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Fondamenti di meccanica teorica e
applicata
Terza edizione
Nicolò Bachschmid
Stefano Bruni
Andrea Collina
Bruno Pizzigoni
Ferruccio Resta
Alberto Zasso
ESERCIZIARIO
a cura di
Egidio Di Gialleonardo, Daniele Rocchi, Michele Vignati
McGraw-Hill Education
Milano • New York • San Francisco • Washington D.C. • Auckland • Bogot •
Lisboa • London • Madrid • Mexico City • Montreal • New Delhi • San Juan
• Singapore • Sydney • Tokyo • Toronto
4
Copyright © 2015, McGraw-Hill Education (Italy) S.r.l.
Via Ripamonti, 89 - 20141 Milano.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle
rispettive case produttrici.
ISBN 978-88-386-9347-2
5
Indice
Prefazione XI
1 Introduzione 1
1.1 La modellazione di un sistema meccanico 2
2.2.6 Vincoli 38
6
Esercizi svolti 56
Esercizi svolti 92
7
4.3 Il problema statico per i meccanismi e per le strutture
isostatiche 108
8
6.5 Cinetostatica e dinamica dei sistemi meccanici 141
6.5.1 Analisi cinetostatica di un motore alternativo
monocilindrico 143
9
8 Dinamica della macchina a un grado di libertà 213
8.1 Considerazioni generali 213
10
8.7 Studio di un transitorio di avviamento 233
11
9.3 La macchina alternativa come esempio di macchina a regime
periodico 277
9.3.1 Un metodo approssimato per il dimensionamento del
volano 278
12
10.5 Sistemi d’arresto delle macchine 318
13
12.1 Stabilità e regolazione di una macchina MTU 370
12.1.1 Stabilità del regime della macchina 372
Bibliografia 387
Eserciziario E1
14
Indice degli esempi
15
7.3 Rotolamento senza strisciamento con attrito volvente 170
16
Prefazione alla terza edizione
17
lettore solo limitate conoscenze pregresse di Matematica e Fisica (in
particolare l’algebra vettoriale e dei numeri complessi, la teoria delle
equazioni differenziali lineari a parametri costanti), tradizionalmente fornite
dai corsi universitari di base.
Al fine di favorire una migliore comprensione degli argomenti trattati, tutti i
capitoli sono corredati da esempi applicativi che fanno riferimento a
macchine di comune utilizzo (veicoli, macchine di sollevamento, robot ecc.).
Inoltre, la maggior parte dei capitoli è completata da una sezione di esercizi
di tipo numerico completamente svolti, con lo scopo di permettere al lettore
di familiarizzare con le tecniche risolutive introdotte.
La terza edizione del testo è corredata da un Eserciziario che propone una
selezione di esercizi organizzati in sequenza coerente con quella dei capitoli
del libro. Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili dal
sito web che l’Editore mette a disposizione per il manuale:
www.atenonline.it/bachschmid. Per un positivo contributo degli esercizi alla
formazione dello studente, gli autori del testo consigliano di svolgerli solo a
valle di un adeguato studio della teoria. Questo metodo di lavoro,
nell’esperienza dei docenti di Meccanica Applicata, dà allo studente la
formazione culturale utile per la Laurea Magistrale o per un efficace
inserimento nel mondo del lavoro, oltre che facilitare il raggiungimento di
competenze e autonomia indispensabili per una buona riuscita della prova
d’esame.
Desideriamo ringraziare tutti i colleghi della Sezione di Meccanica dei
Sistemi presso il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, che
hanno contribuito a sviluppare l’impostazione didattica che ha ispirato
questo libro e che hanno dato un supporto costante alla stesura del testo
attraverso la discussione dei contenuti e degli approcci espositivi.
Un ringraziamento particolare va al Prof. Giorgio Diana, la cui impostazione
didattica è alla base di questo testo. Siamo inoltre grati ai Prof. Fabio Fossati,
Daniele Rocchi e Marco Belloli e agli Ingg. Stefano Alfi, Egidio Di
Gialleonardo, Christian Ghielmetti, Laura Mazzola, Davide Tarsitano e
Michele Vignati per il prezioso aiuto fornito.
Saremo lieti di ricevere eventuali suggerimenti e commenti sul testo.
Gli Autori
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CAPITOLO 1 Introduzione
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rigidi, mentre gli effetti associati alla deformabilità non saranno
considerati, con la notevole eccezione dello studio delle vibrazioni a
un grado di libertà;
• nella maggior parte dei casi, lo studio riguarderà sistemi a un grado
di libertà, ossia in cui il movimento del sistema è descritto da un solo
parametro cinematico indipendente (coordinata libera).
20
Il modello matematico di un sistema meccanico può essere utilizzato per
realizzare in termini quantitativi la progettazione del sistema stesso, intesa in
particolare come:
• verifica che il sistema meccanico assolva correttamente le funzioni
per le quali esso è progettato;
• calcolo delle forze agenti sul sistema durante il funzionamento di
questo. Tale calcolo è finalizzato alla verifica di resistenza delle parti
che compongono il sistema, argomento trattato dalla Costruzione di
Macchine;
• ottimizzazione delle prestazioni del sistema.
Rispetto a questi obiettivi, lo studio del movimento del sistema meccanico
può essere impostato come un problema di analisi, oppure come un
problema di sintesi. Nel primo caso, si considerano definite tutte le
grandezze caratteristiche del sistema, per esempio i parametri geometrici
(dimensioni) e inerziali (masse, posizioni dei baricentri, momenti di inerzia)
e il problema consiste nel determinare il movimento del sistema. In un
problema di sintesi invece è noto il movimento che si vuole realizzare e si
ricercano la tipologia e le dimensioni del sistema meccanico in grado di
realizzare tale movimento.
Come si può notare, un problema di analisi è direttamente legato alla verifica
delle prestazioni di un sistema già dimensionato, mentre la sintesi è
funzionale alla fase di vera e propria progettazione del sistema. In questo
testo si illustreranno prevalentemente problemi di analisi di sistemi
meccanici e macchine, ma in alcuni casi si proporranno anche semplici
problemi di sintesi.
Nell’ordinario iter progettuale di un sistema meccanico, è però necessario
distinguere differenti livelli di approfondimento nello studio del movimento
del sistema. Il primo e più semplice livello riguarda normalmente la sola
verifica cinematica del sistema: rientrano in questo ambito le analisi di
mobilità legate alla funzionalità dei meccanismi, lo studio dello spazio di
lavoro di robot e manipolatori o l’analisi cinematica di una sospensione.
Dalla sola analisi cinematica non si traggono però indicazioni per il
dimensionamento o la verifica di resistenza di un sistema. A tale scopo è
necessario effettuare una analisi dinamica, in cui si considerano le forze
agenti sul sistema e le relazioni tra queste e il movimento del sistema. Questo
tipo di studio può essere condotto secondo due diverse modalità:
21
1. problema dinamico diretto: in questo caso sono assegnate le forze
applicate al sistema e da queste viene ricavato il moto del sistema;
2. problema dinamico inverso: in questo caso è assegnato il movimento
e vengono determinate le forze che devono essere applicate al sistema
per ottenere il movimento desiderato. Questo secondo tipo di
problema viene talvolta detto analisi cinetostatica.
In questo testo verrà analizzato il comportamento dinamico di diversi sistemi
meccanici di interesse ingegneristico, utilizzando livelli di modellazione
congruenti alle finalità dello studio: dalla modellazione non lineare della
cinematica di un sistema articolato a modelli dinamici a un grado di libertà di
una macchina composta da motore, trasmissione e utilizzatore, fino ai
problemi di vibrazione a un grado di libertà e agli elementi di base relativi
alla regolazione delle macchine. Inoltre, si darà ampio spazio alla descrizione
delle forze agenti nelle macchine, che possono essere associate al
comportamento di particolari componenti presenti nel sistema (elementi
elastici e smorzanti, azionamenti, organi delle macchine ecc.) o alla
interazione tra i corpi nella macchina, oppure alla interazione tra corpi e
fluidi (azioni di attrito, azioni aerodinamiche ecc.).
22
Il Capitolo 4 presenta le leggi della statica, limitatatmente al caso di sistemi
di corpi rigidi costituenti una struttura isostatica o un meccanismo. Vengono
presentate le metodologie risolutive attraverso le equazioni cardinali della
statica e presentato il principio dei lavori virtuali, con funzione propedeutica
alla trattazione della dinamica dei sistemi di corpi rigidi presentata nel
Capitolo 6.
Il Capitolo 5 tratta la geometria delle masse, ossia lo studio della
distribuzione della massa nei corpi.
Il Capitolo 6 è dedicato allo studio della dinamica dei sistemi di corpi rigidi;
le equazioni cardinali della statica, presentate nel Capitolo 4, vengono estese
mediante il Principio di D’Alémbert al caso dinamico, introducendo il
concetto di forza di inerzia. Successivamente viene sviluppato lo studio della
dinamica mediante i cosiddetti metodi energetici, in particolare il principio
dei lavori virtuali, l’equazione di bilancio delle potenze e le equazioni di
Lagrange.
Nel Capitolo 7 vengono introdotti i modelli per rappresentare le azioni di
contatto tra corpi solidi e tra solido e fluido, finalizzati allo studio dinamico
delle macchine.
Tali concetti trovano applicazione, nel Capitolo 8, dedicato allo studio della
dinamica della macchina ricondotta a uno schema generale che la vede
composta da un motore, una trasmissione e un utilizzatore. Con riferimento a
tale schema interpretativo, viene introdotto il concetto di rendimento della
trasmissione e sono studiate le diverse condizioni di funzionamento della
macchina: transitori di avviamento e arresto, regime, regime periodico.
Il Capitolo 9 tratta alcuni aspetti della dinamica delle macchine a un grado di
libertà specifici delle cosiddette macchine alternative, ossia che prevedono
al loro interno uno o più cinematismi di tipo manovellismo ordinario
centrato. Gli argomenti trattati riguardano in particolare il moto periodico e
l’equilibramento delle azioni di inerzia nelle macchine alternative.
Nel Capitolo 10 si descrivono alcuni aspetti morfologici e funzionali
riguardanti la trasmissione del moto nelle macchine e il funzionamento dei
principali organi di macchina: giunti, innesti, freni e cuscinetti.
Il Capitolo 11 presenta le caratteristiche e la risposta dinamica di una
particolare classe di sistemi che, a causa della flessibilità insita in alcune loro
parti, sono caratterizzati da movimenti vibratori e sono pertanto detti sistemi
23
vibranti. Dopo aver presentato la forma generale dell’equazione di moto di
un sistema vibrante lineare a un grado di libertà, si analizzano le soluzioni di
tale equazione considerando il moto libero e il moto forzato e si presentano
alcuni esempi applicativi. Vengono inoltre presentati i concetti introduttivi
allo studio della stabilità di un sistema meccanico a un grado di libertà.
Infine, nel Capitolo 12 si introducono i principi e le logiche di regolazione
dei sistemi meccanici, con riferimento particolare alla regolazione della
macchina a un grado di libertà e al controllo delle vibrazioni.
24
CAPITOLO 2 Cinematica del punto e del
corpo rigido
25
misure fatte da osservatori differenti, in moto relative reciproco. La
descrizione del movimento del punto o corpo oggetto di osservazione sarà
ovviamente effettuata in termini quantitativi. Ne segue quindi che, dal punto
di vista formale matematico, l’ osservatore coincide con il sistema di
riferimento utilizzato per descrivere quantitativamente, mediante opportune
funzioni del tempo, le misure delle successive posizioni occupate dal punto o
dal corpo. Osservatori differenti in moto relativo uno rispetto all’altro
saranno quindi operativamente identificati mediante sistemi di riferimento
(tipicamente per fissare le idee terne cartesiane) in moto relativo reciproco.
Con riferimento quindi a un caso piano (Figura 2.1), sia dato un sistema di
riferimento di assi coordinati ortogonali ( x– y) con direzione e verso di
ciascun asse definiti dai versori (vettori di modulo unitario) i e j relative
rispettivamente agli assi x e y.
Si consideri un punto P, appartenente al piano individuato dagli assi
coordinati, e si ipotizzi che una curva appartenente al piano e dotata di
continuità, detta traiettoria, descriva le successive posizioni occupate dal
punto nel piano al variare del tempo.
La posizione del punto nel piano, funzione del tempo, può essere definita
mediante il vettore P( t) o mediante la coppia di coordinate ( x ( t), y ( t))
coerentemente alla seguente espressione:
(2.1)
Le componenti del vettore lungo i due assi coordinati, sono quindi in
generale funzioni ( x ( t), y ( t)) che descrivono la successione delle posizioni
occupate dal punto nel piano in funzione del parametro tempo:
(2.2)
(2.3)
26
ascissa curvilinea s, ovvero associare a ciascun punto della traiettoria una
grandezza scalare rappresentativa della distanza, misurata lungo la traiettoria,
del punto generico da un’origine assegnata arbitrariamente. Considerando
che il punto occupa al variare del tempo posizioni differenti lungo la
traiettoria (variate con continuità), l’ascissa curvilinea sarà intrinsecamente
una funzione del tempo s ( t), rappresentativa dello spazio percorso dal punto
al variare del tempo. Nei successivi sviluppi analitici si farà uso di tale
ascissa curvilinea per una formulazione sintetica dei vettori velocità e
accelerazione.
Si introduce ora la formulazione delle grandezze vettoriali nel piano
mediante una equivalente rappresentazione nel campo complesso, per molti
aspetti vantaggiosa. È possibile, infatti, mostrare che esiste una rigorosa
corrispondenza tra il calcolo vettoriale nel piano ( x– y) e l’algebra dei numeri
complessi definita nel piano (Re-Im), limitatamente alle operazioni utilizzate
nella cinematica di somma vettoriale e di derivazione del vettore rispetto a
un parametro. In altri termini il vettore posizione P nel piano può essere
posto in corrispondenza con un numero complesso [4] facendo
corrispondere le componenti del vettore secondo gli assi coordinati alla parte
reale e alla parte immaginaria del numero complesso .
Con riferimento, per esempio, al generico vettore P di Figura 2.1a, e al
corrispondente numero complesso di Figura 2.1b, è possibile mostrare che
le operazioni di somma di più vettori e di derivazione di un vettore rispetto al
tempo possono essere convenientemente sostituite dalle stesse operazioni
effettuate sui corrispondenti numeri complessi rappresentativi di tali vettori,
nel modo di seguito esemplificato.
La descrizione della posizione del punto, in termini di numero complesso,
può operativamente essere effettuata in forma cartesiana, attraverso le
componenti cartesiane lungo gli assi reale e immaginario:
(2.4)
(2.5)
27
coincidente con l’asse x del sistema di riferimento scelto.
Velocità
Si definisce velocità la derivata rispetto al tempo del vettore posizione.
Con riferimento alla Figura 2.2a, considerando un punto in moto lungo una
generica traiettoria, la velocità al tempo t è quindi scritta come limite del
rapporto incrementale del vettore posizione al tendere a zero dell’intervallo
di tempo Δ t:
28
(2.6)
Avendo scritto il vettore posizione come funzione dell’ascissa curvilinea e
tramite questa come funzione del tempo con le ovvie posizioni P = P( s), s =
s ( t), P = P( s ( t)), ricordando la regola di derivazione di una funzione di
funzione risulta:
(2.7)
Con riferimento alla Figura 2.3, osservando che al tendere a zero
dell’intervallo di tempo Δ t l’arco infinitesimo di traiettoria è rigorosamente
coincidente con la corda infinitesima e che la direzione della corda è
rigorosamente coincidente con la tangente all’arco di traiettoria, avendo
infine indicato con la derivata rispetto al tempo dell’ascissa curvilinea,
valgono i seguenti risultati:
(2.8)
29
derivata rispetto al tempo viene scritta nel modo seguente:
(2.10)
(2.11)
In alternativa, derivando rispetto al tempo il vettore posizione espresso in
forma polare, si può scrivere:
(2.12)
dove α è l’anomalia del vettore velocità, ovvero ne rappresenta la direzione e
il verso. La Figura 2.4 mostra graficamente il significato dei termini della
(Figura 2.10) e della (2.12).
Poiché la derivata del numero complesso in forma polare segue le regole di
derivazione del prodotto di funzioni, ed essendo sia il modulo sia l’anomalia
del vettore posizione funzioni del tempo, compare sia la derivata del modulo
di P, sia la derivata dell’argomento dell’esponenziale. In particolare il primo
termine della (2.12) rappresenta un vettore di modulo e direzione θ,
mentre il secondo termine della (2.12) rappresenta un vettore di modulo
e direzione ortogonale alla precedente. Si ha infatti:
(2.13)
30
È importante notare che il verso del vettore è determinato non solo
dalla rotazione di che compare esplicitamente ad esponente, ma anche
dal segno di , ovvero un valore negativo di corrisponde a un’ulteriore
rotazione di π (analoga rotazione di θ rispetto alla direzione θ è ovviamente
associata, per la componente e iθ, a un eventuale segno negativo della
derivata ). Il modulo V e l’anomalia α del vettore velocità si possono
quindi calcolare come:
(2.14)
31
(2.15)
Accelerazione
Per un punto in moto lungo una generica traiettoria dotata di regolarità si
definisce accelerazione la derivata rispetto al tempo del vettore velocità. Con
riferimento quindi alla formulazione del vettore velocità di cui alla (2.7), il
vettore accelerazione verrà scritto con tutta generalità nel modo seguente:
(2.16)
(2.17)
(2.18)
Segue che, con tutta generalità (ovvero anche nello spazio tridimensionale),
l’accelerazione del punto che si muove lungo una generica traiettoria dotata
di regolarità ha sempre la seguente espressione:
(2.19)
32
seconda rispetto al tempo dell’ascissa curvilinea (ovvero pari alla derivata
prima rispetto al tempo del modulo della velocità); una componente
ortogonale alla traiettoria, diretta verso l’interno della curvatura, di modulo
pari al quadrato della velocità diviso per il raggio di curvatura locale ϱ della
traiettoria. Ovviamente può verificarsi la circostanza che una o entrambi le
componenti di accelerazione siano nulle: affinché sia nulla la componente
tangente di accelerazione è necessario e sufficiente che il modulo della
velocità sia costante, affinchè invece sia nulla la componente normale di
accelerazione è necessario e sufficiente che il raggio di curvatura locale
tenda all’infinito (condizione verificata, per esempio, nel caso di traiettoria
localmente rettilinea). Si sottolinea esplicitamente che un moto a velocità di
modulo costante ma variabile in direzione è ovviamente un moto accelerato,
in quanto la variazione di direzione del vettore velocità si realizza per mezzo
di una curvatura finita della traiettoria, ovvero necessita di una componente
di accelerazione normale non nulla. Si fornisce ora una intuitiva spiegazione
più approfondita della derivata seconda del vettore posizione rispetto
all’ascissa curvilinea e dei concetti di cerchio osculatore e raggio di
curvatura locale della traiettoria.
Con riferimento alla Figura 2.5a si fissa l’attenzione sui versori tangenti
rappresentati in due istanti successivi, al tempo t e al tempo t+ d t
(ovvero nei punti di ascissa curvilinea s = s ( t) e s + ds= s ( t + d t). Si può
osservare che tali versori risultano in genere ruotati uno rispetto all’altro di
un angolo dθ a effetto della curvatura (in genere non nulla) che caratterizza
la traiettoria. In altri termini, secondo lo schema di Figura 2.5a, la porzione
elementare di traiettoria ds è approssimabile localmente da un arco
elementare del cerchio osculatore il cui centro è posto a distanza ϱ dalla
traiettoria verso l’interno della curvatura della stessa. Segue che la lunghezza
dell’arco di traiettoria in oggetto è esprimibile come:
33
ds = ϱ · dθ (2.20)
(2.21)
Come rappresentato in Figura 2.5b, per la condizione di tangenza dei versori
alla traiettoria, dθ è non solo l’angolo di apertura dell’arco ds, ma anche
l’angolo di cui è ruotato il versore tangente nel punto P ( s + ds) al tempo
incrementato t + Δ t rispetto al versore tangente nel punto P ( s). I due
versori, pensati quindi spiccati dallo stesso punto, risultano vettori di modulo
unitario ruotati uno rispetto all’altro di un angolo dθ. Si osserva peraltro che,
per il versore tangente, al tempo incrementato, vale la seguente scrittura:
(2.22)
(2.23)
34
Ne segue quindi che, utilizzando la definizione di raggio di curvatura di cui
alla (2.21) risulta:
(2.24)
(2.25)
(2.26)
35
che, coerentemente con la (2.19), risulta composto dalla somma di due
termini, di cui il primo (Figura 2.7b) è diretto secondo la tangente alla
traiettoria e ha modulo e verso definiti dalla derivata del modulo della
velocità, mentre il secondo ha direzione ortogonale alla traiettoria, indicata
come direzione normale, e verso controllato dal segno di ovvero dal verso
della curvatura della traiettoria. Il vettore accelerazione può essere espresso
in una forma significativa riferendosi alla Figura 2.8. Come già osservato
con generalità in Figura 2.5, l’arco di traiettoria, nell’intorno del punto P,
può essere sostituito localmente da un arco del cerchio osculatore, ovvero da
un arco della circonferenza che ha in comune con la traiettoria il punto P, la
derivata prima e la derivata seconda. Il cerchio osculatore, che varia da punto
a punto della traiettoria, rappresenta in altri termini il cerchio che meglio
approssima la traiettoria nell’intorno del punto considerato. Il termine
rappresenta la velocità con cui varia l’inclinazione della tangente alla
traiettoria percorsa dal punto P. Considerando quindi l’intervallo tra l’istante
di tempo t e l’istante di tempo t + d t, il raggio del cerchio osculatore
descrive l’angolo infinitesimo d α = d t e corrispondentemente il punto P
percorre, sul cerchio osculatore, l’arco infinitesimo di lunghezza d s = ϱd α.
36
Figura 2.7 Rappresentazione del vettore accelerazione a per una
traiettoria nel piano e corrispondenza con il numero complesso ā.
(2.28)
Inserendo la (2.28) nella (2.27), è possibile scrivere l’accelerazione nella
forma seguente:
(2.29)
37
ritrovando una piena corrispondenza con il risultato generale di cui alla
(2.19). Si riconosce infatti nel primo termine la componente di accelerazione
tangente a t pari alla derivata rispetto al tempo del modulo del vettore
velocità (ovvero pari alla derivata seconda rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea). Si riconosce quindi nel secondo termine la componente di
accelerazione normale a n & , dipendente tramite il raggio di curvatura dalla
variazione nel tempo della direzione del vettore velocità e in particolare
proporzionale al quadrato del modulo del vettore velocità (ovvero
proporzionale al quadrato della derivata prima rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea) e inversamente proporzionale al raggio di curvatura della
traiettoria:
(2.30)
38
(2.31)
che mantiene la stessa correttezza e generalità della (2.27).
(2.32)
(2.33)
Si consideri un punto P che si muova con legge x( t) lungo una traiettoria rettilinea,
come mostrato nella Figura 2.9a. Essendo la traiettoria rettilinea, e ponendo l’asse
reale lungo la traiettoria stessa, risulta y( t) = 0, per ogni istante di tempo t. Si può
quindi scrivere:
(2.34)
39
Esempio 2.2 Moto lungo una circonferenza
Sia ora il punto P vincolato a muoversi lungo una circonferenza di raggio R e centro
O. Nel caso di moto lungo una traiettoria circolare, risulta semplice scrivere il vettore
posizione ( P–O) direttamente in forma polare, ed eseguire le derivate rispetto al
tempo per ottenere velocità e accelerazione, in tale forma:
(2.35)
Nella (2.35) si deve tenere conto, nelle derivazioni, che il raggio R è costante. Si può
osservare che la formulazione adottata in coordinate polari mette chiaramente in
evidenza le più volte ricordate proprietà dei vettori velocità e accelerazione.
La velocità è infatti un vettore ruotato di π/2 rispetto al raggio ( P–O), ovvero è
tangente alla traiettoria e ha modulo pari alla derivata rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea, valendo ovviamente, per l’ascissa curvilinea, la seguente formulazione:
40
conferma il valore non nullo della componente normale di accelerazione, di modulo
pari a ovvero ovvero . L’andamento temporale di
θ e delle sue derivate è ancora definito dalle (2.32) e (2.33), previa sostituzione di s
con θ, V con , a con .
41
L’applicazione della legge ad accelerazione costante non è adatta al caso di
movimenti veloci, per i quali le variazioni di accelerazione possono indurre fenomeni
dinamici importanti. In alternativa si può modificare l’andamento dell’accelerazione
raccordando linearmente i tratti ad accelerazione costante. In tal caso (vedi la linea
tratto-punto di Figura 2.10), l’andamento della velocità risulta del tipo trapezoidale
raccordato, e l’accelerazione non presenta più discontinuità.
In questo esempio, volto allo studio del moto di un punto lungo una traiettoria
generica, si considera un punto P che si muove lungo un’asta rettilinea OB (Figura
2.11), dotata a sua volta di moto rotatorio attorno al punto O. Questo schema
cinematico riproduce, per esempio, il moto del carrello in una gru da cantiere. Sia
θ( t) l’angolo che l’asta AB forma con l’asse reale, e s( t) la distanza tra il punto P e
l’estremo O dell’asta. Riprendendo la (2.4), si ha:
(2.36)
42
Figura 2.11 Applicazione per lo studio della traiettoria
generica di un punto P che scorre su un’asta OB rotante
attorno a O.
(2.37)
in cui si è omessa per brevità l’indicazione esplicita della dipendenza dal tempo.
I due termini che compaiono a secondo membro della (2.37) sono mostrati nella
Figura 2.12, con direzioni e versi dettati dalle loro stesse espressioni e coerenti
all’ipotesi di segno convenzionalmente positivo sia per che per .
(2.38)
con componenti indicate anch’esse nella Figura 2.12, sempre nell’ipotesi di segno
convenzionalmente positivo sia per sia per .
Come si vedrà nel Paragrafo 2.3.2, alle componenti delle (2.36) (2.37) e (2.38) si può
dare l’interpretazione fisica in termini di moto relativo del punto rispetto all’asta e di
43
moto di trascinamento che l’asta, per effetto del suo moto rotatorio, imprime al punto.
Nel caso in esame, nella (2.37) , rappresenta la velocità con cui P si muove
relativamente all’asta, ovvero la velocità attribuita al punto da un osservatore rotante
solidalmente all’asta. Il termine rappresenta invece la velocità che l’asta, per
effetto del suo moto rotatorio, imprime al punto P. Più esattamente, il termine di
velocità , detto di trascinamento, rappresenta la velocità assoluta che il punto P
avrebbe se si muovesse, per il solo effetto del trascinamento dell’asta, avendo
bloccato il moto relativo del punto stesso rispetto all’asta, ovvero avendo posto .
Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’accelerazione: nella (2.38) il
termine , rappresenta l’accelerazione con cui P si muove relativamente all’asta,
ovvero l’accelerazione attribuita al punto da un osservatore rotante solidalmente
all’asta. I termini dell’accelerazione, detti di trascinamento,
rappresentano invece l’accelerazione che l’asta, per effetto del suo moto rotatorio,
imprime al punto P, ovvero, più esattamente, rappresentano l’accelerazione assoluta
che il punto P avrebbe se si muovesse, per il solo effetto del trascinamento dell’asta,
avendo bloccato il moto relativo del punto stesso rispetto all’asta, ovvero avendo
posto e . Si nota tuttavia che resta un ulteriore termine di accelerazione
pari a non interpretabile in modo elementare nelle due categorie sopra esposte.
44
dal punto P, note le leggi del moto delle due variabili s( t) e θ( t) (Figura 2.13). Nella
Figura 2.14 si riportano, in corrispondenza di due punti della traiettoria, i vettori
velocità e accelerazione, quest’ultimo nelle sue componenti tangente e normale.
45
46
2.2 Cinematica del corpo rigido nel piano
Nel paragrafo precedente si è studiata la cinematica di un sistema
puntiforme, ossia dotato di dimensioni trascurabili rispetto al campo di
movimento. Molto spesso, però, nello studio della meccanica occorre
considerare corpi di dimensioni finite. In questo ambito, un modello
particolarmente importante è quello del corpo rigido, che sarà trattato in
questo paragrafo.
In particolare, si fornirà la definizione di corpo rigido e si descriveranno i
particolari tipi di movimento che esso può compiere, evidenziando le
relazioni cinematiche fondamentali che ne governano il moto, limitandosi al
moto piano.
47
semplicità.
Vale la pena fin d’ora di introdurre anche la nozione di spostamento
infinitesimo di un corpo: si tratta di uno spostamento in cui ciascun punto del
corpo varia la propria posizione di una quantità infinitesima, pertanto, lo
spostamento infinitesimo viene valutato rispetto alla configurazione
indeformata del corpo, o meglio, non spostata, nel caso di corpo rigido. La
necessità di introdurre un concetto così astratto nasce dal fatto che nello
studio della dinamica verrà estesamente utilizzato il principio dei lavori
virtuali (Capitolo 6) che richiede, per la sua applicazione, il calcolo dello
spostamento infinitesimo del sistema (punto, corpo, insieme di corpi)
studiato. Per il momento, ci limitiamo a osservare che esiste un’importante
analogia tra l’atto di moto e lo spostamento infinitesimo: poiché infatti la
velocità di ciascun punto può essere definita come rapporto tra lo
spostamento infinitesimo del punto e il tempo d t in cui questo avviene, l’atto
di moto può essere inteso anche come una descrizione dello spostamento
infinitesimo del corpo, rapportato al tempo infinitesimo d t in cui questo
avviene. Ne consegue che le stesse regole cinematiche che definiremo per
l’atto di moto valgono anche per lo spostamento infinitesimo di un corpo
rigido; questa considerazione sarà di grande importanza nel momento in cui
verrà affrontato lo studio della dinamica dei sistemi meccanici.
48
non allineati, la condizione posta implica che i lati del triangolo restino
immutati ovvero non modifichino la propria lunghezza a valle dello
spostamento rigido. Si può quindi anche dire che lo spostamento di un corpo
è rigido nel caso in cui, a valle dello spostamento, le distanze tra tutte le
coppie di punti appartenenti al sistema si mantengano immutate.
Un generico corpo verrà quindi definito rigido nel caso in cui, qualunque
spostamento subisca, tale spostamento sia sempre rigido.
Ovviamente segue che la stessa condizione operativa sopra esposta per lo
spostamento rigido vale anche per il corpo rigido: ovvero un corpo si
definisce rigido nel caso in cui, a valle di un qualunque spostamento subisca,
le distanze tra tutte le coppie di punti appartenenti al sistema si mantengano
immutate.
Allo scopo di fissare le idee sulle due implicazioni operative fondamentali
conseguenti all’ipotesi di corpo rigido è bene puntualizzare che, assegnato un
corpo, ovvero un insieme di punti dotato di dimensioni, e supposto che tale
corpo sia rigido, risulta sempre verificato che tale corpo nei suoi spostamenti
rispetta i seguenti vincoli (di cui il secondo è conseguenza del primo, per le
ovvie considerazioni inerenti l’uguaglianza di due triangoli):
• la distanza tra qualunque coppia di punti si mantiene immutata;
• l’angolo formato da due segmenti congiungenti due coppie di punti a
piacere nel corpo si mantiene immutato.
In perfetta analogia con quanto affermato per lo spostamento rigido, si può
affermare in sintesi che un corpo rigido è un sistema che si sposta senza
cambiare la propria forma. Si osservi, a titolo di esempio, il rettangolo di
Figura 2.15.
49
Lo spostamento rappresentato in linea continua è rigido, ovvero la forma del
corpo non è cambiata, anche se la posizione dei punti che lo compongono è
diversa. Per esempio, il lato AB e il lato BC per effetto dello spostamento
hanno assunto direzioni diverse, ma mantengono la stessa lunghezza e
continuano a formare un angolo retto. Al contrario, i due spostamenti
rappresentati in linea tratteggiata non sono rigidi. In un caso il rettangolo si
deforma in un parallelogramma: i lati mantengono ancora la stessa
lunghezza, ma l’angolo fra loro risulta diverso rispetto alla posizione
originale (ovviamente si può osservare che i segmenti DB e AC hanno
cambiato lunghezza per effetto dello spostamento e che quindi la condizione
posta sugli angoli tra due segmenti arbitrari è una conseguenza della
condizione posta sulle distanze di coppie di punti arbitrarie). Nel secondo
caso, uno dei lati risulta incurvato: se si considera un qualunque punto
interno a tale lato (per esempio il punto K), la sua distanza da ciascuno dei
due vertici è cambiata, così come è cambiato, per esempio, l’angolo DAK.
Come si può notare dalla Figura 2.15, è ovviamente possibile affermare
sinteticamente che un corpo è rigido se, qualunque spostamento subisca, sia
50
sempre possibile effettuare una trasformazione di coordinate tale per cui la
posizione del corpo risulti immutata, ovvero sia sempre possibile trovare un
nuovo sistema di riferimento, rispetto al quale il corpo venga visto in modo
identico a come appariva prima che avvenisse lo spostamento.
51
Si sottolinea a questo proposito che è peraltro improprio parlare di “rotazione
di punti” essendo il punto una entità geometrica priva di estensione. Si
parlerà invece di rotazione di una retta orientata che congiunge per esempio
un punto fisso con un altro punto che si sposta lungo una traiettoria, o che
congiunge, come nell’esempio di Figura 2.15, due punti posti nel piano
direttore e appartenenti a un corpo soggetto a moto piano. In conclusione, per
individuare la posizione di un corpo rigido nel piano sono necessarie e
sufficienti tre coordinate: le due coordinate che individuano la posizione di
un punto appartenente al corpo, e un angolo che esprime la rotazione del
corpo. Si osservi che si poteva pervenire alla stessa conclusione in merito ai
gradi di libertà del corpo rigido dotato di moto piano seguendo una strada
differente qui sinteticamente esposta. Come già detto, con assoluta generalità
sia che il corpo rigido si muova nel piano che nello spazio, la posizione di un
triangolo definito da tre punti non allineati del corpo (per esempio i punti ( A,
B, C) definisce la configurazione del corpo. Da qui scende che, per definirne
la posizione, sarebbero necessarie le 9 coordinate:
(2.39)
(2.40)
(2.41)
52
gradi di vincolo di cui alla (2.41), i gradi di libertà complessivi sono pari a 6.
È possibile mostrare con tutta generalità che il movimento (in grande) del
corpo rigido può essere sempre ricondotto alle tre tipologie di movimento
illustrate nel seguito, con specifico riferimento al moto piano. Negli esempi
che seguono (Figura 2.16, 2.17 e 2.18) il moto piano di un corpo rigido viene
rappresentato con riferimento a punti dello stesso appartenenti al piano
direttore. È chiaro, tuttavia, che è immediata l’estensione a corpi
tridimensionali dotati di moto piano, che si estendono nella direzione z
ortogonale al piano direttore. Si può infatti facilmente mostrare (qui ci
affidiamo all’intuizione del lettore) che punti di un corpo rigido posti a
differenti distanze dal piano direttore ma con uguale proiezione sul piano
direttore in direzione dell’asse z hanno identici spostamenti, velocità e
accelerazioni. Lo studio effettuato su punti appartenenti al piano direttore
può quindi essere esteso con piena generalità verso tutti i punti del corpo
rigido di cui quelli studiati sono le proiezioni.
Moto traslatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.16, nel caso di moto traslatorio
piano il corpo si sposta mantenendo costante il proprio orientamento, ovvero
cambiano le coordinate x e y per esempio del punto A, ma non cambia la
posizione angolare β della retta orientata (A–B). Ne consegue che tutti i
punti appartenenti al corpo rigido soggetto a moto traslatorio subiscono a
ogni istante tsuccessivo all’istante iniziale considerato t 0, lo stesso
spostamento S A. Come conseguenza di queste identiche storie temporali di
spostamenti, segue che
53
tutti i punti del corpo soggetto a moto traslatorio possiedono, a ogni generico
istante di tempo considerato, la stessa velocità e la stessa accelerazione.
Analoga conseguenza è che le traiettorie di tutti i punti sono “parallele”, o
meglio sono sovrapponibili con opportuna traslazione delle stesse. Per
esempio, nel caso delle traiettorie percorse dal punto A e dal punto B di un
corpo in moto traslatorio generico, la traslazione che porta la traiettoria di B
a sovrapporsi a quella di A è uguale e opposta al vettore ( B − A). Si osservi
che, come mostrato nella Figura 2.16, questa traiettoria può essere una linea
qualsiasi, e non necessariamente una retta: il moto rettilineo costituisce solo
un caso particolare del caso più generale di moto traslatorio. Nel caso più
generale di corpo rigido in moto traslatorio nello spazio tridimensionale, vale
ancora la condizione di identità di spostamenti, velocità e accelerazioni di
tutti i punti appartenenti al corpo rigido, con l’unica differenza che le
traiettorie non saranno più generiche curve piane ma generiche curve
spaziali.
Moto rotatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.17, nel caso di moto rotatorio il
corpo si sposta mantenendo costante la posizione di uno dei suoi punti (che
prende il nome di centro di rotazione), cambiando invece la sua posizione
angolare. Ipotizzando sia A il centro di rotazione, le traiettorie di tutti gli altri
punti del corpo sono delle circonferenze, con centro in A e raggio pari alla
distanza tra A e il punto considerato. Il moto di tutti i punti del corpo, a
esclusione del punto A che è fermo, è quindi descritto come moto su
traiettorie circolari (Figura 2.17), e può essere espresso utilizzando la (2.35).
Si osservi che nel caso di un generico corpo rigido posto nello spazio
tridimensionale, condizione necessaria e sufficiente affinchè tale corpo sia
dotato di moto rotatorio è che due punti del corpo siano fissi ovvero abbiano
sempre spostamento nullo a ogni istante t successivo all’istante iniziale
considerato t 0. Da questa condizione segue infatti che la retta passante per i
due punti fissi in oggetto individua l’asse di rotazione del corpo rigido e che
il moto del corpo rigido è conseguentemente un moto piano, con piano
direttore ortogonale alla retta passante per i due punti fissi.
54
Moto rototraslatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.18, nel caso più generale di moto
piano si verifica che, a ogni istante t successivo all’istante iniziale
considerato t 0, la posizione angolare del corpo risulta modificata rispetto a
quella iniziale, senza che sia possibile individuare un punto del corpo rigido
che rimanga sempre fisso. Tale tipologia di moto è detta moto
rototraslatorio. Come illustrato in Figura 2.18, il più generico movimento
piano del corpo rigido può essere quindi descritto assegnando, ad ogni istante
t successivo all’istante iniziale considerato t 0 , lo spostamento di un punto
scelto arbitrariamente (per esempio il punto A), e la rotazione φ rispetto a un
asse passante per A e ortogonale al piano direttore (o piano degli
spostamenti). Tale vettore rotazione φ è caratteristico del corpo e
indipendente dalla scelta del punto A a cui ci si è appoggiati per definire la
traslazione.
Si puntualizza che, quando si parla di movimento in grande di un corpo
rigido, identificandolo per esempio come rototraslatorio, si intende dire che,
assegnato un istante temporale t 0 e considerato un arbitrario istante di tempo
successivo t in cui il corpo abbia subito uno spostamento, allora tale
spostamento è
55
rototraslatorio (lo stesso ovviamente anche per le altre due tipologie di moto
traslatorio e rotatorio sopra considerate). Il fatto che con tutta generalità,
ovvero anche per un moto non piano che avvenga nello spazio
tridimensionale, il moto del corpo rigido possa essere sempre classificato
come rototraslatorio, scende dal fatto che un qualunque spostamento di un
corpo rigido può essere sempre ricondotto (in infiniti modi) a una
rototraslazione, ovvero lo spostamento S B di un generico punto B
appartenente al corpo rigido può essere sempre ottenuto mediante una prima
traslazione S A del corpo rigido insieme al punto A (che porta il punto A
nella sua corretta collocazione finale), seguita da una rotazione φ effettuata
intorno a un asse passante per A, con vettore rotazione φ indipendente dalla
scelta di A. In altri termini si può quindi dire che lo spostamento generico del
corpo rigido può essere visto come la somma di una traslazione insieme al
punto A e una successiva rotazione intorno a un asse passante per A e
orientato come il vettore rotazione φ. Si sottolinea che, a differenza di
quanto succede nel moto piano in cui il vettore rotazione ha direzione fissa
sempre ortogonale al piano degli spostamenti, nel caso generale, nello spazio
tridimensionale, il vettore rotazione φ ha invece direzione generalmente
variabile da istante a istante considerato e orientata non necessariamente in
direzione ortogonale allo spostamento S A.
56
2.2.4 Atto di moto rigido piano
Per lo studio della distribuzione delle velocità e delle accelerazioni nei
diversi punti di un corpo rigido in un certo istante è necessario abbandonare
l’analisi del “moto in grande” del corpo rigido e passare allo studio dell’atto
di moto, ossia allo studio della “fotografia” istantanea degli spostamenti
infinitesimi o in modo del tutto equivalente delle velocità del corpo rigido. Si
ricorda, come già enunciato in precedenza, che la distribuzione di
spostamenti infinitesimi δ S i a cui sono soggetti i punti P i di un corpo rigido
in un intervallo di tempo infinitesimo d t è strettamente legata alla
distribuzione di velocità V i degli stessi punti dalle ovvie relazioni V i =
δ S i/d t che consentono di effettuare valutazioni in termini di quantità finite
ovvero di velocità di direzione e verso identici a quelli degli spostamenti
infinitesimi ma di moduli espressi in termini finiti e non infinitesimi. Si
conclude questa piccola digressione puntualizzando che valgono per i
rapporti tra i moduli degli spostamenti infinitesimi e delle corrispondenti
velocità le ovvie relazioni .
Per il corpo rigido che si muove di moto piano vale una proprietà
estremamente importante: l’atto di moto rigido piano può essere
esclusivamente traslatorio o rotatorio. Questo significa che, in un qualunque
istante del moto di un corpo rigido dotato di moto piano, vale una sola delle
seguenti due condizioni:
• le velocità di tutti i punti sono uguali in modulo, direzione e verso:
l’atto di moto è traslatorio;
• esiste un punto del corpo (o collegato rigidamente a esso) che ha,
nell’istante considerato, velocità nulla: tale punto prende il nome di
centro di istantanea rotazione ( c.i.r.) del corpo e l’atto di moto è
rotatorio.
Quanto sopra affermato è utilmente illustrato mediante le seguenti
considerazioni geometriche. In Figura 2.19 si osserva che, considerati due
punti A e B di un corpo rigido dotato di moto piano e le rispettive velocità
V A e V B, il vincolo di “corpo rigido” impone che le componenti delle
velocità V A e V B lungo la retta r AB congiungente i due punti siano uguali
(se fossero diverse ne seguirebbe una velocità di allungamento o
accorciamento del segmento AB in contraddizione con l’ipotesi di corpo
rigido). Questo implica ovviamente che, assegnata la velocità V A, la
57
velocità di un altro punto B non possa essere assegnata con piena arbitrarietà
ma debba sottostare alla sopra citata condizione. Per esempio implica che,
considerato un punto appartenente alla retta r A diretta ortogonalmente alla
velocità V A, qualunque punto di tale retta appartenente al corpo rigido o
pensato rigidamente collegato a esso ha necessariamente componente di
velocità nulla lungo la direzione r A, ovvero ha velocità diretta in direzione
parallela a V A.
Con riferimento ora alla Figura 2.20 si osserva che per le considerazioni
sopra esposte il punto C, ottenuto come intersezione delle rette r A e r B
(spiccate dai punti A e B) rispettivamente ortogonali alle velocità V A e V B,
ha necessariamente componente di velocità nulla sia nella direzione della
retta r A
58
sia nella direzione della retta r B, ovvero ha velocità nulla nell’istante
considerato. Si è quindi individuato un punto che, pensato in moto
rigidamente solidale al corpo rigido, ha velocità nulla ovvero è il centro di
istantanea rotazione (c.i.r.) del corpo, nell’istante considerato.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni e con riferimento alla Figura
2.21, è immediato osservare che se due punti A e B di un corpo rigido hanno
velocità orientate nella stessa direzione (escludendo ovviamente il caso di
punti scelti appartenenti alla retta ortogonale alla loro velocità), allora tali
velocità sono uguali e le rette r A e r B spiccate dai punti A e B
ortogonalmente alle velocità V A e V B sono parallele, incontrandosi quindi
nel punto all’infinito P ∞. Segue che la situazione ora considerata è il caso
dell’atto di moto traslatorio, in cui tutti i punti del corpo rigido hanno la
stessa velocità e accelerazione, interpretabile come caso limite di un atto di
moto rotatorio per posizione del c.i.r. tendente all’infinito lungo una
direzione prefissata.
Risulta quindi dimostrato che l’atto di moto del corpo rigido dotato di moto
piano è rotatorio o al limite traslatorio, come caso limite di posizione
tendente all’infinito del centro di istantanea rotazione. Avendo mostrato la
possibilità di definire sempre operativamente per l’atto di moto rigido piano
il centro di istantanea rotazione, è bene tuttavia chiarire le fondamentali
differenze esistenti tra tale ente cinematico e il centro di rotazione
precedentemente citato con riferimento al possibile movimento rotatorio di
un corpo rigido. Il centro di istantanea rotazione è infatti un punto
appartenente al corpo rigido che, nell’istante di tempo in cui viene osservato
59
l’atto di moto, si trova ad avere velocità nulla. Non è quindi un “punto fisso”
del corpo come si verifica invece per il centro di rotazione nel caso di
movimento rotatorio del corpo rigido. In altri termini, mentre il centro di
rotazione può essere visto a tutti gli effetti come una cerniera a terra, ovvero
un punto del corpo rigido che permane fisso con velocità e accelerazione
nulla per tutta la durata del movimento osservato, il punto invece che in un
certo istante è centro di istantanea rotazione (ovvero ha velocità nulla), si
troverà successivamente ad essere dotato di velocità. Più esattamente, il c.i.r.,
pur avendo velocità nulla, in genere ha accelerazione diversa da zero e nel
corso del “movimento in grande” del corpo si sposta con
Figura 2.21 Corpo rigido nel piano: atto di moto traslatorio come
caso limite di un atto di moto rotatorio per posizione del c.i.r.
tendente all’infinito lungo una direzione prefissata.
continuità da punto a punto del corpo stesso. Da ciò segue che, pur essendo
l’atto di moto rigido piano sempre rotatorio (a parte il caso singolare di moto
traslatorio), il “movimento in grande” del corpo rigido nel piano non è in
genere rotatorio ma rototraslatorio, ovvero non si verifica in generale che un
punto permanga per tempi finiti a essere c.i.r. del corpo, verificandosi invece
la circostanza per cui il c.i.r. si sposta con continuità da un punto a un altro
del corpo.
Quanto sopra esposto è esemplificato in Figura 2.22: nel caso a) il disco ha
una cerniera a terra nel punto C ed è quindi dotato di movimento rotatorio
con C centro di rotazione. Nel caso b) invece il disco, corpo (1), rotola
60
senza strisciare sulla guida rettilinea, corpo (2) solidale a terra, e, come sarà
mostrato nel Paragrafo 2.2.6, il punto C diviene il centro di istantanea
rotazione del disco. Nel caso b) il movimento del disco è rototraslatorio e la
circonferenza γ è il luogo geometrico dei centri di istantanea rotazione
descritto da un osservatore posto a bordo del disco e rotante con esso. Si
osserva a questo proposito che un osservatore fisso con la guida descrive
invece, come luogo geometrico dei centri di istantanea rotazione, la retta λ
geometricamente coincidente con la linea esterna della guida su cui rotola il
disco. Il movimento relativo dei due corpi rigidi, il disco (1) e la guida (2), è
sinteticamente descritto quindi dal rotolamento senza strisciamento dei due
luoghi geometrici individuati (circonferenza γ e retta λ), detti anche base e
rulletta del moto rigido piano individuato dal sistema costituito dai due
corpi, per effetto della geometria e del vincolo di rotolamento senza
strisciamento. Si osserva infine che il centro del disco nel caso a) descrive
una traiettoria circolare di raggio R, mentre nel caso b) descrive una
traiettoria rettilinea.
61
rigido. Coerentemente con quanto discusso al Paragrafo 2.2.3 il corpo rigido
nel piano è dotato di 3 gradi di libertà, quindi il suo moto sarà
completamente assegnato per esempio tramite le tre funzioni del tempo
x A( t), y A( t), φ( t) rappresentative della posizione di un generico punto A e
della rotazione del corpo rigido al variare del tempo. Si sottolinea che, come
già ricordato, la rotazione è una caratteristica del corpo rigido: è quindi
possibile assegnare come funzione φ( t) l’angolo formato, rispetto all’asse x
del sistema di riferimento adottato, dal segmento orientato ( P − A)
congiungente un qualunque punto P del corpo con il punto A di cui è
assegnata in funzione del tempo la posizione, tenendo conto che la posizione
angolare β( t) di un altro punto B differirà da φ( t) al più per una costante. Si
osservi che i dati così assegnati, x A( t), y A( t), φ( t), definiscono in sostanza il
generico moto rototraslatorio del corpo rigido e che i due casi particolari di
moto puramente traslatorio o rotatorio potrebbero eventualmente essere
ottenuti dal caso generale semplicemente annullando rispettivamente i
termini di rotazione e di traslazione. Con riferimento quindi alla Figura 2.23
la posizione di un generico punto B appartenente al corpo rigido può essere
scritta, adottando il formalismo dei numeri complessi, nel modo seguente:
(2.42)
(2.43)
in cui si è tenuto conto del fatto che, essendo il corpo rigido, la distanza AB
non varia nel tempo. La (2.43) è esprimibile anche come:
(2.44)
62
arbitrariamente sullo stesso corpo, e di un termine ruotato di π/2 in
anticipo rispetto al vettore ( B − A), il cui modulo e verso sono definiti dal
prodotto della distanza AB e della derivata temporale dell’angolo del corpo,
che nel
63
pari alla derivata rispetto al tempo della posizione angolare . Si
osservi tuttavia che la (2.46), ha validità assolutamente generale per il
generico atto di moto di un corpo rigido nello spazio, con l’unica differenza,
rispetto al caso piano, dell’essere i vettori V A, ω e ( B − A) nel caso
tridimensionale orientati genericamente nello spazio. In particolare i due
vettori V A e ω non sono tra loro ortogonali (come nel caso piano), ma
potrebbero al limite essere anche paralleli, caso molto singolare in cui la
particolare (ma sempre possibile) scelta del punto A riconduce la
rappresentazione dell’atto di moto del corpo rigido ad essere elicoidale. Si
osservi infine che la (2.46) si può ottenere semplicemente dividendo per d t la
rappresentazione dell’atto di moto in termini di spostamento infinitesimo:
(2.47)
che esprime con tutta generalità l’atto di moto rototraslatorio del corpo rigido
come sovrapposizione di una traslazione infinitesima δ S A solidale al
generico punto A e di una rotazione infinitesima δ β intorno a un asse
passante per A e orientato come δ β, di entità indipendente dalla scelta del
punto A.
Tornando ora al caso dell’atto di moto rigido piano, la già dimostrata
esistenza del centro di istantanea rotazione permette di affermare che,
qualunque sia l’atto di moto del corpo in oggetto, esiste sempre un punto C
che, se pensato rigidamente collegato al corpo rigido ha velocità nulla,
consentendo quindi di scrivere sostituendo A con C nella (2.46):
(2.48)
64
di un punto del corpo (in termini complessi) si può derivare ulteriormente la
(2.44), ottenendo l’espressione:
(2.49)
(2.50)
(2.52)
(2.53)
65
Figura 2.24 Descrizione del moto rototraslatorio nel piano
(velocità e accelerazione).
66
(2.54)
che derivata rispetto al tempo porta all’espressione:
(2.55)
in cui ovviamente deve essere presente il termine di accelerazione del punto
C a C. In altri termini, come già in precedenza ricordato, il c.i.r. non è un
punto “fisso” del corpo rigido bensì un punto dotato in un certo istante di
velocità nulla, ma destinato in istanti successivi ad avere velocità diversa da
zero e come tale, in genere, sempre dotato di accelerazione non nulla. È
possibile mostrare, ma esula dagli scopi di queste pagine, che nel moto rigido
piano, analogamente alla esistenza del centro delle velocità (o centro di
istantanea rotazione), esiste sempre anche un centro delle accelerazioni,
ovvero un punto dotato, nell’istante considerato, di accelerazione nulla. I due
punti in oggetto, centro delle velocità e centro delle accelerazioni, sono
tuttavia in genere distinti.
2.2.6 Vincoli
Le macchine e le strutture in uso nella tecnica possono avere una prima
elementare modellazione in termini di corpi rigidi tra loro variamente
connessi per mezzo di opportuni vincoli. La cinematica della macchina nel
suo insieme e di ogni suo elemento costitutivo risulta quindi dipendente dai
vincoli con cui i singoli elementi sono tra loro connessi e che limitano i gradi
di libertà dell’insieme rispetto al sistema di riferimento ipotizzato solidale a
terra. I vincoli possono essere descritti dal punto di vista costruttivo con
riferimento alla loro operativa realizzazione materiale, ma devono anche
essere considerati, da un punto di vista più finalizzato alla modellazione
matematica del problema meccanico, come dispositivi atti a limitare i gradi
di libertà (GdL) del singolo corpo rigido e conseguentemente del sistema. Il
singolo corpo rigido risulterà quindi collegato tramite i vincoli ad altri corpi
rigidi appartenenti al sistema e/o a un sistema di riferimento fisso,
operativamente coincidente con il telaio della macchina o con il basamento
della struttura adeguatamente fissati a terra. Dal punto di vista matematico le
condizioni di vincolo saranno espresse da relazioni definite tra le coordinate
che permettono di identificare la configurazione del corpo rigido. In termini
del tutto generali, ipotizzando di poter definire la configurazione di un
67
insieme di corpi rigidi mediante un opportuno insieme
di coordinate (dotato di completezza), i vincoli
avranno una rappresentazione matematica tramite equazioni del tipo
, che andranno quindi a limitare il numero di gradi di
libertà complessivi del sistema. Una discussione più approfondita a questo
proposito verrà effettuata nei Capitoli 3 e 4 a cui si rimanda. Queste prime
note introduttive sono invece focalizzate sulla illustrazione dei vincoli
elementari, rappresentati in Figura 2.25, e dei vincoli associati alla
condizione di contatto tra le superfici di due corpi rigidi. I vincoli elementari
realizzano sostanzialmente la diretta soppressione di uno o più gradi di
libertà del corpo rigido e hanno conseguentemente una equivalente
modellazione matematica elementare. Si cita, a titolo di esempio, il caso di
un vincolo tipo cerniera applicato al punto A di un corpo rigido dotato di
moto piano (nell’ipotesi che il piano z = 0 sia il piano direttore del sistema).
Tale vincolo è modellato elementarmente dalle seguenti equazioni:
(2.56)
68
69
È del tutto evidente che il corpo rigido incernierato a terra nel punto A e
soggetto a moto piano ha come unico grado di libertà la rotazione intorno al
punto A stesso, risultato a cui si poteva pervenire, oltre che per elementare
constatazione diretta, anche dalla scrittura della rototraslazione del corpo
rigido appoggiata al punto A:
(2.57)
con δφ unico grado di libertà del corpo rigido considerato. Una possibile
classificazione dei vincoli elementari, come illustrato in Figura 2.25, può
essere quindi effettuata in base ai GdL che essi sopprimono. Nella Figura
2.25 sono riportati sinteticamente i simboli grafici dei vincoli elementari
tipicamente utilizzati, le corrispondenti reazioni vincolari e i movimenti
consentiti rispetto al sistema di riferimento fisso. Qui di seguito gli stessi
concetti vengono più estesamente illustrati.
• Incastro. Si tratta di un vincolo triplo, in quanto sopprime tutti e tre i
gradi di libertà del corpo.
• Cerniera. Sopprime qualsiasi spostamento del punto su cui è
applicata.
• Pattino o manicotto. Come per la cerniera, si tratta di un vincolo
doppio, in quanto sopprime due gradi di libertà. Impedisce la
rotazione del corpo, e lo spostamento in direzione ortogonale al
vincolo.
• Carrello. Si tratta di un vincolo semplice, in quanto sopprime solo la
componente di spostamento in direzione ortogonale al vincolo. Tale
vincolo può essere interpretato anche come la disposizione in serie di
una cerniera e di un pattino.
I vincoli ora esaminati sono da ritenere puntiformi, ovvero le reazioni
vincolari, come verrà in seguito illustrato, si ipotizzano concentrate nel punto
geometrico rappresentativo del vincolo e impongono condizioni cinematiche
elementari analoghe a quelle rappresentate nella (2.56) per ogni GdL
70
soppresso. Altri tipi di vincolo, qui di seguito illustrati, riguardano invece
l’accoppiamento di superfici.
71
indispensabile la conoscenza della velocità di strisciamento nel punto di
contatto.
72
strisciamento impone che le lunghezze dell’arco ( A D − B D) misurato sul
disco e del segment ( A G − B G) misurato sulla guida siano uguali, ovvero
impone che nel punto di contatto la velocità di strisciamento tra i due corpi
sia sempre nulla. Da tale condizione risulta quindi ( A G − B G) = R · φ, con
R raggio del disco. Ne segue che, per la conformazione rettilinea della guida,
il centro del disco si muove lungo una traiettoria rettilinea parallela alla
guida, posta a distanza R dalla stessa, occupando le posizioni C e C′ in
corrispondenza delle condizioni di contatto A D e B D. Tali posizioni sono
sulla verticale alla guida condotta rispettivamente per A G e B G, e
identificano quindi un segmento C − C′ di lunghezza pari al segmento ( A G -
B G), da cui segue ( C − C′) = R · φ. Indicando ora con s( t) l’ascissa
curvilinea (con origine in C) del centro del disco lungo la retta C − C′, e con
φ( t) la rotazione del disco, nell’ipotesi di rotolamento senza strisciamento si
può scrivere:
Si osservi ora che, essendo la traiettoria del centro del disco C rettilinea e
parallela alla guida, la velocità e l’accelerazione sono vettori diretti
tangenzialmente alla traiettoria di versore u t sempre orientato come la retta
C − C′ con componenente di accelerazione normale alla traiettoria nulla
essendo la traiettoria rettilinea (2.19), esprimibile nel modo seguente:
73
Può sussistere vincolo di puro rotolamento anche tra due corpi a contatto in
reciproco movimento, come illustrato in Figura 2.28, in cui i due dischi (1) e
(2) di raggio rispetivamente R 1 e R 2 e centri O 1 e O 2, a contatto nel punto
P, rotolano senza strisciare. È intuitivo osservare che i due dischi sono dotati
di moto rotatorio con versi di rotazione opposti e che, per la condizione di
rotolamento senza strisciamento, la velocità di strisciamento è nulla nel
punto di contatto. Ne segue che, detti P 1 e P 2 i punti di contatto
appartenenti rispettivamente al disco (1) e al disco (2), φ 1 e φ 2 le rotazioni
angolari dei due dischi (considerate positive l’una se antioraria e l’altra se
oraria) e detto u t il versore tangente comune nel punto di contatto, risulta:
(2.27)
74
corrispondenti ruote, in quanto non si sono scelte convenzioni equiverse per
φ 1 e φ 2. Nel caso in cui si scegliesse una unica convenzione di segno per i
vettori velocità angolare dei due dischi, rappresentati per esempio con e
, avendo tuttavia mantenuto convenzionalmente la stessa definizione del
simbolo τ come scalare positivo pari al rapporto tra i raggi, risulterebbe
ovviamente:
75
rotazione del moto relativo o c.i.r.r.: in modo molto sintetico, l’atto di moto
relativo del corpo (2) rispetto al corpo (1) può essere descritto come una
rotazione intorno al c.i.r.r. con velocità angolare relative
pari alla differenza tra le velocità angolari assolute dei due corpi lette
dall’osservatore assoluto.
76
rispetto alla guida, risulta essere di natura piuttosto complessa. Si osserva
tuttavia che, l’utilizzo di opportuni osservatori relativi, unitamente alla
natura elementare dei tipici vincoli con cui i diversi corpi rigidi costituenti le
macchine sono collegati, permette di analizzare moti complessi, come quello
del punto ( P), come sovrapposizione di più movimenti elementari.
Nella Figura 2.29 sono indicati, con X 2– Y 2 il sistema di riferimento solidale
alla guida (vincolata al carrello tramite la cerniera O 1), con X 1– Y 1 la terna
solidale al carrello e con X 0– Y 0 il sistema di riferimento assoluto. Il moto
del punto P osservato da X 2– Y 2 segue una traiettoria rettilinea, il moto della
guida osservato da X 1– Y 1 è rotatorio e il moto del carrello osservato da
X 0– Y 0 è traslatorio lungo una traiettoria rettilinea. Avendo quindi ricondotto
a moti elementari le descrizioni effettuate dai diversi osservatori in moto
relativo, sorge spontanea l’esigenza di un metodo che renda possibile la
composizione di tali osservazioni per il calcolo del moto assoluto del punto
P. Il metodo in oggetto prende il nome di teorema dei moti relativi e verrà
illustrato nel paragrafo seguente.
Si sottolinea quindi che una opportuna scelta di osservatore relativo consente
di introdurre l’informazione inerente la natura del vincolo esistente tra due
corpi rigidi, nell’analisi del moto del sistema effettuata per mezzo del
teorema dei moti relativi. Si riportano a questo scopo le Figure 2.30a, 2.30b,
in cui è rappresentato un sistema formato da due corpi rigidi, nel primo caso
(a), il corpo (1) è incernierato a terra e il corpo (2) è incernierato al corpo (1)
in B. Sono assegnate la rotazione α 1 dell’asta (1) rispetto a terra e la
rotazione α 2 dell’asta (2) rispetto alla (1). Nel secondo caso (b), il corpo (2)
è invece vincolato a (1) tramite un pattino, ovvero è imposto che il moto
relativo di (2) rispetto a (1) sia traslatorio. Sono assegnate la rotazione α 1
dell’asta (1) rispetto a terra e lo spostamento X 1 dell’asta (2) traslante
rispetto alla (1).
Figura 2.30 La natura del vincolo tra due corpi rigidi è espressa
dai moti definiti da osservatori relativi: a) vincolo tipo cerniera,
moto rotatorio; b) vincolo tipo pattino, moto traslatorio.
77
Come si può osservare dalla Figura 2.30a, la scelta di un sistema di
riferimento traslante solidale alla cerniera (B), e la conseguente traiettoria
relativa circolare centrata in (B) valutata da tale osservatore per il punto (C),
consente di introdurre implicitamente l’informazione inerente il vincolo tipo
“cerniera” esistente tra corpo (1) e corpo (2). Analogamente, con riferimento
alla Figura 2.30b, la scelta di un sistema di riferimento rotante solidale al
corpo (1), e la conseguente traiettoria relativa rettilinea valutata da tale
osservatore per qualunque punto del corpo (2), consente di introdurre
implicitamente l’informazione inerente il vincolo tipo “pattino” esistente tra
corpo (1) e corpo (2). Si sottolinea infine che la scelta dell’osservatore
relativo atto a descrivere implicitamente la natura del vincolo esistente tra
due corpi rigidi può anche non essere univoca. È evidente infatti in Figura
2.30a che sia l’osservatore X 1– Y 1 rotante solidale all’asta (1), sia
l’osservatore X 2– Y 2 traslante solidale alla cerniera (B), attribuiscono
entrambi al corpo (2) moto relativo circolare centrato in (B), essendo (B) per
entrambi un punto fisso. È importante notare che entrambi gli osservatori
definiscono quindi per il punto (C) una traiettoria relativa costituita da una
circonferenza centrata in (B), esprimendo quindi entrambi la natura del
vincolo tipo “cerniera” tra i due corpi. Le misure fatte dai due osservatori in
merito al moto del punto C tuttavia differiscono, in quanto la rotazione
relativa letta da X 1– Y 1 per il corpo (2) è pari ad α 2, mentre la rotazione
relativa letta da X 2– Y 2 per il corpo (2) è pari ad α 2 + α 1, ovvero pari alla
rotazione assoluta dell’asta, essendo l’osservatore X 2– Y 2 traslante, ovvero
mantenendo i suoi assi paralleli a quelli dell’osservatore assoluto.
78
Si ipotizzi ora che il generico punto P sia in moto nel piano e che due to
distinti osservatori ne descrivano il moto. In particolare, con riferimento alla
Figura 2.31, si ipotizzi che il sistema di riferimento assoluto, o terna fissa
O 0 X 0 Y 0, descriva la traiettoria assoluta del punto P misurandone in un
certo istante t velocità e accelerazione, e che un altro osservatore O 1 X 1 Y 1,
detto osservatore relativo o terna mobile, in moto rispetto a O 0 X 0 Y 0, misuri
anch’esso velocità e accelerazione del punto P allo stesso istante t. Si
ipotizzi ovviamente che sia noto il moto di O 1 X 1 Y 1 rispetto a O 0 X 0 Y 0,
ovvero sia per esempio assegnata la legge di moto dell’origine O 1 del
sistema di riferimento relativo (in termini per esempio di coordinate x 0( t) e
y 0( t)) del punto O 1 misurate in O 0 X 0 Y 0) e l’orientamento angolare θ( t)
dell’asse X 1 rispetto all’asse X 0.
Figura 2.31 Studio del moto del punto P nel piano effettuato da
due osservatori in moto relativo.
79
(2.59)
(2.60)
Si osservi che, mentre i versori del sistema di riferimento assoluto sono per
definizione “fissi” ovvero sono a tutti gli effetti delle costanti a derivata
nulla, viceversa i versori del sistema di riferimento relativo, pur
mantenendosi di modulo costante, cambiano posizione e orientamento al
variare del tempo, avendo quindi in genere derivata non nulla. Per questo
motivo nella (2.60), la derivata dei termini i 1 x 1 + j 1 y 1 comporta la
presenza, oltre che dei termini:
80
istantanea dell’osservatore relativo.
In altri termini, tenendo conto dell’espressione dell’atto di moto rotatorio
(2.48) del corpo rigido, e avendo rappresentato con il vettore velocità
angolare che caratterizza il moto dell’osservatore relativo, si può scrivere:
(2.61)
Quanto mostrato per i 1 ha validità del tutto generale ed è quindi possibile
scrivere le cosiddette formule di Poisson (per moti piani) [4]:
(2.62)
da cui segue:
(2.63)
81
I primi due termini rappresentano il moto di trascinamento, ossia il moto che
si può pensare impartito al punto P per effetto del moto della terna mobile,
come se il punto fosse rigidamente collegato a essa. In particolare il primo è
dovuto alla componente traslatoria del moto della terna mobile (assimilata a
un corpo rigido), mentre il secondo è dovuto alla rotazione della stessa. Il
terzo termine descrive invece il moto del punto P rispetto sempre alla terna
mobile (o sistema di riferimento relativo). Ponendo quindi:
(2.64)
82
Con riferimento ora alla (2.46), è possibile riconoscere nel termine:
(2.66)
Si può quindi vedere la velocità del punto P nel moto assoluto (la misura
effettuata dall’osservatore assoluto) come somma di un termine relativo (la
misura effettuata dall’osservatore relativo) e di un termine di trascinamento,
intuitivamente associabile all’effetto di trascinamento dovuto alla
rototraslazione del sistema di riferimento relativo. Allo scopo di non
incorrere in facili errori o fraintendimenti nel calcolo della velocità di
trascinamento, è bene comunque formulare in termini rigorosi e nello stesso
tempo operativi tale termine nel modo seguente:
La velocità di trascinamento è la velocità che l’osservatore assoluto
attribuirebbe al punto P nel caso in cui questo si muovesse rigidamente
assieme al sistema di riferimento relativo.
Dal punto di vista operativo, per calcolare la velocità di trascinamento si può
quindi applicare la seguente procedura.
• Passo 1. Si blocca il moto relativo tra punto P, oggetto dello studio, e
sistema di riferimento relativo (in altri termini si considera il punto P
come appartenente a un unico corpo rigido solidale al sistema di
riferimento relativo).
• Passo 2. Si fa avvenire il movimento del sistema di riferimento
relativo con legge cinematica coerente a quanto assegnato per il
83
sistema in oggetto e alla scelta di osservatore relativo effettuata.
• Passo 3. Si misura la velocità assoluta che il punto P assume per
effetto del moto di trascinamento così predisposto: tale velocità, letta
dall’osservatore assoluto, è la velocità di trascinamento del punto P.
È utile proporre anche una procedura alternativa di derivazione delle formule
di Poisson, di applicazione limitata al caso piano. Valendo per i versori i 1 e
j 1 nel piano la seguente formulazione in termini complessi:
(2.67)
(2.68)
(2.69)
(2.70)
84
rispetto al tempo:
(2.71)
Si procede quindi alla derivazione rispetto al tempo, tenendo conto delle
espressioni cartesiane dei singoli termini, riportate alle pagine precedenti:
(2.72)
(2.73)
(2.74)
(2.75)
si osserva che la (2.74) è stata ottenuta facendo uso della (2.70) e che,
facendo uso delle formule di Poisson (2.62), la (2.75) può essere scritta
come:
(2.76)
85
accelerazione di Coriolis, o complementare.
(2.77)
In modo del tutto analogo a quanto già illustrato per la velocità e facendo
riferimento alla formulazione dell’atto di moto rototraslatorio di cui alla
(2.52), è possibile dare una interessante interpretazione fisica alla (2.77)
riconoscendo nel primo gruppo di termini l’atto di moto rototraslatorio di un
corpo rigido, di cui sono assegnate (ovviamente in termini vettoriali) la
velocità di un punto, , la velocità e l’accelerazione angolare angolare, ω e
e di cui è studiata l’accelerazione del punto P pensato appartenente al
corpo rigido stesso. Avendo introdotto la simbologia seguente, il teorema dei
moti relativi per le accelerazioni (2.77), detto anche teorema di Coriolis,
viene formulato secondo la corrente sintetica rappresentazione (2.78):
accelerazione assoluta del punto P;
accelerazione di trascinamento del
punto P;
accelerazione relativa del punto P;
accelerazione di Coriolis del punto P;
(2.78)
Si può quindi vedere l’accelerazione del punto P nel moto assoluto (la
misura effettuata dall’osservatore assoluto) come somma di un termine
relativo (la misura effettuata dall’osservatore relativo) e di un termine di
trascinamento, intuitivamente associabile all’effetto di trascinamento dovuto
alla rototraslazione del sistema di riferimento relativo, a cui si aggiunge
tuttavia, a differenza del caso delle velocità, un termine complementare detto
accelerazione di Coriolis. Si nota esplicitamente che l’interpretazione fisica
del teorema dei moti relativi in termini di “composizione di moti”, ovvero la
visione del moto assoluto semplicemente come composizione di moto di
trascinamento più moto relativo, è corretta per le velocità, ma è in generale
86
incompleta per le accelerazioni, a causa del termine aggiuntivo di
accelerazione di Coriolis. Si sottolinea che nell’ accelerazione di Coriolis
a c− p = 2 ω ∧ V rel − P compare la velocità angolare ω del sistema di
riferimento relativo e la velocità relativa V rel − P del punto P letta
dall’osservatore relativo. Segue che, nel caso l’osservatore relativo abbia
moto traslatorio, l’accelerazione di Coriolis è nulla e la formulazione del
teorema dei moti relativi per le accelerazioni risulta identica a quella per le
velocità, con rigorosa validità del concetto di composizione dei moti di
trascinamento e relativo. È chiaro infine che, come caso particolare, il
termine complementare si annulla anche per velocità relativa
istantaneamente nulla (o parallela alla velocità angolare dell’osservatore
relativo, cosa possibile solo abbandonando l’ipotesi di moto piano).
Analogamente a quanto già fatto per la velocità, allo scopo di non incorrere
in facili errori o fraintendimenti nel calcolo dell’accelerazione di
trascinamento, è utile formulare in termini rigorosi, e nello stesso tempo
operativi, tale termine nel modo seguente:
L’accelerazione di trascinamento è l’accelerazione che l’osservatore
assoluto attribuirebbe al punto P nel caso in cui questo si muovesse
rigidamente assieme al sistema di riferimento relativo.
Dal punto di vista operativo, per calcolare l’accelerazione di trascinamento si
può quindi applicare la seguente procedura.
• Passo 1. Si blocca il moto relativo tra punto P, oggetto dello studio, e
sistema di riferimento relativo (in altri termini si considera il punto P
come appartenente a un unico corpo rigido solidale al sistema di
riferimento relativo).
• Passo 2. Si fa avvenire il movimento del sistema di riferimento
relativo con legge cinematica coerente a quanto assegnato per il
sistema in oggetto e alla scelta di osservatore relativo effettuata.
• Passo 3. Si misura l’accelerazione assoluta che il punto P assume per
effetto del moto di trascinamento così predisposto: tale accelerazione,
letta dall’osservatore assoluto, è l’accelerazione di trascinamento del
punto P.
Si osserva infine che, nel caso di velocità e accelerazione relativa nulla,
ovvero nell’ipotesi di moto relativo nullo tra punto P e osservatore relativo,
il teorema dei moti relativi degenera nel teorema di Rivals, ovvero le (2.65) e
(2.77) si riducono alle (2.46) e (2.52), scrivendo l’atto di moto rototraslatorio
87
di un corpo rigido (il sistema di riferimento relativo) a cui è stato reso
solidale il punto P oggetto dello studio.
(2.79)
(2.80)
(2.81)
Dall’esame dei numeri complessi si nota infatti che essi esprimono i seguenti
termini di velocità:
• trascinamento associato al moto traslatorio della terna, infatti il
numero complesso comprende solo i termini in r 1 e φ, legati al moto
del solo punto O, origine della terna mobile;
Figura 2.33 Studio del moto del punto P nel piano effettuato
88
da due osservatori in moto relativo: approccio con i numeri
complessi.
(2.82)
89
Nel caso il moto della terna mobile sia solamente rotatorio attorno alla sua
origine O 1, allora la (2.81) si semplifica nella:
(2.83)
che esprime il moto del punto come somma del moto di trascinamento di
sola rotazione, e del moto relativo rispetto a una terna rotante. Se poi nel
moto relativo vale , allora la traiettoria del moto relativo è rettilinea e
in particolare è una retta spiccata per l’origine del sistema di riferimento
relativo (si osservi che possono ovviamente esistere altre traiettorie relative
rettilinee, diversamente orientate, caratterizzate dall’essere ). Nel caso
invece sia con , allora la traiettoria relativa è una circonferenza
centrata nell’origine del sistema di riferimento relativo.
Si esamina infine il termine di accelerazione, ottenuto derivando rispetto al
tempo la (2.81):
ESERCIZI SVOLTI
90
Moto di un punto su traiettoria curvilinea
2.1 Un vagone ferroviario percorre il tracciato mostrato in Figura 2.34,
muovendosi con modulo della velocità costante e pari a 20 m/s. Assimilando
il sistema a un punto materiale, determinare, nei vari tratti della traiettoria,
l’accelerazione cui sono sottoposti i passeggeri.
Figura2.34
91
C;
4. calcolare l’accelerazione del punto P del disco in contatto con la
guida.
Figura2.35
Risoluzione
Punto 1: poiché disco e guida sono rigidi e non possono compenetrarsi,
qualunque posizione il disco assuma rispetto alla guida (escludendo il
distacco tra i due corpi) sarà tale per cui il centro C del disco si trovi a
distanza R dalla superficie inclinata della guida. Di conseguenza la traiettoria
del centro del disco deve necessariamente essere un segmento appartenente
alla retta parallela al piano inclinato posta a distanza R da questa.
Punto 2: si tratta di trovare il punto del disco che ha (nella configurazione
mostrata) velocità nulla. Essendo la guida fissa, e avendo quindi tutti i suoi
punti velocità nulla, per effetto del vincolo di rotolamento senza
strisciamento il punto P del disco ha la stessa velocità del punto della guida
con cui è a contatto, da cui segue che P ha velocità nulla ed è quindi il c.i.r.
del disco.
Punto 3: la velocità del punto C si può calcolare con il teorema di Rivals,
sfruttando il fatto che conosciamo la velocità di P (nulla per quanto detto al
punto precedente) e la velocità angolare del disco:
e risulta quindi diretta parallelamente alla guida, con verso a salire, e con
modulo pari a:
92
Si osservi che la velocità di C è parallela alla retta che definisce la traiettoria
di C stesso, ossia risulta (come necessario) tangente alla traiettoria.
Per quanto riguarda l’accelerazione di C, ricordando quanto detto sulla
cinematica del punto, possiamo osservare che l’accelerazione di un punto
che si muove su una traiettoria rettilinea (ossia a curvatura nulla), avrà una
sola componente di accelerazione, diretta lungo la tangente alla traiettoria
(ovvero ancora una volta parallela al piano inclinato) e pari in modulo alla
derivata rispetto al tempo del modulo della velocità:
Figura2.36
93
Moto rototraslatorio di un corpo
2.4 L’esempio qui riportato mira a chiarire il concetto di velocità angolare, e
a mostrare come sia possibile descrivere il moto rototraslatorio di un corpo
rigido nel piano. Si consideri un’asta rigida vincolata a scorrere lungo una
guida orizzontale (vincolo di carrello) con velocità e accelerazione assegnate
(rispettivamente e ) dotata inoltre di velocità angolare e accelerazione
angolare pari rispettivamente a e , come mostrato nella figura sottostante.
Si calcolino le espressioni di posizione, velocità e accelerazione dell’estremo
B dell’asta.
Figura2.37
Risoluzione
Utilizzando il metodo dei numeri complessi, esprimiamo la posizione del
punto B come:
(2.36)
Questa espressione indica che la velocità del punto P è data dalla somma
vettoriale di un termine orizzontale pari alla velocità del punto A, e di un
termine ortogonale all’asta pari in modulo al prodotto della velocità angolare
dell’asta per la lunghezza dell’asta stessa. Si interpreti questo risultato
sulla base del teorema di Rivals, rappresentato dalla (2.46).
Derivando ulteriormente si ottiene:
94
che possiamo interpretare nel modo seguente: l’accelerazione di B è somma
di tre termini: uno diretto orizzontalmente e pari all’accelerazione di A, un
secondo ortogonale all’asta e pari in modulo al prodotto dell’accelerazione
angolare dell’asta per la lunghezza dell’asta, e infine un termine diretto
parallelamente all’asta, ma con verso diretto da B verso A, il cui modulo è
pari al prodotto della velocità angolare al quadrato per la lunghezza dell’asta.
Figura2.38
Risoluzione
95
Supponiamo di fissare a terra il profilo (1) e svincolare il telaio, come
mostrato in Figura 2.39. L’osservatore ( ) vede il punto O 2 , pensato
appartenente al telaio, con velocità diretta normalmente alla congiungente
O 1– O 2, essendo O 1 evidentemente centro di istantanea rotazione del telaio.
Il punto P 1, invece, essendo il punto di contatto appartenente al corpo (1)
che risulta vincolato a terra, avrà velocità nulla, ed in particolare la
componente di velocità nella direzione normale al contatto sarà nulla:
Figura2.39
96
La velocità angolare del corpo (1), Ω 1, è facilmente calcolabile, assegnata
Ω 2, imponendo la relazione che la velocità del punto O 3 sia la stessa, sia
pensato appartenente al corpo (1) che al corpo (2):
(2.39)
Si osservi ovviamente che i versi delle velocità angolari dei due profili sono
opposti e che quindi, avendo assunto una convenzione univoca per i versi
97
delle velocità angolari risulta:
Per quel che riguarda la velocità relativa (o di strisciamento) tra i due corpi
nel punto di contatto, tale quantità è ora definibile rapidamente sfruttando la
definizione di centro di istantanea rotazione del moto relativo:
98
all’asta (2), risulta essere una traslazione solidale al punto B. La velocità di
trascinamento di qualsiasi punto appartenente all’asta (2), in particolare del
punto C, è uguale quindi a quella del punto B. L’atto di moto di tale punto è
una rotazione attorno al centro A, pertanto la velocità del punto C sarà diretta
ortogonalmente alla congiungente (B–A) e vettorialmente vale:
99
Scelta 3 Consideriamo ora un sistema analogo al precedente, ma nel quale
l’asta (2) è vincolata all’asta (1) tramite un pattino, come descritto in Figura
2.42. In questo caso la scelta dell’osservatore relativo, finalizzata a
descrivere nel modo più semplice e coerente con i vincoli il moto relativo
dell’asta (2), è ovviamente quella di un osservatore solidale all’asta (1) e
quindi rotante intorno al punto A. L’atto di moto di trascinamento del punto
C risulta essere pertanto rotatorio di centro A, analogamente al caso illustrato
in Figura 2.40, portando a identici risultati per quanto riguarda la velocità e
l’accelerazione di trascinamento. La sostanziale differenza nell’atto di moto
assoluto del punto stesso, dovuto alle diverse condizioni di vincolo tra l’asta
(2) e l’asta (1), verrà pertanto descritta dal moto relativo del punto C rispetto
al punto B: per il caso illustrato in Figura 2.40, infatti, si ha che l’atto di
moto relativo è una rotazione di centro B, mentre, per il caso illustrato in
Figura 2.42, l’atto di moto relativo è una traslazione dell’asta (2).
100
CAPITOLO 3 Cinematica dei sistemi di
corpi rigidi
3.1 Introduzione
Nel capitolo precedente sono stati descritti i tipi di moto possibili per un
singolo corpo rigido, tenendo conto di eventuali vincoli applicati al corpo. In
questo capitolo lo studio della cinematica viene generalizzato al caso di un
sistema composto da più corpi rigidi, interconnessi da vincoli. Come per il
singolo corpo rigido, il primo problema da porsi è il numero di gradi di
libertà del sistema considerato: abbiamo visto che un singolo corpo rigido in
moto nel piano e sul quale non agiscono vincoli possiede tre gradi di libertà;
un sistema composto da n corpi nel piano è pertanto caratterizzato, prima
dell’applicazione dei vincoli, da 3 n gradi di libertà. L’introduzione di vincoli
tra i corpi o tra questi e un corpo fisso (detto telaio), riduce il numero dei
gradi di libertà del sistema, che dipenderà quindi dal numero di corpi che
compongono il sistema e dal numero e tipo di vincoli applicati.
Per introdurre l’argomento ci si riferisce a un sistema composto da due aste
(Figura 3.1), cui vengono progressivamente applicati dei vincoli. A ogni
situazione di vincolo si osserverà quante coordinate è necessario indicare per
definire la configurazione del sistema:
• prima dell’introduzione dei vincoli, l’insieme dei due corpi è dotato di
6 = 3 × 2 gradi di libertà;
• applicando i vincoli di cerniera nei punti O e A, vengono sottratti due
gradi di libertà per ciascuna cerniera applicata al sistema, che risulta
quindi dotato di due gradi di libertà: si può quindi individuare
completamente la configurazione del sistema attraverso due soli
parametri cinematici, per esempio gli angoli α e β, che costituiscono
le coordinate libere del sistema;
• applicando un ulteriore vincolo di carrello nel punto B, si sottrae una
ulteriore possibilità di movimento al sistema, che risulta così dotato di
un solo grado di libertà. In questo caso, per determinare la
configurazione del sistema è sufficiente definire, per esempio, il
valore dell’angolo α, che diviene l’unica coordinata libera del
101
sistema;
• nel caso in cui, infine, il vincolo posto nel punto B sia una cerniera,
non sono più possibili movimenti rigidi del sistema: infatti per effetto
delle cerniere in O e B ciascuna delle due aste potrebbe al più ruotare
attorno alla sua estremità fissa, ma per effetto della cerniera in A
anche queste rotazioni sono impedite, perché la rotazione rigida di
una delle due aste comporterebbe necessariamente un allungamento o
accorciamento dell’altra. Il fatto che il sistema non possa compiere
moti rigidi trova corrispondenza nel conteggio del numero dei gradi
di vincolo agenti, che in questo caso sono sei, ossia pari al numero dei
gradi di libertà che compete all’insieme dei corpi non vincolati.
L’esempio sopra descritto consente di introdurre alcune definizioni
particolarmente importanti, che sono riportate nel seguito.
102
L’esempio mostra che possiamo distinguere i sistemi meccanici in due
categorie:
• strutture: sistemi per i quali non sono possibili movimenti rigidi e le
uniche possibilità di movimento sono legate alle deformabilità dei
componenti della struttura, abbandonando quindi l’ipotesi di corpi
rigidi;
• meccanismi: sistemi in grado di compiere movimenti senza
contravvenire alla condizione di moto rigido: è in particolare di
questa categoria di sistemi che ci occuperemo in questo capitolo.
Si osservi che anche un meccanismo potrebbe subire dei moti non rigidi, per
effetto della deformabilità dei corpi che lo compongono: ciò nonostante, i
moti associati alla deformabilità sono in generale confinati entro i limiti di
deformazione elastica del corpo e hanno tipicamente ampiezze molto piccole
rispetto ai moti rigidi. Per esempio, un’asta della lunghezza di un metro
incernierata a terra a una estremità potrebbe ruotare intorno all’estremo fisso
(moto rigido) consentendo al suo estremo libero di spostarsi di una distanza
dell’ordine dei metri, mentre un ragionevole ordine di grandezza dello
spostamento prodotto dalla deformazione elastica potrebbe essere 1/1000
della dimensione del corpo.
Per questo motivo nel seguito considereremo i meccanismi come composti
da corpi rigidi variamente interconnessi, trascurando tutti gli effetti di
deformabilità dei corpi che li compongono.
103
permette di realizzare funzioni cinematiche tipicamente richieste nelle
macchine. Si consideri a questo scopo in primo luogo gli esempi di macchine
operatrici riportate in Figura 3.2: lo schema riportato nella parte di sinistra
della figura si riferisce a una gru portuale, il cui scopo è quello di trasferire i
carichi fra le navi e la banchina. La gru risulta formata da un telaio fisso 1,
due bracci, indicati in figura con 2 e 4, rotanti incernierati al telaio, e infine il
braccio 3, incernierato a 2 e 4, che si prolunga fino al punto P al quale viene
appeso il carico da trasportare. Il sistema così ottenuto, essendo formato da
quattro “lati” viene detto quadrilatero articolato e uno scopo della
progettazione del cinematismo consiste, nella applicazione considerate, nel
realizzare per il punto P una traiettoria il più possibile rettilinea, il che
consente di minimizzare il lavoro richiesto per lo spostamento del carico.
Nella fotografia a destra della Figura 3.2 si osserva invece un braccio
articolato di pala meccanica. Si osservi che, dal punto di vista della sua
cinematica, questo sistema può essere considerato come composto da un
sistema principale, consistente nei due bracci più la pala, e in una serie di
sistemi “secondari”, costituiti dagli attuatori oleodinamici che realizzano
l’azionamento del primo braccio rispetto alla base, del secondo braccio
rispetto al primo e della pala rispetto al secondo braccio.
104
sospensione automobilistica di tipo “Mc. Pherson”, rappresentata in Figura
3.3. In questo caso, la funzione cinematica assolta dalla sospensione è quella
di rendere possibile un movimento relativo tra la ruota e il telaio del veicolo,
che viene realizzato mediante un sistema a un grado di libertà costituito da
un braccio inferiore solidale al mozzo e incernierato alla scocca, e da due
ulteriori corpi, lo stelo e la camera dello smorzatore, collegati fra loro da un
vincolo di manicotto, e incernierati rispettivamente al braccetto inferiore e
alla scocca. La molla elicoidale coassiale allo smorzatore conferisce la
rigidezza richiesta alla sospensione, ma non ha nessun ruolo dal punto di
vista della cinematica della stessa.
Infine, la Figura 3.4 mostra lo schema cinematico di un robot o manipolatore
industriale. In questo caso il sistema risulta composto da una base fissa
inferiore e numerosi bracci, collegati in maniera sequenziale (il braccio 1 è
collegato
105
alla base e al braccio 2, il braccio 2 a 1 e 3, e così via) mediante una serie di
snodi che possono essere di tipo rotazionale (ossia realizzate mediante
cerniere) oppure, caso non mostrato nell’esempio, di tipo traslazionale
(ossia realizzati mediante manicotti). Lo scopo del manipolatore è quello di
realizzare il movimento desiderato per l’elemento terminale posto sull’ultimo
braccio, che è destinato a realizzare uno scopo utile, per esempio una
operazione di verniciatura o saldatura. Una peculiarità di questo ultimo
esempio è costituita dal fatto che mentre negli esempi presentati in
precedenza il movimento del sistema di corpi rigidi avviene in un piano, in
questo caso il movimento del robot avviene nello spazio.
106
solo grado di libertà (vincolo tipo carrello), e c 2 il numero di vincoli che
sopprimono due gradi di libertà (vincolo tipo cerniera o pattino), si ha:
(3.1)
essendo n il numero di componenti del meccanismo, escluso il telaio.
107
meccanismi che permettono di trasformare le caratteristiche del movimento
da rotatorio continuo a traslatorio alternato e viceversa, oppure da rotatorio
continuo a rotatorio alternato e viceversa.
La distinzione tra catene cinematiche aperte e chiuse non risiede solo nella
topologia del sistema, ma comporta un’importante differenza nella
cinematica del sistema: per descrivere il moto di una catena cinematica
aperta è sufficiente utilizzare un certo numero di coordinate che permettano
di rappresentare il moto relativo di un corpo rispetto a quello che lo precede
nella catena. Per esempio, per la catena cinematica aperta dell’esempio di
Figura 3.1 si possono usare come coordinate l’angolo formato dall’asta OA
con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo 1) e l’angolo formato dall’asta
AB con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo 2); in alternativa, come
seconda coordinata può essere scelto l’angolo formato dall’asta AB con il
prolungamento dell’asta OA (rotazione relativa del corpo 2 rispetto al corpo
1). Qualunque dei due set di coordinate si scelga, le due coordinate risultano
del tutto indipendenti l’una dall’altra.
Viceversa, per una catena cinematica chiusa, le diverse coordinate che
esprimono il moto di un membro rispetto al precedente non sono tutte libere,
ma al contrario devono rispettare una o più condizioni: nell’esempio di
catena cinematica chiusa riportato nella Figura 3.1, il moto del sistema può
ancora essere descritto in termini di rotazioni assolute delle due aste OA e
AB, ma in questo caso queste due coordinate non saranno indipendenti (ossia
non potranno variare liberamente, indipendentemente l’una dall’altra),
dovranno invece variare rispettando il vincolo di carrello in B, ossia facendo
in modo che il punto B appartenga sempre alla retta orizzontale su cui scorre
il carrello. Tale vincolo viene tradotto dall’equazione vettoriale:
Come si mostrerà nel seguito, una condizione cinematica di questo tipo può
essere rappresentata in termini di equazione scritta con il formalismo dei
numeri complessi, che prende il nome di equazione di chiusura in quanto
può essere interpretata graficamente come una condizione che traduce nel
formalismo matematico del calcolo vettoriale la circostanza per cui un
particolare poligono si mantiene chiuso durante il moto del sistema.
Utilizzando l’algebra dei numeri complessi è possibile esprimere i legami
cinematici tra le diverse quantità cinematiche che descrivono la posizione del
sistema (nell’esempio le rotazioni α e β delle due aste), ed è quindi possibile
108
descrivere la posizione del sistema in funzione di un numero minimo di
coordinate, pari al numero di gradi di libertà del sistema. Nell’esempio
considerato, che come già detto possiede un solo grado di libertà, la
posizione di qualunque punto del sistema potrà essere espressa in funzione
dell’angolo α.
Occorre notare che, per catene cinematiche chiuse più complesse
dell’esempio mostrato, può essere necessario introdurre più di un’equazione
di chiusura per esprimere tutti i legami cinematici che regolano il moto del
sistema. Per esempio, per il sistema di Figura 3.5 (detto esalatero) è
possibile scrivere le due equazioni di chiusura:
Come primo esempio di analisi di una catena cinematica chiusa, si consideri il sistema
rappresentato nella figura sottostante, costituito da un’asta rigida le cui estremità sono
appoggiate a due guide rettilinee, disposte rispettivamente in orizzontale e in
verticale. Per questo sistema:
109
1. si determini il numero di gradi di libertà;
2. assegnata la velocità angolare dell’asta, si calcolino le velocità dei due
estremi A e B e quella del punto centrale C;
3. si determini lo spostamento infinitesimo dei punti A e B che corrisponde a
una rotazione infinitesima dθ dell’asta;
4. assegnata inoltre l’accelerazione angolare dell’asta si calcoli l’accelerazione
del punto centrale C.
Figura3.6
Risoluzione
Punto 1: se si esclude la possibilità di distacco tra le guide e le estremità dell’asta, i
vincoli di appoggio agenti sull’asta possono a tutti gli effetti essere assimilati a
carrelli: infatti ciascun appoggio vincola esclusivamente lo spostamento in una sola
direzione di un punto del corpo. Di conseguenza abbiamo un sistema formato da un
solo corpo (oltre al telaio fisso) su cui agiscono due vincoli che sopprimono ciascuno
un grado di libertà, e il numero residuo di GdL è pertanto n = 3 − 2 = 1.
Punto 2: esistono almeno due possibilità per rispondere a questa domanda. Un primo
approccio, relativamente complicato come sviluppo dei passaggi ma generale,
consiste nell’applicare il metodo dei numeri complessi. Il secondo approccio, più
sintetico, si basa sull’individuazione del centro di istantanea rotazione (c.i.r.)
dell’asta.
Affrontando il problema con il metodo dei numeri complessi, osserviamo che,
qualunque sia il moto dell’asta, esso dovrà avvenire mantenendo chiuso il triangolo O
A B. Di conseguenza, introducendo le variabili x B e y A per rappresentare gli
spostamenti lungo le due guide rispettivamente dei punti B e A si può scrivere:
110
reale, che legano le tre quantità cinematiche finora introdotte, ossia y A, x B e θ.
Dovendo soddisfare due condizioni (in campo reale), solo una di queste tre quantità
può variare liberamente ( coordinata libera), mentre le altre due possono essere
esplicitate in funzione della prima. Scegliamo per esempio come coordinata libera la
rotazione θ: separando la parte reale da quella immaginaria nell’equazione di chiusura
e riordinando i termini si ottiene:
Si osservi che, essendo sen θ > 0 e cos θ < 0, per positiva (ossia velocità angolare
in senso antiorario) la velocità di B sarà diretta orizzontalmente verso destra (in
quanto espressa da un numero reale positivo) e la velocità di A sarà diretta
verticalmente verso il basso (in quanto espressa da un numero complesso con parte
reale nulla e parte immaginaria minore di zero).
Figura3.7
111
Per quanto riguarda il punto centrale dell’asta C, si può scriverne la posizione come:
Come anticipato, esiste un procedimento più rapido per giungere a queste risposte:
osserviamo che le traiettorie di A e B sono due segmenti di retta, rispettivamente
verticale e orizzontale; di conseguenza, possiamo affermare che le velocità dei due
punti (tangenti alle rispettive traiettorie) avranno direzione verticale la prima e
orizzontale la seconda. Sappiamo dall’osservazione fatta al Paragrafo 2.2.5 che il c.i.r.
dell’asta giace all’intersezione delle rette spiccate da A e B ortogonalmente alle
rispettive velocità: se ne conclude che il c.i.r. dell’asta è posto nel punto D della
Figura 3.7 (il fatto che tale punto non appartenga materialmente all’asta non deve far
sorgere dubbi: basta pensare D come un punto collegato rigidamente all’asta).
Trovato il c.i.r. dell’asta, sappiamo che la velocità di qualunque punto del corpo è
ortogonale alla congiungente il punto con il c.i.r. e in modulo è pari al prodotto della
velocità angolare per la distanza del punto dal c.i.r.; applicando queste regole si
ritrova il risultato già ottenuto con il metodo dei numeri complessi.
Punto 3: è stato già osservato nel Capitolo 2 che le stesse relazioni cinematiche valide
tra le velocità valgono anche tra gli spostamenti infinitesimi: di conseguenza, le
espressioni di V A e V B in funzione di trovate al punto precedente, rappresentano
anche il legame tra gli spostamenti infinitesimi dy A e dx B degli estremi e la
rotazione infinitesima dell’asta dθ:
112
Per ottenere le componenti orizzontale e verticale di questo vettore è sufficiente
prendere la parte reale e immaginaria dell’espressione complessa sopra riportata,
oppure derivare le componenti V Cx e V Cy della velocità di C (passaggi lasciati al
lettore).
113
secondo braccio è la seguente (vedi Figura 3.9):
(3.2)
(3.3)
La (3.3) può essere riscritta separando la parte reale da quella immaginaria,
ottenendo il sistema:
(3.4)
(3.5)
(3.6)
114
con traiettoria circolare con una velocità rappresentata dal primo termine
della (3.5) ovvero un numero complesso di modulo e anomalia ( α + π/2);
termine che rappresenta la velocità di trascinamento che l’asta AB avrebbe se
non vi fosse moto relativo. Il secondo termine rappresenta la velocità relativa
del punto B rispetto ad A (origine del nostro sistema di riferimento mobile):
essendo la terna traslante, B ruota nel suo moto relativo intorno a A con
velocità di modulo , dove il termine rappresenta la velocità
angolare assoluta dell’asta AB.
Un’ulteriore derivazione rispetto al tempo dell’equazione di chiusura
fornisce l’espressione dell’accelerazione del punto B:
(3.7)
che può a sua volta essere scomposta in parte reale e immaginaria a fornire le
componenti secondo gli assi coordinati dell’accelerazione di B.
In base al teorema dei moti relativi, è possibile riconoscere nei primi due
termini le componenti tangenziali e normali dell’accelerazione di
trascinamento e nei successivi, rispettivamente, la componente tangenziale e
quella normale dell’accelerazione relative, rispetto al sistema di riferimento
mobile traslante posto in A.
115
corsoio risulta sempre passante per il punto O, centro di rotazione della
manovella.
(3.10)
116
ottenendo un sistema di equazioni nelle due incognite β e c, non lineare in
α, che compare come argomento di funzioni trigonometriche. Risolvendo
rispetto alle incognite si ottiene:
(3.11)
ovvero:
117
(3.13)
(3.14)
(3.15)
(3.16)
118
La Figura 3.13 riporta al centro l’andamento della velocità del corsoio
(calcolata nell’ipotesi di ) in funzione della rotazione della
manovella:
119
(3.18)
da cui è possibile ricavare l’accelerazione del corsoio e l’accelerazione
angolare della biella . Sempre nell’ipotesi , l’andamento
dell’accelerazione del piede di biella in funzione della rotazione della
manovella è mostrato in basso nella Figura 3.13: il valore massimo negativo
si verifica in corrispondenza del punto morto esterno.
È importante osservare che l’andamento dello spostamento, della velocità e
soprattutto dell’accelerazione del corsoio dipende dal rapporto λ = a/b tra le
lunghezze a della manovella e b della biella, come evidenziato nella Figura
3.14.
Come si mostrerà nei capitoli seguenti, spesso è utile definire il legame
cinematico tra la derivata della coordinata libera e la velocità di un punto
del sistema (in questo caso in particolare il corsoio) introducendo il concetto
di jacobiano, ossia mediante una relazione del tipo:
(3.19)
120
in cui Λ c viene detto jacobiano del moto del corsoio rispetto alla rotazione
della manovella. Dal confronto con la prima della (3.16), si ottiene
l’espressione di tale funzione:
(3.20)
dove si può osservare che lo jacobiano è funzione della coordinata libera α,
ossia dipende dalla configurazione del meccanismo. La derivata totale
rispetto al tempo della (3.19) indica che l’accelerazione del corsoio dipende
sia dall’accelerazione angolare della manovella, sia dal quadrato della
velocità angolare di questa:
(3.21)
L’accelerazione del corsoio risulta quindi diversa da zero anche nel caso in
cui la manovella ruota con velocità angolare costante.
(3.22)
da cui:
121
Ricordando che per vale la seguente approssimazione:
si ottiene:
(3.23)
(3.24)
122
meno che la lunghezza della biella sia effettivamente molto maggiore di
quella della manovella ( λ ≤ 1/10).
La Figura 3.15 mostra per due diversi valori del rapporto λ il confronto tra lo
jacobiano Λ c, ottenuto mediante l’analisi cinematica esatta eseguita con il
metodo dei numeri complessi, e l’approssimazione del primo ordine.
123
quindi che le forze prodotte sul corsoio dal suo movimento sono superiori di 3-4
ordini di grandezza rispetto agli effetti del peso proprio.
124
ricorrere alla regola di Grashof, che afferma:
• se la somma del lato più corto e del lato più lungo è maggiore della
somma degli altri due lati, il quadrilatero è a doppio bilanciere;
• nel caso contrario, si hanno i seguenti sottocasi:
- se il lato più corto è incernierato al telaio, il quadrilatero è a
manovella- bilanciere;
- se il lato più corto è il telaio, il quadrilatero è a doppia
manovella;
- se il lato più corto è la biella, il quadrilatero è a doppio
bilanciere.
Osserviamo infine che il quadrilatero articolato (come già nel precedente
paragrafo il manovellismo ordinario centrato e nel seguito il glifo) costituisce
un sistema a un grado di libertà: se per esempio nel quadrilatero di Figura
3.16 si congela la rotazione α del lato O 1 A, questo risulta completamente
bloccato. In particolare il punto A risulta fermo e quindi l’insieme costituito
dalla biella AB e dal lato O 2 B forma un arco a tre cerniere, anch’esso
bloccato. Ne consegue che, una volta determinato il valore di una singola
coordinata libera, per esempio l’angolo α, risultano univocamente
determinate le posizioni di tutti i punti del sistema.
Per determinare le relazioni che legano le rotazioni α, β e γ e le loro derivate
rispetto al tempo, è possibile utilizzare il formalismo basato sui numeri
complessi. I quattro lati del quadrilatero articolato di Figura 3.16, costituiti
dai vettori ( A − O 1), ( B − A), ( O 2 − O 1) e ( B − O 2) sono rappresentati
dalle espressioni complesse:
(3.26)
125
Utilizzando la rappresentazione complessa dei vettori, si ottiene quindi
l’equazione complessa:
(3.27)
Separando in tale equazione la parte reale dalla parte immaginaria si ottiene
il sistema:
(3.28)
Tale sistema di equazioni permette di esplicitare i valori assunti dagli angoli
β e γ (incognite del problema) in funzione dell’angolo α, assunto come
coordinata libera essendo note le lunghezze dei quattro lati del quadrilatero e
il valore (costante) dell’angolo δ. Poiché il sistema di equazioni della (3.28)
è non lineare nelle incognite β e γ, la risoluzione non è agevole, a eccezione
di posizioni notevoli del quadrilatero; per le espressioni risolutive del caso
generale si rimanda a [3].
Una volta risolta l’Equazione (3.28) e determinata quindi la posizione di tutti
i lati del quadrilatero, è possibile determinare le velocità del cinematismo
derivando rispetto al tempo l’equazione di chiusura:
(3.29)
(3.30)
126
(3.32)
Si consideri ora il sistema di Figura (3.17) dove il braccio O 2 C può, per esempio,
costituire il sistema di azionamento di un braccio in una macchina di sollevamento o
di movimentazione terra: la rotazione del braccio O 2 C è ottenuta attraverso un
sistema articolato formato oltre che da tale braccio, dai due elementi O 1 A e BA e
azionata, per esempio, attraverso un motore posizionato in O 1 che impone una
rotazione α( t) al lato O 1 A.
127
del glifo, ossia del corpo rigido incernierato a terra in O 2 e che porta la
scanalatura nella quale si impegna il corsoio. Questo tipo di azionamento
trova applicazione nelle macchine automatiche, tipicamente al fine di
realizzare un moto alternativo con tempi di andata e ritorno di diversa durata
(si veda l’esempio della slitta portautensili di Figura 3.27), nei sistemi di
movimentazione e sollevamento carichi (si veda la Figura 3.23), ma anche
nelle sospensioni dei veicoli stradali, dove la sospensione di tipo Mc.
Pherson si basa proprio su questo tipo
128
Si osservi che in tale equazione la distanza x tra i punti O 2 e A risulta
variabile nel tempo, per effetto dello scorrimento del corsoio all’interno della
scanalatura del glifo. Anche in questo cinematismo si considera come
coordinata libera la rotazione α della manovella, in funzione della quale
possono essere determinate la posizione x del corsoio lungo la guida e la
rotazione del glifo β. Separando nell’equazione di chiusura la parte reale da
quella immaginaria si ottiene il sistema:
(3.33)
Derivando l’equazione complessa di chiusura si ottiene:
(3.34)
(3.35)
129
(3.37)
Analogamente a quanto fatto per l’analisi delle velocità, il teorema dei moti
relativi interpreta l’accelerazione assoluta di A dell’Equazione (3.36) in cui il
primo termine rappresenta l’accelerazione relativa diretta parallelamente al
glifo, nel secondo si riconosce l’accelerazione di Coriolis dovuta al moto
rotatorio del sistema di riferimento mobile e infine i due successivi termini
rappresentano rispettivamente le componenti tangenziale e normale
dell’accelerazione di trascinamento.
Il glifo oscillante viene utilizzato in alcune macchine per realizzare moti alternativi
con tempi di andata e di ritorno non uguali. Si pensi al caso della slitta di una
macchina per lavorazione ad asportazione di truciolo: la slitta avrà il compito di
portare il pezzo destinato alla lavorazione facendolo avanzare lentamente durante la
lavorazione stessa, e riportandolo nella posizione di partenza (per essere sostituito da
un nuovo pezzo o per una nuova fase di lavorazione) nel più breve tempo possibile. Si
presenta quindi l’esigenza di ottenere un tempo di andata più elevato del tempo di
ritorno della slitta. A tale fine può talvolta risultare difficile, o dispendioso, utilizzare
un motore che ruoti a velocità variabile nel tempo in accordo con le diverse fasi della
lavorazione: ciò richiederebbe infatti un sistema di controllo dell’azionamento (si
veda il Capitolo 12).
Una soluzione alternativa consiste nell’utilizzare un motore che ruota a velocità
angolare costante, azionando la manovella di un glifo secondo lo schema cinematico
di Figura 3.18. Si otterrà in tal modo per il glifo un moto rotatorio alternativo che,
come si mostra nel seguito, presenta tempi di andata e ritorno differenti e il cui
rapporto dipende dai dati geometrici del cinematismo. Infine l’azionamento della
slitta potrà essere ottenuto mediante una biella di rimando collegata da un lato al glifo
e dall’altro alla tavola porta-utensile (si veda la Figura 3.27 e il relativo esercizio). Per
calcolare il rapporto tra i tempi di andata e di ritorno del glifo, si ipotizzi che la
manovella sia posta in rotazione con velocità angolare costante: il punto A, centro del
corsoio, descriverà un moto circolare uniforme con traiettoria avente centro in O 1 e
raggio r. Il glifo oscillerà intorno al punto O 2 mantenendo il proprio asse di
simmetria allineato con la congiungente O 2 A, di conseguenza le posizioni angolari in
130
cui avvengono le inversioni del moto del glifo corrisponderanno alle due posizioni in
cui la retta O 2 A è tangente alla traiettoria del punto A, come mostrato nella Figura
3.19. Come si osserva in figura, l’arco di circonferenza corrispondente alla corsa di
andata risulta maggiore di quello di ritorno, in misura tanto più elevata quanto più il
punto O 2 si avvicina alla circonferenza traiettoria di A. Poiché il punto A si muove
lungo la circonferenza con moto uniforme, a uguale arco di cerchio spazzato da A
corrispondono tempi uguali: ne segue che il rapporto tra il tempo di andata e quello di
ritorno sarà pari al rapporto tra le lunghezze dei due archi di cerchio che sulla
traiettoria di A rappresentano rispettivamente l’andata e il ritorno del glifo.
Passando ora alla applicazione numerica, si considerino i seguenti dati del problema:
raggio manovella 125 mm; distanza verticale tra le cerniere a terra 580 mm; regime di
rotazione della manovella 60 giri/min (costante).
Il regime di rotazione della manovella può essere convertito da giri al minuto in
radianti al secondo (unità di misura SI della velocità angolare) in base alla formula:
131
Inserendo tali dati numerici nelle Equazioni (3.33), (3.35) e (3.37), si ottengono gli
andamenti nel tempo delle grandezze rappresentanti la posizione del glifoi, β e x, la
velocità, e , e l’accelerazione e .
I risultati relativi a tali grandezze sono rappresentati in funzione della posizione
angolare della manovella (e quindi, a meno di un fattore di scala, del tempo) nelle
Figure 3.20, 3.21 e 3.22.
Si osservi in particolare che i tempi di andata e di ritorno, riconoscibili come le
porzioni del grafico inferiore nella Figura 3.21 in cui la velocità angolare del glifo
assume valori rispettivamente positivi e negative, sono differenti.
132
Figura 3.22 Analisi di accelerazione per l’azionamento di una
slitta di macchina utensile.
133
Esempio 3.5 Meccanismo di azionamento di un
braccio meccanico
134
(3.38)
ESERCIZI SVOLTI
Manovellismo ordinario deviato
3.1 Il manovellismo ordinario deviato mostrato nella Figura 3.24 si
distingue dal manovellismo ordinario centrato per il fatto che la retta lungo
cui scorre il corsoio risulta traslata in modo tale da non passare per il punto
O, centro di rotazione della manovella. Questo tipo di cinematismo viene
utilizzato in luogo del manovellismo ordinario centrato nel caso in cui si
desideri ottenere un moto del corsoio in cui alla corsa di andata corrisponda
una rotazione della manovella superiore a π mentre alla corsa di ritorno
corrisponda una rotazione della manovella inferiore a π.
135
con ω 0 e costanti, si abbiano i seguenti dati: a = 0.2 [m]; b = 1.0 [m]; d
= 0.1 [m]; ω 0 = 24 [rad/s]; .
Per l’istante di tempo t = 0.1 s si calcoli:
1. la posizione del corsoio rispetto al punto O;
2. la velocità del corsoio;
3. l’accelerazione del corsoio.
Risoluzione
Inserendo nell’espressione della legge di moto della manovella il valore del
tempo considerato si ottiene: α = 5.4 [rad], , .
136
d. Scomponendo l’equazione in parte reale e immaginaria si ottiene:
da cui:
Inserendo i valori dei dati numerici si ottiene β = 0.257 [rad]; x = 1.094 [m].
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene:
Quadrilatero articolato
137
3.2 Per il quadrilatero mostrato nella Figura 3.26 siano noti i seguenti dati:
a = 1 m; b = 2.35 m; c = 2 m; d = 1.41 m; α = (5.28 + 0.3 t + 0.05 t 2) rad; δ
= 0.785 rad.
Determinare, al tempo t = 2 la velocità angolare e l’accelerazione angolare
delle aste O 1 A e O 2 B.
Risoluzione
Per risolvere il problema, occorre innanzitutto determinare la posizione, la
velocità angolare e l’accelerazione angolare della manovella O 1 A
nell’istante considerato. Derivando la funzione α( t) assegnata dal problema e
valutando i valori nell’istante t = 2 s si ottiene:
138
e infine, sostituendo i valori numerici:
139
che risolta fornisce , .
Risoluzione
Per risolvere il problema è necessario scrivere due equazioni di chiusura, una
relativa al glifo (chiusura del triangolo O 1 O 2 A) e una relativa al sistema di
movimentazione della slitta (chiusura del poligono O 1 BCD). Per prima
cosa, si calcola il valore della rotazione, velocità angolare e accelerazione
angolare all’istante t = 0 del movente O 2 A: α = 6.28 × 0 = 0 rad,
rad/s, rad/s 2.
Si imposta poi la prima delle due equazioni di chiusura: indicato con β la
rotazione del glifo a partire dalla direzione orizzontale e con x la distanza
O 1 A si ottiene:
140
che risolto fornisce: β = 0.983 rad, x = 0.361 m. La seconda equazione di
chiusura assume la forma:
141
che risolto (per esempio con il metodo di Cramer) fornisce: rad/s,
.
Per determinare invece la velocità della slitta si deriva la seconda
equazione di chiusura:
142
CAPITOLO 4 Statica dei sistemi di corpi
rigidi
(4.1)
Per un punto che giace nel piano, questa equazione vettoriale equivale a 2
equazioni scalari, che ne rappresentano la proiezione secondo due direzioni
di un sistema di riferimento definito nel piano del moto (che indicheremo per
comodità con x e y). Nel caso più generale tridimensionale, l’Equazione
(4.1) corrisponde a tre equazioni scalari, che ne rappresentano la proiezione
secondo i tre assi di una terna x, y, z.
Considerando ora un corpo rigido di dimensioni finite, per imporne
l’equilibrio occorre aggiungere alla Equazione (4.1) una seconda equazione
vettoriale, che prescrive l’annullamento della somma dei momenti di tutte le
143
forze rispetto a un qualsiasi polo O, essendo definito il momento della forza
F j come il prodotto vettoriale del vettore ( P j − O) (esprimente la distanza
tra il punto di applicazione della forza P j e il polo O scelto) e la forza F j
stessa. Si ottiene in tal modo un sistema di due equazioni vettoriali che sono
dette le equazioni cardinali della statica:
(4.2)
Si osservi che, nella seconda della (4.2), il polo O è un qualsiasi punto del
piano, non necessariamente appartenente al corpo rigido del quale si vuole
imporre l’equilibrio.
Per un corpo rigido che giace nel piano, il sistema (4.2) equivale
complessivamente a 3 equazioni scalari: l’equazione di annullamento del
risultante corrisponde infatti a due equazioni scalari, rappresentanti per
esempio la proiezione dell’equazione vettoriale lungo gli assi x e y. Per
quanto riguarda invece la seconda del sistema (4.2), osserviamo che il
momento della generica forza F j è diretto perpendicolarmente al piano del
moto, dato che i due termini del prodotto vettoriale che lo definiscono
giacciono in questo piano. Di conseguenza, l’equazione vettoriale
corrisponde a un’unica equazione scalare che ne rappresenta la proiezione
secondo l’asse z perpendicolare al piano del moto. In definitiva, le tre
equazioni scalari equivalenti alla (4.2) sono:
(4.3)
144
sistema (4.3). Diremo invece equazione di equilibrio alla rotazione una
equazione che rappresenta l’annullamento del momento delle forze rispetto a
un polo, come la terza della (4.3). È possibile dimostrare che nel sistema
(4.3) una o anche ambedue le equazioni di equilibrio alla traslazione del
corpo possono essere sostituite da altrettante equazioni di equilibrio alla
rotazione rispetto a poli diversi. Nel caso si utilizzino tre equazioni di
equilibrio alla rotazione, i tre poli considerati non devono essere allineati.
Nel caso si usino due equazioni di equilibrio alla rotazione e una di
equilibrio alla traslazione, quest’ultima deve corrispondere all’annullamento
della componente del risultante secondo una direzione diversa dalla
perpendicolare alla congiungente i due poli utilizzati nelle equazioni di
equilibrio alla rotazione.
145
si ha:
(4.4)
146
Questa osservazione ci consente di concludere che date due forze non
parallele, ai fini dell’equilibrio queste possono essere sostituite dalla somma
vettoriale delle due, applicata nel punto di intersezione delle due rette di
applicazione.
Esaminiamo ora il caso in cui le due forze abbiano rette di applicazione
parallele (come mostrato in Figura 4.2a): anche in questo caso è possibile
sostituire le due forze con la loro risultante. Per determinare la retta di
applicazione della forza risultante, osserviamo che, detti b 1 e b 2 i bracci
delle due forze rispetto al polo O, il momento complessivo delle due forze è
pari al momento della forza risultante applicata con braccio definito dalla
formula seguente:
(4.5)
Quindi ai fini dell’equilibrio del corpo rigido, due forze parallele possono
essere sostituite da un’unica forza risultante, il cui braccio rispetto al
polo è calcolato come media pesata dei bracci delle due forze originarie,
utilizzando come pesi i moduli delle due forze originarie. Si osservi che se
nella (4.5) si considerano come bracci le distanze in valore assoluto del polo
dalla retta di applicazione (secondo la definizione data in precedenza), la
conclusione sopra riportata è valida solo nel caso in cui tutte e due le forze
tendano a far ruotare il corpo in senso antiorario attorno al polo. Per
estendere questo risultato al caso generale in cui i momenti prodotti dalle due
forze abbiano verso arbitrario, occorrerà considerare i bracci b 1 e b 2 (e, di
conseguenza, anche ) dotati di segno, facendo corrispondere un segno
positivo al caso in cui la forza tende a far ruotare il corpo in senso antiorario
rispetto al polo, e segno negativo in caso contrario. Il risultato della (4.5) può
essere facilmente generalizzato a un numero qualsiasi di forze agenti
secondo rette di appicazione parallele, ossia a quello che viene detto un
sistema di forze parallele.
Ritornando al caso di due forze parallele, osserviamo infine che la (4.5) non
può essere applicata al caso, mostrato in Figura 4.2b, in cui le due forze
147
abbiano modulo uguale e verso contrario: in tal caso infatti la forza risultante
si annulla e il braccio definito dalla (4.5) non risulta definito. Il sistema di
forze formato da due forze parallele di uguale modulo e verso opposto viene
detto coppia e, il suo momento complessivo rispetto al polo O vale:
(4.6)
Ne deriva che una coppia di forze dà contributo nullo al risultante delle forze
agenti sul corpo, mentre fornisce un contributo al momento il cui modulo è
pari al prodotto del modulo della forza per la distanza fra le rette di -
applicazione. Il verso del momento prodotto dalla coppia può essere desunto
dalle considerazioni fatte in precedenza sul segno dei bracci b 1 e b 2, ma più
facilmente si ottiene osservando che una coppia di forze che fanno girare il
corpo in senso antiorario produce un momento equiverso a k e viceversa una
coppia di forze che tende a ruotare il corpo in senso orario produce un
momento di verso opposto. Si osservi infine che il momento della coppia di
forze non dipende dalla posizione del polo O, né dalla posizione assoluta
delle rette di applicazione delle due forze, ma solo dalla distanza b tra
queste.
Per estensione rispetto al caso presentato sopra, si può definire coppia
qualunque sistema piano di forze dotato di risultante nullo e momento
diverso da zero. Se si considera per esempio il caso di un albero che collega
l’uscita del cambio con la coppia conica nella trasmissione di un autoveicolo,
le forze trasmesse dalla sezione terminale dell’albero al pignone della coppia
conica risultano composte da una distribuzione di infiniti vettori forza di
modulo infinitesimo, disposti tangenti a circonferenze concentriche con la
sezione dell’albero, e di modulo proporzionale alla distanza dal centro della
sezione, come mostrato in Figura 4.3. Anche in questo caso, seppure più
complesso di quello rappresentato in Figura 4.2b, si osserva che il vettore
risultante di tutte le forze è nullo (per effetto della simmetria della
148
distribuzione di forze), mentre non si annulla il momento delle forze che
viene detto coppia torcente applicata all’albero. Per rappresentare una
coppia indipendentemente dal reale sistema di forze che la origina, si utilizza
spesso un vettore curvilineo il cui verso indica il senso di rotazione nel piano
della coppia.
149
applicazione 1;
1
Si osservi che questa operazione non è stata finora introdotta,
ma può essere immediatamente derivata come inversa della 2
4. sostituire due (o più) forze parallele con il loro risultante applicato
lungo una retta di applicazione definita dalla (4.5);
5. sostituire un sistema di forze con risultante nullo con una coppia che
fornisca pari momento;
Viceversa, l’operazione consistente nel cambiare la retta di applicazione di
una forza non è invariante ai fini dell’equilibrio del corpo rigido, perché pur
non avendo effetto sul risultante del sistema di forze, ne modifica il
momento. È però possibile ottenere un sistema di forze equipollenti se si
introduce una coppia aggiuntiva, detta coppia di trasporto, che annulli la
variazione del momento prodotto dallo spostamento della retta di
applicazione della forza. Per esempio, considerando la situazione illustrata in
Figura 4.4, il sistema di forze consistente nella forza F applicata sulla retta r′
equivale al sistema di forze consistente nella forza F trasferita sulla retta di
applicazione r″ più la coppia di trasporto C = | F| d.
150
delle due componenti di spostamento viene realizzato dalla cerniera
mediante l’applicazione di una forza, applicata nel punto del corpo soggetto
al vincolo, che assume intensità, direzione e verso necessari per garantire che
il punto incernierato rimanga fermo. In un problema di statica o di dinamica
questa forza, che prende il nome di reazione vincolare, è incognita e,
trattandosi di un vettore nel piano, corrisponde a due incognite scalari (per
esempio le due componenti secondo gli assi x e y della forza). Si osserva
quindi che il numero di incognite scalari di reazione vincolare introdotte
dalla cerniera coincide con il numero di gradi di vincolo della cerniera stessa.
Quanto detto sopra per il vincolo di cerniera può essere generalizzato agli
altri vincoli introdotti nel Paragrafo 2.2.6: per esempio un carrello (che
introduce un grado di vincolo) impedisce la componente di spostamento in
direzione parallela al proprio asse del punto del corpo in cui agisce;
corrispondentemente, tale vincolo introduce una incognita di reazione
vincolare, consistente in una forza parallela all’asse del carrello applicata nel
punto del corpo soggetto al vincolo. Il pattino o manicotto introduce due
gradi di vincolo in quanto impedisce lo spostamento in direzione
perpendicolare a quella di scorrimento e la rotazione del corpo; dal punto di
vista della statica, questo vincolo introduce due incognite di reazione
vincolare, una forza avente direzione ortogonale a quella di scorrimento e
una coppia. Infine l’incastro, che blocca tutte e tre le componenti di
movimento del corpo rigido, introduce tre componenti di reazione vincolare,
ossia le due componenti di forza secondo le direzioni x e y e una coppia. La
Figura 4.5, che complementa lo schema in Figura 2.25, riassume le
componenti di rezione vincolare introdotte dai vincoli sopra citati.
La Figura 4.5 mostra che il numero di incognite scalari associate alle
reazioni vincolari di un qualsiasi tipo di vincolo corrisponde esattamente al
numero di gradi di vincolo cinematici (g.d.v.) introdotti dal vincolo stesso.
Questa osservazione è particolarmente rilevante ai fini della risoluzione del
problema statico, che sarà oggetto del paragrafo successivo.
Osserviamo qui un risultato che sarà utilizzato nel Paragrafo 4.5: il lavoro 2
compiuto dalle reazioni vincolari di Figura 4.5 è sempre nullo, in quanto si
verifica sempre una delle due seguenti condizioni:
2
Si ricorda che il lavoro è il prodotto scalare della forza per lo spostamento
del punto di applicazione di questa.
1. lo spostamento del punto di applicazione della forza è nullo (è questo
151
il caso delle due componenti di reazione introdotte dalla cerniera a
terra)
2. lo spostamento del punto di applicazione della forza è ortogonale alla
reazione vincolare (è questo il caso, per esempio, del carrello)
152
153
In tutti i casi in cui si verifica questa situazione, si parla di vincoli non
dissipativi. Osserviamo fin d’ora, anticipando quanto sarà detto nel Capitolo
7 sugli attriti e le resistenze al movimento, che per effetto dell’attrito si
possono generare componenti aggiuntive di reazione vincolare: per esempio
nel caso del pattino l’attrito radente fa nascere una componente di forza
parallela alla direzione di scorrimento consentita dal vincolo. In questo caso,
il lavoro compiuto dalle reazioni vincolari può essere non nullo, caso in cui
si parla di vincolo dissipativo.
Spesso le reazioni vincolari sono dette forze reattive, per distinguerle dalle
forze di diversa natura, dette complessivamente forze attive: esempi di forze
attive sono la forza peso e la forza applicata da una molla, mentre esempi di
forze reattive sono tutte le componenti di forza e coppia riportate in Figura
4.5 per i diversi tipi di vincolo.
(4.7)
in cui n c è il numero di corpi che compongono il sistema, O i è il polo
rispetto al quale si scrive l’annullamento del momento delle forze relative al
corpo i-esimo, F i, j è la j-esima forza agente sull’i-esimo corpo nel pun-to di
applicazione P i, j e infine C i, k è la k-esima coppia agente sul corpo i-esimo.
Il sistema (4.7) corrisponde a 3 × n c equazioni scalari (3 equazioni per
ciascun corpo) che, come sarà mostrato nel Paragrafo 4.3 è esattamente
uguale al numero di incognite del problema statico.
Per motivi che saranno discussi nel paragrafo successivo, può risultare
conveniente sostituire, in tutto o in parte, le Equazioni (4.7) con altre
equazioni che corrispondono a imporre l’equilibrio di un sotto-sistema
formato da due o più corpi del sistema, o eventualmente dell’intero sistema.
154
È facile dimostrare che queste equazioni di equilibrio costituiscono delle
combinazioni lineari delle (4.7) (per esempio, l’annullamento del risultante
delle forze agenti sui corpi 1 e 2 corrisponde alla somma della prima delle
(4.7) per i due corpi in questione), e possono quindi essere utilizzate in luogo
delle equazioni originarie. È quindi possibile enunciare il principio in base al
quale affinché un sistema non rigido sia in equilibrio, è necessario che sia in
equilibrio ogni sua parte supposta rigida.
Dal principio sopra enunciato, discende la possibilità di scrivere, per un dato
sistema di corpi, un numero di equazioni di equilibrio maggiore di 3 n c. Di
queste però, solo 3 n c risulteranno indipendenti fra loro e quindi sfruttabili
per la risoluzione del problema statico.
Rimandando al paragrafo successivo le considerazioni relative alle scelte più
vantaggiose per la scrittura del sistema di equazioni di equilibrio statico di un
sistema di corpi rigidi, osserviamo qui che, quando si scrive una equazione di
equilibrio per un sotto-sistema formato da più di un corpo rigido, tutte le
forze interne non compaiono in tale equazione di moto, dove per forza
interna si intende una forza attiva o reattiva scambiata fra due corpi
appartenenti al sotto-sistema in esame.
Consideriamo per esempio il caso in cui due corpi del sistema (1 e 2, per
fissare le idee), siano collegati da una cerniera posta nel punto A. Per il
principio di azione e reazione, se indichiamo con H A e V A le componenti di
reazione vincolare che il corpo 1 esercita sul corpo 2, allora il corpo 2
eserciterà sul corpo 1 componenti di forza reattiva opposte, come mostrato in
Figura 4.6. Di conseguenza, le reazioni vincolari incognite H A e V A
compariranno nelle equazioni di equilibrio scritte per il corpo 1 o per il corpo
2, ma non nelle equazioni di equilibrio scritte per un sottosistema
comprendente sia 1 sia 2, perché in questo caso le forze uguali e contrarie si
elidono a vicenda.
155
4.3 Il problema statico per i meccanismi e per le
strutture isostatiche
Nel Capitolo 2 è stata introdotta la distinzione tra meccanismi, ossia sistemi
che dopo l’applicazione dei vincoli mantengono almeno un grado di libertà
(g.d.l.), e strutture, che per effetto dell’applicazione dei vincoli risultano
dotate di zero g.d.l. (si parla in questo caso di strutture isostatiche) o
addirittura di un numero negativo di g.d.l. (strutture iperstatiche). In questo
paragrafo intendiamo esaminare in che cosa consista risolvere il problema
statico per un meccanismo e per una struttura isostatica, mentre lo studio
della statica di una struttura iperstatica non sarà trattato in questo testo, per
motivi brevemente accennati nel seguito.
Consideriamo in primo luogo il caso di una struttura isostatica: per questo
sistema la posizione di equilibrio è nota (infatti il sistema non può muoversi),
e quindi il problema statico consiste nel determinare il valore delle reazioni
vincolari che mantengono in equilibrio il sistema. Si noti che il numero di
incognite di reazione vincolare è pari al numero complessivo di gradi di
vincolo introdotti sul sistema dai vincoli agenti, che a sua volta, per un
sistema isostatico, è pari a 3 n c, ossia è pari al numero di equazioni
indipendenti di equilibrio che possono essere scritte utilizzando le (4.7) o
loro combinazioni lineari. Di conseguenza, la soluzione del problema statico
per una struttura isostatica è, di norma, univocamente definita 3.
3
A rigore, questo non avviene per le strutture isostaiche labili, una situazione
di scarso interesse per la nostra trattazione, che non sarà approfondito in
questa sede.
Per un sistema iperstatico invece, il numero di incognite di reazione
vincolare è superiore a 3 n c e quindi il sistema di equazioni di equilibrio (4.7)
risulta indeterminato (ossia il numero delle incognite supera il numero di
equazioni indipendenti disponibili). Di conseguenza, il problema statico per
156
una struttura iperstatica non può essere risolto sulla base delle sole equazioni
di equilibrio, alle quali si devono aggiungere ulteriori equazioni che
esprimono il legame tra le forze agenti e le deformazioni subite dai corpi. In
altre parole, per determinare una soluzione del problema statico in una
struttura iperstatica occorre rinunciare alla ipotesi di comportamento rigido
dei corpi. Poiché questo testo si limita allo studio della meccanica di sistemi
di corpi rigidi, il caso di strutture iperstatiche non sarà qui affrontato.
Se si considera infine il problema statico per un meccanismo, si ha un
numero di incognite di movimento (ossia il valore delle coordinate libere che
indicano la configurazione di equilibrio del sistema) pari al numero n dei
gradi di libertà del sistema e 3 n c – n incognite di reazione vincolare. In
alcuni casi, è possibile che sia assegnata la posizione di equilibrio (o, in
dinamica, il movimento) del sistema, e che il problema richieda di calcolare
n componenti incognite di forza attiva che mantengono in equilibrio il
sistema (o, in dinamica, che ne realizzano il movimento assegnato). Questo
aspetto sarà ripreso nel Capitolo 6 dove sarà introdotta la distinzione tra
problemi di dinamica diretta e di dinamica inversa o cinetostatica. Per il
momento ci limitiamo a osservare che in ogni caso, il numero totale di
incognite del problema statico/dinamico di un meccanismo è sempre pari a
3 n c, e quindi è sempre possibile ottenerne una soluzione tramite le (4.7) o
loro combinazioni lineari.
Consideriamo il caso, mostrato in Figura 4.7a di un’asta di massa m vincolata alle sue
estremità da una cerniera e da un carrello, e sottoposta al proprio peso e a una forza F
applicata nel suo centro e inclinata di 45°. Per prima cosa evidenziamo il sistema di
forze attive e reattive agenti sull’asta, come mostrato in Figura 4.7b, indicando con
H A e V A le reazioni vincolari introdotte dalla cerniera e con V B la reazione prodotta
dal carrello. Per comodità, la forza inclinata F è stata scomposta in due forze una
parallela e l’altra perpendicolare all’asta. Come sarà mostrato nel Capitolo 5, le forze
gravitazionali costituiscono un sistema di forze parallele, distribuite nel volume del
corpo considerato, che ai fini della statica del corpo possono essere ridotte a una forza
peso risultante applicata nel baricentro del corpo, che per un’asta omogenea coincide
157
con il punto medio di questa.
La risoluzione del problema statico consiste in questo caso nel calcolare i valori delle
componenti di reazione vincolare H A, V A e V B, essendo note le forze agenti
sull’asta. La reazione V B può essere calcolata imponendo l’annullamento del
momento delle forze rispetto al polo A:
Si noti che una scelta opportuna del polo nella equazione di annullamento del
momento consente di semplificare notevolmente le equazioni del problema: infatti per
il polo A passano due delle tre reazioni vincolari incognite, e quindi l’equazione di
annullamento del momento rispetto ad A consente di ricavare direttamente l’incognita
V B.
158
Si consideri il meccanismo a un grado di libertà mostrato in Figura 4.8a e formato da
due aste di uguale lunghezza L e massa m, incernierate fra loro nel punto A e
vincolate all’altro estremo mediante una cerniera in O e un carrello in B. Sul punto B
agisce una forza orizzontale F di valore noto. Si chiede di determinare la posizione di
equilibrio del sistema.
In Figura 4.8b sono evidenziate le forze attive e reattive agenti sull’intero sistema e
sulle singole aste. In questo caso, il sistema esaminato è un meccanismo a un grado di
libertà, formato da due corpi su cui agiscono complessivamente cinque gradi di
vincolo (2 prodotti dalla cerniera in O, 2 dalla cerniera in A e 1 dal carrello in B);
corrispondentemente, il problema presenta 5 componenti incognite di reazione
vincolare: H O, V O, H A, V A, V B, che si aggiungono al valore incognito della singola
coordinata libera θ (semi-apertura dell’angolo OAB) che definisce la posizione di
equilibrio del sistema.
Imponiamo innanzitutto l’annullamento del momento delle forze agenti sull’asta AB
rispetto al polo A:
159
È importante osservare che, nonostante il problema presenti complessivamente 6
incognite (5 componenti di reazione vincolare e la coordinata θ), attraverso una scelta
accorta delle equazioni di equilibrio da utilizzare è stato possibile determinare la
posizione di equilibrio risolvendo 2 sole equazioni fra loro disaccoppiate in luogo di
un sistema di 6 equazioni accoppiate. Questo aspetto è assai rilevante in generale nei
problemi di statica e dinamica, ed è importante che il lettore sviluppi la capacità di
individuare, tra le molte possibili equazioni derivanti dalle (4.7), quelle che
consentono di pervenire alla soluzione del problema coinvolgendo il minimo numero
di incognite. L’esempio sopra riportato mostra due tipiche stategie che possono essere
utilizzate a questo scopo: la prima consiste nello scrivere equazioni nelle quali le
incognite “indesiderate” non compaiono in quanto forze interne, la seconda consiste
nell’utilizzare equazioni di equilibrio alla rotazione rispetto a poli per i quali passano
il maggior numero possibile di forze incognite. Il Capitolo 6 fornisce ulteriori esempi
di questo modo di procedere, con applicazione alla dinamica di sistemi di corpi rigidi.
160
imponendo l’equilibrio di uno dei due tronchi in cui è suddivisa l’asta, come
mostra l’esempio seguente.
161
Il motivo per il quale è necessario trattare in questo modo la forza peso è che le regole
introdotte nel Paragrafo 4.1 per ridurre un sistema di forze parallele a una singola
forza risultante, valgono dove si voglia scrivere l’equilibrio dell’intero corpo rigido su
cui si applicano le forze parallele. In questo caso, si vuole scrivere l’equilibrio di un
singolo tronco dell’asta, e perciò è necessario evidenziare per ciascun tronco la forza
peso a questo pertinente.
Consideriamo per prima cosa il caso . Imponendo l’equilibrio del tronco di
sinistra dell’asta si ottiene:
da cui:
I diagrammi nelle Figure 4.10 e 4.11 mostrano i diagrammi delle azioni interne
riportati sull’asta. Per chiarezza di rappresentazione, i diagrammi in Figura 4.10
rappresentano il solo contributo dovuto alla forza F applicata nel centro dell’asta, che
si ottiene dalle equazioni sopra riportate ponendo mg = 0, mentre i diagrammi in
Figura 4.11 rappresentano il solo contributo ai diagrammi delle azioni interne dovuto
162
al peso, che si ottiene dalle equazioni sopra riportate ponendo F = 0.
163
4.5 Il principio dei lavori virtuali
L’approccio per lo studio del problema statico introdotto nei paragrafi
precedenti studia l’equilibrio di un sistema meccanico basandosi sulla
scrittura di equazioni di equilibrio. Alternativamente è possibile descrivere il
problema statico utilizzando il principio dei lavori virtuali (PLV).
Il principio dei lavori virtuali consente di scrivere un numero di equazioni di
equilibrio indipendenti pari al numero di gradi di libertà del sistema. In tali
equazioni non compaiono le incognite di reazione vincolare in quanto sotto
le ipotesi sopra enunciate (vincoli non dissipativi e fissi) il lavoro virtuale di
ciacuna reazione vincolare è nullo. Si può quindi concludere che questo
metodo è particolarmente adatto a studiare la statica dei meccanismi,
specialmente ove questi siano composti da numerosi corpi, dato che in
questo caso il sistema risolvente basato sull’uso di equazioni di equilibrio
potrebbe dare luogo ad un sistema risolvente di grandi dimensioni. Per
contro il PLV non consente di ricavare il valore delle reazioni vincolari, a
meno di impiegare tecniche di mobilizzazione del vincolo che non saranno
qui introdotte per brevità.
Per lavoro virtuale di una forza si intende il prodotto scalare della forza
stessa per lo spostamento virtuale del suo punto di applicazione, essendo lo
spostamento virtuale uno spostamento infinitesimo, compatibile con i
vincoli.
L’espressione del lavoro virtuale per un sistema di n c corpi rigidi contenuto
nel piano x – y è:
(4.8)
(4.9)
164
in cui e sono le compoenti del vettore forza secondo gli assi del
riferimento e e sono le variazioni infinitesime delle coordinate del
punto di applicazione che corrispondono allo spostamento virtuale δ P i, j.
Sostituendo la (4.9) nella (4.8) l’espressione del lavoro virtuale diviene:
(4.10)
Se il sistema è dotato di n gradi di libertà, indichiamo con q 1, q 2, …, q n le
coordinate libere del sistema: poiché la configurazione del sistema è definita
univocamente dal valore delle coordinate libere, sarà possibile esprimere la
posizione dei punti di applicazione di tutte le forze come funzioni delle
coordinate libere:
(4.11)
(4.12)
in cui δq 1, δq 2, …, δq n sono le variazioni infinitesime delle coordinate
libere che definiscono lo spostamento virtuale. Sostituendo la (4.12) nella
(4.10):
(4.13)
165
libera, indicata dal simbolo Q k, il coefficiente della (4.13) che moltiplica la
variazione virtuale δq k della k-esima coordinata:
(4.14)
(4.15)
e, poiché la (4.15) deve valere per ogni spostamento virtuale, ossia per
qualsiasi combinazione di valori assunti dalle variazioni virtuali delle
coordinate libere δq k, è necessario che ciascuna delle componenti
Lagrangiane Q k si annulli:
(4.16)
166
(4.17)
(4.18)
e quindi:
(4.19)
Come dimostrazione dell’efficacia del PLV come strumento per lo studio della statica
di un sistema, risolviamo mediante questo approccio il problema statico per il
167
meccanismo a 1 g.d.l. rappresentato in Figura 4.8. Indicando con e le
componenti verticali degli spostamenti virtuali dei baricentri delle due aste, e con δx B
lo spostamento virtuale del punto B si ha:
(4.21)
(4.22)
(4.23)
(4.25)
che coincide con il risultato ottenuto con l’uso del metodo degli equilibri dinamici.
168
CAPITOLO 5 Geometria delle masse
5.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti sono state studiate le regole cinematiche che -
governano il movimento di un sistema meccanico. Nel prossimo capitolo si
introdurranno invece le leggi della dinamica, che mettono in relazione le
forze agenti su un sistema meccanico con il suo movimento. Per affrontare lo
studio della dinamica dei sistemi, è però necessario premettere alcuni
concetti relativi alla distribuzione di massa di un sistema meccanico. Infatti,
già al livello elementare costituito dalla terza legge di Newton per un punto
materiale F = m a, si osserva che la relazione tra la forza agente F e
l’accelerazione del punto materiale a esiste un fattore di proporzionalità
costituito dalla massa m del punto.
Per procedere allo studio della dinamica di sistemi meccanici formati da uno
o più corpi rigidi di dimensioni non puntiformi, è necessario introdurre
i concetti di baricentro di massa e di momento di inerzia di massa. Nel
prossimo capitolo si mostrerà poi come utilizzando tali grandezze sia
possibile definire il campo delle azioni di inerzia che si esercitano sul singolo
corpo rigido ed estendere, mediante il principio di D’Alémbert, la terza legge
di Newton in modo da rendere possibile lo studio della dinamica di sistemi di
corpi rigidi.
169
(5.1)
(5.2)
(5.3)
170
simmetrica rispetto a un asse, il baricentro appartiene a tale asse. Se poi il
corpo presenta due assi di simmetria, il baricentro si troverà sull’intersezione
dei due assi (Figura 5.3).
Inoltre, non è sempre necessario utilizzare la definizione (5.2) o (5.3) per il
calcolo del baricentro del corpo. Se questo è scomponibile in forme
(5.4)
171
punto al quale è possibile ridurre il risultante delle forze peso distribuite
agenti sul corpo. L’esempio è condotto, per semplicità, considerando un
corpo composto da N punti materiali rigidamente collegati tra loro. Il
risultato ottenuto ha comunque validità generale.
Il corpo sia composto dai punti tutti appartenenti al piano individuato dagli
assi coordinati ( xy), la direzione y sia la verticale lungo la quale agisce la
forza peso, esprimibile come un vettore diretto verso il basso (ossia in verso
opposto alla direzione positiva dell’asse y) pari al prodotto della massa del
punto per l’accelerazione di gravità g, come mostrato nella Figura 5.4.
Si calcoli il momento di tutte le forze peso, rispetto a un polo O scelto ad
arbitrio sul piano. Il momento, di segno positivo se orario, vale:
(5.5)
Si ricerca ora quella particolare posizione del polo O per la quale si annulla il
momento delle forze peso, ossia:
(5.6)
da cui si ottiene:
(5.7)
172
Questo risultato mostra che il momento delle forze peso si annulla per tutti e
soli i punti che hanno la stessa ascissa del baricentro, ossia che la retta di
applicazione della forza peso passa per il baricentro.
(5.8)
(5.9)
Diversamente dal baricentro, la cui posizione fisica sul corpo viene definite
indipendentemente dal riferimento scelto, il valore del momento di inerzia di
173
massa dipende dal punto (traccia dell’asse) rispetto al quale viene calcolato.
Per lo studio della dinamica del corpo, e dei sistemi di corpi è conveniente
scegliere come punto privilegiato per il calcolo del momento di inerzia il
baricentro del corpo.
Il momento di inerzia J G diviene così una caratteristica del corpo rigido, e il
momento di inerzia rispetto a un polo qualsiasi, può essere calcolato
utilizzando la legge del trasporto, qui di seguito definita.
Si consideri un sistema di riferimento fisso con il corpo, la cui origine sia
collocata nel baricentro G. Il momento di inerzia rispetto al polo O è
esprimibile considerando le coordinate ( x G, y G) del baricentro, rispetto al
sistema di riferimento ( Oxy), e le coordinate ( x 1, y 1) dei punti del corpo
rispetto al riferimento baricentrico fisso con il corpo stesso:
(5.10)
(5.11)
174
(5.12)
che esprime la legge del trasporto: il momento di inerzia rispetto a un asse
diverso dall’asse baricentrico, può esprimersi come la somma del momento
di inerzia baricentrico più il prodotto della massa del corpo per il quadrato
della distanza tra il baricentro e il punto considerato.
Anche per il calcolo del momento di inerzia baricentrico di un corpo
scomponibile in forme semplici, è possibile utilizzare la legge del trasporto:
(5.13)
avendo indicato con G il baricentro del corpo composto, con le distanze
tra il baricentro del corpo G e quello di ogni singolo componente G k, e con
m k la massa di ciascuna parte componente il corpo.
È uso definire il momento di inerzia baricentrico anche mediante la nozione
di raggio giratorio, definito come:
(5.14)
quel valore che, elevato al quadrato e moltiplicato per la massa del corpo,
fornisce il valore del momento di inerzia J G. Esso indica, in modo
qualitativo, come la massa è distribuita in rapporto alla dimensione del
corpo.
Gli estremi dei due integrali sono indipendenti tra loro, per cui è possibile
riorganizzare la scrittura nei seguenti termini:
175
il cui risultato è:
Si osservi che nel secondo caso il raggio giratorio è pari alla dimensione dell’anello,
in quanto la massa è posta alla massima distanza dal baricentro, mentre nel primo
caso, essendo uniformemente distribuita, risulta ovviamente inferiore al raggio R.
Si può quindi affermare che, a parità di massa, se si vuole massimizzare il momento
di inerzia conviene utilizzare un solido simile all’anello sottile, quale per esempio una
corona circolare con larghezza ( R 2 - R 1) piccola rispetto al proprio raggio medio.
176
Si consideri un’asta omogenea di lunghezza L e massa totale m (Figura 5.7). Il
momento di inerzia baricentrale dell’asta è definito dall’integrale semplice:
(5.15)
ESERCIZI SVOLTI
Momento di inerzia baricentrico di un rettangolo
omogeneo
5.1 In questo caso si consideri un solido cosituito da un rettangolo di base
L, altezza b e spessore h in direzione perpendicolare al piano (Figura 5.8).
Si richiede di calcolare la posizione del baricentro e l’espressione del
momento d’inerzia baricentrico del corpo.
Risoluzione
Per simmetria il baricentro del corpo coincide con il suo centro geometrico.
Posta in tale punto l’origine del sistema di riferimento ( Oxy) il calcolo del
momento di inerzia baricentrale è effettuato con un integrale doppio secondo
le due coordinate x e y:
177
lo sviluppo dell’integrale porta a:
ossia:
178
CAPITOLO 6 Dinamica dei sistemi di
corpi rigidi
179
alla dinamica di un singolo punto materiale, ed è successivamente esteso al
caso di un singolo corpo rigido e poi di un sistema generico di corpi rigidi.
(6.1)
Definendo forza di inerzia F in il prodotto della massa per l’accelerazione
del punto cambiata di segno:
(6.2)
la (6.1) può essere riscritta nella forma di una equazione di equilibrio, nella
quale alle forze agenti sul punto si aggiunge la forza di inerzia definita dalla
(6.2):
(6.3)
180
elemento di massa infinitesima dm sia definito dalla:
(6.4)
Una volta introdotta questa distribuzione di forze agenti sul corpo, potremo
dire, in analogia con la (6.3), che il moto del corpo dovrà soddisfare le
equazioni che definiscono l’ equilibrio dinamico del corpo sotto l’azione
delle forze (attive e reattive) agenti su di esso insieme alle forze di inerzia
così introdotte. Questo risultato assume particolare importanza per il corpo
rigido, perché è possibile ridurre l’intero sistema di forze distribuite di
inerzia a una forza risultante più una coppia di inerzia, che possono essere
espresse con facilità in funzione dell’accelerazione del baricentro e
dell’accelerazione angolare del corpo. Per ricavare tali espressioni si
consideri l’esempio di un’asta dotata di massa m uniformemente distribuita,
posta in rotazione attorno a un suo estremo, come mostrato in Figura 6.1.
181
normale centripeta.
In base al principio di D’Alémbert, la forza d’inerzia infinitesima agente su
un tronchetto di lunghezza dξ dell’asta è somma di una componente
tangenziale e di una componente normale (centrifuga) dirette in
verso opposto alle corrispondenti componenti di accelerazione, definite
dalle:
182
che si esercitano su un corpo rigido è pari al prodotto della massa totale del
corpo per l’accelerazione del baricentro cambiata di segno.
Come osservato nel Capitolo 4, ai fini dell’equilibrio di un corpo rigido è
rilevante non solo il risultante di una distribuzione di forze, ma anche il
momento risultante di questa rispetto a un dato polo. Per rappresentare
correttamente il momento della distribuzione di forze di inerzia,
consideriamo applicata nel baricentro del corpo la forza risultante di inerzia
definita dalla (6.5), e introduciamo una coppia di inerzia pari al momento
risultante delle forze di inerzia rispetto al baricentro stesso. Ritornando
all’esempio di Figura 6.1, osserviamo che il momento delle componenti
normali delle forze di inerzia è nullo perché queste passano per il baricentro,
mentre il momento delle forze tangenziali può essere calcolato tenendo conto
che il braccio di ciascuna forza infinitesima è pari alla distanza del rispettivo
punto di applicazione dal baricentro G:
(6.7)
183
Le (6.7) prendono il nome di equazioni di equilibrio dinamico per il corpo
rigido.
che rappresenta una equazione pura di movimento, ovvero non contenente incognite
di reazione vincolare.
Da questa equazione è possibile ricavare direttamente l’accelerazione angolare del
corpo nella posizione considerata:
(6.8)
184
vincolare esercitata dalla cerniera.
(6.9)
Le (6.9), opportunamente proiettate ed eventualmente combinate linearmente
fra loro, danno luogo, per un sistema piano, a 3 n c equazioni scalari
indipendenti. Come già discusso nel Paragrafo 4.2, esistono diverse
possibilità alternative per tradurre il sistema della (6.9) in un sistema di
equazioni scalari. Per esempio, è possibile scrivere fino a tre equazioni di
equilibrio per ciascun singolo corpo, oppure per una parte del sistema
costituita da più corpi rigidi. Nel secondo caso, le incognite di reazione
vincolare associate ai vincoli che collegano i corpi considerati non appaiono
in queste equazioni, in quanto forze interne. Ricordiamo inoltre che le tre
equazioni di equilibrio dinamico non consistono necessariamente in due
185
equazioni di equilibrio (dinamico) alla traslazione e una equazione di
equilibrio alla rotazione, ma che utilizzando le regole enunciate nel
Paragrafo 4.1, si possono scrivere fino a tre equazioni di equilibrio alla
rotazione, riducendo di conseguenza il numero di equazioni di equilibrio alla
traslazione.
In ogni caso, come già osservato nello studio della statica dei sistemi, il
numero complessivo di equazioni indipendenti che possono essere scritte è
sempre pari (nel caso di moto piano) a 3 n c. Queste equazioni consentono
quindi di ricavare 3 n c incognite che sono, almeno in parte, di natura
differente nel caso in cui si studi un problema di dinamica diretta o di
dinamica inversa, come descritto nel Paragrafo 6.5.
(6.10)
186
i-esimo, a Gi, e δ θ i sono rispettivamente l’accelerazione del baricentro,
l’accelerazione angolare e la rotazione virtuale del corpo i-esimo e tutti gli
altri termini hanno lo stesso significato già introdotto nel Paragrafo 4.5 con
riferimento al caso statico. Svolgendo i prodotti scalari si ottiene:
(6.11)
in cui a Gix e a Giy sono le componenti secondo gli assi x e y
dell’accelerazione del baricentro e è la derivata seconda della posizione
angolare del corpo. Esprimiamo gli spostamenti virtuali dei punti di
applicazione delle forzanti secondo l’Equazione (4.12) del Paragrafo 4.5, e le
nuove grandezze di spostamento virtuale introdotte nella (6.11) come:
(6.12)
(6.13)
(6.14)
In base a quanto già osservato nel Paragrafo 4.5, l’annullamento del lavoro
virtuale espresso dalla (6.13) implica che si annulli ciacuna componente
187
Lagrangiana delle forze (incluse quelle di inerzia) agenti secondo tutte le
coordinate libere del sistema:
(6.15)
Si può quindi concludere che mediante il principio dei lavori virtuali, e nelle
ipotesi introdotte in precedenza (vincoli fissi non dissipativi), il movimento
del sistema viene descritto da un sistema di equazioni ‘pure di movimento’
(ossia che non coinvolgono incognite di reazioni vincolare) in numero pari al
numero n di gradi di libertà del sistema. Queste equazioni possono essere
utilizzate nella risoluzione di un problema di dinamica diretta o inversa,
secondo quanto discusso nel Paragrafo 6.5.
188
precedente. In ogni caso, si può dimostrare che l’equazione di bilancio delle
potenze può essere fatta discendere anche dalle equazioni di equilibrio
dinamico della (6.9). Pertanto, l’equazione di bilancio delle potenze può
essere usata in luogo di una delle (6.9), ma mai in aggiunta a tali equazioni
(o alle (6.15) derivanti dal PLV), in quanto combinazione lineare di queste.
Per derivare l’equazione di bilancio delle potenze, riprendiamo l’Equazione
(6.10), sostituiamo agli spostamenti virtuali introdotti in tale equazione gli
spostamenti infinitesimi effettivi eseguiti dal sistema in un intervallo di
tempo infinitesimo dt, e dividiamo l’equazione che ne risulta per dt stesso.
Si ottiene:
(6.16)
la potenza della forza F i,j (essendo V i,j la velocità del punto di applicazione
della forza), e con:
(6.17)
(6.18)
(6.19)
che esprime l’annullamento complessivo della somma algebrica delle
potenze di tutte le forze e coppie agenti sul sistema, comprese quelle di
inerzia.
189
Una forma alternativa della equazione di bilancio delle potenze può essere
ottenuta osservando che la potenza delle forze di inerzia può essere scritta
anche come la derivata dell’energia cinetica del sistema cambiata di segno.
In questo caso, l’equazione viene indicata anche come teorema dell’energia
cinetica. Per ricavare questa nuova forma del bilancio delle potenze è però
necessario preliminarmente ricavare nel prossimo paragrafo l’espressione
dell’energia cinetica per un corpo rigido.
(6.20)
si ottiene:
(6.21)
Si osserva poi che il secondo e il terzo termine della (6.21) sono nulli (in
190
quanto gli integrali indicano il momento statico del corpo rispetto al
baricentro) e che l’integrale contenuto nell’ultimo termine a destra
dell’uguale rappresenta il momento di inerzia di massa rispetto al baricentro,
calcolato in un riferimento fisso con il corpo, avente origine nel baricentro
stesso. L’espressione finale è pertanto:
(6.22)
(6.23)
avendo indicato con J O il momento di inerzia del corpo rispetto all’asse
perpendicolare al piano del moto e passante per il polo O:
(6.24)
191
al teorema di König come:
(6.25)
e la (6.19) come:
(6.26)
Si può quindi affermare che in presenza di vincoli fissi e lisci la somma delle
potenze di tutte le forze attive agenti sul sistema è istantaneamente uguale
alla derivata dell’energia cinetica del sistema. Questa equazione, nota come
teorema dell’energia cinetica, si presta a una importante interpretazione
fisica: durante il moto del sistema, negli istanti in cui la somma delle potenze
delle forze attive risulta positiva, l’energia cinetica del sistema viene
incrementata, mentre al contrario quando tale somma risulta negativa, il
sistema riduce la propria energia cinetica. In questi termini, le inerzie dei
corpi possono essere visti come serbatoi di energia che nelle fasi di
accelerazione immagazzinano l’energia prodotta nel sistema in eccesso
rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze, mentre nelle fasi di
decelerazione restituiscono l’energia immagazzinata per supplire a un deficit
di potenza motrice rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze.
Questo tipo di interpretazione energetica del movimento del sistema sarà
ampiamente ripresa nei Capitoli 8 e 9 che si occupano della dinamica della
192
macchina.
(6.27)
(6.28)
193
una funzione U( x,y) (detta potenziale) che dipende solo dalle coordinate x, y
del punto di applicazione della forza. Supponiamo allora che il punto P
subisca uno spostamento infinitesimo d P che lo porta dalla posizione
originaria P ( x,y) alla posizione finale P ( x + dx, y + dy); deve valere la
relazione:
(6.29)
affinché possa esistere una funzione potenziale che soddisfi la (6.29) occorre
che le componenti Cartesiane della forza F rispettino la condizione:
(6.30)
(6.32)
194
si ottiene che:
(6.33)
Ricordando la definizione di componente Lagrangiana della forza introdotta
nel Paragrafo 4.5 mediante l’Equazione (4.14), si osserva quindi che la
componente Lagrangiana di una forza conservativa secondo la generica k-
esima coordinata libera può essere ottenuta come la derivata parziale
dell’energia potenziale associata alla forza rispetto alla coordinata libera q k,
cambiata di segno.
È quindi possibile scrivere le equazioni di Lagrange in una seconda forma, in
cui i termini relativi alle forze conservative sono considerati attraverso la
derivata parziale dell’energia potenziale rispetto alla coordinata libera:
(6.34)
195
Di conseguenza, l’energia potenziale elastica V el della molla risulta essere:
(6.35)
L’energia potenziale gravitazionale V g si può ottenere a partire dal lavoro
L g della forza peso agente sul corpo da una quota di riferimento, indicata
come y = 0 a una quota finale h:
da cui:
(6.36)
196
(6.38)
Osservando che:
(6.39)
(6.40)
in cui Q k indica ora la componente Lagrangiana relativa alle sole forze
diverse da quelle conservative e dissipative. Di fatto, in una ampia categoria
di problemi meccanici e in particolare nei problemi di vibrazione che
studieremo, le forze non conservative e non dissipative di cui rimane
necessario scrivere la componente Lagrangiana nella (6.40) si riducono alle
sole forze dipendenti dal tempo.
La (6.40) è in particolare la forma delle equazioni di Lagrange che sarà
utilizzata nel Capitolo 11 per lo studio delle vibrazioni meccaniche.
197
Nello studio della dinamica di un sistema meccanico, si possono presentare
due tipi di problema:
• un problema di dinamica diretta, in cui sono date le forze agenti sul
sistema e si vuole ricavare il movimento di questo.
Il sistema di equazioni che permette di risolvere questo tipo di
problema, prende tipicamente la forma di un sistema di equazioni
differenziali, o misto algebrico-differenziale, con dimensione minima
pari al numero n di gradi di libertà del sistema. Le incognite di questo
problema sono i valori istantanei delle coordinate libere del sistema
q 1, q 2, … , q n e le loro derivate prime e seconde rispetto al tempo;
• un problema di dinamica inversa o cinetostatica, in cui è al contrario
assegnato il movimento del sistema e si vogliono determinare le forze
che producono il movimento dato. In questo caso, essendo noti i
valori istantanei delle coordinate libere e delle loro derivate, il
problema si pone nella forma di un sistema di equazioni ordinarie, la
cui dimensione minima è pari al numero di gradi di libertà del
sistema.
In ambedue i casi, alle incognite “di movimento” del problema dinamico
diretto o “di forza” del problema dinamico inverso si aggiungono le
incognite di reazione vincolare. In questa prospettiva, risulta quindi chiara
l’importanza di scrivere per il sistema studiato equazioni “pure di
movimento”, ossia che non coinvolgano incognite di reazione vincolare, in
modo da poter per lo meno disaccoppiare la risoluzione del problema
dinamico diretto/inverso in senso stretto dal calcolo delle reazioni vincolari.
In questa ottica, assumono quindi particolare importanza i metodi
“energetici” per la scrittura delle equazioni di moto del sistema: bilancio di
potenze, PLV, equazioni di Lagrange, che sotto le ipotesi utilizzate in questo
capitolo di vincoli fissi e non dissipativi consentono appunto di ottenere
equazioni pure di movimento.
In questo libro, ci occuperemo prevalentemente di sistemi a un grado di
libertà. Per questo tipo di sistemi, lo schema risolutivo del problema
dinamico è il seguente:
• si sceglie innanzitutto una coordinata libera, in funzione della quale
descrivere il moto del sistema;
• si esprimono i legami cinematici tra la coordinata scelta e le sue
derivate e le quantità cinematiche che definiscono le forze e coppie di
198
inerzia, nonché le velocità dei punti di applicazione di tutte le
forzanti;
• utilizzando un metodo energetico si ottiene l’equazione differenziale
di moto che rappresenta la relazione tra le forze agenti e il movimento
del sistema;
• l’equazione di moto può essere integrata, a partire da assegnate
condizioni iniziali, analiticamente o per via numerica, a seconda dei
casi;
• ottenuta la soluzione, ossia il moto del sistema, è possibile se richiesto
calcolare il valore delle reazioni vincolari ed eventualmente delle
azioni interne di interesse mediante equazioni di equilibrio dinamico.
Per lo stesso tipo di sistema, lo schema risolutivo di un problema
cinetostatico è invece:
• noto l’andamento nel tempo della coordinata del sistema, o in
alternativa il valore istantaneo di tale coordinata e delle sue derivate
prima e seconda, si calcolano tutte le quantità cinematiche che
servono per definire le forze e coppie di inerzia e per la scrittura del
bilancio di potenze;
• utilizzando un metodo energetico si ricava una singola componente di
forza o coppia incognita che consente di realizzare il movimento
assegnato;
• ove richiesto, si calcolano le reazioni vincolari ed eventualmente le
azioni interne di interesse mediante opportune equazioni di equilibrio
dinamico.
La necessità di risolvere un problema differenziale introduce una
significativa difficoltà nella risoluzione di un problema dinamico, soprattutto
nel caso in cui i legami cinematici tra la coordinata libera e le grandezze
cinematiche di interesse siano di tipo non lineare. In questo caso infatti
l’equazione differenziale che descrive il moto assume una forma non lineare
che non consente in generale la risoluzione analitica.
Nel seguito di questo paragrafo si fornisce un esempio di analisi
cinetostatica, con riferimento a un motore alternativo monocilindrico.
L’analisi dinamica dello stesso sistema viene invece affrontata nel Capitolo
9.
199
6.5.1 Analisi cinetostatica di un motore alternativo
monocilindrico
Si consideri un motore monocilindrico a combustione interna, costituito da
un albero motore che porta una manovella di lunghezza a, un corsoio o
pistone che si impegna nel cilindro, e una biella di lunghezza b che collega
l’estremità della manovella al corsoio. All’interno della camera formata dal
cilindro e dal pistone, si ha un andamento variabile della pressione p g,
determinato dall’alternarsi delle fasi di funzionamento del motore, nel caso
di un motore a 4 tempi: aspirazione, compressione, combustione, espulsione
dei gas esausti. Un andamento realistico della pressione p g relativa a quella
atmosferica in funzione della rotazione della manovella α è rappresentato in
Figura 6.4. Sul pistone agisce pertanto la forza F g che rappresenta la
risultante delle pressioni agenti sullo stantuffo pari a:
200
posizione angolare α, velocità angolare e accelerazione angolare della
manovella.
Per quanto riguarda le inerzie del sistema, si supporrà che sull’albero motore
sia calettato un volano con momento di inerzia J m e che nel corsoio sia
concentrata una massa m B, mentre la biella viene considerata un corpo
rigido privo di massa. Questa ipotesi, che apparentemente trascura una parte
delle inerzie del sistema, corrisponde in realtà a una rappresentazione
semplificata delle inerzie della biella che vengono riportate in parte alla
manovella e in parte al corsoio. Questo argomento verrà trattato in dettaglio
nel Paragrafo 9.1.
Il sistema considerato è dunque costituito da tre corpi rigidi ed è pertanto
possibile scrivere le equazioni di equilibrio per i tre corpi rigidi, che
costituiscono complessivamente nove equazioni nelle nove incognite
rappresentate dal momento M r e dalle otto componenti di reazione vincolare
complessivamente introdotte dalle cerniere in O, A e B e dal pattino agente
sul corsoio. Le forze attive e reattive agenti sul sistema sono evidenziate
nello schema di Figura 6.6.
La scelta di quale insieme di corpi rigidi prendere in considerazione nella
scrittura delle equazioni di equilibrio dipende dalle grandezze da
determinare. Se per esempio si dovessero calcolare tutte le reazioni vincolari
indicate in figura si potranno scrivere, considerando un solo corpo alla volta,
tre equazioni di equilibrio dinamico rispettivamente per corsoio, biella e
manovella, ottenendo il sistema di equazioni riportato di seguito.
201
Corsoio
(6.41)
Biella
(6.42)
Manovella
(6.43)
202
estesa a comprendere anche la forza d’inerzia e la coppia d’inerzia agente sul
corpo considerato.
Dal sistema di Equazioni (6.41)–(6.43) si ottengono i seguenti risultati:
(6.44)
La potenza dovuta alle forze attive, associate alla pressione nella camera di
combustione e al momento resistente, è pari a:
in cui il segno negativo è dovuto al fatto che, per ciascuno dei due termini, la
forza (o coppia) applicata al sistema è discorde, secondo le convenzioni
adottate, rispetto alla velocità del suo punto di applicazione. Il bilancio di
potenza risulta pertanto:
da cui:
(6.45)
che risulta identica alla terza della (6.44) osservando che tan φ = − tan β.
203
ESERCIZI SVOLTI
Gli esercizi proposti in questo capitolo affrontano complessivamente la
cinetostatica di sistemi articolati. Come tali, contengono sia una parte di
cinematica, che si riferisce agli argomenti trattati nel Capitolo 3, sia
l’impostazione del bilancio di potenze e del calcolo delle reazioni vincolari,
che è invece specifica di questo capitolo.
Risoluzione
Punto 1 Per calcolare le quantità cinematiche richieste dalle domande 1, 2
e 3 è necessario passare attraverso l’equazione di chiusura che risulta essere:
204
Figura 6.8 L’equazione di chiusura del sistema articolato di
Figura 6.7.
205
da cui
Punto 3 Per il calcolo delle accelerazioni è necessario eseguire una
ulteriore derivata. Tenendo conto delle relazioni imposte dai vincoli, in
termini di posizione, velocità e accelerazione ( ), si ottiene:
in quanto tutte le forze agenti sul corsoio (forza F, azione d’inerzia, reazione
vincolare V B, e le azioni interne che si scambiano nella cerniera B tra
corsoio e biella AB) hanno braccio nullo rispetto al polo B scelto.
Considerando tutto il sottosistema in esame, si possono scrivere gli equilibri
dinamici alla traslazione secondo la direzione orizzontale e verticale, e
l’equilibrio alla rotazione intorno al punto B.
206
da cui risulta che V B = 190.32 N e che V A = 308.0 N.
Punto 6 Per il calcolo delle reazioni vincolari in O si considera il
sottosistema costituito dalla sola asta OA, su di esso agiscono le reazioni
vincolari in O e l’azione V A, trasmessa dalla asta AB. Scrivendo le
equazioni di equilibrio alla traslazione verticale e orizzontale si ottiene:
Figura 6.9 Calcolo delle reazioni vincolari nel pattino fra le due
aste.
207
5. la coppia motrice M m da applicare alla manovella per realizzare il
movimento assegnato;
6. la reazione vincolare tra biella e corsoio in B;
7. le componenti di reazione vincolare a terra in O.
essendo noti O A = 0.2 m, AC = 0.2 m, AB = 0.6 m m c = 10 kg, F = 1000
N.
Risoluzione
Punto 1 Il vettore ( A − O), manovella del sistema articolato, è
rappresentato dal numero complesso di modulo a e anomalia α:
208
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene la velocità del baricentro del
corsoio:
209
La coppia necessaria è quindi pari a 308 Nm.
Punto 6 L’asta AB è una biella scarica priva di massa e quindi trasmette
forza solo lungo il suo asse: la Figura 6.11 riporta le forze che agiscono sul
corsoio.
Scrivendo l’equilibrio alla traslazione orizzontale del corsoio, si ottiene
un’equazione nell’unita incognita N B.
210
Considerando trascurabili tutte le inerzie del sistema a eccezione della massa
m C, si calcoli:
1. la coppia motrice M m da applicare alla manovella O 1 A per
realizzare il movimento assegnato;
2. le componenti di reazione vincolare scambiate in B tra il glifo e
l’asta BC.
3. le componenti di reazione vincolare scambiate in A tra la manovella
O 1 A e il corsoio del glifo.
Si osservi che la cinematica di questo sistema è stata risolta nell’Esercizio
3.3. Pertanto, si considereranno nel seguito note tutte le grandezze
cinematiche di interesse.
Risoluzione
Punto 1 La coppia motrice M m può essere calcolata utilizzando il bilancio
di potenze. Nel caso in esame, la potenza delle forze d’inerzia è data dal
prodotto:
da cui si ricava:
211
Figura 6.14 Forze agenti sull’asta BC e sul corsoio di centro C.
212
svolgimento dei semplici calcoli).
La reazione N C può essere facilmente calcolata imponendo l’equilibrio
dinamico del corsoio C in direzione orizzontale. Le forze agenti sul corsoio
sono indicate a destra nella Figura 6.14, in tale schema si è tenuto conto che
per il principio di azione-reazione la reazione vincolare applicata dall’asta
BC sul corsoio è opposta alla reazione applicata dal corsoio sull’asta, e del
risultato precedente che mostra che T C è nulla. Si ottiene:
213
214
CAPITOLO 7 Azioni mutue tra elementi di
macchine
7.1 Introduzione
Nel comportamento statico e dinamico di ogni macchina assumono grande
importanza le azioni mutue scambiate tra i diversi elementi che la
compongono e quelle scambiate tra la macchina stessa (o parti di essa) e
l’ambiente circostante. La presente trattazione limita il campo di indagine
alla modellazione delle fondamentali azioni mutue di natura meccanica,
includendo, tra le stesse, le azioni fluidodinamiche. La presenza di moto
relativo (e in particolare di velocità relativa nel punto/area di contatto) tra i
diversi elementi della macchina e tra gli stessi e il fluido al contorno, ha un
ruolo fondamentale nella genesi e conseguente modellazione delle azioni
mutue scambiate. Nel comportamento dinamico delle macchine hanno quindi
una notevole rilevanza:
• le azioni di contatto scambiate tra solidi e gli effetti che ne derivano,
come l’usura delle superfici;
• le azioni scambiate nell’interazione fra solidi e fluidi.
215
lavorazioni tecnologiche di finitura) o, come accade in generale, può invece
causare un progressivo degrado dell’accoppiamento tra le parti a contatto.
216
Figura 7.2 Suddivisione dei contatti dal punto di vista
geometrico: a) contatto puntiforme; b) contatto lineare; c) contatto
superficiale. Indicazione qualitativa della superficie di contatto se
si tiene conto della deformabilità dei corpi.
Nella realtà infatti i corpi sono deformabili, e le azioni scambiate tra gli
stessi possono avvenire solo per tramite di pressioni finite, da cui segue che,
anche nei primi due casi della Figura 7.2 il contatto deve avvenire secondo
una superficie (impronta di contatto), la cui forma e dimensione dipende
dalla geometria delle superfici, dalle caratteristiche elastiche dei corpi e dalle
azioni applicate sugli stessi. Ne segue in particolare che, nel caso di corpi
deformabili, la effettiva cinematica del contatto di rotolamento dovrà essere
opportunamente modellata con maggiore dettaglio.
217
superficiali, anche se all’apparenza possono sembrare perfettamente lisce.
Quando due solidi sono premuti uno contro l’altro (Figura 7.3), i contatti
avvengono in realtà solo in corrispondenza dei picchi delle superfici
irregolari: in tali zone si creano delle adesioni a livello molecolare (micro-
saldature).
Consideriamo il semplice esempio di Figura 7.3; sia F una forza applicata al
corpo (1) in direzione parallela al piano d’appoggio dello stesso al corpo (2)
(per esempio il terreno), e si supponga che tale forza sia crescente nel tempo.
Il corpo (1) sia anche soggetto a una forza P costante (per esempio dovuta al
peso) agente in direzione ortogonale al piano d’appoggio. Dapprima il corpo
rimane in stato di quiete, in quanto le micro-saldature impediscono lo
scorrimento.
218
statiche, e tale forza concorrerà insieme alle forze esterne e alle forze
d’inerzia alla definizione delle nuove condizioni di equilibrio dinamico del
corpo (1). Il comportamento sopra descritto può essere riassunto nelle leggi
dette “di Coulomb” sull’attrito statico e sull’attrito dinamico, di cui si tratterà
nei paragrafi seguenti.
219
(7.2)
220
(7.3)
da cui:
(7.4)
ovvero:
(7.6)
ovvero il corpo permane in aderenza purché l’angolo di inclinazione α della guida sia
inferiore ad α s angolo limite di attrito statico di cui alla Figura 7.4.
221
conseguente strisciamento nel punto (o superficie) di contatto (in presenza
ovviamente di una azione di contatto normale scambiata tra i due corpi),
viene adeguatamente modellata mediante la legge Coulombiana di attrito
dinamico illustrata nel seguito.
La Figura 7.6 illustra con una certa generalità la tipica condizione in cui
possono trovarsi due corpi che si scambiano forze di contatto in presenza di
moto relativo di strisciamento. La presenza di eventuali componenti di
velocità ortogonali al piano di scorrimento, non altera lo schema in quanto
tali velocità, se presenti, devono essere identiche per i due corpi onde evitare
distacco o urto. Analogamente, le velocità V 1 e V 2 possono essere
sghembe, pur mantenendosi parallele al comune piano tangente tra i corpi. Si
intende che valgano le seguenti ovvie relazioni e definizioni inerenti
l’equilibrio del corpo (1), il principio di azione e reazione, e il vettore
velocità relativa V 2-1 tra i due corpi osservata da un osservatore posto sul
corpo (1):
(7.8)
(7.9)
(7.10)
222
caratterizzante i due corpi a contatto, la legge Coulombiana di attrito
dinamico afferma che, in presenza di moto relativo tra i due corpi (1) e (2), la
forza di contatto tangente è modellata dalla seguente equazione:
(7.11)
(7.13)
Allo scopo di fissare le idee su un esempio elementare, è chiaro che, nel caso
in cui la velocità del corpo (2) sia nulla V 2 = 0 ne segue che il corpo (1) sarà
soggetto a una forza T 1 diretta in verso opposto rispetto alla velocità V 1 del
corpo stesso ovvero tale da “opporsi” al moto dello stesso, come è in uso
affermare nel linguaggio tecnico corrente. È tuttavia anche utile allo stesso
modo osservare che, nel caso in cui il corpo (1) sia fermo (ovvero sia V 1 =
0), l’effetto dell’attrito dinamico è ovviamente quello di “trascinare” il corpo
stesso mediante una forza tangente T 1 avente la stessa direzione e lo stesso
verso della velocità V 2 del corpo (2), unico responsabile dello strisciamento
nel contatto tra i due corpi. Si conclude osservando che, nel caso entrambi i
corpi siano in moto, l’unico modo per decidere quale siano direzione e verso
della forza d’attrito tangente è effettuare il calcolo della velocità di
strisciamento nel punto di contatto, ovvero applicare l’espresione vettoriale
(7.11). In sintesi il modello dell’attrito dinamico è rappresentato
correttamente dalla (7.11) e non dalla (7.12) che, pur rappresentando
223
correttamente il modulo della forza tangente non fornisce la fondamentale
informazione inerente il versore di tale forza. Con riferimento sempre alla
Figura 7.6, si considerino ora le implicazioni energetiche del modello di
attrito dinamico Coulombiano, scrivendo la potenza delle forze di contatto
N 1, T 1, N 2 T 2 per una qualunque situazione di moto del sistema, ovvero
per un qualunque valore delle velocità V 1 e V 2 dei due corpi, purché
compatibili con la condizione di strisciamento tra gli stessi. Senza togliere
generalità al problema, è sufficiente considerare velocità V 1 e V 2
appartenenti al piano tangente comune di strisciamento tra i due corpi, in
quanto eventuali componenti di velocità normali allo stesso dovrannno
necessariamente essere uguali per i due corpi allo scopo di evitare condizioni
di urto o distacco tra gli stessi. Tali componenti uguali di velocità normali al
piano di strisciamento daranno infine luogo a potenza nulla, essendo per il
principio di azione e reazione N 2 = – N 1, e non lavorando ovviamente sulle
componenti tangenti T 1 e T 2 a esse ortogonali. Ne segue quindi che la
potenza delle forze di contatto è con tutta generalità espressa dalla relazione
seguente:
(7.14)
Ne segue, con riferimento alla (7.11), che la potenza delle forze di contatto
associate al modello di attrito dinamico Coulombiano è espressa dalla
seguente relazione:
(7.15)
224
possa essere rappresentata da vettori differenti nei diversi punti appartenenti
all’area di contatto. Ne segue di conseguenza che, allo scopo di modellare
adeguatamente le azioni scambiate tra i due corpi in termini di integrali delle
effettive corrispondenti distribuzioni di sforzi, sarà necessario utilizzare un
modello Coulombiano di attrito formulato in termini locali come illustrato
nel seguito. In Figura 7.7 si rappresentano gli sforzi normale σ( P) e tangente
τ ( P) agenti sull’elementino di superficie d A funzioni del punto ( P)
appartenente all’area di contatto d A del corpo (1). Lo sforzo tangente τ ( P)
ha direzione e verso associati alla velocità locale di strisciamento nel punto
di contatto in oggetto, come descritto dal modello locale di attrito
Coulombiano di cui all’Equazione (7.16):
(7.16)
225
coefficiente di attrito statico f s, in prima approssimazione f d non dipende
dall’estensione dell’area di contatto, ma solo dalla natura della coppia di
materiali a contatto, includendo in essa anche le caratteristiche di finitura
delle superfici a contatto. Valori indicativi dei coefficienti di attrito nel caso
di un accoppiamento tra acciaio e acciaio o altri materiali sono riportati nella
Tabella 7.1, in caso di superfici asciutte.
Tabella 7.1 Coefficienti di attrito statico e dinamico per diversi
accoppiamenti tra i materiali, nel caso di superfici asciutte.
Coppia materiali (superfici pulite e asciutte) fs fd
acciaio / PTFE 0.15 0.04 ÷ 0.08
acciaio / acciaio 0.6 ÷ 0.8 0.2 ÷ 0.4
acciaio / nylon 0.4 0.35 ÷ 0.4
acciaio / bronzo 0.35 0.3
acciaio / ferodo 0.5 0.4
pneumatico / strada 0.8 ÷ 1.1 0.6 ÷ 0.9
226
Si sottolinea, infine, che l’ipotesi di prima approssimazione di indipendenza
del valore del coefficiente di attrito dinamico f d dal valore della velocità
relativa di strisciamento V 2−1 è in genere verificata solo per valori della
stessa superiori a una certa soglia. In particolare, la Figura 7.8 mostra il
tipico andamento della funzione f d( V 2−1) per un accoppiamento tra materiali
metallici. Sull’asse V 2−1 = 0 sono indicati i valori f s e f d conformi all’usuale
condizione f s > f d. La funzione f d( V 2−1) dopo un tratto a vistosa pendenza
negativa ha tipicamente un minimo e tende asintoticamente al valore f d con
pendenza positiva. Considerazioni inerenti la dinamica dei sistemi
meccanici, avendo rimosso l’ipotesi di indeformabilità dei componenti
meccanici, ovvero considerandone le effettive rigidezze, mostrano la
possibile criticità della zona a bassissima V 2−1 caratterizzata dalla
condizione:
(7.18)
227
Figura 7.9 Coefficiente di attrito dinamico f d: tipico andamento a
bassa velocità di strisciamento e tipica dipendenza dalla stessa.
Con riferimento al sistema di Figura 7.10, se si ipotizza che il corpo si stia muovendo
verso il basso con velocità V e accelerazione a, le equazioni di equilibrio dinamico
228
risultano:
(7.20)
avendo indicato con a l’accelerazione del corpo. A tali equazioni viene messa a
sistema anche l’Equazione (7.11), permettendo così di ricavare il valore
dell’accelerazione:
(7.21)
che risulta minore rispetto al caso in cui l’attrito è assente. Dal punto di vista
energetico, il calcolo della potenza dissipata per attrito radente, coerentemente con
l’Equazione (7.15) porta alla seguente relazione:
(7.22)
229
centro ruota è espressa dalla relazione:
(7.24)
che corrisponde come ben noto al vincolo di puro rotolamento. Allo scopo di
chiarire il tipico procedimento di calcolo e verifica da adottare in caso si
supponga che la ruota rotoli senza strisciare, in Figura 7.11 è rappresentata la
ruota di massa m e momento d’inerzia polare baricentrico J G, caricata in
modo generico, ovvero oltre che dalla sua forza e coppia d’inerzia F in =
– m a G e C in = – JG , anche da forze e coppie esterne, tipicamente una
forza verticale F V (inclusiva della forza di gravità della ruota stessa e dei
carichi provenienti dal veicolo), una forza orizzontale F H (tipicamente
proveniente dal veicolo) e un momento torcente M m (tipicamente la coppia
motrice o frenante in funzione del ruolo assunto dalla ruota nel caso in
esame). È evidente che le reazioni
230
corretta. In caso contrario, ovvero se l’azione tangenziale richiesta superasse
il limite di aderenza, il legame (7.24) tra la velocità del baricentro V G e la
velocità angolare della ruota Ω non è più valido e nasce una velocità di
strisciamento tra i due corpi (il sistema vede nascere un grado di libertà
aggiuntivo in quanto viene meno il legame cinematico lineare tra rotazione
della ruota e avanzamento del suo asse baricentrico G). Nel caso non sia
soddisfatta la verifica di aderenza (7.23), sarà necessario ricalcolare gli
effettivi valori delle forze di contatto, includendo tra le equazioni anche
l’equazione di attrito Coulombiano valida in caso di moto relativo tra i due
corpi (l’accelerazione angolare della ruota e l’accelerazione del suo asse
baricentrico G saranno in questo caso variabili indipendenti):
(7.25)
231
appoggiata al comportamento isteretico dei materiali. In realtà una corretta
modellazione del fenomeno è molto complessa, dovendo includere nello
schema di calcolo la deformabilità dei corpi e lo stato di deformazione
triassiale degli stessi in prossimità dell’area di contatto. Il modello di attrito
volvente proposto consentirà invece di mantenere la tipica modellazione a
corpi rigidi della trattazione fin qui proposta. Abbandonata quindi
momentaneamente l’ipotesi di corpo rigido, si consideri un disco premuto
contro una superficie piana e si assuma che la deformabilità del disco sia
molto maggiore di quella della superficie, considerata ancora rigida. Non vi
sarà più una linea di contatto, la cui traccia nel piano del moto è il punto di
contatto, ma una superficie di forma approssimativamente rettangolare
(impronta di contatto). Nell’ipotesi di ruota ferma, ovvero di assenza di
rotolamento, e supponendo la ruota caricata da una forza verticale F V
passante per l’asse baricentrico e da una coppia M m equilibrata da una
opportuna distribuzione di sforzi tangenti sull’impronta, come illustrato in
Figura 7.12, per semplici considerazioni di simmetria, ovvero in base alla
teoria di Hertz [6] applicata al caso di contatto tra superfici non conformi, sia
la distribuzione delle deformazioni che la distribuzione delle pressioni
nell’area di contatto risultano simmetriche, di forma ellittica, con il massimo
in corrispondenza della mezzeria dell’impronta (Figura 7.12).
Con riferimento ora alla Figura 7.13 si consideri invece una ruota sempre
caricata da una sola forza verticale passante per l’asse baricentrico della
stessa, ma soggetta a rotolamento senza strisciamento. Si può giustificare
intuitivamente che durante il movimento della ruota un punto della superficie
del disco occuperà successivamente le posizioni P 1, P 2, …, P 5, dando
luogo a deformazioni di compressione crescenti dal bordo di attacco ( P 1-
P 3) fino alla mezzeria dell’impronta, e decrescenti con la stessa modalità dal
centro al bordo di uscita ( P 3- P 5). Si accetta, quindi, che la distribuzione
delle deformazioni a carico del materiale della ruota in corrispondenza
all’impronta di contatto, si mantenga simmetrica come proposto
successivamente in Figura 7.14. Per quanto riguarda invece le pressioni, se si
facesse riferimento a un materiale elastico (per maggiore semplicità si fa
riferimento a un materiale elastico lineare) per il quale vale la legge di Hooke
di proporzionalità tra pressione σ e deformazione є, il ramo della curva σ – є
nella fase di carico (1–3) si ricoprirebbe con quello della fase di scarico (3-5)
(Figura 7.13b), dando luogo quindi ancora a una distribuzione di pressioni
simmetrica al pari della distribuzione di deformazioni.
232
Figura 7.12 Area di contatto e distribuzione delle pressioni in
quiete.
233
vedrà sempre il ramo a deformazioni crescenti caratterizzato da valori di
pressione maggiori di quello a deformazioni decrescenti, infatti l’area
racchiusa dal ciclo rappresenta l’energia in ingresso verso il materiale per
unità di volume in un ciclo di carico-scarico e tale energia deve
necesariamente essere positiva, ovvero il materiale deve necessariamente
essere dissipativo (o al più neutro nel caso elastico). L’energia per unità di
volume che caratterizza il ciclo d’isteresi può essere interpretata come la
differenza tra l’energia meccanica accumulata per unità di volume nella fase
di carico, e quella restituita nella fase di scarico. L’energia meccanica che
non viene restituita rappresenta l’energia perduta che, se integrata su tutta la
porzione di disco interessata dalla deformazione, rappresenta l’energia
complessivamente dissipata, uscente dal sistema “degradata” da energia
meccanica a energia termica (calore).
234
osservi che a parità di deformazione, su due punti omologhi dell’impronta di
contatto (per esempio P 2 e P 4), si hanno due differenti pressioni, maggiore
nella porzione anteriore dell’impronta di contatto (corrispondente alla fase di
carico del materiale) e minore nella parte posteriore dell’impronta
(corrispondente alla fase di scarico). Ne consegue che il diagramma delle
pressioni risulta dissimmetrico rispetto alla mezzeria dell’impronta, con
pressioni più elevate nella porzione “anteriore”, ovvero di “ingresso”, del
materiale verso la zona di contatto. La risultante delle pressioni non sarà,
quindi, più passante per il centro del disco ma si collocherà a una distanza u
dal centro della ruota nel verso del moto di avanzamento relativo tra disco e
terreno (o, in modo equivalente, è rappresentata da una forza passante per il
centro del disco e una coppia di trasporto N · u).
Avendo definito con R il raggio di rotolamento della ruota, con f v il
coefficiente di attrito volvente e con u l’avanzamento del punto di
applicazione della reazione normale rispetto al centro di istantanea rotazione
della ruota, ovvero uno spostamento verso la zona di “ingresso” del materiale
nell’impronta di contatto, il modello di attrito volvente si può semplicemente
definire mediante la relazione seguente:
(7.27)
(7.28)
235
Figura 7.15 Possibili condizioni di carico per una ruota soggetta
ad attrito volvente e in moto con velocità costante su un piano: a)
coppia motrice, b) forza spingente.
(7.29)
(7.30)
ovvero:
(7.31)
236
solo se c’è moto relativo tra disco e guida, quindi, nel caso di guida mobile,
la velocità da introdurre nella (7.31) è ovviamente una velocità relativa letta
da un osservatore solidale alla guida. Nel caso di guida curvilinea, la velocità
da prendere in considerazione sarà invece la velocità di avanzamento del
punto di contatto lungo la guida, ovvero la velocità con cui si sposta lungo la
guida il centro di istantanea rotazione del moto relativo disco-guida. Si
osserva, infine, che nel caso di Figura 7.15(b) dalla (7.29) si calcola che vale
(singolarmente!) | T 1| = | N 1|. f v e che peraltro nel caso di Figura 7.15(a)
risulta invece | T 1| = 0. Ovviamente il valore assunto dalla forza tangente
scambiata tra ruota e terreno sarà differente di volta in volta in funzione di
quanto richiesto al vincolo dalle modalità di carico e di utilizzo della ruota.
237
potenza meccanica necessaria a mantenere il moto a regime, la quale
uguaglia l’energia dissipata per effetto del meccanismo isteretico associato al
rotolamento. Si riportano infine alcuni valori caratteristici del coefficient f v:
(7.32)
Si effettua ora, a scopo esemplificativo, l’analisi del caso di carico generico e moto
generico della ruota mostrato in Figura 7.17, dove la ruota di massa m e momento
d’inerzia polare baricentrico J G, rotolando senza strisciare su una guida rettilinea
orizzontale, si muove con velocità e accelerazione dell’asse rispettivamente V G e
a G (e con ovvie relazioni Ω e ).
Si suppone che la ruota sia caricata in modo generico ovvero, oltre che dalla sua forza
e coppia d’inerzia F in = – m a G e C in = – J G , anche da forze e coppie esterne,
tipicamente una forza verticale F V (inclusiva della forza di gravità della ruota stessa
238
e dei carichi provenienti dal veicolo), una forza orizzontale F H (tipicamente
proveniente dal veicolo) e un momento torcente M m (tipicamente la coppia motrice
o frenante in funzione del ruolo assunto dalla ruota nel caso in esame). Si suppone
presente un coefficiente di attrito volvente f v che determina l’avanzamento della
reazione N 1 della quantit à u rispetto alla direzione passante per l’asse baricentrico
G. Si suppongano note, oltre allo stato del disco (posizione e velocità V G e Ω), le
forze esterne F V, F H e la coppia motrice M m e si calcoli la conseguente
accelerazione, le reazioni vincolari T 1 e N 1, e la potenza dissipata per attrito
volvente. Ipotizzando i versi dei vettori coerenti con le indicazioni grafiche in figura,
ovvero supponendo si tratti di una ruota motrice, le equazioni di equilibrio verticale e
di momento rispetto al punto P′, portano ai seguenti risultati:
(7.34)
(7.35)
da cui, tenendo conto della definizione del modello di attrito volvente di cui alla
(7.27) l’accelerazione della ruota:
(7.36)
239
(7.38)
(7.39)
240
di deriva che governano il comportamento di un veicolo stradale in curva e
ne determinano la tendenza a sovra o sotto-sterzare [9], [7]. Analogamente,
tale modello non si presta a evidenziare i fenomeni di instabilità di marcia
che intervengono a elevata velocità nei veicoli ferroviari [7], [10].
Per affrontare questi e altri problemi, si rende dunque necessaria una
modellazione più raffinata delle azioni di contatto tra ruota e vincolo, e in
particolare occorre considerare che nella realtà i due corpi a contatto sono
deformabili, con la conseguenza che l’impronta di contatto assume -
dimensioni finite.
È possibile dimostrare [11] che, nel caso una ruota deformabile trasmetta una
forza di contatto T 1 tangente non nulla, l’impronta di contatto tra i due corpi
elastici in rotolamento (per esempio la ruota e la rotaia), si divide in una zona
di aderenza (dove vale la condizione di attrito statico) e una zona
241
la zona dei micro-scorrimenti tende a estendersi all’intera impronta al
tendere della forza tangente a valori prossimi al limite di aderenza statico. La
presenza di scorrimenti nell’impronta di contatto fa sì che la velocità del
centro del disco si discosti da quella che si avrebbe nell’ipotesi di
rotolamento senza strisciamento. In particolare ne segue che, per una corretta
modellazione del problema di contatto ruota-terreno (o ruota-rotaia), si deve
introdurre necessariamente un grado di libertà aggiuntivo, ovvero, con
riferimento alla Figura 7.19, lo spostamento x dell’asse della ruota risulta
essere indipendente dall’angolo di rotazione ϑ della stessa, potendo dar
luogo quindi a una velocità di strisciamento relativo del punto P′, d’ora
innanzi non più centro di istantanea rotazione della ruota ma definito come
ente cinematico punto di contatto. Viene quindi introdotta una grandezza
adimensionale chiamata micro-scorrimento ε, rappresentativa della velocità
di strisciamento di P′ adimensionalizzata rispetto alla velocità di
avanzamento dell’asse della ruota, come illustrato in (7.40):
(7.40)
242
modello dei micro-scorrimenti rappresentato dall’Equazione (7.41):
(7.41)
in cui la funzione μ ( ε) è rappresentata come esempio nelle Figure 7.20 e
7.21 rispettivamente per il contatto ruota-terreno e ruota-rotaia. Si
riassumono le conseguenze più significative associate all’introduzione del
nuovo modello sintetizzato dalle Equazioni (7.40) e (7.41).
243
• Nel momento in cui si voglia trasmettere tra ruota e terreno o tra ruota
e rotaia una forza tangente | T 1| =/ 0 di modulo non nullo,
necessariamente si manifesta un seppur piccolo strisciamento
dell’ente geometrico punto di contatto, ovvero risulta non nullo il
micro-scorrimento definito alla 7.40 ε =/ 0.
• Le funzioni μ ( ε) che caratterizzano i tipici accoppiamenti
pneumatico-strada o ruota-rotaia, sono caratterizzate sempre da un
tratto pressoché lineare nell’intorno di ε = 0 per diventare, poi,
fortemente non lineari per elevati valori di ε.
• I tipici valori di massima estensione del tratto pressoché lineare delle
curve μ ( ε) si manifestano per valori di ε “piccoli” ovvero dell’ordine
di | ε| ≤ 0.01 nel caso ruota-rotaia, e | ε| ≤ 0.1 nel caso pneumatico-
terreno.
• Per elevati valori di ε, ovvero andando verso slittamenti macroscopici
estesi a tutta l’area di contatto, il modello dei micro-scorrimenti è
ovviamente asintotico al modello dell’attrito dinamico coulombiano,
ovvero | μ ( ε)| → f d.
• Il modello proposto è ovviamente dissipativo, ovvero in presenza di
forze tangenti trasmesse non nulle, si avrà sempre potenza dissipata
244
non nulla a carico della forza tangente stessa applicata al punto P 0
dotato di velocità di strisciamento non nulla rispetto al terreno (o alla
rotaia). Il valore di tale potenza dissipata è ovviamente facilmente
espresso dalla (7.42).
(7.42)
È bene puntualizzare che i modelli dell’attrito volvente e dei micro-
scorrimenti sono indipendenti l’uno dall’altro, anzi potrebbero essere visti
come complementari e possono essere contemporaneamente applicati,
avendo il primo il ruolo di rappresentare correttamente le dissipazioni a
carico delle sole forze normali di contatto, e il secondo il ruolo di
rappresentare una corretta modellazione delle forze tangenti (e
implicitamente delle dissipazioni a esse connesse) nel caso reale di contatto
di rotolamento tra corpi deformabili.
245
relativo tra questi. Dal punto di vista della funzionalità della macchina,
l’usura si manifesta attraverso:
• aumento dei giochi negli accoppiamenti, con conseguenti
imprecisioni nel movimento e aumento della rumorosità;
• possibile comparsa di fenomeni di urto e conseguenti vibrazioni e
sovraccarichi dinamici;
• cambiamento delle propriet à meccaniche e dell’aspetto delle
superfici a contatto. Tali cambiamenti possono essere evidenziati
durante le operazioni di manutenzione o ispezione della macchina.
Le relazioni che intercorrono tra gli aspetti sopra citati sono esemplificati
nello schema di Figura 7.22; a seconda del tipo di macchina, della funzione
che deve svolgere e dell’ambiente in cui si trova, assumono maggiore
importanza alcuni aspetti rispetto ad altri. L’usura, infine, può essere
prodotta oltre che da strisciamento tra parti della macchina anche da azioni
corrosive prodotte dall’ambiente in cui la macchina opera e da azioni di
natura elettrica (limitatamente al caso in cui gli elementi della macchina sono
soggetti al passaggio di corrente con elevato voltaggio e amperaggio).
Figura 7.22 Schema delle relazioni tra i vari aspetti del fenomeno
dell’usura nel caso di un meccanismo.
246
del percorso di strisciamento s:
(7.43)
La Figura 7.23 illustra il significato dei termini che compaiono nella (7.43),
in cui P = N, per l’equilibrio in direzione verticale. Il coefficiente di
proporzionalit à k 1, espresso in m 3/J, ha il significato di volume usurato per
unità di lavoro dissipato. La (7.43) è strettamente applicabile se l’usura di
uno dei due corpi a contatto è molto maggiore dell’altro, inoltre il valore del
coefficiente k 1, (o del prodotto k 1 f d, detto usura specifica ed espresso in
m 3/J), è costante solo all’interno di un determinato campo della reazione
normale al contatto Ne della velocità di strisciamento.
Derivando la (7.43) rispetto al tempo, si ottiene il volume usurato nell’unità
di tempo, che risulta proporzionale alla potenza dissipata dalle forze di attrito
nel contatto W diss:
(7.44)
(7.45)
247
ottenibile dalla (7.43), avendo posto V usu = AΔ h (vedi Figura 7.23). Questo
indice, rapporto tra spessore del materiale usurato e lunghezza del percorso
di strisciamento, consente di comparare tra loro situazioni anche
geometricamente differenti, fornendo un’indicazione globale sulla gravità
dell’usura, in una scala di dieci classi, a loro volta raggruppate in tre livelli
(modesto, medio e severo). L’utilizzo di questo indice fa riferimento a
grandezze facilmente misurabili o valutabili sulla macchina reale nelle
effettive condizioni di esercizio; non viene quindi utilizzato per prevedere il
livello di usura, ma per caratterizzarne la gravità nelle reali condizioni di
esercizio.
Il modello elementare di usura discusso per un oggetto di dimensioni finite
soggetto a uno spostamento di dimensioni finite può essere riscritto in
termini locali allo scopo di affrontare lo studio di reali componenti
meccanici, se pur semplificati, quali dischi di frizione o freni. Con
riferimento quindi alla simbologia di Figura 7.7, al modello di attrito
espresso in termini locali dalla (7.16), al modello di usura proposto dalla
(7.43) e con riferimento infine allo schema di usura locale dell’elementino di
area d A di cui alla Figura 7.24, è possibile scrivere il volume infinitesimo
usurato dV usu nel tempo infinitesimo dt nel modo seguente:
(7.46)
248
(7.47)
(7.48)
(7.49)
(7.52)
249
Esempio 7.4 Calcolo coppia trasmessa da un disco di
frizione
Il modello locale di usura sopra descritto può essere facilmente utilizzato per una
interessante applicazione, ovvero per il calcolo della coppia trasmessa da un disco di
frizione. Si supponga che l’elemento toroidale di Figura 7.25 rappresenti in modo
schematico e semplificato il ferodo solidale a un disco di frizione premuto da una
forza N verso la flangia metallica solidale all’albero di trasmissione a esso affacciato.
Si supponga inoltre che disco di frizione e flangia a esso affacciata possano essere
considerati come elementi rigidi e che nello strisciamento tra ferodo e flangia l’usura
si possa considerare a carico del solo ferodo. Si ipotizzi infine che il disco di frizione
e il ferodo a esso solidale siano mantenuti in rotazione dal motore con velocità
angolare relativa Ω rispetto alla flangia. Oggetto del calcolo è il valore della coppia
torcente trasmessa dal disco di frizione, nell’ipotesi di validità dei modelli di attrito
dinamico e di usura proposti in termini locali nei precedenti paragrafi.
La vista in pianta dell’interfaccia ferodo-flangia mostra una rappresentazione
schematica della distribuzione di sforzi tangenti attesi sulla superficie del ferodo
coerentemente con il modello di attrito dinamico (7.16), ovvero sempre diretti come
250
la velocità di strisciamento locale nel punto in oggetto, rappresentata in modulo dalla
seguente espressione:
(7.53)
Ne segue quindi che, ipotizzando valga il modello di usura sopra descritto, la velocità
di logoramento è funzione della sola posizione radiale secondo la seguente
espressione:
(7.55)
utilizzata nel seguito per semplicità indicando in minuscolo con σ( r) il modulo degli
sforzi normali (pressioni) tutti orientati nello stesso verso ortogonalmente al piano di
interfaccia ferodo-flangia e con e Ω il modulo della velocità angolare relativa. Si può
osservare che il modello dell’usura unitamente al modello di attrito ha consentito di
formulare un legame tra la pressione locale σ( P ) e la velocità di logoramento locale
δ z( P ), consentendo ora di effettuare considerazioni di congruenza geometrica in
merito a quest’ultima. Si può infatti facilmente intuire che, nell’ipotesi di velocità di
logoramento differente per differenti valori della coordinata radiale si perverrebbe alla
condizione di assenza di planarità del ferodo con conseguente distacco delle zone
caratterizzate da una eventuale velocità di logoramento maggiore. Ne segue che è
giusto ipotizzare per il problema posto velocità di logoramento costante pari a δ 0
come espresso dalla seguente relazione:
(7.56)
(7.57)
251
(7.58)
(7.59)
(7.60)
(7.61)
(7.62)
(7.63)
252
sforzi tangenti (considerati vettorialmente) è ovviamente nulla:
(7.64)
253
pressione dinamica che caratterizza localmente la corrente all’esterno del
corpo, oltre che delle dissipazioni eventualmente causate da effetti viscosi.
Allo scopo di fissare le idee e il linguaggio su una formulazione semplice e
di versatile utilizzo, con riferimento alla simbologia di Figura 7.26 si può
porre alla base della presente discussione il teorema di Bernoulli (7.65) e
(7.66) formulato per un fluido in moto soggetto all’azione del campo
gravitazionale e ipotizzato a densità costante. Secondo tale teorema,
considerato un volume infinitesimo di fluido in moto lungo la propria linea
di corrente, detta pressione statica P s la pressione idealmente misurabile su
un ipotetico piano posizionato localmente tangenzialmente al flusso in modo
da non alterarne il campo di moto, P d la pressione dinamica di cui alla
(7.65) associata alla velocità e densità locale del flusso, ρ la densità, z la
quota verticale assunta positiva verso l’alto e g l’accelerazione di gravità, è
possibile scrivere:
(7.65)
(7.66)
Il teorema di Bernoulli afferma sinteticamente che, a meno dei contributi
associati all’effetto gravitazionale (significativi nei liquidi a elevata densità)
e a meno di dissipazioni tipicamente associate agli effetti viscosi, nel moto
dell’elementino di fluido lungo la propria linea di corrente dalla posizione di
ascissa curvilinea s 1 a quella di ascissa curvilinea s 2 si conserva la pressione
totale. In altri termini, nell’ipotesi di pressione totale costante gli effetti
dinamici, ovvero associati al moto del fluido relativamente al corpo in
oggetto, si manifestano come variazioni anche molto significative della
pressione statica a parete dipendenti da variazioni locali di velocità del flusso
rispetto alle generiche condizioni di flusso indisturbato assegnate
“sopravento” al corpo stesso.
Le forze esercitate da fluidi in quiete sono oggetto della fluidostatica, mentre
assai più complessa è la ricerca delle azioni esercitate dai fluidi in moto, che
interessa più particolarmente le macchine ed è oggetto della fluidodinamica,
comprendente come casi particolari l’idrodinamica e l’aerodinamica.
Supponiamo che il corpo sia fermo rispetto al fluido come schematicamente
indicato in Figura 7.27, in tal caso l’unica azione agente sul corpo è la spinta
254
Figura 7.26 Volume elementare di fluido in moto lungo una linea
di corrente. Grandezze significative per la scrittura del teorema di
Bernoulli.
(7.67)
255
determina come già accennato una distribuzione di pressioni fortemente
dipendente dal campo di velocità esterno al corpo. Le forze complessive di
interazione, nel caso di fluidi reali, sono tuttavia dovute non solo alle azioni
normali di pressione, ma anche alle azioni tangenti dovute agli sforzi
tangenziali presenti nei fluidi reali per effetto della viscosità (Figura 7.35).
Spesso, non solo a causa della distribuzione di sforzi tangenziali viscosi ma
anche per effetto della distribuzione degli sforzi normali di pressione,
l’azione del fluido costituisce una resistenza al moto di un corpo in esso
totalmente o parzialmente immerso (detta anche “resistenza del mezzo”),
comportando una dissipazione di energia meccanica che, di regola, si deve
cercare di ridurre il più possibile. Nasce così il problema di ottimizzare la
forma del corpo immerso al fine di aumentarne la penetrazione (carene di
navi, forme di autovetture ecc.). In altri casi, invece, l’azione scambiata tra
corpo e fluido ha una componente utile che si cerca di massimizzare,
tipicamente la forza propulsiva di un’elica o la forza portante di un’ala. Con
riferimento alla Figura 7.28, gli sforzi tangenziali presenti nel fluido
rispondono, secondo la più semplice modellazione, alla legge di Petroff. Per
esempio lo sforzo tangente τ zx presente sull’areola di normale uscente diretta
come z e orientato secondo la direzione x è proporzionale tramite il
coefficiente di viscosità μ al gradiente in direzione z della componente di
velocità del fluido u orientata secondo la direzione x. Analoghe
considerazioni valgono per lo sforzo tangente τ xz e per la componente di
velocità del fluido ω orientati secondo la direzione z. Ovvero valgono le
seguenti relazioni:
(7.68)
256
È importante ricordare che tali sforzi tangenti, presenti nei fluidi reali a causa
della viscosità μ non nulla, non solo sono causa di resistenza
all’avanzamento dei corpi immersi, ma influenzano pesantemente il regime
di flusso che può instaurarsi in un condotto o nell’interazione di un flusso
esterno con un corpo in esso immerso. In altre parole, si può andare incontro,
nello stesso caso di interazione fluido struttura, a regimi di flusso e, quindi,
ad azioni scambiate con il corpo profondamente differenti tra loro al variare
della proporzione tra effetti inerziali ed effetti viscosi a cui tipicamente è
soggetto l’elementino di riferimento di volume di fluido dV. Esiste un
numero adimensionale, detto numero di Reynolds che, esprimendo il
rapporto tra azioni inerziali e viscose a cui è soggetto il flusso, permette di
inquadrare il tipico regime fluidodinamico in cui può collocarsi il fenomeno
in oggetto. Indicato con U R una velocità e con D R una dimensione assunti
come riferimento per il fenomeno (tipicamente la velocità sopravento del
flusso indisturbato U Ref o la velocità del corpo in caso di fluido fermo e una
dimensione caratteristica del corpo), il numero di Reynolds ha la seguente
espressione:
(7.69)
257
completamente differenti, causati da una diversa proporzione tra le azioni
d’inerzia e quelle viscose a cui è soggetta la particella di fluido. Si utilizza,
come esempio di riferimento, il caso descritto nelle Figure 7.29 e 7.30, in cui
un volume elementare di fluido sta percorrendo con velocità
u una traiettoria di raggio di curvatura R t .
Limitando, per semplicità, l’analisi alle forze agenti in direzione z -
sull’elementino per effetto delle azioni d’inerzia e delle azioni tangenti sulle
facce con normale orientata come x, come illustrato in Figura 7.30, è
possibile scrivere:
(7.70)
(7.71)
(7.72)
258
Supponendo ora di confrontare due casi ipotizzati in similitudine non solo
geometrica ma anche cinematica, ne risulta che tutte le velocità sono
proporzionali a una velocità di riferimento, per esempio la velocità del flusso
indisturbato incidente sul corpo U Ref, e tutte le lunghezze sono proporzionali
a una dimensione caratteristica del corpo, come la dimensione trasversale D.
Ne segue che l’analisi dimensionale dell’Equazione (7.72) porta a scrivere
che, per il corpo in oggetto, il rapporto tra azioni inerziali e viscose agenti
sull’elementino è proporzionale al numero di Reynolds scritto per le
grandezze di riferimento sopra menzionate:
(7.73)
259
di superficie) sono proporzionali al prodotto e che i termini viscosi
(per unità di superficie), secondo la (7.68) sono invece proporzionali al
rapporto μU Ref/D, è possibile scrivere intuitivamente:
(7.74)
260
Il flusso laminare è visualizzabile mediante linee di corrente perfettamente
allineate e senza alcuna traccia dei tipici “disturbi trasversali” di natura
caotica associati alla turbolenza. In una situazione di questo tipo gli effetti
globali di pressione sono praticamente nulli (campo di pressione simmetrico)
e prevalgono invece gli effetti viscosi: il caso specifico della figura in cui il
valore del numero di Reynolds è inferiore all’unità è anche noto come
“Flusso di Stokes”.
Per alti numeri di Reynolds, sempre con flusso uniforme in ingresso e
cilindro fermo, il campo di moto in scia appare drammaticamente mutato per
la presenza di strutture coerenti di vortici che si staccano alternativamente
dai due lati del “bluff body” (Figura 7.32), causa di significative azioni
dinamiche. Si nota che in una situazione di questo tipo le forze di resistenza
sono dovute a importanti effetti di dissimmetria di pressione tra la porzione
sopravento e quella sottovento del corpo (sovrapressioni nel lato sopravento
e pressioni negative in scia) con effetti viscosi proporzionalmente meno
significativi.
L’osservazione delle due immagini consente di chiarire che, mentre è molto
semplice definire “condizioni stazionarie” per il corpo, è tutt’altro che ovvio
chiarire lo stesso concetto per quanto riguarda il flusso, essendo la non
stazionarietà intrinseca delle condizioni di flusso turbolento tipiche per valori
di alti numeri di Reynolds che caratterizzano le applicazioni tecniche
correnti. Ne segue che, spesso, si identificano come condizioni stazionarie
quelle che caratterizzano un flusso uniforme che interagisce con un corpo in
quiete, considerando per le forze di interazione il valor medio delle stesse,
intrinsecamente caratterizzate da un andamento temporale non stazionario.
Con riferimento quindi a una situazione stazionaria, per esempio il caso
261
limite di Figura 7.31, ipotizzando peraltro la viscosità non nulla, è possibile
mostrare che la velocità a parete del fluido deve necessariamente annullarsi,
dando luogo a un tipico profilo di velocità a parete a derivata decrescente
come illustrato in Figura 7.33 portandosi asintoticamente al valore U Ref di
flusso indisturbato.
Per fluidi reali (viscosi), nasce quindi un’azione tangenziale descritta dalla
legge di Petroff (7.68) e (7.75) dovuta al gradiente di velocità a parete.
Sperimentalmente si può constatare che la zona caratterizzata da gradiente di
velocità non nullo e conseguentemente da sforzi tangenziali e dissipazioni, è
limitata a una “pelle” di dimensioni trasversali limitate e crescenti lungo lo
sviluppo del corpo nella direzione del flusso, detta strato limite.
Si riporta ancora per facilità di comprensione la legge di Petroff:
(7.75)
262
dello strato limite, lungo la coordinata z normale alla superficie del corpo da
zero al valore U Ref . Per quanto riguarda invece gli effetti di pressione,
sempre con riferimento al caso limite di flusso laminare illustrato in Figura
7.34 e ipotizzando verificata l’Equazione di Bernoulli (7.66) con dissipazioni
nulle per il tubo di flusso destinato ad impattare nel punto frontale di
simmetria del cilindro, ovvero ad annullare la propria velocità, ne risulta che
in tale punto la pressione statica P s( s 2) sarà pari a:
(7.76)
(7.77)
263
Avendo definito quindi lungo la parete del corpo una ascissa curvilinea s con
origne in A, la pressione statica a parete varierà secondo la legge (7.78) con
k( s) ≤ 1:
(7.78)
(7.79)
264
rispettivamente Forza di Resistenza o Drag F D e Forza di Portanza o Lift
F L . Tali forze F D ed F L, e il momento risultante M G, possono essere
espressi in funzione della velocità della vena indisturbata U Ref, della densità
del fluido ρ, di una superficie e di una dimensione caratteristica del corpo S
e B, tramite le relazioni:
(7.80)
265
(7.81)
266
applicazioni pratiche, esistono campi di notevole estensione del numero di
Reynolds in cui il fenomeno fluidodinamico in oggetto non cambia, dando
luogo a valori dei coefficienti praticamente indipendenti da Re e
consentendo quindi un diretto utilizzo dei risultati ottenuti in Galleria del
Vento su modelli in scala. Il ricorso a prove in Galleria del Vento per la
determinazione dei coefficienti aerodinamici stazionari (o statici secondo la
terminologia corrente) è tutt’ora di gran lunga lo strumento più affidabile per
una accurata caratterizzazione delle forze di interazione. Tuttavia, la
crescente disponibilità di elevatissima potenza di calcolo, consente
recentemente di abbordare anche per via numerica il problema tipicamente
mediante tecniche di integrazione delle equazioni di Stokes-Navier ([14])
convenzionalmente citate con l’acronimo C.F.D. (Computational Fluid
Dynamics). Il riscontro sperimentale tuttavia, tipicamente nel caso di “bluff
bodies”, resta un passaggio di validazione inevitabile, con riferimento
soprattutto alle condizioni di elevati numeri di Reynolds e di flusso non
stazionario. Dal punto di vista operativo, con riferimento a una formulazione
di tipo veicolistico (7.81), ovvero utilizzando come superficie di riferimento
la superficie frontale del corpo, il coefficiente di resistenza può variare da
valori pari a 0.1 fino a valori pari a 2 in funzione del maggiore o minore
allungamento del corpo nella direzione della vena fluida: si hanno infatti
bassi coefficienti di resistenza per corpi allungati, come profili alari, in cui la
vena fluida non si distacca e non si ha vorticosità in scia. Il coefficiente di
portanza è nullo se il corpo investito dal fluido ammette una simmetria
geometrica secondo la direzione della velocità del fluido stesso, mentre è
tanto più elevato quanto maggiore è la capacità del corpo di generare nel
flusso una marcata dissimmetria trasversale al flusso stesso, come
tipicamente accade in un profilo alare configurato in modo da generare
portanza. È bene osservare che, nel caso del profilo alare simmetrico di
piccolo spessore, e per angoli di incidenza contenuti dell’ordine di −8° < α <
+8°, la distribuzione di sforzi di pressione e tangenti è tale da dar luogo con
ottima approssimazione a una unica forza risultante applicata a distanza di
circa B/4 (un quarto corda) dal bordo d’attacco. Ne segue che, scegliendo
tale punto come punto di riduzione delle forze la coppia aerodinamica risulta
praticamente nulla, mentre al contrario, scegliendo come punto di riduzione
delle forze un punto baricentrico supposto posizionato in mezzeria alla
corda, ne risulta che, con una convenzione di rappresentazione delle forze di
cui alla (7.80) in cui sia stato posto , il coefficiente di coppia
267
associato a tale punto di riduzione delle forze risulta valere C M( α) =
C L( α)/4. In generale tuttavia, la caratterizzazione di un generico profilo
aerodinamico bidimensionale (a elevato sviluppo longitudinale e sezione
costante), viene effettuata in funzione dell’angolo di incidenza del profilo
rispetto alla direzione del flusso incidente α, come indicato in Figura 7.38,
adottando come punto di riduzione delle forze un punto generico G.
Tale configurazione porta quindi alla definizione tipicamente per via
sperimentale di caratteristiche aerodinamiche definite da coefficienti di
resistenza (o Drag), portanza (o Lift) e coppia funzioni dell’angolo di
incidenza α rappresentati tipicamente da curve simili a quelle
qualitativamente illustrate in Figura 7.39.
268
inerenti la scala dell’oggetto, l’effettiva velocità, densità e viscosità del
flusso sono contenute nel numero di Reynolds caratteristico
dell’applicazione in oggetto, da cui i coefficienti stessi possono dipendere.
(7.82)
269
fluidodinamico T F = B/U Ref, corrispondente al tempo impiegato dalla
particella di fluido dotata di velocità U Ref a “scavalcare” il corpo di
estensione B. Alti valori di velocità ridotta corrispondono a situazioni in cui
il periodo di oscillazione del corpo è molto lungo rispetto al periodo
fluidodinamico, ovvero la frequenza di oscillazione del corpo è molto bassa
rispetto al reciproco del periodo fluidodinamico, ovvero il fenomeno è quasi
stazionario. Ovviamente condizioni quasi stazionarie corrispondono a valori
bassi di frequenza ridotta. Ne segue quindi che, in prima approssimazione si
può ritenere che le espressioni stazionarie di cui alle (7.80) e (7.81) possono
essere applicata anche in presenza, per esempio di angolo di incidenza del
corpo variabile nel tempo, purché il parametro velocità ridotta assuma valori
sufficientemenete elevati.
Figura 7.40 Profilo alare con flusso attaccato per piccoli angoli di
incidenza; separazione dello strato limite e distacco di vortici al
crescere dell’angolo di incidenza.
270
Figura 7.41 Separazione dello strato limite dovuto a gradiente di
pressione statica avverso.
271
È doveroso accennare a questo punto che, tipicamente nel caso di “corpi
tozzi” o “bluff bodies”, i vortici si distaccano alternativamente dal corpo e
sono responsabili di un importante forzamento non stazionario periodico e
alternato, in direzione normale alla velocità della vena indisturbata. Con
riferimento alla Figura 7.42, è possibile affermare che le strutture coerenti di
vortici rilasciate a valle del “bluff body” (in campi di numeri di Reynolds
generalmente abbastanza estesi) hanno una lunghezza d’onda caratteristica
funzione della sola forma dell’oggetto che le ha generate, e proporzionali a
una sua dimensione trasversale caratteristica convenzionalmente indicata con
D, secondo una legge di proporzionalità così formulata:
(7.83)
(7.84)
272
(7.85)
in cui il numero di Strouhal è visto come il coefficiente di proporzionalità tra
la frequenza associata al periodo fluidodinamico T F = B/U Ref e la frequenza
del distacco alternato di vortici dal corpo stesso, ovvero la frequenza
fondamentale del forzamento periodico associato al fenomeno
fluidodinamico non stazionario in oggetto. Nel caso in cui il corpo possa
vibrare elasticamente trasversalmente al flusso con una frequenza di
vibrazione caratteristica f s, esisterà una velocità critica del flusso incidente
detta “velocità di Strouhal” U St tale da determinare un forzamento a
frequenza identica a quella di oscillazione libera del corpo f s, ovvero in
grado di mandarlo in risonanza con possibili grandi ampiezze di
oscillazione:
(7.86)
273
I fenomeni di interazione flusso struttura in cui l’oscillazione della struttura
(tipicamente il cilindro) è associata al distacco di vortici sono
particolarmente complessi e di notevole interesse applicativo. Si cita soltanto
in questa sede che, se il corpo è libero di vibrare e la frequenza del
forzamento da distacco di vortici può sincronizzarsi sulla frequenza (o su una
delle frequenze) del corpo, il movimento del corpo ha l’effetto di accrescere
l’efficacia del fenomeno fluidodinamico. In altri termini, il distacco di
vortici, che avveniva disordinatamente nelle varie sezioni prima che il corpo
oscillasse, per effetto della vibrazione del corpo si sincronizza generando un
forzamento dotato di grande coerenza spaziale lungo l’estensione del corpo,
non più quindi aleatorio ma effettivamente armonico e in grado quindi di
determinare importanti effetti dinamici sullo stesso.
274
le superfici inclinate tra loro provoca la formazione spontanea dello
strato in pressione e il fluido viene così “invitato” a inserirsi tra le due
superfici. Nel caso di lubrificazione idrostatica forzata, il lubrificante
viene introdotto in pressione tra le superfici a contatto in moto
relativo. Il coefficiente di attrito nel caso di lubrificazione mediata si
riduce a valori dell’ordine di 0.01. Tale parametro varia in funzione
della velocità relativa nel caso di lubrificazione naturale: è possibile
osservare come si passi da una lubrificazione limite (a velocità
relativa nulla) attraverso una condizione di lubrificazione combinata
(tra lubrificazione limite e mediata) fino a una lubrificazione mediata,
che necessita una velocità relativa al di sopra di un valore limite per
potersi stabilire. Al di sotto di tale valore di velocità, il lubrificante
non riesce a formare il meato in grado di separare le due superfici.
Per quanto riguarda i lubrificanti, le sostanze più usate risultano essere:
• lubrificanti gassosi: utilizzati per alte velocità relative o interposti in
pressione;
• lubrificanti liquidi: sono i più utilizzati, tra cui gli olii vegetali
(utilizzati per l’elevata untuosità, ovvero capacità di aderire alle
pareti) per la lubrificazione limite e gli olii minerali (idrocarburi
liquidi a elevata viscosità, ovvero alta resistenza allo scorrimento) per
quella idrodinamica naturale;
• lubrificanti semisolidi: grassi che si sciolgono con il riscaldamento
assicurando una lubrificazione limite;
• lubrificanti solidi: utilizzati per elevate temperature, tra i più usati la
grafite e il trifosforo di molibdeno.
275
Sulle facce corte agiscono due sforzi p e p + d p dovuti alle pressioni, sulle
pareti laterali, trascurando la variazione di pressione dovuta alla variazione
di quota, agiscono due sforzi τ e τ + d τ tangenti dovuti alle differenti
velocità tra le lamine di fluido a contatto con la parete inferiore e quelle a
contatto con la parete superiore (per esempio la lamina di fluido sovrastante
la parete superiore ha velocità maggiore della velocità che ha la parete stessa,
ecco allora che sull’elementino agisce uno sforzo tangente τ + d τ che tende a
“tirare” l’elementino nella direzione di moto del fluido). Scrivendo
l’equilibrio alla traslazione in direzione x per l’elementino di figura:
(7.87)
si ottiene:
(7.88)
(7.89)
(7.90)
Si osservi che l’espressione della velocità u contiene un termine lineare in z
dovuto all’azione di trascinamento esercitata dal componente mobile sul film
276
di lubrificante e un termine parabolico in z proporzionale al gradiente di
pressione p′ dovuto alla presenza di un campo di pressioni entro il meato.
Scrivendo l’equazione di continuità, che impone che la portata volumetrica
G sia costante, e sostituendovi l’Equazione (7.90) si ottiene:
(7.91)
(7.92)
(7.93)
(7.94)
277
la distribuzione di velocità risulta lineare.
278
ESERCIZI SVOLTI
Resistenza al rotolamento
7.1 Considerando il sistema meccanico a un grado di libertà indicato nella
Figura 7.47, per cui: ; , si calcoli la coppia
motrice M m necessaria alla realizzazione delle condizioni di moto descritte,
in presenza di attrito volvente, il cui coefficiente è f v = 0.01.
Si effettui inoltre la verifica di aderenza considerando il coefficiente di attrito
statico pari a f s = 0.5.
Dati: R = 5 m raggio della guida circolare; r = 0.5 m raggio del disco; M
= 5 kg massa del disco; J = 0.625 kgm 2 momento d’inerzia del disco.
Risoluzione
Nella Figura 7.48 è evidenziato il sistema di forze che agisce sul disco; per
279
calcolare la coppia motrice necessaria si scrive il bilancio di potenze,
secondo il quale:
la velocità del centro del disco può essere in modo analogo espressa in
funzione della velocità angolare ottenendo la relazione cinematica:
Per quanto concerne l’accelerazione del centro del disco, essa si può
esprimere nelle sue due componenti normali e tangenti secondo le
espressioni:
280
che mostra come la coppia motrice M m risulta funzione della azione normale
N.
Questa può essere calcolata ricavando l’equilibrio dinamico alla traslazione
in direzione radiale, da cui:
Verifica di aderenza
Perché sia verificata la condizione di rotolamento senza strisciamento deve
essere verificata la relazione seguente:
281
Risoluzione
La scrittura del bilancio di potenze permette di analizzare il moto del sistema
sia in moto vario, cioè nel transitorio di avvio, che, tenendo conto delle
opportune semplificazioni, a regime:
282
inclinato:
Per il calcolo dei tiri nei due tratti di fune si considera dapprima la sola
massa m e attraverso l’equilibrio dinamico alla traslazione in direzione
verticale si ha:
283
7.3 Del sistema articolato nella Figura 7.51, posto in un piano verticale, sono
note: la lunghezza della manovella AB = 1 m, la lunghezza OG = 1 m e la
lunghezza del telaio AO = 0.8 m; sono inoltre note la posizione angolare α =
0, la velocità angolare costante
Sapendo che la massa del glifo è m = 0.5 kg e che il suo momento d’inerzia
è J = 0.2 kgm 2, si calcoli la coppia motrice M m necessaria al mantenimento
delle condizioni di moto indicate considerando la presenza di attrito
dinamico, con coefficiente f d = 0.3 tra il glifo e il corsoio.
Risoluzione
Al fine di calcolare la coppia motrice necessaria al moto del sistema si
utilizza il bilancio di potenze, questo significa che devono essere
preventivamente calcolate le velocità dei punti di applicazione delle forze
esterne e le accelerazioni che permettono di definire la derivata dell’energia
cinetica rispetto al tempo; vanno quindi calcolate: la velocità del baricentro
del glifo e l’accelerazione dello stesso punto.
Per definire la cinematica del sistema è necessario scrivere l’equazione di
chiusura del sistema:
284
da cui si ricava che le incongnite b e β sono rispettivamente pari a 1.29 m e
0.67 rad.
da cui e
285
In questo modo sono state calcolate tutte le quantità cinematiche di interesse
e si può scrivere il bilancio di potenze:
286
attrito.
Il centro di istantanea rotazione del moto relativo tra il corpo (1) e il corpo
(2) risulta essere l’intersezione tra la retta che congiunge le cerniere a terra
con la retta normale ai due corpi nel punto di contatto (vedi Esercizio 2.5).
Pertanto la velocità angolare Ω 2 è calcolabile come:
e la velocità relativa tra i due corpi nel punto di contatto risulta essere pari a:
avendo definito con Ω 21 la velocità angolare relativa tra i due corpi (vedi
Figura 7.55):
Figura7.55
287
possibile calcolare la forza di attrito agente sul corpo (1):
Sostituendo l’espressione di T 1:
si ottiene:
da cui:
288
ipotizzato in moto con velocità Ω e accelerazione angolare imposta
all’asta AB, tali da realizzare una velocità e una accelerazione del corsoio
dirette nel verso di Figura 7.58 con valori:
Figura7.57
Figura7.58
289
Risoluzione
L’osservatore a bordo del corsoio in C vede una velocità di strisciamento
V 21 = − V C da cui segue che la forza di attrito applicata al corsoio sarà
espressa dal modello di attrito dinamico come:
290
da cui si ottiene un valore di N c < 0, ovvero:
Figura7.59
291
da cui si ottiene:
292
CAPITOLO 8 Dinamica della macchina
a un grado di libertà
293
un grado di libertà è conveniente utilizzare l’equazione di bilancio delle
potenze (Paragrafo 6.3). Nel caso dello studio della macchina, per questa
equazione può essere utilizzata la forma:
(8.1)
8.2 Il motore
All’interno del motore avviene la trasformazione di potenza di diversa natura
in potenza meccanica necessaria al funzionamento della macchina. Questa
trasformazione si può ottenere in modi diversi, per esempio in un motore a
294
combustione interna la potenza meccanica viene prodotta a partire
dall’energia liberata durante un fenomeno di combustione, mentre nel caso di
un motore elettrico viene ottenuta attraverso conversione di potenza elettrica.
Indipendentemente dal procedimento utilizzato per produrre potenza
meccanica, essa si manifesterà in genere sotto forma di una o più forze
(talvolta in numero molto grande) applicate in diversi punti del motore
soggetti a movimento. Per esempio in un motore a combustione interna
pluricilindrico, si avrà una forza agente su ciascun pistone del motore,
rappresentante la risultante delle pressioni della miscela aria combustibili
agenti sul pistone, mentre nel caso del motore elettrico (per esempio in
corrente continua) si avrà una forza agente su ciascun lato di ogni spira degli
avvolgimenti presenti sul rotore del motore. La potenza complessivamente
prodotta dal motore sarà quindi la somma di tutte le potenze parziali
associate a ciascuna forza presa singolarmente.
Si osservi, a questo proposito, che non è detto che in ogni istante tutte le
forze agenti sul motore siano effettivamente tali da generare una potenza
meccanica positiva, utile cioè a vincere le resistenze presenti nella macchina
o a incrementarne l’energia cinetica, in base all’Equazione (8.1). Per
esempio, in un motore a combustione interna quadricilindrico a quattro
tempi, una sola delle quattro forze agenti sul pistone (quella relativa al
cilindro in cui si svolge la fase di espansione) lavora positivamente per lo
spostamento del pistone, mentre negli altri tre cilindri le forze si oppongono
allo spostamento dei pistoni per effetto delle resistenze e perdite meccaniche
associate alle fasi di aspirazione, compressione e scarico.
In molti casi, anziché rappresentare in modo dettagliato le diverse forze
agenti nella macchina e scrivere per ciascuna di esse il corrispondente
termine di potenza meccanica, risulta più comodo, agli effetti dello studio del
funzionamento della macchina, considerare l’azione complessiva di tutte le
forze presenti nel motore come equivalente a quella di una singola coppia,
detta coppia motrice ridotta , agente sull’albero che stabilisce il
collegamento tra il motore e la trasmissione ( albero motore). Questo
procedimento si definisce riduzione all’albero motore di tutte le forze
agenti. Poiché lo scopo finale di questa operazione è applicare il bilancio di
potenze, questa operazione di riduzione dovrà mantenere invariata la potenza
motrice complessiva W m, ossia dovrà realizzare la relazione:
295
(8.2)
in cui ω m rappresenta la velocità angolare dell’albero motore.
Con procedimento simile, tutte le inerzie dei corpi presenti nel motore (che
contribuiscono a formare l’energia cinetica del motore ) possono essere
ridotte a un unico volano rotante insieme all’albero motore, di momento di
inerzia detto momento di inerzia ridotto del motore:
(8.3)
296
trattato nel Paragrafo 8.11. Possiamo però osservare che lo studio effettuato
considerando coppia e momento di inerzia indipendenti dalla rotazione
dell’albero, può spesso costituire una valida approssimazione del caso più
generale, se si utilizzano per la coppia e il momento di inerzia i
valori medi sul periodo angolare della macchina, come visto in precedenza
nel caso di un motore monocilindrico. Per esempio, il motore a combustione
interna rappresenta un sistema in cui coppia e momento di inerzia dipendono
dalla rotazione dell’albero motore, ma le fluttuazioni periodiche di queste
quantità avvengono in tempi brevissimi: per un motore monocilindrico
quattro tempi, in un tempo pari al doppio del periodo di rotazione
dell’albero, che per un regime di rotazione di 5000 g/min risulta pari a:
(8.4)
Per introdurre i legami tra le variabili utilizzate per esprimere l’energia cinetica, e la
rotazione dell’albero motore, variabile scelta come grado di libertà, è possibile
297
utilizzare i risultati ottenuti dall’analisi cinematica del manovellismo (Paragrafo 3.3).
In particolare, i legami cinematici espressi in termini di jacobiano sono,
rispettivamente per la velocità angolare della biella e la velocità di traslazione del
pistone pari a:
(8.5)
Per quanto riguarda invece le componenti della velocità del baricentro G della biella,
distante b G dall’estremo A, occorre impostare un’equazione di chiusura (Figura 8.1)
che descriva la posizione del baricentro G della biella, sfruttando i moti della
manovella e della biella, noti dall’analisi del manovellismo già svolta nel Paragrafo
3.3:
(8.6)
(8.7)
(8.8)
Note le equazioni degli jacobiani, la (8.4) può essere riscritta in funzione della
velocità di rotazione α.:
(8.9)
Tenuto conto che l’angolo β che descrive la rotazione della biella è funzione
dell’angolo α di rotazione della manovella, l’espressione entro parentesi quadre è
funzione solo di quest’ultimo, e può essere interpretato come il momento di inerzia
relativo a tutte le masse in moto, ridotto all’albero di manovella:
(8.10)
298
Ai fini della schematizzazione della macchina, nella maggior parte dei casi è -
sufficiente considerare il valore medio di tale momento, espresso come:
(8.11)
299
Un caso di interesse riguarda il motore a corrente continua a magneti
permamenti, in cui il flusso magnetico statorico è generato tramite magneti
permanenti, mentre il circuito di armatura (corrispondente al circuito
rotorico) è alimentato da una tensione V, che costituisce il parametro di
comando del motore. La Figura 8.4 mostra lo schema del circuito elettrico di
riferimento, costituito da una resistenza R, una tensione e corrispondente
alla cosiddetta tensione controelettromotrice dovuta al moto delle spire del
circuito rotorico percorse da corrente, in movimento nel campo magnetico
statorico. Le equazioni che reggono il funzionamento del motore sono le
seguenti:
(8.13)
La prima del sistema della (8.13) rappresenta l’equazione della maglia che
schematizza il circuito elettrico di armatura, la seconda fornisce la tensione
300
indotta sulle spire del circuito di armatura, avente resistenza R (e di cui si
trascura l’induttanza L), per effetto del movimento dei suoi conduttori
percorsi da corrente nel campo magnetico induttore (statorico), la terza
equazione infine rappresenta la coppia generata sul rotore, come
proporzionale alla corrente circolante nel circuito di armatura. Le costanti
K m e K e dipendono dalle caratteristiche del flusso magnetico statorico e dal
numero delle spire, dalla loro lunghezza e distanza dall’asse di rotazione. Ci
si propone ora di ricavare l’equazione caratteristica meccanica del motore,
riportandosi a un’espressione che leghi la coppia motrice erogata C m con la
velocità di rotazione ω m.
(8.14)
da cui si ricava:
(8.15)
301
Si vuole ora far osservare come le due costanti che legano tra loro le
grandezze elettriche e quelle meccaniche ( K m e K e) abbiano in realtà lo
stesso valore. Considerando infatti la potenza meccanica trasferita all’albero,
ed eguagliandola alla potenza elettrica corrispondente alla tensione indotta
per la corrente circolante nel circuito di armatura si ha:
(8.16)
ovvero, considerando la seconda e la terza della (8.13):
(8.17)
302
in cui f a è la frequenza della tensione di alimentazione e p è il numero di
coppie di poli dello statore. Sul rotore si genera quindi una forza
elettromotrice che dipende dalla velocità angolare del rotore e che si annulla
quando questo ruota alla velocità di sincronismo, ossia in maniera sincrona
rispetto al campo magnetico generato dallo statore.
La caratteristica meccanica del motore asincrono è mostrata nella Figura 8.6.
Come si può osservare, tale caratteristica assume un andamento pressoché
lineare per velocità prossima a quella di sincronismo. Per evitare un
funzionamento non corretto del motore (eccessive dissipazioni di energia con
conseguente surriscaldamento) è necessario che il motore lavori a regime in
prossimità della velocità di sincronismo, e che la sua velocità angolare non
subisca eccessive oscillazioni attorno al valore di regime.
Si può inoltre osservare che per velocità angolari superiori alla velocità di
sincronismo la coppia motrice diviene negativa, ossia risulta opposta alla
velocità angolare dell’albero motore. In queste condizioni il motore
asincrono trifase si comporta come un organo frenante, sottraendo potenza
alla macchina.
Le inerzie del motore asincrono trifase si riducono a un momento di inerzia
costante J m, che rappresenta il momento di inerzia del rotore rispetto al
proprio asse di rotazione.
303
In un azionamento a inverter, il sistema trifase di correnti che alimenta lo
statore del motore asincrono trifase possiede caratteristiche regolabili di
intensità e di frequenza [8]. Infatti, tale sistema di correnti non viene
direttamente prelevato dalla rete, ma viene generato attraverso l’intervento di
opportuni dispositivi detti inverter che, attraverso la periodica apertura e
chiusura di valvole comandate, riescono a generare un sistema di tensioni
che approssima un sistema trifase alternato.
Questo tipo di azionamento è, poi, interfacciato con un sistema di controllo
che consente di realizzare le condizioni di frequenza e intensità del sistema
di correnti in alimentazione che consentono al motore di erogare la coppia
desiderata (modalità di controllo in coppia), oppure la velocità angolare
desiderata (modalità di controllo in velocità). Per l’azionamento controllato,
non è pertanto possibile definire una singola curva di caratteristica
meccanica, ma si ha invece un’intera regione del piano coppia-velocità
angolare che rappresenta le condizioni ammissibili di funzionamento:
l’azionamento può lavorare con qualsiasi combinazione di valori di velocità
angolare e di coppia, purché il punto che individua questa condizione nel
piano ω m− C m sia contenuto in tale regione.
Per l’azionamento considerato, la regione delle condizioni di funzionamento
ammissibili è delimitata superiormente dalla curva di Figura 8.7, che è
costituita da un primo tratto a coppia costante e pari al valore M max (limite
normalmente imposto dalla corrente circolante negli avvolgimenti),
corrispondente ai valori di velocità angolare inferiori a , e da un tratto in
cui la coppia motrice risulta inversamente proporzionale alla velocità
angolare del motore (questa curva limita la massima potenza erogata).
304
8.3 L’utilizzatore
In modo analogo a quanto fatto per il motore, è possibile definire una coppia
resistente ridotta che rappresenta complessivamente l’effetto di tutte le
forze e coppie applicate sull’utilizzatore della macchina, e un momento di
inerzia ridotto che rappresenta complessivamente tutte le inerzie poste sul
lato utilizzatore della macchina. Come per il lato motore della macchina,
anche la riduzione delle forze agenti sull’utilizzatore al corrispondente albero
si basa su un’equivalenza energetica, ossia deve mantenere invariata la
potenza resistente complessiva W r. Pertanto, in analogia con la (8.2) è
possibile scrivere:
(8.18)
305
Nella rappresentazione grafica della caratteristica meccanica
dell’utilizzatore, nel caso in cui la coppia resistente sia senza possibile
ambiguità diretta in senso opposto a quello di rotazione dell’albero
utilizzatore, si usa rappresentare il valore assoluto della coppia resistente in
funzione della velocità angolare dell’utilizzatore. Ciò consente in particolare
di rappresentare con semplicità per via grafica la ricerca delle condizioni di
regime della macchina. Nel seguito di questo paragrafo si utilizzerà questo
tipo di convenzione.
306
con k costante. Questo tipo di caratteristica, rappresentata nella Figura 8.8b,
corrisponde a un utilizzatore che deve vincere resistenze di tipo
fluidodinamico che, come abbiamo visto nel Paragrafo 7.5, dipendono dal
quadrato della velocità relativa con cui il fluido incide sul corpo. Come
esempio applicativo, si può pensare a una pompa di ricircolo che debba
esclusivamente vincere le perdite di carico presenti nel circuito idraulico,
senza fornire al fluido una prevalenza, oppure a un agitatore per un reattore
chimico.
8.4 La trasmissione
La trasmissione di una macchina può essere realizzata per mezzo di
dispositivi quali ingranaggi, alberi, organi flessibili (cinghie trapezoidali o
dentate) catene o altri ancora. Una sintetica rassegna delle tipologie di organi
di macchine utilizzabili per la realizzazione della trasmissione del moto è
fornita nel Capitolo 10, in questa sede ci si limiterà a esaminare gli effetti
della trasmissione sul funzionamento della macchina, prescindendo dalla
particolare tipologia di trasmissione utilizzata. Sotto questo profilo, la
trasmissione deve essere studiata in quanto organo che influenza sia la
cinematica sia la dinamica della macchina.
Dal punto di vista cinematico, la trasmissione stabilisce una relazione tra le
307
velocità angolari dell’albero motore e dell’albero utilizzatore. Questa
relazione è espressa dal rapporto di trasmissione τ, definito come rapporto
tra la velocità angolare dell’utilizzatore a numeratore e la velocità angolare
del motore a denominatore:
(8.19)
che può essere espressa anche nelle seguenti due forme:
(8.20)
308
Con riferimento alle definizioni di moto diretto e retrogrado fornite sopra, si
può osservare che, in relazione alle funzioni generalmente attribuite al
motore (produzione di potenza meccanica) e all’utilizzatore (utilizzo della
potenza per lo svolgimento di un “compito utile”), si potrebbe ritenere che la
macchina
309
moto diretto
Se la macchina funziona in condizioni di moto diretto, come mostrato dalla
Figura 8.9a, si ha un flusso di potenza W 1 entrante nella trasmissione dal
lato motore. Di questa potenza entrante, una porzione W p viene dissipata per
effetto degli attriti presenti nella trasmissione, mentre la restante potenza W 2
esce verso il lato utilizzatore della macchina. Poiché si ipotizzano
trascurabili le inerzie della trasmissione (e quindi la sua energia cinetica),
applicando il bilancio di potenze alla sola trasmissione si ottiene la relazione:
(8.21)
in cui si attribuisce segno positivo al termine di potenza entrante nella
trasmissione W 1 e segno negativo ai termini di potenza uscente W 2 e W p.
Si definisce rendimento in moto diretto η d della trasmissione il rapporto
(cambiato di segno) tra la potenza uscente W 2 lato utilizzatore e la potenza
entrante W 1 lato motore:
(8.22)
(8.23)
(8.24)
310
Se nell’istante considerato la macchina funziona in condizioni di moto
retrogrado, la situazione dei flussi di potenze attraverso la trasmissione è
quella riportata nella Figura 8.9b, in cui si ha una potenza W 2 entrante
dall’utilizzatore e una potenza W 1 uscente dalla trasmissione verso il lato
motore, oltre al termine W p di potenza perduta. Scrivendo il bilancio delle
potenze per la trasmissione, e considerando ancora positive le potenze
entranti, si ha ancora:
(8.25)
Definiamo in questo caso rendimento in moto retrogrado della
trasmissione il rapporto tra la potenza uscente lato motore W 1 e la potenza
entrante lato utilizzatore W 2:
(8.26)
In questo caso, con considerazioni analoghe a quelle fatte per il caso del
moto diretto, l’espressione della potenza perduta nella trasmissione W p
diviene:
(8.27)
oppure:
(8.28)
311
ottenere lo stesso risultato scrivendo un bilancio parziale del solo
utilizzatore.
Per chiarire il procedimento esposto sopra, facciamo riferimento allo schema
base della macchina riportato nella Figura 8.10, in cui tutte le forze agenti sul
lato motore sono state ridotte al momento , le forze agenti sul lato
utilizzatore sono rappresentate dal momento e le inerzie della macchina
sono state ridotte ai due momenti di inerzia e .
Se si considera, come mostrato nella parte centrale della figura, il solo lato
motore (circondato da una “frontiera” rappresentata dal rettangolo
tratteggiato), è possibile evidenziare la potenza W 1 scambiata da questo con
la trasmissione; nella figura, tale potenza è assunta per convenzione uscente
dal lato motore. Applicando l’Equazione di bilancio di potenze (8.1) a questa
sola parte del sistema si ottiene:
(8.29)
Il segno della potenza W 1 così calcolata consente di distinguere il caso di
moto diretto ( W 1 > 0) da quello di moto retrogrado (W 1 < 0).
Volendo invece determinare la condizione di moto della macchina attraverso
un bilancio di potenze parziale dell’utilizzatore, si deve fare riferimento allo
schema riportato nella parte inferiore di Figura 8.10, ottenendo
312
l’equazione:
da cui:
(8.30)
in questo caso si avrà moto diretto per W 2 < 0 e moto retrogrado per W 2 > 0.
Come dimostrato dalle Equazioni (8.29) e (8.30), il segno delle potenze W 1
e W 2 non dipende solo dal valore dei momenti ridotti lato motore e
utilizzatore e , ma anche dall’accelerazione istantanea della
macchina. Di conseguenza, è opportuno discutere brevemente i seguenti due
casi che si possono presentare nello studio della macchina.
313
stabilito dal rapporto di trasmissione (8.19), sono note le accelerazioni di
entrambi gli alberi della macchina. Basta quindi valutare la più comoda tra le
due Equazioni (8.29) e (8.30) per determinare la condizione di moto.
314
Figura 8.11 Trasmissioni in serie.
Nel solo caso in cui sull’albero intermedio che collega i due stadi di
trasmissione non sia applicata alcuna forza in grado di generare o dissipare
potenza, e inoltre se il momento di inerzia dell’albero intermedio può essere
ritenuto trascurabile, si può porre:
relazione che può essere interpretata affermando che (nelle ipotesi sopra
riportate) il rendimento di due trasmissioni in serie è dato dal prodotto dei
due rendimenti parziali.
315
8.5 Condizioni di funzionamento della macchina
Le condizioni di funzionamento di una macchina del tipo rappresentato nella
Figura 8.10, possono essere riassunte in tre categorie dette:
• regime assoluto (spesso indicato semplicemente come “regime”): si
tratta di una condizione di funzionamento in cui l’energia cinetica
della macchina si mantiene costante nel tempo;
• moto vario (spesso indicato come “transitorio”): è una condizione di
moto in cui l’energia cinetica della macchina subisce una variazione
nel tempo; esempi tipici di moto vario sono la fase di avviamento,
durante la quale la macchina si porta dalla condizione di quiete a una
condizione di moto a regime, e di arresto, durante la quale avviene la
transizione opposta dal regime alla quiete;
• regime periodico: è una condizione di moto in cui l’energia cinetica
della macchina, pur variando nel tempo, assume un andamento
periodico, ossia ritorna ad assumere lo stesso valore a intervalli
regolari di tempo (in genere corrispondenti a un multiplo o
sottomultiplo intero del periodo di rotazione della macchina).
Affinché una macchina possa funzionare in condizioni di regime assoluto è
necessario che si verifichino le seguenti due condizioni:
• il momento motore ridotto e il momento resistente ridotto non devono
dipendere dalla posizione angolare dei relativi alberi, ma unicamente
dalle velocità angolari di questi;
• i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore devono
essere costanti.
Lo studio del moto (sia in condizioni di regime, sia in transitorio) di una
macchina che realizzi queste condizioni sarà oggetto del Paragrafo 8.6,
mentre nei Paragrafi 8.8, 8.9 e 8.10 forniremo alcuni esempi applicativi di
particolare interesse tecnico.
Nel Paragrafo 8.11 si descriverà invece il funzionamento di una macchina
per la quale le condizioni citate non si verificano. Si mostrerà che per una
macchina di questo tipo non è possibile il funzionamento in regime assoluto,
ma possono sussistere invece condizioni di funzionamento di regime
periodico. Per questo motivo, una macchina di questo tipo sarà detta
macchina a regime periodico.
316
8.6 Dinamica della macchina a regime e in moto vario
Al fine di scrivere l’equazione di moto della macchina a un grado di libertà,
si applica l’Equazione di bilancio delle potenze (8.1) utilizzando le
espressioni della potenza motrice, resistente, perduta e dell’energia cinetica
ricavate in precedenza, e che vengono richiamate qui per comodità:
(8.31)
(8.32)
317
desiderata.
L’Equazione (8.32) evidenzia l’influenza della trasmissione sulla dinamica
del sistema: considerando il caso più frequente di τ < 1 (riduttore), si osserva
che in tale equazione il termine a numeratore corrispondente al momento
resistente viene ridotto dal rapporto di trasmissione: ne segue che l’uso di un
riduttore con rapporto di trasmissione sufficientemente inferiore all’unità,
consente di vincere momenti resistenti elevati per mezzo di un motore che
sviluppa un momento motore relativamente piccolo. Per contro, la
dissipazione di potenza che ha luogo nella trasmissione va a ridurre
(attraverso il rendimento η d inferiore all’unità) il contributo del momento
motore a numeratore: ciò corrisponde al fatto che parte della potenza
prodotta dal motore non concorre a vincere le resistenze o ad accelerare la
macchina, bensì viene dissipata nella trasmissione.
Per quanto riguarda infine il denominatore della (8.32), si osserva che il
contributo associato all’inerzia dell’utilizzatore risulta ridotto in ragione del
quadrato del rapporto di trasmissione: ciò significa che, a fronte di un
rapporto di trasmissione molto inferiore all’unità, un’inerzia relativamente
piccola posta sul lato motore della macchina può risultare più importante, ai
fini del calcolo dell’accelerazione, di un’inerzia molto maggiore posta a valle
della trasmissione. Questo concetto trova applicazione in molti tipi di
macchina, tra cui l’impianto di sollevamento e l’autovettura che saranno
trattati nei prossimi paragrafi.
Nel caso in cui invece la macchina funzioni in condizioni di moto retrogrado,
mediante passaggi analoghi si ottiene l’equazione di moto della macchina nel
caso di moto retrogrado:
(8.33)
318
sia nel bilancio delle potenze, sia nelle Equazioni (8.29) e (8.30) che
consentono di determinare la condizione di moto diretto o retrogrado. Queste
ultime due equazioni, in particolare, si riducono rispettivamente a:
(8.34)
Si osservi che a regime, venendo a mancare il contributo dei termini
inerziali, la condizione di moto diretto o retrogrado può essere determinata a
priori in base al segno del momento ridotto del motore o dell’utilizzatore
(che devono essere necessariamente di segno opposto tranne nel caso di
trasmissione non reversibile).
L’equazione che descrive il funzionamento della macchina in moto diretto a
regime diviene:
(8.35)
(8.37)
319
Per comodità di notazione la (8.37) può essere riscritta come un’equazione
differenziale del primo ordine lineare a coefficienti costanti:
(8.38)
320
(8.39)
La forma della soluzione è tipica di un sistema dinamico del primo ordine
soggetto a un ingresso a gradino. È possibile definire la corrispondente
costante di tempo τ c , pari a:
321
particolarmente significativi relativi al funzionamento di diversi tipi di
macchina, utilizzando le equazioni ricavate nei paragrafi precedenti.
Il primo esempio trattato è quello di un impianto di sollevamento carichi
(Figura 8.13), azionato da un motore asincrono trifase collegato a una
puleggia attraverso una trasmissione formata da una coppia di ingranaggi del
tipo ruota elicoidale-vite senza fine 2. Sulla puleggia si avvolge una fune
metallica collegata
2
Si tratta di un tipo di rotismo atto a trasmettere il moto tra due assi fra loro
ortogonali. In genere questo tipo di trasmissione presenta un elevato rapporto
di riduzione (ossia un valore del rapporto di trasmissione τ molto inferiore a
1) e un rendimento modesto, attorno a 0.7 ÷ 0.8.
322
Sul lato utilizzatore, invece, agiscono le forze peso relative alla cabina
(comprensiva del carico trasportato) e al contrappeso. Come mostrato nella
Figura 8.14, la forza peso e la velocità sono discordi sulla cabina e concordi
sul contrappeso.
Di conseguenza, la potenza motrice e la potenza resistente assumono le
espressioni:
(8.40)
mentre l’energia cinetica del lato motore e del lato utilizzatore sono
rappresentate dalle espressioni:
323
che dall’accelerazione istantanea della macchina. Come descritto nel
Paragrafo 8.4, si dovrà quindi in generale ipotizzare una direzione per il
flusso di potenza (per esempio moto diretto), calcolare l’accelerazione della
macchina e infine verificare l’ipotesi fatta. Ipotizzando per esempio il
funzionamento in moto diretto, l’espressione della potenza perduta risulta:
Mentre nel caso di moto retrogrado (con passaggi analoghi a quelli riportati
per il caso di moto direttto) l’equazione di moto assume la forma:
324
Se si considera allora il caso di salita a regime a pieno carico ( m c + m u >
m q) il moto è sicuramente diretto e l’equazione di bilancio delle potenze
fornisce:
325
risulta invece discorde rispetto alla rotazione al di sopra del sincronismo.
Per quanto riguarda l’utilizzatore, si invertono le direzioni delle velocità
della cabina e del contrappeso, come mostrato nella parte destra della Figura
8.14. Di conseguenza, l’espressione della potenza motrice rimane immutata
rispetto al caso in salita, mentre quella della potenza resistente cambia segno.
Per quanto riguarda invece l’energia cinetica, l’espressione rimane uguale sia
per il lato motore sia per l’utilizzatore, perché la sua espressione non risente
del segno delle velocità.
Operando gli stessi passaggi descritti per il moto in salita, per la condizione
di moto diretto, si ottiene l’equazione:
326
Le forze esterne agenti sul veicolo, riportate nella figura, sono costituite dal
peso proprio Mg, dalla resistenza aerodinamica F aer e dalle azioni di
contatto sui due assi del veicolo. Per quanto riguarda queste ultime, si
indicano
327
Inoltre (considerando un veicolo a trazione posteriore), la velocità angolare
del motore è legata alla velocità angolare dell’asse posteriore dalla relazione
stabilita dalla trasmissione:
(8.41)
si ottiene:
328
L’energia cinetica del lato motore della vettura può essere scritta
semplicemente come:
(8.42)
329
8.9.3) a causa delle nonlinearità introdotte dalla dipendenza del momento
motore M m dalla velocità angolare ω m del motore (e quindi, per effetto dei
legami cinematici, dalla velocità del veicolo ) e del termine non lineare
associato alla resistenza aerodinamica.
(8.43)
330
(8.44)
La seconda equazione non può riguardare l’intero veicolo, per il quale sono
già state scritte tre equazioni di equilibrio dinamico; occorre quindi scrivere
un’equazione relativa a una sola parte del veicolo. La più semplice equazione
di equilibrio dinamico parziale riguarda l’equilibrio dinamico dell’asse
anteriore alla rotazione attorno al proprio centro. Facendo riferimento alla
Figura 8.17, che mostra le forze e coppie agenti sull’asse anteriore (in cui
con H A e V A si indicano le componenti orizzontali e verticali della reazione
scambiata dalla ruota con la scocca del veicolo), tale equazione assume la
forma:
(8.45)
(8.46)
Una volta ricavate le espressioni delle forze di contatto, le condizioni di
aderenza sui due assi assumono la forma:
331
in cui μ a rappresenta il coefficiente di aderenza tra le ruote e la strada. Ove
l’aderenza non risulti soddisfatta per uno dei due assi del veicolo (questo può
avvenire, in fase di accelerazione, per l’asse motore), occorre introdurre un
secondo grado di libertà, rappresentante la rotazione dell’asse che ha perso
aderenza, ed esprimere la forza longitudinale corrispondente in base alla
legge dell’attrito radente (7.12).
Ovviamente, se la perdita di aderenza avviene su tutti e due gli assi del
veicolo, occorrerà introdurre due gradi di libertà aggiuntivi, uno per ciascun
asse.
332
Infine, il grado di ammissione (Paragrafo 8.2.1) corrispondente alla
condizione di funzionamento a regime si ottiene, nota la velocità angolare di
regime del motore e la coppia erogata a regime , esplicitando la
(8.12) rispetto al grado di ammissione:
(8.47)
333
Esempio 8.2 La vettura Alfa Romeo GTV 2000
(1971)
La Tabella 8.1 riporta i valori numerici dei dati utilizzati nel calcolo. Tali dati sono
stati, ove possibile, reperiti in letteratura, e in caso contrario sono stati stimati in
Tabella 8.1 Dati numerici relativi al veicolo Alfa Romeo GTV 2000.
334
Raggio ruote [m] 0.25
Passo veicolo [m] 2.35
Distanza baricentro-asse anteriore [m] 1.15
Altezza del baricentro dal suolo [m] 0.55
Altezza del centro delle pressioni dal [m] 0.6
suolo
Sezione maestra del veicolo [m 2] 1.65
Coefficiente di resistenza [−] 0.38
aerodinamica C x
Coefficiente di attrito volvente [−] 0.013
Rapporti al cambio (5 marce) [−] 0.30 0.50 0.74 1.00
1.27
Rendimento del cambio (5 marce) [−] 0.90 0.94 0.94 0.97
0.97
Rapporto di trasmissione al ponte [−] 0.2193
base a dati disponibili per veicoli simili. Nelle simulazioni si è assunto un valore del
coefficiente di aderenza μ a pari a 1.12, corrispondente a strada asciutta. Si è assunta
una velocità iniziale del veicolo di 15 km/h, con cambio in prima marcia, e un
andamento nel tempo del fattore di ammissione del tipo mostrato nella Figura 8.18
con tempo t r pari a 2 secondi, e si è ipotizzato che il guidatore cambi marcia quando
il motore raggiunge il regime di rotazione di 6000 g/min. Per semplicità, si è
ipotizzato che il cambio di marcia corrisponda a una variazione istantanea del
rapporto di trasmissione, trascurando i transitori di disinnesto e successivo re-innesto
della frizione.
La Figura 8.20 riporta l’andamento in funzione del tempo della velocità e
dell’accelerazione del veicolo: la velocità raggiunta dal veicolo dopo 6 secondi è di
circa 26 m/s, pari a circa 93 km/h. L’accelerazione massima, pari a circa 6 m/s 2, viene
toccata dopo 2 secondi del transitorio.
La Figura 8.21 mostra invece la storia temporale delle forze normali e longitudinali su
una ruota dell’asse motore. Si osserva in particolare che nell’istante corrispondente
alla massima accelerazione del veicolo (2 secondi) la forza longitudinale T p
raggiunge il suo valore massimo, pari a circa 3300 [N]. Nello stesso istante, la forza
normale sulla ruota è pari a circa 3200 [N], per cui le ruote motrici si trovano in una
situazione molto prossima alla perdita di aderenza.
La Figura 8.22 mostra infine l’andamento nel tempo dei diversi termini che
intervengono nel bilancio di potenze del veicolo durante il transitorio.
Nella parte superiore della figura, il diagramma in linea continua rappresenta
335
l’andamento della potenza motrice, mentre quello in linea tratteggiata rappresenta (in
valore assoluto) il complesso dei termini di potenza resitente e perduta. Si osservi che
la differenza tra i due termini è elevata, e che quindi il veicolo ha a disposizione una
grande quantità di potenza per incrementare la propria energia cinetica, ossia per
accelerare. Nella metà inferiore della figura vengono invece riportati (in valore
assoluto) l’andamento della potenza resistente di rotolamento, della potenza delle
resistenze aerodinamiche e della potenza perduta nella trasmissione. Si osservi che
nella prima fase del transitorio del veicolo, in cui la velocità è bassa, prevale fra le tre
fonti di dissipazione quella relativa alla trasmissione.
336
Nella parte finale della simulazione, invece, la potenza perduta nella trasmissione
decresce, perché il rendimento del cambio in seconda marcia è più elevato di quello in
prima, e nel contempo la potenza delle resistenze aerodinamiche cresce per effetto
della maggior velocità del veicolo.
337
8.10 Dinamica longitudinale di un convoglio ferroviario
In questo paragrafo si introduce un semplice modello, a 1 grado di libertà,
che può essere utilizzato per lo studio della dinamica longitudinale di un
treno. In tale modello si ipotizza che tutte le ruote del convoglio rotolino
senza strisciare sulle rotaie, e si trascurano tutti gli effetti di deformabilità
associati, per esempio, agli organi della trasmissione, ovvero alle barre di
trazione che trasmettono la forza motrice dalla locomotiva alle carrozze
rimorchiate.
Si considera poi che l’unità di trazione del veicolo sia costituita da un
numero n mot di motori asincroni trifase azionati mediante inverter del tipo
descritto nel Paragrafo 8.2.4 3, supponendo che si richieda costantemente
all’azionamento di erogare la massima coppia possibile in relazione alla
velocità angolare raggiunta dal motore: in questa ipotesi si ottiene
nuovamente un singolo valore di coppia associato a ciascuna velocità
angolare, e la curva di Figura 8.7 può essere interpretata come la
caratteristica meccanica dell’azionamento.
338
3
Questo tipo di azionamento è quello che trova attualmente maggiore
diffusione in campo ferroviario, anche se non mancano esempi di
applicazione di altre tipologie di azionamento elettrico e in casi particolari si
hanno convogli con trazione diesel o mista diesel-elettrica.
Il primo termine, dovuto alla non perfetta elasticità delle ruote e delle rotaie,
viene scritto tenendo conto del fatto che la forza normale agente al contatto
tra ruota e rotaia risulta avanzata rispetto alla verticale passante per il centro
della ruota. L’espressione di questo termine è la seguente:
(8.48)
339
in cui m tot è la massa totale del convoglio, pari alla somma delle masse di
tutti i veicoli che lo compongono. Utilizzando tali relazioni e ipotizzando un
uguale valore del coefficiente di attrito volvente e del raggio per tutte le
ruote del convoglio si ottiene:
340
in cui è il momento di inerzia rispetto al proprio asse di simmetria polare
della singola sala dell’ i-esimo veicolo. Ricordando l’ipotesi di rotolamento
senza strisciamento (8.48) si ottiene:
con:
(8.49)
da cui:
341
(8.50)
(8.51)
dove:
342
Esempio 8.3 Applicazione numerica a un convoglio
ETR500
Ogni motrice è equipaggiata con 4 motori in corrente continua, ciascuno con potenza
di 1100 kW. I dati del convoglio rilevanti per la simulazione della dinamica
longitudinale sono riassunti nella Tabella 8.2. Sostituendo tali valori numerici nelle
espressioni riportate in precedenza, è possibile innanzitutto ottenere la condizione di
regime, risolvendo per mezzo di opportuni metodi numerici l’Equazione (8.51).
Tabella 8.2 Dati del convoglio ETR500.
343
Coeff. di resistenza aerodinamica Cr [−] 1.05
Si osservi che la condizione di regime calcolata non tiene conto di una serie di effetti
(qualità della captazione, problemi di stabilità, sicurezza di marcia, comfort) che
possono limitare la velocità massima del veicolo a valori inferiori a quello calcolato.
Il risultato ottenuto è quindi da ritenersi (nei limiti dati dalle approssimazioni sui
valori numerici dei parametri utilizzati nel calcolo) un limite massimo teorico di
velocità del convoglio, e non necessariamente una condizione di marcia
effettivamente raggiunta nell’esercizio.
La Figura 8.24 rappresenta graficamente la soluzione dell’Equazione (8.51): la linea
344
La Figura 8.25 riporta la storia temporale della velocità e accelerazione del convoglio
durante l’avviamento. Si osservi che la massima accelerazione si ottiene nell’istante
iniziale del moto, in cui è massima la coppia motrice e, contemporaneamente, sono
minime le resistenze poiché non si ha resistenza aerodinamica.
345
Il valore massimo dell’accelerazione risulta pari a circa 0.45 [m/s 2]. Il convoglio
raggiunge una condizione prossima a quella di marcia a velocità massima in un tempo
di 500 secondi.
La Figura 8.26 mostra l’andamento dei vari termini del bilancio di potenze durante
l’avviamento del convoglio. Il massimo della potenza motrice è pari alla potenza
totale installata sul convoglio, ossia 8 × 1100 [kW]. Nella fase iniziale
dell’avviamento, la potenza erogata dai motori viene utilizzata prevalentemente per
incrementare l’energia cinetica del sistema, ossia per accelerare il convoglio.
All’aumentare della velocità, una porzione sempre maggiore della potenza motrice
viene assorbita dalle resistenze, e in particolare da quelle di natura aerodinamica.
346
8.11 La macchina in regime periodico
Si consideri ancora una volta lo schema base della macchina mostrato nella
Figura 8.10. Nei paragrafi precedenti lo studio di questo sistema è stato
condotto nell’ipotesi che il momento motore ridotto e il momento
resistente ridotto dipendano solo dalle velocità angolari dei rispettivi
alberi e non dalla posizione angolare di questi. Inoltre, si è supposto finora
che i momenti di inerzia ridotti del lato motore e dell’utilizzatore e
fossero costanti. Esistono però macchine nelle quali una o più di queste
quantità dipende dalla configurazione istantanea della macchina, ossia dalla
posizione angolare degli alberi motore e utilizzatore. In generale, la
dipendenza dei momenti ridotti e dei momenti di inerzia ridotti dalla
configurazione istantanea della macchina è causata dalla presenza di un
legame cinematico non lineare tra la posizione dell’albero motore (o
utilizzatore) e lo spostamento fisico di un punto in cui è applicata una
forzante oppure è posta una inerzia non trascurabile. Questo caso più
generale di macchina sarà studiato a livello introduttivo in questo paragrafo.
A questo scopo si consideri l’espressione generale delle potenza motrice,
resistente, e dell’energia cinetica della macchina:
347
in cui Ø m e Ø r rappresentano le posizioni angolari degli alberi motore e
utilizzatore della macchina. Per semplicità di trattazione, ci si limiterà al caso
in cui il motore e l’utilizzatore della macchina siano posti sullo stesso albero,
senza l’interposizione di una trasmissione. Dal punto di vista del bilancio di
potenze, questo significa che viene a mancare il termine relativo alla potenza
perduta W p, mentre per quanto riguarda i legami cinematici, è possibile
scrivere:
e quindi:
(8.52)
348
L’Equazione di moto (8.52) ha una forma del tipo:
si ottiene l’equazione:
349
che non può essere soddisfatta identicamente per qualsiasi valore del tempo,
perché i due momenti agenti sull’albero motore dipendono secondo
espressioni diverse dalla posizione angolare dell’albero. In altre parole, la
macchina studiata in questo paragrafo sarà destinata a muoversi presentando
continue variazioni della velocità angolare dell’albero.
È però possibile che l’accelerazione angolare dell’albero motore, pur non
rimanendo costantemente nulla, varii periodicamente nel tempo con periodo
T, il che significa che nel proprio moto la macchina subirà una periodica
alternanza di fasi di accelerazione e di decelerazione, tali però da
compensarsi a vicenda, in modo che la velocità media della macchina non
cambi.
La condizione di funzionamento in regime periodico può essere ottenuta
imponendo nell’equazione di bilancio delle potenze che l’energia cinetica
della macchina abbia andamento periodico nel tempo:
(8.53)
e poiché:
(8.54)
in cui gli estremi di integrazione sono ottenuti ponendo:
350
ripete periodicamente il valore di tutti i momenti ridotti all’albero stesso.
L’Equazione (8.54) indica che per ottenere una condizione di moto periodico
è necessario che si annulli l’integrale esteso al periodo angolare Π della
somma dei momenti motore e resistente ridotti all’albero motore.
(8.55)
351
Sia data una macchina del tipo mostrato nella Figura 8.27, costituita da un solo albero
su cui si applica un momento motore M m costante e un momento resistente variabile
in funzione della rotazione Ø dell’albero che, come mostrato nella figura stessa, si
mantiene pari a zero per i primi tre quarti del giro dell’albero e poi si mantiene
costante e pari a -4 M 0 fino alla fine del giro.
Si calcoli innanzitutto il valore del momento motore costante che permette il
funzionamento della macchina in regime periodico. A questo scopo è possibile
utilizzare l’Equazione 8.54. In questo caso il periodo Π di funzionamento della
macchina è pari a 2 π, per cui si ottiene:
da cui:
Questo risultato mostra che il momento motore costante che mantiene in regime
periodico la macchina è pari al valore medio sul giro del momento resistente.
Per calcolare il valore dell’irregolarità periodica, è possibile ripartire dall’equazione
di bilancio di potenze, scritta nella forma:
352
Questa formula indica che la variazione dell’energia cinetica della macchina tra la
posizione iniziale Ø = 0 e una posizione generica, può essere ottenuta per
integrazione rispetto all’angolo Ø della funzione costituita dalla somma algebrica del
momento motore e del momento resistente. Tale funzione integrale può essere
ottenuta in modo molto semplice in questo esempio, perché la funzione integranda è
costituita da una serie di segmenti paralleli all’asse delle ascisse. La Figura 8.28
mostra la funzione integranda e il risultato dell’integrazione. Osservando questa
seconda funzione, è facile calcolare il valore della massima variazione di energia
cinetica della macchina, che nel caso considerato risulta:
Noto il valore medio della velocità angolare della macchina, si ottiene il valore
dell’irregolarità periodica:
353
ESERCIZI SVOLTI
Dinamica di una macchina
8.1 Il sistema nella Figura 8.29 è costituito da un motore che aziona un
utilizzatore tramite una trasmissione (rendimento η e rapporto di riduzione
τ). Il motore eroga un momento motore M m costante, l’utilizzatore esercita
una coppia resistente M r opposta al senso di rotazione del proprio albero il
cui modulo cresce linearmente con la velocità angolare ω u dell’albero
utilizzatore.
Risoluzione
354
Per calcolare l’accelerazione angolare allo spunto si scrive il bilancio di
potenze per l’intero sistema meccanico, cioè:
e quindi:
355
Questa equazione consente di rispondere alle prime due domande poste:
innanzitutto, può essere esplicitata rispetto all’incognita accelerazione
angolare del motore:
Si osservi che tale quantità risulta sicuramente positiva, perché nella fase di -
decelerazione velocità e accelerazione angolare del motore hanno segni
discordi.
Con passaggi analoghi a quelli svolti in precedenza, si perviene alla seguente
espressione dell’equazione di moto:
356
che esplicitata rispetto all’accelerazione angolare del lato motore fornisce:
Azionamento lineare
8.2 Il sistema nella Figura 8.30 è costituito da un motore che movimenta a
traslazione una massa per mezzo di una trasmissione che prevede in serie un
riduttore e un accoppiamento chiocciola-vite. La massa traslante M è
sottoposta a una forza resistente F. Si richiede di determinare:
1. la coppia motrice necessaria per far avanzare la massa a velocità
costante;
2. la coppia motrice necessaria per imprimere alla massa
un’accelerazione ;
3. nella condizione di moto descritta al punto 2, l’azione assiale nella
vite.
357
I dati del sistema sono: massa traslante M = 10 kg, momento di inerzia lato
motore J m = 0.05 kgm 2, modulo della forza resistente F = 1000 N, rapporto
di trasmissione del riduttore τ 1 = 1/5, rendimento del riduttore η 1 = 0.75,
passo della vite p = 0.01m, rendimento della coppia chiocciola-vite η v = 0.6.
Risoluzione
Per rispondere ai primi due punti dell’esercizio, occorre impostare il bilancio
di potenze della macchina, per esempio nella forma:
dove V indica il modulo della velocità della massa M, e il segno negativo nel
termine di potenza resistente è dovuto al fatto che la forza F e la velocità
della massa sono opposte.
Per determinare la potenza perduta nella trasmissione, si osservi che in tutte
e due le condizioni di moto considerate (moto a velocità costante e moto
uniformemente accelerato), la macchina funziona in condizioni di moto
diretto. Infatti, l’utilizzatore richiede potenza per vincere la forza resistente F
e, nel caso di moto accelerato, anche per incrementare la propria energia
cinetica. Di conseguenza, la potenza entrante nella trasmissione può essere
calcolata mediante un bilancio di potenze parziale del lato motore, indicando
con W e la potenza che viene trasferita dal motore alla trasmissione:
358
La potenza perduta può quindi essere scritta come:
Mentre la velocità angolare della vite può essere espressa in funzione della
velocità angolare del motore utilizzando il rapporto di trasmissione del
riduttore:
359
Per rispondere al punto 2, occorre innanzitutto calcolare l’accelerazione
angolare dell’albero motore corrispondente a un’accelerazione lineare
della massa di 0.5 m/s 2:
Figura8.31
360
Nel caso considerato, l’effetto della forza di inerzia sulla massa traslante
risulta piccolo rispetto a quello della forza esterna F applicata alla massa.
Risoluzione
Si imposta il bilancio di potenze nella forma:
361
L’energia cinetica della macchina è data dalla formula:
Nella terza fase del ciclo della macchina, l’accelerazione angolare della
piattaforma vale:
362
Il segno di questa quantità è dunque positivo e consente di affermare che
nella fase di decelerazione la potenza fluisce dall’utilizzatore verso il motore,
ossia che il moto è retrogrado. L’equazione della potenza perduta in questa
fase diviene dunque:
da cui:
363
per il momento motore si ottengono i seguenti risultati numerici:
Dati: massa del corpo m = 100 kg; momento di inerzia della puleggia J p =
1 kgm 2; rapporto di trasmissione del riduttore ; rendimento in moto
diretto della trasmissione η 1 = 1.0; rapporto di trasmissione della coppia
ruota elicoidale-vite senza fine ; rendimento in moto diretto della
coppia ruota elicoidale-vite senza fine η 2 = 0.8; raggio della puleggia R =
0.5 m; pendenza del piano ; coefficiente di attrito radente f r = 0.5.
Risoluzione
Si utilizza ancora una volta l’equazione di bilancio delle potenze:
364
dove la potenza motrice ha l’espressione consueta:
mentre la potenza resistente risulta pari alla somma di due termini, uno
dovuto alla componente della forza peso diretta parallelamente al piano
inclinato, l’altra dovuta all’effetto dell’attrito radente:
in cui si è tenuto conto del fatto che nella macchina sono presenti due stadi di
trasmissione in serie (riduttore e coppia ruota elicoidale-vite).
L’energia cinetica complessiva della macchina è somma dei contributi dovuti
al volano lato motore, alla puleggia e alla massa m traslante:
365
l’accelerazione angolare del motore, e si risolve rispetto al momento motore:
366
CAPITOLO 9 Dinamica della macchina
alternativa
367
Lo studio della macchina alternativa sarà qui presentato con riferimento al
caso di un motore alternativo monocilindrico. In primo luogo, verrà
introdotta una rappresentazione semplificata delle proprietà inerziali della
biella, che risulta utile per il successivo studio della dinamica della macchina
alternativa (Paragrafo 9.1). Successivamente, si ricaverà l’equazione di moto
del motore monocilindrico (Paragrafo 9.2) e si applicheranno a tale macchina
le nozioni relative al moto periodico introdotte nel capitolo precedente
(Paragrafo 8.11). A conclusione del capitolo, nel Paragrafo 9.4, si fornirà un
cenno al problema dell’equilibramento delle forze di inerzia in una macchina
alternativa.
368
essere riprodotta, senza introdurre approssimazioni, utilizzando tre masse
concentrate, indicate in figura con m 1, m 2 e m 3. Tali masse sono
considerate rigidamente collegate fra loro, in modo da formare un unico
corpo rigido, e sono poste rispettivamente in corrispondenza della testa della
biella, del piede della biella e del baricentro della biella. I valori delle tre
masse devono soddisfare il seguente sistema di tre equazioni:
(9.1)
369
massa totale della biella e la posizione del baricentro, mentre si introduce
un’approssimazione nel valore del momento di inerzia baricentrale. I valori
delle due masse (indicate ancora con m 1 e m 2) si ottengono dalla risoluzione
del sistema di due equazioni:
(9.2)
Una volta ridotta l’inerzia della biella alle due masse concentrate m 1 e m 2,
si può osservare che la massa m 1 è posta nel punto di collegamento della
biella con la manovella, il che significa che può essere pensata appartenente
alla manovella anziché alla biella: di conseguenza essa va ad aumentare la
massa della manovella e a modificare la posizione del baricentro di questo
corpo. Ai fini dell’equilibramento delle forze di inerzia, la condizione
ottimale per quanto riguarda la distribuzione di massa complessiva della
manovella consiste nell’avere il baricentro posto sull’asse di rotazione
dell’albero motore: in questo modo il baricentro della manovella avrà
accelerazione nulla e quindi il risultante delle forze di inerzia sarà nullo in
ogni istante. Per realizzare questa condizione si aggiunge quindi una massa
(detta contrappeso) posizionata dalla parte opposta della massa m 1 rispetto
al centro di rotazione della manovella, e di valore tale da far sì che il
baricentro complessivo del sistema di masse composto dalla manovella, dalla
massa m 1 posta nella testa della biella e dal contrappeso, abbia baricentro
posto sull’asse di rotazione dell’albero motore.
Per quanto riguarda invece la massa m 2, essa si muove insieme al corsoio, e
può quindi essere sommata alla massa del pistone: la somma di queste due
masse costituisce la cosiddetta massa equivalente traslante. Come si
dimostrerà nel seguito, questa massa influenza il moto della macchina (per
esempio in condizioni di regime periodico) e inoltre fa nascere forze di
inerzia che sono responsabili di vibrazioni e rumore. Nel Paragrafo 9.4 si
mostrerà come queste forze possano essere equilibrate, in tutto o in parte,
sfruttando le particolarità costruttive del tipo di motore considerato (motore
mono o pluri-cilindrico, possibilità di montare vibrodine di equilibramento
ecc.).
370
In questo paragrafo si vuole ricavare l’equazione di moto di una macchina
alternativa, considererando il caso di un motore monocilindrico a 4 tempi. Il
procedimento qui illustrato può essere facilmente adeguato al caso di una
diversa macchina alternativa (per esempio un motore a due tempi, oppure
una pompa volumetrica) ed esteso al caso di una macchina a più cilindri.
Consideriamo il motore alternativo rappresentato in Figura 9.2. Sul sistema
agiscono la forza F g, che rappresenta la risultante delle pressioni agenti sul
pistone, e il momento resistente M r, ipotizzato costante, che si esercita
sull’albero motore.
Per quanto riguarda le inerzie del sistema, una volta applicata la riduzione
dell’inerzia della biella al sistema di due masse concentrate come descritto
nel paragrafo precedente, resta da considerare la forza di inerzia sulla massa
equivalente traslante m s e la coppia di inerzia agente sull’albero motore,
dovuta al momento d’inerzia complessivo Jm di tutti gli organi rotanti
collegati sull’albero: manovella, massa m 1 proveniente dalla riduzione della
biella, contrappeso e volano calettato sull’albero motore.
Si osservi che sulla massa equivalente traslante non agisce una coppia di
inerzia, perché il moto di questo corpo è traslatorio, e che sull’albero motore
non agisce una forza di inerzia, perché è nulla l’accelerazione del baricentro
complessivo di questo sistema di masse.
Prima di scrivere l’equazione di moto di questa macchina, occorre descrivere
in che modo la forza F g agente sul pistone pu`o essere espressa in funzione
della posizione angolare della manovella: all’interno della camera di
dimensioni variabili formata dal cilindro e dal pistone, si ha un andamento
variabile della pressione p g, determinato dall’alternarsi delle quattro fasi di
funzionamento del motore: aspirazione, compressione, combustione,
espulsione dei gas esausti. Un andamento realistico della pressione in
funzione della posizione angolare della manovella α è rappresentato nella
Figura 9.3.
371
Figura 9.3 Andamento della pressione nel cilindro in funzione
della rotazione della manovella.
(9.3)
(9.4)
in cui W m è la potenza della forza motrice F g agente sul pistone, W r è la
potenza della coppia resistente M r, E c è l’energia cinetica complessiva
dell’albero motore e delle masse in moto alterno, e non si ha potenza perduta
W p perché non si considera la presenza di attriti nel sistema. Le espressioni
dei diversi termini nella (9.4) sono:
372
(9.5)
Come visto nello studio della cinematica dei sistemi articolati, la velocità del
piede di biella può essere espressa come prodotto della velocità angolare
della manovella per lo Jacobiano del legame cinematico tra la posizione
del piede di biella e la rotazione della manovella Λ c:
(9.6)
(9.7)
(9.8)
(9.9)
373
Pertanto, la derivata dell’energia cinetica rispetto al tempo assume la forma:
(9.10)
(9.11)
(9.12)
(9.14)
Nel caso in cui si utilizzi l’espressione semplificata del primo ordine dello
Jacobiano, l’equazione di moto prende la forma:
(9.15)
374
L’equazione di moto ottenuta per la macchina alternativa è del tipo (8.52),
già esaminata nel Paragrafo 8.11. In quella sede è già stato messo in luce che
tale forma dell’equazione di moto corrisponde alla presenza di legami
cinematici non lineari tra il moto delle diverse parti della macchina, in questo
caso tra la rotazione della manovella e la traslazione del corsoio. L’analogia
con l’Equazione (8.52) permette anche di affermare che per la macchina
alternativa non è possibile, a rigore, un funzionamento in condizioni di moto
a regime assoluto, ma eventualmente solo di regime periodico. La condizione
di regime periodico, definita nel capitolo precedente dall’Equazione (8.54),
nel caso del motore alternativo monocilindrico a quattro tempi diviene:
(9.16)
(9.17)
Tale valore corrisponde anche al momento motore medio sul periodo erogato
dalla macchina, ed è il dato che viene rappresentato in funzione della
velocità nel diagramma detto caratteristica meccanica del motore a
combustione interna (Paragrafo 8.2.1).
Infine, un problema tipico nella progettazione di una macchina alternativa
consiste nel contenimento della irregolarità periodica, definita nel Paragrafo
8.11. Infatti, valori eccessivamente elevati di questo parametro rendono
impossibile il corretto e regolare funzionamento del motore. La limitazione
dell’irregolarità periodica viene realizzata mediante l’utilizzo di un volano di
dimensioni opportune, seguendo i criteri già illustrati nel precedente
capitolo. Rispetto al semplice esempio mostrato in quella sede, il
dimensionamento del volano della macchina alternativa è reso più difficile
dal fatto che le masse in moto alterno introducono un termine di momento di
inerzia ridotto all’albero motore che è variabile con la configurazione della
macchina, ossia che dipende dalla posizione angolare della manovella,
utilizzata come coordinata libera del sistema. Nel seguito, si descrive un
procedimento approssimato, che può essere utilizzato per risolvere questo
problema.
375
9.3.1 Un metodo approssimato per il dimensionamento
del volano
Al fine di pervenire con relativa semplicità al dimensionamento del volano
della macchina alternativa in Figura 9.2, si consideri l’Equazione (9.13), e si
semplifichi tale equazione, ponendo al secondo membro:
(9.18)
(9.19)
376
della macchina, si ottiene:
(9.20)
(9.21)
(9.22)
da cui si può definire il valore minimo del momento di inerzia J m richiesto
per limitare l’irregolarità periodica della macchina a un valore massimo
prestabilito i max:
(9.23)
Il paragrafo successivo mostra un’applicazione numerica del procedimento
sopra descritto.
377
Figura 9.4 Il motore Moto Guzzi “Ippogrifo”.
Corsa 2 r [mm] 71
Alesaggio D [mm] 82
Lunghezza biella ℓ [mm] 120
Momento di inerzia motore J m [kgm 2] 0.25
Massa in moto alterno m s [kg] 0.9
La Figura 9.5 riporta nel primo grafico, partendo dall’alto, l’andamento della forza
F g agente sul piede di biella, rappresentata in funzione della rotazione della
manovella α. Tale forza è stata calcolata sulla base dell’andamento della pressione
nella camera di combustione, considerata come dato del problema. Nel grafico
centrale si riporta, sempre in funzione di α, l’andamento dello jacobiano Λ c (in linea
continua l’espressione esatta, in tratteggio l’approssimazione del I ordine), e infine nel
terzo grafico dall’alto si riporta l’andamento del momento motore ridotto all’albero
motore: come si vede, i risultati ottenuti considerando l’espressione esatta o
approssimata dello jacobiano, differiscono significativamente solo durante la fase di
combustione. Il valore del momento resistente M r che consente il funzionamento in
moto periodico della macchina, calcolato mediante la (9.17) è pari a:
La Figura 9.6 mostra invece il procedimento per il dimensionamento del volano. Nel
diagramma in alto si mostra l’andamento del momento motore ridotto , del
momento resistente ridotto e del momento ridotto delle forze di inerzia sul
corsoio , in funzione della posizione angolare della manovella.
Nel diagramma centrale si mostra il diagramma della somma dei tre momenti ridotti,
378
mentre nel grafico in basso si rappresenta la variazione dell’energia cinetica del
volano rispetto all’inizio del ciclo del motore, visualizzando la massima variazione
, che risulta in questo caso pari a 410 J. Utilizzando la (9.23) e ipotizzando
un valore massimo ammissibile di irregolarità periodica pari a:
379
si ottiene:
Da tale valore, sottraendo i valori noti del momento d’inerzia della manovella e della
quota parte della massa della biella considerata applicata alla manovella, si può
determinare il valore minimo del momento di inerzia che deve essere aggiunto
mediante un volano.
La Figura 9.7 mostra, infine, il risultato dell’integrazione numerica dell’equazione di
moto della macchina. In tale calcolo, si è considerato un valore complessivo del
momento d’inerzia delle masse rotanti pari a 0.25 kgm 2, leggermente superiore al
valore minimo sopra indicato.
L’Equazione di moto (9.14) è stata integrata numericamente utilizzando il metodo di
Runge-Kutta del IV ordine a passo costante [15], considerando l’espressione esatta
dello jacobiano Λ c. Dall’alto verso il basso vengono mostrati, in funzione del tempo:
nel primo grafico i momenti ridotti e ; nel secondo grafico
l’accelerazione angolare dell’albero motore; nel terzo grafico l’andamento nel tempo
della velocità angolare dell’albero motore. I risultati sono mostrati per un tempo di
0.12 secondi, corrispondente a due periodi del motore (ossia a una rotazione di quattro
giri) al regime di rotazione di 2000 giri/min considerato. Si osservi che
nell’andamento della velocità angolare (così come delle altre grandezze) è presente
una variazione periodica che dà luogo a un’oscillazione tra ω min = 204 rad/s e ω max
= 212 rad/s, corrispondente, in base all’Equazione (8.55), a un grado di irregolarità
pari a 0.038, di poco inferiore al valore massimo ammissibile considerato.
380
Figura 9.7 Risultati della simulazione numerica: a)
andamento temporale dei momenti motore, resistente e delle
forze quadratiche d’inerzia; b) andamento dell’accelerazione
angolare; c) andamento della velocità angolare.
381
del corsoio e della quota parte m 2 di massa della biella concentrata nel piede
di biella: questa forza è diretta sempre come l’asse di scorrimento del
corsoio, e assume valore variabile nel tempo in funzione dell’andamento
temporale dell’accelerazione del corsoio.
L’analisi cinematica semplificata del manovellismo ordinario centrato,
riportata nel Paragrafo 3.3.1 consente di esprimere l’accelerazione del piede
di biella come somma di un’accelerazione di prima approssimazione e
di un termine di seconda approssimazione . Riprendendo l’Equazione
(3.23) e ipotizzando che la manovella ruoti con velocità angolare costante
ω 2:
2
Il che è vero, come visto nei paragrafi precedenti, a meno di un effetto di
irregolarità periodica che di norma è contenuto entro una piccola percentuale
della velocità angolare media.
si ottiene:
(9.24)
382
con il quadrato della velocità angolare di rotazione dell’albero
motore.
Scopo delle tecniche di equilibramento descritte in questo paragrafo è
eliminare (se possibile) o minimizzare queste due componenti di forza, che
altrimenti si scaricherebbero sui supporti dell’albero motore. Le tecniche di
equilibramento delle macchine alternative si differenziano notevolmente tra
il caso della macchina monocilindrica e quello della macchina a più cilindri,
e pertanto questi due casi saranno trattati in due paragrafi distinti. Prima di
affrontare questo argomento, è però utile introdurre una rappresentazione
delle diverse componenti di forza di inerzia, sotto forma di coppie di vettori
contro-rotanti.
383
osservi che la forza complessiva di inerzia ha come retta di applicazione
l’asse del manovellismo, e può quindi essere applicata nel centro di rotazione
della manovella. Di conseguenza, anche le varie componenti rotanti della
forza di inerzia possono essere considerate tutte applicate in questo punto. Il
procedimento di trasformazione della forza di inerzia complessiva nelle
diverse componenti rotanti è rappresentato graficamente nella Figura 9.9.
384
Quest’operazione lascia del tutto immutata la componente di forza di inerzia
del secondo ordine, mentre per quanto riguarda la componente del primo
ordine, rimane soltanto il termine rotante in direzione opposta rispetto alla
manovella: l’effetto che si ottiene è dunque una diminuzione della
componente di forza di inerzia nella direzione di scorrimento del corsoio, ma
contemporaneamente la nascita di una componente di forza in direzione
perpendicolare all’asse del manovellismo. Per eliminare anche la
componente controrotante della forza di inerzia, è necessario utilizzare un
albero ausiliario controrotante, ossia posto in rotazione con velocità angolare
uguale in modulo e opposta all’albero motore, sul quale viene posta una
massa eccentrica di entità tale da generare una forza uguale e opposta alla
componente controrotante della forza di inerzia. Questo tipo di soluzione,
però, di norma non è adottata perché comporta un sensibile incremento del
costo della macchina, oltre che del peso e dell’ingombro.
Si osservi che le forze del primo ordine sul primo e quarto manovellismo
sono in fase tra loro e in controfase con quelle sul secondo e terzo
manovellismo: la somma di tutte le forze del primo ordine sarà quindi nulla.
385
Inoltre, grazie alla disposizione simmetrica delle quattro manovelle, risulta
anche nullo il momento delle forze di inerzia rispetto alla mezzeria
dell’albero motore. Per quanto riguarda invece le forze di inerzia del secondo
ordine, lo sfasamento tra le forze è doppio dello sfasamento tra le manovelle.
Di conseguenza, le forze sui quattro corsoi risultano in fase tra loro, e danno
quindi una forza risultante non nulla. Per simmetria, il momento delle forze
del secondo ordine rispetto alla mezzeria dell’albero motore risulta nullo. La
situazione complessiva delle componenti di forza d’inerzia agenti sui diversi
corsoi e delle fasi relative tra queste, è rappresentata nella Figura 9.10. Si
può quindi concludere che per il motore quattro cilindri in linea risultano
equilibrate le forze e i momenti del primo ordine e i momenti del secondo
ordine, ma non le forze del secondo ordine.
386
CAPITOLO 10 Gli elementi delle macchine
387
principale, è possibile distinguere:
• sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione costante,
per esempio riduttori e moltiplicatori. I primi sono i più utilizzati, in
quanto la velocità di rotazione dei motori è in genere maggiore di
quella degli utilizzatori. Variando la velocità varia, di conseguenza, la
coppia trasmessa; come già visto, questa trasformazione avviene a
spese di un rendimento inferiore all’unità, il che comporta che una
frazione della potenza in transito venga dissipata in calore e non più
recuperata. Questi meccanismi sono realizzati mediante ruote (lisce o
dentate), che possono essere direttamente accoppiate tra loro, e in tal
caso si parla di trasmissione rigida, oppure collegate mediante
elementi flessibili, quali cinghie, catene e funi;
• sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione variabile
(cambi e variatori di velocità). Questa funzione si rende necessaria,
per esempio, per controllare il movimento, oppure per ampliare il
campo di funzionamento di un motore. Applicazioni si trovano, in
particolare, nel campo dei veicoli, delle macchine movimento terra e
delle macchine utensili;
• sistemi per collegare tra loro in modo non permanente alberi rotanti
(giunti e innesti). Le esigenze di trasporto, montaggio e manutenzione
richiedono di poter scollegare alcuni elementi del sistema motore--
trasmissione-utilizzatore. In particolare è necessario poter collegare e
scollegare tra loro gli alberi rotanti. Nel caso di collegamento
permanente durante il funzionamento della macchina, si parla di
giunti, mentre nel caso di accoppiamento temporaneo, ossia inseribile
e disinseribile senza operazioni di smontaggio, si parla di innesti.
Nella Figura 10.1 si riporta un quadro sinottico dei principali sistemi di
trasmissione, classificati secondo quanto sopra specificato.
388
Un’altra classificazione possibile riguarda invece la modalità con la quale la
potenza viene trasmessa (Tabella 10.1). La trasmissione del moto può
avvenire per contatto tra superfici coniugate, che si scambiano mutue spinte
in direzione della normale al contatto, oppure per effetto di sole azioni di
attrito.
Tabella 10.1 Criteri di classificazione delle trasmissioni in base alla
modalità con cui viene trasmessa la potenza.
Tipo accoppiamento Contatto diretto Elemento flessibile interposto
Spinta tra superfici Ruote dentate Catene Cinghie dentate
Attrito Ruote di frizione Cinghie (piante e trapezoidali) Funi
389
• non esiste un telaio indipendente della trasmissione (come nel caso di
trasmissioni a fune o a cinghia);
• è presente un telaio con sole funzioni di protezione, sia nei riguardi
dell’ingresso di elementi estranei, quali polveri o scarti di
lavorazione, sia per la sicurezza del personale (ancora torniamo al
caso di cinghie o catene);
• la trasmissione ha un proprio telaio autonomo, di solito chiuso e con
elevate caratteristiche di rigidezza, con lo scopo di supportare gli
alberi che compongono la trasmissione e di contenere il lubrificante,
come nel caso dei riduttori a ingranaggi.
390
di trasmissione:
(10.1)
391
slittamenti locali all’interno dell’impronta di contatto, il valore del rapporto
di trasmissione presenta degli scarti dell’ordine dell’ .
392
(10.3)
393
di descrivere la cinematica della trasmissione. La rotazione delle due ruote
dentate attorno al proprio asse, unitamente al vincolo di contatto tra le
superfici dei denti, equivale, dal punto di vista cinematico, a un vincolo di
puro rotolamento tra le circonferenze primitive (Figura 10.6). Da quanto
sopra detto si può intuitivamente ricavare il rapporto di trasmissione.
Uguagliando infatti la lunghezza percorsa sulla circonferenza primitiva 1,
pari a s 1 = ( D 1/2) φ 1, con il corrispondente tratto s 2 percorso sulla
circonferenza primitiva 2, si ha:
(10.4)
(10.5)
394
• per ridurre la velocità di strisciamento (proporzionale alla distanza del
punto di contatto dal centro di istantanea rotazione relativa) dei profili
coniugati se ne utilizza solo una parte a cavallo della primitiva;
• per la continuità del moto, quando una coppia di denti non è più a
contatto, deve esserlo la coppia successiva;
• tra gli elementi della ruota deve esservi il posto per gli elementi
dell’altra, ossia devono essere presenti alternativamente dei pieni (i
denti) e dei vuoti (spazi tra due denti consecutivi);
• per rendere possibile l’inversione del senso di rotazione, gli elementi
di una ruota devono essere limitati da entrambe le parti da profili
coniugati a quelli dell’altra ruota;
• la lunghezza del tratto pieno + vuoto ( passo) deve essere un
sottomultiplo intero della circonferenza primitiva, ossia Z = π D p/ p .
I principali vantaggi della trasmissione a ingranaggi sono dovuti alla capacità
di trasmettere potenze anche molto elevate, con il miglior rapporto
ingombro/potenza, con rendimenti alti, e garantendo la costanza del rapporto
di trasmissione, essendo questo affidato all’accoppiamento geometrico dei
denti.
Inoltre i carichi sui cuscinetti, a parità di potenza trasmessa, sono inferiori a
tutti gli altri tipi di trasmissione. Tra gli svantaggi vi sono il costo più alto,
legato anche alla necessità di un’elevata precisione e di lubrificare il contatto
tra i denti. Le trasmissioni a ingranaggi sono caratterizzate da un livello di
rumore più elevato rispetto, per esempio, a quelle a cinghia, e dall’incapacità
di assorbire e smorzare urti e vibrazioni derivanti dall’esercizio. Si utilizzano
principalmente quando le distanze tra gli alberi sono piccole, ed è necessario
mantenere un rapporto di trasmissione costante, con elevata coppia da
trasmettere. Se gli alberi da collegare tra loro sono comuque distanti, è
necessario prevedere un albero di trasmissione.
395
rispettivamente le direzioni normale e tangente comuni al contatto, mentre
V 1 e V 2 sono le velocità dei corpi in corrispondenza del punto di contatto
P. Se il contatto avviene senza urti, le componenti della velocità in direzione
normale ( V 1n e V 2n) sono uguali, mentre la differenza tra i vettori V 2 e V 1
rappresenta la velocità relativa di strisciamento tra i due corpi. I due profili,
che risultano pertanto avere n e t coincidenti, si dicono ( coniugati), e
costituiscono la classe di pratico impiego nelle trasmissioni di questo tipo.
L’uguaglianza delle componenti normali delle velocità dei due corpi in
corrispondenza del punto di contatto:
(10.6)
(10.7)
(10.8)
396
tra la linea delle azioni (ossia la normale al contatto) e la congiungente i
centri O 1 e O 2. Il punto P 0 rappresenta il centro di istantanea rotazione
relativa tra i due corpi. Per mantenere il rapporto τ costante è quindi
necessario che il punto P 0 non modifichi la sua posizione durante il
funzionamento, pur potendo variare la posizione del punto di contatto P. Se
si considera la traiettoria tracciata da P 0 (fisso nel piano) su ciascuno dei due
corpi in rotazione, si ottengono delle circonferenze dette primitive del moto,
con centro in O 1 e O 2. Poiché la posizione di P 0 dipende dalla forma dei
profili a contatto, adottando opportuni profili si soddisfa alla condizione -
richiesta sulla costanza del rapporto di trasmissione. Nella pratica costruttiva
si utilizzano, nella maggior parte dei casi, profili coniugati costituiti da
evolventi di cerchio. Altri tipi di profilo utilizzati per mantenere costante il
rapporto di trasmissione sono il profilo cicloidale, e quello di Novikov.
Si ricorda che l’evolvente λ di una linea γ è quella curva che ha i suoi centri
di curvatura su γ. L’evolvente può essere pensata come traccia dell’estremo
di un filo che si svolge dalla circonferenza (detta di base), mantenendosi
teso. Dalla Figura 10.8 si ricavano le relazioni geometriche che intercorrono
tra il raggio vettore R = OP c, l’angolo β e l’angolo α f, che costituisce il
parametro rispetto al quale viene costruita la curva. Notando che la distanza
P cT 0 e la lunghezza dell’arco QT 0 sono uguali, per la costruzione
dell’evolvente di cerchio:
(10.9)
(10.10)
(10.11)
397
velocità di strisciamento:
(10.12)
essendo:
398
si ottiene:
(10.14)
Dalla (10.14) si ricava che la velocità di strisciamento cresce al crescere della
distanza dal centro di istantanea rotazione relativa, individuato dal punto P 0,
intersezione delle primitive del moto relativo. Nel caso dell’accoppiamento
di ruote dentate a evolvente, il punto di contatto si sposta all’interno del
segmento T 1 T 2. Da quanto detto si comprende come la presenza dell’attrito
nel contatto di strisciamento porti alla dissipazione di potenza W d:
399
10.2.3 Considerazioni sui riduttori a ingranaggi
Come visto, il rapporto di riduzione in una trasmissione a ruote dentate è
espresso dal rapporto del numero dei denti delle due ruote (conduttrice e
condotta). Nella pratica costruttiva è opportuno che il rapporto di
trasmissione τ sia ottenuto con numeri di denti primi tra loro. Nel caso di
presenza di fattori comuni, infatti, ciascun dente del pignone impegnerebbe
sempre gli stessi denti della ruota, portando a un’usura preferenziale tra le
coppie che così vengono a stabilirsi. Ciò può costituire un problema,
soprattutto se i valori dei carichi sono periodici durante una rotazione
completa del pignone.
Se invece non sono presenti fattori comuni, ciascun dente del pignone
ingrana con tutti i denti della ruota, determinando una distribuzione più
uniforme dell’usura. Nella realizzazione di riduttori a ingranaggi si ricorre a
due configurazioni, denominate treni semplici e treni composti, di seguito
illustrati.
Treni semplici
Sono costituiti da una serie di ruote dentate, ognuna calettata (ossia
torsionalmente connessa) su un proprio albero, e trovano applicazione dove
400
diversi alberi devono ruotare mantenendo uno sfasamento costante (Figure
10.12 e 10.13). Il rapporto di trasmissione tra la prima e l’ultima ruota del
treno non dipende dalle ruote intermedie, che pertanto prendono il nome di
ruote oziose.
401
Treni composti
Poiché esiste una limitazione al numero minimo di denti (pari a diciotto, nel
caso di proporzionamento modulare senza ricorrere a lavorazioni speciali),
per avere bassi valori di τ è quindi necessario aumentare il numero di denti
della ruota condotta, e di conseguenza le sue dimensioni. Risulta allora
opportuno
402
secondo lo schema di Figura 10.14, dove sullo stesso albero (il secondo,
l’albero intermedio), sono calettate una ruota condotta (con Z 22 denti), e una
conduttrice (con Z 12 denti). In tal caso il rapporto di trasmissione del
riduttore mostrato in Figura 10.15 composto risulta:
403
• il portatreno, che reca gli assi mobili delle ruote satelliti, e dotato
della velocità angolare Ω;
• una ruota dentata con dentatura interna, detta corona, avente velocità
angolare ω 2.
Il funzionamento cinematico di un rotismo epicicloidale è descritto dalla
formula di Willis:
(10.15)
(10.16)
in cui il segno negativo tiene conto del fatto che il verso di rotazione della
ruota centrale e della corona risultano, per questa configurazione, opposti.
Applicazioni tipiche dei rotismi epicicloidali si hanno nei riduttori: in tal
caso è necessario vincolare uno dei gradi di libertà, al fine di ricondursi al
caso di un riduttore con un singolo ingresso ed una singola uscita. Uno dei
vantaggi dei riduttori epicicloidali consiste nel fatto che gli assi degli alberi
in ingresso ed in uscita sono coassiali. Tale circostanza risulta molto utile in
talune applicazioni, quali ad esempio movimentazioni per macchine
automatiche, oppure
404
l’azionamento delle eliche in motori turboelica o nella testa di generatori
eolici. Inoltre la configurazione di un riduttore epicicloidale risulta più
compatta rispetto ad un riduttore ordinario ad assi fissi, pur se a prezzo di
una maggiore complicazione costruttiva. Una configurazione tipica per un
riduttore prevede di vincolare la corona, di fornire come movimento in
ingresso la rotazione del della ruota centrale, e avere in uscita la rotazione
del portatreno. Considerando tale configurazione nella formula di Willis
(10.15) si ha, essendo ω 2 = 0:
da cui:
405
differenza tra le velocità di rotazione della ruota esterno curva ( V 2), rispetto
alla ruota interno curva ( V 1):
(10.17)
(10.18)
Per poter ottenere questa distribuzione delle velocità di rotazione delle due
ruote è necessario ricorrere al differenziale, il cui compito è appunto quello
di rendere le velocità di rotazione delle due ruote differenti tra loro, e in
modo compatibile con quanto richiesto dalla condizione di aderenza, che può
essere riguardata come una condizione di vincolo. Il differenziale è costituito
dai seguenti elementi (Figura 10.18):
• il portatreno che preleva il movimento dall’albero di trasmissione
tramite l’accoppiamento tra pignone e una corona dentata, e che a sua
406
volta imprime il moto agli assi dei satelliti;
• i satelliti;
• le ruote planetarie, che sono calettate ai semiassi delle ruote.
Applicando la formula di Willis (10.15), e considerando che il rapporto di
trasmissione τ o a portatreno fermo vale -1, si ha:
(10.19)
407
planetarie ruotano attorno al proprio asse, il differenziale aggiunge alla
velocità di rotazione della ruota esterna lo stesso valore che sottrae a quella
interna, così da soddisfare il vincolo imposto dalla percorrenza in curva.
attrito, il moto alla puleggia condotta, e il tiro nella cinghia passa dal valore
massimo a quello minimo del ramo condotto.
Nel normale funzionamento, quindi, la puleggia motrice trascina per attrito la
cinghia, che a sua volta trascina la puleggia condotta.
408
Tra i vantaggi delle cinghie si segnala la possibilità di collegare alberi tra
loro distanti (per le cinghie piane anche fino a 15 m), silenziosità di
funzionamento, anche a elevata velocità, capacità di assorbimento di urti, e
autolimitazione della coppia massima trasmessa. La trasmissione è nel suo
complesso facile da progettare (si progetta a catalogo), e in quanto utilizza
elementi unificati, è anche economica. Dal lato degli svantaggi si ricorda
che, poiché la potenza è trasmessa per attrito, non è possibile garantire
l’esattezza e la costanza del rapporto di trasmissione, la necessità di porre in
tensione la cinghia causa la presenza di carichi elevati sui supporti (in misura
minore per la cinghia a sezione trapezoidale, in misura maggiore per quella
piana), se paragonata con le trasmissioni a catena o a ingranaggi. La vita di
servizio non è illimitata (in genere da 1000 a 3000 ore di funzionamento),
dopo di che è necessario sostituirla. Il valore di potenza trasmissibile, pur
essendo nettamente inferiore a quello delle ruote dentate, è comunque più
che adeguato a moltissime applicazioni.
Sezionando idealmente i due rami della cinghia si pongono in evidenza i tiri
T 1 e T 2 (Figura 10.20), che rendono ragione della coppia alle due pulegge:
(10.20)
409
Cinematica della trasmissione
Da quanto sopra detto risulta chiaro che il rapporto tra le velocità delle due
pulegge non è esattamente costante, ma dipende dalle coppie applicate, e
quindi dalla potenza da trasmettere, essendo la trasmissione del movimento
affidata all’attrito. Se si trascurano in prima approssimazione gli scorrimenti
tra cinghia e puleggia, e si considera la cinghia inestensibile, è possibile
determinare il rapporto di trasmissione τ. Sotto le ipotesi fatte, la velocità
periferica della cinghia coincide con quella della puleggia, e la velocità della
cinghia è la medesima lungo tutto il suo sviluppo:
(10.21)
410
valore T + d T. Scrivendo l’equilibrio dinamico lungo le direzioni radiale e
tangente, si ha:
(10.22)
(10.23)
si ha:
(10.24)
411
da cui:
(10.25)
(10.26)
(10.27)
porge:
(10.28)
Utilizzando ambo i membri come argomento della funzione esponenziale, si
ha:
(10.29)
La (10.29) indica la relazione che intercorre tra i tiri nei due rami della
cinghia di trasmissione, nella condizione limite di slittamento. Si osserva che
il fattore e fα è quello determinante nello stabilire la prestazione della
trasmissione. Poiché l’angolo di avvolgimento minore è quello della puleggia
con diametro minore, la verifica va condotta su tale elemento. Se si trascura
l’effetto della velocità V, il che è lecito, in generale, per velocità fino a
, la relazione di verifica diviene:
412
(10.30)
(10.31)
L’Equazione (10.31) ammette un massimo, oltre il quale la potenza
trasmissibile diminuisce in quanto, per effetto della forza di inerzia agente
sulla cinghia in direzione radiale, diminuisce l’azione di contatto normale
distribuita, scambiata tra cinghia e puleggia, e di conseguenza la massima
azione di attrito. Nel seguito si considererà di essere nelle condizioni di poter
trascurare tale effetto.
(10.32)
Dalla (10.33) e dalla (10.32) si ricavano i valori dei tiri nei due rami di
cinghia della trasmissione che, sottoposti all’Equazione (10.30), consentono
di verificare il corretto funzionamento della tramissione.
413
ottenuto adottando una sezione trapezoidale per la cinghia (Figura 10.23).
Esaminando la sezione generica di cinghia, si evidenzia come il contatto
avvenga sui fianchi, mentre nel caso della cinghia piana il contatto avviene
sulla faccia inferiore.
(10.36)
(10.37)
414
L’effetto ottenuto è di innalzare il valore del rapporto limite tra i tiri nei due
rami della trasmissione, e di conseguenza la coppia massima trasmissibile.
Nel caso in cui sia necessario aumentare il precarico per trasmettere la
potenza richiesta, poiché vi sono dei limiti di resistenza della cinghia,
415
definito analogamente alle ruote dentate:
(10.38)
Anche in questo caso il rapporto di trasmissione è dato dal rapporto del
numero di denti delle due pulegge:
(10.39)
10.2.7 Catene
Le catene appartengono ancora alla categoria delle trasmissioni con elementi
flessibili; la catena, infatti, è composta da elementi rigidi (le maglie), tra le
quali è però possibile un moto relativo, nella maggior parte dei casi di tipo
rotatorio (Figura 10.25). Utilizzate sin dall’Antichità, pur se con modalità
differenti, grazie allo sviluppo delle forme e dei materiali, esse sono
ampiamente utilizzate anche nelle realizzazioni moderne.
Le due tipologie attualmente più diffuse sono le catente a rulli e a denti
invertiti (o catene silenziose). Nel primo tipo (Figura 10.26) coppie di maglie
esterne, unite da perni, sono articolate su coppie di maglie interne, collegate
da boccole, al cui interno passa il perno della maglia esterna. Per facilitare
l’accoppiamento con la ruota dentata, sulle boccole sono presenti dei rulli,
liberi di ruotare. Le catene a rulli possono essere costituite da una o più file
affiancate, a seconda del livello di potenza da trasmettere.
La catena silenziosa è invece costituita da piastre affiancate tra loro,
sagomate con due estremità triangolari in modo da impegnarsi nei denti della
416
ruota, e collegate da perni. Diversamente dal caso precedente, non sono i
perni a venire a contatto con la ruota, bensì le estremità rettangolari delle
piastrine. Per entrambe le tipologie la circonferenza primitiva è rappresentata
dalla circonferenza passante per i centri dei perni, anche se in questo caso la
catena si atteggia lungo un poligono formato dalla spezzata congiungente i
centri dei perni. Permettono di trasmettere forze maggiori delle cinghie,
anche a interassi inferiori, e consentono di azionare più alberi, anche se con
senso di rotazione opposto; infine, possono operare in campi di temperatura
in cui le cinghie non sono utilizzabili. Come queste ultime consentono di
collegare tra loro interassi elevati (fino a 8 m).
Figura 10.26 Catena a rulli (in alto) e catena silenziosa (in basso).
417
Tra gli svantaggi si segnala la variazione periodica della velocità della
catena, dovuta all’effetto poligono, come sarà mostrato in seguito: questo
fenomeno diviene significativo per un numero di denti basso (per esempio
10) e può portare a irregolarità nel rapporto di trasmissione. I maggiori
inconvenienti risiedono però nel costo superiore, nel maggiore onere
manutentivo e nella necessità di precisione di montaggio, superiore al caso
delle cinghie.
Inoltre la tramissione a catena è più rumorosa, rispetto a quella a cinghia; la
rumorosità aumenta con il progredire dello stato di usura, che porta a un
funzionamento cinematico non più corretto, oltre che all’allentamento della
catena.
418
(10.40)
Confrontando, per esempio nel caso di una ruota con sei denti, le due
condizioni mostrate nella Figura 10.28, la proiezione della velocità delle
maglie secondo la congiungente i centri delle ruote varia, a causa della
diversa disposizione nel tempo dei perni lungo il poligono. La distanza della
maglia dal centro della ruota varia quindi ciclicamente tra i due estremi:
(10.41)
(10.42)
419
10.2.8 Funi
Principali campi di impiego delle funi sono gli argani, le gru, le funicolari, le
teleferiche e le funivie. Il materiale più utilizzato è l’acciaio a elevata
resistenza. La flessibilità della fune è inferiore a quella della cinghia, per cui
si richiedono diametri di avvolgimento maggiori. Il miglior campo di utilizzo
è per interassi elevati (in genere al di sopra di 20 m); è possibile soddisfare
anche condizioni caratterizzate da assi di rotazione delle pulegge sghembi. Il
campo di velocità spazia dai 6 m/min degli impianti di sollevamento, fino a
12 m/s delle più recenti funivie.
(10.43)
420
Figura 10.29 A sinistra: paranco a taglia multipla come
applicazione della trasmissione a fune; a destra: schema
cinematico.
421
periferica 20(50**) ÷ 100 30 ÷ 40 ÷ 30
η% 96 ÷ 98 94 ÷ 98 91 ÷ 95 95 ÷ 97 94 ÷ 96 85 ÷ 95
τ
422
10.3 Giunti
La funzione di collegare degli alberi in modo non permanente si rende
necessaria per lo smontaggio di alcuni elementi del sistema meccanico, per
esempio per rimuovere il motore dalla trasmissione. Inoltre, nell’assolvere la
funzione di collegare tra loro due alberi rotanti, può verificarsi la situazione
in cui gli assi degli alberi da collegare non siano coincidenti. In tal caso non
è possibile utilizzare giunti rigidi, pena l’incremento notevole delle
sollecitazioni negli alberi e nei supporti; è necessario ricorrere a giunti
mobili, che consentono delle deviazioni (disallineamenti) dei due assi (in
senso assiale, in senso radiale o in senso angolare), come mostrato nella
Figura 10.32. In altri casi si possono utilizzare giunti (del tipo elastico) che
incorporano uno o più elementi elastici che consentono piccoli
disallineamenti, secondo tutte e tre le modalità sopra indicate. I giunti
elastici, oltre ad assorbire i disallineamenti sopra detti, hanno talora anche la
funzione di isolare dal punto di vista vibrazionale il motore dall’utilizzatore.
423
10.4 Innesti
Sotto il termine di innesti si intendono quei collegamenti non permanenti tra
alberi rotanti che possono essere attivati e disattivati anche in movimento e
sotto carico. Una delle tipiche applicazioni si trova nei sistemi motore-
utilizzatore in cui dapprima si lancia in velocità il motore, successivamente si
attiva l’innesto portando l’utilizzatore alla medesima velocità del motore.
Tale necessità si manifesta per esempio se il motore deve essere avviato da
fonte esterna e solo successivamente collegato al carico, come nel caso del
motore a combustione interna, oppure, nel caso di motori elettrici asincroni
trifase, se si intende limitare la durata del transitorio del motore nel campo
delle basse velocità per evitare surriscaldamenti.
Nel seguito si farà riferimento a un caso semplificato, al fine di illustrare il
ruolo giocato dall’innesto nella fase di avviamento di un sistema. Si
consideri uno schema in cui il motore e l’utilizzatore siano caratterizzati da
una coppia costante, rispettivamente C m e C u, mentre l’innesto del tipo a
frizione, costituito da una coppia di superfici piane di cui una a corona
circolare, tenute a contatto da una azione normale N (Figura 10.33). Già
nell’Esempio 7.4 si era mostrato come fosse possibile definire la coppia
trasmessa M m (qui indicata con C F) per attrito tra due superfici di questo
tipo:
424
rispettivamente la forza normale scambiata e il coefficiente di attrito radente
tra le due superfici a contatto, dette dischi della frizione. Il sistema
meccanico, prima che l’innesto avvenga, presenta due gradi di libertà per la
rotazione del motore e dell’utilizzatore. Si possono quindi scrivere due
equazioni, che risolte rispetto all’accelerazione angolare, sono:
(10.44)
In una prima fase il motore viene portato alla velocità ω o, senza che -
l’innesto venga attivato, con un’accelerazione che vale semplicemente:
(10.45)
425
(10.46)
(10.47)
(10.48)
(10.49)
426
10.5 Sistemi d’arresto delle macchine
I freni sono gli organi preposti all’arresto della macchina ed eventualmente
anche al suo stazionamento. Esistono numerose tipologie di freni, che
utilizzano fluidi, interazioni elettromagnetiche (freni a correnti parassite) e
componenti solidi (freni meccanici). Solo questi ultimi sono in grado di
soddisfare entrambe le funzioni, quella di arresto e quella di stazionamento.
Nel seguito ci si riferirà ai soli freni meccanici, che per effetto dell’attrito
radente tra due componenti solidi, dissipano energia meccanica in calore. La
condizione di attrito statico consente invece lo stazionamento, ossia la
permanenza in stato di quiete, anche in presenza di azioni applicate alla
macchina.
In base alla forma dei membri che lo compongono, il freno si può classificare
come indicato nella Figura 10.35. Tra le grandezze che caratterizzano il
funzionamento del freno vi sono:
• forza di comando (o di azionamento): è la forza da applicare al
comando del freno;
• efficacia: definita dal rapporto tra la forza d’attrito applicata e la forza
di comando;
• indice di sensibilità: inteso come rapporto tra la variazione
percentuale della coppia frenante e la variazione percentuale del
coefficiente di attrito.
Un freno che ha un’elevata efficacia è in genere caratterizzato anche da
un’alta sensibilità, ossia è soggetto a una variazione di comportamento più
marcata a seguito di variazioni del coefficiente di attrito radente, dovuta, per
427
esempio, a variazioni delle condizioni ambientali e della temperatura. Poiché
nei freni meccanici il rallentamento viene ottenuto tramite le azioni di attrito
radente scambiate tra le parti fisse e quelle mobili, un aspetto molto
importante è la stabilità delle caratteristiche del materiale di attrito, in
particolare in funzione della temperatura.
Schematicamente il problema può essere posto nei seguenti termini: le forze
di attrito radente, che provvedono a generare la coppia frenante, producono
calore per effetto della dissipazione di potenza a essa associata. Questa, a sua
volta, innalza la temperatura del freno, e in particolare del materiale di cui
sono costituite le guarnizioni del freno (ossia gli elementi direttamente
interessati dal contatto strisciante). Questo innalzamento di temperatura
provoca una diminuzione del coefficiente di attrito radente f d, e di
conseguenza del
10.6 I cuscinetti
Scopo dei cuscinetti è di realizzare il sistema di vincolo per gli organi rotanti
(assi e alberi) in modo da garantire:
• il corretto posizionamento dell’organo rotante, evitando condizioni di
iperstaticità e sforzi aggiuntivi dovuti a dilatazioni termiche impedite;
• consentire le inflessioni cui l’albero è soggetto a fronte dei carichi
applicati;
• trasferire i carichi applicati alla struttura portante;
428
• mantenere le proprie caratteristiche funzionali al variare delle
condizioni di funzionamento (velocità di rotazione, entità dei carichi
applicati, temperatura).
Ci si soffermerà sulle tre tipologie più diffuse di cuscinetto: a strisciamento,
a rotolamento e a lubrificazione (idrostatica e idrodinamica) (Figura 10.36).
Le grandezze che determinano la condizione di lavoro, e quindi la scelta fra
le tre tipologie ora menzionate, sono la pressione convenzionale, calcolata
(Figura 10.37) come rapporto tra il carico radiale e la proiezione delle
superfici a contatto, e la velocità periferica del perno, calcolata come
prodotto tra il raggio nominale del perno e la sua velocità di rotazione.
Un confronto può essere fatto fissando le dimensioni del cuscinetto
(diametro D e larghezza B) e considerando sia il carico che il cuscinetto
deve sostenere, sia la velocità di rotazione dell’albero.
Le superfici effettivamente a contatto hanno estensione molto diversa fra le
tre tipologie: nel caso di un cuscinetto a strisciamento si ha infatti un contatto
tra superfici nominalmente conformi, nel caso del cuscinetto a rotolamento
un contatto sfera-pista (o rullo pista), mentre per il terzo tipo è l’intera
superficie lubrificata a essere interessata. Risulta quindi conveniente, dal
punto di vista pratico, riferirsi alle grandezze macroscopiche carico e
velocità di rotazione, e alle dimensioni geometriche macroscopiche D e B,
come mostrato
429
convenzionale in un accoppiamento perno-cuscinetto, diametro D
e lunghezza B.
430
Anche per il cuscinetto a rotolamento si ha un limite dovuto alla pressione
locale nell’impronta di contatto, mentre il secondo limite è dettato dalla
fatica. Per i cuscinetti a sfere la durata L h, in ore, è propozionale a , per
cui, essendo:
431
dissipata per effetto della viscosità μ, si incrementa quindi la temperatura del
lubrificante causando la diminuzione della viscosità stessa. Pertanto, dopo
aver raggiunto un massimo, la capacità portante del cuscinetto diminuisce.
Le considerazioni qualitative sopra svolte possono essere riassunte nei
grafici di selezione del tipo di cuscinetto, come quello messo a punto
dall’ESDU, e mostrato nella Figura 10.38. Per diverse dimensioni del perno,
e rapporto B/D = 1, sono indicati i campi di utilizzo dei tre tipi di cuscinetto.
432
CAPITOLO 11 Vibrazioni meccaniche a un
grado di libertà
11.1 Introduzione
La vibrazione è un moto oscillatorio che può essere generato da un sistema
di forze in un fluido, in un solido deformabile elastico o in un sistema di
corpi che possono essere deformabili oppure rigidi ma collegati fra loro da
elementi elastici. Così per esempio la trasmissione del suono in un fluido
come l’aria è affidata al moto oscillatorio delle particelle del fluido, un moto
vibratorio degli edifici di una città può essere generato da un terremoto o
dalle forze esercitate dal vento, macchine alternative o rotative generano
delle forze d’inerzia periodiche che provocano vibrazioni, un robot in
movimento spesso è soggetto a moti vibratori.
In particolare in questo capitolo ci occuperemo di vibrazioni meccaniche,
che tra i fenomeni sopra descritti sono quelli che si realizzano nei solidi o nei
sistemi di corpi. Le vibrazioni nei sistemi meccanici sono generalmente
dannose, perché generano sollecitazioni dinamiche che causano il fenomeno
della fatica, che riduce la resistenza del materiale e accorcia la vita utile del
sistema meccanico. Inoltre, le vibrazioni e il rumore a esse associato, hanno
effetto affaticante sulle persone, e pertanto in molte macchine occorre ridurre
l’esposizione degli operatori e/o dei passeggeri al loro effetto. Per contro,
esistono macchine in cui le vibrazioni vengono generate appositamente per
facilitare un processo tecnologico o di trasporto (come nei trasportatori e
dosatori vibranti).
Le vibrazioni meccaniche sono regolate dallo scambio tra energia cinetica ed
energia potenziale all’interno del sistema, con l’intervento di fenomeni
dissipativi che determinano lo smorzamento delle oscillazioni. Pertanto, è
possibile affermare che, affinché un solido o un sistema di corpi possa
compiere un moto vibratorio, è necessario che esso presenti una possibilità di
deformazione elastica. Ciò rappresenta una differenza rispetto ai precedenti
capitoli, dove i sistemi studiati sono stati normalmente considerati come
corpi rigidi. In realtà anche in questo capitolo si farà estesamente riferimento
a modellazioni di tipo corpo rigido, introducendo però elementi di tipo molla
433
e smorzatore concentrati per rendere conto delle deformabilità elastiche e dei
fenomeni dissipativi che giocano un ruolo determinante nei fenomeni
vibratori.
La vibrazione di un sistema meccanico consiste generalmente di piccoli
movimenti oscillatori che possono avvenire nell’intorno di uno stato di
quiete (come nel caso di un edificio o di un ponte), oppure nell’intorno di
uno stato di moto (per esempio le vibrazioni di un braccio robotico durante il
moto di posizionamento o le vibrazioni di un veicolo in moto su strada
irregolare). Fintanto che le vibrazioni sono di piccola ampiezza, possono
solitamente essere descritte mediante equazioni lineari per le quali vale il
principio di sovrapposizione degli effetti: in questo caso le soluzioni delle
equazioni di moto possono essere determinate in maniera relativamente
semplice, e hanno carattere generale, ossia la stessa forma di soluzione
descrive il movimento del sistema in molte possibili condizioni di
funzionamento. Quando invece le vibrazioni raggiungono ampiezze elevate
il comportamento del sistema può diventare non lineare, e le soluzioni delle
equazioni di moto spesso non esistono in forma analitica e devono essere
ottenute mediante procedimenti approssimati oppure per via numerica.
Inoltre, se il comportamento del sistema diviene non lineare, piccole
variazioni delle condizioni di funzionamento (per esempio diverse condizioni
iniziali del moto) possono modificare completamente il movimento del
sistema. Per questi motivi, lo studio delle vibrazioni non-lineari non è
compreso negli scopi di questo capitolo.
Le vibrazioni sono dette libere quando avvengono in assenza di forzanti, per
il solo effetto delle condizioni di spostamento e velocità imposte al sistema
nell’istante iniziale del moto. Sono invece dette forzate le vibrazioni che
avvengono per effetto dell’azione di forzanti tempo-varianti applicate al
sistema. Un esempio di moto libero è quello compiuto dalla corda di uno
strumento musicale, pizzicata e lasciata muovere liberamente. Se però per
sostenere il moto della corda (naturalmente destinato ad attenuarsi) si applica
una forzante mediante un plettro, il moto della corda diviene forzato.
Un ultimo aspetto delle vibrazioni meccaniche che occorre citare è che esse
sono intimamente collegate con il problema della stabilità di un sistema
meccanico, che sarà affrontato introduttivamente nell’ultimo paragrafo di
questo capitolo. In particolare, per effetto della azione di un campo di forze
dipendente dalla posizione e/o velocità del sistema, le vibrazioni possono
divenire auto-eccitate, ossia assumerne un andamento espansivo che
434
determina ampiezze di vibrazione che aumentano nel tempo: in questo caso
si possono determinare situazioni pericolose per l’integrità del sistema
meccanico e per le persone che con esso interagiscono, come nel noto caso
della instabilità aeroelastica del ponte Tacoma (Figura 11.1) che, investito da
vento laterale diede luogo a una vibrazione auto-eccitata che portò al crollo
della struttura.
435
causa delle difficoltà matematiche associate.
Si osservi anche che lo stesso sistema fisico, in funzione degli scopi per i
quali viene studiato, potrebbe essere suscettibile di una modellazione a
parametri concentrati oppure a parametri distribuiti: ritornando all’esempio
dell’autovettura, il modello a parametri concentrati sopra descritto potrebbe
essere sufficiente a studiare il comfort vibrazionale dei passeggeri,
determinato dai fenomeni vibratori che si manifestano nel campo di
frequenze 0-10Hz, mentre nel caso si voglia studiare il rumore all’interno
dell’abitacolo occorre tenere conto di componenti di vibrazione non rigida
della scocca in un campo molto più ampio di frequenze (fino a 5kHz o più),
il che richiederebbe la modellazione a parametri distribuiti della scocca.
Ritornando a considerare un sistema a parametri concentrati, questo avrà un
numero di gradi di libertà determinato in funzione del numero di corpi che lo
compongono e dal numero e tipo di vincoli agenti su questi, secondo i
metodi che sono stati introdotti nel Capitolo 3. Nel seguito, confineremo la
nostra analisi al caso di sistemi a un solo grado di libertà.
436
coordinata rispetto al tempo, indicate con e rispettivamente.
Utilizzando i metodi introdotti nel Capitolo 6, è possibile scrivere le
equazioni di moto del sistema. Nel seguito di questo paragrafo si propongono
due strade alternative, la prima basata sul metodo degli equilibri dinamici, la
seconda sull’uso delle equazioni di Lagrange. Nonostante la semplicità
dell’esempio considerato, quanto sotto riportato può essere considerato
rappresentativo dell’approccio generale alla scrittura dell’equazione di moto
di un sistema vibrante a un grado di libertà.
437
11.3.2 Risoluzione con l’equazione di Lagrange
Avendo scelto di utilizzare come coordinata libera del sistema lo
spostamento x della massa, il metodo delle equazioni di Lagrange (cfr.
Equazione (6.34)) fornisce l’unica equazione:
(11.2)
438
Benché l’applicazione del metodo delle equazioni di Lagrange possa
apparire in questo esempio più astratto e laborioso rispetto al metodo degli
equilibri dinamici, nel caso di sistemi più complessi essa spesso fornisce
l’approccio più efficace per la scrittura della equazione di moto del sistema.
(11.3)
Si noti che l’equazione è non lineare nella coordinata libera α, a causa del termine sin
α. Se però si considerano oscillazioni di piccola ampiezza del pendolo nell’intorno
della posizione di equilibrio α = 0, è lecito introdurre la seguente approssimazione del
primo ordine per il termine non lineare:
e ottenere l’espressione linearizzata della equazione di moto, valida solo nel caso di
piccole oscillazioni:
(11.4)
439
Utilizzando l’equazione di Lagrange, si ha in questo caso che il modulo della velocità
della massa m vale , per cui l’energia cinetica del sistema ha espressione:
e l’energia potenziale deriva in questo caso dalla forza conservativa gravitazionale (la
forza peso) agente sulla massa e vale:
dove x è la coordinata libera del sistema. Tale equazione risulta dunque una
equazione differenziale del secondo ordine, in quanto coinvolge, oltre alla
incognita x, le sue derivate prima e seconda rispetto alla variabile
440
indipendente tempo t. Si tratta inoltre di una equazione lineare a coefficienti
costanti, per la quale esistono soluzioni notevoli che saranno introdotte e
discusse in questo paragrafo e nel successivo.
In particolare, in questo paragrafo ci occuperemo di risolvere l’equazione
detta omogenea, in cui si pone a zero la forzante agente sul sistema, ossia:
(11.6)
Tale equazione descrive il moto libero del sistema, ossia il moto che il
sistema compie in assenza di forzanti, per effetto di condizioni iniziali
(spostamenti e/o velocità) che gli siano state imposte all’istante iniziale del
moto. Per semplicità, affronteremo questo argomento occupandoci
innanzitutto del caso di un sistema non smorzato, e generalizzando poi la
soluzione al caso di sistema smorzato. Nel successivo paragrafo sarà invece
studiato il moto del sistema in presenza di forzanti esterne, ossia quando
l’equazione di moto sia quella completa (11.5).
441
(11.10)
(11.11)
(11.13)
rispetto all’asse reale la somma dei due vettori contro-rotanti risulta reale e
oscilla tra un valore positivo pari a 2| X 1| e un valore negativo pari a -2| X 1|.
Posto allora:
442
e applicando la regola di Eulero, con z variabile reale:
la (11.13) diviene:
(11.14)
La (11.14) rappresenta la prima forma della soluzione del moto libero non
smorzato di un sistema vibrante. Ricordando la relazione:
in cui:
(11.16)
La (11.15) mostra che il moto libero del sistema a un grado di libertà non
smorzato consiste in una oscillazione armonica, di ampiezza C e pulsazione
ω definita dalla (11.11), che prende il nome di pulsazione propria non
smorzata del sistema.
I valori delle costanti A e B che compaiono nella (11.14) oppure C e ϕ della
(11.15) dipendono invece dalle condizioni iniziali assegnate al sistema:
(11.17)
(11.18)
443
essendo l’angolo α indicato in figura definito come:
(11.19)
444
viscoso (per esempio gli smorzatori idraulici di una sospensione), sia altre
forme di resistenza al moto, ridotte in modo equivalente a un termine
viscoso. In questo secondo caso, il valore dello smorzamento viscoso
equivalente viene calcolato in modo che l’energia dissipata dallo smorzatore
viscoso in un ciclo di oscillazione corrisponda alla dissipazione energetica
prodotta dalle reali fonti di resistenza al moto agenti sul sistema.
In definitiva, l’equazione di moto di un sistema vibrante a un grado di libertà
in cui si considerino gli effetti di smorzamento prende la forma (11.6).
Anche per questa equazione completa di smorzamento, l’integrale generale
consiste nella combinazione lineare di due soluzioni del tipo (11.8).
Sostituendo tale soluzione nella (11.6) si ottiene:
(11.20)
Per determinare il moto compiuto dal sistema occorre distinguere tre casi, in
funzione del valore assunto dal cosiddetto fattore di smorzamento h definito
come rapporto tra lo smorzamento del sistema e lo smorzamento critico,
definito a sua volta come il valore di smorzamento r che annulla il
discriminante della (11.20):
(11.21)
(11.22)
445
Sostituendo questi valori nella (11.8) si ottiene:
(11.23)
446
(11.24)
Caso 3: r = r c ( h = 1).
In questa condizione il discriminante Δ della (11.20) è nullo e le due
soluzioni dell’equazione caratteristica sono reali e coincidenti:
(11.26)
447
questo caso la soluzione prende la forma:
(11.27)
Il moto che risulta dalla (11.27) è simile a quello già illustrato per il Caso 2.
il che significa che, dopo un tempo sufficientemente lungo, dei due termini
della (11.29) prevarrà l’integrale particolare x p . Per questo motivo, si
afferma talvolta che l’integrale particolare rappresenta il moto a regime del
sistema forzato, intendendo che questo sarà il moto che il sistema compie
dopo aver esaurito un transitorio iniziale che si determina nella fase iniziale
del movimento, nella quale il termine x g non può essere trascurato. Per i
motivi sopra esposti, in questo paragrafo ci concentreremo sull’esame
dell’integrale particolare della (11.28), distinguendo diversi tipi di forzante
che possono agire sul sistema.
448
costante nel tempo, e indichiamo con F 0 tale valore. Dall’analisi matematica
è noto che l’integrale particolare va cercato nella stessa forma della forzante,
quindi nel caso in esame, come una costante:
(11.30)
(11.31)
che significa che sotto l’effetto di una forza costante il sistema raggiungerà a
regime una posizione di equilibrio in cui la reazione statica della molla
equilibra la forza agente. Volendo determinare il movimento del sistema
prima del raggiungimento della condizione di regime, è necessario
considerare l’intera soluzione, data dalla (11.29) (si ipotizza che lo
smorzamento del sistema sia inferiore al valore critico):
(11.32)
(11.33)
Come mostrato in Figura 11.9, la risposta del sistema vibrante alla forzante a
gradino (nel caso di sistema dotato di smorzamento inferiore al valore
critico) consiste quindi in una oscillazione smorzata che per t → ∞ tende al
valore di regime definito dalla (11.31).
449
11.5.2 Forzante armonica
La forzante armonica è una delle forzanti più comuni perché si sviluppa
durante il moto sia nelle macchine rotanti sia nelle macchine alternative: essa
è generata dalle forze di inerzia agenti sulle masse in moto. In presenza di
una forzante armonica, l’equazione di moto del sistema diviene:
(11.34)
(11.36)
450
che, sostituita nella prima equazione fornisce:
(11.37)
(11.38)
451
diminuire del fattore di smorzamento h; il ritardo di fase dello spostamento è
prossimo a 90° indipendentemente dal valore dello smorzamento. In assenza
di smorzamento l’ampiezza di vibrazione raggiunge teoricamente il valore
infinito, mentre la fase passa con discontinuità da 0° a 180° in
corrispondenza di a = 1.
zona sismografica: in questa zona l’ampiezza di vibrazione decresce
con l’aumentare della pulsazione adimensionale a e tende a zero per ;
inoltre l’ampiezza della vibrazione risulta debolmente influenzata dallo
smorzamento. Il ritardo di fase della vibrazione rispetto alla forzante è
prossimo a 180°, ossia la vibrazione del sistema avviene pressoché in
controfase rispetto alla forzante.
Con riferimento alla condizione di risonanza, si osservi che per a = 1, il
coefficiente di amplificazione dinamico risulta essere pari a:
(11.39)
452
Nel caso di un sistema vibrante debolmente smorzato, il coefficiente di
amplificazione dinamica può assumere valori estremamente elevati. Per
esempio, per un valore di h pari a 0.01, il coefficiente di amplificazione
dinamica risulta pari a 50, ossia l’ampiezza di oscillazione in risonanza è 50
volte maggiore di quella quasi-statica.
Quanto detto sopra si riferisce al solo integrale particolare dell’equazione di
moto. La soluzione complessiva, somma dell’integrale particolare e
dell’integrale generale dell’omogenea associata è data da:
453
(11.40)
(11.41)
454
del sistema. L’integrale particolare della (11.34) assume la forma:
(11.42)
da cui si ricava:
(11.43)
(11.44)
(11.45)
(11.46)
che, data la linearità del problema, rappresenta la risposta del sistema a una
forzante di ampiezza unitaria. Tale quantità, come indicato nella (11.46),
dipende dalla pulsazione della forzante Ω e prende il nome di funzione di
risposta in frequenza o funzione di trasferimento armonico del sistema.
455
L’utilizzo della notazione complessa consente anche una importante
interpretazione fisica del comportamento del sistema in zona quasi-statica, di
risonanza e sismografica. Per mettere in luce questo aspetto, sostituiamo
l’integrale particolare complesso (11.42) nella forma complessa
dell’Equazione di moto (11.41), ottenendo:
(11.47)
456
condizioni quasi-statica, di risonanza e sismografica.
457
d’inerzia. Pertanto la vibrazione del sistema viene a disporsi in opposizione
di fase rispetto alla forzante (fase ϕ prossima a 180°) e, dato che l’ampiezza
della forza inerziale aumenta con il quadrato della pulsazione Ω della
forzante, l’ampiezza della vibrazione risulta inversamente praticamente
proporzionale al quadrato di Ω.
(11.48)
in cui F 0 rappresenta il valore medio della forzante, Ω 0 è detta pulsazione
fondamentale della forzante, ed è definita come la pulsazione di una funzione
armonica avente il periodo T della forzante:
(11.49)
e infine i coefficienti A k e B k sono forniti dalle seguenti espressioni:
(11.50)
458
forzante, secondo quanto espresso dalla (11.48). Come già fatto nel
paragrafo precedente, ci concentriamo qui sull’integrale particolare
dell’equazione di moto, fermo restando che negli istanti iniziali del moto, a
questo termine si aggiungerà una oscillazione smorzata corrispondente
all’integrale generale della equazione omogenea associata.
Il calcolo della risposta a regime del sistema eccitato da una forzante
armonica, può essere condotto in maniera particolarmente efficiente
utilizzando la notazione complessa e il concetto di funzione di risposta in
frequenza introdotto nel paragrafo precedente. A tale scopo, riscriviamo la
(11.48) nella forma:
(11.51)
in cui è una costante complessa il cui modulo e fase sono definiti dalla:
(11.52)
Come visto nei due precedenti paragrafi, la risposta a regime del sistema al
termine costante della (11.51) è una componente di spostamento costante
pari al rapporto tra F 0 e la rigidezza k del sistema, mentre la risposta a
regime del sistema alla k-esima componente armonica della (11.51) è una
vibrazione armonica la cui ampiezza e fase sono definite dal prodotto
complesso tra il coefficiente complesso e la funzione di risposta in
frequenza valutata in corrispondenza della pulsazione della componente
armonica considerata, ossia:
(11.53)
con:
(11.54)
Infine osserviamo che il calcolo della risposta del sistema può essere
notevolmente semplificato (a condizione di introdurre nella soluzione una
approssimazione ingegneristicamente accettabile) approssimando la serie
nella (11.53) con la sommatoria dei primi N termini:
459
(11.55)
(11.57)
(11.59)
460
armonico, per il quale l’ampiezza della forzante risulta proporzionale
all’entità della massa squilibrata e dello squilibrio (distanza del baricentro
dall’asse di rotazione) e cresce con il quadrato della velocità angolare.
Come già fatto nel Paragrafo 11.11, utilizziamo il formalismo complesso per
determinare il movimento del sistema. A questo scopo riscriviamo la (11.59)
in forma complessa:
(11.60)
(11.61)
461
del basamento e delle parti fisse della macchina, con k e r rispettivamente la
rigidezza e la costante di smorzamento del supporto.
Se si indica con x lo spostamento verticale del basamento delle macchina e
con x s lo spostamento verticale assoluto della massa in moto alterno,
l’equazione di equilibrio dinamico della macchina prende la forma:
(11.62)
(11.64)
(11.65)
462
La forzante prodotta dal moto alternativo del pistone è quindi composta dalla
somma di due forze armoniche, con pulsazione rispettivamente Ω e 2Ω, ossia
pari alla velocità angolare dell’albero motore e al doppio di questa. Tali
forze, dette forze di inerzia del primo ordine e del secondo ordine, possono
essere (in parte o completamente) equilibrate secondo i metodi descritti nel
Paragrafo 9.4.2, ma nel caso esista una componente non equilibrata di queste
forze, essa ecciterà la vibrazione del motore sui suoi supporti. Per
determinare la vibrazione del sistema, è possibile utilizzare il principio di
sovrapposizione degli effetti come mostrato nel Paragrafo 11.5.3 per il caso
generico di una forzante periodica, utilizzando come scomposizione in serie
di Fourier della forzante le due componenti armoniche definite dalla (11.65).
463
Considerando per il movimento del sistema il solo integrale particolare
(moto a regime) e utilizzando come nel Paragrafo 11.11 il formalismo
complesso, la vibrazione x p( t) della massa vibrante è espressa dalle (11.42)
e (11.43) che, sostituite nella (11.66) forniscono:
(11.67)
Dalla (11.67) si può derivare il rapporto tra l’ampiezza della forza trasmessa
al vincolo F T, e l’ampiezza F 0 della forzante. Tale rapporto, chiamato
trasmissibilit à T, può essere espresso in funzione della pulsazione della
forzante oppure in forma adimensionale come funzione della pulsazione
adimensionale a precedentemente introdotta e del fattore di smorzamento:
(11.68)
464
doppia della pulsazione della forzante ( a ≤ 0.5): con questo tipo di
fondazione non si ottiene nessuna riduzione della forza trasmessa, anzi si
ottiene una leggera amplificazione. Una fondazione sospesa è invece
caratterizzata da una pulsazione propria inferiore alla pulsazione della
forzante, almeno nel rapporto di , e consente di ottenere una riduzione
della forza trasmessa rispetto a quella applicata.
Poiché la pulsazione propria della fondazione è data dalla radice quadrata del
rapporto tra la rigidezza e la massa della fondazione, la condizione di
fondazione sospesa può essere ottenuta adottando bassi valori delle rigidezze
dei supporti e una inerzia elevata della fondazione. In particolare, una bassa
rigidezza della fondazione comporta un valore elevato dell’abbassamento
statico di questa, e quindi anche una ampiezza di vibrazione elevata rispetto
al caso di fondazione rigida: occorre quindi verificare che tutte le strutture
che sono collegate alla macchina (tipicamente tubazioni) possano sopportare
le vibrazioni che nascono nel caso della fondazione sospesa. Se si vuole
realizzare un buon grado di isolamento, occorre aumentare la massa del
sistema, vincolando la macchina a un blocco di fondazione e montando i
supporti elastici sotto al blocco di fondazione, come indicato in Figura 11.16.
Per quanto riguarda infine l’effetto dello smorzamento della fondazione
sull’isolamento delle vibrazioni, osserviamo che per una fondazione sospesa,
a parità di pulsazione adimensionale, la trasmissibilità risulta tanto più bassa
quanto minore è lo smorzamento adimensionale h: se ne deduce che lo
465
smorzamento della fondazione dovrebbe essere limitato al minimo. Per
contro, bisogna ricordare che in genere nelle macchine la frequenza della
forzante agente dipende dalla velocità di rotazione della macchina (per
esempio nel caso di squilibrio rotante e di masse in moto alterno). Durante le
fasi di avviamento e di arresto della macchina la pulsazione della forzante
varierà con continuità in tutto il campo da 0 al valore di regime e, nel caso
della fondazione sospesa in cui la velocità di regime è al di sopra della
pulsazione di risonanza, si avrà l’attraversamento della condizione di
risonanza.
Pertanto, durante le fasi di avviamento e di arresto della macchina, si
possono verificare importanti amplificazioni sia della vibrazione sia della
forza trsmessa, che devono essere attentamente considerate. In queste fasi, la
presenza di un maggiore smorzamento risulta benefica, in quanto la
trasmissibilità in risonanza si riduce con l’aumentare dello smorzamento. A
questo proposito è importante infine osservare che il diagramma di
trasmissibilità della Figura 11.15 si riferisce a una condizione di regime della
macchina, mentre il fenomeno della risonanza, essendo basato su un
accumulo di energia di vibrazione all’interno del sistema, richiede un certo
numero di periodi di oscillazione per realizzarsi pienamente. Di
conseguenza, i fenomeni nocivi
associati alla risonanza della fondazione sospesa possono essere limitati non
solo evitando di ridurre eccessivamente lo smorzamento della fondazione,
ma anche facendo in modo che la macchina permanga per il minore tempo
466
possibile in condizioni prossime alla risonanza, ossia facendo in modo che i
transitori di avviamento e di arresto siano sufficientemente rapidi.
L’utilità dell’isolamento delle vibrazioni può essere dedotta dal seguente esempio. Si
consideri ancora l’esempio del motore GTV 2000, motore a 4 cilindri in linea, con le
manovelle disposte a 180° già trattato nel Paragrafo 9.4.3. Le forze di inerzia del
primo ordine agenti sui quattro manovellismi sono bilanciate a due a due a causa dello
sfasamento di 180° della prima manovella rispetto alla seconda, e della terza rispetto
alla quarta, che porta anche a sfasare della stessa quantità le forze di inerzia. Le forze
di inerzia del secondo ordine, sempre a causa dello sfasamento di 180° delle
manovelle, risultano essere tutte in fase tra loro dando luogo a una risultante che è la
somma algebrica delle 4 componenti.
Ricordando i dati del motore ( r = 44.25 mm, λ = 0.282), considerando un regime di
rotazione di 5800 giri/min e assumendo un valore di massa in moto alterno pari a 0.2
Kg, si ottiene, per la forza del secondo ordine del singolo manovellismo, un valore
pari a 920 N, e per il motore nel suo complesso si ha quindi una ampiezza della
forzante pari a 3680 N (secondo termine forzante della (11.65)). Si può comparare
l’entità di questa forza al peso del motore che, assumendo che una massa di 200 kg, è
pari a 1962 N.
In presenza di una fondazione rigida, questa forzante verrebbe interamente trasmessa
al telaio, causando vibrazioni e rumore a scapito del comfort del conducente, oltre a
sollecitazioni sul telaio. Usando invece per il motore dei supporti elastici di rigidezza
complessiva k = 3.0 × 10 6 N/m, con la massa del motore di m = 200 kg si ottiene una
pulsazione propria pari a ω = 122,5 rad/s, rispetto alla pulsazione della forzante pari
Ω = 1214 rad/s (corrispondente al doppio della velocità di rotazione). Trascurando
l’effetto dello smorzamento della fondazione e utilizzando la (11.68) si ottiene in
questa condizione una trasmissibilità pari a 1/97.21 e quindi una riduzione della forza
trasmessa al telaio della autovettura da 3683 N a 37.9 N. L’ampiezza di vibrazione del
motore, calcolata utilizzando la (11.37), risulta di soli 12 μm.
Quando la velocità di rotazione del motore è più bassa la trasmissibilità aumenta, ma
la forzante associata alle forze di inerzia del secondo ordine, proporzionale a Ω 2,
diminuisce rapidamente, per cui le forze trasmesse restano basse. Ipotizzando una
velocità minima di rotazione del motore pari a 900 giri/min, l’ampiezza della forzante
vale in questa condizione 88,7 N, la trasmissibilità è 1/8.5, e la vibrazione ha una
ampiezza di 10 μm. Infine, la condizione di risonanza si ottiene per 2Ω = 122.5 rad/s
e cioè per una velocità di rotazione del motore pari a 585 giri/min, inferiore alla
velocità minima di rotazione del motore.
467
11.6.1 Forzamento prodotto dal moto del vincolo
Una fonte di eccitazione delle vibrazioni che si presenta spesso nei sistemi
meccanici nel movimento del terreno o della struttura a cui il sistema è
collegato. L’origine di questo tipo di eccitazione può essere varia: per
esempio, nei veicoli l’effetto di moto del vincolo è prodotto dal movimento
delle ruote lungo una strada irregolare, mentre in un impianto industriale si
possono avere vibrazioni prodotte dall’effetto di altro macchinario adiacente,
e nelle costruzioni civili l’eccitazione può provenire da movimenti sismici
del terreno. In tutti questi casi, si può presentare l’esigenza di isolare il
sistema rispetto alla vibrazione esterna: si pensi per esempio alla necessità di
isolare i passeggeri di un veicolo rispetto alle vibrazioni delle ruote in
contatto con il terreno, oppure il caso di una apparecchiatura per misure o per
lavorazione meccanica di estrema precisione, la cui accuratezza potrebbe
essere compromessa dalle vibrazioni trasmesse alla macchina dall’ambiente
esterno.
Per studiare questo problema, facciamo riferimento al caso di Figura 11.17,
in cui un sistema massa-molla-smorzatore è collegato a un vincolo che
compie un moto y ( t). Indichiamo con x lo spostamento assoluto della massa
m. Le forze applicate alla massa sono indicate a destra in Figura 11.17, in
particolare la forza elastica e quella smorzante dipendono dalla deformazione
del gruppo molla-smorzatore e quindi anche dallo spostamento del vincolo y.
L’equazione di moto che si ottiene è:
(11.69)
468
(11.71)
(11.72)
L’integrale particolare si ottiene anche in questo caso nella forma:
(11.73)
(11.74)
(11.75)
469
ossia coincide con la funzione di trasmissibilità introdotta in precedenza.
Valgono quindi, per questo caso, le stesse considerazioni riportate nel
Paragrafo 11.6.
Si consideri la vettura Alfa Romeo GTV 2000 già considerata nel Paragrafo 9.4.3.
Utilizzando un modello “quarto di veicolo”, ossia un modello che considera una sola
delle quattro sospensioni del veicolo e la massa della scocca a essa associata, si
possono assumere i seguenti dati (sospensione anteriore): massa m = 250 kg,
rigidezza k = 10 000 N/m, smorzamento r = 2250 Ns/m. Si consideri il veicolo in
moto su una strada presentante una irregolarità sinusoidale di ampiezza Y 0 = 5 mm e
di lunghezza d’onda λ = 20 m, e si calcoli l’ampiezza della vibrazione della vettura
per le seguenti tre velocità: 36km/h, 72km/h, 144km/h.
Per il sistema considerato si ottiene:
Il forzamento prodotto sul veicolo dalla irregolarità della strada corrisponde a uno
spostamento impresso alla base della sospensione che assume la forma:
• ;
• ;
• ;
470
posizione di equilibrio. Per esempio, l’oscillazione di un pendolo può essere
prodotta dal fatto che il pendolo viene inizialmente spostato dalla propria
posizione di equilibrio, oppure viene urtato e messo in moto, iniziando
l’oscillazione.
In tutti i paragrafi precedenti, si è dato per scontato che il moto oscillatorio
che si produce in questa situazione sia stabile, ossia che il moto del sistema
conseguente alla perturbazione rimanga confinato nell’intorno della
posizione di equilibrio rispetto alla quale è stata introdotta la perturbazione.
In realtà, anche nel semplice caso di un pendolo si riconosce che questa
situazione non sempre si realizza. Consideriamo per esempio, il corpo rigido
incernierato in un punto fisso O e soggetto all’azione del peso mostrato in
Figura 11.18: questo sistema ammette due diverse posizioni di equilibrio:
l’una quando il baricentro è sulla verticale per O al di sotto del punto O
stesso, l’altra quando il baricentro è ugualmente posto sulla stessa verticale
ma al di sopra del punto fisso O. Nel primo caso, imprimendo un piccolo
spostamento al corpo, questo oscillerà mantenendosi nell’intorno della
posizione di equilibrio originaria, ossia mostrerà un comportamento stabile.
Se invece il corpo viene perturbato a partire dalla seconda posizione di
equilibrio, si metterà in moto allontanandosi dalla posizione di equilibrio,
comportamento che diremo instabile.
Dobbiamo quindi concludere che i comportamenti vibratori studiati in questo
capitolo rappresentano il comportamento tipico di un sistema perturbato
nell’intorno di una condizione di equilibrio stabile, e che si possono però
presentare forme di instabilità potenzialmente pericolose per il
funzionamento del sistema. Scopo di questo paragrafo è pertanto di
esaminare, a un livello introduttivo, in che modo possa essere determinata la
stabilità o instabilità di un sistema meccanico, e di introdurre alcune forme
tipiche di instabilità dei sistemi meccanici. In analogia con il resto del
capitolo, lo studio della stabilità sarà condotto limitatamente ai sistemi a un
grado di libertà. A differenza del resto del capitolo però, considereremo il
caso generale di un sistema governato da una equazione di moto non lineare,
in quanto l’analisi della stabilità di un sistema è intimamente correlata alla
presenza di non-linearità nell’equazione di moto.
Consideriamo allora un sistema a un solo grado di libertà retto
dall’equazione di equilibrio dinamico non-lineare:
(11.76)
471
Figura 11.18 Stabilità di un corpo rigido incernierato a terra e
soggetto alla forza peso.
(11.78)
Si dice che l’equilibrio del sistema rispetto alla posizione di equilibrio statico
esaminata è:
• stabile se il valore assoluto del moto perturbato, definito dalla 11.79,
si mantiene inferiore a una quantità prefissata e piccola a piacere,
purché le perturbazioni iniziali introdotte sul sistema siano
sufficientemente piccole, ossia se, prefissata una quantità ε > 0
472
piccola a piacere, è possibile determinare due quantità δ x > 0 e δ v > 0
tali che per ogni pertubazione iniziale tale da soddisfare le condizioni:
(11.80)
si ha:
(11.81)
• asintoticamente stabile se sono soddisfatte le condizioni del punto
precedente, e in aggiunta:
(11.82)
473
(11.83)
e, sostituendo l’espressione del moto perturbato fornita dalla (11.79) e le
sue derivate rispetto al tempo tenendo conto che x 0 è costante si ottiene:
(11.84)
(11.85)
(11.87)
che valgono:
(11.89)
474
dal sistema a fronte di una perturbazione (o condizione) iniziale è una
oscillazione smorzata, come mostrato in Figura 11.19, ossia un moto
asintoticamente stabile. Pertanto, in base al teorema di Liapounov, il sistema
risulta asintoticamente stabile nell’intorno della posizione di equilibrio
considerata.
Caso 2: k > 0 .
Questo caso coincide con il Caso 2 (o, al limite, con il Caso 3) del moto
libero smorzato studiato nel paragrafo 11.4.2. Il movimento prodotto da una
perturbazione applicata al sistema è in questo caso smorzato non oscillatorio,
come mostrato in Figura 11.20, quindi asintoticamente stabile. Anche in
questo caso si conclude quindi che il sistema è asintoticamente stabile
nell’intorno della posizione di equilibrio considerata.
475
Caso 3: k > 0 r = 0.
L’equazione linearizzata di moto corrisponde in questo caso a quella del
moto libero non smorzato, studiato nel paragrafo 11.4.1. Il movimento
prodotto da una perturbazione applicata al sistema è quindi oscillatorio non
smorzato, come mostrato in Figura 11.21, quindi stabile non asintoticamente.
Nulla si può quindi concludere in base al teorema di Liapounov in merito
alla stabilità della posizione di equilibrio considerata.
476
termine esponenziale crescente e complessivamente dà luogo ad un
movimento non oscillatorio che diverge dalla posizione di equilibrio, come
mostrato in Figura 11.22. Si conclude, quindi, che la posizione di equilibrio
considerata è instabile, in quanto per effetto della perturbazione iniziale
questo si allontanerà dalla posizione di equilibrio senza oscillare.
Caso 5: k > 0
In questo caso, le due radici caratteristiche risultano in base alla (11.89)
complesse coniugate, con parte reale maggiore di zero. Con passaggi simili a
quelli riportati nel Paragrafo 11.4.2, si dimostra che il moto del sistema è in
questo caso oscillatorio espansivo, ossia con ampiezza delle oscillazioni
esponenzialmente crescente nel tempo, come mostrato in Figura 11.23. Si
conclude quindi che la posizione di equilibrio considerata è instabile, in
quanto per effetto della perturbazione iniziale il sistema innescherà una
oscillazione la cui ampiezza crescerà nel tempo, di modo che nelle fasi della
oscillazione corrispondenti alla massima escursione del sistema, questo si
allontanerà macroscopicamente dalla posizione di equilibrio originaria.
Questo tipo di comportamento è detto instabilità dinamica.
477
Caso 6: k > 0 .
in questo caso, le due radici caratteristiche risultano ambedue reali positive, e
il moto espresso dalla (11.88) risulta divergente esponenzialmente, con
andamento simile a quello mostrato in Figura 11.22. Nell’intorno della
posizione di equilibrio considerata, il sistema dà quindi luogo a un
comportamento instabile di tipo divergenza.
478
(11.91)
(11.94)
(11.95)
e l’equazione che rappresenta il moto perturbato nell’intorno di tale
posizione è:
(11.96)
479
Si osservi che, in funzione del valore numerico dei parametri r, α e m il
termine complessivo di smorzamento può diventare negativo, dando quindi
luogo in base al caso 5 della discussione precedente, a una instabilità
dinamica. Questo fenomeno, spesso indicato come “vibrazioni autoeccitate
per effetto dell’attrito”, è all’origine del funzionamento degli strumenti
musicali da arco (per esempio il violino), ma rende ragione qualitativamente
dello stridio talvolta emesso dai freni delle autovetture, che avviene a bassa
velocità per effetto della vibrazione dei dischi freno auto-eccitate dall’effetto
dell’attrito.
ESERCIZI SVOLTI
11.1 Il sistema mostrato in Figura 11.26 giace in un piano verticale ed è
composto da una puleggia che ruota attorno a un centro vincolato a muoversi
in direzione verticale e collegato per mezzo di una molla di rigidezza k a un
punto fisso. Sulla puleggia si avvolge una fune inestensibile che presenta una
estremità fissa e l’altra recante una massa vincolata a un carrello, con
direzione di scorrimento verticale. Sul carrello agisce una forzante armonica
di ampiezza F 0 e pulsazione Ω.
480
Si richiede di:
1. scrivere l’equazione di moto del sistema;
2. ricavare la pulsazione propria del sistema;
3. determinare la risposta a regime del sistema alla forzante assegnata.
I dati numerici del problema sono: m C = 10 kg, J C = 1.25 kgm 2, m 2 = 20
kg, R = 0.5 m, k = 2 × 10 4 N/m, F 0 = 100 N, Ω = 31.4 rad/s.
Risoluzione
Punto 1 Osserviamo innanzitutto che nell’ipotesi di fune sempre tesa (a
causa del peso della massa m 1) e di assenza di strisciamento tra fune e
puleggia il sistema ha un grado di libertà. Scegliamo la rotazione θ del disco
come coordinata libera del sistema e utilizziamo il metodo delle equazione di
Lagrange per scrivere l’equazione del moto.
L’espressione dell’energia cinetica è:
481
Sostituendo queste relazioni nella espressione dell’energia cinetica e
raccogliendo opportunamente si ottiene:
482
Punto 2 Poiché il sistema è privo di smorzamento, la pulsazione propria ω
è fornita dalla relazione:
483
Risoluzione
Punto 1 Nell’ipotesi di filo inestensibile, il sistema è dotato di un grado di
libertà. Scegliamo come coordinata libera la rotazione dell’asta θ, misurata a
partire dalla posizione di asta orizzontale.
L’energia cinetica del sistema è pari a:
484
in cui è l’allungamento della molla e h G è l’innalzamento del baricentro
dell’asta. Queste grandezze possono essere espresse in funzione della
coordinata libera θ mediante i seguenti legami cinematici:
485
Si osservi che, affinché θ = 0 sia posizione di equilibrio del sistema,
l’equazione di moto ottenuta sopra deve essere soddisfatta per:
Punto 3 La forzante agente sul sistema è determinata dal solo effetto della
coppia armonica applicata al disco. Si osservi infatti che, nonostante il
sistema si muova nel piano verticale, l’effetto di forzamento prodotto dal
peso viene annullato dal precarico statico della molla. Questa circostanza
non è particolare di questo esercizio, ma si ottiene in tutti i sistemi lineari se
si sceglie come origine della coordinata libera la posizione di equilibrio
statico.
La risposta del sistema al forzamento armonico, in base alla (11.35), è una
oscillazione armonica alla stessa pulsazione della forzante, la cui ampiezza e
fase sono date dalle (11.37) e (11.36). Sostituendo i valori numerici del
problema si ottiene:
486
11.3 Un carrello di massa m urta con velocità iniziale V 0 un respingente di
massa trascurabile, avente rigidezza k e costante di smorzamento viscoso r
(Figura 11.28).
Risoluzione
Punto 1 Introduciamo come coordinata libera del sistema lo spostamento x
del carrello, misurato a partire dalla posizione in cui il carrello entra in
contatto con il respingente, che corrisponde anche alla posizione di molla
inestesa. Considerando il carrello in contatto con il respingente, l’equazione
di moto del sistema diviene:
487
valore di smorzamento critico, ossia per il sistema considerato:
in cui:
488
Figura 11.29 Grafico della legge del moto del sistema Esercizio
11.3.
489
CAPITOLO 12 Elementi di controllo
e regolazione di sistemi dinamici
490
desiderata.
Altre macchine ancora richiedono la necessità di mantenere costante una
determinata grandezza: per esempio, in una macchina tessile la tensione di
un tessuto che si svolge da un rullo per riavvolgersi su di un’altro e così via.
È possibile individuare da subito una importante suddivisione tra due diversi
tipi di intervento di regolazione o controllo.
• Sistemi di controllo in anello aperto: in tale schema, come mostrato in
Figura 12.1, l’ingresso di riferimento z r ( t) che rappresenta
l’obiettivo desiderato viene passato al controllore che in funzione di
esso definisce un comando u c ( t) per un attuatore che esercita una
forza di controllo f c( t). Questa si combina con le azioni esterne e con
le eventuali azioni di disturbo f d ( t) a dare la forza totale agente sul
sistema. La risposta del sistema alla forza complessiva è la grandezza
z ( t) che assume il ruolo di variabile controllata.
491
• Sistemi di controllo in anello chiuso: in questo schema di controllo,
come indicato in Figura 12.2, si introduce un elemento addizionale
costituito da un sensore o trasduttore. Il trasduttore misura la variabile
controllata z ( t) e invia la corrispondente informazione al controllore.
Il controllore riceve il segnale di riferimento (o lo genera) ed elabora
il segnale errore come differenza tra riferimento e valore misurato,
generando il segnale di controllo che viene inviato all’attuatore che ha
il compito di realizzare la forza di controllo f c ( t). Un tale sistema
prende il nome di sistema di controllo retroazionato o in anello
chiuso.
Il controllo in retroazione può avvenire in modo automatico o
manuale. Per render l’idea si pensi al caso di una autovettura in
cui l’autista, in base alla lettura del tachimetro che fornisce il
valore della grandezza controllata
492
essere eseguite automaticamente.
Come detto, obiettivo di ogni sistema di controllo è che la variabile
controllata si discosti il meno possibile dall’andamento desiderato; da questo
punto di vista la situazione ideale è che il sistema realizzi una perfetta
coincidenza tra valore desiderato z r ( t) della variabile controllata e valore
effettivo z ( t).
Se si pensa però ai fenomeni dinamici che possono aver luogo, alla presenza
di disturbi e a tutte le incertezze presenti nel modello che rendono incerta
l’attuazione del controllo stesso, è chiaro come tale risultato sia
irraggiungibile. Occorrerà quindi richiedere più ragionevolmente che l’errore
risulti piccolo in tutte le condizioni di funzionamento prevedibili. Nel
funzionamento del sistema, della macchina o dell’impianto controllato, si
debbono considerare infatti anche le azioni di disturbo. È precisamente la
presenza dei disturbi che rende necessario un sistema di controllo, avente lo
scopo di mantenere la grandezza regolata quanto più possibile vicina al
valore desiderato, malgrado i disturbi.
Pensando, per esempio, al regolatore di velocità di una turbina accoppiata a
un utilizzatore, di fronte a un aumento del momento resistente, il sistema di
controllo dovrebbe, con la maggior prontezza possibile, aprire il distributore
della turbina così da adeguare il momento motore al nuovo valore del
momento resistente con scarti accettabili della velocità rispetto al valore
prescritto, sia nel nuovo regime che si viene a stabilire, sia durante il
transitorio.
Riferendoci ancora al sistema di pilotaggio automatico di una nave, si
comprende come qualora esso sia tale da dare al timone spostamenti dalla
posizione neutra esclusivamente proporzionali al segnale d’errore (differenza
tra la rotta desiderata e rotta attuale), esso si comporterebbe come un
timoniere poco esperto: infatti, il sistema di pilotaggio riporterebbe il timone
in posizione neutra solo quando l’asse della barca ha riassunto la direzione
prestabilita. Ma a tale orientamento la nave è giunta con una certa velocità
angolare, tanto maggiore quanto più energico è stato l’intervento correttivo;
l’inerzia rotatoria della nave provocherà allora una deviazione in senso
opposto con un conseguente avanzamento serpeggiante della nave. Per
ovviare a tali problemi, occorre che il sistema di controllo agisca non solo in
funzione del segnale errore ma anche in funzione della derivata di detto
segnale rispetto al tempo. Ciò corrisponde a quanto farebbe un timoniere
493
esperto, che appena vede che l’imbarcazione ha cominciato a ruotare nel
verso voluto, modera l’azione sul timone fino ad annullarla o anche a
invertirla facendo sì che la nave assuma l’orientamento voluto con velocità
angolare pressoché nulla.
Più precisamente, le caratteristiche fondamentali che un sistema di controllo
deve possedere sono le seguenti:
• la asintotica stabilità; infatti il controllore, applicando un’azione
funzione dello stato del sistema (assimilabile a una forza di campo),
modifica la stabilità del sistema, e pertanto diviene necessaria una
verifica di stabilità;
• una prontezza di risposta adeguata: di fronte a una brusca variazione
della variabile controllata si richiede che la risposta del sistema tenda
ad adeguarsi al nuovo valore dell’ingresso il più rapidamente
possibile. Nel caso in cui poi l’andamento della risposta risulti
oscillante, si vuole che le sovraelongazioni siano contenute.
Si parla inoltre di requisiti statici qualora un sistema di controllo debba
operare essenzialmente in condizioni di regime, ossia la durata dei transitori
sia piccola rispetto alla durata del regime. Si comprende l’importanza del
richiedere al sistema di controllo che, una volta esauriti i transitori, l’errore a
transitorio esaurito si mantenga entro i limiti ritenuti accettabili in funzione
dell’applicazione.
Nel seguito verranno riportate un’applicazione legata alla regolazione di
velocità di una macchina MTU e successivamente a un problema di
riduzione delle vibrazioni mediante un sistema di controllo attivo. Tali
esempi hanno lo scopo di chiarire come le azioni di controllo divengano
parte integrante del sistema meccanico e quindi della fase di progettazione.
Non vogliono, viceversa, avere la pretesa di un approfondimento sulla teoria
del controllo e sulle relative metodologie per le quali si rimanda alla
letteratura specialistica.
494
portata del fluido operante nella macchina motrice. Nel caso di motori
elettrici si agisce invece sulla tensione di alimentazione o altri parametri
(flusso di eccitazione, frequenza… ) caratteristici del motore stesso. Questa
situazione può essere rappresentata matematicamente considerando il
momento motore M m come una grandezza dipendente sia dalla velocità
angolare sia dal valore di una variabile di controllo Y:
(12.1)
495
(12.5)
(12.7)
496
variazione δΩ della velocità angolare.
Considerando nulle le variazioni δY e δZ della variabile di controllo e del
carico della macchina, la (12.7), diviene:
(12.8)
(12.10)
(12.11)
(12.12)
497
Viceversa, se k R - k M < 0 la costante T diviene negativa e l’Equazione
(12.11) rappresenta un andamento esponenziale crescente della perturbazione
δΩ. Si ricade quindi nel caso di instabilità di tipo divergenza introdotta nel
Paragrafo 11.7.
(12.13)
498
risposta complessiva del sistema alla variazione periodica della grandezza
regolante può essere ottenuta mediante il principio di sovrapposizione degli
effetti.
Consideriamo in primo luogo il caso di variazione a gradino di δY. Posto δY
= 0 per t < 0 e δY = δY 0 per t > 0, l’integrale particolare è:
(12.14)
(12.15)
con A costante d’integrazione dipendente dalla condizione iniziale, che, per
il caso in esame, è δΩ(0) = 0, imponendo la quale si ottiene:
(12.16)
(12.17)
(12.18)
(12.19)
499
tempo del sistema. La soluzione a regime della (12.19) è pertanto
rappresentata dal solo integrale particolare, che prende la forma armonica:
(12.20)
(12.21)
da cui si ottiene:
(12.22)
(12.23)
(12.24)
500
Ω Y
su un diagramma cartesiano che riporta l’andamento di G( iΩ Y) in
modulo e fase, usualmente con scala logaritmica dell’asse delle frequenze. Il
modulo | G( iΩ Y)| si esprime in dB secondo l’espressione:
(12.25)
501
La fase è espressa in gradi. Si veda per esempio la rappresentazione della
(12.23) secondo Bode. Si noti che:
(12.26)
(12.27)
502
(12.28)
(12.29)
(12.30)
503
genera il segnale di retroazione;
• un generatore del segnale di riferimento W, che trasforma
opportunamente la grandezza in ingresso (comando comunicato al
sistema) in un segnale omogeneo e confrontabile con quello di
retroazione R;
• un dispositivo che confronta il segnale di riferimento W con il segnale
di retroazione R per generare un segnale di differenze E = W - R;
(12.31)
504
logica è detta regolazione proporzionale):
(12.32)
dove il segnale Ω R di retroazione è proporzionale alla velocità angolare della
macchina tramite una costante a detta guadagno della catena di retroazione:
(12.33)
(12.34)
(12.35)
(12.36)
(12.37)
che deve risultare positivo per garantire una condizione di regime stabile. Il
sistema meccanico può essere reso stabile anche per valori di k M > k R pur di
rendere sufficientemente elevato il termine k a = k Y pa agendo sui parametri
a del segnale di retroazione (utilizzando un tachimetro molto sensibile) e p
dell’anello di regolazione proporzionale. La diminuzione della costante di
tempo riduce di conseguenza l’esaurirsi dei transitori, e in pratica è come se
si fosse aumentata la pendenza (negativa) delle curve caratteristiche del
motore dal valore k M (< 0) al valore k M - k a (con k a > 0). Per quanto
concerne la risposta del sistema regolato ai disturbi, analogamente a quanto
fatto per il sistema ad anello aperto, si ha che:
505
(12.38)
ossia permane un errore di statismo:
(12.39)
che risulta però più piccolo di quello ad anello aperto per effetto del termine
ka .
L’Equazione (12.38) mostra uno scostamento δΩ costante in risposta a un
disturbo costante. L’errore di statismo è la diretta conseguenza della
regolazione proporzionale: se infatti varia il carico, si può ottenere una nuova
condizione di regime alla stessa velocità solo con un diverso valore del
momento motore, quindi del segnale di comando e in definitiva del segnale
differenze e; visto che non è mutato il segnale di riferimento, deve
permanere necessariamente uno scostamento della grandezza regolata. Se k a
= k Y pa è molto maggiore della differenza k R - k M, lo statismo risulta
indipendente dalla pendenza delle curve caratteristiche:
(12.40)
e diminuisce al crescere dei guadagni a della linea di retroazione e p della
linea diretta. Il guadagno però non può essere aumentato a dismisura,
altrimenti a piccole variazioni della grandezza regolata corrispondono elevati
valori del comando δY che, essendo limitato, va in saturazione e trasforma
la regolazione da proporzionale a quella tutto o niente.
Regolazione Integrale
Nella regolazione integrale il comando δY si fa dipendere in modo
proporzionale (tramite un guadagno b) all’integrale dell’errore e:
(12.41)
506
(12.42)
(12.43)
che mostra come la funzione di trasferimento tra δΩ e δΩ rif dipenda solo dai
parametri del regolatore.
Regolazione derivativa
Nella regolazione derivativa, viceversa, il comando δY viene fatto dipendere
in modo proporzionale (tramite un guadagno c) dalla derivata dell’errore e:
(12.44)
(12.45)
ovvero:
(12.46)
(12.47)
Regolazione PID
Nella regolazione industriale, in funzione dell’applicazione, si realizza un
controllore che intervenga con un comando che dipende dai tre contributi
analizzati separatamente in precedenza, ovvero un primo contributo
proporzionale all’errore, un secondo contributo proporzionale al suo
integrale e infine un terzo contributo proporzionale alla derivata dell’errore
stesso:
(12.48)
507
che sostituita nell’equazione di moto porta a:
(12.49)
avendo posto J c = k Y ca, k a = k Y pa e k b = k Y ba. Modificando quindi i
parametri del regolatore a, b e p, è possibile modificare il comportamento
del sistema sia in termini di stabilità, sia di risposta a variazioni della
grandezza regolata Ω rif o dei disturbi Z.
508
trasferimento).
509
Figura 12.9 Legge di moto desiderata z r (a) e relativo spettro a
confronto con la funzione di trasferimento del sistema in oggetto
(b)
510
caratteristiche del sistema stesso in termini di rigidezza k p e in un’azione
dipendente da z r assimilabile ad un’azione di feed forward:
(12.54)
(12.57)
511
Si noti come l’introduzione della legge di controllo in questo caso si traduca
oltre che in una rigidezza equivalente k p, anche in uno smorzamento
equivalente r p, che possono modificare la funzione di trasferimento in modo
che il sistema sia in grado di riprodurre il valore di riferimento fino a
frequenze più elevate, aumentando in tal modo la banda passante (Figura
12.10).
Come si può notare dall’equazione di moto (ma ciò risulta generalizzabile a
qualsiasi sistema con azioni di controllo proporzionale all’errore e alla
derivata dell’errore stesso), l’azione di controllo produce due effetti:
un’azione assimilabile a un feed forward dovuta ai termini e una
dipendente dallo stato del sistema stesso che modifica frequenze proprie,
fattori di smorzamento e in generale i modi di vibrare. L’azione in feed
forward non garantisce però in generale il raggiungimento della legge
desiderata; infatti se z r è costante, a transitorio esaurito z è dato
dall’espressione:
(12.58)
da cui risulta che, affinché z sia uguale a z r, deve essere k p >> k 1. I valori
di k p e r p inoltre, nell’azione in anello chiuso, devono essere scelti in modo
da posizionare gli autovalori in modo opportuno rispetto alla strategia di
controllo attuata. In altre parole, in questo esempio, la frequenza propria
deve essere sufficientemente più elevata delle frequenze presenti nella legge
z r, e il fattore di smorzamento sufficientemente alto in modo che non
vengano amplificati i disturbi alla frequenza di risonanza. Al fine di valutare
la stabilità del sistema, si consideri l’omogenea associata della (12.56):
1
In realtà, non è sempre realistico che l’azione proporzionale associata a k p
>> k sia fisicamente realizzabile dall’attuatore e pertanto non è garantito che
lo stato z risulti fedele a z r.
(12.59)
(12.60)
512
tramite cui si devono valutare le radici al variare dei parametri di controllo
k p e r p . Graficando tali autovalori nel piano complesso, è possibile
disegnare quello che viene definito luogo delle radici che mostra anche
come varia il parametro α/ ω indice della stabilità del sistema. In Figura
12.11 sono riportati i luoghi delle radici al variare del guadagno di controllo
k p: nel caso di un’azione solo proporzionale (con il simbolo “Δ”) si noti
come il controllo modifichi la sola parte immaginaria, mentre nel caso di
un’azione proporzionale – derivativa (con il simbolo “O”), mantenendo
invariato il rapporto tra k d e k p, si evidenzia come viene modificata sia la
parte reale sia quella immaginaria dell’autovalore.
513
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515
Indice analitico
accelerazione, 12, 36
complementare, 22
componenti tangente e normale, 19
di Coriolis, 22
normale, 17
tangente, 17
addendum, 291
aderenza, 156, 243
albero, 76
angolo limite di attrito statico, 156, 158
anomalia, 9
approssimazione
del primo ordine, 82
del secondo ordine, 82
atto di moto, 23, 30
attrito, 153
dinamico, 155, 156, 158
coefficiente di, 161
forza di, 155
516
radente, 155, 358
coefficiente di, 161
statico, 155, 156
angolo limite di, 156, 158
coefficiente di, 156, 157, 161, 164
volvente, 165, 169, 240
coefficiente di, 168
modello di, 168
autovalore o esponente caratteristico o polo, 382
autoveicolo, 239
azionamento
controllo del, 88
elettrico, 91
oleodinamico, 91
azione interna, 111
517
di potenze parziale, 227
delle potenze, 134, 213
Bode, diagramma di, 375
518
dinamico, 161
radente, 161
statico, 156, 157, 161, 164
volvente, 168
di portanza, 193
di resistenza, 193
componente
cartesiana, 9
dell’accelerazione tangente e normale, 19
Lagrangiana, 115
polare, 9
condizione iniziale, 329
contatto
di rotolamento, 154, 164
di strisciamento, 154
di urto, 154
tra superfici non conformi, 40
controllo dell’azionamento, 88
controllore, 368
coordinata
libera, 65, 72, 75, 84, 87
coppia, 103
di inerzia, 130
motrice ridotta, 215
resistente ridotta, 222
corpo rigido, 23, 24, 34, 36, 128
corsoio, 67, 76
costante di tempo, 372, 379
Coulomb, legge di, 156
519
cuscinetto, 319
a lubrificazione, 321
a rotolamento, 319, 321
a strisciamento, 319, 320
dedendum, 291
diagramma
di Bode, 375
di Nyquist, 375
dinamica
diretta, 109
inversa, 109, 142
drag o forza di resistenza, 191
energia
cinetica, 327
di un corpo rigido, 135
potenziale, 139, 327
equazione
caratteristica, 330
cardinale della statica, 100
di chiusura, 71, 72, 84
del glifo oscillante, 87
di equilibrio dinamico, 128, 131
520
di Lagrange, 138, 327
seconda forma della, 138
equilibrio dinamico, 128
errore di statismo, 375, 377, 379
esalatero, 71
esponente caratteristico o autovalore o polo, 382
evolvente di cerchio, 291
521
freno, 318
frequenza
di taglio, 376
propria, 383
ridotta, 194
fune, 312
funzione
di dissipazione, 141, 327
di risposta in frequenza, 344
di trasferimento armonica, 347, 383
glifo oscillante, 86
equazione di chiusura del, 87
grado
di ammissione, 244
di irregolarità periodica, 257
di libertà, 65, 71
computo, 69
del corpo rigido, 26
di vincolo, 66
Grashof, regola di, 84
Grübler, regola di, 69
guadagno, 376
della catena di retroazione, 378
H
522
Hooke, legge di, 166
jacobiano, 80, 82
523
di Hooke, 166
di Petroff, 184, 200
lift o forza di portanza, 191
lubrificante, 199
lubrificazione
idrodinamica naturale, 198
idrostatica forzata, 198
limite, 198
mediata, 198
luogo delle radici, 385
macchina
alternativa, 271, 346
equilibramento di, 282
automatica, 83, 86
di movimento terra, 85
di sollevamento terra, 85
in regime periodico, 254
utensile, 88
manovella, 76, 84
-bilanciere, 84
doppia, 84
manovellismo ordinario, 67
centrato, 76, 271, 282
equazione di chiusura, 77
deviato, 92
524
massa equivalente traslante, 274
meccanismo, 66, 108
piano, 69
micro-scorrimento, modello del, 173, 174
modello
a corpi deformabili, 154
dei micro-scorrimenti, 174
di attrito volvente, 168
modulo, 9, 291
momento
statico, 123
di inerzia di massa, 119
di inerzia ridotto, 215
motore, 367
statico, 120
moto
circolare, 18
diretto, 225, 228, 233
forzato, 335
non rigido, 67
piano, 23
retrogrado, 225, 228, 233
rettilineo, 18
rotatorio, 28
rototraslatorio, 29, 76
traslatorio, 27
vario, 231
motore, 213, 214
a combustione interna, 76, 214, 218, 367, 370
525
a vapore, 370
asincrono, 220
trifase, 235
elettrico, 214
in corrente continua, 367
in corrente alternata , 367
movimento, 23
numero
di Reynolds, 185
numero di Strouhal, 196
Nyquist, diagramma di, 375
526
portanza, forza di o lift, 191
potenza
di inerzia, 135
perduta, 226, 227
pressione
dinamica, 182
idrostatica, 182
statica, 182
principio dei lavori virtuali, 23, 114
nella dinamica, 132
principio di D’Alémbert, 127
pulsazione
adimensionale, 338
fondamentale, 343
propria, 330, 348
punto
materiale, 128
morto, 80
esterno, 78
interno, 78
527
R
528
riferimento, 368
risonanza, 197
risposta in frequenza, 341
Rivals, teorema di, 35, 36
rotazione
assoluta, 70
infinitesima dθ, 72
relativa, 70
rotolamento
resistenza al, 165
senza strisciamento, 57, 242
ruota
dentata, 290
di frizione, 289
elicoidale-vite senza fine, 235
sistema
di controllo
in anello aperto, 368
in anello chiuso, 368
di corpi rigidi, 132
di forze
parallele, 102
equipollenti, 104
smorzamento
adimensionale, 348
529
critico, 333
viscoso, 140
sospensione veicoli, 83
Mc Pherson, 86
spostamento
infinitesimo, 23, 72
rigido, 24
stabilità, 370, 372
statica, 99
statismo, errore di, 375, 377, 379
strato limite, 189, 195
Strouhal, numero di, 196
struttura, 66, 108
isostatica, 108
530
traiettoria, 8
trasmissibilità, 347, 352
trasmissione, 213, 224
a cinghia trapezoidale, 307
di potenza, 287
in serie, 229
non reversibile, 225, 226
omocinetica, 225
trasporto, legge del, 123
treno
composto, 298
semplice, 297
531
ridotta, 194
vibrazione
auto-eccitata, 324, 360
controllo delle, 381
forzata, 324
libera, 324
vincolo, 38
di appoggio, 72
di puro rotolamento, 164
volano, dimensionamento di, 278
vortice, distacco di, 195
532
Eserciziario
Indice
2 Cinematica del punto e del corpo rigido E5
2.1 Moto del punto nel piano: es.1 E5
533
4.2 Disco su guida circolare E22
534
7.4 Manovellismo deviato E39
535
Capitolo 2 Cinematica del punto e del corpo rigido
2.1 Moto del punto nel piano: es.1
Un punto materiale si muove lungo una traiettoria la cui legge oraria è
Si richiede di:
1. calcolare i vettori velocità ed accelerazione in funzione del tempo;
2. calcolare l’espressione dei versori tangente e normale alla traiettoria
all’istante t = 3 s;
3. calcolare il raggio di curvatura della traiettoria sempre all’istante t =
3s
536
Sono inoltre note:
• la velocità massima del veicolo: v max = 60 km/h;
• la massima accelerazione in trazione: a t = 1 m/s 2;
• la massima decelerazione in frenatura: a f = -0.8 m/s 2.
Sapendo che il tram parte e deve arrivare fermo alle due fermate, si chiede
di:
1. definire la legge di moto del veicolo che minimizzi il tempo di
percorrenza del tragitto assegnato;
2. realizzare i diagrammi di spostamento, velocità ed accelerazione del
veicolo in funzione del tempo;
3. realizzare i diagrammi di velocità ed accelerazione in funzione
dell’ascissa curvilinea;
4. verificare che l’accelerazione laterale massima sui passeggeri sia
minore di un valore di comfort fissato pari a 0.8 m/s 2.
537
La figura 2.2 riporta lo schema di una gru da cantiere a braccio girevole con
il carrello portagancio mobile lungo il braccio. Si richiede di studiare il moto
del carrello, schematizzato come un punto materiale, determinandone
velocità ed accelerazione quando il braccio ruota con velocità angolare ω =
0.1 rad/s ed accelerazione angolare attorno all’asse verticale
(entrambe in senso orario viste da una vista in pianta dall’alto) mentre il
carrello si sta muovendo verso l’estremità del braccio con componenti di
velocità ed accelerazione allineate al braccio pari rispettivamente a v r = 0.7
m/s e a r = 0.1 m/s 2.
Si conosce la distanza del carrello dall’asse di rotazione nell’istante di tempo
considerato pari a 3.9 m e la posizione angolare del braccio pari a π/6
rispetto all’asse x della terna riportata in figura 2.3. Risolvere il problema
mediante:
• metodo dei numeri complessi;
• teorema dei moti relativi.
538
L’asta AB di lunghezza l = 2m, rappresentata in Figura 2.4, si muove nel
piano ed è vincolata tramite due carrelli agli estremi A e B. Il carrello in A
scorre su una guida circolare di raggio costante e centro in O. Il
carrello in B scorre invece su una guida rettilinea orizzontale. Nell’atto di
moto rappresentato, l’angolo α formato dall’asta AB con la guida orizzontale
è pari a π/6. Note la velocità e l’accelerazione del punto B ( v B = 0.5 m/s e
a B = 0.1 m/ s 2):
1. individuare la posizione del centro di istantanea rotazione;
2. calcolare la velocità e l’accelerazione angolare dell’asta: e ;
3. calcolare la velocità e l’accelerazione del punto A: v A e a A.
539
su una guida rigida curva con raggio di curvatura R = 1 m.
È nota la legge di moto dell’angolo ϑ( t) che descrive la posizione angolare
del disco rispetto al sistema di riferimento assoluto Oxy con origine nel
centro di curvatura della guida. Nell’atto di moto rappresentato in Figura 2.5
( ϑ = π/6, e ) si richiede di calcolare:
1. velocità ed accelerazione del centro del disco (punto C);
2. velocità ed accelerazione del punto P posto sulla circonferenza
(nell’atto di moto considerato il vettore ( P - C) è parallelo all’asse x).
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid
540
Figura 3.2 Sistema articolato
α = 160°
541
3.3 Manovellismo ordinario deviato
Figura 3.3 Manovellismo ordinario deviato
β = 0 rad AB = 1 m
R = 0.2 m
542
Figura 3.4 Sistema meccanico disco cuneo
543
In Figura 3.5 è riportato lo schema di un sistema meccanico, che si muove
nel piano, costituito dalla manovella AO = 0.4 m incernierata a terra nel
punto O e dalla biella AB = 1.4 m vincolata in A all’asta AO tramite una
cerniera e in C al terreno tramite un manicotto che consente la rotazione
dell’asta e lo scorrimento della stessa.
I dati relativi all’atto di moto nell’istante considerato , sono riportati in
Tabella 3.3 in termini di posizione α, velocità angolare , accelerazione
angolare della manovella, distanza AC tra la cerniera in A ed il vincolo in
C e posizione angolare della biella β.
Si chiede di determinare:
1. il vettore velocità angolare dell’asta AB;
2. il vettore accelerazione angolare dell’asta AB;
3. il vettore velocità assoluta υ B del punto B;
4. il vettore accelerazione assoluta a B del punto B.
544
Il manovellismo rappresentato in Figura 3.6 è costituito da una manovella
OA di lunghezza 0.4 m, da una biella AB di lunghezza 0.4 m e dal corsoio B
che scorre su un piano Π inclinato di π/6 rispetto all’orizzontale. Da ultimo il
corsoio è collegato a terra tramite un attuatore idraulico CB.
I dati relativi all’atto di moto da considerare sono riportati in Tabella 3.4,
ovvero posizione angolare α, velocità e accelerazione angolare della
manovella, posizione angolare della biella β e lunghezza del attuatore
idraulico.
Si chiede quindi di determinare:
1. la velocità del corsoio B;
2. la velocità di sfilo del pistone CB;
3. l’accelerazione del corsoio B.
α = 30°
β = 330° CB = 0.5 m
545
distanza s fra la cerniera in O ed il piano inclinato è assegnata e pari a 2 m
che scorre su un piano inclinato. Sulla superficie laterale del disco di raggio
R 1 si avvolge una fune in estensibile all’estremo della quale è collegata una
massa m. Il tratto di fune che collega il disco alla massa m è parallelo al
piano inclinato.
É assegnata la legge di moto della rotazione dell’asta lungo cui scorre il
perno E: , secondo le convenzioni riportate in
Figura 3.7 dove è rappresentata la configurazione del sistema in un istante
generico t = 0.17 s.
Si considerino note le grandezze riportate nella Tabella 3.5 per l’istante t = 0
se .
Si richiede quindi di calcolare nell’istante t = 0.1 s:
1. il vettore velocità ed accelerazione angolare dei due dischi: ω d e
d;
2. il vettore velocità ed accelerazione punto E: υ E e a E;
3. il vettore velocità ed accelerazione della massa collegata alla fune:
υ m e a m.
t=0 s ε = 120°
t = 0.1 s ε = 187.9°
546
3.8 Carrellino
Figura 3.8 Sistema carrello automobile
547
In Figura 3.8 è riportato lo schema cinematico di un sistema meccanico che
si muove nel piano.
Tale sistema è composto da un carrello libero di muoversi lungo un piano
inclinato rispetto all’orizzontale di un angolo pari a ϑ = 10°. Un attuatore
idraulico collega il punto E della ruota anteriore al punto B appartenente al
carrello stesso. Sono note le grandezze geometriche riportate in Tabella 3.6.
Per il sistema in esame viene inoltre assegnata, a partire dalla condizione di
quiete, la seguente legge di moto:
(3.1)
548
Figura 3.9 Schematizzatione di una carriola
549
Il sistema meccanico in Figura 4.1, posto nel piano verticale, è costituito da
un’asta AB omogenea di massa m e lunghezza l che è vincolata agli estremi
A e B tramite dei carrelli. I carrelli scorrono su guide rettilinee prive di
attrito, il carrello in A scorre in direzione orizzontale mentre il carrello B
scorre in direzione verticale. Determinare la forza orizzontale F applicata nel
punto B che garantisce l’equilibrio statico del sistema per un angolo α pari a
30°.
Tabella 4.1 Dati scala
m = 20 kg l=4m α = 30°
550
un disco di raggio r e massa m che rotola senza strisciare su una guida
curvilinea circolare di raggio R. Nella posizione rappresentata in Figura,
determinare:
1. la coppia C che garantisce l’equilibrio statico del sistema;
2. le reazioni vincolari nel punto di contatto tra disco e guida (punto
H).
4.3 Manovellismo
Il sistema meccanico in Figura 4.3, posto nel piano verticale, è costituito da
un’asta AB omogenea di massa m e lunghezza l che è incernierata a terra in
A e in B ad un’asta BC priva di massa e lunga L. L’asta BC è incernierata in
C al centro di un disco di massa M e raggio R omogeneo che rotola senza
strisciare su una guida orizzontale. Nella configurazione indicata in figura,
calcolare:
1. la coppia C m applicata al disco che garantisce l’equilibrio statico del
sistema;
2. le reazioni vincolari che l’asta BC scambia in B ed in C.
m = 20 kg M = 10 kg α = 60°
l = 0.6 m L = 0.7348 m R = 0.1 m
551
4.4 Glifo
Figura 4.4 Glifo
m = 20 kg α = 30° f s = 0.3
AD = 4 m AB = 2 m BC = 2 m
552
L’asta rappresentata in Figura 5.1 è lunga L, ha altezza h e spessore s
costanti e trascurabili rispetto alla lunghezza. La densità dell’asta non è
omogenea e segue una legge del tipo
(5.1)
553
5.3 Semidisco omogeneo
Figura 5.3 Semidisco omogeneo
554
Determinare:
1. la posizione del baricentro del sistema, nel sistema di riferimento -
centrato in O 1 riportato in Figura;
2. il momento d’inerzia complessivo rispetto al polo O 1.
555
La biella rappresentata in Figura 5.6 ha le caratteristiche riportate in Tabella
5.2.
Si chiede di calcolare le masse puntiformi che approssimano le proprietà
inerziali della biella nel caso:
1. a tre masse;
2. a due masse.
Discutere le differenze tra i due casi valutando l’errore massimo che si
commette nella stima del momento d’inerzia nel caso a 2 masse.
Tabella 5.2 Proprietà inerziali biella
556
Capitolo 6 Dinamica dei sistemi di corpi rigidi
6.1 Asta ad L
Figura 6.1 Sistema asta ad L
557
baricentrico J 1 che è incernierato a terra nel suo centro: punto O. Sul disco
agisce una coppia motrice M m e su di esso appoggia un’asta AB omogenea
con baricentro in G 2 che rotola senza strisciare sul disco con punto di
contatto in P 1. L’asta è poi vincolata in B tramite un carrello che scorre su
una guida rettilinea scabra. Nel punto B agisce poi una forza esterna F
inclinata di un angolo α rispetto all’orizzontale.
Noti i dati relativi al problema, riportati in Tabella 6.1, determinare
l’andamento nel tempo di:
1. posizione ϑ, velocità ed accelerazione del disco, note le -
condizioni iniziali:
(6.1)
2. le reazioni vincolari in O.
6.3 Martellone
Figura 6.3 Sistema martellone
558
Il sistema meccanico riportato in Figura 6.3 si muove nel piano verticale ed è
composto da un’asta AC incastrata a terra. Nel punto A un’altra asta CP di
massa M 1 e momento d’inerzia J 1 è incernierata in C all’asta AC. In P una
massa M 2, con momento d’inerzia trascurabile, è vincolata rigidamente
all’asta CP. Il sistema è movimentato da un attuatore idraulico incernierato
in B all’asta AC ed in D all’asta CP. Nel punto P è applicata una forza
esterna F = 100 N diretta verticalmente verso il basso. Le caratteristiche
geometriche ed inerziali del sistema sono riportate in Tabella 6.2.
Nell’istante considerato (per cui ) determinare:
1. la posizione angolare dei bracci BD e CP;
2. la velocità e l’accelerazione angolare del braccio CP, data una
portata d’olio costante entrante nel cilindro Q = 9 m 3/h;
3. la pressione all’interno del cilindro e le reazioni dell’incastro in A.
559
perpendicolare al lato del quadrato con verso entrante. Il corpo è poi
vincolato nel vertice C ad un’asta BC ( ) priva di massa che è
incernierata a terra in B. Nell’atto di moto rappresentato, l’asta BC è
parallela all’orizzontale. Il vertice D del quadrato è invece incernierato ad
un’asta AD ( ) che è incernierata a terra in A. La distanza tra le
cerniere A e B, allineate verticalemnte, è . L’asta AD, nell’atto di
moto considerato, è inclinata di π/6 rispetto all’orizzontale. Sempre nell’atto
di moto i punti B, C e G sono allineati. Note inoltre la velocità angolare ω =
37.32 rad/s e l’accelerazione angolare della manovella BC,
determinare per l’istante temporale considerato:
1. le velocità e le accelerazioni angolari delle aste AD e CD;
2. le velocità del punto G (baricentro del corpo) e del punto P (punto
di applicazione della forza F);
3. la coppia C m da applicare alla manovella BC per ottenere il moto
studiato con F = 50 N;
4. le reazioni vincolari in A e B.
560
del problema sono riportati in Tabella 6.3.
Conoscendo la legge di moto del centro del disco x( t), calcolare:
1. il modulo della forza F necessario a garantire il moto assegnato
nell’ipotesi di rotolamento senza strisciamento tra disco e cuneo nel
punto di contatto P.
2. le reazioni vincolari in A e in B, sapendo che il carrello inferiore del
cuneo si trova a metà del lato verticale di lunghezza b e che
nell’istante considerato il punto P è allineato al carrello inferiore.
b = 0.5 m m = 5 kg
M = 10 kg R = 0.25 m
561
Capitolo 7 Azioni mutue tra elementi di macchine
7.1 Attrito radente tra corpi
Figura 7.1 Attrito radente tra corpi
Del sistema meccanico mostrato in Figura 7.1, disposto nel piano verticale,
sono note le masse dei due corpi ( m 1 = 3 kg e m 2 = 2 kg) e i coefficienti di
attrito statico e dinamico ( μ s = μ d = 0.5).
Si chiede di determinare il moto del sistema al variare della forza F applicata
al corpo 1, ovvero determinare il valore della forza F per cui:
1. i corpi 1 e 2, solidali tra loro, iniziano a strisciare sul piano;
2. il corpo 1 striscia sul piano ed il corpo 2 inizia a strisciare sul corpo
1.
562
angolo α = π/6 rad rispetto all’orizzontale. Il coefficiente d’attrito statico tra
ruote e piano inclinato è f s = 1, si consideri inoltre un coefficiente di
restistenza al rotolamento f v = 0.01.
Nelle condizioni di moto a regime in salita, verificare l’aderenza delle ruote,
ovvero il vincolo di rotolamento senza strisciamento, per i seguenti casi:
1. coppia motrice applicata alla sola ruota anteriore ( C a ≠, C p = 0);
2. coppia motrice applicata alla sola ruota posteriore ( C a = 0, C p ≠ 0);
3. coppia motrice applicata egualmente ad entrambe le ruote ( C a = C p
≠ 0).
P.S. le coppie motrici sono forze interne al sistema: sul telaio si hanno delle
coppie uguali e contrarie a quelle applicate alle ruote.
563
Tabella 7.1 Dati dell’esercizio 7.3
m 1 = 1 kg R 1 = 0.2 m J 1 = 0.05 kg m 2
m SD = 0.5 kg R SD = 0.15 m J SD = 0.005 kg m 2
m D = 5 kg R D = 0.15 m J D = 0.06 kg m 2
564
Al sistema in Figura 7.4, la cui cinematica è stata risolta nell’esercizio 3.3,
sono applicate una forza motrice F, applicata al centro del disco, ed una
coppia resistente C r, costante ed applicata alla manovella. Il sistema si
muove nel piano verticale. Tra disco e piano orizzontale il coefficiente di
resistenza al rotolamento è f v. Il disco è omogeneo di massa M mentre
l’asta, anch’essa omogenea, ha massa m. Determinare:
1. il valore della forza F che garantisce il moto assegnato;
2. le reazioni vincolari in C.
β = 0 rad
AB = 1 m R = 0.2 m C r = 50 Nm
M = 10 kg m = 2 kg f v = 0.02
565
Del meccanismo riportato in Figura 7.5 è nota la cinematica, calcolata
all’esercizio 3.1. L’asta O 1 B ha massa M e momento d’inerzia baricentrico
J A mentre il pistone ha massa m e momento d’inerzia baricentrico J C.
All’interno dell’attuatore agiste una pressione p e, tra cilindro e pistone, una
forza d’attrito con coefficiente d’attrito dinamico μ d. Nel punto D è
applicata una forza F verticale di modulo costante e diretta verso il basso, la
distanza è nota e riportata in Tabella 7.3. Il sistema giace nel piano
verticale. Determinare:
1. la pressione p all’interno del cilindro che garantisce il moto
assegnato;
2. le reazioni vincolari tra cilindro e pistone.
566
Il sistema meccanico in Figura 7.6, la cui cinematica è stata risolta
all’esercizio 3.9, è posto nel piano verticale ed è mosso da una forza F
applicata nel punto C. L’asta CG ha massa m e momento d’inerzia
baricentrico J G mentre il disco è omogeneo di massa M e raggio R.
Considerando un coefficiente d’attrito dinamico f d tra pattino ed asta, per
l’atto di moto rappresentato, calcolare:
1. la forza F che garantisce il moto assegnato;
2. le reazioni vincolari nel punto B.
AB = 3 m R = 0.6 m xC = 6 m
m = 50 kg J G = 1 kg m 2 CG = 1.2 m
M = 2 kg R = 0.2 m f d = 0.2
567
Il sistema riportato in Figura 8.1 schematizza un impianto di risalita (skilift),
costituito da una fune inestensibile, avvolta sulle pulegge di momento
d’inerzia baricentrico J 1 e J 2, che è azionata da un motore elettrico la cui
curva caratteristica è . Quest’ultima puleggia è collegata
al motore mediante una trasmissione caratterizzata da un rapporto di
trasmissione τ e da un rendimento diretto η d e un rendimento retrogrado η r.
Alla fune sono collegate, tramite due funi AB e A′B′ (ipotizzate prive di
massa), due masse puntiformi di massa m che vengono trascinate da due
pattini, ad esse rigidamente collegati, lungo un piano inclinato caratterizzato
da un coefficiente di attrito dinamico f d. I dati del problema sono riportati in
tabella 8.1.
Ipotizzando di trascurare l’attrito dinamico tra pattini e piano inclinato,
calcolare:
1. l’accelerazione a s allo spunto delle masse in salita;
2. la coppia motrice a regime;
3. la velocità v di avanzamento delle masse a regime;
4. il tiro nelle funi di traino AB e A′B′ nelle condizioni indicate nel
punto 1.
Ipotizzando di considerare l’attrito dinamico presente tra pattini e piano
inclinato, calcolare:
5. la coppia motrice necessaria per garantire il moto a regime in salita;
568
6. l’accelerazione delle masse a partire dalla condizione di regime del
punto precedente ipotizzando di annullare la coppia motrice lasciando
il motore folle.
8.2 Ascensore
Sia assegnato l’impianto di sollevamento riportato in Figura 8.2. Tale
impianto è costituito da un motore elettrico posizionato su un supporto
vincolato isostaticamente come mostrato in Figura 8.3 che movimenta,
attraverso un sistema di riduzione, una puleggia di raggio R p e momento
d’inerzia polare baricentrico J p. Su tale puleggia si avvolge una fune
inestensibile alle cui estremità è collegata una cabina di massa m c, in grado
di caricare una massa utile m u, ed un contrappeso di massa m q. I dati noti
dell’impianto sono riportati in Tabella 8.2. È inoltre nota la curva
caratteristica del motore elettrico: C m ( ω m) = Cm 0 − kω m.
Si richiede di calcolare:
569
Figura 8.3 Sistema di vincolo
8.3 Muletto
570
Figura 8.4 Carrello elevatore
Del carrello elevatore riportato in Figura 8.4 sono note le seguenti grandezze
geometriche: semipasso posteriore a = 0.5 m, semipasso anteriore b = 1 m, il
raggio delle ruote R = 0.4 m, l’altezza del baricentro G del solo carrello
elevatore rispetto al suolo h = 0.6 m, la distanza orizzontale tra il baricentro
G del carrello e il baricentro G 1 della massa posta sulle forche c = 2 m e
l’altezza rispetto al suolo del punto di attacco della fune di traino d = 0.5 m.
Risulta inoltre noto lo schema del sistema di trasmissione di potenza,
rappresentato in Figura 8.5. Conoscendo la massa del solo carrello m = 2000
kg, il momento d’inerzia baricentrico di ogni singola ruota J r = 2.5 kg m 2, il
momento d’inerzia del motore J m = 0.25 kg m 2, il rapporto di trasmissione
η = 1/50 ed il rendimento della trasmissione η = 0.80 oltre ai coefficienti di
attrito statico f s = 1, dinamico f d = 0.30 e volvente f v = 0.02, si richiede di
determinare:
1. il carico limite m 1 sollevabile a veicolo fermo senza che avvenga il
ribaltamento del carrello elevatore;
571
In condizione di avanzamento a regime con motore erogante una coppia C m
pari a si determini:
1. il carico limite m 2 trascinabile dal carrello nel caso di massa m 1
posta sulle forche;
2. il valore della risultante dei carichi normali agenti sulla coppia di
pneumatici anteriori e posteriori con carrello impegnato a trasportare
le masse m 1 e m 2;
Infine, per coppia motrice C m pari a e sempre nel caso di masse
trasportate m 1 e m 2, si calcoli:
1. l’accelerazione longitudinale del carrello;
2. l’altezza h 1 massima rispetto al suolo del baricentro G 1 per la quale
risulta verificata l’aderenza delle ruote motrici.
572
η 1r = 0.75, ad una puleggia di raggio R 1 = 0,2 m e momento d’inerzia
baricentrico
573
8.5 Utilizzatore a regime periodico
Il sistema MTU rappresentato in Figura 8.7 è composto da un motore con
inerzia J v e coppia motrice M m incogniti, una trasmissione di rendimento η
= 0.8 e rapporto di trasmissione τ = 1/50 ed un utilizzatore con momento
(8.1)
574
di irregolarità di funzionamento della macchina i max del 3%;
4. la velocità angolare ( ω m) massima e minima dell’albero motore.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid
M m = 20 Nm D = 500 mm d = 200 mm
575
I = 600 mm f s = 0.6 S = 300 N
Momento motore Cm 20 Nm
Potenza W 5 kW
Raggio puleggia motrice Rm 100 mm
Raggio puleggia condotta Rc 300 mm
Rigidezza molla k 100 kN/m
interasse pulegge l 600 mm
coordinate punto C xC 500 mm
yC 0 mm
576
Il meccanismo a camma rappresentato in Figura 10.3 è costituito da una
camma centrata con punteria a piattello e molla elastica di richiamo di
rigidezza k (si trascuri la massa della molla). La camma è ottenuta con un
profilo circolare che ruota intorno ad un punto distante dal centro del cerchio
del profilo di una quantità e. La velocità di rotazione della camma ( )è
costante nel tempo. I dati noti del meccanismo sono riportati in Tabella 10.3.
Determinare:
1. la legge di alzata, la velocità e l’accelerazione della punteria
;
2. la velocità di strisciamento tra camma e punteria;
3. la rigidezza della molla di richiamo che impedisce alla punteria di
staccarsi dal profilo della camma;
4. l’energia dissipata per attrito per un giro completo della camma.
raggio camma ( ) R 20 mm
eccentricità ( ) e 3 mm
velocità angolare ω 4 π rad/s
massa punteria mp 50 g
coefficiente attrito dinamico fd 0.1 –
compressione della molla per ϑ = 0 rad Δl0 1 mm
577
Figura 10.4 Sistema frenante a disco: 1 corpo pinza, 2 camera
olio, 3 pistoncino, 4 pastiglia, 5 disco
578
In Figura 10.5 è rappresentato un autoveicolo a trazione posteriore in
condizioni di sterzatura cinematica. Nota la geometria del veicolo e del
differenziale e note la velocità di avanzamento e la velocità d’imbardata1, 1
calcolare la velocità dell’albero motore e la coppia alle ruote nel caso di
potenza erogata dal motore costante e pari a 20 kW.
1
La velocità d’imbardata è la velocità angolare con cui il veicolo ruota
intorno all’asse z, perpendicolare alla strada. Pertanto in una curva di raggio
medio R, un veicolo che viaggia con velocità v ha una velocità d’imbardata
in modulo pari a .
Tabella 10.4 Dati veicolo
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Figura 10.6 Differenziale: 1 semialbero, 2 perno satelliti, 3
satellite, 4 planetaria, 5 corona dentata ponte, 6 ruota conica
trasmissione, 7 albero di trasmissione
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velocità. Un disco ricoperto di apposito materiale di frizione viene premuto
contro il volano del motore: l’attrito che si genera nel contatto assicura la
trasmissione del moto tra i due alberi. Il comando viene azionato tramite il
pedale su cui agisce il guidatore della vettura. Nota la geometria della
frizione e la legge con cui viene esercitata la forza N( t) premente i dischi di
frizione, determinare:
1. le equazioni di moto del sistema;
2. l’andamento delle velocità angolari dei due alberi fino ad innesto
avvenuto;
3. l’energia dissipata per attrito nel processo di avviamento del veicolo.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid
Tabella 10.5 Dati innesto a frizione
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In Figura 11.1 è rappresentato un meccanismo di ritenuta che impedisce ad
una porta di sbattere. Per minimizzare il tempo di riposizionamento della
porta nella posizione di riposo, è stato progettato un sistema molla-
smorzatore che opera in condizioni di rapporto di smorzamento critico. Nota
la massa m della porta, la lunghezza l, la rigidezza k della molla e che
l’estremo della porta (punto A) subisce uno spostamento massimo di x max =
20 mm dopo l’impatto, si chiede di determinare in base ai valori riportati in
Tabella 11.1:
1. il valore del coefficiente di smorzamento fisico r;
2. la velocità iniziale del punto A: ;
3. il tempo necessario affinchè il punto A ritorni ad una posizione di x 2
= 5 mm dalla posizione iniziale.
massa porta m 30 kg
lunghezza della porta l 900 mm
rigidezza molla k 10000 N/m
11.2 Locomotore
Un locomotore di massa m in moto con una velocità v è fermato alla fine del
binario da un respingente schematizzato come un sistema molla-smorzatore,
Figura 11.2. Nota la rigidezza k della molla e la costante di smorzamento r,
si chiede di determinare lo spostamento massimo raggiunto dall’istante in cui
il locomotore colpisce il respingente ed il tempo necessario per raggiungere
il massimo spostamento in base ai dati indicati in Tabella 11.2.
582
Tabella 11.2 Locomotore: dati
massa locomotore m 80 t
velocità all’impatto v 15 km/h
rigidezza molla k 10 kN/mm
costante di smorzamento r 2 kNs/mm
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la minima velocityà iniziale da fornire al sistema meccanico per raggiungere
un massimo spostamento di x Lim = 50 mm.
Tabella 11.3 Dati per il dimensionamento della sospensione
M 1 = 10 Kg k 1 = 100 N/m
M 2 = 50 Kg r 1 = 10 Ns/m
J 2 = 25 kg m 2 k 2 = 100 N/m
M 3 = 70 kg r 2 = 10 Ns/m
R = 0.5 m k 3 = 1000 N/m
Ω = 30 rad/s r 3 = 30 Ns/m
C 0 = 100 Nm
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a terra nel suo centro O e rotola senza strisciare sul corpo di massa M 1. Una
fune collega il disco interno di raggio R 2 a terra attraverso un gruppo molla-
smorzatore di rigidezza k 2 e smorzamento r 2. Un’altra fune si avvolge sul
disco esterno di raggio R 3 ed è vincolata ad un altro gruppo molla-
smorzatore di rigidezza k 3 e smorzamento r 3 che la collega al carrello. Al
sistema sono applicate due forzanti esterne: F 1( t) = F 1 cos(Ω t), F 2 =
constante. Si richiede di determinare:
1. l’equazione di moto del sistema nell’intorno della posizione di
equilibrio statico, utilizzando come variabile indipendente la
rotazione ϑ indicata in figura;
2. la frequenza propria del sistema e lo smorzamento adimensionale;
3. la risposta del sistema ϑ( t) in transitorio perturbando il sistema a
partire dalla condizione di equilibrio statico ( ϑ d( t = 0) = 0 rad,
).
M 1 = 10 kg k 1 = 3000 N/m
J 2 = 20 kg m 2 r 1 = 30 Ns/m
R 2 = 0.2 m k 2 = 6000 N/m
R 3 = 0.3 M r 2 = 60 Ns/m
F 1 = 100 N k 3 = 12000 N/m
F 2 = 150 N r 3 = 60 Ns/m
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Ω = 10 rad/s
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