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LO STATO

Per iniziare a parlare di stato possiamo dire che è il massimo produttore di diritto, ma non l’unico (basti
pensare alle regioni, ai comuni o all’ONU).
Il tema dello stato ha sempre suscitato notevole interesse non solo tra i giuristi ma anche tra i cultori di
varie altre discipline. Motivi dominanti appaiono soprattutto la ricerca delle ragioni a monte della
formazione dello Stato e che ne giustificano l’esistenza. Da un punto di vista più propriamente giuridico lo
Stato ha ricevuto diverse definizioni:

- Geber: “lo Stato è la forma giuridica della vita collettiva di un popolo”. Nello Stato, considerato dal
punto di vista giuridico, “il popolo assurge nel suo insieme alla coscienza e alla capacità di volere
richieste dal diritto”. Per questo motivo “lo Stato è la suprema personalità di diritto che
l’ordinamento giuridico conosca, la sua capacità di volere possiede la massima attribuzione che il
diritto possa conferire. La forza della volontà dello Stato è la potestà di imperio: essa si dice ‘potere
dello stato’”.
- Jellinek: per il quale “lo Stato è l’unico gruppo sociale dominante in forza del potere originario che
gli è innato che non possa essere derivato giuridicamente da un altro potere” e “caratteristica
essenziale dello Stato è l’esistenza di un potere statale”, quale “potere sovrano inderivabile”. Per
questo motivo “dove una comunità può esercitare il dominio sui suoi membri e sul suo territorio
secondo un ordinamento che le è proprio, con una autorità originaria e con mezzi coercitivi
originari, là c’è uno Stato”.
- Kelsen: lo Stato viene identificato con il suo ordinamento giuridico, altro non essendo la comunità
statale “che l’ordinamento normativo che regola il comportamento reciproco degli individui”
- Ross: afferma che si parla di stato “quando esiste un monopolio per l’esercizio della forza” e
definisce “sistema giuridico nazionale, l’insieme delle regole per l’organizzazione e il funzionamento
dell’apparato coercitivo dello Stato”.
- Olivecrona : pur negando l’esistenza di un “‘potere dello Stato’ come qualcosa di unico e di
unitario”, aveva ravvisato nella realtà di fatto “una vasta organizzazione la quale è riuscita ad
ottenere il monopolio della forza all’interno di un certo territorio, monopolio che non consiste in un
diritto esclusivo di usare la forza, ma nella capacità effettiva da parte dei membri della
organizzazione di farlo”.
- Haurioi: lo ha configurato come “corpo costituito per la realizzazione di un certo numero di idee, le
più semplici delle quali sono raccolte nella formula ‘attività protettiva di una società civile nazionale
svolta da un potere pubblico a base territoriale, che è separato dalla proprietà della terra e in tal
modo lascia un gran margine di libertà ai sudditi’”.
- Romano: definisce Stato “ogni ordinamento giuridico territoriale sovrano, ossia originario”.

La tendenza maggiormente diffusa è quella che porta a definire lo Stato come ordinamento “politico,
“territoriale”, “sovrano”, “originario” e “indipendente” da ogni altro potere e quindi sovrano di un popolo
stabilmente insediato su un determinato territorio.

Che cosa è lo stato da un punto di vista giuridico? Si può parlare di stato quando sono presenti almeno tre
elementi (elementi costitutivi dello stato), devono esserci tutti e tre, senza uno non c'è lo stato:
1. Il popolo
2. Il territorio
3. La sovranità
Possiamo aggiungere anche il riconoscimento internazionale anche se non necessario da un punto di vista
giuridico (ex in Libia esiste lo stato libico e tutti gli altri governi libici, al giurista interessa lo stato libico).

Per iniziare a parlare del primo elemento costitutivo è bene fare una prima distinzione.
IL POPOLO → è l’insieme dei cittadini di uno stato, il popolo italiano è l’insieme dei cittadini italiani.
Dal concetto di popolo vengono distinti i concetti di popolazione e di nazione:
La popolazione → è il complesso di tutti coloro – siano essi cittadini, stranieri o apolidi – che hanno stabile
residenza nel territorio dello Stato e sono sottoposti alle sue leggi. Non fanno invece parte della
popolazione, pur facendo parte del popolo italiano, i cittadini residenti all’estero.
Per questo motivo il conetto di popolazione è un concetto di carattere essenzialmente statistico che non
comporta vincoli di appartenenza giuridica.
Per esempio la popolazione italiana è l’insieme delle persone che vivono nel territorio dello stato.
Nazione→ non è un vero e proprio concetto giuridico, ma storico e sociologico, che tra l’altro ha portato
all’erompere del nazionalismo. Indica un’entità etnico-sociale caratterizzata dalla comunanza di lingua,
cultura, religione, costumi e tradizioni a prescindere dall’appartenenza a un determinato Stato. Ma
entriamo così in un campo minato perché discriminante, è quindi un concetto che ha più una valenza
sociologica poiché dal punto di vista giuridico non è definibile.

Colui che fa parte del popolo è colui che ha la CITTADINANZA.


Come si acquisisce la cittadinanza italiana?
Oggi in Italia è ancora valida la legge n.91 del 5 febbraio del 1922

1. per la legge è automaticamente un cittadino italiano il figlio di un cittadino italiano, senza doverla
chiedere. Basta che uno dei due genitori lo riconosca come suo figlio. (“Ius sanguinis”: acquisto della
cittadinanza per sangue).
2. è sempre automaticamente cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori entrambi apolidi (colui che
non ha la cittadinanza a polis = senza città) perché prevale l’interesse del minore, o da genitori ignoti (se
non viene trovato in possesso di un’altra cittadinanza).
3. chi nasce in Italia da genitori non italiani diviene cittadino italiano solo su richiesta entro un anno dal
compimento dei 18 anni dimostrando la residenza ininterrotta sul territorio.
4. può chiedere la cittadinanza italiana il coniuge di un cittadino italiano, prima della legge del 1922 il
coniuge era comparato al figlio, successivamente però vengono aggiunti dei criteri. La può richiedere solo
se dopo il matrimonio risiede legalmente in Italia da almeno 2 anni oppure dopo 3 anni dalla data del
matrimonio de residente all’estero.
5. Lo straniero che risiede legalmente nel territorio dello stato può richiedere la cittadina italiana dopo 10
anni. La concede sempre il ministero degli interni. Non c'è obbligo di risposta, non c'è obbligo di
concessione, è completamente discrezionale.
6.Ultimo caso ancora più discrezionale, il governo può concedere la cittadinanza allo straniero che ha reso
un eminente servizio allo stato. È una pura scelta politica. (Esempio atti eroici)

Costituiscono cause di preclusione all’acquisto della cittadinanza:


- condanne penali quali la condanna per i delitti contro la personalità dello stato
- condanna con pena superiore a 3 anni di reclusione

Revoca alla cittadinanza (casi molto estremi e limitati)


1. Se ha prestato servizio militare ad un paese diverso da quello italiano
2. Se accetta un impiego pubblico in un altro stato
3. Il cittadino italiano che durante un periodo di guerra contro uno stato estero decide di svolgere degli
impieghi con quello stato
4. Revoca della cittadinanza agli stranieri considerati una minaccia per la sicurezza nazionale

Sulla cittadinanza italiana vi è un problema. In termini di diritti l’unica vera differenziazione tra il cittadino
italiano e il cittadino non italiano è sicuramente quella riguardante il diritto di voto. Perché per la nostra
costituzione ha diritto di voto per il parlamento il cittadino italiano. Quindi colui che non ha la cittadinanza
italiana non vota per il parlamento italiano.

È' un problema abbastanza rivelante perché il cittadino straniero che vive in questo paese e paga le tasse
come tutti i cittadini italiani non è comprensibile che non possa eleggere al parlamento.
(come sono nati gli stati uniti? Le colonie americane inizialmente vedevano come un sopruso il prelievo
fiscale fatto dalla madre patria inglese senza il corrispettivo diritto di voto dei coloni per il parlamento
inglese. È cosi che nascono gli USA perché ad un certo momento le rivendicazioni dei coloni non subiscono
nessun effetto e allora c’è la guerra, c’è la rivoluzione e infine c’è l’indipendenza degli usa. Il principio è
chiarissimo, “no taxetion without representation” , se mi tassi mi fai eleggere, se non mi fai eleggere mi
faccio il mio parlamento che io posso eleggere. Attualizzando questo fondamentale principio al nostro oggi
chi non ha la cittadinanza italiana non può votare in parlamento ma paga comunque le tasse).
Ad un certo momento Mirko Tremaglia, senatore di alleanza nazionale, modifica la costituzione italiana per
permettere ai cittadini italiani residenti all’estero di votare al parlamento italiano (12 posti).

In quanto cittadini italiani siamo dal 1922 anche cittadini europei. Il trattato di Maastricht ha istituito la
cittadinanza europea come cittadinanza aggiuntiva da dare a tutti i cittadini degli stati membri dell’ Unione
Europea. Noi siamo legalmente, formalmente e giuridicamente cittadini italiani e cittadini europei. Ci sono
dei diritti che conseguono dall’essere cittadini europei:
-uno abbastanza importante, prima del 1922 se noi eravamo all’estero l’unica possibilità di avere assistenza
diplomatica era da parte dell’ambasciata o del consolato italiano. Dal 1992 siamo tutti cittadini europei,
vuol dire che abbiamo il diritto di assistenza diplomatico consolare in tutti i paesi membri dell’Unione
Europea.
- la cittadina europea è fondamentale perché il cittadino europeo oggi ha diritto di partecipare alle elezioni
del comune dove ha la residenza. Il cittadino francese che risiede a Milano ha il diritto di eleggere il sindaco
di Milano in quanto cittadino europeo.

Il decreto legge (si fa per una causa urgente, sennò si fa semplicemente una legge) per la sicurezza (una
delle misure previste è la revoca della cittadinanza italiana per la sicurezza nazionale)→ contrasta con la
costituzione.
La costituzione è di tutti e vale per tutti= È un argine al potere
Art. 22 nessuno può essere privato per motivi politici della cittadinanza.

Il secondo elemento costitutivo dello stato è IL TERRITORIO


Il territorio di uno stato è formato da diversi elementi:
1. la terra ferma: porzione di territorio delimitato da confini naturali (mari, fiumi, catene montuose ecc.) o
artificiali (fissati da accordi internazionali).
2. il mare territoriale: si intende una fascia di mare adiacente alle coste, sulla quale lo Stato esercita la
propria sovranità, la cui ampiezza peraltro è mutata nel tempo: si è così passati dalle classiche 3 miglia
(assunte un tempo sulla base della portata di fuoco dei cannoni) all’odierno limite massimo di 12 miglia
marine secondo la regola generale della convenzione di Montego Bay del 1982. Perché questo numero? La
sovranità statale è stata allargata perché sono state costruite nuove arme. Ci deve essere comunque un
limite perché vige un principio quasi sacro che è la libertà del mare, il mare è libero non è di nessuno se non
entro la sovranità statale sei singoli stati.
3. spazio aereo statale: la sovranità territoriale dello stato si irradia anche nello spazio aereo sovrastante la
terra ferma e il mare territoriale del medesimo Stato, ovviamente nei limiti dell’atmosfera. Per ex. è
territorio italiano il pezzo di terra ferma e di mare che si estende fino all’atmosfera.
4. piatta forma continentale: zona di sottosuolo marino adiacente allo Stato costiero, comprendente i fondi
marini e il loro sottosuolo al di là del mare territoriale. Allo stato costiero sono riconosciuti diritti sovrani
sulla piattaforma continentale ai fini della sua esplorazione e dello sfruttamento delle sue risorse naturali.
5. Territorio mobile: sono territorio dello stato anche gli aerei e le navi che battono bandiera dello stato. È
come se fosse un pezzo di un determinato stato in giro per il mondo.
6. Ambasciate e consolati (territorio particolare): non costituiscono territorio dello stato che rappresentano
le ambasciate e sedi diplomatiche in territorio estero. Esse godono soltanto della c.d. “immunità
territoriale”.
Le questioni legate al territorio dello Stato sono da sempre di fondamentale importanza: basti pensare alle
risorse naturali di appartenenza degli stati post-coloniali e al tema dell’arresto di presunti terroristi in
territorio straniero.
Un classico è stato l’arresto del criminale nazista Eichmann in territorio argentino da parte di agenti
israeliani, da cui prende il via il notissimo libro di Hanna Arendt del 1963 intitolato “la banalità del male”.

Terzo e ultimo elemento costitutivo dello stato è LA SOVRANITA’, si tratta di un elemento di carattere
giuridico.
Si parla di sovranità quando quello stato esercita su quel territorio, su quei cittadini la sua sovranità.
I caratteri della sovranità sono:
1. Originarietà: l’ordinamento giuridico dello Stato trova in se stesso la propria legittimazione, il
fondamento e la ragione della propria validità. È una qualifica che spetta a ciascuno stato in quanto tale
non perché concessa da qualcuno, ma perché nasce dal basso cioè te la conquisti. Lo Stato non deriva da
alcuno la sua potestà di imperio.
2. Indipendenza: la sovranità degli Stati implica l’indipendenza tra gli Stati, vuol dire che da un punto di
vista giuridico gli Stati sono uno uguale all'altro e per questo sono indipendenti. (Il voto degli USA è uguale
a quello della nuova Guinea).
Il primo grosso problema è che nella più grande organizzazione internazionale ovvero nell’ONU esiste
ancora un consiglio di sicurezza formato da soli 5 stati che contano giuridicamente sì come tutti gli altri ma
secondo la carta delle nazioni unite ogni membro del consiglio di sicurezza dell’ONU ha il potere di veto
sulle delibere dell’ONU.
Quindi la parità giuridica è fortemente limitata perché USA, Francia, Inghilterra, Cina e Russia non è vero
che contano come l’Italia, contano un pelo di più.
Il secondo problema è che da sempre ad oggi è complicato, non da un punto di vista giuridico ma da un
altro, comparare la Nuova Guinea con gli USA. Se giuridicamente sono indipendenti e quindi uguali, non lo
sono per la forza, per la potenza e per l’esercito ecc.
Quando uno stato è sovrano veramente?
Se sei sovrano sei indipendente, quindi sei giuridicamente uguale a tutti gli altri. Non te la da nessuno
dall’alto ma è una cosa che costruisci dal basso.
3. Potestà di imperio: massimo potere di volere e di agire dello Stato che si impone in tutto l’ambito
territoriale dello Stato medesimo e cui tutti gli altri soggetti dell’ordinamento statale sono subordinati. La
sovranità è la potestà di imperio, ovvero lo stato per essere sovrano deve avere il monopolio della forza
legale. Se uno stato non detiene il monopolio della forza legale non è uno stato, perché non è sovrano sul
proprio territorio. Ciò vuol dire che la sovranità è la capacità di avere un potere di imperio. Se la forza non è
monopolio del solo stato o di un gruppo e basta allora non puoi parlare di stato. Senza la possibilità per
quello stato di far rispettare le leggi, anche con l’uso della forza, tu non puoi garantire quel minimo di
convivenza che serve per avere uno stato.
Uno stato inizia a sgretolarsi quando perde il monopolio della forza legale perché su quel territorio non c'è
più solo uno che comanda (che quindi usa la forza legale) ma ce ne sono tanti.

Con l’affermazione del principio democratico della sovranità popolare si è posto il problema del raccordo
tra questo principio e quello della sovranità statale. Sono insorte concezioni contrapposte, chi crede che
possano essere conciliate e chi ritiene che il popolo sia il vero ed esclusivo titolare della sovranità, mentre
lo Stato è solo un ente rappresentativo del popolo.
Oggigiorno è riconosciuto che la sovranità statale incontra crescenti limitazioni e non può più essere
considerata valore assoluto. Limiti che derivano dai processi di globalizzazione, dal crescente rilievo del
diritto internazionale, dall’Unione Europea, dall’ONU e dai poteri territoriali. La sovranità ha raggiunto il suo
apice durante lo Stato assoluto. Ora si configura come un valore relativo legato a processi di evoluzione
storica.

Ai tre elementi coessenziali al concetto di Stato si aggiunge il carattere della POLITICITA’. Carattere che
esprime la generalità dei fini dello stesso Stato. Lo stato ha come finalità la cura degli interessi generali
della collettività. Questo carattere non è esclusivo dello Stato infatti è proprio anche di enti territoriali,
come nel nostro ordinamento le regioni, le provincie, i comuni, sono enti a fini generali e quindi
contraddistinti dal carattere della politicità. A differenza però dello Stato, gli enti territoriali minori sono
soggetti di autonomia ma non sovrani. I loro poteri sono poteri derivati dall’ordinamento superiore dello
Stato, il solo che disponga di poteri originari.

Un’esigenza imprescindibile dell’ordinamento giuridico statale è la “completezza”. In assenza di norme che


pongano la disciplina da applicare ad un caso concreto, sia sempre possibile trarre dal sistema
ordinamentale la regola da applicare al caso di specie. In modo che anche una “lacuna” dell’ordinamento
non esime un giudice dall’emettere una pronunzia.
LE FORME DI STATO
Con l’espressione “forma di stato” si indica l’insieme dei principi e delle regole fondamentali che, all’interno
dell’ordinamento statale, disciplinano i rapporti tra lo stato-autorità e la comunità dei cittadini, intesi
singolarmente o nelle diverse forme in cui si esprime la società civile. Quindi parliamo di rapporti verticali
tra chi comanda e chi è comandato, tra chi governa e chi è governato, tra i rappresentanti e i rappresentati.
A seconda di come si modella questo rapporto verticale tra il potere e gli individui noi nel corso della storia
possiamo individuare 3 forme di stato:
- la forma di Stato assoluto (dal 1500 al 1700)
- la forma di Stato liberale (dal 1700 al 1800)
- la forma di Stato democratico (dal 1900 fino ad oggi)

LO STATO ASSOLUTO
Prima dello stato assoluto non c’era alcun tipo di stato come noi lo intendiamo da un punto di vista
giuridico. Lo stato assoluto diventa la prima forma di Stato “modernamente inteso”. Il primo stato esistente
è lo stato assoluto quindi prima del 1500 non c’erano veri e propri stati. Per esempio nell’antica Grecia
esistevano le città stato, invece nel periodo Medioevale c’erano regni e dinastie. C’erano sì dei poteri ma
erano dislocati a livello territoriale, e quindi c’era un potere molto frammentato. Ma già a partire dalla
seconda metà del 1300 si affaccia sullo scenario europeo una nuova forma di organizzazione sociale che si
contrappone alla frammentazione della società feudale: sotto la spinta dei Re si avvia un processo di
unificazione di ampi territori sotto il dominio di un’unica autorità sovrana. Si tratta dei primi Stati-nazione
che si formano in Inghilterra, in Francia e in Spagna.
Al termine della guerra dei Trenta anni (1648), gli Stati europei stipulano la pace di Westfalia; atto con il
quale per la prima volta si riconoscono reciprocamente quali enti indipendenti gli uni dagli altri, ponendo
con ciò le basi del diritto internazionale pubblico.

Con il 1500 cambia tutto, nasce lo stato assoluto. Perché nasce qualcosa che noi ricostruiamo in termini di
stato? Perché succedono principalmente due eventi fra i tanti.
- Nasce un esercito professionale (e fin quando tu non hai un esercito non puoi parlare di stato perché chi ti
difende i confini?). I cittadini entrano a far parte di un apparato burocratico chiamato esercito. È un vero e
proprio lavoro, stipendiato. Ma come si fa a stipendiare l’esercito (che non solo difende i tuoi confini ma
con il quale puoi anche invadere gli altri stati)? Cosa servono? Servono i soldi.
- Lo stato assoluto nasce perché nasce un sistema di imposizione fiscale centralizzato istituzionalizzato che
permette fra le varie cose di finanziare l’esercito.
Quindi due strutture burocratiche stanno alla base della nascita dello stato moderno.

Lo Stato assoluto si caratterizza per i seguenti elementi:


- l’affermazione dell’indipendenza verso autorità esterne allo stato (gli altri Stati, il Papa, l’Imperatore) si
traduce nell’affermazione di un potere assoluto accentrato nelle mani del re(non è più spezzettato come
nel medioevo): la sua autorità è di origine divina (quindi non deriva dal basso) e si trasmette per via
ereditaria; egli è titolare del potere esecutivo e del potere legislativo. I giudici, nominati dal re,
amministrano la giustizia in nome del Sovrano mentre le assemblee rappresentative di origine medievale
svolgono solo una funzione consultiva
- nasce la corona come sede impersonale di potere, per rafforzare l’assolutezza dello stato bisognava
inventarsi un modo che garantisse la continuità dello stato anche morto un sovrano. Nasce il principio
ereditario. Morto il padre diviene re il figlio e così via. La corona diventa così il potere dell'organo non più
del singolo re.
Lo stato assoluto non può in alcun modo essere qualificato come “stato costituzionale” perché il re non
conosce limiti al suo potere.

Il processo di transizione che porterà dallo Stato assoluto allo Stato liberale ha diverse delle sue ragioni
nelle vicende economiche e sociali degli Stati.
Questo sistema dello stato assoluto entra in crisi perché le nuove politiche mercantilistiche degli Stati e il
loro intervento nell’attività economica favoriscono lo sviluppo di una borghesia capitalistica che acquista
sempre più potere economico e arriva a pesare tanto quanto la classe più vicina al re (nobili).
Perché ad un certo punto la classe borghese prende le armi, taglia la testa al re e fa le rivoluzione (inglese,
americana e francese = tutte e tre rivoluzioni borghesi)? Perché al fortissimo potere economico non
corrispondeva potere politico. Il capo dello stato non dava potere a chi ne aveva economicamente ma lo
teneva per se, per la nobiltà e per il clero.

LO STATO LIBERALE
La rivoluzione americana del 1776 e quella francese del 1789 aprirono una fase storica che determinò il
radicamento in Europa occidentale e negli Stati Uniti della forma di Stato liberale.
Tratti distintivi dello stato liberale:
-costituzione: rappresenta la fondamentale garanzia dei diritti di libertà e la consacrazione del principio
della separazione dei poteri. In essa si trovano sanciti gli elementi fondamentali dell’ordinamento statale: in
quanto max espressione della volontà generale, la costituzione rappresenta la “legge superiore”. Essa
infatti scaturisce da un fatto costituente imputabile direttamente al popolo e pertanto si impone anche
sulla legge ordinaria.
- È uno stato di diritto: tutti i poteri sono soggetti alla legge anche quello del capo dello stato. Implica due
condizioni. La prima è che ogni limitazione delle libertà e della autonomia individuale non può derivare se
non dalla legge; in quanto espressione diretta della volontà generale è l’unica fonte legittimata a porre
limitazioni alla sfera privata degli individui. La seconda sta nella possibilità di sottoporre gli atti delle
pubbliche autorità al controllo dei giudici affinché se ne verifichi la conformità alla legge e la non
arbitrarietà (principio di legalità). Lo “Stato di diritto” implica che i poteri pubblici siano sottoposti al diritto.
- Stato monoclasse: lo stato liberale è completamente borghese. (nello stato assoluto la classe dominante è
quella dei nobili (incluso il re) associata a quella clericale)
- “Stato non interventista”: nello stato liberale si registra una separazione fra la sfera pubblica o del
pubblico potere e la sfera privata. Nella sfera pubblica, gli organi del pubblico potere esercitano la forza di
imperio per assicurare il mantenimento dell’ordine. La sfera privata rappresenta invece una dimensione
nella quale l’individuo è sovrano, egli agisce in una sfera privata rispetto alla quale lo Stato deve astenersi
da ogni interferenza. Lo Stato liberale non persegue direttamente il bene dei singoli, ma lascia che siano
essi stessi a soddisfare i propri bisogni attraverso l’esercizio della libertà e dell’autonomia. In tal senso si
può dire che lo stato liberale è uno stato non interventista. È uno stato che in materia economica e sociale
si definisce come stato minimo cioè che interviene nei minimi casi assicurando il corretto svolgimento delle
dinamiche sociali ed economiche, senza determinare gli esiti perché l’ideologia della borghesia è quella del
“self made man”. Lo Stato tendenzialmente “lascia fare” ma, all’occorrenza, non tralascia di intervenire
attraverso l’uso legale della forza (uso del quale ha il monopolio) quando ciò sia necessario.
- Con lo stato liberale si afferma il principio della separazione dei poteri. Lo stato articola le sue funzioni
lungo tre direttrici primarie.: il potere legislativo del Parlamento all’interno del quale la borghesia ha una
posizione dominante; il potere esecutivo affidato al Governo i cui ministri sono espressione del Re, e infine
il potere giudiziario affidato alle corti indipendenti e soggette solo alla legge. Seppure in una prima fase
l’idea della separazione dei poteri fosse intesa in maniera rigida, ben presto si riconobbe come tra i tre
poteri vi fossero delle naturali interferenze funzionali: l’osmosi fra i tre poteri assicurava infatti forme di
collaborazione insieme a meccanismi di condizionamento e controllo reciproco (dinamiche che
nell’esperienza degli USA si traducono nei ben noti meccanismi di checks and balances). In definitiva, la
separazione dei poteri assicura un governo moderato fondato sulla dissociazione del potere sovrano e la
distribuzione dei poteri tra le diverse classi sociali antagoniste (aristocrazia e borghesia): garantisce la
stabilità del sistema e di conseguenza le libertà dell’individuo.
- la rappresentanza politica costituisce un altro dei pilastri fondamentali dello stato liberale, partecipazione
che tuttavia resta riservata soltanto ad alcune classi sociali. La Nazione non può esercitare la sovranità se
non tramite rappresentanti (la rappresentanza politica che si afferma negli ordinamenti liberali è tuttavia
una rappresentanza limitata: il suffragio è ristretto, fondato sul censo o sul reddito degli elettori; la
maggioranza del popolo è esclusa dal diritto di voto (ne sono escluse anzitutto le donne)); poiché il fine
ultimo della Nazione è la realizzazione di interessi generali. I rappresentanti attraverso quali tale fine è
perseguito svolgono funzioni fi natura politica. La scelta dei rappresentanti avviene tramite elezioni, un
procedimento destinato a selezionare i migliori; gli eletti sono chiamati a curare gli interessi generali. Vige il
principio del “divieto del mandato imperativo” in virtù di tale gli eletti non sono vincolati al mandato degli
elettori; essi rappresentano la Nazione e pertanto non possono agire per la soddisfazione di interessi
particolari.
- diritti: nello stato liberale la legge, la fonte del diritto per eccellenza, determina quali sono i diritti e gli
obblighi dei cittadini. Con l’avvento delle costituzioni rigide i diritti di libertà vengono riconosciuti a livello
costituzionale. si tratta dei diritti più direttamente funzionali agli interessi della borghesia capitalistica: le
cosiddette “liberta negative”. Un esempio è il diritto di proprietà privata. I diritti di libertà si basano
dunque, in questa fase storica, sul riconoscimento da parte dell’ordinamento di una sfera privata dove
l’individuo è sovrano e le autorità pubbliche non possono interferire. In tal senso anche l’iniziativa
economica e capitalistica appartiene alla sfera dell’autonomia individuale e dunque tendenzialmente non
suscettibile di essere ostacolata dai pubblici poteri.
Con lo Stato liberale l’individuo diviene portatore di diritti “tipicamente” liberali: diritto alla vita, alla
proprietà, alla sicurezza, alla libertà dagli arresti (detta negativa: lo stato non può intervenire nella mia
libertà, ho diritto di vivere come meglio credo. Puoi limitare la mia libertà solo se commetto un reato)
- All’interno dell’organizzazione dello Stato assume una posizione centrale il Parlamento, espressione della
classe dominante, titolare della funzione legislativa. Si afferma così il principio della sovranità parlamentare
che traduce la volontà generale.

Lo stato liberale ha sia pregi che difetti:


Difetti: base rappresentativa assolutamente ridotta (1948 diritto di voto alle donne in Italia), lo stato
rappresenta proprio questa società, la Società borghese che tra l’altro è anche una società maschilista.
Pregio: nascita delle costituzioni scritte, è solo con le rivoluzioni borghesi del 1700-1800 che nascono le
costituzioni.
La prima costituzione moderna perché scritta è la costituzione degli USA. Le costituzioni liberali sono corte
(pochi diritti). La costituzione americana prima di essere modificata aveva 12 articoli e 0 diritti (al contrario
delle costituzioni democratiche che sono lunghe perché aumentano i diritti). Il movimento, periodo
letterale che fa sfondo alle rivoluzioni liberali, borghesi è l'illuminismo (i lumi della ragione, illuminare).
Queste costituzioni oltre ad essere corte sono anche flessibili, cioè non esiste un organo che ha il compito
di dichiarare incostituzionali le leggi.

Perché salta in crisi anche questo sistema? Ad un certo momento nasce qualcosa che mette in crisi dalle
fondamenta le caratteristiche basi dello stato liberale. Gli operai si arrabbiano ma non fanno loro la
rivoluzione, la fanno i nuovi soggetti nati a rappresentare le istanze degli ultimi nel parlamento cioè i
sindacati e i partiti politici (prima nasce il partito popolare cioè quello della ex democrazia italiana, poi
quello socialista e infine quello comunista).
Gli individui si aggregano e si differenziano in formazioni sociali: uno degli effetti più importanti è la
progressiva estensione del suffragio, che diventerà universale solo nel 1946. Solo così tutta la gente può
scegliere di mandare in parlamento a quel punto non più solo i rappresentanti degli interessi dei borghesi
ma gente che difende gli interessi di altri.
LO STATO DEMOCRATICO
Le fondamenta dello stato liberale sono messe in crisi perché è messa in crisi la struttura fondante su cui si
basava lo stato liberale. Cambia tutto, nasce lo stato democratico. Uno stato che ha delle caratteristiche
che in parte continuano quelle dello stato liberale e in parte no. Certamente la separazione dei poteri, e lo
stato di diritto.
Lo stato democratico, , è:
- uno stato interventista: sia in economia che nel sociale (si prefigge la redistribuzione della ricchezza in
modo da realizzare, oltre all’eguaglianza formale, anche l’eguaglianza sostanziale. Sotto questo profilo lo
stato democratico viene qualificato come Stato sociale. Si mostra attento alle categorie sociali
economicamente più deboli, attraverso una ripartizione dei beni. Il principale strumento giuridico
attraverso il quale lo Stato sociale realizza questa redistribuzione della ricchezza prodotta è il sistema
tributario. Attraverso esso si impongono tributi secondo criteri di progressività e proporzionalità).
- uno stato dei diritti: non più solo quelli liberali ma anche quelli sociali
- Il principio democratico informa tutto l’ordinamento. Sono stati previsti, accanto ai prevalenti meccanismi
di democrazia rappresentativa, alcuni istituti di democrazia diretta volti a consentire al popolo l’esercizio
diretto di funzioni e di poteri decisionali, i ci effetti si producono in via immediata nell’ordinamento
giuridico. (la costituzione italiana, a questo riguardo, ha previsto l’iniziativa legislativa popolare, la petizione
e il referendum).

Le costituzioni diventano:
- lunghe: molti diritti, lo stato di impegna a garantire l’istruzione, la sanità ecc. anche a chi non ha la
possibilità
- rigide: non si possono modificare se non con un procedimento legislativo “aggravato” rispetto a quello
ordinario e comunque esistono dei limiti alla revisione; inoltre, il giudice costituzionale giudica la legittimità
costituzionale delle leggi.
FORME DI GOVERNO
Si intendono i rapporti tra gli organi di vertice di uno stato (rapporti orizzontali). A seconda di come si
rapportano parlamento, governo e capo dello stato noi abbiamo diverse forme di stato.
- Forma di governo Presidenziale
- Forma di governo Parlamentare
- Forma di governo semi presidenziale

Quando noi ragioniamo in termini giuridici sulle forme di governo il primo riferimento che facciamo è alle
costituzioni degli stati. I rapporti tra il parlamento, il governo e il capo del governo sono disciplinati dalle
costituzioni. Quindi in base a come le costituzione li disciplinano noi cataloghiamo e differenziamo le varie
forme di governo, ma non dobbiamo fermarci qui perché le forme di governo dipendono molto spesso più
che dai testi costituzionali da una serie di altre variabile (ex sistema elettorale, il sistema dei partiti, le
consuetudini e le convenzioni).
È importante partire dai testi costituzionali ma è necessario aggiungere altri elementi fondamentali.
Per esempio La forma di governo italiana è parlamentare ma alcune modalità di funzionamento non
dipendono dalla costituzione ma da altri elementi ( ex (quando il governo entra in crisi) le consultazioni del
presidente della repubblica con i maggiori partiti politici = non sono scritte nella costituzione).

Per “valutare” come funziona una forma di governo rispetto ad un altra si utilizzano due criteri:
- La stabilità di un governo
- L’efficacia di un governo

Una forma di governo si definisce più forte di un altra se il governo è più stabile e più efficace. Devono
esistere entrambi i criteri.
Per esempio un esecutivo stabile (cioè che non viene messo in crisi ogni anno ma dura 5 anni) è un governo
duraturo ma non per questo è anche efficiente.→ governo non forte

Non esiste una forma di governo ideale, dipende dal paese (diritto fenomeno relativo) (ex negli USA forma
presidenziale, l’America Latina copia ma non funziona = guerra civile, dittatura). Perché la migliore è quella
che si adatta alla realtà in cui si decide di applicarla.
Se noi prendiamo la forma di governo presidenziale perché la riteniamo la più forte, la più stabile e la più
efficace non è detto che portata fuori dal confine degli USA e messa nel nostro paese dia ugualmente gli
stessi risultati. Non esiste in teoria la forma di governo migliore ma esiste soltanto la forma di governo più
adeguata per una determinata realtà. Approccio relativo del diritto, quello che va bene là non è detto che
vada bene anche qua.

IL PRESIDENZIALISMO
Per avere questa forma di governo devono verificarsi due caratteristiche:
1. L'elezione diretta da parte dei cittadini dell’esecutivo o del suo vertice (governo)
2. Esiste una separazione, tendenzialmente forte, tra il potere legislativo (parlamento) e il potere esecutivo
(governo).

Il prototipo delle forme di governo presidenziali sono gli USA. Negli USA il presidente è eletto direttamente
dai cittadini anche se formalmente non è un elezione diretta perché i cittadini, divisi per collegi elettorali
corrispondenti ai singoli Stati dell’Unione, eleggono i “grandi elettori” in numero pari a quanti sono i
deputati e i senatori di ciascuno Stato. Gli elettori presidenziali sono poi riuniti in un organo federale,
l’“electoral college”, che ha il compito di eleggere il Presidente e il Vice-presidente. È un’elezione “come se
diretta”.
In base alla costituzione americana, il Presidente è sia capo dello Stato che capo dell’esecutivo.
Negli USA il presidente davvero rappresenta tutto il governo. Ancora oggi negli USA non esiste formalmente
la carica di ministro, per l’esercizio delle funzioni di governo egli si avvale di collaboratori di sua fiducia che
egli nomina (e, se del caso, revoca) come segretari di Stato, preposti ai vari Dipartimenti
dell’amministrazione. Questi formano il “gabinetto” del Presidente che si riunisce periodicamente pur senza
costituire un organo formale. Se una mattina il presidente vuole cambiare un sottosegretario con un altro lo
può fare, non deve passare da nessuna parte, non deve consultare nessuno, questo vuol dire che il
governo è concentrato nelle mani di uno, cioè del presidente dello stato. Quindi il potere esecutivo
appartiene al “commander in chief”. Se il presidente vuole una cosa la può giuridicamente ottenere
all’interno della struttura governativa, in quanto eletto dai cittadini.

Per quanto riguarda la separazione dei poteri, da una parte l'esecutivo (il governo, il presidente) non può
sciogliere il parlamento (da noi il presidente della repubblica lo può fare). A sua volta il parlamento non può
sfiduciare il presidente (eletto direttamente dal corpo elettorale resta in carica per tutto il suo mandato ), il
governo (qui da noi invece si, il governo sta lì fin quando il parlamento gli da la fiducia). Perché il
parlamento non può fare niente per 4 anni? Perché così come i cittadini eleggono il parlamento allo stesso
modo eleggono il presidente, hanno entrambi la legittimazione democratica del voto del corpo elettorale
(noi non eleggiamo il governo, noi eleggiamo il parlamento mentre negli USA si elegge sia il parlamento che
il governo, è per questo che da noi vince sempre il parlamento sul governo, perché la legittimazione è
differente. Negli USA non è così perché la legittimazione è identica, il congresso non può vincere sul
presidente ne viceversa). Questa circostanza determina un dualismo paritario tra esecutivo e legislativo.
L’unico caso in base al quale il parlamento può decidere di cambiare il presidente è il caso di impeachment
(quando commetti un reato ma non ha niente a che fare con motivazioni politiche).

Il presidenzialismo nel mondo si e diffuso e ha preso come modello gli USA. Tuttavia esistono negli USA i
“check and balance” (= pesi e contrappesi) che stanno lì a modificare la rigidità del governo.
Siamo sicuri che il presidenti degli USA sia la persona più potente del mondo? No perché esistono i “check
and balance” sia nella costituzione che nella vita politica statunitense. Per esempio, tranne la composizione
strettamente intesa del governo, tutte le nomine più importanti del presidente degli Stati Uniti devono
passare per il senato che da il suo “advise and consent”, vale a dire si esprime dicendo “va bene o non va
bene”. C’è un bilanciamento tra il potere del presidente di nominare chiunque (dal capo dell’FBI ai giudici
della corte suprema e ai giudici del distretto federale degli USA) e un passaggio in parlamento. Non è un
potere onnipotente quello del presidente degli USA. Sì, è lui che nomina ma siccome queste nomine
devono passare al senato come funziona? Funziona che se tu hai un senato non del tuo colore politico, il
senato può dire “no grazie non ti ratifico la nomina”, mentre se tu hai la maggioranza in senato del tuo
colore politico ci sarà, da parte loro, maggiore cautela ad opporsi, ma questo non è detto che sia così. Il
parlamento ha un ruolo importante ovvero la funzione di bilanciare i poteri presidenziali.
Il presidente da commander in chief può decidere di far guerra ma servono i finanziamenti del parlamento
che può decidere di negarglieli. Nel quadro del bilanciamento dei poteri tra esecutivo e legislativo esiste un
check and balance nei confronti del parlamento, perché quest’ultimo può approvare una legge ma dal
canto suo il presidente ha il potere di veto in base al quale stoppa una legge, la rinvia al Congresso e il
Congresso se vuole vincere contro il “veto power” deve riapprovare la legge con i 2/3. Chi vince tra
parlamento e presidente? Di solito il presidente, perché trovare 2/3 dei voti in parlamento non è facile.

Il più importate “check and balance” lo troviamo fuori dalla costituzione ovvero il sistema elettorale, il
sistema dei partiti. Negli USA il congresso è un organo parlamentare bicamerale cui la costituzione
conferisce il potere legislativo. È formato dalla camera dei rappresentanti e dal senato. La Camera dei
rappresentanti è composta da 435 deputati, eletti su base nazionale in modo proporzionale alla
popolazione degli Stati, i deputati restano in caria per due anni quindi ogni 2 anni si va alle elezioni della
camera dei rappresentanti. L'altro ramo del congresso cioè il senato, è composto da 2 rappresentanti per
ogni Stato membro (100 in totale), e si rinnova integralmente ogni 6 anni, mentre ogni 2 anni si rinnova per
1/3. Si tratta di un bicameralismo di tipo quasi-paritario; rispetto al Senato, la camera ha la prerogativa
dell’iniziativa legislativa in materia tributaria. Per il resto le due assemblee concorrono entrambe alla
produzione legislativa. Al di fuori del potere legislativo e di emendamento costituzionale, le due camere
hanno ruoli differenziati. Il Senato ha il potere di approvare delle nomine presidenziali dei funzionari
federali e dei giudici della Corte Suprema, nonché con una maggioranza dei 2/3 approva i trattati
internazionali conclusi dal Presidente. La Camera ha il potere esclusivo di promuovere la procedura di
impeachment per la messa in stato di accusa del Presidente. Il giudizio spetta invece al senato, che in tale
occasione, è presieduto dal presidente della Corte Suprema, anziché come di consueto dal Vice-presidente
degli USA.
Un ruolo di spicco è svolto dalla Corte suprema. Composta da 9 componenti, designati dal Presidente deli
USA e graditi al Senato, i quali restano in carica a vita. La corte rappresenta il vertice del sistema giudiziario
per le questioni di diritto federale e svolge un’importante funzione di controllo di costituzionalità delle
leggi.
In conclusione, il dualismo paritario tra esecutivo e legislativo che caratterizza la forma di governo
presidenziale deli USA, conserva nel tempo la sua efficacia e il suo prestigio grazie ad una separazione dei
poteri intersecata da reciproci check and balances e alla funzione equilibratrice tra i poteri svolti dalla Corte
Suprema.

Questo significa che negli USA se da una parte siamo portati a dire che il presidente ha poteri fortissimi
dall’altro lato nella realtà non è affatto vero perché negli USA dalla 2GM ad oggi abbiamo avuto nella stra
maggioranza dei casi un presidente di un colore politico e una maggioranza parlamentare di un altro colore
(per ex Obama, democratico, si è trovato con una maggioranza in congresso repubblicana). Quindi ad oggi
sono molto di più i casi di “governo diviso” = lo “shawed government” (presidente di un colore politico e
legislativo di un altro colore politico). Perché andando alle elezioni ogni 2 anni è molto più facile che si
cambi la maggioranza in parlamento e che quindi il presidente sta li per 4 anni ma con una maggioranza di
un altro colore politico, non portando così a casa niente. Il principale problema del presidenzialismo è il
pericolo di blocco, di stallo del sistema (quando il presidente è di colore politico diverso da quello in
maggioranza nel legislativo) che non permette a quel paese di portare avanti quelle rivoluzioni quotidiane,
che giorno per giorno permettono al paese di andare avanti.

Perché questa situazione ha permesso comunque agli USA di andare avanti anche se poco a poco e in altri
paesi invece la stessa situazione, non solo ha bloccato tutto ma ha fatto andare indietro il paese e ha fatto
iniziare dittature? (ex. America latina)
Perché gli USA non si bloccano, perché non c’è mai stata una dittatura? Perché negli USA esiste un sistema
partitico che va ben compreso insieme ad un sistema elettorale. Lo “snodo” del funzionamento del sistema
degli USA sono i partiti politici. Di norma negli USA ci sono due partiti (democratico e repubblicano), di rado
se ne inserisce un terzo. Vuol dire che tu sei davanti a un blocco quindi cerchi di arrivare a un
compromesso. Una cosa è trovare il compromesso tra due partiti e una cosa è trovare il compromesso tra
19 partiti (Brasile). Negli USA il sistema bipartitico favorisce la cosa. Tuttavia la soluzione non risiede nel
sistema elettorale che genere due partiti, ma nel sistema partitico cioè come sono fatti i partiti politici. In
America latina i partiti politici hanno tutt’ora partiti ideologi e strutturati con delle gerarchie. Negli USA
tutto questo non esiste, il partito repubblicano non ha una ideologia ben definita che lo differenzia
dall’ideologia del partito democratico. Tanto è vero che i partiti negli USA vengono definiti come
aggregazione di persone che muoiono dopo le elezioni e rinascono nel momento in cui bisogno rieleggere.
Quindi negli USA i partiti sono: non ideologici e flessibili.

Pregi del presidenzialismo:


- La stabilità dell’esecutivo, che viene eletto dai cittadini e rimane in carica per 4 anni, nessuno lo può
sfiduciare (se non per motivi non politici) (in Italia dal 1900 il governo dura in media 1 anno)
- la chiara imputazione della responsabilità politica, negli USA c’è una chiarissima imputazione della
responsabilità politica, non ci sono diverse responsabilità (il bello o il brutto lo fa sempre una persona, è
meglio criticare o elogiare una persona che il punto di domanda)
- La forma di governo presidenziale permette una maggiore personalizzazione della politica e questo attira i
cittadini verso la politica, disincentiva il disinteresse.

Difetti del presidenzialismo:


- se il presidente è un incapace te lo tieni per 4 anni, non ci sono mezzi per sostituirlo
- Se il parlamento è di un altro colore politico il presidente non può fare niente per farsi seguire, non può
fare niente giuridicamente (in Italia invece se conte decide di dimettersi il governo cade. Il presidente della
repubblica inizia a fare le consultazioni, e ha due scelte. Può decidere di sciogliere il parlamento e quindi si
va alle nuove elezioni oppure incarica un’altra persona che è in grado di avere una maggioranza con la
quale andare avanti fino alla fine della legislatura, invece negli USA se si dimettesse Trump salirebbe il
vicepresidente. Ha obbligato il parlamento a seguirlo? No. Mentre in Italia, Conte può obbligare il
parlamento a seguirlo? Sì, se non mi approvi questa legge io mi dimetto.)
- lo strapotere economico dei gruppi di potere delle “lobbies” che si sostituiscono alle ideologie
- La possibile deriva plebiscitaria e videocratica

Come mai in Europa (abbiamo la forma parlamentare o semipresidenziale) non esiste una forma di governo
presidenziale?
Ci sono due motivi (uno storico e uno politico)
Motivo storico: gli USA nascono mozzando la testa al re e avevano bisogno di inventarsi un modo per
decidere come eleggere il capo dello stato, non potevano andare avanti con una monarchia se sono nati
contro la monarchia inglese. Non volevano più il re, quindi si sono inventati l’elezione come “se diretta”.
Invece negli stati in Europa abbiamo sempre avuto un capo dello stato. Nella stra grande maggioranza nei
casi un re, una monarchia. Abbattuta la monarchia, non potendo più avere un re gli Stati europei hanno
eliminato l'idea di creare dei governi presidenziale perché troppo pericolosi, troppo rischiosi dopo i sistemi
dittatoriali autoritari (fascismo, nazismo). Nessuno, partendo dalla nostra assemblea costituente, se la
sentiva di avere un governo direttamente eletto dai cittadini perché ovunque in Europa le dittature sono
state per il primo periodo dittature di popolo. Hitler e Mussolini erano amati dal popolo.

IL PARLAMENTARISMO
Il prototipo della forma di governo parlamentare è il Regno Unito.

La caratteristica di fondo della forma di governo parlamentare è che:


esiste tra il legislativo (parlamento) e l'esecutivo (governo) un rapporto di “fiducia permanente”, vale a dire
l’esecutivo resta in carica solo e soltanto se così vuole il parlamento (quest’ultimo eletto direttamente dal
popolo è dotato di piena legittimazione democratica mentre il governo è emanazione del parlamento). Lo
dice il nome stesso, nella forma di governo parlamentare il ruolo chiave è del parlamento. Quando può
iniziare ad esercitare le sue funzioni un governo? Quando lo vuole il parlamento. Quando il governo deve
cessare dalle sue funzioni? Quando lo vuole il parlamento. Deve sempre esistere una fiducia dall’inizio alla
fine nella vita del governo che dipende dalle scelte del parlamento (in tutti i momenti). Questa caratteristica
è tipica di tutte le forme parlamentari (UK, Italia, Spagna, Germania).

Tuttavia non tutte le forme di governo parlamentare sono uguali. Vi sono molte differenze nel rendimento
di tali forme di governo, in ragione di diversi fattori, come , per esempio, il sistema dei partiti, il sistema
elettorale e diversi congegni di “razionalizzazione” delle forme di governo parlamentari.

Negli ordinamenti nei quali il parlamento è strutturato in due camere, talvolta il rapporto di fiducia si
instaura tra il governo e entrambe le camere (l’Italia); talvolta invece il rapporto di fiducia si instaura solo
con una camera (Germania), quella politicamente rappresentativa dell’intero corpo elettorale.
Il sistema politico e partitico esercita una forte influenza sulla stabilità del governo parlamentare. Infatti un
parlamento in balia di una molteplicità di partiti, ideologicamente distanti, non consente il formarsi di
maggioranze solide in grado di esprimere la fiducia a favore di governi stabili. I tentativi di contenere gli
effetti destabilizzanti derivanti dalla variabile “rapporto di fiducia” hanno indotto i padri costituenti,
soprattutto nel secondo dopo guerra, a prevedere alcuni meccanismi cosiddetti di razionalizzazione nel
sistema parlamentare.

Il problema principale del parlamentarismo: è quello di evitare la tirannia del legislativo, cioè evitare che
tutto dipenda dal legislativo (come il problema inverso del presidenzialismo→ ci sono degli strumenti che
rendono meno forte il ruolo dell’esecutivo (del presidente)). Ed è proprio per questo servono gli strumenti
di razionalizzazione (→ assicurano maggiore stabilità al governo).

Scala (dalla più forte alla più debole forma parlamentare): UK, Germania, Spagna, Italia.
Perché esistono dei congegni e delle prassi che rendono fortissima la forma di governo parlamentare
inglese e rendono debolissima la forma di governo parlamentare italiana.

IL PARLAMENTARISMO INGLESE
Il sistema inglese del “premierato”
Nel UK si dice che il parlamento può fare di tutto. Perché la forma di governo parlamentare inglese è quella
più razionalizzata? (il premier inglese è molto più forte del presidente degli USA per stabilità e efficacia)
1. Il governo nel Regno Unito è sempre monopartitico, un solo partito forma il governo (ci sono due o tre
partiti: laburisti e conservatori).
2. Il sistema partitico inglese è un sistema tendenzialmente bipartitico (max. 3), sono partiti fortemente
gerarchizzati.
3. Netta prevalenza del governo e una centralità di posizione del primo Ministro che dirige l’esecutivo e ha
ampi poteri di manovra per quanto riguarda la struttura e il funzionamento dell’apparato governo. Il Primo
ministro è nominato dal sovrano inseguito alle elezioni politiche: per convenzione costituzionale, viene
investito delle funzioni di capo del governo il “leader” del partito che ha vinto le elezioni. Essere leader di
un partito nel Regno Unito significa avere un potere quasi autoritario su tutto il partito. Si determina così un
quadro di assoluta omogeneità politica tra il governo e la maggioranza parlamentare; è improbabile che la
Camera dei Comuni voti la sfiducia del governo (Nel regno unito se un deputato vota contro la linea del
partito ha come prima cosa un’ammonizione, secondo se lo rifai hai una sanzione pecuniaria, terzo se lo
rifai sei cacciato dal partito). Viceversa, il governo può sollecitare la Corona a scogliere anticipatamente la
camera elettiva quanto ritenga di poter trarre maggiori vantaggi dalle nuove elezioni politiche.

Nel UK→ Due partiti si presentano alle lezione, uno dei due vince, il leader del partito vincente diventa
premier. Questo partito ha in mano il paese, o meglio questa persona avendo in mano il partito ha in mano
il Parlamento e quindi ha in mano il paese.

La struttura del governo è articolata tra Cabinet e Government. Il Cabinet, il gabinetto ministeriale, è
presieduto dal Primo ministro e comprende i responsabili dei principali dicasteri oltre che quegli altri
ministri la cui presenza sia ritenuta utile o opportuna dal Premier. È questo l’organo che dirige
effettivamente l’azione del governo e può essere convocato anche in una forma più ristretta (Inner
Cabinet). Il Government è invece il governo in senso ampio, include tutti i ministri.
Il parlamento britannico è composto dalla Corona e dalle due camere: la Camera dei Comuni e la Camera
dei Lord (quest’ultima composta da membri ereditari e nominati a vita). Le funzioni del sovrano rispetto al
parlamento sono ormai ridotte a pura formalità, la Camera dei Lord invece ha visto ridursi il proprio ruolo
politico. Di fatto la funzione legislativa è prevalentemente nelle mani della Camera dei Comuni che agisce in
stretta correlazione con il governo.
Un dato che caratterizza il parlamento britannico è certamente il ruolo e la funzione dell’opposizione
parlamentare. In seguito alle elezioni politiche, il leader del partito secondo classificato assume il ruolo
istituzionale di leader dell’opposizione di sua maestà. Egli forma un proprio gabinetto ombra e elabora un
indirizzo politico alternativo a quello del governo in carica e lo offre costantemente all’opinione pubblica
come possibile programma del futuro governo del paese.

Alcuni poteri formalmente, per via di una tradizione centenaria, sono ancora in capo alla corona ma
sostanzialmente spettano al premier. È il ministro che sostanzialmente nomina e revoca i ministri quando e
dove vuole, sì deve andare dalla regina che sarà lei a farlo ma sostanzialmente fa quello che vuole perché i
cittadini eleggono il parlamento e il parlamento da la fiducia al governo. In questo scenario democratico la
corona non c’entra niente, non è eletta è li per vincolo ereditario. Un altro potere molto importante è lo
scioglimento della camera dei comuni (l'altra è quella dei lord, quasi morta). Nel UK è la regina che
formalmente scioglie la camera ma sostanzialmente è un potere che spetta al premier. I premier ha un altro
formidabile strumento di potere nelle sue mani. Primo: se la camera osa dire qualcosa che non va bene il
premier dice “sei sicuro, guarda che domani io ti sciolgo”, e cambiano subito idea. Secondo: lo scioglimento
della camera dei comuni è utilizzato in modo molto intelligente e scaltro da tutti in questo modo. La camera
dura 5 anni. Ottiene la maggioranza il partito laburista, il capo del partito laburista trionfante vince le
elezioni. Quindi un consenso molto ampio. Nei primi famosi 100 giorni fa tante cose che entusiasmano gli
elettori, già entusiasti. Questo lo fai per i primi mesi. Arrivati al secondo anno di governo, guarda i sondaggi
e dice “siamo ancora alti, abbiamo mantenuto i livelli delle elezioni”, quindi sciolgo il parlamento. I cittadini
mi ridaranno il voto, io così ho altri 5 anni. La regina non può dire alcunché. Quindi il potere di scioglimento
è un potere che spettando al premier può essere usato per cavalcare l’onda positiva del consenso.

Una cosa è certa, per via soprattutto di due questioni, il sistema inglese non è esportabile:
1. Nel Regno Unito non hanno formalmente una costituzione, ma la forma di governo vive grazie ad
accordi, a prassi e a leggi secolari che hanno un’importanza costituzionale ma non esiste ancora una
costituzione vera e propria. Il sistema inglese si basa essenzialmente su costumi, tradizioni e prassi
decennali o addirittura secolari.
2. Secondo il sistema inglese non è esportabile anche perché è un sistema quasi dittatoriale, quasi
autoritario nella sua democraticità.

IL PARLAMENTARISMO TEDESCO
Tra i parlamentarismi maggioritari, il cosiddetto cancellierato della Repubblica federale tedesca
rappresenta certamente un modello esemplare dotato di interessanti meccanismi di razionalizzazione.
Se la forma di governo parlamentare inglese si chiama premierato, quella tedesca è il cancellierato
(preminenza del cancellerie= presidente del consiglio in Germania).
La costituzione tedesca del 1949 ha prefigurato una forma di governo parlamentare che assegna al capo del
governo, il Cancelliere federale, un ruolo politico di spicco e poteri rilevanti. Abbiamo quindi una prevalenza
al governo del Cancelliere. Il cancelliere viene eletto senza dibattito dalla sola camera politica, il Bundestag
(parlamento), su proposta del presidente federale (il capo dello stato). Nel caso di mancata elezione, la
Camera dispone di un tempo limitato (14 giorni) per eleggere un altro candidato alla Cancelleria sempre a
maggioranza assoluta. Decorso tale termine è eletto il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei
voti, in tal caso però è rimessa al presidente federale la decisione sull’alternativa tra il procedere alla
nomina oppure sciogliere il Budestag. Questo meccanismo serve per assicurare al Cancelliere una posizione
di preminenza in seno al governo. Una volta eletto, al Cancelliere spetta il compito di determinare l’indirizzo
politico governativo.

Tra gli strumenti di razionalizzazione che esistono nel sistema tedesco, ce ne sono alcuni che
contribuiscono a rendere quel sistema molto più simile a quello del regno unito che a quello italiano.
ex. Fine anni ’40 in Germania abbiamo avuto 8 cancellieri mentre in Italia abbiamo avuto circa 40 presidenti
del consiglio questo perché in Germania abbiamo:
- La “sfiducia costruttiva”: se il parlamento si stanca del cancelliere e del suo governo può votare un
sfiducia e mandarlo a casa (così come in tutte le forme parlamentari), in aggiunta però in Germania se il
parlamento decide di sfiduciare il governo è tenuto obbligatoriamente ad indicare contemporaneamente, a
maggioranza assoluta, il nuovo cancelliere.
- il Sistema elettorale che prevede da sempre una clausola di sbarramento del 5%, vuol dire che un partito
per andare in parlamento deve ottenere almeno il 5% dei voti. Di conseguenza in parlamento ci vanno
pochi partiti, quindi c’è più stabilità. Impedisce l’eccessiva frammentazione nell’arena parlamentare e
asseconda un pluripartitismo temperato. Il 5% è una percentuale importante perché riusciva a far fuori dal
parlamento i nazisti. È uno sbarramento rivelante.

Il parlamento è bicamerale , tuttavia il rapporto di fiducia si instaura solo la camera bassa, il Budestag. La
camera politica ha un ruolo preminente: una legge approvata dal Bundestag non può essere rigettata dal
Bundesrat; questi può solo porre un veto sospensivo. In tal caso, una seconda votazione a maggioranza
qualificata del Bundestag sarà sufficiente all’approvazione definitiva della legge contestata.
Infine un cenno deve essere fatto al Tribunale costituzionale: si tratta di un organo destinato ad assicurare
l’equilibrato assetto tra i poteri. In particolare, risolve i conflitti tra lo Stato federale e i Lander. Esercita il
controllo sulla costituzionalità dei partiti e ne pronuncia lo scioglimento, dichiara i cittadini decaduti dei
propri diritti costituzionali qualora ne abbiano abusato, giudica sui ricorsi individuali a tutela dei diritti
fondamentali, controlla la costituzionalità delle leggi federali e delle leggi dei Lander, giudica la legittimità
delle elezioni politiche e infine giudica il Presidente federale nei casi in cui sia messo in stato d’accusa da
una delle camere.

IL PARLAMENTARISMO SPAGNOLO
Il sistema spagnolo
Il re, capo dello stato e “arbitro” tra le istituzioni, può presiedere il consiglio dei ministri, nomina il
presidente del consiglio dopo che questo ha ottenuto la maggioranza assoluta in parlamento e nomina e
revoca i ministri, su proposta del presidente del consiglio.
Il sistema elettorale per il Congresso, che è costituzionalizzato, è il proporzionale
Anche in Spagna esiste la sfiducia costruttiva, però approvata dalla maggioranza assoluta.
Il presidente del Governo può chiedere al re lo scioglimento delle Camere.

IL SEMIPRESIDENZIALISMO
La forma di governo semipresidenziale recupera un po' di caratteristiche del presidenzialismo è un po' di
caratteristiche del parlamentarismo. Il prototipo della forma semipresidenziale è la Francia, grazie alla
costituzione del 1958 che ha dato vita alla 5° repubblica, poi modificata nel 1962 →da qui la forma di
governo semipresidenziale. Dopo la caduta dell’Unione sovietica, molti stati diventati indipendenti hanno
adottato la forma di governo semipresidenziale. Nasce in Francia e poi si sviluppa nell’est dell’Europa.

Le caratteristiche:
- l’esecutivo è a due teste, e bicefalo. Il governo è formato dal presidente della repubblica (dal capo dello
stato) e dal governo vero e proprio ( presidente del consiglio e i suoi ministri). Il presidente della repubblica
è eletto direttamente dai cittadini mentre il presidente del consiglio e il governo stanno lì perché il
parlamento vuole che stiano lì, un po’ di presidenzialismo e un po’ di parlamentarismo. La forma di governo
semipresidenziale recupera dal presidenzialismo l’elezione diretta del presidente e dal parlamentarismo il
rapporto di fiducia del governo con il legislativo.
Le due teste hanno poteri diversi perché lo dice la costituzione.
Il presidente:
- presiede il consiglio dei ministri
- nomina il primo ministro, che però deve avere la fiducia del parlamento.
- può sottoporre a referendum tutte le leggi in materia di organizzazione dei pubblici poteri, di regioni e di
Trattati
- scioglie il parlamento
- dispone di poteri eccezionali in caso di minacce al territorio e all’indipendenza
Inoltre la politica estera francese (come la negoziazione, la firma e la ratifica di Trattati internazionali) è di
spettanza del presidente della repubblica, la politica in materia di difesa e in materia di interni è di
spettanza del governo (del primo ministro), hanno ambiti per costituzione separati.
Nel semipresidenzialismo se il “colore politico” del presidente e della maggioranza parlamentare
corrispondono, allora, è la figura presidenziale che si rafforza: la figura del Primo Ministro diviene meno
importante (quando i cittadini vanno a votare eleggono il presidente della repubblica direttamente e poi il
parlamento).
Se, però, le maggioranze non corrispondono, quinci c’è “Coabitazione” ( ex. testa dell’esecutivo (presidente
della repubblica): socialista e un governo espressione di una maggioranza centrodestra). Come tra
Mitterrand e Chirac e tra Chirac e Jospin, è la figura del Primo ministro a rafforzarsi, fermi i poteri del
presidente.
Nel 2000 in Francia si sono equiparate le durate del Presidente e del Parlamento: entrambi ora durano 5
anni (prima il presidente 7 anni).
Ciò dovrebbe diminuire la probabilità di avere le “coabitazioni”

LA DITTATORIALE SVIZZERA
La forma di governo dittatoriale, che esiste solo in Svizzera è molto particolare. Presenta, infatti, al vertice
dello Stato, non un organo monocratico bensì un organo collegiale, il Consiglio federale, eletto dal
parlamento bicamerale.
Il consiglio federale, dopo essere eletto dal Parlamento, non può essere sfiduciato: funziona come nel
presidenzialismo e sta in carica per 4 anni.
Tuttavia, i 7 membri del Consiglio federale non solo stanno in carica sempre per almeno due mandati, ma
sono eletti secondo la cosiddetta “formula magica”.
Che cosa è la “formula magica”?
È una convenzione che regola il “come” il Parlamento elegge il consiglio federale. Nell’elezione devono
quindi rispettarsi le seguenti regole. Dei 7 del consiglio federale:
- 2 ai radicali, 2 ai cattolici, 2 ai socialisti e 1 agrario
- 4 d lingua tedesca, 2 francese e 1 italiano
- 4 protestanti e 3 cattolici
In ogni caso nessun Cantone può avere più di un consigliere.
Oltre a questo la Svizzera è nota per essere il paese del “referendum”, tanto federale quanto cantonale.
STORIA COSTITUZIONALE ITALIANA
Si divide in 4 periodi
1. Il periodo liberale (1848/61- 1922)
2. Il periodo fascista (1922-1943)
3. Il periodo provvisorio (1943-1948)
4. Il periodo democratico (dall’approvazione della costituzione fino ad oggi)

1. Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto, re del regno di Sardegna, concede lo statuto Albertino ovvero la
costituzione del regno di Sardegna. Lo statuto Albertino da costituzione riguardante il regno di Sardegna,
nel 1861 nato il regno d’Italia, diventa la costituzione italiana. (Diversi regni che piano piano si mettono
insieme, si fondono e nasce il regno d’Italia). Rimase formalmente in vigore per circa un secolo, fino
all’avvento della Repubblica.
Caratteristiche dello statuto Albertino, quindi della costituzione liberale italiana:
- è una “costituzione” breve: solo 84 articoli, dei quali solo 9 dedicati ai diritti e ai doveri
- è una “costituzione” ottriata, cioè non votata da un corpo legislativo ne tanto meno dal popolo, ma
“concessa” dal sovrano. Nasce dall'alto, nasce nelle stanze del re e viene concessa ai sudditi, quindi non è
un documento costituzionale che nasce dal basso. Il re concede una costituzione con pochi diritti per
evitare che in Italia scoppiassero più moti di quanto non ne stessero già scoppiando.
- scritto in francese, poi tradotto ovviamente in italiano, proprio perché è un testo che traduce i principi
cardini della rivoluzione francese (sovranità parlamentare, diritti liberali). Per questo è anche una
“costituzione” liberale.
- Si chiama statuto perché almeno nella forma si è voluta ricordare la gloriosa esperienza comunale (l’Italia
è da sempre stata il paese dei comuni) medioevale italiana nella quale ciascun comune aveva un proprio
statuto. È un vero e proprio omaggio al glorioso passato comunale italiano.
- è una costituzione flessibile: non sono previste procedure aggravate per la sua revisione e nemmeno
forme di controllo della conformità delle leggi allo stesso Statuto.

Durante la fase liberale avevamo una forma di stato liberale, la forma di governo era dualistica (re=potere
esecutivo, parlamento=potere legislativo). Questa è la teoria quindi: una costituzione breve con pochi
diritti, una forma di stato tipicamente liberale e una forma di governo duale. Nella realtà la forma di
governo statutaria e la forma di stato statutaria hanno subito delle forti modificazioni perché per esempio i
diritti non solo erano pochi ma non venivano nemmeno garantiti. Durante lo statuto albertino le limitazioni
alle libertà erano praticamente all’ordine del giorno (anche se con il Codice Zanardelli del 1889 è stata
abolita la pena di morte). Giuridicamente la donna era inferiore all’uomo, la donna non poteva fare
testamento e non poteva vendere i beni del marito senza la sua presenza. Come per ogni stato liberale,
anche in Italia il suffragio durante il periodo liberale è molto limitato: nel 1848 solo il 2% della popolazione
aveva diritto di voto (sopra i 25 anni e 40 lire di importa), nel 1882 solo il 7%, mentre nel 1919 si introduce il
suffragio “universale” maschile (maggiore età) e si adotta il sistema proporzionale, cancellando i piccoli
collegi uninominali.
La forma di governo invece ha subito questa trasformazione, in parte positiva. Chi nomina per statuto il
presidente del consiglio? Il re. Il re nomina i suoi ministri, quindi il governo. Sulla carta il governo non
doveva avere la fiducia del parlamento. Però sin dagli inizi la forma di governo prevista nello statuto, sulla
carta, si è trasformata nella realtà in una forma di governo parlamentare (quindi il re non poteva più
nominare chi voleva perché il parlamento si conquista nella realtà la libertà di dire la propria, a tal punto
che il re non nominava più persone che non avrebbero avuto la fiducia del parlamento). Nello statuto non
esiste alcun articolo che disponga della fiducia del parlamento. Ma quello che è successo nella realtà è che
per andare avanti il governo doveva avere la fiducia del parlamento. Se il parlamento voleva cambiare, il
governo doveva cambiare.
Se il governo sta lì perché lo vuole il parlamento significa che dietro ci sta il principio rappresentativo, è un
bene perché i cittadini eleggono non il re ma il parlamento. Il rafforzamento del parlamento, rispetto alla
corona, si è portato dietro anche il rafforzamento del governo, rispetto alla corona. Il governo si è sempre
reso più autonomo rispetto alla corona. In Italia la crisi dello stato “monoclasse” liberale è dovuta alla
nascita di due partiti di massa: nel 1892 il partito socialista e nel 1919 il partito popolare. Coloro che non
erano rappresentati cominciano ad avere una rappresentanza. Si diffonde il suffragio universale maschile. Il
sistema liberale crolla e nasce qualcosa di differente: il fascismo

2. Il 23 marzo 1919 nascono con 300 persone i fasci di combattimento in Piazza San Sepolcro a Milano,
passando, tuttavia, del tutto inosservati. Come il nazismo, anche il fascismo in Italia è andato al potere con
procedure legali. Il 28 ottobre 1922 il re, Vittorio Emanuele III, incarica Mussolini di formare un nuovo
governo al posto del governo Facta. L’incarico fece molto discutere ed ancora oggi è fonte di dibattiti.
Perché l’incarico a Mussolini è discutibile?
Primo: il Re doveva firmare lo “stato di assedio” (rendere il territorio italiano impermeabile ad attacchi di
persone che vogliono conquistare lo stato italiano con le armi) proposto dal governo e non la nomina di
Mussolini: la “marcia su Roma” (marcia violenta), le intimidazioni e l’uso della forza (con le occupazioni
delle prefetture da parte dei fascisti) avrebbero consigliato la firma dell’assedio.
Secondo: perché in una forma di governo parlamentare l’incarico dato ad un esponente politico con
“appena” 35 parlamentari è un fatto eccezionale una forzatura della prassi parlamentare.
Il re, tuttavia, non firmo lo stato di assedio e incaricò Mussolini di formare il Governo: una decisione molto
discutibile, per gli episodi di violenza e per la contrarietà alla prassi parlamentare, ma pur sempre una
scelta che spettava al Re. Da un punto di vista legale la nomina di Mussolini era legittima (per statuto è il re
che nomina o revoca i suoi ministri), ma da un punto di vista sostanziale non lo era (non firmare lo stato
d'assedio a fronte della marcia su Roma, dare l’incarico di formare il governo ad una persona che aveva 35
parlamentari). Mussolini ottiene l’incarico e il 16 novembre del 1922 si presenta in parlamento e tiene il suo
primo discorso proprio perché doveva cercarsi la fiducia. Il primo discorso di mussolini in parlamento è
ricordato come "il discorso del bivacco", da un lato mette in guardia il Parlamento del fatto che lo avrebbe
potuto “sprangare” ma non lo fece, dall’altro disse di voler rispettare tutte le fedi religiose, in specie quella
cattolica (quello che voleva dire è che “noi teniamo in particolare considerazione i partiti che si ispirano alla
religione dominante in Italia”, sta porgendo un ponte al partito popolare italiano). Il discorso fu criticato
tanto dai popolari quanto dai socialisti. De Gasperi e Turati criticarono molto il discorso. Tuttavia riuscì nel
suo intento ovvero avere il “via libera” dei popolari per la fiducia. Partendo da 35 parlamentari, il governo
Mussolini, ottenne la fiducia in parlamento con 306 voti a favore, 116 contro e 7 astenuti. Nasce
ufficialmente il governo mussolini, nasce rispettando la forma di governo parlamentare.

I popolari, quindi, non fecero mancare il loro appoggio: nel Congresso del 1923 pur ribadendo la loro
autonomia, decisero di provare a far tornare il fascismo nella legalità (evitiamo il confronto, così da
ottenere qualche misura decente).
Per i popolari, tuttavia, esisteva un punto fermo: volevano garantire il sistema elettorale proporzionale (nel
1919 in Italia era stato introdotto il suffragio universale maschile, alla base c’era un sistema proporzionale
ovvero avere tanti saggi quanti voti hai, in proporzioni. Ex. Hai il 20% dei voti ottieni il 20% dei seggi).
Perché volevano mantenere questo sistema? Perché secondo la loro visione solo un sistema proporzionale
avrebbe permesso la costruzione di un paese omogeneo e unito. È un sistema democratico perché da la
possibilità a tutti di andare in parlamento a seconda dei voti che prendi.
Gli eventi precipitano subito, nel 1923 c’è già qualche segnale. Primo nel 1923 nasce la milizia fascista: la
milizia volontaria per la sicurezza nazionale. È un campanello d’allarme molto inquietante perché la
sicurezza in uno stato è garantita dalle forze dell’ordine di quello stato, se tu fai nascere un corpo parallelo
alle forze dell’ordine, stai dicendo che hai un altro corpo che potrà svolgere delle funzioni di ordine
pubblico e di mantenimento della sicurezza un po’ come vuole lui.
Secondo campanello d’allarme, sempre nel 1923 viene approvata la legge “Acerbo”. Una legge elettorale
nuova. Cosa prevedeva questa nuova legge? L’impianto era sempre quello proporzionale, ma nasce da lì il
premio di maggioranza. Il sistema elettorale proporzionale garantisce la rappresentatività e la
democraticità ma non la governabilità, il sistema che la garantisce è quello maggioritario. La legge “acerbo”:
sistema proporzionale ma per garantire la governabilità un premio di maggioranza. Chi ottiene più del 25%
dei voti ha diritto ai 2/3 dei seggi. Cioè il partito più votato non ha diritto ad avere solo il 25% dei seggi ma i
2/3. I popolari si schierarono contro la legge acerbo, ma colui che più di tutti di schierò in parlamento
contro la legge acerbo fu Giacomo Matteotti. Volevano portare la soglia al 40% (così che il partito che
ottiene il premio almeno è il partito che ha avuto il 40 % dei voti quindi un partito molto rappresentativo
dei cittadini). Mussolini non accetto la richiesta. Egli definiva le elezioni dei “ludi cartacei” ossia dei “giochi
di carta”.
Il 6 aprile 1924 si tennero le elezioni, i risultati furono talmente sbalorditivi perché le due liste fasciste
ottennero il 66% dei voti (non servì la legge acerbo). Ci furono evidenti violenze nelle urne. Seppur ridotta
all’osso ancora esisteva un’opposizione in Parlamento.
Il 10 giugno del 24 il deputato socialista Giacomo Matteotti, molto critico, tra l’altro, rispetto alla legge
Acerbo, scompare, viene rapito. Due giorni dopo la scomparsa di Matteotti (12 giugno 1924) tutte le
opposizioni decidono di fare “l'Aventino”, cioè escono dal parlamento rifiutando di stare in un governo che
usa come strumento politico la violenza, cioè far sparire il capo dell’opposizione.
Il 3 gennaio del 1925 Mussolini ritorna in parlamento. Tiene il discorso con il quale, per molti storici, inizia
ufficialmente la dittatura fascista. Diventa non solo verbalmente violento ma si assume tutta la
responsabilità del caso Matteotti (il corpo di Matteotti fu trovato il 16 agosto) e senza mezzi termini
afferma: “Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba
della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il
capo di questa associazione”.
Inizia la fascistizzazione dello stato con l’approvazione delle “leggi fasciatissime”:
- vengono dichiarati decaduti i 123 parlamentari dell’opposizione che decise l’Aventino
- il partito fascista divenne l’unico partito ammesso, tutti gli altri diventano fuori legge
- venne introdotto il Giuramento di fedeltà per assumere qualunque incarico pubblico (su 1200 professori
tra ordinari e incaricati solo 13 non giurarono)
Sin dal 1925 il “duce” diviene capo del governo: a nominare e revocare i ministri, tuttavia, era ancora
formalmente il re (era questa la sua più importante funzione residuale).
Nel 1926 vengono soppressi tutti i consigli comunali sostituiti con podestà di nomina regia (nasce la figura
del podestà).
Nel 1926 è approvata la legge sulla difesa dello Stato, era previsto l’arresto da tre a dieci anni per chi
tentasse di ricostruire i partiti sciolti e la perdita della cittadinanza e la confisca dei beni per i fuoriusciti.
Soprattutto, la legge istituì il Tribunale Speciale per i delitti politici (venivano mandati gli oppositori del
fascismo), per il quale fu reintrodotta la pena di morte.
Nel 1928 nasce il Gran Consiglio del Fascismo (organo consultivo del governo),tra i suoi compiti doveva
formare e tenere aggiornata un lista di persone alle quali potersi riferire in caso di vacanza (assenza) di un
ministro. Chi per statuto, se muore un ministro ne nomina un altro? Il re. Con la legge del 28 questo
consiglio non solo integra ma contrasta anche con lo statuto. Il re nomina un ministro ma si deve basare
sulla lista di persone compilata dal Gran Consiglio del Fascismo. La lista non fu mai compilata, così volle
Mussolini, perché nessuno supera in grandezza il duce capo del governo, perché tra i possibili nomi ci
poteva essere anche il nome di chi sarebbe andato a sostituire Mussolini in caso di sua morte.
Nel 1929 si svolgono le ultime elezioni con la scelta pro o contro un listone di candidature fasciste. Sono
documentate le violenze che subirono coloro che votarono contro il listone.
Nel 1929 si risolve il problema del rapporto con la Chiesa: vengono firmati i “patti lateranensi” da cui nasce
lo Stato della “Città del Vaticano” e il concordato (cioè la legislazione che stabilisce i rapporti tra il nuovo
stato della Città del Vaticano e lo stato italiano. Concordato che serve per regolare istituti come il
matrimonio e l'insegnamento).
Nel 1937 i fratelli Rosselli sono assassinati. Nel 1939 nasce la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Si accentua la presenza dello Stato nell’economia: ad esempio si acquistano le azione delle banche in crisi e
si affidano all’IRI (istituto per la ricostruzione industriale).
La pagina più vergognosa del regime: nel 1938 si approvano le leggi razziali: divieto di matrimonio misto,
divieto di assumere pubblici impieghi e altre limitazioni per i circa 40.000 ebrei italiani.
Una delle conseguenze più devastanti delle leggi razziali fu la necessità di fare un censimento della
popolazione ebraica, mai avvenuta prima. Il censimento della popolazione ebrea venne utilizzato dai nazisti
quando occuparono il Paese (per mandarli direttamente nei campi di concentramento, senza dover
controllare casa per casa ma andando semplicemente in comune e prendendo la lista del censimento).

3. Il 24 luglio del 1943 il gran consiglio del fascismo, non più convocato dal 1939, approva il cosiddetto
“ordine del giorno Grandi” dal quale inizia il periodo che fa da ponte dal periodo fascista a quello
democratico ossia il periodo provvisorio → Due o tre anni poco studiati ma fondamentali per comprendere
poi come è nata la costituzione e come si è imposto il periodo democratico. “L’ordine del giorno Grandi”
appellandosi allo statuto, ancora formalmente in vigore, chiedeva al re di assumere non i pieni poteri, ma di
assumere l’effettivo comando delle forze armate e di prendere le supreme decisioni.
L’interpretazione storica di questo ordine del giorno è abbastanza discussa. Cosa volevano fare i fascisti del
gran consiglio del fascismo? Tra le mille motivazioni una delle più importanti fu la scelte dell’Italia di entrare
in guerra dalla parte sbagliata, ossia di fare la 2GM a fianco della Germania nazista. Una scelta discutibile
perché Mussolini sapeva benissimo che per gli italiani una guerra del genere sarebbe stata una tragedia,
sapeva che l’esercito italiano non era come l’esercito tedesco e infatti l’entrata dell’Italia fu motivata dalla
famosa teoria della guerra lampo. La 2GM fu l’evento che più incrinò la fiducia degli italiani nei confronti
del fascismo, e in particolare dentro tra i fascisti si iniziò a mettere in discussione la personalità di
Mussolini. Cosa fa allora il gran consiglio del fascismo? Arrivati a questo punto il GCDF chiede che il re si
assuma l incarico di prendere le supreme decisioni e che prenda il controllo delle forze armate, in poche
parole il gcdf inizia a delegittimare il potere di Mussolini, ovvero le sue scelte. Tanto è vero che i fascisti
dissidenti volevano la continuazione del fascismo con una persona diversa da Mussoli. Erano fascisti ma
nutrivano seri dubbi sulla capacità di Mussolini di portare avanti il progetto fascista. Questa loro iniziale
volontà andrà scemando nel tempo perché ci si rende conto che nel periodo provvisorio il considerare
Mussolini una parentesi sbagliata ma il fascismo no, non poteva reggere. Non bastava cambiare Mussolini,
bisognava cambiare il fascismo.
In poche parole, in tanti non volevano più che l’Italia fosse così supina rispetto alla Germania nazista. In
tanti volevano che non fosse più mussolini a guidare le sorti dell’Italia. Ma è in dubbio che nella stra grande
maggioranza all’interno del fascismo si voleva andare avanti con il fascismo.

Il 25 luglio 1923 Il re convoca Mussolini, lo revoca dalla carica di capo del governo e lo fa arrestare (si esce
dalla legalità) nominando al suo posto il maresciallo Badoglio, senza attendere le indicazioni del Gran
Consiglio del Fascismo: si può parlare di “colpo di stato monarchico”.
Lo stesso 25 luglio del 1943 furono letti due “proclami” alla radio: uno del re e uno di Badoglio. Il primo
diceva di aver accettato le dimissioni di Mussolini e di aver nominato al suo posto Badoglio. L’altro invece
gelò gli animi degli italiani stremati con il tanto temuto “la guerra continua”. Perché questa scelta? Badoglio
capiva la necessità per l’Italia di uscire dalla guerra tuttavia vi era un problema più concreto, più pratico
ovvero cosa farne del territorio italiano il giorno dopo che io dico che la guerra è finita? Rimanevano due
alternative: schierarsi a fianco degli Alleati, oppure, continuare la guerra a fianco della Germana e iniziare
trattative “segrete” per l’armistizio. Io dico la guerra continua così evito che le truppe tedesche in mezzo
secondo scendano in Italia ad invadere il nuovo nemico. Metto un po’ a riparo il territorio italiano dicendo
che la guerra continua ma inizio direttamente le trattative segrete per l’armistizio. Da una parte rassicuri
l’alleato tedesco ma dall’altra inizi le trattative segrete con gli alleati per arrivare all’armistizio, firmato
ufficialmente il 3 settembre a Cassibile e poi letto l’8 settembre del 1943 alla radio da Eisenhower e
Badoglio. Prevedeva la fine delle ostilità, l’Italia non combatte più contro gli alleati ma si dichiara disponibili
a collaborare con gli alleati. L’Italia consegna non solo la sua flotta navale al governo militare alleato ma da
anche i pieni poteri.

Cosa provocò (conseguenze) l’8 settembre del 1943?


l’8 settembre è un delle date più importanti della nostra storia costituzionale per almeno 3 motivi:

- L’8 settembre genera lo sfaldamento dell’esercito italiano. L’esercito italiano viene lasciato senza ordini:
sparare o disarmare di fronte ai tedeschi? Il re e Badoglio nulla dicono ai militari italiani rispetto alla loro
posizione nei confronti dei tedeschi (il re e Badoglio fuggirono a Pescara e poi a Brindisi). La maggior
parte dei militari italiani disarmò e moltissimi di loro vennero presi e portati in Germania nei campi
riservati agli internati militari = campi dove si tenevano i prigionieri di guerra. (perché venivano portati
qui? Perché già allora esistevano delle convenzioni internazionali sul trattamento dei prigionieri di
guerra, i militari di guerra quando catturati non potevano essere torturati ma dovevano essere portati in
un campo militare. Una delle conseguenze più importanti di queste convenzioni internazionali era che i
campi militari potevano essere visitati dalla croce rossa internazionale, che non poteva visitare i campi di
concentramento).
Ci furono comunque episodi eroici, come a Cefalonia (decisero di non disarmare, ma di combattere
contro i tedeschi). Prima conseguenza dell’8 settembre è quella che in termini letterari si chiama la
“morte della patria” perché quando si disfa un esercito la patria muore, quando l’esercito non riesce più
a difendere la patria, la patria muore (sovranità, potere legale. In quel momento l’esercito italiano non
era più in grado di garantire quello per il quale esiste)

- L’ 8 settembre del 1943 segna la nascita della RSI e la liberazione di Mussolini. 4 giorni dopo, ovvero il 12
settembre del 1943, i tedeschi andarono sul gran sasso liberarono Mussolini e lo misero a capo della
repubblica sociale italiana. Sin dall’inizio nasce come una sorta di lunga mano della Germania sul
territorio italiano. Era un “governo di fatto” formalmente capeggiato da Mussolini ma sostanzialmente
voluto e diretto dalla Germania di Hitler per porre fine all’avanzata degli alleati che nel frattempo erano
sbarcati in Sicilia. Quindi la RSI nasce con 3 propositi: continuare la guerra a fianco dei nazisti, punire i
traditori (ovvero coloro che avevano messo fine al fascismo→ 8 gennaio del 1944 processo di Verona
contro coloro che avevano firmato l’ordine del giorno Grandi, si capì che la RSI non aveva alcuna
autonomia indipendenza dal nazismo) e tornare alle origini repubblicane e sociali del fascismo.
La chiesa non la riconobbe mai e il cosiddetto “ritorno alle origini” non fu decisivo.

- La nascita della resistenza italiana. Il 9 settembre del 1943 si costituisce a Roma il primo comitato di
liberazione nazionale, un comitato formato dai vecchi partiti dichiarati fuori legge durante il fascismo.
Dopo il CLN nascono immediatamente i CLN locali. Quindi abbiamo una struttura centrale e tante
strutture periferiche a livello locale. (persona più importante all’interno del CLN era Alcide de Gasperi).
Anche i CLN erano dei governi di fatto. In quel periodo in Italia c’era un governo legittimo, il governo
Badoglio che pur essendo legittimo era come se non esistesse perché il re non faceva altro che scappare.
Poi sul territorio italiano c’erano almeno 3 governi di fatto che si contendevano la sovranità senza mai
riuscire ad imporsi. Il comitato militare alleato che inizia da sud e viene su al nord, la repubblica sociale
italiana che nasce a nord come avamposto tedesco per evitare la risalita degli alleati e poi i comitati di
liberazione nazionale che nascono a Roma e poi si diffondono tanto al nord quanto al sud.

Uno dei problemi principali in questo periodo fu il rapporto tra il governo di Badoglio e i comitati di
liberazione nazionale. Siccome il potere legale era formalmente del governo ma sostanzialmente i CLN
stavano assumendo sempre più potere, i rapporti tra i CLN e il governo Badoglio furono particolarmente
tesi infatti nacque un secondo governo Badoglio che resse abbastanza poco e fu sostituito dal primo
Governo Bonomi (siamo nel secondo 44) che era formato dai partiti dei comitati di liberazione nazionale,
dalla cosiddetta esarchia (democrazia cristiana, comunisti, socialisti, liberali ecc.). Due furono i problemi del
governo Bonomi:

1. Cosa fare della monarchia in attesa della liberazione? Come rinasce lo stato italiano, monarchico o
repubblicano? Perché questo problema? Perché indubbiamente parte dei partiti del governo sapevano
che molti cittadini erano monarchici. Tanti italiani erano sicuramente repubblicani ma tanti erano
monarchici. Come si fa a mettere insieme il nuovo stato italiano? La soluzione generale (da tutti
condivisa) sarà l’elezione da parte dei cittadini italiani di un assemblea costituente alla quale dare il
compito di scrivere la nuova costituzione italiana che sarebbe dovuta nascere dal basso ( non più calata
dall’alto come lo Statuto. Nascere dal basso significa→ suffragio universale, anche le donne potevano
eleggere ed essere elette). Tuttavia il problema monarchia repubblica rimaneva molto importante
perché la democrazia cristiana sapeva particolarmente bene che se si fosse data all’assemblea
costituente la possibilità di scegliere non solo la costituzione italiana ma anche monarchia o repubblica
sicuramente avrebbe prevalso la repubblica perché la maggioranza dei partiti era a favore della
repubblica, così come una parte della democrazia cristiana era favorevole alla repubblica. Tuttavia
esisteva dentro la democrazia cristiana un atteggiamento di questo tipo: ma se noi vogliamo far nascere
l’Italia su fortissime e solide basi democratiche come facciamo a tenere in considerazione
l’orientamento di molti italiani che pur essendo contrari alle scelte fatte dal re non erano in se contrari
alla monarchia? Tanti italiani pensavano che il Re era immischiato nel fascismo, che il re era fascismo
perché grazie al re era nato il ventennio fascista tuttavia avevano una propensione a ritenere non un
male assoluto quella monarchia ma quel re si, sarebbero andati avanti con un Italia monarchica
cambiando il re. La democrazia cristiana disse noi non vogliamo scontentare parte del nostro possibile
elettorato, noi siamo spaccati dentro, alcuni sono monarchici e alcuni sono repubblicani. Quei
monarchici che abbiamo dentro rappresenterebbero parte dell’orientamento degli italiani. Se noi
diamo all’assemblea costituente la scelta, l’assemblea costituente sceglie la repubblica e si rischia di
porre non sulle migliori basi la nascita dello stato italiano. Si voleva evitare che la guerra civile andasse
avanti una volta sconfitti i tedeschi tra italiani. Quindi il 2 giugno 1946 gli italiani votano non solo i
membri della assemblea costituente (556 membri) ma anche tra monarchia e repubblica. Una scelta
particolarmente tattica nella sua origine ma indubbiamente democratica. Il referendum vide la
prevalenza della repubblica. Nelle contestuali elezioni per l’Assemblea costituente, svoltesi con criterio
proporzionale, i tre partiti che riscossero il maggior numero di voti furono: la democrazia cristiana con il
37%, il partito socialista con il 20% e infine il partito comunista con il 18%. Tre grandi partiti di massa
ebbero la maggior parte dei membri dell’assemblea costituente. I partiti di massa monopolizzarono le
lezioni dell’assemblea costituente ma nonostante ciò la costituzione non fu scritta solo dai
rappresentanti di questi grandi partiti di massa ma anche da altri (liberale, partito d'azione non ebbe
una grande vita, ebbe solo 7 costituenti, perché fu fatto da intellettuali).

2. Conseguenza delle elezioni: paese spaccato in due (il sud aveva votato per la monarchia mentre il
centro e il nord per la repubblica). 12 milioni e mezzo di voti per la Repubblica e 10 milioni e mezzo di
voti per la Monarchia. Quindi un paese spaccato in due per quanto riguarda monarchia o repubblica ma
un paese che con l’elezione dell’assemblea costituente voleva riprendere ed andare avanti per la
“nuova strada”.

L’assemblea costituente raggiunge l’accordo anche partendo da posizioni diametralmente opposte. Cosa
c’è che accumuna la DC e il partito comunista? Niente. De Gasperi e Togliatti non la pensavano uguale
nemmeno su una cosa sola eppure la costituente riuscì a fare la costituzione. Quindi persone
ideologicamente più distanti non potevano esserci in assemblea costituente ma il merito della assemblea
costituente e quindi poi della costituzione fu quello di arrivare ad un accordo anche partendo da posizioni
diametralmente opposte.
Alcuni nomi dell’assemblea costituente : Vittorio Emanuele Orlando (giurista, fondatore della scuola italiana
di diritto pubblico),Benedetto Croce, Luigi Einaudi (appartenete alla tradizione liberale, dovette stare in
esilio durante il fascismo), Pamiro Togliatti (segretario del partito comunista), Aldo Moro (professore di
diritto penale), Giorgio Lapira, Dossetti, Sandro Pertini (fu colui che disse uccidetelo a Mussolini), Lelio
Basso, Pietro Calamandrei, Costantino Mortati (importante giurista italiano), Nilde Iotti (una delle poche
donne eletta dalle molte donne), Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti (il più giovane deputato
dell’assemblea costituente).

Come lavorò l’assemblea costituente? L’assemblea costituente decise di dividersi in 3 commissioni,


affidando poi ad un comitato di 75 persone il compito di coordinare i lavori e di presentare a tutta
l’assemblea costituente un progetto di costituzione elaborato dalle commissioni. Le commissione nel 46
iniziano a lavorare sui loro temi, producono dei documenti. Il comitato dei 75 mette insieme quei
documenti e fa venire fuori un progetto di costituzione. Dall’ 1 gennaio del 47 al 31 gennaio del 47
l’assemblea costituente nel suo complesso discute il progetto di costituzione, sul quale si esprimono tutti i
membri dell’assemblea costituente.

Una delle cose più importanti è che una volta finiti i dibattiti si arrivò a decidere. Il 22 dicembre del 47 si
svolse la votazione finale, i numeri sono sbalorditivi: 453 voti a favore, 62 contrari e 0 astenuti.
La maggior parte dei costituenti approva ma una piccola parte la rifiuta. Ma il dato più interessanti sono gli
0 astenuti, perché significa che sul testo normativo più importante che noi abbiamo ancora oggi in Italia tu
non ti puoi astenere.
L’unica cosa che i costituenti non potevano modificare era la scelta repubblicana perché fatta dagli italiani,
non potevano ripristinare la monarchia erano obbligati a fare della costituzione, la costituzione
repubblicana ma per tutto il resto non avevano limiti. Potevano scrivere quello che volevano in materia di
diritti, di forma di governo ecc.

la COSTITUZIONE:
Articoli 1-12 → principi fondamentali che fondano la costituzione e si sviluppano anche negli altri articoli
Articoli 13-54→ diritti e doveri
Articoli 55-139→ organizzazione dello Stato

non è fatta da 139 articoli che tra di loro non si parlano, al contrario un articolo parla con l’altro. Quello che
ne viene fuori è un tessuto di connessioni strettissime fra le diverse parti della costituzione.
L’interpretazione letterale non basta bisogna infatti andare oltre ovvero bisogna arriva all’interpretazione
sistematica. Dobbiamo prendere un articolo e interpretarlo nel sistema costituzionale visto nel suo
complesso. (fatta di parole comprensibili da tutti)

ARTICOLO 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

È di un attualità disarmante. Si forma di 2 comma (il secondo è il più improntante).


Primo comma: “l’Italia è una repubblica” questo non vuol dire solo che l’Italia non è una monarchia ma
vuole dire anche che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale (grazie
all’art. 139). L’Italia è una repubblica perché l’ha scelto il popolo e questa modificata non può essere
modificata seguendo la costituzione (se vogliamo tornare alla monarchia abbiamo solo una possibilità
ovvero fare la rivoluzione, non c’è altra possibilità. Giuridicamente non c’è una via percorribile).
“L’Italia è una repubblica democratica”, grazie alla costituzione noi cambiamo la nostra forma di stato. Non
siamo più dentro una forma di stato liberale e non siamo più dentro una forma di stato fascista. Nasce una
nuova forma di stato, la forma di stato democratico pluralista. Per capire in cosa consiste la democraticità
della costituzione la si prende in mano e si vedono tutti quegli aspetti che messi insieme contribuiscono a
rendere l’Italia una repubblica democratica, tanto la prima parte riguardante i diritti tanto la seconda parte
riguardante l’organizzazione costituzionale.
“Fondata sul lavoro” vuol dire che il nostro stato, il nostro ordinamento e la nostra repubblica proprio
perché democratica guarda di buon occhio le persone che vivono del proprio lavoro e guarda invece meno
di buon occhio le persone che allora vivevano di rendita, allora vivevano grazie ai latifondi e oggi invece
vivono grazie alle rendite finanziarie. La costituzione ci vuol far capire che lavorare è importante e distingue
la democraticità del nostro ordinamento a tal punto che noi, per costituzione, non equipariamo le persone
che lavorano e quindi "faticano" da tutte le altre.
Comma 2 (quello più importante e più attuale): “la sovranità appartiene al popolo” → scontata ma
pericolosa allo stesso tempo. È una cosa ovvia perché i membri dell’assemblea costituente sono stati eletti
dal popolo ed è da li che loro traggono la legittimazione per scrivere la costituzione e quindi il risultato non
può che essere coerente con il popolo dal quale tutto è iniziato. È una cosa pericolosa perché nei 20 anni
precedenti il regime fascista era stato voluto dal popolo, era stato voluto dalla maggioranza degli italiani . Il
popolo può fare bene ma può anche fare male. Grazie alla nostra costituzione non esiste più una sovranità
assoluta, nemmeno quella del popolo, perché la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione. Quindi la
sovranità certamente appartiene al popolo, non saremmo un paese democratico se non appartenesse al
popolo, ma per essere veramente democratici nelle forme e nei limiti della costituzione.

Come fa il popolo ad essere sovrano? Attraverso il voto. La prima (ma non l’unica) concretizzazione della
sovranità popolare è il diritto di voto. È quindi una condizione necessaria per avere democrazia, se noi non
potessimo eleggere non saremmo una democrazia . Ma usarlo non basta, non è sufficiente.

IL DIRITTO DI VOTO (garantisce la prima espressione della sovranità popolare)


che il voto sia un diritto è fuori discussione. Le caratteristiche che deve avere questo diritto non sono
esplicitate direttamente nell’art. 1, ma per comprenderle dobbiamo prendere un altro articolo ovvero→
ARTICOLO 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne
assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale
sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale
irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

Coloro che hanno il diritto di voto assumono la qualifica di corpo elettorale. Quest’ultimo, secondo la
costituzione, è formato da tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Ha quindi diritto di voto colui che fa parte del corpo elettorale, ossia cittadino uomo o donna con la
maggiore età.
Le caratteristiche qualificanti, più specifiche del diritto di voto si trovano subito dopo.
Abbiamo 4 aggettivi carichi di significato costituzionale:
- Personale: la delega è incostituzionale
- Eguale: una testa un voto, il mio voto pesa quanto quello di un altro, non c'è nessuna possibilità di
distinguere un voto dall’altro
- Libero: sono puniti per legge (che attua la costituzione) i voti di scambio.
- Segreto: segretezza materiale della manifestazione del voto. Quando vai a votare vai a votare dietro ad un

urna, in segreto. Non solo è nullo il voto reso pubblico, ma qualunque segno che rende riconoscibile la
scheda rende il voto nullo in quanto segreto. Qualunque segno al di fuori della x rende la scheda
riconoscibile e quindi da annullare, perché il voto è segreto. Qualunque segno che dia la possibilità di
associare quella scheda a quella persona rende la scheda nulla, perché si vuole tutelare quella persona.

Il suo esercizio è un dovere civico non un obbligo giuridico perché non esiste una sanzione (non saremmo
uno stato democratico se ci fosse).

Il diritto di voto si può perdere, la costituzione prevede dei casi per i quali il diritto di voto si perde:
- indennità morale stabilita dalla legge (non ne esistono più)
- in seguito a sentenza o condanna penale irrevocabile

SISTEMI ELETTORALI
Il secondo ponte per arrivare al Parlamento dopo il diritto di voto sono i sistemi elettorali.
Che cosa è il sistema elettorale?
Il sistema elettorale è quel sistema che serve a tradurre i voti in seggi, grazie al sistema elettorale si
stabiliscono i meccanismi in base ai quali i voti dei cittadini si tramutano in seggi. Alcuni dicono, e non
hanno torto, che la legge elettorale è una delle leggi più importanti che il parlamento e che uno stato possa
approvare.
Esistono 2 grandi famiglie:

- I sistemi maggioritari: non è un sistema rappresentativo. Chi vince in voti, anche fosse di uno, vince tutto
il seggio. Nel sistema proporzionale abbiamo dei collegi plurinominali. Nel sistema maggioritario i collegi
sono invece uninominali (= esprimono un seggio, chi vince il seggio? Lo vince chi ottiene un voto in più).
Si dice che il sistema maggioritario voglia garantire la governabilità, cioè vuole garantire che in
parlamento non vadano tutti i partiti in teoria rappresentativi delle diverse sfaccettature che ci sono
nella società ma che vada solo il primo, il secondo e poco altro. Garantisce la governabilità perché invece
di mandare 5 o 6 partiti manda in parlamento solo i due partiti più forti. L’aspetto negativo è che butti
nel cestino milioni di voti. Perdi in rappresentatività, in democraticità, in proporzionalità ma guadagni in
governabilità perché ne mandi là uno con un’opposizione. Difficile dire quale è meglio e quale è peggio.
Certo è che un paese quando si sta avviando sul cammino della democrazia o un paese martoriato al
proprio interno da fratture sociali, politiche ed economiche gigantesche è molto meglio se sceglie un
sistema proporzionale perché se al tuo interno sei attraversato da fratture forti tu devi cercare di
portarle nel parlamento per ricomporle. Il sistema maggioritario invece, altro non farebbe, se non
portare il paese alla guerra civile perché esclude le varie minoranze dal parlamento→ porta alla frattura.
Quando ci sono problemi di democrazia o di tenuta di democrazia è quindi molto meglio un sistema
proporzionale che un sistema maggioritario.
I due paesi di riferimento del sistema maggioritario sono ancora obbiettivamente due tra i paesi al
mondo più liberali nel proprio DNA → UK e USA.
Il partito liberale inglese, dal dopo guerra in avanti, ha sempre avuto nelle elezioni percentuali intorno al
10%, aveva quindi una media alta. La traduzione in seggi di questa media altissima non è mai stata
superiore al 2%, è normale, è un sistema maggioritario perché ci sono sempre stati i conservatori o i
laboristi che hanno fatto la parte da padroni.
Negli USA Bush ha vinto le elezioni perdendo in termini di voti popolari ma vincendo in termini di grandi
elettori.
Nel sistema maggioritario non conviene stra vincere è molto più importante vincere di poco ovunque.

- I sistemi proporzionali: tanti seggi quanti voti, in proporzione. Hai il 5% grosso modo avrai il 5% dei seggi,
hai il 40% avrai il 40% dei seggi. Il sistema proporzionale garantisce la rappresentatività cioè la possibilità
che tutti i partiti possano avere una rappresentanza in parlamento, e che quindi tutti i cittadini possano
vedersi riconosciuto in parlamento l’espressione del proprio voto tramite il partito. Che sia il partito
super minoritario del 2% o che sia il partito del 30% il principio è la rappresentatività.
Il sistema italiano è un sistema misto (perdiamo un po’ di rappresentatività per guadagnare un po’ in
governabilità senza scegliere di passare dal proporzionale al maggioritario): stiamo su una base
proporzionale ma inseriamo dei meccanismi che garantiscano degli effetti simili a quelli che noi avremmo se
scegliessimo il sistema maggioritario.
Come si fa a garantire un esito maggioritario senza cambiare l’impostazione proporzionale?
Lavori sulle circoscrizioni, vuol dire che tu ti tieni un sistema proporzionale ma lavorando sull’ampiezza
della circoscrizione puoi sicuramente ottenere un differente esito. Ex. Nel sistema proporzionale le
circoscrizioni sono plurinominali cioè da una circoscrizione noi eleggiamo più seggi, più la circoscrizione è
grande, più seggi ci sono, più il sistema è proporzionale, meno la circoscrizione è grande, meno seggi ci
sono e meno è proporzionale. Se io ho 50 seggi, ho quindi un collegio molto ampio, è chiaro che le
probabilità dei partiti del 2 e del 5% aumentano, perché tu hai il 30% che se ne prende 10, il 20% se ne
prende 15, il 10% se ne prende 5 allora il 5% se ne prende 2. Se invece di 50 tu restringi la circoscrizione e
ne fai eleggere in quella circoscrizione solo 2, chi vuoi che si prenda quei due seggi? Quello del 30% e quello
del 20%. Il 5% non prende niente. Così si ottiene un esito maggioritario pur rimanendo dentro al
proporzionale. Buttiamo nel cestino i voti dei partiti che non riescono a concorrere ai voti necessari per
avere quei seggi, che sono tanti (perché se sono solo 2 seggi vuol dire che devi avere tanti voti).
Questo metodo è accettabile ma fino ad un certo punto. Se tu mi restringi la circoscrizione fino ad avere la
possibilità di avere un solo seggio allora non è più accettabile perché a quel punto diventi un sistema
maggioritario a tutti gli effetti. Un sistema proporzionale con la possibilità di eleggere in un collegio un
seggio non è più un sistema proporzionale ma è un sistema maggioritario. Per esempio ci sono alcuni stati
al mondo come l’Olanda e Israele (FREE PALESTINE, ISRAELE NON è UN FOTTUTO STATO) che hanno
un'unica circoscrizione, grande quanto tutto il territorio nazionale. In Israele ne hanno una fatta da 300
seggi, in questo caso anche il partito più minoritario riuscirà ad avere un seggio.
La spagna ha un sistema proporzionale ma disegna delle circoscrizioni che danno di norma pochissimi seggi
ed è per questo che in Spagna ci sono sempre stati 2,3 o 4 partiti, mai di più.
Secondo meccanismo per avere nell’esito qualcosa di maggioritario pur stando dentro al proporzionale →
la clausola di sbarramento: sotto una certa percentuale di voti non si può partecipare alla ripartizione ei
seggi. Se non ottieni più del 3% non puoi partecipare alla ripartizione dei seggi, vanno nel cestino tutti i voti
sotto la clausola di sbarramento. (in Turchia c’è uno sbarramento del 20%, in Italia del 3%, in Germania del
5%). In torno al 3,4,5 è la realtà. L’1 farebbe ridere e il 20 fa ridere al contrario. Normalmente si sta intorno
a quella cifra lì.
Terzo meccanismo per avere nell’esito qualcosa di maggioritario pur stando nel proporzionale → la
composizione della lista, ci sono due modi per fare le liste dei partiti:
- lista bloccata (è molto più diffusa) (ex. Italiana → ogni partito ha la sua colonna, tu vedi il simbolo e fai una
“x” sul simbolo della lista. Quella lista, quel partito prenderà tanti seggi quanti voti ha preso. A chi vanno
sostanzialmente quei seggi? Lo decide la lista, non tu): tu elettore voti il simbolo e poi i seggi vanno
secondo la lista che tu hai visto di fronte a te. È un sistema poco democratico, è una decisione delle
segreterie di partito. Il suo pregio è quello di evitare il voto di scambio. La lista chiusa è molto più diffusa,
anche se poco democratica, perché si vuole evitare che i partiti si ammazzino in casa propria. Non ha senso
perché la concorrenza, la competizione la fai con l’avversario non con il tuo amico del partito.
- lista aperta: in questo caso hai la possibilità di votare tu il singolo deputato dentro nella lista, hai quindi un
voto di preferenza cioè puoi esprimere una preferenza. Nel primo caso non puoi perché la tua preferenza è
solo al partito. Nel secondo caso invece la tua preferenza la puoi esprimere ad uno del partito. Si dice che il
sistema aperto assomiglia al sistema maggioritario. È più democratica. Se c'è il voto di preferenza si
c'entrano fra di loro nel partito.
Il quarto strumento per avere un esito maggioritario partendo dall’impianto proporzionale si chiama
premio di maggioranza. Buttare voti nel cestino è sbagliato ma regalarli lo è ancora di più. Il premio di
maggioranza serve a dare più seggi e quindi a garantire più governabilità→ per avere una cosa come si ha
nel maggioritario. Se io ti regalo un saggio sto togliendo quei seggi a chi avrebbe la possibilità di averli.
Il premio di maggioranza non è una gran cosa ma cerchiamo di renderlo accettabile, in due modi: il premio
in se e da quando scatta. Più è vicina la soglia dalla quale scatta il premio al premio meno problemi ci sono.
Se io dico chi ha il 45% dei voti ha diritto ad un premio del 55% dei seggi, ti regalo il 10% dei seggi ma hai
pur sempre ottenuto il 45% dei voti. Più si allarga il divario, più cresce il premio e più diminuisce la soglia,
meno diventa accettabile. È dovuta intervenire la corte costituzionale e dichiara incostituzionale il
“porcellum” perché quest’ultimo non fissava la soglia dalla quale scattava il premio di maggioranza. Chi ha
la maggioranza relativa dei voti, chi ha un voto in più dell’altro prende il premio. Nel 1953 gli americani ci
finanziano la ricostruzione a condizione che il partito comunista non possa mai andare al governo, piano
Marshall. Che cosa fa il parlamento? Il parlamento approva la legge che è passata alla storia come “legge
truffa”. Non truffa per la soglia dalla quale scattava ma truffa per il premio alto. Quale era la soglia dalla
quale scattava il premio di maggioranza nella “legge truffa” del 53? La maggioranza assoluta dei voti, il 50%
+1 (soglia alta e ragionevole). Chia aveva la metà dei voti del popolo italiano aveva diritto al premio di
maggioranza. Il premio di maggioranza era dei 2/3 dei seggi.
Pertini quando hanno approvato la legge è andato da Luigi Einaudi e gli ha detto “tu non puoi promulgare
una roba del genere”, perché? Non tanto per il ragionamento sul 50, cioè è chiaro che lui temeva che le
sinistre fossero per sempre escluse dal governo del paese. Quello che lui temeva e quello che lui rinfacciò
ad Einaudi è “se noi approviamo questa legge e la democrazia cristiana ottiene il 50%+1, la DC arriva ai 2/3
dei seggi per legge”. Il problema è che la costituzione prevede che per modificare la costituzione serva la
maggioranza assoluta in parlamento dei voti. Tuttavia se una riforma costituzionale approvata con la
maggioranza dei 2/3 non si può per costituzione fare il referendum sulla modifica della costituzione. Il
referendum lo puoi chiedere solo se la maggioranza è tra la maggioranza assoluta e i 2/3, se la maggioranza
è più dei 2/3 non si può andare al referendum. Se la apporvi dai la possibilità alla DC di riscriversi come
vuole la costituzione togliendo di mezzo i cittadini perché con i 2/3 non puoi fare il referendum. La truffa
non sta nel 50% sta nei 2/3. La legge fu comunque approvata, ci furono le elezioni e per poco la DC non
riuscì ad arrivare al 50%+1. Da quel momento in Italia abbiamo avuto un sistema proporzionale fino agli
anni 90. Il sistema proporzionale ha condotto a una miriade di partiti, incapacità di formare delle coalizioni
coese, governi che durano in media un anno e che tra l’altro rubano→ “Tangentopoli” si tirano le pietre ai
politici. cambia il sistema, si inizia a mettere in discussione la legge elettorale, mai però fino a dire “usciamo
dal proporzionale e diventiamo maggioritario”. Da Tangentopoli in avanti nascono i referendum elettorali,
le nuove leggi elettorali che mettono insieme un sistema elettorale come quello di oggi “misto”→ un po’ di
proporzionale e un po’ di maggioritario.
IL PARLAMENTO
Il compito più importante del parlamento è quello di approvare le leggi. Un po’ ovunque nei paesi
democratici, e quindi anche in Italia, si assiste ad una strana cosa. Da un punto di vista teorico il parlamento
è senza dubbio, tra gli organi, quello più importante. Ma da un punto di vista più concreto la sua rilevanza,
la sua importanza è messa sempre più in discussione, specie in anni più recenti, dall’affermarsi di altri
organi, in modo particolare dall’esecutivo.

Il primo organo, tra gli organi, dei quali la costituzione tratta è il parlamento. Nella geografia costituzionale
non è certo un caso che si inizi con il parlamento. Cosa segue dopo il parlamento? Dopo che la costituzione
dedica molti articoli al parlamento abbiamo il presidente della repubblica, dopo il PdR arriva il governo.
Come mai la costituzione inizia con il parlamento, continua con il PdR e solo alla fine arriva al governo? È
una linea che procede in termini quantitativi. Moltissimi articoli della costituzione sono dedicati al
parlamento, non pochi sono dedicati al presidente della repubblica e solo 5 al governo. Come mai questa
scelta da parte del costituente?
1˚ motivo: perché tra tutti gli organi il più importante è il parlamento in quanto è l’unico organo nel nostro
ordinamento ad essere eletto direttamente dai cittadini. Se la sovranità appartiene al popolo ecco che
l’organo che prima viene è l’unico organo direttamente eletto dai cittadini
2˚ motivo più storico/politico: dopo 20 anni di dittatura di governo i costituente ebbero quasi paura nel
disciplinare l’organo governo. Preferirono lasciarlo in disparte, dedicandogli pochi articoli (5), e
concentrandosi di più sul parlamento e poi sul presidente.

Non esiste una soluzione migliore di un'altra rispetto alle caratteristiche generali che deve avere un
parlamento. Come in tutti gli altri casi i nostri costituenti potevano fare quello che volevano. Potevano
prevedere un parlamento monocamerale o bicamerale. Potevano prevedere un parlamento, scelta una
volta l’opzione delle due camera, con le due camere aventi diversi o uguali poteri.
Certo è che ci sono delle caratteristiche generali dei parlamenti che sembrano banali ma che è sempre
meglio ricordare. Qualunque fossero state le coordinate di base dei nostri costituenti una cosa è certa: il
parlamento è un organo collegiale. Che sia un organo elettivo va da sé, non è pensabile un parlamento non
elettivo. Nel nostro caso è l’unico organo elettivo. Anche la collegialità è un tratto importante perché se si
va oltre alla banalità dell’affermazione come può una persona costituire il parlamento!? Infatti quest’ultimo
è per definizione un organo collegiale. È importante che sia un collegio perché in parlamento si va a parlare,
si va a discutere. Il Parlamento ha assunto sin dal medioevo il significato di “assemblea” dove si dibatteva al
fine di raggiungere in accordo tra le diverse componenti politiche. In quanto organo collegiale, il
parlamento ha delle caratteristiche che altri organi non hanno.
Può essere formato da una o più camere, il numero di camere segue l’estensione del Paese e del numero di
abitanti. La struttura del parlamento di uno stato democratico riflette la scelta, operata nelle singole Carte
costituzionali, circa il tipo di rappresentanza e il ruolo che l’organo è chiamato a svolgere. La struttura mono
camerale mira a dare un’unica rappresentazione della volontà popolare rafforzandola. La scelta bicamerale
evidenzia invece l’esigenza di fondare il mandato parlamentare su elementi diversi della società.
Nel momento in cui si sceglie il bicameralismo il problema è quali poteri affidare alle camere. Si differenzia
il bicameralismo paritario e non paritario, nel primo caso hanno gli stessi poteri nel secondo caso hanno
poteri differenti. Una camera rappresenta l’intera nazione e l’altra le entità territoriali (negli USA il senato
rappresenta gli Stati membri mentre la camera lo Stato federale). Nel caso dell’Italia i costituenti hanno
optato per un bicameralismo paritario per ragioni di prudenza politica, per rendere ogni camera il
controllore e il freno dell’altra, consentendo alle forze di opposizione di esercitare un duplice controllo
politico sulla maggioranza parlamentare.
In parlamento sono rappresentate tanto le maggioranze quanto le opposizioni, in parlamento ci sono le
minoranze (nel governo non è così, nel nostro ordinamento per definizione la minoranza non può andare al
governo perché il governo è il governo della maggioranza, l’unico modo che le opposizione hanno per
discutere e dibattere con la maggioranza è il parlamento ← scopo del parlamento). Per definizione
maggioranza e opposizione parlano e quindi ci vuole tempo. Il parlamento è per definizione lento.

Negli ultimi 20 anni, in questo paese, tutti i governi quando hanno potuto hanno utilizzato le vie che la
costituzione metteva a disposizione per fare in fretta, per non dover andare in parlamento. Ci sono
strumenti giuridici che associati a questa idea di base rischiano di marginalizzare del tutto il parlamento.
L’esempio più eclatante è il cosiddetto decreto legge (per costituzione è uno strumento che permette al
governo di sostituirsi al parlamento ma solo per casi di necessità e di urgenza) in materie di sicurezza.
Quindi abbiamo un uso da parte del governo di strumenti legislativi del tutto residuali e del tutto marginali.

Il parlamento, negli ultimi 20 anni, non è stato in grado di difendere se stesso. Il governo sta lì perché ha la
maggioranza parlamentare. Con il decreto sicurezza è indiscutibile che il governo si prenda tante materie
quindi chi dovrebbe alzare la voce? Il parlamento. E come fa a far passare questo messaggio? Il parlamento,
la maggioranza che sostiene il governo toglie la fiducia al governo e quest’ultimo si dimette.

IL PARLAMENTO ITALIANO
Il parlamento italiano riveste un ruolo centrale nel sistema istituzionale disegnato dalla costituzione del
1948, in ragione della propria legittimazione democratica diretta e della forma di governo parlamentare che
si decise di adottare. Esso, infatti, è chiamato non solo ad esercitare la funzione legislativa e di revisione
costituzionale, ma anche a sostenere l’azione del Governo, conferendo ad esso la fiducia dopo la nomina
(ed eventualmente revocandola durante il mandato), e ad eleggere in tutto o in parte gli organi di indirizzo
politico-costituzionale (PdR e 1/3 dei giudici della Corte costituzionale) ai quali è affidata la garanzia della
rigidità e della corretta applicazione della costituzione.
Tale centralità ha subito nel tempo ridimensionamenti e iniziative di revisione, volte ad accentuare il ruolo
del governo e a razionalizzare il rapporto tra quest’ultimo e le Camere.

La scelta dei nostri costituenti fu quella di prevedere due camere la camera del senato (315) e la camera
dei deputati (630).
1. Prima differenza: quantitativa. La camera si compone di un numero doppio di parlamentari rispetto al
senato.
2. Seconda differenza: in senato esistono delle persone non elette direttamente (alla camera invece sono
tutti eletti). Una microscopica, non del tutto irrilevante, eccezione al principio generale in base al quale il
parlamento è un organo elettivo. Questo perché, in senato, oltre ai 315 senatori eletti ci sono due categorie
di persone non elette: i senatori di diritto e in senatori di diritto a vita. I senatori di diritto sono tutti gli ex
presidenti della Repubblica, quando finisci il settennato per costituzione diventi di diritto automaticamente
senatore della repubblica. Vai a far parte del senato con doveri, poteri, stipendi e funzioni esattamente
identiche a quelle di tutti gli altri senatori. La cosa più importante che spetta ai senatori di diritto è il diritto
di voto, quando vanno in senato votano così come tutti gli altri senatori. Votano le leggi, la fiducia ai governi
ma non sono eletti.
Per quanto riguarda la seconda categoria, il PdR durante il suo mandato di 7 anni può nominare 5 senatori a
vita, che quindi non sono eletti dai cittadini. Questi senatori fanno tutto quello che fanno gli altri senatori
eppure non sono eletti ma sono nominati dal PdR. Queste persone possono essere scelte tra coloro che
hanno fornito al Paese interessi in ambito economico, sociale, politico cioè che hanno aumentato il
prestigio dell’Italia, la scelta è completamente a discrezione del presidente. Di norma non si sono verificati
problemi perché i nominati avevano tutti questo requisito. Si è posto invece il problema se 5 per ogni
presidente o 5 senatori a vita esistenti, la costituzione non lo chiarisce. 5 senatori a vita esistenti è stata
l’interpretazione con due eccezioni: Francesco Cossiga e Sandro Pertini, tutti e due hanno interpretato
l’articolo 59 in modo estensivo, hanno nominato 5 senatori a vita a testa con la differenza che Pertini ha
nominato quei 5 senatori nell’arco di 2/3 anni mentre Cossiga li ha nominati insieme nello stesso momento.

3. Un’altra distinzione fra camera e senato è che per eleggere il senato bisogna avere 25 anni e per essere
eletti bisogna averne 40. Invece per eleggere la camera servono 18 anni mentre per essere eletti ne
servono 25 anni. Il senato era visto dai costituenti come organo che poteva fungere da seconda camera
quando la prima aveva approvato una legge troppo in fretta tralasciando la qualità, il senato con la sua
seconda votazione poteva mettere a posto aspetti non toccati dalla camera. Per fare questo i costituenti
hanno pensato che al senato dovessero andare persone con capacità di mediazione, esperte.
4. Per costituzione solo il senato è eletto a base regionale. Vuol dire che da un punto di vista tecnico le
circoscrizioni elettorali al senato hanno base regionale. Ma è una previsione che nella realtà non ha mai
giocato a gran che di rilevanza. L’idea era quella di fare del senato una camera rappresentativa delle
autonomie. Nella realtà il senato non è mai stato una vera seconda camera, una camera rappresentativa
delle regioni perché quella previsione costituzionale non era sufficiente.

Nonostante queste differenze per il resto il nostro si dice che è un Bicameralismo perfetto: camera e senato
hanno gli stessi poteri, hanno le stesse attribuzioni. Non cambia in niente il loro ruolo della camera rispetto
a quello del senato e viceversa. Il bicameralismo italiano rappresenta un unicum nell’esperienza comparata,
dove non si conoscono sistemi caratterizzati da analoga parità tra le camere, e viene considerato anche
un’anomalia se posto in relazione con la forma di governo parlamentare, dal momento che impone al
Governo di instaurare un rapporto di fiducia con due organi diversi (la Camera e il Senato), nei quali i
rapporti di forza tra i partiti di maggioranza e opposizione possono anche essere diversi.
Per ex. Una legge per essere validamente approvata deve essere approvata dalla camera e dal senato,
perché hanno gli stessi poteri. Se servisse solo l’approvazione della camera il senato conterebbe meno.
Per ex. Per avere la fiducia il governo deve passare sia dalla camera che dal senato.

LA LEGISLATURA : durata ordinaria e scioglimento anticipato delle Camere parlamentari.


La durata ordinaria della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, definita Legislatura, è fissata
dalla costituzione in 5 anni. La costituzione affida al PdR il compito di indire le elezioni delle nuove Camere
al termine della Legislatura, fissandone anche la prima riunione, e di deliberare lo scioglimento anticipato
delle Camere sentiti i loro Presidenti. Il contenuto del decreto presidenziale di indizione delle nuove
elezioni e di fissazione della prima riunione delle nuove Camere è definito dal Consiglio dei Ministri, tale
atto si configura quindi come formalmente presidenziale ma sostanzialmente governativo. Invece per
quanto riguarda lo scioglimento anticipato delle Camere, il dettato costituzionale e la prassi istituzionale
portano ad attribuire primariamente al Capo dello Stato la valutazione circa l’opportunità di porre fine alla
Legislatura. La cessazione anticipata delle camere è stata interpretata come l’estrema soluzione di fronte a
una crisi insanabile tra Governo e maggioranza parlamentare. La costituzione vieta al PdR l’esercizio di tale
potere negli ultimi sei mesi del suo mandato. Fa eccezione a questa regola l’ipotesi dell’ingorgo
istituzionale” (fine, nel medesimo semestre, della Legislatura e del mandato presidenziale). In questo caso
il PdR riacquista il potere di scioglimento anticipato, al fine di consentire l’insediamento delle nuove
Camere prima della scadenza del proprio mandato, affidando così l’elezione de suo successore ad un
parlamento rappresentativo degli orientamenti politici in quel momento presenti nella società. È comunque
evidente che, anche in questo caso, il capo dello stato deve ottenere la controfirma da parte del Presidente
del Consiglio. È sancito il divieto di proroga della durata delle camere tranne in caso di guerra, diversa è la
prorogatio: quando sciogli le camere e poni fine alla durata di una legislatura fino a che non ci sono le
elezioni e si insedia il nuovo parlamento sono prorogati i poteri del Parlamento sciolto che può compiere
atti solamente di ordinaria amministrazione.

LA STRUTTURA DEL PARLAMENTO:


Esiste un presidente tanto della camera quanto del senato, che rispetto all'organo hanno i medesimi poteri,
cioè i poteri che ha un presidente di un organo collegiale ma rispetto all'esterno , quindi non rispetto
all’organo che presiedono ma rispetto all’ordinamento hanno compiti differenti. Il più importante compito
differente che ha il presidente del senato ma che non ha il presidente della camera è quello di sostituire il
presidente della repubblica. In caso di morte, di impedimento permanente , di missione del PdR diviene per
costituzione PdR il presidente del senato.
Dal canto suo quale è il ruolo esterno che occupa il presidente della camera che non occupa il presidente
del senato. Per alcuni casi previsti in costituzione noi abbiamo un organo a doc cioè un organo che nasce
per fare le cose che la costituzione assegna a questo organo. Il parlamento in seduta comune che elegge il
PdR (camera e senato si riuniscono, si mettono insieme) si riunisce alla camera, ed è presieduto dal
presidente della camera.
Al proprio interno invece i poteri dei due presidenti sono più o meno identici. Entrambi camera e senato
hanno un proprio regolamento (costituzione a parte è l’atto più importante per stabilire come lavorano i
due rami del parlamento).
L’ufficio di presidenza di ciascuna Camera viene costituito subito dopo l’elezione del Presidente. I compiti
dell’ufficio sono diversi.

Entrambe le sedute, di camera e senato, sono pubbliche. Non è da sempre così. Una cosa è la pubblicità
delle sedute un’altra è la pubblicità del voto. Ci sono alcuni casi, previsti per costituzione, dove il voto è
segreto. La seduta rimane pubblica ma il voto rimane segreto. Di fronte ad un dibattito parlamentare è
imprescindibile che la seduta sia pubblica affinché il cittadino possa decidere in futuro se votare o meno
quel parlamentare. Tuttavia il alcuni casi il voto è segreto. Per ex. Quando si tratta di eleggere delle cariche.
L’elezione del presidente della repubblica avviene per voto segreto. Perché ha senso il voto segreto? Perché
si tende a preservare la carica per la quale si sta votando. Quando il voto è sulle persone, l'unica garanzia
che tu hai è la segretezza del voto. Solo la segretezza del voto garantisce che le discussioni non siano
personalizzate pro o contro quella persona.

Tanto la camera quanto il senato svolgono il loro lavoro dovendo rispettare due tipi di quorum:
1. Quorum strutturale
2. Quorum funzionale

1. Gli atti che si stanno approvando alla camera o al senato per essere approvati in modo
costituzionalmente legittimo serve il quorum strutturale. Deve esserci presente la maggioranza assoluta dei
deputati alla camera e dei senatori al senato. La costituzione vuole garantire che quando la camera sta
approvando un atto deve esserci lì (fisicamente seduta) la maggioranza assoluta dei deputati cioè il 50%+1.
Se sono lì in aula solo in 10 non è valida la seduta e quindi non è valida la legge eventualmente approvata
da quei 10. Il quorum strutturale è il quorum di validità delle sedute, è il quorum legale. Molte volte
l'opposizione chiede la verifica del numero legale, facendo così avverti la maggioranza che non può andare
avanti, solo con 316 persone i lavori della camera sono validi. Il quorum legale serve per verificare se tu
puoi approvare qualcosa, non se tu puoi parlare di qualcosa.
Camera e senato si dividono al loro interno in gruppi (in parlamento non siedono i partiti, ci sono i gruppi
parlamentari). Ciascun deputato o senatore deve, a norma di regolamento, nei primi giorni successivi
all’insediamento delle nuove Assemblee, dichiarare a quale gruppo intende aderire. Coloro che non
possono o non vogliono associarsi ad un gruppo vengono assegnati, anche d’ufficio, al “gruppo misto” nel
quale possono peraltro, nel corso della legislatura, confluire i parlamentari che per qualsiasi motivo siano
usciti dal loro gruppo di iniziale appartenenza. Al gruppo misto del senato aderiscono di regola anche i
senatori a vita. Devi per forza iscriverti ad un gruppo perché i regolamenti sviluppano l’attività
parlamentare in base ai gruppi. Quindi l’associazione di deputati e senatori in gruppi ha si una funzione
rappresentativa ma ha anche una funzione organizzativa, dato che il numero e la numerosità dei gruppi
sono elementi rilevanti per la formazione delle Commissioni. Per formare un gruppo è necessaria l’adesione
di almeno 20 deputati e 10 senatori. Per esempio c’è una legge in discussione, come faccio a decidere
quanto tempo può parlare tizio. Assegno in base anche al numero di voti, e quindi di seggi un numero di
tempo per parlare al gruppo. Dentro ogni tempo il gruppo decide a chi dare la parola.
Ogni gruppo ha un presidente del gruppo parlamentare. Messi insieme, i presidenti dei gruppi
parlamentari formano un organo che si chiama “la conferenza dei capi gruppo”→ sostanzialmente è
l’organo di direzione politica di ciascuna Camera e al quale spetta il compito di definire il programma, il
calendario e i tempi dei lavori della stessa. Quindi è l'organo che lavora insieme al presidente della camera
o del senato. Quando il presidente della camera deve decidere quando calendarizzare o quando stabilire
una seduta si consulta con la conferenza dei capi gruppo.
La camera e il senato sonno suddivisi in commissioni (=articolazioni interne delle camere e si distinguono in
permanenti e temporanee). Esiste l’aula, ossia tutta la camera, e esistono le commissioni (piccoli parlamenti
dentro al parlamento). Sono organi della camera e del senato ai quali partecipano in proporzione i gruppi
parlamentari. La proporzione di seggi che abbiamo in aula la abbiamo nelle commissioni, si mantengono i
rapporti di forza. La maggioranza dell’aula si avrà anche nella commissione.
Il loro numero (attualmente sono 14 in entrambi i rami del Parlamento) e le materie di competenza sono
definite dai regolamenti parlamentari. La ripartizione delle competenze corrisponde sostanzialmente ai vari
settori della pubblica amministrazione (commissione esteri, commissione in interni, commissione bilancio
ecc.) e ha anche l’obiettivo di consentire al lavoro parlamentare di seguire con continuità l’azione del
governo. Le commissioni discutono quindi di materie assegnate a loro per competenza.
2. Il quorum funzionale è il numero di voti che la costituzione prevede come necessario per approvare un
provvedimento. Per ex. per modificare la costituzione bisogna approvare una legge costituzionale, per
approvare la legge costituzionale la costituzione prevede un quorum funzionale della maggioranza assoluta
50%+1. Per eleggere il PdR la costituzione prevede che nei primi 3 scrutini serve la maggioranza dei 2/3 dei
voti. A seconda degli ambiti la costituzione dice quanti voti servono. Normalmente il quorum funzionale,
salvo diversa e esplicita previsione, è la maggioranza relativa, non assoluta. Per approvare una legge
ordinaria, per approvare la fiducia al governo e per approvare la sfiducia del governo serve la maggioranza
relativa. Perché maggioranza relativa come regola e maggioranza assoluta come eccezione perché il nostro
è un parlamentarismo.

LO STATUS GIURIDICO DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO. → Status, garanzie che riguardano la figura del parlamentare
I parlamentari godono di uno status, definito dalla costituzione e integrato da disposizioni legislative e dai
regolamenti parlamentari, volto a salvaguardare l’organo al quale appartengono da interferenze da parte di
altri poteri dello Stato o da pressioni di terzi.
Tale stato giuridico viene acquisito dall’eletto in seguito alla proclamazione dei risultati e si perde al termine
del mandato.
Nella costituzione italiana la disciplina dello status del parlamentare (art. 67-69) si apre con la
riaffermazione del principio del divieto di mandato imperativo che “libera” il rappresentante dalle istruzioni
e direttive di coloro che lo hanno eletto. Tale regola mira quindi a ricondurre l’azione di ogni
rappresentante al perseguimento dell’interesse generale e non si singoli cittadini o gruppi definiti. Sul paino
politico, invece, il divieto di mandato imperativo mira a incentrarsi la responsabilità politica dei membri del
Parlamento sulla loro capacità di interpretare, durante il mandato, in piena autonomia il proprio ruolo di
legislatori e di assumere una posizione di sostegno o di opposizione all’azione del Governo. Come prima
sottolineato, l’introduzione del divieto di mandato imperativo segna la nascita della rappresentanza politica
liberale, basata sull’idea che gli eletti dovessero distaccarsi dalle istruzioni di coloro che li avevano scelti,
ponendosi come unici e responsabili interpreti dell’interesse generale. Non può invece essere chiamato a
rispondere del mancato rispetto di impegni sottoscritti durante la campagna elettorale.
L’art. 68 della costituzione rappresenta, invece, il fulcro delle garanzie riconosciute al parlamentare,
stabilendo sia il principio della insindacabilità, sia quello dell’immunità da limitazione della libertà personale
non autorizzate dalla camera di appartenenza.
Per insindacabilità si intende la non perseguibilità sul piano civile e penale del parlamentare, anche dopo la
scadenza del mandato, per i voti dati e per le opinioni espresse nell’esercizio della propria funzione. Ne
deriva che il parlamentare gode di una libertà di manifestazione del pensiero, rafforzata volta a porre la sua
persona al riparo dal rischio di azioni giurisdizionali che siano dirette solamente a condizionarne l’operato
politico. È però possibile per il presidente dell’Assemblea sanzionare il parlamentare che manifesta opinioni
lesive alla dignità di altri parlamentari o di terzi.
Un ulteriore garanzia riguarda la non sottoponibilità di un parlamentare a misure restrittive della libertà
personale, domiciliare o a limitazione della libertà di corrispondenza in assenza di una espressa
autorizzazione della Camera di appartenenza. Tale garanzia è contenuta nell’art. 68.2 della costituzione e, a
differenza dell’insindacabilità, è circoscritta al solo periodo della carica.
Tra tutte queste garanzie una delle più importanti è che i parlamentari percepiscono una indennità, il cui
importo annuo e i cui elementi sono stabiliti dalla legge, per consentire a chiunque di svolgere un mandato
parlamentare senza preoccupazioni per il mantenimento proprio e della famiglia. Si tratta quindi di una
carica retribuita (scritto sulla costituzione). Principio importante perché se non fosse previsto, le uniche
persone che potrebbero candidarsi ed essere eletti al parlamento sono persone che se lo possono
permettere.
PROCEDIMENTO LEGISLATIVO (Art. 70 funzione legislativa- 74 messaggio motivato)
l’approvazione delle leggi è la più importante attribuzione costituzionale del parlamento.
Il procedimento di formazione delle leggi si può dividere in diverse fasi, ciascuna fase con le sue
caratteristiche e la sua importanza:
1. Fase dell’iniziativa
2. Fase della decisione
3. Fase della promulgazione
4. Fase della pubblicazione

In alcune di queste fasi assume un ruolo importante e decisivo il presidente della repubblica.

1. Chi detiene per costituzione il potere di iniziare il procedimento di formazione delle leggi? Chi può
presentare una proposta di legge? La costituzione è abbastanza larga perché prevede diversi soggetti che
possono iniziare il procedimento legislativo. Da un punto di visto teorico l’iniziativa legislativa spetta a
ciascun parlamentare. I senatori presenteranno una legge in senato e i deputati presenteranno una legge
alla camera. Tuttavia nella realtà, a dispetto della teoria, non è l’iniziativa legislativa parlamentare quella
quantitativamente più importate ma è quella del governo. Anche lui per costituzione, insieme ai
parlamentari, è titolare della funzione di iniziare il procedimento legislativo. Non è sempre stato così ma
diciamo negli ultimi 20 anni non vi è dubbio che da un punto di vista quantitativo sono diminuite le
iniziative legislative parlamentari e sono incredibilmente aumentate quelle di provenienza del governo.
Sempre secondo la costituzione è prevista una iniziativa legislativa anche da parte del popolo. Quindi il
terzo soggetto è il popolo. C’è un’assoluta continuità con la nostra storia rispetto alle iniziative legislative
popolari. Le iniziative legislative popolari non hanno portato quasi mai all’approvazione di nessuna leggi.
Come fa il popolo a presentare un disegno di legge? Servono due caratteristiche. La proposta deve
raccogliere almeno 50 mila firma. Quando è il popolo che deposita in parlamento una proposta di legge lo
deve fare sotto forma di proposta. Il popolo non può presentare un’idea, un auspicio ma deve presentare
una vera e propria proposta di legge, con il suo titolo e i suoi articoli, come se fosse qualcosa che
ipoteticamente potrebbe anche essere approvata il giorno dopo. Due vincolo, uno più facilmente
raggiungibile e uno invece un po’ più difficile perché tanto il parlamento quanto il governo hanno l’ausilio di
tecnici che sono in grado di tradurre delle volontà politiche, tradurre in termine di legge. Questo nel popolo
non è sempre possibile. Sicuramente la maggior parte delle leggi negli ultimi 20 anni è di iniziativa
governativa, poi viene l’iniziativa parlamentare e poi ultimissima quella popolare. Negli ultimi 25 anni il
numero di leggi iniziate dal popolo è pari a 2 (dato deludente). Quindi l’iniziativa governativa e quella
parlamentare sono le due più importanti ma con una differenza. Se il parlamentare che presenta un
progetto di legge non deve fare altro che depositarlo alla presidenza della camera se sei un deputato o del
senato se sei un senatore, l’iniziativa legislativa del governo ha uno step intermedio. Prima di depositare un
progetto di legge governativo alla camera o al senato (deciderà il governo, di solito si sceglie dove la
maggioranza è più forte, ma non c’è un obbligo) vi è una sorta di controllo da parte del presidente della
repubblica. Per costituzione è il PdR che autorizza la presentazione al parlamento di progetti di leggi di
iniziativa governativa. È un potere che va ben compreso, sia da un punto di vista storico che da un punto di
vista giuridico-concreto. Se uno si domandasse perché questo potere del PdR di autorizzare i progetti di
legge governativi. La risposta sta nella nostra tradizione storica, sta nello statuto Albertino in base al quale il
potere esecutivo era del re, che nomina e revoca i suoi ministri. Siccome poi con la costituzione
repubblicana è nato il vero e proprio governo distaccato dal presidente, si è voluto comunque mantenere
un potere formale del capo dello stato, non più re ma PdR ma non del tutto staccato dal potere che invece
prima deteneva. Questa è l’origine storica, se uno si domanda perché esiste il potere del PdR è perché
prima il governo era il presidente della repubblica. E quindi tutti i progetti di legge provenienti dal governo
con lo statuto albertino erano progetti formalmente del re, perché il re era il governo. Oggi cosa ne rimane
di questo potere? Diciamo che non p un potere del tutto scomparso nella prassi però è un potere che tutti i
PdR hanno esercitato con molta cautela. Di solito il presidente non ostacola il governo che vuole presentare
un disegno di legge al parlamento. Perché questa propensione cauta di tutti i PdR? Perché c'è il parlamento
che non ha ancora fatto il suo mestiere (parla, discute e modifica il progetto di legge), io presidente della
repubblica mi astengo dall’intervenire adesso perché il parlamento è li a posta per migliorare e modificare il
progetto di legge inziale, non mi sostituisco a quest'ultimo. Tuttavia una volta che la legge è approvata dal
parlamento è il presidente della repubblica che ha il compito di promulgarla, quindi la può rinviare al
parlamento a discussione fatta. Siccome è meglio che il parlamento discuta il PdR non interviene nella
prima fase, si riserva però di intervenire a discussione fatta, a legge approvata con il potere di rinvio delle
leggi. Se io dubito della costituzionalità di un progetto di legge lascio che sia il parlamento, espressione
della volontà popolare a discuterne. Se quel dubbio di costituzionalità non è stato risolto, io PdR, posso
intervenire dopo rinviando, in sede di promulgazione, la legge. (Il presidente della repubblica usa
particolare cautela, il che non vuol dire che non abbiano mai utilizzato il diniego di autorizzazione di disegni
di legge provenienti dal governo. L’hanno fatto poche volte. Uno clamoroso fu Ciampi nei confronti del
governo Berlusconi. Il governo Berlusconi volle modificare la legge elettorale e nell’idea del governo
Berlusconi c’era una legge che attribuiva anche al senato il premio di maggioranza su base nazionale. Il
problema stava nel premio di maggioranza al senato su base nazionale perché stai contrastando la
costituzione che vuole che il senato sia eletto a base regionale. Quindi se vuoi che io te la autorizzi metti il
premio di maggioranza, al senato, a base regionale. Berlusconi cambiò immediatamente la legge e
quest’ultima venne approvata.)

2. La seconda fase è il cuore del procedimento legislativo. Il progetto di legge viene depositato alla
presidenza della camera o del senato, che derivi dal parlamento o dal governo non fa differenza. A quel
punto il presidente della camera o del senato con la conferenza dei capi gruppo, quindi non da solo, ma con
coloro che sono espressioni della maggioranza e della minoranza in parlamento decide 2 cose:
1. A quale commissione attribuire il compito di esaminare il progetto di legge (per ex. Se un progetto di
legge riguarda l’esercito, verrà assegnato alla commissione competente per materia. Se un progetto di
legge riguarda un trattato internazionale verrà assegnato alla commissione competente per materia e
quindi alla commissione esteri. Ci sono alcuni progetti di legge che riguardano materie che stanno a cavallo
in più commissioni e allora lo si decide per l’esame congiunto di due commissioni).
2. La cosa più delicata che il presidente della camera o del senato decide insieme ai capi gruppo è il ruolo, la
veste, le funzioni delle commissioni parlamentari. Le commissioni posso assumere tre diverse funzioni:
abbiamo la commissione in sede referente, la commissione in sede redigente e la commissione in sede
deliberante. L’ordine prescelto non è casuale. Si va dalla commissione più democratica alla meno
democratica. Si va dal procedimento legislativo più democratico a quello meno democratico. Quando un
progetto di legge è assegnato alla commissione referente, i compiti della commissione sono quelli di
discutere il progetto di legge. Una volta discusso il progetto di legge la commissione referente stila una
relazione di maggioranza e una relazione di minoranza. Il pacchetto cioè la discussione e le due relazioni
vengono poi mandate all’aula. Nell’aula va vanti la discussione ed è l’aula che discute di nuovo gli
emendamenti, che possono essere presentati dalla maggioranza e dall’opposizione, ma è soprattutto l’aula
che approva la legge. È il voto dell’aula che trasforma il progetto di legge in legge. La commissione ha un
ruolo soltanto referente. È un primo dibattito nel quale la commissione discute, analizza gli emendamenti
ma una volta chiuso il dibattito la palla passa all’aula alla quale spetta votare gli emendamenti e nel caso il
progetto di legge. È il modo di lavorare della commissione più democratico concepibile, perché c'è
maggiore democrazia nel caso in cui un progetto di legge venga approvato non da 40 ma da 630 deputati. È
meglio che la discussione invece di avvenire tra 40 persone, cioè i componenti di una commissione,
avvenga tra 630. Seconda modalità di operare della commissione: commissione in sede redigente, questa
commissione fa qualcosa di più del solo discutere perché vota prima gli emendamenti. O li respinge o li
accetta, l’emendamenti accettato è l’emendamento che va a modificare il progetto di legge. Emendare
significa modificare. La commissione in sede redigente una volta messi a posto gli emendamenti (alcuni
accettati, alcuni respinti e alcuni modificati) ha di fronte a se il progetto di legge quasi definitivo. La
commissione approva il progetto di legge, il progetto di legge approvato va all’aula la quale può solo
approvare o respingere il progetto di legge comunicato dalla commissione redigente. È sempre l’aula, sono
sempre i 630 che hanno il potere finale, ma è un potere dimezzato non è un potere pieno come la referente
perché non lo può più modificare, o lo approva o lo respinge. L’ultima modalità di operare della
commissione è la commissione deliberante che è quella "meno democratica" perché il progetto di legge
viene discusso, vengono discussi gli emendamenti, alcuni approvati e alcuni bocciati. Viene approvato il
progetto di legge che non passa più per l’aula, non passa più per i 630 ma al posto dell’aula si esprimono
solo i 40 della commissione, che diventa commissione deliberante. A questo punto il testo passa all’altro
ramo del parlamento, questo vale sempre indipendentemente dalla forma della commissione se referente,
redigente o deliberante. Quando il testo viene approvato da un ramo del parlamento passa all’altro ramo
del parlamento. Non è ancora legge, è un progetto di legge approvato da un ramo del parlamento. Per
diventare legge serve che tutte e due le camere si esprimano sullo stesso testo, cioè approvino lo stesso
testo. Per esempio se tutto è iniziato alla camera, il testo arriva in senato. Per diventare legge perfetta
serve che il senato (partendo dal presupposto che ha gli stessi poteri della camera) approvi quel testo
arrivato uguale, ovvero senza modificarne nulla senza modificarne nemmeno una virgola. Se c’è
l’espressione prima della camera e poi del senato sul medesimo testo quello diventa legge. Non potrebbe
essere diversamente perché il nostro è un bicameralismo perfetto. Se non fosse così avremmo poteri
differenti invece sono poteri identici. Se il senato modifica il testo inviato dalla camera, il testo ritorna alla
camera la quale a sua volta può fare diverse cose: o modificare ancora una volta il testo o approvarlo come
glielo ha mandato il senato. Se lo approva come glielo ha mandato il senato diviene legge, se lo modifica
torna al senato→ questo procedimento si chiama "navette". Il testo fa la navetta fra i due rami del
parlamento fino a quando non c’è l’espressione sul medesimo testo, cambia una parola devi tornare
all’altra camera. C’è un limite (logico non costituzionale) max alla navette? Sì, la scadenza della legislatura.
La navette può andare avanti al massimo per 5 anni perché quando scade la legislatura si scioglie il
parlamento e l’effetto è che decadono tutti i progetti di legge. Non vanno nel cestino ma il nuovo
parlamento deve andare a ripescarli e iniziare tutto da capo. La costituzione, che è stata scritta non da
persone qualunque, ci ha anche detto qual è la sua preferenza tra le tre diverse vesti che può assumere la
commissione. La preferenza è sicuramente la commissione in sede referente in quanto più democratica.
Tanto è vero che in costituzione sono espressamente previste delle materie nelle quali non si può andare in
commissione deliberante, ci sono delle materie che per costituzione sono sottoposte alla riserva di
assemblea, solo l’aula può approvare leggi in quella materia, mai una commissione.
Quali sono queste materie?
- Le leggi di modifica della costituzione. La costituzione non può essere modificata da 40 persone ma deve
essere modificata da 630, esattamente al senato non possono essere 20 ma devono essere 315. (la
costituzione in realtà non dice leggi di revisioni costituzionali ma dice leggi in materia costituzionale, ma
diciamo che si interpreta in modo molto ampio).
- Le leggi di bilancio e le leggi elettorali vanno sempre in assemblea.
- Leggi di delega legislativa cioè quelle leggi con le quali il parlamento delega al governo la funzione
legislativa.
- Leggi in materia di trattati internazionali, anche queste per una questione sostanziale. La collocazione
dell’Italia nello scenario internazionale non può essere decisa da 40 persone, è meglio che sia decisa da 630
persone. Si valorizza la collegialità. In ogni caso per aumentare il grado di democraticità non solo si prevede
che in queste materie valga la riserva di assemblea ma si dice che si può passare dalla commissione
deliberante ma anche da quella redigente, quindi dai due modi di commissioni più spediti cioè dove si
lavora in meno e quindi si dovrebbe arrivare prima all’accordo, a quella referente quando lo chiede il
governo o 1/10 dei componenti della camera o 1/5 dei componenti della commissione. Se il governo, 1/10
del senato/camera e 1/5 della commissione decidono che si deve andare in aula, si deve andare in aula. Si
sposta il disegno di legge. Questo avviene perché magari inizialmente le opinioni politiche intorno ad un
progetto di legge sono tutto sommato abbastanza simili. Ad un certo punto però l’accordo inziale inizia a
saltare ma non solo perché l’opposizione è contraria ma spesso accade che dentro la stessa maggioranza ci
siano delle diversità, a quel punto “salta” l’accordo inziale e non ha più senso la commissione deliberante. Il
governo chiede di spostare il problema all’aula, oppure le minoranze in parlamento 1/10 della camera
oppure 1/5 della commissione. Torniamo a discutere come se fosse una normalissima legge proposta in
commissione referente.
Prima del 94 la stra grande maggioranza delle leggi era approvata in commissione deliberante (in
commissione deliberante tu vai e approvi solo se riesci ad arrivare al compromesso, altrimenti l’opposizione
di un secondo sposta e va in aula).
La fase della decisione si chiude quando entrambi i rami del parlamento approvano nello stesso testo allora
quella diviene legge. Si dice la legge è “perfetta”.
La votazione finale avviene per costituzione in due modi. Funziona così progetto di legge→ emendamenti
(si approvano o si respingono) quando hai fatto tutto ciò si ha→ il pacchetto finito. Il pacchetto finito si
approva in due modi:
1. Articolo per articolo: se è approvato dalla maggioranza dei voti espressi quindi dalla maggioranza relativa
salvo previsione diversa, c’è una seconda votazione cioè la legge nel suo complesso. Quindi due voti, uno
per ogni articolo e uno per la legge nel suo complesso. Si conclude la fase della decisione con la legge
“perfetta, si dice legge “perfetta” perché il popolo tramite il parlamento si è espresso. Quello che deve
esserci per avere una democrazia rappresentativa è stato fatto. Il popolo elegge i suoi parlamentari, i quali
dentro alla cornice costituzionale approvano la legge. La legge è perfetta, non manca niente alla perfezione
della legge. La legge quindi esiste. Gli altri due passaggi non riguardano né la fase della perfezione della
legge e né la fase dell’esistenza della legge, ma riguardano la fase dell’efficacia della legge. Perché noi con
la decisone abbiamo una legge perfetta ma non abbiamo ancora una legge efficace. Non è ancora in vigore,
nessun giudice può applicare una legge approvata dal parlamento e basta.

3. la terza fase riguarda la fase della promulgazione. Per costituzione spetta al Presidente della Repubblica
promulgare la legge approvata dal parlamento. La costituzione dice che il PdR ha un mese di tempo per
promulgare la legge. In questo mese di tempo il PdR può con un messaggio motivato, controfirmato dal
governo, rinviare alle camere la legge, non la promulga ma la rinvia al parlamento. La costituzione prevede
solo una garanzia procedurale cioè i 30 giorni, al 35esimo giorno il PdR non può più rinviare ma è obbligato
a promulgare. Tuttavia la costituzione non prevede nessun tipo di limite sostanziale in base al quale il PdR
può rinviare una legge, l’unica cosa che la costituzione obbliga è che lo deve fare con un messaggio
motivato, cioè prende carta e penna e scrive al parlamento perché ritiene che quella legge non possa
essere promulgata. Questo significa che il PdR può rinviare una legge quando vuole, basta che scriva perché
lo fa. La costituzione prevedendo il messaggio motivato non obbliga nel merito il presidente, è lui che
decide quando rinviare una legge, ma lo obbliga ad usare argomenti razionali, scrivibili e controvertibili. La
motivazione obbliga ad essere persuasivi. La realtà del rinvio delle leggi è una realtà abbastanza complicata.
Non ci sono stati tantissimi rinvii della legge, ed è un bene perché noi eleggiamo il parlamento e non il PdR.
Da Einaudi a Mattarella, i nostri presidenti hanno rinviato in totale 61 leggi con una media di 7/8 leggi a
testa quindi in 7 anni 1 legge all’anno. Considerando la produzione legislativa super quantitativa del nostro
parlamento non è tanto. 61 è il numero complessivo ma ci sono stati usi completamente differenti. Luigi
Einaudi, il primo presidente della Repubblica, dal 48 al 55 rinviò 4 leggi. Il secondo presidente della
Repubblica, Giovanni Gronchi, dal 55 al 62 ne rinviò 3. Terzo presidente della repubblica, Antonio Segni, dal
62 al 64 (gli è venuto un ictus al quirinale) ne ha rinviate 6. Francesco Cossiga è stato in carica dopo Sandro
Pertini quindi dall’85 al 92, ha rinviato 20 leggi. Quindi 1/3 del totale sono state rinviate dal solo Cossiga.
Esiste solo il potere di rinvio delle leggi in capo al PdR per poter influire sulla legislazione? Assolutamente
no. Einaudi per esempio scriveva lettere (non c’era ancora la televisione).
Nessun presidente si è mai rinchiuso al quirinale distaccandosi dalla vita politica, partitica quotidiana del
paese. Ma se non lo hanno fatto con il potere di rinvio delle leggi con cosa lo hanno fatto? Con il potere di
esternazione (non previsto dalla costituzione e utilizzato subito dopo Einaudi, Gronchi fu il primo): cioè il
prendere posizione, da parte del PdR, su problemi della vita politica del paese. Prima della discussione
parlamentare, durante l’approvazione parlamentare e dopo la promulgazione della legge. Da Gronchi in
avanti il PdR non se ne è mai stato zitto rispetto ai problemi del paese, dipendendo ovviamente dal
carattere della singola persona, dalla sua incisività. Ma da Gronchi in avanti, tutti i presidenti hanno cercato
di mettere insieme il potere formale di rinvio, usato poco, con un altro potere cioè quello di esternazione.
Esternare vuol dire mandare dei segnali che all’apparenza sembrano distaccati ma possono influire, anche
di molto, sullo sviluppo del procedimento legislativo. È un avvertimento.

A questo punto le Camere, salvo l’ipotesi estrema delle decisioni di accantonare il disegno di legge, hanno
sostanzialmente due possibilità: in primo luogo riapprovare l’atto accogliendo i rilievi presidenziali; in
alternativa, lasciare inalterato il testo rispetto alla prima deliberazione, non condividendo le considerazioni
del Capo dello Stato. In entrambi i casi il procedimento seguito deve essere quello “ordinario”. La seconda
approvazione del disegno di legge da parte delle camere, con o senza modifiche, fa insorgere l’obbligo per il
PdR di promulgare la legge.

4. L’ultima fase del procedimento legislativo è la pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale a cura del
Ministro della Giustizia. Una volta pubblicata la legge non solo è perfetta ma è anche efficace. Nessuno può
dire di non essere a conoscenza di quella legge.
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA : RUOLO E POTERI
RUOLO
Il secondo organo dell’organizzazione costituzionale è presidente della repubblica, capo della stato.
Era ovvio che i costituenti non potessero prevedere come capo dello stato un re, erano infatti vincolati dalla
scelta fatta, il 2 giugno, a favore della repubblica. La scelta del 2 giugno non è una scelta soltanto a favore
del PdR rispetto al re, ma è una scelta che si porta dietro alcune caratteristiche proprie di un PdR che lo
distinguono da un monarca. Cosa distingue un presidente della repubblica da un re?

1. L’elettività: per avere un PdR dobbiamo prevedere un organo eletto perché se l’organo fosse lì per il
principio ereditario non potrebbe essere il presidente della repubblica. Nella monarchia diventa re il
principe figlio del re. Non potremmo noi avere un PdR introducendo il principio ereditario. È incompatibile.
Una volta scelta la carica elettiva abbiamo l'elezione diretta da parte dei cittadini e l'elezione indiretta da
parte del parlamento. I nostri costituenti scelsero la seconda strada, alcuni proposero la repubblica
presidenziale e quindi l’elezione diretta del PdR ma furono una minoranza che venne battuta soprattutto
grazie ad argomentazioni storico politiche ossia la paura di avere il capo dello stato eletto direttamente dai
cittadini cioè la paura di una deriva plebiscitaria, la paura di un ritorno sotto diverse spoglie del fascismo. Il
consenso che aveva mussolini spavento i costituenti che vollero evitare che finito Mussolini potesse
arrivare un'altra persona con un consenso elettorale vastissimo, eletto direttamente dai cittadini.

2. La durata prestabilita: il re per definizione sta in carica o fino a quando muore o fino a quando non lo
accoppano, non ci sono altre possibilità per cambiare un re con un altro. Legalmente non è possibile
cambiare un re, perché la sua durata non può che essere a tempo indeterminato. Come può l’uomo
modificare la volontà divina (origina divina)? L’uomo non può interrompere qualcosa voluto da dio. Il
presidente della repubblica per definizione non può che essere una carica dalla durata prestabilita. Vuol
dire che devi prevedere un inizio e una fine. I costituenti erano liberi di decidere quanto dovesse stare in
carica il presidente della repubblica, non erano vincolati da niente. L’unico vincolo era quello di prevedere
una scadenza. Subito si pose un problema: cosa fare alla rielezione. I costituenti scelsero 7 anni, il PdR dura
in carica 7 anni. Ma se il PdR viene rieletto diventano 14 anni, e se viene rieletto ancora una volta sono 21
anni e così via, diviene quasi un monarca. I costituenti decisero, per non mancare di rispetto al capo
provvisorio dello stato (durante i lavori dell’assemblea costituente il capo provvisorio dello stato era Enrico
de Nicola), di lasciare che a questo problema dessero una risposta i parlamenti della nostra repubblica. I
costituenti lasciamo che decida la politica. Nella nostra costituzione ci sono i 7 anni ma non c'è il divieto di
rielezione. Nella realtà a parte alcuni presidenti che chance di una seconda rielezioni non ne avevano
(Segni, Giovanni Leone, Cossiga) fuori da questi 3 casi eclatanti, in tutti gli altri casi i presidenti in carica ci
fecero un pensierino. La classe politica pensò, scaduto il settennato, di rieleggere i presidenti che erano lì in
carica. Il tema della rielezione è sempre stato un tema molto sentito. Storica come andò con Pertini, egli
divenne PdR a 78 anni, una volta finito il settennato aveva circa 86 anni, nonostante questo le voci per una
possibile rielezioni di Pertini circolarono. Intervistato da Oriana Fallaci alla domanda “senta presidente ma
se la rieleggono?” rispose “ah Oriana io resto in vigile attesa”. Il parlamento decise comunque di non
rieleggerlo perché la popolarità di Pertini era talmente alta che se i partiti politici avessero rieletto Pertini si
sarebbero scavati definitivamente la fossa, cosa che poi è arrivata con tangentopoli. Quindi Pertini 1
mandato. Finito il settennato di Ciampi si ricrea lo stesso problema. Cosa facciamo? Il primo ad avere l’idea
della rielezioni di Ciampi fu Gianfranco Fini, cioè una persona non appartenente all’area politica culturale di
Ciampi. Questo serve a far comprendere quanto fosse molto probabile la rielezione di Ciampi. In una lettera
Ciampi disse “vi ringrazio, ma oltre ad avere una certa età penso che il PdR per come designato dai nostri
costituenti dopo il primo mandato ha fatto il suo, sarebbe una troppo forte legittimazione politica che
andrebbe a mettere a repentaglio il parlamento, il governo e i partiti.” Seppe interpretare, non la
costituzione perché non c’è il divieto di rielezione, ma il senso complessivo dei lavori della costituente.
Arriva Napolitano, finisce il mandato e come per Ciampi si inizia a parlare della sua rielezione. Forte del
precedente di Ciampi, prende carta e penna e scrive ai partiti “ho una certa età e poi il PdR quando ha fatto
i 7 anni ha fatto il suo”. Nonostante questa sua dichiarazione, viene richiamato in parlamento (che all’epoca
era nei casini) e accetta la rielezione. Oltre al settennato ne fece altri due. Prima volta nella storia
costituzionale italiana, non fu mai sollevata la questione della costituzionalità della seconda rielezioni del
presidente, se il suo mandato fu criticato è stato per motivi politici e non costituzionali.
Negli stati uniti c’è un limite di due anni di mandato. Da noi invece la durata resta prestabilita da 0 a 7 anni,
cioè il PdR mentalmente svolge le sue funzioni sapendo che a 7 anni ha finito, e questo non è quello che fa
un re. Perché un re se diventa re a 20 anni può spalmare le sue azioni ma se hai a disposizione solo 7 non
puoi. Unica carica presente nel nostro ordinamento ad essere monocratica, quindi i poteri e le funzioni del
PdR sono quelle che ci sono scritte in costituzione ma essendo una carica monocratica come si utilizzano
quei poteri, come si usano quelle attribuzioni molto dipende dal carattere. Importantissima è quindi la
monocraticità della carica, che ha un rilievo fondamentale sulla questione rielezione.

3. La responsabilità: per definizione il re è irresponsabile, è dio in terra, non risponde a nulla perché è li per
il principio ereditario. Non è eletto da nessuno, non è un’istituzione democratica. (Nel UK il problema
repubblica o monarchia ogni tanto torna e ogni tanto va via. La monarchia non è democratica. È
democratico dare una serie di poteri a una persona che non ha alcun legame con il popolo?
Argomentazione che spesso salta fuor ma che viene messa a tacere perché la monarchia inglese è
fortemente voluta dal popolo perché c’è la storia delle colonie e poi la storia della residualità dei poteri in
casi eccezionali del re). Il presidente della repubblica esattamente al contrario deve essere responsabile. In
una democrazia tutti siamo responsabili. Da un lato molte attribuzione che erano del re traslarono al
presidente della repubblica. (Italia spaccata in due, rischio serissimo di guerra civile tra repubblicani e
monarchici) I primi 2 presidente della repubblica dopo il 25 aprile erano di dichiarata fede monarchica.
Tanto Enrico de Nicola, capo provvisorio dello stato, quanto il primo PdR eletto secondo la costituzione
Luigi Einaudi erano monarchici. Tanti poteri del re passano al PdR, l’unica cosa che non poteva passare era il
discorso sull’irresponsabilità. Passa un principio, preso tale e quale dallo statuto Albertino e inserito nella
costituzione repubblicana: tutti gli atti del presidente della repubblica per essere validi devono essere
controfirmati dai ministri art.89. questo vuol dire che non è il presidente della repubblica responsabile, ma
lo è il ministro che controfirma l’atto del presidente della repubblica. Perché questo principio di base? Il
cittadino italiano elegge il parlamento mentre il governo per stare in carica deve avere la fiducia del
parlamento. Anche se il presidente della repubblica è eletto dal parlamento e quindi ha una base di
legittimazione indiretta prevale la logica del parlamentarismo, il PdR può decidere di prendere un atto ma
non è lui che può essere chiamato responsabile perché è la sua responsabilità passata in capo al ministro
che controfirma. Il ministro diventa responsabile di fronte al parlamento, che può sfiduciare il governo. Pur
in casi eccezionali noi abbiamo in costituzione la responsabilità del PdR. Il presidente della repubblica è
responsabile per alto tradimento e attentato alla costituzione. In questi due casi che certo sono eccezionali,
ma sono previsti, dimostrano che noi siamo una repubblica con un PdR democratico perché in questi due
casi è lui responsabile. L’attentato alla costituzione ci dimostra quanto è importante l’art. 1 della
costituzione, nessuno è sovrano assoluto, non esitano i pieni poteri nemmeno per il capo dello stato perché
se fa qualcosa lui sa che nonostante l’esistenza della controfirma ministeriale può essere chiamato a
rispondere per attentato alla costituzione (comportamenti particolarmente gravi, non c'è scritto da nessuno
parte. Chi è che lo decide? Colui che può mettere in stato d’accusa il PdR, ovvero lo stesso organo che
elegge il PdR →il parlamento in seduta comune. Quest’ultimo sarà poi giudicato dalla corte costituzionale).
(Con Cossiga si era arrivati molto vicini alla messa in stato d’accusa perché tutto sommato Cossiga aveva un
po’ ecceduto rinviando da solo 23 proposte di leggi, ma non ha mai violato la costituzione perché ha
sempre motivato le sue scelte, anche lo scioglimento del parlamento era stato voluto dai partiti, ma allora
perché si arrivo vicini alla messa in stato d’accusa? Messa in stato d’accusa votata da tutte le sinistre ma
buona parte della DC, cioè il partito di Cossiga, ormai era favorevole alle dimissione. Cossiga, soprattutto
negli ultimi due anni con la caduta del muro di Berlino, iniziò a prendere a male parole tutti quanti).
L’attentato alla costituzione non è un errore che noi imputiamo al PdR perché ha interpretato male la
costituzione, il PdR è un essere umano che può sbagliare. Il presidente della repubblica ha il diritto di
parlare, ha il diritto di criticare i provvedimenti della maggioranza, ha il diritto di criticare l’opposizione, e ha
anche il diritto di tenere insieme questo paese per come la intende la visione generale di questo paese. Il
PdR dovrebbe promuovere il bene degli italiani, non il bene di questo o di quel partito, e questo è quello
che fanno più o meno tutti quanti tranne Cossiga. Ad un certo momento ha iniziato ad esternare non
curandosi di una sorta di equilibrio o di potere che tende al bene generale perché ha preso di mira
politicamente e partiticamente precise persone. Aveva in mente di sfasciare il sistema perché aveva in
mente di riformare la costituzione in chiave presidenzialista. Si arrivo ad un soffio dalla messa in stato
d’accusa di Cossiga, come disse Napolitano Cossiga non violò alcuna norma della costituzione ma, andò
oltre al senso della misura. La caratteristica generale, che non troviamo nella costituzione ma la possiamo
comunque ricavare dai vari articoli, è che il PdR fa politica ma deve stare km lontano dalla politica partitica.
Morale della favola: non si votò l’attentato alla costituzione, finiti i 7 anni Cossiga usci dal quirinale e fondò
un partito politico, a dimostrazione che lui al quirinale aveva fatto politica partitica non per il bene dell’Italia
ma per il suo bene.

POTERI
La carica del PdR è sicuramente quella più difficile da inquadrare e la più sfuggente nel nostro ordinamento
perché il suo ruolo concreto dipende da aspetti non facilmente inquadrabili da un punto di vista giuridico
per esempio: il carattere della persona che ricopre l’ufficio, il sistema politico. In base a come è strutturato
il sistema politico e partitico possiamo avere un ruolo del presidente più o meno incisivo. La regola generale
secondo la quale quando vi è una forte maggioranza parlamentare, quando vi è un sistema politico ben
delineato nei suoi tratti, ovvero una chiara maggioranza e una chiara opposizione, il ruolo del PdR è
destinato ad essere un po’ invasivo. Più il sistema politico e partitico è frammentato più invece il PdR è
destinato ad intervenire. Quando c’è una crisi il PdR svolge un ruolo rilevantissimo, quando invece il
sistema va avanti senza crisi il PdR ha un ruolo “meno” politicamente incisivo ma più in generale garante
degli equilibri del sistema e della costituzione. È una regola generale, ma come tutte le regole generali nel
diritto costituzionale non equivale a una regola matematica, potrebbe anche non andare in questo modo.
Infatti in molte occasioni, pur in presenza di un sistema politico abbastanza stabile il PdR non ha fatto
mancare il suo intervento. Il ruolo del quirinale è un ruolo fondamentale.

ELEZIONE
I costituenti avevano diverse opportunità dinanzi a se’. L’opzione seppur discussa dell’elezione diretta da
parte dei cittadini fu accantonata per il timore di sovraesporre politicamente il capo dello stato. È sempre
una ragione storico-politica. Dopo il 20ennio che è iniziato su un appoggio larghissimo da parte della
popolazione, i nostri costituenti vollero evitare anche per il PdR una sorta di deriva plebiscitaria, un troppo
accentramento di poteri in un unica persona, derivante dall’elezione diretta. Tuttavia scartata l’elezione
diretta le possibilità erano differenti. Nel testo della costituzione: il presidente è eletto dal parlamento in
seduta comune perché è un organo formato dall'insieme di deputati e di senatori. Vuol dire che la base
dell'elezione del presidente è particolarmente ampia (630+315). Il PdR, oltre ad essere capo dello Stato, è
anche il rappresentante delle unità nazionale, i costituenti individuarono nell'unità nazionale non soltanto
un concetto riguardante l’unità politica della nazione ma anche l’unità territoriale. Al Quirinale ci deve
essere un organo che guarda anche alla questione dell’unità nazionale da un punto di vista territoriale. È
importante perché il parlamento in seduta comune, solo quando si tratta di eleggere il presidente della
repubblica, viene ulteriormente allargato perché a quell’organo partecipano 3 delegati eletti da tutte le
regioni italiane tranne 1 per la Valle d'Aosta. Questo vuol dire che il parlamento in seduta comune quando
deve eleggere il PdR è formato dai deputati, dai senatori e dai delegati delle regione. Anche le regione
partecipano alle elezioni del PdR che ha il compito di rappresentare l’unita nazionale.
Come avviene la votazione? Avviene a scrutinio segreto per evitare battaglie politiche sulla persona, mentre
la battaglia politica ci deve essere sul senso del PdR, cioè su quello che si vuole dal PdR. Il progressivo
allargamento della base, del bacino dal quale si elegge il PdR, è sicuramente rispettato anche se noi
guardiamo le votazioni, cioè il numero di voti che servono per essere eletto PdR. Il bacino è molto ampio
(630 deputati, 315 senatori, senatori a vita e 3 delegati per ogni regione), e molto ampia è anche la
maggioranza richiesta. Nei primi 3 scrutini è letto PdR colui che ottiene i 2/3 dei voti di questo amplissimo
consenso. Perché una maggioranza così ampia? L’aspirazione dei nostri costituenti è quella in base alla
quale essendo il presidente rappresentate dell’unita nazionale in senso politico, il presidente meglio se
rappresenta tutte le visioni politiche presenti in parlamento. Se nessuna persona ottiene i 2/3 nei primi tre
scrutini non può essere eletta PdR → ricerca dell’ampio consenso. La visione dei costituenti è: non
mettiamo un presidente di parte ma mettiamo un presidente che vada bene a tutti o quanto meno ai 2/3
del parlamento. Questa precisazione costituzionale è fondamentale perché i costituenti volevano evitare un
presidente rappresentativo della sola maggioranza di governo. Per avere un governo in Italia serve la
maggioranza relativa in parlamento, quindi è sufficiente la maggioranza relativa. Se i costituenti non
avessero previsto, nei primi tre scrutini, la maggioranza dei 2/3 il risultato sarebbe potuto essere l’elezione
da parte della maggioranza che da la fiducia al governo anche di un presidente, senza necessità
costituzionale di consultarsi con gli altri perché tanto bastano i voti che servono per dare la fiducia al
governo. Se non si raggiungono i 2/3 nei primi tre scrutini? Dal 4 scrutinio in avanti scende la maggioranza
dai 2/3 alla maggioranza assoluta, è una maggioranza più ampia di quella relativa perché quella assoluta e il
50%+1 di 1000, mentre la maggioranza relativa può anche non essere la maggioranza assoluta. Ancora una
volta per distaccare il PdR dalla maggioranza di governo. Il PdR, rappresentante dell’unità nazionale, non
dovrebbe mai essere il rappresentante della maggioranza di governo.
Alcuni dicono che il momento dell’elezione del PdR è la massima dislocazione politica dei partiti nel nostro
ordinamento. Non c’è una regola nella prassi che possiamo intravedere. La prassi cambia ad ogni elezione.
Ci sono alcuni PdR eletti al 1imo scrutinio e ce ne sono altri eletti dopo il 16imo.
Per esempio:
Ciampi: eletto nei primi 3 scrutini, ha finito per non scontentare nessuno. Ha fatto quello che doveva fare il
PdR.
Cossiga: eletto con i 2/3, ma a fine mandato ha scontentato tutti.
Pertini: eletto al 16imo scrutinio, ci hanno messo tanto ma il parlamento ha dato quasi una maggioranza
plebiscitaria l’84%. Nonostante questo divenne il presidente più amato dagli italiani. (il record fu Leone 23)
(Funerali di Berlinguer(leader dei comunisti) - siamo nell’84: sono nel nostro paese forse il primo evento
politico, trasmesso alla televisione, con una partecipazione popolare incredibile. In tanti sostengono che i
funerali segnano un momento di svolta anche nella comunicazione politica. Ad un certo punto, a Roma,
prende parola Nilda Iotti (comunista) e dopo aver ricordato la figura di Berlinguer ringrazia il presidente
Pertini (che aveva preso l’aereo di stato ed era andato in ospedale a visitare Berlinguer). Pertini inizia a
piangere. Cosa vuol dire? Pertini ha fatto quello che ha fatto al quirinale in modo eccellente perché non si è
curato delle questioni partitiche. Craxi gli rimprovera il comportamento dicendo che il comunisti avrebbero
preso più voti alle prossime elezione ma lui risponde a Craxi dicendogli “vai a Verona e buttati giù dal
balcone”. Se tu mi vieni a dire che il mio comportamento favorisce un partito politico, io ti dico che non mi
interessa perché non faccio calcoli politici. il partito comunista si rafforza per la mia vicinanza al leader
appena morto, pazienza. Ma Berlinguer merita che il rappresentante dell’unita nazionale, Pertini, esprime
vicinanza).
Ovviamente sia Ciampi che Pertini sbagliarono. Per esempio Ciampi rinviò, non poche, delle leggi “ad
personam” volute dal governo di centro destra. Ad un certo punto decise di non fare un doppio rinvio di
una riforma voluta dal centro destra, perché secondo lui il PdR poteva rinviare solo una volta. Da un punto
di vita costituzionale l’opinione di Ciampi è criticabile. Quindi ci sono dei momenti in tutte le presidenze
non pienamente “conformi” a costituzione. Anche per Pertini vale lo stesso, ad un certo punto un ragazzino
e la madre vessati da anni e anni di soprusi da parte del padre che picchiava entrambi, succede che di
fronte alle ennesime violenze del padre nei confronti della madre il bambino uccide il padre. In questi casi si
inizia un processo. Ancor prima dello sviluppo del processo Pertini rilasciò una dichiarazione “io comunque
vada se il bambino risulterà condannato grazierò il bambino”. Il PdR certo può esprimere le sue
considerazioni su un fatto di gravissima rilevanza però dire dal quirinale, a processo in corso, che comunque
vada lui ha già firmato la grazia per il bambino viola la separazione dei poteri. C’è il giudice che decide, tu
hai il potere di grazia* va bene , ma dirlo prima che ci sia il processo o durante il processo, obbiettivamente,
è un po’ invadere il campo riservato alla giurisdizione.
*il PdR ha il potere di grazia, un provvedimento di clemenza individuale, ha origine monarchiche, veniva
usato addirittura nell’antica Roma. Dietro alla grazie possono esserci ragioni umanitarie o politiche.
Il presidente Mattarella non ha iniziato il suo mandato in un sistema lacerato. Va anche detto che
l’eccessiva cautela del Presidente Mattarella ,al di la della caratteristica personale della persona che
comunque pesa , carica monocratica quindi se una persona è Mattarella e non Pertini il ruolo del presidente
ne risente, va vista nell’assenza di un’opposizione. Se Napolitano è stato un presidente particolarmente
interventista lo ha fatto perché aveva dalla sua parte un partito d’opposizione che lo sosteneva.
L’interventismo di Napolitano aveva una sponda, non costituzionale ma, materiale in un opposizione che lo
sosteneva e in un popolo che in un modo o nell’altro era partecipe di una posizione contro maggioritaria
del PdR, cioè che sta li per limitare le derive della maggioranza di governo. La cautela di Mattarella non
deriva solo dalla questione della personalità, ma dipende anche da un completo vuoto esistente in termini
di opposizione.

Una volta eletto il PdR, per costituzione, giura fedeltà alla repubblica e giura di osservare la costituzione. Il
giuramento avviene dinanzi al parlamento in seduta comune senza i delegati regionali. Il giuramento è
importante non tanto perché in tutti i discorsi di insediamento il quirinale ha tracciato un po’ secondo la
versione di ognuno quali sono i problemi dell’Italia e come lui interpreterà il ruolo presidenziale, ma perché
da un punto di vista più costituzionale e concreto il giuramento è importante perché da quel momento
ufficialmente la persona entra nella carica. Il giuramento non ha solo un’importanza simbolica perché se
domani il parlamento in seduta comune elegge uno che non vuole fare il PdR, non giura.

Chi può essere eletto PdR?


Dice la costituzione Ogni cittadino italiano che abbia superato i 50 anni di età, e che goda dei diritti civili e
politici. Ci sono due cose da sottolineare. Primo i 50 anni di età, 50 anni nel 1948 sono i nostri 70, perché i
15 anni di allora sono i 30 di oggi. Il messaggio è l’età come garanzia che al quirinale ci vada una persona di
una qualche esperienza politica, che nella vita abbia avuto il tempo per fare tutta una serie di esperienze
politiche, giuridiche e economiche ecc. Per essere coerenti forse sarebbe il caso di alzare questa soglia.
Seconda specificazione: ogni cittadino italiano. Se è vero che nella maggior parte dei casi i costituenti
conoscevano un’Italia fatta da Italia, un’Italia dalla quale gli italiani andavano via, è anche vero che i
costituenti non scrissero in costituzione il requisito della cittadinanza italiana per nascita. Questo vuol dire
che può essere eletto PdR qualunque cittadino italiano, in qualunque modo abbia acquistato la cittadinanza
italiana quindi anche non per nascita. Per essere eletto Presidente degli USA devi essere cittadino
americano per nascita.

Quando dura in carica il PdR?


Dal momento del giuramento 7 anni. Una durata particolarmente lunga. 7 anni vuol dire, per costituzione,
più del parlamento (5 anni). Vuol dire che ad un certo momento si sgancia il parlamento che ha eletto il
presidente dal presidente stesso perché cambia il parlamento. Non è la carica dalla più lunga durata perché
durano più del presidente solo i giudici costituzionali (9 anni). PdR e corte costituzionale hanno funzioni
abbastanza simili se noi li guardiamo da un punto di vista di garanzia della costituzione. Il PdR ha una
garanzia politica della costituzione, è il garante politico della costituzione. La corte costituzionale è invece il
garante giuridico della costituzione. I giudici costituzionali non sono rieleggibili mentre il presidente si. Se
sei eletto e giuri devi fare il PdR.
Nel caso di impedimento del PdR esiste l’istituto della supplenza, il presidente del senato supplisce il PdR
quando non è in grado di adempire alle sue funzioni temporaneamente. Presidente del senato e non della
camera perché quello della camera è il presidente del Parlamento in seduta comune. Quindi per bilanciare
è stato dato il ruolo di supplente al presidente del senato. Se il PdR va in visita ufficiale all’estero, e la visita
dura qualche giorno, le funzioni del PdR vengono attribuite al presidente del senato per il periodo
necessario, il quale dovrebbe compiere atti di ordinaria amministrazione. Ci deve essere comunque una
collaborazione tra il capo dello Stato all’estero e il supplente in carica. Maggiori complessità si creano nel
caso di impedimento permanente e nel caso in cui non è chiaro se l’impedimento sia temporaneo o
permanente. Se la malattia è talmente invalidante che il presidente non è in grado di dare le dimissioni e
non si capisce se è in grado di riprendersi bisognerebbe dichiarare l’impedimento assoluto-permanente che
in questo caso vale come dimissione. In costituzione non c’è però scritto chi deve firmare l’impedimento
assoluto e quindi sarà la prassi a risolvere il problema.

ATTRIBUZIONI DEL PDR


La contro firma ministeriale (art. 89 della costituzione). Nessun atto del PdR è valido se non è controfirmato
dal ministro che se ne assume la responsabilità. In base all’istituto della controfirma ministeriale si è soliti
distinguere (e lo ha fatto anche la corte costituzionale) 3 tipi di atti del PdR, 3 tipi di funzioni, 3 tipi di poteri
del PdR. Ci sono atti formalmente è sostanzialmente presidenziali, ci sono atti formalmente presidenziali e
sostanzialmente governativi e infine ci sono atti complessi. In base a cosa si passa da una categoria all’altra?
In base al valore della controfirma ministeriale.

1. atti formalmente presidenziale e sostanzialmente presidenziali: la contro firma ministeriale lascia intatto
il potere in capo al PdR, cioè il ministro che controfirma l’atto non se ne assume la responsabilità che
rimane in capo al PdR. La controfirma del ministro in questa prima categoria serve solo per dare una
valenza formale all’atto, che se non è controfirmato non è valido ma non interviene il ministro e quindi il
governo da un punto di vista sostanziale.
Per ex. A chi spetta la nomina del senatore a vita? Al PdR. L’atto con il quale il PdR nomina i senatori a vita è
un atto presidenziale. Come tutti gli atti presidenziali per essere valido deve essere controfirmato dal
ministro. Nel caso di specie la controfirma serve solo per dare una validità formale alla nomina ma non
serve per spostare la competenza che rimane al PdR.
Per ex. Chi nomina 5 giudici della corte costituzionale? Il PdR. Il ministro non può fare altro che
controfirmare gli atti con i quali il PdR nomina i giudici costituzionale. Se potesse fare altro noi avremmo un
potere che trasla dal presidente al governo. Se domani Mattarella dice “nomino tizio alla corte
costituzionale” e il governo dice “no, questo qua non va bene non ti controfirmo l’atto” starebbe facendo
una cosa contraria alla costituzione perché formalmente è vero il governo controfirma gli atti del PdR ma ci
sono alcuni atti che sempre per costituzione devono essere decisi dal PdR, non dal governo. Nel caso della
corte costituzionale perché si vuole evitare che il governo partecipi alla formazione dei giudici della corte
costituzionale, che deve essere una competenza del presidente.

2. atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi: in questi casi la responsabilità del potere
trasla dal PdR al governo. Sono atti che formalmente sono presidenziali ma sostanzialmente sono decisi dal
governo.
Per ex. La costituzione dice che le lezioni sono indette dal PdR. Formalmente è il PdR che indice le elezioni
ma sostanzialmente la data delle elezioni è stabilità dal governo. In particolare dal ministro degli interni
perché ha a disposizione la macchina amministrativa che serve per fare le elezioni.
3. atti complessi: atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente frutto di un accordo.

1. atti formalmente presidenziale e sostanzialmente presidenziali: le nomine dei giudici costituzionali e dei
senatori a vita spettano al PdR, è una sua attribuzione, decide lui chi nominare rispettando ovviamente la
costituzione. Per esempio per quanto riguarda i giudici costituzionali può nominare professori ordinari in
materie giuridiche, il PdR non può nominare un professore associato alla corte costituzionale deve
nominare un professore ordinario. Una volta che rispetta la costituzione spetta a lui decidere chi nominare,
non spetta al governo. Stessa cosa vale per i senatori a vita, deve rispettare la costituzione. La costituzione
dice colore che hanno ricoperto altissimi incarichi nel campo sociale, economico e politico possono essere
scelti. Sarà poi il PdR a decidere. Di solito non ci sono, non a caso, mai problemi perché il governo accetta le
scelte del presidente. È suo il potere, il governo controfirma e sta zitto. Che senso ha allora la controfirma
ministeriale? Ha senso perché se al quirinale impazziscono noi non possiamo subire gli impazzamenti di un
uomo. Lo stato di diritto è il governo delle leggi, non degli uomini. Governo della costituzione. La
costituzione prevede i casi in cui dal quirinale si impazzisce, se si nomina giudice della corte costituzionale
un dottorando, probabilmente al quirinale si è impazziti, ecco la costituzione ha un limite perché governano
le leggi non gli uomini. La controfirma in quel caso la neghi perché l’atto del quirinale è contrario alla
costituzione quindi io non ti metto la controfirma, e quindi quell’atto non è valido perché per essere valido
deve essere controfirmato. Stessa cosa vale per i senatori a vita, anche se qui il campo è molto più ampio
perché i requisiti sono molto più discrezionali. Nel caso di nomine di senatori a vita difficilmente il governo
nega la controfirma, ma questo non vuol dire che non le possa criticare. Sostanzialmente decide il PdR,
sostanzialmente lo spazio lasciato dalla costituzione è molto ampio “altissimi meriti” però ancora una volta
si dovrebbe guardare al ruolo più generale del PdR per valutare le nomine dei senatori a vita. La
costituzione dice che il PdR può nominare 5 senatori a vita. Ma c’è un dilemma, cosa vuol dire 5 senatori a
vita? 5 ogni presidente (senso estensivo) oppure possono esistere al max 5 senatori a vita(senso
restrittivo)? Dilemma risolto fino a Sandro Pertini nel senso dell’interpretazione restrittiva, 5 come numero
max perché obbiettivamente il senatore a vita vota come ogni altro senatore e quindi è meglio andarci
piano perché non è eletto dai cittadini. Arriva Pertini e cambia la prassi, la costituzione ammette entrambe
le possibilità, e nomina 5 senatori a vita. Cossiga, dopo Pertini, fa lo stesso però Pertini nomina 5 senatori a
vita in 5 anni invece Cossiga lo fa ma in 1 mese tra cui Andreotti.
Un altro atto formalmente e sostanzialmente presidenziale, quindi un’altra attribuzione è il potere di
messaggio. Uno l’abbiamo già visto ed è il messaggio di rinvio delle leggi, il presidente della repubblica
prima di promulgare una legge può con messaggio motivato rinviare quella legge al parlamento. È un atto
formalmente e sostanzialmente presidenziale, non c’è dubbio, perché se fosse il governo a decidere il rinvio
avremmo un controllore che è lo stesso del controllato. La legge l’approva la maggioranza in parlamento, la
maggioranza che sostiene il governo. Chi controlla quella legge non può essere colui che ha approvato
quella legge sennò che controllo è!? Ecco perché è un potere formalmente e sostanzialmente presidenziale.
La stessa cosa vale per l’altro potere di messaggio. Il PdR ha il potere di inviare quando vuole, per
qualunque motivo, un messaggio al parlamento → si chiama "messaggio libero", nel quale dice ciò che
vuole al parlamento. Non è molto utilizzato, al giorno d’oggi il PdR preferisce usare il sito del quirinale, fb o
tw.

2. atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi : sono tutti quegli atti che pur essendo
adottati dal PdR sono decisi sostanzialmente dal governo. Per esempio l’indizione delle elezione, l’indizione
del referendum, la nomina dei rappresentanti diplomatici italiani. Cioè tutti quei poteri tipicamente
dell’esecutivo che ancorché approvati con decreto del PdR sono sostanziamele in capo al governo. Come il
governo non mette il becco in quelli sostanzialmente presidenziali così il PdR non mette il becco sulle
nomine del governo. Per esempio bisogna decidere il nuovo capo generale dell’arma dei carabinieri,
bisogna decidere il nuovo capo dell’aeronautica, bisogna decidere il nuovo capo della protezione civile
decide il governo, poi formalmente la nomina avviene con decreto del PdR.
3. atti complessi, cioè formalmente presidenziali ma sostanzialmente sono frutto di un accordo tra
presidente e governo. In particolare questi due atti sono quelli più discussi e più discutibili, e sono: la
nomina del presidente del consiglio e dei ministri (su proposta di quest’ultimo), nonché l’atto più
importante da un punto di vista costituzionale, e politicamente più pesante lo scioglimento delle camere.
Che sia l’atto più politicamente rilevante del PdR è fuori discussione perché sciogliere le camere vuol dire
rimandare 50 milioni di elettori al voto. Per costituzione il PdR sul potere di scioglimento ha solo dei limiti
attenutati: è un potere che non può esercitare negli ultimi 6 mesi del suo mandato. Ha un limite temporale
non può quindi sciogliere le camere negli ultimi 6 mesi del settennato. Perché ? perché se capisce che quel
parlamento non lo vuole rieleggere e lui vuole essere rieletto, lo potrebbe scogliere. Una nuova
composizione parlamentare potrebbe garantire a lui l’idea di essere rieletto. Quindi i costituenti dissero no
negli ultimi 6 mesi, ovvero nel momento in cui si fanno questi ragionamenti sul cosa fare dopo. Il secondo
limite è un limite procedurale, il PdR prima di sciogliere le camere ha l’obbligo di consultare il presidente
della camera e del senato, i quali hanno un potere di parere, ovvero danno un parere obbligatorio ma non
vincolante. Questo potere di scioglimento è complicato perché in una forma di governo parlamentare la
sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme della costituzione. In una forma di
governo parlamentare quando si procede allo scioglimento del parlamento? Quando il parlamento decide
di sfiduciare il governo, quest’ultimo si dimette e spetta poi al parlamento decidere cosa fare. Se il
parlamento vuole provare con un'altra persona come presidente del consiglio, il PdR per costituzione non
può sciogliere le camere perché è una forma di governo parlamentare. In una forma di governo
parlamentare si scioglie il parlamento solo quando non è più in grado di dare alcuna maggioranza a nessun
governo. È l’ultima possibilità non la prima. (se si dimette il governo il PdR non ha solo una possibilità, cioè
quella di sciogliere il parlamento. È una delle possibilità, è l’ultima possibilità perché non ha senso che un
PdR sciolga un parlamento che è in grado di dare la maggioranza ad un nuovo governo. Ci sono stati nella
realtà alcuni momenti complicati, in particolare uno. Il caso di Scalfaro, PdR, quando sciolse le camere nel
’93 appena prima del primo governo di Berlusconi, perché allora c’era il governo Ciampi che non aveva
grossi problemi di tenuta della maggioranza, andava avanti tranquillamente. Scalfaro convocò Ciampi e
disse io voglio sciogliere Ciampi non disse nulla. Perché Scalfaro volle sciogliere il parlamento? Per due
motivi. Primo perché era cambiata la legge elettorale. Secondo perché allora era il parlamento degli
inquisiti, 1/3 del parlamento italiano era inquisito, siamo a Tangentopoli. Quindi Scalfaro decise di sciogliere
anche se tutto sommato la maggioranza che sosteneva Ciampi non era particolarmente complicata. Ciampi
accettò. Cosa poteva fare Ciampi? Una sola cosa. Rifiutarsi di controfirmare il decreto presidenziale di
sciogliemmo. A quel punto sarebbe diventano un casino assoluto. In questo caso la soluzione giuridica è
quella di appellarsi alla corte costituzionale. Abbiamo quindi un conflitto di attribuzione dei poteri rivolto
alla corte costituzionale. Chiedo alla corte costituzionale a chi spetta il potere di sciogliere le camere, o al
presidente o al governo quando non c’è accordo).
GOVERNO
ORGANIZZAZIONE, COMPOSIZIONE E RUOLO GENERALE DEL GOVERNO
L’atteggiamento dei costituenti nei confronti dell’organo governo, un atteggiamento non solo cauto ma
anche quasi sospettoso, dimostrato da una cosa facilmente comprensibile. Nella nostra costituzione riferiti
al governo ci sono solo 5 articoli (dall’articolo 92 all’articolo 96). Ritorna quanto abbiamo detto rispetto ad
un atteggiamento dei costituenti non solo cauto ma anche quasi timoroso. In ogni caso i nostri costituenti
sicuramente erano consapevoli di una cosa cioè che è importante da un punto di vista costituzionale. Alcuni
sottolineano, giustamente, che il governo tra tutti gli organi costituzionali è veramente l’unico organo
indispensabile. Organo indispensabile vuol dire che tu per avere uno stato in linea teorica potresti anche
non avere il capo dello stato, perché le funzioni che attribuisci al capo dello stato, sempre che ne debba
avere, potresti anche darle ad un altro organo. Allo stesso modo, anche se sembra un po’ forzato, per aversi
uno stato non è detto che ci debba essere un parlamento (sono esistiti stati senza parlamento. Per esempio
il fascismo alla fine chiuse il parlamento ma nonostante ciò non è venuto meno lo stato italiano, è venuto
meno il parlamento italiano). Quindi uno stato può esistere senza capo dello stato, senza parlamento e
senza corte costituzionale (prima del 1948 noi la CC non l’avevamo eppure eravamo uno stato dal 1861) ma
non può esistere senza il governo. Per questo è un organo indispensabile. Questa affermazione è
perfettamente coerente con uno dei 3 elementi costitutivi dello stato, ossia la sovranità. La sovranità
l’abbiamo strettamente legata al governo. Se non c’è il governo, non c’è sovranità e quindi manca uno dei
tre elementi costitutivi dello stato, e lo stato non esiste.
Secondo la costituzione, certamente siamo di fronte ad un rogano costituzionale indispensabile e
complesso. Complesso vuol dire che non è un organo monocratico e quindi è un organo formato da diversi
organi individuali. L’organo collegiale (l’organo complesso) è il consiglio dei ministri. Se dovessimo tradurre
la parola governo in termini costituzionali dovremmo usare la parola consiglio dei ministri. Il consiglio dei
ministri è formato da diversi organi individuali. In particolare dal presidente del consiglio dei ministri e
ministri. Tutti e tre hanno base costituzionale. Tanto il consiglio dei ministri, quanto il presidente del
consiglio dei ministri, quanto i ministri hanno una legittimità costituzionale, cioè esistono in costituzione.
Quello che tuttavia la costituzione non fa, e il motivo è sempre storico, è disciplinare una nitida e chiara
gerarchia interna all’organo complesso consiglio dei ministri. Non si capisce se esiste un rapporto più o
meno gerarchico, ad esempio tra il presidente del consiglio dei ministri e i ministri. A differenza di altri testi
costituzionali il nostro non sposa alcun rapporto gerarchico tra presidente del consiglio dei ministri e
ministri. Può il presidente del consiglio svegliarsi la mattina e revocare un ministro? No, perché al massimo
può proporne la revoca al PdR, al quale spetta per costituzione la nomina e la revoca dei ministri.
Se tuttavia intendessimo da un punto di vista giuridico-politico chi tra i tre organi è quello più rilevante,
certamente dovremmo dire il consiglio dei ministri perché si è voluto evitare, ancora una volta, che
prendesse forma quanto successo precedentemente dove c’era un capo del governo. Il capo del governo
per costituzione è il consiglio dei ministri, quindi possiamo dire che non esiste il capo del governo. O meglio,
non esiste un organo individuale capo del governo perché l’organo più importante è collegiale, è il consiglio
dei ministri.
Il presidente del consiglio propone al PdR i ministri, non è lui che li decide. Sempre il PdC propone la
questione di fiducia, una delle armi più forti in mano al governo ma si tratta di una proposta al consiglio dei
ministri. Chi è che decide? Il consiglio dei ministri.
Da un punto di vista giuridico-politico il PdC mantiene l’unità dell’indirizzo politico del consiglio dei ministri.
È un’attribuzione importante ma molto dipende dalla situazione politica, dalla maggioranza parlamentare e
via dicendo.
Qual è il potere più importante del PdC? Il potersi dimettere perché dalle dimissioni del PdC consegue
giuridicamente la dimissione di tutto il governo.

I ministri a loro volta sono ai vertici delle rispettive amministrazioni. I ministeri sono enti amministrativi al
cui vertice ci sta il ministro. Il ministro da questo punto di vista è il vertice gerarchico del ministero. Ha un
potere fortissimo nei confronti dell’apparato amministrativo, della macchina amministrativa. Ma a fronte di
questo potere interno, il ministro non ha alcun tipo di potere rispetto al consiglio dei ministri. È forte
rispetto all’amministrazione al cui vertice è predisposto ma è assolutamente debole nei confronti del
consiglio dei ministri e del PdC.
L’importanza dei ministri è tutta politica, non giuridica. La forza di un ministro dipende forse unicamente
dalle circostanze politiche, ma non giuridiche. Il ministro degli interni conta quanto il ministro della difesa.
Come mai oggi il ministro degli interni conta tantissimo? Perché oggi la Lega conta tantissimo, è una
questione politica.
Il numero di ministri lo decide la legge (il parlamento), la costituzione non dice niente a riguardo.

Il consiglio dei ministri è l’organo, veramente, decisivo da un punto di vista giuridico. È il consiglio dei
ministri che determina , dice la costituzione, la politica generale del governo. È il consiglio dei ministri che
decide la questione di fiducia, l’arma più potente oggi in mano agli esecutivi. È il consiglio dei ministri che
decide tutte le nomine che spettano all’esecutivo. Ovviamente alcune volte c’è la proposta da parte del
ministro ma alla fine è il consiglio dei ministri che decide. Se il consiglio dei ministri non vuole la persona
che tu vuoi mettere come capo di stato maggiore non hai la possibilità di obbligare il consiglio a scegliere la
tua persona.

Esistono poi degli organo non necessari, che si differenziano dal PdC, dal consiglio dei ministri e dai ministri
proprio perché potrebbero anche non esserci. Sono nati nel tempo, senza base costituzionale, degli organi
non necessari ma che sono stati ritenuti da tutte le maggioranze e da tutti gli esecutivi comunque
importanti. Per esempio il vice PdC, non esiste in costituzione. Potremmo anche non averlo ma è un organo
che nella stra grande maggioranza di casi tutti i governi hanno voluto avere. Quale è il ruolo del vice
presidente del consiglio? Giuridicamente praticamente zero, nemmeno vota in consiglio dei ministri. In
consiglio dei ministri vota il PdC e i ministri. Il vice PdC vota solo se è ministro, ma non in quanto vice PdC.
Allora perché esiste il vice PdC? La carica di vice PdC serve per dare una forte legittimazione ai partiti più
forti nella maggiorana che sostiene il governo. Non si sono accordati Lega e 5stelle su un PdC di uno o
dell’altro partito. È venuto fuori Conte che ,fino all’altro ieri faceva un altro mestiere, non è catalogabile
come esponente leghista o come esponente di 5stelle. Se non mettevano una persona come Conte
probabilmente non si mettevano d’accordo nel far nascere il governo. La soluzione è stata, prendiamo
questa persona che va bene un po’ a tutte e due, ma mettiamoli di fianco le due persone più importanti dei
partiti che sostengono la maggioranza di governo quindi abbiamo due vicepresidenti del consiglio: Matteo
Salvini e Luigi di Maio. È una questione politica non giuridica, perché in quanto vice PdC i poteri sono
veramente ridotti fino all’osso.
Esistono poi i vice ministri, anche questi non previsti in costituzione e dei quali si potrebbe anche fare a
meno. Tuttavia esistono perché per alcuni ministeri è indiscutibile che serva una sorta di sostegno al vertice
dell'amministrazione proprio perché l’amministrazione altrimenti difficilmente riuscirebbe ad essere
“governata” da una sola persona (per ex. Quasi tutti gli esecutivi hanno affiancato al ministro del bilancio
anche 2 o 3 vice ministri del bilancio, allo stesso modo vale per il ministro degli esteri che deve andare
all’estero e rappresentare l’Italia nei congressi internazionali, questo significa che spessissimo il ministero
non ha il capo, non ha il vertice gerarchico perché quest’ultimo è spesso all’estero. Ecco perché è
comprensibile e ragionevole l’esistenza dei vice ministri degli esteri). Perché si fa? Lo si fa per mettere a
posto i problemi della maggioranza. Se i 5stelle volevano il ministero degli interni, la Lega ha detto no lo
prendiamo noi allora i 5stelle dicono va bene non ti rompiamo le scatole cioè fai pure tu il ministro degli
interni, però cosa ci dai in cambio? Se vuoi che io ti dia la fiducia mi devi dare qualcosa in cambio, se non mi
dai niente in cambio io non ti do la fiducia. Ah okay allora prenditi due vice ministri dello sport e quattro
sottosegretari all’agricoltura. Funziona così. Non è una distribuzione di poltrone a fini di lucro, è una
questione essenzialmente politico-partitica. È una sorta di bilanciamento nei giochi partitici per far partire il
governo. Per accontentare tutti nascono i vice ministri, i sottosegretari e via dicendo.
Qual è il governo migliore? Qual è il ministro migliore? Cioè quali caratteristiche deve avere un ministro? A
capo di un ministero, partecipe quindi del consiglio dei ministri, è meglio mettere una persona capace,
esperta, professionalmente competente o un peso da novanta da un punto di vista politico? Per esempio
Umberto veronesi è diventato ministro della salute. Chi meglio del maggior oncologo italiano può fare il
ministro della salute!? Tutti noi, di primo acchito, entusiasti perché finalmente il ministero della salute è
retto dal medico più importante d’Italia. Quindi guardiamo bene la logica dell’esperienza, della
professionalità e della capacità. Tuttavia da costituzionalista non è una logica sbagliata quella di vedere al
ministero una persona capace, professionale ed esperta ma non è certo la logica vincente. Veronesi ha
perso molte volte in consiglio dei ministri. Era Umberto Veronesi ma il suo peso politico era pari a zero. I
soldi vanno sempre al ministro politicamente più importante, non al ministro professionalmente più
preparato. Morale: dovremmo aspirare ad avere ministri che sanno della materia che trattano ma il
ministro della salute medico non è affatto garanzia di successo perché io preferisco avere un ministro della
salute che nella vita ha fatto il panettiere ma che è leader di un partito senza del quale la maggioranza di
governo non esiste. Per esempio di Maio non è che, nella sua breve vita precedente, abbia mai fatto il
sindacalista, il capo di un’associazioni di imprenditori o abbia lavorato nell’ambito delle relazioni industriali
ma è un bene per il ministero del welfare che il suo capo sia il leader del partito di maggioranza relativa,
perché se cade di Maio cade il governo quindi al welfare, anche se inesperto, di Maio porterà a casa un
sacco di soldi.

FORMAZIONE DEL GOVERNO


Come il procedimento di formazione delle leggi anche il procedimento di formazione del governo si
suddivide in alcune fasi. Quando parliamo del procedimento di formazione del governo iniziamo dalle
dimissione del PdC. Una volta che il PdC si dimette, tutto il governo è tenuto a dimettersi → quindi abbiamo
il procedimento di formazione di un nuovo governo.

1. Consultazioni da parte del PdR: non c’è traccia delle consultazioni presidenziali in costituzione. Come è
possibile che la prima fase di formazione del governo non sia prevista in costituzione? Perché i costituenti
tirarono indietro la mano piuttosto che descrivere l’organizzazione e il governo. Quindi le consultazioni
presidenziali sono un momento sviluppatosi nella prassi in via di convenzione. Il sistema politico italiano ha
sempre visto dopo le dimissione del PdC ,per la formazione del nuovo governo, le consultazione del PdR.
Sono sempre avvenute anche se non hanno un fondamento costituzionale. Proprio perché non c’è
fondamento costituzionale il potere del PdR è senza limiti. Ha solo uno scopo: capire cosa fare. Il fine deve
essere capire come muoversi, ma come arrivare a quel fine non ci sta scritto da nessuna parte, lo decide il
PdR. Quindi è il PdR che decide chi consultare, in questo caso consulterà subito il presidente del consiglio
che si è dimesso, i Presidenti dei gruppi parlamentari cioè i politici più importanti che possono dire al capo
dello stato qual è la loro intenzione e quindi influenzare le scelte del PdR (un tempo consultava anche i
leader delle organizzazioni sindacali, il segretario della CGL perché il segretario della più importante
confederazione sindacale italiana è una persona che quantomeno è tenuta a sapere gli umori tra i
lavoratori, coloro sui quali è fondata la repubblica italiana. Consultava anche gli esponenti delle associazioni
imprenditoriali, per esempio il presidente di confindustria), gli ex presidenti della repubblica che sono
senatori a vita perché presume che l’opinione di un ex presidente possa servire , e i presidenti di camera e
senato perché se la sua soluzione dovesse essere lo scioglimento del parlamento ha bisogno di consultarli. Il
PdR consulta chi ritiene necessario non c’è un limite (non può essere un parlamentare, né un ministro).

2. A questo punto scatta la seconda fase. Il PdR ha due alternative:


1. Se tutti i partiti vogliono le elezioni → il PdR scioglie il parlamento e nasce tutto il procedimento che
porterà alle nuove elezioni.
2. Se i partiti non vanno a dire scioglimento→ viene proposto un nuovo presidente del consiglio→ fase
dell’incarico. Dimesso il PdC il PdR svolte le consultazioni conferisce l’incarico (oralmente) ad una persona
di formare un nuovo governo. La persona accetta con riserva perché a sua volta inizierà a fare le sue
consultazioni. Ricevuto l’incarico dal capo dello stato, l’incaricato (cioè il PdC incaricato) farà a sua volta le
sue consultazioni tra i partiti politici per mettere a punto quello che deciderà di mettere a punto. Spesso
l’incarico è preceduto dai “pre incarichi” e dai “mandati esplorativi”.

3. L'incaricato durante le sue libere (come quelle del PdR) consultazioni torna al Quirinale e può fare due
cose: o rimette l'incarico nelle mani del PdR, allora quest'ultimo lo rida ad un’altra persona fino a quando
l’incaricato torna, scioglie la riserva e accetta formalmente l'incarico. Quando l’incaricato torna e scioglie la
riserva deve portare al capo dello stato la lista dei ministri (vuol dire che hanno raggiunto un accordo
politico per il nuovo governo) perché sulla lista dei ministri i partiti che ha consultato hanno raggiunto
l’accordo. A quel punto scolta la riserva e presentata la lista dei ministri il PdR nomina il presidente del
consiglio cioè l'incaricato che fino alla nomina non è niente. Solo con lo scioglimento della riserva e la
presentazione della lista, il PdR nomina ‘tizio’ PdC e su sua proposta i ministri. Abbiamo così un PdC e i
ministri.
Chi firma il decreto di nomina per farlo diventare valido? (dato che ogni decreto del PdR per essere valido
deve essere controfirmato dal PdC, il ‘tizio’ che sta per diventare PdC non può perché è ancora un semplice
cittadino italiano) tutti penserebbero al PdC in carica, cioè a quello dimissionario→ soluzione scartata
perché se il PdC dimissionario decide di non controfirmare si blocca tutto. Si chiude un occhio è si dice che il
decreto del PdR di nomina del PdC su sua proposta dei ministri per essere valido deve essere controfirmato
dalla persona che diventerà PdC, anche se non lo è, è meglio una finzione giuridica pensare che lo sia
piuttosto che il pericolo di fermare tutto.

4.Fase cruciale: perché ancora non è nato il nuovo governo. Manca il giuramento. È contestuale, ma la
firma sul decreto non fa nascere il PdC, i ministri e quindi il governo perché l’atto giuridicamente da cui
parte il governo è il giuramento. Solo con il giuramento il vecchio governo può andare via perché si ha
ufficialmente il nuovo governo. Quando giura? Non prima, si giura contestualmente alla firma.
Forma di governo parlamentare, per costituzione quindi → Entro 10 giorni deve andare in parlamento a
chiedere la fiducia (perché il governo sta in carica solo se lo vuole il parlamento, dal punto di vista
sostanziale non sei ancora nulla).
Che cosa si fa in questi 10 giorni? Il governo dovrebbe limitarsi a compiere atti di ordinaria
amministrazione. Perché finché non vai in parlamento, sei li ma non sei nessuno. Giuridicamente sei il
governo italiano ma se il parlamento italiano non ti da la fiducia non puoi continuare, per questo devi fare
solo atti di ordinaria amministrazione.
Cosa sono gli atti di ordinaria amministrazione? Purtroppo lo decide la testa del PdC e dei ministri in questi
10 giorni. Si tratta di buonsenso. Per esempio la nomina dei vertici delle forze armate, non è un atto di
ordinaria amministrazione, è un atto importante. Ci sono degli atti che anche se sono al limite tra ordinaria
amministrazione o meno nessuno può negare di poterli fare, adottare prima della fiducia parlamentare. Per
esempio una calamità naturale, oppure cade un ponte ecc. Serve immediatamente destinare soldi dal
bilancio pubblico destinati alle calamità naturali e metterli nel ministero competente.
In questi 10 giorni nasce la “compagine governativa” che si presenterà tutta insieme al parlamento per
chiedere la fiducia. In questo lasso di tempo vengono nominati tutti i vice PdC, i ministri e i sottosegretari. Il
parlamento deve avere di fronte a sé tutto il governo per poter valutare se tutto il governo è in grado di
portare avanti i programmi che dice al parlamento di voler portare avanti, e per quelli chiede al parlamento
la fiducia.

5. la fiducia parlamentare: Il governo si presenta al parlamento, e chiede la fiducia. Si presenta il presidente


del consiglio che presenta il programma di governo e chiede la fiducia, alla dichiarazione del PdC seguono le
dichiarazione dei capi gruppo parlamentari (sono le dichiarazioni di voto per il governo (favorevole a dare la
fiducia o meno)). Dopo le dichiarazioni di voto segue la replica del presidente del consiglio, è importante
perché permette di discutere, ragionare e raggiungere un accordo. Viene presentata una mozione di
fiducia. La mozione di fiducia al governo si vota per scrutinio palese ed ad appello nominale, vuol dire che si
estrae a sorte una lettera dell’alfabeto, da quella lettera si inizia a fare la chiama dei parlamentari. A questo
punto il parlamentare scende, fa i gradini curva davanti ai banchi del governo ma prima di passare davanti
al PdC guarda il Presidente della camera e pubblicamente dice si, no, mi astengo alla mozione di fiducia.
Tutto pubblicamente in diretta televisiva. È importante perché è l’unico modo che ha il cittadino per
verificare se il parlamentare che ha eletto è coerente o meno con le indicazioni che aveva dato per ottenere
il tuo voto. Devi ottenere la fiducia tanto nella camera quanto nel senato. Se perdi quando domandi la
fiducia sei obbligato a dimetterti. Con che quorum? Quorum strutturale, cioè presenti la maggioranza
assoluta dei componenti, 50%+1. Nel nostro paese per avere la fiducia il governo ha necessita, per
costituzione, della sola maggioranza relativa perché la nostra è una forma di governo parlamentare, più alzi
la maggioranza più rendi difficoltoso per il parlamento essere l’artefice e il cuore della forma di governo
parlamentare, più è bassa più il parlamento ha il ruolo di protagonista, sia quando nasce sia quando muore
il governo.

CRISI DI GOVERNO
Le crisi di governo iniziano formalmente quando il presidente del consiglio si dimette, probabilmente è uno
dei pochi poteri davvero fondamentali che ha il PdC perché le sue dimissioni implicano che il governo non
può più andare avanti. Se invece si dimette un ministro non cade il governo.

Tipi di crisi di governo che conosce il nostro ordinamento, sia per costituzione sia per prassi:
1. Crisi di governo parlamentari
2. Crisi di governo extra parlamentari

Ci sono delle crisi decise dal parlamento, che seguono dei canali previsti dalla costituzione e ci sono invece
altre crisi non decise dal parlamento ma decise dai partiti politici e dalla situazione politica.

Le prime crisi parlamentari sono di 3 tipi. In tutti e 3 i casi il governo è costituzionalmente e giuridicamente
tenuto a dimettersi.
1.A) Il parlamento (cuore della forma di governo parlamentare) approva una mozione di sfiducia al governo,
se in parlamento si approva una mozione di sfiducia, la cui approvazione è speculare alla mozione di fiducia
iniziale, il governo è costituzionalmente tenuto a dimettersi. (ti sfiducio)
1.B) Il governo è formato, giura, formalmente entra in carica, entro 10 giorni deve andare in parlamento, va
in parlamento e il parlamento non dà la fiducia. Se il governo non ottiene la fiducia iniziale è tenuto a
dimettersi. È come se il parlamento lo sfiduciasse. Ovviamente basta per il nostro tipo di bicameralismo
perfetto che non ti dia la fiducia una delle due camere. Non basta una fiducia, serve la fiducia di entrambe
le camere perché hanno gli stessi poteri.(non ti do la fiducia inziale)
1.C) La questione di fiducia: per costituzione quando un governo presenta un progetto di legge il
parlamento discute, approva, modifica emendamenti e mette ai voti la proposta. Se non passa, per
costituzione, il governo non è obbligato a dimettersi. Tutto cambia nel momento in cui il governo, in modo
particolare il consiglio dei ministri decide di porre la questione di fiducia (normalmente si pone su un
progetto di legge, ma questo non vuol dire che non può essere posta per una dichiarazione
programmatica). Se il governo pone la questione di fiducia significa che se perde è obbligato a dimettersi,
mette a repentaglio l’esistenza del governo, se il parlamento boccia il progetto di legge o la dichiarazione
programmatica il governo è tenuto a dimettersi, è come se il parlamento lo stesse sfiduciando.
Perché non c’è traccia della questione di fiducia in costituzione? Perché è un istituto più non democratico
che democratico, è più una questione di quantità (se un governo in 5 anni la usa 1 volta sola allora ci può
anche stare, ma se la usi tutte le volte sono grossi problemi di democraticità).
La questione di fiducia si pone quando nella maggioranza ci sono un po' di scontenti. Il governo pensa di
non poter più andare avanti, c’è bisogno di un chiarimento. Come faccio ad ottenere questo chiarimento?
→ Sulla legge/provvedimento contestata/o metti la questione di fiducia. A quel punto i conti sono fatti.
Vuoi andare avanti con questo governo, voti sì. Non vuoi più andare avanti con questo governo, voti no. Sai
che dal tuo voto dipendono le dimissioni del governo. Quindi , in questo primo caso, la questione di fiducia
si fa perché si vogliono un po’ chiarire le posizione politiche all'interno del governo. Il governo appare
diviso, per mettere fine a questa divisione si mette la questione di fiducia. È quindi uno strumento che da
un lato ha il pregio di ricompattare la maggioranza, perché chiaramente in pochi sono disposti a perdere la
poltrona, ma dall’altra parte zittisce il dibattito. Obblighi il dissidente ad una scelta disastrosa, mandare
tutto all’aria o tornare nei ranchi.
Il progetto di legge viene presentato, come tutti i progetti di legge viene discusso in parlamento e spesso si
presentano emendamenti. Gli emendamenti non sono solo figli dell’opposizione, ma vengono anche
presentati dalla stessa maggioranza. I parlamentari discutono quindi gli emendamenti dell'opposizione e
della maggioranza. I tempi si dilatano, ma il parlamento deve comunque dare risposta ai problemi degli
italiani. Si pone quindi la questione di fiducia. Quali sono gli effetti della questione di fiducia di fronte ad un
dibattito su un progetto di legge con migliaia di emendamenti? La questione di fiducia blocca tutto,
decadono tutti gli emendamenti presentati sul progetto di legge. Si mette fine al ruolo del parlamentare.
Questione di fiducia sulla legge così come è in quel momento, sulla legge proposta dal governo, modificata
fino ad un certo punto mai poi basta, questione di fiducia→ già da qui si capisce che è poco democratica.
Non solo decadono tutti gli emendamenti ma anche i lavori della camera e del senato si bloccano. L’unica
cosa che si fa è discutere se approvare o meno la questione di fiducia su quel progetto di legge o su quella
dichiarazione programmatica. Perché tutto questo? Perché se perdesse il governo dovrebbe dimettersi
quindi non avrebbe più senso andar avanti a discutere su tutto il resto senza il governo. Si vota sul progetto
legge ma anche sulla vita del governo perché se voti contro stai andando contro la vita del governo.
La questione di fiducia è poco democratica perché il governo non si accontenta di porre la questione di
fiducia e di fermare le discussioni ma arriva con un emendamento interamente sostitutivo del progetto di
legge fino a quel punto discusso o approvato in parte. Tutte le discussioni fatte non solo vengono congelate,
ma non sono servite a niente perché adesso bisogna votare l’emendamento del governo interamente
sostitutivo dell’inziale proposta di legge. A questo punto il parlamento non può più parlare, discutere ma
può e deve solo votare, si o no. Ha senso il palamento in tutto ciò? No. Chi decide? Il governo. Per non
perdere il proprio lavoro molti approvano la questione di fiducia→ poco democratico, il parlamento inutile,
non ha peso. È del tutto antidemocratico l’uso della questione di fiducia in modo numericamente eccessivo
e con questa nuova invenzione dell’emendamento interamente sostitutivo.

Dal 1948, su 60 governi


- 0 governi sono stati formalmente sfiduciati dal parlamento.
- Quante volte il governo si è dimesso perché ha perso sulle questioni di fiducia in 60 governi? 2 volte
(governo Prodi, la prima sulla legge di bilancio e la seconda sulla dichiarazione programmatica sul problema
del ministro della giustizia Mastella)
- andare in parlamento senza fiducia iniziale? 4 casi antichi anni 50,60).

Per quanto riguarda gli altri 54 casi cosa è successo, perché il governo si è dimesso, visto che non era
obbligato a dimettersi? Sono le crisi extraparlamentari, cioè quelle crisi la cui nascita non dipende dall’uso
di uno strumento costituzionale, dall’uso di poteri giuridici del parlamento ma dipendono semplicemente
dalla politica. Il PdC o il partito di maggioranza relativa ritiene che non si possa più andare avanti, si dimette
punto e basta. Le divergenze sono troppe, le dichiarazioni di un partito che sta in maggioranza sono
talmente abnormi che non possono più rappresentare il governo nel suo complesso. Magari è difficile
cambiare ministro, quindi il PdC decide che non si può più andare avanti così quindi va al quirinale e
rassegna le dimissioni. Non c’è nessun obbligo costituzionale, sono solo valutazioni politiche/ partitiche che
riguardano qualunque aspetto. Per esempio, storico anche se discutibile il governo d’Alema era in carica ma
ad un certo punto per caso si svolgono le elezioni regionali. Il centro sinistra aveva la maggioranza in 18
regioni su 20. Le lezioni regionali hanno completamente ribaltato e ne è venuta fuori una maggioranza di
centro destra in 15 regioni e solo 5 per il centro sinistra. Cosa ha fatto d’Alema? È cambiato il clima politico,
la maggioranza degli italiani si è schierata per il centro destra, il centro sinistra è in minoranza quindi decide
di dimettersi. In termini costituzionali non era obbligato a farlo, è stata una scelta politica. Sono molte le
variabili che inducono un governo, anche se non tenuto costituzionalmente, a presentare le dimissioni.

- Cambia il clima politico in Italia


- Un partito della maggioranza esce dal governo

Il governo presenta un progetto di legge, particolarmente importante, ma non pone la questione di fiducia.
il progetto di legge del governo viene messo ai voti, il governo perde. Vince l’opposizione con un pezzetto
dei 5stelle. A quel punto cosa fa Conte? È obbligato a dimettersi? No. Potrebbe decidere di dimettersi
perché nelle crisi extraparlamentari ci stanno dentro anche le gravi sconfitte su tematiche politicamente
rilevanti.
Il punto più importante è che dietro le crisi extraparlamentari ci sta ogni tipo di motivazione politica, giusta
o sbagliata che sia.

Calderoli si presenta in televisione, apre la camicia. Sotto la camicia c’era una vignetta su Muhammad
(s.A.'a.s.). A quel punto Silvio Berlusconi ha un problema: cosa fare con questo ministro? Problema
complicato perché senza la lega Berlusconi non aveva la maggioranza. Possibile che esistano solo le
dimissioni per permettere al governo di andare avanti in condizioni migliori? No.
La nostra costituzione non lo prevede ma la corte costituzionale ha ammesso la sfiducia individuale al
ministro. Per costituzione esiste solo un tipo di sfiducia (parlamento sfiducia il governo), non è prevista la
sfiducia individuale cioè quando il parlamento non vuole sfiduciare tutto il governo ma vuole sfiduciare solo
il singolo ministro, il Calderoli di turno.
(Caso Mancuso, arriva fino alla corte costituzionale. Non doveva andare così, doveva risolversi nella
politica). La costituzione non lo dice ma traendo dal senso della forma di governo parlamentare, noi
ammettiamo anche la sfiducia individuale. Se il principio è che tra parlamento e governo vince il
parlamento. Quando il parlamento decide di cambiare governo quest’ultimo deve dimettersi, allo stesso
modo quando il parlamento decide di cambiare un ministro quest’ultimo deve dimettersi.
LE REGIONI E LE RIFORME
Il 1 maggio del 1947 in pieno svolgimento dei lavori dell’assemblea costituente succede a Portella della
Ginestra (in Sicilia) un eccidio di persone (sindacalisti, gente del partito comunista, socialista) che sulla
collina erano andate a festeggiare il 1 maggio. Arriva un gruppo di persone capeggiate da Salvatore Giuliano
e fanno una strage. Sparano a sangue freddo sui manifestanti.
Perché questo momento è importante ai nostri fini? Perché le idee politiche della banda di Giuliano erano
molto affini alle idee politiche del movimento indipendentista siciliano, cioè di un movimento che non
voleva che la Sicilia restasse dentro all’Italia. Un movimento fortissimo in Sicilia, tanto è vero che ci sono dei
libri dove ne parlano come “il bandito a stelle e strisce” perché gli americani erano di fatto sbarcati in Sicilia
e il movimento indipendentista siciliano ad un certo momento vede anche la possibilità di diventare uno
stato degli stati federali degli stati uniti. La strage sta a ricordare che la questione regionale, la questione
delle autonomie era una questione serissima, in modo particolare in Sicilia perché era un’isola. Le isole
hanno delle caratteristiche, a cominciare dalla geografia, molto marcate di difficile compatibilità con il resto
del territorio. La seconda parte, in Italia, dove il movimento indipendentista era molto forte era la
Sardegna, in quanto isola. Ancora una volta l’essere isola significava sviluppare una propria lingua e una
propria tradizione. Entrambe fanno delle rivendicazioni di autonomia all’assemblea costituente.
C’era anche il problema dell’ Alto Adige e della parte di Trieste, citta spaccata in due.
Quando i costituenti scrissero la costituzione e si dovettero occupare della questione territoriale, più che
discutere su grandi modelli teorici, che fecero, dovettero prendere atto dei problemi concreti nel territorio
italiano riguardanti l’autonomia territoriale (Sicilia, Sardegna, Alto Adige, Trieste e Val d’Aosta).
Cosa fecero i nostri costituenti? Partirono da zero (dal Regno D’Italia). Lo Statuto Albertino non diceva
niente dell’esistenza delle regioni. L’esistenza o meno delle regioni era una decisone dei costituenti, le
regioni italiane non esistevano.
Praticamente tutti, tranne alcuni, furono concordi su una cosa ovvero che "L'Italia è una ed è indivisibile"
cioè lo stato italiano dal punto di vista territoriale è uno stato unitario. L’Italia non può diventare uno stato
federale, cioè uno stato che comprende diversi stati, perché l’Italia è troppo giovane, rischieremmo di
tornare a prima del 1861→ motivazione politica. Abbiamo troppa poca esperienza di unità per permetterci
di prevedere che delle semplici regioni diventino degli Stati, vorrebbe dire disintegrare l’Italia. Era troppo
forte la paura per la giovane Italia, unita dal 1861. Si scelse lo stato unitario.

Nel 1946/47 gli Stati erano o unitari o federali. Si decise di trovare/inventare qualcosa di nuovo ovvero lo
stato regionale (sta a metà tra lo stato unitario e lo stato federale), avendo solo un precedente spagnolo.
Non c’erano altre alternative perché sennò non si riusciva a tenere insieme tutta l'Italia in modo particolare
con la Sicilia, con la Sardegna, con l’alto Adige e con la Val d’Aosta.
Il riconoscimento di autonomie dovevi farlo perché senno Salvatore Giuliano continuava ad ammazzare
persone. In costituente c’erano rappresentanti del movimento siciliano indipendentista, come c’erano
rappresentanti dl movimento indipendentista sardo. A queste persone tu dovevi dare una risposta perché
la loro esigenza di autonomia era vera, era sentita.
L’Italia nasce come stato unitario e indivisibile, non federale. Nasce come stato regionale ma ci sono 20
regioni in Italia delle quali 5 a statuto speciale, dotate di autonomia speciale. 15 ordinarie con poteri,
funzioni e competenze fissate dalla costituzione e 5 regioni speciali a statuto libero i cui poteri non sono
fissati dalla costituzione ma da una legge costituzionale approvata con la contrattazione con i rappresentati
di quelle regioni. 22 dicembre 47 si approva la costituzione, la costituente smette di lavorare il 31 gennaio
del 1948, un mese in più nonostante la costituzione entri in vigore l’1 gennaio del 1948. Cosa fa nel mese di
gennaio l’assemblea costituente? Approva tutti gli statuti delle regioni speciali, leggi costituzionali che
ancora oggi sono in vigore.

Prima erano solo 4, nel 1963 quando si risolve la questione internazionale nasce anche la regione a statuto
speciale Friuli Venezia Giulia prevista fino a quel momento solo sulla carta.
Le altre 15 sono nate sulla carta con i lavori dell’assemblea costituente quindi ci sono in costituzione ma per
vederle nascere bisogna attendere il 1970. Fino al 1970 in Italia esistevano, materialmente, solo le 4/5
regioni speciali.

La soluzione alla quale riuscirono ad arrivare i nostri costituenti è stata una soluzione di compromesso.
Compromesso che è già in sé nella definizione di stato regionale un compromesso tra coloro che non
volevano niente e coloro che volevano troppo. Il fatto che siano arrivati ad un compromesso lo si capisce
bene se si guarda la costituzione così come approvata e in particolare come la costituzione definisce le
competenze delle regioni. Siamo al testo costituzionale del 1948 e qui un po’ rimaniamo. Poi nel 2001 c’è
stata una riforma della costituzione, del titolo quinto della costituzione, quello riguardante le regioni che ha
obbiettivamente rivoluzionato il quadro.
Ma vediamo cosa c’era prima. L’articolo che a noi interessa è l’art. 117, è il più importante oltre ad altri
ovviamente, perché ci sono scritte le competenze delle regione. È li che si capisce l’autonomia regionale.
Nel testo del 1948 quindi prima della riforma del 2001 sicuramente le regioni non avevano moltissime
competenze. Si riuscì a prevedere uno stato regionale ma certamente l’orientamento dei costituenti era
particolarmente cauto. Come si è tradotta questa cautela nel testo costituzionale? Essenzialmente con un
criterio di attribuzione delle competenze alle regioni che è il seguente: intanto le regioni non hanno nel
testo del 48 una competenza legislativa piena perché la competenza legislativa attribuita alle regioni
inizialmente era unicamente di tipo concorrente→ cioè dentro una determinata materia, prevista nella
costituzione, allo stato era demandato il compito di fissare i principi generali mentre alle regioni spettava il
compito di disciplinare il dettaglio. Il 117 era cosi formulato, un elenco di materie più o meno una 15ina
nelle quali le regioni avevano una potestà legislativa di tipo concorrente. Nelle materie non previste in
quell’elenco, cioè la maggior parte delle materie, la competenza legislativa era dello stato. Chiaramente le
competenze delle regioni sono limitate, intanto solo nelle materie previste dall’elenco dell’art. 117 quindi
non una competenza generale ma solo nelle materie elencate. Inoltre in quelle materie le regioni non
potevano fare ciò che volevano ma potevano approvare leggi solo dentro i principi generali di quella
materia fissati dallo stato.

Nell’art. 117 prima della modifica del 2001,quindi in quello approvato dai costituenti le materie elencate
non erano di poca importanza ma non erano nemmeno materie fondamentali. Per ex. la materia penale
non era presente nell’elenco, quindi le leggi in materia penale le poteva adottare solo lo stato.
In quali materie le regioni possono adottare leggi? Si prende il 117 e si vedono le materie. Se non c’è la
materia penale vuol dire che quella materia è dello stato. Lo stesso vale in materia di sicurezza, in materia
di ordine pubblico, in materia di rapporti con gli stati esteri ,in materia di moneta. Tutti ambiti nei quali le
regioni non potevano fare niente. Per ex. la regione Lombardia non poteva approvare un codice penale
della regione Lombardia perché la materia penale non risultava nell’elenco e quindi era dello stato.

Quali erano queste materie? Erano materie nelle quali obiettivamente per i costituenti era opportuno dare
competenza alle regioni. Erano materie che non mettevano a repentaglio l’unita dell’ordinamento. Se ogni
regione avesse un proprio codice penale non saremmo più un ordinamento unitario, mentre se ogni
regione può approvare leggi in materia di agricoltura, caccia, turismo ecc. ecco che non ne va del principio
di unità e indivisibilità della Repubblica perché obbiettivamente l’esigenza da soddisfare in queste materie
può variare da regione a regione. Per ex. In materia di turismo ciascuna regione può legiferare come meglio
ritiene per soddisfare le sue esigenze che non sono uguali a quelle di un’altra regione. La stessa cosa vale
per la caccia e per l’agricoltura, sono delle materie nelle quali per i costituenti potevano esistere delle
esigenze regionali, da disciplinarsi ogni regione secondo i propri interessi e secondo le proprie scelte.
Una classica materia era quella delle biblioteche civiche, che oggi non esistono più, la disciplina delle
biblioteche civiche era di competenza delle regioni perché lo stato in quella materia poteva anche starsene
un po’ in disparte dipendendo la legislazione da ogni singola regione. Che poi era uno starsene in disparte
molto relativo perché come sappiamo poteva fissare principi generali.

Cosa è successo? Intanto va spiegato perché questo quadro è rimasto sulla carta fino al 1970. Cioè per
quale motivo l’impostazione dei costituenti, che certo era un impostazione di compromesso ma, era anche
una forte novità è rimasta sulla carta fino al 1970? Cos’è che non c’era durante il periodo liberale e fascista
e che quindi i costituenti hanno inventato proprio di nuovo: le regioni, la corte costituzionale e il
referendum. Quindi vanno bene le regioni disciplinate in modo moderato ma erano pur sempre una
grandissima novità, che prima non esisteva, così come gli atri due casi. Ma come mai difronte a una
grandissima novità, questa novità è rimasta sulla carta per 22 anni fino al 1970? Perché la regione
Lombardia è nata solo nel 1970? Così come il Veneto, L’Emilia Romagna e le altre 15 regioni ordinarie? La
motivazione è sicuramente solo di natura politica. È successo questo→ in assemblea costituente le
posizioni dei principali partiti politici rispetto alle regione e all’autonomia regionale erano le seguenti: la
democrazia cristiana per tradizione favorevole a riconoscere un certo margine di autonomia alleregioni e ai
comuni. Così come il partito popolare così la democrazia cristiana aveva un orientamento culturale
favorevole all’autonomia territoriale. Le sinistre, in particolare il partito comunista, avevano un
orientamento culturale non certo favorevole all’autonomia territoriale. Le sinistre allora erano più
orientate verso il centralismo democratico. Come modello non guardavano gli stati uniti ma la Russia. Le
sinistre di allora erano veramente sinistre rivoluzionarie. La paura che in Italia si portasse avanti una
rivoluzione era una paura concreta, e che tipo di rivoluzione ere giusta o sbagliata, era una rivoluzione che
vedeva nello stato l’organo fondamentale. Le sinistre erano favorevoli ad uno stato unitario perché erano
favorevoli ad un forte stato, ad un forte centralismo. Si arriva al compromesso e ognuno cede un po’ di
posizioni per arrivare al compromesso.
Approvata la costituzione si sono completamente invertite le posizioni. La democrazia cristiana, per
tradizione favorevole alle regione e alle autonomie, capì subito che preclusa la possibilità per le sinistre di
andare al governo nazionale, perché tra le tante cose il piano Marshall in Italia fu dato a condizione che le
sinistre non entrassero nel governo nazionale, cosa pensò la DC? Se noi blocchiamo il governo centrale alle
sinistre però potrebbe succedere che quelle sinistre che noi non vogliamo al governo nazionale potrebbero
conquistare i governi di determinate regioni, le famose regioni rosse (la Toscana, l’Emilia Romagna
l’Abruzzo ecc), la democrazia cristiana disse stiamo attenti perché se noi dal primo gennaio del 48 facciamo
ciò che dovremmo fare cioè istituire le regioni, le sinistre potrebbero andare a conquistare alcune regioni
dove la loro tradizione è fortissima quindi stiamo cauti. Posticipiamo la nascita delle regioni, rimandiamo la
nascita delle regioni. A loro volta le sinistre, che venivano giù dall’orientamento fortemente centralista,
capendo che a livello nazionale era a loro precluso andare al governo e mai ci andarono. Il partito
comunista italiano mai andò al governo ci andò quando cambiò nome, quando non era più partito
comunista. Cosa fecero le sinistre? Diventarono favorevoli all’autonomia regionale perché capirono che al
governo nazionale non potevano andarci quindi puntiamo alle regioni rosse, puntiamo ad avere una fetta di
potere iniziando dalle regioni. Ma questo cosa vuol dire? Vuol dire che le sinistre diventano favorevoli alla
nascita dell’ordinamento regionale. Si invertono le posizioni di partenza. Questo è il motivo per il quale la
costituzione è rimasta per quanto riguarda le regioni sulla carta fino al 1970.
La retrovia della democrazia cristiana ha impedito il nascere subito dell’ordinamento regionale. E qui è
molto interessante capire perché ad un certo momento negli anni 70 lo stallo viene superato. Gli anni 70
sono anni fondamenti nel nostro ordinamento, lo vedremo, non solo in materia di diritti. Solo negli anni 70
il nostro paese inizia ad assumere una fisionomia differente per quanto riguarda i diritti, non uno ma
tantissimi. Per ex. lo statuto dei lavoratori approvato solo nel 1970, l’aborto, il diritto di famiglia. Questa
apertura ha caratterizzato anche la questione regionale. Gli anni 70 sono stati anni di forte contestazione, di
che cosa? Di tutto ciò che era immobile, dato, che non si riusciva a sbloccare. Basta pensare ai manicomi,
alle case chiuse, sono tutte delle istituzioni che proprio negli anni 70 si iniziano a mettere in fortissima
discussione. Esattamente così avviene rispetto allo stato centrale, proviamo a far nascere qualcosa di
differente da quello che abbiamo sempre avuto, le regioni. E come ci fu questa traduzione concreta di
obiettivi rivoluzionari? Con i primi governi di centro sinistra.
Nei primi anni esistevano governi solo della democrazia cristiana, governi monocolore, cioè governi retti
dalla democrazia cristiana e basta. Sul finire degli anni 60 nascono i governi di centrosinistra, mai
democrazia cristiana e partito comunista, ma certamente il partito socialista, i socialisti iniziano ad andare
al governo insieme alla democrazia cristiana. E non è un caso che la nascita delle regioni si deve all’iniziativa
del governo retto da Aldo Moro. Aldo Moro dentro la democrazia cristiana, l’uomo più aperto alle sinistre.
Pagò con la vita la sua propensione all’apertura. Grazie all’apertura dei governi non più di democrazia
cristiana e basta ma di centrosinistra, anche le regioni videro la loro nascita. Quindi nascono le regioni
ordinarie e finalmente l’ordinamento, anche nella realtà, vede vive e attive non più solo 5 regioni speciali
ma finalmente 20 regioni che iniziano a lavorare. Si approvano le leggi elettorali per i consigli regionali e si
approvano le leggi finanziarie per le regioni cioè soldi da dare alle regioni per iniziare a lavorare.
Trasferimento di funzioni trasferimento, di personale, le regioni iniziano finalmente a lavorare.

Cosa succede a questo punto?


Le aspettative erano altissime, indubbiamente la nascita delle regioni era vista come una possibilità di
sbloccare lo stato e il centralismo che caratterizzava l’Italia sin dalla sua nascita. È un’opinione abbastanza
diffusa che, anche se non del tutto da cancellare, certamente i primi anni di vita concreta delle regioni
furono assolutamente deludenti. I primi due decenni, dagli anni 70 agli anni 90, di esperienza regionale
furono opinioni abbastanza unanime molto meno innovativi rispetto a quanto ci si poteva aspettare, perché
è successo questo? Per tanti motivi. Un problema tipico dei governi nazionali era la loro instabilità, cioè la
durata scarsissima dei governi, la durata media era di un anno. Lo stesso avvenne a livello regionale, i
governi regionali duravano ancora meno dei governi nazionali. Se hai una prospettiva di vita media di 10
mesi è ben difficile che tu possa portare avanti politiche in qualche modo innovative.
Secondo, che è forse la questione più importante per capire le difficoltà delle regioni che in parte è una
difficoltà odierna, cosa successe? Successe che per approvare politiche innovative un requisito
fondamentale era che si formasse a livello regionale una classe politica autonoma e distaccata da quella
nazionale. Autonoma e distaccata vuol dire che vale di più l’esigenza di soddisfare il tuo elettorato
regionale, delle esigenze di partito. Le realtà regionali che veramente funzionano oggi e che funzionano da
tempo sono esattamente quelle realtà dove nascono dei partiti politici regionali, cioè una classe politica
che va contro il centro per difendere l’autonomia. Le realtà regionali che veramente funzionano, e che
veramente possono essere innovative nel bene o nel male ma che comunque fanno qualcosa di differente
rispetto al centro sono il trentino alto Adige e la valle d’Aosta perché queste 2 regioni sono le uniche regioni
nelle quali sono nati partiti regionali. la esvepe in trentino alto Adige ha la maggioranza assoluta da quando
esiste il trentino alto Adige stessa. Stessa cosa in valle d’Aosta c’è una fortissima presenza di politici
regionali, e perché questo è un bene per l’autonomia regionale? perché le regioni devono rivendicare
maggiore autonomia, rivendicare la possibilità di fare da sé. Se tu sei il leader di un partito regionale te ne
freghi del colore politico del partito che sta in maggioranza a Roma, vai a Roma e dici a me serve questo,
questo e questo. Non guardi in faccia chi ci sta a Roma perché tu devi rispondere ad un elettorato che ti ha
eletto per avere maggiore autonomia, per difendere l’autonomia regionale. Ma questo modo di
comportarsi è avvenuto soltanto in pochissime realtà (Trentino e Val d’Aosta). Negli altri casi si sono
riprodotti a livello regionale ma anche a livello comunale le stesse logiche identiche del governo centrale.
Per esempio se lo stato adotta una legge che sembra un po’ invasiva delle competenze regionali, cosa fa il
presidente della Lombardia? Va a Roma e dice quella legge è sbagliata perché qui legifero io→ autonomia
regionale. Ma se il presidente della regione Lombardia quando va a Roma si trova a colloquiare con un
presidente del consiglio e una maggioranza che ha voluto quella legge, che è la sua maggioranza. Finirà con
il non andare in contrasto perché prevale la logica partitica rispetto alla logica di difesa delle autonomie.
Formigoni (presidente della regione Lombardia) non è mai andato da Berlusconi a dire stai lontano da
questa materia perché la competenza è regionale, esattamente come difficilmente successe che Bersani il
presidente dell’Emilia Romagna andasse in parlamento e dicesse al governo togli le mani da questo ambito
perché allora al governo c’era il centrosinistra.
Quello che è mancato, e anche questo è un giudizio è abbastanza unanime, è stata la capacità della classe
politica regionale di distaccarsi da quella nazionale.
Anche più in basso è successo così, per esempio l’assessore al traffico del comune di Cinisello Balsamo chi lo
decide? La segreteria nazionale del PD o il sindaco di Cinisello Balsamo? Il punto è che se addirittura la
composizione della giunta locale e regionale non può essere fatta in modo autonomo da chi rappresenta
quella realtà ma deve essere contrattata nella segreteria di partito nazionale, alla quale se non va bene un
nome tu non lo metti quel nome. Non c’è completa autonomia politica → è la condizione minima per aversi
una realtà politica regionale o comunale. Tu puoi mettere chi vuoi, come anche l’assessore, alla materia più
insignificante ma se hai un diniego dalla segreteria del partito nazionale tu con quella persona rischi mille
volte se la vuoi mettere. Molto rischi, a tuo rischio pericolo e se tu la metti il partito ti toglie la fiducia e poi
sono fatti tuoi andare avanti nella campagna elettorale, e nel prendere posizione.
Il problema dell’autonomia regionale non è un problema costituzionale ma è un problema politico, è un
problema vero delle nostre realtà regionali.
Come sempre ci sono delle eccezioni non è una regola generale ma se volete capire perché i due decenni
dopo il 1970 sono stati decenni di completa insoddisfazione il motivo è questo. La difficoltà di nascita di
classi politiche regionali autonome invece di classi politiche regionali che di regionale avevano ben poco.
Ci sono anche però problemi più giuridici, più costituzionali. Uno dei più importanti è il seguente: abbiamo
visto le competenze legislative delle regioni sono di tipo concorrenti, uno può dire non è il massimo ma è
qualcosa vediamo se in quelle materie ce un po’ di innovatività, se le regioni sono state in grado di
difendere le esigenze territoriali proprie di ciascuna regione. La risposta è si e no, ma più no che si e in
questo ha giocato un ruolo purtroppo tremendamente restrittivo la giurisprudenza costituzionale, la
giurisprudenza della corte costituzionale per quanto riguarda le materie di competenza regionale è stata
da sempre molto restrittiva cioè la corte costituzionale ha spessissimo negato la possibilità per le regioni di
intervenire perché ha riconosciuto un interesse nazionale, in quella materia, da soddisfare da parte solo
dello stato. Un esempio tipico: l’apertura della stagione di caccia l’art. 117 prima del 2001 aveva la materia
caccia, cosa significa? Vuol dire che nella materia caccia le regioni hanno competenza legislativa
concorrente perché i costituenti hanno pensato le esigenze da soddisfare sono inevitabilmente regionali
non nazionali perché la caccia in Lombardia, in Piemonte non può essere regolata allo stesso modo della
caccia in Molise, in Campagna. Per esempio l’emigrazione degli uccelli non avvengono allo stesso modo
perché tendono a muoversi dai luoghi freddi ai luoghi caldi. Quindi è del tutto logico che la regione
Campagna dove attualmente ci sono 30 gradi abbia una legislazione in materia di caccia differente dalla
regione Lombardia dove 30 gradi non ci sono. È normale perché ci sono delle esigenze territorialmente
differenziate da soddisfare. Questo influisce sulle date di apertura e di chiusura della stagione venatoria, la
stagione venatoria inizierà prima laddove farà freddo dopo laddove fa più caldo. Infatti le regioni hanno
tentato ognuna di entrare in questo ambito e di definire secondo le proprie esigenze diverse legislazioni su
quando può iniziare e può finire la stagione di caccia. Cosa è successo? È successo che ad un certo
momento lo stato è intervenuto con una disciplina legislativa tendente alla limitazione della caccia perché
la caccia ma è una roba da volpe inglese medievale, ma non poteva dichiarare incostituzionale la caccia.
Quello che poteva fare lo stato era intervenire nell’ambito della caccia a tutela ad esempio di alcune specie.
Cosa fa la legge dello stato? Tu regione (materia caccia nell’articolo 117) non puoi cacciare questa lista di
uccelli perché sono a rischio di estinzione, non puoi cacciare questa lista di uccelli durante il periodo
migratorio. Tu regione quando disciplini la caccia devi prevedere questo, questo e quest’altro per ex. il
rinnovo del porto d’armi e tutta una serie di condizioni. Cosa fanno le regioni? Impugnano la legge statale
difronte alla corte costituzionale. Qual è la domanda? Ma se la caccia è una materia nostra, delle regioni,
non è incostituzionale la legge dello stato che interviene in questo ambito. Se la legge dello stato mi dice
che non puoi cacciare questa specie di uccelli, non sta invadendo l’ambito regionale. In questo specifico
problema la corte costituzionale ha dato ragione al 100% allo stato ma non è questo il punto. Il punto è che
le regioni rivendicavano una competenza, lo stato gliel’ha sottratta e la corte ha dato ragione allo stato,
perché? Perché ci sono esigenze e interessi che sono nazionali, non possono andare dietro a diverse
esigenze territoriali. Per me ha ragione perché chiaramente se una specie è a rischio di estinzione non è che
tu la puoi cacciare in Lombardia e non puoi in Piemonte, se è a rischio di estinzione è a rischio di estinzione,
e vale per tutte le regioni italiane. Stessa cosa il divieto nei periodi di emigrazione, stessa cosa i requisiti per
poter cacciare. Come in questo caso, in tantissimi altri, quello che sulla carta era in teoria di competenza
delle regioni è stato, dallo stato, avocato a sé e la corte ha dato ragione allo stato. Comunque un po’ per
motivazioni politiche e un po’ per motivazioni giuridiche i primi 20 anni di esperimento regionale sono stati
del tutto insoddisfacenti tranne quelle oasi di fortissima regionalità addirittura ,in alcuni casi, eccessiva. Per
esempio in Trentino alto Adige i cartelli scritti solo in lingua tedesca.

Un momento di fortissima svolta sono stati gli anni 90. Negli anni 90 vi era quasi una scarsa propensione dei
politici ad andare in Regione perché rischiavano l’arresto. Tangentopoli è iniziata a livello regionale, prima
ancora di sfociare a livello nazionale (Craxi e le monetine, mani pulite). Prima ancora che a livello nazionale
è a livello regionale e locale che è nata una fortissima esigenza di rinnovamento→ gli anni 90.
La prima fondamentale riforma si ha nel 1993, viene approvata dal Parlamento una legge sulla elezione
diretta dei sindaci. Per la prima volta nel nostro ordinamento, un potere esecutivo veniva eletto
direttamente dai cittadini. Due anni dopo nel 1925, introduzione dell’elezione diretta del presidente della
giunta regionale. La riforma dovuta a Tangentopoli era iniziata, perché dovuta a Tangentopoli? Perché
l’elezione diretta del sindaco e poi del presidente della giunta significava togliere potere ai partiti politici
per ridarlo ai cittadini. Tutto veniva deciso nelle segreterie di partito. Il problema era: una totale perdita di
fiducia del sistema nei confronti dei partiti politici. Ecco la novità! Tagliamo fuori i partiti politici, elezione
diretta del singolo e del presidente della giunta regionale.
Questa è l’origine delle stagioni di riforma degli anni 90.
L’elezione del sindaco e del presidente della giunta non è incostituzionale, certamente non l’avevano in
mente i costituenti ma la realtà ha portato ad arrivare fino a quel punto. Tuttavia dall’altro lato bisogna
sottolineare un aspetto. Una cosa è l’introduzione dell’elezione diretta di per sé non preclusa dalla
costituzione quindi anche ammessa, tuttavia altra cosa è l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco e
poi del presidente della giunta come è stato fatto nel nostro ordinamento. Non si è limitato a dire che il
sindaco e il presidente della giunta sono eletti direttamente dai cittadini e che il sindaco e il presidente della
giunta nominano e revocano gli assessori. Sin dal 1993 per i sindaci, e poi dal 1995 per le regioni, si è
introdotto un principio che non ha eguali nel mondo. Solo noi abbiamo il principio che regge la forma di
governo regionale e locale → nelle leggi di riforma dei comuni e delle regioni si è detto che continuava ad
esistere un rapporto tra il vertice dell’esecutivo e i consigli (comunali e regionali). Noi sappiamo che nelle
forme di governo presidenziali corrono su due binari separati, sono entrambi eletti democraticamente in
modo diretto quindi il presidente fa le sue cose e il congresso fa le sue cose, quindi una tendenziale
separazione. Da noi invece: elezione diretta del verdite dell’esecutivo, sindaco e presidente della regione,
elezione diretta dei consigli, comunale e regionale, ma mantenimento di un rapporto tra il vertice
dell’esecutivo e i consigli. Perché? Dal lato del sindaco ci sono delle cause che comportano il venire meno
del sindaco→ Morte, dimissioni, impedimento permanente. Cosa accade nella forma di governo locale,
comunale e regionale in caso di morte o dimissione del sindaco? Non si va alle elezioni di un nuovo sindaco,
perché automaticamente per legge si scioglie il consiglio, e quindi noi andremo alle elezioni del sindaco e
del consiglio. Dal punto di vista del consiglio, la legge sia per i comuni sia per le regioni prevede (venendo
meno a ogni logica del presidenzialismo) che i consigli possano sfiduciare il sindaco. Il consiglio comunale
può sfiduciare il sindaco, il consiglio regionale può sfiduciare il presidente della regione. Il congresso degli
USA può sfiduciare il presidente? No. Da noi invece si. Se il consiglio comunale sfiducia il sindaco così come
se il consiglio regionale sfiducia il presidente della regione, viene meno il sindaco, ma si scioglie
automaticamente anche il consiglio. Lo puoi sfiduciare ma ti sciogli anche te. Mandi alle elezioni il sindaco
ma vai alle elezioni anche te. Perché una logica del tutto illogica e rischiosa? Nasce dal fatto che prima delle
riforme degli anni 90 i cittadini eleggevano il consiglio, e il presidente o il sindaco duravano 10 mesi e poi
venivano sostituiti da un altro fino alla fine della congegnatura, come accadeva a livello nazionale. Il
legislature dice basta, nascono e muoiono insieme. Se i cittadini si esprimono, qualunque cosa accada,
bisogna ritornare dai cittadini. Ha senso quando ci sono di mezzo motivazioni politiche. Per evitare che si
cambi sindaco ogni 10 mesi io irrigidisco il sistema, se vuoi cambiare sindaco si torna alle elezioni. Però che
senso ha inserire in questo meccanismo la morte del sindaco? Cioè se il sindaco muore, perché devo andare
ad eleggere il consiglio comunale? Se un presidente della regione si dimette perché ha capito che la sua
carriera politica può continuare a livello parlamentare. Gli viene offerto un posto al senato e accetta,
siccome c’è incompatibilità cioè o fai l’uno o fai l’altro, si dimette da presidente della regione. Perché allora
bisogna andare a eleggere il consiglio? Non ha alcun senso, si è esagerato nel dare sempre la parola al
popolo. Infatti oggi i consigli non contano più niente. Il principio per il quale è nata la riforma era
giustificato però poi abbiamo fatto troppo. Obbiettivamente oggi, i consiglieri regionali e i consiglieri
comunali hanno un ruolo nelle rispettive realtà pari o prossimo a 0. È normale che sia così, vista la forma di
legge, vista la forma di governo. (in 20 anni su 8 mila comuni solo 2 consigli comunali avevano sfiduciato il
sindaco).
A questa riforma legislativa (93-95 parliamo di leggi ordinarie) si è aggiunta poi nel 97 un’altra riforma
conseguente con il rinnovato ruolo delle regioni e degli enti locali. Da un punto di vista politico le regioni
ma soprattutto i comuni negli anni 90 hanno visto una stagione di rinnovamento. Allora nacque per
esempio la rete, un partito politico, fatto prevalentemente da sindaci. Allora i sindaci di alcune realtà
importanti erano politicamente più forti degli stessi presidenti del consiglio perché erano letti direttamente
dal popolo. Quindi sicuramente da un punto di vista politico la riforma ha dato inizialmente una forte
visibilità al ruolo dei sindaci poi però nella realtà bisogna capire se è corrisposto anche un incremento di
ruolo più generale. E probabilmente la risposta è in parte positiva perché subito dopo la riforma della forma
di governo, nel 97 il parlamento ha approvato le riforme “Bassanini”. La riforma ha trasferito alle regioni e
ai comuni moltissime competenze che prima non avevano, erano rimaste in capo allo stato. La legge le
prende e le trasferisce alle regioni e ai comuni. Secondo molti andando anche oltre la stessa costituzione,
perché la costituzione era rimasta quella del 48 con quelle materie nel 117. Il trasferimento non riguarda
più la caccia, il turismo e i musei civici ma altre materie. Quindi è stato necessario, subito dopo, un
intervento costituzionale. La modifica del titolo 5 della costituzione del 2001 con la quale si è adeguata la
costituzione alla riforma legislativa avvenuta con le Bassanini. Le leggi Bassanini hanno riguardato, in modo
particolare, le funzioni amministrative delle regioni e dei comuni. Qual era l’impostazione della
costituzione? Oltre all’articolo 117 che riguardava le leggi, la costituzione parlava delle funzioni
amministrative nell’art. 118. Il 118 prevedeva che le regioni avevano funzioni amministrative laddove
avevano competenza legislativa, è il principio del parallelismo → dove puoi fare leggi puoi fare anche
amministrazione. Aggiungendo il 118 vecchio che, normalmente, le regioni dove hanno funzioni
amministrative le delegano agli enti locali, cioè ai comuni. La riforma Bassanini va oltre perché dice che le
funzioni amministrative spettano in prima battuta ai comuni, poi solo se ci sono esigenze unitarie possono
essere tenute dalle province, dalle regioni e dallo stato, ma l’indirizzo è prima di tutto i comuni. Questa
logica non è la logica della costituzione→ Serviva quindi una modifica costituzionale. Come si chiama
l’esercizio delle funzioni amministrative in prima battuta ai comuni? Principio di sussidiarietà, che viene
scritto tale e quale nella costituzione. La modifica del titolo 5 della costituzione nel 2001 riguarda infatti sia
le competenze legislative che quelle amministrative. Prima del 2001 una legge costituzionale del 1999 ha
portato in costituzione la forma di governo regionale prevista prima solo per legge ordinaria. Oggi la
costituzione sin dal 99 prevede la forma di governo introdotta nel 95 per le regioni. Quello che conta è la
modifica del titolo V del 2001.

Perché è importante la riforma del titolo V della costituzione?


- Intanto perché è la modifica costituzionale più ampia mai approvata dal parlamento. Sono stati modificati
il 10% degli articoli della costituzione. Mai una modifica costituzionale di tale ampiezza.
- secondo perché è veramente una rivoluzione per quanto riguarda le competenze legislative. Sicuramente
è una riforma a favore delle regioni, secondo alcuni addirittura troppo a favore delle regioni perché (prima
nel vecchio articolo 117 della costituzione del 48 c’era: un elenco di materie nelle quali la competenza delle
regione era concorrente( 15 materie) tutto il resto non scritto era di competenza dello stato. Per ex. La
politica estera di chi era? Si prendeva la costituzione, si leggeva il 117, se non era nell’elenco delle materie
era di competenza dello stato) con la riforma del titolo V cambia completamente il modo di ripartire le
competenze.
Allora prima di tutto c’è un primo elenco di materie di competenza dello stato. In quelle materie, una 20ina,
la costituzione dice che la competenza legislativa è dello stato. Sono materie importanti: immigrazione
(prima era dello stato ma non era scritta nell’elenco, ora è dello stato perché scritta nero su bianco),
politica estera, diritto d’asilo, difesa forze armate, moneta, previdenza sociale, dogane, pesi e misure di
tempo ecc.
Secondo elenco del nuovo articolo 117: le materie di competenza legislativa concorrente. Quindi rimane la
competenza prevista prima della riforma. Ovviamente il catalogo di materie e di competenze è accresciuto.
Ci sono delle materie che c’erano prima, ma se ne aggiungono delle altre. Per esempio: tutela della salute,
alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione (salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche→ la
costituzione dice una cosa molto interessante, l’istruzione non per forza deve essere una materia di
legislazione esclusiva dello stato, ma permette anche l’intervento da parte delle regioni. Ma tanto lo stato
quanto le regioni hanno un muro davanti che non posso oltrepassare ovvero l’autonomia dell’istituzioni
scolastica)(il vero significato è quello di cercare di differenziare in base alle esigenze non di insegnare in
veneto il dialetto), il governo del territorio, il porto (non tutte le regioni hanno i porti, quindi ha più senso
dare a quelle regioni l’opportunità di intervenire). Infine nel nuovo art. 117 c’è una clausola “nelle materie
non elencate, né nel primo elenco (competenza legislativa dello stato) né nel secondo elenco (competenza
legislativa concorrente), la competenza legislativa è delle regioni” inverte l’impostazione del vecchio 117.
Quando non trovi scritto niente, prima dovevi dire è dello stato, ora devi dire che è delle regioni. Per
esempio la materia asilo nido non compare né nel primo comma né nel secondo quindi la competenza è
delle regioni. Giusta o sbagliata che sia è una scelta a favore dell’autonomia.

Problemi di questa nuova ripartizione (inizialmente tutti contenti perché aumenta il margine di intervento
delle regioni): dal 2001 a oggi, ancora una volta, la maggioranza dei commentatori sarebbe più che altro per
dire che non c’è stata quella rivoluzione. Qualcosa è cambiato, ma poteva andare molto meglio. Poteva
venir fuori un nuovo modo di legiferare a livello regionale mentre in realtà è aumentato in quantità
l’ambito di intervento mentre nella qualità ci sono ancora dei problemi. Qualità nel senso che ci sono delle
materie che sono dentro nell’elenco di competenza dello stato, tuttavia sono materie che subito sono state
chiamate materie trasversali cioè non indicano una certa competenza ma è un materia che permette allo
stato di legiferare su ogni cosa. La materia più importante da questo punto di vista è la tutela della
concorrenza. Lo stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza. Cosa vuol
dire? Vuol dire tutto e niente. In quali ambiti lo stato può intervenire per tutelare la concorrenza? In tutti gli
ambiti anche negli ambiti riservati alle regioni. Il Commercio è una materia regionale, tuttavia arriva lo stato
che con una legge tutela la concorrenza e azzoppa l’autonomia regionale. (Per esempio l’orario di apertura
degli esercizi commerciali, lo stato tutela della concorrenza →liberalizzazione degli orari di apertura dei
negozi, lo stato non può arrivare e dire “tutelo la concorrenza, decidete voi se aprire di domenica, di notte
ecc”). Se una regione dice “tu stato qui non puoi intervenire perché spetta a me decidere” prende la legge
statale va dinnanzi alla corte costituzionale che deve risolvere un problema costituzionale. A chi spetta
l’apertura degli orari dei negozi? Allo stato per la tutela della concorrenza o alle regioni che hanno
competenza in materia di commercio? La risposta che la CC da è che ci sono degli interessi nazionali non
frazionabili secondo esigenze territoriali differenziate. In poche parole prevale lo stato.

Per quanto riguarda le funzioni amministrative la riforma del titolo V porta in costituzione il principio di
sussidiarietà. Nell’art. 118 troviamo scritto che tutte le funzioni amministrative competono ai comuni. Si
tratta di un principio rivoluzionario. Perché è un principio da guardare con particolare interesse? Qual è la
democraticità della sussidiarietà? Le funzioni amministrative dovrebbero competere all’organo più vicino ai
cittadini. Il mantenimento del verde pubblico, del manto stradale è meglio che spetti ai comuni che allo
stato perché se le strade nel tuo paese fanno schifo è più facile che tu vada a protestare dal sindaco che dal
governo nazionale. La sussidiarietà è democrazia, perché il responsabile della funzione sta vicino ai
cittadini, cioè il sindaco. Tuttavia insieme alla sussidiarietà di questo tipo, verso il basso proprio perché i
comuni italiani sono piccoli, la costituzione prevede delle esigenze unitarie che permettono all’ente
superiore di trattenere la funzione amministrativa. Chi è l’ente superiore? Le province, le regioni e lo stato.
(per esempio il ponte sullo stretto di Messina→ dovrebbe costruirlo lo stato, non le due regioni nemmeno
le due province) Cioè la funzione invece di andare verso il basso sta’ verso l’alto.
La costituzione non ha previsto solo la sussidiarietà verticale, cioè lo spostamento di funzioni
amministrative verso il basso con possibilità di rimanere in alto (funziona come un ascensore, scende verso
il basso ma può ritornare in alto) esiste anche per costituzione la sussidiarietà orizzontale. In costituzione,
sempre nell’articolo 118, c’è scritto che tutti gli organi (stato, regioni, comuni) favoriscono l’autonoma
iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. La funzione passa dal mondo
pubblico (stato, regioni e comuni) al privato (ai cittadini come singoli e come associazioni) quando c’è di
mezzo lo svolgimento di attività di interesse generale→ è la sussidiarietà orizzontale. I problemi stanno
essenzialmente nell’individuazione di quali sono queste funzioni. (ambiti nei quali la sussidiarietà
orizzontale diventa complicata: l’istruzione e la sanità).
LE FONTI DEL DIRITTO
L’ultima parte della seconda parte riguarda gli atti che questi organi possono, per costituzione, adottare.
La parola fonte è molto significativa perché significa lo sgorgare, l’origine del diritto e quindi quali atti e fatti
nel nostro ordinamento costituiscono l’origine del diritto. Le fonti del diritto sono quegli atti e quei fatti che
il nostro ordinamento, prima di tutto la costituzione, abilita a produrre norme giuridiche.
La dichiarazione di un ministro non è diritto, invece la legge approvata dal parlamento è diritto perché la
costituzione attribuisce a determinati atti la qualifica di fonti di diritto e quindi di atti capaci di produrre
diritto.

Sono fonti del diritto solo atti o anche fatti?


Può produrre diritto soltanto una legge, un decreto legge o invece può produrre legge anche una
consuetudine, una prassi, una convenzione? C’è un momento dopo il quale la preminenza all’interno delle
fonti in Europa l’hanno avuta gli atti, non i fatti. Questo momento è la rivoluzione francese, figlia
dell’illuminismo e quindi della fede nella ragione. Che è una fede nella scrittura, nella capacità degli uomini
di mettere nero su bianco tutta una serie di cose. Con la rivoluzione francese nascono le costituzioni, i
codici. Assume quindi rilevanza, nelle fonti del diritto, l’atto giuridico→ qualcosa di scritto. Prima non era
così per diversissimi motivi. Per dire che gli atti rispetto ai fatti nelle fonti costituiscono la categoria più
importante serve una cosa. Cosa è che serve come precondizione per riconoscere l’importanza degli atti
piuttosto che delle fonti? Cosa bisognava inventare? La stampa, finché non è stata inventata la stampa noi
non potevamo garantire la diffusione di un testo scritto. Mentre il periodo precedente all’invenzione della
stampa era sicuramente un periodo dove esistevano delle norme e delle regole ma erano prevalentemente
regole riguardanti fatti cioè consuetudini, convenzioni e prassi tramandati senza necessariamente sfociare
in qualche atto. In ogni caso dopo la rivoluzione francese cambia completamente e le fonti del diritto più
importanti sono atti e non più fatti. Certo è che i fatti, oggi, non sono scomparsi come fonti del diritto. Una
significativa è la consuetudine costituzionale. Per esempio le consultazioni presidenziali non sono scritte
nella costituzione ma si fanno comunque. Proprio perché si fanno anche la consuetudine può contribuire
come fonte alla formazione del diritto.
Quindi oggi abbiamo una prevalenza delle fonti atto, ma non è sempre stato così.

Come si classificano le fonti e soprattutto come si risolvono i problemi tra le fonti?


Le fonti del diritto sono tante (la costituzione italiana, le leggi, i decreti legge, i decreti legislativi, i
regolamenti dell’esecutivo e poi tutta quella produzione normativa europea ovvero i trattati, i regolamenti,
le convenzioni e le direttive). Diviene importante 1) classificare le fonti e 2) chiarire quali sono i modi che si
possono utilizzare quando tra le diverse fonti si creano dei problemi, dei contrasti. Chi prevale tra la legge e
un decreto legge? Chi prevale tra la costituzione e la legge? E come si fa a decidere chi prevale tra l’una o
l’altra?.

Come si classificano le fonti ?→ Il criterio più istintivo è anche quello meno importante, il criterio
gerarchico. È un criterio che serve per classificare le fonti e per iniziare a risolvere i problemi fra le varie
fonti, le antinomie fra le fonti. Il criterio gerarchico risponde alla durezza della fonte: significa capacità di
modificarne un’altra e resistenza alla modificazione. La durezza di una fonte è il suo grado di resistenza
rispetto ad altre fonti e la sua capacità di modificarne altre (fonti). Quindi abbiamo una versione attiva e
una passiva. Se noi seguiamo il criterio gerarchico, la fonte del nostro ordinamento che sta
gerarchicamente sopra tutte le altre è la costituzione italiana. Sotto la costituzione italiana esistono le fonti
primarie: leggi (atto del parlamento), decreti legge e decreti legislativi delegati (atti del governo).
Costituzione, fonti primarie e fonti secondarie.
Le fonti secondarie sono in particolare i regolamenti.
Cosa vuol dire criterio gerarchico? Vuol dire che le fonti primarie devono rispettare la costituzione, mentre
le fonti secondarie devono rispettare le fonti primarie. C’è una gerarchia in base alla quale la fonte
superiore può modificare la fonte inferiore e non può essere modificata dalla fonte interiore. Una legge può
modificare la costituzione? No. La costituzione può modificare una legge? Indirettamente si perché una
legge che contrasta con la costituzione viene dichiarata incostituzionale. A sua volta legge e regolamento,
una legge può modificare un regolamento? Certo. Un regolamento può modificare una legge? No, perché il
regolamento deve stare sotto la legge.
Questo criterio gerarchico è adatto a società un po’ diverse da quella attuale dove le fonti sono tante, è
difficile metterle dentro il criterio gerarchico. Per esempio, criterio gerarchico che in sé non risolve una
serie di problemi: un regolamento comunitario, una direttiva comunitaria. Dove la mettiamo? Chi vince tra
regolamento comunitario e la legge? Il giudice deve disapplicare la legge in contrasto con il regolamento
comunitario. Quindi il regolamento comunitario non è una fonte primaria perché sta sopra, vince. Ma è a
livello costituzionale? No, si dice che sta un pelo sotto alla costituzione. Perché un pelo sotto? Perché un
regolamento comunitario non può contrastare con la costituzione e in particolare con i principi supremi
della costituzione.
Un’altra fonte che non si riesce bene a classificare è la legge costituzionale o di revisione costituzionale.
Sicuramente sta sopra una legge ordinaria, ma non sta allo stesso livello della costituzione, sta un gradino
sotto perché non può modificare la forma repubblicana, non può modificare tutto quello che vuole. C’è
anche il problema dei limiti impliciti alla revisione costituzionale. Difficilmente una legge costituzionale
potrebbe modificare dei principi supremi dell’ordinamento, e quindi sta un pelo sotto la legge
costituzionale.

Il criterio gerarchico, secondo molti, va accostato ad altri criteri quando sorgono problemi fra le varie fonti.
Chi vince tra una legge e un decreto legge? Cosa deve fare il giudice? Per esempio tra circolare e legge chi
vince? Circolare disapplicata vince la legge, perché sta sopra alla circolare. Tuttavia cosa succede quando
non abbiamo due fonti appartenenti a diversi livelli gerarchici, ma due fonti dentro nello stesso livello
gerarchico? Legge prevede limitazione al 41bis: colloquio con i famigliari, ore d’aria ecc. arriva un decreto
legge e prevede anche un altro limite. Il giudice si trova ad avere due atti che potrebbero riguardare il suo
caso e non sa quale applicare perché entrambi potrebbero avere influenza. Può disapplicare il decreto
legge e applicare la legge? No, perché sono nello stesso livello. Una fonte primaria non può vincere su una
fonte primaria perché appunto sono fonti primarie. Questo vuol dire che il criterio gerarchico non basta, è
insufficiente. E allora per risolvere i problemi di contrasto tra fonti si sono stabili diversi altri criteri.

Le leggi statali e le leggi regionali sono fonti primarie. Come fa il giudice a decidere quale debba prevalere,
tra la legge statale e quella regionale? Non può dire che vince la legge statale. Adotterà un altro criterio che
è il criterio della competenza. A prevalere sarà la fonte competente. E dove trovo io la base di competenza?
Nella costituzione. La legge statale non vince sulla legge regionale perché è più forte ma perché è più
competente. A sua volta la legge regionale non vince perché è più forte ma perché è più competente.
Spetta alla CC decidere quando ci sono i conflitti di competenza fra le leggi.

Un altro criterio utilizzato è → il criterio cronologico: si presume che tra due leggi il giudice deve applicare
quella approvata dopo. Perché un principio basi di tutti gli ordinamenti è che il parlamento di ieri non può
vincolare il parlamento di oggi. Quello che decide il parlamento di oggi è più fresco e più nuovo. Si presume
che di fronte ad un contrasto il giudice debba applicare quello che dice oggi il parlamento, non quello che
ha detto ieri. Criterio importante ma non sempre risolutivo.

Infine l’ultimo criterio è → il criterio della specialità: il giudice cerca di applicare la fonte che in modo più
specifico disciplina la questione che ha di fronte, rispetto alla legge che pare essere più generale. Se riesce a
trovare una legge che va più nel dettaglio, è quella la legge che deve applicare rispetto ad una legge che
riguarda pur sempre quell’argomento, quel tema, ma non fino nel dettaglio così.
Per esempio una legge prevede che per poter accedere all’edilizia residenziale pubblica bisogna soddisfare
determinati requisiti. Il primo criterio è al reddito. Secondo criterio: occhio di riguardo per i militari di leva.
Terzo criterio: numero di anni di residenza nel territorio cioè privilegio chi risiede nel territorio da 5 anni.
Quarto criterio: la cittadinanza. Quattro requisiti: due normali, il terzo un po’ problematico e il quarto
incostituzionale. Siccome le case pubbliche sono poche si dovrà fare una graduatoria. 10 case 1000
domande, vuol dire che 990 restano fuori. Iniziano i ricorsi per come il giudice ha valutato le 4 nostre
diverse possibilità. Mettiamo che siano tutte previste dalla legge→ salta il criterio gerarchico, non puoi dire
che vince la legge della cittadinanza sulla legge del reddito perché sono entrambe leggi. Potresti applicare il
criterio cronologico ma a quel punto sorgerebbero dei grossi problemi perché dovresti applicare la legge
che è entrata in vigore per ultima che nel nostro caso specifico è quella della cittadinanza, che è anche
quella più problematica. Può bastare il criterio della specialità? No perché sono tutte e quattro leggi che
riguardano l’edilizia residenziale pubblica, sono tutte leggi specifiche non scrivono un principio generale.

Come si interpreta una fonte del diritto? Come si interpreta la legge?


L'interpretazione è quel meccanismo che permette alla disposizione di diventare norma, l’interpretazione è
ciò che fa vivere il testo scritto. Quello che voi trovate scritto in una legge si chiama disposizione di legge.
Quello che il giudice applica è frutto dell'interpretazione di quella legge e si chiama disposizione norma.
Cosa fa passare dalla disposizione alla norma? Proprio l'interpretazione.

Come si interpreta una disposizione?


Nel nostro ordinamento esiste un articolo di legge che dice ai giudici come interpretare la legge.
Il codice civile del 1942, ancora oggi in vigore, prevede delle disposizioni specificatamente riguardanti
l’interpretazione delle leggi. In particolare uno è l’art.12 delle disposizioni preliminari al codice civile. In
questo articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile si dicono quali sono i metodi di
interpretazione. Quale è il problema di una legge che stabilisce quali sono i modi di interpretare una legge
per il giudice? Perché è un cortocircuito irrisolvibile? La legge che dice al giudice come interpretare un’altra
legge è pur sempre una legge. È complicato rifarsi alla legge che dice ai giudici come interpretare un’altra
legge perché sono i giudici stessi che devono interpretare anche quella legge.

- Si parte dall'interpretazione letterale, cioè interpretare una legge secondo il senso letterale delle parole.
Tu interpreti una legge secondo il significato delle parole utilizzate da quella legge. È un criterio importante.
Per esempio se io dico che per l’omicidio volontario la pena non può essere inferiore a 20 anni e non può
essere superiore a 26 anni. L’interpretazione letterale è che 20 è 20 e 26 è 26. Il giudice non può dare 18
anni come non può dare 30 anni perché letteralmente 20 è 20 e 26 è 26. Ma se per esempio una legge dice
che è vietata la pubblicità dei mezzi anticoncezionali perché lede il buon e noi pubblicizziamo il
preservativo, commettiamo un reato e dobbiamo andare di fronte ad un giudice. Cosa fa il giudice? Si può
fermare all’interpretazione letterale? In questo caso il problema è il “buon costume”. Letteralmente cosa
significa buon costume? Ognuno di noi ha una sua idea, inoltre il termine buon costume oggi significa una
cosa 30 anni fa ne significava un’altra. Basta l’interpretazione letterale al giudice? No perché ci sono dei
termini che non possono essere cristallizzati per sempre, il loro significato muta nel tempo (come per
esempio il buon costume). Quindi l’interpretazione letterale si dice che è il punto di partenza ma non può
mai essere il punto di arrivo.
Per esempio l’interpretazione letterale della costituzione è l’ultima cosa che bisogna fare per capire la
costituzione perché è stata scritta nel 1947, le idee travasate nel testo costituzionale del 1947 non possono
essere le idee di oggi. Il significato di alcune cose scritte in costituzione nel 47 oggi non può più essere
quello di allora.

- quando l’interpretazione letterale non basta, cioè quasi sempre, si ricorre all’interpretazione sistematica:
collocare la legge e le sue singole parole all’interno del sistema, all’interno del contesto. Cercare di capire il
significato di una parola collocandola dentro nel contesto più ampio.
Per esempio per capire l’abolizione costituzionale della pena di morte è molto importante l’interpretazione
sistematica della costituzione per esempio laddove nell’art 24 stabilisce la possibilità di essere risarciti per
errore giudiziario, cioè la costituzione dice che la persona ha diritto di risarcimento di fronte ad un errore
giudiziario. Quando si è voluta togliere dalla costituzione la pena di morte (atr. 27 abolisce la pena di morte)
uno degli argomenti più forti è stata l’interpretazione sistematica della costituzione. Se tu da una parte
prevedi l’errore giudiziario, la possibilità di essere risarcito cioè la possibilità che un giudice possa sbagliare
in costituzione, puoi ammettere la pena di morte? No, perché se lo ammazzi non torni indietro. Ma se il
giudice può sbagliare tu non puoi ammazzare. È uno degli argomenti più forti oggi negli USA. (anche chi è
favorevole alla pena di morte di fronte all’errore giudiziario non ha chances. Non esiste una tesi forte tanto
quanto quella dell’errore giudiziario, non me la puoi contrastare. O mi dici che i giudici non sono umani e
quindi non sbagliano ma siccome il principio da cui anche tu, favorevole alla pena di morte, parti è la
fallibilità degli essere umani, giudici compresi. Allora devi capire che la pena di morte è incostituzionale per
la questione dell’errore giudiziario).

- a volte però l’interpretazione sistematica non basta ecco perché abbiamo un terzo criterio. Si tratta di un
criterio residuale cioè non può mai essere l’unico criterio ma è un criterio che aiuta→ si tratta
dell’intenzione del legislatore. Il legislatore con questo termine voleva dire: fammi andare a vedere i lavori
preparatori di una legge per capire che significato dare a quella parola. È un criterio importante per ogni
legge. Ha una funzione sussidiaria, aiuta l’interprete ma non può esser l’unico criterio perché quello che
conta è quello che tu hai scritto nella legge non quello che tu volevi scrivere nella legge.

- Criterio analogico: il giudice risolve il problema interpretativo ricorrendo ad altre leggi, cioè si serve del
significato di quella parola utilizzata in altre leggi. Va per analogia. Se quella parola in quella legge ha questo
significato allora nella legge che ho io difronte potrebbe, dovrebbe avere un significato simile. Questa è
l’analogia legis, ma quella ancora più importante è l’analogia iuris cioè il giudice va a vedere cosa significa
quella legge, non in altre leggi, ma nel significato dato a quella legge da altri giudici. In poche parole prendo
le loro interpretazioni e vedo cosa fare nel mio caso concreto.

-ultimo criterio: il ricorso ai principi generali dell'ordinamento, è il criterio più discrezionale e il più
problematico perché quando un giudice ha difronte una legge ed ha un problema interpretativo, si stacca
dalla legge e va a cercare il significato di quella legge nei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Ovviamente è un criterio problematico perché il distaccamento dalla legge è sempre da guardarsi con una
certa cautela che diventa massima quando il giudice si avventura a stabilire principi generali
dell’ordinamento giuridico. aumenta la discrezionalità dell'interprete. A volte i principi generali
dell’ordinamento giuridico sono previsti dal legislatore e allora il giudice e un po’ più avvantaggiato, altre
volte invece questo non succede e quindi aumentano i problemi perché distaccandoti dal testo della legge
tu applichi dei principi generali che evidentemente sei tu a valutare e a tirare fuori.

costituzione e legge fatte


FONTI PRIMARIE APPORVATE DAL GOVERNO
Perché il governo può approvare atti aventi forza di legge? Perché il governo può approvare fonti primarie?
Perché il governo può “sostituirsi” al parlamento? Perché così vuole la costituzione. Le fonti primarie sono
tipiche e tassative, sono solo quelle previste dalla costituzione. Quindi se la cosituzione prevede la
possibilità per il governo di approvare decreti legge, il governo può approvare decreti legge. Le regioni
possono approvare decreti legge? Il presidente della giunta regionale può approvare un decreto legge? No,
perché la costituzione, tra le fonti primarie, non prevede i decreti regionali. La regola base della
costituzione è che la funziona legislativa è esercitata dalla camere (art. 70). Chi fa le leggi? Il parlamento.
Perché? Perché è eletto dai cittadini. In parlamento c’è la maggioranza e l’opposizione. La regola è che le
fonti primarie sono le leggi perché le leggi le fa il parlamento. È la stessa costituzione che prevede le due
eccezioni: i decreti legislativi e i decreti legge. Sono due eccezioni alla regola perché di solito ci pensa il
parlamento, eletto dai cittadini, e non il governo. Quest’ultimo non solo non è eletto ma è anche formato
dalla sola maggioranza al contrario in parlamento troviamo anche l’opposizione.

Primo atto avente forza di legge del governo:


DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO
Articolo 76 della costituzione. È l’istituto della delega legislativa. La delega legislativa è la fonte primaria del
governo meno problematica perché il parlamento decide con legge “delega” di delegare l’esercizio della
funzione legislativa al governo. Il parlamento dice “pensaci tu governo, ti delego l’esercizio della funzione
legislativa”. Eccezione alla regola. I costituenti sapevano benissimo che doveva rimanere un’eccezione pur
prevedendo la possibilità che la funzione legislativa sia del governo. Allora hanno contornato nell’art. 76 la
delega di precisi limiti. Per costituzione la legge delega deve contenere dei limiti all’esercizio della funzione
legislativa del governo (in particolare 3), se la legge delega non contiene questi 3 limiti è incostituzionale:
1. Il parlamento può delegare al governo l’esercizio della funzione legislativa per un tempo definito (deve
esserci un inizio e una fine). Per esempio oggi il parlamento approva una legge delega che inizia in questo
modo: entro il 30 aprile 2019 il governo è delegato ad emanare un decreto legislativo → questo è
costituzionale. Sarebbe incostituzionale: entro il tempo che ritiene opportuno, il governo può approvare
uno o più decreti legislativi. Non c’è un limite costituzionale basta che sia un tempo definito (6 mesi, 2 anni
ecc), qual è il limite che pur non previsto dalla costituzione è logico e coerente e non potrebbe essere
altrimenti? La durata della legislatura.
2. Il parlamento può delegare la funzione legislativa per oggetti limitati. Bisogna quindi prevedere un
oggetto di intervento del governo che sia ben definito. Il parlamento non può dire al governo di riformare la
pubblica amministrazione perché quest’ultimo può fare di tutto. Devi limitare e definire il tuo oggetto. Per
ex. l’accesso all’università.
3. La costituzione prevede che la legge delega debba prevedere i principi ed i criteri direttivi ai quali i
governo è vincolato. Il parlamento deve indirizzare con dei principi e dei criteri direttivi l’attività del
governo, non può essere una delega in bianco, non può dire fai ciò che vuoi per ex. in accesso alle facoltà
mediche perché il parlamento deve indirizzare in vista del superamento, in vista del mantenimento ecc.
basta che indichi dei principi e dei criteri direttivi che il governo deve seguire perché è il parlamento che ha
la funzione legislativa.

Se la legge non prevede questi tre limiti è incostituzionale. A sua volta se il decreto legislativo del governo
non rispetta la legge delega è incostituzionale perché violando la legge delega viola l’art. 76 della
costituzione → eccesso di delega.

ALRTE CARATTERSITICHE DELLA DELEGA LEGISLATIVA


1) La delega legislativa la può approvare solo l’assemblea, quindi l’intera camera e l’interno senato. La
delega legislativa invece non può essere approvata dalla commissione in sede deliberante perché siamo in
materia di eccezioni ad una regola e quindi deve essere l’assemblea nel suo complesso, l’aula a decidere di
delegare la funzione legislativa .
2) Il destinatario della delega legislativa, nel nostro ordinamento, è sempre e soltanto il governo, il consiglio
dei ministri. Il parlamento può delegare l’esercizio della funzione legislativa solo al consiglio dei ministri nel
suo complesso, non ad un ministro né al presidente del consiglio. Perché la cosa più importante nel
governo è la collegialità.

I limiti sono molto chiari→ la costituzione dice al parlamento vacci cauto con il delegare al governo la
funzione legislativa perché i cittadini eleggono il parlamento non il governo. È bene che la funzione
legislativa stia in parlamento dove c’è l’opposizione. Il governo nella funzione legislativa deve venire solo
alla fine, deve essere solo un’eccezione.
Tuttavia i tre limiti anche se sono chiari quanto al senso, lasciano un certo margine di discrezionalità che è
la politica a riempire.
Per ex. il tempo. Abbiamo detto che abbiamo bisogno di un tempo ma che non ha senso oltre alla
legislatura. Chi lo decide? Il parlamento. Il parlamento forte, autorevole, con coraggio, che sa l’importanza
del suo ruolo darà una delega lunga o corta? Il parlamentare intelligente sa che più lunga è la delega meno
lui fa. Perché in quella materia vuol dire che per 2 anni legifererà il governo. E questo non va bene. È una
faccenda politica non costituzionale.
In teoria se io ti do una delega corta sto difendendo il mio ruolo, il ruolo di tutti i parlamentari e il ruolo del
Parlamento. Difendo l’istituzione parlamentare.
Quindi quanto tempo bisogna dare? È politica, di norma i nostri parlamentari non hanno avuto un grande
senso dell’istituzione ma hanno avuto un grande senso della loro vita politica.
Se prevale la logica politico-partitica il tempo è un po’ più lungo, gli oggetti invece che essere limitati sono
un po’ più sfocati perché manca il coraggio di difendere l’istituzione.

Infatti nel tempo sono stati introdotti degli ulteriori limiti perché si è capito che i nostri parlamenterai di
coraggio istituzionale non ne avevano. Ma sono limiti non nell’articolo 76 della costituzione ma sono limiti
introdotti da leggi. Per esempio le leggi hanno previsto che quando la delega supera 2 anni, cioè quando il
parlamento delega il governo per un tempo superiore a 2 anni, per legge, il decreto legislativo approvato
dal governo deve tornare in parlamento per un parere obbligatorio, non vincolante. Vuol dire che lo deve
esprimere, se non lo esprime vuol dire che la delega ha dei problemi, ma non è vincolante.

Quando si approvano le deleghe? Che senso ha la delega legislativa?


La delega legislativa è di per sé un istituto che previsto dai costituenti ha molto senso perché si applica nelle
materie più tecniche. Nelle materie dove serve una competenza un po’ più tecnica. Tutti i nostri codici
(civile, pensale, della privacy, dell’ambiente, della strada) sono decreti legislativi. Sono tutti atti approvati
con delega legislativa. Il parlamento delega l’esercizio della funzione legislativa perché ci sono ambiti nei
quali serve conoscere in modo più approfondito le questioni. Il parlamentare per essere eletto deve essere
capace? No, la capacità non la da la laurea. Vuol dire che i 1000 parlamentari non hanno la loro
legittimazione in qualche necessaria conoscenza tecnica professionale. Che ne sa il parlamentare Rovereto
del codice della privacy? Niente. Quindi perché il parlamento delega al governo? Perché a differenza del
parlamentare il governo quindi il ministro, il vicesegretario, il sottosegretario ma soprattutto la macchina
burocratica amministrativa dei ministeri è fatta di persone non elette ma capaci. Per andare a lavorare al
ministero della giustizia tu devi superare un concorso pubblico che prevede una laura, non un elezione.
Quindi dentro il ministero della giustizia ci sono solo persone laureate che partono da un grado di
conoscenza maggiore, non migliore, rispetto al deputato che non deve essere laureato.
Tutto questo per dire che è giusta la mentalità che sta dietro alla delega → io parlamento posso fare solo i
grandi principi direttivi, le scelte quelle basilari poi però nel dettaglio delego il governo.

DECRETO LEGGE
Articolo 77 della costituzione. La regola è che la funzione legislativa appartiene alle due camere, questa è la
regola di base. Ogni volta che invece delle camere, del parlamento è il governo ad intervenire si pongono
tutta una serie di problemi. La costituzione pone nel caso della delega legislativa tutta una serie di limiti per
circoscrivere la possibilità che sia il governo al posto del parlamento ad intervenire con degli atti che hanno
valore di legge come i decreti legislativi delegati. Stessa cosa ma ancor più complicato il decreto legge tanto
è vero che l’atteggiamento dei costituenti in questo ambito è paradigmatico. Moltissimi erano contrari al
decreto legge e questo deve far riflettere. In prima battuta si escluse la possibilità per il governo di adottare
i decreti legge poi il dibattito andò avanti e nel progetto di costituzione su cui poi ci saranno i dibattiti nel
1947 si prevedeva sì il decreto legge ma con una serie di requisiti alquanto importanti, cioè i costituenti
dissero a noi non piace che al posto del parlamento intervenga il governo perché? Che cosa è il decreto
legge? A differenza della delega legislativa nella quale prima interviene il parlamento con la legge delega e
poi interviene il governo, con il decreto legislativo si inverte prima interviene il governo e dopo il
parlamento. Questa impostazione cioè la possibilità che il governo intervenga prima del parlamento da
molti costituenti era esclusa, tuttavia si arrivò ad un compromesso. Un compromesso che si basava
essenzialmente su questo punto, in alcuni casi è impensabile se non sbagliato che sia il parlamento ad
intervenire solo dopo il governo, in alcuni casi è necessario che intervenga subito e immediatamente il
governo. L’esempio classico è il terremoto ,una calamità naturale. I costituenti rifletterono e dissero in
questi casi deve poter intervenire subito il governo se mai il parlamento arriva dopo. Non ha senso che
difronte ad una calamità naturale si aspettino le procedure parlamentari che vogliono tempo, per delegare
al governo il potere di intervenire. È giusto che intervenga subito il governo difronte a casi come il
terremoto o calamità naturali.
Nel progetto di costituzione si tradusse il tutto con una definizione indicativa: il governo può intervenire in
casi di assoluta necessità e urgenza. Assoluta vuol dire che nella testa dei costituenti ci stavano quegli
eventi nei quali era indiscutibile che dovesse esser subito il governo ad intervenire, come per esempio le
calamità naturali. I dibatti poi proseguirono poi per tutto il 1947 e ne venne fuori l’art.77 della costituzione
il quale non ha più il termine “assoluto” riferito al caso di necessità d’urgenza ma mantiene ovviamente la
necessità e l’urgenza.
Cosa dice l’art. 77 della costituzione?
In casi straordinari, di necessità e di urgenza, il governo adotta provvedimenti con forza di legge. Quindi non
più in casi di assoluta necessità ed urgenza ma in casi di straordinaria necessita ed urgenza. La morale è che
in ogni caso si tratta di eventi che richiedono un tempestivo intervento del governo.
Quando dice straordinari casi di necessità e di urgenza la nostra costituzione vuole dire che, anche se tu
guardi con una certa cautela e con un certo sospetto la possibilità che il governo adotti provvedimenti con
forza di legge comunque è innegabile che possano esistere dei casi nei quali il governo deve intervenire.
L’evento drammatico che fece propendere per l’ammissione fu il terremoto di Messina del 1909. Lo statuto
albertino non prevedeva il decreto legge, eppure a fronte del terremoto di Messina il governo adottò dei
decreti legge. Il ragionamento che fecero i nostri costituenti è: ma se addirittura senza base normativa il
governo è comunque intervenuto è inutile vietare la decretazione d’urgenza. È meglio prevederla,
contornata da tutta una serie di cautele, la prima delle quali è solo in casi straordinari di necessità e di
urgenza.

Cosa succede quando un governo adotta un decreto legge?


Il decreto legge, che può essere adottato in casi straordinari di necessita e di urgenza, entra
immediatamente in vigore. Il consiglio dei ministri approva il decreto legge, proprio perché il decreto legge
riguarda casi straordinari di necessità e di urgenza deve entrare immediatamente in vigore. Viene meno la
necessità d’urgenza se il decreto legge entrasse in vigore un mese dopo. Deve subito entrare in vigore.
Ci sono due ulteriori elementi da tenere in considerazione.
Il primo è il più rilevante da un punto di vista sistematico→ cosa succede di un decreto legge approvato dal
consiglio dei ministri ed entrato immediatamente in vigore? La costituzione dice che deve essere
immediatamente presentato alle camere le quali hanno 60 giorni per convertilo in legge. L’atto in base al
quale il parlamento converte un decreto legge si chiama legge di conversione, la quale deve essere
approvata entro 60 giorni. Perché è un elemento di sistema fondamentale? Perché questo è il modo in base
al quale si rispetta la regola che la funzione legislativa appartiene alle camere.
Nella delega legislativa le camere approvano la legge delega e il governo interviene, nel decreto legge il
governo approva il decreto legge ma deve essere convertito in legge dalle camere, quindi torna alle camere
la funzione legislativa provvisoriamente in capo al governo. Se le camere entro 60 giorni non convertono il
decreto legge, il decreto legge decade, è come se non fosse stato mai approvato perché l’unico modo per
farlo rimanere perenne nell’ordinamento è la legge di conversione. Se non c’è la legge di conversione il
decreto decade.

Da quando decade un decreto legge?


La costituzione dice che decade sin dall’inizio, se decadesse dopo 60 giorni noi avremmo degli effetti
giuridici prodotti nell’ordinamento da un atto non convertito in legge, cioè da un atto nel quale il
parlamento non ha potuto dire la sua. Questo è incostituzionale.

Quali problemi si pongono riguardo alla decadenza sin dall’origine del decreto legge?
Scadono i 60 giorni, il parlamento non ha convertito in legge, il decreto legge è come se non fosse mai stato
approvato. Gli effetti che ha eventualmente prodotto decadono non decorsi i 60 giorni ma da quando è
stato approvato il decreto, sin dall’origine. La costituzione tenta di risolvere il problema dicendo che gli
effetti prodotti da un decreto legge non convertito possono essere sanati eventualmente da una legge del
parlamento, che si chiama “legge sanatoria”. Spetterà al parlamento vedere se e quali effetti ha prodotto il
decreto legge ed eventualmente intervenire per sanare i problemi.
Per esempio con decreto legge si aumentano le accise sulla benzina oppure con il decreto legge si aumenta
il costo delle sigarette. Siccome il decreto legge entra immediatamente in vigore, quando noi andiamo a
fare benzina il giorno dopo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del decreto legge non troviamo più la
benzina che costa come il girono prima ma la troviamo già con l’aumento previsto dal decreto legge. Stessa
cosa le sigarette. Questo decreto che ha prodotto l’effetto in 60 giorni non viene convertito. Cade il decreto
legge e cadono gli effetti prodotti dal decreto legge. A questo punto uno legge del parlamento può,
eventualmente, sanare gli effetti. Per esempio se abbiamo fatto benzina o abbiamo comprato le sigarette e
abbiamo un titolo in mano in base al quale dimostriamo che abbiamo pagato 10 centesimi in più la benzina,
quel titolo potrebbe esser usato per avere il rimborso dovuto al fatto che l’atto in base al quale noi abbiamo
pagato quei 10 centesimi in più non esiste più. Spetterà al parlamento prevedere le modalità per sanare gli
effetti di un decreto legge non convertito. Però non è obbligo, il parlamento potrebbe anche decidere di
non sanare, è una facoltà del parlamento. Ci sono però casi nei quali le sanatorie degli effetti dei decreti
legge non convertiti non sono così facili da individuare. Per esempio con un decreto legge si depenalizzano
determinati reati, quello che fino a ieri era punito con un min di 1 mese di carcere e un max di 6 mesi, con
decreto legge viene depenalizzato cioè si dice non più il carcere da 1 mese ai 6 mesi ma una sanzione
amministrativa di 1000 euro. L’effetto immediato del decreto legge è che la persona che sta in carcere non
può più stare in carcere perché il decreto legge ha valore di legge quindi cancella la base legislativa in base
alla quale tu eri in carcere. E non può stare in carcere una persona nel momento in cui la pena per quello
che lui ha fatto non è più la carcerazione ma la sanzione amministrativa. Quindi si scarcera e si fa la
sanzione amministrativa. (reati che nel tempo sono stati depenalizzati per ex. i reati di opinione)
→Quindi in alcune circostanze la sanatoria è possibile in altre circostanze diviene particolarmente
complicata ed è per questo che l’uso del decreto legge dovrebbe essere molto cauto.

A chi spetta il compito di emanare gli atti con forza di legge del governo?
Al PdR, il PdR promulga le leggi ed emana gli atti aventi forza di legge del governo quindi decreti legislativi e
decreti legge. In linea teorica quando il consiglio dei ministri approva un decreto legge non è finito lì perché
deve essere emanato dal PdR. Il potere del PdR in sede di emanazione del decreto legge è uguale o
differente da quello che ha in sede di promulgazione delle leggi? In sede di promulgazione delle leggi il PdR
può rinviare una legge al parlamento, ma può fare lo stesso per un decreto legge? Cioè può rinviare un
decreto legge al governo? La Costituzione tace, cioè non dice nulla e qui si va di interpretazioni. C’è chi
sostiene che il potere del PdR è simile a quello che ha in sede di rinvio delle leggi, c’è chi invece sostiene
che è comunque un potere limitato perché:
1. Il parlamento comunque interviene, quindi se il PdR fa passare un decreto legge problematico comunque
dopo c’è il parlamento in sede di conversione, c’è un ulteriore controllo del testo.
2. Il decreto legge può essere adottato in casi straordinari di necessità e di urgenza, è pensabile che il PdR
possa rinviare al governo un decreto legge? Si dice più no che si perché se quel decreto legge può essere
adottato solo in casi straordinari di necessità e di urgenza il rinvio del PdR rischia di compromettere lo
scopo per il quel il decreto legge è stato approvato. Se il governo per costituzione adotta un decreto legge è
perché vuole che in quella materia ci sia un intervento rapido, ma se noi ammettiamo l’intervento del PdR
viene meno l’immediatezza perché a quel punto il PdR rinvia e il consiglio dei ministri dovrà ridiscutere il
decreto legge.
La prassi di fronte a queste due interpretazioni è stata che i PdR hanno preferito lasciare al gioco politico la
questione decreto legge. Abbastanza comprensibile perché se un PdR rinvia un decreto legge sta
opponendo la sua visione del problema a quella del governo. Se il governo ritiene che è necessario ed
urgente privare della cittadinanza italiana una persona imputata per reati di terrorismo. È una valutazione
malsana, giusta ma del governo il quale sta lì perché ha la fiducia del parlamento. Se il PdR opponesse la
sua visione si finirebbe con lo sdemocratizzare l’ordinamento perché il PdR non ha quel rapporto che ha il
governo con i cittadini. I PdR in genere non intervengono in modo netto sui decreti legge, tuttavia in alcuni
casi non sono mancati PdR che invece sono intervenuti. Piuttosto che rinviare il decreto legge al governo e
bloccare tutto i PdR da Ciampi in avanti preferiscono fare una cosa legittima ma alquanto anomala cioè
emanano il decreto legge e poi con una lettera inviata al consiglio dei ministri dicono “guarda che tieni in
considerazione questo, questo e quest’altro elemento”. Quindi adottano tutta una serie di atti informali per
mettere in chiaro quali sono i vincoli e gli obblighi dai quali il governo non può prescindere.

Quale altra possibilità ha il PdR nel momento in cui di fronte ad un decreto legge problematico decide
comunque di emanare?
Legge di conversione, converte il decreto legge. La legge di conversione, come tutte le leggi deve essere
promulgata dal PdR. A quel punto il PdR che ha fatto capire il suo orientamento tramite una dichiarazione,
un comunicato o una lettera al governo visto che in parlamento nulla si è fatto per andare incontro le sue
osservazioni anzi visto che si è posta la questione di fiducia e quindi si è bloccato il testo, potrebbe
eventualmente pensare di rinviare la legge di conversione del decreto legge. A questo punto sorgerebbero
dei nuovi problemi.
Qual è il problema di rinvio della legge di conversione? La scadenza dei 60 giorni, se io rinvio la legge di
conversione bisogna capire quanto il parlamento ha a disposizione. Se il parlamento è veloce e spedito a
convertire e quindi il PdR vede che ci sono ancora 25 giorni (perché per esempio il decreto legge arriva alla
camera e viene approvato in 15 giorni poi passa al senato e viene approvato in 20 giorni) rinvia e a quel
punto le camere hanno 20 giorni per prendere il messaggio del presidente, rimediare e riapprovarlo con la
legge di conversione.

3 possibilità: messaggi informali, blocca l’emanazione o comunque ragiona sul rinvio della legge di
conversione

I casi nei quali il PdR è intervenuto bloccando in origine l’emanazione sono sporadici ma sono importanti.
Per esempio il decreto legge che il governo Berlusconi approvò in pieno caseo Englaro. Ad un certo
momento il caso Englaro era stato risolto da un punto di vista giurisdizionale, la cassazione aveva dato l’ok
al distacco delle macchine, quindi non c’era più niente da dire da un punto di vista giuridico. Il padre, che
era tutore, aveva ricostruito la volontà della figlia quindi si al distaccamento. Il governo dal canto suo
approvò un decreto legge per evitare il distaccamento delle macchine. L’allora PdR non fu d’accordo perché
il decreto legge del governo violava la separazione dei poteri. Il governo non può intervenire laddove, se
non violando la separazione dei poteri, c’è stata già la pronuncia della corte di cassazione e della corte
d’appello. Perché altrimenti si sostituirebbe ai giudici.

Quando il PdR ritiene che il decreto legge è del tutto contrario alla costituzione o come nel capo di Eluana
contrario alla separazione dei poteri, può anche decidere di non emanare.

Cosa è successo nella realtà? Cioè i governi hanno approvato decreti legge sono in casi di calamità naturali?
No come per esempio il decreto in materia di sicurezza. Tutti i suoi casi devono rispondere all’articolo 77.
Una delle preoccupazioni che sono state avanzate dal PdR, non ascoltate, è che dentro al decreto legge di
sicurezza ci sta tutto e il contrario di tutto. Ci sono dei casi in base ai quali il governo dice che c’è una
necessità d’urgenza ma ci sono anche degli altri casi nei quali la necessità d’urgenza non esiste. Per
esempio la privazione della cittadinanza

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