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Al fine di comprendere il funzionamento di questo «meccanismo», è necessario rivolgersi alle critiche che
Baldwin mosse all’Origine delle specie (1859). Nello specifico le critiche sono due: quella chiamata del (1)
«valore selettivo» e quella dei (2) «caratteri correlati» o «coadattamento». L’idea di Baldwin nel suo libro Darwin
and the Humanities (1909) era quella di ridimensionare l’assolutezza della selezione naturale, di cui godeva in
qualità di meccanismo elettivo per l’evoluzione delle specie.
1. Baldwin ravvisa con forza l’incapacità della teoria della selezione naturale di poter spiegare l’evoluzione di
«adattamenti determinanti», se questi presuppongono il passaggio per stadi incipienti o addirittura svantaggiosi.
2. La presenza di caratteri fenotipici come gli istinti presuppongono la correlazione di una pluralità di funzioni
complesse e indipendenti ma agenti insieme nella migliore direzione possibile. Come può la selezione naturale
spiegare questa convergenza di funzioni in un’unica direzione? Come possono delle variazioni spontanee non
direzionate procedere verso uno sviluppo correlato di funzioni?
Delle due la prima ricorda in particolar modo le critiche che George Mivart mosse all’Origine delle specie (1859)
nel suo libro On the genesis of species (1871), mentre la seconda sembra dar voce alla prospettiva lamarckiana, in
cui gli organismi possono ereditare i caratteri modificati dall’esperienza e dall’abitudine.
Il Principio di Selezione Organica e le
obiezioni all’Origine delle Specie
La risposta di Darwin alle critiche di George Mivart controbatteva anche alla prima obbiezione di J. M.
Baldwin. Tuttavia, se da un lato i due principi varati da Charles Darwin – «shift funzionale» ed
«implementazione graduale» – con la VI° edizione dell’Origine delle Specie (1872[1859]) riescono nel
tentativo di rispingere le critiche in On the Genesis of Species (1871), dall’altro non è possibile da esse
ricavare una risposta sufficiente alla seconda obiezione dei «caratteri correlati», non riuscendo a dare conto
dell’evidente direzionalità di alcune variazioni e della correlazione necessaria di funzioni indipendenti verso
la costituzione di un istinto complesso.
«Il neodarwinismo non considera uno degli aspetti più importanti per comprendere l’evoluzione, e cioè
che l’unità della selezione naturale non è mai solo la variazione, ma sempre la variazione con la
modificazione. I caratteri sono sia congeniti che in parte acquisiti e sono questi il motore dell’evoluzione,
non le mere variazioni congenite. Secondo il ragionamento di Baldwin sono le funzioni ad essere
selezionate e nel caso specifico degli istinti esse sono costituite sia da una parte fisica che da una mentale»
(Pertile 2018)
Il Principio di Selezione Organica e le
obiezioni all’Origine delle Specie
Per Baldwin il livello della variazione (i.e.: genotipico) è quindi sempre caratterizzato dall’emergenza di
variazioni spontanee non direzionate; tuttavia il loro «effetto» (i.e.: la loro funzione ad un livello «fenotipico»)
verrà modificato in corrispondenza di «accomodamenti intelligenti» e sarà esso, l’effetto della variazione, più la
modificazione avvenuta grazie ad una risposta all’ambiente, ad essere l’oggetto della selezione naturale.
Dato che la selezione favorisce quelle funzioni in grado di aumentare la fitness del singolo, avverrà così che nel
corso di diverse generazioni saranno favorite in maniera indiretta quelle variazioni direzionate verso tali
funzioni, «accumulate» verso un determinato «sentiero adattativo», dando un apparente direzione «intelligente»
all’evoluzione dell’istinto.
1. Il «valore selettivo» della variazione viene spiegato grazie al ruolo dei continui «accomodamenti» che
permettono di sopperire all’incipienza del tratto fenotipico;
2. mentre la seconda obiezione viene spiegata attraverso il principio della selezione organica, il quale, avendo
come unità di selezione la variazione più la modificazione, permette l’accumularsi di variazioni, non
completamente direzionate ma «accompagnate», verso una determinata funzione.
L’Eredità Sociale
In conclusione, Baldwin osserva che se ammettiamo che la «coscienza», nella sua forma di accomodamenti,
si si eleva a grado di fenomeno fondamentale nell’evoluzione e che gran parte dei caratteri ad essa legati
vengano acquisiti grazie all’apprendimento senza essere direttamente ereditati, allora dobbiamo pensare che
esista un diverso tipo di eredità oltre a quella fisica: l’«eredità sociale». Questa trasmissione ereditaria si
discosta dalla linea germinale di August Weismann, dacché concerne tutte quelle formulazioni di
comportamenti, abitudini e gesti che connotano una nicchia sociale. Di qui, il bersaglio della selezione non
sarà il singolo individuo bensì l’intero gruppo sociale. Serve nei fatti che all’azione dell’individuo si correli
una dimensione auto-riforzantesi a livello del gruppo sociale che, ad esempio, reiteri determinati
comportamenti. La selezione naturale è in grado di promuovere comportamenti che implicano l’azione
correlata di diversi individui (e.g.: la caccia).
In Darwin and Humanities (1909) Baldwin accenna qualcosa di estremamente innovativo per la
contemporaneità: la selezione non agisce solo a livello individuale, ma può agire anche a livello di gruppo.
È quest’ultimo a diventare l’unità della selezione.
Scomparsa, poi
recuperata
Ciononostante, era già chiaro nei primi anni del
1890 l’infondatezza del principio dell’eredità dei
caratteri acquisiti – gli esperimenti di Weismann in
quegli anni dimostrarono nei fatti la separatezza
della linea germinale da quella somatica,
contribuendo non poco a contraddire le assunzioni
lamarckiane. E se da un lato Baldwin aveva
affrancato il principio della selezione organica,
nella sua originaria formulazione, da quello
lamarckiano, dall’altro il mendelismo e la teoria
della genetica moderna scompaginarono le fila dei
neo-lamarckiani, che con essi si trascinarono
anche le idee baldwiniane (Simpson 1953).
Scomparsa, poi
recuperata
Daniel Dennett
Daniel Dennett
Tutt’altra prospettiva è quella di Daniel Dennet, il quale definisce l’effetto Baldwin nel suo libro L’idea
pericolosa di Darwin (2018[1995]) come una «gru» (in ing.: crane): cioè un processo inerente alla
«progettazione» nell’ambito dell’evoluzione naturale, di cui si può dimostrare sia che fornisca un utile
apporto al lento processo della selezione naturale sia che è esso stesso un prodotto spiegabile a priori del
processo di base.
Baldwin comprese con evidenza, secondo Dennett, come singoli animali, grazie alla risoluzione di
problemi nel corso della loro esistenza, possano modificare le condizioni della competizione per i propri
discendenti, facilitando la soluzione futura di tali problemi. Il grafico ci mostra il modo in cui è possibile
che, formulate le giuste premesse, si verifichi quello che abbiamo testé detto. Nello specifico, si deve
presuppore che:
i. nella popolazione di una specie presa in considerazione vi sia una variazione notevole nel modo in cui
il cervello è «cablato» al momento della nascita; ii. soltanto uno dei possibili cablaggi metta un
individuo nelle condizioni di possedere un «buono stratagemma» adattativo.
Nella Figura (1) i bastoncini rappresentano ogni possibile cablaggio cerebrale e l’altezza dei medesimi rappresenta
la fitness (ad altezza maggiore corrisponde una maggiore fitness). Come risulta evidente dalla Figura (1) solo un
bastoncino è favorito; gli altri, indipendentemente dalla loro vicinanza a quello, sono pari nella fitness. Questo
cablaggio sarà come un «ago nel pagliaio» per la selezione naturale, poiché in genere solo pochi individui sono
predisposti del cablaggio che conduce al buono stratagemma e avranno difficoltà a trasmetterlo alla prole. A
questo punto si introduce però un cambiamento secondario – un’ulteriore premessa:
iii. si supponga che i singoli organismi possano ritoccare il proprio cablaggio a seconda di ciò che incontrano nel
corso della vita (il fenotipo è dotato di una certa plasticità; esso è il prodotto corporeo definitivo creato
dall’intersezione del genotipo con l’ambiente) e che quindi gli organismi possano finire per raggiungere un
«progetto» diverso da quello con cui sono nati, dato che sono proni a riconoscere un «buono stratagemma» quando
vi si imbattono.
In tal modo, ad essere favoriti saranno anche coloro il cui genotipo si mostra essere più vicino a quello del «buon
stratagemma», nella misura in cui avranno maggiori probabilità di riconoscerlo rispetto a quegli individui nati con
un cablaggio molto più distante. In questa popolazione, che mostra un tale genere di plasticità fenotipica, è molto
meglio sbagliare di poco che di molto (contrariamente alla situazione iniziale).
Ciò vorrà dire che: «A lungo andare, la selezione naturale – la riprogettazione a livello genotipico – tenderà a
seguire la traccia delle direzioni prese dalle esplorazioni fortunate dei singoli individui – la riprogettazione a
livello individuale o fenotipico – e a confermarle» (Dennet 2018 [1995]).
Accomodamenti Genetici
Che cosa accade alla sintesi moderna?
Diverse critiche sono state formulate al principio dell’Assimilazione Genetica (GA), in particolare dai sostenitori
della Sintesi Moderna (de Jong2005). Di qui, Massimo Pigliucci nell’articolo Phenotypic plasticity and evolution
by genetic assimilation (2006) cerca di rispondere ad alcune di esse, soprattutto alle criticità evidenziate dalla
studiosa de Jong. Le principali critiche mosse dalla suddetta sono: i) un’eccessiva enfasi su (GA) nega
l’importanza ecologica della plasticità fenotipica; ii) i modelli quantitativi della genetica sono in grado di predire
la funzione adattativa della plasticità fenotipica e di derivare da essa, come se configurasse in qualità di
meccanismo alla pari con la selezione naturale; iii) non ci sono ad oggi modelli di (GA); iv) la plasticità fenotipica
non rappresenta un’alternativa alla sintesi moderna.
In altri termini la (i) obbiezione conclude che in (GA) la plasticità fenotipica (PP) sia solo uno stadio intermedio
per una fissazione di un nuovo stadio geneticamente e fenotipicamente invariante, concludendo che PP svalutata in
corrispondenza di processi concernenti GA; tuttavia, non è qui preso in considerazione l’importanza assoluta di PP
nei primi stadi di GA, permettendo nei fatti all’organismo di sopravvivere in concomitanza di nuove condizioni
ambientali. Così PP contribuirà da un lato al raggiungimento di GA (i.e.: in corrispondenza di nuove e continue
condizioni ambientali verrà persa PP in favore di una «canalizzazione» del tratto acquisito), dall’altro sarà di
fondamentale importanza per adeguarsi ad una situazione in cui ci sia discontinuità tra nuove e vecchie condizioni
ambientali.
La seconda obbiezione assume che PP sia considerata alla pari con la selezione naturale (SN); tuttavia, ciò è un
grossolano «errore categoriale», nella misura in cui PP è un meccanismo che opera in qualità di causa prossima
mentre SN è l’ultima causa adattativa dell’evoluzione, e quindi subito dismesso. Oltre a ciò, è quantomeno da
rivedere l’efficacia attribuita ai modelli predittivi della genetica, giacché la loro primaria funzione non sarebbe
quella di produrre affidabili inferenze deduttive riguardo i meccanismi sottostanti l’evoluzione delle specie. La
ragione è quella per cui molti sentieri possono condurre a congrui risultati nel fenotipo, per di più da quest’ultimi
non è possibile percorrere a ritroso la strada sperando di arrivare ad una sola meta.
La terza obbiezione non c’è bisogno di commentarla, dal momento esistono svariate ricerche sperimentali condotte
nel tentativo
di render conto di GA. E se in un primo momento sembrava che ce ne fossero troppe poche per
supportare GA, ciò era dovuto al fatto che la ricerca di «prove» a sostegno di GA richiedeva la formulazione di
ipotesi inedite. Oltretutto, già con Waddington s’era mostrato con evidenza che le tali tipi di ricerche sperimentali
potessero coinvolgere addirittura una manciata di generazioni.
Accomodamenti Genetici
James Mark Baldwin A New Factor in Evolution, The American Naturalist , Jun. 1896, Vol. 30, No. 354, cit., pp. 441-451.
James Mark Baldwin Darwin and Humanities, 1909.
Chiara Pertile, Selezione organica e eredità sociale, Noema Vol. 9 (https://doi.org/10.13130/2239-5474/11377), 2018.
C.H. Waddington, The 'Baldwin Effect,' Genetic Assimilation' and 'Homeostasis’, Evolution, Vol. 7, No. 4, Jun. 1953, cit., p. 118-
126.
C.H. Waddington, The Baldwin Effect, Genetic Assimilation and Homeostasis, Evolution, Dec. 1953, cit., p. 386-387.
G. G. Simpson, The Baldwin Effect, Evolution, Vol.7, No.2, Jun. 1953, cit., pp. 110-117.
M. Pigliucci, Phenotypic plasticity and evolution by genetic assimilation, The Journal for Experimental Biology, 2006, cit., pp.
2362-2367.
A.V. Badyaev, Evolutionary significance of phenotypic accommodation in novel environments: an empirical test of the Baldwin
effect, Philosophical Transactions of the Royal Society, B 2009, cit., pp. 1125-1141.