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LEZIONI

DI

MECCANICA AGRARIA
Parte seconda

Paolo Amirante

Professore di macchine ed impianti per le industrie agroalimentari

isbn: 9788890336102

1
INDICE

LEZIONI DI MECCANICA AGRARIA 1

INDICE 2

PRESENTAZIONE 6

CAPITOLO XII ASPETTI GENERALI DELLE


MACCHINE OPERATRICI

12.1 Dati di lavorazione delle macchine operatrici 8

12.2 Classificazione delle macchine operatrici 10

12.3 Classificazione delle lavorazioni del terreno 19

CAPITOLO XIII MACCH INE PER LE LAVORAZIONI

PRELIMINARI E SPECIALI DEL TERRENO

13. 1 Introduzione 23

13.2 Aspetti funzionali delle macchine per il

disboscamento e il decespugliamento 24

13.3 Aspetti funzionali delle macchine per la

scarificatura o rippatura 29

13.4 Aspetti funzionali delle macchine per lo spietramento 33

13.5 Sistemazione del suolo e drenaggio 39

13.6 Macchine per lo scasso dei terreni 41

CAPITOLO XIV MACCHINE PER LE LAVORAZIONI

PRINCIPALI DEL TERRENO

14.1 Introduzione 44

14.2 Macchine operatrici utilizzate per l’aratura 45

14.2.1 Funzioni operative degli aratri rovesciatori 46

14.2.2 Classificazione degli aratri rovesciatori 53

2
14.2.3 Valutazione della qualità di lavorazione degli aratri 62

14.3 Aratri rimescolatori o a dischi 64

14.4 Aratri discissori 66

14.5 Macchine zappatrici e vangatrici 68

14.5.1 Zappatrici 68

14.5.2 Vangatrici 72

14.5.3 Valutazione della qualità di lavorazione degli aratri

CAPITOLO XV M ACCHINE OPERATRICI UTILIZZATE PER

LE LAVORAZIONI COMPLEMENTARI DEL

TERRENO

15.1 Classificazione delle macchine utilizzate per le

lavorazioni complementari del terreno 74

15.2 Le macchine operatrici utilizzate per le

lavorazioni complementari del terreno 76

15.2.1 Estirpatori 76

15.2.2 Erpici 79

15.3 Sarchiatrici 90

15.4 Rulli 93

15.5 Attrezzi combinati 95

15.6 Macchine per la lavorazione ridotta 97

CAPITOLO XVI MACCHINE PER LA CONCIMAZIONE LA SEMINA E IL TRAPIANTO

16.1 Introduzione 109


16.2 Macchine per la distribuzione di concimi naturali 110
16.2.1 Macchine per la distribuzione di concimi naturali
solidi 110

3
16.2.2 Macchine per la distribuzione di concimi naturali
liquidi 114
16.3 Macchine per la distribuzione di concimi chimici
Inorganici 117
16.3.2 Macchine spandiconcime c entrifughe 118
16.3.3 Macchine spandiconcime pneumatiche 122
16.4 Macchine seminatrici 123
16.4.1 Modalità di distribuzione del seme 124
16.4.2 Classificazione delle macchine seminatrici 125
16.4.3 Macchine seminatrici a spaglio 125
16.4.4 Macchine seminatrici a righe 126
16.4.5 Macchine seminatrici di precisione 132
16.4.6 Regolazione della distribuzione del seme 135
16.5.7 Semina in terreno non lavorato (sod seeding) 140
16.5 Macchine trapiantatrici 141
16.5.1 Generalità 141
16.5.2 Trapiantatrici per piantine a radice nuda 143
16.5.3 Gruppo trapiantatore per piantine radicate in torba 148
16.5.4 Gruppo trapiantatore con distributore rotante 152

CAPITOLO XVII MACCHINE PER LA LOTTA ANTIPARASSITARIA

17.1 Introduzione 155


17. 1 Classificazione delle macchine per la lotta
antiparassitaria 158
17.3 Macchine irroratrici 160
17.3.1 Irroratrici a getto proiettato 160
17.3.2 Irroratrici a getto portato (o atomizzatori) 165
17.3.3 Classificazione e descrizione delle caratteristiche
costruttive degli ugelli 171
17.4 Macchine impolveratrici 174
17.5 Macchine combinate e mezzi aerei 176
17.6 Regolazione e controllo delle irroratrici 178
17.7 Scelta delle macchine irroratrici 182

CAPITOLO XVIII MACCHINE PER LA RACCOLTA DEI FORAGGI

18.1 Introduzione 184

18.2 Classificazione delle macchine per le colture

foraggere 185

18.3 Macchine per il taglio dei foraggi allo stato fresco 187

4
18.4 Macchine per la raccolta ed il carico del

foraggio fresco 199

18.5 Macchine per il condizionamento e la disposizione

in andane 202

18.6 Macchine per la raccolta del foraggio affienato 213

CAPITOLO XIX MACCHINE PER LA RACCOLTA DEI CEREALI

19.1 Introduzione 218

19.2 Aspetti costruttivi e funzionali e delle mietitrici

e delle mietilegatrici 222

19.3 Aspetti costruttivi e funzionali delle trebbiatrici 227

19.4 Aspetti costruttivi e funzionali delle

mietitrebbiatrici 230

19.4.1 Organi di mietitura dei cereali 232

19.4.2 Organi di mietitura del mais 234

19.4.3 Organi di mietitura del girasole 236

19.4.4 Organi di mietitura delle colture oleaginose 238

19.4.5 Aspetti costruttivi generali della testata trebbiante 239

19.4.6 Regolazione della funzionalità del gruppo

battitore-controbattitore 242

19.4.7 Aspetti costruttivi degli organi della granella

e relative perdite 242

19.5 Le mietitrebbiatrici non convenzionali 244

19.6 Le mietitrebbiatrici autolivellanti 247

19.7 Le macchine per la raccolta della paglia 249

19.7.1 Le roto-imballatrici a camera prismatica 249

19.7.2 Le roto-imballatrici a camera prismatica giganti 250

19.7.3 le Rotoimballatrici 251

19.7.4 Le presse-imballatrici e roto-imballatrici

utilizzate per la raccolta dei tralci di potatura 252

19.8 Cantieri di immagazzinamento dei cereali 255

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MECCANICA AGRARIA VOLUME II - MACCHINE OPERATRICI AGRICOLE

PRESENTAZIONE

La redazione del testo, come già indicato nella presentazione del primo volume, è stata svolta
raccogliendo il materiale didattico predisposto dal prof. Giovanni Candura per gli studenti del corso di
Meccanica Agraria dell’Università di Bari, appunti che successivamente sono stati sviluppati in tre volumi
dal prof. Gino Dipaola.
Ma, la fonte principale utilizzata per la redazione del presente elaborato, è stato il pregevole testo di
Meccanica Agraria, redatto dai proff. Antonio Arrivo e Vittorio Panaro, nella Edizione Quadrifoglio di Bari.
Il testo è stato, altresì, integrato con le ricerche sviluppate dall’autore in pubblicazioni redatte nell’ambito
dell’attività di ricerca svolta nell’Università di Bari, con prove di campo eseguite nelle aziende agricole del
foggiano e del metapontino, ed anche in altri areali produttivi della Basilicata, del Molise e della
Campania.
Inoltre, si precisa che molte parti del testo sono state sviluppate raccogliendo spunti dal materiale
didattico-scientifico predisposto, nel testo di Meccanica Agraria, dal prof. Paolo Biondi, testo di
grande pregio che purtroppo non è più in commercio.
Nello sviluppo di questo secondo volume vengono illustrate le macchine operatrici agricole per le
lavorazioni del terreno e per tutte le altre operazioni colturali fino alle macchine per la raccolte dei foraggi
e dei cereali, mentre nel terzo volume saranno trattate le macchine e gli impianti per la raccolta delle
colture ortive, industriali ed arboree, per le operazioni del post-raccolta, per le proprietà fisico-meccaniche
dei prodotti agricoli, e per gli impianti di irrigazione e di mungitura meccanica, nonché gli aspetti tecnico-
economici della gestione delle macchine agricole ed infine i principi base delle moderne tecniche della
agricoltura di precisione.
Gli argomenti sono stati sviluppati, fornendo in via preliminare le informazione sugli aspetti funzionali delle
singole macchine, proseguendo poi con la illustrazione della loro evoluzione nel tempo ed infine con la
descrizione delle machine agricole utilizzate attualmente.
Nel testo sono stati, altresì, esaminati gli aspetti costruttivi delle diverse macchine agricole, sia quelle
destinate all’agricoltura estensiva, che quelle gestite in aziende agricole di piccole dimensioni e quindi
quelle destinate all’estero ed ai paesi in via di sviluppo.
Inoltre, si è ritenuto opportuno riportate indicazioni sulle prestazioni delle macchine, sia sulla loro capacità
di lavorazione che sulla qualità di lavorazione, mettendole a confronto con le operazioni eseguite con
attrezzi semplici dalla mano dell’uomo.
In conclusione, si precisa che Il testo è stato sviluppato in ventotto capitoli, suddivisi in tre volumi,
fornendo utili indicazioni, sia per gli studenti del corso di laurea in Scienze Agrarie dell’Università che per
gli operatori che intendono utilizzare le macchine in campo nelle reali condizioni di impiego.
Infine, nel terzo volume sono state riportate anche informazione di carattere generale sulla gestione
tecnico-economica delle macchine, nonché sull’agricoltura di precisione.
Prima di procedere ad un esame dettagliato delle singole operazioni colturali, riportiamo alcune immagini
dei settori esaminati dall’autore, nel corso di oltre 50 anni di attività di ricerca svolta in Puglia, iniziando
dalle immagini relative alle macchine per le lavorazioni di scasso dei terreni, proseguendo poi nell’esame

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delle macchine per le lavorazioni di aratura e di preparazione del letto di semina, proseguendo poi nella
descrizione delle macchine per la concimazione e il trapianto (cfr. Figura 1).

Figura 1 Meccanizzazione delle lavorazioni di scasso dei terreni, di semina e di trapianto

Si è proseguito, poi, con la descrizione delle macchine per le varie operazioni colturali a partire da quelle
per i trattamenti antiparassitarie proseguendo poi nella descrizione delle macchine per le operazioni di
raccolta delle colture foraggere (cfr. Figura 2).

Figura 2 Impianti di irrigazione e machine per i trattamenti antiparassitari e la raccolta dei foraggi

Infine, si sono analizzate le macchine per la raccolta dei cereali e della paglia e per il loro stoccaggio in
silos (cfr. Figura 3).

Figura 3 Macchine per la raccolta dei cereali per l’essiccazione dei foraggi e
lo stoccaggio in silos dei cereali

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CAPITOLO XII

ASPETTI GENERALI SULLE MACCHINE OPERATRICI AGRICOLE

12.1 Dati di lavorazione delle macchine operatrici

Per macchine operatrici impiegate in agricoltura si devono intendere tutte quelle macchine utilizzate in
pieno campo per effettuare le operazioni colturali, nonché quelle macchine che vengono, in genere,
utilizzate presso il centro aziendale per ottenere la manipolazione o la prima trasformazione del prodotti
raccolti.
In questo secondo volume si analizzeranno gli aspetti funzionali delle macchine che vengono impiegate
per le operazioni colturali, iniziando dalle lavorazioni preliminari di scasso del terreno ( cfr. Figura 4), su
suoli mai lavorati o da lungo tempo non lavorati proseguendo ad analizzare le macchine per tutte le
operazioni colturali fino a quelle destinate alla raccolta dei prodotti

Figura 4 Lavorazione di scasso del terreno con aratri trainati da trattrici a cingoli

Affronteremo lo studio delle macchine operatrici agricole, tenendo presente che studiare una macchina
operatrice significa per l'agronomo conseguire i seguenti obiettivi:

- caratterizzare il tipo di lavorazione che la macchina è in grado di effettuare e le


diverse modalità con cui essa può operare, in relazione alle finalità agronomiche che
si vogliono conseguire;
- conoscere le soluzioni costruttive dei vari modelli a disposizione per effettuare una
data operazione; il che significa conoscere le caratteristiche meccaniche e di
funzionamento di ogni macchina nel suo complesso e nelle sue varie parti, nonché il
suo sistema di regolazione, in quanto da una buona regolazione dipende la buona
riuscita dell'operazione ed una migliore utilizzazione della macchina;
- conoscere le prestazioni della macchina attraverso i dati di lavorazione. La
conoscenza delle prestazioni di una macchina è fondamentale ai fini della scelta, la
quale deve essere fatta in relazione alle esigenze aziendali. .

8
I dati di lavorazione necessari per vagliare le prestazioni di una macchina sono iseguenti:

- la capacità di lavorazione;
- la qualità di lavorazione;
- la spesa di energia;
- l'impiego di mezzi;
- l'impiego di manodopera.

La capacità di lavorazione indica l'attitudine di una macchina ad effettuare una data operazione in un
tempo più o meno breve e, quindi, esprime la quantità di lavoro che la macchina è in grado di effettuare
2
nell'unità di tempo, per cui viene espressa generalmente in ha/h o in m /h per le macchine che operano in
pieno campo, ma può anche essere espressa per alcune macchine (ad esempio quelle per la raccolta) in
t/h e Kg/h di prodotto raccolto in un ora, per alcune macchine vengono valutate le prestazioni in n° di
piante/h (ad esempio per le macchine trapiantatrici o per macchine per la raccolta degli ortaggi, ecc.) o in
3
m /h (ad esempio per le macchine movimento terra o per irrigazione).
La capacità di lavorazione può essere intesa come:

- capacità effettiva di lavorazione, che si riferisce al tempo di


effettivo lavoro te esclusi tutti i perditempo.

La capacità effettiva di lavoro dipende dalle seguenti caratteristiche fondamentali di una macchina
che sono:
- la velocità di avanzamento v;
- la larghezza di lavorazione b.
essa infatti è data da:
Ce = b . v

perciò, macchine che operano con la stessa velocità di avanzamento, avranno una capacità di
lavorazione proporzionale alla loro larghezza di lavoro;

- capacità operativa Co di lavorazione, che si riferisce al tempo


operativo TO di lavoro che comprende tutti i perditempo accessori
alla lavorazione (voltate, carico e scarico, rifornimento) e quindi
non evitabili;
- capacità reale Cr di lavorazione, che si riferisce al tempo realmente
impiegato per la lavorazione TR, che comprende quindi anche i
perditempo accidentali (manutenzione straordinaria, rotture,
difficoltà di regolazione, condizioni climatiche ed ambientali
sfavorevoli, ecc.).

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La differenza tra capacità operativa e capacità reale di lavorazione può anche essere notevole, il che vuol
dire che la macchina ha una scarsa affidabilità o ha una scarsa attitudine ad operare in condizioni
sfavorevoli (ad esempio terreno con elevata umidità). Le macchine agricole presenti in commercio hanno
raggiunto un buon grado di perfezionamento per cui è sufficiente nelle prove di campo riferirsi alla capacità
operativa, che ha il vantaggio di poter essere determinata in un breve periodo di tempo. Tuttavia se si
vuole determinare la superficie dominabile nel corso dell’intera annata agraria dalla macchina è
necessario tener conto della capacità reale di lavorazione, che si ottiene con una congrua riduzione della
capacità operativa.

La qualità di lavorazione indica l'attitudine della macchina ad operare in modo che i risultati conseguiti
siano i migliori possibili, in relazione ai fini che ci si è prefissati. Essa non può essere espressa in maniera
univoca in quanto è strettamente legata all'operazione che si effettua; per cui dovrà essere definita di
volta in volta. Ad esempio per il trapianto meccanico potrà essere definita dalla percentuale di
attecchimento delle piante, per le macchine da raccolta dalla percentuale di prodotto raccolto e dalle
caratteristiche di esso (danni subiti, impurità ecc.).

La spesa di energia rappresenta la quantità di energia necessaria per compiere una data operazione e
viene valutata in MJ o in kWh. Essa viene di solito riferita all'unità di superficie lavorata o all'unità di
prodotto raccolto o distribuito (seme, concime, ecc.) e prende il nome di energia specifica. Per le macchine
agricole che operano in pieno campo il consumo di energia viene valutato in genere dal consumo
specifico di combustibile e viene espresso in kg/ha o in kg/t di prodotto.

L'impiego di mezzi rappresenta il tempo necessario ai mezzi meccanici per compiere una data operazione.
Esso viene di solito riferito all'unità di superficie o di prodotto, per cui prende il nome di impiego specifico di
mezzi e si può esprimere in h/ha o h/t.

L'impiego di manodopera rappresenta il tempo di impiego degli operai per compiere una data operazione.
L'impiego di manodopera si ottiene quindi moltiplicando il tempo necessario a compiere un'operazione per
il numero di operai impiegati in detta operazione e si esprime in genere in ore-operaio. Anche questo dato
di lavorazione viene riferito all'unità di superficie o di prodotto, per cui prende il nome di impiego specifico
di manodopera e si esprime in h-operaio/ha o h-operaio/t.

12.2 Classificazione delle macchine operatrici

Le macchine operatrici agricole possono essere classificate in diversi modi; in particolare per quelle che
operano in pieno campo si può fare una prima classificazione in base al sistema di collegamento con la
macchina motrice che determina il moto di avanzamento.
Abbiamo così macchine operatrici:
- semoventi;
- trainate da trattrice;
- portate da trattrice;

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- montate su trattrice (cfr. Figura 5).

Macchina
semovente

Figura 5 Classificazione delle macchine operatrici in relazione al


collegamento con le macchine motrici

Le operatrici semoventi (cfr. Figura 5) sono quelle che hanno un motore proprio che provvede alla
trazione e quindi anche all'azionamento di tutti gli organi operatori; si riporta in Figura 6 una macchina
operatrice semovente costituita da una macchina per la raccolta del cotone sperimentata dall’autore nella
piana di Metaponto.

Figura 6 Macchina per la raccolta del cotone

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Le operatrici trainate (cfr. Figura 7) sono quelle macchine munite di una barra, che viene collegata al
gancio di traino di una trattrice. Esse sono dotate di ruote o più raramente di slitte ed i loro organi operatori
vengono nella maggior parte dei casi azionati dalla presa di potenza della trattrice. Solo in alcuni casi
particolari, il moto proviene da una ruota della macchina (ad esempio seminatrici e trapiantatrici) o da un
motore autonomo (nel caso si abbia necessità di una notevole potenza per gli organi operatori, come
avviene ad esempio per le grosse macchine grangipietra). La barra di traino può essere collegata anche
ai due bracci inferiori del sollevatore, prevendo la presenza di uno snodo, onde permettere di affrontare
agevolmente le curve al complesso trattrice-operatrice. Tale tipo di collegamento permette di sollevare od
abbassare la parte anteriore della macchina e quindi di regolare eventualmente l'altezza o la profondità di
lavoro degli organi operatori in tutti quei casi in cui ve ne fosse bisogno (cfr. Figura 7).

Figura 7 Pressapaglia trainata dal trattore e relativa barra di traino

Le operatrici portate sono quelle che vengono fissate all'attacco a tre punti della trattrice, per cui si ha la
possibilità sia di sollevarle dal suolo la macchina e sia poi di mantenerla a contatto con il suolo,
esercitando uno sforzo più o meno intenso attraverso il sollevatore (cfr. Figura 8).

Aratro
portato

Figura 8 Aratro penta-vomere (A) portato da trattrice e relativo attacco a tre punti (B)

Nel caso in cui durante la lavorazione la macchina viene tenuta a contatto con il suolo (ad esempio nel
caso di un aratro portato), il terzo punto può funzionare da puntone e gli altri due bracci del sollevatore da
tiranti. Da ciò è derivata la denominazione impropria di puntone e tiranti attribuita ai bracci del sollevatore.
In realtà le sollecitazioni agenti su di essi sono composte di uno sforzo normale, di uno sforzo di flessione
ed uno di taglio e possono variare notevolmente, e addirittura cambiare di verso, al variare della reazione
dinamica del suolo (tale variazione può riguardare sia l’intensità che la direzione o il verso) in rapporto al
peso proprio della macchina.

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Nel caso particolare in cui, durante la lavorazione il terzo punto risulta mediamente scarico oppure il
collegamento è realizzato solo con i due punti inferiori senza snodo; in tal caso la macchina si definisce
semi-portata, in quanto tale condizione equivale a quella di traino con impedimento dei movimenti sul
piano orizzontale.
Questa soluzione viene adottata, in particolare, quando la macchina deve operare eccentricamente
rispetto alla linea di tiro come nel caso dell’aratura con trattrice a cingoli (cfr. Figura 9).

Figura 9 Aratro trainato con posizione eccentrica rispetto alla trattrice

Le macchine portate hanno il vantaggio di una migliore manovrabilità nelle fasi di spostamento e di voltata,
ed in particolare quando non possono essere sollevate è bene rendere le ruote girevoli per consentire
l'effettuazione agevole delle curve. Lo svantaggio delle macchine portate è quello di creare instabilità alla
trattrice (impennamento nella fase di sollevamento) per cui quando la macchina comincia ad essere
pesante e lunga è meglio adottare la soluzione di traino, per non avere la necessità di ricorrere a trattrici
troppo sproporzionate rispetto alla richiesta effettiva di potenza della macchina operatrice o di caricare
eccessivamente le ruote di appoggio girevoli (che non possono essere evidentemente molto grandi) con
prevedibili maggiori difficoltà di movimento. La stabilità della trattrice all'impennamento può essere
migliorata zavorrando la parte anteriore.
Le macchine operatrici di tipo portato sono in genere predisposte per l'attacco a tre punti posteriore della
trattrice. Vi può essere però la necessità per alcune macchine (ad esempio per la pala caricatrice montata
su trattrice) che l’organo di lavorazione preceda la trattrice, per cui negli ultimi tempi su alcune trattrici è
stato previsto l'attacco a tre punti anche nella parte anteriore onde poter fissare macchine operatrici
predisposte per tale sistema di lavorazione (cfr. Figura 10).

Figura 10 Pala caricatrice montata su trattrice

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Le operatrici montate su trattrice, infine, sono quelle che vengono collegate rigidamente al telaio della
trattrice formando con essa nel complesso una macchina dalle caratteristiche simili a quelle di una
macchina semovente (come ad esempio la macchina per la raccolta delle olive).
Rispetto ad una macchina semovente, la macchina montata su trattrice ha il vantaggio di consentire una
utilizzazione migliore della trattrice nell'ambito aziendale e di evitare maggiori oneri finanziari per l'acquisto
di una macchina semovente. Per contro essa può in qualche caso presentare difficoltà, specie per le
macchine più complesse e più ingombranti, circa la manovrabilità, il montaggio e lo smontaggio, per cui è
preferibile, in questi casi, optare per le macchine semoventi, anche se vengono utilizzate per un numero
limitato di ore all'anno.
Un'altra classificazione viene fatta in relazione all'operazione che la macchina è in grado di poter svolgere
(cfr. Figura 11); questa classificazione viene utilizzata per le macchine operatrici che operano in pieno
campo.
Le macchine operatrici agricole possono, pertanto, essere classificate in:

- macchine per le lavorazioni del terreno (A);


- macchine per la concimazione (B);
- macchine per la semina (C);
- macchine per il trapianto (D);
- macchine per i trattamenti antiparassitari (E);
- macchine per la raccolta (F).

A B B

D E F

Figura 11 Macchine per le operazioni colturali di: aratura (A), semina (B), concimazione
(C), trapianto (D), trattamenti antiparassitari (E) e raccolta (F)

Per le macchine che operano presso il centro aziendale può essere fatta una classificazione analoga,
tenendo presente l'operazione che ciascuna di esse esegue (ad esempio: macchine per la trebbiatura,
per il trasporto, per l'essiccazione, per la trinciatura, per la mungitura, ecc.).

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12.3 Caratteristiche del terreno agrario in funzione delle lavorazioni

Lo scopo delle lavorazioni del terreno è quello di favorire trasformazioni e modifiche fisiche, chimiche e
biologiche della struttura e della composizione del terreno agrario, in modo tale da renderlo il più possibile
idoneo alla coltivazione delle piante ad esso destinate.
Pertanto, preliminarmente allo studio delle macchine sembra indispensabile fornire le principali
informazioni sulle caratteristiche del terreno agrario che costituisce la fonte di alimentazione delle piante,
per cui deve essere messo nelle condizioni tali per cui le risorse nutritive di carattere agronomico che esso
contiene, possano essere sfruttate nel migliore dei modi.
Per ottenere conseguire il suddetto scopo le lavorazioni del terreno devono essenzialmente tendere verso
tre obiettivi:
- portare tutti gli strati di terreno coltivato a contatto con l'aria, la luce ed il
calore, il che si ottiene rovesciando e rimescolando la terra;
- favorire la circolazione dell'aria e dell'acqua e quindi lo sviluppo dello
apparato radicale, il che si ottiene sgretolando e sminuzzando il più possibile
la terra;
- eliminare la concorrenza di altre piante nell'assunzione delle sostanze
nutritive contenute nel terreno, il che si ottiene distruggendo tali piante nel
corso della coltivazione.

In sostanza, le lavorazioni del terreno consistono in azioni meccaniche, le quali influiscono solo
indirettamente e gradualmente sulle caratteristiche chimiche e biologiche del terreno, mentre possono
influire in modo determinante ed immediato sulle caratteristiche fisiche, provocandone una modifica più o
meno sostanziale.
Pertanto, l'attenzione di chi si occupa di meccanica agraria deve essere concentrata principalmente sulle
proprietà fisiche del terreno ed è quindi indispensabile conoscere alcune delle sue proprietà più importanti,
che sono frutto di studi e ricerche condotte sul terreno agrario.
Il terreno agrario risulta formato di particelle o granuli, di dimensioni e forma molto diversi fra loro. Tali
particelle per l'azione dei componenti argillosi tendono a riunirsi in parti più grosse che vengono dette
glomeruli, quando hanno dimensioni fino ad un cm, e zolle, quando le dimensioni superano il cm.
In genere le lavorazioni del terreno che precedono la semina hanno il compito di ridurre le zolle a glomeruli
(secondo Russel le dimensioni dei glomeruli per un buon letto di semina non dovrebbero superare i 5 -
10 mm).
Ai fini della coltivazione per un terreno agrario sono quindi importanti alcune caratteristiche fisiche che si
riferiscono alla grandezza delle particelle, al loro grado di aggregazione ed al loro assestamento.
Per quanto riguarda la grandezza delle particelle il terreno può essere convenzionalmente suddiviso in:

- scheletro costituito da particelle di dimensioni > di 2 mm;


- terra fina costituita da particelle di dimensioni < di 2 mm.

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Lo scheletro è costituito in genere dalla parte pietrosa presente nel terreno e la sua percentuale fornisce
quindi il grado di pietrosità nel terreno. Lo scheletro è formato da pietre di dimensioni diverse. Può essere
fatta una suddivisione per classi di dimensioni per stabilire il grado di frantumazione delle pietre.
La suddivisione proposta per lo scheletro è la seguente:
- ghiaietto o pietrischetto (0,2-2 cm);
- ghiaia o pietrisco (2-5 cm);
- pietre di piccole dimensioni (5-15 cm);
- pietre di medie dimensioni (15-40 cm);
- pietre di grandi dimensioni (>di 40 cm).
La terra fina è la parte del terreno che partecipa al processo di crescita delle piante e può essere a sua
volta caratterizzata attraverso una suddivisione in classi di grandezza che nel loro complesso costituiscono
la tessitura o granulometria del terreno e per la classificazione dei particolati si adotta in genere la
suddivisione di Attemberg:
- sabbia grossa (2-0,2 mm);
- sabbia fina (0,2-0,02 mm);
- limo (0,02-0,002 mm);
- argilla (< di 0,0002 mm).
L'analisi granulometrica della terra viene effettuata con crivelli di diametro diverso e con levigazione in
acqua per favorire la separazione delle particelle.
In base alla tessitura, quando lo scheletro è contenuto al di sotto di un certo valore (40 % - altrimenti
sarebbe classificato come pietrisco ), un terreno può essere classificato in quattro grandi categorie, e cioè:
- sabbioso (sabbia >70%, argilla < 10%, limo < 20%);
- limoso (limo >50%, argilla < 20%, sabbia < 30%);
- argilloso (argilla > 35%, limo < 50%, sabbia < 30%);
- equilibrato (sabbia 50 - 70%, limo < 50%, argilla < 35%):
Accanto a queste categorie di terreno, vi sono altri tipi di terreno con caratteristiche intermedie di
tessitura, così come riportato nel diagramma di Thompson (cfr. Figura 12).

Figura 12 Diagramma della tessitura di Thompson

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L'altra caratteristica agronomica importante è la struttura del terreno che serve ad individuare il grado di
aggregazione delle particelle ed il loro assestamento reciproco.
L'aggregazione delle particelle può essere più o meno accentuata per cui si andrà da una struttura
perfettamente granulare a quella glomerulare, fino a quella zollosa.
In base al grado di assestamento una struttura potrà essere più o meno compatta. E' chiaro che ad
esempio una struttura granulare può raggiungere un grado di compattezza maggiore rispetto ad una
glomerulare, la quale risulta quindi più idonea alla penetrazione delle radici ed alla circolazione dell'acqua e
dell'aria.
Una delle proprietà fisiche legate alla struttura del terreno, è la sofficità che anche se non è suscettibile di
precisa definizione e quindi di misurazione, serve ad avere un'indicazione della predisposizione di un
terreno alla coltivazione: essa è tanto più elevata quanto più i terreni sono glomerulari e ad alto grado di
sminuzzamento e quanto meno sono compatti (quindi ad elevata porosità). Le lavorazioni del terreno
servono a raggiungere un grado elevato di sofficità, compatibilmente con quello che le caratteristiche del
terreno ed il suo stato di umidità permettono. Si deve tener presente infatti che la struttura del terreno e la
sua modificazione attraverso le lavorazioni è legata al contenuto di umidità.
Altre proprietà fisiche del terreno che hanno invece una definizione ben precisa, in quanto sono di carattere
meccanico e si riferiscono più propriamente a resistenze di varia natura opposte dal terreno alla
lavorazione con i vari attrezzi, sono:

- la forza di coesione, che è la forza di attrazione che si esercita fra le


molecole di uno stesso corpo e quindi del terreno;

- la forza di adesione, che è la forza che si esercita fra le molecole di


corpi diversi e rappresenta quindi la resistenza che oppone il terreno a
staccarsi dall'organo lavorante. Un'alta forza di adesione crea notevoli
difficoltà al buon funzionamento dell'attrezzo;

- la forza di attrito interno, che è la forza che si oppone allo scorrimento


delle particelle del terreno le une sulle altre;

- la forza di attrito esterno, che è la forza che si oppone allo scorrimento


del terreno su un corpo esterno quale può essere l'attrezzo per la
lavorazione;

- la resistenza alla compressione, che è la forza che il terreno oppone


allo schiacciamento ed è quindi importante nelle operazioni di
compattazione che si effettuano con rulli compressori;

- la resistenza di tenacità, che è la forza che oppone il terreno ad essere


tagliato secondo una superficie piana da un organo affilato.

17
La tenacità è una resistenza di carattere più complesso rispetto alle altre, in quanto essa si può dire che
comprende tutti gli altri tipi di resistenza. La tenacità è una caratteristica importante nella valutazione degli
sforzi di aratura in un determinato terreno, in quanto rappresenta la resistenza complessiva del terreno
all'avanzamento di un organo di lavoro che tende a penetrare in esso. Un modo per misurare la resistenza
di tenacità è quello di riferire lo sforzo di tiro di un aratro alla sezione del solco aperto, per cui viene

espressa in N/dm2 o più praticamente in daN/dm 2 (o in kg/dm 2). In generale essa può variare tra i 30 ed i

150 daN/dm2 e le terre potranno allora essere così classificate:

- terre leggere fino a 40 daN/dm2;

- terre mezzane da 40 ad 80 daN/dm2;

- terre forti da 80 a 150 daN/dm2.

La tenacità è massima nei terreni argillosi asciutti, minima in quelli sabbiosi.


Infine v'è da segnalare un'altra proprietà fisica fondamentale del terreno, nell'interazione tra terreno ed
attrezzo: la plasticità. La plasticità è la capacità del terreno di cambiare forma quando viene sottoposto a
sollecitazioni quali possono essere quelle comunicate da un aratro. Questa capacità è legata soprattutto
alla presenza di sostanza argillosa nel terreno ed al contenuto di umidità. Il contenuto d'acqua può infatti
determinare, in uno stesso terreno, stati diversi, che vanno da quello fluido a quello solido, attraverso lo
stato plastico. Si definiscono allora:

- il limite liquido (Le), ovvero l'umidità percentuale contenuta nel terreno quando
questo passa dallo stato plastico allo stato fluido (il contenuto idrico è tale che
il terreno si comporta come un fluido);
- il limite plastico (Lp), ovvero l'umidità percentuale in corrispondenza del
passaggio del terreno dallo stato solido allo stato plastico.

Si definisce. poi l'indice di plasticità, il seguente valore:

Ip = Le - Lp

che fornisce il campo dei valori di umidità relativa all'interno del quale il terreno si presenta allo stato
plastico. E' chiaro che un terreno molto sabbioso non potrà mai essere plastico. Mentre il campo di
plasticità sarà tanto più elevato quanto più elevato è il contenuto di argilla. La sostanza organica
contribuisce invece a diminuire il campo di plasticità. La plasticità è una caratteristica molto importante
perché determina le condizioni di lavorabilità di un terreno.
Infatti se un terreno è allo stato plastico non riesce a disgregarsi, e tende addirittura ad impastarsi con un
peggioramento della struttura.
Da quanto detto si può capire come sia difficoltoso lavorare terreni a grana fina, in quanto essi sono allo
stato plastico anche con bassi contenuti d'acqua ed hanno un'adesività molto elevata, mentre quando sono
asciutti hanno elevata tenacità e durezza.

18
Pertanto per la lavorazione (in particolare l'aratura), è necessario che i terreni abbiano un livello di umidità
tale da non trovarsi allo stato plastico, per cui possano sgretolarsi senza impastarsi ed offrano nello stesso
tempo il minimo di resistenza alla penetrazione degli attrezzi. E' questo il cosiddetto stato di tempera, che
corrisponde per terreni argillosi ad un'umidità del 10 - 15%.

In definitiva si può concludere affermando che:

- i terreni molto argillosi presentano difficoltà per lo sgretolamento e sminuzzamento e


richiedono elevati sforzi di trazione (quindi attrezzi robusti e potenza elevata della
trattrice). Per ottenere i migliori risultati è necessario lavorarli allo stato di tempera.
Inoltre possono presentare una bassa permeabilità all'acqua per cui hanno bisogno,
all'occorrenza, di essere ben drenati;
- i terreni molto sabbiosi presentano la tendenza a formare una struttura granulare
compatta, quindi asfittica per le radici, poco modificabile con le lavorazioni. Tali terreni,
anche se hanno una tenacità bassa, possono presentare un elevato attrito esterno,
specie in presenza di sabbie silicee e quarzifere per cui tendono ad usurare gli attrezzi
che operano in esso (cfr. Figura 13).

A B

Figura 13 Immagini di terreno argilloso (A) e di terreno sabbioso (B)

Essi risultano in genere molto permeabili per cui necessitano di apporti di acqua frequenti (anche se non
abbondanti).

12.4 Classificazioni delle lavorazioni del terreno

Le lavorazioni del terreno, in funzione della loro funzione nell’ambito del ciclo colturale, possono essere
classificate in:

- lavorazioni preliminari e speciali;


- lavorazioni principali;
- lavorazioni di maturamento ( o secondarie);
- lavorazioni di colturamento.

19
Le lavorazioni preliminari e speciali sono quelle che vengono effettuate una tantum prima della coltivazione
oppure saltuariamente, allo scopo di rendere il terreno coltivabile o di migliorarne la coltivabilità in relazione
al tipo di coltura che si vuole impiantare.

Le lavorazioni preliminari o speciali, in funzione della tipologia dell’operazione eseguita, possono


classificarsi in (cfr. Figura 14):
- disboscamento e decespugliamento (A);
- rippatura o scarificatura (B);
- spietramento (C);
- sistemazione del suolo (D);
- drenaggio e affossatura (E);
- scasso (F).

A B C

D E F

Figura 14 Macchine per le operazioni di: disboscamento (A); rippatura (B); spietramento (C);
sistemazione del suolo (D); affossatura (E); scasso (F).

Le lavorazioni principali o di dirompimento del terreno sono quelle che si eseguono per ottenere una prima
rottura e disgregazione dello strato coltivato, all'inizio di ogni ciclo colturale.
In base alle modalità di esecuzione possono essere distinte in (cfr. Figura 15):
- aratura (A);
- scarificatura (B);
- vangatura (C);
- zappatura (D).

A B C D
A B C D
Figura 12 Macchine per le operazioni di: aratura (A); scarificatura (B); vangatura (C);
zappatura (D).

Figura 15 Macchine per le operazioni di: aratura (A), scarificatura (B), vangatura (C), zappatura (D)

20
Si eseguono, poi, le lavorazioni complementari (o di maturamento) che servono a migliorare lo stato
del terreno, in modo da ottenere il massimo sviluppo delle piante; tali operazioni determinano lo
sminuzzamento del terreno, l'eliminazione delle erbe infestanti, lo spianamento, la sagomatura del terreno,
ecc., Per le piante erbacee tali lavorazioni servono in sostanza a preparare il letto di semina.

Le lavorazioni di maturamento possono classificarsi in funzione della tipologia dell’operazione in:

- erpicatura;
- scarificatura;
- estirpatura;
- sarchiatura
- rincalzatura
- rullatura;
- fresatura
- zappatura.

A B C D

E F G H

Figura 16 Macchine per le operazioni di: erpicatura o frangizollatura (A); scarificatura (B); estirpatura
(C); sarchiatura (D); rincalzatura (E); rullatura (F); fresatura (G); zappatura (H).

Le lavorazioni di colturamento (cfr. Figura 16) sono quelle che si effettuano durante la coltivazione e
servono principalmente a smuovere e sistemare il terreno superficialmente ed in particolare intorno alle
piante.

21
Le più importanti sono (cfr. Figura 17):
- sarchiatura;
- scarificatura;
- zappatura;
- rincalzatura;
- rullatura.

A B C

D E

Figura 17 Macchine per le operazioni di: sarchiatura (A); scarificatura (B);


zappatura (C); rincalzatura (D); rullatura (E).
Bibliografia
(1960) CANDURA G. “Appunti del corso di meccanica agraria”, Distribuiti a cura dell’Istituto di
Meccanica Agraria di Bari, Bari, dicembre 1960.
(1960) FILIPPI F. “Piccola enciclopedia Esso di meccanica agraria”, Editore Arnoldo Mondadori,
Verona dicembre 1960, pagg. 1- 572.
(1965) DIPAOLA G. “Appunti del corso di meccanica agraria”, Distribuiti a cura dell’Istituto di
Meccanica Agraria di Bari, Bari, gennaio 1965.
(1965) AMIRANTE P. “Prove preliminari di lavorazioni di scasso dei terreni” , Rivista di Macchine e
Motori Agricoli, n.9 settembre 1967, Officine grafiche Calderini, Bologna, n. 9 settembre 1967,
pagg. 1-30
(1973) AMIRANTE P. “Criteri di progetto delle macchine agricole”, Rivista di Ingegneria Agraria, n.2
1973, Officine grafiche Calderini, Bologna, n. 2 1973, pagg. 95-102
(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975.
(1999) BIONDI P. “Meccanica Agraria. Le macchine agricole”, Edizioni UTET, Torino 1999.
(2005) GIARDINI L. “Potenzialità produttiva e sostenibilità dei sistemi colturali”, Edizioni Hoepli, Milano
2005.

22
CAPITOLO XIII

MACCHINE PER LE LAVORAZIONI PRELIMINARI E SPECIALI DEL TERRENO

13.1 Introduzione

Le lavorazioni preliminari hanno la funzione di preparare un terreno mai lavorato o da lungo tempo non
lavorato alla coltivazione, quando lo stato del terreno negli strati superficiali non è ancora adatto ad
ospitare il seme perciò sarà necessario eseguire uno o più lavori complementari allo scopo di preparare il
letto alla semina o all’impianto di una coltura arborea.
Le lavorazioni speciali servono a sistemare il terreno nel migliore dei modi e a dotarlo di quei requisiti atti
ad assicurare i migliori risultati in relazione al tipo di coltivazione e possono essere effettuate prima
d'impiantare una coltura oppure ogni qualvolta se ne senta l'esigenza.
Le suddette lavorazioni hanno in comune il carattere della straordinarietà e vengono effettuate una
tantum, prima della coltivazione oppure saltuariamente, allo scopo di rendere il terreno coltivabile o di
migliorarne la coltivabilità in relazione della coltura che si vuole impiantare.

Le lavorazioni preliminari hanno la funzione di (cfr. Figura 18):

- dissodare il terreno, allo scopo di rompere per la prima volta lo strato


compatto del terreno naturale;

- eseguire una lavorazione profonda (o scasso), prima dell'impianto di un


arboreto, o quando si intende procede ad un impianto di una nuova
coltura;

- eseguire uno spietramento, per liberare il terreno dalla presenza di


pietre, effettuando una cernita meccanica oppure frantumando i massi;

A B C

Figura 18 Macchine per le operazioni di: dissodamento (A); scasso (B); spietramento (C).

Le lavorazioni preliminari o speciali (cfr. Figura 19), in funzione della tipologia dell’operazione da eseguire,
possono classificarsi in :
- disboscamento e decespugliamento;
- scarificatura (o rippatura);
- spietramento.

23
A B C

Figura 19 Lavorazioni di disboscamento e decespugliamento (A); scarificatura e rippatura


(B); spietramento (C).

13.2 Aspetti funzionali delle macchine per il disboscamento e per il decespugliamento

Le lavorazioni preliminari del terreno hanno lo scopo di creare un ambiente fisico del terreno ospitale per
le piante agrarie.
Nel caso in cui si debba mettere a coltura un terreno incolto, coperto da boscaglia, è necessario ricorrere
alle operazioni di disboscamento e decespugliamento.
Il diboscamento prevede l'eliminazione della vegetazione arborea, in un'area boschiva o forestale, con il
taglio di piante invecchiate, per migliorare lo stato vegetativo dei boschi oppure, per la produzione
di legname; l’operazione si definisce di diboscamento, e se viene effettuata su una superficie estesa, allo
scopo di utilizzare il terreno per la coltivazione delle piante agrarie.
Il decespugliamento prevede l’eliminazione delle ceppaie, dei cespugli e degli arbusti e il trattamento di
ramaglie sparse nel terreno ed il taglio di siepi.
Le macchine che servono per il disboscamento e il decespugliamento sono le seguenti (cfr. Figura 20):

- apripista (o dozer) (A);


- estirpatrice di ceppaie (B);
- leva-ceppi (C);
- trita-ceppi (D).

A B C D

Figura 20 Macchine per il disboscamento ed il decespugliamento: apripista (o dozer)


(A); estirpatrice di ceppaie (B); leva-ceppi (C); trita-ceppi (D).

Oltre a queste macchine possono essere utilizzate anche altre macchine, come ad esempio la pala
caricatrice ed i vari tipi di escavatore.
Per meglio comprendere la funzionalità delle macchine per le lavorazioni preliminari del terreno è
opportuno eseguire una loro breve descrizione.

24
Apripista
L'apripista o dozer (cfr. Figura 21), è costituito da una trattrice (in genere a cingoli) che porta nella sua
parte anteriore una lama molto robusta, la cui posizione viene regolata attraverso trasmissioni idrauliche.

Figura 21 L’apripista costituito da una trattrice a cingoli che porta nella


parte anteriore una robusta lama

Il bulldozer (o dozer o, in italiano apripista) è un mezzo meccanico per lo spostamento della terra,
inventato nel 1923 da Beniamin Holt , il cui primo modello era dotato di un motore a vapore piuttosto
ingombrante e anche poco pratico, mentre il primo con esemplare funzionale dotato di motore Diesel fu
introdotto nel 1931.
In relazione al movimento che può effettuare la lama (cfr. Figura 22), i dozer vengono classificati nel
seguente modo:
- bulldozer (A);
- angledozer (B);
- tiltdozer (C);
- tipdozer (D).

A B C D

Figura 22 L’apripista a seconda del sistema di movimentazione della lama è denominato:


bulldozer (A); angledozer (B); tiltdozer (C); tipdozer (D).

Il bulldozer movimenta il terreno con una spinta che agisce secondo la direzione di avanzamento della
trattrice, mentre gli altri prototipi presentano la rotazione della lama intorno ad un asse verticale angledozer
(B), ad un asse orizzontale secondo la direzione dell’avanzamento tiltdozer (C), o ad un asse orizzontale
perpendicolare alla direzione del moto del veicolo tipdozer (D).
Le principali caratteristiche costruttive dei dozer rispondono ai seguenti requisiti: lama apripista a vomere,
completa di auto-livellamento, sistema antiurto con ritorno a molle, apertura e chiusura del vomere con
cilindri idraulici a doppio effetto, modalità di lavoro in senso anteriore e posteriore azionato con tubi
flessibili in gomma ed innesti rapidi per l’alimentazione del circuito idraulico.

25
Estirpatrice di ceppaie
La macchina estirpatrice di ceppaie è simile ad un apripista e può essere utilizzata sia per l'abbattimento
di alberi e lo spostamento di essi e nel caso che alla lama a fondo intero venga sostituita una lama a
rastrello, può essere utilizzata anche per sradicare i cespugli ed allontanarli (cfr. lama decespugliatrice
Figura 23). La macchina estirpatrice di ceppaie (cfr. Figura 23) è costituita da una trattrice, in genere a
cingoli, che porta sul davanti una lama molto tozza e sagomata a denti nella parte inferiore; tale macchina
oltre che per estirpare le ceppaie, serve ad abbattere alberi con più efficacia dell'apripista.

Figura 23 Macchina estirpatrice di ceppaie

La macchina può avere le stesse funzioni dell’apripista, ma interviene in genere, quando il tronco di un

albero è stato già tagliato a fior di terra o troncato per cause naturali, per estirpare la ceppaia; di fatto la

macchina effettua una azione meccanica di spinta sulla parte fuori terra della ceppaia, estraendola dal

terreno. Per l’eliminazione delle ceppaie si può anche utilizzare una fresa (cfr. Figura 24), che consente

di ottenere notevoli vantaggi rispetto alla rimozione meccanica a mezzo di un estirpatore di ceppaie; la

fresatura, infatti, avviene senza frantumare il ceppo e senza rovinare il terreno, evitando di dover scavare

per una ampia zona, eliminando totalmente anche il rischio di danneggiare tubazioni di acqua, e tutto ciò

che si può trovare sotto il terreno; durante la fresatura, la macchina rimane praticamente quasi ferma

mentre è il braccio della fresa a muoversi.

Figura 24 Eliminazione dei ceppi con l’impiego di una fresa

26
In casi particolari, come ad esempio sui terreni in pendenza, per la sicurezza dell'operatore, la fresa può

essere comandata tramite un telecomando; si sottolinea che dopo l'abbattimento di una pianta, resta il

ceppo che spesso può diventare un problema di oggettivo intralcio nei parchi, ostacolando il taglio

dell’erba e comunque creando un problema estetico.

L'asportazione dei ceppi è consigliata anche per le problematiche fitosanitarie che potrebbero incorrere in

gli alberi nei giardini o parchi.

La presenza di ceppaie trascurate può anche minare l'integrità degli alberi radicati nelle vicinanze: sul

legno residuo si possono instaurare funghi e agenti patogeni che potrebbero contaminare gli alberi vicini

In casi particolari, come ad esempio sui terreni in pendenza, per la sicurezza dell'operatore, la fresa può essere

comandata come già innanzi detto tramite un telecomando, che permette di effettuare l'intervento senza

rischi sia per l’esecuzione dell’intervento che per la fresatura vera e propria.

Macchina leva-ceppi

La macchina leva-ceppi (cfr. Figura 20) è costituita da un braccio circolare cavo che si avvolge intorno al ceppo

e lo estrae.

La macchina operatrice, in genere, è montata su una trattrice cingolata ed è costituita da due bracci mobili

azionati da cilindri che portano alla loro estremità una pinza circolare che aprendosi si avvolge intorno al tronco

dell’albero estraendo dal terreno con una notevole forza rivolta dal basso verso l’alto.

Figura 20 Macchina leva-ceppi montata su trattrice a cingoli

La stessa macchina o macchine similari, con bracci montati anteriormente o portati posteriormene
all’attacco a tre punti di una trattrice a ruote, trasportano il tronco verso la tettoia di stoccaggio, posta nel
centro aziendale (cfr. Figura 21).

27
Figura 21 Trasporto e stoccaggio dei tronchi al centro aziendale

Macchina trita-ceppi

La macchina trita-ceppi (cfr. Figura 22), è costituita, invece, da una trivella che distrugge il ceppo.
Il trita-ceppi è una macchina costruita con una struttura metallica così costituita:

- nella parte superiore vi è la scatola di riduzione della velocità dove è inserita la


presa del moto, posta in una struttura cilindrica imbullonata alla scatola di
riduzione;
- nella parte inferiore vi è un asse cilindrico che porta alla sua estremità due eliche
orizzontali sulle quali sono saldati due coltelli affilati; la lunghezza
complessivamente dell’organo rotante è di 1.45 metri, che termina con una punta
a vite (cfr. Figura 22).
- la vite ed i coltelli, penetrando nella ceppaia per una profondità massima di 1.2
metri effettuano la triturazione con velocità media di rotazione di circa 31 giri/min.

A B C

Figura 22 Macchina trita-ceppi: posizionamento verticale del cilindrico rotante (A);


penetrazione dell’elica nel terreno (B); materiale estratto dal sottosuolo (C).

La sequenza operativa del lavoro è così suddivisa: il trattore si posiziona all’inizio della fila di ceppaie più
esterna della piantagione e avanza fino a far coincidere la punta a vite del tritaceppi con il centro della
ceppaia; poi, innestata la presa di potenza il tritaceppi si avvita sulla ceppaia; una volta termina)ta
l’operazione il tritaceppi viene estratto e posizionato sul centro della ceppaia successiva. Terminata la
triturazione di una fila di ceppaie il trattorista inverte il senso di marcia ed inizia il lavoro su un’altra fila (cfr.
Figura 23).

28
Figura 23 Terminata la triturazione di una fila di ceppaie il trattorista
inverte il senso di marcia ed inizia il lavoro su un’altra fila.

13. 3 Aspetti funzionali delle macchine utilizzate per la scarificatura (o rippatura)

Lo scarificatore (o ripper) è un attrezzo che può essere usato per estirpare le radici delle piante boschive,
anche se la sua applicazione principale è quella di dirompimento dei terreni tenaci o pietrosi e di rottura
della crosta superficiale del terreno.
La macchina è costituita da un robusto telaio sul quale sono montati uno o più denti (cfr. Figura 24), che
possono essere di diversa dimensione a seconda della profondità di lavoro e della tenacità del terreno.

A B

Figura 24 Scarificatore a due (A) e a tre denti (B) collegabile all’attacco a tre punti della trattrice

Per estirpare radici di piante i denti del ripper devono essere piuttosto robusti e collegati ad una trattrice di
notevole potenza.
L'operazione di rippatura o scarificatura del terreno può essere intesa come lavorazione preliminare del
terreno nel caso, ad esempio, in cui viene utilizzata prima dello spietramento; ma tale operazione può
essere compiuta anche saltuariamente (ad esempio per il drenaggio o per il disboscamento) oppure
durante le varie fasi del ciclo colturale, pur se a profondità minori, per cui si utilizzare anche per tutte le
altre lavorazioni del terreno e cioè per le lavorazioni principali, complementari e di colturamento del
terreno.
Può essere fatta una distinzione fra ripper e scarificatore in base solo alle dimensioni dei denti, intendendo
per ripper solo quelli con i denti molto robusti e lasciando il solo nome di scarificatori a quelli con denti più
sottili.
Il risultato che si ottiene è comunque lo stesso, cioè quello di operare una fessurazione ed una
disgregazione del terreno senza rivoltare la terra e, nel caso di terreno pietroso, quello di portare in
superficie le pietre più grosse.

29
Il dente di un ripper porta nella parte inferiore un rinforzo a scalpello (suola) sostituibile (cfr. Figura 25) e
fatto di materiale molto duro, in quanto serve per la penetrazione e la rottura del terreno negli strati più
profondi.

Figura 25 Denti di scarificatori con punti di acciaio molto dure resistenti all’usura

La forma del dente può essere diritta con leggera inclinazione in avanti, oppure può essere curva (cfr.
Figura 26) con concavità in avanti e con curvatura più o meno accentuata.

Punta con leggera


inclinazione in
avanti

Figura 26 Denti di ripper con leggera inclinazione in avanti e punta rinforzata

In genere, i denti diritti sono più adatti alle maggiori profondità ed a terreni molto compatti e tenaci o molto
pietrosi; i ripper di grosse dimensioni possono portare da uno a cinque denti posti ad una distanza tra loro
che può andare da 0,50 m ad oltre 1 m, in relazione al terreno in cui si opera.
Il ripper ad un solo dente è di solito più lungo e robusto, può operare a profondità superiori al metro e può
assorbire da solo una potenza superiore ai 70 kW; man mano che cresce il numero di denti le profondità
di lavoro diventano più ridotte.
I ripper vengono, in genere, collegati a trattrici di grossa potenza, considerati gli sforzi notevoli che sono
destinati a sopportare ed il loro considerevole peso; essi possono essere di tipo portato o trainato ed in
ambedue i casi il movimento dei denti, nelle fasi di interramento e di sollevamento, viene realizzato quasi
esclusivamente idraulicamente, attraverso martinetti comandati da una pompa montata sulla trattrice e
sfruttando opportuni cinematismi (cfr. Figura 27).

30
Figura 27 Scarificatori a tre e a cinque denti in lavorazione

In funzione delle modalità costruttive, i ripper possono distinguersi in:

- ripper a cerniera radiale (cfr. Figura 28 A), in cui la barra porta denti è incernierata al
telaio ed un pistone idraulico determina la rotazione del dente. Si ha così un buon
interramento e svincolo del dente, ma si ha l'inconveniente di avere angoli di incidenza
diversi alle diverse profondità;
- ripper a parallelogramma fisso (cfr. Figura 28 B), in cui il dispositivo di collegamento è
costituito da un parallelogramma che permette il sollevamento e l'abbassamento del
dente parallelamente a se stesso. Si ha il vantaggio che non varia l'angolo d'incidenza,
ma si ha l'inconveniente di un difficile svincolo in caso di difficoltà di avanzamento;
- ripper a parallelogramma ad incidenza variabile (cfr. Figura 28 C), in cui la biella
superiore del parallelogramma è sostituita da un martinetto che serve a far variare
l'angolo d'incidenza. In questo caso è possibile regolare indipendentemente la
profondità di lavoro e l'angolo d'incidenza, con evidente vantaggio rispetto agli altri due
tipi di ripper.

A B C

Figura 28 Ripper a cerniera radiale (A); ripper a parallelogramma fisso (B);


ripper a parallelogramma ad incidenza variabile ( C).

31
In genere, il ripper richiede di essere movimentato da due martinetti idraulici, che, nel tipo portato
dall'attacco a tre punti, possono essere ridotti ad uno solo martinetto per variare l'angolo d'incidenza,
lasciando al sollevatore della trattrice il compito di sollevamento ed abbassamento.
La capacità di lavoro può variare, tenuto conto di una velocità di avanzamento intorno ad 1 km/h, da 500
2 2
m /h per ripper ad un solo dente a 3.000 m /h per ripper a più denti con larghezza di lavoro di 3 metri.
Gli attrezzi che operano più in superficie, cioè fino a 40 cm di profondità, prendono come si è detto più
propriamente il nome di scarificatori.
Essi sono sempre a denti multipli di dimensioni più ridotte e con dente a curvatura più accentuata (cfr.
Figura 29 A).
Il numero di denti può aumentare considerevolmente al diminuire della profondità di lavoro (cfr. Figura 29
B).
La distanza fra i denti varia in genere da 20 a 40 cm; ogni dente può assorbire una potenza fino a 15 kW.
Gli scarificatori di questo tipo sono in genere portati dall'attacco a tre punti, per cui l'interramento e la
profondità di lavoro si ottiene attraverso il sollevatore idraulico della trattrice.

Figura 29 Ripper con denti a curvatura accentuata (A) e ripper con numero di
denti elevato e ridotta profondità di lavorazione (B)

Per evitare che sforzi troppo elevati che possano compromettere la resistenza dei denti, questi ultimi
vengono resi elastici. Tale elasticità può essere ottenuta fissando il dente al telaio con una cerniera e
mantenendolo nella sua posizione di lavoro con una molla di torsione (cfr. Figura 30 A) o a balestra (cfr.
Figura 30 B). Quando lo sforzo supera un certo valore il dente tende a ruotare e quindi a sollevarsi, per
ritornare nella posizione di lavoro una volta superato l'ostacolo (cfr. Figura 31).

Figura 30 Ripper con una molla di torsione (A) o a balestra (B)

32
1 2

3 4

Figura 31 Schema di funzionamento dei denti elastici nella


successione delle posizioni di lavoro da 1 a 4

L'elasticità del dente può essere ottenuta anche con un pistone idraulico, che mantiene il dente nella
posizione di lavoro per effetto dell'olio in pressione agente su di esso.
Tutti i cilindri sono collegati ad un polmone contenente fluido comprimibile (aria) per consentire il defluire
dell'olio del cilindro nel momento in cui il dente tende a ruotare. Il sistema viene pertanto detto
idropneumatico.
Per aumentare l'effetto di penetrazione e di disgregazione del terreno gli scarificatori possono essere dotati
di un sistema a masse eccentriche che provoca una vibrazione dei denti; si hanno allora i cosiddetti
scarificatori vibranti, i quali hanno il vantaggio di consentire una minore spesa di energia con risultati
migliori. La loro diffusione è però scarsa, in quanto i maggiori problemi costruttivi e di resistenza alle
sollecitazioni li rendono poco affidabili e di costo superiore a quelli normali.

13.4 Aspetti funzionali delle macchine per lo spietramento

L'operazione di spietramento può essere effettuata su terreno già coltivato per migliorarne le caratteristiche
o su terreno incolto per predisporlo alle operazioni di colturamento.
Per poter effettuare una classificazione delle macchine per lo spietramento si deve tener presente che vi
sono due modi di procedere all'eliminazione delle pietre:

- allontanamento delle pietre dal campo;


- frantumazione delle pietre sul campo.

La scelta dell'uno o dell'altro metodo dipende essenzialmente dalla natura e dalle caratteristiche di
pietrosità del terreno. Il primo metodo si addice di più a terreni con un grado di pietrosità non troppo elevato
e con pietre di notevole durezza e tenacità (silicei). Il secondo metodo si addice invece a terreni più friabili
(calcarei) e con elevato grado di pietrosità (e quindi con poca terra fine).
La frantumazione in campo trova serio ostacolo nell'usura dei martelli frantumatori quando essi vengono
impiegati in terreni sabbiosi e di natura silicea.

33
L'operazione di spietramento è, in genere, preceduta dalla operazione di scarificatura (o di aratura) che
serve a rimuovere la terra e le pietre, a fessurare e sgretolare banchi rocciosi (tufacei) ed a portare le
pietre in superficie.
La scarificatura può essere più o meno profonda, in relazione all'entità dello spietramento che si vuole
effettuare e può essere ripetuta fino a tre quattro volte in diverse direzioni quando si tratta di sgretolare la
roccia compatta. In casi particolari possono essere utilizzati i martelli pneumatici o idraulici.
Per l'allontanamento delle pietre dal campo possono essere utilizzate le macchine già esaminate in
precedenza quali: l'apripista a lama intera o a rastrello, la pala caricatrice a fondo intero o grigliato,
l'escavatore a cucchiaio o a benna.
In alternativa si possono utilizzare macchine destinate esclusivamente alla raccolta delle pietre quali: il
forcone caricatore, le andanatrici e le raccoglitrici di pietre.
Il forcone caricatore (cfr. Figura 32) è un attrezzo che viene applicato all'attacco a tre punti della trattrice e
che serve a caricare le pietre più grosse, le quali vengono poi portate a discarica.

Figura 32 Forcone caricatore attrezzo applicato all'attacco a tre punti della trattrice che
serve a caricare le pietre più grosse e trasportarle fuori dal campo

L'andanatrice di pietre (cfr. Figura 33 A) è una macchina che serve a disporre le pietre di minori
dimensioni in andane; la macchina è costituita da un tamburo rotante della lunghezza di 3 - 4 m, dotato
di denti opportunamente sagomati, il quale è montato su un telaio portato o semi-portato da una trattrice; la
macchina sposta le pietre e le porta ai margini del campo.
In presenza di piccole pietre si può utilizzare anche un pettine (cfr. Figura 33 B), portato o semi-portato
posteriormente da una trattrice, che solleva le pietre e le porta ai margini del campo.

Figura 33 Macchina andanatrice di pietre a tamburo (A) o a pettine raccoglitore (B)

34
Nella macchina andanatrice a tamburo, l’organo operatore prende il moto dalla presa di potenza della
trattrice e lavora inclinato rispetto alla direzione di avanzamento per incrementare la spinta trasversale
sulle pietre e favorire così la formazione delle andane.
La macchina opera in superficie su pietre di dimensioni non superiori a 40 cm e forma un'andana per ogni
due percorsi (andata e ritorno).
La capacità di lavoro può raggiungere il valore di 1,5 Ha/h, con un assorbimento di potenza di circa 15 kW
per metro di larghezza di lavoro.
La raccogli-pietre è una macchina che opera in superficie o a piccole profondità in modo continuo e
preferibilmente su andane già predisposte.
Le raccogli-pietre, oltre alla soluzione a pettine innanzi illustrata, possono essere distinte in base al loro
organo raccoglitore in:
- raccogli-pietre a forca;
- raccogli-pietre a lama o a vomere;
- raccogli-pietre ad aspo rotante.
Le tre soluzioni presenti sul mercato possono essere dotate di contenitore o scaricare il prodotto
direttamente in un rimorchio che viaggia a loro fianco; sono in genere macchine di tipo trainato da trattrice
di media potenza (50 - 60 kW).
Una raccogli-pietre a forca ( cfr. Figura 34) è costituita da una pala grigliata (forca) nella parte anteriore e
da un cassone nella parte posteriore.
La pala è dotata di denti che favoriscono l'avanzamento e la raccolta delle pietre.

Figura 34 Raccoglitrice a forca costituita da una pala grigliata (forca) nella parte anteriore e
da un cassone nella parte posteriore

Quando la pala si riempie viene ribaltata indietro, in modo che le pietre vanno a scaricarsi nel cassone.
La raccogli-pietre a forca è particolarmente adatta per pietre di grosse dimensioni e deve operare in terreni
molto asciutti, sciolti e privi di vegetazione ad evitare ingolfamenti e l'eliminazione della terra fina.
Un esempio di raccoglitrice a lama senza contenitore è quello di Figura 35; l'organo raccoglitore è costituito
da una lama intera della larghezza di circa un metro, leggermente inclinata verso il basso.
La macchina è dotata di un elevatore a palette scorrevoli su una griglia fissa, disposta trasversalmente alla
direzione di avanzamento, in modo da poter scaricare le pietre in un rimorchio; la operatrice è' di tipo
semi-portato e opera con la trattrice a cavallo dell'andana.
35
Anch'essa deve operare in terreni asciutti e privi di vegetazione, tuttavia rispetto a quella a forca opera una
migliore separazione della terra fine dalle pietre.

Figura 35 Raccogli-pietre a lama leggermente inclinata verso il basso dotata di


un elevatore scorrevole disposto trasversalmente alla direzione di
avanzamento in modo da poter scaricare le pietre in un rimorchio.

Figura 36 Raccogli-pietre ad aspo rotante

A B

Figura 37 Raccogli-pietre ad aspo rotante con scarico nella direzione del moto o in senso
contrario

36
L'aspo può essere costituito da un rotore mosso da due trasmissioni a catena laterali. Essa può ruotare
nello stesso senso delle ruote oppure in senso inverso.
Le raccogli-pietre più diffuse sono quelle con aspo ruotante nello stesso senso delle ruote, perché offrono
maggiore sicurezza per i denti, che possono essere anche rigidi.
Le pietre possono essere indirizzate dall’aspo verso la parte anteriore della macchina (cfr. Figura 37 A) o
verso la parte posteriore (cfr. Figura 37 B).
Nel caso che il contenitore si trovi dalla parte opposta alla direzione verso la quale vengono indirizzate le
pietre è necessario che un carter provveda ad indirizzare le pietre.
Nella Figura 36 è rappresentata una raccogli-pietre ad aspo con pettini raccoglitori portati da due catene
laterali. I pettini nella rotazione, spingono le pietre su di una griglia fissa inclinata e le convogliano poi sul
contenitore posteriore. La macchina è trainata da una barra inclinata che le permette di operare
lateralmente alla trattrice. Il contenitore è sollevabile e ribaltabile per cui può essere scaricato in un camion
o in un rimorchio, quando si riempie. La capacità di lavoro delle raccoglitrici può raggiungere nelle migliori
condizioni il valore di 1 Ha/h.

Molini frangi-pietre

Per la frantumazione delle pietre sul campo possono essere utilizzati o i molini alimentati a mano o le
frangi-pietre che frantumano direttamente le pietre senza sollevarle dal suolo.
I molini vengono adoperati per spietramenti di piccola entità in terreni già coltivati.
Le frangi-pietre hanno, invece, un campo d'applicazione molto più vasto, in quanto possono essere
adoperate in tutti i tipi di terreni pietrosi più o meno efficacemente. La gamma di frangi-pietre disponibili sul
mercato è piuttosto vasta e va da quelle di tipo portato che richiedono una potenza di 35 - 45 kW a quelle
di tipo trainato con motore autonomo della potenza superiore a 300 kW.
Le frangi-pietre hanno tutte lo stesso principio di funzionamento, che consiste nel portare in rotazione ad
elevata velocità dei martelli, il cui urto provoca la frantumazione delle pietre.
Pertanto, una frangi-pietre è costituita fondamentalmente da un rotore, proporzionato alla potenza della
macchina, alla periferia del quale sono calettati i martelli, costituiti da materiale resistente all'urto ed
all'usura. Il modo di operare dell’organo frantumatore è rappresentato nella Figura 38.

Figura 38 Organo rotante utilizzato per la frantumazione delle pietre

I martelli sono montati folli sui loro perni di attacco al rotore ed agiscono quindi come flagelli sulle pietre,
limitando così eventuali sforzi pericolosi sugli organi della macchina; inoltre il rotore è comandato da una

37
trasmissione per cinghie allo scopo di salvaguardare gli organi a monte del rotore (cfr. Figura 39). Il rotore
è racchiuso in un carter che presenta nella parte anteriore un'imboccatura dalla cui altezza e dal cui
interramento dipende la profondità di lavoro della macchina. Il senso di rotazione può essere anche in
questo caso concorde o discorde con il senso di avanzamento della macchina. Nel primo caso si ottiene un
grado di frantumazione più elevato in quanto il materiale è costretto a passare attraverso il carter, anche se
ovviamente la resistenza all'avanzamento risulta più elevata.

Figura 39 Viste laterale e frontale di una frantumatrice di pietre di tipo portato

Nelle macchine portate la profondità di lavoro viene regolata dal sollevatore della trattrice (cfr. Figura 40) e
il moto alle cinghie viene trasmesso dalla presa di potenza della trattrice attraverso una coppia conica
situata al centro della macchina.

Figura 40 Frangi-pietre di tipo portato in lavorazione

Nella macchina trainata (cfr. Figura 41) la profondità di lavoro può essere regolata sempre dal sollevatore
della trattrice se la barra di traino è collegata ad esso, altrimenti la macchina può avere un martinetto atto
allo scopo. Essa è in genere dotata di motore proprio, per cui la trattrice serve solo ad esercitare lo sforzo
di traino.
Le frangi-pietre più grandi possono effettuare la frangitura per una profondità fino a 40 - 50 cm. Si deve
tener conto, però, che all'aumentare della profondità, aumenta notevolmente il consumo specifico di
energia, cioè l'energia per metro cubo di terreno frantumato, per cui nella maggior parte dei casi, conviene
mantenere la frantumazione a profondità intorno ai 15 - 20 cm e ripetere l'operazione due o più volte.
Le frangi-pietre possono essere dotate di una griglia posteriore che serve a prolungare il contatto dei
martelli con le pietre ed a frantumarle in una determinata pezzatura.
38
Figura 41 Frangi-pietre di tipo trainato con motore proprio

La capacità di lavoro delle frangi-pietre varia da 100 a 300 m 2/h o da 300 m2/h a 3000 m2/h, in relazione
allo stato di pietrosità del terreno e alla profondità di lavoro.
La scelta delle macchine ed il cantiere di lavoro da adottare per lo spietramento è legato a diversi fattori fra
i quali i principali sono: la natura del terreno e lo stato di pietrosità, l'estensione della superficie, il tipo di
terreno che si vuole ottenere, il tempo entro il quale si vuole realizzare l'operazione.

13.5 Sistemazione del suolo e drenaggio

Per sistemare il terreno, nelle migliori condizioni per la coltivazione delle piante, risulta necessario
procedere ad una accurata sistemazione del suolo in senso longitudinale e trasversale e ad un opportuno
drenaggio delle acque.
La sistemazione del suolo riguarda soprattutto gli spostamenti di terra che servono ad eliminare dislivelli e
regolarizzare le pendenze del terreno, per cui le macchine impiegate sono quelle che vengono utilizzate
per i movimenti di terra e cioè: pala caricatrice, escavatrice, livellatrice e ruspa, alle quali si possono
aggiungere macchine per il trasporto della terra: rimorchi, autocarri e dumpers.
Per quanto riguarda le opere di drenaggio, esse consistono in genere nella realizzazione e nella
manutenzione di fossi o scoline e nella rottura dello strato impermeabile del terreno coltivato, per
aumentare la permeabilità del terreno. Per il primo scopo può essere usata l'escavatrice a cucchiaio o a
benna, ma esistono macchine specializzate nell'operazione che prendono il nome di scavafossi o
affossatori, che operano con continuità, dando anche una forma al canale scavato (cfr. Figura 42).

Figura 42 Scavafossi a uno o due organi rotanti

39
Un primo tipo di scavafossi è quello ad uno o a due organi rotanti i quali sono muniti di denti che operano
sul terreno un'azione di fresatura (cfr. Figura 43).
Con due organi rotanti ad asse obliquo si possono scavare fossi di forma trapezia (cfr. Figura 43), mentre
utilizzando un solo organo rotante ad asse orizzontale si possono scavare fossi a pareti verticali, e a
sezione ristretta come quella riportata nella Figura 44, lavorazione molto utile per l’inserimento di
tubazioni in profondità, che in tal modo non possono essere intercettate nelle lavorazioni superficiali del
terreno.

Figura 43 Scavafossi a due organi rotanti per realizzazione di canali a sezione a di trapezio

Figura 44 Scavafossi ad un organo rotante per canalette a sezione rettangolare

Altri tipi di scavafossi sono quelli a corona di tazze (cfr. Figura 45) e quello a vomere ad ali regolabili (cfr.
Figura 46).

Figura 45 Scavafossi a corona di tazze Figura 46 Organi di scavafossi a vomere

40
Per la rottura dello strato impermeabile si ricorre agli scarificatori, che in alcuni casi possono essere muniti
di un elemento cilindrico, posto dietro lo scalpello, per la formazione di canali (fognoli - cfr. Figura 47) che
permettono un più rapido smaltimento delle acque.

Figura 47 Scarificatore per drenaggio

13.6 Macchine per lo scasso del terreno

L'operazione di scasso del terreno viene effettuata in genere per poter impiantare coltivazioni arboree.
Essa consiste nell'effettuare un dirompimento e rivoltamento del terreno, interessando strati che possono
raggiungere un metro e mezzo di profondità.
Per questa operazione vengono adoperati aratri di notevoli dimensioni (aratri da scasso - cfr. Figura 50)
che sono di tipo analogo a quelli rovesciatori (a vomere) usati per i normali lavori d'aratura periodica e che
vengono quindi utilizzati nelle lavorazioni principali del terreno.

Figura 48 Aratro da scasso di grandi dimensioni ed effetto della lavorazione

Nei terreni tenaci e lapidei l'operazione di scasso può essere preceduta da una o più scarificature
profonde, che consentono di diminuire notevolmente lo sforzo di penetrazione dell'aratro durante lo scasso
vero e proprio.

41
Per i lavori di movimentazione e sistemazione dei terreni può essere anche utilizzata la pala caricatrice
montata su una trattrice sia anteriormente che posteriormente (cfr. Figure 49-50).

Figura 49 Pala caricatrice montata su trattrice

La pala ed il cucchiaio di un escavatrice possono essere portati da elementi incernierati tra loro (braccio e
avambraccio) e la loro posizione viene regolata da pistoni idraulici.

Figura 50 Cucchiaio escavatore e pala caricatrice montati su trattrici

Bibliografia
(1965) DIPAOLA G. “Appunti del corso di meccanica agraria”, Distribuiti a cura dell’Istituto di Meccanica
Agraria di Bari, Bari, gennaio 1965.
(1965) AMIRANTE P. “Prove preliminari di lavorazioni di scasso dei terreni” , Rivista di Macchine e
Motori Agricoli, n.9 settembre 1967, Ed. Calderini, Bologna, n. 9 settembre 1967, pagg. 1-30
(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975. (1999)
(1999) BIONDI P. “Meccanica Agraria. Le macchine agricole”, Edizioni UTET, Torino 1999.
(2002) GIARDINI L. “Agronomia generale ambientale e aziendale”, Edizioni PATRON, Bologna, 2002.
(2005) GIARDINI. “Potenzialità produttiva e sostenibilità dei sistemi colturali”, Edizioni Hoepli, 2005
(2010) SALTINI A. “Storia delle scienze agrarie” , Edagricole, Bologna 1989

42
CAPITOLO XIV
MACCHINE PER LE LAVORAZIONI PRINCIPALI DEL TERRENO

14.1 Introduzione

Le lavorazioni principali del terreno sono lavori di carattere ordinario eseguite per la preparazione del
letto di semina prima di ogni ciclo colturale. Queste lavorazioni si eseguono sul terreno sodo, più o meno
compattato dall'assestamento e dal ripetuto passaggio di macchine nel ciclo precedente, e pertanto
richiedono l'impiego di attrezzi in grado di vincere l'eventuale tenacità del terreno.
In occasione della lavorazione principale, in genere, si provvede anche all'interramento
di ammendanti e concimi.
Dopo la lavorazione principale, lo stato del terreno negli strati superficiali non è ancora adatto ad ospitare
il seme, perciò sarà necessario eseguire uno o più lavori complementari allo scopo di affinare il letto di
semina.
Le lavorazioni principali del terreno possono classificarsi come segue:

- aratura con aratro a vomere o dischi, lavorazione principale di più largo impiego in Italia,
in genere ritenuta indispensabile per i terreni limosi e argillosi. L’aratura lascia il terreno in
uno stato fisico inadatto per la semina a causa dell'eccessiva macro-zollosità, pertanto
richiede l'integrazione con lavori complementari; l’ aratura con aratro a dischi è una
lavorazione alternativa alla precedente, eseguita con l'aratro a dischi. È considerata
impropriamente una variante dell'aratura, ma in realtà il risultato dell'operazione è
fondamentalmente differente. Si pratica su terreni non compatti, spesso calcarei.

- ripuntatura, lavorazione eseguita in alternativa all'aratura mediante l'impiego


di scarificatori pesanti. A differenza delle lavorazioni precedenti non altera il profilo del
terreno perché non esegue rovesciamento né rimescolamento. Si presta perciò per
essere eseguita su terreni in cui si vuole evitare l'alterazione del profilo. A parità di
profondità richiede forze di trazione inferiori.

- lavorazione a due strati, tecnica di lavorazione che consiste nella combinazione di aratura
e ripuntatura. Si può effettuare con un passaggio con un ripuntatore ad una profondità di
circa 50 cm, seguito da un'aratura superficiale ad una profondità di circa 30 cm, oppure
con un unico passaggio con aratro ripuntatore. Ha lo scopo di compensare vantaggi e
svantaggi dell'aratura e della ripuntatura. Ad esempio evita la formazione della "suola di
lavorazione" che si può avere con l'aratura e permette un adeguato interramento dei
residui colturali e dei concimi, impossibile con la ripuntatura.

- fresatura, lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di una fresatrice.


Rispetto alle precedenti ha il pregio di eseguire un efficace lavoro di sminuzzamento del
terreno pertanto non necessita, in genere, di integrazioni con lavori complementari,
tuttavia non permette di raggiungere grandi profondità (al massimo 25 cm). Si presta per
la preparazione del terreno prima della semina di una coltura intercalare, specie quando

43
esiste l'esigenza di accorciare il più possibile i tempi di preparazione del letto di semina.
A parità di profondità richiede elevate potenze in funzione della larghezza di lavoro.

- vangatura, lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di una vangatrice.


Le condizioni di lavoro sono tali da ritenerla poco adatta per la maggior parte dei terreni
in Italia, inoltre non permette di raggiungere considerevoli profondità. Si presta per la
lavorazione di terreni sciolti.

Le lavorazioni principali o di dirompimento del terreno si eseguono all'inizio di ogni ciclo colturale e
possono essere fatte con modalità e profondità diverse a seconda che si tratti di operare:

- su terreni mai lavorati o non lavorati da lungo tempo (dissodamento);


- all'inizio di una rotazione (rinnovo);
- nel corso della rotazione tra una coltura e l'altra (preparatoria).

Nel primo caso la lavorazione può essere considerata anche preliminare, in quanto viene fatta una sola
volta nelle condizioni di terreno non dissodato; le macchine più comunemente usate nelle lavorazioni
principali sono:
- aratri;
- scarificatori (o aratri discissori);
- zappatrici;
- vangatrici.
Gli aratri e gli scarificatori hanno gli organi di lavoro trainati dal gancio o portati dall’attacco a tre punti della
trattrice, mentre le vangatrici sono azionati dalla presa di potenza della trattrice.
Dal modo di operare di queste macchine è derivata la suddivisione effettuata in precedenza per le
lavorazioni principali e cioè: aratura, scarificatura, vangatura e zappatura.

14.2 Macchine operatrici utilizzate per l’aratura

L'aratura consiste principalmente nel rovesciare e rimescolare la terra; nella lavorazione di un aratro potrà
prevalere l'azione di rovesciamento o l'azione di rimescolamento e pertanto gli aratri potranno essere
distinti in:
- aratri rovesciatori (con prevalente azione di rovesciamento);
- aratri rimescolatori (con prevalente azione di rimescolamento).

14.2.1 Funzioni operative degli aratri rovesciatori

Gli aratri rovesciatori (cfr. Figura 51) hanno la funzione di tagliare delle fette di terreno di sezione
rettangolare parallele alla direzione di avanzamento (cfr. Figura 52) e di far subire a tali fette una rotazione
di circa 135° (cfr. Figura 53) ed ad conseguente sminuzzamento, in modo da ridurle ad un insieme di
particelle di diversa grandezza.

44
Figura 51 Aratro rovesciatore trainato completo di coltro e avanvomere

Figura 52 Sezione di taglio dell’aratro Figura 53 Azione di rovesciamento dell’aratro

Per poter tagliare e rovesciare queste fette di terreno, l'aratro si compone delle seguenti parti principali:

- organi di lavoro;
- organi di sostegno e di collegamento;
- organi di guida e di manovra;
- organi di regolazione.

Gli organi di lavoro dell'aratro rovesciatore sono:


- il coltro;
- il vomere;
- il versoio o orecchio;
- l'avanvomere;
- il ripuntatore.

45
Figura 54 Aratro portato con coltro Figura 55 Parti costituenti il corpo dell’aratro

Il coltro, realizzato in acciaio e fissato alla bure con una staffa di modello variabile (cfr. Figure 54-55),
serve per operare il taglio verticale del terreno ed a delimitare la larghezza della fetta da rivoltare.
Il suo impiego è necessario ed indispensabile nei terreni tenaci, mentre se ne può fare a meno nei terreni
sciolti e particolarmente in quelli sabbiosi, in quanto dà luogo ad una resistenza inutile.
Il coltro può essere (cfr. Figura 56):

a) a coltello;
b) a disco.

Figura 56 Coltro: A a coltello; B a disco Figura 57 Modo di operare del coltro

Il coltro a coltello ha la forma di un grosso coltello a sezione triangolare asimmetrica rispetto all'asse di
avanzamento e precisamente l'angolo verso il terreno sodo è minore dell'angolo verso il terreno lavorato
(cfr. Figura 57) in quanto, essendo maggiore la resistenza del terreno dalla parte del terreno non
lavorato, per poter mantenere in equilibrio il coltro durante la fase di avanzamento senza che si abbiano
spinte laterali, occorre accrescere artificialmente lo sforzo sul coltro verso il lato del terreno lavorato, e ciò
si ottiene aumentando l’inclinazione e quindi la sezione di terreno interessato.
L'orlo anteriore non è affilato perché il coltello agisce da cuneo sul terreno fendendolo. Per diminuire la
resistenza opposta dal terreno al taglio verticale da parte del coltro a coltello, si è costruito il coltro anche
a forma di disco a bordo tagliente (cfr. Figura 56); il prototipo è di origine americana, con spessore
decrescente dal centro verso l'orlo, ed è portato da una forcella girevole intorno ad un asse verticale.

46
La presenza di un coltro classico può presentare certi inconvenienti quali ad esempio: intasamenti in caso
di interramento di rilevanti residui vegetali o spazio insufficiente per montare una avanvomere efficace.

Figura 58 Aratro con coltro a disco Figura 59 Aratro con coltro applicato al vomere

Per evitare questi inconvenienti, in certi casi, i coltri classici sono stati sostituiti dai coltri "incorporati",
i quali possono essere associati:

- al versoio, soluzione interessante ma suscettibile di provocare qualche intasamento


in condizioni di lavoro difficili (terreni adesivi, grosso volume di residui vegetali);
- al vomere, in questo caso una lamina verticale è fissata all'ala del vomere (cfr. Figura
58) in una versione che provoca meno intasamenti sul versoio, ma l'utilizzazione
di avanvomere in terreni pietrosi può provocare numerose incastrature di pietre tra
questi due organi;
- all'avanvomere, in questo caso la parte esterna dell'avanvomere è prolungata verso il
basso da un elemento del coltro dritto. Una buona disposizione, però con rischi di
intasamenti nei terreni argillosi.

Il vomere ed il versoio sono gli organi di lavorazione principali ed indispensabili di un aratro rovesciatore e
costituiscono quindi il corpo dell'aratro insieme agli elementi di sostegno (cfr. Figura 59).

Il vomere, come si è innanzi detto, serve ad assicurare il taglio orizzontale della striscia di terreno e di
avviare il relativo sollevamento. E' costituito da una lamina d'acciaio generalmente trapezoidale, il cui
modo di operare rispetto al terreno è caratterizzato essenzialmente da due angoli (cfr. Figura 60):

- l’angolo di taglio , che rappresenta l’angolo con cui la lama del vomere opera rispetto
al piano del terreno e che obbliga l'aratro a rientrare costantemente in terra, evitando
così la fuoriuscita. Il suo valore varia tra 5° e 15° ma può raggiungere anche 25° su certi
aratri speciali;

47
- l’angolo di attacco , che dà l'obliquità alla lama del vomere rispetto alla direzione di
avanzamento, facilitando così il taglio il taglio del terreno. Il suo valore è generalmente
di 45°, ma può essere inferiore fino a 35° su certi aratri speciali

elicoidale cilindrica

Figura 60 Modo di operare del vomere Figura 61 Forme più comuni di versoio

Il versoio compie l'azione di rovesciamento o di capovolgimento della fetta distaccata dal coltro e dal
vomere. La forma del versoio è molto variabile e talora non definibile mediante una superficie geometrica
di tipo noto. Si va infatti da quella cilindrica a quella elicoidale (cfr. Figura 61).
In terreni sciolti si possono usare le forme che tendono alla cilindrica (cfr. Figure 61- 62), mentre in terreni
tenaci sono consigliabili forme che tendono all'elicoidale (cfr. Figure 61- 63).

Figura 62 Aratro con versoio cilindrico Figura 63 Aratro con versoio elicoidale

Oltre le due forme descritte, il versoio può avere una forma mista; in questo caso è anche chiamato
versoio americano, oppure versoio cilindro-elicoidale; la sua forma è cilindrica nella sua parte bassa
anteriore ed elicoidale nella sua parte alta posteriore; il suddetto versoio associa i vantaggi delle due
forme ed è quello più frequentemente utilizzato (cfr. Figura 64).

A B C

Figura 64 Schemi costruttivi dei versoi: cilindrico (A) elicoidale (B) e misto (C)

48
Si rende noto che in passato, per modellare il vomere nella forma più appropriata, si costruita un prototipo
in legno che veniva utilizzato in prove preliminari; il legno essendo un materiale meno resistente
all’usura si assottigliava nelle zone più sollecitate, definendo una forma che assicurava una minore
resistenza.
Nella figura 64 viene rappresentato la schema costruttivo del versoio dell’aratro rovesciatore.
Altro tipo di versoio utilizzato è quello a grata che consente di lavorare nei terreni particolarmente collanti,
cioè di tipo adesivo (cfr. Figura 65 A), mentre nella Figura 65 B vengono riportati tre modelli diversi tipi di
avanvomere.

Figura 65 A Versoio a grata Figura 65 B Tre tipi di avanvomere

L'avanvomere ed il ripuntatore sono organi di lavoro ausiliari; il primo (cfr. Figure 66 A-B) è costituito da
un vero corpo di aratro in miniatura fissato alla bure e serve per facilitare il sovescio delle erbe e si impiega
pertanto in terreni erbosi.

A B

Figura 66 A e B Prototipi di aratro dotati di avanvomere

Il secondo serve per approfondire il lavoro fatto dall'aratro (cfr. Figura 67), aumentando lo spessore dello
strato disgregato ed eliminando l'inconveniente della suola di aratura, che si viene a formare nei terreni
argillosi compatti.

Figura 67 Due prototipi di aratro con ripuntatore

49
Il ripuntatore è infatti costituito da un utensile a punta, che segue il vomere e che opera in profondità come
la punta di uno scarificatore; da ciò deriva l'usanza di chiamare ripuntatori anche gli scarificatori.

A B

Vista laterale Vista dall’alto


Figura 68 Aratro rovesciatore completo di tutti i suoi elementi costitutivi

Nella Figure 68 A-B e 69, vengono riportati i principali organi di sostegno e di collegamento degli aratri
fra i quali si descrivono qui di seguito:

- la suola, costituita da una piastra longitudinale e che contribuisce oltre che a sostenere
l'aratro, anche a dargli la necessaria stabilità longitudinale; il più delle volte la suola è
protetta nella parte posteriore da un tallone (cfr. Figura 69);
- il petto è una piastra montante, curvilinea, che ha la funzione di collegamento della
suola e del corpo dell'aratro (versoio) alla bure; in taluni aratri si ha anche la muraglia
(al completamento del petto), che è una piastra che riunisce petto e suola e che ha lo
scopo di impedire al terreno, se poco coerente, di ricadere nel solco appena aperto.

Figura 69 Principali organi costituenti l’aratro

50
Fra gli organi di sostegno v'è la colonnetta o sostegno, che talora può mancare, e che costituisce un
secondo collegamento tallone e bure, mentre la bure e le ruote hanno le seguenti funzioni:

- la bure serve per il collegamento dell'aratro al mezzo di trazione (essa, molto spesso da
luogo al telaio); alla bure sono collegati tutti gli organi;
- le ruote servono per il sostegno della bure e quindi degli organi di lavorazione.

Figura 70 Organi dell’aratro: bure e ruote di antichi aratri

Gli organi di guida e di manovra, sono principalmente:

- le stegole, che si trovano nella parte posteriore dell’aratro condotto dall'uomo; .


- il dispositivo di manovra, per l’interramento e il sollevamento del corpo dell'aratro; Tale
dispositivo può essere di tipo meccanico (mediante un sistema di leve) o di tipo
idraulico; negli aratri portati il sollevamento e l'abbassamento si ottiene per mezzo del
sollevatore idraulico della trattrice.

Figura 71 Stegole di guida dell’aratro

Gli organi di regolazione sono fondamentali per una buona esecuzione della lavorazione; essi servono
essenzialmente per regolare:

- la profondità della lavorazione;


- la disposizione del telaio in modo che quest'ultimo sia regolato orizzontalmente sia in
senso longitudinale che in senso trasversale;
- la posizione di attacco al mezzo trainante.

51
Infatti, per quanto concerne la profondità essa va commisurata alle esigenze delle finalità agronomiche che
si vogliono conseguire. Ovviamente la regolazione della profondità può avvenire fino ad un limite superiore
che è funzione della massa dell'aratro e della consistenza ( tenacità) del terreno; più grande è la tenacità
del terreno e meno è possibile aumentare la profondità.
La regolazione della profondità di lavoro viene effettuata per gli aratri portati con il sollevatore idraulico e
eventualmente da un ruotino di appoggio al suolo, che può essere spostato verticalmente con comando
meccanico o idraulico limitando la profondità massima, mentre per gli aratri trainati la regolazione avviene
agendo sul sollevamento delle ruote sempre attraverso un comando di tipo meccanico o idraulico.
Gli aratri moderni e di grandi dimensioni sono dotati quasi esclusivamente di martinetti idraulici per la
regolazione della profondità di lavoro.
Per quanto concerne la disponibilità orizzontale del telaio essa è indispensabile per i seguenti motivi:

- qualora non fosse regolare la posizione orizzontale in senso trasversale (cfr.


Figura 172 ) l'aratro lavorerebbe in modo tale da dare al fondo un andamento a
creste che ostacolando il deflusso delle acque, favorirebbe il ristagno delle acque
con danno alle colture;
- qualora non fosse regolare la posizione in senso longitudinale (cfr. Figura 173)
l'organo di lavoro lavorerebbe impuntato accrescendo inutilmente la resistenza al
tiro.

Figura 172 Inclinazione trasversale Figura 173 Inclinazione longitudinale

14.2.2 Classificazione degli aratri rovesciatori

Gli aratri rovesciatori si possono classificare in diversi modi e precisamente in ordine:

a al numero degli organi di lavoro;


b alla profondità massima di lavorazione
c al sistema di aratura;
d al tipo di sostegno e di collegamento al mezzo di trazione;

a Numero degli organi di lavoro

Il numero degli organi di lavoro dà luogo alla seguente classificazione:

-) aratri mono-vomere, se costituiti da un solo vomere (cfr. Figura 174);


-) aratri poli-vomere, se a più vomeri: bivomere, trivomere, ecc. (cfr. Figura 175).

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Figura 174 Aratro mono-vomere Figura 175 Aratro polivomere

Si precisa che, a parità di potenza disponibile, al crescere del numero dei vomeri diminuisce la profondità
di lavorazione conseguibile.
Anche per gli aratri, così come si è visto per gli scarificatori, gli elementi possono essere resi elastici
mediante sistema meccanico con molle di torsione o a balestra o mediante sistema idraulico con martinetti
idraulici.
Negli attrezzi polivomere l’elasticità può riguardare l’aratro nel suo insieme o i singoli vomeri; nel primo
caso il dispositivo cedente (molla o martinetto) sarà uno solo e verrà applicato al telaio dell’aratro (Figura
176), nel secondo caso avremo un dispositivo cedente per ogni vomere dell’aratro (Figure 177 A e B).
L’aratro polivomere con i singoli vomeri elastici è sicuramente più funzionale in quanto un vomere non
influenza il lavoro degli altri nel caso incontri un ostacolo, in quanto nel sollevarsi non trascinerà anche gli
altri.

Figura 176 Aratro bivomere con unico dispositivo cedente applicato al telaio

Figura 177 A e B Elemento di aratro mono o polivomere con cedente a molla sul singolo vomere

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Nel caso di aratro polivomere con vomeri elastici azionati singolarmente da pistoni idraulici, per assorbire
gli spostamenti di olio che si verificano nei singoli cilindri idraulici quando i pistoni vengono sollecitati a
muoversi, tali cilindri sono collegati tutti ad un accumulatore (polmone) contenente un aeriforme, che
comprimendosi permette il defluire dell’olio dai cilindri (Figura 178). L’aratro si dice in tal caso a comando
idropneumatico.

Figura 178 Aratro con dispositivo cedente idropneumatico

Sia per il sistema a molle che per quello idropneumatico è possibile effettuare la regolazione per
aumentare o diminuire la sensibilità del dispositivo alle sollecitazione degli ostacoli, operando sulla
tensione delle molle o sulla pressione dell’olio.
b Profondità massima di lavorazione
La profondità massima di lavorazione dà luogo alla seguente classificazione:
-) aratri da scasso, destinati a conseguire notevoli profondità (oltre 0,80 m);
-) aratri per arature profonde, destinati alle arature di rinnovo e di dissodamento
oltre 0,35 m e fino ad un massimo di 0,80 m;
-) aratri per arature ordinarie, destinate alle arature preparatorie (0,20 - 0,35 m);
-) aratri per arature superficiali e da ripasso, destinati a realizzare piccole
profondità o anche per effettuare un successivo ripasso su arature già
eseguite, allo scopo di migliorare la qualità di lavorazione della precedente
aratura (0,10 - 0,20 cm).
c Sistema di aratura
Per quanto concerne il sistema di aratura esso può avvenire:

- colmando, se si inizia al centro dell'appezzamento e si procede con i solchi verso


l'esterno (cfr. Figura 179) o scolmando (cfr. Figura 180); l'aratura a colmare
serve quando si voglia baulare gli appezzamenti, in maniera da evitare il
ristagno di acqua nel periodo invernale;

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Figura 179 Sistema di aratura a colmare Figura 180 Sistema di aratura a scolmare

- scolmando, se viceversa si procede dall'esterno dell'appezzamento verso


l'interno (cfr. Figura 180); tale aratura provvede a spostare il terreno dal
centro ai lati del campo Quando non vi sono particolari problemi idraulici o
agronomici, si ara in genere un anno colmando, ed un anno scolmando, in
modo da mantenere la baulatura nei limiti voluti.

- alla pari se si lavora per linee contigue rovesciando la fetta l'una all'altra dalla
stessa parte (cfr. Figura 181); in questo caso si rivolta il terreno tutto dalla
stessa parte. Tale lavorazione è tipica dei terreni declivi. In terreni di pianura
viene impiegata quando il sottosuolo è permeabile. Tale lavorazione viene
normalmente eseguita a mezzo di aratri particolari che consentono di
rivoltare il terreno sempre da una stessa parte nelle due direzioni di marcia
(ad esempio aratri doppi); in tal caso l'aratro si muove a spola tra le opposte
testate del campo tracciando i successivi solchi uno accanto all'altro per cui
la lavorazione - se effettuata in piano - non modifica la sistemazione
superficiale del terreno. Sui terreni declivi l'aratura alla pari viene
normalmente fatta lavorando lungo le linee di livello con la trattrice, quindi,
disposta trasversalmente al pendio; in questo caso si può rivoltare la fetta
sia verso monte sia verso valle.

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Figura 181 Sistema di aratura alla pari

Quando si rivolta la fetta verso monte si richiede una maggiore energia in quanto si tende a riportare il
terreno in alto, in compenso si limita il degradamento della montagna. Con il rivoltamento della fetta a valle
si ha una minore spesa di energia. Oltre che lavorare secondo le curve di livello, nei terreni declivi si può
lavorare il terreno secondo le linee di massima pendenza, cioè "a ritocchino". Il lavoro può essere fatta
operando in salita o in discesa. Col primo sistema si riducono i franamenti, ma si richiede un elevato sforzo
di trazione, il contrario avviene operando in discesa.
L'aratro si dice manritto se rivolta la fetta di terreno a destra. Si dice mancino se rivolta la fetta a sinistra.
Nelle lavorazioni a colmare e a scolmare possono essere usati indifferentemente o l’uno o l’altro.
Nella lavorazione alla pari invece, data la contiguità dei solchi e dato che occorre rivoltare la fetta sempre
da una stessa parte, se si vuole evitare la corsa di ritorno a vuoto, è necessario usare nella corsa di ritorno
un corpo di aratro diverso da quello usato per l’andata. Cioè se nella corsa di andata l'aratro è "mancino",
nella corsa di ritorno, l'aratro deve essere "manritto". Quindi per le lavorazioni alla pari occorrono aratri
particolari cui è consentito di lavorare ora da manritti ora da mancini.
Le soluzioni costruttive sono numerose e precisamente:

- aratro volta-orecchio (cfr. Figura 182): se ha due vomeri ed un orecchio,


costituenti un unico corpo, cui è consentito di ruotare, azionato a fine solco,
intorno ad un asse longitudinale e quindi di invertire la propria funzione;

- aratro doppio (cfr. Figura 183) a 180° o a 90°: se ha due serie di organi di lavoro
distinti montati simmetricamente a 180° rispetto all'asse longitudinale oppure
a 90°;

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Figura 183 Aratro volta-orecchio Figura 184 Aratro doppio

- aratro alternativo (cfr. Figura 185): se dotato di doppi organi di lavoro, disposti
simmetricamente lateralmente all'asse longitudinale, sicché una volta si
abbassa uno ed una volta l'altro;

- aratro bilanciere o a bilico (cfr. Figura 186): se ha due serie distinte di organi
disposti su due buri distinte poste simmetricamente rispetto all'asse delle
ruote portanti.

Figura 185 Aratro alternativo Figura 186 Aratro a bilanciere

d Tipi di sostegno e collegamento alla trattrice

In relazione al tipo di collegamento alla trattrice gli aratri come del resto tutte le macchine agricole
operanti in pieno campo si classificano in:

- aratri portati, se collegati all’attacco a tre punti della trattrice poggiando


integralmente su di essa, sia in fase di lavoro che di trasporto; muniti di ruote
di appoggio e di regolazione della profondità di lavoro;
- aratri trainati, se collegati al gancio di traino o ai due punti inferiori dell’attacco a
tre punti poggiando integralmente con le ruote sul terreno.

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Gli aratri portati portati e semi-portati presentano i seguenti vantaggi:

- sono meno costosi dei modelli equivalenti trainati;

- la loro manovrabilità in opera è eccellente in quanto è ridotta a quella della


trattrice; ciò consente di ottenere massimi rendimenti;

- gli spostamenti su strada possono aver luogo alla velocità massima


della trattrice;

- possono migliorare l'aderenza della trattrice in quanto scaricano una parte del
loro peso su di essa.

Questi aratri comportano invece i seguenti inconvenienti:

- si è limitati nell'utilizzazione del numero rilevante di elementi per i rischi di


impennata della trattrice quando l'aratro è sollevato specie in fase di
trasferimento;

- l'attacco alla trattrice è più difficile di quello dell'aratro trainato e presenta spesso
molte difficoltà per un solo conducente. Per evitare quest'ultimo inconveniente,
alcuni costruttori muniscono le loro macchine di dispositivi di attacco automatico
o semiautomatico.

Gli aratri trainati presentano i seguenti vantaggi:

- il numero degli elementi utilizzati può essere rilevante;


- l'attacco o il distacco dell'aratro sono pressoché istantanei;
- l’adattamento a qualsiasi mezzo di trazione

Questi aratri invece comportano i seguenti inconvenienti:

- sono più costosi dei modelli portati equivalenti, in quanto essi comportano in più
delle ruote, un sistema di sollevamento ed un sistema di regolazione
indipendente dalla trattrice;

- la loro manovrabilità in opera è mediocre e provoca delle perdite di tempo variabili


a seconda dei cantieri;

- gli spostamenti su ruote sono più lenti;

- non possono in nessun caso, permettere di migliorare l'aderenza della trattrice.

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Spesso vengono utilizzati solo i due punti inferiori per permettere all'aratro un collegamento non
completamente rigido, in maniera da consentire oscillazioni in senso verticale.
Per quanto concerne la posizione della trattrice rispetto all’aratro, occorre precisare che è importante che
l’aratro sia centrato rispetto alla linea di tiro della trattrice, in modo che la forza resistente opposta
dall’aratro sia sulla stessa retta di applicazione dello sforzo di tiro, per evitare che si venga a creare una
coppia che possa portare squilibrio nel piano orizzontale al sistema trattrice operatrice.
Poiché la larghezza delle trattrici è sempre maggiore della larghezza di un vomere d'aratro, ne segue che,
per soddisfare questa condizione, nel caso di aratro mono-vomere la trattrice dovrà procedere con la ruota
sinistra sul terreno sodo e con la ruota destra su quello lavorato, calpestando così il solco aperto.
Questo modo di lavorare non è possibile con le trattrici a cingoli; si può tollerare con le trattrici a ruote se la
ruota motrice destra cade esattamente nel solco e la profondità di lavoro non sia tale da costringere la
macchina ad effettuare solchi irregolari. Tale lavorazione viene detta in solco
Nella lavorazione fuori solco, la trattrice deve stare sul terreno sodo, con l'orlo della ruota destra (o del
cingolo o dei pattini d'aderenza) distante, almeno, 15 - 30 cm dal ciglio del solco, affinché la terra non
scoscenda sotto il peso della macchina. E nel caso di lavorazione fuori solco con aratro mono-vomere,
disponendo l'aratro nella posizione del solco da aprire, la linea d'azione dello sforzo di traino risulterà
discosta dalla linea d'azione della resistenza R di una distanza d, il cui valore determina l’entità del
momento di rotazione che tende a far deviare la parte anteriore della trattrice verso il solco e a spingere
l'aratro contro la muraglia.
Negli aratri bivomeri, le resistenze che si esercitano su ciascuno dei corpi si compongono in un'unica
resistenza più prossima al piano mediano della trattrice di quanto non lo sia nel mono-vomere, per cui, a
parità di sforzo di trazione, è anche minore il momento di deviazione verso il solco (cfr. Figura 187).

Figura 187 Aratro bivomere in lavorazione trainato fuori-solco da trattrice a ruote

Negli aratri tri-vomeri e con più di tre vomeri il problema del disassamento del tiro rispetto alla resistenza
non sussiste, in quanto la larghezza di lavoro supera in genere la larghezza della trattrice.

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Gli aratri fuori solco, consentono agli organi di lavorazione ampi e rapidi spostamenti trasversali mediante
cinematismo, in modo da eseguire l'aratura con gli organi di propulsione della trattrice gommata anche
fuori solco.
Tale tipo di attacco permette di poter regolare il complesso trattrice-operatrice in modo da ottenere che la
linea di tiro coincida con quella della resistenza.

14.2.3 Valutazione della qualità di lavorazione degli aratri

Per quanto attiene la qualità di lavorazione degli attrezzi bisogna precisare che essa debba giudicarsi in
base alla rettilineità e contiguità dei solchi, all'interramento delle erbe superficiali e dei concimi nonché
elevato grado di sminuzzamento con conseguente elevato sovralzo.
Infatti, l'aratro rovesciatore deve, con un taglio verticale ed uno orizzontale, staccare una fetta di terreno
per poi capovolgerla, interrando le erbe superficiali ed i concimi. All'azione di capovolgimento deve essere
congiunta un'azione di sminuzzamento della fetta, che, modificando la struttura del terreno, ne migliori le
condizioni di abitabilità delle radici.

Una buona qualità di lavorazione viene individut dai seguenti aspetti:

- i solchi siano rettilinei; la rettilineità dei solchi dipende in gran parte dal conducente, il
quale deve essere abile nel correggere le deviazioni dell'attrezzo, ma dipende anche
da eventuali ostacoli incontrati o da errata regolazione dell'attacco che va fatta in
senso orizzontale ed in senso verticale e cioè: in senso orizzontale, con la finalità di
eliminare o ridurre al minimo la tendenza della macchina (motrice) a spostarsi
lateralmente; in senso verticale, per eliminare la tendenza dell'aratro a variare la
profondità di lavorazione. Se l'aratro va troppo superficiale non seguirà la direzione
della macchina motrice, ma oscillerà tra la destra e la sinistra di detta direzione
(movimento di rullio) e devierà dalla direzione rettilinea di marcia (moto di
serpeggiamento);

- i solchi siano contigui; questa prescrizione va seguita scrupolosamente, al fine di


evitare che parte del terreno risulti non lavorato. La contiguità dei solchi dipende dal
conducente. E' difficile avere solchi contigui se non sono rettilinei;

- i solchi siano tutti di eguale profondità e larghezza; è indispensabile ottemperare a


questa prescrizione se non si vuole guastare la sistemazione superficiale del
terreno. Arando un terreno di costituzione uniforme a profondità e larghezza
costanti, si ottengono solchi con le creste egualmente sopraelevate rispetto alla
primitiva superficie del terreno non lavorato; in caso contrario si avranno ondulazioni,
dannose oltretutto per il ristagno delle acque. Senza una precisa regolazione ed
un'accurata conduzione dell'aratro, è difficile realizzare la costanza della profondità e

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della larghezza dei solchi. L'aratro non mantiene la voluta profondità se l'attacco
della macchina motrice è mal regolato, se il livello delle ruote non è opportunamente
stabilito in base alla profondità di aratura, se l'avanvomere è troppo in avanti o
troppo profondo.

- le erbe superficiali ed i concimi siano completamente interrati; riesce quasi


impossibile soddisfare a questa condizione se i solchi sono storti; se si opera in
terreni troppo umidi in questi casi lo scorrimento ed il capovolgimento della fetta si
effettuano con difficoltà. In questo caso è indispensabile l'impiego dell'avanvomere.
Inoltre la qualità del lavoro di aratura è difficile a giudicare.

Prendendo in considerazione i due fattori - grado di sminuzzamento e costanza della profondità di aratura,
che come si è detto, hanno importanza prevalente nel determinare la qualità di lavorazione degli aratri - si
può ricorrere ad un metodo numerico, fondato sul rilievo del terreno prima e dopo l'aratura. A questo scopo
serve un profilometro trasversale da campo.
Tale profilometro (cfr. Figura 188) è costituito da una traversa P, scorrevole su due rotaie tubolari R,
sorrette da opportuni sostegni regolabili in altezza ed opportunamente intervallati. Sul ponte P scorre un
altro carrello C che porta un'asta graduata D scorrevole entro una guida e che, mediante vite di fissaggio,
può essere bloccata. L'asta termina a punta per favorire la sua penetrazione nel terreno e consentire di
giungere sino al fondo del solco; e ciò per il rilievo della profondità. Una delle due rotaie tubolari R, ed uno
degli elementi tubolari costituenti la traversa P sono anche graduati, in maniera che la posizione della
traversa P e quella del carrello C possano essere individuate a mezzo di indici.
Essa, inoltre, può essere poi munita all'estremità inferiore, di disco per il rilievo della superficie del terreno
prima e dopo la lavorazione.

Figura 188 Profilometro da campo

Per determinare la profondità ed il sovralzo del terreno lavorato rispetto al piano di campagna, vengono
collocate le rotaie tubolari sui propri sostegni in posizione orizzontale ed in direzione parallela a quella
secondo la quale si esegue la lavorazione, disponendo trasversalmente la traversa, avendo cura di
verificare la posizione rispetto alle rotaie che deve essere a 90°.
Successivamente si passa alla misura delle ordinate a relative alla superficie primitiva del terreno,
rilevandole a distanza costante.
61
Tolta la traversa viene eseguita la lavorazione del terreno; indi si dispone nuovamente la traversa per
misurare nei primitivi piani verticali, le ordinate b relative alla nuova superficie del terreno e le ordinate c
relative al fondo del solco lavorato.

14.3 Aratri rimescolatori o a disco

Gli aratri a disco (cfr. Figure 189 - 190) sono costituiti da una calotta sferica, infilata e folle su di un perno
che sostituisce il vomere ed il versoio dell'aratro classico. Tale calotta, essendo folle, è libera di girare su di
un perno che è sostenuto, a sua volta, da un braccio fissato sopra il telaio dell'aratro. L'asse del perno
coincide con l'asse di rivoluzione della calotta, la quale presenta la sua concavità disposta obliquamente
rispetto alla direzione del lavoro. La calotta taglia una striscia di terreno a sezione di parallelogramma
mistilineo, per cui il fondo del solco risulta profilato curvo a conchiglia, mentre il solco stesso non si
presenta con muraglia, ma presenta un taglio di sezione ellittica. Con tale soluzione l'attrito che si sviluppa
tra utensile e terreno, da radente diventa volvente. In generale questi aratri sono poli-dischi. Questi
possono essere indipendenti (aratri standard) o montati sullo stesso asse, disposto parallelamente al
terreno ed inclinato rispetto alla direzione di avanzamento, ma con i dischi disposti su un piano verticale
(aratri verticali) (cfr. Figura 189).
Tali aratri rimescolatori risultano molto più pesanti (circa tre volte) del corrispondente aratro rovesciatore, in
quanto diversamente i dischi, non essendo autointerranti, si sfilerebbero facilmente dal terreno.

Figura 189 Aratro a dischi o rimescolatore Figura 190 Aratro a dischi verticali

La profondità massima di lavoro difficilmente supera i 0,30 m, anche se esistono in commercio aratri a
disco con calotte che talora superano il metro di diametro. Essi risultano di particolare impiego su terreni
sciolti con forte scheletro, vengono utilizzati per la lavorazione di terreni disboscati, in quanto a differenza
dell'aratro rovesciatore, il disco può sormontare con facilità il ceppo eventualmente incontrato senza
imputarsi e rompersi. Gli sforzi richiesti in relazione alla sezione lavorata sono, a parità di larghezza e
profondità di lavoro, dello stesso ordine di grandezza di quelli richiesti dagli aratri rovesciatori.

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Negli aratri a dischi può essere regolata, in genere, l'inclinazione dei dischi nella direzione di
avanzamento. In alcuni casi così si potrà variare l'inclinazione dei singoli dischi, sia rispetto ad un piano
verticale, che rispetto ad un piano orizzontale (fig.191 e 192).

Figura 191 Schema e regolazione dell’aratro a dischi

Figura 192 Angoli di lavoro dei dischi operatori

Gli aratri a disco presentano i seguenti vantaggi:

- utilizzazione senza nessun rischio di rottura nei terreni con affioramenti rocciosi;
- usura meno rapida per il fatto che la rotazione dei dischi diminuisce l'attrito;
- manutenzione molto più rapida e semplice che non necessita in particolare di
smontaggio, ribattitura e rimontaggio dei vomeri e di altre parti.
- forza di trazione richiesta inferiore grazie alla riduzione dell'attrito;
- migliore rimescolamento del terreno;
- interramento più facile di elevate quantità di materiale organico (paglia, concime, etc.);.
non si tratta della qualità dell'interramento ma della facilità con la quale è possibile
effettuarlo.

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Questi aratri presentano, invece, i seguenti inconvenienti:

- la penetrazione è spesso insufficiente e sempre inferiore a quello dell'aratro a vomere, il


che obbliga i costruttori a realizzare dei modelli molto pesanti e di conseguenza molto
più costosi;
- il rivoltamento del terreno è incompleto, il che lascia un'aratura insufficiente soprattutto
quando deve essere accompagnata da un interramento;
- la profondità dell'aratura è decisamente più limitata.

14.4 Aratri discissori

La discissura (o scarificatura) è l’operazione che effettua la fessurazione e la disgregazione del suolo


mediante tagli verticali fino ad una certa profondità, senza però invertire l'ordine degli strati, ma lasciandoli
in sito.
Tale operazione si esegue con l’impiego degli aratri discissori, che sono costituiti da ancore, denti o
elementi sub-verticali fissati rigidamente o elasticamente ad un telaio, portanti all'estremità punte a
scalpello o a vangheggia o piastre, applicate anteriormente alla scarpa del dente.
Gli aratri discissori possono essere fissi o vibranti. Questi ultimi, azionati dalla presa di potenza della
trattrice, sono dotati di masse eccentriche che, ruotando, inducono vibrazioni sull'utensile operatore e da
questi al terreno, provocando una diminuzione dello sforzo di trazione.
Appartengono a tale categoria di macchine una vastissima gamma di attrezzi similari, per le loro peculiari
caratteristiche, che però possiamo considerare rappresentative di due distinte categorie di attrezzi per la
lavorazione del suolo: gli scarificatori ed i chisels.
Gli scarificatori (cfr. Figura 193) essendo attrezzature che vengono impiegate anche nelle lavorazioni
preliminari del terreno, sono stati descritti nel paragrafo precedente.

Figura 193 Scarificatore Figura 194 Chisel

64
Particolare attenzione merita il chisel (cfr. Figura 194); infatti, pur essendo gli elementi costitutivi del
chisel (fig.196) simili a quelli della scarificatore (cfr. Figura 195), cioè denti o ancore fissate rigidamente ad
un telaio, gli stessi si differenziano nella forma rispetto a quelli dello scarificatore.

Figura 195 Dente di chisel Figura 196 Dente di scarificatore

I denti del chisel, infatti, presentano generalmente una maggiore inclinazione rispetto alla verticale, una
maggiore larghezza della sezione trasversale, una maggiore continuità del profilo longitudinale lungo il
quale la piastra di base si raccorda gradualmente al dente.
Alla differenza negli elementi costitutivi fa riscontro, durante l'impiego, un modo assai diverso di operare.
Nel chisel, l'azione di sollevamento delle zolle dello strato interessato dalla lavorazione è più efficace e più
estesa e pertanto, rispetto allo scarificatore, effettua una maggiore frantumazione delle zolle che, in parte,
vengono portate in superficie (cfr. Figura 197); ed è proprio per queste sue caratteristiche che nella
pratica corrente il chisel viene talvolta impiegato quasi esclusivamente in sostituzione dell'aratro; in
determinate condizioni, infatti, esso da luogo ad una zollosità superficiale assai simile a quella ottenibile
con l'aratura. Il limite di questo attrezzo rispetto allo scarificatore consiste nella profondità di lavoro che è
preferibile non superi 0,45-0,50 m.

Figura 197 Modalità di lavorazione del chisel

65
14.5 Macchine zappatrici e vangatrici

Fra le macchine per i lavori di dirompimento del terreno con gli organi di lavoro mossi dalla presa di
potenza della trattrice sono da ricordare due gruppi: le zappatrici e le vangatrici.
Tali macchine sono sorte con lo scopo di aumentare la capacità di lavorazione ottenibile con l'aratro
tradizionale, ridurre il numero delle successive lavorazioni colturali del terreno per la preparazione del letto
di semina ed, infine, con lo scopo di sfruttare la potenza delle motrici sotto forma rotatoria anziché sotto
forma di trazione con il vantaggio di poter utilizzare trattrici leggere a due ruote motrici, migliorando il
rendimento del complesso motrice - operatrice.

14.5.1 Zappatrici

La zappatrice nelle linee essenziali, è costituita da un rotore orizzontale dotato di flange (fig.4.44) su cui
sono imbullonati degli utensili da 4 a 6 a forma di zappette del tipo a squadra (fig.4.45), sì da poter essere
facilmente sostituite in caso di necessità
Generalmente la disposizione delle zappette lungo l'asse del rotore è ad elica; in questo modo il contatto
col terreno avviene gradualmente e con continuità, evitando bruschi assorbimenti di potenza e anomale
sollecitazioni alla macchina.
Il movimento deriva, con opportune riduzioni, dalla presa di potenza della trattrice attraverso un cambio di
velocità, una coppia conica ed una trasmissione finale ad ingranaggi .
Il cambio di velocità consente la selezione di diversi rapporti di trasmissione (generalmente 3). Tra l'albero
cardanico, che deriva il moto della p.d.p. ed il cambio, vi è - per i tipi di maggiori dimensioni - un innesto di
sicurezza il cui compito è quello di slittare quando le zappette incontrano ostacoli (sassi o radici) in modo
da evitare la rottura dei vari organi.

Figura 198 Zappatrice Figura 199 Forma più comune delle zappette

La profondità massima di lavoro può essere limitata dalla presenza di pattini laterali ( cfr. Figura 198-199
vista anteriore), i quali, strisciando sul terreno, limitano l'affondamento della macchina. Tale profondità non
deve evidentemente superare la lunghezza della zappetta, per evitare che l’albero di rotazione penetri nel
terreno, pertanto la profondità massima di lavoro delle zappatrici non supera i 25 – 30 cm.

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Un carter di protezione in lamiera (cfr. Figura 200 vista posteriore) avvolge il rotore onde impedire il
sollevamento ed il lancio di zolle o pieratre e migliorare le condizioni di frantumazione delle zolle che
urtando con violenza contro il carter stesso, tendono a sminuzzarsi ulteriormente.

a Vista anteriore b Vista posteriore

Figura 200 Zappatrice di tipo portato.

La profondità di lavorazione in campo viene regolata nelle macchine portate attraverso il sollevatore
idraulico della trattrice e i pattini sono in genere fissi. Nelle zappatrici trainate o semiportate la regolazione
della profondità può avvenire agendo su ruote o pattini mobili in senso verticale (cfr. Figura 201).
I modelli di maggior mole sono spesso trainati o di tipo semiportato, ossia marcianti su ruote proprie nei
trasferimenti, mentre sono totalmente portati durante il lavoro; i tipi più piccoli sono invece o portati
direttamente dalla trattrice mediante il sistema di attacco a tre punti, oppure montati posteriormente a
trattrici di piccola potenza o motocoltivatori (8 - 12 kW).

Figura 201 Zappatrice con regolazione della profondità Figura 202 Motozappa

Molto usate per appezzamenti di estensione ridotta sono le zappatrici di piccolissime dimensioni a
conduzione manuale con stegole per la guida e la regolazione (fig.202) di potenza variabile da 3 a 7 kW.
Queste zappatrici vengono dette motozappe.
Per lavorazioni superficiali (3 - 7 cm) per orticoltura e floricoltura si utilizzano motozappe di potenza ancora
più ridotta. Si tratta di attrezzature semoventi prive di ruote, con massa di pochi kg, che vengono facilmente
guidate dall'operatore che segue a piedi il lavoro.
La larghezza di lavoro di macchine del genere varia in media da 0,80 m a 2,40 m con profondità massima
teorica di 0,30 m.

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La larghezza di lavoro, specie nei tipi montati su motocoltivatori, può farsi variare nel senso che possono
essere aggiunti o tolti dei settori con dischi, permettendo così larghezze di lavoro diverse in funzione della
tenacità del terreno e delle lavorazioni che si devono espletare.
Il numero di giri del rotore è mediamente compreso fra i 150 e 250 giri/min mentre la velocità di
avanzamento può variare da 1,5 a 3 km/h. La potenza media richiesta varia da 1 a 2 kW per metro di
larghezza e per cm di profondità.
La qualità di lavorazione è abbastanza soddisfacente ed il terreno si presenta subito dopo il passaggio
della macchina pronto per la semina, in quanto si ottiene, oltre all’azione parziale di rovesciamento e
rimescolamento del terreno tipica degli aratri, l’azione di sminuzzamento tipica degli erpici.
Con una sola passata di zappatrice si può ottenere quindi il lavoro di un aratro e di un erpice, anche se non
sempre in modo altrettanto soddisfacente, in relazione anche al tipo di terreno.
Per la valutazione della qualità del lavoro delle zappatrici, in particolare per quel che riguarda il grado di
frantumazione del terreno, è importante il rapporto tra velocità di rotazione del rotore e velocità di
avanzamento della macchina.
E’ evidente che la frantumazione sarà tanto migliore quanto più elevato sarà questo rapporto.
Si tratterà quindi di scegliere, in relazione al tipo e allo stato di umidità del terreno, il rapporto idoneo ad
ottenere la migliore qualità del lavoro, tenendo conto del fatto che l’aumento della velocità di rotazione
comporta un incremento della potenza assorbita dagli organi di lavoro e la diminuzione della velocità di
avanzamento comporta una diminuzione della capacità di lavoro.
Nella figura 203 viene rappresentato lo schema di lavorazione dell’organo di lavoro di una zappatrice.

Figura 203 Schema di lavoro di una zappatrice all’aumentare del rapporto tra velocità di rotazione del
rotore e velocità di avanzamento della macchina.

L'inconveniente maggiore consiste nel fatto che il terreno così lavorato si presta più facilmente ad
assestarsi ed a favorire lo sviluppo delle erbe infestanti rispetto al terreno arato. Per quanto riguarda poi,
l'accoppiamento con la trattrice, è importante far rilevare che il collegamento deve essere centrato rispetto
alla trattrice stessa per consentire una maggiore stabilità in lavoro.
L'utilizzazione delle zappatrici è particolarmente indicata nelle colture arboree, per le quali si richiede una
limitata profondità di lavorazione ed uno sgretolamento abbastanza spinto nello strato superficiale. Inoltre,
in tali colture, la zappatrice può essere impiegata con successo anche per le lavorazioni successive a
quella principale di dirompimento.

68
Un particolare tipo di zappatrice è quella cosiddetta intraceppi, dotata di opportuni organi tastatori (cfr.
Figura 204), che permettono al complesso di lavorare il terreno anche sui filari fra un albero e l'altro.

Figura 204 Zappatrice con elemento tastatore per lavorazione interceppo

Ciò si ottiene con uno spostamento laterale della macchina non appena il tastatore entra in contatto con la
pianta. Il tastatore è costituito da un elemento mobile che al contatto con il fusto della pianta ruota intorno
al suo fulcro. Il moto del tastatore si trasmette al distributore di un circuito idraulico, che aziona il pistone
che fa spostare la macchina trasversalmente al moto di avanzamento.
Quando il tastatore perde il contatto con la pianta la macchina ritorna nella posizione di lavorazione
intraceppo.
E’ evidente che lo spostamento della macchina deve essere il più rapido possibile, sia in fase di
accostamento alla pianta che in fase di rilascio, per poter permettere il lavoro più vicino possibile alle
piante.
Allo scopo si utilizzano elettrovalvole per il comando del circuito idraulico, ottenendo così una risposta più
rapida. Per un loro conveniente funzionamento occorre, però, che le piante siano distanti almeno 2,00 m.
Esistono in commercio anche macchine semoventi combinate a grande capacità di lavoro (sino a 4 - 5 m)
ed operanti sino a profondità di 0,30 - 0,35 m.
Tali macchine combinate possono essere dotate di apparati distributori, di fertilizzanti minerali, di diserbanti
in pre-emergenza e di seminatrici e sono in grado di lavorare il terreno, concimarlo e seminarlo in una sola
passata con capacità operative dell'ordine di 1 ha/h.
Ovviamente tali macchine trovano la loro convenienza economica su campi di adeguate dimensioni.

69
14.5.2 Vangatrici

La vangatrice (cfr. Figura 205) è una macchina che tende a riprodurre meccanicamente, gli schemi ed i
movimenti della lavorazione manuale con la vanga.

Figura 205 Schema di vangatrice Figura 206 Vangatrice di tipo portato

Le vangatrici, di tipo portato (fig.207), si distinguono in due tipi fondamentali a seconda del modo di
comando degli organi operatori (vanghegge).

Figura 207 Quadrilatero articolato Figura 208 Albero orizzontale rotante

Queste, infatti, possono venire comandate o da un quadrilatero articolato (cfr. Figura 207) oppure da un
albero orizzontale ruotante (cfr. Figura 208) al quale le vanghegge stesse sono collegate, con
l'interposizione di opportuni dispositivi eccentrici che consentono ad ogni elemento operatore di compiere
al contempo una rotazione completa attorno all'albero principale ed una rotazione parziale attorno al
proprio asse, rotazione che consente il rivoltamento della zolla staccata. Nel primo caso le vanghegge
incidono con energia il terreno, staccano le zolle e le lanciano all'indietro, in senso, cioè, opposto a quello
di avanzamento della trattrice, facendo loro compiere una rotazione parziale che consente un certo
interramento dello strato superficiale (cfr. Figura 209); nel secondo caso, invece, le vanghegge penetrano
nel terreno assai lentamente, sollevano la zolla di terra e la ribaltano, per effetto della rotazione parziale
attorno al loro asse, lasciandola poi ricadere sul terreno.

70
Figura 209 Modalità di lavorazione di una vangatrice a quadrilatero articolato

La larghezza di lavoro varia da minimi di 0,90 m a massimi di 3,00 m; la profondità raggiunge 0,45 m,
mentre l'assorbimento di potenza si presenta, dell'ordine di 0,3 - 0,6 kW/m di larghezza per cm di
profondità. Per contro, queste macchine - i cui organi ruotano sui 100 giri/min, nei tipi a quadrilatero
articolato e sui 30 - 40 giri/min, in quelli ad albero ruotante - richiedono bassissime velocità di
avanzamento, dell'ordine di 1,5 - 2 km/h, che ne riducono la capacità di lavoro.
La loro limitazione maggiore è allo stato attuale, quella di non consentire elevate velocità sì che le capacità
di lavoro si presentano relativamente modeste.
Si tratta, tuttavia, di macchine di notevole interesse e di sicuro avvenire specie per le lavorazioni di terreni
declivi ed in interfilari di colture arboree specializzate.
Come si è già accennato, le zappatrici e le vangatrici hanno una vite utile dell'ordine delle 3.000 - 3.500 ore
con un periodo di raggiungimento dell'obsolescenza tecnica di 6 - 8 anni.

Bibliografia
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La metallurgia italiana n. 4, 1952.

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(1971) AMIRANTE P., PASQUALONE S. B., “Macchine impianti e attrezzature per l’irrigazione”, Istituto
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(1972) AMIRANTE P. PASQUALONE S. B. “Similitudine meccanica e analisi dimensionale mezzi di


indagine nella meccanica agraria” Atti della XVII Giornata di meccanica agraria, Edizioni Arti
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71
(1973) AMIRANTE P. “Criteri di progetto delle macchine agricole”, Rivista di Ingegneria Agraria, n.2
1973, Officine grafiche Calderini, Bologna, n. 2 1973, pagg. 95-102

(1973) AMIRANTE P. “Problemi costruttivi e caratteristiche funzionali delle macchine per i movimenti di
terra con particolari riguardo alle trasmissioni ”, Atti della XVIII Giornata di meccanica agraria,
Edizioni Arti Grafiche Nunzio Schena, Fasano di Puglia 1973, pagg. 31-50.

(1974) AMIRANTE P. “Macchine per i movimenti di terra: Situazione attuale e prospettive future”,
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(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975.

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( 2010) BIANCHINI G. “Manuale macchine movimento terra: utilizzo e sicurezza”, Quaderni SEB, Sole
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(2013) POROLI I. “Uso dell’escavatore in demolizione. Fare e non fare”, Edizioni NAD Associazione
Nazionale Demolitori Italiani, pagg. 1-34. Anno 2013

72
CAPITOLO XV

MACCHINE PER LE LAVORAZIONI COMPLEMENTARI DEL TERRENO

15.1 Classificazione delle macchine utilizzate per le lavorazioni complementari del terreno

Le macchine operatrici agricole, impiegate per le operazioni complementari, o secondarie del terreno, si
devono intendere tutte quelle macchine utilizzate in pieno campo per effettuare le operazioni colturali
consecutive alle lavorazioni principali, necessarie per completare la lavorazione del terreno al fine di
predisporlo per la semina.
Lo scopo delle lavorazioni complementari, dette anche lavorazioni di maturamento, è quello di realizzare,
negli strati superficiali del terreno, un ambiente fisico adatto a ospitare il seme affinché si trovi in
condizioni ideali di sofficità e di umidità ottimali per la sua germinazione.
Le operazioni di completamento più frequentemente utilizzate sono le seguenti:
- l’erstirpatura è una operazione colturale che integra in genere l'aratura migliorando le
condizioni per la successiva erpicatura; questa operazione è necessaria nei terreni compatti
quando l'aratura è eseguita diversi mesi prima dell'erpicatura, in quanto riduce la
compattezza superficiale ed elimina la vegetazione eventualmente comparsa creando le
condizioni adatte per eseguire l'erpicatura.
- l’erpicatura è considerata la lavorazione complementare tradizionale, in genere eseguita
dopo un'aratura o una ripuntatura allo scopo di ridurre la zollosità in superficie e, nello stesso
tempo, rendere più regolare e uniforme la superficie del letto di semina; la qualità del lavoro
dipende dal tipo di erpice impiegato e dalle caratteristiche fisico-meccaniche del terreno e
nei casi più favorevoli è sufficiente un solo passaggio, in casi più difficili sono necessari più
passaggi con l'erpice.
- lo spianamento della superficie, è un'operazione da eseguire solo in alcuni casi e cioè
quando la lavorazione principale, soprattutto un'aratura profonda, lascia il terreno con una
superficie molto irregolare, oppure quando si richiede una superficie perfettamente livellata,
come nel caso delle colture orticole; l'operazione si può eseguire con una ruspa trainata dal
trattore, spesso con l'ausilio di tecnologie di controllo che migliorano l'accuratezza
dell'operazione (puntamento Laser, GPS), ma nella generalità dei casi lo spianamento della
superficie si realizza agevolmente con la semplice erpicatura.
- la ripuntatura è la operazione che si esegue come lavoro complementare dopo una
aratura come intervento correttivo o integrativo, essa ha lo scopo di rompere il crostone di
lavorazione formato dall'aratura, intervento necessario soprattutto si ricorre ad arature non
profonde su terreni argillosi; nel secondo caso in cui si opera ad esempio per approfondire
la lavorazione quando l'aratura si esegue superficialmente per evitare di portare terreno
indesiderato in superficie. In entrambi i casi la ripuntatura si esegue a profondità maggiore
rispetto alla precedente aratura e la combinazione della ripuntatura con l'aratura assume il
carattere di una lavorazione a due strati; questa duplice lavorazione si esegue in due

73
passaggi (aratura e ripuntatura) oppure, più semplicemente, in un unico passaggio
impiegando un aratro ripuntatore.
- la fresatura, si può eseguire invece dopo un'aratura come unico intervento complementare in
alternativa all'erpicatura; in genere è un lavoro più superficiale rispetto alla fresatura adottata
come lavoro principale. L'utilizzo della fresatura in alternativa all'erpicatura è poco razionale
dal punto di vista economico in quanto comporta in genere un maggior consumo di
carburante, tuttavia può rendersi opportuna in caso di eccessiva zollosità superficiale per
semplificare le operazioni di preparazione del letto di semina, specie quando le lavorazioni
complementari richiederebbero 3 o più passaggi.
- la rullatura ha finalità differenti e si esegue, in genere, subito dopo la semina allo scopo di
compattare leggermente il terreno e ridurre ulteriormente la zollosità superficiale. In questo
modo si permette al terreno di aderire meglio al seme e, nello stesso tempo, si riducono le
cause di fallanza in fase di emergenza delle piantine; la rullatura si può eseguire anche
dopo una fresatura e prima della semina, in questo caso lo scopo è quello di ridurre
l'eccessiva sofficità del terreno in quanto il successivo assestamento potrebbe alterare la
profondità di semina. La rullatura si esegue con rulli concepiti per questo scopo, abbastanza
leggeri per non costipare eccessivamente il terreno, a superficie liscia o dentata o realizzata
con una griglia metallica cilindrica; spesso il rullo è combinato con la seminatrice e pertanto
l'operazione si esegue con un unico passaggio in corrispondenza della semina.

15.2 Le macchine operatrici utilizzate per le lavorazioni complementari del terreno

15.2.1 Estirpatori

La lavorazione si esegue con un attrezzo detto discissore che effettua dei tagli verticali sul terreno già
lavorato in precedenza, rompendo l'eventuale crosta superficiale formata, riducendo in parte la zollosità e
la cavernosità, rendendo omogeneo il profilo del terreno, portando in superficie rizomi di piante infestanti,
eliminando eventuali piante infestanti sviluppate in superficie.(Per una maggiore profondità di lavoro
vengono utilizzate ancore fisse mentre per un livellamento più accurato ancore a molle integrate
da erpice a dischi anteriore).
In determinate condizioni pedologiche (terreni non particolarmente compatti e in tempera) l'estirpatura può
anche sostituire l'erpicatura. Un terreno estirpato ha, in questi casi, una superficie abbastanza regolare,
leggermente ondulata per l'azione di taglio eseguito dai singoli bracci e con scarsa zollosità in superficie.
Condizioni di questo genere si sfruttano, semplificando le lavorazioni di preparazione, soprattutto con
colture che non necessitano di particolari cure come ad esempio i cereali autunno-vernini (frumento, orzo,
avena).
L'estirpatore tipico è costituito da un telaio portante sul quale sono inserite 1-2 serie di bracci a profilo
diritto o ricurvo, terminanti con una vangheggia che favorisce la penetrazione nel terreno e nel contempo
esalta l'azione di discissione in profondità. I bracci possono essere rigidi oppure elastici (cfr. Figura 210).
La lavorazione si esegue a velocità abbastanza sostenuta in modo da avere anche un'azione di
disgregazione sulle zolle superficiali: in generale la profondità di lavoro può arrivare a 20-30 cm, raramente

74
oltre. Non richiede forze di trazione particolarmente elevate, perciò si ricorre, con trattori di una certa
potenza, ad estirpatori in grado di lavorare fasce abbastanza larghe, dell'ordine di 3 metri.
Gli estirpatori (cfr. Figura .210) sono attrezzi simili agli scarificatori con la differenza che all'estremità del
dente vi è un piccolo vomere con bordi taglienti, per cui all'azione di dirompimento verticale tipico degli
scarificatori si aggiunge quella di estirpamento della gramegna e delle altre erbe infestanti, azione che
diventa prevalente in terreni non induriti superficialmente.

Figura 210 Estirpatore con alla punta dei piccoli vomeri

L’esempio tipico della categoria degli estirpatori è il cosiddetto estirpatore canadese (cfr. Figura 211) che
presenta denti con curvatura molto accentuate e vanghegge triangolari piatte a bordi taglienti.

Figura 211 Estirpatore Canadese

Dalla categoria degli estirpatori è facile passare a quella dei coltivatori , se si tiene conto che la presenza
del piccolo vomere, presente sulla punta dell’attrezzo, determina nel terreno anche un'azione di
rimescolamento più o meno accentuata, cosa che non avviene negli scarificatori.
Per coltivatori si devono, infatti, intendere quegli attrezzi simili a scarificatori ed estirpatori, con i quali
accanto all'azione di rottura dello strato superficiale fino a 20 - 30 cm, si ottiene anche un rimescolamento
del terreno
Anzi gli estirpatori potranno rientrare nella categoria più generale dei coltivatori, per i quali l'estremità del
dente potrà avere una forma più generica rispetto a quella dell'estirpatore purché provochi questo
rimescolamento, mentre la differenza netta resterà fra coltivatori e scarificatori. L'utilizzazione del
coltivatore o tiller nella lavorazione di maturamento è molto diffusa ed anzi in alcuni casi può essere
praticata come si vedrà in seguito, senza aver effettuato la lavorazione principale (minimum tillage).
I coltivatori, come gli scarificatori o i chisels, potranno essere a denti rigidi (cfr. Figura 212) o a denti
75
elastici (cfr. Figura 213). L’elasticità dei denti potrà essere ottenuta anche per i tiller con molle o con
martinetti idraulici collegati ad un accumulatore pneumatico.

Figura 212 Coltivatore a denti rigidi Figura 213 Coltivatore a denti elastici

Più raramente un coltivatore è a denti flessibili, in quanto tali tipi di denti sono atti a lavorare in strati più
superficiali ed a sminuzzare il terreno, per cui si addicono più agli erpici. Infatti il classico coltivatore
canadese a denti o lame flessibili può essere fatto rientrare più nella categoria degli erpici, in quanto
compie un'azione di sminuzzamento e ripulitura del terreno in uno strato che non supera i 10 cm.
I denti e le vangheggie di un coltivatore possono assumere forme diverse in relazione al tipo di terreno in
cui si opera e al tipo di lavorazione che si intende effettuare (cfr. Figura 214).

Figura 214 Denti e vangheggie per coltivatori

Nella categoria dei coltivatori possono essere fatti rientrare le zappatrici di minori dimensioni minori,
considerato il tipo di lavoro ed il fatto che tale lavoro viene effettuato negli strati più superficiali (10-15 cm).
In particolare le motozappe (cioè quelle con motore proprio) possono essere chiamate anche
motocoltivatori.

15.2.2 Erpici

15.2.2.1 Classificazione degli erpici


Gli erpici sono macchine operatrici per la lavorazione complementare del terreno molto diffusi che
compiono essenzialmente un'azione meccanica indirizzata allo sgretolamento delle zolle e allo
sminuzzamento del terreno.
Esistono di diversi tipi, essendosi su di essi sbizzarrita la fantasia di inventori, tanto agricoltori quanto
costruttori di macchine agricole.

76
La lavorazione compiuta dall'erpice è però sempre molto superficiale e difficilmente oltrepassa una
profondità 6-7 cm, nel caso degli erpici a denti più semplici, e i 15 cm nel caso di quelli a disco o a utensili
dotati di moto proprio.
L'erpice ad affinare la lavorazione principale del terreno o a coprire i concimi polverulenti e le sementi che
vengono seminate a spaglio, ma anche a liberare i prati dai muschi ed a riattivare la vegetazione dopo la
falciatura, a far sparire gli spazi vuoti fra le singole zolle del terreno, favorendo in tal modo l'attecchimento
ed il primo sviluppo delle piantine, a rompere la crosta che si forma alla superficie del suolo dopo piogge
prolungate seguite da periodi di siccità, a ripulire il terreno lavorato da erbe infestanti ed a compiere in
primavera, per i cereali vernini, una specie di leggera rincalzatura delle singole pianticelle, liberandole
dalle erbe infestanti che nel frattempo si fossero sviluppate.
Schematicamente un erpice, nella sua forma più semplice, si compone di un telaio su cui sono fissati dei
denti disposti in generale leggermente inclinati in avanti, che viene trascinato a guisa di rastrello facendo
agire i denti sul terreno.
Variando la distanza del telaio dal suolo, l'inclinazione e lo smusso dei denti rispetto al terreno, si facilita in
esso la loro penetrazione. Infatti, quando i denti sono verticali, il lavoro riesce sempre molto superficiale,
cosicché conviene preferire gli erpici che hanno i denti fissati obliquamente rispetto al terreno, in quanto si
possono trascinare in un senso od in senso opposto a seconda della profondità di lavoro che si vuol
raggiungere.
Teoricamente, ogni dente dovrebbe tracciare un solco, essendo inutile che due o più denti camminino nello
stesso solco tracciato dal primo dente.
Per l'uniformità di lavoro, è necessario che i singoli denti siano equidistanti e per evitare gli ingorghi,
bisogna curare che la distanza fra dente e dente sia la massima possibile, mentre la distanza fra solco e
solco sia la minima, è evidente che il peso dell'erpice ha influenza sulla penetrazione del dente.
Al posto dei denti possiamo avere in sostituzione come organi di lavoro i dischi, per cui si ottiene un’altra
categoria di erpici, sempre a organi fissi, che hanno la possibilità di lavorare a profondità maggiori, fino ad
essere utilizzati anche per arature superficiali.
Infine si possono avere erpici con organi di lavoro a movimento indotto che consentono una lavorazione
più efficace rispetto a quelli con utensili fissi.
Gli erpici si possono quindi classificare in due grandi categorie:

- erpici ad utensili fissi


- erpici ad utensili mobili (azionati dalla presa di potenza della trattrice)

15.2.2.2 Erpici a utensili fissi

Gli erpici a utensili fissi si dividono a loro volta in:

- erpici a denti
- erpici a dischi

77
Erpici a denti

Gli erpici a denti possono avere il telaio rigido o snodato.


Gli erpici a telaio rigido sono i più antichi ed ancora i più usati. Consistono essenzialmente in uno o più
robusti telai in ferro a forma di parallelogramma o trapezio o triangolo, riuniti in una o più sezioni (cfr. Figura
(cfr. Figura 215). Alle singole traverse e longherine formanti il telaio, sono fissati dei denti metallici più o
meno lunghi e appuntiti, opportunamente distanziati tra loro; l’erpice a telaio rigido durante gli spostamenti,
prima e dopo la lavorazione, può essere ripiegato in tre partiper facilitarne la movimentazione (cfr. Figura
215 A e B).

A B

Figura 251 Erpice a telaio rigido in fase di lavorazione (A) e di trasporto (B)

La forma della sezione trasversale dei denti può essere: a sezione circolare, ellittica, rettangolare,
quadrata, ecc. e lo scartamento fra i singoli solchi tracciati da essi raramente discende sotto i 25 mm.
I denti possono poi essere a lama diritta oppure leggermente incurvata in avanti e possono essere collegati
al telaio con saldatura, oppure con un sistema che permette facilmente il loro smontaggio e la loro
sostituzione quando sono rotti.

Figura 252 Posizionamento dei denti rigidi Figura 253 Forme di denti flessibili

Generalmente i denti rigidi, siano essi curvi o dritti, presentano un'inclinazione dall'indietro all'avanti (cfr.
Figura 252) in modo da formare col piano del terreno un angolo ottuso, quando si vuol ottenere la
massima profondità di lavoro, mentre facendo muovere lo strumento in senso contrario, ossia nel senso in
cui il dente faccia un angolo acuto col terreno, si ottiene un'erpicatura più leggera.
Lo stesso effetto ha la smussatura del dente, che si trova in quegli erpici che hanno i denti a sezione
circolare ed ellittica o rettangolare, ma non terminante a punta. Vi è da segnalare che il dente può essere
rigido o flessibile. I denti flessibili sono costituiti da fili o lame di acciaio che si avvolgono a spirale nel
punto di collegamento al telaio, in modo da realizzare una molla (cfr. Figura 253). I denti flessibili
trasmettono al terreno una vibrazione che favorisce lo sminuzzamento.

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Tutti gli erpici a telaio rigido, sono molto influenzati dagli ostacoli, sicché in lavoro la loro traiettoria non
viene quasi mai ad essere parallela alla direzione del movimento, ma si presenta molto sinuosa ed
irregolare. Si è cercato di migliorarne il funzionamento e la stabilità facendo, anziché un telaio rigido molto
grande, due o più telai piccoli accostati e collegati tra loro elasticamente con catene (cfr. Figura 251).
Si è così passati per gradi all'erpice cosiddetto a zig-zag (cfr. Figura 254).

Figura 254 Erpice a zig-zag

Gli erpici a zig-zag, di origine tedesca, sono a telaio rigido formato da barre in ferro profilato ad L e ad U
piegate a zig zag e collegate fra loro a 2, a 3 od a 4, da traverse in ferro ad U. I denti vengono montati agli
incroci delle barre a zig zag con le traverse, in modo che essi risultano sfalsati tra di loro nel senso
trasversale alla direzione di avanzamento, tracciando così solchi tutti distinti tra di loro (cfr. Figura 255).
Ciascuno di questi gruppi forma una sezione rigida. L'erpice ha di solito più sezioni rigide.
Ad evitare che in lavoro e specialmente durante le voltate, le singole sezioni vengano ad accavallarsi, esse
portano alle estremità loro e talvolta anche verso la metà, una catenella che va ad impegnarsi in un uncino
portato dalla sezione accanto.

Figura 255 Erpice a zig-zag in lavoro Figura 256 Erpice a stella

Questi erpici si costruiscono di differenti dimensioni e peso a seconda della natura del terreno su cui
devono operare. Essi si prestano molto bene per erpicature piuttosto energiche in terreni più o meno
compatti e zollosi e sono indicati per l'interramento dei concimi, per il rinettamento dei terreni infestati da
gramigna e per l'erpicatura dei prati a fine inverno.

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Altro tipo di erpice a telaio rigido è quello costituito da due o più rulli folli con denti disposti a stella (cfr.
Figura 256).
Altra serie importante è quella degli erpici snodati, di cui è classico il tipo Howard (cfr. Figura 257), il cui
lavoro, se pur più superficiale è meno energico di quello ottenuto con gli erpici rigidi, è molto più uniforme e
l'adattabilità al terreno risulta perfetta.
Gli erpici Howard sono formati dall'unione di numerosi elementi di forma diversa, ma in generale costituiti
da pezzi triangolari fusi in ghisa detti tridenti. Questi tridenti sono collegati tra loro in modo da formare una
maglia più o meno lunga e larga, mediante anelli di ferro.

Figura 257 Erpice Howard Figura 258 Erpice strigliatore

Generalmente gli organi lavoranti o denti, hanno due punte (una opposta all'altra), delle quali una più lunga
ed acuminata, l'altra più corta e smussata, e questo allo scopo di poter fare un lavoro leggerissimo
adoperando l'erpice dalla parte delle punte corte o un lavoro più energico adoperandolo dalla parte delle
punte più lunghe.
Altro tipo di erpice a telaio snodato è il cosiddetto erpice strigliatore, che oltre al telaio flessibile è dotato
anche di denti elastici (cfr. Figura 258) per cui viene utilizzato in terreni prevalentemente sciolti.

15.2.2.3 Erpici rotanti a disco o frangizolle

Gli erpici a disco sono utilizzati per compiere un energico lavoro di sminuzzamento, dopo un'aratura e dopo
il lavoro di rinnovo, quando il terreno si presenta molto zolloso. Questi erpici sono, rispetto a quelli descritti
precedentemente, molto più pesanti, per consentire ai dischi di penetrare nel terreno. L’erpice a dischi,
usato prevalentemente come frangizolle, opera la rottura delle zolle principalmente per effetto dell’energia
cinetica posseduta dai dischi al momento dell’impatto, per cui essi devono essere trainati a velocità
sostenuta dalla motrice (10-12 km/h). In genere sono di tipo portato o più frequentemente trainato, in
considerazione della massa e delle dimensioni.
L'erpice a dischi (cfr. Figura 259) è sostanzialmente simile un aratro polivomere a dischi con gli assi di
rotazione dei dischi ad inclinazione regolabile rispetto al senso di marcia. Ciò che soprattutto lo distingue
dall'aratro a dischi è il fatto che, mentre sull'aratro i dischi sono indipendenti l'uno dall'altro, nell'erpice essi
sono uniti assialmente a gruppi in modo che tutti i dischi di uno stesso gruppo sono vincolati a ruotare alla
stessa velocità.

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Ogni disco è bombato o tronco-conico e si presenta al terreno con la tangente al bordo di entrata orientata
secondo il senso di marcia dell'attrezzo. Ciò è ottenuto mediante l'inclinazione nel piano orizzontale
dell'asse di rotazione dei dischi.
Gli alberi dei dischi ruotano folli su cuscinetti a sfere o a rulli oscillanti e a tenuta stagna. I dischi che oggi
vengono impiegati si presentano in molteplici forme e dimensioni.

Figura 259 Erpice a dischi Figura 260 Dischi dentellati

Gli erpici a dischi più utilizzati sono quelli di forma "bombata", cioè con la superficie costituita da una
calotta sferica, oppure con superficie di forma "tronco-conica".
I tagliente possono essere continui ed in tal caso sono detti dischi lisci, e se il tagliente è interrotto i dischi
si dicono dentellati (cfr. Figura 260).
Infine, i dischi a forma di calotta sferica, possono avere raggi di curvatura di misura variabile da un
minimo di circa 300 mm ad un massimo di 850 - 900 mm ed oltre.
I diametri dei dischi oggi impiegati sono assai numerosi. I più comuni vanno da un minimo di 460 mm ad un
massimo di 910 mm, ma si usano talvolta anche diametri maggiori. La tendenza attuale è orientata verso i
diametri maggiori.
Vengono, anche impiegati erpici a dischi tutti lisci o tutti dentellati o con una sezione a dischi lisci e l'altra a
dischi dentellati.
Il disco dentellato è più idoneo del disco liscio nei lavori di frangizollatura, in quanto imprime alle zolle una
forza d’urto superiore, inoltre lascia dietro di se un terreno meglio livellato.
Nel terreno non precedentemente arato, il disco dentellato trova però più difficoltà del disco liscio a
penetrare, specie se sul terreno vi sono anche erbe, stocchi di mais o altri residui vegetali.
Il disco liscio, oltre a penetrare più profondamente del dentellato, imprime al terreno un rivoltamento più
energico.
Per quanto si è detto. conviene quindi che, per ottenere una buona lavorazione, le sezioni con dischi
dentellati precedano quelle con dischi lisci, in modo che si abbia prima una efficace rottura delle zolle e poi
un buon rimescolamento del terreno. Sull'attrezzo in lavoro, ogni disco è mantenuto pulito da un apposito
organo raschiatore detto "raschietto" che, sfiorando la parte concava del disco, impedisce al terreno di
aderirvi. L'efficacia del raschietto è determinante per il buon funzionamento dell'erpice specialmente
quando si opera su terreni umidi con forte adesività. Anche sui terreni secchi, il raschietto, se ben
progettato, aumenta la capacità di polverizzazione dell'erpice.

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Esiste, ovviamente, un angolo limite oltre il quale il rendimento del tagliente diventa così basso da rendere
impossibile la lavorazione. Negli erpici più recenti, la grandezza di quest'angolo può essere variata ad ogni
istante dalla trattrice a mezzo di apposito comando oleodinamico, anche durante la marcia alla massima
velocità e profondità adattando l'angolo di lavoro dei dischi alle caratteristiche del terreno, e al tipo di
lavorazione che si vuole ottenere.
In relazione alla disposizione geometrica degli alberi portadischi. esistono in commercio diversi tipi di
erpici.
I più comuni sono quelli:
- singolo
- offset o a V
- a tandem o a X
L’erpice singolo è costituito da una o due sezioni affiancate di dischi lisci o dentellati disposti in maniera
simmetrica rispetto all’asse longitudinale, allo scopo di equilibrare le forze resistenti trasversali (cfr.
Figura 261).

Figura 261 Erpice a liscio ad una o due sezioni di dichi

L’erpice offset (cfr. Figura 262) è costituito anch’esso da due sezioni di dischi disposte una dietro l’altra, in
modo da operare in sequenza sullo stesso terreno, che viene quindi rivoltato due volte, prima a destra e
poi a sinistra

Figura 262 Erpice offset a due sezioni di dichi


Tali sezioni sono incernierate da un lato fra loro o ad un telaio.

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Durante la lavorazione (Figura 263) le due sezioni sono divaricate e formano una V con l'asse di simmetria
perpendicolare all'asse di marcia della trattrice. Per ottenere un equilibrio perfetto delle spinte laterali di
ciascun treno di dischi, l’angolo di attacco dei dischi posteriori è leggermente superiore a quello dei dischi
anteriori in quanto operano in terreno già dissodato e quindi meno resistente.
L'attacco della trattrice si trova spostato lateralmente rispetto all’asse longitudinale centrale della macchina,
in modo che, per ottenere l’equilibrio trasversale delle forze, la linea di tiro passi per il punto di incontro
delle forze risultanti resistenti di ciascun treno di dischi. Da ciò e derivato l'appellativo offset per questo
erpice (cfr. Figura 263) . In pratica questa disposizione è molto interessante per i lavori in arboricoltura in
quanto permette di scartare di tanto in tanto la macchina dalla linea degli alberi.
Questi erpici sono sensibilmente più pesanti dei precedenti (50 kg per disco circa), il che permette loro di
essere più universali e di poter in particolare sostituire vantaggiosamente un polivomere in numerose
circostanze.

Figura 263 Erpice offset in lavorazione

D'altronde essi non lasciano nessuna parte centrale non lavorata come nel caso dei frangizolle semplici.
Altro tipo di erpice molto utilizzato è quello tandem a 4 sezioni formanti una "X" (cfr. Figura 264); detto
erpice è costituito dall'insieme di due frangizolle semplici invertiti. Il terreno è dunque lavorato due volte: il
primo treno di dischi lo rivolta da un lato ed il secondo lo riporta al suo posto primitivo.

Figura 264 Erpice a tandem o a X

Come nei frangizolle semplici i dischi hanno un diametro di 400/560 mm ed il loro numero può variare da
16 a 40 con un peso medio di 25/30 kg per disco.

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Esistono anche erpici a più di 4 sezioni, come ad esempio l’erpice a 6 sezione della Figura 265, con un
rilevante numero di dischi.

Figura 265 Erpice a dischi a 6 sezioni

I dischi delle sezioni anteriori, che possono essere dentellati, sono orientati all'opposto di quelli delle
sezioni posteriori stante la necessità di presentare il tagliente con la tangente diretta secondo l'asse di
movimento della trattrice.
Per quanto riguarda il loro funzionamento, i dischi sono trascinati in rotazione dall'attrito che il terreno
esercita contro la parte periferica della loro superficie quando l'erpice trasla trainato dalla trattrice.
Il loro movimento è quindi un rotolamento sul terreno (rotazione attorno agli assi e traslazione degli assi)
secondo un asse inclinato rispetto alla direzione di traslazione (esiste ovviamente anche una componente
di strisciamento, dovuta all'inclinazione dell'asse di rotazione che è però molto limitata).
L'erpice a dischi viene oggi impiegato in diversi modi e per effettuare diverse lavorazioni.
Come frangizolle e polverizzatore per sminuzzare il terreno arato e per la preparazione del letto di
semina. L'azione di frangitura delle zolle è molto energica; si ha un notevole allentamento delle particelle
fra di loro ed inoltre, nella parte di terreno interessata all'azione dei dischi, si ha un rimescolamento del
terreno per le ragioni prima accennate.
Come aratro polivomere per lavoro di aratura superficiale. Questo impiego si va gradualmente estendendo,
favorito dalla disponibilità di trattrici di più elevata potenza, dalla maggiore massa degli attrezzi e dal
maggior diametro dei dischi degli erpici di recente progettazione. E' infatti evidente che per l'impiego
dell'erpice a dischi per lavori di aratura leggera e media necessitano sforzi di traino e quindi potenze delle
trattrici nettamente superiori a quelli che mediamente necessitano per le operazioni di frangitura delle zolle.
Infatti la profondità di lavoro può arrivare in questo caso a raggiungere i 25 cm., mentre la velocità di
avanzamento deve necessariamente subire una riduzione. Naturalmente occorrono anche masse
nettamente superiori onde consentire la dovuta penetrazione dei dischi in terreni, resi a volte anche molto
duri dal passaggio dei mezzi meccanici durante la raccolta e resi difficili dalla presenza di stocchi di mais,
stoppie, ecc. Per operazioni di aratura l'erpice a dischi presenta il vantaggio di lasciare un terreno
sminuzzato e perfettamente livellato, ciò che non accade con gli altri tipi di attrezzi aranti. Presenta, inoltre,
il vantaggio di operare un vasto fronte di lavoro consentendo un minore numero di passaggi a velocità di
lavoro superiori a quella raggiungibile con altri mezzi.

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Talvolta, a questa operazione, si fa precedere un lavoro di "rippatura" con dissodatori a denti per rompere il
terreno al di sotto dello spessore interessato dalla lavorazione dell'erpice a dischi.
Altro impiego per cui l'erpice è particolarmente adatto è quello della lavorazione dei terreni, dei vigneti e dei
frutteti (cfr. Figura 266).

Figura 266 Erpici a dischi utilizzati nei vigneti e nei frutteti

Infatti, per tali colture, durante la stagione estiva è necessario elaborare la parte superiore del terreno in
modo da restituire ad essa le necessarie caratteristiche di sofficità e di permeabilità. L'azione dell'erpice
a dischi rompe la crosta dura superficiale del terreno e gli conferisce la sofficità che consente di eliminare
l'inconveniente. Per questo uso vengono principalmente impiegati gli erpici portati dal sollevatore della
trattrice in quanto formano con la trattrice un insieme molto compatto e di ingombro molto ridotto, ciò che
consente di operare negli spazi limitati dei vigneti e delle colture arboree in generale.
Molteplici sono i motivi che giustificano il successo di questo attrezzo:

- versatilità di impiego come sopra descritto;


- economicità di esercizio;
- costruzione semplice e robusta di facile
manutenzione, di costo contenuto;
- elevata produttività.

L'erpice a dischi fra tutte le macchine per la preparazione del terreno è quello che consente velocità di
lavoro più elevate in qualsiasi condizioni operi. Ciò è dovuto alla limitata entità dell'attrito di strisciamento
sul terreno degli utensili di lavoro che essendo folli rotolano tagliando, sollevando e rivoltando il terreno
stesso.

Erpice Morgan

Una variazione costruttiva dell'erpice a dischi può essere considerato l'erpice Morgan (cfr. Figura 267).
Esso si può infatti pensare ottenuto da un erpice a dischi dentellato, in cui gli incavi sono stati accentuati e
prolungati fino alla zona centrale del disco.
L'efficacia di questi attrezzi dipende dal numero di alberi, dall'angolo sotto il quale le palette si presentano
in rapporto all'avanzamento e dalla velocità alla quale essi sono tirati.

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Lo sbriciolamento con le pale ruotanti è dovuto alla penetrazione successiva delle lame nel terreno e alla
rotazione che solleva e proietta indietro le porzioni tagliate; tale movimento favorisce anche l'interramento
dei prodotti sparsi in superficie anche in presenza di una certa umidità. La velocità accresce l'efficacia
dell'interramento insieme ad angoli di attacco più aperti (cfr. Figura 267).

Figura 267 Erpice Morgan

Per ottenere la massima precisione di lavoro, sia nel caso di piani orizzontali (es. risaie) che di singole o
doppie pendenze, agli erpici a disco vengono connessi sistemi di controllo automatico laser (cfr. Figura
268).

Essi sono composti da:


- trasmettitore, da applicare su un treppiede telescopico e al centro del sito da
livellatrice,
- control box di comando da collocarsi nella cabina del trattore
- set di cavi

Figura 268 Erpici accoppiati a sistemi di controllo laser

l trasmettitore invia un raggio laser a 360°; il ricevitore capta questo segnale e lo invia alla centralina
(control box) che lo elabora e, tramite una elettrovalvola, comanda il movimento di un cilindro idraulico (che
alza o abbassa la lama).

15.3 Scarificatori

Gli scarificatori (cfr. Figura 269) sono utilizzati per le operazioni di maturamento in modo analogo agli
attrezzi descritti in precedenza.

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La scarificatura rimuove i fili d'erba con radici deboli e per questo motivo, la scarificatura non va praticata
sui suoli agrari appena piantanti; la differenza che distingue gli scarificatori dagli erpici è che i denti sono
di dimensioni più ridotte, in quanto il lavoro viene limitato a strati non superiori ai 30 - 40 cm.
Infatti essi possono talvolta essere adoperati quando si è venuto a formare un indurimento dello strato
superficiale, per cui è necessaria un'azione di dirompimento del terreno per la penetrazione dell'acqua e
dei concimi nello strato sottostante (cfr. Figura 269).

Figura 269 Scarificatore a denti rigidi

I semi e le piante, durante il periodo del loro sviluppo, hanno bisogno di numerose operazioni colturali
onde far si che le piantine stesse si trovino sempre durante tale periodo nelle condizioni migliori perché
diano il massimo prodotto.
Questi lavori hanno talora lo scopo di smuovere il terreno fra le singole piantine, poiché questo col tempo e
con le piogge tende a costiparsi, o di rompere la crosta superficiale che si è venuta formando, crosta che
con le sue infinite fessure tende a favorire gradatamente la capillarità ed a facilitare l'evaporazione rapida
dell'acqua immagazzinata nel terreno coltivato, disseccandolo rapidamente. Talora, oltre a compiere
queste operazioni, si richiede la distribuzione di tutte le erbe avventizie ed infestanti che impediscono lo
sviluppo delle piante coltivate togliendo loro aria, luce e gran parte del materiale fertilizzante
immagazzinato nel suolo. Infine, molte piante richiedono di essere rincalzate, ossia è necessario che il
terreno circostante venga raccolto intorno al gambo delle piante, per favorire lo sviluppo di un secondo
palco di radici, o per coprire quelle radici che per effetto dello sviluppo siano in parte scoperte.
Per effettuare tale operazione si possono impiegare attrezzi forniti di utensili che imitano, in proporzioni
ridotte, quelli visti per lavorazioni principali e di maturamento e cioè quelli di aratri, coltivatori e zappatrici.
Tali attrezzi prendono il nome di sarchiatrici e possono essere ad organi fissi rigidi o flessibili che
eseguono la rincalzatura (cfr. Figura 270).

Figura 270 Sarchiatrici con organi di lavoro rigidi o flessibili per ottimizzare la rincalzatura

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La sarchiatura è una lavorazione del terreno che consiste nel taglio o nel rimescolamento del suo strato
superficiale.
Questa operazione è talvolta obbligata, come nel caso dell'aridocoltura, ma in genere è eseguita su diverse
colture agricole di pieno campo, ed in particolare in floricoltura e in orticoltura, con i seguenti scopi:

- distruggere meccanicamente le erbe infestanti;


- favorire la circolazione dell'aria nel terreno;
- agevolare nei climi freddi la penetrazione nel terreno del calore solare;
- ridurre l'evaporazione dell'acqua, interrompendo la capillarità del terreno,
per trattenere l'umidità.

La sarchiatura a mano viene ancora oggi effettuata da floricoltori, giardinieri e orticoltori amatoriali,
utilizzando come attrezzo la zappa, per coltivazioni particolari, come il garofano in Liguria; si usano attrezzi
specializzati come il rastrello per ottenere una sarchiatura superficiale di letti di semina resi crostosi dalle
piogge.
Nelle coltivazioni ortive ed industriali si ricorre alla sarchiatura meccanica con appositi attrezzi rotativi,
eventualmente seguita per le coltivazioni di pregio da sarchiatura manuale di rifinitura (cfr. Fig. 271):
In molte colture alla sarchiatura manuale o meccanica, seguono le operazioni di rincalzatura ed
eventualmente nei terreni molto leggeri e soffici quelle di rullatura del terreno.

Figura 271 Operazioni di sarchiatura con macchine specifiche o con attrezzi manuali

Le sarchiatrici vengono generalmente utilizzate per le colture seminate o piantate in righe e, siccome
queste possono essere diversamente distanziate, è necessario che il telaio e gli organi lavoranti siano
formati e montati in modo da poter lavorare su larghezze variabili in relazione appunto alle distanze fra le
file (cfr. Figura 272).

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Le sarchiatrici possono essere ad organi fissi o ad organi rotanti comandati dalla presa di potenza della
trattrice.

Figura 272 Macchine ed attrezzi manuali per sarchiature in interfilari ad ampiezza variabile

Le sarchiatrici ad organi fissi sono costituite da una intelaiatura metallica alla quale sono fissati gli organi
lavoranti che possono essere denti, sul tipo di quelli degli scarificatori, oppure delle lame triangolari come
negli estirpatori, oppure infine, dei piccolissimi corpi d'aratro costituiti da una lama opportunamente
ripiegata che funziona da vomere e da versoio.
Dalla forma degli organi lavoranti, si comprende facilmente quale lavoro possa compiere la sarchiatrice;
infatti, se è dotata di denti, si limita ad eseguire la movimentazione del terreno fra le singole piantine, se
invece è fornita di lame triangolari, compie il lavoro di sarchiatura distruggendo la vegetazione avventizia,
se utilizza dei versoi, compie il lavoro di rovesciamento del terreno portandolo verso fila delle piantine (cfr.
Figura 273 A).

A B

Figura 273 Sarchiatrice ad organi rotanti (A) con particolare dei taglienti (B)

Le sarchiatrici ad organi rotanti (cfr. Figura 273 A) sono del tutto analoghe alle zappatrici; la sola differenza
è che sono in proporzioni più ridotte e in genere hanno l’organo di lavoro a zappette opposte (cfr. Figura
273 B).

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Inoltre, dovendo operare tra le file, esse sono costituite da elementi separati, che possono essere regolati
in relazione alle distanze interfilari (cfr. Figura 274).

Figura 274 Sarchiatrice con elementi operanti istanza interfilare regolabile

Le sarchiatrici hanno anche la possibilità di adattarsi alle irregolarità del terreno, per la presenza di molle
che assicurano un idoneo contatto con la superficie da lavorare (cfr. Figura 274).
Molto usate nelle colture arboree, sono le macchine operatrici munite di tastatore per i lavori interfilari (o
inter-ceppi).

Figura 275 Sarchiatrice con braccio disposto trasversalmente alla direzione di avanzamento
allungabile con l’ausilio di martinetti idraulici.

Il telaio inter-ceppo è dotato di un braccio, disposto trasversalmente alla direzione di avanzamento, ed


allungabile con l’ausilio di martinetti idraulici; nella parte terminale del braccio vi è la testata dotata di un
organo di lavoro rotante (utensile), testata che può m spostarsi in alto ed in basso, in avanti ed indietro,
per mezzo della presa di potenza idraulica della trattrice (cfr. Figura 275).
Recentemente sono state introdotti sistemi di lavorazione a doppio braccio che possono lavorare il terreno
su due interfilari continui e tastatori di tipo rotante (cfr. Figura 276).

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Figura 276 Sistema di lavorazione a doppio braccio per operare su due interfilari continui e tastatori
di tipo rotante

5.4 Rulli compressori livellatori

I terreni agrari sciolti o suscettibili a gonfiarsi e a diventare eccessivamente porosi in seguito all'azione del
gelo e disgelo, necessitano di essere compressi affinché i cereali seminati vi si possano trovare nelle
condizioni migliori per poter accestire e germinare.
Per quest'operazione di compressione si usano speciali strumenti detti rulli, i quali possono essere
semplicemente rulli compressori o livellatori (cfr. Figura 277).
I rulli compressori quando necessita possono effettuare, oltre la compressione, anche la frantumazione
delle zolle più grosse.

Figura 277 Rulli compressori o livellatori per effettuare la compressione e la frantumazione delle zolle.

I rulli compressori consistono in grossi cilindri di ghisa (cfr. Figura 277) o di acciaio (cfr. Figura 278),
collegati ad una intelaiatura e che vengono fatti rotolare sul terreno che si vuol comprimere.
L'azione del peso del rullo schiaccia la superficie del terreno che si abbassa di qualche centimetro,
divenendo molto più unita ed uniforme, in quanto scompaiono le cavità e le asperità lasciate dalle
precedenti lavorazioni.

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Figura 278 Rulli compressori a superficie liscia internamente portanti due fori
attraverso i quali passa, su cuscinetti, l'albero che li collega al telaio.

L'azione del rullo però si fa sentire a piccola profondità ed essa dipende oltre che dal proprio peso e dalla
lunghezza, anche dal diametro del rullo stesso. Infatti, a parità di peso e di lunghezza del rullo, l'effetto
comprimente diminuisce con l'aumentare del diametro del cilindro, venendo la pressione a ripartirsi sulla
superficie di contatto al terreno, superficie che aumenta col diametro del rullo.
I rulli compressori sono quasi tutti a superficie liscia, in ghisa cavi internamente e portanti due fori nel
centro delle due basi, attraverso le quali passa, su cuscinetti, l'albero che lo collega al telaio. Talora,
essendo la ghisa fragile, il rullo è rivestito da una camicia cilindrica in lamiera di acciaio.
Quasi tutti i rulli in ghisa sono muniti di un dispositivo che permette di aumentarne il peso per far variare
l'intensità della rullatura, dispositivo che in generale consiste in una cassa, posta superiormente al rullo e
collegata al telaio, nella quale si pongono dei pesi. Però questi, se contribuiscono ad aumentare il peso,
aumentano pure le resistenze passive e l'usura dei perni.
inatrice
Fresatrice-spandiconcime-seminatrice

Rullo compattatore

Figura 279 Gruppo di macchine costituito da: fresatrice-spandiconcime-seminatrice


e rullo compattatore

I rulli in un solo corpo e di notevole larghezza, offrono, nelle voltate, l'inconveniente di strisciare sul terreno
e, se essi sono molto lunghi, vi scavano una traccia molto larga e tanto più profonda quanto più grande è il
peso del rullo.

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Per ovviare a questo inconveniente si sono sostituiti ad un cilindro unico più cilindri infilati sullo stesso asse
e folli sul medesimo oppure su assi distinti.
In questo caso, siccome ogni cilindro rotola indipendentemente dagli altri, l'effetto dello strisciamento resta
di molto diminuito.
Nel caso di rulli calettati sullo stesso asse, ogni cilindro elementare è formato come un rullo di un solo
pezzo, ossia da due piastre circolari riunite da un involucro cilindrico di lamiera o di ghisa. Se si ha cura di
dare al foro portato dalle piastre un diametro maggiore di quello del perno, i singoli elementi del rullo oltre a
rotolare, possono spostarsi verticalmente l'uno rispetto all'altro; si ottiene in tal modo un lavoro più regolare
ed energico, evitando però che le deviazioni di qualche elemento diventino eccessive perché allora essi
verrebbero a strisciare contro i rulli vicini e non girerebbero.
Il rullo compressore è sempre montato su di un telaio rettangolare in ferro, sui lati minori del quale sono
montati i cuscinetti che devono portare l'assale.
Un rullo molto efficace e razionale come frangizolle è il cosiddetto rullo Croskill , costruito anche da Vogel-
Noot (cfr. Figura 280); esso è composto di tanti dischi dello spessore di 2 o 3 cm, di diametri differenti ed
infilati su di un albero unico. Questi dischi in ghisa, che portano alla loro periferia delle asperità ottenute
nella fusione, sono montati alternativamente in dischi a diametro maggiore e dischi a diametro minore: il
foro dei primi è un po' minore di quello dei secondi, cosicché, i dischi piccoli girando, possono appoggiarsi
al terreno contemporaneamente ai dischi di diametro maggiore.

Rullo Vogel-Noot Rullo Croskill

Figura 280 Rullo Croskill (A) costruito anche da ditta Vogel-Noot (B)

Le zolle che si vengono a trovare fra due dischi vicini vengono frantumate e rotte, poiché la velocità
angolare dei dischi è diversa. Ad aumentare l'efficacia di questi rulli, i dischi portano delle asperità
periferiche e delle asperità laterali. Le prime, sono generalmente radiali e simmetriche, mentre le asperità
laterali hanno una forma prismatica con uno smusso periferico. Fra i diversi tipi di rullo merita un cenno il
cosiddetto rullo sotto-compressore (cfr. Figura 281).
Questo rullo, a differenza di quelli compressori che comprimono gli strati superficiali, comprime strati più
profondi, volendo raggiungere lo scopo di distruggere le grosse cavità di terreno e creare le condizioni
ideali per la germinazione dei semi e lo sviluppo delle radici. Tale pratica consente inoltre di trattenere
l'umidità negli strati inferiori e stimolare la capillarità negli strati frapposti fra i più profondi, non toccati
dall'aratro e i superficiali mantenuti costantemente smossi

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Il rullo sotto-compressore è formato da una serie di ruote il cui cerchione si presenta a sezione cuneiforme.
Queste ruote, sono montate su di un unico asse portato da un telaio munito di cassa metallica per caricarvi
pesi.

Figura 281 Rullo sotto-compressore

.Le ruote, molto ravvicinate fra loro, vengono a lavorare ad una profondità di circa 0,15 m, comprimendo
tanto in basso quanto lateralmente il terreno, oltre a rompere le zolle più o meno grandi che venissero a
trovarsi lungo la loro traiettoria (cfr. Figura 281).
Purtroppo per la maggior parte dei terreni italiani questo sistema non è applicabile, data appunto la natura
dei terreni in prevalenza tenaci. Infatti, il rullo sotto-compressore, quando lavora su terreno argilloso, con
zolle talora durissime e grosse non ha efficacia, poiché tende a saltare fuori dal terreno per i continui urti
delle ruote contro le zolle che non riesce a rompere. Il rullo livellatore (cfr. Figura 282) è costituito da
una gabbia con traverse longitudinali inclinate rispetto al piano orizzontale ed è quindi molto più leggero dei
rulli compressori e frangizolle.
Tale rullo viene in genere montato nella parte posteriore degli erpici che operano con più efficacia quali
quelli mossi dalla presa di potenza della trattrice in particolare di tipo rotativo.

Figura 282 Diversi tipi di rullo a gabbia

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15.5 Attrezzi combinati

Gli attrezzi combinati sono quelli che sono in grado di fare contemporaneamente due o più operazioni
colturali, che possono riguardare sia le lavorazioni del terreno che altre operazioni come concimazione,
semina e trattamenti. Per quel che riguarda le macchine combinate per la sola lavorazione del terreno,
possiamo avere macchine che effettuano contemporaneamente la lavorazione principale e le lavorazioni di
maturamento, ottenendo con un solo passaggio la preparazione del letto di semina, come ad esempio la
macchina di Figura 283 che è costituita da aratro e rullo sotto-compressore e frangizolle.

Figura 283 Rullo sotto-compressore in lavorazione combinato con un aratro doppio

Altro esempio di macchina combinata con file ad utensili diversi è quello di Figura 284; tale macchina è
costituita da un chisel, un erpice rotativo ed un rullo frantumatore.

Figura 284 Schema di lavoro della macchina combinata costituita da: chisel (!) , erpice rotativo ad asse
orizzontale (2), rullo frantumatore posteriore (3)

Dallo schema di lavoro si può notare come le dimensioni prima delle zolle e poi dei glomeruli vanno
diminuendo dalla parte anteriore a quella posteriore della macchina particolarmente nello stato superficiale.
Per cui tale macchina è particolarmente adatta per una buona preparazione del letto di semina.

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Per le lavorazioni di maturamento si possono avere a disposizione attrezzi particolari che risultano dalla
combinazione degli attrezzi semplici sin qui descritti.
A questa categoria appartengono attrezzi che risultano in genere costituiti da due o più file con denti di
forma diversa o addirittura con utensili di lavoro diversi.
Un esempio di attrezzo con file e denti diversi è quello costituito da due file, di cui quella anteriore con denti
da scarificatore e quella posteriore con denti da coltivatore o tiller. A tale attrezzo viene in pratica attribuito
il nome di coltivatore, considerando il particolare tipo di lavoro complessivo compiuto, di dirompimento e in
parte di rimescolamento, tipico del coltivatore.
Altro tipo di erpici frangizolle sono quelli a utensili folli mossi dalla presa di potenza e portati dall'attacco a
tre punti. Si distinguono in due tipi fondamentali:

- con organi di lavoro dotati di moto rettilineo alternativo


- con organi di lavoro dotati di moto rotatorio.

I primi consistono in un telaio di forma rettangolare sul quale sono montate tre o quattro barre orizzontali,
normali alla direzione di avanzamento e dotate di movimento rettilineo alternativo, cui sono applicati
verticalmente gli utensili operatori (cfr. Figura 285). Ogni barra opera con movimento opposto a quello
delle barre vicine e, spesso, con diversa ampiezza del moto alternativo, al fine di procedere ad un più
efficace sminuzzamento; il ritmo del moto è normalmente compreso fra 80 e 100 oscillazioni/min. La
profondità di lavoro di questi attrezzi non supera i 12 cm; la larghezza di lavoro raggiunge i 3 metri, mentre
l'energia assorbita si presenta, com'è ovvio, un po' superiore a quella richiesta dagli erpici a utensili fissi.
Per contro, assai maggiore è l'efficacia dell'amminutamento provocato, efficacia che può consentire, a
parità di altre caratteristiche, di raggiungere un buon letto di semina con un numero di passaggi minore di
quello richiesto dagli erpici a denti fissi o a dischi.

Figura 285 Erpice con denti dotati di moto rettilineo alternativo

Gli erpici a denti rigidi dotati di moto rotatorio possono essere:

- con moto rotatorio intorno ad asse verticale


- con moto rotatorio intorno ad asse orizzontale

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I modelli con moto rotatorio intorno ad asse verticale (cfr. Figura 286) sono basati su una serie di piccoli
dischi ruotanti su un piano orizzontale e disposti affiancati in unica fila su un asse perpendicolare alla
direzione di avanzamento. Ogni disco è dotato di 2-4 denti ed ha un senso di rotazione opposto a quello
dei due adiacenti. In tal modo i denti compiono traiettorie derivanti dalla composizione di un moto rettilineo
uniforme (quello di avanzamento) con un moto circolare; si hanno così delle traiettorie cicloidali.
I denti investono il terreno con elevata energia fornendo un lavoro assai efficace. E' infatti come se un
erpice a denti rigidi avanzasse alla velocità di circa 12 km/h. La maggiore efficacia di amminutamento che
si riscontra con questi modelli è tuttavia dovuta anche al fatto che la lunghezza del percorso compiuto da
un dente sul terreno per ogni metro di avanzamento della macchina è da 20 a 25 volte superiore, a parità
di velocità, a quella di un dente di un erpice rigido (cfr. Figura 286).

Figura 286 Utensile di un erpice con denti rigidi dotati di moto


rotatorio intorno ad un asse verticale

Figura 287 Schema di lavoro di un erpice rotativo ad asse verticale con rullo livellatore

La potenza assorbita è compresa fra 0,5 e 0,9 kW per metro di larghezza di lavoro e per cm di profondità,
a seconda della tenacità del terreno sul quale si opera.

Gli erpici con denti dotati di moto rotatorio intorno ad asse orizzontale sono costituiti da un asse
orizzontale perpendicolare alla direzione di avanzamento, sul quale sono montati rigidamente utensili
opportunamente sagomati. L'asse riceve il moto dalla p. d. p. della trattrice (cfr. Figura 288).

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Figura 288 Modelli di erpice rotativo ad asse orizzontale

I vantaggi degli erpici con utensili azionati dalla presa di potenza delle trattrici sono essenzialmente:

- efficace sgretolamento e sminuzzamento in molti casi superiore a quello


ottenuto con utensili fissi;
- i residui vegetali non costituiscono ostacolo o cause d'ingolfamento per gli
organi operatori;
- le dimensioni ridotte degli attrezzi permettono di aggregarli ad altri attrezzi
per la lavorazione del terreno o la semina, ottenendo macchine
combinate;
- la distribuzione granulometrica del terreno è abbastanza uniforme sullo
spessore lavorato, rispetto al altre macchine che tendono a localizzare la
terra fina o troppo in profondità o troppo in superficie;
- lo sforzo di trazione è decisamente inferiore a quello richiesto da erpici ad
utensili fissi a parità di caratteristiche di lavorazione, per cui sono meno
sentiti i problemi di aderenza per il trattore.

Gli svantaggi sono costituiti dal costo più elevato d'acquisto ed esercizio e dall'esigenza di avere una
buona conoscenza dei risultati ottenibili in ogni tipo di terreno, ad evitare degli inconvenienti come
l'eccessivo sminuzzamento.

15.6 Le macchine per la lavorazione ridotta

Prima di prendere in esame le macchine comunemente impiegate per la "lavorazione ridotta" è opportuno
precisare il significato che a tale espressione si è soliti attribuire.
Per "lavorazione ridotta" s'intende generalmente l'insieme delle operazioni meccaniche necessarie alla
formazione del letto di semina con impiego di energia inferiore rispetto alla lavorazione tradizionale.
In tali lavorazioni viene in sostanza eliminata l’aratura profonda con aratro rovesciatore, che è largamente
la lavorazione che richiede il più alto consumo energetico.

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Le lavorazioni che tendono a realizzare tale obiettivo possono essere riassunte nei seguenti tipi:

a) lavorazione a media profondità (0,25-0,35 m), realizzata con aratro rovesciatore o


con chisel, seguita da erpicatura.

b) lavorazione a due strati, con impiego di scarificatore in uno strato profondo (0,50-
1,00 m) e di aratro rovesciatore in uno strato più superficiale (0,15-0,25 m). Anche in
questo caso segue la regolare erpicatura.

c) lavorazione minima (minimum tillage), che interessa il solo strato superficiale di 0,10-
0,20 m, con basso dispendio di energia. Essa può richiedere l'impiego di chisels,
polivomere, erpici, zappatrici, coltivatori, etc.

d) non lavorazione (zero tillage o "no tillage" direct drilling, sod seeding) cui corrisponde
il massimo risparmio ottenibile.

Si fa presente che con la denominazione "minimum tillage" c'è chi intende riferirsi all'intervento combinato
di chisel e seminatrice, tale da realizzare in un'unica fase, preparazione del terreno e semina.

a) Lavorazione a media profondità

La lavorazione a media profondità (0,25-0,35 m) può essere realizzata sia con aratri rovesciatori
polivomere e sia con i chisels. Infatti, l'elevata potenza delle trattrici oggi disponibili consente di eseguire
questo tipo di lavorazione con aratri polivomere a 4-6 corpi (cfr. Figura 289).
Si sono già rilevati in altra occasione i vantaggi che, sotto l'aspetto dinamico, presenta nelle lavorazioni
superficiali, l'impiego del polivomere, portato da trattrice a ruote di adeguata potenza: essi consistono, in
sintesi, nella possibilità di ridurre l'obliquità della direzione dello sforzo di trazione rispetto a quella
d'avanzamento e di adottare valori elevati della velocità cui corrisponde un alto rendimento di propulsione
della trattrice.

Figura 289 Lavorazione a media profondità

Qualora la lavo razione a media profondità venga attuata con il chisel, occorre per tale attrezzo effettuare
alcune precisazioni e considerazioni.

99
Il chisel appartiene come si è detto alla categoria dei subsoilers (scarificatori, ripuntatori, etc.), il cui
compito è essenzialmente quello di rompere il terreno in profondità mantenendolo in posto.
L'identificazione del chisel come macchina per dirompimento alternativa all'aratro ci sembra debba far
riferimento quale carattere distintivo, non tanto alla particolare forma dell'attrezzo, quanto allo scopo del
suo impiego ed al suo tipico meccanismo d'azione. Sostanzialmente diverso è, infatti, rispetto agli
scarificatori, il ruolo del chisel è ben distinto il suo modo di operare; l'azione incidente delle punte, che si
estende anche lateralmente ad esse nel piano orizzontale, determina il distacco del terreno interessato
dalla lavorazione rispetto a quello inferiore indisturbato; gli agglomerati a contatto con la piastra di base
sono sospinti verso l'alto e subiscono quindi un migliore sgretolamento rispetto a quello ottenuto con gli
scarificatori.
Negli spazi intermedi tra un dente e l'altro l'efficacia dell'intervento dipende dalle condizioni strutturali del
suolo ed, ovviamente, dall'interasse degli utenti, variabili comunemente da 0,30 a 0,60 m. All'aumentare
della velocità di avanzamento, aumenta il grado di frantumazione, ma anche, corrispondentemente, lo
sforzo di trazione richiesto.
L'attuazione del suo principio di funzionamento presuppone:

- un'adeguata inclinazione delle punte rispetto all'orizzontale, variabile tra 20°, cui
corrisponderebbe il valore minimo dello sforzo di trazione, e 30°;
- una sufficiente ampiezza della piastra di base e della faccia anteriore del dente, che,
nel moto di avanzamento, vengono successivamente a contatto con le zolle;
- una certa continuità del profilo anteriore dell'intero organo lavorante, tale da assicurare
il regolare flusso di materiale verso l'alto.

La luce libera tra il telaio e la superficie del suolo deve essere tale, inoltre, da ridurre le occasioni
d'ingolfamento dovute all'eventuale presenza di residui vegetali (stocchi, foglie, radici, etc.). Le esigenze
funzionali sopraindicate, insieme ai corrispondenti requisiti costruttivi, sono sufficienti, ci sembra, ad
individuare questo tipo di macchina, senza possibilità di confonderla con altre, anche se apparentemente
simili.
Il suo impiego consente di eseguire una rottura rapida del suolo, ottenendo una struttura superficiale di tipo
"aperto", particolarmente favorevole ad una pronta infiltrazione delle acque piovane ed al loro
immagazzinamento, notevolmente resistente alla erosione eolica ed idraulica e, se in presenza di residui
vegetali, parzialmente interrati, anche in grado di attenuare gli effetti dell'evaporazione.
Sotto l'aspetto energetico questo tipo di lavorazione risulterebbe meno oneroso dell'aratura: lo sforzo di
trazione richiesto dal chisel, per unità di larghezza di lavoro, risulterebbe infatti sensibilmente inferiore a
quello del polivomere che operi alla stessa profondità.
In certi casi, ed in particolare quando si debba operare nell'imminenza della semina, può essere
conveniente l'impiego del chisel in combinazione con altra macchina destinata ad amminutare le zolle e,
con unica passata, formare il letto di semina. L'accoppiamento è generalmente realizzato con zappatrice o
erpice rotativo azionati dalla presa di potenza.
In presenza di zolle di notevoli dimensioni si preferisce sfruttare l'azione disgregante degli agenti
atmosferici e successivamente praticare una o più erpicature: comunemente con erpice a dischi la prima,

100
per ridurre la pezzatura delle zolle e realizzare un migliore interramento dei residui, con erpice a denti poi
per una migliore regolarizzazione superficiale.

b) Lavorazione a due strati

Questa tecnica di lavorazione, riproposta da qualche anno all'attenzione degli agricoltori, ha trovato ampi
consensi in molte zone dell'Italia centro-settentrionale e da qualche anno anche in alcune zone dell'Italia
meridionale ed in particolare nei terreni argillosi. Essa tende a ridurre l'onere e gli inconvenienti dell'aratura
profonda, che richiede notevole dispendio d'energia, senza tuttavia rinunciare ai vantaggi di una buona
macro-porosità anche negli strati inferiori ed alla possibilità di interrare residui vegetali o letame, che anzi
con questa tecnica possono essere distribuiti ad una profondità ritenuta più conveniente per il processo di
umificazione e l'utilizzazione da parte delle piante.
Nella lavorazione a due strati (cfr. Figura 290) l'aratura superficiale viene preceduta da una discissura
operata alla profondità di 0,50-1,00 m, con scarificatore a denti, generalmente rettilinei, talvolta ricurvi,
muniti all'estremità inferiore di apposite punte, protette, nella parte anteriore, da piastre della larghezza di
10-15 cm, ed inclinate in avanti, rispetto all'orizzontale, di 20-25°.

Figura 290 Lavorazione a due strati

Teoricamente ciò consentirebbe di disgregare il terreno in profondità senza riportarlo in superficie,


rompendo l'eventuale suola delle precedenti lavorazioni e determinando un incremento della macro-
porosità e, in qualche misura, della microporosità.
L'efficacia dell'azione è in pratica condizionata dalla natura del terreno, e soprattutto dal suo stato nonché,
ovviamente, dall'interasse degli organi lavoranti. La disgregazione è più completa in prossimità di questi ed
interessa un volume crescente dalla base alla sommità.
Per incrementare ulteriormente il volume di terreno rimosso, vengono talvolta disposte, lateralmente
all'estremità inferiore del dente, due "ali" di circa 30 cm di apertura e con il bordo tagliante completano
l'azione di dirompimento. In tal modo si realizza con un solo intervento l'obiettivo della lavorazione primaria
non prevedendo quindi la successiva aratura superficiale.
Per ottenere una maggiore disgregazione del terreno, vengono, ad esempio, montate sullo stesso
scarificatore, in posizione avanzata rispetto ai denti di questo, altrettanti utensili, dalla caratteristica forma
di quelli del chisel, i quali operando sullo strato superficiale, sollevano le zolle in superficie, facilitando il
lavoro dello scarificatore.

101
All'effetto drenante di questa lavorazione, da taluni chiamata "dreno-scarificatura", si attribuisce talvolta la
conseguenza negativa di un più rapido prosciugamento del suolo e quindi di una riduzione della riserva
idrica disponibile.
L'aratura superficiale viene poi eseguita con aratri polivomere ad una profondità di circa 0,15-0,25 m. Lo
sforzo di trazione è per entrambe le operazioni piuttosto elevato e tale da richiedere l'impiego di trattrici di
grande potenza e con buone doti di aderenza, fattore questo che limita la possibilità di estendere la tecnica
a due strati ad aziende di modeste dimensioni.
Le motrici comunemente impiegate per le due operazioni, scarificatura ed aratura superficiale, sono quelle
a quattro ruote motrici con sistema d'attacco a tre punti; vengono posti tuttavia in commercio carrelli a due
ruote, con dispositivo idraulico di sollevamento per attacco a tre punti, che consentono l'impiego di attrezzi
discissori di tipo portato anche con trattrici a cingoli che ne siano sprovviste, e l'eventuale applicazione di
zappatrice o erpice rotativo azionati dalla presa di potenza della stessa trattrice.
La convenienza economica della lavorazione a due strati si basa sulla possibilità di realizzare capacità di
lavoro molto elevate ottenibili solo con l'impiego di trattrici a ruote di grande potenza.

c) Lavorazione minima (minimum tillage)

Alcune macchine per la lavorazione primaria e secondaria trovano impiego anche nel minimum tillage (cfr.
Figura 291), il che costituisce un risparmio nel capitale macchina investito. La scelta dipende
evidentemente dalle particolari condizioni ambientali, dalla natura e stato del terreno. Generalmente i
residui vegetali vengono sminuzzati e sparsi mediante un comune trinciastocchi.

Figura 291 Effetti del minimum tillage sulla produttività delle colture

L'erpice a dischi è comunque l'operatrice più comunemente usata nel minimum tillage, sia perché opera
un efficace rimescolamento dello strato superficiale senza riportare le zolle in superficie, sia per il modesto
assorbimento d'energia, che consente di realizzare grandi capacità di lavoro adottando larghezze
considerevoli, ma soprattutto elevate velocità di avanzamento, per le quali, a differenza di altre macchine
(zappatrice, erpice rotativo, etc.), non vi sono limitazioni di sorta. Al contrario ad esse corrisponde una
migliore qualità delle prestazioni: aumentata infatti, con la velocità, l'intensità dell'azione disgregante, la
terra investita dall'utensile viene proiettata a distanza, ripartendosi uniformemente sulla superficie.
Si attenua inoltre l'effetto costipante che rappresenta indubbiamente uno degli attributi negativi di questa
macchina, in quanto, all'aumentare della velocità si riduce il tempo di applicazione del carico.

102
Il chisel può trovare talvolta utile impiego anche nel minimum tillage; in tal caso esso opera a profondità
ridotta in modo da rompere lo strato superficiale senza sollevare zolle di grandi dimensioni. Così il
polivomere, che, in questo tipo di impiego, può avere numerosi corpi lavoranti, i quali operano il
rovesciamento di uno strato superficiale di 0,10-0,20 m.
Altri tipi di attrezzi come coltivatori ed erpici, a denti rigidi od elastici, vengono impiegati, secondo i casi, soli
o combinati, spesso seguiti da rulli pareggiatori. Il criterio comunemente adottato per la preparazione del
letto di semina in una sola passata è quello di assegnare agli utensili disposti in posizione anteriore la
funzione di rompere lo strato superiore sollevando piccole zolle in superficie, a quelli che seguono di
frantumare e contemporaneamente di livellare e assestare il terreno.
Con le zappatrici rotative è spesso possibile ottenere il letto di semina con unica passata ottenendo anche
un certo interramento dei residui e delle infestanti, che tuttavia, se a riproduzione agamica, tendono ben
presto a riemergere e propagarsi. L'inconveniente più comunemente lamentato nell'impiego delle zappatrici
rotative è la formazione di una suola di lavorazione, che ostacolerebbe la circolazione dell'aria e dell'acqua
negli strati inferiori e la penetrazione delle radici in profondità.
Le zappatrici presentano comunque una velocità di avanzamento limitata, mentre richiedono un notevole
assorbimento di energia. Prerogativa essenziale del minimum tillage è invece quella di ridurre i costi ed i
tempi di intervento; la scelta è quindi prevalentemente orientata verso macchine di basso costo, di facile
impiego ed elevata capacità di lavoro (cfr. Figura 292).

Figura 292 Prerogativa essenziale del minimum tillage è quella di


ridurre i costi con macchine di ridotto costo, di facile
impiego ed accettabile capacità di lavoro.

d) Non lavorazione (no tillage)

La soluzione limite per la lavorazione ridotta (no tillage) è rappresentata ovviamente dal sistema della
semina diretta in campo non lavorato che, in condizioni ambientali favorevoli, permette di realizzare
capacità di lavoro elevate, riduzioni dei costi e tempestività (cfr. Figura 293).
La semina è in tal caso preceduta da un trattamento erbicida ed essa può essere praticata solo in
condizioni ambientali favorevoli in quanto le produzioni possono essere fortemente condizionate
dall'andamento stagionale.

103
La semina su sodo (detta anche semina diretta, no tillage, sod seeding) è un sistema di coltivazione che si
basa sull'assenza di qualsiasi tipo di lavorazione meccanica del terreno.
È una tecnica di agricoltura conservativa che, rispetto alle forme convenzionali di coltivazione lascia il
terreno indisturbato e contribuisce alla sua naturale strutturazione, all'accumulo di carbonio organico, alla
riduzione dei fenomeni di erosione e desertificazione, alla migliore gestione delle risorse idriche.
Il no tillage si esegue con apposite seminatrici che sono in grado di seminare direttamente su terreni non
lavorati occupati in superficie dai residui della coltura precedente o da mirate colture di copertura (cover
crops).
Una delle seminatrici più diffusa è quella prodotta dalla ditta Sfoggia che si è basata su una semina a
dischi simile, con possibilità di seminare su sodo e su terreno molto duro, grazie alla possibilità di
modificare la macchina, incrementando la zavorratura arrivando a un peso di circa 2,5 tonnellate nel caso
di una seminatrice a 4 file on interfila da 75 cm (cfr. Figura 293).

Figura 293 Seminatrice su sodo della ditta Sfoggia

La tecnologia si è sviluppata da più di 20 anni in diverse parti del mondo e può essere applicata a diversi
tipi di seminativi, invernali e primaverili( ad esempio: cereali foraggere, girasole, colza etc.) ed
è adottata su più di 100 Milioni di ettari, maggiormente in America (Canada, USA, Argentina), in Australia
ed Asia; recentemente inizia a diffondersi anche in Europa, specialmente nelle zone vocate alla
cerealicoltura (est Europa):
In Italia è praticata ancora macchia di leopardo e, nonostante alcuni dati mostrino una discreta diffusione, è
spesso confinata ad attività sperimentali; le Aree maggiormente interessate in Italia sono oggi il Veneto,
l'Emilia Romagna, le Marche, la Lombardia; anche al sud è diffusa in maniera sporadica in Campania,
Molise, Puglia, Basilicata e Lazio.
I vantaggi della semina su sodo possono così riassumersi:
- riduce i consumi energetici diretti (carburanti e ammendanti) ed indiretti (consumo delle
macchine e degli attrezzi) e, con essi, le emissioni di CO 2 derivanti dalle pratiche
agricole;
- favorisce l'accumulo della sostanza organica nei suoli, migliorandone lo stato di fertilità
chimico-fisica e limitando i rischi di frane e smottamenti superficiali;
- riduce fino al 90% l'erosione superficiale del suolo (idrica ed eolica), grazie all'effetto
pacciamante operato dai residui colturali e dalle colture di copertura;

104
- consente un ripopolamento della microflora e della microfauna tellurica;
- permette di usare in modo più razionale le risorse idriche, riducendo fino al 70%
l'evaporazione del terreno;
- contribuisce a migliorare il "carbon footprint" agricolo, sia perché riduce i consumi
energetici (emissioni) sia perché favorisce l'accumulo di carbonio nei suoli (effetto sink);
- permette di gestire in maniera più razionale la fertilità dei suoli ed offre, in una
prospettiva di medio termine, la possibilità di modulare il ricorso alle concimazioni
minerali.

In definitiva, numerosi studi internazionali mostrano come la semina su sodo abbia la potenzialità di
svolgere un servizio importante per la "lotta al cambiamento climatico", essendo una tecnica "energy-
saving", infatti, permette di ridurre i consumi di combustibili fossili e di fertilizzanti, nonché il consumo di
macchine ed attrezzi agricoli. In più, abbinata ad una specifica gestione dei residui colturali e degli
avvicendamenti, ha la potenzialità di trasformare i terreni agrari in sink di carbonio, con interessanti risvolti
in termini di fertilità dei suoli (sostanza organica e humus) e di mitigazione dell'effetto serra.
Alcuni dati di letteratura stimano che l'adozione del sistema no tillage nelle sole aree cerealicole
porterebbe ad una riduzione diretta delle emissioni di milioni di tonnellate di CO2 e ad un assorbimento nei
suoli altrettanto elevato, senza dimenticare che il sistema, migliorando la struttura dei suoli, può svolgere
un servizio importante nella prevenzione delle frane (in aree acclivi) e nel contenimento dei fenomeni
erosivi (consumo di suolo e dilavamento dei nitrati).

Bibliografia
(1972) AMIRANTE P. PASQUALONE S. B. “Similitudine meccanica e analisi dimensionale mezzi di
indagine nella meccanica agraria”, Edizioni N. Schena, Fasano di Puglia 1972, pagg. 1-28.

(1972) BARALDI G. PEZZI F. “Gli erpici rotanti azionati ad asse verticale”, L’ informatore agrario, Roma
1972.

(1973) AMIRANTE P. “Criteri di progetto delle macchine agricole”, Rivista di Ingegneria Agraria, n.2
1973, Officine grafiche Calderini, Bologna, n. 2 1973, pagg. 95-102

(1973) AMIRANTE P. “Problemi costruttivi e caratteristiche funzionali delle macchine per i movimenti di
terra con particolari riguardo alle trasmissioni ”, Edizioni N. Schena, 1973, pagg. 31-50.

(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975.

(1994) PERUZZI A. SARTORI L. “Macchine e tecnologie per la semina diretta”, Macchine e Motori
Agricoli, n.7-8, Edizioni Edagricole, Bologna 1994.

(1995) MANFREDI E. “Agricoltura e tecnologia meccanica”, Edizioni Corner, pagg. 1-190.

(1999) BIONDI P. “Meccanica Agraria. Le macchine agricole”, Edizioni UTET, Torino 1999.

( 2010) BIANCHINI G. “Manuale macchine movimento terra: utilizzo e sicurezza”, Quaderni SEB, Sole
24 Ore n. 2, 2008

105
CAPITOLO XVI

MACCHINE PER LA CONCIMAZIONE LA SEMINA E IL TRAPIANTO

16.1 Introduzione

L'operazione di concimazione costituisce una fase di fondamentale importanza nella tecnica colturale
dell'agricoltura moderna.
La concimazione è quella operazione in cui si somministrano al terreno elementi necessari per lo sviluppo
della pianta affinché si possano raggiungere i risultati migliori possibili. Le caratteristiche che
maggiormente interessano da un punto strettamente meccanico-agricolo riferito ai prodotti da distribuire
sono:
- la provenienza;
- la composizione;
- lo stato fisico.

I concimi impiegati, in relazione alla loro provenienza e composizione, possono essere:

- naturali (organici): letame, liquame ecc. (cfr. Figura 294);


- chimici (inorganici): ottenuti da un processo industriale(cfr. Figura 295).

Figura 294 Concime naturale organico

Figura 295 Concime chimico

In ordine al loro stato fisico (cfr. Figura 296) si hanno:

- concimi solidi (letame, chimici solidi)


- concimi liquidi (liquame, chimici in soluzione).

106
Figura 296 Concime solido e liquido

I concimi chimici solidi possono essere granulari (granuli di dimensione 0,5 - 7 mm) o polverulenti;
Un altro parametro caratteristico che interviene nella distribuzione del concime è la quantità di concime per
unità di superficie che varia da pochi q/ha a oltre 50 t/ha.
Le modalità di concimazione per quanto riguarda l'estensione possono essere:
- su tutta la superficie (totale);
- a strisce o a punti (parziale),

e per quanto riguarda lo spessore del terreno:


- in superficie;
- in profondità.

Le operazioni essenziali per l'utilizzazione di concimi sono:


- carico;
- trasporto;
- distribuzione.

16.2 Macchine per la distribuzione di concimi naturali (organici)

I concimi naturali (organici), come si è già detto, si trovano sotto forma solida (letame, spazzatura, ecc.) e
liquida (colaticcio, liquame, ecc.), come riportato nella Figura 297.

Figura 297 Concime solido e liquido naturale: letame, spazzatura, liquame

107
16.2.1 Macchine per la distribuzione dei concimi naturali solidi (letame)

Il concime naturale che viene normalmente impiegato è il letame.


La prima operazione che viene effettuata è quella del prelievo del letame dalla concimaia, che viene
lasciato a maturare per un tempo più o meno lungo (cfr. Figura 298).

Figura 298 Piccola concimaia ed operazione di prelievo e scarico su terreno agrario

Le macchine utilizzate sono:


- elevatore caricatore;
- sollevatore a gru.

Figura 299 Elevatori caricatori a pala e a forca

L'elevatore caricatore (cfr. Figura 299) consta di una pala di forma speciale, o di una forca montata su un
telaio applicato anteriormente alla trattrice.
I movimenti di innalzamento e di ribaltamento della pala o forca avvengono mediante un sistema idraulico.
La capacità di carico di questa macchina varia tra 10 e 22 t/h a seconda della distanza in cui si trova la
concimaia dal luogo di carico.

108
Semovente Portata C
A

Trainata

Figura 300 Sollevatore a gru: schema costruttivo (A-B) e prototipo in attività (C)

Le gru utilizzate per l'operazione di carico possono essere semoventi, trainate e portate (cfr. Figura 300
A-B-C).
La gru è munita di un braccio snodato con all'estremità un'opportuna benna a forconi capace di afferrare il
letame che viene spostata in rotazione ed in elevazione (3 - 4 m di altezza).
I movimenti di sollevamento e spostamento dei bracci articolati della gru si ottengono tramite martinetti
idraulici, mentre quelli di rotazione tramite motore rotativo.
Tutti gli attuatori idraulici sono azionati da una pompa collegata al motore o alla presa di potenza della
trattrice per le gru trainate o portate; il braccio snodato (cfr. Figura 301 A) può montare forche semplici
(cfr. Figura 301 B) o forche combinate (cfr. Figura 301 C).

A B C

Figura 301 Braccio snodata della benna (A) ed immagini di una forca
semplice (B) e di una combinata (C)

109
Una volta caricato, il letame viene trasportato sul campo mediante l'impiego di carri (cfr. Figura 302) e
viene scaricato a mucchi oppure distribuito uniformemente sul terreno; in tal caso i carri vengono chiamati
spandiletame.

Figura 302 Carro semovente per trasporto del letame

Se il letame viene lasciato sul campo a mucchi, le macchine impiegate per la loro distribuzione uniforme
sulla superficie sono gli spandimucchi (cfr. Figura 303).

A B B

Figura 303 Mucchi di letame con materiale in evaporazione (A) e stabile


(B) e relativa macchina spandi-mucchi (C)

Lo spandi-mucchi è una macchina, portata o trainata dalla trattrice e con gli organi di lavoro mossi dalla p.
d. p. La macchina consiste in una intelaiatura sulla quale sono montati verticalmente gli alberi che
azionano gli organi operatori, costituiti da 3 o 4 elementi radiali in profilato metallico che, per effetto della
loro veloce rotazione, circa 400 giri/min. (cfr. Figura 303), e della loro sagomatura, investono il cumulo di
letame e provvedono a distribuirlo entro un raggio di 5-6 m. Si tratta di macchine molto semplici ed
economiche che possono trovare buona utilizzazione anche per la distribuzione di altri materiali in mucchi,
richiedono potenze medie dell'ordine dei 20 kW e mostrano una capacità di lavoro che può giungere ai 2
ha/h. Non mancano poi soluzioni costruttive in cui lo spargimento del letame anziché avvenire dalla parte
posteriore avviene lateralmente. Normalmente oggigiorno vengono impiegati sia per il trasporto che per la
distribuzione del letame i carri spandiletame.

110
Lo spandiletame (cfr. Figura 304) altro non è che un carro, su due o su quattro ruote, corredato di
sponde e munito di organi preposti allo spostamento del letame (organi trasportatori), di organi preposti allo
sminuzzamento del letame (organi frantumatori o disintegratori) e di organi preposti alla distribuzione ed
all'affidamento del letame al terreno (organi distributori o dispersori); di norma tutti gli anzidetti organi sono
azionati dalla presa di potenza posteriore della trattrice, ma potrebbero essere azionati anche dalle ruote
portanti del carro.

Figura 304 Carri spandiletame

Negli spandiletame, il letame viene spinto dal fondo mobile verso la parte posteriore del carro, dove sono
di solito ubicati gli organi frantumatori e distributori.
Gli organi frantumatori sono costituiti da cilindri o alberi orizzontali o verticali dotati di sporgenze
periferiche radiali; essi sminuzzano e rimescolano il letame e lo affidano agli organi distributori, costituiti da
specie di lame di acciaio sporgenti da un altro tamburo e disposte ad andamento all'incirca elicoidale, in
senso contrapposto alla mezzeria r(cfr. Figura 305).

Figura 305 Particolari costruttivi degli organi distributori del letame

Come già detto, il movimento alle varie parti mobili, una volta derivato dalle ruote - con pregiudizio della
qualità del lavoro - oggi, specie nei tipi meccanizzati, viene ottenuto dalla presa di potenza della trattrice
con opportuna trasmissione, ed è talora dotata di cambio di velocità, si che è possibile variare la quantità di
letame da distribuire per ettaro entro limiti anche estesi (da 15 a 60 t/ha ed oltre).
Recenti soluzioni costruttive prospettano la possibilità di affidare ad unici o tamburi dotati di denti e di
palette elicoidali, la funzione contemporanea di organi frantumatori e di organi distributori.

111
Altra soluzione per gli spandiconcime è quella dei carri con organo distributore a disco rotante disposto
nella parte anteriore e che riceve il moto dalla presa di potenza della trattrice (cfr. Figura 306 A-C); la
distribuzione del letame può anche avvenire lateralmente al carro da una bocca di uscita e per effetto dei
settori radiali che imprimono al letame la forza centrifuga. L’avanzamento del letame sul carro può essere
ottenuto da un agitatore longitudinale mosso sempre dalla presa di potenza (cfr. Figura 305 B- D).

A B

C D

Figura 306 Carro spandiletame con distributore rotativo anteriore o laterale

In ordine ai dati tecnici essenziali, si può dire, orientativamente che la capacità dei cassoni è variabile da 1

a 7 m3 circa; le velocità di avanzamento sono inferiori a 10 km/h e la potenza del motore della trattrice da
10 a 25 kW.
La larghezza di spandimento con scarico posteriore va da 2 metri fino a 5 metri (questi ultimi ottenuti con
dispersori verticali) e oltre i 4 metri nel caso di scarichi laterali.
Rispetto all'analoga operazione a mano, lo spandimento del letame a macchina consente economia di
tempo e di mano d'opera, rende lo spargimento più uniforme e più minuto; onde è consigliabile usarlo
laddove è possibile: ed in genere perché sia conveniente l'acquisto di uno spandiletame occorre che la
superficie da letamare superi i 35 ettari/anno. Per superfici minori di 25 ettari/anno si consigliano i tipi
amovibili sicché le attrezzature possano essere impiegate per altri usi.

16.2.2 Macchine per la distribuzione di concimi naturali liquidi

Il concime naturale liquido utilizzato è normalmente il liquame o colaticcio che troviamo in azienda
depositato in opportune cisterne.
L'operazione di carico viene effettuata mediante l'impiego della stessa macchina che viene utilizzata per il
trasporto e la distribuzione, cioè degli spandi-liquami.

112
Lo spandiliquame (cfr. Figura 307) di norma consiste in un opportuno carro-botte di capacità molto
variabile dai 250 a 12.000 litri e possono essere portati da rimorchio agricolo, trainati e semoventi; esso è
munito di una pompa rotativa azionata dalla presa di potenza della trattrice, che ha la funzione di
mantenere nell'interno una certa pressione e funziona anche come decompressore del recipiente nelle
operazioni di carico in quanto, stabilendo una depressione nel recipiente e collegando con opportune
tubazioni detto recipiente con il pozzo nero, il liquame perviene spontaneamente nel recipiente stesso,
sempre che l'altezza dello spandiliquame rispetto al pelo libero della bocca non sia superiore a qualche
metro.

Figura 306 Schema costruttivo di un carro spandiliquame

A B

Figura 307 Carro spandi-liquame: vista laterale (A) e particolari costruttivi (B)

Figura 308 Carro-botte spandiliquame con eiettore a tubo oscillante o a piastra spanditrice

Va segnalato che detta operazione di carico può altresì operarsi con pompe aspiranti e prementi,
comandate a mano o con motore.
Gli spandi-liquame sono dotati nella parte posteriore di un tubo addizionale esterno con saracinesca per
regolare l'efflusso del liquido, nonché di opportuno spanditore con ugello a tubo oscillante con getto
posteriore o laterale o a piastra spanditrice con getto radiale (cfr. Figura 308).
Lo scarico del liquido può avvenire per semplice gravità; si ha però l'inconveniente che la quantità erogata
diminuisce man mano che si abbassa il livello nella botte, per cui importante nei moderni spandiliquame è
l'installazione di una piccola pompa rotativa che stabilisce nell'interno del recipiente, a tenuta, una
moderata pressione per far si che la velocità di efflusso ed il grado di uniformità di distribuzione non vari al
diminuire del carico sulla luce di efflusso, in conseguenza della diminuzione del livello all’interno del
serbatoio durante la distribuzione.

113
Non mancano esempi di spandi--liquami con distribuzione a forza centrifuga; per quanto concerne la
larghezza di lavoro, da valori dell'ordine di un metro di un tempo, oggi si raggiungono larghezze di fascia di
oltre una decina di metri specie con distribuzione forzata sotto pressione (14 - 18 m).
La distribuzione, tuttavia, non avviene in maniera uniforme su tutta la larghezza del lavoro (fr. Figura 309),
per cui se si vuole realizzare una ragionevole uniformità di distribuzione sul campo, occorre sovrapporre
per 2 - 3 m le varie passate contigue. Lo spandiliquame della Figura 308 è dotato di due diversi tipi di
distributori: quelli con distribuzione disposti rasoterra lateralmente (A) e quelli interratori al centro (B),

A Distribuzione raso terra Interratori


B
_ _

Figura 309 Spandiliquame con distributori localizzati raso terra (A) e interrati (B)

Gli spandiliquame più comuni distribuiscono il liquame sul terreno, provocando in genere un inquinamento
ambientale piuttosto considerevole per quel che riguarda soprattutto le emissioni di odori nell’aria.
Non mancano tuttavia esempi di spandiliquame con distribuzione localizzata sulle file e provvisti di
interratori, che consentono di sfruttare meglio le sostanze fertilizzanti riducendone notevolmente la
dispersione in atmosfera, con conseguente diminuzione dell’inquinamento.
Gli spandiliquame possono essere dotati di un computerino che permette di determinare il contenuto degli
elementi fertilizzanti del liquame e la quantità da distribuire; ella figura 310 è rappresentato il computer
con la relativa tastiera di programmazione.

Figura 310 Tastiera di programmazione del computer

114
Lo schema di funzionamento del computer utilizzato è rappresentato nella Figura 311.

Figura 309 Dosatore del liquame e schema di funzionamento

Figura 311 Schema di processo del computer

16.3 Macchine per distribuzione dei concimi chimici inorganici

I concimi sotto forma granulare sono costituiti da granuli di dimensioni che variano fra 0,5 e 7 mm, mentre
quelli polverulenti sono vere e proprie polveri, talvolta impalpabili e pertanto leggerissimi.
Tale stato polverulento rende particolarmente difficile la distribuzione meccanica del prodotto (in presenza
di vento) e quindi oggi si tende a rendere tutti i concimi, presenti in commercio, allo stato granulare, in
modo che possano essere meglio distribuiti con le macchine spandiconcime.
Le macchine spandiconcime di tipo granulare che in questi ultimi anni hanno avuto maggiore diffusione
sono quelle a distribuzione centrifuga o pneumatica.
Negli spandiconcime si possono distinguere vari organi operatori (cfr. Figura 312):
- tramoggia di stoccaggio (1)
- agitatore (2)
- dosatore (3)

115
- distributore o diffusore.

(2) Agitatore

(1) Tramoggia

(3) Dosatore

Figura 312 Organi operatori di un spandiconcime:


(1) Tramoggia , (2) Agitatore, (3) Dosatore

In funzione del tipo di distributore, gli spandiconcime possono classificarsi in:

- spandiconcime a gravità
- spandiconcime centrifugo
- spandiconcime pneumatico

16.3.1 Macchine spandiconcime a gravità

Le soluzioni proposte per gli spandiconcime a gravità per la distribuzione del fertilizzante in file o in banda
in combinazione con le seminatrici a righe e con quelle di precisione, e con le trapiantatrici, sono (cfr.
Figura 313).

Figura 313 Particolari costruttivi di uno spandiconcime a gravità

Gli organi caratteristici sono la tramoggia, l’agitatore, il dosatore e il distributore (cfr. Figura 313).

116
Il materiale esce dalla tramoggia attraverso una serie di feritoie o luci praticate sul fondo di essa, sospinto
da dischi inclinati, palette elicoidali e simili portati da un albero rotante.
I principali dosatori sono: a coclea longitudinale; a cilindro scanalato, a dischi.
I distributori sono leggeri e poco costosi, ma adatti solo a fertilizzanti polverulenti, asciutti e scorrevoli, per
materiali molto fini conviene che la luce di uscita sia ridotta al minimo aumentando invece la velocità di
rotazione del distributore.
Nella Figura 314 vengono riportati i più comuni sistemi di distribuzione degli spandiconcime a gravità
utilizzati che possono essere a coclea (A), a rullo (B) e a nastro (C).

(A) a coclea Distributori utilizzati (B) a rullo

(C) a nastro

Figura 314 Distributori più utilizzati: a coclea (A), a rullo (B) e a nastro (C).

16.3.2 Macchine spandiconcime centrifughe

Gli spandiconcime con distribuzione per azione centrifuga costituiscono la categoria di più frequente
diffusione (cfr. Figura 315 A), anche se molto spesso vengono utilizzati quelli a tubo oscillante 315 B.
Tali spandiconcime possono essere di tipo trainato o più comunemente di tipo portato e gli organi di
lavoro sono comandati tramite la presa di potenza della trattrice.

117
Figura 315 Spandiconcime a distribuzione centrifuga a disco (A) e a tubo oscillante (B)

I suddetti distributori (cfr. Figura 315) utilizzano in genere una tramoggia tronco-conica, realizzata in
lamiera metallica protetta, sulla faccia inferiore della quale è situato l'apparato distributore consistente in un
agitatore, un dosatore ed un distributore spanditore rotante (cfr. Figura 316 - 3), quest'ultimo consiste in
un organo, dotato di movimento rotatorio continuo, dal quale il concime viene distribuito per effetto della
forza centrifuga.

Figura 316 Organi di distribuzione di uno spandiconcime: agitatore (1); collare


dosatore (2); distributore rotante (3)

Il distributore rotante (3) è costituito da un semplice disco orizzontale dotato sulla faccia superiore di una
alettatura radiale ruotante ad elevato numero di giri. Al centro di esso scende, nella quantità voluta, il
concime che, per effetto della rotazione, viene sparso su largo fronte. Anteriormente al disco sono poi
sistemate delle leggere lamiere metalliche verticali atte ad impedire lo spandimento sulla parte anteriore
della macchina.

118
Nel caso in cui si utilizzi il distributore a tubo orizzontale oscillante (cfr. Figura 317), il movimento di
oscillazione del suddetto tubo fa uscire il concime dall'apertura dell'estremità; l’angolo di oscillazione del
tubo può essere regolato, ottenendo così la regolazione della larghezza di lavoro desiderata (cfr. Figura
318).

Figura 317 Spandiconcime a tubo oscillante

Queste macchine hanno una larghezza di lavoro che può giungere con i concimi granulari sino a 10 - 15 m,
riducendosi man mano che il concime diventa di pezzatura più minuta. La loro massa per m di larghezza di
lavoro non supera i 30 kg; la capacità della tramoggia raggiunge i 300 - 400 kg di concime e la potenza
necessaria al traino ed al movimento degli organi lavoranti risulta in genere inferiore ai 10 - 12 kW. Per
evitare che vi siano zone non coperte dal concime è bene sovrapporre le fasce di distribuzione di almeno
un metro così come rappresentato nella figura 318.

Figura 318 Sistema di distribuzione di uno spandiconcime centrifugo su larghezza di lavoro di 15 metri

La limitazione maggiore di queste macchine è data dalla scarsa attitudine a spandere concimi polverulenti;
per gli altri fertilizzanti, di contro, si presentano sotto favorevole luce raggiungendo grandi larghezze di
lavoro connesse con sufficiente uniformità di distribuzione. Questa viene raggiunta, come per il caso degli
spandiliquame, sovrapponendo di 1,5 - 2,0 m le fasce trattate in due passate contigue, si che la larghezza
utile di lavoro raggiunge valori massimi effettivi di 6 - 7 m.

119
Per ovviare alla necessità di frequenti ricariche della tramoggia e ridurre conseguentemente l'incidenza dei
tempi accessori su quello totale di lavoro, sono stati realizzati anche dispositivi di spandimento centrifugo a

due dischi distributori e con capacità della tramoggia sino a 6 - 10 m3, da montare su carri rimorchio. Gli
spandiconcime a due dischi possono essere efficacemente utilizzati anche per la concimazione localizzata
sulle file nelle colture arboree (cfr. Figura 319).

Figura 319 Spandiconcime a due dischi distributori

I valori rilevati nelle prove di campo possono essere rappresentati nel diagramma di Figura 320 che
fornisce la distribuzione trasversale del prodotto; dalla distribuzione ottenuta si possono determinare con
le usuali statistiche e su un numero di prove elevato (non meno di 10) il seguenti parametri:

- valore medio,
- deviazione standard
- coefficiente di variazione (cv),

Nella pratica di campo il coefficiente di variazione cv non dovrebbe superare il 10-15%.

Figura 320 Diagramma della distribuzione trasversale del prodotto

120
16.3.3 Macchine spandiconcime a distribuzione pneumatica

Gli spandiconcime con distribuzione per azione pneumatica (cfr. Figura 321) sono una novità abbastanza
recente nel settore della fertilizzazione a tutto campo e presentano il vantaggio, rispetto ai precedenti, di
una distribuzione più uniforme e meglio regolabile anche con fertilizzanti polverulenti o micro-granulari, in
quanto distribuiscono il concime attraverso più ugelli vicini al suolo.

Figura 321 Spandiconcime pneumatici

Si tratta di una tramoggia di tipo portato posteriormente dalla trattrice, dalla quale, a mezzo di particolari
dispositivi di regolazione della quantità da distribuire consistenti in cilindri dotati perifericamente da piccole
palette e di tipo dentato (diversi di forma a seconda del tipo di fertilizzante e ruotanti a velocità regolabile): il
prodotto cade entro una corrente di aria creata da apposito ventilatore centrifugo, azionato tramite la p. d.
p. (cfr. Figura 322).

Figura 321 Schema di distribuzione di uno spandiconcime pneumatico fornito dei seguenti
organi di lavorazione: tramoggia, rulli dosatori, ventilatore con ripartitori d’aria,
deflettori

L'aria provvede a trasportare il prodotto, a mezzo di tubazioni metalliche, ad una serie di ugelli distributori
disposti verticalmente e col foro di uscita verso il terreno. Tali ugelli sono applicati, a distanze reciproche di

121
0,75 - 0,85 m, su un leggero telaio metallico disposto trasversalmente alla direzione di avanzamento della
trattrice ed avente una larghezza di lavoro che può giungere sino a 10 -12 m. In fase di trasporto,
ovviamente, il telaio - che si trova ad un'altezza dal suolo di 0,60 - 0,70 m - viene ripiegato sino a farlo
rientrare nella sagoma limite dei 2,50 m.
La capacità della tramoggia arriva a massimi di 1.500 litri, mentre le quantità distribuite possono variare da
minimi di 50 a massimi di 1.500 kg/ha, nel caso di fertilizzanti tradizionali e da 4 a 50 kg/ha, per i micro-
granulari.
Le velocità ottimali di lavoro si aggirano sui 7 - 9 km/h; le potenze assorbite sono dell'ordine degli 8 - 12
kW.
La curva di distribuzione trasversale del fertilizzante è più regolare di quella dei modelli centrifughi e non
richiede, in pratica sovrapposizione fra due passate successive.

Nei rari modelli a ruote ad accoppiamento trainante, la capacità della tramoggia giunge sino a 3,5 - 4 m3.
Le macchine per la concimazione localizzata vengono oggi quasi sempre accoppiate alle seminatrici delle
quali fanno parte integrante e verranno pertanto descritte più avanti.

16.4 Macchine seminatrici

La semina è l'operazione colturale che consiste nell'affidare il seme al terreno alla necessaria distanza ed
alla voluta profondità affinché possa ben germinare e ben produrre.
Importante per una buona riuscita dell'operazione di semina è, oltre alla perfetta preparazione del letto di
semina, la quantità di seme da distribuire per unità di superficie e le modalità di distribuzione.
La quantità di seme viene ordinariamente fissata in relazione ai seguenti fattori:
- specie;
- varietà;
- grado di fertilità del terreno.
La distribuzione dei semi deve avvenire in modo uniforme sia in superficie che in profondità.
La semina può effettuarsi (cfr. Figura 322):
- a mano;
- a macchina.

Figura 322 Semina manuale in antica stampa e semina meccanica con moderna seminatrice

122
Con la semina effettuata a mano, date le caratteristiche funzionali dell'operazione, è difficile ottenere quelle
esigenze relative alla quantità di seme da distribuire ed alla uniformità di distribuzione.
In questi ultimi anni tale operazione è stata sostituita quasi completamente da macchine seminatrici che
sopperiscono alle deficienze di quella manuale e inoltre favoriscono una serie di vantaggi di ordine
economico, funzionale ed agronomico.
I vantaggi conseguibili, in funzione anche della coltura e della specie in esame possono così sintetizzarsi:

- specie e varietà da seminare;


- dimensioni e forma dell’appezzamento di terreno;
- quantità specifica (kg/HA) e modalità di distribuzione (t/Ha);

Inoltre, bisogna dire che la semina effettuata a macchina è strettamente correlata all'impiego delle
macchine per la raccolta ed alle loro caratteristiche funzionali.
Per una accurata valutazione della seminatrice vanno analizzati i seguenti organi (cfr. Figura 323)

- gruppo seminatore nel suo insieme


- distributore e tubi adduttori;
- assolcatore;
- copri-semi;
- apparecchiature di comando, regolazione e attacco.

Figura 323 Organi principali di una seminatrice: gruppo seminatore, distributore,


tubi adduttori; assolcatore e copri-semi

16.4.1 Modalità di distribuzione del seme

Le modalità di distribuzione del seme che vengono più frequentemente utilizzate sono:

- a spaglio, quando il seme viene distribuito più o meno uniformemente su tutta la


superficie del terreno;
- a righe, quando il seme viene distribuito entro piccoli solchi paralleli tracciati e
successivamente ricoperti;
- a nastro, quando il seme viene distribuito su una striscia continua larga 8 - 10 cm;

123
- a ciuffetti, quando i semi vengono distribuiti a gruppi più o meno uniformemente
intervallati lungo le file parallele;
- a seme singolo, quando ogni seme viene collocato nel terreno a distanza regolare nelle
file e tra le file.

16.4.2 Macchine seminatrici classificate per modalità di distribuzione

Le seminatrici possono essere trainate, portate (semi-portate) e semoventi.):


Le seminatrici a secondo delle modalità di distribuzione si suddividono nelle seguenti categorie (cfr. Figura
324):
- a spaglio;
- a righe (tipo universale);
- di precisione.

16.4.3 Macchine seminatrici a spaglio

Le seminatrici a spaglio spargono i semi sulla superficie del terreno in modo più o meno uniforme e
successivamente vengono interrati mediante l'impiego di erpici o polivomere.
La semina a spaglio è una antica pratica agricola eseguita senza l’uso di macchine ma con la sola mano
dell’uomo
Ancora oggi viene praticata in regioni in via di sviluppo, o per i cereali ed per risoed in manifestazione
dimostrative (cfr. Figura 324).
Tale operazione può essere eseguita anche a macchina, impiegando gli stessi spandiconcimi centrifughi
già descritti nel capitolo relativo alle macchine impiegate per le concimazioni.

A B C

Figura 324 Semina a spaglio eseguita per cereali (A) per riso (B) e in manifestazione dimostrativa (C)

La semina a spaglio viene ancora oggi praticata nei piccoli appezzamenti per le colture cerealicole.
Tale pratica può essere praticata con le seguenti modalità:
1. preparazione del terreno mediante allontanamento del materiale più
grossolano;
2. spargimento manuale a spaglio della miscela di sementi, che dovranno
essere leggermente ricoperte da terreno;
3. spargimento manuale o con mezzo meccanico di sostanze concimanti e
ammendanti in quantità tale da garantire nutrimento alle sementi nella
prima fase di crescita;
124
4. manutenzione mediante sfalcio per evitare che le specie erbacee a
rapido accrescimento soffochino le specie arboree e arbustive
eventualmente messe a dimora;
5. una semina a strisce può essere impiegata nel caso di quantità di
sementi insufficienti: in tal caso non si ha nel primo anno una copertura
completa, tuttavia la presenza di spazi liberi da vegetazione erbacea
può favorire l’accrescimento delle eventuali specie legnose.

16.4.4 Macchine seminatrici a righe

Le seminatrice a righe (cfr. Figura 324), detta di tipo universale, in quanto può distribuire una vasta
gamma di semi, da quelli più piccoli ai più grandi, opera deponendo il seme in solchetti paralleli ed
equidistanti.

per semi

Figura 324 Seminatrice a righe

Una seminatrice a righe (cfr. Figura 225) si compone delle seguenti parti:

- telaio, tramoggia e apparato distributore;


- corpi adduttori, corpi assolcatori e copri-semi;
- organi di comando, regolazione e attacco.

Figura 235 Seminatrice a righe

125
Il telaio con ruote, costruito con struttura in acciaio comune smaltato, supporta la tramoggia, anche essa in
lamiera di acciaio rivestito o, più modernamente, in laminato plastico, di forma prismatica e a sezione a
forma di trapezio, la cui larghezza può variare da pochi decimetri fino ad un massimo di 6 metri.
Sulla parte inferiore della tramoggia è posizionato un albero longitudinale, munito di appendici di varia
forma, avente la funzione di agitatore e destinato, pertanto, a rimescolare continuamente il seme allo scopo
di mantenere sempre attiva l'alimentazione dei distributori posti in corrispondenza di apposite aperture
praticate sul fondo della tramoggia stessa.

Figura 236 Tramoggia di seminatrice a righe con


meccanismo di convogliamento del seme al
distributore

I distributori costituiscono l'elemento più interessante della seminatrice a righe e sono, normalmente, del
tipo a distribuzione forzata, ossia atti a regolare la quantità di seme da spargere e ad assicurare una buona
uniformità di distribuzione.

Figura 237 Distributore a cilindro scanalato (A) e ad ad alveoli (B)

Nel tipo più comune di distributore forzato l'organo attivo è costituito, in corrispondenza di ciascuna
apertura della tramoggia, da un cilindretto (in bronzo) che presenta sulla periferia delle scanalature a
sezione approssimativamente circolare, dritte o elicoidali (cfr. Figura 237), oppure porta sulla superficie tre
o quattro serie di alveoli, disposte su circonferenze parallele

126
Ciascuna distributore di varia natura e dimensione consente la distribuzione di semi di differenti dimensioni,
dai più piccoli ai più grossi (cfr. Figura 237).
Ogni cilindro ruota, con l'albero comune disposto longitudinalmente lungo il fondo della tramoggia, entro la
camera di distribuzione. Questa, da una parte, comunica con l'apertura praticata nel fondo della tramoggia
stessa, e, dall'altra, col tubo adduttore del seme alla terra.
Con la rotazione del cilindro scanalato (o alveolato) le cariossidi restano per un certo arco della rotazione
stessa racchiuse fra la parete delle scanalature e quella cilindrica della camera e vengono così isolate dal
resto della massa senza che sia loro permesso in alcun caso di sfuggire all'azione del distributore.
Si può regolare la quantità di seme che si deve distribuire, facendo variare la lunghezza utile delle
scanalature in corrispondenza delle aperture della tramoggia, oppure modificando la velocità di rotazione, a
pari velocità di avanzamento, a mezzo di opportuno cambio, continuo o discontinuo. Nel primo caso, si
accoppia a ciascun cilindretto scanalato un opportuno manicotto di guida a parete liscia che non può
raccogliere i semi e che pertanto, penetrando più o meno nella camera di distribuzione, fa
automaticamente variare il numero di semi captabili da ogni scanalatura. La portata massima si ha quando
quest'ultima occupa per intero la camera di distribuzione: quella nulla quando il cilindro scanalato ne resta
completamente escluso.
Per consentire poi la distribuzione di semi di diverse dimensioni, l'albero che porta i rulletti distributori
scanalati può ruotare nei due sensi, permettendo così (cfr. Figura 238) dii scaricare il seme dal di sopra
oppure dal di sotto: il primo sistema serve per lo spargimento delle sementi più grosse (mais, fagioli, piselli,
avena, etc.) e di quelle più minute come le foraggere (e in tal caso si rende elastico il battente superiore
della bocca di uscita mediante una molla di sfioro), mentre il secondo sistema è quello che si usa per la
semina delle cariossidi di media grossezza quali quelle del frumento, dell'orzo, della segale, etc.

Figura 238 Distributore con i due tipi di rotazione del tamburo: con scarico dal disopra (A)
e con scarico dal disotto (B)

Onde evitare, poi, che il seme preso fra i bordi delle scanalature ed il fondo della camera, possa subire
maltrattamenti e al limite rompersi, si munisce il fondo di essa di una molla che, quando qualche seme
resta incastrato, cede evitandone la rottura.

127
Volendo poi, far passare maggiori quantità di cariossidi, si modifica anche il numero dei giri dell'albero
porta rulli.
Per i cilindri ad alveoli, invece, la regolazione viene ottenuta in genere variando la loro velocità di rotazione.
Detti cilindri possono poi anche subire degli spostamenti secondo il loro asse tali da far coincidere con
l'apertura della tramoggia e porre in azione quella serie di alveoli che più si adatta alle caratteristiche
fisiche del seme.
Attualmente, è sempre più diffuso l'impiego delle materie plastiche per la realizzazione dei cilindri
distributori; tale soluzione presenta il vantaggio di ridurre le cause delle lesioni e rotture dei semi.
Il seme uscito dagli apparati distributori cade entro i tubi adduttori che hanno il compito di guidarlo nei
solchetti tracciati sul terreno dagli assolcatori. I tubi adduttori devono essere flessibili ed estensibili, per
potersi adattare agli spostamenti verticali degli assolcatori dovute alle accidentalità del terreno lavorato e
alle necessità di regolazione della profondità di semina, e per rendere possibili spostamenti trasversali
necessari per variare il numero e la distanza delle file. A tal fine si impiegano (cfr. Figura 239) o tubi
d'acciaio di tipo telescopico o, più frequentemente, tubi di materiale plastico flessibile.

Figura 239 Tubi adduttori ed assolcatori di una seminatrice a righe

Alla estremità inferiore degli adduttori sono posti i corpi assolcatori (cfr. Figura 239 A), montati su di un
braccio articolato ad una traversa del telaio della macchina e spostabile lungo di essa. Alla traversa è
collegata anche una robusta leva, comandata dal conducente, che serve per l'interramento ed il
sollevamento dei corpi stessi; la regolazione della profondità di semina si ottiene invece, per i modelli
trainati, con molle a pressione delle quali si varia la tensione spostando il punto di appoggio delle loro
estremità inferiori, rispetto agli organi operatori.
Gli assolcatori possono essere di diversa foggia: disco semplice o doppio, per terreni duri, argillosi, anche
non completamente affinati; a falcione, per i terreni di medio impasto con presenza di erbe e stoppie; a
stivaletto, per terreni sciolti, asciutti e liberi da residui vegetali.
Ogni organo assolcatore è posteriormente munito di un dispositivo copriseme, in genere costituito da alcuni
anelli di ferro disposti a catena, oppure da una forcella o, in taluni casi, da piccoli rulli compressori. Questi
ultimi si mostrano particolarmente utili per alcuni tipi di semi e laddove si presenti la necessità (di clima o di
terreno) di far aderire bene la terra alla semente e di ridurre i vasi capillari.

128
Il movimento dei diversi organi ruotanti può essere derivato direttamente da una delle ruote portanti, solo
nel caso di macchine trainate, oppure dalla presa di potenza. Attualmente le seminatrici utilizzano quasi
esclusivamente quest'ultima soluzione che garantisce una migliore profondità di distribuzione.
La seminatrice a righe viene spesso classificata secondo la sua larghezza di lavoro: i tipi attualmente in
commercio hanno larghezze che variano da minimi di 1,50 m a massimi di 6,00 m, con un numero di file di
semina compreso fra le 10 e le 40.
La capacità operativa di lavoro di una seminatrice a trazione meccanica si mantiene compresa in media fra
2
i 2.000 ed i 4.000 m /h per metri di larghezza di lavoro; la sua velocità di avanzamento è bene non superi i
6 - 8 km/h, anche per non provocare una irregolare distribuzione del seme.
Altri e più moderni tipi di distributori forzati sono quelli ad azionamento pneumatico (cfr. Figura 240).

Figura 240 Seminatrice pneumatica a righe semplice e doppia

La particolarità del principio di funzionamento di queste macchine è data dall'avere la seminatrice un solo
elemento distributore per più tubi adduttori.
Con tale principio vengono sensibilmente ridotte le irregolarità di distribuzione frequenti a riscontrarsi tra i
diversi elementi della stessa seminatrice e si ottiene il vantaggio di operare su larghezze di lavoro notevoli
e a velocità più elevate rispetto alle seminatrici meccaniche, con conseguente incremento significativo della
capacità di lavoro complessiva.
L’ostacolo ad una sua maggior diffusione è costituito dal maggior costo e dalla richiesta di una trattrice di
maggior potenza.
Esistono in commercio seminatrici del tipo pneumatico, costituite da doppio apparato distributore, che
consentono di incrementare ulteriormente la capacità di lavoro, in quanto la larghezza di lavoro si arriva
quasi a raddoppiare superando i 6 metri.

129
Il funzionamento della seminatrice pneumatica viene illustrato nelle Figura 241-242.

Figura 241 Schema di funzionamento della seminatrice pneumatica a righe: Serbatoio (1 e 2);
Distributore-dosatore a rullo scanalato (3); Tubo acceleratore (4); Ventilatore
centrifugo (5); Tubo verticale (6); Coperchio ripartitore (7); Tubo adduttore (8);
Assolcatore (9); Copri-seme (10 e 11).

Dalla tramoggia il seme perviene all’organo distributore-dosatore costituito da un cilindro scanalato e passa
poi in un tubo verticale nel quale agisce una corrente d’aria prodotta da un ventilatore centrifugo. La
corrente d’aria sospinge il seme verso l’alto dove è situato un coperchio ripartitore munito di fori cui sono
applicati i tubi adduttori. Il seme si ripartisce uniformemente nei tubi adduttori e viene quindi convogliato
dalla stessa corrente d’aria verso gli assolcatori.
Una particolare soluzione del modello universale è costituita dalle seminatrici combinate con
spandiconcime.

A B

Figura 242 Apparato distributore di una seminatrice spandiconcime

Tali macchine (cfr. Figura 242 A) sono caratterizzate da due tramogge distinte e accostate (cfr. Figura 242
B), una per il seme e l'altra per il concime, con tubi adduttori generalmente separati e distinti, mentre la
deposizione sul terreno avviene attraverso un'unica serie di corpi assolcatori ponendo praticamente sullo
stesso piano il seme ed il concime, in genere granulare.

130
L'apparato spandiconcime è inoltre dotato di organi distributori ruotanti, di regolatori della quantità, di
organi agitatori del concime e di organi di chiusura.
Questo orientamento è risultato sensibilmente vantaggioso ai fini delle coltivazioni, portando fra l'altro, ad
un notevole risparmio di fertilizzante sparso per ettaro rispetto a quello utilizzato per le concimazioni
generali, ad una maggiore lentezza delle macchine, e ad un sensibile minore impiego di manodopera.
Ad esso hanno fatto seguito realizzazioni più complete che offrono la possibilità della concimazione a
doppio strato: il superiore è posto allo stesso piano del seme e l'inferiore a profondità variabile da 16 a 22
cm (cfr. Figura 243).

Figura 243 Seminatrice combinata con spandiconcime e organi di


lavorazione del terreno per cereali

Macchine seminatrice ancora più complete sono quelle combinate che permettono anche la lavorazione
superficiale del terreno con vari tipi di erpici (cfr. Figura 243). Naturalmente questi tipi di macchine hanno
pregi e difetti rispetto alle macchine semplici, come è facilmente intuibile e la loro scelta è legata
strettamente alle caratteristiche dell’azienda in cui si deve operare. La seminatrice combinata ha il pregio di
effettuare con un solo passaggio più operazioni, ma richiede una trattrice di potenza più elevata a parità di
larghezza di lavorazione.

16.4.5 Macchine seminatrici di precisione

Le seminatrici di precisione o a seme singolo (cfr. Figura 244) vengono utilizzate specialmente per le
colture del mais, della barbabietola da zucchero ed ortive (insalata, cicoria, pomodoro, etc.).
Esse hanno la funzione di affidare al terreno i semi singoli ad intervalli regolari sulla fila ed inter-fila,
ottenendo così una riduzione dei tempi necessari per eseguire l'operazione di diradamento e isolamento
delle piantine con conseguente minore utilizzazione di manodopera, un preciso sesto d'impianto della
coltura a vantaggio delle semplificazioni delle operazioni colturali successive ed infine un risparmio di semi
per unità di superficie (kg/ha).

131
Vantaggi notevoli possono ad esempio ottenersi per l’operazione di raccolta delle barbabietole da
zucchero, in quanto la macchina per la raccolta opera tanto più efficacemente quanto più a distanza
regolare sono le bietole sulla fila e tra le file e quanto più uniforme è la loro grandezza e profondità di
impianto (cfr. Figura 244).

Figura 244 Seminatrice di precisione e particolare del singolo gruppo

Per ottenere tali risultati è necessario che il seme utilizzato abbia una elevata capacità germinativa e
dimensioni piuttosto uniformi. La calibratura del seme è determinante per ottenere un buon assestamento
del seme negli alveoli del distributore e quindi una semina regolare.
Le seminatrici di precisione sono costituite da elementi seminatori indipendenti (cfr. Figura 245); ciascun
elemento porta essenzialmente organi assolcatori, organi distributori, organi ricopritori del seme, una
tramoggia per il seme, organi di trasmissione e regolazione.

Figura 245 Gruppo seminatore di una seminatrice di precisione

Le seminatrici di precisione più moderne (cfr. Figura 246) sono in grado di distribuire oltre al seme
contemporaneamente anche il concime e l’insetticida, per cui ogni gruppo distributore è dotato anche dei
contenitore di tali sostanze e dei relativi organi di distribuzione e regolazione come l’esempio della Figura
246).

132
Nella distribuzione è importante seguire un andamento rettilineo e parallelo. A tale scopo le seminatrici di
precisione sono attrezzate con apposite traccia-file di riferimento, costituite da aste allungabili, munite,
nella parte terminale, di un disco, che lascia una traccia da seguire nel successivo passaggio della trattrice
con una delle ruote anteriori.
La distanza tra le file deve permettere la meccanizzazione integrale delle operazioni colturali, per evitare
che i successivi passaggi della trattrice possano danneggiare le piante. Gli organi assolcatori precedono di
pochi centimetri quelli distributori lasciando un solco aperto destinato a ricevere il seme.

Figura 246 Parti costitutive del gruppo seminatore di una seminatrice di precisione

1 - Molla di regolazione della pressione dell’assolcatore in base alla resistenza


del terreno
2 - Dispositivo di sicurezza a frizione per il disinnesto rapido di un elemento
distributore
3 - Molla di regolazione della pressione dello sparti-zolle
4 - Sparti-zolle autolivellante che sposta lateralmente le zolle derivanti dalla
apertura del solco dello stivaletto spandiconcime e spiana il terreno per la
semina
5 - Stivaletto spandiconcime con tubo adduttore, che permette di deporre il
concime in un solco laterale e più profondo di quello per il seme, evitando
pericolose bruciature
6 - Assolcatore a falcione a forma di dente per evitare che entri della terra ad
ostruire l’uscita dei semi
7 - Insetticida distribuito dallo speciale micro-granulatore
8 - Ruote di compressione normale a V
9 - Elementi posteriori copri-seme

133
A secondo dell'organo di distribuzione che viene utilizzato, distinguiamo due tipi di seminatrici di precisione
e precisamente:

- a distribuzione meccanica;
- a distribuzione pneumatica.

La distribuzione meccanica consiste nell'utilizzare vari tipi di distributori che possono essere:

- a tamburo o cilindro;
- a disco
- a stella
- a nastro
- a cucchiaino

Il distributore a tamburo (cfr. Figura 247 A) è costituito da un cilindro di piccolo spessore avente alla
periferia degli alveoli disposti in una o più file. Gli alveoli hanno forma e dimensioni diverse in relazione alle
caratteristiche del seme che devono contenere. Durante la rotazione del tamburo, i semi affluiscono per
gravità negli alveoli; un rullo limitatore provvede ad eliminare i semi in sovrannumero. Dall'alveolo il seme
viene trasportato fino al foro di uscita che si apre in corrispondenza del tubo adduttore dentro il quale viene
fatto cadere per gravità o per l'azione di un espulsore. Il tamburo è generalmente calettato su un asse
orizzontale il quale, rispetto alla linea di avanzamento della seminatrice, può essere trasversale o
longitudinale.

Figura 247 Distributori a cilindro (A) e a disco (B)

Il distributore a disco (cfr. Figura 247 B) è costituito da un piatto metallico portante alla periferia una o più
serie di fori atti a contenere un solo seme di determinate caratteristiche. Il suo funzionamento è analogo a
quello del distributore a tamburo, ma può consentire rispetto a quello, una semina più veloce. In questo
caso il disco ruota intorno ad un asse verticale o inclinato rispetto all'orizzonte. Il distributore a stella (cfr)
è costituito (cfr. Figura 248) da un disco avente il bordo sagomato in maniera tale da formare degli
alveoli, ognuno dei quali può trattenere un seme e trasportarlo durante la rotazione fino all'imboccatura del
tubo adduttore. Viene così chiamato, in quanto il disco così forgiato può rappresentare vagamente una
stella a molte punte.

134
Durante la rotazione del disco, che è inclinato, scorre entro la parte bassa della tramoggia, trattenendo un
seme per ogni alloggiamento. Il seme viene ad essere liberato ogni volta giunto nella parte alta della
tramoggia.

Figura 248 Distributore a disco

Figura 248 Distributore a stella

Figura 249 Distributore a nastro

Il distributore a nastro (cfr. Figura 249) è costituito da un nastro flessibile provvisto di fori o alveoli che
scorre sul fondo della tramoggia; per gravità i semi alimentano gli alveoli e vengono trasportati in
prossimità del terreno dove terminano nel fondo del solco per gravità o mediante l'aiuto di un organo
espulsore.

Tali distributori vengono utilizzati essenzialmente per la semina delle barbabietole in quanto rispetto a
quelli a tamburo o a disco verticale, provocano minori danneggiamenti ai semi.

135
Figura 250 Distributori a cucchiaino

Il distributore a cucchiaino (cfr. Figura 250) è costituito da un disco che ruota intorno ad un asse
orizzontale e che porta alla periferia numerosi cucchiaini a distanza fissa tra di loro. I cucchiaini durante la
rotazione pescano i semi dal contenitore e li trasportano verso il tubo adduttore. I cucchiaini devono avere
dimensione diversa in relazione alle dimensioni del seme, pertanto viene messa a disposizione una serie di
dischi distributori con cucchiaini di dimensione diversa e intercambiabili tra loro.
La distribuzione pneumatica, a differenza di quella meccanica, avviene mediante l'azione di una leggera
depressione all'altezza del disco distributore che consente l'alimentazione e la conservazione della
posizione dei singoli semi nell'organo distributore.
Il distributore (cfr. Figura 251) ha un disco verticale (uno per ogni fila di semina) munito, lungo una
circonferenza, di fori equidistanti di diametro leggermente inferiore della grossezza del seme; una faccia
del disco è a contatto con parte del seme contenuto nella tramoggia, mentre l'altra faccia a contatto -
tranne che nella sua parte inferiore - con l'apparato aspirante. Durante la rotazione del disco un solo seme
viene trattenuto - per effetto combinato della depressione creata e delle corrente di aria inviata all'interno
della tramoggia da apposito condotto - in corrispondenza di ciascun foro e vi resta applicato sino a che
l'effetto aspirante si fa sentire, dopo di che cade nel tubo adduttore.

Figura 251 Apparato distributore di seminatrice pneumatica

136
I dischi distributori possono essere ad uno o a due file di fori (cfr. Figura 252); in tutti e due i casi comunque
la distribuzione è a singolo seme, in quanto uno sfioratore provvede in ambedue i casi a eliminare i semi in
soprannumero in corrispondenza dei fori facendoli ritornare nel contenitore.

Figura 252 Dischi distributori a uno o due fori

In particolare nel sistema a due file di fori il limitatore a linguetta provvede a spostare un solo seme sulla
fila interna di fori e le fallanze risultano più contenute. In generale però nella distribuzione pneumatica di
precisione risultano quasi nulle e comunque minori di quelle della distribuzione meccanica di precisione.
Il movimento del distributore viene assicurato sia dalle ruote portanti della macchina, sia dalla p. d. p. della
trattrice cui viene accoppiata. Regolando la velocità di rotazione si regola, ovviamente, la distanza di
semina.
Questi modelli pneumatici hanno la possibilità di avanzare in lavoro mantenendo una buona uniformità di
distribuzione dei semi, con velocità sino a 10 - 12 km/h, mentre con i modelli a distribuzione meccanica
difficilmente si raggiungono i 5 - 6 km/h.
La regolazione della distanza di semina sulla fila si può ottenere, o sostituendo i vari dischi distributori,
oppure variando la loro velocità di rotazione in connessione con la velocità di avanzamento.
Le seminatrici di tipo portato da 2 a 6 file e in quelle semiportate, sino a 36 file, sono generalmente
combinate con la concimazione localizzata, abbinando agli elementi seminatori, elementi per la
concimazione costituiti da una tramoggia, da un distributore, tubi adduttori ed assolcatori propri o con
scarico contemporaneamente col seme. Talvolta si accoppiano anche dispositivi per la contemporanea
distribuzione di liquidi diserbanti o fitosanitari in superficie.

16.4.6 Regolazione della distribuzione del seme

Un argomento molto importante nelle macchine seminatrici (come anche negli spandiconcimi) è quello che
riguarda la regolazione di distribuzione della macchina.
Con la regolazione si adeguano e si predispongono gli apparati distributori a fornire al terreno la prestabilita
quantità di seme affinché sia rispettata una data quantità specifica di kg di seme per ettaro.
Tale operazione in questi ultimi anni è stata quasi totalmente automatizzata, mediante l'impiego di cambi di
velocità e con l'ausilio di tabelle applicate sulla macchina che facilitano l'esatta funzione di distribuzione del
seme per vari tipi di specie e varietà.

137
La regolazione della seminatrice è più o meno complessa a seconda delle sue modalità di distribuzione (a
righe o a seme singolo), del tipo di seme e della possibilità di distribuire anche fertilizzanti e fitofarmaci. Nel
caso di una seminatrice a righe semplice la regolazione riguarda:
- la distanza tra le file
- la quantità di seme per ettaro
- l’uniformità di distribuzione longitudinale e trasversale
- la profondità di semina

La distanza tra le file può essere regolata in base alla varietà di seme spostando i corpi seminatori sulla
loro barra trasversale di applicazione, aggiungendo o sottraendone una parte di essi, oppure facendoli
funzionare solo in parte ad esempio facendo funzionare una sola fila nelle seminatrici a due file.
La quantità di seme per ettaro si regola, una volta fissati il numero di file e la velocità di avanzamento della
macchina compatibilmente con la coltura da seminare, agendo sulla regolazione dell’apertura dei
distributori e sulla loro velocità di rotazione. I distributori sono in genere calettati su un unico albero e la loro
apertura è azionata da un’unica leva, mentre la loro velocità di rotazione si può variare attraverso un
cambio di velocità a ruote dentate o a catene (cfr. Figura 253).

Figura 253 Schema di un cambio di velocità a catene per distributore di seminatrice

L’uniformità di distribuzione viene assicurata dalla precisione di costruzione della macchina e dalla iniziale
taratura dei distributori. Le seminatrici moderne non presentano più in genere queso problema considerato
l’alto livello tecnologico raggiunto.
La profondità di semina si regola attraverso lo spostamento verticale degli assolcatori che ricevono il moto
da martinetti azionati da innesti rapidi alla trattrice.
Le seminatrici a righe pneumatiche hanno anche la possibilità di regolare la corrente d’aria in base alle
caratteristiche fisiche dei semi da distribuire.
Le seminatrici di precisione oltre alle regolazioni delle seminatrici a righe hanno la possibilità di regolare la
distanza dei semi sulla fila, il che si ottiene agendo sulla velocità del distributore una volta fissata la
velocità di avanzamento.

138
La regolazione va fatta evidentemente su ogni corpo di semina tenendo conto che ognuno di essi è
indipendente dall’altro e possiede quindi un suo cambio di velocità.
Anche per queste seminatrici se sono di tipo pneumatico si avrà la possibilità di regolare la
decompressione sui dischi distributori.
Le seminatrici combinate dotate di organi per la distribuzione di concimi e fitofarmaci devono avere
evidentemente anche la possibilità di dosare e collocare a dimora le quantità prestabilite di tali sostanze.
Pertanto esse devono essere fornite di organi di regolazione atti allo scopo.
Si segnala infine che le seminatrici possono essere dotate di strumenti computerizzati che permettono di
determinare istantaneamente le caratteristiche di semina durante il funzionamento in campo in modo da
offrire la possibilità all’operatore di poter intervenire immediatamente a correggere eventuali errori.

16.4.7 Semina in terreno non lavorato ( sod seeding )

Il diffondersi della pratica delle lavorazioni ridotte del terreno e in particolare a quella della non lavorazione
(no tillage) ha portato alla necessità di poter seminare anche su terreni sodi.
La semina su sodo riguarda in particolare foraggi e cereali e quindi viene fatta con seminatrici a righe.
Le seminatrici a righe per la semina in sodo hanno particolari caratteristiche dovendo operare in terreni non
dissodati e in presenza dei residui vegetali della coltura precedente.
La differenza sostanziale rispetto alle seminatrici normali riguarda gli organi assolcatori che devono essere
più robusti e conformati in modo tale da essere in grado di aprire un solco in terreno che presenta
evidentemente caratteristiche di resistenza più elevate rispetto ad un terreno lavorato e di evitare che i
residui vegetali possano arrecare ostacolo all’avanzamento della macchina.
Peraltro, le condizioni in cui si presenta il terreno da seminare possono essere anche molto differenti in
relazione alla sue caratteristiche fisiche e alla qualità e quantità dei residui che si trovano su di esso;
pertanto le prestazioni delle seminatrici in sodo (cfr. Figura 254) possono subire variazione anche
consistenti.
Gli assolcatori più utilizzati sono quelli a disco, ma non mancano seminatrici che utilizzano anche quelli a
stivaletto.

139
A B B

Figura 254 Schema di seminatrice per terreni non lavorati e prototipi costruiti
dalle ditte Gaspardo (A) John Dee (B) e Kuhn (C)

Si precisa che le seminatrici no tillage sono dotate degli stessi organi di una seminatrice normale.
Per la semina diretta si possono utilizzare come si è già detto anche seminatrici combinate dotate di
organi di lavorazione superficiale che operano davanti agli organi seminatori.
Anche le macchine per la semina in sodo possono essere combinate con organi per la distribuzione di
concime e fitofarmaci ed effettuare la semina secondo schema di figura 254.
Si può notare come il concime e l’insetticida vengano distribuite su file a diversa profondità.
Le caratteristiche costruttive delle seminatrici di precisione devono essere le seguenti:

- essere in grado di eseguire la deposizione del seme in un unico passaggio


mediante assolcatori a dischi su terreno non lavorato e con presenza di
abbondanti residui colturali;
– eventualmente essere anche dotate di organi lavoranti da anteporre agli
assolcatori costituiti da dischi o stelle di vario tipo, che eseguano una
lavorazione in banda di massimo 15 cm di larghezza e 10 cm di profondità;

140
– essere in grado di eseguire, contemporaneamente alla semina, anche altre
operazioni quali concimazione localizzata, applicazione di soluzioni
erbicide, distribuzione di geo-disinfestanti, attraverso utensili aggiuntivi;
– essere trainate o semi-portate in modo da poter scaricare tutto il loro peso
a terra. Tale caratteristica fa si che il peso generato dalla azione combinata
delle molle di carico e del peso stesso dell’elemento, in ogni caso, sia
potenzialmente superiore a 200 kg per ogni elemento;
– non presentare mai organi lavoranti mossi dalla presa di forza e o
idraulicamente.

Si può notare come il concime e l’insetticida vengano distribuite su file a diversa profondità.

16.5 Macchine trapiantatrici


16.5.1 Generalità
Il trapianto è l'operazione colturale che consente di immettere nel terreno, in pieno campo le piantine
allevate in semenzaio o in vassoi alveolati.
Tale operazione, se eseguita a mano richiede notevole impiego di manodopera e quindi in questi ultimi
anni si è avuto l'introduzione di macchine idonee per meccanizzare l'anzidetta operazione. Le macchine
che vengono impiegate per eseguire tale operazione sono le trapiantatrici e a secondo che si utilizzano
piantine a radice nuda (allevate in semenzaio) o piantine radicate in torba (allevate in vassoi alveolati ), si
possono classificare nel seguente modo:

- trapiantatrici per piantine a radice nuda


- trapiantatrici per piantine radicate in torba

Le trapiantatrici attualmente esistenti in commercio sono, di tipo semiautomatico o agevolatrici, cioè


macchine che richiedono l'ausilio dell'uomo nell'affidamento delle piantine agli organi trapiantatori.
Macchine automatiche, che non richiedono alcun operatore per l'affidamento delle piantine agli organi
trapiantatori, sono già esistenti all'estero (Stati Uniti, Finlandia, Australia ecc.), ma ad oggi non sono state
ancora introdotte in Italia.
La trapiantatrice a secondo degli attacchi alla macchina motrice, può essere portata, trainata o semovente.
Preliminarmente, sembra opportuno segnalare che una certa importanza rivestono le seminatrici per
vivaio, è un settore di grande interesse, per cui ci sembra opportuno descrivere un linea di processo,
scegliendo come esempio quella proposta dalla ditta Urbinati che presenta le seguenti caratteristiche (cfr.
Figura 255 A):

141
A B C D

Figura 255 A Seminatrice per vivaio

La suddetta trapiantatrice è fornita dei seguenti apparati:

- un pannello di controllo (cfr. Figura 255 A) per gestire tutte le funzioni


della linea (A);
- un rullo forma impronte con spazzole di pulizia (B);
- un riempitore caratterizzato da un sistema di avanzamento su nastro, che
assicura un’elevata uniformità di riempimento in tutti gli alveoli, anche in
quelli esterni lungo il perimetro (C);
- un regolazione riempimento del terriccio tramite che permette di
ottenere un riempimento variabile, con densità soffice, media o elevata;
- un gruppo spazzole che elimina il terriccio in eccesso;
- un rullo forma impronta motorizzato che garantisce una posizione centrata
rispetto all’alveolo e una forma perfettamente regolare dell’impronta;.
- un riempitore degli alveoli con sistema autocentrante rispetto al pannello
in polistirolo (D) ;
- un rullo di semina motorizzato con controllo elettronico, da mm 110 di
diametro a 20 gallerie, per un’elevata precisione per piccoli e grandi semi.

16.5.2 Trapiantatrici per piantine a radice nuda

I modelli di trapiantatrici utilizzate per il trapianto di piantine a radice nuda si caratterizzano dall'organo
distributore che può essere a pinza o a dischi.
Esse sono essenzialmente costituite da:
a) un telaio disposto trasversalmente alla direzione di avanzamento;
b) gruppi trapiantatori.

142
Il telaio (cfr. Figura 255 B) è costituito da una o due barre in profilato il quale è dotato di:

- strutture per il collegamento all'attacco a tre punti della trattrice;


- una guida trasversale su cui vengono fissati gli organi
trapiantatori, con la possibilità di regolare la distanza fra le file
richiesta dalla coltura;

- organi di sostegno, costituite da ruote in gomma, che hanno la


funzione oltre a quella di ottenere la posizione della barra più
idonea per la lavorazione, anche quella di essere motrici per la
distribuzione del moto agli organi distributori.

Figura 255 B Telaio di trapiantatrice relativi gruppi trapiantatori

143
Per le operazioni di trapianto, in cui si richiede una distanza fra le file minore di 50 cm, viene ancora
seguito, in molti casi, il trapianto manuale, anche se attualmente per le colture ortive viene eseguito con
operatori disposti su macchine trapiantatrici (cfr. Figura 256).

A B C

D E F

Figura 256 Operazioni di trapianto manuale (A) meccanico con radice nuda (B) con
vasetti di torba o con vassoi di polistirolo (C) e operazioni di trapianto di
colture ortive (D-E-F pomodoro, cavolfiore, peperone)

Per meglio comprendere la esecuzione delle operazioni di trapianto, è opportuno descrivere più
dettagliatamente le caratteristiche costruttive dei gruppi trapiantatori.

Gruppo trapiantatore
Il gruppo trapiantatore è la parte principale della trapiantatrice; esso viene fissato alla barra ed ha la
possibilità di una leggera articolazione, in modo da potersi adattare alle eventuali ondulazioni del terreno.

Figura 257 Gruppo trapiantatore per radice nuda

144
ll gruppo trapiantatore (cfr. Figura 257) è generalmente costituito da:
- due longheroni di collegamento al telaio;
- un sedile su cui trova posto l'operaio che provvede
a fornire le piantine all'organo distributore;
- un assolcatore;
- un organo distributore di piantine;
- un apparato rincalzatore, costituito da due ruote su
cui viene a gravare il peso del carrello e
dell'operaio preposto al rifornimento delle piantine.

L'assolcatore è generalmente costituito da un coltro, da due ali laterali e da un dispositivo per il fissaggio al
gruppo trapiantatore; a volte può esservi montato, anteriormente al coltro, un organo particolare che serve
a frantumare o allontanare le grosse zolle che recano ostacolo alla regolare esecuzione del trapianto; le ali
laterali sono regolabili, in modo da aumentare o diminuire la larghezza del solco.
L'assolcatore può essere costituito anche da un unico elemento, del tipo a stivaletto, come nel caso della
seminatrice.
Come si è detto il distributore é l'organo principale del gruppo trapiantatore; esso può essere
fondamentalmente del tipo a dischi o a pinze.
Il distributore a dischi può essere realizzato con dischi in lamierino metallico o con dischi in gomma. Il
distributore a dischi in lamierino metallico (cfr. Figura 258) è costituito da due dischi contrapposti e inclinati
in modo simmetrico rispetto ad un piano verticale, si che, durante la rotazione, viene assicurato
automaticamente un contatto periferico per un arco esteso (sotteso da circa 120°), e sono posti in
rotazione a mezzo di una trasmissione con ingranaggi.

2 3
1

Figura 258 Distributore in lamierino metallico a dischi rotanti: 1 dischi; 2 segnalatore di


posizionamento della piantina; 3 fori per il fissaggio di dei segnalatori in relazione
alla distanza delle piantine

La disposizione e l'assetto dei dischi è tale che le piantine vengono affidate ai dischi con l'asse quasi
parallelo al piano di campagna e con le radici rivolte verso l'avanti all'inizio del contatto e al cessare di
quest'ultimo sono già infisse verticalmente nel terreno (cfr. Figura 259).

145
Il moto del distributore di piantine è realizzato mediante una trasmissione ad ingranaggi che può prendere il
moto da una delle due ruote rincalzatrici del gruppo trapiantatore o dalle ruote motrici di sostegno del telaio
(cfr. Figura 259).

Figura 259 Schema di funzionamento del distributore

Il distributore con dischi in gomma (cfr. Figura 260) viene montato con gli assi dei dischi, orizzontali e
coassiali, disposti ortogonalmente alla direzione del moto. Il contatto periferico dei due dischi é assicurato
da due serie di quattro rullini - una serie per ogni disco - portati da bracci porta-rullini, montati con
interposta molla di pressione, su un settore metallico e agenti dall'esterno e lateralmente al disco cui si
riferiscono.

Dischi di gomma

Figura 260 Distributore a dischi in gomma: 1 dischi in gomma; 2 rullini che


permettono il contatto dei dischi; 3 braccio porta-rullini; 4 molla di
pressione; 5 settore metallico; 6organi distanziatori dei dischi.

Pur essendo il settore metallico ampio 105° circa, il contatto effettivo fra i due dischi si realizza per circa
140°. Le superfici dei dischi sono lisce sul lato esterno, e dall'altro lato interno presentano sporgenze
stampate, derivanti da intersezioni di circonferenze concentriche e di diametri in risalto, cosi da poter
consentire una migliore aderenza fra le piantine e l'organo distributore, oltre che servire da indicatori per
l'affidamento delle piantine da parte dell'operatore.

146
La trasmissione del moto al distributore è simile a quella descritta per il distributore a dischi metallici.
Il distributore a pinze è costituito da una serie di organi prensili (pinze), posti alla periferia del distributore,
la cui chiusura può essere comandata a scatto con pressione manuale dell’operaio o da un settore
circolare, mentre l’apertura è comandata sempre da settore circolare (cfr. Figura 261).
Il distributore a pinze con chiusura a scatto è realizzato in due modelli diversi: può essere fornito di 4, 6 o 8
pinze, il secondo 16, 24 o 32 pinze.

A B

Figura 261 Distributore con chiusura a scatto (A) e con chiusura a settore circolare (B)

La piantina viene interposta dall'operaio fra le due parti di cui è costituita ciascuna pinza (cfr. Figura 262).
In tale momento, l'operaio esercita una leggera pressione con le dita sulla estremità, la quale subisce una
leggera rotazione intorno all'asse del perno e consente, nello stesso tempo, all'estremità opposta di
svincolare l'altra parte dell'organo prensile. Questa parte, anche per effetto dell'azione di una molla, ruota
intorno a se stessa e permette che l'estremità superiore vada a contatto della piantina, vincolando cosi
definitivamente la stessa. In tal modo, l'operaio può lasciare la piantina che resta affidata al distributore.

Figura 262 Distributore a pinze a scatto.

Successivamente, quando la piantina deve essere deposta nel terreno, un settore circolare fisso, venendo
a contatto con l'estremità inferiore dell'organo vince la resistenza della molla e permette l'apertura della
pinza in modo che la piantina venga affidata al terreno.

147
La pinza, poi, rimane aperta e pronta per la deposizione di una nuova piantina. La tensione della molla
deve essere regolata in modo da non danneggiare le piantine.
Il distributore a pinze con chiusura comandata da settore circolare può portare un numero di pinze da 1 a
12.
Il moto al distributore della trapiantatrice avviene o dalle ruote di appoggio al telaio o dalla ruota
rincalzatrice.
La regolazione della distanza di trapianto si ottiene o con la sostituzione dell'ingranaggio montato sul
distributore o variando il numero delle pinze montate sul distributore, oppure nelle moderne trapiantatrici, in
cui il moto è distribuito dalle ruote motrici di appoggio, tramite il cambio di velocità ad innesto rapido che
viene tarato per la perfetta regolazione della distanza tra le piantine sulla fila.
L'apparato rincalzatore-costipatore è costituito da due ruote aventi assi obliqui rispetto ad un piano
verticale e concorrenti verso l'alto; l'azione di chiusura del solco con conseguente compattazione del
terreno vicino alla piantina messa a dimora, ha anche la funzione di trasmettere con un sistema a catene il
movimento agli organi distributori.
La profondità del solco, l'apertura delle ali del solcatore, la sua distanza dalle ruote rincalzatrici, il modo in
cui la piantina viene deposta nel distributore e l'istante in cui viene lasciata, sono tutti elementi che vanno
stabiliti e regolati in modo che il trapianto, al variare delle dimensioni e della specie della piantina da
trapiantare e della costituzione del terreno, avvenga nel modo migliore possibile e cioè alla distanza e alla
profondità volute e con sufficiente apporto di terreno verso la piantina.
La capacità di lavorazione di queste trapiantatrici viene espressa in piantine/h ed è pari a circa 1300-2500
piantine/h con una velocità di avanzamento di 0,6 m/s, mentre la potenza necessaria, sempre per ogni
organo trapiantatore, può ritenersi dell'ordine degli 1 - 1,5 kW.
Nel trapianto semiautomatico la qualità di lavorazione delle trapiantatrici viene espressa in % di fallanze e
cioè di piantine che non attecchiscono.

16.5.3 Gruppo trapiantatore per piantine radicate in torba

Il trapianto di piantine radicate in zollette di torba, di forma piramidale o tronco conica, è una tecnica andata
sempre più diffondendosi, in quanto si è constatato che, trapiantando una piantina allevata in vassoio
alveolato cioè radicata in torba, si hanno notevoli vantaggi di ordine agronomico e organizzativo e la
percentuale di piantine attecchite è pari circa al 100% (cfr. Figura 263).

Figura 263 Piantine radicate in zollette di torba, di forma piramidale o tronco conica

148
Da un punto di vista costruttivo, le trapiantatrici di piantine radicate in torba, si differenziano da quelle
utilizzate per il trapianto di piantine a radice nuda solo per la conformazione dell’organo distributore (cfr.
Figura 264), ma con organi di lavorazioni molto più robusti.
Le macchine trapiantatrici per piantine radicate in torba più diffuse sono quelle a tazze a fondo apribile;
ma possono essere utilizzate anche le trapiantatrici tradizionali, a pinze o a dischi. con organi distributori
adattati per le piantine radicate in torba.

Figura 264 Macchine trapiantatrici per piantine radicate in torba

La trapiantatrice a tazze (cfr. Figura 264) è costituita da un telaio metallico, collegato all'attacco a tre punti
della trattrice agricola, che sostiene un numero variabile di elementi trapiantatori (da 2 a 6), il cui
collegamento al telaio è regolabile in modo da consentire distanze di trapianto fra le file comprese fra 0,30
e 0,60 m.
Per assicurare sufficienti spazi operativi agli addetti, i gruppi trapiantatori, invece di essere collegati in
linea, sono collegati al telaio sfalsati.

Gruppi anteriori Gruppi posteriori

Figura 265 Macchine trapiantatrici per piantine radicate in torba montate sfalsate

L'apparato distributore può essere costituito da una piastra quadrangolare, ottenuta in fusione di alluminio,
che ruota intorno ad un asse verticale o ad un asse orizzontale tramite una trasmissione meccanica
azionata dalle ruote rincalzatrici o dalle ruote di sostegno e motrici (cfr. Figura 266).

149
Per quel che riguarda il distributore rotante con le pinze disposte alla sua periferia, un distributore a catena
verticale (cfr. Figura 266), permette alle pinze ad essa collegate di compiere un moto verticale fino a
portarsi all’altezza del busto dell’operaio, in modo da evitare il suo piegamento in avanti per depositare le
piantine. Tale trapiantatrice può essere utilizzata sia per piantine a radice nuda che per piantine radicate in
torba.

Figura 266 Trasmissione meccanica azionata dalle ruote rincalzatrici o dalle ruote di sostegno
motrici per garantire il moto del distributore di piantine

Ciascun elemento trapiantatore della trapiantatrice a tazze è costituito da:


- un apparato distributore ad alimentazione discontinua manuale;
- un espulsore che sospinge le piantine nel solco predisposto
dall'organo assolcatore;
- una coppia di ruote metalliche rincalzatrici, ad asse inclinato, che
provvede anche alla derivazione del moto dei vari organi in
movimento e che costituisce, nello stesso tempo, elemento di
supporto per la macchina trapiantatrice;
- un sedile, dove prende posto l'operatore addetto ad alimentare il
distributore;
- un leggio portacassette a 4 posti.
Al di sotto della piastra orizzontale, che presenta da 4 a 6 tazze simmetricamente disposte e dotate di un
collare tronco conico verso il basso, sono incernierate, in corrispondenza di ciascun foro, due valve che
vanno a delimitare altrettanti contenitori a forma conica, che consentono di convogliare le piantine al tubo
collettore che consente alla piantine di inserirsi per gravità nel solco creato dall’organo assolcatore (cfr.
Figura 267).

Figura 267 Gruppo distributore della trapiantatrice a tazze

150
Il trapianto viene eseguite nel seguente modo, le due valve si mantengono normalmente chiuse per gravità
trattenendo, grazie anche alla loro forma conica, le piantine in posizione eretta; l'azione di una camma,
vincolata ad una parte fissa della macchina, determina l'apertura sincronizzata delle varie tazze allorché
queste, ruotando, vengono a trovarsi in corrispondenza del tubo adduttore solidale al telaio della
trapiantatrice (Figura 267).
Le piantine, non più sostenute, cominciano cosi a muoversi e, in caduta libera all'interno di un tubo di guida
verticale, raggiungono la quota in cui verranno messe a dimora fermandosi per un istante all'interno
dell'organo assolcatore in una zona dove le due scarpette sono ancora molto ravvicinate in basso: il
sopraggiungere dell'espulsore imprime alle piantine una velocità di verso opposto a quella di avanzamento
della macchina sospingendole verso la parte posteriore dell'organo assolcatore e affidandole cosi
definitivamente al terreno.
L'organo espulsore, azionato anch'esso dalle due ruote rincalzatrici o ruote di sostegno tramite una
trasmissione meccanica, é costituita da un braccio, dotato di moto rotatorio alternativo, che porta alla sua
estremità inferiore una paletta avente un profilo prossimo a quello interno dell'assolcatore.
I vari movimenti e precisamente quello dell'espulsore e dell'organo distributore sono sincronizzati avendo i
vari complessivi un rapporto di trasmissione invariabile: per ogni giro dell'apparato distributore, l'espulsore
compie un numero di andata e ritorno, tante quante sono le piantine affidate alle tazze. In particolare,
l'apertura delle valve di una tazza inizia quando l'espulsore sta compiendo la sua corsa di ritorno, mentre
raggiunge la massima apertura quando l'espulsore si trova nella sua posizione estrema consentendo cosi
alla piantina di raggiungere l'assolcatore un istante prima del sopraggiungere dell'espulsore che la
intercetta sul tratto finale della sua corsa utile di andata, in verso opposto a quello di avanzamento della
macchina trapiantatrice.
Per quanto riguarda le possibilità di distanziamento delle piantine sulla fila, è determinante il rapporto di
trasmissione tra il distributore e le ruote rincalzatici (motrici); sono allo scopo utilizzati rocchetti
intercambiabili in grado di realizzare un rapporto di trasmissione variabile da 1/2 a 1/1. In pratica quindi la
distanza teorica di trapianto sulla fila può variare, in funzione dell'accoppiamento adattato, da un minimo di
25 cm ad un massimo di 50 cm e cioé tra un ottavo ed un quarto della circonferenza delle ruote
rincalzatrici. Distanze multiple potrebbero evidentemente ottenersi anche alimentando con sequenze
alternate il distributore. Il gruppo trapiantatore a tazze può essere costruito con distributore rotante
intorno ad asse orizzonta come viene rappresentato nella Figura 268.

Figura 268 Trapiantatrice a tazze con distributore rotante intorno ad asse orizzontale

151
Le trapiantatrici a dischi e a pinze non sono altro che le stesse macchine utilizzate per il trapianto delle
piantine a radice nuda alle quali è stato modificato il sistema di supporto della piantina all’organo
distributore per non danneggiare il cubetto di torba contenente la radice (cfr. Figura 269).

Figura 269 Distributori a dischi e a pinze modificati per piantine radicate in torba

La modifica consiste nell’applicare sia nel distributore a dischi che nel distributore a pinze delle forcelle che
fungono da supporto al pane di terra evitando così la sua frantumazione.

16.5.4 Gruppo trapiantatore con distributore rotante

Il gruppo trapiantatore con distributore rotante ad asse verticale è provvisto di un distributore in genere a
6-12 tazze a fondo apribile, con distanza inter pianta molto ravvicinata (minimo 8 cm) c consente una
produzione oraria di circa 3/4000 piante/ora.
Il gruppo è applicabile per trapiantare con rapidità e precisione piantine di specie orticole, floricole, da
vivaio, radicate in zolla di forma cilindrica o conica.

Figura 270 Gruppo trapiantatore con distributore rotante ad asse verticale

In questo settore in questi ultimi anni vi è stata una forte evoluzione, con macchine studiate per il trapianto
su più file che, con un solo operatore, può essere utilizzata su terreni baulati senza l’utilizzo del
conducente poiché equipaggiata con un pannello di controllo posteriore di ultima generazione che
consente agli operatori preposti al carico delle piante di controllare la quasi totalità delle funzioni di guida
della macchina.

152
Oltre a questo il pannello di comando permette di controllare la profondità di lavoro e la pressione dei corpi
di trapianto nonché di registrare su una scheda il numero di piante trapiantate (cfr. Figura 271).

Figura 271 Trapiantatrice senza l’utilizzo del conducente equipaggiata


con un pannello di controllo automatico

Molto interessati sono, anche le trapiantatrici studiate per operare su terreni baulanti, eventualmente
predisposti anche con coperture in matera plastica predisposte per produzioni orticole di pregio (cfr.
Figura 272).

Figura 272 Trapiantatrici per operare su terreni baluati ed utilizzo di films plastici

Bibliografia
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Annali della Facoltà di Agraria di Perugia, Perugia 1953.

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(2013) BARALDI G. ”Innovazione tecnologica nella filiera agroalimentare” Atti della Accademia
Nazionale di Agricoltura, Ferrara 17 novembre 2013.

154
CAPITOLO XVIII

MACCHNE PER LA LOTTA ANTIPARASSITARIA

17.1 Introduzione

La lotta contro i parassiti animali e vegetali è rappresentata da qualsiasi azione intrapresa dall'uomo,
avente come oggetto la prevenzione, la riduzione o l'eliminazione del danno causato da un organismo
nocivo; i possibili diversi tipi di lotta a seconda dei mezzi, fisici, chimici, biochimici oppure biologici,
impiegati per attuarla, sono stati utilizzati dall'uomo da lungo tempo, al fine di limitare o evitare i danni
provocati dai parassiti.
La difesa sistematica delle piante con prodotti fitosanitari ebbe inizio con la scoperta della proprietà
fungicida del solfato di rame avvenuta oltre un secolo fà; ma solo a partire dagli anni ’50 del secolo
scorso, grazie alla disponibilità dei nuovi insetticidi e fungicidi di sintesi, si sono sviluppati sistemi di lotta
definitivi per risolvere i principali problemi relativi alla difesa delle colture (cfr. Figura 273); questa fase fu
caratterizzata dall’uso crescente di prodotti chimici, con la conseguente radicale trasformazione dei sistemi
di coltivazione, accompagnata da considerevoli aumenti della produttività.

Figura 273 Parassiti e sistemi di lotta per risolvere i principali problemi


relativi alla difesa delle colture

Attualmente, oltre ai sistemi di difesa convenzionali, si vanno affermando metodologie più rispettose dei
delicati equilibri dell’ecosistema agrario, allo scopo di ridurre gli inconvenienti e rendere economicamente
sostenibile l’applicazione della difesa delle piante e pertanto nel corso degli anni si sono affermate in
relazione all’aumentare delle conoscenze di natura chimica e biologica le seguenti metodologie di difesa
fitosanitaria:
- lotta a calendario;
- lotta guidata;
- lotta biologica;
- lotta integrata (cfr. Figura 274 A).

155
Lotta a calendario Lotta guidata Lotta biologica Lotta integrata

Figura 274 A Classificazione dei sistemi di lotta antiparassitaria

La lotta a calendario si basa sull’esecuzione di trattamenti preventivi ripetuti a intervalli di tempo


determinati, esclusivamente in funzione delle fasi fenologiche delle colture (risveglio vegetativo, fioritura,
presenza di frutti) e senza tenere conto dell’effettiva presenza di parassiti o del rischio reale di sviluppo
delle malattie.
La lotta guidata è stata introdotta al fine di razionalizzare l’uso delle sostanze chimiche nella difesa delle
colture, utilizzando il concetto di soglia di intervento o soglia economica, secondo il quale il trattamento va
eseguito solo quando le avversità raggiungono una pericolosità tale che le eventuali perdite da esse
determinate equivalgono il costo da sostenere per un eventuale trattamento di controllo.
La lotta biologica consiste nell’uso di antagonisti naturali per contenere le popolazioni degli organismi
dannosi; i primi importanti successi di lotta biologica si ebbero nel secolo scorso, contro insetti esotici
importati da altri ambienti, prelevando e trasferendo sulle colture infestate gli entomofagi (insetti predatori e
parassiti di insetti nocivi) più attivi nell’area d’origine; infatti si possono ottenere risultati interessanti di
lotta biologica eseguendo nelle colture lanci periodici sia con microrganismi patogeni (funghi, virus,
batteri, protozoi), o impiegando formulati a base di Bacillus thuringiensis, (batterio in grado di provocare la
morte degli insetti che ne ingeriscono le tossine) o più recentemente, a livello sperimentale, sono stati
impiegati funghi entomo-parassiti e nematodi.
La lotta integrata, infine, può essere considerata come un’evoluzione della lotta guidata poiché ne
condivide le finalità, prendendo in considerazione alcuni fattori aggiuntivi, come l’uso razionale di tutti i
mezzi di difesa disponibili (biologici, biotecnologici, agronomici e chimici), per mantenere i parassiti delle
piante al di sotto della soglia di intervento; questa metodologia si fonda nel creare e mantenere le
condizioni ottimali di sviluppo delle piante, riducendo in questo modo la loro suscettibilità alle avversità e,
di conseguenza, la necessità di ricorrere all’uso degli antiparassitari.
L’applicazione della lotta antiparassitaria richiede i seguenti interventi:

- monitoraggio dei parassiti delle piante e conoscenza dei loro cicli vitali al fine di
effettuare i trattamenti nei momenti di loro maggiore vulnerabilità;
- monitoraggio degli organismi utili presenti sulla coltura;
- verifica della soglia d’intervento di ogni parassita;
- scelta dei principi attivi in funzione della loro efficacia, della ridotta tossicità e
della selettività nei confronti degli organismi dannosi;
- conoscenza degli aspetti ambientali e colturali influenti sullo sviluppo dei
parassiti.

156
Attualmente è disponibile una vasta gamma di macchine e di attrezzature per la lotta antiparassitaria: dalle
tradizionali pompe a mano alle più recenti macchine irroratrici, agli atomizzatori, alle impolveratrici,
nonché ai mezzi aerei ove consentiti.
Pertanto si vogliono esaminare sinteticamente, prima le tradizionali macchine utilizzate per la lotta
antiparassitaria, procedendo ad una breve classificazione, per poi soffermarsi più dettagliatamente sulle
nuove macchine e che hanno incontrato maggior successo e le cui prestazioni sono ancora oggi oggetto
di studio e di osservazioni in vari ambienti agrari (cfr. Figura 274 B).

A B C D E

Figura 274 B Macchine per la distribuzione dei fitofarmaci: irroratrici (A), atomizzatori (B),
impolveratrici (C), aereo-plani (D), elicotteri (E)

Le macchine per la distribuzione dei fitofarmaci sono principalmente caratterizzate in funzione delle
sostanze da distribuire e del loro stato fisico, per cui è importante conoscere tali sostanze e la loro
classificazione. Si riportano pertanto qui di seguito le caratteristiche chimico fisiche fondamentali dei
fitofarmaci utilizzati in agricoltura e successivamente si esamineranno in dettaglio le caratteristiche
tecniche principali delle macchine utilizzate per la loro distribuzione.

Fitofarmaci

Le sostanze utilizzate per la lotta antiparassitaria possono suddividersi in tre gruppi:

a) composti inorganici
b) composti organici
c) olii.

a) I composti inorganici sono costituiti in genere da composti a base di rame, mercurio, argento, nichel,
zolfo, potassio, bario, arsenico, boro, fluoro, zinco. Essi sono di origine minerale e il loro meccanismo di
azione sembra non essere molto specificatamente definito, si precisa che vi è ancora qualche incertezza
sul modo con cui il rame, mercurio, argento, nichel ecc. esercitano la loro azione tossica.

b) I composti organici più utilizzati e pertanto dotati di lunga tradizione d'uso, sono l'aldeide formica, il
dicloruro etilico, il di-bromuro etilico, il bromuro metilico e vari solfo-cianuri. Tali prodotti sono di origine
sintetica ed alcuni sono stati usati per molti anni; ma oggi sono stati soppiantati da nuovi gruppi di composti
chimici organici per la irrorazione come:
- i nitro derivati di fenolo e creolina;

157
- gli idrocarburi clorurati;
- il Texaphene, il Chlordane, l'Aldrin, il Dieldin;
- gli esteri fosforici, come il parathion, il malathion;
- i vapori di benzene e il Karathane

c) Gli olii minerali trovano ancora oggi una larghissima diffussione in agricoltura. Essi derivano dalla
distillazione frazionata del petrolio 300° - 400° C. Tali distillati vengono poi sottoposti a trattamenti chimici
per ottenere quei composti dotati di spiccata fitotossicità. Gli olii sono usati da soli o in aggiunta al
materiale di irrorazione come agenti di aderenza, stabilizzanti e condizionanti.

17.2 Classificazione delle macchine per la distribuzione dei fitofarmaci

Le macchine utilizzate per la distribuzione dei fitofarmaci possono classificarsi, come già innanzi
detto in:
- irroratrici (A);
- atomizzatori (B);
- impolveratrici (C)
- mezzi aerei (areoplani ed elicotteri) (E)

Le irroratrici (cfr. Figura 174 C) , dette anche operatrici a getto proiettato, sono apparati in cui il liquido
fuoriuscendo dalla macchina acquista velocità per effetto della sua pressione e della forma degli ugelli a
sezione ristretta opportunamente conformati. La frantumazione del getto liquido in goccioline è quindi
dovuta alla all’azione meccanica degli ugelli che trasformano la pressione del getto liquido in energia
cinetica di piccole goccioline che vengono convogliate verso l’apparato fogliare.

IRRORATRICI

Figura 274 C Macchine per la distribuzione dei fitofarmaci: irroratrici

Gli atomizzatori (cfr. Figura 174 D), detti anche operatrici a getto portato, sono macchine operatrici che
utilizzano una corrente d’aria ad elevata velocità per il trasporto del liquido. La frantumazione in questo
caso è dovuta in parte alla pressione del getto liquido fornito da una pompa, ma soprattutto all’azione
pneumatica della corrente d’aria che frantuma il suddetto getto in piccole gocce.

158
ATOMIZZATORI

Figura 274 D Macchine per la distribuzione dei fitofarmaci: atomizzatori

Le impolveratrici (cfr. Figura 274 E) eseguono la distribuzione delle polveri del fitofarmaco per areo-
convezione che avviene per mezzo di una corrente d'aria fornita da un ventilatore che provvede al
trasporto delle particelle solide sulle piante da trattare; questi trattamenti vengono utilizzati
prevalentemente per le colture arboree, ma in particolare per le colture arbustive(vigneti).

IMPOLVERATRICI

Figura 274 E Macchine per la distribuzione dei fitofarmaci: impolveratrici

I mezzi aerei (cfr. Figura 274 F) utilizzabili possono essere sia areoplani leggeri che elicotteri (cfr.
Figura 274 G) sui quali vengono montati gli apparati per i trattamenti contro i parassiti; il principio di
frantumazione del getto è però diverso per i due velivoli. Infatti, mentre nell’aereo, per effetto della
notevole velocità del mezzo, si generano forti correnti d’aria in prossimità degli ugelli che
conseguentemente modificano le car (cfratteristiche del getto dopo la emissione dall’apparato di eiezione,
per l’elicottero, invece, l’effetto della turbolenza dell’aria provocato dal rotore è prevalente sulla velocità di
avanzamento del vettore; inoltre, quando l’elicottero si trova in volo stazionario, il moto del rotore genera
una forte corrente d’aria in direzione verticale dall’alto verso il basso.

TRATTAMENTI
CON AEREI

Figura 274 F Distribuzione dei fitofarmaci con aerei

159
TRATTAMENTI
CON ELICOTTERI

Figura 274 G Distribuzione dei fitofarmaci con elicotteri

La diffusione di tali mezzi in Italia non ha avuto pieno successo, a causa di alcune difficoltà di ordine
psicologico, organizzativo, sociale e di costituzione fondiaria ( piccoli appezzamenti); comunque la
tempestività, la rapidità e talvolta la simultaneità di azione dei trattamenti insetticidi e di quelli
anticrittogamici, hanno determinato l'impiego, negli ultimi anni, di aeroplani e di elicotteri specialmente nella
difesa degli oliveti di Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna oltre che di alcuni vigneti e frutteti collinari dove
solo con il mezzo aereo, ed in particolare con gli elicotteri, sembra possibile agire.

17.3 Macchine irroratrici

La somministrazione dei fitofarmaci liquidi viene eseguita, in genere, come già innanzi detto, con le irroratrici
che vengono suddivise in:

- irroratrici a getto proiettato o a pressione


- irroratrici a getto portato da corrente d’aria ( dette anche atomizzatori)

Le irroratrici a getto proiettato sono apparati in cui il liquido fuoriuscendo dalla macchina acquista velocità per
effetto della sua pressione e della forma degli ugelli a sezione ristretta opportunamente conformati. La
frantumazione del getto liquido in goccioline è quindi dovuta alla all’azione meccanica degli ugelli che
trasformano la pressione del getto liquido in energia cinetica di piccole goccioline che vengono convogliate
verso l’apparato fogliare.

Gli atomizzatori, detti anche operatrici a getto portato, sono macchine operatrici che utilizzano una corrente
d’aria ad elevata velocità per il trasporto del liquido. La frantumazione in questo caso è dovuta in parte alla
pressione del getto liquido fornito da una pompa, ma soprattutto all’azione pneumatica della corrente d’aria che
frantuma il suddetto getto in piccole gocce.

17.3.1 Le irroratrici a getto proiettato

La funzione di una irroratrice viene definita da BROUSON e ANDERSON, nell'Annuario del Dipartimento
dell'Agricoltura degli Stati Uniti del 1952, come « quella di suddividere il liquido in goccioline di dimensioni
efficaci e distribuirle uniformemente sulla superficie che deve essere protetta ».
160
Le irroratrici a getto proiettato sono quelle in cui il liquido fuoriuscendo dalla macchina acquista velocità per
effetto della sua pressione e di ugelli a sezione ristretta opportunamente conformati. La frantumazione del
liquido in goccioline è dovuta esclusivamente all’azione meccanica degli ugelli .
Poiché la quantità di acqua utilizzata per la distribuzione è tanto minore quanto più elevato è il grado di
frantumazione del liquido, si avrà che le macchine atomizzatici potranno impiegare, a parità di quantità specifica
di fitofarmaco distribuito, un volume specifico (per ettaro) di acqua più basso di quello delle irroratrici a
pressione, in quanto rispetto ad esse hanno un grado di frantumazione maggiore con un diametro medio delle
goccioline minore di 150 micron. Mentre tra le irroratrici a pressione con diametro delle goccioline superiore ai
150 micron impiegheranno un più basso volume d’acqua quelle che utllizzano una pressione maggiore.
Un'altra funzione è quella di regolare la quantità di fitofarmaco, per evitare un'applicazione eccessiva che
potrebbe provocare danni alle piante o sprechi inutili, in quanto un trattamento antiparassitario risulta
particolarmente efficace ed economico quando il liquido è ridotto alle opportune dimensioni ed è somministrato
nelle opportune quantità.
Una macchina o un'attrezzatura per somministrare le sostanze necessarie ad eseguire la lotta contro i parassiti
delle piante (funghi, insetti, erbe infestanti), pur potendo variare nei particolari fra i diversi tipi costruttivi ed in
relazione alle modalità di somministrazione, tuttavia consta sempre essenzialmente delle seguenti parti (cfr.
Figura 275):
a) un contenitore,
b) una macchina generatrice di pressione,
c) tubazioni varie di collegamento,
d) uno o più ugelli,
e) un regolatore di pressione,
f) un indicatore di pressione,
g) accessori in genere (filtri, valvole di controllo ecc.).
e) un ventilatore assiale o centrifugo nel caso degli atomizzatori

Figura 275 Macchina irroratrice

Per rifornire rapidamente il serbatoio ( detto anche cisterna) vi può essere un eiettore che viene collegato
alla mandata della pompa ed alla cisterna (cfr. Figura 276).

161
Figura 276 Schema di funzionamento dell’eiettore con particolare del sistema di collegamento

L'agitazione idraulica si ottiene con ritorno nel serbatoio di parte del liquido aspirato: in genere i 2/3 del
liquido pompato dovrebbero essere in grado di tornare nel serbatoio per ottenere una miscelazione
sufficiente.
La pompa ha il compito di prelevare il liquido dal serbatoio e portarlo agli ugelli ad una pressione medio-
elevata, bassa o bassissima a seconda dei casi.
Sono diffuse pompe di tre tipi: a membrana, a pistoni e centrifughe. Le prime due sono alternative, mentre
la terza è rotativa. Di gran lunga più diffusa è la pompa a membrana, caratterizzata da una buona
resistenza all’abrasione ma sensibile all'attacco chimico. Presentano una portata massima tra i 50 ed i 150
litri/min. Sono più frequentemente applicate agli atomizzatori classici del tipo ad aero-convezione. Le
pompe a pistoni sono generalmente usate per trattamenti che richiedono elevate pressioni: hanno portate
estremamente variabili fra i 20 ed i 200 litri/min.
Le pompe rotative invece, hanno piccoli ingombri e possono funzionare direttamente collegate alla presa di
potenza della trattrice. Si prestano per portate variabili tra i 100 ed i 200 litri/min.; le pressioni che si
raggiungono sono limitate e in genere non superano i 5-6 bar.
Le pompe centrifughe trovano una crescente applicazione su macchine di grosse dimensioni con portate
fino a 900 litri/min. con pressioni di esercizio relativamente ridotte (massimo 10 bar).
Le pompe a membrana ed a pistoni richiedono, per limitare il fenomeno pulsante, l'inserimento sul circuito
di un ammortizzatore idropneumatico, costituito da una camera d'aria separata dal liquido per mezzo di
una membrana. La pressione della camera d'aria deve essere pari ai 9/10 della pressione di esercizio
utilizzata per il trattamento. Ai fini della regolarità di portata e, quindi, di uniformità di regolazione e
polverizzazione, risulta della massima importanza una buona regolazione di tale sistema.
Esaminiamo, ora più dettagliatamente, le macchine irroratrici a pressione, cioè quelle macchine che
riescono a distribuire il liquido in goccioline con diametro superiore ai 150 micron.
Il diametro di tali goccioline varia a seconda della pressione di esercizio che tali macchine realizzano;
difficilmente però scende al di sotto di 150 micron; la pressione realizzabile con le macchine irroratrici può

raggiungere e talvolta superare gli 80 kg/cm 2 (si ricorda che 1kg è pari a circa daN). In pratica, però, al
crescere della pressione, vi è una tendenza alla riduzione dell'aumento delle portate e poiché la maggior
finezza delle goccioline non compensa la maggiore spesa di energia necessaria per raggiungere tale

pressione usualmente non conviene superare la pressione di 30 kg/cm 2.

162
Le irroratrici a pressione vengono, in genere, più utilizzate per le colture erbacee e per la distribuzione si
servono di una barra porta-ugelli di larghezza variabile che può raggiungere a piena apertura anche 40
metri ed oltre di larghezza, consentendo notevoli capacità di lavoro (cfr. Figura 277).

Figura 277 Irroratrice con barre fino a 40 metri di larghezza

L’irroratrice a barre è in genere di tipo portato o trainato, in casi particolari anche semovente. La barra è
costituita da più elementi ripiegabili in fase di trasferimento, con azionamento meccanico o idraulico. Per
lunghezze considerevoli la barra viene realizzata con travi a traliccio (cfr. Figura 278) che consentono
maggior resistenza a flessione e consentono di ridurre le ampiezze di oscillazione della barra sia nel piano
orizzontale che nel piano verticale, contenendo il fenomeno della deriva nella distribuzione del prodotto.
E’ importante il posizionamento della barra rispetto al suolo nelle colture erbacee, in quanto per una
distribuzione ottimale è necessario che la barra venga disposta in modo che gli ugelli abbiano la giusta
distanza dall’obiettivo (cfr. Figura 278), in modo che la sovrapposizione dei getti non sia né carente né
eccessiva e che conservi la posizione durante il moto rimanendo parallela al suolo

Distanza ridotta

Figura 278 Irroratrice a pressione con barra a ridotta distanza dal suolo

Allo scopo le irroratrici sono dotate di un sistema per regolare l’altezza dal suolo della barra che in genere
è meccanico per quelle più piccole e idraulico per quelle più importanti. Inoltre le irroratrici più grandi e più
sofisticate posseggono anche un sistema di auto-livellamento di tipo idraulico che consente alla barra di
rimanere sempre parallela al suolo anche in presenza di irregolarità o su variazioni di pendenza (cfr. Figura
279).

163
Figura 279 Irroratrice con diversi modi di operare e con auto-livellamento della barra

Possiamo fare una classifica di queste macchine irroratrici in base alla pressione di esercizio e
chiameremo:
a) irroratrici a bassa pressione, macchine che funzionano con una
2
pressione di esercizio che va fino a 10 kg/cm ;

b) irroratrici a media pressione, macchine che funzionano con una


2
pressione variabile da 10 a 30 kg/cm :

c) irroratrici ad alta pressione; macchine che funzionano con pressioni di


2
esercizio che vanno oltre i 30 kg/cm .

a) Irroratrici a bassa pressione

Le irroratrici a bassa pressione comprimono il liquido - aspirato dal serbatoio - a mezzo di una pompa
alternativa a membrana o rotativa spingendolo verso gli ugelli da dove fuoriesce con una polverizzazione
piuttosto grossolana (cfr. Figura 280).
La pressione di esercizio di tali irroratrici, come si è detto in precedenza, si mantiene piuttosto bassa, da
2
cui il loro nome, potendo raggiungere in alcuni casi 10 kg/cm .
Dato, quindi, il valore modesto della pressione realizzabile, non si riesce ad ottenere una distribuzione
precisa, regolare ed uniforme.
Esse attualmente possono trovare favore a causa del loro costo relativamente modesto.

164
Figura 280 Schema di irroratrice a bassa pressione con pompa rotativa: a-serbatoio; b filtri;
c pompa rotativa; valvola regolatrice di flusso; e tubo di mandata; f tubo di riflusso.

Vengono adoperate generalmente per le colture erbacee, qualche volta anche per i vigneti, data la breve
distanza raggiungibile dalle goccioline.
Sono macchine prodotte prevalentemente nella versione portatile a spalla o a carriola e come tale sono
molto leggere costituendo così una delle caratteristiche fondamentali di tali macchine.
Le portate sono basse potendo raggiungere i 4-5 litri/min. per le maggiori pressioni.

b) Irroratrici a media pressione

Le irroratrici a media pressione riescono a realizzare pressioni variabili da 10 a 30 kg/cm 2, mediante


pompe alternative a membrana o a stantuffo dotate queste ultime di campane compensatrici (cfr. Figura
281). Il liquido così compresso, viene spinto verso un ugello di piccolissima sezione scindendosi in
goccioline il cui diametro risulta inversamente proporzionale al quadrato della velocità e quindi in ultima
analisi, alla pressione di mandata. In questo caso si riescono ad ottenere goccioline ancora più minute il cui
diametro però risulta ancora superiore ai 150 micron. La portata varia al variare della pressione potendo
raggiungere con elevati valori di essa la erogazione di 50 litri/min.
Tali macchine vengono adoperate per trattamenti sia alle colture erbacee sia alle colture arboree.

Figura 281 Schema di irroratrice a media o alta pressione con pompa a membrana: 1 serbatoio;
2 pompa a membrana; 3 accumulatore idraulico; 4 tubo di mandata; 5 tubo di riflusso.

165
c) Irroratrici ad alta pressione

In questo caso le irroratrici, per realizzare pressioni di esercizio ancora più elevate, sono dotate di una o

più pompe alternative che riescono a comprimere il liquido oltre i 50 kg/cm 2, facendo aumentare
notevolmente la velocità di efflusso e realizzando così minute goccioline il cui diametro minimo può
raggiungere i 150 micron.
Tra i vari tipi di irroratrici fin qui brevemente esaminati, anche se un po' più costosa, questa rimane la più
diffusa in quanto si riesce a realizzare una buona distribuzione del fitofarmaco, specie nelle parti interne del
fogliame.
L'erogazione può variare da 10 a 200 litri/min., raggiungendo i più alti valori per le pressioni più elevate

(oltre 50 kg/cm 2).


Esse sono particolarmente adatte per le colture arboree, oltre che naturalmente per le colture erbacee.
L'unico inconveniente da rilevare per le irroratrici a pressione elevata in genere è dovuto al notevole
quantitativo di acqua richiesto, per cui oggi viene rivolta particolare attenzione alle irroratrici a basso
volume, cioè gli atomizzatori.

17.3.2 Le irroratrici a getto portato (denominati atomizzatori)

Si chiamano atomizzatori quelle macchine che distribuiscono il liquido sotto forma di goccioline molto fini di
diametro inferiore ai 150 micron.
Il liquido defluisce in un tubo al cui sbocco la polverizzazione in minute goccioline viene ottenuta facendo
investire il liquido stesso da una corrente d'aria, prodotta da un compressore o da un ventilatore, a
notevole velocità (oltre a 150 Km/ora), che provvede in genere anche al trasporto delle goccioline stesse
sulla pianta da trattare.
La finezza di tale polverizzazione non dipende, quindi, essenzialmente dalla pressione del liquido, come
accade per le macchine irroratrici precedentemente esaminate ma principalmente dalla velocità dell'aria.
Gli atomizzatori, anche se più complicati e costosi delle tradizionali irroratrici, pare vadano suscitando
interesse in massima parte a causa di nuovi principi attivi esistenti in commercio che consentono l'impiego
di elevate concentrazioni di fitofarmaci con bassi volumi d'acqua.
Riguardo al basso volume d'acqua c'è da far osservare che l'economia di acqua rispetto alle irroratrici a
basse pressione è notevole se si pensa che ai 1000 litri /ha di acqua richiesti dalla irroratrice a bassa
pressione ne corrispondono 100 - 200 litri/ha, cioè con una riduzione di 1/10 - 1/5.
Si ritiene in genere che tale economia di acqua comporti altresì notevole riduzione nei trasporti e nei tempi
assorbiti dalle operazioni di rifornimento. Vi è da dire che la operazione con tali nuovi mezzi consente una
irrorazione più razionale della pianta, in quanto la turbolenza di cui è necessariamente dotata la corrente
d'aria che investe la chioma, provoca moti vorticosi i quali permettono alle minute goccioline di poter
interessare anche le parti più interne e meno esposte della pianta stessa. Inoltre si ha un minore calpestio

166
del terreno e una maggiore capacità di lavoro, in quanto la macchina procede lungo gli interfilari a velocità
opportuna senza fermarsi ad ogni singola pianta, come accade invece di norma per le comuni motopompe.
Di contro a questi vantaggi che possiamo definire di natura tecnica ed economica si lamentano, però,
maggiori pericoli di tossicità per gli operatori, residui più elevati sulla frutta, maggiori pericoli di fito-tossicità
per l'azione del vento.
Si è, poi, constatato da un punto di vista economico, che, alla maggiore autonomia dell'irroratrice a basso
volume (si stima di circa quattro volte superiore a quella ad alto volume), viene contrapposto il maggior
costo della macchina.
Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, si è notato una maggiore uniformità del trattamento a basso volume
e la possibilità di realizzare un trattamento soddisfacente con un minor impiego di liquido e quindi con un
risparmio di prodotto attivo.
In base all'aspetto funzionale, poi. possiamo suddividere gli atomizzatori in:

- atomizzatori a polverizzazione pneumatica;


- atomizzatori a nebbia di schiuma;
- atomizzatori ad aero-convenzione.

Si dicono atomizzatori a « polverizzazione pneumatica » quelle macchine in cui il fitofarmaco perviene per
semplice gravità, oppure mediante moderata pressione prodotta da una pompa in prossimità dell'ugello e
di un ventilatore del tipo centrifugo che produce una corrente d'aria a velocità talmente elevata (oltre 300
km/h) da ridurre il liquido in goccioline di diametro da 50 a 100 micron (cfr. Figura 282).

C
A B B
B
D
B

E F
B B
Figura 282 Schema di atomizzatore a polverizzazione pneumatica: a serbatoio;
b filtro; c pompa; d tubo di mandata; e ventilatore; f ugello:

Tali atomizzatori a polverizzazione pneumatica, mentre presentano notevoli vantaggi (come risparmio di
manodopera, di antiparassitario, rapidità di esecuzione dei trattamenti, più razionale irrorazione nella pianta
ecc.), però presentano l'inconveniente di non raggiungere di norma le parti più alte della pianta stessa
specialmente nei tipi allevati a forme espanse e di avere un campo d'azione limitato; motivo questo che
sembra limitarne l'impiego alla viticoltura ed alle colture erbacee.
Su tali macchine è predisposto un ventilatore di tipo centrifugo (cfr. Figura 282) capace di formare correnti
d'aria ad elevata velocità; il regime di rotazione della girante si aggira sui 3.000 - 4.000 giri/min., mentre la

167
portata d'aria tra 1.000 e 10.000 m 3/h. Il ventilatore assorbe circa i 2/3 della potenza necessaria al
funzionamento della macchina.
La portata distribuita dalla macchina si mantiene attorno ai 5 - 15 litri/min. Gli organi di distribuzione degli
atomizzatori sono anch'essi chiamati ugelli. Questo tipo di ugello consiste in un condotto convergente
divergente al quale confluisce, in un condotto separato, il liquido da distribuire. Nel caso sia previsto un
solo ugello è possibile eseguire dei trattamenti ad alberi di altezze rilevanti, difficilmente raggiungibili con
altri tipi di macchine. Detto ugello è chiamato, nell'uso comune, cannone.
Negli atomizzatori a « nebbia di schiuma » il liquido prima di pervenire in prossimità dell'ugello, passa
attraverso un generatore di schiuma.
Un violento getto d'aria prodotto da un compressore fa fuoriuscire il principio attivo sotto forma di bollicine,
le quali al contatto dell'aria esplodono e si frantumano in goccioline di diametro estremamente fini (1-30
micron di diametro) restando sospese in aria per un periodo di tempo più o meno lungo a seconda delle
condizioni meteorologiche.
L'irrorazione eseguita da tale tipo di atomizzatore, impiegato con soluzioni concentrate, sembra dare
risultati soddisfacenti.
Infatti, secondo alcuni sperimentatori si può dire che la somministrazione avviene in maniera abbastanza
regolare ed uniforme con una notevole capacità di penetrazione della nube nell'interno delle colture;
tuttavia vi è da dire che ciò vale a breve distanza, per cui viene indicato che è bene effettuare il trattamento
alle colture erbacee ed ai vigneti.
Gli atomizzatori a «polverizzazione per aero-covezione» realizzano la polverizzazione del liquido in
goccioline del diametro da 20 a 50 micron. Essi sfruttano contemporaneamente i vantaggi della
polverizzazione meccanica da un ventilatore che provvede essenzialmente al trascinamento delle
goccioline ed anche alla frantumazione (9.10). La finezza di polverizzazione è praticamente uguale a quella
che si ottiene col sistema pneumatico, ma differisce da quest'ultimo per la velocità della corrente d'aria che
in questo caso raramente raggiunge valori notevolmente elevati, in quanto tale sistema sembra avere più

importanza la portata (70.000 m 3/h) che la velocità dell'aria. In tali macchine viene impiegato il ventilatore
assiale (cfr. Figura 284). L'elica ha diametri di 50-80 cm con 6- 10 pale. Il deflettore ha la funzione di
deviare il getto d'aria e di convogliarlo verso un'apertura circolare che abbraccia per 180° - 200° l'elica
stessa.

Figura 283 Schema di atomizzatore a polverizzazione per aero-convezione: 1 serbatoio;


2 pompa a membrana; 3 accumulatore idropneumatico; 4 ventilatore assiale.

168
Per aumentare il regime di rotazione dell'elica, partendo dai 540 giri/min fino a 1.500 - 2.000 giri/min., è
solitamente prevista una trasmissione del tipo a cinghia o ad ingranaggi.

Le portate d'aria sono comprese tra 15.000 e 50.000 m3/h con velocità dell'aria in uscita intorno a 10 - 20
km/h. Le potenze assorbite possono raggiungere 15 - 20 kW che aumentano sino a 20 - 30 kW se si tiene
conto della pompa e dell'agitatore meccanico.
É il sistema più diffuso specialmente per i trattamenti ai frutteti in quanto si ottiene una ottima distribuzione
del fitofarmaco anche impiegando soluzioni concentrate e presentando una notevole capacità di
lavorazione sia come superficie trattata nell'unità di tempo e sia come ampiezza della superficie riferita alla
quantità di liquido distribuito.

Figura 284 Ventilatore assiale

La nebbia fittissima, dotata di velocità elevata, può raggiungere la pianta e coprirne le superfici con
uniformità, evitando perdite di liquido per gocciolamento; con tali macchine sembra che si elimino gli
inconvenienti riscontrati per gli atomizzatori a polverizzazione pneumatica.
La erogazione di antiparassitario può variare da 5 a 35 litri/min., al variare della portata d'aria.
Tali macchine per quanto suscitino grande interesse però sembra che si stiano diffondendo ancora un po'
lentamente a causa del costo troppo elevato e della naturale diffidenza verso una tecnica non ancora ben
conosciuta rispetto alle tradizionali irroratrici.
Particolare diffusione di queste macchine si sta notando nei frutteti nei quali la forma dell'allevamento ed il
sempre crescente numero di applicazioni richieste mettono in rilievo le attitudini proprie di siffatte macchine
come la tempestività, la rapidità, il risparmio di manodopera, la riduzione dei perditempi dovuti ai
rifornimenti ecc.
Vasta è la gamma di tali macchine: dai tipi spalleggiati a zaino, a quelli a carriola, ai tipi portati; in
particolare, nei terreni declivi, purtroppo, vengono adottati ancora i tipi più semplici a causa della difficoltà
di tali mezzi portati o trainati di poter accedere con facilità.
In figura 285 viene riportato lo spaccato di un atomizzatore per aero-convezione di tipo trainato, mentre la
figura 286 mostra il suo modo di operare in un frutteto.

169
Figura 285 Spaccato di atomizzatore ad aero-convezione con agitatore meccanico: 1-filtro di
aspirazione; 2-premiscelatore prodotti; 3-bocca di caricamento; 4-frizione centrifuga in
gomma; 5-elica a passo registrabile; 6-ugelli doppi; 7-agitatore meccanico.

Figura 286 Modalità di distribuzione di un atomizzatore per aero-convezione

Grande versatilità ha dimostrato poi la realizzazione di tali macchine montate direttamente sulla trattrice, in
quanto si viene ad avere un sistema maneggevole ampliando così la possibilità di impiego della macchina
dato che il sistema così formato potrebbe agire anche su terreni bagnati e in periodi piovosi.
Gli atomizzatori come si è detto vengono utilizzati maggiormente sulle colture arboree e in relazione alla
struttura dell’impianto sono stati realizzati numerosi modelli in particolare a distribuzione pneumatica, come
ad esempio quelli rappresentati nelle Figure 287, 288 e 289.

Figura 287 Atomizzatori a distribuzione pneumatica con due o più bocche di lancio del fitofarmaco

170
Figura 288 Atomizzatore con distributore a cannone operante su coltura erbacea

Figura 289 Atomizzatore per vigneti operante a cavallo dei filari

17.3.3 Classificazione e descrizione delle caratteristiche costruttive degli ugelli

Gli ugelli costituiscono l'elemento terminale della macchina, ma è dal loro corretto funzionamento che
dipendono, in gran parte, sia il risultato del trattamento e sia il possibile inquinamento ambientale.
Particolare importanza rivestono gli ugelli delle irroratrici a barra con distribuzione localizzata e degli
atomizzatori per aero-convezione.
Gli ugelli hanno, in genere, le seguenti caratteristiche costruttive:

- una ghiera munita di filettatura o di apposito attacco a baionetta


- un filtro
- la punta di spruzzo.

Un riscontro più dettagliato della costituzione dell’ugello consente di individuarne le seguenti caratteristiche
costruttive (cfr. Figura 290 A e B):
1 ) il corpo dell’ugello; 2) la guarnizione di tenuta; 3) la molla di fermo; 4) il premistoppa; 5) la molla di
pressione; 6) la calotta di appoggio di uscita del liquido dall’ugello; 10) il cappello filettato.

171
A B

Figura 290 Caratteristiche costruttive dell’ugello

L’attacco a baionetta consente, oltre che un più rapido accoppiamento alla barra di distribuzione, di
garantire il corretto posizionamento della punta di spruzzo.
Il tipo di materiale con il quale sono realizzati può influire sia sull'uniformità della distribuzione sia,
soprattutto, sul mantenimento nel tempo delle sue caratteristiche operative (portata di erogazione, angolo
di distribuzione, dimensioni gocce).
Al fine di mantenere queste ultime costanti, sono da preferire, quando si opera con pressioni di esercizio
elevate, le punte di spruzzo realizzate in acciaio inox o in ceramica. Poiché l’ugello, sotto l’aspetto
funzionale, rappresenta l’organo più importante della irroratrice sembra opportuno fare una descrizione
dettagliata di ciascun prototipo.

Gli ugelli oggi più diffusi sono del tipo (cfr. Figura 291):
- a turbolenza; a fessura; a specchio; poli-getto

A B C D

Figura 291 Caratteristiche degli ugelli più diffusi: - a turbolenza (A); - a fessura (B);
- a specchio (C); - poli-getto (D)

Ugello a turbolenza
L’ugello a turbolenza è costituito essenzialmente dal rompi-flusso, dalla camera di turbolenza e dalla
pastiglia con foro di uscita calibrato. Il getto è di forma conica ed il diagramma di distribuzione risulta
caratterizzato da una depressione centrale. E' l'ugello ancor oggi più diffuso a livello nazionale anche se il
172
suo impiego è indicato solo per alcuni trattamenti e viene, spesso, utilizzato impropriamente in trattamenti
ad elevato volume e con elevate pressioni di esercizio (fino a 15-20 bar) eseguiti anche in pre emergenza.
Il maggiore inconveniente legato all'utilizzo di questi ugelli è rappresentato dalla difficoltà di raggiungere
una buona uniformità di distribuzione trasversale causa il limitato angolo di spruzzo (20-80°) e la particolare
forma del diagramma di distribuzione.

Ugello a fessura
L’ugello a fessura è caratterizzato da un getto piatto (a ventaglio) con angolo di distribuzione di 90 o 1100
e da un diagramma di distribuzione di tipo ellittico o triangolare, per raggiungere una buona uniformità di
distribuzione trasversale, risulta necessaria una sovrapposizione fra i getti di due ugelli contigui pari al
50%.

Ugello a specchio
L’ugello a specchio consente che il liquido uscendo sotto pressione attraverso il foro circolare colpisce un
deflettore levigato. Il getto assume una forma a ventaglio con asse perpendicolare a quello del foro di
uscita mentre il diagramma di distribuzione è di tipo trapezoidale e richiede minime sovrapposizioni tra i
getti di due ugelli contigui.

Ugello poli-getto
L’ugello poli-getto è stato espressamente studiato per la distribuzione dei concimi liquidi per la quale non
viene richiesta alcuna polverizzazione. Schematicamente, sono costituiti da un corpo in plastica od in
acciaio provvisto generalmente di 3 fori per permettere la fuoriuscita del liquido.
Alla fine del trattamento, nel momento in cui l'alimentazione alle barre viene fermata, il liquido contenuto
nelle canalizzazioni fuoriesce lentamente dagli ugelli; ciò provoca un inutile spreco di prodotto e, in alcuni
casi, può determinare sensibili danni alle colture.
Per ridurre ed evitare questi inconvenienti vengono applicati degli appositi meccanismi in grado di
effettuare l'aspirazione ed il ritorno nel serbatoio della miscela contenuta nei tubi porta ugelli o garantire la
sua permanenza all'interno delle tubazioni.
Nel primo caso viene creata una depressione all'interno del circuito di distribuzione che pennette il ritorno
nel serbatoio del liquido presente nel tubo porta ugelli nel momento in cui l'operatore interrompe
l'erogazione.
Nel secondo caso opportune valvole posizionate in prossimità degli ugelli sono in grado di bloccare i canali
di rifornimento di questi ultimi quando la pressione all'interno delle tubazioni scende a valori prossimi a 0,4-
0,5 bar.
In funzione del tipo di ugello utilizzato devono essere effettuate le successive scelte operative.
In genere, gli ugelli a turbolenza, date le dimensioni ridotte delle gocce che si ottengono, dovrebbero
essere impiegati per i trattamenti in post-emergenza che richiedono irrorazioni di tipo coprente con
pressioni di esercizio mantenute entro valori di 3-5 bar per evitare l'insorgere di fenomeni di deriva. Gli
ugelli a fessura possono essere correttamente impiegati per tutti i trattamenti erbicidi e fungicidi se si
agisce opportunamente, modificando la pressione di esercizio. In termini generali, quest'ultima deve
essere di 4-5 bar, nelle irrorazioni di tipo coprente, di 1,5-2,5 bar, nelle irrorazioni di tipo bagnante. Infine,

173
gli ugelli a specchio si prestano per le irrorazioni bagnanti ma consentono di operare con pressioni molto
basse (0,5-2 bar).

Figura 292 Dispositivo per caricare elettricamente l e gocce di liquido: 1-portaugello;


2-ugello; 3-supporti isolanti; 4-elettrodi; 5-alimentazione elettrica; 6-gocce
con carica elettrica positiva

Il liquido in distribuzione all’atto della frantumazione può essere caricato elettricamente mediante campi
magnetici prodotti con voltaggio molto elevato. Tali campi si ottengono con dispositivi (cfr. Figura 292)
applicabili sia a macchine di tipo classico sia a macchine pneumatiche, ottenendo la distribuzione
elettrostatica che favorisce l’adesione delle goccioline con carica elettrostatica alla parte fogliare della
pianta.

17.4 Le macchine impolveratrici

Le macchine impolveratrici sono utilizzate principalmente per praticare il trattamento con polveri alle
colture arboree e a quelle arbustive e ed in particolare ai vigneti; esse constano essenzialmente di una
tramoggia, di un ventilatore del tipo centrifugo, di una o più tubazioni di distribuzione con ugelli distributori
(cfr. Figura 293).

B A

Figura 293 Schema di impolveratrice: A serbatoio della polvere; B ventilatore.

174
I modelli più semplici sono dotati di funzionamento esclusivamente manuale (soffietto, zaino, carriola e
carrello), e sono ancora oggi impiegati per i trattamenti localizzati, o laddove siano richiesti criteri di
economicità, leggerezza e maneggevolezza (cfr. Figura 294).
Le impolveratrici più comunemente utilizzate hanno le seguenti caratteristiche costruttive (cfr. Figura 295):

- telaio con relativi dispositivi per il collegamento alla presa di


forza e per il sollevamento o il traino;
- tramoggia per l’alloggio della polvere (capacità di 25-700 kg), in
polietilene, acciaio inossidabile o altro materiale resistente alla
corrosione (cfr. Figura 295).

La tramoggia è dotata di: - agitatore; - dosatore, di tipo meccanico o pneumatico, per modulare l’efflusso
della polvere; - frangi-massa e coclea per il trasporto del prodotto nel convogliatore.

Figura 294 Alcuni prototipi di impolveratrici portate a spalla

Accanto a queste attrezzature, spesso dedicate al campo hobbistico, sono storicamente presenti le
classiche impolveratrici di tipo portato (cfr. Figura 295), semi-portato o trainato (cfr. Figura 295).

Figura 295 Impolveratrici portate semi-portate e trainate

Il principio di distribuzione delle polveri di queste macchine è essenzialmente l'aero-convezione.


La polvere o per mezzo di una parte della corrente d'aria fornita dal ventilatore stesso o per mezzo di una
coclea, viene inviata - pneumaticamente o meccanicamente - entro il tubo di aspirazione del ventilatore,
situato nel condotto principale dell'aria; qui una corrente d'aria a notevole velocità (ad oltre 100 km/h)

175
prodotta dal ventilatore, - in modo analogo a quanto avviene negli atomizzatori - investe e trascina il getto
di polvere, imprimendo una certa velocità e provvedendo così al trasporto delle particelle solide sulle piante
da trattare.

Il suddetto trattamento presenta su quelli liquidi alcuni vantaggi come:

- una migliore penetrazione dell'antiparassitario con notevoli riduzioni di


spese di trasporto impiego di manodopera e somministrazione di sostanza;
- aumento dell'autonomia delle macchine operatrici;
- possibilità di effettuare i trattamenti dove non è possibile entrare con
attrezzature pesanti.

Nello stesso tempo presenta l'inconveniente della scarsa adesività della polvere alle parti da trattare,
limitando così l'impiego di polveri nella lotta antiparassitaria.

Figura 296 Schema di una impolveratrice umida: a serbatoio della


polvere; b serbatoio dell’acqua; c ventilatore.

Per ovviare a questo inconveniente si è cercato di aumentare il potere adesivo delle polveri alle piante
ricorrendo alla impolverazione umida (cfr. Figura 296) e alla impolverazione elettrostatica.
La prima viene realizzata fornendo alla polvere che fuoriesce dagli ugelli una piccola quantità d'acqua (fig.9.20);
mentre la seconda si ottiene dotando le polveri di una piccola carica positiva che viene neutralizzata al contatto
con la pianta da trattare.
Si è cercato, così, di consentire un miglioramento nella tecnica delle applicazioni polverulenti, in quanto il fattore
adesività ha finito con l'assumere un ruolo decisivo nell'orientamento verso il tipo di trattamento.
L'avvento delle impolveratrici elettrostatiche sembra promettere, infatti, interessanti sviluppi non soltanto nei
riguardi delle ordinarie attrezzature per i trattamenti polverulenti, ma addirittura nella scelta fra le applicazioni
polverulente e quelle liquide.

17.5 Le macchine combinate e i mezzi aerei

176
L’esigenza di contenere le spese di acquisto di più macchine per operazioni simili ha spinto i costruttori alla
realizzazione di macchine combinate per i trattamenti liquidi e polverulenti ai vigneti, ai frutteti e ad altre
colture arboree con semplice sostituzione e regolazione di alcune parti.
Tali macchine oltre ad attuare i tradizionali trattamenti liquidi e polverulenti possono essere usate anche
per i trattamenti con polveri bagnabili, usando la parte impolverante per distribuire le polveri, e
contemporaneamente la parte liquida per irrorare con acqua pura la chioma delle piante, permettendo
così alle polveri di rimanere a lungo sulle foglie bagnate.
Numerosi sono, come già innanzi detto, i tipi di macchine e di attrezzature esaminati in questa nota: dai
più semplici e maneggevoli di tipo portato o trainato a quelli montati su aerei.
A tale ultimo riguardo, però, v'è da dire che il campo di azione dei mezzi aerei in agricoltura è vastissimo,
esso può andare dai trattamenti diserbanti e insetticidi, alle semine, alle concimazioni ed infine ai
trattamenti antiparassitari delle colture agrarie e forestali; tuttavia recentemente l’utilizzazione del mezzo
aereo è stato limitato a causa delle possibili derive, dovute al vento, nei terreni limitrofi a quelli trattati.

Aspetti costruttivi e funzionali degli aerei leggeri


Sugli areoplani leggeri vengono montati degli apparati per i trattamenti contro i parassiti che utilizzano il
principio di frantumazione del getto per effetto della notevole velocità del mezzo nel suo avanzamento a bassa
quota ed in prossimità della parte più alta delle piante.
Infatti, nel suddetto avanzamento, si generano forti correnti d’aria in prossimità degli ugelli che
conseguentemente modificano le caratteristiche del getto dopo la emissione dall’apparato di eiezione.
Nelle immagini delle Figure 297 e 298 vengono schematicamente disegnati gli apparati funzionali dei sistemi di
distribuzione per pressione e per polverizzazione centrifuga che sono costituiti dai seguenti apparati funzionali:
- polverizzazione a pressione
- polverizzazione per centrifugazione

Polverizzazione a pressione
L’impianto è dotato di un serbatoio di volume di circa 200-800 litri a seconda delle dimensioni dell’aereo (2)
di una pompa (1) che spinge il liquido con una pressione di circa 3-5 atmosfere e di una barra irroratrice
(3) disposta sotto le ali dell’aereo con un numero di ugelli di alcune decine (30-40 ugelli) con diametro del
foro di 0,7-1,5 mm; l’impianto è completato con un filtro, una elettrovalvola per la regolazione del flusso
della miscela dal serbatoio e di un rubinetto distributore a chiusura rapida (cfr. Figura 297).

Figura 297 Apparati funzionali dei sistemi di distribuzione per pressione

177
Polverizzazione per centrifugazione
Nel secondo sistema la distribuzione avviene con goccioline di fitofarmaco di dimensioni più ridotte, per
l’effetto combinato dell’avanzamento del vettore e della rotazione della gabbia che è messa in rotazione da
un elica che sfrutta il vento di corsa del velivolo (cfr. Figura 298).

Gabbia posta
in
rotazione dall’elica

Figura 298 Apparati funzionali dei sistemi di distribuzione per centrifugazione

Aspetti costruttivi e funzionali degli elicotteri


Per l’elicottero, invece, l’effetto della turbolenza dell’aria provocata dal rotore è prevalente sulla velocità di
avanzamento del vettore (cfr. Figura 299); inoltre, quando l’elicottero si trova in volo stazionario, il moto
del rotore genera una forte corrente d’aria in direzione verticale dall’alto verso il basso, con un ritorno
verso l’alta in uno spazio più ampio e con la suddivisone del liquido in gocce in numero pari a 4-6
2
gocce/cm , con dimensioni delle stesse, per circa il 40% del totale, di diametro inferiore a 100 micron e
per circa 60% inferiori 300 micron, con una capacità di lavoro di circa 80 Ha/h riferita al tempo di volo.

Figura 299 Immagini dei trattamenti eseguiti con elicottero nel Comune d Ferrandina

178
In ricerche eseguite dall’autore sono stati trattati circa 2100 ettari di oliveto con un numero totale di circa
270.000 piante, in 16 giorni di lavoro effettivo su piante infestate dalla mosca olearia. Nella Figura 299
si riportano le immagini della sperimentazione eseguita nel Comune di Ferrandina sito in Basilicata.

17.6 La Regolazione e il controllo delle irroratrici

La qualità di lavoro è legata alla uniformità di distribuzione sia di ciascun ugello e sia dell'intero getto
distribuito dalla macchina alla coltura. L'uniformità del getto generato dalla macchina, dipende, oltre che
dalle caratteristiche dei singoli ugelli, anche dalla loro disposizione sulla macchina.
Un aspetto che influenza la qualità del lavoro è la dimensione delle gocce, nel senso che si dovrebbe
cercare di ottenere gocce più o meno delle stesse dimensioni.
Nella tabella 1 di seguito allegato si riportano i valori medi del numero di gocce presenti per unità di
superficie suddivisi per classi in funzione del diametro delle gocce; i valori si riferiscono alle medie misurate
su 100 vetrini disposti i diversi punti della chioma dell’oliveto.
Tabella 1 Controllo delle dimensioni delle gocce distribuite dalle irroratrici

Le prove eseguite hanno consentito di riscontrare una buona qualità di lavorazione con una percentuale
di circa il 40% di gocce con diametro inferiore a 400 micron.
Per la regolazione ed il controllo delle irroratrici è indispensabile, innanzitutto, osservare le norme d'uso,
per ottenere quelle regolazioni elementari che permettono la distribuzione della quantità voluta di
antiparassitari.
Per le regolazioni è estremamente importante che vi siano da parte del costruttore delle indicazioni ben
chiare.
Inoltre le leve di regolazione devono essere ben visibili e facilmente utilizzabili e tali che, una volta
posizionate non abbiano più a seguire delle modificazioni durante l'esecuzione del lavoro.
Per quanto concerne l'erogazione, l'aspetto principale riguarda la valutazione delle quantità di prodotto
distribuita per unità di superficie. A questo fine, ricordando la relazione che lega la portata al volume, alla
velocità ed alla larghezza di lavoro, è necessario ipotizzare inizialmente alcuni parametri operativi, quale ad
179
esempio la stessa velocità di avanzamento del mezzo e misurare la larghezza di lavoro del trattamento, in
modo tale da avere valori rispondenti alla realtà operativa.
Fatta questa prima elementare regolazione, ed eventualmente verificata la rispondenza nella pratica, è
necessario controllare la direzione del prodotto sul bersaglio, in relazione alle caratteristiche del bersaglio
stesso, per poter orientare adeguatamente gli erogatori.
Alle varie quote deve arrivare un quantitativo di prodotto proporzionale alla superficie da coprire e nel contempo
in verticale il prodotto deve essere distribuito con l'uniformità che il trattamento richiede.
Volendo controllare la regolazione della macchina si possono disporre delle carte idrosensibili alle varie quote.
Prima dell'esecuzione del lavoro è necessario considerare le condizioni atmosferiche, ricordando a titolo di
esempio che è bene che la velocità del vento non superi i 2 m/s, che l'umidità non sia troppo bassa e che la
temperatura non sia troppo alta. Queste condizioni si riscontrano tipicamente nelle ore più calde della giornata,
che perciò vanno evitate quando si esegue un trattamento.
Un'altra avvertenza riguarda l'operatore, che deve essere ben protetto da eventuali contatti con il liquido, e che
deve portare a livello dell'apparato di respirazione un dispositivo di protezione.
Sarebbe, inoltre, importante che l'utilizzatore fosse a conoscenza non solo delle esigenze del lavoro che
esegue, ma anche della complessità del lavoro stesso, nonché degli effetti connessi alla effettuazione di un
trattamento antiparassitario con prodotti chimici.
L'operatore deve scegliere il percorso da effettuare nel campo; nel fare questo è bene che consideri che le
gocce più piccole rimangono sospese per diversi secondi e, quindi, è sconsigliabile procedere per passaggi
adiacenti; esso è anche responsabile del funzionamento del mezzo durante il lavoro e, come tale, deve essere
in grado di effettuare una valutazione visiva del trattamento che sta eseguendo e controllare periodicamente ciò
che avviene alle sue spalle; ancora deve conoscere l'autonomia del mezzo e l'organizzazione del lavoro in
senso generale, rifornimenti compresi.
Infine deve sapere il modo più razionale di procedere nella effettuazione del lavoro, sia dal punto di vista tecnico
che igienico-sanitario, e gli effetti connessi ad una distribuzione errata, alla dispersione di liquido a terra ed allo
scarico del prodotto rimasto in punti non adeguati allo scopo.
Recentemente si sono diffusi strumenti atti al controllo di alcuni dei parametri della distribuzione.
I sistemi di controllo delle funzioni della macchina possono essere considerati in base al tipo e al numero di
informazioni che forniscono; in alcuni casi sono in grado di controllare automaticamente i parametri operativi.
La versione più semplice è rappresentata da strumenti di misura delle grandezze tipiche che interessano le
macchine operatrici; ad esempio un manometro per il controllo della pressione ed un dispositivo, indicato con la
sigla DPC (dispositivo controllo pressione costante) , appunto studiato per mantenere costante la portata
della miscela (cfr. Figura 300).

180
Figura 300 Manometro per la misura della pressione e relativo
dispositivo per mantener costante la pressione (DPC)

Sulla irroratrice può anche essere montato un misuratore di flusso con un captatore ed un'unità di
elaborazione e visualizzazione del fenomeno.
Il flussometro può essere costituito da una piccola elica inserita nella condotta nella quale si vuole
misurare la portata della miscela.

Misuratore di portata

Figura 301 Flussometro per misurare la portata della miscela.

Conoscendo la velocità di rotazione dell'elica e la sezione del condotto, si può arrivare a sapere quanto
liquido passa nell'unità di tempo. Abbiamo visto che la portata è, insieme alla velocità ed alla larghezza di
lavoro, sono parametri importanti che caratterizzano l'operazione. Questo strumento semplice è molto
importante soprattutto per educare l'operatore al tipo di lavoro che sta svolgendo.
Accanto al flussometro, vi può essere un misuratore di velocità rappresentato da un semplice captatore di
impulsi applicato ad una ruota della trattrice o della irroratrice. Il funzionamento è simile a quello citato per il
dispositivo precedente. Conoscendo la velocità, la portata e la larghezza di lavoro che in genere
corrisponde alla distanza fra le fila, si può derivare direttamente il volume distribuito. Attraverso misuratori
di questo tipo si può arrivare a conoscere anche il percorso fatto, la quantità erogata, la superficie che può
essere trattata con il liquido ancora presente all'interno del serbatoio. Oltre ai sistemi descritti, ve ne sono
altri che possono automatizzare la regolazione, impostando il lavoro stesso; sono dei veri e propri
computer di bordo diretti a controllare la distribuzione, variando la portata in funzione della velocità di
avanzamento e di altri parametri.

181
Figura 302 Computer di bordo per controllare la distribuzione del fitofarmaco variando in
funzione della velocità di avanzamento e di altri parametri di lavorazione

Il controllo della distribuzione è estremamente importante ai fini della sicurezza del lavoro e dell'operatore.
L'operatore, in tal modo, si sente sollevato da molte responsabilità e può dedicarsi con più attenzione agli effetti
della distribuzione. La sicurezza dello stesso dipende inoltre anche da alcune particolarità costruttive, quali la
protezione di tutti gli organi in movimento e la riduzione della rumorosità del ventilatore.

17.7 Scelta delle macchine irroratrici

La scelta delle macchine da parte del proprietario dell’azienda agricola ne presuppone la loro approfondita
conoscenza, per la quale si richiede una preparazione specifica. E’ necessario, infatti, note le esigenze
delle realtà operative nelle quali le irroratrici si vanno ad inserire, sapere quanto il mercato produce e come
tale prodotto possa essere inserito in ambito aziendale. La scelta, quindi, parte dell'azienda, arriva al
mercato, per ritornare, infine, nell'azienda stessa. Vi è in commercio la disponibilità di una molteplicità di
attrezzature e, pertanto, la stessa conoscenza delle macchine è possibile solo se si presta molta
attenzione a questo specifico settore. Sono elementi importanti ai fini della scelta, il confort, la sicurezza
dell'operatore e la elasticità del mezzo, che nell'ambito dell'azienda può avere molteplici e varie funzioni.
Anche altri elementi come la provenienza, la garanzia dell'assistenza, l'economicità, la semplicità
costruttiva sono importanti per orientare l'agricoltore nell'acquisto di un mezzo.
La conoscenza delle prestazioni di una macchina è legata sulla base delle informazioni delle
caratteristiche costruttive e funzionati della stessa fatta dal costruttore, dalle certificazioni ufficiali che
forniscono su richiesta gli Istituti Universitari e i laboratori dei Centri di ricerca del Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali (MIPAF).
Un costruttore, almeno quello di una certa sensibilità, può compiere nei propri laboratori gli accertamenti
elementari necessari per fornire delle indicazioni esatte agli utilizzatori; tuttavia, numerosi sono in Italia gli
Istituti di Ricerca che sono dotati di laboratori attrezzati per la valutazione delle prestazioni della capacità e
qualità di lavorazione delle macchine (cfr. Figura 303).

Figura 303 Immagini della valutazione delle prestazioni delle macchine irroratrici eseguite
presso Istituti di Ricerca

182
A tale scopo, il costruttore deve approntare documentazioni che riportino le caratteristiche funzionali della
macchina e che diano chiare indicazioni sulle modalità di regolazione del mezzo meccanico in azienda. Questo
è un aspetto molto importante, in quanto è l'unico elemento che ha a disposizione l'utilizzatore per poter tarare
il proprio mezzo in campo.
In seguito l'operatore può verificare questi dati, mentre nella fase iniziale è importante sia il costruttore stesso a
fornire indicazioni chiare e corrette. Perciò il costruttore deve fornire all'utilizzatore oltre al mezzo anche tutti gli
elementi necessari all'effettuazione dell'esatta regolazione del controllo della funzionalità della macchina.

Bibliografia

(1965) DIPAOLA G. “Appunti del corso di meccanica agraria”, Distribuiti a cura dell’Istituto di Meccanica
Agraria di Bari, Bari, gennaio 1965.

(1967) AMIRANTE P. “L’impiego dell’elicottero nei trattamenti antiparassitari dell’olivo in zone impervie”, Atti
della Giornata della Meccanica Agraria, , Edizioni Laterza, Bari 1969 pagg.121-134.

(1970) AMIRANTE P. “L’impiego dell’elicottero nei trattamenti antiparassitari”, Atti della Giornata della
Meccanica Agraria, , Edizioni dell’Istituto Nazionale per l’Incremento della Produttività - I.N.I.P., Roma
1970, pagg.1-14.

(1972) DIPAOLA G. AMIRANTE P. “La meccanizzazione di alcune colture industriali di attuale interesse”,
Arti Grafiche Nunzio Schena, Fasano 1972.

(1972) AMIRANTE P. PASQUALONE S. B. “Similitudine meccanica e analisi dimensionale mezzi di indagine


nella meccanica agraria” Atti della XVII Giornata di meccanica agraria, Edizioni Arti Grafiche Nunzio
Schena, Fasano di Puglia 1972, pagg. 1-28.

(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975.

(1999) BIONDI P. “Meccanica Agraria. Le macchine agricole”, Edizioni UTET, Torino 1999.

(2005) GIARDINI L. “Potenzialità produttiva e sostenibilità dei sistemi colturali”, Edizioni Hoepli, Milano 2005.

183
CAPITOLO XVIII

MACCHINE PER LA RACCOLTA DEI FORAGGI

18.1 Introduzione

La produzione foraggera interessa circa 1/3 della superficie agraria dell'Italia, inoltre è opportuno considerare
che quasi tutte le altre colture danno quantità non trascurabili di prodotti aggiunti o sottoprodotti utilizzabili come
foraggi, ciò consente di asserire che la foragicoltura interessa trasversalmente tutto il territorio agricolo
nazionale.
Tale interesse si può desumere, anche, considerando che le produzioni zootecniche partecipano, alla
produzione agricola nazionale, con un’aliquota dell’ordine del 30%, che si eleva al 50% ed oltre nelle regioni
settentrionali e scende al di sotto del 20% in quelle meridionali.
Inoltre, è opportuno tener conto che le produzioni foraggiere sono strettamente connesse alle produzioni
zootecniche che in Italia consentono l’alimentazione di circa 6.460.000 bovini; 9.200.000 di suini; 7.954.000
di ovini; 945.000 di caprini e 150.000 di equini.
E’ necessario precisare, però, che si verifica una certa variabilità di situazioni nei diversi Stati Membri, in alcuni
Stati il valore delle produzioni della zootecnia da latte e quella da carne supera largamente il 50% della relativa
produzione agricola ed in altri invece il valore di tali produzioni si mantiene al di sotto del 30%.
A fronte, di tale scenario, l’Italia occupa una posizione intermedia, infatti le produzioni zootecniche si
aggiravano intorno ai i 15 miliardi di euro nel 2005 - un terzo dell’intera produzione vendibile dell’agricoltura -
che era di circa 54 miliardi al consumo:
Pertanto, anche se l’Italia non occupa i primi posti in Europa per le produzioni zootecniche, tuttavia le colture
foraggiere sono di rilevante importanza per cui è necessario che le operazioni di campo siano adeguatamente
meccanizzate.
In relazione a quanto innanzi precisato, negli ultimi anni si è attuata, conseguentemente, una completa
meccanizzazione di tutte le fasi della filiera zootecnica, a partire proprio dalle macchine per la produzione dei
foraggi e per la mungitura e fino alla meccanizzazione delle operazioni di trasformazione dei prodotti;
pertanto, qui di seguito analizzeremo l’evoluzione tecnologica di tale settore produttivo in tutte le fasi che si
svolgono all’interno delle aziende agricole (cfr. Figura 304):

Figura 304 Macchine della filiera zootecnica dalle lavorazioni di campo fino a quelle per
la trasformazione dei prodotti lattiero-caseari e carnei

184
18.2 Classificazione delle macchine per le colture foraggere

Le macchine utilizzate, in questo processo di filiera, possono essere classificate in base alle diverse
funzioni in :
- macchine per le lavorazioni in campo delle colture foraggere;
- macchine per le operazioni di stalla dalla pulizia delle lettiere fino
alla mungitura;

Al fine di dare un primo quadro di riferimento delle fasi di lavorazione in campo, dallo sfalcio dei foraggi fino
all’insilamento, sembra molto interessante riportare nella Figura 305 il prospetto predisposto dal prof. Guido
Baldoni di Bologna(cfr. Figura 305).

Figura 305 Prospetto predisposto dal prof. Guido Baldoni di Bologna delle diverse operazioni
colturali in campo dallo sfalcio fino all’insilamento.

Una prima classificazione delle macchine per la raccolta dei foraggio può essere eseguita secondo che il
foraggio si utilizzi:

- allo stato fresco (80% di umidità)


- allo stato semi-affienato (40% - 60% di umidità)
- allo stato affienato (15% - 18% di umidità)

185
Per la raccolta del foraggio fresco sono necessarie le seguenti operazioni (cfr. Figura 306):
- falciatura o taglio;
- trinciatura o sfibratura (eventuale);
- carico;
- raccolta;
- trasporto;
- scarico.

Figura 306 Operazioni di processo necessarie per il ciclo del foraggio fresco: taglio; trinciatura;
carico; raccolta; trasporto e scarico.

Per la raccolta del foraggio affienato e semi-affienato, sono necessarie le seguenti operazioni colturali (cfr.
Figura 307):
- falciatura o taglio; - condizionamento (eventuale); - fienagione;
- andanatura; - raccolta; - carico, trasporto, scarico.

Figura 307 Operazioni di processo necessarie per il ciclo del foraggio fresco: falciatura;
condizionamento; raccolta; carico; trasporto e scarico.

186
Indipendentemente dallo stato del foraggio, possiamo classificare le macchine per il foraggio nei seguenti
gruppi (cfr. Figura 308):
- macchine per il taglio;
- macchine per la raccolta ed il carico del foraggio fresco;
- macchine per il taglio, la raccolta ed il carico del foraggio fresco;
- macchine per la fienagione e la messa in andane;
- macchine per la raccolta dei foraggi semi-affienati e affienati;
- macchine per il carico ed il trasporto degli imballati.

Figura 308 Gruppo di sei macchine che operano in coltura estensiva ed in successione le diverse
operazione di fienagione dal taglio fino al carico del prodotto finito su carro.

18.3 Le macchine per il taglio del foraggio fresco

Il foraggio fresco è costituito dall’erba tagliata che, a seconda delle qualità delle erbe che la costituiscono, può
essere più o meno gradita dal bestiame.
Infatti, non tutte le erbe sono fienabili, cioè conservano, dopo essiccate, elastici e integri i loro tessuti, come la
maggioranza delle buone foraggere.
L’epoca più opportuna del taglio viene scelta in rapporto alla quantità e alla qualità del prodotto: il momento in
cui meglio si conciliano coincide di regola con l’inizio della fioritura.
Il contenuto in acqua dell’erba oscilla fra il 75-85% e nel foraggere essiccate si riduce al 15-18%.
Per limitare il più possibile le perdite di sostanze nutritive occorre ridurre al minimo i tempi di essiccazione.
Secondo le tecniche tradizionali, l’erba tagliata è lasciata sul terreno in strisce o andane, che vengono rivoltate
più volte durante il giorno; generalmente l’essiccamento, con buone condizioni atmosferiche, si completa in 3-4
giorni.

187
In genere, si ricorre alla fienagione in due tempi, che consistono in un pre-appassimento in campo del foraggio
(fino a un contenuto di acqua del 45-55%) e nella successiva essiccazione artificiale, mediante ventilazione con
aria d’ambiente o riscaldata di 5-10°C in un apposito fienile.
Nel fienile, il foraggio viene poi conservato: situato al disopra oppure accanto alla stalla o in posizione isolata, e
può essere ridotto ad una semplice tettoia, se i foraggi sono compressi in balle.
Pertanto, nell’esaminare le macchine destinate all’intero ciclo di processo iniziamo dalla descrizione di quelle
che vengono utilizzate per la falciatura.
Infatti, la prima operazione del ciclo di processa è costituita dal taglio dell’erba che viene effettuata con la
falciatrice il cui organo di taglio può essere dotato di:
- moto rettilineo alternativo (falciatrice a barra falciante)
- moto rotante (falciatrice rotativa)
La falciatrice è costituita da:
- un telaio portante;
- un apparato falciante;
- organi di trasmissione;
- organi di regolazione e manovra.

In base alle modalità di attacco alla motrice possiamo avere:


- falciatrici trainate (in abbandono)
- falciatrici portate lateralmente, posteriormente o frontalmente dal trattore
- motofalciatrici semoventi o a guida manuale.
La falciatrice portata lateralmente (cfr. Figura 309) è costituita da un kit che si applica alla trattrice e viene
alimentato dal circuito idraulico dello stesso trattore, che assicura sia il moto della barra falciante sia i movimenti
di regolazione e di posizionamento della struttura portante della barra.

Figura 309 Falciatrice portata lateralmente

La falciatrice portata posteriormente (cfr. Figura 310) è costituita da una struttura che si collega all’attacco a tre
punti posteriore del trattore e può ricevere il moto sia dalla presa di potenza attraverso una trasmissione
meccanica sia dal circuito idraulico del trattore attraverso gli attacchi rapidi.

188
Figura 310 Falciatrice portata posteriormente

Martinetti idraulici possono permettere di regolare l’inclinazione della barra falciante fino alla posizione verticale,
facendo si che tale tipo di falciatrice possa essere usata sia su superfici inclinate che per la potatura in colture
arboree (cfr. Figura 311).

Figura 311 Falciatrice portata posteriormente operante su superficie inclinata e su coltura arborea

Se si ha a disposizione una trattrice con attacco a tre punti anteriore si può utilizzare una falciatrice portata
anteriormente (fig.10.4), che come le altre può derivare il moto o dalla presa di potenza anteriore o dal circuito
idraulico della trattrice.

Figura 312 Falciatrice portata anteriormente

189
La falciatrice a barra, nel moto rettilineo di avanzamento riunisce le piante in ciuffetti che ne facilitano il
taglio; nella Figura 313 si riporta la vista anteriore di una moderna falciatrice con attrezzo portato montato
anteriormente dalla trattrice.

Figura 313 Vista anteriore di una moderna falciatrice con attrezzo portato montato
anteriormente dalla trattrice.

Le motofalciatrici sono macchine dotate di motore autonomo per il moto della barra falciante e possono essere
semoventi, ormai in disuso, o a guida manuale (cfr. Figura 314), utilizzate per lo più per piccoli appezzamenti o
per il giardinaggio.

Figura 314 Motofalciatrici a guida manuale

Le falciatrici a barra falciante si suddividono in:


- a lama oscillante e contro-lama fissa
- a doppia lama oscillante in senso inverso

190
Le falciatrici rotative si suddividono in:

- ad asse verticale con organi di lavoro a tamburo o a disco


- ad asse orizzontale

Gli organi di taglio di una falciatrice a barra con una sola lama mobile sono formati da una parte fissa e da una
mobile (cfr. Figura 315).

Figura 315 Barra falciante a lama oscillante e contro-lama fissa e a doppia lama oscillante

Figura 316 Sezione della barra di taglio

191
La parte fissa è composta da una barra porta-lama, (cfr. Figura 316) sulla quale sono fissati gli elementi a
forma di diti o di denti (cfr. Figura 315), che servono a suddividere il foraggio da tagliare in tanti ciuffetti. La
barra è munita all'estremità esterna di un separatore (spartitore).
L'organo mobile è costituito dalla lama che è formata da tante sezioni di forma trapezoidale o triangolari fissate
ad una barra d'acciaio.
La lama scorre negli incavi dei denti e la biella le comunica un movimento alternativo rettilineo.
Il movimento rettilineo alternativo può essere impresso alla lama con diversi sistemi che derivano tutti dal
meccanismo di quadrilatero articolato piano o spaziale.
Ai denti para-lama vengono fissate delle piastrine taglienti che formano la contro-lama fissa. Esse oltre a
determinare il taglio preservano i denti da un rapido logorio.
Sul porta-lama sono fissate le piastre di cammino che servono a mantenere la lama in posizione corretta, cioé
perfettamente orizzontale al piano di lavoro durante il moto.
Il numero dei denti sul porta-lama e quindi la distanza fra di essi può variare a secondo se si vuole una
falciatura normale, fitta o semi-fitta (cfr. Figura 317):

- normale: 76,2 mm
- semi-fitta: 50,8 mm
- fitta: 38,1 mm

A B C

Figura 317 Barra portalame: A normale; B semi-fitta; C fitta

Le barre falcianti con una sola lama possono avere una larghezza di lavoro da 1,00 m a 2,5 m ed oltre. Mentre
la velocità viene contenuta tra 5-7 km/h e ciò per evitare ingolfamenti al taglio e quindi arresto della macchina.
2
La capacità di lavoro di queste macchine si aggira sui 4000-6000 m /h per metro di larghezza.

192
Figura 318 Barra falciante a doppia lama oscillante

Le falciatrici con barra a doppia lama oscillante (cfr. Figura 318) sono costituite da due lame sovrapposte con
movimento rettilineo alternativo.
I vantaggi che si ottengono con questa falciatrice sono i seguenti:

- riduzione degli ingolfamenti,


- migliore bilanciamento dinamico,
- maggiore velocità di avanzamento,
- maggiore leggerezza costruttiva.

La velocità di avanzamento di queste macchine in fase di lavoro varia tra 8 e 10 km/h e quindi con una capacità

di lavoro pari a 5000-8000 m2/h per metro di lama.

Le falciatrici con organi di taglio a movimento rotatorio su asse verticale possono essere a tamburo o a disco
(cfr. Figura 319); esse sono per lo più di tipo portato ed azionate dalla presa di potenza (p.d.p.).

1 2

Figura 319 Falciatrice rotativa a tamburi (1) o a dischi (2)

193
Gli organi di taglio di tali barre falcianti (azionate dall'alto nel tipo a tamburi, e dal basso nel tipo a dischi) hanno
velocità di rotazione sempre superiore a quella della presa di potenza che li anima, in quanto per eseguire in
modo netto il taglio, la velocità angolare viene aumentata anche di 6 volte (cfr. Figura 320).

Figura 321 Schema di falciatrice rotativa a tamburi

La falciatrice rotativa a tamburi è costituita da 1 a 6 tamburi verticali, sostenuti da un telaio contenente gli organi
della trasmissione (cfr. Figura 321); alla base dei tamburi è montata una piastra, alla periferia della quale sono
montati folli un certo numero di coltelli da 2 a 4 (cfr. Figura 322).
Il profilo dei tamburi è disegnato in modo da evitare l'avvolgimento e il turbinio del foraggio nella fase di
La velocità di rotazione dei tamburi varia, a seconda del loro diametro, da 1600 a 3600 giri/min.; ogni tamburo
ha senso di rotazione inverso a quello del tamburo vicino e ciò favorisce la formazione di andane per ogni due
dischi contigui controrotanti.
I "coltelli" sono utilizzabili su ambedue i lati e durante il lavoro mantengono la posizione di taglio grazie alla forza
centrifuga.
Essendo vincolati a cerniera possono ruotare liberamente intorno al punto di attacco, per cui in caso di ostacoli
rientrano automaticamente nel tamburo, evitando cosi inutili danneggiamenti e ed eccessivo consumo dei
taglienti.
Sotto i tamburi si trovano le piastre circolari, a profilo conico, di appoggio al terreno e di regolazione dell'altezza
di taglio.

194
Queste possono essere fisse o rotanti: la preferenza va verso quelle rotanti (ruotano per semplice reazione con
il terreno), che assicurano minori danneggiamenti alla cotica erbosa.

Figura 322 Particolare dell’organo di taglio di una falciatrice rotativa a tamburi

La trasmissione del moto dalla presa di potenza della trattrice può essere:
- a cinghie, che ha il pregio di assicurare una marcia silenziosa (cfr. Figura 323);
- ad ingranaggi, che consente invece un minore ingombro ed una semplificazione degli
organi di trasmissione (fig.324);
- mista, cioè a cinghia e ad ingranaggi elicoidali, che ha caratteristiche intermedie tra
le due (fig.325).
Il sistema di taglio deriva dalla combinazione tra il movimento di rotazione con quello di avanzamento della
falciatrice, per cui le lame percorrono traiettorie elicoidali con una velocità periferica di 60 - 80 m/s, e come tale,
sufficiente ad eseguire il taglio diretto degli steli.

Figura 323 Trasmissione a cinghie Figura 324 Trasmissione ad ingranaggi

195
Figura 325 Trasmissione mista

L'analisi del moto di taglio dimostra che, in questo tipo di falciatrici, la superficie effettiva di taglio corrisponde
con quella teorica. L'erba tagliata dalle lame passa entro i tamburi formando un numero di andane strette pari
alla metà del numero dei tamburi oppure, con particolare conformazione dei tamburi e dei settori partitori una
sola andana (cfr. Figura 326) e subendo un leggero condizionamento.

Figura 326 Modo di operare di una falciatrice rotativa a tamburi

La larghezza di taglio per tamburo è data dalla somma dei diametri dei dischi aumentati della sporgenza delle
lame falcianti.
Normalmente la larghezza di taglio per tamburo varia da 60 a 90 cm, per cui una barra rotante a due tamburi
può avere larghezza da 1,30 a 2,10 m; facendo agire più elementi si possono comunque raggiungere larghezze
di 4-5 m. Le maggiori larghezze si hanno per i modelli frontali; le barre posteriori, in genere, non superano i 2,40
m ed, in fase di trasporto, si dispongono in posizione assiale rispetto alla trattrice.

Figura 327 Falciatrice rotativa a dischi: schema e modo di operare

196
Nelle falciatrici rotative a dischi (cfr. Figura 327), l'organo di taglio é costituito da una piastra a disco sulla quale
sono liberamente inserite le "lame" (o "coltelli") falcianti, in numero da 2 a 3 o 4. Il numero di dischi porta-lama,
per ogni barra, varia da 3 a 7: i dischi vicini, generalmente, ruotano in senso inverso, ma, contrariamente alla
precedente falciatrice, si forma una sola andana di larghezza quasi uguale a quella della barra.
Nelle barre con 5 dischi, i primi due però ruotano nello stesso senso, per cui si ha un maggior convogliamento
del foraggio e un'andana più densa. Il disco esterno é sormontato da un cono che ha lo scopo di convogliare il
foraggio falciato verso l'interno, facilitando la formazione dell'andana.

A
A B

Figura 328 Falciatrice a dischi: A Trasmissione del moto ai dischi; B Forma degli organi falcianti

Ogni disco ruota ad una velocità di 3000-4000 giri/min., si che i coltelli ad esso incernierati assumono una
velocità dell'ordine di 60-80 m/s; il sistema di taglio è dunque lo stesso delle falciatrici a tamburo. La forma
particolare dei coltelli permette di eseguire il taglio radente al suolo.
La trasmissione del moto che, come si è detto, avviene sempre dal basso, é generalmente mista, cioé a cinghia
e per successione di ingranaggi (cfr. Figura 328) oppure per alberi e ruote coniche. I dischi porta-coltelli,
protetti da pattini smontabili, possono avere forma: ovale, elicoidali, triangolare o circolare.
I dischi con forma ovale, sono provvisti di due coltelli e sono sistemati in modo che il lato di maggior dimensione
sia orientato perpendicolarmente a quello del disco vicino: ciò consente una buona sovrapposizione dei coltelli.
Tale forma risulta particolarmente efficace per spingere il foraggio verso la parte posteriore. Nei dischi di forma
elicoidale, l'espulsione del foraggio dopo il taglio è favorita dalla parziale sovrapposizione dei due dischi
contigui; il foraggio, parzialmente sollevato, viene deposto in andane larghe e arieggiate favorendo cosi la sua
essiccazione. I dischi a forma triangolare, portano tre coltelli di grande dimensione; ciò consente di aumentare
la forza e la capacità di taglio, migliorando cosi le prestazioni della falciatrice. I dischi a forma circolare portano
normalmente due coltelli ed hanno forma bombata al centro in modo da offrire una maggiore resistenza
all'usura.
l diametro dei dischi varia da 25 a 30 cm, per cui la larghezza della barra falciante, a seconda del numero dei
dischi, è compresa fra 1,30 e 2,50 m.
Le falciatrici miste, a tamburi e a dischi, rappresentano la nuova generazione di falciatrici rotative, 1, 2 o 3 dischi
sono inseriti sulla barra che porta anche, in ciascuna delle due estremità un tamburo.
197
Le falciatrici rotative, indipendentemente dal tipo, richiedono, a parità di altre caratteristiche, una potenza più
che doppia rispetto a quella richiesta dalle falciatrici a barra falciante, cioè assorbono, alla p. d. p. della trattrice,
da 3 a 5 kW per metro di larghezza di lavoro.
Considerando le dimensioni che tali barre possono raggiungere (fino a 5 m) ed anche la possibilità di realizzare
un doppio accoppiamento, cioè frontale e posteriore, ne deriva che questo tipo di falciatrice é in grado di
sfruttare pienamente le prestazioni di trattrici di medio-grande potenza al motore (37-59 kW).
Anche per queste falciatrici la capacità di lavoro operativa in campo é fortemente influenzata dalle condizioni
d'impiego. In ogni caso, dati il sistema di taglio e la velocità dei coltelli, non vi sono pericoli di ingolfamento e si
può quindi procedere a velocità di avanzamento di 12-15 km/h.
A parità di larghezza di lavoro, quindi, queste macchine consentono capacità operative 1,5-2,5 volte superiori a
quelle delle falciatrici a lama oscillante.
Questa maggior capacità di lavoro richiede, però, un più elevato impiego di potenza, ma a parità di condizioni,
cioè di quantità e di qualità del foraggio, di periodo utile di raccolta e di ore di lavoro al giorno, consente alla
stessa unità di barra di dominare superfici sensibilmente più elevate.
Le falciatrici rotative su asse orizzontale (cfr. Figura 329) vengono impiegate per lo sfalcio e la trinciatura del
foraggio e sono costituite da:
- un telaio (A);
- organi di taglio (B);
- organi per l'attacco a tre punti della trattrice (C).

A C

Figura 329 Falciatrice rotativa ad asse orizzontale; telaio (A), organi di taglio (B) e organi per
l’attacco a tre punti (C)

L'organo di taglio è costituito da un rotore, messo trasversalmente alla direzione di avanzamento, su cui sono
montati degli utensili o flagelli disposti sfasati lungo le generatrici del rotore (329 B) o in senso elicoidale e di
forma ad Y o ad L. (cfr. Figura 329 C).
Il moto viene derivato dalla p. d. p. della trattrice ed attraverso una coppia elicoidale viene trasmesso al rotore a
mezzo di cinghie trapezoidali o ingranaggi ottenendo una velocità di rotazione fra 1000 e 1200 giri/min.
Queste macchine oltre ad avere un'alta capacità lavorativa pari alle falciatrici ad asse verticale, vengono
utilizzate per lo sfalcio di foraggio destinato al consumo fresco e possono avere anche una funzione trinciante
sul foraggio (Figura 329 C).

198
Figura 330 Falcia-andanatrice a barra di taglio

Anche con le falciatrici a barra è possibile ottenere le andane per velocizzare la successiva operazione di
raccolta. In tal caso si può parlare di macchine falcia-andanatrici (fig.330), che operano generalmente
anteriormente al trattore e sono dotate di coclea convogliatrice verso il centro che, su una larghezza di taglio di
più metri, permette di ottenere un’andana di circa un metro.

18.4 Le macchine per la raccolta ed il carico del foraggio fresco

Le macchine che vengono utilizzate per la raccolta ed il carico del foraggio fresco sono:
- il raccoglitore-elevatore;
- il carro auto-caricante.
Il raccoglitore elevatore (cfr. Figura 331) è una macchina che effettua l'operazione di carico convogliatore del
foraggio fresco su un carro rimorchio che segue l'operatrice durante l'operazione di raccolta, oppure in un
cassone incorporato nella macchina stessa. La macchina normalmente è di tipo trainato ed è costituita da un
pick-up a denti e da un caricatore-convogliatore di tipo meccanico (a nastro, a pettine, a catena o a coclea) con
prevalenza del tipo a catena con rastrelli. Viene azionata dalla p.d.p. del trattore.

Elevatore
Rotore

Figura 331 Raccogli-elevatore di foraggi e particolare del rotore

199
Il carro auto-caricante (cfr. Figura 332) può essere di tipo semovente o trainato dalla trattrice; la macchina
operatrice è’ costituita da un grande rimorchio al quale è applicato nella parte anteriore un pick-up e un
convogliatore del prodotto nel rimorchio.
Il rimorchio è del tipo a gabbia (A), con pianale di carico dotato di fondo mobile che favorisce l'assestamento
del foraggio e ne consente lo scarico automatico, è indicato per il trasporto aziendale, mentre il tipo (B) con
ruote in gomma è omologabile per trasporti stradali.
Su alcuni modelli lo scarico può essere laterale ed avvenire direttamente nelle mangiatoie per mezzo di un
apposito tappeto.

A B

Figura 332 Carro auto-caricante per trasporto aziendale (A) e per trasporto su strada (B)

La capacità del rimorchio varia di valori minimi di 10 - 12 m3 ed anche più nei modelli semoventi o trainati con
più assi.
Riepilogando quanto già innanzi detto, le macchine per il taglio, la raccolta ed il carico del foraggio fresco
vengono classificate (cfr. Figure 332-333) in:
- falcia-caricatrici
- falcia-trincia-caricatrici
Le falcia-caricatrici sono macchine che realizzano l'accoppiamento di un sistema falciante con un sistema
caricatore convogliatore del foraggio intero, che viene scaricato su un carro che segue l'operatrice nel suo
lavoro o in un contenitore incorporato nella stessa macchina.

Figura 333 Falcia caricatrice semovente

200
Le macchine possono essere di tipo trainato (cfr. Figura 332), azionate dalla presa di potenza della trattrice,
con o senza rimorchio incorporato, e di tipo semoventi (cfr. Figura 333), con rimorchio incorporato. Il sistema
falciante é generalmente costituito da una comune falciatrice a lama semplice o doppia, od anche di tipo
rotativo, mentre il caricatore - convogliatore è di tipo meccanico (a nastro, a pettine, a catena o a coclea).
Nei modelli trainati e semoventi con rimorchio incorporato, chiamati "falcia-autocaricanti", il rimorchio è del tipo
a gabbia, con pianale di carico dotato di tappeto senza fine che favorisce l'assestamento del foraggio e ne
consente lo scarico automatico. Su alcuni modelli, o a richiesta, lo scarico può essere laterale ed avvenire
direttamente nelle mangiatoie per mezzo di un apposito tappeto
In sostanza, le falcia-caricatrici senza rimorchio sono costituite da semplici barre falcianti con abbinato un
elevatore da campo del foraggio; quelle con rimorchio incorporato (falcia-autocaricanti), invece, hanno
caratteristiche tecnico-costruttive più complesse. Elemento fondamentale è comunque la capacità del rimorchio,
3 3
che va da valori minimi di 10-12 m (rimorchio monoasse) dei modelli trainati, a valori di 20 m ed anche più dei
modelli semoventi o trainati con più assi.
La falcia-caricatrice semovente offre, rispetto al modello trainato, i seguenti vantaggi:
- evita gli accoppiamenti continui con le trattrici e ciò è particolarmente utile
nelle macchine di impiego quotidiano;
- consente minore calpestamento e spreco di foraggio;
- consente maggiore manovrabilità, sia in campo che nella stalla;
- consente maggiore velocità nei trasferimenti tra campo e azienda.
Le falcia-trincia-caricatrici (cfr. Figura 334) compiono contemporaneamente le operazione di taglio, trinciatura e
carico del foraggio.

Figura 334 Falcia trincia caricatrice e rotore di trinciatura

Le suddette operazioni possono essere svolte da più organi di lavoro separati o da un solo organo (cfr.
Figura 334).
La falcia-trincia-caricatrice (cfr. Figura 335) ad organi separati è costituita da un apparato di taglio simile a
quello delle falciatrici rotative ad asse orizzontale, da una coclea convogliatrice e da un apparato trinciante.
L'organo di taglio é costituito da un albero orizzontale ruotante, sul quale sono incernierati coltelli snodati di
acciaio di diversa forma. La forza centrifuga mette in posizione di lavoro i coltelli e gli steli del foraggio vengono
tagliati a qualche centimetro da terra. Dopo il taglio il prodotto viene inviato dalla coclea verso l’apparato
trinciante, costituito da un rotore con alette opportunamente sagomate, che, oltre a trinciare il foraggio,
producono una corrente d’aria idonea al trasporto pneumatico del trinciato in un rimorchio.

201
Nella falcia-trincia-caricatrice ad un solo organo di lavoro è lo stesso organo di taglio che provvede anche alla
trinciatura del foraggio, facendolo sezionare per lacerazione contro una piastra registrabile, e alla creazione di
una corrente d’aria idonea a proiettare il foraggio entro la tubazione di carico.
Il foraggio cosi raccolto può essere destinato al consumo diretto, ma ciò è piuttosto raro. In genere, infatti,
queste macchine vengono impiegate su foraggio da destinare all'insilamento o all'essiccazione artificiale.
Sono operatrici trainate o semi-portate che trovano impiego quasi esclusivamente per la raccolta di foraggere
prative.

Figura 335 Falcia trincia caricatrice con un solo organo per falciatura e trinciatura

Nei modelli semi-portati il montaggio al sollevatore idraulico rende più maneggevole il mezzo. Le velocità di
avanzamento in genere, non superano i 6-7 km/h e ne deriva che la capacità operativa é dell'ordine di 0,25-0,30

ha/h.m di larghezza di lavoro, pari a 6-10 t/h.m, di foraggio.

18.5 Macchine per il condizionamento e la disposizione in andane

Le macchine per la fienagione (cfr. Figura 336) possono essere classificate nel seguente modo:

- condizionatrici (a rulli o a flagelli);


- falcia-condizionatrici
- falcia-condiziona-andanatrici;
- ranghinatori per spandimento, rivoltamento del foraggio e ranghinatura
- volta-spandifieno

202
Figura 336 Sezione della condizionatrice a rulli

Il condizionamento del foraggio consistente nella eliminazione di buona parte della sua umidità al fine di
conservarlo in buone condizioni per l’alimentazione del bestiame; in tale operazione l’umidità passa da valori di
circa l’80% a valori del 20% (cfr. Figura 337).

Figura 337 Diagramma della riduzione dell’umidità del foraggio nella operazione del
condizionamento

Il condizionamento è un trattamento meccanico che opera uno schiacciamento e una sfibratura degli steli, in
tal modo da intaccare la struttura delle foraggere provocando, in diversi modi fenditure longitudinali degli steli,
asportazione degli strati cuticolare dagli steli, estensione delle fibre, un aumento della superfice traspirante ed
una riduzione delle difese naturali contro la disidratazione, con conseguente aumento della traspirazione, che si
traduce, evidentemente, in una riduzione del tempo di evaporazione dell'acqua. In sostanza, il trattamento
"snerva" lo stelo, facendogli perdere la primitiva rigidezza, permettendo cosi un'essiccazione uniforme dell'intera
pianta, in quanto l'essiccazione dello stelo avviene nello stesso tempo di quella delle parti fogliare (cfr. Figura
338).

203
Figura 338 Condizionatrice a rulli in lavorazione

Le macchine condizionatrici possono essere a rulli o a flagelli. Quelle a rulli consentono di ottenere una azione
efficace sia di schiacciamento che di sfibratura del prodotto, mentre in quelle a flagelli si ottiene esclusivamente
un’azione di sfibratura, che risulta però molto intensa.
Il condizionamento con macchine a rulli avviene con lo schiacciamento del foraggio secondo lo schema della
Figura 339.

Figura 339 Schema funzionale di condizionatrice e tipologia costruttiva delle condizionatrici

I rulli delle condizionatrici possono essere:


- lisci
- scanalati
La condizionatrice a rulli consiste in un telaio portante in profilati metallici (cfr. Figura 340), montato su due
ruote gommate pneumatiche sul quale sono installati, in posizione orizzontale ed in senso normale al moto di
avanzamento del complesso, due rulli.

204
Figura 340 Schema di montaggio dei rulli nella condizionatrice

I rulli condizionatori sono costituiti da cilindri in metallo, o in gomma dura o misti (metalli e gommati), la cui
superficie può essere liscia, scanalata, o in rilievi o anche con nervatura di varia conformazione.
Il diametro è normalmente compreso fra i 19-22 cm e la loro velocità di rotazione (mediante la p. d. p.) si
mantiene fra i 700 e 1000 giri/min.
Teoricamente, il miglior risultato é dato da uno schiacciamento longitudinale su tutto lo stelo, senza intaccare le
foglie. Secondo i rulli che si utilizzano si possono ottenere azioni di differente efficacia sul foraggio in quanto i
rulli lisci e quelli misti agiscono soprattutto per schiacciatura, mentre quelli scanalati agiscono essenzialmente
per sfibratura. Per aumentare l’azione di sfibratura i rulli vengono fatti ruotare a velocità leggermente diversa. La
pressione fra i rulli viene regolata attraverso apposite molle regolabili. La capacità di lavoro varia fra 4000-6000

m2/h per metro di larghezza dell'apparato condizionatore.


Le fasi di taglio e condizionamento possono essere effettuate con una sola macchina detta falcia-
condizionatrice che opera secondo lo schema della Figura 341.

Figura 341 Schema di lavoro di una falcia-condizionatrice

La condizionatrice a flagelli è costituita da un rotore con asse orizzontale alla periferia del quale sono vincolati
gli utensili opportunamente sagomati che percuotono violentemente il foraggio anche con l’ausilio di piastre di
contrasto, provocandone la sfibratura.
Nella Figura 342 viene riportato lo schema di una falcia.condizionatrice a flagelli e quello del suo
funzionamento.

205
Figura 342 Falcia-condizionatrice a flagelli e schema di funzionamento degli organi di lavoro

Dopo l'operazione di condizionamento, il foraggio lasciato in andane sul terreno, deve essere sparso sulla
superficie e rivoltato in tempi diversi durante il periodo di essiccamento, per ottenere un uniforme fienagione.
Tali operazioni vengono effettuate dalle macchine ranghinatrici (dette anche volta-spandifieno) per lo
spandimento e per la messa in andane del foraggio.
Nella Figura 343 si riportano una serie di vecchi ranghinatori ormai presenti solo in mostre di esposizione
della meccanizzazione tradizionale:

Figura 343 Vecchi ranghinatori presenti solo in mostre di esposizione della meccanizzazione tradizionale

I principali ranghinatori che possiamo trovare attualmente in commercio sono della seguente tipologia:

- a pettine;
- a ruote folli;
- a catena senza fine;
- a trottola o girello.

Il ranghinatore a pettine (cfr. Figura 344) è costituito da un telaio montato su due ruote gommate. Gli organi
lavoranti sono costituiti da un aspo dotato di 3-4 pettini, disposto diagonalmente alla direzione del moto se la
macchina lavora in ranghinatura, o normalmente ad essa, se opera il rivoltamento del foraggio.
206
Ciascun pettine è costituito da un tubolare disposto orizzontalmente su cui sono collegati dei denti elastici di
acciaio paralleli fra di loro e verticali al tubo.

Figura 344 Ranghinatore a pettine

Per ottenere durante il moto i denti paralleli a se stessi, i pettini vengono disposti su perni su un elemento a
stella a mezzo di biellette.
Il moto viene fornito dalla p. d. p. se la macchina operatrice ed è di tipo portato e dalle ruote motrici se è di
tipo semovente mediante una trasmissione a cinghie.
La larghezza di lavoro di ranghinatura di questa macchina é compresa fra 1,60 4,00 m; la velocità di
avanzamento è tra i 7-8 km/h.
Nella Figura 335 sono riportati le tre diverse tipologie di ranghinatore a pettine: semovente (A), trainato (B)
e portato (C), in fase di lavorazione.

A B C

Figura 335 Ranghinatori a pettine semovente trainato e portato in lavorazione

Il ranghinatore a ruote folli (cfr. Figura 336), detto anche voltafieno - andanatore a dischi, ha il vantaggio di
essere privo di organi di trasmissione del moto.
La macchina è costituita da un telaio con attacco a traino con la trattrice e da ruote lavoranti costituite da due
cerchi concentrici realizzati di acciaio, sulle quali è montato una serie di denti flessibili di tondino di acciaio. La
larghezza di lavoro della macchina può variare dai 2 m in su. La velocità di avanzamento è tra i 10-12 km/h.

207
Figura 336 Ranghinatore a ruote folli o voltafieno-andanatore a dischi

Nella figura 337 è riportato un ranghinatore a ruote folli in lavorazione.

Figura 337 Ranghinatore trainato a ruote folli (detto anche voltafieno-


andanatore a dischi) in lavorazione

Il ranghinatore a catena (fig.338) è costituito da un telaio appoggiato su ruote gommate e da un organo


voltafieno-andanatore. Il moto viene trasmesso con la p. d. p. della motrice; la macchina può essere di tipo
trainato o semiportato.

Figura 338 Ranghinatore a catena

L'organo voltafieno-andanatore é costituito da due catene snodate collegate fra loro da traversine portanti
piccoli rastrelli disposte normalmente alle catene stesse, composti da 6-7 denti ciascuno. Queste catene, che
corrono in senso perpendicolare alla direzione di avanzamento della macchina, sono mosse da due coppie di
ruote dentate. La lavorazione consiste nello spostare il foraggio lateralmente alla direzione di avanzamento
sfiorando con l'estremità dei denti stessi il terreno.
208
La larghezza di lavoro della macchina (detto anche ranghinatore a catena senza fine) può variare da 1,6-2,6
m di larghezza di lavorazione e procede, in genere, con una velocità di avanzamento dell’ordine di 10-12
km/h (cfr. Figura 339).

Figura 339 Ranghinatore a catena senza fine

Il ranghinatore a trottola o a girello (cfr. Figura 340) è una macchina semi-portata ed azionata dalla p.d.p.,
fondamentalmente costituita da un telaio, da un rotore di grande diametro (2,5-3,5 m) portante, radialmente,
una serie di bracci con forche elastiche.

Figura 340 Ranghinatore a trottola o a girello

Durante la rotazione, un meccanismo (canna a collare) provoca una parziale rotazione (90°) dei bracci in modo
che le forche si abbassano sul terreno per rastrellare il foraggio e si rialzano per abbandonare lo stesso
sull'andana.
Fra i ranghinatori a trottola o a girello i migliori risultati si ottengono con i modelli che operano solo l'andanatura
con un unico rotore o con doppio rotore andanatore (cfr. Figura 341). Poco indicati sono quelli con due rotori
con formazione dell'andana al centro. Tali macchine hanno bisogno di bassa energia sotto forma sia di sforzo di
trazione che di coppia alla p.d.p. (18 - 22 kW).
I ranghinatori possono essere utilizzati anche come spandi-fieno, ma vi sono macchine che operano
esclusivamente come volta-spandi-fieno senza poter effettuare le andane come il volta- spandifieno a trottola di
Figura 341.

209
Figura 341 Immagini di volta-spandi-fieno a trottola in lavorazione

18.6 Macchine per la raccolta dei foraggi affienati

Le raccogli-imballatrici sono macchine che effettuano la raccolta e l'imballatura del foraggio già disposto in
andane ed affienato; la macchina può essere classificata in base al sistema di compressione del prodotto nel
seguente modo:
- con stantuffo a moto rettilineo;
- con stantuffo a moto circolare;
- con pressatura continua.

Le raccogli-imballatrici con stantuffo a moto rettilineo (cfr. Figura 342) sono le più diffuse e che permettono di
realizzare balle a forma di parallelepipeda, a bassa o alta compressione, impropriamente dette a bassa o a
media densità, con camera di compressione disposta parallelamente o trasversalmente alla direzione di
avanzamento.

Figura 342 Macchina raccogli-imballatrice con stantuffo a moto rettilineo

La raccogli-imballatrice ad alta compressione è costituita da un telaio, in profilati ed in lamiera d'acciaio, sul


quale sono montati i vari organi operatori:
- pick-up raccoglitore;
- alimentatore;
- camera di compressione;
- apparato legatore.

L'organo raccoglitore è costituito da un tamburo ruotante con denti a molla e da un rastrello che consentono il
convogliamento del foraggio affienato verso la camera di alimentazione. Successivamente il prodotto viene
sospinto dall'organo alimentatore, costituito o a denti o a coclea (cfr. Figura 343).

210
Figura 343 Immagini di raccogli-imballatrici ad alta compressione in lavorazione

L'alimentatore a denti (infaldatore) può essere realizzato o con un quadrilatero articolato (cfr. Figura 344),
che imprime una particolare traiettoria ellittica ai denti.

Figura 344 Camera di compressione di pressaimballatrice prismatica

Il fieno, raggiunta la camera di compressione, viene pressato da un pistone, a sezione rettangolare, messo
in movimento da un sistema biella e manovella ad un regime di circa 540 giri/min. della p.d.p.,
corrispondente a 93 colpi/min. dello stantuffo.
La balla, una volta raggiunta la lunghezza dovuta, viene legata mediante un dispositivo annodatore
automatico.
La lunghezza della balla può essere regolata in un raggio compreso tra 30 e 150 cm. Le balle ottenute
3
sono di tipo prismatiche con un volume tra 0,15 e 0,20 m ed un peso variabile tra i 20 ed i 40 kg.
Le raccogli-imballatrici a bassa compressione, sono macchine diverse da quelle descritte. Esse hanno
l'organo convogliatore e la camera di compressione paralleli all'avanzamento della macchina (cfr. Figura
345). La compressione avviene mediante uno stantuffo a moto circolare che consente la formazione di
balle a bassa densità e più ingombranti. Lo scarico delle balle avviene mediante la spinta delle balle che
man mano vengono espulse dalla camera di compressione.

211
Figura 345 Raccogli-imballatrice a bassa pressione con stantuffo

La rotoimballatrice è una macchina, per la formazione di balle cilindriche di grandi dimensioni, che si
ritrova in due differenti modelli base: quello con camera di compressione del foraggio a sezione variabile
(cfr. Figura 346) e quello con camera di compressione a sezione costante (cfr. Figura 347).

Figura 346 Rotoimballatrice con camera di compressione a sezione variabile

La macchina è costituita da un telaio portante in profilati montato su due ruote gommate pneumatiche con
gli organi di lavoro mossi dalla presa di potenza; la macchina ha gli organi di raccolta costituiti da un
tamburo ruotante con denti a molla orientabili e gli organi di imballatura realizzati con dispositivi che
provvedono ad avvolgere il foraggio raccolto per strati successivi attorno ad un "nocciolo" centrale, sino a
formare un cilindro, dotato di elevata consistenza, che viene legato, con apparati legatori prima di essere
scaricato.

212
Figura 347 Rotoimballatrice a sezione costante

La camera di imballatura a sezione costante (cfr. Figura 347) è costituita da sistemi di cinghie o catene
ruotanti comandati da appositi rulli che, man mano che il foraggio entra, si spostano, allargando la camera
stessa e restando sempre aderenti al prodotto.
Tale soluzione comporta la realizzazione di un nucleo centrale del cilindro di fieno piuttosto addensato (nei
modelli più recenti, tuttavia appositi e semplici dispositivi consentono di regolare tale addensamento in
funzione dell'umidità di raccolta), ma offre il vantaggio di poter scegliere il diametro delle balle che più
conviene, da un minimo di 90 ad un massimo di 180 cm.
In generale, infatti, con foraggio secco conviene orientarsi verso i diametri più grandi, riducendo cosi le
perdite, mentre per imballature di prodotti da insilare conviene operare con diametri più piccoli.
Nel caso, invece, di camere di compressione a sezione, si presentano tre soluzioni più comuni:
a) con dispositivo di imballatura a cinghie,
b) con dispositivi a rulli in acciaio
c) con dispositivi a catene e barrette trasversali.

Figura 348 Rotoimballatrice con camera di compressione a sezione costante


In ogni caso il principio di funzionamento è analogo; il foraggio, entrando, si adagia sulle cinghie e
comincia poi piano piano ad arrotolarsi (cfr. Figura 349).
Tale sistema di lavorazione consente di ottenere un "nocciolo centrale” più soffice; queste soluzione,
inoltre, mentre non consente di variare offre, tuttavia, la possibilità, regolando la tensione delle cinghie con
opportune molle, di variare il grado di compressione della balla a seconda delle necessità.

213
Figura 349 Metodologia di lavorazione della pressa in fase di formazione della balla

La capacità operativa di lavoro di queste macchine, che avanzano con una velocità di circa 6 -7 km/h, si
aggira su 6-7 t/h di prodotto raccolto.
Nella categoria delle presse imballatrici, per la formazione di grandi balle prismatiche, rientrano le
macchine raccogli-imballatrici giganti (cfr. Figura 350).

Figura 350 Raccogli-imballatrice gigante

Tali macchine possono essere a bassa, media ed elevata compressione ed in genere subiscono una
precompressione nell’organo infaldatore.
Pertanto, dopo aver analizzato i diversi sistemi di confezionamento della paglia in balle è possibile
classificare le suddette operatrici in:
- raccogli-imballatrici a camera prismatica, che producono ballette di fieno
(a forma di parallelepipedo) la cui massa varia dai 20 kg ai 40 kg;

- raccogli-imballatrici a camera prismatica, che producono balle di fieno


(a forma di parallelepipedo) di grandi dimensioni, la cui massa varia da
500 a 700 kg;

- raccogli-imballatrici cilindriche che producono balle di forma cilindrica, la


cui massa è pari a circa 600 kg di fieno, che vengono definite
rotoimballatrici.

18.6 Macchine per la raccolta del foraggio

214
Una volta formate le balle con le diverse macchine sopra descritte, si pone il problema di caricarle e
trasportarle al centro aziendale; per questa operazione esistono numerose soluzioni costruttive (cfr.
Figura 351).

Figura 351 Carri carica-balle di diversa tipologia costruttiva

Infatti, prima di eseguire il trasporto al centro aziendale, bisogna procedere al carico delle balle con
apposite macchine operatrici.
Per quanto riguarda le piccole balle, realizzate con raccogli-imballatrici a stantuffo, esistono diverse
soluzioni, fra queste, quella più semplice ma di minore produttività è costituita dall'applicazione di uno
scivolo che viene affiancato alla carro-raccoglitore (cfr. Figura 352), scivolo atto a trasferire le balle
direttamente sul carro, ove vengono poi sistemate in maniera ordinata le balle da 1-2 operai.

Figura 352 Operazione di carico delle balle di forma parallelepipeda

Tale sistema si presenta faticoso e tende a diminuire la capacità di lavoro delle raccogli-imballatrici,
dovendosi procedere a velocità più bassa. Altra soluzione è costituita dall'impiego dei carica-balle e dei
lancia-balle, macchine quasi sempre portate lateralmente dalla trattrice ( o dal carro rimorchio ), azionate
dalla p. d. p. della trattrice, a volte anche con l'ausilio di dispositivi idraulici di sollevamento e regolazione.
I carica-balle più comuni (cfr. Figura 353) sono del tipo a nastro elevatore, preceduto da un organo di
guida che consente di raddrizzare le balle che si presentano in posizione irregolare.

215
Figura 353 Carica-balle con trasportatore a catene

I lancia-balle, invece, consistono in dispositivi caricatori applicati alla trattrice, a comando idraulico dotati di
un lungo nastro (da 2 a 4 metri), fissato su una colonna girevole (cfr. Figura 354).

Figura 354 Lancia-balle applicato su trattrice Figura 355 Lancia-balle applicato su rimorchio

Le balle trasportate con il nastro vengono singolarmente deporle sul rimorchio, trainato dalla stessa
trattrice, dopo una rotazione di 180°. In altri casi, braccio e pinza sono montati direttamente sul rimorchio
(cfr. Figura 355). Per il carico e la successiva manipolazione delle balle cilindriche si possono usare
anche altre soluzioni, fra le quali, le più semplici sono costituite da dispositivi caricatori a forca o a pinza
(cfr. Figura 356); i suddetti caricatori sono costituiti da una semplice forca a due denti della lunghezza di
1,50 m; talvolta, la forca viene dotata di una pinza posta superiormente funzionante a comando idraulico,
ottenendo così una soluzione più sicura e razionale, in particolare per le zone declivi.

Figura 356 Carica balle cilindriche a forca (o a pinze)

216
Per il carico e il trasporto di una sola balla e su brevi distanze, si possono inoltre utilizzare dei trasportatori
a forche a due denti applicati all'attacco a tre punti della trattrice.
Per il trasporto di più balle cilindriche sono disponibili carri speciali con sponde in profilato e provvisti di
caricatore con pinze a comando idraulico (cfr. Figura 357).

Figura 357 Rimorchio dotato di caricatore a pinze per balle cilindriche a comando idraulico

Le balle dopo la raccolta vengono depositate in tettoie metalliche, strutture completamente amovibili,
di larghezza fino ai 12 mt., formate da profilati in ferro zincato con struttura di copertura in poliestere,
oppure di lamiera zincata (cfr. Figura 358 A).
Possono essere proposte anche soluzioni alternative con strutture metalliche leggere protette da teli in
poliestere (cfr. Figura 358 B) o con semplici teli di copertura (cfr. Figura 358 C), queste ultime due
soluzioni garantiscono buone condizioni per il ricovero del fieno, ad un costo limitato ed una garanzia di
durata di 3-5 anni.

A B C

Figura 358 Tettoie di ricovero con pilastrini in acciaio zincato e relative tettoie di copertura (A)
o soluzioni alternative con strutture in profilati metallici leggeri protette da teli in
poliestere (B) o con semplici teli di copertura (C)

217
Per le aziende agricole che non intendono sostenere le spese per la costruzione delle tettoie e per le piccole
realtà produttive agricole, attraverso la gestione da parte di contoterzisti, è stata proposta l’utilizzazione di una
pressa-raccogli-imballatrice con sistema di protezione in polietilene per proteggerla dall’umidità, dalla pioggia
e dalle intemperie (cfr. Figura 359).

Figura 359 Pressa-raccogli-imballatrice con sistema di protezione in


polietilene per proteggerla dall’umidità, dalla pioggia e
dalle intemperie

L’esame dettagliato delle diverse soluzioni esaminate per il taglio, il condizionamento, la raccolta e
l’imballaggio del foraggio consente di affermare che esistono macchine adeguate per le varie operazione
colturali al fine di conferimento alle aziende zootecniche un foraggio sia fresco che affienato di ottima
qualità eventualmente anche confezionato in balle con sistema di protezione in poliestere che ne
consente una conservazione per un lungo periodo.

Bibliografia

(1965) DIPAOLA G. “Appunti del corso di meccanica agraria”, Distribuiti a cura dell’Istituto di Meccanica
Agraria di Bari, Bari, gennaio 1965.

(1972) DIPAOLA G. AMIRANTE P. “La meccanizzazione di alcune colture industriali di attuale interesse”,
Arti Grafiche Nunzio Schena, Fasano 1972.

(1972) AMIRANTE P. PASQUALONE S. B. “Similitudine meccanica e analisi dimensionale mezzi di indagine


nella meccanica agraria” Atti della XVII Giornata di meccanica agraria, Edizioni Arti Grafiche Nunzio
Schena, Fasano di Puglia 1972, pagg. 1-28.

(1975) ARRIVO A. PANARO V. “Meccanica Agraria”, Edizioni Quadrifoglio, Bari novembre 1975.

(1989) SANGIORGI F. GUIDOBONO CAVALCHINI A. “Macchine per la raccolta dei foraggi. Orientamenti per
la scelta”, Edizioni , Milano 1989

(1999) BIONDI P. “Meccanica Agraria. Le macchine agricole”, Edizioni UTET, Torino 1999.

(2005) GIARDINI L. “Potenzialità produttiva e sostenibilità dei sistemi colturali”, Edizioni Hoepli, Milano 2005.

218
CAPITOLO XIX

MACCHINE PER LA RACCOLTA DEI CEREALI

19.1 Introduzione
Il grano è un cereale coltivato fin dall’antichità, le cui origini risalgono a 5000 anni a.C. (cfr. Figure 360).
La coltivazione del grano, eseguita nelle aziende agricole, prevede le seguenti pratiche colturali: l’aratura
del terreno (detta anche lavorazione principale), la preparazione del letto di semina, la concimazione di
fondo, la semina, la concimazione di copertura, i trattamenti antiparassitari, la raccolta del prodotto e il
trasporto al centro aziendale per trasferirla poi ai molini per la macinazione.

Figura 360 Lavorazioni del terreno nell’antichità

Dalla macinazione del frumento si ottiene una farina bianca, se deriva dal grano tenero (triticum vulgare) e
la semola (triticum durum) se deriva dal grano duro; in particolare si precisa che dal grano duro si
producono semole con granuli grossi con spigoli netti, mentre dal grano tenero si ottengono farine dai
granuli sottili e tondeggianti.
La semola è una farina di granulometria maggiore dove i singoli componenti sono di forma arrotondata e
con presenza di poca polvere. Nell'uso comune, il termine farina serve ad indicare quella di grano e in
particolar modo quella di grano tenero, mentre si usa la parola semola per la farina di grano duro.
Per il loro ruolo nella fabbricazione di pane e di pasta, queste sono infatti le più diffuse nel mondo, tutelate
dalle leggi dei diversi paesi. La legge italiana ne stabilisce chiaramente le caratteristiche e le eventuali
denominazioni con il Decreto del Presidente della Repubblica n.187 del 9 febbraio 2001.
Esistono anche farine di mais, di orzo, di farro, di riso, di avena, di segale, ecc., oppure di legumi, di frutta a
guscio, di castagne, di ceci, di tuberi e perfino di alcune specie di acacia australiane.
Le farine di frumento, se provenienti da grano duro vengono utilizzate per la produzione di pasta secca
alimentare e di pane in alcune zone, la farina di grano tenero viene, invece, utilizzata per la produzione di
pane e per la produzione di altri prodotti da forno e per la produzione della pasta fresca.
La legislazione italiana fin dall’anno 1967 con la legge n. 580/1967 prevedeva che la pasta secca dovesse
essere ottenuta solo ed esclusivamente con semola di grano duro; e quindi qualsiasi aggiunta, anche se
parziale, di grano tenero costituisce una frode.
In definitiva, i prodotti che si ottengono dalla coltivazione del frumento, come già innanzi detto, sono: la
granella di grano duro utilizzata per la panificazione e la produzione di pasta secca, la granella di grano

219
tenero utilizzata la produzione di pasta fresca e la paglia, utilizzata per gli allevamenti zootecnici o come
supporto alla produzione di fertilizzanti organici (cfr. Figure 361-362).

Figura 361 Grano e paglia ottenuti dalla raccolta del frumento

L’operazione successiva alla raccolta della granella è rappresentata dallo stoccaggio a cui segue la pulizia e
la vagliatura del seme, mediante un flusso d’aria in aspirazione o in pressione, fino a raggiungere un valore
dell’umidità dello stesso seme inferiore al 13,5-14%; ciò in quanto la presenza di materiali estranei potrebbero
sviluppare, nella fase di conservazione, muffe o marciumi ed intaccare i tessuti del seme e la sua capacità di
germinazione.

Figura 362 Grano duro destinato alla produzione della pasta secca
Le partite di granella devono essere stoccate, in sili orizzontali o verticali, e per una migliore valorizzazione
del prodotto, si devono concentrare partite omogenee secondo le richieste dell’industria di trasformazione.
Inoltre, diventa fondamentale, secondo quanto previsto dalla legislazione italianata, che il seme non sia
un organismo geneticamente modificato (OGM), cioè un organismo che possegga un patrimonio
genetico modificato tramite tecniche di ingegneria genetica, con l'aggiunta, l'eliminazione o la modifica di
elementi genici (cfr. Figura 363):.

Figura 363 Coltivazione di grano geneticamente modificato

220
Tali aspetti sono fondamentali al fine di fornire i requisiti di rintracciabilità e di sicurezza alimentare
richieste dalla normativa italiana, al fine di una corretta distribuzione al consumo di prodotti derivati dal
grano.
In definitiva, si precisa, come già innanzi detto, che dal seme di frumento duro si ottiene la granella dalla
quale si ricava la semola, materia prima con cui si prepara la pasta secca alimentare, mentre dalla
macinazione del frumento tenero, si ottiene la farina utilizzata per la produzione della pasta fresca (cfr.
Figura 364).

Figura 364 Grano tenero destinato alla produzione della pasta fresca

I sottoprodotti, quali i cruscami, cioè crusca, cruschello e tritello, le farinette e il granotto, cioè chicchi di
grano spezzato, vengono destinati all’uso zootecnico; mentre gli scarti di pulizia, costituiti dalle polveri e da
corpi estranei, vengono eliminati.
A tal proposito si precisa che un premio specifico alla produzione di un seme di qualità è previsto dalla riforma
della PAC (Politica Agricola Comunitaria) con il regolamento della CEE n. 1782/2003, premio che viene dato
agli agricoltori delle zone specifiche di produzione (cfr. Figura 175).
L’erogazione del premio è legata alla produzione di un seme certificato di qualità, di varietà riconosciuta per le
singole zone di produzione.
I requisiti minimi richiesti dalla legislazione italiana per l’accettabilità del frumento duro sono i seguenti:

- peso minimo accettabile: 76 kg/hl;

- percentuale massima di chicchi bianconati anche solo parzialmente: 50%,


di cui i chicchi di frumento tenero non superino il 4%;

- la tolleranza relativamente alla percentuale di bianconatura: 20%.

I grani duri di qualità superiore si ottengono nelle regioni tipiche del Sud Italia, grazie alle condizioni
climatiche che assicurano nella sua coltivazione l’insieme delle caratteristiche determinanti per ottenere
un’ottima qualità per l’industria di produzione della pasta secca; tuttavia, poiché le produzioni di grano
duro italiane non sono sufficienti a ricoprire il fabbisogno dell’industria, il 30% circa del grano utilizzato
proviene dall’Estero, principalmente dal Canada e dagli Stati Uniti (cfr. Figura 365); i grani importati sono,
in genere, di ottima qualità e la pasta che se ne ricava non subisce danno da tale esigenza commerciale;
tale esigenza è stata determinata dal fatto che più recentemente le coltivazioni di grano, in alcune regioni

221
del Sud Italia, sono state soppiantate da iniziative imprenditoriali più redditizie, come ad esempio la
coltivazione degli ortaggi e l’istallazione di pannelli fotovoltaici.

Figura 365 Areali del Canada e degli Stati Uniti dove si produce il grano duro utilizzato in Italia

Le operazioni che si effettuano per la raccolta dei cereali sono:

- mietitura

- trebbiatura

- pulizia

- insaccamento.

Tali operazioni, oggigiorno, vengono effettuate con una sola macchina chiamata mietitrebbia (cfr. Figura
366), che ha sostituito, in pratica, quasi del tutto le macchine che si usavano in passato, quando
l’operazione di mietitura si effettuava con una macchina denominata mietilegatrice (cfr. Figura 367 A-B) e
la trebbiatura veniva effettuata con un’altra macchina denominata trebbiatrice che lavorava in genere a
punto fisso nel centro aziendale.

Figura 366 Moderna mietitrebbiatrice in lavorazione nella raccolta del grano duro

222
A B

Figura 367 Antica mietilegatrice (A) e moderna mietilega in lavorazione (B)

A B

Figura 368 Antica trebbiatrice (A) e moderna macchina trebbiatrice in lavorazione (B)

19.2 Aspetti costruttivi e funzionali delle mietitrici e delle mietilegatrici

La raccolta delle colture cerealicole è stata semplificata dall'introduzione di diversi tipi di macchine che si
sono sempre più evolute sino a rendere le operazioni interamente meccanizzate.
La prima macchina impiegata è stata la mietitrice semplice o accovonatrice con la quale venivano tagliati i
culmi, successivamente depositati al suolo, fuori dal percorso della barra falciante, per evitare il
calpestamento nel passaggio successivo; alcuni lavoratori seguivano da terra l'operazione raccogliendo il
prodotto falciato, legandolo con corde o fasci di culmi intrecciati e formando i così detti "balzi" o "manne" o
"covoni".
Gli agronomi consigliano d'iniziare la mietitura del grano, quando le granelle possono essere ancora
schiacciate tra l'indice e l'unghia del pollice senza che il contenuto sia lattiginoso, ma atto a determinare
l'impastamento della farina.
Gli strumenti a mano sono d'uso antichissimo; il più comune è la falciola (cfr. Figura 369) che è formata
da un corto manico al quale è unita una lama curva avente un lembo a taglio unito o dentato. Nei varî paesi
la forma e la grandezza della lama cambia. I Romani denominavano falx messoria la falciola e la
distinguevano dalla falx foenaria, che serviva per il taglio dei foraggi.

223
Figura 369 Falce per taglio dei cereali denominata falx messoria dai Romani

Dagli scritti di Plinio e di Palladio si rileva l'impiego presso i Galli di macchine rudimentali per la raccolta del
frumento, costituite da cassoni di legno sostenuti da ruote e spinte in avanti da annali. Un lungo pettine
disposto anteriormente provvedeva a strappare le spighe e a farle cadere nel cassone.

Figura 370 Mietitrice spinta da una coppia di cavalli, progettata


dell’inglese Patrick Bell nel 1826; gli steli tagliati sono
espulsi lateralmente a formare un’andana continua

Tuttavia, bisogna risalire agl'inizî del secolo XIX per ritrovare nei tentativi degli inglesi Gladstone (1806),
Scott e Smith (1811), H. Ogle (1822) i precursori delle macchine moderne; ma i successivi perfezionamenti
delle macchine per mietere furono operati da Americani: da Hussey per quanto riguarda l'apparecchio di
taglio; da Dorsey (1826) che inventò i rastrelli automatici e da J. F. Appleby (1878) che, con l'ideare
l'apparecchio legatore, che diede modo di rendere perfettamente automatiche tutte le operazioni dal taglio
e di formazione dei covoni messi appunto dai costruttori C. H. McCormick e Deering.

Figura 370 Prima mietitrice costruita da McCormick nel 1945

224
McCormick ha ricevuto il brevetto per la prima mietitrice nel 1834 (migliorata nel 1845 - cfr. Figura 370)
con il nome di mechanical reaper ("mietitrice meccanica"); la sua invenzione venne presentata alla

prima Esposizione Universale della storia, organizzata nel 1851 al Palazzo di Cristallo di Londra, nello
stesso periodo McCormick fondò una società, a suo nome, per la produzione di mietitrici su scala
industriale.
Anche nella prima metà del secolo XIX (1840) sorse l'idea di avere una macchia combinata capace di
mietere e trebbiare sul campo; ma soltanto la necessità di approvvigionare le nazioni impegnate nella
guerra mondiale, spinse l'industria dell'America Settentrionale a perfezionare la costruzione delle
mietitrebbiatrici fino al punto da determinare una rapida diffusione di esse in tutti i paesi esportatori di
grano.
Attualmente le macchine per la mietitura vengono classificate in:

- falciatrici con dispositivi per mietere (A),


- mietitrici semplici (B),
- mietitrici legatrici (C),
- mietitrici trebbiatrici (D).

Le falciatrici con dispositivo per mietere (A) sono le stesse macchine che servono al taglio dei foraggi, con
l'aggiunta, dietro l'organo di taglio, di un telaio a stecche e di un secondo sedile. L'aggiunta del telaio ha lo
scopo di reggere le piante tagliate finché l'operaio dal secondo sedile non le spinga, con un rastrello di
legno, a mucchi sul terreno.

Figura 371 Falciatrici con dispositivi per mietere

Le mietitrici semplici (B) lasciano, come le precedenti, le piante a mucchi sul terreno, ma non hanno
bisogno del secondo operaio perché compiono, con rastrelli comandati da un asse verticale, l'abbattimento
dei culmi contro la sega e lo scarico periodico degli stessi dal piano che li raccoglie.

Le mietitrici legatrici (C) eseguono automaticamente tutte le operazioni che vanno dal taglio dei culmi alla
legatura dei covoni e sono le macchine universalmente impiegate nella raccolta dei cereali.

225
Il taglio del riso si effettua quasi dappertutto a mano per le difficoltà dipendenti dalla presenza in risaia di
fossi e argini, dalla cedevolezza del terreno di recente prosciugato, dal frequente allettamento esteso e
irregolare. Esperimenti di mietitura meccanica del riso furono fatti in Italia nel 1912 con la macchina "Balbo
Bertone" montata su slitta e con motorino ausiliario per alleggerire la trazione agli animali; ma
l'esperimento non ebbe successo. Di recente, nel Vercellese, è stata provata, per la raccolta del riso, una
mieti-trebbiatrice Rumely, la quale sembra possa compiere un lavoro assai soddisfacente.
Per il granoturco, che pure appartiene ai cereali, non si parla di mietitura poiché la raccolta non si esegue
col taglio delle piante, ma con l'asportare le sole pannocchie. Esistono in America macchine che compiono
tale operazione e vanno nella categoria delle raccoglitrici e non delle mietitrici. Queste macchine sono
spesso combinate con l'apparecchio sgranatore.
I dati di lavoro umano occorrente per eseguire la mietitura dipendono dallo stato della coltura, in modo
particolare dalla fittezza e dalla presenza o meno di allettamento.
In media si ritiene siano necessarî per mietere e legare i covoni in totale da 10-15 operai-ora per ha,
secondo la larghezza del taglio, che va da m. 5,50 a 3,60.
L'introduzione della mietilegatrice costituì una successiva fase di progresso. Le mietitrici e le mietilegatrici
operavano a trazione animale o meccanica. Il moto agli organi lavoratori veniva trasmesso dalla ruota
portante contemporaneamente anche motrice. Oggi, con l'introduzione della presa di forza nella trattrice,
questo avviene tramite trasmissione cardanica.
In Italia le prime mietilegatrici di importazione giunsero dal Nord America all’inizio del 1900 e portavano
marchi già famosi come Johnston, McCormick, Deering; successivamente arrivarono anche macchine
europee come le francesi Amoroux e Puzenat, le svedesi Viking e Aktiv o le tedesche Fahr, ma la loro
diffusione nel nostro Paese fu limitata dal costo e, in un’agricoltura ancora molto arretrata.
Le mietilegatrici Laverda negli anni 1838-40 fu ostacolata dall’abbondanza di manodopera ancora
disponibile (cfr. Figura 372); in alcune regioni ci fu una vera e propria avversione da parte delle autorità,
tanto che nella Pianura Padana decreti prefettizi ne vietavano l’uso per garantire il lavoro alle schiere di
braccianti agricoli; solo intorno al 1935, con la spinta verso la meccanizzazione dell’agricoltura (che fu una
conseguenza della politica autarchica attuata dal regime fascista), si iniziò a pensare a macchine di
produzione nazionale, limitando così il ricorso alle macchini straniere.

Figura 372 Mietilegatrice Laverda in lavorazione

226
La macchina brevettata nel 1942 (cfr. Figura 373), poi modificata nei diversi modelli introdotti sul
mercato, era costituita da un telaio metallico, supportato da un assale con due ruotini , trainato dalla
trattrice tramite con un timone, d era dotata dai seguiti organi di lavoro:

- un aspo rotante per convogliare le piante verso l’organo di taglio;


- un apparato di taglio con larghezza variabile da 1,80 a 2,40 metri
nei diversi modelli;
- un tappetto mobile e gli apparati di legatura dei covoni
- organi di trasmissioni con ruote dentate coniche, trasmissioni a
catena e manovellismi di spinta per l’azionamento degli organi
lavoranti.

Figura 373 Particolari costruttivi della mietilegatrice Laverda

Le mietitrebbiattrici (D) sono macchine che eseguono l'operazione di mietitura e la trebbiatura con un
unico passaggio, consentendo di ottenere la granella, la paglia e la pula o lolla o loppa, residuo della
copertura della cariossidi in un’unica soluzione.
Oggi la raccolta è effettuata quasi esclusivamente con la mietitrebbiatrice ed ha inizio quando il prodotto è
maturo e le condizioni climatiche lo consentono.
Per evitare le perdite, conseguenza sia delle intemperie che dei fattori fisiologici, deve avvenire il più
rapidamente possibile.
Il cantiere per la raccolta dei prodotti è costituito dalla mietitrebbiatrice, da una trattrice con il rimorchio per
il trasporto della granella ed impegna un minimo di due addetti.
Nella raccolta dei cereali autunno-vernini (in particolare del grano) la mietitrebbiatura, tramite l'apparato di
vagliatura e pulitura, elimina i semi delle infestanti ed altri eventuali impurezze convogliandole in una
tramoggia laterale alla macchina e raccogliendole in un contenitore di juta o di plastica.
Fatta eccezione per il mais, il prodotto da raccogliere deve essere molto asciutto al momento della mieti-
trebbiatura, perché la massa vegetale umida ostacola il movimento degli organi convogliatori e lavoratori,
determinando anche la perdita del prodotto.

227
19.3 Aspetti costruttivi e funzionali delle trebbiatrici

La trebbiatrice è una macchina agricola utilizzata per sgranare i cereali e separarli dalla paglia come ad
esempio avviene , nel caso del frumento o del riso; nel caso del mais; la macchina che esegue la
separazione dei semi dai tutoli viene detta sgranatrice.
La trebbiatrice in Italia, un tempo detta anche "macchina per battere il grano" appartiene ormai al passato,
sostituita dalla mietitrebbia che esegue la trebbiatura contemporaneamente alla mietitura.
In età romana esisteva una tipologia particolare di vanga, chiamata ventilabrum, che serviva a separare il
grano dalla paglia e dalla pula.
La trebbiatura fino al 1700 è stata sempre eseguita con attrezzi semplici, utilizzato per l’azionamento degli
organi di lavoranti, l’uomo o gli animali (cavalli o buoi- cfr. Figura 374).

Figura 374 Trebbiatrice con attrezzi semplici eseguita prima dell’avvento dei motori a scoppio

Allorché con l’avvento dei nuovi motori fu possibile applicare l’auto-trazione, questa fu utilizzata nella sua
forma più semplice per la trebbiatura costituita da due organi: il battitore e il controbattitore (o griglia);
questi due organi sono sempre presenti, qualunque sia la complessità della trebbiatrice, e servono a
separare i semi dalla spiga; nella Figura 375 è raffigurata una attrezzatura utilizzata nel 1800 per la
separazione del seme dalla spiga.

Figura 375 Attrezzatura per separare la cariosside dalla spiga

Una simile macchina però non era sufficiente perché restavano da compiere molte altre operazioni per
ottenere un seme completamente libero da tutte le impurità; si precisa che, in botanica, con il

228
termine cariosside si indica un frutto secco indeiscente (frutto che, anche quando è giunto a completa
maturazione, non si apre spontaneamente per fare uscire il seme monospermio (contenente cioè un
solo seme) tipico della famiglia delle graminacce (cfr. Figura 376).

Figura 376 Raffigurazione della spiga con particolare della cariosside

Una volta separato il seme utilizzando l’apparato costituito da battitore e controbattitore (o griglia), la
seconda esigenza è quella di poter meccanicamente separare gli steli, ossia la paglia, che costituisce la
parte più ingombrante di tutta la pianta. Gli organi adibiti a questo scopo sono gli scuotipaglia, che, nella
forma più comune, si presentano come scatole rettangolari molto allungate, aperte sopra e sotto e dotate
nella parte superiore di listelli o di reti per far passare i semi e trattenere la paglia (cfr. Figura 377).

Figura 377 Organi di lavorazione per separare il seme

Attualmente le ditte costruiscono le moderne trebbiatrici fisse, completamente prive di scuotipaglia (cfr.
Figura 377); tali operatrici sono dotate di uno speciale battitore elicoidale che espelle direttamente la
paglia fuori dalla macchina.
Un’altra esigenza molto sentita è quella di eliminare le parti più minute e leggere; questo compito si svolge
nel gran cassone, dotato di un crivello per eliminare la parte delle pagliuzze, delle spighe vuote e della
pula; un ventilatore allontana, poi, le parti più leggere e la polvere.
Molti sono stati i tentativi per ridurre queste perdite, la riprova è il progressivo allungamento degli
scuotipaglia e conseguentemente delle macchine per cercare di limitare al massimo l’inconveniente.
Non è mancata, inoltre, l’esigenza di migliorare l’efficienza degli scuotipaglia pur contenendone molto la
loro lunghezza, uno di questi dispositivi viene applicato subito dopo il battitore ed è chiamato spagliatore;
attualmente viene regolarmente applicato alle moderne mietitrebbiatrici.

229
Nella figura 368, ove è rappresentato lo schema di una trebbiatrice molto semplice della seconda metà
dell’ottocento; si può notare la forma molto primitiva di tutto l’insieme che risulta anche molto essenziale.
La suddetta attrezzatura era costituita da soli quattro apparati e cioè:

- battitore e controbattitore;
- scuotipaglia;
- gran crivello;
- ventilatore.

Preliminarmente si precisa che la granella caduta direttamente al suolo in campo veniva raccolta
manualmente e dopo la bruciatura della paglia veniva utilizzata dagli agricoltori come grano arso.
Si sottolinea ancora che gli scuotipaglia non avevano la pendenza delle trebbie più recenti ed inoltre Il
gran crivello era molto simile ad uno buratto vibrante ed il ventilatore agiva direttamente sotto di esso.
.Nel 1733 lo scozzese Michael Menzies costruì la prima trebbiatrice azionata da una ruota idraulica;
successivamente, si ebbero trebbiatrici movimentate da motori a vapore e quindi da motori a scoppio.
Successivamente, con l’avvento delle motrici a vapore si forniva energia alla trebbiatrice mediante una
grossa cinghia per la trasmissione del moto, oppure con un giunto cardanico; sia la motrice che la
trebbiatrice (cfr. Figura 378), montata su ruote, venivano spostati nelle diverse località di trebbiatura,
costituite solitamente dalle aie delle cascine, mediante traino da parte di buoi o asini.

Figura 378 Trebbiatrici in lavorazione

Alle fine prima metà del '900 il motore iniziò ad essere costituito da una trattrice, che aveva anche la
funzione di trainare la trebbiatrice e i relativi accessori nei suoi spostamenti. Particolarmente indicati a

230
questo compito si rivelarono le trattrici a testa calda, in produzione fino alla fine degli anni '50 e ancora in
uso fin verso la fine del secolo scorso, anche per il loro basso consumo durante il funzionamento da fermi.

19.4 Aspetti costruttivi e funzionali delle mietitrebbiatrici

L’evoluzione della tecnologia di lavorazione iniziò da quando la Claas produsse una prima legatrice per
paglia nel 1919, che venne brevettata solo nel 1921 e successivamente venduta in tutta la Germania.
Dal 1930 iniziò lo sviluppo della prima mietitrebbia semovente, particolarmente adatta per le specifiche
condizioni di mietitura in Europa.
In occasione, poi, della fiera SIMA di Parigi, la Massey Ferguson lanciò sul mercato la MH-20, la
mietitrebbia semovente numero uno al mondo.
Introdotta nel 1938, la MH-20 è stata pioniera di una vera e propria rivoluzione nel settore agricolo,
separando per la prima le trattrici dalle macchine per la mietitura ed offrendo agli agricoltori, in possesso
di grandi estensioni di terreno, la possibilità di ottenere enormi aumenti della produttività e delle prestazioni.
Questa macchina non ha solo offerto la possibilità di effettuare un incredibile balzo in avanti nella
meccanizzazione agricola, ma ha anche permesso di introdurre il termine “mietitrebbia”, gettando le basi
per le future innovazioni che avrebbero interessato le macchine per il raccolto.
La prima mietitrebbia semovente made in Italy, fu la M 60 lanciata dalla Laverda sul mercato nel 1956,
segnando una decisiva svolta tecnologica per le macchine da raccolta nel nostro Paese e anche per
l’interesse di tanti appassionati, che determinarono la storia della meccanizzazione agricola nazionale.

Figura 379 Mietitrebbiatrice Laverda M 60

Negli anni successivi si sono costruite le prime mietitrebbiatrici semoventi , normali o autolivellanti, trainate
o portate, che a seconda degli organi di propulsione posseduti, si distinguono in mietitrebbiatrici a ruote,
semicingolate o a cingoli.
La mietitrebbiatrice semovente è il modello oggi più diffuso, il veicolo, dotato di motore proprio, di varia
potenza, è sottoposto a omologazione per circolare su strada, essendo così completamente autonoma (cfr.
Figura 380).

231
Figura 380 Moderne mietitrebbiatrici dotate di elevate capacità produttive

Per consentire ad alcuni organi (in particolare scuotipaglia e vagli) di lavorare in piano orizzontale ed
ottenere, quindi, un miglior raccolto, le semoventi sono generalmente dotate di impianto autolivellante; in
tal caso solo la barra di taglio opera parallelamente al terreno per ottenere una mietitura uniforme (cfr.
Figura 381).

Figura 381 Mietitrebbiatrice autolivellante in lavorazione

Con pendenze del terreno eccessive, rispetto alla potenzialità di compensazione dell'impianto (che è
costituito da centralina di comando, valvole di flusso e pompa e martinetti idraulici montati tra gli assi delle
ruote e il telaio della macchina), un segnalatore acustico e visivo avverte l'operatore che i vagli e gli
scuotipaglia non lavorano in perfette condizioni con il rischio di perdita di prodotto.
I sistemi di auto-livellamento applicati sulle mietitrebbiatrici consentono di lavorare con varie pendenze:

- secondo le linee di livello con pendenze di circa il 40% (cfr. Figura 382);
- in salita con pendenze del 30%;
- in discesa con pendenze del 10%.

La mietitrebbiatrice trainata è un modello oggi abbandonato, esistono solo attualmente quelle di piccole
dimensioni che sono usate nelle aziende di alta collina e montane e per piccoli appezzamenti; il sistema di
lavoro è analogo a quello delle semoventi. La differenza sostanziale è costituita dalla trasmissione del
moto che avviene tramite la presa di forza della trattrice; questo tipo di mietitrebbiatrice non è munita di
serbatoio e il prodotto viene insaccato manualmente da un operatore situato su di una piattaforma posta

232
lateralmente alla macchina; tale macchina viene portata posteriormente da una trattrice sull'attacco "a tre
punti", ma non ha mai trovato molta diffusione in Italia.

Figura 382 Mietitrebbia in lavorazione nella direzione di massima pendenza

19.4.1 Organi di mietitura delle mietitrebbie per cereali

La mietitrebbiatrice è una macchina a cantieri riuniti, in grado di eseguire contemporaneamente l'intero


ciclo di lavoro, dal taglio dei culmi fino alla trebbiatura e successivo immagazzinamento delle cariossidi
In un cassone (cfr. Figura 383).

Organi di mietitura Organi di trebbiatura

Figura 383 Gruppi di lavorazione della mietitrebbiatrice

Le prime mietitrebbiatrici furono utilizzate nel 1939 di Cerignola in provincia di Foggia, in tutta segretezza
in quanto consentivano di eseguire la raccolta con un considerevole risparmio di manodopera e ciò in quel
periodo non era ben visto.
Partendo, da una notevole diffusione sia delle mietitrici che delle trebbie, che consentivano di eseguire le
due operazioni separatamente, ma già con tecnologie molto avanzate, la macchina a cantieri riuniti offrì da
subito ottime prestazioni sia per la capacità che per la qualità delle operazioni di raccolta.
Le macchine attuali, sia pure con le ovvie innovazioni tecnologie legate al progresso conseguito dalle
tecnologie meccaniche già da subito operavano con ottime prestazioni.
Pertanto, riepilogato tutto quanto già innanzi esposto, si analizzano qui di seguito gli spetti tecnici e
funzionale degli organi principali di lavorazione della mietitrebbia suddivisi nei suoi due apparatiprincipali e
cioè: la piattaforma di taglio e l’apparato di trebbiatura (cfr. Figura 384 A - B).

233
A B

A-B
-

Figura 384 Gruppi di lavoro della mietitrebbiatrice: piattaforma di taglio (A) e apparato di trebbiatura (B)

Piattaforma di taglio

La piattaforma di taglio serve a tagliare lo stelo delle piante delle diverse specie da raccogliere, ad altezza
variabile da terra, e a convogliare la massa vegetale all'apparato trebbiante tramite una coclea ed un
elevatore.
La piattaforma di taglio è costituita dai seguenti organi di lavorazione (cfr. Figura 385):
- barra di taglio;
- aspo abbattitore;
- spartitori;
- convogliatori-trasportatori;
- organi di collegamento
- organi di sostegno e regolazione.

234
Figura 385 Piattaforma di taglio per cereali

La barra di taglio è dotata di una lama con movimento alternativo rettilineo, scorrevole su un porta-lama a
denti (cfr. Figura 386):

A B C

Figura 386 Immagini della barra di taglio (A) dei spartitori (B) e dell’organo di taglio (C)

La barra di taglio ha la funzione di tagliare lo stelo delle piante per poi spingerle verso tavola della
piattaforma mediante l'aspo battitore; in uscita dalla piattaforma di taglio (cfr. Figura 385), con una
particolare coclea montata perpendicolarmente al senso di marcia, le piante vengono convogliatenella
parte centrale della macchina verso i denti retrattili che la spingono all’indietro ad un elevatore che
alimenta il battitore (cfr. Figura 387).

Apparato
di
trebbiatura

Convogliatore

Figura 387 Convogliatore delle piante

235
I denti (o dita) retrattili sono costituiti da una serie di tondini metallici incernierati su un albero, posto in
posizione eccentrica all'interno della coclea. Durante la rotazione i "denti" fuoriescono sulla parte anteriore
e si ritraggono all'interno della coclea stessa nella parte posteriore, evitando così accumuli di piante (cfr.
Figura 388).

Dita retrattili

Spartitore

Figura 388 Coclea convogliatrice delle piante

19.4.2 Organi di mietitura per il mais

Per la raccolta del mais è necessario eseguire le seguenti modifiche alla testata della mietitrebbia.
Alle estremità laterali della testata, vengono montati due spartitori, uno per ciascun lato, costruiti in
lamiera, che terminano a punta nella parte anteriore; sia per la coltura del mais che per quella del
girasole, i due spartitori sono disposti in posizione avanzata, rispetto alla lama di taglio; inoltre vengono
montato per ogni interfila, uno spartitore che delimita il taglio fila per fila (cfr. Figura 389).

A B

Figura 389 partitori per le testate del mais (A) e del girasole (B)

Nelle testate predisposte per la raccolta del mais, gli spartitori, oltre che separare le piante fila per fila,
hanno il compito di proteggere le catene di convogliamento e gli organi di taglio dai possibili ingolfamenti
(cfr. Figura 390).
Le catene di convogliamento sono munite di denti che incanalano le piante al centro degli spartitori dove
avviene il taglio dello stelo dalla pannocchia ed il suo invio al gruppo battitore (cfr. Figura 390).

236
Spartitori

Rulli
mungitori

Catena trasporto
Figura 390 Testata di raccolta costituita da: spartitori, catene di trasporto, rulli mungitori

Nella Figura 391 sono riportati i particolari costruttivi della testata di taglio, costituiti dai puntali (cfr.
Figura 391 A), dagli organi di taglio (cfr. Figura 391 B), dalle catene di trasporto (cfr. Figura 391 C) e dai
rulli mungitori (cfr. Figura 391 D).

C D

A B

Figura 391 Particolari costruttivi della testata di taglio: puntali (A), organi di taglio
(B), catene di trasporto (C), rulli mungitori (D)

237
19.4.3 Organi di mietitura del girasole

La raccolta del girasole si può effettuare modificando la testata da grano con la messa a punto di testate
specifiche, simili a quelle da mais.
La testata per la raccolta del girasole (cfr. Figura 392) è dotata di una piattaforma di raccolta centrale
con convogliatori che indirizzano le piante disposte a filari verso una coclea di grande diametro, scatolata
nella parte sottostante in modo da consentire che i semi che cadono dal fiore non vadano dispersi.

Figura 392 Mietitura: testata per la raccolta del girasole

Le piante suddivise dagli spartitori (cfr. Figura 393), filare per filare, vengono tagliate alla base e
convogliate dalla coclea nella parte centrale della testata, come già innanzi detto, evitando ammassi di
materiale vegetale mediante i denti retrattili.

Figura 393 Mietitura: coclea convogliamento delle piante nella parte centrale della testata

Il taglio della pianta del girasole è effettuato da due dischi contrapposti in acciaio temperato che non
scuotono il fiore e che consentono alte velocità di taglio senza vibrazioni che causerebbero la perdita dei
semi.
L’eventuale distacco di semi, provocato dalle vibrazioni prodotte dalla macchina, determina la loro caduta
nella vasca sottostante la coclea, dove si recupera il prodotto che altrimenti andrebbe perduto (cfr. Figura
394).

238
Figura 394 Piattaforma in operazione di taglio dello stelo della pianta

Figura 395 Cantiere di raccolta del girasole con moderna mietitrebbiatrice

Nella Figura 395 è rappresentata una moderna mietitrebbiatrice in lavorazione che dispone di attrezzature
per lo scarico della granella in un carro attrezzato con serbatoi di contenimento della granella.

Figura 396 Raccolta del girasole eseguita con Mietitrebbia Class Europa e
prototipo realizzato dopo le prove

239
Da prove eseguite dall’autore con mietitrebbia Class Europa (cfr. Figura 396), con testata modificata per
adattarla al seme di girasole , le perdite sono risultate pari a :

- perdite al taglio 5,4 - 5,6% media 5,5%


- perdite alla trebbiatura 0,7 - 1,5% media 1,1%
- perdite totali 6,1 - 7, 1% media 6,6%

In prove analoghe eseguite su grano duro si sono ottenuti valori analoghi:

- perdite al taglio 2,5 - 3,5% media 3,0%


- perdite alla trebbiatura 0,5 - 0,3% media 0,4%
- perdite totali 3,0 - 3,8% media 3,4%.

Le perdite alla trebbiatura sono risultate molto contenute avendo eseguito una riduzione elevata della
velocità dell’aria al ventilatore, tendo conto che il peso del seme di girasole è quasi eguale a quello del
grano, mentre l’aria della sezione maestra del girasole è circa pari al doppio di quella del grano.

19.4.4 Organi di mietitura di colture oleaginose

La diffusione delle colture oleaginose ( oltre al girasole sono da considerare la colza, la senape, il lino,
ecc.), ha portato, per la loro raccolta all'utilizzazione della mietitrebbiatrice, la quale si è rivelata come
l'unico mezzo conveniente ed economico per tali colture.
Queste colture, però, costituite da piccoli semi deiscenti e fragili, non si prestano molto bene alla
mietitura-trebbiatura e questo fatto può comportare, in mancanza di precauzioni o adattamenti speciali, ad
un compatibili ad un abbassamento del loro valore commerciale.
La raccolta di queste colture presenta le seguenti difficoltà:

- perdita di semi elevata, in genere impossibile da valutare, che può raggiungere frequentemente,
senza precauzione, anche il 30-50% del totale;
- rischio di trascinamento nella paglia, nella massa vegetale al livello del battitore e degli scuotitori,
con importante rischio di trascinamento nella corrente d'aria di ventilazione;
- alterazione del seme per riscaldamento e/o per urto meccanico troppo spinto nel contatto degli
organi interni in movimento della mietitrebbiatrice, con rischio di lacerazione dell'involucro.

Inoltre, si precisa che tutte le mietitrebbiatrici sono idonee a raccogliere il colza, ma quest'ultima essendo
una pianta deiscente, il problema della sgranatura costituisce l'elemento più delicato; infatti, poiché all’atto
della raccolta le piante di colza si presentano aggrovigliate tra di loro, il passaggio della macchina provoca
uno strappo tra i culmi falciati e quelli da sfalciare, determinando così una perdita di silique e semi.

240
Le suddette perdite si possono limitare con i seguenti accorgimenti:
- utilizzando una barra di taglio più larga in modo da limitare il numero di passaggi;
- facendo lavorare la macchina nel senso dell'allettamento delle piante in modo da
limitare i rischi di intasamento e quindi con la possibilità di perdite inferiori di silique.

19.4.5 Aspetti costruttivi generali della testata trebbiante della mietitrebbia

Gli organi di trebbiatura possono suddividersi nei seguenti quattro gruppi operativi, così come riportati
nel seguente schema operativo della Figura 397: battitore e controbattitore (A), spogliatore e
scuotipaglia (B), ventilatori e crivelli (C), elevatore e tramoggia (D).

A- Battitore e controbattitore B - Spogliatore e scuotipaglia

C - Ventilatore e crivelli D - Elevatore

Figura 397 Organi di trebbiatura: Battitore e controbattitore (A), spogliatore e scuotipaglia (B),
ventilatori e crivelli (C), elevatore e cassone (D)

Le piante , dopo il taglio dello stelo al livello del piano di campagna, vengono convogliati dalla coclea al
centro della larghezza di lavoro (cfr. Figura 397) e quindi con un nastro trasportatore vengono sollevate
verso il complesso trebbiante che è costituito da un gruppo battitore-griglia (A).

241
Il battitore ruota all'interno di una griglia modellata per trattenere la paglia e le spighe non trebbiate,
mentre consente il passaggio dei semi e dei residui alla fase successiva di pulizia (C), da organi (crivelli e
ventilatore) i semi vengono puliti dalle impurità e dai residui non trebbiati (C), mentre la paglia e gli altri
residui vanno al gruppo lanciatore e spogliatore-scuotipaglia (B); i semi puliti sono, poi, sollevati verso il
cassone dall’elevatore (D) (cfr. Figure 397- 398).

Figura 398 Gruppo spogliatore - scuotipaglia

5 - 20 mm

Figura 399 Distanza fra battitore e controbattitore

La distanza tra battitore e griglia è nell'ordine dei 5-20 mm e varia a seconda della specie da raccogliere
(cfr. Figura 399).
L'apparato trebbiante ha lo scopo di staccare il seme dalla spiga e della pannocchia e, tranne alcuni casi
(mietitrebbiatrice a battitori longitudinali), lavora perpendicolarmente al senso di marcia della macchina.
Il prodotto che esce dall'apparato trebbiante è costituito da:

- semi e parti vegetali della coltura raccolta;


- eventuali semi e parti vegetali di infestanti;
- terra e altri corpi estranei.

242
La massa che esce dal battitore, tramite il complesso lanciatore spogliatore (cfr. Figura 400 A) viene
inviata agli scuotipaglia che, con il loro moto alternativo, spingono fuori dalla macchina la paglia e le parti di
scarto più grossolane, trattenendo la granella (cfr. Figura 400 B).

A B

Figura 400 A- B Gruppo lanciatore-spogliatore (A) e relativi scuotipaglia (B)

La paglia viene lasciata cadere per terra in andane e successivamente viene raccolta con le presse-
imballatrici.
I semi della coltura, delle infestanti ed i piccoli frammenti vengono, invece, inviati al sistema di pulitura
(piani oscillanti, crivelli e ventilatore) che sono in grado di separare i semi della coltura dalle altre impurità
in base al loro diametro e al peso specifico.
Per evitare disseminazioni nel campo delle infestanti, la maggior parte di questi semi viene raccolta in un
apposito sacco; si riportano, qui di seguito, alcune immagini del complesso trebbiante e dei singoli
apparati (cfr. Figura 401).

A B

C D E

E F G

Figura 401 Complesso trebbiante: complessivo (A-B); lanciatore-spagliatore


(C); scuotipaglia (D); crivelli (E); ventilatore (F); elevatore e
cassone (G).

243
Il residuo materiale è inviato nuovamente all'apparato trebbiante e le impurità vengono espulse dalla
macchina tramite il ventilatore; la pulizia della granella ed il recupero delle spighe che eventualmente sono
sfuggite all’azione del gruppo battitore-controbattitore sono recuperate con il gruppo di pulizia costituito dal
ventilatore e dai crivelli con i relativi accessori (coclee).

14.4.6 Regolazione della funzionalità del gruppo battitore-controbattitore

Il gruppo battitore-controbattitore è l'organo principale della macchina e dalle sue caratteristiche e dalla
relativa regolazione dipende, in notevole parte, l'efficienza della mietitrebbia.
Si precisa che la funzionalità del gruppo battitore-controbattitore dipende in primo luogo dalle sue
caratteristiche costruttive.
La larghezza del battitore corrisponde normalmente alla larghezza della macchina e dà un'idea della
capacità di lavoro della macchina, in quanto la quantità di prodotto che può passare nell'unità di tempo è, a
parte altri fattori, proporzionale a questa dimensione.
La funzionalità dell’apparato trebbiante dipende, invece, oltre che dalla larghezza della macchina dalla
velocità di rotazione del battitore e dalla distanza fra il battitore ed il controbattitore.
La velocità può variare da 20 m/secondo a 30 m/secondo per il grano e per i cereali in genere, passando
nella regolazione del gruppo dalle velocità più elevate a quelle più basse, a seconda delle condizioni del
prodotto: più è maturo ed asciutto è il seme, meno elevata deve essere la velocità.
In pratica si dovrà scegliere un regime di rotazione che consenta la completa sgranatura del prodotto
senza rotture di chicchi e senza frantumazione degli stessi, altrimenti sorgono problemi di pulizia della
granella.
La distanza fra battitore e controbattitore è regolabile, in genere con comando idraulico che sposta il
controbattitore con un martinetto; in media per il grano la distanza è di 12 mm all’ingresso e di 3 mm
all’uscita e l’area di lavoro fra battitore e controbattitore è definita dalla larghezza del gruppo per una parte

Figura 402 Regolazione della distanza battitore-controbattitore

In particolare, bisogna fare attenzione di non aumentare la distanza posteriore oltre i 3,0 mm, perché ciò
determina il passaggio del grano con la paglia e non sarà poi certo possibile poterlo recuperare del tutto.
Comunque è fondamentale che oltre il 90% dei chicchi si separi dalla paglia fra battitore e controbattitore,
altrimenti si possono avere delle perdite considerevoli.

244
19.4.7 Aspetti costruttivi degli organi di pulizia della granella e valutazione delle perdite

Gli organi di pulizia della granella costituiscono una parte importante per ottimizzare la funzionalità del
gruppo trebbiante, in quanto consentono di ridurre le impurità presenti nel prodotto.
Per controllare le perdite è necessario costruire l’apparato di pulizia, con un idoneo dimensionamento
dei piani oscillanti, una giusta scelta dei crivelli e una buona regolazione della velocità dell’aria di
ventilatore, in funzione delle dimensioni e del peso dei chicchi di granella da recuperare (cfr. Figura 403).

Figura 403 Gruppo di pulitura della granella : 1°piano oscillante (1) ; 2°piano oscillante (2); crivello
superiore regolabile (3); coclea di convogliamento del materiale di recupero (4); crivello
inferiore fisso o regolabile (5); coclea di recupero della granella pulita (6); ventilatore (7)

Per esaminare in modo corretto tale aspetto è necessario descrivere più dettagliatamente il gruppo di
pulizia della granella che è costituito dai seguenti quattro organi (cfr. Figura 403):

- piano oscillante di separazione della granella dalla paglia (1-2);


- gruppo di crivelli di pulizia della granella (3-5) ;
- ventilatore per eliminare le impurità (7);
- coclee di recupero della granella e delle mezze spighe (4-6).

Il piano oscillante è costituito da gradini con profilo a dente di sega, che viene chiamato, anche, cassone
alimentatore; tutti i chicchi che provengono dal controbattitore, unitamente a quelli recuperati dagli
scuotipaglia, cadono sul piano oscillante che porta ai crivelli.
Il grano, nel percorrere il piano a gradini, inizia a separarsi dalle impurità leggere che tendono a
galleggiare sullo strato superiore di materiale.
Il moto del piano oscillante e quindi dei crivelli è azionato in alcuni casi da un albero degli scuotipaglia e in
altri casi dalla puleggia di comando della coclea ed dell’elevatore del grano.
Il cassone oscillante (cfr. Figura 403) porta i due crivelli (o vagli - numeri 3 e 5 della figura) di prima
pulitura. Normalmente è sospeso su bielle ed è comandato dall'albero che dà il movimento anche al piano
oscillante
Il crivello superiore è di solito regolabile ed è investito dall'azione della corrente d'aria generata dal
ventilatore centrifugo (7) unita all'azione meccanica di vagliatura e permette di lasciar passare i chicchi di
prodotto che sono pesanti, asportando e lanciando all'esterno le pagliuzze e la pula e attraverso l’azione

245
del suddetto ventilatore. Naturalmente la quantità d'aria inviata deve essere regolata in base al peso
specifico del prodotto e all'apertura del crivello.
Per la pulizia del grano conviene normalmente dare molta aria e dirigerla sulla parte anteriore del crivello;
uno o due deflettori, all'uscita del ventilatore, assicurano la direzione voluta; il prodotto, in parte pulito,
passa dal crivello superiore (3) al secondo crivello (5) a fori tondi e fissi, oppure regolabile ad alette
piane, ma di dimensioni più piccole, che completa la pulizia.
Il vaglio regolabile è di solito smontabile facilmente, sia per sostituirlo con altro vaglio sia per montarlo in
posizione diversa.
Il prodotto, che tracima dal crivello inferiore o che è passato attraverso l'estensione del crivello regolabile,
arriva ad una coclea che lo riporta in ciclo.
In alcuni casi si invierà il prodotto recuperato davanti al battitore (cfr. Figura 404 A), e se vi sono delle
spighe mal battute, viceversa il prodotto sarà inviato al post-battitore (cfr. Figura 403 B) se il materiale di
recupero è prevalentemente sgranato.

Figura 404 Convogliamento delle spighe al battitore (A) o al controbattitore (B)

In altri casi. il materiale viene fatto passare attraverso un ribattitore e lanciato sul piano oscillante, ciò
perché se il prodotto sgranato ripassa per il battitore può subire rotture.
Si precisa che, in questi ultimi anni sono stati messi a punto dalle ditte costruttrici dei sensori acustici di
segnalazione di perdita di granella.
I suddetti sensori sono di tipo piezoelettrico e rilevano gli urti contro i sistemi di controllo; i sensori sono
posizionati a coppie in prossimità dei vagli e degli scuotipaglia e misurano la quantità di granella che non è
stata intercettata dalla mietitrebbiatrice.
I sensori agiscono sulla velocità di avanzamento della macchina, ottimizzandola, nel caso in cui si
rilevano perdite o il prodotto è particolarmente umido.
Pertanto, nelle condizioni di lavoro in cui si supera il tasso di perdita programmato, l’operatore viene
avvisato mediante un allarme acustico (cfr. Figura 405).

246
Figura 405 Regolazione della funzionalità del gruppo di trebbiatura in relazione alle possibili perdite

Nella Figura 405 sono indicate le posizioni dei sensori, con il cerchiett di colore bianco, disposto nei
punti delle possibili perdite, mentre sono indicati con cerchietti di colore giallo, la posizione del sensore
sulle ruote, il cui numero di giri è regolato dalla entità delle perdite attraverso un cumputer di bordo
posizionato nella cabina di guida.

19.5 Le mietitrebbiatrici non convenzionali

Per mietitrebbie non-convenzionali, si devono intendere tutti quei modelli sprovvisti dei tradizionali
scuotipaglia oscillanti e con diversa disposizione del gruppo trebbiante.
I modelli principali possono classificarsi in base alle caratteristiche dei loro organi di trebbiatura e di
separazione della paglia nel modo seguente:

- mietitrebbia con rotori scuotitori disposti dietro e parallelamente al battitore


trasversale usuale;
- mietitrebbia con unico gruppo battitore-separatore longitudinale con flusso assiale
del prodotto;
- mietitrebbia con rotore lancia-paglia e due rotori separatori disposti dietro al
battitore tradizionale;
- mietitrebbia con unico gruppo battitore-separatore trasversale disposto
immediatamente dopo la piattaforma di taglio, ma con flusso assiale del prodotto.

Il vantaggio sostanziale dei modelli non-convenzionali è rappresentato da una maggiore compattezza delle
macchine (più corte, strette e leggere) soprattutto per le più elevate potenze e capacità di lavoro, per le
quali le dimensioni del battitore e soprattutto degli scuotipaglia nei modelli convenzionali imporrebbero
ingombri e problemi notevoli. D'altra parte le macchine non-convenzionali possono determinare un
danneggiamento più marcato della paglia, il cui recupero eventuale può essere reso più difficoltoso.

247
La mietitrebbia con rotori scuotitori disposti dietro e parallelamente al battitore trasversale (cfr. Figura 406)
è dotata, subito dietro il battitore trasversale usuale, di otto cilindri separatori con altrettante griglie
sottostanti. Ciò determina uno strato di paglia molto sottile, che scorre tra cilindri e griglia, facilitando la
separazione della granella; la distanza tra griglia e cilindri è regolabile ed è altresì regolabile la velocità di
rotazione dei cilindri.

Figura 406 Schema della mietitrebbia non convenzionale a rotori scuotitori: battitore (1);
controbattitore (2); rotori scuotitori (3); piano oscillante (4); piano recupero
granella da rotori scuotitori (5); ventilatore (6); crivelli (7); elevatore recupero
granella (8); elevatore granella dopo prima pulitura (9); serbatoio granella (10).

La mietitrebbia con unico gruppo battitore-separatore ha il rotore disposto longitudinalmente (cfr. Figura
407 A); il flusso del prodotto è quindi assiale ed il percorso è elicoidale tra rotore e griglia. Il battitore è
diviso in tre sezioni rappresentate in vista laterale (cfr. Figura 407 A- B) ed in sezione (cfr. Figura 407 C).

A B C

Figura 407 Battitore longitudinale e particolari costruttivi del cilindro (A) e della griglia (B-C)

Il rotore funziona anche da separatore della paglia, quindi vengono eliminati gli scuotipaglia.

248
La mietitrebbia con rotore lancia-paglia e due rotori separatori (cfr. Figura 408) è caratterizzata dall’avere
al posto degli scuotipaglia tradizionali tre rotori.
Un primo rotore detto lancia--paglia disposto subito dietro al gruppo trebbiante (cfr. Figura 408 A), un
secondo rotore separatore detto rotary separator (cfr. Figura 408 B) e il terzo rotore detto separatore
finale detto twin flow (cfr. Figura 408 C). Tali rotori sono tutti disposti parallelamente al battitore e sono
provvisti di griglia dalla quale passa la granella che perviene direttamente al piano oscillante. Il rotore finale
ha un doppio flusso assiale per l’eliminazione della paglia.

A
B

Figura 408 Battitore con tre rotori il primo disposto subito dietro al gruppo trebbiante (A), un secondo
rotore detto rotary separator (B) e il rotore separatore finale detto twin flow (C).

La mietitrebbia con unico gruppo battitore-separatore trasversale (cfr. Figura 409) presenta tale gruppo
situato posteriormente alla piattaforma trebbiante, parallelamente alla coclea di alimentazione.
L'alimentazione del gruppo battitore-separatore è tangenziale alla sezione di battitura per mezzo di un rullo
alimentatore flottante a dita, con regime di rotazione sincronizzata a quella del battitore.
Il flusso del prodotto avviene però, anche in questo caso, assialmente tra battitore e controbattitore e
poiché il gruppo trebbiante funziona anche da separatore della paglia, vengono eliminati gli scuotipaglia
tradizionali

Figura 409 Mietitrebbia non convenzionale con gruppo battitore separatore disposto trasversalmente

249
19.6 Le mietitrebbie autolivellanti

Le mietitrebbia moderne possono essere dotate di sistemi di auto-livellamento che consentono di lavorare
su terreni accidentati o in pendenza limitando il più possibile le perdite di prodotto che si potrebbero
verificare in assenza di tali sistemi. Tali sistemi possono riguardare particolari apparati della macchina o
l’intero corpo di essa (cfr. Figura 410).

A B

Figura 410 Mietitrebbiatrice autolivellante in lavorazione secondo la linea di livello (A) e secondo la linea
di massima pendenza (B)

Per evitare le perdite al taglio è necessario che la piattaforma di taglio viaggi sempre alla stessa distanza
dal suolo per cui essa deve avere la possibilità di oscillare trasversalmente adattandosi alle accidentalità
del suolo.
La piattaforma di taglio sarà, quindi, provvista di un sistema di livellamento, che potrà essere a comando
manuale o potrà intervenire automaticamente nelle mietitrebbia più moderne (cfr. Figura 411).

A B C

Figura 411 Mietitrebbia autolivellante in lavoro (A-B) e immagine dei martinelli utilizzati per l’auto-
livellamento (C)
Il sistema automatico sarà costituito da sensori di tipo meccanico o elettronico che rilevano
istantaneamente la distanza dal suolo delle estremità della piattaforma e trasmettono il segnale alle
elettrovalvole di comando dei martinetti idraulici che fanno variare l’inclinazione trasversale della
piattaforma adattandola al profilo del terreno (cfr. Figura 411).

250
I sistemi di auto-livellamento sono costituiti da pistoni idraulici che consentono il mantenimento della
verticalità del piano longitudinale del gruppo di trebbiatura per le lavorazioni su terreni declivi, fino a
dislivelli del 32% (salita) e del 14% (discesa).
Per operazioni lungo linee di pendenza e per garantire l’orizzontalità del gruppo di trebbiatura le
mietitrebbie autolivellanti dispongono di un sistema di compensazione integrale che modifica la posizione
relativa delle due ruote motrici rispetto alla macchina.
L’inclinazione di tali apparati potrebbe compromettere la qualità del lavoro, sia al livello degli organi di
trebbiatura che a quelli di separazione della paglia e di pulizia, facendo aumentare le perdite nella pula e
nella paglia. Pertanto è importante che tali apparati rimangano in posizione orizzontale durante la
lavorazione; allo scopo sulle mietitrebbia, che operano in collina viene montato, come già innanzi detto, un
sistema di auto-livellamento costituito da due circuiti idraulici indipendenti, che permettono al corpo della
macchina di rimanere sempre in posizione orizzontale. Infatti i due circuiti idraulici intervengono su
martinetti che permettono di compensare con il loro movimento sia l’inclinazione trasversale che quella
longitudinale (cfr. Figura 412).

Figura 412 Immagine dei circuiti idraulici che intervengono sui martinetti per compensare con il
loro movimento sia l’inclinazione trasversale che quella longitudinale della mietitrebbia

19.7 Le macchine per la raccolta della paglia

La "imballatrice" o "pressa-imballatrice" è una macchina operatrice agricola usata per raccogliere la


paglia, simile a quella già descritta per la raccolta del foraggio, che riunisce la paglia in balle di varia forma,
a seconda dei modelli, legata con fili di ferro o nylon o con reti o teli prefabbricati.
In genere, i prodotti agricoli sfusi hanno una bassa densità, che viene aumentata comprimendo il foraggio
in balle, con il vantaggio di minor ingombro, più facile trasportabilità e maneggiabilità.

In commercio, vi sono i seguenti diversi tipi di operatrici:

- pressaimballatrici a camera prismatica, costituite da piccole balle di


paglia (a forma di parallelepipedo) la cui massa varia dai 20 kg ai 40 kg
(cfr. Figura 413);

- pressaimballatrici a camera prismatica giganti , costituite da balle di fieno


(a forma di parallelepipedo) di grandi dimensioni (cfr. Figura 414);

251
- rotoimballatrici , costituite da balle cilindriche fino a 600 kg che vengono
anche denominate rotoballe (cfr. Figura 415).

19.7.1 Pressa-imballatrice a camera prismatica

Nella imballatrice a camera prismatica, il foraggio viene raccolto dalla andana da un raccoglitore ( o pick-
up) ed inviato nella camera di compressione dall’infaldatore in piccole porzioni frazionate, compresso
all'interno di una camera di sezione quadrata o rettangolare dal movimento alternativo di un pistone, verso
l'uscita posteriore. Il prisma così ottenuto viene diviso in balle mediante l'intervento ciclico di un sistema di
legamento. La regolazione della densità della balla avviene regolando l'entità di una strizione presente
nella parte posteriore della camera prismatica: quando la strizione è maggiore essa provoca una maggiore
resistenza al movimento di uscita delle balle dalla camera, e quindi di conseguenza un maggiore effetto di
compressione da parte del pistone sulla balla in corso di formazione (cfr. Figura 413).

Figura 413 Pressa imballatrice a camera prismatica

Il pick-up di raccolta (rotazione contraria alle ruote) a denti flessibili che raccoglie il foraggio in andana a
densità lineare ma = 3-4 kg/m) e lo immette con continuità in un alimentatore trasversale a forche il quale
provvede a inviare il prodotto nella camera di compressione, all’interno della quale scorre – con moto
alternativo – un pistone per la compressione e la formazione della balle.
Posteriormente alla camera si trova il dispositivo per lo scarico delle balle sul piano ci campagna; il loro
avanzamento sullo scivolo avviene per spinta della balla appena formata contro quella precedente.

Figura 414 Pressa imballatrice a camera prismatica in posizione di raccolta della paglia e di
scarico della balletta
252
19.7.2 Pressa-imballatrice a camera prismatica gigante

3
Le masse volumiche (kg/m ) dei prodotti della paglia sono sensibilmente diverse in funzione della loro
dimensione e del grado di compressione che le macchine esercitano sulla paglia.
3 3
Si va da minimi di 50-60 kg/m per la paglia sfusa raccolta a 250 kg/m (5 volte superiore) per balle
parallelepipede giganti.

3
Figura 415 Pressa imballatrice a camera prismatica gigante di 250 kg/m nella raccolta della
paglia e di scarico della balla

Le presse imballatrice giganti sono costituite dai seguenti apparati (cfr. Figura 415):

- un telaio supportato da un assale con ruote gommate;


- un timone di aggancio alla trattrice;
- un albero di trasmissione collegato alla presa di potenza della trattrice;
- un ampio raccoglitori a 23 denti a comando idraulico;
- un barra di taglio a comando idraulico;
- un alimentatore trasversale a forche il quale provvede a
inviare il prodotto nella camera di compressione;
- un dispositivo di legatura della balla a spago con dispositivi
automatici di fissaggio.

19.7.3 Rotoimballatrice
Le rotoimballatrici con camera di compressione a volume fisso sono dotate dei seguenti organi (cfr. Figura
416) :
- un pick-up di raccolta con ruotino tastatore che introduce il
foraggio/paglia nella camera di compressione;
- elementi di trasporto e pressa dotati di movimento rotatorio per
l’afflusso continuo nella camera di compressione;
- un sistema di confezionamento del prodotto spinto a strati
dall’esterno verso il centro con pressione sempre maggiore.

253
Figura 416 Rotoimballatrice nella raccolta della paglia e di scarico della balla

La balla confezionata presenta un “nocciolo morbido”, forma stellare, e strato esterno compatto; il
nocciolo con larghezza pick-up: 1,2-2,0 m e velocità avanzamento di 5,0-8,0 km/h ha una produttività
lavoro: 15-30 balle/h ed assorbe una potenza di 23-33 kW/m (cfr. Figura 417).

Figura 417 Balla cilindrica di larghezza di 2 metri

Nelle figura 418 A-B si riporta un gruppo di immagini di presse imballatrici di diversa soluzione costruttiva
impegnate nelle operazioni di raccolta della paglia con:
- presse imballatrici prismatiche di piccola dimensione;
- presse imballatrici prismatiche di grandi dimensioni ;
- rotoimballatrici

Figura 418 A Gruppo di presse imballatrici di diverse soluzioni costruttive

254
Figura 418 B Gruppo di presse imballatrici di diverse soluzioni costruttive

19.7.4 Presse-imballatrici prismatiche utilizzate per la raccolta di tralci di potatura

Le presse-imballatrici prismatiche sono state anche utilizzate per la raccolta dei tralci di potatura della
vite ai fini energetici; per eseguite tale operazione è stato necessario rinforzare gli organi di lavorazione
con particolare riguardo gli organi di taglio e di confezionamento delle ballette (cfr. Figura 419).

Figura 419 Raccolta di tralci di potatura della vite con pressa-imballatrice rinforzatapotatura

Per eseguire tale raccolta sono state, anche, costruite delle piccole rotoinbballatrici di ballette cilindriche
(cfr. Figura 420) da utilizzare in specifichcole caldaie di adeguate dimensioni:

255
Figura 420 La rotoimballatriceutilizzata per la raccolta e balle confezionate disposte in tettoia
di stoccaggio

In altre situazioni, per l’utilizzo immediato nelle aziende agricole, le ballette sono state stoccate in cumuli
all’aperto (cfr. Figura 421).

Figura 421 Stoccaggio in cumuli di ballette di tralci di olivo.

19.8 I cantieri di immagazzinamento dei cereali

A conclusione della operazione di raccolta le granelle devono essere conferite al centro aziendale.
La prima operazione consiste nel trasferimento della granella mediante una coclee in un cassone
disposto su un mezzo di traporto.
Lo scarico del prodotto è assicurato da due coclee, la prima, interna al serbatoio della mietitrebbia,
trasporta il prodotto fuori dalla stessa; la seconda, all'interno di un braccio mobile, provvede a trasferirlo su
un rimorchio della granella; l’autocarro procede parallelamente alla mietitrebbia in modo da non perdere
tempo nella operazione di trasferimento che richiede tempi di lavorazione elevati.

256
Nella Figura 422 è raffigurata la suddetta operazione di carico di granella nel cassone dell’autocarro.

Figura 422 Carico di granella in cassone di un autocarro

Dal rimorchio, dopo il trasferimento al centro aziendale, la granella viene scaricata in un serbatoio di
stoccaggio, che ad esempio può essere un silos in lamiera ondulata di vario diametro e altezza (cfr.
Figura 423).

Figura 423 Stoccaggio di cereali in silos in acciaio

In tale stoccaggio, il prodotto va controllato ed eventualmente trattato con flussi di aria calda e secca per
evitare possibili alterazioni del prodotto, nella Figura 424 sono riportale diverse soluzioni di stoccaggio.

Figura 424 Silos di stoccaggio in acciaio e silobags per stoccaggio cereali secchi

257
Bibliografia

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(2012) RUBINI L. SANGIORGIO S. “LE ENERGIE RINNOVABILI. Le nuove tecnologie di produzione:


Solare, Fotovoltaico, Termico, Biomasse, Nuovo Conto Energetico, Certificati verdi”, Edizioni
Hoepli, Milano 2012.

(2015) BARTOLINI R. “La nuova agricoltura. Percorsi agronomici sostenibili per i cereali”, Edagricole, Il
Sole 24 Ore, Milano 1915.

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