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Meccanica Razionale
Daniele Andreucci
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate
per l’Ingegneria
Università di Roma La Sapienza
via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italy
daniele.andreucci@sbai.uniroma1.it
a.a. 2017–2018
versione definitiva
mra 20171211 21.36
c2009, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 Daniele Andreucci
Tutti i diritti riservati–All rights reserved
Introduzione
0.1. Programma
Questa è la versione definitiva degli Appunti per il corso di Meccanica
Razionale, tenuto per il Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica dell’U-
niversità La Sapienza di Roma, anno accademico 2017-2018. Eventuali
correzioni a questa versione definitiva verranno segnalate in una Errata
Corrige, che apparirà sul sito del corso.
Programma d’esame
Il programma consiste, con riferimento ai presenti Appunti, di:
• Capitolo 1, meno: Definizione 1.16, Proposizione 1.18, Teorema 1.22,
Teorema 1.23, Definizione 1.25, Teorema 1.30, Osservazione 1.31, Teo-
rema 1.39.
• Capitolo 2, meno: gli esempi delle Sezioni 2.6 e 2.7.
• Capitolo 3.
• Capitolo 4.
• Capitolo 5.
• Capitolo 6, meno: la dimostrazione del Teorema 6.27.
• Capitolo 7.
• Capitolo 8, meno: la dimostrazione del Lemma 8.12; il Teorema 8.13.
• Capitolo 9, meno: la (9.19) e la Sottosezione 9.4.1.
• Capitolo 10, meno: le Sottosezioni 10.1.1 e 10.1.3; le dimostrazioni dei
Teoremi 10.10, 10.17 e 10.21.
• Capitolo 11, meno: le dimostrazioni del Lemma 11.14 e del Teore-
ma 11.15; il Corollario 11.19; la Sezione 11.3.
Salvo diverso avviso non sono comprese nel programma le parti com-
poste in carattere più piccolo (come per esempio la dimostrazione del
Teorema 2.49).
Formano parte del programma anche le tecniche di risoluzione degli eser-
cizi, che vengono resi disponibili sul sito del corso.
0.2. Avvertenze
Nel testo si usano ampiamente cambiamenti di base in R3 , ove le basi sono
sempre assunte essere ortonormali e orientate positivamente. Alcune di
queste basi sono chiamate ‘mobili’, senza che questo abbia altro significato
che quello della convenzionale scelta a priori di un sistema di riferimento
come ‘fisso’. Tale scelta viene presupposta in tutto ciò che segue.
iii
iv DANIELE ANDREUCCI
Introduzione iii
0.1. Programma iii
0.2. Avvertenze iii
Equazioni differenziali
Notazione 1.1. I vettori in questo capitolo vanno intesi sempre come vet-
tori colonna, anche quando vengano per comodità tipografica denotati
come vettori riga.
ove si denota
y = ( y1 , y 2 ) , y1 , y2 ∈ R N . (1.15)
In questo modo il problema (1.10)–(1.12) si riduce a
ẏ = F (y, t) , (1.16)
y(t0 ) = (z0 , ż0 ) . (1.17)
Nel seguito, le definizioni si intendono estese a sistemi del secondo ordine
in quanto si applicano ai sistemi del primo ordine cui essi si riducono con
la trasformazione (1.13), (1.14).
Definizione 1.5. Si dice che la soluzione di (1.4)–(1.5) dipende con continuità
dai dati iniziali se, fissati ad arbitrio un intervallo limitato (α, β) ove la
soluzione ϕ è definita, e un ε > 0, esiste un δ > 0 tale che se |y0 − y¯0 | < δ
e |t0 − t¯0 | < δ, allora la soluzione ϕ̄ di
ϕ̄˙ = F (ϕ̄, t) , ϕ̄(t¯0 ) = y¯0 , (1.18)
è definita almeno in (α + ε, β − ε) e soddisfa
|ϕ(t) − ϕ̄(t)| < ε , α+ε < t < β−ε. (1.19)
Riportiamo senza dimostrazione il seguente classico
Teorema 1.6. Sotto le ipotesi (1.2), (1.3), il problema (1.4)–(1.5) ha una unica
soluzione massimale ϕ.
Tale soluzione dipende con continuità dai dati iniziali.
Il suo intervallo di definizione J = (α, β) è aperto. Se β < sup I allora deve
valere una delle due affermazioni:
(1) dist(ϕ(t), ∂Ω) → 0 per t → β−;
(2) |ϕ(t)| → +∞ per t → β−.
Un risultato simmetrico vale in α.
In particolare J = I se la F è lineare in y.
Definizione 1.7. Il sistema (1.1) si dice autonomo se F non dipende da
t.
1.1. ESISTENZA, UNICITÀ E DIPENDENZA CONTINUA. 5
Osservazione 1.17. La definizione di equilibrio asintotico richiede quin-
di che la soluzione ϕ si avvicini per tempi grandi al punto di equilibrio;
questo esclude che il moto possa essere periodico. L’equilibrio asintotico
è spesso collegato a fenomeni dissipativi come l’attrito.
Un collegamento interessante tra equilibrio stabile ed equilibrio asintotico
è dato dal seguente risultato.
Proposizione 1.18. Sia yeq un punto di equilibrio stabile, e sia ϕ una soluzione
di (1.25) che abbia yeq come punto di accumulazione, ossia tale che
ϕ(t̄ ) − yeq = ε ,
Zt
dW ϕ(τ )
W ϕ(t) − W ϕ(t0 ) = dτ
dτ
t0
Zt
= ∇ W ϕ(t0 ) · F (ϕ(t0 ) dτ ≤ −γ(t − t0 ) → −∞ ,
t0
η ≤ ȳ − yeq ≤ ε .
Sia tn → ∞ una successione tale che ϕ(tn ) → ȳ. Per il Teorema 1.6 di dipendenza continua
dai dati iniziali, la successione di funzioni ϕ(· + tn ) converge alla soluzione ϕ̄ di
ẏ = F (y) , y(0) = ȳ ,
su un intervallo opportuno [0, s]. Si noti che, per l’ipotesi che W sia strettamente decre-
scente sulle soluzioni,
W ϕ̄(s) < W ϕ̄(0) = W (ȳ) . (1.41)
In particolare quindi, per n̄ opportuno e fissato, e per ogni t > s + tn̄ , si avrà anche, per
continuità, e di nuovo per l’ipotesi di stretta monotonia,
W ϕ(t) < W ϕ(s + tn̄ ) < W (ȳ) , (1.42)
e quindi
W (ȳ) = lim W ϕ(tn ) ≤ W ϕ(s + tn̄ ) < W (ȳ) ,
n→ ∞
assurdo.
Per la e.d.o.
ẍ = U ′ ( x) (1.55)
valgono dunque tutti gli usuali risultati richiamati nella Sezione 1.1.
Dato che U ( x) ≤ 0 per ogni x ∈ R, x = 0 è un punto di massimo assoluto.
Tuttavia non è isolato perché si ha per esempio
1
U (± xn ) = 0 , xn = , n ≥ 1, (1.56)
nπ
e xn → 0. Pertanto il Teorema 1.26 non si può applicare. Tuttavia x = 0 è
davvero un punto di equilibrio stabile per (1.55).
Definiamo infatti
1
W ( x1 , x2 ) = x22 − U ( x1 ) ≥ |U ( x1 )| .
2
Allora se ψ è una soluzione di (1.55)
d
W (ψ(t), ψ̇ (t)) = ψ̇(t)ψ̈ (t) − ψ̇(t)U ′ (ψ(t)) = 0 .
dt
Fissiamo ε > 0. Si noti che può essere U (ε) = 0 (vedere la (1.56)), ma
certamente esiste ε/2 < x̄ < ε con
0 < m := |U ( x̄)| = |U (− x̄)| .
√
Scegliamo quindi δ > 0 tale che δ < min(ε/2, m) e
m
|U ( x1 )| ≤ , per ogni | x1 | < δ.
2
Sia dunque
|ψ(0)| + |ψ̇ (0)| < δ ,
e per assurdo valga |ψ(t̃ )| = ε per qualche t̃ > 0. Allora si avrebbe |ψ(t̄ )| =
x̄ per qualche 0 < t̄ < t̃ e
δ2 m
m = |U (ψ(t̄ ))| ≤ W (ψ(t̄ )) = W (ψ(0)) ≤ + < m,
2 2
assurdo.
Teorema 1.30. Supponiamo che per (y1 , y2 ) ∈ Ω1 × Ω2 ⊂ R2N aperto,
f ( y 1 , y 2 ) = ∇ U ( y1 ) + a ( y 2 ) , (1.57)
ove U ∈ C1 (Ω1 ), a ∈ C1 (Ω2 ). Supponiamo anche che U abbia un unico punto
critico zeq ∈ Ω1 , e che esso sia un massimo isolato. Inoltre sia 0 ∈ Ω2 , e valga
a ( y2 ) · y2 < 0 , y2 6 = 0 . (1.58)
Allora zeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile per (1.43).
Dimostrazione. Il punto zeq è l’unico punto di equilibrio in Ω1 ; infatti
da (1.58) segue subito che
a ( 0) = 0 .
Per il Teorema 1.23, basterà dimostrare che la funzione W definita in
(1.54) è una funzione di Liapunov, strettamente decrescente sulle soluzioni
diverse dall’equilibrio.
1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 13
Zt2
W ψ(t2 ), ψ̇(t2 ) − W ψ(t1 ), ψ̇ (t1 ) = ψ̇(t) · a ψ̇(t) dt .
t1
−2π −π π 2π
−U
E3
x′ x′′
x
E1
E0
p
E3
E2
E0 E1
x
E2
t = τ ( x) ,
con
dτ 1 1
dx
( x) =
ϕ̇(τ ( x))
=q
2
.
m E + U ( x )
La (1.66) segue subito integrando su ( x1 , x2 ).
sarà dato da
xZmax
1
2 q dx ,
2
xmin m E + U ( x)
ove [ xmin , xmax ] è l’intervallo massimale su cui è definita l’orbita (intesa
come funzione p( x) data dalla (1.65)).
Parte 2
Dalle Definizioni 2.14 e 2.16 segue subito
Proposizione 2.17. Sia f ∈ C1 ( I ). Allora f è costante in M se e solo se
df
( t) = 0 , t ∈ I. (2.9)
dt M
Teorema 2.18. Esiste una unica funzione vettoriale
ω : I → R3 , ω ∈ C( I ) , (2.10)
tale che per ogni f ∈ C1 ( I ), f : I → R3 , valga
df df
( t) = ( t) + ω( t) × f ( t) , t ∈ I. (2.11)
dt dt M
Per dimostrare questo teorema useremo il seguente lemma, che è in realtà
un caso particolare del teorema stesso.
2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 25
Si noti che stiamo usando qui il risultato di unicità del Teorema 2.45.
C) Ancora nello spirito di B), supponiamo però di sapere che la velocità
angolare di M è
ω( t) = F ( t) e3 , t ∈ I, (2.21)
per una data funzione F ∈ C ( I ). Ora non è più possibile ottenere di-
rettamente che u3 è fisso. Tuttavia, ricordando il Teorema 2.22, si ha che
ω mantiene direzione costante anche nel sistema mobile. Pertanto si ot-
tiene ancora, nell’ipotesi che all’istante iniziale le due terne coincidano,
u3 (t) = e3 per ogni t ∈ I. Quindi si procede come nel caso B).
dX O d2 X O
vO ( t ) = ( t) , aO ( t ) = ( t) . (2.23)
dt dt2
Definizione 2.27. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce velocità relativa di
X nel sistema di riferimento mobile S (2.22) la funzione vettoriale
d
v S ( t) = (X − X O ) ( t) . (2.24)
dt M
28 DANIELE ANDREUCCI
risulta
3 3
v S ( t) = ∑ λ̇h (t)uh (t) , a S ( t) = ∑ λ̈h (t)uh (t) .
h =1 h =1
Teorema 2.30. Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I
dX
v= = vO + ω × [X − X O ] + vS , (2.26)
dt
ove si è usata la notazione delle Definizioni 2.26 e 2.27.
Dimostrazione. Si ha
d d
v= [ X O + X − X O ] = vO + [ X − X O ]
dt dt
d
= vO + (X − X O ) + ω × [ X − X O ] = vO + v S + ω × [ X − X O ] ,
dt M
ove si è applicato anche il Teorema 2.18.
Definizione 2.31. Il moto X : I → R3 si dice solidale con S se il vettore
X − X O è costante in M.
Osservazione 2.32. Dalla Definizione 2.31 si ha che i moti solidali sono
tutti e soli quelli che si possono rappresentare nella forma
3
X (t; λ) = X O (t) + ∑ λh u h ( t) , (2.27)
h =1
con λ = (λ1 , λ2 , λ3 ) ∈ R3 .
Segue anche subito dalla Definizione 2.31
Corollario 2.33. Sia il moto X : I → R3 solidale con S . Allora in I valgono
vS = 0 e
v = vO + ω × [ X − X O ] . (2.28)
Se X P1 , X P2 : I → R3 sono due moti solidali, allora
v P1 = vP2 + ω × [ X P1 − X P2 ] . (2.29)
Dimostrazione. La (2.29) segue sottraendo la (2.28) scritta per X P2 dalla
(2.28) scritta per X P1 .
2.3. CINEMATICA RELATIVA 29
Si può tuttavia applicare il Teorema 1.6 per ottenere esistenza di una solu-
zione massimale (wi ) definita in un intervallo J ⊂ I. Questa risulta essere
una terna ortonormale positiva.
Per dimostrare che J = I ricordiamo, ancora dal Teorema 1.6, che si può
avere J & I solo se per t → inf J +, oppure per t → sup J −, la curva
integrale si avvicina alla frontiera dell’insieme di definizione dell’equa-
zione differenziale, insieme che nel nostro caso è I × R9 , oppure diviene
illimitata. La prima alternativa dunque è esclusa: la frontiera è proprio
∂I × R9 = {inf I, sup I } × R9 .
La seconda alternativa risulta anche esclusa, perché il modulo della curva
integrale si mantiene limitato per tutti i tempi di esistenza: ciascuna wi
soddisfa
|wi (t)| = 1 , per ogni t ∈ J,
come abbiamo appena stabilito.
Quindi J = I e la dimostrazione è conclusa.
Metodo 2.47. I teoremi precedenti si usano nel seguente modo: le equa-
zioni di moto di un corpo (per esempio si vedano le (11.2)–(11.4)) permet-
tono di ricavare ω; a questo punto i teoremi di questa sezione implicano
che esiste la terna mobile corrispondente.
In modo in sostanza simile si è già usato il Teorema 2.45 nell’Osservazio-
ne 2.24.
Per di più dalla (2.32) segue subito che, fissata una retta parallela a ω(t),
tutti i suoi punti x hanno uguale velocità di trascinamento V t ( x, t). Nei
moti rigidi piani la direzione di ω si mantiene costante, dunque per de-
scrivere il campo delle velocità di trascinamento, ossia il moto di S , basta
conoscerlo su un fissato piano Π ortogonale a ω.
Supponiamo nel seguito per chiarezza che ω sia parallelo a e3 = u3 (t)
per ogni t ∈ I, e indichiamo con (yi ) [(zi )] le coordinate nel sistema fisso
[mobile].
Tutti i punti hanno velocità parallela nulla in ogni istante: dunque se i due
piani fisso y3 = c1 e mobile z3 = c2 sono sovrapposti all’istante t, saranno
sovrapposti per ogni altro istante.
Definizione 2.55. Siano y3 = c1 e z3 = c2 due piani—fisso e mobile—
sovrapposti come sopra. Essi si dicono piani rappresentativi del moto.
La curva intersezione di Σ con il piano y3 = c1 si dice base, e quella inter-
sezione di Σm (t) con il piano z3 = c2 si dice rulletta.
Il punto intersezione dell’asse istantaneo di moto con un piano rappresen-
tativo si dice centro istantaneo di moto (o centro di istantanea rotazione).
Esempio 2.56. Consideriamo il moto di un sistema S con
X O (t) = v0 te1 , M come nell’Esempio 2.24 con θ (t) = ωt,
ove v0 e ω sono costanti positive. Si ha ω(t) = ωu3 , e dunque il moto è
rigido piano.
Il campo di velocità di trascinamento quindi è dato da
V t ( x, t) = [ vO (t)] ⊥ + ω × ( x − X O (t)) = (v0 − ωy2 )e1 + ω (y1 − v0 t)e2 .
Qui le yi denotano le coordinate nel sistema fisso. Perciò l’asse d’istanta-
nea rotazione ha equazioni, nel sistema fisso,
v0
y1 = v0 t , y2 = .
ω
La rigata fissa è perciò il piano y2 = v0 /ω, e la base è la curva
v0
y2 = , y3 = 0 ,
ω
se scegliamo come rappresentativo il piano y3 = 0.
Esprimendo le coordinate zi nel sistema mobile in funzione delle yi si
ottiene
z1 = (y1 − v0 t) cos ωt + y2 sin ωt ,
z2 = −(y1 − v0 t) sin ωt + y2 cos ωt ,
z3 = y3 .
Le equazioni dell’asse di moto sono dunque nel sistema mobile
v0 v0
z1 = sin ωt , z2 = cos ωt .
ω ω
Perciò la rigata solidale ΣS è il cilindro circolare retto di centro l’origine e
raggio v0 /ω:
n v2 o
ΣS = (zi ) | z21 + z22 = 02 ,
ω
38 DANIELE ANDREUCCI
valgano
q
X O ( t) = α( t) e 2 , X B ( t) = L2 − α ( t )2 e 1 , u3 ( t ) = e 3 .
vP = ω × [X P − X K ] . (2.60)
che è un vertice del rettangolo con i lati sugli assi che ha OB come diago-
nale.
2.8. UNA DEFINIZIONE ALTERNATIVA DI VELOCITÀ ANGOLARE. 39
ove t0 ∈ I è fissato.
Poiché
ṡ(t) = |Ψ̇ (t)| > 0 , in I,
la funzione t 7→ s(t) ha inversa t = t(s), e possiamo parametrizzare γ
mediante s:
ψ(s) = Ψ (t(s)) .
In particolare il vettore tangente
dψ
T ( s) : = ( s) = ψ ′ ( s)
ds
ha modulo unitario:
dt |Ψ̇ (t(s))|
|T (s)| = |ψ ′ (s)| = Ψ̇ (t(s)) ( s) = = 1.
ds ṡ(t(s))
Definizione 3.2. Definiamo curvatura di γ la funzione
k(s) = | T ′ (s)| .
Nei punti s ove k(s) > 0, si definisce il raggio di curvatura di γ come
1
ρk ( s) = . (3.1)
k( s)
Se
T ′ ( s) 6= 0 ,
il che per il momento assumiamo, allora
T ′ ( s) = k( s) N ( s) ,
41
42 DANIELE ANDREUCCI
Zs
ψ ( s ) − ψ ( s0 ) · B ( s0 ) = T (σ) dσ · B(s0 )
s0
Zs Zs
= T (σ) · B(s0 ) dσ = T (σ) · B(σ) dσ = 0 .
s0 s0
tale che
ω (s) = − τ (s)u1 (s) + k(s)u3 (s) . (3.13)
B) Definiamo per integrazione la curva γ che ammetta tale terna come terna intrinseca:
fissato s0 ∈ I poniamo
Zs
ψ(s ) = u1 (z) dz , s ∈ I. (3.14)
s0
Resta da mostrare che T è in effetti terna intrinseca per γ. È chiaro che s è davvero
un’ascissa curvilinea su γ, poiché
| ψ′ | = | u1 | = 1 .
Pertanto
T ( s ) = ψ ′ ( s ) = u1 ( s ) , s ∈ I. (3.15)
Per definizione di N poi si ha
T ′ (s) ω ( s ) × u1 ( s ) k(s )u2 (s )
N (s) = = = = u2 ( s ) . (3.16)
T ′ (s) |ω(s) × u1 (s)| |k(s)u2 (s)|
Per definizione di B:
B ( s ) = T ( s ) × N ( s ) = u 1 ( s ) × u 2 ( s ) = u3 ( s ) . (3.17)
C) Infine, mostriamo che k e τ sono in effetti curvatura e torsione di γ.
La (3.13), la (3.16) e la prima delle formule di Frenet-Serret (3.3) mostrano che k è la
curvatura della γ. Per trovarne la torsione, osserviamo che, per la (3.13),
B ′ (s ) = ω(s ) × B (s ) = − τ (s ) T (s ) × B (s ) = τ (s ) N (s ) ,
il che prova che τ è la torsione di γ quando si ricordi l’ultima delle formule di Frenet-Serret
(3.5).
Teorema 3.13. Siano ψ1 , ψ2 ∈ C2 ( I ) due curve (parametrizzate dall’ascissa curvilinea), con
uguali curvatura e torsione e con i vettori della terna intrinseca di classe C1 ( I ).
Allora le due curve coincidono a meno di una rotazione e una traslazione.
Dimostrazione. Denotiamo con
Ti = ( T i , N i , B i ) ,
la terna intrinseca relativa a ψi , i = 1, 2.
Fissiamo s0 ∈ I. Dato che le due terne intrinseche T1 (s0 ) e T2 (s0 ) sono due basi ortonor-
mali positive, esiste una matrice di rotazione A tale che
A T 1 ( s0 ) = T 2 ( s0 ) , A N 1 ( s0 ) = N 2 ( s0 ) , A B 1 ( s0 ) = B2 ( s0 ) . (3.18)
Per di più per le formule di Frenet-Serret,
d
A T 1 (s) = A T 1′ (s) =k(s) A N 1 (s) ,
ds
d
A N 1 (s) = A N 1′ (s)= − k(s) A T 1 (s) − τ (s) A B1 (s) , (3.19)
ds
d
A B1 (s) = A B1′ (s) =τ (s) A N 1 (s) .
ds
Dunque le due funzioni vettoriali
(T 2 , N 2 , B2 ) (A T 1 , A N 1 , A B1 ) ,
risolvono il medesimo problema di Cauchy (3.18)–(3.19), e devono quindi coincidere.
In particolare
Zs Zs
ψ2 ( s ) − ψ 2 ( s 0 ) = ψ2′ (z) dz = Aψ1′ (z) dz
s0 s0
Zs
=A ψ1′ (z) dz = A ψ1 (s) − ψ1 (s0 ) ,
s0
46 DANIELE ANDREUCCI
Definizione 4.3. Il vincolo f j si dice fisso se non dipende dal tempo, ossia
se
∂ fj
(ξ, t) = 0 ,
∂t
per ogni (ξ, t) ∈ Ξ × I.
In caso contrario si dice mobile.
Il teorema del Dini garantisce allora, sotto le ipotesi della Definizione 4.2,
che le prime
ℓ := nc − m
coordinate ξ k , ossia le
ξ1 , . . . , ξℓ ,
siano coordinate indipendenti, cioè siano tali che le soluzioni di (4.2) possano
essere descritte in termini solo di queste, almeno localmente.
Vale a dire, per ogni ξ 0 ∈ Ξ f (t0 ) esistono un δ > 0 e funzioni gj tali che
∂ fj
∇ξ f j (ξ (t), t) · ξ̇ (t) + ( ξ ( t) , t) =
∂t
nc ∂ f ∂ fj
∑ ∂ξ (ξ (t), t)ξ˙k (t) + ∂t (ξ (t), t) = 0 . (4.7)
j
k=1 k
Definizione 4.7. Il vettore ξ̇ (t) in (4.7) è detto atto di moto del sistema
olonomo.
Osservazione 4.8. Il fatto che l’atto di moto non sia un vettore arbitrario
di Rnc implica in particolare che le condizioni, in particolare le velocità,
iniziali non possano essere scelte arbitrariamente. Per esempio, un punto
vincolato a una superficie dovrà avere velocità tangente alla superficie.
Osservazione 4.9. Si può vedere che il vettore (ξ˙h (t))h=1,...,ℓ delle de-
rivate delle coordinate indipendenti (nell’ipotesi (4.5)) può essere scelto
arbitrariamente; le altre ξ̇ h seguono come prescritto derivando le (4.6).
ξ j = ξ lj (q, t) , j = 1 , . . . , nc . (4.8)
Si assume che le
(ξ lj (·, t)) : Q → Ξ f (t)
soddisfino
(1) la (4.8) è iniettiva (e quindi una corrispondenza biunivoca tra Q e la
sua immagine);
(2) ξ lj ∈ C K ( Q × I );
50 DANIELE ANDREUCCI
i vincoli non sono olonomi: si veda la Figura 4.1. I dettagli sono nella
Sezione 4.10.
ξ4 ξ4 ξ4
A) B) C)
ξ1 ξ2 ξ1 ξ2 ξ1 ξ2
con λ′ , λ′′ scelti in modo tale che questi due punti, insieme con X O (t),
formino una terna di punti non allineati. Nei capitoli successivi aggiunge-
remo un’altra ipotesi sulla scelta di λ′ , λ′′ , si veda l’Osservazione 6.5.
Si può verificare (vedi sotto per i dettagli) che le componenti di u1 , u2 , u3 ,
nella base (eh ) si possono esprimere in termini delle tre coordinate reali
ζ1 , ζ2 , ζ3 ,
individuate da
X (t; λ′ ) = X O (t) + ζ 1 e1 + ζ 2 e2 + ζ ′ e3 ,
(4.21)
X (t; λ′′ ) = X O (t) + ζ 3 e1 + ζ ′′ e2 + ζ ′ ′′ e3 .
Questa scelta di coordinate, come del resto ogni altra possibile, non è
valida per alcune posizioni di M.
Anche per indagare questo punto, osserviamo che le coordinate scelte
individuano la posizione di M mediante quella dei due vettori solidali
X (t; λ′ ) − X O (t) , X (t; λ′′ ) − X O (t) . (4.22)
Le 6 coordinate introdotte sopra sono quindi soggette ai 3 vincoli (talvolta
detti appunto di rigidità) (4.23) e (4.30). Il minore corrispondente alle
coordinate ζ ′ , ζ ′′ , ζ ′ ′′ della matrice iacobiana relativa è non singolare se e
solo se
ζ ′ 6= 0 , ζ ′ ζ ′′ − ζ 2 ζ ′ ′′ 6= 0 ,
ossia se il primo dei due vettori in (4.22) non giace sul piano he1 , e2 i, e se
le proiezioni di entrambi su tale piano non sono parallele. Queste sono le
condizioni per la validità della scelta di coordinate fatta sopra.
Si vedano sotto i dettagli, in particolare per l’aperto di definizione delle 3
coordinate.
Dettagli tecnici: Costruiamo qui una terna solidale e insieme ne troviamo le coordinate
canoniche; comunque è chiaro che, trovate le coordinate di una terna solidale, quelle di una
qualunque altra terna solidale si ottengono dalle prime mediante una rotazione costante
nel tempo.
Scegliamo ζ 1 , ζ 2 come in (4.21). Si noti che ζ ′ risulta allora funzione delle 2 coordinate ζ 1 ,
ζ 2 , in virtù del fatto che le distanze
L ′ : = X O (t) − X (t; λ′ ) , L ′′ : = X O (t) − X (t; λ′′ ) , (4.23)
si mantengono costanti. Cioè vale
q
ζ′ = ( L ′ )2 − ζ 12 − ζ 22 ,
ove la scelta della radice positive esprime una limitazione sulle posizioni ammesse per M.
Anche la lunghezza α del vettore
u2 = X (t; λ′ ) − X O (t) × X (t; λ′′ ) − X O (t)
f
si mantiene costante; si noti che α > 0 per l’ipotesi che i tre punti siano non allineati.
Poniamo allora
1
u3 = ′ X (t; λ′ ) − X O (t) , (4.24)
L
1
u2 = f u . (4.25)
α 2
È ovvio che u2 e u3 sono ortonormali. Mostriamo che si possono esprimere in funzione
delle ζ h .
54 DANIELE ANDREUCCI
ove q
C4 = 4( L ′ )2 ( L ′′ )2 − C22 > 0 .
Infine per dimostrare che ζ ′′ e ζ ′′′ sono funzioni regolari di ζ 3 basta applicare il teorema
del Dini e l’osservazione che la matrice iacobiana di (4.29) e (4.30), cioè
2ζ 3 2ζ ′′ 2ζ ′′′
,
ζ1 ζ2 ζ′
ha ultimo minore non singolare al di fuori delle posizioni ove ζ ′ ζ ′′ = ζ 2 ζ ′′′ . In queste
ultime posizioni in effetti la coordinata ζ 3 non è una scelta valida. Tuttavia esse corrispon-
dono a punti di tangenza della circonferenza (4.29) e della retta (4.30), mentre la D > 0 e
la (4.35) garantiscono che esse sono secanti.
In conclusione, l’aperto di definizione delle coordinate locali risulta:
ζ 12 + ζ 22 < ( L ′ )2 , ζ 3− (ζ 1 ) < ζ 3 < ζ 3+ (ζ 1 ) , (4.36)
ove le ζ 3± sono definite in (4.35).
Definizione 4.19. Gli angoli ϑ1 , ϑ2 , ϑ3 nell’Esempio 4.18 sono detti angoli di Eulero, e
vengono denotati di solito come
ϑ1 = ϕ , angolo di precessione,
ϑ2 = θ , angolo di nutazione,
ϑ3 = ψ , angolo di rotazione propria.
Si dice che all’istante t in tale posizione il contatto tra i due sistemi è senza
strisciamento se e solo se
Ẋ 1 (t) = Ẋ 2 (t) .
In alcuni casi un contatto senza strisciamento viene anche detto di rotola-
mento puro.
Esempio 4.25. Manteniamo qui la notazione dell’Esercizio ??. Vogliamo
mostrare che il vincolo anolonomo di rotolamento puro può essere sosti-
tuito da un vincolo olonomo.
Si noti intanto che il vincolo (??), secondo le convenzioni adottate nella Se-
zione 4.6, significa che X (t; λ′ ) − X O (t) si mantiene parallelo a e3 . Inoltre
per la caratterizzazione delle componenti di ω ottenuta nella dimostra-
zione del Lemma 2.19 si ha ω = F (t)u3 e quindi secondo la discussione
nell’Esempio 2.24 si ha
ω (t) = θ̇ (t)e3 ,
per un opportuno angolo di rotazione θ.
Poi denotiamo con X t̄ (t) il moto solidale con S1 che all’istante t̄ occupa la
posizione x2O (t̄)e2 . Allora per la Definizione 4.24 si deve avere
t̄
Ẋ (t̄ ) = 0 . (4.54)
Per la fondamentale formula (2.28) si ha
t̄
0 = Ẋ (t̄) = vO (t̄) + ω (t̄) × [ X t̄ (t̄) − X O (t̄ )] = vO (t̄ ) + θ̇ (t̄)e3 × de1 ,
(4.55)
che implica, insieme ai vincoli su X O ,
vO (t̄) = ẋ2O (t̄ )e2 = −dθ̇ (t̄ )e2 . (4.56)
Dunque integrando in t̄, che è arbitrario, si ha
x2O (t) + dθ (t) = x2O (0) + dθ (0) . (4.57)
Questo è il vincolo olonomo equivalente al vincolo anolonomo dato; in-
fatti, la (4.57) per derivazione implica la (4.56) che a sua volta implica
mediante la (4.55) la (4.54), ossia il vincolo anolonomo.
ξ 1 6= 0 . (4.63)
R2 − L2 + ξ 42
ξ 1 = g1 (ξ 4 ) = , (4.64)
2ξ 4
s
2
R − L2 + ξ 42 2
ξ 2 = g2 (ξ 4 ) = R2 − , (4.65)
2ξ 4
ξ 5 = g5 (ξ 4 ) = 0 . (4.66)
Con le definizioni di forze fittizie appena date, la (5.3) può essere scritta
come
maS = F + F t + F c , (5.6)
che prende il nome di equazione di moto nel sistema S . Infatti se la (5.6), mu-
nita degli opportuni dati iniziali, ha una unica soluzione, per l’argomento
sopra tale funzione conduce alla soluzione dell’equazione di moto (8.18).
Sull’argomento della dinamica relativa si veda anche la Sezione 9.4.
Ipotesi 5.2. Nel seguito assumeremo dunque che F ∈ C ( A × R3 × I ), ove
A è un aperto di R3 in cui si muove il punto, e I è un intervallo di R cui
appartengono i tempi considerati. Si assume anche che F sia lipschitziana
in A × R3 per ogni t nel senso della (1.3). Naturalmente dobbiamo anche
assumere t0 ∈ I, x0 ∈ A.
Proposizione 5.8. Se F è conservativa di potenziale U, il suo lavoro nell’inter-
vallo di tempo (t1 , t2 ) è uguale a U ( X (t2 )) − U ( X (t1 )).
5.2. FORZE CONSERVATIVE 69
Dimostrazione. Infatti si ha
Zt2 Zt2
F ( X (t)) · Ẋ (t) dt = ∇ U ( X (t)) · Ẋ (t) dt
t1 t1
Zt2
dU ( X (t))
= dt = U ( X (t2 )) − U ( X (t1 )) .
dt
t1
Teorema 5.9. (Conservazione dell’energia) Se F è conservativa di poten-
ziale U, il moto che obbedisce alla (5.1) soddisfa per ogni t, t0 ∈ I
1 2 1 2
m Ẋ (t) − U ( X (t)) = m Ẋ (t0 ) − U ( X (t0 )) . (5.9)
2 2
Dimostrazione. Ricordando la (5.1) si ottiene derivando:
d h1 2
i
m Ẋ (t) − U ( X (t)) = m Ẋ (t) · Ẍ (t) − ∇ U ( X (t)) · Ẋ (t)
dt 2
= Ẋ (t) · [ F ( X (t)) − ∇ U ( X (t))] = 0 .
Definizione 5.10. L’energia cinetica dell’elemento materiale è definita da
1 2
m Ẋ (t) .
T ( t) = (5.10)
2
L’energia potenziale dell’elemento materiale è definita da
V ( X (t)) = −U ( X (t)) . (5.11)
L’energia meccanica dell’elemento materiale è definita da
E(t) = T (t) + V ( X (t)) . (5.12)
Il Teorema 5.9 con queste definizioni si può formulare dicendo che l’ener-
gia meccanica si conserva durante il moto.
Corollario 5.11. Supponiamo che la forza in (5.1) sia data da
F ( X, Ẋ, t) = F 1 ( X ) + F 2 ( X, Ẋ, t) , (5.13)
ove F 1 è conservativa di potenziale U, e ove il lavoro di F 2 durante un qualunque
intervallo di tempo si annulla.
Allora l’energia meccanica E = T − U si conserva durante il moto.
Dimostrazione. Ragionando come nella Dimostrazione del Teorema 5.9
si ottiene che
d
E(t) = F 2 ( X, Ẋ, t) · Ẋ (t) .
dt
Per ipotesi questa funzione ha integrale nullo su tutti gli intervalli, quindi
vale la tesi.
Esempio 5.12. Diamo alcuni esempi di comuni forze conservative:
70 DANIELE ANDREUCCI
Definizione 5.19. Nel caso che un punto materiale sia vincolato a una
curva o superficie regolare, e la reazione del vincolo sul punto sia sempre
ortogonale al vincolo, esso si dice liscio.
L’equazione di moto è
ma = −mge3 + f vin .
Scomponiamola nelle tre componenti scalari opportune. Conviene usa-
re le coordinate polari nel piano he1 , e2 i come parametri della superficie.
Dunque consideriamo la rappresentazione lagrangiana
{(r cos ϕ, r sin ϕ, f (r)) | r > 0 , ϕ ∈ (0, 2π )} .
Troviamo derivando i versori tangenti
1
Tr = p (cos ϕ, sin ϕ, f ′ (r)) , T ϕ = (− sin ϕ, cos ϕ, 0) ,
1+ f ′ (r )2
e il versore normale
1
N = Tr × T ϕ = − p (− f ′ (r) cos ϕ, − f ′ (r) sin ϕ, 1) .
1 + f ′ (r )2
Derivando la rappresentazione lagrangiana del moto si ottiene
a = r̈ cos ϕ − 2ṙ ϕ̇ sin ϕ + r(− ϕ̈ sin ϕ − ϕ̇2 cos ϕ) ,
r̈ sin ϕ + 2ṙ ϕ̇ cos ϕ + r( ϕ̈ cos ϕ − ϕ̇2 sin ϕ) ,
r̈ f ′ (r) + ṙ2 f ′′ (r) .
R ϕ̇2 = g f ′ ( R) ,
R ϕ̈ = 0 .
Ne segue la tesi, e inoltre che il moto circolare in questione risulta unifor-
me.
Più in generale notiamo che le (5.27)–(5.28) permettono di ricavare il moto
del punto, per qualunque scelta delle condizioni iniziali (compatibili con
il vincolo). Successivamente le funzioni (r(t), ϕ(t)) così determinate pos-
sono essere sostituite nella componente normale dell’equazione di moto
per ottenere la reazione vincolare f vin .
5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI FISSI 75
y21 + y22 = R2 , y3 = 0 .
Il punto P è soggetto alla reazione vincolare f vin , che soddisfa la legge di
attrito dinamico (5.24).
Scriviamo l’equazione di moto di P fino al primo istante in cui ha velocità
nulla in S , sapendo che all’istante iniziale
−→
OP(0) = Ru1 (0) , v S ( 0) = v0 u2 ( 0) ,
con v0 > 0.
78 DANIELE ANDREUCCI
Corpi rigidi
Definizione 6.3. Una terna (C, ρ, S0 ) si dice corpo rigido degenere rettilineo,
o asta rigida, se:
1) S0 = ( X O , u) è una coppia formata da un moto X O e da un versore
mobile u.
C ⊂ R è un sottoinsieme chiuso e limitato, detto immagine o supporto
dell’asta rigida, o, per brevità, asta rigida. I moti
X (t; λ) = X O (t) + λu(t) , (6.2)
per λ ∈ C si dicono moti dei punti dell’asta rigida.
2) La densità ρ è una funzione integrabile e positiva
ρ : C → (0, ∞) ,
con integrale strettamente positivo.
3) C contiene almeno due punti distinti.
Nel seguito riferendoci a un insieme di corpi rigidi useremo la notazione
uniformata {(Ci , ρi , Si )} perfino se alcuni dei Ci sono elementi materiali;
in questo caso ovviamente ρi è in sostanza la massa; Si non viene usato,
ma può essere pensato come il punto stesso.
Definizione 6.4. Nei due casi del corpo rigido non degenere, e rispettiva-
mente dell’asta rigida, si definiscono moti solidali con il corpo rigido i moti
della forma (6.1) con λ ∈ R3 , e rispettivamente (6.2) con λ ∈ R.
Osservazione 6.5. Se il corpo rigido non è un punto materiale, nella scelta
delle coordinate locali i moti X (t; λ′ ) e X (t; λ′′ ) considerati nelle Sezioni
4.6 e 4.7 possono in principio essere arbitrari moti solidali con il rigido
stesso (alle condizioni ivi enunciate).
Nel seguito tuttavia supporremo sempre che questi moti siano scelti in
modo che λ′ , λ′′ ∈ C.
Questo garantisce che le coordinate locali canoniche siano coordinate car-
tesiane di moti di punti ove la densità è positiva: ρ(λ′ ), ρ(λ′′ ) > 0, il che
verrà usato nella dimostrazione dell’importante Teorema 9.7.
6.1.3. Parametrizzazione dei corpi rigidi. Useremo spesso una parame-
trizzazione del corpo rigido, nella forma
C = Λ( D ) = {λ(s) | s ∈ D } ,
ove D è un insieme di parametri che conserva traccia della dimensione del
sistema rigido; nel seguito considereremo solo i casi seguenti:
D.1 D un insieme finito;
D.2 D un intervallo chiuso di R;
D.3 D un dominio compatto regolare di R2 ;
D.4 D un dominio compatto regolare di R3 .
La funzione s 7→ λ si assume soddisfare le usuali condizioni di regolarità,
e in particolare la biunivocità.
Si noti che il caso dell’asta rigida corrisponde a 6.D.1 o a 6.D.2 (ma non
viceversa: in questi due casi ricadono anche corpi rigidi non degeneri).
Osservazione 6.6. L’integrabilità di ρ va intesa nel senso opportuno, as-
sociato alla dimensione di D.
6.1. CORPI RIGIDI 81
Per esempio, nel caso 6.D.2 la ρ deve essere integrabile nel senso degli
integrali di curva, nel caso 6.D.3 nel senso degli integrali di superficie, e
nel caso 6.D.4 nel senso degli integrali di volume. Infine, nel caso 6.D.1
l’integrale si riduce a una somma finita.
Uniformeremo comunque sempre la simbologia come in
Z
ρ(λ) dµ (λ) , (6.3)
Λ( D )
per indicare tutti questi casi. Qui dµ (λ) indica la misura adatta alla geo-
metria del rigido, che può essere di linea, di superficie, di volume. Nel
caso di rigidi formati da un numero finito di punti è la cosiddetta ‘misura
che conta’, e l’integrale come già osservato si riduce a una sommatoria.
6.1.4. Esempi. In tutti gli esempi seguenti prendiamo come intervallo tem-
porale I = (0, ∞), e denotiamo con α, β, R e L costanti positive.
6.D.1) Caso D = insieme finito: tre punti a distanze fisse.
Sia D = {1, 2, 3}. Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato
da
X O (t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt)e1 + sin( βt)e2 ,
u2 (t) = − sin( βt)e1 + cos( βt)e2 ,
u3 ( t) = e3 .
Sia poi
C = {λ(1), λ(2), λ(3)} ,
ove
λ(1) = (0, 0, 0) , λ(2) = ( L, 0, L) , λ(3) = ( L, 0, 0) ,
cosicché
X (t; λ(1)) = X O (t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) ,
X (t; λ(2)) = X O (t) + L(cos( βt), sin( βt), 1) ,
X (t; λ(3)) = X O (t) + L(cos( βt), sin( βt), 0) .
6.D.2) Caso D ⊂ R: asta rigida.
Sia D = [− L, L].
Introduciamo il sistema di riferimento mobile dato da
X O (t) = (αt2 , βt, 0) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = αν(t)t2 e1 + βν(t)te 2 ,
u2 (t) = − βν(t)te 1 + αν(t)t2 e2 ,
u3 ( t ) = e 3 ,
ove 1
ν ( t ) = ( α 2 t4 + β2 t2 ) − 2 .
Sia poi
C = {λ( s) | − L ≤ s ≤ L } ,
82 DANIELE ANDREUCCI
ove
λ(s) = (s, 0, 0) ,
cosicché per ogni fissato s
X (t; λ(s)) − X O (t) = su1 (t) .
Ossia
X (t; λ(s)) = (αt2 , βt, 0) + ν(t)(αt2 , βt, 0)s .
Nella notazione della Definizione 6.3 il versore u coincide quindi con u1 , e
il sistema rigido solidale con l’insieme dei moti
X (t; (λ1 , 0, 0)) = X O (t) + λ1 u1 (t) , λ1 ∈ R .
2
6.D.3) Caso D ⊂ R : disco, giacente su un piano coordinato solidale.
Sia
D = {s = (s1 , s2 ) | s21 + s22 ≤ R2 } .
Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato da
X O (t) = (0, 0, L cos(αt)) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt2 )e1 + sin( βt2 )e3 ,
u 2 ( t ) = e2 ,
u3 (t) = − sin( βt2 )e1 + cos( βt2 )e3 .
Sia poi
C = {λ( s) | s ∈ D } ,
ove
λ ( s ) = ( s1 , s2 , 0) ,
cosicché per ogni fissato s
X (t; λ(s)) − X O (t) = s1 u1 (t) + s2 u2 (t) ,
ossia
X (t; λ(s)) = (s1 cos( βt2 ), s2 , L cos(αt) + s1 sin( βt2 )) .
6.D.4) Caso D ⊂ R3 : cilindro circolare, con asse giacente su un asse
coordinato solidale.
Sia
D = {s = (s1 , s2 , s3 ) | s21 + s22 ≤ R2 , 0 ≤ s3 ≤ L} .
Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato da
X O (t) = (0, 0, −αt) , M = ( uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt)e1 − sin( βt)e2 ,
u2 (t) = sin( βt)e1 + cos( βt)e2 ,
u 3 ( t ) = e3 .
Sia poi
C = {λ( s) | s ∈ D } ,
ove
λ ( s ) = ( s1 , s2 , s3 ) ,
6.2. QUANTITÀ MECCANICHE NEI RIGIDI 83
che
Z
∂X
LO (t) = X (t; λ) × (t; λ)ρ(λ) dµ (λ)
∂t
Λ( D )
Z
= − Ẋ2 X3 e1 + Ẋ1 X3 e2 + ( X1 Ẋ2 − Ẋ1 X2 )e3
D
q
× ρ0 1 + |∇ (s1 ,s2 ) X3 |2 ds1 ds2
LZ (t) = σω(t)
dX O
+ m X G ( t) − X Z ( t) × (t) + ω(t) × X Z (t) − X O (t) . (6.14)
dt
Qui O denota l’origine del sistema di riferimento solidale S .
86 DANIELE ANDREUCCI
Z
dX O
L Z ( t) = X (t; λ) − X Z (t) × (t) + ω(t) × X (t; λ) − X O (t)
dt
Λ( D )
× ρ(λ) dµ (λ)
Z
= X (t; λ) − X Z (t) × ω(t) × X (t; λ) − X Z (t) ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z
dX O
+ X (t; λ) − X Z (t) × ( t) + ω( t) × X Z ( t) − X O ( t)
dt
Λ( D )
× ρ(λ) dµ (λ)
dX O
= σω(t) + m X G (t) − X Z × ( t) + ω( t) × X Z ( t) − X O ( t) .
dt
dX Z
LZ (t) = σω (t) + m X G (t) − X Z (t) × ( t) . (6.15)
dt
Se inoltre, in particolare,
dX Z
( t) = 0 , (6.16)
dt
oppure
X Z ( t) = X G ( t) , (6.17)
allora
1
T ( t) = σω (t) · ω (t)
2
2
1 dX O dX O
+ m ( t) + m (t) · ω(t) × X G (t) − X O (t) . (6.19)
2 dt dt
6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 87
Corollario 6.15. Nelle ipotesi del Teorema 6.14 se
X G ( t) = X O ( t) , (6.20)
allora
2
1 1 dX O
T ( t) = σω (t) · ω (t) + m ( t) . (6.21)
2 2 dt
Se invece
dX O
( t) = 0 , (6.22)
dt
allora
1
T ( t) = σω(t) · ω(t) . (6.23)
2
Osservazione 6.16. La (6.21) è una versione, nel caso dei corpi rigidi,
del teorema di König, il quale asserisce che l’energia cinetica di un corpo
è data dal secondo termine del membro di destra della (6.21) (‘energia
cinetica del centro di massa’), sommata all’energia cinetica relativa del
corpo nel sistema di riferimento con origine in G e assi paralleli a quelli
fissi. Quest’ultima nel caso dei rigidi si scrive appunto come il primo
termine del membro di destra della (6.21).
Si noti che Iuu e Iuv dipendono in genere dal tempo t, sia perché i moti
X (t; λ) e X Z (t) sono funzioni di t, sia perché non abbiamo affatto escluso
che i versori u e v siano anch’essi mobili.
Infatti saremo interessati soprattutto a quest’ultimo caso, in cui assume
grande rilevanza il seguente risultato.
6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 89
σuh · uk = σ N B eh · B ek = (B ek )t σ N B eh = ek t B t σ N B eh
= ek t diag(α1 , α2 , α3 )eh = αh δhk .
Iuv = 0
det(σ M − cI ) = 0 . (6.33)
Iuv = σu · v , (6.34)
Corollario 6.32. Assumiamo che il moto del polo X Z sia solidale. La σ allora
è costante e ha tre autovalori reali coincidenti con i momenti Ihh relativi a una
terna principale d’inerzia in Z.
Gli autovettori corrispondenti sono i versori della terna medesima.
92 DANIELE ANDREUCCI
Proposizione 6.33. Vale per ogni versore u, se (uh ) è una terna principale,
min Ihh ≤ Iuu ≤ max Ihh . (6.37)
1≤ h ≤ 3 1≤ h ≤ 3
Se I11 = I22 , allora
Iuu = I11 = I22 , per ogni u = α1 u1 + α2 u2 . (6.38)
Se poi I11 = I22 = I33 , allora Iuu = I11 per ogni u.
Dimostrazione. Ovvia per la (6.36), e per
β21 + β22 + β23 = 1 .
Il Lemma 6.26 e il Teorema 6.27 possono essere sostituiti, in vista del Corollario 6.29, dal
seguente risultato, che ha il vantaggio di porre in luce più diretta le proprietà di massimo
e minimo della terna principale.
Teorema 6.34. Se A = ( aij ) è una matrice reale simmetrica 3 × 3, allora esiste una base
ortonormale in R3 formata di autovettori di A.
Tra i corrispondenti autovalori si trovano il massimo e il minimo della forma quadratica
xt A x , | x| = 1 .
Dimostrazione. Consideriamo la funzione
xt A x
f ( x) = ∈ C ∞ R 3 \ { 0} .
| x|2
Poiché per ogni scalare γ 6= 0 si ha f (γx) = f ( x), in particolare vale
x
f ( x) = f , x 6= 0 ,
| x|
e quindi f assume tutti i suoi valori sulla sfera
S = { x ∈ R 3 | | x | = 1} .
Dunque f ha minimo [rispettivamente massimo] assoluto in R3 \ {0}, assunto in x1 ∈ S
[rispettivamente in x2 ∈ S]. In questi punti deve quindi annullarsi il gradiente ∇ f , che si
trova calcolando
∂f 2 h 2 3 3 i
= | x | ∑ a ih x h − x i ∑ a hk x h x k , i = 1, 2, 3 ,
∂xi | x|4 h =1 h,k =1
come segue dal Teorema A.27. Dunque si ha
2 h 2 t
i
∇ f ( x) = | x | A x − ( x A x ) x .
| x|4
In particolare quindi, visto che | xi | = 1, si ha per i = 1, 2,
A x i = Ci x i , Ci : = x i t A x i . (6.39)
Dunque x1 e x2 sono autovettori di A.
6.5. PROPRIETÀ DI ESTREMO DEGLI ASSI PRINCIPALI 93
per il Teorema A.28 x1 e x2 sono ortonormali. Consideriamo poi il terzo versore ortonor-
male
x3 = x 1 × x 2 ,
cosicché ( xh ) risulta una terna ortonormale positiva. Resta solo da dimostrare che anche
x3 è un autovettore di A.
Valgono, per la simmetria di A,
x i t A x 3 = x 3 t A x i = Ci x 3 t x i = 0 , i = 1, 2 .
Dunque A x3 risulta ortogonale sia a x1 che a x2 , e perciò deve essere diretto lungo x3 :
A x3 = C3 x3 ,
per C3 ∈ R opportuno.
B) Se invece vale l’uguaglianza
allora la f è costante. Quindi tutti i punti di S sono di massimo e di minimo, tutti sono
autovettori, ed è senz’altro possibile scegliere una terna ortonormale positiva di autovettori
di A.
Osservazione 6.35. Con riferimento alla notazione della dimostrazione del Teorema 6.34,
nel caso min f < max f anche x3 ha un significato per la ricerca dei minimi e dei massimi
di f . Infatti x3 è il punto ove la f , ristretta alla circonferenza
Σ = S ∩ { x · x 2 = 0} ,
x = x1 cos ϕ + x3 sin ϕ , ϕ ∈ R.
Dunque per x ∈ Σ
Derivando in ϕ
dg
= 2(C3 − C1 ) sin ϕ cos ϕ .
dϕ
I punti di estremo si ottengono perciò come
ϕ = nπ , f ( x ) = f ( x1 ) ,
π
ϕ = + nπ , f ( x ) = f ( x3 ) ,
2
al variare di n ∈ Z. Dunque, visto che f ( x1 ) = min f , deve essere
f ( x3 ) = max f .
Σ
94 DANIELE ANDREUCCI
Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue subito dal Teorema 6.37: infatti il
piano che contiene C è di simmetria materiale ortogonale.
Possiamo poi supporre che la normale al piano sia u3 , e di denotare con u1 , u2 gli altri due
vettori della terna principale. Supponiamo anche che il punto P coincida con l’origine del
sistema di riferimento solidale. Allora
Z Z Z
I33 = (λ21 + λ22 )ρ(λ) dµ (λ) = λ21 ρ(λ) dµ (λ) + λ22 ρ(λ) dµ (λ) = I11 + I22 ,
Λ( D ) Λ( D ) Λ( D )
visto che
Z
λ23 ρ(λ) dµ (λ) = 0 .
Λ( D )
Teorema 6.39. Se P appartiene a uno degli assi di una terna principale di inerzia
nel centro di massa, una terna principale in P si trova per traslazione di quella
nel centro di massa.
In altri termini: Se (ui ) è una terna principale d’inerzia nel centro di massa G,
che prendiamo coincidente con l’origine del sistema solidale O, e se λ P è tale che
λ P = τu j ,
P P
I12 = I13 = 0.
Si ha
Z
P
I12 = (λ1 − τ )λ2 ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z Z
= λ1 λ2 ρ(λ) dµ (λ) − τλ2 ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D ) Λ( D )
G
= I12 − τλ2G = 0 .
P
Iuu G
= Iuu + md2 ,
−→
d = GP × u
Osservazione 6.41. (Asta rigida) Nel caso in cui il rigido sia degenere
rettilineo, per esempio disposto lungo l’asse solidale u3 , la matrice del
tensore di inerzia in O origine di S , relativa a M = (uh ), è
I 0 0
σ M = 0 I 0 .
0 0 0
Qui I > 0 è perciò il momento di inerzia dell’asta rispetto a una qualun-
que retta a essa ortogonale in O.
Solo per curiosità osserviamo che stando alle definizioni il tensore d’i-
nerzia di un punto materiale (che non avremo mai occasione di usare) è
nullo—nel punto stesso.
6.7. Cambiamenti di base
Teorema 6.42. Sia σ M [rispettivamente σ N ] la matrice che rappresenta σ, nel polo O, nella base
M = (u h ) [rispettivamente N = (wh )]. Allora vale
σ N = B σ M Bt , (6.43)
ove B è la matrice di cambiamento di base da M a N definita da
3
B = (bij ) , wi = ∑ bih uh , i = 1,2,3.
h =1
D’altronde il membro di sinistra della (6.45) può essere letto come σ N µ, se µ denota il
vettore delle componenti di u j in N : questo segue di nuovo dall’Osservazione A.14. Di
nuovo per la definizione della matrice σ N si ha che il membro di sinistra della (6.45) è il
vettore delle componenti di σu j in N , e quindi in effetti coincide con il membro di destra.
La (6.45) e di conseguenza la (6.44) risultano provate e con esse la tesi.
Osservazione 6.43. Nella Dimostrazione del Teorema 6.42 è essenziale sapere che la σ :
R3 → R3 è stata definita come applicazione lineare indipendente da M e N , in particolare
nella Definizione 6.11.
CAPITOLO 7
7.1. Cinematica
Abbiamo visto nel Capitolo 4 che le posizioni di un sistema vincolato di
rigidi sono in corrispondenza biunivoca con le ℓ-ple di coordinate locali
indipendenti, o in modo equivalente con le coordinate lagrangiane q.
In altre parole, la configurazione del sistema all’istante t ∈ I è rappre-
sentata in modo univoco da un punto ξ (t) ∈ Ξ f (t), ossia da un punto
q(t) ∈ Q.
Definizione 7.2. La funzione q : I → Q si dice moto lagrangiano, o, per
brevità, moto.
Le funzioni
X li : Q × I × Λ∗i → R3
che si ottengono sostituendo alle ξ j le funzioni ξ lj nella (4.37) (o nella (4.49),
o nella (4.46)) si dicono ancora la rappresentazione lagrangiana del moto, come
già le ξ lj stesse.
Secondo la Definizione 7.2 una volta assegnato un moto q le
X li (q(t), t; λ) , (7.1)
definiscono al variare di λ ∈ Λ∗i tutti i moti solidali con uno dei rigidi che
compongono il sistema olonomo.
Osservazione 7.3. Se tutti i vincoli sono fissi, le X li non dipendono in
modo esplicito da t (cioè dipendono da t solo attraverso le qh ). Quindi in
questo caso,
∂X li
(q, t; λ) = 0 , per ogni q ∈ Q, t ∈ I, λ ∈ Λ∗i . (7.2)
∂t
Infatti la dipendenza esplicita da t in (7.1) si ha solo attraverso le gj in
(4.10) (e vedi anche le Osservazioni 4.5 e 4.11).
99
100 DANIELE ANDREUCCI
(vedi (7.2)).
Si noti che nella (7.5), con abuso di notazione, abbiamo omesso la dipen-
denza esplicita da t delle X li (che appunto sarebbe solo formale) .
Notazione 7.6. Nella (7.4), le variabili ph sono indipendenti dalle qh .
Tuttavia, nel seguito, si sceglierà molto spesso, assegnata una funzione
t 7 → q ( t ),
q = q( t) , p = q̇(t) .
Per questo motivo si introduce nella notazione la convenzione
∂ ∂
:= . (7.6)
∂q̇h ∂ph
Lemma 7.7. Vale
d l
v (q(t), q̇ (t), t; λ) = ali (q (t), q̇(t), q̈ (t), t; λ) , (7.7)
dt i
ove la funzione
ali : Q × Rℓ × Rℓ × I × Λ∗i → R3 ,
risulta definita da
ℓ
∂2 X li ℓ
∂X li
ali (q, p, r, t; λ) = ∑ ∂q ∂q ( q, t; λ ) p p
h k + ∑ ∂q (q, t; λ)rh
h,k=1 h k h =1 h
(7.8)
ℓ
∂2 X li ∂2 X li
+2 ∑ (q, t; λ) ph + (q, t; λ) .
h =1
∂qh ∂t ∂t2
Ne segue che
1 2 2 1
mα d + I [2 ϕ̇2 + α2 ] .
T l ( ϕ, ϕ̇) =
2 2
B) Un modo alternativo di calcolare T è attraverso l’integrale
ZZ
1 m
T= |v(s1 , s2 )|2 ds1 ds2 ,
2 area(disco)
disco
ove v(s1 , s2 ) è la velocità nel sistema di riferimento fisso del generico punto
P(s1 , s2 ) del disco. Per svolgere il calcolo conviene parametrizzare il disco
in coordinate polari (r, θ ) piuttosto che cartesiane (s1 , s2 ):
−→ −→ − →
OP(r, θ ) = OC + CP = d cos(αt), d sin (αt), x3C
+ r cos(θ + ϕ) cos(αt), cos(θ + ϕ) sin(αt), sin(θ + ϕ) ,
ove x3C è una costante irrilevante per il calcolo di T, e 0 ≤ r ≤ R, 0 ≤
θ ≤ 2π. L’angolo θ ha il significato geometrico di anomalia polare (di polo
C) misurata su Π (t) a partire dalla semiretta solidale di riferimento di ϕ,
ossia da u3 . Invece r è la distanza su Π (t) dal centro del disco. Dunque
v(r cos θ, r sin θ ) = αd − sin(αt), cos(αt), 0
− r ϕ̇ sin(θ + ϕ) cos(αt), sin(θ + ϕ) sin(αt), − cos(θ + ϕ)
+ rα cos(θ + ϕ) − sin(αt), cos(αt), 0 .
Si riconosce subito che v( P) è combinazione lineare di due versori orto-
normali, e che
2 2
|v(r cos θ, r sin θ )|2 = αd + rα cos(θ + ϕ) + r ϕ̇
= α2 d2 + 2rα2 d cos(θ + ϕ) + r2 α2 cos2 (θ + ϕ) + r2 ϕ̇2 .
Quindi
Z2π ZR Z2π ZR
2πR2 l 2 2
T = dθ dr rα d + dθ dr r2rα2 d cos(θ + ϕ)
m
0 0 0 0
Z2π ZR
+ dθ dr rr2 α2 cos2 (θ + ϕ) + ϕ̇2
0 0
π 4 2
2 2 2 π
= πR α d + R ϕ̇ + α2 R4 ,
2 4
che coincide con l’espressione già trovata.
Osservazione 7.10. Si distingua bene tra le coordinate lagrangiane (ϕ nel-
≀≀ l’Esempio 7.9) e i parametri usati per descrivere il sostegno del rigido
((r, θ ) nell’Esempio 7.9). Questi ultimi non sono funzioni del tempo.
Osservazione 7.11. Il metodo A) nell’Esempio 7.9 ha il vantaggio di forni-
re risposte in termini dei momenti di inerzia, che quindi sono per esempio
immediatamente riusabili per lamine di altra forma. D’altra parte richie-
de il calcolo di ω, mentre il metodo B) si basa su una parametrizzazione
dell’immagine del rigido che è banale dal punto di vista concettuale.
7.2. DISTRIBUZIONI DI MASSE 103
e dunque
L = I11 λ2 żh cos ϕu1 − I11 λ2 żh sin ϕu2 + 2I11 (λ2 żR + ϕ̇)u3 .
Si noti che qui L è espresso come funzione della base solidale al rigido,
ma la (7.11) permette di passare alla terna intrinseca alla curva, e di qui la
(7.12) alla base fissa.
ℓ ∂ξ l
ℓ ∂ξ 1l ∂ξ 1l nc ∂ξ lnc i
∑ ∂q (q, t) ph + ∂t (q, t), . . . , ∑ ∂q (q, t) ph + ∂t (q, t), t; λ ,
h =1 h h =1 h
(7.14)
con
dF l i : Q × Rℓ × I × Λ∗i → R3 .
Saremo interessati soprattutto alle dF l i . Si noti che esse dipendono dalle
coordinate λi di ciascun punto solidale con il moto di Si (pensato come
punto di applicazione della forza), dalla configurazione e dall’atto di moto
dell’intero sistema, mediante le q, q̇ = p, oltre che dal tempo t in modo
anche esplicito.
Esempio 7.16. (7.F.3, 7.F.4.) Cubo soggetto al peso e a forze applicate su
una faccia.
Consideriamo un cubo di spigolo L vincolato ad avere uno spigolo sul-
l’asse fisso x3 , libero di scorrere su di esso e di ruotare intorno all’asse
medesimo.
In questo caso la rappresentazione lagrangiana dei moti solidali con il
corpo rigido è
X l ( ϕ, z; λ(s)) = (s1 cos ϕ − s2 sin ϕ, s1 sin ϕ + s2 cos ϕ, s3 + z) ,
con
s = (s1 , s2 , s3 ) ∈ D = [0, L]3 ,
e ϕ ∈ (−π, π ), z ∈ R coordinate lagrangiane. La parametrizzazione nel
senso della Sottosezione 6.1.3 è
λ ( s ) = ( s1 , s2 , s3 ) , s ∈ D.
Il sistema di riferimento solidale S è ( A, uh ), con
X A = ze3 ,
e (uh ) come in (7.17). La densità sia data dalla funzione
ρ(λ) = αλ21 ,
con α > 0 costante. Il peso, che assumiamo diretto come −u3 , agisce come
dF l peso ( ϕ, ϕ̇, z, ż, t; λ) = −αλ21 ge3 dµ (λ) .
La distribuzione superficiale di forze sulla faccia λ3 = 0 sia, per β > 0
costante,
dF l sup ( ϕ, ϕ̇, z, ż, t; λ) = β|z|u 1 δ{λ3 =0} χ D (λ) dλ ,
che quindi risulta in pratica una misura di superficie sulla faccia stessa.
dF i (ξ 1 , . . . , ξ nc ; λi ) =
Z Z
. .i
.f ∇ xi dU X 1 , . . . , X n ; λ1 , . . . , λn , (7.19)
Λ∗1 Λ∗n
108 DANIELE ANDREUCCI
ZR2
1 1
= −kχC1 (λ ) dλ ( X 1 (t; λ1 ) − X 2 (t; λ2 )) dλ2
0
= −kR2 ( X 1 (t; λ ) − X 2 (t; λ2M ))χC1 (λ1 ) dλ1 .
1
ZR2
1
= k dλ (σ cos θ − s cos ϕ)e1 + (σ sin θ − s sin ϕ)e2 dσ
0
R
R2 2
= R2 k cos θ − s cos ϕ e1 + sin θ − s sin ϕ e2 dλ1 .
2 2
Nello stesso modo si ottiene
R
R1 1
dF l 2 ( ϕ, θ; λ2 ) = R1 k cos ϕ − σ cos θ e1 + sin ϕ − σ sin θ e2 dλ2 .
2 2
110 DANIELE ANDREUCCI
1 2 2
U l ( ϕ, θ ) = R R k cos( ϕ − θ ) , (7.24)
4 1 2
si ha
∂U l ∂U l
= Qϕ , = Qθ ,
∂ϕ ∂θ
Dimostrazione. Calcoliamo
Z Z
∂U l ∂
= ··· dU X l1 (q, t; λ1 ), . . . , X ln (q, t; λn ); λ1 , . . . , λn
∂q h ∂q h
Λ∗1 Λ∗n
Z Z n ∂X li
= ··· ∑ ∇x i
dU · (q, t; λi )
∂q h
Λ∗1 Λ∗n i =1
n Z nZ Z o ∂X l
= ∑ . .i
.f ∇ xi dU · i
(q, t; λi )
i =1Λ∗
∂q h
i Λ∗1 Λ∗n
n Z ∂X li
= ∑ dF i (ξ 1l (q, t), . . . ξ lnc (q, t); λi ) · (q, t; λi )
i =1Λ∗
∂q h
i
n Z ∂X li
= ∑ dF l i (q, t; λ) · (q, t; λ)
i =1Λ∗
∂q h
i
= Qh (q, t) .
ZR1 ZR2 h i
k
=− (s cos ϕ − σ cos θ )2 + (s sin ϕ − σ sin θ )2 ds dσ
2
0 0
1 1
= − k( R31 R2 + R1 R32 ) + R21 R22 k cos( ϕ − θ ) .
6 4
Questa è la stessa funzione data in (7.24), a parte una inessenziale costante
additiva.
Osservazione 7.24. Nelle ipotesi del Teorema 7.22, e se i vincoli sono fissi,
il potenziale U l non dipende in modo esplicito dal tempo t, perché non
ne dipendono i moti X li .
Osservazione 7.25. Il Teorema 7.22 dà solo una condizione sufficiente af-
finché il sistema delle componenti lagrangiane delle forze sia conservativo.
In alcuni casi, questo può accadere anche in presenza di sistemi di forze
non conservativi nel senso classico (che poi è quello della Definizione 7.17).
Un caso notevole è quello di sistemi con un solo grado di libertà; in questo
caso si ha una unica coordinata lagrangiana q1 , e la componente lagran-
giana delle forze dipende solo da essa, oltre che eventualmente dal tempo,
cosicché
Zq1
∂
Q 1 ( q1 , t ) = Q1 (z, t) dz ,
∂q1
q01
Osservazione 8.9. La prima e la seconda equazione cardinale (dette anche
equazioni globali) sono valide in condizioni più generali di quelle discusse
qui, per esempio anche per sistemi non rigidi.
Qui e nel resto della dimostrazione omettiamo per semplicità gli argomen-
ti q, q̇, . . . .
L’informazione che abbiamo a disposizione consiste nelle tre condizioni
scalari dell’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), che possono essere riscritte in
modo equivalente nella forma addizionata
3 Z 3 Z
∂X l ∂X l
∑ al · µh ρ(λ) dλ = ∑ dF l · µh , (8.25)
h =1
∂qh h =1
∂qh
Λ( D ) R3
ove però (µh ) ∈ R3 può essere scelto ad arbitrio. Per il Lemma 8.12, ove si
prende q0 = q(t), fissato un qualunque g, si può trovare un (µh ) ∈ R3 tale
che
3
∂X l
g × X l ( q ( t ); λ ) = ∑ ( q ( t ); λ ) µ h .
h =1
∂qh
È essenziale che (µh ) sia indipendente da λ, perché così appare nella (8.25);
anche g lo è, per definizione. Quindi applicando appunto la (8.25) si
ottiene Z Z
l l
a · g × X ρ(λ) dλ = dF l · g × X l .
Λ( D ) R3
Per il Lemma A.7 sul prodotto triplo di vettori questo implica
Z Z
X l × al ρ(λ) dλ · g = X l × dF l · g ,
Λ( D ) R3
3 3
Lemma 8.12. Sia q0 ∈ Q fissato. Per ogni g ∈ R esiste (µ1 , µ2 , µ3 ) ∈ R tale
che
3
∂X l
∑ ( q0 ; λ ) µ h = g × X l ( q0 ; λ ) , per ogni λ ∈ R3 . (8.26)
h =1
∂q h
della (8.26), con (µh ) scelto appunto come opportuno ‘atto di moto’. Se
questo non risulta convincente, si veda la dimostrazione sotto.
Dimostrazione. Per il Teorema 2.45 il sistema
d ũh
(τ ) = g × ũh (τ ) , τ ∈ R,
dτ
ũ h (0) = ulh (q0 ) ,
d l d 3
X (q̃(τ ); λ) = λh ulh (q̃(τ ))
dτ dτ h∑
=1
3
= ∑ λh g × ulh (q̃(τ )) = g × X l (q̃(τ ); λ) . (8.27)
h =1
D’altronde
3
d l ∂X l d q̃
X (q̃(τ ); λ) = ∑ (q̃(τ ); λ) h (τ ) . (8.28)
dτ h =1
∂q h dτ
La tesi segue subito da (8.27) e (8.28), ponendovi τ = 0 e quindi
d q̃ h
µh = (0) .
dτ
Qui per semplicità di notazione si omette di indicare ogni dipendenza dalle coordinate
lagrangiane e dal tempo. Quindi
dL Σ
Z dL Z dX G dX Z d2 X Z d2 X Z
= −m × − mX G × + mX Z × . (8.30)
dt dt dt dt dt2 dt2
A causa delle proprietà di Σ, e del Teorema 8.11, si ha (si veda la Definizione 2.14)
" #
dLΣZ = dL Z
Σ
= M ext
Z,Σ . (8.31)
dt dt
N
Infine si osservi che in Σ per le formule della cinematica relativa (si veda anche la Sezio-
ne 9.4 per maggiori dettagli)
Z
M ext
Z,Σ = [ X − X Z ] × [ dF + dF t + dF c ]
Λ∗
Z Z
d2 X Z
= [ X − X Z ] × dF − [X − X Z ] × ρ(λ) dµ (λ) (8.32)
dt2
Λ∗ Λ( D )
d2 X Z d2 X Z
= M ext
Z − mX G × 2
+ mX Z × .
dt dt2
La tesi ora segue raccogliendo (8.30)–(8.32).
ossia al vettore tangente alla curva, e quindi coincide con la retta tangente
alla curva stessa (intesa come spazio vettoriale).
Il sottospazio W per definizione è generato dai due vettori
∇ξ f 1 , ∇ξ f 2 .
Ciascuno di questi due vettori è ortogonale alla superficie corrispondente,
e quindi alla curva, poiché essa giace su entrambe le superfici (in altri ter-
mini, ciascuno dei due gradienti appartiene al piano generato da normale
principale e binormale alla curva). Si ritrova quindi anche in questo caso
la Proposizione 8.16.
Di nuovo, ricordando la discussione nella Sezione 8.1 possiamo quindi
dire che W contiene la reazione vincolare, mentre V contiene la velocità
del punto. Si noti che stavolta la reazione vincolare ha direzione a priori
non determinata, se non all’interno del piano W.
Osservazione 8.19. I due esempi 8.17 e 8.18 concernono vincoli fissi. Se
anche i vincoli fossero mobili, ossia si avesse
f i ( ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , t) = 0 , (8.34)
gli argomenti precedenti non cambierebbero molto, se non nel senso che
V e W dipenderebbero anche dal tempo. Tuttavia occorre precisare che le
≀≀ velocità possibili del punto non apparterrebbero più a V: si controlli la
(7.4) che dà la velocità in coordinate lagrangiane. Se i vincoli sono fissi,
l’ultimo termine della (7.4), cioè
∂X l
,
∂t
scompare e la situazione è quella descritta sopra. Se i vincoli non sono
fissi, quel termine non si annulla e la velocità contiene un termine che non
appartiene a V. In questo caso talvolta il membro di destra della (7.4) in
cui si sia annullato artificialmente questo termine, ossia, ad esempio nel
caso dell’Esempio 8.17 con vincolo mobile come in (8.34),
2
∂X l
∑ ∂q (q, t) ph ,
h =1 h
viene detto velocità virtuale. Questa coincide con la velocità corrispondente
a vincoli ‘congelati’ nella loro posizione al tempo fissato t.
Osservazione 8.20. Il fatto che la velocità virtuale e ciascuna reazione vin-
colare siano sempre ortogonali, nell’ipotesi che i vincoli siano lisci, implica
che il lavoro virtuale che per definizione si ottiene integrando il prodotto
scalare delle due si annulla; questo è un modo di riformulare l’ipotesi dei
lavori virtuali.
CAPITOLO 9
Equazioni di Lagrange
{(Ci , ρi , Si ) | i = 1 , . . . , n} ,
Teorema 9.2. Se il moto soddisfa l’ipotesi dei lavori virtuali, vale per ogni h ∈
{1 , . . . , ℓ}
d h ∂T l i ∂T l
(q(t), q̇(t), t) − (q(t), q̇ (t), t) = Qh (q(t), q̇ (t), t) , (9.1)
dt ∂q̇h ∂qh
ove T l è l’energia cinetica data dalla (7.10), mentre Qh è definita dalla (7.21).
n Z hd i ∂X l
∑ vli (q(t), q̇(t), t; λ) · i
(q(t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
i=1
dt ∂qh
Λ( D i )
n Z
∂X li
= ∑ dF l i (q (t), q̇(t), t; λ) · (q(t), t; λ) = Qh (q(t), q̇(t), t) . (9.2)
i=1Λ∗
∂qh
i
Z
dh n ∂X li i
vli (q(t), q̇ (t), t; λ) · (q(t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
dt i∑
=1
∂qh
Λ( D i )
Z
n
d h ∂X li i (9.3)
−∑ vli (q(t), q̇(t), t; λ) · (q(t), t; λ) ρi (λ) dµi (λ)
i=1
dt ∂qh
Λ( D i )
=: J1 − J2 .
123
124 DANIELE ANDREUCCI
C) Ricordando la (7.4), si ha
Z
dh n ∂vl i
J1 = ∑ vli (q(t), q̇ (t), t; λ) · i (q(t), q̇ (t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
dt i=1 ∂q̇h
Λ( D i )
Z
dh ∂ n
1 i
= ∑2 |vli (q(t), q̇ (t), t; λ)|2 ρi (λ) dµi (λ)
dt ∂q̇h i=1
Λ( D i )
d h ∂T l i
= (q(t), q̇ (t), t) .
dt ∂q̇h
(9.4)
Infine
Z h
n ℓ
∂2 X li ∂2 X li i
J2 = ∑ vli (q (t), q̇(t), t; λ) · ∑ ∂q ∂q k q̇ ( t ) + ρi (λ) dµi (λ)
i=1 k=1 h k ∂qh ∂t
Λ( D i )
Z
n
∂ h ℓ ∂X li ∂X li i
= ∑ vli (q (t), q̇(t), t; λ) · ∑ q̇k (t) + ρi (λ) dµi (λ) ,
i=1
∂qh k=1 ∂qk ∂t
Λ( D i )
La velocità di P è quindi
v = (ṙ cos ϕ − r ϕ̇ sin ϕ, ṙ sin ϕ + r ϕ̇ cos ϕ, ṙ f ′ (r)) ,
per cui l’energia cinetica risulta
1
T = m ṙ2 (1 + f ′ (r)2 ) + r2 ϕ̇2 . (9.6)
2
Le forze lagrangiane sono date da
∂X lP ∂X lP
Qr = −mge3 · = −mg f ′ (r) , Q ϕ = −mge3 · = 0.
∂r ∂ϕ
Le equazioni di moto sono quindi
d
mṙ (1 + f ′ (r)2 ) − mṙ2 f ′ (r) f ′′ (r) + mr ϕ̇2 = −mg f ′ (r) , (9.7)
dt
d 2
mr ϕ̇ = 0 , (9.8)
dt
che coincidono con quelle trovate nell’Esempio 5.23.
Nella (9.26) si ha
∂X li ∂X li
alci · = 2[ω × vlS i ] · . (9.30)
∂q ∂q
D’altronde,
3 3 ∂y i
d j ∂X l
vlS i = ∑ dt yij (q; λi ) u j (t) = q̇ ∑ ∂q (q; λi )u j (t) = q̇ ∂qi (q, t; λi ) ,
j=1 j=1
130 DANIELE ANDREUCCI
∂ X li
e quindi vlS i e ∂q sono paralleli. Ne segue dalla (9.30) che
∂X li
alci · = 0.
∂q
Esempio 9.16. Punto vincolato a una curva solidale con S .
Sia γ una curva solidale con S , parametrizzata dall’ascissa curvilinea
3
ψ(s, t) = X O (t) + ∑ ψSj (s)u j (t) , s ∈ J.
j=1
Inoltre, ora le curve di livello θ = costante (i ‘paralleli’) non sono più scelte
ortogonali a una direzione arbitraria (il che aveva condotto alla possibilità
di scrivere la (9.32)), ma piuttosto ortogonali alla direzione (fissata) di ω,
cioè dell’asse di rotazione.
Scriviamo le equazioni di Lagrange in S ; la velocità è data da
∂X l ∂X l
vS = ϕ̇ + θ̇ , (9.34)
∂ϕ ∂θ
ove
∂X l
= − R sin ϕ sin θu1 (t) + R cos ϕ sin θu2 (t) ,
∂ϕ
∂X l
= R cos ϕ cos θu1 (t) + R sin ϕ cos θu2 (t) − R sin θu3 (t) .
∂θ
Si noti che
∂X l ∂X l
· = 0.
∂ϕ ∂θ
Dunque un conto diretto dà
1 1
TS = m|vS |2 = mR2 [ ϕ̇2 sin2 θ + θ̇ 2 ] . (9.35)
2 2
Restano da valutare le componenti lagrangiane delle forze, che si riducono
nel caso presente a quelle delle forze fittizie, secondo la (9.27).
Di nuovo, calcoli diretti danno
h ∂X l ∂X l i
F c = −2m ωu3 × ϕ̇ + θ̇
∂ϕ ∂θ
(9.36)
= 2mωR ( ϕ̇ cos ϕ sin θ + θ̇ sin ϕ cos θ )u1
+ ( ϕ̇ sin ϕ sin θ − θ̇ cos ϕ cos θ )u2 ,
da cui
∂X l
Fc · = −mωR2 θ̇ sin(2θ ) , (9.37)
∂ϕ
∂X l
Fc · = mωR2 ϕ̇ sin(2θ ) . (9.38)
∂θ
Inoltre, visto che
F t = −mω × [ω × X l ] = mω 2 R sin θ [cos ϕu1 + sin ϕu2 ] , (9.39)
si ha
∂X l
Ft · = 0, (9.40)
∂ϕ
∂X l 1
Ft · = mω 2 R2 sin(2θ ) . (9.41)
∂θ 2
Si verifica quindi che le equazioni di Lagrange sono
ϕ̈ sin2 θ = −θ̇ ( ϕ̇ + ω ) sin(2θ ) , (9.42)
1
θ̈ = ( ϕ̇ + ω )2 sin(2θ ) . (9.43)
2
I seguenti esercizi si riferiscono alle equazioni di moto nel sistema di
riferimento ruotante.
CAPITOLO 10
per q ∈ Q, p ∈ Rℓ , t ∈ I.
Lemma 10.7. Se q ∈ C2 ( I ) è una soluzione delle equazioni di Lagrange, allora
d ∂L
H(q, q̇, t) = − (q, q̇, t) , t ∈ I. (10.5)
dt ∂t
Nella (10.5) è sottintesa la dipendenza di q e q̇ da t.
Si osservi in particolare che i due membri di (10.5) non dipendono da q̈.
Dimostrazione. Si calcola, usando le (10.2),
ℓ
d d h ∂L i ∂L ∂L ∂L ∂L
H= ∑ q̇h + q̈h − q̇h − q̈h −
dt h =1
dt ∂ q̇ h ∂ q̇ h ∂q h ∂ q̇ h ∂t
ℓ
∂L ∂L ∂L ∂L
= ∑ q̇h − q̇h − =− .
h =1
∂q h ∂q h ∂t ∂t
Proposizione 10.8. Assumiamo che i vincoli siano fissi. Allora
H(q, p, t) = T l (q, p) − U l (q, t) . (10.6)
Dimostrazione. Intanto osserviamo che per le ipotesi e per il Teorema 9.6
T l non dipende esplicitamente dal tempo. Dunque dalla definizione (10.4)
segue
ℓ ℓ
∂L ∂T l
H= ∑ ∂q̇h ph − L = ∑ ∂q̇h ph − Tl − U l
h =1 h =1
ℓ
1 ℓ
= ∑ ahk (q) ph pk − ∑ ahk (q) ph pk − U l
2 h,k
h,k=1 =1
1 ℓ
= ∑ ahk (q) ph pk − U l = Tl − U l .
2 h,k =1
La Proposizione 10.8 insieme con un’opportuna ipotesi di conservatività
delle forze implica la conservazione dell’energia, come segue dal prossimo
risultato.
Teorema 10.9. (Conservazione dell’energia) Assumiamo che le distribu-
zioni di forze dF i siano conservative nel senso della Definizione 7.17 e che i vincoli
siano fissi. Sia q ∈ C2 ( I ) una soluzione delle equazioni di Lagrange. Allora H
non dipende esplicitamente dal tempo, ed esiste una costante E tale che
H(q(t), q̇ (t)) = T l (q(t), q̇ (t)) − U l (q(t)) = E , t ∈ I. (10.7)
10.1. LA FUNZIONE LAGRANGIANA 137
∇ U l (qeq ) = 0 , (10.10)
D2 U l (qeq ) sia definita negativa. (10.11)
Allora il potenziale U l in un intorno di qeq si può approssimare con il suo
polinomio di Taylor di secondo grado
1 t
U ∗ (q) = U l (qeq ) + (q − qeq ) D2 U l (qeq )(q − qeq )
2
(10.12)
1 ℓ ∂2 U l
= U l (qeq ) + ∑ (q )(q − qeq h )(qk − qeq k ) .
2 h,k=1 ∂qh ∂qk eq h
1 ℓ
T ∗ (q̇) = T l (qeq , q̇ ) = ∑ ahk (qeq )q̇h q̇k . (10.13)
2 h,k =1
1 t 1 ℓ
U ∗ (q) = q Uq = ∑ Uhk qh qk , (10.14)
2 2 h,k =1
1 t 1 ℓ
T ∗ (q̇) = q̇ Aq̇ = ∑ ahk (0)q̇h q̇k . (10.15)
2 2 h,k =1
ove si sottintende ahk = ahk (0). Si tratta dunque di un sistema lineare del
secondo ordine a coefficienti costanti. In forma vettoriale
A q̈ − U q = 0 . (10.19)
Teorema 10.17. Esistono coordinate lagrangiane λ ∈ Rℓ tali che in queste
coordinate le (10.17) assumono la forma
λ̈h + ωh2 λh = 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.20)
per opportuni reali ωh > 0, e la L∗ assume la forma
1 ℓ 2
L∗ (λ, λ̇) = ∑ λ̇h − ωh2 λ2h . (10.21)
2 h =1
1 t t t 1
µ N B U BN µ =: µt D µ . (10.23)
2 2
140 DANIELE ANDREUCCI
v = ẋe1 + ẏe2 + c 1 − 2 − 2 + 2 e3 .
a b a2 b
Quindi
1 h 2 x2 y2 −1 x ẋ yẏ 2 i
T l ( x, y, ẋ, ẏ) = m ẋ + ẏ2 + c2 1 − 2 − 2 + 2 ,
2 a b a2 b
e l’energia cinetica ridotta è
1
T ∗ ( ẋ, ẏ) = m( ẋ2 + ẏ2 ) .
2
Pertanto la lagrangiana ridotta è
1 1 x 2 y2
L∗ ( x, y, ẋ, ẏ) = m( ẋ2 + ẏ2 ) − mgc 2 + 2 .
2 2 a b
142 DANIELE ANDREUCCI
e pertanto
|v|2 = ż(t)2 + R2 ϕ̇2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ .
Perciò
1
L1 = m ż(t)2 + R2 ϕ̇2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ − mgz(t) − mgR sin ϕ .
2
Il sistema ha un grado di libertà, quindi le equazioni di Lagrange si ridu-
cono alla
d 2
m R ϕ̇ + Rż(t) cos ϕ + mRż(t) ϕ̇ sin ϕ + mgR cos ϕ = 0 .
dt
B) Ricalcoliamo la lagrangiana nel sistema di riferimento mobile S =
( A, ei ).
La coordinata lagrangiana è ancora la ϕ come sopra. Si ha
−→
AP = ( R cos ϕ, 0, R sin ϕ) ,
e quindi
1
TS = mR2 ϕ̇2 .
2
Sul punto agiscono il peso e la forza di trascinamento
F t = −ma A = 2ce3 .
Quindi il potenziale delle forze applicate a P è
US = m(2c − g) x3 .
Pertanto la lagrangiana risulta ora
1
L2 = mR2 ϕ̇2 + m(2c − g) R sin ϕ .
2
Si noti che
1
L2 − L1 = − m(ż(t)2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ) + mgz(t) + 2mcR sin ϕ
2
1
= − mż(t)2 + mgz(t) − mR(ż(t) ϕ̇ cos ϕ + z̈(t) sin ϕ)
2
Zt n o
d 1 d
= − mż(τ )2 + mgz(τ ) dτ + mR ż(t) sin ϕ ,
dt 2 dt
0
e quindi le due lagrangiane differiscono per una derivata totale nel tempo,
come nel Teorema 10.21.
CAPITOLO 11
1 1 3 1
T ( t) = σω(t) · ω(t) = ∑ Ihh ωh (t)2 = Iuu (t)ω (t)2 , (11.7)
2 2 h =1 2
ove Iuu (t) denota il momento d’inerzia del rigido rispetto all’asse per O
≀≀ parallelo a ω(t); dato che tale asse in genere non è solidale questo mo-
mento dipende in genere dal tempo. Invece i momenti principali Ihh sono
costanti nel tempo.
Esempio 11.5. Denotiamo con (O, ei ) il sistema di riferimento fisso. Un
parallelepipedo omogeneo di spigoli a, b, c > 0 e di massa m > 0 è
soggetto a due forze
F 1 = ke1 , F 2 = −ke1 ,
con k > 0 costante, applicate rispettivamente nei centri di due facce oppo-
ste A1 e A2 .
All’istante iniziale il parallelepipedo è fermo, con le facce A1 e A2 parallele
al piano x3 = 0, e le altre facce perpendicolari agli assi fissi.
Determiniamo il massimo raggiunto dall’energia cinetica durante il moto.
Per la prima equazione cardinale
ma G = F ext = F 1 + F 2 = 0 ,
per cui
v G ( t) = 0 , per ogni t > 0.
Quindi il centro di massa del corpo resta fermo durante il moto.
Scegliamo una terna solidale (ui ) con u3 ortogonale ad A1 , A2 , e tale che
u i ( 0) = e i , i = 1, 2, 3 .
Denotiamo
3
e1 = ∑ γi ( t) u i ( t) ,
i=1
Teorema 11.8. In un moto polare per inerzia valgono i due integrali primi del
moto:
LO (t) = σω (t) = LO (0) , (11.13)
1
T (t) = σω(t) · ω(t) = T (0) , (11.14)
2
per ogni t.
Dimostrazione. A) La (11.13) segue subito dalla (8.24) e dalla (11.9).
B) Si ha per ogni t
dT d 1 d 1 3 3
Ihh ωh2 = ∑ Ihh ω̇h ωh .
dt 2 h∑
= σω · ω =
dt dt 2 =1 h =1
Segue la (11.14).
Osservazione 11.9. Il sistema (11.10)–(11.12) non è lineare nelle incogni-
te ωh . Tuttavia la sua soluzione ω (t) risulta definita per ogni t ∈ R in
virtù di un ragionamento simile a quello svolto nella dimostrazione del
Corollario 2.46.
Definizione 11.10. L’insieme EcS dei punti λ = (λh ) ∈ R3 che soddisfano
1 3
Ihh λ2h = c2 , (11.15)
2 h∑
=1
1 1 3
2
σx · x = ∑ Ĩhk (t) xh xk
2 h,k =1
1 3 1 3
= ∑ h k h k 2 ∑ Ihh λ2h = c2 , (11.17)
2 h,k
σu · u λ λ =
=1 h =1
ove ( Ĩhk (t)) è la matrice che rappresenta σ nella base fissa (eh ) all’istante t.
La (11.17) è l’equazione dell’ellissoide nel sistema di riferimento fisso.
Lemma 11.14. In ciascun punto x ∈ Ec (t) la direzione normale all’ellissoide è
data da σx.
Dimostrazione. Basta osservare che Ec (t) è una superficie di livello della
funzione
1 3
F ( x) = ∑ Ĩhk (t) xh xk ,
2 h,k =1
il cui gradiente è (vedi il Teorema A.27)
3
∂F 3 h 3 i
∇ F ( x) = ∑ ∂x ek = ∑ ∑ Ĩhk (t) xh ek = σx .
k=1 k k=1 h =1
Teorema 11.15. (Moto alla Poinsot) In un moto polare per inerzia l’ellis-
soide d’inerzia Ec (t) si muove mantenendosi tangente a un piano fisso Π.
Il moto è di rotolamento puro, ossia il punto di contatto ha velocità nulla.
L’ultima affermazione del Teorema 11.15 in termini più dettagliati si può riformulare come:
per ogni t̄, il moto X (·; λ̄ ) tale che X (t̄; λ̄) è il punto di contatto, soddisfa
∂X
(t̄; λ̄ ) = 0 .
∂t
Si noti che λ̄ dipende da t̄.
Resta da imporre che x0 (t) appartenga sia a Ec (t) che a Π. Intanto x0 (t) ∈
Ec (t) se e solo se
1 1
c2 = σx0 (t) · x0 (t) = σ [τ (t)ω (t)] · [τ (t)ω (t)]
2 2
1
= τ (t)2 σω(t) · ω(t) = τ (t)2 T (t) = τ (t)2 T (0) ,
2
per l’integrale primo (11.14). Perciò τ (t) è in realtà costante e vale, sce-
gliendo il segno positivo della radice quadrata (si veda l’Osservazione 11.16),
c
τ ( t) = p . (11.19)
T ( 0)
Avendo così determinato x0 (t) in modo univoco, resta da vedere se x0 (t) ∈
Π, il che equivale a
x0 (t) · LO = µ ,
e può essere ottenuto scegliendo
q
c
µ = τ (t)ω (t) · σω(t) = 2 p T (0) = 2c T (0) .
T ( 0)
Si noti che µ e quindi Π sono in effetti costanti in t.
Infine dobbiamo dimostrare che il punto solidale che occupa la posizione
di contatto x0 (t) nell’istante t, ha velocità nulla in tale istante. Questa
velocità è data dalla velocità di trascinamento
ω( t) × x0 ( t) = ω( t) × τ ( t) ω ( t) = 0 .
Osservazione 11.16. La scelta del segno negativo in (11.19) conduce alla
determinazione di un secondo piano fisso, parallelo a quello trovato nel
Teorema 11.15, su cui l’ellissoide parimenti rotola senza strisciare. Questo
del resto è ovvio per motivi di simmetria.
Osservazione 11.17. In genere il punto di contatto tra Ec (t) e il piano fisso
non è costante né nel sistema di riferimento solidale, né in quello fisso. In
altri termini, posto
3 3
x0 ( t) = ∑ xh0 (t)eh = ∑ λh0 (t)uh (t) , (11.20)
h =1 h =1
né le xh0 , né le λh0 risultano costanti. Questo fatto del resto è ovvio per
(11.18).
Si noti che
n 3 o
∑ xh0 (t)eh | t ∈ I (11.21)
h =1
è una curva che giace su Π, mentre
n o
(λ10 (t), λ20 (t), λ30 (t)) | t ∈ I (11.22)
λ3
b
u
u
b
λ2
b
λ1
ove si è definito
I11
. τ=
k
Il sistema può essere risolto in modo esplicito, ma limitiamoci a ottenere
qui le informazioni necessarie. Scrivendo la condizione iniziale per ω
come
3
ω ( 0) = ∑ ωh0 uh ,
h =1
la (11.27) dà
t
−
ω3 (t) = ω30 e τβ , t > 0. (11.28)
Moltiplicando poi la (11.25) per ω1 , la (11.26) per ω2 , e sommando le
uguaglianze ottenute, si ha
d 2
(ω 2 + ω22 ) = − (ω12 + ω22 ) ,
dt 1 τ
che dà
t
ω1 (t)2 + ω2 (t)2 = (ω10
2 2
+ ω20 ) e −2 τ . (11.29)
Consideriamo ora il coseno direttore di ω lungo u3 , ossia
ω3 ( t)
α3 ( t ) = .
|ω(t)|
Si ricordi che α3 ≃ 0 implica che ω è quasi ortogonale a u3 , mentre |α3 | ≃ 1
implica che ω è quasi parallelo a u3 .
Dalle (11.28), (11.29) segue attraverso un calcolo esplicito che
2
ω30
α3 ( t )2 = 2t , t > 0. (11.30)
2 + ( ω 2 + ω 2 ) e τβ ( 1− β )
ω30 10 20
Assumiamo per definitezza che
2 2
ω30 6= 0 , ω10 + ω20 > 0.
Allora la (11.30) implica che per t → ∞
α3 ( t ) → 0 se β < 1, ossia I33 < I11 ;
|α3 (t)| → 1 se β > 1, ossia I33 > I11 .
In altri termini: se all’istante iniziale il rigido non è posto in rotazione
intorno a un asse principale, per t → ∞ la direzione della velocità angolare
tende a diventare ortogonale a u3 se questo versore corrisponde all’asse
massimo dell’ellissoide, e invece tende a diventare parallela a u3 se questo
versore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide. Si noti la differenza
con il caso dei moti per inerzia già richiamato sopra, dove α3 si mantiene
costante nel tempo.
Questa differenza ha ovvie conseguenze anche dal punto di vista della sta-
bilità. Più in dettaglio, è chiaro che l’unico punto di equilibrio del sistema
del primo ordine (11.25)–(11.27) è ω = 0. Tuttavia l’argomento sopra può
essere interpretato nel senso che la rotazione intorno a u3 è stabile se e so-
lo se questo versore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide d’inerzia.
Poiché in ogni caso ω(t) → 0 per t → ∞, questo concetto di stabilità va
inteso nel senso che il versore di ω(t) tende a u3 , o a −u3 .
154 DANIELE ANDREUCCI
11.4.1. Poloidi che circondano il semiasse più corto. Supponiamo qui che
I11 ( I33 − I11 )λ21 + I22 ( I33 − I22 )λ22 = 2c2 ( I33 − β2 ) . (11.35)
La curva nel piano λ3 = 0 definita dalla (11.35) è un’ellisse, che scriveremo come
λ21 λ22
+ = 1, (11.36)
a21 a22
con
2c2 I33 − β2 2c2 I33 − β2
a21 = , a22 = .
I11 I33 − I11 I22 I33 − I22
La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come
s
2c2 − I11 λ21 − I22 λ22
λ3 = ± . (11.37)
I33
Dalle (11.36), (11.37) è facile ricavare la forma parametrica della poloide.
11.4.2. Poloidi che circondano il semiasse più lungo. Supponiamo qui che
Moltiplicando la (11.33) per I11 e sottraendo poi l’equazione ottenuta dalla (11.32), si ha
I22 ( I22 − I11 )λ22 + I33 ( I33 − I11 )λ23 = 2c2 ( β2 − I11 ) . (11.39)
La curva nel piano λ1 = 0 definita dalla (11.39) è un’ellisse, che scriveremo come
λ22 λ2
2
+ 23 = 1 , (11.40)
b2 b3
con
2c2 β2 − I11 2c2 β2 − I11
b22 = , b32 = .
I22 I22 − I11 I33 I33 − I11
La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come
s
2c2 − I22 λ22 − I33 λ23
λ1 = ± . (11.41)
I11
e derivare in t.
Appendici
APPENDICE A
Algebra lineare
Definizione A.3. Il prodotto vettoriale tra due vettori f e g è
≀≀
f × g = ( f 2 g3 − f 3 g2 , f 3 g1 − f 1 g3 , f 1 g2 − f2 g1 ) . (A.2)
Osservazione A.4. Si verifica subito che i prodotti scalare e vettoriale
godono delle proprietà di linearità
f · ( γ1 f 1 + γ2 f 2 ) = γ1 f · f 1 + γ2 f · f 2 ,
f × ( γ1 f 1 + γ2 f 2 ) = γ1 f × f 1 + γ2 f × f 2 ,
Teorema A.12. Valgono le
A −1 = A t = B . (A.6)
Dimostrazione. Si ha per ogni i
3 3 3
wi = ∑ bih uh = ∑ ∑ bih ahk wk ,
h =1 h =1 k=1
A.2. CAMBIAMENTI DI BASE 165
da cui, per le proprietà delle basi vettoriali, si ha per ogni coppia (i, k),
3
δik = ∑ bih ahk = (BA)ik ,
h =1
il che significa BA = id. Nello stesso modo da
3 3 3
ui = ∑ aih wh = ∑ ∑ aih bhk uk ,
h =1 h =1 k=1
segue che
3
δik = ∑ aih bhk = (AB)ik ,
h =1
il che significa AB = id. Quindi A −1 = B .
Infine per ogni coppia (i, j)
3 3 3
δij = ui · u j = ∑ ∑ aih ajk wh · wk = ∑ aih ajh = (AAt )ij ,
h =1 k=1 h =1
t t
e dunque AA = id, ossia B = A .
Osservazione A.13. Per l’ortonormalità delle due basi (ui ) e (w j ), vale
aij = ui · w j .
Quindi ciascuna colonna della matrice A è formata dalle componenti del
corrispondente vettore w j nella base (ui ). Ciascuna riga, invece, è formata
dalle componenti del corrispondente vettore ui nella base (w j ).
Osservazione A.14. Sia f ∈ R3 , con
3 3
f = ∑ λi ui = ∑ µi wi . (A.7)
i=1 i=1
Allora
λ1 µ1
λ2 = A µ2 . (A.8)
λ3 µ3
Teorema A.15. Sia (zi ) una base ortonormale, e definiamo la matrice C come
3
C = (cij ) , wi = ∑ cih zh . (A.9)
h =1
Allora la matrice di cambiamento di base tra (ui ) e (zi ) è il prodotto AC , ossia
per i = 1, 2, 3,
3
ui = ∑ (AC)ih zh . (A.10)
h =1
In particolare
u11 u12 u13
M = (ui · e j ) = u21 u22 u23 (A.11)
u31 u32 u33
se per i = 1, 2, 3,
3
ui = (ui1 , ui2 , ui3 ) = ∑ uij e j . (A.12)
j=1
| f 1 − f 2 |2 = 0 .
B) Sia x un qualunque vettore unitario ortogonale a f 1 − f 2 . Allora da B)
e dal Corollario A.19 segue
0 = |( f 1 − f 2 ) × x| = | f 1 − f 2 | .
Teorema A.21. Se C è una matrice 3 × 3 antisimmetrica, ossia se vale C + C t =
0, allora esiste un unico vettore c tale che per ogni f ∈ R3 valga
Cf = c× f . (A.20)
Dimostrazione. L’unicità di c come nell’enunciato segue subito dal Teo-
rema A.20.
Dimostriamone l’esistenza. Dalla proprietà di antisimmetria segue subito
che
0 α β
C = −α 0 γ ,
− β −γ 0
per tre opportuni reali α, β, γ. Dalla definizione di prodotto righe per
colonne segue, se f = ( f 1 , f 2 , f 3 )t ,
α f2 + β f3
C f = −α f1 + γ f3 .
− β f1 − γ f2
t
Ponendo poi c = (−γ, β, −α) , dalla definizione di prodotto vettoriale
segue
α f2 + β f3
c × f = −α f1 + γ f3 ,
− β f1 − γ f2
da cui la tesi.
168 DANIELE ANDREUCCI
| f × g |2 = | f × [ g ]⊥ |2 = | f × ( f × [ g ]⊥ )|2 = |[ g ]⊥ |2
2
= | g |2 − [ g ] k = 1 − ( f · g )2 . (A.23)
Dunque i due numeri reali
x = f ·g, y = ε | f × g| ,
soddisfano x2 + y2 = 1. È noto allora che esiste un unico angolo θ ∈ [0, 2π )
tale che
x = cos θ , y = sin θ . (A.24)
Se poi [ g ] ⊥ = 0, allora, definendo x e y come sopra,
x ∈ {−1, 1} , y = 0,
A.4. FORME QUADRATICHE 169
per cui le (A.24) continuano a valere per una scelta (unica) di θ ∈ [0, 2π )
tra θ = 0 e θ = π.
L’angolo θ si chiama l’angolo formato dai due vettori f e g.
Definizione A.24. Sia V ⊂ R N un sottospazio vettoriale; si chiama ortogo-
nale di V, e si denota con V ⊥ , l’insieme
V ⊥ = { f ∈ R N | f · v = 0 per ogni v ∈ V } .
Teorema A.25. V ⊥ è un sottospazio vettoriale di R N , e V ∩ V ⊥ = 0. Inoltre
dim V + dim V ⊥ = N . (A.25)
Dimostrazione. Che V ⊥ sia un sottospazio vettoriale di R N segue su-
bito dalla definizione e dalla linearità del prodotto scalare. La proprietà
V ∩ V ⊥ = 0 poi segue dal fatto che un vettore nell’intersezione dei due
spazi deve essere ortogonale a sé stesso e quindi nullo. Si vede subito
che questo implica che ogni vettore di V è linearmente indipendente da
ciascun vettore in V ⊥ .
Siano dunque vh , h = 1, . . . , ℓ, e rispettivamente w j , j = 1, . . . , m, due
basi ortonormali rispettivamente di V e di V ⊥ . Possiamo assumere ℓ < N
perché il caso estremo è ovvio. Vogliamo dimostrare che ℓ + m = N. Per
un qualunque f ∈ R N definiamo
ℓ m
f′ = ∑ f · v h vh + ∑ f · w j w j .
h =1 j=1
da cui
N
∂J
( x) = 2aii xi + 2 ∑ aih xh = 2 ∑ aih xh .
∂xi h6=i h =1
Teorema A.28. Se u e v sono due autovettori della matrice simmetrica A,
corrispondenti a due autovalori diversi λ e µ, allora sono ortogonali.
Dimostrazione. Si ha
λu · v = A u · v = A v · u = µv · u ,
il che implica, visto che λ 6= µ, l’asserto u · v = 0.
APPENDICE B
171
APPENDICE C
Soluzioni
173
Parte 5
Indici
Indice analitico
non degenere, 52
spostamenti virtuali, 118
teorema
di Chasles, 38
di Coriolis, 29
di Dirichlet, 11
di Huygens, 95
di König, 87
di Liapunov, 8
terna
intrinseca, 42
mobile, 23
terna mobile
funzione costante in, 24
torsione, 42, 43
traiettoria, 43
traslazione, 30
triedro principale, 42
velocità, 21
angolare, 25, 24–39, 44
composizione di, 31
del corpo rigido, 79
dell’asta, 57
relativa, 30, 30–32
areolare, 157
di trascinamento, 29
campo di, 29, 34
in coordinate lagrangiane, 98
radiale, 51
relativa, 27
trasversale, 51
virtuale, 120
versore
radiale, 51
trasversale, 51
vettore
binormale, 42
normale principale, 42
tangente, 41
vincoli
anolonomi, 60
integrabili, 60
con attrito, 73
fissi, 48, 48, 50
lisci, 72, 72, 111–114
mobili, 48
olonomi, 47