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L’Effetto Baldwin o Principio

della Selezione Organica


J. M. Baldwin

Nato il 12 gennaio 1861 a Columbia, in North


Carolina, Baldwin seguì fin dall’infanzia
un’educazione di stampo presbiteriano che lo
portò ad iscriversi nel 1881 all’università di
Princeton. Nel 1884 J.M. Baldwin ebbe la
possibilità di studiare un semestre a Lispia al
laboratorio di psicologia di Wilhelm Wundt,
di apprendere la metodologia della psicologia
sperimentale e di approfondire dall’altro la
sua conoscenza dell’evoluzionismo
darwiniano, abbandonando le convinzioni di
teologia naturale che infuse in lui dal suo
maestro Jamaes McCosh nei primi anni a
Princeton.
J. M. Baldwin, filogenesi e ontogenesi
della coscienza
Prendendo le mosse dall’osservazione del comportamento infantile, dall’influenza della psicologia di
William James, Baldwin approdava a un’interpretazione psicofisica della psicologia funzionalista e dello
sviluppo. Nello specifico, Baldwin arrivava ad ipotizzare che lo sviluppo mentale potesse essere un
processo composto dalla ripetizione e dalla conservazione di «reazioni utili», che necessitassero di un
costante adattamento dell’individuo all’ambiente tramite «accomodamenti». In sintesi, la prospettiva che
si era prefisso Baldwin, cioè quella di indagare la natura coscienza in ambito biologico, non risultava
comunque semplice a fine Ottocento: spinosa era infatti la diatriba tra neodarwiniani – sostenitori di un
principio di eredità forte e dell’assolutezza della selezione naturale in qualità di principio dell’evoluzione
naturale – e neolamarckiani – epigoni di Jean Baptiste Lamarck, soprattutto sostenitori del cardinale
principio dell’eredità dei caratteri acquisiti. Nel tentativo, dunque, di farsi largo tra questi due serrati
gruppi, il nostro autore doveva da un lato spiegare – e allo stesso tempo salvaguardare – il ruolo del
comportamento, dell’apprendimento e della coscienza all’interno dell’evoluzione; dall’altro doveva
trovare un principio che potesse spiegare sia la direzionalità delle variazioni che la loro conservazione,
senza però ricadere nel lamarckismo.
Il principio di Selezione
Organica
La Selezione Organica
1. « Individual organisms interact with the
environment in such a way as
systematically to produce in them
Nel 1896 viene pubblicato l’articolo A New Factor behavioral, physiological, or structural
in Evolution di J. M. Baldwin sulla rivista American modifications that are not hereditary as such
Society of Naturalism. È in queste poche pagine che but that are advantageous for survival».
si trova la formulazione di quel principio che
prende il nome di Selezione Organica. 2. «There occur in the population genetic
In sintesi, il principio di Selezione organica factors producing hereditary characteristics
(l’Effetto Baldwin) sostiene che: «gli adattamenti similar to the individual modifications
ontogenetici, cioè i cambiamenti che a livello referred to in (1)»
fenotipico avvengono durante la vita di un
organismo, possono influire nel corso di
generazioni su determinate linee filogenetiche, 3. «The genetic factors of (2) are favored by
permettendo la conservazione e l’accumulo di natural selection and tend to spread in the
quelle variazione spontanee congenite che population over the course of generations».
supportano tali adattamenti» (Chiara Pertile 2018).
Il Principio di Selezione Organica e le
obiezioni all’Origine delle Specie

Al fine di comprendere il funzionamento di questo «meccanismo», è necessario rivolgersi alle critiche che
Baldwin mosse all’Origine delle specie (1859). Nello specifico le critiche sono due: quella chiamata del (1)
«valore selettivo» e quella dei (2) «caratteri correlati» o «coadattamento». L’idea di Baldwin nel suo libro Darwin
and the Humanities (1909) era quella di ridimensionare l’assolutezza della selezione naturale, di cui godeva in
qualità di meccanismo elettivo per l’evoluzione delle specie.
1. Baldwin ravvisa con forza l’incapacità della teoria della selezione naturale di poter spiegare l’evoluzione di
«adattamenti determinanti», se questi presuppongono il passaggio per stadi incipienti o addirittura svantaggiosi.
2. La presenza di caratteri fenotipici come gli istinti presuppongono la correlazione di una pluralità di funzioni
complesse e indipendenti ma agenti insieme nella migliore direzione possibile. Come può la selezione naturale
spiegare questa convergenza di funzioni in un’unica direzione? Come possono delle variazioni spontanee non
direzionate procedere verso uno sviluppo correlato di funzioni?
Delle due la prima ricorda in particolar modo le critiche che George Mivart mosse all’Origine delle specie (1859)
nel suo libro On the genesis of species (1871), mentre la seconda sembra dar voce alla prospettiva lamarckiana, in
cui gli organismi possono ereditare i caratteri modificati dall’esperienza e dall’abitudine.  
Il Principio di Selezione Organica e le
obiezioni all’Origine delle Specie

La risposta di Darwin alle critiche di George Mivart controbatteva anche alla prima obbiezione di J. M.
Baldwin. Tuttavia, se da un lato i due principi varati da Charles Darwin – «shift funzionale» ed
«implementazione graduale» – con la VI° edizione dell’Origine delle Specie (1872[1859]) riescono nel
tentativo di rispingere le critiche in On the Genesis of Species (1871), dall’altro non è possibile da esse
ricavare una risposta sufficiente alla seconda obiezione dei «caratteri correlati», non riuscendo a dare conto
dell’evidente direzionalità di alcune variazioni e della correlazione necessaria di funzioni indipendenti verso
la costituzione di un istinto complesso.
«Il neodarwinismo non considera uno degli aspetti più importanti per comprendere l’evoluzione, e cioè
che l’unità della selezione naturale non è mai solo la variazione, ma sempre la variazione con la
modificazione. I caratteri sono sia congeniti che in parte acquisiti e sono questi il motore dell’evoluzione,
non le mere variazioni congenite. Secondo il ragionamento di Baldwin sono le funzioni ad essere
selezionate e nel caso specifico degli istinti esse sono costituite sia da una parte fisica che da una mentale»
(Pertile 2018)
Il Principio di Selezione Organica e le
obiezioni all’Origine delle Specie

Per Baldwin il livello della variazione (i.e.: genotipico) è quindi sempre caratterizzato dall’emergenza di
variazioni spontanee non direzionate; tuttavia il loro «effetto» (i.e.: la loro funzione ad un livello «fenotipico»)
verrà modificato in corrispondenza di «accomodamenti intelligenti» e sarà esso, l’effetto della variazione, più la
modificazione avvenuta grazie ad una risposta all’ambiente, ad essere l’oggetto della selezione naturale.
Dato che la selezione favorisce quelle funzioni in grado di aumentare la fitness del singolo, avverrà così che nel
corso di diverse generazioni saranno favorite in maniera indiretta quelle variazioni direzionate verso tali
funzioni, «accumulate» verso un determinato «sentiero adattativo», dando un apparente direzione «intelligente»
all’evoluzione dell’istinto.
1. Il «valore selettivo» della variazione viene spiegato grazie al ruolo dei continui «accomodamenti» che
permettono di sopperire all’incipienza del tratto fenotipico;
2. mentre la seconda obiezione viene spiegata attraverso il principio della selezione organica, il quale, avendo
come unità di selezione la variazione più la modificazione, permette l’accumularsi di variazioni, non
completamente direzionate ma «accompagnate», verso una determinata funzione.
L’Eredità Sociale

In conclusione, Baldwin osserva che se ammettiamo che la «coscienza», nella sua forma di accomodamenti,
si si eleva a grado di fenomeno fondamentale nell’evoluzione e che gran parte dei caratteri ad essa legati
vengano acquisiti grazie all’apprendimento senza essere direttamente ereditati, allora dobbiamo pensare che
esista un diverso tipo di eredità oltre a quella fisica: l’«eredità sociale». Questa trasmissione ereditaria si
discosta dalla linea germinale di August Weismann, dacché concerne tutte quelle formulazioni di
comportamenti, abitudini e gesti che connotano una nicchia sociale. Di qui, il bersaglio della selezione non
sarà il singolo individuo bensì l’intero gruppo sociale. Serve nei fatti che all’azione dell’individuo si correli
una dimensione auto-riforzantesi a livello del gruppo sociale che, ad esempio, reiteri determinati
comportamenti. La selezione naturale è in grado di promuovere comportamenti che implicano l’azione
correlata di diversi individui (e.g.: la caccia).
In Darwin and Humanities (1909) Baldwin accenna qualcosa di estremamente innovativo per la
contemporaneità: la selezione non agisce solo a livello individuale, ma può agire anche a livello di gruppo.
È quest’ultimo a diventare l’unità della selezione.
Scomparsa, poi
recuperata
Ciononostante, era già chiaro nei primi anni del
1890 l’infondatezza del principio dell’eredità dei
caratteri acquisiti – gli esperimenti di Weismann in
quegli anni dimostrarono nei fatti la separatezza
della linea germinale da quella somatica,
contribuendo non poco a contraddire le assunzioni
lamarckiane. E se da un lato Baldwin aveva
affrancato il principio della selezione organica,
nella sua originaria formulazione, da quello
lamarckiano, dall’altro il mendelismo e la teoria
della genetica moderna scompaginarono le fila dei
neo-lamarckiani, che con essi si trascinarono
anche le idee baldwiniane (Simpson 1953).
Scomparsa, poi
recuperata

Nonostante lo sforzo che profusero Osborn,


Morgan e Baldwin nel formulare e proporre
questo principio della selezione organica, gli anni
a seguire videro un suo lento abbandono. Fu
soltanto alla luce di nuovi esperimenti
(Waddignton 1953a) e di alcuni autori «eretici»
della Sintesi Moderna come C. H. Waddington e
J. G. Simpson (Waddington 1953a; 1953b;
Simspon 1953) che le idee di Baldwin poterono
nuovamente alimentare il dibattito accademico.
Scomparsa, poi
recuperata

Bisogna soprattutto ringraziare J. G. Simspon se


ad oggi ci si riferisce al principio della selezione
organica con il termine di Effetto Baldwin
(Simpson 1953), sebbene egli stesso si sia
collocato tra i più titubanti riguardo all’effettiva
portata delle idee baldwiniane. Di fatto, nel suo
artico The Baldwin Effect (1953) Simpson
derubrica l’Effetto Baldwin a uno statuto di ipotesi
sussidiaria internamente al quadro teorico della
Sintesi Moderna. Di diversa natura sono invece le
considerazioni apportare da C. H. Waddigton,
soprattutto riguardo l’introduzione del principio
dell’Assimilazione Gentica (GA) sulla scorta
dell’Effetto Baldwin.
Nell’esperimento che Waddington aveva condotto su una
popolazione di Drosphila melanogaster (trad. it.: moscerino
della frutta), s’era potuto constatare come l’abilità di
L’esperimento sui rispondere ad uno stimolo ambientale dell’insetto avesse
condotto prima facie a una condizione tale per cui
moscerini della l’organismo era in grado di manifestare un fenotipo anormale
(abnormal phenotype) in risposta alla pressione ambientale
frutta di C. H. (i.e.: temperature a livelli non-letali ma tali da indurre in una
condizione di stress l’organismo). E di come successivamente
Waddington il medesimo fenotipo anormale si manifestava nuovamente
ma in assenza dell’anormale pressione ambientale. Tale
fenotipo anormale (i.e.: crossveinless wings) non appariva,
soltanto, come «carattere acquisito» nella popolazione di
partenza. Ma si manifestava persino nelle generazioni
successive, le quali erano sottoposte ad un ambiente con
temperature nella norma. In altri termini era diventato un
carattere ereditario nelle successive generazioni.
È possibile ipotizzare, secondo il nostro autore, che le alte
temperature abbiano innescato il manifestarsi della mutazione
di cui sopra; tuttavia, questi risultati garantiscono ben poco a
L’esperimento sui chi vorrebbe sostenere che l’influenza dell’ambiente sia in
grado di produrre tratti ereditari utili alla fitness
moscerini della dell’organismo. Questo perché non ci sono ragioni sufficienti
per credere che la mutazione in cui sono incorsi i moscerini
frutta di C. H. durante l’esperimento sia vantaggiosa per la sopravvivenza;
essa è stata “arbitrariamente” selezionata tra tutte le altre per
Waddington essere poi “artificiosamente” inserita nella linea filogenetica
dei moscerini.
Ciononostante, l’esperimento sembra suggerire l’ipotesi per
cui la selezione naturale non tenderà soltanto a incrementare
la frequenza con cui una mutazione utile, a fronte di
circostanze anormali, appare, bensì renderà stabile la
formazione di quella fino al punto che il nuovo sviluppo sia
talmente “canalizzato” da continuare a manifestarsi anche in
assenza delle condizioni anormali. Per questa concatenazione,
processo, di eventi C. H. Waddington ha suggerito il nome di
Assimilazione Genetica (GA).
L’esperimento sui L’assimilazione genetica e l’Effetto Baldwin presentano una
differenza sostanziale: da una parte viene sottolineata la

moscerini della «fissità genotipica», mentre dall’altra la «variabilità


genotipica» dei sistemi di sviluppo. In altri termini,
nonostante entrambi partano dall’assunzione che l’interazione
frutta di C. H. dell’organismo con l’ambiente avvenga grazie ad un
aggiustamento fenotipico, per Waddington non è necessario
Waddington che ci sia un accumulo di mutazioni spontanee, nella misura
in cui i genotipi mostrano già la proprietà di poter
intraprendere diverse traiettorie di sviluppo e portare a tratti
diversi a livello fenotipico (Chiara Pertile 2018).
Prospettive
contemporanee Stages
Baldwin Skeptics,
Baldwin Boosters
0. A new environmental condition has arisen. The population has
not yet undergone any evolutionary change as a consequence.
Peter Godfrey-Smith

1. Natural selection favors learning, as a consequence of the


challenge posed by the new environmental condition. Genotypes
associated with the effective learning of suitable behaviors
proliferate in the population.

2. Mutation, recombination, and selection lead to the proliferation


of genotypes that are able to produce the best available behavioral
response without learning.
Peter Godfrey-Smith
Posta la successione del processo riguardante gli stadi dell’Accomodamento Genetico (GA) di cui sopra,
ci sono tre meccanismi attraverso i quali si prospetta che almeno in un caso si arrivi ad un passaggio
della popolazione dallo stadio (0) allo stadio (2) e che sia attraverso lo stadio (1).  
1. Lo spazio vitale – il meccanismo di J. M. Baldwin; 2. Le somiglianti relazioni tra genotipi – il
meccanismo di C. H. Waddington; 3. La costruzione di Nicchia – il meccanismo di T. Deacon.
Le suddette opzioni non sono in contraddizione tra di loro; pertanto, si dà anche il caso che vi siano le
condizioni per una proficua cooperazione reciproca.
1. Il meccanismo di J. M. Baldwin risulta essere discutibile nonché poco efficace, dal momento che il
passaggio per lo stadio (1) comporta la sopravvivenza di individui con un’alta plasticità fenotipica per
giungere ad un accomodamento utile. Ciò vorrà dire che allo stadio (2) la selezione naturale favorirà il/i
genotipo/i utili alla manifestazione del precedente accomodamento a discapito della plasticità fenotipica
delle nuove generazioni nel medesimo stadio. In altri termini, l’Accomodamento Genetico ha prodotto le
condizioni per rendere non-plastico ciò che prima lo era con evidenza
 
2. D’altra parte, nel meccanismo di C. H. Waddington viene ipotizzato che i genotipi associati alla
sopravvivenza nello stadio (2) siano quelli più accessibili da una popolazione in uno stadio (1), in cui ci
sia più probabilità di incontrare degli individui maggiormente predisposti ad accomodare il tratto
fenotipico correlato ai suddetti genotipi. In tal senso, l’unica via percorribile per la medesima
popolazione di giungere allo stadio (2) sarebbe di passare attraverso lo stadio (1). Quello che il
meccanismo di Waddington mostra è che se viene selezionata la tendenza a produrre un tratto in
condizioni ambientali specifiche, eventualmente nasceranno individui nelle generazioni future in grado
di manifestare il suddetto tratto in condizioni ambientali normali.
3. Infine, si prenda in considerazione il meccanismo di T. Deacon. Questo introduce un’ulteriore
condizione nel procedere dallo stadio (0) allo stadio (2), ovverosia che il raggiungimento di (2) richieda
ad ogni condizione data il passaggio attraverso (2) (se il meccanismo di Waddington permetteva di
raggiungere lo stadio (2) solo attraverso (1), ciò non era implicito per le nuove generazioni, che, una
volta reso ereditario il tratto specifico, passavano direttamente da (0) a (2)). Questo avviene dal
momento che il terzo meccanismo non coinvolge le sottostanti combinazioni genetiche di tutti gli stadi,
bensì interessa il cambiamento della pressione ambientale indotto dalla popolazione stessa.
Ecco ciò che accade:
a. il passaggio da (0) a (1) avviene in virtù dell’acquisizione facoltativa di tratti vantaggiosi da parte di
alcuni individui; questo tratto fenotipico è in primis accessibile a quegli individui che sono
maggiormente predisposti ad raggiungerlo nello stadio (0), e successivamente la selezione naturale
favorisce quelle frequenze genotipiche in grado garantire lo sviluppo del suddetto tratto; l’esistenza di
questo tratto, che diventa mano a mano comune allo stadio (1), cambia de facto la pressione sopportata
dalla popolazione di individui; in sostanza, il passaggio da (0) a (1) muta l’ecologia sociale della
popolazione.
b. È in situazioni come questa che si ravvisa nel panorama adattativo il fenomeno noto con il nome di
positive frequency dependence – si assiste all’aumento dell’importanza relativa all’acquisizione del tratto
con l’aumentare della sua diffusione nella popolazione. Inoltre, in queste circostanze, ogni mutazione
incipiente ma favorevole in parte all’acquisizione del tratto verrebbe privilegiata. Insomma, si
raggiungerà così l’aumento della frequenza di quei genotipi in grado di far acquisire all’individuo il
suddetto carattere.
c. Così avviene il passaggio dallo stadio (1) allo stadio (2) attraverso, finché il continuo processo di auto-
rinforzo non si viene ad interrompere bruscamente, nella misura in cui i genotipi favoriti allo stadio (2)
sono vantaggiosi solo nelle circostanze create dallo stadio (1). Così il nostro genotipo favorito a (2) non
avrà alcun vantaggio se selezionato nel nuovo stadio di partenza (0).
Terrence Deacon nel suo libro La specie Simbolica parla di un tratto fenotipico peculiare di
Homo Sapiens: il linguaggio. Nei termini di Godfrey-Smith
«His claim is that the earliest proto-linguistic behaviors, which were produced via a non-
specialized apelike brain, conditioned the subsequent evolution of the human brain. Linguistic
behavior places great demands on learning, processing, and motor mechanisms. And in the
social ecology that Deacon imagines for early humans, the role of symbolic behavior in social
coordination becomes extremely important. So selection will favor any mutations that
predispose human brains for language acquisition» (Godfrey-Smith 2003).
Prospettive
contemporanee
Baldwin Skeptics,
Baldwin Boosters

Daniel Dennett
Daniel Dennett
Tutt’altra prospettiva è quella di Daniel Dennet, il quale definisce l’effetto Baldwin nel suo libro L’idea
pericolosa di Darwin (2018[1995]) come una «gru» (in ing.: crane): cioè un processo inerente alla
«progettazione» nell’ambito dell’evoluzione naturale, di cui si può dimostrare sia che fornisca un utile
apporto al lento processo della selezione naturale sia che è esso stesso un prodotto spiegabile a priori del
processo di base.
Baldwin comprese con evidenza, secondo Dennett, come singoli animali, grazie alla risoluzione di
problemi nel corso della loro esistenza, possano modificare le condizioni della competizione per i propri
discendenti, facilitando la soluzione futura di tali problemi. Il grafico ci mostra il modo in cui è possibile
che, formulate le giuste premesse, si verifichi quello che abbiamo testé detto. Nello specifico, si deve
presuppore che:
i. nella popolazione di una specie presa in considerazione vi sia una variazione notevole nel modo in cui
il cervello è «cablato» al momento della nascita; ii. soltanto uno dei possibili cablaggi metta un
individuo nelle condizioni di possedere un «buono stratagemma» adattativo.
 
Nella Figura (1) i bastoncini rappresentano ogni possibile cablaggio cerebrale e l’altezza dei medesimi rappresenta
la fitness (ad altezza maggiore corrisponde una maggiore fitness). Come risulta evidente dalla Figura (1) solo un
bastoncino è favorito; gli altri, indipendentemente dalla loro vicinanza a quello, sono pari nella fitness. Questo
cablaggio sarà come un «ago nel pagliaio» per la selezione naturale, poiché in genere solo pochi individui sono
predisposti del cablaggio che conduce al buono stratagemma e avranno difficoltà a trasmetterlo alla prole. A
questo punto si introduce però un cambiamento secondario – un’ulteriore premessa:
iii. si supponga che i singoli organismi possano ritoccare il proprio cablaggio a seconda di ciò che incontrano nel
corso della vita (il fenotipo è dotato di una certa plasticità; esso è il prodotto corporeo definitivo creato
dall’intersezione del genotipo con l’ambiente) e che quindi gli organismi possano finire per raggiungere un
«progetto» diverso da quello con cui sono nati, dato che sono proni a riconoscere un «buono stratagemma» quando
vi si imbattono.
In tal  modo, ad essere favoriti saranno anche coloro il cui genotipo si mostra essere più vicino a quello del «buon
stratagemma», nella misura in cui avranno maggiori probabilità di riconoscerlo rispetto a quegli individui nati con
un cablaggio molto più distante. In questa popolazione, che mostra un tale genere di plasticità fenotipica, è molto
meglio sbagliare di poco che di molto (contrariamente alla situazione iniziale).
Ciò vorrà dire che: «A lungo andare, la selezione naturale – la riprogettazione a livello genotipico – tenderà a
seguire la traccia delle direzioni prese dalle esplorazioni fortunate dei singoli individui – la riprogettazione a
livello individuale o fenotipico – e a confermarle» (Dennet 2018 [1995]).
Accomodamenti Genetici
Che cosa accade alla sintesi moderna?
Diverse critiche sono state formulate al principio dell’Assimilazione Genetica (GA), in particolare dai sostenitori
della Sintesi Moderna (de Jong2005). Di qui, Massimo Pigliucci nell’articolo Phenotypic plasticity and evolution
by genetic assimilation (2006) cerca di rispondere ad alcune di esse, soprattutto alle criticità evidenziate dalla
studiosa de Jong. Le principali critiche mosse dalla suddetta sono: i) un’eccessiva enfasi su (GA) nega
l’importanza ecologica della plasticità fenotipica; ii) i modelli quantitativi della genetica sono in grado di predire
la funzione adattativa della plasticità fenotipica e di derivare da essa, come se configurasse in qualità di
meccanismo alla pari con la selezione naturale; iii) non ci sono ad oggi modelli di (GA); iv) la plasticità fenotipica
non rappresenta un’alternativa alla sintesi moderna.
 
In altri termini la (i) obbiezione conclude che in (GA) la plasticità fenotipica (PP) sia solo uno stadio intermedio
per una fissazione di un nuovo stadio geneticamente e fenotipicamente invariante, concludendo che PP svalutata in
corrispondenza di processi concernenti GA; tuttavia, non è qui preso in considerazione l’importanza assoluta di PP
nei primi stadi di GA, permettendo nei fatti all’organismo di sopravvivere in concomitanza di nuove condizioni
ambientali. Così PP contribuirà da un lato al raggiungimento di GA (i.e.: in corrispondenza di nuove e continue
condizioni ambientali verrà persa PP in favore di una «canalizzazione» del tratto acquisito), dall’altro sarà di
fondamentale importanza per adeguarsi ad una situazione in cui ci sia discontinuità tra nuove e vecchie condizioni
ambientali.
La seconda obbiezione assume che PP sia considerata alla pari con la selezione naturale (SN); tuttavia, ciò è un
grossolano «errore categoriale», nella misura in cui PP è un meccanismo che opera in qualità di causa prossima
mentre SN è l’ultima causa adattativa dell’evoluzione, e quindi subito dismesso. Oltre a ciò, è quantomeno da
rivedere l’efficacia attribuita ai modelli predittivi della genetica, giacché la loro primaria funzione non sarebbe
quella di produrre affidabili inferenze deduttive riguardo i meccanismi sottostanti l’evoluzione delle specie. La
ragione è quella per cui molti sentieri possono condurre a congrui risultati nel fenotipo, per di più da quest’ultimi
non è possibile percorrere a ritroso la strada sperando di arrivare ad una sola meta.
La terza obbiezione non c’è bisogno di commentarla, dal momento esistono svariate ricerche sperimentali condotte
nel tentativo
  di render conto di GA. E se in un primo momento sembrava che ce ne fossero troppe poche per
supportare GA, ciò era dovuto al fatto che la ricerca di «prove» a sostegno di GA richiedeva la formulazione di
ipotesi inedite. Oltretutto, già con Waddington s’era mostrato con evidenza che le tali tipi di ricerche sperimentali
potessero coinvolgere addirittura una manciata di generazioni.
Accomodamenti Genetici

Infine, diversi autori hanno nel tempo mostrato le


limitazioni del corrente paradigma biologico,
proponendo parimenti di includere delle nuove
prospettive nel tentativo di allargare il già vasto
panorama della Sintesi Moderna. Questo lavoro
non va in contraddizione con lo stato della Sintesi
Moderna stessa che si genera come estensione
della visionaria scoperta di Charles Darwin.
In conclusione «All current attempts to improve
on the Modern Synthesis, are best thought of as
additional ramifications stemming out of the same
base tree, not as plots to uproot the Darwinian
construction»(Pigliucci et. al. 2006)
Il Carpodacus
Mexicanus
A.V. Badyaev
Il processo
dell’Effetto Baldwin
nell’emergere di
nuovi adattamenti
durante l’espansione
del carpodacus
mexicanus in America
del Nord
Bibliografia

James Mark Baldwin A New Factor in Evolution, The American Naturalist , Jun. 1896, Vol. 30, No. 354, cit., pp. 441-451.
James Mark Baldwin Darwin and Humanities, 1909.
Chiara Pertile, Selezione organica e eredità sociale, Noema Vol. 9 (https://doi.org/10.13130/2239-5474/11377), 2018.
C.H. Waddington, The 'Baldwin Effect,' Genetic Assimilation' and 'Homeostasis’, Evolution, Vol. 7, No. 4, Jun. 1953, cit., p. 118-
126.
C.H. Waddington, The Baldwin Effect, Genetic Assimilation and Homeostasis, Evolution, Dec. 1953, cit., p. 386-387.
G. G. Simpson, The Baldwin Effect, Evolution, Vol.7, No.2, Jun. 1953, cit., pp. 110-117.
M. Pigliucci, Phenotypic plasticity and evolution by genetic assimilation, The Journal for Experimental Biology, 2006, cit., pp.
2362-2367.
A.V. Badyaev, Evolutionary significance of phenotypic accommodation in novel environments: an empirical test of the Baldwin
effect, Philosophical Transactions of the Royal Society, B 2009, cit., pp. 1125-1141.

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