past the study, a sort of nocturnal lake, and
eventually reached the door to the kitchen.
Sitting at the kitchen table, Antonio
Tabucchi was writing by hand in a black
notebook. With his bare feet on the floor,
he was writing among the crumbs left
from dinner, having moved the napkins
to make room. Despite having a perfectly
equipped study, the ideal setting for one
of those distinguished author portrait
photos, he was writing in the kitchen.
Only life that happens – seemed to say the
man I was watching from behind, unseen
by him – helps life to enter books. All that
counts is life. Literature is simply one of the
places where it manifests itself.
But the breadcrumbs are necessary for
life to dare to come forward, to wag its tail
between our bare feet, while we solicit
words to make us live more fully.
Of that stay, I remember his face as I
passed him on my way in, and after as I
left. He said hi and bye as if my presence
was normal, and at the same time as
if he were looking at me through a car
window on his way to who knows where.
I went back upstairs to my bed with the
distinct sensation that I had not entirely rid
myself of my dreams. Rather, I had passed
seamlessly from my dreams to those
of another. And what I had witnessed
that night had been an intense and
hallucinated lesson in style.
“I don’t see myself as being fanatical
about style,” Tabucchi had told his Greek
translator a few years earlier. “I tend to be
messy. I’m a person who stains his shirt
while he’s eating, and whose writing is
likewise hardly a marvel of clarity.” This is
style. The rest is professionalism.
1928-2022 un mare di sorprese
Maniglia Zeus
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 the future
of cities

Four elements to explore the possible future of cities

Domusforum 2022, the 5th edition, confirms its role as an international think tank, examining and analysing future scenarios
and offering hypotheses for what remains humanity’s most extraordinary creation; the city, to all intents and purposes an
organism that, despite everything, is open, with a significant capacity to regenerate and evolve.

Domusforum 2022 is a physical and digital event taking place in the Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci
and streamed live on www.domusweb.it.

Free admission to the public on site and for the live streaming with prior registration.

Domusforum 2022 will see the participation of:

17 November 2022 Mario Abbadessa - Senior Managing Director and Country Head of Hines Italy
9.30 am - 1 pm Fabio Cancarè - Associate Director, Climate Impact and Sustainability at BCG
Alessia Cappello - Councillor for Economic Development and Labor
Policies of Municipality of Milan
Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Vishaan Chakrabarti - Founder and creative director PAU
Fiorenzo Galli - General Director of Museo Nazionale Scienza e Tecnologia
Leonardo da Vinci - Cavallerizze
Ashley Grice - CEO & Managing Director, BCG BrightHouse
Via Olona 6, Milan
Liu Thai-Ker - Founder and chairman Morrow Architects & Planners
Marek Kubik - Clean energy entrepreneur
Andrea Milani - Founder Studio Milani
Jean Nouvel - Guest editor Domus 2022
Henk Ovink - Sherpa for the UN 2023 Conference on water
Marco Rasconi - Member of Fondazione Cariplo’s Steering Board
Marco Tronchetti Provera - Executive Vice Chairman and CEO Pirelli
Nino Tronchetti Provera - Managing Partner & Founder Ambienta
Simone Venturini - Deputy Mayor for Tourism, Social Welfare, Healthcare,
Economic Development, Labour and Housing Policy

For information and to participate, visit domusweb.it

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XXV
Profumo di caffè
Le avventure imprenditoriali nasco-
no spesso dall’esigenza di ideare qual-
cosa che possa sopperire a una neces-
sità non soddisfatta, creando prodot-
ti innovativi che riescono a risponde-
re a un preciso bisogno. È proprio così
che nasce Modbar, negli Stati Uniti,
per mano di due amici, Cory Waldron
e Aric Forbing, che si erano conosciu-
ti suonando insieme con la loro band
in una piccola città del Midwest, Fort
Wayne, dove l’amore per la comunità
e lo spirito di collaborazione era, ed è,
un valore fondamentale. Cory era cre-
sciuto accompagnato dal profumo del
caffè fresco costantemente nell’aria,
come barista e torrefattore. Il suo mi-
gliore amico Aric se la cavava bene nei
lavori di riparazione, lo incuriosiva la
meccanica degli oggetti, amava smon-
tava gli aspirapolvere per capire com’e-
rano fatti. Lavorando in una fonderia
a conduzione familiare in cui si pro-
La Marzocco S.r.l.
Via La Torre, 14/H
50038 – Scarperia (FI)
T +39 055 849 191
info@lamarzocco.com
international.lamarzocco.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
ducevano componenti per l’industria
automobilistica ed elettrodomestici,
aveva imparato a conoscere i segreti
dell’ingegneria meccanica. Entrambi
non riuscivano a trovare un buon caf-
fè nella loro piccola città e non sape-
vano come far capire agli amici della
loro comunità quale fosse lo standard
di uno davvero buono. Difficile trasmet-
tere un’idea così specifica e complessa
se unire le forze e passare all’azione,
per poi lasciare al gusto il compito di
spiegare la differenza di qualità.
Il punto di partenza del processo cre-
ativo è stato porsi una semplice do-
manda: “Come si può educare un clien-
te di una caffetteria se l’unica cosa che
vede, quando ordina un caffè, è una
macchina per espresso che diventa
una barriera che gli impedisce di ca-
pire il processo di preparazione?”.
Piano piano i due amici hanno capito
di dover scandagliare un terreno mai
Smell the coffee
percorso prima da altri per ideare un
tipo di macchina per espresso che ri-
uscisse a far vivere il rito della prepa-
razione del caffè e mostrare meccani-
smi che lo regolano. Mossi dalla pas-
sione e grazie alle crescenti competen-
ze di Aric ¬- che spaziavano dalla
carpenteria metallica alla lavorazione
del legno, dall’utilizzo di macchinari
specifici fino all’informatica -, si mi-
sero al lavoro. Nacque così il primo
prototipo di Modbar: un dispositivo
da banco ideato per preparare un ot-
timo caffè, ma anche per coltivare la
convivialità delle persone. Mondar AV
Single Group nasconde tutti gli ele-
menti tecnici al suo interno e sotto il
bancone, lasciando a vista solo un ru-
binetto personalizzabile con finiture
opache, cromate e metalliche di qual-
siasi colore desiderato.
La parte a vista, che racconta le diver-
se fasi di preparazione, ha erogatori
caratterizzati da un design che richia-
ma un amplificatore per il suono: un’e-
stetica che vuole ricordare le radici e
l’amore per la musica che accomuna i
due designer. Nascono così dei dispo-
sitivi unici, tanto funzionali quanto
belli, che eliminano le barriere tra
barista e cliente, dando spazio alla
convivialità e alla condivisione. Un
sistema semplice, quanto ingegnoso,
ideato con il supporto tecnico de La
Marzocco, leader per design e innova-
zione delle macchine per caffè profes-
sionali. Un modo di rinnovare il rito
del caffè con la certezza di avere risul-
tati da veri intenditori. Perché bere e
degustare un ottimo caffè, intenso e
corposo, è un vero e proprio piacere
che sconfina in un rituale personale
ma anche sociale: per iniziare meglio
la giornata, per ricaricarsi, per socia-
lizzare oppure come pretesto per cre-
are convivialità con gli amici.
 XXVI

Entrepreneurial ventures are often

born out of the need to come up with
something that can fulfil a requirement
that has not yet been met, leading to
the creation of innovative products
that are able to respond to a specific
need. This is exactly how Modbar came
about, in the United States, invented
by two friends, Corey Waldron and Aric
Forbing, who met when they were play-
ing in a band together in a small town
in the Midwest, Fort Wayne, where a
love of community and spirit of collab-
oration were, and still are, fundamen-
tal values. Corey had grown up with
the smell of fresh coffee constantly in
the air, working as a barista and roast-
er. His best friend Aric made a good
living carrying out repair work, he was
curious about the mechanics of objects,
he loved pulling apart vacuum cleaners
so he could understand how they were
made. He worked in a family-run found-
ry which produced components for
the automotive industry and domestic totype of Modbar was born: a counter-
appliances, he knew a great deal about top machine designed for preparing
the secrets of mechanical engineering. an excellent coffee but also for culti-
Both of them found that they were un- vating relationships with people. The
able to find a really good coffee in their Modbar AV espresso system conceals
small town and didn’t know how to get all the technical elements inside and
their friends in their community to under the counter, leaving visible only
understand what the standard of a a customisable tap with a matt, chrome
truly good one was. It is difficult to or metallic finish in any colour you like.
convey something so specific and com- The visible part, that describes the
plex so they joined forces and took various stages of preparation, features
action, leaving to the experience of outlets that are characterised by a
taste the task of explaining the differ- design that is reminiscent of a loud-
ence in quality. speaker: an aesthetic that aims to
The starting point for the creative pro- reference the roots and love of music
cess was to pose a simple question: that the two designers have in common.
“How can you educate a customer in a This has given rise to unique devices,
cafe if the only thing they see when they as functional as they are beautiful, that
order a coffee is an espresso machine, eliminate the barrier between the ba-
something that becomes a barrier and rista and the customer, creating space
prevents them from understanding for sharing and conviviality. A simple
the preparation process?” Gradually yet ingenious system, conceived with
the two friends began to realise that technical support from La Marzocco,
they would have to break new ground, a leading company in the design and
going where no-one had ever gone be- innovation of professional coffee ma-
fore to come up with a new type of es- chines. A way of renewing the ritual of
presso machine that could bring alive coffee with the certainty of achieving
the ritual of preparing coffee and results worthy of true connoisseurs.
demonstrate the mechanisms that Because drinking and savouring an
regulate it. Motivated by passion and excellent coffee, one that is intense
thanks to the growing skills of Aric - and full-bodied, is a pleasure that goes
that ranged from metalworking to beyond just the personal realm but is
woodworking, the use of specific ma- also a social ritual: to start the day well,
chines and information technology - to recharge, to socialise or as an excuse
they set to work. And so the first pro- to get together with friends.
Pagina accanto e qui sopra: i sistemi • Opposite page and above: the Modbar
espresso Modbar AV, nati dalla AV espresso systems, born out of a
collaborazione tra i dipartimenti di collaboration between the research and
ricerca e sviluppo di Modbar e di La development departments of Modbar
Marzocco. Sotto il banco sono posti tutti and La Marzocco. All the technical
gli elementi tecnici che costituiscono elements that make up the beating heart
il cuore pulsante della macchina per of the espresso machine are placed
espresso. Possono essere affiancati under the counter. They can be
da erogatori di vapore (in questa combined with steam dispensers (this
pagina, in alto) dall’estetica raffinata page, top) with a refined appearance

Informazione aziendale / manufacturer′s information

XXVII
Una costante di qualità
Una città in continuo fermento, Milano,
che si arricchisce ogni giorno di più di
opere architettoniche firmate da ar-
chitetti internazionali. Che si tratti
della riqualificazione degli scali fer-
roviari, di nuove torri o ancora di edi-
fici in legno, il fil rouge che li lega è J&A
Consultants, società leader nel setto-
re del project management che gestisce
e controlla le risorse del progetto per
raggiungere gli obiettivi temporali e
finanziari prefissati e garantire il ri-
sultato migliore. Tra i tanti progetti
che hanno scelto di essere affiancati
e supportati dalle sue competenze c’è,
per esempio, il Villagio Olimpico, che
ospiterà gli atleti delle Olimpiadi e
Paralimpiadi Invernali di Milano-Cor-
tina 2026, promosso da COIMA, Covi-
vio e Prada Holding. J&A è anche par-
te integrante del prestigioso progetto
“Welcome, feeling at work”, firmato da
J&A Consultants
Via Ulrico Hoepli, 3/C
20121 - Milano
T +39 02 86915041
info@jacons.com
jacons.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
Kengo Kuma & Associates, che sarà il
primo edificio biofilico in Europa, uno
dei primi in legno di queste dimensio-
ni in Italia e sorgerà nell’area dismes-
sa della casa editrice Rizzoli.
J&A Consultants ha un ruolo fonda-
mentale anche per il nuovo quartier
generale A2A, che prevederà, oltre
alla ristrutturazione dei diversi edi-
fici nel lotto, la costruzione della Tor-
re Faro, alta 144,45 m. Sempre a Mila-
no, la società di project management
interverrà nella riqualificazione dell’e-
dificio in via Monte Rosa 91 (ex Il Sole
24 Ore), a cura di RPBW: una ristrut-
turazione voluta da Axa che porterà
alla riorganizzazione dell’edificio in
un complesso multitenant. Un curri-
culum di tutto rispetto, quello di J&A
Consultants, che riesce a togliere ogni
dubbio su chi scegliere per garantire
il successo dei prossimi progetti.
Constant quality
A city in a state of constant change, day
by day Milan is enriched with new
buildings designed by international
architects. Whether it be the redevel-
opment of railway yards, new towers
or even timber buildings, the thread
that runs through them is J&A Con-
sultants, a leading company in the field
of project management that manages
and controls project resources to
achieve stated objectives in terms of
time and finances as well as ensuring
the best results. An example of one of
the many projects where it was decid-
ed to bring in their skills is the Olympic
Village, that will house the athletes at
the Milan-Cortina 2026 Winter Olym-
pics and Paralympics, promoted by
COIMA, Covivo and Prada Holding.
J&A is also an integral part of the pres-
tigious project “Welcome, feeling at
work”, by Kengo Kuma & Associates,
Quattro progetti curati come project
management da J&A Consultants a
Milano. In alto da sinistra: Monte Rosa
91, riqualificazione a cura di RPBW della
ex sede de Il Sole 24 Ore; “Welcome,
feeling at work” di Kengo Kuma &
Associates, nell’area dismessa della
Rizzoli. In basso da sinistra: il Villaggio
Olimpico per Milano-Cortina 2026;
il nuovo quartier generale A2A
that will be the first biophilic building
in Europe, one of the first timber con-
structions of this size in Italy and will
be built on the former site of the Riz-
zoli publishing house.
J&A Consultants are also playing a key
role in the new A2A headquarters that
will include, as well as the renovation
of various buildings on the site, the
construction of Torre Faro, 144.45 m
high. Also in Milan, the project man-
agement company will be involved in
the redevelopment of a building at via
Monte Rosa 91 (formerly Il Sole 24 Ore),
by RPBW: a refurbishment commis-
sioned by Axa that will result in the
reorganisation of the building into a
multi-tenant complex.
A highly respectable CV then for J&A
Consultants, which manages to elim-
inate any doubt as to who to nominate
to ensure success in future projects.
• Four projects managed by J&A
Consultants in Milan. Top left: Monte
Rosa 91, redevelopment by RPBW
of the former Il Sole 24 Ore building;
“Welcome, feeling at work” by Kengo
Kuma & Associates, on the former
site of Rizzoli. Bottom left: the Olympic
Village for 2026 Milan-Cortina;
the new A2A headquarters
 MADE IN ITALY
designed by ALESSANDRO ZAMBELLI

CENTO®
Beyond the years, across the lines. guglielmi.com
credit: Andrea Piovesan

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seccosistemi.com za fat i ca, amp l i fi cando i l co mfo rt e agevo lando il ges to di apertura/ chius ura per quals ias i tipo lo g ia d i u te nte .
La grande bellezza
dell’energia /
The great beauty
of energy

Promosso da / Advertorial by
XXIX
La sostenibilità come motore
di rilancio socio-ambientale /
Sustainability as a social
and environmental driver
L’impegno green di Edison tra università,
teatri ed enti culturali. Non solo in Italia /
Edison’s commitment to ecology for
cultural organisations. In Italy and beyond
Massimo Valz-Gris
Quando, nel 1735, il conte Giovanni
Battista Orrigoni lasciò definitivamente il
Ducato di Milano alla volta del Regno dei
Cieli, la sua notevole residenza di Biumo
Superiore, tra i colli varesini, finì al centro
di una controversia tra Carmelitani
Scalzi e Gesuiti, entrambi certi che la villa
spettasse al proprio ordine in virtù di una
presunta donazione che però nessuno
riuscì a provare.
Tra i due litiganti godette la vedova Ida
Bossi Orrigoni, che rimase usufruttuaria
della casa, mentre i due ordini
accettarono di spartirsi i ricavi della
futura vendita. Questa si concretizzò nel
1748, quando il marchese Paolo Antonio
Menafoglio liquidò Gesuiti e Carmelitani,
accettando anche di pagare alla vedova
Orrigoni il valore dell’usufrutto.
Fu proprio il marchese Menafoglio a
ideare il progetto di ristrutturazione
al quale si deve l’assetto odierno
del palazzo, sviluppato su tre piani e
impostato su una corte a U aperta a
ovest sul grande parco.
Ampliata dai successivi interventi di
Luigi Canonica a inizio Ottocento e
Piero Portaluppi negli anni trenta del
Novecento, la dimora fu acquisita negli
anni cinqunta da Giuseppe Panza che, di
ritorno dagli USA, la scelse quale scrigno
per la propria raccolta nascente di Arte
Contemporanea. Oggi nota in tutto il
mondo, Villa e Collezione Panza vanta
oltre 150 opere di artisti prevalentemente
americani che convivono con gli arredi
rinascimentali e Tardo Impero, gli stucchi,
i soffitti affrescati e i lampadari di
cristallo.
I lavori di Max Cole, Dan Flavin, Robert
Irwin, James Turrell, Phil Sims e David
Simpson, ma anche dell’infiltrato
abruzzese Ettore Spalletti, costituiscono
la spina dorsale di una selezione che
ha nella luce il proprio filo conduttore,
simbolo di trascendenza e principio
cosmogonico.
Nasce Edison Next, sul terriotorio
Donata dallo stesso Giuseppe Panza e
dalla moglie Giovanna, la Villa fa parte
del patrimonio del FAI dal 1996, dal
2001 è aperta al pubblico e, insieme
a Villa Necchi Campiglio a Milano,
Villa dei Vescovi a Torreglia (PD) e al
Castello e Parco di Masino a Caravino
(TO), è stata oggetto di un intervento
di Edison, tra i massimi protagonisti in

In apertura: il Salone Impero di Villa Panza,
progettato da Luigi Canonica (1829 -1830).
L’edificio è stato riqualificato dal punto di
vista energetico da Edison Next nel 2022.
Sopra: il fronte ovest della villa aperto
a U sul giardino formale. Pagina a fronte,
in senso orario dall’alto a sinistra: una
colonnina di ricarica; lavori sull’impianto
di illuminazione; opere di Ford Beckman
(1952-2014) in una della stanze
Italia nella transizione ecologica, volto a
migliorarne la sostenibilità ambientale,
lavorando, in un gioco di rimandi, proprio
sull’illuminazione. Il risultato, per la sola
Villa Panza, grazie alle competenze e
il know how della piattaforma Edison
Next, nata per accompagnare aziende
e territori nella decarbonizzazione e un
uso efficiente delle risorse, è stata la
riduzione del 90 percento dei consumi,
evitando così l’emissione di 13,2
tonnellate di CO2 all’anno.
Edison aveva iniziato la collaborazione
con il Fondo per l’Ambiente Italiano nel
2018 realizzando, già l’anno successivo,
l’efficientamento della sede milanese
presso La Cavallerizza, lavori che
hanno consentito di risparmiare, solo il
primo anno, 25 tonnellate di emissioni
climalteranti di CO2 in atmosfera.
Un’operazione dal doppio significato,
considerando che La Cavallerizza ospita
anche l’archivio dell’emeroteca della
Biblioteca Braidense e rappresenta
dunque una di quelle eccellenze italiane
che FAI ed Edison si propongono di
tutelare e valorizzare. Lo spiega Giovanni
Brianza, CEO di Edison Next: “Creare
valore per il territorio significa stimolare
soluzioni condivise con gli attori che
lo abitano e per questo mettiamo a
disposizione le nostre competenze
supportando gli enti culturali per una
gestione più efficiente dell’energia e dei
processi. Il nostro obiettivo è generare
un impatto ambientale e sociale positivo
sulle comunità e contribuire a tutela e
valorizzazione del patrimonio storico e
artistico.
Per riuscirci è fondamentale la
convergenza tra i soggetti che si
occupano di energia e coloro che si
occupano di cultura: due mondi che, oggi
più che mai, devono aprirsi l’uno all’altro e
trovare un linguaggio comune”.
Rinnovata e ampliata ogni anno, la
collaborazione tra Edison e FAI si
concretizza in svariate attività. Ai servizi
energetici Edison affianca anche
iniziative per la tutela della biodiversità:
quattordici Beni del FAI sono stati
dotati di arnie, bug hotel, prati alti ed
essenze nettarifere per favorire le
infiorescenze stagionali e la preziosa
attività degli insetti impollinatori. Sono
stati, poi, realizzati habitat favorevoli e
piantate specie fiorifere in cui api, farfalle
e bombi possano trovare rifugio e
• Opening page: the Imperial Saloon at
Villa Panza, designed by Luigi Canonica
(1829-1830). The building underwent energy
requalification carried out by Edison Next
in 2022. Above: the western facade of the
‘U’-shaped villa that overlooks a formal
garden. Opposite, clockwise from top left:
a recharging point; works on the lighting
system; artworks by Ford Beckman
(1952-2014) in one of the areas of the villa
nutrimento. Sono infine state restaurate
alcune rondonaie e, nell’ortaglia di
Palazzo e Giardini Moroni a Bergamo,
è stata protetta una colonia di tassi e
mantenuta un’ampia zona di vegetazione
rinaturalizzata.
Si alza il sipario sulla sostenibilità
Il grande impegno di Edison nella
transizione ecologica non si limita
però alla partnership con il FAI. Dal
2010, infatti, l’operatore elettrico ha
illuminato, ogni 7 dicembre, la Prima della
Scala, impegnandosi a farlo in modo
più pulito, sostenendo i consumi della
rappresentazione e delle prove con
energia derivante da fonti rinnovabili
certificate.
Nell’arco di un decennio abbondante, la
compensazione della serata inaugurale
ha evitato l’emissione in atmosfera di
oltre 630 tonnellate di CO2, la quantità
assorbita da circa 12.600 piante in un
anno. Non solo: la collaborazione con
il teatro meneghino ha segnato l’avvio
di un percorso virtuoso che ha visto
concretizzarsi numerosi interventi che
hanno interessato il Museo Teatrale
alla Scala, i 20.000 metri quadrati
XXX
dei Laboratori ex-Ansaldo, i globi e il
lampadario centrale che decorano
la Sala Piermarini e il sistema di
illuminazione dei palchi e del foyer.
Dal 2020 Edison è Fondatore
Sostenitore del Teatro alla Scala e,
da aprile 2021, è fornitore unico di
energia green della Fondazione del
Teatro alla Scala evitando l’immissione
nell’ambiente di 2.600 tonnellate di CO2
all’anno, la quantità assorbita da circa
90.000 piante.
Sempre nel 2021, la collaborazione tra la
Fondazione e Edison è proseguita grazie
al progetto “Scala Green”, che promuove
il percorso di sostenibilità energetica e
di decarbonizzazione della Fondazione
e che si traduce nello sviluppo di una
diagnosi energetica utile a delineare le
prossime iniziative di un progressivo
piano di transizione energetica della
Fondazione in tutte le sue sedi cittadine.
Dalla Madonnina a San Marco
Spostandoci da Milano a Venezia, Edison
è protagonista di un altro intervento
di riqualificazione energetica di una
grande istituzione culturale. Nel 2021, in
occasione della 17. Mostra internazionale
XXXI
Qui sopra: la galleria di Villa Panza, con
panche e torciere barocche e, alle pareti,
opere monocrome di David Simpson.
Sotto: arnie nel parco della villa, parte
del progetto di Edison per la tutela della
biodiversità.
Pagina a fronte: in primo piano, nel cortile
d’onore, Cone of water di Meg Webster,
opera site specific di ferro, realizzata
nel 1992
di Architettura di Venezia, l’azienda è
intervenuta sull’impianto illuminotecnico
delle Corderie dell’Arsenale.
Il ricorso a strumenti avanzati come
l’internet of Things ed evolute tecniche
di modellizzazione ha permesso di
individuare le aree di miglioramento
negli usi energetici dando vita a un
progetto in grado di valorizzare l’edificio
trecentesco, preservandone in tutto e
per tutto l’estetica industriale originaria:
una struttura costituita da un corpo di
lunghezza pari a 320 metri ripartito in
tre navate da due file di colonne che
sostengono due soppalchi a copertura
delle navate laterali.
L’intervento ha visto la sostituzione
delle lampade tradizionali con 86 corpi
illuminanti a tecnologia LED, per un
totale di 16 kW installati contro i 44 kW
dell’impianto precedente.
La piattaforma di gestione e controllo
wireless Smart lighting solution
permette di eliminare i costi di gestione
e manutenzione di un sistema cablato e,
grazie alla possibilità di comunicare con
ogni singolo LED, consente di modulare
la configurazione illuminotecnica.
Per esempio, modificando l’intensità
di luce o impostando scenari
di accensione e spegnimento
programmati, fino a portare le ore di
funzionamento annuo da 1.800 a 1.300.
Una soluzione ad alta efficienza,
insomma, che si traduce in un
abbattimento dei costi e dei consumi
elettrici di oltre il 70 percento, vale a dire
50.000 kWh all’anno in meno, pari a una
riduzione dell’emissione in atmosfera di
22 tonnellate di CO2.
Fin dalla progettazione preliminare,
Edison ha effettuato un rilievo finalizzato
a individuare corpi illuminati che non
modificassero l’impatto visivo, per poi
procedere a una sostituzione puntuale
che rispettasse le esatte posizioni dei
corpi precedenti.
La remotizzazione dei comandi con
tecnologia wireless, infine, ha evitato
l’allestimento di nuovi cablaggi e
consentito di riutilizzare l’impianto
elettrico esistente. Allo stesso modo, si
è intervenuto all’esterno, sostituendo
l’illuminazione del vialetto adiacente
alle aree espositive, così da migliorare
significativamente la resa luminosa,
senza intaccare la configurazione
originaria.
•Above: the Villa Panza gallery, with
baroque benches and torch-holders
and, on the walls, monochrome works
by David Simpson.
Below: beehives in the villa park, part
of the Edison project to safeguard
biodiversity.
Opposite page: foreground, in the cortile
d’onore, Cone of water by Meg Webster,
a site-specific work in iron, 1992
Le rinnovabili salgono in cattedra
Un’ulteriore operazione lanciata da
Edison Next riguarda la Spagna.
Essendosi aggiudicata un bando
emesso nel 2021, l’azienda fornirà
energia rinnovabile all’Università di
Cordoba per 15 anni. Edison Next
progetterà, costruirà e gestirà un
impianto fotovoltaico da 4,4 MW,
per il quale investirà quasi 3 milioni
di euro, impiegando le migliori
tecnologie disponibili.
Il progetto sarà realizzato su un terreno
di proprietà dell’università, dove verranno
prodotti 7 GWh di energia solare all’anno,
di cui il 70 percento sarà consumato
dall’UCO e il resto rilasciato in rete.
L’energia rinnovabile prodotta eviterà
l’emissione di 1.656 tonnellate
di CO2 all’anno, equivalenti
alla piantumazione di 1.465 alberi.
Infine, l’operazione comprende
l’esecuzione di audit energetici
in 29 edifici dell’UCO con l’obiettivo
di implementare un sistema
di gestione dell’energia ISO 50001
e la modernizzazione del sistema
di riscaldamento con l’eliminazione
delle caldaie a gasolio.
XXXII
XXXIII
Sopra: la facciata del Teatro alla Scala
di Milano, progettato dal Piermarini e
inaugurato nel 1778. Edison ha efficientato
il sistema di illuminazione degli interni
nel 2019. Sotto, da sinistra: il grande
lampadario della volta a grisaille della sala
teatrale, donato dai maestri di Murano
dopo la Seconda guerra mondiale;
il palcoscenico visto da uno dei 155 palchi.
Pagina a fronte: il palco reale. Occupa
il posto di sei palchi del II° e III° ordine sopra
l’entrata principale della platea
• Above: the facade of the Teatro della
Scala in Milan, designed by Piermarini and
inaugurated in 1778. Edison carried out
efficiency works on the interior lighting
system in 2019. Below, from the left: the
chandelier hanging from the ceiling
of the auditorium, donated by Murano
glassblowers after WWII; the stage seen
from one of the 155 boxes. Opposite page:
the royal box. It occupies the space of six
normal boxes on the 2nd and 3rd levels
above the main entrance to the stalls
• When, in 1735, the death of Count
Giovanni Battista Orrigoni marked his
final departure from the Dukedom of
Milan, his impressive residence in Biumo
Superiore, in the midst of the Varese
hills, became the focus of a dispute
between Discalced Carmelites and
Jesuits, both convinced that the villa
had been donated to their respective
orders, despite neither of them being
able to prove their case. The widow Ida
Bossi Orrigoni was the only beneficiary
of the dispute, retaining use of the home
while the two orders agreed to divide the
fruits of its future sale. This took place in
1748, when the Marquis Paolo Antonio
Menafoglio paid off the Jesuits and the
Carmelites, also agreeing to pay the
Widow Orrigoni the value of the usufruct
rights. The same Marquis Menafoglio
was responsible for the restructuring
project that resulted in the palace’s
current form, with three floors set in a ‘U’
shape around a courtyard which opened
to the west onto the extensive park.
Expanded through later works by Luigi
Canonica at the beginning of the 19th
century, and by Piero Portaluppi in the
1930s, the home was purchased in
the 1950s by Giuseppe Panza who, on
his return from the USA, chose it as
the setting for his growing collection
of contemporary art. Now famous
worldwide, the Panza collection counts
more than 150 works by mainly American
artists, which live side by side with
the Renaissance and late-Imperial
furnishings, plasterwork, frescoed
ceilings and crystal chandeliers.
The works by Max Cole, Dan Flavin,
Robert Irwin, James Turrell, Phil Sims and
David Simpson, as well as the Abruzzo-
born infiltrate Ettore Spalletti, make up
the backbone of a collection that has
light as its common thread, a symbol
of transcendence and an originative
principle of cosmogogy.
Donated by Giuseppe Panza and his wife
Giovanna, the Villa has been part of the
FAI – Fondo Ambiente Italiano (National
Trust of Italy) collection since 1996 and
has been open to the public since 2001.
It is also, together with Villa Necchi
Campiglio in Milan, Villa dei Vescovi
in Torreglia (Padova), and the Masino
Castle and Park in Caravino (Turin), the
subject of works by Edison, one of the
most important players in Italy in the
XXXIV
XXXV
Photo courtesy Universidad de Córdoba
field of ecological transition, aimed at
improving environmental sustainability
working, in a play of associations, on
lighting. The result, for Villa Panza alone,
thanks to the skill and know-how of
the Edison Next platform, which has
been set up to accompany companies
and territories through the process of
decarbonisation and the efficient use of
resources, has been a 90% reduction in
consumption, avoiding the emission of
13.2 tons of CO2 per year.
Enter Edison Next
Edison began collaborating with the
FAI in 2018, and in 2019 carried out
energy efficiency works on the Milan
headquarters in La Cavallerizza, which
allowed savings in the first year of
25 tons of CO2 emissions into the
atmosphere.
This was an operation of dual
importance, considering that La
Cavallerizza is also the home to the
newspaper archives of the Brera Library
and is therefore one of the examples of
Italian excellence that FAI and Edison
aim to protect and valorise. As Giovanni
Brianza, the CEO of Edison Next explains:
Qui sopra: l’università di Cordoba, Spagna.
Edison Next si è da poco aggiudicata
un bando per la fornitura di energia pulita
e rinnovabile per i prossimi 15 anni, per un
risparmio annuale di quasi 1.700 tonnellate
di CO2. Pagina a fronte e in chiusura: le
Corderie dell’Arsenale di Venezia, teatro
di un intervento di Edison che ha visto la
sostituzione delle lampade tradizionali con
86 corpi illuminanti a LED, per un consumo
di 16 kW contro i 44 kW precedenti
“Creating value for the territory means
fostering solutions that are shared with
the local inhabitants, and this is why
we offer our skills in supporting cultural
organisations for a more efficient
management of energy and processes.
Our goal is to generate environmental
and social impact within communities,
and to contribute to the protection and
valorisation of historical and artistic
heritage. In order to be successful, it is
essential that the fields of energy and
culture collaborate; two worlds that, now
more than ever, need to demonstrate
openness towards each other and find a
common language”.
Renewed and expanded year after
year, the collaboration between Edison
and FAI takes the form of a range of
activities. As well as energy supply
services, Edison also runs initiatives
for the safeguarding of biodiversity;
fourteen properties belonging to FAI
are provided with beehives, bug hotels,
high lawns and nectar sources in order
to favour seasonal flowers and the
precious activities of pollinating insects.
Favourable habitats and blossoming
plantations were also created in which
bees, butterflies and bumblebees can
find refuge and food. A number of swift
nesting sites were also restored, and
the vegetable plot in the Moroni Palace
and Gardens in Bergamo will see the
protection of a colony of badgers and
the maintaining of an ample area of
renaturalised flora.
Raising the curtain on sustainability
Edison’s important role in ecological
transition is not, however, limited to its
partnership with FAI.
Since 2010, the electricity provider
has, on 7 December of each year,
illuminated the opening night at the
Scala, dedicated to doing so in the
cleanest manner, providing the power for
the performances and rehearsals with
energy derived from certified renewable
sources.
For more than a decade, compensation
for the opening evening has avoided
the release into the atmosphere of
more than 630 tons of CO2, the quantity
absorbed by approximately 12,600 plants
over a year.
And that’s not all. The collaboration
with the Milan-based theatre has also
marked the beginning of a virtuous
process that has seen the realisation of
a number of interventions concerning
the Theatrical Museum alla Scala, the
ex-Ansaldo works, an area of 20,000
square metres, the globes and central
chandelier that decorate the Piermarini
hall and the internal lighting systems for
the boxes and the foyer.
In 2020 Edison became a Founding
Partner of the Teatro alla Scala, and
since April 2021 it has been the sole
provider of green energy for the Teatro
alla Scala Foundation, avoiding the
emission into the atmosphere of 2,600
tons of CO2 per year, the quantity
absorbed by approximately 90,000
plants.
Again in 2021, the collaboration between
the Foundation and Edison continued,
with the Scala Green project, which
promotes the sustainable energy
and decarbonisation process for the
Foundation through the development
of energy diagnosis aimed at providing
guidance for upcoming initiatives in
the progressive programme of energy
transition involving all of the Foundation’s
premises in the city.

From the Duomo to Saint Mark’s
Moving from Milan to Venice, Edison
has played a lead role in another
energy requalification project for an
important cultural institution. In 2021, on
the occasion of the 17th International
Architecture Exhibition, the company
carried out works on the lighting system
for the Corderie dell’Arsenale.
The use of advanced tools such as the
Internet of Things and evolved modelling
techniques enables the identification
of areas for improvement in energy
use, leading to the creation of a project
to valorise the 14th-century building,
fully maintaining the original industrial
aesthetics; a structure consisting of a
320-m-long section subdivided into three
naves with two rows of columns each,
supporting two mezzanines over the
side naves.
The works saw the substitution of
traditional lighting units with 86 LED units,
for a total of 16 kW installed in place of
the 44 kW of the pre-existing system. The
wireless Smart Lighting management
and control platform has allowed for
the maintenance and management
costs related to a wired system to be
•Above and closing page: the Corderie
dell’Arsenale in Venice, the site of works by
Edison to substitute the traditional lighting
with 86 LED lighting units for a consumption
of 16kW instead of the previous 44 kW.
Opposite page: the University of Cordoba,
Spain. Edison Next recently won a tender
for the supply of clean and renewable
energy for the next 15 years, for an annual
saving of almost 1,700 tons of CO2
eliminated and, thanks to the ability to
communicate with every single LED,
also allows the lighting to be modulated.
For example, by modifying brightness
or setting up programmed scenes for
the switching on and off of lighting, the
number of annual operative hours has
been reduced from 1,800 to 1,300. A
highly efficient solution that has resulted
in a reduction in costs and electricity
consumption of more than 70%, i.e.,
50 thousand kWh per year, equal to the
emission into the atmosphere
of 22 tons of CO2.
Right from the outset, a study was
carried out in order to identify lighting
units that did not alter visual impact,
and that were then fitted in exactly the
same position as the previous units.
The switch to remote control through
wireless technology also avoided the
need for new cabling and allowed the
existing electrical system to be reused.
Similar works were also carried out on
the exterior, substituting the lighting
for the lane adjacent to the exhibition
areas and significantly improving lighting
performance without changing the
previous configuration.
XXXVI
Renewable energy in education
Another more recent operation launched
by Edison Next has been seen in Spain.
Having won a call for tender from 2021,
the company will supply renewable
energy for the University of Cordoba for
15 years.
Edison Next will design, construct and
manage a 4.4-MW photovoltaic system,
for which it will be investing almost
3 million euros, drawing on the best
available technology.
The project will take place on an area of
land belonging to the University, which
will see the production of 7 GW of solar
power per year, of which 70% will be
consumed by the UCO and the rest fed
into the grid.
The renewable energy generated will
avoid the emission of 1,656 tons of
CO2 per year, equivalent to the annual
planting of 1,465 trees.
Lastly, the operation includes the
carrying out of energy audits in 29
buildings in the UCO, with the aim of
implementing an ISO 50001 energy
management system and modernising
the heating system, with the elimination
of oil-burning boilers. (MVG)
Inserto / Insert A cura di / Curated by Promosso da/Advertorial by
La grande bellezza dell’energia / Massimo Valz-Gris
The great beauty of energy
Testi / Texts
Domus 1073 Novembre / November 2022 Massimo Valz-Gris

Promosso da / Advertorial by Foto / Photos

Edison Next Carlotta Coppo

Traduzioni / Translations
Daniel Clarke

edisonnext.it
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chilometraggio illimitato si applica solo ai veicoli Hyundai che sono stati originariamente venduti da un concessionario autorizzato Hyundai a un cliente
finale, come indicato nei termini e nelle condizioni del libretto di garanzia. **Hyundai offre una garanzia di 8 anni o 160.000 km sulla batteria ad alta
tensione ai polimeri di litio. Si applicano i termini e le condizioni locali.
Domus 1073 Jean Nouvel Novembre / November 2022

EDITORIALI / EDITORIALS

Jean Nouvel Abitare bene è fondamentale / Dwelling well is fundamental 1

Tutto deriva dalla deriva / Everything derives from la dérive

SAGGI / ESSAYS

Tom Avermaete Svolta globale e opportunità perse / 4

Michelangelo Sabatino About a global turn and lost opportunities

Walter Mariotti La quarta rivoluzione / The fourth revolution 8

OMAGGI / HOMAGES

Jean-Luc Godard (1930-2022) 12

Bruno Latour (1947-2022)

ARCHITETTURA / ARCHITECTURE

Edgar Morin Per una politica della città e della campagna / 14

For a politics of city and countryside

ARTE / ART

Jean Nouvel JR 22
Un mondo a parte / A world apart
Tehachapi, The Yard, 2019

ARCHITETTURA / ARCHITECTURE

Bruce Bégout Lungo il bordo / On the edge 30

Nicolai Ouroussoff Ai margini dell’ordine globale / At the borders of the global order 36

Jean-Louis Cohen La condizione transurbana / The transurban condition 42

Winy Maas Tutto è natura: verso una biotopia mondiale / 48

Everything is nature: towards a worldwide biotopia

Donatien Grau Polifonia architettonica / Architectural polyphony 50

ARTE / ART

Jean-Hubert Martin Il lato oscuro dell’arte contemporanea / 54

The accursed side of contemporary art

Adonis La globalizzazione in versi / Globalisation in verses 60

DESIGN

Deyan Sudjic George Sowden 72

Le nuove sfide della filiera diffusa /
The new challenges of the widespread supply chain
Shades, 2021-2022

REAZIONE / REACTION

Franco Raggi L’architettura delle terre di mezzo / 80

The architecture of middle earth

Si ringrazia / With thanks to John Irving Copertina / Cover Costa / Spine

Antony Bowden, Emily Ligniti Inside Out, Times Square, Adel Abdessemed
Wendy Wheatley Annabel Little close up, USA, 2013 2021, dettaglio / detail
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Traduttori / Translators Richard Sadleir
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domus 1073 Novembre November 2022
Jean Nouvel
Abitare bene è fondamentale/
Dwelling well is fundamental
Se dico globalizzazione urbana, quali idee, quali esperienze, quali immagini
vengono a galla, tentano di esprimersi? A conclusione del mio anno come
guest editor di Domus, con Walter Mariotti abbiamo pensato che fosse
bene sollevare i problemi di domani, parlare dell’origine delle idee, scovare
situazioni non abbastanza discusse o spiegate.
La situazione mondiale non aiuta ad agire o a reagire. Le guerre, le minacce
sanitarie, economiche e politiche rimandano alle calende greche le questioni
sociali e umanistiche del fiorire degli esseri viventi umani, animali e vegetali
essenziali a un equilibrio planetario ecologico comunque vitale in termini
brevi e che è importante conservare. I disordini sociali nascono dalle
insoddisfazioni vissute oggi oppure previste per il futuro.
Tuttavia, i pericoli ecologici dovrebbero costringere ad agire con costanza
e a rinviare tutto ciò che è irragionevole.
Abitare bene è fondamentale per la vita di tutti, è il punto di partenza:
senza un felice territorio di vita, nulla può prosperare. La globalizzazione
urbana è il risultato di un egoismo privo di coscienza dell’immediato futuro,
di un’assenza generale di empatia.
La richiesta rivolta agli autori di questo numero di Domus di esprimersi su
questo tema è un appello a differenziare un mondo che va impoverendosi
nella clonazione di se stesso, che rimpicciolisce e che il più delle volte
disprezza le invenzioni e la creatività sensibile. È anche un appello ai politici
perché si rendano conto che dall’architettura dipende spesso il piacere di
vivere di milioni di persone.
Tutte le proposte che rispondono a questa differenziazione sono oggi
positive. Tra esse, Neom è un esempio provocatorio, ed è per questo
che, spesso, suscita critiche nonostante un casting architettonico ricco
e palesemente molto differenziato. In ogni caso, Neom sarà anche
un’imprescindibile testimonianza di un’epoca architettonica e, come ogni
invenzione, riceverà critiche a livello mondiale, negative e positive.
Animerà i dibattiti, sempre desiderabili, sull’architettura e sulla cultura.
Tutti i punti di vista raccolti per questo numero di Domus sono messaggi
per il domani, bottiglie gettate nel mare: cercate di comprenderli e di renderli
utili per il futuro dell’umanità, che riguarda la nostra famiglia, il vostro
Paese e la nostra Terra.
Il mio contributo sull’analisi della globalizzazione urbana consiste nel
riattivare e rivisitare la generosa impostazione di Guy Debord e dei
Situazionisti, che possiede una pertinenza, una qualità umanistica e
un’intelligenza di cui oggi abbiamo grande bisogno.
Su queste basi, è possibile inventare un mondo vivo e felice.
Sta alle giovani generazioni ecologiste accendere la fiamma.
Ricordo anche l’importanza dell’azione e dell’invenzione concreta che
superano la timidezza inibitrice. I buoni sentimenti vanno bene, le idee e le
azioni che cambiano il mondo ancora meglio.
EDITORIAL 1
• If I say “globalisation”, what ideas come into your mind?
What experiences does it evoke? What images clamour for expression?
To round off my year as guest editor of Domus, Walter Mariotti and I thought
it would be constructive to raise the questions of tomorrow, to talk about
the origins of ideas, and flush out ideas and situations that have not been
sufficiently questioned or exposed.
The global situation doesn’t exactly help us act or react.
Wars, health hazards and economic and political threats top the agenda,
leaving little room for social and humanist concerns regarding the
development of living beings – humans, animals and plants – that are
essential to the ecological balance of the planet. But that balance is vital in
the short term and it is crucial that we maintain it.
Social unrest is triggered by existing and anticipated dissatisfaction.
Yet the ecological dangers we face should prompt us to take non-stop
action and dismiss all that is irrational.
Dwelling well is fundamental for the life of all. It is the basis of everything,
for without a favourable territory to inhabit, no one and nothing can flourish.
Urban globalisation is the result of selfishness, a lack of awareness of the
immediate future and a general absence of empathy.
The call for contributions to this issue of Domus on the theme of Urban
Globalisation is also a call to highlight difference in our world, which is
shrinking and becoming impoverished as places are cloned and inventions
and sensitive creativity are ignored. It is also a call for politicians
to acknowledge that the joy of living for millions of people often depends
on architecture.
All the unique proposals that showcase this differentiation are constructive
in the present day. Among them, Neom is a particularly thought-provoking
example, which is why it often arouses criticism in spite of an architectural
cast that is rich and obviously largely differentiated. In any case, Neom will
also be a major testament to an architectural era, and, like all inventions, it
will be critiqued globally, both negatively and positively, and it will animate
forums on architecture and culture that are always desirable.
All the insights gathered for this issue of Domus are messages
for tomorrow, messages in bottles cast into the sea. So try to understand
them and make use of them for the future of humankind, which includes your
family, your country and our planet. My stance on urban globalisation revives
and revisits the generous approach of Guy Debord and the Situationists,
whose relevance, humanism and intelligence remain vital to this day. We can
use their misunderstood ideas as a basis for building a lively, happy world. It
is up to a younger generation of ecologists to light the fire. I’d also like once
more to highlight the importance of action and concrete invention, beyond
inhibiting timidity. Good intentions are all very well, but translating ideas into
actions that can change the world is better.
2 EDITORIALE
Tutto deriva dalla deriva /
Everything derives from la dérive
“Un giorno si costruiranno delle città per andare alla deriva”. Guy Debord
“Si sa che i situazionisti, tanto per cominciare, volevano per lo meno costruire
delle città, l’ambiente che sarebbe stato favorevole al dispiegamento
illimitato delle nuove passioni. Ma naturalmente non era facile. Ragion per cui
ci siamo ritrovati obbligati a fare molto di più”. Guy Debord
Era nelle strade e nei muri che si svolgeva la lotta per l’autoaffermazione dei
desideri. Nessun altro luogo era destinato a realizzare il compimento dello
spirito nella storia. All’origine, c’è lo scoraggiamento, i giovani situazionisti sono
afflitti dalla condizione delle città che si ritrovano intorno [...] e dal loro punto
di vista le città rappresentano la strage dei desideri e dei sogni. Da questa
versione originale discende la volontà di sconvolgere le città che vedono e
vivono [...] L’“architettura fredda” è al potere e la sua brutale funzionalità elimina,
come germi tossici portatori di caos, il mistero insito nelle piccole cose strane,
desuete, mal formate [...] La città stessa diventa un’immensa macchina per
abitare, per circolare, per lavorare, per consumare. Non è più il luogo storico
dell’emancipazione dello spirito, ma quello dell’alienazione da lavoro, da trasporti,
da consumo. La sua aria non rende più liberi, è viziata, irrespirabile. Vi regna
un’atmosfera di rassegnazione e di sottomissione. La riduzione delle forme di
vita [...] in altre parole, il dominio della ragione strumentale sull’arte di costruire. Il
trionfo di una concezione industriale e meccanica della vita.
“L’attuale deplorevole stato della costruzione delle città è sostanzialmente
dovuto a questa miserabile sottomissione dell’epoca alle imbecilli linee delle
morali e delle efficienze primarie”.
È sotto la sua egida che compaiono ovunque sul territorio europeo i grandi
complessi, lo zoning e quelle città nuove senza anima né gioia in cui regnano
il cemento, “lo stile da caserma” e la casa contenitore [...] la cui pianta va bene
in ogni angolo della Francia [...]. L’urgenza della ricostruzione è un pretesto,
permette di ottenere la diminuzione della vigilanza critica e la sottomissione del
pubblico. Quel che prevale è la fretta di costruire rapidamente e a buon prezzo, è
l’ideologia della vita misurabile. Ne risultano direttamente, per chi subisce questa
urbanistica utilitaristica, la monotonia, la banalità e la noia, la vita ridotta alla
mera sussistenza. È la ragione per cui conviene, quando si è situazionisti, “avere
una concezione dell’utile storicamente relativa”.
“L’urbanistica rende palpabile l’alienazione”. Nessuno si sente più a casa sua
in questi nuovi luoghi moderni che non esprimono più l’intimità, la familiarità, la
prossimità, ma diventano totalmente estranei a se stessi e al mondo, come
osserva Boris Donné: “Il piano stesso della città, attraverso i vincoli d’uso che
induce invisibilmente, materializza nello spazio un’insidiosa organizzazione
dell’esistenza fondata sulla solitudine e sul privare gli uomini delle proprie
passioni.” L’urbanistica moderna è totalmente asservita al mercato e si piega
agli imperativi della continua transazione mercantile e monetaria: “L’esplosione
delle città sulle campagne ‘coperte di masse informi di residui urbani’ è
direttamente presieduta dagli imperativi del consumo” (Lewis Mumford)
È inevitabile constatare che, dagli anni Cinquanta, i situazionisti sono stati
gli unici a non lasciarsi ingannare [...]. Con il loro nervoso stile analitico hanno
spregiato, senza batter ciglio, la funzionalizzazione, la moralizzazione, la
militarizzazione e la mercantilizzazione dello spazio urbano. Perché, secondo
loro, dietro ogni urbanista si nascondono un parroco, un poliziotto e un
mercante. A partire da questa critica radicale si elabora un insieme complesso,
ricco e innovativo di proposte pratiche e teoriche che preparano un uso
alternativo del territorio [...] Un diluvio di narrazioni, inchieste, testi, metagrafie, film
e modelli che trattano della città. Secondo noi, tutto deriva dalla deriva.
Questa esperienza urbana porta i giovani situazionisti a lanciarsi in lunghe
peregrinazioni urbane, che possono durare parecchi giorni e che li inducono a
vagare senza meta né progetto, ad andare alla deriva come un bateau ivre, ad
abbandonare le rive dei percorsi normali, a lasciarsi trasportare dalla corrente
indifferente delle suggestioni passeggere e accattivanti dell’ambiente urbano.
Questa sarà la scena primordiale, la scena originaria, il crogiolo mobile e
transitorio da cui scaturiranno tutte le idee, tutti i piani, tutti gli appelli, una specie
di percorso mentale che farà da bussola metafisica ai futuri passanti.
domus 1073 Novembre November 2022
I frammenti, tratti dal libro
Dériville di Bruce Bégout
(collana Barnum, Inculte, Parigi
2017), sono stati scelti da Jean
Nouvel. Le citazioni, selezionate
da Bruce Bégout per il suo libro
sono quasi tutte di Guy Debord,
tranne alcune che sono di uno
dei Situazionisti suoi complici.
Con la deriva, i Situazionisti mettono in pratica uno spaesamento totale, cioè
una dequotidianizzazione, una rottura radicale dei gesti, degli atteggiamenti
della vita ordinaria. La deriva, comportamento sperimentale in una società
urbana, sconfigge ciò che è limitato, legato alla solidità e alla fissità delle norme.
È passaggio spaziale, ma anche temporale, passaggio del tempo, nel tempo,
ma anche delle persone, delle cose, degli amori, delle idee, degli amici. Tutto
scorre. “Il sentimento della deriva si ricollega a una modalità più generale di
affrontare la vita”. Chi si mette alla deriva segue a naso in una foresta vergine
le tracce di una selvaggina simbolica: “Le immagini desuete conservano un
lieve potere di catalisi, ma è quasi impossibile usarle in un’urbanistica simbolica
senza ridar loro giovinezza, caricandole di nuovo senso”. Nel 1955 le regole
della deriva sarebbero state fissate nella teoria della deriva, che si nobilita in un
processo riflessivo, “in una tecnica degli ambienti e delle relazioni”. Sono stabilite
delle regole rigide per non subordinarla completamente al caso. La parte delle
minute casualità chiamate destino andrà diminuendo, predice Debord. Quella
dell’aleatorio è “meno determinante di quanto si creda”.
La convinzione è che, in fin dei conti, l’imprevedibile non avvenga mai per
caso, ma che sia il frutto di una sapiente coltivazione. “La statistica demistifica
l’aleatorio”. Debord nega la realtà del caso, “questa mistificazione surrealista”.
I Situazionisti pensano di andare più in là della geografia affinando gli schemi
di spostamento, spiegando con più precisione i comportamenti affettivi dei
soggetti in esame, mettendo in luce gli influssi dell’ambiente. La deriva, però,
è qualcosa di più di un’indagine sul campo, è una preziosa banca dati per
l’elaborazione di una teoria scientifica dell’esperienza urbana. È un metodo
sperimentale d’ipotesi e verifiche. Aspira a comprendere il funzionamento
complesso del rapporto tra città e abitanti. “Le ricerche che si è quindi stati
chiamati a condurre sulla disposizione degli elementi della cornice urbanistica,
in stretto rapporto con le sensazioni che provoca, comportano anche il
transitare da ipotesi ardite che è il caso di correggere con costanza, alla luce
dell’esperienza, tramite la critica e l’autocritica”. “In questo campo, occorre che
faccia la sua apparizione una nuova specie di pratici-teorici, che saranno i primi
in grado di parlare degli effetti dell’urbanistica e di modificarli”.
“Occorre andare oltre e razionalizzare maggiormente il mondo, prima
condizione per farlo appassionare”. I Situazionisti non vedono contraddizioni
tra lo studio razionale dell’ambiente urbano e la ricerca di sensazioni bizzarre e
intense. A dispetto di ogni delirio, la deriva si rivela “uno strumento intellettuale”
di primissimo ordine che manca agli ecologi classici. Deve portare a un
intervento diretto nella città: “Cambiare l’architettura e l’urbanistica”. La deriva
– ci dice Debord – è un metodo oggettivo di osservazione-trasformazione
dell’ambiente urbano. Suo scopo ultimo è, quindi, modificare la città. L’affettività
è trascendenza, relazione costante con il mondo dell’eteroaffettività. Più l’affetto
è profondo, più si apre al mondo. Le emozioni sono il preludio dell’azione. Si
tuffano negli ambienti dati e ricombinano, aggiustano, modellano e sintetizzano
ispirandosi alle tecniche alternative del passato, alle atmosfere ready made.
Notiamo qui la precisione del pensiero situazionista: la situazione è sempre
il risultato di questa selezione-trasformazione dei luoghi dati. La dimensione
dicotomica della deriva consiste nel selezionare-sezionare momenti e luoghi,
unità atmosferiche distinte. Muniti delle loro cesoie visive, i Situazionisti vanno
alla ricerca di atmosfere psichiche recise e di ritagli di tessuto urbano.
Le preesistenze urbane vengono così ricomposte da un nuovo montaggio
dei gesti. Per i Situazionisti, gli ambienti non sono tali se non sono isolati e
separati come universi-isola. “È la teoria urbana che, pur conservando una
vaghezza relativamente gradevole”, articola molto concretamente l’esperienza
della deriva, il vissuto e la scienza. “Di fatto, è l’esperienza della deriva che ha
introdotto e costituito il termine di psicogeografia. Si può dire che il livello minimo
di realtà della parola psicogeografica sia quello di un aggettivo qualificativo –
arbitrario, da vocabolario tecnico, da gergo di gruppo – per indicare gli aspetti
della vita che appartengono specificamente a un comportamento della deriva,
datato e storicamente spiegabile”.
Questa “fantascienza dell’urbanistica”, secondo la formula di Jorn, si fonda
sull’intervento di elementi fondamentali che costituiscono lo zoccolo duro
concettuale della teoria della città: l’ambiente, l’influsso e la situazione.
domus 1073 Novembre November 2022 EDITORIAL 3

Fragments of essays chosen

and compiled by Jean Nouvel,
are taken from the book
Dériville, by Bruce Bégout,
éditions Inculte-Barnum, Paris,
2017 (paperback). The quotes
Bégout uses in his essay are
mainly from Guy Debord and
more rarely from one of his
Situationist accomplices.

• “One day we’ll build cities for drifting in.” Guy Debord attitudes that constitute everyday life. As a mode of experimental behaviour
within an urban society, drifting undoes what is riveted to the solidity and fixity
“We know that, to begin with, the Situationists wanted to build cities, an of norms. It is a spatial and temporal shift, the passing of time, people, things,
environment suitable for the unlimited deployment of new passions. But, of loves, ideas and friends. Everything is in flux. “The feeling of drifting is naturally
course, this was not easy. So we found ourselves obliged to do much more.” associated with a broader approach to life.” The drifter scents the tracks of
Guy Debord a symbolic quarry in a pristine forest: “Outdated images retain some minor
catalytic power, but it is almost impossible to use them in any symbolic urbanism
The struggle for the self-assertion of desires was played out within the walls and without updating them, by charging them with new meaning.”
on the streets. No other place in history was destined to fulfil the spirit. Originally, In 1955, the rules of drifting were set down in the Theory of the Dérive, which was
the young Situationists were disgusted by the state of the cities they saw around transformed into a reflexive process or “technique of ambiences and relations”.
them [...] and from their point of view, cities represented the slaughterhouses Guidelines were established to avoid leaving drifting entirely to chance. Debord
where desires and dreams were butchered. This initial aversion triggered a predicted that the proportion of small coincidences, which we refer to as fate,
determination to upend the city they saw and experienced [...] “cold architecture” would diminish. Randomness was “less decisive than one might think”. The
reigned, and like toxic germs bearing chaos, its brutal functionality crushed conviction was that, ultimately, the unpredictable would never come about by
the mystery inherent in little things that are strange, old-fashioned or poorly chance, but was instead the ripe fruit of learned culture. “Statistics demystifies
put together [...] The city itself became an immense machine for living, moving, randomness.” Debord quite simply denied the existence of chance, “that surreal
working and consuming. It was no longer a place where spirits were liberated; it mystification”. The Situationists believed they were transcending geography by
was a place where people were alienated by work, transport and consumption. fine-tuning patterns of displacement, providing more precise explanations of the
Its air no longer set you free. Instead it was stale and unbreathable. There was affective behaviour of the people they studied and revealing the influences of
an atmosphere of resignation and submission. The reduction of life forms, or the milieu. But drifting is more than a mere field study; it provides a valuable body
the stranglehold of instrumental reason over the art of building, was the rule. An of information for use in developing a scientific theory of urban experience. It is
industrial, mechanical understanding of life had triumphed. an experimental method of hypothesis and verification, aspiring to understand
“The lamentable state of city buildings at this time is essentially due to the era’s the complex functioning between cities and their inhabitants.
miserable submission to imbecilic morals and primary efficiencies.” “The research that we have been called upon to carry out on the layout of the
This approach had prompted the emergence of large-scale housing elements in the urban framework, in close relation with the sensations that it
developments all over Europe, along with zoning and soulless, joyless new provokes, comprises bold hypotheses that must be constantly corrected in light
estates dominated by concrete, the “barracks style” and box houses, with the of experience through criticism and self-criticism.”
same designs replicated everywhere [...] The urgent need to rebuild had been “In this field, a new kind of practitioner-theorist must emerge, who will be able to
used as a pretext to limit critical scrutiny and force the public to accept new discuss the influences of urbanism and how to modify them.”
developments. What prevailed was the rush to build quickly and cheaply. It was “We must go further and rationalise the world more, as this is a prerequisite for
the ideology of quantifiable living. The immediate result for those subjected to making it more passionate.”
this utilitarian urbanism was monotony, banality and boredom, life reduced to The Situationists did not perceive any contradiction between the rational study
mere subsistence. This is why it was important for the Situationists “to have a of the urban environment and the search for strange, intense sensations.
historically relative notion of the utilitarian”. Far from encouraging delusion, drifting proves to be an “intellectual tool” of the
“Urbanism makes alienation tactile.” No one felt at home in these new, modern highest order that is lacking among classical environmentalists. It must bring
places, which no longer conveyed intimacy, familiarity and proximity but were about direct intervention in the city, “to change architecture and urbanism”.
completely foreign to themselves and to the world. As Boris Donné noted: “The According to Debord, drifting is an objective method of observing and
very design of the city, due to the subtle constraints that it imposes, brings about transforming the urban environment. The ultimate aim of drifting is therefore to
an insidious spatial organisation of existence based on isolating people and change the city.
depriving them of their own passions.” Affectivity means transcendence, a constant correlation with the hetero-
Modern urbanism was completely subservient to the market, bowing to the affective world. The deeper the affect, the more it opens up to the world.
dictates of mercantile and monetary transactions: “The explosion of cities which Emotions are a precursor to action. They delve into existing environments and
cover the countryside with ‘formless masses of urban residues’ (Lewis Mumford) recombine, adjust, model and synthesise, drawing inspiration from alternative,
was directly regulated by the imperatives of consumption.” past techniques and from readymade atmospheres. Here we see the
As early as the 1950s, the Situationists were the only ones to see through this pertinence of Situationist thinking: the situation is always the outcome of the
[...] With their edgy analytical style, they vilified the functionalisation, moralisation, selection/transformation of given places.
militarisation and commodification of urban space without batting an eyelid. The dichotomous dimension of drifting entails selecting and dissecting
According to them, behind every urban planner lay a priest, a policeman and a moments and places as distinct atmospheric units. Equipped with their visual
merchant. This radical critique provided the basis for the development of a rich secateurs, the Situationists went in search of sharply contrasting emotional
and complex series of innovative, practical and theoretical proposals, paving the climates and cuts in the urban fabric.
way for different types of land use [...] There was a profusion of narratives, surveys, In this way, the existing urban space is reconstructed through the cut-up created
texts, metagraphs, films and models exploring the city. by movement. For the Situationists, ambiences are only such when they are
Everything, in our opinion, derives from the dérive, or drifting. isolated and separated like island worlds. “This is the urban theory that, despite
This urban experience led the young Situationists to embark on long urban being pleasantly vague”, articulates the precise experience of drifting, lived
journeys, which could last several days. They moved around with no objective experience and science. “In fact, it was the experience of drifting that gave rise to
or plan, drifting like drunken ships, leaving the usual routes behind, allowing the term psychogeography. At its root, the word psychogeography is a qualifier –
themselves to be swept along by the carefree currents and captivating an arbitrary term originating from a technical vocabulary or some form of group
influences of the urban environment. This was the primordial experience, the slang – referring to aspects of life that relate specifically to dated and historically
original scene, the mobile and fleeting crucible from which all ideas, designs explicable drifting behaviour.”
and appeals would come, a kind of mental journey that would serve as a This “science fiction of urbanism”, as Asger Jorn put it, is based on the
metaphysical compass for future passengers. For the Situationists, drifting fundamental elements that make up the conceptual foundations of urban
entailed total escape or defamiliarisation, a radical break with the activities and theory: ambience, influence and situation.
4 SAGGI
Svolta globale e opportunità perse /
About a global turn and lost opportunities
Tom Avermaete, Michelangelo Sabatino
Da quando sociologi come Saskia Sassen e Manuel Castells hanno
pubblicato studi pionieristici come The Global City: New York, London,
Tokyo (1991) e la trilogia sull’età dell’informazione, l’interesse per la
globalizzazione tra i docenti e gli studenti delle scuole di architettura
e design è stato altalenante. Tracciare una storia, per quanto
incompleta, del globale in relazione all’architettura e alla città è utile
per comprenderne il durevole impatto sul progetto contemporaneo
di ogni scala e all’interno di diversi ambiti socioeconomici e politici.
Gli edifici, a differenza degli oggetti e/o delle merci, sono decisamente
meno mobili e tipicamente si radicano nel sito e nel contesto con
diverse dimensioni estetiche ed esperienziali. Come studiosi e
docenti che insegnano in scuole di architettura, abbiamo analizzato
il complesso fenomeno della globalizzazione – visto come qualcosa
di sostanzialmente diverso dallo Stile Internazionale – nel nostro
testo di prossima pubblicazione The Global Turn. Six Journeys
of Architecture and the City, 1945-1989, di cui presentiamo una
panoramica ai lettori di Domus. Per entrambi gli autori, le prospettive
critiche che informano il libro si sono definite attraverso esperienze
in Paesi e continenti diversi.
The Global Turn affronta due aspetti interconnessi della
globalizzazione esaminando un’ampia varietà di manifestazioni in
architettura, che vanno dall’emergere di nuovi edifici all’affermarsi
delle biennali e triennali come luoghi di scambio di idee e opportunità
per la creazione di reti. Analizziamo questi fenomeni sullo
sfondo di sei temi tra loro legati, che si esplicitano, direttamente
e indirettamente, nella progettazione, nella realizzazione e nell’uso
di questi edifici, ossia collaborazione, mobilità, mercificazione,
conoscenza, costruzione e lavoro. Invece di offrire un’indagine
esaustiva, presentiamo dei ‘viaggi’ – come indicato dal sottotitolo –
che rivelano prospettive specifiche dal Secondo dopoguerra
alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Inoltre, piuttosto
che identificare un ‘inizio’, siamo giunti a comprendere la svolta
globale come un salto sismico modellato nel tempo dall’avvento
di una serie di cambiamenti.
Riteniamo che al centro della svolta globale vi sia un fortissimo
aumento della mobilità che, soprattutto a partire dalla diffusione del
motore a reazione negli anni Sessanta, ha reso gli spostamenti
aerei accessibili a un’ampia fetta della società, accelerando
la possibilità di scambi rapidi di persone, di merci e di conoscenza.
Dalla fine degli anni Novanta, poi, l’accesso al World Wide Web
ha aumentato in modo esponenziale la circolazione delle
informazioni, con un impatto diretto e indiretto sulla progettazione,
la realizzazione e l’esperienza dell’ambiente costruito.
La collaborazione, che si manifesta bene nei concorsi di architettura
e negli ambienti di apprendimento interculturali, è resa possibile
da una nuova cultura dello scambio di docenti e studenti tra
università, andando a costituire nuovi scenari che contribuiscono
alla svolta globale. Espandendo l’esperienza del Palais des
Nations di Ginevra dopo la Prima guerra mondiale –, il cui concorso
fu bandito nel 1926 e l’intervento completato nel 1938 –, il gruppo
di lavoro per la sede delle Nazioni Unite a New York del 1947 ha
rappresentato un’opportunità unica per i membri che lo costituivano,
provenienti da diversi Paesi e continenti. Parallelamente a questa
nuova forma di collaborazione, che richiedeva una straordinaria
sintesi progettuale, il diffondersi di gruppi di lavoro sempre più
interculturali ha facilitato la condivisione di esperienze educative.
Alcune di queste di grande portata – come le scuole estive dei
Congrés Internationaux d’Architecture Moderne (CIAM) tenutesi
a Londra e Venezia dal 1949 al 1957 e l’International Laboratory of
Architecture & Urban Design (ILAUD) avviato nel 1976 – hanno avuto il
ruolo di importanti catalizzatori per la creazione di reti.
L’aumento della mobilità ha generato e amplificato l’interconnessione
globale, spingendo, per esempio, a progettare tipi di costruzioni
su grande scala, come gli aeroporti, in risposta a nuove forme di
trasporto multi-nodale e di circolazione diffusa. Le diverse forme
di viaggio – per lavoro, istruzione e tempo libero – hanno generato
un trasferimento di conoscenza su scala globale e una diversa
domus 1073 Novembre November 2022
concezione dell’architettura e degli insediamenti umani. La disciplina Tom Avermaete
ha quindi reagito all’aumento della mobilità di massa modificando le Nato nel 1971 ad Anversa,
Belgio, è professore di Storia
qualità programmatiche, estetiche ed esperienziali dei propri edifici. e teoria del design urbano
La mercificazione, invece, ha caratterizzato questo periodo con all’ETH di Zurigo. Ha studiato
processi quali l’aumento del consumismo. In Europa occidentale, per Storia e teoria dell’architettura
esempio, gli Stati sociali si sono trasformati in società di consumo all’Università di Leuven, Belgio.
Tra le sue pubblicazioni
e hanno dato vita a un’impareggiabile crescita economica guidata più recenti: Casablanca –
dalla domanda del mercato. Ciò ha favorito l’emergere Chandigarh (con Maristella
di nuove tipologie edilizie. Gli architetti sono così stati incaricati di Casciato), 2015; Acculturating
concepire i cosiddetti “centri di distribuzione” da cui diffondere the Shopping Centre (con
Janina Gosseye, 2018);
le merci. Pensiamo a quelli di Egon Eiermann per Neckermann a The New Urban Condition
Francoforte (1961) o al progetto non realizzato di James Stirling (con Leandro Medrano e Luiz
per Olivetti a Milton Keynes (1971). Il centro commerciale incarnava Recaman), 2021. Nel 2023
questo nuovo paradigma: inventato dall’architetto austriaco emigrato uscirà The Global Turn (con
Michelangelo Sabatino),
negli Stati Uniti Victor Gruen come reazione all’espansione urbana per NAI Publishers.
nordamericana, questa tipologia
si è trasferita in Europa assumendo un ruolo di spicco nella Michelangelo Sabatino
ricostruzione del Dopoguerra e diventando un nuovo luogo di Nato nel 1969 a Toronto, Canada,
da genitori italiani, si è laureato
collettività urbana. È il caso di De Lijnbaan a Rotterdam di Van den presso lo IUAV di Venezia e
Broek e Bakema (1953) e di Frankfurt-Römerberg di Candilis, ha conseguito il dottorato
Josic e Woods (1960), nonché di nuovi insediamenti come quello di all’University of Toronto. È
professore ordinario e direttore
Milton Keynes (Woodward e altri, 1970).
del programma di dottorato
Mentre i viaggi rimanevano un’importante fonte di apprendimento presso il College of Architecture
diretto, la conoscenza architettonica veniva trasferita con dell’Illinois Institute of Technology
mezzi di comunicazione sempre più diversificati. La proliferazione a Chicago. Il suo primo libro è
Pride in Modesty: Modernist
della stampa e della fotografia, seguite dall’avvento del cinema Architecture and the Vernacular
e della televisione, ha ampliato le possibilità di apprendimento da Tradition in Italy, 2011. Tra i più
remoto. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati l’epoca eroica del recenti: Modern in the Middle:
periodico di architettura, resa possibile da tecniche di stampa di Chicago Houses 1929–1975 (con
Susan Benjamin), 2020; Carlo
alta qualità a basso costo e come risposta ai cambiamenti politici, Mollino: Architect and Storyteller
sociali e artistici dell’epoca. I periodici hanno fornito un’arena per la (con Napoleone Ferrari), 2021.
discussione critica sul ruolo della politica e delle nuove tecnologie
all’interno della disciplina. Le riviste hanno creato una rete globale di
scambio tra professionisti di Sud America, Africa e Asia, in dialogo
diretto con le loro controparti in Europa e in Nord America. Questa
idea della cultura architettonica moderna come fenomeno più
globale avrà effetti duraturi. Subentra poi una circolazione sempre
più complessa di materiali e sistemi costruttivi, legata sia alla fase
progettuale che a quella costruttiva. Si assiste alla diffusione di
alcuni elementi architettonici e alla nascita di nuove tipologie edilizie
come il grattacielo, divenuto simbolo della globalizzazione e di
un’inarrestabile omogeneizzazione. Inoltre, questa dimensione della
costruzione ha assunto la forma di una crescente consapevolezza
della proprietà intellettuale attraverso i brevetti.
Infine, il Dopoguerra è stato caratterizzato dalla migrazione della
manodopera legata all’edilizia, ma è stato anche un periodo di
decolonizzazione, che ha incoraggiato i coloni europei a tornare
in patria e gli ex sudditi delle colonie a trasferirsi in Europa per
cercare lavoro e opportunità di istruzione. Questa manodopera
edile itinerante è stata determinante per la ricostruzione e lo
sviluppo urbano europeo e ha contribuito al costituirsi degli Stati
sociali europei. Contemporaneamente, però, questa forza lavoro
doveva anche essere alloggiata. Di conseguenza, è nel Dopoguerra
che emerge un nuovo fenomeno territoriale: la baraccopoli, un
insediamento più prosaico per la forza lavoro nelle vicinanze degli
eroici cantieri degli Stati sociali europei. Nella Parigi degli anni
Sessanta, per esempio, il comparire di bidonville accanto a nuovi
complessi residenziali (come Habitation à Loyer Modéré e villes
nouvelles) era diventato un fenomeno onnipresente, percepito da
molti come una “cintura nera” che circondava la città.
In conclusione, il dibattito e la pratica nel periodo che va dal Secondo
dopoguerra alla caduta del muro di Berlino sono stati plasmati da
nuove sfide e opportunità. Sebbene nella nostra ricerca non
si celebri né si demonizzi la globalizzazione, è difficile non vedere che
il più delle volte non è stata all’altezza del suo potenziale di rendere
la progettazione e la realizzazione dell’ambiente costruito più equa,
originale e sostenibile.
domus 1073 Novembre November 2022
Tom Avermaete
• Born in Antwerp, Belgium in
1971, Avermaete studied history
and theory of architecture at
Katholieke Universiteit Leuven.
He teaches theory of urban
design at the Swiss Federal
Institute of Technology in Zürich.
Books include Casablanca
Chandigarh (written with
Maristella Casciato, 2015),
Shopping Towns Europe (with
Janina Gosseye, 2018) and
The New Urban Condition
(with Leandro Medrano and
Luiz Recaman, 2012). The
Global Turn (with Michelangelo
Sabatino) will come out with NAI
Publishers, Rotterdam in 2023.
Michelangelo Sabatino
• Born in Toronto, Canada in
1969 to Italian parents, Sabatino
graduated from the IUAV in
Venice and gained a PhD from
the University of Toronto. He
teaches architectural history
and cultural heritage at the
Illinois Institute of Technology
College of Architecture, where
he directs the PhD programme.
Books include Pride in Modesty:
Modernist Architecture and the
Vernacular Tradition in Italy (2011),
Modern in the Middle: Chicago
Houses 1929–1975 (with Susan
Benjamin, 2020) and Carlo
Mollino: Architect and Storyteller
(with Napoleone Ferrari, 2021).
• Interest in the global has waxed and waned among faculty and
students in architecture and design schools ever since
sociologists such as Saskia Sassen published her pioneering study
The Global City: New York, London, Tokyo (1991) and Manuel
Castells his Information Age trilogy. Tracing even a partial history of
the global as it relates to architecture and the city is particularly
useful for understanding its ongoing impact on contemporary
design across scales and within different socio-economic and
political realms. Buildings, unlike objects and/or commodities, are
decidedly less mobile and typically radicate themselves in the
site and context with different aesthetic and experiential
dimensions. As scholars and educators who teach in architecture
schools, we analyse the complex phenomenon of globalisation
– as something substantially different than the International
Style – in our forthcoming book, The Global Turn. Six Journeys
of Architecture and the City, 1945-1989, from which we present
here a brief overview for our Domus readers. For both
of us authors, the critical perspectives that inform our book
have been shaped through experiences in a range of different
countries and continents.
The Global Turn addresses two interrelated aspects of globalisation
by looking at a wide variety of manifestations in architecture,
ranging from the emergence of new buildings to the rise
of biennales as sites of exchange of ideas and opportunities for
building networks. We analyse these against the backdrop
of six interrelated themes that directly and indirectly make
the design, realisation and use of these buildings possible:
collaboration, mobility, commodification, knowledge, construction
and labour. Instead of offering a comprehensive survey,
our book, as stated in the subtitle, presents “journeys” that reveal
specific perspectives on architecture and the city from post-
Second World War to the fall of the Berlin Wall in 1989. Furthermore,
rather than identifying one “beginning”, we have come to
understand the global turn as a seismic shift shaped over time by
the advent of a series of changes.
We believe that at the core of the global turn is a dramatic increase
in mobility that, especially since the proliferation of the jet
engine during the 1960s, made travel accessible to a broad cross
section of society. Air travel accelerated the possibility of rapid
exchanges between people and of commodities and knowledge.
Access to the World Wide Web since the late 1990s
has exponentially increased the circulation of information, thus
impacting directly and indirectly the design, realisation and
experience of the built environment.
Collaboration is evidenced by architectural competitions
and cross-cultural learning environments, made possible by a new
culture of faculty and student exchanges among universities, are
two new scenarios that contribute to the global turn.
Expanding on the post-World War I experience for the Palais des
Nations in Geneva (the competition was launched in 1926
and the buildings were completed in 1938), the workshop for
the United Nations Headquarters in New York (1947) offered
a unique opportunity for a design team composed of members
from different countries and continents. In parallel to this
new form of collaboration that demanded an extraordinary
synthesis of design, the emergence of increasingly cross-cultural
workshops facilitated shared educational experiences.
Watershed pedagogical experiences – such as the summer
schools of the Congrés Internationaux d’Architecture Moderne
(CIAM) held in London and Venice from 1949 to 1957 and
the International Laboratory of Architecture & Urban Design (ILAUD)
started in 1976 – served as important catalysts to build networks.
Increased mobility generated and amplified global
interconnectedness, prompting for example the design of large-
scale building types such as the airport in response to new
forms of multi-nodal transport and widespread circulation. Different
forms of business, educational and leisure travel and
ESSAYS 5
transport generated a transfer of knowledge on a global scale,
as well as a different conception of architecture and human
settlements. Thus the discipline reacted to an upsurge
in mass mobility by modifying the programmatic as well as
aesthetic and experiential qualities of their buildings.
Commodification characterised this period with processes
such as rising consumerism. In Western Europe, for instance,
the welfare states became consumer societies and created an
unparalleled demand-led economic upswing. This heralded the
emergence of new building types. Architects were commissioned to
conceive so-called “distribution centres” from which commodities
could be dispersed, as can be seen in Egon Eiermann’s distribution
centre for Neckermann in Frankfurt (1961) and James Stirling’s
unbuilt project for Olivetti in Milton Keynes (1971). The shopping mall
embodied this new paradigm: invented by Austrian émigré architect
Victor Gruen in the USA as a reaction to North American urban
sprawl, this typology travelled to Europe to become a prime figure
of post-war urban reconstruction and as a new place of urban
collectivity. This was the case of De Lijnbaan in Rotterdam by Van
den Broek and Bakema (1953) and Frankfurt-Römerberg by Candilis,
Josic and Woods (1960), and new urban developments such as in
Milton Keynes (Woodward et al., 1970).
While travel remained an important source of direct learning,
architectural knowledge was increasingly transferred through
different media. The proliferation of print media and photography
expanded the possibilities of learning from afar, eventually
even by film and television. The 1960s and 1970s were the heroic
age of the architectural periodical, made possible by inexpensive
high-quality printing techniques, and as a response to the
period’s political, social and artistic changes. Periodicals provided a
space for theory to flourish and an arena for critical discussion
of the role of politics and new technologies in architecture.
They established a global network of exchange between
professionals in South America, Africa and Asia in direct dialogue
with their counterparts in Europe and North America.
This idea of modern architectural culture as being a more global
phenomenon would have lasting effects.
An increasingly complex circulation of construction systems
and materials took over, tied to both the design and construction
phases. There was a widespread implementation of
certain architectural elements and the emergence of new building
typologies. This is the case of the skyscraper, which became
a symbol of globalisation and relentless homogenisation.
Additionally, this dimension of construction took the form of growing
awareness of intellectual property through patents.
Lastly, the migration of construction-related labour characterised
the post-war period. But this was also a time of decolonisation
that encouraged European colonists to return home and former
colonial subjects to move to Europe for work and educational
opportunities. This travelling construction labour was instrumental
in reconstruction and urban development in Europe,
and it contributed to the housing of the European welfare states.
Simultaneously, however, these labour forces also had to be
housed. As a result, the post-war period saw the emergence of
a new territorial phenomenon: the shanty town, a more
prosaic settlement for labour forces in the vicinity of the heroic
construction sites of the European welfare states. In 1960s
Paris, for example, the bidonville next to a new housing estate
(HLM and villes nouvelles) became an omnipresent occurrence
perceived by many as a “black belt” surrounding the city.
In conclusion, architectural discourse and practice from the post-
World War II period to the fall of the Berlin Wall was shaped
by new challenges and opportunities. Although we neither
celebrate nor demonise globalisation, it is hard not to see that more
often than not, globalisation has fallen short in terms of its
potential to make the design and realisation of the built environment
more equitable, unique and sustainable.
6 SAGGI domus 1073 Novembre November 2022
Photo Loik Prat

Il più delle volte la globalizzazione non è stata all’altezza del suo

potenziale di rendere la progettazione più equa, originale e sostenibile /
Often, globalisation has fallen short in terms of its potential to make the
design of the built environment more equitable, unique and sustainable

3
Photo Ezra Stoller/Esto

2
 domus 1073 Novembre November 2022 ESSAYS 7

Photo G.E. Kidder Smith

1 La Courneuve, bidonville di La Campa con Saint-Denis sul fondo, anni
Sessanta. 2 Wallace K. Harrison, sede delle Nazioni Unite a New York City, 1950.
3 Copertina de L’Architecture d’Aujourd’hui n. 109, 1963. 4 Eero Saarinen,
Dulles International Airport, Washington DC, 1962. 5 Pubblicità americana
per i magazzini Sears, Roebuck, 1961
• 1 On the outskirts of Paris, the bidonville of La Campa was moved from
La Courneuve to Saint-Denis in 1961. 2 The United Nations building in New York
designed by Wallace K. Harrison, 1950. 3. Issue 109 of the magazine
L’Architecture d’Aujourd’hui, 1963. 4 Eero Saarinen, Dulles International Airport,
Washington DC, 1962. 5 U.S. advertisement for Sears, Roebuck, 1961

Svolta globale e opportunità perse /

About a global turn and lost opportunities
Photo Neil Baylis / Alamy Stock Photo

5
8 SAGGI
La quarta rivoluzione /
The fourth revolution
Walter Mariotti
Più che di globalizzazione, oggi dovremmo parlare di deglobalizzazione,
un fenomeno iniziato poco prima dell’emergenza del Covid-19, quando
molti segnali indicavano un cambiamento di rotta degli scenari sociali ed
economici globali. Fra questi, le lettere che negli ultimi tre anni Larry Fink,
CEO di BlackRock, il più importante fondo globale d’investimenti, inviava
periodicamente ai propri stakeholder e alla comunità globale. Lettere che
non lasciavano dubbi: il mondo stava cambiando tanto radicalmente
quanto rapidamente, mettendo al centro della propria rivoluzione i temi
compresi nell’ecosistema definito dalla ‘sostenibilità’. Fra i più importanti:
inclusione, restituzione, circolarità, dignità, democrazia e futuro urbano.
Il futuro delle città che, soprattutto in Cina, Corea e Singapore, ma anche
Thailandia, Filippine e India, simboleggiavano, per Fink e per molti altri
leader globali, l’inizio di una completa trasformazione della società, della
cultura, dei mercati. Non potevano sapere del Coronavirus, ma diciamo
che lo Zeitgeist li prese alla lettera.
Questo messaggio fu prontamente recepito da Financial Times e The
Economist, per i quali il capitalismo che abbiamo conosciuto era arrivato
al capolinea e, con questo, la globalizzazione come l’avevamo conosciuta.
Era tempo di fare un reset, superando la contrapposizione tra anglosfera
e sinosfera, cambiando le strategie di lungo periodo e, soprattutto,
promuovendo un approccio culturale inedito: elementi indispensabili
per assicurare progresso e prosperità al modello capitalista includendo
i suoi benefici a sempre più vaste comunità di persone nel mondo. Così,
poco dopo, milioni di persone si riversarono per le strade per richiedere
un intervento in merito al cambiamento climatico. Molte di loro hanno
evidenziato l’impatto significativo e duraturo che questo fenomeno avrà
sulla crescita e sulla prosperità economica, un rischio che i Governi sono
stati più lenti a recepire. Tutto il contrario dei mercati che, come le società
umane, sono da sempre più veloci: sui mercati la consapevolezza è che
oggi la sostenibilità sta diventando mainstream.
Non è un caso, quindi, che negli ultimi mesi si assista all’irresistibile ascesa
di fondi d’investimenti in sostenibilità, che confermano le proiezioni
per cui, nel triennio 2020-2023, il passaggio verso fondi Environmental,
Social and Governance diventerà strutturale. È la trasformazione della
globalizzazione a chiederlo, proprio come chiede il reshoring, ovvero il
ritorno delle aziende dislocate in Paesi dove il costo della manodopera è
più basso. First the people, la nostra gente. Nazionalismi e particolarismo
sono il sintomo della fine della globalizzazione. Zoom e Teams, le
piattaforme che evitano di andare dall’altra parte del mondo, anche.
Siamo, insomma, arrivati a un vero e proprio tipping point. Quindi, alla fine
della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni.
I temi racchiusi nella galassia della sostenibilità – inclusione, economia
circolare, democrazia – riflettono un’altra inedita e radicale trasformazione:
il cambiamento delle attitudini alla scelta e ai consumi delle nuove
generazioni globali in ascesa. Secondo le ultime ricerche, il 75 per cento
dei millennial dichiara di essere disposto a cambiare le proprie abitudini di
acquisto per premiare le aziende che si mostrano sostenibili.
La generazione Y – i nati tra il 1981 e il 2001 – spinge le imprese a modificare
abitudini consolidate per ridurre al minimo il loro impatto sul clima.
Per il settore ricerche di Amazon, “chi compra ha un potere immenso: ogni
giorno esprime il suo voto e può condizionare con le scelte le dinamiche di
mercato”. Non solo. Più ci si sposta in avanti nel tempo e maggiore appare
dai dati l’attenzione verso temi green. Oggi il 75 per cento dei millennial si
contrappone al 46 per cento della precedente generazione X e al 34 per
cento dei baby boomer. Basta vedere quanto sono aumentati in Rete i
video sulla sostenibilità. Anche per questo, le tematiche ESG diventeranno
business centrali per le nuove generazioni, dove la differenza sarà
fatta dalle imprese che riusciranno a innovare il sistema dall’interno,
dimostrando che la sostenibilità non è uno sterile esercizio da attivisti
ambientalisti, ma l’unica possibilità per un’azienda di sopravvivere e
crescere intercettando i bisogni delle persone, che vogliono imparare
dalle aziende a vivere meglio.
Le posizioni di Larry Fink sono condivise non solo dai più importanti
think thank globali, ma anche dalle agenzie internazionali come l’ONU.
Tutti convergono su un aspetto: se ad aprire la strada alla transizione
devono essere i Governi, sono le aziende che hanno un ruolo
fondamentale, anche per ridurre le remore che ancora pesano sulla
dimensione psicologica dell’approccio al consumo. Per questo, per
esempio, BlackRock ha fatto entrare la sua azienda nella task force
domus 1073 Novembre November 2022
sulle informazioni finanziarie relative al clima (TCDF), ha firmato i Principi
delle Nazioni Unite per gli investimenti responsabili e ha sposato la
dichiarazione dello Stato Vaticano del 2019 a sostegno dei regimi tariffari
del carbonio, essenziali per combattere i cambiamenti climatici. Inoltre,
assieme ad altri player finanziari globali, Fink ha voluto unirsi a Francia e
Germania per istituire la Climate Finance Partnership, uno dei numerosi
sforzi pubblico-privati per migliorare i meccanismi di finanziamento degli
investimenti in infrastrutture. Questa necessità è particolarmente urgente
per le città, perché molte componenti delle infrastrutture pubbliche – dalle
strade alle fognature fino all’housing sociale e ai servizi – sono state
costruite sulla base di proiezioni di portata e di condizioni che risultano
drammaticamente non allineate alla nuova realtà umana e climatica.
Non basta. Gli ultimi tre anni hanno confermato quello che è apparso
sempre più chiaro negli ultimi 20: mai una società aveva vissuto una crisi
tanto sconosciuta e accelerata, quella della trasformazione digitale e della
finanziarizzazione della realtà a essa collegata, causata dall’incertezza
entrata nel sistema della conoscenza che mai era giunto a manomettere
così in profondità miti sociali e riti individuali secolari.
In questo contesto, l’ultima pandemia ha solo accelerato un processo
dove la network society, di cui parlavano Jean Baudrillard e Manuel
Castells, tradizionalmente organizzate per “gerarchie verticali” sta
lentamente cedendo lo spazio e il ruolo a “strutture orizzontali” organizzate
sul modello del rizoma, in cui la produzione dell’esperienza disintermedia
tutto, compreso il ruolo delle leadership formali stesse, siano esse
intellettuali, politiche o mediatiche – che ogni giorno faticano a inscriversi
nel nuovo modello orizzontale.
Trovandosi a non avere più rapporti con le cosiddette “autorità sostanziali”
– lo Stato, la religione, i miti fondativi e anche i mass media – le società
contemporanee e, soprattutto, le loro élite, vivono in una sorta di nostalgia
permanente, attratte da un centro di gravità vuoto, alla ricerca di una
relazione perduta, ma non più ricostituibile perché la network society
dissemina competenze e autonomia decisionale in maniera algoritmica
e rabdomantica. Locali e globali allo stesso tempo, i media sono come le
élite che vorrebbero rappresentare: dimostrano di connettersi con altri
media/leader, ma difficilmente con quel particolare tipo di network che è
l’opinione pubblica, un continente sempre più sconosciuto dove è sempre
più difficile avventurarsi. Così, al di là del pessimismo e dell’ottimismo
individuali, la realtà e la teoria mostrano la stessa aspirazione: la necessità
di una nuova noosfera, un flusso continuo di informazioni capace di farsi
conoscenza e sapere che si opponga al dominio della crisi valoriale
e della post-verità, rispondendo all’esigenza di selezionare più che di
ammassare, di guidare e dirigere più che assecondare e ratificare, di
rispondere alle aspettative più che di lasciarle inevase. Di costruire,
insomma, un nuovo ruolo del Paese invece che gettare la spugna e
chiudersi nella propria autoreferenzialità. Vedremo presto se il sistema ce
la farà o se, piuttosto, dovremo attraversare un backlash della mediasfera
che trasformerà per sempre il capitale umano e sociale.
In questo delicato meccanismo fra la geopolitica, la geografia del potere
e la costruzione di nuovi aggregati monetari, esiste un altro cuneo che
s’inserisce nei grandi mutamenti percettivi e reali creati dalle nuove
tecnologie, dalla fine delle egemonie militari e culturali e dal comporsi
delle multipolarità. È rappresentato dalle blockchain che hanno una loro
espressione nelle criptovalute. La filosofia della finanza decentralizzata
contiene un’istanza anarchica che spinge verso la parossistica tendenza
allo sbriciolamento del potere e degli ordini costituiti. Nel mondo della
deglobalizzazione-riglobalizzazione, in cui il concetto di spazio si restringe
con la costruzione di nuove più ridotte scale dimensionali per l’industria e i
commerci e in cui esiste un potenziale numero di valute con cui nominare
i contratti e le transazioni, l’introduzione delle criptovalute ha un effetto
paradossale e contraddittorio. Perché disconnettono il valore delle cose
materiali e immateriali dal potere politico, statuale e regolatorio, uccidendo
l’imperatore (e il tesoriere) di Goethe. Diventano, però, anche un’arma per
il Leviatano politico, statuale e regolatorio nella competizione fra Stati e
aree di influenze tanto che vengono blandite, coccolate e adoperate in
alcuni casi (come El Salvador in Centroamerica). E, poi, osservate con
ostilità, criminalizzate (la tinta noir assegnata dalla communis opinio
alle criptovalute) e affrontate con le valute digitali, a cui lavorano Stati
Uniti, Unione Europea e Cina. Qualunque sia il futuro urbano della post-
globalizzazione, quello che pensavamo non succederà.
domus 1073 3 Novembre November 2022
• Rather than globalisation, today we should speak of deglobalisation.
This phenomenon started shortly before Covid-19, when many signs
indicated a change of course in global socio-economic scenarios.
These include the letters that Larry Fink, CEO of BlackRock, the world’s
largest asset management company, has been sending periodically
to his stakeholders and the global community for the past three years.
These letters have left no doubt: the world is changing radically and
rapidly, and at the centre of this revolution are issues embedded in the
ecosystem of sustainability. Some of the most important topics are
inclusion, restitution, circularity, dignity, democracy and the urban future.
Fink, like many global leaders, sees the future of cities, especially in China,
Korea and Singapore, but also Thailand, the Philippines and India, as
symbolising the start of a complete transformation of society, culture and
markets. They could not have known about Coronavirus, but let’s say that
the zeitgeist took them literally.
This message was promptly received by the Financial Times and The
Economist, which saw the end of capitalism and globalisation as we have
known them for the last 20 years. It was time for a reset that superseded
the opposition between the Anglosphere and the Sinosphere, changing
long-term strategies and above all promoting a new cultural approach.
These were seen as indispensable steps to ensure the progress and
prosperity of the capitalist model, including spreading its benefits to ever
broader communities of people worldwide. Soon after, millions of people
took to the streets to demand action on climate change, many of them
stressing the significant and lasting impact this phenomenon would have
on economic growth and prosperity. Governments have been slower
to acknowledge environmental risk factors, quite unlike the markets
that, like human societies, have always been faster than governments.
Sustainability is going mainstream, and the markets know it.
In this light, it’s hardly surprising that in recent months we have seen the
irresistible rise of sustainable investment funds, confirming projections
that have been pointing at a structural transition to environmental,
social and governance funds in the three-year period 2020-2023.
The transformation of globalisation is driving this shift, together with
a demand for reshoring, the return home of production previously
offshored to countries with lower labour costs. First the people, our
people. Nationalism and particularism are symptoms of the waning of
globalisation. As are Zoom and Teams, the platforms that facilitate not
having to travel to the other side of the world. We’ve reached a tipping
point. The themes in the galaxy of sustainability – inclusion, the circular
economy, democracy – reflect another unprecedented and radical
transformation: the shifting attitudes regarding choice and consumption
among the new global generations. According to the latest research,
75 per cent of millennials say they are willing to change their buying
habits to reward sustainability-oriented companies. Gen Y – the cohort
born between 1981 and 2001 – is pressing companies to change their
established practices to minimise their impact on the climate. For
Amazon’s research sector, “Buyers have immense power: day by day
they express their vote and can influence market dynamics through their
choices.” And the data reveals increasing attention to green issues with
the progression from one generation to the next: the aforementioned 75
per cent of millennials represent an upward surge compared to the 46
per cent of the preceding Gen X and the 34 per cent of baby boomers
who express similar views towards sustainable consumerism. See also
the rise of sustainability-themed videos on the web. For this reason,
issues of environmental, social and corporate governance (ESG) will
become central business factors for this century’s new generations.
The difference will be made by companies that are able to renew the
system from within, showing that sustainability is not a sterile exercise of
environmental activists. It is the only way forward for a company to grow
while meeting the needs of people, who want companies to take the lead
in forging better ways of living.
The positions of Larry Fink are shared by the most important global
think tanks as well as international organisations such as the UN. They
all converge on one point: while governments are leading the way in the
transition, companies have a fundamental part to play in mitigating the
factors that still weigh on the psychological dimension of consumption.
For example, BlackRock has taken its business into the Task Force on
Climate-Related Financial Disclosures (TCFD), signed the United Nations
ESSAYS 9
Principles for Responsible Investment, and embraced the 2019 Vatican
State declaration in support of carbon pricing, deemed essential in
the fight against climate change. Together with other global financial
players, Fink decided to join France and Germany in establishing the
Climate Finance Partnership (CFP), one of several public-private efforts
to accelerate the flow of capital into climate-related investments. This
need is particularly urgent in cities, because many components of public
infrastructure – from roads and sewers to social housing and services –
were built on the basis of projections of capacity and conditions that are
dramatically nonaligned with the new human and climate reality.
The last three years have confirmed what was becoming increasingly
clear over the last two decades. No society has ever experienced such
an unknown and accelerated crisis: that of digital transformation and the
financialisation of everything associated with it. This situation has been
caused by the uncertainty that has entered the knowledge system, which
has never tampered so deeply with social myths and age-old individual
rituals. In this context, the pandemic has accelerated a process where
the network society described by Jean Baudrillard and Manuel Castells,
which was traditionally organised by “vertical hierarchies”, is slowly ceding
its space and role to “horizontal structures”.
These are organised on the model of a rhizome, in which the production
of experience disintermediates everything, even the role of formal
leadership (whether intellectual, political or media-based), which is
struggling to inscribe itself in the new horizontal model.
Contemporary societies, and above all their elites, have found
themselves in the predicament of no longer having relations with the
so-called “substantial authorities” – the state, religion, founding myths and
even mass media. As a result, they live in a sort of permanent nostalgia,
orbiting an empty centre of gravity. They go in search of a lost relationship
that can no longer be reconstituted, because the network society, by
its very nature, disseminates skills and decision-making autonomy in an
algorithmic and divinatory way. Local and global at the same time, the
media resemble the elites they would like to represent.
They connect with other media/leaders, but only marginally with that
particular type of network that is public opinion, an increasingly unknown
territory that is increasingly difficult to penetrate. Thus, beyond individual
pessimism and optimism, reality and theory show the same aspiration:
the need for a new noosphere, a continuous flow of information capable
of opposing the domination of the crisis of values and post-truth. This
noosphere should respond to the need to select rather than to amass,
to guide and direct rather than to acquiesce and validate, to respond to
expectations rather than leaving them unanswered. In short, to build a
new role for the country instead of throwing in the towel and closing itself
in its own self-referential world. We will soon see whether the system will
succeed or if we will face a mass-media backlash that will transform
human and social capital forever. In this delicate mechanism between
geopolitics and the construction of new monetary aggregates, there is
another wedge being driven into the perceptual and real changes created
by new technologies, the end of military and cultural hegemonies and the
composition of multipolarities. This wedge is represented by blockchains
that have their own expression in cryptocurrencies.
The philosophy of decentralised finance contains an anarchic impulse
that pushes towards the paroxysmal tendency to shatter power and
established orders. In the world of deglobalisation-reglobalisation, where
the concept of space narrows with the construction of smaller scales
for industry and commerce, and where there is a potential number of
currencies in which to make contracts and transactions, the introduction
of cryptocurrencies has a paradoxical effect.
This is because they disconnect the value of material and immaterial
things from political, state and regulatory power, killing Goethe’s emperor
(and treasurer). Digital currencies are a weapon in the hands of political,
national and regulatory leviathans in the competition between countries
and areas of influence. In some cases they are even courted, promoted
and turned into legal tender (see El Salvador).
They are then viewed with hostility, criminalised (the criminal noir tinge
that conventional wisdom associates with cryptocurrencies) and
confronted with the digital currencies being developed by the USA,
the EU and China. Whatever the urban future of post-globalisation is,
what we foresaw will not happen.
10 SAGGI domus 1073 Novembre November 2022

La quarta
rivolzione /
The fourth
revolution

Photo peeterv / Getty Images

1 Una strada di Lagos, Nigeria. Dopo Il Cairo, Lagos è la seconda città più popolosa
dell’Africa. 2 Chongqing, Cina, è una delle aree urbane più popolose del mondo
con oltre 30 milioni di abitanti. 3 Vista notturna del quartiere di Shinjuku
centro commerciale e amministrativo di Tokyo, Giappone. 4 Veduta della megalopoli
brasiliana di San Paolo

• 1 A street in Lagos, Nigeria. After Cairo, Lagos is the second most populous city
in Africa. 2 Chongqing, China, one of the most populous urban areas in the world
with over 30 million inhabitants. 3 Night view of the Shinjuku district in Tokyo, a busy
shopping and business area. 4 The Brazilian megalopolis of São Paulo

4
Photo Kaicheng Xu, landscape and architecture photographer / Getty Images

3 2
 domus 1073 Novembre Novembe 2022 ESSAYS 11

Photo Alexander Spatari / Getty Images

2 3

Nel mondo della deglobalizzazione-riglobalizzazione, l’introduzione

delle criptovalute ha un effetto paradossale e contraddittorio /
In the world of deglobalisation-reglobalisation the introduction
of cryptocurrencies has a paradoxical and contradictory effect
Photo Marcelo Sonohara / EyeEm / Getty Images

4
12 OMAGGI
Omaggi / Homages
Jean-Luc Godard (1930-2022)
Bruno Latour (1947-2022)
“Qui non si tratta più di piccole fluttuazioni climatiche, bensì
di uno sconvolgimento che chiama in causa lo stesso sistema-terra.
Certo, gli umani hanno sempre modificato il loro ambiente,
ma questo termine indicava soltanto l’entourage, precisamente
ciò che li circondava. Essi rimanevano i protagonisti, modificando
solo marginalmente la scena dei loro drammi.
Oggi la scena, il sipario, il retroscena, l’edificio intero sono saliti
sul palcoscenico e disputano
agli attori il ruolo principale. Questo cambia
tutti i copioni, suggerisce altri epiloghi.
Gli umani non sono più gli unici attori, anche se si vedono affidare
un ruolo fin troppo impegnativo per loro. Quello che è certo è
che non ci si può più raccontare le stesse storie. La suspense è totale”1.
Bruno Latour, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2018.
1
Bruno Latour, Où atterrir?
Comment s’orienter
en politique, Éditions La
Découverte, Paris 2017
domus 1073 Novembre November 2022
A sinistra: fotogramma dal film di Jean-Luc Godard Il disprezzo del 1963.
Pagina a fronte. In alto: il regista francese Jean-Luc Godard sul set del film
Sympathy for the Devil, 1968. In basso: il filosofo, antropologo e sociologo francese
Bruno Latour fotografato a Parigi il 3 febbraio 2021
•Left: still from the movie Contempt by Jean-Luc Godard, 1963.
Opposite page. Top: French film director Jean-Luc Godard on the set of the film
Sympathy for the Devil, 1968. Bottom: French philosopher, anthropologist
and sociologist Bruno Latour during a photo session in Paris, on 3 February 2021
• “Here, we are no longer dealing with small fluctuations in the
climate, but rather with an upheaval that is mobilising the earth
system itself. Humans have always modified their environment, of
course, but the term designated only their surroundings, that which,
precisely, encircled them. They remained the central figures,
only modifying the decor of their dramas around the edges. Today,
the decor, the wings, the background, the whole building have
come on stage and are competing with the actors for the principal
role. This changes all the scripts, suggests other endings. Humans
are no longer the only actors, even though they still see themselves
entrusted with a role that is much too important for them.
What is certain is that we can no longer tell ourselves the same
old stories. Suspense prevails on all fronts.” 1
Bruno Latour, Down to Earth: Politics in the New Climatic Regime,
Polity Press, Cambridge, UK 2018.
 domus 1073 Novembre November 2022 HOMAGES 13

Photo © Hulton Deutsch Collection / Corbis / Corbis via Getty Images

“Con il cinema si parla di tutto, si ottiene tutto” / “In movies,

you can talk about everything, obtain everything” Jean-Luc Godard
Photo Joel Saget / AFP via Getty Images
14 ARCHITETTURA
Edgar Morin
Per una politica della città
Photo Fronteiras do Pensamento
e della campagna / For a politics
of city and countryside
Città e campagna sono indissolubilmente legate.
Oggi, questo rapporto rende necessario un governo del territorio
che comprenda entrambe in uno stesso sistema. Facendo leva
su solidarietà e responsabilità, poi, si potrà recuperare quello
che la globalizzazione ha spezzato /
City and countryside are inextricably connected.
Today, this relationship requires territorial governance
comprising both in the same system. Then, by leveraging
solidarity and responsibility, it will be possible to repair
what globalisation has broken
La riflessione sul divenire dell’umanità nel corso
del XXI secolo non può fare a meno di prendere
in considerazione il fenomeno generalizzato
dell’urbanizzazione che, secondo le previsioni odierne,
rischia di inglobare tra qualche decennio più dell’80
per cento della popolazione. L’effetto che produce è,
da un lato, l’abbandono delle campagne da parte dei
residenti e, dall’altro, l’industializzazione dell’agricoltura
e dell’allevamento, di massa ed estensivi, che hanno
conseguenze nocive anche sui consumi degli abitanti
delle città. Ciò significa che il grande problema
dell’urbanesimo, che coinvolge una larghissima
maggioranza dell’umanità, è inseparabile da quello
delle campagne, dato che è evidente che sono queste
ultime a nutrire le città. Come possiamo pensare che
un mondo agricolo demograficamente depresso
possa nutrire un tessuto urbano enorme, visto che la
tendenza all’urbanizzazione non si limita a ingigantire
un gran numero di centri − creando sobborghi, periferie,
ghetti e baraccopoli −, ma crea anche nuovi tipi di
città, incrementando il numero di abitanti, che finisce
talvolta per superare la decina di milioni. Da un lato c’è la
megalopoli come aggregato enorme e, dall’altro, tessuti
urbani ininterrotti per centinaia di chilometri, come fra
Tokyo e Osaka. Ecco dunque la duplice tendenza della
globalizzazione di oggi che, se proseguirà, amplificherà
i problemi che già conosciamo. Molte megalopoli,
per esempio, non possiedono una rete di trasporti
pubblici non inquinante ed efficace, ma sono asfissiate
dall’abuso di automobili private.
La città, da cinque millenni a questa parte, ha subito
molteplici cambiamenti e non c’è dubbio che se ne
verificheranno altri. Progressi importanti si otterrebbero
se si applicassero l’arte e il pensiero agli interessi
umani centrali della città, con un nuovo rispetto per
i processi cosmici ed ecologici che toccano tutti gli
esseri. Dobbiamo restituire alla città tutte le funzioni
materne e protettrici della vita, le attività autonome
e le associazioni simbiotiche che a lungo sono state
domus 1073 Novembre November 2022
trascurate, se non eliminate. La città dev’essere Edgar Morin
un’istituzione amorosa: la miglior economia urbana Nato a Parigi nel 1921, è
filosofo e sociologo. Il suo
consiste nel far crescere gli esseri umani. lavoro è legato principalmente
Il problema dell’umanizzazione delle città si pone all’École des Hautes Études en
perché la tendenza attuale va verso la segregazione, Sciences Sociales e al Centre
l’isolamento degli individui secondo le loro categorie National de la Recherche
Scientifique. Nel 2008, il Centre
socio-economiche e culturali, ma anche secondo le d’Études de Communication de
loro origini razziali, mentre in certe città dell’antichità la Masse dell’EHESS, fondato da
diversità di popolazione residente nello stesso quartiere Georges Friedmann nel 1961,
conservava una mescolanza sociale. prende il suo nome e diventa
Centre Edgar-Morin. Il suo
La marginalizzazione e l’esclusione portano alla ultimo libro è Réveillons-nous!
disintegrazione dei legami sociali e alla povertà urbana. (Éditions Denoël, 2022).
A ciò si aggiungono tutti gli effetti perversi legati
all’alternarsi degli spostamenti del pendolarismo, oltre • Born in Paris in 1921, Morin is
a philosopher and sociologist.
a quelli della competitività globalizzata che arricchisce His work is mainly linked
i ricchi e impoverisce i poveri, che finiscono per to the all’École des Hautes
essere sfavoriti non solo per la qualità della vita, ma Études en Sciences Sociales
anche per quella del nutrimento. Oggi sappiamo da and the Centre National de
la Recherche Scientifique.
fonti scientifiche che l’agricoltura industrializzata e di In 2008, the EHESS Centre
massa dà prodotti di bassa qualità nutritiva e gustativa, d’Études de Communication
standardizzati e portatori di residui chimici pericolosi de Masse, founded by Georges
Friedmann in 1961, took his
che provengono dai pesticidi e dagli antibiotici usati per
name and became the Centre
coltivare milioni di ettari a cereali o per allevare milioni Edgar-Morin. His latest book
di capi di volatili, bovini e suini. Se a ciò si aggiunge che is Réveillons-nous! (Éditions
i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento industriali Denoël, 2022).
sono soggetti al trasporto e alla conservazione
necessari alla distribuzione a milioni di persone nelle
megalopoli, e i cui processi includono il trattamento
con prodotti chimici e coloranti artificiali, si chiude un
cerchio in cui i misfatti della produzione si riversano nel
consumo alimentare urbano.
Tutto ciò significa, quindi, che oggi non è possibile
pensare a qualsivoglia politica urbana che non
prenda in considerazione la controparte rurale: l’una è
intrinsecamente legata all’altra.
La questione fondamentale, dunque, è sapere se sia
possibile invertire il corso delle cose in un lasso di
tempo ragionevole, per evitare la desertificazione
demografica e il degrado delle campagne, oltre che
 domus 1073 Novembre November 2022
Antiqua Print Gallery / Alamy Stock Photo
Sopra: stampa antica a incisione su acciaio con vista della cittadina di Laon,
oggi nel dipartimento dell’Aisne della Regione dell’Alta Francia. L’immagine
proviene dal libro France Pittoresque di Abel Hugo (Chez Delloye, Parigi 1985)
l’ipertrofia delle città. Ritengo che sia possibile. Parigi
testimonia già come i flussi centrifughi siano divenuti
più importanti di quelli centripeti.
Quali sono, quindi, le possibilità di ruralizzazione?
C’è un numero sempre maggiore di giovani che,
convinti delle virtù dell’agroecologia, ovvero dei
benefici dell’alimentazione biologica, dell’orticoltura e
dell’allevamento di fattoria, si stabiliscono in campagna,
dove possono trovare alloggi meno costosi, un ritmo
di vita meno stressante e la possibilità di esercitare
attività di orticoltura e giardinaggio. C’è, d’altra parte,
un’evoluzione delle condizioni di lavoro nelle grandi città
causata dalla diffusione del telelavoro, che permette
a un gran numero di persone di vivere e lavorare in
campagna. Bisognerebbe incoraggiare e favorire
queste controtendenze positive.
Ci sono, non di meno, considerevoli interessi che
si oppongono alla regressione dell’agricoltura e
dell’allevamento di massa. Prendiamo d’esempio
il caso della Francia, che appare particolarmente
interessante. Ciò che qui blocca un ritorno all’agricoltura
e all’allevamento di fattoria, ciò che impedisce lo
sviluppo dell’agroecologia e delle pratiche agroforestali
− che permettono, per esempio, il ritorno alla diffusione
di alberi dal forte valore alimentare (come castagni e
noccioli per le zone temperate) − sono le massicce
sovvenzioni alle grandi iniziative di sfruttamento
industrializzato che provocano un effetto perverso: le
eccedenze di frumento europeo vengono esportate
in Africa a basso prezzo perché, avendo beneficiato di
finanziamenti statali, sono meno costose del prodotto
locale, così il frumento delle multinazionali soffoca lo
sviluppo di un’agricoltura locale.
A ciò si aggiunga un recente fenomeno di perversione
e abuso estremi. Grandi capitali provenienti dalla Cina,
dagli Stati Uniti o dall’Europa vengono oggi investiti
nell’acquisto o nell’affitto di enormi estensioni di
territorio (spesso i terreni più fertili) nei Paesi del Sud
globale, soprattutto in Africa, con la complicità delle
• Above: antique steel engraving with a view of the city of Laon, today in
the Aisne department of the Hauts-de-France region. The image comes
from the book France Pittoresque by Abel Hugo (Chez Delloye, Paris 1985)
amministrazioni statali più o meno corrotte di queste
regioni. Questi terreni vengono usati per l’agricoltura o
l’allevamento industrializzati e dedicati all’esportazione.
Tale fenomeno aumenta, quindi, per gli Stati la difficoltà
di praticare una politica agricola – e quindi rurale, e
anche urbana – ragionata e complementare, che
privilegi la diffusione locale e diversificata dei prodotti,
che tenga conto delle culture e delle tradizioni di
ogni Paese. Il che accresce l’esodo rurale verso le
baraccopoli, il gigantismo urbano e la miseria.
Non dimentichiamo che il mondo del Nord, attraverso lo
sfruttamento economico, accresce la desertificazione
rurale, il gigantismo urbano e la dipendenza alimentare
del Sud globale. Si mette quindi in atto un rapporto
di dipendenza della vita urbana nei confronti del
mondo rurale e, reciprocamente, di dipendenza
della dimensione rurale verso la vita urbana. Questa
relazione si è fatta sempre più complessa arrivando
a un punto critico, ovvero nocivo, reclamando la
necessità di un’azione rigenerante per la vita di
entrambe le sfere.
Per quanto riguarda il mondo in generale e le città in
particolare, i problemi urbani sono aggravati dal capitale
finanziario e dalla speculazione come suo corollario.
Quale posto deve occupare la finanza in un capitalismo
globalizzato? Come fare in modo che la speculazione
non arrivi a provocare un’alterazione e un degrado del
vivere urbano e rurale? Possiamo osservare gli effetti di
questo problema nel fenomeno speculativo di vendita
e di acquisto dei prodotti cerealicoli: si assiste, per
esempio, a fenomeni aberranti in cui i prodotti vengono
trattenuti, a detrimento della sicurezza alimentare delle
popolazioni (ovviamente quelle dei Paesi più indifesi o
delle regioni che hanno subito catastrofi naturali), al fine
di trarre benefici supplementari dal gioco speculativo
sull’offerta e sulla domanda. La finanza si unisce alla
speculazione per generare profitti in modo ignobile e
minacciare costantemente il controllo e la regolazione
della vita sia urbana sia rurale.
ARCHITECTURE 15
Ci sono, quindi, due fronti che vanno affrontati
contemporaneamente e attraverso l’articolazione
di un pensiero complesso: il governo delle città
e delle campagne, legati intrinsecamente, richiedono
una politica d’insieme per l’umanità. È quanto occorre
considerare fin da oggi per metterla a punto
al più presto. La storia della maggior parte delle
città moderne è legata a una dinamica di creazione
anarchica molto interessante (fatta eccezione
per le città fortificate). Inoltre, questa anarchia
possedeva un valore estetico nella sua dimensione
poetica, mentre oggi nasce dalla speculazione
immobiliare che va alla ricerca del massimo profitto
senza tener conto dei veri bisogni degli abitanti.
Sottolineo che questo fenomeno ha provocato la
distruzione dei legami sociali e del naturale tessuto di
convivialità e solidarietà urbana dei quartieri storici,
in cui lo scambio sociale e la differenza erano il crogiolo
creativo dei rapporti umani. La qualità degli alloggi
suburbani è stata altrettanto degradata e ha portato
a un’architettura uniforme e industrializzata di grandi
agglomerati nelle periferie cittadine.
Cortesia e convivialità non sono epifenomeni
psicosociali nella vita degli individui, ma implicano
il riconoscimento dell’alterità, della personalità altrui.
Il semplice gesto del saluto – “Buongiorno o buonasera,
Signore o Signora” – significa riconoscere che l’altro
esiste. Il bisogno di rispetto è fondamentale per l’essere
umano, una pietra angolare della convivialità urbana.
Siamo quindi di fronte alla necessità di umanizzare le
città, un percorso che passa per molteplici vie.
La prima è quella delle modalità di governo del territorio:
oggi, i piani di urbanizzazione sono condizionati
dai rapporti di forza e dagli interessi della speculazione
immobiliare dell’economia liberale, cui occorrono
solo poche autorizzazioni, spesso ottenute, secondo
il grado di corruzione delle amministrazioni,
attraverso provvigioni occulte. Si è di fronte a un’autorità
municipale le cui qualità possono essere molto
16 ARCHITETTURA
Il governo delle
città e delle
campagne, legati
intrinsecamente,
richiede una politica
d’insieme per
l’umanità
The governance
of cities and the
governance of the
countryside, which
are intrinsically
bound, call for a
global policy for
humankind
diverse nella gestione come nell’immaginazione.
La complessità di questi problemi integra tutte le
dimensioni della vita umana, personale, economica,
demografica e sociale. Occorrerebbe dunque
promuovere un nuovo tipo di governo urbano, inclusivo
e partecipativo, che implicasse la rappresentanza delle
autorità municipali elette, quella del governo nazionale,
delle professioni qualificate (come architetti, urbanisti,
sociologi e psicologi), di un campione di popolazione
di diverse età, genere e professione delle popolazioni,
compresi i disoccupati. Serve quindi creare nuovi
organi di governo dove questi differenti rappresentanti
elaborino un “buon governo” perché, va notato, la città
non è mai stata oggetto di riflessione e di pensiero
interdisciplinare e transdisciplinare.
In passato c’è stato un certo numero di tentativi
per richiamare l’attenzione di ricercatori e politici
sull’importanza della città come oggetto che richiede
riflessione per consentire l’elaborazione di una politica
urbana, come nel caso di Henri Lefebvre. Ci sono
ormai svariati lavori e riflessioni importanti sulla città,
tra cui quelli dedicati alle città del Sud globale, in cui
la situazione è particolarmente drammatica, come
mostrano le opere di Sabah Abouessalam.
Bisognerebbe anche ritornare alle due fonti
fondamentali dell’etica: la solidarietà e la responsabilità.
Perché queste fonti si sono dissolte nella civiltà urbana
dei nostri tempi, ma un po’ meno nella campagna dei
Paesi? Si sono degradate perché l’individualismo non
soltanto possiede virtù incontestabili – soprattutto
l’autonomia, che consente decisioni proprie –, ma
ha anche i suoi vizi: il rischio è quello di perdere la
solidarietà fra le parti dell’insieme di cui il frammento
è parte. Bisogna pensare a una resurrezione della
responsabilità generalizzata, che richiede una presa
di coscienza che passa chiaramente attraverso
l’educazione.
Non possiamo pensare che basterà introdurre
nella politica urbana l’insegnamento di una morale
civica astratta, poiché essa non sarebbe comunque
sufficiente a creare una cultura del vivere bene
assieme, all’essere un buon cittadino e a operare
correttamente. Occorre analizzare i problemi concreti
del degrado urbano e umano, che richiedono ciò
che chiamo una “politica di civiltà”: in altre parole, una
forma di governo che riconosca gli aspetti negativi del
progresso, della tecnica, della civiltà contemporanea e
che metta in opera dei dispositivi per tutelare gli aspetti
positivi di questa civiltà.
Occorre una “politica di civiltà urbana”. Serve anche
che “politica di civiltà” e “governo della complessità
urbana” siano collegati a una politica generale.
Dobbiamo abbandonare i dogmi imperanti del
neoliberalismo, della competitività cieca ed esasperata,
del mito dello sviluppo attraverso la crescita
esponenziale e produrre un nuovo pensiero in grado
di concepire la crescita e la decrescita nel medesimo
tempo. Bisogna, cioè, individuare che cosa deve
crescere e che cosa deve decrescere, coniugando le
idee di sviluppo e di regresso, poiché non
si tratta di praticare uno sviluppo quantitativo
e tecnologico: occorrono anche regresso,
rapporti umani qualitativi, familiari, comunali che
ritrovino i vincoli della solidarietà.
In certe società urbane dei Paesi del Sud globale,
che resistono alla miseria, nella solidarietà e nella
dignità, esiste ancora il concetto di famiglia allargata.
Dove, invece, queste reti e questo tessuto sociale
vengono spezzati dalle guerre o dai grandi cataclismi,
sopravvengono la degradazione, la miseria e la
delinquenza. Anche qui mi riferisco ai lavori di Sabah
Abouessalam sulla povertà urbana nei Paesi del
Sud globale. In questi luoghi, al di là delle somiglianze
che sono loro proprie – povertà diffusa, presenza del
settore dell’economia informale, spiccata crescita
rapida, corruzione, clientelismo e via dicendo – la
povertà urbana e suburbana si organizzano in modo
diverso secondo che ci si trovi a Lima, a Città del
Messico, a Dakar o a Casablanca. Spesso la solidarietà
rappresenta una vera e propria rete sociale in assenza
dello Stato, il che rende molto differente la realtà del
vissuto della povertà nelle società in cui queste forme di
solidarietà non esistono e il povero viene abbandonato
alla sua sorte. L’assenza di solidarietà aggrava la
violenza urbana.
Un grave problema della politica urbana è la
dimensione della partecipazione e dell’impegno dei
cittadini, perché richiedono una presa di coscienza
individuale e collettiva. Di fatto, viviamo in un’epoca
in cui i poteri pubblici, salvo eccezioni, si ritrovano a
elaborare politiche pubbliche indipendenti dal territorio,
dalla città e dalla campagna, in un mondo astratto
condizionato da idee come crescita e competitività.
In realtà, in seno alla società civile, le iniziative creative
nascono, ma si ritrovano disperse e non sono collegate
tra loro. Non esiste ancora un sistema di pensiero che
permetta di collegarle.
In Francia si trovano numerose iniziative in favore di
un governo delle città e di una nuova politica. C’è un
movimento di economia sociale e solidale che ha
una storia antica, radicata nel mutualismo e nelle
cooperative. Si va profilando quel che si chiama
economia circolare, che consiste nel costruire circuiti
positivi di consumi e scarti, che reintegrano i secondi
nella fabbricazione di nuovi prodotti. Si tratta, quindi, di
un’economia positiva, che genera nuove economie.
Vi si trovano analogamente dei circuiti di economia
ecologizzata, che cerca non soltanto di utilizzare delle
fonti di energia pulite e rinnovabili, ma che si schiera
per la trasformazione delle campagne, respingendo
l’agricoltura e l’allevamento industrializzati, cercando
così, a suo modo, di umanizzare le città.
C’è, inoltre, il cosiddetto movimento ‘convivialista’
che insiste su un’idea importante, sostenuta dagli
anni Sessanta in poi da Ivan Illich, che consiste nel
combattere una civiltà che perde la convivialità,
i rapporti umani e il riconoscimento dell’altro.
Dobbiamo partire dal concetto di un mondo urbano
domus 1073 Novembre November 2022
in piena espansione per riuscire a regolarla, e magari,
addirittura, per farla regredire. Occorre partire dal
concetto di un mondo rurale, anch’esso asservito
alle forze senza freno dell’industria e dell’economia,
e far regredire queste dinamiche con lo sviluppo
dell’agricoltura di fattoria, agroecologica e agroforestale.
La politica urbana non può essere pensata in
modo isolato o dissociato dalla quella rurale; la
politica necessita di una riforma del consumo e del
comportamento degli individui.
Ci sono troppe poche organizzazioni per lottare contro
le forme tossiche dei comportamenti di dipendenza
dei consumatori, manipolati come siamo da processi
psicologizzanti e di martellamento pubblicitario. Lo si
vede nella presentazione idillica di bevande gasate di
ogni tipo che provocano dipendenza, soprattutto nei
bambini, rendendoli obesi e malati.
Ci serve una politica di civiltà per riformare la catena
del consumo, partendo dalla produzione industriale per
arrivare all’assoggettamento degli individui, passando
per l’economia finanziaria, la speculazione e la
pubblicità illecita, cioè bugiarda.
Entrano qui in gioco l’educazione e il comportamento
civico. Nel secolo scorso, nella prima età industriale,
era l’operaio che lanciava il segnale d’allarme, nella lotta
contro lo sfruttamento, contro un sistema fondato sul
profitto esasperato. Tuttavia, queste proteste non hanno
peso sul nuovo e gigantesco problema del consumo, e
risultano così indebolite.
Noi, cittadini consumatori, possiamo controllare il
sistema boicottando i prodotti nocivi e scegliendo
quelli di qualità. Quando sollevo questa questione
non chiamo in causa solo una riforma dei
comportamenti di consumo esasperato stimolati
dagli ipermercati, che suscitano la fascinazione per
gli enormi centri commerciali e per l’infinita scelta di
prodotti: è necessaria anche un’analoga regolazione
del comportamento individuale legato all’uso
dell’automobile. Così come considero questo mezzo
uno strumento e un giocattolo molto utile all’essere
umano e alla sua crescita, allo stesso tempo, penso che
l’utilizzo in area urbana e in situazioni d’inquinamento
conduca a un uso perverso. Oggi ci sono molteplici
comportamenti tossici legati a un certo modo di vivere
e che riguardano il consumo urbano e la produzione
rurale, contro i quali bisogna lottare.
Tutto ciò riguarda anche l’architettura. Questa
disciplina deve ridiventare quello che è sempre stata:
un’arte che risponde alle sfide dell’ambiente fisico,
del clima, dei bisogni sociali e individuali. Oggi
deve contrapporsi, inoltre, alle sfide dell’anonimità,
dell’inquinamento urbano, ai bisogni sociali consolidati
e a quelli nuovi che riguardano la famiglia e l’individuo.
L’architettura, se ridotta alla geometria, ai grandi
cubi, che siano di vetro o meno, ha creato capolavori
solo a Manhattan. In questo senso, il concetto di
carattere elaborato da Jean Nouvel è importante.
Ogni epoca ha avuto il suo carattere architettonico:
penso che il bisogno ecologico di aria sana e di
cibo di qualità, assieme alla necessità della convivialità
dell’essere umano, dovrebbero ispirare
il carattere degli edifici, delle strade e dei quartieri.
I giardini, i parchi e le piazze a verde pubblico non
sono solo spazi verdi, ma oasi tipicamente urbane
dove rigeneriamo il nostro bisogno di natura. Il nuovo
disinquinamento vi farà ritornare la vita animale, tra
cui quella degli uccelli e delle api, come già indicano gli
alveari installati dei giardini parigini del Luxembourg.
Non dobbiamo trascurare, poi, di esplorare le possibilità
che l’orticoltura urbana può offrire.
Il carattere della città comporta sempre una
dimensione estetica. Provo un gran piacere a
camminare nelle stradine pedonali del centro storico
di Montpellier, dove nulla offende il mio sguardo, dove
è bello guardare facciate e negozi, dove il passo di
ognuno è tranquillo e non precipitoso e frettoloso
come a Parigi. La bellezza urbana non è un lusso, ma
contribuisce al buon vivere. Sta agli architetti creare una
bellezza urbana nuova, conservando quella antica.
 domus 1073 Novembre November 2022
Artokoloro / Alamy Stock Photo
Sopra: Mantes-la-Jolie sulla Senna, cittadina del dipartimento degli
Yvelines nella Regione dell’Île-de-France, raffigurata in una stampa
del libro Topographia Galliae di Martin Zeiler (Francoforte 1656)
• Reflection on the future of humanity in the course of
the 21st century cannot overlook the fact that, according
to current forecasts, over the next few decades
the widespread phenomenon of urbanisation risks
incorporating more than 80 per cent of the population.
Among the consequences of this are, at one and the
same time, human desertification of the countryside
and industrial, standardised and intensive agriculture
and livestock farming. It is already possible to imagine
the harmful effects for urban dwellers. It means that the
huge problem of the widespread urbanisation of the great
majority of humanity is inseparable from the problem
of the countryside, since it is evidently the countryside,
the rural world, that feeds the cities. How can we expect
an extremely underpopulated rural world to feed an
enormous urban fabric? The trend towards urbanisation
does not merely make a big number of cities larger and
larger by creating suburbs, dormitory areas, ghettoes
and shantytowns. It also creates new types of cities,
among which megalopolises with populations in excess
of 10 million. On the one hand is the megalopolis, an
enormous built-up area, on the other urban fabrics that
stretch seamlessly for hundreds of kilometres, such as
the one between Tokyo and Osaka. This is the twofold
trend of globalisation today, and if it continues the urban
problems with which we are already familiar will only get
bigger. Many megalopolises are without non-polluting and
efficient public transport networks and are asphyxiated
by the undue use of private cars.
Cities have undergone a large number of changes over
the last 5 thousand years and more are sure to take place
in the future. We would achieve important advances if
we were to apply art and thought to the central human
interests in cities with a new devotion to the cosmic and
ecological processes that affect all beings. We have to
restore to towns and cities all the maternal and protective
functions of life, the autonomous activities and symbiotic
associations that have been long neglected, if not
cancelled. For the city has to be an amorous institution
•Above: Mantes-la-Jolie on the Seine, a town in the Yvelines department in
the Île-de-France region, depicted in a print from the book Topographia Galliae
by Martin Zeiler (Frankfurt 1656)
and the finest urban economy consists in cultivating
human beings. The problem of the humanisation of cities
is unavoidable insofar as the current trend is towards
segregation and the isolation of individuals according
to their socio-economic and cultural category, but also
according to ethnic origin, while in certain cities in the old
days population diversity in the same neighbourhoods
preserved a social mix.
Marginalisation and exclusion lead to the disintegration
of social bonds and urban poverty. This is compounded
by the perverse effects of journeys from place of
residence to workplace and back, as well as by a dynamic
of globalised competitiveness that makes the wealthy
wealthier and the poor poorer, disadvantaged not only in
terms of quality of life but also quality of nutrition. Today
we know from reliable scientific sources that large-
scale industrial agriculture turns out standardised food
products that are low in nutrition and taste, and contain
dangerous chemical residues from the pesticides and
antibiotics it uses to cultivate millions of hectares of grain
and raise millions of chickens, cows and pigs. If we add
to this the fact that produce from industrial agriculture is
packaged for the transport and preservation required to
distribute it to millions of people in megalopolises – and
that this packaging requires, likewise, the use of chemical
preservatives and artificial colouring – the process
comes full circle, meaning that the damaging effects of
industrial agriculture and factory farming are the cause
of the damaging effects of urban food consumption. One
damaging effect is maintained by the other. All this means
that it is impossible today to draw up an urban politics
without drawing up a rural politics. The first is intrinsically
tied to the second. Therefore, the fundamental question
is to understand whether it is possible to reverse the
course of events within a reasonable period of time in
order to avoid demographic desertification and rural
decline, not to mention urban overdevelopment. I believe
it is possible. Paris already shows us how centrifugal
forces have become more important than centripetal
ARCHITECTURE 17
ones. So what are the possibilities for ruralisation? An
increasingly high number of young people are convinced
of the virtues of agroecology and the benefits of organic
food, market gardening and livestock farming. They are
settling down in the countryside where they can find
cheaper housing and a less stressful pace of life, and
practice truck farming and gardening. Moreover, with the
spread of teleworking, the evolution of working conditions
in large cities means that a large number of people can
both live and work in the countryside. It is necessary
to encourage and favour this countertrend. There are,
nevertheless, major interests that oppose the regression
from industrial agriculture and factory farming. Take the
example of France, which appears particularly interesting
to me. What is blocking a return to traditional agriculture
and livestock breeding and preventing the development
of agroecology and agroforestry practices for a return to
the growing of trees as a source of food (chestnut and
hazelnut trees, in temperate zones) is the huge subsidies
granted to large industrial exploitation projects. The effect
is perverse since, having benefited from state subsidies,
the European wheat surplus, once cheaply exported to
Africa, is less expensive than local produce. As a result,
the wheat of the multinationals stifles the development of
indigenous food production.
Another extremely perverse and harmful phenomenon
has recently emerged: that of the sizeable capitals China,
the United States and Europe are investing in the buying
and leasing of huge tracts of land in countries of the
Global South, especially in Africa (where it is often the
most fertile) with the complicity of state administrations,
which tend to be corrupt. This land is used for export-
driven industrial agriculture and factory farming. The
phenomenon has increased the difficulties encountered
by governments in implementing well-reasoned and
complementary – at once rural and urban – agricultural
politics prioritising the diversified development of
produce locally, while taking into account the culture and
traditions of their country. This fuels the rural exodus to
18 ARCHITETTURA
Hans Blossey / Alamy Stock Photo
Sopra: vista dall’alto della città fortificata di Neuf-Brisach, in Alsazia, la cui
costruzione iniziò nel 1698 su progetto dell’ingegnere militare di Luigi XIV, Sébastien
Le Prestre de Vauban. Pagine 20-21: la densità di Parigi in una fotografia odierna
shanty towns, creating urban sprawl and poverty. Let us
not forget that with its economic exploitation, the Global
North is increasing the rural desertification of the Global
South, urban sprawl in the Global South, and the food
dependency of the Global South. As far as the urban
problem is concerned, urban life is dependent on the
rural world and, reciprocally, the rural world is dependent
on urban life. This dependency has grown increasingly
complex and has now reached a critical – harmful –
point, at which twofold regeneration is in order: of rural
life and of urban life. As for the world in general and the
question of cities in particular, financial capital and its
corollary financial speculation are compounding all
these problems. What place should finance occupy in
globalised capitalism? How can we prevent speculation
from altering and worsening urban and rural life? We
can see this problem in the trading of grain. We are now
witnessing aberrant phenomena whereby products
are held back – to the detriment of the food security of
populations (namely those of the most defenceless
countries and regions that have suffered natural
catastrophes) – in order to reap extra benefits from
speculation on shortage in supply. Finance joins up with
speculation to generate obscene profits and constantly
jeopardise the governance and regulation of urban and
rural life. Hence, there are two problems to tackle with
the articulators of complex thinking: the governance
of cities and the governance of the countryside, which
are intrinsically bound. They call for a global policy for
humankind. We must go about elaborating this policy
today in order to put it in place as soon as possible.
The history of most modern cities (fortified cities apart)
began with a very interesting anarchic dynamic of
creation. Such anarchy possessed aesthetic value in its
poetical and creative dimension. Today anarchy is born
of property speculation in pursuit of maximum profit with
no regard for the real needs of residents. I wish to stress
that property speculation has caused the destruction
of social bonds and natural fabrics of conviviality and
•Above: view from above of the fortified city of Neuf-Brisach, in Alsace, on which
building work began in 1698 to a design by Louis XIV’s military engineer, Sébastien
Le Prestre de Vauban. Pages 20-21: the density of Paris in a photograph today
solidarity in the old neighbourhoods of cities in which
social exchange and difference were the creative melting
pot of human relations. The quality of suburban housing
has likewise been degraded by property speculation,
which has led to the uniform industrialised architecture of
estates on the outskirts of cities.
Insofar as they imply recognition of otherness and the
personalities of others, courtesy and conviviality are not
psychosocial epiphenomena in the lives of individuals.
“Good morning, sir” and “Good evening, madam” signify
that the other exists. The need for recognition and
respect is one of the human being’s fundamental needs,
a cornerstone of urban conviviality. We are thus in the
presence of a need to humanise cities. This need travels
several routes. The first is that of urban governance. At
the present, urban planning schemes are influenced
by the balance of power and interests of property
speculators within the liberal economy, where, according
to an administration’s degree of corruption, only a few
building permits are required, often obtained in return
for a secret commission. We have before us municipal
authorities whose qualities may be very different in terms
of management as well as imagination. The complexity of
urban problems englobes all dimensions of human life –
personal, economic, demographic, social and so on.
It is necessary to promote a new type of inclusive and
participatory urban governance in which the elected
municipal authorities, the national government, leading
professionals (architects, urban planners, sociologists,
psychologists and so on), and a sample of people of
different ages, gender and profession, including the
unemployed, are all represented. Hence the need for
new councils of urban governance in which these
different representatives plan their cities and develop
good governance. It is remarkable to note in this regard
that the city has never been an object of interdisciplinary
and transdisciplinary reflection and thought. In the past,
a certain number of attempts was made to direct the
attention of researchers and politicians to the importance
domus 1073 Novembre November 2022
of the city as an object of to be reflected upon in the
drawing up of an urban policy. This was the case of work
by Henri Lefebvre. Now a certain number of important
studies and reflections exist on the city, some of them
devoted to cities in the Global South, where the situation
is particularly dramatic, as Sabah Abouessalam has
shown in her work. It is also necessary to return to the
two fundamental sources of ethics, namely solidarity and
responsibility. Why have these sources deteriorated in
the urban civilisation of our time and, albeit slightly less
so, in country villages? They have deteriorated because
individualism not only possesses indisputable virtues –
above all, the autonomy with which it permits us to make
our own decisions – but also possesses vices, as is the
case whenever people lose solidarity with the whole of
which they are a fragment. We need to go about reviving
general responsibility, which requires a new awareness
that will evidently depend on education. It will not suffice
to introduce inside urban politics the teaching of abstract
civic morality, seeing how that will not suffice to make
us live well together, to be good citizens and to do good.
It is necessary to analyse the concrete problems of
urban and human degradation, which require what I
have called a “politics of civilisation”, in other words, a
politics that recognises the negative aspects of progress,
technology and contemporary civilisation, and puts into
place mechanisms that protect the positive aspects
of this civilisation. What is needed is a “politics of urban
civilisation”. And I might add that “politics of civilisation”
and “governance of urban complexity” must be linked to a
general politics. It is necessary to abandon the prevailing
dogmas of neoliberalism, of blind, extreme competition,
and the myth of development through exponential
growth. We need new thinking, capable of encompassing
growth and degrowth at the same time. This means
knowing what must grow and what must degrow. We
need to combine ideas of development and envelopment,
for this is not a matter of quantitative and technological
development. We need envelopments – high-quality
domus 1073 Novembre November 2022
Occorre recuperare la solidarietà
e la responsabilità: la prima rappresenta
una rete sociale che sopperisce
all’assenza dello Stato, mentre la
seconda richiede una consapevolezza
che dipenderà dall’educazione
It is necessary to return to solidarity and
responsibility: the first represents
a veritable social network in the absence
of the State, while the second requires a new
awareness that will depend on education
human relations of community and family – in order to
refind the bonds of solidarity. In certain urban societies
in the Global South where poverty is met with solidarity
and dignity, the notion of the “large family” still exists. But
where these networks and social fibre are broken by
wars or major cataclysms, degradation, poverty and
delinquency ensue. Again I refer to the works of Sabah
Abouessalam on urban poverty in the Global South. Apart
from the typical similarities between these countries
(large-scale poverty, presence of the informal economy
sector, sharp and rapid growth, corruption, cronyism
and so forth), urban poverty and suburban poverty are
organised differently, depending on whether one finds
oneself in Lima, Mexico City, Dakar or Casablanca. In
societies in which the state is notable by its absence,
forms of solidarity are often veritable social networks.
This differentiates the reality of poverty experienced there
from that in societies in which these forms of solidarity
do not exist, and the poor are abandoned to their fate. The
absence of solidarity makes urban violence worse.
Insofar as it relies on individual and collective awareness,
one serious problem for an urban politics is the extent
of citizens’ participation and commitment. We live in
an era in which, barring some exceptions, the public
authorities that draw up public policies are out of touch
with local areas, cities and the countryside, and live in
an abstract world influenced by ideas such as “growth”,
“competitiveness” etcetera. In reality, creative initiatives
are born at the heart of civil society. They are dispersed.
They are not bound together. No system of thought
exists as yet to allow them to bind. Take the example of
France, where numerous initiatives are underway for
urban governance and a new politics. Here we have a
movement of social economy and solidarity that has a
long history in mutualism and cooperatives. A circular
economy is taking shape, consisting of the building of
positive circuits of consumption and waste, reintegrating
production rejects to manufacture new products. It is
thus a positive economy which, as such, economises. In
France there are also circuits of eco-economics, which
seeks not only to use clean renewable sources of energy
but also lobbies for the transformation of the countryside,
rejecting industrial agriculture and factory farming and
attempting in its own way to humanise cities. Then there is
the so-called convivialiste movement, which puts forward
an important idea argued by Ivan Illich in the 1960s,
fighting a civilisation that is losing conviviality, human
relations and recognition of the other.
It is necessary to start from the idea of an expanding
urban world to regulate this expansion or, perhaps, to
make it regress. It is necessary to start from the idea of
a rural world, also abandoned to unbridled industrial and
economic forces, to make this industrialisation regress
with the development of traditional, agroecological
and agroforestry farming. Urban politics cannot be
planned in isolation or divorced from rural politics.
What is necessary, in short, is a reform of individual
consumption and behaviour. Manipulated as we are by
psychologising processes and bombarded by publicity,
we do not have enough organisms to fight intoxicating
forms of consumer addiction. We can see this in the
idyllic presentation of all manner of fizzy drinks, which
cause addiction, especially among children, making
them ill and obese. We need a politics of civilisation
to reform the consumption chain that extends from
industrial production to the subjection of individuals via
the financial economy, speculation and unlawful, hence
untruthful publicity. Civic education and behaviour are
called into question. In the last century, in the Industrial
Age, it was the worker who, by fighting exploitation by
industry, sounded the alarm against a system founded
on exorbitant profit. But today workers’ action, which has
grown weaker in the meantime, exerts no influence on
the new gigantic problem of consumption. We, citizens-
cum-consumers, can regulate the system by boycotting
harmful products and choosing quality ones. When I
raise the question of the reform of consumption, I am
not only referring to the extreme consumer behaviour
ARCHITECTURE 19
that hypermarkets stimulate by raising enthusiasm with
their huge departments and never-ending choice of
products. A reform of individual behaviour with regard to
the excessive use of personally owned cars is equally
necessary. Just as I consider the car as a tool and a toy
that is very useful for human thriving, likewise I believe
that driving them in urban areas and where pollution is
high leads to perverse usage. Today it is necessary to
fight a long series of intoxications of a certain civilisation
and way of life related to urban consumption and rural
production. Lastly, architecture is called into question.
Architecture must rebecome what it always has been:
an art that responds to the challenges of physical
environment, climate, social needs and individual needs,
and that today has to respond to the challenges of
anonymity, urban pollution, and new social and family
needs. Architecture reduced to geometry, to large
cubes, glazed or not, has created masterpieces only in
Manhattan. Here the concept of character elaborated
by Jean Nouvel is important. Every era has had an
architectural character of its own. I believe that it is the
ecological need for heathy air and healthy food and
the human need for conviviality that should inspire the
character of buildings, streets and neighbourhoods.
Gardens, parks and squares are not just green spaces,
but also veritable urban oases where we can quench our
thirst for nature. New depollution will restore their animal
life, among which that of birds and bees, as the hives in
the Luxembourg Gardens demonstrate. And let’s not
forget to explore the possibilities of urban horticulture. A
city’s character always entails an aesthetic dimension. I
feel great pleasure strolling round the pedestrian streets
in the historical centre of Montpellier, where there is
nothing to offend the eye, where it is enjoyable to look at
facades and shops, where everyone moves at an easy
pace, not in a hurry and a rush as they do in Paris.
Urban beauty is not a luxury, it is a contribution to good
living. It is up to architects to create new urban beauty
while preserving the old one.
Courtesy Ateliers Jean Nouvel. Photo M. Mazulis
domus 1073 Novembre November 2022
JR
Un mondo a parte /
A world apart
Jean Nouvel
Ripercorrendo la genesi e le tappe del suo progetto
nel carcere di Tehachapi, l’artista francese
riflette sui risvolti positivi della globalizzazione /
Retracing the genesis and stages of his project
in Tehachapi prison, the French artist reflects
on the positive aspects of globalisation
Jean Nouvel La globalizzazione urbana è oggi una
delle peggiori malattie del mondo: si producono
sempre le stesse cose, gli stessi oggetti.
È un fenomeno che riguarda anche gli oggetti, quelli
che si trovano negli aeroporti, dappertutto.
La mondializzazione comporta importare prodotti,
non servirsi solamente di quel che si trova
localmente, non capire che ogni luogo ha una propria
ricchezza e identità. Il carattere non può che nascere
da una serie di situazioni particolari, ed è questo ciò
che arricchirà il mondo invece di restringerlo.
Edgar Morin difende da tempo la posizione,
che apprezzo molto, secondo la quale la
mondializzazione è una manifestazione
sostanzialmente positiva, almeno per un certo
aspetto: la comunicazione tra tutti gli uomini che,
in un attimo, anche a distanza, possono parlarsi,
vedersi, conoscersi e scambiarsi idee.
È un fattore vitale, il più importante dell’odierna
globalizzazione, molto più degli inconvenienti che
tutti conoscono: questa specie di clonazione di
qualunque situazione in ogni luogo, senza alcun
senso, per puro profitto capitalistico.
Vorrei parlare di questi temi, secondo quello che
pensi, che fai e secondo la tua esperienza. Vorrei
poter sviluppare queste idee sulla globalizzazione
urbana e sui suoi risvolti, in modo da dimostrare
che non si tratta di una posizione ideologica
antimondializzazione, dato che essa, in certi casi,
può anche avere risvolti positivi.
JR Su questa posizione di Edgar Morin – che la
comunicazione a distanza, tra persone che non si
conoscono, sia forse uno dei pochi effetti benefici
di questa globalizzazione – sono ovviamente
d’accordo, come su tutto il resto. Ogni grande
innovazione ha in sé una certa forza, ma anche
un’enorme debolezza: ci sono persone che non
escono più di casa, da quando possono conversare
online. Il mio lavoro si basa su due punti molto precisi.
Il primo è che le persone abbiano voglia d’incontrarsi
anche fuori casa. La tentazione di rimanere dentro
le mura domestiche è grande, oggi, perché si ha la
possibilità di visitare il Perù in modo virtuale con un
visore, si può parlare e vedere gente che sta dall’altra
parte del mondo grazie a FaceTime. Ci sono persone
che sono diventate amiche senza mai essersi
incontrate. Secondo me, invece, se c’è una cosa che
non si potrà mai sostituire, quella è il rapporto umano
ART 23
fisico. Credo che anche quei canali possano fare JR
durare questo rapporto, l’aspetto fisico è necessario Nato a Parigi nel 1983, è un
artista francese che lavora
e vitale. con la tecnica del collage
fotografico per realizzare
Jean Nouvel Queste informazioni e questi contatti installazioni urbane di grandi
spingono al viaggio, spingono ad andare a trovare dimensioni, coinvolgendo nel
processo le comunità locali.
gli amici che non hanno mai avuto occasione Le sue opere hanno avuto
d’incontrarsi, che non si sono conosciuti di persona. luogo, tra gli altri, nel quartiere
parigino di Clichy-Montfermeil,
JR Proprio così, il contatto diretto tra le persone nella favela Morro da
Providencia di Rio de Janeiro, a
permette di conservarne il legame. È stata la base L’Avana e nel porto di Le Havre.
di tutta la mia opera perché, quando avevo 17 o 18 Nel 2017 ha co-diretto, con
anni, Internet era agli inizi, l’ho conosciuto prima Agnès Varda, il documentario
del cellulare, dei social. Il mio lavoro artistico si è Faces, Places.
sviluppato in quegli anni, ha sempre implicato • Born in Paris in 1983,
di poter coinvolgere nel processo persone che JR is a French artist who
non conosco, che incontro su Internet e che invito, works with the photographic
collage technique to create
lanciando una bottiglia in mare. Le persone vengono
large-scale urban installations,
a collaborare a collage partecipati. involving local communities in
Quando se ne vanno, non sono orgogliosi dell’opera, the process. He has created
ma piuttosto degli incontri che sono riusciti ad avere projects in the Parisian quarter
of Clichy-Montfermeil, the
nel corso del processo artistico. Per me, l’opera è il Morro da Providencia favela in
processo del fare l’opera. Rio de Janeiro, Havana, the port
L’esempio specifico che mi sembra più pertinente di of Le Havre and many other
altri per esprimere il mio pensiero in merito è quello places. In 2017, with Agnès
Varda, he co-directed the
di una prigione di massima sicurezza in California, documentary Faces, Places.
che si chiama Tehachapi. È un posto tagliato fuori
dal mondo, da qualunque scambio con l’esterno, un
carcere di livello 4. Perfino all’interno, i rapporti tra
guardie e carcerati sono molto complicati. Quando
non sono chiusi in cella, i detenuti possono parlare
tra loro solo in cortile. Tra guardie e carcerati c’è
un muro: non fisico, ma comunque reale. Mi sono
ritrovato a lavorare in questa prigione grazie al
governatore della California che, per caso, prima
di essere eletto, aveva partecipato a uno dei miei
affreschi. Ho avuto il permesso di entrare nel
carcere portando con me il mio telefonino. Quando
sono uscito, avevo per l’appunto l’idea di realizzare
un’opera d’arte con i detenuti e mi dicevo che
sarebbe stato interessante coinvolgere le guardie,
ma anche le vittime, farli parlare tutti insieme in
un medesimo affresco e registrare i racconti di
ciascuna delle persone.
Una volta sul posto, mi sono reso conto che il
mio telefono era un collegamento straordinario
per portare all’esterno il progetto, grazie alla
comunicazione che, in un posto come questo, non Tutte le foto / All photos
esiste. I social, quindi, sono stati parte integrante © JR
24 ARTE
del progetto nella misura in cui potevo condividere
online le discussioni e i dialoghi che avevo avuto con
i detenuti. È sato istintivo farlo. Spesso, questo è il
modo in cui realizzo i miei progetti.
Uno dei carcerati coinvolti si chiama Kevin. Aveva
una svastica tatuata in faccia, cosa che mi pareva
impensabile, se non in un film.
La prima domanda che gli ho rivolto è stata: “Come
ti sei trovato questa cosa in faccia?”. Mi ha guardato
come se ne avesse dimenticato l’esistenza. Mi ha
detto che era semplicemente il simbolo di una banda
del carcere: “Se potessi, me la farei cancellare”.
Perciò, ho postato in Rete un suo ritratto, cosa che ha
suscitato parecchi commenti, e glieli ho mostrati.
Dato che erano più di 17 anni che si trovava in
prigione, gli ho spiegato i principi di funzionamento
dei social, che le persone dall’altra parte del mondo
non avevano la minima idea del contesto in cui
lui si era fatto quel tatuaggio e del perché voleva
toglierselo. Per tre o quattro giorni, ho girato video
che postavo in diretta dal carcere e gli ho letto i
commenti. Ho potuto constatare la forza dell’effetto
che avevano su di lui: non aveva mai ricevuto tanta
attenzione, tanto amore e tanto odio in una volta sola.
I video sono stati notati anche all’interno del carcere:
dalle guardie, dai famigliari (compresi i suoi),
e dal mondo intero.
Per tre anni, sono tornato in quella prigione a trovare
Kevin, che aveva sempre il tatuaggio. In carcere
era impossibile farlo togliere, ma la “catena umana”
di sostegno venutasi a creare in Rete lo poteva
rendere possibile. Sfortunatamente, il Covid-19 ha
deciso altrimenti, il processo si è interrotto, ma ho
comunque potuto continuare a fargli visita.
È stato allora che ho chiesto ai detenuti di
raccontarmi qual era stato l’effetto dell’app gratuita
JR Mural su cui i loro file audio erano stati diffusi.
Basta cliccare su uno qualunque dei volti per
ascoltarne il racconto.
Dato che in prigione non è permesso avere il
cellulare, l’app non ha avuto alcun effetto diretto su di
loro, ma ne ha avuto sulle loro famiglie.
La figlia diciottenne di Kevin, per esempio, non era
mai andata a trovarlo, pensando che non meritasse
il suo affetto. Alla fine, ha ascoltato il suo racconto.
“Mi ha ascoltato in un modo in cui non avrei mai
potuto esprimermi se fosse venuta a trovarmi
in parlatorio. In questi 40 minuti di audio mi sono
lasciato andare, ho pianto, ho spiegato da dove
venivo e come mi sono ritrovato qui.
Da allora, lei viene a trovarmi ogni settimana. Chiedi
a qualunque carcerato del gruppo, la maggior parte
delle loro famiglie ha ripreso i contatti”, mi ha detto.
Altre persone al di fuori – le guardie e il direttore
della prigione, per esempio – hanno ascoltato i
racconti e, a loro volta, hanno iniziato a parlare.
Improvvisamente, quelle persone non sono state
più considerate come bestie, ma come uomini.
Ovviamente, violentatori e omicidi erano esclusi dal
gruppo, che comprendeva però chi era detenuto
già da 15 o anche 19 anni. Erano stati condannati a
lunghe pene per varie ragioni: per esempio, perché
implicati nelle bande o a causa della Three Strikes
Law,
la legge statunitense che condanna all’ergastolo
chiunque commetta un terzo reato, anche se i primi
due sono di entità minore.
Grazie a questo progetto, il 100 per cento dei
detenuti coinvolti è stato trasferito in prigioni di
minor sicurezza – livello 2 o 3 – e un terzo di loro è
stato scarcerato, per la semplice ragione che l’arte
ha messo in evidenza il fatto che erano cambiati.
Anche le guardie hanno testimoniato in favore
della loro liberazione, cosa che è stata decisiva
quando si sono presentati davanti al Parole Board
(la commissione che decide in merito alla libertà
condizionata). Kevin, così, è uscito dal carcere.
Per prima cosa, si è fatto togliere il tatuaggio.
Quel giorno ero con lui, eravamo in un centro sociale.
È un’operazione che comporta parecchie sedute,
ma la prima è molto importante, soprattutto sul viso
perché l’intervento è particolarmente doloroso.
Alla fine, la dottoressa gli ha detto: “Chi meglio di me,
che sono ebrea, per cancellarti il tatuaggio?”.
È stato un momento commovente, lui si vergognava.
È interessante che in prigione gli altri detenuti,
di differenti origini, non lo considerassero un
estremista. Sapendo quanto fosse cambiato,
quel tatuaggio per loro non significava più nulla.
In compenso, nella società civile, le persone si
voltavano dall’altra parte, impaurite.
Kevin si è reso conto che non poteva più vivere con il
suo tatuaggio, l’urgenza di toglierselo era estrema.
Il nocciolo del progetto è certamente dare e ricevere
una seconda occasione. Per me, è soprattutto
l’occasione che si è venuta a creare, i legami di
comunicazione con persone che non incontrerà mai,
ma che, a un certo punto, hanno creduto in lui; cosa
domus 1073 Novembre November 2022
che in un mondo passato, meno globale, sarebbe
stata impossibile.
La sua famiglia avrebbe sempre avuto problemi
ad andarlo a trovare, le guardie avrebbero sempre
pensato di lui la stessa cosa – lui con il suo tatuaggio
in faccia – e, di fatto, nessuno gli avrebbe dato
una possibilità. Tutti questi collegamenti gli hanno
permesso di uscire. Tutti se ne sono interessati,
perfino lo Stato si è convinto che quest’uomo
era cambiato. Il mio lavoro esiste grazie alla
globalizzazione. Il fatto di poter spedire stampe
di ritratti di persone ai quattro angoli del mondo,
persone che me li hanno a loro volta trasmessi
senza mai incontrarmi, persone che vogliono
difendere un giardino pubblico o la propria libertà
d’espressione in Iran o, ancora, battersi per la
democrazia in qualche altro luogo – perché questo
diventa il loro progetto, sono loro che iniziano a
postare – è possibile solo grazie alla globalizzazione.
Mantengo, comunque, un perimetro molto stretto per
realizzare questi progetti. Il mio solo mezzo di difesa
per tutelare tutti gli altri elementi che hai elencato
prima consiste nel non permettere che né i prodotti,
né le marche, né i Governi li finanzino, in modo da
essere totalmente indipendenti. Contribuisco a fare
viaggiare questi racconti senza che siano asserviti
al profitto di un prodotto estraneo, che non avrebbe
niente a che vedere con loro.
Jean Nouvel Questi racconti sono, per l’appunto,
all’origine della globalizzazione economica e sono,
per l’appunto, criticabili sul piano umano e filosofico,
come dice Edgar Morin.
JR Proprio così. È per questo che non proclamo:
“Abbasso il capitalismo!”. Per ora non abbiamo
trovato un modello migliore. In ogni caso, cerco di
rendere il mio processo il più puro possibile, anche
se il modo di finanziarlo resta vendere le mie opere.
Reinvesto quello che ho venduto nei miei progetti;
questo mi dà la libertà completa di decidere dove,
quando e come realizzarli. È l’unico modo che ho
trovato e che funziona. Questo progetto in carcere
sarebbe stato differente se avesse avuto il sostegno
di Chanel, di Coca-Cola o di Nike, per esempio. Quelle
persone hanno condiviso il loro racconto con l’unico
scopo di condividerlo. La forza dell’arte non sta nel
vendere un berretto o una T-shirt, ma nello stimolare
la riflessione, nel fare emergere le domande. Se hai
domus 1073 Novembre November 2022
Le persone collaborano a collage partecipati.
Quando se ne vanno, non sono orgogliosi
dell’opera, ma piuttosto degli incontri.
Per me, l’opera è il processo del fare l’opera /
People come and work on participatory
collages. When they leave, it’s not so much
the artwork itself that they are proud of,
but the people they encountered.
For me, the artwork is the process
of making the artwork
da mangiare e da bere a sufficienza, la domanda
da porre è: “Perché sono qui?”. Credo che l’arte sia
uno dei modi più potenti per chiedersi quali tracce
lasciamo.
JN Suscitare emozioni.
JR Esattamente. I carcerati hanno rilasciato
testimonianze incredibili, molto profonde. Non sono
interviste vere e proprie, non sono un giornalista
e non sono qui per giudicarli o interromperli.
Per metterli nello stato d’animo giusta, ho detto loro
che la storia che avrebbero raccontato avrebbe
raggiunto qualcuno come me, che non li conosce.
Non sapevo nemmeno che queste carceri di
massima sicurezza esistessero, pensavo che
esistessero solo nei film. Per farli partecipare,
occorreva che uscissero dal mondo in cui sono
cresciuti e che cercassero di spiegare, in modo
molto semplice, comprensibile anche a un
bambino di quattro o cinque anni, quello che era
capitato nella loro vita. È l’esempio a cui tenevo
particolarmente e di cui volevo parlare, perché un
carcere, in fin dei conti, è il luogo più chiuso non
raggiunto dalla globalizzazione. La cosa abbastanza
impressionante, quando si parla con questi detenuti,
è che la loro capacità d’attenzione è al 100 per cento,
dato che nella loro vita non ci sono telefoni, non
vengono disturbati ogni due minuti da qualcosa.
Quando gli si parla sono presenti, è come parlare a
uomini di 20 anni fa. Poi ci si rende conto che in noi
qualcosa è cambiato riguardo all’attenzione. Alla
fine di ogni giornata, ero sfinito perché la presenza
che mi era richiesta era senza sosta; mi trovavo lì,
assorbito in conversazioni reali. In un carcere, poi,
non ci sono annunci pubblicitari o altre distrazioni,
si è continuamente immersi nei rapporti umani,
soprattutto nell’ambito di progetti come questo.
Una volta tanto, si ha la possibilità di avere uno
scambio che dura tutto il giorno senza essere
interrotti dal ritmo brutale del carcere.
Questo progetto non rappresenta tutto il mio lavoro
nelle comunità: in qualche caso i miei lavori durano 15
o 20 anni. C’è qualcosa, però, che paradossalmente
accade grazie alla globalizzazione – i legami della
comunicazione – in questa microsocietà che è il
riflesso della società esterna, ma è tagliata fuori
dalla globalizzazione. So che ciò forse non si ripeterà,
perché è molto complicato, soprattutto per tutte
ART 25
le derive che potrebbe implicare, ma il fatto che un
telefonino sia potuto entrare nel carcere e quindi
agire da legame con l’esterno ha cambiato le cose.
Proprio in questo momento, questo caso è oggetto di
studio da parte del Governo americano. Sono anche
venuti, nel corso di questi tre anni, a constatarne
gli effetti, a osservare i cambiamenti, le azioni che
questo progetto è riuscito a sviluppare. Tutto ciò mi
dà una speranza immensa.
Non ho realizzato nessuna intervista, ho
semplicemente postato i video sui social.
Questa app è stata scoperta dal pubblico per caso.
Essendo il carcere un mondo a parte, con tutte le
persone che vi sono legate – le famiglie e via dicendo
– si è parlato anche di questo “buco gigantesco”
che ho fatto nel cortile della prigione e, quindi,
l’’immagine ha fatto il giro del mondo.
Si può anche fare la tara al numero di persone
che ascoltano questi racconti: è come al cinema,
molti conoscono il manifesto di un film, ma il numero
delle persone che lo vanno a vedere è più ridotto.
Non sono davvero i numeri che contano,
ma l’effetto. Poco importa quante persone abbiano
ascoltato. In carcere, l’impatto è stato sufficiente
a far sì che le famiglie, le guardie e i funzionari
del Governo abbiano ascoltato, e a fare sì che
condividere la propria storia abbia permesso di
cambiare la percezione che hanno gli uni degli altri.
Abbiamo realizzato altri progetti interessanti.
Non potevo tornare indietro senza un’idea, senza
qualche cosa. Sullo sfondo, ci sono le montagne
e il deserto, ovviamente ci sono muri tutt’intorno.
Ho incollato la foto delle montagne sul muro. Il che
significa che, quando si guarda l’immagine, che in
realtà è un trompe-l’oeil, i muri scompaiono. Mi hanno
obbligato a lasciare scoperta la base del muro, per
ragioni di sicurezza: le misure sono talmente strette Pagina 22: il cortile del carcere di massima sicurezza
che le guardie nel cortile non ci entrano nemmeno, di Tehachapi, California, con il trompe l’oeil delle
montagne in bianco e nero applicato sul muro di cinta.
stanno sulle torrette, con le armi in pugno. La base del muro è rimasta spoglia per ragioni
Quando c’è una rissa, sparano in aria e non di sicurezza. Pagina a fronte: l’artista francese JR
intervengono finché tutti i detenuti sono stesi a terra. con alcuni dei detenuti coinvolti nel progetto
Ho scattato in bianco e nero perché, a colori, intitolato Tehachapi, The Yard, nel 2019.
Alla destra di JR, c’è Kevin
l’illusione che il muro non esistesse sarebbe stata
più forte. Il bianco e nero è un primo passo verso • Page 22: The yard of the maximum security prison in
l’esterno, ma il muro resta, è una presenza reale. Tehachapi, California, with a trompe l’oeil black and
Quando, invece, arriva l’inverno, dato che in white mountain applied to the prison wall.
The base of the wall is left bare for security reasons.
montagna nevica, tutto diventa bianco e nero, Opposite page: the French artist JR with some of the
e il falso muro diventa reale. Spesso sono le guardie inmates involved in the project, titled Tehachapi, The
a mandarmi delle foto. Yard, in 2019. Kevin is on JR’s right
26 ARTE domus 1073 Novembre November 2022
domus 1073 Novembre November 2022 ART 27

In queste pagine: vista aerea del collage fotografico

Tehachapi, The Yard, 2019, con la foto di gruppo dei
detenuti applicata sul pavimento del cortile. JR e il suo
team hanno fotografato gli uomini, uno dopo l’altro,
dall’alto, e hanno avuto la possibilità di raccontare la
loro storia davanti a una telecamera. In totale sono
state coinvolte 48 persone, tra detenuti e personale

• These pages: aerial view of Tehachapi, The Yard,

2019, a collage showing a group photo of inmates
applied to the paving of the yard.
JR and his team photographed the men, one by one,
from above, while giving them the chance to tell their
story before a camera. A total of 48 people were
involved, including detainees and staff
28 ARTE
La forza dell’arte non sta nel vendere
un berretto o una T-shirt, ma nello stimolare
la riflessione, nel fare emergere domande /
The strength of art lies not in selling
a cap or a T-shirt, but in prompting people
to think and question
Jean Nouvel Urban globalisation is one of the world’s
worst afflictions. The same things and objects are
repeated over and over again. This globalisation also
influences the products we find everywhere. Everything
that relates to globalisation in the sense of importing
products, of needing more than what can be found
locally, of failing to understand that each place has its
own richness and identity. Character can only come
from a series of distinctive situations, and this is what
will enrich the world rather than shrinking it. For many
years, Edgar Morin has adopted a stance that I greatly
admire, arguing that globalisation is positive for one
main reason: communication between individuals, who
are able to speak to one another, have opportunities
to speak to one another, see each other, get to know
one another from a distance and exchange ideas. This
is vital. It’s the most important aspect of globalisation
today, far more so than any of the drawbacks we
are all aware of – these cloned situations you can
find anywhere that make no sense, those products
spreading when we don’t need them, purely for reasons
of profit and capitalism. I propose that each of you talk
about these issues in your own way, reflecting your own
thoughts, actions and experiences, and explore these
ideas regarding urban globalisation and its drawbacks,
showing that we are not anti-globalisation and that
globalisation can even be positive in some cases.
JR I completely agree with Edgar Morin’s argument
that the fact that globalisation enables communication
between strangers around the world is perhaps one
of its only benefits. Like in any great innovation, there
is strength but there is also huge weakness. Many
people no longer leave their homes because they can
talk to one another online. My work focuses on two
very specific points. The first is making people want
to leave their homes to meet, and that is one of the
hardest things these days because you have the option
of visiting Peru with virtual reality, and you can talk to
people on the other side of the world using FaceTime.
There are people who are friends but have never met.
For me, one thing that can never be replaced is the
physical human relationship, and even though these
channels can perpetuate this human relationship, there
is a physical aspect that is necessary and vital.
JN This information and contact encourage travel,
because they encourage people to go and meet friends
they’ve never seen in person.
JR Exactly. They allow people to maintain those
connections. I’ve based all my work on this because
the Internet was just taking off when I was 17 or 18. I
discovered it before mobile phones or social media.
My artistic work evolved during that period. I’ve always
sought to include people I don’t know in my work, people
I meet online and invite to participate by throwing a
message in a bottle into the sea. People come and
work on participatory collages. When they leave, it’s
not so much the artwork itself that they are proud of,
but rather the people they encountered during the
artistic process. For me, the artwork is the process
of making the artwork. The specific example I’d like to
talk about is that of a high-security prison in California
called Tehachapi. As a level 4 high-security prison, it’s
cut off from any interaction with the outside world. Even
inside, it’s difficult for prisoners and guards to establish
relationships. When they are not shut up in their cells,
the prisoners are only able to speak to one another in
the yard. There’s a wall between the prisoners and the
guards, not a physical wall but a real one nonetheless.
My opportunity to work at the prison came through the
governor of California, who, by chance, had participated
in one of my mural projects before being appointed
governor. I was authorised to enter the prison with
my mobile phone. Initially, I set out with the idea of
producing an artwork with the prisoners. I thought it
would be interesting to involve the guards as well as
the victims of the gangs whose members are in prison,
giving all these people a voice on a single mural and
recording the stories of each individual we would see on
that mural. Once I was inside the prison, I realised that
my phone was an incredible tool that I could use to take
the project further, as it offered a kind of communication
that didn’t exist in a place like this. Social media played
a central role in the project as I was able to share the
discussions I had with the prisoners online. It came
instinctively. That’s often how I develop my projects.
One of the prisoner participants was called Kevin.
He had a swastika tattoo on his face, which I’d never
imagined seeing on a real person. The first question
I asked him was: “How did you end up with that on
your face?” and he looked at me as if he’d forgotten it
was there. He told me it was the symbol of a gang he
represented in prison and that if he could, he’d have
it removed. I posted a portrait of him on social media,
which triggered a wave of comments. I showed him
the comments. He’d been in prison for more than 17
years, so I explained the principle of social media to
domus 1073 Novembre November 2022
him. People on the other side of the world would have
no idea of the background behind the tattoo (although
there’s really no legitimate explanation for it), so I asked
him to tell people how and why he’d got the tattoo and
why he wanted to remove it. For three or four days,
I made a series of videos that I posted live from the
prison before reading him the comments. I saw the
impact it had on him: he’d never received so much
attention, love and hatred all at once. The videos were
watched by people at the prison, the guards, family
members and Kevin’s own family, as well as by people
from all over the world. For three years, I visited the
prison to see Kevin, who still had the tattoo on his face.
He couldn’t get it removed in prison but this “human
chain” of support on social media made it seem more
possible. Unfortunately, the Covid pandemic brought
the process to a halt but I was still able to visit him.
I asked the prisoners about the impact of the free “JR
Mural” smartphone app, where their spoken accounts
of their lives were stored. On the app, you can click on a
face and hear the person’s story. The prisoners aren’t
allowed mobile phones in prison so the app made more
of an impact on their families than it did on the prisoners
themselves. Kevin’s 18-year-old daughter never went
to see him as she thought he was undeserving of her
love. Then she listened to his story. Kevin told me: “She
listened to me expressing myself in a way I’d never have
been able to if she’d come to the visiting room to see
me. During the 40-minute voice recording, I opened my
heart, I cried, I explained where I’d come from and how
I’d ended up here. After that, she came to see me every
week. Ask any of the prisoners in the group, most of
their families have got back in contact with them.” Other
people on the outside, including the prison guards
and the director, listened to their stories and began to
speak in turn. Suddenly, they were no longer seen as
animals but as men. Of course, I made sure that rapists,
murderers and anyone else who might shock people
on the outside with their crimes were not included. In
my group, there were people who had been in prison
for 15 to 19 years. They’d received long sentences
for various reasons, in some cases because they
were involved in gangs and in others because of the
three-strike law in the United States, which sentences
anyone who has committed more than three crimes
to life imprisonment, and so on. Thanks to this project,
which was launched exactly three years ago, 100 per
cent of the prisoners I recruited for the project were
transferred to lower-security prisons – level 2 or 3 – and
domus 1073 Novembre November 2022
one-third were released for the simple reason that art
had shown how much they had changed. The guards
even argued for their release, which was crucial when
their cases were examined by the board of parole.
Kevin was one of the ones who was released from
prison. The first thing he did on the outside was get
his tattoo removed. I was with him that day. He did it at
a community centre. Tattoos are removed in several
stages but the first is very important, especially on the
face where it’s even more painful. At the end, the doctor
said to him: “Who better than me, a Jewish woman,
to remove your tattoo?” It was very moving; he was
ashamed. It’s interesting how other prisoners from
different backgrounds didn’t see him as an extremist.
They knew he’d changed so the tattoo meant nothing
to them. Meanwhile, in society outside the prison walls,
people avoided him in fear. He realised he could no
longer live with his tattoo – he urgently needed to get
it removed. This project focuses on the idea of giving
and accepting second chances. But above all, it’s
about the communication that took place with people
whom he would never meet but who believed in him
at that moment. This would have been impossible in
an earlier, less global world. His family would still have
struggled to visit, the guards would still have looked
at him in the same way, with his tattoo on his face,
and nobody would have given him a chance. These
communication links allowed him to get out of prison.
Everyone took an interest, even the state, believing that
maybe this man had changed because of how well he
expressed himself. He must have done the same before
the board, but perhaps they didn’t believe him. My work
exists because of globalisation. The fact that I can send
printed portraits of pople all over the world, who have
themselves sent these portraits to me without ever
meeting me, who are keen to defend a public garden
or their freedom of expression in Iran or democracy
elsewhere – it becomes their project, they add the
components to the collage – this kind of project is only
possible thanks to globalisation. However, I have some
very strict rules when it comes to my projects. My only
defence mechanism to protect all the other elements
you listed at the start is to avoid accepting funding from
brands or governments and ensure that my projects
are completely independent. My role is to spread these
stories far and wide and make sure that they are not
used for the benefit of another, unrelated product.
JN These stories are at the very root of economic
globalisation and are just as open to criticism on the
human and philosophical level, as Edgar Morin says.
JR Exactly. That’s why I haven’t adopted the narrative
of “Down with capitalism!” We haven’t come up with a
better model yet. I try to make my process as pure as
possible, even though my funding comes from selling
my works. I think it’s important to talk about this aspect.
I reinvest what I’ve sold in my projects, which gives me
complete freedom to decide where, when and how I
carry them out. This is the method that works for me.
This project at the prison would have been different if
it had been funded by Chanel, Coca-Cola or Nike, for
example. These people are sharing their stories for no
reason other than a desire to share. The strength of
art lies not in selling a cap or a T-shirt, but in prompting
people to think and question. Once you’ve sated your
hunger and thirst, the only question that remains is:
“Why am I here?” I think art is one of the most powerful
ways of questioning what we leave behind.
JN Eliciting emotion.
JR Exactly. The prisoners gave incredible, really
profound interviews. They’re not interviews as such. I’m
not a journalist and I’m not there to judge or interrupt
the participants. To prepare them, I tell them that the
story they’re going to tell will reach someone like me
who doesn’t know them. I didn’t even know that these
high-security prisons existed. I thought they were just
something you saw in films. They had to leave behind
the world they’d grown up in and try to explain what had
happened in their lives to end up here as if they were
speaking to a four- or five-year-old. All the stories are told
very simply. That’s the example I was especially keen
to talk about because at the end of the day prisons
are the most closed places on the planet and they’re
untouched by globalisation. What’s striking when you
speak to the prisoners is that their ability to concentrate
is 100 per cent. They don’t have phones so they aren’t
bothered by things every two minutes. When you talk
to them, they’re present. It’s as if you were speaking
to people from 20 years ago. It makes you realise that
our concentration has changed. I was exhausted at
the end of every day because I was constantly 100
per cent switched on. I was there in the midst of real
conversations. In prisons, there’s no advertising or other
distractions. You’re constantly immersed in human
relations, especially in projects like this. For once, you’re
ART 29
A sinistra: JR (di spalle vestito di nero), con la sua
squadra, ha coinvolto la popolazione carceraria per
incollare 338 strisce di carta sul pavimento
del cortile della prigione. Se da terra l’installazione
non era distinguibile, dall’alto, l’immagine diventava
chiara, rivelando detenuti, ex detenuti e guardie
gli uni vicini agli altri. L’installazione, effimera,
è scomparsa dopo tre giorni
•Left: JR (centre, in black) and his team involved the
prison population in gluing 338 strips of paper to the
pavement of the prison yard. The installation cannot
be viewed from the ground, but from above the image
becomes clear, revealing present and former inmates
and guards side by side. The ephemeral installation
disappeared within three days
able to talk all day without being interrupted by the
prison’s brutal schedule.
This project isn’t the only example of my community
work. Sometimes, my projects last for 15 or 20 years.
But there’s something quite striking that paradoxically
occurs because of globalisation – communication
links – in this microsociety that mirrors the outside world
but is cut off from globalisation. I know that this may
not happen again because of the potential for abuse,
but the fact of being able to bring a telephone into the
prison and provide a link to the outside world changed
things. This example is currently being studied by the
American government. They came to visit during the
three-year project to observe the impact on the prison,
the changes that took place and the programmes that
the project gave rise to. This gives me great hope.
I didn’t conduct interviews, I just posted videos on social
media. People discovered the app by chance. Prison is a
whole other world, with all the people who are linked to it,
families, etc., so the “giant hole” I opened up in the prison
allowed the image to travel around the world.
Of course, not everyone has listened to the stories. It’s
like with films: lots of people are familiar with the poster
for a film but the number of people who actually go
and see the film is much lower. I don’t really monitor the
figures; I’m interested in the impact. How many people
have listened to the accounts doesn’t matter that
much. In the prison, they’ve made enough of an impact
for family members, guards and government officials to
have listened to them, and sharing the prisoners’ stories
has changed their perceptions. We’ve also carried out
other great projects. I couldn’t go back without an idea,
something. There are mountains and desert behind the
prison, with walls all around it, and I affixed photos of the
mountains to the wall with the prisoners.
When you look at them, the walls disappear. It’s an
optical illusion. They didn’t let me stick the photos on the
bottom of the wall because it’s so high-security that the
guards don’t even venture into the yard.
They’re in the lookout towers with their weapons, and
whenever there’s a brawl, they shoot and then wait until
everyone is on the ground before intervening. I used
black-and-white photos because if they were in colour
it would really look like there was no wall. In black and
white, it’s like an initial stage on the path to the outside
world, but the wall is really there. When winter comes,
the snow on the mountains makes everything black
and white and the fake wall becomes real. It’s often the
guards who send me photos.
30 ARCHITETTURA
Lungo il bordo /
On the edge
Bruce Bégout
Photo Richard Dumas
A lungo, lo sguardo sul paesaggio ha oscillato
tra il pittoresco e il sublime. Uno degli aspetti
originali del paesaggio contemporaneo è,
invece, apparire come una semplice finestra
sul mondo ordinario /
For a long time, our perception of the landscape
oscillated between the picturesque
and the sublime. One of the original aspects
of the contemporary landscape is that it seems
to appear instead as a simple window onto
the ordinary world
Per gusto o per fatalità, sto bene solo ai bordi. Quelli delle
strade, dei luoghi ben definiti, del mondo sociale. Non
vado oltre la frontiera, esiliato o straniero, ma mi tengo
nella zona grigia dell’indeterminatezza, nella terra di
nessuno tra il vicino e il lontano, in quegli spazi marginali
che accolgono tutto ciò che il centro, luogo della potenza
e della verità, tiene confinato. Perché ai bordi, a cavallo tra
l’ufficiale e il clandestino, si trovano gli scarti, tutto ciò che
la società espelle come non conforme alla sua visione
normativa. Si tratta di cose abbandonate e malridotte,
ma anche di spazi ed eventi. Nei fossi lungo le strade
che nessuno nota, per esempio, si trovano ecosistemi in
miniatura. Stare sul bordo significa essere partecipe di
due mondi, prendendo le distanze da entrambi.
Il bordo favorisce l’atteggiamento scettico che tiene in
sospeso le convinzioni, tiene a distanza gli impegni.
Si è contemporaneamente questo e quello, né questo né
quello, si appartiene a entrambi i lati del bordo e, tuttavia,
se ne resta fuori. A lungo lo sguardo sul paesaggio
ha oscillato tra il pittoresco e il sublime. L’occhio era
attratto solo dalla bellezza ornamentale o dalla veduta
spettacolare, dalla pace della valle o dalla furia del mare.
Ogni paesaggio era tenuto a essere edificante, al di là del
piacere che procurava, ad attrarre e insegnare, a dare
una lezione di gusto e di rispetto. Lasciando da parte
lo sfruttamento turistico e simbolico, uno degli aspetti
originali del paesaggio contemporaneo è che sembra
abbandonare senza amarezza la pretesa di dare conto
del cosmo per apparire come una semplice finestra sul
mondo ordinario. Qualcuno deplora questo livellamento
verso il basso, come il filosofo François Jullien che, in
Vivere di paesaggio, rifiuta d’includere nella categoria
del paesaggio i terreni abbandonati, le aree periferiche
e le discariche. Ci sarebbe in questi luoghi non-luoghi,
un’assenza d’identità e di coerenza, una carenza di senso
e di vita che li renderebbe inadatti alla rappresentazione.
Resta, però, il fatto che intorno a noi questi paesaggi
ordinari, o infraordinari, esistono, si formano, si estendono
sul territorio, al punto da essere diventati, da una trentina
d’anni, oggetto d’interesse da parte di scrittori, artisti e
geografi. Che cosa bisogna intendere qui per “paesaggio
ordinario”? È una formula abbastanza sorprendente.
Ogni paesaggio non è forse, se non extra-ordinario, per
lo meno insolito, originale, singolare? La percezione che
ne abbiamo, con tutti gli elementi linguistici e culturali che
la costituiscono, non implica forse la sottolineatura di
un luogo, di un sito, di una cornice che staccano questo
luogo, questo sito, questa cornice, dall’ambiente ordinario
che resta in secondo piano? Un paesaggio, sorprendente
o strano, nasce dal mondo, emerge dal suo orizzonte
indistinto per apparire come un’unità visiva di primo piano.
La stessa posizione dello spettatore implica questa
distanza. Lo spettatore è costretto a uscire dal mondo
comune, a sospendere azioni e progetti, per osservarli a
distanza. Questo mettere in luce il paesaggio non è forse
incompatibile con la qualifica di ordinario? La domanda
merita di essere formulata nella misura in cui ogni
paesaggio richiede il contrasto. È un’arte del delimitare.
domus 1073 Novembre November 2022
Ognuno può così creare i propri paesaggi, come un
bambino che, giocando ingenuamente con le mani, crea
una finestra portatile, ritagliando dall’orizzonte del mondo
un sito singolare che si distingue. Tuttavia, l’espressione
“paesaggio ordinario” ha un senso. La definizione richiede
contemporaneamente di essere parte di un paesaggio
dell’ordinario, come parte del mondo comune (vie, strade,
zone industriali o residenziali, insegne e cartelloni, e via
dicendo), e non rivendicare una posizione d’eccezione di
fronte a questo universo.
In un certo senso, non ci sono più realmente paesaggi
straordinari, di quelli che trascendono l’orizzonte di
qualunque visibilità nota. Con questo non si vuol dire
in modo polemico – e un po’ sterile – che il territorio sia
diventato brutto, uniforme e senza interesse sotto la
pressione dell’architettura commerciale e della pubblicità
a basso costo, dell’urbanizzazione selvaggia e della città
in franchising, ma che non è più lo sfondo consueto di
un’estrapolazione spettacolare che mira alla creazione
di siti di spicco. Certamente, nella nostra epoca questa
volontà di scoprire un nuovo sublime persiste, soprattutto
nella caccia ai ruderi spettacolari di luoghi inconsueti
e talvolta proibiti. Mi sembra però più una reazione al
riconoscimento scioccante della potenza dell’ordinario,
che una tendenza libera e spontanea. Come se, di fatto,
i nostri esploratori contemporanei di parchi a tema
devastati e di fabbriche dismesse fossero alla ricerca del
punto in cui l’ordinario si trasforma in straordinario grazie
alla sola intercessione del disastro.
Photo © Bruce Bégout
32 ARCHITETTURA
Bruce Bégout
Nato a Talence, in Francia, nel
1967, è scrittore e filosofo.
Ex studente dell’École normale
supérieure Ulm, è docente
all’Università di Bordeaux-
Montaigne e specialista di
Edmund Husserl. Nel 2020 ha
pubblicato il saggio Le concept
d’ambiance (Seuil).
• Born in Talence, France in
1967, Bégout is a writer and
philosopher. He studied at the
École Normale Supérieure-
Ulm in Paris, and teaches
at Université Bordeaux
Montaigne in Pessac. Bégout
is a scholar of the philosopher
Edmund Husserl. In 2020,
he published the essay Le
concept d’ambiance (Seuil).
Photos © Bruce Bégout
• Whether by inclination or fate, I only feel at home on the
borders. Of streets, of well-defined places, of the social
world itself. I don’t go beyond the border, as an exile or
alien, but stay in the grey area of indeterminacy, in the
no man’s land between near and far, in those marginal
spaces that contain everything ousted from the centre,
the place of power and truth. This is because on the
boundaries, straddling the official and the clandestine,
we find the discards, all that society expels as not
conforming to its normative vision. There are abandoned
and battered things, as well as spaces and events. Just
like the ditches lining the roads, which no one ever looks
at, yet they contain miniature ecosystems. To stand on the
edge is to be part of two worlds while distancing oneself
from them. The edge favours the sceptical attitude that
holds beliefs in suspense and keeps commitments at a
distance. You are simultaneously this and that and neither
this nor that; you belong to both sides of the boundary
and yet remain elsewhere. For a long time, our perception
of the landscape oscillated between the picturesque
and the sublime. The eye was attracted only by some
beautiful spot or spectacular view, the peace of the valley
or the fury of the sea. Beyond the pleasure it aroused,
every landscape was required to be edifying, to attract
and teach, to give a lesson in taste and respect. One of
the original aspects of the contemporary landscape is
that it seems, on the one hand (leaving aside, of course,
its exploitation for touristic or symbolic purposes), to
abandon without bitterness the claim to give an account
Stare sul bordo significa essere partecipe
di due mondi, prendendo le distanze da
entrambi. Il bordo favorisce l’atteggiamento
scettico che tiene sospese le convinzioni /
To stand on the edge is to be part of two
worlds while distancing oneself from them.
The edge favours the sceptical attitude
that holds beliefs in suspense
of the cosmos, to appear instead as a simple window
onto the ordinary world. Some deplore this levelling
down. Like François Jullien who, in Living off Landscape,
categorically refuses to grant the label of “landscape” to
abandoned land, peripheral areas or landfills. In these
places, or non-places, there is an absence of identity and
coherence, a general lack of meaning and life, rendering
them incapable of representation. But the fact remains
that, all around us, these ordinary or infra-ordinary
landscapes exist, are formed and spread over the whole
territory to the point of having become, over the last 30
years or so, the object of constant interest to writers,
artists and geographers. But what is meant here by the
“ordinary landscape”? It is a rather surprising expression.
Isn’t every landscape, if not extra-ordinary, at least
unusual, original and singular? Doesn’t the perception
of landscape, with all the linguistic and cultural elements
that constitute it, imply a focus on a place, a location or a
frame that separates this place, this location, this frame,
from the ordinary environment left in the background? A
surprising or strange landscape is born from the world;
it emerges from its indistinct horizon to appear as a
prominent visual unit. The very position of the viewer
implies this separating distance. The viewer is forced
to leave the common world, to suspend actions and
projects, to observe them from a distance as landscapes.
Isn’t this heightening of landscape incompatible with the
qualification of “ordinary”? The question deserves to be
formulated to the extent that every landscape requires
domus 1073 Novembre November 2022
contrast. It is an art of delimiting. In this way everyone can
create their own landscapes, just as children, innocently
playing with their hands, can create a portable window,
framing a singular place that is distinguished from the
horizon of the world. And yet the expression “ordinary
landscape” does have meaning. The ordinary landscape
is at the same time a landscape of the ordinary, meaning
of the common world (streets, roads, industrial or
residential areas, signs and hoardings, and so on), and a
landscape that does not claim an exceptional position
in relation to this universe. In a certain sense, there is no
longer any such thing as truly extraordinary landscapes,
those that transcend the horizon of any known visibility.
This does not mean in a polemical – and even rather
sterile – way that the land has become ugly, uniform
and uninteresting under the pressure of commercial
architecture and low-cost advertising, uncontrolled urban
growth and the franchised city. It’s just that it is no longer
the usual background to a spectacular excerpt intended
to create outstanding places. Certainly, in our time the
urge to discover a new sublime persists, especially
in the quest for the spectacular ruins of unusual and
sometimes forbidden places. But it seems to me more a
reaction to the shocking recognition of the power of the
ordinary than a free and spontaneous tendency. As if our
contemporary explorers of devastated theme parks and
disused factories were looking for the point where the
ordinary tips over into the extraordinary only thanks to the
agency of some disaster.
34 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022

In queste pagine: le foto di non-luoghi, scattate da Bruce Bégout con una •These pages: non-places portrayed by Bruce Bégout using a Nikon reflex
reflex Nikon, sono il punto di partenza della sua indagine filosofica sulla città, camera. They form a starting point for his philosophical investigation on the city,
l’architettura e i cambiamenti nell’ambiente antropizzato architecture and contemporary changes in the human environment
Photos © Bruce Bégout
Photo © Bruce Bégout
36 ARCHITETTURA
Ai margini dell’ordine
globale / At the borders
of the global order
Nicolai Ouroussoff
Photo Allegra O. Eifler
Le risposte dell’architettura ai disastri provocati
dalla globalizzazione in ambito urbano devono
passare attraverso una visione della responsabilità
collettiva che apre nuove possibilità creative /
Architectural responses to globalisation-driven
disasters in the urban environment must
contemplate a meaningful vision of collective
responsibility in order to open new creative
possibilities
Quando voglio ricordare a me stesso i disastri provocati
dalla globalizzazione in ambito urbano percorro i 30
isolati che separano casa mia da Hudson Yards, il
mega-sviluppo immobiliare nel Westside di Manhattan
inaugurato nel 2019: un’inerte accozzaglia di grattacieli
per uffici e abitazioni destinati alla classe imprenditoriale
globale. L’operazione, parzialmente finanziata con
oltre 900 milioni di dollari di agevolazioni fiscali, è un
deprimente esempio della monocultura globale, che è
stata accuratamente sterilizzata di tutto ciò che questa
città rappresentava un tempo: i suoi attriti sociali, la sua
mescolanza di paura e di desiderio, la sua tradizione di
rifugio per outsider ed emarginati di varia natura. In breve,
di tutto ciò che mi ha portato qui 37 anni fa.
Hudson Yards è solo uno tra la miriade di insediamenti
analoghi, presenti in tutto il mondo, esempi di una
strategia economica da ultima spiaggia sia nei Paesi in
via di sviluppo sia nell’Occidente liberista. Recentemente,
questa strategia è stata aggiornata con l’introduzione
di tecnologie ‘intelligenti’ che, stando ai loro sostenitori,
renderanno le città più efficienti e sostenibili. Facciamo un
esempio: non molto tempo fa, a Toronto, Sidewalk Labs,
sussidiaria di Alphabet, la società madre di Google, ha
proposto un quartiere di quasi 5 ha sul lungolago con una
griglia di sensori che avrebbero raccolto dati dai cittadini,
alimentando un ciclo di feedback che gli imprenditori
immobiliari avrebbero poi utilizzato per perfezionare
continuamente la loro visione improntata al marketing
(il progetto è stato bocciato in seguito alle proteste
degli attivisti locali). In Arabia Saudita, gli operai stanno
sgombrando il terreno per la prima fase di un progetto
di un insediamento ipertecnologico di 170 km a zero
emissioni di carbonio nel Golfo Persico, che prevede case
multimilionarie servite da eserciti di robot. Come riportato
da The Wall Street Journal, la città, frutto di un’idea del
principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, dal
costo previsto di 510 miliardi di euro, sorgerà su un remoto
sito desertico e sarà monitorata da telecamere a circuito
chiuso dotate di tecnologie di riconoscimento facciale
molto avanzate, che la renderanno teoricamente immune
dai pericoli che affliggono le città tradizionali.
Come dicevamo, progetti come questi sono solo il
sintomo più estremo di un ordine globale neoliberista
che dura da decenni, in cui ci si aspetta che tutti si
conformino alle richieste del mercato. In questa realtà,
le nostre risorse finanziarie, intellettuali e creative più
preziose continuano a concentrarsi nelle mani di un
gruppo relativamente ridotto, ma potente, di élite globali
e l’architettura esiste solo per far lievitare il valore
degli immobili, fornendo al contempo una parvenza di
rispettabilità culturale. Costretti in uno spazio operativo
limitato, i professionisti più coscienziosi cercano clienti
come istituzioni artistiche progressiste o filantropi
illuminati, che permettano loro di creare qualcosa
che abbia un valore autentico. Alcuni lavorano a nuovi
modelli di sviluppo sostenibili – pensiamo ai Boschi
verticali di Stefano Boeri o alle migliaia di proposte di
città galleggianti). Altri, più inclini alla tecnica, progettano
infrastrutture civiche al servizio di un evidente bene
comune – ponti, terminal aeroportuali, stazioni ferroviarie.
Per coloro che credono ancora che la loro arte debba
servire a qualche scopo sociale più nobile, ha offerto
maggiori speranze il lavoro di un numero sempre più
ampio di architetti che cercano di operare in un territorio
ai margini dell’economia globale, dove è ancora possibile
un lavoro serio e socialmente impegnato. Architetti come
Michael Maltzan, Tatiana Bilbao e Shigeru Ban hanno
dedicato sforzi significativi allo sviluppo di modelli di
abitazioni a prezzi accessibili, pur continuando a lavorare
per ricchi committenti e istituzioni artistiche prestigiose in
grado di rafforzare le loro credenziali culturali e garantire
la sostenibilità economica del loro studio. In Francia, Anne
Lacaton e Jean-Philippe Vassal hanno reimmaginato la
banlieue francese grazie a una strategia che cerca di
massimizzare lo spazio, riducendo al minimo gli sprechi.
Francis Kéré, invece, ha collaborato in Burkina Faso con i
membri del villaggio rurale in cui è cresciuto per costruire
una serie di edifici civici, tra cui una scuola elementare,
alloggi per insegnanti e un rifugio per le donne. Queste
strutture, che combinano tecnologie occidentali e
pratiche edilizie tradizionali, riflettono una visione di
cooperazione e sostegno comune, in contrasto con
l’enfasi occidentale posta sull’individuo.
In concomitanza, si è verificato un crescente interesse
per progetti un tempo dimenticati e marginalizzati,
soprattutto nel Sud del mondo, che potrebbero offrire
risposte alternative alla modernità. Fra le iniziative che
testimoniano questo fenomeno c’è la mostra “The Project
of Independence. Architectures of Decolonisation in
South Asia, 1947-1985” di Martino Stierli al MoMA, tenutasi
a inizio 2022. Recentemente, diversi progettisti e studiosi
hanno analizzato l’architettura del tardo Modernismo
dell’Africa subsahariana, quando i Governi cercavano di
contrastare le forme dominanti della modernità europea
a seguito dell’ottenuta indipendenza. Questi sforzi
riflettono a loro volta un sommovimento più generale nel
mondo accademico, dove una generazione di studiosi ha
esposto le ipocrisie e le incoerenze morali al centro della
domus 1073 Novembre November 2022
narrazione europea postcoloniale su cui poggia ancora
la maggior parte delle nostre prospettive sulla modernità.
I più pionieristici non solo hanno messo in discussione
una visione del mondo neoliberista, basata sulla fiducia
nel progresso tecnologico e nella crescita economica,
ma hanno anche cercato di decifrare l’intricata relazione
tra modernità e sistemi di oppressione. Il loro lavoro
sarà ancora più rilevante quando tutti noi sentiremo gli
effetti del cambiamento climatico, che secondo alcune
stime provocherà la migrazione di 1,5 miliardi di persone:
un problema che si aggiunge alle immense tensioni già
causate dall’aumento delle disparità sociali e dall’ascesa
di un nazionalismo di estrema destra.
Potremmo trovarci quindi di fronte a uno spartiacque
culturale. Da un lato, per esempio, gli effetti disastrosi del
cambiamento climatico hanno spogliato gli europei del
loro compiacimento ipocrita, portandoli a riconoscere
che tutti i nostri destini sono intrecciati. Questo porta
a uno scambio culturale più fluido tra Nord e Sud, in cui
i due emisferi si incontrano come attori di pari dignità.
Con il venire meno dell’egemonia culturale occidentale,
l’etica neoliberista che celebra la realizzazione individuale
viene sostituita da una visione più significativa della
responsabilità collettiva, aprendo nuove possibilità
creative. Non sarà facile arrivarci, per una professione
storicamente intrecciata con il potere. Gli architetti non
solo dovrebbero confrontarsi con la loro complicità
nella promozione di alcuni dei peggiori aspetti della
globalizzazione, ma dovrebbero anche trovare il coraggio
di lavorare a volte contro il proprio interesse personale.
Potrebbero farlo rifiutando di accettare commissioni
lucrative quando eticamente sospette, od opponendosi
alle strategie di sviluppo che lacerano il nostro tessuto
sociale, anche quando ciò significa inimicarsi potenziali
clienti: un compito non facile in un’epoca in cui sostenere
qualsiasi tipo di pratica critica è diventato arduo. Cosa
ancora più importante, dovranno imparare ad agire
meno come artisti solitari e più come intellettuali
pubblici, aprendo un dialogo con persone al di fuori della
professione che ne condividano, però, la mentalità: da
conservatori e urbanisti a filosofi politici, organizzazioni
non governative e politici più sensibili. Dopo aver fatto
questo, dovranno trovare dei modi per costruire strutture
organizzative durevoli che possano avere un impatto a
lungo termine, cosa diventata particolarmente difficile
nell’era dei social media, che privilegia soluzioni facili e
veloci rispetto al lento e doloroso compito di realizzare
alleanze stabili. La cosa più importante è che dovranno
identificare principi comuni attorno ai quali unirsi.
 domus 1073 Novembre November 2022
Photo © Alexander Spatari/Getty Images
• Any time I want to remind myself of the disasters
that urban globalisation has wrought on cities, I walk
the 30 blocks from home to Hudson Yards, the mega
development on Manhattan’s West Side that opened
in 2019. A cluster of lifeless corporate and residential
towers catering to the global business class, the
development, which was partly paid for with over 900
million dollars in tax breaks, is a depressing example
of the global monoculture, one that has been carefully
sanitised of everything this city once represented: its
social frictions, its mix of fear and desire, its history as a
sanctuary for various outsiders and outcasts. In short,
of everything that brought me here 37 years ago.
Hudson Yards, of course, is just one example of a myriad
of similar developments that exist worldwide, and that
have become the fallback development strategy in both
the developing world and the liberal West. Recently,
this strategy has been updated with the introduction
of “smart” technologies that their proponents claim will
make cities more efficient and sustainable. Not long ago
in Toronto, for example, Sidewalk Labs, a subsidiary
of Alphabet, the parent company of Google, proposed
a 12-acre waterfront neighbourhood with a matrix of
sensors that would harvest data from ordinary citizens
to create a feedback loop by which developers would
continually fine-tune their marketing vision (The plan
was rejected after an outcry by local activists.) And
in Saudi Arabia, workers are clearing land for the first
phase of a 106-mile-long carbon-neutral, high-tech
development that will feature multimillion-dollar homes
serviced by armies of robots. As reported in The Wall
Street Journal, the city, which is the brainchild of Saudi
Crown Prince Mohammed bin Salman and has a
projected price tag of 500 billion dollars, will be located in
a remote desert site and monitored by CCTV cameras
armed with advanced facial recognition technologies,
thus making it theoretically devoid of the sorts of urban
ills that plague traditional cities.
As has been pointed out before, projects like these are
extreme symptoms of a decades-long neoliberal global
order in which everyone is expected to conform to the
demands of the market. In this reality, our most valuable
financial, intellectual and creative resources continue
to be concentrated in the hands of a relatively small
but powerful coterie of global elites, and architecture,
here, exists to pump up real estate value while providing
a cloak of cultural respectability. Left with little room to
operate, the most conscientious architects spend their
careers seeking out the few clients – progressive arts
institutions or enlightened philanthropists – that will allow
them to create something of genuine value. Some of
them have devoted their creative energy to developing
new models of sustainable living. (Think of Stefano
Boeri’s Vertical Forests, or of the myriad proposals for
floating cities.) Others, the more technically inclined,
design the occasional work of civic infrastructure – a
bridge, an airport terminal, a train station – that serves
some obvious common good.
More hopeful still, for those who still believe that their
art should serve some larger social purpose, has
been the increasing number of architects who have
sought out the territory at the edges of the global
economy where serious, socially committed work is
still possible. Architects like Michael Maltzan, Tatiana
Bilbao and Shigeru Ban have devoted significant effort
to developing models for affordable housing while
continuing to work for the kind of wealthy individuals
and prestigious art institutions that can establish their
cultural credentials while maintaining a viable practice.
In France, the team of Anne Lacaton and Jean-Philippe
Vassal has reimagined the country’s urban banlieues
with a strategy that seeks to maximise space while
minimising waste. And in Burkina Faso, the Berlin-based
Francis Kéré has partnered with members of the rural
village where he was brought up to construct a series
of civic buildings, including a primary school, teachers’
housing and a women’s shelter. These structures, which
combine Western technologies with traditional building
practices, reflect a vision of communal cooperation
and support that is at odds with Western individuality.
Work like this has coincided with a growing interest in
once-forgotten and marginalised architectural projects,
especially in the Global South, that could offer alternate
responses to modernity. Earlier this year in New York,
Martino Stierli, the Museum of Modern Art’s chief
curator of architecture and design, held a thoughtful
exhibition on the “Architectures of Decolonization in
South Asia, 1947-1985”. And various architects and
scholars have recently been surveying the late modern
architecture of sub-Saharan Africa, when governments
were seeking to push back against dominant forms
of European modernity after gaining independence
from colonial rule.
These efforts, in turn, reflect a more general shake-up
at the academy, where a generation of scholars have
been steadily exposing the moral hypocrisies and
inconsistencies that are at the core of the postcolonial
European narrative, and upon which most of our
ARCHITECTURE 37
Nicolai Ouroussoff
Nato a Boston nel 1962, è
scrittore e docente. È stato
critico di architettura The Los
Angeles Times e per The New
York Times. Sta ultimando
un libro su architettura, cultura
e politica dalla Prima guerra
mondiale a oggi, che sarà
pubblicato da Farrar, Straus
& Giroux.
• Born in Boston in 1962,
Ouroussoff is a writer and
educator. Previously the
architecture critic for The
New York Times and The
Los Angeles Times, he is
currently completing a book
on architecture, culture and
politics from World War I to
today, to be published by Farrar,
Straus & Giroux.
views of modernity still rest. The most pioneering
of these have not only challenged a neoliberal
worldview based on faith in technological progress and
economic growth, but have also sought to decipher
the entangled relationship between modernity and
systems of oppression. Their work is only likely to gain in
importance as we feel the full effects of climate
change, which some estimate will displace as many
as 1.5 billion people, adding to the immense strains
already caused by widening social disparity and the rise
of far-right nationalism.
All of this suggests that we could be at the beginning
of a cultural watershed. In one scenario, for example,
Europeans, shaken out of self-righteous complacency
by the calamitous effects of climate change, recognise
that all our fates are intertwined. This would lead to a
more more fluid cultural exchange between north and
south, one in which the two meet not as occupiers
and occupied, but as cultural equals. As the old
cultural hegemony breaks down, a neoliberal ethos
that celebrates individual accomplishment would be
displaced by a more meaningful vision of collective
responsibility, opening new creative possibilities.
But getting there, especially for a profession historically
so entangled with power, would not be easy. Architects
would not only have to confront how they have been
complicit in promoting some of the worst aspects
of globalisation, but they would also have to muster the
occasional courage to work against their own self-
interest – refusing to take on lucrative commissions
when they are ethically suspect, for instance,
or speaking out against development strategies
that tear apart our social fabric, even when that means
antagonising potential clients – not an easy task
in an era when sustaining any kind of critical practice
has become arduous.
More to the point, they would have to learn to behave
less like solitary artists and more like public intellectuals,
opening a dialogue with like-minded people outside
their profession, from preservationists and urban
planners to political philosophers, non-governmental
workers and sympathetic politicians. Having done that,
they would have to find ways to build the kind of durable
organisational structures that can have a lasting impact
– something that has become especially difficult
in an age of social media, which favours quick and easy
solutions over the slow, painful task of building long-
term alliances. Most important of all, they would have to
identify common principles that they can unite around.
38 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022

Ai margini dell’ordine globale /

At the borders of the global order

Photo © Jaime Navarro

Photo © Jaime Navarro

1 2

Gli architetti dovranno imparare ad agire meno come

artisti solitari e più come intellettuali pubblici
Architects would have to learn to behave less like solitary
artists and more like public intellectuals
Photo © Paolo Rosselli

3
 domus 1073 Novembre November 2022
Photo © Simeón Duchoud
Pagina 37: Hudson Yards nel Westside di Manhattan, New York City, oggetto
di un’operazione immobiliare su vasta scala nel 2019. 1, 2 Tatiana Bilbao, Vivienda
Minima Ocoyoacac, Apan, Hidalgo, Messico, 2018. 3, 5 Stefano Boeri Architetti,
Trudo Vertical Forest, Eindhoven, Olanda, 2021. 4, 6 Kéré Architecture, Scuola
primaria a Gando, Burkina Faso, 2001. Pagine 40-41: Lacaton & Vassal, Druot, Hutin,
trasformazione di 530 abitazioni, blocco G, H, I, Bordeaux, Francia, 2017
Photo © Stam + De Koning Bow
ARCHITECTURE 39
•Page 37: Hudson Yards on the Far West Side of Manhattan, a mixed-use mega
development built in 2019. 1, 2 Apan Housing: Vivienda Mínima Ocoyoacac by
Tatiana Bilbao in Hidalgo, Mexico, 2018. 3, 5 Trudo Vertical Forest by Stefano
Boeri Architetti in Eindhoven, The Netherlands, 2021. 4, 6, Primary school by Kéré
Architecture in Gando, Burkina Faso, 2001. Page 43: Conversion of 530 dwellings,
blocks G, H, I by Lacaton & Vassal, Druot and Hutin in Bordeaux, France, 2017
Photo © Erik-Jan Ouwerkerk
6
5
Photo © Philippe Ruault
42 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022

La condizione transurbana /
The trans-urban phenomenon
Jean-Louis Cohen

La presenza di una città in un’altra come uno dei principali sintomi del rapporto
tra globale e locale. Un modello della migrazione delle forme architettoniche
da una scala all’altra che scardina la consueta contrapposta tra i due poli /
The presence of one urban form recognised in another one shows the
migration of architectural elements from global to local and
vice versa. Seeing this allows us to break the existing conceptual model
of polarity and opposition

La migrazione delle forme architettoniche dal piano
globale a quello locale – e viceversa – è modellata
dalle relazioni politiche e culturali tra nazioni e
città. Piuttosto che pensare agli edifici e ai modelli
urbani esclusivamente in termini polari, opponendo
frontalmente la scala globale e quella locale, dovremmo
individuare altre configurazioni, che possiamo
concettualizzare solo rompendo i modelli esistenti.
Il primo è quello rappresentato dagli imperi e dalle
politiche coloniali. Le reti di città sono state generate da
strategie di dominio che interessavano territori molto
vasti. Nel caso della Grecia, i modelli sono stati esportati
dalle metropoli: le città-madre, come nel caso di Dura-
Europos, colonia ellenistica nell’attuale Siria, con un
piano che seguiva i principi di Ippodamo di Mileto.
I Romani esportarono invece le loro norme sulla scala
dell’impero. Nel XIII secolo, un intenso programma
di urbanizzazione fu attuato sulle linee di contatto
tra Francia e Inghilterra, impegnate in un costante
stato di guerra: il risultato fu una rete di centri di nuova
fondazione noti come bastide. Regole simili furono
utilizzate nel vasto programma di colonizzazione interna
intrapreso in Russia da Caterina II, che portò
alla creazione di centinaia di nuove città, tra cui
Odessa, Kherson, Nikolayev e Mariupol, purtroppo
balzate oggi agli onori della cronaca.
La colonizzazione interna della Spagna ha utilizzato
la geometria e le norme giuridiche per creare
insediamenti urbani che condividessero un medesimo
schema reticolare. Rapporto sbilanciato per eccellenza,
la colonizzazione ha utilizzato canali tutt’altro
che esclusivamente unidirezionali, da nord a sud, tra
metropoli e colonie: le scene coloniali hanno talvolta
comunicato tra loro secondo circuiti sud-sud. Alcune
soluzioni spaziali ed estetiche d’oltremare sono migrate
di nuovo nelle metropoli partendo da esperimenti
urbanistici, da quelli sviluppati a Casablanca
fino ai linguaggi dell’Art Déco, per i quali le colonie
e i protettorati hanno agito da laboratorio sperimentale.
Il secondo modello oppone lo spazio locale, regionale
o nazionale allo spazio universale, privilegiando i sistemi
internazionalizzanti come i Congressi internazionali
di architettura moderna (CIAM) o il Movimento
internazionale per la città giardino, vedendo le città reali
solo come manifestazioni locali di questi dispositivi.
La rappresentazione più evidente di tale modello
fu la campagna per la costruzione di nuove città
intrapresa in URSS durante il Primo piano quinquennale,
in cui l’ex urbanista di Francoforte Ernst May istituì
un ufficio per la progettazione di città ‘standard’. Jean-Louis Cohen
Adattate alle caratteristiche delle geografie locali, esse Nato a Parigi nel 1949, è
architetto e storico. Dal 1994 è
condividevano sia un principio strutturale affine, sia titolare di una cattedra presso
abitazioni ed edifici pubblici tra loro simili, basati su un l’Istituto di Belle Arti della New
numero limitato di tipologie. York University. Ha pubblicato
Dopo la Seconda guerra mondiale, lo slogan della più di 30 saggi, tra cui: Building
a New New World (2020), Le
“città funzionale”, introdotto dal CIAM nel 1933, portò alla Corbusier: An Atlas of Modern
ricerca di una modalità universale di rappresentazione Landscapes (2013), The Future
delle città, utilizzando la ‘griglia’ del 1947, che riduceva of Architecture. Since 1889
la struttura delle città al dispiegamento delle loro (2012) e Architecture in Uniform
(2011). Ha curato mostre al
funzioni. Tuttavia, questo approccio riduttivo è stato Centre Georges Pompidou a
messo ben presto in discussione, in particolare dai Parigi, al Canadian Centre for
giovani fondatori del Team 10. Architecture di Montreal e al
Vorrei però proporre un terzo modello, che valorizza MoMA di New York.
le relazioni bilaterali tra scene nazionali e città,
• Born in Paris in 1949, Cohen
individuando processi di idealizzazione attraverso i is an architect and historian.
quali una cultura cittadina o nazionale si idealizza, si He has held a chair at the
identifica con un’altra. Il caso più eclatante è stato quello New York University Institute
of Fine Arts since 1994.
della sindrome dell’‘americanismo’, emersa nell’Europa He has published over 30
del primo Novecento, quando gli Stati Uniti venivano books including: Building a
presentati, per usare il titolo del diario di viaggio di new New World (2020), Le
Corbusier: An Atlas of Modern
Georges Duhamel del 1930, come “scene dalla vita
Landscapes (2013), The Future
futura”. Tra le relazioni transurbane apparse nel corso of Architecture. Since 1889
della storia, una delle più evidenti è quella tra Venezia e (2012), and Architecture in
una serie di altre città. Essa si palesa nelle Città invisibili Uniform (2011). He has curated
numerous exhibitions at the
di Italo Calvino, quando Marco Polo dichiara a Kublai Centre Georges Pompidou in
Khan: “Ogni volta che descrivo una città, dico qualcosa Paris, the Canadian Centre for
su Venezia”. Il mercante veneziano afferma davanti Architecture in Montreal and
al suo augusto interlocutore che “per distinguere le the MoMA in New York.
altre città, devo parlare di una prima città che rimane
implicita. Per me è Venezia”. Ci sono molte Venezie nel
mondo, così come molte Parigi, che trovano la loro
espressione più caricaturale in Las Vegas
o in alcune new town cinesi. Questo terzo modello
opera sulla scala delle grandi città, ma piuttosto
che mettere a confronto le città come macro entità,
suggerisco di osservare ciò che è in gioco, ciò che
viene scambiato tra di esse su diverse scale e tra i loro
diversi elementi costitutivi. Se ogni città è intesa come
un testo, allora la relazione tra due città può essere
vista attraverso il prisma di ciò che il critico letterario
Gérard Genette ha chiamato ‘intertestualità’ o
‘transtestualità’. Propongo una parodia di questo
termine suggerendo quello di ‘transurbanità’, che può
essere definito semplicemente come la presenza più
o meno letterale, più o meno completa, di una forma
urbana in un’altra. Questa presenza diffusa è stata
finora uno dei principali sintomi del rapporto tra globale
e locale, e nel mondo di oggi merita attenzione.
domus 1073 Novembre November 2022
Photo courtesy of Schusev State Museum of Architecture
Ernst May, planimetria di Shcheglovsk / map of Shcheglovsk (Kemerovo), Russia, 1932
Ci sono molte • The migration of architectural forms from the global
level to the local one – and vice versa – is shaped by
Venezie nel political and cultural relationships between nations
and cities. Rather than thinking of buildings and urban
mondo, così come schemes exclusively in polar terms, frontally opposing
molte Parigi. the global and the local scales, other configurations
need to be identified, which can only be conceptualised
Trovano la loro by breaking with the existing models.
The first among these models is that represented by
espressione più empires and colonial policies. City networks have been
caricaturale generated by political systems of domination extending
over vast territories. In the case of Greece, patterns
in Las Vegas o in were exported by the metropolises – the mother cities,
as with Dura-Europos, a Hellenistic colony located in
alcune new town what is now Syria, with a plan following the principles
cinesi / of Hippodamus of Miletus. As for the Romans, they
exported their norms on the scale of the empire. In the
13th century, an intense programme of urban creation
There are was implemented on the contact lines between
France and England, which were engaged in constant
many Venices belligerence. The result was a network of new towns
worldwide, as well known as bastides. Comparable rules were used in
the wide-ranging programme of internal colonisation
as many Parises, undertaken in Russia by Catherine II, which led to the
creation of hundreds of new towns, including Odessa,
which find their Kherson, Nikolayev and Mariupol, which unfortunately
most caricatural have been making the headlines recently.
The Spanish colonisation of Spain deployed geometry
expression and legal rulings to create new urban settlements
that shared the same gridded pattern. Although an
in Las Vegas or unequal relationship par excellence, colonisation
some Chinese used channels that were far from being exclusively
one-way, north to south, between metropolises
new towns and colonies. The colonial scenes sometimes
communicated with each other according to south-
south circuits. Certain spatial and aesthetic solutions
from overseas migrated back to the metropolises,
from urbanistic experiments such as those developed
in Casablanca, to the idioms of Art Deco, for which
colonies and protectorates acted as a laboratory.
The second model opposes the local, regional or
national space with the universal space, by privileging
internationalising systems, such as the International
Congresses of Modern Architecture (CIAM), or
the international movement for the garden city, and
by seeing in concrete cities only local manifestations
of these devices. Its clearest manifestation was
the campaign for the construction of new towns
undertaken in the USSR during Stalin’s first five-year
ARCHITECTURE 43
plan, in which former city planner of Frankfurt Ernst
May set up an office for the design of “standard” cities.
Adapted to the features of local geographies, they
shared a similar structural principle and comparable
housing and public buildings based on a small number
of types. After World War II, the slogan of the “functional
city” introduced by CIAM in 1933 led to the search for
a universal mode of representation of cities, using the
1947 “grid”, which reduced the structure of cities to
the deployment of their functions. Rather soon, this
reductive approach was challenged, most notably by
the young founders of Team 10.
There is a third model, which enhances the bilateral
relationships between national scenes and cities. It
singles out processes of idealisation, through which
citywide or national cultures idealise and identify with
one another. The most blatant case was the syndrome
of Americanism that emerged in early 20th-century
Europe, as the United States was seen as the “scene
of the world to come”, to use the title of Georges
Duhamel’s 1930 travelogue.
Among the trans-urban relationships that have
appeared throughout history, one of the most obvious is
that of Venice with a number of cities. It is made clear in
Italo Calvino’s Invisible Cities, when Marco Polo declares
to Kublai Khan: “Every time I describe a city I am saying
something about Venice.” The Venetian merchant
claims to his august interlocutor: “To distinguish the
other cities’ qualities, I must speak of a first city that
remains implicit. For me it is Venice.” There are many
Venices worldwide, as well as many Parises, which find
their most caricatural expression in Las Vegas or some
Chinese new towns.
This third model operates on the scale of the big
cities. But rather than comparing cities as large entities,
I suggest observing what is at play, what is exchanged
between them on different scales, and between
their different constitutive elements. If each city is
understood as a text, then the relationship between two
cities can be seen through the prism of what
literary theorist Gérard Genette has called
“intertextuality”, or “transtextuality”. I propose a parody
of this term by suggesting “trans-urbanity”,
which can be defined simply as the more or less
literal, more or less comprehensive presence of an
urban form in another one. This widespread presence
has remained one of the major symptoms of the
relationship between global and local to this day, and
is worthy of attention in today’s world.
44 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022
Photo Wikicommons
Photo Wikicommons

In questa pagina. In alto: planimetria di Dura-Europos, II secolo a.C. Sopra: •Top: map of Dura-Europos, a city in present-day Syria, 2nd century BC. Above:
Giovanni Battista Nolli, nuova pianta di Roma, 1748, di J. A. Baird. Pagina a fronte: new map of Rome by Giovanni Battista Nolli, 1748, by J. A. Baird. Opposite page: map
mappa di Versailles di Pierre Lepautre (1690) e pianta di San Pietroburgo (1898) of Versailles by Pierre Lepautre (1690) and map of Saint Petersburg (1898)
 domus 1073 Novembre November 2022 ARCHITECTURE 45

Transurbanità può essere definita semplicemente come

la presenza più o meno letterale, più o meno completa,
di una forma urbana in un’altra. Questa presenza diffusa
è stata finora uno dei principali sintomi del rapporto
tra globale e locale, e nel mondo di oggi merita attenzione /
Transurbanity can be defined simply as the more or less literal,
more or less comprehensive presence of an urban form
in another one. This widespread presence has remained one of
the major symptoms of the relationship between global
and local to this day, and is worthy of attention in today’s world
Photo cortesy of Bibliothèque nationale de France

Photo Antiqua Print Gallery / Alamy Stock Photo

46 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022
Photo Fine Art Images/Heritage Images/Scala, Firenze

Sopra: Canaletto, Londra. Il Tamigi visto da Somerset House Terrace verso la City, Mart Stam, Hugo Häring, Le Corbusier, Sigfried Giedion, Pierre Jeanneret,
1751 circa. Royal Collection, Londra, 1746. Sotto: foto di gruppo al Primo congresso Gerrit Rietveld. Pagina a fronte, dall’alto: Moskva City, International Business
internazionale di architettura moderna (CIAM), La Sarraz, 1928. Tra i partecipanti: Centre; vista dell’area di Lujiazui, il distretto finanziario di Shanghai, Cina
Photo gta Archives / ETH Zurich, CIAM
domus 1073 Novembre November 2022 ARCHITECTURE 47

Photo Maksim Ozerov/Getty Images

•Opposite page. Above: The Thames from Somerset House Terrace towards the the partecipants: Mart Stam, Hugo Häring, Le Corbusier, Sigfried Giedion, Pierre
City, around 1751. From the Royal Collection, London. Bottom: the first International Jeanneret, Gerrit Rietveld. This page. Above: Moscow International Business
Congress of Modern Architecture (CIAM), La Sarraz, Switzerland, 1928. Among Centre. Below: Lujiazui financial district on the Huangpu River, Shanghai, China

Yuen Man Cheung / Alamy Stock Photo

48 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022

Tutto è natura: verso una

biotopia mondiale /
Everything is nature: towards a
Photo Daria Scagliola

worldwide biotopia
Winy Maas
La fede cieca nella crescita infinita ha portato al cambiamento
climatico. La globalizzazione più radicale avvicinerà gli esseri
umani a una soluzione: progettare con, per e come la natura /
Blind faith in endless growth has led to climate change.
One radical type of globalisation will lead us to a solution:
designing with, for and as nature

Courtesy of The Why Factory (TU Delft), in collaboration with IAAC

In queste pagine: The Sponge è un progetto in corso di The Why Factory (TU Delft) in
collaborazione con l’Institute of Advanced Architecture of Catalonia

Nel 1969 – tre anni prima che il Club di Roma pubblicasse
il suo rapporto I limiti dello sviluppo, le cui disastrose
previsioni sconvolsero il pubblico di tutti il mondo – nel
suo libro Progettare con la natura, Ian McHarg aveva
ridestato la speranza in un mondo migliore attraverso
l’instaurazione di un rapporto più armonico tra umani e
natura. Rileggendo entrambe le pubblicazioni si resta
colpiti nel constatare come oltre 50 anni di progresso
scientifico, tecnico e filosofico della nostra cultura
non siano riusciti a mettere fine alla cieca fede in una
crescita infinita che ha portato, scrisse McHarg, al
“mondo inquinato, sventrato, in preda alle macchine,
disumanizzato e minacciato dall’esplosione, che sta
disintegrandosi e scomparendo davanti ai nostri occhi”.
Non c’è dubbio che il tempo stia per scadere e che
dobbiamo agire prima che sia troppo tardi. È tempo
di progettare con, per o come la natura – non importa
quale preposizione si voglia usare. I principi dell’ecologia
hanno la capacità di diventare il substrato fertile della
vita sulla Terra: occorre, quindi, adottare le ecologie
della produzione vegetale, acquatica e climatica per
affrontare i temi della riforestazione, della desertificazione,
della scarsità idrica, della qualità dell’aria, delle isole di
calore, dell’erosione dell’habitat e della densificazione. In
breve, è urgente progettare un pianeta biodegradabile,
adattabile, riciclabile e autosufficiente, tendendo a quella
che noi chiamiamo Biotopia, la ricerca su cui stiamo
lavorando. Secondo alcune proiezioni, a breve l’umanità
raggiungerà i 12 miliardi di individui. Dato che trasferirsi
dal nostro pianeta è una soluzione riservata solo a pochi
privilegiati e possibile solo per determinate funzioni,
sarà necessario affrontare queste questioni pressanti.
Faccio, quindi, appello al contributo delle scienze naturali,
dell’automazione, dei nanomateriali, della robotica, della
biotecnologia e della biomimetica per stabilire nuovi
rapporti tra questi 12 miliardi di esseri umani e tutti gli altri
organismi viventi: sogniamo e immaginiamo assieme
una biotopia mondiale. Che effetto farebbe vivere in un
ambiente che funziona solo tramite bioenergia? Siamo
in grado di integrare i cicli vitali vegetali e animali nei nostri
requisiti di vita e di costruzione? Se, dati i tempi, la densità
è il miglior alleato dello sviluppo sostenibile, possiamo
creare centri urbani replicando i modi delle aggregazioni
animali, benché, forse, il modello di vita intrinseco in
Biotopia non consenta, invece, un futuro che non abbia
bisogno della densità che ho sempre sostenuto. Se la
vegetazione invadesse le città trasformandole in vere
foreste dove abbondano flora e fauna? Quali ecosistemi
urbani ne risulterebbero? Oppure, se l’architettura
crescesse come gli alberi e tutta l’illuminazione delle
città fosse basata su fonti bioluminescenti, che genere
di ambiente e che tipo di esperienza urbana vivremmo?
Nei primi anni della mia carriera ci concentravamo su
oggetti dotati di singoli significati: tutto era architettura. Più
tardi, al mio arrivo a Domus, abbiamo ampliato gli orizzonti
alla ricerca di nuovi significati, su ogni scala, dal molto
piccolo al molto grande: tutto era urbanistica. Poco dopo,
la nostra ricerca Green Dip, il “verde totale”, ha integrato
il concetto del verde: tutto era paesaggio. Oggi, però,
la condizione che percepiamo come di un’imminente
apocalisse richiede un deciso cambiamento di
paradigma nell’epicentro dell’urbanizzazione. Dobbiamo
allora considerare il pianeta come un’unica città di otto o
più miliardi di umani e una miriade di creature viventi, che
richiedono di essere trattati come attori con bisogni e
capacità specifiche. C’è una globalizzazione più radicale
di questa? Se si comprende la globalizzazione in questo
senso, si troveranno le vie di un’autentica circolarità, che
porterà a progettare le città come foreste, a illuminare il
pianeta con i microorganismi, a concepire gli edifici come
alberi, muovendosi liberamente nel cielo come uccelli, e
a trasformare la crosta terrestre in una spugna porosa e
abitabile, creando aggregazioni autonome o inventando
materiali edilizi che si autorigenerano. E l’elenco è ancora
lungo, poiché tutto è natura.
 domus 1073 Novembre November 2022
Courtesy of The Why Factory (TU Delft), in collaboration with IAAC
•These pages: The Sponge is a current project by The Why Factory (TU Delft) in
collaboration with the Institute of Advanced Architecture of Catalonia
• In 1969, three years before the Club of Rome published
its The Limits to Growth, whose dire predictions
startled audiences globally, Ian McHarg had revived
in his book Design with Nature the hope for a better
world by means of establishing a healthier relationship
between humans and nature. When reviewing both
publications, one remains shocked at witnessing
how more than 50 years of scientific, technical or
philosophical progress of our civilisation has failed
to put an end to the blind faith in endless growth. Way
back then, McHarg already described how it led to the
“polluted, bulldozed, machine-dominated, dehumanized,
explosion-threatened world that is disintegrating and
disappearing before our eyes.”
Indeed, we are running out of time, and we must act
before it’s too late. It’s time to design with, for or as
nature (no matter the preposition we want to use).
Ecological principles have the capacity to become
the fertile substratum of life on Earth, so let’s deploy
ecologies of vegetal, aquatic and climatic production
to tackle issues of reforestation, desertification, water
scarcity, air quality, heat islands, habitat erosion or
densification. In short, let’s design a truly biodegradable,
adaptable, recyclable and self-sustainable planet. I call
this aim Biotopia and it’s the research we are working
on. According to some projections, humanity will reach
12 billion people shortly. As moving out of the planet
seems to be a solution limited to just a privileged few
and a few functions, we will need to face the urgencies
instead of ignoring them. On that score, I advocate
for the contribution of natural sciences, automation,
nanomaterials, robotics, biotechnology or biomimicry
to establish new relationships among those 12 billion
humans and all other living organisms.
So, let’s dream and imagine this worldwide Biotopia.
What would it be like to live in an environment
that functions only based on energy produced by
bioenergy? Can we fully integrate plant and animal life
cycles into our living and building requirements? If, for
the time being, density is the best ally of sustainable
development, can we urbanise by replicating modes
of animal clustering? (Although, who knows, maybe
the entanglement of life inherent to Biotopia will
allow for a future that doesn’t need the urban density
I’ve always supported.) What if vegetation surged
in our cities, transforming them into true flora- and
fauna-rich forests? What would be the resulting
urban ecosystems? Or what if architecture grew like
trees and all the lighting of our cities was based on
bioluminescent sources? What kind of environment
ARCHITECTURE 49
Winy Maas
Nato a Schijndel nel 1959,
è architetto, architetto del
paesaggio e urbanista. Nel
1993, insieme a Jacob van
Rijs e Nathalie de Vries, ha
fondato MVRDV a Rotterdam.
Nel 2019 è stato guest editor
di Domus.
• Born in Schijndel, The
Netherlands, in 1959, Maas
is an architect, landscape
architect and urban planner.
In 1993 he co-founded
MVRDV with Jacob van Rijs
and Nathalie de Vries in
Rotterdam. Winy Maas was
the guest editor of Domus
for 2019.
and what kind of urban experience would biodiversity
and bioluminescence provide us with?
During my early professional years, we focused
on objects with single meanings: everything was
architecture. Later, upon my arrival at Domus, we
zoomed out to look for new meanings, on every scale,
from the very small to the very large:
everything was urbanism. Shortly after, our Green Dip
research let us conclude the meaning of “green”:
everything was landscape. Today, the current state
of seemingly immediate apocalypse requires a
decisive change of paradigm at the very epicentre
of urbanisation. We must understand the planet as
a single city of eight or more billion human bodies
and a myriad of other living creatures that need to
be treated as individual agents with specific needs
and capacities. Is there more globalisation than that?
Only by understanding globalisation in that way will we
find modes of being truly circular, designing cities like
forests, illuminating the planet with microorganisms,
conceiving buildings like trees, moving freely in the sky
like birds, turning the crust into a porous inhabitable
sponge, making clouds, or inventing self-regenerative
building materials. And the list goes on.
Everything is nature.
50 ARCHITETTURA
Polifonia architettonica /
Architectural polyphony
Donatien Grau
Photo Buonomo & Cometti
Alla globalizzazione omologante c’è un’alternativa
che verte sul senso di comunità e prende
come modello teorico ed esistenziale quello
dell’arcipelago. Gli spazi andranno reinventati
consci che il plurale è la strada verso il futuro /
The alternative to blanket globalisation is a sense
of community and takes the archipelago as its
theoretical and existential model. Spaces will have
to be reinvented, knowing that pluralism is the way
to the future
Di fronte all’omogeneità, alla globalizzazione e alle
città che si assomigliano tutte, si creano dei margini,
degli spazi di sperimentazione. In questi luoghi tutto si
può recuperare, in quanto essi eludono i meccanismi
imperiali del centralismo. Là, ciò che non ha un posto
nel centro può esistere e le realtà si svelano con il
sovrappiù di potenza e di visibilità che non sarebbe loro
concesso ai vertici del mondo. Sono anche gli spazi
in cui gli attributi del centro – culturali, architettonici,
storici – possono arrivare all’evidenza, perché non sono
nell’evidenza della centralità. Quando non sta nel suo
territorio, l’evidenza, non è più tale.
I margini sono un modello complesso da concepire
di fronte all’omologazione, alla mondializzazione:
esistono ancora dei margini? Se l’omologazione non
è semplicemente palese, ma anche surrettizia, se
prende mille forme, l’antico confine tra centro e margini
– città e campagna – tende a disintegrarsi per divenire
diffrazione ed estensione, invece che contrapposizione.
La grande ‘noia’ morale che omologa le sensibilità
produce città atoniche: poco profonde, poco forti e
poco intense.
Nei due decenni passati, il modello del poeta e
filosofo martinicano Édouard Glissant (1928-2011) ha
avuto un grande ruolo nel resistere all’ipercentralità
e all’immobilità, ormai arcaiche. Esso contrappone
alla mondializzazione, unificatrice e distruttrice, una
globalizzazione che coinciderebbe con il senso della
comunità, al di là delle ideologie e del dominio.
Questa mondialità non è quella del continente
monolitico, ma quella dell’arcipelago, che appare ormai
il modello teorico ed esistenziale di riferimento. Non
è il consolidamento di un’unità, ma la disseminazione
delle isole che costituiscono un’unità – un arcipelago,
appunto. Queste, però, esistono ciascuna per
conto proprio, con braccia di mare che si possono
attraversare, per recarsi dall’altro, che è anche lui a
casa sua. È un modello che contraddice la condizione
urbana: il meccanismo dell’arcipelago non è la città, ma
tutto il resto. Esso mette anche in gioco la separatezza
come spazio di tensione, invece che l’unità, che è intesa
come dominazione ed è quindi nemica.
Nelle isole di un arcipelago ci possono essere
delle città, ma sono in certo qual modo accessorie
rispetto alla struttura complessiva, che si regge
domus 1073 Novembre November 2022
sulla disseminazione. La questione di un’urbanistica Donatien Grau • Born in Neuilly-sur-Seine
dell’arcipelago interroga, poi, le forme dello stare Nato a Neuilly-sur-Seine nel in 1987, Grau is a philologist
1987, è filologo e responsabile and museum executive. He is
insieme: essa non implicherebbe, forse, una museale. È consigliere della an advisor to the presidency
separazione eccessiva? presidenza del Musée d’Orsay of the Musée d’Orsay and
La città è lo spazio della politica. La distinzione tra e del Musée l’Orangerie per i the Musée de l’Orangerie for
edifici pubblici e privati è recente nella storia umana. programmi contemporanei. È contemporary programmes,
professore alla École Nationale professor at the École
Per lungo tempo, gli edifici residenziali sono stati Supérieure des Arts Visuels Nationale Supérieure des
spazio di ricevimento e di presenza pubblica per i de La Cambre di Bruxelles e Arts Visuels de La Cambre in
privilegiati e, per chi non lo era, costituivano il luogo presidente dell’associazione Brussels and president of the
di una vita collettiva priva d’intimità – anche qui un Pierre Guyotat. Association Pierre Guyotat.
concetto nuovo. Lo spazio pubblico, di per sé, non
era altro che rappresentazione. L’architettura della
globalizzazione è un’architettura staccata dal territorio
trasformato in comunità. Sotto, il terreno può essere
in sommovimento, bruciare. Conosciamo i movimenti
politici che questo dualismo provoca.
I margini condividono la possibilità di una rottura, ma in
modo collaterale. Se sotto il costruito c’è fibrillazione, nei
margini tutto si reinventa. Quando l’arcipelago cresce, il
dominio della centralità sparisce. Occorrerebbe allora,
per inventare nuove forme di vita, collegare rimozione
e spazio d’invenzione. Questi luoghi sono ancora
centri di dominazione, ma reinventano la centralità e la
rendono molteplice. L’accettazione di questa pluralità,
la messa in opera di queste situazioni, sono le strade
verso il futuro. In altre parole: il futuro sarà polifonico.
Le voci di una polifonia non sono quelle di una sinfonia,
non perdono unità nell’esistere assieme. Tuttavia, nella
coesistenza mutano, cambiano e si trasformano. Non
vanno a finire in una totalità, ma costruiscono una
nuova entità, mutante, instabile e inventiva. Una voce è
se stessa e tuttavia lavora in un insieme. Arriva come
tale, forte della sua esperienza e della sua portata,
ma si integra in un insieme che, per sua natura, è una
realtà differente. Se contempliamo le nostre vite nel
loro aspetto umano, vediamo che sono per natura
polifoniche: ciascuno vive accanto ad altri, ognuno
con la propria voce. Il meccanismo consiste nel farle
cantare insieme.
La voce è contemporaneamente quanto di più
personale e di più pubblico ci sia. È con essa che, a
meno di essere muti, ci esprimiamo. Deve essere
la sorgente di un’architettura comune, attraverso la
mondializzazione, i margini e l’arcipelago, superando
tutto per inventare il proprio spazio.
 domus 1073 Novembre November 2022 ARCHITECTURE 51

Photo Donatien Grau

Sopra: vista della mostra “Beyond Compare”, tenutasi fra il 2017 e il 2019 a Berlino. • Above: view of the exhibition “Beyond Compare,” held between 2017 and 2019
L’esposizione integrava alla collezione permanente di scultura del Bode Museum in Berlin, which complemented the Bode Museum’s sculpture collection with a
una selezione di opere dell’Ethnologisches Museum selection of artworks from the Ethnologisches Museum
52 ARCHITETTURA domus 1073 Novembre November 2022
Photo Donatien Grau

Sopra: al Museo del Louvre di Parigi, la statua mesopotamica di Ebih-Il si confronta •Above: at the Louvre Museum in Paris, the Mesopotamian statue of Ebih-Il invites
con la collezione di scultura francese dal XVII al XIX secolo della Cour Puget. comparison with the French sculpture collection from the 17th to the 19th century at
Pagina a fronte: uno scatto realizzato presso il Museo CSMVS di Mumbai the Cour Puget. Opposite page: a photo taken at the CSMVS Museum in Mumbai
domus 1073 Novembre November 2022 ARCHITECTURE 53

• Faced with standardisation, globalisation and cities

that all seem much the same, we create margins that
provide space for experimentation. Evading the imperial
mechanisms of centralism, they are places on the
sidelines where everything can be recovered, where
what has no place at the centre can exist, where realities
are revealed with the surplus of power and visibility that
would not be granted them at the vertices of the world.
Where the attributes of the centre – cultural, architectural,
historical – stand out more evidently, because they lack
access to the evidence of centrality. Evidence, when it is
not in the field of evidence, is no longer evidence.
Margins are a complex model to conceive in the face
of standardisation and globalisation. Do margins still
exist in this context? If standardisation is obvious
and surreptitious, if it takes a thousand forms, the
border between the centre and the margins – city
and countryside – tends to disintegrate and become
diffraction and extension instead of opposition. The moral
tedium that blurs sensibilities in a kind of atonality results
in atonic cities: shallow, feeble and lacking intensity.
In the past two decades, Édouard Glissant’s model
has played a large part in resisting hyper-centrality
and immobility, which are now archaic. He contrasted
unifying and destructive globalisation with a globality
intended to coincide with a sense of community, beyond
ideologies and domination. This globality is not that of
some monolithic continent, but an archipelago, which
now appears to be the theoretical and existential frame
of reference. It is not the consolidation of a unity, but
the dissemination of islands that constitute a unity – an
archipelago – in which each exists by itself. The arms of
the sea can be crossed to travel to the other, which is also
in its own home.
This model is opposed to the urban condition. The
mechanism of the archipelago is not the city, but
everything else. It is also a model that brings into play
separateness as a space of tension instead of unity,
which, when understood as domination, becomes the
enemy. On the islands of an archipelago there may be
cities, but they are in some way ancillary to the overall
structure, which is based on dissemination. The urban
planning of the archipelago concerns forms of coming
together. Wouldn’t it entail an excessive separation?
The city is the space of politics. The distinction between
public and private buildings is recent in human history.
For a long time, residential buildings were a space for
reception and public presence for the privileged. And
Photo Donatien Grau

for the non-privileged, they were places of collective life,

devoid of privacy – again a new concept. Public space
was nothing more than representation. The architecture
of globalisation is detached from the land transformed
into a community. Below, the land may be in turmoil. We
know the political movements this dualism gives rise to.
The margins share the possibility of a breakup, but
in a collateral way. If incandescence surges under
the built, everything is reinvented in the margins. As
the archipelago develops, the domination implicit in
centrality disappears. To invent new forms of life, it would
be necessary to combine effacement and space for
invention, to invent places. Not that these places are no
longer centres of domination, but they reinvent centrality
Al posto dell’unità, che implica un dominio,
and make it plural. Acceptance of this plurality is the way
of the future.
il modello dell’arcipelago mette in gioco la
In other words, the future will be polyphonic. The voices of separatezza come spazio di tensione /
polyphony are not those of a symphony. In coexistence,
they do not end up in a totality but build a common,
changing, unstable and inventive creation. A voice is
Instead of unity, which implies domination,
itself, strong in its experience and tessitura, yet it works the archipelago model brings into play
as a whole, integrated into an ensemble that is a different
reality. If we look at our lives in their human aspect, we see separateness as a space of tension
that they are polyphonic: each lives next to others, each
with their own voice. The mechanism is to make them
sing together. The voice is simultaneously most personal
and most public. It is the means by which we express
ourselves, unless we are dumb. It ought to be the source
of a common architecture, through globalisation, the
margins, the archipelago, overcoming everything to invent
its own space.
54 ARTE
Il lato oscuro
dell’arte contemporanea /
The accursed side
Photo Gabriel Soussan
of contemporary art
Jean-Hubert Martin
L’arte contemporanea di matrice occidentale
permette a chiunque totale libertà d’espressione,
ma funziona in modo elitario e competitivo.
Oggi, finalmente, si inizia ad alzare il velo sulle
culture autoctone e sulle loro espressioni visive /
Western contemporary art authorises everyone
to engage in freedom of expression,
but its workings are elitist and competitive.
Now we are finally starting to lift the veil
on indigenous cultures and their visual expressions
Lo si sapeva già da decenni, da Charlie Hebdo e dall’anno
01 degli anni Settanta: ci schianteremo. La società dei
consumi è in picchiata e il sistema è impazzito. I politici
tengono il naso incollato al manubrio e non sanno più
come fermare questa corsa che confonde il progresso
con la sovraproduzione. Globalizzazione fa rima con
omologazione: abbiamo imposto il nostro regime all’intera
Terra. Le megalopoli dalle strutture ortogonali sono
spuntate come funghi. La bruttezza delle baracche informi
e incompiute delle periferie brasiliane è sintomo di una
mente disturbata. Quando, in Marocco, qualcuno si sforza di
appiccicare qualche elemento decorativo per sfuggire alla
vacuità, lo si denigra come uno stereotipo convenzionale.
Hassan Fathy ha predicato a lungo nel deserto.
Il calcestruzzo continua a prevalere, nonostante i vantaggi
termici delle architetture di terra cruda. La concezione di
un tempo asservito alla produttività si è diffusa ovunque:
perfino in Papua Nuova Guinea, dove la lamiera ondulata
ha sostituito i tetti vegetali. Per le arti visive vale lo stesso.
Dal Rinascimento, l’arte è legata al denaro e al capitalismo,
sono inscindibili. Il sistema si è esteso come una tempesta
di sabbia nei Paesi in via di sviluppo, che l’hanno adottato
insieme con la borsa valori e il libero scambio. I suoi difetti
sono noti. I media che, ciclicamente, si scandalizzano del
prezzo che le star pagano per le opere d’arte, non smettono
di riferire i record battuti alle aste: un vero specchietto per
le allodole. L’arte contemporanea di matrice occidentale
ha seguito l’onda. Si proclama universale e libertaria e,
davvero, permette a chiunque una libertà d’espressione
totale. Funziona secondo una modalità strettamente
occidentale collegata ovunque con musei, biennali, gallerie,
collezionisti, case d’asta, università, residenze artistiche,
premi e via dicendo. Non è totalmente asservita al denaro
perché ci sono centri d’arte, fondazioni e scuole che
offrono possibilità creative, senza la necessità di vendere.
L’ambiente dell’arte contemporanea, però, funziona in modo
elitario e competitivo, che si tratti di scambio intellettuale o
finanziario. Discende dalla filosofia dei Lumi e, in particolare,
dal pensiero hegeliano, e si muove in una sfera emancipata
dalla religione. La mostra “Magiciens de la terre”, che ho
curato a Parigi nel 1989, voleva dimostrare che, sebbene gli
artisti a noi familiari siano moderni, gran parte di essi sfugge
a questo paradigma. L’iniziativa è considerata la prima, in
una metropoli dell’arte, ad avere un carattere realmente
transnazionale, ma ci si scorda che parecchie opere
non avevano alcun legame con questa rete orchestrata
dall’Occidente. Il topo/arte di città non assomiglia al topo/
arte di campagna. Erano opere, in gran parte, installate dagli
artisti. Erano, quindi, decisamente nostre contemporanee,
ma spesso relegate nella categoria del neoprimitivismo o
del neocolonialismo (sarebbe forse stato meglio chiuderle
in una riserva e non esporle?).
Questo succedeva a causa dell’interpretazione storicista
che continuiamo a reiterare, secondo cui ogni opera
arcaica va ricondotta a un’epoca passata della nostra
storia. Da Apollinaire a Baselitz, il discorso è cambiato
poco. Nell’odierno contesto della globalizzazione non
occorre più che i nostri artisti ci forniscano le rivisitazioni del
primitivismo o dell’arte delle origini (qualifica che non risolve
le cose), perché oggi non è difficile avere accesso alle fonti.
Questo è il lato positivo di una globalizzazione culturale
che favorisce gli scambi tra diversità culture. L’intenzione
della mostra, quindi, era duplice. Prima di tutto, dimostrare
che non c’era bisogno di patina e d’invecchiamento per
apprezzare le creazioni realizzate dalle comunità estranee
ai grandi centri urbani. Poi, dato che l’Occidente era ancora
il riferimento obbligato, indicare che non era necessario
essere ‘moderni’ e si poteva rimanere fedeli alla propria
storia e tradizione per trovare visibilità ed essere apprezzati.
Era il risvolto della mostra che non è stato ben compreso,
al punto che, ancora oggi, certi critici definiscono ‘artigiani’
gli autori delle opere, continuando a non capire che questa
classificazione è tipicamente occidentale e non può
essere appiccicata come un’etichetta a culture diverse.
Finalmente si inizia ad alzare il velo sulle culture autoctone
e sulle loro espressioni visive. La formula della filiera corta
tanto in voga oggi per il commercio di prossimità vi si adatta
alla perfezione. Moltissime comunità esprimono artisti
domus 1073 Novembre November 2022
che vengono incaricati di decorare i luoghi di culto o le
sedi comunitarie e di realizzare artefatti per cerimonie, riti
funebri o tombe. Queste opere, spesso effimere, vengono
talvolta vendute a mercanti o a collezionisti, per esempio
nelle isole del Pacifico, ma non entrano nei consueti circuiti
dell’arte contemporanea.
Gli amerindi canadesi, gli aborigeni d’Australia e i maori della
Nuova Zelanda creano opere fedeli al proprio vocabolario
stilistico, in accordo con la loro tradizione. Questa sfera di
carattere religioso, così vasta da essere maggioritaria nei
musei d’arte antica, è ignorata per quanto riguarda l’epoca
moderna. Il colonialismo e la modernità si sono accaniti
su di essa per farla scomparire nella sua versione attuale,
come se non esistessero diverse espressioni visive tra
le religioni del mondo intero. Questa zona d’ombra, che la
nostra attenzione per la ricerca e lo studio disconosce, è
immensa e lontana dall’essere individuata e riconosciuta.
I luoghi dotati di dispositivi per evocare gli dèi o gli spiriti,
che la cristianità definisce ‘altari’, offrono una quantità
di creazioni ed espressioni visive, talvolta nel rispetto
delle regole ancestrali, ma altre anche in presa diretta
con l’attualità. Questi luoghi di culto, che rispondono a
protocolli precisi, non sono così lontani, sul piano formale,
dalle installazioni d’arte contemporanea. Comunque,
anche se abbastanza facili da osservare in loco, sono
la faccia nascosta che il sistema dell’arte di matrice
occidentale vuole ignorare in nome della tutela della laicità
dell’arte, ereditata da un’altra epoca e da un contesto
europocentrico. Alla Fondation Opale di Lens, nel cantone
svizzero Vallese, sto preparando su questo tema la mostra
“Rien de trop beau pour les dieux” (“Nulla è troppo bello per
gli dèi”), che sarà inaugurata a giugno 2024.
“L’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte”,
diceva Robert Filliou precisando che un fornaio che fa il
pane con cura e amore è un artista. Che la si produca o che
la si apprezzi solamente, l’arte contribuisce a dare ordine
all’esistenza e, come si suol dire, a dare senso alla vita.
Traducendo, è un vettore dei rapporti tra le persone. Al di là
del piacere egoistico, è un atto d’amore verso gli altri.
domus 1073 Novembre November 2022 ART 55

Photo courtesy of Jean-Hubert Martin

Sopra: N’ti a n’kinda, Arbre aux assiettes, Stati Uniti del Sud, 2001 • Above: Arbre aux assiettes by N’ti a n’kinda, Southern United States, 2001
56 ARTE domus 1073 Novembre November 2022

Jean-Hubert Martin
Nato a Strasburgo nel 1944,
è stato direttore della Kunsthalle
di Berna, del Musée National
d’Art Moderne presso il Centre
Pompidou, del Musée national
des arts d’Afrique et d’Océanie
di Parigi e del Museum Kunst
palast di Düsseldorf.
Ha costituito la collezione d’arte
contemporanea del Castello
di Oiron. È stato commissario
di numerose biennali e mostre,
come “Paris Berlin” (1978),
“Paris Moscou” (1979),
“Magiciens de la terre” (1989),
“Carambolages” (2016).

• Born in Strasbourg, France

in 1944, Martin directed the
Kunsthalle Bern in Switzerland,
the Musée national d’art
moderne at the Centre

Photo © Andrea Stappert. Courtesy of Jean-Hubert Martin

Pompidou in Paris, the Musée
national des arts d’Afrique
et d’Océanie in Paris and the
Kunstpalast Düsseldorf.
He built the contemporary art

Photo courtesy of Jean-Hubert Martin

collection of Château d’Oiron,
France, and worked on many
biennials and exhibitions
including “Paris Berlin”
(1978), “Paris Moscou” (1979),
“Magiciens de la terre” (1989), all
at the Centre Pompidou, and
“Carambolages” at the Grand
Palais in Paris (2016).

Sopra, da sinistra: Sambhu Nath Chitrakar, altare della dea Kali, Nuova Delhi, India, 2001; Altare per i defunti,
Messico, 2001. Pagina a fronte. In alto: Changseung, tradizionale totem-guardiano dei villaggi coreani, 2001.
In basso: Altare per il culto degli antenati, Abomey e Ouidah, Benin, Soul of Africa Museum, Essen.
Pagine 58-59: Altare di Budda, distretto di Buldan, Seoul, 2001

• We’ve known it for decades. Ever since Charlie Hebdo
and the year 1 of the 1970s. We’re hurtling towards a brick
wall. Consumer society is in a tailspin and the system has
gone haywire. Politicians have their noses glued to the
handlebars and we no longer know how to stop this race
that confuses progress with overproduction.
Globalisation rhymes with standardisation. We’ve imposed
our regime on the whole earth. Orthogonal megacities
sprout like mushrooms. The ugly, shapeless, unfinished
shanties in Brazilian outer cities are the symptom of a
disordered psyche. When someone in Morocco tries to
apply a decorated feature to escape vacuity, it’s decried
as a stereotype. Hassan Fathy has long been preaching
in the wilderness. Concrete rises despite the thermal
advantages of architecture built of earth. The conception
of an age subjugated to productivity has spread
everywhere. Even in Papua New Guinea, corrugated sheet
iron has replaced roofs of vegetation.
The same is true of the visual arts. Since the Renaissance,
art has been tied to money and capitalism. They’re
inseparable. The system has spread like a dust storm
across developing countries, which have adopted
it together with the stock exchange and free trade.
Its failings are well known. Though the media are
shocked by the prices paid for art made by celebrity
artists, they continue to report record sales prices at
auctions. It’s a veritable game of smoke and mirrors.
Western contemporary art proclaims itself universal
and libertarian, and authorises everyone to engage in
freedom of expression. It works in a narrowly Western
mode connected everywhere with museums, biennials,
galleries, collectors, auction houses, universities, artists-
in-residence and awards. It’s not completely subservient
to money, since there are art centres, foundations and art
schools that offer creative possibilities without the need
to sell anything. But its workings are elitist and competitive,
a matter of intellectual or monetary exchange. It derives
from the philosophy of the Enlightenment and Hegelian
thought, and is emancipated from religion. The 1989
Parisian exhibition “Magiciens de la terre”, now legendary, worship or community headquarters and make artefacts
sought to show that, although the artists familiar to us are for ceremonies, funeral rituals or tombs. These often
modern, the majority of them elude this paradigm. The ephemeral works are sometimes sold to merchants
initiative was hailed as the first exhibition in a metropolis of or collectors, for example in the Pacific Islands, but
art with a truly transnational character. But it is forgotten they do not enter the usual contemporary art circuits.
that it presented numerous works unconnected with The indigenous peoples of Canada, the Aborigines of
this network orchestrated by the West. The city mouse/ Australia and the Māori of New Zealand create works
art doesn’t resemble the country mouse/art. They were that are faithful to their stylistic vocabulary and in keeping
works by artists who had largely come to install them with their tradition. This religious sphere, so vast as to
on site. They were decidedly our contemporaries, but in account for most of the works in museums of ancient art,
many cases relegated to the category of neo-primitivism, is ignored in the modern era. Colonialism and modernity
or neo-colonialism. (Perhaps it would have been better have subdued it to the extent that it has disappeared in its
to leave them on a reservation and not exhibit them?) present version, as if the innumerable visual expressions
This was because of the historicist interpretation that we of religions of the world did not exist.
continue to repeat, by which every archaic work today This grey area, which our permanent concern for
has to be traced back to a past phase of our history. From research and study disregards, is immense and far from
Apollinaire to Baselitz, this discourse has changed little. being identified and recognised. The places with their
In today’s globalisation, it is no longer necessary for our installations that serve to evoke the gods or spirits, which
artists to serve us a rehash of primitivism or ethnographic Christianity defines as “altars”, present a multitude of
art (a term that does nothing to resolve the issue), creations and visual expressions, sometimes respecting
because today it’s not difficult to have access to the the ancestral rules but sometimes drawing on current
sources. Here lies the positive side of cultural globalisation reality. These places of worship, which respond to precise
that favours exchange between different cultures. There protocols, are not very distant from contemporary art
was a twofold intent. Firstly, to show that there was no installations on a formal level. However, although quite
need for a patina and ageing to appreciate the creations easy to observe on the spot, they are the hidden face
made by communities outside large cities. Secondly, given to which the Western system of the art of obedience
that the West was still the compulsory frame of reference, remains blind for the sake of protecting the secularism of
to show that it was not necessary to be “modern”, and art, inherited from another age and a Eurocentric context.
that one could remain true to one’s history and traditions The Fondation Opale (in Lens, in the Swiss canton of
to be exhibited and appreciated by us. This was the Valais) is preparing an exhibition on this theme titled “Rien
aspect of the show that was not clearly understood, to de trop beau pour les dieux” (“Nothing is too Beautiful for
the point that even today some commentators describe the Gods”), due to open in June 2024.
the authors of the exhibits as “craftworkers”, failing to “Art is what makes life more interesting than art.” Robert
realise that this classification is typically Western. It Filliou pointed out that a baker who makes bread carefully
can’t be slapped like a label on different cultures. We’re and lovingly is an artist. Whether we practice it or
starting to lift the veil on indigenous cultures and their appreciate it, art helps give order to existence and gives
visual expressions. The “short supply chain” so much in meaning to life. Translation: it is a vector of relationships
vogue fits them perfectly. Many communities produce with other people. Beyond the egoism of pleasure, it is an
artists who are commissioned to decorate places of act of love addressed to others.
domus 1073 Novembre November 2022 ART 57

Che la si produca o che la si apprezzi

solamente, l’arte contribuisce a dare
ordine all’esistenza e, come si suol dire,
a dare senso alla vita. Traducendo, è un
vettore dei rapporti tra le persone /
Whether we practice it or appreciate it,
art helps give order to existence and gives
meaning to life. Translation: it is a vector
of relationships with other people
Photo © Andrea Stappert. Courtesy of Jean-Hubert Martin

•Opposite page, from left: Sambhu Nath Chitrakar, Altar of the goddess Kali, New Delhi, India, 2001; Altar for the
deceased, Mexico, 2001. This page. Above: Changseung, traditional Korean village guardian totem, 2001.
Below: Altar for the worship of ancestors, Abomey and Ouidah, Benin, Soul of Africa Museum, Essen.
Pages 58-59: Buddha altar, Buldan District, Seoul, 2001

Photo © Andrea Stappert. Courtesy of Jean-Hubert Martin

Photo © Andrea Stappert. Courtesy of Jean-Hubert Martin
60 ARTE domus 1073 Novembre November 2022

La globalizzazione in versi /
Globalisation in verses
Adonis
Photo Bahget Iskander

La modernità non è solo una condizione di ciò che ci circonda,

ma prende anche la forma di un paesaggio interiore.
Il viaggio, per il poeta siriano, è l’occasione di farlo emergere /
Modernity is not only a condition of what lies around us, but also
takes the form of an inner landscape. The Syrian poet sees travel
as an opportunity to bring this out

Adonis
Nato nel 1930 a Kassabin,
in Siria, è poeta e scrive in
arabo. Ha vissuto in Libano
e nel 1985 si è stabilito
in Francia. La sua opera
poetica e i suoi saggi sono
tradotti in varie lingue. È
stato pubblicato, tra gli
altri, da Gallimard e Seuil,
Guanda, Yale University
Press e Penguin. Ha ottenuto
numerosi riconoscimenti,
tra gli ultimi il PEN/Nabokov
Award for Achievement in
International Literature (2017)
e il 13° Poetry and People
Award di Guangzhou (2018).

• Born in Al-Qassabin, Syria

in 1930, Adonis is a poet who
writes in Arabic. He lived
in Lebanon, and settled in
France in 1985. His poetry and
essays have been translated
into various languages.
He has been published by
Gallimard, Éditions du Seuil,
Guanda, Yale University
Press, Penguin and others.
Numerous awards include
the PEN/Nabokov Award for
Achievement in International
Literature (2017) and the
13th Poetry and People Prize
Guangzhou, China (2018).
domus 1073 Novembre November 2022 ART 61

Non dico: sono uscito, se ho camminato. Se cammino, cammina con me

il mio interno. Il mio interno è esterno, il mio esterno è interno − quando
cammino.
È l’unità del volto, del cuore e dei piedi: un’altra inclinazione senza
come o dove? La magia del piede
è una lingua libera
per scrivere la notte del nulla.
Vado sul sentiero per apprendere come camminare verso
il sogno, ma il mio sogno è duale e la mia camminata è singola. Sincero
è il dubbio: nulla prova che l’io sia un altro.
Il mio corpo è diventato un altro me è diventato un sentiero dove avanzo o
retrocedo viaggio in lui e da lui e ci torno un giorno
risveglierò la mia vecchiaia e le racconterò le infanzie
del mio viaggio.
Non ho mai voluto stendere un guanciale sotto un soffitto dove abita una stella
ho sempre amato sdraiarmi nelle mani di un fiore
la grande rovina avvolta nel mantello di un grande dio avanza
ma lentamente amaro è il tormento
fra le mammelle di un’antilope o fra i passi di una formica
che si interroga sul suo dio e gratta il terriccio.
Il tuo sentiero ora è una compagnia di nuvole e nessun sole sotto la sua ombra
invoca il ricordo
di un amico, o sotto l’ombra di un sogno conversa con un uccello.
Il tuo sentiero è l’ultima cosa che i tuoi passi hanno scritto
del rimanente delle tue visioni.
Tu sei solo − ma la tua testa è un rifugio per popoli antichi
e popoli futuri condividi con loro la crudeltà della via
lo splendore della via, il ritmo della loro storia e vedi come ballano,
attorno a te, le loro cose vedi come s’inebriano mescolate
al polline del tempo e all’acqua della natura ti chiedi:
sono veramente solo o sono quei popoli che ho contemplato
e nel loro chiarore ho edificato le mie terrazze allora, perché, non canto?
La mia solitudine è che sono moltitudine
e ripeto che in principio c’era il duale.
Eppure, anche se l’accesso a ciò che voglio è la via, forse
si chiuderanno, all’improvviso, i suoi orizzonti e porte
è la potenza dell’assurdo planetario
dove non c’è profezia né via d’uscita per un profeta.
Dì: aprirò il mio corpo come uno spazio e camminerò con lui, verso di lui
e in lui, camminerò affinché l’universo cammini in me, le distanze sono più
lunghe di ciò che si pensa e più corte di ciò che hai pensato
né la via è la via né tu sei tu.
Questo corpo adamitico è più amato, più elevato, più vasto della sua argilla e più bello
62 ARTE domus 1073 Novembre November 2022

di ogni universo
il mio corpo è il mio creatore sono il suo bambino da quando sono
bambino grazie a lui
eppure non cammino per cibare di segreto d’identità la macchina
che sanguina
da gole strangolate,
o per armarmi di impossibile e dei suoi strumenti musicali,
ma per indossare la natura nella sua nudità iniziale
e cantare insieme:
“vieni da me, vieni da me”.
Non vogliamo la salvezza non vogliamo purificarci per desiderio o come requisito
per l’ascesa, vogliamo
la discesa verso il fondo dei nostri dolori e tormenti per convivere
con i nostri sogni all’infuori del foglio morto, di quell’angelo
incoronato all’infuori di ogni libro sceso dalle mani
di una stella che non ha mai messo piede sulla terra, che non ha mai odorato i fiori
la rosa
dell’amore e che nessuna spina ha punto le mani non c’è posto
per nessun libro nella delizia se non è inferno il suo inchiostro.
Si appoggia? No, intendo il suo bastone e intendo un padre che
camminava: il suo bastone alle spalle e suo figlio rotolava
attorno piedi nudi forse non si ricorda più ricordo
che la strada era un percorso di spine e di rocce senza
luce tranne la luce del bastone e la luce dell’amicizia
(la luce dell’amicizia è a volte nuvole e spesso, deviazione verso l’oscurità dei passi)
ora, dammi la tua mano, sono sommerso dalla stanchezza
o amico d’infanzia hai detto: la via è inizio
e hai detto: è ritorno.
Ma io, ogni volta che dico: ho ingoiato questa via passo dopo passo
un’altra via diversa mi prende
né fine, né riposo, né arrivo
tranne questo peregrinare, queste distanze, queste stagioni.
Ho detto, da quando ho scoperto la natura nella sua nudità: la civiltà è un cimitero,
ho detto: la civiltà è figlia della natura o non è altro che uno strumento.
Ora cammino
e ascolto la voce della natura, ma
forse
non mi rimane
più
un posto
dove camminare.

© 2021, Ali Ahmad Saïd Esber - All rights reserved. Traduzione in italiano di Hadam Oudghiri.
Estratto del libro Adoniada, pubblicato in Francia da Éditions du Seuil nel 2021, traduzione di Bénédicte
Letellier. Il libro sarà pubblicato in Italia nel 2023 da Ugo Guanda Editore.
domus 1073 Novembre November 2022 ART 63

In queste pagine: opere grafiche e d’illustrazione di Adonis. Negli anni Novanta, • These pages: graphic designs and illustrations by Adonis. In the 1990s the Syrian
il poeta siriano ha iniziato a produrre lavori con varie tecniche, fra cui collage, poet began to produce works with varied techniques, including collage, ink and
inchiostro e frammenti di oggetti. I testi in arabo, riprodotti con una modalità fragments of objects. The Arabic texts, reproduced calligraphically, comprise both
calligrafica, includono sia versi suoi, sia estratti di poesie arabe classiche his verses and extracts from classical Arabic poems
domus 1073 Novembre November 2022
66 ARTE domus 1073 Novembre November 2022
domus 1073 Novembre November 2022 ART 67

I do not say: I will go out. If I go my innermost

would go with me. My inner is outer, my outer is inner – when I walk.
It is the unity of face, heart and feet: a different passion without
how, without where? The magic of the step
a free language
to write the night of nothingness.
I only set out to learn to walk to
the dream, but my dream is twofold and my walk is one. Let
the doubt be sincere: nothing proves that I am another.
My body has become an other path on which I advance and linger
I travel in it, starting from it and I come back to it one day
I will wake up my old age and tell it about my journey
in childhood
it has happened to me not to want a pillow under the starry vault
I always liked to lie beside a flower
the great sacking under the cloak of a great lord progresses
rather slowly how bitter is the torture
between the udders of an antelope, or the steps of an ant
that wonders about its god and scrapes the earth.
Your path now has the favour of a cloud, in its shadow no sun risks the memory
of a friend, nor talks with a bird in the shadow of a dream.
Your path now is the last thing your footsteps have written
of what remains of your visions.
You are alone – but your head is a refuge for ancient peoples
and peoples to come you share with them the terror of the way
the splendour of the path and the rhythm of their history and perhaps the
way
their lives dance around you and perhaps the way they get drunk
mingled with the appearance of time and the water of nature you ask yourself:
what am I really, a solitary or some people I have enlightened
and in the light of whom I built my pinnacle so why should I not sing
my unity is to be multiple
and I say again at the beginning was the dual.
But the way, even if it had been the only access, I might not have wanted it
suddenly, its horizons and its doors close
this hold of planetary vanity
does not conceal any prophecy or any way out for a prophet.
Say: I will conquer my body space and walk with him, to him
and in him, I will walk so that the universe may walk in me the distances
are greater than one thinks and less than you believed
the way is not the way and you are not you.
Such is the Adamic body, more loving, more noble and vaster than its mud and more
beautiful
68 ARTE domus 1073 Novembre November 2022

than every universe

my body is my creator I was a child to it since through it I was a child
but I do not walk to know the mystery of the machine
to bleed
strangled throats
or to arm myself with the impossible and its musical instruments,
but to dress nature in its first nudity
and sing together:
approach, approach.
We do not want redemption we do not want to purify ourselves of desire and of the
condition to rise we want
to go down to the depths of our sufferings and torments to crush
our dreams out of the dead paper of this
alienated angel out of any book descended in the presence
of a star whose steps did not touch the earth, who did not smell the roses
of love and whose hands a thorn did not prick no book
has room in paradise unless its ink is hell.
Does he have a support? No, it is rather his stick I mean of a father
who walked: a stick on his shoulders his son rolled
around him barefoot maybe he did not remember I remember
that the path was covered with thorns and rocks devoid of light except
the light of the stick and the light of friendship
(the light of friendship is sometimes clouds and often a liking for the shadows
of the footsteps)
give me your hand, weariness has overcome me
O friend of my childhood you said: the path is beginning,
and you said, it is the place of change.
And I, when I said: it is a path that I have taken in step by step
another led me elsewhere
without end, without respite, without arrival
except this migration, these distances, these seasons.
I said, since I have discovered nature in its nakedness: civilisation is a cemetery,
I said civilisation is the daughter of nature or it is only an instrument.
Now I walk
I listen to the sounds of nature but
maybe I
no
longer have
a
place to walk.

© 2021, Ali Ahmad Saïd Esber - All rights reserved. Italian translation by Hadam Oudghiri.
Excerpt from Adoniada, Éditions du Seuil, Paris 2021. Translated from the Arabic into French by
Bénédicte Letellier. The book will be published in Italy in 2023 by Ugo Guanda Editore.
domus 1073 Novembre November 2022 ART 69
72 DESIGN domus 1073 Novembre November 2022

Da oltre dieci anni, il designer britannico

ha deciso di spostare la produzione in
Cina, seguendo di persona il processo
industriale. Anche se il suo studio non
è una multinazionale, la prospettiva
adottata è decisamente globale /
More than a decade ago, the British
designer decided to move production
to China, personally supervising the
manufacturing chain. Although his is
not a multinational firm, his outlook is
decidedly global

George Sowden
Le nuove sfide della filiera diffusa /
The new challenges
of the widespread supply chain
Deyan Sudjic
Com’era inevitabile, quando la Cina è diventata il centro dell’economia dalle tazze ai bollitori elettrici, dagli spremiagrumi con motori elettrici Deyan Sudjic
manifatturiera mondiale, l’attenzione di molti designer si è spostata appositamente progettati ai tostapane e, più recentemente, alle luci. Nato a Londra nel 1952, è critico
e curatore. È direttore emeritus
verso di essa. In modo, invece, meno prevedibile, la produzione in Cina Progettare, prototipare e vendere oggetti in ceramica è un processo del London Design Museum
ha reso possibile un cambiamento radicale nel modo di operare di relativamente semplice, che può essere finanziato dal flusso di cassa, e professore di architettura
un certo numero di designer. Stanco di ricevere le critiche degli uffici ma concepire SoftBrew, un metodo per preparare il caffè per infusione, e design alla Lancaster
marketing delle aziende e di non lavorare più direttamente con ingegneri è molto più complesso. Si tratta di una brocca di ceramica dalla forma University. È stato direttore
di Domus dal 2000 al 2003
o imprenditori carismatici, George Sowden è partito più di dieci anni decisa, all’interno della quale c’è un sottile filtro di metallo. L’aspetto e direttore della Biennale di
fa per un lungo tour delle fabbriche cinesi. Il suo obiettivo era costruire critico è ottenere una serie di perforazioni sufficientemente minuscole Architettura di Venezia nel
la rete di contatti necessaria per essere autosufficiente, diventando il in una striscia di metallo rettangolare, quindi saldare insieme le due 2002. Il suo ultimo libro, Stalin’s
committente di se stesso, ed entrare nella filiera produttiva, con il sistema estremità per formare un cilindro, chiuso a su un lato da un disco di Architect: Power and Survival
in Moscow, è edito da Thames
che aveva sostituito il vecchio modello industriale che Sowden aveva metallo perforato. Ci sono voluti diversi tentativi, ma alla fine Sowden ha & Hudson, 2022.
sperimentato a Ivrea ai tempi della sua prima collaborazione con Olivetti. trovato una fabbrica in grado di farlo, un’azienda che produceva parti
Ha così finito per ritagliarsi uno spazio in un angolo inutilizzato di una meccaniche per elicotteri giocattolo radiocomandati. • Born in London in 1952,
ex fabbrica di scarpe a Dongguan, città manifatturiera di otto milioni di La sua nuova e bellissima gamma di lampade, Shades, prodotta Sudjic is a critic and curator.
He is director emeritus of the
abitanti sul delta del Fiume delle Perle, tra Guangzhou e Hong Kong. con il marchio SowdenLights, è il risultato del suo disappunto per le Design Museum in London
“L’idea che qualcuno si presentasse con un disegno per sviluppare conseguenze negative impreviste del divieto di produrre le lampadine a and a professor of architecture
un nuovo prodotto, per loro rappresentava una novità. Erano abituati filamento di tungsteno di Edison. and design studies
at Lancaster University.
a sentirsi dire ‘per favore, fatemene 5.000 pezzi’. Hanno però imparato Le nuove leggi hanno posto fine alle lampade a incandescenza, ma non
He was the editor-in-chief
molto velocemente”, ricorda il designer. hanno impedito che i loro sostituti venissero prodotti per adattarsi ai of Domus from 2000-2003
Così, in Cina, Sowden ha assunto un ingegnere di produzione e un supporti a forma di lampadina esistenti. “Inserire un LED in una lampadina and director of the Venice
manager, da affiancare ai designer del suo studio di Milano e al suo Edison è un incredibile errore industriale, ripetuto miliardi di volte all’anno. Architecture Biennale in
2002. His latest book, Stalin’s
commercialista in Inghilterra. Inoltre, il suo team cinese gli procura È la forma sbagliata, ha bisogno di un pesante dissipatore di calore per Architect: Power and Survival
manodopera temporanea quando è necessario assemblare e evitare il surriscaldamento e utilizza il 90 per cento di materiale in più in Moscow is published
confezionare i prodotti. Se la sua non è esattamente una multinazionale, del necessario. Non migliora la qualità della luce e, essendo saldata, è by Thames & Hudson, 2022.
Sowden ha certamente adottato una prospettiva globale: “Abbiamo impossibile da riciclare”. Sowden si è impegnato a fondo nel progettare
smesso di essere solo uno studio di progettazione. Anche gli aspetti un’alternativa più razionale, una serie di LED montati su un disco piatto
tecnici si imparano: puoi occuparti della logistica e del magazzino, e con un nuovo tipo di presa di corrente. Trattandosi però di una questione
diventi imprenditore”, dice. Sowden ha realizzato un catalogo di prodotti politica ed economica, oltre che di design, la sua adozione su larga scala
per la casa sempre più sofisticati dal punto di vista tecnico. Si va si è rivelata finora al di là delle sue possibilità.
domus 1073 Novembre November 2022 DESIGN 73
74 DESIGN
• Inevitably, the attention of many designers shifted towards China
when it became the centre of the world’s manufacturing economy.
Less predictably, manufacturing there has made possible a radical
change in the way that at least some designers can work.
Frustrated at being second-guessed by marketing departments,
rather than working directly with engineers, or charismatic founders,
George Sowden set off on a long tour of China’s factories more than
ten years ago. He was aiming to build up the network of contacts that
he needed to become his own client and enter the world of supply
chain manufacturing. It is the system that has now all but replaced
the old industrial model that Sowden found when he first worked with
Olivetti in Ivrea.
Eventually, he set up in a disused corner of a former shoe factory
in Dongguan, a Pearl River delta manufacturing city of eight million
people between Guangzhou and Hong Kong.
“The idea of coming with a drawing and developing a new product
was new to them. Usually, it was ‘please make me 5,000 of these’. They
learnt very quickly,” he remembers.
Sowden recruited a production engineer and a manager in China to
work alongside the designers in his Milan studio and an accountant
in England. His Chinese team finds temporary agency labour when
it is needed to assemble and pack products. If Sowden is not quite a
multinational corporation, it certainly has a global perspective.
“We stopped being just a design office; you learn to be an engineer as
well. I can do the logistics and the warehousing for myself too, and you
become an entrepreneur,” he says.
Sowden has produced a catalogue of domestic products of increasing
technical sophistication. They have gone from mugs to electric kettles,
juicers with purpose-designed electric motors, toasters and most
recently lights. Designing, prototyping and selling ceramic items is a
relatively straightforward process that can be funded from cash flow.
But conceiving of the SoftBrew, a way to prepare infusion-brewed
domus 1073 Novembre November 2022
In queste pagine: la famiglia di lampade Shades, caratterizzata dal paralume
di silicone, comprende cinque modelli a sospensione (a sinistra) e cinque da tavolo
(pagina 76), quattro da terra e tre portatili alimentate a batteria (pagina 73).
Per queste ultime, è stata realizzata una lampadina LED personalizzata, con
comando touch nella parte superiore, che può essere svitata e sostituita, oltre
a uno scomparto per due batterie. Pagina a fronte: George Sowden
• These pages: the Shades family of lamps is characterised by a silicone shade and
includes five suspended models (left), five table lamps (page 76), four floor lamps
and three battery-powered portable versions. A personalised LED light source has
been created for the battery lamps, fitted with a touch-sensitive dimmer control
on the top that can be unscrewed and replaced. There is also a compartment for two
batteries. Opposite page: George Sowden
coffee, is more complex. It consists of a boldly shaped ceramic jug
inside which is a fine metal filter. The critical element is achieving a
sufficiently fine set of perforations in a rectangular metal strip, then
welding the two ends together to form a cylinder, closed at one end
with a perforated metal disc. It took several attempts, but eventually
Sowden found a factory manufacturing mechanical parts for radio-
controlled toy helicopters that could manage it.
Sowden’s new and rather beautiful range of lamps is a by-product
of his dismay at the unforeseen negative consequences of banning
production of Edison tungsten filament light bulbs. The new laws
ended incandescent lights but did not stop their replacements being
manufactured to fit existing bulb-shaped holders.
“Putting an LED into an Edison-shaped bulb is an incredible industrial
mistake, repeated billions of times a year. It’s the wrong shape, needed
a heavy heat sink to avoid overheating and uses 90 per cent more
material than necessary. It doesn’t enhance light quality, and because
it is welded together, is impossible to recycle.”
Sowden put a lot of effort into designing a more rational alternative, a
flat disc-mounted set of LEDs with a new kind of power socket.
Getting it widely adopted has turned out to be beyond his resources so
far. It is as much a political and economic issue as a question of design.
But at the start of the lockdown, Sowden realised that if he could not
change the world of lighting yet, he could put his design for an LED bulb
into his own lights. He had realised that silicone, a polymer that is not
based on oil, conventionally used as an extrusion to form the gaskets
on fridge doors and around car windows, could make a colourful and
effective light-diffusing shade. It’s a material that is not regularly used
to make household articles, but is bought and sold on an industrial
scale, by the tonne. By using it for his colourful range of light fittings,
he is in a sense piggybacking on an industrial process that results in
material that offers a level of quality and apparent value that does not
require an equivalent investment on his part.
domus 1073 Novembre November 2022 DESIGN 75
76 DESIGN
TUBI DI SUPPORTO CON FILETTATURA 3 MM /
SUPPORT TUBES WITH 3 MM THREAD
TUBO DA 90 MM / 90 MM TUBE
BASE DISEGNATA AD HOC /
BASE IS BEING DESIGNED
domus 1073 Novembre November 2022
A sinistra: le componenti della lampada. Sotto, da sinistra: concept iniziale di
progetto; la lampada in un esploso assonometrico e montata. In basso, da sinistra:
due modelli di lampade da tavolo; schizzo della versione portatile della lampada.
Pagina a fronte: prototipo del primo paralume di silicone, materiale che oltre
a essere resistente e lavabile, ha grandi capacità di diffusione della luce.
Le lampade sono adatte anche all’esterno
• Left: the components of the lamp. Below, from left: the initial concept for the
project; the lamp shown in an exploded axonometric projection; and the assembled
lamp. Bottom, from left: two models of table lamp; a sketch of the lamp’s portable
version. Opposite page: a prototype of the first shade in silicone. This material
is not only resistant and washable, but also allows extensive light diffusion.
The lamps are also suitable for outdoor use
Tutti i materiali di progetto/
All project materials
© George Sowden
Tutte le foto / All photos
© Alice Fiorilli
domus 1073 Novembre November 2022 DESIGN 77
78 DESIGN
Photo Delfino Sisto Legnani, DSL Studio
Sopra: prototipo originale della lampadina LED progettata da Sowden ad hoc per la
collezione Shades. Sotto, da sinistra: schizzi dei modelli da terra e a sospensione;
il circuito LED, progettato ad hoc per il modello portatile e fabbricata in Cina, viene
avvitato sulla sommità del fusto. Pagina a fronte: alcune combinazioni di colori e
dimensioni dei modelli ricaricabili e a sospensione
domus 1073 Novembre November 2022
•Above: the original prototype of the LED light source designed by Sowden
specifically for the Shades collection. Below, from left: sketches of the floor and
suspended models; the LED circuit, specially designed for the portable model and
made in China, is screwed to the top of the body. Opposite page: a range of colour
combinations and sizes for the rechargeable and suspended versions
domus 1073 Novembre November 2022 DESIGN 79
80 REACTION
L’architettura delle terre di mezzo /
The architecture of middle earth
Franco Raggi
Jean Nouvel si/ci interroga su qualcosa che sta al di là e prima
dell’architettura e della sua manifestazione fisica, qualcosa che sta
alla radice delle pratiche che contemplano la modifica del nostro
spazio abitato, l’introduzione del nuovo, il cambiamento e il confronto
con l’esistente. Qualcosa che riguarda un esercizio interiore di
osservazione e memoria, un’azione pubblica permanente di giudizio
e scelta, un metodo dialettico che confronti la realtà e i suoi vincoli
con le soluzioni possibili e gli esiti non solo formali, ma specialmente
relazionali del fare architettura come strumento capace di dare
spazio, senso e identità alla vita collettiva.
Io non so bene cosa sia il ‘carattere’ in architettura, ma posso
immaginare che sia quella qualità sottile e trasversale non
identificabile in uno stile, ma semmai in un ‘modo’ di comporre,
scomporre e ricomporre le parti al di là della pura ragionevolezza,
seguendo curiosità e azzardo. Un’arte discreta attenta al contesto,
non invasiva, che frequenta linguaggi colti e stabili, debitori della
tradizione, ma impegnati nell’evoluzione. Forse anche il carattere è
questa disposizione latente a usare la ragione contrapponendola,
come suggerisce Nouvel, alla sua negazione poetica denunciando
il diffuso ossimoro di una “conoscenza ignorante” come pratica
denuncia dell’improduttività degli specialismi e degli eccessi di
saperi autoreferenziali e separati. Infine, il carattere potrebbe
addirittura contemplare, per opposti, una sorta di distrazione e di
abbandono capace di produrre figure in una temporanea assenza di
vincoli: quello che Nouvel chiama l’“oblio dell’immaginazione”.
Detto questo, vorrei riflettere sulla condizione dell’architettura.
Negli ultimi dieci anni, molte opere mi hanno incuriosito o colpito
per la loro audacia sperimentale e per la loro innovazione tecnica
e linguistica, senza però lasciare il segno. Ho anche pensato che,
negli ultimi 30 anni, e oggi più che mai, l’architettura sembra degna
di recensione sui media solo se capace di stupire e impressionare,
quasi intimorire. La sua rilevanza pubblica sembra garantita solo
se è eccezionale, strabiliante, magnifica, urticante e solitaria, non
di rado a discapito della sua stessa utilità o del suo congruo costo
e della capacità di invecchiare. Ho pensato che questo bisogno
di eccezionalità attiene più a un sistema di valori, direi quasi un
mercato, dove si premia la vertigine, la spettacolarità distante
ed ‘esclusiva’, trascurando la quotidianità o, meglio, il carattere di
convenzionalità, di struttura discreta capace di promuovere l’atto
sociale dell’abitare, individuale e collettivo. Dichiaro allora il mio
disagio, forse anacronistico, di fronte alla fiera delle vanità che
ha trasformato il compito sociale dell’architetto da mediatore e
inventore di condensatori sociali, produttore di identità collettive
ad alto grado di vivibilità, in mago illusionista, sacerdote devoto
all’estetica e all’etica del bizzarro come scorciatoia verso la visibilità.
Ho pensato allora che, per poter indicare qualcosa di sensato, sia
più giusto stringere il campo, fare uno zoom selettivo su realtà più
discrete e convenzionali, puntare l’attenzione verso una qualità
disattesa e poco redditizia dell’architettura che chiamerei ‘medietà’
e che si occupa di inserire e collegare senza rotture, ma con cura, i
diversi elementi del paesaggio naturale o urbano. Una qualità che
ammette l’inappariscenza, ma coltiva il saper comporre e definire
dettagli, accostamenti di materie e forme misurate. Un carattere non
chiassoso e non esclusivo, ma anzi inclusivo in senso funzionale,
linguistico e sociale. Ne consegue forse una “architettura delle
terre di mezzo” capace di rendersi visibile per gradi con misura e
pazienza, e di rinunciare all’acuto delle ipertecnologie di catastrofica
manutenzione. Un’architettura che non contenga per forza la novità
come trend, ma il rinnovamento come forma di pensiero evolutivo.
“Reazione” è la risposta al manifesto “Spirito, dove sei?”
allegato a Domus 1063 e pubblicato integralmente
su domusweb.it/manifestojn. Illustra l’approccio culturale
di Jean Nouvel al progetto e rappresenta la base intellettuale
del suo incarico di guest editor per Domus nel 2022.
domusweb.it/manifestojn
domus 1073 Novembre November 2022
• Jean Nouvel poses a question about something that lies before Franco Raggi
and beyond architecture and its physical manifestation. Nato a Milano nel 1945, è
stato redattore di Casabella
It is something that lies at the root of practices involving changes e direttore di Modo. Nel 1973
to our inhabited space, the introduction of the new, and ha collaborato con Aldo
how we deal with the existing. It concerns an inner exercise of Rossi all’ordinamento della
observation and memory, a permanent public action of judgment Sezione Internazionale di
Architettura della Triennale
and choice, a dialectical method that compares reality and di Milano e curato all’IDZ
its constraints with possible solutions and outcomes, not just di Berlino la prima mostra
in terms of form, but above all in the relational aspects of critica sul Design Radicale
making architecture as an instrument that can give space, italiano. Responsabile della
Raccolta del Design alla
meaning and identity to our collective life. Triennale di Milano nel 1980 e
I am not sure what “character” is in architecture, but I can imagine nel 1989 della sezione Design
it is that subtle and transversal quality not identifiable in a style, nella mostra “Il futuro delle
but rather in a way of composing, dismantling and recomposing metropoli”. Sue opere sono
nelle collezioni di MoMA,
the parts beyond pure reason, guided by curiosity and daring. Centre Pompidou, FRAC e
Attentive to the context, it is a discreet non-invasive art that adopts Triennale di Milano.
cultured and stable languages, indebted to tradition but committed
to evolution. Perhaps character is also a latent disposition to use • Raggi (Milan, 1945) has
been an editor of Casabella
reason in contrast, as Nouvel suggests, with its poetic negation, and editor-in-chief of Modo.
revealing the widespread oxymoron of an “ignorant knowledge” In 1973 he worked on the
as a practical denunciation of the unproductivity of specialisms International Architecture
Section of the Milan Triennale
and excesses of self-referential and separate kinds of knowledge.
and curated the first critical
Character could even contemplate, by opposites, a sort of show on Italian Radical
distraction and abandonment capable of producing figures in Design at the IDZ in Berlin.
a temporary absence of constraints: what Nouvel calls the He was head of the Design
Collection at the Milan
“oblivion of imagination”. Having said that, I would like to reflect Triennale in 1980 and in 1989
on the condition of architecture. of the Design section in the
In the last ten years, many works have intrigued or impressed exhibition “The Future of the
me with their experimental boldness and technical and linguistic Metropolis”. His works are in
the collections of the MoMA,
innovation, yet without leaving their mark. It also occurs to me Beaubourg, FRAC and Milan
that, in the last 30 years, and now more than ever, architecture Triennale.
only seems worthy of media attention if it amazes and impresses,
almost intimidates. Its public relevance only seems assured if it is
exceptional, amazing, magnificent, mordant and solitary, often at
the expense of its utility, appropriate cost and ability to age. It struck
me that this need for the exceptional relates more to a system
of values, I would say almost a market, that rewards vertigo, an
aloof and spectacular exclusiveness, while it neglects everyday
life, or rather the character of conventionality, a discreet structure
promoting the social act of living, both individual and collective.
So I wish to state my perhaps anachronistic discomfort at the
vanity fair that has transformed the architect’s social task from a
mediator and inventor of social capacitors, a producer of collective
identities with a high degree of liveability, into an illusionist sorcerer
devoted to the aesthetics and ethics of the bizarre as a shortcut
to visibility. If we want to point to something sensible, I feel we have
to zoom in selectively on more discreet and conventional works,
focusing on a disregarded and unprofitable quality of architecture
that I would call “middlingness”. This is the ability to carefully insert
and connect various elements of the natural or urban landscape
without creating rifts. A quality that admits the inconspicuous but
cultivates the definition and composition of details, materials and
well-moderated forms. A character that is not loud or exclusive, but
functionally, linguistically and socially inclusive. Perhaps the result
is an “architecture of middle earth” that gradually makes itself
visible with restraint and patience, and renouncing the extremes of
hypertechnologies that demand disastrous levels of maintenance.
An architecture that does not necessarily contain novelty
as a trend, but renewal as a form of evolutionary thinking.
“Reaction” is a response to the manifesto “Spirit, are you there?”
included with Domus 1063 and published in full
on domusweb.it/manifestojn. It illustrates Jean Nouvel’s
cultural approach to design and represents the intellectual
basis for his guest editorship of Domus in 2022.

Rassegna Spazi di lavoro
Sopra: dettaglio del tavolo,
Hug disegnato da Giulio
Iacchetti per Fantin. Hug
è caratterizzato da un
telaio in tubolare tondo
che abbraccia le gambe
leggermente inclinate
• Above: detail of the Hug
table, designed by Giulio
Iacchetti for Fantin.
Hug features a tubular
frame that embraces the
slightly angled legs.
Lo spazio del lavoro è tra quelli che hanno subito maggiori
trasformazioni negli ultimi anni. Quando si stava discutendo
dell’efficacia dell’open space, è arrivata la pandemia a
stravolgere il senso stesso di ufficio. Se all’inizio, lavoratori
e datori di lavoro hanno beneficiato del lavoro a distanza –
i primi con una libertà mai sperimentata prima, i secondi
abbattendo i costi di gestione – si è poi affermata la
necessità di tutelare gli spazi della vita privata dall’ingerenza
di quelli lavorativi, e di rivedere il significato e il ruolo
del lavoro “in presenza”. Il risultato è un interessante ibrido
per cui la casa è anche ufficio e l’ufficio è un po’ casa.
Il lavoratore si aspetta di ritrovare la stessa autonomia
anche sul posto di lavoro, che diventa luogo dove voler stare
anziché dover stare. La produzione di design risponde
a questo scenario con imbottiti per l’ufficio sempre più
morbidi e tavoli per la casa sempre più neutri, come ci
spiega il designer Robin Rizzini che su questi ha cominciato
a lavorare negli anni Novanta.
Testi di / Texts by Marianna Guernieri
Work spaces The places where we work have undergone
huge transformations in recent years. Just when the efficiency
of open-planned space was starting to be questioned, the
pandemic arrived and overturned the very meaning of the
office. While at the start, workers and employers benefitted
from remote working – the former with a freedom never
experienced before, the latter by reducing management costs
– it has since proved necessary to protect private spaces from
interference by working ones and to think again about what
“in-office” working really means. The result is an interesting
hybrid in which the home is also an office and the office is a bit
more homely. The worker expects to find the same autonomy
in their workplace, that becomes a place where you want to be
rather than just have to be. Design and production have
responded with soft furnishings for the office that are even
softer and tables for the home that are increasingly neutral, as
explained by designer Robin Rizzini, who began working on
these in the 1990s.
XXXIX RASSEGNA Spazi di lavoro / Workspaces domus 1073 Novembre November 2022

Robin Rizzini: “L’ufficio dovrebbe essere un luogo arricchente”

Robin Rizzini: “The office has
to be an enriching place”
Born in Genoa in 1973, Italian-British
designer Robin Rizzini has won numerous
awards for his work in the office sector
and boasts collaborations with top
manufacturers (Arper, Ligne Roset, Paola
Lenti, MDF Italia, Poliform, Zanotta, Busnelli,
Offecct, Falper, Estel, Fantoni and Manutti to
name just a few). Not only that, he was also
the winner of a Compasso d’Oro in 2014
together with Bruno Fattorini with Tavolo
25 for Desalto. According to Rizzini, tables
are elements that will never disappear
completely from workplaces because they
are the “archetypal objects on which you
work the best” as he told Domus. One of his
most recent table designs, Toa Office for
Pedrali is a symbolic evolution of the iconic
Tavolo 25 - an engineered table with a steel
core and a top and legs with a thickness of
Nato a Genova nel 1973, il designer just 25 mm for dimensions of up to 3 metres
italo-britannico Robin Rizzini è una in width - and overcomes the “original sin”, of
pluripremiata firma dell’office design being difficult to get rid of.
che vanta collaborazioni con le migliori Toa is available in many sizes and can
aziende del settore (Arper, Ligne Roset, be taken apart completely to make it
Paola Lenti, MDF Italia, Poliform, Zanotta, easier to dispose of. The Hector table for
Busnelli, Offecct, Falper, Estel, Fantoni e Poliform also makes use of some refined
Manutti, per citarne alcuni), con tanto di engineering but with the allure of tables
Compasso d’Oro vinto nel 2014 insieme in solid wood. As well as tables, Rizzini
a Bruno Fattorini con il Tavolo 25 per explains that nowadays the emphasis is
Desalto. Sono proprio i tavoli gli elementi on the soft elements of the office, contrary
che secondo Rizzini non scompariranno to what happened in the past, with ultra-
mai del tutto dai luoghi di lavoro poiché comfortable armchairs and enveloping
Photo Andrea Garuti. Art direction Studio FM

“oggetti-archetipo su cui si lavora meglio”, lounge chairs that resemble the ones
come racconta. Tra gli ultimi progettati, we have at home.
Toa Office per Pedrali è un’evoluzione “The contamination of recent years
Designer

simbolica dell’iconico Tavolo 25 – un between domestic and office life has

oggetto ingegneristico con anima in shifted attention more onto people
acciaio e uno spessore del ripiano e delle and less on performance, giving rise to
gambe di soli 25 mm su dimensioni fino a more comfortable spaces, warmer and
3 m di larghezza – e ne supera il “peccato a bit less technical, that make the life of
originale” della difficoltà di dismisssione. people in the office more interesting and
Toa è disponibile in molte dimensioni e può engaging”, he explains. “Over the years work
essere smontabile in ogni suo elemento has become lighter and more mobile and
per facilitarne lo smaltimento. Anche less bound to a desk with fixed equipment
Hector per Poliform sfrutta un raffinato like it was in the 1990s”.
lavoro di ingegneria, ma con l’allure dei According to Rizzini, offices today are
tavoli in massello. conceived as places for sharing, while the
Oltre ai tavoli, Rizzini ci spiega che oggi è real actual work has been moved to cafes,
la parte morbida a essere favorita negli the ‘coffice’, the home and into spaces that
uffici, al contrario di quanto avveniva in represent us better. While office furniture
passato, con poltrone comodissime e has become softer, the furniture at home
sedute lounge avvolgenti come quelle on the other hand has been formalised with
per la casa. “La contaminazione degli more attention placed on ergonomics and
ultimi anni tra vita domestica e ufficio neutrality. What do you look for when you
ha spostato l’attenzione sulla persona design? “I seek to learn something”.
e meno verso la performance, dando
origine a spazi più accoglienti, più caldi e
In alto, a sinistra: il designer Robin Rizzini.
un po’ meno tecnici, che rendono la vita In alto: il tavolo Toa disegnato per Pedrali nel
delle persone in ufficio più interessante e 2022. Sopra: Hector, progetto di Bruno
coinvolgente”, spiega. Fattorini and Partners del 2011 per Poliform.
“Negli anni il lavoro è diventato sempre A destra: Tavolo 25, progetto Metrica (Bruno
Fattorini + Robin Rizzini) del 2011 per
più leggero e mobile e meno legato a un Desalto
desk con apparecchi fissi, come negli
anni Novanta”. Secondo Rizzini, gli uffici • Top, left: designer Robin Rizzini. Top: the
oggi sono concepiti come luoghi di Toa table designed by Rizzini for Pedrali in
2022. Above: the Hector table, designed by
condivisione, mentre l’operatività vera e Bruno Fattorini and Partners in 2011 for
propria è trasferita nei caffè, nei coffice, a Poliform. Right: Table 25, designed by
casa e negli spazi che ci rappresentano Metrica (Bruno Fattorini + Robin Rizzini)
in 2011 for Desalto
al meglio. Se gli arredi in ufficio diventano
sempre più morbidi, quelli di casa, di
contro, si formalizzano con un’attenzione
in più all’ergonomia e alla neutralità.
Cosa ricerchi quando progetti? “Cerco di
imparare ancora qualcosa”.
domus 1073 Novembre November 2022
KN 06, KN 07
Figlie della collaborazione tra Knoll Inter-
national e Piero Lissoni, le sedute KN per la
casa e per l’ufficio si ampliano con i model-
li KN06 e KN07. La prima è una poltroncina
con scocca a guscio in vetroresina verni-
ciata o rivestita, in tessuto o pelle, con base
fissa a quattro gambe (nella foto, sulla sini-
stra), su base girevole con altezza regola-
bile a quattro razze con pattini (nella foto,
al centro) o a cinque razze con ruote. Il mo-
dello KN07 è una sedia senza braccioli
(nella foto, la variante su gambe fisse).
Materiali / Materials
vetroresina, tessuto /
fibreglass, fabric
Dimensioni / Dimensions
L 63 x W 56 x H 79 cm (KN06 su gambe /
KN06 with legs); L 62.5 x W 71 x H 79.5-72.5
cm (KN06 a quattro razze / KN06 with four
spokes); L48 x W 52 x H74 cm (KN07)
Zeph
L’iconica seduta Eames Shell ispira la nuo-
va collezione della storica azienda statuni-
tense Herman Miller. Firmata dal berlinese
Studio 7.5, Zeph è votata al colore, alla per-
sonalizzazione, grazie all’aggiunta di imbot-
titure in maglia 3D e a un’idea di spazio di
lavoro confortevole e flessibile. “Volevamo
creare una sedia monoscocca animata”,
spiegano i progettisti: è stato possibile gra-
zie a un sistema cinematico che segue i
movimenti del corpo e a un meccanismo a
molla che crea il giusto contrappeso.
Materiali / Materials
polipropilene (scocca), tessuto a maglia 3D
(imbottitura) / polypropylene (shell), 3D knit
fabric (upholstery)
Dimensioni / Dimensions
L 61.4 (con braccioli / with armrests);
L 54.3 (senza braccioli / without armrests)
P 47.9 x H 74.1–88.5 cm
The result of a collaboration between
Knoll International and Piero Lissoni, the KN
range of chairs has been extended with the
models KN06 and KN07. The first is a chair
with a fibreglass shell with a painted finish
or covered in fabric or leather, with either a
fixed base with four legs (left in photo), a
swivel base with adjustable height with four
spokes with glides (centre in photo) or with
five spokes and wheels. The KN07 model is
a chair without armrests (in the photo, the
fixed leg version).
Knoll International
www.knolleurope.com
The iconic Eames Shell chair has inspired
the new collection from legendary American
company Herman Miller. Designed by Ber-
lin-based Studio 7.5, Zeph is all about colour
and customisation thanks to the addition of
3D knit padding, and the idea of a comfort-
able and flexible workspace. “We wanted to
create an animated mono-shell chair”, explain
the designers: it has been made possible by
a kinematic system that follows the move-
ments of the body and a spring mechanism
that creates the right counterweight.
Herman Miller
www.hermanmiller.com
Calum Office
Calum, la famiglia di sedute firmate dal
designer britannico Simon Pengelly per
Desalto, viene completata dalla versione
Office per gli spazi di lavoro. La base gire-
vole di alluminio ospita un meccanismo per
la regolazione dell’altezza e l’inclinazione
della seduta a quattro o cinque razze con
ruote autofrenanti (in foto). Disponibile in
diverse altezze, con o senza braccioli, è
resa confortevole dall’imbottitura in schiu-
mato su poliuretano rigido e struttura inter-
na in acciaio.
Materiali / Materials
acciaio, poliuretano, tessuto /
steel, polyurethane, fabric
Dimensioni / Dimensions
L 63 x W 67 x H 43-56 cm (seduta / seat);
H 117-130 cm (totale / total)
Icon
Porta il segno del designer bresciano
Marcello Ziliani la nuova collezione di sedu-
te imbottite Mara. Si tratta di una poltron-
cina confortevole con seduta a pozzetto,
ma non monoscocca: lo schienale è infatti
slegato dal sedile per facilitare un movi-
mento indipendente. Imbottita con schiu-
mato poliuretanico, è rivestita in tessuto
sfoderabile per facilitarne la durata nel
tempo. Icon è disponibile in diverse varian-
ti tra cui quella a razze regolabile con un
meccanismo integrato nel sedile.
Materiali / Materials
acciaio verniciato a polvere, schiumato
poliuretanico, tessuto / powder-coated steel,
polyurethane foam, fabric
Dimensioni / Dimensions
L 58.5 x W 57.5 x H 47 cm (seduta / seat)
79-91 cm (schienale / backrest)
Spazi di lavoro / Workspaces RASSEGNA XL
Calum, a range of chairs created by Brit-
ish designer Simon Pengelly for Desalto,
has been extended to include a new Office
version for workspaces. The swivel base in
aluminium houses a mechanism for adjust-
ing the height and angle of the chair with
four or five spokes and self-braking wheels
(in the photo). Available in different heights,
with or without armrests, it is made com-
fortable by the foam padding on rigid poly-
urethane and internal steel structure.
Desalto
www.desalto.it
Ergonomia / Ergonomics
The new Mara collection of upholstered
chairs bears the hallmark of Brescia-based
designer Marcello Ziliani. This comfortable
armchair with bucket seat is not made from
a single shell however, instead the backrest
is detached from the seat to facilitate inde-
pendent movement. Padded with polyure-
thane foam, it has a removable fabric cov-
er to make it last longer over time. Icon is
available in assorted versions including
one with adjustable spokes with a mecha-
nism integrated into the chair.
Mara
www.marasrl.it
 XLI RASSEGNA Spazi di lavoro / Workspaces
Green Box
Presentate al Fuorisalone 2022, le cabi-
ne acustiche modulari Green Box di Univer-
sal Selecta progettate da Eugenio Pasta
con il dipartimento R&D dell’azienda sono
realizzate interamente in legno lamellare
tenuto insieme da un sistema d’incastri che
facilita l’assemblaggio. Il modulo è costitu-
ito da un sistema di ventilazione e d’illumi-
nazione integrato, con pannelli fonoassor-
benti e frangisole esterni per aumentare la
qualità luminosa e acustica interna di que-
sta micro-architettura.
Materiali / Materials
legno, vetro, tessuto fonoassorbente /
wood, glass, sound-absorbent fabric
Finiture / Finishes
Abete verniciato grigio naturale, Vetro extra chiaro /
Natural grey painted spruce, Extra clear glass
Dimensioni / Dimensions
L 300 x W 400 x H 240 cm
Photo © Stefano Anzini
Privé
Acustica / Acoustics
Krzysztof Miksza progetta per IOC project
partners un box acustico autoportante
modulare e personalizzabile, ideale per
essere collocato all’interno di open space
rumorosi. Pensato come un angolo di privacy
per riunioni, chiamate o conversazioni in-
dividuali, si può comporre di un’ampia varietà
di materiali tra cui alluminio, vetro, tessuto,
legno e melamminico. La grandezza varia
dalla sala riunioni al phone booth dotato di
ruote per essere spostato facilmente e
garantire la massima flessibilità.
Materiali / Materials
alluminio, vetro acustico, legno microforato,
tessuto / aluminium, acoustic glass,
micro-perforated wood, fabric
Dimensioni / Dimensions
L 110 x W 110 x H 220 cm (cabina telefonica /
phone booth)
L 240 x W 160 x H 240 cm
Millerighe
Presented at Fuorisalone 2022, the Green
Box modular acoustic cabins from Univer-
sal Selecta designed by Eugenio Pasta
together with the company’s R&D depart-
ment are made entirely from laminated wood
held together via a system of interlocking
that makes for easy assembly. The module
consists of an integrated system of venti-
lation and lighting with sound-absorbent
panels and external sunshades to augment
the lighting and acoustic quality inside this
micro-architecture.
Universal Selecta
www.universal-selecta.it
Krzysztof Miksza has come up with a
self-supporting acoustic cabin for IOC pro-
ject partners that is both modular and cus-
tomisable, ideal for placing inside a noisy,
open-planned space. Designed to create
a secluded corner for meetings, calls or
private conversations, it can be composed
of a wide variety of materials including al-
uminium, glass, fabric, wood and melamine.
The size ranges from meeting room to phone
booth, with wheels so that it can be easily
moved ensuring maximum flexibility.
Photo © Alberto Sinigaglia
IOC project partners
www.ioc.it
La divisione Acoustic Panelling Fantoni
del Gruppo Fantoni offre prodotti ad alte
prestazioni di fonoassorbenza e riduzione
del riverbero. Quest’ultimo è il principale
parametro usato per il controllo del benes-
sere acustico degli ambienti. Millerighe è
pensato per interni di prestigio ed è adat-
tabile a tutti i volumi architettonici. Carat-
terizzato da una fresatura stretta con alto
abbattimento acustico, si presenta come
una pannellatura compatta disponibile in
diverse varianti di colore.
Materiali / Materials
MDF
Finiture / Finishes
Noce / Walnut
Dimensioni / Dimensions
H 408.6 x L 12.8 x W 1.6 cm
(doga base / base plank)
People Home
Parte della collezione People dell’azienda
veneta Milani, People Home è l’interpreta-
zione di Alessandro Crosera dello spazio
intimo. Si tratta di un’isola da interno dalle
forme arrotondate, ispirata all’archetipo
della casa, costituita da due divani con
schienali alti uno di fronte all’altro e connes-
si da una parete a incastro. L’intimità è fa-
vorita dalle pareti imbottite rivestite in
tessuto che aumentano l’assorbimento
acustico. I rivestimenti si possono sceglie-
re tra gli oltre 300 disponibili a catalogo.
Materiali / Materials
memory foam, tessuto ignifugo /
memory foam, flameproof fabric
Finiture / Finishes
Verde menta chiaro, Beige /
light mint green, beige
Dimensioni / Dimensions
L 220 x W 157 x H 133 cm
domus 1073 Novembre November 2022
The Fantoni Acoustic Panelling division
of Gruppo Fantoni offers high-performance
products for absorbing sound and reducing
reverberation. The latter is the main param-
eter used when it comes to controlling
acoustic wellbeing in spaces. Millerighe
has been designed for high-end interiors
and can be adapted to suit all kinds of ar-
chitectural spaces. Characterised by its
narrow milling with high acoustic quality, it
appears as compact panelling available in
different colours.
Fantoni
www.fantoni.it
Part of the People collection from Vene-
to-based company Milani, People Home is
Alessandro Crosera’s interpretation of a
private space. An island with rounded forms,
it has been inspired by the archetype of the
home, made up of two sofas with high backs
facing one another and connected by a in-
terlocking wall. The sense of seclusion is
enhanced by the padded walls covered in
fabric that increase acoustic absorption.
The covering can be chosen from a selection
of over 300 available from catalogue.
Milani
www.sm-milani.com
domus 1073 Novembre November 2022 Spazi di lavoro / Workspaces RASSEGNA XLII

CSS Village
In occasione di Orgatec 2022, Citterio
lancia la linea di microarchitetture CSS
Village ideata da Paolo Pampanoni e Pinuc-
cio Borgonovo. L’azienda, specializzata
negli ambienti di lavoro dal 1958 e parte del
Gruppo Molteni, articola nei suoi 690 m2 di
stand fieristico curato da Studio Klass il
nuovo sistema modulare mostrandone
flessibilità e variabilità. Si tratta di box acu-
stici autoportanti dalle dimensioni e funzio-
ni variabili: sale riunioni, spazi per il lavoro
individuale, attività di formazione o ricrea-
tive. “Un ambiente di lavoro deve risponde-
re alle esigenze specifiche di chi lo occupa”,
dichiara Vittorio Veggetti, AD Citterio. CSS
Village è costituito da legni come rovere,
sicomoro e noce canaletto uniti all’alluminio
spazzolato in diverse tonalità, a pannelli
tessili fonoassorbenti intercalati a pareti
di vetro trasparente con tanto di connetto-
ri attrezzati con pergolati tecnici. La soste-
nibilità è data dalla separabilità delle parti
a fine vita del prodotto e dall’utilizzo di ma-
teriali riciclabili. Gli imbottiti e i pannelli acu-
stici sono costituiti da un filato di poliestere
riciclato al 100 per cento.
At Orgatec 2022, Citterio launched the CSS
Village range of micro-architectures designed
by Paolo Pampanoni and Pinuccio Borgono-
vo. The company, specialised in office spac-
es since 1958 and part of the Gruppo Molteni,
used the 690 m2 of stand area by Studio Klass
to present the new modular system, demon-
strating its flexibility and variability. The sys-
tem consists of a series of self-supporting
acoustic boxes with different dimensions
and functions: meeting rooms, individual
working, training or recreational activities.
“A workspace has to respond to the specif-
ic needs of the occupier”, says Vittorio Veg-
getti, CEO of Citterio. CSS Village is made
using woods such as oak, sycamore and
canaletto walnut combined with brushed
aluminium in different shades, with sound-ab-
sorbent fabric panels interspersed with
transparent glass walls with connectors
fitted with technical pergolas. Sustainability
has been considered with parts that can be
separated at the end of the lifecycle of the
product and the use of recyclable materials.
The upholstery and acoustic panels are made
from a 100 per cent recycled polyester fibre.

Materiali / Materials Citterio

alluminio, vetro / www.citteriospa.com
aluminium, glass
Finiture / Finishes
alluminio lucido /
polished aluminium
Dimensioni / Dimensions
H 250 cm

Akusto™ Screen Silente

Saint-Gobain Ecophon propone una linea
di schermi acustici ad alte prestazioni as-
semblati attorno a un nucleo rigido che
impedisce al suono di viaggiare lungo lo
schermo, con strati fonoassorbenti che
assorbono le onde sonore nello spazio.
Akusto™ Screen è uno schermo intelaiato
pensato per essere posizionato di fianco
alle postazioni di lavoro e limitare la propa-
gazione del suono della voce. Composto in
lana di vetro ad alta intensità, è disponibile
in 14 varianti di colore.
Saint-Gobain Ecophon offer a range of
high-performance acoustic screens as-
sembled around a rigid core that stops
sound travelling across the screen, with
sound-absorbent layers that absorb sound
waves in space. Akusto™ Screen is a framed
screen designed to be positioned alongside
work stations and limit the spread of the
sound of the voice. Made up of high-inten-
sity glass wool, it is available in 14 different
colours.
Presentata al Salone del Mobile 2022,
Silente è la nuova sedia dell’azienda veneta
Luxy disegnata con NTT Sonority Corpora-
tion e Tangity™, studio di design parte del
global network NTT DATA. Si tratta di una
poltrona che permette di ascoltare audio e
musica senza l’utilizzo di cuffie e senza che
il suono venga propagato all’intorno grazie
alle funzioni PSZ (Personalized Sound Zone)
e IML (Intelligent Microphone). Al sistema di
ascolto, infatti, è associato un microfono che
isola la voce, annullando il rumore di fondo.
Acustica / Acoustics
Presented at the 2022 Salone del Mobile,
Silente is the new chair from Veneto com-
pany Luxy designed with NTT Sonority Cor-
poration and Tangity™, that is part of the NTT
DATA global network. It is an armchair that
allows you listen to sound and music without
using headphones and without the sound
spreading thanks to the PSZ (Personalised
Sound Zone) functions and IML (Intelligent
Microphone). The listening system is also
associated with a microphone that isolates
the voice, cancelling background noise.

Materiali / Materials Saint-Gobain Materiali / Materials Luxy

Texona, metallo / www.saint-gobain.it poliestere riciclato certificato GRS / www.luxy.com
Texona, metal GRS certified polyester
Finiture / Finishes Finiture / Finishes
Sea salt Tabacco / Tobacco
Dimensioni / Dimensions Dimensioni / Dimensions
L 150 x W4 x H 120 cm L 70 x W 72 x H 121 cm
 XLIII RASSEGNA Spazi di lavoro / Workspaces
Napwork
Spazi ibridi / Hybrid spaces
Paola Navone / Otto Studio (lo studio mul-
tidisciplinare da lei fondato) progetta per
Caimi Brevetti un sistema modulare di sofà
acustici esagonali componibili all’infinito.
Napwork, il cui nome richiama ironicamen-
te il pisolino, è composto da un divano bi-
fronte che può ospitare fino a sei persone,
con schienale basso o rialzato, e da un di-
vano a tre posti pensato per le composizio-
ni angolari. Il benessere acustico è garanti-
to dalla Snowsound Fiber e dalla ricca im-
bottitura che lo rende molto confortevole.
Materiali / Materials
tessuto fonoassorbente Snowsound /
Snowsound acoustic fabric
Finiture / Finishes
Fiber 3 Melange
Dimensioni / Dimensions
140 x 180 x H 115 cm
Paola Navone / Otto Studio (the multi-dis-
ciplinary studio that she founded) have come
up with a modular system of hexagonal
acoustic sofas for Caimi Brevetti that can
be infinitely extended. Napwork, whose name
makes an ironic reference to napping, con-
sists of a double-sided sofa that can seat
up to six people, with a low or high back, and
a three-seater sofa designed for corner
compositions. Acoustic wellbeing is ensured
by the Snowsound Fiber and the rich uphol-
stery that makes it ultra-comfortable.
Photo © Alessandro Paderni
Caimi Brevetti
www.caimi.com
Ori
Il sistema di tavoli per il lavoro ideati dal
designer veneto Romano Marcato è pen-
sato per gli ambienti più disparati. Disponi-
bile in due diverse altezze, da 108 cm e 74
cm, assolve a diversi modi di utilizzo anche
grazie alla grande varietà di forme e possi-
bilità di composizione. Elemento focale
della collezione sono le gambe del tavolo,
leggermente inclinate e a sezione esago-
nale, ideate per ospitare i cavi elettrici,
nascondendoli. Il piano è disponibile nei
formati rettangolare, quadrato e circolare,
con dimensioni variabili. La struttura, in la-
miera piegata verniciata a polveri e in mas-
sello di frassino, sostiene un piano in MDF
rivestito in laminato Fenix®, rovere sbianca-
to o nero poro aperto. Grazie alla presenza
di numerose forature nel piano d’appoggio
è possibile montare le gambe in modo da
consentire configurazioni diverse e unire
più piani. È disponibile una versione per
elettrificazione con sportello in appoggio
a filo piano abbinata alla canalina passa-
cavi in lamiera piegata verniciata a polveri.
Le gambe possono essere dotate di ruote
per maggiore flessibilità spaziale.
Materiali / Materials
lamiera verniciata a polvere, MDF, laminato /
powder-coated sheet metal, MDF, laminate
Finiture / Finishes
Nero / Black
Dimensioni / Dimensions
Ø 130 x H 108 cm
Tape
Il progetto di Benjamin Hubert per Moro-
so è un sistema modulare di sedute e tavo-
lini che unisce moda e tecnologia. I blocchi
costruttivi di Tape sono tenuti insieme da
un nastro (da qui il nome) in poliuretano
usato solitamente per l’abbigliamento spor-
tivo che permette di unire tra loro gli scam-
poli di tessuto di piccole dimensioni che
altrimenti verrebbero scartati. I mattoncini
modulari possono essere combinati tra
loro per creare composizioni complesse
complete di schienali, braccioli e sedute.
Materiali / Materials Moroso
poliuretano espanso, nastro termosaldato, www.moroso.it
acciaio verniciato (agganci) /
expanded polyurethane, thermo-welded tape,
painted steel (hooks)
Finiture / Finishes
Dark grey, Pink, Cream
Dimensioni / Dimensions
H 42 cm, L 67; 156; 233 cm
domus 1073 Novembre November 2022
This system of desks designed by Veneto
designer Romano Marcato has been con-
ceived for all kinds of spaces. Available in
two different heights, 108 cm and 74 cm, the
desks can be used to fulfil different functions
thanks to the considerable variety of forms
and possible compositions. The key feature
of the collection is the design of the legs,
slightly inclined with a hexagonal section,
conceived to house power cables in order
to conceal them. The top is available in a
rectangular, square and circular format, in
assorted sizes. The structure, in pow-
der-coated folded sheet metal and solid
ash, supports an MDF top covered in Fenix®
laminate, bleached oak or black open-pore
oak. Thanks to the presence of numerous
holes in the top it is possible to fit the legs
in such a way as to enable different config-
urations and join several tops together. A
version with integrated cabling is also avail-
able with access-flap flush with the top and
a cable management channel in pow-
der-coated folded metal. The legs can be
fitted with wheels for greater spatial flexi-
bility.
Lapalma
www.lapalma.it
Benjamin Hubert has come up with a
modular system of seating and side tables
for Moroso that brings together fashion
and technology. The building blocks of Tape
are held together using the kind of polyure-
thane tape (hence the name) that is usual-
ly used in sportswear, making it possible to
join together small remnants of fabric that
would otherwise been thrown away. The
modular blocks can be assembled in all
kinds of different ways to create complex
arrangements of seats, arms and backrests.
domus 1073 Novembre November 2022
Haller
Il sistema di arredi componibili e riconfi-
gurabili USM Haller permette di persona-
lizzare lo spazio di lavoro grazie a moduli
dotati di strutture lineari e pannelli in accia-
io rivestito. Oltre alla scelta cromatica, USM
ha lanciato il programma “Un mondo di
piante” per poter facilmente integrare il
disegno del verde all’interno degli spazi di
lavoro. I sistemi modulari sono inoltre do-
tati di accessori quali canaline per i cavi,
prese USB e supporti per schermi piatti e
luci integrati al piano.
Materiali / Materials
acciaio / steel
Finiture / Finishes
Arancio, Bianco, Beige /
Orange, White, Beige
Dimensioni / Dimensions
variabili / variable
Dolomites
Dorigo Design, studio specializzato nella
progettazione di arredi per l’ufficio e per il
contract, firma una linea di pannelli diviso-
ri da terra e da scrivania per Dieffebi. Segno
distintivo è la base in metallo riciclabile con
forma a V rovesciata che richiama il profilo
di una montagna (da qui il nome). I pannelli
sono disponibili nella variante trasparente
in plexiglass, legno multistrato o tessuto
colorato fonoassorbente. La base dispone
di ruote per facilitare lo spostamento all’in-
terno dello spazio di lavoro.
Materiali / Materials
metallo, melamina /
metal, melamine
Finiture / Finishes
Noce Barona / Barona walnut
Dimensioni / Dimensions
L 76 x W 34.8 x H 66.1 (base)
L 100 x W1,8 x H 160 cm (pannello / panel)
Hug
USM Haller modular systems can be Fantin ha portato alla Milano Design We-
configured in different ways and used to ek 2022 un tavolo progettato per la prima
create customised workplaces thanks to volta da un designer esterno: Giulio Iacchet-
modules with linear structures and covered ti. Hug, il cui nome deriva dal modo con cui
steel panels. As well as a choice of colours, le giunture del telaio del tavolo si ‘abbrac-
USM have launched the programme, “a world ciano’ aumentandone la stabilità, introduce
of plants” to make it easier to introduce il tubolare metallico a sezione tonda che
greenery into workspaces. These modular diventa supporto per elementi mobili tra
systems also include accessories such as cui un gancio e due vaschette porta ogget-
cable-management channels, USB sockets, ti. La linea è disponibile in 35 colori, con un
supports for flat screens and lighting inte- piano (tondo o rettangolare) in fibra di legno
grated into the worktop. rivestita in lamiera metallica.
USM Materiali / Materials
www.usm.com metallo, fibra di legno /
metal, wood fibre
Finiture / Finishes
Black
Dimensioni / Dimensions
L 160 x W 90 x H 76 cm
Principles
Dorigo Design, a studio specialised in the Avere una gammao di oggetti e di arredi
design of furniture for office and contract utilizzabili ovunque e da chiunque è il con-
use, has come up with a range of floor and cetto alla base di Principles, il progetto di
desk dividers for Dieffebi. The distinctive UniFor firmato dallo studio internazionale
feature is the base in recyclable metal with OMA. Si tratta di una collezione di oltre 100
an upside-down V-shape that recalls the elementi suddivisi nelle categorie S, M, L e
shape of a mountain (hence the name). The XL che possono essere configurati in infi-
panels are available in a transparent version niti modi. Poltrone, tavoli, imbottiti, separé
made from plexiglass, in plywood or colour- e scrivanie sono caratterizzati da una se-
ed sound-absorbent fabric. The base is lezionata palette di colori e rivestimenti
fitted with wheels to make it easy to move fonoassorbenti. Sono tutti cablati per poter
around the workplace. essere trasportati ovunque.
Photo © Delfino Sisto Legnani, Alessandro Saletta / DSL Studio
Dieffebi Materiali / Materials
www.dieffebi.com vari / various
Finiture / Finishes
vari / various
Dimensioni / Dimensions
100+ elementi / elements
S, M, L, XL
Spazi di lavoro / Workspaces RASSEGNA XLIV
Fantin appeared at Milan Design Week
2022 with the presentation of a table de-
signed for the first time by an external de-
signer: Giulio Iacchetti. Hug, whose name is
derived from the way in which the joints of
the table frame ‘hug’ one another, increasing
stability, incorporates a circular-sectioned
metal tube that becomes a support for
moveable elements including a hook and
two storage trays. The range is available in
35 colours, with a top (round or rectangular)
in wood fibre covered in sheet metal.
Fantin
www.fantin.com
Spazi ibridi / Hybrid spaces
The idea behind Principles, designed for
UniFor by the international studio OMA, is
to provide a range of objects and furnishings
that can be used anywhere and by anyone.
It consists of a collection of over 100 ele-
ments organised into categories S, M, L and
XL that can be configured in endless ways.
Chairs, tables, soft furnishings, space di-
viders and desks are characterised by a
bespoke range of colours, sound-absorbent
coverings and are all fully cabled so that
they can be moved anywhere.
UniFor
www.unifor.it
 XLV RASSEGNA Spazi di lavoro / Workspaces
Privacy
Ether
Grazie al suo blocco verticale dissimu-
lato e arricchito con un’interfaccia svilup-
pata da Microdevice, la porta domotica Ether
disegnata da Marco Piva diventa un ogget-
to tecnologico personalizzabile. Diventa
digitale, ideale complemento degli smart
building, e permette un grado di connessio-
ne, interazione e personalizzazione sempre
riconfigurabile. Grazie a un attivatore, ven-
gono messi in dialogo i sistemi di gestione
dell’edificio, implementando il controllo del
consumo energetico.
Materiali / Materials
impiallacciato, legno, vetro retrolaccato
(porta), alluminio (stipite), vetro (colonna) /
veneer, wood, back-painted glass (door),
aluminium (jamb), glass (column)
Finiture / Finishes
Grigio calce, Rovere Thermowood chiaro,
Grigio ferro / Lime grey, Light oak
thermowood, Iron grey glass (column)
Thanks to the concealed vertical block
that is enhanced with an interface developed
by Microdevice, the Ether home automation
door designed by Marco Piva has become
a customisable technological accessory.
The door becomes digital, an ideal acces-
sory for smart buildings, and allows for a
degree of connection, interaction and cus-
tomisation that is open to reconfiguration.
Thanks to an activator, building management
systems can communicate with one anoth-
er and control energy consumption.
Lualdi
www.lualdiporte.com
Spazio
Giuseppe Bavuso progetta un sistema
di partizioni verticali trasparenti per l’azien-
da lombarda Rimadesio. L’obiettivo è quel-
lo di ridefinire lo spazio senza interromper-
lo visivamente, ritagliando ambienti grazie
all’uso del cristallo. Che si tratti di un luogo
pubblico o privato, come uffici o la cabina
armadio di una casa, la collezione Spazio
permette d’inserire liberamente porte scor-
revoli e a battente, pareti fisse o scorrevo-
li, con composizioni lineari, angolari, a C o
a quattro lati. Gli elementi trasparenti sono
intelaiati in profili di alluminio, regolabili in
altezza favorendo la messa in bolla del te-
laio superiore e garantendo un’installazio-
ne a regola d’arte. I profili sono disponibili
nelle varianti in alluminio, nero, bianco latte,
brown e nelle 38 varianti della palette cro-
matica Ecolorsystem. È possibile anche la
verniciatura in loco per uniformare il telaio
al colore dei controsoffitti o delle pareti. Il
vetro, disponibile sia temprato, sia stratifi-
cato, è proposto sia nella versione traspa-
rente, sia in quella satinata e a rete per un
totale di 19 finiture.
Materiali / Materials
alluminio, vetro /
aluminium, glass
Finiture / Finishes
Nero (alluminio), Grigio trasparente (vetro) /
Black (aluminium), Transparent grey (glass)
Dimensioni / Dimensions
personalizzabili / custom
Nucleo Business
Per rendere più flessibili le aree di lavoro
e rispettare il bisogno di comfort e privacy
dei suoi utenti, la designer friulana Monica
Graffeo progetta il sistema Nucleo per l’a-
zienda Martex. La collezione Nucleo com-
prende poltrone attrezzate, postazioni
modulari, pannelli divisori, stanze meeting
e una dispensa da ufficio. Nucleo Business,
in particolare, è una serie di poltrone su cui
poter lavorare grazie alla presenza di tavo-
lini girevoli, elettrificazione integrata e pa-
reti insonorizzate.
Materiali / Materials
legno, melamminico, tessuto /
wood, melamine, fabric
Finiture / Finishes
Rovere, Moka 986, Verde 957, Ecopelle testa
di moro 930 e Canapo 924 / Xxxx
Dimensioni / Dimensions
L 107 x W 65 x H 135 cm
domus 1073 Novembre November 2022
Giuseppe Bavuso has come up with a
system of transparent, vertical partitions
for Lombardy company Rimadesio. The aim
is to redefine space without interrupting it
visually, carving out environments thanks
to the use of glass. Whether they be public
or private spaces, such as offices or walk-
in closets in a house, the Spazio collection
enables the installation of sliding and hinged
doors, fixed or sliding partitions, with straight,
corner, C-shaped or four-sided arrange-
ments. The transparent elements are sur-
rounded by frames in profiled aluminium,
can be adjusted in height so that the top of
the frame can be made level to ensure per-
fect installation. The profiles are available
in numerous versions, aluminium, black,
milk white, brown and 38 options from the
Ecolorsystem colour range. It is also pos-
sible to have them painted on site to match
the colour of the frame to the ceiling or walls.
The glass, that can be either toughened or
stratified, is available in transparent and
satin versions as well as with mesh and in
a total of 19 finishes.
Rimadesio
www.rimadesio.it
To make work areas more flexible and
respect the need for the comfort and pri-
vacy of users, Friulian designer Monica
Graffeo has come up with the Nucleo sys-
tem for the company Martex. The Nucleo
collection includes accessorised armchairs,
modular workstations, partitions, meeting
rooms and an office store. Nucleo Business
in particular is a series of chairs that can
be used for working thanks to the presence
of swivel side tables, integrated wiring and
soundproof partitions.
Martex
www.martex.it
domus 1073 Novembre November 2022
Outline Highback cabin
Progettata dai designer norvegesi An-
derssen & Voll, la Highback cabin fa parte
della più ampia Outline Highback Family di
Muuto, una collezione concepita per favo-
rire la concentrazione con piccole aree
immersive all’interno di spazi di lavoro più
grandi. Si tratta di microarchitetture strut-
turate con legno e acciaio su una base di
alluminio verniciato a polvere, ammorbidite
da imbottiti rivestiti in tessuti Kvadrat o Ros-
sini della Quercia. Il tavolino al centro è di
MDF e laminato matt.
Materiali / Materials
alluminio, legno, acciaio, tessuto, MDF /
aluminium, wood, steel, fabric, MDF
Finiture / Finishes
Nero, Balder 782
Dimensioni / Dimensions
L 231 x W 170 x H 45 cm (seduta / seat)
Couchette
Ispirata alle cuccette dei treni, la linea di
imbottiti disegnata da LucidiPevere per La
Cividina è un susseguirsi di ambienti allo
stesso tempo collegati e separati tra loro.
Couchette è un’isola per il relax e per il la-
voro che può essere continuamente ricon-
figurata grazie a moduli di ogni tipo: sedute
curvilinee o dritte, singole o bilaterali, uno
schienale morbido che funge anche da
bracciolo terminale e tutta una serie di
complementi come tavolini, connessioni
USB, ganci appendiabito e cuscini.
Materiali / Materials
legno, multistrato, poliuretano espanso,
acciaio verniciato, tessuto / wood,
plywood, expanded polyurethane,
painted steel, fabric
Dimensioni / Dimensions
W 167 x H 135 cm (larghezza variabile /
variable length)
Created by Norwegian designers An-
derssen & Voll, the Highback cabin is part
of the more extensive Outline Highback
Family from Muuto, a collection conceived
to favour concentration with small immer-
sive areas situated within larger workspac-
es. These micro-architectures consist of
structures in wood and steel on a base in
powder-coated aluminium, softened by
upholstery covered in fabric by Kvadrat or
Rossini della Quercia. The coffee table at
the centre is in MDF and matt laminate.
Muuto
www.muuto.com
Inspired by couchettes in trains, the range
of upholstered furniture by LucidiPevere
for La Cividina is a series of environments
that are connected yet also separate from
one another. Couchette is an island for re-
laxation and for work that can be continu-
ally reconfigured thanks to a range of dif-
ferent modules: curved or straight seats,
single or two-sided, a soft backrest that
also acts as an end armrest and a series
of accessories such as side tables, USB
connections, coat hooks and cushions.
La Cividina
www.lacividina.com
Divo
Studio Orlandini Design progetta una
seduta d’attesa componibile per l’azienda
abruzzese LAS. Divo è pensata per aumen-
tare la privacy e trasformare le sedute in
postazioni di lavoro per qualsiasi contesto.
Proposta in tre larghezze (80, 140 e 200 cm),
è costituita da una struttura di tubolare
metallico verniciato a polveri epossidiche
bianco o nero. Il piano strutturale è di MDF
abbinato al poliuretano espanso rivestito
di tessuto. Sono disponibili connettori elet-
trici e ripiani complementari.
Materiali / Materials
metallo, poliuretano espanso, tessuto /
metal, expanded polyurethane, fabric
Finiture / Finishes
Nero, Avio, Avorio polvere /
Black, Airforce Blue, Ivory
Dimensioni / Dimensions
L 87-140 x W 70 x H 130 cm
Be-On
Ideate per favorire la privacy negli spazi
di attesa, le poltrone Be-On dell’azienda
toscana Segis sono pensate per gli spazi
di accoglienza. Progettate per poter esse-
re declinate a piacimento grazie alla modu-
larità degli elementi, possono essere com-
poste con o senza barriere. Sono costituite
da seduta, schienale e pannelli disponibili
in diverse altezze. Accompagnano la colle-
zione una serie di complementi come ta-
volini, ganci e cuscini per aumentare il
comfort.
Materiali / Materials
multistrato con poliuretano, poliestere,
tessuto / multilayer wood with polyurethane,
polyester, fabric
Finiture / Finishes
similpelle / leatherette
Dimensioni / Dimensions
L 100 x W 95 x H 47 (seduta / seat)
H 112-156 cm (con pannello / with panel)
Spazi di lavoro / Workspaces RASSEGNA XLVI
Studio Orlandini Design have come up
with a modular waiting chair for Abruz-
zi-based company LAS. Divo has been
designed to increase privacy and transform
seats into workstations for any setting.
Available in three widths (80, 140 and 200
cm), it features a tubular metal structure
with black or white epoxy powder-coated
finish. The structural top is in MDF combined
with expanded polyurethane covered in
fabric. Electrical connectors and matching
shelves are also available.
LAS Mobili
www.las.it
Privacy
Designed to provide privacy in waiting
areas, the Be-On chairs from Tuscan man-
ufacturer Segis have been conceived for
reception spaces. Devised as a system of
modular elements that can be put togeth-
er as desired, they can be made with or
without barriers. They consist of a seat, back
and panels available in different heights.
The collection also has a matching range
of accessories such as side tables, hooks
and cushions for added comfort.
Segis
www.segis.it
 XLVII RASSEGNA Spazi di lavoro / Workspaces
Blume System
La collezione Blume, disegnata da Seba-
stian Herkner, si arricchisce di un nuovo
elemento oltre alla sedia e poltroncina
lounge. Ispirato alle forme naturali dei fiori
(da qui il nome), il nuovo sistema modulare
Blume System – configurabile come tavo-
lino o libreria – si distingue per il profilo in
estruso in alluminio, mentre la struttura di
acciaio delle mensole è fissata con fusioni
di alluminio senza viti a vista. L’alluminio è
disponibile in una varietà di finiture, così
come i ripiani in agglomerato di marmo.
Materiali / Materials
alluminio, acciaio, agglomerato di marmo /
aluminium, steel, marble agglomerate
Finiture / Finishes
Alluminio OA, Marmo MPR /
Aluminium OQ, MPR marble
Dimensioni / Dimensions
L 189 x W 36 x H 88.5 cm
Postazioni e complementi / Workstations and accessories
X1
“Less is more” è la filosofia a cui s’ispira
la nuova scrivania operativa della divisione
Design Office di Quadrifoglio Group. Con
una struttura in tubolare d’acciaio a sezio-
ne costante di 3 x 3 cm, X1 è un sistema
brevettato costituito da un piano in conglo-
merato di legno marchiato FSCTM. È propo-
sto negli spessori da 18 e 25 mm, e nelle
varianti Bianco, Grigio, Cemento, Olmo,
Noce Canaletto, Quercia e Olmo Sbianca-
to. In aggiunta, è disponibile lo sportello di
accesso ai cavi.
Materiali / Materials
acciaio, melaminico /
steel, melamine
Finiture / Finishes
Grigio Ombra opaco, Bianco /
Matt grey shadow, White
Dimensioni / Dimensions
L 480 x W 141.5 x H 74.8 cm
The Blume collection, designed by Sebas-
tian Herkner, has been enhanced by a new
element in addition to the chair and lounge
chair. Inspired by the natural forms of flow-
ers (hence the name), the new modular
Blume System - that can be configured as
a table or bookcase - is distinguished by the
profile in extruded aluminium while the steel
structure of the shelves is fixed with cast
aluminium without visible screws. The alu-
minium is available in a variety of finishes,
as are the marble agglomerate shelves.
Pedrali
www.pedrali.com
“Less is more” is the philosophy that has
provided the inspiration for the new office
desk from the Design Office division of
Quadrifoglio Group. With a structure in tu-
bular steel with a 3 x 3 cm section, X1 is a
patented system that consists of a top in
FSCTM approved wood conglomerate. It is
available in a thickness of 18 and 25 mm
and in white, grey, cement, elm, canaletto
walnut, oak and bleached elm. Also features
an access flap for cable management.
Quadrifoglio Group
www.quadrifoglio.com
Eidos Pro
Newform Ufficio presenta una nuova se-
rie di ripiani e scrivanie da lavoro che ten-
gono conto di alcune delle necessità por-
tate dal periodo pandemico. Con l’obiettivo
di favorire la convivenza delle persone in
uno stesso ambiente di lavoro con il giusto
livello di sicurezza, il sistema Eidos Pro ga-
rantisce distanza e flessibilità di configu-
razione. Il modello con struttura elettrica,
per esempio, permette di variare l’altezza
del tavolo da 62 a 128 cm, grazie a un pul-
sante laterale.
Materiali / Materials
metallo, legno / metal, wood
Finiture / Finishes
Bianco, Bianco Seta /
White, Silk white
Dimensioni / Dimensions
L 120 x W 80 (ciascuna / each) x H 62-128 cm
Banko P45
Estel propone una collezione di tavoli ad
altezza fissa di 105 cm ideati come scriva-
nie direzionali per riunioni veloci o per quel-
li che vengono chiamati co-office. Imple-
mentabile con barre porta oggetti, bracci
porta monitor, pannelli schermanti, vertebre
passacavi e lavagnette, Banko è caratte-
rizzato da una struttura con gambe in me-
tallo innestate nelle traverse in alluminio e
con il ripiano montato a filo nel telaio peri-
metrale. I piani possono avere diverse fini-
ture e una lunghezza fino a 6 metri.
Materiali / Materials
legno, metallo, MDF /
wood, metal, MDF
Dimensioni / Dimensions
120 x 120 x H 105 cm
domus 1073 Novembre November 2022
Newform Ufficio have launched a series
of office desks and shelves in response to
the needs that arose during the time of the
pandemic. With the aim of providing safety
to people who share the same workspace,
the Eidos Pro ensures the correct distance
along with flexible layouts. The model with
electric structure, for example enables the
height of the table to be varied between 62
and 128 cm thanks to a button on the side.
Newform
www.newformufficio.it
Estel offer a collection of tables with a
fixed height of 105 cm that have been con-
ceived as executive tables for quick meetings
or for what are known as coffice. With the
option of adding a bar for holding objects,
monitor brackets, screening panels, cable
management system and writing tablets,
Banko features a structure with metal legs
set into aluminium cross-pieces and a shelf
mounted flush with the perimeter frame.
The tops are available with various finishes
and with a width of up to six metres.
Estel
www.estel.com
domus 1073 Novembre November 2022
Un ryokan concepito secondo natura
Affacciato sul lago Hanare, nella prefettura
di Kyoto, in Giappone, l’Hotel Soka è stato
di recente ristrutturato dallo studio Ishii
Architect & Associates, specializzato
nella progettazione di ryokan, locande
tradizionali sparse per tutto il Paese.
La richiesta del committente era semplice
ed ecumenica: valorizzare la hygge,
termine danese che letteralmente significa
“calore, intimità”, ma che racchiude in sé
un concetto più ampio, l’idea cioè di creare
un’atmosfera accogliente e confortevole
per godersi al meglio la vita con gli amici e
le persone care.
Nasce da qui la prima decisione: separare
la lobby dal ristorante, che in precedenza
erano un ambiente unico. All’interno del
ristorante stesso, poi, sono state create
zone pranzo differenziate in grado di
accogliere gruppi numerosi e tavoli più
piccoli da due persone. I progettisti si sono
concentrati sui quattro elementi naturali:
all’esterno, ci sono l’acqua del giardino e di
una vicina fonte termale, e l’aria del Mar del
Giappone; all’interno, invece, prevalgono
le tonalità terrose, mentre nella “sala del
fuoco” domina un grande braciere.
Per la lobby e per la superficie di un
ampio bancone rettangolare con le
relative sedute, gli architetti hanno scelto
Microverlay di Isoplam, azienda che da 40
anni produce pavimentazioni e rivestimenti
continui a base cementizia.
In questo caso, la superficie (a base
cementizia e polimerica) ha uno spessore
di soli 3 mm, in grado però di assicurare la
robustezza del calcestruzzo tradizionale,
con il vantaggio di non avere fughe né
interruzioni prospettiche.
Spazi di lavoro / Workspaces RASSEGNA XLVIII
Testo/Text Elena Sommariva
Ospitalità / Hospitality
A ryokan conceived In questa pagina: nella ristrutturazione This page: for the Hotel Soka renovation,
dell’hotel Soka, in Giappone, è stato in Japan, Microverlay by Isoplam was
according to nature impiegato il rivestimento Microverlay di used (above on the flooring, below for the
Isoplam (sopra a pavimento, sotto per flooring, the counter and chairs) which
Overlooking Lake Hanare, located in the il pavimento, il bancone e le sedie) che allows for horizontal and vertical surfaces
consente di realizzare superfici orizzontali without grouting or discontinuity
Kyoto prefecture, in Japan, the Hotel Soka e verticali senza fughe né interruzioni
was recently renovated by the studio prospettiche
Ishii Architect & Associates, who are
specialised in designing ryokan, traditional
inns found across the country.
The client’s request was simple and all-
embracing: to enhance the hygge, a Danish
word that literally means “warmth, intimacy”,
but which also contains a broader concept
– that is, the idea of creating an inviting and
comfortable atmosphere to enjoy life with
friends and loved ones in the best and
fullest way possible.
The first decision came from here: to
separate the lobby from the restaurant,
which were previously joined in a single
environment. The restaurant now hosts
different dining areas for large groups or
smaller, more intimate tables for two. The
architects focused on the four elements of
nature: outside, we find water in the garden
and in a nearby hot spring, as well as air
from the Sea of Japan; instead, inside,
earthy tones prevail, while in the “room of
fire” a large fire pit stands out. For the lobby
and for the surface of a large rectangular
counter with seating, the architects chose
Microverlay by Isoplam, a company that for
40 years now has manufactured seamless
cement-based flooring and cladding. In this
specific case, the cementitious polymeric
surface is only 3 mm thick but is able to
guarantee the sturdiness and durability of
traditional concrete, with the advantage of
no grouting or discontinuous surfaces.
XLIX DIARIO
Marziani / Martians
Incontri fuori dall’ordinario / Out of the ordinary encounters
Illustrazione Felix Petruška
Giordano
Bruno Guerri
Testo /Text Walter Mariotti
Avrebbe potuto vivere infinite vite Giordano Bruno Guerri.
Pochi, però, sono riusciti a consumarne quante lui.
Figlio del popolo, nato per caso a Iesa, il paese dei genitori
nei boschi senesi dove gli Etruschi si fermarono secoli,
e di cui anche chi scrive potrebbe dire, Guerri cresce a
Ospiate di Bollate doppiando la maggiore età nel 1968
milanese, che interpreta da beatnik “ringhioso e ribelle,
ma non politicizzato”. Affinando, così, quella che diventerà
la sua cifra intellettuale. La pratica libertaria e liberale,
ma soprattutto libertina, opposta a quella dei compagni
katanga che avvisavano il maggiordomo di non aspettarli
per cena, presi com’erano a servire il popolo prima del
weekend a Sankt Moritz.
Poco più che più ragazzo, Guerri esordisce con un piccolo
gioiello: la tesi dedicata a Giuseppe Bottai, il più intelligente,
elegante e coraggioso dei gerarchi che inaugura la
corrente revisionista.
A differenza, però, di Renzo De Felice, Francesco Perfetti
e persino Claudio Pavone, GBG – come gli piace farsi
chiamare – sceglie la divulgazione alta allineando negli anni
la rilettura della classe dirigente fascista: Galeazzo Ciano,
Italo Balbo, Curzio Malaparte e, più tardi, Filippo Tommaso
Marinetti. Finché s’imbatte nell’agiografia di Maria Goretti,
la bambina analfabeta vittima di uno stupro nelle Paludi
Pontine che il Fascismo volle santificare. A questa vicenda
di povertà soprattutto umana e culturale, GBG dedica
un’inchiesta a metà tra James Ellroy e Truman Capote
che, rovesciando l’interpretazione ufficiale, provoca la
scomunica del Vaticano (anni dopo ritirata) e la conferma
di un talento non comune. Povera santa, povero assassino
viene tradotto in 17 lingue e Guerri diventa una personalità
stimata da Manuel Puig, Gabriel García Márquez, Inge
Feltrinelli e Aldo Busi, mentre Fidel Castro lo invita a
colazione a L’Avana.
In parallelo, grazie alla sintonia con Leonardo Mondadori,
GBG brucia una brillante carriera di manager editoriale
giungendo ai vertici di Segrate dove ha tempo persino
di fondare Chorus, giornale che, grazie all’incontro con
l’aristocratica intelligenza di Gaia de Beaumont, anticipa il
George di John F. Kennedy junior e segue il suo destino.
Diversamente dal settimanale Storia illustrata, che
Guerri rilancia miracolosamente (da 60 a 150.000 copie),
aprendosi una trentennale carriera di polemista culminata
con la direzione de L’Indipendente. Lasciata per avere
pubblicato un duro aforisma di John Giorno che il truce
bigottismo della destra postfascista non gli perdona,
dimenticando quanto del suo ‘sdoganamento’ deve al
lavoro decennale di GBG.
Come columnist e conduttore di format televisivi
– sempre in calze di lana cucite dalla mamma
Gina –, Guerri rovescia tutti i luoghi comuni sugli
intellettuali nonconformisti, rivaluta l’immensa
eredità dell’antropologa Ida Magli, svolge battaglie di
ammodernamento della società e del costume italici. Da
Massimo Cacciari, che in qualche modo è il suo opposto
reciproco, si guadagna la più esatta delle definizioni: “un
uomo di sinistra che pensa da destra”.
Storico di vaglia con forte capacità narrativa e vis
polemica, negli anni Novanta Guerri è capace di superare
il cliché (errato) dell’anticlerical attraverso un’ironica,
ma rigorosa, ricostruzione dell’influenza della Chiesa
sulla società italiana che spazia niente di meno che
da San Pietro a Renzi. È il prologo dell’Antistoria degli
Italiani, vero esercizio di destrezza e tenuta intellettuale
che, riprendendo l’alta lezione di Fabio Cusin, riabilita
personaggi scomodi e marginalizzati di cui il simbolo
resta il padre del Modernismo cattolico, Ernesto Buonaiuti,
l’unico fra i professori universitari che non giurarono
fedeltà al fascismo, ma che i Costituenti non riabilitarono.
Pur non rinunciando a incursioni in territori scivolosi, come
la (mezza) vita di Vincent van Gogh o i segreti dei fedeli nel
confessionale, negli ultimi due decenni GBG conferma
la propria versatilità strategica accettando la presidenza
della Fondazione Ugo Bordoni, dove valorizza l’intelligenza
artificiale applicata al linguaggio, e quella del Vittoriale
degli Italiani, la folle residenza che Gabriele D’Annunzio si
fece pagare da Mussolini, che lo vedeva come un dente
cariato: “O farlo fuori o ricoprirlo d’oro”.
Mai posizione fu più meritata. Perché nessuno, nel
secondo Novecento italiano, è più vicino a GDA di GBG.
Infatti, nel microclima al limone di Gardone Riviera, Guerri
chiude come il cerchio di un nòstos durato mezzo secolo,
raggiungendo vertici di visitatori e riconciliando una vita da
sperimentatore di cose e persone nelle gioie della famiglia
(tradizionale) con la moglie Paola e i figli Nicola Giordano
e Pietro Tancredi. Senza però rinunciare a scrivere altri
otto saggi sul Vate, dirigere il Museo di Salò e GardaMusei,
associazione fra comuni e istituzioni che, dalle sponde del
Garda, espande l’influsso urbi et orbi.
• Giordano Bruno Guerri might have lived any number
of lives. Few have managed to get through as many as
he has. He was born into a working-class family in Iesa,
a village in the Siena woods settled for centuries by the
Etruscans, and about which the present writer could talk
at length. Guerri grew up in Ospiate di Bollate outside Milan
and came of age there in 1968, a period he experienced
as a beatnik, “fractious, rebellious but not politicised”. In
this way, he refined what became his intellectual hallmark.
Libertarian, liberal and above all libertine, he rejected the
practice of his activist companions. The sort who would tell
the butler not to wait dinner for them as they were too busy
serving the people, before weekending at St. Moritz.
Still young, Guerri made his debut with a gem: his thesis
on Giuseppe Bottai, the most intelligent, elegant and
courageous of the Fascist hierarchs who launched a
revisionist current.
Unlike Renzo De Felice, Francesco Perfetti and even
domus 1073 Novembre November 2022
Claudio Pavone, GBG – as he likes to be called – chose
haute divulgation, reinterpreting the Fascist ruling class
over the years: Galeazzo Ciano, Italo Balbo, Curzio
Malaparte and later Filippo Tommaso Marinetti. Finally
he took on the hagiography of Maria Goretti, the illiterate
child victim of rape in the Pontine Marshes sanctified by
the Fascists. To this story of human and cultural poverty,
GBG devoted an inquiry midway between James Ellroy
and Truman Capote, upending the official interpretation.
It led to his excommunication by the Vatican (withdrawn
some years later) and confirmed an uncommon talent.
His Povera santa, povero assassino was translated into 17
languages and he won the esteem of Manuel Puig, Gabriel
García Márquez, Inge Feltrinelli and Aldo Busi. Even Fidel
Castro invited him to lunch in Havana.
At the same time, GBG hit it off with Leonardo Mondadori
and enjoyed a brilliant career as editorial manager at the
Segrate-based publisher. There he found time to launch
Chorus. Thanks to the encounter with the aristocratic
intelligence of Gaia de Beaumont, the magazine
anticipated JFK Jr.’s George and shared its destiny. Guerri
also miraculously relaunched the weekly Storia illustrata
(boosting its circulation from 60,000 to 150,000), embarking
on a 30-year career as a polemicist culminating in the
editorship of L’Indipendente. He was axed for printing a
harsh aphorism of John Giorno’s. The grim bigotry of the
post-fascist right never forgave him, forgetting how much
its new-found respectability owed to GBG’s decades of
work. As a columnist and presenter of TV formats – always
wearing the woollen socks knitted by his mother Gina
– Guerri upended all the clichés about nonconformist
intellectuals, reassessed the immense legacy of the
anthropologist Ida Magli, and waged battles to modernise
Italian society and customs. From Massimo Cacciari, in
some way his reciprocal opposite, he won the most exact
of definitions: “A leftist who thinks like a rightist.”
A fine historian with great narrative and polemical force,
in the 1990s Guerri moved beyond the (mistaken) cliché
that saw him as anticlerical with an ironic but rigorous
reconstruction of the Church’s influence on Italian society,
from St. Peter to Matteo Renzi. It was the prologue to
his Antistoria degli italiani, a fine exercise in intellectual
dexterity. Drawing on the lofty example of Fabio Cusin, it
rehabilitated troublesome and marginalised figures whose
symbol remains Ernesto Buonaiuti, the father of Catholic
modernism who was the only university professor to
refuse to swear loyalty to Fascism but that the Constituent
Assembly failed to rehabilitate.
Continuing his forays into treacherous regions, like the (half)
life of Vincent van Gogh or the secrets of the confessional,
in the last two decades GBG has confirmed his strategic
versatility. He has accepted the presidency of the
Fondazione Ugo Bordoni, promoting artificial intelligence
applied to language, and that of the Vittoriale degli Italiani,
the bizarre residence that Mussolini bought for Gabriele
D’Annunzio, calling him a decayed tooth: “Either pull it out or
cover it in gold.”
Never was an appointment better deserved. Because no
one, in late 20th century Italy, is closer to GD’A than GBG.
In the lemon-scented microclimate of Gardone Riviera,
Guerri closes the circle of a nostos lasting half a century.
Visitor numbers are peaking, while he reconciles life as
an experimenter of things and people with the joys of a
(traditional) family, with his wife Paola and sons Nicola
Giordano and Pietro Tancredi. While writing another (eight)
essays about the poet, he also directs the museums
of Salò and Garda, an association of municipalities and
institutions that, from the shores of Lake Garda, extends his
influence urbi et orbi.
Università italiana
visione globale /
An Italian university
a global vision

Promosso da / Advertorial by
LI
Imparare a imparare. E capire
quando è necessario farlo /
Learn how to learn.
And understand when to learn
La didattica enquiry-based della Luiss
mira a formare individui dinamici
e mutevoli come il mondo in cui vivranno /
The enquiry based methods at Luiss aim
to produce individuals that are as dynamic
and adaptable as the world they live in
Massimo Valz-Gris
In apertura: l’aula Chiesa nel campus
di viale Romania. Il loggiato ospita
il ‘Matroneo’, un’area studio aperta 24 ore
al giorno, sette giorni su sette.
In questa pagina: due studentesse
impegnate nella realizzazione di un
podcast nel LOFT – Laboratory of Fantastic
Things, nel campus di Viale Romania.
Pagina a fronte, dall’alto: Villa Heritz,
sede degli uffici amministrativi del campus
di Viale Romania; il soffitto a cassettoni
e le decorazioni in stucco della Sala
delle Colonne nel campus di via Pola,
sede delle discussioni delle tesi
di laurea; studenti nei pressi della
segreteria didattica di viale Romania
Viviamo l’epoca della complessità e della
rapidità, in cui le società di tutto il mondo
cambiano a ritmo frenetico e incessante,
influenzandosi l’un l’altra e contribuendo
al paradigma non ancora del tutto
compreso, ancorché per alcuni già al
tramonto, della globalizzazione.
Un sistema nel quale la velocità della
produzione e del consumo – ma per
fortuna anche della ricerca, della
scoperta, dello sviluppo – permea e
informa ogni sfera del vivere associato,
con l’effetto collaterale di rendere
rapidamente obsolete anche le
conoscenze, oltre che gli smartphone.
In questo snodo epocale, il settore
dell’higher education gioca un ruolo
decisivo dovendo, da un lato, preparare
i giovani al mondo del lavoro con
competenze tecniche e applicative e,
dall’altro, formare cittadini in grado di
navigare con consapevolezza e costrutto
una realtà mutevole se non addirittura
sfuggente.
Il modello classico di insegnamento
basato sui saperi tradizionali, consolidati
e settoriali si dimostra inadeguato.
C’è bisogno di una nuova pedagogia
che sappia abbracciare e interpretare
la complessità e la velocità del mondo
ma, prima ancora, riconoscerla. Fedele
al credo secondo cui l’eccellenza
è una conquista da rigenerare ogni
giorno, la Luiss abbraccia la sfida della
contemporaneità nonostante sia ai primi
posti dei più prestigiosi ranking globali:
22esima al mondo, secondo QS, negli
studi politici e di relazioni internazionali
e addirittura primi per career progress
nella classifica redatta dal Financial
Times, solo per citarne due.
Ordinaria di Consumer behavior,
Simona Romani è anche prorettrice
alla Didattica ed è, dunque, la figura
cui la Luiss ha affidato la gestione di
questa disruption. “Le conoscenze e le
competenze cambiano alla medesima
velocità dell’ambiente che le partorisce
e lo stesso si può dire, a maggior ragione,
dei valori e dei convincimenti condivisi.
Ecco perché noi di Luiss crediamo che
ogni persona debba essere un learner
continuo. Chi oggi voglia vivere una vita
produttiva e soddisfacente deve poter
apprendere nuove cose ogni giorno,
un compito che impone che l’apertura
mentale assurga a metodo. Vogliamo che
i nostri studenti imparino a imparare e
sappiano, quando è necessario, mettere
in discussione non solo il proprio set di
competenze, ma anche quello valoriale”.
Se l’istruzione non è più mera
trasmissione di conoscenza, ma
indagine incessante, il sapere non è più
la destinazione finale, bensì il viaggio
stesso. Su questa strada, il viaggiatore
per eccellenza è il ricercatore, la figura
che in un certo senso ha ispirato il nuovo
modello didattico Luiss, un sistema
lanciato alcuni anni fa a livello magistrale
e progressivamente esteso su tutti i
programmi dell’Ateneo. “Cerchiamo di far
maturare una forma mentis orientata al
riaggiornamento e alla ridiscussione di
ogni certezza, proprio come si fa in sede
di ricerca, quando le risultanze sono
vere fino a prova contraria e sempre
soggette al confronto, alla peer review.
Questo implica, come detto, il saper
imparare, ma anche il saper riconoscere
il momento in cui farlo, cosa tutt’altro che
scontata: l’attitudine investigativa parte
dalla capacità di formulare i problemi
prima ancora che di risolverli e di sapere
accettare e valorizzare il feedback
dell’ambiente circostante, anche e
soprattutto quando questo sia critico”.
All’atto pratico, questi principi si
traducono in un approccio enquiry-
based, basato cioè sull’investigazione,
la formulazione di domande, e la messa
in campo di azioni utili a comprendere i
fenomeni e risolvere problemi.
Gli studenti apprendono a pensare e
agire come ricercatori, imparando a
porsi e porre le domande appropriate
a ogni specifico contesto, a revisionare
criticamente i lavori di ricerca esistenti, a

raccogliere e analizzare i dati, a scrivere e
presentare in pubblico i risultati.
“Si tratta di una metodologia che pone
al centro lo studente, ma che prevede,
evidentemente, la trasmissione da
parte dell’insegnante dei metodi e
degli strumenti della ricerca. Sapere
identificare e riconoscere le fonti affidabili
è il primo passo verso ogni indagine, sia
che si tratti di un laboratorio universitario
sia che si tratti della necessità di
informarsi e decidere su un qualunque
tema di attualità”, spiega Romani.
Compito dell’università è formare
buoni cittadini prima ancora che buoni
ricercatori e lavoratori efficienti, un
principio che vale a maggior ragione
per un ateneo come la Luiss, nata
con l’obiettivo di plasmare la classe
dirigente. “Vogliamo che dai nostri corsi
escano individui pronti ad affrontare il
futuro nel mondo e non semplicemente
pronti per il primo posto di lavoro.
Siamo convinti che le competenze
di ricerca possano indirizzare, a tutti i
livelli socioeconomici e professionali,
le decisioni quotidiane. Cercare, filtrare,
decodificare dati e informazioni e saperli
mettere in relazione tra loro sono abilità
che attengono strettamente al fare
ricerca e sono attributi fondamentali
della cittadinanza attiva. Si tratta di uno
zoccolo duro metodologico trasversale a
ogni disciplina e a ogni sfera del vivere”.
Questo approccio, oltre a rispondere alle
sfide della contemporaneità, si dimostra
anche un plus importante sul mercato
internazionale dell’education. “Aver
abbracciato questo modello”, continua la
professoressa, “ci rende più appetibili per
gli studenti internazionali e ci permette
di avviare partnership con istituzioni
internazionali molto prestigiose e come
noi ispirate dai valori dell’investigazione
e della sua applicazione per la gestione
della complessità”.
Il modello didattico messo a punto
dalla Luiss prevede attività curriculari
ed extracurriculari che mettono in
LII
contatto gli studenti con la galassia di
professionisti del mondo dell’impresa,
delle istituzioni e della pubblica
amministrazione che ruota attorno
all’ateneo: conferenze, progetti di ricerca,
lavori di gruppo, forniscono agli studenti
strumenti decisivi per scoprire e svolgere
ruoli attivi nella società complessa.
“Il sistema tradizionale in vigore nel nostro
Paese ha due limiti fondamentali. Il primo
è quello di insegnare ciascuna materia
a compartimenti stagni, una strategia
valida per porre le basi, ma del tutto
insufficiente quando si tratta di preparare
alla complessità della vita odierna,
professionale e non. Il secondo limite
è forse più culturale che educativo e
risiede nella eccessiva stigmatizzazione,
specialmente nell’ambito familiare,
del fallimento in qualsiasi ambito
dell’esistenza di un individuo. In altri
paesi, e penso sempre al mondo
anglosassone e scandinavo, fallire è una
parte intrinseca del percorso. Nessuno si
vergogna e nessuno viene condannato
per questo, nella scuola come nel
business, anche perché il fallimento è
spesso lo stimolo più forte a migliorarsi”.
Le risultanze concrete e documentate
dei programmi enquiry-based dell’ateneo
cominceranno ad arrivare tra un paio di
anni, quando cioè verrà effettuata una
rilevazione rigorosa sulle prime coorti
laureate con il nuovo modello educativo.
“Mentre espandiamo il metodo via via
a nuovi corsi, stiamo monitorando un
gruppo di studenti appena usciti su tutta
una serie di metriche che riguardano
l’apprendimento, il mindset e gli
avanzamenti di carriera.
Si tratta, quest’ultimo, di un criterio
cruciale e ben più importante del
semplice primo posto di lavoro perché
rispecchia le capacità di evolversi,
trasformarsi e adattarsi al continuo
cambiamento circostante. Avremo
vinto la nostra sfida se avremo formato
individui dinamici e mutevoli come il loro
mondo”, conclude Romani.
• Opening page: the Chiesa hall in the
campus in Viale Romania. The loggia
houses the Matroneo, a study area
open 24 hours a day, seven days a week.
This page, from the top: Villa Heritz,
the home of the administrative offices
for the Viale Romania campus; the boxed
ceiling and the plasterwork in the Sala
delle Colonne, on the Via Pola campus,
where degree theses are presented.
Students at the registrar’s office
in Viale Romania.
Opposite page: two students creating
a podcast in the LOFT - Laboratory
of Fantastic Things on the Viale Romania
campus
LIII
• We are living in a complex and fast-
paced era, in which societies from all
over the world are changing at a frenetic
and incessant rate, influencing each
other and contributing to the still not fully
understood paradigm of globalisation,
despite it being, according to some, in
decline.
It is a system in which the speed of
production and consumption - and
fortunately also of research, discovery
and development - permeates and
shapes every aspect of shared living,
with the collateral effect to rapidly render
obsolete not only smartphones, but
knowledge itself.
In this important moment in history, the
higher education sector plays a decisive
role, on the one hand responsible
for preparing young people for the
world of employment with technical
and applicable skills, and on the other
training citizens capable of navigating
a changing if not hard-to-understand
world with awareness and proactivity.
The classic model of teaching based
on traditional, consolidated and
compartmentalised knowledge has
proved to be insufficient. There is a need
for a new form of education that is able
to embrace and interpret the world’s
complexity and speed, and above all
to recognise them. True to the belief
that excellence is an achievement
to be maintained on a daily basis,
the Luiss embraces the challenge of
contemporariness despite already being
at the top of the most prestigious global
rankings; 22nd worldwide, according to
QS, in political studies and international
relations, and first place for “career
progress” in the rankings published by
the Financial Times, to name two.
Professor of Consumer Behavior,
Simona Romani is also the deputy
rector of Education and has therefore
been chosen by the Luiss for managing
this ‘disruption’. “Knowledge and skills
are changing at the same pace as the
In questa pagina. In alto: Villa Blanc,
sede della Luiss Business School, sulla
Nomentana. A fianco: un workshop di
grafica digitale nel LOFT di viale Romania.
Pagina a fronte, dall’alto, tre immagini
del campus di viale Romania: sempre
nel LOFT, un’attività di gruppo nel contesto
della didattica enquiry-based; il Language
cafè, uno spazio per attività collaterali alla
didattica nel quale è vietato studiare
e parlare nella lingua nativa;
The Dome, la struttura polifunzionale
inaugurata nel maggio 2022 e certificata
LEED Platinum
environment that produces them, and
this is even more so for shared values
and ideas. This is why here, at the Luiss,
we believe that each and every person
needs to be constantly learning. Those
who want to live a productive and
satisfying life nowadays need to be
able to learn new things every day, a
task that requires one’s mind to open to
the method. We want our students to
learn how to learn, and to be able, when
necessary, to question not only their
own skill set but also their values.”
If education is no longer the mere
passing on of knowledge, but rather
incessant research, knowledge is
no longer a final destination but is,
instead, the journey itself. And, along
these lines, the voyager par excellence
is the researcher, the figure who, in a
certain sense, has inspired the new
didactic model of the Luiss; a system
that was launched a few years ago
for post-graduate courses and has
since been progressively extended
to the university’s entire programme.
“Our aim is to develop a forma mentis
oriented towards the updating and re-
examination of all certainties, just like in
research, where the results are true until
proven otherwise and always subject to
examination and peer review”, explains
Romani. “As previously said, this requires
knowing how to learn, but also how to
recognise the moment in which to learn,
something that is far from obvious; an
investigative mindset is based on the
ability to formulate problems before
solving them, and to be able to accept
and use feedback from the surrounding
environment, also and above all when
this is in the form of criticism”.
In practice, these principles take the
form of an enquiry-based approach,
focusing therefore on investigation,
the posing of questions, and the
implementation of actions aimed at
understanding phenomena and solving
problems.

Students learn to think and act like
researchers, understanding how to ask
themselves and others questions that
are appropriate in every specific context,
to critically review existing research, to
collect and analyse data, and to prepare
and publicly present the results.
“This is a methodology that places
the student at the centre, while also
requiring the teacher to provide
research methods and tools”, says
Romani. “Being able to identify and
recognise reliable sources is the first
step in any investigation, whether it is in
a university laboratory or in a situation
where a topical theme needs to be
understood and handled.”
The task of the university is to train not
only good researchers and efficient
workers but, above all, good citizens,
a principle that is even more true for a
university like the Luiss, which was set
up with the aim of training the ruling
classes. “We want our courses to
produce individuals who are ready to
face the future, rather than simply being
ready for their first job. We are convinced
that research skills can guide everyday
decisions at all social, economic and
professional levels. Look for, filter and
decode data and information, and be
able to combine them, are skills that
are closely related to research, and
are fundamental attributes for active
citizenship. This is a core method that
is applicable to all disciplines and all
spheres of life.”
As well as responding to the challenges
of contemporary life, this approach
also proves to be an important bonus
in the international education market.
“Having embraced this model”, explains
professor Romani,“makes us more
attractive to international students and
allows us to set up partnerships with
extremely prestigious international
institutions inspired, like us, by the values
of investigation and its application for
managing complexities.”
LIV
The didactic model set up by the Luiss
provides for curricular and extra-
curricular activities that put students
in touch with the galaxy of professional
figures from the world of business,
institutions and public administration
that interact with the university;
conferences, research projects and
working groups provide students with
clear tools for discovering and playing
active roles in complex society.
“The traditional system in place in our
country has two fundamental limitations.
The first is that of teaching any subject
in separate sections, a strategy that
is valid for laying foundations, but
wholly unsuitable when preparing for
the complexity of daily life, both from a
professional and other point of view.
The second is perhaps more cultural
than educational, and lies in the
excessive stigmatisation, particularly
within the family environment, of failure
in any area of individual existence. In
other countries, particularly in the Anglo-
Saxon and Scandinavian world, failure is
an intrinsic part of the process. No-one
is ashamed and no-one is condemned
for this, also because failure is often the
strongest motivation for improvement.”
The documented results of the enquiry-
based programmes run by the university
will begin to emerge in a couple of years’
time, with a detailed examination of
the first students to graduate with the
new didactic model. “As we gradually
extend the method to new courses, we
are monitoring a group of students who
have recently graduated in terms of a
series of metrics concerning learning,
mindset, and career advancement.
The latter is a crucial criterion and is
much more important than the first
occupation because it reflects the
ability to evolve and adapt to constant
changes. We will have been successful
if we have managed to train individuals
who are as dynamic and adaptable as
the world they live in”, concludes Romani.
• This page, three images from the Viale
Romania campus. From the top: in the
LOFT, a group activity under enquiry-based
teaching; the Language Café in Viale
Romania, a space for collateral activities
in which studying or speaking in one’s
native language is forbidden.
The Dome, the new multifunctional
structure which was inaugurated in May
2022 and has LEED Platinum certification.
Opposite page. Top: Villa Blanc,
the home of the Luiss Business
School, Via Nomentana; bottom:
a digital graphics workshop again
at the LOFT in Viale Romania
LV
Alla ricerca di una nuova
architettura del sapere /
In search of a new
architecture of knowledge
Un approccio interdisciplinare,
aperto a Data Science e Humanities /
An interdisciplinary approach,
open to Data Sciences and Humanities
Walter Mariotti
In cinque anni, Luiss ha scalato oltre
200 posizioni entrando nelle prime 100
università al mondo per l’area Social
Sciences and Management. Fonte il QS
World University Rankings by Subject
2022, che premia le migliori università
per aree disciplinari. Luiss è al 22mo
posto nel mondo per gli Studi Politici ed
Internazionali. Un risultato assoluto, che
nasconde però il vero primato. Una precisa
volontà di redesign dell’alta formazione che
sta procedendo spedita verso la creazione
di una nuova architettura del sapere.
“Essere considerati tra le migliori università
al mondo, ci rende particolarmente
orgogliosi”, sorride il rettore Andrea
Prencipe. “Occorre fare attenzione a non
identificarsi troppo nei ranking, tuttavia.
La mission della Luiss – quale istituzione
dedicata all’alta formazione – è creare
una nuova architettura del sapere.
Attraverso un investimento in innovazione,
internazionalizzazione e interdisciplinarità,
Luiss offre l’opportunità a studentesse
e studenti di costruire una cassetta
degli attrezzi, ricca di conoscenze,
competenze, metodi e linguaggi per
affrontare la complessità del nostro tempo
con l’obiettivo di generare impatto sulla
società. Una proposta viva per coloro che
vogliano entrare nel mondo del lavoro da
consapevoli protagonisti”.
Professor Prencipe, Luiss è partner
di 313 atenei in 65 paesi, propone 58
doppie lauree, più del 50% dei corsi in
lingua inglese e circa 20 nazionalità
all’interno del corpo docente.
L’internazionalizzazione è uno dei cardini
della nostra strategia, strettamente
legato alla visione di chi ci ha fondato: la
‘i’ di Luiss sta per internazionalizzazione.
L’internazionalizzazione è anche la
direttrice di sviluppo dei programmi,
della faculty, degli studenti, dello staff
amministrativo. Si è internazionali non
solo per passaporto ma per standing
internazionale. Altrimenti facciamo del
provincialismo (sorride).
Quindi i risultati vanno oltre al
ranking.
Soprattutto. Un esempio: durante i vari
lockdown, Luiss ha dimostrato di essere
una vera comunità, caratterizzata da
condivisione d’interessi, che ha disegnato
ed erogato prodotti educativi con un
medium diverso, digitale appunto, ma con
la stessa passione, piglio e profondità
accademica.
L’altro dato della vostra nuova
architettura è l’interdisciplinarità.
Assolutamente si, ma intendiamoci.
Siamo e restiamo un ateneo votato
alle scienze sociali. Non vogliamo però
costruire una cintura di protezione
alla Lakatos per difendere i confini
delle scienze sociali (sorride). Il nostro
approccio all’alta formazione è open:
riteniamo che le scienze sociali siano
fondamentali per fare il framing dei
problemi del nostro tempo posto che
interagiscano tra di loro e accolgano
altre discipline. Luiss ha investito nelle
Data Sciences e nelle Humanities: a
prescindere dal corso di laurea intrapreso,
studentesse e studenti sviluppano
competenze digitali, e sono esposti a
insegnamenti di filosofia, storia delle
idee, letteratura. L’intersezione Scienze
Sociali, Data Sciences e Humanities
costituisce la nuova identità di avvocati,
manager, diplomatici, economisti.
L’interdisciplinarità è infatti fondamentale
per inquadrare problemi (problem
framing): la complessità delle sfide che
affrontiamo richiede una visione ampia
che contempli prospettive e angolature di
e da più discipline per guidare il problem
solving. Laureate e laureti Luiss sono infatti
generalisti-specializzati con una solida
preparazione specialistica e una visione
generalista.
Io ne sono convinto ma come
convincere loro?
Facile. Oggi se fai l’avvocato con un
algoritmo di machine learning fai in
mezz’ora quello che ieri venti avvocati
facevano in una settimana. E se hai letto
Italo Calvino sei di sicuro un manager con
una visione ampia, profonda e prospettica.
Resta il fatto che questa vostra
scelta strategica è sorprendente.
A noi sembra necessaria. Un recente
rapporto OCSE sottolinea la correlazione
tra studio delle humanities e sviluppo
di pensiero critico. Studi di psicologia
cognitiva dimostrano come chi legge
narrativa sviluppa skill fondamentali, quali
l’attributional complexity, ovvero l’abilità
d’immedesimarsi nell’altro, nelle altre
culture: un’abilità fondamentale nei futuri
contesti lavorativi. In questa prospettiva,
interdisciplinarità e internazionalizzazione
si rafforzano a vicenda:
internazionalizzazione, infatti, è educazione
alla diversità. Luiss educa cittadini del
mondo, consapevoli delle proprie radici
ma forti di flessibilità e apertura mentale e
spirituale. Essere esposti a culture diverse
permette di comprendere meglio gli altri, le
loro tradizioni, stili di vita, pensieri. Le culture
lontane mettono a fuoco, con più chiarezza,
i valori sottesi anche alla propria cultura. La
si apprezza meglio, comprendendone limiti
e storia.
Stranger is not danger, diremmo
rovesciando il proverbio inglese.
Esatto. Soprattutto perché il
multiculturalismo è una dimensione
pervasiva dei contesti lavorativi.
C’è, poi, un’ulteriore direttrice strategica
che informa la nostra azione educativa.
Allude all’innovazione?
Sì, perché è il concetto che lega passato e
futuro. La radice latina della parola è infatti
legata al verbo invenire: scoprire il passato
per inventare il presente. Proprio come
limes: confine e anche percorso che porta
al centro.
Disruption economica? Intelligenza
Artificiale?
Fra i cambiamenti che caratterizzano le
società, emergono due trend. Chi nasce
oggi in Occidente ha un’aspettativa
di vita di 105 anni e quindi una carriera
lavorativa di 70-80 anni. Inoltre, il tasso di
obsolescenza delle conoscenze è sempre
più elevato: il combinato disposto di questi
trend indica che chiunque accederà al
mondo del lavoro da oggi in avanti avrà la
necessità di reinventarsi due, tre, quattro
cinque volte nella vita.
Questo impone un ripensamento della
mission educativa dell’università, non solo
di che cosa ma anche di come si insegna.
In questo senso, ci tornano in aiuto la storia
degli atenei.
L’idea medievale dei clerici vagantes?
Direi piuttosto il loro metodo, la distinzione
tra lectio e disputatio. La lecture, infatti,
è importante perché molte cose non
possono che essere erogate con lezione
ex cathedra ma, per dare responsabilità e
indipendenza, la discussione deve essere
il secondo pilastro. E questo però non
basta.
Che cosa servirà ancora?
Se chi entra nel mercato del lavoro deve
affrontare sfide sempre più complesse e
discontinue, dobbiamo dare possibilità
di apprendere contenuti ma anche
di riapprendere e dimenticare. Learning to
learn but also to unlearn. Il nuovo modello
educativo Luiss è infatti enquiry-based.
Studentesse e studenti sono protagonisti
del proprio percorso educativo: non solo
acquisiscono conoscenze esistenti,
ma anche e soprattutto co-creano
nuove conoscenze, diventano ‘enquirer’.
Apprendono il metodo scientifico e
diventano consapevoli del loro ruolo attivo
nella co-creazione della conoscenza:
dalla formulazione di domande di ricerca,
allo sviluppo di ipotesi, dalla raccolta dati
allo sviluppo delle conclusioni. E quindi al
ripensamento delle proprie domande e
delle ipotesi.
Trasibulo lo fece per legge, ad Atene.
E alla Luiss come farete?
Offriamo l’opportunità a studentesse
studenti di costruirsi una cassetta degli
attrezzi composita: contenuti e metodi
per ripensare i propri gli assunti di base e
cambiare idea. Una cassetta degli attrezzi
che, pensata per chi avrà necessità di
ripensarsi spesso, dovrà vivere nella
tensione di essere ricca e pien, e, nel
contempo, semivuota.
La sfida per chi affronta un percorso
educativo sarà quindi non solo imparare
ad apprendere, ma anche a dimenticare e
ri-apprendere.

In questa pagina: Villa Alberoni, sede
del campus di viale Pola. In primo piano,
il Tinello Alberoni.
Pagina a fronte: professore ordinario di
Organizzazione e Innovazione, Andrea
Prencipe è rettore della Luiss da giugno
2018. Ha tenuto corsi, lezioni e seminari
in diverse università prestigiose,
tra cui Harvard Business School,
Imperial College, London Business School,
University of Oxford, University of Michigan
• This page: Villa Alberoni, the home
of the Via Pola campus. In the foreground,
the Tinello Alberoni.
Opposite page: full professor of
Organization and Innovation, Andrea
Prencipe has been rector of Luiss since
June 2018. He has held courses, classes and
seminars in various prestigious universities
such as Harvard Business School,
Imperial College, London Business School,
University of Oxford, University of Michigan
• In a mere five years’ time, Luiss
University has advanced by over 200
places in the QS World University
Rankings by Subject. In 2022, Luiss
became one of the world’s top 100
universities in the “Social Sciences and
Management” area. Specifically, it holds
the number 22 place in Politics and
International Studies.
This result conceals another successful
advancement: the pondered redesign
of higher education based on a
new approach to constructing and
deconstructing knowledge.
“We are proud of being considered
among the best in the world,” says
Andrea Prencipe, the school’s rector.
“Of course, we do not want to identify
too much with our ranking. We
remain focused on our mission as
an institution dedicated to innovate
higher education. By investing in
innovation, internationalisation and
interdisciplinarity, Luiss offers students
the means to create their own tool-
box and fill it with diverse knowledge,
competencies, and methods. This
enables them to dissect the complexity
of today’s world, to enter the job market
as educated protagonists, and to
generate a positive impact on society.”
Luiss is a partner of 313 universities
in 65 countries, and offers 58 dual
degree programmes. Over 50 per
cent of the courses are in English
and the teaching staff is composed
of about 20 nationalities. How do
you see this?
(Andrea Prencipe) Internationalisation is
a key element of our strategy, based on
the vision of Guido Carli, who founded
this university in 1977.
Luiss is the acronym of Libera Università
Internazionale degli Studi Sociali, which
means “Free International University of
Social Studies”, so internationalisation is
the driving force behind the development
of our programmes, faculty, students and
members of the staff. As a matter of fact,
we are not just a collection of passports,
we are an academic community of
international standing.
So, results are more important than
ranking?
Absolutely. To give you an example,
during the multiple Covid lockdowns
in Italy, the Luiss demonstrated how
close-knit the school community really is.
The sharing of interests was synergetic
with the planning of new educational
programmes. Yes, lessons were digital,
but imparted and followed with the same
enthusiasm, spirit and academic depth.
Another key aspect of the school’s
new knowledge architecture is
interdisciplinarity.
We are a university specialised in the
social sciences. Nonetheless, we do
not wish to build a protective belt à
la Lakatos to defend the confines of
social sciences: our approach is open.
We submit that social sciences are
fundamental to frame the problems
of our times, as long as they interact
with one another and welcome
other disciplines. Luiss has created
research teams in data sciences and
the humanities. In fact, during their
degree programme of choice, students
develop digital skills and partake in
lessons in philosophy, the history of
ideas and literature. The intersection
of social sciences, data sciences
and the humanities constitutes the
new identity of the world’s lawyers,
executives, diplomats and economists.
Interdisciplinarity is fundamental for
problem framing. Indeed, the complexity
of challenges we face is best analysed
by a broader vision that includes the
perspectives and angles of multiple
disciplines to guide problem-solving.
Luiss graduates are specialised
generalists. They are trained in one
subject area, but with a broad outlook..
How is this best explained?
Today, a lawyer using a machine-learning
algorithm needs just 30 minutes to do
the work that 20 lawyers yesterday would
have needed 1 week to complete. Also,
reading Italo Calvino indubitably makes
for managers with breadth, depth and
perspective.
Your strategy sounds so new.
To us, it is necessary. A recent report
by the Organisation for Economic
Cooperation and Development
underlines the correlation between
the study of the humanities and the
development of critical thinking. Studies
in cognitive psychology show how people
who read fiction develop fundamental
skills such as attributional complexity,
which is associated with good social
judgment and the ability to relate to
diverse cultures. Such ability will be key in
future work scenarios. Interdisciplinarity
and internationalisation strengthen each
other reciprocally. Internationalisation
educates students in diversity. Luiss
trains citizens of the world who are
aware of their roots while being flexible
and open, mentally and spiritually.
Being exposed to other cultures allows
students to better comprehend others
– their traditions, lifestyles and thinking.
Faraway cultures bring the values of our
own culture into focus to appreciate its
limits and history. It’s important because
multiculturalism is a ubiquitous part of
today’s working world.
What about innovation in learning?
Innovation is a concept that links the
past to the future. The word’s Latin
root is connected to the verb invenire,
discovering the past to envisage to the
present. Like limes, which means limit and
also path to the centre.
How do you see economic disruption,
decreasing birth rates and artificial
intelligence?
Two trends emerge from societal
changes underway. People born
today in the Western world have a life
expectancy of 105 years, meaning their
careers will last 70 or 80 years. Second,
the obsolescence rate of knowledge is
increasingly high. The combined effect of
these two trends indicates that people
accessing the job market from today
onward will need to reinvent their job two,
three, four, five times in a lifetime. This
imposes a rethinking of the university’s
educational mission regarding what
LVI
and how subjects are taught. Looking
at how learning was organised back in
the ancient world offers an interesting
perspective.
Are you referring to the mediaeval
clerici vagantes?
I refer to their method, and the distinction
between lectio and disputatio. Lectures
are important because many things can
only be taught ex cathedra (from the
chair), but in order to foster responsibility
and independence, discussion must be
the second mainstay. But even that is not
enough.
What more is needed?
Students entering the job market
have ever more complex and shifting
challenges to face. On the one hand, we
must give them the possibility to learn
content, but also to relearn and even
forget. They must learn both to learn and
to unlearn. The new Luiss educational
model is enquiry-based. Students are in
charge of their own educational path.
Not only do they acquire existing
knowledge, but they also co-create
new knowledge by becoming enquirers.
They learn scientific methods and
take on an active role in co-creating
knowledge through the formulation of
research questions, the development of
hypotheses, the collection of data and
the drawing of conclusions. After that,
they re-examine their own questions and
hypotheses.
Thrasybulus made this a law in
ancient Athens. How does the Luiss
go about this?
We offer students the opportunity to
construct a composite tool-box of
contents and methods with which they
can rethink their own basic assumptions
and be open to change their minds.
Indeed, future professionals will always
have to manage the tension between
maintaining a rich and full tool-box, and at
the same time semi-empty, with room to
generate new knowledge. The challenge
is not only learning to learn, but also
forgetting and relearning all over again.
LVII
Aperti al mondo, ma ben radicati in Italia /
Open to the world with deep roots in Italy
Un ateneo internazionale a tutti gli effetti, senza aver perso l’identità /
A university that is fully international, while still maintaining its identity
“L’obiettivo è diventare un’università
globale che sia allo stesso tempo
fortemente radicata in Italia. Un istituto
che valorizzi il patrimonio culturale unico
da cui promana, ma che si confronti
ai massimi livelli sullo scacchiere
internazionale della ricerca e dell’alta
formazione. Un cambio di passo che
ci consenta, dopo aver preparato una
porzione significativa della classe
dirigente italiana, specialmente nella
diplomazia, di formare anche la classe
dirigente degli altri Paesi. Siamo già in
cammino in questa direzione: c’è, per
esempio, un Paese europeo che ha ben
due ambasciatori – uno in Italia e uno a
Bruxelles – laureati qui da noi”.
A parlare è Raffaele Marchetti, ordinario
di Relazioni internazionali presso il
dipartimento di Scienze politiche della
Luiss e, dal 2018, anche prorettore
all’Internazionalizzazione. Marchetti
è, dunque, l’uomo che si occupa di
coordinare e indirizzare l’articolato
processo che mira a portare la Luiss ai
vertici dei ranking mondiali oggi dominati
dagli istituti anglosassoni.
Se fino a qualche anno fa l’ateneo
romano si misurava egregiamente con
i benchmark nazionali, oggi i termini di
paragone sono le migliori università del
mondo, nessuna esclusa.
Il processo è in corso da diverso tempo
e ha subito un’accelerazione negli
ultimi quattro anni, sotto il rettorato di
Andrea Prencipe, fino a divenire una
fondamentale linea di sviluppo strategico
con tutto ciò che questo comporta a
livello di investimenti economici e non
solo.
Il percorso ha già prodotto risultati
molto importanti, come confermano
proprio le classifiche globali che vedono
la Luiss protagonista di una scalata
fuori dall’ordinario: nel 2022, le oltre
200 posizioni guadagnate nel corso
dei precedenti cinque anni, hanno
portato l’ateneo romano tra le prime 100
università al mondo per l’area Social
sciences and management secondo
il QS World University rankings by
subject. Nella Top 100 ci sono anche
Giurisprudenza (82ma) e Business
and management (59ma). Per quanto
riguarda gli Studi politici e internazionali,
la Luiss è addirittura 22esima al
mondo e prima in Italia. Numeri che
certificano il successo di un processo
che coinvolge la scuola in tutte le sue
articolazioni, anche quelle sottotraccia.
“Diventare internazionali a tutti gli effetti
prevede lo sdoppiamento, linguistico
e non solo, di tutta una serie di servizi
allo studente tutt’altro che secondari.
Abbiamo aggiornato i menù delle
mense tenendo in considerazione sia
le esigenze legate alla religione sia le
abitudini delle altre culture, e abbiamo
tradotto ogni documento burocratico
dal linguaggio tecnico-legale italiano
all’inglese semplificato, un’opera non
banale”, prosegue Marchetti. “Inoltre, c’è
il delicato tema dell’assistenza medica
e psicologica che offriamo agli studenti:
ospitare persone provenienti da tutto
il mondo ci obbliga a tenere in grande
considerazione i rischi legati al clash
culturale, per non parlare dell’attenzione
che dobbiamo a ragazzi e ragazze
provenienti da situazioni di povertà
estrema o addirittura zone di guerra”.
Al di là degli importanti adattamenti
nella sfera sociale, i pilastri del nuovo
paradigma internazionale non possono
che essere la didattica e la ricerca.
“Il pluralismo delle culture è un
arricchimento intrinseco per la
produzione accademica, sia degli
studenti sia del corpo docenti. I primi
vivono un ambiente cosmopolita
che rispecchia il mondo nel quale
lavoreranno e che fornisce loro stimoli
variegati, mentre i secondi sono
chiamati a ricalibrare le proprie lezioni
sulla base di riferimenti culturali globali in
grado di coinvolgere persone provenienti
da ogni continente. Un principio che
vale per case-history, citazioni letterarie,
excursus storici, esempi contemporanei:
tutta l’architettura didattica va, insomma,
ripensata nell’ottica di una platea che
contiene una fetta significativa di
persone che hanno un bagaglio culturale
e un immaginario simbolico molto diversi
dal nostro”, illustra il professore.
La Luiss è di fatto un’università bilingue. Al
momento oltre il 50 percento dei corsi di
laurea è interamente in inglese.
Poi ci sono loro, gli studenti: quelli
stranieri sono già la maggioranza in
alcuni corsi di dottorato e l’obiettivo
della Luiss è portare la quota totale
di internazionali al 20 percento entro
il 2024. Tra i percorsi più gettonati da
chi viene da fuori ci sono Scienze
politiche e, in particolare, la magistrale in

International relations, la nuova triennale
in Business and admistration e il master
in Management (53mo posto nel ranking
del Financial Times). “In generale, le
richieste di iscrizioni dall’estero sono
passate in pochi anni da qualche
centinaio a diverse migliaia, merito
certamente dell’evoluzione concettuale
del nostro istituto ma anche del grande
lavoro che fa il reparto comunicazione
e marketing con la sua opera di
orientamento e reclutamento. Abbiamo
una sede della Business school ad
Amsterdam e uffici di rappresentanza
a Buxelles e in Cina. Siamo, poi, capofila
di un progetto per la creazione di
un’università italo-azerbaigiana a Baku
che coinvolge altri quattro istituti italiani”.
Oltre a partecipare a diverse piattaforme
internazionali di ricerca e formazione, la
Luiss oggi propone 58 double degree e
lo scorso febbraio ha finalizzato il primo
triple degree, un caso unico al mondo:
si chiama ACE – acronimo di America,
China, Europe – e coinvolge la George
Washington University di Washington DC
e la Renmin di Pechino. Il corso di laurea
durerà quattro anni e consentirà agli
studenti di prendere tre titoli Business e
In questa pagina: Il Borghetto in viale
Romania, luogo di socializzazione
con caffetteria, tavoli da biliardino
e ping pong, aree studio.
Pagina a fronte: a oggi sono circa 85 le
nazionalità rappresentate tra gli studenti
Luiss e circa 20 quelle nel corpo docenti
• This page: The Borghetto in viale
Romania, a place for socialisation,
with a café, billiards and ping-pong
tables and a study area.
Opposite page: there are currently
circa 85 nationalities represented
by the Luiss student body, with
approximately 20 in the teaching staff
di vivere e studiare nelle due capitali del
mondo oltre che in una città dal fascino
e dalla storia unica come Roma. Il tutto
pagando le tasse di iscrizione soltanto in
un Paese.
I risultati dell’internazionalizzazione
della Luiss appaiono ancora più
sorprendenti se si considera che
il mercato dell’education globale è
pressoché monopolizzato dalle scuole
anglosassoni, in particolare da quelle
americane e inglesi.
Internazionalizzare un’istituzione
come la Luiss, in ogni caso, vuole
dire molto di più che attirare studenti
da altri Paesi stringendo accordi
con le scuole straniere e facendosi
conoscere tra i neodiplomati. La Luiss
non è una semplice università, ma
piuttosto un gabinetto strategico che
rappresenta un ventaglio amplissimo
di stakeholder. Così, è normale che
altrettanto ampio sia il ventaglio delle
collaborazioni ai livelli più alti dell’impresa
e delle istituzioni pubbliche. “Oltre alla
tradizionale formazione degli studenti
siamo impegnati nell’aggiornamento e
nella specializzazione di top executive,
funzionari e manager pubblici per conto
LVIII
di governi esteri e corporation globali.
Parliamo di diplomatici, alti ufficiali delle
forze armate, amministratori di grandi
aziende che si rivolgono a noi per
arricchire ulteriormente un’expertise
già di per sé eccellente. ”Formare profili
di questo calibro produce una ricaduta
fondamentale: una comunità degli ex
alunni molto coesa e impegnata in una
preziosa opera di soft power in favore
dell’ateneo e dei suoi studenti passati,
presenti e futuri. Sono oltre 50.000 i
laureati Luiss attivi in organizzazioni
formali, una quota importante dei quali
all’estero. Fuori dal nostro paese sono
nove i chapter ufficiali: a Bruxelles,
Londra, Los Angeles, Lussemburgo,
New York, Parigi, Shanghai, Tel-Aviv
e Zurigo. Questi alumni partecipano
a conferenze, incontri, eventi di
orientamento, specializzazione e altro
ancora trasmettendo e perpetuando le
conoscenze e i valori che hanno appreso
in ateneo. “Uno dei nostri ex alunni più in
vista è Luca Maestri, CFO di Apple, ma gli
esempi potrebbero essere molti.
A ben vedere, sono proprio figure
come lui i nostri migliori ambasciatori”,
conclude Raffaele Marchetti. (MVG)
LIX
• “The aim is to become a global
university that, at the same time, has
deep roots in Italy. An institute that
valorises the unique cultural heritage
from which it originates, while at the
same time moving at the most important
levels on the international research and
development scene. It is a change in
pace that allows us, after having trained
a considerable proportion of Italy’s ruling
classes, particularly in the diplomatic
field, to also train the ruling classes of
other countries. We have already started
to move in this direction; There is already,
for example, a European country that
has two ambassadors - one in Italy
and one in Brussels - who graduated
here.” These are the words of Raffaele
Marchetti, a professor of International
Relations at the department of Political
Sciences at the Luiss and who, since
2018, has also held the post of deputy
rector for Internationalisation. Marchetti
is therefore the person responsible for
coordinating and guiding the articulated
process aimed at raising the Luiss to the
top of international rankings currently
dominated by Anglo-Saxon institutes.
While, until a few years ago, the Rome-
based university was solidly in line with
national benchmarks, it now measures
up to the best universities in the world,
bar none.
This process has been under way for
some time now and has seen a shift in
gear over the last four years under the
guidance of Rector Andrea Prencipe,
becoming a fundamental path to
strategic development, with all that this
entails in terms of economic investment
and more.
The undertaking has already seen
remarkable results, as confirmed by
global rankings, which see the Luiss
gaining ground at an extraordinary rate. In
2022, the more than 200 places gained
over the previous five years have raised
the institute to its current position among
the top 100 universities in the world for
the Social Sciences and Management
area according to the QS World
University Rankings by Subject. Law and
Business and Management are also in
the top 100, holding 82nd and 59th places
respectively. With regards to Political
and International Studies, the Luiss has
managed to arrive 22nd in the world and
number one in Italy.
These are figures that certify the
success of a process that involves all
aspects of the school, even those less
visible. “Becoming fully international calls
for the doubling up of an entire series of
student services, in linguistic terms and
beyond, that are far from secondary”,
explains Marchetti. “We have updated the
canteen menus to take into consideration
both requirements concerning religion
and the habits of other cultures, and we
have translated every single bureaucratic
document from technical-legal Italian
into simplified English, a task that is far
from easy. Another aspect is the delicate
theme of the medical and psychological
support that we offer students; playing
host to people from all over the world
obliges us to bear in mind the risks
related to cultural clashes, as well as the
focus we need to keep on young people
from situations of extreme poverty or
even war-torn areas.”
Beyond these important social
adaptations, education and research are
unavoidably the cornerstones of the new
international paradigm.
“Cultural pluralism provides an intrinsic
boost to academic results for both
students and the teaching staff”, says
Marchetti. “The first enjoy a cosmopolitan
environment that reflects the world in
which they will work and that provides
them with a varied range of stimuli, while
the latter are called on to recalibrate
their lessons on the basis of global
cultural references that involve people
from all corners of the world. This
principle is applicable to case histories,
literary citations, historical studies and
contemporary examples; the entire
didactic structure is rethought for an
audience that includes a considerable
proportion of people with a cultural
baggage and symbolic references that
differ greatly from our own.”
The Luiss is to all intents and purposes a
bilingual university. At the moment, more
than 50% of the degree courses are held
entirely in English.
Then there are the students. Some
doctorate courses are already attended
by a majority of foreigners, and the aim
of the Luiss is to bring the overall total of
international students to 20% by 2024.
The most popular courses for foreign
students include Political Sciences
and, in particular, the post-graduate

course in International Relations, the
new three-year course in Business
and Administration and the Master
in Management (ranked 53rd by the
Financial Times). “In general, requests
from abroad have risen in the last few
years form a few hundred to multiple
thousands”, continues professor
Marchetti. “Undoubtedly thanks to the
conceptual evolution of our institute
but also to the outstanding work of
the communication and marketing
department, with its work in orientation
and recruiting. We have a branch of the
Business School in Amsterdam and
representative offices in Brussels and
China. We are also leading a project for
the creation of an Italian-Azerbaijani
university in Baku, which sees the
involvement of another four Italian
institutions.” As well as participating in
a range of international research and
educational platforms, Luiss now offers
more than 50 double degrees, and last
February it finalised its first triple degree,
a unique course worldwide, called
ACE – which stands for America, China,
Europe – and that involves the George
Washington University in Washington
In queste pagine e in chiusura, il campus
di viale Romania. Sopra: un’area relax
davanti alla sede di Radio Luiss, l’emittente
dell’ateneo sorta nel 2006 e gestita
esclusivamente da studenti.
Sono circa 150 i ragazzi e le ragazze
impegnati nei due studi di registrazione.
Pagina a fronte: il Luiss Community garden.
Oltre che dagli studenti, è gestito anche
dagli anziani del quartiere ed è sede
del progetto Autistici e Giardinieri
assieme a facilitatori sociali.
Pagina di chiusura: un corridoio
al secondo piano
• These two pages and the closing page,
the Viale Romania campus.
Above: a relaxation area in front of the
home of Radio Luiss, the university
broadcaster founded in 2006 and
managed entirely by students. The two
studios employ around 150 students.
Opposite page: the Luiss Community
garden. It is managed not only by students,
but also by elderly people from the
area, and is the location of the Autistici
e Giardinieri project alongside social
facilitators.
Closing page: a second-floor corridor
DC and the Renmin University in Beijing.
The degree course will last for four years
and will allow students to gain three
Business titles and to live and study in
the two international capitals as well
as in Rome, with its unique charm and
history. All of this while paying enrolment
fees in just one country. The results
of the process of internationalisation
taking place in the Luiss appear even
more amazing if one considers that
the global education market is almost
completely monopolised by Anglo-Saxon
universities, particularly those in the USA
and the UK. In any case, internationalising
an institution such as the Luiss means
much more than attracting students from
other countries, forming agreements with
foreign schools and gaining visibility with
post-graduates. The Luiss is not simply a
university; it is a strategic think tank that
represents an extremely wide range of
stakeholders. Consequentially, the range
of collaborations with top level business
and public institutions is just as wide. “As
well as traditional educational activities
for students, we are also committed to
providing refresher and specialisation
courses for top executives, functionaries
LX
and managers in the public sector on
behalf of foreign governments and global
corporations” add Marchetti. “These
include diplomats, high officials from
the military and directors of large-scale
companies, who turn to us to further
enhance an already excellent level of
expertise.” Training profiles of this calibre
has a fundamental effect, creating a
highly compact community of ex-alumni,
who are involved in an extremely valuable
process of soft power for the university
and its past, present and future students.
There are more than 50.000Luiss
graduates currently active in formal
organisations, many of which are abroad.
There are nine official chapters outside
Italy; in Brussels, Los Angeles, London,
Luxembourg, New York, Paris, Shanghai,
Tel-Aviv and Zurich. These alumni take
part in conferences, meetings, orientation
events, specialisation courses and much
more, passing on and spreading the
knowledge and values that they learned
at the university. “One of our most highly
visible ex-students is Luca Maestri, the
CFO of Apple. In the end, figures like Luca
are our most important ambassadors”,
concludes Marchetti.
Inserto / Insert A cura di / Curated by Promosso da/Advertorial by
Università italiana Massimo Valz-Gris
visione globale /
An Italian university Testi / Texts
a global vision Walter Mariotti
Massimo Valz-Gris
Domus 1073 Novembre / November 2022
Fotografie / Photo
Promosso da / Advertorial by Courtesy Luiss
Luiss
Traduzioni / Translations
Daniel Clarke, Wendy Wheatley

Luiss.edu
 Allegato a Domus n. 1073 novembre 2022/Periodico mensile

New spaces for culture

I nuovi spazi per la cultura
TOTAL BIGLASS
Porta Total Biglass con cerniera a bilico. Anta con vetro trasparente
e profili metallici in finitura Brown. Boiserie modello Onda, finitura
Rovere terra. Boiserie in vetro effetto marmo Borghini Grey. www.garofoli.com
I DIARIO
Opinioni / Opinions
Tesori aperti e accessibili a tutti
Attraverso due interventi recenti, Migliore+Servetto
e Piovenefabi raccontano la loro idea di progetti
per gli spazi della cultura: aperti e partecipativi
With two recent projects, Migliore+Servetto
and Piovenefabi recount their conception of designs
for cultural spaces: open and participatory
Photos Daniele Molajoli
Allestire gli spazi della cultura oggi
non riguarda più solo l’aggiornamento
degli elementi d’arredo per migliorarne
l’estetica, ma – come ci spiegano
i progettisti Migliore+Servetto e
Piovenefabi – riguarda il ruolo stesso della
cultura nella vita civile.
“I luoghi della cultura non possono essere
concepiti come casseforti chiuse dove
custodire un tesoro, ma devono aprirsi,
diventare spazi partecipativi e accessibili,
organismi che producano contenuti e
che facciano venire voglia alle persone di
tornare”, spiega Ico Migliore, cofondatore
con Mara Servetto nel 1997 dell’omonimo
studio. “Gli spazi della cultura dovrebbero
essere piattaforme aperte di cui le
persone si possano appropriare. Per
avvicinare il mondo meraviglioso dei
musei alla vita quotidiana bisogna
ripensare la soglia, cioè gli accessi, le
biglietterie, gli ingressi e diventare luoghi
senza tempo che fondono le opere con lo
spazio pubblico”, racconta invece Ambra
Fabi, che con Giovanni Piovene ha dato
vita allo studio Piovenefabi, nel 2012-2013,
con doppia sede a Milano e Bruxelles.
I due studi hanno messo in pratica questa
attitudine, rispettivamente, nel progetto
d’interni dell’ultimo piano delle Procuratie
Vecchie in piazza San Marco a Venezia,
che ospita gli spazi aperti al pubblico della
fondazione The Human Safety Net (THSN)
del Gruppo Generali, e nel foyer della
French Academy a Villa Medici a Roma.
Dovendo confrontarsi con un’architettura
storica imponente e intoccabile, in
entrambi i casi i progettisti hanno scelto
un approccio su misura e leggero,
caratterizzato da elementi originali capaci
di raccontare una storia. Oltre al lavoro
di interior design puro hanno ritenuto
indispensabile integrare un progetto di
grafica e comunicazione che migliorasse
la fruibilità degli spazi.
Il brief per il progetto delle Procuratie
Vecchie era quello di trasmettere l’identità
della Fondazione che si occupa di temi
umanitari, come il supporto ai rifugiati e
alle famiglie senza reddito, creando uno
spazio multifunzionale che fosse anche
una “nuova casa per la città” con tanto di
auditorium, spazio dedicato agli eventi,
caffè, una biblioteca lounge e un’area
espositiva. Migliore+Servetto ha risposto
alla sfida cercando “un nuovo modo di
ospitare, un nido che possa essere fruito
più e più volte con ritmi diversi, in base
Testo / Text
Marianna Guernieri
a chi lo frequenta”, spiega Ico Migliore.
Nella pratica, lo spazio è stato uniformato
abbinando elementi su misura realizzati
da artigiani locali che richiamano la storia
di Venezia come tavoli in legno, specchi,
scaffali in rame e lampade in vetro, agli
arredi del made in Italy con sedute di
aziende quali De Padova, B&B Italia e
Pedrali. La sfida era confrontarsi con
l’architettura, rispettandola. Fondamentale
è stato il progetto della luce che non
ha previsto di oscurare nessuna delle
finestre, dando la possibilità a tutti di
godere della magnifica vista sulla città da
quell’altezza.
A Roma, invece, la French Academy
ha chiesto a Piovenefabi di ripensare
la hall d’ingresso senza intervenire
strutturalmente. Lo studio ha coinvolto
l’artista Simon Boudvin, con cui ha
studiato la scelta del colore e deciso
di creare un arredo multifunzione che,
grazie alle grandi ante di lamiera metallica,
servisse a dividere gli ambienti.
“Abbiamo chiamato il progetto Open
Hours, “ore aperte”, perché l’oggetto
si trasforma costantemente e riflette
gli orari del museo in termini spaziali”,
continua Fabi. Queste grandi porte,
domus Contract 2022
infatti, si aprono e chiudono a seconda
degli orari del museo, diventando un
filtro per i residenti della villa. Il progetto
è caratterizzato da pochi elementi: due
scaffali, due tavoli e una seduta, dove
si ripetono gli stessi motivi strutturali,
le forme e le proporzioni in maniera
“quasi ossessiva”, come spiega Ambra
Fabi. Il colore è il RAL 512, un azzurro
comunissimo che appartiene al catalogo
base dei prodotti industriali. In questo
modo, un colore popolare e accessibile è
entrato a fare parte dell’interno di una villa
antica, sofisticata e culturale in un gesto
simbolico di apertura.
In questa pagina: Open Hours, progetto
di Piovenefabi con l’artista Simon Boudvin
per l’atrio della Académie de France
di Villa Medici a Roma, 2021.
Gruppo di progettazione: Juliane
Seehawer, Marco Antonio Ghetti.
Pagina a fronte: progetto d’interni,
d’allestimento e multimediale di
Migliore+Servetto per l’ultimo piano
delle Procuratie Vecchie, dove hanno sede
gli spazi aperti al pubblico della
Fondazione The Human Safety Net (THSN),
che fa parte del Gruppo Generali, 2022
domus Contract 2022
Treasures open
and accessible to all
Designing cultural spaces today
is no longer just about updating
the furnishings to improve their
aesthetics. As the designers of
Migliore+Servetto and Piovenefabi
explain to us, it goes to the heart
of culture’s role in civil life.
“Places of culture cannot be
conceived as locked coffers
preserving treasure. They have to be
opened up, becoming participatory,
accessible spaces, organisations
that produce content and tempt
people to keep coming back,” explains
Ico Migliore, co-founder with Mara
Servetto in 1997 of their namesake
practice. “Cultural spaces need to
be open platforms that people can
appropriate. To bring the wonderful
world of museums closer to everyday
life, we have to rethink the threshold,
meaning entrances, atriums and ticket
counters, so they become timeless
places that merge the exhibits
with public space,” says Ambra Fabi,
who together with Giovanni Piovene
established the Piovenefabi studio,
in 2012-2013, with offices in Milan
and Brussels.
The two firms have put this philosophy
into practice, respectively in the
interior design of the top floor of the
Procuratie Vecchie in Saint Mark’s
Square in Venice, which hosts the
publicly accessible spaces of the
Generali Group’s The Human Safety
Net (THSN) foundation, and in the
foyer of the French Academy at
Villa Medici in Rome. Appointed to
deal with stately and unalterable
historical architecture, in both cases
the designers opted to work with a
sartorial approach and a light touch,
devising original features capable
of telling a story.
In addition to the work of pure interior
design, they felt it was essential
to incorporate a graphic and
communication project to create
user-friendly spaces.
The brief for the Procuratie Vecchie
was to express the identity
of the foundation, which deals
with humanitarian issues by assisting
refugees and families without means
of support. This design requirement
was to be fulfilled by creating a
multifunctional space that would also
serve as a “new home for the city”,
complete with an auditorium, a space
for events, cafes, a lounge library and
an exhibition area. Migliore+Servetto
responded by looking for “a new
form of hospitality, a nest that could
be enjoyed endlessly with varied
rhythms to suit whoever uses it,”
explains Migliore. In practice, the
space was harmonised by using
customised elements made
by local craftworkers evoking the
history of Venice,
such as wooden tables, mirrors,
copper shelving and glass lamps.
These were combined with made-
in-Italy furnishings and seating by
DIARIO II
companies such as De Padova, B&B • Opposite page: Open Hours, designed
Italia and Pedrali. The challenge was by Piovenefabi with artist Simon Boudvin
for the atrium of the Académie de France
to work with the architecture, while at Villa Medici in Rome, 2021.
respecting it. The lighting design was Design team: Juliane Seehawer,
crucial, with none of the windows Marco Antonio Ghetti. This page: interior,
being closed up, thereby allowing exhibition and multimedia design project
by Migliore+Servetto for the top floor
everyone to enjoy magnificent views of the Procuratie Vecchie, with spaces
of the city from this height. open to the public of The Human Safety
In Rome, meanwhile, the French Net (THSN) foundation, part of the
Academy asked Piovenefabi to Generali Group, 2022
rethink their entrance hall without
altering it structurally. The architects
brought in the artist Simon Boudvin.
Together they studied the colour
scheme and decided to create
multifunctional furnishings with large
sheet-metal doors that can be used
to divide up the interiors.
“We called the project Open Hours,
because the object keeps morphing
continually to reflect the museum’s
schedule in spatial terms,” says
Fabi. These large doors open and
close depending on the museum’s
timetable, serving as a filter for
residents of the villa. The project is
characterised by few elements: two
shelves, two tables and a seat, where
the same structural motifs, forms
and proportions are repeated “almost
obsessively”, as Ambra Fabi explains.
The colour is RAL 512, a common light
blue belonging to the basic catalogue
of industrial products. In this way,
a popular and accessible colour
has become part of the interior
of an age-old and sophisticated
cultural villa in a symbolic gesture
of openness.
Photos Andrea Martiradonna
III DIARIO
Stili di vita / Lifestyles
Soluzioni per la casa
che parlano un linguaggio smart
Che si tratti di un appartamento in vendita
o di uno in affitto, oggi, la richiesta è di
essere smart: garantire, cioè, tutti quei
servizi, come per esempio il lavoro o lo
studio da remoto, che sono diventati
strumenti quotidiani dopo la pandemia.
Senza però rinunciare al proprio appeal.
Ed è proprio osservando questa
evoluzione che è nata l’idea di Livinwow:
il primo innovation center del design
creato dai fondatori di Milano Contract
District per rispondere alla crescente
domanda di nuovi concept di interni,
destinati ai giovani abitanti metropolitani
(dalla generazione X ai millennial). Un
laboratorio creativo, nel cuore di Milano,
che si sviluppa su una superficie di oltre
450 m2, in via Archimede 4, con una
logica B2B2C. Cosa offre esattamente
Photos courtesy of Livinwow
Livinwow? “Il design model di Livinwow”,
spiega Lorenzo Pascucci, fondatore di
Milano Contract District, “è una risposta
coerente a una visione innovativa di
casa. L’ambiente domestico deve oggi
essere disegnato sulla base di servizi
e mood board progettuali evoluti, ben
allineati con i cambiamenti che stanno
rivoluzionando la società moderna
e il modo di vivere la casa. Abbiamo
prestato particolare attenzione alle
sollecitazioni e agli insight derivanti dal
mondo “fuori casa” per tradurli in un
domestic lifestyle capace di rispondere
alle mutate necessità funzionali arrivate
con il periodo pandemico: smart
working, conferenze da remoto, DAD e
home-learning, maggiore sostenibilità
e crescente richiesta di spazi di vita
Testo / Text Marina Jonna
all’aperto. Tutto ciò si è tradotto in progetti
d’interni e di spazi outdoor vivibili a 360°,
in cui le soluzioni per gli spazi domestici
parlano per la prima volta un linguaggio
smart”. LivinWow è concepito come uno
spazio phygital: all’interno si snodano
differenti proposte da toccare con mano,
ma è possibile personalizzare le proprie
scelte con supporti video e visite virtuali.
Le soluzioni si adattano ad appartamenti
di ogni dimensione con un’attenzione
particolare a creare un dialogo tra
interno ed esterno, fulcro progettuale
delle abitazioni più moderne. Infine, il
claim “easy&fun” riassume un’offerta
di qualità a prezzi accessibili. Livinwow
si rivolge agli operatori immobiliari ma,
nel prossimo futuro, l’idea è raggiungere
anche il consumatore finale.
domus Contract 2022
Home solutions that speak
a smart language
Whether it’s an apartment for sale or for
rent, today the demand is to be smart:
to guarantee all those services, such
as distance working or study, that have
become everyday essentials since
the pandemic. But without giving up
on appeal. Awareness of this evolution
gave rise to the idea of Livinwow, the first
design innovation centre established by
the founders of Milano Contract District
to respond to the growing demand for
new interior concepts, especially for
young metropolitan inhabitants (from
Generation X to millennials). This creative
laboratory in the heart of Milan covers
an area of over 450 square metres at Via
Archimede 4, with a B2B2C logic. Exactly
what does Livinwow offer? “Livinwow’s
design model is a coherent response
to an innovative vision of the home,”
explains Lorenzo Pascucci, founder
of Milano Contract District. “Today’s
domestic environment has to be planned
on the basis of advanced services and
design mood boards, closely matching
the changes revolutionising modern
society and the way people live at home.
We’ve paid particular attention to the
requirements and insights deriving from
the world ‘outside the home’, translating
them into a domestic lifestyle capable
of responding to the changed functional
needs that arrived with the pandemic.
This means smart working, remote
conferencing, distance learning and
home learning, greater sustainability
and a growing demand for outdoor living
spaces. All this has been translated into
the designs of interiors and outdoor
spaces for all-round living, in which home
living solutions are speaking a smart
language for the first time.” Conceived
as a phygital space, Livinwow offers a
wide range of solutions to be explored
at first hand, with choices that can be
customised with video supports and
digital virtual tours. The solutions are
suited to apartments of all sizes, with
particular care to create a dialogue
between inside and outside, the design
fulcrum of the most modern homes.
Finally, the “easy&fun” motto sums up
a quality offering at affordable prices.
Livinwow is now targeting real estate
operators, but in the near future it aims to
reach final consumers as well.
In questa pagina: soluzioni di arredo di
Livinwow che si avvale della collaborazione
di oltre 20 aziende leader nel settore del
design per offrire un progetto di arredo di
alto livello e made in Italy a costi accessibili
• This page: Livinwow works with over 20
leading companies in the design sector
to offer a furnishing project created
with high-level brands and made in Italy
at affordable costs
 Wild Wonder

Interpon
Colore
dell'Anno
2023
architectural.interpon.com/it
IV DIARIO
Ceramica / Ceramics Testo / Text Marina Jonna
De Maio e Van Gogh:
superfici d’autore
Van Gogh era affascinato dalla natura
e, in particolare, amava dipingere i fiori:
pennellate decise che definivano una
mescolanza di tonalità uniche, ravvivate
da riflessi di luce inaspettati.
Ceramica Francesco De Maio ha
deciso di celebrare il grande artista
trasformando alcuni suoi celebri dipinti
in superfici ceramiche dall’aspetto
unico. Prendono così vita una
collezione di maioliche decorate a
mano, dalla superficie liscia e vellutata,
caratterizzate da colori vibranti che
rievocano alcuni dei suoi capolavori
accuratamente selezionati insieme
al Museo Van Gogh, come Ramo di
mandorlo fiorito, Girasoli, Susino in
fiore, Vaso di gladioli e astri cinesi, Iris,
Autoritratto con cappello di paglia.
Un risultato raggiunto dopo ben tre
anni d’intenso lavoro dove i tecnici
di laboratorio, i grafici e i maestri
decoratori all’interno dell’azienda hanno
dato il massimo per ricreare i colori
intensi e i decori che potessero far
rivivere sulla ceramica i celebri dipinti.
La sapiente sintesi resa possibile dalla
maestria dell’azienda salernitana ha
portato a superfici avvolgenti, capaci
Photos © Ceramica Francesco De Maio x Van Gogh Museum® / Girasoli – Sunflowers © Van Gogh Museum®
di ricreare la magia delle atmosfere
naturali che hanno ispirato il celebre
pittore. Un risultato unico anche da un
punto di vista tecnico: gli smalti pregiati
sono antigraffio, le terrecotte smaltate
sono resistenti e durature, anti-umidità
e con un’alta resistenza al calore e agli
agenti aggressivi. Le piastrelle, di 53 x 53
cm con possibilità di pannelli su misura,
sono in bicottura decorate a mano e,
su richiesta, sono disponibili anche in
cotto fatto a mano, Grès Maiolicato®
e antiscivolo R10 (questi ultimi sono
particolarmente resistenti agli sbalzi di
temperatura). “Prima sogno i miei dipinti,
poi dipingo i miei sogni.”, così scriveva
Van Gogh al fratello Theo. Un sogno
che oggi viene riproposto da Ceramica
Francesco De Maio per impreziosire
pareti e pavimenti interni ed esterni.
In alto: il quadro Girasoli di Vincent Van
Gogh ispira le maioliche decorate a mano
di Ceramica Francesco De Maio realizzate
in colleborazione con il Museo Van Gogh
di Amsterdam. A sinistra: Collezione Van
Gogh, Girasoli 20 x 20 cm, fondo giallo.
A destra: Collezione Van Gogh, Fiori di
mandorlo, 53 x 53 cm, fondo verde
•Above: Vincent Van Gogh’s painting
Sunflowers inspired Ceramica
Francesco De Maio’s hand-decorated
majolica tiles created with the Van Gogh
Museum in Amsterdam. Left: Van Gogh
Collection, Sunflowers 20 x 20 cm,
yellow background. Right: Van Gogh
Collection, Almond Blossom, 53 x 53 cm,
green background
domus Contract 2022
De Maio and Van Gogh:
fine art surfaces
Van Gogh was fascinated by nature and
loved painting flowers, using confident
brushstrokes to mix unique shades of
colour enlivened by unexpected gleams
of light. Ceramica Francesco De Maio
is celebrating the great artist by turning
some of his exquisite works into unique
ceramic surfaces. In this way, a collection
of hand-decorated majolica tiles comes
to life with smooth, velvety surfaces
finished in vibrant colours evoking some
of his masterpieces, carefully selected
with the Van Gogh Museum. Examples
are Almond Blossom, Sunflowers,
Flowering Plum Orchard, Vase with
Gladioli and Chinese Asters, Irises and
Self-Portrait with a Straw Hat. It is the
outcome of three years’ work, in which
the company’s lab technicians, graphic
designers and master decorators strived
to recreate the glowing colours and
patterns of the well-known paintings,
bringing them to life on tiles.
The skilful synthesis enabled by the
mastery of the Salerno-based firm has
created enveloping surfaces that convey
the enchanting natural atmospheres
that inspired the painter.
The result is also technically unique.
The fine enamels are scratch-proof, and
the enamelled terracotta is durable,
damp-proof, and offers high resistance
to heat and aggressive agents.
Measuring 53 x 53 centimetres and
with personalised formats also available,
the hand-decorated double-fired
tiles come on request in handmade
terracotta, Majolica Grès® and non-slip
R10 (the latter being particularly
resistant to sudden temperature
changes). “I dream of painting then
I paint my dreams,” Van Gogh wrote
to his brother Theo. Now the dream
is revived by Ceramica Francesco
De Maio, to embellish walls and floors
indoors and out.
 domus Contract 2022
Nuovi classici / New classics
Una Superleggera
impilabile per il contract
“Bisognerebbe chiamare Sergio per
parlare della Bixia e poi, per ordine di
importanza, Benedetto, e alla fine io”, dice
con un sorriso Matteo Thun. Sergio è
l’artigiano che ha seguito il progetto della
nuova sedia per la divisione Cassina
Custom Interiors e che ha alle spalle
40 anni di lavoro nella falegnameria
dell’azienda, Benedetto Fasciana è il
codesigner. Questa battuta introduce
il tema dell’importanza della messa a
sistema di competenze diverse e di alta
specializzazione che ha fatto la fortuna
del made in Italy e che gioca il suo ruolo
ancora oggi. “L’Italia vive di eccellenze
artigianali, senza le quali non c’è il
progresso digitale, che parte sempre
da lì, che si disegni una sedia, una nave
o una luce”. La Bixia nasce da un’idea
ben precisa: ideare una Superleggera
impilabile per ambienti contract. “Era il
nostro riferimento. A chi non piace, del
resto? È bella, funziona ovunque ed
è timeless”. Leggerezza e impilabilità
erano gli obiettivi tecnici, raggiunti con
il sapere artigiano e le tecnologie oggi
a disposizione che hanno consentito
di realizzare sezioni molto complesse
senza ricorrere a traversi. “La struttura
è nervata”, interviene Benedetto, “con
molti cambi di sezione che non si
facevano ai tempi di Ponti”. La Bixia pesa
appena tre etti più della Superleggera, è
un’evoluzione in chiave contemporanea
del linguaggio di quel periodo storico. Poi
c’è anche attenzione all’ergonomia e al
comfort, tra i requisiti più importanti di un
prodotto contract, e la customizzazione,
con quattro tipi di sedute. Nasce anche
da un lavoro pregresso dei due designer
sulla mamma della Superleggera, la
Chiavarina. È una “sedia silenziosa”,
nelle parole di Thun, che si amalgama
in qualsiasi contesto e che si affianca
bene ai classici. “Senza la capacità di chi
conosce i 15 anni che ci sono voluti a Gio
Ponti per definire la Superleggera non
sarebbe certo nata la Bixia, ma neppure
senza un programma digitale a 5 assi.
© Matteo Thun & Partners
Disegni e tre versioni di Bixia, design
Matteo Thun e Benedetto Fasciana per
Cassina Custom Interiors. Impilabile, ha
un’esile struttura a X formata da due
componenti in legno massello di frassino
che si intersecano sotto la seduta
prolungandosi fino a dare forma allo
schienale. Seduta in paglia di Vienna o in
legno multistrato di betulla impiallacciato
frassino o con imbottitura in poliuretano
con rivestimento in pelle o in tessuto
Testo / Text Loredana Mascheroni
• Drawings and three versions of Bixia,
designed by Matteo Thun and Benedetto
Fasciana for Cassina Custom Interiors.
A stackable chair, it has a slender X-shaped
frame formed by two struts in solid ash
wood that intersect beneath the seat and
are extended to shape the backrest.
The seat is available in woven Vienna straw
or birch plywood veneered with ash
or with polyurethane padding with leather
or fabric upholstery
DIARIO V
A stackable Superleggera
for the contract sector
“You should call Sergio to talk about
Bixia, and then, in order of importance,
Benedetto, and finally me,” smiles
Matteo Thun. Sergio is the craftsman
who oversaw the design of the new
chair for Cassina Custom Interiors, with
40 years’ experience in the company’s
carpentry shop, and Benedetto Fasciana
is the co-designer. Thun’s comment
signals the importance of uniting highly
specialised skills that have made the
fortune of Italian design and still play
their part today. “Italy thrives on its craft
excellence, without which there’s no
digital progress. It always starts from this,
whether you’re designing a chair, a ship
or a lamp.” Bixia arose from a specific
idea: to design a stackable Superleggera
for the contract sector. “It was our frame
of reference. Who doesn’t like it, after
all? It’s beautiful, it works anywhere and
it’s timeless.” Lightness and stackability
were the technical goals, achieved
with artisan know-how and today’s
technology, making it possible to create
complex sections without crosspieces.
“The structure is ribbed,” adds Benedetto,
“with many changes of section that you
couldn’t do in Ponti’s day.” Weighing just
300 grams more than the Superleggera,
the Bixia is a contemporary evolution
of that period’s style. Then there’s its
attention to ergonomics and comfort,
among the most important features in
a contract product, and a customised
range offering four types of seats. It’s a
“silent chair”, in Thun’s words, blending
into any setting and looking good beside
the classics. It grew out of earlier work
by the two designers on the mother
of the Superleggera, the Chiavarina.
“Without the skills of those who know the
15 years it took Gio Ponti to design the
Superleggera, Bixia would never have
been made, but neither without five-axis
digital machining.”
© Matteo Thun & Partners
VI DIARIO
Illuminazione / Lighting
La nuova luce della più grande
biblioteca barocca d’Europa
La Österreichische Nationalbibliothek
(la Biblioteca Nazionale Austriaca)
è la più grande biblioteca barocca
d’Europa. Voluta da Carlo VI d’Asburgo,
è stata realizzata fra il 1723 e il 1737
su disegno di uno dei più influenti
architetti dell’epoca: Johann Bernhard
Fischer von Erlach, assieme al figlio
Joseph Emanuel. Da pochi mesi, nello
scalone d’onore e nella Prunksaal,
cuore dell’edificio, è stato rivisitato il
sistema d’illuminazione. Concepito da
Helmut Regvart, fondatore dello studio
viennese LDA, in collaborazione con
l’azienda veneta Linea Light Group, il
progetto mira a esaltare la teatralità
dello spazio monumentale integrandosi
quanto più possibile all’architettura.
In particolare, il Salone di Gala, detto
anche Sala Magnifica, si caratterizza
per un impianto circolare con pareti
rivestite con scaffalature di legno
e un ricco apparato scultoreo e
ornamentale che culmina nella cupola
affrescata da Daniel Gran.
Il nuovo progetto illuminotecnico
prevede l’utilizzo di apparecchi LED
altamente performanti, tra cui i
proiettori Navata Optus, il modello
Optus_W2 a parete, gli elementi
lineari High Protection in versione
custom e la serie Periskop. I grandi
proiettori utilizzati in precedenza sono
stati sostituiti non solo per fornire
un’illuminazione più abbondante
e integrata, ma anche per garantire
la resa cromatica, l’esaltazione di colori
e di dettagli, nonché l’ottimizzazione
dei costi.
Testo / Text Giulia Ricci
In alto, da sinistra: la Sala Magnifica con
la scultura di Carlo VI; schemi tecnici del
sistema d’illuminazione dello Scalone
d’Onore. Sopra, da sinistra: gli apparecchi
High Protection di Linea Light Group
enfatizzano le storiche scale a chiocciola;
dettaglio delle scaffalature lignee che
rivestono la biblioteca, con i proiettori
Navata Optus. A sinistra: dettaglio dello
scalone d’onore barocco che conduce
alla Sala Magnifica
• Top, from left: the State Hall with
the sculpture of Charles VI; technical
diagrams of the lighting system in the
imperial staircase. Above, from left: Linea
Light Group’s High Protection luminaires
provide accent lighting in the historic spiral
staircases; a detail of the wooden shelving
on the library walls, with the Navata Optus
projectors. Left: detail of the baroque
grand staircase leading to the State Hall
domus Contract 2022
New light in Europe’s largest
baroque library
The Österreichische Nationalbibliothek
(Austrian National Library) is Europe’s
largest baroque library. Commissioned
by the Habsburg ruler Charles VI, it was
built between 1723 and 1737 to a design
by one of the most influential architects
of the day: Johann Bernhard Fischer
von Erlach together with his son Joseph
Emanuel. A few months ago, the lighting
system was overhauled in the imperial
staircase and the Prunksaal, the heart of
the building. Devised by Helmut Regvart,
founder of LDA in Vienna, in collaboration
with the Venice-based Linea Light Group,
the project enhances the theatrical
qualities of this monumental space by
integrating the lighting as far as possible
with the architecture. In particular, the
State Hall (also called the Imperial Hall)
is characterised by its circular form with
walls lined with wooden shelving and
a wealth of sculptural and ornamental
decorations culminating in the dome
frescoed by Daniel Gran. The new
lighting project involves the use of high-
performance LED luminaires, including
Navata Optus projectors, wall-mounted
Optus_W2 projectors, High Protection
linear elements in a customised version
and Periskop projectors. The large
floodlights used previously were replaced
not only to provide more abundant and
better-integrated lighting, but also to
ensure more faithful chromatic rendering,
enhanced colours and details, as well as
optimising costs.
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VII DIARIO
Talenti / Talents
Una lezione da un nobile passato
per arredare il futuro
Morbidi, soffici, geometrici: vien da
definirli così gli arredi della collezione
BD15 progettati da Andrea Pezzoli e
Giulia Urciuoli e prodotti da Equilibri-
Furniture. La struttura in sottile tubolare
di metallo verniciato sostiene sedute e
schienali imbottiti e ricoperti di velluto di
diversi colori. Pezzoli (nato a Bergamo,
classe 1983) e Urciuoli (veronese, classe
1982) confessano di essersi ispirati allo
stile rigoroso ed elegante dei grandi
maestri milanesi come Gio Ponti e
Franco Albini, ma l’impressione che se ne
ricava è non solo di grande freschezza
e leggerezza, ma anche di assoluta
modernità: sono sedute che conservano
l’impronta di una lezione che viene da
un nobile passato, ma che potrebbero
benissimo arredare il futuro. Progettate
inizialmente per la ristrutturazione di
un bistrot milanese all’interno di un
teatro di quartiere abbandonato in
via Bodoni 15 (da cui la sigla BD15),
le sedute hanno subito nel corso del
tempo un’evoluzione significativa: nate
come pezzi unici in legno, a cavallo fra
alto artigianato e lucida ricerca estetica
e formale, sono poi passate a una
produzione a tiratura limitata, con pochi
prototipi e una struttura con sole tre
gambe. Una tiratura così limitata – come
riconoscono gli stessi designer – frenava
la ricerca dell’innovazione necessaria a
ottimizzare i processi e ad abbassare
i costi di produzione e di vendita.
Così, assieme all’azienda produttrice, i
designer hanno rivisto tutto il processo
produttivo: per le sedute è stata
ristudiata la geometria delle gambe,
portando a quattro i punti d’appoggio; è
stato poi ottimizzato l’uso dei materiali
e del metallo, e sono state progettate
altre combinazioni e, soprattutto, altri
formati aperti al mercato contract.
Il risultato è una soluzione d’arredo
semplice e minimale, che alla praticità e
alla leggerezza unisce una dimensione
estetica che dialoga creativamente con
la contemporaneità.
domus Contract 2022
Testo / Text Silvana Annicchiarico Foto / Photos Riccardo Giancola
A lesson from a noble past Sopra, da sinistra: Andrea Pezzoli e Giulia
for furnishing the future Urciuoli, fondatori di co.arch studio;
imbottitura e schienali della serie BD15
L, prodotta da Equilibri-Furniture, sono
Soft, silky and geometric: these semisfere imbottite e rivestite di tessuto;
words naturally spring to mind when divanetto a due posti. A destra: lo sgabello
describing the furnishings in the BD15 alto. Sotto: la seduta singola
collection designed by Andrea Pezzoli
and Giulia Urciuoli and produced by
• Top, from left: Andrea Pezzoli and Giulia
Urciuoli, founders of co.arch studio; the
Equilibri-Furniture. The padded seats padding and backrests of the BD15 L
and backrests upholstered in velvet of series, produced by Equilibri-Furniture, are
padded hemispheres upholstered in fabric;
different colours rest on slender painted the two-seat sofa. Right: the high stool.
tubular metal supports. Pezzoli (born in Below: the single-seat chair
Bergamo in 1983) and Urciuoli (born in
Verona in 1982) draw inspiration from the
rigorous and elegant style of Milanese
masters such as Gio Ponti and Franco
Albini. But the impression they convey is
not just of great freshness and lightness,
but also absolute modernity. These seats
preserve the imprint of a lesson from a
noble past, yet they could easily serve
to furnish the future. Initially designed
for the renovation of a bistro in Milan in
a disused neighbourhood theatre at
Via Bodoni 15 (hence the initials BD15),
with time the seating has undergone
significant development. At first the
seats were one-off wooden pieces,
uniting high craftsmanship with lucid
aesthetic and formal research. They
then switched to a limited edition, with
few prototypes and a structure with just
three legs. As the designers recognise,
the limited edition impeded the search
for innovation needed to optimise
processes and reduce production and
sales costs. Accordingly, they worked
with the manufacturer to review the
whole production process. The geometry
of the legs was redesigned to give four
points of support; the use of materials
and metal was then optimised, and they
designed other combinations and above
all new formats appealing to the contract
market. The result is a simple, minimalist
furnishing solution, combining practicality
and lightness with an aesthetic that
engages in a creative dialogue with
contemporary living.
VIII DIARIO
Musei / Museums
Una panca essenziale in dialogo
con il presente e la storia del luogo
Sopra: la panca disegnata da Pierre
Charpin e prodotta da Tectona Paris
per Plateforme 10, Losanna. È stata
pensata appositamente per dialogare
con l’architettura algida e minimale di
Aires Mateus. Sotto, da sinistra: schizzo
concettuale di Charpin; il design delle
panche nasce dall’idea delle traversine in
legno dei binari ferroviari (qui in una foto
d’epoca), rievocando la storia del luogo;
dettaglio della base della panca
© Pierre Charpin
• Above: the bench designed by Pierre
Charpin and produced by Tectona Paris for
Plateforme 10 in Lausanne was designed
specially to engage with Aires Mateus’s
frozen minimalist architecture. Below,
from left: a conceptual sketch by Charpin;
the design of the benches was inspired
by the idea of the wooden sleepers of
railway lines (seen here in a vintage photo),
recalling the history of the place; detail of
the base of the bench
Testo / Text Valentina Croci
Un edificio dall’estetica pura, introverso,
caratterizzato dalla finestra a nastro
segmentata che taglia la cortina in
cemento. È l’opera dello studio portoghese
Aires Mateus, pensato per esporre
e conservare in circa 14.000 m2 la
vastissima collezione del Photo Elysée
e del MUDAC, il Museo cantonale delle
arti applicate e del design. È l’ultimo
capitolo della riqualificazione dell’ex-
scalo ferroviario di Losanna che ha visto,
con il recente Museo cantonale delle
Belle Arti progettato dallo studio Barozzi
Veiga, la creazione della cittadella per
l’arte Plateforme 10. Nel progetto di Aires
Mateus la sovrapposizione tra i due musei
– il Photo Elysée in basso e il MUDAC in
alto – definisce un vuoto centrale che
accoglie tutte le funzioni pubbliche:
caffetteria, libreria, reception, servizi
igienici, auditorium e un ampio giardino
interno. Nelle aree espositive, progettate
all’insegna della flessibilità, Pierre Charpin
disegna per Tectona Paris una panca
composta da tavole in massello di rovere
a lunghezza variabile, ricca di dettagli
strutturali ma semplice alla vista. Dal
sedile continuo e senza schienale, la
panca è stata pensata appositamente
per dialogare con l’architettura algida e
minimale di Aires Mateus, per giustapporre
la sua geometria elementare al gioco
prospettico di linee e di volumi pieni che
caratterizza le sale espositive. Non è
casuale la scelta del brand francese,
specializzato nell’arredo outdoor, in
quando già produttore di svariate sedute
museali, tra cui le panche Grande Écurie-
Versailles per il Museo di Versailles, le
Muse per il Museo Nazionale Picasso e le
Glenwood per il parco del Museo Rodin.
È invece peculiare il metodo adottato
dalle istituzioni museali che hanno invitato
l’azienda a organizzare un concorso
interno che ha visto coinvolti cinque
professionisti. La panca di Charpin, scelta
all’unanimità, è stata successivamente
editata e prodotta da Tectona Paris in
esclusiva per Plateforme 10.
domus Contract 2022
Foto / Photos Daniela Droz,
Tonatiuh Ambrosetti
A minimalist bench engages
with the present and the
history of the place
A pure, introverted building characterised
by a segmented ribbon window cutting
across the concrete facade, the work
of Portuguese practice Aires Mateus
was designed to exhibit and preserve
in some 14,000 square metres the
immense collection of the Photo Elysée
and MUDAC, the Cantonal Museum of
Contemporary Design and Applied Arts. It
is the latest redevelopment of Lausanne’s
disused railway junction, leading, with the
recent Cantonal Museum of Fine Arts
designed by Barozzi Veiga, to the creation
of the Plateforme 10 citadel of art. In Aires
Mateus’s project, the layering of the two
museums – with Photo Elysée below and
MUDAC above – defines a central void
housing the public functions: cafeteria,
library, reception, toilets, auditorium and
an internal garden. In the exhibition areas,
conceived with flexibility in mind, Pierre
Charpin has designed a bench for Tectona
Paris consisting of solid oak boards of
variable lengths. Rich in structural details
but simple to the eye, it is a continuous
backless seat that engages with
Aires Mateus’s minimalist architecture,
juxtaposing its elementary geometry
with the interplay of lines and solid
volumes that characterise the exhibition
halls. The choice of the French brand
specialised in outdoor furniture was no
coincidence, as it already makes various
lines of museum seating, including the
Grande Écurie-Versailles benches for the
Château de Versailles, the Muse bench
for the Musée National Picasso, and the
Glenwood for the park of the Musée Rodin.
The method adopted by the museums
was unusual. They invited the company to
organise a competition in-house between
five professional designers. Chosen
unanimously, Charpin’s bench was then
edited and produced by Tectona Paris
exclusively for Plateforme 10.
domus Contract 2022 DIARIO IX

Testo / Text Loredana Mascheroni

Materiali / Materials Foto / Photos Berto Poli

Contaminazioni materiche
tra artigianato e industria
La Casa di Pietra che Gabriele Pardi e Material fusions between
Laura Fiaschi di Gumdesign realizzarono craft skills and industry
per Marmomac nel 2014 è la base
di partenza del nuovo progetto per The Casa di Pietra (“Stone House”) that
Savema che ha esordito quest’anno, Gabriele Pardi and Laura Fiaschi of
sempre alla fiera veronese, con cinque Gumdesign created for Marmomac in
proposte che rappresentano solo la 2014 was the starting point for their new
punta dell’iceberg di un progetto molto project for Savema that made its debut
articolato, non solo di prodotto. Era nata this year, again at the Verona trade fair.
per recuperare le piccole storie italiane The five collections they presented are
di artigianato virtuoso e aveva portato just the tip of the iceberg of a highly
alla realizzazione di una serie di oggetti di articulated project, not just a product.
marmo unito ad altri materiali, oltre che Created to recover Italian stories of
a costituire una rete di artigiani, ognuno virtuous craftsmanship, it has led to the
con le sue peculiarità e sensibilità creation of a series of marble objects
su un materiale e una tecnica, che è combined with other materials. It also
stata messa a sistema per Savema. involved the formation of a network
“Abbiamo costruito un’enciclopedia of artisans who each have specific
territoriale”, racconta Gabriele Pardi, “che sensibilities and skills with a material
ci è servita per contaminare le lastre and technique, united into a synergy
di marmo Arabescato di Corchia che for Savema. “We compiled a territorial
si estraggono nella cava dell’azienda encyclopaedia,” says Pardi, “and used
con cinque materiali differenti, in questa it to combine the Arabescato Corchia
prima parte del progetto frutto della marble slabs from the company’s
nostra art direction”. Tutte applicazioni quarries with five different materials.
che si potranno naturalmente fare It’s the first stage in the project
anche su altre varietà di marmi. Le resulting from our art direction.” All the
prime collezioni di Integram introducono applications can also use other varieties
inserti di pelle conciata al vegetale, legno of marble. The first Integram collections
intarsiato, sughero naturale e tostato, introduce inserts made from vegetable-
ottone acidato e salice intrecciato. Sono tanned leather, inlaid wood, natural and
pensate per i settori della ricettività e toasted cork, etched brass and woven
dell’ospitalità, oltre che il residenziale, willow, designed for the hospitality and
per progetti più sartoriali rispetto a hotel sectors as well as residential
quelli per i grandi studi di architettura a uses, creating more sartorial projects
cui l’azienda collabora. A queste prime than those for the major architectural
contaminazioni ne seguiranno altre che firms that Savema works with. These
coinvolgeranno diversi creativi chiamati first fusion projects will be followed
a interpretare questo nuovo “codice by others involving different creatives
genetico”. Le lastre sono maneggevoli, who will be invited to interpret this new
dato che la loro dimensione standard è “genetic code”. With a standard size of
di 75 x 100 cm, ideale per un’applicazione 75 x 100 centimetres, the easy-to-handle
agevole sulle superfici verticali con slabs are ideal for simple application to
scarti minimi di posa in opera. “Sempre vertical surfaces with minimal waste
nella direzione di ridurre gli sprechi during installation. “The decision to use
del materiale, e i costi energetici di smaller slabs that are joined to produce
produzione, va la scelta di utilizzare lastre the standard format is also aimed at
più piccole che vengono accoppiate per reducing waste material and energy
produrre il formato standard”. costs of production.”
In questa pagina: quattro proposte
della collezione Integram Superfici
d’architettura, design Gumdesign per
Savema. Materiali naturali come pelle
conciata al vegetale, legno intarsiato,
sughero naturale e tostato, ottone acidato
e salice intrecciato sono combinati al
marmo Arabescato del Corchia delle
cave di Savema, lavorato con numerose
tecniche e tecnologie

• This page: four proposals from the

Integram Superfici d’architettura collection
by Gumdesign for Savema. Natural
materials such as vegetable-tanned
leather, inlaid wood, natural and toasted
cork, etched brass and woven willow are
combined with Arabescato Corchia marble
from Savema’s quarries, worked with a
wide range of techniques and technologies
Storie di trame e orditi Un catalogo minimal dall’elegante copertina nera
opaca in carta uso mano racconta i 70 anni di Radici,
Tales of warp and weft dalla nascita nel 1950 per mano di Pietro Radici, che
inizia a produrre tappeti raffinati e tessuti con telai
jacquard, all’affermazione sullo scenario internazionale
e alla creazioni di divisioni specializzate. Al racconto
dei valori, della qualità, delle materie prime, dei
processi e delle tecniche di lavorazione, illustrate
dalle immagini di Francesca Ferrari scattate negli
stabilimenti di Cazzano Sant’Andrea, seguono stanze,
campiture monocromatiche e superfici materiche che
presentano Stories, la nuova capsule collection di Chiara
Andreatti. La grafica, essenziale e misurata, non
prevarica mai i prodotti, ed è curata dallo stesso studio
della designer, che ha così realizzato un racconto
coerente dell’eccellenza di un’azienda dal forte know
how artigianale e dalle “piccole opere tessute che
possono nascere quando si incontrano trame e orditi”.

MARKET NEWS
AGC GLASS EUROPE
FERREROLEGNO
EDILPIÙ
LAUFEN
FIMA CARLO FRATTINI
FINSTRAL
QUADRIFOGLIO
NEOLITH
PRATIC
PORCELANOSA GRUPO

•A minimalist catalogue with a stylish, matt black

cover in handmade paper tells the story of Radici, one
that spans 70 years, starting in 1950 when Pietro Radici
first began to produce refined rugs and fabrics using
jacquard looms, going on to gain international
recognition and then creating specialised divisions.
It describes the company values, quality, raw materials,
processes and production techniques, illustrated with
images by Francesco Ferrari taken at the factories
in Cazzano Sant’Andrea, then followed by rooms,
monochromatic patterns and textured surfaces that
present Stories, the new capsule collection by Chiara
Andreatti. The pared-down graphic design never
detracts from the products and has been curated by
the designer’s own studio, thus creating a coherent
depiction of the excellence of a company with a high
level of artisan expertise and the “small textile works
that can arise when warp encounters weft”.
XI

Trasparenze sostenibili Sustainable transparency

La vocazione all’innovazione tecno-

logica e alla sostenibilità di AGC Glass
Europe si conferma con Fineo, il vetro
sottovuoto di ultima generazione dal-
lo spessore ultra sottile che assicura
massimo comfort abitativo ed elevate
prestazioni in termini di isolamento.
Oggi il mercato deve proporre prodot-
ti che integrino alte performance,
sostenibilità e design attraverso tec-
nologie intelligenti e materiali inno-
vativi. Un must che dev’essere un dato
di fatto alla base di ogni prodotto. Lo
sa bene AGC Glass Europe che riunisce
all’interno di Fineo tutte queste carat-
teristiche: è un vetro dallo spessore
minimo (a partire da 6 mm), dalle ot-
time prestazioni termiche e acustiche
e caratterizzato da una trasmissione
luminosa ottimale. Grazie alle sue
straordinarie performance è capace
di generare un impatto positivo sul
bilancio energetico degli edifici. Il suo
profilo sottile permette poi di integrar-
lo facilmente nei telai esistenti o in
nuove vetrate e facciate continue.
Sotto l’aspetto prestazionale è para-
gonabile alle triple vetrate: raggiunge
un valore UG (valore di trasmittanza
termica relativa alla superficie vetra-
ta) pari a 0,7, fino a oggi ipotizzabile AGC Glass Europe’s vocation for tech- of this and have brought together all ing a UG value (value of thermal trans-
solo con una tripla vetrata. Rispetto a nological innovation and sustainabil- of these characteristics in Fineo: glaz- mittance relative to glazed surface)
quest’ultima, però, una lastra di Fineo ity has been confirmed with Fineo, ing with a minimal thickness (starting equal to 0.7, up until today imaginable
delle stesse dimensioni è da 4 a 5 volte state-of-the-art, ultra-thin vacuum from 6 mm), offering excellent thermal only for triple glazing. With respect to
più sottile, con appena un terzo del glazing that ensures maximum dwell- and acoustic performance and char- the latter however, a sheet of Fineo of
peso: una rivoluzione per le vetrate ing comfort and high performance in acterised by optimal light transmis- the same size is 4 to 5 times thinner,
sottovuoto. Inoltre non ha un’apertu- terms of insulation. sion. Thanks to this extraordinary with only a third of the weight: a rev-
ra di evacuazione visibile e presenta Nowadays the market has to offer prod- performance it is able to generate a olution for vacuum glazing.
sigillature del bordo molto contenute, ucts that combine high performance, positive impact on the energy balance What is more it does not have a visible
garantendo così la massima linearità sustainability and design using intel- of buildings. The slender profile also evacuation opening and has a very
e una capacità visiva libera da impe- ligent technologies and innovative enables it to be fitted easily into exist- compact seal along the border, thus
dimenti. Fineo è costituito da due lastre materials. These features have now ing frames or in new glazing and cur- guaranteeing maximum linearity and
di vetro separate da un’intercapedine become an absolute must for any prod- tain walls. In terms of performance it a visual capacity free from obstruc-
di 0,1 mm di spessore, creata tramite uct. AGC Glass Europe are well aware is comparable to triple glazing: achiev- tions. Fineo is made up of two sheets
sigillature senza piombo, che consen- of glass separated by a 0.1 mm thick
te di conferire al vetro un’estetica cavity, created using a lead-free seal
neutra e trasparente, unita alle mi- that makes it possible to give the glass
gliori prestazioni in termini di isola- a neutral and transparent appearance,
mento termico, con un livello costante combined with high performance in
durante il ciclo di vita dell’involucro terms of thermal insulation, with a
edilizio, nessun impatto negativo sul- constant level during the lifecycle of
le vetrate inclinate e minori correnti the building envelope, no negative im-
d’aria fredda e irraggiamento freddo. pact on inclined glazing and fewer
Per questo rappresenta la soluzione currents of cold air and cold radiation.
perfetta per l’economia circolare del For this reason it represents the perfect
settore edilizio e della ristrutturazio- solution for the circular economy of
ne, sia per il residenziale sia per il the building sector and for refurbish-
commerciale. Ed è inoltre riciclabile ments, both residential and commer-
al 100 per cento. cial. It is also 100% recyclable.

AGC Glass Europe Nelle immagini, l’AGC Technovation
Centre a Gosselies (Charleroi).
Avenue Jean Monnet, 4 Realizzato da AGC, Fineo può essere
1348 - Louvain-la-Neuve, integrato con altre soluzioni della vasta
Belgium gamma di prodotti dell’azienda, così da
combinare nello stesso vetro molteplici
T +32 409 00 00 funzioni quali controllo solare,
www.agc-glass.eu sicurezza e isolamento acustico, a
www.agc-yourglass.com favore del massimo comfort abitativo
• In the images, the AGC Technovation
Centre at Gosselies (Charleroi).
Made by AGC, Fineo can be integrated
with other solutions from the company’s
extensive range in such a way as
to combine in the same glass multiple
functions such as solar control,
security and acoustic insulation,
for greater levels of indoor comfort

Informazione aziendale / manufacturer′s information


Quando il colortrend
è ecosostenibile
Azienda dall’animo green, Ferrero-
Legno dimostra ancora una volta il suo
rispetto verso l’ambiente e il bio-desi-
gn creando ULTRAopaco, la nuova fi-
nitura che racchiude in sé tutti i valo-
ri alla base dei suoi prodotti: ecososte-
nibilità, innovazione ed estetica. Si
tratta, infatti, di una nuova palette,
dall’aspetto sofisticato, che propone
una gamma di ben 25 nuance con un
effetto morbido al tatto.
Oltre all’estetica c’è poi la qualità pro-
gettuale. Una produzione, quella di
FerreroLegno, che si contraddistingue
per la forte componente ecosostenibi-
le espressa attraverso l’utilizzo di
vernici bio a base d’acqua, atossiche,
con un ridottissimo contenuto di VOC
(composti organici volatili) e senza la
presenza di formaldeide. Inoltre, tut-
te le porte sono realizzate con un ciclo
di produzione che riduce drasticamen-
te le emissioni di CO2.
Sotto il profilo della funzionalità offre
numerosi plus tra cui un’elevata resi-
stenza al graffio, alle macchie di caffè
e ai liquidi freddi. Ci sono poi la resi-
lienza, ovvero la possibilità di inter-
venire su graffi superficiali con il ca-
FerreroLegno S.p.A.
SS 28 del Colle di Nava, 26
12060 - Magliano Alpi (CN)
T +39 0174 622411
info@ferrerolegno.com
www.ferrerolegno.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
XII
When colour trends
become eco-sustainable
A company with a green soul, Ferrero-
Legno demonstrates once again its
respect for the environment and for
bio-design with the creation of UL-
TRAopaco, a new finish that incorpo-
rates all the values underlying its
products: eco-sustainability, innova-
tion and aesthetics. It is in fact a new
palette, with a sophisticated appear-
ance, that offers a range of 25 shades
with a soft-touch effect.
Along with aesthetics there is also
design quality. FerreroLegno’s produc-
tion is one that is characterised by a
strong eco-sustainable component
expressed through the use of wa-
ter-based, non-toxic, ecological var-
nishes with a very low VOC content
(volatile organic compounds) that are
also free from formaldehyde. What is
more, all the doors are made with a
production process that sees a drastic
reduction in CO2 emotions.
In terms of functionality it offers nu-
merous advantages including a high
level of resistance to scratches as well
as to stains from coffee and cold liquids.
Then there is the resilience, in other
words the possibility of treating sur-
face scratches by using heat to repair
lore ripristinandone la superficie, e le the surface, as well as anti-fingerprint-
proprietà antimpronta. Metallo, La- ing properties.
guna, Lichene, Oliva, Ombra, Terra, Metal, Lagoon, Lichen, Olive, Shadow,
Malva, Corallo, Nero Profondo sono Earth, Mallow, Coral, Deep Black, are
solo alcune delle nuance create da Fer- just some of the shades created by Fer-
reroLegno e declinate in diverse in- reroLegno that are articulated in dif-
tensità: light, pure, dark. ferent intensities: light, pure, dark.
Quella di ULTRAopaco è un’ampia pa- ULTRAopaco is an extensive palette
lette resa disponibile per la collezione that is available for the Zero collection
Zero e la CollezioniFL, oltre che per la and CollezioniFL, as well as for the
Collezione Skema e per Scenario Li- Collezione Skema and for Scenario
gnum Equa. Lignum Equa.
Con ULTRAopaco si amplia così il co- With ULTRAopaco the decorative op-
dice decorativo proposto dall’azienda tions offered by the company are ex-
che diventa l’espressione di un nuovo tended to become the expression of a
modo dell’abitare, attento alle tenden- new mode of living, attentive to trends
ze e all’ambiente, con tonalità che di- and to the environment, with tones
ventano fonte d’ispirazione per rea- that become a source of inspiration
lizzare il proprio spazio. for creating your own space.
La nuova finitura ULTRAopaco •The new ULTRAopaco finish from
di FerreroLegno avvolge gli ambienti FerreroLegno wraps around rooms
donando carattere allo spazio. bringing character to space.
Le numerose sfumature disponibili, The numerous shades available, also
proposte anche con diverse intensità proposed in different intensity of
di colore, facilitano i giochi cromatici colour, make it easy to play with colour
e permettono una progettazione and create bespoke designs.
tailor made For creating unique and exclusive
environments every time
XIII

Storie di luce Stories of light

È un luogo esperienziale il ristoran-

te San Domenico fondato a Imola il 7
marzo 1970 da Gianluigi Morini, gran-
de appassionato di arte, bellezza e,
ovviamente, cucina. Proprio da
quest’ultima passione nasce il concept
di questo ristorante, che non doveva
essere un luogo qualunque ma un lo-
cale “su misura”, curato da lui perso-
nalmente in ogni dettaglio, dalle pa-
reti ricoperte di tela di lino ai bicchie-
ri di cristallo, fino ai sottopiatti d’ar-
gento e alla presenza di fiori freschi
ogni giorno. Una cura e una qualità che
si rispecchiano anche nei piatti, esem-
pio di unione fra gusto tradizionale e
nuove visioni, che gli sono valse il ri-
conoscimento di due stelle Michelin.
In questo locale aleggia un fascino
senza tempo, che si avverte nella pro-
gressione delle sale interne avvolte da
un’atmosfera vagamente inglese, ma
anche nei tavoli all’aperto, affacciati
su una bella piazza nel centro storico,
circondata da giardini pubblici. Pun-
to di forza delle sale sono le finestre
dal sapore vagamente retrò che, come
quadri, incorniciano il paesaggio del
giardino che lo circonda. Per garanti-
re il comfort interno ai propri clienti
è stato necessario un intervento di
ristrutturazione che ha riguardato
proprio la sostituzione degli infissi
che si affacciano sul giardino. L’edifi-
cio, infatti, costruito oltre 50 anni fa,
aveva ancora installate le finestre
originali che non riuscivano più a ga-
rantire un isolamento ottimale: la
loro obsolescenza rischiava di essere
oggetto di dispersioni termiche e in-
filtrazioni d’acqua. Per offrire ai propri
clienti il massimo del comfort, senza
nulla togliere allo stile delle sale, è
stato affidato il progetto di sostituzio-
ne delle finestre a Edilpiù, che si è an-
che occupata dell’installazione. Per
una resa ottimale, l’azienda ha scelto
gli infissi di Finstral e, in particolare,
la collezione Nova-line, realizzata in
Pvc nella tonalità avorio e dall’esteti-
ca essenziale, che permette alla luce
di penetrare senza ostacoli negli am-
bienti grazie ai profili estremamente
sottili. Il tratto distintivo di questa
linea è infatti il design a tutto vetro:
una soluzione esteticamente perfetta
per questi ambienti e che garantisce
alte performance di isolamento, oltre
a essere di facile manutenzione.

Edilpiù S.r.l.
Via Piratello, 58/2
48022 - Lugo (RA)
T +39 0545 27222
edilpiu@edilpiu.eu
www.edilpiu.eu

Informazione aziendale / manufacturer′s information


The San Domenico restaurant is a
place to experience, established in
Imola 7 March 1970 by Gianluigi
Morini, a great lover of art, beauty and
of course cooking.
It is his passion for food that gave rise
to the idea for this restaurant and the
intention to create not just any old
place but a truly bespoke setting, per-
sonally curated by Morini in every
detail, from the linen-covered walls
to the crystal glasses, silver un-
der-plates and fresh flowers every day.
Care and quality that is also reflected
in the dishes, exemplifying a union
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between traditional taste and new
visions that has earned the restaurant
two Michelin stars.
The restaurant has a timeless charm,
that can be seen in the progression of
the internal rooms imbued with a
slightly English atmosphere, but also
the tables outdoors, overlooking a
beautiful piazza in the historic centre,
surrounded by public gardens.
One of the strongest features of the
rooms is the series of windows with a
slightly retro feel that like paintings,
frame the landscape of the surround-
ing garden.
Pagina a fronte, dall’alto in senso orario:
l’ingresso del ristorante San Domenico
a Imola; una delle finestre interne,
dall’estetica vagamente retrò,
una finestra circondata dal verde
che sembra sparire nell’edificio.
In questa pagina: una delle finestre
della linea Nova-line di Finstral
scelte e installate da Edilpiù, in Pvc
color avorio
To guarantee comfortable surround-
ings for their customers it has been
necessary to carry out some refurbish-
ment work that involved replacing the
windows facing onto the garden.
In fact the building, constructed over
50 years ago, still had the original
windows that were no longer able to
guarantee optimal levels of insulation:
their obsolescence risked leading to
heat loss and water infiltrations.
To offer customers maximum comfort
without taking away anything from
the style of the rooms, the job of re-
placing the windows was handed over
• Opposite page, from top clockwise:
the entrance to the San Domenico
restaurant in Imola; one of the internal
windows, with a slightly retro feel,
a window surrounded by greenery that
seems to disappear into the building.
This page: one of the windows in the
Nova-line range from Finstral
specified and installed by Edilpiù,
in ivory coloured PVC
XIV
to Edilpiù who have been responsible
for the installation. For optimal per-
formance, the company selected Fin-
stral windows and in particular the
Nova-line collection made from ivo-
ry-coloured PVC with a pared-down
aesthetic that enables light to pene-
trate the spaces without obstacles
thanks to the extremely slender pro-
files. The distinctive feature of this
range is in fact the all-glass design: an
aesthetically perfect solution for these
spaces and one that guarantees high
performance in terms of insulation
as well as easy maintenance.
XV
Bagni tailor made
Soluzioni per il bagno che uniscono
il design di qualità a una capacità uni-
ca nel creare prodotti su misura: que-
ste le caratteristiche dei sanitari di
Laufen, scelti per completare proget-
ti prestigiosi.
Tra gli ultimi, l’edificio residenziale
di Crownd Estates a Vienna firmato
da David Chipperfield Architects: 20
appartamenti, con spazi dalle ampie
vetrate che mettono in connessione
interno ed esterno.
Un’armonia che si accompagna all’uso
di arredi dai materiali pregiati come
avviene nei bagni, dove sono proposte
le collezioni di Laufen.
Laufen
Via Leonardo da Vinci, 24
20082 - Casarile (MI)
T +39 02 900 160 01
www.laufen.it
info@it.laufen.com
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Per i lavabi, realizzati in Saphirkera-
mik, un composto ceramico ultrasot-
tile molto robusto sviluppato dall’a-
zienda svizzera, è possibile scegliere
tra diversi modelli: i geometrici lava-
bi della collezione Val; la romantica
collezione The New Classic e l’ecletti-
ca serie Kartell•Laufen proposta anche
per i WC. Le vasche, invece, apparten-
gono alla linea Bespoke: pezzi su mi-
sura che si adattano perfettamente al
linguaggio estetico dell’architettura
di Chipperfield.
Un altro interessante progetto che ha
coinvolto Laufen è quello della sede di
Scott Sports, in Svizzera, opera dello
Tailor-made bathrooms
studio IttenBrechbühl: un luogo dove
si fondono tempo libero e lavoro senza
trascurare il benessere dei dipenden-
ti. Il progetto prevede 44 bagni con
soluzioni di lavabo individuali realiz-
zati su misura, guardaroba, spogliatoi,
box doccia e persino impianti di lavag-
gio per le biciclette.
I rubinetti nelle aree semi-pubbliche
possono essere azionati in modo intu-
itivo e igienico e, grazie all’app Smar-
tControl di Laufen, è possibile regola-
re, controllare e monitorare le strut-
ture, diagnosticare i problemi e garan-
tire la corretta manutenzione e un
consumo intelligente dell’acqua.
Il terzo prestigioso progetto è il Public
Hotel di Ian Schrager: 367 camere con
una vista mozzafiato sullo skyline di
New York.
Qui Laufen ha firmato i bagni con i la-
vabi prodotti su disegno esclusivo di
Herzog & de Meuron e i wc della colle-
zione Palomba.
Anche nelle aree comuni l’azienda ha
sottolineato la sua capacità di realiz-
zare progetti su misura, creando sei
lavabi self-standing dalle grandi dimen-
sioni e sperimentando, per la prima
volta, il colore applicato a Sentec: ne-
ro per i lavabi dei bagni maschili, bian-
co per quelli femminili.

Bathroom solutions that combine
high-quality design with a unique ca-
pacity to create made-to-measure
products: these are the characteristi-
cs of Laufen sanitary fittings, chosen
to complete prestigious projects.
Among the latest is the Crownd Esta-
tes residential building in Vienna by
David Chipperfield Architects: 20
apartments, featuring spaces with
large areas of glazing that connect
inside and outside.
A harmony that goes hand in hand
with the use of furnishings made from
exquisite materials such as the case
of the bathrooms, where collections
Informazione aziendale / manufacturer′s information
by Laufen are have been used. For the
washbasins, made from Saphirkera-
mik, a super-strong, ultra-thin ceramic
composite developed by the Swiss
company, a choice of models is offered:
the geometric sinks from the Val col-
lection; the romantic New Classic col-
lection and the eclectic Kartell•Laufen
series proposed for the toilets.
The bathtubs meanwhile are part of
the Bespoke range: tailor-made pieces
that adapt perfectly to the aesthetic
language of Chipperfield’s architectu-
re. Another interesting project that
involved Laufen is the headquarters
of Scott Sports, in Switzerland, by the
Pagina a fronte: Crownd di David
Chipperfield. Il bagno, minimalista,
è arredato con le soluzioni Laufen.
In alto: la sede di Scott Sports e il bagno
Smart di Laufen che digitalizza
e semplifica la gestione dell’acqua
negli edifici pubblici (anche in basso
a destra). Qui sopra a sinistra:
il Public Hotel di Ian Schrager con
il lavabo in Sentec
studio IttenBrechbühl: a place where
free time and work are blended without
neglecting the wellbeing of employees.
The project includes 44 bathrooms
with solutions for made-to-measure
individual sinks, cloakrooms, changing
rooms, showers and even washing fa-
cilities for bicycles.
The taps in the semi-public areas can
be operated in an intuitive and hygie-
nic way and thanks to the SmartControl
app from Laufen, it is possible to adjust,
control and monitor facilities, diagno-
se problems and ensure proper main-
tenance and the intelligent consump-
tion of water. The third prestigious
• Opposite page: Crownd by David
Chipperfield. The minimalist bathroom
is furnished using Laufen fittings.
Top: the headquarters of Scott Sports
and the Smart bathroom by Laufen
that digitalises and simplifies
the management of water in public
buildings (also bottom right).
Here above left: the Ian Schrager
Public Hotel with sinks in Sentec
XVI
project is Ian Schrager’s Public Hotel:
367 rooms with a breathtaking view
of the New York skyline.
Here Laufen have designed the bathro-
oms with washbasins produced to an
exclusive design by Herzog & de Meu-
ron and toilets from the Palomba col-
lection. Also in the communal areas
the company have highlighted their
capacity to produce bespoke designs
with the creation of six extra-large,
self-standing washbasins and experi-
menting for the first time with applying
colour to Sentec: black for the sinks in
the men’s bathrooms, white in the wo-
man’s bathrooms.
XVII
Texture contemporanee
L’esigenza di personalizzare i propri
spazi si è estesa da anni anche all’am-
biente bagno, diventato una vera e
propria oasi di benessere personale.
Per questo, Fima Carlo Frattini, azien-
da all’avanguardia e sinonimo di com-
petenza progettuale e capacità inno-
vativa nel settore rubinetteria, ha
deciso di ampliare la famiglia Spillo,
aggiungendo un tocco glamour alle
linee pure ed essenziali. Nasce così la
nuova Spillo Tech, dove le forme mini-
maliste diventano iconiche grazie a
tre decori capaci di creare un’estetica
inedita all’interno dell’ambiente bagno,
per riuscire a esprimere l’identità e lo
stile di chi lo abita.
La serie Spillo si trasforma così grazie
a raffinate texture che impreziosisco-
FIMA Carlo Frattini S.p.A.
Via Borgomanero, 105
28010 - Briga Novarese (NO)
T +39 0322 9549
F +39 0322 956149
info@fimacf.com
www.fimacf.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
no la purezza della sua linea. Segni
materici distinti che riproducono al-
trettante superfici tridimensionali
con un gioco di rimandi dalla basetta
alla leva, integrata armoniosamente
nel corpo del miscelatore.
La prima si chiama (X) Cross e contie-
ne già all’interno del nome, la sua ca-
ratteristica: l’elegante superficie è
infatti finemente sfaccettata e si ispi-
ra, nella lavorazione, al prezioso dia-
mante intagliato, dando vita a una linea
di rubinetti pensata per ambienti
sofisticati.
La seconda proposta è (V) Vertical, che
si contraddistingue per il rigore geo-
metrico di un poligono a 19 facce. Infi-
ne (G) Godronata, che propone un ef-
fetto micro-diamantato dal mood
Metropolitan textures
fortemente industriale. Spillo Tech è
proposta in tutta la gamma delle fini-
ture galvaniche – cromo, nickel spaz-
zolato, cromo nero, cromo nero spaz-
zolato, oro, oro spazzolato – e tra le
tonalità bianco opaco e nero opaco. La
collezione Spillo Tech si declina, inol-
tre, in molteplici versioni: per lavabo,
bidet, vasca, doccia e componenti doc-
cia. Un’offerta che copre tutta la rubi-
netteria della salle de bains così da
poter creare un ambiente armonioso.
Perché la bellezza risiede anche nella
cura dei dettagli in grado di donare
carattere allo spazio. Per questo la
rubinetteria, cuore pulsante del bagno,
si veste, con Spillo Tech, di ricercate
texture capaci di sottolineare il proprio
stile, rendendolo unico.
The need to customise our spaces
has extended over the years to also
include the bathroom, a place which
has become a true oasis of personal
wellbeing. This is why Fima Carlo
Frattini, a cutting-edge company syn-
onymous with design expertise and
a capacity for innovation in the tap
sector, has decided to extend the Spil-
lo range, adding a touch of glamour
to the pure and essential lines.
The result is the new Spillo Tech,
where the minimalist forms have be-
come iconic thanks to three decorative
patterns able to create an original
look for the bathroom, to express the
identity and style of the occupier.
The Spillo range has thus been trans-
formed thanks to refined textures that
enhance the purity of the line.
Distinctive material marks that re-
produce different three-dimensional
surfaces with a play of references from
the base to the lever, harmoniously
integrated into the body of the mixer.
The first is called (X) Cross, a name
that refers to its distinctive charac-
teristic: here the elegant surface is
finely faceted and takes inspiration
in terms of treatment from precious
cut diamond, giving life to a range of
taps conceived for sophisticated en-
vironments.
The second is (V) Vertical, that is dis-
tinguished by the geometric rigour
of a 19-sided polygon.
Finally (G) Godronata, that presents
a micro-diamond effect with a strong-
ly industrial feel.
Spillo Tech is available in the whole
range of galvanised finishes - chrome,
brushed nickel, black chrome, brushed
black chrome, gold, brushed gold - and
shades of matt white and matt black.
The Spillo Tech collection is also avail-
able in multiple versions: for sink,
bidet, bathtub, shower and shower
components.
An offer that encompasses all the taps
in the bathroom so as to be able to
create a harmonious setting. Because
beauty also resides in the attention
to detail able to give character to
space.
For this reason with Spillo Tech the
taps, the beating heart of the bath-
room, are adorned with sophisticat-
ed textures able to underline individ-
ual style, making it unique.

Pagina a fronte. In alto: Spillo Tech
(X) Cross nella versione lavabo
a pavimento, finitura oro spazzolato,
e la versione lavabo della stessa serie.
In basso: Spillo Tech G) Godronata
bordo vasca e la versione miscelatore
termostatico a incasso con set doccia.
In qesta pagina: la texture (G) Godronata
nella versione lavabo a parete
e miscelatore termostatico a incasso
con set doccia
Informazione aziendale / manufacturer′s information
XVIII
• Opposite page. Top: Spillo Tech (X)
Cross in the floor-mounted sink version
with brushed gold finish and the sink
version from the same range.
Below: Spillo Tech (G) Godronata bath
taps and built-in thermostatic mixer
with shower group.
This page: the (G) Godronata texture
in the wall-mounted sink version
and built-in thermostatic mixer with
shower group
XIX

La finestra perfetta The perfect window

I serramenti sono uno degli elemen- Windows are one of the principal el- thetics and the management of light. surfaces, distinguished by an authen-
ti principali da considerare nella ements to consider in the design of a Among the latest ranges from Finstral tic appearance that gives a feeling of
progettazione di una casa: scandisco- house: they articulate the facade of a is Inlay, a new solution that develops depth and creates evocative light ef-
no la facciata di un edificio e sono building and are fundamental when an innovative idea for cladding the fects thanks to alternative methods
fondamentali per illuminare gli am- it comes to illuminating spaces as well internal frame. for treating ceramic.
bienti, oltre a garantire performance as for ensuring high levels of insula- Thanks to this invention it is possible Materials that have a thickness of 4
d’isolamento elevate. tion. Finstral, a company based in to introduce any kind of material in- mm are applied as an insert within
Finstral, azienda altoatesina produt- Alto-Adige that has been manufactur- sert, from ceramic to metal, as well as the frame while the thinner ones, such
trice di finestre e serramenti da oltre ing windows for over 50 years, have an extensive range of fine woods. as for example metal, are first made
50 anni, studia da sempre soluzioni always developed high-quality solu- Inlay is in fact characterised by an thicker.
di qualità che possano venire incontro tions to address the demands of both extraordinary degree of modularity Inlay thus makes it possible to design
alle esigenze sia dei progettisti sia architects and end users. and can be made part of any design, windows that perfectly match floor
degli utenti finali. Le sue proposte Their products are characterised by responding to both aesthetic and func- tiles, parquet or kitchen tops and thus
sono caratterizzate da profili estre- extremely thin frames combined with tional demands, offering the possibil- create spaces that are completely co-
mamente sottili abbinate a vetri bas- state-of-the-art, low-emission glazing ity to create windows that harmonise ordinated, letting the windows, often
so-emissivi di ultima generazione that provides maximum performance with any kind of decor and setting. seen as straightforward construction
dalle massime prestazioni isolanti, in terms of insulation so as to satisfy It is also possible to produce exclusive components, take on the role of pro-
così da soddisfare le richieste più dif- all manner of requests in terms of components such as surfaces in Corten tagonist, becoming distinctive ele-
ferenti in termini di versatilità, per- versatility, energy performance, aes- steel or achieve rough and textured ments that add character to spaces.
formance energetiche, estetica e ge-
stione della luce. Tra le ultime linee
nate in casa Finstral c’è Inlay, una
nuova soluzione che sviluppa un’ine-
dita concezione di rivestimento in-
terno dei profili. Grazie a questa in-
venzione è possibile integrare qual-
siasi tipo di inserto materico, dalla
ceramica al metallo, fino a un’ampia
gamma di legni pregiati.
Inlay è caratterizzata infatti da una
straordinaria modularità ed è com-
binabile con ogni esecuzione estetica
e funzionale: una soluzione che rende
possibile realizzare finestre che si
armonizzano con qualsiasi tipo di
ambiente e arredo. Si possono infatti
implementare componenti esclusive
come superfici in acciaio corten o,
ancora, ottenere superfici ruvide e
piacevoli al tatto, contraddistinte da
un’estetica autentica che dona pro-
fondità e crea suggestivi giochi di
luce, grazie alle diverse tecniche di
lavorazione della ceramica. I mate-
riali che presentano uno spessore di
4 mm vengono applicati come inserto
all’interno del profilo, mentre quelli
più sottili, come per esempio le lamie-
re, vengono prima spessorati.
Inlay consente così di progettare fi-
nestre perfettamente abbinate alle
piastrelle del pavimento, al parquet
o ai piani della cucina, e di creare quin-
di spazi totalmente coordinati lascian-
do che le finestre, spesso vissute come
semplici componenti costruttivi,
assumano un ruolo da protagoniste,
diventando elementi distintivi e ca-
ratterizzanti dell’ambiente.

Finstral La nuova soluzione Inlay offre
possibilità inesplorate nella scelta dei
Via Gasters, 1 materiali: dalla ceramica al metallo,
39054 - Auna di Sotto/Renon (BZ) passando per pregiati legni. Finiture
T +39 0471 296611 uniche, in grado di abbinarsi a qualsiasi
rivestimento della casa, donando alle
finstral@finstral.com finestre un fascino estetico che le rende
www.finstral.com protagoniste dello spazio
• The new Inlay solution offers
unexplored possibilities in terms of
choice of materials: from ceramic
to metal, as well as fine woods. Unique
finishes that can be made to match any
material in the home, giving windows
an aesthetic appeal that makes them
a prominent feature inside spaces

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È di scena il comfort
Creare spazi dando un valore aggiun-
to. Questa la filosofia di Quadrifoglio
Group che propone soluzioni a 360°
per ambienti dediti al benessere delle
persone. Tra gli ultimi nati, nella divi-
sione Design Lighting, il sistema illu-
minotecnico architetturale Cartesio
ideato da Moreno De Giorgio, dal desi-
gn elegante e minimale. Cartesio in-
terpreta lo spazio con soluzioni illu-
minotecniche a luce continua diretta
o indiretta, diffusa, radente o punti-
forme per la bassa tensione. Si compo-
ne di un binario elettrificato a profilo
estruso in alluminio 48V DC, installa-
bile a filo parete, a soffitto oppure a
sospensione. I componenti hanno una
sezione estremamente ridotta e, at-
traverso una serie di giunti e nodi,
Quadrifoglio Group
Via Cornaré, 12
31040 - Mansuè (TV)
T +39 0422 756025
info@quadrifoglio.com
www.quadrifoglio.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
XX
Comfort sets the scene
Creating spaces offering added value.
This the mission of Quadrifoglio Group
who offer 360° solutions for spaces
with the emphasis on people’s wellbe-
ing. One of the latest creations, in the
Design Lighting division, is the Carte-
sio system of architectural lighting
devised by Moreno De Giorgio, featur-
ing an elegant, minimalist design.
Cartesio articulates space with light-
ing solutions providing continuous
direct or indirect, diffused, grazing or
accent light at low tension. It consists
of a 48V DC electrified track made from
extruded aluminium that can be in-
stalled either flush with the wall or
ceiling or suspended.
The components have an extremely
reduced section and via the use of a
series of joints and connections, ena-
ble the creation of infinite composi-
tions. Broad, generous forms mean-
while characterise the City Déco
Lounge chair designed by Edi & Paolo
Ciani, from the Design Living division,
for residential and hospitality spaces.
The seat and back are covered in draped
fabric with hand-stitching for a more
informal and glamorous aesthetic,
while the overall line is made lighter
by slender legs in wood or bronze. So-
phisticated materials and sartorial
savoir-faire distinguish the Avana
collection of sofas and chairs.
Highly versatile, they articulate do-
mestic spaces with elegance while in
public spaces they become the protag-
onists of relaxation areas, hotel lobbies
or receptions.
permettono di creare illimitate solu-
zioni compositive. Forme ampie e ge-
nerose caratterizzano invece la pol-
trona City Déco Lounge, progettata da
Edi & Paolo Ciani, della divisione De-
sign Living, per il residenziale e l’ho-
spitality. La seduta e lo schienale sono
rivestiti in tessuto drappeggiato con
cuciture artigianali, per un’estetica
più informale e glamour, mentre la linea
è alleggerita dalle sottili gambe di legno
o bronzo. Ricercatezza di materiali e
savoir faire sartoriale distinguono in-
vece la collezione di poltrone e divani
Avana. Estremamente versatili, deli-
neano gli spazi domestici con elegan-
za; in ambiti pubblici diventano pro-
tagonisti di aree relax, lobby di hotel
o ambienti di rappresentanza.
In alto a sinistra: il sistema Cartesio • Top left: the Cartesio system with
dotato di binario modulare, fine ed modular track, slim and elegant
elegante, la cui sezione è di soli 19 x 10 with a section of just 19 x 10 mm for the
mm per il sistema a filo parete flush system and 19 x 25 mm for
e di 19 x 25 mm per quello sospeso. the suspended one. Two images right,
Due immagini a destra, dall’alto: from top: the City Decò Lounge
poltrona City Decò Lounge disegnata armchair designed by Edi & Paolo Ciani.
da Edi & Paolo Ciani. Here above: sofas and armchairs from
Qui sopra: divani e poltroncine della the Avana collection by Dorigo Design
collezione Avana di Dorigo Design
XXI
Questione di pelle
Come caratterizzare l’immagine di
un hotel? A seconda che siano di lusso
oppure strutture appartenenti a gran-
di catene o ancora piccoli boutique
hotel, è la facciata che trasmette l’i-
dentità di un albergo. Opera come un
biglietto da visita, visibile da chiunque,
e li rende immediatamente riconosci-
bili. Per questo i progettisti ricorrono
a facciate ventilate che possano esse-
re versatili esteticamente, pur garan-
tendo prestazioni ottimali dal punto
di vista dell’isolamento termico, sola-
re e acustico.
Come quelle di Neolith in pietra sinte-
rizzata, che riescono a trasformare in
realtà i progetti più audaci e le ristrut-
turazioni più complesse, con la loro
riproduzione di pietre e legni, acciaio
corten e una vasta gamma di colori. Il
viaggio all’interno di una struttura
alberghiera però continua e si ampli-
fica non appena varcata la soglia, dove
si crea una comunicazione visiva e
sensoriale che anticipa quello che la
struttura offre.
Anche qui le superfici di Neolith tra-
smettono la massima qualità e invita-
no alla creatività assoluta, differen-
ziando le diverse zone ed estendendo
l’identità del marchio a tutti i dettagli:
pavimenti, pareti, banconi della re-
ception vengono così rivestiti in ar-
monia con lo stile degli interni, in un
gioco di rimandi visivi dove a condur-
re è l’eleganza. Così come nelle aree
comuni: i corridoi, le zone di ristora-
zione, la palestra ma anche gli ascen-
sori, prendono vita in un percorso
senza soluzione di continuità che si
snoda attraverso gli ambienti. Infine
le camere, che rappresentano l’area
privata di un hotel, che devono trasmet-
tere una sensazione di benessere e
comodità.
A condurre le emozioni del primo im-
patto sono l’illuminazione, l’insono-
rizzazione, l’ampiezza, la funzionalità,
i mobili e, soprattutto, il design degli
spazi, la decorazione e i materiali uti-
lizzati. Anche qui Neolith mette a di-
sposizione della creatività dei proget-
tisti le sue superfici che, oltre a rive-
stire pavimenti, soffitti e pareti, en-
trano nella progettazione di mobili,
toilette, guardaroba, piatti doccia o
vasche da bagno. Non esiste alcun li-
mite alle loro applicazioni se non quel-
lo della propria fantasia.
Neolith Urban Boutique Milano
Piazza Santo Stefano, 10
20122 Milano
T+39 02 3329 9403
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Neolith estende l’applicazione delle sue
superfici a elementi quali piatti doccia,
vasche da bagno, lavabi, ripiani di
mobili ed elementi decorativi. Superfici
dal design unico che garantiscono
igiene, resistenza e durabilità.
Sopra: hotel ME Barcelona. Pagina a
fronte: un ambiente bagno a Madrid
interamente rivestito da Neolith
A question of skin
How do you characterise the image
of a hotel? Whether it be a luxury one,
part of a major chain or a small bou-
tique, it is the outer facade that conveys
the identity of a hotel. It operates as a
kind of business card, seen by everyone
and making the hotel instantly recog-
nisable. This is why architects like to
specify ventilated facades, they offer
aesthetic versatility while ensuring
excellent performance when it comes
to thermal insulation as well as in
terms of solar and acoustic properties.
Neolith cladding is a sintered stone,
it manages to transform into reality
even the boldest designs and the most
complex renovations, offering a range
of reproduction stones and woods,
Corten steel and an extensive array of
colours. The journey also continues
inside the hotel building, further ac-
centuated as soon as you cross the
threshold, where visual and sensory
communication is orchestrated to
offer a foretaste of all that the hotel
has to offer. Here again, Neolith sur-
faces convey the highest quality and
invite maximum creativity, used to
highlight different areas and to extend
the brand identity across all the details:
floors, walls, reception desks can all
be clad to match the style of the inte-
riors in a continual game of visual
references where the emphasis is al-
ways on elegance. In this way, the var-
ious communal areas: corridors, res-
taurant, gym but also the lifts, come
together to create a seamless experi-
ence when moving through the various
spaces. Finally the bedrooms, that
represent the most private area of a
hotel and need to convey a sense of
comfort and wellbeing. Guiding the
emotions when it comes to first im-
pressions are aspects such as lighting
and acoustics along with a sense of
spaciousness, functionality, furniture
and the overall design of the spaces,
decoration, finish and the materials
that have been used. Once again, Neo-
lith surfaces offer inspiration for de-
signers to unleash their creativity, as
they can used not just to clad floors,
ceilings and walls, but also in the design
of furniture, vanity units, wardrobes,
shower trays and bathtubs. There is
no limit to their application other than
individual imagination. individual
imagination.
• Neolith extends the application of its
surfaces to elements such as shower
trays, bathtubs, sinks, shelves and
decorative elements. Surfaces with
a unique design that ensure hygiene,
resistance and durability. Above:
Hotel ME Barcelona. Opposite page:
bathroom environment in Madrid
entirely covered with Neolith
 XXII

Informazione aziendale / manufacturer′s information

XXIII
Smart office all’aria aperta
Photos Arnaldo Di Vittorio
Un ufficio immerso nel verde, a pieno
contatto con la natura e dove la luce
naturale penetra ravvivando lo spazio
e aumentando il benessere degli occu-
panti. Un’utopia? No, come testimonia
il nuovo quartier generale di Andriani
S.p.A., Società Benefit pugliese leader
nel settore dell’innovation food: un
avveniristico edificio intelligente,
creato dallo Studio ASP Progetti, cir-
condato dalla natura, interamente
automatizzato con sistemi domotici
all’avanguardia e studiato per offrire
spazi di coworking flessibili e acco-
glienti, capaci di promuovere salute,
felicità e pensiero positivo.
Questi obiettivi hanno ispirato anche
la progettazione degli ambienti out-
door, dove sono stati realizzati tre
spazi di lavoro e relax, grazie all’uti-
Pratic F.lli Orioli
Via A. Tonutti, 80/90
33034 - Fagagna (UD)
T +39 0432 638311
pratic@pratic.it
www.pratic.it
Informazione aziendale / manufacturer′s information
lizzo delle nuove pergole bioclimatiche
Opera di Pratic, al cui interno si trova-
no un roseto, un orto idroponico con
erbe officinali e un agrumeto di pian-
te locali, a creare un autentico percor-
so multisensoriale. Uno spazio utiliz-
zabile in ogni stagione grazie alle ve-
trate perimetrali e alla copertura re-
alizzata con lame frangisole che si
possono orientare da zero a 140° tra-
mite sensori meteo che permettono di
sfruttare l’illuminazione e la ventila-
zione naturali nel modo più efficace.
Opera infatti reagisce automaticamen-
te alle condizioni metereologiche e
alle diverse ore del giorno, in modo da
garantire sempre l’illuminazione ot-
timale e il comfort abitativo. Inoltre,
per favorire il benessere e la concen-
trazione, è dotata di Led Line perime-
Outdoor smart office
trali e faretti Spot Light sulle lame che
sono programmati per favorire il ciclo
circadiano, ovvero l’orologio biologico
che sincronizza in modo ideale i ritmi
del corpo umano secondo l’alternanza
di luce e buio.
Non solo, in caso di pioggia le lame
chiuse convogliano l’acqua lungo le
gronde integrate ai montanti e al di
sotto della pavimentazione, dove que-
sta viene raccolta e riutilizzata per
l’irrigazione delle aree verdi. Questo
circolo virtuoso sottolinea, ancora di
più, la filosofia di Pratic che si trova
racchiusa all’interno di tutti i suoi
prodotti, l’attenzione all’ambiente e
al benessere delle persone. Realizzan-
do strutture, come Opera, che permet-
tono di vivere al meglio gli spazio out-
door in ogni stagione.
 XXIV

An office immersed in the landscape,

in full contact with nature and flooded
with natural light, brightening the
space and enhancing the wellbeing of
the occupants. A utopia? No, as evi-
denced by the new headquarters of
Andriani S.p.A. a leading Pugliese
Benefit Company operating in the sec-
tor of food innovation: a state-of-the-
art, intelligent building created by
Studio ASP Progetti, surrounded by
nature, fully automated with cut-
ting-edge building automation systems
designed to offer flexible and welcom-
ing co-working spaces, able to promote
health, happiness and positive think-
ing. These objectives have also inspired
the design of the outdoor spaces where
three areas for working and relaxation
have been created, thanks to the use
of the new Opera bioclimatic pergolas
from Practic, inside of which is a rose
garden, a hydroponic allotment with
medicinal herbs and a citrus grove of
local plants, to create an authentic
multi-sensory journey.
A space that can be used all year round
thanks to the perimeter glazing and
roofs made with sunscreen blades that
can be angled from zero to 140°, using
weather sensors that enable natural
lighting and ventilation to be taken
advantage of in the most effective way.
Opera in fact reacts automatically to
meteorological conditions and to the
different hours of the day in such a way
as to always guarantee optimal light-
ing and dwelling comfort. What is more,
in order to enhance wellbeing and
concentration, it is equipped with pe-
rimeter Led Line and Spot Light light-
ing on the blades that is programmed
to favour circadian rhythms, in other
words the biological clock that syn-
chronises in the ideal way the rhythms
of the human body according to alter-
nating light and darkness. What is
more, when it rains the closed slats
convey the water along the gutters
integrated in the uprights and under-
neath the paving, where this is collect-
ed and reused to irrigate the green
areas. This virtuous circle emphasis-
es even more the philosophy of Pratic
that is manifested in all their products:
attention to the environment and to
people’s wellbeing. By creating struc-
tures like Opera that allow you to fully
enjoy outdoor spaces in every season.
In queste pagine: le pergole Opera di • These pages: Opera pergolas by
Pratic installate nella sede di Andriani Pratic installed at the headquarters of
società pugliese leader nel settore Andriani, a Puglia-based company that
dell’innovation food. Sono in una is a leader in the food innovation sector.
particolare sfumatura verde, realizzata They are in a particular shade of green,
a impatto zero e con vernici certificate, made with zero impact using certified,
atossiche e non inquinanti. non-toxic, non-polluting paints.
Massima sostenibilità anche nei Maximum sustainability also in terms
materiali (l’alluminio e il vetro), of materials (aluminium and glass)
separabili e interamente recuperabili that can be separated and salvaged
a fine vita at the end of their life

Informazione aziendale / manufacturer′s information

XXV
Nuova vita alle superfici
Come rinnovare le superfici di casa
senza rivoluzionare gli ambienti? La
soluzione può risiedere nei pannelli
decorativi minerali Fitwall®, di Krion
Porcelanosa Grupo, in grado di ricre-
are texture e volumi realistici sia alla
vista sia al tatto, grazie a una vasta
gamma di pigmenti, smalti e tinture.
Queste finiture sono ottenute abbi-
nando l’alta tecnologia e la tradizione
artigianale: i modelli che servono a
creare gli stampi di questi pannelli
sono infatti realizzati a mano da un
artigiano con materiali come la cera-
mica, il legno, i tessuti e il cemento.
Ogni pezzo diventa così unico perché
plasmato sul realismo del modello ori-
ginale nelle forme, nelle texture e nei
colori. Un processo di lavorazione
complesso realizzato nei laboratori
dei prototipi di Krion, dove vengono
prodotti gli stampi curando ogni pic-
colo dettaglio con tecniche di mecca-
nizzazione, effetto invecchiato, sab-
bioso, colatura di materiali. Prodotto
in molteplici finiture e colori, è legge-
ro, e quindi facilmente installabile, e
necessita di pochissima manutenzio-
ne. Resistente, durevole e riparabile,
Fitwall® è pensato per rivestire le su-
perfici verticali delle pareti, i mobili
o gli arredi destinati al contract e al
settore residenziale. Può essere instal-
lato anche su soffitti o rivestimenti
orizzontali, come elemento decorativo.
In linea con la filosofia votata alla so-
stenibilità dell’azienda, ha ottenuto
le certificazioni BPA Free, Reach, Class
A+ Label, HPD e SCS Recycled.
Krion - Porcelanosa Grupo
Ctra. Villarreal - Onda (CV-20) Km 1
12540 - Villarreal (Castellón) , Spain
P.O. Box 372
T +34 964 50 64 64
F +34 964 50 64 81
www.krion.com
Informazione aziendale / manufacturer′s information
New life for surfaces
La composizione dei pannelli Fitwall®
integra una grande quantità di
minerale che si lega alla resina con
una percentuale di PET riciclato.
Questa composizione consente buone
prestazioni di sicurezza come
resistenza al fuoco, impermeabilità
e bassa emissione di composti organici
volatili, oltre a permettere ai
pannelli di adattarsi alle superfici
su cui vengono installati
How can you revamp the surfaces in
a house without totally revolutionising
spaces? The solution may lie in Fitwall®
decorative panels from Krion Porcela-
nosa Grupo, with their realistic tex-
tures and volumes, effective on both a
visual and tactile level thanks to the
use of an extensive range of pigments,
glazes and colours. These finishes are
achieved by combining high technol-
ogy and traditional craftsmanship:
the models used to create the moulds
for these panels are actually handcraft-
ed using materials such as ceramic,
wood, fabric and cement. Each piece
is thus unique, shaped by the reality
of the original model in terms of forms,
textures and colours.
This is a complex process carried out
in Krion’s prototyping laboratories,
where moulds are produced with me-
ticulous attention to detail using tech-
niques of mechanisation, ageing, sand-
blasting, material casting. Produced
in multiple finishes and colours, the
panels are light and therefore easy to
install, also requiring very low main-
tenance.
Resistant, hardwearing and repaira-
ble, Fitwall® has been conceived to
cover the vertical surfaces of walls,
furniture or fixtures for contract and
domestic use. It can also be installed
on ceilings or used for horizontal clad-
ding as a decorative element. In keep-
ing with the company’s sustainability
philosophy, it has been awarded cer-
tificates BPA free, REach, Class A+La-
bel, HPD and SCS Recycled.
• The composition of Fitwall® panels
includes a large amount of mineral that
is bonded to the resin with a percentage
of recycled PET. This composition
enables good safety performance such
as fire resistance, impermeability and
low emission of volatile organic
compounds, as well as enabling the
panels to adapt to the surfaces on which
they are installed
Location by @francesca_semprini_location | Photo by Franco Chimenti

EXPERIENCE THE ITALIAN LUXURY

Lo stile senza tempo, l’ispirazione che diventa forma,
l’unicità di un tappeto realizzato a mano, l’innovazione di un filato ecosostenibile
luxurycarpet.it | @luxurycarpetstudio
Contract Novembre / November 2022

Supplemento / Supplement DIARIO

Contract
I nuovi spazi per la cultura /
Nuove soluzioni per il contract / New solutions for the contract market I - IX
New spaces for culture
A cura di / Presented by Elena Sommariva

Direttore editoriale / Editorial director

Walter Mariotti EDITORIALE / EDITORIAL

A cura di / Edited by
Le matrici intellettuali ed emotive della cultura / The intellectual and emotive matrices of culture 2
Loredana Mascheroni
Walter Mariotti
Redazione / Newsroom
Elena Sommariva
Giulia Ricci COVER STORY
Grafici / Graphic department
Elisabetta Benaglio Noma Bar 4
Coordinamento / Coordinator Loredana Mascheroni
Miranda Giardino di Lollo
Traduttori / Translators
Daniel Clarke, Richard Sadleir, FOCUS
Wendy Wheatley
Progetto grafico / Graphic concept Musei aperti e senza confini / Open and boundless: new museums 6
Giuseppe Basile Testo / Text Valentina Croci
Collaboratori / Collaborators
MAG Studio Milano Parametri e strategie per spazi in evoluzione / Parameters and strategies for evolving spaces 16
(impaginazione / page make-up) Testo / Text Cecilia Fabiani
Autori / Contributors
Alessandro Benetti, Valentina Croci, ARCHITETTURA / ARCHITECTURE
Cecilia Fabiani, Marianna Guernieri,
Marina Jonna, Massimo Valz-Gris MVRDV con / with Fabrix, Ton 1, Atelier Gardens, Berlino, Germania / Berlin, Germany 22
Testo / Text Alessandro Benetti
Fotolito / Prepress
Editoriale Domus Diller Scofidio + Renfro, Prior Performing Arts Center, Worcester, Massachusetts, USA 26
Stampa / Printers Testo / Text Giulia Ricci
ErreStampa, Orio al Serio (BG)
Contatti / Contact Naso, Lago/Algo, Città del Messico, Messico / Mexico City, Mexico 32
Redazione / Editorial staff Testo / Text Marianna Guernieri
T +39 02 824 721
F +39 02 824 723 86 Aux Architecture, Glorya Kaufman Performing Arts Center, Los Angeles, California, USA 38
per sottoporre proposte e per informazioni / Testo / Text Alessandro Benetti
to submit projects and for general enquiries
redazione@domusweb.it
Kengo Kuma & Associates, Albert Kahn Musée et Jardins, Boulogne-Billancourt, Francia / France 44
Sito / Website Testo / Text Cecilia Fabiani
www.domusweb.it
Facebook
www.facebook.com/domus DESIGN
Twitter
@domusweb Una questione di suono / A matter of sound 48
Testo / Text Cecilia Fabiani
Instagram
@domusweb
KICKSTARTER
Snøhetta, Beijing Sub-Center Library, Cina / China 54
Testo / Text Loredana Mascheroni

Copertina / Cover
Noma Bar,
Summer Reading, 2019
2 EDITORIALE
Walter Mariotti Le matrici intellettuali
ed emotive della cultura
Il problema della cultura è che non è più quella di una
volta. Al di là dell’ironia, parafrasare Paul Valéry potrebbe
essere un viatico per presentare questo speciale
Contract, che riflette sulla relazione tra cultura e spazio
o, se preferiamo, cultura e forma, cultura e fruizione.
Come da tradizione, Domus ha voluto coinvolgere in
questo processo sia i progettisti sia le aziende,
che restano le due facce del cambiamento, non solo
della cultura, ma degli stili di vita, in relazione alle funzioni
che oggi deve assolvere il concetto di cultura, ma anche
alle modalità secondo le quali la cultura viene elaborata,
vissuta, consumata.
Qui c’è forse un punto su cui la metafora di Valéry
può tornare utile. Da contenitore verticale, da concetto
ordinativo, ‘cultura’ sta subendo un morphing che la rende
sempre più un principio generalista o, più precisamente,
un apparato eterogeneo di attitudini, più che di generi.
Abbandonata (per sempre?) l’idea di contenuto, cultura
è oggi soprattutto un approccio. Quindi, più vicino alla
traduzione tedesca, Kultur, che all’origine latina, cultūra.
A esserne influenzate, ma soprattutto chiamate per
prime a rispondere a questa nuova istanza, sono
evidentemente le istituzioni culturali, quei metaluoghi
a cui la collettività ha demandato da almeno tre secoli
l’elaborazione del senso della cultura, di cosa è
e di cosa non è. Poi, le forme della sua distribuzione,
che coincide con la più larga messa a disposizione,
oggi moltiplicata con la diffusione del digitale. Perché, mai
come nel nostro tempo, l’essenza della cultura coincide
con quella della democrazia.
Alla fine di questo speciale, un’idea è risultata più chiara;
ancora una volta, architettura, design e arte non sono
forme, ma vere e proprie matrici intellettuali ed emotive
che permettono un personale e profondo ripensamento
della realtà che diventa identità, cioè personalità,
moralità, estetica. In un concetto: consapevolezza
di sé e del proprio posto nel mondo.
In queste pagine, illustrazioni di Noma Bar.
Sopra, da sinistra: Who’s looking at you in 2020?,
copertina per Telegraph Magazine, 2020; Which Came
First?, serigrafia, 2013. Pagina a fronte: Mouse
vs Pencil, poster per il festival “Illustri”, Vicenza, 2016
domus Contract 2022
The intellectual and
emotive matrices of culture
• The trouble with culture is that it’s not what
it used to be. Jokes aside, this paraphrase
from Paul Valéry helps us present
the Contract special, which explores the
relationship between culture and space, culture
and form, culture and its fruition.
In accordance with tradition, Domus has involved
both designers and producers in this process.
Being two sides of the same coin, they reflect
changes in the arts, in lifestyles and the functions
of culture today. In other words, changes in the ways
culture is exhibited, experienced and consumed.
This is where the Valéry metaphor could
be of use. Seen as a vertical container, “culture”
is morphing toward a generalist concept,
a heterogeneous body of attitudes rather than
genres. Now that the idea of content has been
abandoned (forever?), culture is mostly an approach,
making it closer to the German word Kultur
than the Latin root for the word culture, cultus.
Art institutions, influenced by this, are the
first to be called upon to respond to the new
circumstances. These meta-places have
been assigned by the citizenry since at least
three centuries to elaborate upon the sense of
culture, to show what it is and what it is not.
Its diffusion is given by making it broadly accessible,
which is now amplified by digital technology.
Never before has the essence of culture overlapped
so fully with democracy.
This supplement makes one idea very clear:
architecture, design and art are not shapes but
intellectual and emotive matrices allowing
for personal in-depth thought about reality and
how it becomes identity, personality, morality
and aesthetics. In other words, the awareness
of one’s place in the world.
• These pages, illustrations by Noma Bar.
Above, from left: Who’s looking at you in 2020?, cover
for Telegraph Magazine, 2020; Which Came First?,
screenprint, 2013. Opposite page: Mouse vs Pencil,
poster for for Illustri Festival 2016, Vicenza
domus Contract 2022 3
4 COVER STORY
Noma Bar
Loredana Mascheroni
1 2
L’illustrazione che abbiamo scelto per la copertina di
questo speciale era stata creata originariamente per il
numero di The New York Times dedicato alle letture estive.
“Stavo pensando a una metafora dell’estate e della lettura,
come un’immersione in un buon libro o in una storia”,
racconta Avinoam (Noma) Bar. “Come parte del mio
esercizio preparatorio, osservavo un volume spesso e
mi sono reso conto che, se si fosse fuso con lo sfondo, le
pagine bianche orizzontali e verticali potevano sembrare
un trampolino di lancio e il nuotatore sul bordo avrebbe
completato la storia”. L’immaginazione combinata con
l’osservazione, con schizzi fatti a mano in quantità come
base di sviluppo dell’intuizione, ottimizzati a computer
solo dopo che l’idea è matura, è il processo creativo
dell’illustratore israeliano (classe 1973), che si compie
per gran parte in un luogo molto tranquillo, tra gli alberi
di Highgate Wood di fronte a casa sua, a nord di Londra,
città in cui è trasferito nel 2001, un anno dopo essersi
diplomato in graphic design alla Jerusalem Academy
of Art & Design. “Con la pioggia o con il sole, inizio la
giornata con il mio album da disegno tra le mani. Mi piace
fare brainstorming lì e farmi distrarre dagli animali che ci
vivono”. La matita in mano ce l’ha sin da piccolo, l’amore
per i pittogrammi anche, ne ha una collezione e gli hanno
insegnato a sviluppare il suo linguaggio. In un simbolo
della radioattività su sfondo giallo, visto in un rifugio
durante la prima Guerra del Golfo, vede sopracciglia e
baffi e ci legge parte del volto di Saddam Hussein: ci
schizza attorno la silhouette del dittatore. Sarà uno dei
ritratti che mostrerà a Londra in cerca di commesse, la
prima per Time Out London, poi per The Guardian, The
New York Times, The Economist, GQ, Wallpaper… accanto
a campagne per Apple, IBM, Coca-Cola, Sony, Nike e
BBC, e alle copertine per autori come Don De Lillo e
Haruki Murakami. La giustapposizione di immagini e la
scelta di colori forti sono tratti distintivi del suo lavoro,
applicato a volti, loghi e oggetti che nascono dallo spazio
negativo, termine artistico che indica lo spazio attorno a
un soggetto. “L’illustrazione è una piattaforma magica per
comunicare senza parole”. Preziosa anche per campagne
di sensibilizzazione come Unmasking a Killer, animazione
video per il NewYork Presbyterian Hospital che spiega il
valore dell’immunoterapia per combattere il cancro, vista
da 40 milioni di persone durante il Super Bowl del 2016.
domus Contract 2022
• The illustration gracing the cover of this special was
originally made for The New York Times’ Summer
Books Preview 2019. “I was thinking of a metaphor for
the summer and the reading of books, like diving into a
good story,” says Avinoam (Noma) Bar. “As part of my
exercise, I observed a thick book and realised that if the
cover could blend with the background, the horizontal
and vertical white pages could look like a springboard. A
swimmer poised at the edge would complete the picture.”
Imagination combined with observation, many hand-
drawn sketches to develop an idea, and then computer
drawings once it has matured – such is the creative
process of this British-Israeli illustrator born in 1973. The
process mostly takes place in a very tranquil place by
Highgate Wood in North London, across the way from his
garden studio. Bar moved to London from Israel in 2001,
one year after completing the graphic design course
at the Jerusalem Academy of Art and Design. “Rain or
shine, I start my day with my sketchbook in the middle
of the wood. I like to do my brainstorming there and get
distracted by the wood animals that live there.” Bar began
drawing as a child, and soon fell in love with pictograms,
which he collects. He says they taught him how to
discover his own visual language. As a teenager, he saw
a radioactivity symbol in the newspaper while taking
refuge in a bomb shelter during the Gulf War. Noticing a
similarity with the moustache and eyebrows of Saddam
Hussein, Bar created a minimalistic portrait of the Iraqi
leader. It was one of the illustrations he showed around
London when looking for work. He landed his first job at
Time Out London. The came The Guardian, The New York
Times, The Economist, GQ and Wallpaper. He drew for
campaigns at Apple, IBM, Coca-Cola, Sony, Nike and the
BBC, and for covers of books by Don De Lillo and Haruki
Murakami. The juxtaposition of images and bold, flat
colours are signature elements of his work. Faces, logos
and objects originate in negative space, which in art is the
empty space around the subject of an image. “Illustration
is a magical platform of wordless communication,” says
Bar. It lends itself superbly to awareness-raising. See the
animated video Unmasking a Killer: How immunotherapy
helps your body find cancer and destroy it made for
the NewYork- Presbyterian Hospital, a campaign viewed
by 40 million people during the 2016 Super Bowl.
3 4
1 Double Bill, serigrafia, 2013. 2 Noma Bar al lavoro nei boschi di fronte a casa, Nord
Londra. 3 Illustrazione per la copertina di Killing comandatore di Haruki Murakami 2018.
4 Copertina per un supplemento speciale di Haaretz per la Conferenza israeliana
sulla pace, 2014. 5 The Last Emperor, serigrafia, 2022. 6. Illustrazioni per la campagna
Wear a Mask per Reckitt Benckiser Group, 2020. 7 Pointed Sense, serigrafia, 2010
5
•1 Double Bill, screenprint, 2013. 2 Noma Bar working in the woods in front of his
house, North London. 3 Illustration for the book cover of Haruki Murakami’s Killing
Commendatore, 2018. 4 Cover for Haaretz, special supplement, Israel Conference on
Peace, 2014. 5 The Last Emperor, screenprint, 2022. 6. Illustrations for the Wear a Mask
campaign for Reckitt Benckiser Group, 2020. 7 Pointed Sense, screenprint, 2010
 Musei aperti e senza confini /
Open and boundless:
new museums
Valentina Croci

Photo © Ossip Van Duivenbode

Photo © Aad Hoogendoorn

Architetture spettacolari
e multifunzionali, ma integrate
nel contesto storico, geografico
e sociale. Programmi curatoriali
meno formali, per rendere l’arte
un’esperienza naturale e quotidiana.
Cinque professionisti raccontano
il futuro dei luoghi della cultura /
Spectacular, multifunctional
architecture, integrated
in the historical, geographic
and social context. Less formal
curatorial narratives so that art
can become a natural, daily
experience. Five experts talk
about the future of museums
In questa pagina: Depot Boijmans van Beuningen, Rotterdam, progetto di MVRDV,
2021. È il primo deposito d’arte completamente accessibile al mondo.
Al suo interno ospita sale espositive, un giardino pensile e un ristorante.
Photo © Ossip Van Duivenbode

Pagina a fronte: la mediateca del museo M+, progetto di Herzog & de Meuron
nel distretto culturale di West Kowloon, Hong Kong, 2021

• This page: the Depot Boijmans van Beuningen in Rotterdam designed by MVRDV
in 2021 is the first museum storage facility to be fully accessible to all. It also hosts
gallery rooms, a roof garden and a restaurant.
Opposite page: the media library at the M+ Museum designed by Herzog
& de Meuron in the West Kowloon cultural district of Hong Kong, 2021
 domus Contract 2022 FOCUS 7

Photo © Kevin Mak. Courtesy of M+, Hong Kong

Musei e spazi della cultura sono oggetto di profondi cambiamenti quindi, gli spazi devono essere flessibili e adattabili oltre le semplici “pareti Valentina Croci
che riflettono un più generale mutamento degli stili di vita, con confini bianche”; dall’altro, la tecnologia altera il modo in cui le persone ottengono Nata a Firenze nel 1975, Croci
è giornalista e scrive da 20
sempre più fluidi tra vita pubblica e privata, tempo libero e lavoro, le informazioni e, di conseguenza, il modo in cui le istituzioni artistiche anni per riviste specializzate in
cultura e spettacolo. Dobbiamo quindi interrogarci sulle trasformazioni possono presentare le loro risorse al pubblico generico. design e architettura. Laureata
tipologiche e progettuali auspicabili. Dobbiamo chiederci se l’elemento Ben van Berkel Il cambiamento più significativo è che molte istituzioni all’Università IUAV di Venezia
della spettacolarità dell’architettura – il cosiddetto “effetto Bilbao” – abbia sono diventate consapevoli che, per rimanere rilevanti e raggiungere e PhD in Scienze del Design
presso lo stesso ateneo, dal
ancora impatto sul coinvolgimento del pubblico e sullo sviluppo urbano. un pubblico più ampio, devono espandersi oltre i confini dell’edificio e 2010 è autrice di pubblicazioni
Domandarci, infine, come gli spazi per la cultura si debbano rapportare stringere partnership con altre imprese. Facilitando una visione più ampia, sul design per Giunti Editore
al contesto storico e geografico. La madre di tutte queste domande è, in meno formale e mediata, e abbassando la soglia di accesso alla cultura. Il e di monografie aziendali. Dal
ogni caso, se i valori alla base della fruizione della cultura siano davvero museo non deve più essere “la chiesa al centro del paese” e la cultura deve 2010 al 2013 ha insegnato
Storia del design allo IED
cambiati, dal momento che i temi dell’inclusività e della sostenibilità diffondersi in modi più equi e accessibili. Perfino negli ambienti domestici Milano e in NABA. Oggi è anche
sembrano diventare trainanti nel progetto dell’architettura e anche della attraverso, per esempio, un paywall per mostre che non richiedano la copywriter e content strategist
proposta culturale. Abbiamo girato i quesiti a due direttori – Aric Chen, presenza fisica nel museo. Rafforzando l’integrazione tra analogico e per studi di architettura e
direttore generale e artistico dell’Het Nieuwe Instituut di Rotterdam e digitale verso strategie di pubblico molto più interessanti e inclusive. aziende del settore dell’arredo,
sperimentando formati
Suhanya Raffel, direttrice di M+ Museum for Visual Culture West Kowloon Suhanya Raffel M+, progettato da Herzog & de Meuron, è un edificio editoriali diversi, sia su carta
di Hong Kong – e a tre progettisti – Mariam Issoufou Kamara, fondatrice museale fluido nella relazione tra gli spazi esterni e interni. L’architettura che online.
e direttrice dello studio nigeriano atelier masōmī; Li Hu e Huang Wenjing gode di una relazione simbiotica con l’Art Park circostante che s’interseca
founding partner di Open Architecture, a Beijing, oggetto della recente a M+ con un’apertura, aprendo una vista sul Victoria Harbour e il parco che • Born in Florence in 1975,
Croci is a journalist who has
monografia A Radical Vision by OPEN. Reinventing Cultural Architecture le persone utilizzano come luogo d’incontro. Dal punto di vista curatoriale, been writing for design and
(Rizzoli); e Ben van Berkel, co-fondatore e principale architetto di UNStudio promuoviamo esperienze culturali che rendano l’arte una parte naturale architecture magazines for 20
ad Amsterdam che, negli anni, ha sperimentato metodologie e soluzioni della vita quotidiana, anche grazie all’esperienza diretta di ristoranti o years now. Her degree and PhD
progettuali con l’ausilio di nuovi materiali e tecnologie. laboratori interattivi nel Learning Hub di oltre 1.200 m2. in design sciences are from
the IUAV in Venice. Since 2010
she has been writing design
Gli spazi della cultura come luoghi ibridi. Quali sono i principali Quanto è importante la spettacolarità dell’architettura sul publications for Giunti Editore
cambiamenti a livello tipologico e architettonico? coinvolgimento pubblico? and corporate monographs.
From 2010 to 2013 she taught
Aric Chen Il sovrapporsi di pubblico e privato, cultura e intrattenimento Mariam Issoufou Kamara L’architettura dev’essere anche al servizio
design history at the IED
evoca idee che risalgono al Fun Palace realizzato negli anni Sessanta da del monumentale e dell’iconico perché parlano delle aspirazioni di un and NABA schools, both in
Cedric Price e Joan Littlewood. È stato significativo vedere quell’idea citata popolo. Tuttavia, per me, la tipologia tradizionale dei musei è obsoleta, Milan. Croci is a copywriter
da Diller Scofidio + Renfro in The Shed a New York. Il museo come spazio perché non è più espressione di dinamiche di potere. and content strategist for
architecture firms and furniture
pubblico – civico, di pubblica utilità o per lo svago – continuerà a evolvere. Il Oggi, i musei dovrebbero riguardare l’arte e l’istruzione, le interazioni manufacturers, experimenting
progetto recente che più mi ha colpito è il Depot di MVRDV per il Boijmans e l’empowerment delle comunità. with different editorial formats –
van Beuningen. L’archiviazione ‘aperta’ non è un’idea nuova, ma è più vicino Li Hu e Huang Wenjing In un mare di monotonia, come in molte delle on paper and online.
di qualsiasi altro luogo abbia mai visto all’idea di maggiore accessibilità alle nostre città, è meraviglioso essere illuminati da qualcosa di spettacolare.
collezioni, “dietro le quinte” e narrazioni curatoriali non lineari. Una città piena di Centre Pompidou o Guggenheim Bilbao sarebbe però
Li Hu e Huang Wenjing I musei stanno diventando molto più noiosa, se non disastrosa. C’è sempre bisogno di spettacolo, perché le
multifunzionali perché l’istruzione non è più il ruolo esclusivo delle nostre menti sono curiose e in cerca di eccitazione. Lo spettacolo, però,
istituzioni. Le persone vanno nei musei per incontrare gli amici o può essere a qualsiasi scala e persino digitale. Le opzioni non mancano.
partecipare ad attività sociali. Stanno diventando multidimensionali Suhanya Raffel Il design monumentale di M+ incarna l’ambizione di
perché, da un lato, le opere d’arte assumono le forme dei diversi media; affermarsi come una delle principali istituzioni culturali del mondo, pur
8 FOCUS
© Bloomimages. Courtesy of UNStudio
offrendo lo spazio pubblico per il divertimento di chi è in città. M+, infatti, è
un forum pubblico, una piattaforma costruita per lo scambio, l’incontro e
l’attività di persone.
Ben van Berkel L’architettura dovrebbe essere lo sfondo della forma
d’arte, non la protagonista dello spettacolo. Ci sono altre preoccupazioni di
vasta portata, ambientali e sociali, che devono essere prioritarie.
Come deve rapportarsi lo spazio per la cultura al contesto
urbano, storico o geografico?
Li Hu e Huang Wenjing Gli spazi culturali dovrebbero incarnare il senso
di apertura e di appartenenza al luogo e al tempo. In cambio, le persone
sentiranno di farne parte. Abbiamo cercato di ottenerlo nel progetto di
Tank a Shanghai. È quello che abbiamo provato quando ci siamo trovati
all’interno del SESC Pompéia di Lina Bo Bardi.
Ben van Berkel Difficile generalizzare: in alcuni luoghi, i riferimenti
storici o locali sono essenziali, mentre in altri la rigenerazione urbana e il
coinvolgimento della comunità possono essere prioritari.
Mariam Kamara Fare architettura pensando alle persone, al materiale
locale, al clima e al contesto permette all’architettura d’inscriversi nel futuro
e nella storia di un luogo.
Aric Chen A partire dal Guggenheim Bilbao, si è detto e scritto molto
sugli impatti sociali, urbanistici ed economici che i musei hanno sulle città.
Un fenomeno più recente si sta verificando nelle campagne. Penso in
particolare alla Cina, dove il Governo ha intrapreso un massiccio sforzo di
rivitalizzazione rurale, che ha visto emergere molti piccoli musei, progettati
da Wang Shu, He Wei, Zhang Lei e Xu Tiantian di DnA. Quest’ultima,
nel museo Hakka, ha usato materiali e tecniche locali rispondendo
magnificamente al paesaggio ed evidenzando la cultura locale.
Suhanya Raffe La relazione tra uno spazio culturale e il contesto varia
in base alla natura del museo. L’esterno e l’interno di M+ sono ricoperti
da un sistema modulare di rivestimento di terracotta che si è ispirato ai
tradizionali tetti di bambù cinesi. Il Found Space, situato nel seminterrato, è
una galleria cavernosa, scavata lungo i lati del tunnel ferroviario dell’Airport
Express che è diventato la base per dare forma all’edificio.
Musei e inclusività. Quali sono gli aspetti più urgenti?
Ben van Berkel I musei e gli culturali hanno escluso alcuni segmenti
della società quali gruppi a basso reddito o minoranze, attraverso la loro
programmazione, i costi d’accesso e la reputazione di elitarismo. Sono
domus Contract 2022
necessarie strategie che accolgano e affrontino un intero spaccato della
società: dalla programmazione culturale alle attività di accesso alle opere.
Aric Chen All’Het Nieuwe Instituut esitiamo a concentrarci sulle politiche
di diversità e inclusione, perché riteniamo non debbano essere una politica
quanto un fatto. Ci concentriamo sullo sviluppo di strutture collaborative,
sull’implementazione di pratiche di co-creazione e sull’istituzione di
cambiamenti strutturali, oltre a garantire che la composizione del nostro
personale includa un’ampia gamma di background e voci.
Suhanya Raffe M+ incorpora i principi di Universal Design, una soluzione
che produce edifici, prodotti e ambienti efficaci per tutti. L’architettura
è progettata per essere il più possibile priva di barriere, mentre le
descrizioni e le didascalie vicino alle opere d’arte sono basate sul livello
di alfabetizzazione di un quattordicenne. Ci sono circa 27 nazionalità tra il
nostro personale del museo che parla 15 lingue diverse, perché vogliamo
che M+ sia un museo globale.
Li Hu e Huang Wenjing Il senso che tutti siano accolti è fondamentale.
Nei nostri progetti integriamo parchi e giardini poiché l’enigmatico potere
della natura e del paesaggio collega le persone e dissolve i confini.
Musei e sostenibilità come aspetto imprescindibile del progetto.
Ben van Berkel Credo sia compito delle istituzioni culturali dare l’esempio.
Gli edifici dovrebbero assumere un ruolo guida nell’innovazione e nel
cambiamento dell’architettura. In questo, la sostenibilità è essenziale, ma
lo sono anche altri valori culturali e sociali da considerare fin dall’inizio.
L’effetto Bilbao del futuro sarà determinato da edifici che realizzino
veramente questi obiettivi.
Mariam Kamara È importante analizzare il contesto e l’edificio per
scoprire pratiche sostenibili già esistenti. Preservare è un valore, per poi
costruire con gli strumenti che abbiamo sviluppato nel XXI secolo.
Suhanya Raffe Abbiamo sette intenzioni-chiave – riportate nel
Documento di Sostenibilità di M+ – che daranno forma alla nostra direzione
e alle azioni future in modo olistico. Dalla bioedilizia al progetto del
risparmio energetico: dall’involucro agli allestimenti, riciclabili per tre anni.
Aric Chen Non appartenendo né al Governo né al settore commerciale,
gli spazi per la cultura sono liberi di sperimentare. Per esempio, lo scorso
aprile, Het Nieuwe Instituut è il primo Zoöp al mondo – un modello
per la cooperazione tra vita umana e non umana, dove gli interessi di
quest’ultima erano parte del processo organizzativo. È una metodologia
per instillare pratiche più ecologiche.
 domus Contract 2022 FOCUS 9

Renderings © DBOX. Courtesy of UNStudio

“La sostenibilità è essenziale, ma lo sono anche altri valori, culturali

e sociali. L’effetto Bilbao del futuro sarà determinato da edifici che
realizzino veramente questi obiettivi”. Ben van Berkel
“Sustainability is an essential facet, but so too are other cultural and
societal values. The Bilbao Effects of the future will be created by
buildings that actually realise these aims.” Ben van Berkel

Pagina a fronte: rendering del Chungnam Art Museum, Chungnam, Corea del Sud,
progetto di UNStudio (Ben van Berkel e Astrid Piber con Sontaya Bluangtook,
Marc Salemink e Heeyoun Kim, Hyoseon Park, Alba Pelaez, Andrii Kniaz), 2021.
In questa pagina: rendering del Lyric Theatre Complex, Hong Kong,
progetto di UNStudio (Ben van Berkel e Hannes Pfau con Garett Hwang
e Shuyan Chan), 2014-2023

• Opposite page: rendering of the Chungnam Art Museum in Chungnam,

South Korea designed by UNStudio (Ben van Berkel and Astrid Piber with Sontaya
Bluangtook, Marc Salemink and Heeyoun Kim, Hyoseon Park, Alba Pelaez,
Andrii Kniaz), 2021. This page: rendering of the Lyric Theatre Complex in Hong Kong
designed by UNStudio (Ben van Berkel and Hannes Pfau with Garett Hwang
and Shuyan Chan), 2014-2023
10 FOCUS
Photo © Wu Qingshan
In queste pagine: tre progetti di Open Architecture in Cina. Sopra e pagina a fronte,
in alto: UCCA Dune Art Museum, lungo la costa della baia di Bohai,
nel nord della Cina, 2018. Il museo è scavato nel terreno e nascosto tra le dune della
spiaggia, che contribuirà a preservare da possibili sviluppi immobiliari.
Sotto, da sinistra: rendering della Sun Tower, torre belvedere alta 50 m,
a Yantai, provincia di Shandong, nel Nord Est della Cina, 2022-2024;
Chapel of Sound, sala per concerti all’aperto, a Chengde, nella provincia dell’Hebei,
a 200 km da Pechino, 2021
Photo © Jonathan Leijonhufvud
© Open Atrchitecture
domus Contract 2022
•These pages: three projects by Open Architecture in China. Above and opposite
page, top: the UCCA Dune Art Museum on Bohai Bay in northern China, 2018.
The museum, carved into the ground and concealed among dunes, will help preserve
the beach from being built on by developers. Below left: rendering of the Sun Tower,
a 50-metre-tall belvedere in Yantai, Shandong Province in northeast China,
2022-2024. Below right: Chapel of Sound, an open-air concert hall in Chengde,
Hebei Province, 200 km from Beijing, 2021
 domus Contract 2022
© Zaiye Studio
• Art institutions are the subject of profound changes. They reflect a
general mutation of lifestyles, where the boundaries between public
and private, work and play, culture and entertainment are increasingly
fluid. To accommodate this flux, we must discover which typological
transformations and design elements are beneficial. We must find out
if architecture with a spectacular nature (the so-called Bilbao Effect of
architectural trophies) still has a hold on the public’s curiosity, if it still
raises the profile of cities. And we must see how cultural space should
relate to the local historical and geographical context. Lastly, we might
ask ourselves if the values at the base of cultural enjoyment have really
changed now that the subjects of inclusivity and sustainability have
become driving forces in architecture as well as exhibition proposals. We
explored these issues with two museum directors – Aric Chen, the general
and artistic director of Het Nieuwe Instituut in Rotterdam, and Suhanya
Raffel, who leads the M+ Museum for Visual Culture in Hong Kong. We
also received answers from three museum architects: Mariam Issoufou
Kamara, who designs cultural spaces in Africa with her firm Atelier
Masōmī in Niamey, Niger; Li Hu and Huang Wenjing, founding partners
at Open Architecture in Beijing, whose work is the subject of a recent
monograph published by Rizzoli, A Radical Vision by OPEN; and Ben van
Berkel, co-founder of UNStudio in Amsterdam, known for experimentation
with new materials and technology.
Cultural spaces are hybrid places. What main changes do you
see in their type and architecture?
Aric Chen The blurring of public and private, and culture and
entertainment dates back at least to Cedric Price and Joan Littlewood’s
Fun Palace in the 1960s. It was telling to see that proposal so explicitly
referenced in Diller Scofidio + Renfro’s The Shed, in New York, more than
50 years later. The notion of the museum as a public space – whether as a
civic space, or a space of public amenity and leisure – will evolve. Recently,
the museum project that impressed me most is the MVRDV-designed
Depot for the Boijmans van Beuningen. Open storage is not a new idea,
but at the Depot, it comes closer than any place I’ve seen to realising
museums’ long-standing ambitions for greater accessibility of collections,
behind-the-scenes transparency, and non-linear curatorial narratives.
Li Hu and Huang Wenjing Museums are becoming more
multifunctional – no longer do they have a merely educational role. People
may go to art institutions to meet friends, or participate in all sorts of
FOCUS 11
social activities. They are also becoming more multidimensional, because
artworks today take on all different forms and media, so the spaces to
host them must be flexible and adaptable. Simple white walls are no
longer sufficient. Also, fast-changing technology has fundamentally
altered the ways people get their information, hence art institutions may
use it to present their assets to general audiences.
Ben van Berkel The most significant change is that institutions have
become aware that in order to remain relevant and reach a broader,
more inclusive audience, they need to expand beyond the confines of the
traditional single building and forge partnerships with other enterprises
to facilitate a less formal, less curated form of viewing. This lowers the
threshold for access to culture. The museum should no longer be a
“church in the middle of the village”, but spread throughout the built
environment. This layering could be expanded even into the home, where
low-threshold paywall models could give people access to specifically
designed exhibitions that do not necessitate visitors’ physical presence
in the museum. I think the analogue and the digital can strengthen each
other more than they currently do, resulting in more interesting and
inclusive audience strategies.
Suhanya Raffel Our M+ Museum for Visual Culture was designed
by Herzog & de Meuron. The building is fluid in its relationship between
indoors and out, enjoying a symbiotic relationship to its location in the
Art Park. This encourages our communities to enjoy views of the Victoria
Harbour and the greenery while using it as a place for gatherings. From
a curatorial standpoint, we incorporate lifestyle offerings (dining and
interactive workshops held in a 1,200-square-metre learning hub) with
art and cultural experiences in the same building, in order to make art a
natural part of visitors’ daily lives.
Is architectural spectacle important to attract the public?
Mariam Kamara The architecture must be monumental and iconic in
order to speak to the future aspirations of a people. Traditional museum
architecture is obsolete because it no longer expresses the power
dynamics of society. Today, museums should be about art, education,
interaction and community empowerment.
Li Hu and Huang Wenjing In a sea of monotony, as many
of modern cities are, it is wonderful to be lit up by something
spectacular. But a city full of Centres Pompidou or Guggenheim
Bilbaos would not be good. There is still a need for
12 FOCUS
Courtesy of atelier masōmī
Sopra: rendering di Bët-bi, progetto di Atelier Masōmī, sarà inaugurato nel 2025
nella cittadina di Kaolack, Senegal. Museo e centro artistico e sociale.
Il suo obiettivo è valorizzare la cultura megalitica del Senegambia e l’arte
contemporanea locale. Pagina a fronte: Hakka Museum, progetto di DnA
(Xu Tiantian) nel villaggio di Shicang, contea di Songyang, Cina, 2017.
Il volume dell’edificio è realizzato su un campo terrazzato e segue il drenaggio
dell’irrigazione originale, dalla montagna al centro abitato
spectacle because our minds remain curious and excitement-
seeking. This can be at any scale, or digital. We have many options.
Suhanya Raffel The monumentality of M+ embodies the ambition to be
a leading cultural institution. The museum provides much-needed public
space for those in the city to enjoy. M+ is a public forum, a built platform
for exchange, encounter and activity combining people and art.
Ben van Berkel Architecture should be the background to the art form.
Environmental and societal concerns might deserve priority.
How should cultural spaces relate to the urban, historical and
geographic context?
Li Hu and Huang Wenjing They should embody openness, generosity
and care. A sense belonging to its place and time is very important in
order for people to feel that they are part of it. Our Tank Shanghai project
attempts to achieve this. And we experienced it ourselves when we
visited Lina Bo Bardi’s SESC Pompéia in São Paulo.
Ben van Berkel It’s difficult to generalise. In some locations, historical or
local references are deemed essential in the design, while in others, urban
regeneration and community engagement may be more important.
Mariam Kamara Making architecture with people, local material, climate
and context in mind establishes an automatic relation between the future
and history of a place.
Aric Chen Since Bilbao, a lot has been said about museums and the
social, urbanistic and economic impacts they have on cities. A newer
phenomenon is happening in rural areas in China, where the government
has undertaken a massive rural revitalisation effort that has seen many
small museums emerge by architects including Wang Shu, He Wei,
Zhang Lei and Xu Tiantian. The latter designed a string of small museums
in Zhejiang Province, where local materials and construction respond
beautifully to the landscape while highlighting aspects of local culture.
Suhanya Raffel The degree to which a cultural space should relate to
its context varies based on the museum. The M+ building is covered with
modular terracotta cladding inspired by Chinese bamboo roofs.
What are important aspects of museum inclusivity?
Ben van Berkel For a long time, museums and other cultural spaces
excluded certain segments of society (low-income groups, minorities),
either through their programming, the costs involved in gaining access, or
the reputation of elitism. To become more inclusive, they need to devise
domus Contract 2022
•Above: rendering of Bët-bi, a museum and civic centre in Kaolack, Senegal
designed by Atelier Masōmī and due to open in 2025. It aims to promote knowledge
of the ancient megalithic culture of the Senegambia region, and host local
contemporary art.
Opposite page: the Hakka Indenture Museum in Shicang village, Songyang County,
China designed by DnA (Xu Tiantian) in 2017. The building is built on a terraced slope
and incorporates the existing irrigation channel from the mountain to the village
strategies that involve, accommodate, welcome and address a full cross-
section of society – in their programming, in their activities and in their
possibilities to access cultural assets.
Aric Chen At Het Nieuwe Instituut, we hesitate to focus on diversity and
inclusion policies, because we think diversity and inclusion should be
less of a policy and more of an actual fact. We concentrate on developing
collaborative frameworks, implementing co-creation practices and
instituting structural changes, in addition to making sure our staff includes
a wide range of backgrounds and voices.
Suhanya Raffel The M+ Museum incorporates the principles of
Universal Design, a broad-spectrum solution that produces buildings,
products and environments that are effective for everyone. M+ is
architecturally as barrier-free as possible and all artwork labels are based
on the literacy of a 14 year old. There are around 27 nationalities among
our museum staff who speak 15 different languages.
Li Hu and Huang Wenjing The sense that all are welcomed is of critical
importance. We often integrate parks and gardens into our cultural
buildings, as we see the enigmatic power of nature and landscape to
connect people and dissolve boundaries.
What about sustainability as a key element in museum design?
Ben van Berkel It is the role of cultural institutions to lead by example.
Cultural buildings should implement innovation. Sustainability is an
essential facet of this, but so too are other cultural and societal values.
Mariam Kamara First comes the analysis of the context and the
building in order to uncover sustainable practices already there. There is
value in preserving these and then building on with 21st-century tools.
Suhanya Raffel We have articulated a vision and seven key intentions –
written in the M+ Sustainability Document – which will shape our direction
and future actions. Our approach to sustainability aims to be holistic, from
our green architecture to the design of energy savings. When we make
exhibitions, we build internal walls in a big space to then construct the
exhibition. We keep those internal walls for a minimum of three years.
Aric Chen We’re neither government nor in the commercial
sector, which gives us a lot of latitude in trying things out as sites of
experimentation. This past April we became the world’s first Zoöp. This is
a framework, developed by one of our researchers in collaboration with
many others, that brings non-human interests into our decision-making
processes as a way of embracing more ecological practices.
 domus Contract 2022 FOCUS 13

Photos © Wang Ziling

“Fare architettura pensando alle persone, al materiale locale,

al clima e al contesto permette all’architettura d’inscriversi
nel futuro e nella storia di un luogo”. Mariam Kamara
“Making architecture with people, local material, climate
and context in mind establishes an automatic relation between
the future and history of a place.” Mariam Kamara
Come stanno cambiando oggi
i musei e cosa implica partecipare
a progetti e forniture nell’ambito
degli spazi culturali?
Ne abbiamo parlato con Patrizia
Venturini per Goppion, Carola
Bestetti per Living Divani, Roberto
Casini per Panaria Group
e Monica Pedrali di Pedrali /
How are museums changing?
What does it take to supply the In questa pagina: interni del nuovo Museo Nazionale di Arte di Oslo inaugurato
design and materials for cultural lo scorso giugno (museografia a cura di Guicciardini & Magni Architetti), con
espositori di Goppion. L’urlo di Edvard Munch (pagina a fronte, in basso), sempre al
spaces? We spoke to Patrizia museo di Oslo, è stato protetto dal Goppion Conservation Frame, dotato di un vetro
speciale che ottimizza sicurezza e trasparenza. Pagina a fronte, in alto: il Musée
Venturini (of Goppion), Carola Yves Saint Laurent di Parigi, 2017, con espositori ideati appositamente da Goppion

Bestetti (of Living Divani), Roberto • This page: interiors at the National Museum of Art in Oslo, Norway, open since
June 2022 (display design by Guicciardini & Magni Architetti). Showcases

Casini (of Panaria Group) by Goppion. The Scream by Edvard Munch (opposite page, bottom), also at the Oslo
museum, is protected by a conservation frame manufactured by Goppion.

and Monica Pedrali (of Pedrali) Special glass optimises safety and transparency. Opposite page, top: the Yves
Saint Laurent Museum in Paris, 2017, with customised display-cases by Goppion

Parametri e strategie
per spazi in evoluzione
Parameters and strategies
for evolving spaces
Cecilia Fabiani
Photos © Archivio Goppion
 domus Contract 2022
Photos © Archivio Goppion
Non è noto ai più, ma molti musei internazionali si avvalgono di aziende
italiane per la realizzazione e l’allestimento dei propri spazi espositivi.
Una collaborazione che avviene su più livelli, dai materiali per la
costruzione della struttura, ai sistemi espositivi altamente specializzati,
fino agli arredi e all’illuminazione. Architetti, progettisti e i musei
direttamente puntano su aziende italiane, in grado di fornire prodotti
dalle prestazioni corrette, unite all’estetica del made in Italy, grazie
anche a un adeguato supporto tecnico. Gli spazi sono in evoluzione
e anche le strategie e le problematiche da affrontare.
Patrizia Venturini, Goppion
“Da parte dei musei c’è molta attenzione nel portare avanti e sviluppare
tematiche che siano d’interesse globale: l’ambiente, la posizione della
donna, la sostenibilità. Negli Stati Uniti è nata una serie di musei e
gallerie di musei, dedicata ai neri, ai nativi, alle minoranze. C’è l’esigenza
di recuperare terreno. Un esempio? Il National Museum of African
American History and Culture progettato da David Ajaye a Washington
DC, vicino alla Casa Bianca”.
Patrizia Venturini, general manager di Goppion, eccellenza in fatto di
espositori e allestimenti museali, nota il primo cambiamento a livello
di contenuti. I cambiamenti riguardano non solo le tematiche, bensì
gli aspetti architettonici e d’allestimento, da un lato, e quelli relativi alla
conservazione, dall’altro. “Per la parte che riguarda la presentazione
degli oggetti da esporre, la tendenza consiste nel racconto, nel
coinvolgimento del visitatore, attraverso sistemi multimediali, apparati
didattici chiari o mediante uno storytelling. Non bastano semplici
espositori e didascalie”, precisa.
Un concetto che sta alla base delle esposizioni del nuovo National
Museum of Art di Oslo, museo antologico nato dalla fusione
di più collezioni. “Negli ultimi 20 anni si sono fatti molti progressi per
risolvere i problemi della conservazione preventiva, ovvero del
controllo dei lux, del microclima all’interno delle teche, ma soprattutto
dei VOC, i composti organici volatili, ovvero le emissioni che
provengono dalle vetrine o dagli espositori, ma anche dagli stessi
oggetti esposti”, racconta Patrizia Venturini.
L’azienda, attiva nella ricerca nell’ambito del controllo dei fattori
chimici, collabora con l’Università di Torino, con musei quali British e
Smithsonian e con il JPL Jet Propulsion Laboratory della NASA, che vanta
un’esperienza derivata dalle sperimentazioni sulle navicelle spaziali.
FOCUS 15
Oggi lo sforzo è teso a utilizzare per l’intero allestimento, ovvero per tutti Cecilia Fabiani
gli exhibition component, materiali non emissivi. Gli standard richiesti Nata a Roma nel 1959, è
architetta, giornalista, critica del
dai musei internazionali sono elevatissimi e l’apporto di Goppion è design, docente universitaria e
richiesto ovunque si lavori a grandi opere museali: Stati Uniti, Nord consulente di aziende di design.
Europa, Estremo Oriente. Di prossima apertura il Grand Egyptian Si è laureata in Innenarchitektur
Museum a Giza, mentre si lavora alla recente assegnazione per lo Zayed alla Akademie der Bildenden
Künste di Monaco di Baviera
National Museum di Abu Dhabi, nuovo progetto di Foster + Partners e ha conseguito un master in
dedicato al fondatore degli Emirati Arabi Uniti. Design alla Domus Academy
“Le vetrine denominate conservation grade display cases sono di Milano.
il nostro core business. Abbiamo una grande competenza nell’uso dei
• Born in Rome in 1959, Fabiani
materiali. Per ragioni conservative utilizziamo in prevalenza quelli is an architect, journalist,
che non necessitano di finiture, quali acciaio inox e alluminio. design critic, university
C’è poi un insieme di trattamenti di materiali che ci contraddistingue lecturer and consultant for
rispetto ai nostri concorrenti stranieri, come l’ottone. design companies. She
graduated in Innenarchitektur
Per la collezione Al Thani, che è stata esposta a Parigi, abbiamo at the Akademie der Bildenden
usato il titanio. Il vetro ovviamente è sempre antiriflesso, perché tutto Künste in Munich and gained
ciò che protegge deve tendere a scomparire”. her master’s in design at
Tutti i progetti realizzati da Goppion sono su misura. Nonostante ciò, Domus Academy in Milan.
si basano su serie esistenti di vetrine ed espositori brevettati, divisi
in classi di prodotto, con sistemi costruttivi testati. Conservation
Frame è l’ultima novità dell’azienda, una collezione di micro-teche per
opere bidimensionali, con controllo del microclima e dello stato di
conservazione, dotato inoltre di sistema di sicurezza. Personalizzabile
nelle misure, è stato studiato non solo per i musei, ma anche per i
collezionisti: è un po’ come portare il museo in casa.
Carola Bestetti, Living Divani
Da molto tempo, Living Divani è presente con i suoi arredi nei contesti
legati alla cultura: particolari manifestazioni come Art Basel,
il Festival del Cinema di Venezia, spazi espositivi tra cui le Scuderie
del Castello Visconteo a Pavia o veri e propri musei tra cui la Triennale,
l’HangarBicocca e il Museo della Scienza e della Tecnicologia a Milano
o, ancora, la National Gallery a Victoria, in Australia. Un percorso graduale
che si è sviluppato nel tempo in parallelo al cambiamento avvenuto
nell’ambito della concezione degli spazi espositivi.
“Negli ultimi anni, i musei si sono aperti anche a chi non ha interessi
specifici particolarmente approfonditi, diventando sempre più luoghi
di aggregazione, immersivi e accoglienti, dove poter vivere esperienze.
Questo si traduce nell’attenzione a creare ambienti che siano
16 FOCUS domus Contract 2022
Photo Matteo Vercelloni

In questa pagina. Sopra: sala conferenze dell’ADI Design Museum a Milano,

allestita con le sedie Dome disegnate da Odoardo Fioravanti per Pedrali.
A destra: diversi modelli di sedute e il tavolino Inox di Pedrali arredano il Caffè
Fernanda della Pinacoteca di Brera a Milano. Pagina a fronte: gli imbottiti
Extrasoft e Bubble Rock disegnati da Piero Lissoni per Living Divani negli spazi
esterni dell’HangarBicocca a Milano

• This page. Above: conference room at the ADI Design Museum in Milan. Dome
chairs by Odoardo Fioravanti for Pedrali. Right: different models of chairs and the
Inox table, all by Pedrali, at Caffè Fernanda inside the Pinacoteca di Brera in Milan.
Opposite page: outdoor areas at Pirelli HangarBicocca in Milan with the sofas
Photo Michele Nastasi project rgastudio

Extrasoft (top) and Bubble Rock (bottom) by Piero Lissoni for Living Divani
 domus Contract 2022
Photos Paolo Volonté
allineati con ciò che si espone”, spiega Carola Bestetti, CEO dell’azienda.
“Nel nostro caso, è stata la committenza a individuare in noi dei
partner adeguati”, racconta. “Questo, credo, perché i valori e la filosofia
della nostra azienda sono in sintonia con quelli dell’arte e della cultura.
Guardiamo in quella direzione anziché, per esempio, alla moda”.
Una collaborazione che ha varie declinazioni, a seconda che si tratti
di una sponsorizzazione, di un prestito, di una fornitura, di una commessa,
di una realizzazione e fornitura custom o dello sviluppo di un prodotto
ex novo e ad hoc. Living Divani non ha una specifica divisone contract,
ma realizza tutti i suoi prodotti anche in versione contract, con
materiali, prestazioni e certificazioni idonee agli spazi pubblici. La volontà
di aiutare il mondo della cultura e una vicinanza di vedute hanno
portato l’azienda a collaborazioni temporanee o durature, con un ritorno
visibile nel lungo periodo.
Monica Pedrali, Pedrali
Amministratore delegato di Pedrali, azienda le cui radici affondano nel
contract, Monica Pedrali delinea, per quanto riguarda gli spazi museali, tre
tendenze. La prima consistente nell’apertura alla città – e non unicamente
ai visitatori – dei luoghi dedicati alla cultura. Questo tema si traduce
in bar, caffetterie e ristoranti contemporanei, con spazi studiati dai
progettisti, autori di nuove architetture o del progetto di riqualificazione
o degli interni, che hanno le caratteristiche per diventare luoghi di
riferimento per la città. È il caso del Caffè Fernanda alla Pinacoteca di
Brera, quartiere di Milano elegante, meta di turisti, frequentato
anche da studenti d’arte e artisti stessi. “Il prodotto contract deve
essere molto funzionale, durevole, sia in termini di materiali e costruzione,
sia a livello estetico. Questo è ancora più vero nel caso dei musei,
che vengono rinnovati di rado, rispetto ad altri ambiti. In questo
settore, in particolare, si nota una crescente attenzione per nuovi
materiali e finiture, per la loro qualità, soprattutto per quanto
riguarda le problematiche legate alla sostenibilità. Un tema a noi
caro, in cui investiamo dal 2005, ottenendo importanti certificazioni”,
spiega Monica Pedrali.
L’ultima tendenza che indica consiste nella valorizzazione degli spazi
all’esterno. “Questo trend ha vissuto un’accelerazione e un’amplificazione
legate alla pandemia e ha reso evidente la qualità e il valore del tempo
passato all’aria aperta, a cui hanno fatto d’apripista proprio i musei”.
Esempi di realizzazioni in esterni di Pedrali includono la Royal Academy of
FOCUS 17
Arts di Londra di David Chipperfield Architects, il museo Istanbul
Modern, in fase di realizzazione, di Renzo Piano Bullding Workshop
in Turchia e il ristorante del Goulandris Museum of Natural History
di Atene dello studio Stones & Walls.
La particolarità di Pedrali consiste nell’essere un’industria che, dal 2005,
ha scelto di lavorare su commessa, senza tenere magazzino,
un metodo di produzione snello, lean production, introdotto per prima
da Toyota. Una scelta resa possibile dal fatto di essere produttori
al 100 per cento, ovvero con la lavorazione di molti materiali, differenti
tra loro, all’interno delle proprie fabbriche. Il custom made, parte
di ogni progetto contract, non riguarda nel caso di Pedrali forme
o tecnologie, bensì si basa solo su personalizzazioni in termini di
dimensioni, finitura, scelta di tessili e colore.
Roberto Casini, Panaria Group
Discorso ancora diverso per Panaria Group, che conta più marchi nel
settore dei materiali ceramici. Dotato di una divisone progetti multi-
brand con la quale segue le realizzazioni di tutte le aziende del gruppo,
Panaria si è occupata di spazi museali quali la Fondazione Prada a
Milano, il museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e The Libray,
uno spazio privato per un collezionista di auto a Hong Kong. Cosa è
premiante, in ambito contract? “La tendenza estetico-progettuale, salvo
rare eccezioni, privilegia collezioni poco connotate in termini di decoro,
formati molto grandi (3 x 1 o 1,20 x 1,20 m) che permettano di ottenere
il minimo di fughe e un’immagine molto pulita”, racconta
Roberto Casini, responsabile divisone contract e key account manager
di Panaria Group. “Tuttavia, non ci sono dubbi: il tema fondamentale
del contract oggi è l’eccellenza. Per giocare un ruolo da protagonisti e
partecipare a realizzazioni di rilievo è necessario, oggi più che
mai, garantire un prodotto di altissima qualità. A questo, si aggiunge il
tema fondamentale delle certificazioni, su cui lavoriamo da molto tempo”,
spiega. “Architetti e developer ragionano sempre più in termini
di rispetto ambientale: la sostenibilità ha un peso sempre maggiore,
incide su ogni scelta”, commenta. Per questo motivo, le aziende
del gruppo stanno introducendo per tutti i prodotti le schede per la
progettazione BIM. Si tratta di uno strumento dettagliatissimo,
che fornisce indicazioni al progettista e al developer di qualsiasi
tipo di parametro relativo al prodotto: si va dalle caratteristiche alle
certificazioni, fino ai pezzi contenuti in una scatola.
18 FOCUS domus Contract 2022

I cambiamenti riguardano le
tematiche, ma anche gli aspetti
architettonici e d’allestimento,
da un lato, e quelli relativi
alla conservazione dall’altro /
Changes regard exhibition
themes, architectural aspects,
types of display and preservation
requirements

Photo @ George Sfakianakis. Courtesy of Goulandris Museum of Natural History_Kifissia, Athens

In questa pagina. In alto: scorci dell’Al Hamra Luxury Centre a Kuwait City con la
collezione di tavolini, sedute e divani Ile disegnati da Piero Lissoni per Living Divani.
Sopra, da sinistra: il Natu Restaurant nei giardini del Goulandris Natural History
Museum di Atene con le sedute Nolita di CMP Design e i tavoli Ikon di Pio e
Tito Toso, tutto per Pedrali; la collezione di poltrone Jazz progettata dal centro
ricerca e sviluppo Pedrali alla Kongresshaus di Zurigo. Pagina a fronte:
sedute Nolita e tavolini Tonda di Pedrali per la Royal Academy of Arts a Londra
• Top: two views of the Al Hamra Luxury Centre in Kuwait City showing the
Ile couches by Piero Lissoni for Living Divani. Above, left: Natu Restaurant in the
gardens of the Goulandris Natural History Museum in Athens, furnished with
Nolita chairs by CMP Design, and Ikon tables by Pio and Tito Toso, both for Pedrali.
Above right: the Jazz armchairs by the research and development department
at Pedrali, seen at the Kongresshaus Zürich. Opposite page: Nolita chairs and Tonda
tables by Pedrali, seen at the Royal Academy of Arts, London
 domus Contract 2022
Photo Agnese Sanvito/project Transit Studio
• More often than we might think, international museums rely on
Italian companies for the building and furnishing of their exhibition
spaces. Business takes place in different branches, such as construction
materials, specialised exposition systems, furniture and lighting.
Architects, designers and the museums themselves want to work with
Italian companies able to supply products with the proper technical
requirements, Italian aesthetics and good customer service.
Exhibition spaces are evolving, and so are the strategies and challenges
to be taken into account.
Patrizia Venturini, Goppion
“There is much attention from museums for subjects of global interest,
such as the environment, the position of women and sustainability.
In the United States, a spate of new museums and museum galleries are
dedicated to Blacks, Native Americans and minorities. There is a need
to make up for lost time. One example is the National Museum of African
American History and Culture designed by David Adjaye in Washington
D.C. – it even has a view of the White House.”
Patrizia Venturini is the general manager at Goppion, a manufacturer
of high-quality specialised display cabinets and exposition systems
founded in 1952. The first change she notices regards content,
but changes are underway regarding architectural aspects, ways
to display objects, and how to preserve them. “The trend in object
presentation is that of narration and visitor involvement through
multimedia (virtual and physical media), through clear explanatory texts
on the wall, or through storytelling. A simple display-case with
captions will not suffice,” says Venturini. This is seen at the new National
Museum of Art in Oslo, Norway, whose anthological content
originates in the fusion of several collections. “In the last 20 years,
much progress has been made in solving the problems of preventive
preservation – how to control the amount of lux, the microclimate inside
the display-case, and above all, volatile organic compounds, which
are emissions emanated by the showcases, exhibit furniture or by
the displayed objects themselves,” says Venturini. Goppion conducts
research on the control of chemical factors by working with the University
of Turin, the British Museum, the Smithsonian and the Jet Propulsion
Laboratory at NASA, whose experience is based on experimentation
aboard spaceships. Currently the aim is to use only exhibition
components made with non-emissive materials. The standards required
FOCUS 19
by international museums are very high, and contribution
from Goppion is sought in every part of the world where there
are big projects underway – the US, Northern Europe, the
Middle East and the Far East. The Grand Egyptian Museum
will soon open in Giza, Egypt.
The Zayed National Museum is under construction in Abu Dhabi,
a memorial to the founder of the United Arab Emirates designed by
Foster + Partners. “Conservation-grade display-cases are our core
business. We have great competence in the use of materials.
For reasons of preservation, we prevalently use materials that do not
need finishes, such as stainless steel and aluminium. Then there
are a number of metal treatments, such as brass, that distinguish us from
our foreign competitors. For the Al Thani collection displayed in Paris,
we used titanium. Obviously, our glass is anti-glare, because everything
protecting the items must be as invisible as possible.”
Projects built by Goppion are always custom made. However they are
based on existing series of patented display-cases and show-cabinets,
divided into classes of products with tested construction methods.
Conservation Frame is the company’s latest new offering – a line
of micro display cases for two-dimensional exhibits. It is microclimate-
controlled, adjusts the state of preservation, and is equipped with
a security mechanism. Sizes are customisable. Conservation Frame
was developed not only for museums, but also for collectors, a bit like
bringing a museum inside your home.
Carola Bestetti, Living Divani
For many years now, furniture by Living Divani has been used in cultural
contexts such as Art Basel, the Venice Film Festival, the stables
of the Visconti Castle in Pavia, the National Gallery in Victoria, Australia,
and in Milan: the Triennale, the HangarBicocca and the National Museum
of Science and Technology “Leonardo da Vinci”. Success evolved
gradually over time in parallel with changes in the conception of exhibition
space. “In recent years, museums have opened up to visitors
without any particular in-depth interests. They have become places of
aggregation that are immersive and welcoming, where a visit
is an experience worth having. This is seen in the attentiveness with
which the rooms are appointed in alignment with the objects on display,”
says Carola Bestetti, the CEO at Living Divani. “Our clients come to us out
of the conviction that we are the right partner. I believe this is because
20 FOCUS
Photo Gionata Xerra
In questa pagina. Sopra da sinistra: la terrazza della torre della Fondazione Prada
a Milano, progetto di OMA, con a pavimento una decorazione optical in bianco
e nero realizzata con la collezione Absolute di Lea Ceramiche e uno degli spazi
interni all’edificio. In basso: The Library, spazio privato a Hong Kong di un
collezionista progettato dallo studio A Work of Substance, con la serie L2 di Lea
Ceramiche su parte del pavimento dell’area che ospita le automobili e i servizi.
Pagina a fronte: il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, progetto di
ABDR Architetti Associati, con pavimenti della collezione Over di Cotto d’Este
the company’s values and philosophy are on the same wavelength as those in art and
culture. We look in that direction, and not, for instance, in the direction of fashion.”
Projects are of different types – sponsorship, a loan, the supply of materials, a design
project, a custom-made construction or the development of a specific new
product. Living Divani does not have a specialised department for contract-based work,
but builds all its products in a “contract version”, meaning with materials,
performance requirements and certifications that are pertinent for use in public
spaces. The will to promote culture, and the fact of having a similar world-view
has seen the company involved in temporary and lasting collaborations with visible
returns in the long run.
Monica Pedrali
As the managing director of Pedrali, a manufacturer of furniture for public places,
Monica Pedrali sees three trends in museums. The first is how cultural institutions are
opening up to the city, not just their visitors. This means amenities like bars,
cafeterias and contemporary restaurants with spaces studied by architects who design
new buildings or urban rehabilitation projects or interiors, and give them
the characteristics to become reference points for the city. Take for instance Caffè
Fernanda at the Pinacoteca di Brera in Milan, an elegant neighbourhood, a tourist
destination, and frequented by art students and artists, too. “Furniture for public places
must be very functional, long-lasting in terms of materials, construction and aesthetics.
This is even more valid for museums, which are not often renewed compared to
other venues. The second trend is the growing attention for new materials and finishes,
for their qualities, in particular their sustainability. At Pedrali we have been investing
in sustainability since 2005 and have obtained important certifications.” The third trend is
the enhancement of outdoor areas.
“This has seen an acceleration, an amplification linked to the pandemic. It has made
it clear how positive it is to spend time in the open air. Precisely museums
pioneered this trend.” Outdoor examples of Pedrali projects are the Royal Academy
of Arts in London by David Chipperfield Architects, the Istanbul Modern
Museum underway in Turkey by Renzo Piano Building Workshop, and the restaurant
of the Goulandris Museum of Natural History in Athens by the firm Stones
and Walls. Pedrali is distinct for being an industry that decided in 2005 to work by
commissioned order only, without keeping stock, in line with the so-called
lean production method first introduced by Toyota. The choice was made possible
by being 100 per cent manufacturer, knowing how to work with many
Photos Dennis Lo
different materials within its own factories. When it comes to custom-made
products, which are a part of every public-use project, Pedrali does not modify
products’ shape or technology, but their size, finish, fabric and colour.
domus Contract 2022
C’è una crescente
attenzione per nuovi
materiali e finiture,
per la loro qualità /
There is a growing
interest in high-
quality new materials
and finishes
Above left: terrace of the tower at the Prada Foundation in Milan designed
by OMA. The black and white optical paving uses Absolute tiles by Ceramiche Lea.
Above right: inside the Prada tower. Bottom: The Library, a privately owned
automobile collector’s gallery in Hong Kong designed by A Work of Substance.
Flooring made in L2 tiles by Lea Ceramiche. Opposite page: the National
Archaeological Museum of Reggio Calabria designed by ABDR Architetti Associati.
Paved with Over tiles made by Cotto d’Este
Roberto Casini, Panaria Group
Panaria Group is made up of a number of ceramic tile brands. Having a multi-brand
design division with which the company follows the projects of all the group’s
brands, Panaria has supplied materials for museums such as the Prada Foundation
in Milan, the National Archaeological Museum of Reggio Calabria, and The Library
exposition of fancy cars in Wan Chai, Hong Kong. What is important for public spaces?
“The trend regarding aesthetics and design is in most cases toward non-decorated tiles
and very large formats (3 by 1 or 1.2 by 1.2 metres) that minimise grout lines
and give a very clean look,” says Roberto Casini, head of the contract division and key
account manager at Panaria Group. “In any case, the main element in demand
today is excellence. In order to play a major role and participate in construction projects
of importance, it is necessary now more than ever to guarantee a very high quality
product. In addition, certifications are fundamental, and we have been obtaining them
all along. Architects and developers are increasingly aware of ecology.
Sustainability is key, and it weighs on every choice,” says Casini. This is why the
companies in the group are introducing building information modelling files
for all products. This is a very detailed way to supply architects and developers with
all kinds of parameters regarding the product, such as characteristics, certifications and
how many pieces are packed in one box.
Photo Moreno Maggi, Salvatore Cavalli
22 ARCHITETTURA
L’apertura al pubblico di Ton 1 prosegue l’intervento
in più fasi di ristrutturazione e rigenerazione degli
Atelier Gardens di Berlino, storici studios dei Berliner
Union Film Ateliers (BUFA). L’operazione è promossa
dall’investitore londinese Fabrix, che affida a MVRDV
il master plan del complesso e la trasformazione
dei suoi edifici principali – a Ton 1 seguirà House 1
entro il 2023. Collocati ai margini dell’ex aeroporto di
Tempelhof, infrastruttura di grande scala recuperata
con intelligenza a spazio pubblico, gli Atelier Gardens
sembrano volerne riproporre il livello di versatilità
e di multifunzionalità, oltre che la strategia di
riattivazione, per parti tramite esperimenti pionieri.
“La trasformazione del campus è concepita come
una serie di progetti-pilota”, spiegano da MVRDV, “un
processo in corso nel quale la partecipazione e il
feedback degli utilizzatori aiutano a chiarire la direzione
complessiva dell’intervento”. Mentre i BUFA proseguono
la loro attività più che secolare, negli Atelier Gardens
si stanno insediando associazioni e imprese diverse
per taglia, approccio e fama, da Fridays for Future di
Greta Thunberg alla scuola d’economia alternativa
danese Kaospilot. Fabrix e MVRDV si propongono di
fornire a questa comunità molteplice spazi flessibili
e riconfigurabili nella loro forma, dimensione e livello
di privacy. Il progetto di paesaggio elaborato da
Harris Bugg Studio per gli spazi aperti, fondato sulle
strategie complementari della de-pavimentazione e
del rafforzamento della biodiversità, si configura come
un filo conduttore a costituire uno sfondo comune tra
i singoli edifici, risolti ciascuno tramite programmi ed
estetiche specifici. Nel caso di Ton 1, MVRDV lascia
virtualmente integro l’antico involucro in mattoni e
innesta al suo interno un’architettura autonoma di
metallo, tessuto e luce. La materia storica, peraltro
vincolata, resta intatta, mentre il volume dell’hangar
rimane percepibile nella sua monumentalità.
Il progetto contract, in questo caso, si sovrappone in
sostanza al progetto d’architettura. Una composizione
di binari di acciaio verniciato decora il cielo dell’open
space, scandito dalle superfici instabili di grandi
tendaggi, diversi per colore, finiture e prestazioni. Il
rimando alle attrezzature tecniche degli studios e dei
palcoscenici è evidente, così come il riferimento al
leggendario Velvet & Silk Café di Ludwig Mies van der
Rohe e Lilly Reich (Berlino, 1927). L’illuminazione naturale
zenitale, attraverso un lucernario di nuova realizzazione,
e quella artificiale moltiplicano le variazioni possibili di
questo spazio cangiante.
MVRDV
Ton 1, Atelier Gardens
Berlin, Germany, 2022
Alessandro Benetti
Ai margini dell’ex aeroporto di Tempelhof, con l’apertura di un nuovo spazio
multifunzionale per eventi culturali, procede la ristrutturazione e rigenerazione
degli Atelier Gardens promosse da Fabrix con lo studio olandese /
By the former Tempelhof airport lies Atelier Gardens, an urban regeneration
project led by Fabrix from London. The site is coming to life with a new building for
cultural events designed by the Dutch architecture firm MVRDV
domus Contract 2022
• The firm MVRDV from Rotterdam has completed Ton Alessandro Benetti
1, the transformation of an old film studio located at Nato nel 1987 a Busto Arsizio,
è architetto e dottorando
Atelier Gardens, an urban regeneration project with a al Politecnico di Milano e
master plan also by MVRDV. The site, lying on the south all’Université Rennes 2.
edge of Berlin’s Tempelhof Airport, is the campus of Dal 2021 è membro del
Berliner Union Film Ateliers, whose first buildings were Consiglio direttivo di ANCSA,
Associazione nazionale
constructed over a century ago. The phased renewal centri storico-artistici.
of the site was commissioned to MVRDV by Fabrix Collabora con Domus dal 2018.
London, a real estate investment company. In 2023, Ton
1 will be followed by House 1. Atelier Gardens will not be • Benetti was born in 1987 in
Busto Arsizio, Italy. He is an
unlike the intelligently recycled Tempelhof, now public architect and PhD student at
space. Versatile architectural experiments are planned. the Milan Polytechnic and the
“The transformation of the campus is a collection Université Rennes 2. Since
of pilot projects. Progress in steps allows for user 2021 he has been a member of
the board of directors of of the
participation and feedback, which will help clarify the National Association of Historic
direction of Atelier Gardens as a whole,” says Jacob van and Artistic Centres in Italy. He
Rijs, a founding partner at MVRDV. While Berliner Union has been a regular contributor
Film Ateliers will continue its filmmaking, the site will host to Domus since 2018.
associations and companies of different size and fame,
including Fridays for Future by Greta Thunberg, and the
Danish school for alternative economy Kaospilot. Fabrix
and MVRDV want to supply this diverse community
with spaces that are flexible and reconfigurable in their
size, shape and privacy level. The landscaping by the
British studio Harris Bugg breaks up the existing hard
landscape and reinforces biodiversity. It is configured
as a theme and common backdrop to the individual
buildings, each of which has its own specific aesthetics.
At Ton 1, for instance, MVRDV maintained the brick
walls, kept them visible and inserted an autonomous
piece of architecture made of metal, fabric and light.
The historically listed structure remains intact and the
monumentality of the film studio’s hangar is still legible.
The interior is overlaid on top of the architecture. An
overhead composition of painted steel curtain rails
decorates the open-plan space, divided by big drapes
made by Kvadrat and Delius. The curtains are different
in colour, finish and function – opaque, translucent or
sound-absorbent. References to technical equipment
for film studios and stages are manifest, as is a nod
to Café Samt & Seide by Ludwig Mies van der Rohe
and Lilly Reich (Berlin, 1927). Natural light from a new
skylight and artificial light from standard Delta Light
lamps (made dimmable for Ton 1) multiply the possible
variations of this alterable space. Cosier surroundings
Photo Yasutaka Kojima
are found in the cafe designed by HS-Architekten with
Studio Fabrix, the investment agent’s in-house design
department. The cafe’s custom-made furniture is by Alt
Collective and Christopher Lees.
 domus Contract 2022
Photo Yasutaka Kojima
Pagina a fronte: l’ingresso dell’edificio con le pareti con mattoni originali a vista che
sono state mantenute e valorizzate. In questa pagina. Sopra e sotto a sinistra: la
caffetteria di Ton 1, progetto di Hirschmüller Schindele Architekten con Studio Fabrix,
gruppo di progettazione interno all’investitore, offre un ambiente raccolto, completato
da arredi disegnati ad hoc da Alt Collective e Christopher Lees. Sotto a destra: lo
spazio con gli armadietti, progetto di MVRDV, compreso tra l’ingresso e la caffetteria
Photo Yasutaka Kojima
ARCHITECTURE 23
• Opposite page: the building’s entrance shows how the original exposed-brick walls
were maintained and enhanced. This page. Above and below left: the cafeteria at
Ton 1 was designed by Hirschmüller Schindele Architekten with Studio Fabrix, the
investment agent’s in-house design department. Welcoming surroundings were
created with custom-made furniture by Alt Collective and Christopher Lees. Below
right: a hall with lockers by MVRDV lies between the entrance and the cafeteria
Photo Stefan Korte
24 ARCHITETTURA domus Contract 2022

Photo Stefan Korte

Ton 1, Atelier Gardens
Berlin, Germania / Germany
Progetto/Project
MVRDV (master plan e/and Ton 1)
Committente e promotore/Client and developer
Fabrix
Architetto locale/Local architect
Hirschmüller Schindele Architekten (master plan
e/and Ton 1)
Architettura del paesaggio/Landscape design
Harris Bugg Studio (Atelier Gardens)
Coordinamento/Project coordinator
Drees & Sommer (Atelier Gardens)
Strutture/Structural engineer
B+G Ingenieure Bollinger und Grohmann
Impresa edile/Contractor
Photo Yasutaka Kojima
Superficie del sito/Site area
24,281 m2
Superficie costruita totale/Built area
23,800 m2
Fase di progetto/Design phase
2016-2020 (Atelier Gardens)
Fase di costruzione/Construction phase
2021-2022 (Ton 1)
2021-2025 (Atelier Gardens)
Fornitori/Suppliers
AGC Glass Europe, Brillux / Bauwerk, CEAG,
Colorseen TimberStain, Delius, Delta Light,
Dolphin Solutions, Durat, Duravit, Dyson,
Emco, Equipe Cerámicas, Ideal standard, Jung,
Kemmlit, Kvadrat, Laufen, Leander, Lorreine,
Tece, Tom Dixon, Vaillant, Victorian Plumbing,
Volet, Washroom Hub

www.mvrdv.nl
KPM3
www.fabrix.london

In queste pagine: i grandi tendaggi (Kvadrat e Delius), diversi per colore, finiture e
prestazioni – opachi, traslucidi, fonoassorbenti. L’illuminazione naturale zenitale,
attraverso un lucernario di nuova realizzazione, e quella artificiale, assicurata
da lampade Delta Light, selezionate da catalogo e progettate su misura per Ton
1, moltiplicano le variazioni possibili di questo spazio cangiante. Ton 1 è pensato
per ospitare eventi di diverso tipo, come concerti, conferenze, mostre, seminari,
laboratori e proiezioni di film con una capienza fino a 1.000 persone
•These pages: big drapes by Kvadrat and Delius are different in colour, finish
and function – opaque, translucent or sound-absorbent. Natural light from a new
skylight and artificial light from standard Delta Light lamps (specially equipped
with dimmers) multiply the possible variations of this alterable space. Ton 1 was
conceived to host events such as concerts, conferences, exhibitions, seminars,
workshops and film screenings for up to 1,000 people

Tutti i materiali di progetto/

All project materials
© MVRDV

A A

0 5M PIANTA DEL PIANO TERRA / GROUND-FLOOR PLAN SEZIONE AA / SECTION AA

Photo Stefan Korte
 domus Contract 2022
Diller Scofidio + Renfro
Prior Performing Arts Center
Worcester, Massachusetts, USA, 2022
Giulia Ricci
Nato per sostenere nuovi scambi fra le arti, il centro è dotato
di spazi flessibili per permettere la sperimentazione /
Conceived for new exchanges between the arts, spaces are
designed with built-in flexibility to encourage experimentation
Photo Iwan Baan
Il Prior Performing Arts Center (PAC) per il College of the Holy Cross è
l’ultimo di una serie di importanti progetti culturali realizzata da Diller
Scofidio + Renfro. I quasi 8.000 m2 del centro occupano quello che era
un parcheggio ed espandono il ruolo che la formazione artistica ha
rivestito per il college gesuita fin dal 1843, anno della sua fondazione.
Esito di un concorso internazionale, il progetto ha avuto la meglio
su altre sette proposte grazie a un approccio che prometteva un
forte scambio fra le arti e, di conseguenza, un’innovazione tipologica.
L’edificio intercetta i percorsi all’interno campus: di qui, l’idea di
disporre i quattro nuclei funzionali principali attorno a The Beehive
(“l’alveare”) un grande spazio a tripla altezza. Caratterizzato dall’uso
di acciaio scuro e legno chiaro, è dominato dall’aggetto della scala
ed equipaggiato con arredi mobili, per permettere agli studenti di
adattarlo alle loro esigenze. Questo ambiente funge da “tessuto
connettivo” sia con l’esterno, in continuità con lo spazio pubblico,
sia con i nuclei. Il primo è la Luth Concert Hall, un teatro con 400
posti a sedere. Il Boroughs Theatre, invece, è pensato per attività più
sperimentali e conta 200 posti. Il Booth Media Lab, aperto su The
Beehive, è il luogo deputato alla produzione musicale digitale, editing
audio e video, nonché alla scenografia e all’illuminazione. Infine, il
quarto nucleo offre studi di registrazione, laboratori per la realizzazione
di scenografie e costumi, e sale prove affacciate verso la Blackstone
Valley. A questo programma si aggiunge un nuovo spazio per la Iris and
B. Gerald Cantor Art Gallery, galleria che da quasi 40 anni è presente
nel college e che oggi occupa i piani immediatamente superiori
rispetto all’ingresso principale del PAC. Anche gli esterni supportano il
programma attraverso i giardini e l’anfiteatro per proiezioni e spettacoli.
Le facciate esprimono la compenetrazione fra nuclei intersecandosi:
le loro superfici curve sono modellate parametricamente per
ottimizzare la realizzazione con pannelli di acciaio corten da un lato
e, dall’altro, di calcestruzzo rinforzato con fibre di vetro (GFRC). La
flessibilità e l’informalità sono al centro del progetto contract: oltre alle
partizioni smontabili di Skyfold Doors e agli arredi su misura di Millwork
One, Series Seating e Knoll collaborano per le sedute della Luth
Concert Hall, mentre Jezet fornisce le sedute ribaltabili del Boroughs
Theatre. I principi della psicoacustica hanno influenzato il design degli
Photo Iwan Baan
interni, in cui gli elementi che assorbono o riflettono il suono – come
i pannelli di cemento e di legno di Makore della Luth Concert Hall –
esprimono la loro funzione.
ARCHITECTURE 27
• Prior Performing Arts Center at the College of the Holy Cross is the
latest in a series of important cultural projects by Diller Scofidio +
Renfro. The centre’s almost 8,000 square metres, standing on what
was once a parking lot, expand the role that the teaching of the liberal
arts has had ever since the Jesuit college was founded in 1843.
As the winning entry of an international competition, the design was
chosen over seven other proposals thanks to an approach that
promised strong interaction between the arts, and hence a typological
innovation. The building intercepts the walking routes on campus,
which led to the idea of placing the four main functions (four wings)
around a triple-height grand central atrium called The Beehive, made
of darkened steel and pale wood. It is dominated by a cantilevered stair
and furnished with movable furniture to allow the students to adapt
the space to their needs.
The room works as a connecting element with the outside, in continuity
with the public space and the four wings. The first is Luth Concert Hall,
a 400-seat theatre. The second is the 200-seat Boroughs Theatre for
artistic experimentation. The third is Booth Media Lab, open onto The
Beehive, for digital music creation, sound and video editing, film, lighting
and set design. The fourth wing is for production spaces and rehearsal
rooms, with scene shop, costume shop and recording studio with
sweeping views of Blackstone Valley.
These amenities are joined by a new location for the Iris and B. Gerald
Cantor Art Gallery, which has been part of the college for almost
40 years now. It occupies the floors right above the centre’s main
entrance. The outdoor areas further strengthen the design with a
number of differently landscaped gardens and a small amphitheatre
for screenings and performances.
The facades express the interpenetration of the disciplines by
intersecting crosswise with parametrically modelled curves made
in panels of CorTen weathering steel (the wings) or white glass-fibre
reinforced concrete (The Beehive). Flexibility and informality stand
central to the interior design. Folding retractable partition walls are
by Skyfold. Made-to-measure furniture is by Millwork One. Series
Seating and Knoll collaborated on the chairs for Luth Concert Hall.
Retractable seating in Boroughs Theatre by Jezet. Psychoacoustics
principles guided the use of sound-absorbing and sound-reflecting
elements such as the panels of concrete and makoré wood hung in
Luth Concert Hall.
28 ARCHITETTURA
Photo Iwan Baan
Pagine 26-27: due viste esterne del centro, di dettaglio e complessiva, definito da un
impianto cruciforme. In queste pagine, in alto: The Beehive, rispettivamente in una
vista dall’alto, con la Cantor Gallery sullo sfondo, e animato da una performance al
piano terra. Sotto: uno dei laboratori di scena. Pagine 30-31: la Luth Concert Hall
Photo Iwan Baan
domus Contract 2022
•Pages 26-27: two external views of the centre, a detail and an overall view, defined
by the cruciform plan. These pages, at top: The Beehive, in a view from above, with
the Cantor Gallery in the background, and enlivened by a performance on the
ground floor. Below: costume shop. Pages 30-31: Luth Concert Hall
 domus Contract 2022 ARCHITECTURE 29

Photo Brett Beyer

Prior Performing Arts Center, Tutti i materiali di progetto/

Worcester, Massachusetts, USA All project materials
© Diller Scofidio + Renfro
Progetto/Project Tutte le foto/All photos
Diller Scofidio + Renfro Courtesy of Diller Scofidio +
Gruppo di progettazione/Design team Renfro
Charles Renfro, Elizabeth Diller, Ricardo
Scofidio, Benjamin Gilmartin, Miles Nelligan,
Ayat Fadaifard, Anthony Saby, Jeremy Boon-
Bordenave, Charles Curran, Quy Le
Architetti esecutivi/Executive architects
Perry Dean Rogers − Todd Shafer,
Tom McCarty, Michael Cimorelli,
Patrick Scullion, Jim Kelly-Rand
Strutture/Structural engineering
A A
Robert Silman Associates
Ingegneria meccanica ed elettrica e impianti/
Plumbing, mechanical and electrical engineering
Altieri Sebor Wieber
Illuminotecnica/Lighting design
Tillotson Design Associates
Acustica/Acoustics
Jaffe Holden
Progettazione paesaggistica/Landscape design
Olin
Geotecnica/Geotechnics
Haley Aldrich
Impresa edile/Contractor
Dimeo Construction
Committente/Client
College of the Holy Cross
Superficie del sito/Site area 0 20M PIANTA DEL PIANO TERRA / GROUND-FLOOR PLAN
16,300 m2
Superficie costruita totale/Built area
7,804 m2
Costo/Cost
€ 113,000,000
Fase di progetto/Design phase
2014-2019
Fase di costruzione/Construction phase
2019-2022
www.dsrny.com

SEZIONE AA / SECTION AA
Photo Iwan Baan
Photo Danilo Guardado
Naso
Lago/Algo, Mexico City, Mexico, 2022
Marianna Guernieri

La struttura del padiglione degli anni Sessanta, progettata

da Guadarrama e Ramírez Ponce, viene esaltata negli
interni, dove trovano posto una galleria e un ristorante /
The structure of a 1960s pavilion by Guadarrama and
Ramírez Ponce has been brought to the fore on the inside
to welcome a contemporary art gallery and a restaurant
34 ARCHITETTURA
Il progetto di rinnovamento di uno dei parchi urbani più grandi
d’America, il bosco di Chapultepec a Città del Messico, il cui
coordinamento era stato affidato all’artista Gabriel Orozco nel 2019
dal presidente messicano López Obrador, vede oggi l’apertura del
nuovo polo culturale Lago/Algo. Si tratta di un centro polifunzionale
che unisce cibo e arte, la cui progettazione prevedeva la revisione
di un edificio esistente. Commissionato allo studio Naso, fondato da
José Ignacio Vargas nella capitale messicana, il centro si trova sulle
rive di uno dei quattro laghi del parco e fa parte di una costellazione
di luoghi iconici della cultura messicana, come il Museo Nazionale
di Antropologia, il Museo d’Arte Contemporanea Rufino Tamayo e
il Museo d’Arte Moderna, per citarne alcuni, che negli anni hanno
reso questo polmone verde la meta preferita per il tempo libero degli
abitanti della città. Il nuovo progetto s’inserisce in un edificio degli anni
Sessanta progettato dagli architetti Leónides Guadarrama e Alfonso
Ramírez Ponce e poi ristrutturato nel 1998 da Javier Sordo Madaleno.
L’obiettivo di Naso è stato quello di leggere in profondità il carattere
originale dell’edificio e trasmetterlo al grande pubblico, riorganizzando
la pianta in modo da mostrare l’imponente copertura a iperbole
senza accezioni estetizzanti, ma rivelandone la bellezza nel suo stato
crudo. La rigenerazione, su incarico di CMR (Corporación Mexicana
de Restaurantes) e la galleria d’arte OMR, trasforma l’edificio in spazio
espositivo pubblico e in ristorante sostenibile attraverso una pianta
aperta che ne favorisce un uso flessibile a seconda dei programmi
culturali che si susseguiranno. Le partizioni basse di muratura curvata
permettono di apprezzare il grande soffitto curvilineo da ogni punto,
di connettere visivamente tutte le aree e, insieme, di distinguere
chiaramente il nuovo dal preesistente grazie al contrasto tra il bianco
candido delle pareti nuove – usate come supporto per le opere di arte
contemporanea – e quelle grezze di cemento armato. Lo spazio è
reso caldo da arredi su misura in legno massello con imbottiti colorati
e l’aggiunta immancabile e massiva di piante tropicali. Il progetto
riserva la zona dedicata al ristorante nella parte più vicina all’acqua,
per connetterla meglio alla vita pubblica del luogo, mentre le aree
espositive digradano verso l’interno del parco, a diverse altezze
connesse da basse scalinate di cemento spazzolato. Grazie al nuovo
progetto, Lago/Algo diventa uno spazio didattico sull’evoluzione
degli edifici per la cultura, con perimetri aperti che si fondono
generosamente con la città.
A
B
0 10M
PIANTA DEL PIANO TERRA / GROUND-FLOOR PLAN
domus Contract 2022
• The renewal of one of the largest parks in the Americas – the Bosque Marianna Guernieri
de Chapultepec in Mexico City – was entrusted to the artist Gabriel Nata a Milano nel 1987,
è designer e giornalista. Per
Orozco as coordinator in 2019 by Mexico’s president, Andrés Manuel molti anni ha fatto parte della
López Obrador. It has now seen the opening of the new cultural centre redazione di Domus, lavorando
Lago/Algo, a multifunctional complex for art and food housed in a come redattrice, autrice e
renewed existing building. content manager per il sito.
Nel 2022 ha iniziato la sua
The architecture practice Naso in Mexico City founded by José Ignacio attività indipendente che
Vargas was commissioned to design the transformation. The building, include scrittura, design e
lying on one of the park’s four lakes, is part of a constellation of iconic creazione artistica.
homes of Mexican culture that includes the National Museum of
Anthropology, the Rufino Tamayo contemporary art museum, and the • Guernieri was born in Milan
in 1987. She is a designer and
Museum of Modern Art, all in Chapultepec park. Over the years, they journalist, and has been part of
have made this green lung a favourite recreational destination of the Domus editorial staff for many
inhabitants of Mexico City. years, working as a web editor,
writer and content manager.
The new design is the rehabilitation of a 1960s building by the In 2022 she started her own
architects Leónides Guadarrama and Alfonso Ramírez Ponce, independent activity that
renovated in 1998 by Javier Sordo Madaleno. Naso proceeded by includes writing, designing
making an in-depth reading of the building’s original character and and art making.
transmitting it to the public at large by reorganising the layout in a way
that shows off the impressive hyperbolic roof not by aestheticising, but
by revealing its raw beauty.
The rehabilitation, guided by the Corporación Mexicana de
Restaurantes and the OMR art gallery, turns the building into a public
exposition space and a sustainable restaurant by means of an open
plan. This facilitates flexible use in accordance with the programme of
cultural events. Half-height curved masonry partitions leave the large,
arching ceiling free to be admired from every angle. They also visually
connect all the areas and clearly distinguish the new from the old
thanks to the bright white of the inserted partitions used as backdrops
for the contemporary artwork, and the rough walls of reinforced
concrete. The space is warmed by purpose-made solid-wood furniture
fitted with coloured cushions, and the unmissable, massive addition
of tropical plants. The design places the restaurant in the part closest
to the water in order to connect it to public life in the area, while the
exposition spaces slope down toward the inner park at different
heights connected by short stairs made in brushed concrete.
Thanks to its new conformation, Lago/Algo offers an educational
lesson on the evolution of cultural buildings. Its open perimeter fuses
generously with the city.
Tutti i materiali di progetto/
All project materials
© Naso
SEZIONE AA / SECTION AA
0 10M
SEZIONE BB / SECTION BB
 domus Contract 2022
Photo Fernando Marroquin
Pagine 32-33: il centro culturale s’inserisce in un edificio modernista immerso nel
bosco di Chapultepec. In questa pagina: viste degli interni. La copertura è lasciata
al grezzo in tutti gli ambienti. In diversi punti si creano doppie altezze che rendono
lo spazio dinamico. Il programma segue l’impostazione della struttura, che sviluppa
così una relazione fluida fra musica, arte contemporanea, architettura, natura e
ristorazione sotto la direzione artistica di Jérôme Sans
Photos Maureen M. Evans
ARCHITECTURE 35
• Pages 32-33: the cultural centre has moved into a modernist building immersed
in the Bosque de Chapultepec. This page: views of the interior. The ceiling is left
exposed in all parts of the building. Double-height spaces here and there create
movement. The inside division follows the existing structure so that a fluid
relationship is established between music, contemporary art, architecture, nature
and sustainable dining. This fluidity falls under the artistic direction of Jérôme Sans
36 ARCHITETTURA domus Contract 2022

Lago/Algo, Città del Messico, Messico /

Mexico City, Mexico

Progetto/Project
Naso
Gruppo di progettazione/Design team
Beatrice Kretschmer, José Ignacio Vargas
Progettazione paesaggistica/Landscape design
Planta Diseño Botánico
Arredi/Furniture
Rituales Mx, Taller Nacional
Impresa edile/Contractor
Fernando Páramo, Atilio Canfalonieri
Committente/Client
OMR, CMR
Superficie costruita totale/Built area
3,750 m2
Fase di progetto/Design phase
2021
Fase di costruzione/Construction phase
2022
www.naso.mx
Photos Maureen M. Evans

Sopra: l’area bar è caratterizzata da un bancone basso d’intonaco bianco con ripiano
di legno massello, materialeutilizzato anche per le sedute alte.
A destra: uno spazio espositivo, con panca di legno rivestita con un imbottito giallo.
Pagina a fronte: di legno sono anche gli arredi del ristorante. Il progetto ha diviso
lo spazio della ristorazione esistente in tre spazi indipendenti per poter accogliere
eventi privati e portare i visitatori ad apprezzare la volta interna da più punti di vista
• Above left: the bar’s curved white plaster wall and solid-wood counter-top are
echoed by the bar-stools. Above right: an exhibition space with a wooden bench
softened by yellow cushions. Opposite page: also the restaurant furniture is made
in wood. The existing restaurant space was divided into three independent areas
in order to welcome private events and allow visitors to appreciate the vaulted
ceiling from multiple points of view
Photos Maureen M. Evans
domus Contract 2022 ARCHITECTURE 39

Aux Architecture
Glorya Kaufman Performing Arts
Center, Los Angeles, 2021
Alessandro Benetti

Avvolto da un involucro d’intonaco bianco e di

policarbonato traslucido, un ex edificio di culto degli anni
Cinquanta diventa un centro per le arti performative /
Enveloped by a skin of white plaster and translucent
polycarbonate, a 1950s building went from temple
to therapeutic centre for the performing arts
40 ARCHITETTURA
Aux Architecture completa il Glorya Kaufman
Performing Arts Center all’interno del campus
losangelino di Vista Del Mar, storica associazione
californiana di assistenza ai bambini svantaggiati o con
disabilità e alle loro famiglie.
Il nuovo centro raggruppa tutti gli ambienti necessari
al programma terapeutico di arti performative –
musica, danza e teatro –, spazi per l’apprendimento
e le performance, sale prove e sale di produzione,
aule e altri spazi tecnici. Il progetto comporta la
ristrutturazione e la rifunzionalizzazione di un edificio
di culto risalente agli anni Cinquanta, di cui vengono
conservate unicamente le fondamenta e lo scheletro
strutturale. Attorno a esso si articola un nuovo
involucro candido, che è d’intonaco bianco nelle sue
parti opache e di policarbonato in quelle traslucide.
Tra queste spicca il volume aggettante della facciata
ovest, che risvolta e prosegue senza interruzione fino
ad avvolgere il vano scale e l’ingresso principale. “Di
notte, quando si accendono le luci, l’edificio si trasforma
in un cuore scintillante al centro del campus”, spiega
Aux Architecture. Così, il Glorya Kaufman Performing
Arts Center ripropone l’estetica della lanterna che
fu popolarizzata per i complessi a funzione culturale
già all’inizio del millennio da Peter Zumthor con la
Kunsthaus Bregenz (1997) e da Rafael Moneo con il
Kursaal di San Sebastian (1999). Di questi antecedenti
d’eccezione rappresenta l’erede in scala e sostenibile,
perché qui il policarbonato è riciclato e riciclabile al 100
per cento. Se il teatro è l’ambiente più monumentale e
se le aule si apprezzano per la loro flessibilità, sono le
aree comuni a testimoniare una riflessione raffinata
sulle sequenze spaziali e sulle visuali. Le leggere
rotazioni e i disassamenti che caratterizzano la halll e il
vano scale si traducono in un’alternanza di momenti di
compressione e di dilatazione che i progettisti vogliono
ispirata all’assolo di danza moderna Lamentation di
Martha Graham. Contribuiscono allo stesso effetto i
chiaroscuri variabili prodotti dalle sequenze irregolari di
pilastri addossati ai prospetti in policarbonato. Anche
per le necessità di ottimizzazione del budget, il progetto
contract privilegia l’utilizzo di elementi e finiture da
catalogo. L’intonaco dei moduli di facciata di Parex USA,
il policarbonato dei pannelli Lightwall 3440 di Extech e il
terrazzo bianco lucido di Corradini Corp, utilizzato per i
pavimenti delle aree comuni, formano nel loro insieme
una palette di sfumature di bianco che si estende a
tutto l’edificio con l’eccezione del solo teatro, spazio
avvolgente e dalle tonalità più scure.
domus Contract 2022
8 9 10
A 6 5 A
0 10M
PIANTA DEL SECONDO PIANO / SECOND-FLOOR PLAN
B
• Aux Architecture completed the Glorya Kaufman 1 Ingresso principale/ 7 Aula/Classroom
Performing Arts Center in Los Angeles on the Main entrance 8 Palco/Stage
2 Atrio/Foyer 9 Platea/Theatre
grounds of Vista Del Mar, an institution founded in 3 Bagni/Toilets 10 Sala di controllo/
1908 that offers child and family services for children 4 Impianti/Mechanical Control room
with significant emotional, social, learning and 5 Sala costumi/ 11 Sala prove/
Costumes and props Rehearsal room
developmental disabilities. The new building, used for 6 Ufficio/Office
the therapeutic performing arts programme offered
by Vista, accommodates dance, music, teaching and
theatrical productions. The project is an adaptive reuse
of a 1950s temple augmented by new spaces for
production support, rehearsal, stage craft, dressing and
classrooms. All that remains of the existing temple is
the foundation and the structural skeleton. The addition
wraps the original volume with a white semi-translucent
facade whose opaque parts are plaster and translucent
parts are polycarbonate. A cantilevered box on the west
side turns the corner toward the north, proceeding
smoothly without interruption to incorporate the stair
and main entrance. “In the evening when the lights
turn on, the building transforms into a glowing heart
at the centre of the campus,” say Aux Architecture. In
this, the Glorya Kaufman Performing Arts Center is an
iteration of the lantern aesthetic popularised for cultural
complexes at the start of the millennium by Peter
Zumthor’s Kunsthaus Bregenz in Austria (1997) and
Rafael Moneo’s Kursaal in San Sebastián, Spain (1999),
the exceptional antecedents of the Arts Center, which
is smaller and sustainable thanks to the use of 100 per
cent recycled and recyclable polycarbonate. While
the theatre is the most monumental space and the
classrooms are distinct for their flexibility, the common
areas show refined consideration of spatial sequence
and sight-lines. Slight rotations and misalignments
characterise the foyer and stair, translating into an
alternation of compression and expansion that the
architects say is inspired by Martha Graham’s modern
dance solo Lamentation from 1930. Contributing to this
effect is the varying chiaroscuro of light produced by
irregular sequences of pillars set directly behind the
polycarbonate facade. In order to stretch the budget,
standard off-the-shelf elements and finishes were
favoured. The stucco of the facade modules is from
Parex USA, the polycarbonate tongue-and-groove wall
system is Lightwall 3440 by Extech, and the gleaming
white terrazzo used for the floors of common areas is
from Corradini Corp. Together they form a palette of
shades of white that extends throughout the centre,
with exception of the theatre, where the colours are
darker and more enveloping.
domus Contract 2022 ARCHITECTURE 41

9 10

6 5 8

11

3 3

0 10M SEZIONE AA / SECTION AA

4 3 3

SEZIONE BB / SECTION BB

Pagine 38-39: il volume aggettante della facciata ovest risvolta e prosegue
avvolgendo l’ingresso. Pagina a fronte: l’ingresso. In queste pagine. Sopra: dettagli
dell’involucro d’intonaco bianco opaco e di policarbonato traslucido. Sotto: il teatro
con i pannelli di legno fonoassorbenti di Madrid, organizzati in una sequenza di
portali a doppia falda, le sedute Sitmatic, rivestite dai tessuti di Pierre Frey, i sipari
di Rose Brand e il pavimento molleggiato del palco di Harlequin
• Pages 38-39: the cantilevered box on the west turns the corner and continues
without interruption to wrap the stair and main entrance. Opposite page:
the entrance. This page. Above: the opaque white plaster and translucent
polycarbonate of the facades. Below: the theatre uses sound-absorbent wood
panels by Madrid Inc. built in a sequence of pitched portals. Chairs by Sitmatic with
fabric by Pierre Frey. Stage curtains by Rose Brand. Sprung stage floor by Harlequin
42 ARCHITETTURA
In queste pagine: negli ambienti interni domina una palette di diverse sfumature
di bianco, dall’intonaco dei moduli di facciata di Parex USA al policarbonato dei
pannelli Lightwall 3440 di Extech fino al terrazzo bianco lucido di Corradini Corp,
utilizzato per i pavimenti delle aree comuni (pagina a fronte).
In questa pagina, sopra e sotto: due sale prove che contribuiscono al programma
terapeutico di arti performative dell’associazione Vista Del Mar
domus Contract 2022
•These pages: the interiors are steeped in different shades of white, from the
plaster of the facade modules by Parex USA to the polycarbonate of the Lightwall
3440 panels by Extech, and the gleaming white terrazzo by Corradini Corp. used
for the floors of the common areas (opposite page).
This page, above and below: two rehearsal rooms used for the therapeutic
performing arts programme offered by Vista Del Mar
domus Contract 2022 ARCHITECTURE 43

Glorya Kaufman Performing Arts Center

Los Angeles, USA

Progetto/Project
Aux Architecture
Responsabili di progetto/Project architects
Brian Wickersham (principal-in-charge),
Sabina Lira (project manager)
Gruppo di progettazione/Design team
Matthew Aulicino, Sean McCusker, Taylor Nunes-
Agins, Ksenia Chumakova, Burcin Nalinci,
Manori Sumanasinghe, Aman Sheth, Louie Bofill,
Graham Jordan, Ashley Hsu, Marija Volkman,
Uriel Lopez, Elizabeth Pritchett
Strutture/Structural engineer
Nous Engineering
Impresa edile/Contractor
Shawmut Design & Construction
Progetto illuminotecnico/Lighting
KGM Architectural Lighting
Committente/Client
Vista Del Mar Child and Family Services
Superficie del sito/Site area
10,550 m2
Superficie costruita totale/Built area
980 m2
Fase di progetto/Design phase
2019-2020
Fase di costruzione/Construction phase
2020-2021
www.auxarchitecture.com

Tutti i materiali di progetto/

All project materials
© AUX Architecture
Tutte le foto / All photos
© Nic Lehoux
44 ARCHITETTURA domus Contract 2022

Kengo Kuma & Associates

Albert Kahn Musée et Jardins
Boulogne-Billancourt, Paris, 2022
Cecilia Fabiani
Un progetto museale in linea con la collezione del
mecenate francese, espressione di un ideale
umanista. Un luogo poetico dove ha un ruolo importante
l’engawa, lo spazio che collega interni e giardino /
A museum in tune with the collection amassed by
the French banker and philanthropist expresses his
humanistic ideals. This poetic place is fitted with
a Japanese engawa to connect interior and exterior
Photos Michel Denance

Sopra: il complesso del museo Albert Kahn con il nuovo volume progettato da •Above: the Albert Kahn museum complex, showing the new building by Kengo
Kengo Kuma. Un percorso verde conduce al giardino zen nella corte interna. Pagina Kuma. A path through greenery leads to a Zen garden in the inner court.
a fronte: scorcio della palmaria, una grande serra con spazi espositivi e ricreativi; Opposite page: the large greenhouse is used for exhibitions and recreation;
il corridoio passante al piano superiore con diaframma di lamelle di legno e alluminio a first-floor walkway is screened by slats of wood and aluminium
domus Contract 2022
0 20M PLANIMETRIA / SITE PLAN
Albert Kahn Musée et Jardins,
Boulogne-Billancourt, Paris
Progetto/Project
Kengo Kuma & Associates
Responsabili di progetto/Project architects
Kengo Kuma, Diego Lopez -Arahuetes,
Sébastien Yeou, Jordi Vinyals, Sarah Markert,
Marion Geinzer, Elise Fauquembergue,
Charles Detilleux, Mathieu Faliu, Pascal Ferreira
Strutture/Structural engineering
AIA ingénieries
Ingegneria meccanica ed elettrica e impianti/
Mechanical, electrical engineering, and plumbing
Setec bâtiment
Illuminotecnica/Lighting design
Artec
Progettazione paesaggistica/Landscape design
Michel Desvigne
Scenografia/Scenography
Ducks Scéno
Estimo/Quantity surveyor
Lucigny -Talhouet & Associés
ARCHITECTURE 45
Arredi/Furniture
Kengo Kuma & Associates (banco reception,
scaffalature centro documentazione/Reception
desk, shelving in documentation room; Scenorama
(scenografia, arredi/ exhibit design, furniture)
Impresa edile/Contractor
Castelalu, Ehrmann, Normen, Balas, Spie,
Techaudio, Monti, Eurovert, Placouest
Fornitori/Suppliers
Zumtobel, iGuzzini (illuminazione/lighting), AGC (vetrate,
glass partitions), Listone Giordano (pavimenti/flooring)
Committente/Client
Département des Hauts-de-Seine
Superficie del sito/Site area
43,634 m2
Superficie costruita totale/Built area
4,980 m2
Fase di progetto/Design phase
2012–2015
Fase di costruzione/Construction phase
2015–2022
kkaa.co.jp
46 ARCHITETTURA
Complice la pandemia, il progetto realizzato dallo studio parigino di
Kengo Kuma & Associates con Michel Desvigne per il verde è stato
ultimato solo da pochi mesi, anche se il concorso risale a otto anni fa.
Il compito era estremamente stimolante: progettare un nuovo edificio
per la collezione di foto e video di Albert Kahn (1860-1940), ripensare
il museo preesistente e altri otto piccoli volumi presenti nel parco di 4,2
ettari, parte del complesso. Kuma ha costruito un gioiello inaspettato,
schermato, lato strada, da una parete composta da lamelle di alluminio
il cui andamento diagonale crea un ingresso che invita a lasciarsi alle
spalle la città per immergersi negli spazi dilatati del mondo
di Albert Khan, la cui collezione ha alla base un’utopia: il desiderio di
documentare la cultura di tutti i Paesi per una maggiore comprensione
tra i popoli, in vista di una pace universale. Immagini fotografiche
e video, raccolte da fotografi e da lui stesso, in giro per il pianeta per
anni, per raccontare le differenze, anche in termini di progettazione
dei giardini, rappresentati anche nel parco in cui è immerso lo spazio
culturale”. Dall’ingresso del nuovo edificio di 2.600 m2 si accede
alle due gallerie espositive – una per la mostra permanente e l’altra
per quelle temporanee –, al ristorante al piano superiore – non ancora
funzionante e per questo al momento privo di arredi, con una parete
specchiata a ridare il verde su ambo i lati – e alla sala documentazione.
Sul retro si trova un corridoio passante, uno spazio chiuso e
non chiuso, un diaframma che invita a godere del giardino. Le lamelle
orizzontali, qui di legno e alluminio, posizionate in modo irregolare,
mettono in atto un gioco di ombre e luce, con la natura che filtra.
I pavimenti e i soffitti sono di legno nelle zone espositive, di legno e
bambù nella vecchia costruzione, completamente svuotata
e adibita ad auditorium. Riflessi, vibrazioni, variazioni e trame irregolari
accompagnano il visitatore attraverso le sale, nel rinnovato spazio
del museo esistente, attraverso il parco suddiviso in vari giardini, tra
le piccole costruzioni restaurate e ripensate. È il caso della palmaria,
la grande serra, con spazi espositivi e ricreativi e con nuove terrazze
laterali, come anche degli altri edifici adibiti a toilette, spazio attrezzi,
casetta per i lavoranti. Per fare il giro completo, in tranquillità,
per perdersi come un flâneur, ci vogliono almeno due ore, meglio se
tre. Nessuna fretta. Qui tutto appare sfumato, anche il tempo. Oltre alle
moltissime immagini della collezione, si contemplano i giardini
e l’architettura. Tutto fluisce in un’unica utopia, priva di confini netti,
anche da lontano: l’alluminio del tetto vibra e riflette la luce e il cielo.
Photos Michel Denance
Sopra: un ambiente rinnovato del museo esistente, con le cortine
di lamelle di bambù a separare gli spazi e di legno a soffitto. A destra:
l’auditorium, con una capacità di 120 posti a sedere, ha una copertura
interna di legno e bambù, materiali ricorrenti dell’intervento
di Kengo Kuma & Associates. Pagina a fronte: una delle due gallerie
espositive del nuovo volume, che si sviluppa su 2.600 m2
•Above: the existing museum building was renewed with bamboo
space dividers and wooden ceiling slats. Right: the 120-seat
auditorium is hung overhead with wood and bamboo, frequently
used materials in this project by Kengo Kuma & Associates. Opposite
page: one of the two galleries in the new 2,600-square-metre building
domus Contract 2022
• Although the competition took place eight years ago, the winning
entry by the Parisian studio Kengo Kuma & Associates – with
the consultancy of Michel Desvigne for the landscaping – came to
conclusion just a few months ago, due to the pandemic. The challenge
was stimulating: a new museum for the Albert Kahn (1860-1940)
collection of photographs and film. This meant constructing one
new building, restoring the original museum, and renewing eight
outbuildings standing on 4.2 hectares of grounds. Kuma designed an
unexpected gem screened from the road by strips of aluminium that
fold back diagonally to form an entrance, an invitation to leave the city
behind and immerse oneself in the expanded space of Kahn’s realm.
His collection is based on the utopian desire to document the culture
of countries around the world in order to promote comprehension
between peoples and foster peace. Pictures and films were collected
by Kahn and photographers who travelled the planet for this purpose
for years to recount the differences between Japanese and English
gardens, for instance, which he replicated on his land. Immersed in the
greenery is a new 2,600-square-metre building for two galleries, one
for a permanent exhibition and one for temporary shows.
The upper floor offers a yet-unfinished restaurant with a mirror wall
that reflects the garden from both sides, and a documentation room.
To the rear, the space opens onto a corridor that is at once closed
and not closed, like a screen through which to admire the surroundings.
Irregularly positioned horizontal strips of wood and aluminium
create a play of light and shadow through which nature filters.
Floors and ceilings are wood in the galleries, and wood and bamboo
in the old museum, which was gutted to become an auditorium.
Reflections, quivering surfaces and uneven patterns accompany the
visitor through the rooms, through the renovated space of the original
building, through the park with its different gardens, and among the
restored outbuildings. The large greenhouse for exhibitions
and recreation has received side terraces. A few outbuildings have
been repurposed as toilets, a tool shed and a workers’ station.
It takes two or three hours to stroll around the complex in its entirety
like a flâneur. Everything here feels softened, even time.
In addition to the many photographs, contemplation of the gardens
and architecture comes natural. All converges in a unique utopia
devoid of precise bounds. Seen from a distance, the aluminium roof
shimmers and reflects the light of the sky.
Tutti i materiali di progetto/
All project materials
© Kengo Kuma & Associates
48 DESIGN
Una questione di suono
A matter of sound
Cecilia Fabiani
Il comfort acustico ha sempre più rilievo.
Complice una maggiore consapevolezza,
materiali innovativi e prodotti fonoassorbenti /
Acoustic comfort, increasingly in demand, is now
easier to obtain thanks to diffuse awareness,
new materials and noise-reducing products
Chi vive in città non ha scampo. Le giornate nei grandi
centri abitati sono accompagnate e scandite da rumori
legati al traffico, alle molte attività che vi si svolgono
e all’interazione tra le persone, o a quelli di semplice
sottofondo, il cosiddetto white noise. In più, la musica,
solitamente di tipo ambient, è presente in molti luoghi
pubblici: dal supermercato al ristorante, fino alle sale
d’aspetto. Eppure, fortunatamente, negli ultimi anni è in
atto una controtendenza che sta prendendo sempre
più spazio. Il silenzio e la sensazione di benessere,
di rigenerazione, che ne deriva, iniziano a essere
sentiti come un valore primario. Sui treni, nei ristoranti
maggiormente attenti alla clientela e negli uffici di
grandi aziende sono già disponibili zone relax votate
alla tranquillità, o addirittura zone silenzio. Cosa ancora
più importante, sta crescendo la consapevolezza del
comfort acustico, la nostra percezione della qualità
acustica di un ambiente. In parallelo, vengono sviluppati
prodotti per l’edilizia, per interni e arredi che rispondono
alle esigenze in materia di fonoassorbenza, tutti
strumenti interessanti per la progettazione.
Andreas Hoischen, ingegnere, da 30 anni tecnico
acustico, collabora con studi professionali, imprese,
fondi d’investimento proprietari di vasti patrimoni
immobiliari e ci racconta che “l’esperto di acustica
viene chiamato spesso troppo tardi, quando sono già
state fatte molte scelte”. Un esempio concreto può
essere la tipologia e l’ubicazione degli impianti, come le
pompe di calore. “L’acustica, come la questione termica,
statica, antincendio e altro ancora, andrebbe affrontata
fin dall’inizio del progetto, concordando le linee guida
generali”, continua.
La scarsa sensibilità a questa problematica sembra
essere legata al fatto che in Italia la normativa inerente
si è sviluppata tardi, al contrario di Germania e Svizzera,
per esempio. Solo nel 2014 nasce la norma Uni, Ente
Nazionale Italiano di Unificazione, sulla correzione
acustica degli ambienti, integrata successivamente
con aggiornamenti, tra cui una norma specifica
per le aule scolastiche. Tutti riferimenti resi, tuttavia,
cogenti per la progettazione di opere pubbliche solo
a partire dalla fine del 2017, con i Criteri Ambientali
Minimi (CAM), relativi a moltissimi aspetti, acustica
inclusa. Questa situazione sta tuttavia lentamente
cambiando. Un’ulteriore spinta è data dalle certificazioni
internazionali Leed e Well che contemplano, sia
pure con un punteggio relativo, anche il tema della
corretta acustica. Non sempre viene apportato
un capitolato prestazionale acustico per agire
preventivamente, sovente sono necessari interventi
a posteriori. Quali i parametri più importanti? “Quelli
principali misurabili sono due: i tempi di riverbero,
che si misurano in secondi, e l’intellegibilità, che ha un
valore adimensionale da 0 a 1, dove 0 sta per nessuna
intellegibilità e 1 per ottima, ovvero nessuna alterazione
del segnale”. Il riverbero è il rimbalzo del suono, che
propagandosi nello spazio viene restituito a seconda
delle superfici che incontra. Tutti conosciamo l’effetto
domus Contract 2022
acustico di un appartamento vuoto, con il suono che
dopo ogni rimbalzo viene restituito al 98 per cento. Dal
picco del suono viene misurato il tempo necessario
affinché si riduca di 60 decibel. Non esiste un tempo
di riverbero ideale assoluto, dipende da situazione a
situazione, anche all’interno di una stessa tipologia: un
auditorium, per esempio, può divergere in base al tipo di
musica che viene eseguita.
Se per uffici e ristoranti 0,8 secondi rappresentano un
tempo massimo, per un salotto 0,5 è un buon tempo,
mentre per un’aula si potrà andare da 0,6 a 0,8 secondi,
in base alla sua dimensione e al numero di persone che
ospita. Un riverbero troppo basso può generare una
situazione molto ovattata a scapito dell’intellegibilità
delle ultime file dell’aula, che costituisce il secondo
parametro chiave misurabile. Quest’ultimo non va
assolutamente trascurato, come invece alle volte
avviene per le reception degli alberghi, “zone aperte
dove si creano affollamenti, con persone che parlano
spesso una lingua che non è la loro”, precisa Hoischen.
Sono tutti motivi concreti per dare più attenzione ai
requisiti e alla correzione acustica degli ambienti. Ben
vengano dunque tutti i prodotti dedicati ad architettura,
interior design e arredo che affrontano la questione
della fonoassorbenza. “È particolarmente utile
dotare ogni prodotto di un certificato acustico esatto,
indicazioni del grado di fonoassorbenza”, conclude
Hoischen, “per facilitarne l’uso e garantire il risultato”.
Il design non si fa attendere.
domus Contract 2022 DESIGN 49

Eggboard Circle Il prodotto disegnato da Progetto CMR
– Massimo Roj e Giovanni Giacobone
Progetto CMR con Matteo Colombo, Sergio D’Antonio
Artemide e Riccardo Panichi – fa parte della
collezione Eggboard ed è stato studiato
2022 per unire controllo acustico e comfort
luminoso. La forma circolare con cavità
cilindrica che intrappola le onde sonore,
la struttura geometrica della superfice
a sezione sinusoidale e il materiale
utilizzato hanno un effetto ottimale sulle
frequenze del parlato e consentono la
riduzione dei tempi di riverbero. La fonte
emittente centrale è dotata di mixing
chamber interna e diffusore ottico
a elevata trasmittanza per una luce
diffusa e confortevole. Eggboard Circle
è un prodotto a risparmio energetico
con emissione diffusa e comfort
UGR<21, con un’estetica adatta a tutti
i tipi di ambienti: residenziale, ufficio,
dell’accoglienza e luoghi pubblici
• The lamp designed by Progetto CMR
– Massimo Roj and Giovanni Giacobone
with Matteo Colombo, Sergio D’Antonio
and Riccardo Panichi – is part of the
Eggboard collection. It was conceived
to combine acoustic control with
comfortable luminosity. The ring shape
traps sound-waves; the geometric relief
is sinusoidal in section. The material
was chosen for its sound-absorbent
qualities, particularly its optimal effect
on speech frequencies, in order to
reduce reverberation in the room.
The centrally positioned light-emitting
surface is equipped with an optical
diffuser and an internal mixing chamber
with high transmittance, resulting in
diffuse and comfortable light (Unified
Glare Rating <21). The lamp’s aesthetics
are suitable for office, home and public
spaces

• People living in the city cannot get away from
the noise. In busy metropolitan areas, days are
accompanied and sounded out by traffic, the many
activities going on, interaction between people,
and an ever-present background thrum.
Plus, music (usually of the ambient type) is played
in many public places including supermarkets,
restaurants and waiting rooms.
Fortunately, recent years have seen a rising
countertrend. Silence – and the feeling of relaxation
and regeneration it imparts – is starting to be
perceived as a priority. In trains, in restaurants where
customers are pampered, and in the offices of
important companies, specific areas for peace and
quiet already exist. What’s more, our awareness of
the value of acoustic comfort and our perception
of acoustic quality are growing. In parallel, building
materials, interior-design products and furnishings
are being developed to respond to sound-proofing
needs. All are interesting tools for design.The engineer
Andreas Hoischen has been an acoustic technician
for 30 years now. He works with architecture bureaus,
manufacturers and investment funds that own
vast amounts of real estate. Says Hoischen: “The
acoustics expert is often called in too late, when many
key decisions have already been taken.” He gives the
concrete example of the placement and type of heat
pump. “Much like heating, statics, fire-resistance and
more, acoustics need to be addressed from the start
of the project, in harmony with general guidelines,”
he says. In Italy, insufficient awareness of this issue
might be linked to the fact that here, regulation was
developed later than in Germany and Switzerland.
Not until 2014 was the UNI standard for acoustic
correctness established by the Ente Nazionale
Italiano di Unificazione, followed by updates
including a specific norm for classrooms.
In late 2017, UNI references were made compulsory
for public buildings under the name Minimal
Environmental Criteria, whose many aspects
include acoustics.
This situation is now changing gradually. One driving
force is the LEED and WELL Building Standard
certifications, which take proper acoustics into
account, but only relatively so.
Still, the performance requirements of an
architectural project do not always contemplate
acoustics, in order for them to be designed
beforehand. Often, amending the quality of sound
after the building is complete remains necessary.
Which are the main parameters?
“The principle measurable parameters are the
reverberation time, which is measured in seconds,
and intelligibility, a non-dimensional value between
0 and 1, where 0 stands for no intelligibility and 1
stands for optimal intelligibility, in other words no
alteration of the phonic signal.” Reverberation is the
way sound bounces off surfaces, meaning how it
travels through space according to the materials
it encounters. All of us know the acoustic effect
of an empty apartment, where the sound that
bounces off surfaces comes back at 98 per cent.
From the peak of the sound, the time it takes to go
down to 60 decibels is measured.
There is not one ideal reverberation time. It depends
on the situation, even in spaces of equal use.
An auditorium for example has different acoustic
needs according to the type of music performed.
While offices and restaurants have a maximum
of 0.8 seconds, a living room with 0.5 seconds is
good, and a classroom can be between 0.6 and 0.8
seconds based on its size and the number of people
it hosts. If reverberation is too slow, it can generate
a muffled effect to the detriment of the back rows
of the classroom, which is the second measurable
parameter.
This factor must not be overlooked, as it is sometimes
for hotel reception desks, “open areas where crowds
form, made up of people speaking a language not
their own,” says Hoischen. All this is a concrete reason
to dedicate more attention to the requirements of
interior acoustics. Sound-deadening products for
architecture, interior design and furnishing are needed.
“It is particularly useful to provide each product with
a precise acoustic certificate indicating the degree
of sound absorbency in order to facilitate use and
guarantee the results.” Design waits for no one.
50 DESIGN
Volumi La collezione Volumi, progettata da
Caimi Lab, studio di design interno
Caimi Lab all’azienda, è composta da divano,
Caimi Brevetti poltrona e pouf di diverse dimensioni
e con caratteristiche fonoassorbenti.
2022 Misure confortevoli rendono tutti gli
elementi della collezione utilizzabili
singolarmente o in abbinamento tra loro,
a formare libere composizioni. Volumi è
dotata di imbottitura fonoassorbente
rivestita con speciale Tessuto
Snowsound Fiber; il rivestimento è
disponibile in più tipologie e in molti
colori. Si può richiedere inoltre la
versione dotata di A+E technology
(Acoustic + Electro magnetic reduction)
che riduce l’esposizione delle persone
all’inquinamento elettromagnetico
presente negli ambienti e derivante
da ripetitori, cellulari, impianti Wi-Fi
domus Contract 2022
• The modular and sound-absorbent
Volumi collection by Caimi Lab, the
company’s in-house design department,
is made up of a sofa, armchair and
footstool that come in different sizes.
Their comfortable dimensions mean
that each element of the collection can
be used individually or in combination
with others, to make free compositions.
Volumi is padded with sound-deadening
polyurethane and polyester fibres,
and covered with sound-absorptive
fabric called Snowsound Fiber, which
comes in two finishes and many
colours. An optional feature is an inner
backing fabric that offers acoustic and
electromagnetic reduction. This lowers
people’s exposure to radio-frequency
radiation from repeaters, cell phones
and Wi-Fi hotspots
domus Contract 2022
Mini, Acoustic Room La collezione di cabine acustiche per il
micro-confinamento Acoustic Room,
Fantoni Group sviluppata e messa a punto da Fantoni,
2022 consente l’isolamento in piccoli gruppi,
all’interno di spazi ampi e condivisi.
Dotata di pannelli fonoassorbenti,
risolve le problematiche legate a
condivisione e privacy, connessione e
distanziamento, sicurezza e benessere.
La nuova versione Mini, phone booth
(100 x 100 x H 228 cm) è ideata per
una sola persona; dotata di struttura
autoportante, movimentabile anche
quando assemblata, è composta da
soffitto e pavimento, due lati ciechi
(uno vetrato e uno con porta) ed è
rivestita internamente con pannelli
fonoassorbenti 4akustik ad alte
prestazioni. È dotata di sistema di
areazione, piano d’appoggio, luce a LED
a soffitto e predisposizione per le prese
elettriche
DESIGN 51
• Fantoni has developed and fine-tuned
a collection of acoustic booths for
use by small groups of people within a
large, shared workspace. Equipped with
sound-absorbent panels, the closed
rooms solve problems pertaining to
shared space, privacy, Wi-Fi connection,
distancing, safety and well-being. The
new Mini phone booth (100 x 100 x 228
cm tall) was created for one person.
The self-standing structure, movable
even when assembled, consists of
ceiling, floor, two blind sides, one glazed
side and one door. On the inside, it is
hung with high-performance sound-
deadening panels called 4akustik.
The booth has ventilation, a shelf, LED
lighting on the ceiling and is wired for
electrical outlets
52 DESIGN
S-Acoustic I pannelli fonoassorbenti S-Acoustic,
disegnati dal duo toscano Gumdesign,
Gumdesign completano l’offerta di Styl’editions,
Styl’editions azienda produttrice di carte da parati
e materiali ceramici, caratterizzati
2022 dallo studio di decori interessanti e
particolari. Tutte le texture e le grafiche
dell’azienda possono essere riportate
sui nuovi pannelli, realizzati con finitura
effetto intonaco in fibra minerale e
leganti naturali. I pannelli possono
essere di forma rotonda, quadrata,
rettangolare o geometrica, e possono
avere varie dimensioni. La libera
installazione ne consente l’utilizzo
anche là dove non è possibile optare
per un controsoffitto tradizionale o nei
casi in cui si deve intervenire a progetto
finito, per una correzione acustica
domus Contract 2022
• The S-Acoustic sound-absorbent
panels were designed by the Tuscan
duo Gumdesign for Styl’editions, a
manufacturer of wallpaper, acoustic
panels and ceramic tile distinguished
by their surface decorations.
All the company’s existing patterns and
graphic designs can be applied to the
new S-Acoustic panels, which have a
plaster-effect finish made with mineral
fibre and natural binders. The panels
can be round, square, rectangular
or geometric, and come in different
sizes. Quick and easy to install where a
traditional false ceiling cannot be used,
or where acoustics need improvement
after an interior is complete
domus Contract 2022
Rubelli Acoustics Cloud Acoustic e Wave Acoustic sono
i primi pannelli fonoassorbenti di
by Slalom Rubelli, prodotti dall’azienda milanese
Rubelli Slalom. Rivestiti con una selezione di
otto tessuti tecnici Rubelli – 4 uniti e 4
2022 disegni ornamentali per un totale di 212
combinazioni di colori e motivi – offrono
la possibilità di alternare pannelli con
tessuti diversi. Possono inoltre essere
applicati a parete sia in orizzontale
sia in verticale, creando ulteriore
dinamismo. I pannelli Cloud Acoustic
(nella foto, rivestiti con il tessuto Ruskin
turchese) nascono nella dimensione 119
x 119 cm, ma possono essere tagliati al
laser lungo le linee ortogonali e ridotti
in moduli con lato di 15, 30, 45 o 60 cm.
I Wave Acoustic hanno le dimensioni
standard 137 x 280 e 127 x 280 cm. Tutti
possono essere confezionati su misura.
Composti al 75 per cento di poliestere
riciclato, riciclabili al 100 per cento
DESIGN 53
• Cloud Acoustic and Wave Acoustic
are the first sound-absorbent panels by
Rubelli. They are produced by Slalom in
the Brianza area north of Milan. Finished
with a wide selection of technical
fabrics made by Rubelli – 4 plain,
4 ornamental and a total of 212 colour,
pattern and texture combinations – the
acoustic material offers the possibility
of alternating panels of different
fabrics. They can be applied to the
wall horizontally or vertically to create
further visual effects. Cloud Acoustic
panels, seen above finished with the
Ruskin fabric in turquoise, originate as
119 x 119 cm tiles, but can be laser cut
orthogonally to become modules of 15,
30, 45 or 60 cm per side. Wave Acoustic
panels come in the standard sizes
137 x 280 and 127 x 280 cm. All can be
made to measure. Composition: 75 per
cent recycled polyester, 100 per cent
recyclable
54
Kickstarter
La biblioteca del futuro è una piazza /
The library for the future is a public square
Courtesy of Snøhetta
Beijing Sub-Center Library, Cina / China
Progetto/Project
Snøhetta
Collaboratore locale/Local partner
East China Architectural Design & Research
Institute (ECADI)
Gruppo di progettazione/Design team
Kjetil Thorsen, Robert Greenwood,
Patrick Lüth, Thomas Tait, Felix Perasso,
Christian Haemmerle, Cheng Gong,
Contraddicendo gli scenari più condivisi e
diffusi che, da almeno un decennio vogliono
i libri, e quindi le biblioteche, votati al declino a
favore dei loro corrispettivi digitali, a Pechino
sta per essere completata la “biblioteca
del futuro”. Il progetto, affidato a Snøhetta,
ambisce a diventare un benchmark per
questa tipologia architettonica e che ha.
Lo studio norvegese, che ha iniziato
la propria attività nel 1989 proprio con
il progetto per una biblioteca, quella di
Alessandria d’Egitto, ha proposto un grande
spazio pubblico aperto sul paesaggio
circostante grazie a vetrate a tutt’altezza
(fino a 16 m) che intende anche celebrare
il patrimonio e la ricca storia culturale
della capitale cinese, fatta di scienza,
arte e spettacolo. Le aree funzionali non
presentano gerarchie né categorizzazioni
Thomas Niederberger, Stian Holte,
Matthias Schenk, Luca Bargagli,
Peter French, Anne Camilla Auestad
Strutture/Structural engineering
Bollinger+Grohmann, ECADI MEP: ECADI
Interni/Interior design
ECADI, Snøhetta
Progettazione ambientale/Environmental design
ECADI
come nelle biblioteche convenzionali. La
conformazione degli spazi interni amplifica
la vocazione alla partecipazione e alla
condivisione: il cuore del progetto è una
sorta di paesaggio didattico, costituito da
gradoni dove sedersi, aree accessoriate
con scrivanie e altre dove sono custoditi
i volumi, punteggiato da colonne che
sorreggono il tetto, simile a una foresta di
ginkgo. Nelle colonne è alloggiato il sistema
tecnologico che si occupa di controllare
clima, illuminazione e comfort acustico,
oltre che di smaltire l’acqua piovana. Il
progetto è stato sviluppato con grande
attenzione ai criteri di sostenibilità sociale
e ambientale: il tetto è dotato di elementi
costruttivi fotovoltaici integrati (BIPV) che
sfruttano l’esposizione alla luce solare per
produrre energia rinnovabile.
Testo / Text Loredana Mascheroni
Facciate/Facade
Eckersley O’Callaghan, Meinhardt
Vetrate/Glass supplier
North Glass
Committente/Client
Beijing Planning and Natural
Resources Bureau
Area costruita/Built area
75,221 m2
Contradicting the most common and
widespread scenarios that have been
circulating for at least ten years now
– the impending substitution of books
and therefore libraries by their digital
counterparts – Beijing is awaiting
completion of a “library for the future”. Its
designers, the Norwegian firm Snøhetta
who won the competition held for the
building in 2018, want it to become a
benchmark for this architectural type. Their
first job when they established their firm in
1989 was precisely the design of a library,
the Bibliotheca Alexandrina in Alexandria,
Egypt. The library for Beijing, a large
public space open to the surroundings
thanks to full-height glass walls of up to 16
metres tall, celebrates the city’s cultural
richness and its heritage of science, art
domus Contract 2022
Fase di progetto/Design phase
2020-2022
Costruzione/Construction phase
2020-2022
www.snohetta.com
and performance. The functional areas
are not hierarchical or subdivided like in
conventional libraries, rather the layout
of spaces aims to promote participation
and sharing. The heart of the library is a
didactic amphitheatre-like landscape
made up of steps for sitting. Some areas
are accessorised with desks, and others
are where the books are kept. Columns
upholding the roof dot the reading
landscape, designed to resemble a forest
of gingkoes. Technology for climate control,
lighting and acoustic comfort is lodged
inside the columns, which also drain away
rainwater. The design is a meticulous study
in social and environmental sustainability.
The roof is equipped with building-
integrated photovoltaics that use the sun’s
rays to produce renewable energy.
ACOUSTIC ACOUSTIC
CURTAIN LAMP

AIR
PURIFICATION
LAMP

ACOUSTIC ACOUSTIC
PANEL SOFA
optional optional
ELECTROMAGNETIC ELECTROMAGNETIC
REDUCTION REDUCTION