Sei sulla pagina 1di 587

2

collana di istruzione scientifica


serie di ingegneria meccanica

3
Fondamenti di meccanica teorica e
applicata
Terza edizione

Nicolò Bachschmid
Stefano Bruni
Andrea Collina
Bruno Pizzigoni
Ferruccio Resta
Alberto Zasso

ESERCIZIARIO
a cura di
Egidio Di Gialleonardo, Daniele Rocchi, Michele Vignati

McGraw-Hill Education
Milano • New York • San Francisco • Washington D.C. • Auckland • Bogot •
Lisboa • London • Madrid • Mexico City • Montreal • New Delhi • San Juan
• Singapore • Sydney • Tokyo • Toronto

4
Copyright © 2015, McGraw-Hill Education (Italy) S.r.l.
Via Ripamonti, 89 - 20141 Milano.

Copyright edizione a stampa © 2015, 2010, McGraw-Hill Education (Italy),


2003 s.r.l.
via Ripamonti, 89
20141 Milano

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica e di


adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le
copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

La Stampa dell’opera è consentita esclusivamente per uso personale.

Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle
rispettive case produttrici.

Publisher: Paolo Roncoroni


Acquisition Editor: Alessandra Pagani
Produzione: Donatella Giuliani
Grafica di copertina: FeelItalia, Milano

Realizzazione ePub: codeMantra

ISBN 978-88-386-9347-2

5
Indice

Prefazione XI

1 Introduzione 1
1.1 La modellazione di un sistema meccanico 2

1.2 Analisi e sintesi di un sistema meccanico 2

1.3 Contenuti e organizzazione del testo 3

2 Cinematica del punto e del corpo rigido 7


2.1 Cinematica del punto nel piano 7

2.2 Cinematica del corpo rigido nel piano 23


2.2.1 Definizioni relative al movimento in un corpo 23

2.2.2 Definizione di corpo rigido 24

2.2.3 Gradi di libertà del corpo rigido nel piano e


classificazione dei moti rigidi 26

2.2.4 Atto di moto rigido piano 30

2.2.5 Velocità e accelerazioni dei punti di un corpo rigido


33

2.2.6 Vincoli 38

2.3 Cinematica del punto: studio mediante sistemi di riferimento


relativi 44
2.3.1 Cinematica del punto: teorema dei moti relativi nel
piano 46

2.3.2 Confronto con l’approccio con i numeri complessi


54

6
Esercizi svolti 56

3 Cinematica dei sistemi di corpi rigidi 65


3.1 Introduzione 65
3.1.1 Meccanismi e strutture 66

3.1.2 Esempi di sistemi articolati e loro impiego 67

3.1.3 Computo dei gradi di libertà di un sistema di corpi


rigidi 69

3.1.4 Catene cinematiche aperte e chiuse 70

3.2 Cinematica del manipolatore piano R–R 74

3.3 Manovellismo ordinario centrato 76


3.3.1 Approssimazioni del primo e secondo ordine del
moto del piede di biella 81

3.4 Altri sistemi articolati 83


3.4.1 Quadrilatero articolato 83

3.4.2 Cinematica del glifo oscillante 86

Esercizi svolti 92

4 Statica dei sistemi di corpi rigidi 99


4.1 Statica del punto e del corpo rigido 99
4.1.1 Momento di un sistema di forze, forze parallele,
coppia 100

4.1.2 Sistemi di forze equipollenti 104

4.1.3 Effetto dei vincoli sulla statica di un corpo rigido


105

4.2 Statica dei sistemi di corpi rigidi 107

7
4.3 Il problema statico per i meccanismi e per le strutture
isostatiche 108

4.4 Le azioni interne in un sistema di travi 111

4.5 Il principio dei lavori virtuali 114


4.5.1 Lavoro virtuale di una coppia 116

5 Geometria delle masse 119


5.1 Introduzione 119

5.2 Baricentro di massa 119


5.2.1 Il baricentro come centro delle forze peso 121

5.3 Momento di inerzia di massa 122

Esercizi svolti 125

6 Dinamica dei sistemi di corpi rigidi 127


6.1 Principio di D’Alémbert ed equazioni della dinamica 127
6.1.1 Punto materiale 128

6.1.2 Corpo rigido 128

6.1.3 Sistema di corpi rigidi 132

6.2 Il principio dei lavori virtuali nella dinamica 132

6.3 Equazione del bilancio delle potenze 134


6.3.1 Energia cinetica di un corpo rigido 135

6.3.2 Teorema dell’energia cinetica 137

6.4 Le equazioni di Lagrange 138


6.4.1 Forze conservative e seconda forma delle equazioni
di Lagrange 138

6.4.2 Forze dissipative viscose 140

8
6.5 Cinetostatica e dinamica dei sistemi meccanici 141
6.5.1 Analisi cinetostatica di un motore alternativo
monocilindrico 143

Esercizi svolti 146

7 Azioni mutue tra elementi di macchine 153


7.1 Introduzione 153

7.2 Il contatto tra solidi 153


7.2.1 Attrito nei solidi a contatto 155

7.2.2 Attrito statico (condizione di aderenza) 156

7.2.3 Attrito dinamico 158

7.2.4 Contatto di rotolamento 164

7.2.5 Resistenza al rotolamento (attrito volvente) 165

7.3 Critica ai modelli elementari di attrito 172

7.4 Usura nel contatto tra solidi 176


7.4.1 Un modello elementare di usura 177

7.5 Azioni tra solido e fluido 182


7.5.1 Azioni fluidodinamiche in condizioni stazionarie 182

7.5.2 Azioni fluidodinamiche in condizioni non stazionarie


194

7.5.3 Distacco di vortici 195

7.5.4 Cenni alla lubrificazione 198

7.5.5 La lubrificazione mediata idrodinamica 199

Esercizi svolti 202

9
8 Dinamica della macchina a un grado di libertà 213
8.1 Considerazioni generali 213

8.2 Il motore 214


8.2.1 Caratteristica meccanica di un motore a
combustione interna 218

8.2.2 Caratteristica meccanica di un motore elettrico a


corrente continua a magneti permanenti 218

8.2.3 Caratteristica meccanica di un motore asincrono


trifase 220

8.2.4 Motore asincrono trifase azionato da inverter 221

8.3 L’utilizzatore 222


8.3.1 Coppia resistente costante 223

8.3.2 Coppia resistente dipendente quadraticamente dalla


velocità 224

8.3.3 Coppia resistente costante + quadratica 224

8.4 La trasmissione 224


8.4.1 Espressione della potenza perduta in condizioni di
moto diretto 226

8.4.2 Espressione della potenza perduta in condizioni di


moto retrogrado 227

8.4.3 Determinazione del flusso di potenza attraverso la


trasmissione 227

8.4.4 Trasmissioni in serie 229

8.5 Condizioni di funzionamento della macchina 230

8.6 Dinamica della macchina a regime e in moto vario 231


8.6.1 Condizioni di funzionamento in regime assoluto 233

10
8.7 Studio di un transitorio di avviamento 233

8.8 Moto di un impianto di sollevamento carichi 235


8.8.1 Funzionamento in salita dell’impianto 236

8.8.2 Funzionamento in discesa dell’impianto 238

8.9 Dinamica longitudinale di un autoveicolo 239


8.9.1 Verifica dell’aderenza tra pneumatici e strada 242

8.9.2 Determinazione delle condizioni di regime 244

8.9.3 Studio numerico del transitorio di accelerazione 244

8.10 Dinamica longitudinale di un convoglio ferroviario 248


8.10.1 Espressione della potenza motrice 248

8.10.2 Espressione della potenza resistente 248

8.10.3 Espressione dell’energia cinetica del convoglio 249

8.10.4 Espressione della potenza perduta 250

8.10.5 Equazione di moto del convoglio ferroviario in


accelerazione 250

8.11 La macchina in regime periodico 254


8.11.1 Condizioni di funzionamento in regime periodico
256

8.11.2 Irregolarità periodica della macchina 257

Esercizi svolti 260

9 Dinamica della macchina alternativa 271


9.1 Riduzione delle inerzie della biella a un sistema di masse
concentrate 272

9.2 Equazione di moto di un motore alternativo 274

11
9.3 La macchina alternativa come esempio di macchina a regime
periodico 277
9.3.1 Un metodo approssimato per il dimensionamento del
volano 278

9.4 Cenni sull’equilibramento dei motori alternativi 282


9.4.1 Rappresentazione delle forze inerziali sul piede di
biella mediante vettori contro-rotanti 283

9.4.2 Equilibramento della macchina monocilindrica 285

9.4.3 Equilibramento della macchina pluricilindrica 285

10 Gli elementi delle macchine 287


10.1 Sistemi per la trasmissione di potenza 287

10.2 Sistemi a rapporto di trasmissione costante 289


10.2.1 Ruote di frizione 289

10.2.2 Ruote dentate 290

10.2.3 Considerazioni sui riduttori a ingranaggi 297

10.2.4 Rotismi epicicloidali 299

10.2.5 Cinghie piane e trapezoidali 303

10.2.6 Cinghie dentate 309

10.2.7 Catene 310

10.2.8 Funi 312

10.2.9 Confronto tra alcuni tipi di trasmissione 313

10.3 Giunti 314

10.4 Innesti 315

12
10.5 Sistemi d’arresto delle macchine 318

10.6 I cuscinetti 319

11 Vibrazioni meccaniche a un grado di libertà 323


11.1 Introduzione 323

11.2 Sistemi vibranti a parametri concentrati 325

11.3 Scrittura dell’equazione di moto 325


11.3.1 Risoluzione con gli equilibri dinamici 326

11.3.2 Risoluzione con l’equazione di Lagrange 327

11.4 Moto libero di un sistema vibrante a un grado di libertà 329


11.4.1 Moto libero non smorzato 330

11.4.2 Moto libero smorzato 332

11.5 Moto forzato 335


11.5.1 Forzante a gradino 336

11.5.2 Forzante armonica 337

11.5.3 Forzante periodica 343

11.5.4 Forzamento prodotto da una massa squilibrata


rotante 345

11.6 Isolamento delle vibrazioni 347


11.6.1 Forzamento prodotto dal moto del vincolo 350

11.7 Stabilità dei sistemi a un grado di libertà 353


11.7.1 Un esempio di instabilità dinamica 358

Esercizi svolti 360

12 Elementi di controllo e regolazione di sistemi dinamici 367

13
12.1 Stabilità e regolazione di una macchina MTU 370
12.1.1 Stabilità del regime della macchina 372

12.1.2 Effetti di una variazione della grandezza regolante


373

12.1.3 Effetti di una variazione della grandezza regolata


376

12.2 Regolazione ad anello chiuso 377

12.3 Controllo delle vibrazioni 381

Bibliografia 387

Indice analitico 389

Eserciziario E1

14
Indice degli esempi

2.1 Moto rettilineo 18

2.2 Moto lungo una circonferenza 18

2.3 Leggi del moto 19

2.4 Moto di un punto lungo una traiettoria generica 20

3.1 Asta rigida vincolata con doppio appoggio 71

3.2 Il motore della vettura Alfa Romeo GTV2000 (1971) 83

3.3 Braccio di sollevamento 85

3.4 Azionamento della slitta di una macchina utensile 88

3.5 Meccanismo di azionamento di un braccio meccanico 91

4.1 Statica di un’asta vincolata isostaticamente 109

4.2 Statica di un meccanismo a un g.d.l. 110

4.3 Azioni interne in un’asta vincolata isostaticamente 112

4.4 Statica di un meccanismo a un g.d.l. 117

5.1 Momento di inerzia baricentrico di una corona circolare omogenea


124

5.2 Momento di inerzia baricentrico di un’asta 125

6.1 Corpo rigido rotante attorno a un asse fisso 131

7.1 Aderenza su un piano inclinato 157

7.2 Strisciamento su un piano inclinato in presenza di attrito 163

15
7.3 Rotolamento senza strisciamento con attrito volvente 170

7.4 Calcolo coppia trasmessa da un disco di frizione 179

8.1 Motore alternativo monocilindrico 216

8.2 La vettura Alfa Romeo GTV 2000 (1971) 245

8.3 Applicazione numerica a un convoglio ETR500 251

8.4 Macchine in regime periodico 258

9.1 Il motore Moto Guzzi Ippogrifo 279

11.1 Sistema a un grado di libertà 328

11.2 Isolamento delle vibrazioni 350

11.3 Forzamento prodotto dal moto del vincolo 352

16
Prefazione alla terza edizione

Questo libro si rivolge a chi intende avvicinarsi, a un livello non


specialistico, allo studio della Meccanica Applicata alle Macchine, e in
particolare agli studenti dei primi anni di corso delle Facoltà d’Ingegneria.
Rispetto ai numerosi e validi testi di Meccanica Applicata alle Macchine
esistenti, due motivi principali hanno spinto gli Autori a provvedere, a
distanza di anni dalla prima edizione, pubblicata nel 2003, a una prima
profonda revisione e ampliamento di contenuti, e successivamente a una
terza edizione del testo. In primo luogo, abbiamo voluto proporre
un'esposizione degli argomenti in accordo con le scelte didattiche sviluppate
negli ultimi due decenni nell’insegnamento della Meccanica Applicata
presso il Politecnico di Milano, in particolare evidenziando gli aspetti relativi
alla modellazione dei sistemi meccanici e delle macchine, nonchè dei loro
sistemi di attuazione e regolazione. In secondo luogo, abbiamo voluto
rispondere ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nell'assetto degli
studi di Ingegneria, in base ai quali sempre più spesso il corso di Meccanica
Applicata alle Macchine ha il compito di fornire le basi della cinematica e
dinamica che nel precedente assetto degli studi erano fornite nel biennio
propedeutico.
Per questi motivi, il libro intende fornire sia gli elementi fondamentali di
cinematica e dinamica del punto, del corpo rigido e dei sistemi di corpi
rigidi, limitatamente al caso di moti piani, sia una descrizione elementare
delle forze agenti nelle macchine, unitamente all’applicazione di tali concetti
allo studio di problemi classici della Meccanica Applicata, come la dinamica
della macchina motore-trasmissione-utilizzatore, i principi di funzionamento
degli organi di macchine, le vibrazioni meccaniche a un grado di libertà.
Nell’intera trattazione, si è posta attenzione a evidenziare le metodologie
modellistiche e a fornire una interpretazione fisica dei risultati ottenuti. Per
alcuni argomenti trattati, sono stati inseriti aspetti che esulano normalmente
dai contenuti di un corso di primo livello, ma che hanno lo scopo di
stimolare i lettori più attenti a formare un senso critico nei confronti dei
modelli adottati, individuandone i limiti di applicabilità. Tutti gli argomenti
sono affrontati utilizzando una trattazione “autocontenuta”, che richiede al

17
lettore solo limitate conoscenze pregresse di Matematica e Fisica (in
particolare l’algebra vettoriale e dei numeri complessi, la teoria delle
equazioni differenziali lineari a parametri costanti), tradizionalmente fornite
dai corsi universitari di base.
Al fine di favorire una migliore comprensione degli argomenti trattati, tutti i
capitoli sono corredati da esempi applicativi che fanno riferimento a
macchine di comune utilizzo (veicoli, macchine di sollevamento, robot ecc.).
Inoltre, la maggior parte dei capitoli è completata da una sezione di esercizi
di tipo numerico completamente svolti, con lo scopo di permettere al lettore
di familiarizzare con le tecniche risolutive introdotte.
La terza edizione del testo è corredata da un Eserciziario che propone una
selezione di esercizi organizzati in sequenza coerente con quella dei capitoli
del libro. Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili dal
sito web che l’Editore mette a disposizione per il manuale:
www.atenonline.it/bachschmid. Per un positivo contributo degli esercizi alla
formazione dello studente, gli autori del testo consigliano di svolgerli solo a
valle di un adeguato studio della teoria. Questo metodo di lavoro,
nell’esperienza dei docenti di Meccanica Applicata, dà allo studente la
formazione culturale utile per la Laurea Magistrale o per un efficace
inserimento nel mondo del lavoro, oltre che facilitare il raggiungimento di
competenze e autonomia indispensabili per una buona riuscita della prova
d’esame.
Desideriamo ringraziare tutti i colleghi della Sezione di Meccanica dei
Sistemi presso il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, che
hanno contribuito a sviluppare l’impostazione didattica che ha ispirato
questo libro e che hanno dato un supporto costante alla stesura del testo
attraverso la discussione dei contenuti e degli approcci espositivi.
Un ringraziamento particolare va al Prof. Giorgio Diana, la cui impostazione
didattica è alla base di questo testo. Siamo inoltre grati ai Prof. Fabio Fossati,
Daniele Rocchi e Marco Belloli e agli Ingg. Stefano Alfi, Egidio Di
Gialleonardo, Christian Ghielmetti, Laura Mazzola, Davide Tarsitano e
Michele Vignati per il prezioso aiuto fornito.
Saremo lieti di ricevere eventuali suggerimenti e commenti sul testo.
Gli Autori

18
CAPITOLO 1 Introduzione

La meccanica definisce le leggi che regolano il movimento e l’equilibrio di


sistemi costituiti da corpi materiali, denominati sistemi meccanici. Questo
testo si propone come obiettivo di fornire al lettore le basi teoriche della
meccanica classica, nei limiti che saranno enunciati più sotto, e di descrivere
in base alle leggi della meccanica il comportamento di sistemi meccanici
rilevanti per l’Ingegneria.
Tra i sistemi meccanici in generale, un ruolo particolarmente importante è
ricoperto dalla macchina, intendendo con tale termine un sistema meccanico
atto a utilizzare energia di origine diversa da quella meccanica (chimica,
idraulica, elettrica, eolica) per compiere uno scopo utile, che può consistere
per esempio nella realizzazione di una lavorazione meccanica oppure nel
sollevamento o trasporto di un carico. Si parla in questo caso di “macchine
operatrici”. Un’altra tipologia di macchine è rappresentata dalle cosiddette
“macchine energetiche”, che utilizzano l’energia meccanica resa disponibile
per generare energia sotto altra forma, per esempio energia elettrica (nel caso
di un motogeneratore) o prevalenza idraulica in un fluido (nel caso di una
pompa) o energia interna in un gas (nel caso di un compressore).
La meccanica, in senso classico, si articola in due principali problemi:
• la cinematica studia il movimento di un sistema meccanico in base ai
vincoli (ossia alle connessioni tra gli elementi che compongono il
sistema), indipendentemente dalle forze agenti su di esso;
• la dinamica studia il movimento del sistema meccanico in relazione
alle azioni agenti sul sistema. Un caso particolare e notevole della
dinamica è rappresentato dalla statica, che analizza le condizioni in
base alle quali un sistema meccanico permane in uno stato di quiete.
Dato il carattere introduttivo del testo, questi due problemi saranno trattati
nei limiti sotto elencati:
• lo studio sarà limitato a sistemi piani, ossia sistemi che si muovono in
un piano e per i quali tutte le forze agenti giacciono nel piano del
moto;
• lo studio sarà limitato al moto di sistemi meccanici composti da corpi

19
rigidi, mentre gli effetti associati alla deformabilità non saranno
considerati, con la notevole eccezione dello studio delle vibrazioni a
un grado di libertà;
• nella maggior parte dei casi, lo studio riguarderà sistemi a un grado
di libertà, ossia in cui il movimento del sistema è descritto da un solo
parametro cinematico indipendente (coordinata libera).

1.1 La modellazione di un sistema meccanico


Premessa fondamentale per effettuare lo studio quantitativo di un qualunque
sistema fisico è la formulazione di un modello matematico del sistema
studiato, ossia la definizione delle equazioni che rappresentino
matematicamente le relazioni che intercorrono tra le grandezze fisiche
coinvolte nel fenomeno studiato, procedimento che prende il nome di
modellazione matematica. Quanto detto vale in particolare per i sistemi
meccanici: in questo testo si introdurranno le nozioni di base necessarie per
la modellazione matematica di semplici sistemi meccanici e macchine, e si
mostrerà come tali modelli possano essere utilizzati ai fini della
progettazione e verifica del sistema considerato.
In termini generali, il procedimento di modellazione matematica consiste in
due passi principali: in primo luogo, il sistema reale deve essere ridotto a un
sistema fisico ideale di riferimento, che risulti il più possibile semplificato
rispetto al sistema reale, ma nel contempo ne rappresenti le caratteristiche
principali ai fini dell’analisi da compiere. Successivamente, dal sistema
fisico ideale si trae il modello matematico, che consiste nell’insieme di
equazioni che legano le diverse grandezze utilizzate per descrivere il sistema.
Nella procedura di modellazione, per poter giungere alla formulazione di un
modello efficace devono essere effettuate delle semplificazioni: la
complessità del modello sarà pertanto adeguata al problema che si intende
studiare. Infatti, se da una parte un modello incompleto non consente di
ottenere risultati tecnicamente validi, dall’altra un modello eccessivamente
complesso, oltre a essere più impegnativo dal punto di vista computazionale,
risulta inservibile ove non siano disponibili i valori dei parametri (o almeno
una loro stima ragionevole) da inserire nel modello stesso.

1.2 Analisi e sintesi di un sistema meccanico

20
Il modello matematico di un sistema meccanico può essere utilizzato per
realizzare in termini quantitativi la progettazione del sistema stesso, intesa in
particolare come:
• verifica che il sistema meccanico assolva correttamente le funzioni
per le quali esso è progettato;
• calcolo delle forze agenti sul sistema durante il funzionamento di
questo. Tale calcolo è finalizzato alla verifica di resistenza delle parti
che compongono il sistema, argomento trattato dalla Costruzione di
Macchine;
• ottimizzazione delle prestazioni del sistema.
Rispetto a questi obiettivi, lo studio del movimento del sistema meccanico
può essere impostato come un problema di analisi, oppure come un
problema di sintesi. Nel primo caso, si considerano definite tutte le
grandezze caratteristiche del sistema, per esempio i parametri geometrici
(dimensioni) e inerziali (masse, posizioni dei baricentri, momenti di inerzia)
e il problema consiste nel determinare il movimento del sistema. In un
problema di sintesi invece è noto il movimento che si vuole realizzare e si
ricercano la tipologia e le dimensioni del sistema meccanico in grado di
realizzare tale movimento.
Come si può notare, un problema di analisi è direttamente legato alla verifica
delle prestazioni di un sistema già dimensionato, mentre la sintesi è
funzionale alla fase di vera e propria progettazione del sistema. In questo
testo si illustreranno prevalentemente problemi di analisi di sistemi
meccanici e macchine, ma in alcuni casi si proporranno anche semplici
problemi di sintesi.
Nell’ordinario iter progettuale di un sistema meccanico, è però necessario
distinguere differenti livelli di approfondimento nello studio del movimento
del sistema. Il primo e più semplice livello riguarda normalmente la sola
verifica cinematica del sistema: rientrano in questo ambito le analisi di
mobilità legate alla funzionalità dei meccanismi, lo studio dello spazio di
lavoro di robot e manipolatori o l’analisi cinematica di una sospensione.
Dalla sola analisi cinematica non si traggono però indicazioni per il
dimensionamento o la verifica di resistenza di un sistema. A tale scopo è
necessario effettuare una analisi dinamica, in cui si considerano le forze
agenti sul sistema e le relazioni tra queste e il movimento del sistema. Questo
tipo di studio può essere condotto secondo due diverse modalità:

21
1. problema dinamico diretto: in questo caso sono assegnate le forze
applicate al sistema e da queste viene ricavato il moto del sistema;
2. problema dinamico inverso: in questo caso è assegnato il movimento
e vengono determinate le forze che devono essere applicate al sistema
per ottenere il movimento desiderato. Questo secondo tipo di
problema viene talvolta detto analisi cinetostatica.
In questo testo verrà analizzato il comportamento dinamico di diversi sistemi
meccanici di interesse ingegneristico, utilizzando livelli di modellazione
congruenti alle finalità dello studio: dalla modellazione non lineare della
cinematica di un sistema articolato a modelli dinamici a un grado di libertà di
una macchina composta da motore, trasmissione e utilizzatore, fino ai
problemi di vibrazione a un grado di libertà e agli elementi di base relativi
alla regolazione delle macchine. Inoltre, si darà ampio spazio alla descrizione
delle forze agenti nelle macchine, che possono essere associate al
comportamento di particolari componenti presenti nel sistema (elementi
elastici e smorzanti, azionamenti, organi delle macchine ecc.) o alla
interazione tra i corpi nella macchina, oppure alla interazione tra corpi e
fluidi (azioni di attrito, azioni aerodinamiche ecc.).

1.3 Contenuti e organizzazione del testo


I contenuti del testo prevedono una prima serie di argomenti (Capitoli 2-7)
che costituiscono i fondamenti teorici della cinematica e della dinamica,
mentre nei Capitoli 8-10 tali concetti di base sono applicati allo studio di
sistemi di interesse ingegneristico, come veicoli, macchine di sollevamento,
elementi di macchine. Completano la trattazione i due capitoli finali, dedicati
a una introduzione allo studio delle problematiche associate alle vibrazioni,
alla stabilità e alla regolazione delle macchine. Di seguito, si descrive in
maggiore dettaglio il contenuto dei singoli capitoli.
Il Capitolo 2 è dedicato alla cinematica del punto e del corpo rigido nel
piano: si analizzano in particolare le componenti indipendenti di movimento
di tali semplici sistemi e si introducono le principali relazioni cinematiche
che consentono di esprimerne il movimento.
Nel Capitolo 3 viene trattata la cinematica dei sistemi di corpi rigidi nel
piano, ponendo l’accento sulla descrizione di tipo sintetico consentita dal
metodo dei numeri complessi.

22
Il Capitolo 4 presenta le leggi della statica, limitatatmente al caso di sistemi
di corpi rigidi costituenti una struttura isostatica o un meccanismo. Vengono
presentate le metodologie risolutive attraverso le equazioni cardinali della
statica e presentato il principio dei lavori virtuali, con funzione propedeutica
alla trattazione della dinamica dei sistemi di corpi rigidi presentata nel
Capitolo 6.
Il Capitolo 5 tratta la geometria delle masse, ossia lo studio della
distribuzione della massa nei corpi.
Il Capitolo 6 è dedicato allo studio della dinamica dei sistemi di corpi rigidi;
le equazioni cardinali della statica, presentate nel Capitolo 4, vengono estese
mediante il Principio di D’Alémbert al caso dinamico, introducendo il
concetto di forza di inerzia. Successivamente viene sviluppato lo studio della
dinamica mediante i cosiddetti metodi energetici, in particolare il principio
dei lavori virtuali, l’equazione di bilancio delle potenze e le equazioni di
Lagrange.
Nel Capitolo 7 vengono introdotti i modelli per rappresentare le azioni di
contatto tra corpi solidi e tra solido e fluido, finalizzati allo studio dinamico
delle macchine.
Tali concetti trovano applicazione, nel Capitolo 8, dedicato allo studio della
dinamica della macchina ricondotta a uno schema generale che la vede
composta da un motore, una trasmissione e un utilizzatore. Con riferimento a
tale schema interpretativo, viene introdotto il concetto di rendimento della
trasmissione e sono studiate le diverse condizioni di funzionamento della
macchina: transitori di avviamento e arresto, regime, regime periodico.
Il Capitolo 9 tratta alcuni aspetti della dinamica delle macchine a un grado di
libertà specifici delle cosiddette macchine alternative, ossia che prevedono
al loro interno uno o più cinematismi di tipo manovellismo ordinario
centrato. Gli argomenti trattati riguardano in particolare il moto periodico e
l’equilibramento delle azioni di inerzia nelle macchine alternative.
Nel Capitolo 10 si descrivono alcuni aspetti morfologici e funzionali
riguardanti la trasmissione del moto nelle macchine e il funzionamento dei
principali organi di macchina: giunti, innesti, freni e cuscinetti.
Il Capitolo 11 presenta le caratteristiche e la risposta dinamica di una
particolare classe di sistemi che, a causa della flessibilità insita in alcune loro
parti, sono caratterizzati da movimenti vibratori e sono pertanto detti sistemi

23
vibranti. Dopo aver presentato la forma generale dell’equazione di moto di
un sistema vibrante lineare a un grado di libertà, si analizzano le soluzioni di
tale equazione considerando il moto libero e il moto forzato e si presentano
alcuni esempi applicativi. Vengono inoltre presentati i concetti introduttivi
allo studio della stabilità di un sistema meccanico a un grado di libertà.
Infine, nel Capitolo 12 si introducono i principi e le logiche di regolazione
dei sistemi meccanici, con riferimento particolare alla regolazione della
macchina a un grado di libertà e al controllo delle vibrazioni.

24
CAPITOLO 2 Cinematica del punto e del
corpo rigido

La cinematica è quella parte della meccanica che studia il movimento di un


punto, di un corpo o di un insieme di corpi interconnessi tra loro
(meccanismi), intendendo con il termine movimento la descrizione
matematica dell’evoluzione temporale della posizione del sistema.
Si ipotizza quindi che la geometria del sistema sia identificata mediante
quantità vettoriali e che tali quantità vettoriali, che ne descrivono
l’evoluzione, siano funzioni di un parametro, detto tempo. Nella Meccanica
Classica, a cui appartiene la presente trattazione, si fa uso del parametro
tempo da intendersi come tempo assoluto, citato anche come tempo normale
[4] ovvero, per fornire un esempio tangibile e di ottima approssimazione,
proporzionale per esempio all’angolo di rotazione terrestre.
Nel caso più generale, la cinematica si occupa di descrivere il movimento di
punti o corpi nello spazio tridimensionale; nel seguito lo studio sarà invece
circoscritto ai moti che avvengono nel piano. A tale scopo si introdurrà la
tecnica dei numeri complessi, il cui utilizzo risulta vantaggioso per lo studio
e la descrizione sintetica dei meccanismi piani.

2.1 Cinematica del punto nel piano


Posizione
La descrizione del movimento di un punto e le successive generalizzazioni a
un sistema di punti, al corpo rigido, a un sistema di corpi rigidi o al continuo
è sempre effettuata da un osservatore di cui è opportuno specificare le
caratteristiche. Si intuisce infatti che osservatori differenti, in particolare
osservatori in moto relativo uno rispetto all’altro forniranno differenti
descrizioni in merito per esempio al moto dello stesso punto, oggetto di
osservazione. In altri termini, sempre citando [4], “non esiste un movimento
assoluto, ma soltanto il movimento rispetto a un certo osservatore” e farà
parte della cinematica la formalizzazione delle leggi con cui sono legate le

25
misure fatte da osservatori differenti, in moto relative reciproco. La
descrizione del movimento del punto o corpo oggetto di osservazione sarà
ovviamente effettuata in termini quantitativi. Ne segue quindi che, dal punto
di vista formale matematico, l’ osservatore coincide con il sistema di
riferimento utilizzato per descrivere quantitativamente, mediante opportune
funzioni del tempo, le misure delle successive posizioni occupate dal punto o
dal corpo. Osservatori differenti in moto relativo uno rispetto all’altro
saranno quindi operativamente identificati mediante sistemi di riferimento
(tipicamente per fissare le idee terne cartesiane) in moto relativo reciproco.
Con riferimento quindi a un caso piano (Figura 2.1), sia dato un sistema di
riferimento di assi coordinati ortogonali ( x– y) con direzione e verso di
ciascun asse definiti dai versori (vettori di modulo unitario) i e j relative
rispettivamente agli assi x e y.
Si consideri un punto P, appartenente al piano individuato dagli assi
coordinati, e si ipotizzi che una curva appartenente al piano e dotata di
continuità, detta traiettoria, descriva le successive posizioni occupate dal
punto nel piano al variare del tempo.
La posizione del punto nel piano, funzione del tempo, può essere definita
mediante il vettore P( t) o mediante la coppia di coordinate ( x ( t), y ( t))
coerentemente alla seguente espressione:
(2.1)
Le componenti del vettore lungo i due assi coordinati, sono quindi in
generale funzioni ( x ( t), y ( t)) che descrivono la successione delle posizioni
occupate dal punto nel piano in funzione del parametro tempo:

(2.2)

La (2.2) esprime in forma parametrica la traiettoria del punto, ossia la curva


appartenente al piano descritta dal punto durante il suo moto. Eliminando il
tempo t ed esprimendo una coordinata in funzione dell’altra, si ottiene
l’espressione esplicita y= f( x) della traiettoria:

(2.3)

È possibile definire lungo la traiettoria, come indicato in Figura 2.1, una

26
ascissa curvilinea s, ovvero associare a ciascun punto della traiettoria una
grandezza scalare rappresentativa della distanza, misurata lungo la traiettoria,
del punto generico da un’origine assegnata arbitrariamente. Considerando
che il punto occupa al variare del tempo posizioni differenti lungo la
traiettoria (variate con continuità), l’ascissa curvilinea sarà intrinsecamente
una funzione del tempo s ( t), rappresentativa dello spazio percorso dal punto
al variare del tempo. Nei successivi sviluppi analitici si farà uso di tale
ascissa curvilinea per una formulazione sintetica dei vettori velocità e
accelerazione.
Si introduce ora la formulazione delle grandezze vettoriali nel piano
mediante una equivalente rappresentazione nel campo complesso, per molti
aspetti vantaggiosa. È possibile, infatti, mostrare che esiste una rigorosa
corrispondenza tra il calcolo vettoriale nel piano ( x– y) e l’algebra dei numeri
complessi definita nel piano (Re-Im), limitatamente alle operazioni utilizzate
nella cinematica di somma vettoriale e di derivazione del vettore rispetto a
un parametro. In altri termini il vettore posizione P nel piano può essere
posto in corrispondenza con un numero complesso [4] facendo
corrispondere le componenti del vettore secondo gli assi coordinati alla parte
reale e alla parte immaginaria del numero complesso .
Con riferimento, per esempio, al generico vettore P di Figura 2.1a, e al
corrispondente numero complesso di Figura 2.1b, è possibile mostrare che
le operazioni di somma di più vettori e di derivazione di un vettore rispetto al
tempo possono essere convenientemente sostituite dalle stesse operazioni
effettuate sui corrispondenti numeri complessi rappresentativi di tali vettori,
nel modo di seguito esemplificato.
La descrizione della posizione del punto, in termini di numero complesso,
può operativamente essere effettuata in forma cartesiana, attraverso le
componenti cartesiane lungo gli assi reale e immaginario:
(2.4)

oppure in forma polare, ovvero in termini di modulo e anomalia θ,


come mostrato nella Figura 2.1b:

(2.5)

In questa seconda forma il modulo rappresenta la distanza del punto


dall’origine, e l’anomalia l’angolo che il vettore forma con l’asse reale,

27
coincidente con l’asse x del sistema di riferimento scelto.

Figura 2.1 Significato del vettore posizione P e sua


corrispondenza con il numero complesso .

Velocità
Si definisce velocità la derivata rispetto al tempo del vettore posizione.
Con riferimento alla Figura 2.2a, considerando un punto in moto lungo una
generica traiettoria, la velocità al tempo t è quindi scritta come limite del
rapporto incrementale del vettore posizione al tendere a zero dell’intervallo
di tempo Δ t:

Figura 2.2 a) Vettore posizione P( t) e suo incremento ΔP; b)


Vettore velocità V( t) per un punto in moto lungo una traiettoria
generica.

28
(2.6)
Avendo scritto il vettore posizione come funzione dell’ascissa curvilinea e
tramite questa come funzione del tempo con le ovvie posizioni P = P( s), s =
s ( t), P = P( s ( t)), ricordando la regola di derivazione di una funzione di
funzione risulta:

(2.7)
Con riferimento alla Figura 2.3, osservando che al tendere a zero
dell’intervallo di tempo Δ t l’arco infinitesimo di traiettoria è rigorosamente
coincidente con la corda infinitesima e che la direzione della corda è
rigorosamente coincidente con la tangente all’arco di traiettoria, avendo
infine indicato con la derivata rispetto al tempo dell’ascissa curvilinea,
valgono i seguenti risultati:

(2.8)

ovvero il vettore velocità V con tutta generalità (anche nello spazio


tridimensionale) è un vettore sempre tangente alla traiettoria del punto, il cui
modulo e verso sono forniti dalla derivata rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea, come rappresentato in Figura 2.2b:
(2.9)

Figura 2.3 Incremento ΔP al finito del vettore posizione; arco di


traiettoria Δs e versore tangente t.

Prendendo ora in esame in dettaglio per il caso piano la rappresentazione in


forma cartesiana del vettore posizione e considerando che i versori degli assi
coordinati non si modificano nel tempo (né in modulo, né in direzione), la

29
derivata rispetto al tempo viene scritta nel modo seguente:

(2.10)

La velocità è quindi rappresentabile tramite un vettore le cui componenti


cartesiane sono le derivate rispetto al tempo delle componenti cartesiane del
vettore posizione P. Utilizzando il formalismo basato sui numeri complessi
si ottiene:

(2.11)
In alternativa, derivando rispetto al tempo il vettore posizione espresso in
forma polare, si può scrivere:
(2.12)
dove α è l’anomalia del vettore velocità, ovvero ne rappresenta la direzione e
il verso. La Figura 2.4 mostra graficamente il significato dei termini della
(Figura 2.10) e della (2.12).
Poiché la derivata del numero complesso in forma polare segue le regole di
derivazione del prodotto di funzioni, ed essendo sia il modulo sia l’anomalia
del vettore posizione funzioni del tempo, compare sia la derivata del modulo
di P, sia la derivata dell’argomento dell’esponenziale. In particolare il primo
termine della (2.12) rappresenta un vettore di modulo e direzione θ,
mentre il secondo termine della (2.12) rappresenta un vettore di modulo
e direzione ortogonale alla precedente. Si ha infatti:
(2.13)

Figura 2.4 Rappresentazione del vettore velocità V e sua


corrispondenza con il numero complesso .

30
È importante notare che il verso del vettore è determinato non solo
dalla rotazione di che compare esplicitamente ad esponente, ma anche
dal segno di , ovvero un valore negativo di corrisponde a un’ulteriore
rotazione di π (analoga rotazione di θ rispetto alla direzione θ è ovviamente
associata, per la componente e iθ, a un eventuale segno negativo della
derivata ). Il modulo V e l’anomalia α del vettore velocità si possono
quindi calcolare come:

(2.14)

È di fondamentale importanza ricordare che, pur non essendo esplicitamente


messe in evidenza nella notazione cartesiana (2.11) e polare (2.12), le
condizioni fisiche sostanziali del vettore velocità di avere direzione tangente
alla traiettoria e modulo pari alla derivata rispetto al tempo dello spazio
percorso lungo la traiettoria, ovviamente permangono. In altri termini
l’anomalia α del vettore velocità V di cui alle (2.12) e (2.14) è
necessariamente coincidente con la tangente locale alla traiettoria (come
ovviamente mostrato nella Figura 2.4) e le componenti del vettore velocità
sia in notazione cartesiana sia in notazione polare sono tra loro sempre in
proporzione tale da rendere il vettore risultante tangente localmente alla
traiettoria. La condizione di cui sopra è ovviamente confermata dal seguente
semplice sviluppo analitico, in cui si è indicato con la derivata rispetto
a x della traiettoria descritta dal punto nella sua espressione esplicita y = f( x)
di cui alla (2.3):

31
(2.15)

Accelerazione
Per un punto in moto lungo una generica traiettoria dotata di regolarità si
definisce accelerazione la derivata rispetto al tempo del vettore velocità. Con
riferimento quindi alla formulazione del vettore velocità di cui alla (2.7), il
vettore accelerazione verrà scritto con tutta generalità nel modo seguente:

(2.16)

Avendo scritto il vettore posizione (e la sua derivata rispetto all’ascissa


curvilinea s) come funzione dell’ascissa curvilinea e tramite questa come
funzione del tempo, ricordando la regola di derivazione di una funzione di
funzione risulta:

(2.17)

Verrà mostrato nel seguito che la traiettoria è sempre localmente


rappresentabile come un arco di circonferenza di raggio di curvatura ϱ detto
raggio del cerchio osculatore (Figura 2.5a), e che la derivata seconda
rispetto all’ascissa curvilinea del vettore posizione è un vettore normale alla
traiettoria di modulo pari all’inverso del raggio osculatore e di versore n,
come rappresentato in (2.18). Ricordando infine che la derivata prima
rispetto all’ascissa curvilinea del vettore posizione è invece il versore t
tangente alla traiettoria (2.8) risulta:

(2.18)

Segue che, con tutta generalità (ovvero anche nello spazio tridimensionale),
l’accelerazione del punto che si muove lungo una generica traiettoria dotata
di regolarità ha sempre la seguente espressione:

(2.19)

L’accelerazione è quindi sempre formata da due componenti (Figura 2.6):


una componente tangente alla traiettoria, di modulo pari alla derivata

32
seconda rispetto al tempo dell’ascissa curvilinea (ovvero pari alla derivata
prima rispetto al tempo del modulo della velocità); una componente
ortogonale alla traiettoria, diretta verso l’interno della curvatura, di modulo
pari al quadrato della velocità diviso per il raggio di curvatura locale ϱ della
traiettoria. Ovviamente può verificarsi la circostanza che una o entrambi le
componenti di accelerazione siano nulle: affinché sia nulla la componente
tangente di accelerazione è necessario e sufficiente che il modulo della
velocità sia costante, affinchè invece sia nulla la componente normale di
accelerazione è necessario e sufficiente che il raggio di curvatura locale
tenda all’infinito (condizione verificata, per esempio, nel caso di traiettoria
localmente rettilinea). Si sottolinea esplicitamente che un moto a velocità di
modulo costante ma variabile in direzione è ovviamente un moto accelerato,
in quanto la variazione di direzione del vettore velocità si realizza per mezzo
di una curvatura finita della traiettoria, ovvero necessita di una componente
di accelerazione normale non nulla. Si fornisce ora una intuitiva spiegazione
più approfondita della derivata seconda del vettore posizione rispetto
all’ascissa curvilinea e dei concetti di cerchio osculatore e raggio di
curvatura locale della traiettoria.
Con riferimento alla Figura 2.5a si fissa l’attenzione sui versori tangenti
rappresentati in due istanti successivi, al tempo t e al tempo t+ d t
(ovvero nei punti di ascissa curvilinea s = s ( t) e s + ds= s ( t + d t). Si può
osservare che tali versori risultano in genere ruotati uno rispetto all’altro di
un angolo dθ a effetto della curvatura (in genere non nulla) che caratterizza
la traiettoria. In altri termini, secondo lo schema di Figura 2.5a, la porzione
elementare di traiettoria ds è approssimabile localmente da un arco
elementare del cerchio osculatore il cui centro è posto a distanza ϱ dalla
traiettoria verso l’interno della curvatura della stessa. Segue che la lunghezza
dell’arco di traiettoria in oggetto è esprimibile come:

Figura 2.5 a) Versori tangenti alla traiettoria nelle posizioni P ( s)


e P ( s + ds) corrispondenti al tempo t e al tempo incrementato t +
dt; b) Individuazione del versore normale n tramite il differenziale
del versore tangente.

33
ds = ϱ · dθ (2.20)

valendo le seguenti relazioni che definiscono il raggio di curvatura ϱ:

(2.21)
Come rappresentato in Figura 2.5b, per la condizione di tangenza dei versori
alla traiettoria, dθ è non solo l’angolo di apertura dell’arco ds, ma anche
l’angolo di cui è ruotato il versore tangente nel punto P ( s + ds) al tempo
incrementato t + Δ t rispetto al versore tangente nel punto P ( s). I due
versori, pensati quindi spiccati dallo stesso punto, risultano vettori di modulo
unitario ruotati uno rispetto all’altro di un angolo dθ. Si osserva peraltro che,
per il versore tangente, al tempo incrementato, vale la seguente scrittura:

(2.22)

ovvero, come indicato in Figura 2.5b il vettore di lunghezza infinitesima che


sommato a porta a è proprio il vettore scalato per la
lunghezza dell’arco ds. Si osserva ora che, essendo i due versori entrambi di
modulo unitario, e ruotati uno rispetto all’altro di un angolo infinitesimo dθ,
il vettore infinitesimo differenza giace ovviamente nel piano individuato dai
due versori (il piano della traiettoria), è ortogonale agli stessi (quindi è
normale alla traiettoria), e ha modulo esprimibile come:

(2.23)

34
Ne segue quindi che, utilizzando la definizione di raggio di curvatura di cui
alla (2.21) risulta:

(2.24)

con n versore normale alla traiettoria, appartenente al piano in cui giace la


traiettoria e diretto verso l’interno della curvatura della traiettoria stessa.
Risulta quindi dimostrato che in ogni punto di una traiettoria descritta con
continuità da un punto risulta definita una terna di versori, detta terna
intrinseca costituita dai versori tangente t, normale n e binormale b
(quest’ultimo ottenuto semplicemente come b = t Λ n e diretto nel caso di
moto piano come il versore k ortogonale al piano ( x– y)), strettamente
correlata alle grandezze cinematiche associate al moto del punto P nel modo
qui di seguito riassunto.
La velocità V del punto è diretta come il versore tangente t, l’accelerazione
a del punto ha una componente tangente (orientata come il versore tangente
t) e una componente normale che individua direzione e verso del versore
normale n. Il versore binormale è ottenuto dai precedenti coerentemente alla
formulazione di una terna destra cartesiana. Il tutto è riassunto
nell’Equazioni (2.25) e nella rappresentazione grafica di Figura 2.6:

(2.25)

A valle di queste premesse è immediato formulare operativamente in forma


cartesiana e polare le espressioni dell’accelerazione di un punto che si muove
lungo una traiettoria nel piano, avvalendosi della rappresentazione cartesiana
e della rappresentazione vettoriale in forma polare.
Derivando rispetto al tempo il vettore velocità di cui alla (2.10) si può
scrivere il vettore accelerazione in forma cartesiana:

(2.26)

Derivando invece la (2.12), si ottiene la formulazione della stessa in


equivalente rappresentazione nel campo complesso in forma polare:
(2.27)

35
che, coerentemente con la (2.19), risulta composto dalla somma di due
termini, di cui il primo (Figura 2.7b) è diretto secondo la tangente alla
traiettoria e ha modulo e verso definiti dalla derivata del modulo della
velocità, mentre il secondo ha direzione ortogonale alla traiettoria, indicata
come direzione normale, e verso controllato dal segno di ovvero dal verso
della curvatura della traiettoria. Il vettore accelerazione può essere espresso
in una forma significativa riferendosi alla Figura 2.8. Come già osservato
con generalità in Figura 2.5, l’arco di traiettoria, nell’intorno del punto P,
può essere sostituito localmente da un arco del cerchio osculatore, ovvero da
un arco della circonferenza che ha in comune con la traiettoria il punto P, la
derivata prima e la derivata seconda. Il cerchio osculatore, che varia da punto
a punto della traiettoria, rappresenta in altri termini il cerchio che meglio
approssima la traiettoria nell’intorno del punto considerato. Il termine
rappresenta la velocità con cui varia l’inclinazione della tangente alla
traiettoria percorsa dal punto P. Considerando quindi l’intervallo tra l’istante
di tempo t e l’istante di tempo t + d t, il raggio del cerchio osculatore
descrive l’angolo infinitesimo d α = d t e corrispondentemente il punto P
percorre, sul cerchio osculatore, l’arco infinitesimo di lunghezza d s = ϱd α.

Figura 2.6 Terna intrinseca ( t, n, b), vettori velocità V e


accelerazione a in componenti tangente a t e normale a n associati
localmente a un punto P di una generica traiettoria nel piano.

36
Figura 2.7 Rappresentazione del vettore accelerazione a per una
traiettoria nel piano e corrispondenza con il numero complesso ā.

È possibile quindi scrivere il modulo della velocità come derivata prima


rispetto al tempo dell’ascissa curvilinea, ovvero come:

(2.28)
Inserendo la (2.28) nella (2.27), è possibile scrivere l’accelerazione nella
forma seguente:

(2.29)

Figura 2.8 Cerchio osculatore alla traiettoria nel punto P.


Coerentemente alla simbologia in figura vale:
.

37
ritrovando una piena corrispondenza con il risultato generale di cui alla
(2.19). Si riconosce infatti nel primo termine la componente di accelerazione
tangente a t pari alla derivata rispetto al tempo del modulo del vettore
velocità (ovvero pari alla derivata seconda rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea). Si riconosce quindi nel secondo termine la componente di
accelerazione normale a n & , dipendente tramite il raggio di curvatura dalla
variazione nel tempo della direzione del vettore velocità e in particolare
proporzionale al quadrato del modulo del vettore velocità (ovvero
proporzionale al quadrato della derivata prima rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea) e inversamente proporzionale al raggio di curvatura della
traiettoria:

(2.30)

È opportuno a questo punto puntualizzare che la (2.29), pur essendo molto


efficace ed espressiva, è impropria in quanto, rispetto alla (2.27), ha perso
l’informazione inerente il segno di (che potrebbe anche essere negativo!).
Infatti, con riferimento alla (2.28), mentre il segno di ds passando dal punto
P ( s) al punto P ( s + ds) è sempre positivo, viceversa il segno di dα è
positivo o negativo in funzione del verso della curvatura della traiettoria (non
necessariamente sempre positiva!). Si può quindi formulare il tutto più
rigorosamente mediante uso della funzione “segno” applicata ad , sensibile
al verso della curvatura, nella forma di sign ( ) con la scrittura:

38
(2.31)
che mantiene la stessa correttezza e generalità della (2.27).

Relazioni tra posizione, velocità e accelerazione


Indicando con s l’ascissa curvilinea del punto P lungo la traiettoria, si
possono definire le seguenti relazioni, di uso comune nello studio delle leggi
di moto, tra l’andamento temporale di s( t), la velocità V( t) e la componente
tangente dell’accelerazione a t( t):

(2.32)

All’inverso, avendo indicato con t 0 l’istante iniziale di riferimento in cui il


punto P occupa la posizione di ascissa curvilinea s 0 con velocità V 0, si
possono scrivere le seguenti relazioni integrali:

(2.33)

Esempio 2.1 Moto rettilineo

Si consideri un punto P che si muova con legge x( t) lungo una traiettoria rettilinea,
come mostrato nella Figura 2.9a. Essendo la traiettoria rettilinea, e ponendo l’asse
reale lungo la traiettoria stessa, risulta y( t) = 0, per ogni istante di tempo t. Si può
quindi scrivere:

(2.34)

Essendo la traiettoria rettilinea e quindi essendo infinito il raggio del cerchio


osculatore, per la (2.19) o (2.29) la componente normale dell’accelerazione risulta
nulla, risultato ovviamente coerente con la circostanza secondo cui, per traiettoria
rettilinea, la direzione del vettore velocità non varia nel tempo.

39
Esempio 2.2 Moto lungo una circonferenza

Sia ora il punto P vincolato a muoversi lungo una circonferenza di raggio R e centro
O. Nel caso di moto lungo una traiettoria circolare, risulta semplice scrivere il vettore
posizione ( P–O) direttamente in forma polare, ed eseguire le derivate rispetto al
tempo per ottenere velocità e accelerazione, in tale forma:

(2.35)

Nella (2.35) si deve tenere conto, nelle derivazioni, che il raggio R è costante. Si può
osservare che la formulazione adottata in coordinate polari mette chiaramente in
evidenza le più volte ricordate proprietà dei vettori velocità e accelerazione.
La velocità è infatti un vettore ruotato di π/2 rispetto al raggio ( P–O), ovvero è
tangente alla traiettoria e ha modulo pari alla derivata rispetto al tempo dell’ascissa
curvilinea, valendo ovviamente, per l’ascissa curvilinea, la seguente formulazione:

Figura 2.9 a) Moto di un punto lungo una traiettoria rettilinea;


b) moto di un punto lungo una traiettoria circolare.

. L’accelerazione è data dalla somma di una componente tangente


e una componente normale. La prima è infatti diretta come la velocità, ovvero ruotata
di + π/2 rispetto al raggio ( P–O) (con verso dipendente infine dal segno di ). La
seconda è invece ruotata di π rispetto al vettore ( P–O), ovvero è ortogonale alla
componente tangente e quindi è normale alla traiettoria. In particolare è quindi diretta
radialmente ed è rivolta verso il centro di curvatura della traiettoria, che nel caso in
esame coincide con il centro della circonferenza. Si osservi inoltre che, anche nel caso
in cui il modulo della velocità non varii nel tempo, il punto è comunque soggetto a
un’accelerazione, in quanto la direzione del vettore velocità cambia nel tempo. Ne è

40
conferma il valore non nullo della componente normale di accelerazione, di modulo
pari a ovvero ovvero . L’andamento temporale di
θ e delle sue derivate è ancora definito dalle (2.32) e (2.33), previa sostituzione di s
con θ, V con , a con .

Esempio 2.3 Leggi del moto

Nel campo delle macchine automatiche e della movimentazione in generale, è spesso


necessario realizzare dei movimenti che prevedono lo spostamento o la rotazione con
partenza da fermo e arresto al termine del movimento stesso, oppure un moto
alternato tra due posizioni estreme: in ogni caso sono presenti delle fasi di
accelerazione e di decelerazione.
Tra le leggi più semplici per effettuare questi movimenti vi sono quelle denominate ad
accelerazione costante e ad accelerazione costante raccordata. Nella prima si hanno
intervalli temporali di accelerazione costante a tratti, una fase di accelerazione e una
di decelerazione, tra le quali può esservi anche un tratto ad accelerazione nulla (ossia
con velocità costante). L’andamento nel tempo della velocità e lo spazio percorso
riflettono ovviamente i legami espressi dalle (2.32) e dalla (2.33).
La Figura 2.10 mostra un esempio di legge del moto per accelerazione costante a tratti
(linea continua).

Figura 2.10 Confronto tra leggi del moto ad accelerazione


costante (linea continua) e trapezoidale (linea tratto-punto).

41
L’applicazione della legge ad accelerazione costante non è adatta al caso di
movimenti veloci, per i quali le variazioni di accelerazione possono indurre fenomeni
dinamici importanti. In alternativa si può modificare l’andamento dell’accelerazione
raccordando linearmente i tratti ad accelerazione costante. In tal caso (vedi la linea
tratto-punto di Figura 2.10), l’andamento della velocità risulta del tipo trapezoidale
raccordato, e l’accelerazione non presenta più discontinuità.

Esempio 2.4 Moto di un punto lungo una traiettoria


generica

In questo esempio, volto allo studio del moto di un punto lungo una traiettoria
generica, si considera un punto P che si muove lungo un’asta rettilinea OB (Figura
2.11), dotata a sua volta di moto rotatorio attorno al punto O. Questo schema
cinematico riproduce, per esempio, il moto del carrello in una gru da cantiere. Sia
θ( t) l’angolo che l’asta AB forma con l’asse reale, e s( t) la distanza tra il punto P e
l’estremo O dell’asta. Riprendendo la (2.4), si ha:

(2.36)

42
Figura 2.11 Applicazione per lo studio della traiettoria
generica di un punto P che scorre su un’asta OB rotante
attorno a O.

Inserendo la dipendenza dal tempo delle due coordinate s( t) e θ( t), è possibile


tracciare la traiettoria descritta dal punto P. Considerando la derivata rispetto al
tempo della (2.36), si ottiene la velocità del punto P:

(2.37)

in cui si è omessa per brevità l’indicazione esplicita della dipendenza dal tempo.
I due termini che compaiono a secondo membro della (2.37) sono mostrati nella
Figura 2.12, con direzioni e versi dettati dalle loro stesse espressioni e coerenti
all’ipotesi di segno convenzionalmente positivo sia per che per .

Figura 2.12 Rappresentazione dei termini che compongono la


velocità e l’accelerazione del punto P che scorre sull’asta
rotante.

L’anomalia è l’argomento delle funzioni esponenziali, mentre il prodotto per l’unità


immaginaria i comporta una rotazione di π/2 in verso antiorario, come già ricordato in
precedenza. L’espressione vettoriale dell’accelerazione del punto P risulta infine la
seguente:

(2.38)

con componenti indicate anch’esse nella Figura 2.12, sempre nell’ipotesi di segno
convenzionalmente positivo sia per sia per .
Come si vedrà nel Paragrafo 2.3.2, alle componenti delle (2.36) (2.37) e (2.38) si può
dare l’interpretazione fisica in termini di moto relativo del punto rispetto all’asta e di

43
moto di trascinamento che l’asta, per effetto del suo moto rotatorio, imprime al punto.
Nel caso in esame, nella (2.37) , rappresenta la velocità con cui P si muove
relativamente all’asta, ovvero la velocità attribuita al punto da un osservatore rotante
solidalmente all’asta. Il termine rappresenta invece la velocità che l’asta, per
effetto del suo moto rotatorio, imprime al punto P. Più esattamente, il termine di
velocità , detto di trascinamento, rappresenta la velocità assoluta che il punto P
avrebbe se si muovesse, per il solo effetto del trascinamento dell’asta, avendo
bloccato il moto relativo del punto stesso rispetto all’asta, ovvero avendo posto .
Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’accelerazione: nella (2.38) il
termine , rappresenta l’accelerazione con cui P si muove relativamente all’asta,
ovvero l’accelerazione attribuita al punto da un osservatore rotante solidalmente
all’asta. I termini dell’accelerazione, detti di trascinamento,
rappresentano invece l’accelerazione che l’asta, per effetto del suo moto rotatorio,
imprime al punto P, ovvero, più esattamente, rappresentano l’accelerazione assoluta
che il punto P avrebbe se si muovesse, per il solo effetto del trascinamento dell’asta,
avendo bloccato il moto relativo del punto stesso rispetto all’asta, ovvero avendo
posto e . Si nota tuttavia che resta un ulteriore termine di accelerazione
pari a non interpretabile in modo elementare nelle due categorie sopra esposte.

Figura 2.13 Leggi del moto ad accelerazione costante della


variabile s (linea continua) e θ (linea tratto-punto).

Nella trattazione successivamente svolta in merito alla cinematica relativa, a cui si


rimanda (Paragrafo 2.3.1), tale contributo di accelerazione sarà con tutta generalità
interpretabile come termine di accelerazione complementare o accelerazione di
Coriolis. È possibile, tramite la (2.36) tracciare nel piano x− y la traiettoria descritta

44
dal punto P, note le leggi del moto delle due variabili s( t) e θ( t) (Figura 2.13). Nella
Figura 2.14 si riportano, in corrispondenza di due punti della traiettoria, i vettori
velocità e accelerazione, quest’ultimo nelle sue componenti tangente e normale.

Figura 2.14 Traiettoria del punto P con indicazione, agli


istanti t = 1.5 s e t = 2.5 s, della velocità (in alto) e
dell’accelerazione (in basso).

45
46
2.2 Cinematica del corpo rigido nel piano
Nel paragrafo precedente si è studiata la cinematica di un sistema
puntiforme, ossia dotato di dimensioni trascurabili rispetto al campo di
movimento. Molto spesso, però, nello studio della meccanica occorre
considerare corpi di dimensioni finite. In questo ambito, un modello
particolarmente importante è quello del corpo rigido, che sarà trattato in
questo paragrafo.
In particolare, si fornirà la definizione di corpo rigido e si descriveranno i
particolari tipi di movimento che esso può compiere, evidenziando le
relazioni cinematiche fondamentali che ne governano il moto, limitandosi al
moto piano.

2.2.1 Definizioni relative al movimento in un corpo


Si premettono innanzitutto alcune definizioni applicabili in generale alla
cinematica di un corpo dotato di dimensioni finite (non necessariamente
rigido). Come posizione del corpo, intenderemo l’insieme dei vettori che
definiscono la posizione di ciascun punto appartenente al corpo. Diremo poi
movimento del corpo la descrizione di come la posizione di questo varia nel
tempo, ossia la dipendenza funzionale dal tempo di tutti i vettori posizione
relativi ai punti del corpo. In particolare, diremo moto piano una condizione
di movimento in cui le traiettorie, le velocità e le accelerazioni di tutti i punti
del sistema siano parallele a un piano detto piano direttore.
Diremo poi atto di moto l’insieme delle velocità di tutti i punti del sistema
nell’istante considerato. L’atto di moto corrisponde quindi a una “fotografia”
della condizione istantanea di moto del corpo, ossia del suo campo di
velocità. Le due definizioni di posizione e movimento del corpo ricalcano da
vicino le corrispondenti definizioni fornite per il moto del punto; la
definizione di atto di moto, viceversa, è specifica della cinematica di corpi
non puntiformi. La ragione per cui si rende necessario introdurre la
definizione di atto di moto è che, come si vedrà nel seguito, risulta spesso
particolarmente importante definire la condizione istantanea di movimento
del sistema (per esempio per il calcolo dell’energia cinetica di un corpo in
movimento). Inoltre, come si mostrerà in questo capitolo, mentre la
descrizione del movimento di un corpo (anche nel caso di un corpo rigido)
risulta in genere complessa, per l’atto di moto di un corpo rigido è possibile
definire alcune relazioni cinematiche che consentono di studiarlo con relativa

47
semplicità.
Vale la pena fin d’ora di introdurre anche la nozione di spostamento
infinitesimo di un corpo: si tratta di uno spostamento in cui ciascun punto del
corpo varia la propria posizione di una quantità infinitesima, pertanto, lo
spostamento infinitesimo viene valutato rispetto alla configurazione
indeformata del corpo, o meglio, non spostata, nel caso di corpo rigido. La
necessità di introdurre un concetto così astratto nasce dal fatto che nello
studio della dinamica verrà estesamente utilizzato il principio dei lavori
virtuali (Capitolo 6) che richiede, per la sua applicazione, il calcolo dello
spostamento infinitesimo del sistema (punto, corpo, insieme di corpi)
studiato. Per il momento, ci limitiamo a osservare che esiste un’importante
analogia tra l’atto di moto e lo spostamento infinitesimo: poiché infatti la
velocità di ciascun punto può essere definita come rapporto tra lo
spostamento infinitesimo del punto e il tempo d t in cui questo avviene, l’atto
di moto può essere inteso anche come una descrizione dello spostamento
infinitesimo del corpo, rapportato al tempo infinitesimo d t in cui questo
avviene. Ne consegue che le stesse regole cinematiche che definiremo per
l’atto di moto valgono anche per lo spostamento infinitesimo di un corpo
rigido; questa considerazione sarà di grande importanza nel momento in cui
verrà affrontato lo studio della dinamica dei sistemi meccanici.

2.2.2 Definizione di corpo rigido


Assegnato un generico corpo, identificato per esempio dall’insieme di punti
che lo costituiscono e dalla posizione degli stessi rispetto a un certo sistema
di riferimento, diremo che tale corpo subisce uno spostamento rigido nel
caso in cui, a valle dello spostamento, sia possibile effettuare una
trasformazione di coordinate (ovvero un cambiamento di sistema di
riferimento) tale per cui la posizione del corpo, rispetto al nuovo sistema di
riferimento, risulti immutata. In altri termini, in uno spostamento rigido
l’insieme di vettori posizione che identificano i punti del corpo nel sistema di
riferimento originario risulta identico al nuovo insieme di vettori posizione
che identificano i punti del corpo nel nuovo sistema di riferimento
opportunamente spostato. Conseguenza immediata della sopra esposta
circostanza è che, nel caso di spostamento rigido, le figure geometriche
definite da punti appartenenti al corpo si mantengono immutate (in forma e
dimensioni), a valle di uno spostamento rigido. Scegliendo la figura
geometrica più elementare, per esempio un triangolo, definito da tre punti

48
non allineati, la condizione posta implica che i lati del triangolo restino
immutati ovvero non modifichino la propria lunghezza a valle dello
spostamento rigido. Si può quindi anche dire che lo spostamento di un corpo
è rigido nel caso in cui, a valle dello spostamento, le distanze tra tutte le
coppie di punti appartenenti al sistema si mantengano immutate.
Un generico corpo verrà quindi definito rigido nel caso in cui, qualunque
spostamento subisca, tale spostamento sia sempre rigido.
Ovviamente segue che la stessa condizione operativa sopra esposta per lo
spostamento rigido vale anche per il corpo rigido: ovvero un corpo si
definisce rigido nel caso in cui, a valle di un qualunque spostamento subisca,
le distanze tra tutte le coppie di punti appartenenti al sistema si mantengano
immutate.
Allo scopo di fissare le idee sulle due implicazioni operative fondamentali
conseguenti all’ipotesi di corpo rigido è bene puntualizzare che, assegnato un
corpo, ovvero un insieme di punti dotato di dimensioni, e supposto che tale
corpo sia rigido, risulta sempre verificato che tale corpo nei suoi spostamenti
rispetta i seguenti vincoli (di cui il secondo è conseguenza del primo, per le
ovvie considerazioni inerenti l’uguaglianza di due triangoli):
• la distanza tra qualunque coppia di punti si mantiene immutata;
• l’angolo formato da due segmenti congiungenti due coppie di punti a
piacere nel corpo si mantiene immutato.
In perfetta analogia con quanto affermato per lo spostamento rigido, si può
affermare in sintesi che un corpo rigido è un sistema che si sposta senza
cambiare la propria forma. Si osservi, a titolo di esempio, il rettangolo di
Figura 2.15.

Figura 2.15 Esempi di spostamento rigido e di spostamento non


rigido.

49
Lo spostamento rappresentato in linea continua è rigido, ovvero la forma del
corpo non è cambiata, anche se la posizione dei punti che lo compongono è
diversa. Per esempio, il lato AB e il lato BC per effetto dello spostamento
hanno assunto direzioni diverse, ma mantengono la stessa lunghezza e
continuano a formare un angolo retto. Al contrario, i due spostamenti
rappresentati in linea tratteggiata non sono rigidi. In un caso il rettangolo si
deforma in un parallelogramma: i lati mantengono ancora la stessa
lunghezza, ma l’angolo fra loro risulta diverso rispetto alla posizione
originale (ovviamente si può osservare che i segmenti DB e AC hanno
cambiato lunghezza per effetto dello spostamento e che quindi la condizione
posta sugli angoli tra due segmenti arbitrari è una conseguenza della
condizione posta sulle distanze di coppie di punti arbitrarie). Nel secondo
caso, uno dei lati risulta incurvato: se si considera un qualunque punto
interno a tale lato (per esempio il punto K), la sua distanza da ciascuno dei
due vertici è cambiata, così come è cambiato, per esempio, l’angolo DAK.
Come si può notare dalla Figura 2.15, è ovviamente possibile affermare
sinteticamente che un corpo è rigido se, qualunque spostamento subisca, sia

50
sempre possibile effettuare una trasformazione di coordinate tale per cui la
posizione del corpo risulti immutata, ovvero sia sempre possibile trovare un
nuovo sistema di riferimento, rispetto al quale il corpo venga visto in modo
identico a come appariva prima che avvenisse lo spostamento.

2.2.3 Gradi di libertà del corpo rigido nel piano e


classificazione dei moti rigidi
Se consideriamo un corpo dotato di dimensioni non trascurabili, e se
ipotizziamo che esso possa compiere qualunque tipo di spostamento nel
piano, anche non rigido, allora in generale dovremo attribuire al corpo ∞ 2
gradi di libertà, ossia due possibilità indipendenti di movimento (per esempio
lungo le direzioni orizzontale e verticale) per ciascuno degli infiniti punti che
compongono il corpo.
Se però il corpo è rigido, allora sono sufficienti tre sole coordinate per
definirne la posizione, come viene di seguito mostrato. Si consideri infatti un
corpo vincolato ad avere moto piano (Figura 2.15) e si considerino punti del
corpo appartenenti al piano direttore ( x- y), per esempio i punti ( A, B, C,
D) di Figura 2.15 (o con maggiore generalità si considerino le proiezioni
lungo l’asse z sul piano direttore di punti posti a distanza nota dal piano
direttore). Si ipotizzi quindi che le distanze relative tra i suddetti punti siano
note e assegnate. Si pensi ora per esempio di definire la posizione di uno
qualsiasi di tali punti del corpo (per esempio il punto A rappresentato in
Figura 2.15), mediante una coppia di coordinate ( x, y) riferite a un sistema di
assi cartesiani assegnato. Potremo ora individuare la posizione di un secondo
punto del corpo con una sola coordinata: infatti, essendo assegnata la
distanza tra i due punti, basterà utilizzare una coordinata angolare per
descrivere l’orientamento della congiungente i due punti. Per esempio, nella
Figura 2.15 in alto a destra, potremmo usare l’angolo formato dal lato AB
con la direzione orizzontale per individuare il punto B. Così facendo, la
posizione di qualunque altro punto P del corpo rigido è univocamente
definita dal fatto che la distanza AP è nota, ed è noto l’angolo formato dalla
congiungente AP con AB. È importante sottolineare che, proprio per la
seconda delle condizioni che caratterizzano il moto rigido (permanenza degli
angoli formati da segmenti definiti da punti appartenenti al corpo),
qualunque segmento appartenente al corpo ruoterà della stessa quantità. In
altre parole, la rotazione è una proprietà dell’intero corpo rigido e non dei
singoli punti che lo compongono.

51
Si sottolinea a questo proposito che è peraltro improprio parlare di “rotazione
di punti” essendo il punto una entità geometrica priva di estensione. Si
parlerà invece di rotazione di una retta orientata che congiunge per esempio
un punto fisso con un altro punto che si sposta lungo una traiettoria, o che
congiunge, come nell’esempio di Figura 2.15, due punti posti nel piano
direttore e appartenenti a un corpo soggetto a moto piano. In conclusione, per
individuare la posizione di un corpo rigido nel piano sono necessarie e
sufficienti tre coordinate: le due coordinate che individuano la posizione di
un punto appartenente al corpo, e un angolo che esprime la rotazione del
corpo. Si osservi che si poteva pervenire alla stessa conclusione in merito ai
gradi di libertà del corpo rigido dotato di moto piano seguendo una strada
differente qui sinteticamente esposta. Come già detto, con assoluta generalità
sia che il corpo rigido si muova nel piano che nello spazio, la posizione di un
triangolo definito da tre punti non allineati del corpo (per esempio i punti ( A,
B, C) definisce la configurazione del corpo. Da qui scende che, per definirne
la posizione, sarebbero necessarie le 9 coordinate:
(2.39)

tra le quali esistono tuttavia le tre relazioni di vincolo che esprimono le


lunghezze dei lati del triangolo (assegnate e costanti essendo il corpo rigido)
e le ulteriori tre relazioni di vincolo che esprimono la condizione di moto
piano, ovvero l’appartenenza dei tre punti al piano direttore, esprimibili per
esempio con l’essere pari a zero la posizione dei tre punti lungo l’asse z:

(2.40)

(2.41)

Ne segue quindi che, sottraendo ai nominali 9 gradi di libertà di cui alla


(2.39) le 6 relazioni di vincolo di cui alle (2.40) e (2.41), si ottiene ancora il
risultato di 3 gradi di libertà per il corpo rigido soggetto al vincolo di moto
piano. Utilizzando lo stesso schema di analisi segue ovviamente che, per il
corpo rigido libero di muoversi nello spazio, non potendosi applicare i tre

52
gradi di vincolo di cui alla (2.41), i gradi di libertà complessivi sono pari a 6.
È possibile mostrare con tutta generalità che il movimento (in grande) del
corpo rigido può essere sempre ricondotto alle tre tipologie di movimento
illustrate nel seguito, con specifico riferimento al moto piano. Negli esempi
che seguono (Figura 2.16, 2.17 e 2.18) il moto piano di un corpo rigido viene
rappresentato con riferimento a punti dello stesso appartenenti al piano
direttore. È chiaro, tuttavia, che è immediata l’estensione a corpi
tridimensionali dotati di moto piano, che si estendono nella direzione z
ortogonale al piano direttore. Si può infatti facilmente mostrare (qui ci
affidiamo all’intuizione del lettore) che punti di un corpo rigido posti a
differenti distanze dal piano direttore ma con uguale proiezione sul piano
direttore in direzione dell’asse z hanno identici spostamenti, velocità e
accelerazioni. Lo studio effettuato su punti appartenenti al piano direttore
può quindi essere esteso con piena generalità verso tutti i punti del corpo
rigido di cui quelli studiati sono le proiezioni.

Moto traslatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.16, nel caso di moto traslatorio
piano il corpo si sposta mantenendo costante il proprio orientamento, ovvero
cambiano le coordinate x e y per esempio del punto A, ma non cambia la
posizione angolare β della retta orientata (A–B). Ne consegue che tutti i
punti appartenenti al corpo rigido soggetto a moto traslatorio subiscono a
ogni istante tsuccessivo all’istante iniziale considerato t 0, lo stesso
spostamento S A. Come conseguenza di queste identiche storie temporali di
spostamenti, segue che

Figura 2.16 Esempi di moto traslatorio nel piano a) lungo una


traiettoria curvilinea, b) lungo una traiettoria rettilinea.

53
tutti i punti del corpo soggetto a moto traslatorio possiedono, a ogni generico
istante di tempo considerato, la stessa velocità e la stessa accelerazione.
Analoga conseguenza è che le traiettorie di tutti i punti sono “parallele”, o
meglio sono sovrapponibili con opportuna traslazione delle stesse. Per
esempio, nel caso delle traiettorie percorse dal punto A e dal punto B di un
corpo in moto traslatorio generico, la traslazione che porta la traiettoria di B
a sovrapporsi a quella di A è uguale e opposta al vettore ( B − A). Si osservi
che, come mostrato nella Figura 2.16, questa traiettoria può essere una linea
qualsiasi, e non necessariamente una retta: il moto rettilineo costituisce solo
un caso particolare del caso più generale di moto traslatorio. Nel caso più
generale di corpo rigido in moto traslatorio nello spazio tridimensionale, vale
ancora la condizione di identità di spostamenti, velocità e accelerazioni di
tutti i punti appartenenti al corpo rigido, con l’unica differenza che le
traiettorie non saranno più generiche curve piane ma generiche curve
spaziali.

Moto rotatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.17, nel caso di moto rotatorio il
corpo si sposta mantenendo costante la posizione di uno dei suoi punti (che
prende il nome di centro di rotazione), cambiando invece la sua posizione
angolare. Ipotizzando sia A il centro di rotazione, le traiettorie di tutti gli altri
punti del corpo sono delle circonferenze, con centro in A e raggio pari alla
distanza tra A e il punto considerato. Il moto di tutti i punti del corpo, a
esclusione del punto A che è fermo, è quindi descritto come moto su
traiettorie circolari (Figura 2.17), e può essere espresso utilizzando la (2.35).
Si osservi che nel caso di un generico corpo rigido posto nello spazio
tridimensionale, condizione necessaria e sufficiente affinchè tale corpo sia
dotato di moto rotatorio è che due punti del corpo siano fissi ovvero abbiano
sempre spostamento nullo a ogni istante t successivo all’istante iniziale
considerato t 0. Da questa condizione segue infatti che la retta passante per i
due punti fissi in oggetto individua l’asse di rotazione del corpo rigido e che
il moto del corpo rigido è conseguentemente un moto piano, con piano
direttore ortogonale alla retta passante per i due punti fissi.

Figura 2.17 Moto rotatorio nel piano: il punto P compie un


movimento lungo la circonferenza di raggio A B e centro A.

54
Moto rototraslatorio
Con riferimento all’esempio di Figura 2.18, nel caso più generale di moto
piano si verifica che, a ogni istante t successivo all’istante iniziale
considerato t 0, la posizione angolare del corpo risulta modificata rispetto a
quella iniziale, senza che sia possibile individuare un punto del corpo rigido
che rimanga sempre fisso. Tale tipologia di moto è detta moto
rototraslatorio. Come illustrato in Figura 2.18, il più generico movimento
piano del corpo rigido può essere quindi descritto assegnando, ad ogni istante
t successivo all’istante iniziale considerato t 0 , lo spostamento di un punto
scelto arbitrariamente (per esempio il punto A), e la rotazione φ rispetto a un
asse passante per A e ortogonale al piano direttore (o piano degli
spostamenti). Tale vettore rotazione φ è caratteristico del corpo e
indipendente dalla scelta del punto A a cui ci si è appoggiati per definire la
traslazione.
Si puntualizza che, quando si parla di movimento in grande di un corpo
rigido, identificandolo per esempio come rototraslatorio, si intende dire che,
assegnato un istante temporale t 0 e considerato un arbitrario istante di tempo
successivo t in cui il corpo abbia subito uno spostamento, allora tale
spostamento è

Figura 2.18 Moto rototraslatorio nel piano, interpretato come


combinazione di un moto traslatorio e di uno rotatorio attorno ad
A.

55
rototraslatorio (lo stesso ovviamente anche per le altre due tipologie di moto
traslatorio e rotatorio sopra considerate). Il fatto che con tutta generalità,
ovvero anche per un moto non piano che avvenga nello spazio
tridimensionale, il moto del corpo rigido possa essere sempre classificato
come rototraslatorio, scende dal fatto che un qualunque spostamento di un
corpo rigido può essere sempre ricondotto (in infiniti modi) a una
rototraslazione, ovvero lo spostamento S B di un generico punto B
appartenente al corpo rigido può essere sempre ottenuto mediante una prima
traslazione S A del corpo rigido insieme al punto A (che porta il punto A
nella sua corretta collocazione finale), seguita da una rotazione φ effettuata
intorno a un asse passante per A, con vettore rotazione φ indipendente dalla
scelta di A. In altri termini si può quindi dire che lo spostamento generico del
corpo rigido può essere visto come la somma di una traslazione insieme al
punto A e una successiva rotazione intorno a un asse passante per A e
orientato come il vettore rotazione φ. Si sottolinea che, a differenza di
quanto succede nel moto piano in cui il vettore rotazione ha direzione fissa
sempre ortogonale al piano degli spostamenti, nel caso generale, nello spazio
tridimensionale, il vettore rotazione φ ha invece direzione generalmente
variabile da istante a istante considerato e orientata non necessariamente in
direzione ortogonale allo spostamento S A.

56
2.2.4 Atto di moto rigido piano
Per lo studio della distribuzione delle velocità e delle accelerazioni nei
diversi punti di un corpo rigido in un certo istante è necessario abbandonare
l’analisi del “moto in grande” del corpo rigido e passare allo studio dell’atto
di moto, ossia allo studio della “fotografia” istantanea degli spostamenti
infinitesimi o in modo del tutto equivalente delle velocità del corpo rigido. Si
ricorda, come già enunciato in precedenza, che la distribuzione di
spostamenti infinitesimi δ S i a cui sono soggetti i punti P i di un corpo rigido
in un intervallo di tempo infinitesimo d t è strettamente legata alla
distribuzione di velocità V i degli stessi punti dalle ovvie relazioni V i =
δ S i/d t che consentono di effettuare valutazioni in termini di quantità finite
ovvero di velocità di direzione e verso identici a quelli degli spostamenti
infinitesimi ma di moduli espressi in termini finiti e non infinitesimi. Si
conclude questa piccola digressione puntualizzando che valgono per i
rapporti tra i moduli degli spostamenti infinitesimi e delle corrispondenti
velocità le ovvie relazioni .
Per il corpo rigido che si muove di moto piano vale una proprietà
estremamente importante: l’atto di moto rigido piano può essere
esclusivamente traslatorio o rotatorio. Questo significa che, in un qualunque
istante del moto di un corpo rigido dotato di moto piano, vale una sola delle
seguenti due condizioni:
• le velocità di tutti i punti sono uguali in modulo, direzione e verso:
l’atto di moto è traslatorio;
• esiste un punto del corpo (o collegato rigidamente a esso) che ha,
nell’istante considerato, velocità nulla: tale punto prende il nome di
centro di istantanea rotazione ( c.i.r.) del corpo e l’atto di moto è
rotatorio.
Quanto sopra affermato è utilmente illustrato mediante le seguenti
considerazioni geometriche. In Figura 2.19 si osserva che, considerati due
punti A e B di un corpo rigido dotato di moto piano e le rispettive velocità
V A e V B, il vincolo di “corpo rigido” impone che le componenti delle
velocità V A e V B lungo la retta r AB congiungente i due punti siano uguali
(se fossero diverse ne seguirebbe una velocità di allungamento o
accorciamento del segmento AB in contraddizione con l’ipotesi di corpo
rigido). Questo implica ovviamente che, assegnata la velocità V A, la

57
velocità di un altro punto B non possa essere assegnata con piena arbitrarietà
ma debba sottostare alla sopra citata condizione. Per esempio implica che,
considerato un punto appartenente alla retta r A diretta ortogonalmente alla
velocità V A, qualunque punto di tale retta appartenente al corpo rigido o
pensato rigidamente collegato a esso ha necessariamente componente di
velocità nulla lungo la direzione r A, ovvero ha velocità diretta in direzione
parallela a V A.
Con riferimento ora alla Figura 2.20 si osserva che per le considerazioni
sopra esposte il punto C, ottenuto come intersezione delle rette r A e r B
(spiccate dai punti A e B) rispettivamente ortogonali alle velocità V A e V B,
ha necessariamente componente di velocità nulla sia nella direzione della
retta r A

Figura 2.19 Corpo rigido nel piano: uguaglianza delle componenti


delle velocità V A e V B lungo la retta congiungente i punti A e B.

Figura 2.20 Corpo rigido nel piano: identificazione del centro di


istantanea rotazione c.i.r. come intersezione delle rette r A e r B
(spiccate dai punti A e B) rispettivamente ortogonali alle velocità
V A e V B.

58
sia nella direzione della retta r B, ovvero ha velocità nulla nell’istante
considerato. Si è quindi individuato un punto che, pensato in moto
rigidamente solidale al corpo rigido, ha velocità nulla ovvero è il centro di
istantanea rotazione (c.i.r.) del corpo, nell’istante considerato.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni e con riferimento alla Figura
2.21, è immediato osservare che se due punti A e B di un corpo rigido hanno
velocità orientate nella stessa direzione (escludendo ovviamente il caso di
punti scelti appartenenti alla retta ortogonale alla loro velocità), allora tali
velocità sono uguali e le rette r A e r B spiccate dai punti A e B
ortogonalmente alle velocità V A e V B sono parallele, incontrandosi quindi
nel punto all’infinito P ∞. Segue che la situazione ora considerata è il caso
dell’atto di moto traslatorio, in cui tutti i punti del corpo rigido hanno la
stessa velocità e accelerazione, interpretabile come caso limite di un atto di
moto rotatorio per posizione del c.i.r. tendente all’infinito lungo una
direzione prefissata.
Risulta quindi dimostrato che l’atto di moto del corpo rigido dotato di moto
piano è rotatorio o al limite traslatorio, come caso limite di posizione
tendente all’infinito del centro di istantanea rotazione. Avendo mostrato la
possibilità di definire sempre operativamente per l’atto di moto rigido piano
il centro di istantanea rotazione, è bene tuttavia chiarire le fondamentali
differenze esistenti tra tale ente cinematico e il centro di rotazione
precedentemente citato con riferimento al possibile movimento rotatorio di
un corpo rigido. Il centro di istantanea rotazione è infatti un punto
appartenente al corpo rigido che, nell’istante di tempo in cui viene osservato

59
l’atto di moto, si trova ad avere velocità nulla. Non è quindi un “punto fisso”
del corpo come si verifica invece per il centro di rotazione nel caso di
movimento rotatorio del corpo rigido. In altri termini, mentre il centro di
rotazione può essere visto a tutti gli effetti come una cerniera a terra, ovvero
un punto del corpo rigido che permane fisso con velocità e accelerazione
nulla per tutta la durata del movimento osservato, il punto invece che in un
certo istante è centro di istantanea rotazione (ovvero ha velocità nulla), si
troverà successivamente ad essere dotato di velocità. Più esattamente, il c.i.r.,
pur avendo velocità nulla, in genere ha accelerazione diversa da zero e nel
corso del “movimento in grande” del corpo si sposta con

Figura 2.21 Corpo rigido nel piano: atto di moto traslatorio come
caso limite di un atto di moto rotatorio per posizione del c.i.r.
tendente all’infinito lungo una direzione prefissata.

continuità da punto a punto del corpo stesso. Da ciò segue che, pur essendo
l’atto di moto rigido piano sempre rotatorio (a parte il caso singolare di moto
traslatorio), il “movimento in grande” del corpo rigido nel piano non è in
genere rotatorio ma rototraslatorio, ovvero non si verifica in generale che un
punto permanga per tempi finiti a essere c.i.r. del corpo, verificandosi invece
la circostanza per cui il c.i.r. si sposta con continuità da un punto a un altro
del corpo.
Quanto sopra esposto è esemplificato in Figura 2.22: nel caso a) il disco ha
una cerniera a terra nel punto C ed è quindi dotato di movimento rotatorio
con C centro di rotazione. Nel caso b) invece il disco, corpo (1), rotola

60
senza strisciare sulla guida rettilinea, corpo (2) solidale a terra, e, come sarà
mostrato nel Paragrafo 2.2.6, il punto C diviene il centro di istantanea
rotazione del disco. Nel caso b) il movimento del disco è rototraslatorio e la
circonferenza γ è il luogo geometrico dei centri di istantanea rotazione
descritto da un osservatore posto a bordo del disco e rotante con esso. Si
osserva a questo proposito che un osservatore fisso con la guida descrive
invece, come luogo geometrico dei centri di istantanea rotazione, la retta λ
geometricamente coincidente con la linea esterna della guida su cui rotola il
disco. Il movimento relativo dei due corpi rigidi, il disco (1) e la guida (2), è
sinteticamente descritto quindi dal rotolamento senza strisciamento dei due
luoghi geometrici individuati (circonferenza γ e retta λ), detti anche base e
rulletta del moto rigido piano individuato dal sistema costituito dai due
corpi, per effetto della geometria e del vincolo di rotolamento senza
strisciamento. Si osserva infine che il centro del disco nel caso a) descrive
una traiettoria circolare di raggio R, mentre nel caso b) descrive una
traiettoria rettilinea.

Figura 2.22 a) Movimento rotatorio del disco con C centro di


rotazione; b) Movimento rototraslatorio del disco con C centro di
istantanea rotazione e circonferenza γ e retta λ luoghi dei centri di
istantanea rotazione.

2.2.5 Velocità e accelerazioni dei punti di un corpo


rigido
In questo paragrafo vengono ricavate le espressioni analitiche della
distribuzione di velocità e di accelerazione nei diversi punti di un corpo

61
rigido. Coerentemente con quanto discusso al Paragrafo 2.2.3 il corpo rigido
nel piano è dotato di 3 gradi di libertà, quindi il suo moto sarà
completamente assegnato per esempio tramite le tre funzioni del tempo
x A( t), y A( t), φ( t) rappresentative della posizione di un generico punto A e
della rotazione del corpo rigido al variare del tempo. Si sottolinea che, come
già ricordato, la rotazione è una caratteristica del corpo rigido: è quindi
possibile assegnare come funzione φ( t) l’angolo formato, rispetto all’asse x
del sistema di riferimento adottato, dal segmento orientato ( P − A)
congiungente un qualunque punto P del corpo con il punto A di cui è
assegnata in funzione del tempo la posizione, tenendo conto che la posizione
angolare β( t) di un altro punto B differirà da φ( t) al più per una costante. Si
osservi che i dati così assegnati, x A( t), y A( t), φ( t), definiscono in sostanza il
generico moto rototraslatorio del corpo rigido e che i due casi particolari di
moto puramente traslatorio o rotatorio potrebbero eventualmente essere
ottenuti dal caso generale semplicemente annullando rispettivamente i
termini di rotazione e di traslazione. Con riferimento quindi alla Figura 2.23
la posizione di un generico punto B appartenente al corpo rigido può essere
scritta, adottando il formalismo dei numeri complessi, nel modo seguente:

(2.42)

in cui si è utilizzata la notazione polare per il vettore ( B − A) orientato da A


verso B. Derivando la (2.42) rispetto al tempo si ottiene:

(2.43)

in cui si è tenuto conto del fatto che, essendo il corpo rigido, la distanza AB
non varia nel tempo. La (2.43) è esprimibile anche come:

(2.44)

in cui, nel secondo termine a secondo membro, si riconosce l’espressione


della velocità di un punto in moto circolare, in particolare il movimento
relativo del punto B rispetto a un osservatore traslante con il punto A, da cui
l’espressione sintetica:
(2.45)

La (2.45) consente di esprimere la velocità di un punto B qualsiasi del corpo


rigido come composizione della velocità di un punto A, scelto

62
arbitrariamente sullo stesso corpo, e di un termine ruotato di π/2 in
anticipo rispetto al vettore ( B − A), il cui modulo e verso sono definiti dal
prodotto della distanza AB e della derivata temporale dell’angolo del corpo,
che nel

Figura 2.23 Descrizione del moto rototraslatorio nel piano


(posizione).

moto piano ne rappresenta la velocità angolare. Quest’ultimo termine, citato


spesso nel linguaggio corrente come “velocità di B rispetto ad A” è più
esattamente uguale alla velocità attribuita da un osservatore traslante con A
al punto B, pensato rotante attorno ad A con velocità angolare del raggio ( B
− A) pari alla velocità angolare del corpo. Con riferimento a quanto già detto
in merito alle funzioni φ( t) e β( t) che, differendo al più per una costante,
identificano la posizione angolare dei generici vettori ( P − A) e ( B − A), si
conferma come la grandezza velocità angolare sia una proprietà cinematica
dell’intero corpo, che non dipende in alcun modo dalla coppia di punti A e B
scelti. L’Equazione (2.44), è la rappresentazione in termini complessi del
teorema di Rivals per le velocità, che rappresenta in termini vettoriali la
distribuzione di velocità nei diversi punti di un corpo rigido:
(2.46)

In altri termini la (2.46) rappresenta con piena generalità l’atto di moto


rototraslatorio di un corpo nel piano come composto dalla sovrapposizione di
una traslazione con il punto A, scelto ad arbitrio, con velocità V A, e di una
rotazione attorno al punto A stesso con velocità angolare ω. Nella (2.46)
viene introdotto il vettore velocità angolare ω che per i moti piani è un
vettore perpendicolare al piano stesso del moto (piano direttore), di modulo

63
pari alla derivata rispetto al tempo della posizione angolare . Si
osservi tuttavia che la (2.46), ha validità assolutamente generale per il
generico atto di moto di un corpo rigido nello spazio, con l’unica differenza,
rispetto al caso piano, dell’essere i vettori V A, ω e ( B − A) nel caso
tridimensionale orientati genericamente nello spazio. In particolare i due
vettori V A e ω non sono tra loro ortogonali (come nel caso piano), ma
potrebbero al limite essere anche paralleli, caso molto singolare in cui la
particolare (ma sempre possibile) scelta del punto A riconduce la
rappresentazione dell’atto di moto del corpo rigido ad essere elicoidale. Si
osservi infine che la (2.46) si può ottenere semplicemente dividendo per d t la
rappresentazione dell’atto di moto in termini di spostamento infinitesimo:
(2.47)

che esprime con tutta generalità l’atto di moto rototraslatorio del corpo rigido
come sovrapposizione di una traslazione infinitesima δ S A solidale al
generico punto A e di una rotazione infinitesima δ β intorno a un asse
passante per A e orientato come δ β, di entità indipendente dalla scelta del
punto A.
Tornando ora al caso dell’atto di moto rigido piano, la già dimostrata
esistenza del centro di istantanea rotazione permette di affermare che,
qualunque sia l’atto di moto del corpo in oggetto, esiste sempre un punto C
che, se pensato rigidamente collegato al corpo rigido ha velocità nulla,
consentendo quindi di scrivere sostituendo A con C nella (2.46):
(2.48)

essendo, per definizione, V C = 0. La (2.48) indica che la distribuzione di


velocità per punti P appartenenti a una retta spiccata dal c.i.r. C, nel caso di
atto di moto rigido piano, è rappresentata da vettori ortogonali a tale retta di
modulo crescente linearmente con la distanza del generico punto P da C. In
altri termini la velocità di un generico punto del corpo rigido, come già
rappresentato in Figura 2.20, risulta sempre perpendicolare alla congiungente
il punto con il centro di istantanea rotazione, da cui scende il già
esemplificato metodo grafico estremamente utile per determinare il c.i.r. di
un corpo in un dato istante: se si conosce la direzione del vettore velocità di
almeno due punti del corpo, il c.i.r. si trova all’intersezione tra le
perpendicolari alle due direzioni delle velocità condotte dai due punti.
Passando ora all’accelerazione, per ottenere l’espressione dell’accelerazione

64
di un punto del corpo (in termini complessi) si può derivare ulteriormente la
(2.44), ottenendo l’espressione:

(2.49)

esprimibile anche come:

(2.50)

Negli ultimi due termini a secondo membro della (2.50) si riconoscono le


espressioni delle componenti tangente e normale dell’accelerazione del punto
nel moto circolare, riferito al movimento relativo del punto B rispetto a un
osservatore traslante con il punto A, da cui l’espressione sintetica:
(2.51)

La (2.51) consente di esprimere l’accelerazione di un punto B qualsiasi del


corpo rigido come composizione dell’accelerazione di un punto A, scelto
arbitrariamente sullo stesso corpo, e di un termine citato spesso nel
linguaggio corrente come “accelerazione di B rispetto ad A”, più esattamente
uguale alla accelerazione attribuita da un osservatore traslante con A al punto
B pensato rotante attorno ad A con velocità e accelerazione angolare del
raggio ( B − A) pari alla velocità e accelerazione angolare del corpo.
La Figura 2.24 mostra graficamente i termini di velocità e accelerazione
relativi alle (2.44) e (2.50).
L’Equazione (2.50), è la rappresentazione in termini complessi del teorema
di Rivals per le accelerazioni, che rappresenta in termini vettoriali la
distribuzione di accelerazioni nei diversi punti di un corpo rigido:

(2.52)

ovvero, per il caso piano:

(2.53)

In altri termini la (2.52), ottenibile per semplice derivazione rispetto al tempo


della (2.46), rappresenta con piena generalità la distribuzione di
accelerazioni nell’atto di moto rototraslatorio di un corpo nel piano come
composta dalla sovrapposizione di un termine di traslazione con il punto A,
scelto ad arbitrio con accelerazione a A, e di un termine di rotazione attorno
al punto A stesso con

65
Figura 2.24 Descrizione del moto rototraslatorio nel piano
(velocità e accelerazione).

velocità angolare ω e accelerazione angolare . Nella (2.52) viene


introdotto il vettore accelerazione angolare che per i moti piani è un
vettore perpendicolare al piano stesso del moto (piano direttore) e
ovviamente parallelo al vettore velocità angolare ω, di modulo pari alla
derivata seconda rispetto al tempo della posizione angolare, . Si
osservi tuttavia che la (2.52), ha validità assolutamente generale per il
generico atto di moto di un corpo rigido nello spazio, con l’unica differenza,
rispetto al caso piano, dell’essere i vettori a A, ω, e ( B − A) nel caso
tridimensionale orientati genericamente nello spazio. In particolare i due
vettori ω e , nel caso generico spaziale, non sono in genere tra loro
paralleli. Tornando ora al caso dell’atto di moto rigido piano è importante
puntualizzare che, considerando la scrittura dell’atto di moto “appoggiata” al
centro di istantanea rotazione, supposto coincidente nell’istante t 0
considerato con il già citato punto C del corpo, la (2.48) è da intendersi
come:

66
(2.54)
che derivata rispetto al tempo porta all’espressione:

(2.55)
in cui ovviamente deve essere presente il termine di accelerazione del punto
C a C. In altri termini, come già in precedenza ricordato, il c.i.r. non è un
punto “fisso” del corpo rigido bensì un punto dotato in un certo istante di
velocità nulla, ma destinato in istanti successivi ad avere velocità diversa da
zero e come tale, in genere, sempre dotato di accelerazione non nulla. È
possibile mostrare, ma esula dagli scopi di queste pagine, che nel moto rigido
piano, analogamente alla esistenza del centro delle velocità (o centro di
istantanea rotazione), esiste sempre anche un centro delle accelerazioni,
ovvero un punto dotato, nell’istante considerato, di accelerazione nulla. I due
punti in oggetto, centro delle velocità e centro delle accelerazioni, sono
tuttavia in genere distinti.

2.2.6 Vincoli
Le macchine e le strutture in uso nella tecnica possono avere una prima
elementare modellazione in termini di corpi rigidi tra loro variamente
connessi per mezzo di opportuni vincoli. La cinematica della macchina nel
suo insieme e di ogni suo elemento costitutivo risulta quindi dipendente dai
vincoli con cui i singoli elementi sono tra loro connessi e che limitano i gradi
di libertà dell’insieme rispetto al sistema di riferimento ipotizzato solidale a
terra. I vincoli possono essere descritti dal punto di vista costruttivo con
riferimento alla loro operativa realizzazione materiale, ma devono anche
essere considerati, da un punto di vista più finalizzato alla modellazione
matematica del problema meccanico, come dispositivi atti a limitare i gradi
di libertà (GdL) del singolo corpo rigido e conseguentemente del sistema. Il
singolo corpo rigido risulterà quindi collegato tramite i vincoli ad altri corpi
rigidi appartenenti al sistema e/o a un sistema di riferimento fisso,
operativamente coincidente con il telaio della macchina o con il basamento
della struttura adeguatamente fissati a terra. Dal punto di vista matematico le
condizioni di vincolo saranno espresse da relazioni definite tra le coordinate
che permettono di identificare la configurazione del corpo rigido. In termini
del tutto generali, ipotizzando di poter definire la configurazione di un

67
insieme di corpi rigidi mediante un opportuno insieme
di coordinate (dotato di completezza), i vincoli
avranno una rappresentazione matematica tramite equazioni del tipo
, che andranno quindi a limitare il numero di gradi di
libertà complessivi del sistema. Una discussione più approfondita a questo
proposito verrà effettuata nei Capitoli 3 e 4 a cui si rimanda. Queste prime
note introduttive sono invece focalizzate sulla illustrazione dei vincoli
elementari, rappresentati in Figura 2.25, e dei vincoli associati alla
condizione di contatto tra le superfici di due corpi rigidi. I vincoli elementari
realizzano sostanzialmente la diretta soppressione di uno o più gradi di
libertà del corpo rigido e hanno conseguentemente una equivalente
modellazione matematica elementare. Si cita, a titolo di esempio, il caso di
un vincolo tipo cerniera applicato al punto A di un corpo rigido dotato di
moto piano (nell’ipotesi che il piano z = 0 sia il piano direttore del sistema).
Tale vincolo è modellato elementarmente dalle seguenti equazioni:

(2.56)

essendo ( x 0, y 0) le grandezze che esprimono la collocazione del punto A nel


sistema di riferimento ( x; y) adottato. Ne segue che due equazioni di vincolo
si sommano alla condizione di moto rigido piano, per cui i gradi di libertà
complessivi, pari a 3 per la condizione di moto rigido piano, si riducono a 1
per l’aggiunta delle due condizioni dell’Equazione (2.56).

Figura 2.25 Schema dei principali tipi di vincolo nel piano.

68
69
È del tutto evidente che il corpo rigido incernierato a terra nel punto A e
soggetto a moto piano ha come unico grado di libertà la rotazione intorno al
punto A stesso, risultato a cui si poteva pervenire, oltre che per elementare
constatazione diretta, anche dalla scrittura della rototraslazione del corpo
rigido appoggiata al punto A:
(2.57)

in cui, valendo δ S A = 0 e δ φ = k δ φ per la condizione di vincolo in A e di


moto piano, lo spostamento elementare del generico punto P del corpo
rigido si può scrivere come:
(2.58)

con δφ unico grado di libertà del corpo rigido considerato. Una possibile
classificazione dei vincoli elementari, come illustrato in Figura 2.25, può
essere quindi effettuata in base ai GdL che essi sopprimono. Nella Figura
2.25 sono riportati sinteticamente i simboli grafici dei vincoli elementari
tipicamente utilizzati, le corrispondenti reazioni vincolari e i movimenti
consentiti rispetto al sistema di riferimento fisso. Qui di seguito gli stessi
concetti vengono più estesamente illustrati.
• Incastro. Si tratta di un vincolo triplo, in quanto sopprime tutti e tre i
gradi di libertà del corpo.
• Cerniera. Sopprime qualsiasi spostamento del punto su cui è
applicata.
• Pattino o manicotto. Come per la cerniera, si tratta di un vincolo
doppio, in quanto sopprime due gradi di libertà. Impedisce la
rotazione del corpo, e lo spostamento in direzione ortogonale al
vincolo.
• Carrello. Si tratta di un vincolo semplice, in quanto sopprime solo la
componente di spostamento in direzione ortogonale al vincolo. Tale
vincolo può essere interpretato anche come la disposizione in serie di
una cerniera e di un pattino.
I vincoli ora esaminati sono da ritenere puntiformi, ovvero le reazioni
vincolari, come verrà in seguito illustrato, si ipotizzano concentrate nel punto
geometrico rappresentativo del vincolo e impongono condizioni cinematiche
elementari analoghe a quelle rappresentate nella (2.56) per ogni GdL

70
soppresso. Altri tipi di vincolo, qui di seguito illustrati, riguardano invece
l’accoppiamento di superfici.

Contatto tra superfici non conformi


Si consideri il vincolo di “contatto tra superfici non conformi”, intendendo,
con il termine “non conformi”, una condizione di disuguaglianza tra le
curvature di due superfici tale che il contatto tra le superfici avvenga in un
punto, con tangente comune, secondo le modalità illustrate in Figura 2.26a e
2.26b. Nel caso (a), i due corpi hanno entrambi forma convessa e il contatto
avviene in un punto di comune tangenza tra i due profili che presentano
curvatura opposta nel punto di contatto (nessuna limitazione è posta in
questo caso al raggio di curvatura che può essere indifferentemente uguale o
diverso tra i due profili). Nel caso (b), i due corpi hanno forma l’uno
concava, l’altro convessa, il contatto avviene sempre in un punto di comune
tangenza tra i due profili che presentano curvatura dello stesso segno nel
punto di contatto. Ovviamente, nel caso (b) si richiede che il corpo di forma
convessa abbia raggio di curvatura inferiore a quello del corpo di forma
concava: nel caso singolare di tipologia (b) in cui i due profili abbiano forma
esattamente circolare con uguale raggio, l’accoppiamento degenera
ovviamente in una “coppia rigida elementare” ovvero in una “coppia
rotoidale” corrispondente, nel moto piano, al vincolo elementare di cerniera
sopra discusso (posto nel centro comune delle due circonferenze). La
condizione di assenza di compenetrazione tra i due corpi porta a richiedere
ovviamente che la collocazione geometrica delle superfici sia tale che i due
corpi presentino la stessa tangente nel punto di contatto P. Dal punto di vista
cinematico inoltre, ipotizzate per i due punti di contatto affacciati P 1 e P 2
rispettivamente velocità V P e V P , la stessa condizione di assenza di
1 2
distacco e/o compenetrazione porta invece a richiedere che la componente
della velocità di ciascun punto normale alla tangente comune sia la stessa.
Pertanto, la velocità relativa V P = V P – V P nel punto di contatto ha
2-1 2 1
componente normale (ai profili ovvero alla tangente comune) nulla e in
genere ha componente tangente (ai profili ovvero alla tangente comune) non
nulla. La velocità relativa V P nel punto di contatto è quindi in genere non
2-1
nulla e sempre diretta come la tangente comune ai profili, ovvero identifica
lo strisciamento relativo tra i due corpi a contatto. Nello studio dei fenomeni
legati all’attrito e all’usura, come verrà mostrato nel Capitolo 7, risulterà

71
indispensabile la conoscenza della velocità di strisciamento nel punto di
contatto.

Figura 2.26 Esempio di contatto tra superfici non conformi: le


componenti normali delle velocità dei due corpi in corrispondenza
del punto di contatto sono uguali.

Contatto di puro rotolamento


Nel caso in cui al vincolo di contatto tra superfici non conformi si aggiunga
l’ulteriore condizione di velocità di strisciamento nulla, si ottiene il vincolo
di puro rotolamento. Si consideri come primo esempio (Figura 2.27) un disco
che rotola senza strisciare su una guida rettilinea fissa. Indicando con A D il
punto di contatto del disco nella posizione iniziale, con B D il nuovo punto di
contatto del disco che diventerà tale a valle di una rotazione φ dello stesso, e
avendo analogamente indicato con A G e B G i corrispondenti punti di
contatto appartenenti alla guida rettilinea, la condizione di rotolamento senza

72
strisciamento impone che le lunghezze dell’arco ( A D − B D) misurato sul
disco e del segment ( A G − B G) misurato sulla guida siano uguali, ovvero
impone che nel punto di contatto la velocità di strisciamento tra i due corpi
sia sempre nulla. Da tale condizione risulta quindi ( A G − B G) = R · φ, con
R raggio del disco. Ne segue che, per la conformazione rettilinea della guida,
il centro del disco si muove lungo una traiettoria rettilinea parallela alla
guida, posta a distanza R dalla stessa, occupando le posizioni C e C′ in
corrispondenza delle condizioni di contatto A D e B D. Tali posizioni sono
sulla verticale alla guida condotta rispettivamente per A G e B G, e
identificano quindi un segmento C − C′ di lunghezza pari al segmento ( A G -
B G), da cui segue ( C − C′) = R · φ. Indicando ora con s( t) l’ascissa
curvilinea (con origine in C) del centro del disco lungo la retta C − C′, e con
φ( t) la rotazione del disco, nell’ipotesi di rotolamento senza strisciamento si
può scrivere:

Si osservi ora che, essendo la traiettoria del centro del disco C rettilinea e
parallela alla guida, la velocità e l’accelerazione sono vettori diretti
tangenzialmente alla traiettoria di versore u t sempre orientato come la retta
C − C′ con componenente di accelerazione normale alla traiettoria nulla
essendo la traiettoria rettilinea (2.19), esprimibile nel modo seguente:

Figura 2.27 Esempio di contatto di rotolamento: disco su guida


rettilinea.

Figura 2.28 Esempio di contatto di rotolamento: due dischi a


contatto.

73
Può sussistere vincolo di puro rotolamento anche tra due corpi a contatto in
reciproco movimento, come illustrato in Figura 2.28, in cui i due dischi (1) e
(2) di raggio rispetivamente R 1 e R 2 e centri O 1 e O 2, a contatto nel punto
P, rotolano senza strisciare. È intuitivo osservare che i due dischi sono dotati
di moto rotatorio con versi di rotazione opposti e che, per la condizione di
rotolamento senza strisciamento, la velocità di strisciamento è nulla nel
punto di contatto. Ne segue che, detti P 1 e P 2 i punti di contatto
appartenenti rispettivamente al disco (1) e al disco (2), φ 1 e φ 2 le rotazioni
angolari dei due dischi (considerate positive l’una se antioraria e l’altra se
oraria) e detto u t il versore tangente comune nel punto di contatto, risulta:

(2.27)

La condizione di velocità di strisciamento nulla nel punto di contatto (dovuta


alla condizione di rotolamento senza strisciamento) porta quindi alla ovvia
condizione:

essendo e le velocità angolari dei due dischi a contatto e avendo


definito τ rapporto di trasmissione tra i due dischi. Si osservi che il segno
del rapporto di trasmissione è positivo, e consente di affermare che il
rapporto tra le velocità angolari è pari all’inverso del rapporto dei raggi delle

74
corrispondenti ruote, in quanto non si sono scelte convenzioni equiverse per
φ 1 e φ 2. Nel caso in cui si scegliesse una unica convenzione di segno per i
vettori velocità angolare dei due dischi, rappresentati per esempio con e
, avendo tuttavia mantenuto convenzionalmente la stessa definizione del
simbolo τ come scalare positivo pari al rapporto tra i raggi, risulterebbe
ovviamente:

Si osservi infine che il movimento dei due dischi, rispetto a un osservatore


fisso solidale al telaio, è rotatorio per entrambi i dischi, con centri di
rotazione rispettivamente O 1 e O 2 e che tali punti sono ovviamente anche
centri di istantanea rotazione per i due corpi rigidi (1) e (2) in qualunque
istante considerato. Se ora tuttavia si immagina di liberare il telaio e di
vincolare a terra il disco (2), è immediato concludere che il punto di contatto
P 1, coincidente con il punto P 2 diventa c.i.r per il disco (1) e permane la
proprietà di assenza di strisciamento nel punto di contatto, ovvero di velocità
del punto di contatto identica, sia se pensato appartenente all’uno o all’altro
corpo. Nel moto del disco (1) rispetto al disco (2) supposto vincolato a terra,
il c.i.r. letto dall’osservatore x″– y″ solidale al disco (2) si sposta definendo
come luogo geometrico la circonferenza γ di raggio R 2 e centro O 2.
Analogamente è immediato constatare che, liberato il telaio e vincolato a
terra il disco (1), si possono ripetere le stesse considerazioni e il c.i.r. letto
dall’osservatore x′– y′ solidale al disco (1) si sposta definendo come luogo
geometrico la circonferenza λ di raggio R 1 e centro O 1. Si può quindi
concludere che il movimento relativo dei due corpi rigidi è sinteticamente
descritto dal rotolamento senza strisciamento dei due luoghi geometrici
individuati (circonferenza γ e circonferenza λ), detti anche base e rulletta
del moto rigido piano individuato dal sistema costituito dai due corpi, per
effetto della geometria e del vincolo di rotolamento senza strisciamento. È
importante osservare infine che la proprietà del c.i.r. di avere identica
velocità, se pensato appartenente sia all’uno sia all’altro corpo, ovviamente
permane anche quando il moto è osservato per esempio dall’osservatore x– y
solidale al telaio, situazione in cui entrambi i corpi sono in movimento e
anche il punto in questione (punto di contatto tra i due dischi) è dotato di
velocità. In questa situazione al punto P (c.i.r. se osservato da un osservatore
solidale a uno dei due dischi) viene attribuito il nome di centro di istantanea

75
rotazione del moto relativo o c.i.r.r.: in modo molto sintetico, l’atto di moto
relativo del corpo (2) rispetto al corpo (1) può essere descritto come una
rotazione intorno al c.i.r.r. con velocità angolare relative

pari alla differenza tra le velocità angolari assolute dei due corpi lette
dall’osservatore assoluto.

2.3 Cinematica del punto: studio mediante sistemi di


riferimento relativi
Il movimento di un punto nel piano è stato fin qui analizzato utilizzando un
unico sistema di riferimento ipotizzato “fisso” ovvero, come si è soliti dire,
“solidale a terra” o più sinteticamente “assoluto”. Può essere invece
opportuno, in alcune circostanze, far uso di più sistemi di riferimento
contemporaneamente, in moto relativo uno rispetto all’altro. L’idea di
utilizzare diversi sistemi di riferimento prende spunto dal fatto che il moto
spesso complesso di alcuni punti di un sistema è generato dalla
composizione di moti semplici: tali moti semplici, non evidenti rispetto a un
osservatore assoluto, sono invece più facilmente descritti da un osservatore
relativo, in moto rispetto all’osservatore “fisso”.

Figura 2.29 Esempio di composizione dei moti.

Se si considera per esempio la Figura 2.29, in cui si ipotizzi il carrello (1) in


moto traslatorio rispetto all’osservatore assoluto lungo una traiettoria
rettilinea, e la guida (2) in moto rotatorio rispetto al carrello, è intuitivo
riconoscere che, il moto assoluto del punto ( P), di traiettoria rettilinea

76
rispetto alla guida, risulta essere di natura piuttosto complessa. Si osserva
tuttavia che, l’utilizzo di opportuni osservatori relativi, unitamente alla
natura elementare dei tipici vincoli con cui i diversi corpi rigidi costituenti le
macchine sono collegati, permette di analizzare moti complessi, come quello
del punto ( P), come sovrapposizione di più movimenti elementari.
Nella Figura 2.29 sono indicati, con X 2– Y 2 il sistema di riferimento solidale
alla guida (vincolata al carrello tramite la cerniera O 1), con X 1– Y 1 la terna
solidale al carrello e con X 0– Y 0 il sistema di riferimento assoluto. Il moto
del punto P osservato da X 2– Y 2 segue una traiettoria rettilinea, il moto della
guida osservato da X 1– Y 1 è rotatorio e il moto del carrello osservato da
X 0– Y 0 è traslatorio lungo una traiettoria rettilinea. Avendo quindi ricondotto
a moti elementari le descrizioni effettuate dai diversi osservatori in moto
relativo, sorge spontanea l’esigenza di un metodo che renda possibile la
composizione di tali osservazioni per il calcolo del moto assoluto del punto
P. Il metodo in oggetto prende il nome di teorema dei moti relativi e verrà
illustrato nel paragrafo seguente.
Si sottolinea quindi che una opportuna scelta di osservatore relativo consente
di introdurre l’informazione inerente la natura del vincolo esistente tra due
corpi rigidi, nell’analisi del moto del sistema effettuata per mezzo del
teorema dei moti relativi. Si riportano a questo scopo le Figure 2.30a, 2.30b,
in cui è rappresentato un sistema formato da due corpi rigidi, nel primo caso
(a), il corpo (1) è incernierato a terra e il corpo (2) è incernierato al corpo (1)
in B. Sono assegnate la rotazione α 1 dell’asta (1) rispetto a terra e la
rotazione α 2 dell’asta (2) rispetto alla (1). Nel secondo caso (b), il corpo (2)
è invece vincolato a (1) tramite un pattino, ovvero è imposto che il moto
relativo di (2) rispetto a (1) sia traslatorio. Sono assegnate la rotazione α 1
dell’asta (1) rispetto a terra e lo spostamento X 1 dell’asta (2) traslante
rispetto alla (1).

Figura 2.30 La natura del vincolo tra due corpi rigidi è espressa
dai moti definiti da osservatori relativi: a) vincolo tipo cerniera,
moto rotatorio; b) vincolo tipo pattino, moto traslatorio.

77
Come si può osservare dalla Figura 2.30a, la scelta di un sistema di
riferimento traslante solidale alla cerniera (B), e la conseguente traiettoria
relativa circolare centrata in (B) valutata da tale osservatore per il punto (C),
consente di introdurre implicitamente l’informazione inerente il vincolo tipo
“cerniera” esistente tra corpo (1) e corpo (2). Analogamente, con riferimento
alla Figura 2.30b, la scelta di un sistema di riferimento rotante solidale al
corpo (1), e la conseguente traiettoria relativa rettilinea valutata da tale
osservatore per qualunque punto del corpo (2), consente di introdurre
implicitamente l’informazione inerente il vincolo tipo “pattino” esistente tra
corpo (1) e corpo (2). Si sottolinea infine che la scelta dell’osservatore
relativo atto a descrivere implicitamente la natura del vincolo esistente tra
due corpi rigidi può anche non essere univoca. È evidente infatti in Figura
2.30a che sia l’osservatore X 1– Y 1 rotante solidale all’asta (1), sia
l’osservatore X 2– Y 2 traslante solidale alla cerniera (B), attribuiscono
entrambi al corpo (2) moto relativo circolare centrato in (B), essendo (B) per
entrambi un punto fisso. È importante notare che entrambi gli osservatori
definiscono quindi per il punto (C) una traiettoria relativa costituita da una
circonferenza centrata in (B), esprimendo quindi entrambi la natura del
vincolo tipo “cerniera” tra i due corpi. Le misure fatte dai due osservatori in
merito al moto del punto C tuttavia differiscono, in quanto la rotazione
relativa letta da X 1– Y 1 per il corpo (2) è pari ad α 2, mentre la rotazione
relativa letta da X 2– Y 2 per il corpo (2) è pari ad α 2 + α 1, ovvero pari alla
rotazione assoluta dell’asta, essendo l’osservatore X 2– Y 2 traslante, ovvero
mantenendo i suoi assi paralleli a quelli dell’osservatore assoluto.

2.3.1 Cinematica del punto: teorema dei moti relativi


nel piano

78
Si ipotizzi ora che il generico punto P sia in moto nel piano e che due to
distinti osservatori ne descrivano il moto. In particolare, con riferimento alla
Figura 2.31, si ipotizzi che il sistema di riferimento assoluto, o terna fissa
O 0 X 0 Y 0, descriva la traiettoria assoluta del punto P misurandone in un
certo istante t velocità e accelerazione, e che un altro osservatore O 1 X 1 Y 1,
detto osservatore relativo o terna mobile, in moto rispetto a O 0 X 0 Y 0, misuri
anch’esso velocità e accelerazione del punto P allo stesso istante t. Si
ipotizzi ovviamente che sia noto il moto di O 1 X 1 Y 1 rispetto a O 0 X 0 Y 0,
ovvero sia per esempio assegnata la legge di moto dell’origine O 1 del
sistema di riferimento relativo (in termini per esempio di coordinate x 0( t) e
y 0( t)) del punto O 1 misurate in O 0 X 0 Y 0) e l’orientamento angolare θ( t)
dell’asse X 1 rispetto all’asse X 0.

Figura 2.31 Studio del moto del punto P nel piano effettuato da
due osservatori in moto relativo.

Il teorema dei moti relativi si propone di formulare in termini generali il


legame esistente tra le misure effettuate da O 0 X 0 Y 0 e quelle effettuate da
O 1 X 1 Y 1, ovvero di fornire l’algoritmo che permette di esprimere velocità e
accelerazione assoluta di P a partire da velocità e accelerazione relativa dello
stesso (misurate da O 1 X 1 Y 1), noto il generico atto di moto rototraslatorio
del sistema di riferimento relativo rispetto a quello assoluto. Con riferimento
alla Figura 2.31, il vettore ( P – O ), che individua la posizione del punto P
nel sistema di riferimento assoluto, può essere scritto come somma dei
vettori ( O 1 – O) e ( P – O 1) nel modo seguente:

79
(2.59)

con i 0, j 0 versori del sistema di riferimento assoluto, i 1, j 1 versori del


sistema di riferimento relativo, x 0, y 0 funzioni del tempo che esprimono la
posizione dell’origine del sistema di riferimento relativo letta
dall’osservatore assoluto, x 1, y 1 funzioni del tempo che esprimono la
posizione del punto P letta dall’osservatore relativo. La derivata rispetto al
tempo della (2.59) esprime, a sinistra dell’uguaglianza, la velocità del punto
P in coordinate assolute V a - P a destra la velocità dell’origine del sistema
di riferimento relativo letta dall’osservatore assoluto sommata alla derivata
del vettore ( P – O 1), nel modo seguente:

(2.60)

Si osservi che, mentre i versori del sistema di riferimento assoluto sono per
definizione “fissi” ovvero sono a tutti gli effetti delle costanti a derivata
nulla, viceversa i versori del sistema di riferimento relativo, pur
mantenendosi di modulo costante, cambiano posizione e orientamento al
variare del tempo, avendo quindi in genere derivata non nulla. Per questo
motivo nella (2.60), la derivata dei termini i 1 x 1 + j 1 y 1 comporta la
presenza, oltre che dei termini:

rappresentativi della velocità relativa del punto P letta dall’osservatore O 1


X 1 Y 1 anche dei termini che tengono conto dell’essere i versori i 1 e j 1
funzioni del tempo in genere a derivata non nulla:

Si pone quindi il problema di esprimere la derivata rispetto al tempo dei


versori i 1 e j 1: con riferimento alla Figura 2.32, è facile osservare che,
mantenendosi costante e unitario il modulo dei versori, la differenza
tra il versore al tempo incrementato t + Δ t e il versore i 1 al
tempo t è il vettore Δ i 1 = ( B′ – B), ovvero il calcolo della derivata del
versore i 1 coincide con il calcolo della velocità del punto B, posto a distanza
unitaria dall’origine O 1 e coincidente con l’estremo del versore, in moto
rotatorio intorno a O 1 con velocità angolare pari alla velocità angolare

80
istantanea dell’osservatore relativo.
In altri termini, tenendo conto dell’espressione dell’atto di moto rotatorio
(2.48) del corpo rigido, e avendo rappresentato con il vettore velocità
angolare che caratterizza il moto dell’osservatore relativo, si può scrivere:

(2.61)
Quanto mostrato per i 1 ha validità del tutto generale ed è quindi possibile
scrivere le cosiddette formule di Poisson (per moti piani) [4]:

(2.62)

da cui segue:

(2.63)

È possibile ora dare una interessante interpretazione fisica alla (2.60)


raggruppando opportunamente i termini con la seguente sintetica
rappresentazione:
trascinamento associato al moto dell’origine O 1;
trascinamento associato al moto rotatorio della terna mobile;
velocità relativa di P rispetto alla terna mobile.

Figura 2.32 Derivata di un versore: a) sistema di riferimento


relativo al tempo t e al tempo incrementato t + Δ t; b)
incremento del versore .

81
I primi due termini rappresentano il moto di trascinamento, ossia il moto che
si può pensare impartito al punto P per effetto del moto della terna mobile,
come se il punto fosse rigidamente collegato a essa. In particolare il primo è
dovuto alla componente traslatoria del moto della terna mobile (assimilata a
un corpo rigido), mentre il secondo è dovuto alla rotazione della stessa. Il
terzo termine descrive invece il moto del punto P rispetto sempre alla terna
mobile (o sistema di riferimento relativo). Ponendo quindi:

(2.64)

in cui si è riconosciuto in V O1 la velocità assoluta dell’origine O 1 del


sistema di riferimento relativo e in V rel− P la velocità attribuita
dall’osservatore relativo al punto P, d’ora innanzi citata semplicemente
come “velocità relativa di P”, è possibile scrivere sinteticamente la (2.60)
come:
(2.65)

82
Con riferimento ora alla (2.46), è possibile riconoscere nel termine:

l’atto di moto rototraslatorio di un corpo rigido, di cui è assegnato il vettore


velocità di un punto, V O 1, e il vettore velocità angolare ω, e di cui è
studiata la velocità del punto P, pensato appartenente al corpo rigido stesso.
In altri termini la velocità assoluta del punto P, V a− P, è ottenibile come
composizione della velocità di trascinamento del punto P, V tr − P, e della
velocità relativa del punto P, V rel − P. Si riassume quindi la simbologia
introdotta, formulando il teorema dei moti relativi secondo la corrente
sintetica rappresentazione:
velocità assoluta del punto P;
velocità di trascinamento del punto P;
velocità relativa del punto P;

(2.66)

Si può quindi vedere la velocità del punto P nel moto assoluto (la misura
effettuata dall’osservatore assoluto) come somma di un termine relativo (la
misura effettuata dall’osservatore relativo) e di un termine di trascinamento,
intuitivamente associabile all’effetto di trascinamento dovuto alla
rototraslazione del sistema di riferimento relativo. Allo scopo di non
incorrere in facili errori o fraintendimenti nel calcolo della velocità di
trascinamento, è bene comunque formulare in termini rigorosi e nello stesso
tempo operativi tale termine nel modo seguente:
La velocità di trascinamento è la velocità che l’osservatore assoluto
attribuirebbe al punto P nel caso in cui questo si muovesse rigidamente
assieme al sistema di riferimento relativo.
Dal punto di vista operativo, per calcolare la velocità di trascinamento si può
quindi applicare la seguente procedura.
• Passo 1. Si blocca il moto relativo tra punto P, oggetto dello studio, e
sistema di riferimento relativo (in altri termini si considera il punto P
come appartenente a un unico corpo rigido solidale al sistema di
riferimento relativo).
• Passo 2. Si fa avvenire il movimento del sistema di riferimento
relativo con legge cinematica coerente a quanto assegnato per il

83
sistema in oggetto e alla scelta di osservatore relativo effettuata.
• Passo 3. Si misura la velocità assoluta che il punto P assume per
effetto del moto di trascinamento così predisposto: tale velocità, letta
dall’osservatore assoluto, è la velocità di trascinamento del punto P.
È utile proporre anche una procedura alternativa di derivazione delle formule
di Poisson, di applicazione limitata al caso piano. Valendo per i versori i 1 e
j 1 nel piano la seguente formulazione in termini complessi:

segue che derivando rispetto al tempo vale:

(2.67)

(2.68)

Avendo indicato la velocità angolare dell’osservatore relativo in termini


scalari e in termini vettoriali come:

risulta ovviamente verificato:

(2.69)

ovvero si ritrovano le formule di Poisson già ricavate nella (2.62) da cui


segue direttamente l’Equazione (2.63). Allo scopo di proseguire con il
calcolo dell’accelerazione e proporre il teorema dei moti relativi per le
accelerazioni, si riporta in sintesi un risultato intermedio già sviluppato di cui
si farà uso, ovvero l’espressione della derivata rispetto al tempo del vettore
( P − O 1) (espressa in termini di versori e componenti del sistema di
riferimento relativo, tenendo conto delle formule di Poisson):

(2.70)

unitamente all’espressione della velocità del punto P che verrà derivata

84
rispetto al tempo:

(2.71)
Si procede quindi alla derivazione rispetto al tempo, tenendo conto delle
espressioni cartesiane dei singoli termini, riportate alle pagine precedenti:

(2.72)

Scomponendo il calcolo nei singoli addendi:

(2.73)

(2.74)

(2.75)

si osserva che la (2.74) è stata ottenuta facendo uso della (2.70) e che,
facendo uso delle formule di Poisson (2.62), la (2.75) può essere scritta
come:

(2.76)

avendo indicato con a rel − P l’accelerazione relativa del punto P letta


dall’osservatore relativo e valendo la seguente uguaglianza:

L’espressione completa dell’accelerazione, ottenuta sommando i termini


delle (2.73), (2.74) e (2.76), può essere formulata distinguendo i seguenti
termini:
accelerazione di trascinamento dovuta al moto traslatorio della
terna;
accelerazione di trascinamento normale dovuta al moto
rotatorio della terna;
accelerazione di trascinamento tangenziale dovuta al moto
rotatorio della terna;
accelerazione relativa;

85
accelerazione di Coriolis, o complementare.

È quindi possibile scrivere sinteticamente l’espressione ottenuta per


l’accelerazione, sommando i termini delle (2.73), (2.74) e (2.76) nel modo
seguente:

(2.77)

In modo del tutto analogo a quanto già illustrato per la velocità e facendo
riferimento alla formulazione dell’atto di moto rototraslatorio di cui alla
(2.52), è possibile dare una interessante interpretazione fisica alla (2.77)
riconoscendo nel primo gruppo di termini l’atto di moto rototraslatorio di un
corpo rigido, di cui sono assegnate (ovviamente in termini vettoriali) la
velocità di un punto, , la velocità e l’accelerazione angolare angolare, ω e
e di cui è studiata l’accelerazione del punto P pensato appartenente al
corpo rigido stesso. Avendo introdotto la simbologia seguente, il teorema dei
moti relativi per le accelerazioni (2.77), detto anche teorema di Coriolis,
viene formulato secondo la corrente sintetica rappresentazione (2.78):
accelerazione assoluta del punto P;
accelerazione di trascinamento del
punto P;
accelerazione relativa del punto P;
accelerazione di Coriolis del punto P;

(2.78)

Si può quindi vedere l’accelerazione del punto P nel moto assoluto (la
misura effettuata dall’osservatore assoluto) come somma di un termine
relativo (la misura effettuata dall’osservatore relativo) e di un termine di
trascinamento, intuitivamente associabile all’effetto di trascinamento dovuto
alla rototraslazione del sistema di riferimento relativo, a cui si aggiunge
tuttavia, a differenza del caso delle velocità, un termine complementare detto
accelerazione di Coriolis. Si nota esplicitamente che l’interpretazione fisica
del teorema dei moti relativi in termini di “composizione di moti”, ovvero la
visione del moto assoluto semplicemente come composizione di moto di
trascinamento più moto relativo, è corretta per le velocità, ma è in generale

86
incompleta per le accelerazioni, a causa del termine aggiuntivo di
accelerazione di Coriolis. Si sottolinea che nell’ accelerazione di Coriolis
a c− p = 2 ω ∧ V rel − P compare la velocità angolare ω del sistema di
riferimento relativo e la velocità relativa V rel − P del punto P letta
dall’osservatore relativo. Segue che, nel caso l’osservatore relativo abbia
moto traslatorio, l’accelerazione di Coriolis è nulla e la formulazione del
teorema dei moti relativi per le accelerazioni risulta identica a quella per le
velocità, con rigorosa validità del concetto di composizione dei moti di
trascinamento e relativo. È chiaro infine che, come caso particolare, il
termine complementare si annulla anche per velocità relativa
istantaneamente nulla (o parallela alla velocità angolare dell’osservatore
relativo, cosa possibile solo abbandonando l’ipotesi di moto piano).
Analogamente a quanto già fatto per la velocità, allo scopo di non incorrere
in facili errori o fraintendimenti nel calcolo dell’accelerazione di
trascinamento, è utile formulare in termini rigorosi, e nello stesso tempo
operativi, tale termine nel modo seguente:
L’accelerazione di trascinamento è l’accelerazione che l’osservatore
assoluto attribuirebbe al punto P nel caso in cui questo si muovesse
rigidamente assieme al sistema di riferimento relativo.
Dal punto di vista operativo, per calcolare l’accelerazione di trascinamento si
può quindi applicare la seguente procedura.
• Passo 1. Si blocca il moto relativo tra punto P, oggetto dello studio, e
sistema di riferimento relativo (in altri termini si considera il punto P
come appartenente a un unico corpo rigido solidale al sistema di
riferimento relativo).
• Passo 2. Si fa avvenire il movimento del sistema di riferimento
relativo con legge cinematica coerente a quanto assegnato per il
sistema in oggetto e alla scelta di osservatore relativo effettuata.
• Passo 3. Si misura l’accelerazione assoluta che il punto P assume per
effetto del moto di trascinamento così predisposto: tale accelerazione,
letta dall’osservatore assoluto, è l’accelerazione di trascinamento del
punto P.
Si osserva infine che, nel caso di velocità e accelerazione relativa nulla,
ovvero nell’ipotesi di moto relativo nullo tra punto P e osservatore relativo,
il teorema dei moti relativi degenera nel teorema di Rivals, ovvero le (2.65) e
(2.77) si riducono alle (2.46) e (2.52), scrivendo l’atto di moto rototraslatorio

87
di un corpo rigido (il sistema di riferimento relativo) a cui è stato reso
solidale il punto P oggetto dello studio.

2.3.2 Confronto con l’approccio con i numeri complessi


Benché il metodo dei numeri complessi possa essere utilizzato
indipendentemente dall’utilizzo di terne mobili o dal loro riconoscimento
all’interno di un meccanismo, si ritiene utile riproporre lo studio del moto del
punto nel piano attraverso le terne mobili, esprimendo questa volta la
posizione (e quindi la velocità e l’accelerazione) del punto non attraverso i
vettori geometrici, ma mediante i numeri complessi che li rappresentano. In
tal modo si potrà riconoscere nella scrittura in termini di numeri complessi i
termini di moto di trascinamento, relativo e il termine di Coriolis. Tale
riconoscimento non è in generale necessario per la risoluzione dei problemi,
ma è finalizzato a una interpretazione fisicamente espressiva dei vari termini.
Dalla Figura 2.33 si trae l’equazione che descrive la posizione del punto P
nel piano, come somma di due numeri complessi, di cui il primo rappresenta
la posizione dell’origine della terna, e il secondo la posizione del punto P
rispetto alla terna mobile:

(2.79)

essendo θ l’angolo che la terna mobile forma con la terna assoluta, e α


l’anomalia di nel riferimento mobile. Derivando rispetto al tempo, si
ottiene la velocità:

(2.80)

Riorganizzando i termini, e confrontandoli con la (2.65) si ha:

(2.81)

Dall’esame dei numeri complessi si nota infatti che essi esprimono i seguenti
termini di velocità:
• trascinamento associato al moto traslatorio della terna, infatti il
numero complesso comprende solo i termini in r 1 e φ, legati al moto
del solo punto O, origine della terna mobile;

Figura 2.33 Studio del moto del punto P nel piano effettuato

88
da due osservatori in moto relativo: approccio con i numeri
complessi.

• trascinamento associato al moto rotatorio della terna, che infatti è


espresso come prodotto della posizione r 2 all’interno del riferimento
mobile, per la velocità angolare della stessa terna;
• relativo del punto P rispetto al riferimento mobile, in quanto
comprende, nelle espressioni del modulo, solo i termini in r 2 e α.
L’Equazione (2.81) mostra chiaramente che, nel caso in cui venga bloccato il
moto relativo tra punto P e terna mobile ponendo e , la velocità
letta per il punto P dall’osservatore assoluto coincide con il termine
sinteticamente rappresentato con V O1 + ω ∧ ( P − O 1) ovvero con la
velocità di trascinamento V tr − P associata alla rototraslazione di un corpo
rigido, a cui P è pensato appartenere, solidale all’osservatore relativo.
Nel caso in cui il moto della terna mobile sia traslatorio, ovvero la terna non
sia soggetta a rotazione e quindi valga , e nell’ulteriore ipotesi che il
vettore r 2 connetta due punti di un corpo rigido in moto rotatorio rispetto
all’osservatore relativo traslante solidalmente al punto O 1, appartenente al
corpo rigido stesso, ovvero valga , allora la (2.81) si semplifica nella:

(2.82)

che esprime il teorema di Rivals di cui alla (2.51). In questo caso


rappresenta la velocità angolare del corpo rigido a cui appartengono i punti
O 1 e P.

89
Nel caso il moto della terna mobile sia solamente rotatorio attorno alla sua
origine O 1, allora la (2.81) si semplifica nella:

(2.83)

che esprime il moto del punto come somma del moto di trascinamento di
sola rotazione, e del moto relativo rispetto a una terna rotante. Se poi nel
moto relativo vale , allora la traiettoria del moto relativo è rettilinea e
in particolare è una retta spiccata per l’origine del sistema di riferimento
relativo (si osservi che possono ovviamente esistere altre traiettorie relative
rettilinee, diversamente orientate, caratterizzate dall’essere ). Nel caso
invece sia con , allora la traiettoria relativa è una circonferenza
centrata nell’origine del sistema di riferimento relativo.
Si esamina infine il termine di accelerazione, ottenuto derivando rispetto al
tempo la (2.81):

Il confronto con le (2.72) e (2.77) consente di riconoscere i termini di


trascinamento, relativo e di Coriolis (o complementare):

Considerazioni analoghe a quelle svolte sulle velocità nel caso di terna


traslante e corpo rigido, e di terna rotante con traiettoria del moto relativa di
forma rettilinea o circolare, consentono di semplificare le espressioni sopra
scritte, nei suddetti casi particolari, peraltro di ampio utilizzo.

ESERCIZI SVOLTI

90
Moto di un punto su traiettoria curvilinea
2.1 Un vagone ferroviario percorre il tracciato mostrato in Figura 2.34,
muovendosi con modulo della velocità costante e pari a 20 m/s. Assimilando
il sistema a un punto materiale, determinare, nei vari tratti della traiettoria,
l’accelerazione cui sono sottoposti i passeggeri.

Figura2.34

Legge del moto


2.2 Il carico di un impianto di sollevamento deve percorrere 24 m in altezza,
partendo da fermo e giungendo al termine della corsa con velocità nulla, con
una legge di velocità trapezoidale. Il valore massimo della velocità di
sollevamento è di 10 m/min, mentre la durata del transitorio di avviamento e
di arresto è di 2 s. Ricavare il diagramma della velocità, dell’accelerazione, e
il tempo necessario a compiere la manovra.

Rotolamento senza strisciamento di un disco su una


guida inclinata
2.3 Si consideri un disco di raggio R, posto su una guida inclinata rispetto
all’orizzontale di un angolo α, come illustrato in Figura 2.35. Il disco rotola
senza strisciare sulla guida. Essendo note la velocità angolare e
l’accelerazione angolare del disco, si richiede di:
1. determinare la traiettoria del centro C del disco;
2. individuare il centro di istantanea rotazione del disco;
3. calcolare (in modulo, direzione e verso) la velocità e accelerazione di

91
C;
4. calcolare l’accelerazione del punto P del disco in contatto con la
guida.

Figura2.35

Risoluzione
Punto 1: poiché disco e guida sono rigidi e non possono compenetrarsi,
qualunque posizione il disco assuma rispetto alla guida (escludendo il
distacco tra i due corpi) sarà tale per cui il centro C del disco si trovi a
distanza R dalla superficie inclinata della guida. Di conseguenza la traiettoria
del centro del disco deve necessariamente essere un segmento appartenente
alla retta parallela al piano inclinato posta a distanza R da questa.
Punto 2: si tratta di trovare il punto del disco che ha (nella configurazione
mostrata) velocità nulla. Essendo la guida fissa, e avendo quindi tutti i suoi
punti velocità nulla, per effetto del vincolo di rotolamento senza
strisciamento il punto P del disco ha la stessa velocità del punto della guida
con cui è a contatto, da cui segue che P ha velocità nulla ed è quindi il c.i.r.
del disco.
Punto 3: la velocità del punto C si può calcolare con il teorema di Rivals,
sfruttando il fatto che conosciamo la velocità di P (nulla per quanto detto al
punto precedente) e la velocità angolare del disco:

e risulta quindi diretta parallelamente alla guida, con verso a salire, e con
modulo pari a:

92
Si osservi che la velocità di C è parallela alla retta che definisce la traiettoria
di C stesso, ossia risulta (come necessario) tangente alla traiettoria.
Per quanto riguarda l’accelerazione di C, ricordando quanto detto sulla
cinematica del punto, possiamo osservare che l’accelerazione di un punto
che si muove su una traiettoria rettilinea (ossia a curvatura nulla), avrà una
sola componente di accelerazione, diretta lungo la tangente alla traiettoria
(ovvero ancora una volta parallela al piano inclinato) e pari in modulo alla
derivata rispetto al tempo del modulo della velocità:

Punto 4: nota l’accelerazione di C, si può applicare il teorema di Rivals per


le accelerazioni (2.52):

La formula sopra riportata indica che l’accelerazione di P è somma


vettoriale di un termine inclinato come la guida, con verso a salire e modulo
(l’accelerazione di C), di un termine inclinato come la guida, con verso a
scendere, e modulo uguale al precedente (il termine dovuto al prodotto
vettoriale dell’accelerazione angolare per la distanza di P da C) e infine un
termine ortogonale alla guida, diretto da P verso C e di modulo pari al
quadrato della velocità angolare per il raggio. I primi due temini sono uguali
e opposti e pertanto si elidono tra loro, per cui l’accelerazione di P risulta
puramente ortogonale alla guida. La Figura 2.36 illustra graficamente la
soluzione sopra esposta, relativamente ai vari punti.

Figura2.36

93
Moto rototraslatorio di un corpo
2.4 L’esempio qui riportato mira a chiarire il concetto di velocità angolare, e
a mostrare come sia possibile descrivere il moto rototraslatorio di un corpo
rigido nel piano. Si consideri un’asta rigida vincolata a scorrere lungo una
guida orizzontale (vincolo di carrello) con velocità e accelerazione assegnate
(rispettivamente e ) dotata inoltre di velocità angolare e accelerazione
angolare pari rispettivamente a e , come mostrato nella figura sottostante.
Si calcolino le espressioni di posizione, velocità e accelerazione dell’estremo
B dell’asta.

Figura2.37

Risoluzione
Utilizzando il metodo dei numeri complessi, esprimiamo la posizione del
punto B come:
(2.36)

derivando rispetto al tempo tale espressione si ottiene:

Questa espressione indica che la velocità del punto P è data dalla somma
vettoriale di un termine orizzontale pari alla velocità del punto A, e di un
termine ortogonale all’asta pari in modulo al prodotto della velocità angolare
dell’asta per la lunghezza dell’asta stessa. Si interpreti questo risultato
sulla base del teorema di Rivals, rappresentato dalla (2.46).
Derivando ulteriormente si ottiene:

94
che possiamo interpretare nel modo seguente: l’accelerazione di B è somma
di tre termini: uno diretto orizzontalmente e pari all’accelerazione di A, un
secondo ortogonale all’asta e pari in modulo al prodotto dell’accelerazione
angolare dell’asta per la lunghezza dell’asta, e infine un termine diretto
parallelamente all’asta, ma con verso diretto da B verso A, il cui modulo è
pari al prodotto della velocità angolare al quadrato per la lunghezza dell’asta.

Profili coniugati in strisciamento relativo


2.5 L’esempio qui riportato mira a chiarire il concetto di centro di istantanea
rotazione del moto relativo. A tal fine si considerino due profili coniugati
vincolati tramite cerniere ad un telaio fisso, come mostrato nella figura
sottostante. Si intende, in questo ambito, per profili coniugati, due profili
dotati di regolarità sulla tangente e sulla curvatura e di forma tale da
consentire il contatto in un punto di tangente comune tra i due profili, e che
tali condizioni siano garantite operativamente in un intorno di dimensioni
finite della configurazione assegnata, come chiaramente rappresentato
nell’esempio in Figura 2.38. Assegnata la velocità angolare del profilo (2) si
chiede di determinare la velocità angolare del profilo (1) e la velocità relativa
nel punto di contatto.

Figura2.38

Risoluzione

95
Supponiamo di fissare a terra il profilo (1) e svincolare il telaio, come
mostrato in Figura 2.39. L’osservatore ( ) vede il punto O 2 , pensato
appartenente al telaio, con velocità diretta normalmente alla congiungente
O 1– O 2, essendo O 1 evidentemente centro di istantanea rotazione del telaio.
Il punto P 1, invece, essendo il punto di contatto appartenente al corpo (1)
che risulta vincolato a terra, avrà velocità nulla, ed in particolare la
componente di velocità nella direzione normale al contatto sarà nulla:

Essendo il punto P 2 il punto di contatto appartenente al corpo (2), per la


condizione di assenza di distacco deve essere verificata l’uguaglianza delle
componenti normali di velocità dei due punti a contatto, ovvero deve
risultare:

La velocità del punto P 2, pertanto, risulta essere necessariamente diretta


come la tangente comune ai profili nel punto di contatto. Note le direzioni
delle velocità di due punti diversi appartenenti al corpo (2) è immediato
calcolare il centro di istantanea rotazione dello stesso, tracciando le normali
alle velocità che si intersecano nel punto O 3. Il punto O 3, essendo quindi
centro di istantanea rotazione del corpo (2), ha la proprietà di avere velocità
nulla, pertanto può essere visto come appartenente anche al corpo (1), per il
quale tutti i punti hanno velocità identicamente nulla. Le stesse
considerazioni possono essere ripetute pensando di fissare a terra il profilo
(2) e svincolare il telaio. Si giunge in ogni caso alla definizione del punto O 3
come centro di istantanea rotazione del corpo (1). Come già osservato al
Paragrafo 2.2.6, sezione “Contatto di puro rotolamento”, esempio di Figura
2.28, la proprietà del c.i.r. di avere identica velocità sia se pensato
appartenente a un corpo sia all’altro permane anche quando il moto è
osservato per esempio dall’osservatore ( x 0– y 0), nella situazione in cui
entrambi i corpi sono in movimento e anche il punto in questione (punto O 3)
è dotato di velocità. In tal caso il punto O 3 può essere definito come il centro
di istantanea rotazione del moto relativo del profilo (2) rispetto al profilo (1).

Figura2.39

96
La velocità angolare del corpo (1), Ω 1, è facilmente calcolabile, assegnata
Ω 2, imponendo la relazione che la velocità del punto O 3 sia la stessa, sia
pensato appartenente al corpo (1) che al corpo (2):

(2.39)

Passando ai moduli si ottiene:

da cui, infine, il valore di :

Avendo definito come rapporto di trasmissione la quantità τ intrinsecamente


positiva pari al rapporto tra Ω 2 e Ω 1, risulta quindi che il rapporto di
trasmissione tra i due profili è l’inverso del rapporto tra le distanze del c.i.r.r.
O 3 dai rispettivi centri di rotazione:

Si osservi ovviamente che i versi delle velocità angolari dei due profili sono
opposti e che quindi, avendo assunto una convenzione univoca per i versi

97
delle velocità angolari risulta:

Per quel che riguarda la velocità relativa (o di strisciamento) tra i due corpi
nel punto di contatto, tale quantità è ora definibile rapidamente sfruttando la
definizione di centro di istantanea rotazione del moto relativo:

Avendo definito con Ω 21 la velocità angolare relativa tra i due corpi:

Calcolo di velocità e accelerazione di trascinamento per


diverse scelte dell’osservatore relativo
2.6 L’esempio qui riportato mira a mettere in evidenza come la velocità e
l’accelerazione di trascinamento di uno stesso punto può risultare differente
per diverse scelte dell’osservatore relativo.
Scelta 1 Dato il sistema illustrato in Figura 2.40 si sceglie un osservatore
relativo solidale all’asta (1). Considerando tale osservatore, l’atto di moto di
trascinamento del punto C, appartenente all’asta (2), risulta essere rotatorio
con centro nel punto A. La velocità di trascinamento ha pertanto direzione
ortogonale alla congiungente (C–A) e vale:

Analogamente si ottiene che l’accelerazione di trascinamento del punto C


risulta essere composta da due componenti, la componente normale alla
traiettoria locale di trascinamento, diretta come la congiungente (C–A) e
la componente tangente alla traiettoria locale di trascinamento. I moduli
di entrambe le componenti sono facilmente calcolabili, considerando che
l’atto di moto è rotatorio con centro nel punto A. Scrivendo le relazioni in
forma vettoriale si ottiene:

Scelta 2 Se ora consideriamo lo stesso sistema descritto precedentemente,


ma descrivendo il moto del punto C attraverso un osservatore relative
traslante solidale al punto B, come mostrato in Figura 2.41, l’atto di moto di
trascinamento del punto C, come di qualsiasi altro punto appartenente

98
all’asta (2), risulta essere una traslazione solidale al punto B. La velocità di
trascinamento di qualsiasi punto appartenente all’asta (2), in particolare del
punto C, è uguale quindi a quella del punto B. L’atto di moto di tale punto è
una rotazione attorno al centro A, pertanto la velocità del punto C sarà diretta
ortogonalmente alla congiungente (B–A) e vettorialmente vale:

Analogamente l’accelerazione di trascinamento del punto C è uguale


all’accelerazione del punto B, che essendo in rotazione rispetto al punto A, è
composta da due componenti, una normale e una tangenziale .
Vettorialmente si può scrivere:

Figura 2.40 Velocità (a) e accelerazione (b) di trascinamento del


punto C, ottenute considerando un osservatore relativo solidale
all’asta (1)

Figura 2.41 Velocità e accelerazione (b) di trascinamento del


punto C, ottenute considerando un osservatore relativo traslante
solidale al punto B

99
Scelta 3 Consideriamo ora un sistema analogo al precedente, ma nel quale
l’asta (2) è vincolata all’asta (1) tramite un pattino, come descritto in Figura
2.42. In questo caso la scelta dell’osservatore relativo, finalizzata a
descrivere nel modo più semplice e coerente con i vincoli il moto relativo
dell’asta (2), è ovviamente quella di un osservatore solidale all’asta (1) e
quindi rotante intorno al punto A. L’atto di moto di trascinamento del punto
C risulta essere pertanto rotatorio di centro A, analogamente al caso illustrato
in Figura 2.40, portando a identici risultati per quanto riguarda la velocità e
l’accelerazione di trascinamento. La sostanziale differenza nell’atto di moto
assoluto del punto stesso, dovuto alle diverse condizioni di vincolo tra l’asta
(2) e l’asta (1), verrà pertanto descritta dal moto relativo del punto C rispetto
al punto B: per il caso illustrato in Figura 2.40, infatti, si ha che l’atto di
moto relativo è una rotazione di centro B, mentre, per il caso illustrato in
Figura 2.42, l’atto di moto relativo è una traslazione dell’asta (2).

Figura 2.42 Velocità (a) e accelerazione (b) di trascinamento del


punto C, ottenute considerando un osservatore relativo solidale
all’asta (1)

100
CAPITOLO 3 Cinematica dei sistemi di
corpi rigidi

3.1 Introduzione
Nel capitolo precedente sono stati descritti i tipi di moto possibili per un
singolo corpo rigido, tenendo conto di eventuali vincoli applicati al corpo. In
questo capitolo lo studio della cinematica viene generalizzato al caso di un
sistema composto da più corpi rigidi, interconnessi da vincoli. Come per il
singolo corpo rigido, il primo problema da porsi è il numero di gradi di
libertà del sistema considerato: abbiamo visto che un singolo corpo rigido in
moto nel piano e sul quale non agiscono vincoli possiede tre gradi di libertà;
un sistema composto da n corpi nel piano è pertanto caratterizzato, prima
dell’applicazione dei vincoli, da 3 n gradi di libertà. L’introduzione di vincoli
tra i corpi o tra questi e un corpo fisso (detto telaio), riduce il numero dei
gradi di libertà del sistema, che dipenderà quindi dal numero di corpi che
compongono il sistema e dal numero e tipo di vincoli applicati.
Per introdurre l’argomento ci si riferisce a un sistema composto da due aste
(Figura 3.1), cui vengono progressivamente applicati dei vincoli. A ogni
situazione di vincolo si osserverà quante coordinate è necessario indicare per
definire la configurazione del sistema:
• prima dell’introduzione dei vincoli, l’insieme dei due corpi è dotato di
6 = 3 × 2 gradi di libertà;
• applicando i vincoli di cerniera nei punti O e A, vengono sottratti due
gradi di libertà per ciascuna cerniera applicata al sistema, che risulta
quindi dotato di due gradi di libertà: si può quindi individuare
completamente la configurazione del sistema attraverso due soli
parametri cinematici, per esempio gli angoli α e β, che costituiscono
le coordinate libere del sistema;
• applicando un ulteriore vincolo di carrello nel punto B, si sottrae una
ulteriore possibilità di movimento al sistema, che risulta così dotato di
un solo grado di libertà. In questo caso, per determinare la
configurazione del sistema è sufficiente definire, per esempio, il
valore dell’angolo α, che diviene l’unica coordinata libera del

101
sistema;

Figura 3.1 Successiva applicazione di vincoli.

• nel caso in cui, infine, il vincolo posto nel punto B sia una cerniera,
non sono più possibili movimenti rigidi del sistema: infatti per effetto
delle cerniere in O e B ciascuna delle due aste potrebbe al più ruotare
attorno alla sua estremità fissa, ma per effetto della cerniera in A
anche queste rotazioni sono impedite, perché la rotazione rigida di
una delle due aste comporterebbe necessariamente un allungamento o
accorciamento dell’altra. Il fatto che il sistema non possa compiere
moti rigidi trova corrispondenza nel conteggio del numero dei gradi
di vincolo agenti, che in questo caso sono sei, ossia pari al numero dei
gradi di libertà che compete all’insieme dei corpi non vincolati.
L’esempio sopra descritto consente di introdurre alcune definizioni
particolarmente importanti, che sono riportate nel seguito.

3.1.1 Meccanismi e strutture

102
L’esempio mostra che possiamo distinguere i sistemi meccanici in due
categorie:
• strutture: sistemi per i quali non sono possibili movimenti rigidi e le
uniche possibilità di movimento sono legate alle deformabilità dei
componenti della struttura, abbandonando quindi l’ipotesi di corpi
rigidi;
• meccanismi: sistemi in grado di compiere movimenti senza
contravvenire alla condizione di moto rigido: è in particolare di
questa categoria di sistemi che ci occuperemo in questo capitolo.
Si osservi che anche un meccanismo potrebbe subire dei moti non rigidi, per
effetto della deformabilità dei corpi che lo compongono: ciò nonostante, i
moti associati alla deformabilità sono in generale confinati entro i limiti di
deformazione elastica del corpo e hanno tipicamente ampiezze molto piccole
rispetto ai moti rigidi. Per esempio, un’asta della lunghezza di un metro
incernierata a terra a una estremità potrebbe ruotare intorno all’estremo fisso
(moto rigido) consentendo al suo estremo libero di spostarsi di una distanza
dell’ordine dei metri, mentre un ragionevole ordine di grandezza dello
spostamento prodotto dalla deformazione elastica potrebbe essere 1/1000
della dimensione del corpo.
Per questo motivo nel seguito considereremo i meccanismi come composti
da corpi rigidi variamente interconnessi, trascurando tutti gli effetti di
deformabilità dei corpi che li compongono.

3.1.2 Esempi di sistemi articolati e loro impiego


Gli esempi di catena cinematica aperta e chiusa riportati in Figura 3.1 non
sono solo utili a introdurre i concetti fin qui trattati, ma rappresentano due
casi particolarmente notevoli di sistemi meccanici, rispettivamente il
manipolatore piano R−R (ossia dotato di due rotazionali) e il manovellismo
ordinario in cui, come mostrato in Figura 3.10 il carrello di Figura 3.1 viene
normalmente ottenuto attraverso la combinazione di un vincolo di pattino
applicato a un terzo corpo detto corsoio e di un vincolo di cerniera applicato
tra il corsoio e il braccio AB, detto biella. Per la loro importanza, la
cinematica di questi due sistemi sarà studiata in dettaglio in questo capitolo,
rispettivamente nei Paragrafi 3.2 e 3.3.
In questo paragrafo, si vogliono presentare alcuni altri esempi che mostrano
come l’opportuno collegamento di più corpi rigidi attraverso i vincoli

103
permette di realizzare funzioni cinematiche tipicamente richieste nelle
macchine. Si consideri a questo scopo in primo luogo gli esempi di macchine
operatrici riportate in Figura 3.2: lo schema riportato nella parte di sinistra
della figura si riferisce a una gru portuale, il cui scopo è quello di trasferire i
carichi fra le navi e la banchina. La gru risulta formata da un telaio fisso 1,
due bracci, indicati in figura con 2 e 4, rotanti incernierati al telaio, e infine il
braccio 3, incernierato a 2 e 4, che si prolunga fino al punto P al quale viene
appeso il carico da trasportare. Il sistema così ottenuto, essendo formato da
quattro “lati” viene detto quadrilatero articolato e uno scopo della
progettazione del cinematismo consiste, nella applicazione considerate, nel
realizzare per il punto P una traiettoria il più possibile rettilinea, il che
consente di minimizzare il lavoro richiesto per lo spostamento del carico.
Nella fotografia a destra della Figura 3.2 si osserva invece un braccio
articolato di pala meccanica. Si osservi che, dal punto di vista della sua
cinematica, questo sistema può essere considerato come composto da un
sistema principale, consistente nei due bracci più la pala, e in una serie di
sistemi “secondari”, costituiti dagli attuatori oleodinamici che realizzano
l’azionamento del primo braccio rispetto alla base, del secondo braccio
rispetto al primo e della pala rispetto al secondo braccio.

Figura 3.2 Esempi di macchine operatrici.

Un ulteriore esempio di sistema di corpi rigidi è rappresentato dalla

104
sospensione automobilistica di tipo “Mc. Pherson”, rappresentata in Figura
3.3. In questo caso, la funzione cinematica assolta dalla sospensione è quella
di rendere possibile un movimento relativo tra la ruota e il telaio del veicolo,
che viene realizzato mediante un sistema a un grado di libertà costituito da
un braccio inferiore solidale al mozzo e incernierato alla scocca, e da due
ulteriori corpi, lo stelo e la camera dello smorzatore, collegati fra loro da un
vincolo di manicotto, e incernierati rispettivamente al braccetto inferiore e
alla scocca. La molla elicoidale coassiale allo smorzatore conferisce la
rigidezza richiesta alla sospensione, ma non ha nessun ruolo dal punto di
vista della cinematica della stessa.
Infine, la Figura 3.4 mostra lo schema cinematico di un robot o manipolatore
industriale. In questo caso il sistema risulta composto da una base fissa
inferiore e numerosi bracci, collegati in maniera sequenziale (il braccio 1 è
collegato

Figura 3.3 Schema cinematico della sospensione automobilistica


tipo Mc. Pherson.

Figura 3.4 Schema cinematico di un robot industriale.

105
alla base e al braccio 2, il braccio 2 a 1 e 3, e così via) mediante una serie di
snodi che possono essere di tipo rotazionale (ossia realizzate mediante
cerniere) oppure, caso non mostrato nell’esempio, di tipo traslazionale
(ossia realizzati mediante manicotti). Lo scopo del manipolatore è quello di
realizzare il movimento desiderato per l’elemento terminale posto sull’ultimo
braccio, che è destinato a realizzare uno scopo utile, per esempio una
operazione di verniciatura o saldatura. Una peculiarità di questo ultimo
esempio è costituita dal fatto che mentre negli esempi presentati in
precedenza il movimento del sistema di corpi rigidi avviene in un piano, in
questo caso il movimento del robot avviene nello spazio.

3.1.3 Computo dei gradi di libertà di un sistema di


corpi rigidi
La procedura utilizzata nell’esempio di Figura 3.1 per calcolare il numero dei
gradi di libertà (o gradi di mobilità) del sistema, può essere generalizzata per
alcune classi di meccanismi. Nel caso di meccanismi piani ai quali siano
applicati un numero qualsiasi di vincoli di tipo cerniera, pattino o carrello e
in cui i collegamenti siano solo di tipo binario, ossia ogni vincolo collega
solo due elementi, si definisce la regola di Grübler, per il calcolo del grado
di mobilità del sistema. Detto c 1 il numero di vincoli che sopprimono un

106
solo grado di libertà (vincolo tipo carrello), e c 2 il numero di vincoli che
sopprimono due gradi di libertà (vincolo tipo cerniera o pattino), si ha:
(3.1)
essendo n il numero di componenti del meccanismo, escluso il telaio.

3.1.4 Catene cinematiche aperte e chiuse


Gli esempi presentati in precedenza suggeriscono un’ulteriore distinzione
all’interno della categoria dei meccanismi, tra catene cinematiche aperte e
catene cinematiche chiuse. Diremo catena cinematica aperta un sistema
composto da una serie di corpi mobili, più un corpo fisso (detto telaio), in
cui i diversi corpi sono vincolati in successione l’uno all’altro (a formare una
sorta di “catena”) in modo che ogni corpo (compreso il telaio) risulti
vincolato esclusivamente a quello che lo precede e a quello che lo segue
nella catena. Si dice invece catena cinematica chiusa un sistema in cui
almeno uno dei corpi non rispetta la condizione sopra enunciata.
Nell’esempio di Figura 3.1, l’introduzione delle sole due cerniere in O e in A
dà luogo a una catena cinematica aperta in cui il telaio (corpo “0”) è
vincolato solo all’asta OA (corpo “1”) e questa a sua volta è vincolata solo
all’asta AB (corpo “2”), mentre l’aggiunta del vincolo di carrello in B
determina la chiusura della catena cinematica sul telaio. Analogamente, il
robot di Figura 3.4 costituisce una catena cinematica aperta, mentre la gru
portuale a sinistra in Figura 3.2 e lo schema cinematico della sospensione
Mc. Pherson in Figura 3.3 costituiscono delle catene cinematiche chiuse.
Infine, il braccio articolato della pala a destra in Figura 3.2 deve essere
considerato una catena cinematica aperta se si considera il meccanismo
principale costituito dai due bracci articolati e dalla pala, mentre i
cinematismi secondari che realizzano l’azionamento mediante gli attuatori
oleodinamici rappresentano delle catene cinematiche chiuse (si veda a questo
proposito l’esempio 3.5).
La catena cinematica aperta è utilizzata, per esempio, nella progettazione di
robot e manipolatori. Il moto relativo di un elemento rispetto al precedente è
controllato da un azionamento o motore. Il collegamento di più corpi rigidi
attraverso una catena cinematica aperta permette il raggiungimento di uno
spazio di lavoro e una manovrabilità altrimenti non permesse.
La catena cinematica chiusa viene invece più spesso utilizzata per realizzare

107
meccanismi che permettono di trasformare le caratteristiche del movimento
da rotatorio continuo a traslatorio alternato e viceversa, oppure da rotatorio
continuo a rotatorio alternato e viceversa.
La distinzione tra catene cinematiche aperte e chiuse non risiede solo nella
topologia del sistema, ma comporta un’importante differenza nella
cinematica del sistema: per descrivere il moto di una catena cinematica
aperta è sufficiente utilizzare un certo numero di coordinate che permettano
di rappresentare il moto relativo di un corpo rispetto a quello che lo precede
nella catena. Per esempio, per la catena cinematica aperta dell’esempio di
Figura 3.1 si possono usare come coordinate l’angolo formato dall’asta OA
con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo 1) e l’angolo formato dall’asta
AB con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo 2); in alternativa, come
seconda coordinata può essere scelto l’angolo formato dall’asta AB con il
prolungamento dell’asta OA (rotazione relativa del corpo 2 rispetto al corpo
1). Qualunque dei due set di coordinate si scelga, le due coordinate risultano
del tutto indipendenti l’una dall’altra.
Viceversa, per una catena cinematica chiusa, le diverse coordinate che
esprimono il moto di un membro rispetto al precedente non sono tutte libere,
ma al contrario devono rispettare una o più condizioni: nell’esempio di
catena cinematica chiusa riportato nella Figura 3.1, il moto del sistema può
ancora essere descritto in termini di rotazioni assolute delle due aste OA e
AB, ma in questo caso queste due coordinate non saranno indipendenti (ossia
non potranno variare liberamente, indipendentemente l’una dall’altra),
dovranno invece variare rispettando il vincolo di carrello in B, ossia facendo
in modo che il punto B appartenga sempre alla retta orizzontale su cui scorre
il carrello. Tale vincolo viene tradotto dall’equazione vettoriale:

Come si mostrerà nel seguito, una condizione cinematica di questo tipo può
essere rappresentata in termini di equazione scritta con il formalismo dei
numeri complessi, che prende il nome di equazione di chiusura in quanto
può essere interpretata graficamente come una condizione che traduce nel
formalismo matematico del calcolo vettoriale la circostanza per cui un
particolare poligono si mantiene chiuso durante il moto del sistema.
Utilizzando l’algebra dei numeri complessi è possibile esprimere i legami
cinematici tra le diverse quantità cinematiche che descrivono la posizione del
sistema (nell’esempio le rotazioni α e β delle due aste), ed è quindi possibile

108
descrivere la posizione del sistema in funzione di un numero minimo di
coordinate, pari al numero di gradi di libertà del sistema. Nell’esempio
considerato, che come già detto possiede un solo grado di libertà, la
posizione di qualunque punto del sistema potrà essere espressa in funzione
dell’angolo α.
Occorre notare che, per catene cinematiche chiuse più complesse
dell’esempio mostrato, può essere necessario introdurre più di un’equazione
di chiusura per esprimere tutti i legami cinematici che regolano il moto del
sistema. Per esempio, per il sistema di Figura 3.5 (detto esalatero) è
possibile scrivere le due equazioni di chiusura:

mentre l’ulteriore equazione relativa alla chiusura del poligono O 1 ABC


O 3 O 2 risulta combinazione delle due equazioni già scritte, ed è perciò
superflua.

Figura 3.5 Esempio di catena cinematica chiusa (esalatero).

Esempio 3.1 Asta rigida vincolata con doppio


appoggio

Come primo esempio di analisi di una catena cinematica chiusa, si consideri il sistema
rappresentato nella figura sottostante, costituito da un’asta rigida le cui estremità sono
appoggiate a due guide rettilinee, disposte rispettivamente in orizzontale e in
verticale. Per questo sistema:

109
1. si determini il numero di gradi di libertà;
2. assegnata la velocità angolare dell’asta, si calcolino le velocità dei due
estremi A e B e quella del punto centrale C;
3. si determini lo spostamento infinitesimo dei punti A e B che corrisponde a
una rotazione infinitesima dθ dell’asta;
4. assegnata inoltre l’accelerazione angolare dell’asta si calcoli l’accelerazione
del punto centrale C.

Figura3.6

Risoluzione
Punto 1: se si esclude la possibilità di distacco tra le guide e le estremità dell’asta, i
vincoli di appoggio agenti sull’asta possono a tutti gli effetti essere assimilati a
carrelli: infatti ciascun appoggio vincola esclusivamente lo spostamento in una sola
direzione di un punto del corpo. Di conseguenza abbiamo un sistema formato da un
solo corpo (oltre al telaio fisso) su cui agiscono due vincoli che sopprimono ciascuno
un grado di libertà, e il numero residuo di GdL è pertanto n = 3 − 2 = 1.
Punto 2: esistono almeno due possibilità per rispondere a questa domanda. Un primo
approccio, relativamente complicato come sviluppo dei passaggi ma generale,
consiste nell’applicare il metodo dei numeri complessi. Il secondo approccio, più
sintetico, si basa sull’individuazione del centro di istantanea rotazione (c.i.r.)
dell’asta.
Affrontando il problema con il metodo dei numeri complessi, osserviamo che,
qualunque sia il moto dell’asta, esso dovrà avvenire mantenendo chiuso il triangolo O
A B. Di conseguenza, introducendo le variabili x B e y A per rappresentare gli
spostamenti lungo le due guide rispettivamente dei punti B e A si può scrivere:

È questo il primo esempio di equazione di chiusura che incontriamo: dal punto di


vista topologico rappresenta la circostanza già nominata per cui un triangolo si
mantiene tale durante il moto, mentre dal punto di vista algebrico rappresenta
un’equazione in campo complesso, che equivale quindi a due equazioni in campo

110
reale, che legano le tre quantità cinematiche finora introdotte, ossia y A, x B e θ.
Dovendo soddisfare due condizioni (in campo reale), solo una di queste tre quantità
può variare liberamente ( coordinata libera), mentre le altre due possono essere
esplicitate in funzione della prima. Scegliamo per esempio come coordinata libera la
rotazione θ: separando la parte reale da quella immaginaria nell’equazione di chiusura
e riordinando i termini si ottiene:

Queste due espressioni consentono di calcolare le posizioni degli estremi dell’asta in


funzione della rotazione θ. Per calcolare le velocità delle estremità si possono
derivare rispetto al tempo queste due relazioni, oppure si può derivare rispetto al
tempo l’equazione complessa di chiusura. In questo secondo caso si ottiene
(ricordando che la lunghezza L dell’asta è costante):

che scomposta in parte reale e immaginaria fornisce le velocità ricercate:

Note queste grandezze, è possibile definire le velocità dei punti A e B mediante il


solito formalismo dei numeri complessi:

Si osservi che, essendo sen θ > 0 e cos θ < 0, per positiva (ossia velocità angolare
in senso antiorario) la velocità di B sarà diretta orizzontalmente verso destra (in
quanto espressa da un numero reale positivo) e la velocità di A sarà diretta
verticalmente verso il basso (in quanto espressa da un numero complesso con parte
reale nulla e parte immaginaria minore di zero).

Figura3.7

111
Per quanto riguarda il punto centrale dell’asta C, si può scriverne la posizione come:

espressa anche nelle due componenti:

Derivando tale espressione si ottiene:

La velocità di C può essere scomposta in una componente orizzontale e in una -


verticale, prendendo rispettivamente la parte reale e immaginaria dell’espressione
complessa sopra riportata:

Come anticipato, esiste un procedimento più rapido per giungere a queste risposte:
osserviamo che le traiettorie di A e B sono due segmenti di retta, rispettivamente
verticale e orizzontale; di conseguenza, possiamo affermare che le velocità dei due
punti (tangenti alle rispettive traiettorie) avranno direzione verticale la prima e
orizzontale la seconda. Sappiamo dall’osservazione fatta al Paragrafo 2.2.5 che il c.i.r.
dell’asta giace all’intersezione delle rette spiccate da A e B ortogonalmente alle
rispettive velocità: se ne conclude che il c.i.r. dell’asta è posto nel punto D della
Figura 3.7 (il fatto che tale punto non appartenga materialmente all’asta non deve far
sorgere dubbi: basta pensare D come un punto collegato rigidamente all’asta).
Trovato il c.i.r. dell’asta, sappiamo che la velocità di qualunque punto del corpo è
ortogonale alla congiungente il punto con il c.i.r. e in modulo è pari al prodotto della
velocità angolare per la distanza del punto dal c.i.r.; applicando queste regole si
ritrova il risultato già ottenuto con il metodo dei numeri complessi.
Punto 3: è stato già osservato nel Capitolo 2 che le stesse relazioni cinematiche valide
tra le velocità valgono anche tra gli spostamenti infinitesimi: di conseguenza, le
espressioni di V A e V B in funzione di trovate al punto precedente, rappresentano
anche il legame tra gli spostamenti infinitesimi dy A e dx B degli estremi e la
rotazione infinitesima dell’asta dθ:

Questo risultato, per ora apparentemente poco significativo, assumerà grande -


importanza quando tratteremo la statica e la dinamica di sistemi di corpi rigidi.
Punto 4: per ottenere l’accelerazione del punto medio C basta derivare rispetto al
tempo l’espressione complessa della velocità di C:

112
Per ottenere le componenti orizzontale e verticale di questo vettore è sufficiente
prendere la parte reale e immaginaria dell’espressione complessa sopra riportata,
oppure derivare le componenti V Cx e V Cy della velocità di C (passaggi lasciati al
lettore).

3.2 Cinematica del manipolatore piano R–R


Si tratta di un meccanismo a catena aperta, in cui il moto è, in generale,
impartito attraverso motori posti in corrispondenza dei giunti, come nel caso
del robot S.C.A.R.A., mostrato nella Figura 3.8. Come descritto nel Paragrafo
3.1.2, il sistema è dotato di 2 GdL. Per descrivere il moto si possono, per
esempio, utilizzare le due coordinate α rotazione del primo braccio e β r
rotazione relativa del secondo braccio rispetto al primo.

Figura 3.8 Manipolatore S.C.A.R.A.: α e β rappresentano gli


angoli che i bracci formano con una direzione fissa.

Questa scelta evidenzia come coordinate libere le componenti di movimento


direttamente azionate dai motori che comandano il manipolatore. La
relazione vettoriale che definisce la posizione del punto B estremo del

113
secondo braccio è la seguente (vedi Figura 3.9):
(3.2)

che in forma complessa diventa:

(3.3)
La (3.3) può essere riscritta separando la parte reale da quella immaginaria,
ottenendo il sistema:

(3.4)

in cui, assegnati i valori α e β r delle rotazioni ai giunti, si ricava la posizione


del punto B. Per ottenere la velocità di B si deriva la (3.3) nella sua forma
complessa:

(3.5)

Figura 3.9 Schema cinematico del manipolatore S.C.A.R.A.

e si scompone tale equazione nelle componenti reale e immaginaria:

(3.6)

Si osservi che lo stesso risultato può essere ottenuto anche derivando


direttamente l’Equazione (3.4).
L’Equazione (3.5) può essere analizzata attraverso il teorema dei moti
relativi. Se si ipotizza un sistema di riferimento mobile traslante con origine
in A e si vincola il moto relativo di rotazione dell’asta AB concesso dalla
cerniera A (ovvero imponendo l’angolo ( α + β r) costante), l’asta AB trasla

114
con traiettoria circolare con una velocità rappresentata dal primo termine
della (3.5) ovvero un numero complesso di modulo e anomalia ( α + π/2);
termine che rappresenta la velocità di trascinamento che l’asta AB avrebbe se
non vi fosse moto relativo. Il secondo termine rappresenta la velocità relativa
del punto B rispetto ad A (origine del nostro sistema di riferimento mobile):
essendo la terna traslante, B ruota nel suo moto relativo intorno a A con
velocità di modulo , dove il termine rappresenta la velocità
angolare assoluta dell’asta AB.
Un’ulteriore derivazione rispetto al tempo dell’equazione di chiusura
fornisce l’espressione dell’accelerazione del punto B:

(3.7)

che può a sua volta essere scomposta in parte reale e immaginaria a fornire le
componenti secondo gli assi coordinati dell’accelerazione di B.
In base al teorema dei moti relativi, è possibile riconoscere nei primi due
termini le componenti tangenziali e normali dell’accelerazione di
trascinamento e nei successivi, rispettivamente, la componente tangenziale e
quella normale dell’accelerazione relative, rispetto al sistema di riferimento
mobile traslante posto in A.

3.3 Manovellismo ordinario centrato


Il manovellismo ordinario centrato è un cinematismo che viene utilizzato
per trasformare il moto rotatorio di un albero nel moto traslatorio rettilineo
di un corsoio o viceversa. Esso trova largo impiego nelle macchine, per
esempio nei motori a combustione interna (Figura 3.10), nelle presse, nelle
pompe e compressori alternativi.
Lo schema cinematico, mostrato nella Figura 3.11, comprende la manovella
OA, in grado di compiere una rotazione completa intorno al centro fisso O,
la biella AB che compie invece un moto rototraslatorio e il corsoio, che
nello schema cinematico è ridotto al carrello posto in B, ma nella realtà
(come mostrato nella Figura 3.10) costituisce un corpo a se stante che scorre
impegnandosi in una guida ricavata nel telaio. Le lunghezze della manovella
e della biella devono rispettare la condizione AB ≥ OA, affinché la
manovella possa effettivamente compiere un giro completo. Si sottolinea
che, nel caso del manovellismo ordinario centrato, la retta lungo cui scorre il

115
corsoio risulta sempre passante per il punto O, centro di rotazione della
manovella.

Figura 3.10 Esempio di sistema meccanico con manovellismo:


motore a combustione interna a 2 tempi.

L’equazione di chiusura del manovellismo ordinario centrato è:


(3.8)

che in forma complessa diventa:


(3.9)

in cui sono costanti (per l’ipotesi di corpi rigidi) le lunghezze della


manovella e della biella, rispettivamente a e b, mentre variano nel tempo la
posizione del piede di biella definita dal numero reale c e le rotazioni della
manovella e della biella, definite dagli angoli α e β. Normalmente si assume
nota la rotazione α della manovella e si ricavano in funzione di questa la
posizione del corsoio c e la rotazione della biella β.
La (3.9) può essere scomposta nelle sue parti reale e immaginaria:

(3.10)

Figura 3.11 Schema cinematico e rappresentazione


dell’equazione di chiusura del manovellismo ordinario centrato.

116
ottenendo un sistema di equazioni nelle due incognite β e c, non lineare in
α, che compare come argomento di funzioni trigonometriche. Risolvendo
rispetto alle incognite si ottiene:

(3.11)

in cui si è fatto uso della relazione:

La (3.11) fornisce i legami cinematici che permettono di esprimere, in


funzione della rotazione della manovella, la posizione del corsoio e la
rotazione della biella. Una volta note queste quantità, è possibile ottenere la
posizione di un qualsiasi punto del manovellismo mediante una semplice
somma di vettori (al solito espressi mediante numeri complessi). Nella
Figura 3.13 si riporta in alto l’andamento della posizione del corsoio in
funzione della rotazione della manovella: i valori massimo e minimo si
ottengono rispettivamente per α = 0 e per α = π, e corrispondono alle
posizioni dette di punto morto esterno e di punto morto interno: questo
nome deriva dal fatto che in tali posizioni avviene l’inversione del moto del
corsoio, e pertanto la velocità di questo risulta nulla.
Per ottenere le velocità del manovellismo è possibile ritornare all’Equazione
di chiusura (3.9) e derivarla rispetto al tempo:
(3.12)

ovvero:

117
(3.13)

Questa equazione vettoriale (o complessa) può essere interpretata sulla base


del teorema dei moti relativi, utilizzando un sistema di riferimento mobile
traslante insieme al punto A, come illustrato in Figura 3.12: la velocità di
trascinamento del punto B è pari alla velocità dell’origine del riferimento
mobile (infatti se la terna trasla tutti i punti che si muovono con essa hanno
la stessa velocità), mentre la velocità relativa sarà un vettore ortogonale alla
biella, di modulo pari al prodotto della lunghezza della biella per la sua
velocità angolare. D’altra parte, la velocità assoluta del corsoio è anche
espressa direttamente da un vettore orizzontale con modulo pari a : ne
consegue che l’equazione scritta sopra può essere anche interpretata come
uguaglianza tra la velocità del punto B espressa mediante il sistema di
riferimento mobile (a primo membro) e scritta nel sistema di riferimento
assoluto (secondo membro):

Figura 3.12 Interpretazione della cinematica del manovellismo


sulla base del teorema dei moti relativi.

(3.14)

Scomponendo in parte reale e immaginaria la (3.12) o derivando le


componenti (3.10), si ottiene:

(3.15)

da cui, risolvendo rispetto a e :

(3.16)

118
La Figura 3.13 riporta al centro l’andamento della velocità del corsoio
(calcolata nell’ipotesi di ) in funzione della rotazione della
manovella:

Figura 3.13 Manovellismo ordinario centrato: dall’alto


spostamento, velocità e accelerazione del corsoio.

come anticipato, essa si annulla in corrispondenza dei punti morti, mentre i


valori massimi si hanno in prossimità della posizione α = π/2.
La successiva derivazione dell’equazione di chiusura porta a definire le
accelerazioni del sistema:
(3.17)

che con la solita scomposizione fornisce:

119
(3.18)
da cui è possibile ricavare l’accelerazione del corsoio e l’accelerazione
angolare della biella . Sempre nell’ipotesi , l’andamento
dell’accelerazione del piede di biella in funzione della rotazione della
manovella è mostrato in basso nella Figura 3.13: il valore massimo negativo
si verifica in corrispondenza del punto morto esterno.
È importante osservare che l’andamento dello spostamento, della velocità e
soprattutto dell’accelerazione del corsoio dipende dal rapporto λ = a/b tra le
lunghezze a della manovella e b della biella, come evidenziato nella Figura
3.14.
Come si mostrerà nei capitoli seguenti, spesso è utile definire il legame
cinematico tra la derivata della coordinata libera e la velocità di un punto
del sistema (in questo caso in particolare il corsoio) introducendo il concetto
di jacobiano, ossia mediante una relazione del tipo:
(3.19)

Figura 3.14 Manovellismo ordinario centrato: accelerazione del


corsoio al variare del rapporto a/b manovella/biella.

120
in cui Λ c viene detto jacobiano del moto del corsoio rispetto alla rotazione
della manovella. Dal confronto con la prima della (3.16), si ottiene
l’espressione di tale funzione:

(3.20)
dove si può osservare che lo jacobiano è funzione della coordinata libera α,
ossia dipende dalla configurazione del meccanismo. La derivata totale
rispetto al tempo della (3.19) indica che l’accelerazione del corsoio dipende
sia dall’accelerazione angolare della manovella, sia dal quadrato della
velocità angolare di questa:

(3.21)

L’accelerazione del corsoio risulta quindi diversa da zero anche nel caso in
cui la manovella ruota con velocità angolare costante.

3.3.1 Approssimazioni del primo e secondo ordine del


moto del piede di biella
Come mostrato dalla (3.20), l’espressione analitica esatta del legame
cinematico tra la velocità angolare della manovella e la velocità del corsoio è
alquanto complessa. In questo paragrafo si vuole ricavare un’espressione
approssimata di questo legame cinematico che, pur introducendo un
ragionevole errore (come si vedrà, tanto minore quanto minore è il rapporto
λ tra la lunghezza della manovella a e quella della biella b), si presta a un
efficace utilizzo in molte applicazioni di rilevante importanza ingegneristica.
A questo scopo, riprendiamo l’Equazione (3.10):

(3.22)

La seconda equazione lega la rotazione della biella β alla rotazione della


manovella α dalla relazione:

da cui:

121
Ricordando che per vale la seguente approssimazione:

si ottiene:

Inserendo questa approssimazione nell’espressione della posizione c del


piede di biella si ottiene:

Derivando rispetto al tempo tale espressione, si ottiene un’espressione


approssimata per la velocità del piede di biella:

(3.23)

in cui, come già in precedenza, si è introdotto il simbolo λ per rappresentare


il rapporto tra la lunghezza della manovella e quella della biella:

(3.24)

L’Equazione (3.23) viene detta approssimazione del secondo ordine del


moto del piede di biella; ovviamente, tale approssimazione risulta tanto più
precisa quanto più risulta giustificata l’approssimazione eseguita sul valore
del coseno dell’angolo β, ossia, in ultima analisi, quanto più piccolo è il
rapporto λ definito dalla (3.24). Una rappresentazione ulteriormente
approssimata del moto del piede di biella, detta del primo ordine consiste nel
trascurare, nell’equazione (3.23), il termine contenente il rapporto λ: in tal
modo si approssima ad armonico il legame tra il moto del piede di biella e la
rotazione della manovella:
(3.25)

Si deve però tener presente che utilizzando l’approssimazione del primo


ordine è possibile introdurre errori significativi nel moto del piede di biella, a

122
meno che la lunghezza della biella sia effettivamente molto maggiore di
quella della manovella ( λ ≤ 1/10).
La Figura 3.15 mostra per due diversi valori del rapporto λ il confronto tra lo
jacobiano Λ c, ottenuto mediante l’analisi cinematica esatta eseguita con il
metodo dei numeri complessi, e l’approssimazione del primo ordine.

Figura 3.15 Moto del piede di biella: confronto tra la soluzione


esatta e l’approssimazione del primo ordine.

Esempio 3.2 Il motore della vettura Alfa Romeo


GTV2000 (1971)

Si consideri a titolo di esempio numerico il cinematismo biella-manovella del motore


dell’autovettura Alfa Romeo GTV2000, caratterizzato dai seguenti dati geometrici e
cinematici: raggio manovella = 44.25 mm; lunghezza biella = 157 mm; regime di
rotazione di potenza massima = 5800 giri/min.
Considerando, per esempio, che la posizione della manovella α = π/4, dalla (3.11) si
ottiene β = 1.763 rad e c = 185 mm. È possibile a questo punto valutare dalla (3.16)
la velocità angolare della biella pari a −123.52 rad/s e la velocità del piede di biella
( ). Infine, ipotizzando un regime costante di rotazione dell’albero
motore, e quindi accelerazione angolare della manovella pari a zero, è possibile
risolvere il sistema (3.18) e calcolare l’accelerazione angolare della biella
rad/s2 e l’accelerazione del punto B ( ).
Si osservi che, in una condizione normale di funzionamento del motore come quella
considerate, l’accelerazione del corsoio è pari a circa 2500 volte l’accelerazione di
gravità. Tenendo conto del secondo principio della dinamica (Capitolo 6), si osserva

123
quindi che le forze prodotte sul corsoio dal suo movimento sono superiori di 3-4
ordini di grandezza rispetto agli effetti del peso proprio.

3.4 Altri sistemi articolati


3.4.1 Quadrilatero articolato
Il quadrilatero articolato è un meccanismo composto da tre corpi mobili più
un telaio fisso, collegati fra loro mediante cerniere, come mostrato nella
Figura 3.16 e nell’esempio della gru portuale di Figura 3.2. Si tratta di un
cinematismo utilizzato per trasformare il moto rotatorio di uno dei due lati
collegati al telaio nel moto rotatorio dell’altro lato collegato al telaio. In altri
casi viene invece utilizzato per realizzare una data traiettoria di un punto
appartenente alla biella. Il quadrilatero articolato trova larga applicazione
nelle macchine automatiche (per esempio nell’industria tessile) ma anche nei
dispositivi di sollevamento e movimentazione carichi, e inoltre è alla base
della sospensione per veicoli stradali detta “a quadrilateri indipendenti”.

Figura 3.16 Quadrilatero articolato.

I due corpi incernierati al telaio fisso (ossia i lati O 1 A e O 2 B di Figura 3.16)


sono detti manovella se compiono una rivoluzione completa durante il moto
del sistema, oppure bilanciere se il loro moto è limitato a un’oscillazione
angolare tra due posizioni estreme. Si potranno avere quindi quadrilateri a
doppia manovella, a manovella-bilanciere o a doppio bilanciere. Il corpo
non direttamente collegato al telaio (lato AB) prende invece il nome di
biella.
Per determinare a quale di queste tre categorie appartenga un dato
quadrilatero articolato, in funzione delle lunghezze dei suoi lati, è possibile

124
ricorrere alla regola di Grashof, che afferma:
• se la somma del lato più corto e del lato più lungo è maggiore della
somma degli altri due lati, il quadrilatero è a doppio bilanciere;
• nel caso contrario, si hanno i seguenti sottocasi:
- se il lato più corto è incernierato al telaio, il quadrilatero è a
manovella- bilanciere;
- se il lato più corto è il telaio, il quadrilatero è a doppia
manovella;
- se il lato più corto è la biella, il quadrilatero è a doppio
bilanciere.
Osserviamo infine che il quadrilatero articolato (come già nel precedente
paragrafo il manovellismo ordinario centrato e nel seguito il glifo) costituisce
un sistema a un grado di libertà: se per esempio nel quadrilatero di Figura
3.16 si congela la rotazione α del lato O 1 A, questo risulta completamente
bloccato. In particolare il punto A risulta fermo e quindi l’insieme costituito
dalla biella AB e dal lato O 2 B forma un arco a tre cerniere, anch’esso
bloccato. Ne consegue che, una volta determinato il valore di una singola
coordinata libera, per esempio l’angolo α, risultano univocamente
determinate le posizioni di tutti i punti del sistema.
Per determinare le relazioni che legano le rotazioni α, β e γ e le loro derivate
rispetto al tempo, è possibile utilizzare il formalismo basato sui numeri
complessi. I quattro lati del quadrilatero articolato di Figura 3.16, costituiti
dai vettori ( A − O 1), ( B − A), ( O 2 − O 1) e ( B − O 2) sono rappresentati
dalle espressioni complesse:

(3.26)

L’ equazione di chiusura per il quadrilatero articolato esprimerà la


circostanza per cui la posizione del punto B espressa come somma dei vettori
( A − O 1) e ( B − A) deve risultare in ogni istante uguale alla posizione di B
ottenuta come somma dei vettori ( O 2 − O 1) e ( B − O 2):

125
Utilizzando la rappresentazione complessa dei vettori, si ottiene quindi
l’equazione complessa:
(3.27)
Separando in tale equazione la parte reale dalla parte immaginaria si ottiene
il sistema:

(3.28)
Tale sistema di equazioni permette di esplicitare i valori assunti dagli angoli
β e γ (incognite del problema) in funzione dell’angolo α, assunto come
coordinata libera essendo note le lunghezze dei quattro lati del quadrilatero e
il valore (costante) dell’angolo δ. Poiché il sistema di equazioni della (3.28)
è non lineare nelle incognite β e γ, la risoluzione non è agevole, a eccezione
di posizioni notevoli del quadrilatero; per le espressioni risolutive del caso
generale si rimanda a [3].
Una volta risolta l’Equazione (3.28) e determinata quindi la posizione di tutti
i lati del quadrilatero, è possibile determinare le velocità del cinematismo
derivando rispetto al tempo l’equazione di chiusura:
(3.29)

in cui i valori degli angoli α, β, γ sono noti dall’analisi di posizione, ed è


quindi possibile ricavare le velocità angolari e dei lati AB e O 2 B in
funzione della velocità angolare del lato O 1 A. Separando le parti reale e
immaginaria, la (3.29) diviene:

(3.30)

La (3.30) costituisce un sistema lineare nelle incognite e , essendo noti i


valori di β e γ dalla risoluzione dell’analisi in posizione rappresentata
dall’Equazione (3.28). Derivando ulteriormente l’Equazione (3.29) si ottiene
l’espressione:
(3.31)
ovvero, in forma scalare:

126
(3.32)

Esempio 3.3 Braccio di sollevamento

Si consideri ora il sistema di Figura (3.17) dove il braccio O 2 C può, per esempio,
costituire il sistema di azionamento di un braccio in una macchina di sollevamento o
di movimentazione terra: la rotazione del braccio O 2 C è ottenuta attraverso un
sistema articolato formato oltre che da tale braccio, dai due elementi O 1 A e BA e
azionata, per esempio, attraverso un motore posizionato in O 1 che impone una
rotazione α( t) al lato O 1 A.

Figura 3.17 Quadrilatero articolato.

Considerando le seguenti lunghezze per i lati del quadrilatero: a = 1.27m, b = 1.45 m,


c = 1.0 m, d = 1.41 m e per il moto del lato O 1 A (considerato come noto in funzione
del tempo): α = 6.08 rad, , .
La risoluzione della (3.28) fornisce come posizione dei lati AB e O 2 B: β = 1.03 rad,
γ = 0 rad. Introducendo tali valori nella (3.30) insieme al valore noto di si
ottengono le velocità angolari dei lati AB e O 2 B: rad/s, rad/s; e,
infine, mediante la (3.32) si ottengono le accelerazioni incognite: rad/s 2,
rad/s 2.

3.4.2 Cinematica del glifo oscillante


Il glifo oscillante, rappresentato nella Figura 3.18, è un dispositivo che
trasforma il moto rotatorio della manovella O 1 A nel moto rotatorio alternato

127
del glifo, ossia del corpo rigido incernierato a terra in O 2 e che porta la
scanalatura nella quale si impegna il corsoio. Questo tipo di azionamento
trova applicazione nelle macchine automatiche, tipicamente al fine di
realizzare un moto alternativo con tempi di andata e ritorno di diversa durata
(si veda l’esempio della slitta portautensili di Figura 3.27), nei sistemi di
movimentazione e sollevamento carichi (si veda la Figura 3.23), ma anche
nelle sospensioni dei veicoli stradali, dove la sospensione di tipo Mc.
Pherson si basa proprio su questo tipo

Figura 3.18 Glifo oscillante.

di cinematismo (Figura 3.3), realizzando il gruppo glifo-corsoio mediante lo


smorzatore coassiale con la molla elicoidale, e la manovella mediante un
braccio rigido incernierato da un lato alla scocca della vettura e dall’altro al
mozzo. Utilizzando la seguente rappresentazione complessa per i vettori ( A -
O 1), ( A − O 2) e ( O 1 − O 2):

l’equazione di chiusura relativa al glifo oscillante assume l’espressione:

128
Si osservi che in tale equazione la distanza x tra i punti O 2 e A risulta
variabile nel tempo, per effetto dello scorrimento del corsoio all’interno della
scanalatura del glifo. Anche in questo cinematismo si considera come
coordinata libera la rotazione α della manovella, in funzione della quale
possono essere determinate la posizione x del corsoio lungo la guida e la
rotazione del glifo β. Separando nell’equazione di chiusura la parte reale da
quella immaginaria si ottiene il sistema:

(3.33)
Derivando l’equazione complessa di chiusura si ottiene:
(3.34)

da cui, separando la parte reale da quella immaginaria e riordinando i


termini:

(3.35)

Si osservi che la derivata dell’Equazione di chiusura (3.34) può essere


interpretata in base al teorema dei moti relativi, utilizzando un sistema di -
riferimento mobile con origine in O 2 e rotante insieme al glifo. Rispetto a
questo riferimento, la velocità relativa del punto A è diretta parallelamente
alla scanalatura del glifo (per effetto del vincolo prismatico tra corsoio e
glifo) e ha modulo pari a , mentre la velocità di trascinamento ha direzione
ortogonale alla congiungente O 2 A e modulo pari al prodotto . La velocità
assoluta del punto A, pari alla somma di questi due termini, può essere anche
espressa come un vettore perpendicolare alla manovella O 1 A e di modulo
. Ne deriva la seguente interpretazione della (3.34):

Derivando ulteriormente l’equazione di chiusura si ottiene:


(3.36)

da cui, con i consueti passaggi:

129
(3.37)

Analogamente a quanto fatto per l’analisi delle velocità, il teorema dei moti
relativi interpreta l’accelerazione assoluta di A dell’Equazione (3.36) in cui il
primo termine rappresenta l’accelerazione relativa diretta parallelamente al
glifo, nel secondo si riconosce l’accelerazione di Coriolis dovuta al moto
rotatorio del sistema di riferimento mobile e infine i due successivi termini
rappresentano rispettivamente le componenti tangenziale e normale
dell’accelerazione di trascinamento.

Esempio 3.4 Azionamento della slitta di una


macchina utensile

Il glifo oscillante viene utilizzato in alcune macchine per realizzare moti alternativi
con tempi di andata e di ritorno non uguali. Si pensi al caso della slitta di una
macchina per lavorazione ad asportazione di truciolo: la slitta avrà il compito di
portare il pezzo destinato alla lavorazione facendolo avanzare lentamente durante la
lavorazione stessa, e riportandolo nella posizione di partenza (per essere sostituito da
un nuovo pezzo o per una nuova fase di lavorazione) nel più breve tempo possibile. Si
presenta quindi l’esigenza di ottenere un tempo di andata più elevato del tempo di
ritorno della slitta. A tale fine può talvolta risultare difficile, o dispendioso, utilizzare
un motore che ruoti a velocità variabile nel tempo in accordo con le diverse fasi della
lavorazione: ciò richiederebbe infatti un sistema di controllo dell’azionamento (si
veda il Capitolo 12).
Una soluzione alternativa consiste nell’utilizzare un motore che ruota a velocità
angolare costante, azionando la manovella di un glifo secondo lo schema cinematico
di Figura 3.18. Si otterrà in tal modo per il glifo un moto rotatorio alternativo che,
come si mostra nel seguito, presenta tempi di andata e ritorno differenti e il cui
rapporto dipende dai dati geometrici del cinematismo. Infine l’azionamento della
slitta potrà essere ottenuto mediante una biella di rimando collegata da un lato al glifo
e dall’altro alla tavola porta-utensile (si veda la Figura 3.27 e il relativo esercizio). Per
calcolare il rapporto tra i tempi di andata e di ritorno del glifo, si ipotizzi che la
manovella sia posta in rotazione con velocità angolare costante: il punto A, centro del
corsoio, descriverà un moto circolare uniforme con traiettoria avente centro in O 1 e
raggio r. Il glifo oscillerà intorno al punto O 2 mantenendo il proprio asse di
simmetria allineato con la congiungente O 2 A, di conseguenza le posizioni angolari in

130
cui avvengono le inversioni del moto del glifo corrisponderanno alle due posizioni in
cui la retta O 2 A è tangente alla traiettoria del punto A, come mostrato nella Figura
3.19. Come si osserva in figura, l’arco di circonferenza corrispondente alla corsa di
andata risulta maggiore di quello di ritorno, in misura tanto più elevata quanto più il
punto O 2 si avvicina alla circonferenza traiettoria di A. Poiché il punto A si muove
lungo la circonferenza con moto uniforme, a uguale arco di cerchio spazzato da A
corrispondono tempi uguali: ne segue che il rapporto tra il tempo di andata e quello di
ritorno sarà pari al rapporto tra le lunghezze dei due archi di cerchio che sulla
traiettoria di A rappresentano rispettivamente l’andata e il ritorno del glifo.

Figura 3.19 Tempi di andata e di ritorno per il glifo oscillante.

Passando ora alla applicazione numerica, si considerino i seguenti dati del problema:
raggio manovella 125 mm; distanza verticale tra le cerniere a terra 580 mm; regime di
rotazione della manovella 60 giri/min (costante).
Il regime di rotazione della manovella può essere convertito da giri al minuto in
radianti al secondo (unità di misura SI della velocità angolare) in base alla formula:

che fornisce in questo caso:

Figura 3.20 Analisi di posizione per l’azionamento di una


slitta di macchina utensile.

131
Inserendo tali dati numerici nelle Equazioni (3.33), (3.35) e (3.37), si ottengono gli
andamenti nel tempo delle grandezze rappresentanti la posizione del glifoi, β e x, la
velocità, e , e l’accelerazione e .
I risultati relativi a tali grandezze sono rappresentati in funzione della posizione
angolare della manovella (e quindi, a meno di un fattore di scala, del tempo) nelle
Figure 3.20, 3.21 e 3.22.
Si osservi in particolare che i tempi di andata e di ritorno, riconoscibili come le
porzioni del grafico inferiore nella Figura 3.21 in cui la velocità angolare del glifo
assume valori rispettivamente positivi e negative, sono differenti.

Figura 3.21 Analisi di velocità per l’azionamento di una slitta


di macchina utensile.

132
Figura 3.22 Analisi di accelerazione per l’azionamento di una
slitta di macchina utensile.

133
Esempio 3.5 Meccanismo di azionamento di un
braccio meccanico

Si consideri nuovamente il dispositivo di azionamento per braccio meccanico di


Figura 3.17: la movimentazione del braccio O 2 B può essere affidata (come
nell’esempio del Paragrafo 3.3) a un azionamento elettrico (motore) posto in
corrispondenza della cerniera O 1. Questa soluzione presenta vantaggi in termini di
precisione nel posizionamento del braccio, di velocità di risposta, di facilità di
installazione, ma non si presta ad applicazioni in cui si debbano vincere forze
resistenti di notevole intensità, come nel caso di bracci di grandi dimensioni e di
apparecchi di sollevamento carichi. In tali applicazioni, di norma, si fa uso di
azionamenti oleodinamici: si veda a proposito la Figura 3.23. Attraverso una portata
di olio in pressione immessa all’interno della camera formata dal glifo e dal corsoio, è
possibile realizzare il movimento o il sostentamento del braccio O 1 C.

Figura 3.23 Glifo.

Rispetto al caso di Figura 3.18, l’equazione di chiusura assume una forma


leggermente diversa, perché il telaio O 1 O 2 risulta inclinato di un angolo generico δ
(costante) anziché di π/2:

che proiettata sui due assi diventa:

134
(3.38)

Una volta risolta l’analisi di posizione, le derivate dell’equazione di chiusura risultano


invece identiche alle (3.35) e (3.37), grazie al fatto che il telaio O 1 O 2 rimane fisso
durante il moto del sistema.
Nell’applicazione considerate, in funzione della portata di fluido nell’attuatore
idraulico, sarà nota la legge di variazione nel tempo della distanza O 2 A = x( t).
Considerando i seguenti dati del problema: a = 2.5 m, d = 1.41 m, δ = π/4, x = 3.64
m, m/s, è possibile innanzitutto ricavare la posizione angolare α del braccio
O 1 C e β dell’attuatore O 2 A: α = 0. rad, β = 0.278 rad; successivamente, inserendo
questi valori nelle (3.35) e (3.37), si possono calcolare velocità e accelerazioni
angolari del braccio O 1 C e dell’attuatore: rad/s, rad/s,
rad/s 2, rad/s 2.

ESERCIZI SVOLTI
Manovellismo ordinario deviato
3.1 Il manovellismo ordinario deviato mostrato nella Figura 3.24 si
distingue dal manovellismo ordinario centrato per il fatto che la retta lungo
cui scorre il corsoio risulta traslata in modo tale da non passare per il punto
O, centro di rotazione della manovella. Questo tipo di cinematismo viene
utilizzato in luogo del manovellismo ordinario centrato nel caso in cui si
desideri ottenere un moto del corsoio in cui alla corsa di andata corrisponda
una rotazione della manovella superiore a π mentre alla corsa di ritorno
corrisponda una rotazione della manovella inferiore a π.

Figura 3.24 Manovellismo ordinario deviato.

Si consideri la legge di rotazione della manovella:

135
con ω 0 e costanti, si abbiano i seguenti dati: a = 0.2 [m]; b = 1.0 [m]; d
= 0.1 [m]; ω 0 = 24 [rad/s]; .
Per l’istante di tempo t = 0.1 s si calcoli:
1. la posizione del corsoio rispetto al punto O;
2. la velocità del corsoio;
3. l’accelerazione del corsoio.

Risoluzione
Inserendo nell’espressione della legge di moto della manovella il valore del
tempo considerato si ottiene: α = 5.4 [rad], , .

Figura 3.25 Equazione di chiusura per il manovellismo ordinario


deviato.

L’equazione di chiusura del manovellismo ordinario deviato (Figura 3.25)


assume la forma:
(3.39)

in cui il punto D rappresenta l’intersezione tra la retta traiettoria del corsoio


B (ipotizzata, nell’esempio in oggetto, diretta orizzontalmente) e la verticale
passante per il punto O. Il motivo per cui si preferisce esprimere la distanza
di B da O come somma dei vettori ( B − D) e ( D − O) anziché direttamente
come un unico vettore ( B − O) è che per quest’ultimo vettore risultano
variabili con la configurazione sia il modulo sia la fase, mentre scomponendo
il vettore nelle sue due componenti orizzontale e verticale si riesce a
evidenziare il fatto che soltanto la componente orizzontale (ovvero diretta
lungo la retta di scorrimento del corsoio) varia durante il movimento del
sistema. Con il formalismo complesso l’equazione di chiusura diviene:

in cui sono variabili l’angolo β e la distanza x, mentre è costante la distanza

136
d. Scomponendo l’equazione in parte reale e immaginaria si ottiene:

da cui:

Inserendo i valori dei dati numerici si ottiene β = 0.257 [rad]; x = 1.094 [m].
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene:

che scomposta in parte reale e immaginaria fornisce:

sostituendo i valori numerici dei parametri noti si ottiene il sistema:

che risolto fornisce , .


Infine, per quanto riguarda l’accelerazione, si deriva una seconda volta
l’equazione di chiusura:

che scomposta fornisce:

sostituendo in questa equazione i valori numerici

e risolvendo rispetto alle incognite si ottiene:

Quadrilatero articolato

137
3.2 Per il quadrilatero mostrato nella Figura 3.26 siano noti i seguenti dati:
a = 1 m; b = 2.35 m; c = 2 m; d = 1.41 m; α = (5.28 + 0.3 t + 0.05 t 2) rad; δ
= 0.785 rad.
Determinare, al tempo t = 2 la velocità angolare e l’accelerazione angolare
delle aste O 1 A e O 2 B.

Figura 3.26 Quadrilatero articolato.

Risoluzione
Per risolvere il problema, occorre innanzitutto determinare la posizione, la
velocità angolare e l’accelerazione angolare della manovella O 1 A
nell’istante considerato. Derivando la funzione α( t) assegnata dal problema e
valutando i valori nell’istante t = 2 s si ottiene:

Nota la posizione della manovella, è possibile ricavare le posizioni della


biella e dell’asta O 2 B (bilancere) per mezzo dell’equazione di chiusura:

scomponendo tale equazione nelle parti reale e immaginaria, si ottiene:

separando i termini noti da quelli incogniti si ottiene:

138
e infine, sostituendo i valori numerici:

che risolta rispetto alle incognite fornisce γ = 0 rad, β = 0.536 rad.


Derivando poi l’equazione di chiusura si ottiene (tenendo conto che δ è
costante):

che scomposta fornisce:

da cui, separando i temini noti da quelli incogniti:

e sostituendo i valori numerici:

che risolta fornisce:

Per ricavare le accelerazioni, si deriva una seconda volta l’equazione di


chiusura:

da cui scomponendo, separando le incognite dai termini noti e sostituendo i


valori numerici:

139
che risolta fornisce , .

Azionamento di una slitta porta-utensile


3.3 Lo schema cinematico del sistema considerato è rappresentato nella
Figura 3.27. Siano noti i seguenti valori numerici per il problema: a = 0.2 m,
b = 1 m, c = 0.5 m, d = 0.3 m, e = 1.2 m. Inoltre, indicata con α la rotazione
della manovella O 1 A, sia: α( t) = 6.28 t rad.
Si chiede di calcolare nell’istante t = 0 la velocità angolare e l’accelerazione
angolare del glifo e la velocità e l’accelerazione della slitta.

Risoluzione
Per risolvere il problema è necessario scrivere due equazioni di chiusura, una
relativa al glifo (chiusura del triangolo O 1 O 2 A) e una relativa al sistema di
movimentazione della slitta (chiusura del poligono O 1 BCD). Per prima
cosa, si calcola il valore della rotazione, velocità angolare e accelerazione
angolare all’istante t = 0 del movente O 2 A: α = 6.28 × 0 = 0 rad,
rad/s, rad/s 2.
Si imposta poi la prima delle due equazioni di chiusura: indicato con β la
rotazione del glifo a partire dalla direzione orizzontale e con x la distanza
O 1 A si ottiene:

Scomponendo l’equazione in parte reale e immaginaria e risolvendo rispetto


alle incognite β e x si ottiene il sistema:

Figura 3.27 Glifo oscillante per l’azionamento di una slitta porta-


utensile.

140
che risolto fornisce: β = 0.983 rad, x = 0.361 m. La seconda equazione di
chiusura assume la forma:

in cui y indica la posizione del punto C rispetto a D (puramente orizzontale


e quindi rappresentata da un numero complesso puramente reale), mentre λ
indica la rotazione della biella BC.
Utilizzando l’usuale procedura si ottiene:

e quindi y = 0.187 m, λ = 2.315 rad.


Per determinare la velocità angolare del glifo si deriva la prima equazione di
chiusura (ricordando che d è costante mentre x varia nel tempo):

che con i soliti passaggi fornisce:

141
che risolto (per esempio con il metodo di Cramer) fornisce: rad/s,
.
Per determinare invece la velocità della slitta si deriva la seconda
equazione di chiusura:

che risolta fornisce:

e quindi , rad/s. Un’ulteriore derivazione della prima


equazione di chiusura consente di ricavare l’accelerazione angolare dell’asta:

che fornisce , , mentre un’ulteriore


derivazione della seconda equazione di chiusura fornisce invece il valore
dell’accelerazione della slitta e dell’accelerazione angolare della biella BC.
Si lascia questo ultimo passaggio al lettore, riportando solo il risultato finale:
, .

142
CAPITOLO 4 Statica dei sistemi di corpi
rigidi

Questo capitolo presenta le equazioni fondamental i che regolano la statica di


sistemi di corpi rigidi, ossia le relazioni matematiche che devono essere
realizzate dalle forze agenti sul sistema affinché i corpi che lo compongono
risultino in equilibrio, ossia rimangano in quiete se non perturbati
inizialmente.
Benché questo libro si rivolga principalmente allo studio del movimento,
piuttosto che dell’equilibrio nei sistemi meccanici, le nozioni presentate in
questo capitolo assumono grande importanza in quanto preliminari e
introduttive allo studio della dinamica che sarà svolto nel Capitolo 6.

4.1 Statica del punto e del corpo rigido


Si consideri un punto materiale P, su cui agiscono n forze F 1, F 2, …, F n
costanti nel tempo: diciamo che il punto è in equilibrio se, essendo il punto
posto inizialmente in uno stato di quiete, esso mantiene permanentemente lo
stato di quiete iniziale. Condizione necessaria e sufficiente affinché il punto
si trovi in equilibrio è che si annulli il risultante R di tutte le forze agenti su
di esso [4]:

(4.1)
Per un punto che giace nel piano, questa equazione vettoriale equivale a 2
equazioni scalari, che ne rappresentano la proiezione secondo due direzioni
di un sistema di riferimento definito nel piano del moto (che indicheremo per
comodità con x e y). Nel caso più generale tridimensionale, l’Equazione
(4.1) corrisponde a tre equazioni scalari, che ne rappresentano la proiezione
secondo i tre assi di una terna x, y, z.
Considerando ora un corpo rigido di dimensioni finite, per imporne
l’equilibrio occorre aggiungere alla Equazione (4.1) una seconda equazione
vettoriale, che prescrive l’annullamento della somma dei momenti di tutte le

143
forze rispetto a un qualsiasi polo O, essendo definito il momento della forza
F j come il prodotto vettoriale del vettore ( P j − O) (esprimente la distanza
tra il punto di applicazione della forza P j e il polo O scelto) e la forza F j
stessa. Si ottiene in tal modo un sistema di due equazioni vettoriali che sono
dette le equazioni cardinali della statica:

(4.2)
Si osservi che, nella seconda della (4.2), il polo O è un qualsiasi punto del
piano, non necessariamente appartenente al corpo rigido del quale si vuole
imporre l’equilibrio.
Per un corpo rigido che giace nel piano, il sistema (4.2) equivale
complessivamente a 3 equazioni scalari: l’equazione di annullamento del
risultante corrisponde infatti a due equazioni scalari, rappresentanti per
esempio la proiezione dell’equazione vettoriale lungo gli assi x e y. Per
quanto riguarda invece la seconda del sistema (4.2), osserviamo che il
momento della generica forza F j è diretto perpendicolarmente al piano del
moto, dato che i due termini del prodotto vettoriale che lo definiscono
giacciono in questo piano. Di conseguenza, l’equazione vettoriale
corrisponde a un’unica equazione scalare che ne rappresenta la proiezione
secondo l’asse z perpendicolare al piano del moto. In definitiva, le tre
equazioni scalari equivalenti alla (4.2) sono:

(4.3)

in cui R x e R y rappresentano le proiezioni lungo gli assi x e y del vettore


risultante, mentre M Oz è la proiezione secondo z del momento delle forze.
Poiché nel caso piano l’unica componente diversa da zero dei vettori
momento è quella secondo l’asse z, d’ora in avanti si userà la notazione
semplificata M O, in luogo di quella completa M Oz.
Nel seguito diremo equazione di equilibrio alla traslazione una equazione
che rappresenta l’annullamento di una componente scalare del risultante
delle forze agenti sul corpo, come per esempio le prime due equazioni nel

144
sistema (4.3). Diremo invece equazione di equilibrio alla rotazione una
equazione che rappresenta l’annullamento del momento delle forze rispetto a
un polo, come la terza della (4.3). È possibile dimostrare che nel sistema
(4.3) una o anche ambedue le equazioni di equilibrio alla traslazione del
corpo possono essere sostituite da altrettante equazioni di equilibrio alla
rotazione rispetto a poli diversi. Nel caso si utilizzino tre equazioni di
equilibrio alla rotazione, i tre poli considerati non devono essere allineati.
Nel caso si usino due equazioni di equilibrio alla rotazione e una di
equilibrio alla traslazione, quest’ultima deve corrispondere all’annullamento
della componente del risultante secondo una direzione diversa dalla
perpendicolare alla congiungente i due poli utilizzati nelle equazioni di
equilibrio alla rotazione.

4.1.1 Momento di un sistema di forze, forze parallele,


coppia
Le Equazioni (4.2) mostrano che ai fini dell’equilibrio di un corpo rigido,
assume importanza non solo la risultante delle forze agenti sul corpo, ma
anche la somma dei momenti delle forze rispetto a un polo O. Questo
paragrafo si propone pertanto di illustrare come possa essere calcolato il
momento di una singola forza, o di un sistema di forze agenti sul corpo. Ciò
consente, in particolare, di introdurre concetti fondamentali per la statica e la
dinamica dei sistemi meccanici, come quelli di retta di applicazione di una
forza, braccio di una forza rispetto a un polo O, sistema di forze parallele e
coppia.
Consideriamo innanzitutto, secondo quanto illustrato in Figura 4.1, il calcolo
del momento di una singola forza F applicata in P, rispetto al polo O.
Indichiamo come retta di applicazione della forza F la retta passante per P
parallela a F. Individuiamo poi il punto Q come il punto di minima distanza
tra la retta di applicazione di F e il polo O. Il momento della forza F rispetto
al polo O può essere calcolato osservando che ( P – O) = ( P – Q) + ( Q –
O):

Di questi due termini, il primo è nullo in quanto ( P – Q) e F sono paralleli,


mentre il modulo del secondo è pari al prodotto dei moduli dei due fattori,
poiché ( Q – O) e F sono ortogonali. Di conseguenza, indicato con F il
modulo della forza e detto il braccio della forza rispetto al polo O

145
si ha:

(4.4)

essendo k un versore diretto come l’asse z. Il verso del prodotto vettoriale è


concorde con z (segno positivo nella (4.4)) se la forza tende a far ruotare il
corpo in senso anti-orario intorno al polo O (è questo, in particolare, il caso
mostrato in Figura 4.1), mentre una forza che tende a ruotare il corpo in
senso orario intorno al polo darà luogo a un momento discorde rispetto a z e
quindi a un segno negativo nella (4.4).
È importante osservare che facendo scorrere la forza F lungo la propria retta
di azione, il valore del momento non cambia. Pertanto, poiché in base alla
(4.2) il valore vettoriale della forza e del suo momento rispetto a O sono le
uniche due quantità che influenzano l’equilibrio del corpo rigido, è possibile
affermare che ai fini dell’equilibrio di un corpo rigido, una forza può essere
liberamente fatta scorrere lungo la sua retta di applicazione.
Consideriamo ora il caso in cui si voglia calcolare il momento rispetto a un
polo O di due forze F 1 e F 2 aventi rette di azione non parallele fra loro.
Ovviamente, è possibile utilizzare la (4.4) per calcolare separatamente il

Figura 4.1 Calcolo del momento della forza F rispetto al polo O.

momento di ciascuna delle due forze, e sommare (vettorialmente) i due


contributi. È però anche possibile seguire un diverso procedimento, facendo
scorrere ciascuna delle due forze lungo la corrispondente retta di
applicazione, fino al punto di intersezione tra le due rette di applicazione
(indicato nel seguito con P), in modo che i punti di applicazione delle due
forze coincidano in P; sfruttando poi la proprietà additiva del prodotto
vettoriale si ottiene:

146
Questa osservazione ci consente di concludere che date due forze non
parallele, ai fini dell’equilibrio queste possono essere sostituite dalla somma
vettoriale delle due, applicata nel punto di intersezione delle due rette di
applicazione.
Esaminiamo ora il caso in cui le due forze abbiano rette di applicazione
parallele (come mostrato in Figura 4.2a): anche in questo caso è possibile
sostituire le due forze con la loro risultante. Per determinare la retta di
applicazione della forza risultante, osserviamo che, detti b 1 e b 2 i bracci
delle due forze rispetto al polo O, il momento complessivo delle due forze è
pari al momento della forza risultante applicata con braccio definito dalla
formula seguente:

(4.5)

Quindi ai fini dell’equilibrio del corpo rigido, due forze parallele possono
essere sostituite da un’unica forza risultante, il cui braccio rispetto al
polo è calcolato come media pesata dei bracci delle due forze originarie,
utilizzando come pesi i moduli delle due forze originarie. Si osservi che se
nella (4.5) si considerano come bracci le distanze in valore assoluto del polo
dalla retta di applicazione (secondo la definizione data in precedenza), la
conclusione sopra riportata è valida solo nel caso in cui tutte e due le forze
tendano a far ruotare il corpo in senso antiorario attorno al polo. Per
estendere questo risultato al caso generale in cui i momenti prodotti dalle due
forze abbiano verso arbitrario, occorrerà considerare i bracci b 1 e b 2 (e, di
conseguenza, anche ) dotati di segno, facendo corrispondere un segno
positivo al caso in cui la forza tende a far ruotare il corpo in senso antiorario
rispetto al polo, e segno negativo in caso contrario. Il risultato della (4.5) può
essere facilmente generalizzato a un numero qualsiasi di forze agenti
secondo rette di appicazione parallele, ossia a quello che viene detto un
sistema di forze parallele.
Ritornando al caso di due forze parallele, osserviamo infine che la (4.5) non
può essere applicata al caso, mostrato in Figura 4.2b, in cui le due forze

Figura 4.2 Sistema di due forze parallele a) e coppia di forze b).

147
abbiano modulo uguale e verso contrario: in tal caso infatti la forza risultante
si annulla e il braccio definito dalla (4.5) non risulta definito. Il sistema di
forze formato da due forze parallele di uguale modulo e verso opposto viene
detto coppia e, il suo momento complessivo rispetto al polo O vale:
(4.6)

Ne deriva che una coppia di forze dà contributo nullo al risultante delle forze
agenti sul corpo, mentre fornisce un contributo al momento il cui modulo è
pari al prodotto del modulo della forza per la distanza fra le rette di -
applicazione. Il verso del momento prodotto dalla coppia può essere desunto
dalle considerazioni fatte in precedenza sul segno dei bracci b 1 e b 2, ma più
facilmente si ottiene osservando che una coppia di forze che fanno girare il
corpo in senso antiorario produce un momento equiverso a k e viceversa una
coppia di forze che tende a ruotare il corpo in senso orario produce un
momento di verso opposto. Si osservi infine che il momento della coppia di
forze non dipende dalla posizione del polo O, né dalla posizione assoluta
delle rette di applicazione delle due forze, ma solo dalla distanza b tra
queste.
Per estensione rispetto al caso presentato sopra, si può definire coppia
qualunque sistema piano di forze dotato di risultante nullo e momento
diverso da zero. Se si considera per esempio il caso di un albero che collega
l’uscita del cambio con la coppia conica nella trasmissione di un autoveicolo,
le forze trasmesse dalla sezione terminale dell’albero al pignone della coppia
conica risultano composte da una distribuzione di infiniti vettori forza di
modulo infinitesimo, disposti tangenti a circonferenze concentriche con la
sezione dell’albero, e di modulo proporzionale alla distanza dal centro della
sezione, come mostrato in Figura 4.3. Anche in questo caso, seppure più
complesso di quello rappresentato in Figura 4.2b, si osserva che il vettore
risultante di tutte le forze è nullo (per effetto della simmetria della

148
distribuzione di forze), mentre non si annulla il momento delle forze che
viene detto coppia torcente applicata all’albero. Per rappresentare una
coppia indipendentemente dal reale sistema di forze che la origina, si utilizza
spesso un vettore curvilineo il cui verso indica il senso di rotazione nel piano
della coppia.

Figura 4.3 Coppia torcente in un albero.

4.1.2 Sistemi di forze equipollenti


Spesso, nello studio dell’equilibrio di un corpo rigido soggetto all’azione di
numerose forze, può risultare utile sostituire l’effettivo sistema di forze
agenti sul corpo con un sistema di forze che risulti equivalente a quello
originario ai fini dell’equilibrio del corpo rigido. In base alla (4.2), due
diversi sistemi di forze sono equivalenti ai fini dell’equilibrio di un corpo
rigido se hanno lo stesso risultante R e inoltre producono lo stesso momento
M O rispetto a un qualsiasi polo O scelto nel piano. Si parla in questo caso di
sistemi di forze equipollenti.
Nel Paragrafo 4.1.1 sono state introdotte le principali operazioni vettoriali
che consentono di trasformare un dato sistema di forze in un diverso sistema
di forze a esso equipollente. In particolare, tutte le seguenti operazioni sono
invarianti ai fini dell’equilibrio del corpo rigido:
1. far scorrere una forza lungo la sua retta di applicazione;
2. sostituire più forze applicate nello stesso punto, con il loro risultante,
mantenendo lo stesso punto di applicazione;
3. sostituire una singola forza con più forze la cui somma vettoriale sia
pari alla forza di partenza, mantenendo lo stesso punto di

149
applicazione 1;
1
Si osservi che questa operazione non è stata finora introdotta,
ma può essere immediatamente derivata come inversa della 2
4. sostituire due (o più) forze parallele con il loro risultante applicato
lungo una retta di applicazione definita dalla (4.5);
5. sostituire un sistema di forze con risultante nullo con una coppia che
fornisca pari momento;
Viceversa, l’operazione consistente nel cambiare la retta di applicazione di
una forza non è invariante ai fini dell’equilibrio del corpo rigido, perché pur
non avendo effetto sul risultante del sistema di forze, ne modifica il
momento. È però possibile ottenere un sistema di forze equipollenti se si
introduce una coppia aggiuntiva, detta coppia di trasporto, che annulli la
variazione del momento prodotto dallo spostamento della retta di
applicazione della forza. Per esempio, considerando la situazione illustrata in
Figura 4.4, il sistema di forze consistente nella forza F applicata sulla retta r′
equivale al sistema di forze consistente nella forza F trasferita sulla retta di
applicazione r″ più la coppia di trasporto C = | F| d.

Figura 4.4 Coppia di trasporto.

4.1.3 Effetto dei vincoli sulla statica di un corpo rigido


Nel Paragrafo 2.2.6 sono stati introdotti i vincoli con riferimento all’effetto
che questi hanno sul movimento dei corpi ai quali sono applicati. In questo
paragrafo viene invece esaminato l’effetto degli stessi vincoli sull’equilibrio
del corpo sul quale essi agiscono.
Si consideri per esempio il caso di un vincolo di cerniera: dal punto di vista
cinematico, essa corrisponde a due gradi di vincolo, in quanto impedisce le
due componenti di spostamento del punto in cui è applicata. Dal punto di
vista dell’equilibrio (e, più avanti, della dinamica) del corpo, l’annullamento

150
delle due componenti di spostamento viene realizzato dalla cerniera
mediante l’applicazione di una forza, applicata nel punto del corpo soggetto
al vincolo, che assume intensità, direzione e verso necessari per garantire che
il punto incernierato rimanga fermo. In un problema di statica o di dinamica
questa forza, che prende il nome di reazione vincolare, è incognita e,
trattandosi di un vettore nel piano, corrisponde a due incognite scalari (per
esempio le due componenti secondo gli assi x e y della forza). Si osserva
quindi che il numero di incognite scalari di reazione vincolare introdotte
dalla cerniera coincide con il numero di gradi di vincolo della cerniera stessa.
Quanto detto sopra per il vincolo di cerniera può essere generalizzato agli
altri vincoli introdotti nel Paragrafo 2.2.6: per esempio un carrello (che
introduce un grado di vincolo) impedisce la componente di spostamento in
direzione parallela al proprio asse del punto del corpo in cui agisce;
corrispondentemente, tale vincolo introduce una incognita di reazione
vincolare, consistente in una forza parallela all’asse del carrello applicata nel
punto del corpo soggetto al vincolo. Il pattino o manicotto introduce due
gradi di vincolo in quanto impedisce lo spostamento in direzione
perpendicolare a quella di scorrimento e la rotazione del corpo; dal punto di
vista della statica, questo vincolo introduce due incognite di reazione
vincolare, una forza avente direzione ortogonale a quella di scorrimento e
una coppia. Infine l’incastro, che blocca tutte e tre le componenti di
movimento del corpo rigido, introduce tre componenti di reazione vincolare,
ossia le due componenti di forza secondo le direzioni x e y e una coppia. La
Figura 4.5, che complementa lo schema in Figura 2.25, riassume le
componenti di rezione vincolare introdotte dai vincoli sopra citati.
La Figura 4.5 mostra che il numero di incognite scalari associate alle
reazioni vincolari di un qualsiasi tipo di vincolo corrisponde esattamente al
numero di gradi di vincolo cinematici (g.d.v.) introdotti dal vincolo stesso.
Questa osservazione è particolarmente rilevante ai fini della risoluzione del
problema statico, che sarà oggetto del paragrafo successivo.
Osserviamo qui un risultato che sarà utilizzato nel Paragrafo 4.5: il lavoro 2
compiuto dalle reazioni vincolari di Figura 4.5 è sempre nullo, in quanto si
verifica sempre una delle due seguenti condizioni:
2
Si ricorda che il lavoro è il prodotto scalare della forza per lo spostamento
del punto di applicazione di questa.
1. lo spostamento del punto di applicazione della forza è nullo (è questo

151
il caso delle due componenti di reazione introdotte dalla cerniera a
terra)
2. lo spostamento del punto di applicazione della forza è ortogonale alla
reazione vincolare (è questo il caso, per esempio, del carrello)

Figura 4.5 Principali tipi di vincolo nel piano e corrispondenti


reazioni vincolari.

152
153
In tutti i casi in cui si verifica questa situazione, si parla di vincoli non
dissipativi. Osserviamo fin d’ora, anticipando quanto sarà detto nel Capitolo
7 sugli attriti e le resistenze al movimento, che per effetto dell’attrito si
possono generare componenti aggiuntive di reazione vincolare: per esempio
nel caso del pattino l’attrito radente fa nascere una componente di forza
parallela alla direzione di scorrimento consentita dal vincolo. In questo caso,
il lavoro compiuto dalle reazioni vincolari può essere non nullo, caso in cui
si parla di vincolo dissipativo.
Spesso le reazioni vincolari sono dette forze reattive, per distinguerle dalle
forze di diversa natura, dette complessivamente forze attive: esempi di forze
attive sono la forza peso e la forza applicata da una molla, mentre esempi di
forze reattive sono tutte le componenti di forza e coppia riportate in Figura
4.5 per i diversi tipi di vincolo.

4.2 Statica dei sistemi di corpi rigidi


Nel caso si voglia studiare la statica di un sistema meccanico formato da più
di un corpo rigido, è possibile scrivere le equazioni cardinali della statica per
ciascun i-esimo corpo del sistema:

(4.7)
in cui n c è il numero di corpi che compongono il sistema, O i è il polo
rispetto al quale si scrive l’annullamento del momento delle forze relative al
corpo i-esimo, F i, j è la j-esima forza agente sull’i-esimo corpo nel pun-to di
applicazione P i, j e infine C i, k è la k-esima coppia agente sul corpo i-esimo.
Il sistema (4.7) corrisponde a 3 × n c equazioni scalari (3 equazioni per
ciascun corpo) che, come sarà mostrato nel Paragrafo 4.3 è esattamente
uguale al numero di incognite del problema statico.
Per motivi che saranno discussi nel paragrafo successivo, può risultare
conveniente sostituire, in tutto o in parte, le Equazioni (4.7) con altre
equazioni che corrispondono a imporre l’equilibrio di un sotto-sistema
formato da due o più corpi del sistema, o eventualmente dell’intero sistema.

154
È facile dimostrare che queste equazioni di equilibrio costituiscono delle
combinazioni lineari delle (4.7) (per esempio, l’annullamento del risultante
delle forze agenti sui corpi 1 e 2 corrisponde alla somma della prima delle
(4.7) per i due corpi in questione), e possono quindi essere utilizzate in luogo
delle equazioni originarie. È quindi possibile enunciare il principio in base al
quale affinché un sistema non rigido sia in equilibrio, è necessario che sia in
equilibrio ogni sua parte supposta rigida.
Dal principio sopra enunciato, discende la possibilità di scrivere, per un dato
sistema di corpi, un numero di equazioni di equilibrio maggiore di 3 n c. Di
queste però, solo 3 n c risulteranno indipendenti fra loro e quindi sfruttabili
per la risoluzione del problema statico.
Rimandando al paragrafo successivo le considerazioni relative alle scelte più
vantaggiose per la scrittura del sistema di equazioni di equilibrio statico di un
sistema di corpi rigidi, osserviamo qui che, quando si scrive una equazione di
equilibrio per un sotto-sistema formato da più di un corpo rigido, tutte le
forze interne non compaiono in tale equazione di moto, dove per forza
interna si intende una forza attiva o reattiva scambiata fra due corpi
appartenenti al sotto-sistema in esame.
Consideriamo per esempio il caso in cui due corpi del sistema (1 e 2, per
fissare le idee), siano collegati da una cerniera posta nel punto A. Per il
principio di azione e reazione, se indichiamo con H A e V A le componenti di
reazione vincolare che il corpo 1 esercita sul corpo 2, allora il corpo 2
eserciterà sul corpo 1 componenti di forza reattiva opposte, come mostrato in
Figura 4.6. Di conseguenza, le reazioni vincolari incognite H A e V A
compariranno nelle equazioni di equilibrio scritte per il corpo 1 o per il corpo
2, ma non nelle equazioni di equilibrio scritte per un sottosistema
comprendente sia 1 sia 2, perché in questo caso le forze uguali e contrarie si
elidono a vicenda.

Figura 4.6 Reazioni vincolari scambiate tra due corpi collegati da


una cerniera.

155
4.3 Il problema statico per i meccanismi e per le
strutture isostatiche
Nel Capitolo 2 è stata introdotta la distinzione tra meccanismi, ossia sistemi
che dopo l’applicazione dei vincoli mantengono almeno un grado di libertà
(g.d.l.), e strutture, che per effetto dell’applicazione dei vincoli risultano
dotate di zero g.d.l. (si parla in questo caso di strutture isostatiche) o
addirittura di un numero negativo di g.d.l. (strutture iperstatiche). In questo
paragrafo intendiamo esaminare in che cosa consista risolvere il problema
statico per un meccanismo e per una struttura isostatica, mentre lo studio
della statica di una struttura iperstatica non sarà trattato in questo testo, per
motivi brevemente accennati nel seguito.
Consideriamo in primo luogo il caso di una struttura isostatica: per questo
sistema la posizione di equilibrio è nota (infatti il sistema non può muoversi),
e quindi il problema statico consiste nel determinare il valore delle reazioni
vincolari che mantengono in equilibrio il sistema. Si noti che il numero di
incognite di reazione vincolare è pari al numero complessivo di gradi di
vincolo introdotti sul sistema dai vincoli agenti, che a sua volta, per un
sistema isostatico, è pari a 3 n c, ossia è pari al numero di equazioni
indipendenti di equilibrio che possono essere scritte utilizzando le (4.7) o
loro combinazioni lineari. Di conseguenza, la soluzione del problema statico
per una struttura isostatica è, di norma, univocamente definita 3.
3
A rigore, questo non avviene per le strutture isostaiche labili, una situazione
di scarso interesse per la nostra trattazione, che non sarà approfondito in
questa sede.
Per un sistema iperstatico invece, il numero di incognite di reazione
vincolare è superiore a 3 n c e quindi il sistema di equazioni di equilibrio (4.7)
risulta indeterminato (ossia il numero delle incognite supera il numero di
equazioni indipendenti disponibili). Di conseguenza, il problema statico per

156
una struttura iperstatica non può essere risolto sulla base delle sole equazioni
di equilibrio, alle quali si devono aggiungere ulteriori equazioni che
esprimono il legame tra le forze agenti e le deformazioni subite dai corpi. In
altre parole, per determinare una soluzione del problema statico in una
struttura iperstatica occorre rinunciare alla ipotesi di comportamento rigido
dei corpi. Poiché questo testo si limita allo studio della meccanica di sistemi
di corpi rigidi, il caso di strutture iperstatiche non sarà qui affrontato.
Se si considera infine il problema statico per un meccanismo, si ha un
numero di incognite di movimento (ossia il valore delle coordinate libere che
indicano la configurazione di equilibrio del sistema) pari al numero n dei
gradi di libertà del sistema e 3 n c – n incognite di reazione vincolare. In
alcuni casi, è possibile che sia assegnata la posizione di equilibrio (o, in
dinamica, il movimento) del sistema, e che il problema richieda di calcolare
n componenti incognite di forza attiva che mantengono in equilibrio il
sistema (o, in dinamica, che ne realizzano il movimento assegnato). Questo
aspetto sarà ripreso nel Capitolo 6 dove sarà introdotta la distinzione tra
problemi di dinamica diretta e di dinamica inversa o cinetostatica. Per il
momento ci limitiamo a osservare che in ogni caso, il numero totale di
incognite del problema statico/dinamico di un meccanismo è sempre pari a
3 n c, e quindi è sempre possibile ottenerne una soluzione tramite le (4.7) o
loro combinazioni lineari.

Esempio 4.1 Statica di un’asta vincolata


isostaticamente

Consideriamo il caso, mostrato in Figura 4.7a di un’asta di massa m vincolata alle sue
estremità da una cerniera e da un carrello, e sottoposta al proprio peso e a una forza F
applicata nel suo centro e inclinata di 45°. Per prima cosa evidenziamo il sistema di
forze attive e reattive agenti sull’asta, come mostrato in Figura 4.7b, indicando con
H A e V A le reazioni vincolari introdotte dalla cerniera e con V B la reazione prodotta
dal carrello. Per comodità, la forza inclinata F è stata scomposta in due forze una
parallela e l’altra perpendicolare all’asta. Come sarà mostrato nel Capitolo 5, le forze
gravitazionali costituiscono un sistema di forze parallele, distribuite nel volume del
corpo considerato, che ai fini della statica del corpo possono essere ridotte a una forza
peso risultante applicata nel baricentro del corpo, che per un’asta omogenea coincide

157
con il punto medio di questa.
La risoluzione del problema statico consiste in questo caso nel calcolare i valori delle
componenti di reazione vincolare H A, V A e V B, essendo note le forze agenti
sull’asta. La reazione V B può essere calcolata imponendo l’annullamento del
momento delle forze rispetto al polo A:

Le componenti orizzontale e verticale della reazione della cerniera, H A e V A,


possono essere ottenute annullando la componente orizzontale e verticale del
risultante delle forze agenti sull’asta:

Si noti che una scelta opportuna del polo nella equazione di annullamento del
momento consente di semplificare notevolmente le equazioni del problema: infatti per
il polo A passano due delle tre reazioni vincolari incognite, e quindi l’equazione di
annullamento del momento rispetto ad A consente di ricavare direttamente l’incognita
V B.

Figura 4.7 Statica di un’asta vincolata isostaticamente: a)


sistema considerato, b) schema delle forze agenti

Esempio 4.2 Statica di un meccanismo a un g.d.l.

158
Si consideri il meccanismo a un grado di libertà mostrato in Figura 4.8a e formato da
due aste di uguale lunghezza L e massa m, incernierate fra loro nel punto A e
vincolate all’altro estremo mediante una cerniera in O e un carrello in B. Sul punto B
agisce una forza orizzontale F di valore noto. Si chiede di determinare la posizione di
equilibrio del sistema.
In Figura 4.8b sono evidenziate le forze attive e reattive agenti sull’intero sistema e
sulle singole aste. In questo caso, il sistema esaminato è un meccanismo a un grado di
libertà, formato da due corpi su cui agiscono complessivamente cinque gradi di
vincolo (2 prodotti dalla cerniera in O, 2 dalla cerniera in A e 1 dal carrello in B);
corrispondentemente, il problema presenta 5 componenti incognite di reazione
vincolare: H O, V O, H A, V A, V B, che si aggiungono al valore incognito della singola
coordinata libera θ (semi-apertura dell’angolo OAB) che definisce la posizione di
equilibrio del sistema.
Imponiamo innanzitutto l’annullamento del momento delle forze agenti sull’asta AB
rispetto al polo A:

Il valore della reazione vincolare V B può essere calcolato imponendo l’annullamento


del momento delle forze agenti sull’intero sistema rispetto al polo O:

Figura 4.8 Statica di un meccanismo. a) sistema considerato


b) forze agenti sul sistema

Si osservi che in questa equazione non compaiono né le reazioni vincolari associate


alla cerniera in O, in quanto esse passano per il polo scelto, né le reazioni associate
alla cerniera in A perché forze interne. Sostituendo il valore di V B nell’equazione
precedente si ottiene:

159
È importante osservare che, nonostante il problema presenti complessivamente 6
incognite (5 componenti di reazione vincolare e la coordinata θ), attraverso una scelta
accorta delle equazioni di equilibrio da utilizzare è stato possibile determinare la
posizione di equilibrio risolvendo 2 sole equazioni fra loro disaccoppiate in luogo di
un sistema di 6 equazioni accoppiate. Questo aspetto è assai rilevante in generale nei
problemi di statica e dinamica, ed è importante che il lettore sviluppi la capacità di
individuare, tra le molte possibili equazioni derivanti dalle (4.7), quelle che
consentono di pervenire alla soluzione del problema coinvolgendo il minimo numero
di incognite. L’esempio sopra riportato mostra due tipiche stategie che possono essere
utilizzate a questo scopo: la prima consiste nello scrivere equazioni nelle quali le
incognite “indesiderate” non compaiono in quanto forze interne, la seconda consiste
nell’utilizzare equazioni di equilibrio alla rotazione rispetto a poli per i quali passano
il maggior numero possibile di forze incognite. Il Capitolo 6 fornisce ulteriori esempi
di questo modo di procedere, con applicazione alla dinamica di sistemi di corpi rigidi.

4.4 Le azioni interne in un sistema di travi


In molti problemi dell’ingegneria, è necessario conoscere le condizioni di
sollecitazione che si verificano nei corpi del sistema studiato, per effetto
della applicazione di un determinato sistema di forze che può produrre una
condizione di equilibrio oppure di movimento del sistema. Una prima
informazione in questo senso è fornita dal concetto di azione interna, che
viene introdotto in questo paragrafo, con riferimento alla condizione statica.
Utilizzando un termine già introdotto negli Esempi 4.1 e 4.2, diciamo asta
un corpo rigido in cui una dimensione prevale sulle altre. Data un’asta di
lunghezza L, individuata una sezione intermedia dell’asta e detta ξ la
distanza di questa sezione da uno dei due estremi dell’asta, l’intera asta può
essere vista come formata da due aste di lunghezza pari rispettivamente a ξ e
L – ξ, collegate fra loro da un vincolo di incastro che le rende solidali.
Sciogliendo il vincolo di incastro che abbiamo immaginato nella sezione
intermedia, si evidenziano tre componenti incognite di reazione vincolare:
• una componente di forza parallela all’asta, che diremo azione assiale;
• una componente di forza perpendizolare all’asta, che diremo azione
di taglio (o taglio);
• una coppia di incastro, che diremo momento flettente.
Nel complesso queste tre componenti di forza vengono dette azioni interne
all’asta e i loro valori, funzione della posizione ξ, possono essere calcolati

160
imponendo l’equilibrio di uno dei due tronchi in cui è suddivisa l’asta, come
mostra l’esempio seguente.

Esempio 4.3 Azioni interne in un’asta vincolata


isostaticamente

In questo esempio si vogliono calcolare le azioni interne nell’asta isostatica


dell’esempio 4.1. In Figura 4.9 si mostra l’asta suddivisa in due tronchi separati nella
sezione posta a distanza ξ dall’estremo di sinistra, evidenziando le forze agenti
sull’asta (ossia le componenti orizzontale e verticale della forza F) e le reazioni
vincolari negli estremi A e B. Nella stessa figura sono evidenziate anche le azioni
interne appena introdotte che, essendo scambiate tra i due tronchi dell’asta, agiscono
su ciascuno dei due tronchi come forze opposte, secondo il principio di azione e
reazione.

Figura 4.9 Calcolo delle azioni interne per l’asta isostatica


dell’Esempio 4.1.

Nel definire le azioni interne occorre scegliere un sistema di convenzioni. -


Nell’esempio qui riportato, si è scelto di considerare:
• l’azione assiale N diretta verso destra per il tronco di sinistra;
• l’azione di taglio T diretta verso il basso per il tronco di sinistra;
• il momento flettente diretto in senso antiorario per il tronco di sinistra;
Si osservi che lo schema che consente il calcolo delle reazioni vincolari risulta diverso
nel caso in cui la forza applicata in C rimane compresa nel tronco di sinistra, e
nel caso in cui invece la forza F appartiene al tronco di destra. Inoltre si
osserva in figura che le forze peso relative ai due tronchi dell’asta sono rappresentate
come due forze separate: ipotizzando una distribuzione uniforme della massa nella
trave, la forza peso su ciascun tronco risulta proporzionale alla lunghezza del tronco
stesso ed è applicata nel baricentro del tronco considerato.

161
Il motivo per il quale è necessario trattare in questo modo la forza peso è che le regole
introdotte nel Paragrafo 4.1 per ridurre un sistema di forze parallele a una singola
forza risultante, valgono dove si voglia scrivere l’equilibrio dell’intero corpo rigido su
cui si applicano le forze parallele. In questo caso, si vuole scrivere l’equilibrio di un
singolo tronco dell’asta, e perciò è necessario evidenziare per ciascun tronco la forza
peso a questo pertinente.
Consideriamo per prima cosa il caso . Imponendo l’equilibrio del tronco di
sinistra dell’asta si ottiene:

e, sostituendo le espressioni delle reazioni vincolari H A, V A e V B ricavate


nell’Esempio 4.1,

Considerando invece il caso e imponendo l’equilibrio del tronco di destra


dell’asta si ottiene:

da cui:

I diagrammi nelle Figure 4.10 e 4.11 mostrano i diagrammi delle azioni interne
riportati sull’asta. Per chiarezza di rappresentazione, i diagrammi in Figura 4.10
rappresentano il solo contributo dovuto alla forza F applicata nel centro dell’asta, che
si ottiene dalle equazioni sopra riportate ponendo mg = 0, mentre i diagrammi in
Figura 4.11 rappresentano il solo contributo ai diagrammi delle azioni interne dovuto

162
al peso, che si ottiene dalle equazioni sopra riportate ponendo F = 0.

Figura 4.10 Diagrammi delle azioni interne per l’asta


isostatica dell’Esempio 4.1, effetto della sola forza concentrata.

Figura 4.11 Diagrammi delle azioni interne per l’asta


isostatica dell’Esempio 4.1, effetto del solo peso distribuito
dell’asta.

163
4.5 Il principio dei lavori virtuali
L’approccio per lo studio del problema statico introdotto nei paragrafi
precedenti studia l’equilibrio di un sistema meccanico basandosi sulla
scrittura di equazioni di equilibrio. Alternativamente è possibile descrivere il
problema statico utilizzando il principio dei lavori virtuali (PLV).
Il principio dei lavori virtuali consente di scrivere un numero di equazioni di
equilibrio indipendenti pari al numero di gradi di libertà del sistema. In tali
equazioni non compaiono le incognite di reazione vincolare in quanto sotto
le ipotesi sopra enunciate (vincoli non dissipativi e fissi) il lavoro virtuale di
ciacuna reazione vincolare è nullo. Si può quindi concludere che questo
metodo è particolarmente adatto a studiare la statica dei meccanismi,
specialmente ove questi siano composti da numerosi corpi, dato che in
questo caso il sistema risolvente basato sull’uso di equazioni di equilibrio
potrebbe dare luogo ad un sistema risolvente di grandi dimensioni. Per
contro il PLV non consente di ricavare il valore delle reazioni vincolari, a
meno di impiegare tecniche di mobilizzazione del vincolo che non saranno
qui introdotte per brevità.
Per lavoro virtuale di una forza si intende il prodotto scalare della forza
stessa per lo spostamento virtuale del suo punto di applicazione, essendo lo
spostamento virtuale uno spostamento infinitesimo, compatibile con i
vincoli.
L’espressione del lavoro virtuale per un sistema di n c corpi rigidi contenuto
nel piano x – y è:

(4.8)

in cui n i è il numero di forze agenti sull’i-esimo corpo, F i, j è la j-esima


forza agente sull’i-esimo corpo e δ P i, j è il vettore rappresentante il
corrispondente spostamento virtuale del punto di applicazione.
I vettori forza e spostamento virtuale possono essere espressi mediante le
loro componenti secondo gli assi x e y:

(4.9)

164
in cui e sono le compoenti del vettore forza secondo gli assi del
riferimento e e sono le variazioni infinitesime delle coordinate del
punto di applicazione che corrispondono allo spostamento virtuale δ P i, j.
Sostituendo la (4.9) nella (4.8) l’espressione del lavoro virtuale diviene:

(4.10)
Se il sistema è dotato di n gradi di libertà, indichiamo con q 1, q 2, …, q n le
coordinate libere del sistema: poiché la configurazione del sistema è definita
univocamente dal valore delle coordinate libere, sarà possibile esprimere la
posizione dei punti di applicazione di tutte le forze come funzioni delle
coordinate libere:

(4.11)

Dalla (4.11) si possono ottenere per differenziazione le componenti dello


spostamento virtuale dei punti di applicazione delle forze:

(4.12)
in cui δq 1, δq 2, …, δq n sono le variazioni infinitesime delle coordinate
libere che definiscono lo spostamento virtuale. Sostituendo la (4.12) nella
(4.10):

e raggruppando i termini comuni a ciascuna variazione δq k delle coordinate


libere si ottiene:

(4.13)

Definiamo ora componente Lagrangiana secondo la k-esima coordinata

165
libera, indicata dal simbolo Q k, il coefficiente della (4.13) che moltiplica la
variazione virtuale δq k della k-esima coordinata:

(4.14)

In base a questa definizione, l’equazione che traduce il principio dei lavori


virtuali prende la forma:

(4.15)

e, poiché la (4.15) deve valere per ogni spostamento virtuale, ossia per
qualsiasi combinazione di valori assunti dalle variazioni virtuali delle
coordinate libere δq k, è necessario che ciascuna delle componenti
Lagrangiane Q k si annulli:

(4.16)

Il sistema (4.16) cosituisce un sistema di n equazioni, tante quanti i gradi di


libertà del sistema, che consente di risolvere il problema statico.

4.5.1 Lavoro virtuale di una coppia


Nel paragrafo precedente non è stato considerato esplicitamente il caso in cui
sul sistema di corpi rigidi considerato agiscano una o più coppie di forze. In
realtà questo caso può essere trattato con le equazioni riportate nel paragrafo
precedente, purché si consideri nella sommatoria (4.8) il contributo delle due
forze uguali e contrarie che costituiscono la coppia.
Nonostante questo, il lavoro virtuale di una coppia di forze applicata a un
singolo corpo rigido può essere espresso secondo un risultato notevole che
viene ricavato in questo paragrafo. Si consideri per semplicità il caso
mostrato in Figura 4.12, in cui le due forze formanti la coppia sono dirette
secondo l’asse x e sono applicate ai punti P e Q (appartenenti a uno stesso
corpo rigido) allineati secondo la direzione y.
Il lavoro virtuale complessivo delle due forze vale:

166
(4.17)

Figura 4.12 Lavoro virtuale di una coppia di forze.

ma poiché i punti P e Q appartengono allo stesso corpo rigido, tra gli


spostamenti virtuali dei due punti vale la relazione data dal teorema di Rivals
applicato sugli spostamenti infinitesimi:

(4.18)
e quindi:

(4.19)

sostituendo la (4.19) nella (4.17) si ottiene:


(4.20)

Si può quindi concludere che il lavoro di una coppia di forze applicata a un


corpo rigido è il prodotto scalare della coppia per la rotazione virtuale del
corpo. Tale lavoro assume segno positivo se, come nell’esempio di Figura
4.12, la coppia e la rotazione virtuale del corpo sono concordi, e segno
negativo se i due vettori sono discordi.

Esempio 4.4 Statica di un meccanismo a un g.d.l.

Come dimostrazione dell’efficacia del PLV come strumento per lo studio della statica
di un sistema, risolviamo mediante questo approccio il problema statico per il

167
meccanismo a 1 g.d.l. rappresentato in Figura 4.8. Indicando con e le
componenti verticali degli spostamenti virtuali dei baricentri delle due aste, e con δx B
lo spostamento virtuale del punto B si ha:

(4.21)

Scelta come coordinata libera del sistema l’angolo θ rappresentante la semiapertura


tra i lati OA e AB, la quota verticale dei due baricentri , e la posizione
orizzontale del punto B x B possono essere espresse come:

(4.22)

differenziando tali equazioni si ottiene:

(4.23)

e, sostituendo questi risultati nell’espressione del lavoro virtuale:


(4.24)

da cui, evidenziando la componente Lagrangiana:

(4.25)

che coincide con il risultato ottenuto con l’uso del metodo degli equilibri dinamici.

168
CAPITOLO 5 Geometria delle masse

5.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti sono state studiate le regole cinematiche che -
governano il movimento di un sistema meccanico. Nel prossimo capitolo si
introdurranno invece le leggi della dinamica, che mettono in relazione le
forze agenti su un sistema meccanico con il suo movimento. Per affrontare lo
studio della dinamica dei sistemi, è però necessario premettere alcuni
concetti relativi alla distribuzione di massa di un sistema meccanico. Infatti,
già al livello elementare costituito dalla terza legge di Newton per un punto
materiale F = m a, si osserva che la relazione tra la forza agente F e
l’accelerazione del punto materiale a esiste un fattore di proporzionalità
costituito dalla massa m del punto.
Per procedere allo studio della dinamica di sistemi meccanici formati da uno
o più corpi rigidi di dimensioni non puntiformi, è necessario introdurre
i concetti di baricentro di massa e di momento di inerzia di massa. Nel
prossimo capitolo si mostrerà poi come utilizzando tali grandezze sia
possibile definire il campo delle azioni di inerzia che si esercitano sul singolo
corpo rigido ed estendere, mediante il principio di D’Alémbert, la terza legge
di Newton in modo da rendere possibile lo studio della dinamica di sistemi di
corpi rigidi.

5.2 Baricentro di massa


Per introdurre l’argomento, si consideri un sistema formato da un insieme di
N punti materiali dotati di massa, rigidamente collegati tra loro, in modo da
formare un corpo rigido di massa m. Si fissi un sistema di riferimento
solidale con il corpo e si indichi con m k, x k e y k rispettivamente la massa e
le due coordinate che definiscono la posizione della generica k-esima massa
rispetto al sistema di riferimento scelto (Figura 5.1).
Si definisce baricentro (o centro di massa) del corpo il punto le cui
coordinate sono fornite dalle espressioni:

169
(5.1)

Figura 5.1 Baricentro di un sistema di punti discreti.

ossia sono pari al rapporto tra la somma dei momenti statici m kx k, m ky k e la


massa totale m del corpo. La (5.1) può intepretarsi anche come la media
delle coordinate dei punti del corpo, pesata attraverso le masse dei singoli
punti.
Passando a considerare un corpo rigido continuo, l’Equazione (5.1) diviene
un integrale esteso al volume del corpo, mentre la massa di un elemento
infinitesimo di volume d V è pari al prodotto ρd V in cui ρ è la densità
del materiale, in generale funzione della posizione all’interno del corpo:

(5.2)

Nel caso in cui si abbia un corpo omogeneo (quindi con ρ costante) e di


spessore costante h (Figura 5.2), la massa infinitesima diviene d m = ρhd A e
la (5.2) risulta:

(5.3)

essendo, nell’ipotesi fatta, la massa totale ρhA = m. In pratica, se il corpo è


omogeneo e a spessore costante, la posizione del centro di massa coincide
con la posizione del baricentro geometrico della figura che rappresenta il
contorno del corpo.
Se il corpo presenta un asse di simmetria, ossia ha una distribuzione di massa

170
simmetrica rispetto a un asse, il baricentro appartiene a tale asse. Se poi il
corpo presenta due assi di simmetria, il baricentro si troverà sull’intersezione
dei due assi (Figura 5.3).
Inoltre, non è sempre necessario utilizzare la definizione (5.2) o (5.3) per il
calcolo del baricentro del corpo. Se questo è scomponibile in forme

Figura 5.2 Ricerca del baricentro per un corpo a spessore


costante.

geome-triche semplici delle quali sia già noto il baricentro, è possibile


calcolare il baricentro dell’intero corpo in forma analoga alla (5.1),
considerando la media pesata dei singoli baricentri delle sottoparti nelle quali
è stato suddiviso il corpo (Figura 5.3).

(5.4)

Figura 5.3 Individuazione della posizione del baricentro di figure


geometriche che presentano assi di simmetria.

5.2.1 Il baricentro come centro delle forze peso


In questa applicazione si vuole mostrare, attraverso un esempio, come il
baricentro costituisca anche il centro delle forze peso di un corpo, ossia il

171
punto al quale è possibile ridurre il risultante delle forze peso distribuite
agenti sul corpo. L’esempio è condotto, per semplicità, considerando un
corpo composto da N punti materiali rigidamente collegati tra loro. Il
risultato ottenuto ha comunque validità generale.
Il corpo sia composto dai punti tutti appartenenti al piano individuato dagli
assi coordinati ( xy), la direzione y sia la verticale lungo la quale agisce la
forza peso, esprimibile come un vettore diretto verso il basso (ossia in verso
opposto alla direzione positiva dell’asse y) pari al prodotto della massa del
punto per l’accelerazione di gravità g, come mostrato nella Figura 5.4.
Si calcoli il momento di tutte le forze peso, rispetto a un polo O scelto ad
arbitrio sul piano. Il momento, di segno positivo se orario, vale:

(5.5)

Figura 5.4 Significato del baricentro come centro delle forze


peso.

Si ricerca ora quella particolare posizione del polo O per la quale si annulla il
momento delle forze peso, ossia:

(5.6)

da cui si ottiene:

(5.7)

172
Questo risultato mostra che il momento delle forze peso si annulla per tutti e
soli i punti che hanno la stessa ascissa del baricentro, ossia che la retta di
applicazione della forza peso passa per il baricentro.

5.3 Momento di inerzia di massa


Come visto, il baricentro indica il punto in cui è possibile pensare
concentrata (per specifiche applicazioni quali il calcolo del momento delle
forze peso) tutta la massa di un corpo rigido, il momento di inerzia di massa
invece indica come la massa è distribuita nel corpo. Nel caso di corpi in
moto piano, si considererà, nella maggior parte dei casi, il momento di
inerzia rispetto ad assi perpendicolari al piano direttore, la cui traccia su
detto piano è un punto.
Il momento di inerzia di massa rispetto a un asse è definito come
(Figura 5.5):

(5.8)

in cui l’origine del sistema di riferimento è collocata nel punto traccia


dell’asse rispetto al quale si sta valutando il momento di inerzia. Il momento
di inerzia di massa è quindi la somma (o integrale) dei momenti del secondo
ordine delle masse di ogni porzione infinitesima del corpo d m = ρd V. Nel
caso di corpo omogeneo e di spessore costante h, l’espressione si semplifica
nella:

(5.9)

Diversamente dal baricentro, la cui posizione fisica sul corpo viene definite
indipendentemente dal riferimento scelto, il valore del momento di inerzia di

Figura 5.5 Calcolo del momento di inerzia di massa per una


figura piana.

173
massa dipende dal punto (traccia dell’asse) rispetto al quale viene calcolato.
Per lo studio della dinamica del corpo, e dei sistemi di corpi è conveniente
scegliere come punto privilegiato per il calcolo del momento di inerzia il
baricentro del corpo.
Il momento di inerzia J G diviene così una caratteristica del corpo rigido, e il
momento di inerzia rispetto a un polo qualsiasi, può essere calcolato
utilizzando la legge del trasporto, qui di seguito definita.
Si consideri un sistema di riferimento fisso con il corpo, la cui origine sia
collocata nel baricentro G. Il momento di inerzia rispetto al polo O è
esprimibile considerando le coordinate ( x G, y G) del baricentro, rispetto al
sistema di riferimento ( Oxy), e le coordinate ( x 1, y 1) dei punti del corpo
rispetto al riferimento baricentrico fisso con il corpo stesso:

(5.10)

sviluppando l’espressione e riorganizzando i termini, si ha:

(5.11)

Si osserva che gli integrali del secondo e terzo termine rappresentano il


momento statico del corpo rispetto all’origine del riferimento ( x 1 y 1).
Essendo tale grandezza nulla rispetto al baricentro, ed essendo il baricentro
l’origine del riferimento fisso con il corpo, risulta che tali integrali sono
nulli. L’ultimo termine rappresenta invece il momento di inerzia calcolato
rispetto a un asse (perpendicolare al piano x - y), passante per il baricentro
G del corpo. La (5.9) risulta pertanto:

174
(5.12)
che esprime la legge del trasporto: il momento di inerzia rispetto a un asse
diverso dall’asse baricentrico, può esprimersi come la somma del momento
di inerzia baricentrico più il prodotto della massa del corpo per il quadrato
della distanza tra il baricentro e il punto considerato.
Anche per il calcolo del momento di inerzia baricentrico di un corpo
scomponibile in forme semplici, è possibile utilizzare la legge del trasporto:

(5.13)
avendo indicato con G il baricentro del corpo composto, con le distanze
tra il baricentro del corpo G e quello di ogni singolo componente G k, e con
m k la massa di ciascuna parte componente il corpo.
È uso definire il momento di inerzia baricentrico anche mediante la nozione
di raggio giratorio, definito come:

(5.14)

quel valore che, elevato al quadrato e moltiplicato per la massa del corpo,
fornisce il valore del momento di inerzia J G. Esso indica, in modo
qualitativo, come la massa è distribuita in rapporto alla dimensione del
corpo.

Esempio 5.1 Momento di inerzia baricentrico di una


corona circolare omogenea

Data una corona circolare di spessore costante h, e raggi interno ed esterno


rispettivamente R 1 e R 2, collocando il riferimento nel baricentro del corpo (Figura
5.6), il momento di inerzia baricentrico è definito come:

Gli estremi dei due integrali sono indipendenti tra loro, per cui è possibile
riorganizzare la scrittura nei seguenti termini:

175
il cui risultato è:

Esaminando i due casi estremi si ottiene, per R 1 = 0, R 2 = R, ossia il disco pieno:

mentre per R 1 = R 2 = R, ossia l’anello sottile:

Si osservi che nel secondo caso il raggio giratorio è pari alla dimensione dell’anello,
in quanto la massa è posta alla massima distanza dal baricentro, mentre nel primo
caso, essendo uniformemente distribuita, risulta ovviamente inferiore al raggio R.
Si può quindi affermare che, a parità di massa, se si vuole massimizzare il momento
di inerzia conviene utilizzare un solido simile all’anello sottile, quale per esempio una
corona circolare con larghezza ( R 2 - R 1) piccola rispetto al proprio raggio medio.

Figura 5.6 Calcolo del momento di inerzia di massa per un


corpo a sezione di corona circolare e spessore costante.

Esempio 5.2 Momento di inerzia baricentrico di


un’asta

176
Si consideri un’asta omogenea di lunghezza L e massa totale m (Figura 5.7). Il
momento di inerzia baricentrale dell’asta è definito dall’integrale semplice:

lo sviluppo di tale integrale porta a:

(5.15)

Figura 5.7 Calcolo del momento di inerzia di massa per


un’asta omogenea.

ESERCIZI SVOLTI
Momento di inerzia baricentrico di un rettangolo
omogeneo
5.1 In questo caso si consideri un solido cosituito da un rettangolo di base
L, altezza b e spessore h in direzione perpendicolare al piano (Figura 5.8).
Si richiede di calcolare la posizione del baricentro e l’espressione del
momento d’inerzia baricentrico del corpo.

Risoluzione
Per simmetria il baricentro del corpo coincide con il suo centro geometrico.
Posta in tale punto l’origine del sistema di riferimento ( Oxy) il calcolo del
momento di inerzia baricentrale è effettuato con un integrale doppio secondo
le due coordinate x e y:

Supposto il corpo omogeneo, ne consegue d m = ρhd xd y, e quindi:

177
lo sviluppo dell’integrale porta a:

ossia:

Si osservi che facendo tendere a zero l’altezza b del rettangolo si ottiene il


risultato già ricavato per l’asta omogenea.

Figura 5.8 Calcolo del momento di inerzia di massa per un corpo


a sezione rettangolare.

178
CAPITOLO 6 Dinamica dei sistemi di
corpi rigidi

Questo capitolo presenta le equazioni fondamentali che regolano la dinamica


di sistemi di corpi rigidi, ossia le relazioni che intercorrono tra le forze agenti
e il movimento che si produce nel sistema. Come già fatto nel caso della
statica, Capitolo 4, si introduranno due possibili approcci allo studio della
dinamica: il primo basato sulle equazioni di D’Alémbert (o di equilibrio
dinamico), che costituiscono la generalizzazione al caso dinamico delle
equazioni cardinali della statica (cfr. Capitolo 4), il secondo rappresentato
dai metodi detti ‘energetici’, che costituiscono diverse forme di applicazione
del principio dei lavori virtuali al caso dinamico. In questo ambito si
introdurranno in particolare la equazione di bilancio delle potenze e le
equazioni di Lagrange.
Nel Paragrafo 6.5, infine, viene discusso in che modo le equazioni introdotte
in questo capitolo possano essere utilizzate per risolvere problemi di
dinamica diretta e di dinamica inversa, dove per problema di dinamica
diretta si intende il calcolo del movimento del sistema, essendo note le forze
agenti su di esso, mentre per problema di dinamica inversa o cinetostatica si
intende il calcolo delle forze necessarie a realizzare una condizione di
movimento assegnata.

6.1 Principio di D’Alémbert ed equazioni della


dinamica
In questa sezione si generalizzano le equazioni cardinali della statica,
introdotte nei Paragrafi 4.1 e 4.2, al caso della dinamica, ossia al caso in cui
la configurazione del sistema meccanico varia nel tempo. Questo risultato
viene ottenuto attraverso il principio di D’Alémbert, che consente di studiare
la condizione dinamica come una condizione statica equivalente, in cui alle
forze realmente agenti sul sistema si somma un sistema di forze fittizie dette
forze di inerzia.
Per semplicità, l’argomento viene inizialmente introdotto con riferimento

179
alla dinamica di un singolo punto materiale, ed è successivamente esteso al
caso di un singolo corpo rigido e poi di un sistema generico di corpi rigidi.

6.1.1 Punto materiale


Nel caso di un punto materiale di massa m, il secondo principio della
Dinamica afferma che l’accelerazione del punto dipende dalla risultante di
tutte le forze (attive e reattive) agenti sul corpo attraverso la relazione:

(6.1)
Definendo forza di inerzia F in il prodotto della massa per l’accelerazione
del punto cambiata di segno:
(6.2)

la (6.1) può essere riscritta nella forma di una equazione di equilibrio, nella
quale alle forze agenti sul punto si aggiunge la forza di inerzia definita dalla
(6.2):

(6.3)

ossia il problema dinamico può essere ricondotto a un problema statico


equivalente, a condizione di aggiungere alle effettive forze agenti sul sistema
un ulteriore vettore, detto forza di inerzia, pari al prodotto della massa per
l’accelerazione cambiato di segno. Questa affermazione, rappresentata
matematicamente dalle Equazioni (6.2) e (6.3), costituisce l’enunciato del
principio di D’Alémbert nel caso del punto materiale.
In questo libro si indicherà una equazione scritta in base al principio di
D’Alémbert come equazione di equilibrio dinamico. L’applicazione di tale
principio risulta molto più significativa e utile dal punto di vista
ingegneristico nel caso del corpo rigido, e dei sistemi di corpi rigidi, come
mostrato nei paragrafi successivi.

6.1.2 Corpo rigido


Consideriamo ora un corpo dotato di dimensioni non trascurabili. In questo
caso, il principio di D’Alémbert può essere scritto per ciascun punto del
corpo, che potremo quindi considerare soggetto a una distribuzione continua
di forze di inerzia, tali per cui la singola forza infinitesima agente su un

180
elemento di massa infinitesima dm sia definito dalla:
(6.4)

Una volta introdotta questa distribuzione di forze agenti sul corpo, potremo
dire, in analogia con la (6.3), che il moto del corpo dovrà soddisfare le
equazioni che definiscono l’ equilibrio dinamico del corpo sotto l’azione
delle forze (attive e reattive) agenti su di esso insieme alle forze di inerzia
così introdotte. Questo risultato assume particolare importanza per il corpo
rigido, perché è possibile ridurre l’intero sistema di forze distribuite di
inerzia a una forza risultante più una coppia di inerzia, che possono essere
espresse con facilità in funzione dell’accelerazione del baricentro e
dell’accelerazione angolare del corpo. Per ricavare tali espressioni si
consideri l’esempio di un’asta dotata di massa m uniformemente distribuita,
posta in rotazione attorno a un suo estremo, come mostrato in Figura 6.1.

Figura 6.1 Distribuzione delle accelerazioni e delle forze di


inerzia su un’asta incernierata.

Calcoliamo innanzitutto la distribuzione delle forze di inerzia agenti -


sull’asta: a questo scopo introduciamo una coordinata ξ che identifica la
posizione della generica sezione dell’asta a partire dall’estremo fisso.
L’accelerazione di una generica sezione dell’asta sarà composta da un
termine di accelerazione tangenziale, diretto ortogonalmente all’asta e da un
termine di accelerazione normale, centripeto. Ricordando che le traiettorie di
tutti i punti di un corpo dotato di moto rotatorio sono delle circonferenze con
centro nel punto fisso, queste due componenti di accelerazione valgono in
modulo:

in cui e sono rispettivamente la velocità e l’accelerazione angolare


dell’asta, assunte come di consueto positive in senso antiorario, mentre t e n
sono due versori che indicano rispettivamente la direzione tangenziale e

181
normale centripeta.
In base al principio di D’Alémbert, la forza d’inerzia infinitesima agente su
un tronchetto di lunghezza dξ dell’asta è somma di una componente
tangenziale e di una componente normale (centrifuga) dirette in
verso opposto alle corrispondenti componenti di accelerazione, definite
dalle:

in cui la massa infinitesima del tratto infinitesimo di asta è stata definita


considerando la distribuzione uniforme della massa lungo l’asta stessa.
Calcoliamo ora la forza risultante di tutte le azioni distribuite di inerzia: essa
avrà due componenti, una diretta ortogonalmente all’asta, pari alla somma di
tutte le forze tangenziali, e una diretta parallelamente all’asta, pari alla
somma di tutte le forze centrifughe. I moduli di queste due componenti
saranno:

Per interpretare il risultato raggiunto, osserviamo che, essendo l’asta


omogenea, il suo baricentro sarà posto a una distanza L/2 dall’estremo fisso,
per cui le componenti di accelerazione tangenziale e normale del baricentro
G saranno:

Ne deriva che le due componenti della risultante di tutte le forze di inerzia


possono essere scritte come:

ossia, in termini di vettore risultante complessivo:


(6.5)

Questa circostanza non risulta specifica del solo esempio considerato, ma in


generale si può affermare che la forza risultante di tutte le azioni di inerzia

182
che si esercitano su un corpo rigido è pari al prodotto della massa totale del
corpo per l’accelerazione del baricentro cambiata di segno.
Come osservato nel Capitolo 4, ai fini dell’equilibrio di un corpo rigido è
rilevante non solo il risultante di una distribuzione di forze, ma anche il
momento risultante di questa rispetto a un dato polo. Per rappresentare
correttamente il momento della distribuzione di forze di inerzia,
consideriamo applicata nel baricentro del corpo la forza risultante di inerzia
definita dalla (6.5), e introduciamo una coppia di inerzia pari al momento
risultante delle forze di inerzia rispetto al baricentro stesso. Ritornando
all’esempio di Figura 6.1, osserviamo che il momento delle componenti
normali delle forze di inerzia è nullo perché queste passano per il baricentro,
mentre il momento delle forze tangenziali può essere calcolato tenendo conto
che il braccio di ciascuna forza infinitesima è pari alla distanza del rispettivo
punto di applicazione dal baricentro G:

in cui k è il versore perpendicolare uscente al piano in cui si muove l’asta.


Ricordando l’espressione del momento di inerzia baricentrale J G di un’asta
omogenea, fornita dalla (5.15), si può riscrivere l’espressione del momento
delle forze di inerzia rispetto al baricentro come:
(6.6)
Questo risultato, ottenuto per semplicità nel caso di movimento rotatorio del
corpo rigido, può essere esteso al caso più generale di moto rototraslatorio.
Si può quindi affermare che l’intero sistema di forze di inerzia distribuite
agenti su un corpo rigido può essere ridotto a una forza di inerzia, definita
dalla (6.5) e applicata nel baricentro, e una coppia di inerzia, definita in base
alla (6.6) come il prodotto del momento di inerzia baricentrale del corpo
rigido per l’accelerazione angolare del corpo cambiata di verso.
In base al risultato ottenuto sopra, le equazioni che descrivono il moto del
corpo rigido possono essere scritte nella forma di equazioni di equilibrio
includendo i termini aggiuntivi relativi alle forze di inerzia:

(6.7)

183
Le (6.7) prendono il nome di equazioni di equilibrio dinamico per il corpo
rigido.

Esempio 6.1 Corpo rigido rotante attorno a un asse


fisso

Con riferimento alla Figura 6.2, si voglia determinare l’accelerazione angolare di


un corpo di massa m e momento d’inerzia baricentrale J G, incernierato a terra in O.
Il corpo è soggetto al proprio peso, a una forza F applicata nel punto P e inclinata di
rispetto all’asse x e a una coppia C.
Per utilizzare le equazioni di equilibrio dinamico (6.7), calcoliamo innanzitutto la
forza e coppia di inerzia. Introducendo i versori t e n aventi direzione rispettivamente
perpendicolare e parallela alla congiungente OG e versi indicati in Figura 6.2, e
inoltre un versore k uscente dal piano della figura si ha:

Scriviamo in primo luogo l’equazione di equilibrio dinamico dei momenti rispetto al


polo O:

che rappresenta una equazione pura di movimento, ovvero non contenente incognite
di reazione vincolare.
Da questa equazione è possibile ricavare direttamente l’accelerazione angolare del
corpo nella posizione considerata:

(6.8)

Proiettando invece la prima della (6.7) secondo le direzioni dei versori t e n si


ottiene:

Queste equazioni consentono di ricavare le due componenti R n e R t della reazione

184
vincolare esercitata dalla cerniera.

Figura 6.2 Dinamica di un corpo rigido: un esempio.

6.1.3 Sistema di corpi rigidi


Per un sistema composto da n c corpi rigidi, in analogia con il caso statico
trattato nel Paragrafo 4.2, è possibile scrivere un sistema di 2 n c equazioni
vettoriali del tipo (4.7) in cui si considera aggiuntivamente l’effetto delle
forze di inerzia e coppie di inerzia agenti su ciascun i-esimo corpo, espresse
rispettivamente come F in, i e C in, i:

(6.9)
Le (6.9), opportunamente proiettate ed eventualmente combinate linearmente
fra loro, danno luogo, per un sistema piano, a 3 n c equazioni scalari
indipendenti. Come già discusso nel Paragrafo 4.2, esistono diverse
possibilità alternative per tradurre il sistema della (6.9) in un sistema di
equazioni scalari. Per esempio, è possibile scrivere fino a tre equazioni di
equilibrio per ciascun singolo corpo, oppure per una parte del sistema
costituita da più corpi rigidi. Nel secondo caso, le incognite di reazione
vincolare associate ai vincoli che collegano i corpi considerati non appaiono
in queste equazioni, in quanto forze interne. Ricordiamo inoltre che le tre
equazioni di equilibrio dinamico non consistono necessariamente in due

185
equazioni di equilibrio (dinamico) alla traslazione e una equazione di
equilibrio alla rotazione, ma che utilizzando le regole enunciate nel
Paragrafo 4.1, si possono scrivere fino a tre equazioni di equilibrio alla
rotazione, riducendo di conseguenza il numero di equazioni di equilibrio alla
traslazione.
In ogni caso, come già osservato nello studio della statica dei sistemi, il
numero complessivo di equazioni indipendenti che possono essere scritte è
sempre pari (nel caso di moto piano) a 3 n c. Queste equazioni consentono
quindi di ricavare 3 n c incognite che sono, almeno in parte, di natura
differente nel caso in cui si studi un problema di dinamica diretta o di
dinamica inversa, come descritto nel Paragrafo 6.5.

6.2 Il principio dei lavori virtuali nella dinamica


Nel Paragrafo 4.5 si è mostrato che, sotto opportune condizioni (vincoli
bilateri fissi non dissipativi), lo studio della statica di un sistema di corpi può
essere affrontato con un approccio alternativo a quello basato sulle equazioni
di equilibrio, che consiste nell’imporre l’annullamento del lavoro virtuale
compiuto complessivamente da tutte le forze attive per qualsiasi spostamento
virtuale del sistema. Si è parlato in questo caso di ‘metodo energetico’ per la
scrittura delle equazioni di equilibrio del sistema e si è dimostrato che
l’applicazione di tale metodo permette di scrivere un numero di equazioni
indipendenti pari al numero di gradi di libertà del sistema, e che in tali
equazioni non compaiono le incognite di reazione vincolare.
In questo paragrafo ci proponiamo di generalizzare il principio dei lavori
virtuali allo studio della dinamica di un sistema di corpi: sulla base del
principio di D’Alémbert introdotto nel paragrafo precedente, questo può
essere fatto affermando che in una condizione dinamica anziché statica,
l’enunciato del principio dei lavori virtuali dovrà ritenersi valido a
condizione di includere nell’espressione del lavoro virtuale i termini relativi
alle forze e coppie di inerzia. Per un sistema formato da n c corpi si ottiene
quindi:

(6.10)

in cui m i e J Gi sono la massa e il momento di inerzia baricentrale del corpo

186
i-esimo, a Gi, e δ θ i sono rispettivamente l’accelerazione del baricentro,
l’accelerazione angolare e la rotazione virtuale del corpo i-esimo e tutti gli
altri termini hanno lo stesso significato già introdotto nel Paragrafo 4.5 con
riferimento al caso statico. Svolgendo i prodotti scalari si ottiene:

(6.11)
in cui a Gix e a Giy sono le componenti secondo gli assi x e y
dell’accelerazione del baricentro e è la derivata seconda della posizione
angolare del corpo. Esprimiamo gli spostamenti virtuali dei punti di
applicazione delle forzanti secondo l’Equazione (4.12) del Paragrafo 4.5, e le
nuove grandezze di spostamento virtuale introdotte nella (6.11) come:

(6.12)

sostituendo nella (6.11) e raccogliendo opportunamente si ottiene:

(6.13)

in cui Q k è la componente Lagrangiana secondo la k-esima coordinata q k


delle forze agenti sul sistema, definita dalla Equazione (4.14) del Paragrafo
4.5, mentre Q in, k è la componente Lagrangiana secondo la stessa coordinata
delle forze e coppie di inerzia considerate agenti sul sistema, espressa
secondo la:

(6.14)

In base a quanto già osservato nel Paragrafo 4.5, l’annullamento del lavoro
virtuale espresso dalla (6.13) implica che si annulli ciacuna componente

187
Lagrangiana delle forze (incluse quelle di inerzia) agenti secondo tutte le
coordinate libere del sistema:

(6.15)

Si può quindi concludere che mediante il principio dei lavori virtuali, e nelle
ipotesi introdotte in precedenza (vincoli fissi non dissipativi), il movimento
del sistema viene descritto da un sistema di equazioni ‘pure di movimento’
(ossia che non coinvolgono incognite di reazioni vincolare) in numero pari al
numero n di gradi di libertà del sistema. Queste equazioni possono essere
utilizzate nella risoluzione di un problema di dinamica diretta o inversa,
secondo quanto discusso nel Paragrafo 6.5.

6.3 Equazione del bilancio delle potenze


Un secondo metodo energetico per lo studio del moto di un sistema
meccanico è rappresentato dalla equazione di bilancio delle potenze che,
sotto le stesse ipotesi del principio dei lavori virtuali, afferma che in ogni
istante del movimento del sistema deve annullarsi la somma delle potenze di
tutte le forze (incluse quelle di inerzia) agenti sul sistema.
Come sarà dimostrato in questo paragrafo, il metodo del bilancio delle
potenze può essere fatto discendere dal principio dei lavori virtuali (PLV) e,
come quest’ultimo, nel caso di vincoli fissi e non dissipativi presenta il
vantaggio rispetto al metodo degli equilibri dinamici di non coinvolgere
incognite di reazione vincolare. Per contro, mentre il PLV consente di
scrivere un numero di equazioni pari al numero di gradi di libertà del
sistema, il bilancio di potenze fornisce una sola equazione scalare, e quindi
consente di determinare il movimento del sistema (senza ricorrere a
equazioni aggiuntive) nel solo caso in cui il sistema considerato sia a un
grado di libertà. Nel caso in cui invece il sistema considerato sia dotato di
più di un grado di libertà, l’equazione di bilancio delle potenze fornisce una
singola equazione a fronte di un numero di incognite di movimento pari al
numero complessivo di coordinate libere del sistema, e quindi non risulta
sufficiente a risolvere il problema: in questo caso risulta pertanto più
adeguato ricorrere all’uso del PLV, secondo quanto mostrato nel paragrafo

188
precedente. In ogni caso, si può dimostrare che l’equazione di bilancio delle
potenze può essere fatta discendere anche dalle equazioni di equilibrio
dinamico della (6.9). Pertanto, l’equazione di bilancio delle potenze può
essere usata in luogo di una delle (6.9), ma mai in aggiunta a tali equazioni
(o alle (6.15) derivanti dal PLV), in quanto combinazione lineare di queste.
Per derivare l’equazione di bilancio delle potenze, riprendiamo l’Equazione
(6.10), sostituiamo agli spostamenti virtuali introdotti in tale equazione gli
spostamenti infinitesimi effettivi eseguiti dal sistema in un intervallo di
tempo infinitesimo dt, e dividiamo l’equazione che ne risulta per dt stesso.
Si ottiene:

(6.16)

in questa equazione, si può indicare con:

la potenza della forza F i,j (essendo V i,j la velocità del punto di applicazione
della forza), e con:

(6.17)

la potenza di inerzia associata, in base al principio di D’Alémbert, alla forza


di inerzia e alla coppia di inerzia relative al corpo i-esimo, essendo
rispettivamente V Gi la velocità del baricentro del corpo e ω i la velocità
angolare di questo.
In base a tali definizioni, l’equazione ottenuta può essere scritta come:

(6.18)

o, ancora più sinteticamente, come:

(6.19)
che esprime l’annullamento complessivo della somma algebrica delle
potenze di tutte le forze e coppie agenti sul sistema, comprese quelle di
inerzia.

189
Una forma alternativa della equazione di bilancio delle potenze può essere
ottenuta osservando che la potenza delle forze di inerzia può essere scritta
anche come la derivata dell’energia cinetica del sistema cambiata di segno.
In questo caso, l’equazione viene indicata anche come teorema dell’energia
cinetica. Per ricavare questa nuova forma del bilancio delle potenze è però
necessario preliminarmente ricavare nel prossimo paragrafo l’espressione
dell’energia cinetica per un corpo rigido.

6.3.1 Energia cinetica di un corpo rigido


Mediante i concetti di centro di massa e momento di inerzia di massa
introdotti nel Capitolo 5, è possibile calcolare l’energia cinetica di un corpo
rigido, nelle più generali condizioni di moto rototraslatorio piano. L’energia
cinetica di un corpo di dimensioni finite è definita come:

(6.20)

in cui ρ è la densità del materiale e υ è il volume del corpo. Introducendo il


legame cinematico di corpo rigido tra la la velocità V P del generico punto
P, la velocità del baricentro V G e la velocità angolare del corpo ω:

si ottiene:

sviluppando e riordinando i termini si ottiene:

(6.21)

in cui ω è il modulo del vettore velocità angolare ω. Nella (6.21) si è tenuto


conto che la velocità del baricentro e la velocità angolare del corpo sono
costanti rispetto all’integrale di volume esteso al corpo, e inoltre della
relazione:

Si osserva poi che il secondo e il terzo termine della (6.21) sono nulli (in

190
quanto gli integrali indicano il momento statico del corpo rispetto al
baricentro) e che l’integrale contenuto nell’ultimo termine a destra
dell’uguale rappresenta il momento di inerzia di massa rispetto al baricentro,
calcolato in un riferimento fisso con il corpo, avente origine nel baricentro
stesso. L’espressione finale è pertanto:

(6.22)

in cui si distingue il contributo dovuto al moto traslatorio, corrispondente al


primo termine, e il contributo legato al moto rotatorio attorno al baricentro,
espresso dal secondo termine. È importante sottolineare che tale risultato, in
cui l’energia cinetica del corpo è scritta come somma di due soli termini, è
valida solo se ci si riferisce al baricentro del corpo stesso. Nel caso in cui ci
si riferisca a un punto differente, il secondo e il terzo termine della (6.21)
sono differenti da zero.
L’Equazione (6.22) è detta Teorema di König ed esprime l’energia cinetica
di un corpo rigido nel caso generale di moto rototraslatorio. Se il moto del
corpo è puramente traslatorio, la velocità angolare si annulla e l’energia
cinetica è espressa dal solo primo termine della (6.22), in cui in luogo della
velocità del baricentro si può usare la velocità di qualsiasi altro punto. Se
invece il moto è rotatorio intorno al baricentro, l’energia cinetica è espressa
dal solo secondo termine della (6.22), mentre infine se il moto è rotatorio
attorno a un punto O diverso dal baricentro, con passaggi analoghi ai
precedenti si ottiene:

(6.23)
avendo indicato con J O il momento di inerzia del corpo rispetto all’asse
perpendicolare al piano del moto e passante per il polo O:

(6.24)

6.3.2 Teorema dell’energia cinetica


Ritornando all’Equazione di bilancio delle potenze (6.18) osserviamo che il
termine relativo alle potenze di inerzia può anche essere scritto in termini di
derivata rispetto al tempo dell’energia cinetica del corpo. Infatti, per il
generico i-esimo corpo del sistema si può scrivere l’energia cinetica in base

191
al teorema di König come:

derivando tale espressione rispetto al tempo si ottiene:

da cui, sfruttando la proprietà commutativa del prodotto scalare:

Sostituendo questo risultato nella (6.17) si ottiene:

che consente di riscrivere la (6.18) come:

(6.25)

e la (6.19) come:

(6.26)
Si può quindi affermare che in presenza di vincoli fissi e lisci la somma delle
potenze di tutte le forze attive agenti sul sistema è istantaneamente uguale
alla derivata dell’energia cinetica del sistema. Questa equazione, nota come
teorema dell’energia cinetica, si presta a una importante interpretazione
fisica: durante il moto del sistema, negli istanti in cui la somma delle potenze
delle forze attive risulta positiva, l’energia cinetica del sistema viene
incrementata, mentre al contrario quando tale somma risulta negativa, il
sistema riduce la propria energia cinetica. In questi termini, le inerzie dei
corpi possono essere visti come serbatoi di energia che nelle fasi di
accelerazione immagazzinano l’energia prodotta nel sistema in eccesso
rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze, mentre nelle fasi di
decelerazione restituiscono l’energia immagazzinata per supplire a un deficit
di potenza motrice rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze.
Questo tipo di interpretazione energetica del movimento del sistema sarà
ampiamente ripresa nei Capitoli 8 e 9 che si occupano della dinamica della

192
macchina.

6.4 Le equazioni di Lagrange


In questo paragrafo vengono introdotte alcune forme alternative delle
equazioni derivanti dal principio dei lavori virtuali, che vanno sotto il nome
di equazioni di Lagrange. Rispetto alla (6.15), le equazioni di Lagrange
permettono di scrivere le equazioni di moto del sistema in maniera più
semplice, sostituendo il calcolo delle componenti Lagrangiane di alcuni tipi
di forze con il calcolo delle derivate di alcune grandezze energetiche:
l’energia cinetica introdotta nel paragrafo precedente, e l’energia potenziale e
la funzione di dissipazione che saranno introdotte in questo paragrafo.
Per prima cosa, osserviamo che la componente Lagrangiana delle forze e
coppie di inerzia può essere espressa come:

(6.27)

I passaggi matematici che dimostrano la (6.27) sono relativamente


complicati e poco significativi dal punto di vista della interpretazione fisica,
per cui si preferisce riportare il solo risultato finale, rimandando a [5] per la -
dimostrazione. Sfruttando la (6.27), è quindi possibile riscrivere la (6.15)
nella forma:

(6.28)

6.4.1 Forze conservative e seconda forma delle


equazioni di Lagrange
Esaminiamo ora il caso in cui alcune delle forze agenti sul sistema siano
conservative. Ricordiamo che una forza si dice conservativa quando il lavoro
fatto da questa per uno spostamento del sistema da una configurazione
iniziale a una finale dipende solo dalle configurazioni di partenza e di arrivo
del sistema, e non dal percorso seguito.
Consideriamo allora una forza F di componenti F x e F y, applicata nel punto
P del sistema. Se la forza è conservativa, il lavoro da essa compiuto per uno
spostamento del punto di applicazione deve corrispondere alla variazione di

193
una funzione U( x,y) (detta potenziale) che dipende solo dalle coordinate x, y
del punto di applicazione della forza. Supponiamo allora che il punto P
subisca uno spostamento infinitesimo d P che lo porta dalla posizione
originaria P ( x,y) alla posizione finale P ( x + dx, y + dy); deve valere la
relazione:

ne deriva quindi che le componenti Cartesiane di una forza conservativa F


corrispondono alle derivate parziali del potenziale:

(6.29)

da questa osservazione si ricava anche la condizione di conservatività della


forza, infatti, poiché per la funzione U( x, y) deve valere:

affinché possa esistere una funzione potenziale che soddisfi la (6.29) occorre
che le componenti Cartesiane della forza F rispettino la condizione:

(6.30)

Per motivi legati al significato fisico della grandezza considerata,


preferiremo nel seguito utilizzare in luogo del potenziale U l’ energia
potenziale V che corrisponde al potenziale cambiato di segno:
(6.31)

per cui valgono le relazioni:

(6.32)

considerando infine che:

194
si ottiene che:

(6.33)
Ricordando la definizione di componente Lagrangiana della forza introdotta
nel Paragrafo 4.5 mediante l’Equazione (4.14), si osserva quindi che la
componente Lagrangiana di una forza conservativa secondo la generica k-
esima coordinata libera può essere ottenuta come la derivata parziale
dell’energia potenziale associata alla forza rispetto alla coordinata libera q k,
cambiata di segno.
È quindi possibile scrivere le equazioni di Lagrange in una seconda forma, in
cui i termini relativi alle forze conservative sono considerati attraverso la
derivata parziale dell’energia potenziale rispetto alla coordinata libera:

(6.34)

mentre Q k indica la componente Lagrangiana relativa alle sole forze non


conservative.
Nello studio del movimento di sistemi meccanici, in particolare nel caso
delle vibrazioni, Capitolo 11 di questo libro, incontreremo in particolare due
tipi di forze conservative: le forze elastiche, per esempio quella generata da
una molla, e le forze gravitazionali. Nel caso di una molla lineare, la forza
elastica F el risulta opposta alla deformazione δ e proporzionale all’entità
della deformazione:

in cui la costante k è detta rigidezza della molla, e il segno negativo è dovuto


al fatto che la forza elastica della molla si oppone all’incremento di
deformazione. L’energia potenziale elastica della molla V el può essere
calcolata a partire dal lavoro L def necessario per portare la molla dalla
condizione indeformata fino alla deformazione δ:

195
Di conseguenza, l’energia potenziale elastica V el della molla risulta essere:

(6.35)
L’energia potenziale gravitazionale V g si può ottenere a partire dal lavoro
L g della forza peso agente sul corpo da una quota di riferimento, indicata
come y = 0 a una quota finale h:

da cui:
(6.36)

6.4.2 Forze dissipative viscose


Un ultimo caso notevole di forza che si vuole trattare in questa sezione
riguarda le forze dissipative viscose. Queste sono tipicamente rappresentate
come proporzionali alla velocità di dilatazione/contrazione di un elemento
detto smorzatore viscoso. Come mostra la Figura 6.3, lo smorzatore reagisce
a una velocità di deformazione che gli viene imposta come una molla
reagisce a una deformazione.
La forza dissipativa di uno smorzatore viscoso può quindi essere definita
dalla relazione:
(6.37)

Figura 6.3 Forza elastica in una molla e forza viscosa in uno


smorzatore.

la componente Lagrangiana di tale forza secondo la k-esima coordinata


liberà Q dk è definita come:

196
(6.38)

Osservando che:

si può scrivere la relazione:

Quindi, definita la quantità:

(6.39)

definita funzione dissipativa dello smorzatore, è possibile riscrivere la


componente Lagrangiana delle forze dissipative come la derivata parziale di
D rispetto alla cambiata di segno. Tenendo conto di questa relazione, è
possibile pervenire a una terza forma delle equazioni di Lagrange:

(6.40)
in cui Q k indica ora la componente Lagrangiana relativa alle sole forze
diverse da quelle conservative e dissipative. Di fatto, in una ampia categoria
di problemi meccanici e in particolare nei problemi di vibrazione che
studieremo, le forze non conservative e non dissipative di cui rimane
necessario scrivere la componente Lagrangiana nella (6.40) si riducono alle
sole forze dipendenti dal tempo.
La (6.40) è in particolare la forma delle equazioni di Lagrange che sarà
utilizzata nel Capitolo 11 per lo studio delle vibrazioni meccaniche.

6.5 Cinetostatica e dinamica dei sistemi meccanici


Alla luce dei concetti introdotti in questo capitolo, è opportuno ritornare sulla
definizione di analisi cinetostatica e dinamica fornita all’inizio di questo
capitolo.

197
Nello studio della dinamica di un sistema meccanico, si possono presentare
due tipi di problema:
• un problema di dinamica diretta, in cui sono date le forze agenti sul
sistema e si vuole ricavare il movimento di questo.
Il sistema di equazioni che permette di risolvere questo tipo di
problema, prende tipicamente la forma di un sistema di equazioni
differenziali, o misto algebrico-differenziale, con dimensione minima
pari al numero n di gradi di libertà del sistema. Le incognite di questo
problema sono i valori istantanei delle coordinate libere del sistema
q 1, q 2, … , q n e le loro derivate prime e seconde rispetto al tempo;
• un problema di dinamica inversa o cinetostatica, in cui è al contrario
assegnato il movimento del sistema e si vogliono determinare le forze
che producono il movimento dato. In questo caso, essendo noti i
valori istantanei delle coordinate libere e delle loro derivate, il
problema si pone nella forma di un sistema di equazioni ordinarie, la
cui dimensione minima è pari al numero di gradi di libertà del
sistema.
In ambedue i casi, alle incognite “di movimento” del problema dinamico
diretto o “di forza” del problema dinamico inverso si aggiungono le
incognite di reazione vincolare. In questa prospettiva, risulta quindi chiara
l’importanza di scrivere per il sistema studiato equazioni “pure di
movimento”, ossia che non coinvolgano incognite di reazione vincolare, in
modo da poter per lo meno disaccoppiare la risoluzione del problema
dinamico diretto/inverso in senso stretto dal calcolo delle reazioni vincolari.
In questa ottica, assumono quindi particolare importanza i metodi
“energetici” per la scrittura delle equazioni di moto del sistema: bilancio di
potenze, PLV, equazioni di Lagrange, che sotto le ipotesi utilizzate in questo
capitolo di vincoli fissi e non dissipativi consentono appunto di ottenere
equazioni pure di movimento.
In questo libro, ci occuperemo prevalentemente di sistemi a un grado di
libertà. Per questo tipo di sistemi, lo schema risolutivo del problema
dinamico è il seguente:
• si sceglie innanzitutto una coordinata libera, in funzione della quale
descrivere il moto del sistema;
• si esprimono i legami cinematici tra la coordinata scelta e le sue
derivate e le quantità cinematiche che definiscono le forze e coppie di

198
inerzia, nonché le velocità dei punti di applicazione di tutte le
forzanti;
• utilizzando un metodo energetico si ottiene l’equazione differenziale
di moto che rappresenta la relazione tra le forze agenti e il movimento
del sistema;
• l’equazione di moto può essere integrata, a partire da assegnate
condizioni iniziali, analiticamente o per via numerica, a seconda dei
casi;
• ottenuta la soluzione, ossia il moto del sistema, è possibile se richiesto
calcolare il valore delle reazioni vincolari ed eventualmente delle
azioni interne di interesse mediante equazioni di equilibrio dinamico.
Per lo stesso tipo di sistema, lo schema risolutivo di un problema
cinetostatico è invece:
• noto l’andamento nel tempo della coordinata del sistema, o in
alternativa il valore istantaneo di tale coordinata e delle sue derivate
prima e seconda, si calcolano tutte le quantità cinematiche che
servono per definire le forze e coppie di inerzia e per la scrittura del
bilancio di potenze;
• utilizzando un metodo energetico si ricava una singola componente di
forza o coppia incognita che consente di realizzare il movimento
assegnato;
• ove richiesto, si calcolano le reazioni vincolari ed eventualmente le
azioni interne di interesse mediante opportune equazioni di equilibrio
dinamico.
La necessità di risolvere un problema differenziale introduce una
significativa difficoltà nella risoluzione di un problema dinamico, soprattutto
nel caso in cui i legami cinematici tra la coordinata libera e le grandezze
cinematiche di interesse siano di tipo non lineare. In questo caso infatti
l’equazione differenziale che descrive il moto assume una forma non lineare
che non consente in generale la risoluzione analitica.
Nel seguito di questo paragrafo si fornisce un esempio di analisi
cinetostatica, con riferimento a un motore alternativo monocilindrico.
L’analisi dinamica dello stesso sistema viene invece affrontata nel Capitolo
9.

199
6.5.1 Analisi cinetostatica di un motore alternativo
monocilindrico
Si consideri un motore monocilindrico a combustione interna, costituito da
un albero motore che porta una manovella di lunghezza a, un corsoio o
pistone che si impegna nel cilindro, e una biella di lunghezza b che collega
l’estremità della manovella al corsoio. All’interno della camera formata dal
cilindro e dal pistone, si ha un andamento variabile della pressione p g,
determinato dall’alternarsi delle fasi di funzionamento del motore, nel caso
di un motore a 4 tempi: aspirazione, compressione, combustione, espulsione
dei gas esausti. Un andamento realistico della pressione p g relativa a quella
atmosferica in funzione della rotazione della manovella α è rappresentato in
Figura 6.4. Sul pistone agisce pertanto la forza F g che rappresenta la
risultante delle pressioni agenti sullo stantuffo pari a:

In questo paragrafo si supporrà poi che sull’albero motore (ossia sulla


manovella) agisca un momento M r di valore incognito opposto alla velocità
angolare

Figura 6.4 Andamento della pressione nel cilindro in funzione


della rotazione della manovella.

dell’albero. Tale momento potrebbe rappresentare l’effetto di un utilizzatore


che applichi alla macchina un momento resistente non noto. Si vuole ora
risolvere il problema cinetostatico, ovvero, determinare il valore del
momento resistente M r essendo assegnato il moto del sistema in termini di

200
posizione angolare α, velocità angolare e accelerazione angolare della
manovella.
Per quanto riguarda le inerzie del sistema, si supporrà che sull’albero motore
sia calettato un volano con momento di inerzia J m e che nel corsoio sia
concentrata una massa m B, mentre la biella viene considerata un corpo
rigido privo di massa. Questa ipotesi, che apparentemente trascura una parte
delle inerzie del sistema, corrisponde in realtà a una rappresentazione
semplificata delle inerzie della biella che vengono riportate in parte alla
manovella e in parte al corsoio. Questo argomento verrà trattato in dettaglio
nel Paragrafo 9.1.
Il sistema considerato è dunque costituito da tre corpi rigidi ed è pertanto
possibile scrivere le equazioni di equilibrio per i tre corpi rigidi, che
costituiscono complessivamente nove equazioni nelle nove incognite
rappresentate dal momento M r e dalle otto componenti di reazione vincolare
complessivamente introdotte dalle cerniere in O, A e B e dal pattino agente
sul corsoio. Le forze attive e reattive agenti sul sistema sono evidenziate
nello schema di Figura 6.6.
La scelta di quale insieme di corpi rigidi prendere in considerazione nella
scrittura delle equazioni di equilibrio dipende dalle grandezze da
determinare. Se per esempio si dovessero calcolare tutte le reazioni vincolari
indicate in figura si potranno scrivere, considerando un solo corpo alla volta,
tre equazioni di equilibrio dinamico rispettivamente per corsoio, biella e
manovella, ottenendo il sistema di equazioni riportato di seguito.

Figura 6.5 Schema cinematico del manovellismo ordinario


centrato.

Figura 6.6 Schema delle forze attive e reattive agenti sul


manovellismo.

201
Corsoio

(6.41)

Biella

(6.42)

Manovella

(6.43)

Il sistema costituito dalle 9 Equazioni scalari (6.41), (6.42) e (6.43) si


presenta determinato nelle 9 incognite: S Ox, S Oy, S Ax, S Ay, S Bx, S By, M B, Φ B
e naturalmente M r.
Nelle Equazioni (6.41)–(6.43) e da qui in avanti nel resto del testo, si indica
in maniera abbreviata con e la proiezione della prima della
(6.9) lungo gli assi coordinati x e y rispettivamente, e con la proiezione
secondo l’asse coordinato z della seconda della (6.9), riferita al polo P. In
tale scrittura, l’asterisco indica che la somma delle forze e dei momenti è

202
estesa a comprendere anche la forza d’inerzia e la coppia d’inerzia agente sul
corpo considerato.
Dal sistema di Equazioni (6.41)–(6.43) si ottengono i seguenti risultati:

(6.44)

Nel caso in cui fosse da calcolare la sola coppia M r il procedimento più


semplice utilizza l’equazione di bilancio delle potenze. La potenza di inerzia
è associata alla forza d’inerzia agente sul corsoio e alla coppia d’inerzia
agente sulla manovella:

La potenza dovuta alle forze attive, associate alla pressione nella camera di
combustione e al momento resistente, è pari a:

in cui il segno negativo è dovuto al fatto che, per ciascuno dei due termini, la
forza (o coppia) applicata al sistema è discorde, secondo le convenzioni
adottate, rispetto alla velocità del suo punto di applicazione. Il bilancio di
potenza risulta pertanto:

da cui:
(6.45)

Ricordando quanto ottenuto dall’analisi cinematica del meccanismo (si veda


il Capitolo 3):
(6.46)

sostituendo nell’Equazione (6.45) e dividendo per il fattore comune , si


ottiene:
(6.47)

che risulta identica alla terza della (6.44) osservando che tan φ = − tan β.

203
ESERCIZI SVOLTI
Gli esercizi proposti in questo capitolo affrontano complessivamente la
cinetostatica di sistemi articolati. Come tali, contengono sia una parte di
cinematica, che si riferisce agli argomenti trattati nel Capitolo 3, sia
l’impostazione del bilancio di potenze e del calcolo delle reazioni vincolari,
che è invece specifica di questo capitolo.

Cinetostatica di un sistema articolato


6.1 Del sistema articolato in Figura 6.7, posto in un piano orizzontale, sono
note: la lunghezza dell’asta AB = 0.5 m, la posizione angolare , la
velocità angolare e l’accelerazione angolare della
manovella, la massa del corsoio m c = 10 kg di semialtezza d = 0.1 m e la
forza applicata F = 1000 N. Si determinino nell’istante di moto considerato:
1. la posizione del punto A rispetto alla cerniera O, la posizione
angolare β dell’asta AB e la posizione del baricentro del corsoio;
2. la velocità di sfilo del pattino, la velocit à angolare dell’asta AB e
la velocit à del baricentro del corsoio;
3. le accelerazioni corrispondenti;
4. la coppia motrice M m necessaria alla realizzazione del moto;
5. le reazioni interne in A;
6. le reazioni vincolari in O.

Risoluzione
Punto 1 Per calcolare le quantità cinematiche richieste dalle domande 1, 2
e 3 è necessario passare attraverso l’equazione di chiusura che risulta essere:

Figura 6.7 Il sistema articolato studiato nell’Esercizio 6.1.

204
Figura 6.8 L’equazione di chiusura del sistema articolato di
Figura 6.7.

che può essere riscritta utilizzando la tecnica dei numeri complessi:

dividendo la parte reale da quella immaginaria e tenendo conto delle seguenti


equazioni dovute ai vincoli:

si ottiene il seguente sistema di due equazioni nelle due incognite a modulo


del vettore AO e c modulo del vettore OD:

da cui risulta a = 0.40 m e c = 0.63 m.


Punto 2 Per calcolare la velocità del corsoio e le velocità angolari delle
aste è necessario derivare sia l’equazione di chiusura sia le equazioni di
vincolo; queste ultime indicano che le velocità angolari di telaio e corsoio
sono nulle e che il pattino, impedendo la rotazione relativa, forza le due
aste ad avere la medesima velocità angolare, cioè che .
La derivata rispetto al tempo dell’equazione di chiusura, con le sostituzioni
indicate, risulta essere:

separando la parte reale da quella immaginaria, si ottiene un sistema di due


equazioni nelle due incognite e :

205
da cui
Punto 3 Per il calcolo delle accelerazioni è necessario eseguire una
ulteriore derivata. Tenendo conto delle relazioni imposte dai vincoli, in
termini di posizione, velocità e accelerazione ( ), si ottiene:

Anche in questo caso, separando parte reale e immaginaria dei numeri


complessi, si ottiene un sistema nelle due incognite e :

da cui risulta che e


Punto 4 Per calcolare la coppia motrice necessaria al moto si utilizza il
bilancio di potenze, da cui risulta essere:

Punto 5 Per calcolare le reazioni vincolari scambiate fra le due aste


attraverso il pattino si considera il sottosistema composto da corsoio e asta
AB. Nello schema seguente sono indicate le forze che agiscono sul
sottosistema preso in considerazione.
L’equazione di equilibrio alla rotazione sul solo corsoio, rispetto al suo
baricentro B, indica che:

in quanto tutte le forze agenti sul corsoio (forza F, azione d’inerzia, reazione
vincolare V B, e le azioni interne che si scambiano nella cerniera B tra
corsoio e biella AB) hanno braccio nullo rispetto al polo B scelto.
Considerando tutto il sottosistema in esame, si possono scrivere gli equilibri
dinamici alla traslazione secondo la direzione orizzontale e verticale, e
l’equilibrio alla rotazione intorno al punto B.

206
da cui risulta che V B = 190.32 N e che V A = 308.0 N.
Punto 6 Per il calcolo delle reazioni vincolari in O si considera il
sottosistema costituito dalla sola asta OA, su di esso agiscono le reazioni
vincolari in O e l’azione V A, trasmessa dalla asta AB. Scrivendo le
equazioni di equilibrio alla traslazione verticale e orizzontale si ottiene:

Figura 6.9 Calcolo delle reazioni vincolari nel pattino fra le due
aste.

Cinetostatica di un manovellismo ordinario centrato


6.2 Nel sistema articolato rappresentato in Figura 6.10, che si muove nel
piano verticale, il solo corsoio è dotato di massa. Considerando costante la
velocità angolare della manovella, si vuole calcolare per la configurazione
( , rad/s e ) mostrata in figura:
1. la velocità del punto A;
2. l’accelerazione del punto A;
3. la velocità del punto B (baricentro del corsoio);
4. l’accelerazione del punto B;

207
5. la coppia motrice M m da applicare alla manovella per realizzare il
movimento assegnato;
6. la reazione vincolare tra biella e corsoio in B;
7. le componenti di reazione vincolare a terra in O.
essendo noti O A = 0.2 m, AC = 0.2 m, AB = 0.6 m m c = 10 kg, F = 1000
N.

Risoluzione
Punto 1 Il vettore ( A − O), manovella del sistema articolato, è
rappresentato dal numero complesso di modulo a e anomalia α:

Derivando la precedente espressione, si ottiene la velocità:

Punto 2 Derivando ulteriormente, si ottiene l’accelerazione del punto A e


ricordando che si ha:

Punto 3 Per calcolare la velocità del baricentro del corsoio è necessario


scrivere l’equazione di chiusura:

Riscrivendo l’equazione di chiusura in termini di numeri complessi e


separando la parte reale e la parte immaginaria si ha che:

Dalla seconda equazione del sistema si ottiene che: da cui


β = 6.045 rad.

Figura 6.10 Il sistema articolato studiato nell’Esercizio 6.2.

208
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene la velocità del baricentro del
corsoio:

Dalla seconda equazione si ottiene il valore di pari a −2.425 rad/s che


sostituito nella prima equazione permette di calcolare , pari a −1.757 m/s.
Punto 4 Per calcolare l’accelerazione del punto B, baricentro del corsoio,
è necessario effettuare una nuova operazione di derivazione dell’equazione
di chiusura:

da cui si ottiene, ricordando che l’accelerazione angolare della manovella è


nulla:

che permettono di determinare l’accelerazione angolare della biella


e l’accelerazione del baricentro del corsoio .
Punto 5 Per calcolare la coppia motrice, necessaria a questa condizione
dinamica di moto, si utilizza il bilancio di potenze, tenendo conto della forza
esterna F, della coppia motrice M m e della forza d’inerzia che agisce sul
corsoio:

209
La coppia necessaria è quindi pari a 308 Nm.
Punto 6 L’asta AB è una biella scarica priva di massa e quindi trasmette
forza solo lungo il suo asse: la Figura 6.11 riporta le forze che agiscono sul
corsoio.
Scrivendo l’equilibrio alla traslazione orizzontale del corsoio, si ottiene
un’equazione nell’unita incognita N B.

Punto 7 Per calcolare le reazioni vincolari a terra in O risulta comodo


considerare la sola manovella, in Figura 6.12 sono evidenziate le forze che
agiscono su di essa. Scrivendo l’equilibrio alla traslazione orizzontale e
verticale si ottiene un sistema di due equazioni nelle due incognite H O e V O:

Figura 6.11 Forze agenti sul corsoio del sistema articolato di


Figura 6.10.

Cinetostatica del glifo oscillante


6.3 Si consideri ora il meccanismo a glifo oscillante di Figura 6.13,
utilizzato per azionare una slitta portautensile. Sulla manovella O 1 A agisce
una coppia M m equiversa alla velocità angolare dell’albero e di valore
incognito. Sulla slitta C di massa m C è applicata una forza F assegnata, che
rappresenta l’effetto di un utilizzatore.

Figura 6.12 Forze agenti sulla manovella del sistema articolato di


Figura 6.10.

210
Considerando trascurabili tutte le inerzie del sistema a eccezione della massa
m C, si calcoli:
1. la coppia motrice M m da applicare alla manovella O 1 A per
realizzare il movimento assegnato;
2. le componenti di reazione vincolare scambiate in B tra il glifo e
l’asta BC.
3. le componenti di reazione vincolare scambiate in A tra la manovella
O 1 A e il corsoio del glifo.
Si osservi che la cinematica di questo sistema è stata risolta nell’Esercizio
3.3. Pertanto, si considereranno nel seguito note tutte le grandezze
cinematiche di interesse.

Risoluzione
Punto 1 La coppia motrice M m può essere calcolata utilizzando il bilancio
di potenze. Nel caso in esame, la potenza delle forze d’inerzia è data dal
prodotto:

L’equazione di bilancio di potenza prende quindi la forma:

da cui si ricava:

Figura 6.13 Il sistema articolato studiato nell’Esercizio 6.3.

211
Figura 6.14 Forze agenti sull’asta BC e sul corsoio di centro C.

Punto 2 Consideriamo la sola asta BC, evidenziando le reazioni vincolari a


essa applicata nelle cerniere in B e in C. Per comodità, descriviamo tali
reazioni in termini delle loro componenti parallele all’asta (rispettivamente
N B e N C per le due estremità) e delle loro componenti perpendicolari
all’asta T B e T C, come mostrato in Figura 6.14 a sinistra. Poiché l’asta non è
soggetta a forze a eccezione delle reazioni vincolari, ed è considerata priva di
massa, e quindi sono nulle la forza e la coppia di inerzia, le quattro
componenti di reazione vincolare dovranno avere risultante nullo e momento
nullo rispetto a un polo qualsiasi, per esempio all’estremo C dell’asta. Ne
risulta facilmente che le due reazioni T B e T C sono nulle, e che le due
reazioni N B e N C sono opposte fra loro (si lascia allo studente lo

212
svolgimento dei semplici calcoli).
La reazione N C può essere facilmente calcolata imponendo l’equilibrio
dinamico del corsoio C in direzione orizzontale. Le forze agenti sul corsoio
sono indicate a destra nella Figura 6.14, in tale schema si è tenuto conto che
per il principio di azione-reazione la reazione vincolare applicata dall’asta
BC sul corsoio è opposta alla reazione applicata dal corsoio sull’asta, e del
risultato precedente che mostra che T C è nulla. Si ottiene:

Punto 3 Per calcolare le reazioni vincolari in A, isoliamo la sola manovella


OA e descriviamo le reazioni in A mediante le forze N A e T A
rispettivamente parallela e perpendicolare alla manovella, come mostrato a
sinistra in Figura 6.15. Notiamo che le equazioni di equilibrio alla traslazione
della manovella non sono utili per calcolare le incognite N A e T A, in quanto
queste equazioni coinvolgono anche le reazioni vincolari incognite H 1 e V 1
applicate alla manovella dalla cerniera fissa in O 1. Scriviamo pertanto
l’equazione di equilibrio dinamico della manovella alla rotazione intorno a
O, che ci consente di calcolare T A:

in cui non compare una coppia di inerzia in quanto si considera trascurabile


l’inerzia della manovella. Per calcolare N A, isoliamo invece il corsoio posto
all’interno del glifo: le forze che agiscono su di esso sono rappresentate a
destra nella Figura 6.15, e si nota che l’equazione di equilibrio secondo la
direzione di scorrimento di questo corpo rispetto al glifo non coinvolge le
reazioni vincolari T G e C G applicate dal glifo sul pattino, mentre in tale
equazione compaiono la reazione T A, nota dal risultato precedente, e la
reazione N A incognita. Tenendo conto che il corsoio è considerato privo di
massa e quindi si annullano la forza e coppia di inerzia e la forza peso, da
questa equazione si ottiene:

Figura 6.15 Forze agenti sull’asta OA e sul corsoio di centro A.

213
214
CAPITOLO 7 Azioni mutue tra elementi di
macchine

7.1 Introduzione
Nel comportamento statico e dinamico di ogni macchina assumono grande
importanza le azioni mutue scambiate tra i diversi elementi che la
compongono e quelle scambiate tra la macchina stessa (o parti di essa) e
l’ambiente circostante. La presente trattazione limita il campo di indagine
alla modellazione delle fondamentali azioni mutue di natura meccanica,
includendo, tra le stesse, le azioni fluidodinamiche. La presenza di moto
relativo (e in particolare di velocità relativa nel punto/area di contatto) tra i
diversi elementi della macchina e tra gli stessi e il fluido al contorno, ha un
ruolo fondamentale nella genesi e conseguente modellazione delle azioni
mutue scambiate. Nel comportamento dinamico delle macchine hanno quindi
una notevole rilevanza:
• le azioni di contatto scambiate tra solidi e gli effetti che ne derivano,
come l’usura delle superfici;
• le azioni scambiate nell’interazione fra solidi e fluidi.

7.2 Il contatto tra solidi


I due principali fenomeni legati al contatto tra solidi sono l’ attrito e l’ usura.
Il primo si manifesta come resistenza o impedimento al movimento relativo
tra le parti a contatto, e costituisce uno svantaggio quando causa perdita di
potenza tra i componenti che devono essere mantenuti in movimento relativo
(attrito nei supporti, nelle tenute, nei vincoli in generale con presenza di
rotolamento e/o strisciamento), in altri casi diventa un fattore essenziale al
funzionamento delle macchine (aderenza nel caso del contatto ruota-rotaia e
pneumatico-strada, organi quali i freni e le frizioni, giunzioni forzate e
bullonate).
L’usura si manifesta invece come una perdita progressiva di materiale dalla
superficie di un corpo, come risultato del moto relativo rispetto a un altro
corpo. L’usura può essere un fattore utile (per esempio nel caso di

215
lavorazioni tecnologiche di finitura) o, come accade in generale, può invece
causare un progressivo degrado dell’accoppiamento tra le parti a contatto.

Figura 7.1 Suddivisione dei contatti dal punto di vista cinematico:


a) rotolamento; b) strisciamento; c) urto.

Essendo la modellazione delle forze di contatto tra solidi fortemente


dipendente dalla cinematica dell’eventuale moto relativo tra gli stessi, è
importante effettuare le seguenti precisazioni essenziali. Dal punto di vista
cinematico, nel contatto tra solidi possiamo distinguere contatti di
rotolamento, di strisciamento e di urto. Facendo riferimento all’esempio di
Figura 7.1, si osservi come nel caso di rotolamento la velocità relativa nel
punto di contatto è nulla, nel secondo caso (strisciamento) è invece presente
una componente di velocità relativa lungo la tangente comune alle superfici
dei due corpi nel punto di contatto, mentre nell’ultimo caso, l’urto, è presente
anche una componente normale non nulla della velocità relativa.
Per quanto riguarda il contatto tra corpi, è anche possibile una classificazione
dal punto di vista geometrico, distinguendo contatti puntiformi, lineari e
superficiali, a seconda che l’ente geometrico in comune tra i solidi a contatto
sia, nell’ipotesi iniziale di corpi indeformabili, un punto (per esempio una
sfera a contatto su un piano), una linea (un cilindro a sezione circolare su un
piano), o un’intera superficie (una faccia di un prisma su un piano).
Si anticipa fin da ora che la trattazione di queste situazioni, considerando
ancora i corpi come rigidi, può essere fatta solo in modo approssimato. La
validità dei risultati ottenuti per tale via è il più delle volte sufficiente agli
scopi nell’ambito ingegneristico. Per ottenere tuttavia informazioni più
dettagliate sulla zona di contatto e sui fenomeni che vi avvengono, è
necessario ricorrere a modelli più complessi, ovvero a modelli a corpi
deformabili.

216
Figura 7.2 Suddivisione dei contatti dal punto di vista
geometrico: a) contatto puntiforme; b) contatto lineare; c) contatto
superficiale. Indicazione qualitativa della superficie di contatto se
si tiene conto della deformabilità dei corpi.

Nella realtà infatti i corpi sono deformabili, e le azioni scambiate tra gli
stessi possono avvenire solo per tramite di pressioni finite, da cui segue che,
anche nei primi due casi della Figura 7.2 il contatto deve avvenire secondo
una superficie (impronta di contatto), la cui forma e dimensione dipende
dalla geometria delle superfici, dalle caratteristiche elastiche dei corpi e dalle
azioni applicate sugli stessi. Ne segue in particolare che, nel caso di corpi
deformabili, la effettiva cinematica del contatto di rotolamento dovrà essere
opportunamente modellata con maggiore dettaglio.

7.2.1 Attrito nei solidi a contatto


Si definisce attrito la resistenza al moto relativo che si manifesta quando un
corpo striscia su un altro. Tale azione di resistenza agisce secondo una
direzione e un verso definiti dal vettore velocità relativa nel punto di
contatto, come in seguito illustrato in termini quantitativi, ed è indicata come
forza di attrito. La forza di attrito necessaria a iniziare un moto di
strisciamento a partire da uno stato di quiete è detta forza di attrito statico,
mentre quella necessaria a mantenere il moto di strisciamento tra due corpi
già in moto relativo è detta forza di attrito dinamico (o radente). La forza di
attrito dinamico è in generale inferiore, in modulo, a quella di attrito statico.
Per giustificare la nascita delle forze di attrito statico e dinamico, è possibile
utilizzare un modello microscopico del contatto: come noto, le superfici dei
corpi reali presentano, con livelli più o meno accentuati, delle rugosità

217
superficiali, anche se all’apparenza possono sembrare perfettamente lisce.
Quando due solidi sono premuti uno contro l’altro (Figura 7.3), i contatti
avvengono in realtà solo in corrispondenza dei picchi delle superfici
irregolari: in tali zone si creano delle adesioni a livello molecolare (micro-
saldature).
Consideriamo il semplice esempio di Figura 7.3; sia F una forza applicata al
corpo (1) in direzione parallela al piano d’appoggio dello stesso al corpo (2)
(per esempio il terreno), e si supponga che tale forza sia crescente nel tempo.
Il corpo (1) sia anche soggetto a una forza P costante (per esempio dovuta al
peso) agente in direzione ortogonale al piano d’appoggio. Dapprima il corpo
rimane in stato di quiete, in quanto le micro-saldature impediscono lo
scorrimento.

Figura 7.3 Contatto tra solidi in presenza di attrito: a) forze


agenti; b) componenti di reazione vincolare.

A livello macroscopico, tale effetto si manifesta come una reazione


tangenziale T 1, parallela al piano d’appoggio, la cui direzione e il cui verso
sono imposti dalla condizione di equilibrio statico del corpo (1), ovvero T 1
= − F. Finché la forza F ha modulo sufficientemente piccolo, la reazione
tangente resa disponibile dal fenomeno dell’attrito (forza di attrito statico)
equilibra la forza esterna agente, rendendo possibile la condizione di
equilibrio statico del corpo (1). Al crescere del modulo della forza F, si
raggiunge tuttavia una situazione in cui le micro-saldature presenti tra i due
corpi si rompono, e inizia lo scorrimento relativo tra i due corpi. In tale
situazione i due corpi si scambieranno sempre una forza d’attrito (forza di
attrito dinamico), in genere diversa da quella scambiata in condizioni

218
statiche, e tale forza concorrerà insieme alle forze esterne e alle forze
d’inerzia alla definizione delle nuove condizioni di equilibrio dinamico del
corpo (1). Il comportamento sopra descritto può essere riassunto nelle leggi
dette “di Coulomb” sull’attrito statico e sull’attrito dinamico, di cui si tratterà
nei paragrafi seguenti.

7.2.2 Attrito statico (condizione di aderenza)


Il modello di attrito statico (o di aderenza) può essere riassunto nello schema
di Figura 7.4. In estrema sintesi, assegnato il coefficiente adimensionale f s
detto coefficiente di attrito statico, la condizione di aderenza ovvero di
assenza di velocità relativa tra le superfici dei due corpi a contatto potrà
essere mantenuta purché la reazione R scambiata tra gli stessi si mantenga
interna al cono d’attrito di semi-apertura α s ( angolo limite di attrito statico),
avendo definito:
(7.1)

In altri termini, con riferimento alle componenti tangenziale T e normale N


della reazione vincolare R, il modello Coulombiano dell’attrito statico (o di
aderenza) è rappresentato dalla seguente disuguaglianza:

Figura 7.4 Modello Coulombiano di attrito statico: condizione di


aderenza coincidente con reazione vincolare R interna a cono
d’attrito.

219
(7.2)

Si sottolinea che la (7.2) non è un’equazione, ma una disuguaglianza e non


potrà quindi essere mai utilizzata per il calcolo degli effettivi valori assunti
dalle reazioni nei problemi di aderenza ovvero di attrito statico. Per tali
problemi, le componenti normale e tangenziale delle reazioni vincolari N e
T, verranno infatti calcolate tramite gli usuali sistemi di equazioni di
equilibrio statico (o dinamico, per esempio nel caso di condizione di
aderenza al contatto ruota terreno nell’ipotesi di moto vario e di rotolamento
senza strisciamento). A valle di tale calcolo, che fornirà per le reazioni
vincolari N e T valori dipendenti solo dalle condizioni di carico del sistema,
le reazioni N e T esplicitamente calcolate dovranno essere sottoposte a
verifica tramite la disuguaglianza (7.2). Se la (7.2) è soddisfatta, allora è
verificata la condizione di aderenza, ovvero è corretta l’ipotesi di assenza di
moto relativo tra le due superfici a contatto, e i valori delle reazioni N e T
calcolati mediante le equazioni di equilibrio (statico o dinamico) del sistema,
sono quelli effettivamente presenti nel caso in oggetto. Si sottolinea infine
che, nell’ipotesi di validità del modello di attrito statico coulombiano
espresso dalla (7.2), la massima componente di forza tangente scambiata tra i
due corpi non dipende dall’estensione delle superfici a contatto, ma solo
dall’entità della componente di forza normale e dal coefficiente
adimensionale f s, assunto in genere costante. Tale coefficiente
adimensionale, detto coefficiente di attrito statico o coefficiente di aderenza,
è infatti in prima approssimazione indipendente dall’estensione della
superficie nominale di contatto e dal carico normale applicato, ovvero è solo
funzione della coppia di materiali a contatto.

Esempio 7.1 Aderenza su un piano inclinato

In Figura 7.5 è rappresentato un corpo di massa M appoggiato a una guida inclinata di


un angolo regolabile α: ipotizzando che tra corpo e guida ci sia attrito caratterizzato
da un coefficiente di aderenza f s, si propone di calcolare la condizione limite di
aderenza per l’angolo di inclinazione α della guida. Scrivendo le equazioni di
equilibrio statico, si ottiene:

220
(7.3)

da cui:

(7.4)

La condizione di equilibrio statico è garantita se è verificata la seguente


diseguaglianza:
(7.5)

ovvero:
(7.6)

da cui segue in sintesi, con riferimento alla 7.1 la condizione seguente:


(7.7)

ovvero il corpo permane in aderenza purché l’angolo di inclinazione α della guida sia
inferiore ad α s angolo limite di attrito statico di cui alla Figura 7.4.

Figura 7.5 Aderenza su piano inclinato.

7.2.3 Attrito dinamico


Con riferimento sempre allo schema elementare di Figura 7.3, nel caso in
cui, a partire da una condizione di assenza di moto relativo tra i due corpi la
condizione (7.2) non fosse più soddisfatta, ovvero la reazione tangente
richiesta fosse maggiore di quella massima sviluppabile al contatto per
effetto del coefficiente di aderenza disponibile f s, allora si avrebbe l’innesco
del moto relativo di strisciamento. La condizione di cui sopra, ovvero ogni
altra condizione in cui sia imposto moto relativo tra due corpi a contatto con

221
conseguente strisciamento nel punto (o superficie) di contatto (in presenza
ovviamente di una azione di contatto normale scambiata tra i due corpi),
viene adeguatamente modellata mediante la legge Coulombiana di attrito
dinamico illustrata nel seguito.
La Figura 7.6 illustra con una certa generalità la tipica condizione in cui
possono trovarsi due corpi che si scambiano forze di contatto in presenza di
moto relativo di strisciamento. La presenza di eventuali componenti di
velocità ortogonali al piano di scorrimento, non altera lo schema in quanto
tali velocità, se presenti, devono essere identiche per i due corpi onde evitare
distacco o urto. Analogamente, le velocità V 1 e V 2 possono essere
sghembe, pur mantenendosi parallele al comune piano tangente tra i corpi. Si
intende che valgano le seguenti ovvie relazioni e definizioni inerenti
l’equilibrio del corpo (1), il principio di azione e reazione, e il vettore
velocità relativa V 2-1 tra i due corpi osservata da un osservatore posto sul
corpo (1):

Figura 7.6 Modello Coulombiano di attrito dinamico: generica


situazione di due corpi che si scambiano forze di contatto in
presenza di moto relativo di strisciamento.

(7.8)
(7.9)

(7.10)

Avendo indicato con f d il coefficiente di attrito dinamico (o radente)

222
caratterizzante i due corpi a contatto, la legge Coulombiana di attrito
dinamico afferma che, in presenza di moto relativo tra i due corpi (1) e (2), la
forza di contatto tangente è modellata dalla seguente equazione:

(7.11)

Si sottolinea quindi la fondamentale differenza rispetto al caso di attrito


statico: la (7.11) è un’equazione (non più una diseguaglianza come nel caso
di attrito statico) e come tale è a tutti gli effetti una delle equazioni da
includere nel calcolo della dinamica del sistema meccanico in oggetto. In
particolare la (7.11) afferma che il modulo della forza tangente scambiata tra
i due corpi a contatto è pari a una frazione f d del modulo dell’azione di
contatto normale, ovvero vale:
(7.12)

Il modello dell’attrito dinamico espresso dalla (7.11) afferma tuttavia anche


che, nel caso di presenza di moto relativo tra due corpi, direzione e verso
della forza tangente scambiata sono note e sono imposte dal versore della
velocità relativa u 2-1:

(7.13)

Allo scopo di fissare le idee su un esempio elementare, è chiaro che, nel caso
in cui la velocità del corpo (2) sia nulla V 2 = 0 ne segue che il corpo (1) sarà
soggetto a una forza T 1 diretta in verso opposto rispetto alla velocità V 1 del
corpo stesso ovvero tale da “opporsi” al moto dello stesso, come è in uso
affermare nel linguaggio tecnico corrente. È tuttavia anche utile allo stesso
modo osservare che, nel caso in cui il corpo (1) sia fermo (ovvero sia V 1 =
0), l’effetto dell’attrito dinamico è ovviamente quello di “trascinare” il corpo
stesso mediante una forza tangente T 1 avente la stessa direzione e lo stesso
verso della velocità V 2 del corpo (2), unico responsabile dello strisciamento
nel contatto tra i due corpi. Si conclude osservando che, nel caso entrambi i
corpi siano in moto, l’unico modo per decidere quale siano direzione e verso
della forza d’attrito tangente è effettuare il calcolo della velocità di
strisciamento nel punto di contatto, ovvero applicare l’espresione vettoriale
(7.11). In sintesi il modello dell’attrito dinamico è rappresentato
correttamente dalla (7.11) e non dalla (7.12) che, pur rappresentando

223
correttamente il modulo della forza tangente non fornisce la fondamentale
informazione inerente il versore di tale forza. Con riferimento sempre alla
Figura 7.6, si considerino ora le implicazioni energetiche del modello di
attrito dinamico Coulombiano, scrivendo la potenza delle forze di contatto
N 1, T 1, N 2 T 2 per una qualunque situazione di moto del sistema, ovvero
per un qualunque valore delle velocità V 1 e V 2 dei due corpi, purché
compatibili con la condizione di strisciamento tra gli stessi. Senza togliere
generalità al problema, è sufficiente considerare velocità V 1 e V 2
appartenenti al piano tangente comune di strisciamento tra i due corpi, in
quanto eventuali componenti di velocità normali allo stesso dovrannno
necessariamente essere uguali per i due corpi allo scopo di evitare condizioni
di urto o distacco tra gli stessi. Tali componenti uguali di velocità normali al
piano di strisciamento daranno infine luogo a potenza nulla, essendo per il
principio di azione e reazione N 2 = – N 1, e non lavorando ovviamente sulle
componenti tangenti T 1 e T 2 a esse ortogonali. Ne segue quindi che la
potenza delle forze di contatto è con tutta generalità espressa dalla relazione
seguente:
(7.14)

Ne segue, con riferimento alla (7.11), che la potenza delle forze di contatto
associate al modello di attrito dinamico Coulombiano è espressa dalla
seguente relazione:

(7.15)

Si nota che il modello di attrito dinamico Coulombiano è dissipativo, ovvero


la potenza delle forze di contatto da esso implicate è sempre negativa e pari
in valore assoluto al prodotto tra il coefficiente di attrito dinamico f d, la
forza normale scambiata tra i corpi e la velocità relativa di strisciamento tra
gli stessi. È opportuno osservare che le (7.11) e (7.15) sono valide per vincoli
sia monolateri sia bilateri.
Come già osservato nei paragrafi introduttivi e sinteticamente illustrato in
Figura 7.2, la realtà del contatto tra solidi vede l’azione scambiata tra i due
corpi distribuita su un’area di contatto di dimensione finita e sotto la forma
non di “forze” bensì di “sforzi”. La possibilità che il moto relativo tra i due
corpi non sia traslatorio implica, inoltre, che la velocità di strisciamento

224
possa essere rappresentata da vettori differenti nei diversi punti appartenenti
all’area di contatto. Ne segue di conseguenza che, allo scopo di modellare
adeguatamente le azioni scambiate tra i due corpi in termini di integrali delle
effettive corrispondenti distribuzioni di sforzi, sarà necessario utilizzare un
modello Coulombiano di attrito formulato in termini locali come illustrato
nel seguito. In Figura 7.7 si rappresentano gli sforzi normale σ( P) e tangente
τ ( P) agenti sull’elementino di superficie d A funzioni del punto ( P)
appartenente all’area di contatto d A del corpo (1). Lo sforzo tangente τ ( P)
ha direzione e verso associati alla velocità locale di strisciamento nel punto
di contatto in oggetto, come descritto dal modello locale di attrito
Coulombiano di cui all’Equazione (7.16):

(7.16)

Figura 7.7 Modello di attrito dinamico: formulazione locale per


distribuzione di sforzi e distribuzione di velocità relative

Analogamente a quanto già visto in termini finiti per le “forze”, è possibile


formulare la potenza dissipata localmente dagli “sforzi” d’attrito a carico
dell’areola d A nel modo seguente:
(7.17)

Si forniscono ora alcune precisazioni in merito al parametro adimensionale


f d che, come già precedentemente ricordato, prende il nome di coefficiente
di attrito dinamico o radente. Analogamente a quanto già discusso per il

225
coefficiente di attrito statico f s, in prima approssimazione f d non dipende
dall’estensione dell’area di contatto, ma solo dalla natura della coppia di
materiali a contatto, includendo in essa anche le caratteristiche di finitura
delle superfici a contatto. Valori indicativi dei coefficienti di attrito nel caso
di un accoppiamento tra acciaio e acciaio o altri materiali sono riportati nella
Tabella 7.1, in caso di superfici asciutte.
Tabella 7.1 Coefficienti di attrito statico e dinamico per diversi
accoppiamenti tra i materiali, nel caso di superfici asciutte.
Coppia materiali (superfici pulite e asciutte) fs fd
acciaio / PTFE 0.15 0.04 ÷ 0.08
acciaio / acciaio 0.6 ÷ 0.8 0.2 ÷ 0.4
acciaio / nylon 0.4 0.35 ÷ 0.4
acciaio / bronzo 0.35 0.3
acciaio / ferodo 0.5 0.4
pneumatico / strada 0.8 ÷ 1.1 0.6 ÷ 0.9

Si osservi che i valori, pur se indicativi, possono variare di un ordine di


grandezza in funzione della coppia di materiali considerati. Si fa a questo
proposito solo un cenno al fatto che l’introduzione tra i due corpi a contatto
di un eventuale “terzo corpo”, quale concettualmente può essere considerato
un lubrificante (di qualunque natura esso sia, solida o liquida), cambia
drasticamente la natura del contatto e ovviamente anche il valore del
coefficiente di attrito. Si riportano nella Tabella 7.2, solo a titolo di esempio,
alcuni valori dei coefficienti di attrito nel caso di accoppiamenti in presenza
di “lubrificazione limite”, ovvero di assenza di qualsiasi meccanismo che
coinvolga l’idrodinamica del lubrificante.
Tabella 7.2 Coefficienti di attrito statico e dinamico per diversi
accoppiamenti tra i materiali, nel caso di superfici con lubrificazione
limite
Coppia materiali (lubrificazione limite) fs fd
acciaio / acciaio 0.1 ÷ 0.2 0.1 ÷ 0.2
acciaio / nylon – 0.06 ÷ 0.1
acciaio / metallo bianco 0.12 0.05 ÷ 0.1

226
Si sottolinea, infine, che l’ipotesi di prima approssimazione di indipendenza
del valore del coefficiente di attrito dinamico f d dal valore della velocità
relativa di strisciamento V 2−1 è in genere verificata solo per valori della
stessa superiori a una certa soglia. In particolare, la Figura 7.8 mostra il
tipico andamento della funzione f d( V 2−1) per un accoppiamento tra materiali
metallici. Sull’asse V 2−1 = 0 sono indicati i valori f s e f d conformi all’usuale
condizione f s > f d. La funzione f d( V 2−1) dopo un tratto a vistosa pendenza
negativa ha tipicamente un minimo e tende asintoticamente al valore f d con
pendenza positiva. Considerazioni inerenti la dinamica dei sistemi
meccanici, avendo rimosso l’ipotesi di indeformabilità dei componenti
meccanici, ovvero considerandone le effettive rigidezze, mostrano la
possibile criticità della zona a bassissima V 2−1 caratterizzata dalla
condizione:

(7.18)

in quanto possibile causa di fenomeni di instabilità dinamica nel moto


relativo di strisciamento dei due corpi a contatto, ovvero della possibile
insorgenza di vibrazioni di rilevante ampiezza (Capitolo 11).
Si osservi infine, che è possibile utilizzare per problemi monodimensionali
una scrittura algebrica dell’Equazione di attrito (7.11) nella forma seguente:
(7.19)

attribuendo alla funzione f d( V 2-1) il ruolo di assegnazione del segno alla


forza tangente T 1 in funzione del verso della velocità di strisciamento V 2-1.
In tal caso il diagramma completo di tale funzione è rappresentato in Figura
7.9, mostrando la pesantissima nonlinearità nell’intorno del valore nullo di
velocità

Figura 7.8 Coefficiente di attrito dinamico f d: tipico andamento a


bassa velocità di strisciamento e tipica dipendenza dalla stessa

227
Figura 7.9 Coefficiente di attrito dinamico f d: tipico andamento a
bassa velocità di strisciamento e tipica dipendenza dalla stessa.

di strisciamento, dove variazioni piccolissime di velocità di strisciamento tali


da invertirne il segno, sono causa di grandissime variazioni di forza di
contatto (ovvero dell’inversione del segno della stessa), determinando ancora
possibili problemi dinamici di importanti vibrazioni meccaniche nei sistemi
che si trovino a operare in tali condizioni.

Esempio 7.2 Strisciamento su un piano inclinato in


presenza di attrito

Con riferimento al sistema di Figura 7.10, se si ipotizza che il corpo si stia muovendo
verso il basso con velocità V e accelerazione a, le equazioni di equilibrio dinamico

228
risultano:

(7.20)

avendo indicato con a l’accelerazione del corpo. A tali equazioni viene messa a
sistema anche l’Equazione (7.11), permettendo così di ricavare il valore
dell’accelerazione:

(7.21)

che risulta minore rispetto al caso in cui l’attrito è assente. Dal punto di vista
energetico, il calcolo della potenza dissipata per attrito radente, coerentemente con
l’Equazione (7.15) porta alla seguente relazione:
(7.22)

Figura 7.10 Scorrimento in discesa su un piano inclinato.

7.2.4 Contatto di rotolamento


Il più semplice modello del contatto tra una ruota e il vincolo sul quale
questa rotola, fa ancora riferimento al modello di attrito Coulombiano.
Come illustrato in Figura 7.11, in tale approccio la ruota e il vincolo sono
modellati come rigidi, e pertanto si assume che essi vengano a contatto su un
segmento la cui traccia nel piano è il singolo punto P′. Si ipotizza poi che in
tale punto non avvenga strisciamento tra i due corpi se risulta verificata la
relazione di Coulomb (7.23):
(7.23)

in cui | T 1| e | N 1| sono i moduli delle componenti rispettivamente normale e


tangenziale della forza di contatto, e f s è il coefficiente di attrito statico tra i
due corpi. In questo caso il punto di contatto è anche centro di istantanea
rotazione, in quanto il vincolo è dotato di velocità nulla e la velocità V G del

229
centro ruota è espressa dalla relazione:
(7.24)
che corrisponde come ben noto al vincolo di puro rotolamento. Allo scopo di
chiarire il tipico procedimento di calcolo e verifica da adottare in caso si
supponga che la ruota rotoli senza strisciare, in Figura 7.11 è rappresentata la
ruota di massa m e momento d’inerzia polare baricentrico J G, caricata in
modo generico, ovvero oltre che dalla sua forza e coppia d’inerzia F in =
– m a G e C in = – JG , anche da forze e coppie esterne, tipicamente una
forza verticale F V (inclusiva della forza di gravità della ruota stessa e dei
carichi provenienti dal veicolo), una forza orizzontale F H (tipicamente
proveniente dal veicolo) e un momento torcente M m (tipicamente la coppia
motrice o frenante in funzione del ruolo assunto dalla ruota nel caso in
esame). È evidente che le reazioni

Figura 7.11 Contatto di rotolamento.

vincolari T 1 e N 1 devono essere calcolate mediante le equazioni di


equilibrio dinamico della ruota. Una volta calcolato il valore di T 1 e N 1 si
utilizzerà quindi come verifica l’Equazione (7.23): se soddisfatta, i valori
calcolati sono corretti e l’ipotesi di rotolamento senza strisciamento è

230
corretta. In caso contrario, ovvero se l’azione tangenziale richiesta superasse
il limite di aderenza, il legame (7.24) tra la velocità del baricentro V G e la
velocità angolare della ruota Ω non è più valido e nasce una velocità di
strisciamento tra i due corpi (il sistema vede nascere un grado di libertà
aggiuntivo in quanto viene meno il legame cinematico lineare tra rotazione
della ruota e avanzamento del suo asse baricentrico G). Nel caso non sia
soddisfatta la verifica di aderenza (7.23), sarà necessario ricalcolare gli
effettivi valori delle forze di contatto, includendo tra le equazioni anche
l’equazione di attrito Coulombiano valida in caso di moto relativo tra i due
corpi (l’accelerazione angolare della ruota e l’accelerazione del suo asse
baricentrico G saranno in questo caso variabili indipendenti):

(7.25)

ovvero per i moduli:


(7.26)
Si osservi che il verso della forza tangente è come noto assegnato dalla -
velocità relativa tra i due corpi.

7.2.5 Resistenza al rotolamento (attrito volvente)


Con il termine resistenza al rotolamento o, spesso, con il termine improprio
di attrito volvente, si definisce la resistenza incontrata da un corpo che rotola
senza strisciare macroscopicamente sulla superficie di un altro corpo.
L’esperienza mostra infatti che per mantenere una ruota in moto a velocità
costante su un piano orizzontale, anche in assenza di resistenze di altra
natura, è necessario comunque applicare delle azioni motrici, seppur piccole,
realizzate tramite coppie applicate alle ruote o forze spingenti al centro ruota.
Dal punto di vista energetico, si può affermare che tale esempio vede un
ingresso netto di potenza meccanica verso il “sistema ruota” e un’uscita netta
nulla dallo stesso (moto a velocità costante su piano orizzontale). Ne segue
che la potenza spesa per mantenere in moto a velocità costante la ruota sarà
tutta utilizzata da un meccanismo dissipativo associato al rotolamento. In
varie applicazioni in campo ingegneristico, la potenza dissipata associata al
rotolamento non può essere trascurata e viene quindi adeguatamente
modellata mediante il modello di attrito volvente nel seguito illustrato. Si
propone inizialmente una spiegazione fisica qualitativa del fenomeno

231
appoggiata al comportamento isteretico dei materiali. In realtà una corretta
modellazione del fenomeno è molto complessa, dovendo includere nello
schema di calcolo la deformabilità dei corpi e lo stato di deformazione
triassiale degli stessi in prossimità dell’area di contatto. Il modello di attrito
volvente proposto consentirà invece di mantenere la tipica modellazione a
corpi rigidi della trattazione fin qui proposta. Abbandonata quindi
momentaneamente l’ipotesi di corpo rigido, si consideri un disco premuto
contro una superficie piana e si assuma che la deformabilità del disco sia
molto maggiore di quella della superficie, considerata ancora rigida. Non vi
sarà più una linea di contatto, la cui traccia nel piano del moto è il punto di
contatto, ma una superficie di forma approssimativamente rettangolare
(impronta di contatto). Nell’ipotesi di ruota ferma, ovvero di assenza di
rotolamento, e supponendo la ruota caricata da una forza verticale F V
passante per l’asse baricentrico e da una coppia M m equilibrata da una
opportuna distribuzione di sforzi tangenti sull’impronta, come illustrato in
Figura 7.12, per semplici considerazioni di simmetria, ovvero in base alla
teoria di Hertz [6] applicata al caso di contatto tra superfici non conformi, sia
la distribuzione delle deformazioni che la distribuzione delle pressioni
nell’area di contatto risultano simmetriche, di forma ellittica, con il massimo
in corrispondenza della mezzeria dell’impronta (Figura 7.12).
Con riferimento ora alla Figura 7.13 si consideri invece una ruota sempre
caricata da una sola forza verticale passante per l’asse baricentrico della
stessa, ma soggetta a rotolamento senza strisciamento. Si può giustificare
intuitivamente che durante il movimento della ruota un punto della superficie
del disco occuperà successivamente le posizioni P 1, P 2, …, P 5, dando
luogo a deformazioni di compressione crescenti dal bordo di attacco ( P 1-
P 3) fino alla mezzeria dell’impronta, e decrescenti con la stessa modalità dal
centro al bordo di uscita ( P 3- P 5). Si accetta, quindi, che la distribuzione
delle deformazioni a carico del materiale della ruota in corrispondenza
all’impronta di contatto, si mantenga simmetrica come proposto
successivamente in Figura 7.14. Per quanto riguarda invece le pressioni, se si
facesse riferimento a un materiale elastico (per maggiore semplicità si fa
riferimento a un materiale elastico lineare) per il quale vale la legge di Hooke
di proporzionalità tra pressione σ e deformazione є, il ramo della curva σ – є
nella fase di carico (1–3) si ricoprirebbe con quello della fase di scarico (3-5)
(Figura 7.13b), dando luogo quindi ancora a una distribuzione di pressioni
simmetrica al pari della distribuzione di deformazioni.

232
Figura 7.12 Area di contatto e distribuzione delle pressioni in
quiete.

Figura 7.13 Ciclo di carico con materiale elastico lineare e


isteretico: a) posizioni all’interno dell’impronta di contatto, b)
materiale elastico lineare, c) materiale con isteresi.

Supponendo invece che il materiale abbia comportamento anelastico, ovvero


dia luogo, nella fase di carico e scarico, a un ciclo di isteresi come illustrato
in Figura 7.13c ovvero a valori di pressione σ più elevati (a pari
deformazione) nella fase di carico e più bassi in quella di scarico, ne segue
che necessariamente la distribuzione di pressioni sull’impronta di contatto
risulterà dissimmetrica come illustrato in Figura 7.14. Sono opportune alcune
precisazioni: il comportamento isteretico del materiale necessariamente

233
vedrà sempre il ramo a deformazioni crescenti caratterizzato da valori di
pressione maggiori di quello a deformazioni decrescenti, infatti l’area
racchiusa dal ciclo rappresenta l’energia in ingresso verso il materiale per
unità di volume in un ciclo di carico-scarico e tale energia deve
necesariamente essere positiva, ovvero il materiale deve necessariamente
essere dissipativo (o al più neutro nel caso elastico). L’energia per unità di
volume che caratterizza il ciclo d’isteresi può essere interpretata come la
differenza tra l’energia meccanica accumulata per unità di volume nella fase
di carico, e quella restituita nella fase di scarico. L’energia meccanica che
non viene restituita rappresenta l’energia perduta che, se integrata su tutta la
porzione di disco interessata dalla deformazione, rappresenta l’energia
complessivamente dissipata, uscente dal sistema “degradata” da energia
meccanica a energia termica (calore).

Figura 7.14 Distribuzione delle deformazioni e delle pressioni al


contatto nel caso di materiale con ciclo di isteresi.

Risulta evidente che un calcolo della potenza dissipata effettuato


rappresentando in dettaglio il fenomeno fisico sopra descritto sarebbe, oltre
che molto oneroso, anche impreciso, per la presenza di molti parametri
difficilmente misurabili. Si ricorre allora a uno schema interpretativo
semplificato, ovvero a un modello meccanico detto modello di attrito
volvente in grado di riprodurre adeguatamente il fenomeno dissipativo
globale a carico del contatto di rotolamento ruota-terreno nel caso di veicoli
terrestri, o ruota rotaia nel caso di veicoli ferroviari. Per una più puntuale
illustrazione di quanto detto, con riferimento alle Figure 7.13c e 7.14, si

234
osservi che a parità di deformazione, su due punti omologhi dell’impronta di
contatto (per esempio P 2 e P 4), si hanno due differenti pressioni, maggiore
nella porzione anteriore dell’impronta di contatto (corrispondente alla fase di
carico del materiale) e minore nella parte posteriore dell’impronta
(corrispondente alla fase di scarico). Ne consegue che il diagramma delle
pressioni risulta dissimmetrico rispetto alla mezzeria dell’impronta, con
pressioni più elevate nella porzione “anteriore”, ovvero di “ingresso”, del
materiale verso la zona di contatto. La risultante delle pressioni non sarà,
quindi, più passante per il centro del disco ma si collocherà a una distanza u
dal centro della ruota nel verso del moto di avanzamento relativo tra disco e
terreno (o, in modo equivalente, è rappresentata da una forza passante per il
centro del disco e una coppia di trasporto N · u).
Avendo definito con R il raggio di rotolamento della ruota, con f v il
coefficiente di attrito volvente e con u l’avanzamento del punto di
applicazione della reazione normale rispetto al centro di istantanea rotazione
della ruota, ovvero uno spostamento verso la zona di “ingresso” del materiale
nell’impronta di contatto, il modello di attrito volvente si può semplicemente
definire mediante la relazione seguente:
(7.27)

Secondo il modello proposto, indipendentemente dal valore del carico


normale, l’avanzamento della reazione normale è semplicemente
proporzionale al raggio di rotolamento, tramite il coefficiente adimensionale
f v. Il vero significato del modello è peraltro energetico e l’eventuale
definizione sperimentale del valore del coefficiente f v viene effettuata
misurando la potenza dissipata globalmente dalla ruota soggetta a un carico
normale, per effetto del rotolamento. La Figura 7.15 permette di valutare in
modo elementare le implicazioni energetiche del modello proposto. Si
supponga, infatti, di voler mantenere in moto su un piano orizzontale, con
velocità uniforme, una ruota caratterizzata da coefficiente di attrito volvente
f v: si può optare per applicare una coppia oppure una forza orizzontale
all’asse, come mostrato rispettivamente in Figura 7.15 a) e b).
Nel caso a) è immediato calcolare i seguenti valori:

(7.28)

235
Figura 7.15 Possibili condizioni di carico per una ruota soggetta
ad attrito volvente e in moto con velocità costante su un piano: a)
coppia motrice, b) forza spingente.

Nel caso b) è altrettanto immediato calcolare i seguenti valori:

(7.29)

In entrambi i casi la potenza spesa per mantenere in moto a velocità costante


la ruota, ovvero la potenza dissipata per isteresi nel rotolamento vale:

(7.30)

ovvero:
(7.31)

L’Equazione (7.31) è di validità generale, anzi, come già detto, fornisce la


modalità operativa per misurare il coefficiente di attrito volvente e afferma in
sintesi che, per effetto del rotolamento e del fenomeno dissipativo di natura
isteretica noto come attrito volvente, la potenza dissipata è proporzionale,
tramite il coefficiente f v, al modulo della forza normale di contatto e alla
velocità relativa di avanzamento dell’asse della ruota rispetto alla guida
(supposta piana). Si sottolinea che si ha rotolamento e quindi dissipazione

236
solo se c’è moto relativo tra disco e guida, quindi, nel caso di guida mobile,
la velocità da introdurre nella (7.31) è ovviamente una velocità relativa letta
da un osservatore solidale alla guida. Nel caso di guida curvilinea, la velocità
da prendere in considerazione sarà invece la velocità di avanzamento del
punto di contatto lungo la guida, ovvero la velocità con cui si sposta lungo la
guida il centro di istantanea rotazione del moto relativo disco-guida. Si
osserva, infine, che nel caso di Figura 7.15(b) dalla (7.29) si calcola che vale
(singolarmente!) | T 1| = | N 1|. f v e che peraltro nel caso di Figura 7.15(a)
risulta invece | T 1| = 0. Ovviamente il valore assunto dalla forza tangente
scambiata tra ruota e terreno sarà differente di volta in volta in funzione di
quanto richiesto al vincolo dalle modalità di carico e di utilizzo della ruota.

Figura 7.16 Contatto di rotolamento con presenza di attrito


volvente: interpretazione cinematica equivalente finalizzata al
calcolo della potenza dissipata.

Si conclude questa analisi del modello dell’attrito volvente osservando che,


secondo lo schema di Figura 7.16, si potrebbe dare una interpretazione
cinematica equivalente al calcolo della potenza dissipata per attrito volvente.
Supponendo infatti idealmente che la ruota rotoli senza strisciare intorno al
punto P′ e che la reazione verticale N 1, avanzata di u rispetto all’asse
passante per P′, risulti idealmente applicata alla ruota in P″. Il calcolo della
potenza messa in gioco da tale forza, il cui punto di applicazione è dotato di
velocità non nulla V P″, porta evidentemente alla stessa Equazione (7.31),
confermando la coerenza del modello dissipativo di attrito volvente proposto.
Come già accennato, si ricorda in conclusione che il coefficiente di attrito
volvente f v viene determinato sperimentalmente mediante apposite macchine
di prova o trascinando la ruota su strada; in entrambi i casi si misura la

237
potenza meccanica necessaria a mantenere il moto a regime, la quale
uguaglia l’energia dissipata per effetto del meccanismo isteretico associato al
rotolamento. Si riportano infine alcuni valori caratteristici del coefficient f v:

(7.32)

per un contatto pneumatico-strada, e:


(7.33)

per un contatto acciaio-acciaio, come nel caso di una ruota ferroviaria su


rotaia.

Esempio 7.3 Rotolamento senza strisciamento con


attrito volvente

Si effettua ora, a scopo esemplificativo, l’analisi del caso di carico generico e moto
generico della ruota mostrato in Figura 7.17, dove la ruota di massa m e momento
d’inerzia polare baricentrico J G, rotolando senza strisciare su una guida rettilinea
orizzontale, si muove con velocità e accelerazione dell’asse rispettivamente V G e
a G (e con ovvie relazioni Ω e ).
Si suppone che la ruota sia caricata in modo generico ovvero, oltre che dalla sua forza
e coppia d’inerzia F in = – m a G e C in = – J G , anche da forze e coppie esterne,
tipicamente una forza verticale F V (inclusiva della forza di gravità della ruota stessa

Figura 7.17 Condizione generica di carico di una ruota


motrice in presenza di attrito volvente.

238
e dei carichi provenienti dal veicolo), una forza orizzontale F H (tipicamente
proveniente dal veicolo) e un momento torcente M m (tipicamente la coppia motrice
o frenante in funzione del ruolo assunto dalla ruota nel caso in esame). Si suppone
presente un coefficiente di attrito volvente f v che determina l’avanzamento della
reazione N 1 della quantit à u rispetto alla direzione passante per l’asse baricentrico
G. Si suppongano note, oltre allo stato del disco (posizione e velocità V G e Ω), le
forze esterne F V, F H e la coppia motrice M m e si calcoli la conseguente
accelerazione, le reazioni vincolari T 1 e N 1, e la potenza dissipata per attrito
volvente. Ipotizzando i versi dei vettori coerenti con le indicazioni grafiche in figura,
ovvero supponendo si tratti di una ruota motrice, le equazioni di equilibrio verticale e
di momento rispetto al punto P′, portano ai seguenti risultati:
(7.34)

(7.35)

da cui, tenendo conto della definizione del modello di attrito volvente di cui alla
(7.27) l’accelerazione della ruota:

(7.36)

Il valore della forza tangente è ricavabile dall’equazione di equilibrio oizzontale:


(7.37)

La potenza spesa per mantenere in rotazione la ruota è calcolabile come:

239
(7.38)

Risulta ovviamente che la potenza spesa è incrementata della quantità Δ W m = N 1 · f v


· V G corrispondente alla potenza dissipata per attrito volvente W diss già calcolata in
(7.31).
Alternativamente, si sarebbe potuto risolvere il problema scrivendo direttamente il
bilancio di potenza, inclusivo della potenza dissipata per attrito volvente, nel seguente
modo:

(7.39)

Sostituendo secondo la (7.31) W diss = –|N 1| · f v · |V G| e utilizzando le ovvie


relazioni cinematiche tra velocità, accelerazione dell’asse e velocità e accelerazione
angolare della ruota, si sarebbero ottenuti gli stessi risultati in termini di coppia
motrice, reazioni a terra e potenza complessivamente spesa.
Si ribadisce quindi che il modello dell’attrito volvente viene introdotto allo scopo di
rappresentare adeguatamente dissipazioni a carico esclusivamente delle forze normali
scambiate tra ruota e terreno e che non esiste alcun legame tra il modello di attrito
volvente e la forza tangente scambiata tra ruota e terreno, il cui valore è stato
calcolato secondo la (7.31) mediante l’equilibrio dinamico orizzontale della ruota T 1
= F H + m · aG. A conclusione del calcolo delle reazioni a terra, con riferimento al
valore di coefficiente di attrito statico caratteristico dell’accoppiamento ruota-terreno
o ruota-rotaia, si effettuer à la verifica di aderenza allo scopo di garantire che l’ipotesi
di rotolamento senza strisciamento, sotto la quale sono stati effettuati i calcoli di cui
sopra, sia effettivamente verificata: | T 1| ≤ f s| N 1|.

7.3 Critica ai modelli elementari di attrito


Nel Paragrafo 7.2.4 è stato descritto il più semplice modello atto a descrivere
le forze di attrito agenti tra solidi in rotolamento, che viene spesso chiamato
“modello Coulombiano” dell’attrito. Nonostante la sua semplicità, questo
modello riesce a descrivere con buona approssimazione i fenomeni che si
verificano in numerose applicazioni di interesse tecnico. Per esempio, può
essere utilizzato per lo studio delle condizioni di aderenza ruota-terreno o
ruota-rotaia nelle diverse condizioni di marcia (partenza, arresto), almeno
finché le forze di contatto su tutte le ruote si mantengano ben al di sotto del
limite di aderenza. Esistono però altri casi, tra cui vari aspetti della
meccanica dei veicoli stradali e ferroviari, in cui il modello Coulombiano si
rivela inadeguato: per esempio, non è in grado di rendere conto dei fenomeni

240
di deriva che governano il comportamento di un veicolo stradale in curva e
ne determinano la tendenza a sovra o sotto-sterzare [9], [7]. Analogamente,
tale modello non si presta a evidenziare i fenomeni di instabilità di marcia
che intervengono a elevata velocità nei veicoli ferroviari [7], [10].
Per affrontare questi e altri problemi, si rende dunque necessaria una
modellazione più raffinata delle azioni di contatto tra ruota e vincolo, e in
particolare occorre considerare che nella realtà i due corpi a contatto sono
deformabili, con la conseguenza che l’impronta di contatto assume -
dimensioni finite.
È possibile dimostrare [11] che, nel caso una ruota deformabile trasmetta una
forza di contatto T 1 tangente non nulla, l’impronta di contatto tra i due corpi
elastici in rotolamento (per esempio la ruota e la rotaia), si divide in una zona
di aderenza (dove vale la condizione di attrito statico) e una zona

Figura 7.18 Aderenza e microscorrimenti in una ruota su un


piano.

in cui si manifestano slittamenti di piccola entità, associati alla deformabilità


dei corpi (micro-scorrimenti), come mostrato nella Figura 7.18. La zona di
aderenza è situata dalla parte del lembo di imbocco e la zona di strisciamento
nella porzione posteriore. Si dimostra che la zona di aderenza tende a
occupare l’intera impronta al tendere a zero della forza tangente e, viceversa,

241
la zona dei micro-scorrimenti tende a estendersi all’intera impronta al
tendere della forza tangente a valori prossimi al limite di aderenza statico. La
presenza di scorrimenti nell’impronta di contatto fa sì che la velocità del
centro del disco si discosti da quella che si avrebbe nell’ipotesi di
rotolamento senza strisciamento. In particolare ne segue che, per una corretta
modellazione del problema di contatto ruota-terreno (o ruota-rotaia), si deve
introdurre necessariamente un grado di libertà aggiuntivo, ovvero, con
riferimento alla Figura 7.19, lo spostamento x dell’asse della ruota risulta
essere indipendente dall’angolo di rotazione ϑ della stessa, potendo dar
luogo quindi a una velocità di strisciamento relativo del punto P′, d’ora
innanzi non più centro di istantanea rotazione della ruota ma definito come
ente cinematico punto di contatto. Viene quindi introdotta una grandezza
adimensionale chiamata micro-scorrimento ε, rappresentativa della velocità
di strisciamento di P′ adimensionalizzata rispetto alla velocità di
avanzamento dell’asse della ruota, come illustrato in (7.40):

(7.40)

La corretta rappresentazione della forza tangente scambiata al contatto in


presenza di micro-scorrimenti, ovvero in tutti i casi reali di rotolamento tra

Figura 7.19 Modellazione cinematica del micro-scorrimento ε di


una ruota su un piano.

corpi deformabili, vede la necessità di introdurre un nuovo modello chiamato

242
modello dei micro-scorrimenti rappresentato dall’Equazione (7.41):
(7.41)
in cui la funzione μ ( ε) è rappresentata come esempio nelle Figure 7.20 e
7.21 rispettivamente per il contatto ruota-terreno e ruota-rotaia. Si
riassumono le conseguenze più significative associate all’introduzione del
nuovo modello sintetizzato dalle Equazioni (7.40) e (7.41).

Figura 7.20 Esempio di funzione μ ( ε) per contatto pneumatico-


strada.

Figura 7.21 Esempio di funzione μ( ε) per contatto ruota-rotaia

243
• Nel momento in cui si voglia trasmettere tra ruota e terreno o tra ruota
e rotaia una forza tangente | T 1| =/ 0 di modulo non nullo,
necessariamente si manifesta un seppur piccolo strisciamento
dell’ente geometrico punto di contatto, ovvero risulta non nullo il
micro-scorrimento definito alla 7.40 ε =/ 0.
• Le funzioni μ ( ε) che caratterizzano i tipici accoppiamenti
pneumatico-strada o ruota-rotaia, sono caratterizzate sempre da un
tratto pressoché lineare nell’intorno di ε = 0 per diventare, poi,
fortemente non lineari per elevati valori di ε.
• I tipici valori di massima estensione del tratto pressoché lineare delle
curve μ ( ε) si manifestano per valori di ε “piccoli” ovvero dell’ordine
di | ε| ≤ 0.01 nel caso ruota-rotaia, e | ε| ≤ 0.1 nel caso pneumatico-
terreno.
• Per elevati valori di ε, ovvero andando verso slittamenti macroscopici
estesi a tutta l’area di contatto, il modello dei micro-scorrimenti è
ovviamente asintotico al modello dell’attrito dinamico coulombiano,
ovvero | μ ( ε)| → f d.
• Il modello proposto è ovviamente dissipativo, ovvero in presenza di
forze tangenti trasmesse non nulle, si avrà sempre potenza dissipata

244
non nulla a carico della forza tangente stessa applicata al punto P 0
dotato di velocità di strisciamento non nulla rispetto al terreno (o alla
rotaia). Il valore di tale potenza dissipata è ovviamente facilmente
espresso dalla (7.42).

(7.42)
È bene puntualizzare che i modelli dell’attrito volvente e dei micro-
scorrimenti sono indipendenti l’uno dall’altro, anzi potrebbero essere visti
come complementari e possono essere contemporaneamente applicati,
avendo il primo il ruolo di rappresentare correttamente le dissipazioni a
carico delle sole forze normali di contatto, e il secondo il ruolo di
rappresentare una corretta modellazione delle forze tangenti (e
implicitamente delle dissipazioni a esse connesse) nel caso reale di contatto
di rotolamento tra corpi deformabili.

7.4 Usura nel contatto tra solidi


Richiamando le tre cause che possono portare alla messa fuori servizio di
una macchina (rottura, obsolescenza e usura), si può osservare che:
• la rottura di elementi di macchine è un evento non frequente, che può
essere dovuto a difetti del materiale, al fatto che il sistema sia
assoggettato a carichi maggiori rispetto a quelli di progetto o, infine, a
schematizzazioni non adeguate al calcolo delle sollecitazioni, che
hanno portato a errori in fase di progettazione;
• l’ obsolescenza, ossia l’invecchiamento dovuto alla comparsa sul
mercato di macchine in grado di effettuare la medesima funzione in
modo più conveniente (sia dal punto di vista della velocità di
esecuzione, sia del risparmio dell’energia impiegata), interviene, nel
campo delle macchine, dopo anni di funzionamento;
• l’ usura è connaturata all’esercizio stesso della macchina,
provocandone un decadimento della funzionalità, e non sempre in
misura proporzionale al trascorrere del tempo. Di solito, infatti, i
fenomeni di usura mostrano un tasso di crescita più elevato man
mano che il livello globale di usura cresce.
Il fenomeno dell’usura meccanica consiste in una perdita di materiale che si
manifesta nel contatto tra due solidi, soprattutto in presenza di strisciamento

245
relativo tra questi. Dal punto di vista della funzionalità della macchina,
l’usura si manifesta attraverso:
• aumento dei giochi negli accoppiamenti, con conseguenti
imprecisioni nel movimento e aumento della rumorosità;
• possibile comparsa di fenomeni di urto e conseguenti vibrazioni e
sovraccarichi dinamici;
• cambiamento delle propriet à meccaniche e dell’aspetto delle
superfici a contatto. Tali cambiamenti possono essere evidenziati
durante le operazioni di manutenzione o ispezione della macchina.
Le relazioni che intercorrono tra gli aspetti sopra citati sono esemplificati
nello schema di Figura 7.22; a seconda del tipo di macchina, della funzione
che deve svolgere e dell’ambiente in cui si trova, assumono maggiore
importanza alcuni aspetti rispetto ad altri. L’usura, infine, può essere
prodotta oltre che da strisciamento tra parti della macchina anche da azioni
corrosive prodotte dall’ambiente in cui la macchina opera e da azioni di
natura elettrica (limitatamente al caso in cui gli elementi della macchina sono
soggetti al passaggio di corrente con elevato voltaggio e amperaggio).

Figura 7.22 Schema delle relazioni tra i vari aspetti del fenomeno
dell’usura nel caso di un meccanismo.

7.4.1 Un modello elementare di usura


Per la valutazione dell’usura derivante dalla condizione di strisciamento,
viene utilizzata la relazione, proposta da Archard, in cui si assume che il
volume V usu di materiale asportato per usura sia proporzionale al lavoro
dissipato per attrito L diss, pari alla forza di attrito T = f d N per la lunghezza

246
del percorso di strisciamento s:
(7.43)

La Figura 7.23 illustra il significato dei termini che compaiono nella (7.43),
in cui P = N, per l’equilibrio in direzione verticale. Il coefficiente di
proporzionalit à k 1, espresso in m 3/J, ha il significato di volume usurato per
unità di lavoro dissipato. La (7.43) è strettamente applicabile se l’usura di
uno dei due corpi a contatto è molto maggiore dell’altro, inoltre il valore del
coefficiente k 1, (o del prodotto k 1 f d, detto usura specifica ed espresso in
m 3/J), è costante solo all’interno di un determinato campo della reazione
normale al contatto Ne della velocità di strisciamento.
Derivando la (7.43) rispetto al tempo, si ottiene il volume usurato nell’unità
di tempo, che risulta proporzionale alla potenza dissipata dalle forze di attrito
nel contatto W diss:

(7.44)

in cui V s rappresenta la velocità relativa di strisciamento. Data la


complessità dei fenomeni che presiedono lo sviluppo dell’usura, il
coefficiente k 1, o il prodotto k 1f d, non vengono calcolati a priori, ma
devono essere determinati sperimentalmente mediante appposite macchine di
prova.
Infine si consideri il tasso di usura, che è un indice della gravità del livello
di usura cui un elemento di macchina è sottoposto. È definito come:

(7.45)

Figura 7.23 Rappresentazione schematica dell’usura.

247
ottenibile dalla (7.43), avendo posto V usu = AΔ h (vedi Figura 7.23). Questo
indice, rapporto tra spessore del materiale usurato e lunghezza del percorso
di strisciamento, consente di comparare tra loro situazioni anche
geometricamente differenti, fornendo un’indicazione globale sulla gravità
dell’usura, in una scala di dieci classi, a loro volta raggruppate in tre livelli
(modesto, medio e severo). L’utilizzo di questo indice fa riferimento a
grandezze facilmente misurabili o valutabili sulla macchina reale nelle
effettive condizioni di esercizio; non viene quindi utilizzato per prevedere il
livello di usura, ma per caratterizzarne la gravità nelle reali condizioni di
esercizio.
Il modello elementare di usura discusso per un oggetto di dimensioni finite
soggetto a uno spostamento di dimensioni finite può essere riscritto in
termini locali allo scopo di affrontare lo studio di reali componenti
meccanici, se pur semplificati, quali dischi di frizione o freni. Con
riferimento quindi alla simbologia di Figura 7.7, al modello di attrito
espresso in termini locali dalla (7.16), al modello di usura proposto dalla
(7.43) e con riferimento infine allo schema di usura locale dell’elementino di
area d A di cui alla Figura 7.24, è possibile scrivere il volume infinitesimo
usurato dV usu nel tempo infinitesimo dt nel modo seguente:

(7.46)

Avendo quindi definito con i simboli V rel( P) δ z( P) e δ Wdiss( P)


rispettivamente la velocità di strisciamento locale, la velocità di logoramento
locale e la potenza dissipata localmente per unità di superficie espresse dalle
seguenti relazioni:

Figura 7.24 Modello locale di usura: cubetto di riferimento di


area d A localizzato nel generico punto (P), spessore asportato d z
nel tempo dt e corrispondente velocità di logoramento δ z.

248
(7.47)

(7.48)

(7.49)

l’Equazione (7.46) permette di scrivere il modello di usura in termini di


velocità di logoramento locale nel modo seguente:
(7.50)

mostrando anche il legame diretto tramite il coefficiente k 1, esistente tra la


velocità di logoramento locale e la potenza dissipata localmente per unità di
superficie:
(7.51)

Analogamente il tasso di usura può essere interpretato come una velocità


specifica di logoramento ovvero come la velocità di logoramento locale
adimensionalizzata rispetto alla velocità di strisciamento locale, la cui
espressione è fornita dalle seguenti relazioni:

(7.52)

249
Esempio 7.4 Calcolo coppia trasmessa da un disco di
frizione

Il modello locale di usura sopra descritto può essere facilmente utilizzato per una
interessante applicazione, ovvero per il calcolo della coppia trasmessa da un disco di
frizione. Si supponga che l’elemento toroidale di Figura 7.25 rappresenti in modo
schematico e semplificato il ferodo solidale a un disco di frizione premuto da una
forza N verso la flangia metallica solidale all’albero di trasmissione a esso affacciato.
Si supponga inoltre che disco di frizione e flangia a esso affacciata possano essere
considerati come elementi rigidi e che nello strisciamento tra ferodo e flangia l’usura
si possa considerare a carico del solo ferodo. Si ipotizzi infine che il disco di frizione
e il ferodo a esso solidale siano mantenuti in rotazione dal motore con velocità
angolare relativa Ω rispetto alla flangia. Oggetto del calcolo è il valore della coppia
torcente trasmessa dal disco di frizione, nell’ipotesi di validità dei modelli di attrito
dinamico e di usura proposti in termini locali nei precedenti paragrafi.
La vista in pianta dell’interfaccia ferodo-flangia mostra una rappresentazione
schematica della distribuzione di sforzi tangenti attesi sulla superficie del ferodo
coerentemente con il modello di attrito dinamico (7.16), ovvero sempre diretti come

Figura 7.25 Modello schematico di disco di frizione.

250
la velocità di strisciamento locale nel punto in oggetto, rappresentata in modulo dalla
seguente espressione:
(7.53)

avendo rappresentato con r la distanza radiale del generico punto ( P ) dall’asse di


rotazione. Si suppone ovviamente che il problema sia assialsimmetrico e che asse di
rotazione del disco e della flangia a esso affacciata siano coincidenti. Per la simmetria
assiale del problema, si ipotizzi infine che gli sforzi scambiati tra ferodo e flangia
siano funzioni della sola posizione radiale secondo le seguenti espressioni:
(7.54)

Ne segue quindi che, ipotizzando valga il modello di usura sopra descritto, la velocità
di logoramento è funzione della sola posizione radiale secondo la seguente
espressione:
(7.55)

utilizzata nel seguito per semplicità indicando in minuscolo con σ( r) il modulo degli
sforzi normali (pressioni) tutti orientati nello stesso verso ortogonalmente al piano di
interfaccia ferodo-flangia e con e Ω il modulo della velocità angolare relativa. Si può
osservare che il modello dell’usura unitamente al modello di attrito ha consentito di
formulare un legame tra la pressione locale σ( P ) e la velocità di logoramento locale
δ z( P ), consentendo ora di effettuare considerazioni di congruenza geometrica in
merito a quest’ultima. Si può infatti facilmente intuire che, nell’ipotesi di velocità di
logoramento differente per differenti valori della coordinata radiale si perverrebbe alla
condizione di assenza di planarità del ferodo con conseguente distacco delle zone
caratterizzate da una eventuale velocità di logoramento maggiore. Ne segue che è
giusto ipotizzare per il problema posto velocità di logoramento costante pari a δ 0
come espresso dalla seguente relazione:
(7.56)

Ne segue quindi che vale:

(7.57)

con K 0 costante, portando alla conclusione che, sotto le ipotesi considerate, le


pressioni locali sono necessariamente inversamente proporzionali alla posizione
radiale del punto in oggetto. Imponendo ora che l’integrale delle pressioni scambiate
tra ferodo e flangia uguagli la forza normale complessiva N è possibile calcolare il
valore della costante K 0 e conseguentemente gli effettivi valori della distribuzione di
pressioni e di sforzi tangenti, secondo le seguenti espressioni:

251
(7.58)

(7.59)

(7.60)

(7.61)

Scrivendo ora il momento rispetto all’asse di rotazione della distribuzione di sforzi


tangenti sopra proposta è possibile calcolare la coppia effettivamente trasmessa dal
ferodo per effetto del carico normale N, del coefficiente d’attrito radente f d e delle
caratteristiche dimensionali dello stesso ovvero dei valori di raggio interno R 1 ed
esterno R 2:

(7.62)

(7.63)

L’esempio proposto è interessante in quanto ha mostrato la tipica metodologia con cui


è possibile calcolare la distribuzione degli sforzi scambiati tra due corpi nell’area di
contatto, nel caso semplice di una applicazione risolvibile con calcoli elementari.
Ovviamente la prima equazione utilizzata è stato il modello di attrito dinamico (7.16)
che tuttavia da sola non può risolvere il problema. Si è quindi fatto ricorso a una
seconda equazione, in questo caso il modello di usura locale (7.46) che ha svolto il
ruolo di una sorta di legame costitutivo, consentendo di pervenire a un legame tra la
pressione locale σ( P ) e la velocità di logoramento locale δ z( P ). Infine la chiusura
del problema è stata fornita dalla condizione di congruenza geometrica semplicemente
espressa dalla terza Equazione (7.56) che ha imposto le condizioni al contorno
specifiche del problema in oggetto. È interessante osservare infine che il risultato
ottenuto mostra la coppia trasmessa equivalente a quella fornita da una ipotetica forza
tangente complessiva pari in modulo a f dN applicata con braccio pari al raggio medio
( R 1 + R 2)/2 del ferodo: tale forza tangente ovviamente non esiste, ma sarebbe il
limite a cui tenderebbe l’integrale del modulo della distribuzione degli sforzi tangenti
al tendere del ferodo a una geometria tipo anello monodimensionale di raggio pari al
raggio medio.
Si osservi infine che, per l’assialsimmetria del problema, la forza tangente risultante,
intesa come integrale sull’area complessiva del ferodo A F della distribuzione di

252
sforzi tangenti (considerati vettorialmente) è ovviamente nulla:

(7.64)

7.5 Azioni tra solido e fluido


Allo studio del contatto tra solido e fluido sono interessate diverse discipline,
intese in senso classico, quali la meccanica dei fluidi, la termodinamica,
l’aerodinamica e altre da esse derivate. Si tratterà qui soltanto degli aspetti
che più da vicino interessano il funzionamento delle macchine, limitandosi a
descrivere le azioni applicate dal fluido al solido, riconducibili, in generale, a
una forza di resistenza, una forza di portanza e una coppia aerodinamica. Si
tratterà inoltre brevemente anche il caso della lubrificazione, in cui un fluido
(liquido o gas) viene interposto tra le superfici di due solidi in moto relativo,
al fine di ridurre i fenomeni di attrito e usura descritti nei paragrafi
precedenti.

7.5.1 Azioni fluidodinamiche in condizioni stazionarie


Nelle macchine si devono spesso considerare azioni tra solidi e fluidi che
possono essere considerati come veri e propri componenti non rigidi della
macchina, accoppiati con gli elementi solidi, con combaciamento su tutta o
parte della superficie di questi. Le azioni possono avere carattere di forze
interne, come per esempio in una turbina in cui il fluido si muove confinato
entro un condotto esterno, parte integrante della macchina e reagisce su di
esso oltre che sulle schiere di palette mobili solidali al rotore, oppure di forze
esterne, come l’azione dell’aria su un aeromobile o la resistenza offerta dal
mezzo all’avanzamento di una nave o di una vettura, quando tutta la massa
del fluido si considera esterna al sistema in oggetto. Le forze di interazione
tra fluido e struttura, sempre causate da una distribuzione di pressione a
parete (detta pressione statica), possono aver luogo in assenza di moto
relativo tra fluido e corpo in esso immerso (come nei semplici casi della
pressione idrostatica che sostiene un corpo immerso in un fluido o della
pressione uniforme esercitata da un gas in pressione sulle pareti di un
recipiente chiuso), oppure possono essere fortemente dipendenti dal moto
relativo esistente tra fluido e corpo. In tal caso la distribuzione di pressione
statica a parete del corpo diventa fortemente dipendente dal valore di

253
pressione dinamica che caratterizza localmente la corrente all’esterno del
corpo, oltre che delle dissipazioni eventualmente causate da effetti viscosi.
Allo scopo di fissare le idee e il linguaggio su una formulazione semplice e
di versatile utilizzo, con riferimento alla simbologia di Figura 7.26 si può
porre alla base della presente discussione il teorema di Bernoulli (7.65) e
(7.66) formulato per un fluido in moto soggetto all’azione del campo
gravitazionale e ipotizzato a densità costante. Secondo tale teorema,
considerato un volume infinitesimo di fluido in moto lungo la propria linea
di corrente, detta pressione statica P s la pressione idealmente misurabile su
un ipotetico piano posizionato localmente tangenzialmente al flusso in modo
da non alterarne il campo di moto, P d la pressione dinamica di cui alla
(7.65) associata alla velocità e densità locale del flusso, ρ la densità, z la
quota verticale assunta positiva verso l’alto e g l’accelerazione di gravità, è
possibile scrivere:

(7.65)

(7.66)
Il teorema di Bernoulli afferma sinteticamente che, a meno dei contributi
associati all’effetto gravitazionale (significativi nei liquidi a elevata densità)
e a meno di dissipazioni tipicamente associate agli effetti viscosi, nel moto
dell’elementino di fluido lungo la propria linea di corrente dalla posizione di
ascissa curvilinea s 1 a quella di ascissa curvilinea s 2 si conserva la pressione
totale. In altri termini, nell’ipotesi di pressione totale costante gli effetti
dinamici, ovvero associati al moto del fluido relativamente al corpo in
oggetto, si manifestano come variazioni anche molto significative della
pressione statica a parete dipendenti da variazioni locali di velocità del flusso
rispetto alle generiche condizioni di flusso indisturbato assegnate
“sopravento” al corpo stesso.
Le forze esercitate da fluidi in quiete sono oggetto della fluidostatica, mentre
assai più complessa è la ricerca delle azioni esercitate dai fluidi in moto, che
interessa più particolarmente le macchine ed è oggetto della fluidodinamica,
comprendente come casi particolari l’idrodinamica e l’aerodinamica.
Supponiamo che il corpo sia fermo rispetto al fluido come schematicamente
indicato in Figura 7.27, in tal caso l’unica azione agente sul corpo è la spinta

254
Figura 7.26 Volume elementare di fluido in moto lungo una linea
di corrente. Grandezze significative per la scrittura del teorema di
Bernoulli.

Figura 7.27 Le azioni fluidostatiche su un corpo.

fluidostatica normale al corpo. Tale spinta vale:

(7.67)

avendo indicato con g il vettore accelerazione di gravità, u n il versore


normale entrante nell’areola d A appartenente alla superficie del corpo, V il
volume del corpo, ed essendo l’integrale esteso a tutta l’area del corpo
stesso.
Nel caso invece un corpo sia investito da una vena fluida o si trovi in moto
immerso in un fluido in quiete, il moto relativo del fluido rispetto al corpo

255
determina come già accennato una distribuzione di pressioni fortemente
dipendente dal campo di velocità esterno al corpo. Le forze complessive di
interazione, nel caso di fluidi reali, sono tuttavia dovute non solo alle azioni
normali di pressione, ma anche alle azioni tangenti dovute agli sforzi
tangenziali presenti nei fluidi reali per effetto della viscosità (Figura 7.35).
Spesso, non solo a causa della distribuzione di sforzi tangenziali viscosi ma
anche per effetto della distribuzione degli sforzi normali di pressione,
l’azione del fluido costituisce una resistenza al moto di un corpo in esso
totalmente o parzialmente immerso (detta anche “resistenza del mezzo”),
comportando una dissipazione di energia meccanica che, di regola, si deve
cercare di ridurre il più possibile. Nasce così il problema di ottimizzare la
forma del corpo immerso al fine di aumentarne la penetrazione (carene di
navi, forme di autovetture ecc.). In altri casi, invece, l’azione scambiata tra
corpo e fluido ha una componente utile che si cerca di massimizzare,
tipicamente la forza propulsiva di un’elica o la forza portante di un’ala. Con
riferimento alla Figura 7.28, gli sforzi tangenziali presenti nel fluido
rispondono, secondo la più semplice modellazione, alla legge di Petroff. Per
esempio lo sforzo tangente τ zx presente sull’areola di normale uscente diretta
come z e orientato secondo la direzione x è proporzionale tramite il
coefficiente di viscosità μ al gradiente in direzione z della componente di
velocità del fluido u orientata secondo la direzione x. Analoghe
considerazioni valgono per lo sforzo tangente τ xz e per la componente di
velocità del fluido ω orientati secondo la direzione z. Ovvero valgono le
seguenti relazioni:

(7.68)

Figura 7.28 Modellazione dello sforzo tangenziale τ zx secondo la


legge di Petroff.

256
È importante ricordare che tali sforzi tangenti, presenti nei fluidi reali a causa
della viscosità μ non nulla, non solo sono causa di resistenza
all’avanzamento dei corpi immersi, ma influenzano pesantemente il regime
di flusso che può instaurarsi in un condotto o nell’interazione di un flusso
esterno con un corpo in esso immerso. In altre parole, si può andare incontro,
nello stesso caso di interazione fluido struttura, a regimi di flusso e, quindi,
ad azioni scambiate con il corpo profondamente differenti tra loro al variare
della proporzione tra effetti inerziali ed effetti viscosi a cui tipicamente è
soggetto l’elementino di riferimento di volume di fluido dV. Esiste un
numero adimensionale, detto numero di Reynolds che, esprimendo il
rapporto tra azioni inerziali e viscose a cui è soggetto il flusso, permette di
inquadrare il tipico regime fluidodinamico in cui può collocarsi il fenomeno
in oggetto. Indicato con U R una velocità e con D R una dimensione assunti
come riferimento per il fenomeno (tipicamente la velocità sopravento del
flusso indisturbato U Ref o la velocità del corpo in caso di fluido fermo e una
dimensione caratteristica del corpo), il numero di Reynolds ha la seguente
espressione:

(7.69)

I fenomeni fluidodinamici e, in particolare, l’interazione fluido-struttura di


interesse nello studio della meccanica possono essere fortemente dipendenti
dal numero di Reynolds: può accadere che, per differenti valori di tale
parametro, le azioni scambiate tra fluido e struttura in casi geometricamente
simili possano discostarsi pesantemente dalle semplici leggi di similitudine
dettate dall’analisi dimensionale, a causa di regimi fluidodinamici

257
completamente differenti, causati da una diversa proporzione tra le azioni
d’inerzia e quelle viscose a cui è soggetta la particella di fluido. Si utilizza,
come esempio di riferimento, il caso descritto nelle Figure 7.29 e 7.30, in cui
un volume elementare di fluido sta percorrendo con velocità
u una traiettoria di raggio di curvatura R t .
Limitando, per semplicità, l’analisi alle forze agenti in direzione z -
sull’elementino per effetto delle azioni d’inerzia e delle azioni tangenti sulle
facce con normale orientata come x, come illustrato in Figura 7.30, è
possibile scrivere:

Figura 7.29 Volume elementare di fluido soggetto ad azioni


tangenti e viscose in moto lungo la propria traiettoria.

(7.70)

(7.71)

Considerando, nello stesso tempo, che la velocità ω del fluido in direzione z


è tipicamente una funzione della posizione ω = ω(x, y, z) e ipotizzando che
il fluido sia soggetto a effetti viscosi descritti dall’Equazione (7.68), è
possibile scrivere il rapporto tra le componenti inerziali e viscose delle forze
considerate agenti sull’elementino in direzione z come:

(7.72)

258
Supponendo ora di confrontare due casi ipotizzati in similitudine non solo
geometrica ma anche cinematica, ne risulta che tutte le velocità sono
proporzionali a una velocità di riferimento, per esempio la velocità del flusso
indisturbato incidente sul corpo U Ref, e tutte le lunghezze sono proporzionali
a una dimensione caratteristica del corpo, come la dimensione trasversale D.
Ne segue che l’analisi dimensionale dell’Equazione (7.72) porta a scrivere
che, per il corpo in oggetto, il rapporto tra azioni inerziali e viscose agenti
sull’elementino è proporzionale al numero di Reynolds scritto per le
grandezze di riferimento sopra menzionate:

Figura 7.30 Volume elementare di fluido soggetto ad azioni


tangenti e viscose: modellazione delle forze di volume.

(7.73)

Il numero adimensionale sopra definito viene chiamato Numero di Reynolds


caratteristico del fenomeno fluidodinamico in oggetto. Due fenomeni
apparentemente in similitudine a causa della similitudine geometrica dei
corpi, possono essere soggetti a regimi fluidodinamici completamente
differenti, ovvero a forze d’interazione molto differenti e non in similitudine,
a causa di differenti numeri di Reynolds caratteristici, ovvero di differente
proporzione tra le componenti inerziali e viscose delle azioni a cui è soggetto
il fluido. Da un altro punto di vista, è anche possibile mostrare che il numero
di Reynolds può essere rappresentativo del rapporto tra azioni di pressione e
azioni viscose tangenti a cui è soggetto un corpo immerso in un fluido.
Considerando, infatti, che secondo la (7.66) i termini di pressione (per unità

259
di superficie) sono proporzionali al prodotto e che i termini viscosi
(per unità di superficie), secondo la (7.68) sono invece proporzionali al
rapporto μU Ref/D, è possibile scrivere intuitivamente:

(7.74)

Da questo punto di vista, numeri di Reynolds piccoli indicano allora la


prevalenza degli effetti dovuti alle azioni tangenziali rispetto a quelli causati
dagli effetti di pressione. Viceversa, per numeri di Reynolds alti gli effetti di
pressione diventano importanti e prevalenti rispetto alle azioni tangenziali.
Sulla base delle premesse sinteticamente riassunte, si propone ora una
distinzione di base tra fenomeni stazionari e fenomeni non stazionari a cui
può andare incontro il generico corpo nell’interazione con il flusso. Si
intende che ci sia stazionarietà innanzitutto se il corpo mantiene un assetto
invariato rispetto al flusso nel tempo. Analogamente si chiede che la stessa
condizione sia rispettata dal flusso, ovvero che siano assenti significative
variazioni spazio-temporali del campo di velocità incidente sul corpo. È
tuttavia importante osservare che, soprattutto nel caso di corpi tozzi (“bluff
bodies”, con terminologia anglosassone), pur essendo verificate le sopra
esposte ipotesi, la non stazionarietà del flusso potrebbe essere generata dal
fenomeno stesso d’interazione, come mostrato dalle due immagini seguenti,
Figura 7.31 e Figura 7.32 in cui è rappresentata la visualizzazione di un
flusso uniforme che interagisce con un cilindro fermo, a valori molto
differenti di numero di Reynolds.
Si può mostrare che la situazione di Figura 7.31 è il regime laminare, o
meglio il limite a cui tende il regime di flusso per bassissimi numeri di
Reynolds ovvero associato a bassissimi valori di velocità del fluido.

Figura 7.31 Campo di moto stazionario e laminare (flusso di


Stokes) per cilindro fermo a bassissimi valori di numero di
Reynolds ( Re = 0.15).

260
Il flusso laminare è visualizzabile mediante linee di corrente perfettamente
allineate e senza alcuna traccia dei tipici “disturbi trasversali” di natura
caotica associati alla turbolenza. In una situazione di questo tipo gli effetti
globali di pressione sono praticamente nulli (campo di pressione simmetrico)
e prevalgono invece gli effetti viscosi: il caso specifico della figura in cui il
valore del numero di Reynolds è inferiore all’unità è anche noto come
“Flusso di Stokes”.
Per alti numeri di Reynolds, sempre con flusso uniforme in ingresso e
cilindro fermo, il campo di moto in scia appare drammaticamente mutato per
la presenza di strutture coerenti di vortici che si staccano alternativamente
dai due lati del “bluff body” (Figura 7.32), causa di significative azioni
dinamiche. Si nota che in una situazione di questo tipo le forze di resistenza
sono dovute a importanti effetti di dissimmetria di pressione tra la porzione
sopravento e quella sottovento del corpo (sovrapressioni nel lato sopravento
e pressioni negative in scia) con effetti viscosi proporzionalmente meno
significativi.
L’osservazione delle due immagini consente di chiarire che, mentre è molto
semplice definire “condizioni stazionarie” per il corpo, è tutt’altro che ovvio
chiarire lo stesso concetto per quanto riguarda il flusso, essendo la non
stazionarietà intrinseca delle condizioni di flusso turbolento tipiche per valori
di alti numeri di Reynolds che caratterizzano le applicazioni tecniche
correnti. Ne segue che, spesso, si identificano come condizioni stazionarie
quelle che caratterizzano un flusso uniforme che interagisce con un corpo in
quiete, considerando per le forze di interazione il valor medio delle stesse,
intrinsecamente caratterizzate da un andamento temporale non stazionario.
Con riferimento quindi a una situazione stazionaria, per esempio il caso

261
limite di Figura 7.31, ipotizzando peraltro la viscosità non nulla, è possibile
mostrare che la velocità a parete del fluido deve necessariamente annullarsi,
dando luogo a un tipico profilo di velocità a parete a derivata decrescente
come illustrato in Figura 7.33 portandosi asintoticamente al valore U Ref di
flusso indisturbato.

Figura 7.32 Distacco di vortici ad altissimi valori di numero di


Reynolds: scia di Von Karman visualizzata dalla struttura coerente
di corpi nuvolosi per effetto dell’interazione con la sommità del
cono di un’isola vulcanica (Rishiri Island, Japan).

Figura 7.33 Profilo di velocità al contatto.

Per fluidi reali (viscosi), nasce quindi un’azione tangenziale descritta dalla
legge di Petroff (7.68) e (7.75) dovuta al gradiente di velocità a parete.
Sperimentalmente si può constatare che la zona caratterizzata da gradiente di
velocità non nullo e conseguentemente da sforzi tangenziali e dissipazioni, è
limitata a una “pelle” di dimensioni trasversali limitate e crescenti lungo lo
sviluppo del corpo nella direzione del flusso, detta strato limite.
Si riporta ancora per facilità di comprensione la legge di Petroff:

(7.75)

essendo μ la viscosità, u la velocità locale del fluido, crescente, all’interno

262
dello strato limite, lungo la coordinata z normale alla superficie del corpo da
zero al valore U Ref . Per quanto riguarda invece gli effetti di pressione,
sempre con riferimento al caso limite di flusso laminare illustrato in Figura
7.34 e ipotizzando verificata l’Equazione di Bernoulli (7.66) con dissipazioni
nulle per il tubo di flusso destinato ad impattare nel punto frontale di
simmetria del cilindro, ovvero ad annullare la propria velocità, ne risulta che
in tale punto la pressione statica P s( s 2) sarà pari a:

(7.76)

In altri termini, nel punto cosiddetto di ristagno sopra identificato,


caratterizzato da ascissa curvilinea s 2 e coincidente con il punto A di Figura
7.34, la velocità del flusso si annulla e la pressione dinamica che lo
caratterizza nella zona sopravento indisturbata, per esempio in un generico
punto di ascissa curvilinea s 1, si converte in un corrispondente incremento
della pressione statica che raggiunge il massimo valore consentito dalle
condizioni di ingresso definite nella sezione sopravento. In genere, assunta
convenzionalmente nulla la pressione statica P s( s 1) nella sezione di
riferimento, la pressione statica nel punto di ristagno avrà il valore P 0 noto
come pressione di ristagno o pressione d’arresto:

Figura 7.34 Cilindro investito da vena fluida nel caso di flusso


ideale a viscosità nulla (limite a cui tende un flusso reale di Stokes
a bassissimi Reynolds).

(7.77)

263
Avendo definito quindi lungo la parete del corpo una ascissa curvilinea s con
origne in A, la pressione statica a parete varierà secondo la legge (7.78) con
k( s) ≤ 1:
(7.78)

Si osservi che l’Equazione di Bernoulli nella versione semplificata (7.76)


non può ovviamente essere applicata per punti interni allo strato limite, in
quanto esso è causa di dissipazioni per effetti viscosi, ovvero la particella
fluida appartenente allo strato limite avrà una P Tot sicuramente inferiore a
quella avuta in precedenza in condizioni di flusso indisturbato. Per casi
analoghi a quello di Figura 7.33 si potrà invece ipotizzare un valore di P s
approssimativamente costante procedendo nello strato limite in direzione
ortogonale al flusso, e una pressione a parete pari quindi a quella calcolabile
sotto l’ipotesi di fluido non viscoso, ovvero tramite la (7.76) con riferimento
alla geometria di un corpo modificata dall’aggiunta di una “pelle” di
spessore equivalente a quello dello strato limite. La risultante complessiva
delle azioni tangenziali e di pressione del fluido sul corpo, e il momento
risultante rispetto a un punto assunto come riferimento, per esempio il
baricentro G, come illustrato in Figura 7.35, possono quindi essere espressi
mediante la (7.79):

(7.79)

Figura 7.35 Le azioni di contatto nel caso di fluido reale viscoso.

La forza risultante F viene scomposta convenzionalmente in due componenti


(Figura 7.36): una prima diretta come la direzione della vena fluida
indisturbata e una seconda perpendicolare alla prima, che vengono definite

264
rispettivamente Forza di Resistenza o Drag F D e Forza di Portanza o Lift
F L . Tali forze F D ed F L, e il momento risultante M G, possono essere
espressi in funzione della velocità della vena indisturbata U Ref, della densità
del fluido ρ, di una superficie e di una dimensione caratteristica del corpo S
e B, tramite le relazioni:

(7.80)

In generale, specie per profili allungati, la dimensione di riferimento


convenzionalmente scelta B è la corda del profilo indicata in Figura 7.36, la
superficie S è la superficie “in pianta” del profilo con L
l’allungamento del profilo in direzione normale al piano di sezione. Per i
veicoli, con riferimento alla vista in sezione longitudinale di Figura 7.37, si
sceglie in genere come superficie di riferimento la superficie frontale del
veicolo stesso e si preferisce utilizzare una rappresentazione delle tre
quantità scalari F D, F L e M G mediante le equivalenti tre quantità scalari
F D, F P-A e F P-A ovvero le forze applicate dai vincoli a terra per effetto
dell’azione aerodinamica (contributo delle forze aerodinamiche alle forze
complessive scambiate tra pneumatico e terreno), secondo la formulazione
(7.81):

Figura 7.36 Le componenti di resistenza e di portanza e coppia


delle azioni aerodinamiche.

Figura 7.37 Tipica rappresentazione delle azioni aerodinamiche


agenti sul veicolo.

265
(7.81)

È importante sottolineare che la formulazione (7.80) o (7.81) delle forze di


interazione può essere interpretata nel modo seguente: i termini per
le forze o per la coppia esprimono rispettivamente la forza
associata a una pressione pari alla pressione di ristagno applicata su una
superficie pari alla superficie di riferimento adottata per il corpo, o la coppia
della stessa forza per un braccio pari alla dimensione di riferimento scelta, i
coefficienti C D, C L, C M, o C X, C L-A, C L-P, sono dei coefficienti di forma
adimensionali, caratteristici della specifica geometria del corpo preso in
considerazione e della sua configurazione assunta relativamente alla
direzione del flusso incidente. In altri termini, la formulazione di cui sopra
ipotizza che la generica forza di interazione sia proporzionale al quadrato
della velocità incidente, alla densità del flusso, al quadrato di una dimensione
caratteristica del corpo e a un parametro adimensionale, in prima
approssimazione dipendente solo dalla forma dell’oggetto considerato (e
dalla configurazione relativa rispetto al flusso) ma indipendente dalla scala.
L’ipotesi di cui sopra, su cui poggia ogni applicazione della teoria della
similitudine e in particolare lo studio dell’aerodinamica effettuato in Galleria
del Vento su modelli in scala, ha ovviamente dei precisi limiti di
applicabilità, in particolare si può dire che l’estensione della formulazione
verso una più solida generalità può effettuarsi scrivendo i coefficienti
adimensionali come funzioni del numero di Reynolds nella forma C D ( Re),
C L( Re), C M ( Re), o C X( Re), C L-A( Re), C L-P ( Re), e osservando che, per le

266
applicazioni pratiche, esistono campi di notevole estensione del numero di
Reynolds in cui il fenomeno fluidodinamico in oggetto non cambia, dando
luogo a valori dei coefficienti praticamente indipendenti da Re e
consentendo quindi un diretto utilizzo dei risultati ottenuti in Galleria del
Vento su modelli in scala. Il ricorso a prove in Galleria del Vento per la
determinazione dei coefficienti aerodinamici stazionari (o statici secondo la
terminologia corrente) è tutt’ora di gran lunga lo strumento più affidabile per
una accurata caratterizzazione delle forze di interazione. Tuttavia, la
crescente disponibilità di elevatissima potenza di calcolo, consente
recentemente di abbordare anche per via numerica il problema tipicamente
mediante tecniche di integrazione delle equazioni di Stokes-Navier ([14])
convenzionalmente citate con l’acronimo C.F.D. (Computational Fluid
Dynamics). Il riscontro sperimentale tuttavia, tipicamente nel caso di “bluff
bodies”, resta un passaggio di validazione inevitabile, con riferimento
soprattutto alle condizioni di elevati numeri di Reynolds e di flusso non
stazionario. Dal punto di vista operativo, con riferimento a una formulazione
di tipo veicolistico (7.81), ovvero utilizzando come superficie di riferimento
la superficie frontale del corpo, il coefficiente di resistenza può variare da
valori pari a 0.1 fino a valori pari a 2 in funzione del maggiore o minore
allungamento del corpo nella direzione della vena fluida: si hanno infatti
bassi coefficienti di resistenza per corpi allungati, come profili alari, in cui la
vena fluida non si distacca e non si ha vorticosità in scia. Il coefficiente di
portanza è nullo se il corpo investito dal fluido ammette una simmetria
geometrica secondo la direzione della velocità del fluido stesso, mentre è
tanto più elevato quanto maggiore è la capacità del corpo di generare nel
flusso una marcata dissimmetria trasversale al flusso stesso, come
tipicamente accade in un profilo alare configurato in modo da generare
portanza. È bene osservare che, nel caso del profilo alare simmetrico di
piccolo spessore, e per angoli di incidenza contenuti dell’ordine di −8° < α <
+8°, la distribuzione di sforzi di pressione e tangenti è tale da dar luogo con
ottima approssimazione a una unica forza risultante applicata a distanza di
circa B/4 (un quarto corda) dal bordo d’attacco. Ne segue che, scegliendo
tale punto come punto di riduzione delle forze la coppia aerodinamica risulta
praticamente nulla, mentre al contrario, scegliendo come punto di riduzione
delle forze un punto baricentrico supposto posizionato in mezzeria alla
corda, ne risulta che, con una convenzione di rappresentazione delle forze di
cui alla (7.80) in cui sia stato posto , il coefficiente di coppia

267
associato a tale punto di riduzione delle forze risulta valere C M( α) =
C L( α)/4. In generale tuttavia, la caratterizzazione di un generico profilo
aerodinamico bidimensionale (a elevato sviluppo longitudinale e sezione
costante), viene effettuata in funzione dell’angolo di incidenza del profilo
rispetto alla direzione del flusso incidente α, come indicato in Figura 7.38,
adottando come punto di riduzione delle forze un punto generico G.
Tale configurazione porta quindi alla definizione tipicamente per via
sperimentale di caratteristiche aerodinamiche definite da coefficienti di
resistenza (o Drag), portanza (o Lift) e coppia funzioni dell’angolo di
incidenza α rappresentati tipicamente da curve simili a quelle
qualitativamente illustrate in Figura 7.39.

Figura 7.38 Generico profilo aerodinamico con angolo di


incidenza α rispetto al flusso indisturbato.

Figura 7.39 Coefficienti aerodinamici C D, C L, C M funzioni


dell’angolo di incidenza α.

Come già in precedenza ricordato, le funzioni C D( α), C L( α) e C M( α),


mediante la formulazione (7.80), consentono di rappresentare le forze di
interazione aerodinamica stazionaria sul corpo in oggetto indipendentemente
dalla scala dello stesso, tuttavia, per una maggiore completezza della
trattazione, si può dire che la corretta formulazione degli stessi coefficienti è
nella forma C D ( α; Re), C L( α; Re) e C M ( α; Re) dove le informazioni

268
inerenti la scala dell’oggetto, l’effettiva velocità, densità e viscosità del
flusso sono contenute nel numero di Reynolds caratteristico
dell’applicazione in oggetto, da cui i coefficienti stessi possono dipendere.

7.5.2 Azioni fluidodinamiche in condizioni non


stazionarie
Le espressioni sopra riportate delle forze fluidodinamiche, tipicamente
applicate nel caso del profilo alare o in quello del veicolo, hanno validità in
condizioni di flusso stazionario, ovvero quando la velocità del flusso
relativamente all’oggetto ha un orientamento costante nel tempo. Se per
effetto del moto dell’oggetto o per variazioni della direzione della velocità
della vena, varia la velocità relativa tra flusso e oggetto, le espressioni sopra
riportate mantengono in genere validità per la sola porzione media del
forzamento, con riferimento al valore medio di velocità e direzione del flusso
interagente. Per quanto riguarda invece la parte non stazionaria del
forzamento, vengono sviluppati modelli di maggiore complessità, in genere
specifici della particolare geometria del corpo. Solo per citare un esempio,
nel caso di corpi allungati quali profili alari o sezioni di impalcati di ponte, è
largamente utilizzato il modello noto con il nome di flutter derivatives, in
grado di fornire, sulla base di opportuna caratterizzazione sperimentale della
sezione in Galleria del Vento, la parte non stazionaria del forzamento a
effetto del moto relativo della sezione rispetto al flusso uniforme. Nella
presente trattazione ci si limita a osservare che il parametro adimensionale
fondamentale nell’ambito dei fenomeni non stazionari è noto con il nome di
velocità ridotta V * o il suo reciproco frequenza ridotta f *. Con riferimento
alla Figura 7.36, avendo definito con B la corda del profilo alare (o della
sezione di impalcato di ponte), con U Ref la velocità del flusso indisturbato,
con f 0 e T 0 rispettivamente la frequenza di oscillazione del profilo e il suo
reciproco, ovvero il periodo di oscillazione, si definiscono rispettivamente la
velocità ridotta e la frequenza ridotta nel modo seguente:

(7.82)

È utile osservare che la velocità ridotta ha fisicamente il significato di


rapporto tra il periodo di oscillazione del corpo T 0 = 1/ f 0 e un altro
intervallo di tempo caratteristico del fenomeno, detto periodo

269
fluidodinamico T F = B/U Ref, corrispondente al tempo impiegato dalla
particella di fluido dotata di velocità U Ref a “scavalcare” il corpo di
estensione B. Alti valori di velocità ridotta corrispondono a situazioni in cui
il periodo di oscillazione del corpo è molto lungo rispetto al periodo
fluidodinamico, ovvero la frequenza di oscillazione del corpo è molto bassa
rispetto al reciproco del periodo fluidodinamico, ovvero il fenomeno è quasi
stazionario. Ovviamente condizioni quasi stazionarie corrispondono a valori
bassi di frequenza ridotta. Ne segue quindi che, in prima approssimazione si
può ritenere che le espressioni stazionarie di cui alle (7.80) e (7.81) possono
essere applicata anche in presenza, per esempio di angolo di incidenza del
corpo variabile nel tempo, purché il parametro velocità ridotta assuma valori
sufficientemenete elevati.

7.5.3 Distacco di vortici


Nei modelli ed esempi ad ora introdotti, si è analizzato il comportamento del
fluido in corrispondenza della sezione “di attacco” in cui esso investe il
solido, dando luogo a uno strato limite che si mantiene generalmente
“attaccato” al corpo; se si passa ad analizzare il comportamento del fluido
nella zona in cui questo sta abbandonando il corpo (Figura 7.40a), si possono
distinguere due casi. Se il profilo è di tipo alare e l’angolo di incidenza è
contenuto, il flusso si chiude mantenendosi attaccato al corpo, con una
distribuzione di pressione necessariamente analoga qualitativamente a quella
di Figura 7.40b. Accade tuttavia che, nel caso in cui l’angolo di incidenza del
profilo alare superi una certo valore di soglia (funzione della forma del
profilo, del numero di Reynolds, della turbolenza del flusso incidente e della
rugosità superficiale del profilo), lo strato limite a parete può dar luogo a
separazione, generando in uno dei due lati del profilo (superiore o inferiore
in funzione dell’angolo di incidenza se positivo o negativo) un flusso
separato sede di alti valori di turbolenza e distacco di vortici (vedi Figure
7.40c e d).

Figura 7.40 Profilo alare con flusso attaccato per piccoli angoli di
incidenza; separazione dello strato limite e distacco di vortici al
crescere dell’angolo di incidenza.

270
Figura 7.41 Separazione dello strato limite dovuto a gradiente di
pressione statica avverso.

Una interpretazione qualitativa del fenomeno è illustrata in Figura 7.41 dove


si mostra che, a causa degli elevati gradienti negativi di pressione statica
causati dalla geometria locale del corpo, il profilo di velocità dello strato
limite a parete si porta ad avere derivata nulla (rispetto alla coordinata z
ortognale localmente al profilo) e quindi a invertirla, richiedendo flusso a
parete di verso opposto rispetto a quello medio esterno al corpo. Tale
condizione porta alla separazione dello strato limite e alla formazione di una
zona locale di “contro-flusso” a parete nota anche come “bolla di
separazione”. Una situazione del tutto simile si manifesta nel caso di “corpi
tozzi”, quali il cilindro, dove nell’estradosso superiore e inferiore si
manifesta sempre una situazione di flusso separato, talvolta con formazione
di evidenti strutture di vortici altamente correlate spazialmente come
illustrato in Figura 7.32 o in Figura 7.43. Il distacco della vena e la
formazione di vortici a valle è responsabile della formazione di una estesa
depressione sulla superficie posteriore del corpo e di un importante
allargamento della scia a valle del corpo, con associati elevati valori del
coefficiente di resistenza.

271
È doveroso accennare a questo punto che, tipicamente nel caso di “corpi
tozzi” o “bluff bodies”, i vortici si distaccano alternativamente dal corpo e
sono responsabili di un importante forzamento non stazionario periodico e
alternato, in direzione normale alla velocità della vena indisturbata. Con
riferimento alla Figura 7.42, è possibile affermare che le strutture coerenti di
vortici rilasciate a valle del “bluff body” (in campi di numeri di Reynolds
generalmente abbastanza estesi) hanno una lunghezza d’onda caratteristica
funzione della sola forma dell’oggetto che le ha generate, e proporzionali a
una sua dimensione trasversale caratteristica convenzionalmente indicata con
D, secondo una legge di proporzionalità così formulata:

(7.83)

in cui, al parametro di proporzionalità St viene dato il nome di numero di


Strouhal. La formulazione puramente geometrica di cui sopra, in cui “la
struttura” del campo di moto è supposta invariata al variare della velocità
media U Ref del flusso indisturbato, può essere sostituita da un’altra orientata
invece ai parametri cinematici e di frequenza associati tipicamente al
forzamento. Date le ovvie relazioni seguenti (in cui il pedice Vs sta per
“Vortex Shedding”) in cui si indicano con T Vs e f Vs rispettivamente il
periodo e la frequenza del fenomeno di distacco di vortici alternato:

(7.84)

Figura 7.42 Distacco di vortici da cilindro fermo: strutture


coerenti di lunghezza d’onda λ presenti nella scia (detta scia di
Von Karman).

è possibile formulare la seguente relazione nella versione più correntemente


in uso, ovvero:

272
(7.85)
in cui il numero di Strouhal è visto come il coefficiente di proporzionalità tra
la frequenza associata al periodo fluidodinamico T F = B/U Ref e la frequenza
del distacco alternato di vortici dal corpo stesso, ovvero la frequenza
fondamentale del forzamento periodico associato al fenomeno
fluidodinamico non stazionario in oggetto. Nel caso in cui il corpo possa
vibrare elasticamente trasversalmente al flusso con una frequenza di
vibrazione caratteristica f s, esisterà una velocità critica del flusso incidente
detta “velocità di Strouhal” U St tale da determinare un forzamento a
frequenza identica a quella di oscillazione libera del corpo f s, ovvero in
grado di mandarlo in risonanza con possibili grandi ampiezze di
oscillazione:

(7.86)

Figura 7.43 Campo di moto non stazionario con distacco di


vortici e flusso turbolento per cilindro fermo ad alti Reynolds (
)

273
I fenomeni di interazione flusso struttura in cui l’oscillazione della struttura
(tipicamente il cilindro) è associata al distacco di vortici sono
particolarmente complessi e di notevole interesse applicativo. Si cita soltanto
in questa sede che, se il corpo è libero di vibrare e la frequenza del
forzamento da distacco di vortici può sincronizzarsi sulla frequenza (o su una
delle frequenze) del corpo, il movimento del corpo ha l’effetto di accrescere
l’efficacia del fenomeno fluidodinamico. In altri termini, il distacco di
vortici, che avveniva disordinatamente nelle varie sezioni prima che il corpo
oscillasse, per effetto della vibrazione del corpo si sincronizza generando un
forzamento dotato di grande coerenza spaziale lungo l’estensione del corpo,
non più quindi aleatorio ma effettivamente armonico e in grado quindi di
determinare importanti effetti dinamici sullo stesso.

7.5.4 Cenni alla lubrificazione


Per lubrificazione si intende la riduzione dell’attrito tra superfici a contatto in
moto relativo mediante l’interposizione tra esse di un appostito mezzo, detto
appunto lubrificante. Si distinguono due tipi di lubrificazione.
• Lubrificazione limite: tra le superfici affacciate sono interposte delle
epilamine di lubrificante di spessore molecolare (qualche micron) che
aderiscono alle superfici stesse. L’aderenza avviene o per fenomeni
elettrostratici di assorbimento, o per attrazione elettrostatica di
molecole elettricamente non neutre o, infine, per reazioni chimiche
(le epilamine reagiscono con il materiale costituente le superfici a
contatto formando, nel caso in cui si usano lubrificanti a base di acidi
grassi, saponi che facilitano il moto relativo). In fase di rodaggio, per
esempio, vengono usati additivi EP ( Exteme Pressure), che, reagendo
con le superfici, formano solfuri o cloruri che vanno a usurare le
superfici stesse, sopperendo così alle imperfezioni dovute ai limiti
tecnici di lavorazione superficiale. La lubrificazione limite è in genere
utilizzata per basse velocità di funzionamento e permette di ottenere
coefficienti di attrito pari a 0.1.
• Lubrificazione mediata: tra le superfici affacciate viene interposto
uno strato di lubrificante (con spessore dell’ordine di un decimo di
millimetro) che separa completamente le superfici formando tra esse
un meato. A seconda delle modalità con cui viene formato questo
meato si parla di lubrificazione idrodinamica naturale o
lubrificazione idrostatica forzata. Nel primo caso, il moto relativo tra

274
le superfici inclinate tra loro provoca la formazione spontanea dello
strato in pressione e il fluido viene così “invitato” a inserirsi tra le due
superfici. Nel caso di lubrificazione idrostatica forzata, il lubrificante
viene introdotto in pressione tra le superfici a contatto in moto
relativo. Il coefficiente di attrito nel caso di lubrificazione mediata si
riduce a valori dell’ordine di 0.01. Tale parametro varia in funzione
della velocità relativa nel caso di lubrificazione naturale: è possibile
osservare come si passi da una lubrificazione limite (a velocità
relativa nulla) attraverso una condizione di lubrificazione combinata
(tra lubrificazione limite e mediata) fino a una lubrificazione mediata,
che necessita una velocità relativa al di sopra di un valore limite per
potersi stabilire. Al di sotto di tale valore di velocità, il lubrificante
non riesce a formare il meato in grado di separare le due superfici.
Per quanto riguarda i lubrificanti, le sostanze più usate risultano essere:
• lubrificanti gassosi: utilizzati per alte velocità relative o interposti in
pressione;
• lubrificanti liquidi: sono i più utilizzati, tra cui gli olii vegetali
(utilizzati per l’elevata untuosità, ovvero capacità di aderire alle
pareti) per la lubrificazione limite e gli olii minerali (idrocarburi
liquidi a elevata viscosità, ovvero alta resistenza allo scorrimento) per
quella idrodinamica naturale;
• lubrificanti semisolidi: grassi che si sciolgono con il riscaldamento
assicurando una lubrificazione limite;
• lubrificanti solidi: utilizzati per elevate temperature, tra i più usati la
grafite e il trifosforo di molibdeno.

7.5.5 La lubrificazione mediata idrodinamica


Si consideri ora un meato interposto tra due superfici di cui la superiore si
muova con velocità v, supponiamo inoltre che il lubrificante fluido abbia
velocità parallela al piano x- y e che si muova di moto laminare
unidirezionale, trascurando in tal modo i moti nella direzione y e quindi le
fuoriuscite laterali. Si trascurino inoltre le inerzie del fluido e il suo peso
proprio. Facendo riferimento a un elementino di fluido all’interno del meato
la cui parete superiore è in moto rispetto a quella inferiore con velocità v
parallela all’asse x, mettiamo in evidenza le forze elementari che agiscono su
tale elementino (Figura 7.44).

275
Sulle facce corte agiscono due sforzi p e p + d p dovuti alle pressioni, sulle
pareti laterali, trascurando la variazione di pressione dovuta alla variazione
di quota, agiscono due sforzi τ e τ + d τ tangenti dovuti alle differenti
velocità tra le lamine di fluido a contatto con la parete inferiore e quelle a
contatto con la parete superiore (per esempio la lamina di fluido sovrastante
la parete superiore ha velocità maggiore della velocità che ha la parete stessa,
ecco allora che sull’elementino agisce uno sforzo tangente τ + d τ che tende a
“tirare” l’elementino nella direzione di moto del fluido). Scrivendo
l’equilibrio alla traslazione in direzione x per l’elementino di figura:
(7.87)

si ottiene:

(7.88)

Figura 7.44 Il meato.

Al fine di avere un gradiente di pressione necessario al sostentamento, nella


lubrificazione idrodinamica è dunque necessario utilizzare fluidi viscosi.
Ricordando la legge di Petroff (Equazione 7.68) si può esprimere il gradiente
di pressione come:

(7.89)

Integrando l’Equazione (7.89) due volte rispetto a z e ponendo come


condizioni al contorno u = 0 per z = 0 e u = v per z = h si ottiene:

(7.90)
Si osservi che l’espressione della velocità u contiene un termine lineare in z
dovuto all’azione di trascinamento esercitata dal componente mobile sul film

276
di lubrificante e un termine parabolico in z proporzionale al gradiente di
pressione p′ dovuto alla presenza di un campo di pressioni entro il meato.
Scrivendo l’equazione di continuità, che impone che la portata volumetrica
G sia costante, e sostituendovi l’Equazione (7.90) si ottiene:

(7.91)

Anche in tale espressione si riconoscono due contributi alla portata: il


secondo dovuto al trascinamento e dipendente dalla velocità v della parete
superiore, il primo al gradiente di pressione necessario al sostentamento. Si
nota che dove vi è una diminuzione di altezza del meato h il gradiente di
pressione deve essere negativo perché si mantenga costante la portata;
viceversa, dove aumenta l’altezza del meato il gradiente di pressione deve
essere positivo.
Esprimendo il gradiente di pressione in funzione della portata G:

(7.92)

Si ricorda che si tratta di lubrificazione naturale, ovvero alimentata solo dalle


velocità relative dei due elementi a contatto, e che pertanto le pressioni del
fluido in ingresso e uscita del meato sono pari a quella atmosferica.
In base a tali considerazioni, la Figura 7.45 mostra l’andamento delle
pressioni in funzione delle varie sezioni del meato stesso, andamento che
possiamo ottenere integrando l’Equazione (7.92):

(7.93)

Tale andamento di pressioni è responsabile dell’azione N di sostentamento


che si può ottenere come:

(7.94)

L’azione N è da intendersi per unità di larghezza del meato.

Figura 7.45 Profilo di velocità e di pressione nel meato: x 0 è la


sezione in cui si annulla il gradiente di pressione e di conseguenza

277
la distribuzione di velocità risulta lineare.

Quanto sopra detto è estendibile anche ad altre situazioni, quali la


lubrificazione tra perno e cuscinetto o il fenomeno dell’ acquaplaning. Per
quanto riguarda il primo, il meato si forma nello spazio compreso tra la
superficie esterna del perno, e quella interna del cuscinetto (Figura 7.46). Il
perno stesso si dispone in modo da realizzare un meato con forma
convergente nella prima parte, così da realizzare l’azione di sostentamento.
Dato che lo spessore del meato è sempre molto piccolo rispetto alla
dimensione del perno, si può ancora considerare valida la trattazione fatta nel
caso del meato piano, mentre divengono significativi i fenomeni legati alla
fuoriuscita laterale del lubrificante.
Nel caso del fenomeno dell’acquaplaning, che si può instaurare al contatto
pneumatico-terreno in caso di pioggia mentre un’autovettura percorre la
strada a elevata velocità, si ha la formazione di un velo d’acqua, non rotto dal
battistrada del pneumatico, che si interpone tra pneumatico e strada. Si
realizza così un meato d’acqua, che applica un’azione di sostentamento al
pneumatico, facendo perdere sia l’aderenza sia la direzionalità.

Figura 7.46 a) meato nell’accoppiamento perno-cuscinetto, e b)


nel fenomeno dell’acquaplaning.

278
ESERCIZI SVOLTI
Resistenza al rotolamento
7.1 Considerando il sistema meccanico a un grado di libertà indicato nella
Figura 7.47, per cui: ; , si calcoli la coppia
motrice M m necessaria alla realizzazione delle condizioni di moto descritte,
in presenza di attrito volvente, il cui coefficiente è f v = 0.01.
Si effettui inoltre la verifica di aderenza considerando il coefficiente di attrito
statico pari a f s = 0.5.
Dati: R = 5 m raggio della guida circolare; r = 0.5 m raggio del disco; M
= 5 kg massa del disco; J = 0.625 kgm 2 momento d’inerzia del disco.

Figura 7.47 Rotolamento su guida circolare.

Risoluzione
Nella Figura 7.48 è evidenziato il sistema di forze che agisce sul disco; per

279
calcolare la coppia motrice necessaria si scrive il bilancio di potenze,
secondo il quale:

dove con v e a ( t). sono indicate rispettivamente la velocità e l’accelerazione


tangenziale del centro del disco, mentre ω e sono la velocità e
l’accelerazione angolare del disco.

Figura 7.48 Il sistema di forze agenti sul disco.

Esplicitando le relazioni cinematiche dovute al vincolo di rotolamento senza


strisciamento si ha:

la velocità del centro del disco può essere in modo analogo espressa in
funzione della velocità angolare ottenendo la relazione cinematica:

Per quanto concerne l’accelerazione del centro del disco, essa si può
esprimere nelle sue due componenti normali e tangenti secondo le
espressioni:

Sostituite tali relazioni cinematiche nel bilancio di potenze si ottiene:

280
che mostra come la coppia motrice M m risulta funzione della azione normale
N.
Questa può essere calcolata ricavando l’equilibrio dinamico alla traslazione
in direzione radiale, da cui:

L’azione normale sostituita nell’equazione del bilancio di potenze permette


di calcolare la coppia motrice M m = 99.5 Nm.

Verifica di aderenza
Perché sia verificata la condizione di rotolamento senza strisciamento deve
essere verificata la relazione seguente:

Il valore dell’azione tangenziale T si ottiene dall’equilibrio dinamico alla


rotazione rispetto al centro del disco:

da cui si ricava che è verificata l’aderenza.


7.2 Considerando il sistema meccanico nella Figura 7.49 si calcoli, in
presenza di attrito volvente tra disco e piano inclinato con coefficiente di
attrito f v = 0.02, la coppia motrice, applicata alla puleggia, necessaria al
moto a regime in salita del disco e la coppia necessaria affinché il disco
percorra in salita il piano inclinato con un’accelerazione pari a 1 m/s 2.
Si calcolino, inoltre, nelle condizioni di moto vario i tiri nei due tratti della
fune. Dati: R = 1 m raggio del disco; M = 20 kg massa del disco; J d = 0.625
kgm 2 momento d’inerzia del disco; r = 0.5 m raggio della puleggia; J p =
0.45 kgm 2 momento d’inerzia della puleggia; m = 3 kg massa del
contrappeso; α = 20° angolo formato dal piano con l’orizzontale.

Figura 7.49 Il sistema meccanico dell’Esercizio 7.2.

281
Risoluzione
La scrittura del bilancio di potenze permette di analizzare il moto del sistema
sia in moto vario, cioè nel transitorio di avvio, che, tenendo conto delle
opportune semplificazioni, a regime:

dove con v e a sono indicate rispettivamente la velocità e l’accelerazione del


centro del disco, e quindi della massa m, mentre ω d e sono la velocità e
l’accelerazione angolare del disco; ω p e sono le medesime quantità
riferite alla puleggia.
I legami cinematici dovuti ai vincoli di puro rotolamento della fune sulla
puleggia e del disco sul piano inclinato sono:

Sostitunedoli nell’equazione del bilancio di potenze e semplificando la


velocità si ha che

L’equazione presenta quindi due incognite: la coppia motrice e l’azione


normale che si scambiano disco e piano inclinato; la seconda si calcola
considerando il sistema di forze cha agiscono sul solo disco e scrivendo
l’equilibrio dinamico alla traslazione in direzione ortogonale al piano

282
inclinato:

La coppia motrice da applicare alla puleggia per ottenere una accelerazione


pari a 1 m/s 2 è allora:

La stessa equazione permette di calcolare la coppia necessaria al moto a


regime, in questa condizione si ha che l’accelerazione è nulla, quindi i
termini inerziali a destra dell’uguale si annullanno, cioè:

Per il calcolo dei tiri nei due tratti di fune si considera dapprima la sola
massa m e attraverso l’equilibrio dinamico alla traslazione in direzione
verticale si ha:

Dall’equilibirio dinamico alla rotazione rispetto al centro della puleggia si


ottiene:

da cui si calcola che il tiro T 1 = 91.4 N.

Figura 7.50 Le forze agenti sui corpi rigidi dell’Esercizio 7.2.

Attrito radente in un meccanismo a glifo oscillante

283
7.3 Del sistema articolato nella Figura 7.51, posto in un piano verticale, sono
note: la lunghezza della manovella AB = 1 m, la lunghezza OG = 1 m e la
lunghezza del telaio AO = 0.8 m; sono inoltre note la posizione angolare α =
0, la velocità angolare costante
Sapendo che la massa del glifo è m = 0.5 kg e che il suo momento d’inerzia
è J = 0.2 kgm 2, si calcoli la coppia motrice M m necessaria al mantenimento
delle condizioni di moto indicate considerando la presenza di attrito
dinamico, con coefficiente f d = 0.3 tra il glifo e il corsoio.

Figura 7.51 Il meccanismo a glifo oscillante.

Risoluzione
Al fine di calcolare la coppia motrice necessaria al moto del sistema si
utilizza il bilancio di potenze, questo significa che devono essere
preventivamente calcolate le velocità dei punti di applicazione delle forze
esterne e le accelerazioni che permettono di definire la derivata dell’energia
cinetica rispetto al tempo; vanno quindi calcolate: la velocità del baricentro
del glifo e l’accelerazione dello stesso punto.
Per definire la cinematica del sistema è necessario scrivere l’equazione di
chiusura del sistema:

Sostituendo i vettori a, b e c alle aste che compongono il sistema, secondo la


Figura 7.52: l’equazione di chiusura riscritta in termini di numeri complessi
sarà:

284
da cui si ricava che le incongnite b e β sono rispettivamente pari a 1.29 m e
0.67 rad.

Figura 7.52 L’equazione di chiusura del glifo oscillante.

Per calcolare le velocità è necessario derivare l’equazione di chiusura


rispetto al tempo:

da cui si ricava la velocità di allungamento del glifo pari a 0.62 m/s e la


velocità angolare del glifo pari a 0.6 rad/s.
L’ulteriore operazione di derivazione permette di calcolare le accelerazioni
del sistema:

da cui e

Figura 7.53 Le forze agenti sul glifo.

285
In questo modo sono state calcolate tutte le quantità cinematiche di interesse
e si può scrivere il bilancio di potenze:

che dipende dalla forza assiale N che si trasmettono il glifo e la manovella


attraverso il corsoio; questa si calcola considerando il sottosistema composto
dal solo glifo e scrivendo un equilbrio dinamico alla rotazione rispetto al
punto O:

L’accoppiamento prismatico tra corsoio e glifo imporrebbe tra le azioni


interne anche una coppia che risulta nulla in quanto si considera il corsoio di
dimensioni trascurabili.
Una volta calcolato il valore dell’azione normale N, sostituendo nel bilancio
di potenze si ottiene il valore della coppia motrice necessaria:

Profili coniugati in strisciamento relativo


7.4 Il sistema descritto in Figura 7.54 è costituito da due camme incerniarate
a terra soggette a strisciamento relativo nel punto di contatto. Note tutte le
grandezze geometriche le velocità angolari dei due corpi Ω 1 e Ω 2 e la coppia
resistente M r applicata al corpo (1), si richiede di calcolare la velocità
relativa di strisciamento nel punto di contatto e la potenza dissipata per

286
attrito.

Figura 7.54 Profili coniugati.

Il centro di istantanea rotazione del moto relativo tra il corpo (1) e il corpo
(2) risulta essere l’intersezione tra la retta che congiunge le cerniere a terra
con la retta normale ai due corpi nel punto di contatto (vedi Esercizio 2.5).
Pertanto la velocità angolare Ω 2 è calcolabile come:

e la velocità relativa tra i due corpi nel punto di contatto risulta essere pari a:

avendo definito con Ω 21 la velocità angolare relativa tra i due corpi (vedi
Figura 7.55):

Figura7.55

Definito in modulo, direzione e verso il vettore velocità relativa V P21 è

287
possibile calcolare la forza di attrito agente sul corpo (1):

Per calcolare i valori delle forze N 1 e T 1 si può usare il metodo degli


equilibri dinamici. In particolare è sufficiente scrivere l’equazione di
equilibrio alla rotazione rispetto al punto O 1 (Figura 7.56):

Sostituendo l’espressione di T 1:

si ottiene:

da cui:

La potenza persa per attrito, pertanto, risulta essere:

Figura 7.56 Le azioni di contatto tra i profili coniugati.

Dinamica del manovellismo con attrito


7.5 Il meccanismo indicato di Figura 7.57 è costituito dalle aste
(formanti un angolo pari a 45° con l’asse orizzontale) ed è

288
ipotizzato in moto con velocità Ω e accelerazione angolare imposta
all’asta AB, tali da realizzare una velocità e una accelerazione del corsoio
dirette nel verso di Figura 7.58 con valori:

Figura7.57

Il sistema, rappresentato nel piano orizzontale è caricato delle forze esterne,


F B e F C ipotizzate e agenti nella direzione delle frecce indicate in figura con
valori numerici:

Si ipotizza che il corsoio sia dotato di massa M c = 5 kg e che fra corsoio e


terreno ci sia strisciamento con attrito dinamico f c = 0.05. Calcolare il valore
della coppia C M necessaria a rendere equilibrata la condizione cinematica
imposta.

Figura7.58

289
Risoluzione
L’osservatore a bordo del corsoio in C vede una velocità di strisciamento
V 21 = − V C da cui segue che la forza di attrito applicata al corsoio sarà
espressa dal modello di attrito dinamico come:

ovvero la forza T C ha verso opposto alla velocità del corsoio V C e il verso


di tale forza dipende unicamente dalle condizione cinematiche del moto del
meccanismo, ovvero dal verso della velocità di strisciamento indicato. Il
corsoio come rappresentato in Figura 7.59 è caricato anche da una forza
d’inerzia − M c a c di verso opposto alla accelerazione a c e da una forza
esterna F c con F c , T c e − M c a c equiverse nelle direzione indicata in
Figura 7.59.
Il corsoio è infine caricato dalla forza normale N c il cui verso è tuttavia
incognito (si sottolinea che il vincolo di strisciamento del corsoio è
ipotizzato bilatero) e si ipotizza, come indicato in figura, positivo il verso
indicato dalla freccia.
Si scrivono quindi equazioni di equilibrio dinamico per esempio nella
sequenza proposta, che consente di calcolare le grandezze incognite
risolvendo in successione equazioni in una sola incognita. Momento rispetto
al polo (B) per l’asta BC ( a c ipotizzata positiva nel verso indicato in figura):

da cui, sostituendo i valori numerici si ottiene:

290
da cui si ottiene un valore di N c < 0, ovvero:

Figura7.59

È importante sottolineare che nella espressione del contributo della forza


tangenziale T c alla equazione di momento è di fondamentale importanza la
presenza dell’operatore “modulo” della forza normale N c . Nel caso infatti si
trascurasse l’utilizzo del “modulo” della forza normale, l’inversione di segno
della reazione normale N c, certamente prevista dal vincolo bilatero e
ovviamente ininfluente sul verso della forza tangente, causerebbe invece
erroneamente l’inversione di verso delle forze tangenti e il cambiamento di
segno della potenza delle forze scambiate al contatto, portando a un risultato
ovviamente errato del calcolo. Noto quindi il valore di N c è possibile
procedere al calcolo della coppia C M mediante una equazione di momento
per l’intero sistema rispetto al polo (A).

291
da cui si ottiene:

292
CAPITOLO 8 Dinamica della macchina
a un grado di libertà

8.1 Considerazioni generali


In questo capitolo si esaminerà il funzionamento di una macchina sotto -
l’ipotesi di poter considerare questo sistema dotato di un solo grado di
libertà. Una schematizzazione in cui ricade la maggiore parte delle macchine
è quella che vede la macchina come composta da un motore, una
trasmissione e un utilizzatore. Benché la suddivisione fra queste tre parti
possa risultare talvolta riduttiva, è possibile in linea di massima affermare
che:
• il motore ha il compito di produrre potenza meccanica, utilizzando
una fonte di energia di diversa natura (chimica, elettrica, idraulica o
altro);
• l’ utilizzatore impiega la potenza meccanica resa disponibile dal
motore per compiere una funzione, che può essere di natura alquanto
varia, per esempio il sollevamento o la movimentazione di un carico,
una lavorazione meccanica, la compressione di un fluido ecc.;
• la trasmissione ha il compito di trasferire la potenza dal motore
all’utilizzatore e, dal punto di vista della cinematica della macchina,
stabilisce un rapporto (detto rapporto di trasmissione, Paragrafo 8.4)
tra la velocità del motore e quella dell’utilizzatore.
L’ipotesi che la macchina sia un sistema dotato di un solo grado di libertà,
corrisponde ad affermare che la posizione di tutti i suoi punti venga
univocamente determinata dal valore di una sola coordinata libera, che nel
seguito sarà generalmente rappresentata dalla rotazione dell’albero motore.
Escludendo casi particolari in cui la macchina ha più di una possibilità di
movimento rigido (per esempio macchine contenenti rotismi epicicloidali
[6]), quest’ipotesi corrisponde a considerare trascurabili gli effetti di
deformabilità degli organi (alberi, elementi di sistemi articolati, cinghie ecc.)
che compongono la macchina stessa.
Per scrivere l’equazione differenziale che governa il moto della macchina a

293
un grado di libertà è conveniente utilizzare l’equazione di bilancio delle
potenze (Paragrafo 6.3). Nel caso dello studio della macchina, per questa
equazione può essere utilizzata la forma:

(8.1)

in cui si distingue, a primo membro:


• il termine W m, rappresentante la potenza dovuta a tutte le forze e i
momenti che si esercitano sul lato motore, ossia su tutte le parti della
macchina poste a monte della trasmissione:

• il termine W r, che tiene conto di tutte le forze e coppie agenti


sull’utilizzatore (ossia a valle della trasmissione):

• il termine W p, che rappresenta le perdite che si verificano nella


trasmissione per effetto degli attriti e delle resistenze interne a questo
organo.
A secondo membro, l’energia cinetica della macchina risulta essere somma
dell’energia cinetica di tutti gli elementi in movimento cui viene associata
una inerzia. In genere si può considerare trascurabile il contributo all’energia
cinetica dovuto alla trasmissione, e scrivere quindi tale grandezza come
somma del contributo del motore e di quello dell’utilizzatore :

Nei prossimi paragrafi verranno descritti in maggior dettaglio le forze e


potenze meccaniche agenti nei tre componenti (motore, utilizzatore e
trasmissione) individuati nella macchina.

8.2 Il motore
All’interno del motore avviene la trasformazione di potenza di diversa natura
in potenza meccanica necessaria al funzionamento della macchina. Questa
trasformazione si può ottenere in modi diversi, per esempio in un motore a

294
combustione interna la potenza meccanica viene prodotta a partire
dall’energia liberata durante un fenomeno di combustione, mentre nel caso di
un motore elettrico viene ottenuta attraverso conversione di potenza elettrica.
Indipendentemente dal procedimento utilizzato per produrre potenza
meccanica, essa si manifesterà in genere sotto forma di una o più forze
(talvolta in numero molto grande) applicate in diversi punti del motore
soggetti a movimento. Per esempio in un motore a combustione interna
pluricilindrico, si avrà una forza agente su ciascun pistone del motore,
rappresentante la risultante delle pressioni della miscela aria combustibili
agenti sul pistone, mentre nel caso del motore elettrico (per esempio in
corrente continua) si avrà una forza agente su ciascun lato di ogni spira degli
avvolgimenti presenti sul rotore del motore. La potenza complessivamente
prodotta dal motore sarà quindi la somma di tutte le potenze parziali
associate a ciascuna forza presa singolarmente.
Si osservi, a questo proposito, che non è detto che in ogni istante tutte le
forze agenti sul motore siano effettivamente tali da generare una potenza
meccanica positiva, utile cioè a vincere le resistenze presenti nella macchina
o a incrementarne l’energia cinetica, in base all’Equazione (8.1). Per
esempio, in un motore a combustione interna quadricilindrico a quattro
tempi, una sola delle quattro forze agenti sul pistone (quella relativa al
cilindro in cui si svolge la fase di espansione) lavora positivamente per lo
spostamento del pistone, mentre negli altri tre cilindri le forze si oppongono
allo spostamento dei pistoni per effetto delle resistenze e perdite meccaniche
associate alle fasi di aspirazione, compressione e scarico.
In molti casi, anziché rappresentare in modo dettagliato le diverse forze
agenti nella macchina e scrivere per ciascuna di esse il corrispondente
termine di potenza meccanica, risulta più comodo, agli effetti dello studio del
funzionamento della macchina, considerare l’azione complessiva di tutte le
forze presenti nel motore come equivalente a quella di una singola coppia,
detta coppia motrice ridotta , agente sull’albero che stabilisce il
collegamento tra il motore e la trasmissione ( albero motore). Questo
procedimento si definisce riduzione all’albero motore di tutte le forze
agenti. Poiché lo scopo finale di questa operazione è applicare il bilancio di
potenze, questa operazione di riduzione dovrà mantenere invariata la potenza
motrice complessiva W m, ossia dovrà realizzare la relazione:

295
(8.2)
in cui ω m rappresenta la velocità angolare dell’albero motore.
Con procedimento simile, tutte le inerzie dei corpi presenti nel motore (che
contribuiscono a formare l’energia cinetica del motore ) possono essere
ridotte a un unico volano rotante insieme all’albero motore, di momento di
inerzia detto momento di inerzia ridotto del motore:

(8.3)

Possiamo quindi osservare che, una volta effettuata l’operazione di


riduzione, il motore può essere ridotto al semplice schema di Figura 8.1,
formato da un albero rigido su cui è calettato un volano di inerzia e su cui
agisce una coppia . Tale schema costituisce quindi il modello del motore
all’interno della macchina, indipendentemente dalla particolare natura del
motore utilizzato nell’applicazione considerata.
In generale, la coppia motrice agente sull’albero motore dipenderà dalla
velocità angolare di rotazione dell’albero motore. Inoltre, per particolari
tipologie di motore, la coppia potrà anche variare con la posizione angolare -
dell’albero (in questo caso, se l’albero ruota con velocità angolare costante,
si

Figura 8.1 Schema del motore di una macchina.

avrà una variazione periodica della coppia motrice, con periodo


proporzionale a quello di rotazione dell’albero). Analogamente, il valore del
momento di inerzia ridotto può variare con l’angolo di rotazione
dell’albero motore.
Per il momento, ci limiteremo a considerare il caso in cui la coppia motrice e
il momento di inerzia non dipendono dalla posizione angolare dell’albero
motore, ma solo dalla sua velocità angolare, mentre il caso più generale sarà

296
trattato nel Paragrafo 8.11. Possiamo però osservare che lo studio effettuato
considerando coppia e momento di inerzia indipendenti dalla rotazione
dell’albero, può spesso costituire una valida approssimazione del caso più
generale, se si utilizzano per la coppia e il momento di inerzia i
valori medi sul periodo angolare della macchina, come visto in precedenza
nel caso di un motore monocilindrico. Per esempio, il motore a combustione
interna rappresenta un sistema in cui coppia e momento di inerzia dipendono
dalla rotazione dell’albero motore, ma le fluttuazioni periodiche di queste
quantità avvengono in tempi brevissimi: per un motore monocilindrico
quattro tempi, in un tempo pari al doppio del periodo di rotazione
dell’albero, che per un regime di rotazione di 5000 g/min risulta pari a:

Si comprende allora che, a meno di dover studiare le fluttuazioni di velocità


angolare che si possono generare nel motore 1, è possibile sostituire il valore
istantaneo della coppia motrice e del momento di inerzia con i valori medi
nel periodo commettendo un errore il più delle volte non rilevante dal punto
di vista ingegneristico.
1
Tra gli effetti di queste fluttuazioni, particolarmente importanti sono le
vibrazioni torsionali dell’albero motore che danno luogo al fenomeno delle
cosiddette velocitά critiche torsionali [7].

Esempio 8.1 Motore alternativo monocilindrico

A titolo di esempio, si consideri un motore alternativo monocilindrico a combustione


interna, il cui schema cinematico è costitito dal manovellismo ordinario centrato. Si
consideri il contributo all’energia cinetica dei tre corpi in movimento che
compongono il sistema: l’albero motore, in moto rotatorio, il pistone, in moto
traslatorio rettilineo, e la biella che li connette, in moto rototraslatorio. Per quanto ora
detto, l’energia cinetica può essere espressa come:

(8.4)

Per introdurre i legami tra le variabili utilizzate per esprimere l’energia cinetica, e la
rotazione dell’albero motore, variabile scelta come grado di libertà, è possibile

297
utilizzare i risultati ottenuti dall’analisi cinematica del manovellismo (Paragrafo 3.3).
In particolare, i legami cinematici espressi in termini di jacobiano sono,
rispettivamente per la velocità angolare della biella e la velocità di traslazione del
pistone pari a:

(8.5)

Per quanto riguarda invece le componenti della velocità del baricentro G della biella,
distante b G dall’estremo A, occorre impostare un’equazione di chiusura (Figura 8.1)
che descriva la posizione del baricentro G della biella, sfruttando i moti della
manovella e della biella, noti dall’analisi del manovellismo già svolta nel Paragrafo
3.3:

(8.6)

Considerando la parte reale e la parte immaginaria:

(8.7)

e derivando rispetto al tempo, si identificano gli jacobiani relativi al moto del


baricentro della biella:

(8.8)

Note le equazioni degli jacobiani, la (8.4) può essere riscritta in funzione della
velocità di rotazione α.:

(8.9)

Tenuto conto che l’angolo β che descrive la rotazione della biella è funzione
dell’angolo α di rotazione della manovella, l’espressione entro parentesi quadre è
funzione solo di quest’ultimo, e può essere interpretato come il momento di inerzia
relativo a tutte le masse in moto, ridotto all’albero di manovella:

(8.10)

Figura 8.2 Catena cinematica per la determinazione del moto


del baricentro G della biella.

298
Ai fini della schematizzazione della macchina, nella maggior parte dei casi è -
sufficiente considerare il valore medio di tale momento, espresso come:

(8.11)

8.2.1 Caratteristica meccanica di un motore a


combustione interna
La caratteristica meccanica di un motore a combustione interna definisce la
coppia erogata dal motore in funzione del proprio regime di rotazione al
variare del grado di ammissione γ, ossia di un parametro che indica in quale
misura sia aperta la valvola che regola l’afflusso della miscela di aria e
combustibile all’interno dei cilindri. Il grado di ammissione γ assume valori
compresi tra 0, quando la valvola risulta completamente chiusa, e 1 per
valvola completamente aperta.
Di norma, la coppia motrice viene misurata al banco in condizioni di
massima e minima ammissione, dando luogo a due curve caratteristiche del
motore, che sono rappresentate per punti in funzione del regime di rotazione.
In condizioni intermedie di ammissione, si ritiene in genere lecito ([12])
assumere che la coppia erogata dipenda linearmente dal coefficiente di
ammissione, cosicché il valore di coppia erogata per un generico valore del
grado di ammissione γ risulta pari a:
(8.12)

A titolo di esempio, si mostra nella Figura 8.3 la caratteristica meccanica di


un motore per vetture di medie dimensioni.

8.2.2 Caratteristica meccanica di un motore elettrico a


corrente continua a magneti permanenti

299
Un caso di interesse riguarda il motore a corrente continua a magneti
permamenti, in cui il flusso magnetico statorico è generato tramite magneti
permanenti, mentre il circuito di armatura (corrispondente al circuito
rotorico) è alimentato da una tensione V, che costituisce il parametro di
comando del motore. La Figura 8.4 mostra lo schema del circuito elettrico di
riferimento, costituito da una resistenza R, una tensione e corrispondente
alla cosiddetta tensione controelettromotrice dovuta al moto delle spire del
circuito rotorico percorse da corrente, in movimento nel campo magnetico
statorico. Le equazioni che reggono il funzionamento del motore sono le
seguenti:

(8.13)

Figura 8.3 Caratteristica meccanica di un motore a combustione


interna per diversi valori del grado di ammissione.

La prima del sistema della (8.13) rappresenta l’equazione della maglia che
schematizza il circuito elettrico di armatura, la seconda fornisce la tensione

300
indotta sulle spire del circuito di armatura, avente resistenza R (e di cui si
trascura l’induttanza L), per effetto del movimento dei suoi conduttori
percorsi da corrente nel campo magnetico induttore (statorico), la terza
equazione infine rappresenta la coppia generata sul rotore, come
proporzionale alla corrente circolante nel circuito di armatura. Le costanti
K m e K e dipendono dalle caratteristiche del flusso magnetico statorico e dal
numero delle spire, dalla loro lunghezza e distanza dall’asse di rotazione. Ci
si propone ora di ricavare l’equazione caratteristica meccanica del motore,
riportandosi a un’espressione che leghi la coppia motrice erogata C m con la
velocità di rotazione ω m.

Figura 8.4 Schema di un motore elettrico a corrente continua a


magneti permanenti.

Ricavando la corrente i dalla terza della (8.13), e la tensione e dalla seconda


della (8.13), e sostituendo nella prima, si ha:

(8.14)

da cui si ricava:

(8.15)

L’Equazione (8.15) definisce la caratteristica meccanica del motore


considerato. Come mostrato in Figura 8.5 tale caratteristica è rappresentata
da una retta parametrica in funzione della tensione di armature V, che
costituisce quindi un parametro di regolazione del motore.

301
Si vuole ora far osservare come le due costanti che legano tra loro le
grandezze elettriche e quelle meccaniche ( K m e K e) abbiano in realtà lo
stesso valore. Considerando infatti la potenza meccanica trasferita all’albero,
ed eguagliandola alla potenza elettrica corrispondente alla tensione indotta
per la corrente circolante nel circuito di armatura si ha:
(8.16)
ovvero, considerando la seconda e la terza della (8.13):
(8.17)

da cui è immediato osservare che K m = K e .

Figura 8.5 Caratteristica meccanica di un motore elettrico a


corrente continua a magneti permanenti.

8.2.3 Caratteristica meccanica di un motore asincrono


trifase
Il motore asincrono trifase è costituito da una parte fissa, detta statore e da
una parte mobile, detta rotore, posta all’interno dello statore e dotata della
possibilità di ruotare rispetto a un asse fisso. Su ciascuno di questi elementi è
posto un avvolgimento trifase. L’avvolgimento posto sullo statore, detto
induttore, è alimentato con un sistema di tensioni trifase alternate, che
genera un campo magnetico rotante con velocità angolare ω s detta velocità
di sincronismo, pari a:

302
in cui f a è la frequenza della tensione di alimentazione e p è il numero di
coppie di poli dello statore. Sul rotore si genera quindi una forza
elettromotrice che dipende dalla velocità angolare del rotore e che si annulla
quando questo ruota alla velocità di sincronismo, ossia in maniera sincrona
rispetto al campo magnetico generato dallo statore.
La caratteristica meccanica del motore asincrono è mostrata nella Figura 8.6.
Come si può osservare, tale caratteristica assume un andamento pressoché
lineare per velocità prossima a quella di sincronismo. Per evitare un
funzionamento non corretto del motore (eccessive dissipazioni di energia con
conseguente surriscaldamento) è necessario che il motore lavori a regime in
prossimità della velocità di sincronismo, e che la sua velocità angolare non
subisca eccessive oscillazioni attorno al valore di regime.
Si può inoltre osservare che per velocità angolari superiori alla velocità di
sincronismo la coppia motrice diviene negativa, ossia risulta opposta alla
velocità angolare dell’albero motore. In queste condizioni il motore
asincrono trifase si comporta come un organo frenante, sottraendo potenza
alla macchina.
Le inerzie del motore asincrono trifase si riducono a un momento di inerzia
costante J m, che rappresenta il momento di inerzia del rotore rispetto al
proprio asse di rotazione.

Figura 8.6 Caratteristica del motore asincrono trifase.

8.2.4 Motore asincrono trifase azionato da inverter

303
In un azionamento a inverter, il sistema trifase di correnti che alimenta lo
statore del motore asincrono trifase possiede caratteristiche regolabili di
intensità e di frequenza [8]. Infatti, tale sistema di correnti non viene
direttamente prelevato dalla rete, ma viene generato attraverso l’intervento di
opportuni dispositivi detti inverter che, attraverso la periodica apertura e
chiusura di valvole comandate, riescono a generare un sistema di tensioni
che approssima un sistema trifase alternato.
Questo tipo di azionamento è, poi, interfacciato con un sistema di controllo
che consente di realizzare le condizioni di frequenza e intensità del sistema
di correnti in alimentazione che consentono al motore di erogare la coppia
desiderata (modalità di controllo in coppia), oppure la velocità angolare
desiderata (modalità di controllo in velocità). Per l’azionamento controllato,
non è pertanto possibile definire una singola curva di caratteristica
meccanica, ma si ha invece un’intera regione del piano coppia-velocità
angolare che rappresenta le condizioni ammissibili di funzionamento:
l’azionamento può lavorare con qualsiasi combinazione di valori di velocità
angolare e di coppia, purché il punto che individua questa condizione nel
piano ω m− C m sia contenuto in tale regione.
Per l’azionamento considerato, la regione delle condizioni di funzionamento
ammissibili è delimitata superiormente dalla curva di Figura 8.7, che è
costituita da un primo tratto a coppia costante e pari al valore M max (limite
normalmente imposto dalla corrente circolante negli avvolgimenti),
corrispondente ai valori di velocità angolare inferiori a , e da un tratto in
cui la coppia motrice risulta inversamente proporzionale alla velocità
angolare del motore (questa curva limita la massima potenza erogata).

Figura 8.7 Condizioni ammissibili di funzionamento per un


motore asincrono trifase azionato da inverter.

304
8.3 L’utilizzatore
In modo analogo a quanto fatto per il motore, è possibile definire una coppia
resistente ridotta che rappresenta complessivamente l’effetto di tutte le
forze e coppie applicate sull’utilizzatore della macchina, e un momento di
inerzia ridotto che rappresenta complessivamente tutte le inerzie poste sul
lato utilizzatore della macchina. Come per il lato motore della macchina,
anche la riduzione delle forze agenti sull’utilizzatore al corrispondente albero
si basa su un’equivalenza energetica, ossia deve mantenere invariata la
potenza resistente complessiva W r. Pertanto, in analogia con la (8.2) è
possibile scrivere:

(8.18)

Mentre il calcolo del momento di inerzia ridotto dovrà mantenere


invariata l’energia cinetica dell’utilizzatore:

in cui ω r rappresenta la velocità angolare dell’albero motore.


Anche nel caso dell’utilizzatore, è spesso possibile definire una curva
caratteristica di coppia dipendente esclusivamente dalla velocità angolare
dell’utilizzatore. Nel seguito si mostrano gli andamenti di alcune curve
caratteristiche rappresentative di alcune tipologie di utilizzatore
frequentemente presenti nelle macchine di impiego comune.
Nella maggior parte dei casi, la potenza del lato utilizzatore assume segno
negativo; questo perché l’utilizzatore richiede potenza per svolgere il
compito che gli è stato assegnato (sollevare un peso, muovere un veicolo,
eseguire una lavorazione meccanica ecc.). In questo caso, la coppia resistente
ridotta assumerà segno negativo, il che significa, ricordando che la
potenza dell’utilizzatore W r può essere scritta come prodotto scalare tra la
coppia resistente ridotta e la velocità angolare dell’utilizzatore, che il verso
della coppia resistente è opposto a quello della velocità angolare del
corrispondente albero. Esistono altri casi in cui invece la potenza resistente è
positiva, e di conseguenza la coppia resistente ridotta risulta equiversa al
senso di rotazione dell’albero utilizzatore, si pensi per esempio al caso di un
autoveicolo che si muove in discesa.

305
Nella rappresentazione grafica della caratteristica meccanica
dell’utilizzatore, nel caso in cui la coppia resistente sia senza possibile
ambiguità diretta in senso opposto a quello di rotazione dell’albero
utilizzatore, si usa rappresentare il valore assoluto della coppia resistente in
funzione della velocità angolare dell’utilizzatore. Ciò consente in particolare
di rappresentare con semplicità per via grafica la ricerca delle condizioni di
regime della macchina. Nel seguito di questo paragrafo si utilizzerà questo
tipo di convenzione.

8.3.1 Coppia resistente costante


Un primo caso che si considera è quello in cui la coppia resistente generata
dall’utilizzatore sia indipendente dalla velocità angolare dell’albero
utilizzatore stesso. Supponendo che tale coppia sia effettivamente resistente,
ossia si opponga alla rotazione dell’albero utilizzatore, si avrà:

che corrisponde a un grafico della caratteristica di coppia dell’utilizzatore del


tipo rappresentato nella Figura 8.8a. Questo tipo di caratteristica corrisponde,
per esempio, a un utilizzatore che solleva un carico, come vedremo nel
Paragrafo 8.8.

Figura 8.8 Curve caratteristiche di diversi utilizzatori: a) coppia


resistente costante, b) coppia resistente quadratica, c) coppia
resistente costante + quadratica.

8.3.2 Coppia resistente dipendente quadraticamente


dalla velocità
In questo caso la coppia resistente è ancora opposta al senso di rotazione
dell’albero utilizzatore, ma risulta in valore assoluto proporzionale al
quadrato della velocità angolare dell’utilizzatore:

306
con k costante. Questo tipo di caratteristica, rappresentata nella Figura 8.8b,
corrisponde a un utilizzatore che deve vincere resistenze di tipo
fluidodinamico che, come abbiamo visto nel Paragrafo 7.5, dipendono dal
quadrato della velocità relativa con cui il fluido incide sul corpo. Come
esempio applicativo, si può pensare a una pompa di ricircolo che debba
esclusivamente vincere le perdite di carico presenti nel circuito idraulico,
senza fornire al fluido una prevalenza, oppure a un agitatore per un reattore
chimico.

8.3.3 Coppia resistente costante + quadratica


Un caso altrettanto frequente è quello in cui le resistenze lato utilizzatore
siano la somma di due componenti, una costante con la velocità, l’altra
dipendente quadraticamente dalla velocità. L’espressione della coppia
resistente ridotta è in questo caso:

Il grafico corrispondente a questa caratteristica è rappresentato nella


Figura 8.8c. Come esempio applicativo, si può pensare a una pompa che
debba fornire una prevalenza (per esempio sollevare di una certa quota il
fluido), oppure a un veicolo che nel suo moto debba vincere sia resistenze al
rotolamento dovute all’attrito volvente (resistenza costante con la velocità)
sia resistenze aerodinamiche; questo secondo sistema sarà studiato in
dettaglio nel Paragrafo 8.9.

8.4 La trasmissione
La trasmissione di una macchina può essere realizzata per mezzo di
dispositivi quali ingranaggi, alberi, organi flessibili (cinghie trapezoidali o
dentate) catene o altri ancora. Una sintetica rassegna delle tipologie di organi
di macchine utilizzabili per la realizzazione della trasmissione del moto è
fornita nel Capitolo 10, in questa sede ci si limiterà a esaminare gli effetti
della trasmissione sul funzionamento della macchina, prescindendo dalla
particolare tipologia di trasmissione utilizzata. Sotto questo profilo, la
trasmissione deve essere studiata in quanto organo che influenza sia la
cinematica sia la dinamica della macchina.
Dal punto di vista cinematico, la trasmissione stabilisce una relazione tra le

307
velocità angolari dell’albero motore e dell’albero utilizzatore. Questa
relazione è espressa dal rapporto di trasmissione τ, definito come rapporto
tra la velocità angolare dell’utilizzatore a numeratore e la velocità angolare
del motore a denominatore:

(8.19)
che può essere espressa anche nelle seguenti due forme:

(8.20)

In particolare, molti tipi di trasmissione (benché non tutte) sono


caratterizzate da un rapporto di trasmissione che si mantiene costante durante
il funzionamento della macchina; si parla in questo caso di trasmissioni
omocinetiche. Nel seguito di questo capitolo ci si limiterà a questo caso: di
conseguenza, derivando la (8.20) si ottiene:

Per quanto riguarda invece la dinamica della macchina, nell’ipotesi di inerzie


della trasmissione trascurabili, l’effetto della trasmissione è solo quello di
introdurre una dissipazione di potenza, rappresentata nel bilancio di potenze
(8.1) dal termine W p . La potenza dissipata dalla trasmissione viene di norma
espressa come una frazione della potenza entrante nella trasmissione stessa.
A questo scopo, è necessario innanzitutto distinguere i seguenti due casi:
• la potenza fluisce nella macchina dal lato motore verso il lato
utilizzatore, come rappresentato nella Figura 8.9a, condizione detta di
moto diretto;
• la potenza fluisce nella macchina dal lato utilizzatore verso il lato
motore, come rappresentato nella Figura 8.9b, condizione detta di
moto retrogrado.
In entrambi i casi si verifica quindi un transito di potenza nella trasmissione.
Un terzo caso che si può presentare nella realtà ma che non sarà considerato
nel seguito, è quello di una trasmissione che può ammettere che la potenza
entri da ambedue i lati della macchina, per compensare le perdite che si
verificano all’interno della trasmissione stessa (caso detto di trasmissione
non reversibile).

308
Con riferimento alle definizioni di moto diretto e retrogrado fornite sopra, si
può osservare che, in relazione alle funzioni generalmente attribuite al
motore (produzione di potenza meccanica) e all’utilizzatore (utilizzo della
potenza per lo svolgimento di un “compito utile”), si potrebbe ritenere che la
macchina

Figura 8.9 Flussi di potenza attraverso la trasmissione nel moto


diretto e retrogrado: a) condizione di moto diretto, b) condizione di
moto retrogrado.

debba funzionare sempre in condizioni di moto diretto. In realtà, benché la


condizione di moto diretto sia certamente la più frequente, può presentarsi
anche quella di moto retrogrado: a tal fine si osservi che non sempre la
potenza resistente W r che si genera sul lato utilizzatore è negativa: per
esempio nel caso di un autoveicolo che si muove in discesa, la potenza
positiva dovuta al peso (che agisce a valle della trasmissione, e contribuisce
quindi al termine W r) è in generale superiore alle resistenze all’avanzamento
generate dalle resistenze al rotolamento e aerodinamiche.
Nello stesso modo, possono esistere condizioni di funzionamento di una
macchina per le quali la potenza motrice W m è negativa: per esempio,
riprendendo l’esempio dell’autoveicolo in discesa, è ragionevole pensare che
il guidatore utilizzi in discesa un rapporto di trasmissione (selezionato per
mezzo del cambio) sufficientemente basso per far agire il cosiddetto “freno
motore”, ossia per far funzionare il motore in modo da assorbire potenza.
Infine, si deve osservare che, come descritto nel seguito, anche le potenze di
inerzia relative ai volani e posti sui due alberi della macchina hanno
influenza sul verso del flusso di potenza attraverso la trasmissione, per cui è
possibile che una macchina funzioni in moto retrogrado anche quando il
motore sta erogando una potenza positiva.

8.4.1 Espressione della potenza perduta in condizioni di

309
moto diretto
Se la macchina funziona in condizioni di moto diretto, come mostrato dalla
Figura 8.9a, si ha un flusso di potenza W 1 entrante nella trasmissione dal
lato motore. Di questa potenza entrante, una porzione W p viene dissipata per
effetto degli attriti presenti nella trasmissione, mentre la restante potenza W 2
esce verso il lato utilizzatore della macchina. Poiché si ipotizzano
trascurabili le inerzie della trasmissione (e quindi la sua energia cinetica),
applicando il bilancio di potenze alla sola trasmissione si ottiene la relazione:
(8.21)
in cui si attribuisce segno positivo al termine di potenza entrante nella
trasmissione W 1 e segno negativo ai termini di potenza uscente W 2 e W p.
Si definisce rendimento in moto diretto η d della trasmissione il rapporto
(cambiato di segno) tra la potenza uscente W 2 lato utilizzatore e la potenza
entrante W 1 lato motore:

(8.22)

Il rendimento così definito risulta sempre maggiore di zero (se si esclude il


caso di trasmissione non reversibile) e inferiore all’unità, in quanto il termine
W d deve necessariamente assumere segno negativo, dato che corrisponde a
una dissipazione di energia che si verifica per effetto degli attriti e delle
resistenze interni alla trasmissione.
Dall’Equazione (8.22), utilizzando la (8.21), segue che la potenza perduta
nella trasmissione W p può essere scritta come:

(8.23)

Oppure, esplicitando la potenza perduta in funzione della potenza W 2


uscente lato utilizzatore:

(8.24)

8.4.2 Espressione della potenza perduta in condizioni di


moto retrogrado

310
Se nell’istante considerato la macchina funziona in condizioni di moto
retrogrado, la situazione dei flussi di potenze attraverso la trasmissione è
quella riportata nella Figura 8.9b, in cui si ha una potenza W 2 entrante
dall’utilizzatore e una potenza W 1 uscente dalla trasmissione verso il lato
motore, oltre al termine W p di potenza perduta. Scrivendo il bilancio delle
potenze per la trasmissione, e considerando ancora positive le potenze
entranti, si ha ancora:
(8.25)
Definiamo in questo caso rendimento in moto retrogrado della
trasmissione il rapporto tra la potenza uscente lato motore W 1 e la potenza
entrante lato utilizzatore W 2:

(8.26)

In questo caso, con considerazioni analoghe a quelle fatte per il caso del
moto diretto, l’espressione della potenza perduta nella trasmissione W p
diviene:
(8.27)

oppure:

(8.28)

8.4.3 Determinazione del flusso di potenza attraverso la


trasmissione
In base a quanto detto, per poter esprimere la potenza perduta nella
trasmissione W p è necessario prima determinare se la macchina funziona in
condizioni di moto diretto o retrogrado. A tal fine è necessario scrivere un
bilancio di potenze parziale del solo lato motore, che consente di determinare
la potenza W 1 scambiata tra il lato motore e la trasmissione e quindi, in
particolare, di determinare se essa è diretta dal motore alla trasmissione
(moto diretto) o viceversa (moto retrogrado). Una volta accertata la
condizione di funzionamento della macchina, si può esprimere le potenza
perduta W p usando le Equazioni (8.23) e (8.27). Alternativamente, si può

311
ottenere lo stesso risultato scrivendo un bilancio parziale del solo
utilizzatore.
Per chiarire il procedimento esposto sopra, facciamo riferimento allo schema
base della macchina riportato nella Figura 8.10, in cui tutte le forze agenti sul
lato motore sono state ridotte al momento , le forze agenti sul lato
utilizzatore sono rappresentate dal momento e le inerzie della macchina
sono state ridotte ai due momenti di inerzia e .
Se si considera, come mostrato nella parte centrale della figura, il solo lato
motore (circondato da una “frontiera” rappresentata dal rettangolo
tratteggiato), è possibile evidenziare la potenza W 1 scambiata da questo con
la trasmissione; nella figura, tale potenza è assunta per convenzione uscente
dal lato motore. Applicando l’Equazione di bilancio di potenze (8.1) a questa
sola parte del sistema si ottiene:

in cui la potenza W 1 compare con segno negativo, in quanto uscente dalla


frontiera del lato motore, e quindi tale da diminuire il livello energetico del
sottosistema considerato. Esplicitando questa equazione rispetto a W 1 si
ottiene:

(8.29)
Il segno della potenza W 1 così calcolata consente di distinguere il caso di
moto diretto ( W 1 > 0) da quello di moto retrogrado (W 1 < 0).
Volendo invece determinare la condizione di moto della macchina attraverso
un bilancio di potenze parziale dell’utilizzatore, si deve fare riferimento allo
schema riportato nella parte inferiore di Figura 8.10, ottenendo

Figura 8.10 Schema della macchina a un grado di libertà e


bilancio di potenze parziale del lato motore/utilizzatore.

312
l’equazione:

da cui:

(8.30)

in questo caso si avrà moto diretto per W 2 < 0 e moto retrogrado per W 2 > 0.
Come dimostrato dalle Equazioni (8.29) e (8.30), il segno delle potenze W 1
e W 2 non dipende solo dal valore dei momenti ridotti lato motore e
utilizzatore e , ma anche dall’accelerazione istantanea della
macchina. Di conseguenza, è opportuno discutere brevemente i seguenti due
casi che si possono presentare nello studio della macchina.

Caso 1 Accelerazione nota


Si osservi che, in questo caso, grazie al legame cinematico tra ω m e ω r

313
stabilito dal rapporto di trasmissione (8.19), sono note le accelerazioni di
entrambi gli alberi della macchina. Basta quindi valutare la più comoda tra le
due Equazioni (8.29) e (8.30) per determinare la condizione di moto.

Caso 2 Accelerazione incognita


In questo caso l’analisi è più complessa, perché per valutare il segno delle
Equazioni (8.29) e (8.30) occorre conoscere il valore dell’accelerazione
angolare dei due alberi, ma per calcolare questa incognita occorre scrivere un
bilancio di potenze del tipo (8.1) per tutta la macchina, comprendente quindi
la potenza perduta W p che, a sua volta, richiede la conoscenza della potenza
entrante nella trasmissione.
Per sciogliere questa indeterminazione occorre ipotizzare un verso per il
flusso di potenza (moto diretto o retrogrado), calcolare in tale ipotesi la
potenza perduta, ricavare l’accelerazione della macchina e verificare a
posteriori la validità dell’ipotesi fatta calcolando W 1 e W 2 e osservandone il
segno. Ovviamente, il valore dell’accelerazione calcolato per la macchina
può essere considerato corretto solo se l’ipotesi fatta circa il flusso di potenza
si rivela congruente con il risultato ottenuto, altrimenti occorrerà ricalcolare
l’accelerazione della macchina nell’ipotesi opposta a quella assunta
inizialmente. Questo tipo di procedimento sarà chiarito negli esempi
applicativi e negli esercizi.

8.4.4 Trasmissioni in serie


In alcune macchine la connessione tra il motore e la trasmissione avviene per
mezzo di due stadi successivi di trasmissione, posti uno in serie all’altro.
Esempio tipico è l’autoveicolo, nel quale di norma si ha una prima riduzione
della velocità angolare del motore, che si realizza nel cambio, e un secondo
stadio di riduzione, che è realizzato dalla coppia conica che collega l’albero
di uscita del cambio al differenziale. In questi casi è possibile definire per
l’intera trasmissione un unico rapporto di trasmissione complessivo e, sotto
ipotesi che verranno precisate nel seguito, un rendimento complessivo.
Per quanto riguarda il rapporto di trasmissione, siano τ 1 e τ 2 i due rapporti
di trasmissione parziali dei due stadi della trasmissione; si definiscano poi
(Figura 8.11) ω m e ω r le velocità angolari del motore e dell’utilizzatore e
ω i la

314
Figura 8.11 Trasmissioni in serie.

velocità angolare dell’albero intermedio che collega i due stadi di


trasmissione. Per la definizione data di rapporto di trasmissione si ha:

da cui, eliminando tra le due equazioni ω i:

che definisce come rapporto di trasmissione complessivo il prodotto dei due


rapporti di trasmissione parziali dei due stadi.
Per quanto riguarda il rendimento, con riferimento al caso di moto diretto
(Figura 8.11), si definisce W 1 la potenza entrante dal motore nel primo
stadio di trasmissione, con la potenza uscente dal primo stadio della
trasmissione, con la potenza entrante nel secondo stadio di trasmissione
e infine con W 2 la potenza uscente verso l’utilizzatore. Per definizione di
rendimento si ha:

Nel solo caso in cui sull’albero intermedio che collega i due stadi di
trasmissione non sia applicata alcuna forza in grado di generare o dissipare
potenza, e inoltre se il momento di inerzia dell’albero intermedio può essere
ritenuto trascurabile, si può porre:

e quindi, sostituendo opportunamente:

relazione che può essere interpretata affermando che (nelle ipotesi sopra
riportate) il rendimento di due trasmissioni in serie è dato dal prodotto dei
due rendimenti parziali.

315
8.5 Condizioni di funzionamento della macchina
Le condizioni di funzionamento di una macchina del tipo rappresentato nella
Figura 8.10, possono essere riassunte in tre categorie dette:
• regime assoluto (spesso indicato semplicemente come “regime”): si
tratta di una condizione di funzionamento in cui l’energia cinetica
della macchina si mantiene costante nel tempo;
• moto vario (spesso indicato come “transitorio”): è una condizione di
moto in cui l’energia cinetica della macchina subisce una variazione
nel tempo; esempi tipici di moto vario sono la fase di avviamento,
durante la quale la macchina si porta dalla condizione di quiete a una
condizione di moto a regime, e di arresto, durante la quale avviene la
transizione opposta dal regime alla quiete;
• regime periodico: è una condizione di moto in cui l’energia cinetica
della macchina, pur variando nel tempo, assume un andamento
periodico, ossia ritorna ad assumere lo stesso valore a intervalli
regolari di tempo (in genere corrispondenti a un multiplo o
sottomultiplo intero del periodo di rotazione della macchina).
Affinché una macchina possa funzionare in condizioni di regime assoluto è
necessario che si verifichino le seguenti due condizioni:
• il momento motore ridotto e il momento resistente ridotto non devono
dipendere dalla posizione angolare dei relativi alberi, ma unicamente
dalle velocità angolari di questi;
• i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore devono
essere costanti.
Lo studio del moto (sia in condizioni di regime, sia in transitorio) di una
macchina che realizzi queste condizioni sarà oggetto del Paragrafo 8.6,
mentre nei Paragrafi 8.8, 8.9 e 8.10 forniremo alcuni esempi applicativi di
particolare interesse tecnico.
Nel Paragrafo 8.11 si descriverà invece il funzionamento di una macchina
per la quale le condizioni citate non si verificano. Si mostrerà che per una
macchina di questo tipo non è possibile il funzionamento in regime assoluto,
ma possono sussistere invece condizioni di funzionamento di regime
periodico. Per questo motivo, una macchina di questo tipo sarà detta
macchina a regime periodico.

316
8.6 Dinamica della macchina a regime e in moto vario
Al fine di scrivere l’equazione di moto della macchina a un grado di libertà,
si applica l’Equazione di bilancio delle potenze (8.1) utilizzando le
espressioni della potenza motrice, resistente, perduta e dell’energia cinetica
ricavate in precedenza, e che vengono richiamate qui per comodità:

In particolare, per quanto riguarda il secondo membro della (8.1), in cui


compare la derivata dell’energia cinetica, essendo in questo caso per ipotesi
costanti i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore, le derivate
dell’energia cinetica ripettivamente del motore e dell’utilizzatore assumono
le seguenti espressioni:

(8.31)

Per la potenza perduta W p si utilizzerà infine l’Equazione (8.23) o la (8.27),


a seconda che il moto sia diretto o retrogrado. Considerando per ora il caso
di moto diretto, l’equazione di bilancio delle potenze che si ottiene è:

Inserendo in tale equazione l’espressione del legame cinematico (8.19) tra la


velocità angolare dell’albero motore e dell’albero dell’utilizzatore e
riordinando i termini si ottiene:

da cui, semplificando il termine ω m ed esplicitando in funzione


dell’accelerazione angolare dell’albero motore, si ottiene l’equazione di
moto della macchina per condizioni di moto diretto:

(8.32)

che rappresenta un’equazione differenziale del primo ordine, attraverso la


quale si può determinare l’andamento nel tempo della velocità angolare ω m
dell’albero motore a partire da una data condizione iniziale, oppure, in
alternativa, la coppia motrice necessaria per realizzare una legge di moto

317
desiderata.
L’Equazione (8.32) evidenzia l’influenza della trasmissione sulla dinamica
del sistema: considerando il caso più frequente di τ < 1 (riduttore), si osserva
che in tale equazione il termine a numeratore corrispondente al momento
resistente viene ridotto dal rapporto di trasmissione: ne segue che l’uso di un
riduttore con rapporto di trasmissione sufficientemente inferiore all’unità,
consente di vincere momenti resistenti elevati per mezzo di un motore che
sviluppa un momento motore relativamente piccolo. Per contro, la
dissipazione di potenza che ha luogo nella trasmissione va a ridurre
(attraverso il rendimento η d inferiore all’unità) il contributo del momento
motore a numeratore: ciò corrisponde al fatto che parte della potenza
prodotta dal motore non concorre a vincere le resistenze o ad accelerare la
macchina, bensì viene dissipata nella trasmissione.
Per quanto riguarda infine il denominatore della (8.32), si osserva che il
contributo associato all’inerzia dell’utilizzatore risulta ridotto in ragione del
quadrato del rapporto di trasmissione: ciò significa che, a fronte di un
rapporto di trasmissione molto inferiore all’unità, un’inerzia relativamente
piccola posta sul lato motore della macchina può risultare più importante, ai
fini del calcolo dell’accelerazione, di un’inerzia molto maggiore posta a valle
della trasmissione. Questo concetto trova applicazione in molti tipi di
macchina, tra cui l’impianto di sollevamento e l’autovettura che saranno
trattati nei prossimi paragrafi.
Nel caso in cui invece la macchina funzioni in condizioni di moto retrogrado,
mediante passaggi analoghi si ottiene l’equazione di moto della macchina nel
caso di moto retrogrado:

(8.33)

per la quale valgono le analoghe considerazioni.

8.6.1 Condizioni di funzionamento in regime assoluto


Le condizioni di funzionamento in regime assoluto della macchina si
ottengono imponendo la condizione di regime:

318
sia nel bilancio delle potenze, sia nelle Equazioni (8.29) e (8.30) che
consentono di determinare la condizione di moto diretto o retrogrado. Queste
ultime due equazioni, in particolare, si riducono rispettivamente a:

(8.34)
Si osservi che a regime, venendo a mancare il contributo dei termini
inerziali, la condizione di moto diretto o retrogrado può essere determinata a
priori in base al segno del momento ridotto del motore o dell’utilizzatore
(che devono essere necessariamente di segno opposto tranne nel caso di
trasmissione non reversibile).
L’equazione che descrive il funzionamento della macchina in moto diretto a
regime diviene:
(8.35)

e per il moto retrogrado si ha invece:


(8.36)

8.7 Studio di un transitorio di avviamento


Si consideri una macchina composta da un motore elettrico a corrente
continua a magneti permanenti e da un utilizzatore che esercita una coppia
resistente costante.
Il transitorio di avviamento della macchina è descritto dall’Equazione (8.32)
in cui il momento motore assume l’espressione (8.15):

Sostituendo nella (8.32) le espressioni della coppia motrice e di quella


resistente, e riorganizzando i termini, si ha:

(8.37)

in cui M u è il momento resistente esercitato dall’utilizzatore e J è un termine


di inerzia complessiva ridotta all’albero motore:

319
Per comodità di notazione la (8.37) può essere riscritta come un’equazione
differenziale del primo ordine lineare a coefficienti costanti:
(8.38)

avendo definito le costanti A e B come:

Si vuole ora studiare il transitorio di avviamento con partenza da fermo,


ossia a partire da condizioni iniziali nulle in velocità, risolvendo l’equazione
differenziale sopra scritta. La soluzione è composta dall’integrale generale
dell’omogenea associata e dall’integrale particolare. Quest’ultimo risulta
semplicemente pari a:

corrispondente alla velocità di regime. L’integrale dell’omogenea associata è


invece del tipo:

che sostituita nell’equazione differenziale dell’omogenea:

La soluzione della corrispondente equazione caratteristica è quindi:

La soluzione completa ha quindi la forma:

in cui la costante C viene determinata imponendo la condizione iniziale sulla


velocità, pari a zero all’istante t = 0:

La soluzione dell’equazione del moto risulta pertanto:

320
(8.39)
La forma della soluzione è tipica di un sistema dinamico del primo ordine
soggetto a un ingresso a gradino. È possibile definire la corrispondente
costante di tempo τ c , pari a:

che rappresenta, in questo caso, un indice che riassume la rapidità di crescita


della velocità angolare della macchina. La Figura 8.12 mostra l’andamento
della velocità angolare in forma adimensionale, ossia il rapporto tra la
velocità angolare e il corrispondente valore di regime, in funzione del tempo,
adimensionalizzato rispetto alla costante di tempo τ c . A un tempo pari a 3 τ c
corrisponde, in particolare, il raggiungimento del 95% del valore della
velocità di regime.

Figura 8.12 Andamento del transitorio per un sistema motore-


trasmissione-utilizzatore del primo ordine.

8.8 Moto di un impianto di sollevamento carichi


In questo paragrafo e nei due successivi si studieranno alcuni esempi

321
particolarmente significativi relativi al funzionamento di diversi tipi di
macchina, utilizzando le equazioni ricavate nei paragrafi precedenti.
Il primo esempio trattato è quello di un impianto di sollevamento carichi
(Figura 8.13), azionato da un motore asincrono trifase collegato a una
puleggia attraverso una trasmissione formata da una coppia di ingranaggi del
tipo ruota elicoidale-vite senza fine 2. Sulla puleggia si avvolge una fune
metallica collegata
2
Si tratta di un tipo di rotismo atto a trasmettere il moto tra due assi fra loro
ortogonali. In genere questo tipo di trasmissione presenta un elevato rapporto
di riduzione (ossia un valore del rapporto di trasmissione τ molto inferiore a
1) e un rendimento modesto, attorno a 0.7 ÷ 0.8.

Figura 8.13 Impianto di sollevamento carichi.

da un lato alla cabina che porta il carico da sollevare, e all’estremità opposta


a un contrappeso. Nel seguito si indicheranno con m c , m u e m q
rispettivamente la massa della cabina a vuoto, la massa del carico utile
portato dalla cabina e la massa del contrappeso. Infine, sull’albero motore è
calettato un volano J v .

8.8.1 Funzionamento in salita dell’impianto


Si considera innanzitutto la condizione di funzionamento dell’impianto in cui
la cabina si muove verso l’alto. In questa situazione la macchina è soggetta,
sul lato motore, a una coppia motrice M m concorde con la velocità angolare
dell’albero motore e dipendente da questa secondo la caratteristica di Figura
8.6.

322
Sul lato utilizzatore, invece, agiscono le forze peso relative alla cabina
(comprensiva del carico trasportato) e al contrappeso. Come mostrato nella
Figura 8.14, la forza peso e la velocità sono discordi sulla cabina e concordi
sul contrappeso.
Di conseguenza, la potenza motrice e la potenza resistente assumono le
espressioni:

(8.40)

Figura 8.14 Condizione di funzionamento in salita e in discesa del


lato utilizzatore dell’impianto di sollevamento carichi.

mentre l’energia cinetica del lato motore e del lato utilizzatore sono
rappresentate dalle espressioni:

avendo indicato con J m , J v e J p i momenti di inerzia rispettivamente del


rotore del motore, del volano posto sull’albero motore e della puleggia.
Infine, l’espressione della potenza perduta dipende dal fatto che nella
situazione considerata la macchina funzioni in condizioni di moto diretto o
retrogrado. Ciò, a sua volta, dipende da una serie di fattori, per esempio dal
rapporto tra le masse della cabina (più carico utile) e del contrappeso, oltre

323
che dall’accelerazione istantanea della macchina. Come descritto nel
Paragrafo 8.4, si dovrà quindi in generale ipotizzare una direzione per il
flusso di potenza (per esempio moto diretto), calcolare l’accelerazione della
macchina e infine verificare l’ipotesi fatta. Ipotizzando per esempio il
funzionamento in moto diretto, l’espressione della potenza perduta risulta:

Per scrivere l’equazione di moto della macchina occorre infine determinare i


legami cinematici che esprimono la relazione tra la velocità di salita della
cabina e la velocità angolare del motore, e tra le corrispondenti accelerazioni.
Supponendo che non vi sia strisciamento tra fune e puleggia, le velocità V c
della cabina e V q del contrappeso possono entrambe essere espresse come:

in cui R e ω r sono rispettivamente il raggio e la velocità angolare della


puleggia. Applicando l’equazione di bilancio delle potenze e sostituendo i
legami cinematici sopra riportati, si ottiene l’equazione di moto per la
condizione di moto diretto ipotizzata:

Mentre nel caso di moto retrogrado (con passaggi analoghi a quelli riportati
per il caso di moto direttto) l’equazione di moto assume la forma:

Moto a regime dell’impianto in salita


Se la macchina funziona a regime, la direzione del flusso di potenza
attraverso la trasmissione può essere determinato a priori in funzione del
rapporto tra le masse appese ai due lati della fune. Nel caso di salita a
regime, il moto è diretto se il peso complessivo della cabina più carico utile
risulta superiore a quello del contrappeso: infatti in questo caso la potenza
W r dell’utilizzatore espressa dalla (8.40) risulta negativa, e quindi si richiede
nel funzionamento della macchina un trasferimento di potenza dal motore
verso l’utilizzatore.

324
Se si considera allora il caso di salita a regime a pieno carico ( m c + m u >
m q) il moto è sicuramente diretto e l’equazione di bilancio delle potenze
fornisce:

in cui non compaiono i termini relativi all’accelerazione della macchina, per


l’ipotesi di moto a regime. Quest’equazione può essere utilizzata per
calcolare il momento motore necessario per il funzionamento a regime
dell’impianto, e quindi per determinare il punto della caratteristica di coppia
in cui si trova a funzionare il motore.
Al contrario, se il peso del contrappeso supera quello della cabina più carico
utile, alla salita della cabina corrisponde una potenza resistente positiva: ciò
significa che il lato utilizzatore della macchina sviluppa una potenza positiva
che, essendo il moto a regime, non può andare a incrementare l’energia
cinetica dell’utilizzatore, e deve quindi risalire la trasmissione. Della potenza
prodotta dall’utilizzatore, una porzione sarà dissipata nella trasmissione,
mentre la parte restante dovrà essere assorbita dal motore, che dovrà quindi,
in questo caso, funzionare da freno. Per esempio, se la macchina funziona in
condizioni di salita a vuoto ( m u = 0), si ha m c < m q e pertanto la macchina
funziona in moto retrogrado. Ricordando che a vuoto la massa m u è nulla,
l’equazione che descrive il comportamento della macchina in questa
condizione è:

Da questa equazione si ottiene un valore negativo del momento motore M m ,


il che significa che, per far funzionare a regime in salita a vuoto l’impianto, il
motore deve comportarsi da freno e dunque lavorare a una velocità superiore
a quella di sincronismo.

8.8.2 Funzionamento in discesa dell’impianto


Si considera in questo caso che il motore ruoti in senso tale da produrre un
moto verso il basso della cabina. Si osservi che nel moto in discesa
dell’impianto, si inverte anche il senso di rotazione del campo magnetico
sviluppato dallo statore del motore (Paragrafo 8.2.3). Di conseguenza, anche
nella fase di discesa il momento motore risulta concorde con il senso di
rotazione dell’albero per velocità angolari inferiori a quella di sincronismo e

325
risulta invece discorde rispetto alla rotazione al di sopra del sincronismo.
Per quanto riguarda l’utilizzatore, si invertono le direzioni delle velocità
della cabina e del contrappeso, come mostrato nella parte destra della Figura
8.14. Di conseguenza, l’espressione della potenza motrice rimane immutata
rispetto al caso in salita, mentre quella della potenza resistente cambia segno.
Per quanto riguarda invece l’energia cinetica, l’espressione rimane uguale sia
per il lato motore sia per l’utilizzatore, perché la sua espressione non risente
del segno delle velocità.
Operando gli stessi passaggi descritti per il moto in salita, per la condizione
di moto diretto, si ottiene l’equazione:

e, per la condizione di moto retrogrado, l’equazione:

Si lascia al lettore la discussione dei casi di moto a regime in discesa a pieno


carico e a vuoto, e in particolare la giustificazione del fatto che nel moto a
regime in discesa a pieno carico la macchina funziona in moto retrogrado,
mentre nella discesa a vuoto funziona in condizioni di moto diretto.
A conclusione del paragrafo, osserviamo che il flusso di potenza nella
trasmissione non ha a priori nessuna relazione con il verso di moto della
macchina: la macchina considerata in questo esempio può funzionare in
condizioni di moto diretto o retrogrado sia quando si muove nel senso di
salita della cabina, sia per cabina in discesa.

8.9 Dinamica longitudinale di un autoveicolo


In questo paragrafo saranno ricavate le equazioni che descrivono il moto di
avanzamento di un autoveicolo in fase di accelerazione. La condizione di
moto del veicolo considerata è rappresentata nella Figura 8.15: il veicolo è
posto in moto con velocità in direzione longitudinale, mentre l’asse -
anteriore e quello posteriore del veicolo ruotano con velocità angolari
rispettivamente e .

326
Le forze esterne agenti sul veicolo, riportate nella figura, sono costituite dal
peso proprio Mg, dalla resistenza aerodinamica F aer e dalle azioni di
contatto sui due assi del veicolo. Per quanto riguarda queste ultime, si
indicano

Figura 8.15 Condizione di moto dell’autoveicolo e forze agenti su


di esso.

con T A e N A rispettivamente la componente longitudinale e quella normale


della forza di contatto sulla singola ruota dell’asse anteriore, e con T P e N P
le corrispondenti componenti di forza su una ruota dell’asse posteriore.
Inoltre si assumerà che per simmetria le forze agenti sulle due ruote dello
stesso asse risultino uguali, riducendo il caso trattato a un problema piano. Si
osservi che le forze normali risultano avanzate rispetto al centro della
corrispondente ruota per effetto dell’attrito volvente. Sul veicolo agisce
infine la coppia motrice M m erogata dal motore (non rappresentata nella
figura); questa costituisce una forza interna al veicolo, che però può
compiere lavoro (e quindi compare nel bilancio di potenze del veicolo
stesso) per effetto della rotazione relativa tra l’albero motore e la scocca del
veicolo.
Per studiare il moto longitudinale dell’autoveicolo di Figura 8.15 si utilizzerà
l’ipotesi di rotolamento senza strisciamento delle ruote sul terreno. Questa
ipotesi sarà verificata una volta nota l’accelerazione del veicolo. Utilizzando
l’ipotesi di rotolamento senza strisciamento, è possibile esprimere le velocità
angolari degli assi anteriore e posteriore del veicolo in funzione della
velocità di avanzamento del veicolo stesso attraverso le relazioni:

327
Inoltre (considerando un veicolo a trazione posteriore), la velocità angolare
del motore è legata alla velocità angolare dell’asse posteriore dalla relazione
stabilita dalla trasmissione:

(8.41)

in cui rappresenta il rapporto di trasmissione complessivo del cambio e del


ponte:

Di conseguenza, il moto del veicolo è descritto da un’unica equazione di


moto che definisce la variazione nel tempo di una singola coordinata libera
del sistema. Come coordinata libera si può scegliere, per esempio, la
posizione longitudinale x del veicolo stesso.
L’equazione di moto del sistema può essere scritta facendo uso del bilancio
di potenze nella forma (8.1). La potenza motrice risulta pari a:

in cui ω m è la velocità angolare del motore e M m è il momento motore,


funzione della velocità angolare del motore secondo la caratteristica
meccanica mostrata nella Figura 8.3.
Il termine di potenza resistente tiene conto delle resistenze al moto prodotte
dall’attrito volvente e dalle resistenze aerodinamiche, e assume
l’espressione:

in cui N A e N P indicano l’azione normale sulla singola ruota dell’asse


anteriore o posteriore. Inserendo in questa espressione i legami cinematici tra
le velocità angolari dei due assi e la velocità di avanzamento della vettura, e
osservando che, per l’equilibrio in direzione verticale del veicolo si ha:

si ottiene:

328
L’energia cinetica del lato motore della vettura può essere scritta
semplicemente come:

in cui J m è il momento di inerzia del motore, considerato costante. L’energia


cinetica delle inerzie poste a valle della trasmissione può invece essere scritta
come:

Per determinare l’espressione della potenza perduta W p si osservi che


durante il transitorio di accelerazione del veicolo, la trasmissione funziona
sicuramente in condizioni di moto diretto, in quanto il motore deve fornire
potenza al lato utilizzatore sia per vincere le resistenze all’avanzamento, sia
per consentire l’incremento dell’energia cinetica di questo. Di conseguenza,
la potenza perduta assume l’espressione:

Applicando l’equazione di bilancio delle potenze si ottiene:

e introducendo in tale equazione i legami cinematici che legano la velocità


angolare delle ruote e del motore alla velocità di avanzamento del veicolo, e
semplificando opportunamente, si ottiene:

che costituisce l’equazione di moto del veicolo considerato come sistema a


un grado di libertà, e che può essere esplicitata rispetto alla incognita
rappresentante l’accelerazione del veicolo:

(8.42)

Tale equazione rappresenta un’equazione differenziale nell’incognita x e


nelle sue derivate, che deve essere integrata per via numerica (Paragrafo

329
8.9.3) a causa delle nonlinearità introdotte dalla dipendenza del momento
motore M m dalla velocità angolare ω m del motore (e quindi, per effetto dei
legami cinematici, dalla velocità del veicolo ) e del termine non lineare
associato alla resistenza aerodinamica.

8.9.1 Verifica dell’aderenza tra pneumatici e strada


L’equazione di moto (8.42), ricavata nell’ipotesi di rotolamento senza
strisciamento delle ruote sulla strada, risulta valida se le componenti normali
e tangenziali delle forze su entrambi gli assi del veicolo soddisfano la
condizione di aderenza rappresentata dalla diseguaglianza di Coulomb
(7.23).
In parallelo all’integrazione della (8.42), occorre perciò calcolare il valore
delle forze agenti al contatto tra i pneumatici e la strada e verificare la
condizione di aderenza.
Per calcolare il valore delle componenti normali delle forze di contatto sui
due assi, occorre scrivere due equazioni di equilibrio dinamico; per esempio
(con riferimento alla Figura 8.16), è possibile scrivere un equilibrio alla
rotazione dell’intero veicolo attorno al punto P in cui si intersecano la retta di
azione delle forze N A , T A e T P , e un equilibrio dell’intero veicolo alla
traslazione in direzione verticale:

Inserendo in tali equazioni i legami cinematici di rotolamento senza


strisciamento e risolvendo rispetto alle incognite N A e N P si ottiene:

(8.43)

Per calcolare le componenti longitudinali delle forze di contatto occorre


scrivere due ulteriori equazioni di equilibrio dinamico; la prima è
rappresentata dall’equilibrio dinamico in direzione longitudinale dell’intero
veicolo:

330
(8.44)

Figura 8.16 Forze esterne agenti sul veicolo.

La seconda equazione non può riguardare l’intero veicolo, per il quale sono
già state scritte tre equazioni di equilibrio dinamico; occorre quindi scrivere
un’equazione relativa a una sola parte del veicolo. La più semplice equazione
di equilibrio dinamico parziale riguarda l’equilibrio dinamico dell’asse
anteriore alla rotazione attorno al proprio centro. Facendo riferimento alla
Figura 8.17, che mostra le forze e coppie agenti sull’asse anteriore (in cui
con H A e V A si indicano le componenti orizzontali e verticali della reazione
scambiata dalla ruota con la scocca del veicolo), tale equazione assume la
forma:
(8.45)

Inserendo i legami cinematici tra l’accelerazione del veicolo e


l’accelerazione angolare dell’asse anteriore, ed esplicitando le (8.44) e
(8.45) rispetto alle incognite T A e T P si ottiene:

(8.46)
Una volta ricavate le espressioni delle forze di contatto, le condizioni di
aderenza sui due assi assumono la forma:

331
in cui μ a rappresenta il coefficiente di aderenza tra le ruote e la strada. Ove
l’aderenza non risulti soddisfatta per uno dei due assi del veicolo (questo può
avvenire, in fase di accelerazione, per l’asse motore), occorre introdurre un
secondo grado di libertà, rappresentante la rotazione dell’asse che ha perso
aderenza, ed esprimere la forza longitudinale corrispondente in base alla
legge dell’attrito radente (7.12).
Ovviamente, se la perdita di aderenza avviene su tutti e due gli assi del
veicolo, occorrerà introdurre due gradi di libertà aggiuntivi, uno per ciascun
asse.

Figura 8.17 Forze agenti sulle ruote anteriori.

8.9.2 Determinazione delle condizioni di regime


In questo paragrafo sono determinate le condizioni di regime
dell’autoveicolo corrispondenti a un assegnato valore V della velocità di
avanzamento. La velocità angolare delle ruote e dell’albero motore
corrispondenti alle condizioni di regime (indicate per mezzo di un simbolo
soprasegnato) sono direttamente fornite dai legami cinematici:

Il momento motore necessario per mantenere il veicolo in condizioni di


regime si ottiene invece imponendo che si annulli l’accelerazione del
veicolo, ossia annullando il numeratore dell’equazione di moto (8.42):

332
Infine, il grado di ammissione (Paragrafo 8.2.1) corrispondente alla
condizione di funzionamento a regime si ottiene, nota la velocità angolare di
regime del motore e la coppia erogata a regime , esplicitando la
(8.12) rispetto al grado di ammissione:

(8.47)

in cui e rappresentano la coppia motrice erogata dal motore in


condizioni di ammissione minima e massima.

8.9.3 Studio numerico del transitorio di accelerazione


Una volta definite le condizioni di regime dell’autoveicolo, è possibile
studiare il transitorio durante il quale il veicolo accelera, portandosi in una
differente condizione di regime. Lo studio della partenza da fermo
richiederebbe invece l’introduzione di un modello dell’innesto a frizione,
dato che il motore a combustione interna non è in grado di funzionare a
velocità nulla.
La legge di moto del veicolo durante il transitorio di accelerazione è
determinata dalle modalità con le quali il guidatore varia nel tempo il grado
di ammissione del motore, facendo variare la coppia motrice da esso erogata.
Tra le varie possibilità a disposizione, si è scelto di esaminare il caso in cui il
guidatore aumenti il grado di ammissione secondo la legge temporale a
“rampa” mostrata nella Figura 8.18: si assume dunque che il grado di
ammissione varii linearmente a partire dal valore corrispondente alla
condizione di regime precedentemente calcolata, fino a raggiungere, dopo il
tempo t r , il valore massimo, corrispondente a premere a fondo il pedale
dell’acceleratore.
La storia temporale del moto dell’autoveicolo può essere ottenuta integrando
numericamente l’Equazione differenziale di moto del Sistema (8.42).

Figura 8.18 Storia temporale dell’incremento del grado di


ammissione nel transitorio di accelerazione.

333
Esempio 8.2 La vettura Alfa Romeo GTV 2000
(1971)

A conclusione dell’argomento si riporta l’applicazione numerica di quanto sopra


esposto al caso di un autoveicolo Alfa Romeo mod. GTV 2000 del 1971.

Figura 8.19 La vettura Alfa Romeo GTV 2000 (1971).

La Tabella 8.1 riporta i valori numerici dei dati utilizzati nel calcolo. Tali dati sono
stati, ove possibile, reperiti in letteratura, e in caso contrario sono stati stimati in
Tabella 8.1 Dati numerici relativi al veicolo Alfa Romeo GTV 2000.

Grandezza Unità di Valore numerico


misura
Massa veicolo [kg] 1040
Momento di inerzia ruote [kg . m 2] 0.08
Momento di inerzia motore [kg . m 2] 0.28

334
Raggio ruote [m] 0.25
Passo veicolo [m] 2.35
Distanza baricentro-asse anteriore [m] 1.15
Altezza del baricentro dal suolo [m] 0.55
Altezza del centro delle pressioni dal [m] 0.6
suolo
Sezione maestra del veicolo [m 2] 1.65
Coefficiente di resistenza [−] 0.38
aerodinamica C x
Coefficiente di attrito volvente [−] 0.013
Rapporti al cambio (5 marce) [−] 0.30 0.50 0.74 1.00
1.27
Rendimento del cambio (5 marce) [−] 0.90 0.94 0.94 0.97
0.97
Rapporto di trasmissione al ponte [−] 0.2193

base a dati disponibili per veicoli simili. Nelle simulazioni si è assunto un valore del
coefficiente di aderenza μ a pari a 1.12, corrispondente a strada asciutta. Si è assunta
una velocità iniziale del veicolo di 15 km/h, con cambio in prima marcia, e un
andamento nel tempo del fattore di ammissione del tipo mostrato nella Figura 8.18
con tempo t r pari a 2 secondi, e si è ipotizzato che il guidatore cambi marcia quando
il motore raggiunge il regime di rotazione di 6000 g/min. Per semplicità, si è
ipotizzato che il cambio di marcia corrisponda a una variazione istantanea del
rapporto di trasmissione, trascurando i transitori di disinnesto e successivo re-innesto
della frizione.
La Figura 8.20 riporta l’andamento in funzione del tempo della velocità e
dell’accelerazione del veicolo: la velocità raggiunta dal veicolo dopo 6 secondi è di
circa 26 m/s, pari a circa 93 km/h. L’accelerazione massima, pari a circa 6 m/s 2, viene
toccata dopo 2 secondi del transitorio.
La Figura 8.21 mostra invece la storia temporale delle forze normali e longitudinali su
una ruota dell’asse motore. Si osserva in particolare che nell’istante corrispondente
alla massima accelerazione del veicolo (2 secondi) la forza longitudinale T p
raggiunge il suo valore massimo, pari a circa 3300 [N]. Nello stesso istante, la forza
normale sulla ruota è pari a circa 3200 [N], per cui le ruote motrici si trovano in una
situazione molto prossima alla perdita di aderenza.
La Figura 8.22 mostra infine l’andamento nel tempo dei diversi termini che
intervengono nel bilancio di potenze del veicolo durante il transitorio.
Nella parte superiore della figura, il diagramma in linea continua rappresenta

335
l’andamento della potenza motrice, mentre quello in linea tratteggiata rappresenta (in
valore assoluto) il complesso dei termini di potenza resitente e perduta. Si osservi che
la differenza tra i due termini è elevata, e che quindi il veicolo ha a disposizione una
grande quantità di potenza per incrementare la propria energia cinetica, ossia per
accelerare. Nella metà inferiore della figura vengono invece riportati (in valore
assoluto) l’andamento della potenza resistente di rotolamento, della potenza delle
resistenze aerodinamiche e della potenza perduta nella trasmissione. Si osservi che
nella prima fase del transitorio del veicolo, in cui la velocità è bassa, prevale fra le tre
fonti di dissipazione quella relativa alla trasmissione.

Figura 8.20 Accelerazione da 15 km/h, moto del veicolo.

Figura 8.21 Accelerazione da 15 km/h, forze di contatto sulla


ruota motrice.

336
Nella parte finale della simulazione, invece, la potenza perduta nella trasmissione
decresce, perché il rendimento del cambio in seconda marcia è più elevato di quello in
prima, e nel contempo la potenza delle resistenze aerodinamiche cresce per effetto
della maggior velocità del veicolo.

Figura 8.22 Accelerazione da 15 km/h, andamento nel tempo


dei vari termini di potenza.

337
8.10 Dinamica longitudinale di un convoglio ferroviario
In questo paragrafo si introduce un semplice modello, a 1 grado di libertà,
che può essere utilizzato per lo studio della dinamica longitudinale di un
treno. In tale modello si ipotizza che tutte le ruote del convoglio rotolino
senza strisciare sulle rotaie, e si trascurano tutti gli effetti di deformabilità
associati, per esempio, agli organi della trasmissione, ovvero alle barre di
trazione che trasmettono la forza motrice dalla locomotiva alle carrozze
rimorchiate.
Si considera poi che l’unità di trazione del veicolo sia costituita da un
numero n mot di motori asincroni trifase azionati mediante inverter del tipo
descritto nel Paragrafo 8.2.4 3, supponendo che si richieda costantemente
all’azionamento di erogare la massima coppia possibile in relazione alla
velocità angolare raggiunta dal motore: in questa ipotesi si ottiene
nuovamente un singolo valore di coppia associato a ciascuna velocità
angolare, e la curva di Figura 8.7 può essere interpretata come la
caratteristica meccanica dell’azionamento.

338
3
Questo tipo di azionamento è quello che trova attualmente maggiore
diffusione in campo ferroviario, anche se non mancano esempi di
applicazione di altre tipologie di azionamento elettrico e in casi particolari si
hanno convogli con trazione diesel o mista diesel-elettrica.

8.10.1 Espressione della potenza motrice


La potenza motrice complessiva relativa all’intero convoglio può essere
scritta ipotizzando che tutti i motori del convoglio possiedano, in un dato
istante, la stessa velocità angolare ω m ed eroghino la stessa coppia M m , e
assume l’espressione:

8.10.2 Espressione della potenza resistente


La potenza resistente, nel caso del convoglio ferroviario, risulta composta da
due termini, uno dovuto alle resistenze al rotolamento, l’altro alle resistenze
aerodinamiche:

Il primo termine, dovuto alla non perfetta elasticità delle ruote e delle rotaie,
viene scritto tenendo conto del fatto che la forza normale agente al contatto
tra ruota e rotaia risulta avanzata rispetto alla verticale passante per il centro
della ruota. L’espressione di questo termine è la seguente:

in cui n assi è il numero totale di assi che compongono il convoglio, N i è il


carico normale gravante su ciascuna ruota, R i il raggio della ruota e la
sua velocità angolare.
Se si ipotizza il rotolamento senza strisciamento di tutte le ruote del
convoglio sulle rotaie si ha:

(8.48)

Inoltre, per l’equilibrio in direzione verticale dell’intero convoglio (supposto


viaggiante in piano), si ha:

339
in cui m tot è la massa totale del convoglio, pari alla somma delle masse di
tutti i veicoli che lo compongono. Utilizzando tali relazioni e ipotizzando un
uguale valore del coefficiente di attrito volvente e del raggio per tutte le
ruote del convoglio si ottiene:

Per quanto riguarda invece il termine dovuto alle resistenze aerodinamiche,


si ha:

dove ρ è la densità dell’aria (pari, mediamente, a 1.25 kg/m 3), S è la


superficie frontale (o sezione maestra) del convoglio e C r è il coefficiente di
resistenza aerodinamica del convoglio.

8.10.3 Espressione dell’energia cinetica del convoglio


L’energia cinetica del sistema è fornita dalla somma dell’energia cinetica del
motore e di quella del lato utilizzatore:

Per quanto riguarda il lato motore, si ha la somma delle energie cinetiche di


tutti i motori del convoglio:

Per quanto riguarda invece il lato utilizzatore, l’energia cinetica complessiva


è data dalla somma dei termini relativi a tutti i corpi che compongono il
convoglio, ovvero, per ciascun veicolo, la cassa, due carrelli e quattro sale.
La cassa e i carrelli di ciascun veicolo si muovono di moto traslatorio
(essendo V la velocità di ciascuno di questi corpi), mentre le sale si muovono
di moto rototraslatorio, essendo V la velocità del centro ruota e ω r la
velocità angolare. Di conseguenza l’espressione dell’energia cinetica
complessiva dell’utilizzatore è:

340
in cui è il momento di inerzia rispetto al proprio asse di simmetria polare
della singola sala dell’ i-esimo veicolo. Ricordando l’ipotesi di rotolamento
senza strisciamento (8.48) si ottiene:

con:

(8.49)

in cui si è ipotizzato che tutte le sale abbiano lo stesso momento di inerzia.

8.10.4 Espressione della potenza perduta


Nella fase di avviamento, il convoglio ferroviario funziona in moto diretto,
ossia la trasmissione di potenza attraverso la trasmissione avviene dal motore
verso l’utilizzatore. Infatti, durante questa fase il lato utilizzatore del
convoglio assorbe potenza sia per vincere le resistenze di rotolamento e
aerodinamiche, sia per incrementare la propria energia cinetica. Si può
quindi esprimere la potenza perduta secondo l’espressione:

8.10.5 Equazione di moto del convoglio ferroviario in


accelerazione
Applicando l’equazione del bilancio delle potenze alle espressioni dei vari
termini di potenza e di energia cinetica ricavati in precedenza si ottiene:

Introducendo in tale equazione la relazione di rotolamento senza


strisciamento (8.48) e riordinando i termini si ottiene:

da cui:

341
(8.50)

Questa equazione differenziale fornisce l’andamento della velocità del


convoglio V = V( t) durante l’avviamento. Si osservi che l’Equazione di
moto (8.50) contiene termini non lineari dovuti:
• al legame non lineare tra il momento motore e la velocità angolare del
motore definito dalla caratteristica del motore rappresentata nella
Figura 8.7;
• alla dipendenza del momento resistente ridotto dal quadrato della
velocità per effetto delle resistenze aerodinamiche.
Di conseguenza, l’integrazione di tale equazione deve essere condotta per via
numerica, utilizzando uno dei metodi disponibili per l’integrazione numerica
di equazioni differenziali alle derivate totali (per una panoramica relativa a
questi metodi numerici si veda, per esempio, [13]). Un metodo che trova
vasta applicazione per la sua semplicità di utilizzo, unita alla buona
precisione, è il metodo di Runge-Kutta del quarto ordine, che è stato
utilizzato nell’applicazione numerica presentata nel seguito.
L’Equazione (8.50) può essere anche utilizzata per calcolare la condizione di
regime del convoglio. A tale fine si deve imporre, nell’equazione, che si
annulli l’accelerazione angolare del motore, ottenendo la condizione di
regime:

(8.51)

dove:

Poiché il momento motore M m dipende in maniera non lineare dal valore


della velocità angolare del motore ω m , la soluzione dell’Equazione (8.51)
deve essere ottenuta per via numerica.

342
Esempio 8.3 Applicazione numerica a un convoglio
ETR500

Nella presente applicazione si farà riferimento a un convoglio ETR500 (Figura 8.23)


composto da una motrice posta in testa al convoglio, dieci carrozze rimorchiate e una
seconda motrice posta in coda. Tale composizione è quella utilizzata più spesso
nell’esercizio di questo treno, e può quindi essere presa a riferimento.

Figura 8.23 Il treno ETR500.

Ogni motrice è equipaggiata con 4 motori in corrente continua, ciascuno con potenza
di 1100 kW. I dati del convoglio rilevanti per la simulazione della dinamica
longitudinale sono riassunti nella Tabella 8.2. Sostituendo tali valori numerici nelle
espressioni riportate in precedenza, è possibile innanzitutto ottenere la condizione di
regime, risolvendo per mezzo di opportuni metodi numerici l’Equazione (8.51).
Tabella 8.2 Dati del convoglio ETR500.

Coppia massima (per motore) C max [N · m] 6875


Velocità angolare (Figura 8.7) [rad/s] 160
Massa locomotore M loc [kg] 72 000
Massa carrozza rimorchiata M car [kg] 45 400
Momento d’inerzia sala Jr [kg · m 2] 90
Momento d’inerzia motore (per motore) Jm [kg · m 2] 10
Raggio ruote R [m] 0.445
Coefficiente di attrito volvente fv [−] 0.008
Sezione maestra S [m 2] 7.8

343
Coeff. di resistenza aerodinamica Cr [−] 1.05

Rapporto di trasmissione τ [−] 35/92

Rendimento della trasmissione ηd [−] 0.975

Si ottiene un valore di regime della velocità di avanzamento del convoglio pari a:

Si osservi che la condizione di regime calcolata non tiene conto di una serie di effetti
(qualità della captazione, problemi di stabilità, sicurezza di marcia, comfort) che
possono limitare la velocità massima del veicolo a valori inferiori a quello calcolato.
Il risultato ottenuto è quindi da ritenersi (nei limiti dati dalle approssimazioni sui
valori numerici dei parametri utilizzati nel calcolo) un limite massimo teorico di
velocità del convoglio, e non necessariamente una condizione di marcia
effettivamente raggiunta nell’esercizio.
La Figura 8.24 rappresenta graficamente la soluzione dell’Equazione (8.51): la linea

continua rappresenta il termine che indica l’azione motrice complessiva


ridotta al grado di libertà di avanzamento longitudinale del veicolo, depurata delle
perdite nella trasmissione, mentre la linea tratteggiata riporta l’andamento in funzione
della velocità angolare del termine che rappresenta in valore
assoluto l’effetto di tutte le resistenze agenti sul veicolo. La condizione di regime è
quindi rappresentata dal punto di intersezione fra le due curve.
Integrando numericamente l’Equazione di moto (8.50), attribuendo come condizione
iniziale una velocità angolare nulla all’albero motore, è invece possibile simulare
l’avviamento da fermo del convoglio ferroviario.

Figura 8.24 Rappresentazione grafica delle condizioni di


regime del convoglio ETR500 (per marcia in piano).

344
La Figura 8.25 riporta la storia temporale della velocità e accelerazione del convoglio
durante l’avviamento. Si osservi che la massima accelerazione si ottiene nell’istante
iniziale del moto, in cui è massima la coppia motrice e, contemporaneamente, sono
minime le resistenze poiché non si ha resistenza aerodinamica.

Figura 8.25 Transitorio di avviamento da fermo del convoglio


ETR500 (per marcia in piano).

345
Il valore massimo dell’accelerazione risulta pari a circa 0.45 [m/s 2]. Il convoglio
raggiunge una condizione prossima a quella di marcia a velocità massima in un tempo
di 500 secondi.
La Figura 8.26 mostra l’andamento dei vari termini del bilancio di potenze durante
l’avviamento del convoglio. Il massimo della potenza motrice è pari alla potenza
totale installata sul convoglio, ossia 8 × 1100 [kW]. Nella fase iniziale
dell’avviamento, la potenza erogata dai motori viene utilizzata prevalentemente per
incrementare l’energia cinetica del sistema, ossia per accelerare il convoglio.
All’aumentare della velocità, una porzione sempre maggiore della potenza motrice
viene assorbita dalle resistenze, e in particolare da quelle di natura aerodinamica.

Figura 8.26 Bilancio delle potenze durante l’avviamento del


convoglio ETR500 (per marcia in piano).

346
8.11 La macchina in regime periodico
Si consideri ancora una volta lo schema base della macchina mostrato nella
Figura 8.10. Nei paragrafi precedenti lo studio di questo sistema è stato
condotto nell’ipotesi che il momento motore ridotto e il momento
resistente ridotto dipendano solo dalle velocità angolari dei rispettivi
alberi e non dalla posizione angolare di questi. Inoltre, si è supposto finora
che i momenti di inerzia ridotti del lato motore e dell’utilizzatore e
fossero costanti. Esistono però macchine nelle quali una o più di queste
quantità dipende dalla configurazione istantanea della macchina, ossia dalla
posizione angolare degli alberi motore e utilizzatore. In generale, la
dipendenza dei momenti ridotti e dei momenti di inerzia ridotti dalla
configurazione istantanea della macchina è causata dalla presenza di un
legame cinematico non lineare tra la posizione dell’albero motore (o
utilizzatore) e lo spostamento fisico di un punto in cui è applicata una
forzante oppure è posta una inerzia non trascurabile. Questo caso più
generale di macchina sarà studiato a livello introduttivo in questo paragrafo.
A questo scopo si consideri l’espressione generale delle potenza motrice,
resistente, e dell’energia cinetica della macchina:

347
in cui Ø m e Ø r rappresentano le posizioni angolari degli alberi motore e
utilizzatore della macchina. Per semplicità di trattazione, ci si limiterà al caso
in cui il motore e l’utilizzatore della macchina siano posti sullo stesso albero,
senza l’interposizione di una trasmissione. Dal punto di vista del bilancio di
potenze, questo significa che viene a mancare il termine relativo alla potenza
perduta W p, mentre per quanto riguarda i legami cinematici, è possibile
scrivere:

Nell’applicare il bilancio di potenze, occorre osservare che, nel caso


considerato, i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore sono
funzione della posizione angolare dell’albero ϕ la quale, a sua volta, è
funzione del tempo. Considerando per esempio il lato motore e applicando la
regola di derivazione delle funzioni composte si ottiene:

e quindi:

Analoga espressione si ottiene per la derivata rispetto al tempo dell’energia


cinetica dell’utilizzatore. Sostituendo queste espressioni nel bilancio di
potenze e semplificando opportunamente si ottiene:

ed esplicitando rispetto all’accelerazione angolare dell’albero:

(8.52)

348
L’Equazione di moto (8.52) ha una forma del tipo:

in cui è il momento ridotto delle forze motrici, il momento ridotto


delle forze resistenti, il momento ridotto delle forze quadratiche di
inerzia (il cui significato sarà chiarito nel seguito), J* il momento d’inerzia
ridotto all’albero motore di tutte le masse presenti nella macchina. Rispetto
all’Equazione di moto (8.32), che descrive il moto di una macchina in cui
nessuna delle grandezze varia con la posizione angolare degli alberi, si
osservano due differenze: in primo luogo il momento d’inerzia ridotto J*
non è costante, ma dipende dalla posizione angolare ϕ dell’albero. Inoltre
compare il nuovo termine , che rappresenta un termine inerziale che
dipende dal quadrato della velocità angolare anziché dall’accelerazione
angolare. Come sarà mostrato nel prossimo capitolo con riferimento alla
macchina alternativa, questo termine corrisponde al fatto che nel tipo di
macchina qui studiato alcuni componenti dotati di massa subiscono
accelerazioni diverse da zero, anche se l’albero della macchina ruota a
velocità angolare ω costante. A tali forze è associato un termine di potenza
di inerzia che dà luogo a un termine aggiuntivo nell’equazione di moto.
È importante sottolineare che tutte e due le differenze che si riscontrano
rispetto alle macchine trattate in precedenza hanno origine dalla presenza di
un legame cinematico non lineare tra la rotazione dell’albero e il moto delle
altre parti della macchina.

8.11.1 Condizioni di funzionamento in regime periodico


Per una macchina retta da una equazione di moto avente la forma (8.52), non
è possibile ottenere una condizione di funzionamento in regime assoluto.
Infatti, affinché si verifichi tale condizione di moto sarebbe necessario che in
ogni istante del funzionamento l’energia cinetica della macchina si mantenga
costante. Se però si impone nel bilancio di potenze la condizione:

si ottiene l’equazione:

349
che non può essere soddisfatta identicamente per qualsiasi valore del tempo,
perché i due momenti agenti sull’albero motore dipendono secondo
espressioni diverse dalla posizione angolare dell’albero. In altre parole, la
macchina studiata in questo paragrafo sarà destinata a muoversi presentando
continue variazioni della velocità angolare dell’albero.
È però possibile che l’accelerazione angolare dell’albero motore, pur non
rimanendo costantemente nulla, varii periodicamente nel tempo con periodo
T, il che significa che nel proprio moto la macchina subirà una periodica
alternanza di fasi di accelerazione e di decelerazione, tali però da
compensarsi a vicenda, in modo che la velocità media della macchina non
cambi.
La condizione di funzionamento in regime periodico può essere ottenuta
imponendo nell’equazione di bilancio delle potenze che l’energia cinetica
della macchina abbia andamento periodico nel tempo:

(8.53)

Se si integra l’Equazione (8.1) di bilancio delle potenze tra il generico tempo


t e il tempo t + T e si considera l’Equazione (8.53) si ottiene:

ossia, sostituendo le espressioni della potenza motrice e resistente:

e poiché:

si può eseguire un cambiamento della variabile di integrazione, ottenendo:

(8.54)
in cui gli estremi di integrazione sono ottenuti ponendo:

e in particolare l’angolo Π rappresenta il periodo angolare della macchina,


definito come il valore della rotazione dell’albero motore dopo il quale si

350
ripete periodicamente il valore di tutti i momenti ridotti all’albero stesso.
L’Equazione (8.54) indica che per ottenere una condizione di moto periodico
è necessario che si annulli l’integrale esteso al periodo angolare Π della
somma dei momenti motore e resistente ridotti all’albero motore.

8.11.2 Irregolarità periodica della macchina


Un tipico problema tecnico che si presenta nella progettazione delle
macchine che operano in regime periodico consiste nel limitare le
oscillazioni di velocità che la macchina subisce nel suo funzionamento.
L’entità delle oscillazioni di velocità può essere quantificata per mezzo di un
parametro adimensionale i, detto grado di irregolarità periodica definito
come:

(8.55)

in cui ω max, ω min e ω med rappresentano rispettivamente il valore massimo


minimo e medio della velocità angolare dell’albero motore valutati nel
periodo della macchina.
Allo scopo di limitare l’irregolarità periodica della macchina viene di norma
utilizzato un volano, il cui momento di inerzia può essere determinato per
mezzo di metodi approssimati, per i quali si rimanda a [1] e [3]. Nel caso in
cui il moto periodico sia prodotto da un utilizzatore che genera un momento
resistente variabile con la posizione angolare della macchina, un secondo
mezzo per limitare l’irregolarità periodica consiste nell’adottare un motore
avente una caratteristica di coppia che nell’intorno della condizione di
funzionamento presenta una forte pendenza negativa (come avviene per
esempio per il motore asincrono trifase in prossimità della velocità di
sincronismo, Figura 8.6). In questo modo la macchina reagisce a un lieve
rallentamento con un forte incremento della coppia motrice e a
un’accelerazione con un decremento della coppia, cosicché il motore
contrasta l’azione irregolare dell’utilizzatore; per maggiori dettagli si rinvia a
[3].

Esempio 8.4 Macchine in regime periodico

351
Sia data una macchina del tipo mostrato nella Figura 8.27, costituita da un solo albero
su cui si applica un momento motore M m costante e un momento resistente variabile
in funzione della rotazione Ø dell’albero che, come mostrato nella figura stessa, si
mantiene pari a zero per i primi tre quarti del giro dell’albero e poi si mantiene
costante e pari a -4 M 0 fino alla fine del giro.
Si calcoli innanzitutto il valore del momento motore costante che permette il
funzionamento della macchina in regime periodico. A questo scopo è possibile
utilizzare l’Equazione 8.54. In questo caso il periodo Π di funzionamento della
macchina è pari a 2 π, per cui si ottiene:

da cui:

Questo risultato mostra che il momento motore costante che mantiene in regime
periodico la macchina è pari al valore medio sul giro del momento resistente.
Per calcolare il valore dell’irregolarità periodica, è possibile ripartire dall’equazione
di bilancio di potenze, scritta nella forma:

Figura 8.27 Esempio di macchina funzionante in regime


periodico.

integrando nel tempo ambo i membri si ottiene:

osservando infine che:

È possibile sostituire la variabile di integrazione, ottenendo:

352
Questa formula indica che la variazione dell’energia cinetica della macchina tra la
posizione iniziale Ø = 0 e una posizione generica, può essere ottenuta per
integrazione rispetto all’angolo Ø della funzione costituita dalla somma algebrica del
momento motore e del momento resistente. Tale funzione integrale può essere
ottenuta in modo molto semplice in questo esempio, perché la funzione integranda è
costituita da una serie di segmenti paralleli all’asse delle ascisse. La Figura 8.28
mostra la funzione integranda e il risultato dell’integrazione. Osservando questa
seconda funzione, è facile calcolare il valore della massima variazione di energia
cinetica della macchina, che nel caso considerato risulta:

Nota la massima variazione dell’energia cinetica della macchina è possibile ottenere il


valore dell’irregolarità periodica con il seguente calcolo:

da cui, introducendo l’approssimazione:

e ricordando la definizione dell’irregolarità periodica fornita dalla (8.55):

Figura 8.28 Calcolo della massima variazione di energia


cinetica della macchina di Figura 8.27.

Noto il valore medio della velocità angolare della macchina, si ottiene il valore
dell’irregolarità periodica:

Come si osserva, a parità di variazione dell’energia cinetica e di velocità angolare


media della macchina, un valore maggiore del momento di inerzia J comporta un
minor valore dell’irregolarità periodica.

353
ESERCIZI SVOLTI
Dinamica di una macchina
8.1 Il sistema nella Figura 8.29 è costituito da un motore che aziona un
utilizzatore tramite una trasmissione (rendimento η e rapporto di riduzione
τ). Il motore eroga un momento motore M m costante, l’utilizzatore esercita
una coppia resistente M r opposta al senso di rotazione del proprio albero il
cui modulo cresce linearmente con la velocità angolare ω u dell’albero
utilizzatore.

Figura 8.29 Sistema dell’Esercizio 8.1.

In queste condizioni si richiede di calcolare:


1. l’accelerazione angolare dei due alberi della macchina allo spunto;
2. la velocità angolare di regime dei due alberi.
Considerando poi una condizione di frenatura della macchina in cui, a partire
dalla situazione di regime calcolata al punto 2, vengono annullati i momenti
motore M m e resistente M r e viene applicato sull’albero utilizzatore un
momento frenante M f , si calcolino:
3. la decelerazione dei due alberi durante la fase di frenatura;
4. il tempo totale di arresto.
I dati del sistema considerato sono: momento motore M m = 30 Nm;
momento resistente M r = - 5 ω u Nm; momento d’inerzia lato motore J m =
0.1kgm 2; momento d’inerzia lato utilizzatore J u = 10 kgm 2; momento
frenante M f = 50 Nm; rapporto di trasmissione τ = 1/10; rendimento in moto
diretto della trasmissione η d = 0.9.

Risoluzione

354
Per calcolare l’accelerazione angolare allo spunto si scrive il bilancio di
potenze per l’intero sistema meccanico, cioè:

in cui le espressioni della potenza motrice e resistente sono rispettivamente:

Per calcolare la potenza dissipata nella trasmissione W p si osserva


innanzitutto che nella fase di avviamento la macchina funziona in condizioni
di moto diretto, infatti l’utilizzatore deve ricevere potenza dal motore sia per
vincere il momento resistente sia per incrementare la propria energia cinetica
durante la fase di accelerazione. Di conseguenza, la potenza perduta può
essere espressa come frazione della potenza W e entrante nella trasmissione
dal lato motore:

La potenza entrante può essere calcolata per mezzo di un bilancio parziale


del solo lato motore:

e quindi:

L’energia cinetica della macchina ha espressione:

e la derivata rispetto al tempo diviene:

Infine, per ricavare l’equazione risolvente, occorre ricordare le espressioni


che legano le velocità e le accelerazioni angolari dei due alberi attraverso il
rapporto di trasmissione:

Sostituendo le espressioni sopra riportate nel bilancio di potenze e


semplificando il termine ω m comune a tutti gli addendi si ottiene:

355
Questa equazione consente di rispondere alle prime due domande poste:
innanzitutto, può essere esplicitata rispetto all’incognita accelerazione
angolare del motore:

Sostituendo i dati numerici, e osservando che allo spunto il momento


resistente è pari a zero in quanto la velocità dell’utilizzatore è nulla, si
ottiene:

La velocità di regime della macchina può essere calcolata a partire dalla


stessa equazione di moto, tenendo presente che a regime i termini di
accelerazione si annullano. In tal modo l’equazione di moto si riduce a:

sostituendo i valori numerici si ottiene:

In fase di frenatura, l’espressione dei diversi termini del bilancio di potenze,


a eccezione della derivata dell’energia cinetica, cambia per effetto del fatto
che vengono a mancare il momento motore e quello resistente, mentre si
aggiunge sull’albero utilizzatore il momento frenante M f :

Per quanto riguarda la potenza perduta nella trasmissione, si osserva che


anche nella fase di frenatura la macchina lavora in condizioni di moto
diretto: infatti il volano J m posto sul lato motore decelera e rende disponibile
una potenza di inerzia positiva, che non può essere assorbita dal lato motore
e quindi attraversa la trasmissione verso l’utilizzatore. L’espressione della
potenza perduta è quindi ancora del tipo scritto in precedenza, essendo però
in questo caso la potenza entrante W e fornita dall’espressione:

Si osservi che tale quantità risulta sicuramente positiva, perché nella fase di -
decelerazione velocità e accelerazione angolare del motore hanno segni
discordi.
Con passaggi analoghi a quelli svolti in precedenza, si perviene alla seguente
espressione dell’equazione di moto:

356
che esplicitata rispetto all’accelerazione angolare del lato motore fornisce:

e, sostituendo i valori numerici:

La macchina subisce dunque un moto uniformemente decelerato (il valore


dell’accelerazione angolare rimane costante durante tutto il transitorio di
arresto). L’equazione che descrive la variazione della velocità, per esempio
dell’albero motore, durante il transitorio di arresto è quindi:

in cui ω m(0) rappresenta la velocità angolare di regime dell’albero motore.


Imponendo l’annullamento della velocità e risolvendo rispetto al tempo, si
ottiene il tempo di arresto t a :

Azionamento lineare
8.2 Il sistema nella Figura 8.30 è costituito da un motore che movimenta a
traslazione una massa per mezzo di una trasmissione che prevede in serie un
riduttore e un accoppiamento chiocciola-vite. La massa traslante M è
sottoposta a una forza resistente F. Si richiede di determinare:
1. la coppia motrice necessaria per far avanzare la massa a velocità
costante;
2. la coppia motrice necessaria per imprimere alla massa
un’accelerazione ;
3. nella condizione di moto descritta al punto 2, l’azione assiale nella
vite.

Figura 8.30 Sistema dell’Esercizio 8.2.

357
I dati del sistema sono: massa traslante M = 10 kg, momento di inerzia lato
motore J m = 0.05 kgm 2, modulo della forza resistente F = 1000 N, rapporto
di trasmissione del riduttore τ 1 = 1/5, rendimento del riduttore η 1 = 0.75,
passo della vite p = 0.01m, rendimento della coppia chiocciola-vite η v = 0.6.

Risoluzione
Per rispondere ai primi due punti dell’esercizio, occorre impostare il bilancio
di potenze della macchina, per esempio nella forma:

I termini di potenza motrice e resistente assumono l’espressione:

dove V indica il modulo della velocità della massa M, e il segno negativo nel
termine di potenza resistente è dovuto al fatto che la forza F e la velocità
della massa sono opposte.
Per determinare la potenza perduta nella trasmissione, si osservi che in tutte
e due le condizioni di moto considerate (moto a velocità costante e moto
uniformemente accelerato), la macchina funziona in condizioni di moto
diretto. Infatti, l’utilizzatore richiede potenza per vincere la forza resistente F
e, nel caso di moto accelerato, anche per incrementare la propria energia
cinetica. Di conseguenza, la potenza entrante nella trasmissione può essere
calcolata mediante un bilancio di potenze parziale del lato motore, indicando
con W e la potenza che viene trasferita dal motore alla trasmissione:

Inoltre, si osservi che la trasmissione è realizzata da due stadi in serie,


costituiti rispettivamente dal riduttore e dalla coppia chiocciola-vite. Il
rendimento totale sarà pertanto (Paragrafo 8.4.4) il prodotto dei due
rendimenti parziali:

358
La potenza perduta può quindi essere scritta come:

L’energia cinetica della macchina è la somma di quella del volano J m lato


motore e di quella della massa traslante:

Infine, per giungere all’equazione di moto della macchina, occorre


determinare il legame cinematico tra il moto rotatorio dell’albero motore e il
moto traslatorio della massa M. A questo scopo, si osserva innanzitutto che,
detto T il tempo impiegato dall’albero della vite (uscita del riduttore) per
compiere un giro, e ω v la velocità angolare dello stesso albero, vale la
seguente relazione:

Mentre la velocità angolare della vite può essere espressa in funzione della
velocità angolare del motore utilizzando il rapporto di trasmissione del
riduttore:

la relazione cinematica tra le accelerazioni si ottiene derivando rispetto al


tempo la relazione trovata tra le velocità:

Sostituendo nel bilancio di potenze le espressioni trovate e semplificando


opportunamente (si lasciano al lettore i passaggi intermedi) si ottiene
l’equazione:

Per rispondere al punto 1 dell’esercizio, si impone in questa equazione


, che corrisponde alla condizione di accelerazione nulla della massa, e
si esplicita l’equazione rispetto all’incognita M m:

359
Per rispondere al punto 2, occorre innanzitutto calcolare l’accelerazione
angolare dell’albero motore corrispondente a un’accelerazione lineare
della massa di 0.5 m/s 2:

Si osservi come a un valore relativamente modesto di accelerazione lineare


della massa, corrisponda un valore molto elevato di accelerazione angolare
del motore. Questa circostanza è dovuta al valore molto piccolo del
“rapporto di trasmissione generalizzato” tra la rotazione del motore e il moto
della massa, ed è caratteristico del funzionamento di molti azionamenti
elettromeccanici.
Sostituendo il valore trovato per nell’equazione di moto, e risolvendo
ancora rispetto al momento motore si ottiene:

Figura8.31

Infine, per rispondere al punto 3, si deve isolare il sottosistema costituito da


vite, chiocciola e massa traslante, evidenziando l’azione assiale N v (positiva
in trazione) che si trasmette all’interno della vite, come mostrato in Figura
8.31.
Per calcolare tale forza, si scrive l’equazione di equilibrio dinamico alla
traslazione orizzontale di questo sottosistema:

360
Nel caso considerato, l’effetto della forza di inerzia sulla massa traslante
risulta piccolo rispetto a quello della forza esterna F applicata alla massa.

Azionamento di una piattaforma rotante


8.3 Il sistema nella Figura 8.32 è costituito da un motore che aziona
tramite una trasmissione una piattaforma circolare cui si vuole imporre una
legge di moto trapezoidale come riportato nella Figura 8.33. Sulla
piattaforma agisce una coppia resistente M r . Si determini l’andamento della
coppia motrice necessaria a movimentare il sistema nelle varie fasi del
movimento.
Dati: momento di inerzia del motore J m = 0.1 kgm 2; rapporto di
trasmissione τ = 1/5; rendimento in moto diretto η d = 0.8; rendimento in
moto retrogrado η r = 0.6; momento di inerzia della piattaforma J p = 1
kgm 2; momento resistente sulla piattaforma M r = 10 Nm.

Figura 8.32 Sistema dell’Esercizio 8.3.

Figura 8.33 Legge di moto della piattaforma.

Risoluzione
Si imposta il bilancio di potenze nella forma:

I termini di potenza motore e resistente hanno le espressioni:

361
L’energia cinetica della macchina è data dalla formula:

Per quanto riguarda infine la potenza perduta, occorre discutere


separatamente le tre fasi di funzionamento della macchina, costituite dal
transitorio di accelerazione (da 0 a 0.1 secondi), dal moto a regime (da 0.1 a
0.5 secondi) e dal transitorio di decelerazione (da 0.5 a 0.6 secondi). Nella
prima e nella seconda fase, la macchina funziona sicuramente in moto
diretto, perché l’utilizzatore richiede potenza per vincere il momento
resistente e, nel transitorio di accelerazione, anche per incrementare la
propria energia cinetica. In tali fasi di funzionamento, l’espressione della
potenza perduta sarà pertanto:

in cui l’espressione della potenza entrante nella trasmissione W e è stata


calcolata mediante l’usuale bilancio parziale del solo lato motore (si vedano i
precedenti esercizi).
Nella fase di decelerazione, invece, non è possibile determinare a priori se la
macchina funziona in condizioni di moto diretto o retrogrado in quanto si
hanno nell’utilizzatore due effetti contrastanti: da un lato viene richiesta
potenza per vincere il momento resistente, dall’altro la decelerazione della
piattaforma rende disponibile la potenza di inerzia che corrisponde alla
diminuzione nel tempo dell’energia cinetica dell’utilizzatore. Per sciogliere
questa incertezza, si esegue un bilancio di potenze parziale del lato
utilizzatore, considerando un termine di potenza entrante nella
trasmissione dal lato utilizzatore.

Nella terza fase del ciclo della macchina, l’accelerazione angolare della
piattaforma vale:

per cui, sostituendo i valori numerici noti, la potenza vale:

362
Il segno di questa quantità è dunque positivo e consente di affermare che
nella fase di decelerazione la potenza fluisce dall’utilizzatore verso il motore,
ossia che il moto è retrogrado. L’equazione della potenza perduta in questa
fase diviene dunque:

Introducendo nell’equazione di bilancio delle potenze le espressioni sopra


ricavate, e utilizzando le relazioni cinematiche determinate dal rapporto di
trasmissione:

si ottiene l’equazione di moto della macchina. In questo caso, occorre


distinguere un’equazione di moto valida per la condizione di funzionamento
in moto diretto (fasi uno e due) e una diversa equazione di moto valida per la
condizione di moto retrogrado (fase tre). Con gli usuali passaggi, in moto
diretto si ha:

che esplicitata rispetto alla incognita momento motore fornisce:

Mentre in moto retrogrado l’equazione di moto diviene:

da cui:

Per poter determinare i valori numerici del momento motore, occorre


calcolare, nelle varie fasi di funzionamento, l’accelerazione angolare
dell’albero motore:

Sostituendo questi risultati e i valori numerici dati nelle espressioni ricavate

363
per il momento motore si ottengono i seguenti risultati numerici:

Macchina per sollevamento carichi


8.4 Un corpo di massa m è trascinato in salita lungo un piano inclinato
mediante una puleggia azionata tramite un riduttore da un motore. Si richiede
di calcolare:
1. il valore del momento motore necessario per sollevare la massa
lungo il piano inclinato a velocità costante;
2. il valore del momento di inerzia J m complessivo del lato motore
necessario per limitare l’accelerazione della massa a 2 m/s 2 quando il
motore esercita un momento pari al doppio di quello a regime
precedentemente calcolato.

Figura 8.34 Sistema dell’Esercizio 8.4.

Dati: massa del corpo m = 100 kg; momento di inerzia della puleggia J p =
1 kgm 2; rapporto di trasmissione del riduttore ; rendimento in moto
diretto della trasmissione η 1 = 1.0; rapporto di trasmissione della coppia
ruota elicoidale-vite senza fine ; rendimento in moto diretto della
coppia ruota elicoidale-vite senza fine η 2 = 0.8; raggio della puleggia R =
0.5 m; pendenza del piano ; coefficiente di attrito radente f r = 0.5.

Risoluzione
Si utilizza ancora una volta l’equazione di bilancio delle potenze:

364
dove la potenza motrice ha l’espressione consueta:

mentre la potenza resistente risulta pari alla somma di due termini, uno
dovuto alla componente della forza peso diretta parallelamente al piano
inclinato, l’altra dovuta all’effetto dell’attrito radente:

avendo indicato con V la velocità di salita della massa lungo il piano


inclinato.
Durante il funzionamento in salita, sia a regime sia in un transitorio di
accelerazione, la macchina lavora sicuramente in moto diretto, e pertanto la
potenza perduta assume l’espressione:

in cui si è tenuto conto del fatto che nella macchina sono presenti due stadi di
trasmissione in serie (riduttore e coppia ruota elicoidale-vite).
L’energia cinetica complessiva della macchina è somma dei contributi dovuti
al volano lato motore, alla puleggia e alla massa m traslante:

in cui ω p rappresenta la velocità angolare della puleggia.


I legami cinematici da utilizzare per la scrittura dell’equazione di moto sono
i seguenti:

Sostituendo nel bilancio di potenze, semplificando opportunamente e


utilizzando la notazione:

si ottiene l’equazione di moto della macchina che risulta:

Per rispondere al primo quesito, si annulla nell’equazione di moto

365
l’accelerazione angolare del motore, e si risolve rispetto al momento motore:

sostituendo i valori numerici:

Per rispondere al secondo punto, occorre invece sostituire nell’equazione di


moto un valore del momento motore doppio rispetto a quello di regime M m
= 28.6 Nm, imporre all’accelerazione angolare del motore il valore
2
corrispondente a una accelerazione lineare della massa di 2 m/s , ossia:

e risolvere l’equazione rispetto all’incognita J m:

Il valore così ottenuto rappresenta il minimo valore del momento di inerzia


che mantiene l’accelerazione sotto il limite fissato: infatti all’aumentare
dell’inerzia e a parità di momento motore applicato, l’accelerazione della
macchina deve diminuire, come del resto evidenziato dall’equazione di
moto.

366
CAPITOLO 9 Dinamica della macchina
alternativa

Con il termine macchina alternativa si indica, in questo capitolo, qualsiasi


macchina che al suo interno comprenda un cinematismo del tipo detto
manovellismo ordinario centrato. Le macchine alternative possono essere
essenzialmente distinte in due tipi: i motori alternativi e le macchine
operatrici alternative. Nei motori alternativi il manovellismo ordinario
centrato viene utilizzato per ottenere la conversione di una data forma di
energia in energia meccanica: esempio tipico sono i motori a combustione
interna, dove l’espansione dei gas che avviene a seguito della combustione
produce lo scorrimento di un corsoio (pistone) che, attraverso la biella, va ad
azionare l’albero motore. Macchine operatrici alternative sono invece quelle
macchine in cui il manovellismo ordinario centrato viene utilizzato per
compiere uno scopo utile: un esempio è il compressore alternativo, dove un
manovellismo ordinario viene azionato da un motore (in genere elettrico) e,
tramite il moto alternativo del corsoio, produce il passaggio di un fluido da
un condotto a bassa pressione (condotto di aspirazione) a uno a pressione
superiore (condotto di mandata).
Le ragioni per cui in questo libro viene dedicato un intero capitolo allo studio
di questo tipo di macchina sono molteplici: da un punto di vista
metodologico, la macchina alternativa costituisce un esempio significativo, e
nello stesso tempo relativamente semplice, di macchina in cui si hanno
legami cinematici non lineari tra gli spostamenti delle varie parti della
macchina stessa (in particolare, tra la rotazione della manovella e il moto del
pistone). La trattazione della macchina alternativa consente quindi di mettere
in luce il procedimento per la scrittura delle equazioni di moto in presenza di
legami cinematici non lineari, che presenta difficoltà aggiuntive rispetto ai
più semplici sistemi studiati nei Paragrafi 8.8, 8.9 e 8.10. Dal punto di vista
applicativo, la macchina alternativa riveste particolare importanza in quanto
impiegata in numerose e significative applicazioni, e presenta problemi
specifici quali la regolarizzazione del moto, l’equilibramento delle forze di
inerzia, le velocità critiche torsionali 1.
1
Per quest’ultimo argomento, non trattato in questa sede, si rimanda a [7].

367
Lo studio della macchina alternativa sarà qui presentato con riferimento al
caso di un motore alternativo monocilindrico. In primo luogo, verrà
introdotta una rappresentazione semplificata delle proprietà inerziali della
biella, che risulta utile per il successivo studio della dinamica della macchina
alternativa (Paragrafo 9.1). Successivamente, si ricaverà l’equazione di moto
del motore monocilindrico (Paragrafo 9.2) e si applicheranno a tale macchina
le nozioni relative al moto periodico introdotte nel capitolo precedente
(Paragrafo 8.11). A conclusione del capitolo, nel Paragrafo 9.4, si fornirà un
cenno al problema dell’equilibramento delle forze di inerzia in una macchina
alternativa.

9.1 Riduzione delle inerzie della biella a un sistema di


masse concentrate
Nello studio della dinamica di una macchina alternativa (ossia di una
macchina in cui siano presenti uno o più manovellismi ordinari), risulta
particolarmente efficace l’impiego di una rappresentazione semplificata delle
inerzie della biella. Nel Capitolo 6 si è visto che, ai fini del calcolo del
sistema di forze di inerzia che si genera su un corpo rigido per effetto del suo
moto, sono rilevanti i seguenti parametri relativi alla geometria delle masse
del corpo:
1. la massa del corpo, in quanto il risultante delle forze di inerzia
dipende da questo parametro;
2. la posizione del baricentro, perché il risultante delle forze di inerzia
dipende dall’accelerazione di questo punto;
3. il momento di inerzia baricentrale della distribuzione di masse della
biella, perché dal valore di questo parametro dipende la coppia di
inerzia che deve essere applicata al corpo.
Si può quindi affermare che, per un corpo rigido, qualunque sistema di masse
che presenti gli stessi valori per i tre parametri sopra elencati, darà luogo allo
stesso sistema di forze di inerzia se soggetto allo stesso moto. Ne consegue
che è possibile sostituire la vera distribuzione di massa di un corpo rigido
con un qualsiasi sistema di masse equivalenti, purché questa sostituzione
conservi i tre parametri sopra indicati.
Nel caso di una biella, che può essere considerata un corpo sottile dotato di
un asse di simmetria (Figura 9.1), la reale distribuzione di masse può quindi

368
essere riprodotta, senza introdurre approssimazioni, utilizzando tre masse
concentrate, indicate in figura con m 1, m 2 e m 3. Tali masse sono
considerate rigidamente collegate fra loro, in modo da formare un unico
corpo rigido, e sono poste rispettivamente in corrispondenza della testa della
biella, del piede della biella e del baricentro della biella. I valori delle tre
masse devono soddisfare il seguente sistema di tre equazioni:

(9.1)

in cui m b e I b indicano rispettivamente la massa e il momento di inerzia


baricentrale della biella, mentre ℓ 1 e ℓ 2 sono le distanze del baricentro della
biella rispettivamente dalla testa e dal piede di biella (Figura 9.1).
Risolvendo quindi il sistema sopra riportato rispetto ai valori delle tre masse,
è possibile determinare il sistema di masse concentrate equivalente alla reale
distribuzione di inerzia della biella.

Figura 9.1 Sistema di masse concentrate equivalenti alla inerzia


della biella.

In realtà, in molti casi si preferisce ridurre il sistema di inerzie della biella a


un sistema equivalente formato da due sole masse, poste nella testa e nel
piede di biella. In questo caso non è possibile soddisfare esattamente tutte e
tre le condizioni di conservazione sopra riportate, ma solo conservare la

369
massa totale della biella e la posizione del baricentro, mentre si introduce
un’approssimazione nel valore del momento di inerzia baricentrale. I valori
delle due masse (indicate ancora con m 1 e m 2) si ottengono dalla risoluzione
del sistema di due equazioni:

(9.2)

Una volta ridotta l’inerzia della biella alle due masse concentrate m 1 e m 2,
si può osservare che la massa m 1 è posta nel punto di collegamento della
biella con la manovella, il che significa che può essere pensata appartenente
alla manovella anziché alla biella: di conseguenza essa va ad aumentare la
massa della manovella e a modificare la posizione del baricentro di questo
corpo. Ai fini dell’equilibramento delle forze di inerzia, la condizione
ottimale per quanto riguarda la distribuzione di massa complessiva della
manovella consiste nell’avere il baricentro posto sull’asse di rotazione
dell’albero motore: in questo modo il baricentro della manovella avrà
accelerazione nulla e quindi il risultante delle forze di inerzia sarà nullo in
ogni istante. Per realizzare questa condizione si aggiunge quindi una massa
(detta contrappeso) posizionata dalla parte opposta della massa m 1 rispetto
al centro di rotazione della manovella, e di valore tale da far sì che il
baricentro complessivo del sistema di masse composto dalla manovella, dalla
massa m 1 posta nella testa della biella e dal contrappeso, abbia baricentro
posto sull’asse di rotazione dell’albero motore.
Per quanto riguarda invece la massa m 2, essa si muove insieme al corsoio, e
può quindi essere sommata alla massa del pistone: la somma di queste due
masse costituisce la cosiddetta massa equivalente traslante. Come si
dimostrerà nel seguito, questa massa influenza il moto della macchina (per
esempio in condizioni di regime periodico) e inoltre fa nascere forze di
inerzia che sono responsabili di vibrazioni e rumore. Nel Paragrafo 9.4 si
mostrerà come queste forze possano essere equilibrate, in tutto o in parte,
sfruttando le particolarità costruttive del tipo di motore considerato (motore
mono o pluri-cilindrico, possibilità di montare vibrodine di equilibramento
ecc.).

9.2 Equazione di moto di un motore alternativo

370
In questo paragrafo si vuole ricavare l’equazione di moto di una macchina
alternativa, considererando il caso di un motore monocilindrico a 4 tempi. Il
procedimento qui illustrato può essere facilmente adeguato al caso di una
diversa macchina alternativa (per esempio un motore a due tempi, oppure
una pompa volumetrica) ed esteso al caso di una macchina a più cilindri.
Consideriamo il motore alternativo rappresentato in Figura 9.2. Sul sistema
agiscono la forza F g, che rappresenta la risultante delle pressioni agenti sul
pistone, e il momento resistente M r, ipotizzato costante, che si esercita
sull’albero motore.
Per quanto riguarda le inerzie del sistema, una volta applicata la riduzione
dell’inerzia della biella al sistema di due masse concentrate come descritto
nel paragrafo precedente, resta da considerare la forza di inerzia sulla massa
equivalente traslante m s e la coppia di inerzia agente sull’albero motore,
dovuta al momento d’inerzia complessivo Jm di tutti gli organi rotanti
collegati sull’albero: manovella, massa m 1 proveniente dalla riduzione della
biella, contrappeso e volano calettato sull’albero motore.
Si osservi che sulla massa equivalente traslante non agisce una coppia di
inerzia, perché il moto di questo corpo è traslatorio, e che sull’albero motore
non agisce una forza di inerzia, perché è nulla l’accelerazione del baricentro
complessivo di questo sistema di masse.
Prima di scrivere l’equazione di moto di questa macchina, occorre descrivere
in che modo la forza F g agente sul pistone pu`o essere espressa in funzione
della posizione angolare della manovella: all’interno della camera di
dimensioni variabili formata dal cilindro e dal pistone, si ha un andamento
variabile della pressione p g, determinato dall’alternarsi delle quattro fasi di
funzionamento del motore: aspirazione, compressione, combustione,
espulsione dei gas esausti. Un andamento realistico della pressione in
funzione della posizione angolare della manovella α è rappresentato nella
Figura 9.3.

Figura 9.2 Forze agenti sul motore alternativo monocilindrico.

371
Figura 9.3 Andamento della pressione nel cilindro in funzione
della rotazione della manovella.

La forza F g che rappresenta la risultante di tali pressioni, può quindi essere


espressa come:

(9.3)

in cui D è il diametro del pistone. L’equazione di moto della macchina può


essere scritta utilizzando l’equazione di bilancio di potenze:

(9.4)
in cui W m è la potenza della forza motrice F g agente sul pistone, W r è la
potenza della coppia resistente M r, E c è l’energia cinetica complessiva
dell’albero motore e delle masse in moto alterno, e non si ha potenza perduta
W p perché non si considera la presenza di attriti nel sistema. Le espressioni
dei diversi termini nella (9.4) sono:

372
(9.5)
Come visto nello studio della cinematica dei sistemi articolati, la velocità del
piede di biella può essere espressa come prodotto della velocità angolare
della manovella per lo Jacobiano del legame cinematico tra la posizione
del piede di biella e la rotazione della manovella Λ c:
(9.6)

Sostituendo la (9.6) nella (9.5) si ottiene:

(9.7)

nelle quali sono introdotti il momento motore ridotto , il momento


resistente ridotto e il momento d’inerzia ridotto della macchina,
definiti come:

(9.8)

L’espressione analitica dello Jacobiano Λ c( α) nella (9.8) è diversa in


funzione del fatto che si consideri il legame cinematico esatto, ricavato nel
Paragrafo 3.3, oppure le espressioni di prima o seconda approssimazione per
il moto del piede di biella:

(9.9)

Si osservi che nella (9.8) il momento di inerzia della macchina ridotto


all’albero motore dipende dalla posizione angolare della manovella α.

373
Pertanto, la derivata dell’energia cinetica rispetto al tempo assume la forma:

(9.10)

Tale espressione può essere riscritta anche come:

(9.11)

avendo definito con:

(9.12)

il Momento ridotto delle forze di inerzia sulle masse in moto alterno.


Sostituendo le (9.7) e (9.11) nell’Equazione bilancio di potenze (9.4) e
semplificando la velocità angolare comune a tutti i termini, si ottiene
l’equazione di moto:
(9.13)

da cui, risolvendo rispetto all’accelerazione angolare:

(9.14)
Nel caso in cui si utilizzi l’espressione semplificata del primo ordine dello
Jacobiano, l’equazione di moto prende la forma:

(9.15)

L’Equazione di moto (9.14) è un’equazione differenziale non lineare del


secondo ordine nell’incognita α( t). Questa equazione non ammette una
soluzione in forma analitica, nemmeno nel caso in cui si usi un’espressione
semplificata per il moto del piede di biella come nella (9.15). Pertanto,
l’equazione di moto può essere integrata solo per via numerica, utilizzando
un metodo di integrazione al passo.

9.3 La macchina alternativa come esempio di macchina


a regime periodico

374
L’equazione di moto ottenuta per la macchina alternativa è del tipo (8.52),
già esaminata nel Paragrafo 8.11. In quella sede è già stato messo in luce che
tale forma dell’equazione di moto corrisponde alla presenza di legami
cinematici non lineari tra il moto delle diverse parti della macchina, in questo
caso tra la rotazione della manovella e la traslazione del corsoio. L’analogia
con l’Equazione (8.52) permette anche di affermare che per la macchina
alternativa non è possibile, a rigore, un funzionamento in condizioni di moto
a regime assoluto, ma eventualmente solo di regime periodico. La condizione
di regime periodico, definita nel capitolo precedente dall’Equazione (8.54),
nel caso del motore alternativo monocilindrico a quattro tempi diviene:

(9.16)

in cui si è tenuto conto che il periodo angolare della macchina è pari a 4 π,


corrispondente ai due giri dell’albero motore necessari per eseguire le quattro
fasi del motore. La (9.16) consente di calcolare il valore del momento
resistente costante che mantiene il motore in condizioni di regime periodico:

(9.17)

Tale valore corrisponde anche al momento motore medio sul periodo erogato
dalla macchina, ed è il dato che viene rappresentato in funzione della
velocità nel diagramma detto caratteristica meccanica del motore a
combustione interna (Paragrafo 8.2.1).
Infine, un problema tipico nella progettazione di una macchina alternativa
consiste nel contenimento della irregolarità periodica, definita nel Paragrafo
8.11. Infatti, valori eccessivamente elevati di questo parametro rendono
impossibile il corretto e regolare funzionamento del motore. La limitazione
dell’irregolarità periodica viene realizzata mediante l’utilizzo di un volano di
dimensioni opportune, seguendo i criteri già illustrati nel precedente
capitolo. Rispetto al semplice esempio mostrato in quella sede, il
dimensionamento del volano della macchina alternativa è reso più difficile
dal fatto che le masse in moto alterno introducono un termine di momento di
inerzia ridotto all’albero motore che è variabile con la configurazione della
macchina, ossia che dipende dalla posizione angolare della manovella,
utilizzata come coordinata libera del sistema. Nel seguito, si descrive un
procedimento approssimato, che può essere utilizzato per risolvere questo
problema.

375
9.3.1 Un metodo approssimato per il dimensionamento
del volano
Al fine di pervenire con relativa semplicità al dimensionamento del volano
della macchina alternativa in Figura 9.2, si consideri l’Equazione (9.13), e si
semplifichi tale equazione, ponendo al secondo membro:

(9.18)

In merito all’approssimazione introdotta dalla (9.18), si osservi che il


momento d’inerzia complessivo delle masse direttamente calettate
sull’albero motore sarà largamente predominante rispetto al termine
aggiuntivo di momento di inerzia ridotto associato alla massa considerata
concentrata nel corsoio, anche in relazione alla necessità di introdurre un
volano per regolarizzare il movimento della macchina. Si osservi, inoltre,
che l’approssimazione rappresentata dalla (9.18) non può però essere
introdotta direttamente nell’espressione dell’energia cinetica, ossia prima di
eseguirne la derivata rispetto al tempo, perché in questo caso si eliminerebbe
dall’equazione di moto il momento ridotto delle forze d’inerzia sulle masse
in moto alterno, termine che, soprattutto per valori elevati della velocità di
rotazione dell’albero motore, non può essere trascurato.
Si semplifichi, poi, l’espressione del momento ridotto delle forze d’inerzia
sul corsoio (9.12) utilizzando il valore medio ω med della velocità angolare
della manovella, anzichè il valore istantaneo . In tal modo anche il termine
, come il momento motore e resistente ridotto e , risulta funzione
della sola posizione angolare α della manovella. Anche questa seconda
approssimazione può essere accettata, perchè le fluttuazioni della velocità
angolare, rispetto al valore medio nei motori alternativi, sono tipicamente di
pochi punti percentuali.
Con le approssimazioni sopra descritte, la (9.13) può essere riscritta nella
forma:

(9.19)

in cui rappresenta l’energia cinetica associata a tutte le inerzie rotanti


con l’albero motore. Integrando tale equazione rispetto al tempo, a partire
dall’istante t = 0 in cui si assume iniziare il ciclo di funzionamento periodico

376
della macchina, si ottiene:

(9.20)

Tenendo conto che ed eseguendo un cambiamento di variabile di


integrazione nella (9.20), si ottiene:

(9.21)

La (9.21) consente di ricavare il diagramma della variazione dell’energia


cinetica delle masse rotanti in funzione della rotazione della manovella, dal
quale è immediato ottenere la massima variazione di energia cinetica della
manovella . Ricordando il risultato ottenuto nel Paragrafo 8.11, si ha:

(9.22)
da cui si può definire il valore minimo del momento di inerzia J m richiesto
per limitare l’irregolarità periodica della macchina a un valore massimo
prestabilito i max:

(9.23)
Il paragrafo successivo mostra un’applicazione numerica del procedimento
sopra descritto.

Esempio 9.1 Il motore Moto Guzzi Ippogrifo

In questo paragrafo si mostreranno alcuni risultati relativi al funzionamento di un


motore monocilindrico a quattro tempi, allo scopo di mostrare l’effetto dei principali
parametri costruttivi del motore sul valore dell’irregolarità periodica. I dati numerici
utilizzati sono relativi a un singolo cilindro del motore Moto Guzzi “Ippogrifo”
(Figura 9.4) e sono riportati nella Tabella 9.1. In realtà, trattandosi di un motore
bicilindrico, è stata considerata di fatto una sola metà del motore, e pertanto i risultati
che saranno mostrati non sono direttamente rapportabili al funzionamento del sistema
reale. Il regime di rotazione considerato è di 2000 giri/min.

377
Figura 9.4 Il motore Moto Guzzi “Ippogrifo”.

Tabella 9.1 Dati del motore Moto Guzzi “Ippogrifo”.

Corsa 2 r [mm] 71
Alesaggio D [mm] 82
Lunghezza biella ℓ [mm] 120
Momento di inerzia motore J m [kgm 2] 0.25
Massa in moto alterno m s [kg] 0.9

La Figura 9.5 riporta nel primo grafico, partendo dall’alto, l’andamento della forza
F g agente sul piede di biella, rappresentata in funzione della rotazione della
manovella α. Tale forza è stata calcolata sulla base dell’andamento della pressione
nella camera di combustione, considerata come dato del problema. Nel grafico
centrale si riporta, sempre in funzione di α, l’andamento dello jacobiano Λ c (in linea
continua l’espressione esatta, in tratteggio l’approssimazione del I ordine), e infine nel
terzo grafico dall’alto si riporta l’andamento del momento motore ridotto all’albero
motore: come si vede, i risultati ottenuti considerando l’espressione esatta o
approssimata dello jacobiano, differiscono significativamente solo durante la fase di
combustione. Il valore del momento resistente M r che consente il funzionamento in
moto periodico della macchina, calcolato mediante la (9.17) è pari a:

La Figura 9.6 mostra invece il procedimento per il dimensionamento del volano. Nel
diagramma in alto si mostra l’andamento del momento motore ridotto , del
momento resistente ridotto e del momento ridotto delle forze di inerzia sul
corsoio , in funzione della posizione angolare della manovella.
Nel diagramma centrale si mostra il diagramma della somma dei tre momenti ridotti,

378
mentre nel grafico in basso si rappresenta la variazione dell’energia cinetica del
volano rispetto all’inizio del ciclo del motore, visualizzando la massima variazione
, che risulta in questo caso pari a 410 J. Utilizzando la (9.23) e ipotizzando
un valore massimo ammissibile di irregolarità periodica pari a:

Figura 9.5 Calcolo del momento motore ridotto per un


cilindro del motore Moto Guzzi “Ippogrifo”: a) forza sul piede
di biella; b) jacobiano Λ c; c) momento motore ridotto.

Figura 9.6 Dimensionamento del volano: a) andamento in


funzione della rotazione della manovella del momento motore
ridotto, momento resistente ridotto e momento ridotto delle
forze d’inerzia sul corsoio; b) momento ridotto complessivo; c)
variazione dell’energia cinetica del volano.

379
si ottiene:

Da tale valore, sottraendo i valori noti del momento d’inerzia della manovella e della
quota parte della massa della biella considerata applicata alla manovella, si può
determinare il valore minimo del momento di inerzia che deve essere aggiunto
mediante un volano.
La Figura 9.7 mostra, infine, il risultato dell’integrazione numerica dell’equazione di
moto della macchina. In tale calcolo, si è considerato un valore complessivo del
momento d’inerzia delle masse rotanti pari a 0.25 kgm 2, leggermente superiore al
valore minimo sopra indicato.
L’Equazione di moto (9.14) è stata integrata numericamente utilizzando il metodo di
Runge-Kutta del IV ordine a passo costante [15], considerando l’espressione esatta
dello jacobiano Λ c. Dall’alto verso il basso vengono mostrati, in funzione del tempo:
nel primo grafico i momenti ridotti e ; nel secondo grafico
l’accelerazione angolare dell’albero motore; nel terzo grafico l’andamento nel tempo
della velocità angolare dell’albero motore. I risultati sono mostrati per un tempo di
0.12 secondi, corrispondente a due periodi del motore (ossia a una rotazione di quattro
giri) al regime di rotazione di 2000 giri/min considerato. Si osservi che
nell’andamento della velocità angolare (così come delle altre grandezze) è presente
una variazione periodica che dà luogo a un’oscillazione tra ω min = 204 rad/s e ω max
= 212 rad/s, corrispondente, in base all’Equazione (8.55), a un grado di irregolarità
pari a 0.038, di poco inferiore al valore massimo ammissibile considerato.

380
Figura 9.7 Risultati della simulazione numerica: a)
andamento temporale dei momenti motore, resistente e delle
forze quadratiche d’inerzia; b) andamento dell’accelerazione
angolare; c) andamento della velocità angolare.

9.4 Cenni sull’equilibramento dei motori alternativi


A conclusione del capitolo, si riportano alcuni cenni sull’equilibramento
delle macchine alternative. Consideriamo un singolo manovellismo ordinario
centrato, che può costituire l’intero sistema da equilibrare, nel caso di una
macchina monocilindrica, o una sola parte di esso, nel caso di macchina
pluricilindrica. Per semplicità, si approssima la distribuzione di massa
effettiva della biella con il sistema di due masse concentrate descritto nel
Paragrafo 9.1: le forze di inerzia sulla manovella, più quelle dovute alla
quota parte m 1 della massa della biella, concentrata nella testa della biella,
possono essere complessivamente equilibrate ponendo sulla manovella un
contrappeso che porti il baricentro complessivo della manovella, del
contrappeso e della massa m 1 a giacere sull’asse di rotazione dell’albero
motore. In questo modo, l’unica forza di inerzia non equilibrata è quella che
si genera sulla massa equivalente traslante m s, somma della massa effettiva

381
del corsoio e della quota parte m 2 di massa della biella concentrata nel piede
di biella: questa forza è diretta sempre come l’asse di scorrimento del
corsoio, e assume valore variabile nel tempo in funzione dell’andamento
temporale dell’accelerazione del corsoio.
L’analisi cinematica semplificata del manovellismo ordinario centrato,
riportata nel Paragrafo 3.3.1 consente di esprimere l’accelerazione del piede
di biella come somma di un’accelerazione di prima approssimazione e
di un termine di seconda approssimazione . Riprendendo l’Equazione
(3.23) e ipotizzando che la manovella ruoti con velocità angolare costante
ω 2:
2
Il che è vero, come visto nei paragrafi precedenti, a meno di un effetto di
irregolarità periodica che di norma è contenuto entro una piccola percentuale
della velocità angolare media.

si ottiene:

da cui, derivando rispetto al tempo:

E quindi si ottiene l’espressione della forza di inerzia sulla massa equivalente


traslante F in come somma di una forza del primo ordine e di una forza
del secondo ordine che risultano variabili armonicamente con pulsazione
rispettivamente pari alla velocità angolare della manovella e al doppio di
questa:

(9.24)

Si possono osservare due aspetti importanti:


• la componente del secondo ordine della forza d’inerzia ha modulo
inferiore alla componente del primo ordine, e tanto minore quanto più
è piccolo il rapporto l tra la lunghezza della manovella e quella della
biella;
• il modulo di tutte e due le componenti della forza di inerzia aumenta

382
con il quadrato della velocità angolare di rotazione dell’albero
motore.
Scopo delle tecniche di equilibramento descritte in questo paragrafo è
eliminare (se possibile) o minimizzare queste due componenti di forza, che
altrimenti si scaricherebbero sui supporti dell’albero motore. Le tecniche di
equilibramento delle macchine alternative si differenziano notevolmente tra
il caso della macchina monocilindrica e quello della macchina a più cilindri,
e pertanto questi due casi saranno trattati in due paragrafi distinti. Prima di
affrontare questo argomento, è però utile introdurre una rappresentazione
delle diverse componenti di forza di inerzia, sotto forma di coppie di vettori
contro-rotanti.

9.4.1 Rappresentazione delle forze inerziali sul piede di


biella mediante vettori contro-rotanti
Come descritto nel paragrafo precedente, la generica componente di forza di
inerzia sul piede di biella F è rappresentata da un vettore avente direzione
costante e valore variabile armonicamente secondo l’espressione:

in cui F 0 e Ω rappresentano rispettivamente l’ampiezza e la pulsazione della


forzante, che sono ovviamente diverse per ciascuna delle due armoniche,
come mostrato dalla (9.24). Questo tipo di forzante può essere rappresentato
come somma di due vettori di modulo costante e direzione variabile,
rotanti in direzioni opposte con velocità angolare Ω. Come mostrato dalla
Figura 9.8, per simmetria il risultato della somma dei due vettori avrà
direzione fissa e modulo variabile armonicamente secondo l’espressione
sopra riportata.
Pertanto, la forza di inerzia del primo ordine su un singolo corsoio potrà
essere rappresentata come somma di due vettori di modulo controrotanti
con velocità angolare uguale (in modulo) a quella dell’albero motore, mentre
le forze del secondo ordine saranno rappresentate da due vettori di modulo
controrotanti con velocità angolare doppia. In base all’Equazione (9.24),
le ampiezze delle due armoniche di forza di inerzia sono:

Per quanto riguarda il punto di applicazione dei vettori forza controrotanti, si

383
osservi che la forza complessiva di inerzia ha come retta di applicazione
l’asse del manovellismo, e può quindi essere applicata nel centro di rotazione
della manovella. Di conseguenza, anche le varie componenti rotanti della
forza di inerzia possono essere considerate tutte applicate in questo punto. Il
procedimento di trasformazione della forza di inerzia complessiva nelle
diverse componenti rotanti è rappresentato graficamente nella Figura 9.9.

Figura 9.8 Rappresentazione mediante vettori controrotanti di una


forza alternativa armonica.

Figura 9.9 Rappresentazione mediante vettori controrotanti della


forza di inerzia sul pistone.

9.4.2 Equilibramento della macchina monocilindrica


Nel caso della macchina monocilindrica, una prima possibilità per
equilibrare parzialmente la sola componente del primo ordine delle forze di
inerzia consiste nell’aggiungere alla manovella un ulteriore contrappeso che
vada a equilibrare la sola componente di forza di inerzia costituita dal vettore
rotante con velocità angolare ω nel verso di rotazione della manovella.

384
Quest’operazione lascia del tutto immutata la componente di forza di inerzia
del secondo ordine, mentre per quanto riguarda la componente del primo
ordine, rimane soltanto il termine rotante in direzione opposta rispetto alla
manovella: l’effetto che si ottiene è dunque una diminuzione della
componente di forza di inerzia nella direzione di scorrimento del corsoio, ma
contemporaneamente la nascita di una componente di forza in direzione
perpendicolare all’asse del manovellismo. Per eliminare anche la
componente controrotante della forza di inerzia, è necessario utilizzare un
albero ausiliario controrotante, ossia posto in rotazione con velocità angolare
uguale in modulo e opposta all’albero motore, sul quale viene posta una
massa eccentrica di entità tale da generare una forza uguale e opposta alla
componente controrotante della forza di inerzia. Questo tipo di soluzione,
però, di norma non è adottata perché comporta un sensibile incremento del
costo della macchina, oltre che del peso e dell’ingombro.

9.4.3 Equilibramento della macchina pluricilindrica


Nel caso di macchina pluricilindrica, l’equilibramento viene effettuato
utilizzando la presenza di più forzanti inerziali (associate ai diversi corsoi),
che risultano sfasate tra loro di angoli multipli degli angoli formati dalle
manovelle dell’albero motore.
Facendo riferimento, per fissare le idee, al caso di un motore a quattro
cilindri in linea, gli sfasamenti tra le componenti del primo e secondo ordine
delle forze d’inerzia sui quattro corsoi sono indicati dalla Tabella 9.2, in cui
si riferiscono tutte le fasi (espresse in gradi per semplicità) alla manovella
più esterna.
Tabella 9.2 Fasi delle forze di inerzia nel motore 4 cilindri in linea.

Manovellismo Fase manovella Fase forze I ordine Fase forze II


1 0° 0° 0°
2 180° 180° 360°
3 180° 180° 360°
4 0° 0° 0°

Si osservi che le forze del primo ordine sul primo e quarto manovellismo
sono in fase tra loro e in controfase con quelle sul secondo e terzo
manovellismo: la somma di tutte le forze del primo ordine sarà quindi nulla.

385
Inoltre, grazie alla disposizione simmetrica delle quattro manovelle, risulta
anche nullo il momento delle forze di inerzia rispetto alla mezzeria
dell’albero motore. Per quanto riguarda invece le forze di inerzia del secondo
ordine, lo sfasamento tra le forze è doppio dello sfasamento tra le manovelle.
Di conseguenza, le forze sui quattro corsoi risultano in fase tra loro, e danno
quindi una forza risultante non nulla. Per simmetria, il momento delle forze
del secondo ordine rispetto alla mezzeria dell’albero motore risulta nullo. La
situazione complessiva delle componenti di forza d’inerzia agenti sui diversi
corsoi e delle fasi relative tra queste, è rappresentata nella Figura 9.10. Si
può quindi concludere che per il motore quattro cilindri in linea risultano
equilibrate le forze e i momenti del primo ordine e i momenti del secondo
ordine, ma non le forze del secondo ordine.

Figura 9.10 Equilibramento delle forze di inerzia per un motore 4


cilindri in linea a) forze del I ordine; b) forze del II ordine.

Con ragionamenti analoghi a quelli riportati sopra per il motore 4 cilindri in


linea, si può verificare che per altre tipologie di motori valgono le condizioni
di equilibramento riportate in Tabella 9.3.
Tabella 9.3 Condizioni di equilibramento per diverse tipologie di
motore a combustione interna.
Tipologia di motore Forze del I ordine Forze del II ordine
4 cil. in linea equilibrate non equilibrate
4 cil. contrapposti ( boxer) equilibrate equilibrate
6 cil. in linea (manovelle a 60°) equilibrate equilibrate

386
CAPITOLO 10 Gli elementi delle macchine

Nell’ambito degli elementi delle macchine si includono quei dispositivi e


meccanismi che fanno parte della macchina e che consentono di soddisfare le
diverse necessità richieste dal suo funzionamento, quali, per esempio,
l’avviamento, l’arresto, lo stazionamento, la trasmissione di potenza. Altri
elementi delle macchine sono invece legati alle modalità di vincolo, quali i
supporti e le fondazioni. In questo capitolo ci si occuperà, prevalentemente
dal punto di vista funzionale, di alcuni di essi, e in particolare: le trasmissioni
di potenza, i dispositivi per l’arresto del moto (freni) e i supporti. Saranno
sottolineati i princìpi della meccanica alla base del loro funzionamento,
rimandando, data la vastità dell’argomento, alla letteratura specializzata per
gli approfondimenti e gli aggiornamenti costruttivi e tecnologici. Si porranno
invece in evidenza i campi di utilizzo dei diversi componenti, e i relativi
vantaggi e svantaggi. In generale non si può affermare che un componente è
in assoluto migliore di un altro, le condizioni operative (potenza, velocità,
temperatura, ingombro, modalità di applicazione del carico, costo, oneri
manutentivi, condizioni ambientali) determinano la scelta ottimale per una
condizione data. Risulta quindi opportuno conoscere i campi di applicazione
di un elemento di macchina e i relativi vantaggi e svantaggi sotto il profilo
tecnico, economico e dell’impatto ambientale, per poterne effettuare la
selezione in modo opportuno.

10.1 Sistemi per la trasmissione di potenza


Nel capitolo relativo alla dinamica della macchina è stata introdotta la
trasmissione come elemento preposto a collegare l’elemento motore con
l’elemento utilizzatore; talora un sistema di trasmissione ha anche la
funzione di distribuire la potenza da un unico motore a più utilizzatori. Con il
termine trasmissioni di potenza si intendono i meccanismi atti a trasmettere
le variabili della potenza (coppia e velocità angolare, o forza e velocità),
lasciandone inalterato il valore oppure modificandolo. Le trasmissioni di
potenza che saranno esaminate nel seguito considerano il moto rotatorio di
alberi con assi tra loro paralleli: esse sono classificabili in base a differenti
caratteristiche. Volendo effettuare una suddivisione basata sulla funzione

387
principale, è possibile distinguere:
• sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione costante,
per esempio riduttori e moltiplicatori. I primi sono i più utilizzati, in
quanto la velocità di rotazione dei motori è in genere maggiore di
quella degli utilizzatori. Variando la velocità varia, di conseguenza, la
coppia trasmessa; come già visto, questa trasformazione avviene a
spese di un rendimento inferiore all’unità, il che comporta che una
frazione della potenza in transito venga dissipata in calore e non più
recuperata. Questi meccanismi sono realizzati mediante ruote (lisce o
dentate), che possono essere direttamente accoppiate tra loro, e in tal
caso si parla di trasmissione rigida, oppure collegate mediante
elementi flessibili, quali cinghie, catene e funi;
• sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione variabile
(cambi e variatori di velocità). Questa funzione si rende necessaria,
per esempio, per controllare il movimento, oppure per ampliare il
campo di funzionamento di un motore. Applicazioni si trovano, in
particolare, nel campo dei veicoli, delle macchine movimento terra e
delle macchine utensili;
• sistemi per collegare tra loro in modo non permanente alberi rotanti
(giunti e innesti). Le esigenze di trasporto, montaggio e manutenzione
richiedono di poter scollegare alcuni elementi del sistema motore--
trasmissione-utilizzatore. In particolare è necessario poter collegare e
scollegare tra loro gli alberi rotanti. Nel caso di collegamento
permanente durante il funzionamento della macchina, si parla di
giunti, mentre nel caso di accoppiamento temporaneo, ossia inseribile
e disinseribile senza operazioni di smontaggio, si parla di innesti.
Nella Figura 10.1 si riporta un quadro sinottico dei principali sistemi di
trasmissione, classificati secondo quanto sopra specificato.

Figura 10.1 Classificazione dei più comuni sistemi per la


trasmissione di potenza, in base alla principale funzione da
svolgere (rapporto di trasmissione costante o variabile).

388
Un’altra classificazione possibile riguarda invece la modalità con la quale la
potenza viene trasmessa (Tabella 10.1). La trasmissione del moto può
avvenire per contatto tra superfici coniugate, che si scambiano mutue spinte
in direzione della normale al contatto, oppure per effetto di sole azioni di
attrito.
Tabella 10.1 Criteri di classificazione delle trasmissioni in base alla
modalità con cui viene trasmessa la potenza.
Tipo accoppiamento Contatto diretto Elemento flessibile interposto
Spinta tra superfici Ruote dentate Catene Cinghie dentate
Attrito Ruote di frizione Cinghie (piante e trapezoidali) Funi

Nel primo caso, la limitazione al livello di potenza che è possibile


trasmettere è dettata prevalentemente dalla resistenza meccanica degli
elementi che compongono la trasmissione e dal loro tasso di usura. Nel
secondo caso, il valore massimo della potenza che può essere trasmessa,
dipende, oltre che dalle limitazioni dovute alla resistenza meccanica, anche
dalla limitazione al valore massimo delle forze tangenziali scambiate che si
ha per effetto della saturazione delle azioni di attrito, alle quali è affidato il
compito di trasmettere la potenza.
Le trasmissioni di potenza si possono distinguere anche in funzione delle
seguenti caratteristiche:

389
• non esiste un telaio indipendente della trasmissione (come nel caso di
trasmissioni a fune o a cinghia);
• è presente un telaio con sole funzioni di protezione, sia nei riguardi
dell’ingresso di elementi estranei, quali polveri o scarti di
lavorazione, sia per la sicurezza del personale (ancora torniamo al
caso di cinghie o catene);
• la trasmissione ha un proprio telaio autonomo, di solito chiuso e con
elevate caratteristiche di rigidezza, con lo scopo di supportare gli
alberi che compongono la trasmissione e di contenere il lubrificante,
come nel caso dei riduttori a ingranaggi.

10.2 Sistemi a rapporto di trasmissione costante


Tra gli elementi che rientrano in questa categoria saranno trattate brevemente
le ruote di frizione, le ruote dentate (trasmissioni rigide) e i sistemi composti
da ruote e flessibili (cinghie e catene).

10.2.1 Ruote di frizione


Il più semplice tipo di trasmissione è costituito dalle ruote di frizione, che
trasmettono la potenza mediante le azioni di attrito scambiate al contatto tra
le due ruote. La trasmissione, nella sua forma più semplice, è costituita da
due ruote lisce, con assi paralleli, premute una contro l’altra (Figura 10.2).
La cinematica della trasmissione corrisponde al vincolo di puro rotolamento;
uguagliando la velocità dei due dischi al punto di contatto si ottiene il
rapporto

Figura 10.2 Schema della trasmissione con ruote di frizione.

390
di trasmissione:

(10.1)

La potenza massima trasmissibile è bassa (meno di 20 kW), e non è garantita


la costanza del rapporto di trasmissione al variare del carico, per cui questo
dispositivo è utilizzato solo per macchine particolari, come limitatore della
potenza trasmessa o, più spesso, come parte di variatori di velocità.

Studio della trasmissione


La limitazione della potenza trasmissibile deriva dalle modalità stesse di
funzionamento, legate alla forza di attrito T scambiata al contatto tra le due
ruote:
(10.2)

Le limitazioni dovute alla resistenza del materiale e ai fenomeni detti di


fatica superficiale, che causano un progressivo degrado sia alla superficie sia
immediatamente al di sotto di essa, impediscono di aumentare
illimitatamente la forza P ; quindi, dato il valore di f s e dovendo limitare gli
ingombri ( R 1 e R 2), ne segue la limitazione (10.2). Poiché nel punto di
contatto (in realtà un’area di contatto) vi sono microscorrimenti, ossia

391
slittamenti locali all’interno dell’impronta di contatto, il valore del rapporto
di trasmissione presenta degli scarti dell’ordine dell’ .

10.2.2 Ruote dentate


Le ruote dentate (Figura 10.3) trasmettono il moto attraverso il contatto e le
mutue spinte tra i profili dei denti. La forma dei profili più diffusamente
utilizzata è a evolvente di cerchio (Figura 10.4), le cui proprietà saranno
descritte nel seguito. In un primo approccio intuitivo, si può definire
l’evolvente di cerchio come la curva tracciata dall’estremo di una corda che,
mantenuta tesa, si volge da una circonferenza detta circonferenza di base,
come mostrato nella Figura 10.4. Conformando i fianchi dei denti secondo
tale curva, è possibile ottenere un movimento continuo, affidato alla spinta
tra i denti, nel quale il rapporto di trasmissione non si modifica durante la
rotazione.

Figura 10.3 Esempio di coppia di con ruote dentate cilindriche a


denti diritti.

Le caratteristiche geometriche principali della ruota dentata sono mostrate


nella Figura 10.5, esse sono la circonferenza primitiva, la cui lunghezza è
pari al prodotto del passo per il numero di denti Z, ossia π D p = pZ, rispetto
alla quale sono definite le quantità denominate addendum e dedendum, che
determinano i diametri delle circonferenze di troncatura esterna e interna.
Nella pratica costruttiva la dimensione del dente è definita attraverso il suo
modulo, legato al passo dalla relazione:

392
(10.3)

ricordando la definizione sopra data del diametro primitivo D p. I valori del


modulo sono normalizzati (non potrebbero esserlo quelli del passo, in quanto

Figura 10.4 Interpretazione dell’evolvente di cerchio.

Figura 10.5 Principali dimensioni geometriche dei denti.

contengono implicitamente il numero π), e a essi ci si riferisce nella


costruzione delle ruote dentate. Nel proporzionamento modulare,
l’addendum è pari al modulo, mentre il dedendum è pari a 1.25 m.
La circonferenza primitiva, oltre a costituire la linea di riferimento rispetto
alla quale sono definite le dimensioni e le posizioni dei denti, consente anche

393
di descrivere la cinematica della trasmissione. La rotazione delle due ruote
dentate attorno al proprio asse, unitamente al vincolo di contatto tra le
superfici dei denti, equivale, dal punto di vista cinematico, a un vincolo di
puro rotolamento tra le circonferenze primitive (Figura 10.6). Da quanto
sopra detto si può intuitivamente ricavare il rapporto di trasmissione.
Uguagliando infatti la lunghezza percorsa sulla circonferenza primitiva 1,
pari a s 1 = ( D 1/2) φ 1, con il corrispondente tratto s 2 percorso sulla
circonferenza primitiva 2, si ha:

(10.4)

Avendo utilizzato la definizione di modulo m, ovviamente uguale per le due


ruote, si ottiene:

(10.5)

Per cui, se la ruota conduttrice compie un giro completo, la ruota condotta


compie una frazione di giro, di entità pari al rapporto fra il numero dei denti
della ruota conduttrice Z 1 e quello della ruota condotta Z 2. Lo stesso
rapporto vale per le velocità angolari delle due ruote, essendo il rapporto di
trasmissione costante. L’utilizzo dei profili a evolvente per la realizzazione
delle ruote dentate soddisfa alle seguenti condizioni:
• la velocità relativa nel punto di contatto non ha componente normale
(assenza di urto) ai profili a contatto;

Figura 10.6 Archi percorsi sulle circonferenze primitive.

394
• per ridurre la velocità di strisciamento (proporzionale alla distanza del
punto di contatto dal centro di istantanea rotazione relativa) dei profili
coniugati se ne utilizza solo una parte a cavallo della primitiva;
• per la continuità del moto, quando una coppia di denti non è più a
contatto, deve esserlo la coppia successiva;
• tra gli elementi della ruota deve esservi il posto per gli elementi
dell’altra, ossia devono essere presenti alternativamente dei pieni (i
denti) e dei vuoti (spazi tra due denti consecutivi);
• per rendere possibile l’inversione del senso di rotazione, gli elementi
di una ruota devono essere limitati da entrambe le parti da profili
coniugati a quelli dell’altra ruota;
• la lunghezza del tratto pieno + vuoto ( passo) deve essere un
sottomultiplo intero della circonferenza primitiva, ossia Z = π D p/ p .
I principali vantaggi della trasmissione a ingranaggi sono dovuti alla capacità
di trasmettere potenze anche molto elevate, con il miglior rapporto
ingombro/potenza, con rendimenti alti, e garantendo la costanza del rapporto
di trasmissione, essendo questo affidato all’accoppiamento geometrico dei
denti.
Inoltre i carichi sui cuscinetti, a parità di potenza trasmessa, sono inferiori a
tutti gli altri tipi di trasmissione. Tra gli svantaggi vi sono il costo più alto,
legato anche alla necessità di un’elevata precisione e di lubrificare il contatto
tra i denti. Le trasmissioni a ingranaggi sono caratterizzate da un livello di
rumore più elevato rispetto, per esempio, a quelle a cinghia, e dall’incapacità
di assorbire e smorzare urti e vibrazioni derivanti dall’esercizio. Si utilizzano
principalmente quando le distanze tra gli alberi sono piccole, ed è necessario
mantenere un rapporto di trasmissione costante, con elevata coppia da
trasmettere. Se gli alberi da collegare tra loro sono comuque distanti, è
necessario prevedere un albero di trasmissione.

Cinematica della trasmissione


Per illustrare il principio di funzionamento si considerino dapprima due
profili generici a contatto, come mostrato nella Figura 10.7, dove due corpi
dotati di moto rotatorio piano sono a contatto nel punto P. Le rette n e t
indicano

Figura 10.7 Esempio di due profili a contatto.

395
rispettivamente le direzioni normale e tangente comuni al contatto, mentre
V 1 e V 2 sono le velocità dei corpi in corrispondenza del punto di contatto
P. Se il contatto avviene senza urti, le componenti della velocità in direzione
normale ( V 1n e V 2n) sono uguali, mentre la differenza tra i vettori V 2 e V 1
rappresenta la velocità relativa di strisciamento tra i due corpi. I due profili,
che risultano pertanto avere n e t coincidenti, si dicono ( coniugati), e
costituiscono la classe di pratico impiego nelle trasmissioni di questo tipo.
L’uguaglianza delle componenti normali delle velocità dei due corpi in
corrispondenza del punto di contatto:
(10.6)
(10.7)

consente di ricavare il rapporto istantaneo tra le velocità angolari dei due


corpi, ossia il rapporto di trasmissione τ, definto come rapporto tra la
velocità angolare del corpo cedente (2) e del movente (1):

(10.8)

Per la similitudine dei triangoli P 0 O 1 Q 1 e P 0 O 2 Q 2, il rapporto di


trasmissione istantaneo può anche essere espresso come rapporto dei
segmenti O 1 P 0 e O 2 P 0, in base alla posizione del punto P 0, intersezione

396
tra la linea delle azioni (ossia la normale al contatto) e la congiungente i
centri O 1 e O 2. Il punto P 0 rappresenta il centro di istantanea rotazione
relativa tra i due corpi. Per mantenere il rapporto τ costante è quindi
necessario che il punto P 0 non modifichi la sua posizione durante il
funzionamento, pur potendo variare la posizione del punto di contatto P. Se
si considera la traiettoria tracciata da P 0 (fisso nel piano) su ciascuno dei due
corpi in rotazione, si ottengono delle circonferenze dette primitive del moto,
con centro in O 1 e O 2. Poiché la posizione di P 0 dipende dalla forma dei
profili a contatto, adottando opportuni profili si soddisfa alla condizione -
richiesta sulla costanza del rapporto di trasmissione. Nella pratica costruttiva
si utilizzano, nella maggior parte dei casi, profili coniugati costituiti da
evolventi di cerchio. Altri tipi di profilo utilizzati per mantenere costante il
rapporto di trasmissione sono il profilo cicloidale, e quello di Novikov.
Si ricorda che l’evolvente λ di una linea γ è quella curva che ha i suoi centri
di curvatura su γ. L’evolvente può essere pensata come traccia dell’estremo
di un filo che si svolge dalla circonferenza (detta di base), mantenendosi
teso. Dalla Figura 10.8 si ricavano le relazioni geometriche che intercorrono
tra il raggio vettore R = OP c, l’angolo β e l’angolo α f, che costituisce il
parametro rispetto al quale viene costruita la curva. Notando che la distanza
P cT 0 e la lunghezza dell’arco QT 0 sono uguali, per la costruzione
dell’evolvente di cerchio:
(10.9)

(10.10)

si ottiene la definizione di involuta:

(10.11)

Al variare dell’angolo α f si traccia quindi il profilo dell’evolvente (Figure


10.9 e 10.10). Come ultimo aspetto si studia la velocità di strisciamento tra i
fianchi dei denti. La Figura 10.11 mostra le componenti lungo le direzioni
normale e tangente al contatto della velocità dei due denti. Considerazioni
geometriche consentono di definire le componenti tangenti V 1t, V 2t e
normali V 1n, V 2n delle velocità V 1 e V 2, la cui differenza è pari alla

397
velocità di strisciamento:

(10.12)

Figura 10.8 Costruzione geometrica dell’evolvente di cerchio.

Figura 10.9 Successive posizioni del punto di contatto tra i due


profili di evolvente di cerchio.

la cui differenza è pari alla velocità di strisciamento:


(10.13)

essendo:

398
si ottiene:

(10.14)
Dalla (10.14) si ricava che la velocità di strisciamento cresce al crescere della
distanza dal centro di istantanea rotazione relativa, individuato dal punto P 0,
intersezione delle primitive del moto relativo. Nel caso dell’accoppiamento
di ruote dentate a evolvente, il punto di contatto si sposta all’interno del
segmento T 1 T 2. Da quanto detto si comprende come la presenza dell’attrito
nel contatto di strisciamento porti alla dissipazione di potenza W d:

che viene globalmente espressa dal rendimento η, funzione in questo caso


della posizione del punto di contatto lungo la retta di ingranamento.

Figura 10.10 Posizioni estreme del punto di contatto.

Figura 10.11 Componente normale comune delle velocità dei due


denti a contatto.

399
10.2.3 Considerazioni sui riduttori a ingranaggi
Come visto, il rapporto di riduzione in una trasmissione a ruote dentate è
espresso dal rapporto del numero dei denti delle due ruote (conduttrice e
condotta). Nella pratica costruttiva è opportuno che il rapporto di
trasmissione τ sia ottenuto con numeri di denti primi tra loro. Nel caso di
presenza di fattori comuni, infatti, ciascun dente del pignone impegnerebbe
sempre gli stessi denti della ruota, portando a un’usura preferenziale tra le
coppie che così vengono a stabilirsi. Ciò può costituire un problema,
soprattutto se i valori dei carichi sono periodici durante una rotazione
completa del pignone.
Se invece non sono presenti fattori comuni, ciascun dente del pignone
ingrana con tutti i denti della ruota, determinando una distribuzione più
uniforme dell’usura. Nella realizzazione di riduttori a ingranaggi si ricorre a
due configurazioni, denominate treni semplici e treni composti, di seguito
illustrati.

Treni semplici
Sono costituiti da una serie di ruote dentate, ognuna calettata (ossia
torsionalmente connessa) su un proprio albero, e trovano applicazione dove

400
diversi alberi devono ruotare mantenendo uno sfasamento costante (Figure
10.12 e 10.13). Il rapporto di trasmissione tra la prima e l’ultima ruota del
treno non dipende dalle ruote intermedie, che pertanto prendono il nome di
ruote oziose.

Figura 10.12 Schema di un treno semplice.

Si ha infatti, con riferimento alla Figura 10.12:

Figura 10.13 Applicazione del treno semplice: movimentazioni di


alberi a camme in un motore motociclistico.

401
Treni composti
Poiché esiste una limitazione al numero minimo di denti (pari a diciotto, nel
caso di proporzionamento modulare senza ricorrere a lavorazioni speciali),
per avere bassi valori di τ è quindi necessario aumentare il numero di denti
della ruota condotta, e di conseguenza le sue dimensioni. Risulta allora
opportuno

Figura 10.14 Schema di un treno composto.

suddividere il rapporto di trasmissione su più coppie di ruote dentate,

402
secondo lo schema di Figura 10.14, dove sullo stesso albero (il secondo,
l’albero intermedio), sono calettate una ruota condotta (con Z 22 denti), e una
conduttrice (con Z 12 denti). In tal caso il rapporto di trasmissione del
riduttore mostrato in Figura 10.15 composto risulta:

Si ritrova il risultato già visto, ossia che il rapporto di trasmissione di più


trasmissioni in serie, che nel caso esaminato sono rappresentate dai due stadi
di riduzione, è dato dal prodotto dei rapporti di trasmissione intermedi.

Figura 10.15 Riduttore ad assi paralleli.

10.2.4 Rotismi epicicloidali


I rotismi epicicloidali sono costituiti da treni di ruote dentate in cui almeno
un asse è mobile. Nella sua forma piú semplice un rotismo epicicloidale è
costituito dai seguenti elementi, la cui denominazione assimila il moto delle
ruote con asse mobile a quello di satelliti attorno ad un pianeta (Figura
10.16):
• una ruota centrale avente velocità angolare ω 1;
• ruote il cui asse è mobile, dette ruote satelliti, o semplicemente
satelliti, in genere in numero da due a tre simmetricamente disposti
rispetto all’asse della ruota centarle;

403
• il portatreno, che reca gli assi mobili delle ruote satelliti, e dotato
della velocità angolare Ω;
• una ruota dentata con dentatura interna, detta corona, avente velocità
angolare ω 2.
Il funzionamento cinematico di un rotismo epicicloidale è descritto dalla
formula di Willis:

(10.15)

in cui il termine τ o rappresenta il rapporto di trasmissione tra ingresso ( ω 1)


e uscita ( ω 2) con il portatreno fermo, ovvero con Ω = 0. Il rotismo
epicicloidale è quindi un sistema dotato di due gradi di libertà, essendo
descritto da tre velocità angolari legate tra loro da una relazione, costituita
dalla formula di WIllis. Per l’esempio riportato in Figura 10.16, il rapporto a
portatreno fermo è ricavabile considerando le ruote, rispettivamente la ruota
centrale (avente un numero di denti pari a Z 1), la generica ruota satellite
(avente un numero di denti pari a Z 3) e la corona (avente un numero di denti
pari a Z 2), come un treno semplice, con la ruota satellite avente il ruolo di
ruota oziosa.
Di conseguenza risulta:

(10.16)
in cui il segno negativo tiene conto del fatto che il verso di rotazione della
ruota centrale e della corona risultano, per questa configurazione, opposti.
Applicazioni tipiche dei rotismi epicicloidali si hanno nei riduttori: in tal
caso è necessario vincolare uno dei gradi di libertà, al fine di ricondursi al
caso di un riduttore con un singolo ingresso ed una singola uscita. Uno dei
vantaggi dei riduttori epicicloidali consiste nel fatto che gli assi degli alberi
in ingresso ed in uscita sono coassiali. Tale circostanza risulta molto utile in
talune applicazioni, quali ad esempio movimentazioni per macchine
automatiche, oppure

Figura 10.16 Rotismo epicicloidale: schema e nomenclatura.

404
l’azionamento delle eliche in motori turboelica o nella testa di generatori
eolici. Inoltre la configurazione di un riduttore epicicloidale risulta più
compatta rispetto ad un riduttore ordinario ad assi fissi, pur se a prezzo di
una maggiore complicazione costruttiva. Una configurazione tipica per un
riduttore prevede di vincolare la corona, di fornire come movimento in
ingresso la rotazione del della ruota centrale, e avere in uscita la rotazione
del portatreno. Considerando tale configurazione nella formula di Willis
(10.15) si ha, essendo ω 2 = 0:

da cui:

Per esempio, in un proporzionamento in cui il diametro primitivo della ruota


centrale è posto eguale a quello delle ruote satelliti, il diametro primitivo
della corona risulta pari a tre volte quello della ruota centrale, per cui il
rapporto di trasmissione a portatreno fermo è pari a −1/3, e il rapporto di
riduzione è pari a −1/4.
Un’ulteriore importante applicazione dei rotismi epicicloidali è costituita dal
differenziale automobilistico, il cui scopo è quello di consentire la marcia in
curva senza macroscopici slittamenti delle ruote motrici. Se si considera la
marcia in curva delle ruote motrici di un veicolo (Figura 10.17), su una curva
di raggio R, con velocità di avanzamentgo V lungo la traiettoria, si ha una

Figura 10.17 Condizione di marcia in curva a raggio costante per


l’asse motore di un veicolo.

405
differenza tra le velocità di rotazione della ruota esterno curva ( V 2), rispetto
alla ruota interno curva ( V 1):

(10.17)

essendo r il raggio di rotolamento delle ruote. Di conseguenza, la velocità di


rotazione attribuibile a una ruota ideale che percorra la traiettoria della curva
risulta essere la media delle velocità di rotazione della ruota esterna e di
quella interna:

(10.18)

Per poter ottenere questa distribuzione delle velocità di rotazione delle due
ruote è necessario ricorrere al differenziale, il cui compito è appunto quello
di rendere le velocità di rotazione delle due ruote differenti tra loro, e in
modo compatibile con quanto richiesto dalla condizione di aderenza, che può
essere riguardata come una condizione di vincolo. Il differenziale è costituito
dai seguenti elementi (Figura 10.18):
• il portatreno che preleva il movimento dall’albero di trasmissione
tramite l’accoppiamento tra pignone e una corona dentata, e che a sua

406
volta imprime il moto agli assi dei satelliti;
• i satelliti;
• le ruote planetarie, che sono calettate ai semiassi delle ruote.
Applicando la formula di Willis (10.15), e considerando che il rapporto di
trasmissione τ o a portatreno fermo vale -1, si ha:

Figura 10.18 Schema e nomenclatura del differenziale


automobilistico.

da cui si ricava che il diferenziale agisce come un meccanismo combinatorio


delle velocità angolari delle due ruote:

(10.19)

I legami tra le velocità rispettano quanto richiesto dal vincolo di aderenza


con la strada. Il funzionamento può essere così sintetizzato: l’albero motore
trascina in rotazione il portatreno, che alloggia gli assi delle ruote planetarie
calettate sugli alberi portanti le ruote motrici del veicolo. Il movente è quindi
il portatreno, che movimenta direttamente gli assi dei satelliti, i quali a loro
volta trasmettono il moto alle ruote planetarie. Se i satelliti ruotano attorno al
proprio asse, allora le ruote planetarie possono avere velocità angolari
differenti, frutto della combinazione della velocità angolare del portatreno e
della velocità angolare dei satelliti. Nel funzionamento in rettilineo le ruote
hanno la stessa velocità angolare, e le ruote planetarie non compiono alcun
movimento attorno al proprio asse. Nella percorrenza in curva, le ruote

407
planetarie ruotano attorno al proprio asse, il differenziale aggiunge alla
velocità di rotazione della ruota esterna lo stesso valore che sottrae a quella
interna, così da soddisfare il vincolo imposto dalla percorrenza in curva.

10.2.5 Cinghie piane e trapezoidali


Le cinghie di trasmissione sono elementi flessibili utilizzati nelle
trasmissioni di potenza tra due alberi, nella maggior parte dei casi ad assi
paralleli. Lo schema base della trasmissione consiste (Figura 10.19) in una
cinghia (l’elemento flessibile), che si avvolge su pulegge. Per il corretto
funzionamento la cinghia deve essere messa in tensione, per esempio
allontanando i centri delle pulegge, e sfruttando l’elasticità della cinghia
stessa. I materiali con cui viene realizzata la cinghia sono gomma e tessili, o
gomma e materiale plastico (per alta velocità), o ancora gomma con inserti e
rivestimento di tessuto (per cinghie trapezoidali).
La trasmissione del moto avviene per mezzo delle azioni di attrito scambiate
tra la cinghia e la puleggia: la puleggia motrice (detta anche conduttrice)
trasmette il movimento alla cinghia lungo l’arco d’avvolgimento α 1 , le
azioni di attrito distribuite lungo tale arco incrementano il tiro della cinghia,
che passa dal valore minimo T 2 nel ramo condotto, al valore massimo T 1 ,
nel ramo conduttore. La cinghia, lungo l’arco di avvolgimento α 2, trasmette,
sempre per

Figura 10.19 Trasmissione a cinghia: schema e nomenclatura.

attrito, il moto alla puleggia condotta, e il tiro nella cinghia passa dal valore
massimo a quello minimo del ramo condotto.
Nel normale funzionamento, quindi, la puleggia motrice trascina per attrito la
cinghia, che a sua volta trascina la puleggia condotta.

408
Tra i vantaggi delle cinghie si segnala la possibilità di collegare alberi tra
loro distanti (per le cinghie piane anche fino a 15 m), silenziosità di
funzionamento, anche a elevata velocità, capacità di assorbimento di urti, e
autolimitazione della coppia massima trasmessa. La trasmissione è nel suo
complesso facile da progettare (si progetta a catalogo), e in quanto utilizza
elementi unificati, è anche economica. Dal lato degli svantaggi si ricorda
che, poiché la potenza è trasmessa per attrito, non è possibile garantire
l’esattezza e la costanza del rapporto di trasmissione, la necessità di porre in
tensione la cinghia causa la presenza di carichi elevati sui supporti (in misura
minore per la cinghia a sezione trapezoidale, in misura maggiore per quella
piana), se paragonata con le trasmissioni a catena o a ingranaggi. La vita di
servizio non è illimitata (in genere da 1000 a 3000 ore di funzionamento),
dopo di che è necessario sostituirla. Il valore di potenza trasmissibile, pur
essendo nettamente inferiore a quello delle ruote dentate, è comunque più
che adeguato a moltissime applicazioni.
Sezionando idealmente i due rami della cinghia si pongono in evidenza i tiri
T 1 e T 2 (Figura 10.20), che rendono ragione della coppia alle due pulegge:

(10.20)

Le condizioni di contatto tra cinghia e puleggia sono assimilabili a


microslittamenti, una situazione intermedia tra quella di completa aderenza e
quella di strisciamento macroscopico. Immaginando di seguire un tratto di
lunghezza elementare di cinghia, essendo questa in realtà un elemento
elastico, durante l’avvolgimento sull’arco α 1 , a causa dell’incremento di tiro
dovuto alle azioni di attrito, l’elementino si allunga. Viceversa, a cavallo
dell’arco α 2, poiché il tiro della cinghia diminuisce, l’elementino riacquista
la sua lunghezza pertinente al ramo condotto. Non è pertanto possibile che si
instauri una condizione di perfetta aderenza tra cinghia e puleggia. D’altra
parte, una condizione di strisciamento macroscopico non corrisponderebbe a
un corretto funzionamento della trasmissione.

Figura 10.20 Trasmissione a cinghia: sono messe in evidenza le


azioni nei due rami della trasmissione.

409
Cinematica della trasmissione
Da quanto sopra detto risulta chiaro che il rapporto tra le velocità delle due
pulegge non è esattamente costante, ma dipende dalle coppie applicate, e
quindi dalla potenza da trasmettere, essendo la trasmissione del movimento
affidata all’attrito. Se si trascurano in prima approssimazione gli scorrimenti
tra cinghia e puleggia, e si considera la cinghia inestensibile, è possibile
determinare il rapporto di trasmissione τ. Sotto le ipotesi fatte, la velocità
periferica della cinghia coincide con quella della puleggia, e la velocità della
cinghia è la medesima lungo tutto il suo sviluppo:

(10.21)

Il rapporto di trasmissione viene quindi ottenuto predisponendo l’opportuno


rapporto tra i raggi delle pulegge. In realtà, la velocità di rotazione della
puleggia condotta risulta minore di quella calcolata dalla (10.21), in ragione
dell’1 ÷ 2%. Scostamenti maggiori sono indice di un funzionamento non
corretto della trasmissione.

Relazioni fondamentali della trasmissione a cinghia


Si vuole ora ricavare la legge di distribuzione della tensione nella
trasmissione a cinghia, che sarà utilizzabile nella verifica del funzionamento.
Si consideri un tratto elementare di cinghia di lunghezza d s = Rd α, essendo
R il raggio di avvolgimento della cinghia e d α l’angolo sotteso dall’arco d s
(Figura 10.21).
Lungo l’arco d s il tiro si incrementa con continuità dal valore generico T al

410
valore T + d T. Scrivendo l’equilibrio dinamico lungo le direzioni radiale e
tangente, si ha:

(10.22)

Figura 10.21 Trasmissione a cinghia: azioni sul tratto elementare


di cinghia.

Dividendo tutti i termini per d α (con d s = Rd α):

(10.23)

Calcolando il limite per , trascurando gli infinitesimi di ordine


superiore, e ricordando che:

si ha:

(10.24)

411
da cui:

(10.25)

La (10.25) indica che la reazione vincolare radiale d ϕ n scambiata dal tratto


d s di cinghia, con il corrispondente tratto di puleggia è data dalla
componente radiale del tiro T e dalla forza di inerzia distribuita, mentre la
variazione di tiro d T è associata all’azione di attrito in direzione tangente
d ϕ t. Come detto, la condizione di contatto effettiva tra cinghia e puleggia è
di microslittamento, il legame tra le azioni tangenti e quelle normali dipende
quindi dallo scorrimento relativo cinghia-puleggia. Per non sovrastimare la
coppia trasmissibile, conviene porsi nella condizione limite, utilizzando la
relazione di attrito nella condizione di strisciamento macroscopico, ponendo
quindi d ϕ t = f d ϕ n. In tal modo si giunge all’equazione differenziale:

(10.26)

che integrata lungo il generico arco di avvvolgimento α:

(10.27)

porge:

(10.28)
Utilizzando ambo i membri come argomento della funzione esponenziale, si
ha:

(10.29)

La (10.29) indica la relazione che intercorre tra i tiri nei due rami della
cinghia di trasmissione, nella condizione limite di slittamento. Si osserva che
il fattore e fα è quello determinante nello stabilire la prestazione della
trasmissione. Poiché l’angolo di avvolgimento minore è quello della puleggia
con diametro minore, la verifica va condotta su tale elemento. Se si trascura
l’effetto della velocità V, il che è lecito, in generale, per velocità fino a
, la relazione di verifica diviene:

412
(10.30)

Considerando invece l’effetto della velocità periferica V, si ricava che essa


limita di fatto la potenza trasmissibile dalla cinghia (Figura 10.22), infatti:

(10.31)
L’Equazione (10.31) ammette un massimo, oltre il quale la potenza
trasmissibile diminuisce in quanto, per effetto della forza di inerzia agente
sulla cinghia in direzione radiale, diminuisce l’azione di contatto normale
distribuita, scambiata tra cinghia e puleggia, e di conseguenza la massima
azione di attrito. Nel seguito si considererà di essere nelle condizioni di poter
trascurare tale effetto.

Verifica del funzionamento


Per un funzionamento corretto della trasmissione la cinghia deve esser posta
in opera con una certa tensione; il dispositivo che provvede a ciò applica una
forza S 0, somma delle componenti del tiro T 0 che si genera, nella
condizione di riposo, nei due rami della trasmissione:

(10.32)

La coppia C 1 applicata alla puleggia conduttrice risulta invece, nella


generale condizione di transitorio, considerando anche l’inerzia della
puleggia (normalmente tale termine è trascurabile):
(10.33)

Dalla (10.33) e dalla (10.32) si ricavano i valori dei tiri nei due rami di
cinghia della trasmissione che, sottoposti all’Equazione (10.30), consentono
di verificare il corretto funzionamento della tramissione.

Trasmissione a cinghia trapezoidale


Dalla (10.30) si ricava che per aumentare la differenza T 2 - T 1 è necessario
o aumentare l’angolo di avvolgimento α 1, oppure incrementare il
coefficiente di attrito f. Un provvedimento che porta al medesimo effetto
consiste nell’adottare una cinghia con sezione non più rettangolare, ma con
forma tale da venire a contatto con la puleggia sui fianchi laterali: ciò viene

413
ottenuto adottando una sezione trapezoidale per la cinghia (Figura 10.23).
Esaminando la sezione generica di cinghia, si evidenzia come il contatto
avvenga sui fianchi, mentre nel caso della cinghia piana il contatto avviene
sulla faccia inferiore.

Figura 10.22 Trasmissione a cinghia: potenza trasmissibile in


funzione della velocità.

Le reazioni d ϕ n e d ϕ t corrispondono alle effettive reazioni d R n e d R t


secondo le (10.34) e (10.35)
(10.34)
(10.35)

Nella condizione limite si ha d R t = fd R n, da cui, effettuando il rapporto tra


le azioni tangenti e la componente radiale delle azioni normali:

(10.36)

ci si riporta alla medesima trattazione della cinghia piana, con la differenza


che il loro rapporto, che normalmente rappresenta direttamente il coefficiente
di attrito f, risulta maggiore, in funzione dell’angolo β di semiapertura della
gola della puleggia. La diseguaglianza di verifica (10.30) diviene pertanto:

(10.37)

414
L’effetto ottenuto è di innalzare il valore del rapporto limite tra i tiri nei due
rami della trasmissione, e di conseguenza la coppia massima trasmissibile.
Nel caso in cui sia necessario aumentare il precarico per trasmettere la
potenza richiesta, poiché vi sono dei limiti di resistenza della cinghia,

Figura 10.23 Trasmissione a cinghia: a sinistra sezione di una


cinghia piana, a destra sezione di una cinghia trapezoidale.

è necessario, nel caso della cinghia piana, incrementarne la larghezza, nel


caso della cinghia trapezoidale, aumentarne il numero. Non è però possibile
aumentare a dismisura il numero di cinghie in parallelo, in quanto ciò rende
più difficoltoso garantire il loro corretto tensionamento. Il numero massimo
di cinghie disposte in parallelo è di solito limitato a sei-sette.

10.2.6 Cinghie dentate


La cinghia dentata (Figura 10.24), detta anche cinghia sincrona, riassume
alcuni dei vantaggi delle trasmissioni a cinghia (piana e trapezoidale) e delle
trasmissioni a catena. Il funzionamento non è più basato sulle forze di attrito,
ma sul contatto dei denti della cinghia che ingranano con i denti della
puleggia: si ottiene così un sincronismo tra gli alberi collegati. La cinghia è
dotata di un inserto atto a sopportare il carico da trasmettere, che viene
comunicato attraverso i denti. Possono funzionare, al limite, senza alcun
precarico, anche se, nella pratica, per evitare eccessive vibrazioni trasversali
del ramo condotto della cinghia, un limitato pretensionamento viene
comunque applicato. Possono operare anche su interassi più stretti rispetto a
quelli delle altre cinghie, in quanto sussistono minori limitazioni sul valore
minimo dell’angolo di avvolgimento, e mantengono le caratteristiche di
silenziosità di tutte le trasmissioni a cinghia. Il livello di potenza
trasmissibile è maggiore di quello delle cinghie piane, e molto inferiore di
quello delle ruote dentate.
La linea primitiva è assunta all’altezza dell’inserto della cinghia, e il passo è

415
definito analogamente alle ruote dentate:
(10.38)
Anche in questo caso il rapporto di trasmissione è dato dal rapporto del
numero di denti delle due pulegge:

(10.39)

Figura 10.24 Esempio di trasmissione con cinghia dentata.

10.2.7 Catene
Le catene appartengono ancora alla categoria delle trasmissioni con elementi
flessibili; la catena, infatti, è composta da elementi rigidi (le maglie), tra le
quali è però possibile un moto relativo, nella maggior parte dei casi di tipo
rotatorio (Figura 10.25). Utilizzate sin dall’Antichità, pur se con modalità
differenti, grazie allo sviluppo delle forme e dei materiali, esse sono
ampiamente utilizzate anche nelle realizzazioni moderne.
Le due tipologie attualmente più diffuse sono le catente a rulli e a denti
invertiti (o catene silenziose). Nel primo tipo (Figura 10.26) coppie di maglie
esterne, unite da perni, sono articolate su coppie di maglie interne, collegate
da boccole, al cui interno passa il perno della maglia esterna. Per facilitare
l’accoppiamento con la ruota dentata, sulle boccole sono presenti dei rulli,
liberi di ruotare. Le catene a rulli possono essere costituite da una o più file
affiancate, a seconda del livello di potenza da trasmettere.
La catena silenziosa è invece costituita da piastre affiancate tra loro,
sagomate con due estremità triangolari in modo da impegnarsi nei denti della

416
ruota, e collegate da perni. Diversamente dal caso precedente, non sono i
perni a venire a contatto con la ruota, bensì le estremità rettangolari delle
piastrine. Per entrambe le tipologie la circonferenza primitiva è rappresentata
dalla circonferenza passante per i centri dei perni, anche se in questo caso la
catena si atteggia lungo un poligono formato dalla spezzata congiungente i
centri dei perni. Permettono di trasmettere forze maggiori delle cinghie,
anche a interassi inferiori, e consentono di azionare più alberi, anche se con
senso di rotazione opposto; infine, possono operare in campi di temperatura
in cui le cinghie non sono utilizzabili. Come queste ultime consentono di
collegare tra loro interassi elevati (fino a 8 m).

Figura 10.25 Esempio di trasmissione con catena.

Figura 10.26 Catena a rulli (in alto) e catena silenziosa (in basso).

417
Tra gli svantaggi si segnala la variazione periodica della velocità della
catena, dovuta all’effetto poligono, come sarà mostrato in seguito: questo
fenomeno diviene significativo per un numero di denti basso (per esempio
10) e può portare a irregolarità nel rapporto di trasmissione. I maggiori
inconvenienti risiedono però nel costo superiore, nel maggiore onere
manutentivo e nella necessità di precisione di montaggio, superiore al caso
delle cinghie.
Inoltre la tramissione a catena è più rumorosa, rispetto a quella a cinghia; la
rumorosità aumenta con il progredire dello stato di usura, che porta a un
funzionamento cinematico non più corretto, oltre che all’allentamento della
catena.

Cinematica della trasmissione


Dalla Figura 10.27 si ricava il legame tra il passo della catena (distanza tra
due perni consecutivi) e il diametro primitivo, ossia il diametro della
circonferenza passante per i centri dei perni. Il legame è:

418
(10.40)

Il numero dei denti è poi legato al fenomeno della fluttuazione della


componente della velocità della catena parallela alla congiungente i centri
delle ruote.

Figura 10.27 Legame tra passo e diametro primitivo nella


trasmissione a catena.

Confrontando, per esempio nel caso di una ruota con sei denti, le due
condizioni mostrate nella Figura 10.28, la proiezione della velocità delle
maglie secondo la congiungente i centri delle ruote varia, a causa della
diversa disposizione nel tempo dei perni lungo il poligono. La distanza della
maglia dal centro della ruota varia quindi ciclicamente tra i due estremi:

(10.41)

Si può definire una variazione percentuale della componente della velocità


della maglia, come:

(10.42)

in funzione del numero dei denti Z. L’importanza di tale variazione dipende


dalle inerzie degli elementi collegati e dal livello di velocità.

Figura 10.28 Illustrazione dell’effetto poligono nella trasmissione


a catena.

419
10.2.8 Funi
Principali campi di impiego delle funi sono gli argani, le gru, le funicolari, le
teleferiche e le funivie. Il materiale più utilizzato è l’acciaio a elevata
resistenza. La flessibilità della fune è inferiore a quella della cinghia, per cui
si richiedono diametri di avvolgimento maggiori. Il miglior campo di utilizzo
è per interassi elevati (in genere al di sopra di 20 m); è possibile soddisfare
anche condizioni caratterizzate da assi di rotazione delle pulegge sghembi. Il
campo di velocità spazia dai 6 m/min degli impianti di sollevamento, fino a
12 m/s delle più recenti funivie.

Cinematica del sistema a taglia multipla


Una tipica applicazione delle funi è negli apparecchi di sollevamento,
utilizzando la disposizione a taglia multipla. Si consideri il paranco
raffigurato a sinistra nella Figura 10.29, il relativo schema cinematico è
mostrato nella medesima figura, a destra. Detta V c la velocità del carico, pari
alla velocità del centro delle pulegge mobili, a ogni passaggio tra una coppia
di pulegge fissa-mobile, la velocità della fune si incrementa di un valore pari
a 2 V c . La velocità di comando V f della fune è quindi pari a:

(10.43)

essendo n il numero di coppie puleggia fissa-puleggia mobile. La velocità


del carico risulta quindi ridotta rispetto alla velocità di comando, in ragione
del doppio del numero di taglie (coppia puleggia fissa-mobile), realizzando
così una macchina funicolare per la riduzione della velocità. Se l’estremità
lato comando della fune si avvolge su un tamburo, allora si ha la
trasformazione del moto rotatorio del tamburo di sollevamento, in modo di
traslazione del carico.

420
Figura 10.29 A sinistra: paranco a taglia multipla come
applicazione della trasmissione a fune; a destra: schema
cinematico.

10.2.9 Confronto tra alcuni tipi di trasmissione


Si vuole ora porre a confronto alcuni dei tipi di trasmissione più diffusi,
circoscrivendo l’analisi alle trasmissione tra assi paralleli. La Tabella 10.2
riporta un confronto riguardante alcuni dei parametri più significativi, quali
la potenza massima, la velocità periferica dell’elemento coinvolto nella
trasmissione, il campo dei valori del rendimento. Sono anche riportate
indicazioni qualitative sulla rumorosità e sull’ingombro, elementi che
acquistano sempre maggiore importanza dal lato economico e dell’impatto
ambientale.
Dal confronto emerge che per potenze elevate è necessario ricorrere alla
trasmissione a ruote dentate, per potenze medio-basse invece vi sono più
possibilità. Nella scelta intervengono anche fattori quali il costo (legato
principalmente alla precisione e alla necessità di avere un telaio autonomo),
l’ingombro, la rumorosità.
Tabella 10.2 Confronto fra i tipi di trasmissione tra assi paralleli più diffusi.

Grandezza Ruote Cinghia Cinghia Cinghia Catena Fune Ruote di


dentate piana trap. dentate frizione
Potenza 150 (200) 350 120 (400) 500 20 (80)
[kW]
Vel. [m/s] 30 20 (60) 60 30 (40) 40 (60) 60 10 (30) 10 20

421
periferica 20(50**) ÷ 100 30 ÷ 40 ÷ 30
η% 96 ÷ 98 94 ÷ 98 91 ÷ 95 95 ÷ 97 94 ÷ 96 85 ÷ 95
τ

Rumorosità Media Bassa Bassa Bassa Alta BassaMedia


0.2 ÷ 0.6 0.5 ÷ 4 0.4 ÷ 3 0.25 ÷ 2 0.5 ÷ 2

Se il mantenimento di un rapporto di trasmissione costante, e quindi di una


fasatura costante tra gli alberi collegati è irrinunciabile, allora alcuni tipi di
trasmissione (a cinghia piana, trapezia e a ruota di frizione), sono da
escludersi a priori.
Si riporta anche un confronto tra gli ingombri, in termini del rapporto tra
volume occupato e potenza: da questo punto di vista la soluzione più
compatta è costituita dalla trasmissione a ingranaggi, mentre quella più
ingombrante è la trasmissione a cinghia piana. Nella Figura 10.30 si
confrontano invece i campi di funzionamento, nel piano potenza-velocità di
rotazione dell’elemento motore, per quanto riguarda le cinghie trapezoidali,
dentate e le catene. Il grafico è costruito considerando elementi normalmente
in commercio.

Figura 10.30 Confronto tra i campi di utilizzo di tre trasmissioni


in commercio (cinghia trapezoidale, cinghia dentata e catena).

422
10.3 Giunti
La funzione di collegare degli alberi in modo non permanente si rende
necessaria per lo smontaggio di alcuni elementi del sistema meccanico, per
esempio per rimuovere il motore dalla trasmissione. Inoltre, nell’assolvere la
funzione di collegare tra loro due alberi rotanti, può verificarsi la situazione
in cui gli assi degli alberi da collegare non siano coincidenti. In tal caso non
è possibile utilizzare giunti rigidi, pena l’incremento notevole delle
sollecitazioni negli alberi e nei supporti; è necessario ricorrere a giunti
mobili, che consentono delle deviazioni (disallineamenti) dei due assi (in
senso assiale, in senso radiale o in senso angolare), come mostrato nella
Figura 10.32. In altri casi si possono utilizzare giunti (del tipo elastico) che
incorporano uno o più elementi elastici che consentono piccoli
disallineamenti, secondo tutte e tre le modalità sopra indicate. I giunti
elastici, oltre ad assorbire i disallineamenti sopra detti, hanno talora anche la
funzione di isolare dal punto di vista vibrazionale il motore dall’utilizzatore.

Figura 10.31 Classificazione dei giunti meccanici.

Figura 10.32 Tipi di disallineamento degli alberi e libertà dei


giunti.

423
10.4 Innesti
Sotto il termine di innesti si intendono quei collegamenti non permanenti tra
alberi rotanti che possono essere attivati e disattivati anche in movimento e
sotto carico. Una delle tipiche applicazioni si trova nei sistemi motore-
utilizzatore in cui dapprima si lancia in velocità il motore, successivamente si
attiva l’innesto portando l’utilizzatore alla medesima velocità del motore.
Tale necessità si manifesta per esempio se il motore deve essere avviato da
fonte esterna e solo successivamente collegato al carico, come nel caso del
motore a combustione interna, oppure, nel caso di motori elettrici asincroni
trifase, se si intende limitare la durata del transitorio del motore nel campo
delle basse velocità per evitare surriscaldamenti.
Nel seguito si farà riferimento a un caso semplificato, al fine di illustrare il
ruolo giocato dall’innesto nella fase di avviamento di un sistema. Si
consideri uno schema in cui il motore e l’utilizzatore siano caratterizzati da
una coppia costante, rispettivamente C m e C u, mentre l’innesto del tipo a
frizione, costituito da una coppia di superfici piane di cui una a corona
circolare, tenute a contatto da una azione normale N (Figura 10.33). Già
nell’Esempio 7.4 si era mostrato come fosse possibile definire la coppia
trasmessa M m (qui indicata con C F) per attrito tra due superfici di questo
tipo:

in cui R m è il raggio medio della corona circolare, mentre N e f d sono

424
rispettivamente la forza normale scambiata e il coefficiente di attrito radente
tra le due superfici a contatto, dette dischi della frizione. Il sistema
meccanico, prima che l’innesto avvenga, presenta due gradi di libertà per la
rotazione del motore e dell’utilizzatore. Si possono quindi scrivere due
equazioni, che risolte rispetto all’accelerazione angolare, sono:

(10.44)

In una prima fase il motore viene portato alla velocità ω o, senza che -
l’innesto venga attivato, con un’accelerazione che vale semplicemente:

(10.45)

mentre l’utilizzatore continua a rimanere fermo. Successivamente ha inizio la


fase di innesto, portando a contatto i due dischi della frizione, che quindi si

Figura 10.33 Schema elementare per lo studio dell’avviamento


con innesto a frizione.

scambiano la coppia C F . Si osservi che affinché l’innesto possa funzionare


correttamente, la coppia C F, che si intende come coppia trasmissibile
dall’innesto, deve essere superiore sia alla coppia del motore, sia a quella
dell’utilizzatore. Ne consegue che nell’Equazione (10.44) l’accelerazione del
motore, una volta che inizia il contatto risulta negativa, mentre
l’accelerazione dell’utilizzatore risulta positiva. Le due velocità angolari
sono pertanto, risolvendo la (10.44):

425
(10.46)

Intersecando i due andamenti si ottiene la durata t a del tempo di innesto:

(10.47)

Al termine della fase di innesto, in cui si ha lo strisciamento tra i due dischi


della frizione, questi ultimi divengono solidali tra loro, e il sistema esibisce
un’unica velocità di rotazione ω, il cui andamento è regolato
dall’accelerazione dell’intero sistema, scritta come:

(10.48)

L’andamento complessivo delle velocità angolari viene riportato nella Figura


10.34. Alla fase di innesto, essendo caratterizzata dallo strisciamento tra i
dischi della frizione, è associata una dissipazione di potenza per attrito, cui
corrisponde un’energia dissipata E d esprimibile come:

(10.49)

L’energia dissipata sotto forma di calore deve essere adeguatamente


dispersa, pena l’aumento di temperatura degli elementi a contatto della
frizione, e la perdita della capacità di trasmettere coppia, a causa della
diminuzione del coefficiente di attrito con la temperatura. Tale problema
diviene particolarmente importante nel caso di frequenti avviamenti.

Figura 10.34 Andamento della velocità angolare del motore e


dell’utilizzatore durante l’avviamento con innesto a frizione.

426
10.5 Sistemi d’arresto delle macchine
I freni sono gli organi preposti all’arresto della macchina ed eventualmente
anche al suo stazionamento. Esistono numerose tipologie di freni, che
utilizzano fluidi, interazioni elettromagnetiche (freni a correnti parassite) e
componenti solidi (freni meccanici). Solo questi ultimi sono in grado di
soddisfare entrambe le funzioni, quella di arresto e quella di stazionamento.
Nel seguito ci si riferirà ai soli freni meccanici, che per effetto dell’attrito
radente tra due componenti solidi, dissipano energia meccanica in calore. La
condizione di attrito statico consente invece lo stazionamento, ossia la
permanenza in stato di quiete, anche in presenza di azioni applicate alla
macchina.
In base alla forma dei membri che lo compongono, il freno si può classificare
come indicato nella Figura 10.35. Tra le grandezze che caratterizzano il
funzionamento del freno vi sono:
• forza di comando (o di azionamento): è la forza da applicare al
comando del freno;
• efficacia: definita dal rapporto tra la forza d’attrito applicata e la forza
di comando;
• indice di sensibilità: inteso come rapporto tra la variazione
percentuale della coppia frenante e la variazione percentuale del
coefficiente di attrito.
Un freno che ha un’elevata efficacia è in genere caratterizzato anche da
un’alta sensibilità, ossia è soggetto a una variazione di comportamento più
marcata a seguito di variazioni del coefficiente di attrito radente, dovuta, per

427
esempio, a variazioni delle condizioni ambientali e della temperatura. Poiché
nei freni meccanici il rallentamento viene ottenuto tramite le azioni di attrito
radente scambiate tra le parti fisse e quelle mobili, un aspetto molto
importante è la stabilità delle caratteristiche del materiale di attrito, in
particolare in funzione della temperatura.
Schematicamente il problema può essere posto nei seguenti termini: le forze
di attrito radente, che provvedono a generare la coppia frenante, producono
calore per effetto della dissipazione di potenza a essa associata. Questa, a sua
volta, innalza la temperatura del freno, e in particolare del materiale di cui
sono costituite le guarnizioni del freno (ossia gli elementi direttamente
interessati dal contatto strisciante). Questo innalzamento di temperatura
provoca una diminuzione del coefficiente di attrito radente f d, e di
conseguenza del

Figura 10.35 Classificazione dei freni meccanici.

valore della coppia frenante C f . Se non interviene un adegunto


raffreddamento, la temperatura si porta al di fuori del campo di lavoro del
materiale delle guarnizioni, provocando la sostanziale inefficacia del freno.

10.6 I cuscinetti
Scopo dei cuscinetti è di realizzare il sistema di vincolo per gli organi rotanti
(assi e alberi) in modo da garantire:
• il corretto posizionamento dell’organo rotante, evitando condizioni di
iperstaticità e sforzi aggiuntivi dovuti a dilatazioni termiche impedite;
• consentire le inflessioni cui l’albero è soggetto a fronte dei carichi
applicati;
• trasferire i carichi applicati alla struttura portante;

428
• mantenere le proprie caratteristiche funzionali al variare delle
condizioni di funzionamento (velocità di rotazione, entità dei carichi
applicati, temperatura).
Ci si soffermerà sulle tre tipologie più diffuse di cuscinetto: a strisciamento,
a rotolamento e a lubrificazione (idrostatica e idrodinamica) (Figura 10.36).
Le grandezze che determinano la condizione di lavoro, e quindi la scelta fra
le tre tipologie ora menzionate, sono la pressione convenzionale, calcolata
(Figura 10.37) come rapporto tra il carico radiale e la proiezione delle
superfici a contatto, e la velocità periferica del perno, calcolata come
prodotto tra il raggio nominale del perno e la sua velocità di rotazione.
Un confronto può essere fatto fissando le dimensioni del cuscinetto
(diametro D e larghezza B) e considerando sia il carico che il cuscinetto
deve sostenere, sia la velocità di rotazione dell’albero.
Le superfici effettivamente a contatto hanno estensione molto diversa fra le
tre tipologie: nel caso di un cuscinetto a strisciamento si ha infatti un contatto
tra superfici nominalmente conformi, nel caso del cuscinetto a rotolamento
un contatto sfera-pista (o rullo pista), mentre per il terzo tipo è l’intera
superficie lubrificata a essere interessata. Risulta quindi conveniente, dal
punto di vista pratico, riferirsi alle grandezze macroscopiche carico e
velocità di rotazione, e alle dimensioni geometriche macroscopiche D e B,
come mostrato

Figura 10.36 Da sinistra: esempi di cuscinetto a strisciamento


(semiguscio inferiore), a lubrificazione e a rotolamento a sfere.

Figura 10.37 Dimensioni utilizzate per il calcolo della pressione

429
convenzionale in un accoppiamento perno-cuscinetto, diametro D
e lunghezza B.

nella Figura 10.37. Le tipologie esaminate mostrano tipi di limitazioni


differenti riguardo queste due grandezze; il campo di utilizzo può quindi
essere riportato nel piano carico-velocità di rotazione (Figura 10.38).
Nel caso del cuscinetto a strisciamento, si ha una prima limitazione sul
carico indipendente dalla velocità, dovuta alla resistenza del materiale di
rivestimento, e una seconda limitazione che riguarda l’usura delle superfici a
contatto, che nel caso di usura abrasiva o adesiva, è associata al prodotto
, essendo V la velocità periferica del perno. La curva PV = costante, nel
piano doppio logaritmico P - n diviene una retta discendente con la velocità
di rotazione. A ciò si aggiunge anche il limite termico, dovuto alla potenza
dissipata, anch’essa proporzionale al prodotto PV.

Figura 10.38 Campi di utilizzo dei cuscinetti a strisciamento, a


rotolamento e a lubrificazione.

430
Anche per il cuscinetto a rotolamento si ha un limite dovuto alla pressione
locale nell’impronta di contatto, mentre il secondo limite è dettato dalla
fatica. Per i cuscinetti a sfere la durata L h, in ore, è propozionale a , per
cui, essendo:

si ha che il prodotto nP 3 = costante per un’assegnata durata h in ore. Tale


limitazione si traduce nel piano P– n in una retta con pendenza pari a 1/3.
I cuscinetti a lubrificazione, infine, mostrano un limite inferiore legato allo
spessore minimo del meato richiesto, dipendente dal termine , che deve
essere maggiore dell’altezza limite per garantire il distacco tra le superfici
del perno e del cuscinetto. Dovendo risultare:

con μ che rappresenta la viscosità del lubrificante, a temperatura costante si


ha P < V. costante, ossia il carico sopportabile cresce con la velocità.
All’aumentare della velocità di rotazione, però, cresce anche la potenza

431
dissipata per effetto della viscosità μ, si incrementa quindi la temperatura del
lubrificante causando la diminuzione della viscosità stessa. Pertanto, dopo
aver raggiunto un massimo, la capacità portante del cuscinetto diminuisce.
Le considerazioni qualitative sopra svolte possono essere riassunte nei
grafici di selezione del tipo di cuscinetto, come quello messo a punto
dall’ESDU, e mostrato nella Figura 10.38. Per diverse dimensioni del perno,
e rapporto B/D = 1, sono indicati i campi di utilizzo dei tre tipi di cuscinetto.

432
CAPITOLO 11 Vibrazioni meccaniche a un
grado di libertà

11.1 Introduzione
La vibrazione è un moto oscillatorio che può essere generato da un sistema
di forze in un fluido, in un solido deformabile elastico o in un sistema di
corpi che possono essere deformabili oppure rigidi ma collegati fra loro da
elementi elastici. Così per esempio la trasmissione del suono in un fluido
come l’aria è affidata al moto oscillatorio delle particelle del fluido, un moto
vibratorio degli edifici di una città può essere generato da un terremoto o
dalle forze esercitate dal vento, macchine alternative o rotative generano
delle forze d’inerzia periodiche che provocano vibrazioni, un robot in
movimento spesso è soggetto a moti vibratori.
In particolare in questo capitolo ci occuperemo di vibrazioni meccaniche,
che tra i fenomeni sopra descritti sono quelli che si realizzano nei solidi o nei
sistemi di corpi. Le vibrazioni nei sistemi meccanici sono generalmente
dannose, perché generano sollecitazioni dinamiche che causano il fenomeno
della fatica, che riduce la resistenza del materiale e accorcia la vita utile del
sistema meccanico. Inoltre, le vibrazioni e il rumore a esse associato, hanno
effetto affaticante sulle persone, e pertanto in molte macchine occorre ridurre
l’esposizione degli operatori e/o dei passeggeri al loro effetto. Per contro,
esistono macchine in cui le vibrazioni vengono generate appositamente per
facilitare un processo tecnologico o di trasporto (come nei trasportatori e
dosatori vibranti).
Le vibrazioni meccaniche sono regolate dallo scambio tra energia cinetica ed
energia potenziale all’interno del sistema, con l’intervento di fenomeni
dissipativi che determinano lo smorzamento delle oscillazioni. Pertanto, è
possibile affermare che, affinché un solido o un sistema di corpi possa
compiere un moto vibratorio, è necessario che esso presenti una possibilità di
deformazione elastica. Ciò rappresenta una differenza rispetto ai precedenti
capitoli, dove i sistemi studiati sono stati normalmente considerati come
corpi rigidi. In realtà anche in questo capitolo si farà estesamente riferimento
a modellazioni di tipo corpo rigido, introducendo però elementi di tipo molla

433
e smorzatore concentrati per rendere conto delle deformabilità elastiche e dei
fenomeni dissipativi che giocano un ruolo determinante nei fenomeni
vibratori.
La vibrazione di un sistema meccanico consiste generalmente di piccoli
movimenti oscillatori che possono avvenire nell’intorno di uno stato di
quiete (come nel caso di un edificio o di un ponte), oppure nell’intorno di
uno stato di moto (per esempio le vibrazioni di un braccio robotico durante il
moto di posizionamento o le vibrazioni di un veicolo in moto su strada
irregolare). Fintanto che le vibrazioni sono di piccola ampiezza, possono
solitamente essere descritte mediante equazioni lineari per le quali vale il
principio di sovrapposizione degli effetti: in questo caso le soluzioni delle
equazioni di moto possono essere determinate in maniera relativamente
semplice, e hanno carattere generale, ossia la stessa forma di soluzione
descrive il movimento del sistema in molte possibili condizioni di
funzionamento. Quando invece le vibrazioni raggiungono ampiezze elevate
il comportamento del sistema può diventare non lineare, e le soluzioni delle
equazioni di moto spesso non esistono in forma analitica e devono essere
ottenute mediante procedimenti approssimati oppure per via numerica.
Inoltre, se il comportamento del sistema diviene non lineare, piccole
variazioni delle condizioni di funzionamento (per esempio diverse condizioni
iniziali del moto) possono modificare completamente il movimento del
sistema. Per questi motivi, lo studio delle vibrazioni non-lineari non è
compreso negli scopi di questo capitolo.
Le vibrazioni sono dette libere quando avvengono in assenza di forzanti, per
il solo effetto delle condizioni di spostamento e velocità imposte al sistema
nell’istante iniziale del moto. Sono invece dette forzate le vibrazioni che
avvengono per effetto dell’azione di forzanti tempo-varianti applicate al
sistema. Un esempio di moto libero è quello compiuto dalla corda di uno
strumento musicale, pizzicata e lasciata muovere liberamente. Se però per
sostenere il moto della corda (naturalmente destinato ad attenuarsi) si applica
una forzante mediante un plettro, il moto della corda diviene forzato.
Un ultimo aspetto delle vibrazioni meccaniche che occorre citare è che esse
sono intimamente collegate con il problema della stabilità di un sistema
meccanico, che sarà affrontato introduttivamente nell’ultimo paragrafo di
questo capitolo. In particolare, per effetto della azione di un campo di forze
dipendente dalla posizione e/o velocità del sistema, le vibrazioni possono
divenire auto-eccitate, ossia assumerne un andamento espansivo che

434
determina ampiezze di vibrazione che aumentano nel tempo: in questo caso
si possono determinare situazioni pericolose per l’integrità del sistema
meccanico e per le persone che con esso interagiscono, come nel noto caso
della instabilità aeroelastica del ponte Tacoma (Figura 11.1) che, investito da
vento laterale diede luogo a una vibrazione auto-eccitata che portò al crollo
della struttura.

Figura 11.1 Vibrazioni instabili di un ponte sospeso investito da


vento laterale e conseguente rottura.

11.2 Sistemi vibranti a parametri concentrati


In questo capitolo, ci occuperemo delle vibrazioni di sistemi dotati di un solo
grado di libertà, che costituiscono un caso particolare dei sistemi detti a
parametri concentrati. Questi possono essere considerati composti dai
seguenti elementi:
1. corpi rigidi o masse puntiformi, che determinano le forze inerziali
associate al moto del sistema;
2. corpi elastici di massa trascurabile, che determinano le forze
elastiche sviluppate dal sistema nel suo movimento;
3. elementi smorzanti di massa trascurabile, che sono responsabili della
dissipazione di energia che si produce nel moto del sistema.
Per esempio, si può considerare come sistema a parametri concentrati una
autovettura, immaginando che la scocca della vettura (insieme al carico
trasportato) rappresenti un corpo rigido montato su elementi elastici e
smorzanti di massa trascurabile, rappresentanti le sospensioni. Si osservi
però che altri sistemi mal si prestano a una rappresentazione a parametri
concentrati: per esempio, nel caso del ponte sospeso di Figura 11.1 è
intuibile che le forze di natura inerziale, elastica e dissipativa sono distribuite
in maniera continua nel volume del solido studiato. Si parla in questo caso di
sistemi a parametri distribuiti, il cui studio però esula da questo capitolo, a

435
causa delle difficoltà matematiche associate.
Si osservi anche che lo stesso sistema fisico, in funzione degli scopi per i
quali viene studiato, potrebbe essere suscettibile di una modellazione a
parametri concentrati oppure a parametri distribuiti: ritornando all’esempio
dell’autovettura, il modello a parametri concentrati sopra descritto potrebbe
essere sufficiente a studiare il comfort vibrazionale dei passeggeri,
determinato dai fenomeni vibratori che si manifestano nel campo di
frequenze 0-10Hz, mentre nel caso si voglia studiare il rumore all’interno
dell’abitacolo occorre tenere conto di componenti di vibrazione non rigida
della scocca in un campo molto più ampio di frequenze (fino a 5kHz o più),
il che richiederebbe la modellazione a parametri distribuiti della scocca.
Ritornando a considerare un sistema a parametri concentrati, questo avrà un
numero di gradi di libertà determinato in funzione del numero di corpi che lo
compongono e dal numero e tipo di vincoli agenti su questi, secondo i
metodi che sono stati introdotti nel Capitolo 3. Nel seguito, confineremo la
nostra analisi al caso di sistemi a un solo grado di libertà.

11.3 Scrittura dell’equazione di moto


Scopo di questo paragrafo è mostrare in quale modo i metodi per lo studio
della dinamica introdotti nel Capitolo 6 possano essere utilizzati per scrivere
le equazioni di moto di un sistema vibrante. Poiché limiteremo la nostra
analisi a sistemi dotati di un grado di libertà, scriveremo per il sistema
studiato una sola equazione di moto, che prende la forma di una equazione
differenziale del secondo ordine. Infine, avendo limitato l’analisi ai piccoli
movimenti del sistema, l’equazione differenziale di moto risulterà lineare,
come già osservato nell’Introduzione.
Un semplice esempio di sistema vibrante a un grado di libertà è mostrato in
Figura 11.2, costituito da una massa m vincolata a compiere un moto
traslatorio (in direzione orizzontale, nell’esempio considerato), da una molla
di rigidezza k che collega la massa a un punto fisso e da uno smorzatore
viscoso di costante r posto in parallelo alla molla. Il sistema è soggetto a una
forza variabile nel tempo F( t).
Il movimento del sistema è descritto dalla coordinata x che definisce lo
spostamento orizzontale della massa rispetto al vincolo fisso. La velocità e
l’accelerazione assolute della massa sono la derivata prima e seconda della

436
coordinata rispetto al tempo, indicate con e rispettivamente.
Utilizzando i metodi introdotti nel Capitolo 6, è possibile scrivere le
equazioni di moto del sistema. Nel seguito di questo paragrafo si propongono
due strade alternative, la prima basata sul metodo degli equilibri dinamici, la
seconda sull’uso delle equazioni di Lagrange. Nonostante la semplicità
dell’esempio considerato, quanto sotto riportato può essere considerato
rappresentativo dell’approccio generale alla scrittura dell’equazione di moto
di un sistema vibrante a un grado di libertà.

Figura 11.2 Sistema vibrante a un grado di libertà.

11.3.1 Risoluzione con gli equilibri dinamici


Consideriamo un istante generico del moto, in cui la posizione, la velocità e
l’accelerazione del sistema assumono i valori x, e . Come mostrato in
Figura 11.3, sulla massa m agiscono le seguenti forze:
• la forza di inerzia, di modulo ;
• la forza smorzante, di modulo , diretta opposta alla velocità ;
• la forza di richiamo elastico esercitata dalla molla, di modulo kx,
diretta opposta allo spostamento x;
• la forza esterna, di modulo F( t), diretta secondo la direzione di
movimento del corpo.
L’equazione di equilibrio dinamico in direzione parallela alla direzione di
scorrimento del corpo, dopo aver opportunamente riordinato i termini,
fornisce:
(11.1)

Figura 11.3 Forze agenti sul sistema di Figura 11.2.

437
11.3.2 Risoluzione con l’equazione di Lagrange
Avendo scelto di utilizzare come coordinata libera del sistema lo
spostamento x della massa, il metodo delle equazioni di Lagrange (cfr.
Equazione (6.34)) fornisce l’unica equazione:

(11.2)

L’energia cinetica del sistema è data da:

L’energia potenziale, come già mostrato nel Capitolo 6 ha espressione:

in cui δ è l’allungamento della molla, che nel sistema considerato coincide


con lo spostamento x della massa.
La funzione di dissipazione D, introdotta nel Capitolo 6, prende in questo
caso la forma:

E infine, la componente Lagrangiana della forza esterna F( t) può essere


calcolata come il rapporto tra il lavoro virtuale δL compiuto dalla forza e la
variazione infinitesima virtuale della coordinata libera δx.
Il lavoro virtuale δL è pari al prodotto scalare della forza per lo spostamento
virtuale δx della massa, che a sua volta è pari al prodotto dei moduli con
segno positivo essendo i due vettori paralleli ed equiversi. Si ottiene quindi:

Introducendo le espressioni riportate nella (11.2) si ottiene l’equazione di


moto, che come atteso coincide con la (11.1).

438
Benché l’applicazione del metodo delle equazioni di Lagrange possa
apparire in questo esempio più astratto e laborioso rispetto al metodo degli
equilibri dinamici, nel caso di sistemi più complessi essa spesso fornisce
l’approccio più efficace per la scrittura della equazione di moto del sistema.

Esempio 11.1 Sistema a un grado di libertà

Come secondo esempio di scrittura delle equazioni di moto di un sistema vibrante a


un grado di libertà, consideriamo il pendolo semplice di Figura 11.4, composto da una
asta rigida priva di massa incernierata a una estremità (o da un filo vincolato a una
estremità) che presenta all’altra estremità una massa puntiforme m, sottoposta
all’azione della forza peso. In questo caso la forza di richiamo non è di natura elastica
(ossia prodotta da una molla), ma deriva dall’effetto del campo gravitazionale, che
fornisce una coppia di richiamo sul pendolo. Si parla in questo senso di rigidezza
gravitazionale.
In Figura 11.4 sono evidenziate la posizione angolare α del pendolo, che sarà
utilizzata come coordinata libera del sistema, e le forze agenti con le convenzioni di
segno adottate per scrivere le equazioni di equilibrio. Scrivendo l’equilibrio dei
momenti attorno alla cerniera O si ottiene:

(11.3)

Si noti che l’equazione è non lineare nella coordinata libera α, a causa del termine sin
α. Se però si considerano oscillazioni di piccola ampiezza del pendolo nell’intorno
della posizione di equilibrio α = 0, è lecito introdurre la seguente approssimazione del
primo ordine per il termine non lineare:

e ottenere l’espressione linearizzata della equazione di moto, valida solo nel caso di
piccole oscillazioni:

(11.4)

Si noti che in questa equazione, rispetto a quella dell’esempio precedente, manca un


termine proporzionale alla derivata prima della coordinata libera , perché in questo
esempio è stata trascurata la presenza di forze dissipative viscose, e inoltre il termine
noto è nullo in quanto non si considera la presenza di una forzante applicata sul
pendolo.

Figura 11.4 Il pendolo semplice e le forze agenti su di esso.

439
Utilizzando l’equazione di Lagrange, si ha in questo caso che il modulo della velocità
della massa m vale , per cui l’energia cinetica del sistema ha espressione:

e l’energia potenziale deriva in questo caso dalla forza conservativa gravitazionale (la
forza peso) agente sulla massa e vale:

essendo h = L (1- cos α) l’innalzamento della massa riferito alla posizione di


equilibrio del sistema. Infine, in questo caso, data l’assenza di forze smorzanti e di
forze esterne, risultano nulli sia la funzione di dissipazione D sia il lavoro virtuale δL.
Applicando la (11.2) si ritrova la (11.4). Ulteriori esempi di scrittura della equazione
di moto di sistemi a un grado di libertà sono riportati negli esercizi di questo capitolo.

11.4 Moto libero di un sistema vibrante a un grado di


libertà
Come mostrato nell’Esempio 11.1, l’equazione di moto di un sistema
vibrante a un grado di libertà, eventualmente dopo aver introdotto una
linearizzazione (come nel caso del pendolo), prende la forma:
(11.5)

dove x è la coordinata libera del sistema. Tale equazione risulta dunque una
equazione differenziale del secondo ordine, in quanto coinvolge, oltre alla
incognita x, le sue derivate prima e seconda rispetto alla variabile

440
indipendente tempo t. Si tratta inoltre di una equazione lineare a coefficienti
costanti, per la quale esistono soluzioni notevoli che saranno introdotte e
discusse in questo paragrafo e nel successivo.
In particolare, in questo paragrafo ci occuperemo di risolvere l’equazione
detta omogenea, in cui si pone a zero la forzante agente sul sistema, ossia:
(11.6)

Tale equazione descrive il moto libero del sistema, ossia il moto che il
sistema compie in assenza di forzanti, per effetto di condizioni iniziali
(spostamenti e/o velocità) che gli siano state imposte all’istante iniziale del
moto. Per semplicità, affronteremo questo argomento occupandoci
innanzitutto del caso di un sistema non smorzato, e generalizzando poi la
soluzione al caso di sistema smorzato. Nel successivo paragrafo sarà invece
studiato il moto del sistema in presenza di forzanti esterne, ossia quando
l’equazione di moto sia quella completa (11.5).

11.4.1 Moto libero non smorzato


Consideriamo un sistema in cui, come nel pendolo del Paragrafo 11.1, siano
nulli (o possano essere trascurati) gli effetti delle resistenze viscose e quindi
sia r = 0. Si ottiene quindi l’equazione:
(11.7)
L’integrale generale della (11.7) si ottiene come combinazione lineare di due
soluzioni del tipo:
(11.8)

dove X e λ sono due costanti complesse da determinare. Sostituendo la


(11.8) nella (11.7) e raccogliendo opportunamente si ottiene:

e, assumendo X ≠ 0, dovrà essere:


(11.9)

La (11.9) si chiama equazione caratteristica, e ammette due soluzioni, in


questo caso immaginarie coniugate:

441
(11.10)

in cui i è l’unità immaginaria e:

(11.11)

è la pulsazione propria, espressa nel SI in rad/ s. Spesso al posto della


pulsazione ω si utilizza la frequenza f data da:
(11.12)

L’unità di misura nel SI della frequenza si chiama Hertz (Hz), esprimibile


come cicli al secondo (1/s).
L’integrale generale della (11.7) prende quindi la forma:

(11.13)

È possibile verificare che, affinché la soluzione (11.13) risulti reale, è


necessario che le costanti X 1 e X 2 siano complesse coniugate. La Figura
11.5 indica nel piano complesso la somma dei due termini della (11.13), dei
quali il primo può essere interpretato come un vettore rotante con velocità
angolare ω in senso antiorario (il senso positivo delle rotazioni nel piano) e
il secondo come un vettore di modulo uguale al primo che ruota in direzione
opposta con velocità angolare - ω. Se le posizioni al tempo t = 0 dei due
vettori sono simmetriche

Figura 11.5 Composizione dei vettori controrotanti.

rispetto all’asse reale la somma dei due vettori contro-rotanti risulta reale e
oscilla tra un valore positivo pari a 2| X 1| e un valore negativo pari a -2| X 1|.
Posto allora:

442
e applicando la regola di Eulero, con z variabile reale:

la (11.13) diviene:

(11.14)
La (11.14) rappresenta la prima forma della soluzione del moto libero non
smorzato di un sistema vibrante. Ricordando la relazione:

si può riscrivere la (11.14) come:


(11.15)

in cui:

(11.16)

La (11.15) mostra che il moto libero del sistema a un grado di libertà non
smorzato consiste in una oscillazione armonica, di ampiezza C e pulsazione
ω definita dalla (11.11), che prende il nome di pulsazione propria non
smorzata del sistema.
I valori delle costanti A e B che compaiono nella (11.14) oppure C e ϕ della
(11.15) dipendono invece dalle condizioni iniziali assegnate al sistema:

(11.17)

in cui x 0 e υ 0 rappresentano rispettivamente la posizione e la velocità del


sistema nell’instante iniziale del moto ( t = 0). Sostituendo le condizioni
iniziali (11.17) nell’espressione del moto libero nella forma (11.14) si
ottiene:

(11.18)

La Figura 11.6 rappresenta graficamente lo spostamento in funzione del


tempo del sistema, a partire dalle condizioni iniziali definite dalla (11.17),

443
essendo l’angolo α indicato in figura definito come:

Nella figura, T rappresenta il periodo della oscillazione, definito dalla


relazione:

(11.19)

Figura 11.6 Moto libero del sistema non smorzato a un grado di


libertà.

11.4.2 Moto libero smorzato


Come si deduce dalla (11.15), la vibrazione una volta iniziata a causa delle
condizioni iniziali permane indefinitamente nel tempo. Questo
comportamento non rispecchia la realtà sperimentale, infatti in un sistema
reale si vedrà l’ampiezza di vibrazione ridursi gradualmente al passare del
tempo. Questo avviene perché nei sistemi reali il moto è sempre associato a
qualche dissipazione di energia, perché si è in presenza di diversi tipi di
attrito, perché i materiali deformabili non sono perfettamente elastici e
dissipano energia in ogni ciclo di deformazione, perché infine i sistemi sono
generalmente immersi in un fluido (aria o acqua) che esercita una azione di
resistenza al moto e quindi di dissipazione di energia.
Queste diverse forme di dissipazione di energia vengono di norma
rappresentate in maniera equivalente attraverso un termine di smorzamento
viscoso. In altre parole, gli smorzatori viscosi introdotti nel modello di un
sistema vibrante (come l’esempio di Figura 11.2) possono rappresentare sia
componenti fisici realmente approssimabili a un comportamento dissipativo

444
viscoso (per esempio gli smorzatori idraulici di una sospensione), sia altre
forme di resistenza al moto, ridotte in modo equivalente a un termine
viscoso. In questo secondo caso, il valore dello smorzamento viscoso
equivalente viene calcolato in modo che l’energia dissipata dallo smorzatore
viscoso in un ciclo di oscillazione corrisponda alla dissipazione energetica
prodotta dalle reali fonti di resistenza al moto agenti sul sistema.
In definitiva, l’equazione di moto di un sistema vibrante a un grado di libertà
in cui si considerino gli effetti di smorzamento prende la forma (11.6).
Anche per questa equazione completa di smorzamento, l’integrale generale
consiste nella combinazione lineare di due soluzioni del tipo (11.8).
Sostituendo tale soluzione nella (11.6) si ottiene:

e, scartando la soluzione banale X = 0, dovrà quindi essere:

le cui soluzioni sono:

(11.20)

Per determinare il moto compiuto dal sistema occorre distinguere tre casi, in
funzione del valore assunto dal cosiddetto fattore di smorzamento h definito
come rapporto tra lo smorzamento del sistema e lo smorzamento critico,
definito a sua volta come il valore di smorzamento r che annulla il
discriminante della (11.20):

(11.21)

Caso 1: r < r c ( h < 1).


In questo caso, il discriminante Δ della (11.20) risulta negativo, e le due
soluzioni sono quindi complesse coniugate e possono essere riscritte come:

(11.22)

in cui abbiamo indicato con:

445
Sostituendo questi valori nella (11.8) si ottiene:

(11.23)

in cui si è utilizzata nuovamente la composizione dei due vettori


controrotanti a formare un termine armonico. La (11.23) indica che nel caso
considerato il sistema compie un moto oscillatorio smorzato, in cui
l’ampiezza delle oscillazioni decresce esponenzialmente nel tempo, come
illustrato in Figura 11.7.

Figura 11.7 Moto libero del sistema smorzato a un grado di


libertà (smorzamento inferiore al valore critico).

In molti sistemi meccanici reali, lo smorzamento è non solo inferiore allo


smorzamento critico, ma molto più piccolo di questo, e il fattore di
smorzamento h assume valori dell’ordine del 2–3%, per cui si ha .
Questo risultato è importante per tutte le applicazioni in cui generalmente si
possono valutare con precisione la massa e rigidezza del sistema considerato,
mentre non si conosce con esattezza la forma di dissipazione né quindi il
valore di r, pur sapendo da osservazioni su sistemi vibranti simili, che lo
smorzamento è di piccola entità.
Caso 2: r > r c ( h > 1 ).
In questa condizione il discriminante Δ della (11.20) è positivo e le due
soluzioni dell’equazione caratteristica sono ambedue reali negative:

446
(11.24)

in cui α 1 e α 2 rappresentano due valori reali positivi. In merito al segno


delle due radici, si osservi che necessariamente queste assumono valore
negativo, essendo k, r e m tutti valori positivi e pertanto:

Si ottiene quindi la soluzione:


(11.25)
ossia il moto risulta la somma di due termini esponenziali decrescenti. In
funzione dei valori delle costanti X 1 e X 2 (in questo caso a valori reali), il
movimento prende una delle forme mostrate in Figura 11.8, ossia il sistema,
assoggettato nell’istante t = 0 a uno spostamento iniziale e a una velocità
iniziale, torna nella posizione di equilibrio statico senza compiere
oscillazioni.

Figura 11.8 Moto libero del sistema smorzato a un grado di


libertà (smorzamento maggiore del valore critico) per diverse
condizioni iniziali sulla velocità.

Caso 3: r = r c ( h = 1).
In questa condizione il discriminante Δ della (11.20) è nullo e le due
soluzioni dell’equazione caratteristica sono reali e coincidenti:
(11.26)

In base alla teoria delle equazioni differenziali lineari a parametri costanti, in

447
questo caso la soluzione prende la forma:
(11.27)
Il moto che risulta dalla (11.27) è simile a quello già illustrato per il Caso 2.

11.5 Moto forzato


Per moto forzato si intende il movimento del sistema in presenza di una o
più forze. In questo caso occorre determinare la soluzione dell’equazione
differenziale di moto completa:
(11.28)
Tale soluzione è data dalla somma dell’integrale generale dell’equazione
omogenea associata (ossia in cui il termine a destra dell’uguale sia posto a
zero), più un integrale particolare dell’equazione completa:
(11.29)

Osserviamo che l’equazione omogenea associata della (11.28) è la (11.6), di


cui è stato determinato l’integrale generale nel paragrafo precedente. In tale
paragrafo si è mostrato che, a eccezione del caso di sistema completamente
privo di smorzamento, il moto libero del sistema risulta smorzato, con o
senza oscillazioni, ossia:

il che significa che, dopo un tempo sufficientemente lungo, dei due termini
della (11.29) prevarrà l’integrale particolare x p . Per questo motivo, si
afferma talvolta che l’integrale particolare rappresenta il moto a regime del
sistema forzato, intendendo che questo sarà il moto che il sistema compie
dopo aver esaurito un transitorio iniziale che si determina nella fase iniziale
del movimento, nella quale il termine x g non può essere trascurato. Per i
motivi sopra esposti, in questo paragrafo ci concentreremo sull’esame
dell’integrale particolare della (11.28), distinguendo diversi tipi di forzante
che possono agire sul sistema.

11.5.1 Forzante a gradino


Consideriamo un primo caso in cui il valore della forzante si mantiene

448
costante nel tempo, e indichiamo con F 0 tale valore. Dall’analisi matematica
è noto che l’integrale particolare va cercato nella stessa forma della forzante,
quindi nel caso in esame, come una costante:
(11.30)

Sostituendo questa espressione della soluzione particolare nella (11.28) e


ricordando che la derivata prima e seconda di una costante sono nulle, si
ottiene:

(11.31)

che significa che sotto l’effetto di una forza costante il sistema raggiungerà a
regime una posizione di equilibrio in cui la reazione statica della molla
equilibra la forza agente. Volendo determinare il movimento del sistema
prima del raggiungimento della condizione di regime, è necessario
considerare l’intera soluzione, data dalla (11.29) (si ipotizza che lo
smorzamento del sistema sia inferiore al valore critico):

(11.32)

in cui i valori delle costanti A e B devono essere calcolati imponendo le


condizioni iniziali. Considerando il caso in cui la forza sia applicata “a
gradino”, ossia passi istantaneamente nell’istante t = 0 da un valore nullo al
valore F 0, e supponendo che il sistema sia in quiete quando viene applicata
la forza, le condizioni iniziali saranno:

che, imposte nella (11.33) forniscono:

(11.33)

Come mostrato in Figura 11.9, la risposta del sistema vibrante alla forzante a
gradino (nel caso di sistema dotato di smorzamento inferiore al valore
critico) consiste quindi in una oscillazione smorzata che per t → ∞ tende al
valore di regime definito dalla (11.31).

Figura 11.9 Risposta del sistema smorzato a un grado di libertà a


una forzante a gradino (smorzamento inferiore al valore critico).

449
11.5.2 Forzante armonica
La forzante armonica è una delle forzanti più comuni perché si sviluppa
durante il moto sia nelle macchine rotanti sia nelle macchine alternative: essa
è generata dalle forze di inerzia agenti sulle masse in moto. In presenza di
una forzante armonica, l’equazione di moto del sistema diviene:
(11.34)

in cui F 0 e Ω rappresentano rispettivamente l’ampiezza e la pulsazione della


forzante. L’integrale particolare può essere ricercato nella forma:
(11.35)

che, sostituita nella (11.34) fornisce:

Semplificando i termini in cos(Ω t) e in sen(Ω t) si ottiene:

Dalla seconda di queste equazioni si ottiene:

(11.36)

450
che, sostituita nella prima equazione fornisce:

(11.37)

Le (11.37) e (11.36) possono essere riscritte in forma adimensionale:

(11.38)

avendo indicato con a = Ω/ ω la pulsazione adimensionale della forzante e


con x st il rapporto F 0/ k che esprime lo spostamento statico del sistema sotto
l’azione della forzante di ampiezza F 0 applicata staticamente.
Il rapporto X 0/ x st è chiamato coefficiente di amplificazione dinamica: la
Figura 11.10 mostra l’andamento di tale coefficiente e dell’angolo ϕ in
funzione della pulsazione adimensionale a per diversi valori del fattore di
smorzamento h. Si osservi che i diagrammi di Figura 11.10 consentono di
determinare la risposta a regime del sistema a una forzante armonica
qualsiasi. Infatti, data la pulsazione della forzante Ω, è possibile determinare
il corrispondente valore della pulsazione adimensionale a e, utilizzando i
diagrammi, il coefficiente di amplificazione dinamica e la fase ϕ.
Moltiplicando, infine, il coefficiente di amplificazione dinamica per lo
spostamento statico x st = F 0/ k si ottiene l’ampiezza X 0 della oscillazione
armonica del sistema.
Nei diagrammi di Figura 11.10 si possono individuare tre zone
caratteristiche:
zona quasi-statica: il coefficiente di amplificazione è prossimo all’unità
(cioè non c’è amplificazione dinamica) ed è debolmente influenzato dallo
smorzamento; il ritardo di fase dello spostamento rispetto alla forzante è
prossimo a zero e a parità di frequenza decresce al diminuire del fattore di
smorzamento h.
zona di risonanza: l’amplificazione dinamica è alta e aumenta al

451
diminuire del fattore di smorzamento h; il ritardo di fase dello spostamento è
prossimo a 90° indipendentemente dal valore dello smorzamento. In assenza
di smorzamento l’ampiezza di vibrazione raggiunge teoricamente il valore
infinito, mentre la fase passa con discontinuità da 0° a 180° in
corrispondenza di a = 1.
zona sismografica: in questa zona l’ampiezza di vibrazione decresce
con l’aumentare della pulsazione adimensionale a e tende a zero per ;
inoltre l’ampiezza della vibrazione risulta debolmente influenzata dallo
smorzamento. Il ritardo di fase della vibrazione rispetto alla forzante è
prossimo a 180°, ossia la vibrazione del sistema avviene pressoché in
controfase rispetto alla forzante.
Con riferimento alla condizione di risonanza, si osservi che per a = 1, il
coefficiente di amplificazione dinamico risulta essere pari a:

(11.39)

Figura 11.10 Andamento del coefficiente di amplificazione


dinamica e della fase in funzione della pulsazione adimensionale.

452
Nel caso di un sistema vibrante debolmente smorzato, il coefficiente di
amplificazione dinamica può assumere valori estremamente elevati. Per
esempio, per un valore di h pari a 0.01, il coefficiente di amplificazione
dinamica risulta pari a 50, ossia l’ampiezza di oscillazione in risonanza è 50
volte maggiore di quella quasi-statica.
Quanto detto sopra si riferisce al solo integrale particolare dell’equazione di
moto. La soluzione complessiva, somma dell’integrale particolare e
dell’integrale generale dell’omogenea associata è data da:

453
(11.40)

in cui il primo termine rappresenta il contributo dell’integrale generale


dell’omogenea associata, ed è una componente di moto oscillatorio smorzato
con la pulsazione propria del sistema (nell’ipotesi che lo smorzamento del
sistema sia inferiore al valore critico), mentre il secondo termine rappresenta
l’integrale particolare ricavato sopra. La Figura 11.11 mostra un esempio del
moto complessivo del sistema: come già precedentemente osservato, esaurito
un transitorio iniziale la cui durata è pari a un numero limitato di periodi di
oscillazione naturale del sistema, l’integrale particolare viene a predominare
e di fatto rappresenta completamente la vibrazione del sistema.

Figura 11.11 Transitorio iniziale e moto a regime sotto l’azione di


una forzante armonica.

Rappresentazione complessa della risposta alla forzante armonica


Un metodo alternativo per determinare la risposta a una forzante armonica
consiste nell’osservare che:

Si può quindi riscrivere l’Equazione (11.41) nella forma complessa:

(11.41)

in cui x* è l’incognita complessa, la cui parte reale rappresenta il movimento

454
del sistema. L’integrale particolare della (11.34) assume la forma:

(11.42)

dove è una costante complessa che può essere determinata sostituendo la


(11.42) nella (11.41):

da cui si ricava:

(11.43)

Esprimendo in termini di modulo e fase, e considerando la parte reale


dell’integrale particolare (11.42) si ottiene:

(11.44)

in cui e ϕ rappresentano rispettivamente il modulo e la fase della


costante complessa definita dalla (11.43):

(11.45)

che corrispondono all’ampiezza e alla fase dell’integrale particolare definite


dalle (11.36) e (11.37).
Si può quindi concludere che la risposta a regime del sistema vibrante alla
forzante armonica è sinteticamente rappresentata dalla quantità complessa
, il cui modulo rappresenta l’ampiezza della risposta del sistema, e la cui fase
rappresenta lo sfasamento del moto rispetto alla forzante. Spesso, in luogo di
tale costante, si considera il rapporto:

(11.46)

che, data la linearità del problema, rappresenta la risposta del sistema a una
forzante di ampiezza unitaria. Tale quantità, come indicato nella (11.46),
dipende dalla pulsazione della forzante Ω e prende il nome di funzione di
risposta in frequenza o funzione di trasferimento armonico del sistema.

455
L’utilizzo della notazione complessa consente anche una importante
interpretazione fisica del comportamento del sistema in zona quasi-statica, di
risonanza e sismografica. Per mettere in luce questo aspetto, sostituiamo
l’integrale particolare complesso (11.42) nella forma complessa
dell’Equazione di moto (11.41), ottenendo:

(11.47)

Ciascun termine in questa equazione può essere rappresentato


geometricamente nel piano complesso come un vettore di modulo costante,
rotante con velocità angolare Ω. L’Equazione (11.47) indica che la forzante
esterna rappresentata dal primo termine dell’equazione, è equilibrata da
una forza elastica , una forza dissipativa e una forza inerziale ,
rappresentate rispettivamente dal secondo, terzo e quarto termine
dell’equazione.
Si osservi che il rapporto tra il modulo della forza inerziale e della forza
elastica è legato al valore della pulsazione adimensionale dalla relazione:

Analogamente, il rapporto tra il modulo della forza viscosa e della forza


elastica è dato da:

Di conseguenza, quando il sistema è forzato in zona quasi-statica ( ), il


termine elastico risulta predominante rispetto ai termini viscoso e inerziale e,
pertanto, la forzante esterna è prevalentemente equilibrata dalla reazione
elastica, il che richiede che la vibrazione si disponga pressoché in fase con la
forzante (fase ϕ tendente a zero) e che l’ampiezza di vibrazione sia prossima
alla deflessione statica x st (coefficiente di amplificazione unitario). Questa
situazione è rappresentata nel primo schema di Figura 11.12.
In condizione di risonanza ( a = 1) invece la forza elastica e quella inerziale
hanno uguale modulo e fase opposta e pertanto si cancellano a vicenda,
cosicché la forzante esterna è equilibrata esclusivamente dalla forza viscosa:

Figura 11.12 Rappresentazione nel piano complesso delle

456
condizioni quasi-statica, di risonanza e sismografica.

ciò richiede che la vibrazione si disponga in ritardo di 90° rispetto alla


forzante ( ϕ = −90°) e, per un sistema poco smorzato, richiede che l’ampiezza
di vibrazione divenga molto maggiore della deflessione statica, al fine di
realizzare un modulo della forza viscosa sufficientemente grande. Questa
situazione è rappresentata nel secondo schema di Figura 11.12.
Infine, in condizione sismografica ( a ≫ 1) il termine inerziale della (11.47)
diviene predominante rispetto ai termini elastico e smorzante e di
conseguenza la forzante esterna è prevalentemente equilibrata dalla forza

457
d’inerzia. Pertanto la vibrazione del sistema viene a disporsi in opposizione
di fase rispetto alla forzante (fase ϕ prossima a 180°) e, dato che l’ampiezza
della forza inerziale aumenta con il quadrato della pulsazione Ω della
forzante, l’ampiezza della vibrazione risulta inversamente praticamente
proporzionale al quadrato di Ω.

11.5.3 Forzante periodica


Una forzante periodica assume una andamento nel tempo che si ripete a
intervalli regolari di ampiezza T, che viene detto il periodo della forzante; in
termini matematici, questo è definito dalla relazione F ( t + T ) = F ( t). Un
forzamento periodico si realizza per esempio sulle vibrazioni torsionali
dell’albero motore e della trasmissione di un motore a combustione interna,
per effetto della variazione periodica della coppia motrice ridotta che
corrisponde alle forze che si esercitano sui pistoni, come mostrato nel
Capitolo 9. Forzanti periodiche si realizzano tipicamente anche in macchine
per l’automazione industriale, nelle quali spesso si presentano effetti
vibratori provocati da una eccitazione periodica associata con il ciclo di
lavoro della macchina.
Mediante scomposizione in serie di Fourier [16], la forzante periodica può
essere sviluppata in una somma di infiniti termini armonici:

(11.48)
in cui F 0 rappresenta il valore medio della forzante, Ω 0 è detta pulsazione
fondamentale della forzante, ed è definita come la pulsazione di una funzione
armonica avente il periodo T della forzante:

(11.49)
e infine i coefficienti A k e B k sono forniti dalle seguenti espressioni:

(11.50)

Poiché l’Equazione di moto del sistema (11.28) è lineare e vale quindi il


principio di sovrapposizione degli effetti, la vibrazione prodotta dalla
applicazione della forzante periodica può essere calcolata come somma delle
risposte del sistema a ciascun singolo termine dello sviluppo in serie della

458
forzante, secondo quanto espresso dalla (11.48). Come già fatto nel
paragrafo precedente, ci concentriamo qui sull’integrale particolare
dell’equazione di moto, fermo restando che negli istanti iniziali del moto, a
questo termine si aggiungerà una oscillazione smorzata corrispondente
all’integrale generale della equazione omogenea associata.
Il calcolo della risposta a regime del sistema eccitato da una forzante
armonica, può essere condotto in maniera particolarmente efficiente
utilizzando la notazione complessa e il concetto di funzione di risposta in
frequenza introdotto nel paragrafo precedente. A tale scopo, riscriviamo la
(11.48) nella forma:

(11.51)

in cui è una costante complessa il cui modulo e fase sono definiti dalla:

(11.52)

Come visto nei due precedenti paragrafi, la risposta a regime del sistema al
termine costante della (11.51) è una componente di spostamento costante
pari al rapporto tra F 0 e la rigidezza k del sistema, mentre la risposta a
regime del sistema alla k-esima componente armonica della (11.51) è una
vibrazione armonica la cui ampiezza e fase sono definite dal prodotto
complesso tra il coefficiente complesso e la funzione di risposta in
frequenza valutata in corrispondenza della pulsazione della componente
armonica considerata, ossia:

(11.53)

con:

(11.54)

Infine osserviamo che il calcolo della risposta del sistema può essere
notevolmente semplificato (a condizione di introdurre nella soluzione una
approssimazione ingegneristicamente accettabile) approssimando la serie
nella (11.53) con la sommatoria dei primi N termini:

459
(11.55)

essendo l’estremo superiore della sommatoria N scelto in modo tale che la


pulsazione della N-esima componente armonica della forzante sia molto
superiore alla pulsazione propria del sistema:
(11.56)

Se questa condizione è verificata, tutte le armoniche a frequenza superiore


che sono trascurate nell’Equazione approssimata dell’integrale particolare
(11.55) agiscono in zona sismografica e, come mostrato dalla Figura 11.10, il
loro coefficiente di amplificazione dinamica risulta tendente a zero, ossia il
loro contributo all’integrale particolare risulta trascurabile.

11.5.4 Forzamento prodotto da una massa squilibrata


rotante
Un effetto di forzamento delle vibrazioni spesso presente nelle macchine è
rappresentato dalla forzante generata da una massa squilibrata rotante. Si
consideri per esempio il sistema di Figura 11.13, formato da un basamento di
massa M collegato a un vincolo fisso da una molla di rigidezza k e da uno
smorzatore di costante r. Sul basamento è posto in rotazione un corpo di
massa m s (il rotore), il cui baricentro giace a una distanza ε dall’asse di
rotazione.
La posizione del baricentro del rotore, e la sua accelerazione, hanno la
seguente espressione:

(11.57)

L’equazione di equilibrio dinamico del sistema in direzione verticale assume


la forma:
(11.58)

che, sostituendo la (11.57) e riordinando i termini prende la forma:

(11.59)

Si evidenzia, quindi, che il forzamento prodotto da una massa squilibrata


rotante con velocità angolare costante è un particolare tipo di forzamento

460
armonico, per il quale l’ampiezza della forzante risulta proporzionale
all’entità della massa squilibrata e dello squilibrio (distanza del baricentro
dall’asse di rotazione) e cresce con il quadrato della velocità angolare.
Come già fatto nel Paragrafo 11.11, utilizziamo il formalismo complesso per
determinare il movimento del sistema. A questo scopo riscriviamo la (11.59)
in forma complessa:

(11.60)

Assumendo una soluzione nella forma (11.42) e sostituendola nella (11.60) si


ottiene:

(11.61)

Figura 11.13 Forzante armonica generata da un rotore squilibrato.

La quantità complessa definita dalla (11.61) definisce la vibrazione del


basamento della macchina x in funzione della velocità di rotazione del rotore
Ω, essendo l’ampiezza di vibrazione pari al modulo di X 0 e lo sfasamento
tra la vibrazione del basamento e la rotazione del rotore definita dalla fase di
X 0.
Prima di concludere il paragrafo, osserviamo che anche una macchina
alternativa del tipo considerato nel Capitolo 9 genera un effetto di
forzamento sul sistema che assume una forma simile a quella di una massa
rotante squilibrata. Consideriamo a questo scopo la macchina alternativa in
Figura 11.14, posta su un supporto elastico che ne consente il solo moto
verticale. Indichiamo con m s la massa in moto alterno (data dalla massa del
pistone più una parte della massa della biella), con M la massa complessiva

461
del basamento e delle parti fisse della macchina, con k e r rispettivamente la
rigidezza e la costante di smorzamento del supporto.
Se si indica con x lo spostamento verticale del basamento delle macchina e
con x s lo spostamento verticale assoluto della massa in moto alterno,
l’equazione di equilibrio dinamico della macchina prende la forma:
(11.62)

Lo spostamento x s della massa in moto alterno può essere espresso come


somma dello spostamento del basamento x più lo spostamento relativo c del
pistone rispetto al basamento:
(11.63)
Utilizzando l’approssimazione del secondo ordine del moto del piede di
biella c nell’ipotesi di rotazione con velocità angolare costante Ω dell’albero
motore si ottiene:

(11.64)

che, sostituita nella (11.57) fornisce:

(11.65)

Figura 11.14 Macchina alternativa monocilindrica.

462
La forzante prodotta dal moto alternativo del pistone è quindi composta dalla
somma di due forze armoniche, con pulsazione rispettivamente Ω e 2Ω, ossia
pari alla velocità angolare dell’albero motore e al doppio di questa. Tali
forze, dette forze di inerzia del primo ordine e del secondo ordine, possono
essere (in parte o completamente) equilibrate secondo i metodi descritti nel
Paragrafo 9.4.2, ma nel caso esista una componente non equilibrata di queste
forze, essa ecciterà la vibrazione del motore sui suoi supporti. Per
determinare la vibrazione del sistema, è possibile utilizzare il principio di
sovrapposizione degli effetti come mostrato nel Paragrafo 11.5.3 per il caso
generico di una forzante periodica, utilizzando come scomposizione in serie
di Fourier della forzante le due componenti armoniche definite dalla (11.65).

11.6 Isolamento delle vibrazioni


Nei paragrafi precedenti di questo capitolo abbiamo osservato che nel
funzionamento delle macchine si possono generare moti vibratori eccitati,
per esempio, dalla presenza di masse rotanti squilibrate, o di masse in
movimento alterno. Uno dei problemi che possono essere causati dal
funzionamento delle macchine è, quindi, la trasmissione di vibrazioni al
terreno o alla struttura alla quale la macchina è vincolata.
Questo fenomeno può essere causa di seri disturbi nel funzionamento della
macchina: per esempio, negli impianti industriali è necessario contenere i
livelli di disturbo vibro-acustico prodotti dalla presenza di macchinario
vibrante, mentre negli autoveicoli occorre ridurre il disturbo prodotto sui
passeggeri sia dalle vibrazioni prodotte dalle ondulazioni della strada, sia
dalle vibrazioni che si generano nel motore e che attraverso la scocca del
veicolo possono trasmettersi ai passeggeri.
Consideriamo inizialmente il caso di un sistema vibrante a un grado di libertà
soggetto a un forzamento armonico, la cui equazione di moto assume la
forma (11.34). Si vuole calcolare il valore massimo della forza trasmessa al
vincolo F T, che costituisce un indice del disturbo prodotto dal sistema
vibrante sull’ambiente esterno.
La forza F T è somma di un termine elastico e di uno viscoso, associati alla
molla e allo smorzatore che sospendono, rispetto al vincolo, la massa
vibrante:
(11.66)

463
Considerando per il movimento del sistema il solo integrale particolare
(moto a regime) e utilizzando come nel Paragrafo 11.11 il formalismo
complesso, la vibrazione x p( t) della massa vibrante è espressa dalle (11.42)
e (11.43) che, sostituite nella (11.66) forniscono:

(11.67)
Dalla (11.67) si può derivare il rapporto tra l’ampiezza della forza trasmessa
al vincolo F T, e l’ampiezza F 0 della forzante. Tale rapporto, chiamato
trasmissibilit à T, può essere espresso in funzione della pulsazione della
forzante oppure in forma adimensionale come funzione della pulsazione
adimensionale a precedentemente introdotta e del fattore di smorzamento:

(11.68)

La Figura 11.15 mostra l’andamento della trasmissibilità in funzione della


pulsazione adimensionale a. In questo diagramma si distinguono tre zone:
• per la trasmissibilità assume valori prossimi ad 1, indicando che
la massima forza trasmessa è circa uguale alla massima forza
applicata al sistema;
• per si ha la risonanza del sistema, e la forza trasmessa può
diventare molto maggiore della forza applicata, nel caso in cui lo
smorzamento adimensionale h del sistema sia piccolo;
• per la trasmissibilità diventa minore di 1, e si ottiene quindi un
effetto di isolamento delle vibrazioni, ossia un valore di forza
trsmessa inferiore alla forza applicata. La trasmissibilità risulta tanto
minore quanto più elevata è la pulsazione adimensionale a e tanto più
piccolo è il fattore di smorzamento h
Sulla base dell’esame del diagramma della trasmissibilità, si deduce
innanzitutto che occorre evitare che la pulsazione propria della fondazione
sia prossima alla pulsazione della forzante, poiché in questo caso la forza
trasmessa F T può risultare molto elevata. Si possono quindi classificare le
fondazioni in due tipi principali: le fondazioni rigide e le fondazioni sospese.
Una fondazione rigida è caratterizzata da una pulsazione propria almeno

464
doppia della pulsazione della forzante ( a ≤ 0.5): con questo tipo di
fondazione non si ottiene nessuna riduzione della forza trasmessa, anzi si
ottiene una leggera amplificazione. Una fondazione sospesa è invece
caratterizzata da una pulsazione propria inferiore alla pulsazione della
forzante, almeno nel rapporto di , e consente di ottenere una riduzione
della forza trasmessa rispetto a quella applicata.

Figura 11.15 Trasmissibilità di un sistema vibrante in funzione


della pulsazione della forzante.

Poiché la pulsazione propria della fondazione è data dalla radice quadrata del
rapporto tra la rigidezza e la massa della fondazione, la condizione di
fondazione sospesa può essere ottenuta adottando bassi valori delle rigidezze
dei supporti e una inerzia elevata della fondazione. In particolare, una bassa
rigidezza della fondazione comporta un valore elevato dell’abbassamento
statico di questa, e quindi anche una ampiezza di vibrazione elevata rispetto
al caso di fondazione rigida: occorre quindi verificare che tutte le strutture
che sono collegate alla macchina (tipicamente tubazioni) possano sopportare
le vibrazioni che nascono nel caso della fondazione sospesa. Se si vuole
realizzare un buon grado di isolamento, occorre aumentare la massa del
sistema, vincolando la macchina a un blocco di fondazione e montando i
supporti elastici sotto al blocco di fondazione, come indicato in Figura 11.16.
Per quanto riguarda infine l’effetto dello smorzamento della fondazione
sull’isolamento delle vibrazioni, osserviamo che per una fondazione sospesa,
a parità di pulsazione adimensionale, la trasmissibilità risulta tanto più bassa
quanto minore è lo smorzamento adimensionale h: se ne deduce che lo

465
smorzamento della fondazione dovrebbe essere limitato al minimo. Per
contro, bisogna ricordare che in genere nelle macchine la frequenza della
forzante agente dipende dalla velocità di rotazione della macchina (per
esempio nel caso di squilibrio rotante e di masse in moto alterno). Durante le
fasi di avviamento e di arresto della macchina la pulsazione della forzante
varierà con continuità in tutto il campo da 0 al valore di regime e, nel caso
della fondazione sospesa in cui la velocità di regime è al di sopra della
pulsazione di risonanza, si avrà l’attraversamento della condizione di
risonanza.
Pertanto, durante le fasi di avviamento e di arresto della macchina, si
possono verificare importanti amplificazioni sia della vibrazione sia della
forza trsmessa, che devono essere attentamente considerate. In queste fasi, la
presenza di un maggiore smorzamento risulta benefica, in quanto la
trasmissibilità in risonanza si riduce con l’aumentare dello smorzamento. A
questo proposito è importante infine osservare che il diagramma di
trasmissibilità della Figura 11.15 si riferisce a una condizione di regime della
macchina, mentre il fenomeno della risonanza, essendo basato su un
accumulo di energia di vibrazione all’interno del sistema, richiede un certo
numero di periodi di oscillazione per realizzarsi pienamente. Di
conseguenza, i fenomeni nocivi

Figura 11.16 Isolamento delle vibrazioni tramite fondazione


sospesa.

associati alla risonanza della fondazione sospesa possono essere limitati non
solo evitando di ridurre eccessivamente lo smorzamento della fondazione,
ma anche facendo in modo che la macchina permanga per il minore tempo

466
possibile in condizioni prossime alla risonanza, ossia facendo in modo che i
transitori di avviamento e di arresto siano sufficientemente rapidi.

Esempio 11.2 Isolamento delle vibrazioni

L’utilità dell’isolamento delle vibrazioni può essere dedotta dal seguente esempio. Si
consideri ancora l’esempio del motore GTV 2000, motore a 4 cilindri in linea, con le
manovelle disposte a 180° già trattato nel Paragrafo 9.4.3. Le forze di inerzia del
primo ordine agenti sui quattro manovellismi sono bilanciate a due a due a causa dello
sfasamento di 180° della prima manovella rispetto alla seconda, e della terza rispetto
alla quarta, che porta anche a sfasare della stessa quantità le forze di inerzia. Le forze
di inerzia del secondo ordine, sempre a causa dello sfasamento di 180° delle
manovelle, risultano essere tutte in fase tra loro dando luogo a una risultante che è la
somma algebrica delle 4 componenti.
Ricordando i dati del motore ( r = 44.25 mm, λ = 0.282), considerando un regime di
rotazione di 5800 giri/min e assumendo un valore di massa in moto alterno pari a 0.2
Kg, si ottiene, per la forza del secondo ordine del singolo manovellismo, un valore
pari a 920 N, e per il motore nel suo complesso si ha quindi una ampiezza della
forzante pari a 3680 N (secondo termine forzante della (11.65)). Si può comparare
l’entità di questa forza al peso del motore che, assumendo che una massa di 200 kg, è
pari a 1962 N.
In presenza di una fondazione rigida, questa forzante verrebbe interamente trasmessa
al telaio, causando vibrazioni e rumore a scapito del comfort del conducente, oltre a
sollecitazioni sul telaio. Usando invece per il motore dei supporti elastici di rigidezza
complessiva k = 3.0 × 10 6 N/m, con la massa del motore di m = 200 kg si ottiene una
pulsazione propria pari a ω = 122,5 rad/s, rispetto alla pulsazione della forzante pari
Ω = 1214 rad/s (corrispondente al doppio della velocità di rotazione). Trascurando
l’effetto dello smorzamento della fondazione e utilizzando la (11.68) si ottiene in
questa condizione una trasmissibilità pari a 1/97.21 e quindi una riduzione della forza
trasmessa al telaio della autovettura da 3683 N a 37.9 N. L’ampiezza di vibrazione del
motore, calcolata utilizzando la (11.37), risulta di soli 12 μm.
Quando la velocità di rotazione del motore è più bassa la trasmissibilità aumenta, ma
la forzante associata alle forze di inerzia del secondo ordine, proporzionale a Ω 2,
diminuisce rapidamente, per cui le forze trasmesse restano basse. Ipotizzando una
velocità minima di rotazione del motore pari a 900 giri/min, l’ampiezza della forzante
vale in questa condizione 88,7 N, la trasmissibilità è 1/8.5, e la vibrazione ha una
ampiezza di 10 μm. Infine, la condizione di risonanza si ottiene per 2Ω = 122.5 rad/s
e cioè per una velocità di rotazione del motore pari a 585 giri/min, inferiore alla
velocità minima di rotazione del motore.

467
11.6.1 Forzamento prodotto dal moto del vincolo
Una fonte di eccitazione delle vibrazioni che si presenta spesso nei sistemi
meccanici nel movimento del terreno o della struttura a cui il sistema è
collegato. L’origine di questo tipo di eccitazione può essere varia: per
esempio, nei veicoli l’effetto di moto del vincolo è prodotto dal movimento
delle ruote lungo una strada irregolare, mentre in un impianto industriale si
possono avere vibrazioni prodotte dall’effetto di altro macchinario adiacente,
e nelle costruzioni civili l’eccitazione può provenire da movimenti sismici
del terreno. In tutti questi casi, si può presentare l’esigenza di isolare il
sistema rispetto alla vibrazione esterna: si pensi per esempio alla necessità di
isolare i passeggeri di un veicolo rispetto alle vibrazioni delle ruote in
contatto con il terreno, oppure il caso di una apparecchiatura per misure o per
lavorazione meccanica di estrema precisione, la cui accuratezza potrebbe
essere compromessa dalle vibrazioni trasmesse alla macchina dall’ambiente
esterno.
Per studiare questo problema, facciamo riferimento al caso di Figura 11.17,
in cui un sistema massa-molla-smorzatore è collegato a un vincolo che
compie un moto y ( t). Indichiamo con x lo spostamento assoluto della massa
m. Le forze applicate alla massa sono indicate a destra in Figura 11.17, in
particolare la forza elastica e quella smorzante dipendono dalla deformazione
del gruppo molla-smorzatore e quindi anche dallo spostamento del vincolo y.
L’equazione di moto che si ottiene è:
(11.69)

in cui y e la sua derivata rappresentano funzioni note del tempo, e possono


quindi essere portate a destra dell’uguale, mentre x e le sue derivate
rappresenta, al solito, l’incognita del problema:
(11.70)

si osserva quindi che il movimento del vincolo si traduce per il sistema in un


forzamento che si realizza attraverso gli elementi molla e smorzatore che
collegano la massa vibrante al vincolo. Ipotizzando un movimento armonico
del vincolo:

468
(11.71)

e utilizzando il formalismo complesso introdotto nel Paragrafo 11.11, si


ottiene:

(11.72)
L’integrale particolare si ottiene anche in questo caso nella forma:

(11.73)

Figura 11.17 Vibrazioni forzate dovute allo spostamento


armonico del vincolo; a) forze per il solo movimento x, b) forze
per il solo movimento y del vincolo.

che sostituito nella (11.72) fornisce:

(11.74)

Il rapporto tra l’ampiezza di spostamento della massa a regime x p e


l’ampiezza di spostamento del vincolo y è quindi dato da:

(11.75)

469
ossia coincide con la funzione di trasmissibilità introdotta in precedenza.
Valgono quindi, per questo caso, le stesse considerazioni riportate nel
Paragrafo 11.6.

Esempio 11.3 Forzamento prodotto dal moto del


vincolo

Si consideri la vettura Alfa Romeo GTV 2000 già considerata nel Paragrafo 9.4.3.
Utilizzando un modello “quarto di veicolo”, ossia un modello che considera una sola
delle quattro sospensioni del veicolo e la massa della scocca a essa associata, si
possono assumere i seguenti dati (sospensione anteriore): massa m = 250 kg,
rigidezza k = 10 000 N/m, smorzamento r = 2250 Ns/m. Si consideri il veicolo in
moto su una strada presentante una irregolarità sinusoidale di ampiezza Y 0 = 5 mm e
di lunghezza d’onda λ = 20 m, e si calcoli l’ampiezza della vibrazione della vettura
per le seguenti tre velocità: 36km/h, 72km/h, 144km/h.
Per il sistema considerato si ottiene:

Il forzamento prodotto sul veicolo dalla irregolarità della strada corrisponde a uno
spostamento impresso alla base della sospensione che assume la forma:

in cui Y 0 è l’ampiezza della irregolarità, V è la velocità dell’autoveicolo in m/s, λ è la


lunghezza d’onda dell’irregolarità. Utilizzando i valori numerici proposti e utilizzando
la (11.74), si ottengono i seguenti risultati:

• ;
• ;
• ;

11.7 Stabilità dei sistemi a un grado di libertà


I moti vibratori di un sistema meccanico avvengono spesso come effetto di
una perturbazione applicata al sistema, precedentemente posto in una

470
posizione di equilibrio. Per esempio, l’oscillazione di un pendolo può essere
prodotta dal fatto che il pendolo viene inizialmente spostato dalla propria
posizione di equilibrio, oppure viene urtato e messo in moto, iniziando
l’oscillazione.
In tutti i paragrafi precedenti, si è dato per scontato che il moto oscillatorio
che si produce in questa situazione sia stabile, ossia che il moto del sistema
conseguente alla perturbazione rimanga confinato nell’intorno della
posizione di equilibrio rispetto alla quale è stata introdotta la perturbazione.
In realtà, anche nel semplice caso di un pendolo si riconosce che questa
situazione non sempre si realizza. Consideriamo per esempio, il corpo rigido
incernierato in un punto fisso O e soggetto all’azione del peso mostrato in
Figura 11.18: questo sistema ammette due diverse posizioni di equilibrio:
l’una quando il baricentro è sulla verticale per O al di sotto del punto O
stesso, l’altra quando il baricentro è ugualmente posto sulla stessa verticale
ma al di sopra del punto fisso O. Nel primo caso, imprimendo un piccolo
spostamento al corpo, questo oscillerà mantenendosi nell’intorno della
posizione di equilibrio originaria, ossia mostrerà un comportamento stabile.
Se invece il corpo viene perturbato a partire dalla seconda posizione di
equilibrio, si metterà in moto allontanandosi dalla posizione di equilibrio,
comportamento che diremo instabile.
Dobbiamo quindi concludere che i comportamenti vibratori studiati in questo
capitolo rappresentano il comportamento tipico di un sistema perturbato
nell’intorno di una condizione di equilibrio stabile, e che si possono però
presentare forme di instabilità potenzialmente pericolose per il
funzionamento del sistema. Scopo di questo paragrafo è pertanto di
esaminare, a un livello introduttivo, in che modo possa essere determinata la
stabilità o instabilità di un sistema meccanico, e di introdurre alcune forme
tipiche di instabilità dei sistemi meccanici. In analogia con il resto del
capitolo, lo studio della stabilità sarà condotto limitatamente ai sistemi a un
grado di libertà. A differenza del resto del capitolo però, considereremo il
caso generale di un sistema governato da una equazione di moto non lineare,
in quanto l’analisi della stabilità di un sistema è intimamente correlata alla
presenza di non-linearità nell’equazione di moto.
Consideriamo allora un sistema a un solo grado di libertà retto
dall’equazione di equilibrio dinamico non-lineare:

(11.76)

471
Figura 11.18 Stabilità di un corpo rigido incernierato a terra e
soggetto alla forza peso.

in cui f rappresenta una qualsiasi funzione non lineare e x è la coordinata


libera scelta per descrivere il moto del sistema. Le posizioni di equilibrio del
sistema saranno caratterizzate da un valore costante della coordinata libera e
quindi da un valore nullo delle derivate di questa:
(11.77)

Sostituendo tale soluzione nella (12.11) si ottiene:

(11.78)

che, risolta, fornisce le posizioni di equilibrio del sistema. Si osservi che,


data la forma non lineare della (11.78), possono esistere più soluzioni
dell’equazione, e quindi lo stesso sistema può ammettere diverse posizioni di
equilibrio (per esempio le due diverse posizioni di equilibrio già descritte per
il pendolo).
Supponiamo ora che il sistema, inizialmente posto in una posizione di
equilibrio, venga perturbato assegnandogli nell’istante che chiameremo t = 0
una variazione della posizione δX e una variazione di velocità δV. Il sistema
reagirà compiendo un moto x( t) che rispetta la (12.11). Indichiamo con il
moto perturbato rispetto alla posizione di equilibrio della posizione e della
velocità del sistema:
(11.79)

Si dice che l’equilibrio del sistema rispetto alla posizione di equilibrio statico
esaminata è:
• stabile se il valore assoluto del moto perturbato, definito dalla 11.79,
si mantiene inferiore a una quantità prefissata e piccola a piacere,
purché le perturbazioni iniziali introdotte sul sistema siano
sufficientemente piccole, ossia se, prefissata una quantità ε > 0

472
piccola a piacere, è possibile determinare due quantità δ x > 0 e δ v > 0
tali che per ogni pertubazione iniziale tale da soddisfare le condizioni:

(11.80)
si ha:

(11.81)
• asintoticamente stabile se sono soddisfatte le condizioni del punto
precedente, e in aggiunta:

(11.82)

• instabile se non sono soddisfatte le condizioni del primo punto, ossia


se è possibile determinare anche solo una condizione iniziale piccola
a piacere a fronte della quale l’ampiezza del moto perturbato non si
mantiene piccola.
Un teorema dovuto a Lyapounov [17] consente di studiare la stabilità della
posizione di equilibrio attraverso la linearizzazione della equazione di moto
del sistema (12.11) nell’intorno della condizione di equilibrio considerata. In
particolare, il teorema di Lyapounov afferma che:
1. se il moto descritto dall’equazione linearizzata è asintoticamente
stabile, allora la posizione di equilibrio studiata è asintoticamente
stabile;
2. se il moto descritto dall’equazione linearizzata è instabile, la
posizione di equilibrio studiata è instabile;
3. se il moto descritto dall’equazione linearizzata è stabile non
asintoticamente, nulla si può concludere circa la stabilità della
posizione di equilibrio studiata.
Il vantaggio offerto dalla applicazione di questo teorema consiste nel fatto
che, come vedremo nel seguito, lo studio della stabilità del moto è
relativamente semplice nel caso di equazione di moto lineare o linearizzata.
Per determinare la forma linearizzata della Equazione (12.11), sviluppiamo
in serie di Taylor la funzione nell’intorno della condizione di
equilibrio descritta dalla (11.77) e trascuriamo i termini di ordine superiore al
primo nello sviluppo. Si ottiene:

473
(11.83)
e, sostituendo l’espressione del moto perturbato fornita dalla (11.79) e le
sue derivate rispetto al tempo tenendo conto che x 0 è costante si ottiene:

(11.84)

che costituisce l’equazione linearizzata di moto. Ponendo:

(11.85)

si riconosce che la forma dell’equazione linearizzata è quella tipica del moto


libero di un sistema vibrante a un grado di libertà, già studiata nel Paragrafo
11.4:
(11.86)
La differenza rispetto al caso delle vibrazioni libere già studiato è che in
questo caso i parametri r e k derivano dalla linearizzazione della funzione
non lineare , e pertanto possono assumere anche valori negativi.
Per studiare la stabilità dell’equazione linearizzata, ricordiamo che l’integrale
generale di una equazione avente la forma (11.86) è definito dalla:

(11.87)

in cui λ 1 e λ 2 sono le radici dell’equazione caratteristica:


(11.88)

che valgono:

(11.89)

Si distinguono i seguenti casi:


Caso 1: k > 0
Questo caso coincide con il Caso 1 del moto libero smorzato studiato nel
Paragrafo 11.4.2. Come già mostrato in quella sede, il movimento compiuto

474
dal sistema a fronte di una perturbazione (o condizione) iniziale è una
oscillazione smorzata, come mostrato in Figura 11.19, ossia un moto
asintoticamente stabile. Pertanto, in base al teorema di Liapounov, il sistema
risulta asintoticamente stabile nell’intorno della posizione di equilibrio
considerata.

Figura 11.19 Comportamento asintoticamente stabile con


oscillazioni.

Caso 2: k > 0 .
Questo caso coincide con il Caso 2 (o, al limite, con il Caso 3) del moto
libero smorzato studiato nel paragrafo 11.4.2. Il movimento prodotto da una
perturbazione applicata al sistema è in questo caso smorzato non oscillatorio,
come mostrato in Figura 11.20, quindi asintoticamente stabile. Anche in
questo caso si conclude quindi che il sistema è asintoticamente stabile
nell’intorno della posizione di equilibrio considerata.

Figura 11.20 Comportamento asintoticamente stabile senza


oscillazioni.

475
Caso 3: k > 0 r = 0.
L’equazione linearizzata di moto corrisponde in questo caso a quella del
moto libero non smorzato, studiato nel paragrafo 11.4.1. Il movimento
prodotto da una perturbazione applicata al sistema è quindi oscillatorio non
smorzato, come mostrato in Figura 11.21, quindi stabile non asintoticamente.
Nulla si può quindi concludere in base al teorema di Liapounov in merito
alla stabilità della posizione di equilibrio considerata.

Figura 11.21 Comportamento oscillatorio stabile, non


asintoticamente.

Caso 4: k < 0 r > 0.


In questo caso, le due radici caratteristiche risultano in base alla (11.89) reali,
una di segno negativo, l’altra di segno positivo. Il moto del sistema è quindi,
in base alla (11.88), somma di un termine esponenziale decrescente e di un

476
termine esponenziale crescente e complessivamente dà luogo ad un
movimento non oscillatorio che diverge dalla posizione di equilibrio, come
mostrato in Figura 11.22. Si conclude, quindi, che la posizione di equilibrio
considerata è instabile, in quanto per effetto della perturbazione iniziale
questo si allontanerà dalla posizione di equilibrio senza oscillare.

Figura 11.22 Instabilità di tipo divergenza.

Caso 5: k > 0
In questo caso, le due radici caratteristiche risultano in base alla (11.89)
complesse coniugate, con parte reale maggiore di zero. Con passaggi simili a
quelli riportati nel Paragrafo 11.4.2, si dimostra che il moto del sistema è in
questo caso oscillatorio espansivo, ossia con ampiezza delle oscillazioni
esponenzialmente crescente nel tempo, come mostrato in Figura 11.23. Si
conclude quindi che la posizione di equilibrio considerata è instabile, in
quanto per effetto della perturbazione iniziale il sistema innescherà una
oscillazione la cui ampiezza crescerà nel tempo, di modo che nelle fasi della
oscillazione corrispondenti alla massima escursione del sistema, questo si
allontanerà macroscopicamente dalla posizione di equilibrio originaria.
Questo tipo di comportamento è detto instabilità dinamica.

Figura 11.23 Instabilità dinamica o di tipo flutter.

477
Caso 6: k > 0 .
in questo caso, le due radici caratteristiche risultano ambedue reali positive, e
il moto espresso dalla (11.88) risulta divergente esponenzialmente, con
andamento simile a quello mostrato in Figura 11.22. Nell’intorno della
posizione di equilibrio considerata, il sistema dà quindi luogo a un
comportamento instabile di tipo divergenza.

11.7.1 Un esempio di instabilità dinamica


In questo paragrafo si vuole mostrare un semplice modello del fenomeno di
vibrazione auto-eccitata che si può produrre in un sistema vibrante per
effetto dell’attrito radente, quando il valore coefficiente di attrito decresce
con la velocità di strisciamento. A questo scopo, consideriamo il sistema
mostrato in Figura 11.24, costituito da un sistema massa-molla-smorzatore
poggiante su un supporto mobile dotato di una velocità V nel senso di
traslazione della massa vibrante. Ipotizziamo poi una caratteristica bi-lineare
del coefficiente di attrito radente in funzione della velocità di strisciamento,
come indicato in Figura 11.24, che approssima l’andamento effettivo
illustrato nel Capitolo 7.
Scegliamo come coordinata libera del sistema lo spostamento assoluto x
della massa, e ricaviamo l’equazione di moto del sistema con il metodo degli
equilibri dinamici. Le forze agenti sul sistema sono mostrate in Figura 11.25.
Si ha:
(11.90)

in cui T rappresenta la forza dovuta all’attrito radente, espressa come:

478
(11.91)

con verso opposto a quello della velocità di strisciamento V rel, che è


espressa come differenza tra la velocità V della guida e la velocità della
massa:
(11.92)
Supponendo che la velocità di strisciamento V rel tra la massa e la guida
rientri nel tratto a pendenza negativa della curva di Figura 11.24, il valore del
coefficiente di atrito può essere espresso come:
(11.93)

in cui – α è il coefficiente angolare del tratto a pendenza negativa della curva


f d( V rel ). Sostituendo le (11.91), (11.93) e (11.92) nella (11.90) si ottiene:

(11.94)

La posizione di equilibrio del sistema x 0 = cost è pertanto:

(11.95)
e l’equazione che rappresenta il moto perturbato nell’intorno di tale
posizione è:

(11.96)

Figura 11.24 Sistema vibrante su supporto mobile in presenza di


attrito e coefficiente d’attrito in funzione della velocità.

Figura 11.25 Forze agenti sul sistema.

479
Si osservi che, in funzione del valore numerico dei parametri r, α e m il
termine complessivo di smorzamento può diventare negativo, dando quindi
luogo in base al caso 5 della discussione precedente, a una instabilità
dinamica. Questo fenomeno, spesso indicato come “vibrazioni autoeccitate
per effetto dell’attrito”, è all’origine del funzionamento degli strumenti
musicali da arco (per esempio il violino), ma rende ragione qualitativamente
dello stridio talvolta emesso dai freni delle autovetture, che avviene a bassa
velocità per effetto della vibrazione dei dischi freno auto-eccitate dall’effetto
dell’attrito.

ESERCIZI SVOLTI
11.1 Il sistema mostrato in Figura 11.26 giace in un piano verticale ed è
composto da una puleggia che ruota attorno a un centro vincolato a muoversi
in direzione verticale e collegato per mezzo di una molla di rigidezza k a un
punto fisso. Sulla puleggia si avvolge una fune inestensibile che presenta una
estremità fissa e l’altra recante una massa vincolata a un carrello, con
direzione di scorrimento verticale. Sul carrello agisce una forzante armonica
di ampiezza F 0 e pulsazione Ω.

Figura 11.26 Sistema puleggia vincolata elasticamente (con fune


e massa).

480
Si richiede di:
1. scrivere l’equazione di moto del sistema;
2. ricavare la pulsazione propria del sistema;
3. determinare la risposta a regime del sistema alla forzante assegnata.
I dati numerici del problema sono: m C = 10 kg, J C = 1.25 kgm 2, m 2 = 20
kg, R = 0.5 m, k = 2 × 10 4 N/m, F 0 = 100 N, Ω = 31.4 rad/s.

Risoluzione
Punto 1 Osserviamo innanzitutto che nell’ipotesi di fune sempre tesa (a
causa del peso della massa m 1) e di assenza di strisciamento tra fune e
puleggia il sistema ha un grado di libertà. Scegliamo la rotazione θ del disco
come coordinata libera del sistema e utilizziamo il metodo delle equazione di
Lagrange per scrivere l’equazione del moto.
L’espressione dell’energia cinetica è:

in cui V C e V 1 sono rispettivamente le componenti scalari della velocità del


centro del disco e del carrello e ω D è la velocità angolare del disco.
Utilizzando semplici relazioni cinematiche è possibile esprimere tali
grandezze in funzione della derivata della coordinata libera:

481
Sostituendo queste relazioni nella espressione dell’energia cinetica e
raccogliendo opportunamente si ottiene:

L’energia potenziale del sistema è somma di un termine elastico associato


alla molla e di un termine gravitazionale associato al peso del disco e del
corsoio:

in cui è l’allungamento della molla e h C e h 2 sono l’innalzamento del


baricentro del disco e del corsoio. Queste grandezze possono essere espresse
in funzione della coordinata libera θ mediante i seguenti legami cinematici:

in cui si è ipotizzato che il valore nullo della coordinata libera corrisponda


alla posizione di molla inestesa. Sostituendo i legami cinematici nella
espressione dell’energia potenziale si ottiene:

mentre la funzione di dissipazione D è nulla in quanto nel sistema non sono


presenti smorzatori. Infine, il lavoro virtuale della forza F si esprime come:

essendo δy lo spostamento virtuale del corsoio (positivo se diretto verso


l’alto) prodotto da una variazione infinitesima δθ della coordinata libera.
Tale quantità può essere espressa come:

per cui l’espressione del lavoro virtuale diviene:

Applicando l’equazione di Lagrange:

si ottiene l’equazione di moto del sistema:

482
Punto 2 Poiché il sistema è privo di smorzamento, la pulsazione propria ω
è fornita dalla relazione:

Sostituendo i valori numerici del problema si ottiene ω =14.51 rad/s.


Punto 3 La forzante agente sul sistema è formata da una componente
costante associata alla azione della forza peso sul disco e sul corsoio, e da
una componente armonica prodotta dalla forzante F. Poiché l’equazione di
moto è lineare, vale la sovrapposizione degli effetti, la risposta complessiva
del sistema sarà la somma delle risposte alla sola forzante costante e alla sola
forzante armonica. Di queste, la prima è data dalla (11.31), la seconda dalla
(11.35) in cui l’ampiezza e la fase della vibrazione sono date dalle (11.37) e
(11.36), tenendo conto che in assenza di smorzamento si ha h = 0.
Sostituendo i valori numerici del problema si ottiene:

11.2 Il sistema mostrato in Figura 11.27 giace in un piano verticale ed è


composto da un’asta incernierata a una estremità e da una puleggia che ruota
attorno a un centro fisso. Sulla puleggia si avvolge una fune inestensibile
collegata da un lato all’asta e dall’altro a un gruppo molla-smorzatore, la cui
molla è dotata di una pre-deformazione in modo che la posizione di
equilibrio del sistema corrisponda alla condizione di asta orizzontale. Sul
disco agisce una coppia armonica C = C 0 cos(Ω t).
Si richiede di:
1. scrivere l’equazione di moto delle piccole oscillazioni del sistema
attorno alla posizione di equilibrio;
2. ricavare la pulsazione propria del sistema non smorzato, la frequenza
propria del sistema smorzato e il fattore di smorzamento;
3. determinare la risposta a regime del sistema alla forzante assegnata.
I dati numerici del problema sono: m a = 1 kg, J a = 0.1 kgm 2, L = 0.5 m, J d
= 0.2 kgm 2, R = 0.25 m, k = 50 N/m, r = 5 Ns/m, C 0 = 5 Nm, Ω = 5 rad/s.

Figura 11.27 Sistema dell’Esercizio 11.2.

483
Risoluzione
Punto 1 Nell’ipotesi di filo inestensibile, il sistema è dotato di un grado di
libertà. Scegliamo come coordinata libera la rotazione dell’asta θ, misurata a
partire dalla posizione di asta orizzontale.
L’energia cinetica del sistema è pari a:

in cui V G è il modulo della velocità del baricentro dell’asta e ω a e ω d sono


rispettivamente le velocità angolari dell’asta e del disco.
Utilizzando semplici relazioni cinematiche, è possibile esprimere tali
grandezze in funzione della derivata della coordinata libera:

in cui, grazie all’ipotesi di piccoli spostamenti del sistema, si sono introdotte


le approssimazioni:

Sostituendo queste relazioni nell’espressione dell’energia cinetica e


raccogliendo opportunamente si ottiene:

L’energia potenziale del sistema è somma di un termine elastico associato


alla molla e di un termine gravitazionale associato al peso dell’asta:

484
in cui è l’allungamento della molla e h G è l’innalzamento del baricentro
dell’asta. Queste grandezze possono essere espresse in funzione della
coordinata libera θ mediante i seguenti legami cinematici:

in cui nuovamente sono state utilizzate le approssimazioni del primo ordine


del seno e coseno della coordinata libera. Nell’espressione dell’allungamento
della molla, rappresenta la pre-deformazione necessaria a realizzare la
posizione di equilibrio assegnata dal problema, che potrà essere calcolato nel
seguito. Sostituendo i legami cinematici nell’espressione dell’energia
potenziale si ottiene:

La funzione di dissipazione D risulta:

avendo sostituito il legame cinematico:

Infine, il lavoro virtuale della coppia C si esprime come:

essendo δθ la rotazione virtuale del disco (positiva se diretta insenso anti-


orario) prodotta da una variazione infinitesima δθ della coordinata libera.
Tale quantità può essere espressa come:

per cui l’espressione del lavoro virtuale diviene:

Applicando l’equazione di Lagrange:

si ottiene l’equazione di moto del sistema:

485
Si osservi che, affinché θ = 0 sia posizione di equilibrio del sistema,
l’equazione di moto ottenuta sopra deve essere soddisfatta per:

imponendo tale condizione si ottiene:

che consente di calcolare la pre-deformazione della molla nella posizione di


equilibrio statico. Inoltre, tenendo conto della relazione ottenuta sopra,
l’equazione di moto si semplifica come segue:

Punto 2 La pulsazione propria del sistema non smorzato ω è fornita dalla


relazione:

Il fattore di smorzamento è il rapporto tra lo smorzamento del sistema e il


valore di smorzamento critico, ossia per il sistema considerato:

Infine la pulsazione propria del sistema smorzato ω d è data dalla relazione:

Punto 3 La forzante agente sul sistema è determinata dal solo effetto della
coppia armonica applicata al disco. Si osservi infatti che, nonostante il
sistema si muova nel piano verticale, l’effetto di forzamento prodotto dal
peso viene annullato dal precarico statico della molla. Questa circostanza
non è particolare di questo esercizio, ma si ottiene in tutti i sistemi lineari se
si sceglie come origine della coordinata libera la posizione di equilibrio
statico.
La risposta del sistema al forzamento armonico, in base alla (11.35), è una
oscillazione armonica alla stessa pulsazione della forzante, la cui ampiezza e
fase sono date dalle (11.37) e (11.36). Sostituendo i valori numerici del
problema si ottiene:

486
11.3 Un carrello di massa m urta con velocità iniziale V 0 un respingente di
massa trascurabile, avente rigidezza k e costante di smorzamento viscoso r
(Figura 11.28).

Figura 11.28 Sistema dell’Esercizio 11.3.

Detto t = 0 l’istante in cui il carrello colpisce il respingente, e ipotizzando


che in tutti gli istanti successivi carrello e respingente si mantengano in
contatto, si richiede di:
1. scrivere l’equazione di moto del carrello, per t > 0;
2. ricavare la pulsazione propria del sistema non smorzato, la frequenza
propria del sistema smorzato e il fattore di smorzamento;
3. determinare il movimento del sistema per t > 0.
I dati numerici del problema sono: m = 1000 kg, k = 4.9 E4 N/m, r = 2800
Ns/m, V 0 = 5 m/s. Si consideri trascurabile il momento d’inerzia delle ruote
del carrello.

Risoluzione
Punto 1 Introduciamo come coordinata libera del sistema lo spostamento x
del carrello, misurato a partire dalla posizione in cui il carrello entra in
contatto con il respingente, che corrisponde anche alla posizione di molla
inestesa. Considerando il carrello in contatto con il respingente, l’equazione
di moto del sistema diviene:

Punto 2 La pulsazione propria del sistema non smorzato ω è fornita dalla


relazione:

Il fattore di smorzamento è il rapporto tra lo smorzamento del sistema e il

487
valore di smorzamento critico, ossia per il sistema considerato:

Infine la pulsazione propria del sistema smorzato ω d è data dalla relazione:

Punto 3 Poiché lo smorzamento è inferiore al valore critico, il movimento


del sistema è descritto dalla equazione (11.23):

in cui:

mentre A e B sono due costanti che devono essere determinate imponendo le


condizioni iniziali del moto. Nell’istante iniziale t = 0 in cui la massa entra
in contatto con il respingente, la posizione del sistema è x 0 = 0 (perché la
molla è inestesa) e la velocità iniziale è V 0 assegnata. Si hanno pertanto le
seguenti condizioni iniziali:

la prima condizione, sostituita nella legge di moto, fornisce:

per imporre la seconda condizione, deriviamo rispetto al tempo la legge di


moto, considerando A = 0:

da cui, imponendo la condizione iniziale sulle velocità, si ottiene:

Il movimento del sistema è quindi:

La legge di moto del sistema è rappresentata in Figura 11.29: si osservi che il


massimo spostamento del sistema è di circa 0.54 m, e che il moto oscillatorio
conseguente l’urto con il respingente si smorza in circa 3 secondi.

488
Figura 11.29 Grafico della legge del moto del sistema Esercizio
11.3.

489
CAPITOLO 12 Elementi di controllo
e regolazione di sistemi dinamici

Con i termini controllo e regolazione si intende, in generale, l’idea di


intervenire su un dato sistema per ottenere le caratteristiche di
comportamento desiderato rispetto a un dato obiettivo. Una macchina è
definita come un sistema progettato per svolgere una data funzione e in tale
definizione è già implicito il concetto di controllo e regolazione, nel senso
che l’obiettivo della macchina diventa proprio l’eseguire, secondo
determinati comandi, certe funzioni e quindi, per esempio, seguire leggi di
moto predeterminate oppure ottenere andamenti richiesti ad alcune
grandezze caratterizzanti il funzionamento della macchina stessa.
Controllare un sistema significa fare in modo che esso segna la legge di moto
desiderata. Tale azione di controllo viene svolta o attraverso attuatori
autocontrollati (si pensi a motori elettrici asincroni trifase) o attraverso
l’azione di un operatore a cui si sono ispirati tutti i sistemi automatici di
controllo.
Nel seguito faremo riferimento al caso dei sistemi meccanici in generale,
intendendo con tale termine sia sistemi dotati di moto in grande sia sistemi
oscillanti intorno a una posizione di equilibrio di quiete o di regime.
Per esempio, in un motore si dovrà poter variare il momento motore in modo
da adeguarlo al momento resistente al fine di ottenere l’andamento
desiderato della posizione o della velocità angolare. A tale scopo, il motore
avrà un organo di regolazione costituito, nel caso del motore a combustione
interna, dalla farfalla di regolazione della portata d’aria sull’aspirazione, da
un iniettore nel caso di motori diesel, o ancora da valvole di parzializzazione
nei casi di una turbina a vapore. Nei motori elettrici in corrente continua la
regolazione avviene variando la tensione di alimentazione, mentre nei motori
in corrente alternata la regolazione avviene agendo sulla corrente e sulla
frequenza di alimentazione.
Sempre a titolo d’esempio, se si considera una macchina utensile tipo tornio
parallelo, si avrà la necessità di controllare gli spostamenti e la velocità di
rotazione del mandrino in maniera da eseguire correttamente la lavorazione

490
desiderata.
Altre macchine ancora richiedono la necessità di mantenere costante una
determinata grandezza: per esempio, in una macchina tessile la tensione di
un tessuto che si svolge da un rullo per riavvolgersi su di un’altro e così via.
È possibile individuare da subito una importante suddivisione tra due diversi
tipi di intervento di regolazione o controllo.
• Sistemi di controllo in anello aperto: in tale schema, come mostrato in
Figura 12.1, l’ingresso di riferimento z r ( t) che rappresenta
l’obiettivo desiderato viene passato al controllore che in funzione di
esso definisce un comando u c ( t) per un attuatore che esercita una
forza di controllo f c( t). Questa si combina con le azioni esterne e con
le eventuali azioni di disturbo f d ( t) a dare la forza totale agente sul
sistema. La risposta del sistema alla forza complessiva è la grandezza
z ( t) che assume il ruolo di variabile controllata.

Figura 12.1 Schema a blocchi di un sistema di regolazione in


anello aperto.

La regolazione in anello aperto implica che bisogna conoscere


con accuratezza la dinamica del sistema o attraverso un modello
matematico o attraverso misure sperimentali, in modo da
conoscere con precisione i legami tra uscita e ingresso. In un tale
sistema, la forza di controllo f c ( t) non dipende dallo stato
effettivo del sistema e pertanto, se cause esterne e incertezze sulla
conoscenza del modello fanno sì che lo stato del sistema devii da
quello desiderato, non c’è alcun modo di correggere tale
comportamento. Un sistema ad anello aperto può essere
paragonato a un dispositivo di comando a distanza in cui ci si
limita a trasmettere, attraverso un opportuno dispositivo, il
comando senza verificare che esso sia stato eseguito.

491
• Sistemi di controllo in anello chiuso: in questo schema di controllo,
come indicato in Figura 12.2, si introduce un elemento addizionale
costituito da un sensore o trasduttore. Il trasduttore misura la variabile
controllata z ( t) e invia la corrispondente informazione al controllore.
Il controllore riceve il segnale di riferimento (o lo genera) ed elabora
il segnale errore come differenza tra riferimento e valore misurato,
generando il segnale di controllo che viene inviato all’attuatore che ha
il compito di realizzare la forza di controllo f c ( t). Un tale sistema
prende il nome di sistema di controllo retroazionato o in anello
chiuso.
Il controllo in retroazione può avvenire in modo automatico o
manuale. Per render l’idea si pensi al caso di una autovettura in
cui l’autista, in base alla lettura del tachimetro che fornisce il
valore della grandezza controllata

Figura 12.2 Schema a blocchi di un sistema di regolazione in


anello chiuso.

(la velocità) decide se aumentare o diminuire la pressione


sull’acceleratore in modo da riportare la velocità al valore
desiderato. L’anello di controllo è, in questo caso, chiuso
dall’autista che legge il valore della velocità, la confronta col
valore desiderato e si regola di conseguenza agendo
sull’acceleratore o il freno. L’autista fa la funzione del
controllore. Come ulteriore esempio si pensi al timoniere di una
nave che deve seguire una rotta assegnata: egli, in base alla lettura
della bussola che fornisce il valore della grandezza controllata (la
rotta), decide quali correzioni dare al timone (attuatore) in modo
da riportare la nave sulla rotta desiderata. Le operazioni che nel
caso della regolazione manuale sono eseguite dall’uomo, possono

492
essere eseguite automaticamente.
Come detto, obiettivo di ogni sistema di controllo è che la variabile
controllata si discosti il meno possibile dall’andamento desiderato; da questo
punto di vista la situazione ideale è che il sistema realizzi una perfetta
coincidenza tra valore desiderato z r ( t) della variabile controllata e valore
effettivo z ( t).
Se si pensa però ai fenomeni dinamici che possono aver luogo, alla presenza
di disturbi e a tutte le incertezze presenti nel modello che rendono incerta
l’attuazione del controllo stesso, è chiaro come tale risultato sia
irraggiungibile. Occorrerà quindi richiedere più ragionevolmente che l’errore
risulti piccolo in tutte le condizioni di funzionamento prevedibili. Nel
funzionamento del sistema, della macchina o dell’impianto controllato, si
debbono considerare infatti anche le azioni di disturbo. È precisamente la
presenza dei disturbi che rende necessario un sistema di controllo, avente lo
scopo di mantenere la grandezza regolata quanto più possibile vicina al
valore desiderato, malgrado i disturbi.
Pensando, per esempio, al regolatore di velocità di una turbina accoppiata a
un utilizzatore, di fronte a un aumento del momento resistente, il sistema di
controllo dovrebbe, con la maggior prontezza possibile, aprire il distributore
della turbina così da adeguare il momento motore al nuovo valore del
momento resistente con scarti accettabili della velocità rispetto al valore
prescritto, sia nel nuovo regime che si viene a stabilire, sia durante il
transitorio.
Riferendoci ancora al sistema di pilotaggio automatico di una nave, si
comprende come qualora esso sia tale da dare al timone spostamenti dalla
posizione neutra esclusivamente proporzionali al segnale d’errore (differenza
tra la rotta desiderata e rotta attuale), esso si comporterebbe come un
timoniere poco esperto: infatti, il sistema di pilotaggio riporterebbe il timone
in posizione neutra solo quando l’asse della barca ha riassunto la direzione
prestabilita. Ma a tale orientamento la nave è giunta con una certa velocità
angolare, tanto maggiore quanto più energico è stato l’intervento correttivo;
l’inerzia rotatoria della nave provocherà allora una deviazione in senso
opposto con un conseguente avanzamento serpeggiante della nave. Per
ovviare a tali problemi, occorre che il sistema di controllo agisca non solo in
funzione del segnale errore ma anche in funzione della derivata di detto
segnale rispetto al tempo. Ciò corrisponde a quanto farebbe un timoniere

493
esperto, che appena vede che l’imbarcazione ha cominciato a ruotare nel
verso voluto, modera l’azione sul timone fino ad annullarla o anche a
invertirla facendo sì che la nave assuma l’orientamento voluto con velocità
angolare pressoché nulla.
Più precisamente, le caratteristiche fondamentali che un sistema di controllo
deve possedere sono le seguenti:
• la asintotica stabilità; infatti il controllore, applicando un’azione
funzione dello stato del sistema (assimilabile a una forza di campo),
modifica la stabilità del sistema, e pertanto diviene necessaria una
verifica di stabilità;
• una prontezza di risposta adeguata: di fronte a una brusca variazione
della variabile controllata si richiede che la risposta del sistema tenda
ad adeguarsi al nuovo valore dell’ingresso il più rapidamente
possibile. Nel caso in cui poi l’andamento della risposta risulti
oscillante, si vuole che le sovraelongazioni siano contenute.
Si parla inoltre di requisiti statici qualora un sistema di controllo debba
operare essenzialmente in condizioni di regime, ossia la durata dei transitori
sia piccola rispetto alla durata del regime. Si comprende l’importanza del
richiedere al sistema di controllo che, una volta esauriti i transitori, l’errore a
transitorio esaurito si mantenga entro i limiti ritenuti accettabili in funzione
dell’applicazione.
Nel seguito verranno riportate un’applicazione legata alla regolazione di
velocità di una macchina MTU e successivamente a un problema di
riduzione delle vibrazioni mediante un sistema di controllo attivo. Tali
esempi hanno lo scopo di chiarire come le azioni di controllo divengano
parte integrante del sistema meccanico e quindi della fase di progettazione.
Non vogliono, viceversa, avere la pretesa di un approfondimento sulla teoria
del controllo e sulle relative metodologie per le quali si rimanda alla
letteratura specialistica.

12.1 Stabilità e regolazione di una macchina MTU


Le macchine motrici sono, in generale, provviste di dispositivi che
permettono di variare l’energia fornita nell’unità di tempo alla macchina e da
questa trasformata in energia meccanica. Per esempio, nel caso di motori
idraulici, a vapore, a combustione interna, ciò viene ottenuto variando la

494
portata del fluido operante nella macchina motrice. Nel caso di motori
elettrici si agisce invece sulla tensione di alimentazione o altri parametri
(flusso di eccitazione, frequenza… ) caratteristici del motore stesso. Questa
situazione può essere rappresentata matematicamente considerando il
momento motore M m come una grandezza dipendente sia dalla velocità
angolare sia dal valore di una variabile di controllo Y:
(12.1)

Analogamente, il momento resistente M r dipende dalle condizioni


dell’impianto: queste possono essere individuate, per esempio, dal valore
assunto da una variabile Z modificabile secondo le esigenze dell’utenza. Si
può quindi scrivere:
(12.2)
Si consideri ora l’esempio di una macchina in cui il rendimento della
trasmissione è unitario, il momento motore M m è espresso dalla (12.1), e il
momento resistente ridotto all’albero motore M r è espresso dalla (12.2). Sia
J l’inerzia della macchina ridotta all’albero motore (che si suppone
costante), l’equazione di moto della macchina diviene:
(12.3)
e la condizione di regime, come riportato nella Figura 12.3, è caratterizzata
dalla condizione:
(12.4)

dove con si è indicata la velocità angolare di regime del motore ( ω 1 e ω 2


in Figura 12.3), con e rispettivamente i valori assunti dalla variabile di
controllo e dal carico in tale posizione di equilibrio.
Volendo ora analizzare le perturbazioni nell’intorno di tale posizione di
equilibrio, e quindi la stabilità della condizione di regime e l’effetto di
piccole variazioni della variabile di controllo e del carico, si deve sviluppare
in serie di Taylor l’Equazione (12.3) nell’intorno della posizione , e ,
ponendo

495
(12.5)

Figura 12.3 Condizioni di funzionamento a regime assoluto della


macchina.

avendo indicato con:


(12.6)

le perturbazioni delle variabili Ω, Y e Z rispetto alla condizione di regime.


Sostituendo le (12.5) nell’Equazione (12.3) e tenendo presente la condizione
di equilibrio nella (12.4), si ottiene l’equazione:

(12.7)

lineare a coefficienti costanti, per la quale, valendo la sovrapposizione degli


effetti, si possono studiare separatamente la stabilità del regime (attraverso la
soluzione dell’equazione omogenea associata), gli effetti di una variazione
della variabile di controllo δY e di variazioni di carico δZ.

12.1.1 Stabilità del regime della macchina


Si è già esaminato, nel Capitolo 11, il problema della stabilità di un sistema
meccanico nell’intorno di una data condizione di equilibrio o di regime.
Anche per una macchina MTU si può porre il problema della stabilità del
funzionamento, considerando una macchina funzionante in una condizione di
regime, e l’intervento di una perturbazione che determina una (piccola)

496
variazione δΩ della velocità angolare.
Considerando nulle le variazioni δY e δZ della variabile di controllo e del
carico della macchina, la (12.7), diviene:

(12.8)

che ammette soluzione del tipo:


(12.9)

con A dipendente dalle condizioni iniziali. Sostituendo la forma della (12.9)


nella (12.8) si trova:

(12.10)

Supponendo, inoltre, che la perturbazione iniziale sia per t


= 0, la soluzione dell’Equazione omogenea associata 12.8 è:

(12.11)

in cui la quantità T, definita come:

(12.12)

e omogenea dimensionalmente con un tempo è detta costante di tempo. Per


T > 0 (ovvero per k R - k M > 0) la perturbazione δΩ di tende
asintoticamente a zero; dopo un tempo t = 3 T il valore di δΩ si riduce al 5%
circa di δΩ 0 (Figura 12.4). La situazione di regime è pertanto stabile.

Figura 12.4 Andamento nel tempo di una perturbazione δΩ per


un sistema stabile.

497
Viceversa, se k R - k M < 0 la costante T diviene negativa e l’Equazione
(12.11) rappresenta un andamento esponenziale crescente della perturbazione
δΩ. Si ricade quindi nel caso di instabilità di tipo divergenza introdotta nel
Paragrafo 11.7.

12.1.2 Effetti di una variazione della grandezza


regolante
Si ipotizzi ora il caso in cui la condizione di regime considerata sia stabile, e
si consideri l’effetto di una variazione δY della grandezza regolante.
L’equazione di moto linearizzata del sistema diviene:

(12.13)

la cui soluzione è somma dell’integrale generale dell’equazione omogenea


associata, rappresentato dalla (12.11), e di un integrale particolare
dell’Equazione completa (12.13), per determinare il quale occorre conoscere
l’andamento di δY in funzione del tempo. Di particolare interesse sono le
forme in cui:
• δY è un gradino, pari a δY 0 = cost da un determinato tempo in poi;
• δY ha un andamento armonico in cui Ω Y è la pulsazione
che descrive la variazione della grandezza regolata, e in cui si utilizza
la notazione complessa per rappresentare una funzione armonica,
come introdotto nel Paragrafo 11.11.
Con riferimento al caso di andamento armonico di δY, ricordiamo dal
Paragrafo 11.5.3 che tale andamento può essere anche considerato come un
singolo termine dello sviluppo in serie di Fourier di una qualsiasi legge
periodica di variazione della grandezza regolante δY( t), nel qual caso la

498
risposta complessiva del sistema alla variazione periodica della grandezza
regolante può essere ottenuta mediante il principio di sovrapposizione degli
effetti.
Consideriamo in primo luogo il caso di variazione a gradino di δY. Posto δY
= 0 per t < 0 e δY = δY 0 per t > 0, l’integrale particolare è:

(12.14)

La soluzione complessiva della (12.13) è allora:

(12.15)
con A costante d’integrazione dipendente dalla condizione iniziale, che, per
il caso in esame, è δΩ(0) = 0, imponendo la quale si ottiene:

(12.16)

che sostituita nella (12.15) fornisce l’espressione:

(12.17)

dell’andamento nel tempo del transitorio della perturbazione di Ω provocata


da un gradino δY 0. Il rapporto tra la grandezza regolata e regolante
costituisce la risposta al gradino (unitario) del sistema.
Consideriamo ora il caso di una variazione armonica della grandezza
regolante. Utilizzando la notazione complessa, la (12.13) diviene:

(12.18)

Dividendo per il coefficiente di δΩ si ha poi, per quanto visto in precedenza:

(12.19)

La soluzione, anche in questo caso, è somma dell’integrale generale


dell’Equazione (12.11) e di un integrale particolare. Poiché il sistema è
stabile, la (12.11) mostra che il primo di questi due termini è destinato a
diventare trascurabile dopo un tempo pari a circa tre volte la costante di

499
tempo del sistema. La soluzione a regime della (12.19) è pertanto
rappresentata dal solo integrale particolare, che prende la forma armonica:

(12.20)

Sostituendo tale soluzione nell’Equazione (12.19) si ha:

(12.21)

da cui si ottiene:

(12.22)

Il rapporto definisce la funzione di trasferimento armonico


del sistema regolato. Nel caso in esame tale funzione di trasferimento è
pertanto data da:

(12.23)

Nota la funzione di trasferimento armonico, la risposta δΩ p della grandezza


regolata rispetto a un ingresso armonico con ampiezza Y della grandezza
regolante è allora data da:

(12.24)

A partire da tale funzione, è possibile analizzare:


• la stabilità del sistema;
• l’ errore a regime (detto errore di statismo) e quello di
sovraelongazione della risposta (denominato overshoot);
• la prontezza, ovvero la rapidità di adattamento della grandezza
regolata all’andamento imposto della grandezza regolante.
La funzione di trasferimento armonico rappresenta la risposta in frequenza
(si pensi a Ω Y variabile) a un ingresso Y armonico e unitario. La
rappresentazione grafica di questa funzione di trasferimento
convenzionalmente si realizza in forma cartesiana ( diagramma di Bode) o
polare ( diagramma di Nyquist). In un diagramma di Bode (Figura 12.5), si
riporta la funzione di trasferimento armonico in funzione della variabile reale

500
Ω Y
su un diagramma cartesiano che riporta l’andamento di G( iΩ Y) in
modulo e fase, usualmente con scala logaritmica dell’asse delle frequenze. Il
modulo | G( iΩ Y)| si esprime in dB secondo l’espressione:

(12.25)

Figura 12.5 Diagramma di Bode.

Figura 12.6 Diagramma di Nyquist.

501
La fase è espressa in gradi. Si veda per esempio la rappresentazione della
(12.23) secondo Bode. Si noti che:

(12.26)

Nella rappresentazione polare, la G( jΩ Y) è costituita dal luogo dei punti


(vettore P - O nella Figura 12.6) in campo complesso.
Il valore Ω Y = 1/ T prende il nome di frequenza di taglio e definisce il limite
superiore della banda passante oltre il quale il guadagno opera una sempre
più marcata riduzione degli effetti della variabile regolante Y su quella
regolata. Se allora si intende imporre una variazione (di velocità angolare nel
caso in esame) con legge periodica, questa non sarà riprodotta in maniera
accettabile se il contenuto armonico eccede la banda passante. Bisognerà
quindi diminuire la costante di tempo T, ovvero agire aumentando il termine
k R - k M.

12.1.3 Effetti di una variazione della grandezza regolata


Riprendiamo ora in esame l’effetto di una variazione del carico. Si deve
studiare l’equazione di moto linearizzata:

(12.27)

la cui soluzione sarà, come nel paragrafo precedente, somma dell’integrale


generale dell’equazione omogenea associata, definito dalla (12.11), e
dell’integrale particolare dell’equazione completa (12.27). Anche in questo
caso, ipotizzando la stabilità della condizione di regime considerata,
possiamo affermare che l’integrale generale dell’omogenea associata in
breve tempo risulterà trascurabile, e ci limitiamo quindi allo studio
dell’integrale particolare della (12.27).
Consideriamo, per esempio, una variazione a gradino δZ 0 del carico che
avviene all’istante t = 0. In base a quanto già trovato nella (12.17),
l’andamento della variazione di δΩ della grandezza regolata è dato da:

502
(12.28)

A regime, per , si ha poi:

(12.29)

Quindi permane uno scostamento rispetto alla velocità originaria, da cui si


definisce un errore di statismo s dato dalla derivata cambiata di segno:

(12.30)

Anche l’errore di statismo si riduce all’aumentare di k R - k M.

12.2 Regolazione ad anello chiuso


Nel paragrafo precedente è stata considerata la regolazione del sistema in
anello aperto, ossia nel caso in cui la variazione della variabile di controllo Y
sia assegnata indipendentemente dall’andamento della variazione della
velocità angolare δΩ della macchina.
Una seconda soluzione prevede, come anticipato, di intervenire in modo
automatico sull’organo di comando al fine di controllare il valore
effettivamente assunto dalla variabile regolata, nell’esempio la velocità
angolare. Tale modalità di regolazione si dice ad anello chiuso, e per
realizzarla occorre disporre di adeguati strumenti di misura (nel caso visto di
un misuratore di velocità angolare, quale un tachimetro) per rilevare la
grandezza controllata e utilizzare l’informazione contenuta nel segnale di
retroazione R prodotto dalla caratteristica G r dello strumento inserito nella
linea di retroazione. Il segnale R, in genere proporzionale alla grandezza X
regolata, viene confrontato nel “nodo comparatore” con il segnale di
riferimento W, ottenendo un segnale di errore E che determina il valore Y
della variabile controllante tramite una opportuna funzione stabilita dal
controllore G c.
Un sistema di regolazione deve quindi comprendere (Figura 12.7):
• un misuratore della grandezza regolata X con il relativo dispositivo
(condizionatore) che trasforma l’indicazione fornita dal misuratore e

503
genera il segnale di retroazione;
• un generatore del segnale di riferimento W, che trasforma
opportunamente la grandezza in ingresso (comando comunicato al
sistema) in un segnale omogeneo e confrontabile con quello di
retroazione R;
• un dispositivo che confronta il segnale di riferimento W con il segnale
di retroazione R per generare un segnale di differenze E = W - R;

Figura 12.7 Schema di un sistema di regolazione: G w


generatore del segnale di riferimento, G r generatore del
segnale di retroazione, G c elementi di controllo
(manipolatori, amplificatori ecc.), G s sistema meccanico
regolato.

• un complesso G c di manipolatori del segnale differenza e di


amplificatori che forniscono la potenza occorrente per agire
sull’organo di regolazione, facendo variare la grandezza regolante Y;
• l’organo finale di regolazione che regola la potenza fornita dal motore
al sistema regolato e per conseguenza la grandezza regolata stessa X.
Si ipotizzi ora di effettuare una regolazione della macchina MTU in cui il
parametro di controllo del motore Y vari in modo automatico come una
funzione proporzionale all’errore tra la velocità angolare del motore e un
valore desiderato Ω rif.
Ricordando l’equazione della macchina:

(12.31)

si consideri ora δY dipendente, mediante una relazione puramente


proporzionale, dal segnale differenza tra la velocità desiderata Ω rif e la
velocità attuale Ω R della macchina retroazionata mediante il sensore (tale

504
logica è detta regolazione proporzionale):
(12.32)
dove il segnale Ω R di retroazione è proporzionale alla velocità angolare della
macchina tramite una costante a detta guadagno della catena di retroazione:

(12.33)

Ricordando che , il segnale di comando δY assume la forma:

(12.34)

avendo indicato con δΩ rif lo scostamento del valore di riferimento dalla


velocità di regime .
Sostituendo nella (12.31), si ottiene:

(12.35)

ossia, con le semplificazioni: k w = k Y p e k a = k Y pa:

(12.36)

che mostra come, a causa dell’anello di regolazione, vengono modificate le


caratteristiche di stabilità e di risposta a segnali di comando e di disturbo.
Infatti, riprendendo quanto visto nel caso di regolazione ad anello aperto, la
stabilità del regime è regolata dal parametro T che ora assume la forma:

(12.37)
che deve risultare positivo per garantire una condizione di regime stabile. Il
sistema meccanico può essere reso stabile anche per valori di k M > k R pur di
rendere sufficientemente elevato il termine k a = k Y pa agendo sui parametri
a del segnale di retroazione (utilizzando un tachimetro molto sensibile) e p
dell’anello di regolazione proporzionale. La diminuzione della costante di
tempo riduce di conseguenza l’esaurirsi dei transitori, e in pratica è come se
si fosse aumentata la pendenza (negativa) delle curve caratteristiche del
motore dal valore k M (< 0) al valore k M - k a (con k a > 0). Per quanto
concerne la risposta del sistema regolato ai disturbi, analogamente a quanto
fatto per il sistema ad anello aperto, si ha che:

505
(12.38)
ossia permane un errore di statismo:

(12.39)
che risulta però più piccolo di quello ad anello aperto per effetto del termine
ka .
L’Equazione (12.38) mostra uno scostamento δΩ costante in risposta a un
disturbo costante. L’errore di statismo è la diretta conseguenza della
regolazione proporzionale: se infatti varia il carico, si può ottenere una nuova
condizione di regime alla stessa velocità solo con un diverso valore del
momento motore, quindi del segnale di comando e in definitiva del segnale
differenze e; visto che non è mutato il segnale di riferimento, deve
permanere necessariamente uno scostamento della grandezza regolata. Se k a
= k Y pa è molto maggiore della differenza k R - k M, lo statismo risulta
indipendente dalla pendenza delle curve caratteristiche:

(12.40)
e diminuisce al crescere dei guadagni a della linea di retroazione e p della
linea diretta. Il guadagno però non può essere aumentato a dismisura,
altrimenti a piccole variazioni della grandezza regolata corrispondono elevati
valori del comando δY che, essendo limitato, va in saturazione e trasforma
la regolazione da proporzionale a quella tutto o niente.

Regolazione Integrale
Nella regolazione integrale il comando δY si fa dipendere in modo
proporzionale (tramite un guadagno b) all’integrale dell’errore e:

(12.41)

L’organo di comando non interviene istantaneamente, bensì dopo un certo


tempo in cui l’errore perdura; l’azione presenta così un ritardo che da un lato
può avere effetti negativi, dall’altro riesce a ridurre e annullare lo statismo.
Infatti, l’equazione di moto diventa:

506
(12.42)

Derivando la precedente rispetto al tempo, si ottiene:

(12.43)

che mostra come la funzione di trasferimento tra δΩ e δΩ rif dipenda solo dai
parametri del regolatore.

Regolazione derivativa
Nella regolazione derivativa, viceversa, il comando δY viene fatto dipendere
in modo proporzionale (tramite un guadagno c) dalla derivata dell’errore e:

(12.44)

che sostituita nell’equazione di moto porta a:

(12.45)

ovvero:

(12.46)

in cui risulta come il parametro k Y ca sia paragonabile a un’inerzia


aggiuntiva J c e permetta in tal modo di modificare, ancora una volta, la
costante di tempo del sistema:

(12.47)

Regolazione PID
Nella regolazione industriale, in funzione dell’applicazione, si realizza un
controllore che intervenga con un comando che dipende dai tre contributi
analizzati separatamente in precedenza, ovvero un primo contributo
proporzionale all’errore, un secondo contributo proporzionale al suo
integrale e infine un terzo contributo proporzionale alla derivata dell’errore
stesso:

(12.48)

507
che sostituita nell’equazione di moto porta a:

(12.49)
avendo posto J c = k Y ca, k a = k Y pa e k b = k Y ba. Modificando quindi i
parametri del regolatore a, b e p, è possibile modificare il comportamento
del sistema sia in termini di stabilità, sia di risposta a variazioni della
grandezza regolata Ω rif o dei disturbi Z.

12.3 Controllo delle vibrazioni


In questo paragrafo, si applicano i concetti generali di controllo e regolazione
precedentemente esposti al caso in cui si voglia controllare il movimento di
un sistema vibrante a un grado di libertà. Come mostrato nel Capitolo 11,
l’equazione che dobbiamo considerare è in questo caso:
(12.50)

in cui z è la coordinata libera che descrive la vibrazione del sistema, e f c( t) è


una azione di controllo che viene applicata sul sistema al fine di realizzarne
il moto voluto, definito dalla legge di moto del riferimento z r :
(12.51)
Si consideri un primo esempio costituito dal sistema vibrante a un grado di
libertà rappresentato in Figura 12.8: esso presenta la funzione di
trasferimento tra forza in ingresso e spostamento in uscita riportata anch’essa
(in modulo) nella stessa figura.
Per controllare il sistema e ottenere una legge di moto desiderata z r (per
esempio come in Figura 12.9a), occorre che lo spettro di z r abbia contenuti
armonici a frequenze tutte contenute nella zona quasi statica (Figura 12.9b).
Nell’esempio mostrato, il sistema risulta difficilmente controllabile in tutto il
campo di frequenze interessato dalla legge di moto di riferimento
considerata, nel senso che risulta difficile l’attuazione di una legge di moto
che presenti un contributo in frequenza prossimo alla risonanza del sistema
(soprattutto se lo smorzamento è piccolo e di valore incerto) o nella zona al
di sopra della risonanza (dove si hanno bassissimi valori della funzione di

508
trasferimento).

Figura 12.8 Sistema vibrante ad un grado di libertà: modulo della


funzione di trasferimento tra forza e spostamento al variare del
fattore di smorzamento.

Si può allora pensare di agire sul sistema modificandone la funzione di


trasferimento, ampliandone la zona quasi statica e/o aumentando il fattore di
smorzamento. Ciò può essere fatto sia intervenendo sulle proprietà fisiche di
massa, rigidezza e smorzamento del sistema, ossia modificando i parametri
m, r, k dell’Equazione di moto (12.50), sia modificando la funzione di
trasferimento del sistema mediante un opportuno controllo in retroazione,
come sarà meglio mostrato nel seguito.
Come mostrato nel Capitolo 11, la risposta in frequenza di un sistema
dipende essenzialmente da due parametri, la pulsazione propria del sistema e
il fattore di smorzamento adimensionale. Nella teoria del controllo, si
riassume questa circostanza affermando che il sistema vibrante considerato
in questo paragrafo possiede due esponenti caratteristici o autovalori o poli
λ 1,2, che assumono generalmente valori complessi coniugati:
(12.52)

la cui parte immaginaria ω definisce la pulsazione propria del sistema


mentre la parte reale α definisce il parametro di smorzamento delle
oscillazioni, essendo il rapporto α/ ω il fattore di smorzamento
adimensionale.
Controllare un sistema nei termini sopra descritti, ossia modificandone la
pulsazione propria e il fattore di smorzamento, corrisponde a modificare la

509
Figura 12.9 Legge di moto desiderata z r (a) e relativo spettro a
confronto con la funzione di trasferimento del sistema in oggetto
(b)

posizione nel piano complesso degli autovalori, e quindi la sua funzione di


trasferimento. Per ottenere questo, si devono esercitare forze che dipendono
dallo stato del sistema stesso e quindi dal valore dello spostamento e della
velocità di parti del sistema. L’introduzione di forze dipendenti dallo
spostamento e dalla velocità si traduce, per i sistemi meccanici, in una
modifica dei parametri di rigidezza e di smorzamento del sistema. Questa
operazione, nel caso di controllo passivo, viene effettuata con opportuni
attuatori passivi (molle e ammortizzatori) ovvero senza che vi sia bisogno di
introduzione di energia esterna. In alternativa, per ottenere lo stesso scopo, si
possono utilizzare attuatori attivi elettrici, idraulici o pneumatici, che
esercitano delle azioni dipendenti dalle variabili di stato, attraverso strategie
di controllo in retroazione.
Un particolare modo di esercitare delle azioni di controllo per attuare la
legge voluta e modificare conseguentemente la sua funzione di trasferimento,
consiste nel definire le azioni in modo da farle dipendere dalla differenza tra
la legge desiderata z r e lo stato misurato z.
Si consideri, per esempio, un sistema vibrante a un solo grado di libertà z
sotto l’azione di un attuatore attivo in grado di fornire una forza di controllo
f c ( t) proporzionale all’errore tra una legge desiderata z r e la posizione z ( t)
del sistema:
(12.53)

L’azione di controllo in retroazione si traduce in una modifica delle

510
caratteristiche del sistema stesso in termini di rigidezza k p e in un’azione
dipendente da z r assimilabile ad un’azione di feed forward:

(12.54)

L’azione di controllo ha così modificato gli autovalori del sistema (cioè la


frequenza propria e il fattore di smorzamento) e la sua funzione di
trasferimento, mostrata in Figura 12.10.
Se ora si definisce un’azione di controllo proporzionale non solo all’errore
tra il valore desiderato e la posizione attuale ma anche alla sua derivata:
(12.55)

che può essere riscritta come:


(12.56)

è possibile definire la funzione di trasferimento armonica (cfr. Paragrafo


11.11) G( iΩ) tra la risposta del sistema Z( iΩ) e il riferimento Z r( iΩ):

(12.57)

Figura 12.10 Modulo della risposta in frequenza di un sistema ad


un grado di libertà controllato in retroazione per diversi guadagni
del controllore.

511
Si noti come l’introduzione della legge di controllo in questo caso si traduca
oltre che in una rigidezza equivalente k p, anche in uno smorzamento
equivalente r p, che possono modificare la funzione di trasferimento in modo
che il sistema sia in grado di riprodurre il valore di riferimento fino a
frequenze più elevate, aumentando in tal modo la banda passante (Figura
12.10).
Come si può notare dall’equazione di moto (ma ciò risulta generalizzabile a
qualsiasi sistema con azioni di controllo proporzionale all’errore e alla
derivata dell’errore stesso), l’azione di controllo produce due effetti:
un’azione assimilabile a un feed forward dovuta ai termini e una
dipendente dallo stato del sistema stesso che modifica frequenze proprie,
fattori di smorzamento e in generale i modi di vibrare. L’azione in feed
forward non garantisce però in generale il raggiungimento della legge
desiderata; infatti se z r è costante, a transitorio esaurito z è dato
dall’espressione:

(12.58)

da cui risulta che, affinché z sia uguale a z r, deve essere k p >> k 1. I valori
di k p e r p inoltre, nell’azione in anello chiuso, devono essere scelti in modo
da posizionare gli autovalori in modo opportuno rispetto alla strategia di
controllo attuata. In altre parole, in questo esempio, la frequenza propria
deve essere sufficientemente più elevata delle frequenze presenti nella legge
z r, e il fattore di smorzamento sufficientemente alto in modo che non
vengano amplificati i disturbi alla frequenza di risonanza. Al fine di valutare
la stabilità del sistema, si consideri l’omogenea associata della (12.56):
1
In realtà, non è sempre realistico che l’azione proporzionale associata a k p
>> k sia fisicamente realizzabile dall’attuatore e pertanto non è garantito che
lo stato z risulti fedele a z r.

(12.59)

da cui si ottiene, imponendo z = Z 0 e λt:

(12.60)

512
tramite cui si devono valutare le radici al variare dei parametri di controllo
k p e r p . Graficando tali autovalori nel piano complesso, è possibile
disegnare quello che viene definito luogo delle radici che mostra anche
come varia il parametro α/ ω indice della stabilità del sistema. In Figura
12.11 sono riportati i luoghi delle radici al variare del guadagno di controllo
k p: nel caso di un’azione solo proporzionale (con il simbolo “Δ”) si noti
come il controllo modifichi la sola parte immaginaria, mentre nel caso di
un’azione proporzionale – derivativa (con il simbolo “O”), mantenendo
invariato il rapporto tra k d e k p, si evidenzia come viene modificata sia la
parte reale sia quella immaginaria dell’autovalore.

Figura 12.11 Sistema a un grado di libertà controllato: luogo delle


radici con azione proporzionale (“Δ”) e con azione proporzionale -
derivativa (“O”).

513
Bibliografia

[1] Massa E., Appunti di Meccanica Applicata alle Macchine, Ed. Spiegel,
Milano, 1985.
[2] Funaioli E., Maggiore, Meneghetti, Meccanica Applicata alle
Macchine, Ed. Patron, Bologna, 1986.
[3] Magnani P.L., Ruggieri G., Meccanismi per macchine automatiche, Ed.
Utet, Torino, 1986.
[4] Finzi B., Meccanica Razionale (Vol. I), Ed. Zanichelli, Bologna, 1978.
[5] Finzi B., Meccanica Razionale (Vol. II), Ed. Zanichelli, Bologna, 1978.
[6] Ghigliazza R., Galletti A., Meccanica applicata alle macchine, Ed.
Utet, Torino, 1989.
[7] Diana G., Cheli F., Dinamica dei Sistemi Meccanici, Polipress, Milano,
2010.
[8] Manigrasso R., Mapelli F. L., Mauri M., Azionamenti Elettrici Parte I
Generalità e macchine rotanti, Ed. Pitagora, Bologna, 2007.
[9] Genta G., Meccanica dell'Autoveicolo, Ed. Levrotto & Bella, Torino,
1993.
[10] Panagin R., La Dinamica del Veicolo Ferroviario, Ed. Levrotto &
Bella, Torino, 1990.
[11] Kalker J.J., Elastic bodies in rolling contact, Ed. Kluwer Dordrecht
(NE), 1990.
[12] Lugner P., Horizontal motion of automobiles, Theoretical and
practical investigations, in: Dynamics of high-speed vehicles CISM
Courses and Lectures n. 274,Udine (IT), June 1982.
[13] Gotusso L., Calcolo numerico, Ed. CLUP, Milano, 1978.
[14] Citrini D., Noseda G., Idraulica, Ed. CEA, Milano, 1979.
[15] Johnson L.W., Riess D.R., Numerical analysis, Reading, Mass.
[16] Amerio L., Analisi matematica, Torino, UTET, 1977.
[17] Andronov A.A., Vitt A.A., Khaikin S.E., Theory of oscillators,

514
Oxford, Pergamon Press, 1987.

515
Indice analitico

“Nota: I link di questo indice si riferiscono alla versione stampata. Negli


e-reader, per visualizzare il contenuto a cui l’indice si riferisce, potresti
aver bisogno di scorrere in avanti di una o più pagine.”

accelerazione, 12, 36
complementare, 22
componenti tangente e normale, 19
di Coriolis, 22
normale, 17
tangente, 17
addendum, 291
aderenza, 156, 243
albero, 76
angolo limite di attrito statico, 156, 158
anomalia, 9
approssimazione
del primo ordine, 82
del secondo ordine, 82
atto di moto, 23, 30
attrito, 153
dinamico, 155, 156, 158
coefficiente di, 161
forza di, 155

516
radente, 155, 358
coefficiente di, 161
statico, 155, 156
angolo limite di, 156, 158
coefficiente di, 156, 157, 161, 164
volvente, 165, 169, 240
coefficiente di, 168
modello di, 168
autovalore o esponente caratteristico o polo, 382
autoveicolo, 239
azionamento
controllo del, 88
elettrico, 91
oleodinamico, 91
azione interna, 111

banda passante, 376


baricentro o centro di massa, 119
biella, 67, 76, 84
di rimando, 88
piede di, 272
riduzione delle inerzie a un sistema di masse concentrate, 272
testa della, 272
bilanciere, 84
doppio, 84
bilancio

517
di potenze parziale, 227
delle potenze, 134, 213
Bode, diagramma di, 375

c.i.r., vedi centro d’istantanea rotazione


catena, 310
cinematica
aperta, 70
chiusa, 70
di retroazione, guadagno della, 378
centro
delle forze peso, 121
di istantanea rotazione, 30, 36, 72, 164
del moto relativo, 44
di massa o baricentro, 119
di rotazione, 28
cerchio osculatore, 12, 15
cinetostatica, 109, 142
cinghia di trasmissione, 303
piana, 303
trapezoidale, 303
circonferenza primitiva, 291
coefficiente
di aderenza, 157
di amplificazione dinamica, 338
di attrito

518
dinamico, 161
radente, 161
statico, 156, 157, 161, 164
volvente, 168
di portanza, 193
di resistenza, 193
componente
cartesiana, 9
dell’accelerazione tangente e normale, 19
Lagrangiana, 115
polare, 9
condizione iniziale, 329
contatto
di rotolamento, 154, 164
di strisciamento, 154
di urto, 154
tra superfici non conformi, 40
controllo dell’azionamento, 88
controllore, 368
coordinata
libera, 65, 72, 75, 84, 87
coppia, 103
di inerzia, 130
motrice ridotta, 215
resistente ridotta, 222
corpo rigido, 23, 24, 34, 36, 128
corsoio, 67, 76
costante di tempo, 372, 379
Coulomb, legge di, 156

519
cuscinetto, 319
a lubrificazione, 321
a rotolamento, 319, 321
a strisciamento, 319, 320

dedendum, 291
diagramma
di Bode, 375
di Nyquist, 375
dinamica
diretta, 109
inversa, 109, 142
drag o forza di resistenza, 191

energia
cinetica, 327
di un corpo rigido, 135
potenziale, 139, 327
equazione
caratteristica, 330
cardinale della statica, 100
di chiusura, 71, 72, 84
del glifo oscillante, 87
di equilibrio dinamico, 128, 131

520
di Lagrange, 138, 327
seconda forma della, 138
equilibrio dinamico, 128
errore di statismo, 375, 377, 379
esalatero, 71
esponente caratteristico o autovalore o polo, 382
evolvente di cerchio, 291

fattore di smorzamento, 333, 348, 383


fluido viscoso, 189
fluidodinamica, 183
fluidostatica, 183
flutter derivatives, 194
formula di Poisson, 48
forza
attiva, 107
conservativa, 138
di attrito, 155
di inerzia, 127, 128
del primo ordine, 283, 285
del secondo ordine, 283
equilibramento della, 273
di portanza o lift, 191
di resistenza o drag, 191
dissipativa viscosa, 140
reattiva, 107

521
freno, 318
frequenza
di taglio, 376
propria, 383
ridotta, 194
fune, 312
funzione
di dissipazione, 141, 327
di risposta in frequenza, 344
di trasferimento armonica, 347, 383

glifo oscillante, 86
equazione di chiusura del, 87
grado
di ammissione, 244
di irregolarità periodica, 257
di libertà, 65, 71
computo, 69
del corpo rigido, 26
di vincolo, 66
Grashof, regola di, 84
Grübler, regola di, 69
guadagno, 376
della catena di retroazione, 378

H
522
Hooke, legge di, 166

impianto di sollevamento, 235


inerzia, forza di
del primo ordine, 283, 285
del secondo ordine, 283
equilibramento della, 273
instabilità dinamica, 358
irregolarità periodica, 257, 258
grado di, 257

jacobiano, 80, 82

lavoro virtuale, 114, 327


principio dei, 23, 114
legame costitutivo, 181
legge
accelerazione costante, 19
raccordata, 19
del trasporto, 123
di Coulomb, 156

523
di Hooke, 166
di Petroff, 184, 200
lift o forza di portanza, 191
lubrificante, 199
lubrificazione
idrodinamica naturale, 198
idrostatica forzata, 198
limite, 198
mediata, 198
luogo delle radici, 385

macchina
alternativa, 271, 346
equilibramento di, 282
automatica, 83, 86
di movimento terra, 85
di sollevamento terra, 85
in regime periodico, 254
utensile, 88
manovella, 76, 84
-bilanciere, 84
doppia, 84
manovellismo ordinario, 67
centrato, 76, 271, 282
equazione di chiusura, 77
deviato, 92

524
massa equivalente traslante, 274
meccanismo, 66, 108
piano, 69
micro-scorrimento, modello del, 173, 174
modello
a corpi deformabili, 154
dei micro-scorrimenti, 174
di attrito volvente, 168
modulo, 9, 291
momento
statico, 123
di inerzia di massa, 119
di inerzia ridotto, 215
motore, 367
statico, 120
moto
circolare, 18
diretto, 225, 228, 233
forzato, 335
non rigido, 67
piano, 23
retrogrado, 225, 228, 233
rettilineo, 18
rotatorio, 28
rototraslatorio, 29, 76
traslatorio, 27
vario, 231
motore, 213, 214
a combustione interna, 76, 214, 218, 367, 370

525
a vapore, 370
asincrono, 220
trifase, 235
elettrico, 214
in corrente continua, 367
in corrente alternata , 367
movimento, 23

numero
di Reynolds, 185
numero di Strouhal, 196
Nyquist, diagramma di, 375

pendolo semplice, 328


periodo, 343
angolare, 257
della oscillazione, 332
fluidodinamico, 195, 197
Petroff, legge di, 184, 200
piede di biella, 80, 82
moto del, 276
Poisson, formula di, 48
polo o esponente caratteristico o autovalore, 382
posizione, 7, 23

526
portanza, forza di o lift, 191
potenza
di inerzia, 135
perduta, 226, 227
pressione
dinamica, 182
idrostatica, 182
statica, 182
principio dei lavori virtuali, 23, 114
nella dinamica, 132
principio di D’Alémbert, 127
pulsazione
adimensionale, 338
fondamentale, 343
propria, 330, 348
punto
materiale, 128
morto, 80
esterno, 78
interno, 78

quadrilatero articolato, 67, 83


a doppia manovella, 84
a doppio bilanciere, 84
a manovella-bilanciere, 84
quasi stazionario, 195

527
R

raggio giratorio, 123


rapporto di trasmissione, 43, 213, 224, 232
reazione vincolare, 105
regime
assoluto, 230, 233
periodico, 231, 256, 258, 277
regola
di Grashof, 84
di Grübler, 69
regolazione
ad anello chiuso, 377
derivativa, 380
integrale, 380
PID, 380
proporzionale, 378
rendimento, 226, 232
in moto
diretto, 226
retrogrado, 227
resistenza
aerodinamica, 240
al moto relativo, 155
al rotolamento, 165
forza di o drag, 191
Reynolds, numero di , 185
riduttore a ingranaggi, 297

528
riferimento, 368
risonanza, 197
risposta in frequenza, 341
Rivals, teorema di, 35, 36
rotazione
assoluta, 70
infinitesima dθ, 72
relativa, 70
rotolamento
resistenza al, 165
senza strisciamento, 57, 242
ruota
dentata, 290
di frizione, 289
elicoidale-vite senza fine, 235

sistema
di controllo
in anello aperto, 368
in anello chiuso, 368
di corpi rigidi, 132
di forze
parallele, 102
equipollenti, 104
smorzamento
adimensionale, 348

529
critico, 333
viscoso, 140
sospensione veicoli, 83
Mc Pherson, 86
spostamento
infinitesimo, 23, 72
rigido, 24
stabilità, 370, 372
statica, 99
statismo, errore di, 375, 377, 379
strato limite, 189, 195
Strouhal, numero di, 196
struttura, 66, 108
isostatica, 108

taglia multipla, 313


tasso di usura, 177
telaio, 65, 70, 83
tempo
di arresto, 262
normale, 7
teorema
dei moti relativi, 45, 87
dell’energia cinetica, 135, 137
di König, 136
di Rivals, 35, 36

530
traiettoria, 8
trasmissibilità, 347, 352
trasmissione, 213, 224
a cinghia trapezoidale, 307
di potenza, 287
in serie, 229
non reversibile, 225, 226
omocinetica, 225
trasporto, legge del, 123
treno
composto, 298
semplice, 297

usura, 153, 176, 177


specifica, 177
tasso di, 177
utilizzatore, 213, 222

veicoli, sospensione Mc Pherson, 86


velocità, 9, 34
angolare, 35
di logoramento, 178
specifica, 179
di sincronismo, 221

531
ridotta, 194
vibrazione
auto-eccitata, 324, 360
controllo delle, 381
forzata, 324
libera, 324
vincolo, 38
di appoggio, 72
di puro rotolamento, 164
volano, dimensionamento di, 278
vortice, distacco di, 195

532
Eserciziario

Indice
2 Cinematica del punto e del corpo rigido E5
2.1 Moto del punto nel piano: es.1 E5

2.2 Moto del punto nel piano: es.2 E5

2.3 Tram su percorso urbano E6

2.4 Gru da cantiere E7

2.5 Asta su guida circolare E8

2.6 Disco su guida circolare E9

3 Cinematica dei sistemi di corpi rigidi E11


3.1 Attuatore oleodinamico E11

3.2 Quadrilatero articolato E12

3.3 Manovellismo ordinario deviato E13

3.4 Disco cuneo E14

3.5 Manovellismo particolare E15

3.6 Manovellismo piano inclinato E16

3.7 Sistema Disco Asta E17

3.8 Carrellino E19

3.9 Sistema meccanico articolato E20

4 Statica dei sistemi di corpi rigidi E21


4.1 Scala E21

533
4.2 Disco su guida circolare E22

4.3 Manovellismo E22

4.4 Glifo E23

5 Geometria delle masse E25


5.1 Asta non omogenea E25

5.2 Piastra triangolare omogenea E25

5.3 Semidisco omogeneo E26

5.4 Anello con massa puntiforme E26

5.5 Asta e disco omogenei E27

5.6 Riduzione della biella E28

6 Dinamica dei sistemi di corpi rigidi E31


6.1 Asta ad L E31

6.2 Asta che scorre su disco E32

6.3 Martellone E33

6.4 Quadrilatero Quadro E34

6.5 Disco Cuneo E35

6.6 Disco che rotola su un piano E36

7 Azioni mutue tra elementi di macchine E37


7.1 Attrito radente tra corpi E37

7.2 Veicolo a due ruote in salita E38

7.3 Quadrilatero articolato E38

534
7.4 Manovellismo deviato E39

7.5 Attuatore oleodinamico E40

7.6 Sistema meccanico E41

8 Dinamica della macchina a un grado di libertà E43


8.1 Skilift E43

8.2 Ascensore E44

8.3 Muletto E46

8.4 Impianto di sollevamento E47

8.5 Utilizzatore a regime periodico E48

10 Gli elementi delle macchine E51


10.1 Trasmissione mediante cinghia piana E51

10.2 Dimensionamento tendicinghia E51

10.3 Camma circolare E53

10.4 Freno a disco E54

10.5 Cinematica del veicolo in curva E55

10.6 Innesto a frizione automobilistico E57

11 Vibrazioni meccaniche a un grado di libertà E59


11.1 Fermaporta E59

11.2 Locomotore E60

11.3 Sospensione motociclistica E60

11.4 Sistema vibrante: es.1 E62

11.5 Sistema vibrante: es.2 E62

535
Capitolo 2 Cinematica del punto e del corpo rigido
2.1 Moto del punto nel piano: es.1
Un punto materiale si muove lungo una traiettoria la cui legge oraria è

Si richiede di:
1. calcolare i vettori velocità ed accelerazione in funzione del tempo;
2. calcolare l’espressione dei versori tangente e normale alla traiettoria
all’istante t = 3 s;
3. calcolare il raggio di curvatura della traiettoria sempre all’istante t =
3s

2.2 Moto del punto nel piano: es.2


Un punto si trova inizialmente ( t = 0 s) in una posizione individuata
dall’origine O di un sistema di riferimento assoluto rispetto al quale sono
definite le grandezze d’interesse. È assegnato l’andamento della velocità in
funzione del tempo, in termini di componenti cartesiane: v = 2 i + 4 t j. Si
determinino:
1. la legge di moto: x = x( t), y = y( t);
2. la traiettoria del punto materiale;
3. l’accelerazione in funzione del tempo;
4. i vettori posizione, velocità e accelerazione al tempo t = 2 s.

2.3 Tram su percorso urbano


Di un tram che si muove su percorso urbano, schematizzabile come un punto
che si muove su un piano, è assegnato il seguente percorso tra due fermate
successive, identificate dai punti A e D, distanti lungo l’ascissa curvilinea s T
= 1870 m:

Figura 2.1 Schema percorso urbano del tram

536
Sono inoltre note:
• la velocità massima del veicolo: v max = 60 km/h;
• la massima accelerazione in trazione: a t = 1 m/s 2;
• la massima decelerazione in frenatura: a f = -0.8 m/s 2.
Sapendo che il tram parte e deve arrivare fermo alle due fermate, si chiede
di:
1. definire la legge di moto del veicolo che minimizzi il tempo di
percorrenza del tragitto assegnato;
2. realizzare i diagrammi di spostamento, velocità ed accelerazione del
veicolo in funzione del tempo;
3. realizzare i diagrammi di velocità ed accelerazione in funzione
dell’ascissa curvilinea;
4. verificare che l’accelerazione laterale massima sui passeggeri sia
minore di un valore di comfort fissato pari a 0.8 m/s 2.

2.4 Gru da cantiere


Figura 2.2 Gru a braccio

537
La figura 2.2 riporta lo schema di una gru da cantiere a braccio girevole con
il carrello portagancio mobile lungo il braccio. Si richiede di studiare il moto
del carrello, schematizzato come un punto materiale, determinandone
velocità ed accelerazione quando il braccio ruota con velocità angolare ω =
0.1 rad/s ed accelerazione angolare attorno all’asse verticale
(entrambe in senso orario viste da una vista in pianta dall’alto) mentre il
carrello si sta muovendo verso l’estremità del braccio con componenti di
velocità ed accelerazione allineate al braccio pari rispettivamente a v r = 0.7
m/s e a r = 0.1 m/s 2.
Si conosce la distanza del carrello dall’asse di rotazione nell’istante di tempo
considerato pari a 3.9 m e la posizione angolare del braccio pari a π/6
rispetto all’asse x della terna riportata in figura 2.3. Risolvere il problema
mediante:
• metodo dei numeri complessi;
• teorema dei moti relativi.

Figura 2.3 Posizione del punto P nel piano complesso

2.5 Asta su guida circolare


Figura 2.4 Asta su guida circolare

538
L’asta AB di lunghezza l = 2m, rappresentata in Figura 2.4, si muove nel
piano ed è vincolata tramite due carrelli agli estremi A e B. Il carrello in A
scorre su una guida circolare di raggio costante e centro in O. Il
carrello in B scorre invece su una guida rettilinea orizzontale. Nell’atto di
moto rappresentato, l’angolo α formato dall’asta AB con la guida orizzontale
è pari a π/6. Note la velocità e l’accelerazione del punto B ( v B = 0.5 m/s e
a B = 0.1 m/ s 2):
1. individuare la posizione del centro di istantanea rotazione;
2. calcolare la velocità e l’accelerazione angolare dell’asta: e ;
3. calcolare la velocità e l’accelerazione del punto A: v A e a A.

2.6 Disco su guida circolare


Figura 2.5 Disco su guida circolare

Il sistema meccanico riportato in Figura 2.5 si muove nel piano verticale ed è


composto da un disco rigido di raggio r = 0.25 m che rotola senza strisciare

539
su una guida rigida curva con raggio di curvatura R = 1 m.
È nota la legge di moto dell’angolo ϑ( t) che descrive la posizione angolare
del disco rispetto al sistema di riferimento assoluto Oxy con origine nel
centro di curvatura della guida. Nell’atto di moto rappresentato in Figura 2.5
( ϑ = π/6, e ) si richiede di calcolare:
1. velocità ed accelerazione del centro del disco (punto C);
2. velocità ed accelerazione del punto P posto sulla circonferenza
(nell’atto di moto considerato il vettore ( P - C) è parallelo all’asse x).
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid

Capitolo 3 Cinematica dei sistemi di corpi rigidi


3.1 Attuatore oleodinamico
Figura 3.1 Sistema articolato

Del meccanismo riportato in Figura 3.1 è nota la geometria: lunghezza della


manovella O 1 B = 2.5 m, lunghezza del telaio e l’inclinazione
del telaio . Nell’istante di tempo considerato ( t = 3 s),
rappresentato in figura, l’angolo di manovella α = 0 rad. La legge con cui
varia la lunghezza dell’attuatore oleodinamico OB in funzione del tempo è:

Nell’istante considerato, si chiede di determinare:


1. il valore dell’angolo β dell’attuatore oleodinamico;
2. i valori dei vettori velocità angolare delle aste O 1 B e OB;
3. i valori dei vettori accelerazione angolare delle aste O 1 B e OB.

540
Figura 3.2 Sistema articolato

3.2 Quadrilatero articolato


In figura 3.2 è riportato lo schema di un sistema meccanico composto da un
disco incernierato a terra nel suo centro O 1, al quale è collegata un’asta AB
di lunghezza pari a 0.8 m mediante la cerniera A, posizionata ad una distanza
radiale O 1 A = 0.2 m. All’estremo B di tale asta è incernierata una seconda
asta BO 2 lunga 0.6 m, che risulta rigidamente collegata al semidisco, di
raggio R SD = 0.15 m, incernierato a terra nel punto O 2. Su tale semidisco si
avvolge senza strisciare una fune inestensibile al cui estremo è collegato il
centro del disco D, di raggio R D = 0.15 m che rotola senza strisciare su un
piano inclinato di un angolo ϑ = 160°. Sono note le distanze fra le due
cerniere poste a terra nei punti O 1 e O 2 distanti 0.3 m sull’orizzontale e 0.8
m sulla verticale. Sono note inoltre le seguenti grandezze fisiche
relativamente all’atto di moto considerato, riportate in Tabella 3.1.
Si richiede di calcolare all’istante di tempo considerato:
1. i vettori velocità e l’accelerazione del punto G, baricentro del
semidisco (si ritenga nota la distanza del baricentro dalla cerniera O 2
pari a R SD/2);
2. i vettori velocità e l’accelerazione del punto D.

Tabella 3.1 Dati dell’atto di moto considerato dell’esercizio 3.2

α = 160°

541
3.3 Manovellismo ordinario deviato
Figura 3.3 Manovellismo ordinario deviato

Il manovellismo rappresentato in Figura 3.3 è costituito da una manovella


OA, da una biella AB e da un disco di raggio R che rotola senza strisciare su
una guida rettilinea. Siano noti i dati relativi all’atto di moto da considerare
(riportati in Tabella 3.2), ovvero posizione, velocità e accelerazione angolare
della manovella e posizione della biella.
Si chiede di determinare:
1. deviazione del manovellismo;
2. i vettori velocità ed accelerazione del centro del disco B;
3. i vettori velocità angolare ω e accelerazione angolare del disco;
4. i vettori velocità ed accelerazione del punto P, posto sulla
circonferenza del disco.

Tabella 3.2 Dati del manovellismo ordinatio deviato nell’atto di moto


considerato

β = 0 rad AB = 1 m

R = 0.2 m

3.4 Disco cuneo

542
Figura 3.4 Sistema meccanico disco cuneo

Il sistema meccanico rappresentato in Figura 3.4 è costituito da tre corpi


rigidi:
• un cuneo costituito da un piano inclinato di un angolo δ, traslante su
di una guida orizzontale;
• un disco di raggio R e centro in A che rotola senza strisciare sul piano
inclinato;
• un’asta AB incernierata al centro del disco, e con un pattino all’altra
estremità vincolato a scorrere lungo una guida verticale.
Nell’istante considerato sia assegnata la velocità di traslazione del piano
inclinato e la sua accelerazione secondo le
convenzioni riportate in Figura 3.4. Siano inoltre noti l’angolo di
inclinazione del piano inclinato , l’angolo di inclinazione dell’asta
, la lunghezza dell’asta AB pari a 0.2 m ed il raggio del disco R =
0.05 m. Nell’istante determinare:
1. il vettore velocità del punto B ed il vettore velocità angolare del
disco ω D;
2. il vettore accelerazione del punto B ed il vettore accelerazione
angolare del disco .

3.5 Manovellismo particolare


Figura 3.5 Manovellismo particolare

543
In Figura 3.5 è riportato lo schema di un sistema meccanico, che si muove
nel piano, costituito dalla manovella AO = 0.4 m incernierata a terra nel
punto O e dalla biella AB = 1.4 m vincolata in A all’asta AO tramite una
cerniera e in C al terreno tramite un manicotto che consente la rotazione
dell’asta e lo scorrimento della stessa.
I dati relativi all’atto di moto nell’istante considerato , sono riportati in
Tabella 3.3 in termini di posizione α, velocità angolare , accelerazione
angolare della manovella, distanza AC tra la cerniera in A ed il vincolo in
C e posizione angolare della biella β.
Si chiede di determinare:
1. il vettore velocità angolare dell’asta AB;
2. il vettore accelerazione angolare dell’asta AB;
3. il vettore velocità assoluta υ B del punto B;
4. il vettore accelerazione assoluta a B del punto B.

Tabella 3.3 Dati relativi all’atto di moto considerato al tempo

3.6 Manovellismo piano inclinato


Figura 3.6 Sistema manovellismo con piano inclinato

544
Il manovellismo rappresentato in Figura 3.6 è costituito da una manovella
OA di lunghezza 0.4 m, da una biella AB di lunghezza 0.4 m e dal corsoio B
che scorre su un piano Π inclinato di π/6 rispetto all’orizzontale. Da ultimo il
corsoio è collegato a terra tramite un attuatore idraulico CB.
I dati relativi all’atto di moto da considerare sono riportati in Tabella 3.4,
ovvero posizione angolare α, velocità e accelerazione angolare della
manovella, posizione angolare della biella β e lunghezza del attuatore
idraulico.
Si chiede quindi di determinare:
1. la velocità del corsoio B;
2. la velocità di sfilo del pistone CB;
3. l’accelerazione del corsoio B.

Tabella 3.4 Dati dell’atto di moto considerato

α = 30°
β = 330° CB = 0.5 m

3.7 Sistema Disco Asta


Il sistema meccanico illustrato in Figura 3.7 si muove nel piano verticale.
Due dischi concentrici aventi rispettivamente raggio R 1 = 0.4 m e R 2 = 0.5
m sono rigidamente collegati tra loro. Tra il disco di raggio R 2 e un piano
inclinato di un angolo ϑ pari a π/6 agisce un vincolo di rotolamento in
assenza di strisciamento. Un perno è rigidamente vincolato ai dischi in
corrispondenza del punto E posto ad una distanza dal centro D pari a ED =
0.25 m. Il perno E scorre all’interno di un’asta incernierata a terra in O. La

545
distanza s fra la cerniera in O ed il piano inclinato è assegnata e pari a 2 m
che scorre su un piano inclinato. Sulla superficie laterale del disco di raggio
R 1 si avvolge una fune in estensibile all’estremo della quale è collegata una
massa m. Il tratto di fune che collega il disco alla massa m è parallelo al
piano inclinato.
É assegnata la legge di moto della rotazione dell’asta lungo cui scorre il
perno E: , secondo le convenzioni riportate in
Figura 3.7 dove è rappresentata la configurazione del sistema in un istante
generico t = 0.17 s.
Si considerino note le grandezze riportate nella Tabella 3.5 per l’istante t = 0
se .
Si richiede quindi di calcolare nell’istante t = 0.1 s:
1. il vettore velocità ed accelerazione angolare dei due dischi: ω d e
d;
2. il vettore velocità ed accelerazione punto E: υ E e a E;
3. il vettore velocità ed accelerazione della massa collegata alla fune:
υ m e a m.

Tabella 3.5 Dati dell’atto di moto considerato

t=0 s ε = 120°
t = 0.1 s ε = 187.9°

Figura 3.7 Sistema articolato nell’istante t = 0 e t = 0.17 s

546
3.8 Carrellino
Figura 3.8 Sistema carrello automobile

547
In Figura 3.8 è riportato lo schema cinematico di un sistema meccanico che
si muove nel piano.
Tale sistema è composto da un carrello libero di muoversi lungo un piano
inclinato rispetto all’orizzontale di un angolo pari a ϑ = 10°. Un attuatore
idraulico collega il punto E della ruota anteriore al punto B appartenente al
carrello stesso. Sono note le grandezze geometriche riportate in Tabella 3.6.
Per il sistema in esame viene inoltre assegnata, a partire dalla condizione di
quiete, la seguente legge di moto:

(3.1)

Si richiede quindi di calcolare:


1. la lunghezza e l’inclinazione dell’attuatore nell’istante t = 0.5 s;
2. il vettore velocità di allungamento del pistone υ EB nell’istante t =
0.5 s;
3. il vettore accelerazione di allungamento del pistone a EB nell’istante
t = 0.5 s.

Tabella 3.6 Dati geometrici del carrello automobile

h=5m R = 0.8 m L=4m R p = 0.4 m

3.9 Sistema meccanico articolato

548
Figura 3.9 Schematizzatione di una carriola

In figura 3.9 è riportato lo schema di un sistema meccanico, che si muove nel


piano verticale, costituito dall’asta AB = 3 m collegata mediante un pattino
ad una seconda asta DC. All’estremità C di tale asta è incernierato un disco
di raggio 0.6 m che rotola senza strisciare lungo un piano orizzontale. È
inoltre assegnata la legge oraria (di tipo periodico) del punto C espressa
secondo un sistema di riferimento con origine nel punto A; tale legge vale
x C( t) = 6 + 2.5 sin(2 π t) [m].
Si consideri quindi il sistema nell’istante t = 0 s e si calcolino:
1. la velocità e l’accelerazione angolare dell’asta AB;
2. la velocità e l’accelerazione del baricentro G.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid

Capitolo 4 Statica dei sistemi di corpi rigidi


4.1 Scala
Figura 4.1 Scala

549
Il sistema meccanico in Figura 4.1, posto nel piano verticale, è costituito da
un’asta AB omogenea di massa m e lunghezza l che è vincolata agli estremi
A e B tramite dei carrelli. I carrelli scorrono su guide rettilinee prive di
attrito, il carrello in A scorre in direzione orizzontale mentre il carrello B
scorre in direzione verticale. Determinare la forza orizzontale F applicata nel
punto B che garantisce l’equilibrio statico del sistema per un angolo α pari a
30°.
Tabella 4.1 Dati scala

m = 20 kg l=4m α = 30°

4.2 Disco su guida circolare


Figura 4.2 Disco su guida circolare

Il sistema meccanico in Figura 4.2, posto nel piano verticale, è costituito da

550
un disco di raggio r e massa m che rotola senza strisciare su una guida
curvilinea circolare di raggio R. Nella posizione rappresentata in Figura,
determinare:
1. la coppia C che garantisce l’equilibrio statico del sistema;
2. le reazioni vincolari nel punto di contatto tra disco e guida (punto
H).

Tabella 4.2 Dati disco

m = 30 kg r=1m R=3m ϑ = 30°

4.3 Manovellismo
Il sistema meccanico in Figura 4.3, posto nel piano verticale, è costituito da
un’asta AB omogenea di massa m e lunghezza l che è incernierata a terra in
A e in B ad un’asta BC priva di massa e lunga L. L’asta BC è incernierata in
C al centro di un disco di massa M e raggio R omogeneo che rotola senza
strisciare su una guida orizzontale. Nella configurazione indicata in figura,
calcolare:
1. la coppia C m applicata al disco che garantisce l’equilibrio statico del
sistema;
2. le reazioni vincolari che l’asta BC scambia in B ed in C.

Figura 4.3 Manovellismo

Tabella 4.3 Dati del manovellismo

m = 20 kg M = 10 kg α = 60°
l = 0.6 m L = 0.7348 m R = 0.1 m

551
4.4 Glifo
Figura 4.4 Glifo

Il sistema meccanico in Figura 4.4, posto nel piano verticale, è costituito da


un’asta AD priva di massa al cui interno è ricavata una guida rettilinea in cui
scorre un corsoio di massa m. Tra corsoio e guida c’è attrito con coefficiente
di attrito statico f s. Al centro del corsoio è vincolata tramite una cerniera
un’asta BC priva di massa che è collegata in B a terra tramite un’altra
cerniera. All’estremo D dell’asta AD è applicata una forza orizzontale F.
Determinare il valore della forza F che garantisce l’equilibrio statico del
sistema per un angolo α pari a 30°.
Tabella 4.4 Dati glifo

m = 20 kg α = 30° f s = 0.3
AD = 4 m AB = 2 m BC = 2 m

Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo


http://www.ateneonline.it/Bachschmid

Capitolo 5 Geometria delle masse


5.1 Asta non omogenea
Figura 5.1 Asta non omogenea

552
L’asta rappresentata in Figura 5.1 è lunga L, ha altezza h e spessore s
costanti e trascurabili rispetto alla lunghezza. La densità dell’asta non è
omogenea e segue una legge del tipo
(5.1)

Rispetto al sistema di riferimento rappresentato in Figura, calcolare:


1. la posizione del baricentro ;
2. il momento d’inerzia polare rispetto all’origine degli assi.

Tabella 5.1 Dati asta non omogenea

A = 5000kg/m 3 B = 100kg/m 4 L=4m

5.2 Piastra triangolare omogenea


La piastra rappresentata in Figura 5.2 ha la forma di un triangolo isoscele di
altezza OC lunga h = 2 m, base AB lunga b = 2 m e spessore costante

Figura 5.2 Piastra triangolare

s = 10 mm. La densità è costante e pari a ρ = 2700 kg/m 3. Determinare la


posizione del baricentro rispetto al sistema di assi cartesiano rappresentato in
Figura 5.2.

553
5.3 Semidisco omogeneo
Figura 5.3 Semidisco omogeneo

Dato il semidisco omogeneo di densità ρ = 7850 kg/m 3, spessore s = 20 mm


e raggio R = 0.75 m, rappresentato in Figura 5.3, calcolare:
1. la massa del semidisco;
2. la posizione del baricentro nel sistema di riferimento centrato in O
come in Figura;
3. il momento d’inerzia baricentrico J G.

5.4 Anello con massa puntiforme


Il sistema meccanico in Figura 5.4 è composto da un anello omogeneo di
massa M = 1 kg, raggio esterno R e = 2.1 m, raggio interno R i = 1.9 m e

Figura 5.4 Anello omogeneo e massa concentrata

spessore s = 10 mm. All’anello è fissata una massa puntiforme di massa m =


2 kg distante R = 2 m dal centro dell’anello.

554
Determinare:
1. la posizione del baricentro del sistema, nel sistema di riferimento -
centrato in O 1 riportato in Figura;
2. il momento d’inerzia complessivo rispetto al polo O 1.

5.5 Asta e disco omogenei


Figura 5.5 Anello omogeneo e massa concentrata

Il corpo mostrato in Figura 5.5 è costituito da un’asta omogenea di massa M


= 1 kg e lunghezza L = 2 m rigidamente collegata ad un disco omogeneo di
massa m = 5 kg e raggio R = 0.5 m. Il punto A si trova ad una distanza R dal
centro del disco. L’asta ha un estremo coincidente col centro del disco.
Calcolare:
1. la posizione del baricentro;
2. il momento d’inerzia complessivo J A.

5.6 Riduzione della biella


Figura 5.6 Biella

555
La biella rappresentata in Figura 5.6 ha le caratteristiche riportate in Tabella
5.2.
Si chiede di calcolare le masse puntiformi che approssimano le proprietà
inerziali della biella nel caso:
1. a tre masse;
2. a due masse.
Discutere le differenze tra i due casi valutando l’errore massimo che si
commette nella stima del momento d’inerzia nel caso a 2 masse.
Tabella 5.2 Proprietà inerziali biella

densità ρ 7833 kg/m 3


massa M 0.118574 kg
momento d’inerzia Jx 0.000264 kg m 2
Jy 0.000256 kg m 2
Jz 0.000012 kg m 2

Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo


http://www.ateneonline.it/Bachschmid

556
Capitolo 6 Dinamica dei sistemi di corpi rigidi
6.1 Asta ad L
Figura 6.1 Sistema asta ad L

Dell’asta ad L, incernierata a terra ad un’estremità in O, rappresentata in


Figura 6.1 è nota la geometria a = 0.3 m e l = 0.5 m e la legge di moto ϑ( t)
= At 2 + Bt + C. Sono inoltre noti A = 0.03 rad/s 2, B = 0.04 rad/s, C = 0.06
rad, m = 2 kg e J G = 0.015 kg m 2.
Al tempo t = 2 s, si vuole determinare:
1. la coppia C necessaria a realizzare la legge di moto assegnata;
2. le reazioni vincolari in O.

6.2 Asta che scorre su disco


Figura 6.2 Sistema composto da un’asta che scorre su un disco.

Il sistema meccanico rappresentato in Figura 6.2 si muove nel piano verticale


ed è costituito da un disco di raggio R, massa M 1 e momento d’inerzia

557
baricentrico J 1 che è incernierato a terra nel suo centro: punto O. Sul disco
agisce una coppia motrice M m e su di esso appoggia un’asta AB omogenea
con baricentro in G 2 che rotola senza strisciare sul disco con punto di
contatto in P 1. L’asta è poi vincolata in B tramite un carrello che scorre su
una guida rettilinea scabra. Nel punto B agisce poi una forza esterna F
inclinata di un angolo α rispetto all’orizzontale.
Noti i dati relativi al problema, riportati in Tabella 6.1, determinare
l’andamento nel tempo di:
1. posizione ϑ, velocità ed accelerazione del disco, note le -
condizioni iniziali:

(6.1)

2. le reazioni vincolari in O.

Tabella 6.1 Dati dell’esercizio 6.2

R = 0.2 m M 1 = 10 kg J 1 = 0.4 kg m 2 (disco non omogeneo)


M 2 = 3 kg F = 30 N α = 45°
AP 1 = 0.3 m AB = 1 m M m = 50 Nm

6.3 Martellone
Figura 6.3 Sistema martellone

558
Il sistema meccanico riportato in Figura 6.3 si muove nel piano verticale ed è
composto da un’asta AC incastrata a terra. Nel punto A un’altra asta CP di
massa M 1 e momento d’inerzia J 1 è incernierata in C all’asta AC. In P una
massa M 2, con momento d’inerzia trascurabile, è vincolata rigidamente
all’asta CP. Il sistema è movimentato da un attuatore idraulico incernierato
in B all’asta AC ed in D all’asta CP. Nel punto P è applicata una forza
esterna F = 100 N diretta verticalmente verso il basso. Le caratteristiche
geometriche ed inerziali del sistema sono riportate in Tabella 6.2.
Nell’istante considerato (per cui ) determinare:
1. la posizione angolare dei bracci BD e CP;
2. la velocità e l’accelerazione angolare del braccio CP, data una
portata d’olio costante entrante nel cilindro Q = 9 m 3/h;
3. la pressione all’interno del cilindro e le reazioni dell’incastro in A.

Tabella 6.2 Dati dell’esercizio 6.3

a= b=1m d=2m e = 0.7 m f=2m


M 1 = 20 kg M 2 = 30 kg J 1 = 10 kgm 2 A cilindro = 0.5 dm 2

6.4 Quadrilatero Quadro


Figura 6.4 Sistema quadrilatero con massa a forma di quadrato

Il sistema meccanico rappresentato in Figura 6.4 si muove nel piano verticale


ed è costituito da un corpo di forma quadrata di lato
omogeneo con baricentro in G, massa M = 10 kg e momento d’inerzia
baricentrico J = 0.1 kg m 2. Nel punto P del quadrato agisce una forza F

559
perpendicolare al lato del quadrato con verso entrante. Il corpo è poi
vincolato nel vertice C ad un’asta BC ( ) priva di massa che è
incernierata a terra in B. Nell’atto di moto rappresentato, l’asta BC è
parallela all’orizzontale. Il vertice D del quadrato è invece incernierato ad
un’asta AD ( ) che è incernierata a terra in A. La distanza tra le
cerniere A e B, allineate verticalemnte, è . L’asta AD, nell’atto di
moto considerato, è inclinata di π/6 rispetto all’orizzontale. Sempre nell’atto
di moto i punti B, C e G sono allineati. Note inoltre la velocità angolare ω =
37.32 rad/s e l’accelerazione angolare della manovella BC,
determinare per l’istante temporale considerato:
1. le velocità e le accelerazioni angolari delle aste AD e CD;
2. le velocità del punto G (baricentro del corpo) e del punto P (punto
di applicazione della forza F);
3. la coppia C m da applicare alla manovella BC per ottenere il moto
studiato con F = 50 N;
4. le reazioni vincolari in A e B.

6.5 Disco Cuneo


Figura 6.5 Sistema disco-cuneo.

Il sistema rappresentato in Figura 6.5, posto nel piano verticale, è composto


da due corpi rigidi: un disco ed un cuneo, a contatto in condizione di
rotolamento senza strisciamento. Sul centro C del disco, omogeneo di raggio
R e massa M, che scorre lungo una guida orizzontale, è applicata una forza
F orizzontale. Sul disco è appoggiato un cuneo omogeneo di massa m, cateti
a e b e ipotenusa inclinata di un angolo α rispetto all’orizzontale. Il cuneo è
vincolato mediante due carrelli a scorrere lungo una guida verticale. I dati

560
del problema sono riportati in Tabella 6.3.
Conoscendo la legge di moto del centro del disco x( t), calcolare:
1. il modulo della forza F necessario a garantire il moto assegnato
nell’ipotesi di rotolamento senza strisciamento tra disco e cuneo nel
punto di contatto P.
2. le reazioni vincolari in A e in B, sapendo che il carrello inferiore del
cuneo si trova a metà del lato verticale di lunghezza b e che
nell’istante considerato il punto P è allineato al carrello inferiore.

Tabella 6.3 Dati dell’esercizio 6.5

b = 0.5 m m = 5 kg
M = 10 kg R = 0.25 m

6.6 Disco che rotola su un piano


Figura 6.6 Disco che rotola su un piano

Come mostrato in Figura 6.6, il sistema in esame è composto da un disco che


rotola senza strisciare su una guida rettilinea. Nota la storia temporale della
coppia C( t) = At Nm applicata al disco, le condizioni iniziali del moto ϑ(0)
= 0 rad e , la massa m = 5 kg, il raggio R = 0.1 m ed il valore
della costante A = 0.008 Nm/s calcolare:
1. la legge di moto del disco ϑ( t);
2. le reazioni vincolari H e V nel punto di contatto con la guida al
tempo t = 1 s.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid

561
Capitolo 7 Azioni mutue tra elementi di macchine
7.1 Attrito radente tra corpi
Figura 7.1 Attrito radente tra corpi

Del sistema meccanico mostrato in Figura 7.1, disposto nel piano verticale,
sono note le masse dei due corpi ( m 1 = 3 kg e m 2 = 2 kg) e i coefficienti di
attrito statico e dinamico ( μ s = μ d = 0.5).
Si chiede di determinare il moto del sistema al variare della forza F applicata
al corpo 1, ovvero determinare il valore della forza F per cui:
1. i corpi 1 e 2, solidali tra loro, iniziano a strisciare sul piano;
2. il corpo 1 striscia sul piano ed il corpo 2 inizia a strisciare sul corpo
1.

7.2 Veicolo a due ruote in salita


Figura 7.2 Veicolo in salita

Il veicolo schematizzato in Figura 7.2 è composto da due dischi omogenei di


raggio R = 0.3 m e massa m = 20 kg, schematizzanti le ruote, e un’asta
rigida omogenea di lunghezza L = 1.75 m e massa M = 250 kg
schematizzante la cassa. Il veicolo si muove su un piano inclinato di un

562
angolo α = π/6 rad rispetto all’orizzontale. Il coefficiente d’attrito statico tra
ruote e piano inclinato è f s = 1, si consideri inoltre un coefficiente di
restistenza al rotolamento f v = 0.01.
Nelle condizioni di moto a regime in salita, verificare l’aderenza delle ruote,
ovvero il vincolo di rotolamento senza strisciamento, per i seguenti casi:
1. coppia motrice applicata alla sola ruota anteriore ( C a ≠, C p = 0);
2. coppia motrice applicata alla sola ruota posteriore ( C a = 0, C p ≠ 0);
3. coppia motrice applicata egualmente ad entrambe le ruote ( C a = C p
≠ 0).
P.S. le coppie motrici sono forze interne al sistema: sul telaio si hanno delle
coppie uguali e contrarie a quelle applicate alle ruote.

7.3 Quadrilatero articolato


Si consideri il sistema meccanico riportato in figura 7.3 di cui è stata
calcolata la cinematica all’esercizio 3.2. Il disco 1 è omogeneo di massa m 1,
raggio R 1 e momento d’inerzia baricentrico J 1; il semidisco ha massa m SD,
raggio R SD e momento d’inerzia baricentrico J G mentre. Il disco 3 è
omogeneo ed ha massa m D, raggio R D e momento d’inerzia baricentrico
J D. Tra il disco 3 e il piano inclinato il coefficiente di resistenza al
rotolamento è f v = 0.2.
Per le condizioni di moto assegnate, si chiede di calcolare:

Figura 7.3 Sistema articolato

563
Tabella 7.1 Dati dell’esercizio 7.3

m 1 = 1 kg R 1 = 0.2 m J 1 = 0.05 kg m 2
m SD = 0.5 kg R SD = 0.15 m J SD = 0.005 kg m 2
m D = 5 kg R D = 0.15 m J D = 0.06 kg m 2

1. la potenza assorbita per resistenza al rotolamento del disco 3;


2. la coppia C m applicata al disco 1 che garantisce le condizioni di
moto assegnate.

7.4 Manovellismo deviato


Figura 7.4 Manovellismo ordinario deviato

564
Al sistema in Figura 7.4, la cui cinematica è stata risolta nell’esercizio 3.3,
sono applicate una forza motrice F, applicata al centro del disco, ed una
coppia resistente C r, costante ed applicata alla manovella. Il sistema si
muove nel piano verticale. Tra disco e piano orizzontale il coefficiente di
resistenza al rotolamento è f v. Il disco è omogeneo di massa M mentre
l’asta, anch’essa omogenea, ha massa m. Determinare:
1. il valore della forza F che garantisce il moto assegnato;
2. le reazioni vincolari in C.

Tabella 7.2 Dati dell’esercizio 7.4

β = 0 rad
AB = 1 m R = 0.2 m C r = 50 Nm

M = 10 kg m = 2 kg f v = 0.02

7.5 Attuatore oleodinamico


Figura 7.5 Glifo Oscillante

565
Del meccanismo riportato in Figura 7.5 è nota la cinematica, calcolata
all’esercizio 3.1. L’asta O 1 B ha massa M e momento d’inerzia baricentrico
J A mentre il pistone ha massa m e momento d’inerzia baricentrico J C.
All’interno dell’attuatore agiste una pressione p e, tra cilindro e pistone, una
forza d’attrito con coefficiente d’attrito dinamico μ d. Nel punto D è
applicata una forza F verticale di modulo costante e diretta verso il basso, la
distanza è nota e riportata in Tabella 7.3. Il sistema giace nel piano
verticale. Determinare:
1. la pressione p all’interno del cilindro che garantisce il moto
assegnato;
2. le reazioni vincolari tra cilindro e pistone.

Tabella 7.3 Dati dell’esercizio 7.5

O 1 B = 2.5 m OO 1 = 1.41 m BD = 0.5 m


α = 0 rad OB( t = 3 s) = 3.64 m
M = 13 kg J A = 0.5 kg m 2 F = 150 N
m = 2 kg J C = 0.01 kg m 2 μ d = 0.3

7.6 Sistema meccanico


Figura 7.6 Schematizzatione di una carriola

566
Il sistema meccanico in Figura 7.6, la cui cinematica è stata risolta
all’esercizio 3.9, è posto nel piano verticale ed è mosso da una forza F
applicata nel punto C. L’asta CG ha massa m e momento d’inerzia
baricentrico J G mentre il disco è omogeneo di massa M e raggio R.
Considerando un coefficiente d’attrito dinamico f d tra pattino ed asta, per
l’atto di moto rappresentato, calcolare:
1. la forza F che garantisce il moto assegnato;
2. le reazioni vincolari nel punto B.

Tabella 7.4 Dati dell’esercizio 7.6

AB = 3 m R = 0.6 m xC = 6 m
m = 50 kg J G = 1 kg m 2 CG = 1.2 m
M = 2 kg R = 0.2 m f d = 0.2

Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo


http://www.ateneonline.it/Bachschmid

Capitolo 8 Dinamica della macchina a un grado di


libertà
8.1 Skilift
Figura 8.1 Sistema meccanico dell’esercizio 8.1

567
Il sistema riportato in Figura 8.1 schematizza un impianto di risalita (skilift),
costituito da una fune inestensibile, avvolta sulle pulegge di momento
d’inerzia baricentrico J 1 e J 2, che è azionata da un motore elettrico la cui
curva caratteristica è . Quest’ultima puleggia è collegata
al motore mediante una trasmissione caratterizzata da un rapporto di
trasmissione τ e da un rendimento diretto η d e un rendimento retrogrado η r.
Alla fune sono collegate, tramite due funi AB e A′B′ (ipotizzate prive di
massa), due masse puntiformi di massa m che vengono trascinate da due
pattini, ad esse rigidamente collegati, lungo un piano inclinato caratterizzato
da un coefficiente di attrito dinamico f d. I dati del problema sono riportati in
tabella 8.1.
Ipotizzando di trascurare l’attrito dinamico tra pattini e piano inclinato,
calcolare:
1. l’accelerazione a s allo spunto delle masse in salita;
2. la coppia motrice a regime;
3. la velocità v di avanzamento delle masse a regime;
4. il tiro nelle funi di traino AB e A′B′ nelle condizioni indicate nel
punto 1.
Ipotizzando di considerare l’attrito dinamico presente tra pattini e piano
inclinato, calcolare:
5. la coppia motrice necessaria per garantire il moto a regime in salita;

568
6. l’accelerazione delle masse a partire dalla condizione di regime del
punto precedente ipotizzando di annullare la coppia motrice lasciando
il motore folle.

Tabella 8.1 Dati dell’esercizio 8.1

A = 100 Nm R 1 = R 2 = 0.5 m α = 20°


B = 0.1 Nms 2/rad 2 η d = η r = 0.95 β = 45°
J m = 6.25 kgm 2 J 1 = 2.5 kgm 2 J 2 = 3.75 kgm 2
m = 70 kg f d = 0.2 τ = 1/5

8.2 Ascensore
Sia assegnato l’impianto di sollevamento riportato in Figura 8.2. Tale
impianto è costituito da un motore elettrico posizionato su un supporto
vincolato isostaticamente come mostrato in Figura 8.3 che movimenta,
attraverso un sistema di riduzione, una puleggia di raggio R p e momento
d’inerzia polare baricentrico J p. Su tale puleggia si avvolge una fune
inestensibile alle cui estremità è collegata una cabina di massa m c, in grado
di caricare una massa utile m u, ed un contrappeso di massa m q. I dati noti
dell’impianto sono riportati in Tabella 8.2. È inoltre nota la curva
caratteristica del motore elettrico: C m ( ω m) = Cm 0 − kω m.
Si richiede di calcolare:

Figura 8.2 Sistema meccanico dell’esercizio 8.2

569
Figura 8.3 Sistema di vincolo

1. l’accelerazione allo spunto in salita del sistema, nel caso in cui la


cabina sia a pieno carico (quindi con massa sollevata pari a m c +
m u);
2. la velocità di regime a pieno carico in salita e la coppia motrice
necessaria per mantenere tale velocità;
3. la decelerazione del sistema a partire dalla condizione di regime
calcolata al punto 2 applicando una coppia frenante sull’albero
motore pari a C f = 8.6 Nm e annullando la coppia motrice;
4. la coppia necessaria a garantire un’accelerazione della cabina pari a
a = 0.5 m/s 2 nel caso quest’ultima sia in salita e priva di alcun carico
e quindi con massa pari a m c;
5. le reazioni vincolari in A, nelle condizioni di moto del punto 1.

Tabella 8.2 Dati dell’esercizio 8.2

m c = 300 kg m u = 325 kg m q = 500 kg


τ = 1/55 η d = 0.7 η r = 0.6
J m = 0,02 kg m 2 J p = 1 kg m 2 R p = 0,27 m
C m0 = 30 Nm k = 0.01 Nm/rpm a=1m
b = 0.8 m α = 45°

8.3 Muletto

570
Figura 8.4 Carrello elevatore

Del carrello elevatore riportato in Figura 8.4 sono note le seguenti grandezze
geometriche: semipasso posteriore a = 0.5 m, semipasso anteriore b = 1 m, il
raggio delle ruote R = 0.4 m, l’altezza del baricentro G del solo carrello
elevatore rispetto al suolo h = 0.6 m, la distanza orizzontale tra il baricentro
G del carrello e il baricentro G 1 della massa posta sulle forche c = 2 m e
l’altezza rispetto al suolo del punto di attacco della fune di traino d = 0.5 m.
Risulta inoltre noto lo schema del sistema di trasmissione di potenza,
rappresentato in Figura 8.5. Conoscendo la massa del solo carrello m = 2000
kg, il momento d’inerzia baricentrico di ogni singola ruota J r = 2.5 kg m 2, il
momento d’inerzia del motore J m = 0.25 kg m 2, il rapporto di trasmissione
η = 1/50 ed il rendimento della trasmissione η = 0.80 oltre ai coefficienti di
attrito statico f s = 1, dinamico f d = 0.30 e volvente f v = 0.02, si richiede di
determinare:
1. il carico limite m 1 sollevabile a veicolo fermo senza che avvenga il
ribaltamento del carrello elevatore;

Figura 8.5 Sistema di trasmissione

571
In condizione di avanzamento a regime con motore erogante una coppia C m
pari a si determini:
1. il carico limite m 2 trascinabile dal carrello nel caso di massa m 1
posta sulle forche;
2. il valore della risultante dei carichi normali agenti sulla coppia di
pneumatici anteriori e posteriori con carrello impegnato a trasportare
le masse m 1 e m 2;
Infine, per coppia motrice C m pari a e sempre nel caso di masse
trasportate m 1 e m 2, si calcoli:
1. l’accelerazione longitudinale del carrello;
2. l’altezza h 1 massima rispetto al suolo del baricentro G 1 per la quale
risulta verificata l’aderenza delle ruote motrici.

8.4 Impianto di sollevamento


In Figura 8.6 è raffigurato lo schema di un impianto di sollevamento.
L’azionamento elettrico, con momento di inerzia J m pari a 0.5 kg m 2, ha una
caratteristica di coppia descritta dalla relazione:

dove C m0 = 10 Nm e k = 0.0318 Nms/rad. Quest’ultimo è collegato


attraverso un organo di riduzione, caratterizzato da τ 1 = 1/50, η 1d = 0.9 e

572
η 1r = 0.75, ad una puleggia di raggio R 1 = 0,2 m e momento d’inerzia
baricentrico

Figura 8.6 Sistema

J 1 = 2.5 kg m 2. Su tale puleggia si avvolge una fune inestensibile collegata


alla massa m 1 = 100 kg.
Sul medesimo albero cui è calettata la puleggia, viene installato un organo di
riduzione ad assi sghembi costituito da una vite senza fine e una ruota
dentata; tale trasmissione è caratterizzata dai rapporti τ 2 = 1/11, η 2 d = 0.85 e
η 2 r = 0.7. L’albero di uscita del secondo riduttore è collegato a un disco (di
raggio R 2 = 1 m e momento d’inerzia baricentrico J 2 = 1 kg m 2) su cui si
avvolge una fune inestensibile per il sollevamento della massa m 2 = 100 kg,
che striscia su un piano inclinato di un angolo α = 30° con coefficiente di
attrito dinamico f d = 0.1 e di attrito statico f s = 0.15.
Si richiede di determinare:
1. la coppia motrice necessaria per sollevare a regime la massa m 1;
2. la velocitya di regime cui si porta il sistema;
3. l’accelerazione allo spunto in salita della massa m 1;
4. la coppia agente nella sezione A- A dell’albero nella condizione del
punto precedente;
5. il valore di m 2 per cui, in condizioni di regime, il flusso di potenza
sulla prima trasmissione passa da diretto a retrogrado o viceversa;
6. utilizzando il valore di m 2 calcolato al punto precedente valutare, a
regime, la coppia motrice e la velocità del sistema.

573
8.5 Utilizzatore a regime periodico
Il sistema MTU rappresentato in Figura 8.7 è composto da un motore con
inerzia J v e coppia motrice M m incogniti, una trasmissione di rendimento η
= 0.8 e rapporto di trasmissione τ = 1/50 ed un utilizzatore con momento

Figura 8.7 Macchina ad un grado di libertà con utilizzatore a


regime periodico

Figura 8.8 Andamento del momento resistente in funzione


dell’angolo dell’albero dell’utilizzatore

resistente M r variabile periodicamente in funzione della posizione angolare


dell’utilizzatore α r secondo l’equazione:

(8.1)

con periodo Δ α r = 2π come mostrato in Figura 8.8. Si chiede di calcolare:


1. il momento motore M m costante che garantisce il moto del sistema a
regime periodico;
2. lo scostamento dell’energia cinetica E c dal valore medio ovvero
Δ E c = ( E c,max − E c,min)/2;
3. il valore del momento d’inerzia del volano J v che fornisce un indice

574
di irregolarità di funzionamento della macchina i max del 3%;
4. la velocità angolare ( ω m) massima e minima dell’albero motore.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid

Capitolo 10 Gli elementi delle macchine


10.1 Trasmissione mediante cinghia piana
Figura 10.1 Trasmissione a cinghia piana

Sia assegnato il sistema di trasmissione a cinghia riportato in Figura 10.1.


Siano inoltre assegnate le grandezze geometriche riportate in Tabella 10.1. Si
richiede di effettuare:
1. il calcolo degli angoli di avvolgimento della cinghia su entrambe le
pulegge;
2. il calcolo del momento resistente M r, con momento motore M m ce
la velocità angolare della puleggia motrice ω m = 50 rad/s costanti;
3. la verifica di aderenza;
4. il calcolo del massimo momento motore M m-max trasmissibile.

10.2 Dimensionamento tendicinghia


In Figura 10.2 è rappresentato un sistema di trasmissione a cinghia con
tendicinghia sul ramo lasco costituito da un sistema a molla e cuscinetto.
Tabella 10.1 Dati cinghia

M m = 20 Nm D = 500 mm d = 200 mm

575
I = 600 mm f s = 0.6 S = 300 N

Figura 10.2 Trasmissione a cinghia con tendicinghia

Il momento motore applicato alla puleggia motrice è C m mentre la potenza


da trasmettere è W. La puleggia motrice ha raggio R m mentre la puleggia
condotta ha raggio R c, l’interasse tra le puleggie è l. I dati del problema
sono riportati in Tabella 10.2. Determinare:
1. la velocità angolare della puleggia motrice e della puleggia condotta;
2. la coppia resistente della puleggia condotta;
3. gli angoli di avvolgimento della cinghia sulle pulegge;
4. il precarico della molla del tendicinghia che garantisce il non
slittamento.

Tabella 10.2 Dati per il dimensionamento del tendicinghia

Momento motore Cm 20 Nm
Potenza W 5 kW
Raggio puleggia motrice Rm 100 mm
Raggio puleggia condotta Rc 300 mm
Rigidezza molla k 100 kN/m
interasse pulegge l 600 mm
coordinate punto C xC 500 mm
yC 0 mm

10.3 Camma circolare


Figura 10.3 Meccanismo a camma circolare centrata con punteria
a piattello e molla elastica di richiamo

576
Il meccanismo a camma rappresentato in Figura 10.3 è costituito da una
camma centrata con punteria a piattello e molla elastica di richiamo di
rigidezza k (si trascuri la massa della molla). La camma è ottenuta con un
profilo circolare che ruota intorno ad un punto distante dal centro del cerchio
del profilo di una quantità e. La velocità di rotazione della camma ( )è
costante nel tempo. I dati noti del meccanismo sono riportati in Tabella 10.3.
Determinare:
1. la legge di alzata, la velocità e l’accelerazione della punteria
;
2. la velocità di strisciamento tra camma e punteria;
3. la rigidezza della molla di richiamo che impedisce alla punteria di
staccarsi dal profilo della camma;
4. l’energia dissipata per attrito per un giro completo della camma.

Tabella 10.3 Dati meccanismo a camma

raggio camma ( ) R 20 mm
eccentricità ( ) e 3 mm
velocità angolare ω 4 π rad/s
massa punteria mp 50 g
coefficiente attrito dinamico fd 0.1 –
compressione della molla per ϑ = 0 rad Δl0 1 mm

10.4 Freno a disco

577
Figura 10.4 Sistema frenante a disco: 1 corpo pinza, 2 camera
olio, 3 pistoncino, 4 pastiglia, 5 disco

In Figura 10.4 è riportato il disegno di un tipico sistema frenante


automobilistico. Il sistema è costituito da un disco, la cui pista frenante ha
raggio esterno R e = 310 mm e raggio interno R i = 200 mm, e da una pinza a
6 pistoncini di diametro d p = 65 mm che premono le pastiglie contro il
disco. Le pastiglie hanno raggio interno ed esterno pari a quelli del disco e
coprono un settore circolare Δ ϑ = 75°; il coefficiente d’attrito dinamico tra
disco e pastiglie è μ d = 0.4. Nell’istante considerato il veicolo viaggia a 100
km/h (raggio ruota R r = 300 mm) ed il pilota applica una forza sul pedale
del freno di 100 N. La pompa del freno ha una superficie di spinta di S f = 45
mm 2 ed è movimentata secondo lo schema in Figura ( a = 50 mm, b = 150
mm). Si chiede di calcolare:
1. la pressione dell’impianto frenante;
2. la forza che preme le pastiglie contro il disco;
3. la forza e la coppia frenante sviluppate;
4. la potenza istantanea dissipata per attrito.

10.5 Cinematica del veicolo in curva


Figura 10.5 Autoveicolo in condizioni di sterzatura cinematica

578
In Figura 10.5 è rappresentato un autoveicolo a trazione posteriore in
condizioni di sterzatura cinematica. Nota la geometria del veicolo e del
differenziale e note la velocità di avanzamento e la velocità d’imbardata1, 1
calcolare la velocità dell’albero motore e la coppia alle ruote nel caso di
potenza erogata dal motore costante e pari a 20 kW.
1
La velocità d’imbardata è la velocità angolare con cui il veicolo ruota
intorno all’asse z, perpendicolare alla strada. Pertanto in una curva di raggio
medio R, un veicolo che viaggia con velocità v ha una velocità d’imbardata
in modulo pari a .
Tabella 10.4 Dati veicolo

velocità veicolo υ 54 km/h


velocità d’imbardata 0.3 rad/s
raggio ruota Rr 280 mm
raggio primitivo ruota conica albero trasmissione r m 50 mm
raggio primitivo corona dentata ponte rp 150 mm
raggio primitivo ruota planetaria differenziale r pl 40 mm
raggio primitivo ruota satellitare differenziale r sat 35 mm
carreggiata c 1500 mm

579
Figura 10.6 Differenziale: 1 semialbero, 2 perno satelliti, 3
satellite, 4 planetaria, 5 corona dentata ponte, 6 ruota conica
trasmissione, 7 albero di trasmissione

10.6 Innesto a frizione automobilistico


Figura 10.7 Innesto a frizione automobilistico: 1 volano, 2
materiale di frizione lato volano, 3 materiale di frizione lato disco
frizione, 4 albero motore, 5 disco frizione, 6 molla a diaframma, 7
meccanismo di disinnesco (spintore, cuscinetto assiale, forcella di
comando), 8 albero condotto (verso il cambio)

In Figura 10.7 è rappresentato lo schema di un tipico innesto a frizione di


derivazione automobilistica. Il meccanismo ha il compito di sincronizzare la
velocità dell’albero motore e l’albero condotto che entra nel cambio di

580
velocità. Un disco ricoperto di apposito materiale di frizione viene premuto
contro il volano del motore: l’attrito che si genera nel contatto assicura la
trasmissione del moto tra i due alberi. Il comando viene azionato tramite il
pedale su cui agisce il guidatore della vettura. Nota la geometria della
frizione e la legge con cui viene esercitata la forza N( t) premente i dischi di
frizione, determinare:
1. le equazioni di moto del sistema;
2. l’andamento delle velocità angolari dei due alberi fino ad innesto
avvenuto;
3. l’energia dissipata per attrito nel processo di avviamento del veicolo.
Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo
http://www.ateneonline.it/Bachschmid
Tabella 10.5 Dati innesto a frizione

coppia motrice costante Cm 100 Nm


velocità angolare iniziale motore ω m0 100 rad/s
velocità angolare iniziale utilizzatore ω u0 100 rad/s
inerzia motore + volano Jm 0.5 kg m 2
inerzia lato cambio Ju 0.8 kg m 2
coppia resistente costante Cr 30 Nm
raggio esterno dischi frizione Re 200 mm
raggio interno dischi frizione Ri 120 mm
legge della forza premente N( t) 3000 t N
coefficiente d’attrito dinamico fd 0.5
coefficiente d’attrito statico fs 0.5

Capitolo 11 Vibrazioni meccaniche a un grado di


libertà
11.1 Fermaporta
Figura 11.1 Schematizzazione del fermaporta

581
In Figura 11.1 è rappresentato un meccanismo di ritenuta che impedisce ad
una porta di sbattere. Per minimizzare il tempo di riposizionamento della
porta nella posizione di riposo, è stato progettato un sistema molla-
smorzatore che opera in condizioni di rapporto di smorzamento critico. Nota
la massa m della porta, la lunghezza l, la rigidezza k della molla e che
l’estremo della porta (punto A) subisce uno spostamento massimo di x max =
20 mm dopo l’impatto, si chiede di determinare in base ai valori riportati in
Tabella 11.1:
1. il valore del coefficiente di smorzamento fisico r;
2. la velocità iniziale del punto A: ;
3. il tempo necessario affinchè il punto A ritorni ad una posizione di x 2
= 5 mm dalla posizione iniziale.

Tabella 11.1 Fermaporta: dati

massa porta m 30 kg
lunghezza della porta l 900 mm
rigidezza molla k 10000 N/m

11.2 Locomotore
Un locomotore di massa m in moto con una velocità v è fermato alla fine del
binario da un respingente schematizzato come un sistema molla-smorzatore,
Figura 11.2. Nota la rigidezza k della molla e la costante di smorzamento r,
si chiede di determinare lo spostamento massimo raggiunto dall’istante in cui
il locomotore colpisce il respingente ed il tempo necessario per raggiungere
il massimo spostamento in base ai dati indicati in Tabella 11.2.

Figura 11.2 Schematizzazione del respingente ferroviario

582
Tabella 11.2 Locomotore: dati

massa locomotore m 80 t
velocità all’impatto v 15 km/h
rigidezza molla k 10 kN/mm
costante di smorzamento r 2 kNs/mm

11.3 Sospensione motociclistica


Si vuole effettuare il dimensionamento di una sospensione per una
motocicletta di massa m = 200 kg che soddisfi le seguenti specifiche:
• Le oscillazioni devono smorzarsi con un tasso di riduzione che ne
riduca le ampiezze di 4 volte ogni mezzo periodo;

Figura 11.3 Schematizzazione di una sospensione


motociclistica

• Il periodo di vibrazione del sistema sia uguale a 2 s


La sospensione può essere schematizzata, in prima approssimazione, come in
Figura 11.3. Una volta identificati i parametri di rigidezza e di smorzamento
della sospensione in base ai dati forniti in Tabella 11.3, determinare quale sia

583
la minima velocityà iniziale da fornire al sistema meccanico per raggiungere
un massimo spostamento di x Lim = 50 mm.
Tabella 11.3 Dati per il dimensionamento della sospensione

massa moto m 200 kg


periodo di vibrazione T 2 S
riduzione di ampiezza x( t + 0.5 T) = 1/4 x( t)

Figura 11.4 Oscillazioni nel tempo

Figura 11.5 Sistema vibrante: es.1

11.4 Sistema vibrante: es.1


584
Il sistema in Figura 11.5, posto nel piano verticale, è costituito da un carrello
di massa M 3 che scorre su un piano orizzontale. Il carrello è vincolato a terra
tramite un gruppo molla-smorzatore di caratteristiche k 3, r 3. Su di esso è
posta una coppia di dischi concentrici e solidali, di massa totale M 2 e
momento d’inerzia complessivo J 2. Il disco di raggio 2 R rotola senza
strisciare sul carrello ed è vincolato allo stesso tramite un gruppo molla-
smorzatore di caratteristiche k 2, r 2. Sul disco di raggio R si avvolge una
fune collegata ad una massa M 1. La massa M 1 è vincolata a terra tramite un
gruppo molla-smorzatore di caratteristiche k 1, r 1. Una coppia esterna C( t) =
C 0 cos ( Ωt) agisce sul disco di raggio 2 R. Considerando la coordinata libera
ϑ, determinare:
1. la posizione di equilibrio statico ϑ 0;
2. l’equazione di moto del sistema nell’intorno della posizione di
equilibrio statico;
3. la frequenza propria del sistema smorzato;
4. la risposta a regime del sistema.

11.5 Sistema vibrante: es.2


Il sistema rappresentato in Figura 11.6 si trova nel piano verticale. Un corpo
di massa M 1 scorre lungo una guida verticale ed è vincolato a terra
attraverso un gruppo molla-smorzatore di rigidezza k 1 e smorzamento r 1.
Una coppia di dischi concentrici, di momento di inerzia complessivo pari a
J 2, è incernierata
Tabella 11.4 Dati dell’esercizio 11.4

M 1 = 10 Kg k 1 = 100 N/m
M 2 = 50 Kg r 1 = 10 Ns/m
J 2 = 25 kg m 2 k 2 = 100 N/m
M 3 = 70 kg r 2 = 10 Ns/m
R = 0.5 m k 3 = 1000 N/m
Ω = 30 rad/s r 3 = 30 Ns/m
C 0 = 100 Nm

Figura 11.6 Sistema vibrante: es.2

585
a terra nel suo centro O e rotola senza strisciare sul corpo di massa M 1. Una
fune collega il disco interno di raggio R 2 a terra attraverso un gruppo molla-
smorzatore di rigidezza k 2 e smorzamento r 2. Un’altra fune si avvolge sul
disco esterno di raggio R 3 ed è vincolata ad un altro gruppo molla-
smorzatore di rigidezza k 3 e smorzamento r 3 che la collega al carrello. Al
sistema sono applicate due forzanti esterne: F 1( t) = F 1 cos(Ω t), F 2 =
constante. Si richiede di determinare:
1. l’equazione di moto del sistema nell’intorno della posizione di
equilibrio statico, utilizzando come variabile indipendente la
rotazione ϑ indicata in figura;
2. la frequenza propria del sistema e lo smorzamento adimensionale;
3. la risposta del sistema ϑ( t) in transitorio perturbando il sistema a
partire dalla condizione di equilibrio statico ( ϑ d( t = 0) = 0 rad,
).

Tabella 11.5 Dati dell’esercizio 11.5

M 1 = 10 kg k 1 = 3000 N/m
J 2 = 20 kg m 2 r 1 = 30 Ns/m
R 2 = 0.2 m k 2 = 6000 N/m
R 3 = 0.3 M r 2 = 60 Ns/m
F 1 = 100 N k 3 = 12000 N/m
F 2 = 150 N r 3 = 60 Ns/m

586
Ω = 10 rad/s

Le soluzioni svolte degli esercizi sono liberamente scaricabili all’indirizzo


http://www.ateneonline.it/Bachschmid

587

Potrebbero piacerti anche