Pubblicato nel 1966 da Aldo Rossi, allora poco più che trentenne, L’architettura della città
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ISBN 978-88-7115-851-8 A A A
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35,00
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ilPOLIGRAFO
Aldo Rossi, La storia di un libro
L’architettura della città, dal 1966 ad oggi
a cura di
Fernanda De Maio
Alberto Ferlenga
Patrizia Montini Zimolo
ilpoligrafo
Comitato scientifico per le iniziative editoriali dell’Università Iuav di Venezia
Guido Zucconi (presidente), Andrea Benedetti, Renato Bocchi
Serena Maffioletti, Raimonda Riccini, Davide Rocchesso, Luciano Vettoretto
ringraziamenti
Archivio Progetti Iuav, Germano Celant, Fondazione Aldo Rossi, Peter Hefti,
Marilena Malangone, Molteni&C, Fausto Rossi, Vera Rossi, Chiara Spangaro, Pietro Tomasi
Salvo dove diversamente indicato, le immagini provengono dagli archivi personali degli autori
traduzioni
Fulvia Andri
Fernanda De Maio
María García Garmendia
Alexander Pellnitz
Milvia Vallario
progetto grafico
Il Poligrafo casa editrice
Laura Rigon
introduzioni
15 A due anni dal ’68
L’architettura della città e la conquista di una libertà intellettuale
Alberto Ferlenga
23 Le lezioni veneziane
Patrizia Montini Zimolo
Parte prima
il contesto culturale alle origini del saggio
49 Aldo Rossi e la Marsilio
Cesare De Michelis
103 Dal Manuale d’urbanistica a L’architettura della città: le radici del testo
Elisabetta Vasumi Roveri
109 Progetti e contributi teorici di Rossi, 1962-1963:
verso la fondazione di una “metodologia scientifica”
per L’architettura della città
Beatrice Lampariello
Parte seconda
la geografia della diffusione
155 Alcune precisazioni relative ai viaggi di Aldo Rossi in America Latina
Tony Díaz Del Bó
Parte terza
le conseguenze di un insegnamento
247 Se ogni città possiede un’anima
Luca Ortelli
Parte quarta
mostra
367 L’architettura della città: dal libro alla mostra
Antonella Indrigo
Può sembrare azzardato parlare di paesaggio riferendosi al testo del 1966 di Aldo
Rossi, che già dal titolo rende ben chiaro il suo argomento: la città.
Con una lettura attenta, probabilmente anche attraverso una nuova e oggi con-
testuale re-visione degli scritti di Rossi, si potrebbe tuttavia cogliere una riflessione
riguardo un tema attualmente “di tendenza” come è appunto “il paesaggio”.
L’ambito territoriale in effetti in L’architettura della città c’entra e non solo velata-
mente, connesso alle molteplici curiosità scientifiche e letterarie di Rossi nei confronti
di diversificate discipline: l’ecologia, la geografia, l’agronomia, lo studio sociologico
dell’ambiente, la politica.
I rimandi a studiosi fra i più disparati e – a quell’epoca – anche i più lontani
da chi “trattava di architettura” sono molti: Bloch, Chabot, Tricart, Poëte, Lavedan,
Febvre, Weber, Sorre. Addirittura proprio Poëte e Lavedan saranno definiti da Rossi
“geografi” piuttosto che “storici della città” o “urbanisti”.
Uno tra essi, in realtà non citato in L’architettura della città ma presente in testi
successivi (come ne I caratteri urbani delle città venete 1) è Emilio Sereni, storico del
paesaggio – quello rurale in particolare – che con i suoi studi teorici ha influenzato i
decenni a cavallo della metà del Novecento in Italia e in Europa.
Sono passati quarantacinque anni dalla pubblicazione, con Marsilio, di L’ar-
chitettura della città; sono passati esattamente cinquant’anni dalla pubblicazione,
con Laterza, di Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni. Entrambi i te-
sti, dopo svariati decenni di straordinaria fortuna critica ed editoriale verso pubblici
multidisciplinari, tradotti in moltissime lingue, base di studio nelle scuole di Europa
e America, hanno iniziato da alcuni anni a vedersi riequilibrata la fama verso una
nostalgica amnesia.
Molto simile l’éducation réaliste e l’ambiente politico che entrambi gli auto-
ri hanno condiviso, sebbene siano state figure diverse per caratteristiche personali
e percorsi di vita. Confrontando la tessitura dei loro due principali scritti, appunto
L’architettura della città e Storia del paesaggio agrario, si denota un medesimo processo
di acculturazione, di utilizzo della storia e della memoria, una Einfühlung associativa
con il tema trattato. Gli autori sono molto chiari fin dalle prime righe dei loro libri:
l’oggetto indiscusso della trattazione sarà la città “intesa come una architettura” da
un lato e il paesaggio agrario come “quella forma che l’uomo imprime al paesaggio
naturale” dall’altro.
L’aspetto curioso è ritrovare nei tre corposi faldoni dedicati al tema Città2, del
cospicuo archivio di Emilio Sereni (multidisciplinarmente vasto per una cultura re-
chiara visentin
almente universale e sincretica: dall’agricoltura, alla politica, dal mondo rurale, alla
società, all’arte ecc.) la maggior parte di quegli autori su cui anche Rossi si è formato
e che ha ampliamente riportato nel testo del 1966. Sereni individua in essi i passi che
possono servirgli a costruirsi il supporto logico-storico per le sue ricerche, come il
saggio di un (allora giovane) urbanista, Marino Folin, per la rivista «Angelus Novus»3,
L’uso capitalistico dello spazio fisico e la costruzione della natura storica. La città come
particolare forma di capitale fisso. Per spiegare la sua linea, Folin cita in nota un bra-
no di un libro uscito pochi anni prima, L’architettura della città: Sereni lo sottoli-
nea e bene lo individua nell’estratto che conserva, identificandovi con chiarezza le
considerazioni del tempo di una larga parte di architetti e urbanisti. Il saggio non a
caso viene pubblicato in una rivista curata da un filosofo (Cacciari) e da uno storico
(De Michelis) legati a doppio nodo alle discipline architettoniche (e allo IUAV di
Venezia, dove si cercava di risolvere il dibattito sul valore dell’utopia e il suo rove-
sciamento nell’ideologia, come anche sulla contrapposizione tra funzionalità e ruolo
ideologico dell’architettura):
Noi possiamo studiare la città da molti punti di vista: essa emerge in modo autonomo quan-
do la consideriamo come dato ultimo, come costruzione, come architettura. [...] Nell’uno e
nell’altro caso ci rendiamo conto che l’architettura non rappresenta che un aspetto di una
realtà più complessa [...] ma nel contempo essendo il dato ultimo verificabile di questa real-
tà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui affrontare il problema.4
Concentrati ambedue, Rossi e Sereni, sui loro propri temi principali – la città e la
forma urbana l’uno, il paesaggio come sintesi geografica e storica con i suoi caratteri
originali l’altro – i due attingono allo stesso dibattito culturale, con una visione for-
temente interdisciplinare.
Rossi è cosciente che la sua opera può diventare un testo teorico fondamentale
per l’Italia del secondo Novecento. Decide quindi che debba essere specifica «sulla
costruzione della città nel tempo». Ma proprio perché si rapporta a un contesto più
ampio capisce che non può omettere considerazioni sull’ambito extra-urbano, quello
che noi oggi possiamo chiamare “paesaggio”. Termine che in effetti lui userà pochissi-
mo e semmai solo riferendosi al “paesaggio urbano”5.
Egli dunque parla di città ma capisce (e ciò sottilmente si ritrova ovunque, nei
suoi scritti, nelle sue architetture) che non può sottrarsi al percorso dialettico di anali-
si-sintesi che lega la città (antica ma anche contemporanea) al territorio, al paesaggio
che la circonda. Per questo potremmo definire la sua una “architettura dei luoghi”.
Sono molte le architetture infatti in cui rintracciare lo stretto nesso costruzione-con-
testo, influenzate da quelle radici culturali e personalissime su cui si è basato il testo
L’architettura della città e successivamente ancora di più l’Autobiografia scientifica del
1990. Rossi ritiene che per fare architettura si debba partire dall’architettura, inda-
gando le ragioni di quest’ultima in se stessa per arrivare a una teoria fondativa della
progettazione; non dimentica però le «memorie in cui si registra e sintetizza la storia
dei disegni territoriali degli uomini», come scrive Sereni nel 19616.
I “fatti urbani” che Rossi riconosce e che sente appartenenti alla città sono inseri-
ti in quegli stessi luoghi indagati da Sereni e da coloro i quali si occupano di paesaggio
prevalentemente europeo. Sono dunque “fatti del paesaggio”, nel senso più ampio del
termine, quei luoghi in cui scoprirà stesse affezioni e affinità con l’amico Luigi Ghirri7,
ma anche il valore antropologico del contesto, che egli continuerà ad assorbire, ormai
l’architettura della citt e l’architettura dei luoghi
toccato da chiara fama, nei suoi viaggi in giro per il pianeta. Esempi evidenti (a noi
e a Emilio Sereni congegnali) sono gli edifici del paesaggio rurale: tipologie come la
casa a corte, che il Movimento Moderno aveva messo all’ostracismo, Rossi le riscatta,
le riscopre e le fa proprie. La corte viene vista come principio distributivo del mondo
rurale, ma anche come realtà urbana. Rossi e Sereni ritengono che il contesto in cui
viviamo (in special modo il nostro paesaggio) sia interamente artificiale, il più delle
volte costruito con regole definite, con serie di caratteri autentici. Caratteri e fatti: la
centuriazione, l’agro centuriato, l’antica organizzazione romana del territorio, la co-
struzione dei reticoli idraulici delle bonifiche. Insomma, c’è una regola “umana” die-
tro a tutto il territorio, rurale o urbano che sia. Ancora, la lettura rossiana di Palladio,
tra città (palazzi) e campagna (ville), si lega indissolubilmente al rapporto con il pa-
esaggio della campagna: una consuetudine nell’architettura veneta che prescinde da
Palladio, legandosi al contesto, ritrovabile poi a Borgoricco8.
Topografie simboliche rossiane dove il territorio extra moenia esiste e stimola,
anche se non è sempre espressamente citato (il paesaggio palladiano, quello emiliano,
le geomorfologie svizzere ecc.). Se la città è “locus della memoria collettiva”, lo è anche
il paesaggio: territori come quelli padani sono «luoghi che costituiscono una patria
ritrovata», scriverà Rossi nel 1984 in occasione dell’indimenticabile mostra a Mantova
“Architetture padane”. E quando egli si troverà a racchiuderli tutti (o quasi) in un pro-
getto, ne scaturirà la “tavola analoga”: compendio di paesaggi e architetture, mappe e
oggetti di affezione, opera collettiva a più mani, dal carattere “sociale” – come colletti-
vo è il paesaggio, come opera collettiva è la città9. Una rigorosa ars combinatoria della
memoria: correspondance culturale, formale ed evocativa di immagini e ricordi, città
e paesaggi, storia universale e memoria intimamente personale, le cui regole sono
ordinate dai nessi con l’intorno.
Per concludere, anche attraverso le teorie sereniane si possono ricercare nuove let-
ture per la tematica del paesaggio sottesa in L’architettura della città, si può comprendere
l’importanza teorica che il suo autore ha dato al territorio circostante la città, capirne
la cultura, la storia, la memoria e l’intreccio con una logica affettiva, tentando infine di
individuare un nesso (sebbene da Aldo Rossi eluso con determinazione), con le “preesi-
stenze ambientali” rogersiane10, memoria degli individui. Preesistenze ambientali a cui
appunto Rossi sfugge ma che in realtà sembrano esserci, eccome, nella sua teoria archi-
tettonica e nelle sue architetture perché sono, come lui stesso scriverà nell’Autobiografia
scientifica11, semplicemente «il luogo dove si svolge la vita», portandolo a trovare una
velata correspondance, un affettuoso aggancio, con le tesi del suo maestro.
1
A. Rossi, I caratteri urbani delle città venete, in La città di Padova, Officina, Roma 1970, riportato
in A. Rossi, Scritti scelti sull’architettura e la città 1956-1972, Clup, Milano 1975, p. 386.
2
Nel caso specifico dei tre faldoni – 64 “Città”, 65 “Città” e 652 “Città e campagne” – presenti oggi
nell’immenso archivio di Emilio Sereni, da lui ordinatamente costruito, che comprendono gli argomenti
città e città e campagne, sono copiosi i testi in cirillico, oltre che in inglese, tedesco, polacco e francese, in
cui lo storico dell’agricoltura inventaria articoli, parti di giornali e supplementi, fra i più svariati. Tutti con
un occhio critico assolutamente scientifico e, sebbene vi si trovino anche materiali che potrebbero sem-
brare stralci da documenti o riviste “modesti”, nella realtà la selezione è sempre attenta e misurata. Si veda
C. Visentin, Le relazioni città-campagna nella Storia del paesaggio agrario di Emilio Sereni, in Paesaggi
agrari. L’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni, a cura di M. Quaini, Silvana editoriale, Cinisello
Balsamo 2011, pp. 85-95.
chiara visentin
3
«Angelus Novus» nata nell’autunno del 1964 come trimestrale di estetica e critica, era curata da
Massimo Cacciari e Cesare De Michelis. Il titolo è un chiaro riferimento al dipinto Angelus Novus di Paul
Klee. Il numero 19 su cui appare il saggio di Folin è il primo dopo un’interruzione di due anni dall’ultimo
numero del turbolento 1968. M. Folin, L’uso capitalistico dello spazio fisico e la costruzione della natura
storica. La città come particolare forma di capitale fisso, «Angelus Novus», 19, 1971, pp. 121-141.
4
A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padova 1970 [1966], pp. 14, 23.
5
In L’architettura della città si accenna appena al paesaggio, parafrasandolo come l’ecologia che è la
«conoscenza dei rapporti tra l’essere vivente e il suo ambiente» (capitolo III, paragrafo “Ecologia urbana e
psicologia”).
6
E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1961.
7
P. Costantini, Luigi Ghirri - Aldo Rossi, Things Which Are Only Themselves, Cose che sono solo se
stesse, CCA-Electa, Montréal-Milano 1996.
8
C. Visentin, Un’“opera” palladiana. La Villa di Borgoricco, in Aldo Rossi a Borgoricco, a cura di
C. Visentin, Il Poligrafo, Padova 2009, pp. 53-68 (“I Poliedri”, 11).
9 C. Visentin, F. Bortolini, Geometrie della Memoria. Tra i luoghi e le immagini di Aldo Rossi e
Luigi Ghirri, in Architettura di Rara Bellezza, a cura di E. Prandi, FAE Edizioni del Festival dell’Architettura,
Parma 2006, pp. 98-105.
10 «L’ambiente è il luogo di queste preesistenze» scrive E.N. Rogers in Le preesistenze ambientali
It may seem hazardous to speak of landscape with reference to Aldo Rossi’s book
of 1966, which already in the title tells the topic: the city.
With careful reading, however, and through a new review of Rossi’s theories,
we can reflect on a timely subject as the landscape. Indeed the book The Architecture
of the City talks about environment, and not only covertly, connected to the many
scientific and literary curiosities of Rossi, next to many disciplines: ecology, geogra-
phy, agronomy, environmental sociology, politics.
The references to scholars, the most assorted and – at that time – even away from
those who “process of architecture”, are many: Bloch, Chabot, Tricart, Poëte, Lavedan,
Febvre, Weber, Sorre. Even Poëte and Lavedan are defined by Rossi, “geographers”
rather than “historians of architecture” or “urbanists”.
One of them, actually not reported in The Architecture of the City but quoted in
later texts (I caratteri urbani delle città venete1) is Emilio Sereni, historian of landscape,
especially rural, who, with his theories, influenced the years straddling the mid-1900
in Italy and Europe.
It’s been forty-five years from Italian publishing, with Marsilio, The Architecture
of the City; have been exactly fifty years after publication, with Laterza, of History of
the Italian agricultural landscape by Emilio Sereni. Both books, after many decades of
extraordinary critical and editorial acclaim, translated into many languages for multi-
disciplinary interests, studied in Europe and America, have started in a few years to
see redressed their celebrity, to a nostalgic amnesia.
Similar the éducation réaliste and political environment that both authors shared,
although they were different individuals to their intimate qualities and life paths.
By comparing their two most important volumes (The Architecture of the City
and History of the Italian agricultural landscape) we can see the same process of cul-
tural assimilation, the use of history and memory, an empathy with the subject mat-
ter. The authors explain from the very first lines of their books that the object of the
treatise will be, on one side, the city “meant as an architecture”, and, on the other, the
agricultural landscape as “the form that man gives to the natural landscape”.
Curiously is to find inside the three dense folders dedicated to the theme “City”2,
in the huge Emilio Sereni archive (large for a truly universal culture, syncretic and
multidisciplinary: agriculture, politics, rural economy, society, art etc.) most of those
authors on which Rossi has also trained and who has extensively quoted in the text of
the 1966. Sereni finds in them the logical and historical support for his research, like
chiara visentin
the essay of a young urbanist, Marino Folin, for «Angelus Novus» journal3, entitled
L’uso capitalistico dello spazio fisico e la costruzione della natura storica. La città come
particolare forma di capitale fisso. To explain his theories, Folin cites in a footnote a
passage from a book published a few years earlier (The Architecture of the City): Sereni
identifies it, recognizing in it the considerations of a large part of architects and urban
planners of the period. Not by chance the essay was published in a periodical edited
by a philosopher (Cacciari) and a historian (De Michelis) very close to architectural
disciplines (and to IUAV in Venice, where the debate was to solve the value of utopia
and the contrast between functionality and ideological role of architecture):
We can study the city from a number of points of view: but it emerges as autonomous
only when we tale it as a fundamental given, as a construction and as architecture. [...] In
both cases architecture clearly represents only one aspect of a more complex reality [...]
but at the same time, as the ultimate verifiable fact of this reality, it constitutes the most
concrete possible position from which to address the problem.4
Equally concentrated, Rossi and Sereni, on their main themes – the first on the
city and the urban form, the second on the landscape as geographical and historical
synthesis with its original characters – they draw the same debate with a strongly
interdisciplinary vision.
Rossi is aware that his work may become a fundamental theoretical text for Italy
in the second half of the Twentieth century. He decides therefore to be specific about
“the construction of the city in time”. But because he relates to a broader context, he
understands that he can not omit considerations on extra moenia, what we now call
“landscape”. Term that he actually uses very little, if anything, just referring to the
“urban landscape”5.
He thus speaks of the city but understands (and we find this wherever in his writ-
ings, in his architectures) that he can not escape a dialectical analysis-synthesis itiner-
ary that unites the city (ancient and contemporary) to the territory, to the landscape
that surrounds it. For this we define his work “architecture of the places”. Many are
the architectures that trace the relationship building-context, influenced by cultural
and very personal roots, which are based on the book The Architecture of the City and
then even more on A Scientific Autobiography of 1990. Rossi believes that architecture
must build upon to architecture, investigating the reason in itself to arrive at a base
theory of design; however he doesn’t forget «the memories in which you record and
summarize the history of territorial designs of men», as written by Sereni in 19616.
Rossi recognizes and feels “urban artifacts” that belong to the city are included in
the same places explored by Sereni and by those concerned with landscape, predomi-
nantly European. They are therefore “landscape artifacts”, in the broadest sense of
the term. The places where he will discover the same affections and affinities with his
friend Luigi Ghirri7, but also the anthropological value of the environment, which he
will continue to absorb, now famous, in his travels around the world. Understandable
examples (congenial to us and Sereni) are the buildings in the countryside: Rossi
redeems, rediscover and adopts typologies as the court, ostracized by the Modern
Movement. The court is viewed as distributive principle of rural economy, but also
as urban experience. Rossi and Sereni believe that the context in which we live (es-
pecially our landscape) is entirely artificial, constructed with defined rules, a series
of authentic characters. Characters and artifacts: urban and rural land division (cen-
architecture of the city and architecture of the places
1
A. Rossi, I caratteri urbani delle città venete, in La città di Padova, Officina, Roma 1970, also present
in A. Rossi, Scritti scelti sull’architettura e la città 1956-1972, Clup, Milano 1975, p. 386.
2
In the case of three folders – 64 “City”, 65 “City” and 652 “Cities and the countryside” – now present
in the vast archive of Emilio Sereni, collected with great care, including the arguments “cities” and “towns
and countryside”, there are copious texts in Cyrillic, as well as English, German, Polish and French, in which
we find the most different inventory items, from newspapers, books, essays and supplements about the his-
tory of agriculture. See C. Visentin, Le relazioni città-campagna nella Storia del paesaggio agrario di Emilio
Sereni, in Paesaggi agrari. L’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni, a cura di M. Quaini, Silvana
editoriale, Cinisello Balsamo 2011.
3
«Angelus Novus» aesthetics and criticism topics quarterly, open in 1964, was curated by Massimo
Cacciari and Cesare De Michelis. The title is a reference to the painting of Paul Klee’s Angelus Novus. The
number 19 with Folin essay is the first after a break of two years from the last number, for the turbulence
of 1968’s. M. Folin, L’uso capitalistico dello spazio fisico e la costruzione della natura storica. La città come
particolare forma di capitale fisso, «Angelus Novus», 19, 1971, pp. 121-141.
4
A. Rossi, L’Architettura della Città, Marsilio, Padova 1970 [1966], pp. 14, 23, english transl. The
Architecture of the City, MIT Press, Cambridge (MA) 1982.
5
In The Architecture of the City the landscape is barely mentioned, to paraphrase such as ecology,
which is the «knowledge of the relationship between a living being and its environment» (chapter III, para-
graph “Urban ecology and psychology”).
chiara visentin
6
E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1961, english transl. History of the
Italian Agricultural Landscape, Princeton University Press, Princeton 1997.
7
P. Costantini, Luigi Ghirri - Aldo Rossi, Things Which Are Only Themselves, Cose che sono solo se
stesse, CCA-Electa, Montréal-Milano 1996.
8
C. Visentin, Un’“opera” palladiana. La Villa di Borgoricco, in Aldo Rossi a Borgoricco, ed.
C. Visentin, Il Poligrafo, Padova 2009, pp. 53-68 (“I Poliedri”, 11).
9
C. Visentin, F. Bortolini, Geometrie della Memoria. Tra i luoghi e le immagini di Aldo Rossi e Luigi
Ghirri, in Architettura di Rara Bellezza, ed. E. Prandi, FAE Edizioni del Festival dell’Architettura, Parma
2006, pp. 98-105.
10
«The environment is the place of these pre-existences» writes E.N. Rogers in Le preesistenze am-
bientali e i temi pratici contemporanei, «Casabella», 204, February-March 1955, pp. 3-6.
11
Aldo Rossi, A Scientific Autobiography, MIT Press, Cambridge (MA) 1984, italian ed. Autobiografia
Scientifica, Pratiche Editrice, Parma 1990, p. 96.