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Appunti per il corso di

Meccanica Razionale

Daniele Andreucci
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate
per l’Ingegneria
Università di Roma La Sapienza
via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italy
daniele.andreucci@sbai.uniroma1.it

a.a. 2017–2018
versione definitiva
mra 20171211 21.36
c2009, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 Daniele Andreucci
Tutti i diritti riservati–All rights reserved
Introduzione

0.1. Programma
Questa è la versione definitiva degli Appunti per il corso di Meccanica
Razionale, tenuto per il Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica dell’U-
niversità La Sapienza di Roma, anno accademico 2017-2018. Eventuali
correzioni a questa versione definitiva verranno segnalate in una Errata
Corrige, che apparirà sul sito del corso.
Programma d’esame
Il programma consiste, con riferimento ai presenti Appunti, di:
• Capitolo 1, meno: Definizione 1.16, Proposizione 1.18, Teorema 1.22,
Teorema 1.23, Definizione 1.25, Teorema 1.30, Osservazione 1.31, Teo-
rema 1.39.
• Capitolo 2, meno: gli esempi delle Sezioni 2.6 e 2.7.
• Capitolo 3.
• Capitolo 4.
• Capitolo 5.
• Capitolo 6, meno: la dimostrazione del Teorema 6.27.
• Capitolo 7.
• Capitolo 8, meno: la dimostrazione del Lemma 8.12; il Teorema 8.13.
• Capitolo 9, meno: la (9.19) e la Sottosezione 9.4.1.
• Capitolo 10, meno: le Sottosezioni 10.1.1 e 10.1.3; le dimostrazioni dei
Teoremi 10.10, 10.17 e 10.21.
• Capitolo 11, meno: le dimostrazioni del Lemma 11.14 e del Teore-
ma 11.15; il Corollario 11.19; la Sezione 11.3.
Salvo diverso avviso non sono comprese nel programma le parti com-
poste in carattere più piccolo (come per esempio la dimostrazione del
Teorema 2.49).
Formano parte del programma anche le tecniche di risoluzione degli eser-
cizi, che vengono resi disponibili sul sito del corso.

Le Appendici contengono risultati che possono venire usati nel corso, ma


non ne fanno parte in senso proprio (prerequisiti, complementi tecnici,
alcuni risultati di calcoli complicati).

0.2. Avvertenze
Nel testo si usano ampiamente cambiamenti di base in R3 , ove le basi sono
sempre assunte essere ortonormali e orientate positivamente. Alcune di
queste basi sono chiamate ‘mobili’, senza che questo abbia altro significato
che quello della convenzionale scelta a priori di un sistema di riferimento
come ‘fisso’. Tale scelta viene presupposta in tutto ciò che segue.
iii
iv DANIELE ANDREUCCI

I vettori di R3 sono di solito espressi come combinazione lineare dei ver-


sori della base; talvolta per brevità sono identificati con il vettore colon-
na delle loro componenti, ma solo se la base è quella ‘fissa’ prestabi-
lita. Analogamente le coordinate, nei casi in cui non vengano definite
esplicitamente, vanno intese come riferite al sistema fisso.
Usiamo i simboli eh per indicare i vettori della base standard di R3 , mentre
le altre basi (mobili) sono indicate con uh , wh , . . .
I vettori sono indicati con questo carattere: f , mentre le matrici sono in-
dicate con il carattere: F . Il prodotto righe per colonne viene indicato
semplicemente per giustapposizione, cosicché per esempio se x1 e x2 sono
vettori colonna di uguale lunghezza, allora x1 t x2 coincide con il prodotto
scalare x1 · x2 .
La notazione usata per gli spazi funzionali non distingue tra caso scalare
e vettoriale; per esempio per una f : I → R3 potremo scrivere f ∈ C2 ( I ).

Salvo diverso avviso:


• Cilindri e coni sono circolari retti.
• Le densità sono costanti.
• I sistemi di riferimento cartesiani sono ortogonali e positivamente
orientati.
• La forza peso non è presente negli esercizi; costituisce però esplicito
avviso del contrario ogni riferimento a direzioni verticali od orizzon-
tali: in tale caso si intende che la verticale discendente ha il verso
della forza peso.

Le parti di testo stampate in carattere più piccolo sono complementi non


necessari alla comprensione del seguito.
Il simbolo ≀≀ stampato a margine come qui accanto indica passaggi ove
≀≀ occorre una particolare attenzione per capire lo sviluppo della teoria.
In questa edizione in pochi casi si fa riferimento a esercizi che non appa-
iono nel testo e che verranno però presentati a lezione.
Indice

Introduzione iii
0.1. Programma iii
0.2. Avvertenze iii

Parte 1. Cenni alla stabilità dell’equilibrio 1

Capitolo 1. Equazioni differenziali 3


1.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua. 3
1.2. Punti di equilibrio 6
1.3. I teoremi di stabilità di Liapunov 8
1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine 10
1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi 13

Parte 2. Cinematica: descrizione del moto 19

Capitolo 2. Cambiamento di sistemi di riferimento 21


2.1. Moto, velocità, accelerazione. 21
2.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo 23
2.3. Cinematica relativa 27
2.4. Passaggi da una base mobile all’altra 30
2.5. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocità
angolare 32
2.6. L’asse istantaneo di moto 34
2.7. Moti rigidi piani 36
2.8. Una definizione alternativa di velocità angolare. 39

Capitolo 3. Curve nello spazio 41


3.1. Il triedro principale 41
3.2. Le formule di Frenet–Serret 42
3.3. Scomposizione di velocità e accelerazione 43
3.4. Ricostruzione di una curva a partire da curvatura e torsione 44

Capitolo 4. Vincoli. Coordinate lagrangiane 47


4.1. Vincoli olonomi 47
4.2. Coordinate indipendenti. 48
4.3. Atti di moto. 49
4.4. Coordinate lagrangiane 49
4.5. Sistemi vincolati a un piano 50
4.6. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido non
degenere 52
4.7. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido degenere 56
v
vi DANIELE ANDREUCCI

4.8. Sistemi olonomi composti da rigidi 59


4.9. Cenno ai vincoli anolonomi. 60
4.10. Due punti nel piano 61

Parte 3. Dinamica: previsione del moto 65

Capitolo 5. Equazioni di moto di un elemento materiale 67


5.1. Equazioni di moto in sistemi di riferimento mobili 67
5.2. Forze conservative 68
5.3. Forze di attrito 70
5.4. Moto di un punto vincolato a vincoli fissi 72
5.5. Moto di un punto vincolato a vincoli mobili. 77

Capitolo 6. Corpi rigidi 79


6.1. Corpi rigidi 79
6.2. Quantità meccaniche nei rigidi 83
6.3. Il tensore d’inerzia 85
6.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali. 87
6.5. Proprietà di estremo degli assi principali 92
6.6. Ricerca degli assi principali 94
6.7. Cambiamenti di base 96

Capitolo 7. Quantità meccaniche in coordinate lagrangiane 99


7.1. Cinematica 99
7.2. Distribuzioni di masse 101
7.3. Distribuzioni di forze 104
7.4. Forze conservative 107

Capitolo 8. Ipotesi dei lavori virtuali 113


8.1. L’ipotesi dei lavori virtuali 113
8.2. Dinamica del punto materiale libero 116
8.3. La prima equazione cardinale 116
8.4. La seconda equazione cardinale 117
8.5. Spostamenti virtuali 120

Capitolo 9. Equazioni di Lagrange 123


9.1. Le equazioni di Lagrange 123
9.2. Proprietà dell’energia cinetica 125
9.3. Condizioni iniziali; atti di moto. 128
9.4. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie. 128
Capitolo 10. Equazioni di Lagrange nel caso conservativo 135
10.1. La funzione lagrangiana 135
10.2. Piccole oscillazioni 138
10.3. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse
equazioni di Lagrange. 142

Capitolo 11. Moti di un rigido con un punto fisso 145


11.1. Le equazioni di Eulero 145
11.2. Moti per inerzia 147
11.3. Moti polari con attrito 152
INDICE vii

11.4. Le equazioni delle poloidi 154


Capitolo 12. Applicazioni delle equazioni di Lagrange 157
12.1. Moti in campi centrali 157

Parte 4. Appendici 161


Appendice A. Algebra lineare 163
A.1. Prodotti tra vettori 163
A.2. Cambiamenti di base 164
A.3. Angoli e perpendicolarità 168
A.4. Forme quadratiche 169
Appendice B. Simboli e notazione usati nel testo 171
B.1. Simboli usati nel testo 171
Appendice C. Soluzioni degli esercizi 173

Parte 5. Indici 175


Indice analitico 177
Parte 1

Cenni alla stabilità dell’equilibrio


CAPITOLO 1

Equazioni differenziali

Notazione 1.1. I vettori in questo capitolo vanno intesi sempre come vet-
tori colonna, anche quando vengano per comodità tipografica denotati
come vettori riga. 

1.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua.


Consideriamo un sistema di equazioni differenziali ordinarie (e.d.o.)
ẏ = F (y, t) , (1.1)
ove
F ∈ C (Ω × I ) , (1.2)
Ω è un aperto di R N , I è un intervallo aperto di R. Supporremo sempre
che valga la condizione di Lipschitz
| F (y1 , t) − F (y2 , t)| ≤ CK |y1 − y2 | , (1.3)
per ogni scelta di (yi , t) ∈ K × I, per una costante fissata CK > 0, per ogni
K ⊂ Ω arbitrario insieme compatto.
In particolare considereremo il problema di Cauchy per (1.1):
ẏ = F (y, t) , (1.4)
y ( t0 ) = y 0 . (1.5)
Ricordiamo la definizione di soluzione di (1.4)–(1.5).
Definizione 1.2. Una funzione
ϕ : J → RN , t0 ∈ J ⊂ I , ϕ( J ) ⊂ Ω , ϕ ∈ C1 ( J ) , (1.6)
ove J è un intervallo, si dice soluzione di (1.4)–(1.5) se valgono
ϕ̇(t) = F (ϕ(t), t) , t∈ J, (1.7)
ϕ(t0 ) = y0 . (1.8)

Definizione 1.3. Una soluzione di (1.4)–(1.5), definita su un intervallo
J, si dice massimale se ogni altra soluzione di (1.4)–(1.5) ha intervallo di
definizione contenuto in J. 
Metodo 1.4. (Riduzione di un sistema del secondo ordine al primo)
Considereremo anche sistemi del secondo ordine
z̈ = f (z, ż, t) , (1.9)
3
4 DANIELE ANDREUCCI

e i relativi problemi ai valori iniziali


z̈ = f (z, ż, t) , (1.10)
z ( t 0 ) = z0 , (1.11)
ż(t0 ) = ż0 . (1.12)
In molti casi sarà possibile limitarsi a trattare in modo esplicito solo il
caso del sistema del primo ordine, perché il sistema del secondo ordine si
riduce a quello del primo con il cambiamento di variabili
y := (z, ż) ∈ R2N , (1.13)
e introducendo la nuova funzione costitutiva
 
F (y, t) := y2 , f (y1 , y2 , t) , (1.14)

ove si denota
y = ( y1 , y 2 ) , y1 , y2 ∈ R N . (1.15)
In questo modo il problema (1.10)–(1.12) si riduce a
ẏ = F (y, t) , (1.16)
y(t0 ) = (z0 , ż0 ) . (1.17)
Nel seguito, le definizioni si intendono estese a sistemi del secondo ordine
in quanto si applicano ai sistemi del primo ordine cui essi si riducono con
la trasformazione (1.13), (1.14). 
Definizione 1.5. Si dice che la soluzione di (1.4)–(1.5) dipende con continuità
dai dati iniziali se, fissati ad arbitrio un intervallo limitato (α, β) ove la
soluzione ϕ è definita, e un ε > 0, esiste un δ > 0 tale che se |y0 − y¯0 | < δ
e |t0 − t¯0 | < δ, allora la soluzione ϕ̄ di
ϕ̄˙ = F (ϕ̄, t) , ϕ̄(t¯0 ) = y¯0 , (1.18)
è definita almeno in (α + ε, β − ε) e soddisfa
|ϕ(t) − ϕ̄(t)| < ε , α+ε < t < β−ε. (1.19)

Riportiamo senza dimostrazione il seguente classico
Teorema 1.6. Sotto le ipotesi (1.2), (1.3), il problema (1.4)–(1.5) ha una unica
soluzione massimale ϕ.
Tale soluzione dipende con continuità dai dati iniziali.
Il suo intervallo di definizione J = (α, β) è aperto. Se β < sup I allora deve
valere una delle due affermazioni:
(1) dist(ϕ(t), ∂Ω) → 0 per t → β−;
(2) |ϕ(t)| → +∞ per t → β−.
Un risultato simmetrico vale in α.
In particolare J = I se la F è lineare in y.
Definizione 1.7. Il sistema (1.1) si dice autonomo se F non dipende da
t. 
1.1. ESISTENZA, UNICITÀ E DIPENDENZA CONTINUA. 5

Osservazione 1.8. Il valore di t0 nella formulazione del problema ai valori


iniziali (1.4)–(1.5) è in sostanza ininfluente, se il sistema è autonomo. Infatti,
la soluzione ϕ̄ di
ϕ̄˙ = F (ϕ̄) , ϕ̄(t¯0 ) = y0 (1.20)
è data da
ϕ̄(t) = ϕ(t − t¯0 + t0 ) , t ∈ J − t0 + t¯0 ,
ove ϕ è la soluzione di (1.4)–(1.5). 
Osservazione 1.9. In particolare, se la soluzione ϕ del problema ai valori
iniziali (1.4)–(1.5), che supponiamo autonomo, soddisfa per un T > 0
ϕ( T + t0 ) = ϕ(t0 ) ,
segue dall’Osservazione 1.8, e dall’unicità di soluzioni, che
ϕ( T + t) = ϕ(t) , t ∈ R,
ossia che ϕ è periodica con periodo T. 
Esempio 1.10. Consideriamo il sistema di e.d.o.
ẋ1 = x2 ,
(1.21)
ẋ2 = − x1 .
con la condizione iniziale
x1 (0) = x10 , x2 (0) = x20 . (1.22)
Esso può essere risolto per sostituzione, derivando la prima equazione e
poi sostituendo la seconda:
ẍ1 = ẋ2 = − x1 .
Si ottiene quindi un problema di Cauchy per una e.d.o. lineare di secon-
do ordine per x1 , che si può risolvere facilmente tenendo presenti i valori
iniziali prescritti; si noti infatti che le (1.22) insieme al sistema stesso impli-
cano che ẋ1 (0) = x20 . Poi usando la prima equazione delle (1.21) si ottiene
x2 :
x1 (t) = x10 cos t + x20 sin t , (1.23)
x2 (t) = − x10 sin t + x20 cos t . (1.24)
Da qui segue subito la periodicità della soluzione.
Vale la pena di fare la seguente osservazione: moltiplicando la prima delle
(1.21) per x1 e la seconda per x2 e poi sommandole membro a membro si
ottiene
x1 ẋ1 + x2 ẋ2 = 0 ,
da cui
x12 + x22 = x10
2 2
+ x20 ,
il che implica che l’immagine della funzione ( x1 , x2 ) giace su una cir-
conferenza, ossia una curva chiusa. Tuttavia questo argomento da so-
lo non implica che essa coincida con la circonferenza: potrebbe esserne
un arco aperto. Dunque neppure implica la periodicità (si veda anche il
Teorema 1.33). 
6 DANIELE ANDREUCCI

1.2. Punti di equilibrio


Definizione 1.11. Un punto yeq ∈ Ω si dice di equilibrio per il sistema
autonomo
ẏ = F (y) , (1.25)
se e solo se
F (yeq ) = 0 . (1.26)

Osservazione 1.12. La Definizione 1.11 è motivata dal fatto che, se yeq è
di equilibrio, il problema di Cauchy (1.25), (1.5) ha come soluzione quella
costante
ϕ(t) = yeq , t ∈ R. (1.27)
Questa soluzione è l’unica (massimale) sotto le ipotesi del Teorema 1.6. 
Il comportamento di un sistema autonomo intorno a un punto di equili-
brio è piuttosto diverso da quello intorno ad altri punti, come mostrano i
due Lemmi seguenti, che verranno usati nella Sezione 1.5.
Lemma 1.13. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita su
(α, β), e
lim ϕ(t) = yeq , ϕ(t) 6= yeq per qualche t, (1.28)
t→ β−
allora β = ∞.
Dimostrazione. Se per assurdo fosse β < ∞, potremmo definire la fun-
zione (
ϕ(t) , α < t < β,
ϕ̄(t) =
yeq , β ≤ t < ∞.
È facile verificare che ϕ̄ è una soluzione di classe C1 ((α, ∞)) del problema
ẏ = F (y) , y( β) = yeq ,
mentre per il teorema di unicità di soluzioni, l’unica soluzione deve essere
quella costante. 
Lemma 1.14. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita almeno
su (α, β), e
lim ϕ(t) = y0 , F ( y0 ) 6 = 0 , (1.29)
t→ β−
allora β < ∞. Inoltre se ϕ è massimale risulta definita anche in β e y0 = ϕ( β).
Dimostrazione. Poiché Fi (y0 ) 6= 0 per almeno una componente di F (y0 ),
segue che
lim ϕ̇i (t) = αi := Fi (y0 ) 6= 0 .
t→ β−
Quindi, assumendo per esempio che αi > 0, si ha
Zt
αi
ϕi (t) − ϕi (t̄ ) = ϕ̇i (τ ) dτ ≥ (t − t̄) ,
2

per ogni t > t̄, se t̄ è opportuno. Questo evidentemente conduce a un
assurdo se β = ∞.
1.2. PUNTI DI EQUILIBRIO 7

A questo punto ragionando come nella dimostrazione del Lemma 1.13 si


può vedere che se ϕ non fosse definita in β, si contraddirebbe il Teorema
di esistenza e unicità di soluzioni al problema di Cauchy. 
Definizione 1.15. Il punto di equilibrio yeq si dice stabile se:
per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se

|y0 − yeq | < δ ,

allora l’unica soluzione massimale di (1.25), (1.5), risulta definita (almeno)


su [t0 , ∞), e soddisfa

ϕ(t) − yeq < ε , t0 < t < ∞ . (1.30)

Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. 


≀≀
Definizione 1.16. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se
è stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se |y0 − yeq | < σ allora la
soluzione di (1.25), (1.5) soddisfa

lim ϕ(t) = yeq . (1.31)


t→∞


Osservazione 1.17. La definizione di equilibrio asintotico richiede quin-
di che la soluzione ϕ si avvicini per tempi grandi al punto di equilibrio;
questo esclude che il moto possa essere periodico. L’equilibrio asintotico
è spesso collegato a fenomeni dissipativi come l’attrito. 
Un collegamento interessante tra equilibrio stabile ed equilibrio asintotico
è dato dal seguente risultato.

Proposizione 1.18. Sia yeq un punto di equilibrio stabile, e sia ϕ una soluzione
di (1.25) che abbia yeq come punto di accumulazione, ossia tale che

ϕ(tn ) → yeq , n → ∞, (1.32)

per una successione tn → ∞. Allora tutta la soluzione converge a yeq , ossia

lim ϕ(t) = yeq . (1.33)


t→∞

Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0 esiste un t̄ tale


che
ϕ(t) − yeq ≤ ε , t ≥ t̄ .

Basta scegliere, per la Definizione 1.15, t̄ = tn , con n scelto in modo che

ϕ(tn ) − yeq < δ ,

ove δ > 0 è appunto scelto in corrispondenza di ε in modo che valga la


(1.30). 
8 DANIELE ANDREUCCI

1.3. I teoremi di stabilità di Liapunov


Consideriamo in questa Sezione il sistema
ẏ = F (y) , F (yeq ) = 0 . (1.34)

Definizione 1.19. Una funzione W a valori reali si dice funzione di Liapunov


per (1.34) in yeq , se valgono, per una sfera aperta B ⊂ R N di centro yeq :
(1) W ∈ C ( B) ∩ C1 ( B \ {yeq });
(2) W (y) > 0 per y ∈ B \ {yeq }; W (yeq ) = 0;
(3) ∇ W (y) · F (y) ≤ 0 per y ∈ B \ {yeq }.

Osservazione 1.20. In sostanza quindi la funzione di Liapunov è una fun-
zione con un minimo isolato in yeq , e che non cresce lungo le soluzioni ϕ
del sistema autonomo:
d   
W ϕ(t) = ∇ W ϕ(t) · F ϕ(t) ≤ 0 . (1.35)
dt
La (1.35) è la conseguenza della terza proprietà nella Definizione 1.19 che
viene davvero usata, e che potrebbe perciò sostituirla nella definizione
stessa. 
Teorema 1.21. (Liapunov) Se il sistema (1.34) ammette una funzione di
Liapunov in yeq , allora yeq è un punto di equilibrio stabile.

Dimostrazione. Fissiamo ε > 0; possiamo supporre che


Bε (yeq ) ⊂ B . (1.36)
Dobbiamo dimostrare che esiste un δ > 0 che soddisfi la Definizione 1.15.
Definiamo
m = min W > 0 .
∂Bε ( yeq )

Per la continuità di W in yeq , possiamo trovare un δ > 0 tale che


m
0 ≤ W (y) ≤ , y − yeq ≤ δ .
2
Questo è il δ che soddisfa la (1.15): se |y0 − yeq | < δ, deve valere

ϕ(t) − yeq < ε , t > t0 .

Infatti se invece fosse per qualche t̄ > t0

ϕ(t̄ ) − yeq = ε ,

per definizione di m, e per l’Osservazione 1.20 si avrebbe


  m
m ≤ W ϕ(t̄ ) ≤ W ϕ(t0 ) = W (y0 ) ≤ ,
2
assurdo. 
1.3. I TEOREMI DI STABILITÀ DI LIAPUNOV 9

Teorema 1.22. Se il sistema (1.34) ammette una funzione di Liapunov in yeq , e


se inoltre
∇ W (y) · F (y) < 0 , y ∈ B \ {yeq } , (1.37)
allora yeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

Dimostrazione. La stabilità di yeq segue dal Teorema 1.21.


Dimostriamo che vale anche la (1.31), per σ = δ, con δ scelto come nella
definizione di stabilità, in corrispondenza di un ε > 0 qualunque tale che
valga la (1.36). Sia dunque ϕ una soluzione che soddisfa

ϕ(t0 ) − yeq < σ .

Dobbiamo dimostrare che


lim ϕ(t) = yeq . (1.38)
t→∞

Se vale ϕ(tn ) → yeq per una successione tn → ∞, allora per la Proposizio-


ne 1.18, vale anche la (1.38).
Nel caso contrario, la curva {ϕ(t)}, per t ≥ t0 , sarebbe separata da yeq da
una distanza positiva η, cioè

ϕ(t) ∈ K := Bε (yeq ) \ Bη (yeq ) , t ≥ t0 . (1.39)

Poiché K è un compatto, e la funzione ∇ W · F è continua in K, ammette-


rebbe un massimo
max ∇ W (y) · F (y) = −γ < 0 ,
y∈K

per la (1.37). Dunque si avrebbe per ogni t > t0

Zt 
  dW ϕ(τ )
W ϕ(t) − W ϕ(t0 ) = dτ

t0
Zt  
= ∇ W ϕ(t0 ) · F (ϕ(t0 ) dτ ≤ −γ(t − t0 ) → −∞ ,
t0

per t → ∞. Questo conduce all’assurdo ricercato e conclude la dimostra-


zione. 

Il risultato seguente, di dimostrazione meno immediata, garantisce però


l’asintotica stabilità sotto ipotesi più generali di quelle del Teorema 1.22.
Teorema 1.23. Assumiamo che il sistema (1.34) ammetta una funzione di Lia-
punov W in yeq , che sia strettamente decrescente su tutte le soluzioni contenute
in B, diverse dalla costante yeq ; ossia assumiamo che per ϕ 6= yeq
 
W ϕ(t1 ) > W ϕ(t2 ) , per ogni t1 < t2 . (1.40)
Allora yeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile.
10 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Intanto si possono svolgere le medesime considerazioni già viste all’ini-


zio della Dimostrazione del Teorema 1.22, fino alla (1.39).
Dimostreremo che la (1.39) conduce a un assurdo. Infatti, in questo caso la curva {ϕ(t)}
ha un punto di accumulazione ȳ, con

η ≤ ȳ − yeq ≤ ε .

Sia tn → ∞ una successione tale che ϕ(tn ) → ȳ. Per il Teorema 1.6 di dipendenza continua
dai dati iniziali, la successione di funzioni ϕ(· + tn ) converge alla soluzione ϕ̄ di
ẏ = F (y) , y(0) = ȳ ,
su un intervallo opportuno [0, s]. Si noti che, per l’ipotesi che W sia strettamente decre-
scente sulle soluzioni,
 
W ϕ̄(s) < W ϕ̄(0) = W (ȳ) . (1.41)
In particolare quindi, per n̄ opportuno e fissato, e per ogni t > s + tn̄ , si avrà anche, per
continuità, e di nuovo per l’ipotesi di stretta monotonia,
 
W ϕ(t) < W ϕ(s + tn̄ ) < W (ȳ) , (1.42)
e quindi
 
W (ȳ) = lim W ϕ(tn ) ≤ W ϕ(s + tn̄ ) < W (ȳ) ,
n→ ∞
assurdo. 

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine


Consideriamo in questa Sezione un sistema del secondo ordine, come nel
Metodo 1.4, però autonomo:
z̈ = f (z, ż) , (1.43)
z ( t0 ) = z 0 , (1.44)
ż(t0 ) = ż0 . (1.45)
Come già mostrato, mediante la trasformazione di variabili
y = (y1 , y2 ) := (z, ż) ∈ R2N , (1.46)
questo problema può essere trasformato nel problema del primo ordine
 
ẏ = F (y) := y2 , f (y1 , y2 ) , (1.47)
y(t0 ) = (z0 , ż0 ) . (1.48)
Quindi un punto di equilibrio zeq ∈ R N per (1.43) corrisponde al pun-
to (zeq , 0) ∈ R2N di equilibrio per (1.47). Riportiamo per convenienza
le definizioni di equilibrio stabile e asintoticamente stabile tradotte nella
terminologia dei sistemi del secondo ordine.
Definizione 1.24. Il punto di equilibrio zeq si dice stabile se:
per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se
z0 − zeq + | ż0 | < δ , (1.49)
allora l’unica soluzione massimale ψ di (1.43)–(1.45), risulta definita (al-
meno) su [t0 , ∞), e soddisfa
|ψ (t) − zeq | + |ψ̇(t)| < ε , t0 < t < ∞ . (1.50)
Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. 
1.4. IL CASO DEI SISTEMI DI SECONDO ORDINE 11

Definizione 1.25. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se è


stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se
z0 − zeq + | ż0 | < σ , (1.51)
allora la soluzione ψ di (1.43)–(1.45) soddisfa
lim ψ(t) = zeq , lim ψ̇(t) = 0 . (1.52)
t→∞ t→∞

Teorema 1.26. (Dirichlet) Supponiamo che f non dipenda da ż, e che per
y1 ∈ Ω1 ⊂ R N aperto,
f ( y 1 ) = ∇ U ( y1 ) , (1.53)
ove U ∈ C1 (Ω1 ). Supponiamo anche che U abbia un massimo isolato in zeq ∈
Ω1 . Allora zeq è un punto di equilibrio stabile per (1.43).
Dimostrazione. È chiaro che zeq è un punto di equilibrio, perché
f (zeq ) = ∇ U (zeq ) = 0 .
Dimostriamo poi che
1
W (y1 , y2 ) = −U (y1 ) + U (zeq ) + |y2 |2 , (1.54)
2
è una funzione di Liapunov in zeq . Le richieste di regolarità e positività
sono soddisfatte per y1 ∈ B ⊂ Ω1 , B sfera opportuna, per le ipotesi su U:
1
| y |2 > 0 , y 2 6 = 0 ,
W ( y 1 , y2 ) ≥
2 2
W (y1 , y2 ) ≥ −U (y1 ) + U (zeq ) > 0 , y1 6= zeq .
Infine
∇ W ( y ) · F ( y ) = − ∇ U ( y1 ) · y 2 + y 2 · f ( y 1 ) = 0 ,
per l’ipotesi (1.53). 
Osservazione 1.27. Il precedente teorema verrà applicato allo studio della
stabilità di sistemi meccanici sottoposti a forze conservative, ossia espresse
dal gradiente di un potenziale scalare, come in (1.53). 
Controesempio 1.28. Nel Teorema 1.26 l’ipotesi che il punto di massimo
per U sia isolato è necessaria, nel senso che non può essere rimossa. È fa-
cile costruire un controesempio: basta considerare il caso di un potenziale
identicamente uguale al suo valore massimo in un intorno di zeq . 
Esempio 1.29. Nel Teorema 1.26 l’ipotesi che il punto di massimo per U
sia isolato è necessaria, ma non insostituibile, come ora mostreremo. Si
definisca
1
U ( x) = − x6 sin2 , x 6= 0 , U ( 0) = 0 .
x
Ovviamente U è continua in R. Poiché poi
1 2
U ′ ( x) = −6x5 sin2
+ x4 sin , x 6= 0 ,
x x
si ha U ( x) → 0 per x → 0 e dunque, come è noto, U ∈ C1 ( R) con

U ′ (0) = 0. Nello stesso modo si verifica che U ∈ C2 ( R).


12 DANIELE ANDREUCCI

Per la e.d.o.
ẍ = U ′ ( x) (1.55)
valgono dunque tutti gli usuali risultati richiamati nella Sezione 1.1.
Dato che U ( x) ≤ 0 per ogni x ∈ R, x = 0 è un punto di massimo assoluto.
Tuttavia non è isolato perché si ha per esempio
1
U (± xn ) = 0 , xn = , n ≥ 1, (1.56)

e xn → 0. Pertanto il Teorema 1.26 non si può applicare. Tuttavia x = 0 è
davvero un punto di equilibrio stabile per (1.55).
Definiamo infatti
1
W ( x1 , x2 ) = x22 − U ( x1 ) ≥ |U ( x1 )| .
2
Allora se ψ è una soluzione di (1.55)
d
W (ψ(t), ψ̇ (t)) = ψ̇(t)ψ̈ (t) − ψ̇(t)U ′ (ψ(t)) = 0 .
dt
Fissiamo ε > 0. Si noti che può essere U (ε) = 0 (vedere la (1.56)), ma
certamente esiste ε/2 < x̄ < ε con
0 < m := |U ( x̄)| = |U (− x̄)| .

Scegliamo quindi δ > 0 tale che δ < min(ε/2, m) e
m
|U ( x1 )| ≤ , per ogni | x1 | < δ.
2
Sia dunque
|ψ(0)| + |ψ̇ (0)| < δ ,
e per assurdo valga |ψ(t̃ )| = ε per qualche t̃ > 0. Allora si avrebbe |ψ(t̄ )| =
x̄ per qualche 0 < t̄ < t̃ e
δ2 m
m = |U (ψ(t̄ ))| ≤ W (ψ(t̄ )) = W (ψ(0)) ≤ + < m,
2 2
assurdo. 
Teorema 1.30. Supponiamo che per (y1 , y2 ) ∈ Ω1 × Ω2 ⊂ R2N aperto,
f ( y 1 , y 2 ) = ∇ U ( y1 ) + a ( y 2 ) , (1.57)
ove U ∈ C1 (Ω1 ), a ∈ C1 (Ω2 ). Supponiamo anche che U abbia un unico punto
critico zeq ∈ Ω1 , e che esso sia un massimo isolato. Inoltre sia 0 ∈ Ω2 , e valga
a ( y2 ) · y2 < 0 , y2 6 = 0 . (1.58)
Allora zeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile per (1.43).
Dimostrazione. Il punto zeq è l’unico punto di equilibrio in Ω1 ; infatti
da (1.58) segue subito che
a ( 0) = 0 .
Per il Teorema 1.23, basterà dimostrare che la funzione W definita in
(1.54) è una funzione di Liapunov, strettamente decrescente sulle soluzioni
diverse dall’equilibrio.
1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 13

La regolarità e positività della W si dimostrano come nel Teorema 1.26.


Inoltre
d  
W ψ(t), ψ̇ (t) = − ∇ U ψ(t) · ψ̇(t) + ψ̇(t) · ψ̈(t)
dt  (1.59)
= ψ̇(t) · a ψ̇(t) < 0 ,
ove nell’ultima disuguaglianza abbiamo assunto ψ̇ (t) 6= 0.
Dunque, per t1 < t2 possiamo scrivere

  Zt2 
W ψ(t2 ), ψ̇(t2 ) − W ψ(t1 ), ψ̇ (t1 ) = ψ̇(t) · a ψ̇(t) dt .
t1

Pertanto, se nell’intervallo [t1 , t2 ] esiste almeno un t tale che ψ̇(t) 6= 0, la


(1.40) resta dimostrata. Se viceversa, su tale intervallo la ψ̇(t) si annulla
identicamente, questo implica che per t1 < t < t2
ψ(t) = z̄ , ψ̈(t) = f (z̄, 0) = 0 .
Questo però implica che z̄ = zeq , ossia che l’unica soluzione su cui W non
è strettamente decrescente è l’unico equilibrio.
Abbiamo verificato quindi tutte le ipotesi del Teorema 1.23, e ne segue
l’asintotica stabilità. 

Osservazione 1.31. Nelle applicazioni meccaniche, ove N = 3, il termine


a in (1.57) è dovuto all’attrito e prende la forma
3
a(y2 ) = − ∇ R(y2 ) , R( x1 , x2 , x3 ) = ∑ αh x2h , αh > 0 . (1.60)
h =1
La funzione R si dice funzione di Rayleigh. 
1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi
Definizione 1.32. La curva
{ϕ(t) | t ∈ J } ⊂ R N ,
ove ϕ è una soluzione massimale di (1.4) definita nell’intervallo J, si dice
orbita del sistema differenziale. 
Noi saremo interessati soprattutto al caso dei sistemi differenziali autono-
mi
ẏ = F (y) . (1.61)
Teorema 1.33. Se un’orbita del sistema autonomo (1.61) si autointerseca, cioè se
ϕ(t1 ) = ϕ(t2 )
per due diversi istanti t1 , t2 ∈ J, allora corrisponde a una soluzione periodica.
Dimostrazione. Basta prendere nell’Osservazione 1.9
t0 = t1 , T = t2 − t1 ,
se per esempio t2 > t1 . 
Teorema 1.34. Se due orbite del sistema autonomo (1.61) si intersecano, allora
coincidono.
14 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Siano ϕ1 e ϕ2 le due soluzioni corrispondenti alle due


orbite γ1 e γ2 che si intersecano nel punto
ϕ1 (t1 ) = ϕ2 (t2 ) .
Per l’Osservazione 1.8, le due funzioni
t 7→ ϕ1 (t) , t 7→ ϕ2 (t + t2 − t1 ) ,
sono soluzioni dello stesso problema di Cauchy, con istante iniziale t1 e
dato iniziale ϕ1 (t1 ). Dunque, per il teorema di unicità di soluzioni si ha
ϕ1 (t) = ϕ2 (t + t2 − t1 ) ,
per ogni t nel comune intervallo di definizione. Quindi, visto che ϕ1 è
massimale, si ha γ2 ⊂ γ1 .
Ragionando in modo simmetrico si conclude γ1 ⊂ γ2 e si conclude la
dimostrazione. 
Nel caso di sistemi differenziali con due incognite scalari, ossia nel caso in
cui N = 2 nella notazione precedente, l’orbita è una curva piana.
In questo caso si ricade partendo da un’equazione autonoma del secondo
ordine
m ẍ = F ( x) , (1.62)
e riconducendola a un sistema del primo ordine, come nel Metodo 1.4. In
questo contesto, è tradizionale indicare le coordinate cartesiane nel piano
in cui si tracciano le orbite con ( x, p), con p che corrisponde a ẋ. Questo
piano viene detto piano delle fasi, e il diagramma delle orbite in esso ritratto
di fase; spesso dalla sua osservazione si trae un’idea intuitivamente chiara
del comportamento delle soluzioni del sistema.
In particolare, definiamo il potenziale
Zx
U ( x) = F (s) ds ,
x0

ove x0 è fissato ad arbitrio nel dominio della F.


Proposizione 1.35. Se ϕ è una soluzione di (1.62), la funzione
 1
E (t) := −U ϕ(t) + m ϕ̇(t)2 (1.63)
2
si mantiene costante nell’intervallo di definizione di ϕ.
La E si dice energia.
Dimostrazione. Deriviamo in t
 h i
E˙ (t) = −U ′ ϕ(t) ϕ̇(t) + m ϕ̇(t) ϕ̈(t) = ϕ̇(t) m ϕ̈(t) − F ϕ(t) = 0 .

Per la Proposizione 1.35, sulle orbite di (1.62) deve valere
1
− U ( x) + mp2 = E , (1.64)
2
1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 15

ove E indica il valore costante assunto da E sull’orbita in questione. Si


noti che tale valore varia al variare dell’orbita. Risolvendo la (1.64) in p si
ottiene r
2 
p=± E + U ( x) . (1.65)
m

−2π −π π 2π

Figura 1.1. Le orbite di 2ẍ = − sin x. Sono disegnate le


orbite corrispondenti a E = 0.5, E = 1, E = 2, e i punti di
equilibrio stabili e instabili.

L’ambiguità di segno nella (1.65) merita una discussione. Sia dunque


( x0 , p0 ) un punto del piano per cui passa un’orbita γ. Questa è unica
per il Teorema 1.34. Si hanno i casi seguenti:
• p0 > 0: in questo caso γ è contenuta, almeno in un intorno di ( x0 , p0 )
nel semipiano p > 0, e quindi nella (1.65) va preso il segno positivo,
almeno in questo intorno. Tale scelta va mantenuta nell’intervallo ove
il termine all’interno della radice in (1.65) si mantiene positivo.
• p0 < 0: caso simmetrico del precedente: qui va scelto il segno negati-
vo, in tutto l’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.65)
si mantiene positivo.
• p0 = 0
∗ F ( x0 ) = 0: l’orbita corrisponde a un punto di equilibrio per il
sistema, e coincide quindi con il punto {( x0 , 0)}.
∗ F ( x0 ) 6= 0: l’orbita passa per il punto {( x0 , 0)}, ma ha un ramo
in p > 0, e uno in p < 0, che si ottengono prendendo i segni
opportuni in (1.65).
La quantità −U si dice energia potenziale; il dominio di definizione di
un’orbita corrispondente al livello di energia E coincide dunque con un
intervallo massimale su cui l’energia potenziale è minore o uguale a E.
Osservazione 1.36. I punti di equilibrio corrispondono a orbite degeneri,
cioè puntiformi, nel piano ( x, p). Sia ( x0 , 0) una di queste. Se un’altra
16 DANIELE ANDREUCCI

orbita ( ϕ, ϕ̇) soddisfa


( ϕ(t), ϕ̇(t)) → ( x, p) , t → β,
allora β = ∞, o β = −∞, per il Lemma 1.13.
È chiaro che se esiste un orbita che si allontana da ( x0 , 0) il punto non può
essere di equilibrio stabile. 
Osservazione 1.37. I Lemmi 1.13 e 1.14 implicano che due curve date da
grafici delle funzioni in (1.65), se la loro unione è connessa, fanno parte
in realtà della stessa orbita, con l’unica eccezione delle curve (degeneri)
costituite da punti di equilibrio. 
Esempio 1.38. Tracciare il diagramma delle orbite relative al potenziale
U ( x) = ax3 e−bx , x ∈ R.
Qui a, b > 0 sono assegnati. Conviene tracciare intanto il grafico dell’e-
nergia potenziale, vedi la Figura 1.2. I punti critici dell’energia potenziale
corrispondono a punti di equilibrio. In questo caso ne abbiamo due:
3
x′ = 0 , x′′ =
.
b
In corrispondenza di essi possiamo tracciare nel piano delle fasi due orbite
degeneri (cioè due punti).
Le altre orbite si trovano fissando il corrispondente livello di energia E, in
modo che l’intervallo ove −U ≤ E non sia vuoto, e quindi ricavandone
il grafico mediante la (1.65). Nel nostro caso il livello minimo di energia
ammissibile è E = min(−U ), che corrisponde al punto critico x′′ . Altre
possibili scelte sono indicate in Figura 1.2.
L’orbita corrispondente al livello E1 è chiusa e quindi periodica per i ri-
sultati discussi sopra. In tal senso simili ad essa sono tutte le orbite con
E0 < E < E2 ; questa proprietà geometrica implica che x′′ è di equilibrio
stabile. Questo si può anche dedurre dal fatto che x′′ è un punto di mas-
simo isolato per il potenziale.
Le orbite corrispondenti a E = E2 = 0 sono tre: il punto di equilibrio
x′ = 0, e due orbite aperte, quella superiore che si allontana da esso per t
crescente, e quella inferiore che invece tende a esso per t → +∞ (si ricordi
l’Osservazione 1.37). Questo implica in particolare che x′ è di equilibrio
instabile.
Infine tutte le orbite con E > E2 sono simili al caso E3 , e corrispondono a
moti non periodici. 
Alcune proprietà cinematiche del moto sono esprimibili in termini delle
proprietà geometriche delle orbite nel piano delle fasi. Per esempio vale il
seguente risultato.
Teorema 1.39. Sia ϕ una soluzione di (1.62), tale che ϕ̇ > 0 nell’intervallo
[t1 , t2 ]. Allora, se ϕ(ti ) = xi , vale
Zx2
1
t2 − t1 = q 
2
 dx . (1.66)
x1 m E + U ( x)
1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 17

−U
E3

x′ x′′
x
E1
E0

p
E3

E2
E0 E1
x
E2

Figura 1.2. Il caso dell’Esempio 1.38. Il livello E2 = 0 non


è tracciato nella parte superiore della figura per motivi di
leggibilità.
Si noti che in corrispondenza di questo livello esistono tre
orbite: le due indicate nella parte inferiore, e il punto di
equilibrio x′ = 0, instabile.
L’altro punto di equilibrio in x′′ è stabile.

Dimostrazione. In un intervallo di tempi in cui ϕ̇ > 0 la funzione ϕ(t) è


invertibile, ossia si può scrivere

t = τ ( x) ,

con
dτ 1 1
dx
( x) =
ϕ̇(τ ( x))
=q 
2
.
m E + U ( x )
La (1.66) segue subito integrando su ( x1 , x2 ). 

Nel caso ϕ̇ < 0 vale un risultato simmetrico a (1.66). In particolare il perio-


do relativo a un’orbita periodica (come quella con energia E1 in Figura 1.2)
18 DANIELE ANDREUCCI

sarà dato da
xZmax
1
2 q   dx ,
2
xmin m E + U ( x)
ove [ xmin , xmax ] è l’intervallo massimale su cui è definita l’orbita (intesa
come funzione p( x) data dalla (1.65)).
Parte 2

Cinematica: descrizione del moto


CAPITOLO 2

Cambiamento di sistemi di riferimento

2.1. Moto, velocità, accelerazione.


Definizione 2.1. Una funzione X : I → R3 , X ∈ C2 ( I ) si dice moto. La
velocità v e l’accelerazione a sono definite da
dX d2 X
v ( t) = ( t) , a ( t) = ( t) .
dt dt2

Osservazione 2.2. Per estensione si dice moto unidimensionale una funzio-
ne scalare x ∈ C2 ( I ). Un moto quindi ha come componenti (scalari) tre
moti unidimensionali, e viceversa, è detto moto composto dei tre. Si noti che
talvolta l’espressione moto unidimensionale, o rettilineo, si riferisce invece
a un moto X ∈ R3 che però assume valori su una retta fissata, così come
moto bidimensionale, o piano, si riferisce a un moto che assume valori su
un piano fissato. 
Esempio 2.3. 1) Moto stazionario, o quiete. In questo caso la funzione X è
costante:
X ( t) = X 0 ∈ R3 , t ∈ I.
Dunque velocità e accelerazione si annullano.
Si vede facilmente, per integrazione, che se la velocità è identicamente
nulla il moto è stazionario.
2) Moto rettilineo uniforme. È il caso in cui la velocità è costante; il moto
avviene su una retta:
X ( t) = X 0 + v0 t , t ∈ I,
ove X 0 , v0 ∈ R3 .
Se l’accelerazione è identicamente nulla il moto è rettilineo uniforme.
3) Moto circolare. Siano x0 , x1 due versori ortogonali di R3 , e r 0 ∈ R3 ,
R > 0, ϕ ∈ C2 ( I ). Allora il moto
X (t) = r 0 + R cos ϕ(t) x0 + R sin ϕ(t) x1 , t ∈ I,
descrive una parte della circonferenza di centro r 0 giacente sul piano pas-
sante per r 0 di normale x0 × x1 . In particolare se ϕ̇ è costante il moto si
dice circolare uniforme. Si ottiene subito, per derivazione, che
v = R ϕ̇[− sin ϕx0 + cos ϕx1 ] ,
a = R ϕ̈[− sin ϕx0 + cos ϕx1 ] − R ϕ̇2 [cos ϕx0 + sin ϕx1 ] .
Perciò l’accelerazione è diretta verso il centro solo negli istanti in cui
ϕ̈(t) = 0, e in particolare sempre in un moto circolare uniforme, nel quale
la norma di v rimane costante 
21
22 DANIELE ANDREUCCI

Metodo 2.4. È chiaro che se l’accelerazione a ∈ C ( I ) è nota come funzione


del tempo la velocità si può trovare mediante integrazione diretta
Zt
v ( t ) = v ( t0 ) + a(τ ) dτ , t ∈ I, (2.1)
t0

ammesso che sia nota anche la velocità all’istante t0 ∈ I. Se poi è noto


anche X (t0 ), si ricava il moto da
Zt
X ( t ) = X ( t0 ) + v(τ ) dτ , t ∈ I. (2.2)
t0

Osservazione 2.5. Le definizioni sopra, e del resto tutti i calcoli relativi
agli esempi, possono essere formulati in termini di componenti dei vettori
in una base ortonormale arbitraria. In questo spirito, scrivendo
3
X ( t) = ∑ xi ( t) e i ,
i=1
la (2.2) può essere scritta come
Zt
x i ( t ) = x i ( t0 ) + ẋi (τ ) dτ , t ∈ I,
t0
per i = 1, 2, 3. 
Definizione 2.6. Un moto si dice armonico se soddisfa la e.d.o.
Ẍ + α2 X = 0 , (2.3)
ove la costante α/2π > 0 si dice frequenza del moto. 
Esempio 2.7. Dimostriamo che un moto armonico è piano.
Un piano ha equazione ( x − x0 ) · n = 0, ove x0 è un punto fissato sul piano
e n è la normale. Nel nostro caso è immediata la scelta x0 = X (0). Poi
osserviamo che la velocità del moto e anche la sua accelerazione devono
essere ortogonali a n (questo segue dalla loro definizione, lo si verifichi).
Definiamo quindi
Ẋ (0) × Ẍ (0) Ẋ (0) × X (0)
n= = − α2 ,
L L
ove assumiamo L = Ẋ (0) × Ẍ (0) > 0; il caso L = 0, in cui il moto è
rettilineo, è lasciato al lettore. Deriviamo
d
[Ẋ (t) × X (t)] = Ẍ (t) × X (t) + Ẋ (t) × Ẋ (t) = −α2 X (t) × X (t) = 0 .
dt
Perciò Ẋ (t) × X (t) è costante nel tempo. Dunque, usando questa proprie-
tà, per ogni tempo t si ha
[X (t) − X (0)] · [Ẋ (0) × X (0)] = X (t) · [Ẋ (t) × X (t)]
− X (0) · [Ẋ (0) × X (0)] = 0 .

2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 23

Osservazione 2.8. Anche una soluzione dell’equazione scalare


ẍ + α2 x = 0 (2.4)
si dice moto armonico unidimensionale. È chiaro che le componenti di un
moto armonico sono moti armonici unidimensionali; il viceversa è vero se
e solo se i tre moti armonici unidimensionali hanno la stessa frequenza
(a parte il caso banale di un moto unidimensionale di quiete per cui la
frequenza non è ben definita). 
Osservazione 2.9. Nel caso che di tre moti unidimensionali uno sia di
quiete e gli altri due armonici, ma di frequenza diversa, il moto compo-
sto risultante (che è naturalmente piano) non è armonico, ma è tuttavia
periodico se e solo se le due costanti α1 , α2 soddisfano
α1
∈ Q.
α2
In questo caso la traiettoria del moto composto si dice figura di Lissajous.

−→
Notazione 2.10. Talvolta il moto X verrà indicato anche con X P o con ΩP,
se, intendendo R3 come spazio affine, si ha Ω + X = P, ove indichiamo
con Ω l’origine di R3 . Come ulteriore semplificazione, quando questo non
dia luogo ad ambiguità, indicheremo tale moto anche con P.
−→
In questo spirito, una notazione come OP va intesa indicare la funzione
vettoriale X P − X O . 
2.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo
Definizione 2.11. Si dice terna (di riferimento) mobile nell’intervallo I ⊂ R
una terna ordinata M = (u1 , u2 , u3 ) con
u i : I → R3 , ui ∈ C 1 ( I ) ,
e tale che
(u1 (t), u2 (t), u3 (t))
sia una base ortonormale in R3 per ogni fissato t ∈ I. 
Osservazione 2.12. Ciascuna delle funzioni vettoriali ui potrebbe essere
vista come un moto nel senso della Sezione 2.1 (assumendo per tale fun-
zione una regolarità C2 ( I )). Tuttavia le tre funzioni non sono indipendenti,
ma vincolate dal requisito di formare una terna ortonormale. Questo per-
mette di semplificare molto la descrizione dei loro moti, come vedremo
sotto. 
Osservazione 2.13. Sia
f : I → R3 , f ∈ C1 ( I ) . (2.5)
Si ha
3
f ( t) = ∑ f i ( t) u i ( t) , t ∈ I, (2.6)
i=1
con
f i ( t) = f ( t) · u i ( t) , i = 1,2,3, t ∈ I,
cosicché le funzioni f i sono in C ( I ). 1 
24 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 2.14. Sia f come in (2.5)–(2.6). Si definisce derivata di f relativa


a M la funzione vettoriale
  3
df df
( t) = ∑ i ( t) u i ( t) , t ∈ I.
dt M i=1
dt

Osservazione 2.15. Sia g : I → R, g ∈ C1 ( I ), e sia f : I → R3 come in
(2.5)–(2.6). Allora si verifica che
   
d dg df
(g f ) ( t) = ( t) f ( t) + g( t) ( t) , (2.7)
dt M dt dt M
per t ∈ I. Quindi, definendo per le funzioni scalari g ∈ C1 ( I )
 
dg dg
( t) = ( t) , t ∈ I, (2.8)
dt M dt
la (2.7) implica che per la derivata relativa vale l’usuale regola di Leibniz.
Le proprietà di linearità rispetto alla somma e al prodotto per costanti reali
sono di immediata verifica.
Seguono
     
d d f1 d f2
(f · f ) = · f + f1 · ,
dt 1 2 M dt M 2 dt M
     
d d f1 d f2
( f × f 2) = × f2 + f1 × .
dt 1 M dt M dt M

Definizione 2.16. Una funzione vettoriale f : I → R3 si dice costante in
M se esistono tre costanti λi ∈ R, i = 1, 2, 3, tali che
3
f ( t) = ∑ λi u i ( t) , t ∈ I.
i=1


Dalle Definizioni 2.14 e 2.16 segue subito
Proposizione 2.17. Sia f ∈ C1 ( I ). Allora f è costante in M se e solo se
 
df
( t) = 0 , t ∈ I. (2.9)
dt M
Teorema 2.18. Esiste una unica funzione vettoriale
ω : I → R3 , ω ∈ C( I ) , (2.10)
tale che per ogni f ∈ C1 ( I ), f : I → R3 , valga
 
df df
( t) = ( t) + ω( t) × f ( t) , t ∈ I. (2.11)
dt dt M
Per dimostrare questo teorema useremo il seguente lemma, che è in realtà
un caso particolare del teorema stesso.
2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 25

Lemma 2.19. Esiste una unica funzione vettoriale


ω : I → R3 , ω ∈ C( I ) ,
tale che per i = 1, 2, 3,
dui
( t) = ω( t) × u i ( t) , t ∈ I. (2.12)
dt
Dimostrazione. Supponiamo che ω con le proprietà richieste esista, e
denotiamola come
3
ω ( t) = ∑ ω i ( t) u i ( t) . (2.13)
i=1
Imponiamo ora che valga la (2.12) per i = 1:
du1
( t) = ω3 ( t) u2 ( t) − ω2 ( t) u3 ( t) ,
dt
da cui
du1 du3
ω2 ( t) = − ( t) · u3 ( t) = ( t ) · u1 ( t ) , (2.14)
dt dt
du1 du
ω3 ( t) = ( t ) · u 2 ( t ) = − 2 ( t ) · u1 ( t ) . (2.15)
dt dt
Resta da determinare ω1 . Imponiamo dunque la (2.12) per i = 2:
du2
( t) = − ω3 ( t) u1 ( t) + ω1 ( t) u3 ( t) ,
dt
che permette di ottenere
du2 du
ω1 ( t) = ( t ) · u 3 ( t ) = − 3 ( t ) · u2 ( t ) , (2.16)
dt dt
oltre che di ritrovare la (2.15).
Quindi, se ω con le proprietà richieste esiste, deve avere la forma (2.13) con
le componenti ωi individuate dalle (2.14)–(2.16). Questo dimostra l’unicità.
Per dimostrare l’esistenza, basta verificare che ω così definita soddisfa
la (2.12): un calcolo elementare che si riduce in sostanza ai passaggi già
svolti. 
Dimostrazione del Teorema 2.18. Sia f come nell’enunciato, e ω come
nel Lemma 2.19. Allora
df d 3 3
d fi dui
dt i∑ ∑ dt (t)ui (t) + fi (t) dt (t)
( t) = f i ( t ) u i ( t ) =
dt =1 i=1
  3
df
= ( t) + ∑ f i ( t) ω ( t) × ui ( t)
dt M i=1
  3  
df df
= ( t) + ω( t) × ∑ f i ( t) u i ( t) = ( t) + ω ( t) × f ( t) .
dt M i=1
dt M
Perciò la (2.11) è soddisfatta.
Infine la funzione ω è unica, perché se vale la (2.11), allora vale anche la
(2.12), e si può quindi applicare il risultato di unicità del Lemma 2.19. 
Definizione 2.20. La funzione ω tale che valga la (2.11) si dice velocità
angolare di M. 
26 DANIELE ANDREUCCI

Corollario 2.21. Sia f ∈ C1 ( I ). Allora f è costante in M se e solo se


df
( t) = ω( t) × f ( t) , t ∈ I. (2.17)
dt
Dimostrazione. Ovvia. 
Teorema 2.22. Sia ui ∈ C k ( I ), i = 1, 2, 3, ove k ∈ N, k ≥ 2. Allora
ω ∈ C k−1 ( I ) e vale  
dω dω
( t) = ( t) . (2.18)
dt dt M
Inoltre:
i) ω è costante nella terna fissa se e solo se è costante in M;
ii) ω ha direzione costante nella terna fissa se e solo se ha direzione costante in
M.
Dimostrazione. Segue subito dalle (2.14)–(2.16) che se ui ∈ C k ( I ) allora
ω ∈ C k−1 ( I ). In particolare, in questa ipotesi, vale per ogni t ∈ I,
   
dω dω dω
( t) = ( t) + ω ( t) × ω ( t) = ( t) ,
dt dt M dt M
ossia la (2.18), che implica subito la i).
Scriviamo poi ω = ωa, con a versore. Allora
   
da da da
( t) = ( t) + ω ( t) × a ( t) = ( t) .
dt dt M dt M
Quindi a è costante nella terna fissa se e solo se è costante in M. 
Esempio 2.23. (Terna fissa) Se le tre funzioni che definiscono la terna
M sono costanti, si ottiene ω = 0, per esempio dall’espressione datane
in Lemma 2.19. Quindi la derivata relativa a M coincide con la derivata
usuale. In pratica questo è il caso di un cambiamento di base in cui anche
la seconda base è fissa. 
Esempio 2.24. (Rotazione)
A) Nel caso in cui

u1 (t) = cos θ (t)e1 + sin θ (t)e2 ,

u2 (t) = − sin θ (t)e1 + cos θ (t)e2 , (2.19)


u3 ( t) = e3 ,
con θ ∈ C1 ( I ), si ha applicando le (2.14)–(2.16) che
ω(t) = θ̇ (t)u3 (t) = θ̇ (t)e3 .
B) Ci occupiamo ora del problema inverso a quello di A): supponiamo
infatti di sapere che la velocità angolare di M è
ω ( t) = F ( t) u3 , t ∈ I, (2.20)
per una data funzione F ∈ C ( I ), e vogliamo ricostruire il moto della terna
mobile. Dunque
du3
( t) = ω( t) × u3 ( t) = F ( t) u 3 ( t) × u3 ( t) = 0 , t ∈ I.
dt
2.3. CINEMATICA RELATIVA 27

Pertanto il vettore u3 si mantiene costante; se per semplicità supponiamo


che all’istante t = t0 ∈ I la terna M coincida con la terna fissa, segue
u3 (t) = e3 per ogni t ∈ I. Quindi la coppia (u1 (t), u2 (t)) si ottiene dalla
(e1 , e2 ) mediante una rotazione piana, ossia valgono le (2.19) per una fun-
zione θ che si determina con il seguente argomento: si è visto in A) che
nel caso di (2.19) si ha ω = θ̇u3 ; dunque per confronto con la (2.20) deve
risultare θ̇ = F e, per le condizioni iniziali assunte,
Zt
θ ( t) = F (τ ) dτ , t ∈ I.
t0

Si noti che stiamo usando qui il risultato di unicità del Teorema 2.45.
C) Ancora nello spirito di B), supponiamo però di sapere che la velocità
angolare di M è
ω( t) = F ( t) e3 , t ∈ I, (2.21)
per una data funzione F ∈ C ( I ). Ora non è più possibile ottenere di-
rettamente che u3 è fisso. Tuttavia, ricordando il Teorema 2.22, si ha che
ω mantiene direzione costante anche nel sistema mobile. Pertanto si ot-
tiene ancora, nell’ipotesi che all’istante iniziale le due terne coincidano,
u3 (t) = e3 per ogni t ∈ I. Quindi si procede come nel caso B). 

Osservazione 2.25. Si noti che le componenti di ω trovate nella dimostra-


zione del Lemma 2.19 sono le componenti nella terna mobile M. Natural- ≀≀
mente da queste è possibile passare a quelle nella terna fissa, qualora si
conosca la relativa matrice di cambiamento di base (si veda la Sezione A.2).
L’Esempio 2.24 rappresenta il caso più semplice in questo senso. 

2.3. Cinematica relativa


Definizione 2.26. Un sistema di riferimento mobile è una coppia
S = ( X O , M) , (2.22)
ove X O è un moto, ed M una terna mobile. 
Noi interpretiamo la coppia ( X O , M) come un sistema cartesiano di rife-
rimento mobile: il moto X O è quello dell’origine O(t), e la terna mobile
M è quella dei versori dei tre assi. Scriveremo anche S = (O, M).
Nel seguito si denota

dX O d2 X O
vO ( t ) = ( t) , aO ( t ) = ( t) . (2.23)
dt dt2
Definizione 2.27. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce velocità relativa di
X nel sistema di riferimento mobile S (2.22) la funzione vettoriale
 
d
v S ( t) = (X − X O ) ( t) . (2.24)
dt M


28 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 2.28. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce accelerazio-


ne relativa di X nel sistema di riferimento mobile S (2.22) la funzione
vettoriale  
d
a S ( t) = vS ( t) . (2.25)
dt M

Osservazione 2.29. Se denotiamo
3
X ( t) − X O ( t) = ∑ λh ( t) u h ( t) ,
h =1

risulta
3 3
v S ( t) = ∑ λ̇h (t)uh (t) , a S ( t) = ∑ λ̈h (t)uh (t) .
h =1 h =1

Teorema 2.30. Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I
dX
v= = vO + ω × [X − X O ] + vS , (2.26)
dt
ove si è usata la notazione delle Definizioni 2.26 e 2.27.
Dimostrazione. Si ha
d d
v= [ X O + X − X O ] = vO + [ X − X O ]
dt   dt
d
= vO + (X − X O ) + ω × [ X − X O ] = vO + v S + ω × [ X − X O ] ,
dt M
ove si è applicato anche il Teorema 2.18. 
Definizione 2.31. Il moto X : I → R3 si dice solidale con S se il vettore
X − X O è costante in M. 
Osservazione 2.32. Dalla Definizione 2.31 si ha che i moti solidali sono
tutti e soli quelli che si possono rappresentare nella forma
3
X (t; λ) = X O (t) + ∑ λh u h ( t) , (2.27)
h =1

con λ = (λ1 , λ2 , λ3 ) ∈ R3 . 
Segue anche subito dalla Definizione 2.31
Corollario 2.33. Sia il moto X : I → R3 solidale con S . Allora in I valgono
vS = 0 e
v = vO + ω × [ X − X O ] . (2.28)
Se X P1 , X P2 : I → R3 sono due moti solidali, allora
v P1 = vP2 + ω × [ X P1 − X P2 ] . (2.29)
Dimostrazione. La (2.29) segue sottraendo la (2.28) scritta per X P2 dalla
(2.28) scritta per X P1 . 
2.3. CINEMATICA RELATIVA 29

Definizione 2.34. La funzione vt : I → R3 definita da


v t ( t ) = vO ( t ) + ω ( t ) × [ X ( t ) − X O ] (2.30)
si dice velocità di trascinamento. 
Con la notazione (2.30) la (2.26) si scrive come
v ( t) = vt ( t) + v S ( t) , t ∈ I. (2.31)
Osservazione 2.35. La vt dipende solo da vO , ω e dalla posizione re-
lativa X (t) − X O (t). Per questo si può introdurre il campo di velocità di
trascinamento come la funzione definita in R3 × I da
V t ( x, t) = vO (t) + ω (t) × [ x − X O (t)] . (2.32)
Vale
vt ( t) = V t ( X ( t) , t) .

3
Teorema 2.36. (Coriolis) Sia X : I → R un moto. Vale allora in I
d2 X dω  
a= 2
= aO + × [X − X O ] + ω × ω × [X − X O ]
dt dt
+ 2ω × vS (2.33)
+ aS .
ove si è usata la notazione delle Definizioni 2.26, 2.27 e 2.28.
Dimostrazione. Si ha per il Teorema 2.30
d 
a= vO + ω × [ X − X O ] + v S
dt
dω d dvS
= aO + × [X − X O ] + ω × [X − X O ] +
dt dt dt
(per (2.11):)

= aO + × [X − X O ] + ω × [v − vO ] + aS + ω × vS
dt
(per (2.28):)
dω  
= aO + × [X − X O ] + ω × ω × [X − X O ] + 2ω × vS + aS .
dt

Definizione 2.37. La funzione at : I → R3
dω  
a t = aO + × [X − X O ] + ω × ω × [X − X O ] (2.34)
dt
si dice accelerazione di trascinamento, e la ac : I → R3
ac = 2ω × vS (2.35)
si dice accelerazione di Coriolis. 
Con le notazioni (2.34) e (2.35), la (2.33) si scrive
a ( t) = at ( t) + ac ( t) + a S ( t) , t ∈ I. (2.36)
30 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 2.38. Se un moto X è solidale, allora ac = 0, aS = 0 in I.


Valgono per at considerazioni simili a quelle dell’Osservazione 2.35. 
Osservazione 2.39. È facile verificare che se X O′ è un moto solidale con S
e M′ è una terna costante in M, allora le velocità e accelerazione relative
a S ′ = (O′ , M′ ) coincidono con quelle relative a S .
Quando ci si riferisce ai moti solidali con S , quindi, in realtà S può essere
sostituito equivalentemente da altri sistemi di riferimento come S ′ e sareb-
be forse più corretto parlare di moti solidali con una famiglia di sistemi
di riferimento. Tuttavia per non appesantire troppo la notazione in genere
ometteremo questa precisazione. 
Definizione 2.40. Sia S = ( X O , M) un sistema di riferimento mobile.
Se esiste un moto solidale con S che è costante nel sistema di riferimento
fisso, cioè se S mantiene un punto fisso, che chiamiamo P, il moto di S si
dice polare di polo P.
Se ω ≡ 0, il moto di S si dice una traslazione.
Se in un moto polare ω mantiene direzione costante, il moto di S si dice
una rotazione. Se inoltre anche il modulo di ω è costante, il moto si dice
una rotazione uniforme o costante. 

2.4. Passaggi da una base mobile all’altra


In questa Sezione mostriamo come le formule trovate sopra per il passag-
≀≀ gio da un sistema di riferimento fisso a un sistema di riferimento mobile
in realtà valgano anche per il passaggio tra sistemi di riferimento mobili.
Usando le proprietà della derivata relativa, possiamo ripetere tutti gli ar-
gomenti della Sezione 2.2, sostituendo all’usuale derivata in t la derivata
relativa a una terna mobile N = (w1 , w2 , w3 ).
Definizione 2.41. La funzione ωN M tale che per ogni f ∈ C1 ( I ) valga
   
df df
( t) = ( t) + ωN M ( t) × f ( t) , t ∈ I (2.37)
dt N dt M
si dice velocità angolare di M relativa alla terna N . 
Come nella Sezione 2.2 si dimostra che esiste una unica funzione vettoriale
ωN M tale che valga la (2.37) e quindi la
 
dui
( t) = ω N M ( t) × u i ( t) , t ∈ I . (2.38)
dt N
In particolare le componenti di ωN M in M sono date da:
   
du2 du3
ω N M 1 ( t) = ( t) · u3 ( t) = − ( t) · u2 ( t) , (2.39)
dt N dt N
   
du1 du3
ω N M 2 ( t) = − ( t) · u3 ( t) = ( t) · u1 ( t) , (2.40)
dt N dt N
   
du1 du2
ω N M 3 ( t) = ( t) · u2 ( t) = − ( t) · u1 ( t) . (2.41)
dt N dt N
2.4. PASSAGGI DA UNA BASE MOBILE ALL’ALTRA 31

Il Corollario 2.21 continua a valere se la (2.17) viene sostituita dalla


 
df
( t) = ωN M ( t) × f ( t) , t ∈ I. (2.42)
dt N
Anche i risultati di cinematica relativa dimostrati nella Sezione 2.3 possono
essere estesi al caso in cui il sistema di riferimento ‘di partenza’ sia mobile.
Introduciamo quindi il sistema di riferimento mobile Σ = ( X Ω , N ), e
definiamo
   
d d
[ vO ] Σ ( t ) = ( X O − X Ω ) ( t) , [ aO ] Σ ( t ) = [ vO ] Σ ( t) ;
dt N dt N
(2.43)
queste non sono altro che la velocità relativa e l’accelerazione relativa di
X O in Σ, come definite nelle Definizioni 2.27 e 2.28. Si noti che le (2.23)
sono ora casi particolari delle (2.43).
Per un moto X : I → R3 valgono allora l’analoga di (2.26)
vΣ = [ vO ] Σ + ω N M × [ X − X O ] + vS , (2.44)
e l’analoga di (2.33)
 
dω N M  
a Σ = [ aO ] Σ + × [X − X O ] + ωN M × ωN M × [X − X O ]
dt N
+ 2ωN M × vS
+ aS .
(2.45)
Invece è propria del punto di vista di questa Sezione la seguente Proposi-
zione.
Proposizione 2.42. Vale
ω MN = −ωN M . (2.46)
Dimostrazione. Dalla (2.37) segue subito che
   
dwi dwi
0= = + ωN M × w i ,
dt N dt M
da cui  
dwi
= − ωN M × w i , i = 1,2,3.
dt M
Ne segue per l’unicità della funzione ωMN la (2.46). 
In realtà la Proposizione 2.42 è un caso particolare del seguente importante
risultato.
Teorema 2.43. (Composizione di velocità angolari) Siano M, N , P tre
terne mobili, come in Definizione 2.11. Allora
ωP N = ω P M + ω MN . (2.47)
Dimostrazione. Scriviamo per M = (ui ), N = (wi ),
3
w i ( t) = ∑ bih (t)uh (t) .
h =1
32 DANIELE ANDREUCCI

Allora, per ogni i = 1, 2, 3:


  3  
dwi dbih duh
= ∑ uh + bih
dt P h =1
dt dt P

(per le definizioni di derivata relativa e di velocità angolare)


  3
dwi
= + ∑ bih ωP M × uh
dt M h=1
= ωMN × wi + ωP M × wi = (ωP M + ωMN ) × wi .
La tesi segue per l’unicità di ωP N nel senso del Lemma 2.19. 
Esempio 2.44. Consideriamo una terna M = (ui ) che abbia velocità ango-
lare rispetto alla terna P = (zi )
ωP M = αz3 = αu3 , α ∈ R.
Siamo cioè nel caso della rotazione dell’Esempio 2.24, con θ̇ = α. Poi
consideriamo una terna N = (wi ) che abbia velocità angolare in M data
da
ω MN = βu1 + γu2 , β,γ ∈ R.
Il Teorema 2.43 dà
ωP N = βu1 + γu2 + αu3 , (2.48)
e quindi per la (2.19)
ω P N = ( β cos(αt) − γ sin(αt))z1 + ( β sin(αt) + γ cos(αt))z2 + αz3 . (2.49)
Perciò il moto di N in P , pur composizione di due rotazioni uniformi,
non è una rotazione. Tuttavia dalla (2.48) o dalla (2.49) segue che
| ω P N | 2 = α 2 + β2 + γ 2 .
Si veda su questo caso anche l’Esempio 2.53.
I moti polari in cui, come in questo caso, la velocità angolare [ossia ωP N ]
risulta somma di una componente costante nel sistema ‘fisso’ P [ossia αu3 ]
e di una costante in quello mobile N [ossia βu1 + γu2 ] si dicono precessioni
regolari. 

2.5. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocità angolare


Teorema 2.45. Sia M = (ui ) una terna mobile, come in Definizione 2.11, e sia
t0 ∈ I un istante fissato. Allora, assegnata una funzione vettoriale f ∈ C ( I ), e
una base ortonormale positiva in R3
w01 , w02 , w03 ,
esiste un’unica terna mobile N = (wi ) tale che
 
ωMN = f , in I, w1 (t0 ), w2 (t0 ), w3 (t0 ) = w01 , w02 , w03 . (2.50)
Dimostrazione. Definiamo la terna di vettori (wi ) come la soluzione del
sistema di e.d.o.  
dwi
( t) = f ( t) × w i ( t) , (2.51)
dt M
2.5. RICOSTRUZIONE DI UNA TERNA MOBILE 33

con i = 1, 2, 3. Questo è un sistema di 9 e.d.o. scalari nelle 9 incognite


costituite dalle componentidei tre vettori incogniti wi nella base (ui ).
Dato che (2.51) è un sistema lineare a coefficienti continui in I, la soluzione

w1 ( t ) , w2 ( t ) , w3 ( t ) ,
risulta definita per ogni t ∈ I, ed è unica e di classe C1 ( I ) (si veda il
Teorema 1.6).
Va dimostrato che è una base ortonormale positiva per ogni t ∈ I. Intanto,
si ha per ogni coppia (i, j):
 
dwi · w j dwi · w j
=
dt dt M
   
dwi dw j
= · w j + wi ·
dt M dt M
= f × wi · w j + wi · f × w j = 0 ,
in tutto I, per il Lemma A.7. Dato che all’istante iniziale t0
wi (t0 ) · w j (t0 ) = δij ,
per la scelta dei dati iniziali, segue che
wi (t) · w j (t) = δij , per ogni t ∈ I.
Perciò la soluzione (wi (t)) è una base ortonormale per ogni t ∈ I.
Sia A(t), t ∈ I la matrice di cambiamento di base tra (ui (t)) e (wi (t)). La
A risulta una funzione continua su I, e perciò anche il suo determinante
è continuo su I. Dato che all’istante t0 vale
det A(t0 ) = 1 ,
per l’ipotesi che il dato iniziale sia una base positiva, e dato che
|det A(t)| = 1 ,
per ogni t ∈ I, in quanto sappiamo già che le due basi (ui (t)) e (wi (t))
sono entrambe ortonormali (vedi il Teorema A.17), ne segue per continuità
che
det A(t) = 1 ,
per ogni t ∈ I, e quindi (wi (t)) è positiva per ogni t ∈ I. 
Corollario 2.46. Siano M = (ui ), t0 ∈ I, e
w01 , w02 , w03 ,
come nel Teorema 2.45. Sia invece, con maggiore generalità, f ∈ C ( I × R9 ), e
localmente lipschitziana nelle ultime nove variabili.
Allora esiste un’unica terna mobile N = (wi ) tale che

ω MN (t) = f t, w1 (t), w2 (t), w3 (t) , t ∈ I,
  (2.52)
w1 (t0 ), w2 (t0 ), w3 (t0 ) = w01 , w02 , w03 .
Dimostrazione. Il sistema differenziale (2.51) in genere non è, quando
f sia inteso dipendente anche dalle incognite wi (come facciamo nel caso
presente), un sistema lineare a cui si possa applicare il risultato di esistenza
globale per sistemi di e.d.o. ricordato in Teorema 1.6.
34 DANIELE ANDREUCCI

Si può tuttavia applicare il Teorema 1.6 per ottenere esistenza di una solu-
zione massimale (wi ) definita in un intervallo J ⊂ I. Questa risulta essere
una terna ortonormale positiva.
Per dimostrare che J = I ricordiamo, ancora dal Teorema 1.6, che si può
avere J & I solo se per t → inf J +, oppure per t → sup J −, la curva
integrale si avvicina alla frontiera dell’insieme di definizione dell’equa-
zione differenziale, insieme che nel nostro caso è I × R9 , oppure diviene
illimitata. La prima alternativa dunque è esclusa: la frontiera è proprio
∂I × R9 = {inf I, sup I } × R9 .
La seconda alternativa risulta anche esclusa, perché il modulo della curva
integrale si mantiene limitato per tutti i tempi di esistenza: ciascuna wi
soddisfa
|wi (t)| = 1 , per ogni t ∈ J,
come abbiamo appena stabilito.
Quindi J = I e la dimostrazione è conclusa. 
Metodo 2.47. I teoremi precedenti si usano nel seguente modo: le equa-
zioni di moto di un corpo (per esempio si vedano le (11.2)–(11.4)) permet-
tono di ricavare ω; a questo punto i teoremi di questa sezione implicano
che esiste la terna mobile corrispondente.
In modo in sostanza simile si è già usato il Teorema 2.45 nell’Osservazio-
ne 2.24. 

2.6. L’asse istantaneo di moto


Notazione 2.48. Qui S = (O, M) è un sistema di riferimento mobile, e
ω : I → R3 è la corrispondente velocità angolare.
Usiamo la scomposizione, per ogni f ∈ R3 ,
f = [ f ]⊥ + [ f ]k , (2.53)
ove [ f ]⊥ denota la componente di f perpendicolare a ω, e [ f ]k denota
quella parallela. 
Il seguente Teorema in sostanza mostra che il campo di velocità di trasci-
namento relativo a S ha modulo minimo su una retta.
Teorema 2.49. Sia ω (t̄) 6= 0 per un fissato t̄ ∈ I. Il luogo dei punti x ∈ R3 ove
|V t ( x, t̄)| è minimo è la retta di equazione
x = γ(t̄) + λω(t̄ ) , λ ∈ R, (2.54)
ove
1
γ(t̄) = X O (t̄ ) + ω (t̄ ) × [vO (t̄ )]⊥ .
|ω(t̄)|2
Inoltre su tale retta V t ( x, t̄) risulta costante e parallela a ω(t̄ ).
Dimostrazione. Si ha per definizione (vedi la (2.32))
V t ( x, t̄) = [vO ]k + [vO ]⊥ + ω (t̄) × [ x − X O ] . (2.55)
La (2.55) mette in evidenza che la componente di V t ( x, t̄) parallela a ω (t̄) è indipendente
da x. Quindi |V t (· , t̄)| sarà minimo nei punti ove si annulla la componente di V t ( x, t̄)
perpendicolare a ω(t̄), e solo in quelli, ammesso che essi esistano.
2.6. L’ASSE ISTANTANEO DI MOTO 35

Dobbiamo cioè risolvere l’equazione


[ vO ]⊥ + ω (t̄) × [ x − X O ] = 0 , (2.56)
da cui segue  
f : = ω(t̄) × [vO (t̄)]⊥ = − ω(t̄) × ω(t̄) × [ x − X O ] . (2.57)
Per il Lemma A.22,
f = | ω(t̄)|2 [ x − X O (t̄)] ⊥ ,
e quindi, per un λ = λ( x) ∈ R opportuno,
f
x = X O (t̄) + + λω(t̄) . (2.58)
| ω(t̄)|2
che è la (2.54).
Viceversa, sia soddisfatta in x la (2.54), ossia la (2.58), ove f è definita come in (2.57).
Allora, usando la definizione di f e ancora il Lemma A.22 si vede che vale la (2.56), e
quindi che la componente di V t ( x, t̄) perpendicolare a ω (t̄) si annulla. 

Definizione 2.50. La retta definita da (2.54) si dice asse istantaneo di moto.


Nel caso in cui [ vO (t̄ )] k = 0, la retta si dice asse d’istantanea rotazione. 
Osservazione 2.51. Nei casi in cui all’istante t̄ esiste un punto solidale P0
in quiete, evidentemente l’asse d’istantanea rotazione al tempo t̄ è la retta
per P0 parallela a ω. 
Si noti che l’asse istantaneo di moto è definito solo per gli istanti in cui
ω(t) 6= 0. Se questo vale per ogni t ∈ I, introduciamo le due superfici
rigate (cioè formate dall’unione di rette)
n 3 o
Σ = ξ ∈ R3 | x = ∑ ξ i ei soddisfi (2.54) per qualche t̄ ∈ I e λ ∈ R ,
i=1
n 3
ΣS = ξ ∈ R3 | x = X O (t̄ ) + ∑ ξ i ui (t̄)
i=1
o
soddisfi (2.54) per qualche t̄ ∈ I e λ ∈ R .

Definizione 2.52. La Σ [la ΣS ] si dice rigata fissa [solidale] del moto di S .


Si chiama rigata mobile la superficie mobile
n 3 o
Σm ( t) = X ( t) = X O ( t) + ∑ ξ i u i ( t) | ξ ∈ ΣS .
i=1

In modo forse più intuitivo la rigata fissa [mobile] si può descrivere co-
me l’unione delle posizioni dell’asse istantaneo di moto nel sistema fisso
[mobile].
Esempio 2.53. Torniamo all’Esempio 2.44, e assumiamo ora che P sia la
terna fissa, cosicché zi = ei . Scriviamo poi S = (O, N ), ove O denota
l’origine del sistema fisso.
L’asse d’istantanea rotazione all’istante t quindi è la retta per l’origine
parallela a ω P N . Dunque la rigata fissa Σ è il cono circolare retto di vertice
l’origine, asse di simmetria coincidente con l’asse ξ 3 e apertura
q
δ
2 arctg , δ : = β2 + γ 2 ;
α
36 DANIELE ANDREUCCI

assumiamo qui per definitezza che α, β, γ > 0.


Il moto di N in M è una rotazione intorno all’asse βu1 + γu2 . Supponiamo
per semplicità che la terna N sia stata scelta in modo che
β γ
w 3 = u 1 + u2 .
δ δ
Quindi w1 , w2 apparterranno in ogni istante al piano ortogonale a w3 , che
è generato (per esempio) dai versori
γ β
u3 , a : = w3 × u3 =
u1 − u 2 .
δ δ
Si noti che (u3 , a, w3 ) costituiscono una base ortonormale positiva. As-
sumiamo di nuovo per semplificare i calcoli che la N fortunatamente
soddisfi (
w1 = cos(δt)u3 + sin(δt) a ,
(2.59)
w2 = − sin(δt)u3 + cos(δt) a .
(Questa è un’ipotesi sulla posizione iniziale di N .)
Volendo scomporre ω P N nella base N si avrà dunque dalle (2.59) e dalla
definizione di w3
3
ω P N = αu3 + δw3 = α cos(δt)w1 − α sin(δt)w2 + δw3 =: ∑ ω i ( t) w i ( t) .
i=1
Perciò
n o
ΣS = ξ ∈ R3 | ξ = λ(ω1 (t̄), ω2 (t̄ ), ω3 (t̄)) per qualche λ, t̄ ∈ R
n  q  o
δ
= ξ ∈ R3 | ξ = ξ 1 , ξ 2 , ± ξ 12 + ξ 22 ; ξ 1 , ξ 2 ∈ R .
α
S
Pertanto Σ è il cono retto di vertice l’origine, asse di simmetria coinci-
dente con l’asse ξ 3 e apertura
α
2 arctg .
δ
Invece la rigata mobile Σm (t) è quella copia di questo cono che è solidale
con il sistema S , ossia il cono mobile
n q o
δ
Σ m ( t ) = x ∈ R3 | x = ξ 1 w1 ( t ) + ξ 2 w2 ( t ) ± ξ 12 + ξ 22 w3 (t) ; ξ 1 , ξ 2 ∈ R .
α

2.7. Moti rigidi piani
Usiamo qui la notazione della Sezione 2.6.
Definizione 2.54. Il moto di S si dice moto rigido piano se e solo se ω (t) 6= 0
per ogni t ∈ I, ω mantiene direzione costante e [vO (t)] k = 0 per ogni
t ∈ I. 
Nei moti rigidi piani l’asse d’istantanea rotazione mantiene direzione co-
stante, e su di esso i punti hanno velocità di trascinamento nulla; l’asse
si mantiene costante se e solo se il moto è una rotazione. Le rigate del
moto quindi sono superfici cilindriche (ossia rigate formate da rette tutte
parallele tra di loro).
2.7. MOTI RIGIDI PIANI 37

Per di più dalla (2.32) segue subito che, fissata una retta parallela a ω(t),
tutti i suoi punti x hanno uguale velocità di trascinamento V t ( x, t). Nei
moti rigidi piani la direzione di ω si mantiene costante, dunque per de-
scrivere il campo delle velocità di trascinamento, ossia il moto di S , basta
conoscerlo su un fissato piano Π ortogonale a ω.
Supponiamo nel seguito per chiarezza che ω sia parallelo a e3 = u3 (t)
per ogni t ∈ I, e indichiamo con (yi ) [(zi )] le coordinate nel sistema fisso
[mobile].
Tutti i punti hanno velocità parallela nulla in ogni istante: dunque se i due
piani fisso y3 = c1 e mobile z3 = c2 sono sovrapposti all’istante t, saranno
sovrapposti per ogni altro istante.
Definizione 2.55. Siano y3 = c1 e z3 = c2 due piani—fisso e mobile—
sovrapposti come sopra. Essi si dicono piani rappresentativi del moto.
La curva intersezione di Σ con il piano y3 = c1 si dice base, e quella inter-
sezione di Σm (t) con il piano z3 = c2 si dice rulletta.
Il punto intersezione dell’asse istantaneo di moto con un piano rappresen-
tativo si dice centro istantaneo di moto (o centro di istantanea rotazione). 
Esempio 2.56. Consideriamo il moto di un sistema S con
X O (t) = v0 te1 , M come nell’Esempio 2.24 con θ (t) = ωt,
ove v0 e ω sono costanti positive. Si ha ω(t) = ωu3 , e dunque il moto è
rigido piano.
Il campo di velocità di trascinamento quindi è dato da
V t ( x, t) = [ vO (t)] ⊥ + ω × ( x − X O (t)) = (v0 − ωy2 )e1 + ω (y1 − v0 t)e2 .
Qui le yi denotano le coordinate nel sistema fisso. Perciò l’asse d’istanta-
nea rotazione ha equazioni, nel sistema fisso,
v0
y1 = v0 t , y2 = .
ω
La rigata fissa è perciò il piano y2 = v0 /ω, e la base è la curva
v0
y2 = , y3 = 0 ,
ω
se scegliamo come rappresentativo il piano y3 = 0.
Esprimendo le coordinate zi nel sistema mobile in funzione delle yi si
ottiene
z1 = (y1 − v0 t) cos ωt + y2 sin ωt ,
z2 = −(y1 − v0 t) sin ωt + y2 cos ωt ,
z3 = y3 .
Le equazioni dell’asse di moto sono dunque nel sistema mobile
v0 v0
z1 = sin ωt , z2 = cos ωt .
ω ω
Perciò la rigata solidale ΣS è il cilindro circolare retto di centro l’origine e
raggio v0 /ω:
n v2 o
ΣS = (zi ) | z21 + z22 = 02 ,
ω
38 DANIELE ANDREUCCI

e quella mobile è il cilindro


n v2 o
Σm (t) = (yi ) | (y1 − v0 t)2 + y22 = 02 .
ω
La rulletta è la circonferenza
v20
(y1 − v0 t)2 + y22 = , y3 = 0 .
ω2

Esempio 2.57. (Compasso ellittico) Il sistema mobile S = (O, (uh )) si
muova in modo che, definito il moto solidale

X B (t) = Lu1 (t) , L > 0,

valgano
q
X O ( t) = α( t) e 2 , X B ( t) = L2 − α ( t )2 e 1 , u3 ( t ) = e 3 .

Si lascia al lettore di giustificare il nome di compasso ellittico (o ellissogra-


fo) attribuito al segmento solidale OB.
Calcoliamo invece la velocità angolare ω; dalle informazioni date si ha
subito
−→ q
OB 1 
u1 ( t ) = = L2 − α ( t )2 e 1 − α ( t ) e 2 ,
L L
q
1 
u2 ( t) = α ( t ) e 1 + L2 − α ( t )2 e 2 .
L
Quindi dalla relazione (2.15) si ha
du1 α̇(t)
ω ( t) = ω3 ( t) u3 = ( t) · u2 ( t) u 3 = − p e3 ,
dt L − α ( t )2
2

dato che ω1 = ω2 = 0 seguono dalle (2.14) e (2.16).


Il centro istantaneo di moto K potrebbe essere trovato scrivendo il campo
di velocità di trascinamento come nell’Esempio 2.56. Usiamo invece il
seguente argomento, che va sotto il nome di teorema di Chasles: dalla (2.29),
e dal fatto che vK = 0, segue che per ogni moto solidale X P vale

vP = ω × [X P − X K ] . (2.60)

Pertanto X P − X K è ortogonale alla velocità v P , ossia K appartiene alla


retta per P ortogonale a v P . Applicando il ragionamento per P = O e per
P = B si vede quindi che K deve essere il punto intersezione delle due
rette corrispondenti costruite come sopra, ossia deve essere il punto
q
X K ( t ) = L2 − α ( t )2 e 1 + α ( t ) e 2 , (2.61)

che è un vertice del rettangolo con i lati sugli assi che ha OB come diago-
nale. 
2.8. UNA DEFINIZIONE ALTERNATIVA DI VELOCITÀ ANGOLARE. 39

2.8. Una definizione alternativa di velocità angolare.


Sia M = (u h ) una terna mobile. Scriviamo
3
ui (t ) = ∑ aih (t)eh ,
h =1
ove quindi A = ( aih ) è la matrice di cambiamento di base di Teorema A.12; dunque
A−1 = At e pertanto
dI d t t t t
0= = (At A) = Ȧ A + At Ȧ = Ȧ A + (Ȧ A) .
dt dt
t
Dunque Ȧ A è una matrice antisimmetrica, e per il Teorema A.21 esiste un vettore c tale
che
t
Ȧ A x = c × x , per ogni x ∈ R3 .
Sia ora
3 3
g (t) = ∑ gi ( t ) e i = ∑ λ j u j ( t )
i =1 j =1
una qualunque funzione solidale con M. Si ha ovviamente
3 3 du j 3 3
dg
(t) = ∑ ġi (t)ei = ∑ λ j (t) = ∑ λ j ∑ ȧ jh (t)eh .
dt i =1 j =1
dt j =1 h =1
Per l’unicità della scomposizione di un vettore in una base si deve avere
3
ġi = ∑ λ j ȧ ji .
j =1

Usando ora l’Osservazione A.14, si ha


3
λj = ∑ a jk (t) gk (t) ,
k =1
per cui alla fine si ottiene
3
ġi (t) = ∑ a jk (t) ȧ ji (t) gk (t) ,
j,k =1
ossia
dg t
(t) = Ȧ (t)A(t) g (t) = c(t) × g (t) .
dt
Questo dimostra che la funzione vettoriale ω : = c soddisfa la richiesta del Lemma 2.19.
La proprietà di unicità dello stesso Lemma implica che questa definizione di ω equivale
alla precedente.

Ben poche cose di Omega sono piacevoli.


ROBERT SHECKLEY, Gli orrori di Omega
CAPITOLO 3

Curve nello spazio

3.1. Il triedro principale


Definizione 3.1. Una curva regolare è un’applicazione
Ψ : I → R3 , Ψ ∈ C2 ( I ) , Ψ̇ (t) 6= 0 , per ogni t ∈ I,
ove I è un intervallo di R. L’immagine γ = Ψ ( I ) si dice supporto della
curva, o per brevità curva essa stessa.
Un’ascissa curvilinea su γ è data da
Zt
s( t) = |Ψ̇ (τ )| dτ , t ∈ I,
t0

ove t0 ∈ I è fissato. 
Poiché
ṡ(t) = |Ψ̇ (t)| > 0 , in I,
la funzione t 7→ s(t) ha inversa t = t(s), e possiamo parametrizzare γ
mediante s:
ψ(s) = Ψ (t(s)) .
In particolare il vettore tangente

T ( s) : = ( s) = ψ ′ ( s)
ds
ha modulo unitario:
dt |Ψ̇ (t(s))|
|T (s)| = |ψ ′ (s)| = Ψ̇ (t(s)) ( s) = = 1.
ds ṡ(t(s))
Definizione 3.2. Definiamo curvatura di γ la funzione
k(s) = | T ′ (s)| .
Nei punti s ove k(s) > 0, si definisce il raggio di curvatura di γ come
1
ρk ( s) = . (3.1)
k( s)

Se
T ′ ( s) 6= 0 ,
il che per il momento assumiamo, allora
T ′ ( s) = k( s) N ( s) ,
41
42 DANIELE ANDREUCCI

ove si è definito anche


T ′ ( s)
.
N ( s) = (3.2)
|T ′ (s)|
Il versore N prende il nome di normale principale. Si noti infatti che
1 d
|T (s)|2 = 0 .
T ( s) · T ′ ( s) =
2 ds
Si introduce quindi un terzo vettore, la binormale B, come
B( s) = T ( s) × N ( s) .
Definizione 3.3. Il triedro principale o terna intrinseca di γ in s è la base
ortonormale positiva in R3
T (s) = ( T (s), N (s), B(s)) =: (h1 (s), h2 (s), h3 (s)) .

Nei punti ove T ′ (s) = 0 i vettori N (s) e B(s) non sono definiti.

3.2. Le formule di Frenet–Serret


Ipotesi 3.4. In questa Sezione assumiamo che T, N, B ∈ C1 ( I ) (il che è
garantito da Ψ ∈ C3 ( I )). Assumiamo inoltre che T ′ (s) 6= 0, salvo esplicita
indicazione contraria. 
Proposizione 3.5. (Formule di Frenet-Serret) Valgono
T ′ ( s) = k( s) N ( s) , (3.3)
N ′ ( s) = − k( s) T ( s) − τ ( s) B ( s) , (3.4)

B ( s) = τ ( s) N ( s) . (3.5)
Si noti che la (3.5) è la definizione della torsione τ (s).
Dimostrazione. Dato che T è una base ortonormale, deve essere
h′i (s) · h j (s) = −hi (s) · h′j (s) , i, j = 1,2,3, (3.6)
e in particolare
h′i (s) · hi (s) = 0 . (3.7)
La (3.5) segue allora dalla (3.3), che è nota dalla definizione di N. Infine la
(3.4) segue dalle altre due formule. 
I prossimi risultati illustrano il significato geometrico degli scalari curva-
tura e torsione.
Proposizione 3.6. Se k(s) = 0 per ogni α < s < β, la curva
{ψ ( s) | α < s < β}
è un segmento di retta, e viceversa.
Dimostrazione. A) Se k(s) = 0 per ogni α < s < β si ha T ′ (s) = 0 in
α < s < β. Dunque, fissato s0 ∈ (α, β) si ha
Zs
ψ ( s ) = ψ ( s0 ) + T (σ) dσ = ψ(s0 ) + (s − s0 ) T (s0 ) , α < s < β,
s0
3.3. SCOMPOSIZIONE DI VELOCITÀ E ACCELERAZIONE 43

che prova la tesi.


B) Viceversa, se la curva è un segmento di retta in α < s < β in tale
segmento T è costante, e dunque la sua derivata e quindi k si annullano.

Proposizione 3.7. Sia k(s) > 0 per ogni α < s < β. Allora la curva
{ψ ( s) | α < s < β}
giace su un piano se e solo se τ (s) = 0 per ogni α < s < β.
Dimostrazione. A) La curva sia contenuta nel piano per ψ(s0 ) di normale
f , ove s0 ∈ (α, β) è fissato. Allora per ogni s, s + h ∈ (α, β) vale
ψ ( s + h) − ψ ( s)
· f = 0,
h
e prendendo il limite h → 0, si ha
T ( s) · f = 0 .
Nello stesso modo
T ( s + h) − T ( s)
· f = 0,
h
così che, prendendo il limite h → 0, si ha
N ( s) · f = 0 .
Quindi T (s) e N (s) risultano ortogonali a f per ogni α < s < β, e perciò
B ( s) = f , α < s < β, oppure B ( s) = − f , α < s < β.
Dunque B′ (s) = 0, α < s < β.
B) Viceversa, sia τ (s) = 0, α < s < β. Allora
B ( s ) = B ( s0 ) , α < s < β,
per un s0 ∈ (α, β) fissato. Consideriamo il piano per ψ(s0 ) normale a
B(s0 ), e mostriamo che contiene la curva. Infatti

  Zs
ψ ( s ) − ψ ( s0 ) · B ( s0 ) = T (σ) dσ · B(s0 )
s0
Zs Zs
= T (σ) · B(s0 ) dσ = T (σ) · B(σ) dσ = 0 .
s0 s0

3.3. Scomposizione di velocità e accelerazione


In questa Sezione vedremo quale è l’interesse delle curve in cinematica.

Definizione 3.8. Sia X : I → R3 un moto con Ẋ (t) 6= 0 per ogni t ∈ I.


Allora il supporto della curva γ = X ( I ) si dice traiettoria del moto. 
44 DANIELE ANDREUCCI

Consideriamo dunque un moto X, con traiettoria regolare ψ. Si abbia cioè


X (t) = ψ(s(t)) , t ∈ I. (3.8)
Si noti che la conoscenza della traiettoria
s 7→ ψ ( s) , s∈ J,
non è sufficiente a determinare il moto. È necessario infatti assegnare a
tale scopo anche la legge oraria
t 7→ s( t) , t ∈ J.
Metodo 3.9. La velocità e l’accelerazione del moto si ottengono come:
dX
v( t) = (t) = ψ′ ṡ = ṡT , (3.9)
dt
dv 
a ( t) = (t) = s̈T + ṡ T ′ ṡ = s̈T + kṡ2 N . (3.10)
dt
Si noti che:
• v è diretta come T;
• a ha componente nulla lungo B;
• a ha componente non negativa lungo N.
L’accelerazione dunque si scompone nella terna intrinseca della traiettoria
in accelerazione tangente e in accelerazione normale. 
Metodo 3.10. Un caso particolare in cui si conosce sistematicamente la
traiettoria prima di conoscere il moto è quello di un moto vincolato a
una curva. In questo caso il moto può essere determinato ‘forzando’ tale
conoscenza nella formula (3.10). Si vedano gli Esempi 5.21 e 5.22 e nel
seguito l’Esempio 8.1. 
A volte conviene considerare T come terna di riferimento mobile, nel sen-
so della Definizione 2.11, parametrizzata dal tempo t secondo la funzione
t 7→ ( T (s(t)), N (s(t)), B (s(t))) . (3.11)
Allora vale la seguente
Proposizione 3.11. La velocità angolare della terna T data dalle (3.11) è data
da  
ω (t) = ṡ(t) − τ (s(t)) T (s(t)) + k(s(t)) B (s(t)) . (3.12)
Dimostrazione. La tesi segue subito dalle (2.14)–(2.16) e dalle formule di
Frenet–Serret (3.3)–(3.5). 
3.4. Ricostruzione di una curva a partire da curvatura e torsione
Teorema 3.12. Date due funzioni k, τ ∈ C ( I ), con k(s) > 0 per ogni s ∈ I, esiste una curva tale
che k e τ ne sono rispettivamente curvatura e torsione.
Tale curva risulta essere di classe C2 ( I ), con T, N, B ∈ C1 ( I ).
Dimostrazione. A) Scegliamo in (3.12)
s(t) = t , t ∈ I,
cosicché possiamo applicare il Corollario 2.46, M coincidente con la base standard di R3 ,
e ω assegnata come in (3.12) con s = t. Ne segue l’esistenza di una unica terna mobile di
classe C1 ( I )
T (s) = (u1 (s), u2 (s), u3 (s)),
3.4. RICOSTRUZIONE DI UNA CURVA A PARTIRE DA CURVATURA E TORSIONE 45

tale che
ω (s) = − τ (s)u1 (s) + k(s)u3 (s) . (3.13)
B) Definiamo per integrazione la curva γ che ammetta tale terna come terna intrinseca:
fissato s0 ∈ I poniamo
Zs
ψ(s ) = u1 (z) dz , s ∈ I. (3.14)
s0
Resta da mostrare che T è in effetti terna intrinseca per γ. È chiaro che s è davvero
un’ascissa curvilinea su γ, poiché
| ψ′ | = | u1 | = 1 .
Pertanto
T ( s ) = ψ ′ ( s ) = u1 ( s ) , s ∈ I. (3.15)
Per definizione di N poi si ha
T ′ (s) ω ( s ) × u1 ( s ) k(s )u2 (s )
N (s) = = = = u2 ( s ) . (3.16)
T ′ (s) |ω(s) × u1 (s)| |k(s)u2 (s)|
Per definizione di B:
B ( s ) = T ( s ) × N ( s ) = u 1 ( s ) × u 2 ( s ) = u3 ( s ) . (3.17)
C) Infine, mostriamo che k e τ sono in effetti curvatura e torsione di γ.
La (3.13), la (3.16) e la prima delle formule di Frenet-Serret (3.3) mostrano che k è la
curvatura della γ. Per trovarne la torsione, osserviamo che, per la (3.13),
B ′ (s ) = ω(s ) × B (s ) = − τ (s ) T (s ) × B (s ) = τ (s ) N (s ) ,
il che prova che τ è la torsione di γ quando si ricordi l’ultima delle formule di Frenet-Serret
(3.5). 
Teorema 3.13. Siano ψ1 , ψ2 ∈ C2 ( I ) due curve (parametrizzate dall’ascissa curvilinea), con
uguali curvatura e torsione e con i vettori della terna intrinseca di classe C1 ( I ).
Allora le due curve coincidono a meno di una rotazione e una traslazione.
Dimostrazione. Denotiamo con
Ti = ( T i , N i , B i ) ,
la terna intrinseca relativa a ψi , i = 1, 2.
Fissiamo s0 ∈ I. Dato che le due terne intrinseche T1 (s0 ) e T2 (s0 ) sono due basi ortonor-
mali positive, esiste una matrice di rotazione A tale che
A T 1 ( s0 ) = T 2 ( s0 ) , A N 1 ( s0 ) = N 2 ( s0 ) , A B 1 ( s0 ) = B2 ( s0 ) . (3.18)
Per di più per le formule di Frenet-Serret,
d    
A T 1 (s) = A T 1′ (s) =k(s) A N 1 (s) ,
ds
d      
A N 1 (s) = A N 1′ (s)= − k(s) A T 1 (s) − τ (s) A B1 (s) , (3.19)
ds
d    
A B1 (s) = A B1′ (s) =τ (s) A N 1 (s) .
ds
Dunque le due funzioni vettoriali
(T 2 , N 2 , B2 ) (A T 1 , A N 1 , A B1 ) ,
risolvono il medesimo problema di Cauchy (3.18)–(3.19), e devono quindi coincidere.
In particolare
Zs Zs
ψ2 ( s ) − ψ 2 ( s 0 ) = ψ2′ (z) dz = Aψ1′ (z) dz
s0 s0
Zs 
=A ψ1′ (z) dz = A ψ1 (s) − ψ1 (s0 ) ,
s0
46 DANIELE ANDREUCCI

e infine, per ogni s ∈ I,



ψ 2 ( s ) = A ψ 1 ( s ) + ψ 2 ( s0 ) − A ψ 1 ( s0 ) .

Osservazione 3.14. Un’applicazione delle definizioni della Sezione 3.2 mostra che assu-
mere la curva in C2 ( I ) non è in genere sufficiente a garantire che i versori del triedro
principale siano di classe C1 ( I ).
Invece, il Teorema 3.12 garantisce l’esistenza di una curva di classe C2 ( I ), con curvature e
torsione assegnate, che però ha i versori del triedro principale di classe C1 ( I ).
Costruiamo qui un esempio esplicito di una curva come questa. Consideriamo
 t2 | t |3 
Ψ (t) = t, + ,0 , t ∈ R.
2 6
Si ha 
dΨ t|t| 
= 1, t + ,0 , −∞ < t < ∞ ,
dt 2
da cui si ricava per l’ascissa curvilinea s
Zt r  Zt r
z | z | 2 z4
s = σ(t) = 1+ z+ dz = 1 + z2 + | z | 3 + dz .
2 4
0 0
Quindi σ ∈ C 3 ( R ).
Invertendo la funzione σ si ottiene
1 1
t = ϑ (s) , ϑ ′ (s) = = q ,
σ̇ (ϑ (s)) ϑ ( s )4
1 + ϑ (s)2 + | ϑ (s)|3 + 4
con ϑ ∈ C3 ( R). Perciò la curva, parametrizzata dall’ascissa curvilinea, è data da
 ϑ ( s )2 | ϑ (s)|3 
ψ (s) = ϑ (s), + ,0 , s ∈ R, (3.20)
2 6
e  ϑ (s)| ϑ (s)| 
T (s) = ϑ ′ (s) 1, ϑ (s) + ,0 . (3.21)
2
Quindi calcoli immediati danno
 ϑ (s)| ϑ (s)| 
N (s) = ϑ ′ (s) − ϑ (s) − , 1, 0 , (3.22)
2
B(s) = (0, 0, 1) , (3.23)
e
k(s) = ϑ ′ (s)3 (1 + | ϑ (s)|) , τ (s) = 0 , −∞ < s < ∞ . (3.24)
Da (3.20) (e da ϑ ′ (0) = 1 6= 0) segue che ψ ∈ C2 ( R) \ C3 ( R).
Inoltre per (3.24) la curvatura è solo continua (e neppure derivabile su tutto R).
D’altronde da (3.21)–(3.23) risulta che i versori T, N, B sono di classe C1 ( R).
Per il Teorema 3.13 quindi la (3.20) dà l’unica curva (a meno di rotazioni e traslazioni) che
ha curvatura e torsione prescritte dalla (3.24). 
CAPITOLO 4

Vincoli. Coordinate lagrangiane

4.1. Vincoli olonomi


Vogliamo introdurre il concetto di evoluzione vincolata nel tempo di un si-
stema meccanico (anche se questa sezione potrebbe riguardare un sistema
più generale). Consideriamo quindi una funzione, o sistema, in evoluzione
F : I → Rn c , F (t) = ( F1 (t), . . . , Fnc (t)) ∈ Ξ ⊂ Rnc , t ∈ I. (4.1)
Qui I è l’intervallo aperto di R in cui varia il tempo t, e Ξ un insieme aper-
to. Denotiamo le coordinate in Rnc con ξ = (ξ j ). Nel seguito le ξ j , espresse
durante il moto come funzioni del tempo da ξ j = Fj , definiranno la po-
sizione di un sistema di corpi rigidi; tuttavia queste posizioni dovranno
soddisfare certi vincoli.
Esempio 4.1. A) Se il sistema è costituito da un unico punto, allora nc = 3,
Ξ = R3 , e un tipico vincolo può essere
ξ3 = 0 ,
se il punto deve appartenere a un piano assegnato.
B) Come esempio di sistema vincolato preso al di fuori della meccanica
dei corpi rigidi, supponiamo che nc = 3, e le ξ j indichino le concentrazioni
volumetriche di altrettante sostanze presenti in una miscela. Dovrà quindi
essere Ξ = {ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 > 0} e
ξ1 + ξ2 + ξ3 = 1 .

Definizione 4.2. Un insieme di vincoli olonomi per il sistema (4.1) è un
sistema di equazioni
f j (ξ, t) = 0 , j = 1,... ,m, (4.2)
con m < nc , ove, per ogni j, f j ∈ I ), K ≥ 2. Inoltre assumiamo che
C K (Ξ ×
l’insieme delle configurazioni ammissibili
Ξ f (t) = {ξ ∈ Ξ | vale (4.2)} (4.3)
sia non vuoto per ogni t ∈ I, e che la matrice iacobiana
 ∂ f1 ∂ f1 
∂f  ∂ξ . . . . . . ∂ξ n c
j  1 
(ξ, t) = . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (4.4)
∂ξ k ∂ fm ∂f
∂ξ . . . . . . ∂ξ m
1 nc

abbia caratteristica massima, cioè uguale a m, in ogni punto di Ξ f (t), per


ogni t ∈ I.
Un sistema soggetto a vincoli olonomi si dice anche sistema olonomo. 
47
48 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 4.3. Il vincolo f j si dice fisso se non dipende dal tempo, ossia
se
∂ fj
(ξ, t) = 0 ,
∂t
per ogni (ξ, t) ∈ Ξ × I.
In caso contrario si dice mobile. 

4.2. Coordinate indipendenti.


Possiamo assumere senza perdita di generalità che il minore della matrice
iacobiana con determinante diverso da 0 sia quello relativo alle ultime m
coordinate:
 ∂ f1 ∂ f1 
∂ξ n c −m +1 . . . ∂ξ n c
 
det . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6= 0 . (4.5)
∂ fm ∂ fm
∂ξ . . . ∂ξ
n c − m +1 nc

Il teorema del Dini garantisce allora, sotto le ipotesi della Definizione 4.2,
che le prime
ℓ := nc − m
coordinate ξ k , ossia le
ξ1 , . . . , ξℓ ,
siano coordinate indipendenti, cioè siano tali che le soluzioni di (4.2) possano
essere descritte in termini solo di queste, almeno localmente.
Vale a dire, per ogni ξ 0 ∈ Ξ f (t0 ) esistono un δ > 0 e funzioni gj tali che

ξ ′ ∈ Ξ f (t′ ) ∩ {|ξ − ξ 0 | < δ} , | t ′ − t0 | < δ ,


se e solo se
′ ′ ′ ′
ξ ℓ+ 1 = gℓ+1 ( ξ 1 , . . . , ξ ℓ , t ) ,
... (4.6)
ξ n′ c = gnc (ξ 1′ , . . . , ξ ℓ′ , t′ ) ,
con

gj ∈ C K Ξδ × (t0 − δ, t0 + δ) ,
con Ξδ ⊂ Rℓ aperto opportuno.
Ripetiamo che la scelta di (ξ 1′ , . . . , ξ ℓ′ ) ∈ Ξδ è arbitraria. Cioè, in sostan-
za, le gj mappano un qualunque (ξ 1′ , . . . , ξ ℓ′ ) ∈ Ξδ in una configurazione
ammissibile del sistema.
Definizione 4.4. Il numero ℓ ≥ 1 si dice numero dei gradi di libertà del
sistema a vincoli olonomi. 
Osservazione 4.5. Se tutti i vincoli sono fissi le gj non dipendono da t. 
Osservazione 4.6. L’evoluzione del sistema risulta quindi descritta in mo-
do completo quando siano note le ℓ coordinate indipendenti come funzio-
ni del tempo. 
4.4. COORDINATE LAGRANGIANE 49

4.3. Atti di moto.


Se torniamo alla descrizione del sistema vincolato della Sezione 4.1, e
deriviamo in t le (4.2), otteniamo per ogni j ∈ {1, . . . , m}

∂ fj
∇ξ f j (ξ (t), t) · ξ̇ (t) + ( ξ ( t) , t) =
∂t
nc ∂ f ∂ fj
∑ ∂ξ (ξ (t), t)ξ˙k (t) + ∂t (ξ (t), t) = 0 . (4.7)
j

k=1 k

Queste equazioni costituiscono, anche per t = 0, un sistema lineare (in


genere non omogeneo) di m equazioni nelle nc incognite scalari ξ̇ k , la cui
matrice dei coefficienti coincide con la matrice iacobiana del sistema di
vincoli f j (vedi la Definizione 4.2). Quindi la sua caratteristica è massima
e uguale a m. Lo spazio delle soluzioni del sistema ha pertanto dimensione
n c − m = ℓ.

Definizione 4.7. Il vettore ξ̇ (t) in (4.7) è detto atto di moto del sistema
olonomo. 
Osservazione 4.8. Il fatto che l’atto di moto non sia un vettore arbitrario
di Rnc implica in particolare che le condizioni, in particolare le velocità,
iniziali non possano essere scelte arbitrariamente. Per esempio, un punto
vincolato a una superficie dovrà avere velocità tangente alla superficie. 

Osservazione 4.9. Si può vedere che il vettore (ξ˙h (t))h=1,...,ℓ delle de-
rivate delle coordinate indipendenti (nell’ipotesi (4.5)) può essere scelto
arbitrariamente; le altre ξ̇ h seguono come prescritto derivando le (4.6). 

4.4. Coordinate lagrangiane


Conviene spesso usare nella descrizione del moto del sistema olonomo un
insieme di coordinate diverso da quello delle coordinate locali indipen-
denti introdotto nella Sezione 4.1.
Sia
q = ( q1 , . . . , q ℓ ) ∈ Q ,
con Q aperto di Rℓ .
Consideriamo una parametrizzazione

ξ j = ξ lj (q, t) , j = 1 , . . . , nc . (4.8)

Si assume che le
(ξ lj (·, t)) : Q → Ξ f (t)
soddisfino
(1) la (4.8) è iniettiva (e quindi una corrispondenza biunivoca tra Q e la
sua immagine);
(2) ξ lj ∈ C K ( Q × I );
50 DANIELE ANDREUCCI

(3) la matrice iacobiana completa, ossia la


 ∂ξ l ∂ξ l 
∂q1
1
. . . ∂q1
 ∂ξ l   . . . . . . . . . . . . . .ℓ .
j  
=  (4.9)
∂qh  . . l. . . . . . . . . . . l. .
∂ξ n c ∂ξ
∂q . . . ∂qnc
1 ℓ

ha caratteristica massima, pari a ℓ, per ogni q ∈ Q, t ∈ I.


Definizione 4.10. Con la notazione introdotta sopra, le funzioni
ξ j = ξ lj (q, t) , j = 1 , . . . , nc , (4.10)
si dicono la rappresentazione lagrangiana del moto.
Le qh si dicono anche coordinate lagrangiane. 
Osservazione 4.11. Nello stesso spirito dell’Osservazione 4.5, suppor-
remo sempre che se tutti i vincoli sono fissi le ξ lj non dipendano da
t. 

4.5. Sistemi vincolati a un piano


Consideriamo il caso di un sistema di n punti Pi vincolati a stare sullo
stesso piano costante, per esempio
x3 = 0 .
Se i vincoli sono in tutto m si avrà allora
n ≤ m < nc = 3n .
Infatti tra i vincoli appariranno almeno:
ξ 3i = 0 , i = 1, . . . , n , (4.11)
ove
X i (t) = ξ 3i−2 e1 + ξ 3i−1 e2 + ξ 3i e3 .
Supponiamo per definitezza che i vincoli in (4.11) siano i primi n.
Si può supporre inoltre che gli altri eventuali vincoli f j non contengano le
ξ 3i , che sono costanti, ossia si assume che
∂ fj
= 0, n < j ≤ m. (4.12)
∂ξ 3i
Allora le righe 1 ≤ i ≤ n della matrice iacobiana (4.4) sono ciascuna nulla
con l’eccezione dell’elemento di posto 3i, che vale 1. Le colonne di posto
3i avranno solo questo elemento diverso da 0.
Risulta quindi chiaro che la caratteristica della matrice iacobiana è mas-
sima se e solo se lo è quella della matrice ridotta ottenuta cancellando
le righe corrispondenti ai vincoli (4.11) e le colonne corrispondenti al-
le coordinate ξ 3i . In sostanza, dal punto di vista della parametrizzazio-
ne lagrangiana, i vincoli (4.11) si possono considerare in modo implicito,
rappresentando il moto in uno spazio a due dimensioni
X i (t) = ξ 3i−2 e1 + ξ 3i−1 e2 . (4.13)
Nel caso particolare in cui m = n, cioè non ci sono altri vincoli oltre a
quelli in (4.11), i moti X i in (4.13) sono liberi.
4.5. SISTEMI VINCOLATI A UN PIANO 51

Esempio 4.12. Consideriamo un punto P sottoposto al solo vincolo di


appartenere al piano x3 = 0. Come coordinate lagrangiane possiamo
scegliere le coordinate cartesiane, o anche quelle polari. Sviluppiamo
quest’ultima scelta:
x1 = r cos ϕ , x2 = r sin ϕ ,
con
(r, ϕ) ∈ Q = (0, ∞) × (−π, π ) .
Vale  
∂ ( x1 , x2 ) cos ϕ −r sin ϕ
= ,
∂(r, ϕ) sin ϕ r cos ϕ
che ha determinante pari a r > 0.
Definiamo
u( ϕ) = (cos ϕ, sin ϕ) , τ ( ϕ) = (− sin ϕ, cos ϕ) .
Il versore u si dice versore radiale, e τ si dice versore trasversale. Si noti che
du dτ
= τ, = −u .
dϕ dϕ
Dunque

X ( t) = r ( t) u ϕ ( t) , (4.14)
e la velocità è data da
 
v(t) = ṙ (t)u ϕ(t) + r(t) ϕ̇ (t)τ ϕ(t) . (4.15)
Il primo termine a destra nella (4.15) si dice velocità radiale, e il secondo
velocità trasversale. L’accelerazione si ottiene derivando v come
 
a(t) = [r̈ (t) − r(t) ϕ̇ (t)2 ]u ϕ(t) + [2ṙ (t) ϕ̇(t) + r(t) ϕ̈(t)]τ ϕ(t) . (4.16)
Come già fatto per la velocità si definiscono le accelerazioni radiale e tra-
sversale.
Da notare l’espressione
|v|2 = ṙ (t)2 + r(t)2 ϕ̇(t)2 .

Esempio 4.13. Consideriamo un sistema formato da due punti vincolati al
piano x3 = 0, con coordinate cartesiane
P1 = (ξ 1 , ξ 2 ) , P2 = (ξ 4 , ξ 5 ) ,
sottoposti ai vincoli
ξ 12 + ξ 22 = R2 , (4.17)
2
(ξ 4 − ξ 1 ) + ξ 22
=L , 2
(4.18)
ξ5 = 0 . (4.19)
Dunque P1 è vincolato alla circonferenza di raggio R > 0, e centro nel-
l’origine, P2 è vincolato all’asse x, e i due punti sono a distanza fissa
L > 0.
È chiaro che l’insieme delle configurazioni ammissibili Ξ f è non vuoto per
ogni scelta di R e L. Tuttavia, se e solo se R = L, in certe configurazioni
52 DANIELE ANDREUCCI

i vincoli non sono olonomi: si veda la Figura 4.1. I dettagli sono nella
Sezione 4.10.

ξ4 ξ4 ξ4
A) B) C)

ξ1 ξ2 ξ1 ξ2 ξ1 ξ2

Figura 4.1. Il cilindro retto ha equazione (4.17); quello obli-


quo ha equazione (4.18). Ξ f è dato dall’intersezione dei due
cilindri.
A) R > L, R/L = 1, 1: Ξ f è formato da due curve regolari.
B) R = L: Ξ f è formato da quattro curve regolari, e da due
punti in vicinanza dei quali Ξ f non è una curva regolare.
C) R < L, R/L = 0, 9: Ξ f è formato da due curve regolari.

4.6. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido non degenere


Per motivi tradizionali e di compatibilità con la notazione successiva, usia-
mo qui il termine sistema rigido non degenere come sinonimo di sistema di
riferimento mobile S = ( X O , M) nel senso della Definizione 2.26, con
M = ( u h ).
È chiaro che per definire la posizione di S in R3 sono necessarie sei
coordinate, che noi scegliamo come
• le tre coordinate cartesiane xhO dell’origine O di S ;
• le tre coordinate necessarie a specificare la posizione della terna mo-
bile M = (uh ).
(Il termine degenere sarà riservato a casi come quello dell’asta rigida o del
punto, che non soddisfano quest’osservazione e richiedono un numero di
coordinate inferiore.)
Sono possibili varie scelte di coordinate per stabilire la posizione di M.
Per convenzione ci riferiremo alla seguente come canonica.
Consideriamo (con la notazione di (2.27)) due moti solidali con S
X (t; λ′ ) , X (t; λ′′ ) , (4.20)
4.6. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO NON DEGENERE 53

con λ′ , λ′′ scelti in modo tale che questi due punti, insieme con X O (t),
formino una terna di punti non allineati. Nei capitoli successivi aggiunge-
remo un’altra ipotesi sulla scelta di λ′ , λ′′ , si veda l’Osservazione 6.5.
Si può verificare (vedi sotto per i dettagli) che le componenti di u1 , u2 , u3 ,
nella base (eh ) si possono esprimere in termini delle tre coordinate reali
ζ1 , ζ2 , ζ3 ,
individuate da
X (t; λ′ ) = X O (t) + ζ 1 e1 + ζ 2 e2 + ζ ′ e3 ,
(4.21)
X (t; λ′′ ) = X O (t) + ζ 3 e1 + ζ ′′ e2 + ζ ′ ′′ e3 .
Questa scelta di coordinate, come del resto ogni altra possibile, non è
valida per alcune posizioni di M.
Anche per indagare questo punto, osserviamo che le coordinate scelte
individuano la posizione di M mediante quella dei due vettori solidali
X (t; λ′ ) − X O (t) , X (t; λ′′ ) − X O (t) . (4.22)
Le 6 coordinate introdotte sopra sono quindi soggette ai 3 vincoli (talvolta
detti appunto di rigidità) (4.23) e (4.30). Il minore corrispondente alle
coordinate ζ ′ , ζ ′′ , ζ ′ ′′ della matrice iacobiana relativa è non singolare se e
solo se
ζ ′ 6= 0 , ζ ′ ζ ′′ − ζ 2 ζ ′ ′′ 6= 0 ,
ossia se il primo dei due vettori in (4.22) non giace sul piano he1 , e2 i, e se
le proiezioni di entrambi su tale piano non sono parallele. Queste sono le
condizioni per la validità della scelta di coordinate fatta sopra.
Si vedano sotto i dettagli, in particolare per l’aperto di definizione delle 3
coordinate.

Dettagli tecnici: Costruiamo qui una terna solidale e insieme ne troviamo le coordinate
canoniche; comunque è chiaro che, trovate le coordinate di una terna solidale, quelle di una
qualunque altra terna solidale si ottengono dalle prime mediante una rotazione costante
nel tempo.
Scegliamo ζ 1 , ζ 2 come in (4.21). Si noti che ζ ′ risulta allora funzione delle 2 coordinate ζ 1 ,
ζ 2 , in virtù del fatto che le distanze
L ′ : = X O (t) − X (t; λ′ ) , L ′′ : = X O (t) − X (t; λ′′ ) , (4.23)
si mantengono costanti. Cioè vale
q
ζ′ = ( L ′ )2 − ζ 12 − ζ 22 ,
ove la scelta della radice positive esprime una limitazione sulle posizioni ammesse per M.
Anche la lunghezza α del vettore
   
u2 = X (t; λ′ ) − X O (t) × X (t; λ′′ ) − X O (t)
f
si mantiene costante; si noti che α > 0 per l’ipotesi che i tre punti siano non allineati.
Poniamo allora
1 
u3 = ′ X (t; λ′ ) − X O (t) , (4.24)
L
1
u2 = f u . (4.25)
α 2
È ovvio che u2 e u3 sono ortonormali. Mostriamo che si possono esprimere in funzione
delle ζ h .
54 DANIELE ANDREUCCI

Introduciamo per brevità la notazione


ζj
.
ηj = j = 1,2. (4.26)
L′
Allora, la posizione di u3 viene individuata dai due parametri
(η1 , η2 ) ∈ B1 := {(z1 , z2 ) ∈ R2 | z21 + z22 < 1} , (4.27)
cosicché q
u 3 = η1 e 1 + η2 e 2 + 1 − η12 − η22 e3 . (4.28)
La posizione di u2 viene perciò individuata dalle 2 coordinate ζ 1 , ζ 2 e, in principio, dalle
3 coordinate ζ 3 , ζ ′′ , ζ ′′ ′ . Tuttavia devono valere
(ζ 3 )2 + (ζ ′′ )2 + (ζ ′′′ )2 = ( L ′′ )2 , (4.29)
2
(ζ 1 − ζ 3 ) + (ζ 2 − ζ ′′ )2 + (ζ ′ − ζ ′′′ )2 2
=d , (4.30)
ove
d : = X (t; λ′ ) − X (t; λ′′ ) > 0 .
Questo sistema permette di ricavare ζ ′′ e ζ ′′′ in funzione delle ζ h . Resta quindi dimostrato
che anche la posizione di u2 viene individuata dalle medesime 3 coordinate.
Infine
u 1 = u2 × u3 . (4.31)
Si noti che alcune posizioni restano escluse da questa scelta, per esempio quelle ove
u3 · e3 ≤ 0. Le posizioni ove u3 · e3 < 0 si ottengono cambiando il segno della terza
componente di u3 nella (4.28), mentre quelle limite ove u3 · e3 = 0 richiedono una diversa
scelta della parametrizzazione. Considerazioni analoghe valgono anche per u1 e u2 , per-
ché, in modo analogo a quanto fatto per la ζ ′ , anche nella determinazione di ζ ′′ e di ζ ′′′
va scelto il segno di certe radici quadrate.
Per completezza perseguiamo i calcoli fino a determinare l’aperto di variabilità di ζ 3 . Si
noti che la (4.29) e la (4.30) si possono scrivere come
(ζ ′′ )2 + (ζ ′′′ )2 = ( L ′′ )2 − ζ 12 = : C1 > 0 , (4.32)
1
ζ 2 ζ ′′ + ζ ′ ζ ′′′ = [( L ′ )2 + ( L ′′ )2 − d2 ] − ζ 1 ζ 3 . (4.33)
2
Ci interessa determinare per (ζ 1 , ζ 2 ) ∈ B1 fissato l’insieme di valori di ζ 3 che rendono
risolubile (4.32)–(4.33) in (ζ ′′ , ζ ′′′ ). In queste ultime due coordinate, la (4.32) è una cir-
conferenza di centro l’origine e raggio C1 , mentre la (4.33) è una retta la cui distanza
dall’origine è data da
|C − 2ζ 1 ζ 3 |
C3 : = q2 , ove C2 : = ( L ′ )2 + ( L ′′ )2 − d2 .
2 ζ 22 + (ζ ′ )2

Dunque la risolubilità cercata equivale a C32 < C12 , ossia a


4( L ′ )2 ζ 32 − 4C2 ζ 1 ζ 3 + C22 − 4( L ′′ )2 [ ζ 22 + (ζ ′ )2 ] < 0 . (4.34)
Imponendo ora l’usuale condizione che il discriminante D del trinomio in ζ 3 nella (4.34)
sia positivo otteniamo, ricordando anche che ζ 2 + (ζ ′ )2 = ( L ′ )2 − ζ 12 , la
D = 4[( L ′ )2 ( L ′′ )2 − C22 ][( L ′ )2 − (ζ 1 )2 ] > 0 ,
che certo è verificata in quanto vale
d2 = ( L ′ )2 + ( L ′′ )2 − 2L ′ L ′′ cos ϕ > ( L ′ )2 + ( L ′′ )2 − 2L ′ L ′′ ,
ove ϕ è l’angolo compreso tra i due vettori
X (t; λ′ ) − X O (t) , X (t; λ′′ ) − X O (t) ,
e quindi cos ϕ < 1. Dunque la condizione su ζ 3 è
q
C2 ζ 1 ± C4 ( L ′ )2 − ζ 12
ζ 3− (ζ 1 ) < ζ 3 < ζ 3+ (ζ 1 ) , ζ 3± (ζ 1 ) = , (4.35)
2( L ′ )2
4.6. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO NON DEGENERE 55

ove q
C4 = 4( L ′ )2 ( L ′′ )2 − C22 > 0 .
Infine per dimostrare che ζ ′′ e ζ ′′′ sono funzioni regolari di ζ 3 basta applicare il teorema
del Dini e l’osservazione che la matrice iacobiana di (4.29) e (4.30), cioè
 
2ζ 3 2ζ ′′ 2ζ ′′′
,
ζ1 ζ2 ζ′
ha ultimo minore non singolare al di fuori delle posizioni ove ζ ′ ζ ′′ = ζ 2 ζ ′′′ . In queste
ultime posizioni in effetti la coordinata ζ 3 non è una scelta valida. Tuttavia esse corrispon-
dono a punti di tangenza della circonferenza (4.29) e della retta (4.30), mentre la D > 0 e
la (4.35) garantiscono che esse sono secanti.
In conclusione, l’aperto di definizione delle coordinate locali risulta:
ζ 12 + ζ 22 < ( L ′ )2 , ζ 3− (ζ 1 ) < ζ 3 < ζ 3+ (ζ 1 ) , (4.36)
ove le ζ 3± sono definite in (4.35).

Definizione 4.14. I parametri


( x1O , x2O , x3O , ζ 1 , ζ 2 , ζ 3 )
si dicono coordinate locali canoniche del sistema rigido non degenere S . 
Metodo 4.15. (Rappresentazione del moto di S in coordinate locali)
Denotiamo con uloc
h la funzione che esprime u h in termini delle coordinate
locali.
Un qualunque moto solidale con S può essere rappresentato, fissando in
modo opportuno le coordinate solidali λ = (λh ) ∈ R3 , da
3
X (t; λ) = X O (t) + ∑ λh u h ( t)
h =1
3  3
= ∑ x jO (t) + ∑ λh uloc
h ( ζ 1 ( t) , ζ 2 ( t) , ζ 3 ( t)) · e j e j . (4.37)
j=1 h =1

Il membro di destra della (4.37) dipende da t solo mediante le xhO , ζ h .


Infatti i prodotti uh · e j sono calcolati usando le (4.25), (4.28), e (4.31).
Se si usano invece altre scelte di coordinate, per esempio, le (4.39), (4.44),
(4.45), queste possono essere sostituite nella (4.37), ottenendo X (t; λ) in
funzione di xhO , ϑh . 
Osservazione 4.16. La velocità v e l’accelerazione a di ciascuno dei moti
solidali con il sistema rigido si ottengono come derivate del moto, come è
ovvio:
∂X ∂2 X
v(t; λ) = (t; λ) , a(t; λ) = (t; λ) ,
∂t ∂t2
per ciascun λ fissato. 
Osservazione 4.17. Si notino le espressioni esplicite delle seguenti coor-
dinate dei moti X O , X (·; λ′ ), X (·; λ′′ ):
X O · e1 = x1O , X O · e2 = x2O , X O · e3 = x3O ,
′ ′
X (·; λ ) · e1 = x1O + ζ 1 , X (·; λ ) · e2 = x2O + ζ 2 ,
X (·; λ′′ ) · e1 = x1O + ζ 3 .
Queste verranno usate nella dimostrazione del Teorema 9.7. 
56 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 4.18. Introduciamo un’altra possibile scelta di coordinate di M, molto nota.


Iniziamo con il determinare la posizione di u3 , ossia la posizione di un punto sulla sfera
di raggio 1 di R3 . Come è noto, questa viene individuata da due angoli
0 < ϑ1 < 2π , 0 < ϑ2 < π , (4.38)
mediante la
u3 = sin ϑ1 sin ϑ2 e1 − cos ϑ1 sin ϑ2 e2 + cos ϑ2 e3 . (4.39)
Nel quadro delle coordinate sferiche in R3 ϑ2 è la colatitudine, e ϑ1 la longitudine (in effetti
traslata di π/2 rispetto alla convenzione più abituale). Come coordinate locali di sistemi
rigidi però questi angoli prendono altri nomi, vedi la Definizione 4.19.
Il vettore u1 appartiene alla circonferenza massima γ ortogonale a u3 , che è parametrizzata
dall’angolo ϑ3 , con
0 < ϑ3 < 2π , (4.40)
secondo la
Ψ (ϑ3 ) = cos ϑ3 w1 + sin ϑ3 w2 , (4.41)
ove w1 , w2 sono scelti in modo da costituire una base nel piano ortogonale a u3 , cosicché
(w1 , w2 , u3 ) sia una base ortonormale positiva. In particolare prendiamo w1 ortogonale
sia a u3 che a e3 , ossia
w1 = cos ϑ1 e1 + sin ϑ1 e2 , (4.42)
w2 = u3 × w1 = − sin ϑ1 cos ϑ2 e1 + cos ϑ1 cos ϑ2 e2 + sin ϑ2 e3 . (4.43)

Dunque, per un valore opportuno di ϑ3 ,


u1 = (cos ϑ1 cos ϑ3 − sin ϑ1 cos ϑ2 sin ϑ3 )e1
+ (sin ϑ1 cos ϑ3 + cos ϑ1 cos ϑ2 sin ϑ3 )e2 (4.44)
+ sin ϑ2 sin ϑ3 e3 ,
e
u2 = u3 × u1 = − cos ϑ1 sin ϑ3 e1
+ (− sin ϑ1 sin ϑ3 + cos ϑ1 cos ϑ2 cos ϑ3 )e2 (4.45)
+ sin ϑ2 cos ϑ3 e3 .
La scelta degli angoli ϑh indicata sopra è valida con l’eccezione di alcune posizioni della
terna M, ossia di quelle che corrisponderebbero ai valori limite
ϑ1 = 0 , ϑ1 = 2π , ϑ2 = 0 , ϑ2 = π , ϑ3 = 0 , ϑ3 = 2π .
Volendo descrivere il moto di M in un intorno di tali posizioni occorre una diversa scelta
di coordinate. 

Definizione 4.19. Gli angoli ϑ1 , ϑ2 , ϑ3 nell’Esempio 4.18 sono detti angoli di Eulero, e
vengono denotati di solito come
ϑ1 = ϕ , angolo di precessione,
ϑ2 = θ , angolo di nutazione,
ϑ3 = ψ , angolo di rotazione propria.

Inoltre w1 è noto come versore della linea dei nodi. 

4.7. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido degenere


Per definire la posizione di un punto O in R3 sono necessarie tre coordi-
nate, che noi scegliamo come
• le tre coordinate cartesiane xhO del punto O.
4.7. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO DEGENERE 57

Il moto del punto può essere quindi rappresentato da


3
X (t; 0) = X O (t) = ∑ xjO (t)e j . (4.46)
j=1

Il membro di destra della (4.46) dipende da t solo mediante le xhO .


Definiamo poi sistema rigido degenere rettilineo (o asta rigida) come una
coppia S0 = ( X O , u) formata da un moto X O e da un versore mobile
u.
È chiaro che per definire la posizione di un’asta rigida in R3 sono neces-
sarie cinque coordinate, che noi scegliamo come
• le tre coordinate cartesiane xhO del punto O;
• le due coordinate necessarie a specificare la posizione del versore
mobile u.
Per convenzione ci riferiremo alle seguenti coordinate di u come canoniche.
Consideriamo un moto
X (t; λ′ ) , (4.47)
con λ′ ∈ R scelto in modo tale che
X (t; λ′ ) − X O (t) = Lu(t) , (4.48)
per una costante L > 0. Intuitivamente, se O viene pensato come il primo
estremo dell’asta, il moto in (4.47) si può pensare come quello del secondo
estremo.
Definiamo poi le coordinate locali ζ 1 , ζ 2 come in (4.21). Allora la posizione
di u, e quindi tutti i moti solidali con l’asta, si possono esprimere in termini
delle cinque coordinate locali xhO e ζ h .
Denotiamo con uloc la funzione che esprime u in termini delle coordinate
locali.
Un moto solidale con l’asta per definizione è un moto dato per un λ ∈ R
fissato in modo opportuno da

X (t; λ) = X O (t) + λu(t)


3 
= ∑ x jO (t) + λuloc (ζ 1 (t), ζ 2 (t)) · e j e j . (4.49)
j=1

Il membro di destra della (4.49) dipende da t solo mediante le xhO , ζ h .


Si noti che, assegnata un’asta rigida, si possono trovare infiniti sistemi di
riferimento mobili tali che u sia per ciascuno un vettore solidale, e che
ciascuno di tali sistemi abbia una differente velocità angolare (rispetto a
una terna scelta come fissa). Questi sistemi di riferimento mobile si dicono
talvolta solidali con l’asta; si noti che, in questo senso, la velocità angolare
di un sistema solidale con il rigido non è definita in modo univoco, a
differenza del caso del rigido non degenere.
In virtù del Lemma 4.21 sotto, possiamo definire velocità angolare dell’asta
il vettore ω̃ perpendicolare a u tale che
du
= ω̃ × u .
dt
58 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 4.20. Lo scopo dell’introduzione di ω̃ è quello di soppri-


mere la componente di rotazione lungo l’asta, che non ha senso nel caso
di un corpo rigido rettilineo. Questa ‘velocità angolare minimale’ è invece
definita in modo univoco (vedi il Lemma 4.21).
Comunque nel seguito la velocità angolare dell’asta verrà di nuovo indi-
cata con ω. 
Lemma 4.21. Assegnato un versore u ∈ C1 ( I ), esiste un’unica funzione ω̃ ∈
C ( I ) tale che
ω̃ (t) · u(t) = 0 , t ∈ I, (4.50)
e
du
(t) = ω̃(t) × u(t) , t ∈ I. (4.51)
dt
Dimostrazione. Se ω̃ come nell’enunciato esiste, deve essere, per il Lem-
ma A.22,
du
ω̃ = u × (ω̃ × u) = u × , (4.52)
dt
che dimostra l’unicità di ω̃.
Ancora dal Lemma A.22, e dal fatto che
du
u· =0
dt
segue che la ω̃ definita nella (4.52) soddisfa i requisiti dell’enunciato. 
Esempio 4.22. Un’asta rigida AB di lunghezza L è vincolata ad avere
l’estremo A nell’origine O del sistema di riferimento fisso; l’estremo B
descrive con legge oraria s(t) la curva
3
ψ ( s) = ∑ ψi (s)ei , s ∈ (α, β) ,
i=1
ove s è l’ascissa curvilinea. Troviamo la velocità angolare ω dell’asta.
In questo caso X O (t) = 0 per ogni t e il versore u è dato da
1
u ( t) = ψ(s(t)) ,
L
cosicché
ṡ(t) ′
u̇(t) = ψ (s(t)) .
L
Dunque, secondo la (4.52),
ṡ(t)
ω( t) = ψ(s(t)) × ψ′ (s(t)) .
L2
Nel caso particolare in cui
s s
ψ (s) = R cos e1 + R sin e2 + he3 ,
R R

ove h ∈ [0, L) è fissato, e R = L2 − h2 , si ha per esempio
ṡ(t) h s( t) s( t) i
ω(t) = 2 − h cos e1 − h sin e2 + Re3 .
L R R

4.8. SISTEMI OLONOMI COMPOSTI DA RIGIDI 59

4.8. Sistemi olonomi composti da rigidi


Consideriamo un sistema di n ≥ 1 sistemi rigidi non degeneri o degeneri.
La posizione di questi corpi, cioè la configurazione del sistema, viene indivi-
duata dalle nc coordinate locali (vedi le Sezioni 4.6 e 4.7)
ξ := (ξ 1 , . . . , ξ nc ) ∈ Ξ ,
ove l’aperto Ξ è ottenuto come prodotto cartesiano degli aperti di defini-
zione delle coordinate locali di ciascun sistema rigido e, come è evidente,
nc = 6 × numero dei rigidi non degeneri
+5 × numero delle aste rigide
+3 × numero dei punti.
Il moto del sistema di rigidi può dunque essere sottoposto a vincoli olo-
nomi nel senso della Sezione 4.1, per tutto l’intervallo aperto I ⊂ R in cui
varia il tempo t.
Esempio 4.23. Un cilindro retto di raggio R e altezza L è vincolato ad avere
il centro C sulla circonferenza
(
x12 + x22 = a2 ,
γ:
x3 = 0 ;
qui R, L, a sono costanti positive, e le xi denotano le coordinate nel sistema
fisso (O, ei ).
Inoltre è vincolato ad avere l’asse parallelo a e3 .
A) Coordinate locali per il corpo rigido. Seguendo la Sezione 4.6 introduciamo
le seguenti coordinate:
ξ 1 = x1C , ξ 2 = x2C , ξ 3 = x3C ,
ξ 4 = x1A − x1C , ξ 5 = x2A − x2C , ξ 6 = x1B − x1C ,
ove A è il centro della base superiore del cilindro, e B un punto soli-
dale scelto sulla circonferenza equatoriale del cilindro. Questa scelta di
−→
coordinate locali è valida per ogni posizione di C, e per CA · e3 > 0,
−→
CB · e2 > 0.
Si noti che la scelta delle coordinate locali è indipendente dai vincoli.
B) In queste coordinate, i vincoli si esprimono come:
f 1 (ξ ) = ξ 12 + ξ 22 − a2 ,
f2 (ξ ) = ξ 3 ,
f3 (ξ ) = ξ 4 ,
f4 (ξ ) = ξ 5 .
Le f1 = 0, f2 = 0 impongono che C appartenga alla γ, mentre le f 3 = 0,
−→
f4 = 0 impongono che CA sia parallelo a e3 .
Calcoliamo la matrice iacobiana
 
2ξ 1 2ξ 2 0 0 0 0
 0 0 1 0 0 0
 .
 0 0 0 1 0 0
0 0 0 0 1 0
60 DANIELE ANDREUCCI

È chiaro che il minore formato dalle colonne di posto 1, 3, 4, 5 è non


singolare, se ξ 1 6= 0. Se poi ξ 1 = 0, deve essere ξ 2 6= 0 per f 1 = 0, e quindi
risulta non singolare il minore formato dalle colonne di posto 2, 3, 4, 5.
La caratteristica della matrice iacobiana pertanto è sempre massima, e il
vincolo è olonomo.
C) Coordinate indipendenti. Restringiamoci a un aperto di Rnc = R6 ove
ξ 2 > 0. Dunque le (ξ 1 , ξ 6 ) sono le coordinate indipendenti, e il sistema di
vincoli f j = 0, j = 1, 2, 3, 4, si può risolvere (almeno localmente) nelle ξ 2 ,
ξ 3 , ξ 4 , ξ 5 , come
q
ξ 2 = g2 (ξ 1 , ξ 6 ) = a2 − ξ 12 ,
ξ 3 = g3 (ξ 1 , ξ 6 ) = 0 ,
ξ 4 = g4 (ξ 1 , ξ 6 ) = 0 ,
ξ 5 = g5 (ξ 1 , ξ 6 ) = 0 .
Si noti che la scelta delle coordinate indipendenti è conseguente all’impo-
sizione dei vincoli.
D) Coordinate lagrangiane. Consideriamo le due coordinate:
[ −→ [ −

ϕ = angolo e1 OC; θ = angolo e1 CB.
La rappresentazione lagrangiana sarà
ξ 1l ( ϕ, θ ) = a cos ϕ , ξ 2l ( ϕ, θ ) = a sin ϕ , ξ 3l ( ϕ, θ ) = 0 ,
(4.53)
ξ 4l ( ϕ, θ ) = 0 , ξ 5l ( ϕ, θ ) = 0 , ξ 6l ( ϕ, θ ) = R cos θ .
Prendiamo anche
( ϕ, θ ) ∈ Q := (−π, π ) × (0, π ) .
La matrice iacobiana (qui rappresentata in forma trasposta)
 
− a sin ϕ a cos ϕ 0 0 0 0
0 0 0 0 0 − R sin θ
ha caratteristica massima, pari a ℓ = 2, in ogni ( ϕ, θ ) ∈ Q. La (4.53) è iniet-
tiva, e soprattutto porta Q nell’insieme delle configurazioni ammissibili
Ξ f ( t ). 

4.9. Cenno ai vincoli anolonomi.


Un vincolo si dice anolonomo se non dipende solo dalle posizioni dei rigidi
che compongono il sistema, come quelli invece trattati nella Sezione 4.8.
Per esempio sono vincoli anolonomi quelli che impongono direttamente
condizioni sulle velocità dei rigidi.
Alcuni vincoli anolonomi possono però essere sostituiti da equivalenti
vincoli olonomi; vengono in questo caso detti integrabili.
Noi saremo interessati al caso seguente di vincolo anolonomo.
Definizione 4.24. Consideriamo due sistemi rigidi (non degeneri o dege-
neri) S1 , S2 , e due moti X 1 solidale con S1 e X 2 solidale con S2 . Supponia-
mo che all’istante t i due moti occupino la stessa posizione X 1 (t) = X 2 (t).
4.10. DUE PUNTI NEL PIANO 61

Si dice che all’istante t in tale posizione il contatto tra i due sistemi è senza
strisciamento se e solo se
Ẋ 1 (t) = Ẋ 2 (t) .

In alcuni casi un contatto senza strisciamento viene anche detto di rotola-
mento puro.
Esempio 4.25. Manteniamo qui la notazione dell’Esercizio ??. Vogliamo
mostrare che il vincolo anolonomo di rotolamento puro può essere sosti-
tuito da un vincolo olonomo.
Si noti intanto che il vincolo (??), secondo le convenzioni adottate nella Se-
zione 4.6, significa che X (t; λ′ ) − X O (t) si mantiene parallelo a e3 . Inoltre
per la caratterizzazione delle componenti di ω ottenuta nella dimostra-
zione del Lemma 2.19 si ha ω = F (t)u3 e quindi secondo la discussione
nell’Esempio 2.24 si ha
ω (t) = θ̇ (t)e3 ,
per un opportuno angolo di rotazione θ.
Poi denotiamo con X t̄ (t) il moto solidale con S1 che all’istante t̄ occupa la
posizione x2O (t̄)e2 . Allora per la Definizione 4.24 si deve avere

Ẋ (t̄ ) = 0 . (4.54)
Per la fondamentale formula (2.28) si ha

0 = Ẋ (t̄) = vO (t̄) + ω (t̄) × [ X t̄ (t̄) − X O (t̄ )] = vO (t̄ ) + θ̇ (t̄)e3 × de1 ,
(4.55)
che implica, insieme ai vincoli su X O ,
vO (t̄) = ẋ2O (t̄ )e2 = −dθ̇ (t̄ )e2 . (4.56)
Dunque integrando in t̄, che è arbitrario, si ha
x2O (t) + dθ (t) = x2O (0) + dθ (0) . (4.57)
Questo è il vincolo olonomo equivalente al vincolo anolonomo dato; in-
fatti, la (4.57) per derivazione implica la (4.56) che a sua volta implica
mediante la (4.55) la (4.54), ossia il vincolo anolonomo. 

4.10. Due punti nel piano


Con lo scopo di illustrare in un caso non banale la metodologia della scelta delle coordi-
nate indipendenti in un sistema olonomo e il significato delle ipotesi che lo definiscono,
consideriamo un sistema formato da due punti vincolati al piano x3 = 0 con coordinate
cartesiane
P1 = (ξ 1 , ξ 2 ) , P2 = (ξ 4 , ξ 5 ) ,
sottoposti ai vincoli
ξ 12 + ξ 22 = R2 , (4.58)
2
(ξ 4 − ξ 1 ) + ξ 22 2
=L , (4.59)
ξ5 = 0 . (4.60)
Dunque P1 è vincolato alla circonferenza di raggio R > 0, e centro nell’origine, P2 è
vincolato all’asse x, e i due punti sono a distanza fissa L > 0.
62 DANIELE ANDREUCCI

La matrice iacobiana dei vincoli è


 
2ξ 1 2ξ 2 0 0
 2( ξ 1 − ξ 4 ) 2ξ 2 2( ξ 4 − ξ 1 ) 0 .
0 0 0 1

È chiaro che l’ultima colonna (corrispondente a ξ 5 ) è linearmente indipendente dalle altre


in ogni posizione ξ ∈ Ξ f .
Caso I): Se
ξ 4 6= 0 , ξ 2 6= 0 , (4.61)
le prime due colonne sono linearmente indipendenti. Quindi il vincolo è olonomo, e si
possono scegliere ξ 1 e ξ 2 come coordinate dipendenti dalla coordinata indipendente ξ 4 .
Caso II): Se
ξ 4 6= 0 , ξ2 = 0 , (4.62)
la prima e terza colonna sono linearmente indipendenti. Quindi il vincolo è olonomo, e
si possono scegliere ξ 1 e ξ 4 come coordinate dipendenti dalla coordinata indipendente ξ 2 .
Ci sono 4 configurazioni distinte corrispondenti a questo caso.
Caso III): Se infine ξ 4 = 0, la matrice iacobiana diviene
 
2ξ 1 2ξ 2 0 0
2ξ 1 2ξ 2 −2ξ 1 0 ,
0 0 0 1

e quindi ha rango massimo se e solo se

ξ 1 6= 0 . (4.63)

In questo caso quindi il vincolo è olonomo, e si possono scegliere ξ 1 e ξ 4 come coordinate


dipendenti dalla coordinata indipendente ξ 2 .
Si noti che dalle equazioni (4.58) e (4.59) segue che si può avere ξ 4 = 0 in Ξ f solo se R = L.

4.10.1. Parametrizzazione nel caso I. Scegliamo ξ 4 come coordinata indipendente. Le


altre si esprimono come

R2 − L2 + ξ 42
ξ 1 = g1 (ξ 4 ) = , (4.64)
2ξ 4
s
 2 
R − L2 + ξ 42 2
ξ 2 = g2 (ξ 4 ) = R2 − , (4.65)
2ξ 4
ξ 5 = g5 (ξ 4 ) = 0 . (4.66)

Si noti che nella (4.65) si è scelto di parametrizzare il sistema in configurazioni in cui


ξ 2 > 0; le posizioni in cui ξ 2 < 0 si ottengono cambiando il segno della g2 .
La quantità sotto radice nella (4.65) deve essere positiva, il che equivale a

| R − L| < |ξ 4 | < R + L . (4.67)

In particolare il dominio di definizione delle g j sarà uno dei seguenti intervalli:


• se R ≤ L:
0 ≤ L − R < ξ4 < L + R ,
oppure
−L − R < ξ4 < −L + R ≤ 0 ;
• se R > L:
0 < R − L < ξ4 < L + R ,
oppure
−L − R < ξ4 < L − R < 0 .
4.10. DUE PUNTI NEL PIANO 63

4.10.2. Parametrizzazione nel caso II. Si prende ξ 2 come coordinata indipendente, e si


ottiene
q
ξ 1 = g1 (ξ 2 ) = L2 − ξ 22 , (4.68)
q q
ξ 4 = g4 (ξ 2 ) = R2 − ξ 22 + L2 − ξ 22 , (4.69)
ξ 5 = g5 (ξ 2 ) = 0 . (4.70)
Si noti che nella (4.65) si è scelto di parametrizzare il sistema in configurazioni in cui
ξ 4 > ξ 1 > 0; cambiando i segni delle radici quadrate nelle (4.68), (4.69) si ottengono le
altre 3 posizioni.
Le quantità sotto radice nelle (4.68) e (4.69) devono essere positive, il che equivale a
| ξ 2 | < min( R, L ) . (4.71)
In particolare il dominio di definizione delle g j sarà uno dei seguenti intervalli:
• se R ≤ L:
−R < ξ2 < R ;
• se R > L:
−L < ξ2 < L .
4.10.3. Parametrizzazione nel caso III. Consideriamo configurazioni vicine a una in cui
ξ4 = 0 , ξ 1 6= 0 ,
come spiegato sopra; ricordiamo che allora di necessità vale R = L. Visto che le colonne
di posti 1, 3 e 4 nella matrice iacobiana sono linearmente indipendenti, possiamo scegliere
ξ 2 come coordinata indipendente.
Per ξ 1 e ξ 5 valgono anche in questo caso le (4.68), (4.70) sopra, supponendo di rappresen-
tare posizioni in cui ξ 1 > 0.
Invece, per ξ 4 si ottiene dalle (4.58), (4.59)
 q 
ξ 4 ξ 4 − 2 R2 − ξ 22 = 0 , (4.72)
ove si è già sostituita la (4.68) per ξ 1 .
III.a) Se, nell’intervallo ove sarà definita la parametrizzazione, ξ 4 assume anche valori non
nulli, per quei valori deve essere perciò
q
ξ 4 = 2ξ 1 = 2 R2 − ξ 22 = : g4 (ξ 2 ) . (4.73)
Ne segue, per continuità, che la (4.73) deve valere nell’intervallo più ampio ove ξ 1 non
si annulla, che coincide però con tutto l’intervallo di definizione della rappresentazio-
ne. In altre parole, la (4.73) completa la parametrizzazione del sistema, che è definita
nell’intervallo
−R < ξ2 < R .
III.b) L’unica alternativa che resta per la validità della (4.72) è dunque
ξ 4 = 0 = : g4 (ξ 2 ) , (4.74)
per ogni valore di ξ 2 . Dunque la parametrizzazione è data dalle (4.68), (4.70) e (4.74), e
risulta definita per ξ 2 ∈ (− R, R).
Parte 3

Dinamica: previsione del moto


CAPITOLO 5

Equazioni di moto di un elemento materiale

5.1. Equazioni di moto in sistemi di riferimento mobili


Sia P un elemento o punto materiale, cui associamo un numero m ∈
(0, +∞) detto massa.
La legge di moto di Newton prescrive che se X denota il moto di P valga
m Ẍ = F ( X, Ẋ, t) , (5.1)
ove F indica la funzione vettoriale che esprime la risultante di tutte le forze
che agiscono sul punto. Si noti che F può dipendere dal moto stesso e dalla
sua derivata prima, ma non dalla derivata seconda. Questo garantisce
che il sistema differenziale in (5.1) sia in forma normale. Quindi, sotto
le ipotesi di lipschitzianità in X, Ẋ e di continuità in t già ricordate nel
Capitolo 1, vale per il problema di Cauchy dato da (5.1) e dalle condizioni
iniziali
X ( t0 ) = x 0 , Ẋ (t0 ) = v0 , (5.2)
il Teorema 1.6 di esistenza e unicità di soluzioni.
Pertanto il moto di P, assegnate le forze come sopra, assegnate le condi-
zioni iniziali, è univocamente determinato.
In questo Capitolo ci poniamo il problema dello studio delle proprietà del
moto e se possibile della sua forma esplicita.
Il moto del punto quindi è una funzione che risolve l’equazione (8.18).
Supponiamo di volerlo descrivere in un sistema di riferimento S mobile
rispetto a quello sin qui considerato. I risultati della Sezione 2.3, e in
particolare il Teorema 2.36, implicano allora
m ( a S + at + ac ) = F , (5.3)
con i simboli introdotti nella Definizione 2.37.
Definizione 5.1. Sia S un sistema di riferimento mobile. Si definisce la
forza di trascinamento
F t = −mat , (5.4)
e la forza di Coriolis
F c = −mac . (5.5)

Talvolta le forze di trascinamento e di Coriolis si dicono anche forze fittizie
o apparenti, una terminologia che per noi ha il solo significato mnemonico
di ricordare che esse appaiono inevitabilmente con il solo passaggio a un
sistema di riferimento diverso.
67
68 DANIELE ANDREUCCI

Con le definizioni di forze fittizie appena date, la (5.3) può essere scritta
come
maS = F + F t + F c , (5.6)
che prende il nome di equazione di moto nel sistema S . Infatti se la (5.6), mu-
nita degli opportuni dati iniziali, ha una unica soluzione, per l’argomento
sopra tale funzione conduce alla soluzione dell’equazione di moto (8.18).
Sull’argomento della dinamica relativa si veda anche la Sezione 9.4.
Ipotesi 5.2. Nel seguito assumeremo dunque che F ∈ C ( A × R3 × I ), ove
A è un aperto di R3 in cui si muove il punto, e I è un intervallo di R cui
appartengono i tempi considerati. Si assume anche che F sia lipschitziana
in A × R3 per ogni t nel senso della (1.3). Naturalmente dobbiamo anche
assumere t0 ∈ I, x0 ∈ A. 

5.2. Forze conservative


Definizione 5.3. La forza F si dice posizionale se dipende solo dalla posi-
zione di P, ossia se in (5.1) vale F = F ( X ). 
Definizione 5.4. La forza F si dice conservativa se è posizionale e se esiste
una funzione U : A → R, U ∈ C1 ( A), tale che
F ( x ) = ∇ U ( x) , x ∈ A. (5.7)
La funzione U si dice potenziale di F. 
Osservazione 5.5. Risulta chiaro dalla Definizione 5.4 che il potenziale è
definito a meno di un’arbitraria costante additiva. 
Osservazione 5.6. Non tutte le forze posizionali sono conservative. Un
primo controesempio è dato da
F ( x1 , x2 , x3 ) = x1 e2 .
Se infatti fosse F = ∇ U in una sfera B ⊂ A si avrebbe subito per integra-
zione di Ux2 = x1 che in B
U ( x1 , x2 , x3 ) = x1 x2 + h ( x1 , x3 ) ,
per una opportuna funzione h, il che però contraddice per esempio Ux1 =
0. 
Il motivo per cui le forze conservative meritano tale nome è dato dalla
teoria di cui introduciamo sotto gli elementi di base.
Definizione 5.7. Il lavoro fatto nell’intervallo di tempo (t1 , t2 ) dalla forza
F sul punto P che obbedisce alla (5.1) è l’integrale
Zt2
F ( X (t), Ẋ (t), t) · Ẋ (t) dt . (5.8)
t1


Proposizione 5.8. Se F è conservativa di potenziale U, il suo lavoro nell’inter-
vallo di tempo (t1 , t2 ) è uguale a U ( X (t2 )) − U ( X (t1 )).
5.2. FORZE CONSERVATIVE 69

Dimostrazione. Infatti si ha
Zt2 Zt2
F ( X (t)) · Ẋ (t) dt = ∇ U ( X (t)) · Ẋ (t) dt
t1 t1
Zt2
dU ( X (t))
= dt = U ( X (t2 )) − U ( X (t1 )) .
dt
t1


Teorema 5.9. (Conservazione dell’energia) Se F è conservativa di poten-
ziale U, il moto che obbedisce alla (5.1) soddisfa per ogni t, t0 ∈ I
1 2 1 2
m Ẋ (t) − U ( X (t)) = m Ẋ (t0 ) − U ( X (t0 )) . (5.9)
2 2
Dimostrazione. Ricordando la (5.1) si ottiene derivando:
d h1 2
i
m Ẋ (t) − U ( X (t)) = m Ẋ (t) · Ẍ (t) − ∇ U ( X (t)) · Ẋ (t)
dt 2
= Ẋ (t) · [ F ( X (t)) − ∇ U ( X (t))] = 0 .

Definizione 5.10. L’energia cinetica dell’elemento materiale è definita da
1 2
m Ẋ (t) .
T ( t) = (5.10)
2
L’energia potenziale dell’elemento materiale è definita da
V ( X (t)) = −U ( X (t)) . (5.11)
L’energia meccanica dell’elemento materiale è definita da
E(t) = T (t) + V ( X (t)) . (5.12)

Il Teorema 5.9 con queste definizioni si può formulare dicendo che l’ener-
gia meccanica si conserva durante il moto.
Corollario 5.11. Supponiamo che la forza in (5.1) sia data da
F ( X, Ẋ, t) = F 1 ( X ) + F 2 ( X, Ẋ, t) , (5.13)
ove F 1 è conservativa di potenziale U, e ove il lavoro di F 2 durante un qualunque
intervallo di tempo si annulla.
Allora l’energia meccanica E = T − U si conserva durante il moto.
Dimostrazione. Ragionando come nella Dimostrazione del Teorema 5.9
si ottiene che
d
E(t) = F 2 ( X, Ẋ, t) · Ẋ (t) .
dt
Per ipotesi questa funzione ha integrale nullo su tutti gli intervalli, quindi
vale la tesi. 
Esempio 5.12. Diamo alcuni esempi di comuni forze conservative:
70 DANIELE ANDREUCCI

• Forza elastica di centro x0 ∈ R3 e costante k > 0:


k
F ( x ) = − k ( x − x0 ) , U ( x) = − | x − x0 |2 . (5.14)
2
• Forza di attrazione gravitazionale (k > 0) o elettrostatica (k ∈ R), di
centro x0 ∈ R3 :
x − x0 k
F ( x) = − k 3
, U ( x) = − , x 6 = x0 . (5.15)
| x − x0 | | x − x0 |
• Forza peso di costante g > 0 e direzione e:
F ( x) = mge , U ( x) = mgx · e . (5.16)


5.3. Forze di attrito


Le forze di attrito, o di resistenza, hanno la caratteristica di opporsi al
moto; non sono conservative, poiché non soddisfano la Definizione 5.4.
Osservazione 5.13. Da un punto di vista fisico le forze di attrito dissipano
energia meccanica tipicamente trasformandola in calore. 
Definizione 5.14. La legge di resistenza viscosa è data da
F ( Ẋ ) = −µ Ẋ , (5.17)
e quella di resistenza idraulica da
F ( Ẋ ) = −ν Ẋ Ẋ . (5.18)
Qui µ, ν sono costanti positive. 
Osservazione 5.15. La resistenza viscosa e quella idraulica sono tipiche
del moto di corpi immersi in fluidi; le costanti µ e ν dipendono dal-
le caratteristiche del corpo (forma, dimensioni) e da quelle del fluido
(densità). 
Esempio 5.16. Un punto materiale di massa m viene abbandonato da fer-
mo in un fluido; su di esso agiscono la forza peso e una resistenza data
dalla (5.17) nell’intervallo di velocità (0, v1 ), e dalla (5.18) per |v| > v1 . Si
assume che µv1 = νv21 .
Determiniamo il moto del punto.
Dobbiamo risolvere il problema di Cauchy
m Ẍ = mge + F ( Ẋ ) , X ( 0) = x0 , Ẋ (0) = 0 .
Scegliendo opportunamente il sistema di riferimento possiamo supporre
x0 = 0, e = e3 . Indicando per semplicità con s la coordinata nella direzione
e3 dunque il problema diviene in sostanza:
ms̈ = mg − µṡ , s ( 0) = 0 , ṡ(0) = 0 ,
almeno nell’intervallo di tempi (0, t1 ) per cui 0 < ṡ < v1 . La soluzione di
questo problema è data da
gm2 − µ t gm gm µ
s( t) = ( e m − 1) + t, ṡ(t) = (1 − e − m t ) . (5.19)
µ2 µ µ
5.3. FORZE DI ATTRITO 71

Dunque dovremo distinguere tra i casi


gm
t1 = + ∞ , ≤ v1 , (5.20)
µ
gm
t1 < + ∞ , > v1 , (5.21)
µ
in dipendenza di sup ṡ = gm/µ.
Nel caso (5.20) ovviamente non c’è altro da fare, e il moto si svolge sempre
in condizioni di resistenza viscosa, con velocità limite gm/µ.
Nel caso (5.21) invece dobbiamo risolvere per t > t1 il problema
ms̈ = mg − νṡ2 , s(t1 ) = s(t1 −) , ṡ(t1 ) = v1 ,
la cui soluzione è data da
γe β(t−t1 ) − 1
s(t) = α[2β−1 ln(γe β(t−t1 ) + 1) − (t − t1) ] + C , ṡ(t) = α ,
γe β(t−t1 ) + 1
(5.22)
con C scelto in modo che valga s(t1 ) = s(t1 −), e
r
gm α + v1
α= , β = 2ανm−1 , γ= .
ν α − v1
Si noti che nelle nostre ipotesi v1 = µ/ν < α e infatti α risulta la velocità
limite per t → +∞. 
Gli attriti tra solidi vengono spesso modellizzati nel modo seguente. Si
suppone che il contatto tra i due corpi sia tale da permettere di identificare
una direzione tangente comune, o un piano tangente comune, ai due. La
forza propriamente d’attrito, sempre tale da opporsi al moto, ha direzione
tangente.
Definizione 5.17. La legge di Coulomb-Morin prescrive che due corpi in
contatto agiscano l’uno sull’altro con una forza
F a = [ F a ]k + [ F a ]⊥ , (5.23)
ove la componente tangente a entrambi i corpi è data dalla [ F a ] k e la [ F a ]⊥
denota invece quella ortogonale alla prima.
Nel caso dell’attrito dinamico deve valere
[ F a ]k = µ |[ F a ]⊥ | . (5.24)

Nel caso dell’attrito statico deve valere


[ F a ]k ≤ ν |[ F a ]⊥ | . (5.25)

Il coefficiente µ > 0 nella (5.24) si dice di attrito dinamico e il coefficiente


ν > 0 nella (5.25) di attrito statico. 
Metodo 5.18. Nel caso di un punto vincolato a una curva [superficie] re-
golare, la componente [ F a ] k è tangente alla curva [superficie].
Naturalmente quindi nel caso della curva risulta determinata univocamen-
te la direzione di [ F a ] k , mentre in quello della superficie è la direzione di
[ F a ]⊥ a essere individuata. 
72 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 5.19. Nel caso che un punto materiale sia vincolato a una
curva o superficie regolare, e la reazione del vincolo sul punto sia sempre
ortogonale al vincolo, esso si dice liscio. 

5.4. Moto di un punto vincolato a vincoli fissi


Metodo 5.20. Per determinare il moto di un punto vincolato a una curva
[a una superficie] si cerca in genere di sostituire le equazioni relative alle
≀≀ due componenti ortogonali [all’unica componente ortogonale] nell’equa-
zione relativa alla direzione tangente [nelle due equazioni relative al piano
tangente], e poi di risolvere il problema di Cauchy così ottenuto.
È chiaro che questo approccio implica che le equazioni di moto siano
scomposte sulla terna intrinseca nel caso di curve, e su un sistema di rife-
rimento che abbia il piano tangente come piano coordinato nel caso delle
superficie. 
Torneremo più sistematicamente su quest’idea nella Sezione 8.1; qui ci
limitiamo a illustrarla con alcuni esempi.
Esempio 5.21. Un punto materiale P di massa m è vincolato a un binario
di forma
x1 = R cos λs ,
x2 = R sin λs , −∞ < s < ∞,
x3 = hλs ,

ove R, h > 0 sono costanti, e λ = 1/ R2 + h2 è stato scelto in modo che s
sia la lunghezza d’arco.
Il punto è soggetto alla forza peso
F = −mge3 ,
e ovviamente alla forza f vin esercitata dal vincolo, di cui si sa solo che ha
componente tangente nulla.
Il punto parte da fermo a quota x3 = 0.
Vogliamo trovare la reazione vincolare che agisce su P quando esso rag-
giunge quota x3 = −2πh, in funzione di R, h, m, g e dei vettori ei .
A) L’equazione di moto scomposta nella terna intrinseca ( T, N, B) dà
ms̈ = T · F ,
mkṡ2 = N · F + N · f vin ,
0 = B · F + B · f vin .
B) Procediamo imponendo che la traiettoria sia quella data dal vincolo;
≀≀ la reazione vincolare, a priori incognita, risulterà determinata da questa
richiesta poiché essa permette di determinare il moto.
Dalla parametrizzazione della curva si ha subito
T (s) = λ(− R sin λs, R cos λs, h) , N (s) = −(cos λs, sin λs, 0) ,
B(s) = T (s) × N (s) = λ(h sin λs, −h cos λs, R) , k ( s ) = λ2 R .
Dunque con un calcolo diretto
T · F = −mghλ , N · F = 0, B · F = −mgRλ .
5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI FISSI 73

Perciò il moto è determinato dall’equazione relativa alla componente tan-


gente così ottenuta, ossia dal problema di Cauchy
ms̈ = −mghλ , s ( 0) = 0 , ṡ(0) = 0 ,
che ha per soluzione
ghλ 2
s( t) = − t , t ∈ R.
2
C) Quindi nell’istante t̄ in cui
gh2 λ2 2
−2πh = x3 (t̄) = hλs(t̄ ) = − t ,
2
deve essere r
2 π
t̄ = .
λ gh
Dunque di nuovo con un calcolo diretto
f vin (t̄ ) = 4πmgλ2 RhN (s(t̄ )) + mgRλB(s(t̄ )) = mgRλ2 (−4πh, −h, R) .

Esempio 5.22. Consideriamo il caso dell’esercizio precedente, con la va-
riante che la reazione vincolare ha componente tangente data in valore
assoluto da
| f vin · T | = µ |( f vin · N ) N + ( f vin · B) B| , µ > 0, (5.26)
e di segno opposto a quello di ṡ, ossia tale da opporsi al moto. Dunque
vale la legge di attrito dinamico della Definizione 5.17.
L’idea è sempre quella di imporre nelle equazioni di moto la traiettoria as-
segnata come vincolo. In questo caso però l’equazione di moto scomposta
nella terna intrinseca dà
ms̈ = T · F + T · f vin ,
mkṡ2 = N · F + N · f vin ,
0 = B · F + B · f vin .
Le ultime due equazioni possono essere usate per ricavare il termine T ·
f vin in funzione dei parameteri e di ṡ, e sostituirlo nella prima equazione.
Essa diventa quindi
q
s̈ = − ghλ − µ k2 ṡ4 + g2 R2 λ2 .
Insieme ai dati iniziali essa ha soluzione unica, che quindi può essere usa-
ta come sopra per determinare per esempio la reazione vincolare. Tut-
tavia questa soluzione non può essere espressa in termini di funzioni
elementari. 
Esempio 5.23. Un elemento materiale P di massa m è vincolato alla super-
ficie q 
x3 = f x12 + x22 , f ∈ C3 ((0, +∞)) .
Su di esso agisce il peso −mge3 . Il vincolo è liscio.
Dimostrare che il moto, non di quiete, può essere circolare su x12 + x22 = R2 ,
R > 0, se e solo se f ′ ( R) > 0.
74 DANIELE ANDREUCCI

L’equazione di moto è
ma = −mge3 + f vin .
Scomponiamola nelle tre componenti scalari opportune. Conviene usa-
re le coordinate polari nel piano he1 , e2 i come parametri della superficie.
Dunque consideriamo la rappresentazione lagrangiana
{(r cos ϕ, r sin ϕ, f (r)) | r > 0 , ϕ ∈ (0, 2π )} .
Troviamo derivando i versori tangenti
1
Tr = p (cos ϕ, sin ϕ, f ′ (r)) , T ϕ = (− sin ϕ, cos ϕ, 0) ,
1+ f ′ (r )2
e il versore normale
1
N = Tr × T ϕ = − p (− f ′ (r) cos ϕ, − f ′ (r) sin ϕ, 1) .
1 + f ′ (r )2
Derivando la rappresentazione lagrangiana del moto si ottiene

a = r̈ cos ϕ − 2ṙ ϕ̇ sin ϕ + r(− ϕ̈ sin ϕ − ϕ̇2 cos ϕ) ,
r̈ sin ϕ + 2ṙ ϕ̇ cos ϕ + r( ϕ̈ cos ϕ − ϕ̇2 sin ϕ) ,

r̈ f ′ (r) + ṙ2 f ′′ (r) .

Dato che per ipotesi f vin è parallela a N si ottiene per le componenti


parallele alla superficie
ma · T r = −mge3 · T r ,
ma · T ϕ = −mge3 · T ϕ ,
da cui calcolando i prodotti scalari

r̈ − r ϕ̇2 + r̈ f ′ (r)2 + ṙ2 f ′ (r) f ′′ (r) = − g f ′ (r) , (5.27)


2ṙ ϕ̇ + r ϕ̈ = 0 . (5.28)
(Si invita il lettore a notare e spiegare la somiglianza di parti delle equa-
zioni sopra con le accelerazioni radiale e trasversale introdotte nell’Esem-
pio 4.12.)
Imponendo che r(t) = R per ogni t, e quindi ṙ = r̈ = 0, si ottiene

R ϕ̇2 = g f ′ ( R) ,
R ϕ̈ = 0 .
Ne segue la tesi, e inoltre che il moto circolare in questione risulta unifor-
me.
Più in generale notiamo che le (5.27)–(5.28) permettono di ricavare il moto
del punto, per qualunque scelta delle condizioni iniziali (compatibili con
il vincolo). Successivamente le funzioni (r(t), ϕ(t)) così determinate pos-
sono essere sostituite nella componente normale dell’equazione di moto
per ottenere la reazione vincolare f vin . 
5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI FISSI 75

Esempio 5.24. Un punto materiale P di massa m è vincolato a muoversi


sulla superficie
x3 = x1 + αx22 ,
sotto l’azione della forza peso −mge3 . La superficie esercita una reazione
con una componente di attrito dinamico di coefficiente µ < 1.
Si scrivano le equazioni del moto del punto, e successivamente si determi-
ni il moto nel caso delle condizioni iniziali
e1 + e3
X (0) = (1, 0, 1) , Ẋ (0) = v0 √ , v0 ∈ R , v0 6 = 0 .
2
A) Usiamo come coordinate indipendenti
( x, y) = ( x1 , x2 ) ∈ R2 .
Dunque la superficie risulta parametrizzata da
{( x, y, x + αy2 ) | ( x, y) ∈ R2 } ,
cosicché i versori tangenti sono
1 1
T x = √ (1, 0, 1) , Ty = p (0, 1, 2αy) ,
2 1 + 4α2 y2
e quello normale è
1
N = Tx × Ty = p (−1, −2αy, 1) .
2 + 8α2 y2
Le equazioni di moto sono date quindi in forma scalare da
ma · T x = −mge3 · T x + f vin · T x ,
ma · T y = −mge3 · T y + f vin · T y ,
ma · N = −mge3 · N + f vin · N .
B) L’accelerazione si ottiene subito derivando la rappresentazione lagran-
giana del moto come
a = ( ẍ, ÿ, ẍ + 2αẏ2 + 2αyÿ ) .
Resta da determinare la componente tangente della f vin , per cui invochia-
mo la legge di attrito dinamico e la terza equazione scalare sopra:
2αẏ2 + g
[ f vin ]k = µ | f vin · N | = µ |ma · N + mge3 · N | = µm p .
2 + 8α2 y2
Direzione e verso della [ f vin ] k seguono dal fatto che opponendosi al moto
deve essere diretta come −v:
v
[ f vin ]k = − [ f vin ]k = −h( ẋ, y, ẏ)v = −h( ẋ, y, ẏ)( ẋ, ẏ, ẋ + 2αyẏ ) ,
|v |
ove si è posto
2αẏ2 + g
h( ẋ, y, ẏ) = µm p p .
2 + 8α2 y2 ẋ2 + ẏ2 + ( ẋ + 2αyẏ )2
76 DANIELE ANDREUCCI

C) Calcolando i prodotti scalari nelle equazioni di moto si ottiene dalle


prime due
g 1
ẍ + αẏ2 + αyÿ = − − h( ẋ, y, ẏ )( ẋ + αyẏ ) ,
2 m
1
2αy ẍ + ÿ + 4α2 y2 ÿ + 4α2 yẏ2 = −2gαy − h( ẋ, y, ẏ)(ẏ + 2αy ẋ + 4α2 y2 ẏ) .
m
D) Calcoliamo infine la soluzione delle equazioni di moto nelle condizioni
iniziali specificate sopra. Notiamo prima che esse sono ammissibili, ossia
compatibili con i vincoli, e corrispondono alle condizioni di Cauchy per il
sistema di e.d.o. date da
v 
0
( x(0), y(0)) = (1, 0) , ( ẋ(0), ẏ(0)) = √ , 0 .
2
L’intuizione fisica e geometrica ci suggerisce che il moto avverrà sul piano
x2 = 0; dunque tentiamo di trovare una soluzione con y(t) = 0 per ogni t.
Operando questa sostituzione la seconda equazione risulta identicamente
soddisfatta, mentre la prima dà
g g ẋ
ẍ = − − µ .
2 2 | ẋ |
Occorre dunque distinguere due casi.
Caso v0 > 0: l’equazione di moto diviene
g g
ẍ = − − µ ,
2 2
almeno nell’intervallo massimale di tempo (0, t̄ ) ove ẋ > 0. La soluzione
del problema ai valori iniziali è
1+µ 2 1+µ
x ( t ) = 1 + v0 t − gt , ẋ(t) = v0 − gt .
4 2
A partire dall’istante t̄ in cui ẋ = 0 il moto non è più determinato dalle
informazioni che abbiamo. Per esempio dobbiamo assegnare la legge di
attrito statico per capire se il punto resta in quiete per t > t̄ o no.
Caso v0 < 0: l’equazione di moto diviene
g g
ẍ = − + µ ,
2 2
almeno nell’intervallo massimale di tempo (0, t̄ ) ove ẋ < 0. La soluzione
del problema ai valori iniziali è
1−µ 2 1−µ
x ( t ) = 1 + v0 t − gt , ẋ(t) = v0 − gt .
4 2
Dunque risulta ẋ < 0 per ogni t > 0, e di fatto t̄ = +∞. Quindi il moto
trovato è valido per ogni tempo.
Vale la pena osservare che, trovata sia pure per tentativi una soluzione
del sistema di e.d.o., il teorema di esistenza e unicità di soluzioni locali
garantisce che essa è l’unica soluzione. 
5.5. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI MOBILI. 77

5.5. Moto di un punto vincolato a vincoli mobili.


Esempio 5.25. Una retta r(t) si muove mantenendosi sovrapposta all’asse
fisso x1 , con velocità di traslazione −αte1 , con α > 0 costante.
Un punto materiale P di massa m è vincolato a r(t), e al tempo t = 0 ha
velocità relativa a r(0) data da vS (0) = v0 e1 , con v0 > 0.
Su P agisce la forza
F = −µvS , µ > 0 costante,
ove vS è la velocità di P relativa a r(t).
Determiniamo i valori dei parametri α, µ, v0 per cui il moto di P relativo a
r(t) è uniforme (cioè |vS | è costante).
Consideriamo un sistema di riferimento mobile S = (O, (uh )), che trasla
rispetto al sistema di riferimento fisso, con l’origine O solidale con r, e
l’asse coordinato u1 = e1 coincidente con r. Indichiamo con s l’ascissa su
quest’asse.
L’equazione di moto in S è
maS = −µvS + F t + F c + f vin ,
ove aS e vS denotano rispettivamente accelerazione e velocità relative a S .
Proiettando su u1 si ottiene
ms̈ = −µṡ + mα ,
ṡ(0) = v0 ,
dato che F c e f vin sono ortogonali a u1 , e F t = mαu1 nel caso presente.
La velocità vS = ṡu1 risulta perciò costante se e solo se
−µv0 + mα = 0 .

Esempio 5.26. Consideriamo il sistema di riferimento mobile S = (O, (uh ))
ove O è l’origine del sistema di riferimento fisso, e
u1 = cos(ωt) e1 + sin(ωt) e2 ,
u2 = − sin(ωt) e1 + cos(ωt) e2 ,
u 3 = e3 .
Indichiamo con (yi ) le coordinate in S . Un punto P di massa m è vincolato
alla circonferenza scabra solidale con S di equazioni

y21 + y22 = R2 , y3 = 0 .
Il punto P è soggetto alla reazione vincolare f vin , che soddisfa la legge di
attrito dinamico (5.24).
Scriviamo l’equazione di moto di P fino al primo istante in cui ha velocità
nulla in S , sapendo che all’istante iniziale
−→
OP(0) = Ru1 (0) , v S ( 0) = v0 u2 ( 0) ,
con v0 > 0.
78 DANIELE ANDREUCCI

Scegliendo l’ascissa curvilinea s sulla circonferenza γ in modo opportuno,


questa risulta parametrizzata da
s s
s 7→ R cos u1 + R sin u2 , s ∈ [−πR, πR] ,
R R
cosicché
s s s s
T (s) = − sin u1 + cos u2 , N (s) = − cos u1 − sin u2 , B(s) = u3 ,
R R R R
1
k( s) = .
R
Prendiamo s come coordinata per P; allora
vS (t) = ṡ(t) T (s(t)) .
In S su P agiscono anche le forze fittizie: la forza di trascinamento
−→ −→
F t = −mω × (ω × OP) = mω 2 OP = −mω 2 RN ,
e quella di Coriolis
F c = −2mω × vS = −2mω ṡu3 × T = −2mω ṡN .
Dunque l’equazione di moto vettoriale proiettata sulla terna intrinseca dà
ms̈ = f vin · T ,
ṡ2
m = f vin · N − mω 2 R − 2mω ṡ ,
R
0 = f vin · B .
Perciò l’equazione di moto scalare, almeno finché ṡ > 0 (si noti che ṡ(0) =
v0 > 0), è data da
 ṡ2 
ms̈ = f vin · T = − | f vin · T | = −µ | f vin · N | = −µ m + mω 2 R + 2mω ṡ .
R
Notiamo che senz’altro ṡ si annulla per qualche tempo positivo. Infatti si
ha dall’equazione di moto, finché ṡ > 0,
s̈ < −µωR ,
e dunque
ṡ(t) < ṡ(0) − µωRt = v0 − µωRt ,
che implica che ṡ(t̄) = 0 per qualche istante t̄ < v0 /(µω 2 R). 
CAPITOLO 6

Corpi rigidi

6.1. Corpi rigidi


Le definizioni di sistemi rigidi date nelle Sezioni 4.6 e 4.7 sono appropriate
per descrivere il moto di un corpo rigido. Quello che ancora manca per
introdurre la dinamica dei rigidi è la geometria delle masse, ossia un modello
della massa del rigido e della sua distribuzione spaziale. Si noti infatti che,
per esempio, tutti i rigidi non degeneri vengono rappresentati nello stesso
modo nella Sezione 4.6.
Il termine corpo rigido viene usato qui in riferimento a questa proprietà
materiale.
Notazione 6.1. In questo capitolo O denoterà sempre l’origine del sistema
solidale con il rigido S = (O, M), M = (uh ). 
6.1.1. Corpo rigido non degenere.
Definizione 6.2. Una terna (C, ρ, S) si dice corpo rigido (non degenere) se:
1) S = ( X O , M) è un sistema di riferimento mobile nel senso della Defi-
nizione 2.26, con M = (uh ).
C ⊂ R3 è un sottoinsieme chiuso e limitato, detto immagine o supporto del
corpo rigido, o, per brevità, corpo rigido. I moti
3
X (t; λ) = X O (t) + ∑ λh u h ( t) , (6.1)
h =1

per λ ∈ C si dicono moti dei punti del corpo rigido.


2) La densità ρ è una funzione integrabile e positiva
ρ : C → (0, ∞) ,
con integrale strettamente positivo.
3) C contiene tre punti non allineati.
Il sistema di riferimento mobile S si dice sistema di riferimento solidale con
il corpo rigido, e la sua velocità angolare si dice anche velocità angolare del
corpo rigido. 
L’integrabilità di ρ va intesa in senso opportuno, vedi l’Osservazione 6.6.
Inoltre il sistema S va inteso come rappresentante della famiglia di sistemi
di riferimento solidali con esso (si veda l’Osservazione 2.39).

6.1.2. Asta rigida, o corpo rigido degenere rettilineo. La parte 3) della


Definizione 6.2 non è soddisfatta nei casi, peraltro di notevole interesse,
dell’asta rigida e del singolo punto materiale.
79
80 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 6.3. Una terna (C, ρ, S0 ) si dice corpo rigido degenere rettilineo,
o asta rigida, se:
1) S0 = ( X O , u) è una coppia formata da un moto X O e da un versore
mobile u.
C ⊂ R è un sottoinsieme chiuso e limitato, detto immagine o supporto
dell’asta rigida, o, per brevità, asta rigida. I moti
X (t; λ) = X O (t) + λu(t) , (6.2)
per λ ∈ C si dicono moti dei punti dell’asta rigida.
2) La densità ρ è una funzione integrabile e positiva
ρ : C → (0, ∞) ,
con integrale strettamente positivo.
3) C contiene almeno due punti distinti. 
Nel seguito riferendoci a un insieme di corpi rigidi useremo la notazione
uniformata {(Ci , ρi , Si )} perfino se alcuni dei Ci sono elementi materiali;
in questo caso ovviamente ρi è in sostanza la massa; Si non viene usato,
ma può essere pensato come il punto stesso.
Definizione 6.4. Nei due casi del corpo rigido non degenere, e rispettiva-
mente dell’asta rigida, si definiscono moti solidali con il corpo rigido i moti
della forma (6.1) con λ ∈ R3 , e rispettivamente (6.2) con λ ∈ R. 
Osservazione 6.5. Se il corpo rigido non è un punto materiale, nella scelta
delle coordinate locali i moti X (t; λ′ ) e X (t; λ′′ ) considerati nelle Sezioni
4.6 e 4.7 possono in principio essere arbitrari moti solidali con il rigido
stesso (alle condizioni ivi enunciate).
Nel seguito tuttavia supporremo sempre che questi moti siano scelti in
modo che λ′ , λ′′ ∈ C.
Questo garantisce che le coordinate locali canoniche siano coordinate car-
tesiane di moti di punti ove la densità è positiva: ρ(λ′ ), ρ(λ′′ ) > 0, il che
verrà usato nella dimostrazione dell’importante Teorema 9.7. 
6.1.3. Parametrizzazione dei corpi rigidi. Useremo spesso una parame-
trizzazione del corpo rigido, nella forma
C = Λ( D ) = {λ(s) | s ∈ D } ,
ove D è un insieme di parametri che conserva traccia della dimensione del
sistema rigido; nel seguito considereremo solo i casi seguenti:
D.1 D un insieme finito;
D.2 D un intervallo chiuso di R;
D.3 D un dominio compatto regolare di R2 ;
D.4 D un dominio compatto regolare di R3 .
La funzione s 7→ λ si assume soddisfare le usuali condizioni di regolarità,
e in particolare la biunivocità.
Si noti che il caso dell’asta rigida corrisponde a 6.D.1 o a 6.D.2 (ma non
viceversa: in questi due casi ricadono anche corpi rigidi non degeneri).
Osservazione 6.6. L’integrabilità di ρ va intesa nel senso opportuno, as-
sociato alla dimensione di D.
6.1. CORPI RIGIDI 81

Per esempio, nel caso 6.D.2 la ρ deve essere integrabile nel senso degli
integrali di curva, nel caso 6.D.3 nel senso degli integrali di superficie, e
nel caso 6.D.4 nel senso degli integrali di volume. Infine, nel caso 6.D.1
l’integrale si riduce a una somma finita.
Uniformeremo comunque sempre la simbologia come in
Z
ρ(λ) dµ (λ) , (6.3)
Λ( D )

per indicare tutti questi casi. Qui dµ (λ) indica la misura adatta alla geo-
metria del rigido, che può essere di linea, di superficie, di volume. Nel
caso di rigidi formati da un numero finito di punti è la cosiddetta ‘misura
che conta’, e l’integrale come già osservato si riduce a una sommatoria. 
6.1.4. Esempi. In tutti gli esempi seguenti prendiamo come intervallo tem-
porale I = (0, ∞), e denotiamo con α, β, R e L costanti positive.
6.D.1) Caso D = insieme finito: tre punti a distanze fisse.
Sia D = {1, 2, 3}. Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato
da
X O (t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt)e1 + sin( βt)e2 ,
u2 (t) = − sin( βt)e1 + cos( βt)e2 ,
u3 ( t) = e3 .
Sia poi
C = {λ(1), λ(2), λ(3)} ,
ove
λ(1) = (0, 0, 0) , λ(2) = ( L, 0, L) , λ(3) = ( L, 0, 0) ,
cosicché
X (t; λ(1)) = X O (t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) ,
X (t; λ(2)) = X O (t) + L(cos( βt), sin( βt), 1) ,
X (t; λ(3)) = X O (t) + L(cos( βt), sin( βt), 0) .
6.D.2) Caso D ⊂ R: asta rigida.
Sia D = [− L, L].
Introduciamo il sistema di riferimento mobile dato da
X O (t) = (αt2 , βt, 0) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = αν(t)t2 e1 + βν(t)te 2 ,
u2 (t) = − βν(t)te 1 + αν(t)t2 e2 ,
u3 ( t ) = e 3 ,
ove 1
ν ( t ) = ( α 2 t4 + β2 t2 ) − 2 .
Sia poi
C = {λ( s) | − L ≤ s ≤ L } ,
82 DANIELE ANDREUCCI

ove
λ(s) = (s, 0, 0) ,
cosicché per ogni fissato s
X (t; λ(s)) − X O (t) = su1 (t) .
Ossia
X (t; λ(s)) = (αt2 , βt, 0) + ν(t)(αt2 , βt, 0)s .
Nella notazione della Definizione 6.3 il versore u coincide quindi con u1 , e
il sistema rigido solidale con l’insieme dei moti
X (t; (λ1 , 0, 0)) = X O (t) + λ1 u1 (t) , λ1 ∈ R .
2
6.D.3) Caso D ⊂ R : disco, giacente su un piano coordinato solidale.
Sia
D = {s = (s1 , s2 ) | s21 + s22 ≤ R2 } .
Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato da
X O (t) = (0, 0, L cos(αt)) , M = (uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt2 )e1 + sin( βt2 )e3 ,
u 2 ( t ) = e2 ,
u3 (t) = − sin( βt2 )e1 + cos( βt2 )e3 .
Sia poi
C = {λ( s) | s ∈ D } ,
ove
λ ( s ) = ( s1 , s2 , 0) ,
cosicché per ogni fissato s
X (t; λ(s)) − X O (t) = s1 u1 (t) + s2 u2 (t) ,
ossia
X (t; λ(s)) = (s1 cos( βt2 ), s2 , L cos(αt) + s1 sin( βt2 )) .
6.D.4) Caso D ⊂ R3 : cilindro circolare, con asse giacente su un asse
coordinato solidale.
Sia
D = {s = (s1 , s2 , s3 ) | s21 + s22 ≤ R2 , 0 ≤ s3 ≤ L} .
Il sistema di riferimento solidale S = (O, M) sia dato da
X O (t) = (0, 0, −αt) , M = ( uh ) ,
con
u1 (t) = cos( βt)e1 − sin( βt)e2 ,
u2 (t) = sin( βt)e1 + cos( βt)e2 ,
u 3 ( t ) = e3 .
Sia poi
C = {λ( s) | s ∈ D } ,
ove
λ ( s ) = ( s1 , s2 , s3 ) ,
6.2. QUANTITÀ MECCANICHE NEI RIGIDI 83

cosicché per ogni fissato s


X (t; λ(s)) − X O (t) = s1 u1 (t) + s2 u2 (t) + s3 u3 (t) ,
ossia
X (t; λ(s)) = (s1 cos βt + s2 sin βt, −s1 sin βt + s2 cos βt, s3 − αt) .
Il prossimo esempio riguarda il problema inverso a quello posto nell’Eser-
cizio ??; ossia, descritto un moto rigido in termini elementari, vogliamo
costruirne il modello matematico esplicito.
Esempio 6.7. Vogliamo descrivere come sistema rigido il moto di una ca-
lotta emisferica C di raggio R, che ruota intorno all’asse fisso x3 , a essa
tangente nel suo polo, o vertice, O, assunto fisso anch’esso.
Scegliamo O come origine del sistema di riferimento solidale, cosicché nel
sistema solidale la parametrizzazione di C potrà essere
λ1 (s) = R cos s1 sin s2 ,
λ2 (s) = R sin s1 sin s2 − R , (s1 , s2 ) ∈ D = [0, π ] × [0, π ] .
λ3 (s) = R cos s2 ,
Quindi O coincide con λ(π/2, π/2).
Dobbiamo ora descrivere il moto della terna solidale. Dato che e3 deve
appartenere al piano tangente a Λ( D ) in O, la nostra scelta della para-
metrizzazione solidale implica che dovrà essere ortogonale a u2 , che è
appunto la direzione radiale della calotta in O. Scegliamo per semplicità
u 3 = e3 .
Se l’angolo descritto nella rotazione è pari ad α(t), t ≥ 0, con α(0) = 0, si
avrà
u1 (t) = cos α(t)e1 + sin α(t)e2 ,
u2 (t) = − sin α(t)e1 + cos α(t)e2 ,
u3 ( t) = e3 .
I moti del corpo rigido saranno allora

X (t; λ(s)) = X O + λ1 (s) cos α(t) − λ2 (s) sin α(t) e1

+ λ1 (s) sin α(t) + λ2 (s) cos α(t) e2 + λ3 (s)e3 ,
ove X O dà la posizione costante di O nel sistema di riferimento fisso. 

6.2. Quantità meccaniche nei rigidi


La massa del rigido si calcola come
Z
m= ρ(λ) dµ (λ) . (6.4)
Λ( D )

La quantità di moto è definita da


Z
∂X
P ( t) = (t; λ)ρ(λ) dµ (λ) , (6.5)
∂t
Λ( D )
84 DANIELE ANDREUCCI

e il momento delle quantità di moto (di polo Z) da


Z  ∂X
L Z ( t) = X (t; λ) − X Z (t) × (t; λ)ρ(λ) dµ (λ) . (6.6)
∂t
Λ( D )

L’energia cinetica è data da


Z 2
1 ∂X
T ( t) = (t; λ) ρ(λ) dµ (λ) . (6.7)
2 ∂t
Λ( D )

Infine il centro di massa G ha coordinate nel sistema solidale date da


Z
1
λG = λρ(λ) dµ (λ) . (6.8)
m
Λ( D )

Esempio 6.8. Troviamo l’energia cinetica di una circonferenza materiale


che ruota intorno all’asse fisso a essa ortogonale, passante per il suo centro,
che a sua volta si muove lungo tale asse.
In questo caso D = [0, 2π ], e i moti del sistema sono dati da

X (t; λ(s)) = R cos(s + α(t)), R sin(s + α(t)), β(t) . (6.9)
La densità si assume uniforme, ρ(λ(s)) = ρ0 , 0 ≤ s ≤ 2π. Qui R, ρ0 sono
costanti positive, e α, β ∈ C2 ( R).
Secondo la (6.7) (e la definizione di integrale curvilineo) si ha
Z2π 2
1 ∂X ∂
T ( t) = (t; λ(s)) ρ0 X (t; λ(s)) ds
2 ∂t ∂s
0
Z2π
1  
= R2 α̇ (t)2 + β̇(t)2 ρ0 R ds = π R2 α̇ (t)2 + β̇(t)2 ρ0 R . (6.10)
2
0

Esempio 6.9. Troviamo, rispetto all’origine del sistema di riferimento fisso,
il momento delle quantità di moto della superficie materiale che all’istante
iniziale occupa la posizione
x3 = βx1 x2 , 0 ≤ x12 + x22 ≤ R2 , (6.11)
e che ruota intorno all’asse fisso x3 con moto uniforme. Qui le xh sono le
coordinate nel sistema di riferimento fisso.
In questo caso D = {s21 + s22 ≤ R2 }, e i moti del sistema sono dati da
X (t; λ(s)) = s1 cos αt + s2 sin αt,
− s1 sin αt + s2 cos αt, (6.12)

βs1 s2 .
La densità si assume uniforme, ρ(λ(s)) = ρ0 , s ∈ D. Qui R, α, β, ρ0 sono
costanti positive. Dalla definizione (6.6) si ha, prendendo Z = O, ove O
è l’origine comune al sistema di riferimento fisso e a quello solidale, e
denotando
∂Xh
Ẋh = , h = 1,2,3,
∂t
6.3. IL TENSORE D’INERZIA 85

che
Z
∂X
LO (t) = X (t; λ) × (t; λ)ρ(λ) dµ (λ)
∂t
Λ( D )
Z 
= − Ẋ2 X3 e1 + Ẋ1 X3 e2 + ( X1 Ẋ2 − Ẋ1 X2 )e3
D
q
× ρ0 1 + |∇ (s1 ,s2 ) X3 |2 ds1 ds2

(usando qui argomenti di simmetria, e disparità dell’integrando)


Z q
= e3 ρ0 ( X1 Ẋ2 − Ẋ1 X2 ) 1 + β2 (s21 + s22 ) ds1 ds2
D
Z q
= − e 3 ρ0 α (s21 + s22 ) 1 + β2 (s21 + s22 ) ds1 ds2
D
2π n 2 2 23 2 2 2 2 25 2 o
= − ρ0 α ( 1 + β R ) R − ( 1 + β R ) + e3 .
3β2 5β2 5β2


6.3. Il tensore d’inerzia


Notazione 6.10. In questa Sezione ω è la velocità angolare del corpo
rigido (C, ρ, S). 

Definizione 6.11. L’operatore lineare σ : R3 → R3 definito da


Z  
 
σv = − X (t; λ) − X Z (t) × X (t; λ) − X Z (t) × v ρ(λ) dµ (λ) ,
Λ( D )
(6.13)
3
per ogni v ∈ R , si dice omografia d’inerzia o tensore d’inerzia di polo X Z . 

Per brevità la notazione σ non contiene di solito riferimenti né a t né a X Z ,


nonostante l’omografia d’inerzia dipenda da entrambi. In questa Sezione
σ avrà sempre un generico polo X Z , con l’eccezione del Teorema 6.14 e
del suo Corollario 6.15, ove si assume che il polo sia l’origine del sistema
solidale O. Quando sarà necessario denoteremo con un apice il punto
in cui si calcola σ (o un’altra quantità): per esempio σ G è l’omografia
d’inerzia di polo il centro di massa G.

Teorema 6.12. Se LZ denota il momento delle quantità di moto definito nella


(6.6), si ha

LZ (t) = σω(t)
 
dX O  
+ m X G ( t) − X Z ( t) × (t) + ω(t) × X Z (t) − X O (t) . (6.14)
dt
Qui O denota l’origine del sistema di riferimento solidale S .
86 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Dalla definizione (6.6) e dalla formula per le velocità di


moti solidali (2.28) si ha:

Z  
 dX O 
L Z ( t) = X (t; λ) − X Z (t) × (t) + ω(t) × X (t; λ) − X O (t)
dt
Λ( D )

× ρ(λ) dµ (λ)
Z  
 
= X (t; λ) − X Z (t) × ω(t) × X (t; λ) − X Z (t) ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z  
 dX O 
+ X (t; λ) − X Z (t) × ( t) + ω( t) × X Z ( t) − X O ( t)
dt
Λ( D )

× ρ(λ) dµ (λ)
 
 dX O 
= σω(t) + m X G (t) − X Z × ( t) + ω( t) × X Z ( t) − X O ( t) .
dt

Corollario 6.13. Se il moto X Z è solidale con il rigido, allora

 dX Z
LZ (t) = σω (t) + m X G (t) − X Z (t) × ( t) . (6.15)
dt

Se inoltre, in particolare,

dX Z
( t) = 0 , (6.16)
dt

oppure

X Z ( t) = X G ( t) , (6.17)

allora

LZ (t) = σω(t) . (6.18)

Teorema 6.14. Se T denota l’energia cinetica definita nella (6.7), e se σ denota


il tensore d’inerzia di polo X O , si ha

1
T ( t) = σω (t) · ω (t)
2
2
1 dX O dX O 
+ m ( t) + m (t) · ω(t) × X G (t) − X O (t) . (6.19)
2 dt dt
6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 87

Dimostrazione. Dalla definizione (6.7) e dalla formula per le velocità di


moti solidali (2.28) si ha:
Z 2
1 ∂X
T ( t) = (t; λ) ρ(λ) dµ (λ)
2 ∂t
Λ( D )
Z 2
1 dX O
= (t) ρ(λ) dµ (λ)
2 dt
Λ( D )
Z
dX O 
+ (t) · ω(t) × X (t; λ) − X O (t) ρ(λ) dµ (λ)
dt
Λ( D )
Z
1  2
+ ω(t) × X (t; λ) − X O (t) ρ(λ) dµ (λ) ,
2
Λ( D )

da cui la tesi, ricordando che per la (A.5) vale


 
ω(t) × X (t; λ) − X O (t) · ω(t) × X (t; λ) − X O (t)
 
 
= −ω(t) · X (t; λ) − X O (t) × X (t; λ) − X O (t) × ω(t) .


Corollario 6.15. Nelle ipotesi del Teorema 6.14 se

X G ( t) = X O ( t) , (6.20)

allora
2
1 1 dX O
T ( t) = σω (t) · ω (t) + m ( t) . (6.21)
2 2 dt
Se invece
dX O
( t) = 0 , (6.22)
dt
allora
1
T ( t) = σω(t) · ω(t) . (6.23)
2
Osservazione 6.16. La (6.21) è una versione, nel caso dei corpi rigidi,
del teorema di König, il quale asserisce che l’energia cinetica di un corpo
è data dal secondo termine del membro di destra della (6.21) (‘energia
cinetica del centro di massa’), sommata all’energia cinetica relativa del
corpo nel sistema di riferimento con origine in G e assi paralleli a quelli
fissi. Quest’ultima nel caso dei rigidi si scrive appunto come il primo
termine del membro di destra della (6.21). 

6.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali.


Notazione 6.17. Qui indicheremo con Z il polo per σ. 
88 DANIELE ANDREUCCI

Come tutte le applicazioni lineari di R3 in sé stesso, la σ è esprimibile, una


volta scelta una base ortonormale M = (uh ) di R3 , come una matrice
 
σ11 σ12 σ13
σ M = σ21 σ22 σ23  , (6.24)
σ31 σ32 σ33
ove
σhk = σuk · uh , h,k = 1,2,3.
Iniziamo con l’identificare gli elementi σhk , mostrando che coincidono con
i cosiddetti momenti d’inerzia e deviatori del corpo rigido, di cui diamo
la definizione.
Definizione 6.18. Sia u un vettore unitario. Allora si chiama momento
d’inerzia del corpo rigido (C, ρ, S) rispetto alla retta r per Z di direzione u
la quantità Z
Iuu = dist( X (t; λ), r)2 ρ(λ) dµ (λ) . (6.25)
Λ( D )

Definizione 6.19. Siano u e v due vettori unitari, tra di loro ortogonali.
Allora si chiama momento deviatore del corpo rigido (C, ρ, S) rispetto ai due
piani per Z di normali u e v la quantità
Z   
Iuv = − [X (t; λ) − X Z (t)] · u [X (t; λ) − X Z (t)] · v ρ(λ) dµ (λ) .
Λ( D )
(6.26)

Osservazione 6.20. Il momento deviatore in sostanza è dato dall’integrale
del prodotto delle distanze (con segno) dai piani (passanti per Z) normali
ai due versori assegnati. Quindi può assumere in genere valori positivi,
negativi o nulli. Invece il momento d’inerzia assume sempre valore non
negativo, e in realtà si annulla se e solo se tutti i punti del corpo rigido
giacciono su r (caso dell’asta rigida o del punto).
Si noti anche che dalla Definizione 6.19 segue subito che per ogni scelta di
u, v conforme alle ipotesi là introdotte
Iuv = Ivu .

Osservazione 6.21. La (6.25) si può anche riscrivere come
Z
Iuu = |[X (t; λ) − X Z (t)] × u|2 ρ(λ) dµ (λ) . (6.27)
Λ( D )


Si noti che Iuu e Iuv dipendono in genere dal tempo t, sia perché i moti
X (t; λ) e X Z (t) sono funzioni di t, sia perché non abbiamo affatto escluso
che i versori u e v siano anch’essi mobili.
Infatti saremo interessati soprattutto a quest’ultimo caso, in cui assume
grande rilevanza il seguente risultato.
6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 89

Proposizione 6.22. Se X Z e u, v sono solidali con il rigido, i momenti Iuu e Iuv


sono costanti nel tempo.
Dimostrazione. L’enunciato segue subito dalle (6.26) e (6.27), quando si
compia l’osservazione elementare che, se a1 e a2 sono vettori solidali con
una medesima terna mobile M, le quantità
a1 · a2 , | a1 × a2 |
sono costanti nel tempo, come segue subito dalla Definizione 2.16 e dal
Lemma A.18. 
Nel prossimo Teorema si prescinde comunque da ogni assunzione sulla
solidalità di Z e u, v.
Teorema 6.23. Se u è un vettore unitario, allora
σu · u = Iuu . (6.28)
Se u e v sono due vettori unitari ortogonali tra di loro, allora
σu · v = Iuv . (6.29)
Dimostrazione. Per la definizione (6.13) di σ si ha, invocando anche il
Lemma A.7
Z  
σu · u = − [X (t; λ) − X Z (t)] × [X (t; λ) − X Z (t)] × u · uρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z  2
= [X (t; λ) − X Z (t) × u ρ(λ) dµ (λ) = Iuu .
Λ( D )

Ancora dalla definizione (6.13) e dal Lemma A.22 segue che


Z  
σu · v = − [X (t; λ) − X Z (t)] × [X (t; λ) − X Z (t)] × u · vρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z  
=− [X (t; λ) − X Z (t)] · u [X (t; λ) − X Z (t)]
Λ( D )

2
− | X (t; λ) − X Z (t)| u · vρ(λ) dµ (λ) = Iuv ,

ricordando che u e v sono ortogonali. 


Nel seguito, fissata una terna M = (uh ), denoteremo
Ihk = Iuh uk .
Come immediata conseguenza del Teorema 6.23 si ha
Corollario 6.24. La matrice σ M che rappresenta σ in M è simmetrica e
soddisfa  
I11 I12 I13
σ M =  I12 I22 I23  . (6.30)
I13 I23 I33
Il seguente risultato è centrale nella meccanica dei rigidi.
90 DANIELE ANDREUCCI

Teorema 6.25. La forma quadratica definita da σ è semidefinita positiva, ed è


anzi definita positiva se il corpo rigido non è composto di soli punti allineati su
una retta.
Dimostrazione. Sia v un qualunque vettore di R3 , non nullo, e denotia-
mo
v
u= .
|v |
Allora
σv · v = Iuu |v|2 ≥ 0 .
La disuguaglianza è stretta se i punti di (C, ρ, S) non sono tutti allineati
sulla retta per Z parallela a u, come già osservato. 
La forma quadratica definita da σ, nella base M, si scrive come
3 3
σv · v = σ M x · x = ∑ Ihk xh xk , se v= ∑ xh u h . (6.31)
h,k=1 h =1

Ricordiamo il seguente risultato, noto dall’algebra lineare:


Lemma 6.26. Sia A una matrice N × N simmetrica reale. Esiste allora una
matrice invertibile reale N × N B tale che B −1 = B t e che
B t AB
è una matrice diagonale.
Teorema 6.27. Sia X Z un moto solidale con il rigido. Esiste (almeno) una terna
solidale M = (uh ) tale che la matrice σ M è diagonale, ossia
 
I11 0 0
σ M =  0 I22 0  . (6.32)
0 0 I33
Dimostrazione. Iniziamo con lo scomporre σ in una qualunque terna
solidale ortonormale N = (wh ); la relativa matrice σ N è simmetrica, come
visto nel Corollario 6.24. Quindi esiste una matrice B = (bij ) come nel
Lemma 6.26 tale che
B t σ N B = diag(α1 , α2 , α3 ) ,
per tre numeri reali opportuni αh . Si noti che B e gli αh sono costanti nel
tempo perché σ N è costante nel tempo (vedi la Proposizione 6.22).
Definiamo poi
3
uh = ∑ bih wi , h = 1,2,3.
i=1
In altri termini, le componenti di ciascun uh nella base N formano una
colonna di B : è noto, ma comunque verifichiamolo, che anche M = (uh )
è ortonormale. Infatti (se (eh ) denota la base standard in R3 )
uh · uk = B eh · B ek = (B ek )t B eh = ek t B t B eh = ek t eh = δhk .
È poi ovvio per definizione che M è solidale.
6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 91

Resta da dimostrare che la matrice σ M è diagonale. Calcoliamone l’ele-


mento di posizione kh:

σuh · uk = σ N B eh · B ek = (B ek )t σ N B eh = ek t B t σ N B eh
= ek t diag(α1 , α2 , α3 )eh = αh δhk .

È quindi dimostrata la (6.32) con Ihh = αh . 


Definizione 6.28. Un versore u tale che

Iuv = 0

per ogni v normale a u si dice principale d’inerzia in Z. 

Ricordiamo che un vettore v 6= 0 si dice autovettore per σ con autovalore


c ∈ R se
σv = cv .
Si verifica che c ∈ R è un autovalore se e solo se

det(σ M − cI ) = 0 . (6.33)

Segue subito dalla Definizione 6.28 e da (6.29):

Corollario 6.29. Un versore u è principale se e solo se è un autovettore di σ.

Dimostrazione. Poiché per ogni versore v ortogonale a u

Iuv = σu · v , (6.34)

allora se u è principale, σu deve essere parallelo a u.


Viceversa, ancora per (6.34), se u è un autovettore si ha Iuv = 0 per ogni v
ortogonale a u e quindi u è principale. 

Definizione 6.30. Una terna ortonormale M composta di tre versori prin-


cipali d’inerzia si dice principale d’inerzia in Z. 
Dal Corollario 6.29 segue subito

Corollario 6.31. La matrice relativa a una terna principale d’inerzia è diago-


nale.

La (6.31) diviene, se M è principale,

σ M x · x = I11 x12 + I22 x22 + I33 x32 . (6.35)

Invocando il Teorema 6.27 si ha infine

Corollario 6.32. Assumiamo che il moto del polo X Z sia solidale. La σ allora
è costante e ha tre autovalori reali coincidenti con i momenti Ihh relativi a una
terna principale d’inerzia in Z.
Gli autovettori corrispondenti sono i versori della terna medesima.
92 DANIELE ANDREUCCI

6.5. Proprietà di estremo degli assi principali


Se
3
u= ∑ β h uh ,
h =1
ove (uh ) è una terna principale, e β h ∈ R, allora da (6.35) segue, introdu-
cendo il vettore colonna ( β h ) = ( β1 , β 2 , β 3 )t
3
Iuu = σu · u = σ M ( β h ) · ( β h ) = ∑ Ihh β2h . (6.36)
h =1

Proposizione 6.33. Vale per ogni versore u, se (uh ) è una terna principale,
min Ihh ≤ Iuu ≤ max Ihh . (6.37)
1≤ h ≤ 3 1≤ h ≤ 3
Se I11 = I22 , allora
Iuu = I11 = I22 , per ogni u = α1 u1 + α2 u2 . (6.38)
Se poi I11 = I22 = I33 , allora Iuu = I11 per ogni u.
Dimostrazione. Ovvia per la (6.36), e per
β21 + β22 + β23 = 1 .

Il Lemma 6.26 e il Teorema 6.27 possono essere sostituiti, in vista del Corollario 6.29, dal
seguente risultato, che ha il vantaggio di porre in luce più diretta le proprietà di massimo
e minimo della terna principale.
Teorema 6.34. Se A = ( aij ) è una matrice reale simmetrica 3 × 3, allora esiste una base
ortonormale in R3 formata di autovettori di A.
Tra i corrispondenti autovalori si trovano il massimo e il minimo della forma quadratica
xt A x , | x| = 1 .
Dimostrazione. Consideriamo la funzione
xt A x 
f ( x) = ∈ C ∞ R 3 \ { 0} .
| x|2
Poiché per ogni scalare γ 6= 0 si ha f (γx) = f ( x), in particolare vale
 x 
f ( x) = f , x 6= 0 ,
| x|
e quindi f assume tutti i suoi valori sulla sfera
S = { x ∈ R 3 | | x | = 1} .
Dunque f ha minimo [rispettivamente massimo] assoluto in R3 \ {0}, assunto in x1 ∈ S
[rispettivamente in x2 ∈ S]. In questi punti deve quindi annullarsi il gradiente ∇ f , che si
trova calcolando
∂f 2 h 2 3 3 i
= | x | ∑ a ih x h − x i ∑ a hk x h x k , i = 1, 2, 3 ,
∂xi | x|4 h =1 h,k =1
come segue dal Teorema A.27. Dunque si ha
2 h 2 t
i
∇ f ( x) = | x | A x − ( x A x ) x .
| x|4
In particolare quindi, visto che | xi | = 1, si ha per i = 1, 2,
A x i = Ci x i , Ci : = x i t A x i . (6.39)
Dunque x1 e x2 sono autovettori di A.
6.5. PROPRIETÀ DI ESTREMO DEGLI ASSI PRINCIPALI 93

Distinguiamo poi due casi:


A) Se vale la disuguaglianza stretta

C1 = min f < max f = C2 , (6.40)

per il Teorema A.28 x1 e x2 sono ortonormali. Consideriamo poi il terzo versore ortonor-
male
x3 = x 1 × x 2 ,

cosicché ( xh ) risulta una terna ortonormale positiva. Resta solo da dimostrare che anche
x3 è un autovettore di A.
Valgono, per la simmetria di A,

x i t A x 3 = x 3 t A x i = Ci x 3 t x i = 0 , i = 1, 2 .

Dunque A x3 risulta ortogonale sia a x1 che a x2 , e perciò deve essere diretto lungo x3 :

A x3 = C3 x3 ,

per C3 ∈ R opportuno.
B) Se invece vale l’uguaglianza

C1 = min f = max f = C2 , (6.41)

allora la f è costante. Quindi tutti i punti di S sono di massimo e di minimo, tutti sono
autovettori, ed è senz’altro possibile scegliere una terna ortonormale positiva di autovettori
di A. 

Osservazione 6.35. Con riferimento alla notazione della dimostrazione del Teorema 6.34,
nel caso min f < max f anche x3 ha un significato per la ricerca dei minimi e dei massimi
di f . Infatti x3 è il punto ove la f , ristretta alla circonferenza

Σ = S ∩ { x · x 2 = 0} ,

raggiunge il massimo. Dimostriamo questo fatto.


Σ può essere descritta come

x = x1 cos ϕ + x3 sin ϕ , ϕ ∈ R.

Dunque per x ∈ Σ

f ( x) = ( x1 cos ϕ + x3 sin ϕ)t A( x1 cos ϕ + x3 sin ϕ)


= C1 cos2 ϕ + C3 sin2 ϕ = : g( ϕ) .

Derivando in ϕ
dg
= 2(C3 − C1 ) sin ϕ cos ϕ .

I punti di estremo si ottengono perciò come

ϕ = nπ , f ( x ) = f ( x1 ) ,
π
ϕ = + nπ , f ( x ) = f ( x3 ) ,
2
al variare di n ∈ Z. Dunque, visto che f ( x1 ) = min f , deve essere

f ( x3 ) = max f .
Σ


94 DANIELE ANDREUCCI

6.6. Ricerca degli assi principali


Definizione 6.36. Un corpo rigido (C, ρ, S) si dice avere un piano solidale
di simmetria materiale ortogonale Π se la funzione densità ρ è simmetrica
rispetto a Π, ossia se, data l’equazione del piano
λ · n = λ0 · n ,
con n versore normale solidale e λ0 ∈ R3 fissato, vale per ogni λ ∈ R3
ρ( λ) = ρ( λ′ ) , per λ ′ = λ − 2( λ − λ 0 ) · n n . (6.42)
Qui ovviamente le λ denotano le coordinate nel sistema solidale. 
Teorema 6.37. Se il corpo rigido ha un piano solidale di simmetria materiale
ortogonale Π, in ogni punto di Π l’asse ortogonale a Π è principale d’inerzia.
Dimostrazione. Si tratta di dimostrare che nel punto λ0 ∈ Π
Inu = 0
per ogni versore u normale a n. Introduciamo la notazione
Σ + = { λ | λ · n > λ0 · n } , Σ − = { λ | λ · n < λ0 · n } ,
Σ0 = { λ | λ · n = λ 0 · n } = Π .
Allora si ha per definizione
Z
Inu = − [(λ − λ0 ) · n ] [(λ − λ0 ) · u] ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z Z Z
=− ... − ... − ... .
Σ+ Σ− Σ0
Vale anzitutto Z
[(λ − λ0 ) · n ] [(λ − λ0 ) · u] ρ(λ) dµ (λ) = 0 .
Σ0
Osserviamo che, con la notazione λ′ introdotta in (6.42) si ha
λ′ ∈ Σ+ ⇐⇒ λ ∈ Σ− .
Per la simmetria di λ e λ′ valgono le
(λ − λ0 ) · n = −(λ′ − λ0 ) · n , ( λ − λ0 ) · u = ( λ ′ − λ0 ) · u .
Dunque
Z
[(λ − λ0 ) · n ] [(λ − λ0 ) · u] ρ(λ) dµ (λ)
Σ−
Z
= [−(λ′ − λ0 ) · n ] [(λ′ − λ0 ) · u] ρ(λ) dµ (λ)
Σ−
Z
=− [(λ′ − λ0 ) · n ] [(λ′ − λ0 ) · u ] ρ(λ) dµ (λ′ )
Σ+
Z
=− [(λ′ − λ0 ) · n ] [(λ′ − λ0 ) · u ] ρ(λ′ ) dµ (λ′ ) .
Σ+
Quindi Inu = 0. 

Proposizione 6.38. Se (C, ρ, S) è un corpo rigido piano, ossia se C è contenuto


in un piano solidale, allora in un punto P qualsiasi di questo piano l’asse normale
al piano è principale.
Inoltre, fissata una terna principale che contiene questo asse, il momento d’inerzia
relativo a tale asse è la somma dei momenti relativi agli altri due assi.
6.6. RICERCA DEGLI ASSI PRINCIPALI 95

Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue subito dal Teorema 6.37: infatti il
piano che contiene C è di simmetria materiale ortogonale.
Possiamo poi supporre che la normale al piano sia u3 , e di denotare con u1 , u2 gli altri due
vettori della terna principale. Supponiamo anche che il punto P coincida con l’origine del
sistema di riferimento solidale. Allora
Z Z Z
I33 = (λ21 + λ22 )ρ(λ) dµ (λ) = λ21 ρ(λ) dµ (λ) + λ22 ρ(λ) dµ (λ) = I11 + I22 ,
Λ( D ) Λ( D ) Λ( D )

visto che
Z
λ23 ρ(λ) dµ (λ) = 0 .
Λ( D )

Teorema 6.39. Se P appartiene a uno degli assi di una terna principale di inerzia
nel centro di massa, una terna principale in P si trova per traslazione di quella
nel centro di massa.
In altri termini: Se (ui ) è una terna principale d’inerzia nel centro di massa G,
che prendiamo coincidente con l’origine del sistema solidale O, e se λ P è tale che

λ P = τu j ,

per opportuni τ ∈ R e j ∈ {1, 2, 3}, allora la (ui ) è principale anche in λ P .

Dimostrazione. Supponiamo per definitezza j = 1. Dobbiamo allora dimostrare che

P P
I12 = I13 = 0.

Si ha
Z
P
I12 = (λ1 − τ )λ2 ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z Z
= λ1 λ2 ρ(λ) dµ (λ) − τλ2 ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D ) Λ( D )
G
= I12 − τλ2G = 0 .

Teorema 6.40. (Huygens) Se Iuu P denota il momento d’inerzia relativo al polo

P, solidale con il rigido, allora

P
Iuu G
= Iuu + md2 ,

ove G è il centro di massa del rigido, m la sua massa e

−→
d = GP × u

la distanza tra gli assi paralleli a u passanti per P e G rispettivamente.


96 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Possiamo supporre che il sistema di riferimento solidale S abbia origine


in G, e che in tale sistema P abbia coordinate λ P . Dunque
Z 2
P
Iuu = (λ − λ P ) × u ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z 2
= (λ × u ) − (λ P × u ) ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z Z
= |λ × u|2 ρ(λ) dµ (λ) − 2 (λ × u) · (λ P × u)ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D ) Λ( D )
Z 2
P
+ λ × u ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
G
= Iuu + md2 .
Infatti
Z Z
(λ × u ) · (λ P × u )ρ(λ) dµ (λ) = λρ(λ) dµ (λ) × u · (λ P × u) = 0 ,
Λ( D ) Λ( D )

perché per ipotesi λG = 0. 

Osservazione 6.41. (Asta rigida) Nel caso in cui il rigido sia degenere
rettilineo, per esempio disposto lungo l’asse solidale u3 , la matrice del
tensore di inerzia in O origine di S , relativa a M = (uh ), è
 
I 0 0
σ M =  0 I 0 .
0 0 0
Qui I > 0 è perciò il momento di inerzia dell’asta rispetto a una qualun-
que retta a essa ortogonale in O.
Solo per curiosità osserviamo che stando alle definizioni il tensore d’i-
nerzia di un punto materiale (che non avremo mai occasione di usare) è
nullo—nel punto stesso. 
6.7. Cambiamenti di base
Teorema 6.42. Sia σ M [rispettivamente σ N ] la matrice che rappresenta σ, nel polo O, nella base
M = (u h ) [rispettivamente N = (wh )]. Allora vale
σ N = B σ M Bt , (6.43)
ove B è la matrice di cambiamento di base da M a N definita da
3
B = (bij ) , wi = ∑ bih uh , i = 1,2,3.
h =1

Dimostrazione. Dato che B è ortogonale, ossia B t B = I , la (6.43) equivale a


σ N B = Bσ M . (6.44)
A sua volta questa sarà implicata dalla
σ N Be j = B σ M e j , j = 1,2,3, (6.45)
visto che ciascuno dei prodotti righe per colonne per e j nella (6.45) seleziona la j-esima
colonna della matrice.
Il membro di destra della (6.45) può essere letto come B λ, se λ denota il vettore delle com-
ponenti di σu j in M; infatti questa è proprio la definizione della matrice σ M . Ricordando
l’Osservazione A.14 quindi si deduce che il membro di destra della (6.45) è il vettore delle
componenti di σu j in N .
6.7. CAMBIAMENTI DI BASE 97

D’altronde il membro di sinistra della (6.45) può essere letto come σ N µ, se µ denota il
vettore delle componenti di u j in N : questo segue di nuovo dall’Osservazione A.14. Di
nuovo per la definizione della matrice σ N si ha che il membro di sinistra della (6.45) è il
vettore delle componenti di σu j in N , e quindi in effetti coincide con il membro di destra.
La (6.45) e di conseguenza la (6.44) risultano provate e con esse la tesi. 
Osservazione 6.43. Nella Dimostrazione del Teorema 6.42 è essenziale sapere che la σ :
R3 → R3 è stata definita come applicazione lineare indipendente da M e N , in particolare
nella Definizione 6.11. 
CAPITOLO 7

Quantità meccaniche in coordinate lagrangiane

Notazione 7.1. Consideriamo un sistema {(Ci , ρi , Si )} di corpi rigidi,


come nella Sezione 4.8.
L’indice i ∈ {1 , . . . , n} è riservato nel seguito a denotare quantità associate
all’i-esimo corpo rigido.
In particolare Λ∗i denoterà lo spazio delle coordinate solidali con l’i-esimo cor-
po rigido, che coincide con R3 nel caso di un corpo rigido non degenere
(vedi la (4.37)), con R nel caso dell’asta (vedi la (4.49)), e che poniamo con-
venzionalmente uguale allo spazio vettoriale banale 0 nel caso del punto
(allo scopo di uniformare la notazione nel seguito). 

7.1. Cinematica
Abbiamo visto nel Capitolo 4 che le posizioni di un sistema vincolato di
rigidi sono in corrispondenza biunivoca con le ℓ-ple di coordinate locali
indipendenti, o in modo equivalente con le coordinate lagrangiane q.
In altre parole, la configurazione del sistema all’istante t ∈ I è rappre-
sentata in modo univoco da un punto ξ (t) ∈ Ξ f (t), ossia da un punto
q(t) ∈ Q.
Definizione 7.2. La funzione q : I → Q si dice moto lagrangiano, o, per
brevità, moto.
Le funzioni
X li : Q × I × Λ∗i → R3
che si ottengono sostituendo alle ξ j le funzioni ξ lj nella (4.37) (o nella (4.49),
o nella (4.46)) si dicono ancora la rappresentazione lagrangiana del moto, come
già le ξ lj stesse. 
Secondo la Definizione 7.2 una volta assegnato un moto q le
X li (q(t), t; λ) , (7.1)
definiscono al variare di λ ∈ Λ∗i tutti i moti solidali con uno dei rigidi che
compongono il sistema olonomo.
Osservazione 7.3. Se tutti i vincoli sono fissi, le X li non dipendono in
modo esplicito da t (cioè dipendono da t solo attraverso le qh ). Quindi in
questo caso,
∂X li
(q, t; λ) = 0 , per ogni q ∈ Q, t ∈ I, λ ∈ Λ∗i . (7.2)
∂t
Infatti la dipendenza esplicita da t in (7.1) si ha solo attraverso le gj in
(4.10) (e vedi anche le Osservazioni 4.5 e 4.11). 
99
100 DANIELE ANDREUCCI

Lemma 7.4. Vale


d l
X (q(t), t; λ) = vli (q(t), q̇ (t), t; λ) , (7.3)
dt i
ove la funzione
vli : Q × Rℓ × I × Λ∗i → R3 ,
risulta definita da

∂X li ∂X li
vli (q, p, t; λ) = ∑ (q, t; λ) ph + (q, t; λ) . (7.4)
h =1
∂qh ∂t

Dimostrazione. La (7.3) segue in modo diretto dal teorema di derivazio-


ne di funzione composta. 
La funzione vli si dice anche velocità in coordinate lagrangiane.
Osservazione 7.5. Se tutti i vincoli sono fissi la (7.3) si riduce a

d l ∂X li
X ( q ( t ); λ ) = ∑ ∂q (q(t); λ)q̇h (t) (7.5)
dt i h =1 h

(vedi (7.2)).
Si noti che nella (7.5), con abuso di notazione, abbiamo omesso la dipen-
denza esplicita da t delle X li (che appunto sarebbe solo formale) . 
Notazione 7.6. Nella (7.4), le variabili ph sono indipendenti dalle qh .
Tuttavia, nel seguito, si sceglierà molto spesso, assegnata una funzione
t 7 → q ( t ),
q = q( t) , p = q̇(t) .
Per questo motivo si introduce nella notazione la convenzione
∂ ∂
:= . (7.6)
∂q̇h ∂ph

Lemma 7.7. Vale
d l
v (q(t), q̇ (t), t; λ) = ali (q (t), q̇(t), q̈ (t), t; λ) , (7.7)
dt i
ove la funzione
ali : Q × Rℓ × Rℓ × I × Λ∗i → R3 ,
risulta definita da

∂2 X li ℓ
∂X li
ali (q, p, r, t; λ) = ∑ ∂q ∂q ( q, t; λ ) p p
h k + ∑ ∂q (q, t; λ)rh
h,k=1 h k h =1 h
(7.8)

∂2 X li ∂2 X li
+2 ∑ (q, t; λ) ph + (q, t; λ) .
h =1
∂qh ∂t ∂t2

Dimostrazione. Come sopra, la (7.7) segue dal teorema di derivazione di


funzioni composte. 
7.2. DISTRIBUZIONI DI MASSE 101

7.2. Distribuzioni di masse


La distribuzione di massa di ciascun rigido verrà indicata con
ρi (λ) dµi (λ) . (7.9)
Definizione 7.8. La funzione
Z
1 n
T l (q, p, t) = ∑ |vli (q, p, t; λ)|2 ρi (λ) dµi (λ) (7.10)
2 i=1
Λ( D i )

è detta l’energia cinetica in coordinate lagrangiane del sistema. 


Esempio 7.9. Sia Π (t) il piano mobile di equazione
− sin(αt) x1 + cos(αt) x2 = 0 ,
nel riferimento fisso (O, ( xh )).
Un disco rigido omogeneo di massa m e raggio R è vincolato a giacere su
Π (t), e ad avere il centro C coincidente con un punto P solidale con Π (t),
a distanza d > 0 dall’asse x3 .
Cerchiamo l’energia cinetica in coordinate lagrangiane del disco nel siste-
ma di riferimento fisso.
A) Sia M = (uh ) una base solidale con il disco, con u1 ortogonale a Π (t).
Sia anche ϕ la coordinata lagrangiana, scelta per esempio come l’angolo
tra e3 e u3 in modo che si abbia
e3 = cos ϕu3 + sin ϕu2 .
Dunque si ha dal teorema di König ossia dal Corollario 6.15
1 1
T= m|vC |2 + σω · ω ,
2 2
se σ è il tensore d’inerzia del disco di polo C e ω la velocità angolare
del disco nel sistema di riferimento che trasla con il suo centro di massa,
mantenendo gli assi paralleli a quelli fissi, ossia nel sistema fisso.
La velocità vC del centro di massa C soddisfa
| v C | 2 = α 2 d2 ,
poiché C si muove di moto rotatorio uniforme.
La velocità angolare del disco la si può trovare mediante la composizione
data dal Teorema 2.43. Introduciamo il sistema di riferimento solidale con
il piano Π (t), dato da (O, N ), ove N = (wh ) e
w1 = cos(αt) e1 + sin(αt) e2 ,
w2 = − sin(αt) e1 + cos(αt) e2 ,
w 3 = e3 .
Dunque, se P indica la terna fissa si ha
ω = ω P N + ω N M = αe3 + ϕ̇u1 = α sin ϕu2 + α cos ϕu3 + ϕ̇u1 .
Dunque (Proposizione 6.38)
    
2I 0 0 ϕ̇ 2I ϕ̇
σω =  0 I 0  α sin ϕ  =  Iα sin ϕ  .
0 0 I α cos ϕ Iα cos ϕ
102 DANIELE ANDREUCCI

Ne segue che
1 2 2 1
mα d + I [2 ϕ̇2 + α2 ] .
T l ( ϕ, ϕ̇) =
2 2
B) Un modo alternativo di calcolare T è attraverso l’integrale
ZZ
1 m
T= |v(s1 , s2 )|2 ds1 ds2 ,
2 area(disco)
disco

ove v(s1 , s2 ) è la velocità nel sistema di riferimento fisso del generico punto
P(s1 , s2 ) del disco. Per svolgere il calcolo conviene parametrizzare il disco
in coordinate polari (r, θ ) piuttosto che cartesiane (s1 , s2 ):
−→ −→ − → 
OP(r, θ ) = OC + CP = d cos(αt), d sin (αt), x3C

+ r cos(θ + ϕ) cos(αt), cos(θ + ϕ) sin(αt), sin(θ + ϕ) ,
ove x3C è una costante irrilevante per il calcolo di T, e 0 ≤ r ≤ R, 0 ≤
θ ≤ 2π. L’angolo θ ha il significato geometrico di anomalia polare (di polo
C) misurata su Π (t) a partire dalla semiretta solidale di riferimento di ϕ,
ossia da u3 . Invece r è la distanza su Π (t) dal centro del disco. Dunque

v(r cos θ, r sin θ ) = αd − sin(αt), cos(αt), 0

− r ϕ̇ sin(θ + ϕ) cos(αt), sin(θ + ϕ) sin(αt), − cos(θ + ϕ)

+ rα cos(θ + ϕ) − sin(αt), cos(αt), 0 .
Si riconosce subito che v( P) è combinazione lineare di due versori orto-
normali, e che
2 2
|v(r cos θ, r sin θ )|2 = αd + rα cos(θ + ϕ) + r ϕ̇
= α2 d2 + 2rα2 d cos(θ + ϕ) + r2 α2 cos2 (θ + ϕ) + r2 ϕ̇2 .
Quindi
Z2π ZR Z2π ZR
2πR2 l 2 2
T = dθ dr rα d + dθ dr r2rα2 d cos(θ + ϕ)
m
0 0 0 0
Z2π ZR 
+ dθ dr rr2 α2 cos2 (θ + ϕ) + ϕ̇2
0 0
π 4 2
2 2 2 π
= πR α d + R ϕ̇ + α2 R4 ,
2 4
che coincide con l’espressione già trovata. 
Osservazione 7.10. Si distingua bene tra le coordinate lagrangiane (ϕ nel-
≀≀ l’Esempio 7.9) e i parametri usati per descrivere il sostegno del rigido
((r, θ ) nell’Esempio 7.9). Questi ultimi non sono funzioni del tempo. 
Osservazione 7.11. Il metodo A) nell’Esempio 7.9 ha il vantaggio di forni-
re risposte in termini dei momenti di inerzia, che quindi sono per esempio
immediatamente riusabili per lamine di altra forma. D’altra parte richie-
de il calcolo di ω, mentre il metodo B) si basa su una parametrizzazione
dell’immagine del rigido che è banale dal punto di vista concettuale. 
7.2. DISTRIBUZIONI DI MASSE 103

Esempio 7.12. Un disco di raggio L e massa m è così vincolato:


• il suo centro C appartiene alla curva

ψ(s) = R cos λs , R sin λs , hλs , s ∈ R.

Qui s è la lunghezza d’arco, λ = 1/ R2 + h2 , e R, h > 0 sono costanti.
• la normale al disco coincide con la binormale B alla curva.
Calcoliamo il momento delle quantità di moto del disco, rispetto al centro
del disco, in funzione di opportune coordinate lagrangiane.
Delle 6 coordinate locali necessarie a definire la posizione del disco, due
(coordinate del centro) sono fissate per il primo vincolo, e altre due per il
secondo. Lasciamo al lettore il controllo formale.
Si scelgano come coordinate lagrangiane
z ∈ R, ϕ ∈ (−π, π ) ,
tali che, indicando con ( T, N, B) la terna intrinseca della curva ψ, si abbia
X C = ψ ( z) e
u1 = cos ϕ T (z) + sin ϕ N (z) ,
u2 = − sin ϕ T (z) + cos ϕ N (z) , (7.11)
u3 = B ( z) ,
ove M = (ui ) è una terna solidale con il disco. Il momento delle quantità
di moto del disco è secondo il Teorema 6.12
L = σω ,
ove σ è calcolata in C e ω è la velocità angolare del disco rispetto alla terna
fissa. Per calcolare ω usiamo la formula
ω = ωP N + ωN M ,
ove P è la terna fissa e N = ( T, N, B). Si ha che
ω P N = −τ żT (z) + kżB(z) = λ2 ż[hT (z) + RB(z)] .
Infatti la prima uguaglianza deriva dalla Proposizione 3.11, e la seconda
segue dai calcoli:

T (s) = λ − R sin λs, R cos λs, h ,

N (s) = − cos λs, sin λs, 0 , (7.12)

B(s) = λ h sin λs, −h cos λs, R ,
da cui
dB
k ( s ) = λ2 R , · N = − λ2 h .
τ ( s) =
ds
Poi si ha ωN M = ϕ̇B, per il secondo vincolo assegnato. Dunque

ω = λ2 żhT (z) + (λ2 żR + ϕ̇) B(z)


= λ2 żh cos ϕu1 − λ2 żh sin ϕu2 + (λ2 żR + ϕ̇)u3 .
La matrice di σ in M è (Proposizione 6.38)
σ = diag( I11 , I11 , 2I11 ) ,
104 DANIELE ANDREUCCI

e dunque
L = I11 λ2 żh cos ϕu1 − I11 λ2 żh sin ϕu2 + 2I11 (λ2 żR + ϕ̇)u3 .
Si noti che qui L è espresso come funzione della base solidale al rigido,
ma la (7.11) permette di passare alla terna intrinseca alla curva, e di qui la
(7.12) alla base fissa. 

7.3. Distribuzioni di forze


Vogliamo ora introdurre l’altro ingrediente fondamentale delle equazioni
di moto, oltre alle quantità cinematiche e alle masse, cioè le forze. Una
imitazione dello schema matematico adottato per definire i corpi rigidi
condurrebbe forse a scrivere la forza totale che agisce sull’i-esimo rigido
come Z
F i dµi (λ) ,
Λ( D i )

con F i funzione da specificare (e discutere). Questo primo tentativo può


essere esteso e migliorato almeno in due sensi:
A) Non è detto che la distribuzione di forze debba obbedire alla stesso
schema della distribuzione di masse; per esempio un cubo (corpo rigido
tridimensionale) può essere soggetto a un campo di forze distribuito in
R3 , ma anche a una forza concentrata in un punto o in una superficie, per
esempio una faccia.
B) Non è neanche detto che tutte le forze debbano essere applicate a punti
del sostegno del rigido Λ( Di ); si pensi per esempio a un disco di materiale
rigido di massa trascurabile orlato da un bordo sottile che abbia massa non
trascurabile; un modello matematico ovvio per questo corpo rigido sareb-
be quello della circonferenza materiale. Una forza potrebbe però essere
applicata nel centro del disco, quindi fuori della circonferenza Λ( Di ).
L’obiezione A) viene tenuta di conto sostituendo la funzione F i da inte-
grare in dµi (λ) direttamente con un differenziale, o meglio in termini
matematici precisi, con una misura (vettoriale) dF i che potrà contenere
sia parti distribuite che concentrate, come osservato sopra. Nella pratica
la dF i sarà tale da consentirne l’integrazione elementare.
L’obiezione B) ha una risposta più semplice, ma forse più sottile: sosti-
tuiamo al dominio di integrazione Λ( Di ) tutto lo spazio delle coordinate
solidali Λ∗i . Vale la pena di osservare che nel caso dei rigidi degeneri que-
sto implica che l’elemento materiale sia soggetto solo a forze direttamente
applicate a esso, e che l’asta rigida sia soggetta solo a forze applicate a
punti del suo asse.
Resta da discutere il dominio di dF i , ossia le variabili da cui può dipen-
dere. Anzitutto da λi che ne descrive il ‘punto di applicazione’. Poi dal
tempo, come spesso accade nel caso di sistemi non isolati, e certo dalla
posizione del rigido i-esimo, ma anche da quella degli altri rigidi: si pensi
a due sfere collegate da una molla. Ammettiamo infine che le forze pos-
sano dipendere dalle velocità, come per esempio è usuale in problemi con
attrito.
7.3. DISTRIBUZIONI DI FORZE 105

Definizione 7.13. Introduciamo una distribuzione di forze dF i per ciascun


rigido (Ci , ρi , Si ),
dF i (ξ 1 . . . , ξ nc , ξ̇ 1 , . . . , ξ̇ nc , t; λi ) , (7.13)
ove
dF i : Rnc × Rnc × I × Λ∗i → R3 .
Chiamiamo distribuzione di forze in coordinate lagrangiane agenti sull’i-esimo
rigido la

i
l
dF i (q, p, t; λ ) = dF i ξ 1l (q, t), . . . , ξ lnc (q, t),

ℓ ∂ξ l 
ℓ ∂ξ 1l ∂ξ 1l nc ∂ξ lnc i
∑ ∂q (q, t) ph + ∂t (q, t), . . . , ∑ ∂q (q, t) ph + ∂t (q, t), t; λ ,
h =1 h h =1 h
(7.14)
con
dF l i : Q × Rℓ × I × Λ∗i → R3 .

Saremo interessati soprattutto alle dF l i . Si noti che esse dipendono dalle
coordinate λi di ciascun punto solidale con il moto di Si (pensato come
punto di applicazione della forza), dalla configurazione e dall’atto di moto
dell’intero sistema, mediante le q, q̇ = p, oltre che dal tempo t in modo
anche esplicito.

Nel seguito considereremo solo i casi seguenti:


F.1 forze concentrate in punti isolati;
F.2 forze concentrate su curve;
F.3 forze concentrate su superfici;
F.4 forze distribuite in domini di R3 .
Esempio 7.14. (7.F.1, 7.F.2.) Asta omogenea soggetta al peso e a una forza
applicata a una estremità.
Consideriamo un’asta di lunghezza L vincolata a muoversi nel piano fisso
x3 = 0 con un estremo nell’origine O.
In questo caso la rappresentazione lagrangiana del moto è
X l ( ϕ; λ(s)) = (s cos ϕ, s sin ϕ, 0) ,
con s ∈ D = [0, L] e ϕ ∈ (−π, π ) coordinata lagrangiana. La parametriz-
zazione nel senso della Sottosezione 6.1.3 è
λ( s) = s , s ∈ D.
La densità sia data dalla costante ρ0 = m/L, con m massa dell’asta. Con
la notazione della Definizione 6.3, possiamo scegliere
X O ( t) = 0 , u(t) = cos ϕe1 + sin ϕe2 . (7.15)
L’asta quindi ha la direzione di u. Il peso, che assumiamo diretto come e2 ,
agisce come
dF l peso ( ϕ, ϕ̇, t; λ) = ρ0 ge2 dµ (λ) .
106 DANIELE ANDREUCCI

La forza applicata all’estremo s = L sarà data dalla


dF l L = ke3 × uδ( L,0,0) (λ) dλ , (7.16)
ove con δ( L,0,0) indichiamo la massa di Dirac nel punto solidale ( L, 0, 0). Si
tratta quindi di una forza sempre ortogonale all’asta.
Calcoliamo la risultante delle forze date:
Z 
F= dF l peso + dF l L
Λ∗
Z Z
= ρ0 ge2 dµ (λ) + ke3 × uδ( L,0,0) (λ)
R R
= mge2 + ke3 × u .

Esempio 7.15. (7.F.3.) Disco soggetto a forze tangenziali.
Consideriamo un disco di raggio R > 0 vincolato a muoversi nel piano
fisso x3 = 0, con il centro nell’origine O.
In questo caso la rappresentazione lagrangiana è
X l ( ϕ; λ(s)) = (s1 cos ϕ − s2 sin ϕ, s1 sin ϕ + s2 cos ϕ, 0) ,
con
s = (s1 , s2 ) ∈ D = {s | s21 + s22 ≤ R2 } ,
e ϕ ∈ (−π, π ) coordinata lagrangiana. La parametrizzazione nel senso
della Sottosezione 6.1.3 è
λ ( s ) = ( s1 , s2 , 0) , s ∈ D.
Il sistema di riferimento solidale S è (O, uh ), con
u1 = cos ϕe1 + sin ϕe2 ,
u2 = − sin ϕe1 + cos ϕe2 , (7.17)
u 3 = e3 .
La forza, se è applicata in un punto, sarà per esempio data proprio dalla
(7.16). Si noti che può risultare 0 < L ≤ R, o anche L > R.
In alternativa, volendo rappresentare una distribuzione continua di forze
sul disco, per esempio proporzionale in modulo alla distanza dal centro,
si avrà
dF l = kχ D (λ1 , λ2 )δ{λ3 =0} u3 × X l dλ1 dλ2 dλ3 ,
ove χ D è la funzione caratteristica dell’insieme D.
Calcoliamo il momento di quest’ultima distribuzione di forze, con polo O:
Z
M= X l × dF l
Λ∗
Z
= k{s1 u1 + s2 u2 } × {u3 × [s1 u1 + s2 u2 ]} ds1 ds2
D
Z
= k(s21 + s22 )u3 ds1 ds2
D
π 4
= kR u3 .
2
7.4. FORZE CONSERVATIVE 107


Esempio 7.16. (7.F.3, 7.F.4.) Cubo soggetto al peso e a forze applicate su
una faccia.
Consideriamo un cubo di spigolo L vincolato ad avere uno spigolo sul-
l’asse fisso x3 , libero di scorrere su di esso e di ruotare intorno all’asse
medesimo.
In questo caso la rappresentazione lagrangiana dei moti solidali con il
corpo rigido è
X l ( ϕ, z; λ(s)) = (s1 cos ϕ − s2 sin ϕ, s1 sin ϕ + s2 cos ϕ, s3 + z) ,
con
s = (s1 , s2 , s3 ) ∈ D = [0, L]3 ,
e ϕ ∈ (−π, π ), z ∈ R coordinate lagrangiane. La parametrizzazione nel
senso della Sottosezione 6.1.3 è
λ ( s ) = ( s1 , s2 , s3 ) , s ∈ D.
Il sistema di riferimento solidale S è ( A, uh ), con
X A = ze3 ,
e (uh ) come in (7.17). La densità sia data dalla funzione
ρ(λ) = αλ21 ,
con α > 0 costante. Il peso, che assumiamo diretto come −u3 , agisce come
dF l peso ( ϕ, ϕ̇, z, ż, t; λ) = −αλ21 ge3 dµ (λ) .
La distribuzione superficiale di forze sulla faccia λ3 = 0 sia, per β > 0
costante,
dF l sup ( ϕ, ϕ̇, z, ż, t; λ) = β|z|u 1 δ{λ3 =0} χ D (λ) dλ ,
che quindi risulta in pratica una misura di superficie sulla faccia stessa.


7.4. Forze conservative


Questa Sezione è collocata qui per coerenza di presentazione del materiale,
ma troverà la sua motivazione con l’introduzione dell’ipotesi dei lavori
virtuali nel Capitolo 8.
Nel contesto dei sistemi di corpi rigidi il concetto di forze conservative si
può tradurre come segue.
Definizione 7.17. Un sistema di forze { dF i }ni=1 si dice conservativo se
esiste una distribuzione di potenziale
dU ( x1 , . . . , xn ; λ1 , . . . , λn ) , xi ∈ R3 , λi ∈ Λ∗i , (7.18)
tale che per ogni i = 1, . . . , n,

dF i (ξ 1 , . . . , ξ nc ; λi ) =
Z Z 
. .i
.f ∇ xi dU X 1 , . . . , X n ; λ1 , . . . , λn , (7.19)
Λ∗1 Λ∗n
108 DANIELE ANDREUCCI

ove l’integrale è ripetuto sui Λ∗j , j 6= i; questo è indicato dalla notazione


Z Z
i
.f
.. .
Λ∗1 Λ∗n

Inoltre nell’integrale per brevità si è indicato con


X j = X j (ξ 1 , . . . , ξ nc ; λ j )
la funzione che esprime i moti solidali con il j-esimo rigido in dipendenza
delle coordinate locali necessarie tra le ξ i e delle coordinate solidali λ j . 
Esempio 7.18. Il sistema è costituito da due aste rigide C1 di lunghezza
R1 e C2 di lunghezza R2 , vincolate entrambe al piano fisso x3 = 0, con
un estremo nell’origine. Dunque il sistema ha nc = 10 coordinate locali e
ℓ = 2 gradi di libertà.
Descriviamo intuitivamente la sollecitazione che vogliamo modellare: cia-
scun elemento x1 dλ1 di C1 è attratto da ciascun elemento x2 dλ2 di C2 con
una forza
− k( x1 − x2 ) dλ1 dλ2 . (7.20)
Qui k > 0 è una costante.
Introducendo la distribuzione di potenziale
k
dU ( x1 , x2 ; λ1 , λ2 ) = − | x1 − x2 |2 χC1 (λ1 )χC2 (λ2 ) dλ1 dλ2 ,
2
si vede subito che
∇ x1 dU ( x1 , x2 ; λ1 , λ2 ) = −k( x1 − x2 )χC1 (λ1 )χC2 (λ2 ) dλ1 dλ2 ,
ossia la forza data in (7.20). Calcoliamo dunque rigorosamente, usando la
(7.19), la distribuzione di forze dF 1 :
Z h i
dF 1 (ξ 1 , . . . , ξ 10 ; λ1 ) = − k( x1 − x2 )χC1 (λ1 )χC2 (λ2 ) dλ1 dλ2
Λ∗2

ZR2
1 1
= −kχC1 (λ ) dλ ( X 1 (t; λ1 ) − X 2 (t; λ2 )) dλ2
0
= −kR2 ( X 1 (t; λ ) − X 2 (t; λ2M ))χC1 (λ1 ) dλ1 .
1

Qui si sono usati nell’ultima uguaglianza i seguenti semplici fatti: X 1 (t; λ1 )


è costante in λ2 ; l’integrale della posizione X 2 (t; λ2 ) lungo C2 è uguale a
R2 X 2 (t; λ2M ), ove X 2 (t; λ2M ) è la posizione del centro geometrico dell’asta
C2 .
Simmetricamente si trova dF 2 .
Si noti che la forza totale esercitata da C2 su C1 è espressa da
Z h i
− kR2 ( X 1 (t; λ1 ) − X 2 (t; λ2M ))χC1 (λ1 ) dλ1 =
Λ∗1

− kR1 R2 ( X 1 (t; λ1M ) − X 2 (t; λ2M )) ,


ove ovviamente X 1 (t; λ1M ) è la posizione del centro geometrico dell’asta
C1 . 
7.4. FORZE CONSERVATIVE 109

In effetti nell’ambito della meccanica lagrangiana più che le dF i han-


no importanza le seguenti funzioni, per motivi che diverranno chiari nel
Capitolo 8.
Definizione 7.19. Se dF l i è una distribuzione di forze per (Ci , ρi , Si ),
allora si definiscono le componenti lagrangiane delle forze come
n Z
∂X li
Qh (q, p, t) = ∑ (q, t; λ) · dF l i (q, p, t; λ) , (7.21)
i=1Λ∗
∂qh
i

per ogni h = 1, . . . ℓ. Le Qh risultano funzioni di q ∈ Q, p ∈ Rℓ , t ∈ I. 


Anche per le Qh si introduce un concetto di conservatività; premettiamo
che tale proprietà è collegata alla conservatività delle dF i , ma non è a essa
del tutto equivalente.
Definizione 7.20. Il sistema di componenti lagrangiane delle forze {Qh }ℓh=1
si dice conservativo se esiste una funzione U l ∈ C1 ( Q × I ) tale che
∂U l
Qh (q, p, t) = (q, t) , h = 1,... ,ℓ. (7.22)
∂qh
La funzione U l si dice potenziale lagrangiano. 
In particolare quindi in un sistema conservativo, le Qh non dipendono
dalle q̇.
Esempio 7.21. Torniamo all’Esempio 7.18. Mostreremo con argomenti del
tutto indipendenti da quelli lì svolti che la sollecitazione è conservativa nel
senso della Definizione 7.20.
Le due aste rigide C1 e C2 sono parametrizzate in coordinate lagrangiane
ϕ, θ ∈ (−π, π ) da
X l1 ( ϕ; λ1 (s)) = s cos ϕe1 + s sin ϕe2 , 0 ≤ s ≤ R1 ,
X l2 (θ; λ2 (σ)) = σ cos θe1 + σ sin θe2 , 0 ≤ σ ≤ R2 .
In particolare ciascun elemento di C1 è attratto da ciascun elemento di C2
con una forza 
− k X l1 − X l2 dλ1 dλ2 . (7.23)
Calcoliamo la distribuzione di forze dF l 1 . Si ha per λ1 ∈ [0, R1 ]
Z 
1 1
l
dF 1 ( ϕ, θ; λ ) = −k dλ X l1 − X l2 χC2 dλ2
Λ∗2

ZR2  
1
= k dλ (σ cos θ − s cos ϕ)e1 + (σ sin θ − s sin ϕ)e2 dσ
0
  R  
R2 2
= R2 k cos θ − s cos ϕ e1 + sin θ − s sin ϕ e2 dλ1 .
2 2
Nello stesso modo si ottiene
  R  
R1 1
dF l 2 ( ϕ, θ; λ2 ) = R1 k cos ϕ − σ cos θ e1 + sin ϕ − σ sin θ e2 dλ2 .
2 2
110 DANIELE ANDREUCCI

Per esempio il momento (rispetto all’origine) delle forze su C1 è dato da


Z
k 2 2
X l1 × dF l 1 = R R sin(θ − ϕ)e3 .
4 1 2
Λ∗1

Torniamo però alla verifica della conservatività. Secondo la Definizio-


ne 7.19 si ottiene
Z Z Z
∂X l1 ∂X l2 ∂X l1 1
Qϕ = · dF l 1 + · dF l 2 = · dF l 1 = R21 R22 k sin(θ − ϕ) ,
∂ϕ ∂ϕ ∂ϕ 4
Λ∗1 Λ∗2 Λ∗1

come si vede con una semplice integrazione. Simmetricamente si ottiene


anche
1 2 2
Qθ = R R k sin( ϕ − θ ) ,
4 1 2
Si osservi la notazione di uso frequente Q ϕ , Qθ al posto di Q1 , Q2 . Si vede
subito che ponendo

1 2 2
U l ( ϕ, θ ) = R R k cos( ϕ − θ ) , (7.24)
4 1 2

si ha
∂U l ∂U l
= Qϕ , = Qθ ,
∂ϕ ∂θ

confermando che le forze assegnate sono conservative in senso lagrangia-


no. 

Come accennato, i due concetti di forze conservative sopra introdotti sono


collegati. In sostanza, le componenti lagrangiane delle forze si calcolano
come derivate dell’integrale di dU nella corrispondente coordinata lagran-
giana, un po’ come la distribuzione dF i è stata ottenuta nella (7.19) come
gradiente dell’integrale di dU nelle coordinate cartesiane corrispondenti.
Tuttavia, nel caso delle componenti lagrangiane, si dovrà integrare su tutte
le coordinate λi , come risulta dalla Definizione 7.19.
Questo è spiegato rigorosamente dal seguente risultato.

Teorema 7.22. Se il sistema di forze { dF i }ni=1 è conservativo nel senso della


Definizione 7.17, il sistema di componenti lagrangiane delle forze {Qh }ℓh=1 è con-
servativo nel senso della Definizione 7.20, e i rispettivi potenziali sono collegati
da
Z Z 
U l (q, t) = ··· dU X l1 (q, t; λ1 ), . . . , X ln (q, t; λn ); λ1 , . . . , λn , (7.25)
Λ∗1 Λ∗n

ove l’integrale è calcolato in tutte le variabili λ j , j = 1, . . . , n.


7.4. FORZE CONSERVATIVE 111

Dimostrazione. Calcoliamo
Z Z
∂U l ∂ 
= ··· dU X l1 (q, t; λ1 ), . . . , X ln (q, t; λn ); λ1 , . . . , λn
∂q h ∂q h
Λ∗1 Λ∗n
Z Z n ∂X li
= ··· ∑ ∇x i
dU · (q, t; λi )
∂q h
Λ∗1 Λ∗n i =1
n Z nZ Z o ∂X l
= ∑ . .i
.f ∇ xi dU · i
(q, t; λi )
i =1Λ∗
∂q h
i Λ∗1 Λ∗n
n Z ∂X li
= ∑ dF i (ξ 1l (q, t), . . . ξ lnc (q, t); λi ) · (q, t; λi )
i =1Λ∗
∂q h
i
n Z ∂X li
= ∑ dF l i (q, t; λ) · (q, t; λ)
i =1Λ∗
∂q h
i

= Qh (q, t) .


Esempio 7.23. Riprendiamo il sistema degli Esempi 7.18 e 7.21; in essi


abbiamo svolto considerazioni indipendenti, ma qui vogliamo mostrare
che i potenziali trovati sono collegati dalla (7.25).
Infatti calcoliamo, usando la (7.25), e il potenziale dU dell’Esempio 7.18 il
potenziale lagrangiano:
Z Z 2
k
U l ( ϕ, θ ) = − X l1 ( ϕ; λ1 ) − X l2 ( ϕ; λ2 ) χC1 (λ1 )χC2 (λ2 ) dλ1 dλ2
2
Λ∗1 Λ∗2

ZR1 ZR2 h i
k
=− (s cos ϕ − σ cos θ )2 + (s sin ϕ − σ sin θ )2 ds dσ
2
0 0
1 1
= − k( R31 R2 + R1 R32 ) + R21 R22 k cos( ϕ − θ ) .
6 4
Questa è la stessa funzione data in (7.24), a parte una inessenziale costante
additiva. 
Osservazione 7.24. Nelle ipotesi del Teorema 7.22, e se i vincoli sono fissi,
il potenziale U l non dipende in modo esplicito dal tempo t, perché non
ne dipendono i moti X li . 
Osservazione 7.25. Il Teorema 7.22 dà solo una condizione sufficiente af-
finché il sistema delle componenti lagrangiane delle forze sia conservativo.
In alcuni casi, questo può accadere anche in presenza di sistemi di forze
non conservativi nel senso classico (che poi è quello della Definizione 7.17).
Un caso notevole è quello di sistemi con un solo grado di libertà; in questo
caso si ha una unica coordinata lagrangiana q1 , e la componente lagran-
giana delle forze dipende solo da essa, oltre che eventualmente dal tempo,
cosicché
Zq1

Q 1 ( q1 , t ) = Q1 (z, t) dz ,
∂q1
q01

ove q01 è un valore fissato di q1 . 


112 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 7.26. Un punto materiale è vincolato a muoversi sul cilindro di


asse coincidente con l’asse x3 del sistema fisso e di raggio R. Su di esso
agisce la forza
F 1 ( x1 ) = αx1 e1 + βx1 e2 ,
con α, β > 0. Qui indichiamo con x1 = ( x1 , x2 , x3 ) il vettore di coor-
dinate nel sistema fisso. Si verifica facilmente che F 1 non è conservati-
va nel senso della Definizione 7.17. Tuttavia scegliendo ad esempio la
parametrizzazione lagrangiana
X l1 ( ϕ, z) = R cos ϕe1 + R sin ϕe2 + ze3 , ( ϕ, z) ∈ (−π, π ) × R ,
si calcola
∂X l1 1
Q ϕ ( ϕ, z) = ( ϕ, z) · F 1 ( X l1 ( ϕ, z)) = R2 (−α sin(2ϕ) + β + β cos(2ϕ)) ,
∂ϕ 2
∂X l1
Qz ( ϕ, z) = ( ϕ, z) · F 1 ( X l1 ( ϕ, z)) = 0 .
∂z
Dunque il potenziale lagrangiano sarà ad esempio
1 α β 
U l ( ϕ, z) = R2 cos(2ϕ) + βϕ + sin(2ϕ) .
2 2 2
Si consiglia di rivedere questo Esempio dopo aver svolto l’Esercizio ??. 
CAPITOLO 8

Ipotesi dei lavori virtuali

8.1. L’ipotesi dei lavori virtuali


Nel caso di sistemi olonomi ‘semplici’, come per esempio un punto vinco-
lato a una curva, o a una superficie, è facile tradurre nel modello matema-
tico l’idea di vincolo liscio (nel senso di privo di attrito). Si richiede cioè che
la reazione vincolare f vin sia perpendicolare al vincolo stesso, come fatto
nella Definizione 5.19.
Se P è vincolato alla curva γ con terna intrinseca ( T, N, B) si richiederà
f vin = ( f vin · N ) N + ( f vin · B) B , (8.1)
mentre se P è vincolato alla superficie S di normale n si richiederà
f vin = ( f vin · n)n . (8.2)
Nel caso di vincoli più complessi un approccio diretto ed esplicito di
questo tipo diviene impraticabile. Si noti anche che le reazioni vincolari
non sono in genere note come funzioni di ( x, v, t), ma vanno determinate
insieme al moto.
Cerchiamo di astrarre dai prossimi esempi una caratteristica dei vincoli
lisci utilizzabile per assiomatizzarli.
Esempio 8.1. Un punto P di massa m è vincolato alla curva
γ = {ψ ( s) | s ∈ J } ,
ed è sottoposto alla forza
F ( x, v, t) = α1 ( x, v, t) T + α2 ( x, v, t) N + α3 ( x, v, t) B ,
oltre che alla reazione vincolare f vin , che soddisfa la (8.1). Proiettando
l’equazione di moto sulla terna intrinseca, si ha (si ricordi che a = s̈T +
ṡ2 kN)
ms̈ = α1 ( x, v, t) , (8.3)
2
mṡ k(s) = α2 ( x, v, t) + f vin · N , (8.4)
0 = α3 ( x, v, t) + f vin · B . (8.5)
Le funzioni α j possono essere subito espresse come funzioni di s, ṡ, t.
Quindi la (8.3) è una e.d.o. del secondo ordine nell’incognita s, che, in
generale, ha un’unica soluzione che soddisfa le opportune condizioni ini-
ziali.
Poi si sostituiranno s = s(t), ṡ = ṡ(t) nelle (8.4)–(8.5), determinando così
anche f vin . 
113
114 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 8.2. Un punto P di massa m è vincolato alla superficie sferica


S = {Ψ ( ϕ, θ ) = R(cos ϕ sin θ, sin ϕ sin θ, cos θ ) | ϕ ∈ (−π, π ) , θ ∈ (0, π )} ,
ed è sottoposto alla forza
F ( x, v, t) = α1 ( x, v, t) T ϕ + α2 ( x, v, t) T θ + α3 ( x, v, t)n ,
oltre che alla reazione vincolare f vin , che soddisfa la (8.2). Qui i due vettori
∂Ψ
∂ϕ
T ϕ = (− sin ϕ, cos ϕ, 0) = ,
∂Ψ
∂ϕ
∂Ψ
∂θ
T θ = (cos ϕ cos θ, sin ϕ cos θ, − sin θ ) = ,
∂Ψ
∂θ

costituiscono una base ortonormale del piano tangente a S. Scegliamo


anche la normale
1
n = Ψ.
R
Si verifica mediante derivazione elementare che velocità e accelerazione di
P sono date da
v = R sin θ ϕ̇T ϕ + Rθ̇T θ , (8.6)
a = R(2 ϕ̇θ̇ cos θ + ϕ̈ sin θ ) T ϕ + R(θ̈ − ϕ̇2 sin θ cos θ ) T θ (8.7)
2 2 2
+ R(− ϕ̇ sin θ − θ̇ )n .
Proiettando l’equazione di moto sulla terna ( T ϕ , T θ , n), si ha
mR(2 ϕ̇θ̇ cos θ + ϕ̈ sin θ ) = α1 ( x, v, t) , (8.8)
2
mR(θ̈ − ϕ̇ sin θ cos θ ) = α2 ( x, v, t) , (8.9)
mR(− ϕ̇2 sin2 θ − θ̇ 2 ) = α3 ( x, v, t) + f vin · n . (8.10)
Di nuovo, gli α j sono esprimibili in funzione di ϕ, θ, ϕ̇, θ̇ e t, mediante le
(8.6) e (8.7). Quindi (8.8)–(8.9) costituiscono un sistema di due equazioni
in due incognite ϕ, θ che può in principio essere risolto. Sostituendo poi
nella (8.10) si ottiene la f vin . 
Osservazione 8.3. Il punto essenziale in entrambi gli esempi 8.1 e 8.2 è
che nella (8.3), e rispettivamente nelle (8.8)–(8.9), non sono presenti com-
ponenti di f vin . Questo permette di risolvere il problema come indicato
sopra.
A sua volta questo fatto chiave è conseguenza dell’ipotesi che il vincolo
sia liscio. 
Esprimiamo questa proprietà fondamentale ancora in un altro modo.
Nell’Esempio 8.1 si può scegliere s come coordinata lagrangiana, ponendo
X l (s, t; λ) = ψ(s) ,
per cui
∂X l
(8.1) ⇔ f vin · = f vin · T = 0 .
∂s
8.1. L’IPOTESI DEI LAVORI VIRTUALI 115

Nell’Esempio 8.2 si possono scegliere ϕ, θ come coordinate lagrangiane,


ponendo
X l ( ϕ, θ, t; λ) = Ψ ( ϕ, θ ) ,
per cui
∂X l ∂X l
(8.2) ⇔ f vin · = 0 , f vin · = 0.
∂ϕ ∂θ
Le espressioni come
∂X l ∂X l
f vin · = (ma − F ) · ,
∂s ∂s
nell’Esempio 8.1, e
∂X l ∂X l
f vin ·
= (ma − F ) · ,
∂ϕ ∂ϕ
∂X l ∂X l
f vin · = (ma − F ) · ,
∂θ ∂θ
nell’Esempio 8.2, sono collegate ai lavori virtuali della reazione vincolare,
per cui rimandiamo alla Sezione 8.5.
Nel caso generale poniamo dunque la seguente Definizione.
Definizione 8.4. Un moto q ∈ C2 ( I ) del sistema vincolato {(Ci , ρi , Si )} si
dice soddisfare l’ipotesi dei lavori virtuali se, per ogni h ∈ {1 , . . . , ℓ}, vale
n Z
∂X li
∑ (q, t; λ) · ali (q, q̇, q̈, t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
i=1
∂qh
Λ( D i )
n Z
∂X li
= ∑ (q, t; λ) · dF l i (q, q̇, t; λ) , (8.11)
i=1Λ∗
∂qh
i

per ogni t ∈ I. Nella (8.11) si denota per brevità q = q(t), q̇ = q̇(t),


q̈ = q̈ (t). 
Esempio 8.5. Consideriamo due punti P1 (di massa m1 ) e P2 (di massa m2 )
sottoposti al vincolo
x3P1 = x3P2 , (8.12)
e alle forze
dF l 1 = {αe1 + βe3 } dµ (λ) , dF l 2 = 0 , (8.13)
con α, β ∈ R. Scegliamo come coordinate lagrangiane
x1P1 , x2P1 , x1P2 , x2P2 , x3P1 .
Imporre l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11) per le prime quattro coordinate
conduce, come è facile verificare, alle
m1 ẍ1P1 = α , m1 ẍ2P1 = 0 , (8.14)
m2 ẍ1P2 = 0 , m2 ẍ2P2 = 0 . (8.15)
Invece, imponendo la (8.11) per la quinta coordinata x3P1 si ha
m1 ẍ3P1 + m2 ẍ3P1 = β , ossia (m1 + m2 ) ẍ3P1 = β . (8.16)
Si noti anche che l’ipotesi dei lavori virtuali—da sola—ha condotto alle
(8.14)–(8.16), che sono sufficienti a determinare il moto dei due punti.
116 DANIELE ANDREUCCI

Scriviamo poi le equazioni di moto (in modo non lagrangiano)


m1 a1 = αe1 + βe3 + f vin1 , m2 a2 = f vin2 . (8.17)
Confrontando le (8.14)–(8.16) con le (8.17), si ottengono le reazioni vinco-
lari come
f vin1 = (m1 ẍ3P1 − β)e3 = −m2 ẍ3P1 e3 , f vin2 = − f vin1 .
Tuttavia, l’approccio lagrangiano evita del tutto di considerare in modo
esplicito le reazioni vincolari, se si stipula l’ipotesi dei lavori virtuali (cioè
che i vincoli siano lisci).

Osservazione 8.6. La Definizione 8.4 ci conduce a considerare le quantità
introdotte nella Definizione 7.19, ossia le componenti lagrangiane delle forze
n Z
∂X li
Qh (q, p, t) = ∑ (q, t; λ) · dF l i (q, p, t; λ) ,
i=1 ∗
∂qh
Λi

per ogni h = 1, . . . ℓ. Le Qh risultano funzioni di q ∈ Q, p ∈ Rℓ , t ∈ I. 

8.2. Dinamica del punto materiale libero


Come abbiamo spiegato nella Sezione 8.1, l’ipotesi dei lavori virtuali se
applicata a sistemi olonomi ha il significato intuitivo di imporre vincoli
lisci, ossia una restrizione sulle reazioni vincolari.
Nel caso di un elemento materiale libero ci dobbiamo aspettare che essa
implichi la legge di moto di Newton, e quindi è di grande interesse veri-
ficarlo. In questo caso infatti le tre coordinate lagrangiane possono essere
scelte come le coordinate cartesiane del punto:
3
∂X l
X l ( t) = ∑ xh ( t) e h , ( t) = e h .
h =1
∂xh

Dunque per h = 1, 2, 3, si ha dalla (8.11)


mal · eh = F l · eh ,
ossia la classica
ma = F . (8.18)

8.3. La prima equazione cardinale


Definizione 8.7. La risultante delle forze applicate al rigido è
Z
ext
F (q(t), q̇ (t), t) = dF l (q(t), q̇ (t), t; λ) , (8.19)
Λ∗

ove dF l è stato definito in (7.14). 


8.4. LA SECONDA EQUAZIONE CARDINALE 117

Ricordiamo che tra le 6 coordinate locali q di un corpo rigido non degenere


possono essere scelte le tre coordinate cartesiane di un suo punto solidale
( x jO ):
3  3
X l (q, t; λ) = ∑ x jO (t) + ∑ λh uloc
h ( ζ 1 ( t) , ζ 2 ( t) , ζ 3 ( t)) · e j ej , (8.20)
j=1 h =1

q = ( x1O , x2O , x3O , ζ 1 , ζ 2 , ζ 3 ) (8.21)


(si veda la Sezione 4.6). Questo insieme all’ipotesi dei lavori virtuali
permette di ottenere il seguente risultato.
Teorema 8.8. (Prima equazione cardinale) Sia (C, ρ, S) un rigido non
degenere libero, cioè non sottoposto a vincoli. I moti che soddisfano l’ipotesi dei
lavori virtuali soddisfano anche
dP
(q(t), q̇ (t), q̈ (t), t) = F ext (q(t), q̇ (t), t) . (8.22)
dt
Dimostrazione. Applichiamo l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), usando
che
∂X l
= eh , h = 1,2,3.
∂xhO
Si ha per h = 1, 2, 3:
Z
d ∂X l
P · eh = · al (q, q̇, q̈, t; λ)ρ(λ) dµ (λ)
dt ∂xhO
Λ∗
Z Z
∂X l
= · dF l (q, q̇, t; λ) = dF l (q, q̇, t; λ) · eh = F ext · eh .
∂xhO
Λ∗ Λ∗


Osservazione 8.9. La prima e la seconda equazione cardinale (dette anche
equazioni globali) sono valide in condizioni più generali di quelle discusse
qui, per esempio anche per sistemi non rigidi. 

8.4. La seconda equazione cardinale


Definizione 8.10. Il momento delle forze applicate al rigido, rispetto al polo
Z, è
Z
M ext
Z ( q ( t) , q̇ ( t) , t) = [X l (q(t); λ) − X Z (t)] × dF l (q(t), q̇ (t), t; λ) ,
Λ∗
(8.23)
ove dF l è stato definito in (7.14). 

Teorema 8.11. In un rigido non degenere con un punto fisso O, se è verificata


l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), vale per ogni t ∈ I
dLO ext
(q(t), q̇ (t), q̈ (t), t) = M O (q(t), q̇(t), t) . (8.24)
dt
118 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Assumiamo per semplicità di notazione che O sia l’ori-


gine del sistema di riferimento fisso. Fissiamo t ∈ I; anche X l , al e dF l
risultano quindi fissati (come funzioni di λ).
La tesi consiste nell’ultima uguaglianza in
Z Z Z
dLO d
( t) = X l × vl ρ(λ) dλ = X l × al ρ(λ) dλ = X l × dF l .
dt dt
Λ( D ) Λ( D ) R3

Qui e nel resto della dimostrazione omettiamo per semplicità gli argomen-
ti q, q̇, . . . .
L’informazione che abbiamo a disposizione consiste nelle tre condizioni
scalari dell’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), che possono essere riscritte in
modo equivalente nella forma addizionata
3 Z 3 Z
∂X l ∂X l
∑ al · µh ρ(λ) dλ = ∑ dF l · µh , (8.25)
h =1
∂qh h =1
∂qh
Λ( D ) R3

ove però (µh ) ∈ R3 può essere scelto ad arbitrio. Per il Lemma 8.12, ove si
prende q0 = q(t), fissato un qualunque g, si può trovare un (µh ) ∈ R3 tale
che
3
∂X l
g × X l ( q ( t ); λ ) = ∑ ( q ( t ); λ ) µ h .
h =1
∂qh
È essenziale che (µh ) sia indipendente da λ, perché così appare nella (8.25);
anche g lo è, per definizione. Quindi applicando appunto la (8.25) si
ottiene Z Z
l l
a · g × X ρ(λ) dλ = dF l · g × X l .
Λ( D ) R3
Per il Lemma A.7 sul prodotto triplo di vettori questo implica
Z Z
X l × al ρ(λ) dλ · g = X l × dF l · g ,
Λ( D ) R3

e infine per l’arbitrarietà di g,


Z Z
X l × al ρ(λ) dλ = X l × dF l .
Λ( D ) R3


3 3
Lemma 8.12. Sia q0 ∈ Q fissato. Per ogni g ∈ R esiste (µ1 , µ2 , µ3 ) ∈ R tale
che
3
∂X l
∑ ( q0 ; λ ) µ h = g × X l ( q0 ; λ ) , per ogni λ ∈ R3 . (8.26)
h =1
∂q h

Il Lemma 8.12 è stabilito qui per comodità di riferimento, ma è in real-


tà ovvio per i risultati del Capitolo 2; infatti, l’idea della dimostrazione è
semplicemente di considerare g come ‘velocità angolare’ (fittizia); allora il
membro di destra della (8.26) dà il campo di ‘velocità di trascinamento’
nel corrispondente ‘moto rigido’ (fittizio) con punto fisso O, che nel for-
malismo lagrangiano d’altronde si rappresenta come il membro di sinistra
8.4. LA SECONDA EQUAZIONE CARDINALE 119

della (8.26), con (µh ) scelto appunto come opportuno ‘atto di moto’. Se
questo non risulta convincente, si veda la dimostrazione sotto.
Dimostrazione. Per il Teorema 2.45 il sistema
d ũh
(τ ) = g × ũh (τ ) , τ ∈ R,

ũ h (0) = ulh (q0 ) ,

ha un’unica soluzione ũh . Indichiamo con q̃(τ ) le coordinate lagrangiane corrispondenti


alla posizione di (ũ h (τ )), cosicché
ulh (q̃(τ )) = ũh (τ ) , q̃(0) = q0 .
Ne segue che

d l d 3
X (q̃(τ ); λ) = λh ulh (q̃(τ ))
dτ dτ h∑
=1
3
= ∑ λh g × ulh (q̃(τ )) = g × X l (q̃(τ ); λ) . (8.27)
h =1

D’altronde
3
d l ∂X l d q̃
X (q̃(τ ); λ) = ∑ (q̃(τ ); λ) h (τ ) . (8.28)
dτ h =1
∂q h dτ
La tesi segue subito da (8.27) e (8.28), ponendovi τ = 0 e quindi
d q̃ h
µh = (0) .



Usando la versione già dimostrata della seconda equazione cardinale, os-


sia il Teorema 8.11, si dimostra la versione generale.
Teorema 8.13. (Seconda equazione cardinale) Sia (C, ρ, S) un rigido non
degenere libero, cioè non sottoposto a vincoli. I moti che soddisfano l’ipotesi dei
lavori virtuali soddisfano anche
dL Z dX G dX Z
(q(t), q̇ (t), q̈(t), t) = m × + M ext
Z ( q ( t) , q̇ ( t) , t) . (8.29)
dt dt dt
Qui i momenti L e M ext sono calcolati rispetto al polo Z, che si muove di moto
arbitrario. Si ricorda che X G denota il moto del centro di massa.
Dimostrazione. Ci riconduciamo al caso del Teorema 8.11 passando al sistema mobile
Σ = ( Z, N ), ove N = (eh ) denota la terna fissa. Quindi Σ è un sistema di riferimento di
origine Z e assi paralleli a quelli fissi. In questo sistema il momento delle quantità di moto
si calcola come
Z

Z = ( X − X Z ) × v Σ (λ)ρ(λ) dµ (λ)
Λ( D )
Z  dX dX Z 
= (X − X Z ) × − ρ(λ) dµ (λ)
dt dt
Λ( D )
Z
dX Z
= LZ − (X − X Z ) × ρ(λ) dµ (λ)
dt
Λ( D )
dX Z dX Z
= L Z − mX G × + mX Z × .
dt dt
120 DANIELE ANDREUCCI

Qui per semplicità di notazione si omette di indicare ogni dipendenza dalle coordinate
lagrangiane e dal tempo. Quindi
dL Σ
Z dL Z dX G dX Z d2 X Z d2 X Z
= −m × − mX G × + mX Z × . (8.30)
dt dt dt dt dt2 dt2
A causa delle proprietà di Σ, e del Teorema 8.11, si ha (si veda la Definizione 2.14)
" #
dLΣZ = dL Z
Σ
= M ext
Z,Σ . (8.31)
dt dt
N
Infine si osservi che in Σ per le formule della cinematica relativa (si veda anche la Sezio-
ne 9.4 per maggiori dettagli)
Z
M ext
Z,Σ = [ X − X Z ] × [ dF + dF t + dF c ]
Λ∗
Z Z
d2 X Z
= [ X − X Z ] × dF − [X − X Z ] × ρ(λ) dµ (λ) (8.32)
dt2
Λ∗ Λ( D )

d2 X Z d2 X Z
= M ext
Z − mX G × 2
+ mX Z × .
dt dt2
La tesi ora segue raccogliendo (8.30)–(8.32). 

8.5. Spostamenti virtuali


Usiamo qui la notazione introdotta nel Capitolo 4. Saremo interessati a
due sottospazi vettoriali di Rnc , inteso come spazio delle coordinate locali
ξ.
Indichiamo con
∂f ∂ fj 
j
∇ξ f j = ,... , , j = 1, . . . , m ,
∂ξ 1 ∂ξ nc
il gradiente del vincolo f j rispetto alle ξ k . Otteniamo così m vettori di Rnc ,
che sono linearmente indipendenti tra di loro per l’ipotesi (4.4) sulla matri-
ce iacobiana delle f j . Dunque essi generano un sottospazio di dimensione
m, che denoteremo con W.
Consideriamo poi i vettori di Rnc , in numero di ℓ, dati da
∂ξ l
, h = 1, . . . , ℓ .
∂qh
Per l’ipotesi che la matrice iacobiana in (4.9) abbia rango massimo, an-
ch’essi sono linearmente indipendenti tra di loro, e pertanto generano un
sottospazio di dimensione ℓ, che denotiamo con V.
Osservazione 8.14. Dato che i vettori considerati sopra dipendono da
(ξ, t) (o equivalentemente da (q, t)) anche gli spazi W e V ne dipendo-
no; omettiamo la dipendenza nella notazione perché che negli argomenti
che seguono il punto (ξ, t) si pensa fissato. 
Definizione 8.15. Lo spazio V si dice spazio degli spostamenti virtuali del
sistema olonomo nel punto (ξ, t). 
Proposizione 8.16. I due spazi W e V sono uno l’ortogonale dell’altro: W =
V ⊥, V = W ⊥.
8.5. SPOSTAMENTI VIRTUALI 121

Dimostrazione. Dimostriamo che


w ·v = 0, per ogni w ∈ W, v ∈ V; (8.33)
basta mostrare che questa proprietà vale per i vettori nelle basi dei due
spazi date sopra, in vista della linearità del prodotto scalare rispetto a
entrambi i fattori.
Fissiamo dunque 1 ≤ j ≤ m e 1 ≤ h ≤ ℓ, e calcoliamo invocando che le q
sono coordinate lagrangiane (ossia che ξ l (q, t) ∈ Ξ f (t))
∂   ∂ξ l
0= f j ξ l (q, t), t = ∇ξ f j ξ l (q, t), t · (q, t) .
∂qh ∂qh
Secondo la Definizione A.24 la (8.33) dunque implica che W ⊂ V ⊥ . Tutta-
via, usando la definizione di ℓ e il Teorema A.25, si ha
dim W = m = nc − ℓ = nc − dim V = dim V ⊥ .
Pertanto W = V ⊥ . 
Presentiamo alcuni esempi che spieghino il significato geometrico e mec-
canico degli spostamenti virtuali.
Esempio 8.17. Consideriamo un punto vincolato a una superficie; il vinco-
lo sarà
f1 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 ) = 0 ,
ove le ξ denotano ora le coordinate cartesiane del punto. In questo caso
nc = 3, m = 1, ℓ = 2. Le due coordinate lagrangiane sono perciò in
sostanza le due variabili che parametrizzano la superficie.
Il sottospazio V è generato dai due vettori
∂X l ∂X l
, ,
∂q1 ∂q2
ossia dai due vettori tangenti alla superficie, e quindi coincide con il piano
tangente alla superficie stessa (inteso come spazio vettoriale).
Il sottospazio W per definizione è lo spazio dei vettori paralleli a
∇ξ f 1 ,
che come è noto dà la direzione ortogonale alla superficie (che è una super-
ficie di livello per f 1 ). Si ritrova quindi in questo caso la Proposizione 8.16.
Ricordando la discussione nella Sezione 8.1 possiamo quindi dire che W
contiene la reazione vincolare, mentre V contiene la velocità del punto. 
Esempio 8.18. Consideriamo poi il caso di un punto vincolato a due su-
perfici da
f1 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 ) = 0 , f2 (ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 ) = 0 .
È il caso di un punto vincolato alla curva intersezione delle due superfici.
Di nuovo le ξ denotano le coordinate cartesiane del punto. In questo caso
nc = 3, m = 2, ℓ = 1. La coordinata lagrangiana è perciò in sostanza la
variabile che parametrizza la curva.
Il sottospazio V è lo spazio dei vettori paralleli a
∂X l
,
∂q1
122 DANIELE ANDREUCCI

ossia al vettore tangente alla curva, e quindi coincide con la retta tangente
alla curva stessa (intesa come spazio vettoriale).
Il sottospazio W per definizione è generato dai due vettori
∇ξ f 1 , ∇ξ f 2 .
Ciascuno di questi due vettori è ortogonale alla superficie corrispondente,
e quindi alla curva, poiché essa giace su entrambe le superfici (in altri ter-
mini, ciascuno dei due gradienti appartiene al piano generato da normale
principale e binormale alla curva). Si ritrova quindi anche in questo caso
la Proposizione 8.16.
Di nuovo, ricordando la discussione nella Sezione 8.1 possiamo quindi
dire che W contiene la reazione vincolare, mentre V contiene la velocità
del punto. Si noti che stavolta la reazione vincolare ha direzione a priori
non determinata, se non all’interno del piano W. 
Osservazione 8.19. I due esempi 8.17 e 8.18 concernono vincoli fissi. Se
anche i vincoli fossero mobili, ossia si avesse
f i ( ξ 1 , ξ 2 , ξ 3 , t) = 0 , (8.34)
gli argomenti precedenti non cambierebbero molto, se non nel senso che
V e W dipenderebbero anche dal tempo. Tuttavia occorre precisare che le
≀≀ velocità possibili del punto non apparterrebbero più a V: si controlli la
(7.4) che dà la velocità in coordinate lagrangiane. Se i vincoli sono fissi,
l’ultimo termine della (7.4), cioè
∂X l
,
∂t
scompare e la situazione è quella descritta sopra. Se i vincoli non sono
fissi, quel termine non si annulla e la velocità contiene un termine che non
appartiene a V. In questo caso talvolta il membro di destra della (7.4) in
cui si sia annullato artificialmente questo termine, ossia, ad esempio nel
caso dell’Esempio 8.17 con vincolo mobile come in (8.34),
2
∂X l
∑ ∂q (q, t) ph ,
h =1 h
viene detto velocità virtuale. Questa coincide con la velocità corrispondente
a vincoli ‘congelati’ nella loro posizione al tempo fissato t. 
Osservazione 8.20. Il fatto che la velocità virtuale e ciascuna reazione vin-
colare siano sempre ortogonali, nell’ipotesi che i vincoli siano lisci, implica
che il lavoro virtuale che per definizione si ottiene integrando il prodotto
scalare delle due si annulla; questo è un modo di riformulare l’ipotesi dei
lavori virtuali. 
CAPITOLO 9

Equazioni di Lagrange

9.1. Le equazioni di Lagrange


Notazione 9.1. In questa Sezione consideriamo un sistema di corpi rigidi
soggetto a vincoli olonomi

{(Ci , ρi , Si ) | i = 1 , . . . , n} ,

ciascuno dei quali è sottoposto alla distribuzione di forze dF i . 

Teorema 9.2. Se il moto soddisfa l’ipotesi dei lavori virtuali, vale per ogni h ∈
{1 , . . . , ℓ}

d h ∂T l i ∂T l
(q(t), q̇(t), t) − (q(t), q̇ (t), t) = Qh (q(t), q̇ (t), t) , (9.1)
dt ∂q̇h ∂qh

ove T l è l’energia cinetica data dalla (7.10), mentre Qh è definita dalla (7.21).

Dimostrazione. A) Per l’ipotesi dei lavori virtuali, e per il Lemma 7.7, si


ha, per ogni h ∈ {1 , . . . , ℓ} fissato,

n Z hd i ∂X l
∑ vli (q(t), q̇(t), t; λ) · i
(q(t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
i=1
dt ∂qh
Λ( D i )
n Z
∂X li
= ∑ dF l i (q (t), q̇(t), t; λ) · (q(t), t; λ) = Qh (q(t), q̇(t), t) . (9.2)
i=1Λ∗
∂qh
i

B) Il membro di sinistra della (9.2) si può riscrivere, usando la regola di


Leibniz, come

Z
dh n ∂X li i
vli (q(t), q̇ (t), t; λ) · (q(t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
dt i∑
=1
∂qh
Λ( D i )
Z
n
d h ∂X li i (9.3)
−∑ vli (q(t), q̇(t), t; λ) · (q(t), t; λ) ρi (λ) dµi (λ)
i=1
dt ∂qh
Λ( D i )
=: J1 − J2 .
123
124 DANIELE ANDREUCCI

C) Ricordando la (7.4), si ha
Z
dh n ∂vl i
J1 = ∑ vli (q(t), q̇ (t), t; λ) · i (q(t), q̇ (t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
dt i=1 ∂q̇h
Λ( D i )
Z
dh ∂ n
1 i
= ∑2 |vli (q(t), q̇ (t), t; λ)|2 ρi (λ) dµi (λ)
dt ∂q̇h i=1
Λ( D i )
d h ∂T l i
= (q(t), q̇ (t), t) .
dt ∂q̇h
(9.4)
Infine
Z h
n ℓ
∂2 X li ∂2 X li i
J2 = ∑ vli (q (t), q̇(t), t; λ) · ∑ ∂q ∂q k q̇ ( t ) + ρi (λ) dµi (λ)
i=1 k=1 h k ∂qh ∂t
Λ( D i )
Z
n
∂ h ℓ ∂X li ∂X li i
= ∑ vli (q (t), q̇(t), t; λ) · ∑ q̇k (t) + ρi (λ) dµi (λ) ,
i=1
∂qh k=1 ∂qk ∂t
Λ( D i )

ove le derivate parziali di X li in parentesi [. . . ] si intendono calcolate in


(q(t), t; λ).
A causa della (7.4) si ha dunque
n Z
∂vli
J2 = ∑ vli (q(t), q̇(t), t; λ) · (q(t), q̇(t), t; λ)ρi (λ) dµi (λ)
i=1
∂qh
Λ( D i )
Z
∂ 1 n
|vli (q(t), q̇ (t), t; λ)|2 ρi (λ) dµi (λ) (9.5)
∂qh 2 i∑
=
=1
Λ( D i )
∂T l
= (q(t), q̇(t), t) .
∂qh
Raccogliendo le (9.2)–(9.5) si ottiene la tesi (9.1). 
Definizione 9.3. Le (9.1) si dicono equazioni di Lagrange. 
Osservazione 9.4. Le equazioni di Lagrange sono state introdotte come
conseguenza dell’ipotesi dei lavori virtuali; vedremo nel Corollario 9.9
che in realtà sono sufficienti a determinare il moto del sistema. Dunque
l’ipotesi dei lavori virtuali determina il moto del sistema. 
Esempio 9.5. Riprendiamo il problema dell’Esempio 5.23:
Un elemento materiale P di massa m è vincolato alla superficie
q 
x3 = f x12 + x22 , f ∈ C3 ((0, +∞)) .
Su di esso agisce il peso −mge3 . Il vincolo è liscio.
Per confronto, stavolta ritroviamo le equazioni di moto come equazioni di
Lagrange.
Scegliamo come coordinate lagrangiane r, ϕ, con r > 0 e ϕ ∈ (0, 2π ), per
cui
X lP (r, ϕ) = (r cos ϕ, r sin ϕ, f (r)) .
9.2. PROPRIETÀ DELL’ENERGIA CINETICA 125

La velocità di P è quindi
v = (ṙ cos ϕ − r ϕ̇ sin ϕ, ṙ sin ϕ + r ϕ̇ cos ϕ, ṙ f ′ (r)) ,
per cui l’energia cinetica risulta
1  
T = m ṙ2 (1 + f ′ (r)2 ) + r2 ϕ̇2 . (9.6)
2
Le forze lagrangiane sono date da
∂X lP ∂X lP
Qr = −mge3 · = −mg f ′ (r) , Q ϕ = −mge3 · = 0.
∂r ∂ϕ
Le equazioni di moto sono quindi
d   
mṙ (1 + f ′ (r)2 ) − mṙ2 f ′ (r) f ′′ (r) + mr ϕ̇2 = −mg f ′ (r) , (9.7)
dt
d 2 
mr ϕ̇ = 0 , (9.8)
dt
che coincidono con quelle trovate nell’Esempio 5.23. 

9.2. Proprietà dell’energia cinetica


Teorema 9.6. Vale
T l (q, p, t) = T1l (q, p, t) + T2l (q, p, t) ; (9.9)
qui T2l è la forma quadratica
1 ℓ
∑ ahk (q, t) ph pk ,
2 h,k
(9.10)
=1
ove
n Z
∂X li ∂X l
ahk (q, t) := ∑ (q, t; λ) i (q, t; λ)ρi (λ) dµi (λ) . (9.11)
i=1
∂qh ∂qk
Λ( D i )

Invece T1l è un polinomio di primo grado nelle ph (a coefficienti dipendenti da q e


t).
In particolare, se tutti i vincoli sono fissi, T1l si annulla identicamente, e le ahk
non dipendono da t in modo esplicito (ossia, ne dipendono solo attraverso q).
Dimostrazione. Dalle definizioni (7.10) e (7.4) si ha
Z 2

l 1 n ∂X l ∂X l
T (q, p, t) = ∑
2 i=1 ∑ ∂q i (q, t; λ) ph + ∂t i (q, t; λ) ρi (λ) dµi (λ)
h =1 h
Λ( D i )
n Z n ℓ
1 ∂X li ∂X li
2 i∑ ∑ ∂q
= ( q, t; λ ) (q, t; λ) ph pk
=1 h,k=1 h ∂qk
Λ( D i )

∂X li ∂X l
+2 ∑ (q, t; λ) i (q, t; λ) ph
h =1
∂qh ∂t
h ∂X l i2 o
i
+ (q, t; λ) ρi (λ) dµi (λ) ,
∂t
(9.12)
126 DANIELE ANDREUCCI

da cui segue subito la tesi. 


Teorema 9.7. (Teorema fondamentale della meccanica lagrangia-
na) La matrice ( ahk ) è simmetrica e definita positiva.
Dimostrazione. La simmetria ahk = akh è una conseguenza immediata
della definizione (9.11).
Poi, dato che
Z 2

1 n ∂X li
T2l (q, p, t) = ∑ ∑ ∂q (q, t; λ) ph ρi (λ) dµi (λ) , (9.13)
2 i=1 h =1 h
Λ( D i )

come segue da (9.12), è ovvio che la matrice ( ahk ) è almeno semidefinita


positiva.
Supponiamo che
T2l (q, p, t) = 0 , (9.14)
per qualche valore (q, p, t). Dalla (9.13) segue allora che gli integrandi lì
presenti devono essere nulli sul dominio Λ( Di ).
In particolare, poiché ρi > 0 su Λ( Di ),

∂X li
∑ ∂q (q, t; λ) ph = 0 , (9.15)
h =1 h
per ogni i = 1, . . . , n, e per ogni λ ∈ Λ( Di ).
Ricordiamo dalle Sezioni 4.6 e 4.7 che, sia nel caso del corpo rigido non
degenere, che in quelli dell’asta rigida e del punto materiale, le coordinate
locali sono scelte come coordinate cartesiane di punti in Λ( Di ), o come
differenze di tali coordinate cartesiane: si vedano le Osservazioni 4.17 e
6.5.
Quindi tutte le nc coordinate locali del sistema vincolato (ξ j ) appaiono
nelle (9.15), nelle componenti scalari cartesiane di opportuni moti X li .
Raccogliendo tutte le nc equazioni scalari così individuate, si ha un sistema
lineare nelle ℓ incognite ph . Questo sistema, che denotiamo per chiarezza
S, si ottiene dal sistema
ℓ ∂ξ j
∑ (q, t) ph = 0 , j = 1, . . . , nc (9.16)
h =1
∂qh
sommandone alcune equazioni membro a membro, come segue dall’Os-
servazione 4.17. Dunque la caratteristica dei due sistemi lineari è, come è
noto, la medesima.
D’altronde la matrice dei coefficienti del sistema (9.16) è la matrice iaco-
biana  ∂ξ 
j
(q, t) , (9.17)
∂qh j=1,...,nc ; h=1,...,ℓ
che ha caratteristica massima (pari a ℓ). Quindi l’unica soluzione del
sistema lineare omogeneo S è quella nulla
p = 0.
Resta così dimostrato che T2l = 0 implica p = 0, e quindi la positività della
forma quadratica. 
9.2. PROPRIETÀ DELL’ENERGIA CINETICA 127

Corollario 9.8. Il sistema di equazioni differenziali (9.1), h = 1, . . . , ℓ, si può


scrivere nella forma normale
q̈ = f (q, q̇, t) . (9.18)
Se i vincoli sono tutti fissi, si ha più in particolare
−1
q̈ = A(q(t)) F (q, q̇, t) + g (q(t), q̇ (t)) , (9.19)
ove F = ( Qh ), A = ( ahk ), e ciascun elemento del vettore g è una forma
quadratica nelle q̇.
Dimostrazione. Osserviamo che ciascuna delle (9.1) si può scrivere come
dh ℓ ∂T l i
∑ ahk (q(t), t)q̇k (t) + 1 (q(t), t) = f˜h (q(t), q̇ (t), t) , (9.20)
dt k=1 ∂q̇h
ove si definisce
∂T l
f˜h (q(t), q̇ (t), t) := (q(t), q̇ (t), t) + Qh (q (t), q̇(t), t) .
∂qh
È essenziale che il termine
∂T1l
( q( t) , t)
∂q̇h
non dipenda dalle q̇; questo è vero perché T1l è lineare nelle q̇. Infatti allora
le (9.20) si riscrivono come

∑ ahk (q(t), t)q̈k
k=1

d  d h ∂T1l i
=−∑ ahk (q(t), t) q̇k − (q(t), t) + f˜h (q(t), q̇ (t), t) . (9.21)
k=1
dt dt ∂q̇h
Il termine di destra nella (9.21) dipende solo da q, q̇, t. D’altra parte, dato
che la matrice ( ahk ) è definita positiva, ha determinante diverso da zero,
e quindi le (9.21) costituiscono un sistema lineare nelle incognite q̈, la cui
matrice dei coefficienti è non singolare. Per la regola di Cramer, segue
subito la (9.18).
Se infine i vincoli sono tutti fissi, T1l = 0, e dalla definizione delle f˜h segue
che

∑ ahk (q(t))q̈k
k=1
ℓ h ∂a ∂ahk i
kj
= ∑ (q (t)) − (q(t)) q̇ j q̇k + Qh (q(t), q̇ (t), t) . (9.22)
k,j=1
∂qh ∂q j
Risolvendo le (9.22) rispetto a q̈ segue la (9.19). 
Dai teoremi elementari sulle e.d.o. si ha allora
Corollario 9.9. Se la f di (9.18) è continua in tutte le variabili e di classe C1
in (q, q̇), il problema di Cauchy per (9.18) ha un’unica soluzione locale.
Le ipotesi di regolarità del Corollario 9.9 sono verificate se per esempio le
X lj e le Qh sono di classe C3 .
128 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 9.10. Il fatto che il sistema delle equazioni di Lagrange pos-


sa essere normalizzato implica che si possono definire per il sistema, ap-
punto in tale forma normalizzata, i concetti di punti di equilibrio e di
stabilità visti nel Capitolo 1. 

9.3. Condizioni iniziali; atti di moto.


Nel formalismo lagrangiano le condizioni iniziali per le equazioni di moto,
ossia per il sistema (9.18), si riducono con estrema immediatezza a
q ( 0) = q 0 ∈ Q , q̇(0) = q̇0 ∈ Rℓ . (9.23)
Questo (che è uno dei vantaggi dell’uso delle coordinate lagrangiane) av-
viene perché la parametrizzazione lagrangiana tiene conto per costruzione
di tutti i vincoli. Questa stessa proprietà è condivisa dalle coordinate locali
indipendenti, che in sostanza sono per definizione una possibile scelta di
coordinate lagrangiane.
I valori iniziali espressi in coordinate locali ξ (0) e ξ̇ (0) invece non possono
essere scelti in modo indipendente come osservato nella Sezione 4.3.
Usando la parametrizzazione lagrangiana denotiamo
∂f   ∂ξ l 
j j
F= , G= .
∂ξ k ∂qh
Allora vale
∂ξ l
ξ̇ (t) = G(t)q̇ (t) + , (9.24)
∂t
che permette di trovare l’atto di moto espresso nelle ξ noto che sia nelle q,
in ogni istante e quindi anche all’istante iniziale.
Definizione 9.11. Il vettore q̇(t) in (9.24) è detto atto di moto lagrangiano
del sistema olonomo. 
Il sistema (4.7) si può riscrivere come
∂ξ l ∂ f 
j
F ξ̇ = F G q̇ + F =− , (9.25)
∂t ∂t
che del resto si ottiene anche derivando direttamente per ogni j ∈ {1, . . . , m}

f j ξ l ( q( t) , t) , t = 0 , t ∈ I.

9.4. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie.


Consideriamo un sistema di corpi rigidi come nella Sezione 9.1.
Nelle ipotesi del Teorema 9.2, ossia in sostanza se vale l’ipotesi dei lavori
virtuali, si ricavano le equazioni di Lagrange (9.1).
Qui esaminiamo le conseguenze su queste equazioni di un cambiamento
di sistema di riferimento.
Notazione 9.12. Introduciamo dunque un sistema di riferimento mobile
S = ( X O , uh ). Si noti in particolare che questo nuovo sistema di riferi-
mento è lo stesso per tutti i corpi rigidi del sistema olonomo, ossia non
dipende da i. Supponiamo inoltre che sia X O che la velocità angolare ω
della terna (uh ) siano assegnate come funzioni del tempo. 
9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 129

È chiaro che per le velocità e accelerazioni relative a S si possono ottene-


re rappresentazioni analoghe a quelle della Sezione 7.1. Tuttavia è faci-
le intuire che le equazioni di moto devono essere diverse nel sistema di
riferimento fisso e in quello mobile.
Teorema 9.13. Vale per ogni h ∈ {1 , . . . , ℓ}
d h ∂TSl i ∂T l
(q(t), q̇ (t), t) − S (q(t), q̇(t), t) = Qh S (q(t), q̇ (t), t) , (9.26)
dt ∂q̇h ∂qh
ove TSl è l’energia cinetica in S , mentre Qh S è definita dalla
n Z
∂X li h l i
Qh S = ∑ · dF i − alti ρi (λ) dµi (λ) − alci ρi (λ) dµi (λ) . (9.27)
i=1 ∗
∂qh
Λi

Qui alti e alci indicano le accelerazioni di trascinamento e di Coriolis in S .


Dimostrazione. Secondo la (2.36) si ha, per ogni i = 1, . . . , n,
ali = alti + alc i + alS i . (9.28)
Usando l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11) si ottiene dunque, sostituendo la
(9.28),
n Z n Z
l∂X li ∂X li
∑ dF i · = ∑ ali ρi (λ) · dµi (λ)
i=1 ∗
∂qh i=1 ∗
∂qh
Λi Λi
Z 
n
l l l
 ∂X li
= ∑ a ti + a ci + a Si ρ i ( λ ) · dµi (λ) ,
i=1Λ∗
∂qh
i

da cui le (9.26) seguono secondo la stessa dimostrazione del Teorema 9.2.



Osservazione 9.14. Nella (9.27) gli argomenti delle varie funzioni sono
stati omessi per semplicità, ma è bene notare in modo esplicito che nelle
ipotesi stabilite all’inizio della Sezione anche le alti e alci , oltre che le dF l i ,
risultano funzioni di (q, q̇, t) (e non di q̈), il che giustifica la notazione in
(9.26). Si veda infatti la Definizione 2.37. 
Consideriamo di seguito alcuni casi in cui l’accelerazione di Coriolis dà
contributo nullo alle equazioni di Lagrange.
Metodo 9.15. (Moto relativo funzione di una sola coordinata la-
grangiana) È il caso in cui
3
X li (q, t; λi ) = X O (t) + ∑ yij (q; λi )u j (t) , q ∈ Q ⊂ R. (9.29)
j=1

Nella (9.26) si ha
∂X li ∂X li
alci · = 2[ω × vlS i ] · . (9.30)
∂q ∂q
D’altronde,
3 3 ∂y i
d  j ∂X l
vlS i = ∑ dt yij (q; λi ) u j (t) = q̇ ∑ ∂q (q; λi )u j (t) = q̇ ∂qi (q, t; λi ) ,
j=1 j=1
130 DANIELE ANDREUCCI

∂ X li
e quindi vlS i e ∂q sono paralleli. Ne segue dalla (9.30) che
∂X li
alci · = 0.
∂q

Esempio 9.16. Punto vincolato a una curva solidale con S .
Sia γ una curva solidale con S , parametrizzata dall’ascissa curvilinea
3
ψ(s, t) = X O (t) + ∑ ψSj (s)u j (t) , s ∈ J.
j=1

Se il punto P è vincolato a γ si può usare s come coordinata lagrangiana,


cosicché
X l (s, t) = ψ(s, t) .
Come già visto,
∂X l
vlS = ṡ(t) ,
∂s
e
∂X l ∂X l h ∂X l i ∂X l
alc · = 2[ω × vlS ] · = 2ṡ(t) ω × · = 0.
∂s ∂s ∂s ∂s

Metodo 9.17. (Piano ruotante intorno a un asse che giace sul piano
medesimo) Supponiamo qui che
ω( t) = ω ( t) u3 ( t) , u3 ( t) = e3 , t∈ I,
e che O sia fisso, coincidente con l’origine del sistema di riferimento fisso.
Dunque il moto di S è una rotazione (non uniforme, in genere) intorno
all’asse fisso per O parallelo a e3 . Sia Π (t) il piano passante per O e nor-
male a u1 (t); quindi Π (t) ruota intorno all’asse (solidale con S ) passante
per O e parallelo a u3 , che giace su Π (t).
Supponiamo che i rigidi giacciano su Π (t), cosicché per ogni i = 1, . . . , n,
X li (q, t; λi ) = y2i (q; λi )u2 (t) + y3i (q; λi )u3 (t) . (9.31)
Quindi per h = 1, . . . , ℓ,
∂X li ∂yi ∂yi
= 2 u2 + 3 u3 ,
∂qh ∂qh ∂qh
e
3 h ℓ ∂yij i
vlS i = ∑ ∑ q̇h u j .
j=2 h =1
∂qh
∂ Xl
Si noti che, come prevedibile, ∂q i e vlS i giacciono su Π (t) e quindi sono
h
ortogonali a u1 (t).
Perciò, per h = 1, . . . , ℓ e per ogni i = 1, . . . , n,
∂X li ∂X li h ℓ ∂yi i ∂X li
alci · = 2[ω × vlS i ] · = −2ω (t) ∑ 2 q̇k u1 · = 0.
∂qh ∂qh k=1
∂qk ∂qh

9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 131

Esempio 9.18. Un piano mobile Π (t) ha equazione nel sistema di riferi-


mento fisso (O, ei )
x1 cos ωt + x2 sin ωt + x3 = 0 .
Si tratta dunque di un piano passante per l’origine e con normale
1
ν = √ (cos ωt, sin ωt, 1) .
2
Un punto materiale P di massa m è vincolato a Π (t) e sottoposto alla forza
peso, diretta nel verso negativo dell’asse x3 .
Scriviamo le equazioni di Lagrange del punto nel sistema di riferimento
mobile S = (O, ui ), ove
1
u1 (t) = √ (− cos ωt, − sin ωt, 1) ,
2
u2 (t) = (sin ωt, − cos ωt, 0) ,
u3 ( t) = ν( t) .
Quindi (u1 (t), u2 (t)) è una base di Π (t), per ogni fissato t.
Applicando l’espressione delle componenti della velocità angolare ω di
S in funzione delle derivate dei versori ui (si veda la dimostrazione del
Lemma 2.19) si ottiene subito
ω
ω (t) = √ (u1 + u3 ) = ωe3 .
2
Quindi il moto di S è una rotazione costante.
Scegliamo come coordinate lagrangiane x, y ∈ R tali che
−→
OP = xu1 + yu2 .
Nel sistema di riferimento mobile agiscono su P oltre alla forza peso le
forze fittizie di trascinamento F t e di Coriolis F c . Si ha
−→ nx x o
F t = −mω × [ω × OP] = mω 2 u1 + yu2 − u3 ,
2 2
cosicché le corrispondenti componenti lagrangiane delle forze sono
∂X l x
Ft · = F t · u1 = mω 2 ,
∂x 2
∂X l
Ft · = F t · u2 = mω 2 y .
∂y
Inoltre

F c = −2mω × vS = −mω 2(u1 + u3 ) × ( ẋu1 + ẏu2 )

= mω 2(ẏu1 − ẋu2 − ẏu3 ) ,
cosicché le corrispondenti componenti lagrangiane delle forze sono
∂X l √
Fc · = F c · u1 = mω 2ẏ ,
∂x
∂X l √
Fc · = F c · u2 = −mω 2ẋ .
∂y
132 DANIELE ANDREUCCI

Infine, per quanto riguarda la forza peso,


∂X l mg
F peso · = −mge3 · u1 = − √ ,
∂x 2
∂X l
F peso · = −mge3 · u2 = 0 .
∂y
L’energia cinetica è
m 2
( ẋ + ẏ2 ) .
TS =
2
Dunque le equazioni di Lagrange sono
x √ mg
m ẍ = mω 2 + mω 2ẏ − √ ,
2 2
2

mÿ = mω y − mω 2ẋ .

9.4.1. Moto su una sfera in un sistema di riferimento ruotante. Consi-
deriamo un punto P di massa m vincolato alla superficie sferica di raggio
R > 0 e centro l’origine del sistema di riferimento fisso. Sul punto non
sono applicate forze.
Questo è un caso particolare dell’Esempio 8.2, in cui prendiamo F = 0.
Osservazione 9.19. Con la notazione dell’Esempio 8.2, si può sempre as-
sumere, scegliendo opportunamente le coordinate lagrangiane ϕ, θ, che le
condizioni iniziali siano
π
ϕ(0) = ϕ0 ∈ (−π, π ) , θ (0) = , ϕ̇(0) = ϕ̇0 ∈ R , θ̇ (0) = 0 . (9.32)
2
Le (8.8)–(8.9) allora implicano subito che il moto si riduce a un moto cir-
colare uniforme sulla circonferenza (massima) θ = π/2, o alla quiete. 
Qui vogliamo scrivere le equazioni di moto in un sistema di riferimento
ruotante S = (O, uh ), ove
u1 (t) = cos(ωt)e1 + sin(ωt)e2 ,
u2 (t) = − sin(ωt)e1 + cos(ωt)e2 ,
u3 ( t) = e3 ,
con ω > 0 costante, e O coincidente con l’origine del sistema di riferimento
fisso (e quindi con il centro della sfera). La velocità angolare di S è
ω(t) = ωe3 = ωu3 (t) .
Il moto sarà
X l ( ϕ, θ, t) = R cos ϕ sin θu1 (t) + R sin ϕ sin θu2 (t) + R cos θu3 (t) , (9.33)
secondo l’usuale parametrizzazione di una superficie sferica con
ϕ ∈ (−π, π ) , θ ∈ (0, π ) .
Tuttavia le coordinate lagrangiane ϕ, θ hanno qui un significato diverso da
quello che avevano sopra (nella notazione dell’Esempio 8.2): infatti per ϕ,
θ costanti, il punto risulta fermo non nel sistema di riferimento fisso, ma
invece in quello mobile S .
9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 133

Inoltre, ora le curve di livello θ = costante (i ‘paralleli’) non sono più scelte
ortogonali a una direzione arbitraria (il che aveva condotto alla possibilità
di scrivere la (9.32)), ma piuttosto ortogonali alla direzione (fissata) di ω,
cioè dell’asse di rotazione.
Scriviamo le equazioni di Lagrange in S ; la velocità è data da
∂X l ∂X l
vS = ϕ̇ + θ̇ , (9.34)
∂ϕ ∂θ
ove
∂X l
= − R sin ϕ sin θu1 (t) + R cos ϕ sin θu2 (t) ,
∂ϕ
∂X l
= R cos ϕ cos θu1 (t) + R sin ϕ cos θu2 (t) − R sin θu3 (t) .
∂θ
Si noti che
∂X l ∂X l
· = 0.
∂ϕ ∂θ
Dunque un conto diretto dà
1 1
TS = m|vS |2 = mR2 [ ϕ̇2 sin2 θ + θ̇ 2 ] . (9.35)
2 2
Restano da valutare le componenti lagrangiane delle forze, che si riducono
nel caso presente a quelle delle forze fittizie, secondo la (9.27).
Di nuovo, calcoli diretti danno
h  ∂X l ∂X l i
F c = −2m ωu3 × ϕ̇ + θ̇
∂ϕ ∂θ
 (9.36)
= 2mωR ( ϕ̇ cos ϕ sin θ + θ̇ sin ϕ cos θ )u1

+ ( ϕ̇ sin ϕ sin θ − θ̇ cos ϕ cos θ )u2 ,
da cui
∂X l
Fc · = −mωR2 θ̇ sin(2θ ) , (9.37)
∂ϕ
∂X l
Fc · = mωR2 ϕ̇ sin(2θ ) . (9.38)
∂θ
Inoltre, visto che
F t = −mω × [ω × X l ] = mω 2 R sin θ [cos ϕu1 + sin ϕu2 ] , (9.39)
si ha
∂X l
Ft · = 0, (9.40)
∂ϕ
∂X l 1
Ft · = mω 2 R2 sin(2θ ) . (9.41)
∂θ 2
Si verifica quindi che le equazioni di Lagrange sono
ϕ̈ sin2 θ = −θ̇ ( ϕ̇ + ω ) sin(2θ ) , (9.42)
1
θ̈ = ( ϕ̇ + ω )2 sin(2θ ) . (9.43)
2
I seguenti esercizi si riferiscono alle equazioni di moto nel sistema di
riferimento ruotante.
CAPITOLO 10

Equazioni di Lagrange nel caso conservativo

10.1. La funzione lagrangiana


Notazione 10.1. In questa Sezione assumeremo sempre che il sistema di
componenti lagrangiane delle forze {Qh }ℓh=1 sia conservativo. 
Definizione 10.2. Se il sistema di componenti lagrangiane delle forze
{Qh }ℓh=1 è conservativo, nel senso della Definizione 7.20, si definisce fun-
zione lagrangiana del sistema {(Ci , ρi , Si )}ni=1 la funzione L definita da
L(q, p, t) := T l (q, p, t) + U l (q, t) . (10.1)
Qui q ∈ Q, q̇ ∈ Rℓ , t ∈ I. 
Teorema 10.3. Se il sistema di componenti lagrangiane delle forze {Qh }ℓh=1 è
conservativo, le equazioni di Lagrange (9.1) si possono riscrivere come
d h ∂L i ∂L
(q, q̇, t) − (q, q̇, t) = 0 , (10.2)
dt ∂q̇h ∂qh
per h = 1, . . . , ℓ.
Dimostrazione. Basta partire dalle (9.1), usare la definizione di L, e os-
servare che
∂L ∂T l
(q, q̇, t) = (q, q̇, t) . (10.3)
∂q̇h ∂q̇h

Osservazione 10.4. Se i vincoli sono fissi, e le distribuzioni di forze dF i
sono conservative nel senso della Definizione 7.17, la L non dipende espli-
citamente dal tempo, ossia ≀≀
∂L
(q, q̇, t) = 0 ,
∂t
per ogni q ∈ Q, q̇ ∈ Rℓ , t ∈ I. Questo segue dall’Osservazione 7.24 e dal
Teorema 9.6. 
Esempio 10.5. Riprendiamo il problema degli Esempi 5.23 e 9.5, ricavando
le equazioni di Lagrange mediante la funzione lagrangiana; il potenziale
in forma lagrangiana è
U l (r, ϕ) = −mg f (r) ,
per cui ricordando la forma dell’energia cinetica ottenuta in (9.6) si ottiene
1  
L(r, ϕ, ṙ, ϕ̇) = m ṙ2 (1 + f ′ (r)2 ) + r2 ϕ̇2 − mg f (r) ,
2
da cui si ritrovano mediante le (10.2) le equazioni di moto (9.7)–(9.8). 
135
136 DANIELE ANDREUCCI

10.1.1. Conservazione dell’energia.


Definizione 10.6. Definiamo la funzione hamiltoniana

∂L
H(q, p, t) = ∑ (q, p, t) ph − L(q, p, t) , (10.4)
h =1
∂q̇h

per q ∈ Q, p ∈ Rℓ , t ∈ I. 
Lemma 10.7. Se q ∈ C2 ( I ) è una soluzione delle equazioni di Lagrange, allora
d ∂L
H(q, q̇, t) = − (q, q̇, t) , t ∈ I. (10.5)
dt ∂t
Nella (10.5) è sottintesa la dipendenza di q e q̇ da t.
Si osservi in particolare che i due membri di (10.5) non dipendono da q̈.
Dimostrazione. Si calcola, usando le (10.2),
ℓ  
d d h ∂L i ∂L ∂L ∂L ∂L
H= ∑ q̇h + q̈h − q̇h − q̈h −
dt h =1
dt ∂ q̇ h ∂ q̇ h ∂q h ∂ q̇ h ∂t
ℓ  
∂L ∂L ∂L ∂L
= ∑ q̇h − q̇h − =− .
h =1
∂q h ∂q h ∂t ∂t

Proposizione 10.8. Assumiamo che i vincoli siano fissi. Allora
H(q, p, t) = T l (q, p) − U l (q, t) . (10.6)
Dimostrazione. Intanto osserviamo che per le ipotesi e per il Teorema 9.6
T l non dipende esplicitamente dal tempo. Dunque dalla definizione (10.4)
segue
ℓ ℓ
∂L ∂T l
H= ∑ ∂q̇h ph − L = ∑ ∂q̇h ph − Tl − U l
h =1 h =1

1 ℓ
= ∑ ahk (q) ph pk − ∑ ahk (q) ph pk − U l
2 h,k
h,k=1 =1

1 ℓ
= ∑ ahk (q) ph pk − U l = Tl − U l .
2 h,k =1


La Proposizione 10.8 insieme con un’opportuna ipotesi di conservatività
delle forze implica la conservazione dell’energia, come segue dal prossimo
risultato.
Teorema 10.9. (Conservazione dell’energia) Assumiamo che le distribu-
zioni di forze dF i siano conservative nel senso della Definizione 7.17 e che i vincoli
siano fissi. Sia q ∈ C2 ( I ) una soluzione delle equazioni di Lagrange. Allora H
non dipende esplicitamente dal tempo, ed esiste una costante E tale che
H(q(t), q̇ (t)) = T l (q(t), q̇ (t)) − U l (q(t)) = E , t ∈ I. (10.7)
10.1. LA FUNZIONE LAGRANGIANA 137

Dimostrazione. Per la Proposizione 10.8, per il Lemma 10.7 e per l’Os-


servazione 10.4 si ha
d l  d ∂L
T − Ul = H=− = 0, t ∈ I.
dt dt ∂t

10.1.2. Stabilità dell’equilibrio.
Teorema 10.10. Assumiamo che le distribuzioni di forze dF i siano conservative
nel senso della Definizione 7.17, che i vincoli siano fissi, che qeq ∈ Q sia un punto
di massimo isolato per U l .
Allora qeq è un punto di equilibrio stabile.
Dimostrazione. Richiamata l’Osservazione 9.10, notiamo che dalla (9.19)
segue che, in vista della
( Qh (qeq )) = ∇ U l (qeq ) = 0 ,
il punto qeq è in effetti di equilibrio.
La funzione
W = H + U l (qeq )
è una funzione di Liapunov per il sistema delle equazioni di Lagrange,
nel senso della Definizione 1.19, ove si ricordi anche l’Osservazione 1.20.
Infatti la regolarità segue dalle ipotesi generali stipulate. La positività
segue dal fatto che U l (q) < U l (qeq ) per ogni q 6= qeq in un intorno
opportuno di qeq , oltre che dal Teorema 9.7, come mostrato in sostanza
nella dimostrazione del Teorema 1.26. Infine la proprietà di monotonia
lungo le soluzioni del sistema differenziale è implicata dal Teorema 10.9.
Dunque si applica il Teorema 1.21 e se ne deduce la stabilità cercata. 
10.1.3. Le coordinate cicliche e i relativi integrali primi.
Definizione 10.11. Una coordinata lagrangiana qh si dice ciclica o ignora-
bile se
∂L
(q, p, t) = 0 , (10.8)
∂qh
per ogni valore di q ∈ Q, p ∈ Rℓ , t ∈ I. 
Proposizione 10.12. Se qh è una coordinata ciclica, allora vale l’integrale primo
del moto:
∂L ∂L
(q(t), q̇(t), t) = (q(0), q̇ (0), 0) , t ∈ I. (10.9)
∂q̇h ∂q̇h
Dimostrazione. Ovvia per le equazioni di Lagrange (10.2). 
Esempio 10.13. Tornando all’Esempio 9.5, si ha che la ϕ è una coordinata
ciclica; in corrispondenza secondo la Proposizione 10.12 si ha l’integrale
primo
∂L
(r(t), ϕ(t), ṙ (t), ϕ̇(t)) = mr2 ϕ̇ = costante ,
∂ ϕ̇
come del resto seguiva subito dalla (9.8). 
138 DANIELE ANDREUCCI

10.2. Piccole oscillazioni


Notazione 10.14. Supponiamo qui che i vincoli siano tutti fissi e che il
sistema di componenti lagrangiane delle forze sia conservativo nel senso
della Definizione 7.20. 
Sia qeq ∈ Q un punto di equilibrio stabile, ove

∇ U l (qeq ) = 0 , (10.10)
D2 U l (qeq ) sia definita negativa. (10.11)
Allora il potenziale U l in un intorno di qeq si può approssimare con il suo
polinomio di Taylor di secondo grado
1 t
U ∗ (q) = U l (qeq ) + (q − qeq ) D2 U l (qeq )(q − qeq )
2
(10.12)
1 ℓ ∂2 U l
= U l (qeq ) + ∑ (q )(q − qeq h )(qk − qeq k ) .
2 h,k=1 ∂qh ∂qk eq h

A sua volta l’energia cinetica si può approssimare con

1 ℓ
T ∗ (q̇) = T l (qeq , q̇ ) = ∑ ahk (qeq )q̇h q̇k . (10.13)
2 h,k =1

Nel seguito assumeremo che


qeq = 0 ,
e
U l (qeq ) = 0 ,
il che si può sempre ottenere con ovvie traslazioni. Posto
∂2 U l
Uhk = ( 0) , U = (Uhk ) , A = ( ahk (0)) ,
∂qh ∂qk
avremo quindi

1 t 1 ℓ
U ∗ (q) = q Uq = ∑ Uhk qh qk , (10.14)
2 2 h,k =1

1 t 1 ℓ
T ∗ (q̇) = q̇ Aq̇ = ∑ ahk (0)q̇h q̇k . (10.15)
2 2 h,k =1

Definizione 10.15. Si definisce lagrangiana ridotta la funzione


L∗ (q, q̇) = T ∗ (q̇) + U ∗ (q) , q , q̇ ∈ Rℓ . (10.16)
Si definiscono piccole oscillazioni i moti relativi alla lagrangiana ridotta,
ossia le soluzioni delle
d ∂L∗ ∂ L∗
− = 0, h = 1, . . . , ℓ , (10.17)
dt ∂q̇h ∂qh
che si dicono equazioni delle piccole oscillazioni. 
10.2. PICCOLE OSCILLAZIONI 139

Osservazione 10.16. Il sistema differenziale (10.17), ricordando le (10.14),


(10.15), si può riscrivere come
ℓ h i
∑ ahk q̈k − Uhk qk = 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.18)
k=1

ove si sottintende ahk = ahk (0). Si tratta dunque di un sistema lineare del
secondo ordine a coefficienti costanti. In forma vettoriale
A q̈ − U q = 0 . (10.19)

Teorema 10.17. Esistono coordinate lagrangiane λ ∈ Rℓ tali che in queste
coordinate le (10.17) assumono la forma
λ̈h + ωh2 λh = 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.20)
per opportuni reali ωh > 0, e la L∗ assume la forma
1 ℓ  2 
L∗ (λ, λ̇) = ∑ λ̇h − ωh2 λ2h . (10.21)
2 h =1

Dimostrazione. È chiaro che la (10.20) segue dalla (10.21), quindi baste-


rà dimostrare quest’ultima, il che si riduce a diagonalizzare due forme
quadratiche con il medesimo cambiamento di variabili.
A) Diagonalizziamo A. Essendo questa una matrice simmetrica, per il
Lemma 6.26 esiste una matrice B con
BB t = B t B = I ,
tale che
B t AB = diag(α1 , . . . , αℓ ) .
Gli scalari αh devono essere positivi, perché A è definita positiva: per
h ∈ {1, . . . , ℓ}
αh = eh t (B t AB)eh = (B eh )t A(B eh ) > 0 .
B) Normalizziamo T ∗ . Definiamo nuove (provvisorie) coordinate µ ∈ Rℓ ,
mediante la
q = BN µ ,
con
 1 1 
N = diag √ , . . . , √ .
α1 αℓ
Allora
1 t 1
q̇ A q̇ = µ̇t N t B t ABN µ̇ =
2 2
1 t 1 1
µ̇ N diag(α1 , . . . , αℓ )N µ̇ = µ̇t I µ̇ = |µ̇|2 . (10.22)
2 2 2
C) Diagonalizziamo U . Nelle coordinate µ la U diviene ∗

1 t t t 1
µ N B U BN µ =: µt D µ . (10.23)
2 2
140 DANIELE ANDREUCCI

Si verifica subito che D è simmetrica, perché U lo è:


t
D t = (N t B t U BN ) = N t B t U t BN = D .
Si può quindi ancora invocare il Lemma 6.26 per trovare una matrice C
tale che
CC t = C t C = I ,
e che
C t DC = diag( β1 , . . . , β ℓ ) .
Gli scalari β h devono essere negativi, perché U è definita negativa: per
h ∈ {1, . . . , ℓ}
β h = eh t (C t DC)eh = eh t C t N t B t U BN C eh =
(BN C eh )t U (BN C eh ) < 0 .
Possiamo quindi scrivere
β h = −ωh2 ,
con ωh > 0.
D) Cambiamento finale di coordinate. Le nuove coordinate lagrangiane
saranno date da
µ = Cλ ,
ossia
λ = C t µ = C t N −1 B t q .
In queste coordinate la U ∗ è data da (vedi la (10.23))
1 t t 1 1 ℓ
λ C DC λ = λt diag(−ω12 , . . . , −ωℓ2 )λ = − ∑ ωh2 λ2h .
2 2 2 h =1
Inoltre, per la (10.22), la T ∗ diviene
1 2 1 1 t 1 t 1
|µ̇| = µ̇t µ̇ = λ̇ C t C λ̇ = λ̇ I λ̇ = |λ̇|2 .
2 2 2 2 2

Definizione 10.18. Le coordinate λh si dicono coordinate normali. Le ωh /2π
si dicono frequenze normali. 
Osservazione 10.19. Le frequenze normali si possono determinare anche
senza operare di fatto le trasformazioni di coordinate viste nella dimostra-
zione del Teorema 10.17.
Cerchiamo soluzioni del sistema (10.17) che abbiano frequenza ω/2π,
ossia che abbiano la forma
q(t) = x cos(ωt) (10.24)
per un’opportuna scelta del vettore costante x ∈ Rℓ , x 6= 0. Una sostitu-
zione diretta di quest’espressione nella (10.19) conduce a
−(ω 2 A + U ) x cos(ωt) = 0 ,
che, a causa della x 6= 0, può valere solo se
det(ω 2 A + U ) = 0 . (10.25)
La (10.25) ha per soluzioni i quadrati delle ωh , h = 1, . . . , ℓ. 
10.2. PICCOLE OSCILLAZIONI 141

Esempio 10.20. Scriviamo la lagrangiana ridotta (intorno all’unica posizio-


ne di equilibrio stabile) per un punto P di massa m vincolato all’ellissoide
x2 y2 z2
+ + = 1,
a2 b2 c2
e sottoposto alla forza peso, che agisce nel verso negativo dell’asse z.
Scegliamo come coordinate lagrangiane
n x2 y2 o
( x, y) ∈ + < 1 .
a2 b2
Allora il moto del punto è dato da
r
l x 2 y2
X ( x, y) = xe1 + ye2 − c 1− − 2 e3 .
a2 b
Il potenziale della forza peso è quindi
r
l x2 y2
U ( x, y) = −mg(z( x, y) + c) = mgc 1− 2
− 2 − mgc .
a b
Vale
∇ U l (0, 0) = 0 ,
quindi il punto (0, 0, −c) corrisponde a una posizione di equilibrio.
I calcoli mostrano che
 mgc 
2 l − a2 0
D U (0, 0) = ,
0 − mgc
b2

è definita negativa, e quindi (0, 0, −c) è una posizione di equilibrio stabile


in cui si può definire la lagrangiana ridotta.
In particolare
1  x 2 y2 
U ∗ ( x, y) = − mgc 2 + 2 .
2 a b
Troviamo poi l’energia cinetica. La velocità del punto è data da

x2 y2 − 2  x ẋ yẏ 
1

v = ẋe1 + ẏe2 + c 1 − 2 − 2 + 2 e3 .
a b a2 b
Quindi
1 h 2  x2 y2 −1  x ẋ yẏ 2 i
T l ( x, y, ẋ, ẏ) = m ẋ + ẏ2 + c2 1 − 2 − 2 + 2 ,
2 a b a2 b
e l’energia cinetica ridotta è
1
T ∗ ( ẋ, ẏ) = m( ẋ2 + ẏ2 ) .
2
Pertanto la lagrangiana ridotta è
1 1  x 2 y2 
L∗ ( x, y, ẋ, ẏ) = m( ẋ2 + ẏ2 ) − mgc 2 + 2 .
2 2 a b

142 DANIELE ANDREUCCI

10.3. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse equazioni


di Lagrange.
È possibile che due funzioni lagrangiane diverse conducano alle stesse
equazioni di moto.
Teorema 10.21. Se le due funzioni lagrangiane L1 e L2 soddisfano
d
L2 (q, q̇, t) = L1 (q, q̇, t) + F (q, t) , (10.26)
dt
con F ∈ C2 ( Rℓ+1 ), allora conducono alle stesse equazioni di Lagrange.
Dimostrazione. Anzitutto si noti che la (10.26) si può riscrivere come

∂F ∂F
L2 = L1 + ∑ q̇k + .
k=1
∂qk ∂t
Si ha quindi per h = 1, . . . , ℓ:
dh ∂ i ∂
(L2 − L1 ) − (L2 − L1 ) =
dt ∂q̇h ∂qh
d h ∂F i ℓ
∂2 F ∂2 F
− ∑ ∂q q̇k − = 0,
dt ∂qh k=1 k ∂qh ∂t∂qh
ove si è applicato il teorema di derivazione di funzioni composte. 
Esempio 10.22. Sia (O, (ei )) il sistema di riferimento fisso, e sia
−→
OP = x1 e1 + x3 e3 ,
ove P è un punto di massa m. P è vincolato a una circonferenza di raggio
R e centro A, giacente sul piano x2 = 0.
A sua volta, A è vincolato ad appartenere all’asse x3 , ma è mobile su tale
asse, con moto
−→
OA = −ct2 e3 ,
con c costante positiva.
Su P agisce la forza peso
−mge3 .
Scriviamo le equazioni di Lagrange di P.
A) Prima usiamo il sistema di riferimento fisso. Scegliamo come coordi-
−→
nata lagrangiana l’angolo ϕ tra AP e e1 . Indichiamo anche
z(t) = −ct2 .
Dunque
−→
OP = ( R cos ϕ, 0, z(t) + R sin ϕ) .
Dato che le forze sono conservative con potenziale
U = −mgx3 ,
si può scrivere
1
L1 = m|v |2 − mgx3 .
2
Ma
v = (− R ϕ̇ sin ϕ, 0, ż(t) + R ϕ̇ cos ϕ) ,
10.3. LAGRANGIANE EQUIVALENTI 143

e pertanto
|v|2 = ż(t)2 + R2 ϕ̇2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ .
Perciò
1  
L1 = m ż(t)2 + R2 ϕ̇2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ − mgz(t) − mgR sin ϕ .
2
Il sistema ha un grado di libertà, quindi le equazioni di Lagrange si ridu-
cono alla
d  2 
m R ϕ̇ + Rż(t) cos ϕ + mRż(t) ϕ̇ sin ϕ + mgR cos ϕ = 0 .
dt
B) Ricalcoliamo la lagrangiana nel sistema di riferimento mobile S =
( A, ei ).
La coordinata lagrangiana è ancora la ϕ come sopra. Si ha
−→
AP = ( R cos ϕ, 0, R sin ϕ) ,
e quindi
1
TS = mR2 ϕ̇2 .
2
Sul punto agiscono il peso e la forza di trascinamento
F t = −ma A = 2ce3 .
Quindi il potenziale delle forze applicate a P è
US = m(2c − g) x3 .
Pertanto la lagrangiana risulta ora
1
L2 = mR2 ϕ̇2 + m(2c − g) R sin ϕ .
2
Si noti che
1
L2 − L1 = − m(ż(t)2 + 2Rż(t) ϕ̇ cos ϕ) + mgz(t) + 2mcR sin ϕ
2
1
= − mż(t)2 + mgz(t) − mR(ż(t) ϕ̇ cos ϕ + z̈(t) sin ϕ)
2
Zt n o
d 1 d  
= − mż(τ )2 + mgz(τ ) dτ + mR ż(t) sin ϕ ,
dt 2 dt
0
e quindi le due lagrangiane differiscono per una derivata totale nel tempo,
come nel Teorema 10.21. 
CAPITOLO 11

Moti di un rigido con un punto fisso

Notazione 11.1. In questo capitolo consideriamo un corpo rigido non


degenere (C, ρ, S), con un punto fisso O. Ricordiamo che questo tipo di
moto viene definito polare.
Il punto fisso O verrà assunto sia come origine del sistema di riferimento
fisso che di quello solidale; ossia assumeremo
X O ( t) = 0 , per ogni t.
Salvo indicazione contraria, si assumerà O come polo per il tensore d’iner-
zia σ, e per i momenti delle quantità di moto e delle forze.
Le coordinate lagrangiane q = (q1 , q2 , q3 ) saranno quindi (localmente) in
corrispondenza biunivoca con le posizioni della terna ortonormale solidale
(uh ); denotiamo le corrispondenti funzioni Q → R3 come
q 7→ ulh (q) .

11.1. Le equazioni di Eulero
Corollario 11.2. Vale per ogni moto polare
σ ω̇ + ω × σω = M ext . (11.1)
In forma scalare, assumendo che la terna (uh ) sia principale d’inerzia, e ponendo
ωh = ω · uh , Mhext = M ext · uh ,
la (11.1) diviene
I11 ω̇1 = ( I22 − I33 )ω2 ω3 + M1ext , (11.2)
I22 ω̇2 = ( I33 − I11 )ω1 ω3 + M2ext , (11.3)
I33 ω̇3 = ( I11 − I22 )ω1 ω2 + M3ext . (11.4)
La (11.1), e le (11.2)—(11.4), si dicono equazioni di Eulero.
Dimostrazione. Derivando nel tempo la (6.18) con Z = O si ha
 
dLO d (σω) d (σω )
= = + ω × σω . (11.5)
dt dt dt M
Inoltre (si veda la Definizione 2.14)
  " #
d (σω ) d 3 3
= ∑ Ihk ωk (t)uh (t) = ∑ Ihk ω̇k (t)u h (t) = σ ω̇ .
dt M dt h,h =1 h,h=1
M
(11.6)
Combinando la (11.5) e la (11.6), e ricordando il Teorema 8.11, segue la tesi
(11.1). 
145
146 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 11.3. Dalla definizione di ω segue subito che ω si può espri-


mere in funzione delle q e q̇. La stessa cosa vale per le Mhext . Quindi, in ge-
nere, il sistema (11.2)—(11.4) è un sistema del secondo ordine nelle q (per
il quale si può dimostrare un teorema di esistenza e unicità di soluzioni,
una volta prescritti i dati iniziali q(0) e q̇(0)).
Tuttavia, in alcuni casi risulta possibile e conveniente considerarlo un
sistema del primo ordine nelle ωh . 
Osservazione 11.4. In un moto polare vale la (6.23), che in virtù del
Teorema 6.23 implica

1 1 3 1
T ( t) = σω(t) · ω(t) = ∑ Ihh ωh (t)2 = Iuu (t)ω (t)2 , (11.7)
2 2 h =1 2

ove Iuu (t) denota il momento d’inerzia del rigido rispetto all’asse per O
≀≀ parallelo a ω(t); dato che tale asse in genere non è solidale questo mo-
mento dipende in genere dal tempo. Invece i momenti principali Ihh sono
costanti nel tempo. 
Esempio 11.5. Denotiamo con (O, ei ) il sistema di riferimento fisso. Un
parallelepipedo omogeneo di spigoli a, b, c > 0 e di massa m > 0 è
soggetto a due forze

F 1 = ke1 , F 2 = −ke1 ,

con k > 0 costante, applicate rispettivamente nei centri di due facce oppo-
ste A1 e A2 .
All’istante iniziale il parallelepipedo è fermo, con le facce A1 e A2 parallele
al piano x3 = 0, e le altre facce perpendicolari agli assi fissi.
Determiniamo il massimo raggiunto dall’energia cinetica durante il moto.
Per la prima equazione cardinale

ma G = F ext = F 1 + F 2 = 0 ,

per cui
v G ( t) = 0 , per ogni t > 0.
Quindi il centro di massa del corpo resta fermo durante il moto.
Scegliamo una terna solidale (ui ) con u3 ortogonale ad A1 , A2 , e tale che

u i ( 0) = e i , i = 1, 2, 3 .

Denotiamo
3
e1 = ∑ γi ( t) u i ( t) ,
i=1

cosicché il momento centrale delle forze esterne è (chiamando a proprio la


lunghezza dello spigolo normale ad Ai )
a
M ext = 2 u3 (t) × ke1 = ak[γ1 (t)u2 (t) − γ2 (t)u1 (t)] .
2
11.2. MOTI PER INERZIA 147

Proiettando la seconda equazione cardinale lungo gli assi solidali corri-


spondenti si trovano dunque le equazioni di Eulero
I11 ω̇1 = ( I22 − I33 )ω2 ω3 − akγ2 (t) ,
I22 ω̇2 = ( I33 − I11 )ω1 ω3 + akγ1 (t) ,
I33 ω̇3 = ( I11 − I22 )ω1 ω2 ,
che vanno unite alle condizioni iniziali
ω i ( 0) = 0 , i = 1, 2, 3 .
Per trovare la soluzione di questo sistema di e.d.o., anche sulla base dell’in-
tuizione fisica, tentiamo con la soluzione corrispondente a una rotazione
non uniforme intorno all’asse u2 ; di conseguenza
γ1 (t) = u1 (t) · e1 = cos θ (t) , γ2 ( t ) = u 2 ( t ) · e 1 = 0 ,
ove θ rappresenta l’angolo di rotazione di u1 nel piano fisso ortogonale a
u2 . Inoltre
ω (t) = (0, θ̇ (t), 0) ,
e θ (t) risolve
I22 θ̈ = ak cos θ . (11.8)
Si vede per sostituzione diretta che questa è in effetti una soluzione delle
equazioni di Eulero, e quindi l’unica soluzione per il teorema di unicità.
Moltiplicando la (11.8) per θ̇ e integrando si ha
1
I22 θ̇ (t)2 = ak sin θ (t) ,
2
ove naturalmente si sono usate anche le condizioni iniziali.
Dunque
1
max T = max I22 θ̇ (t)2 = ak ,
2
ammesso che θ possa assumere il valore π/2. Si veda il successivo Eserci-
zio ??. 

11.2. Moti per inerzia


Definizione 11.6. Un moto polare si dice per inerzia se
M ext (q(t), q̇ (t), t) = 0 , per ogni t. (11.9)

Osservazione 11.7. Nel caso dei moti polari per inerzia le equazioni di
Eulero (11.2)—(11.4) prendono la forma
I11 ω̇1 = ( I22 − I33 )ω2 ω3 , (11.10)
I22 ω̇2 = ( I33 − I11 )ω1 ω3 , (11.11)
I33 ω̇3 = ( I11 − I22 )ω1 ω2 . (11.12)
Questo è un sistema del primo ordine nelle ωh , che si può risolvere in
modo unico una volta prescritte le condizioni iniziali ωh (0). 
148 DANIELE ANDREUCCI

Teorema 11.8. In un moto polare per inerzia valgono i due integrali primi del
moto:
LO (t) = σω (t) = LO (0) , (11.13)
1
T (t) = σω(t) · ω(t) = T (0) , (11.14)
2
per ogni t.
Dimostrazione. A) La (11.13) segue subito dalla (8.24) e dalla (11.9).
B) Si ha per ogni t

dT d 1 d 1 3 3
Ihh ωh2 = ∑ Ihh ω̇h ωh .
dt 2 h∑
= σω · ω =
dt dt 2 =1 h =1

Moltiplichiamo poi ciascuna delle (11.10), (11.11), (11.12) per la corrispon-


dente ωh e sommiamo le tre equazioni così ottenute. Si ha
3 
∑ Ihh ω̇h ωh = ( I22 − I33 ) + ( I33 − I11 ) + ( I11 − I22 ) ω1 ω2 ω3 = 0 .
h =1

Segue la (11.14). 
Osservazione 11.9. Il sistema (11.10)–(11.12) non è lineare nelle incogni-
te ωh . Tuttavia la sua soluzione ω (t) risulta definita per ogni t ∈ R in
virtù di un ragionamento simile a quello svolto nella dimostrazione del
Corollario 2.46. 
Definizione 11.10. L’insieme EcS dei punti λ = (λh ) ∈ R3 che soddisfano

1 3
Ihh λ2h = c2 , (11.15)
2 h∑
=1

ove c > 0 è una costante positiva fissata ad arbitrio, si dice ellissoide


d’inerzia solidale. 
Definizione 11.11. La superficie (mobile)
n 3 o
Ec (t) = X (t; λ) = ∑ λh uh (t) | λ ∈ EcS , (11.16)
h =1

si dice ellissoide d’inerzia del corpo rigido (C, ρ, S), di centro O. 


Osservazione 11.12. EcS si può considerare come l’immagine di Ec nel
sistema di riferimento solidale. 
Osservazione 11.13. Dalla Definizione 11.11 l’ellissoide d’inerzia Ec (t) ri-
sulta subito essere una superficie composta di punti solidali con (C, ρ, S).
La sua equazione nelle coordinate del sistema di riferimento fisso contiene
pertanto dei coefficienti dipendenti dal tempo. Infatti, sia
3 3
x= ∑ xh eh = ∑ λh uh ,
h =1 h =1
11.2. MOTI PER INERZIA 149

con le λh come in (11.16). Allora, all’istante t, si ha

1 1 3
2
σx · x = ∑ Ĩhk (t) xh xk
2 h,k =1

1 3 1 3
= ∑ h k h k 2 ∑ Ihh λ2h = c2 , (11.17)
2 h,k
σu · u λ λ =
=1 h =1

ove ( Ĩhk (t)) è la matrice che rappresenta σ nella base fissa (eh ) all’istante t.
La (11.17) è l’equazione dell’ellissoide nel sistema di riferimento fisso. 
Lemma 11.14. In ciascun punto x ∈ Ec (t) la direzione normale all’ellissoide è
data da σx.
Dimostrazione. Basta osservare che Ec (t) è una superficie di livello della
funzione
1 3
F ( x) = ∑ Ĩhk (t) xh xk ,
2 h,k =1
il cui gradiente è (vedi il Teorema A.27)
3
∂F 3 h 3 i
∇ F ( x) = ∑ ∂x ek = ∑ ∑ Ĩhk (t) xh ek = σx .
k=1 k k=1 h =1


Teorema 11.15. (Moto alla Poinsot) In un moto polare per inerzia l’ellis-
soide d’inerzia Ec (t) si muove mantenendosi tangente a un piano fisso Π.
Il moto è di rotolamento puro, ossia il punto di contatto ha velocità nulla.
L’ultima affermazione del Teorema 11.15 in termini più dettagliati si può riformulare come:
per ogni t̄, il moto X (·; λ̄ ) tale che X (t̄; λ̄) è il punto di contatto, soddisfa
∂X
(t̄; λ̄ ) = 0 .
∂t
Si noti che λ̄ dipende da t̄.

Dimostrazione. Possiamo supporre com’è ovvio che il moto non si ridu-


ca alla quiete, ossia che T (t) > 0.
Ricordiamo che LO è un vettore costante, per l’integrale primo del moto
(11.13). Cerchiamo il piano fisso Π tra quelli di equazione
x · LO = µ ,
con µ costante da determinare (in dipendenza, tra l’altro, di c).
Se Ec (t) deve essere tangente a Π, per il Lemma 11.14 nel punto di contatto
x0 (t) deve valere
σx0 (t) = τ (t) LO ,
con τ (t) ∈ R da determinare. La relazione (si veda la (6.18))
σω(t) = LO ,
insieme con la non singolarità della σ, implica che
x0 ( t ) = τ ( t ) ω ( t ) . (11.18)
150 DANIELE ANDREUCCI

Resta da imporre che x0 (t) appartenga sia a Ec (t) che a Π. Intanto x0 (t) ∈
Ec (t) se e solo se
1 1
c2 = σx0 (t) · x0 (t) = σ [τ (t)ω (t)] · [τ (t)ω (t)]
2 2
1
= τ (t)2 σω(t) · ω(t) = τ (t)2 T (t) = τ (t)2 T (0) ,
2
per l’integrale primo (11.14). Perciò τ (t) è in realtà costante e vale, sce-
gliendo il segno positivo della radice quadrata (si veda l’Osservazione 11.16),
c
τ ( t) = p . (11.19)
T ( 0)
Avendo così determinato x0 (t) in modo univoco, resta da vedere se x0 (t) ∈
Π, il che equivale a
x0 (t) · LO = µ ,
e può essere ottenuto scegliendo
q
c
µ = τ (t)ω (t) · σω(t) = 2 p T (0) = 2c T (0) .
T ( 0)
Si noti che µ e quindi Π sono in effetti costanti in t.
Infine dobbiamo dimostrare che il punto solidale che occupa la posizione
di contatto x0 (t) nell’istante t, ha velocità nulla in tale istante. Questa
velocità è data dalla velocità di trascinamento
ω( t) × x0 ( t) = ω( t) × τ ( t) ω ( t) = 0 .

Osservazione 11.16. La scelta del segno negativo in (11.19) conduce alla
determinazione di un secondo piano fisso, parallelo a quello trovato nel
Teorema 11.15, su cui l’ellissoide parimenti rotola senza strisciare. Questo
del resto è ovvio per motivi di simmetria. 
Osservazione 11.17. In genere il punto di contatto tra Ec (t) e il piano fisso
non è costante né nel sistema di riferimento solidale, né in quello fisso. In
altri termini, posto
3 3
x0 ( t) = ∑ xh0 (t)eh = ∑ λh0 (t)uh (t) , (11.20)
h =1 h =1
né le xh0 , né le λh0 risultano costanti. Questo fatto del resto è ovvio per
(11.18).
Si noti che
n 3 o
∑ xh0 (t)eh | t ∈ I (11.21)
h =1
è una curva che giace su Π, mentre
n o
(λ10 (t), λ20 (t), λ30 (t)) | t ∈ I (11.22)

è una curva che giace su EcS . Si veda anche la Figura 11.1. 


Definizione 11.18. La curva in (11.21) si dice erpoloide (o erpolodìa), mentre
quella in (11.22) si dice poloide (o polodìa). 
11.2. MOTI PER INERZIA 151

λ3

b
u

u
b

λ2
b

λ1

Figura 11.1. Alcune poloidi disegnate nel caso dell’ellissoi-


de non di rotazione avente semiassi nei rapporti a1 = 2a2 =
4a3 .
Si notino le 4 poloidi limite che dividono le poloidi che cir-
condano l’asse minimo da quelle che circondano l’asse mas-
simo.
Sono segnati anche i vertici dell’ellissoide, corrisponden-
ti a rotazioni uniformi, stabili (vertici sull’asse minimo e
massimo) e instabili (vertici sull’asse medio).

Corollario 11.19. Le coordinate solidali (λh0 ) delle poloidi soddisfano


2 2 2 2 2 2 | L O |2
I11 λ10 + I22 λ20 + I33 λ30 = c2 , (11.23)
T ( 0)
I11 λ210 + I22 λ220 + I33 λ230 = 2c2 . (11.24)
Dimostrazione. Segue dai due integrali primi nel Teorema 11.8 e dalla
dimostrazione del Teorema 11.15. 
La (11.24) in particolare esprime l’appartenenza di (λh0 ) a EcS . Sulle equa-
zioni delle poloidi, vedi anche la Sezione 11.4.
Concludiamo la Sezione con un risultato sui moti polari per inerzia che
sono anche rotazioni.
Teorema 11.20. Tra i moti polari per inerzia ci sono le rotazioni uniformi intorno
agli assi principali d’inerzia.
Queste sono le uniche rotazioni per inerzia.
152 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue subito dalle (11.10)–(11.12).


Per dimostrare la seconda parte, osserviamo che se
ω(t ) = ω (t )u ,
con u versore costante, dall’integrale primo (11.14) segue
1
ω (t)2 σu · u = T (0) .
2
Inoltre σu · u è costante, come segue dalla Proposizione 6.22, visto che u è anche solidale:
   
du du du
0= = +ω×u = .
dt dt M dt M
Perciò ω (t) è costante, ossia la rotazione è uniforme.
Ne segue che se esistono due componenti di ω in M diverse da zero, i corrispondenti
momenti d’inerzia devono essere uguali. Siano per esempio ω1 e ω2 ; si ha ora dalla
(11.12)
I11 = I22 .
Questo significa che tutte le direzioni nel piano (u1 , u2 ) sono principali (perché sono tutte
autovettori di σ).
Distinguiamo tre casi:
A) Due componenti di ω in M si annullano: non resta niente da dimostrare.
B) Una sola componente di ω in M si annulla: per esempio ω3 = 0. Allora ω appartiene
al piano (u1 , u2 ) e, per l’osservazione precedente, è una direzione principale.
C) Nessuna componente di ω in M si annulla: ragionando come sopra segue che
I11 = I22 = I33 .
Dunque tutte le direzioni sono principali, e la tesi è ancora dimostrata. 

11.3. Moti polari con attrito


La presenza di un momento dovuto all’attrito altera il quadro della stabi-
lità delle rotazioni intorno agli assi principali.
Consideriamo per semplicità il caso di un rigido con ellissoide EcS di
rotazione intorno all’asse u3 , ossia tale che
I11 = I22 .
Nel caso di un moto polare per inerzia dunque, le poloidi, a parte quelle
degeneri corrispondenti alle rotazioni, sono le circonferenze
EcS ∩ {λ3 = costante 6= 0} .
Le rotazioni intorno a u3 risultano perciò stabili, a prescindere dal valore
del parametro
I33
β= ,
I11
che invece risulterà discriminante nel caso con attrito.
Per definizione un momento di attrito ha la forma
−kω ,
ove k > 0 è costante. Le equazioni di Eulero divengono
ω1
ω̇1 = (1 − β)ω2 ω3 − , (11.25)
τ
ω2
ω̇2 = ( β − 1)ω1 ω3 − , (11.26)
τ
ω3
ω̇3 = − , (11.27)
τβ
11.3. MOTI POLARI CON ATTRITO 153

ove si è definito
I11
. τ=
k
Il sistema può essere risolto in modo esplicito, ma limitiamoci a ottenere
qui le informazioni necessarie. Scrivendo la condizione iniziale per ω
come
3
ω ( 0) = ∑ ωh0 uh ,
h =1
la (11.27) dà
t

ω3 (t) = ω30 e τβ , t > 0. (11.28)
Moltiplicando poi la (11.25) per ω1 , la (11.26) per ω2 , e sommando le
uguaglianze ottenute, si ha
d 2
(ω 2 + ω22 ) = − (ω12 + ω22 ) ,
dt 1 τ
che dà
t
ω1 (t)2 + ω2 (t)2 = (ω10
2 2
+ ω20 ) e −2 τ . (11.29)
Consideriamo ora il coseno direttore di ω lungo u3 , ossia
ω3 ( t)
α3 ( t ) = .
|ω(t)|
Si ricordi che α3 ≃ 0 implica che ω è quasi ortogonale a u3 , mentre |α3 | ≃ 1
implica che ω è quasi parallelo a u3 .
Dalle (11.28), (11.29) segue attraverso un calcolo esplicito che
2
ω30
α3 ( t )2 = 2t , t > 0. (11.30)
2 + ( ω 2 + ω 2 ) e τβ ( 1− β )
ω30 10 20
Assumiamo per definitezza che
2 2
ω30 6= 0 , ω10 + ω20 > 0.
Allora la (11.30) implica che per t → ∞
α3 ( t ) → 0 se β < 1, ossia I33 < I11 ;
|α3 (t)| → 1 se β > 1, ossia I33 > I11 .
In altri termini: se all’istante iniziale il rigido non è posto in rotazione
intorno a un asse principale, per t → ∞ la direzione della velocità angolare
tende a diventare ortogonale a u3 se questo versore corrisponde all’asse
massimo dell’ellissoide, e invece tende a diventare parallela a u3 se questo
versore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide. Si noti la differenza
con il caso dei moti per inerzia già richiamato sopra, dove α3 si mantiene
costante nel tempo.
Questa differenza ha ovvie conseguenze anche dal punto di vista della sta-
bilità. Più in dettaglio, è chiaro che l’unico punto di equilibrio del sistema
del primo ordine (11.25)–(11.27) è ω = 0. Tuttavia l’argomento sopra può
essere interpretato nel senso che la rotazione intorno a u3 è stabile se e so-
lo se questo versore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide d’inerzia.
Poiché in ogni caso ω(t) → 0 per t → ∞, questo concetto di stabilità va
inteso nel senso che il versore di ω(t) tende a u3 , o a −u3 .
154 DANIELE ANDREUCCI

11.4. Le equazioni delle poloidi


Rendiamo più esplicite le equazioni delle poloidi già date in (11.23)–(11.24); supporremo
qui che
I11 < I22 < I33 , (11.31)
cosicché
| L0 | 2
I11 ≤ β2 : = ≤ I33 ,
2T (0)
e riscriveremo le equazioni delle poloidi come
2 2 2 2 2 2
I11 λ1 + I22 λ2 + I33 λ3 = 2c2 β2 , (11.32)
I11 λ21 + I22 λ22 + I33 λ23 2
= 2c . (11.33)

11.4.1. Poloidi che circondano il semiasse più corto. Supponiamo qui che

I22 < β2 < I33 . (11.34)

Moltiplicando la (11.33) per I33 e sottraendo poi la (11.32) dall’equazione ottenuta, si ha

I11 ( I33 − I11 )λ21 + I22 ( I33 − I22 )λ22 = 2c2 ( I33 − β2 ) . (11.35)

La curva nel piano λ3 = 0 definita dalla (11.35) è un’ellisse, che scriveremo come

λ21 λ22
+ = 1, (11.36)
a21 a22
con
2c2 I33 − β2 2c2 I33 − β2
a21 = , a22 = .
I11 I33 − I11 I22 I33 − I22
La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come
s
2c2 − I11 λ21 − I22 λ22
λ3 = ± . (11.37)
I33
Dalle (11.36), (11.37) è facile ricavare la forma parametrica della poloide.

11.4.2. Poloidi che circondano il semiasse più lungo. Supponiamo qui che

I11 < β2 < I22 . (11.38)

Moltiplicando la (11.33) per I11 e sottraendo poi l’equazione ottenuta dalla (11.32), si ha

I22 ( I22 − I11 )λ22 + I33 ( I33 − I11 )λ23 = 2c2 ( β2 − I11 ) . (11.39)

La curva nel piano λ1 = 0 definita dalla (11.39) è un’ellisse, che scriveremo come

λ22 λ2
2
+ 23 = 1 , (11.40)
b2 b3
con
2c2 β2 − I11 2c2 β2 − I11
b22 = , b32 = .
I22 I22 − I11 I33 I33 − I11
La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come
s
2c2 − I22 λ22 − I33 λ23
λ1 = ± . (11.41)
I11

Dalle (11.40), (11.41) è facile ricavare la forma parametrica della poloide.


11.4. LE EQUAZIONI DELLE POLOIDI 155

11.4.3. Poloidi limite. Entrambe le (11.37) e (11.41) continuano a valere se


β2 = I22 . (11.42)
Per esempio, dalla (11.37) si ottiene, usando la (11.36), sotto l’ipotesi (11.42),
s
2c2 I I  a2 
λ3 = − 11 λ21 − 22 a22 − 22 λ21
I33 I33 I33 a1
s
2c2 I I  2c2 I I − I11 2 
= − 11 λ21 − 22 − 11 33 λ (11.43)
I33 I33 I33 I22 I22 I33 − I22 1
s
I I − I11
= ±| λ1 | 11 22 .
I33 I33 − I22
Quindi le poloidi corrispondenti ai moti in cui vale la (11.42) sono date, oltre che dalle
rotazioni intorno all’asse medio, dalle quattro poloidi limite ottenute intersecando l’ellis-
soide d’inerzia con i piani in (11.43). Queste separano le poloidi che circondano l’asse più
lungo da quelle che circondano l’asse più corto.
CAPITOLO 12

Applicazioni delle equazioni di Lagrange

12.1. Moti in campi centrali


Notazione 12.1. Sia (O, ei ) un sistema di riferimento fisso. Consideriamo
qui il moto di un punto materiale P di massa m, soggetto a un campo di
forze posizionali
x
F ( x) = F (| x|) , x 6= 0 , (12.1)
| x|
−→
con F ∈ C1 ((0, ∞)). Assumeremo sempre OP 6= 0. 
È noto che il campo di forze F risulta essere conservativo in R3 \ {0}, con
potenziale
Z| x|
U ( x) = F (ρ) dρ , (12.2)

ove r̄ > 0 è un valore fissato ad arbitrio.
Definizione 12.2. Il campo di forze in (12.1) si dice centrale, con centro
l’origine 0 ∈ R3 . 
Visto il ruolo privilegiato che le (12.1), (12.2) assegnano alla distanza dal-
l’origine O, conviene introdurre come coordinate lagrangiane per il moto
di P le coordinate sferiche
(r, ϕ, θ ) ∈ (0, ∞) × (−π, π ) × (0, π ) ,
in modo che
−→
OP = (r cos ϕ sin θ, r sin ϕ sin θ, r cos θ ) . (12.3)
La velocità v del punto si ottiene subito per derivazione, scomposta nella
componente radiale e nelle due tangenti (alla sfera di raggio r):
x
v =ṙ
| x|
+ r ϕ̇ sin θ (− sin ϕ, cos ϕ, 0) (12.4)

+ rθ̇ (cos ϕ cos θ, sin ϕ cos θ, − sin θ ) .


In questo modo si ha
1 1 
Tl = m|vl |2 = m ṙ2 + r2 ϕ̇2 sin2 θ + r2 θ̇ 2 , (12.5)
2 2
e quindi
Zr
1 
L = m ṙ2 + r2 ϕ̇2 sin2 θ + r2 θ̇ 2 + F (ρ) dρ . (12.6)
2

157
158 DANIELE ANDREUCCI

Le equazioni di Lagrange quindi sono


d  
mṙ − m r ϕ̇2 sin2 θ + rθ̇ 2 − F (r) = 0 , (12.7)
dt
d 2 
mr ϕ̇ sin2 θ = 0 , (12.8)
dt
d 2  
r θ̇ − m r2 ϕ̇2 sin θ cos θ = 0 . (12.9)
dt
La (12.8) mostra come la coordinata ϕ sia ciclica, e valga quindi l’integrale
primo del moto
r(t)2 ϕ̇(t) sin2 θ (t) = r(0)2 ϕ̇(0) sin2 θ (0) =: c , t > 0. (12.10)
Teorema 12.3. Il moto di P nel campo centrale di forze (12.1) si svolge sul piano
fisso passante per O e normale al vettore
−→
OP(0) × v(0) ,
−→
se i due vettori OP e v all’istante iniziale t = 0 non sono paralleli.
−→
Se invece sono paralleli, il moto di P si svolge sulla retta per O parallela a OP(0).
Dimostrazione. La scelta delle coordinate lagrangiane può essere fatta in
modo che all’istante iniziale si abbia
π
θ ( 0) = , θ̇ (0) = 0 . (12.11)
2
Infatti, in particolare, la seconda condizione vale se il piano θ = π/2
contiene v(0).
La (12.9), con le due condizioni iniziali in (12.11), ammette sempre la
soluzione costante
π
θ ( t) = , t > 0. (12.12)
2
È importante osservare che questo vale per ogni possibile scelta delle fun-
zioni r e ϕ nella (12.9). Le funzioni r, ϕ si determinano poi sostituendo
(12.12) nelle (12.7)–(12.8) e usando le relative condizioni iniziali. Quindi,
per il teorema di unicità, relativo al problema di Cauchy per (12.7)–(12.9),
la soluzione (r, ϕ, θ ) del sistema lagrangiano (12.7)–(12.9) ha come terza
componente la funzione costante in (12.12). Questo significa che il moto si
svolge sul piano θ = π/2.
−→
Se i due vettori OP(0) e v(0) non sono paralleli, non c’è altro da dimo-
strare. Se invece sono paralleli, l’espressione (12.4) della velocità implica
che ϕ̇(0) = 0, perché il secondo termine a destra nella (12.4) è ortogonale
−→
a OP(0). Dalla (12.10) segue quindi che
ϕ̇(t) = 0 , t > 0,
ossia che, oltre a θ, anche ϕ si mantiene costante. Il moto si svolge dunque
sulla retta per O e la posizione iniziale di P. 
−→
Proposizione 12.4. Nel caso in cui OP(0) e v(0) non siano paralleli, la traiet-
toria del punto P nel piano θ = π/2 può essere espressa come una curva nella
forma
r = R( ϕ) , (12.13)
almeno in un intervallo 0 ≤ t < t̄.
12.1. MOTI IN CAMPI CENTRALI 159

Dimostrazione. Basta osservare che la (12.10) implica che ϕ̇ non si an-


nulla mai nelle ipotesi stipulate; quindi è possibile ottenere la funzione
inversa t = τ ( ϕ), e quindi ricavare r come funzione di ϕ mediante la τ:
R( ϕ) = r(τ ( ϕ)) .
La τ è definita, al più, nell’intervallo (−π, π ) di variazione della ϕ, e
quindi la rappresentazione (12.13) è solo locale, come indicato nell’enun-
ciato. 
Definizione 12.5. Sia (r(t), ϕ(t)) la rappresentazione nelle usuali coordi-
nate polari di un moto piano. La quantità
1
r(t)2 ϕ̇(t)
2
prende il nome di velocità areolare. 
La motivazione geometrica della Definizione 12.5 è data dal seguente
Lemma.
Lemma 12.6. Assumiamo che la traiettoria di un moto nel piano ( x1 , x2 ) sia
rappresentabile come in (12.13), per 0 < t < t̄, e che in particolare ϕ̇(t) > 0 per
0 < t < t̄. Definiamo anche il settore polare

S(t) = ( x1 , x2 ) | 0 < r < R( ϕ) , ϕ ∈ ( ϕ(0), ϕ(t)) . (12.14)
Vale allora
d 1
area(S(t)) = r(t)2 ϕ̇(t) , 0 < t < t̄ . (12.15)
dt 2
Dimostrazione. Basta osservare che nelle ipotesi poste nell’enunciato
ϕ(t)
Z RZ( ϕ) ϕ(t)
Z
1
area(S(t)) = dϕ ρ dρ = R( ϕ)2 dϕ , (12.16)
2
ϕ ( 0) 0 ϕ ( 0)

e derivare in t. 

Se vale ϕ̇ < 0, si dimostra in sostanza lo stesso risultato, con ϕ̇ sostituito


da | ϕ̇| in (12.15).
È chiaro che S(t) è la parte di piano spazzata dal raggio vettore del moto
nell’intervallo di tempo (0, t).
Teorema 12.7. (II legge di Keplero) Il moto di P, soggetto al campo di forze
centrali in (12.1), ha velocità areolare costante.
Dimostrazione. L’integrale primo (12.10), sostituito nella definizione di
velocità areolare, implica subito la tesi. 
Teorema 12.8. (Formula di Binet) La funzione R introdotta nella Proposi-
zione 12.4 soddisfa
 1 2 h d2  1  1 i
− mc2 + = F ( R) . (12.17)
R dϕ2 R R
160 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Dalla (12.10) si ha


dR dR c
ṙ(t) = ( ϕ(t)) ϕ̇(t) = ( ϕ(t)) . (12.18)
dϕ dϕ R( ϕ(t))2
Quindi
d  dR c  d h dR c i 
r̈ (t) = ( ϕ(t)) = ϕ ( t ) ϕ̇(t)
dt dϕ R( ϕ(t))2 dϕ dϕ R2
d h dR c i  c c2 d h d 1i 
= ϕ ( t ) = − ϕ ( t ) . (12.19)
dϕ dϕ R2 R( ϕ(t))2 R( ϕ(t))2 dϕ dϕ R
La tesi segue sostituendo la (12.19), e ancora la (12.10), nella (12.7). 
La seguente Proposizione mostra come un campo di forze radiale sia
conservativo solo se vale la (12.1).
Proposizione 12.9. Un campo di forze
x
F ( x) = g( x ) , x ∈ R 3 \ {0} , (12.20)
| x|
con g ∈ C1 ( R3 \ {0}) è conservativo se e solo se vale g( x) = F (| x|), per una
opportuna F ∈ C1 ((0, ∞)).
Dimostrazione. A) Se vale g( x) = F (| x|), il potenziale di F è stato indi-
cato nella (12.2).
B) Viceversa, assumiamo che esista un potenziale U ∈ C1 ( R3 \ {0}) per F
come in (12.20). Dati due punti qualunque x1 e x2 con
| x 1 | = | x2 | > 0 ,
si ha Z Z
U ( x2 ) − U ( x1 ) = ∇ U · T ds = F · T ds = 0 ,
γ γ
ove γ è una qualunque curva regolare che giaccia sulla sfera di centro
l’origine di raggio | x1 | = | x2 |, e che congiunga i due punti. Infatti il
versore tangente a γ, indicato con T, risulta allora tangente a questa sfera,
e perciò ortogonale a F che per ipotesi ha sempre direzione radiale.
Dunque U è costante su ciascuna sfera di centro l’origine; perciò dipende
solo da | x| e il suo gradiente F ha direzione radiale, e modulo dipendente
solo da | x|. 
Osservazione 12.10. In sostanza tutti i risultati di questa sezione, a parte
la Proposizione 12.9, si mantengono validi nel caso in cui alla F della (12.1)
si sostituisca una più generale
x
F ( x, t) = F (| x|, t) , x 6= 0 ,
|x|
con F ∈ C1 ((0, ∞) × R). Si noti che questa forza dà luogo a componenti
lagrangiane conservative, in quanto ammettono il potenziale
Zr
l
U (r, t) = F (ρ, t) dρ , r > 0.


Parte 4

Appendici
APPENDICE A

Algebra lineare

A.1. Prodotti tra vettori


Notazione A.1. Per ogni vettore f ∈ R3 indichiamo con f i le sue compo-
nenti scalari, ossia scriviamo
f = ( f1 , f2 , f3 ) .

Definizione A.2. Il prodotto scalare tra due vettori f e g è
3
f ·g = ∑ f i gi . (A.1)
i=1


Definizione A.3. Il prodotto vettoriale tra due vettori f e g è
≀≀
f × g = ( f 2 g3 − f 3 g2 , f 3 g1 − f 1 g3 , f 1 g2 − f2 g1 ) . (A.2)

Osservazione A.4. Si verifica subito che i prodotti scalare e vettoriale
godono delle proprietà di linearità
f · ( γ1 f 1 + γ2 f 2 ) = γ1 f · f 1 + γ2 f · f 2 ,
f × ( γ1 f 1 + γ2 f 2 ) = γ1 f × f 1 + γ2 f × f 2 ,

per ogni f , f 1 , f 2 ∈ R3 , e per ogni γ1 , γ2 ∈ R.


Inoltre il prodotto scalare è simmetrico
f1 · f2 = f2 · f1 ,
mentre il prodotto vettoriale è antisimmetrico
f1 × f2 = − f2 × f1 .
In particolare se f 1 e f 2 sono paralleli, allora
f1 × f2 = 0 .

Definizione A.5. Il numero reale
f ·g×h (A.3)
si chiama prodotto triplo di f , g, h. 
163
164 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione A.6. Segue subito dalle definizioni che


 
f1 f2 f3
f · g × h = det  g1 g2 g3  . (A.4)
h1 h2 h3

Lemma A.7. Vale
f · g × h = −g · f × h . (A.5)
Dimostrazione. Per (A.4)
   
f1 f2 f3 g1 g2 g3
f · g × h = det  g1 g2 g3  = − det  f1 f2 f3  = − g · f × h .
h1 h2 h3 h1 h2 h3

Definizione A.8. Due vettori f e g si dicono ortogonali (o perpendicolari)
se
f · g = 0.

Lemma A.9. Siano f 1 , f 2 ∈ R3 . Allora f 1 × f 2 risulta ortogonale a f 1 e a f 2 .
Dimostrazione. Da (A.5) segue subito che
f1 · f1 × f2 = 0 ,
da cui la tesi per la Definizione A.8. 
Definizione A.10. Una base (ui ) si dice ortonormale se valgono le
ui · u j = δij , i, j = 1,2,3.


A.2. Cambiamenti di base


Notazione A.11. Siano (u1 , u2 , u3 ) e (w1 , w2 , w3 ) due basi ortonormali
in R3 . Introduciamo le due matrici reali 3 × 3 A = ( aij ) e B = (bij ) di
cambiamento di base, definite da
3 3
ui = ∑ aih wh , wi = ∑ bih uh , i = 1,2,3.
h =1 h =1


Teorema A.12. Valgono le
A −1 = A t = B . (A.6)
Dimostrazione. Si ha per ogni i
3 3 3
wi = ∑ bih uh = ∑ ∑ bih ahk wk ,
h =1 h =1 k=1
A.2. CAMBIAMENTI DI BASE 165

da cui, per le proprietà delle basi vettoriali, si ha per ogni coppia (i, k),
3
δik = ∑ bih ahk = (BA)ik ,
h =1
il che significa BA = id. Nello stesso modo da
3 3 3
ui = ∑ aih wh = ∑ ∑ aih bhk uk ,
h =1 h =1 k=1
segue che
3
δik = ∑ aih bhk = (AB)ik ,
h =1
il che significa AB = id. Quindi A −1 = B .
Infine per ogni coppia (i, j)
3 3 3
δij = ui · u j = ∑ ∑ aih ajk wh · wk = ∑ aih ajh = (AAt )ij ,
h =1 k=1 h =1
t t
e dunque AA = id, ossia B = A . 
Osservazione A.13. Per l’ortonormalità delle due basi (ui ) e (w j ), vale
aij = ui · w j .
Quindi ciascuna colonna della matrice A è formata dalle componenti del
corrispondente vettore w j nella base (ui ). Ciascuna riga, invece, è formata
dalle componenti del corrispondente vettore ui nella base (w j ). 
Osservazione A.14. Sia f ∈ R3 , con
3 3
f = ∑ λi ui = ∑ µi wi . (A.7)
i=1 i=1
Allora    
λ1 µ1
 λ2  = A  µ2  . (A.8)
λ3 µ3

Teorema A.15. Sia (zi ) una base ortonormale, e definiamo la matrice C come
3
C = (cij ) , wi = ∑ cih zh . (A.9)
h =1
Allora la matrice di cambiamento di base tra (ui ) e (zi ) è il prodotto AC , ossia
per i = 1, 2, 3,
3
ui = ∑ (AC)ih zh . (A.10)
h =1

Dimostrazione. Segue subito dalle definizioni. 


Definizione A.16. Una base ortonormale M = (ui ) si dice positiva se
la matrice di cambiamento di base M tra (ui ) e la base standard (ei ) ha
determinante positivo. 
166 DANIELE ANDREUCCI

In particolare  
u11 u12 u13
M = (ui · e j ) = u21 u22 u23  (A.11)
u31 u32 u33
se per i = 1, 2, 3,
3
ui = (ui1 , ui2 , ui3 ) = ∑ uij e j . (A.12)
j=1

Teorema A.17. La matrice A soddisfa


|det A| = 1 . (A.13)
Se poi M = (ui ) e N = (wi ) sono entrambe positive, allora
det A = 1 . (A.14)
Dimostrazione. Vale per la regola di Binet, e per la (A.6)
1 = det id = det AAt = det A det At = (det A)2 .
Se poi entrambe le basi sono positive, per il Teorema A.15 si ha (qui M e
N sono definite come nella Definizione A.16)
A = MN t ,
da cui
det A = det M det N t = det M det N > 0 .

Il prossimo Lemma mostra come i prodotti scalare e vettoriale si possano
calcolare anche usando le componenti in una base ortonormale positiva.
Lemma A.18. Sia (ui ) una base ortonormale positiva, e sia
3 3
f = ∑ λi ui , g= ∑ µi ui . (A.15)
i=1 i=1
Allora valgono
3
f ·g = ∑ λi µi , (A.16)
i=1
e
f × g = (λ2 µ3 − λ3 µ2 )u1 + (λ3 µ1 − λ1 µ3 )u2 + (λ1 µ2 − λ2 µ1 )u3 . (A.17)
Dimostrazione. La (A.16) segue subito dalle definizioni di prodotto sca-
lare e di base ortonormale, oltre che dall’Osservazione A.4.
Anche la (A.17) segue in modo analogo, una volta che si siano stabilite le
u1 × u2 = u3 , u2 × u3 = u1 , u3 × u1 = u2 . (A.18)
Si sa, per il Lemma A.9, che u1 × u2 = γu3 , per qualche γ ∈ R. Ma
γ = u1 × u2 · u3 = det M = 1 ,
per (A.14) applicata al caso in cui (wi ) è la base standard. Le altre due
relazioni in (A.18) si dimostrano in modo simile. 
Corollario A.19. Se f 1 e f 2 sono due vettori ortogonali, allora
| f 1 × f 2| = | f 1| | f 2| . (A.19)
A.2. CAMBIAMENTI DI BASE 167

Dimostrazione. Se uno dei due vettori f i è nullo, non c’è niente da


dimostrare.
Altrimenti, si può scegliere una base ortonormale positiva (ui ) in modo
che f i sia parallelo a ui , i = 1, 2. Quindi, per (A.18), e per la linearità del
prodotto vettoriale,
f 1 × f 2 = | f 1 | | f 2 | u 1 × u2 = | f 1 | | f 2 | u 3 ,
da cui la tesi. 
Teorema A.20. Se i due vettori f 1 e f 2 soddisfano una delle due proprietà
A) f 1 · x = f 2 · x per ogni x ∈ R3 ;
B) f 1 × x = f 2 × x per ogni x ∈ R3 ;
allora f 1 = f 2 .

Dimostrazione. A) Se si sceglie x = f 1 − f 2 , da A) segue

| f 1 − f 2 |2 = 0 .
B) Sia x un qualunque vettore unitario ortogonale a f 1 − f 2 . Allora da B)
e dal Corollario A.19 segue
0 = |( f 1 − f 2 ) × x| = | f 1 − f 2 | .

Teorema A.21. Se C è una matrice 3 × 3 antisimmetrica, ossia se vale C + C t =
0, allora esiste un unico vettore c tale che per ogni f ∈ R3 valga
Cf = c× f . (A.20)
Dimostrazione. L’unicità di c come nell’enunciato segue subito dal Teo-
rema A.20.
Dimostriamone l’esistenza. Dalla proprietà di antisimmetria segue subito
che
 
0 α β
C =  −α 0 γ ,
− β −γ 0
per tre opportuni reali α, β, γ. Dalla definizione di prodotto righe per
colonne segue, se f = ( f 1 , f 2 , f 3 )t ,
 
α f2 + β f3
C f =  −α f1 + γ f3  .
− β f1 − γ f2
t
Ponendo poi c = (−γ, β, −α) , dalla definizione di prodotto vettoriale
segue
 
α f2 + β f3
c × f =  −α f1 + γ f3  ,
− β f1 − γ f2
da cui la tesi. 
168 DANIELE ANDREUCCI

A.3. Angoli e perpendicolarità


Lemma A.22. Siano f , g ∈ R3 , con | f | = 1. Denotiamo
[ g ]k = ( f · g ) f , [ g ]⊥ = g − [ g ]k ,
le componenti vettoriali di g rispettivamente parallela e perpendicolare a f . Allora
f × ( f × g ) = − [ g ]⊥ . (A.21)
Dimostrazione. Se [ g ] ⊥ = 0 non c’è niente da dimostrare. Altrimenti,
osserviamo che
h = f × g = f × [ g ]⊥
è un vettore diverso da quello nullo, e che f , [ g ] ⊥ e h sono a due a due
ortogonali.
Visto che
f × ( f × g) = f × h
è ortogonale sia a f che a h, deve essere
f × ( f × g ) = γ [ g ]⊥ ,
per qualche γ ∈ R. Quindi
γ|[ g ] ⊥ |2 = [ g ] ⊥ · f × ( f × [ g ]⊥ ) = − [ g ] ⊥ · ( f × [ g ] ⊥ ) × f
= ( f × [ g ]⊥ ) · [ g ]⊥ × f = −( f × [ g ]⊥ ) · f × [ g ]⊥ = − | f × [ g ]⊥ |2 .
Per il Corollario A.19, segue che γ = −1, e la dimostrazione è completata.

Osservazione A.23. Siano f e g due vettori di modulo unitario. Suppo-
niamo per il momento che, con la notazione del Lemma A.22, si abbia
[ g ]⊥ 6= 0. Allora si può costruire una (unica) base ortonormale positiva
 [g ] 

f, ,u ,
|[ g ]⊥ |
ove è chiaro che u è parallelo a f × g = f × [ g ]⊥ :
f × g = ε | f × g| u , (A.22)
con ε ∈ {−1, 1}.
Allora per il Corollario A.19,

| f × g |2 = | f × [ g ]⊥ |2 = | f × ( f × [ g ]⊥ )|2 = |[ g ]⊥ |2
2
= | g |2 − [ g ] k = 1 − ( f · g )2 . (A.23)
Dunque i due numeri reali
x = f ·g, y = ε | f × g| ,
soddisfano x2 + y2 = 1. È noto allora che esiste un unico angolo θ ∈ [0, 2π )
tale che
x = cos θ , y = sin θ . (A.24)
Se poi [ g ] ⊥ = 0, allora, definendo x e y come sopra,
x ∈ {−1, 1} , y = 0,
A.4. FORME QUADRATICHE 169

per cui le (A.24) continuano a valere per una scelta (unica) di θ ∈ [0, 2π )
tra θ = 0 e θ = π.
L’angolo θ si chiama l’angolo formato dai due vettori f e g. 
Definizione A.24. Sia V ⊂ R N un sottospazio vettoriale; si chiama ortogo-
nale di V, e si denota con V ⊥ , l’insieme
V ⊥ = { f ∈ R N | f · v = 0 per ogni v ∈ V } .

Teorema A.25. V ⊥ è un sottospazio vettoriale di R N , e V ∩ V ⊥ = 0. Inoltre
dim V + dim V ⊥ = N . (A.25)
Dimostrazione. Che V ⊥ sia un sottospazio vettoriale di R N segue su-
bito dalla definizione e dalla linearità del prodotto scalare. La proprietà
V ∩ V ⊥ = 0 poi segue dal fatto che un vettore nell’intersezione dei due
spazi deve essere ortogonale a sé stesso e quindi nullo. Si vede subito
che questo implica che ogni vettore di V è linearmente indipendente da
ciascun vettore in V ⊥ .
Siano dunque vh , h = 1, . . . , ℓ, e rispettivamente w j , j = 1, . . . , m, due
basi ortonormali rispettivamente di V e di V ⊥ . Possiamo assumere ℓ < N
perché il caso estremo è ovvio. Vogliamo dimostrare che ℓ + m = N. Per
un qualunque f ∈ R N definiamo
ℓ m
f′ = ∑ f · v h vh + ∑ f · w j w j .
h =1 j=1

Si osserva che dalle definizioni segue


( f − f ′ ) · vh = 0 , h = 1,... ,ℓ.
Dunque per definizione di V ⊥ si ha f − f ′ ∈ V ⊥ . D’altronde vale anche
( f − f ′ ) · wj = 0 , j = 1,... ,m,
e perciò f − f ′ = 0. Pertanto l’unione delle due basi di V e V ⊥ genera
R N ; dato che i vettori nell’unione delle due basi sono linearmente indi-
pendenti come osservato sopra, questa unione è una base di R N e la tesi è
dimostrata. 
Corollario A.26. Ogni vettore f ∈ R N si può esprimere in modo unico come
somma
f = f1 + f2 , (A.26)
con f 1 ∈ V, f 2 ∈ V ⊥ .

A.4. Forme quadratiche


L’espressione
N
J (x) = ∑ ahk xh xk , (A.27)
h,k=1
170 DANIELE ANDREUCCI

si dice forma quadratica in x = ( x1 , . . . , x N ), con matrice A = ( ahk ). Suppo-


niamo sempre la simmetria di A, cioè
A = At , (A.28)
ovvero
ahk = akh , h,k = 1,... , N.
Si noti che si può scrivere
J ( x ) = A x · x = xt A x . (A.29)
Teorema A.27. (Eulero) Se vale la (A.28), allora per ogni i ∈ {1, . . . , N } si
ha
N
∂J
( x) = 2 ∑ aih xh . (A.30)
∂xi h =1

Dimostrazione. Si può scrivere


J ( x) = aii x2i + 2 ∑ aih xi xh + ∑ ahk xh xk ,
h6=i h,k6 = i

da cui
N
∂J
( x) = 2aii xi + 2 ∑ aih xh = 2 ∑ aih xh .
∂xi h6=i h =1

Teorema A.28. Se u e v sono due autovettori della matrice simmetrica A,
corrispondenti a due autovalori diversi λ e µ, allora sono ortogonali.
Dimostrazione. Si ha
λu · v = A u · v = A v · u = µv · u ,
il che implica, visto che λ 6= µ, l’asserto u · v = 0. 
APPENDICE B

Simboli e notazione usati nel testo

B.1. Simboli usati nel testo

a·b prodotto scalare dei vettori a e b.


a×b prodotto vettoriale dei vettori a e b ∈ R3 .
At trasposta della matrice (o del vettore) A.
Br ( x) sfera aperta con centro x e raggio r.
A+x con A ⊂ R N , x ∈ R N : l’insieme formato dai traslati
a + x, a ∈ A.
x → s0 + x tende a s0 da destra.
x → s0 − x tende a s0 da sinistra.
f (s0 +) denota il limite di f ( x) per x → s0 +.
f (s0 −) denota il limite di f ( x) per x → s0 −.
s+ parte positiva di s ∈ R, s+ = max(s, 0).
s− parte negativa di s ∈ R, s− = max(−s, 0).
sign( x) funzione segno di x ∈ R, definita da sign( x) = x/| x|,
per x 6= 0.
C ( A) classe delle funzioni continue in A. Lo stesso che C0 ( A).
C n ( A) classe delle funzioni continue in A insieme con
le loro derivate fino all’ordine n.
χI funzione caratteristica dell’insieme I:
χ I ( x) = 1 se x ∈ I, χ I ( x) = 0 se x 6∈ I.
∂f ∂f
∇f gradiente della funzione f ( x): ∇ f = ( ∂x , . . . , ∂x ).
1 N
D2 f matrice hessiana della funzione f .
δx massa di Dirac centrata in x.
ek k-esimo versore della base standard in R N .
f |B restrizione a B ⊂ A di una funzione f : A → R N .
f˙ derivata prima di f rispetto al tempo t.
f¨ derivata seconda di f rispetto al tempo t.
e.d.o. equazione/equazioni a derivate ordinarie.

171
APPENDICE C

Soluzioni degli esercizi

Soluzioni

173
Parte 5

Indici
Indice analitico

Le voci con il numero della pagina in neretto [corsivo] si


riferiscono a definizioni [esempi] dell’argomento.

ℓ, vedi gradi di libertà centro di massa del, 84


Λ∗i , 97 degenere, 80
ω, vedi velocità angolare densità del, 80
−→ immagine del, 80
ΩP, 23
m, 47 supporto del, 80
n c , 47, 59 densità del, 79
energia cinetica del, 84
accelerazione, 21 immagine del, 79
di Coriolis, 29 massa del, 83
di trascinamento, 29 moti solidali con, 80
normale, 44 quantità di moto del, 83
radiale, 51 momento della, 84
relativa, 28 sistema di riferimento solidale con, 79
tangente, 44 supporto del, 79
trasversale, 51 curva
angoli di Eulero, 56 regolare, 41
ascissa curvilinea, 41 supporto di una, 41
asse curvatura, 41, 42
d’istantanea rotazione, 35, 35, 36 raggio di, 41
istantaneo di moto, 35
attrito, 150–151 derivata
dinamico, 71 relativa a una terna mobile, 24, 24
statico, 71 dipendenza continua dai dati, 4
autovalore, 91
autovettore, 91 ellissoide d’inerzia, 146
solidale, 146
base, 37, 37 energia, 14
cinetica, 69, 123–124
Cauchy in coordinate lagrangiane, 99
problema di, 3 in un rigido, 86, 87
soluzione del, 3 conservazione della, 69, 134
centro meccanica, 69
istantaneo di moto, 37, 38 potenziale, 15, 16, 69
compasso ellittico, 38 equazione
coordinate cardinale, prima, 115
cicliche, 135 cardinale, seconda, 115–118
indipendenti, 48 equazione differenziale ordinaria, 3
lagrangiane, 50 autonoma, 4
locali del secondo ordine, 3
canoniche, 52, 55, 57 orbita di, 13
normali, 138 soluzione massimale di, 3
polari, 51 equazioni
corpo rigido, 79 di Eulero, 143, 145
177
178 DANIELE ANDREUCCI

di Lagrange, 122, 133 matrice


equilibrio antisimmetrica, 39
asintoticamente stabile di cambiamento di base, 39
punto di, 7, 9, 11, 12 momento deviatore, 88
instabile momento di inerzia, vedi inerzia
punto di, 7, 10 moto, 21
punto di, 6 alla Poinsot, 147
stabile, 135 armonico, 22
punto di, 7, 8, 10, 11, 11 frequenza del, 22
erpolodia, 148 atto di, 49
erpoloide, vedi erpolodia circolare, 21
uniforme, 21
figura di Lissajous, 23 di rotolamento puro, 61
forma quadratica, 90 lagrangiano, 97
formula atto di, 126
di Binet, 157 polare, 30
forza per inerzia, 145
di Coriolis, 67 rappresentazione lagrangiana del, 97
di trascinamento, 67 rettilineo uniforme, 21
forze rigido piano, 36
centrali, 155 senza strisciamento, 61
conservative, 11, 68, 68–70 solidale, 28
distribuzione di, 103 in coordinate locali, 55
in coordinate lagrangiane, 103 stazionario, 21
momento risultante delle, 115
posizionali, 68 orbita, 16
risultante delle, 114 degenere, 15
Frenet-Serret
formule di, 42, 44 piano
frequenze delle fasi, 14
normali, 138 piccole oscillazioni, 136
funzione polo, 30
di Rayleigh, 13 polodia, 148, 149, 152–153
poloide, vedi polodia
gradi di libertà, 48 potenziale, 11, 14, 68
hamiltoniana, 134 precessioni
regolari, 32
inerzia
momento di, 88 rappresentazione lagrangiana, 50
omografia di, 85 resistenza
tensore di, 85, 96 idraulica, 70
asta rigida, 95 viscosa, 70
terna principale di, 91 rigata
versore principale di, 91 fissa, 35, 35–36, 37
mobile, 35, 35–36, 38
lagrangiana, 133 solidale, 35, 35–36
ridotta, 136 rotazione, 26–27, 30
lagrangiane equivalenti, 140–141 composizione di, 32
lavori virtuali, 113, 120 per inerzia, 149
ipotesi dei, 113, 120 uniforme, 30
lavoro, 68 rulletta, 37, 38
legge
di Coulomb-Morin, 71 simmetria
di Keplero, 157 materiale ortogonale, 93
di Newton, 67 sistema
oraria, 44 olonomo, 47
Liapunov rigido
funzione di, 8, 8–13 degenere, 57
INDICE ANALITICO 179

non degenere, 52
spostamenti virtuali, 118

teorema
di Chasles, 38
di Coriolis, 29
di Dirichlet, 11
di Huygens, 95
di König, 87
di Liapunov, 8
terna
intrinseca, 42
mobile, 23
terna mobile
funzione costante in, 24
torsione, 42, 43
traiettoria, 43
traslazione, 30
triedro principale, 42

velocità, 21
angolare, 25, 24–39, 44
composizione di, 31
del corpo rigido, 79
dell’asta, 57
relativa, 30, 30–32
areolare, 157
di trascinamento, 29
campo di, 29, 34
in coordinate lagrangiane, 98
radiale, 51
relativa, 27
trasversale, 51
virtuale, 120
versore
radiale, 51
trasversale, 51
vettore
binormale, 42
normale principale, 42
tangente, 41
vincoli
anolonomi, 60
integrabili, 60
con attrito, 73
fissi, 48, 48, 50
lisci, 72, 72, 111–114
mobili, 48
olonomi, 47

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