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TERMODINAMICA APPLICATA

TRASMISSIONE DEL CALORE


CONDIZIONAMENTI AMBIENTALI

(Collana diretta da Vittorio Betta)


Gaetano Alfano, Vittorio Betta,
Francesca R. d’Ambrosio, Giuseppe Riccio

Lezioni di Fisica Tecnica

Liguori Editore
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© 2008 by Liguori Editore, S.r.l.


Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione italiana Settembre 2008

Alfano, Gaetano :
Lezioni di Fisica Tecnica / Gaetano Alfano, Vittorio Betta, Francesca R. d’Ambrosio,
Giuseppe Riccio
Napoli : Liguori, 2008
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 4469 - 4

1. Termodinamica applicata 2. Trasmissione del calore I. Titolo

Aggiornamenti:
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15 14 13 12 11 10 09 08 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
Indice

Prefazione XIII

1. Fondamenti per i calcoli 1


1.1. Unità di misura 1
1.1.1. Il sistema Internazionale di misura 1
1.1.2 Fattori di conversione 5
1.1.3 Aspetti formali 5
1.2 Operazioni con numeri che rappresentano misura
di grandezze fisiche 6
1.2.1 Cifre significative 6
1.2.2 Misura di una grandezza 7
1.2.3 Operazioni 7
1.3 Esempi 8
1.3.1 Operazioni 8
1.3.2 Conversioni tra unità di misura 9
Esercizi 11

2. Generalità e definizioni 13
2.1 Sistemi termodinamici 13
2.2 Equilibrio termodinamico 14
2.3 Proprietà 15
2.4 Equazioni di stato 17
2.5 Trasformazioni - Calore - Lavoro 18
2.6 Energia totale di un sistema - Energia interna 21
2.7 Temperatura 22
2.8 Capacità termica - Calore specifico 23
2.9 Trasformazioni quasi statiche 24
2.10 Lavoro di variazione di volume per trasformazioni quasi
statiche - Piano di Clapeyron 26
2.11 Trasformazioni reversibili ed irreversibili 29
Esercizi 30

3. Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodina-


mica 35
3.1 Significato di bilancio 35
VI Indice

3.2 Bilancio di massa - Equazione della continuità 36


3.3 Bilancio di energia per sistemi chiusi - Primo principio
della termodinamica per sistemi chiusi 38
3.4 Bilancio di energia per sistemi aperti - Primo principio
della termodinamica per sistemi aperti 41
3.5 Calori specifici cv e cp 45
3.6 Applicazioni del primo principio ad alcune trasformazioni 46
3.6.1 Trasformazioni di sistemi isolati 46
3.6.2 Trasformazioni adiabatiche 47
3.6.3 Trasformazioni a volume costante 48
3.6.4 Trasformazioni a volume specifico costante 49
3.6.5 Trasformazioni a pressione costante 50
3.6.6 Trasformazioni a temperatura costante 52
3.6.7 Tasformazioni cicliche 52
3.6.8 Generalità su alcuni componenti degli impianti 55
Esercizi 57

4. Secondo principio della termodinamica 65


4.1 Limiti del primo principio 65
4.2 Enunciati del secondo principio della temodinamica 66
4.3 Calcolo della variazione di entropia 67
4.4 Sorgenti termiche e serbatoi di energia meccanica 68
4.4.1 Il serbatoio di energia meccanica 68
4.4.2 Il serbatoio di energia termica 69
4.5 Verso delle trasformazioni: enunciato di Clausius 70
4.6 Limitazioni alla conversione di energia termica in energia
meccanica: enunciato di Kelvin-Planck 71
4.6.1 Conseguenze del postulato di Kelvin-Planck 72
4.7 Indici di prestazioni dei cicli 74
4.7.1 Rendimento dei cicli diretti 74
4.7.2 Coefficiente di prestazione dei cicli inversi 75
4.8 Equilibrio termodinamico stabile 77
4.9 Bilancio di entropia per sistemi aperti 79
4.10 Piano entropico 81
4.10.1 Generalità 81
4.10.2 Rappresentazione dei cicli diretti sul piano
entropico 82
4.10.3 Rappresentazione dei cicli inversi sul piano
entropico 84
4.11 Considerazioni riepilogative 84
4.12 L’exergia 85
4.12.1 Introduzione 85
4.12.2 Bilancio di exergia 86
Indice VII

4.12.2.1 Sistemi chiusi 87


4.12.2.2 Sistemi aperti 88
4.12.3 Il Teorema di Gouy-Stodola 88
4.12.4 Rendimento exergetico 90
Esercizi 91

5. Sostanze pure: generalità 93


5.1 Definizioni 93
5.2 Tensione di vapore 93
5.3 Piano termodinamico p,T 96
5.4 Piano termodinamico p,v 100
Esercizi 101

6. Sostanze pure: i gas 103


6.1 Generalità 103
6.2 Equazione di stato tra p, v, T 104
6.2.1 L’equazione di stato applicata ad una trasforma-
zione isocora 105
6.2.2 L’equazione di stato applicata ad una trasforma-
zione isobara 105
6.2.3 L’equazione di stato applicata ad una trasforma-
zione isoterma 106
6.3 Energia interna ed entalpia 106
6.3.1 Espressioni per il calcolo della variazione di ener-
gia interna ed entalpia per i gas a comportamento
piuccheperfetto 106
6.4 Entropia 108
6.4.1 Espressioni per il calcolo della variazione di
entropia per i gas a comportamento piucche-
perfetto 109
6.5 Trasformazioni 110
6.5.1 Trasformazioni politropiche 110
6.5.2 Trasformazione di sistema isolato per gas a com-
portamento perfetto 115
6.5.3 Trasformazione adiabatica reversibile per gas a
comportamento piuccheperfetto 115
6.5.4 Trasformazioni adiabatiche non reversibili di gas
piuccheperfetti 117
6.5.5 Trasformazione a volume specifico costante per
gas a comportamento piuccheperfetto 118
6.5.6 Trasformazione a pressione costante per gas a
comportamento piuccheperfetto 119
VIII Indice

6.5.7
Trasformazione a temperatura costante per gas
a comportamento piuccheperfetto 120
6.6 Miscele di gas perfetti 121
6.6.1 Generalità 121
6.6.2 Equazione di stato tra p, v e t 122
6.6.3 Relazione tra composizione massica e composi-
zione volumetrica 125
6.6.4 Energia interna, entalpia, entropia 126
Esercizi 127

7. Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 133


7.1 Vapori saturi 133
7.1.1 Il volume specifico 134
7.1.2 L’energia interna specifica 135
7.1.3 L’entalpia specifica 135
7.1.4 L’entropia specifica 136
7.1.5 Il calcolo delle proprietà dei vapori saturi con
l’uso di Tabelle 136
7.2 Liquidi 138
7.2.1 Il calcolo delle proprietà dei liquidi 139
7.3 Vapori surriscaldati 141
7.3.1 Il calcolo delle proprietà dei vapori surriscaldati 142
7.4 Il diagramma entropico 143
7.5 Il diagramma di Mollier 144
7.6 I solidi 146
Esercizi 147

8. Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodi-


namica 153
8.1 Bilancio di energia meccanica su sistemi aperti 153
8.2 Perdite di carico nel moto di fluidi in condotti 156
8.2.1 Regimi di moto di fluidi in condotti 156
8.2.1.1 Regime laminare 156
8.2.1.2 Regime turbolento 157
8.2.1.3 Numero di Reynolds 158
8.2.2 Calcolo delle perdite di carico nel moto di fluidi
in condotti 160
8.2.2.1 Perdite di carico distribuite 160
8.2.2.2 Perdite di carico concentrate o localizzate 161
8.3 Laminazione 162
8.4 Rendimenti isoentropici ed exergetici di turbine, pompe e
compressori 164
Indice IX

8.5 Scambiatori di calore 166


Esercizi 169

9. Introduzione alla trasmissione del calore 173


9.1 Generalità 173
9.2 Meccanismi di scambio termico 174
9.2.1 Conduzione 174
9.2.2 Irraggiamento 175
9.2.3 Convezione 176
9.3 Semplificazioni adottate nella trattazione dello scambio
termico 177
9.4 Meccanismi in serie e/o parallelo. Analogia elettrica 178
9.4.1 Circuito con resistenze in serie 179
9.4.2 Circuito con resistenze in parallelo 181
9.5 Leggi fondamentali dello scambio termico 183
9.5.1 Conduzione 183
9.5.2 Irraggiamento 184
9.5.3 Convezione 185
9.6 Meccanismi combinati di scambio termico 186
9.7 Valutazione dell’andamento della temperatura in un si-
stema 189
Esercizi 189

10. Trasmissione del calore per conduzione 191


10.1 Postulato di Fourier 191
10.2 Pareti piane a regime permanente 193
10.3 Pareti cilindriche a regime permanente 197
10.4 Sistemi con generazione di energia termica 202
10.5 Sistemi a regime non permanente 204
Esercizi 207

11. Trasmissione del calore per irraggiamento termico 211


11.1 Generalità 211
11.2 Definizioni 212
11.2.1 Irraggiamento 212
11.2.2 Interazione delle radiazioni con i corpi 213
11.2.3 Emissione delle radiazioni dai corpi 214
11.3 Corpo nero 215
11.4 Leggi del corpo nero 218
11.5 Corpi reali 220
11.6 Corpo grigio 221
11.7 Potenza termica radiante scambiata da superfici piane
parallele indefinite 223
X Indice

11.7.1 Due superfici, entrambe nere 223


11.7.2 Due superfici, delle quali una nera 225
11.7.3 Due superfici, entrambe non nere 226
11.8 Superfici non indefinite 227
11.8.1 Fattori di vista 228
11.8.2 Superficie grigia convessa contenuta in altra su-
perficie grigia 232
11.9 Effetto serra 232
11.10 Considerazioni conclusive 234
Esercizi 237

12. Trasmissione del calore per convezione 241


12.1 Introduzione 241
12.2 Convezione forzata 242
12.3 Convezione naturale 246
12.4 Convezione naturale in cavità 249
Esercizi 250

13. Dimensionamento degli scambiatori di calore 253


13.1 Generalità 253
13.2 Il coefficiente globale di scambio termico 254
13.3 L’andamento delle temperature 256
13.3.1 Differenza media delle temperature 262
13.4 Alcuni tipi di scambiatore a superficie 263
13.4.1 Fattore di correzione 266
13.5 L’efficienza degli scambiatori 268
Esercizi 268

14. Principi di impianti termici motori ed operatori 271


14.1 Introduzione 271
14.2 Impianti termici motori con turbina a vapore: ciclo
Rankine a vapore surriscaldato 273
14.2.1 Metodi per aumentare il rendimento del ciclo
Rankine 278
14.2.1.1 La rigenerazione 278
14.2.1.2 Il surriscaldamento del vapore 279
14.3 Impianti termici motori con turbina a gas: ciclo Joule o
Brayton 280
14.4 Impianti frigoriferi e pompe di calore: ciclo inverso a
compressione di vapore 285
14.4.1 Metodi per aumentare il coefficiente di presta-
zione dei cicli inversi 291
Indice XI

14.5 Motori alternativi a combustione interna 291


14.5.1 Il ciclo Otto 293
14.5.2 Il ciclo Diesel 296
Esercizi 297

15. Aria umida 301


15.1 Generalità 301
15.2 Proprietà dell’aria umida 302
15.3 Equazioni di stato 306
15.3.1 Titolo 306
15.3.2 Entalpia specifica 307
15.3.3 Volume specifico 308
15.3.4 Massa dell’aria umida 309
15.3.5 Temperatura di rugiada 309
15.4 Diagramma psicrometrico 310
15.5 Trasformazioni elementari dell’aria umida 311
15.5.1 Generalità 311
15.5.2 Riscaldamento a titolo costante 314
15.5.3 Raffreddamento a titolo costante 314
15.5.4 Raffreddamento con deumidificazione 315
15.5.5 Umidificazione adiabatica 315
15.5.6 Riscaldamento ed umidificazione 316
15.5.7 Mescolamento adiabatico 316
15.6 Misura dell’umidità dell’aria 317
Esercizi 318

16. Impianti di condizionamento dell’aria 321


16.1 Introduzione 321
16.2 La qualità dell’aria negli ambienti confinati 322
16.2.1 Generalità 322
16.2.2 Sistemi per l’ottenimento di una buona qualità
dell’aria 325
16.2.3 Accettabilità degli ambienti: la norma UNI EN
15251 329
16.2.4 Normativa 330
16.3 Comfort termoigrometrico 331
16.3.1 Cenni di termoregolazione del corpo umano 331
16.3.2 Bilancio di energia termica sul corpo umano 331
16.3.3 Comfort termoigrometrico globale 335
16.3.4 Discomfort locale 338
16.3.5 Criteri di accettabilità di un ambiente 339
16.4 Proporzionamento di un impianto di condizionamento
totalmente centralizzato senza ricircolazione 340
XII Indice

16.4.1
Introduzione 340
16.4.2
Individuazione dei punti (A) ed (E) 341
16.4.3
Calcolo del carico termoigrometrico 342
16.4.4
Determinazione del punto (C) e calcolo della por-
tata d’aria 345
16.4.5 Determinazione dei processi da realizzare nel
gruppo condizionatore 346
16.5 Impianto di condizionamento con ricircolazione 350
Esercizi 352

Appendice 353

Avvertenza:
Gli svolgimenti e le soluzioni degli esercizi contenuti nel presente volume
sono reperibili nelle ultime pagine di questo ebook.
Prefazione

Questo testo, che si prefigge finalità prevalentemente didattiche, rispec-


chia l’impostazione ed i contenuti che gli Autori hanno dato ai corsi da
loro tenuti nelle Facoltà di Ingegneria ed Architettura nell’ambito del
cosiddetto Nuovo Ordinamento degli Studi Universitari.
Tradizionalmente, lo studio della Fisica Tecnica nei corsi di primo
livello si articola nei tre macroargomenti: termodinamica applicata, tra-
smissione del calore ed impianti termici e di climatizzazione, che costitui-
scono le parti in cui questo testo si può considerare suddiviso.
In particolare, dopo un’introduzione dei concetti fondamentali ne-
cessari per affrontare con un approccio ingegneristico le operazioni di
calcolo su grandezze fisiche, vengono presentati i bilanci di massa, energia
ed entropia per i sistemi chiusi ed aperti e la termodinamica degli stati; a
quest’ultimo argomento il testo dedica particolare attenzione, in quanto
gli Autori lo ritengono fondamentale per l’applicazione delle leggi della
termodinamica ai processi ingegneristici.
La trasmissione del calore viene inizialmente illustrata nella sua glo-
balità, per poi passare ad una trattazione più approfondita dei tre meccani-
smi fondamentali di scambio termico; la necessità di questa impostazione,
seguita da quasi tutti i testi di trasmissione del calore, deriva dal fatto che
i meccanismi di scambio termico sono quasi sempre contemporaneamente
presenti e, quindi, l’assenza di un preliminare studio unitario non permet-
terebbe di comprendere i casi reali e di risolvere problemi tecnicamente
significativi, se non alla fine dell’intera trattazione. A chiusura del capito-
lo, viene affrontato il dimensionamento degli scambiatori di calore.
Gli ultimi capitoli sono poi dedicati agli impianti, sia termici che di
climatizzazione. Per quanto riguarda gli impianti termici (motori ed ope-
ratori), l’impostazione data all’argomento è tale da poterlo considerare sia
un’applicazione dei principi di termodinamica e scambio termico prece-
dentemente trattati, sia un’utile premessa ai successivi corsi di Macchine
nell’ambito dell’Ingegneria Industriale; alla stesura di questo capitolo ha
collaborato il prof. Renato Della Volpe, docente di Macchine presso la
Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II, cui va il vivo
ringraziamento degli Autori.
Lo studio degli impianti di climatizzazione è suddiviso in due capitoli:
il primo, propedeutico, che affronta la termodinamica dell’aria umida,
XIV Prefazione

ed il secondo che descrive i criteri per il proporzionamento dei suddetti


impianti. In questa seconda parte è dato ampio spazio alle tematiche
della qualità dell’aria e del comfort termoigrometrico che permettono di
specificare le condizioni ambientali che gli impianti di condizionamento
devono realizzare.
Gli Autori ritengono che, per la comprensione e la maturazione degli
argomenti presentati, sia indispensabile accompagnare allo studio teorico
l’applicazione numerica. A tale scopo, alla fine di ciascun capitolo sono
riportati testi di esercizi il cui svolgimento dettagliato, che si consiglia
di consultare solo come verifica del procedimento adottato e dei risul-
tati ottenuti, è disponibile in rete, all’indirizzo internet dell’editore1. Il
numero complessivo di esercizi svolti supera i 150. Gli Autori consiglia-
no di svolgere gli esercizi fino al risultato numerico, senza limitarsi alla
semplice impostazione, che il più delle volte maschera le reali difficoltà
dei problemi.
In appendice sono infine riportati diagrammi e tabelle che raccolgono
tutti i dati necessari allo svolgimento delle applicazioni numeriche, senza
la necessità di consultare manuali ed opere più vaste.
Questo testo potrà essere migliorato nel corso degli anni; a questo
scopo, si invitano coloro che lo utilizzeranno ad inviare agli Autori sug-
gerimenti e critiche.

Napoli, luglio 2008

gli Autori

1
www.liguori.it/schedanew.asp?isbn=4061, seguendo le istruzioni riportate sulla
scheda allegata al volume.
Capitolo primo
Fondamenti per i calcoli

1.1 Unità di misura

1.1.1 Il Sistema Internazionale di misura

La descrizione dei sistemi fisici richiede l’individuazione di partico-


lari “enti”, denominati grandezze, dei quali si può dare una definizione
quantitativa attraverso una misura; ogni grandezza è individuata da specie,
misura e unità di misura:
• la specie caratterizza la qualità della grandezza; l’appartenenza di due
grandezze alla stessa specie ne rende possibile il confronto;
• la misura è il numero che esprime il rapporto tra la grandezza data ed
una della stessa specie assunta come unità di misura;
ad esempio, la base b e l’altezza h di un rettangolo sono due grandezze
della stessa specie, lunghezza, e possono essere espresse numericamente
dalle rispettive misure, b = 2 m e h = 3 m, a loro volta espresse nella
stessa unità di misura, m.
In questo corso si adopererà il Sistema Internazionale di misura (SI),
adottato dalla Comunità Europea con una direttiva del 1971 ed ormai
accettato praticamente in tutto il mondo.
Grandezze fondamentali del Sistema Internazionale, di interesse per
questo corso, sono:
• la lunghezza,
• la massa,
• il tempo,
• la temperatura termodinamica,
• il numero di moli,
le cui unità di misura sono rispettivamente il metro, il kilogrammo, il
1
secondo, il kelvin o il grado celsius e la mole e i cui simboli sono rispet-
tivamente L, M, θ, T, n.

1
La recente normativa prescrive che non si parli più di grado kelvin, ma sempli-
cemente di kelvin.
2 Lezioni di Fisica Tecnica

A partire dalle grandezze fondamentali è possibile dar luogo a gran-


dezze derivate: dette x1, x2, …, xn le grandezze fondamentali ed y una
generica grandezza derivata, il loro legame funzionale è rappresentato
da una relazione del tipo:

[y ] ≡ ⎡⎣ x a1 ⋅ x b2 ⋅ ... ⋅ x kn ⎤⎦ (1.1)

in cui gli esponenti a, b, …, k, comprensivi di segno, prendono il nome di


dimensioni della grandezza fisica y rispetto alle grandezze fondamentali
x1, x2, …, xn e esprimono quindi il legame funzionale che intercorre tra la
specie della grandezza data e quella delle grandezze fondamentali.
L’applicazione formalmente più corretta della (1.1) è quella che fa
apparire al secondo membro tutte le grandezze fondamentali di interesse
del particolare settore tecnico, eventualmente con esponente 0 se la gran-
dezza non entra in gioco. Si consideri ad esempio l’accelerazione lineare,
a, grandezza derivata in quanto definita come rapporto tra una lunghezza
ed un tempo al quadrato; dalla (1.1) si ricava:

[a]≡[M0⋅L1⋅θ–2⋅T0⋅n0] (1.2)

che generalmente viene espressa come:

[a]≡[L1⋅θ–2] (1.3)

Un’espressione analoga si ottiene sostituendo alle grandezze al secondo


membro le corrispondenti unità di misura:

[a]≡[m⋅s–2] (1.4)

Nel linguaggio tecnico corrente, le tre ultime espressioni vengono


dette dimensione o equazione dimensionale.
Le unità di misura ed il corrispondente simbolo per le grandezze
fondamentali prima richiamate sono riportate nella Tabella 1.1, quelle
per le grandezze derivate aventi unità di misura con nome e simbolo
particolari (in genere riferiti ad uno scienziato) nella Tabella 1.2, quelle
per le grandezze derivate le cui unità di misura non hanno un nome ed
un simbolo particolari nella Tabella 1.3.
Si noti che l’unità di misura della massa è il kg, che formalmente è
un multiplo del grammo.
Nella pratica ingegneristica, spesso, si utilizzano grandezze i cui valo-
ri, se espressi nelle unità di misura del Sistema Internazionale, risultano di
alcuni ordini di grandezza superiori o inferiori all’unità. Per questo moti-
vo, si fa uso dei multipli e dei sottomultipli decimali, che sono individuati
Fondamenti per i calcoli 3

da prefissi convenzionali cui corrispondono potenze di 10 (positive per i


multipli, negative per i sottomultipli). Nella Tabella 1.4 vengono riportati
i prefissi previsti dal SI per alcuni multipli e sottomultipli.

Tabella 1.1 – Alcune grandezze fondamentali del Sistema Internazionale.


grandezza unità nel SI simbolo unità
lunghezza metro m
massa kilogrammo kg
tempo secondo s
temperatura termodinamica kelvin K
numero di moli mole mol

Tabella 1.2 – Alcune grandezze derivate con unità aventi nome e simbolo particolari.
grandezza unità nel SI nome simbolo
2
forza kgm/s newton N
pressione N/m2 (kg/ms2) pascal Pa
energia, lavoro, calore Nm (kgm2/s2) joule J
potenza J/s (kgm2/s3) watt W

Tabella 1.3 – Altre grandezze derivate.


grandezza unità nel SI
velocità m/s
accelerazione lineare m/s2
densità kg/m3
costante universale dei gas J/kgmoleK
costante dei gas J/kgK
portata volumetrica m3/s
portata massica kg/s
conducibilità termica W/mK
conduttanza termica W/K
conduttanza termica unitaria W/m2K
resistenza termica K/W
resistenza termica unitaria m2K/W
viscosità dinamica Pas
viscosità cinematica m2/s

In alcuni casi, per indicare il multiplo o il sottomultiplo si usa un nome


particolare: si pensi alla tonnellata, che è il megagrammo; in Tabella 1.5
4 Lezioni di Fisica Tecnica

sono riportati i casi di interesse per questo corso. Alcuni di questi multipli
vengono normalmente a loro volta trattati come unità di misura base, nel
senso che ne vengono considerati multipli e sottomultipli: per esempio,
per il bar, multiplo del pascal, è molto frequente, nelle applicazioni me-
tereologiche, l’uso del millibar.

Tabella 1.4 – Prefissi per i multipli ed i sottomultipli nel Sistema Internazionale.


nome preÞsso simbolo fattore
MULTIPLI
tera T 1012
giga G 109
mega M 106
kilo k 103
etto h 102
deca da 10
SOTTOMULTIPLI
deci d 10–1
centi c 10–2
milli m 10–3
micro μ 10–6
nano n 10–9
pico p 10–12

È da notare che per la grandezza tempo non si usano i multipli de-


cimali ma il minuto (simbolo “min”), l’ora (simbolo “h”) ed il giorno
(simbolo “d”).
Va infine detto che esiste un insieme di unità di misura che, pur
non essendo coerenti con il Sistema Internazionale, sono molto utiliz-
zate nella pratica, anche se ci si augura che con il tempo scompaiano;
di esse, nella Tabella 1.6, sono riportate quelle di interesse per questo
corso. Negli esercizi svolti di questo testo vengono talvolta utilizzate,
a puro scopo didattico, unità di misura non appartenenti al Sistema
Internazionale.

Tabella 1.5 – Multipli con un nome proprio e trattati come unità di misura.
unità relazione simbolo
litro = 10–3 m3 L, l
tonnellata = 1 Mg t
bar = 105 Pa bar
Fondamenti per i calcoli 5

Tabella 1.6 – Alcune importanti unità di misura incoerenti con il SI.


unità grandezza
kgf o kp forza
atm pressione
mm(Hg) pressione
kcal energia
Wh energia
CV potenza

1.1.2 Fattori di conversione


Nei calcoli numerici, quando le grandezze che compaiono nelle re-
lazioni non sono espresse nelle stesse unità di misura, vanno utilizzati i
fattori di conversione riportati nella Tabella A.1 dell’Appendice.
I fattori di conversione sono dimensionali e la loro dimensione è
espressa dal rapporto fra la dimensione dell’unità di misura che si vuole
ottenere e quella da cui si è partiti.

1.1.3 Aspetti formali


Nel seguito si riportano considerazioni e raccomandazioni puramente
formali, che si consiglia comunque di seguire, anche perché sono previste
da norme e regolamenti:
• i simboli delle unità di misura che derivano da nomi propri vanno
scritti con la maiuscola (Pa, non pa);
• quando si scrive un’unità di misura per esteso non va usata la lettera
maiuscola, anche quando il simbolo è maiuscolo (pascal, non Pascal);
• nel prefisso del multiplo 1000 la lettera kappa è minuscola (kg, non
Kg) e per esteso si scrive kilo e non chilo, come in Tabella 1.4;
• al simbolo della temperatura espressa in kelvin non va anteposto il
simbolo del grado (K, non °K);
• dopo i simboli delle unità di misura non va mai usato il punto (m e
non m., kg non kg., etc.);
• metri quadrati e metri cubi vanno scritti con l’esponente e, ovviamente,
senza il punto (m2, non mq.; m3, non mc.);
• il simbolo per il secondo è s (non sec);
• l’unità di misura, quando non accompagnata dal valore numerico, si
deve scrivere per esteso (“pochi secondi”, non “pochi s”);
• la parte decimale di un numero va divisa dalla parte intera con la
virgola e non con il punto (4,187 non 4.187).
6 Lezioni di Fisica Tecnica

1.2 Operazioni con numeri che rappresentano misura di gran-


dezze fisiche

1.2.1 Cifre significative

Qualunque numero reale può sempre essere scritto nella forma

N1,N2,N3...Nh...Nn∙10k (1.5)
con:
1 ≤ N1 ≤ 9
0 ≤ N2,N3,Nh,Nn ≤ 9
–∞ ≤ k ≤ +∞

Ad esempio, il numero 547 si scrive 5,47∙102; il numero 0,00347 si scrive


3,47.10–3.
Posto in questa forma, il numero si dirà ad n cifre significative; nella
Tabella 1.7 vengono riportati alcuni esempi.

Tabella 1.7 – Esempio di numeri espressi nella forma dell’Eq. 1.1 con indicazione del
corrispondente numero di cifre significative.
numero numero nella forma (1.5) n. di cifre signiÞcative
347302,12 3,4730212·105 8
0,006431 6,431·10–3 4
6431,00 6,43100·103 6

Un numero ad n cifre significative si approssima ad m cifre significa-


tive eliminando le ultime n-m cifre ed aumentando di un’unità la m-esima
se la (m+1)esima è maggiore di 5; nel caso in cui la (m+1)esima cifra sia
5, la scelta tra il troncamento e l’approssimazione per eccesso è arbitraria.
Ad esempio il numero 4,765596 si approssima così:

m=1→5
m = 2 → 4,8
m = 3 → 4,77
m = 4 → 4,766
m = 5 → 4,7656
m = 6 → 4,76560
Fondamenti per i calcoli 7

1.2.2 Misura di una grandezza

Ogni misura è inevitabilmente affetta da incertezza, per cui è opportu-


no che il numero che la rappresenta contenga un’informazione sul valore
di quest’ultima; a questo scopo, in questo testo viene usata la convenzione
che l’incertezza della misura sia contenuta nell’ultima cifra significativa
del numero. Ad esempio, dire che un tavolo è lungo 2,37 m, significa che
il risultato della misura è affetto da una incertezza sui centimetri. Dire
invece che il tavolo è lungo 2,371 m, significa che la lunghezza del tavolo è
stata misurata con una incertezza sui millimetri. È quindi evidente che 3 m,
3,0 m e 3,00 m non sono numeri uguali: la lunghezza è stata misurata nel
primo caso con un’incertezza sui metri (quindi non si sa nulla su decimetri,
centimetri e così via), nel secondo con un’incertezza sui decimetri (non si
sa nulla su centimetri, millimetri, etc.), nel terzo caso con un’incertezza
sui centimetri (non si sa nulla su millimetri, etc.).

1.2.3 Operazioni

In base a quanto detto al paragrafo precedente, quando si eseguono


operazioni con numeri che esprimono la misura di grandezze, si devono
seguire le seguenti regole:
Addizione e sottrazione – Dopo aver espresso gli operandi nella stessa
potenza di 10 dell’unità di misura, gli operandi, oppure il risultato, vanno
approssimati all’ultima cifra significativa dell’operando con il minor nu-
mero di decimali.
Ad esempio dovendo sommare 3,52 kg a 16 g ed a 0,0421 t, innanzi-
tutto bisogna esprimere i tre numeri nella stessa potenza di 10, ottenendo
3,52 kg, 0,016 kg e 42,1 kg; quindi questi tre valori vanno approssimati
ai decimi, diventando 3,5 0,0 e 42,1 la cui somma è 45,6 kg. Allo stesso
risultato si perviene effettuando prima la somma, il cui risultato è 45,636,
e approssimando poi quest’ultimo valore ad un solo decimale.
Lo spirito della regola è la conseguenza del significato del numero
di cifre significative: 42,1 significa che per questa massa non si conoscono
né i decagrammi né i grammi, pertanto il 2 di 3,52 ed il 16 di 0,016 non
possono essere sommati a qualche cosa di cui non si conosce il valore.
Moltiplicazione e divisione – Il risultato ha un numero di cifre signi-
ficative pari a quelle dell’operando che ne ha di meno.
Ad esempio, il risultato della moltiplicazione 4,74∙2,7 non è 12,798
(come risulta dalla calcolatrice) ma 13, perché il primo operando ha 3
cifre significative, il secondo ne ha 2 e quindi il risultato va approssimato
a 2 cifre significative.
8 Lezioni di Fisica Tecnica

Lo spirito della regola è questo: se il numero di cifre significative


rappresenta, come si è visto, il grado di precisione della misura, il pro-
dotto e il quoziente non possono avere che la precisione dell’operando
meno preciso, in quanto un’operazione aritmetica non può comportare
un aumento della precisione delle misure.
Si noti che le approssimazioni sopra indicate possono essere effet-
tuate in via preventiva sui singoli operandi o, dopo aver eseguito l’ope-
razione, sul risultato. Entrambi i procedimenti sono corretti; il risultato
può differire di qualche unità sull’ultima cifra significativa, coerentemente
con il significato di questa.

1.3 Esempi

1.3.1 Operazioni

◊ Addizione e sottrazione
• Come si è visto al punto 1.2.3, gli addendi vanno posti nella stessa
potenza di 10 dell’unità di misura ed approssimati all’ultima cifra si-
gnificativa dell’addendo con il minor numero di decimali:
53,7 + 1,7⋅10–3 = 53,7 + 0,0017 = 53,7
• L’addizione può portare ad un aumento del numero di cifre significa-
tive:
57,3 + 64,2 = 121,5
• La sottrazione può portare ad una diminuzione del numero di cifre
significative, tanto più elevata quanto minore è la differenza tra i due
operandi:
75,5 – 60,0 = 15,5
75,5 – 68,2 = 7,3
74,5 – 75,3 = 0,2
• Esempi:
523 + 0,0689 = 523 + 0 = 523
523 + 0,689 = 523 + 1 = 524
523 + 689 = 1212
820,4 + 8 = 820 + 8 = 828
830 + 2,28⋅102 = 830 + 228 = 1058
689 – 0,0623 = 689 – 0 = 689
689 – 0,623 = 689 – 1 = 688
689 – 6,23 = 689 – 6 = 683
689 – 623 = 66
1240 – 3,37⋅102 = 1240 – 337 = 903
Fondamenti per i calcoli 9

◊ Moltiplicazione e divisione
• Richiamando quanto già esposto al punto 1.2.3, il risultato di un’ope-
razione di moltiplicazione o di divisione ha un numero di cifre pari a
quello dell’operando che ne ha di meno:
1227 ⋅ 1,7⋅10–3 = 2,1
• Esempi:
48,5 ⋅ 22 = 1,1⋅103
2,35 ⋅ 1,0333 = 2,43
0,032 ⋅ 4356 = 1,4⋅102
0,435 ⋅ 82 = 36
428 / 20 = 21
4280 / 20 = 2,1⋅102
0,367 / 4128 = 8,89⋅10–5
0,022 / 375 = 5,9⋅10–5
◊ Logaritmo
• Nel calcolo del logaritmo il numero di cifre significative dipende, se-
guendo rigorosamente i teoremi sui logaritmi, dalla caratteristica. In
via approssimata, utilizzando le comuni calcolatrici, si può approssi-
mare il logaritmo a tante cifre significative quante ne ha il numero di
cui si è calcolato il logaritmo:
ln 1,02⋅1012 = 27,7
• Esempi:
ln 10,2 = 2,32
ln 125 = 4,83
ln 0,0042 = –5,5

1.3.2 Conversioni tra unità di misura

Per convertire il valore di una grandezza, da una unità di misura ad


un’altra, lo si moltiplica per il fattore di conversione che si trova nella
tabella dei fattori di conversione, relativi alla grandezza considerata, al-
l’intersezione tra la riga contenente l’unità di misura nota e la colonna in
cui appare l’unità di misura desiderata. Ad esempio, volendo esprimere
una forza di 100 kp (kilopond) in newton, si utilizza la Tabella 1.8.

100 = 100 ⋅ 9, 807 = 981


N
kp = kp ⋅ =N
kp

100 kp = 981 N
10 Lezioni di Fisica Tecnica

da cui risulta chiaro quanto affermato al paragrafo 1.1.2 a proposito delle


dimensioni dei fattori di conversione

Tabella 1.8 – Fattori di conversione dell’unità di misura della forza, dalla Tabella A.1
dell’Appendice

Forza
1N 1 kp

1N 1 1,020⋅10–1

1 kp 9,807 1

Esempi:
• da kcal a kJ:
30 kcal = 1,3⋅102 kJ
infatti:
30 = 30 ⋅ 4,187 = 1,3⋅102
kJ
kcal = kcal ⋅ = kJ
kcal

• da CV a kW:
130 CV = 95,6 kW
infatti:
130 = 130 ⋅ 0,735 = 95,6
kW
CV = CV ⋅ = kW
CV

• da atm a Pa:
2,5 atm = 2,5⋅105 Pa
infatti:
2,5 = 2,5 ⋅ 1,013⋅105 = 2,5⋅105
Pa
atm = atm ⋅ = Pa
atm

• da atm a kPa:
3,10 atm = 3,14⋅102 kPa
infatti:
3,10 = 3,10 ⋅ 1,013⋅105 ⋅ 1⋅10–3 = 3,14⋅102
Pa kPa
atm = atm ⋅ ⋅ = kPa
atm Pa
Fondamenti per i calcoli 11

kcal W
• da 2
a 2 :
hm K m K
kcal W
23, 0 2
= 26, 7 2
hm K m K
infatti:
23,0 = 23,0 ⋅ 1,163 = 26,7
kcal
=
kcal

(
W m2K W
= 2
)
2 2
hm K hm K kcal hm K( 2
m K )
oppure, nel caso non sia disponibile la Tabella di conversione della
grandezza derivata che si vuole trasformare, si può procedere conver-
tendo singolarmente le unità di misura:
1 4,187
23,0 = 23,0⋅4,187⋅1⋅103 = 23,0 ⋅ ⋅ 1⋅103 =
3600 3600
= 23,0⋅1,163 = 26,7 = 26,7
kcal kcal kJ J 1 kcal Jh kcal J h/
= ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ = ⋅ =
hm K hm K kcal kJ s hm K kcal s hm K kcal s
2 2 2 2

h
J W
= =
sm 2 K m 2 K

Esercizi

ESERCIZIO 1.1 – Effettuare le seguenti addizioni e sottrazioni:


230,5 + 1,57 ⋅ 103; 0,0053 + 1,24 ⋅ 10–3; 0,0053 + 1,26 ⋅ 10–3; 560,85 + 781,4;
1,273 ⋅ 10–2 + 9,28 ⋅ 10–5; 7,50 + 8,50; 230,5 – 1,57 ⋅ 103; 0,98 – 3,857 ⋅ 10–6;
1280 – 727,6; 3,75 ⋅ 106 – 7,374 ⋅ 104; 0,00587 – 1,52⋅10–3

ESERCIZIO 1.2 – Effettuare le seguenti moltiplicazioni e divisioni:


2237,6 × 0,00568; 5,23 ⋅ 10–5 × 2,7 ⋅ 10–3; 2,557 × 0,000251; 39,557 × 4,7 ⋅ 103;
4,551 × 70⋅000; 3,217/0,21; 1,000 ⋅ 103/4,230; 1,00 ⋅ 103/4,230; 1,0 ⋅ 103/4,230;
0,00550/5,04 ⋅ 10–3

ESERCIZIO 1.3 – Calcolare i logaritmi naturali dei seguenti numeri:


10; 100; 1000; 10000; 0,100; 0,0100; 0,00100; 357,21; 2,54 ⋅ 106; 2,56 ⋅ 10–6
12 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 1.4 – Effettuare le seguenti conversioni:


2,57 m2 in cm2; 0,965 ⋅ 104 dm2 in m2; 13,5 kg/cm3 in kg/m3; 1,28 cm3/g in m3/kg;
3,5 km/h in m/s; 2,38 ⋅ 102 kg/h in kg/s; 3,00 kWh in kcal; 2,8 kJ in kWh;
7,6 kcal/hmK in W/mK; 2,21 ⋅ 102 W/mK in kcal/hmK; 2,200 ⋅ 103 cal/kgK
in kJ/kgK; 0,854 m3 in cm3; 135 l in m3; 3,70 atm in Pa; 3,500 bar in atm;
3,25 ⋅ 108 cm3/h in m3/s; 1280 l/s in m3/h; 7530 kcal/h in kW; 230 CV in kW;
30,0 kcal/hm2K in W/m2K; 2,50 ⋅ 103 W/m2K in kcal/hm2K; 50 kcal/kgK
in kJ/kgK

ESERCIZIO 1.5 – Determinare l’unità di misura della grandezza espressa dalla


relazione:
α ⋅ρ ⋅ V
x=
k⋅A
dove le grandezze al secondo membro sono espresse nelle seguenti unità di
misura:
α in W/m2K;
ρ in kg/m3;
V in m3;
k in W/mK;
A in m2.
Capitolo secondo
Generalità e definizioni

2.1 Sistemi termodinamici

La termodinamica è la scienza che si occupa delle trasformazioni


subite da un sistema in conseguenza di scambi di materia, calore e lavoro
con l’ambiente.
In termodinamica si intende per sistema operativo, o più brevemente
per sistema, una definita quantità di materia, o una definita porzione di
spazio, su cui si vuole operare per particolari fini. Il sistema è delimitato
da superfici, dette anche pareti o confini, che possono o meno coincidere
con superfici di corpi reali.
Tutto ciò che è esterno al sistema ed è in grado di interagire con
esso viene indicato con il nome di ambiente o esterno. L’insieme del si-
stema e del suo ambiente viene chiamato universo. Ad esempio, nel caso
di una persona, il corpo è il sistema e la stanza in cui questo si trova è
l’ambiente; corpo più stanza costituiscono l’universo. Evidentemente, in
termodinamica il termine ”universo” ha un significato diverso da quello,
più noto, che assume in geografia astronomica.
Si definiscono due tipi di sistemi: i sistemi chiusi, delimitati da super-
fici impermeabili al passaggio di materia, ed i sistemi aperti, i cui confini
sono, almeno parzialmente, permeabili alla materia; ambedue i sistemi
possono avere i confini permeabili all’energia.
I sistemi chiusi, detti anche a massa di controllo, sono caratterizzati
dalla costanza della massa: una bombola con metano, se ben chiusa, co-
stituisce un sistema chiuso. Un caso particolare di sistema chiuso è quello
le cui superfici, oltre ad essere impermeabili alla materia, impediscono
anche lo scambio di ogni forma di energia con l’esterno: in questo caso
si parla di sistema isolato; un sistema isolato non ha ambiente e coincide
con l’universo.
I sistemi aperti, chiamati anche a volume di controllo, hanno, come
detto, le pareti che, almeno parzialmente, consentono il passaggio di
materia. Ad esempio, nello studio del flusso di un fluido attraverso un
condotto, il sistema può essere individuato dalla porzione di spazio de-
limitata dalla superficie interna del condotto e da due superfici ideali,
14 Lezioni di Fisica Tecnica

normali all’asse, poste a distanza arbitraria; si noti che in questo caso i


confini del sistema sono costituiti in parte da superfici reali ed in parte
da superfici ideali, e che solo queste ultime sono permeabili alla materia.
Un altro esempio è quello della bombola con metano di cui si è parlato
come sistema chiuso: la stessa bombola, infatti, può diventare un sistema
aperto in quanto la valvola di chiusura, se aperta, costituisce un elemento
di superficie permeabile alla materia.
I confini dei sistemi possono essere permeabili ad alcune forme di
energia ed impermeabili ad altre; nel caso di pareti impermeabili solo al
calore si parla di sistemi adiabatici.
Le pareti che delimitano un sistema chiuso possono consentire qual-
siasi variazione di volume e di forma, oppure essere rigide; queste ulti-
me, a loro volta, possono risultare fisse o mobili. Un palloncino a pareti
sottili è un esempio del primo caso, una bombola metallica un esempio
del secondo ed un cilindro entro cui scorra a perfetta tenuta un pistone
un esempio del terzo; la perfetta tenuta è ovviamente richiesta dalla de-
finizione stessa di sistema chiuso.
Un sistema si definisce omogeneo od eterogeneo se è costituito ri-
spettivamente da una o più fasi; esso sarà detto poi ad n componenti se
n sono le specie chimiche presenti. Una miscela di ossigeno ed azoto in
fase gassosa è un esempio di sistema omogeneo a due componenti; un
miscuglio di acqua e ghiaccio un esempio di sistema eterogeneo ad un
componente.
Infine, un sistema chiuso è detto semplice se al suo interno risultano
trascurabili gli effetti dei fenomeni elettrici, magnetici e gravitazionali.

2.2 Equilibrio termodinamico

Un sistema chiuso è in equilibro se le sue condizioni permangono


indefinitamente invariate qualora non si abbiano variazioni nelle condi-
zioni dell’ambiente.
L’equilibrio è detto stabile se il sistema, in seguito ad una momenta-
nea piccola perturbazione esterna, ritorna nelle condizioni iniziali, altri-
menti è detto instabile. Un esempio di equilibrio instabile è costituito da
una miscela di aria e vapori di benzina in un sistema chiuso in equilibrio
con l’ambiente: una scintilla può innescare la reazione chimica che allon-
tana definitivamente il sistema termodinamico dallo stato iniziale; se il
sistema comprende solo azoto, lo scoccare di una scintilla comporta invece
un allontanamento solo momentaneo dallo stato iniziale: in questo caso
si è nel caso di equilibrio stabile. Un sistema chiuso in equilibrio stabile
viene anche detto in equilibrio termodinamico.
L’equilibrio termodinamico comporta in particolare:
Generalità e definizioni 15

• l’equilibrio meccanico, che si verifica quando non esistono forze non


equilibrate all’interno del sistema e, se le pareti non sono rigide e fisse,
fra il sistema e l’ambiente;
• l’equilibrio chimico, che si verifica quando non si hanno cambiamenti
della struttura della materia (reazioni chimiche) o spostamenti di ma-
teria da una parte del sistema ad un’altra (diffusione o passaggio in
soluzione);
• l’equilibrio termico, che si verifica quando non vi sono differenze di
temperatura all’interno del sistema e, se le pareti non sono adiabatiche,
fra il sistema e l’ambiente.

2.3 Proprietà

Per descrivere un sistema è necessario disporre di un insieme di coor-


dinate, di natura sia termodinamica che meccanica, che ne individuino lo
stato, rispettivamente termodinamico e meccanico. Le prime sono con-
cettualmente misurabili da un osservatore all’interno del sistema ed in
quiete rispetto ad esso, le seconde da un osservatore esterno al sistema,
eventualmente in moto relativo rispetto a questo.
Un sistema chiuso semplice in equilibrio termodinamico nel quale,
per quanto detto al punto 2.2, sono nulli i gradienti di temperatura, di
pressione e di composizione, è descritto da un insieme di coordinate che
assumono un unico valore in tutto il sistema, dette proprietà interne o
termostatiche, e da un insieme di coordinate che determinano la posizione
del sistema nello spazio e nel tempo rispetto ad un opportuno sistema di
riferimento inerziale, dette proprietà meccaniche o esterne. Tra le prime,
si ricordano massa, densità, temperatura e pressione; tra le seconde la
quota rispetto ad un piano di riferimento e la velocità del sistema, ovvero
l’energia potenziale gravitazionale1 e quella cinetica2.
Un sistema aperto non è mai rigorosamente in equilibrio termodi-
namico, dal momento che in esso sono presenti se non altro gradienti di
pressione, necessari a realizzare il moto. In ogni caso, nella maggior parte
dei problemi ingegneristici, l’errore che si commette assumendo che in
ciascun punto del sistema sia verificata la condizione di equilibrio termo-
dinamico (ipotesi di equilibrio termodinamico locale) è trascurabile.
Le proprietà si suddividono anche in estensive ed intensive. Si dicono
estensive quelle dipendenti dalla estensione del sistema, cioè dalla sua

1
In seguito detta semplicemente energia potenziale.
2
Si noti che se gli effetti gravitazionali non sono trascurabili, e quindi il sistema non
è semplice, anche in condizioni di equilibrio la pressione ed altre proprietà risultano
non uniformi all’interno del sistema.
16 Lezioni di Fisica Tecnica

massa, che godono della proprietà additiva3; ne sono esempi il volume,


la massa, il peso, le energie di tutti i tipi. Le intensive sono quelle che
non dipendono dalla estensione del sistema, quali la pressione e la tem-
peratura.
Per le proprietà estensive, che riferite all’intero sistema vengono dette
proprietà totali, è possibile definire le corrispondenti proprietà specifiche,
riferite all’unità di massa o di volume, che, non dipendendo dall’estensio-
ne del sistema, sono anch’esse proprietà intensive e non godono quindi
della proprietà additiva. Ad esempio, si parla di volume o volume totale,
V, riferendosi ad un generico sistema di massa m, mentre si parla di vo-
lume specifico, v, riferendosi all’unità di massa4. Ovviamente è:

V
v= (2.1)
m

Generalmente, le proprietà estensive totali si indicano con le lettere


maiuscole e le relative proprietà specifiche con la corrispondente lettera
minuscola.
Sulla base di queste considerazioni, è possibile dire che un sistema
in equilibrio termodinamico può essere descritto in ciascun istante me-
diante le sue proprietà termostatiche intensive che ne definiscono lo stato
termodinamico5.
Dalla precedente definizione di stato di un sistema discende che cia-
scuna proprietà intensiva può avere uno ed un solo valore in ciascuno
stato, motivo per cui è anche detta funzione (o grandezza) di stato; ana-
liticamente è una funzione potenziale ed i suoi differenziali sono diffe-
renziali esatti.
Poiché le osservazioni sperimentali mostrano che esistono relazioni
funzionali fra tutte le proprietà termostatiche intensive di un sistema, non
è necessario, per individuare lo stato del sistema in equilibrio, specificare
il valore di tutte le proprietà termostatiche intensive.
Viceversa, le proprietà esterne o meccaniche non sono funzionalmen-
te collegate l’un l’altra; questo succede perché tali proprietà sono per così
dire sovrapposte al sistema e pertanto sono indipendenti dalle proprietà
interne e tra loro.
Si noti che sia le proprietà interne che quelle esterne sono indipen-

3
Se il sistema è costituito da più sistemi parziali, la grandezza estensiva relativa al
sistema totale sarà la somma delle grandezze relative ai singoli sistemi parziali.
4
È molto usato il reciproco del volume specifico, la densità ρ, espressa dal rapporto
tra la massa ed il volume totale.
5
Nel seguito di questo testo, considerato che i termini cinetici e potenziali sono
spesso trascurabili, si parlerà genericamente di stato.
Generalità e definizioni 17

denti dalla storia del sistema, ad esempio dalle modalità con le quali il
sistema ha raggiunto lo stato che si sta prendendo in esame.
È importante notare che, per quanto detto, calore, lavoro e flussi di
massa non sono proprietà termostatiche.

2.4 Equazioni di stato


Come detto nel paragrafo precedente, l’esperienza dimostra che le
proprietà termostatiche intensive non sono generalmente tutte indipen-
denti tra di loro; per esempio, in un sistema chiuso monocomponente
costituito da una massa di un gas in equilibrio termodinamico, fissati i
valori del volume specifico e della temperatura la pressione risulta univo-
camente determinata e può essere variata solo modificando almeno una
delle altre due grandezze.
In generale, in un sistema monocomponente all’equilibrio, scelte arbi-
trariamente tre proprietà termostatiche intensive, se ne possono far varia-
re indipendentemente solo due, il che implica l’esistenza di una relazione
funzionale che lega le tre proprietà e che permette quindi di considerarne
una dipendente dalle altre due.
Relazioni di questo tipo sono dette equazioni caratteristiche o equa-
zioni di stato. Si tenga presente che queste equazioni, che saranno esami-
nate nei capitoli successivi, sono dedotte non da leggi termodinamiche ma
da indagini sperimentali e che solo raramente sono esprimibili in forma
analitica semplice, per cui spesso risulta conveniente ricorrere ad una loro
rappresentazione grafica o tabellare.
Per l’individuazione dello stato termodinamico di un sistema mo-
nocomponente sono necessarie e sufficienti due proprietà termostatiche
intensive indipendenti e la composizione chimica; per la determinazione
di proprietà termostatiche totali è poi necessario conoscere la massa o
un’altra proprietà termostatica estensiva.
Per quanto detto, per un sistema ad un componente:
• è possibile rappresentare lo stato termodinamico su un piano cartesia-
no avente sugli assi coordinati due proprietà termostatiche intensive;
diagrammi di questo tipo vengono detti diagrammi di stato.
• le equazioni di stato sono relazioni funzionali fra tre proprietà termo-
statiche intensive e pertanto, in un riferimento cartesiano in uno spazio
a tre dimensioni, avente come assi tali proprietà, rappresentano una
superficie detta superficie di stato o superficie caratteristica, tutti e solo
i punti della quale rappresentano possibili stati di esistenza del sistema
in equilibrio.
Per un sistema a più componenti è necessario conoscere, oltre alla
composizione chimica, anche la massa di ciascun componente.
18 Lezioni di Fisica Tecnica

2.5 Trasformazioni - Calore - Lavoro


Si dice trasformazione termodinamica o processo termodinamico, o
più semplicemente trasformazione di un sistema, la variazione di almeno
una delle sue proprietà termostatiche; la trasformazione si dice infinite-
sima o finita se tale variazione è rispettivamente infinitesima o finita. Ad
esempio, un sistema costituito da un fluido che cambia posizione nello
spazio, senza altre conseguenze, rappresenta senz’altro un fenomeno fisi-
co ma non una trasformazione: dal punto di vista termodinamico, infatti,
gli stati del fluido nelle due posizioni sono identici; analogamente, una
eventuale variazione di forma non accompagnata da variazione di volume
non rappresenta una trasformazione.
Una trasformazione finita che riporti il sistema nello stato iniziale si
dice trasformazione chiusa o trasformazione ciclica o ciclo.
All’energia che durante una qualsiasi trasformazione attraversa le
superfici del sistema si dà il nome di calore o di lavoro: si parlerà di calore
se l’energia è trasferita in conseguenza di una differenza di temperatura
esistente tra sistema ed ambiente, altrimenti si parlerà di lavoro. Per la
definizione data, il calore ed il lavoro sono energia in transito attraverso
le pareti di un sistema sede di trasformazione. È dunque senz’altro errato
parlare di «calore di un sistema» o di «lavoro di un sistema», dovendosi
invece parlare di «calore scambiato da un sistema in una trasformazio-
ne» e/o di «lavoro scambiato da un sistema in una trasformazione». Ciò
conferma che il lavoro ed il calore non sono proprietà di stato ed è
quindi errato anche parlare di «variazione di calore» o di «variazione
di lavoro».
Un tipo di lavoro che si incontra molto frequentemente è quello
connesso allo spostamento di una o più pareti del sistema in seguito ad
alterazione dell’equilibrio meccanico; il lavoro in questo caso viene detto
lavoro (meccanico) di variazione di volume e, in assenza di attrito, risulta
uguale al lavoro delle forze esterne agenti sulle pareti che si spostano. Si
consideri ad esempio il sistema di Figura 2.1, costituito dal fluido contenu-
to nel cilindro con pareti adiabatiche; inizialmente (Figura 2.1.a) il sistema
è in equilibrio termodinamico ed in particolare in equilibrio meccani-
co: la pressione del fluido equilibra la pressione delle forze esterne, che
nell’esempio sono solo forze peso. Successivamente, si aumenta la forza
esterna mediante aggiunta di un ulteriore peso: l’equilibrio meccanico
iniziale viene a mancare ed il sistema subisce una trasformazione (Figura
2.1.b) fino a raggiungere una nuova condizione di equilibrio termodi-
namico, e quindi meccanico (Figura 2.1.c). Durante la trasformazione,
nell’ipotesi di assenza di attriti, viene trasferita dall’ambiente al sistema
una quantità di energia uguale al lavoro delle forze esterne. L’energia
potenziale dell’ambiente è diminuita in maniera proporzionale alla va-
riazione di quota del pistone e dei corpi posti su di esso.
Generalità e definizioni 19

In presenza di attrito, solo un’aliquota del lavoro delle forze esterne


si trasmette al sistema come lavoro di variazione di volume, in quanto la
rimanente parte serve a vincere le forze di attrito.

"#!

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Figura 2.1 – Esempio di lavoro di variazione di volume: a) stato iniziale, b) trasfor-
mazione, c) stato finale.

Un altro tipo di lavoro è il lavoro (meccanico) di elica, connesso


alla rotazione di una o più pareti del sistema, in seguito ad alterazione
dell’equilibrio meccanico. Si consideri il sistema di Figura 2.2a, costituito
dal fluido contenuto nel recipiente: inizialmente, il sistema è in equilibrio
termodinamico e quindi meccanico; successivamente, abbassando il peso,
P, l’equilibrio meccanico iniziale viene a mancare, il filo si svolge, l’albero
e le palette ruotano fino al ripristino dell’equilibrio termodinamico. Du-
rante la trasformazione, a causa degli attriti tra le superfici in rotazione
ed il fluido, dall’ambiente al sistema viene trasmessa una certa quantità
di energia, che nell’ipotesi di puleggia priva di attrito corrisponde alla

"

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Figura 2.2 – Esempio di lavoro di elica a) in sistema chiuso, b) in sistema aperto.


20 Lezioni di Fisica Tecnica

diminuzione di energia potenziale del peso. Si noti che il lavoro di elica


per un sistema chiuso può comportare trasferimento di energia solo dal-
l’ambiente al sistema, mai viceversa. Nel caso di sistemi aperti, invece,
si possono avere trasferimenti di energia in ambo i sensi (Figura 2.2b);
esempi di sistemi con lavoro compiuto sul sistema sono i ventilatori, i
compressori e le pompe, mentre esempi di sistemi con lavoro compiuto
dal sistema sono le turbine.
Per il calore ed il lavoro si utilizzano i simboli Q ed L, le cui dimen-
sioni sono ovviamente quelle dell’energia, joule, J, e spesso kJ. Benché
il calore ed il lavoro non siano proprietà di stato, pur tuttavia ha signi-
ficato considerare la quantità di calore scambiata per unità di massa
del sistema, q6, ed il lavoro scambiato per unità di massa del sistema, l,
anche detto lavoro specifico.
Per i bilanci di energia è necessario dare un segno al valore numerico
del calore e del lavoro. La convenzione più usata, che è adottata anche in
questo testo, è di considerare il calore positivo se l’energia è somministrata
al sistema, negativo nel caso opposto e di considerare il lavoro positivo
se l’energia è somministrata all’ambiente, negativo nel caso opposto. Con
questa convenzione, il lavoro di elica dei ventilatori, delle pompe e dei
compressori è negativo, così come quello nei sistemi chiusi, mentre il la-
voro di elica delle turbine è positivo; il lavoro di variazione di volume è
positivo se il sistema subisce un’espansione, negativo se il sistema subisce
una compressione.
Poiché come si è detto il calore ed il lavoro non sono funzioni di stato,
la quantità infinitesima di calore scambiato e la quantità infinitesima di
lavoro compiuto in una trasformazione infinitesima non sono differenziali
esatti e pertanto in molti testi vengono indicati con i simboli δq, δQ, δl,
δL, anziché con dq, dQ, dl, dL. In questo testo verrà usato il simbolo “d”
per le quantità infinitesime sia delle grandezze di stato, sia delle altre.
Nel seguito verrà adottata la seguente simbologia:
Qi = calore in ingresso;
Qu = valore assoluto del calore in uscita;
Li = valore assoluto del lavoro in ingresso;
Lu = lavoro in uscita;
ovviamente, con le lettere minuscole saranno indicate le corrispondenti
grandezze specifiche.
Utilizzando la stessa simbologia relativamente a più trasformazioni
si avrà, in generale:

6
Come si vedrà, per calore specifico si intende, anche se impropriamente, un’altra
grandezza.
Generalità e definizioni 21

Q = Qi – Qu > 0 se Qi > Qu
Q = Qi – Qu = 0 se Qi = Qu
Q = Qi – Qu < 0 se Qi < Qu

Analogamente per:

L = Lu – Li > 0 se Lu > Li
L = Lu – Li = 0 se Lu = Li
L = Lu – Li < 0 se Lu < Li

Va evidenziato che la convenzione qui adottata di considerare di


segno diverso il calore ed il lavoro in ingresso nel sistema, o in uscita da
esso, che potrebbe apparire non coerente, è dovuta all’applicazione della
termodinamica ai problemi ingegneristici. Infatti, uno dei campi tradizio-
nali di applicazione della termodinamica di interesse per gli ingegneri è
quello che riguarda macchine ed impianti per la produzione di energia
meccanica a partire da energia termica, per cui è conveniente considerare
come positivi il calore in ingresso ed il lavoro in uscita; se si adottasse per
lavoro e calore lo stesso segno, risulterebbe, per esempio, che la potenza
di un motore sarebbe indicata da un numero negativo.

2.6 Energia totale di un sistema - Energia interna


Le particelle elementari costituenti qualunque elemento di materia
possiedono energia in varie forme; ad esempio, le molecole possiedono
energia cinetica di traslazione, rotazione e vibrazione, gli elettroni energia
cinetica di rotazione intorno al nucleo ed intorno al proprio asse, i nuclei,
gli atomi, gli elettroni e le molecole energia potenziale, in quanto soggetti
a forze di attrazione e repulsione. Questi vari tipi di energia posseduti a
livello microscopico dalle particelle costituenti i corpi normalmente non
sono evidenti.
Si dice energia totale, E, di un corpo la somma delle energie possedute
a livello sia macroscopico (cinetica, Ec, e potenziale, Ep)7 che microscopi-

7
Si ricorda che è:
Ec = 1/2⋅m⋅w2
con:
m = massa, kg;
w = velocità, m/s;
Ep= g⋅z
con:
g = accelerazione di gravità, m/s2;
z = quota rispetto ad un piano di riferimento equipotenziale, m.
22 Lezioni di Fisica Tecnica

co; quest’ultima viene detta energia interna ed indicata con U:

E = Ec + Ep + U (2.2)

Tutte le energie sono proprietà estensive e quindi esistono e si uti-


lizzano le relative grandezze specifiche e, ec, ep, u. Le energie si misurano
ovviamente in J (o kJ); le energie specifiche in J/kg (o kJ/kg).

2.7 Temperatura
La temperatura è una proprietà termostatica dei sistemi termodina-
mici in equilibrio.
Il sistema internazionale prevede come unità di misura fondamen-
tale della temperatura termodinamica8, detta anche temperatura asso-
luta, il kelvin (K) e consente anche l’utilizzo della temperatura Celsius
(t) definita, in relazione a quella termodinamica (T), dalla relazione
t = T – 273,15 K, come anche chiarito nella Figura 2.3.

! 01! 2!

#..!! +*+,#-!

.!! $*+,#-!

/$*+,#-! .!!

Figura 2.3 – Confronto tra la scala celsius e quella kelvin.

L’ampiezza del grado nelle due scale è coincidente, per cui nelle
grandezze laddove compare la differenza di temperatura si può usare
indifferentemente il kelvin o il grado celsius.
La dizione, per entrambe le scale, di centigrada, non è più accettata
dal Sistema Internazionale in quanto la differenza di temperatura, alla
pressione atmosferica, tra ghiaccio fondente ed acqua bollente, è risul-
tata, da misure recenti, seppure di pochi centesimi di grado, minore di
100 gradi.

8
La denominazione nasce dalla possibilità di derivare tale scala delle temperature
da considerazioni esclusivamente termodinamiche.
Generalità e definizioni 23

Il kelvin è definito come 1/273,16 della temperatura del punto triplo


dell’acqua, pari a 273,16 K, cioè 0,01°C9.

2.8 Capacità termica - Calore specifico


Per un sistema che subisca una trasformazione termodinamica infini-
tesima si definisce capacità termica, C, il rapporto:

dQ
C= (2.3)
dT

fra la quantità infinitesima di calore scambiata dal sistema e la conseguen-


te variazione infinitesima di temperatura del sistema stesso. La capacità
termica rappresenta la resistenza di un corpo a variare la propria tem-
peratura in seguito ad uno scambio di energia termica: tra due corpi che
ricevono una stessa quantità di calore, quello a capacità termica minore
avrà un maggiore aumento di temperatura10.
La (2.3) viene spesso utilizzata nella forma finita:

Q
C= (2.4)
ΔT

La capacità termica è una grandezza estensiva: la relativa grandezza


intensiva, c, dovrebbe chiamarsi capacità termica specifica mentre viene
detta, impropriamente, calore specifico ed è definita quindi come:
dQ
c= (2.5)
mdT

Analogamente a quanto detto per la capacità termica, il calore spe-


cifico in forma finita è dato dalla relazione:

Q
c= (2.6)
mΔT

9
Come si vedrà al capitolo 5, la differenza di 0,01 gradi fra la temperatura del punto
triplo dell’acqua e quella di equilibrio acqua-ghiaccio alla pressione atmosferica, as-
sunta come 0 nella scala Celsius, deriva dal comportamento del ghiaccio che presenta
l’abbassamento della temperatura di fusione al crescere della pressione.
10
Si pensi agli scaldabagni che contengono un’elevata massa di acqua: una volta
raggiunta la temperatura desiderata, quest’ultima resta a lungo inalterata anche stac-
cando l’alimentazione elettrica (ovviamente, purché l’acqua calda non venga utiliz-
zata). Analogamente, le pareti delle chiese antiche, caratterizzate da spessori elevati,
anche nella stagione più calda, rimangono molto fresche.
24 Lezioni di Fisica Tecnica

La capacità termica ed il calore specifico possono assumere qualun-


que valore compreso tra +∞ e –∞. L’esistenza di valori negativi è dovuta al
fatto che la variazione di temperatura del sistema non dipende solo dalla
quantità di calore scambiata, ma anche dal lavoro compiuto; si può avere
ad esempio un aumento di temperatura conseguente ad una somministra-
zione di energia meccanica e ad una contemporanea sottrazione di energia
termica: essendo dT>0 e dQ<0, per la (2.5) risulta c<0. Il calore specifico
risulta ∞ per le trasformazioni di passaggio di fase a pressione costante,
caratterizzate da T=costante e quindi dT=0, e nullo per le trasformazioni
adiabatiche, per le quali Q=0.
Si noti che la capacità termica ed il calore specifico, per la presenza
nella relazione di definizione del termine Q, non sono in generale pro-
prietà del sistema, in quanto la quantità di calore scambiata dipende dalla
particolare trasformazione.
Come si vedrà nei prossimi capitoli, sono particolarmente importanti
due calori specifici, definiti come calore specifico a volume costante e a
pressione costante, che si indicano rispettivamente con cv e cp.
Per quanto detto al punto 2.7, la capacità termica si misura in J/K o in
J/°C, oppure in kJ/K o kJ/°C, mentre il calore specifico si misura in J/kgK
o in J/kg°C, oppure in kJ/kgK o kJ/kg°C. Infatti, sia la capacità termica che
il calore specifico sono definiti rispetto ad una differenza di temperatura,
la cui unità di misura è indifferentemente il grado celsius o il kelvin.

2.9 Trasformazioni quasi statiche


Per descrivere una trasformazione finita non è sufficiente conoscere
gli stati iniziale e finale del sistema. Come per individuare la traiettoria di
un’autovettura non è sufficiente che siano definite la posizione di partenza
e quella di arrivo, ma occorre conoscere tutte le infinite posizioni inter-
medie per le quali l’autovettura passa, così nel caso della trasformazione
occorre conoscere tutti gli infiniti stati intermedi per i quali il sistema
passa e, quindi, tutti i valori che definiscono ciascuno stato.
Si consideri un sistema in equilibrio termodinamico: se si modifica di
una quantità infinitesima una delle proprietà dell’ambiente in modo da
alterare l’equilibrio ambiente-sistema, quest’ultimo subirà una trasforma-
zione infinitesima alla fine della quale raggiungerà una nuova condizione
di equilibrio. Una trasformazione finita costituita da una successione di
trasformazioni infinitesime di tal genere viene detta quasi statica; per de-
finizione, in una trasformazione quasi statica il sistema si trova in ogni
istante in condizione di equilibrio termodinamico e pertanto il suo stato
rimane sempre individuato, ovviamente a meno di infinitesimi.
Si consideri per esempio un sistema chiuso cilindro-pistone, conte-
nente un fluido in condizioni di equilibrio ad assegnati valori di pressione
Generalità e definizioni 25

e temperatura. Volendo raddoppiare la pressione mantenendo invariata la


temperatura, si può mettere il sistema a contatto con una sorgente11 alla
sua stessa temperatura ed applicare istantaneamente sul pistone un peso
adeguato; il sistema si porterà nelle condizioni di equilibrio desiderate
mediante una trasformazione nel corso della quale non è in equilibrio
e quindi il suo stato non è individuato: la trasformazione non è quasi
statica. Lo stesso stato di equilibrio finale si può raggiungere con una
trasformazione quasi statica, realizzabile mettendo il sistema a contatto
con la stessa sorgente, incrementando successivamente il peso applicato
sul pistone di una quantità infinitesima ed aspettando ogni volta il rag-
giungimento dell’equilibrio. Nel caso della trasformazione quasi statica si
può dire che il sistema ha subito una compressione a temperatura costan-
te, cosa che non è invece possibile affermare per l’altra trasformazione,
lungo la quale non è definito lo stato termodinamico e non è possibile
quindi parlare di proprietà termostatiche del sistema ed in particolare di
temperatura del sistema.
Si consideri ora un sistema chiuso a pareti rigide e fisse contenente
un fluido ad una certa pressione ed alla temperatura Ti. Volendo aumen-
tare la temperatura del fluido fino al valore Tf, si può porre il sistema a
contatto con una sorgente che sia proprio alla temperatura Tf; il sistema
si porterà nelle condizioni finali di equilibrio mediante una trasforma-
zione durante la quale non è in equilibrio: lo stato del sistema durante
la trasformazione non è pertanto individuato e la trasformazione non è
quasi statica. Lo stesso stato di equilibrio finale si può raggiungere con
una trasformazione quasi statica mettendo il sistema a contatto con una
sorgente a temperatura Ti+dT ed aspettando che il sistema si porti a tale
temperatura, quindi ponendo i1 sistema a contatto con una nuova sor-
gente la cui temperatura risulti maggiore della precedente di un ulteriore
dT ed aspettando il nuovo stato di equilibrio e così via fino ad arrivare,
con infinite trasformazioni infinitesime e con l’ausilio di infinite sorgenti,
alla temperatura Tf . Nel caso della trasformazione quasi statica si può
dire che il sistema ha subito un riscaldamento a volume specifico costante,
cosa che non è invece possibile affermare per l’altra trasformazione, lungo
la quale non è definito lo stato termodinamico e non è quindi possibile
parlare di proprietà termostatiche del sistema ed in particolare di volume
specifico del sistema.
Per come è stata definita, una trasformazione quasi statica gode del-
l’importante proprietà di poter essere rappresentata graficamente in un
qualunque diagramma di stato mediante una linea continua congiungente
i punti rappresentativi degli stati iniziale e finale.

11
In Termodinamica per Sorgente si intende un sistema che è in grado di scambiare
una qualunque quantità di calore senza che vari la sua temperatura, come si vedrà
meglio al capitolo 4.
26 Lezioni di Fisica Tecnica

2.10 Lavoro di variazione di volume per trasformazioni quasi


statiche – Piano di Clapeyron

Si consideri come sistema il fluido contenuto nel cilindro di Figura


2.4. Se il sistema subisce una trasformazione quasi statica, istante per
istante sussiste la relazione:

pA = F

con:
p = pressione esercitata dal fluido, Pa;
A = area del pistone, m2;
F = risultante delle forze esterne applicate sul pistone (comprensive
eventualmente delle forze di attrito), N.
In questo testo le forze di attrito saranno sempre considerate nulle o
trascurabili, tranne quando si dichiarerà esplicitamente la loro presenza.
Supponiamo che in conseguenza di una trasformazione quasi statica infi-
nitesima il pistone si sposti verso destra di dx: la quantità infinitesima di
energia trasferita dal fluido al pistone attraverso le superfici del sistema,
ovvero il lavoro infinitesimo dL della trasformazione, è uguale, a meno
del segno, al lavoro della forza F, Fdx; per la relazione scritta preceden-
temente si ha quindi:

dL = pAdx

Poiché Adx = dV rappresenta l’aumento infinitesimo di volume del


sistema, si potrà anche scrivere:

dL = pdV (2.7)

dove L è espresso in J o kJ.

6!
W!

Figura 2.4 – Esempio di sistema sottoposto ad una trasformazione quasi statica con
lavoro di variazione di volume.
Generalità e definizioni 27

L’equazione (2.7), come si vedrà nel seguito, è di notevole importanza


in quanto, per un processo infinitesimo quasi statico, mette in relazione
il lavoro di variazione di volume con proprietà interne del sistema. Per
una trasformazione finita che porti il sistema dal volume Vi al volume Vf,
il lavoro relativo alla variazione di volume sarà dato da:

Vf

L= ∫ pdV (2.8)
Vi

Si noti che le (2.7) e (2.8) possono scriversi in funzione del volume


specifico nella forma:

dL = mpdv (2.9)

vf
L = m ∫ pdv (2.10)
vi

dove m indica la massa del sistema.


Dalle (2.9) e (2.10) si ricavano inoltre le seguenti espressioni per il
lavoro specifico:

dl = pdv (2.11)

vf
l= ∫ pdv (2.12)
vi

Le relazioni (2.11) e (2.12) hanno una rappresentazione grafica molto


semplice nel diagramma di stato pressione-volume specifico detto piano
di Clapeyron rappresentato in Figura 2.5; sia l-2 la linea rappresentativa
di una trasformazione quasi statica: è chiaro che per la (2.11) il lavoro
specifico infinitesimo compiuto dal sistema nel generico tratto infinitesi-
mo di trasformazione AB è rappresentato dall’area tratteggiata compresa
tra il segmento AB, le sue ordinate estreme e l’asse delle ascisse e che
quindi il lavoro relativo a tutta la trasformazione è rappresentato da tutta
l’area sottesa alla curva l-2. Il lavoro risulterà positivo nel caso che la
trasformazione venga percorsa nel verso 1-2, ovvero nel verso dei volumi
specifici crescenti, negativo nell’altro.
Si noti che rappresentare sul piano termodinamico p,v una trasfor-
mazione mediante una linea continua equivale ad affermarne la quasi
staticità; volendo indicare il passaggio di un sistema da uno stato iniziale
28 Lezioni di Fisica Tecnica

ad uno finale mediante una trasformazione non quasi statica viene gene-
ralmente utilizzata una linea tratteggiata che unisce i due punti.

6! #

L!
[! $!

E#! E$! E!
?E!

Figura 2.5 – Rappresentazione grafica nel piano p,v del lavoro di variazione di volume
per un processo quasi statico.

6! #!

+!

$!

E$! E+! E!

Figura 2.6 – Valutazione grafica del lavoro di variazione di volume per un processo
quasi statico nel quale il volume prima aumenta e poi diminuisce.
Generalità e definizioni 29

Nel caso di trasformazioni lungo le quali il volume specifico prima


cresca e poi decresca, come nel caso di Figura 2.6, o viceversa, per la
valutazione grafica del lavoro specifico converrà suddividere la trasforma-
zione in due parti, mediante l’individuazione del punto 3, caratterizzato
dall’avere tangente verticale, e calcolare quindi il lavoro come somma
algebrica dell’area sottesa al tratto 1-3 (lavoro positivo) e dell’area sottesa
al tratto 3-2 (lavoro negativo).
Da quanto detto si deduce pure che nel caso di una trasformazione
ciclica quasi statica, quale quella riportata in Figura 2.7, il lavoro specifico
risulterà positivo o negativo a seconda che la trasformazione venga per-
corsa in senso orario od antiorario ed il suo valore assoluto sarà fornito
dall’area racchiusa dalla linea della trasformazione.

6!
L!

#!

$!

[!

E!
Figura 2.7 – Lavoro di variazione di volume in una trasformazione ciclica.

2.11 Trasformazioni reversibili ed irreversibili

Si definisce reversibile una trasformazione quasi statica che, se riper-


corsa in senso opposto, non lascia traccia di sé nell’universo. La defini-
zione data di reversibilità comporta dunque che:
• una trasformazione reversibile passa attraverso una successione di stati
di equilibrio;
• nella trasformazione inversa, il sistema e l’ambiente attraversano gli
30 Lezioni di Fisica Tecnica

stessi stati di equilibrio incontrati nella trasformazione diretta e gli


scambi di energia meccanica e termica sono uguali ed opposti a quelli
della trasformazione diretta. Quindi, una trasformazione reversibile,
una volta percorsa nei due versi, non determina alcun cambiamento
nel sistema e nell’ambiente.
Cause di irreversibilità sono per esempio la viscosità, gli attriti in
generale, l’anelasticità e l’isteresi, che comportano sempre la conversione
in energia interna di altre forme di energia; tale conversione, come verrà
chiarito nei prossimi capitoli, non può mai integralmente avvenire in senso
inverso, per cui si parla di presenza di effetti dissipativi.
Gli effetti dissipativi si distinguono in interni ed esterni, a seconda
che siano dovuti a cause interne o esterne al sistema. Esempi di causa di
effetti dissipativi interni sono la viscosità del fluido, gli attriti, le differen-
ze non infinitesime delle proprietà termostatiche quali la pressione e la
temperatura all’interno del sistema; esempi di causa di effetti dissipativi
esterni sono la differenza non infinitesima di temperatura tra il sistema
e l’ambiente o, come nell’esempio di figura 2.2a, l’attrito della puleggia
e l’anelasticità e l’isteresi del filo. Questa distinzione viene fatta perché
aiuta a capire come operare per ridurre le irreversibilità, ad esempio per
ottenere migliori prestazioni dai sistemi.
Concludendo si può affermare che è reversibile una trasformazio-
ne:
• quasi statica;
• con effetti dissipativi nulli;
è invece internamente reversibile una trasformazione:
• quasi statica;
• con effetti dissipativi interni nulli.
La trasformazione reversibile è una pura astrazione in quanto irrealiz-
zabile nella realtà: tale concetto però risulta di enorme importanza, come
si vedrà nel seguito, poiché rappresenta un utile riferimento ideale.

Esercizi

ESERCIZIO 2.1 – Un sistema di massa m1 = 850 g, caratterizzato da un’energia


interna specifica u1 = 3,42 kJ/kg, si mescola con un sistema di massa m2 =
400 g e energia interna specifica u2 = 2,327 kJ/kg. Calcolare l’energia interna
specifica del sistema complessivo.
Generalità e definizioni 31

ESERCIZIO 2.2 – Per un sistema di massa m = 4,35 kg, avente una velocità
w = 5,4 km/h, calcolare:
1. l’energia cinetica;
2. l’energia cinetica specifica.

ESERCIZIO 2.3 – Un sistema di 4,35 kg si trova ad un’altezza z = 4,00 m da un


piano preso come riferimento. Calcolare l’energia potenziale totale e quella
specifica.

ESERCIZIO 2.4 – Un sistema di 4,35 kg deve essere sollevato di 323 cm. Cal-
colare il lavoro meccanico totale e quello specifico necessari.

ESERCIZIO 2.5 – Una parete di (3,00 ⋅ 5,00) m2 e di 40,0 cm di spessore è


costituita da un materiale avente una densità di 1200 kg/m3. Riscaldata con
2,00.104 kcal, passa da 10 a 25°C. Calcolare:
1. la capacità termica della parete,
2. il calore specifico del materiale,
3. la quantità di energia termica da sottrarre per portare la temperatura a
20 °C.

ESERCIZIO 2.6 – Con riferimento al sistema in Figura 2.1, calcolare il lavoro di


variazione di volume nel caso in cui il corpo P1 sia costituito da un recipiente
in vetro di 150 g con dimensioni interne 6,0 cm ⋅ 10,0 cm ⋅ 8,0 cm riempito
d'acqua (v = 1,00 l/kg), il corpo P2 sia costituito da una sfera di ferro di 10,0
cm di diametro ed il pistone raggiunga una nuova condizione di equilibrio a
30,0 cm dalla precedente. Si ipotizza l’assenza di attriti.

ESERCIZIO 2.7 – Con riferimento al sistema di Figura 2.2, calcolare il lavoro


di elica che si ha se il corpo P è un cubo di alluminio di 25,3 cm di lato, che
si abbassa di 57 cm.

ESERCIZIO 2.8 – Si consideri il sistema dell’esercizio 2.6 nelle condizioni di


equilibrio termodinamico finale. Tolto il corpo P1, il pistone si solleva di 25,0
cm. Si calcoli il lavoro di variazione di volume.

ESERCIZIO 2.9 – Effettuare le seguenti conversioni:


0 ºC in K; –30ºC in K; 0 K in ºC; Δt(ºC) = 20 in Δt(K); 0,40 kJ/ºC in kJ/K
32 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 2.10 – Un sistema pistone - cilindro adiabatico, è in equilibrio


termodinamico alla pressione atmosferica. Improvvisamente viene posato
sul pistone un corpo di 85,3 kg. Il sistema raggiunge un nuova situazione di
equilibrio con un abbassamento del pistone di 20,2 cm. Sapendo che l’area
della superficie del pistone è di 160 cm2, si calcoli il lavoro del sistema in
assenza di attrito.

ESERCIZIO 2.11 – Una macchina solleva un carico di 300 kg alla velocità co-
stante di 2,50 m/s dal fondo di una miniera, posto alla quota di –150 m, fino
alla piattaforma di scarico, posta alla quota di 5 m (le quote sono valutate
rispetto al piano di campagna). Calcolare:
1. il lavoro compiuto dalla macchina;
2. il tempo impiegato per il sollevamento;
3. la potenza della macchina.

ESERCIZIO 2.12 – Una locomotiva trascina un treno alla velocità costante di 80


km/h su un binario con pendenza positiva dell’1,0%. La massa complessiva
della locomotiva e del treno è pari a 4000 t. Se le resistenze di attrito valgono
20 N/t, qual è la potenza della locomotiva?

ESERCIZIO 2.13 – Una sfera di acciaio, di diametro 25,3 cm e di densità 7,23


kg/l, inizialmente alla quota di 22,35 m, viene portata alla quota di 7,1 m.
Calcolare la variazione di energia potenziale, in kWh.

ESERCIZIO 2.14 – Calcolare l’incremento di temperatura conseguente alla som-


ministrazione di 100 kJ di energia termica ai seguenti 3 sistemi:
1) 1500 g di glicerina;
2) 1,50 dm3 di calcestruzzo;
3) sfera di ottone di 10,0 cm di diametro.

ESERCIZIO 2.15 – Un sistema è costituito da un serbatoio sferico di rame, di


diametro esterno pari a 800 mm e diametro interno pari a 790 mm, riempito
per metà di acqua e per metà di olio leggero.
Sapendo che il sistema è in equilibrio alla temperatura di 15°Χ, calcolare la
quantità di calore da somministrargli per portarlo a 30°Χ.

ESERCIZIO 2.16 – Un sistema compie una trasformazione ciclica quasi statica


rappresentabile, in un piano p,v con scala delle ordinate pari a 0,100 bar/cm
Generalità e definizioni 33

e scala delle ascisse pari a 0,100 m3/kgcm, con un cerchio di raggio 3,00 cm.
Si calcoli il lavoro specifico compiuto in un ciclo.

ESERCIZIO 2.17 – Una trasformazione quasi statica porta un sistema da uno


stato 1 (p1 = 2,00 bar, v1 = 2,00 m3/kg) ad uno stato 2 (p2 = 1,00 bar, v2 =
4,00 m3/kg) mediante una trasformazione rappresentata su un piano p,v da
un segmento di retta.
Si calcoli il lavoro specifico compiuto nella trasformazione.
Capitolo terzo
Bilanci di massa e di energia - Primo principio
della termodinamica

3.1 Significato di bilancio

Effettuare il bilancio di una generica proprietà estensiva su un sistema


consiste nell’imporre o nel verificare che sia:

quantità entrante quantità generata quantità uscente quantità accumulata


nel sistema nel sistema dal sistema nel sistema
nell’intervallo + nell’intervallo = nell’intervallo + nell’intervallo (3.1)
di tempo di tempo di tempo di tempo
di riferimento di riferimento di riferimento di riferimento

che ovviamente si può anche scrivere:

quantità entrante quantità uscente quantità accumulata quantità generata


nel sistema dal sistema nel sistema nel sistema
nell’intervallo _ nell’intervallo = nell’intervallo _ nell’intervallo
(3.2)
di tempo di tempo di tempo di tempo
di riferimento di riferimento di riferimento di riferimento

Si noti che un bilancio è sempre caratterizzato:


• dalla proprietà estensiva della quale si vuol fare il bilancio,
• dal sistema sul quale si vuol fare il bilancio,
• dall’intervallo di tempo di riferimento, finito o infinitesimo, relativa-
mente al quale si vuol fare il bilancio.
Si noti inoltre che in un bilancio le eventuali generazioni della pro-
prietà in esame possono essere positive o negative; all’interno di un siste-
ma, si intende per generazione positiva la trasformazione di altra proprie-
tà in quella in esame, per generazione negativa la trasformazione della
proprietà in esame in altra. In questo capitolo non si considererà mai il
36 Lezioni di Fisica Tecnica

termine di generazione in quanto si tratteranno i bilanci di materia e di


energia in processi senza reazioni chimiche o nucleari, possibili cause di
generazione di massa e/o di energia.
Come esempio di bilancio si consideri un bilancio economico (gran-
dezza: denaro) su un nucleo familiare (sistema: famiglia) relativamente al
periodo di un mese. Con riferimento alla (3.2), il primo termine è costi-
tuito dalla somma di tutte le entrate del mese (stipendi, rendite, etc.) ed
il secondo dalla somma di tutte le spese: la differenza tra le entrate e le
uscite fornisce il terzo termine cioè la variazione, positiva o negativa, del
patrimonio familiare nel mese. Anche nel caso di bilancio economico il
termine di generazione è generalmente nullo. Un caso di bilancio econo-
mico con generazione positiva sarebbe quello su una famiglia di falsari che
stampino moneta in proprio; un esempio di generazione negativa sarebbe
fornito da una somma di danaro distrutta in un incendio.

3.2 Bilancio di massa - Equazione della continuità

Si consideri il sistema aperto di Figura 3.1, caratterizzato da un’uni-


ca sezione di ingresso (1) e da un’unica sezione di uscita (2); il bilancio
di materia relativo al volume di controllo compreso fra le sezioni 1 e 2
nell’intervallo infinitesimo di tempo dθ si scrive:

massa entrante massa uscente massa accumulata


= +
in dθ in dθ in dθ

ovvero

dm1 = dm2 + dmV.C. (3.3)

dove con mV.C. si indica la massa del sistema ovvero la massa nel volume
di controllo. Ovviamente, dalla (2.1)1 si ricava:

dV
mV.C. = ∫
∫ dm V.C. = V.C. v
(3.4)
V.C.

Dividendo primo e secondo membro del bilancio per dθ ed indicando


con m! il rapporto dm/dθ, ovvero la portata massica fluente attraverso

1 V
v= (2.1)
m
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 37

una sezione, l’equazione di bilancio di materia, chiamata anche equazione


della continuità, diventa:

dm V.C.
!1 =m
m !2+ (3.5)

5*
4*

Figura 3.1 – Schema di sistema aperto con un’unica sezione di ingresso ed un’unica
sezione di uscita.

Nel caso di più sezioni di ingresso e di uscita, il bilancio di materia


risulta:

dm V.C.
Σm
! i = Σm
!u+ (3.6)

dove con i pedici i ed u si indicano rispettivamente la generica sezione di


ingresso e la generica sezione di uscita.
In qualunque fenomeno fisico si definisce regime stazionario, o regime
permanente, la condizione nella quale in ogni punto del sistema tutte le
proprietà restano costanti nel tempo e quindi sono nulli tutti i termini
di accumulo. In particolare, nell’ipotesi di regime permanente, le due
equazioni precedenti diventano rispettivamente:

!1 =m
m !2 =m
! (3.7)

Σm
! i = Σm
!u (3.8)

La (3.7), per l’arbitrarietà della scelta della superficie di uscita, com-


porta che in una tubazione in regime stazionario la portata massica ha lo
stesso valore qualunque sia la sezione che si considera.
Tra la portata massica, m ! , e la velocità media del fluido, general-
mente detta semplicemente velocità, w, in ogni sezione perpendicolare
alla direzione del moto sussiste la relazione:
38 Lezioni di Fisica Tecnica

wA
! =
m (3.9)
v

con:
w = velocità del fluido nella sezione considerata, m/s,
A = area della sezione considerata, perpendicolare alla direzione del
moto, m2,
v = volume specifico del fluido nella sezione considerata, m3/kg.
.
Il prodotto wA rappresenta la portata volumetrica, V , e quindi la
(3.9) si può anche scrivere come:

!
V
! =
m (3.10)
v

Si noti che, in caso di regime permanente, il fatto che la portata


massica sia costante generalmente non comporta che lo siano la portata
volumetrica e la velocità; infatti, per la (3.10), la costanza della portata
volumetrica richiede che sia costante anche il volume specifico, il che si
verifica solo per sostanze a comportamento incomprimibile. La costanza
della velocità richiede non solo quella del volume specifico ma anche
quella dell’area della sezione.
Ovviamente, in un sistema chiuso, che è per definizione a massa co-
stante, non si parla di bilancio di massa.

3.3 Bilancio di energia per sistemi chiusi - Primo principio


della termodinamica per sistemi chiusi

Il primo principio della termodinamica è un bilancio di energia.


Nel caso di sistemi chiusi, nell’ipotesi di assenza di generazione, in
relazione alla Figura 3.2 e ricordando le convenzioni sui segni del calore
e del lavoro esposte nel paragrafo 2.5, la (3.1) riferita ad un intervallo di
tempo finito si scrive:

Qi + Li = Qu + Lu + ΔE (3.11)

da cui:

Q – L = ΔE (3.12)
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 39

che rappresenta l’espressione più generale del primo principio della ter-
modinamica per sistemi chiusi2.
I sistemi chiusi di interesse ingegneristico sono generalmente in quie-
te, per cui si ha Ec = 0, Ep = 0 e, per la (2.2)3, ΔE = ΔU.
Quindi, la (3.12) si può scrivere come:

Q – L = ΔU (3.13)

che, esplicitando i termini in ingresso ed in uscita, fornisce:

Qi+ Li = Qu + Lu+ ΔU (3.14)

SB*
*

S-*
PB*

P-*

Figura 3.2 – Quantità di calore entranti ed uscenti da un sistema chiuso.

La (3.13) si può scrivere anche in termini specifici, dividendo entram-


bi i membri per la massa, m:

q – l = Δu (3.15)

La (3.13) e la (3.15) in termini infinitesimi diventano rispettivamente:

dQ – dL = dU (3.16)

dq – dl = du (3.17)

2
Si noti che, per quanto detto al Capitolo 2, l’energia è una proprietà, mentre la
quantità di calore ed il lavoro non lo sono.
3
E = Ec + Ep + U. (2.2)
40 Lezioni di Fisica Tecnica

Nelle ipotesi di trasformazione quasi statica e di lavoro unicamente di


variazione di volume, dalla (3.16) si ricava:

dQ = dU + pdV (3.18)

da cui, per integrazione:


2
Q = ΔU + ∫ pdV (3.19)
1

In termini specifici la (3.18) e la (3.19) diventano rispettivamente:

dq = du + pdv (3.20)
2
q = Δu + ∫ pdv (3.21)
1

In termodinamica risulta comodo introdurre una proprietà, che viene


detta entalpia, definita dalla relazione:

H = U + pV (3.22)

dalla quale si deduce che l’entalpia:


• è una proprietà termostatica, in quanto nella sua espressione di defi-
nizione compaiono solo proprietà termostatiche;
• è una proprietà estensiva e quindi ha significato considerare l’entalpia
specifica definita dalla relazione:

h = u + pv (3.23)

L’entalpia non ha alcun particolare significato fisico; il suo impiego


è però molto utile in alcuni problemi termodinamici e, soprattutto, come
si vedrà, in quelli relativi ai sistemi aperti.
L’espressione dell’entalpia in termini infinitesimi è:

dH = dU + pdV + Vdp (3.24)

che per la (3.18), nel caso di sistemi chiusi con trasformazione quasi statica
e solo lavoro di variazione di volume, permette di scrivere il 1° principio
della termodinamica anche nella seguente forma:

dQ = dH – Vdp (3.25)
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 41

dalla quale si hanno anche le relazioni:

dq = dh – vdp (3.26)
2
Q = ΔH + ∫ Vdp (3.27)
1

2
q = Δh + ∫ vdp (3.28)
1

Il primo principio della termodinamica per i sistemi chiusi permette


di calcolare variazioni e non valori assoluti di energia interna ed entalpia.
D’altra parte, come si vedrà anche nel seguito, nella pratica ingegneri-
stica non interessano mai i valori assoluti di queste grandezze ma le loro
variazioni, per cui si sceglie convenzionalmente uno stato di riferimento
rispetto al quale si calcola il valore della grandezza in un qualunque altro
stato: evidentemente, il valore che si ottiene è un valore non assoluto, ma
relativo allo stato di riferimento. Considerato il legame tra energia interna
ed entalpia, fissato il valore nello stato di riferimento per una delle due
proprietà ne deriva l’altro.

3.4 Bilancio di energia per sistemi aperti - Primo principio


della termodinamica per sistemi aperti
Si ritiene innanzitutto importante ribadire che lo studio del bilancio di
energia per sistemi aperti si basa sull’ipotesi di equilibrio termodinamico
locale, di cui si è parlato nella nota 2 al paragrafo 3.2.
Per i sistemi aperti, che scambiano materia con l’ambiente, il bilancio
di energia, ovvero il primo principio della termodinamica, deve compren-
dere anche i termini relativi al flusso di massa, per cui bisogna analizzare
innanzitutto quale è l’energia connessa ad un generico elemento di fluido
di massa dm = m ! dθ; che nell’intervallo di tempo dθ entri o esca in un
sistema aperto. Nella Figura 3.3 è rappresentato un elemento di fluido,
in ingresso nel sistema, che possiede:
• energia interna, dipendente dal suo stato termodinamico, = u m ! dθ ;
• energia potenziale dovuta all’esistenza del campo gravitazionale, = zg
m! dθ, con z quota del baricentro della sezione attraversata valutata
rispetto ad un piano di riferimento equipotenziale4;

4
Nel caso di campo gravitazionale, le superfici equipotenziali sono superfici oriz-
zontali.
42 Lezioni di Fisica Tecnica

• energia cinetica dovuta alla sua velocità, = (w2/2) m! dθ ;


• energia dovuta al lavoro fatto dal fluido che lo segue per spostarlo
di dx= wdθ; detta A l’area della sezione attraversata dall’elemento di
fluido, questa energia risulta espressa dalla relazione:
.
! dθ
dLp = Fdx = (pA)(wdθ) = p V dθ = pv m (3.29)

dove F rappresenta la forza di pressione agente sulla sezione; con


riferimento all’unità di massa si ha:

lp = pv (3.30)

Le stesse energie sono ovviamente connesse ad un elemento dm di


fluido uscente dal sistema.

2^*<*X2$(

X*

! 2$**
2/*<* %

Figura 3.3 – Ingresso di un elemento di fluido dm in un sistema aperto.

L’energia specifica definita dalla (3.30), generalmente indicata come


energia di pulsione o lavoro di pulsione (dalle espressioni anglosassoni
flow energy e flow work), viene anche detta energia di pressione, termine
che sarà qui usato prevalentemente.
Si consideri ora il sistema aperto di Figura (3.1), caratterizzato da
un’unica sezione di ingresso ed un’unica sezione di uscita, nel quale, nel-
l’intervallo infinitesimo di tempo dθ, viene immessa attraverso la sezione
1 una quantità di fluido pari a m ! 1 dθ kg, cui competono le energie speci-
fiche u1, gz1, w12/2, p1v1, e dal quale, attraverso la sezione 2, fuoriesce una
quantità di fluido pari a m ! 2 dθ kg cui competono le energie specifiche u2,
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 43

gz2, w22/2, p2v2. Contemporaneamente, il sistema scambia con l’ambiente


la quantità di calore dQ e l’energia meccanica dL, generalmente sotto
forma di lavoro di elica.
Il bilancio di energia sul volume di controllo, riferito all’intervallo di
tempo dθ fornisce allora:

2
(u1 + gz1 + w 1 ! 1 dθ + dQi + dLi =
+ p1v1) m
2
2 (3.31)
= (u2 + gz2 + w 2 ! 2 dθ + dQu + dLu + dEV.C.
+ p2v2) m
2

dove dEV.C. rappresenta il termine di accumulo essendo EVC l’energia


totale del volume di controllo; dalla (3.31) e da quanto convenuto nel
paragrafo 2.5:

2
(u1 + gz1 + w 1 ! 1 dθ + dQ =
+ p1v1) m
2
2 (3.32)
= (u2 + gz2 + w 2 ! 2 dθ + dL + dEV.C.
+ p2v2) m
2

da cui, dividendo entrambi i membri per dθ, indicando con Q! e L! ri-


spettivamente la potenza termica e la potenza meccanica scambiata
( Q! = dQ/dθ, L! = dL/dθ) ed utilizzando l’entalpia specifica, definita dal-
la (3.23), si ha:

2 2
dE V.C.
(h1 + gz1 + w 1 ) m ! = (h + gz + w 2 ) m
!1 + Q 2 2 ! 2 + L! + (3.33)
2 2 dθ

Nella (3.33), nota come 1° Principio della Termodinamica per sistemi


aperti, tutti i termini sono delle potenze espresse in W (o in kW).
È evidente che il 1° Principio della Termodinamica per i sistemi aperti
comprende come caso particolare il 1° Principio della Termodinamica per
sistemi chiusi. Infatti per questi ultimi i flussi di massa sono per definizione
nulli per cui la (3.32) diventa:

dQ = dL + dEV.C. (3.34)

che non è altro che l’espressione infinitesima della (3.12).


Qualora il sistema di Figura 3.1 sia in condizioni di regime perma-
nente, nel bilancio di energia risulta nullo il termine di accumulo; inoltre,
44 Lezioni di Fisica Tecnica

per la (3.7) la portata massica in ingresso risulta uguale a quella in uscita


e quindi la (3.33) si può scrivere nella seguente forma:
2 2
w1 ) m ! = (h + gz + w 2 ) m
! + Q ! + L!
(h1 + gz1 + 2 2 (3.35)
2 2

Talvolta il termine mh ! viene indicato con H! e viene detto portata


entalpica, per cui la (3.35) si trova anche nella forma:

2 2
! (gz1 + w 1 ) + Q
!1+ m
H ! = H ! (gz2 + w 2 ) + L!
!2 + m (3.36)
2 2

Molto più spesso alla (3.35) si preferisce l’espressione che si ottiene


dividendo entrambi i membri per la portata massica:

2 2
h1 + gz1 + w 1 + q = h2 + gz2 + w 2 +l (3.37)
2 2

La (3.37) è una relazione tra energie specifiche, quindi tutti i termini


sono espressi in J/kg (o kJ/kg). Si noti però che mentre h, gz e w2/2 rap-
presentano energie specifiche del fluido nelle sezioni di ingresso e/o di
uscita dal sistema, i termini q e l sono il rapporto tra le energie scambiate
tra sistema ed ambiente, attraverso le superfici impermeabili alla mate-
ria, e la portata massica di fluido che attraversa il volume di controllo.
Si noti ancora che la (3.37), come si è visto, è utilizzabile esclusivamente
per sistemi aperti a regime permanente con unica sezione di ingresso ed
unica sezione di uscita.
Si osservi infine che quando si hanno scambi di energia sotto forma
calore e/o lavoro, molto spesso le variazioni di energia cinetica e poten-
ziale sono trascurabili (infatti la somministrazione di 1,00 kJ/kg equivale
ad una variazione di quota di 102 m o ad una variazione di velocità da 0
a 44,7 m/s). Con queste considerazioni la (3.35) si scrive:

! =h m
! + Q !
h1 m 2 ! + L (3.38)

e la (3.37) diventa:

h1 + q = h2 + l (3.39)

La (3.38) e la (3.39) sono in definitiva le equazioni generalmente


usate nella pratica nelle ipotesi di regime permanente e trascurabilità dei
termini cinetici e potenziali.
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 45

Nel caso in cui il sistema preveda più sezioni di ingresso e/o di uscita,
il 1° Principio della Termodinamica per sistemi aperti va scritto estenden-
do ovviamente il bilancio a tutte le portate in ingresso ed in uscita. La
(3.33) diventa pertanto:

2 2
dE V.C.
! i (hi + gzi + w i ) + Q
Σm ! u (hu + gzu + w u ) + L! +
! = Σm (3.40)
2 2 dθ

che in condizioni di regime permanente si scrive:

2 2
! i (hi + gzi + w i ) + Q
Σm ! u (hu + gzu + w u ) + L!
! = Σm (3.41)
2 2

Non essendoci più un’unica portata di fluido, nel caso di più sezioni
in ingresso e/o in uscita non è più possibile scrivere il primo principio in
termini di energie specifiche.
In pratica poi, trascurando i termini cinetici e potenziali, si ottiene
la seguente equazione:

Σm ! = Σm
! i hi + Q ! u hu + L! (3.42)

Quanto detto per i sistemi chiusi a proposito dello stato di riferimento


delle grandezze energia interna ed entalpia vale ovviamente anche per i
sistemi aperti.

3.5 Calori specifici cv e cp

La capacità termica specifica, detta calore specifico, è definita dalla


(2.5)5. Come anticipato al paragrafo 2.8, nella termodinamica applicata
assumono notevole importanza i calori specifici cv (calore specifico a vo-
lume costante) e cp (calore specifico a pressione costante), che sono così
definiti:

⎛ du ⎞
cv = ⎜ ⎟ (3.43)
⎝ dT ⎠v

dQ
5
c= (2.5)
mdT
46 Lezioni di Fisica Tecnica

e:

⎛ dh ⎞
cp = ⎜ ⎟ (3.44)
⎝ dT ⎠p

I calori specifici a volume e pressione costante risultano essere pro-


prietà termostatiche del sistema, in quanto funzione di proprietà termosta-
tiche; inoltre, a differenza del generico calore specifico definito dalla (2.5),
non sono funzione dell’energia termica scambiata e valgono qualunque
sia la trasformazione.

3.6 Applicazioni del primo principio ad alcune trasformazioni

In questo paragrafo vengono esaminati in dettaglio alcuni tipi di tra-


sformazioni di particolare interesse che possono essere compiute da un
sistema. Si farà sempre riferimento ad una trasformazione che porti il
sistema dallo stato di equilibrio termodinamico l allo stato di equilibrio
termodinamico 2, inoltre si supporranno sempre nulli o trascurabili le
forze di attrito ed i termini cinetici e potenziali e, per i sistemi aperti, si
farà sempre anche l’ipotesi di regime permanente.

3.6.1 Trasformazioni di sistemi isolati

Come si è visto nel paragrafo 2.1, un sistema isolato è un sistema


chiuso caratterizzato da Q = L = 0 e quindi, dalla (3.13), risulta che in
un sistema isolato l’energia interna rimane costante:

ΔU = U2 – U1 = 0 (3.45)

Un esempio di trasformazione di un sistema isolato, illustrato in Fi-


gura 3.6, può essere il seguente: il sistema è diviso in due zone separate
da un setto rigido, fisso ed adiabatico, contenenti rispettivamente i gas A
e B; eliminando il setto, i due gas si mescolano, raggiungendo una nuova
condizione di equilibrio termodinamico. L’energia interna iniziale, U1, è
data da:

U1 = mAuA,1 + mBuB,1 (3.46)

ed è uguale a quella finale, U2, data da:

U2 = mAuA,2 + mBuB,2 (3.47)


Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 47

ovvero la sostanza A può subire dei cambiamenti con conseguente varia-


zione della sua energia interna, così come la sostanza B, ma complessi-
vamente le variazioni sono tali da lasciare costante il valore dell’energia
interna di tutto il sistema.

@' A

Figura 3.4 – Esempio di sistema isolato.

Le trasformazioni di sistemi isolati sono generalmente non quasi sta-


tiche.

3.6.2 Trasformazioni adiabatiche

Una trasformazione adiabatica è definita come una trasformazione


in cui sono nulli gli scambi di energia termica tra sistema ed ambiente,
realizzabile in un sistema delimitato da pareti perfettamente isolate dal
punto di vista termico.
Si noti che nella pratica ingegneristica molti sistemi sono considerati
adiabatici, pur non essendo coibentati, in quanto la quantità di calore
scambiata è trascurabile rispetto ad altri termini del bilancio di energia; è
questo il caso di alcuni sistemi aperti, come turbine, compressori, pompe,
recipienti di miscelazione, valvole, etc.

A) Sistemi chiusi
Essendo Q = 0, dalla (3.13) risulta:

L = –ΔU = U1 – U2 (3.48)

cioè in una qualunque trasformazione adiabatica l’energia meccanica


somministrata (sottratta) si ritrova integralmente come incremento (di-
minuzione) di energia interna. In questo caso il lavoro scambiato risulta
uguale alla variazione di una grandezza potenziale che, non dipendendo
48 Lezioni di Fisica Tecnica

dall’andamento della trasformazione, ma solo dagli stati iniziale e finale


di questa, può essere calcolata con una trasformazione arbitraria anche
diversa da quella effettiva.
Se la trasformazione è internamente reversibile, per la (2.8)6 si ha:
2
U1 – U2 = ∫ pdV (3.49)
1

Una trasformazione adiabatica quasi statica è rappresentabile nel


piano di Clapeyron, ma il suo andamento, come si vedrà nei prossimi
capitoli, dipende dall’equazione di stato del sistema.
Il calore specifico di una adiabatica è nullo per la definizione di ca-
lore specifico.

B) Sistemi aperti
Per la (3.42), valida nell’ipotesi di trascurabilità dei termini cinetici
e potenziali, si ha:

Σm ! u h u + L!
! i hi = Σ m (3.50)

che, per una sola sezione di ingresso ed una sola sezione di uscita, di-
venta:

L! = m !
! Δh = – ΔH
! (hi – hu ) = – m (3.51)

3.6.3 Trasformazioni a volume costante

Una trasformazione a volume costante si può pensare realizzata in


un sistema delimitato da pareti rigide e fisse (si tenga presente che nei
sistemi aperti le sezioni di ingresso ed uscita sono pareti virtuali). Per
questa trasformazione risulta ovviamente nullo il lavoro connesso a va-
riazioni di volume.

A) Sistemi chiusi
Nel caso di assenza anche di lavoro di elica, dalla (3.13) il primo
principio diventa:

Q = ΔU = U2 – U1 (3.52)

Vf
6
L= ∫
Vi
pdV (2.8)
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 49

ovvero, in una trasformazione in cui sia nullo qualunque tipo di lavoro,


l’energia termica somministrata (sottratta) si ritrova integralmente come
aumento (diminuzione) dell’energia interna. Ovviamente, in presenza di
lavoro di elica vale la (3.13), nella quale il termine L si riferisce esclusi-
vamente al lavoro di elica.
In questo caso, così come in quello del lavoro scambiato in una tra-
sformazione adiabatica in sistemi chiusi, l’energia termica scambiata risul-
ta uguale alla variazione di una grandezza potenziale che, non dipendendo
dalla trasformazione, ma solo dagli stati iniziale e finale, può essere calco-
lata con una trasformazione arbitraria anche diversa da quella effettiva.

B) Sistemi aperti
Per i sistemi aperti, in assenza di scambio di potenza meccanica, la
potenza termica somministrata (sottratta) si ritrova integralmente come
aumento (diminuzione) della portata entalpica e dalla (3.38) il primo prin-
cipio diventa:

! = ΔH
Q ! =H
! 2 −H
!1 (3.53)

In presenza di lavoro di elica vale la (3.38), nella quale il termine L!


si riferisce esclusivamente al lavoro di elica per unità di tempo.

3.6.4 Trasformazioni a volume specifico costante

Nell’ipotesi di lavoro di elica nullo, necessaria per definire la quasi


staticità, la trasformazione a volume specifico costante, anche detta iso-
cora, è rappresentabile in un diagramma di stato. In particolare, sul piano
di Clapeyron l’isocora è un segmento parallelo all’asse delle ordinate, così
come mostrato, nel caso di aumento della pressione, in Figura 3.5, nella
quale l’area sottesa al segmento 1-2 è ovviamente nulla, essendo nullo il
lavoro di variazione di volume.
L’equazione della trasformazione può essere posta nella forma:

dv = 0 (3.54)

A) Sistemi chiusi
Per il calcolo della quantità di calore scambiata vale la (3.52) e non
può esservi lavoro scambiato.

B) Sistemi aperti
Nei sistemi aperti, pur valendo quanto detto nel caso generale del-
50 Lezioni di Fisica Tecnica

?*
4* '
*
*
*
*
*
*
*
5*

,*
Figura 3.5 – Esempio di trasformazione a volume specifico costante nel piano p, v.

l’isocora, il volume specifico si mantiene costante anche in presenza di


lavoro di elica nell’ipotesi che la sostanza che attraversa il sistema sia
incomprimibile, cioè caratterizzata appunto da v = cost, cosa che avviene
con ottima approssimazione per i liquidi e talvolta per i gas, come si vedrà
nei capitoli successivi.
In questo caso, le quantità di calore e lavoro scambiate si calcolano
con la (3.38).

3.6.5 Trasformazioni a pressione costante


Nell’ipotesi di lavoro di elica nullo, necessaria per definire la quasi
staticità, la trasformazione a pressione costante, anche detta isobara, è
rappresentabile in un diagramma di stato. In particolare, sul piano di
Clapeyron l’isobara è un segmento parallelo all’asse delle ascisse, così
come mostrato, nel caso di diminuzione del volume specifico, in Figura
3.6, nella quale l’area sottesa dal segmento 2-1 rappresenta il lavoro di
variazione di volume.
L’equazione della trasformazione può essere posta nella forma:

dp = 0 (3.55)

A) Sistemi chiusi
Si può pensare di realizzare una trasformazione isobara in un si-
stema pistone-cilindro, mantenendo invariata la pressione che agisce sul
pistone.
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 51

?*

4* 5*

,*
Figura 3.6 – Esempio di trasformazione a pressione costante con diminuzione del
volume specifico nel piano p, v.

Dalla (3.27) si ricava che per processi a pressione costante il 1° prin-


cipio per sistemi chiusi diventa:

Q = ΔH = H2 – H1 (3.56)

ovvero, in una trasformazione a pressione costante, l’energia termica som-


ministrata (sottratta) si trova integralmente come aumento (diminuzione)
dell’entalpia.
Il lavoro scambiato dal sistema si calcola a partire dalla (2.8)7 che
fornisce:

L = pΔV = p(V2- V1) (3.57)

Anche in questo caso vale quanto detto in precedenza: il calore ed


il lavoro scambiati risultano uguali alla differenza di una grandezza po-
tenziale, che, non dipendendo dalla trasformazione, ma solo dagli stati
iniziale e finale, può essere calcolata con una trasformazione arbitraria
anche diversa da quella effettiva.

B) Sistemi aperti
Per processi a pressione costante in sistemi aperti non c’è alcuna
semplificazione delle equazioni finora viste, per cui le quantità di calore
e lavoro scambiate si calcolano con la (3.38).

Vf
7
L= ∫
Vi
pdV (2.8)
52 Lezioni di Fisica Tecnica

3.6.6 Trasformazioni a temperatura costante

In assenza di lavoro di elica, una trasformazione a temperatura co-


stante, anche detta isoterma è certamente quasi statica; è definita dal-
l’equazione:

dT = 0 (3.58)

e può essere realizzata in un sistema chiuso (cilindro-pistone in equilibrio


termico con una sorgente) ed in un sistema aperto (condotto in equili-
brio termico con una sorgente). Sempre dalla (2.5)8 si deduce che per
l’isoterma il calore specifico è ± ∞, asseconda che lo scambio termico sia
positivo o negativo.
Una trasformazione isoterma è rappresentabile nel piano di Cla-
peyron, ma, come si vedrà, il suo andamento dipende dall’equazione di
stato della sostanza.
Per le trasformazioni isoterme non è possibile in generale semplifi-
care le espressioni del primo principio.

3.6.7 Trasformazioni cicliche

Come si è detto, le trasformazioni cicliche sono quelle che, partendo


da uno stato termodinamico 1, portano il sistema nello stato 2 ≡ 1.

A) Sistemi chiusi
Essendo l’energia interna una grandezza di stato, la (3.13) diventa:

Q=L (3.59)

dove Q ed L sono rispettivamente la somma delle quantità di energia


termica e la somma delle quantità di energia meccanica scambiate lungo
il ciclo; ciò significa che in un ciclo l’energia termica complessivamente
scambiata è uguale all’energia meccanica complessivamente scambiata.
Sia ben chiaro che la (3.59) rappresenta l’enunciato del primo prin-
cipio della termodinamica per sistemi chiusi nel caso particolare di tra-
sformazione con ΔU = 0 e non, come a volte erroneamente si pensa, una
formulazione del tutto generale.
Se la trasformazione ciclica è quasi statica si ha:

l= ∫! pdv (3.60)

dQ
8
c= (2.5)
mdT
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 53

dove con ∫! si indica l’integrale esteso a tutto il ciclo. Come si è già visto
nel paragrafo 2.10, in particolare nella Figura 2.7, nel piano di Clapeyron
il lavoro specifico l = ∫! pdv è rappresentato dall’area racchiusa dalla linea
della trasformazione ed è positivo se il verso è orario, negativo se il ver-
so è antiorario. Ne deriva che, se il ciclo viene percorso in verso orario,
il sistema complessivamente cede all’ambiente una quantità di energia
meccanica che, per la (3.59), è uguale alla quantità di energia termica
complessivamente scambiata: in un ciclo di questo tipo, detto ciclo diretto,
si ha pertanto trasformazione di energia termica in energia meccanica.
Si comprende quindi come tali cicli trovino applicazione negli impianti
termici motori nei quali si produce appunto energia meccanica a partire
da energia termica.
Si definisce rendimento o rendimento termodinamico di un ciclo diret-
to il rapporto tra la somma di tutti i lavori (positivi e negativi) del ciclo e
la somma di tutte le quantità di energia termica assorbite dal ciclo stesso.
Il rendimento risulta quindi dato dalla relazione:

L
η= (3.61)
Qi

e dal momento che per la (3.59) è:

Qi – Qu = L (3.62)

risulta anche:

Qi − Qu Q
η= = 1− u (3.63)
Qi Qi

Sulla base del primo principio, il rendimento termodinamico è com-


preso tra i valori 0 ed 1, corrispondenti rispettivamente ai casi Qi = Qu e
Qu= 0 con Qi ≠ 0; nel seguito si vedrà che, in base al secondo principio
della Termodinamica, il valore unitario non è in realtà raggiungibile.
Per quanto già detto, se una trasformazione ciclica viene percorsa in
verso antiorario, nel qual caso si parla di ciclo inverso, il sistema com-
plessivamente riceve dall’ambiente una quantità di energia meccanica che
per la (3.59) è uguale alla quantità di energia termica complessivamente
ceduta all’ambiente; nel ciclo inverso si ha quindi una trasformazione di
energia meccanica in energia termica.
Nelle applicazioni dei cicli inversi si può avere interesse ad eviden-
ziare le quantità di calore cedute dall’ambiente al sistema, ed è il caso
degli impianti frigoriferi, oppure le quantità di calore cedute dal sistema
54 Lezioni di Fisica Tecnica

all’ambiente, nel qual caso si parla di impianti a pompa di calore. Per i


cicli inversi si definisce il coefficiente di prestazione, COP9 indicando con
COPp il coefficiente relativo agli impianti a pompa di calore e con COPf
quello relativo agli impianti frigoriferi.
Nel caso di impianti frigoriferi, nei quali l’obiettivo è quello di sottrar-
re energia termica da un ambiente a bassa temperatura fornendo lavoro
meccanico, il coefficiente di prestazione è definito come il rapporto tra la
somma di tutte le quantità di calore assorbite dal ciclo ed il valore assoluto
del lavoro complessivo del ciclo:

Qi
COPf = (3.64)
L

ovvero:

Qi
COPf = (3.65)
Qu − Qi

che si può anche scrivere come:

1
COPf = (3.66)
Qu
−1
Qi

Nel caso di impianti a pompa di calore, che hanno invece l’obiettivo


di fornire energia termica ad un ambiente sempre fornendo del lavoro
meccanico, il coefficiente di prestazione è dato dal rapporto tra la somma
di tutte le quantità di calore cedute dal ciclo ed il lavoro complessivo del
ciclo:

Qu
COPp = (3.67)
L

ovvero:

Qu
COPp = (3.68)
Qu − Qi

9
Dall’inglese “Coefficient of Performance”.
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 55

che, in analogia alla (3.65) si può anche scrivere come:

1
COPf = (3.69)
Q
1− i
Qu

Talvolta, piuttosto che di coefficienti di prestazione si parla di coef-


ficiente di effetto utile, ε, per gli impianti frigoriferi e di rapporto di
moltiplicazione termica, r, per le pompe di calore.
A differenza del rendimento, i COP, anch’essi adimensionali, posso-
no assumere valori maggiori di 1, risultando in particolare COPf compreso
tra 0 ed ∞ e COPp compreso tra 1 ed ∞10.
Nelle espressioni viste per il rendimento e per i coefficienti di presta-
zione, sia al numeratore che al denominatore compaiono tutte grandezze
estensive; ne deriva che tali coefficienti possono essere espressi anche in
termini delle corrispondenti grandezze specifiche, dividendo numeratore
e denominatore per la massa m.

B) Sistemi aperti
Ricordando che l’entalpia è una proprietà di stato, per cui in un ciclo
termodinamico il suo valore iniziale coincide con quello finale, la (3.38)
diventa:

! = L!
Q (3.70)

dalla quale si ricava che le espressioni del rendimento degli impianti ter-
mici motori e dei coefficienti di prestazione degli impianti frigoriferi e di
quelli a pompa di calore sono perfettamente simili a quelle scritte per i
sistemi chiusi, con la sola differenza che al posto delle quantità di calore,
Q, e del lavoro, L, si utilizzano rispettivamente la potenza termica, Q! e
la potenza meccanica, L! o le corrispondenti grandezze specifiche.

3.6.8 Generalità su alcuni componenti degli impianti

Si dice impianto termico un insieme di macchine a fluido (compres-


sori, pompe, turbine, ventilatori), apparecchiature di scambio termico
(caldaie, scambiatori di calore) e di materia (umidificatori, deumidifica-
tori, miscelatori) e sistemi di regolazione (valvole di laminazione) fra loro
collegati da condotti entro i quali scorre un fluido.

10 Questa affermazione sarà chiarita al cap. 15.


56 Lezioni di Fisica Tecnica

In definitiva, un impianto termico è costituito da un insieme di siste-


mi aperti, che possono costituire una catena aperta o chiusa. La catena
è chiusa se il fluido in uscita dall’ultimo elemento della catena viene
ricondotto all’ingresso del primo; in questo caso l’impianto si dice anche
impianto a sistema chiuso o fluosistema chiuso e in esso il fluido descri-
ve un vero e proprio ciclo termodinamico. Se invece la catena è aperta
l’impianto si dice impianto a circuito aperto o fluosistema aperto. Gli
impianti vengono detti motori nel caso in cui il fluido percorra il ciclo
in senso orario, operatori nel caso in cui il ciclo venga percorso in senso
antiorario.
In questo paragrafo si esaminano, nelle ipotesi di regime permanente
e di trascurabilità dei termini cinetici e potenziali, le principali caratte-
ristiche termodinamiche dei componenti degli impianti termici che più
frequentemente si incontrano.

A) Pompe, compressori, turbine, ventilatori


Dal punto di vista termodinamico si possono vedere come sistemi
aperti con lavoro di variazione di volume o di elica, positivo per le turbine,
negativo per compressori, ventilatori e pompe.
Le turbine vengono distinte in due classi: le turbine a gas e a vapo-
re, nelle quali in cui il fluido evolvente è in fase aeriforme, e le turbine
idrauliche, nelle quali il fluido evolvente è in fase liquida.
Nelle pompe, nei compressori e nei ventilatori l’energia viene fornita
al fluido che li attraversa essenzialmente per aumentarne la pressione; si
parla di pompa quando il fluido è a comportamento incomprimibile, di
compressore e ventilatore quando il fluido è a comportamento comprimi-
bile. In particolare, il compressore viene utilizzato per realizzare notevoli
incrementi di pressione in determinati processi, mentre il ventilatore per
movimentare i fluidi.
Queste macchine sono tutte caratterizzate da potenze termiche tra-
scurabili rispetto al lavoro, per cui vengono considerate adiabatiche, ben-
ché in pratica non siano coibentate, e quindi il 1° principio della termo-
dinamica si riduce alla (3.51).

B) Caldaie, scambiatori di calore


Da un punto di vista termodinamico sono sistemi aperti nei quali un
fluido riceve o cede energia termica. In particolare, si parla di caldaie
quando il fluido riceve energia proveniente da una combustione che avvie-
ne all’esterno del sistema; si parla di scambiatori di calore quando l’ener-
gia proviene da, o viene ceduta a, un altro fluido esterno al sistema.
Queste apparecchiature sono caratterizzate da lavoro nullo e quindi
il primo principio della termodinamica, per ciascuno dei fluidi interessati,
si riduce alla seguente relazione:
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 57

! = m
Q ! (hu – hi) = m !
! Δh = ΔH (3.71)

C) Umidificatori, deumidificatori, miscelatori


Negli umidificatori si immette liquido o vapore in un gas; nei deu-
midificatori si sottrae vapore da un gas; nei miscelatori si mescolano due
o più fluidi.
Queste apparecchiature sono anch’esse caratterizzate da scambi ter-
mici trascurabili e da lavoro nullo, salvo nel caso dei miscelatori, nei quali
si può anche avere somministrazione di lavoro di elica.

D) Valvole di laminazione
Le valvole di laminazione sono costituite da un elemento di condot-
to dotato di una strozzatura, fissa o variabile, e servono per ridurre la
pressione.
In questi componenti è senz’altro nullo il lavoro e la potenza termica
è trascurabile rispetto alle portate entalpiche. Pertanto per una valvola
di laminazione risulta:

hi = hu (3.72)

il che, come si vedrà al paragrafo 9.3, non significa che il processo sia
isoentalpico.

Esercizi

ESERCIZIO 3.1 – In una tubazione cilindrica entra del fluido con una densità di
2,3 kg/m3. La velocità all’ingresso è di 1,50 m/s ed il diametro della sezione di
ingresso è di 12,6 cm. Sapendo che all’uscita la densità del fluido è di 4,3 kg/m3
e che il diametro è di 10,0 cm, quale sarà la velocità del fluido all’uscita?

5* 4

ESERCIZIO 3.2 – Con riferimento allo schema, nel quale i condotti sono tutti
a sezione quadrata, si conoscono i seguenti dati:
L1 = 11,3 cm, w1 = 5,40 km/h, v1 = 3,20 m3/kg, L2 = 15,4 cm, w2 = 6,35 km/h,
v2 = 2,78 m3/kg, L3 = 17,4 cm, w3 = 4,70 km/h, v3 = 2,34 m3/kg.
58 Lezioni di Fisica Tecnica

All’uscita (sezioni 4 e 5) il fluido ha un volume specifico di 2,80 m3/kg ed una


velocità w4 = w5 = 2,00 m/s.
Si calcoli il lato delle due sezioni di uscita, sapendo che anch’esse sono di
uguale area.

5* =*

:);)*
4*

!* G*

ESERCIZIO 3.3 – Determinare la variazione di energia interna di un sistema


che riceve una quantità di calore di 15,0 kcal ed, espandendo, compie un
lavoro di 3000 kJ.

ESERCIZIO 3.4 – Una massa di 35 kg cede una quantità di calore di 25,7 kcal
e scambia un lavoro specifico di compressione di 20,0 kJ/kg. Calcolare:
1. la variazione di energia interna;
2. la variazione di energia interna specifica.

ESERCIZIO 3.5 – Un sistema a pareti rigide e fisse, senza lavoro di elica, riceve
una quantità di calore di 43,5 kJ. Calcolare la variazione di energia interna.

ESERCIZIO 3.6 – Si supponga di fornire come calore 180 kJ ad un sistema


chiuso che evolva da uno stato 1 ad uno stato 2 con un incremento di energia
interna di 100 kJ. Per riportare il sistema nel suo stato iniziale (dallo stato
2 allo stato 1) l’ambiente fornisce al sistema un’energia pari a 95 kJ sotto
forma lavoro. Calcolare:
1. l’energia meccanica scambiata nel processo 1-2;
2. l’energia termica scambiata nel processo 2-1.

ESERCIZIO 3.7 – Un sistema passando dallo stato 1 allo stato 2 lungo la tra-
sformazione 1A2 assorbe Q = 50 kJ e compie un lavoro L = 20 kJ. Se invece
segue la trasformazione 1B2, è Q = 36 kJ.
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 59

1. Quanto vale L lungo la trasforma- *? 4


e
zione 1B2?
2. Se L = –13 kJ ritornando da 2 a 1
lungo la linea curva in Figura, quan- *;
to vale Q per questa trasformazio-
ne? **5* d*
3. Se U1 = 10 kJ, quanto vale U2?
4. Se UB = 22 kJ quanto vale Q per la W *,*
trasformazione 1B? E per la B2?
Tutte le trasformazioni sono quasi statiche ed il sistema compie solo lavoro
di variazione di volume.

ESERCIZIO 3.8 – Si calcoli la variazione di energia per un sistema chiuso che,


durante successive trasformazioni, scambia energia termica con l’ambiente
assorbendo 419 kJ e cedendo 126 kJ ed effettua sull’ambiente un lavoro di
98 kJ.

ESERCIZIO 3.9 – Un sistema chiuso, durante una trasformazione, scambia ener-


gia come calore, ricevendo 100 kJ e cedendo 150 kJ, e come lavoro, assorben-
do 350 kJ e cedendo 500 kJ. Quanto vale la variazione di energia interna?

ESERCIZIO 3.10 – Un sistema chiuso esegue una trasformazione durante la


quale l’energia ceduta come lavoro è di 2,94 · 102 kJ, quella assorbita come
lavoro è di 883 kJ, l’energia ceduta all’ambiente sotto forma calore è di 210
kJ. Lo stesso sistema, lungo una diversa trasformazione, che ha in comune
con la precedente gli stati iniziale e finale, cede 294 kJ come lavoro. Si calcoli
la quantità di calore scambiata nella seconda trasformazione.

ESERCIZIO 3.11 – Attraverso un recipiente fornito di agitatore fluiscono 1000


kg/h di fluido; in condizioni di regime permanente nella sezione d’ingresso,
posta a 30,0 cm dal piano di riferimento, l’entalpia del fluido è di 32,0 kcal/
kg e la velocità di 3,80 m/s.
Nel recipiente il fluido viene
/!
riscaldato con una potenza
termica di 180 kcal/min; nella
sezione di uscita, posta a 2,50
m dal piano di riferimento, 5
:);) 4*
l’entalpia è di 50,0 kcal/kg e la C4
velocità è di 2,40 m/s. Deter-
minare la potenza meccanica C5 *!
somministrata al fluido.
60 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 3.12 – Con riferimento all’esercizio 3.1, sapendo che l’entalpia spe-
cifica del fluido all’ingresso ed all’uscita sono pari rispettivamente a 430 e
370 kJ/kg, e sapendo che il sistema non compie lavoro, calcolare la potenza
termica scambiata dal sistema.

ESERCIZIO 3.13 – Nel sistema in Figura si mescolano adiabaticamente due


portate di fluido; la prima (1) pari a 35,3 kg/min, con un’entalpia specifica
di 150 kJ/kg, e la seconda (2) pari a 72,8 kg/min, con un’entalpia specifica di
86,3 kJ/kg. La portata risultante (3) viene inviata ad una turbina adiabatica,
dalla quale esce (4) con una entalpia specifica di 46,2 kJ/kg. Calcolare:
1. l’entalpia specifica del fluido nella sezione 3;
2. la potenza meccanica della turbina.

5* g
*!
*4
f

ESERCIZIO 3.14 – Un sistema chiuso


?*3H"/46*

compie il ciclo riportato in Figura. Tut-


te le trasformazioni sono quasi statiche
e non c’è lavoro di elica. *=W
;
1. Completare la Tabella, indicando
il segno delle grandezze associate *!W
a ciascuna trasformazione.
2. Calcolare il valore del lavoro spe- e*
*4W d
cifico compiuto dal sistema lungo
l’intero ciclo ABCA.

W*5*4*!* ,*3/!"YJ6
q l Δu
A-B +
B-C +
C-D
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 61

ESERCIZIO 3.15 – Un sistema pistone cilindro è in equilibrio termodinamico


alla pressione atmosferica. Improvvisamente, sul pistone viene posato un cor-
po avente una massa di 85,3 kg ed il sistema raggiunge una nuova condizione
di equilibrio con un abbassamento del pistone di 20,2 cm. Sapendo che l’area
della superficie del pistone è di 160 cm2, determinare, nelle ipotesi di assen-
za di attriti tra pistone e cilindro e di adiabaticità, la variazione di energia
interna del sistema.

ESERCIZIO 3.16 – Relativamente al periodo di osservazione, corrispondente


ad un assegnato numero di cicli, un sistema riceve 120 kJ di energia termica
che converte in energia meccanica, scaricando 80 kJ di energia termica nel-
l’ambiente. Si determinino:
1. l’energia meccanica convertita,
2. il rendimento del ciclo.

Esercizio 3.17 – Un impianto termico motore sviluppa una potenza meccanica


di 500 kW ed opera secondo un ciclo diretto che presenta un rendimento
termodinamico η = 0,350. Calcolare:
1) la potenza termica fornita all’impianto;
2) la potenza termica ceduta all’ambiente.

ESERCIZIO 3.18 – Considerando un periodo di osservazione corrispondente ad


un numero intero di cicli, una pompa di calore sottrae energia termica pari a
600 kJ da un SET e energia meccanica pari a 100 kJ da un SEM.
Si calcoli il COPp.

ESERCIZIO 3.19 – 12,5 kg/h di un fluido evolvono secondo un ciclo diretto. Per
ogni ciclo il fluido riceve una potenza termica di 9,38 ⋅ 103 kW e cede una
potenza termica di 7,00 ⋅ 103 kW. Si calcolino:
1. il rendimento del ciclo,
2. la potenza meccanica ricavata.

ESERCIZIO 3.20 – Un ciclo diretto può essere scomposto in sei trasformazioni,


che sono caratterizzate dalle potenze termiche e dalle potenze meccaniche
riportate in Tabella.
62 Lezioni di Fisica Tecnica

trasformazione
1-2 2-3 3-4 4-5 5-6 6-1
! (kW)
Q 0 356 2,34 ⋅ 103 654 0 –2,37 ⋅ 103

L! (kW) –14,4 0 0 0 0

Si calcolino:
1. la potenza termodinamica della trasformazione 5-6,
2. il rendimento termodinamico.

ESERCIZIO 3.21 – Con un ciclo frigorifero, mediante una potenza meccanica


di 0,25 kW, si sottraggono ad una cella 742 kcal/h. Calcolare:
1. il coefficiente di effetto utile,
2. la potenza termica riversata nell’ambiente esterno.

ESERCIZIO 3.22 – Per riscaldare un ambiente bisogna somministrargli 2,50 kW.


Potendo usare una pompa di calore con un COP di 3,1
1) Quale sarà la spesa energetica?
2) Se l’ambiente venisse riscaldata con una stufa elettrica, quale dovrebbe
essere la potenza elettrica della stufa?

ESERCIZIO 3.23 – Un sistema isolato, costituito da un recipiente a pareti rigide,


fisse, adiabatiche e senza lavoro di elica, è diviso in due parti mediante un
setto rigido ed adiabatico. In una vi sono 3,00 kg di un gas che ha una densità
di 2,35 kg/m3 ed una energia interna specifica di 120,8 kJ/kg; nell’altra vi sono
8,00 kg dello stesso gas con una densità di 1,44 kg/m3 ed una energia interna
specifica di 95,4 kJ/kg.
Eliminato il setto e raggiunta una nuova condizione di equilibrio, calcolare:
1. L’energia interna specifica,
2. La densità.

ESERCIZIO 3.24 – In un piano pressione-volume con le seguenti scale: ordinate


1 cm = 10 kPa, ascisse 1 cm = 100 cm3, un ciclo diretto è rappresentato da
una linea chiusa che delimita un’area di 350 cm2.
1. Qual è il lavoro del ciclo?
2. Quale sarà l’area del ciclo nel caso in cui le scale diventino le seguenti:
ascisse 1 cm = 0,10 bar, ordinate: 1cm = 0,100 m3?
Bilanci di massa e di energia - Primo principio della termodinamica 63

ESERCIZIO 3.25 – In un miscelatore adiabatico, le cui sezioni di ingresso, (1) e


(2), di uscita (3), sono circolari, entrano due fluidi che escono dal miscelatore
perfettamente miscelati. Si conoscono i seguenti dati:

grandezza 1 2 3
raggio (cm) 30,0 25,0 80,0
portata (kg/h) 5000
velocità (m/s) 3,0 3,0
volume specifico (m3/kg) 1,20 1,10
entalpia specifica (kJ/kg) 630,3 422,34

Calcolare nella sezione (3):


1. la portata massica,
2. la velocità,
3. l’entalpia specifica.
Capitolo quarto
Secondo principio della termodinamica

4.1 Limiti del primo principio

Il primo principio della termodinamica, come si è visto, è un bilancio


di energia in base al quale, in qualsiasi trasformazione, la somma algebrica
delle energie scambiate con l’esterno è uguale alla variazione dell’energia
del sistema.
Il primo principio non è in grado però di fornire risposte ad una serie
di problemi, tra cui i seguenti:
1) Individuazione del verso nel quale avvengono le trasformazioni spon-
tanee.
In base al 1° principio, se due corpi a diversa temperatura sono messi
a contatto tra loro, l’energia termica può fluire sia dal corpo a temperatura
maggiore verso quello a temperatura minore che viceversa; l’esperienza
invece mostra che lo scambio termico avviene spontaneamente solo nel
verso delle temperature decrescenti. Analogamente, l’esperienza insegna
che se più gas vengono a contatto, diffondono tendendo a costituire una
miscela, mentre il processo inverso, di “smescolamento”, non avviene mai
spontaneamente, pur non violando il 1° principio.
2) Esistenza di eventuali limitazioni alla conversione di energia termica in
energia meccanica.
Il 1° principio non pone alcuna restrizione alla possibilità di convertire
continuamente ed integralmente energia termica in energia meccanica,
mentre l’esperienza mostra che tale processo non avviene mai con ren-
dimento unitario.
3) Determinazione, per un sistema in condizioni di non equilibrio termo-
dinamico, della condizione di equilibrio termodinamico finale fra tutte
quelle compatibili con il 1° principio.
In base al 1° principio, se due corpi a temperatura diversa vengono
messi a contatto tra loro, possono scambiare energia termica e nella con-
66 Lezioni di Fisica Tecnica

dizione finale le due temperature possono assumere qualunque valore che


soddisfi il bilancio di energia, mentre l’esperienza mostra che la differenza
di temperatura tra i due corpi si annulla e che i due corpi raggiungono
l’equilibrio termico.
Questi ed altri problemi vengono risolti dal secondo principio della
termodinamica, come si vedrà in questo capitolo.

4.2 Enunciati del secondo principio della termodinamica

1° assioma – Per ogni sistema in condizioni di equilibrio termodinami-


co è definibile una proprietà termostatica estensiva S, detta entropia. Per
trasformazioni reversibili le variazioni di questa proprietà sono date da:

dQrev
dS = (4.1)
T

2
dQ rev
ΔS = S2 – S1 = ∫1 T
(4.2)

con dQrev quantità di calore infinitesima scambiata dal sistema, espressa


in J o kJ e T temperatura assoluta espressa in kelvin.
Le relazioni precedenti possono essere scritte in termini specifici
come:

dq rev
ds = (4.3)
T

2
dq rev
Δs = s2 – s1 = ∫ T
(4.4)
1

Dalle relazioni precedenti si ricava che l’entropia S si misura in J/K


o kJ/K e l’entropia specifica, s, in J/kgK o kJ/kgK.
È importante notare che nell’unità di misura dell’entropia il kelvin
non è sostituibile con il grado Celsius in quanto nella definizione di en-
tropia compare la temperatura assoluta e non una differenza di tempe-
ratura.
2° assioma – In un sistema isolato, in seguito a qualsiasi trasformazio-
ne, la variazione di entropia è positiva e tende a zero per le trasformazioni
che tendono alla reversibilità:
Secondo principio della termodinamica 67

ΔSSI ≥ 0 (4.5)

Tale variazione viene detta generazione di entropia o produzione di


entropia o produzione entropica, e viene anche indicata con il simbolo
Sgen.
La (4.5) vale solo per sistemi isolati; si noti che ciò non costituisce
alcuna limitazione alla sua generalità in quanto, per definizione stessa di
ambiente, l’insieme costituito da un qualunque sistema e dal suo ambien-
te è un sistema isolato. Per sistemi non isolati la variazione di entropia
può essere positiva, nulla o negativa; Pertanto, essendo l’entropia una
proprietà estensiva per la quale vale la proprietà additiva, il 2° assioma
può essere scritto nella forma:

ΔSSI= Sgen= ΔSsist+amb= ΔSsist + ΔSamb ≥ 0 (4.6)

in base alla quale si può affermare che:


• per una qualsiasi trasformazione reversibile la variazione di entropia
dell’ambiente è uguale ed opposta alla variazione di entropia del si-
stema;
• per una qualsiasi trasformazione non reversibile le variazioni di en-
tropia del sistema e dell’ambiente sono sempre tali che la loro somma
algebrica risulta positiva. Il sistema può cioè subire una variazione
negativa di entropia se l’ambiente subisce una variazione positiva di
entropia maggiore del valore assoluto della diminuzione di entropia
del sistema o viceversa.

4.3 Calcolo della variazione di entropia

La possibilità di calcolare le variazioni di entropia viene fornita dal 1°


assioma, nonostante quest’ultimo sia valido solo nel caso di reversibilità.
Infatti, l’entropia è una grandezza di stato per cui, conoscendo lo stato
iniziale e lo stato finale di un qualsiasi processo reale, la variazione di
entropia può essere calcolata sostituendo al processo reale un processo
fittizio reversibile, anche completamente diverso dal primo, che porti dal-
l’effettivo stato iniziale all’effettivo stato finale; applicando alla trasfor-
mazione fittizia il 1° assioma, per integrazione, si ottiene la variazione di
entropia voluta.
Nell’ipotesi che la trasformazione fittizia reversibile sostitutiva sia
caratterizzata da lavoro solo di variazione di volume, valendo la (3.20)1,

1
dq = du + pdv (3.20)
68 Lezioni di Fisica Tecnica

la (4.3) fornisce la relazione:

du pdv
ds = + (4.7)
T T

che prende il nome di 1a equazione di Gibbs; dalle (3.26)2 e (4.3) si ottiene


poi la relazione:

dh vdp
ds = − (4.8)
T T

che prende il nome di 2a equazione di Gibbs.


Da quanto detto, si evince che le equazioni di Gibbs permettono di
effettuare con grande facilità il calcolo della variazione di entropia, una
volta che sia stata individuata una trasformazione fittizia e che siano note
le relazioni funzionali tra le proprietà a secondo membro.
Si noti che la (4.2) permette di calcolare variazioni e non valori as-
soluti di entropia, così come visto nel caso del primo principio della ter-
modinamica a proposito dell’energia interna e dell’entalpia.

4.4 Sorgenti termiche e serbatoi di energia meccanica

Per studiare le trasformazioni in un sistema, è spesso utile immaginare


che quest’ultimo interagisca con un ambiente fittizio, schematizzabile con
serbatoi da o verso i quali l’energia può essere trasferita reversibilmente
sotto forma calore o lavoro e nel quale i processi siano reversibili.

4.4.1 Il serbatoio di energia meccanica

Un serbatoio di energia meccanica, spesso indicato con l’acronimo


SEM, è un sistema chiuso ed adiabatico, ad entropia costante, che può
scambiare energia solo sotto forma lavoro e per il quale, quindi, la varia-
zione di entropia è nulla.
Nella realtà non esistono serbatoi di energia meccanica ma solo siste-
mi che li approssimano abbastanza bene, come una molla perfettamente
elastica, la rotazione di una puleggia senza attriti prodotta dall’azione di
un peso, un volano senza attriti: la molla può ricevere energia meccanica
che si trasforma in energia potenziale elastica e può cederne a spese della

2
dq = dh – vdp (3.26)
Secondo principio della termodinamica 69

sua energia potenziale elastica; la puleggia che ruota per l’abbassamento


o l’innalzamento di un peso può fornire o ricevere energia corrispondente
alla variazione di energia potenziale del peso stesso; un volano può riceve-
re energia meccanica che si trasforma in energia cinetica e può cederne a
spese della sua energia cinetica. In tali casi, se gli attriti sono trascurabili,
la conversione di energia potenziale o cinetica in lavoro comporta varia-
zioni delle sole proprietà esterne e non delle proprietà termostatiche e
quindi non provoca variazioni nello stato termodinamico del sistema mol-
la/puleggia-peso/volano, la cui variazione di entropia è quindi nulla. Sulla
base di quanto appena detto, si può affermare che un serbatoio di energia
meccanica è in realtà un serbatoio di energia potenziale o cinetica.
Il concetto di serbatoio di energia meccanica permette di ricavare
una importante proprietà dei processi adiabatici. Si immagini che un si-
stema adiabatico scambi energia come lavoro con un serbatoio di energia
meccanica: il sistema ed il serbatoio di energia meccanica costituiscono
un sistema isolato, per il quale vale il 2° assioma, ovvero le (4.5) e (4.6);
in particolare, la (4.6) diventa:

ΔSSI = ΔSsist,adiab + ΔSSEM = ΔSsist,adiab ≥ 0 (4.9)

ovvero, i processi adiabatici sono caratterizzati da un aumento di entropia


(S2 > S1), cioè da una variazione di entropia positiva, che tende a zero
(S2 = S1) solo se il processo tende alla reversibilità.

4.4.2 Il serbatoio di energia termica

Un serbatoio di energia termica, al quale si è già accennato al para-


grafo 2.9. definendolo sorgente termica, talvolta chiamato semplicemente
sorgente e spesso indicato con l’acronimo SET, è un sistema chiuso a pa-
reti rigide e fisse che non scambia lavoro ed è in grado di scambiare una
qualsiasi quantità di calore senza che vari la sua temperatura. Si dimostra,
ma la dimostrazione esula da questa trattazione, che per le sorgenti vale
sempre la relazione:

Q
ΔS = (4.10)
T

ovvero, per le sorgenti, la (4.2) vale anche quando il processo non è re-
versibile.
Si tenga presente che la sorgente alla quale l’energia termica viene ce-
duta viene spesso indicata come pozzo termico o semplicemente pozzo.
Definiti il SEM ed il SET, è possibile affermare che calore e lavoro,
che per il primo principio della termodinamica sono forme perfettamente
70 Lezioni di Fisica Tecnica

equivalenti ed indistinguibili di energia, non lo sono viceversa alla luce


del secondo principio, in quanto allo scambio sotto forma lavoro non è
associato un flusso di entropia.

4.5 Verso delle trasformazioni: enunciato di Clausius

Si consideri il caso di due sorgenti, 1 e 2, rispettivamente alle tempe-


rature T1 e T2, con T1 ≠ T2, che scambiano una quantità di calore ⏐Q⏐ e
si supponga che tale quantità di calore venga ceduta dalla sorgente 1 alla
sorgente 2, così come schematizzato nella Figura 4.1. La trasformazione
è irreversibile in quanto non è quasi statica, dal momento che lo scambio
termico avviene sotto una differenza di temperatura non infinitesima. Per
la (4.10) si ha:

Q
ΔS1 = − (4.11)
T1

Q
ΔS2 = (4.12)
T2

e per il sistema isolato costituito dalle due sorgenti si ha:

⎛ 1 1 ⎞
ΔSSI = ΔS1 + ΔS2 = |Q| ⎜ − ⎟ (4.13)
⎝ T 2 T1 ⎠

dalla quale, dovendo essere per il 2° assioma ΔSSI > 0, deve essere neces-
sariamente T1 > T2, cioè il calore può fluire spontaneamente solo da una
sorgente a temperatura più elevata verso una sorgente a temperatura infe-
riore. In questo modo si ottiene, per via deduttiva, il postulato di Clausius:
l’energia termica può fluire spontaneamente da una sorgente di temperatura
assegnata solo verso una sorgente a temperatura inferiore e si è ottenuta
la risposta al primo dei problemi non risolti dal primo principio riportati
al paragrafo 4.1: in natura avvengono spontaneamente solo i processi che
comportano complessivamente un aumento di entropia.
Il passaggio di energia da sorgenti a temperatura inferiore verso sor-
genti a temperatura più elevata, che non può avvenire spontaneamente
in quanto violerebbe il secondo principio, è comunque realizzabile, ma
solo spendendo del lavoro.
Dalla (4.13) si ricava che la variazione di entropia tende a zero quan-
do lo scambio termico fra le due sorgenti è dovuto a differenze di tem-
Secondo principio della termodinamica 71

peratura infinitesime, così come previsto dal 2° assioma e anticipato al


paragrafo 2.11.

EIJ -

P!

EIJ B

Figura 4.1 – Schema di sistema isolato costituito da due sorgenti che scambiano calore
fra loro.

4.6 Limitazioni alla conversione di energia termica in energia


meccanica: enunciato di Kelvin-Planck
Come si è detto, il 1° principio non pone alcuna restrizione alla pos-
sibilità di convertire continuamente ed integralmente energia termica in
energia meccanica. In realtà ciò non è possibile; infatti, si supponga di
avere il sistema isolato schematizzato in Figura 4.2, nel quale l’energia
termica fornita da un SET ad un sistema che evolve secondo una trasfor-
mazione ciclica che compie un numero intero di cicli, nel seguito indicato
semplicemente come sistema ciclico, SC, viene completamente convertita
in energia meccanica riversata in un SEM. Per il sistema isolato costituito
dal SET, dal sistema ciclico e dal SEM, la variazione di entropia vale:

ΔSSI = ΔSSET + ΔSSC + ΔSSEM (4.14)

in cui la variazione di entropia del SET è negativa, perché la quantità di


calore è in uscita, quella del sistema ciclico è nulla perché il valore finale
dell’entropia coincide con quello iniziale, avendo il sistema compiuto un
numero intero di cicli riportandosi nelle condizioni di partenza ed infine,
quella del SEM è nulla per definizione. In definitiva, la (4.14) diventa:

Q
ΔSSI = − ≤0 (4.15)
T1

in violazione del 2° assioma.


72 Lezioni di Fisica Tecnica

EIJ!

P!

^!
E"!E EIL!

Figura 4.2 – Schema di sistema ciclico irrealizzabile che sottrae calore ad una sorgente
e lo converte completamente in energia meccanica.

Quanto esposto consente di ottenere per via deduttiva il postulato


di Kelvin-Planck: per qualsiasi sistema che operi secondo un ciclo, non è
possibile ricevere energia termica e convertirla completamente in energia
meccanica, cioè non è possibile realizzare un sistema ciclico con rendi-
mento unitario.
Da quanto detto, si ricava la risposta ad un altro dei problemi la-
sciati irrisolti dal primo principio, quello relativo alla limitazione della
convertibilità in un sistema ciclico dell’energia termica in energia mec-
canica.

4.6.1 Conseguenze del postulato di Kelvin-Plank

Affinché un sistema ciclico con produzione di energia meccanica sia


realizzabile è necessario che esso interagisca almeno con un altro SET,
somministrandogli una quantità di calore tale che la relativa variazione di
entropia, positiva, sia maggiore del valore del termine Q/T che compare
nella (4.15). In un tale sistema, il cui schema è riportato nella Figura 4.3,
per il secondo assioma deve risultare necessariamente Q2/T2 > Q1/T1:

Q1 Q2
ΔSSI = ΔSSET1 + ΔSSC + ΔSSEM + ΔSSET2 = − + ≥0 (4.16)
T1 T 2

dalla quale si ricava che deve essere T2< T1; infatti, per il primo principio
della Termodinamica, essendo il sistema ciclico, risulta ΔU = 0, Q2 = Q1 – L
e quindi Q2 < Q1.
Secondo principio della termodinamica 73

EIJ!-!
P-!

^!
E"!E EIL!

PB!

EIJ!B!

Figura 4.3 – Schema di sistema ciclico che scambia energia termica con le sorgenti
1 e 2 (con T1 > T2) ed energia meccanica con un serbatoio di energia
meccanica.

Dalla (4.16) si ricava ancora:

T2 Q T2 Q
− ≥ − 2 ⇒ 1− ≥1 − 2 (4.17)
T1 Q1 T1 Q1

e quindi:

T1 − T 2 Q − Q2
≥ 1 (4.18)
T1 Q1

nella quale il termine al secondo membro, per la (3.63)3, è il rendimento


del ciclo:

T1 − T 2
η ≤ (4.19)
T1

dalla quale si evince che il rendimento di un ciclo è sempre minore di 1


e che assume valore massimo quando vale il segno di uguaglianza cioè,
in base al 2o assioma, quando il ciclo è reversibile.
In tal modo, si è pervenuti al risultato fondamentale che il rendimen-
to della conversione di energia termica in energia meccanica non solo è
minore di 1, come affermato dal postulato di Kelvin-Plank, ma è anche
limitato dalla differenza tra le temperature delle due sorgenti.

Qi − Qu
3
η= (3.63)
Qi
74 Lezioni di Fisica Tecnica

4.7 Indici di prestazione dei cicli

4.7.1 Rendimento dei cicli diretti

I cicli utilizzati per la conversione di energia termica in meccanica,


sono anche detti diretti o motori.
Un ciclo reversibile che scambia energia termica con due sorgenti
deve necessariamente essere costituito da due isoterme reversibili e da
due adiabatiche internamente reversibili; questo ciclo è detto ciclo di Car-
not reversibile ed il suo rendimento è dato dall’espressione:

T1 − T 2 T2
ηCarnot = = 1− (4.20)
T1 T1

dalla quale si ricava che il rendimento del ciclo di Carnot dipende solo dalle
temperature delle sorgenti ed è indipendente dal tipo di fluido evolvente e
dall’estensione delle isoterme. Il rendimento del ciclo di Carnot rappresen-
ta il limite superiore, praticamente irraggiungibile, di qualsiasi dispositivo
tendente a convertire energia termica in meccanica ed operante tra due
sorgenti termiche a temperatura T1 e T2 con T1 > T2.
Dalle (4.19) e (4.20) si ricava l’espressione del teorema di Carnot:

η ≤ ηCarnot (4.21)

il rendimento di un qualunque ciclo reale che operi tra due sorgenti a


temperatura assegnata è minore di quello di un ciclo di Carnot reversibile
operante tra le stesse sorgenti. Assegnate dunque le temperature di due
sorgenti e calcolati per un ciclo il rendimento, η, ed il corrispondente
rendimento di Carnot, ηCarnot, si possono verificare i seguenti tre casi:

η < ηCarnot il ciclo è irreversibile, qualunque sia la sua con-


figurazione
η = ηCarnot il ciclo è reversibile e può essere esclusivamente
quello di Carnot
η > ηCarnot il ciclo è irrealizzabile

Il ciclo di Carnot, in questo modo, diventa un riferimento per valutare


le prestazioni di un qualunque altro ciclo operante tra le stesse sorgenti;
a questo scopo si definisce il cosiddetto rendimento di 2° principio:

η
ηΙΙ = (4.22)
ηCarnot
Secondo principio della termodinamica 75

che consente di valutare, per assegnati valori delle temperature delle due
sorgenti, in che misura la configurazione del ciclo reale in esame appros-
sima quella del ciclo di Carnot ed è dunque utile anche per confrontare
tra loro cicli di configurazioni differenti operanti tutti, ovviamente, tra gli
stessi valori di temperatura.
Nel paragrafo 4.1 si è detto che il processo ciclico di trasformazione di
energia termica in meccanica non avviene mai con rendimento unitario; da
quanto ora dedotto dal 2° principio si ricava inoltre che tale rendimento
non può comunque essere maggiore di quello di Carnot. Di fatto, il 2°
principio penalizza drasticamente la conversione di calore in lavoro in
quanto, come si vedrà meglio al Capitolo 14, la temperatura T1 è in pra-
tica limitata superiormente dalle caratteristiche dei materiali costituenti
le macchine e le apparecchiature di scambio termico, mentre la tempe-
ratura T2 nel migliore dei casi può assumere come valore minimo quello
della temperatura ambiente4. Inoltre, nella realtà, la presenza inevitabile
di irreversibilità interne ed esterne limita ulteriormente il rendimento di
conversione.

4.7.2 Coefficiente di prestazione dei cicli inversi

I cicli inversi, detti anche cicli operatori, vengono impiegati per ef-
fettuare il trasferimento di energia termica da una sorgente ad assegnata
temperatura T2 verso un’altra sorgente a temperatura T1 > T2, utilizzando
energia meccanica.
Al capitolo 3 si è detto che, a seconda delle finalità che ci si propone,
le applicazioni dei cicli inversi sono gli impianti frigoriferi, con i quali si
sottrae energia termica alla sorgente 2, e quelli a pompa di calore, con i
quali si somministra energia termica alla sorgente 1. In riferimento al ciclo
inverso in Figura 4.4, se si considera l’impianto frigorifero, la sorgente 1
rappresenta l’ambiente esterno e la 2 la cella frigorifera; considerando
invece l’impianto a pompa di calore, la sorgente 2 rappresenta l’ambiente
esterno e la 1 l’ambiente da riscaldare.
Con ragionamenti del tutto analoghi a quelli fatti nel caso dei cicli
diretti, per i cicli inversi valgono le relazioni:

4
A questo proposito, va sottolineato che dalla (4.20) si ricava anche che dal punto
di vista energetico non tutte le sorgenti sono uguali, ma sono più pregiate quelle a
temperature più elevate; infatti, assunto per T2 il valore della temperatura ambiente,
il rendimento è tanto più elevato quanto maggiore è la temperatura della sorgente
alla quale viene sottratta l’energia termica.
76 Lezioni di Fisica Tecnica

Q2 Q2 1
COPf = = = (4.23)
L Q1 − Q2 Q1 − 1
Q2

Q1 Q1 1
COPp = = = (4.24)
L Q1 − Q2 1 − Q2
Q1

Dal confronto tra la (4.23) e la (4.24) si ricava anche:

Q1 Q2 + L
COPp = = = COPf + 1 (4.25)
L L

!
EIJ!-!
!
P-!

^!
&'&*!E EIL!

PB!

EIJ!B!

Figura 4.4 – Schema di sistema atto alla realizzazione di un ciclo inverso che scambia
calore con le sorgenti 1 e 2 (T1>T2) ed energia meccanica con un serbatoio
di energia meccanica

Anche per il ciclo inverso, così come per quello diretto, è utile definire
un coefficiente di prestazione di riferimento, che è quello del ciclo inverso
reversibile, o ciclo di Carnot inverso5, per il quale, essendo la produzione
entropica nulla, vale la relazione:

Q1 Q2
Sgen = − =0 (4.26)
T1 T 2

5
Il ciclo di Carnot inverso presenta le stesse caratteristiche di quello diretto, a
meno del verso di percorrenza che è antiorario.
Secondo principio della termodinamica 77

combinando la (4.23) e la (4.24) con la (4.26) si ottiene:

T2
COPf,rev = (4.27)
T1 − T 2

T1
COPp,rev = (4.28)
T1 − T 2

A questo punto, è possibile definire il COP di 2° principio che assume


la forma:

COP
COPII = (4.29)
COPrev

da specializzare nei due casi di impianto frigorifero e a pompa di calore.


Da quanto detto si evince che è sempre:

COP < COPrev (4.30)

e che in particolare, come risulta dall’esame delle (4.27) e (4.28), gli


estremi dell’intervallo di variazione dei coefficienti di prestazione sono
i seguenti:

⎧→ 0 per T2 → 0 K

COPf ⎨
⎪→ ∞ per (T − T ) → 0 K
⎩ 1 2

⎧→ 1 per T1 → ∞ o T2 → 0 K

COPp ⎨
⎪→ ∞ per (T − T ) → 0 K
⎩ 1 2

4.8 Equilibrio termodinamico stabile

Resta da rispondere al 3° quesito posto nel paragrafo 4.1, cioè come


si può determinare, per un sistema in condizioni di non equilibrio termo-
dinamico, quale sarà la condizione di equilibrio termodinamico finale fra
tutte quelle compatibili con il 1° principio. Per comprendere il problema
si farà ricorso a qualche esempio.
78 Lezioni di Fisica Tecnica

Si abbia un sistema isolato come quello in Figura 4.5. Inizialmente,


un setto rigido ed adiabatico divide il sistema in due parti occupate da
due sostanze a diversa temperatura, TA e TB, con TA > TB; in seguito, il
setto viene reso permeabile al calore, rimuovendo il vincolo dell’adiaba-
ticità. L’esperienza insegna che il sistema si porta ad un unico valore di
temperatura, Tequil, in corrispondenza del quale la quantità di calore ⏐Q⏐*
ceduta dal sottosistema A è uguale alla quantità di calore che il sottosi-
stema B riceve mentre, in base al primo principio, essendo L = 0, sono
possibili tutte le infinite situazioni, con temperature finali diverse, purché
sia rispettata la condizione –ΔUA = ΔUB. Una volta raggiunto l’equilibrio
termico, si supponga di rendere il setto mobile: il setto si sposta fino a
quando le pressioni nei due sottosistemi diventano uguali, mentre per il
primo principio il setto potrebbe spostarsi variando le pressioni ma non
necessariamente fino ad uguagliarle. Infine, si supponga che le sostanze
in A ed in B siano diverse e si immagini, raggiunto l’equilibrio meccanico,
di eliminare il setto: si sa che le due sostanze diffondono l’una nell’altra
benché per il primo principio esse potrebbero rimanere non mescolate o
mescolarsi in misura diversa da quella che si sa per esperienza essere la
condizione di equilibrio finale.
Alla soluzione di questo problema si perviene utilizzando il 2° as-
sioma, dal quale si deduce che in condizioni di equilibrio stabile il valore
dell’entropia di un determinato sistema isolato è il valore massimo per
quel sistema; infatti, se ciò non fosse vero, sarebbero possibili ulteriori
trasformazioni spontanee che necessariamente comporterebbero un au-
mento di entropia del sistema.

W! h!

!
Figura 4.5 – Schema di sistema isolato costituito da due sottosistemi A e B.

Si consideri ancora il sistema di Figura 4.5. Nella condizione iniziale


1, con setto fisso, rigido ed adiabatico, ciascun sottosistema è in equilibrio
termodinamico e la sua entropia avrà il valore massimo; indicando con
sA,1 e sB,1 i valori dell’entropia specifica rispettivamente del sottosistema
A e del sottosistema B, l’entropia totale del sistema è data da:

S1 = SA,1 + SB,1 = mAsA,1 + mBsB,1 (4.31)


Secondo principio della termodinamica 79

dove con mA e mB si indicano le masse delle sostanze in A ed in B. Ri-


mosso il vincolo dell’adiabaticità, come si è visto, ci sarà uno scambio
termico irreversibile tra i due sottosistemi fino a che essi avranno rag-
giunto lo stesso valore di temperatura; per la presenza del setto rigido i
valori delle pressioni saranno in generale ancora diversi. Una volta che
i due sottosistemi abbiano raggiunto le nuove condizioni di equilibrio, 2,
l’entropia del sistema sarà aumentata raggiungendo il massimo relativo
alla nuova condizione di vincoli e sarà:

S2 = SA,2 + SB,2 = mAsA,2 + mBsB,2 > S1 (4.32)

Rendendo il setto mobile, i due sottosistemi si porteranno ad una


nuova condizione di equilibrio, 3, con uguali valori oltre che della tem-
peratura anche della pressione. Si avrà:

S3 = SA,3 + SB,3 = mAsA,3 + mBsB,3 > S2 (4.33)

Infine, eliminando il setto, in modo da rendere possibile il mescola-


mento delle due sostanze, saranno rimossi tutti i vincoli e l’entropia del
sistema raggiungerà un’ulteriore condizione di equilibrio, 4, con

S4 = SA,4 + SB,4 = mAsA,4 + mBsB,4 > S3 (4.34)

Si osservi che i valori assunti dall’entropia nelle diverse condizioni


di equilibrio sono dei massimi relativi; man mano che vengono rimossi
i vincoli, il sistema subisce altre trasformazioni spontanee, attestandosi
ad un nuovo massimo relativo. Il valore S4 è il massimo assoluto per il
sistema in esame, mentre S1, S2 e S3 sono i massimi relativi ai vincoli
esistenti. Si noti anche che mentre è S4 > S3 > S2 > S1, non è detto che
sia ad esempio SA,2 > SA,1, in quanto il singolo sottosistema non è un
sistema isolato.
In definitiva la risposta al 3° quesito del paragrafo 4.1 è fornita dalla
ricerca di un massimo, relativo od assoluto, dell’entropia del sistema in
esame.

4.9 Bilancio di entropia per sistemi aperti

Con riferimento ad un sistema aperto con una sezione di ingresso ed


una sezione di uscita ed al generico intervallo di tempo dθ, nell’ipotesi di
regime stazionario, il bilancio di entropia si esprime nella forma:

! dθ + S! fl. ter.dθ + S! eff. diss.dθ = s2 m


s1 m ! dθ (4.35)
80 Lezioni di Fisica Tecnica

con:
s1 = entropia specifica del fluido nella sezione di ingresso, J/kgK;
s2 = entropia specifica del fluido nella sezione di uscita, J/kgK;
S! fl. ter. = generazione di entropia nel volume di controllo dovuta agli
scambi termici con l’ambiente, può assumere valori positivi,
nulli o negativi; J/sK;
S! eff. diss = generazione di entropia nel volume di controllo dovuta agli ef-
fetti dissipativi, sempre positiva; J/sK.
Dividendo la (4.35) per dθ, indicando con S! il prodotto m ! s, detto
anche portata entropica e misurato evidentemente in J/sK, ed indicando
con S! V.C. la somma S! fl. ter + S! eff. diss , si ha:

! (s2 – s1) = S! 2 – S! 1 = S! V.C.


m (4.36)

Nel caso considerato di un’unica sezione di ingresso e di un’unica


sezione di uscita è possibile dividere per la portata ottenendo:

s2 – s1 = S! V.C. / m
! (4.37)

Per i sistemi aperti la (4.6) si può scrivere:

S! V.C. + S! amb ≥ 0 (4.38)

dove S! amb è la generazione di entropia dell’ambiente. Il significato fisi-


co della (4.38) è lo stesso della (4.6): l’entropia dell’insieme sistema più
ambiente non può diminuire e rimane costante solo nel caso ideale di
reversibilità. Naturalmente per i sistemi aperti vale quanto si è già visto
per i sistemi chiusi:
• S! V.C. può essere negativa, ma ovviamente per la (4.38) ad essa dovrà
corrispondere una S! amb positiva ed in valore assoluto maggiore;
• cause di S! V.C. + S! amb ≥ 0 (ovvero cause di produzione di entropia) sono
gli effetti dissipativi e gli scambi termici non quasi statici;
• nel caso di sistemi aperti adiabatici, in presenza di effetti dissipativi
ovvero sempre nei casi reali, è certamente S! V.C. > 0 e quindi, per le
(4.36) e (4.37), S! 2 > S! 1 ed s2 > s1;
• per finire, nel caso di sistemi con più sezioni di ingresso e di uscita, la
(4.34) si scrive:

∑ S! u − ∑ S! i = S! V.C. (4.39)
u i
Secondo principio della termodinamica 81

4.10 Piano entropico

4.10.1 Generalità

Un diagramma di stato molto usato in termodinamica è quello tem-


peratura assoluta-entropia specifica, detto piano di Gibbs, o più frequen-
temente, piano entropico o piano T,s, nel quale si riporta la temperatura
assoluta in ordinata e l’entropia specifica in ascissa. In questo diagramma
di stato le isoterme sono ovviamente segmenti di retta paralleli all’asse
delle ascisse; le adiabatiche reversibili, essendo isoentropiche, sono invece
segmenti di retta paralleli all’asse delle ordinate.
Poiché, come si è visto, per una trasformazione internamente rever-
sibile è:

dq
ds = (4.3)
T

si ha:
2
q1,2 = ∫ Tds (4.40)
1

quindi, in un diagramma entropico l’area compresa tra la curva rappresen-


tativa di una generica trasformazione reversibile, l’asse delle ascisse e le
ordinate estreme, mostrata in Figura 4.6, rappresenta il calore scambiato
dall’unità di massa del sistema; il sistema assorbe energia termica quando
il verso della trasformazione è quello dell’entropia crescente, la cede nel
!!
J!
!
B!

-!

!
! &!

Figura 4.6 – Rappresentazione grafica nel piano T,s del calore scambiato in un pro-
cesso internamente reversibile.
82 Lezioni di Fisica Tecnica

caso contrario. La coincidenza fra l’area sottesa dalla curva rappresen-


tativa di una trasformazione e la quantità di calore scambiata nella tra-
sformazione sussiste esclusivamente per le trasformazioni internamente
reversibili, per le quali valgono la (4.1) e la (4.3); nel caso di trasformazioni
adiabatiche non internamente reversibili, per la (4.5), poiché è sempre
Δs > 0, il punto finale della trasformazione sarà sempre spostato verso
destra rispetto al punto iniziale, indipendentemente dal tipo di processo
adiabatico e dal verso della trasformazione.

4.10.2 Rappresentazione dei cicli diretti sul piano entropico

Nel caso di un ciclo, per considerazioni analoghe a quelle svolte al


paragrafo 2.10 per il lavoro, l’area racchiusa rappresenta l’energia termica
globalmente scambiata per ciascun ciclo dall’unità di massa del sistema,
che è positivo se il verso è quello orario, negativo se il verso è quello
antiorario. Ovviamente, per il primo principio della termodinamica, l’area
racchiusa rappresenta anche il lavoro specifico compiuto nel ciclo.
Nel piano entropico un ciclo di Carnot, qualunque sia la sostanza che
evolve, è rappresentato da un rettangolo.

J!

'
-! B

'

A! ' Y!

AX! YX!
&!

Figura 4.7 – Rappresentazione nel piano T,s di un ciclo di Carnot.

Un altro importante vantaggio del piano entropico è quello di fornire


facilmente il valore del rendimento termodinamico di un ciclo reversibile.
Si faccia riferimento al ciclo di Figura 4.8: l’area 1'1233' rappresenta la
quantità di calore assorbita per unità di massa, Σqi, l’area 1234 il lavoro
specifico del ciclo e quindi risulta:
Secondo principio della termodinamica 83

area 1 2 3 4
η=
area 1' 1 2 3 3'

Nel caso particolare di ciclo di Carnot, con riferimento alla Figura


4.7, risulta ovviamente:

area 1 2 3 4
η=
area 1 2 3' 4'

J!
B!

-! Y!

A!

-X! YX! &!

Figura 4.8 – Rappresentazione nel piano T,s di un generico ciclo.

Col piano entropico si può facilmente dimostrare graficamente che un


generico ciclo termodinamico internamente reversibile ha un rendimento
minore o al più uguale a quello del ciclo di Carnot diretto reversibile
operante tra le stesse temperature estreme: si faccia riferimento al gene-
rico ciclo 1234 rappresentato in Figura 4.9, che evolve tra le temperature
estreme T2 e T4, il cui corrispondente ciclo di Carnot è il 5-6-7-8. Per
quanto detto prima si ha:

∑ Qi < Q1C (4.41)


I

∑ Qj > Q2C (4.42)


J

dove con Q1C e Q2C si indicano le quantità di calore in valore assoluto


assorbite e cedute nel ciclo di Carnot. Si ha quindi:
84 Lezioni di Fisica Tecnica

Q2c
∑ Qj
J
< (4.43)
Q1c ∑ Qi
i

da cui, ricordando l’espressione del rendimento, si ottiene:

Q2C
∑ Qj
J
ηC = 1 − > η = 1− (4.44)
Q1C ∑ Qi
i

J!
Q B \
J-!
-!
Y!
JB!
`! A! _!

&!

Figura 4.9 – Rappresentazione nel piano T,s di un generico ciclo reversibile e di un


ciclo diretto di Carnot internamente reversibile entrambi operanti tra le
stesse temperature estreme.

4.10.3 Rappresentazione dei cicli inversi sul piano entropico

Quanto detto a proposito della rappresentazione grafica del ciclo di


Carnot diretto, vale anche per il ciclo di Carnot inverso, rappresentato in
Figura 4.9, salvo a percorrerlo in senso antiorario.

4.11 Considerazioni riepilogative

Quanto esposto nei paragrafi precedenti si può in generale così ri-


capitolare:
Secondo principio della termodinamica 85

• le trasformazioni in sistemi isolati possono classificarsi in ideali (rever-


sibili), reali (irreversibili) o impossibili a seconda che la produzione
entropica risulti uguale, maggiore o minore di zero;
• gli effetti dissipativi, di qualunque tipo, comportano sempre una ge-
nerazione di entropia, o produzione entropica, positiva nel sistema
e/o nell’ambiente a seconda che l’effetto dissipativo sia interno e/o
esterno;
• gli scambi termici quasi statici, cioè quelli che avvengono in conse-
guenza di una differenza infinitesima di temperatura, comportano nei
due sottosistemi che scambiano energia variazioni di entropia in valore
assoluto uguali e non danno luogo ad una produzione di entropia;
viceversa, gli scambi termici non quasi statici, cioè quelli che avven-
gono per una differenza finita di temperatura, comportano variazioni
di entropia in valore assoluto non uguali nei due sottosistemi e danno
perciò luogo ad una produzione di entropia.
Si può inoltre affermare che l’utilizzazione della funzione di stato
entropia consente di dare compiuta risposta ai quesiti non risolti dal 1°
principio.

4.12 L’exergia

4.12.1 Introduzione

L’esigenza del risparmio energetico, di un uso razionale dell’ener-


gia e della salvaguardia dell’ambiente, ha evidenziato l’opportunità di
introdurre, nello studio dei processi energetici, affianco al tradizionale
rendimento ottenibile alla luce del 1° principio della Termodinamica, altri
criteri di valutazione.
È ormai divenuto di uso comune in campo energetico la funzione di
stato “exergia”, sulla quale ci si intratterrà per brevità in forma schema-
tica, indicandone l’utilità per la migliore definizione dei rendimenti dei
processi termodinamici e per la individuazione e valutazione delle perdite
dovute ad irreversibilità dei processi.
Il primo principio della termodinamica stabilisce l’equivalenza fra le
varie forme di energia. Il secondo principio fissa i limiti entro i quali una
forma di energia può essere trasformata in un’altra.
Alcune forme di energia, come l’energia meccanica e l’energia elet-
trica, sono completamente trasformabili in tutte le altre forme. Il calore,
invece, e così l’energia interna di un sistema, non possono essere com-
pletamente trasformate in altre forme di energia.
La frazione di energia che è completamente trasformabile in ogni
86 Lezioni di Fisica Tecnica

altra forma, si chiama “exergia”; la frazione non trasformabile si chiama


“anergia”.
Quanto più alta è la frazione di “exergia” in una certa forma di
energia, tanto più questa è pregiata dal punto di vista tecnico ed eco-
nomico.
Si può quindi dire che l’energia elettrica e l’energia meccanica costi-
tuiscono exergia pura. L’exergia di una quantità di calore è invece tanto
più elevata quanto più alta è la temperatura alla quale il calore è dispo-
nibile (rispetto alla temperatura esterna di riferimento) in quanto è più
elevata la possibilità di trasformazione in energia meccanica.
Un processo è termodinamicamente ideale se non comporta perdite
di exergia. In tutti i processi reali vi è sempre una perdita irrecuperabile
di exergia, dovuta essenzialmente a fenomeni di attrito nel moto dei fluidi
e a processi di scambio termico con differenze finite di temperatura. L’ot-
timizzazione termodinamica di un processo comporta la conservazione
dell’exergia e non dell’energia, perché questa, in accordo con il primo
principio, non si distrugge ma solo si trasforma.
L’espressione “conservazione” o “risparmio di energia” è, stretta-
mente parlando, errata. Occorre parlare di conservazione di exergia. Le
espressioni del 1° e del 2° principio, pertanto, possono essere poste nel
modo seguente:
1° principio: la somma della exergia e dell’anergia si mantiene costante
durante ogni processo.
2° principio: se un processo è reversibile l’exergia rimane costante; se un
processo è irreversibile, una parte di exergia è trasformata in anergia.
L’anergia non può mai essere trasformata in exergia.
Il calcolo dell’exergia e, quindi, le analisi energetiche, richiedono la
definizione di uno stato di riferimento che è rappresentato dall’equilibrio
con le condizioni ambiente, di temperatura e di pressione.

4.12.2 Bilancio di exergia

Per poter eseguire il bilancio della grandezza exergia occorre innanzi


tutto individuare i modi in cui essa può attraversare i confini del sistema;
per questo motivo, considerato inizialmente un sistema chiuso in grado di
scambiare energia con l’ambiente in modo lavoro e calore e successiva-
mente un sistema aperto che può scambiare energia con l’esterno in modo
lavoro, calore, e con flussi convettivi, si valuteranno i flussi di exergia
associati a questi flussi di energia. Allo scopo di semplificare l’analisi in
entrambi i casi si supporranno trascurabili i termini cinetici e potenziali
e raggiunte le condizioni di regime; per il sistema aperto si considererà
inoltre un’unica sezione di ingresso e di uscita.
Secondo principio della termodinamica 87

4.12.2.1 Sistemi chiusi


Exergia associata ad un trasferimento di energia nella sola forma lavoro
Dalla definizione di exergia è immediato dedurre che ad un flusso
energetico nella forma lavoro è associato un flusso di exergia coincidente
proprio con l’energia trasferita (sia in valore assoluto che in segno); poiché
i due flussi coincidono il simbolo usato è lo stesso. Si ha pertanto:

L = m ex = EX (4.45)
con:
ex = exergia specifica, in J/kg o kJ/kg;
EX = exergia totale, in J o kJ.

Exergia associata ad un trasferimento di energia nella sola forma calore


La parte trasformabile in lavoro, ossia l’exergia di una quantità di
calore Q disponibile a una temperatura T1, è data da:

⎛ Ta ⎞
EX Q = Q ⎜ 1 − ⎟=L (4.46)
⎝ T1 ⎠

con:
EXQ = exergia scambiata dal sistema a seguito del trasferimento di una
quantità di calore, J;
Ta = temperatura dell’ambiente, K.
L’exergia rappresenta il lavoro netto che si può ottenere se la quantità
di calore Q è impiegata in un ciclo reversibile di Carnot, operante tra una
sorgente superiore a temperatura T, e una sorgente inferiore, costituita
dall’ambiente a temperatura Ta.
Ogni quantità di calore disponibile alla temperatura T1 può quindi
essere considerata composta di due frazioni:

⎛ Ta ⎞
una prima, exergia, pari a: Q ⎜ 1 − ⎟
⎝ T1 ⎠

Ta
una seconda, anergia, pari a: Q
T1
⎛ Ta ⎞
dove l’espressione tra parentesi, ⎜ 1 − ⎟ , è detta fattore di Carnot.
⎝ T1 ⎠
88 Lezioni di Fisica Tecnica

4.12.2.2 Sistemi aperti


Si consideri un flusso di massa in ingresso in un sistema aperto con
un’unica sezione di ingresso ed un’unica sezione di uscita. Nell’ipotesi
di regime permanente si supponga di portare tale flusso, mediante una
trasformazione internamente reversibile, dalle condizioni iniziali p1 e T1
alle condizioni pa e Ta di equilibrio termodinamico con l’ambiente esterno,
facendolo interagire solo con l’ambiente. L’energia meccanica relativa a
tale trasformazione si ricava dal bilancio di energia:

m ! a = L! + m
! h1 + Q ! ha (4.47)

Il bilancio di entropia risulta:


!a
Q
! s1 +
m =m
! sa (4.48)
Ta

Ricavando Q ! a dalla (4.48) e sostituendolo nella (4.47), risolta rispetto


ad L! , si ottiene:

L! = m
! [(h1–ha) – Ta(s1–sa)] (4.49)
Il valore di L! così calcolato rappresenta proprio il flusso di exergia
associato al flusso di massa; la quantità [(h1–ha) – Ta(s1–sa)] è l’exergia
specifica della sostanza nello stato 1. Si ha pertanto, in generale:

ex = (h–ha) – Ta (s–sa) (4.50)


.
EX = m
! ex (4.51)

con:
.
EX = il flusso exergetico convettivo, W.

4.12.3 Il Teorema di Gouy-Stodola

Nel precedente paragrafo sono state individuate le modalità secondo


le quali l’exergia può fluire attraverso i confini del sistema. Per valutare
ciò che accade all’interno del sistema stesso, si postula che l’exergia non
è una proprietà conservativa, ma può essere distrutta:
.
EX dis ≥ 0 (4.52)

dove il segno di uguaglianza vale per le trasformazioni reversibili.


Secondo principio della termodinamica 89

Il postulato (4.52), unitamente all’individuazione dei flussi exergetici,


consente di formulare il bilancio di exergia per un sistema aperto. In ana-
logia
.
con .quanto. previsto nel Capitolo 2 per i termini Q ed L, ponendo
EX Q = EX Qi − EX Qu :

. . . . .
EX i + EX Qi = EQQu + L + EX dis (4.53)

Al fine di correlare exergia distrutta ed entropia generata si com-


binino il primo ed il secondo principio della termodinamica; i bilanci di
energia e di entropia, relativamente al sistema di Figura 4.10, possono
essere così scritti:

n
! hi + ∑ Q
m ! j +Q
! a = L! + m
! hu (4.54)
j= 1

n !j Q
Q !
! si + ∑
m + a + S! gen = m
! su (4.55)
j= 1 T j Ta

!
EIJ!-! EIJ!m! EIJ!1!
!
!#!
" ! !!
" !$!
"
!
! '! 4!
!
!
!
!%!
"
&! !
3$6'%1*%!

Figura 4.10 – Schema per i bilanci di energia e di entropia per un sistema aperto.

con:
Q! j = generica potenza termica scambiata con una sorgente a tempera-
tura Tj, W.
90 Lezioni di Fisica Tecnica

.
Evidenziando Qa dalla (4.55) si ha:

!j
! a = ⎡⎢ m ⎤
n
Q
Q ! (su − si ) − ∑ − S! gen ⎥ (4.56)
⎢⎣ j= 1 T j ⎥⎦

che, sostituita nella (4.54) fornisce:

! j ⎛⎜ 1 − Ta ⎞⎟ − Ta S! gen
n
! [(h i − Ta si ) − (h u − Ta su )] + ∑ Q
L! = m (4.57)
j= 1 ⎝ Tj ⎠

Confrontando la (4.57) con la (4.53) si ottiene la relazione:


.
EX dis = Ta S! gen (4.58)

correntemente indicata come teorema di Gouy Stodola.


Dalle (4.52) e (4.58), si ricava che nella (4.57) la somma dei primi due
termini a destra dell’uguale rappresenta. il limite superiore cui può tendere
L! ; questo limite è raggiunto quando EX dis = 0 ( S! gen = 0 ), ovvero quando
la trasformazione è reversibile. In tal caso, la (4.57) diventa:
.
L! = L! id − EX dis (4.59)

L’exergia distrutta rappresenta quindi una misura del grado di irre-


versibilità termodinamica.

4.12.4 Rendimento exergetico

Nei paragrafi precedenti è stato evidenziato che l’irreversibilità ter-


modinamica di una trasformazione può essere espressa o da una misura
entropica, S! gen, o da una misura energetica, Ta S! gen; può comunque risul-
tare più utile, al fine di confrontare differenti situazioni, quantificare tale
irreversibilità con un rendimento.
Si definisce rendimento exergetico di un processo il rapporto fra l’exer-
gia prodotta dal processo e l’exergia spesa:

ex prod
ηex = (4.60)
ex spesa
Secondo principio della termodinamica 91

Esercizi

ESERCIZIO 4.1 – Un sistema isolato è costituito da due sorgenti termiche ri-


spettivamente a t1= 85,2°C e t2= 25,4°C. Si calcoli la produzione entropica
conseguente ad uno scambio di energia termica di 45 kJ.

Esercizio 4.2 – Un sistema isolato è costituito da tre sorgenti termiche rispet-


tivamente a 350, 400 e 450°C. Si calcoli la variazione complessiva di entropia
conseguente ad uno scambio di energia termica di 200 kcal tra la sorgente a
450°C e quella a 350°C:
1. nel caso che lo scambio avvenga direttamente tra le suddette due sorgenti
(senza interessare cioè la terza sorgente);
2. nel caso che lo scambio avvenga attraverso la sorgente a 400°C cioè prima
quella a 450° scambia 200 kcal con quella a 400°C, poi questa scambia 200
kcal con quella a 350°C).

ESERCIZIO 4.3 – Si esamini un ciclo reversibile di Carnot. Per ciascun ciclo è


ottenibile un lavoro di 40,0 kJ. Nel caso che il rendimento sia di 0,350 e che
la temperatura della sorgente fredda sia di 40°C, si determinino:
1. la temperatura della sorgente calda;
2. le quantità di calore scambiate.

ESERCIZIO 4.4 – Un sistema, sede di trasformazioni cicliche, è in grado di scam-


biare calore con due sorgenti termiche A e B (rispettivamente alle temperatu-
re TA e TB) e lavoro con un serbatoio di energia meccanica: il tutto costituisce
un sistema isolato. Alla luce del I e del II Principio della Termodinamica si
dica quali dei seguenti casi sono possibili e quali non sono possibili:
1. QA > 0; QB > 0; L = 0
2. QA > 0; QB < 0; L = 0
3. QA > 0; QB = 0; L = 0
4. QA > 0; QB > 0; L > 0
N.B. I segni delle quantità di calore e del lavoro sono riferiti al sistema; il
sistema, in tutti i casi, compie un numero intero di cicli.

ESERCIZIO 4.5 – Un sistema, relativamente ad un periodo di osservazione cor-


rispondente ad un numero intero di cicli, converte 100 kJ di energia termica
prelevata da un SET 1 a 1100 K in energia meccanica, scaricando 70 kJ in
un SET 2 a 300 K. Si determinino:
1. il rendimento,
2. il rendimento di secondo principio.
92 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 4.6 – Una macchina di Carnot riceve energia termica da una sorgen-
te 1 alla temperatura di 650 ºC; il 60% di questa energia viene convertita in
lavoro meccanico, mentre il rimanente 40% viene scaricato in un pozzo 2. Si
determini la variazione percentuale rispetto al valore iniziale del rendimento
se la temperatura della sorgente 1 scende a 500 K, a parità di temperatura
del pozzo.

ESERCIZIO 4.7 – Una pompa di calore, relativamente ad un periodo di osser-


vazione corrispondente ad un numero intero di cicli, preleva 300 kJ da un
SET 1 a 273,0 K e 100 kJ da un SEM, fornendo energia termica ad un SET
2 a 293,0 K. Si determinino:
1. il coefficiente di prestazione;
2. il coefficiente di prestazione di 2° principio.

ESERCIZIO 4.8 – In un piano p,v, avente le seguenti scale: 1 cm = 1 bar e 1


cm = 1 m3/kg, l’area di un ciclo reversibile risulta di 7,5 cm2.
1. Quale è il lavoro specifico complessivo per ciclo?
2. Quale è l’area dello stesso ciclo in un piano T,s avente le seguenti scale:
1 cm = 50 K, 1 cm = 0,20 kJ/kgK?

ESERCIZIO 4.9 – 10000 kg/h di un fluido attraversano un condotto posto in


un ambiente alla temperatura costante di 20°C. Il condotto non è coibentato
e quindi il fluido scambia calore con l’ambiente. Nel condotto il fluido non
compie alcun lavoro. Conoscendo le seguenti proprietà del fluido all’ingresso
ed all’uscita del condotto, determinare la produzione entropica del processo
in kW/K:
proprietà t (°C) p (bar) h (kJ/kg) s (kJ/kgK)
all’ingresso (i) 250 2,50 315 1,60
all’uscita (u) 120 2,00 130 1,12
Capitolo quinto
Sostanze pure: generalità

5.1 Definizioni

Una sostanza si dice pura quando è caratterizzata da composizione


chimica uniforme ed invariabile; può esistere in tre stati di aggregazio-
ne, detti anche fasi: aeriforme1, liquido o solido, o in varie combinazioni
di queste. Nelle considerazioni che seguono si riterrà sempre verificato
l’equilibrio termodinamico, la qual cosa comporta, nel caso di presenza
di più fasi, che esse siano in mutuo equilibrio tra di loro.
Quando una sostanza pura passa da una fase ad un’altra in conse-
guenza di modificazioni delle condizioni esterne, si dice che subisce un
cambiamento (passaggio) di fase. Impropriamente si parla anche di cam-
biamento di stato (sottintendendo di aggregazione).
La nomenclatura più consueta dei passaggi di fase è quella riportata in
Figura 5.1.

5.2 Tensione di vapore

Si immagini di introdurre in un recipiente in cui sia stato praticato


il vuoto una piccola quantità, dm, di acqua liquida; il recipiente, dotato
di manometro e termometro, sia a pareti permeabili al calore, ovvero
diabatico, e si trovi in un ambiente termostatato alla temperatura t1: im-
mediatamente tutte le molecole di liquido evaporano e la pressione, ini-
zialmente nulla, raggiunge all’equilibrio un valore dp. Ripetendo lo stesso
processo, si continua ad assistere all’evaporazione del liquido e al graduale
aumento della pressione (che non essendoci altra sostanza sarà proprio
la pressione esercitata dal vapore d’acqua) fino a quando questa non

1
Come si vedrà, per aeriforme si intendono sia i vapori che i gas.
94 Lezioni di Fisica Tecnica

raggiungerà un valore, al quale un’eventuale ulteriore quantità di acqua


liquida introdotta nel recipiente resterà sul fondo, ancora in fase liquida;
questo valore di pressione, che ovviamente non aumenta in quanto non
c’è ulteriore evaporazione di acqua, viene detto tensione di vapore del
liquido o pressione di saturazione, pvs, a quella temperatura e per quella
particolare sostanza2.

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Figura 5.1 – Nomenclatura dei passaggi di fase

Se si ripete quanto sopra per una qualunque sostanza in fase liquida,


si assiste sempre allo stesso fenomeno e ciò che cambia è solo il valore
della pressione di equilibrio; si può pertanto concludere che ogni liquido
tende ad evaporare finché la pressione del vapore non risulta uguale al
valore di equilibrio, che è appunto la tensione di vapore del liquido a
quella temperatura, e che rappresenta la tendenza delle molecole del
liquido a passare in fase vapore. Si noti bene che la tensione di vapore
è una proprietà del liquido e come tale è indipendente dalla presenza o
meno di vapore. La dipendenza tra la tensione di vapore e la temperatura
è biunivoca; le condizioni di equilibrio tra le due fasi sono anche dette di
saturazione e le due fasi vengono dette sature.
In realtà, in presenza delle due fasi si verificano contemporaneamente

2
I valori della pressione di saturazione dell’acqua sono riportati nella seconda
colonna della Tabella A.6 dell’Appendice, in funzione dei valori di temperatura (in
prima colonna); dalla Tabella si ricava, ad esempio, che alla temperatura di 20°C la
pressione di saturazione è pari a 0,02337 bar, ovvero 2337 Pa.
Sostanze pure: Generalità 95

due fenomeni: il passaggio di molecole dalla fase liquida a quella aerifor-


me e quello inverso dalla fase aeriforme a quella liquida; in particolare,
quando le due fasi sono in equilibrio, il numero di molecole che nell’unità
di tempo passano dalla fase liquida a quella vapore, è uguale a quello delle
molecole che dalla fase vapore passano a quella liquida.
Se l’evaporazione ha luogo in un sistema chiuso a volume costante, si
raggiunge, come visto, un equilibrio dinamico con un valore della pressio-
ne del vapore uguale a quello della tensione di vapore del liquido; invece,
se lo spazio a disposizione è sufficientemente grande, può accadere che il
liquido evapori tutto, dal momento che la pressione del vapore, che rappre-
senta in definitiva la tendenza delle molecole del vapore a passare in fase
liquida, non riesce ad uguagliare mai la tensione di vapore del liquido.
Per chiarire ulteriormente questo concetto, si immagini ora di avere
sul fondo del recipiente dell’acqua liquida in condizioni di equilibrio a
20°C; per quanto detto, il manometro segna una pressione di 2337 Pa,
che è contemporaneamente il valore della pressione esercitata dal vapore
d’acqua nello spazio sovrastante il liquido ed il valore della tensione di
vapore del liquido. Portando il sistema alla temperatura di 40°C, alla quale
il valore della tensione di vapore dell’acqua è pari a 7374 Pa, maggiore
di quello della pressione del vapore, l’equilibrio viene meno e il liquido
evapora fino a quando la pressione non raggiunge il valore di 7374 Pa o
fino alla completa evaporazione. Al contrario, se sul fondo del recipiente
l’acqua liquida è inizialmente in condizioni di equilibrio alla temperatura
di 20°C e viene poi raffreddata fino a 10°C, temperatura alla quale la
tensione di vapore dell’acqua vale 1227 Pa, il sistema ha una tensione di
vapore minore della pressione del vapore: pertanto, una parte del vapore
condensa fino a quando la pressione del vapore non diminuisce ed egua-
glia la tensione di vapore del liquido.
Si consideri infine un sistema cilindro-pistone per il quale, a diffe-
renza del sistema a pareti rigide e fisse finora considerato, il valore della
pressione del sistema, all’equilibrio, è sempre uguale a quello della pres-
sione esterna. Si immagini che il sistema, costituito da acqua liquida e
vapore in equilibrio, si trovi inizialmente ad una pressione di 7,01∙ 104 Pa,
cui corrisponde una temperatura di 90°C, e che la pressione esterna venga
aumentata fino al valore di 1,00 bar, lasciando costante la temperatura:
la fase vapore scompare, poiché la pressione, certamente uguale a quella
esterna, è maggiore della tensione di vapore del liquido, rimasta inalterata
perché inalterata è la temperatura; ciò significa che la tendenza del vapore
a passare in fase liquida, pressione del vapore, è diventata maggiore della
tendenza del liquido a passare in fase vapore, tensione di vapore, e quindi
la fase vapore è scomparsa. Al contrario, se dalla condizione di equilibrio
a 0,701 bar e 90°C, si riduce la pressione a temperatura costante fino a
0,500 bar, si assiste alla scomparsa della fase liquida, in quanto la tensione
di vapore del liquido è maggiore della pressione del vapore.
96 Lezioni di Fisica Tecnica

Come si può verificare esaminando i valori della tensione di vapore


dell’acqua liquida, la tensione di vapore di un liquido per tutte le sostanze
risulta sempre funzione crescente, di tipo esponenziale, della tempera-
tura.
Da quanto detto si ricava anche che mentre in un sistema mono-
componente monofasico conoscere una qualunque coppia di valori di
pressione e temperatura, che sono proprietà indipendenti, è sufficiente
a definirne univocamente lo stato termodinamico, nei sistemi bifasici ciò
non è più vero, in quanto pressione e temperatura risultano biunivoca-
mente legate.
Quanto detto a proposito della tensione di vapore del liquido e del-
l’equilibrio tra fase liquida e fase vapore si può ripetere identicamente
per la tensione di vapore dei solidi e per l’equilibrio solido-vapore.

5.3 Piano termodinamico p,T

Il campo di esistenza delle varie fasi di una sostanza pura, in fun-


zione della pressione e della temperatura, è chiaramente rilevabile nel
diagramma qualitativo riportato in Figura 5.2, detto piano delle fasi o
piano p,T.
La curva AT, detta di sublimazione, è rappresentativa delle condizio-
ni di equilibrio delle fasi solido e vapore e fornisce la legge di variazione
della tensione di vapore del solido al variare della temperatura; la curva
TB, detta di fusione, fornisce le condizioni di equilibrio delle fasi solida e
liquida ed indica l’influenza della pressione sulla temperatura di fusione;
infine la curva TC, detta di vaporizzazione o di evaporazione, rappresenta
le condizioni di equilibrio delle fasi liquido-vapore ed indica la legge di
variazione della tensione di vapore del liquido al variare della tempera-
tura e l’andamento della temperatura di ebollizione3 del liquido al variare
della pressione. Il punto T rappresenta lo stato di coesistenza delle tre
fasi, detto punto triplo. Il punto C, detto punto critico, è rappresentativo
dello stato critico, caratterizzato dalla temperatura critica, Tc, massima
temperatura di coesistenza della fase liquida con quella vapore, e dalla
pressione critica, pc, valore massimo della tensione di vapore del liquido4.
Tc è anche la massima temperatura di esistenza del liquido, qualunque
sia la pressione.

3
La temperatura di ebollizione di una sostanza è definita come la temperatura
alla quale la tensione di vapore uguaglia la pressione atmosferica.
4
Negli stati termodinamici caratterizzati contemporaneamente da valori di tem-
peratura e pressione maggiori dei corrispondenti valori critici, si parla genericamente
di fluido, senza distinzione tra liquido e gas.
Sostanze pure: Generalità 97

Va sottolineato che la curva TB è quasi verticale, con debole penden-


za verso destra per le sostanze che solidificando diminuiscono di volume,
verso sinistra per quelle, che come l’acqua, il bismuto, l’antimonio e il
gallio, solidificando espandono5 e per le quali, di conseguenza, il solido
galleggia sul liquido.
La fase aeriforme di una sostanza pura viene convenzionalmente de-
finita gas per temperature superiori alla temperatura critica, vapore surri-
scaldato per temperature inferiori a questa, e, come si vedrà nel Capitolo
7, vapore saturo secco nel caso di condizioni di equilibrio con il solido o
il liquido (curve AT o TC di Fig. 5.2).
È importante sottolineare che il piano di Figura 5.2 è indicativo del
comportamento di ogni tipo di sostanza pura. Al variare della sostanza la
forma delle curve si modifica solo leggermente, mentre assumono valori
notevolmente diversi le pressioni e le temperature del punto triplo e del
punto critico, come si ricava dalla Tabella 5.1 dove sono riportati i valori
della temperatura e della pressione del punto triplo e del punto critico
per alcune sostanze.

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Figura 5.2 – Piano termodinamico p,T.

5
Nel caso dell’acqua tale pendenza è pari a circa 7,5∙10–3 bar/°C.
98 Lezioni di Fisica Tecnica

Le coppie di valori temperatura-pressione riportate nelle prime due


colonne della Tabella A.6 dell’Appendice, di cui si è già parlato, rappre-
sentano proprio le condizioni di passaggio di fase liquido-vapore, corri-
spondenti alla curva TC, per l’acqua.
A questo punto è evidente che è certamente sbagliato dire “il ferro è
un solido” o “l’ossigeno è un gas”; infatti, come detto, il piano di Figura
5.2 vale per tutte le sostanze e quindi anche per il ferro e per l’ossigeno,
che possono trovarsi, a seconda della pressione e della temperatura, in
tutte e tre le fasi o in sistemi bifasici o trifasici. Le affermazioni “il ferro
è un solido” o “l’ossigeno è un gas” stanno quindi a significare che alle
pressioni ed alle temperature abituali (pressione di circa 1 bar e tempera-
ture di qualche diecina di gradi celsius) il ferro è in fase solida e l’ossigeno
è in fase gassosa.
Si consideri ora un sistema in fase solida, nello stato termodinamico
rappresentato in Figura 5.3 dal punto P, e si supponga di riscaldarlo a
pressione costante; la sua temperatura aumenta fino a raggiungere lo
stato L, nel quale, a temperatura costante, avviene il passaggio di fase
solido-liquido. Successivamente, la temperatura aumenta fino al punto E,
nel quale, somministrando energia termica, si ha, a temperatura costante,
il passaggio di fase liquido-vapore; ovviamente, continuando a sommini-
strare energia, la temperatura aumenta e, se il suo valore supera quello
della temperatura critica, l’aeriforme convenzionalmente assume la de-
nominazione di gas.

Tabella 5.1 – Valori della temperatura e della pressione al punto triplo ed al punto
critico per alcune sostanze.
sostanza punto triplo punto critico
TT (K) pT (Pa) TC (K) pC (Pa)
acqua 273,16 6,11·102 647,3 2,21·107
ammoniaca 195,4 6,06·103 405,4 1,13·107
anidride carbonica 216,5 5,17·105 304,2 7,38·106
azoto 63,2 1,25·104 126,2 3,39·106
idrogeno 13,8 7,02·103 33,2 1,29·106
neon 24,6 4,31·104 44,4 2,73·106
ossigeno 54,4 1,52·102 154,8 5,08·106

Si noti che il processo descritto si ripete allo stesso modo qualunque sia
la pressione, purché compresa tra pT e pC, cioè compresa tra le pressioni dei
punti triplo e critico della sostanza in esame. Al variare della pressione del
sistema, i punti L ed E ovviamente si spostano, ma la temperatura di inizio
liquefazione rimane praticamente la stessa in quanto, come detto, la curva
TB è praticamente verticale, mentre varia considerevolmente la tempera-
tura di inizio evaporazione, che aumenta all’aumentare della pressione.
Sostanze pure: Generalità 99

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4'
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9' C' B'

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1'
Figura 5.3 – Trasformazione a pressione costante nel piano p,T.

Se invece il riscaldamento descritto avviene a partire ancora da uno


stato in fase solida ma a pressione inferiore a quella del punto triplo, al-
lora, come si vede dalla Figura 5.4, il solido comincia a diventare vapore

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4'
K,1@:' >'

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9'
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A'

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Figura 5.4 – Diagramma p,T per l’anidride carbonica e trasformazione a pressione


atmosferica.
100 Lezioni di Fisica Tecnica

senza mai passare per la fase liquida: è quello che avviene per esempio
con il “ghiaccio secco”, spesso utilizzato per conservare i gelati, che non
è altro che anidride carbonica solida. Infatti, la pressione del punto tri-
plo dell’anidride carbonica è pari a 5,17∙105 Pa (circa 5 bar), per cui una
trasformazione a pressione atmosferica nel piano p,T è rappresentata da
un segmento orizzontale, posizionato al disotto del punto triplo, T, che
incontra la curva della tensione di vapore del solido a –78 °C; quindi, il
ghiaccio secco non fonde, come fa il ghiaccio di acqua, ma sublima, cioè
diventa direttamente vapore surriscaldato.

5.4 Piano termodinamico p,v


Nella Figura 5.5 è riportato il piano p,v per una sostanza per la quale
il volume specifico del liquido, vl, è maggiore di quello del solido, vs, al
punto triplo.

4'

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E'
Figura 5.5 – Piano p,v per una sostanza pura.

Va sottolineato che nella rappresentazione di questo diagramma di


stato è necessario ricorrere ad una notevole alterazione delle scale, in
Sostanze pure: Generalità 101

particolare per quella dei volumi specifici che nella fase aeriforme, a bassi
valori della pressione, sono di alcuni ordini di grandezza superiori a quelli
nelle fasi liquida e solida; ad esempio, per l’acqua al punto triplo, il vo-
lume specifico del vapore saturo secco è circa 200.000 volte maggiore di
quello del liquido saturo.
Infine, si tenga presente che la linea BC, luogo dei punti rappresen-
tativi delle condizioni di liquido saturo, viene detta curva limite inferiore
o linea del liquido saturo; la linea CD, luogo dei punti rappresentativi
delle condizioni di vapore saturo secco, viene detta curva limite superiore
o linea del vapore saturo secco.

Esercizi

ESERCIZIO 5.1 – Determinare la fase dei seguenti sistemi:


1. ossigeno a p = 1,0 bar e t = –30°C;
2. ossigeno a p = 1,0 bar e t = –233°C;
3. anidride carbonica a p = 1,0 bar e t = –30°C;
4. anidride carbonica a p = 1,0 bar e t = 50°C;
5. acqua a p = 1,00 atm e 100°C;
6. acqua a p = 4,00 atm e t = 120°C;
7. acqua a p = 2,00 atm e t = 150°C.
Capitolo sesto
Sostanze pure: i gas

6.1 Generalità

Come si è visto nel Capitolo 5, per gas si intende la fase aeriforme


nella quale si trova una qualunque sostanza quando la temperatura è
maggiore della temperatura critica.
Il comportamento dei gas viene descritto da modelli via via più
complessi all’aumentare della densità. A bassa densità, il volume delle
molecole è trascurabile rispetto a quello del sistema e sono trascurabili
anche le forze intermolecolari, per cui il comportamento del gas è ben
descritto, a livello microscopico, dalla teoria cinetica dei gas e il modello
di gas è quello a comportamento perfetto, o più semplicemente di gas
perfetto1. Nel caso in cui le trasformazioni subite dal gas perfetto siano
caratterizzate da temperatura comprese nell’intervallo 0÷200 °C, il mo-
dello di gas perfetto viene solitamente semplificato in quello di gas a
comportamento piuccheperfetto, o semplicemente di gas piuccheperfetto,
nel quale i calori specifici cp e cv risultano indipendenti dalla temperatura2.
In questo capitolo è innanzitutto illustrata l’equazione di stato per i gas
perfetti, ovviamente valida anche per quelli piuccheperfetti; vengono poi
presentate le equazioni per il calcolo delle variazioni di energia interna,
entalpia ed entropia. Nelle applicazioni ingegneristiche, nel caso di alte
pressioni e basse temperature, vale a dire nel caso di alte densità, l’ipotesi
di gas perfetto comporta errori non più trascurabili e risulta necessario un
approccio più complesso che esula dallo scopo di questo testo.

1
I gas che l’allievo avrà più frequentemente occasione di incontrare soddisfano
con ottima approssimazione l’ipotesi di gas perfetto per t > 0°C se ρ non supera valori
di circa 15 kg/m3. Si tenga presente che l’aria, a temperatura e pressione ambiente,
ha densità di circa 1,2 kg/m3.
2
Questa ipotesi è ingegneristicamente corretta, perché i valori di cp e cv per i
gas perfetti sono solo debolmente crescenti con la temperatura; l’ipotesi di gas piuc-
cheperfetto comporta un errore di qualche percento.
104 Lezioni di Fisica Tecnica

6.2 Equazione di stato tra p, v, T

L’equazione di stato tra p, v e T per un gas a comportamento perfetto


è la seguente:

pv = RT (6.1)

con:
p = pressione del sistema, Pa;
v = volume specifico della sostanza, m3/kg;
R = costante caratteristica della particolare sostanza, J/kgK;
T = temperatura assoluta del sistema, K;
si noti che la temperatura deve essere espressa in K.
Nella Tabella A.3 dell’Appendice sono riportati per alcune sostanze
i valori della costante R, che è anche ottenibile dalla relazione:

Ro
R= (6.2)
M

con:
Ro = costante universale del gas ideale, identica per tutte le sostanze, =
8,31 kJ/kmolK;
M = massa molecolare della sostanza, kg/kmol.
Si ricorda che tra m e M sussiste la relazione:

m = nM (6.3)

con n, numero di moli, grandezza fondamentale del Sistema Internazionale


misurata in mol (cfr. paragrafo 1.1) o nel suo multiplo kmol. I valori della
massa molecolare M sono riportati nella Tabella A.3 dell’Appendice3.
Dalla (6.1), moltiplicando primo e secondo membro per la massa m,
si ricava:

pV = mRT (6.4)

3
Nelle Tabelle A.3 e A.4 dell’Appendice sono riportati dati relativi ad alcune
sostanze pure e all’aria, che in realtà è una miscela di molte sostanze; in particolare,
i valori tabellati per l’aria sono medie, pesate rispetto alle masse, dei valori relativi
ai singoli componenti, fra i quali l’azoto e l’ossigeno rappresentano circa il 99% in
volume.
Sostanze pure: i gas 105

che, per la (6.2) e la (6.3) si può anche scrivere nella forma:

pV = nRoT (6.5)

usata soprattutto in chimica e comunque quando si preferisce lavorare


con le moli anziché con le masse.
Ricordando che la densità, ρ, è l’inverso del volume specifico, dalle
(6.1) e (6.2) si ricavano le relazioni:

p M p
ρ= = (6.6)
RT R o T

L’ultima relazione evidenzia che, a parità di pressione e temperatura,


le densità dei gas sono proporzionali alle rispettive masse molecolari4.

6.2.1 L’equazione di stato applicata ad una trasformazione isocora

Scrivendo la (6.1) o la (6.4) negli stati finale e iniziale di una trasfor-


mazione a volume costante e dividendo membro a membro si ha:

p2 T2
= (6.7)
p 1 T1

6.2.2 L’equazione di stato applicata ad una trasformazione isobara

Analogamente a quanto appena fatto per l’isocora, scrivendo la (6.1)


o la (6.4) negli stati finale e iniziale di una trasformazione a pressione
costante e dividendo membro a membro si ha:

v 2 V2 T2
= = (6.8)
v 1 V1 T1

nella quale il rapporto tra i volumi totali è di interesse solo nel caso dei
sistemi chiusi.

4
Si definisce densità standard o densità normale la densità di un gas a valori di
temperatura e pressione standard (STP, Standard Temperature Pressure) concordati
in campo internazionale, che in Europa sono t = 0°C, p = 1,013 bar. Spesso, anche
il volume e la portata volumetrica di un gas vengono riferiti alle condizioni STP e
indicati con la dizione normal metro cubo o normal metro cubo per secondo (Nm3
o Nm3/s).
106 Lezioni di Fisica Tecnica

6.2.3 L’equazione di stato applicata ad una trasformazione isoterma


Infine, scrivendo la (6.1) negli stati finale e iniziale di una trasforma-
zione a temperatura costante, si ha:

p1v1 = p2v2 (6.9)

nella quale per i sistemi chiusi è possibile sostituire ai volumi specifici


quelli totali.

6.3 Energia interna ed entalpia


Si dimostra, ma la dimostrazione esula da questo testo, che per i gas
a comportamento perfetto l’energia interna specifica, l’entalpia specifica
ed i calori specifici a pressione e volume costanti sono funzioni della sola
temperatura, per cui valgono le seguenti relazioni:

gas perfetti gas piuccheperfetti


u = u (T) u = u (T)
h = h (T) h = h (T)
(6.10)
cp = cp (T) cp = cost
cv = cv (T) cv = cost

che semplificano notevolmente lo studio del comportamento dei gas, in


quanto permettono il calcolo dei valori di energia interna e di entalpia in
funzione della sola temperatura.

6.3.1 Espressioni per il calcolo della variazione di energia interna ed


entalpia per i gas a comportamento piuccheperfetto
Dalla (3.43)5 risulta che la variazione dell’energia interna specifica,
in termini infinitesimi e finiti, è data dalle relazioni:

du = cvdT
(6.11)
u2 – u1 = cv(t2 – t1)

con cv calore specifico a volume costante.

5 ⎛ du ⎞ (3.43)
cv = ⎜ ⎟
⎝ dT ⎠v
Sostanze pure: i gas 107

Analogamente, dalla (3.44)6, la variazione dell’entalpia specifica, in


termini infinitesimi e finiti, è data da:

dh = cpdT
(6.12)
h2 – h1 = cp(t2 – t1)

con cp calore specifico a pressione costante.


In un sistema chiuso senza lavoro di elica, in una trasformazione
isocora, per la (3.52)7e la (6.11), si ha:

q = cv(t2–t1) (6.13)

ed in una trasformazione isobara, per la (3.56)8 e la (6.12), è:

q = cp(t2–t1) (6.14)

Se si considera che in un riscaldamento a pressione costante la quan-


tità di energia da somministrare è data da un’aliquota necessaria a far
aumentare la temperatura e da un’altra che viene riversata nell’ambiente
come lavoro di variazione di volume, mentre in un riscaldamento a volume
specifico costante la seconda aliquota non è presente, risulta che a parità
di differenza di temperatura, la quantità di calore scambiata in un’isobara
è maggiore di quella scambiata in un’isocora e che quindi è sempre cp>
cv. Per i gas a comportamento perfetto, tra cp e cv sussiste la relazione,
nota come relazione di Mayer9:

cp – cv = R (6.15)

Il rapporto tra i calori specifici a pressione e volume costante:

cp
=k (6.16)
cv

6 ⎛ dh ⎞ (3.44)
cp = ⎜ ⎟
⎝ dT ⎠p
7
Q = ΔU = U2 – U1 (3.52)
8
Q = ΔH = H2 – H1 (3.56)
9
La relazione si ottiene scrivendo il 1° principio per sistemi chiusi nella forma
(3.20) e particolarizzandolo per gas piuccheperfetti e per processi isobari. Si ha:
dq)p = cpdT = cvdT + pdv (a)
ma se in generale è pdv + vdp = RdT, per un processo isobaro si ha pdv = RdT, e
quindi:
cpdT = cvdT + RdT (b)
108 Lezioni di Fisica Tecnica

dipende unicamente dall’atomicità della molecola e vale:


• 1,66 per gas monoatomici,
• 1,40 per gas biatomici,
• 1,33 per gas poliatomici.
Si ricordi infine che l’energia interna specifica e l’entalpia specifica
sono proprietà di stato per cui la (6.11) e la (6.12) valgono per qualunque
trasformazione e non solo per l’isocora e l’isobara.
Nella Tabella A.3 dell’Appendice sono riportati i valori di cp, cv e k
per alcune sostanze in fase gassosa.

6.4 Entropia

Nel caso di gas perfetti, la prima equazione di Gibbs, (4.7)10, diven-


ta:
dT p
ds = c v + dv (6.17)
T T

che per la (6.1) si può anche scrivere:

dT dv
ds = cv +R (6.18)
T v

Analogamente, dalla seconda equazione di Gibbs, (4.8)11, si ottiene:

dT dp
ds = cp –v (6.19)
T T

che per la (6.1) si può scrivere:

dT dp
ds = cp –R (6.20)
T p

Se l’equazione:
pdv + vdp = RdT

du pdv
10
ds = + (4.7)
T T
11 dh vdp (4.8)
ds = −
T T
Sostanze pure: i gas 109

ottenuta differenziando la (6.1), si divide per la stessa (6.1), si ottiene:

dv dp dT
+ = (6.21)
v p T

sostituendo la (6.21) in una delle equazioni comprese tra la (6.17) e la


(6.20) e servendosi della (6.15), si ha:

dp dv
ds = cv + cp (6.22)
p v

che rappresenta l’espressione della variazione infinitesima di entropia


specifica in funzione delle pressioni e dei volumi specifici.

6.4.1 Espressioni per il calcolo della variazione di entropia per i gas a


comportamento piuccheperfetto

Nel caso di gas piuccheperfetti, dalla (6.18), per integrazione, si cal-


cola la variazione di entropia specifica in funzione delle temperature e
dei volumi specifici:

T2 v
s2 – s1 = cvln + Rln 2 (6.23)
T1 v1

Integrando la (6.20) si calcola la variazione di entropia specifica per


i gas in funzione delle temperature e delle pressioni:

T2 p
s2 – s1 = cpln – Rln 2 (6.24)
T1 p1

Infine, integrando la (6.22) si ottiene l’espressione della variazione di


entropia in funzione delle pressioni e dei volumi specifici:

p2 v
s2 – s1 = cvln + cpln 2 (6.25)
p1 v1

Si noti che alle (6.23), (6.24) e (6.25) si perviene anche immaginando


di passare dallo stato 1 allo stato 2 attraverso coppie di trasformazioni
rispettivamente a volume e temperatura costanti, a pressione e tempera-
110 Lezioni di Fisica Tecnica

tura costanti ed a pressione e volume specifico costanti, trasformazioni


ovviamente immaginate reversibili.

6.5 Trasformazioni

Nella trattazione seguente si supporranno sempre nulle o trascura-


bile le forze di attrito e, per i sistemi aperti, nulli o trascurabili i termini
cinetici e potenziali oltre a ritenere sempre verificata l’ipotesi di regime
permanente.

6.5.1 Trasformazioni politropiche

Una trasformazione si dice politropica se ha equazione:

pvn = costante (6.26)

con:
n = esponente dalla politropica che può assumere qualunque valore
compreso tra + ∞ e – ∞;
da cui deriva:

p1v1n = p2v2n (6.27)

Dalla (6.27) si ha ovviamente:

ln p1 − ln p2
n= (6.28)
ln v 2 − ln v 1

da cui si ricava che fissati due stati termodinamici è univocamente fissata


la politropica passante per essi.
Poiché la (6.26) definisce la trasformazione in ogni suo punto, la
trasformazione politropica è necessariamente quasi statica.
La Figura 6.1 mostra alcune politropiche passanti per un generico
punto P del piano p,v. Traslando l’origine del sistema di riferimento nel
punto P, per 0 < n < ∞ le politropiche sono iperboli che occupano il se-
condo e il quarto quadrante, mentre per –∞ < n < 0 occupano il primo e
il terzo quadrante; inoltre, dalla (6.26) risulta anche evidente che per n = 0
si ha una isobara e per n = ±∞ una isocora. L’importanza delle politro-
piche deriva dal fatto che esse comprendono alcune delle trasformazioni
esaminate in questo paragrafo (l’isobara, l’isocora e, come si vedrà in
seguito, in casi particolari, anche l’isoterma e l’adiabatica reversibile) e
Sostanze pure: i gas 111

possono essere utilizzate per interpretare altre trasformazioni di interesse


ingegneristico.

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R>#O#)#O#D#
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Figura 6.1 – Andamento delle politropiche nel piano p,v al variare di n.

Per i gas perfetti le politropiche sono espresse anche dalle equazioni:

Tvn–1 = costante (6.29)

T
(n − 1)/ n
= costante (6.30)
p

che si ottengono sostituendo nella (6.26) rispettivamente la pressione e il


volume specifico ottenuti dalla (6.1).
Per un gas perfetto, il calore specifico della politropica, che si calcola
con l’equazione:

n−k
cn = cv (6.31)
n−1

è utilizzabile in maniera semplice solo nel caso di gas piuccheperfetti,


per i quali cv e k sono costanti e quindi cn risulta costante lungo tutta la
trasformazione.
Dalla (6.27) e dalla (6.31) si ottengono, come sarà chiarito nei para-
grafi successivi, i casi particolari riportati nella Tabella 6.1; inoltre, dalla
(6.31) risulta che per 1 < n < k il calore specifico cn risulta negativo.
La Figura 6.2 mostra un gruppo di politropiche nel piano p,v passanti
per un generico punto P, per ciascuna delle quali è riportato anche il
valore di cn; la zona tratteggiata rappresenta il campo delle politropiche
caratterizzate da calore specifico negativo.
112 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella 6.1 – Valori di n e cn per le diverse trasformazioni.


Trasformazione n cn
isocora ±∞ cv
isobara 0 cp
isoterma 1 ±∞
isoentropica k 0

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Figura 6.2 – Andamento di alcune politropiche nel piano p,v al variare dell’espo-
nente n.

Per quanto finora detto è facile constatare che nel piano T,s, nel quale
le isoterme e le isoentropiche formano un angolo retto, le politropiche
caratterizzate da calore specifico negativo giacciono nel 2° e 4o quadrante,
come mostrato in Figura 6.3.

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4#

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Figura 6.3 – Andamento di alcune politropiche nel piano T,s.


Sostanze pure: i gas 113

A) Sistemi chiusi
Il lavoro di variazione di volume di un gas perfetto è fornito dalla
(2.10)12, per cui dalla (6.26) si ha:

v2
dv
L = mp1v1n

v vn
(6.32)
1

che, per integrazione, fornisce per n ≠ 1:

p1 v 1 ⎡ ⎛ v 1 ⎞ ⎤
n −1

L=m ⎢1 − ⎜ ⎟ ⎥ (6.33)
n − 1 ⎣⎢ ⎝ v 2 ⎠ ⎦⎥

e per n = 1:

v2
L = mp1v1ln (6.34)
v1

Ponendo il rapporto dei volumi specifici che compare nella (6.33) in


funzione del rapporto delle pressioni mediante la (6.26), si ottiene anche
per n ≠ 1:

⎡ n −1

p1 v 1 ⎢ ⎛ p 2 ⎞ n ⎥
L=m 1−⎜ ⎟ (6.35)
n − 1 ⎢ ⎝ p1 ⎠ ⎥
⎢⎣ ⎥⎦

e, per n = 1:

p1
L = mp1v1ln (6.36)
p2

La quantità di calore scambiata in una trasformazione di gas piuc-


cheperfetto è data da:

Q = mcn Δt (6.37)

vf
12

vi

L = m pdv (2.10)
114 Lezioni di Fisica Tecnica

La variazione di entropia di un gas piuccheperfetto si può calcolare


con le (6.23), (6.24) e (6.25) o, nel caso sia noto il valore di cn, per la
(4.4)13, anche come:

T2
ΔS = mcnln (6.38)
T1

B) Sistemi aperti
Come si vedrà al Capitolo 8, nei sistemi aperti, in alcune ipotesi, la
potenza meccanica è data dalla relazione:

p2
L! = −m
! ∫ vdp (6.39)
p1

che per integrazione fornisce per n ≠ 1:

⎡ n −1

! n ⎢ ⎛ p2 ⎞ n ⎥
L=m
! p1 v 1 1−⎜ ⎟ (6.40)
n − 1 ⎢ ⎝ p1 ⎠ ⎥
⎢⎣ ⎥⎦

o, in funzione del rapporto tra i volumi specifici:

n ⎡ ⎛ v2 ⎞ ⎤
n −1

L! = m
! p1 v 1 ⎢1 − ⎜ ⎟ ⎥ (6.41)
n − 1 ⎢⎣ ⎝ v 1 ⎠ ⎥⎦

e per n = 1, le (6.34) e (6.36) espresse in termini di potenza.


La potenza termica scambiata in una trasformazione di gas piucche-
perfetto è data da:

! =m
Q ! c n Δt (6.42)

Analogamente a quanto visto per i sistemi chiusi, la variazione di


entropia nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto, quando sia noto
cn, si può calcolare come:

2
dq rev
13
Δs = s2 − s1 = ∫
1
T
(4.4)
Sostanze pure: i gas 115

T2
! Δs = m
m ! c n ln (6.43)
T1

6.5.2 Trasformazione di sistema isolato per gas a comportamento per-


fetto

Una trasformazione di un sistema isolato, come espresso dalla (3.45)14,


è ad energia interna costante. Nel caso dei gas perfetti, ed ovviamente
anche per quelli piuccheperfetti, essendo l’energia interna funzione della
sola temperatura, risulta che una trasformazione di un sistema isolato è
anche isoterma, cioè:

T2 = T1 (6.44)

6.5.3 Trasformazione adiabatica reversibile per gas a comportamento


piuccheperfetto

Per quanto detto nel Capitolo 4, una trasformazione adiabatica re-


versibile è isoentropica, ds = 0; pertanto, la relazione tra le variabili de-
gli stati termodinamici iniziale e finale è ricavabile dalle (6.23), (6.24) e
(6.25) ponendo uguale a zero il primo membro; da queste tre relazioni,
ricordando la (6.15) e la (6.16), si ottengono rispettivamente le seguenti
equazioni:

Tvk–1 = costante (6.45)

T
(k − 1)/ k
= costante (6.46)
p

p vk = costante (6.47)

che chiarisce perché in Tabella 6.1 è stato attribuito all’isoentropica


l’esponente n = k.

A) Sistemi chiusi
Per il 1° principio della termodinamica vale la relazione:

L = – ΔU = mcv(T1 – T2) (6.48)

14
ΔU = U2 – U1 = 0 (3.45)
116 Lezioni di Fisica Tecnica

Il lavoro si può ricavare dalle (6.33) e la (6.35) riscritte per n = k e,


eventualmente, sostituendo al prodotto p1v1 il termine RT1.

B) Sistemi aperti
Come si è detto, nei sistemi aperti, in alcune ipotesi la potenza mec-
canica è data dalla relazione:

p2 2 v
dv
L! = −m
! ∫ vdp = −m
! p1 v 1k ∫ k (6.49)
p1 v1 v

che risolta fornisce:

⎡ k −1

k ⎢ ⎛ p ⎞
1−⎜ ⎟ ⎥
k
!
L = m p1 v 1
! 2
(6.50)
k − 1 ⎢ ⎝ p1 ⎠ ⎥
⎣⎢ ⎦⎥

o, in funzione del rapporto tra i volumi specifici:

k ⎡ ⎛ v2 ⎞ ⎤
k −1

L! = m
! p1 v 1 ⎢1 − ⎜ ⎟ ⎥ (6.51)
k − 1 ⎣⎢ ⎝ v 1 ⎠ ⎦⎥

Evidentemente, le ultime due equazioni proposte possono essere ri-


scritte sostituendo al temine p1v1 il prodotto RT1.
Per quanto riguarda la rappresentazione sul piano p,v, l’adiabatica
reversibile, essendo una politropica di esponente k (che per la relazione di
Mayer è certamente maggiore di 1), è una iperbole non equilatera. In ogni
punto la pendenza di questa iperbole è maggiore di quella dell’isoterma
passante per lo stesso punto15, come mostrato in Figura 6.4.
Nel piano T,s ovviamente un’adiabatica reversibile è rappresentata
da un segmento verticale.

15
Infatti differenziando la (6.26), si ha:
npvn–1dv + vndp = 0 (a)
n-l
che divisa per v fornisce:
dp p
= −n
dv v
da cui si ricava che in ogni punto del piano p,v la pendenza della isoentropica (n=k)
è k volte maggiore di quella dell’isoterma (n=1) passante per lo stesso punto.
Sostanze pure: i gas 117

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0&%+)'.%,07(#

4#

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Figura 6.4 – Andamento delle isoentropiche e delle isoterme per i gas perfetti nel
piano p,v.

6.5.4 Trasformazioni adiabatiche non reversibili di gas piuccheperfetti

La relazione tra le proprietà degli stati termodinamici iniziale e finale


è ottenibile con le relazioni (6.23), (6.24) e (6.25) purché si conosca la
variazione di entropia specifica, che come si è visto nel paragrafo 4.3 è
certamente maggiore di zero16.

A) Sistemi chiusi
Per il primo principio della termodinamica, per le trasformazioni
adiabatiche reali, ovviamente irreversibili, vale ancora la relazione vista
per le adiabatiche reversibili:

L = – ΔU = mcv(T1– T2) (6.52)

B) Sistemi aperti

Per il primo principio della termodinamica, la potenza meccanica è


data dalla relazione:

L! = −ΔH
! = m
! cp(T1– T2) (6.53)

16
Non è più possibile usare le (6.47), (6.48) e (6.49), ricavate nell’ipotesi di
Δs = 0.
118 Lezioni di Fisica Tecnica

Come tutte le trasformazioni irreversibili, anche le adiabatiche irre-


versibili non sono rappresentabili sui piani termodinamici, se non per i
punti rappresentativi degli stati termodinamici iniziali e finali, che per la
(4.10)17 si trovano su isoentropiche diverse con s2 > s1.

6.5.5 Trasformazione a volume specifico costante per gas a comporta-


mento piuccheperfetto

Per la (6.1), come si è già visto nel paragrafo 6.2, tra le variabili degli
stati termodinamici iniziale e finale, esiste la relazione:

p2 T2
= (6.7)
p 1 T1
Per il calcolo della variazione di entropia conviene servirsi della (6.23)
o della (6.25) che, per un’isocora, si riducono a formule monomie.
L’isocora nel piano p,v è ovviamente rappresentata da un segmento
verticale, mentre nel piano T,s, per la (6.23), è rappresentata da una curva
esponenziale, che, come è riportato nella Figura 6.3 è caratterizzata da
una pendenza maggiore rispetto all’isobara.

A) Sistemi chiusi
In un’isocora il lavoro di variazione di volume è ovviamente nullo e
può esserci lavoro di elica.
La quantità di calore scambiata è data dalla relazione:

Q = mcv(T2 – T1) (6.54)

La (6.54) si ottiene anche considerando una politropica di esponente


±∞ per la quale risulta cn = cv.

B) Sistemi aperti
Come detto al paragrafo 6.5.1 a proposito delle politropiche, la po-
tenza meccanica è data dalla relazione:

p2
L! = −m
! ∫ vdp = m
! v(p1 − p2 ) (6.39)
p1

17
ΔSSI= ΔSsist,adiab + ΔSSEM = ΔSsist,adiab ≥ 0 (4.10)
Sostanze pure: i gas 119

La potenza termica si ricava dalla (3.38):


. . .
! Δh + L = m
Q = m ! cpΔt + L (6.55)

6.5.6 Trasformazione a pressione costante per gas a comportamento


piuccheperfetto

Nel caso di trasformazione a pressione costante, la (6.1) applicata


agli stati termodinamici iniziale e finale fornisce, come si è già visto nel
paragrafo 6.2, la:

v 2 T2
= (6.8)
v 1 T1

Per il calcolo della variazione di entropia conviene servirsi della (6.24)


o della (6.25), che, per trasformazione isobara, diventano semplici espres-
sioni monomie.
L’isobara nel piano p,v è ovviamente rappresentata da un segmento
orizzontale, mentre nel piano T,s, per la (6.24), è rappresentata da una
curva esponenziale, come è riportato nella Figura 6.3.

A) Sistemi chiusi
Per quanto riguarda il lavoro di variazione di volume, è ovviamente
sempre valida la (2.9)18 che, per la (6.1), si particolarizza nella:

L = mp (v2 – v1) = mR(T2 – T1) (6.56)

Per quanto riguarda la quantità di calore, in assenza di lavoro di elica,


valendo la (3.56)19, si ha:

Q = mcp(T2 – T1) (6.57)

La (6.56) e la (6.57) si ottengono anche considerando una politropica


di esponente zero, per la quale risulta cn= cp.

18
dL = mpdv (2.9)
19
Q = ΔH = H2 – H1 (3.56)
120 Lezioni di Fisica Tecnica

B) Sistemi aperti
Le equazioni per il calcolo della potenza meccanica e di quella termi-
ca sono analoghe a quelle
.
per. i sistemi chiusi, considerando ovviamente
le grandezze orarie Q , m ! e L invece di Q, L ed m.

6.5.7 Trasformazione a temperatura costante per gas a comportamento


piuccheperfetto

Per la (6.1), tra le variabili degli stati termodinamici iniziale e finale


esiste la relazione:

p2v2 = p1v1 (6.9)

che non è altro che una politropica di esponente uno.


Per il calcolo della variazione di entropia conviene servirsi della (6.23)
o della (6.24) che si riducono ad espressioni monomie.
Nel piano T,s l’isoterma è ovviamente rappresentata da un segmen-
to orizzontale. Nel piano p,v, invece, per la (6.9) un’isoterma è rappre-
sentata da un’iperbole equilatera, come mostrato in Figura 6.5; il verso
delle temperature crescenti è rappresentato in figura ed è deducibile, per
esempio, dall’applicazione della (6.8), in base alla quale lungo un’isobara
la temperatura è funzione crescente del volume specifico.

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Figura 6.5 – Andamento delle isoterme per i gas nel piano p,v
Sostanze pure: i gas 121

A) Sistemi chiusi
Il lavoro di variazione di volume è dato dalla (2.10)20 che, per n = 1;
fornisce:

v2 p
L = mRTln = mRTln 1 (6.58)
v1 p2

che è appunto l’espressione del lavoro di una politropica di esponente 1.


Una trasformazione isoterma è anche una trasformazione ad energia
interna specifica costante, per cui:

v2 p
Q = L = mRTln = mRTln 1 (6.59)
v1 p2

B) Sistemi aperti
Le equazioni per il calcolo della potenza meccanica e di quella ter-
mica sono analoghe a quelle per i sistemi chiusi, ovviamente espresse in
termini orari.

6.6 Miscele di gas perfetti

6.6.1 Generalità

Fin qui ci si è occupati di sistemi gassosi ad un solo componente;


in questo paragrafo si esamineranno sistemi costituiti da miscele di gas
perfetti ovvero sistemi a più componenti.
In un miscuglio composto da più gas, indicando con Mi, mi, ni21 ri-
spettivamente la massa molecolare, la massa ed il numero di moli del
componente i-esimo e con mt ed nt la massa complessiva ed il numero
totale di moli, si ha:

mi
mt = Σmi nt = Σni = Σ (6.60)
Mi

vf


20
L = m pdv (2.10)
vi
21
Con ni = mi/Mi
122 Lezioni di Fisica Tecnica

si definisce frazione molare del componente i-esimo il rapporto:

ni
xi = (6.61)
nt

e frazione massica del componente i-esimo il rapporto:

mi
yi = (6.62)
mt

Assegnare i valori di xi dei componenti equivale a dare la composizio-


ne molare, mentre assegnare i valori di yi equivale a dare la composizione
massica. Ovviamente, per definizione risulta:

Σxi = Σyi = 1 (6.63)

Se la miscela di gas occupa alla temperatura T il volume V, si dirà


pressione parziale pi del componente i-esimo la pressione che la massa mi
di tale componente eserciterebbe se occupasse da solo, alla temperatura
T, tutto il volume V; si dirà volume parziale Vi il volume che la massa mi
del componente iesimo occuperebbe se fosse separato dagli altri e venisse
sottoposto, alla temperatura T, alla pressione totale della miscela.
Per una miscela di gas perfetti la pressione totale p è data dalla somma
delle pressioni parziali (legge di Dalton), ovvero

p = Σpi (6.64)

6.6.2 Equazione di stato tra p, v e T

Dalla definizione di pressione parziale, per il generico componente


i-esimo, l’equazione di stato assume la forma:

Ro
piV = miRiT = mi T = niRoT (6.65)
Mi

dalla quale, sommando membro a membro le espressioni scritte per tutti


i componenti, si ha:

VΣpi = RoTΣni = ntRoT (6.66)

che per la (6.64) diventa:

pV = ntRoT (6.67)
Sostanze pure: i gas 123

Quest’ultima relazione mostra che, a parità di p e T, il rapporto V/nt,


ovvero il volume molare, assume lo stesso valore per le miscele e per i
gas chimicamente puri, cioè che la legge di Avogadro vale anche per le
miscele. Dalle (6.65) e (6.67) si ha la relazione di calcolo della pressione
parziale:

ni
pi = p = pxi (6.68)
nt

Per definizione di volume parziale si ha:

Ro
pVi = miRiT = mi T = niRoT (6.69)
Mi

dividendo membro a membro questa relazione per la (6.67), si ottiene:

ni
Vi = V (6.70)
nt

dalla quale, sommando membro a membro le espressioni scritte per tutti


i componenti, si ha:

ni
ΣVi = VΣ = VΣxi = V (6.71)
nt

cioè la somma dei volumi parziali di tutti i componenti è uguale al volume


totale della miscela.
Comunemente, per le miscele gassose, dal momento che ne viene qua-
si sempre fatta l’analisi chimica volumetrica, viene assegnata la cosiddetta
composizione in volume, cioè vengono forniti per ciascun componente i
valori dei rapporti Vi/V (espressi abitualmente in percento); dalla (6.70)
si deduce che tali rapporti coincidono con le frazioni molari, ovvero la
composizione volumetrica e quella molare coincidono.
Con riferimento all’unità di massa, l’equazione di stato della miscela
può essere scritta nella forma:

pv = RmT (6.72)

con v volume specifico della miscela, e Rm media pesata delle costanti Ri.
Si possono distinguere due casi:
a) è nota la composizione volumetrica della miscela, ovvero sono note le
xi . In questo caso, osservando che è:
124 Lezioni di Fisica Tecnica

V = vmt = vΣniMi (6.73)

e che con la (6.73) la (6.67), ricordando che mt = Σmi = ΣniMi, si può


scrivere:

nt Ro T Ro T Ro T R T
pv = = = = o (6.74)
∑ ni Mi ∑ ni Mi ∑ x i Mi Mm
nt

dalla (6.72) si ottiene:

Ro
Rm = (6.75)
Mm

dove Mm, massa molecolare media della miscela, è la media pesata22


delle masse molecolari delle diverse sostanze, pesata mediante le fra-
zioni molecolari:

Mm = ΣxiMi (6.76)

b) è nota la composizione massica della miscela, ovvero sono note le yi.


In questo caso, definita Rm come la media pesata delle costanti Ri delle
varie sostanze, pesata mediante le frazioni massiche, si può applicare
la relazione:

Rm = ΣyiRi (6.77)

Infatti per definizione di pressione parziale, come si è visto, per ogni


componente della miscela si può scrivere:

piV = miRiT (6.78)

da cui, sommando i primi ed i secondi membri scritti per ciascun com-


ponente e ricordando la legge di Dalton, si ha la relazione:

pV = TΣmiRi (6.79)

che, dividendo ambo i membri per mt, diventa:

22
In generale una grandezza N è la media pesata delle grandezze Ni mediante le
grandezze ci se sussiste la relazione N=ΣciNi con 0 < ci < 1 e Σci = 1.
Sostanze pure: i gas 125

∑ miRi
pv = T = TΣyiRi (6.80)
mt

Concludendo si può affermare che mentre per un sistema gassoso ad


un solo componente l’equazione di stato p,v,T assume la forma:

pv = RT (6.1)

per i sistemi a più componenti si può scrivere:

pv = RmT (6.81)

con Rm fornita a seconda dei casi dalla (6.75) o dalla (6.77).

6.6.3 Relazione tra composizione massica e composizione volumetrica


È il caso di notare che la composizione massica di una miscela gassosa
differisce dalla relativa composizione volumetrica tanto più quanto più
sono tra loro diverse le singole masse molecolari; i gas a minore massa mole-
colare hanno la frazione volumetrica più elevata della frazione massica.
Per passare dalla composizione volumetrica a quella massica, si uti-
lizza la relazione:

Mi x i M
yi = = i xi (6.82)
∑ x i Mi Mm

che si ottiene dalla espressione della frazione massica:

mi nM
yi = = i i (6.83)
m t ∑ ni Mi

dividendo numeratore e denominatore per nt.


Analogamente, per passare dalla composizione massica a quella vo-
lumetrica si utilizza la relazione:

yi / Mi
xi = (6.84)
∑ (y i / M i )

ottenibile a partire dalla definizione di frazione molare dividendo nume-


ratore e denominatore per mt :

ni m i / Mi
xi = = (6.85)
n t ∑ (m i / M i )
126 Lezioni di Fisica Tecnica

6.6.4 Energia interna, entalpia, entropia

Per le miscele di gas perfetti, il calcolo delle proprietà estensive totali


si può effettuare tenendo presente che, nella miscela, ciascun componente
si comporta come se occupasse da solo l’intero volume del sistema V, alla
temperatura del sistema T, ed alla propria pressione parziale pi. Pertanto
se si indica con G la generica grandezza estensiva dell’intero sistema e con
gi la relativa grandezza specifica del componente i-esimo, si ha:

G = Σmigi ΔG = ΣmiΔgi (6.86)

con ciascun gi calcolato, per quanto detto, come se il sistema fosse ad un


solo componente, quello i-esimo, e fosse caratterizzato dalle proprietà
termostatiche pi, T, mi e V.
Per l’energia interna, l’entalpia e l’entropia si ha rispettivamente:

ΔU = ΣmiΔui (6.87)
ΔH = ΣmiΔhi (6.88)
ΔS = ΣmiΔsi (6.89)

In alternativa alle relazioni ora scritte, si possono utilizzare le rela-


zioni:

G = mtgm ΔG = mtΔgm (6.90)

dove con mt si indica la massa totale del sistema e con gm la grandezza


specifica media dell’intero sistema, per la quale risulta:

gm = Σyigi Δgm = ΣyiΔgi (6.91)

Sostituendo le (6.91) nelle (6.90) e ricordando la definizione di fra-


zione massica, si constata che le (6.90) e le (6.86) sono perfettamente
equivalenti.
Nel caso di comportamento piuccheperfetto, per l’applicazione delle
espressioni ora riportate si calcolano i Δui con la (6.11), i Δhi con la (6.12),
ed i Δsi indifferentemente, con la (6.23), con la (6.24), con la (6.25) o
con la (6.38). Per l’energia interna e per l’entalpia ci si serve in genere
delle (6.91), la seconda delle quali, per la (6.11) e la (6.12) dà luogo alle
relazioni:

Δum = ΣyicviΔT (6.92)


Δhm = ΣyicpiΔT (6.93)
Sostanze pure: i gas 127

Queste relazioni si trovano spesso nella forma:

Δum = cvmΔT (6.94)


Δhm = cpmΔT (6.95)

con cvm e cpm, detti calori specifïci medi massici, che dal confronto delle
(6.94) e (6.95) con le (6.92) e (6.93), risultano espressi dalle relazioni:

cvm = Σyicvi (6.96)


cpm = Σyicpi (6.97)

Come si può osservare dalle (6.94) e (6.95), i calori specifici cvm e cpm,
analogamente ad Rm per l’equazione di stato tra p, v e T permettono di
ricondurre formalmente un sistema a più componenti ad un sistema ad
un solo componente. Si è ora in grado di comprendere completamente
la nota 1 di questo capitolo.

Esercizi

ESERCIZIO 6.1 – In una bombola di 150 litri vi è ossigeno alla pressione di 7,50
atm ed alla temperatura di 20°C. Calcolare la massa dell’ossigeno.
Una parte dell’ossigeno viene opportunamente utilizzata; calcolare quanto
ossigeno è rimasto nella bombola quando la pressione è ridotta a 1,50 atm,
a parità di temperatura.

ESERCIZIO 6.2 – In una bombola è contenuto ossigeno alla pressione di 3,00


atm ed alla temperatura di 20°C. Si calcoli a che temperatura dovrà essere
portato il sistema perché la pressione raggiunga il valore di 4,00 atm.

ESERCIZIO 6.3 – In un sistema pistone-cilindro c’è aria che, alla temperatura


di 20°C ed alla pressione di 1,04 bar, occupa un volume di 0,860 m3. Volendo
che il volume diventi di 1,00 m3 a parità di pressione, calcolare:
1. di quanto deve aumentare la temperatura;
2. quanto vale la densità dell’aria nelle condizioni iniziali.

ESERCIZIO 6.4 – In un sistema pistone-cilindro c’è aria che inizialmente è alla


temperatura di 20°C ed alla pressione di 1,20 bar e occupa un volume di
0,900 m3. Se a parità di temperatura la pressione si riduce a 0,800 bar, quale
sarà il volume?
128 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 6.5 – Con riferimento all’esercizio 6.3, calcolare:


1. la variazione di energia interna specifica;
2. la variazione di entalpia specifica;
3. la quantità di calore da somministrare.

ESERCIZIO 6.6 – Con riferimento all’esercizio 6.2, calcolare:


1. la variazione di entalpia specifica;
2. la variazione di energia interna specifica;
3. la quantità di calore da somministrare per unità di massa.

Esercizio 6.7 – Su un sistema a pareti rigide e fisse di 3,00 m3 contenente


azoto a 30°C e 2,00 atm, viene compiuto un lavoro di elica di 50,0 kJ; con-
temporaneamente, il sistema cede all’ambiente una quantità di calore di 27,6
kcal. Calcolare la temperatura finale dell’azoto.

ESERCIZIO 6.8 – 3000 kg/h di aria alla temperatura di 20°C ed alla pressione
di 1,00 atm entrano in una condotta, avente una sezione costante di 0,125
m2, nella quale c’è un compressore. Considerando la condotta adiabatica e
sapendo che l’aria esce alla temperatura di 60°C ed alla pressione di 2,00
atm, calcolare:
1. la velocità dell’aria nelle sezioni di ingresso ed uscita;
2. la potenza meccanica del compressore.

ESERCIZIO 6.9 – 2,57 kg di ossigeno inizialmente alla pressione di 2,00 atm e


70,0°C vengono portati a 4,00 atm e 690°C. Nell’ipotesi di comportamento
piuccheperfetto, calcolare:
1. la variazione di energia interna;
2. la variazione di entalpia;
3. la variazione di entropia.

ESERCIZIO 6.10 – In riferimento all’esercizio 6.9, nelle ipotesi che il processo


sia a pressione esterna costante, pari a 2,00 atm, e di comportamento piuc-
cheperfetto si calcolino:
1. la variazione di energia interna;
2. la variazione di entalpia;
3. la variazione di entropia.
Sostanze pure: i gas 129

ESERCIZIO 6.11 – Un sistema di 4,57 kg subisce una trasformazione politropica


di esponente 1,35 dallo stato iniziale 1 (p1 = 3,54 atm; v1 = 0,242 m3/kg) allo
stato finale 2 (p2 = 1,88 atm).
Determinare
1. il volume specifico finale,
2. il lavoro della trasformazione.

ESERCIZIO 6.12 – 350 m3/h di aria alla temperatura di 200°C ed alla pressione
di 1,50 atm entrano in un condotto che si trova in un vasto ambiente alla
temperatura di 20°C. All’uscita del condotto la pressione è di 1,00 atm e la
temperatura è di 35°C. Nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto cal-
colare:
1. la variazione oraria di entropia del sistema;
2. la produzione entropica.

ESERCIZIO 6.13 – Un recipiente a pareti rigide, fisse ed adiabatiche è diviso


in due zone di uguale volume da un setto rigido. In una ci sono 2,00 kg di
azoto che occupano 500 litri alla temperatura di 20,0°C, nell’altra c’è il vuoto.
Nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto, si calcolino:
1. la pressione dell’azoto;
2. la pressione che avrà l’azoto una volta asportato il setto e raggiunta una
nuova condizione di equilibrio termodinamico;
3. la produzione entropica.

ESERCIZIO 6.14 – 3500 kg/h di aria a 40,0°C ed 1,00 bar vengono inviati in un
compressore dal quale escono alla pressione di 8,00 bar. Calcolare, nell’ipotesi
di gas piuccheperfetto, la potenza meccanica necessaria:
1. nell’ipotesi di compressione adiabatica reversibile;
2. nel caso che la compressione sia adiabatica con una produzione entropica
specifica di 0,100 kJ/kgK.

ESERCIZIO 6.15 – 16,5 kg di ossigeno alla pressione di 1,00 atm ed alla tem-
peratura di 30,0°C vengono compressi in un sistema pistone-cilindro fino
alla pressione di 6,00 atm. Calcolare, nell’ipotesi di compressione isoterma
reversibile e di comportamento piuccheperfetto:
1. la quantità di calore scambiata;
2. il lavoro;
3. la variazione di entropia.
130 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 6.16 – Un contenitore rigido di 0,280 m3 si trova, con la sua parte


superiore aperta, in un forno in cui c’è aria a 730 K e 100 kPa. Il contenitore è
sigillato, tolto dal forno, e lasciato raffreddare fino a 300 K. Si determinino:
1. la pressione finale dell’aria;
2. l’energia termica ceduta.

ESERCIZIO 6.17 – Determinare il diametro interno minimo di un recipiente


cilindrico alto 70,0 cm che deve contenere 320 g di CO2 a 60°C e nel quale
la pressione non deve superare il valore di 3,80 bar.

ESERCIZIO 6.18 – 50,0 kg di aria in un sistema pistone-cilindro sono inizialmente


a 80,0 kPa e 20°C. L’abbassamento del pistone riduce il volume ad un quarto
del suo valore iniziale. Nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto calco-
lare il lavoro scambiato e la generazione di entropia nell’aria nei casi di:
1. compressione adiabatica reversibile;
2. compressione adiabatica irreversibile con temperatura finale di 15°C mag-
giore rispetto a quella calcolata nel caso precedente.

ESERCIZIO 6.19 – Un recipiente metallico a pareti rigide e fisse contiene 5,00


kg di aria a 20°C e 0,1013 Mpa. In seguito ad una somministrazione di energia
si ha un incremento di temperatura di 130°C. Nell’ipotesi di comportamento
piuccheperfetto calcolare la produzione entropica nelle ipotesi che l’energia
sia fornita:
1. da un SET a 300°C;
2. da un SET a 600°C;
3. da un SEM per mezzo di un’elica rotante nel recipiente.

Esercizio 6.20 – Un sistema pistone-cilindro contenente 2,50 kg di ossigeno è


a contatto con un SET alla sua stessa temperatura, pari a 17,0°C. L’ossigeno
viene compresso reversibilmente e isotermicamente da 1,00 bar a 10,0 bar.
Riferendosi alla superficie di controllo contenente il solo ossigeno, nell’ipotesi
di comportamento piuccheperfetto, si determinino:
1. il lavoro scambiato;
2. l’energia termica trasferita al SET;
3. la generazione di entropia.

ESERCIZIO 6.21 – Una miscela gassosa ha la seguente composizione volume-


trica: H2 = 10,0 %, CO = 35,0 %, N2 = 55,0 %. Calcolare:
Sostanze pure: i gas 131

1. la pressione parziale di ciascun gas quando la pressione totale è di 760


mmHg;
2. la densità del gas in condizioni standard (0°C ed 1,00 atm);
3. la composizione massica;
4. le variazioni specifiche di entalpia, energia interna ed entropia della mi-
scela al passaggio dalle condizioni standard alle condizioni di 3,00 atm e
100°C nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto.

ESERCIZIO 6.22 – In un recipiente a pareti rigide e fisse di 6,80 m3 è contenuta


una miscela costituita in volume dall’80,0% di azoto e dal 20,0% di anidride
carbonica. La temperatura è di 80°C e la pressione è di 2,50 bar. Nell’ipotesi
di comportamento piuccheperfetto calcolare:
1. la composizione massica;
2. la massa dei singoli componenti;
3. la quantità di calore da somministrare al sistema per portarlo alla tempe-
ratura di 500°C;
4. la variazione di entropia della miscela.

ESERCIZIO 6.23 – Un recipiente a pareti rigide di 12,00 m3, termicamente


isolato, è diviso da un setto adiabatico e di volume trascurabile in due parti.
Nella prima, di 8,00 m3 vi è dell’azoto a 5,20 atm e 30,0°C, nell’altra vi è elio a
120°C e 1,15 atm. Nell’ipotesi di comportamento piuccheperfetto calcolare:
1. la variazione totale di entropia conseguente all’eliminazione del setto;
2. le variazione di entropia che si avrebbero successivamente:
2.1. rendendo il setto diabatico;
2.2. rendendo il setto mobile;
2.3. eliminando il setto.
Capitolo settimo
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi

7.1 Vapori saturi

Nel Capitolo 5 si è definita come vapore la fase aeriforme di una


sostanza pura nel campo di temperature inferiori alla temperatura critica.
Il vapore è detto saturo se in equilibrio termodinamico con la corrispon-
dente fase liquida o solida, altrimenti surriscaldato. Poiché lo studio dei
vapori saturi richiede il contemporaneo esame delle fasi solida o liquida,
questo capitolo riguarda, se pure indirettamente, lo studio termodinamico
di tali fasi. Nella trattazione che segue esiste una certa sovrapposizione
con quanto esposto al Capitolo 6, in quanto, come si è detto, la distinzione
fra vapori surriscaldati e gas è puramente formale.
In questo capitolo saranno riportati valori numerici relativi esclusi-
vamente all’acqua. Ciò perché, come si vedrà, la determinazione delle
proprietà termostatiche di una certa sostanza si effettua essenzialmente
mediante tabelle e diagrammi propri di quella sostanza, pertanto, vo-
lendo trattare più sostanze, si sarebbe dovuto per ognuna raccogliere in
Appendice lo stesso numero di tabelle e diagrammi riportati per l’acqua.
D’altra parte per le diverse sostanze queste tabelle e questi diagrammi
sono abbastanza simili. Nei corsi di Termodinamica Applicata la scelta
cade allora sull’acqua, che trova un vastissimo campo di applicazioni nella
pratica ingegneristica.
In un sistema liquido-vapore in equilibrio termodinamico la pressione
del vapore dicesi anche pressione di saturazione o pressione del vapore
saturo.
Si dice titolo di un vapore saturo, e si indica con x, il rapporto:

m vs
x= (7.1)
m l + m vs

con:
mvs = massa della fase aeriforme in equilibrio con la fase liquida, ovvero
massa del vapore saturo secco, kg,
134 Lezioni di Fisica Tecnica

ml = massa della fase liquida in equilibrio con la fase aeriforme, ovvero


massa del liquido saturo, kg.
Ovviamente è anche:

m = ml + mvs (7.2)

con m massa del vapore saturo.


Il titolo è adimensionale ed il suo valore è compreso tra 0 ed 1; in
particolare, vale 0 quando la massa di vapore saturo secco è pratica-
mente nulla, 1 quando la massa di liquido saturo è praticamente nulla.
Per questo motivo, un vapore saturo secco è un vapore saturo di titolo
uno, e un liquido saturo è un vapore saturo di titolo zero. Quanto detto
per l’equilibrio liquido-vapore, può concettualmente essere ripetuto per
l’equilibrio solido-vapore che si instaura per temperature inferiori a quella
di solidificazione, che con ottima approssimazione si può assumere coin-
cidente con TT, temperatura del punto triplo.

7.1.1 Il volume specifico

Si consideri un sistema di volume V contenente vapore saturo alla


temperatura T e siano Vl il volume occupato dal liquido saturo e Vvs
quello occupato dal vapore saturo secco, come schematizzato in Figura
7.1. Ovviamente si ha:

V = Vvs + Vl (7.3)

ossia:

V = mvsvvs + mlvl (7.4)

Vvs

Vl

Figura 7.1 – Schema di sistema contenente vapore saturo.


Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 135

da cui, dividendo per la massa del sistema, m = ml + mvs, e indicando con


vv il volume specifico del vapore saturo, si ottiene:

V m m
= v v = vs v vs + 1 v l (7.5)
m m m

che per la (7.1) e la (7.2) fornisce:

vv = vvsx + vl(1 – x) (7.6)

La (7.6) si trova più frequentemente nella forma:

vv = vl + (vvs–vl)x (7.7)

che si ottiene dalla (7.6) mettendo in evidenza il titolo.

7.1.2 L’energia interna specifica

Per l’energia interna specifica si può ripetere il ragionamento seguito


per il volume specifico: in corrispondenza del generico valore x del titolo,
la parte della miscela in fase vapore saturo secco, mx, ha una energia in-
terna pari a mxuvs essendo uvs l’energia interna specifica del vapore saturo
secco; per quanto riguarda la parte della miscela in fase liquido saturo,
la cui massa è m(1–x), avrà un’energia interna pari a m(1–x)ul, essendo
ul l’energia interna specifica del liquido saturo:

U = Uvs + Ul = mxuvs + m(1 – x)ul (7.8)

che, dividendo 1° e 3° membro per la massa del sistema, diventa:

uv = uvsx + ul(1 – x) (7.9)

indicando con uv l’energia interna specifica del vapore saturo. La (7.9) si


trova più frequentemente nella forma:

uv = ul + (uvs–ul)x (7.10)

che si ottiene dalla (7.9) mettendo in evidenza il titolo.

7.1.3 L’entalpia specifica

Come si è visto al paragrafo 3.4, l’entalpia è una proprietà estensiva,


così come il volume e l’energia interna, per la quale si può ripetere lo
136 Lezioni di Fisica Tecnica

stesso ragionamento fatto per u e v e si arriva alla relazione, corrispon-


dente alle (7.7) e (7.10):

hv = hl + (hvs–hl)x (7.11)

con hvs e hl entalpia specifica rispettivamente del vapore saturo secco e


del liquido saturo.

7.1.4 L’entropia specifica

Anche l’entropia, come si è visto, è una proprietà estensiva, per cui,


ripetendo il ragionamento fatto ai punti precedenti, si arriva alla relazione,
corrispondente alle (7.7), (7.10) e (7.11):

sv = sl + (svs–sl)x (7.12)

con svs e sl entropia specifica rispettivamente del vapore saturo secco e


del liquido saturo.
In definitiva, per il calcolo delle proprietà specifiche v, u, h, s nel
campo dei vapori saturi vale sempre la relazione:

gv = gl + (gvs–gl)x (7.13)

che vede variare la generica proprietà g dal valore gl (per x=0) al valore
gvs (per x=1) con legge lineare crescente, essendo per le quattro proprietà
gvs > gl.

7.1.5 Il calcolo delle proprietà dei vapori saturi con l’uso di Tabelle

Per calcolare vv, uv, hv e sv con le (7.7), (7.10), (7.11) e (7.12) è neces-
sario conoscere le corrispondenti proprietà del liquido saturo e del vapore
saturo secco, che per l’acqua sono riportate, in funzione della temperatura
o della pressione, nella Tabella A.6 dell’Appendice, nella quale si assume
come stato termodinamico di riferimento per l’energia interna (u = 0) e
per l’entropia (s=0) il liquido saturo alla temperatura del punto triplo;
conseguentemente, nello stato di riferimento, l’entalpia specifica, definita
dalla (3.23)1, è maggiore di zero.
In Tabella A.6 nella seconda colonna è riportata la tensione di vapo-
re, in bar; nella terza e quarta colonna sono riportati il volume specifico
del liquido saturo e quello del vapore saturo secco, in m3/kg (si noti che

1
h = u + pv (3.23)
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 137

i valori di vl, essendo piuttosto piccoli, sono stati moltiplicati per 103, per
cui, per esempio, il volume specifico dell’acqua liquido saturo a 20°C
è 1,0017∙10–3 m3/kg ovvero 1,0017 l/kg). Nella quinta, sesta e settima
colonna sono riportate l’entalpia specifica del liquido saturo, l’entalpia
specifica del vapore saturo secco e la loro differenza2, in kJ/kg. Nell’ot-
tava, nona e decima colonna sono riportate l’energia interna specifica
del liquido saturo, l’energia interna specifica del vapore saturo secco e
la loro differenza3, in kJ/kg. Infine, nell’undicesima, dodicesima e tredi-
cesima colonna sono riportate l’entropia specifica del liquido saturo, del
vapore saturo secco e la loro differenza3, in kJ/kgK.
Per la (3.25)4, la differenza (hvs–hl) rappresenta la quantità di energia
termica che bisogna somministrare ad 1 kg di acqua per farla evaporare a
pressione costante, ossia la variazione di entalpia dovuta al passaggio di
fase, grandezza nota anche come calore latente di evaporazione, termine
improprio ma molto usato.
Se si riportano i valori di vl e vvs della Tabella A.6 sulle ascisse di
un piano p,v si ottiene il diagramma di Figura 7.2, che è una parte del
diagramma più completo riportato nella Figura 5.5. La curva BC rappre-
senta il luogo dei punti rappresentativi del liquido saturo, la curva DC,
invece, rappresenta il luogo dei punti rappresentativi del vapore saturo
secco; le due curve si riuniscono nel punto critico, alla cui temperatura
la differenza tra vvs e vl si annulla.
Una curva a campana abbastanza simile si ha anche se si diagram-
mano l’energia interna specifica, l’entalpia specifica o l’entropia specifica
del liquido saturo e del vapore saturo secco in funzione della pressione
(o della temperatura) in un diagramma p,u p,h o p,s (o T,u T,h o T,s). In
tutti questi diagrammi di stato i punti all’interno della curva a campana
sono rappresentativi del vapore saturo ed il titolo è ottenibile grafica-
mente come rapporto di segmenti orizzontali: nell’ipotesi che il sistema
sia rappresentato dal punto P in Figura 7.2, di volume specifico v, il suo
titolo è dato da:

PL
x=
VL
in quanto per la (7.7) è:
v − vl
x=
v vs − v l

2
La settima colonna è stata inserita solo per comodità, in quanto ottenibile per
differenza tra la quinta e la sesta.
3
cfr. nota 2.
4
Q = ΔH = H2 – H1 . (3.56)
138 Lezioni di Fisica Tecnica

e (v – vl) e (vvs–vl) sono proprio dati dai segmenti PL e VL. Si noti che
al segmento LV corrisponde un punto sulla curva TC nel piano p,T di
Figura 5.2; tale punto, caratterizzato da una coppia di valori di pressione
e temperatura, risulta quindi rappresentativo di tutti gli infiniti stati ter-
modinamici caratterizzati da quella coppia di valori di p e T5.

p %!

&! (! '!

pT
#! "!

$* $ $$) $

Figura 7.2 – Diagramma p,v: zona rappresentativa dei vapori saturi.

7.2 Liquidi

Innanzitutto, si ricorda che nel piano p,T di Figura 5.2 gli stati ter-
modinamici nei quali la fase è liquida si trovano nella zona compresa tra
le curve TC e TB, cioè, la sostanza è in fase liquida se la temperatura è
compresa tra quella di fusione e quella di vaporizzazione e se la pressione
è maggiore della tensione di vapore a quella temperatura.
Nella letteratura tecnica, specialmente in quella relativa agli impianti
termici, si utilizzano spesso le diciture “liquido compresso” e “liquido
sottoraffreddato”; entrambe si riferiscono allo stato liquido. Con la prima
dicitura si intende lo stato, liquido, a cui si arriva partendo da uno stato
di saturazione a seguito di una compressione, con la seconda a seguito di
un raffreddamento.

5
Ovviamente, le stesse considerazioni valgono per le curve AT e TB del piano
di Figura 5.2, rappresentative rispettivamente delle condizioni di equilibrio solido-
aeriforme e solido-liquido.
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 139

7.2.1 Il calcolo delle proprietà dei liquidi

Rigorosamente il volume specifico (la densità), l’energia interna


specifica, l’entalpia specifica e l’entropia dei liquidi dipendono sia dal-
la pressione che dalla temperatura; le relative equazioni di stato sono
molto complesse e pertanto raramente impiegate. Nella pratica vengono
utilizzati i seguenti tre metodi che portano a risultati accettabili nelle
applicazioni tecniche.

a) Tabelle a due entrate (p,T)


Questo metodo consiste nell’utilizzare Tabelle che forniscono la gran-
dezza voluta in funzione della pressione e della temperatura.
In Appendice sono riportate le Tabelle A.7, A.8, A.9 e A.10 che
forniscono per l’acqua i valori rispettivamente della densità, dell’entalpia
specifica, dell’energia interna specifica e dell’entropia specifica in fun-
zione della pressione, sulla prima riga, e della temperatura, sulla prima
colonna. I valori relativi alla fase liquida sono quelli al di sopra della
spezzata. Ciascun dato riportato nelle quattro Tabelle è caratterizzato da
una precisione elevata, con un errore non superiore allo 0,1%.
Purtroppo, l’impiego di queste Tabelle comporta quasi sempre l’uso
dell’interpolazione, tecnica che peggiora la precisione del valore calcolato
introducendo un errore connesso all’ipotesi usualmente fatta di variazione
lineare della proprietà in esame con la pressione e/o la temperatura; tale
errore, nel campo dei liquidi, è comunque contenuto entro l’1% ed è
quindi certamente accettabile nei calcoli ingegneristici.
L’esame della Tabella A.7, relativa alla densità evidenzia che questa
grandezza, soprattutto a temperature lontane da quella critica, è molto
poco influenzata dalla pressione. Poiché il volume specifico è il recipro-
co della densità, si può affermare che i liquidi hanno comportamento
praticamente incomprimibile6 e ciò determina una scarsa influenza della
pressione su u ed s. L’entalpia, invece, per la sua stessa definizione, h =
u + pv, risulta influenzata dal prodotto pv.

b) Tabella del vapore d’acqua saturo (A.6)


La considerazione fatta al punto precedente permette di considerare
i valori delle proprietà dei liquidi ad una certa temperatura pari a quelli
corrispondenti ai liquidi saturi alla temperatura considerata per pressioni
superiori a quella di saturazione.

6
Rigorosamente, una sostanza è definita incomprimibile quando è caratterizzata
da v = cost al variare della pressione.
140 Lezioni di Fisica Tecnica

L’errore che si commette nell’applicare questo metodo dipende dalla


grandezza che si vuole calcolare e dalla coppia di valori di pressione e
temperatura; i valori degli errori sono riportati in Tabella 7.1.

Tabella 7.1 – Errore percentuale nella valutazione delle grandezze v, u, s e h


a partire dalla Tabella dei vapori saturi.
p t
proprietà errore
(bar) (°C)
v, u, s <100 <250 < 1%
>100 >250 ≤ 3%
<100 25 – 8%
h 50 – 4%
100 – 2%

c) Metodo analitico
Questo terzo metodo, relativo al calcolo di h, u, s e non di v, si basa
sulle ipotesi di incomprimibilità dei liquidi (dv = 0) e di costanza dei calori
specifici al variare della temperatura. In tali ipotesi per la (3.43)7 è:

du = cvdt (7.14)

Differenziando la (3.23) e ricordando che, essendo il volume specifico


costante, risulta dv = 0, si ha:

dh = du + vdp (7.15)

che per stati termodinamici non prossimi al punto critico, per i quali il
volume specifico dei liquidi è dell’ordine di 10–3 m3/kg e quindi il termine
vdp è generalmente trascurabile rispetto a du, diventa:

du = dh (7.16)

da cui, considerando la (3.43)7 e la (3.44)8 si ottiene:

cp= cv = c (7.17)

7 ⎛ du ⎞
cv = ⎜ ⎟ (3.43)
⎝ dT ⎠v
⎛ dh ⎞
8
cp = ⎜ ⎟ (3.44)
⎝ dT ⎠p
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 141

Risulta pertanto:

du = dh = cdt (7.18)

Dalla prima equazione di Gibbs (4.7)9, data l’ipotesi di volume speci-


fico costante, si ottiene l’equazione per il calcolo dell’entropia specifica:

dT
s=c (7.19)
T

In termini finiti la (7.18) fornisce10:

uf – ui= hf – hi= c⋅ (tf – ti) (7.20)

e la (7.19) diventa:

Tf
s2– s1= c⋅ ln (7.21)
Ti

In Tabella A.4 sono riportati i valori della densità e del calore spe-
cifico per alcune sostanze in fase liquida.
Questo metodo assicura errori nel calcolo di u e di s minori dell’1%
per pressioni minori o uguali a 150 bar e temperature minori o uguali a
200 °C; nel calcolo di h l’errore è contenuto entro l’1% a t = 25°C fino
a 15 bar.

7.3 Vapori surriscaldati

Si è detto che per vapore surriscaldato si intende l’aeriforme la cui


temperatura è inferiore a quella critica e si è visto che nel piano p,T di

du pdv
9
ds = + (4.7)
T T
10
Ricordando quanto detto per l’acqua al paragrafo 7.1.5 circa lo stato di ri-
ferimento assunto per l’energia interna (u = 0) alla temperatura del punto triplo
(t = 0,0 °C), si ha:
u – u0 = h – h0 = c⋅(t – t0)
da cui:
u = h = ct
con t in °C, espressioni di uso corrente per l’acqua liquida a temperature non troppo
elevate.
142 Lezioni di Fisica Tecnica

Figura 5.2 i vapori surriscaldati sono rappresentati dai punti che si trovano
tra le curve AT e TC e l’isoterma a Tc.

7.3.1 Il calcolo delle proprietà dei vapori surriscaldati

Per calcolare le proprietà dei vapori surriscaldati si possono utilizzare


due metodi, illustrati nel seguito.

a) Tabelle a due entrate


Le proprietà dei vapori surriscaldati si valutano con le stesse Tabelle
a due entrate già viste per i liquidi11 nelle quali, come detto, i valori re-
lativi ai vapori surriscaldati sono quelli al di sotto della spezzata, dove la
pressione è inferiore alla tensione di vapore del liquido12.
Come si può vedere dalle Tabelle, le proprietà dei vapori surriscaldati
dipendono sia dalla pressione che dalla temperatura, per cui in generale
bisogna ricorrere ad una interpolazione doppia.
Ricordando quanto detto al paragrafo precedente a proposito del-
l’uso delle Tabelle a due entrate per il calcolo delle proprietà dei liquidi,
si tenga presente che in questo caso, per contenere nell’1% l’errore do-
vuto all’interpolazione lineare, bisogna usare la Tabella della densità per
temperature inferiori a 250°C e quelle dell’entalpia specifica, dell’energia
interna specifica e dell’entropia specifica per pressioni minori o uguali a
100 bar. Superando questi limiti, l’errore cresce in maniera difficilmente
prevedibile, raggiungendo anche il 10% per la densità in prossimità della
zona critica.

b) Diagrammi di stato
Costituiscono il mezzo indubbiamente più semplice per ottenere
le proprietà dei vapori surriscaldati e forniscono anche valori sufficien-
temente precisi per gli scopi ingegneristici, soprattutto se le scale sono
adeguate. In generale, nei diagrammi di stato sono riportate anche fasi
diverse da quella aeriforme.
Il diagramma di stato più utilizzato, soprattutto per l’acqua, è il piano
h,s anche detto diagramma di Mollier, che sarà analizzato nel paragrafo
7.5. Generalmente in questo diagramma è riportata, oltre ad un’ampia
zona della fase aeriforme, anche una piccola zona del campo dei vapori
saturi, relativa a valori elevati del titolo.

11
Per l’acqua sono le Tabelle A.7, A.8, A.9 ed A.10 dell’Appendice.
12
Le Tabelle riportano anche valori relativi a stati termodinamici in fase gassosa,
cioè per temperature superiori a 374,15°C, che è la temperatura critica dell’acqua.
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 143

Molto diffusi sono anche i diagrammi entropici T,s, che generalmente


non vengono usati tanto per la determinazione delle proprietà, quanto
per valutazioni qualitative; il diagramma T,s per l’acqua sarà analizzato
al paragrafo successivo.
Infine, soprattutto nella tecnica del freddo, sono usati i diagrammi
p,h, uno dei quali sarà utilizzato trattando i cicli frigoriferi.

7.4 Il diagramma entropico

Come si è già detto, il piano T,s, comunemente chiamato diagramma


entropico o piano di Gibbs, è uno dei diagrammi di stato più utilizzati per
considerazioni qualitative. Un diagramma T,s dell’H20 è tracciato sche-
maticamente nella Figura 7.3. La curva ABC, curva limite inferiore, è il
luogo di punti rappresentativi di liquidi saturi per i quali è x = 0; il punto
C, massimo della curva a campana ABCDE, è il punto critico; la curva
CDE, curva limite superiore, è il luogo dei punti rappresentativi di vapori
saturi secchi per i quali è x = 1.

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Figura 7.3 – Diagramma entropico schematico per l’H2O.


144 Lezioni di Fisica Tecnica

In Figura 7.3 b), il diagramma è rappresentato con le scale falsate nel


campo del liquido per evidenziare che le isobare non coincidono con la
curva limite inferiore, al contrario di quanto sembrerebbe dalla rappresen-
tazione grafica riportata in Figura 7.3 a); ciò è dovuto alla modestissima
variabilità delle proprietà del liquido, in questo caso l’entropia, con la
pressione, come detto al paragrafo 7.2. In definitiva, per i calcoli a livello
ingegneristico, la curva limite inferiore è rappresentativa sia del liquido
saturo che di quello non saturo. Per p < pc quindi, le isobare coincidono
con la curva limite nella zona del liquido, sono orizzontali nella zona di
equilibrio liquido-vapore ed hanno andamento esponenziale nella zona
degli aeriformi.
Le curve a volume specifico costante sono crescenti, con la concavità
verso il basso, nella zona dei vapori saturi; hanno un punto di discontinuità
di pendenza sulla curva limite superiore ed assumono poi un andamento
simile a quello delle isobare, ma con una pendenza maggiore.
Per le curve a titolo costante, valendo la (7.12), si può ripetere quanto
già detto nel paragrafo 7.1.5. a proposito del piano p,v.
Infine, le curve ad entalpia specifica costante sono decrescenti con
s, con la concavità verso l’alto con un punto di discontinuità della pen-
denza sulla curva limite superiore; al di là di questa, tendono a diventare
orizzontali al diminuire della pressione ovvero allorché il vapore surri-
scaldato assume comportamento da gas perfetto, per il quale come si è
visto è h = h(T).
Non sono riportate le curve ad u = cost.
Per concludere, va sottolineato che quanto detto a proposito del-
l’andamento delle isobare trova corrispondenza nel metodo riportato nel
paragrafo 7.2.1.b per la valutazione delle proprietà dei liquidi non saturi.
Infatti, riscaldando a pressione costante un liquido non saturo a partire
p.e. dal punto H di Figura 7.3, a pressione minore di quella critica, la tra-
sformazione in pratica segue la curva limite inferiore fino alle condizioni
di liquido saturo, B; nel caso di un ulteriore riscaldamento la trasforma-
zione segue prima la BD e poi la DK.

7.5 Il diagramma di Mollier


I1 diagramma di stato più utilizzato per il calcolo delle proprietà
termostatiche di aeriformi e di vapori saturi a titolo molto alto è senz’al-
tro, almeno nel campo degli impianti termici motori, il piano h,s, detto
comunemente diagramma di Mollier, schematicamente tracciato in Figura
7.4. Un diagramma di Mollier per l’acqua è riportato in Figura A.1 del-
l’Appendice.
La curva limite inferiore parte dal punto triplo, in corrispondenza
del quale, per quanto detto al paragrafo 7.1.5, l’entropia vale 0 kJ/kgK e
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 145

l’entalpia 0,01 kJ/kg; tale curva, così come visto per il piano entropico, è
praticamente anche il luogo dei punti rappresentativi delle condizioni di
liquido non saturo, per cui tutte le isobare relative al liquido coincidono
con essa.
Il punto critico, C, non è un punto di massimo, ma si trova a sinistra
del punto di massimo, che è relativo a vapore saturo secco alla tempera-
tura di 235 °C, come risulta dalla Tabella A.6.
Le isobare sono dei segmenti di retta a pendenza crescente con la
pressione nella zona dei vapori saturi, dove ovviamente sono anche isoter-
me, ed hanno invece concavità verso l’alto nel campo del surriscaldato.
Nel surriscaldato le isoterme si discostano dalle isobare ripiegando
bruscamente verso destra e tendendo a divenire orizzontali al tendere
della sostanza al comportamento da gas perfetto.
Anche in questo piano, come nel p,v e nel T,s, le curve a titolo co-
stante dividono i segmenti rappresentativi delle isoterme-isobare di satu-
razione in parti proporzionali al titolo.
Infine, le curve a volume specifico costante hanno in ogni punto una
pendenza maggiore dell’isobara passante per quel punto: nel campo sa-
turo presentano una leggerissima concavità verso l’alto, che si accentua
in quello del surriscaldato.
Non sono quasi mai riportate le curve ad u = costante.
I diagrammi di Mollier, per l’uso cui sono destinati, generalmente non
comprendono tutto il piano h,s, schematicamente tracciato nella Figura
7.4, ma solo la zona dell’aeriforme e del vapore saturo a titolo elevato,
in Figura riquadrata con linea a tratteggio.

h isobare

isoterme

isotitolo

s
Figura 7.4 – Diagramma schematico di Mollier per l’H2O.
146 Lezioni di Fisica Tecnica

7.6 I solidi

Nel piano p,T di Figura 5.2 gli stati termodinamici nei quali la fase è so-
lida si trovano a sinistra delle curve AT e TB. Anche per i solidi, come per i
liquidi, le proprietà, con l’eccezione dell’entalpia, in pratica non dipendono
dalla pressione ma solo dalla temperatura; ricordando la (7.16) è:

h=u (7.22)

L’aver assunto l’energia interna nulla per il liquido saturo alla tem-
peratura del punto triplo13, comporta per i solidi la seguente relazione:

h = u = λ + c(t – tT) (7.23)

con:
λ = calore latente di solidificazione, ovvero variazione di entalpia do-
vuta al passaggio di fase, kJ/kg,
c = calore specifico del solido, kJ/kg°C,
tT = temperatura del punto triplo, °C.
Per l’acqua si hanno i seguenti valori:

λ = – 333,5 kJ/kg ; c = 2,09 kJ/kg°C ; tT = 0,01 °C

Dalla (7.23) si ricava che la variazione di entalpia specifica e quella


di energia interna specifica per una trasformazione che avvenga comple-
tamente in fase solida risulta:

Δh = h2 – h1 = Δu = u2 – u1 = c(t2 – t1) (7.24)

dove, nella differenza, scompare il calore latente di solidificazione.


Per quanto riguarda l’entropia specifica, assumendo, come si è visto,
s = 0 kJ/kgK per il liquido saturo alla temperatura del punto triplo, per i
solidi si ha la seguente relazione:

λ T
s= + c ln (7.25)
TT TT

con:
TT = temperatura del punto triplo, K.

13
Cfr. paragrafo 7.1.5
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 147

Dalla (7.25) si ricava che la variazione di entropia specifica per una


trasformazione che avvenga completamente in fase solida risulta:

T2
Δs = s2 – s1 = cln (7.26)
T1

Nella Tabella A.5 dell’Appendice sono riportati i calori specifici e


la densità di alcune sostanze in fase solida per temperature prossime a
quelle ambientali.

Esercizi

ESERCIZIO 7.1 – Calcolare:


1. la densità;
2. l’energia interna;
3. l’entalpia;
4. l’entropia;
di 7,56 kg di vapor d’acqua saturo di titolo 0,800 a 150°C.

ESERCIZIO 7.2 – Verificare il valore di hl per l’acqua liquido saturo alla tem-
peratura del punto triplo.

ESERCIZIO 7.3 – Calcolare:


1. la densità,
2. l’energia interna,
3. l’entalpia
di 12,8 kg di vapor d’acqua saturo di titolo 0,230 a 71,5°C.

ESERCIZIO 7.4 – Calcolare la densità di 43,5 kg di acqua avente la temperatura


di 200°C e l’entalpia di 8,70 ⋅ 104 kJ.

ESERCIZIO 7.5 – 20,0 kg di acqua alla pressione atmosferica devono essere


portati da 15,0°C a 80,0°C. Calcolare, utilizzando le Tabelle:
1. il volume del sistema all’inizio e alla fine della trasformazione;
2. la quantità di calore necessaria.
3. Valutare l’errore che si commetterebbe risolvendo l’esercizio con il meto-
do c).
148 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 7.6 – Dell’acqua si trova alla pressione di 2,32 bar ed ha una entalpia
specifica di 398 kJ/kg. Stabilirne la temperatura.

ESERCIZIO 7.7 – 20,0 l/h di ammoniaca liquida devono essere portati da 20°C
a 40°C. Calcolare la potenza termica da somministrare.

ESERCIZIO 7.8 – Si calcoli la quantità di calore da somministrare ad 1,00 m3


di acqua che, alla pressione costante di 1,00 atm, deve essere portata dalla
temperatura di 8,0°C alla temperatura di 35,0°C.

ESERCIZIO 7.9 – In uno scaldabagno, considerato come un sistema chiuso, sono


contenuti 80 litri di acqua. L’acqua viene portata, a pressione costante e pari a
2,00 atm, dalla temperatura di 10,0°C a quella di 60,0°C. Si calcoli la potenza
termica da fornire nei seguenti casi:
a) tempo impiegato 2 h;
b) tempo impiegato 3 h.

ESERCIZIO 7.10 – Dell’acqua a 10,0°C e 1,00 bar viene compressa a temperatu-


ra costante fino alla pressione di 150 bar, quindi, a pressione costante, viene
portata in condizioni di liquido saturo. Valutare:
1. la variazione di entalpia specifica nella trasformazione 1-2;
2. la variazione di entalpia specifica nella trasformazione 2-3.

ESERCIZIO 7.11 – In un serbatoio a pareti rigide e fisse di 3,00 m3 si trova


dell’acqua a 300°C e 5,00 bar. Calcolare per l’acqua:
1. l’entalpia totale;
2. l’energia interna totale;
3. l’entropia totale.

ESERCIZIO 7.12 – Per acqua nello stesso stato dell’esercizio 7.11 (t=300°C,
p=5,00 bar), facendo uso del diagramma di Mollier, calcolare:
1. la densità;
2. l’entalpia specifica;
3. l’entropia specifica;
4. l’energia interna specifica.
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 149

ESERCIZIO 7.13 – 15,0 kg di acqua vengono portati, alla pressione costante di


1,00 atm, dalla temperatura di 25,0°C alla temperatura di –15,0°C. Calcolare
la quantità di calore da sottrarre.

ESERCIZIO 7.14 – Una parete di calcestruzzo di 3,00 × 4,00 metri, spessa 30 cm,
passa da 10°C a 30°C. Calcolare la quantità di calore somministrata.

ESERCIZIO 7.15 – In un sistema pistone-cilindro alla pressione costante di 3,0


bar vi sono 5,00 kg di acqua alla temperatura di 200°C. Calcolare la quantità
di calore da somministrare per portare il sistema a 260°C.

ESERCIZIO 7.16 – In un serbatoio ci sono 350 kg di acqua alla pressione di 7,50


bar e 200°C. Calcolare:
1. quanta acqua dovrà essere aggiunta per portare la pressione a 10,0 bar con
temperatura finale coincidente con quella iniziale;
2. a quale temperatura dovrà essere portata l’acqua se si vuole che raggiunga
la stessa pressione senza aggiungere altra acqua;
3. la quantità di calore che si deve somministrare nel caso 2.

ESERCIZIO 7.17 – In un serbatoio di 700 litri sono contenuti 1,64 kg di acqua


che dalla temperatura di 30°C vengono portati a 200°C. Calcolare:
1. le pressioni iniziale e finale dell’acqua;
2. la quantità di calore somministrata.

ESERCIZIO 7.18 – In un condotto circolare entrano 350 kg/h di acqua a 10,0 bar
e 400°C: attraverso le pareti del condotto si disperde una potenza termica di
300 kW. All’uscita la pressione dell’acqua è di 2,70 bar. Calcolare:
1. la temperatura dell’acqua all’uscita dal condotto;
2. il diametro del condotto all’ingresso ed all’uscita per avere una velocità di
1,00 m/s.

ESERCIZIO 7.19 – 300 kg/h di acqua a 10,0 bar e 50,0°C entrano in un condot-
to circolare. La pressione è praticamente uniforme e attraverso le pareti del
condotto l’acqua riceve una potenza termica di 150 kW. Calcolare:
1. la temperatura dell’acqua all’uscita del condotto;
2. il diametro del condotto all’uscita per una velocità di 1,00 m/s;
3. la portata volumetrica nella sezione di uscita.
150 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 7.20 – In un contenitore a pareti rigide e fisse di 4,00 m3 di volume


è contenuta acqua alla temperatura di 100°C. Mediante somministrazione di
calore il sistema raggiunge la temperatura di 400°C e la pressione di 50 bar.
1. Calcolare la quantità di calore somministrata.
Successivamente si scarica una parte dell’acqua; chiusa la valvola di scarico
e ripristinato l’equilibrio termodinamico, nel contenitore si misurano una
temperatura di 110°C ed una pressione di 1,00 bar.
2. Calcolare la quantità di acqua scaricata.

ESERCIZIO 7.21 – In una caldaia arrivano due portate di acqua: una portata
di 100 litri/h alla pressione di 3,61 bar ed alla temperatura di 20°C ed una
portata di 40,0 m3/h alla pressione di 3,61 bar e con titolo 0,200. La caldaia
fornisce una potenza termica di 10,0⋅105 kJ/h. Determinare, per la corrente
uscente dalla caldaia, che risulta dal mescolamento delle due correnti entranti,
sapendo che all’uscita dalla caldaia la pressione è di 1,50 bar:
1. la temperatura;
2. la portata volumetrica.

ESERCIZIO 7.22 – In un sistema pistone-cilindro alla pressione costante di 5,00


bar ci sono 1,73 kg di acqua a 115°C. Al sistema viene somministrata una
quantità di calore di 4000 kJ. Calcolare:
1. la variazione di entropia;
2. il lavoro termodinamico.
Tracciare la trasformazione sul piano T,s.

ESERCIZIO 7.23 – In un condotto orizzontale fluisce una portata di acqua di


3400 kg/h in condizioni di vapore saturo. In una sezione 1, di area 238 cm2, la
temperatura è di 180°C, la pressione di 10,0 bar, la velocità di 1,60 m/s. Nella
sezione 2, a valle di 1, la pressione è di 8,83 bar e la temperatura di 208°C.
A valle della sezione 2 il fluido viene inviato in una turbina dove subisce
un’espansione adiabatica non reversibile. La pressione nella sezione della tur-
bina, è di 0,199 bar e l’entropia specifica è di 7,50 kJ/kg. Calcolare:
1. la potenza termica somministrata nel tratto 1-2;
2. la potenza meccanica della turbina;
3. la produzione entropica nella turbina.
Tracciare la trasformazione sul piano T,s.

ESERCIZIO 7.24 – In un recipiente a pareti rigide e fisse di 1400 litri sono con-
tenuti 3,56 kg di acqua. La temperatura è di 30,0°C. Calcolare la quantità di
calore da somministrare al sistema per portarlo
Sostanze pure: vapori, liquidi e solidi 151

1. alla temperatura di 140°C;


2. alla temperatura di 200°C.
Rappresentare in un piano T,s gli stati termodinamici iniziale e finale.

Esercizio 7.25 – 300 kg/h di vapor d’acqua a 39,8 bar subiscono un processo
alla fine del quale si misurano una pressione di 1,00 bar ed una temperatura
di 125°C. Si sa pure che l’entalpia specifica alla fine del processo, h2, è uguale
al suo valore iniziale, h1. Calcolare la portata volumetrica del vapore all’inizio
della trasformazione.
Tracciare la trasformazione sul piano T,s.

ESERCIZIO 7.26 – Una caraffa contiene 1,5 l di aranciata alla temperatura am-
biente di 25,0°C, che deve essere portata alla temperatura di 12,0°C mediante
aggiunta di ghiaccio, disponibile a –15,0°C. Calcolare la quantità di ghiaccio
necessaria.

ESERCIZIO 7.27 – Un bicchiere contiene 0,200 l di acqua alla temperatura di


15,0°C, alla pressione atmosferica. Si calcoli la quantità di ghiaccio, disponibile
a –15,0°C, da aggiungere all’acqua per ottenere una granita con il 30,0% di
ghiaccio.
Capitolo ottavo
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni
di termodinamica

8.1 Bilancio di energia meccanica su sistemi aperti

Il Capitolo 3 è stato dedicato al bilancio di energia in sistemi chiusi


ed aperti, ovvero al 1° principio della termodinamica.
Nella tecnica è di grande interesse, nei sistemi aperti, anche il bilancio
della sola energia meccanica che, in condizioni di regime permanente ed
in sistemi con una sola sezione di ingresso ed una sola sezione di uscita,
fornisce la seguente espressione, la cui modalità di ottenimento non rien-
tra nelle finalità di questo testo:

1
w 12 − w 22
l = g(z1 − z 2 ) + − R − ∫ vdp (8.1)
2 1

dove i pedici 1 e 2 indicano rispettivamente la sezione di ingresso e quella


di uscita e dove tutti i termini sono energie specifiche, quindi espresse
in J/kg o in kJ/kg. In particolare, w2/2 rappresenta l’energia cinetica, gz
l’energia potenziale1 gravitazionale e l il lavoro, termini ben noti in quan-
to
2 compaiono anche nel 1° principio della termodinamica; i due termini,
∫ vdp ed R, non incontrati precedentemente, saranno di seguito appro-
fonditi.
1

La (8.1), che è nota come bilancio di energia meccanica o bilancio di


forze o bilancio di quantità di moto, permette di ricavare il lavoro di un
sistema aperto dalla conoscenza delle proprietà del fluido nelle sezioni 1 e
2 purché sia possibile integrare il termine vdp e calcolare R, detto perdita
di carico2; R è un termine di generazione per l’energia meccanica sempre
positivo, o al più nullo nel caso di trasformazioni reversibili, in quanto

1
In seguito detta semplicemente energia potenziale.
2
Il calcolo di R sarà trattato nel paragrafo 8.2.
154 Lezioni di Fisica Tecnica

rappresenta l’energia meccanica specifica che si trasforma in energia in-


terna per gli effetti dissipativi dovuti alla viscosità del fluido3.
2
Il termine (– ∫ vdp ) fornisce il lavoro trasferito in un sistema aperto a
1
seguito di una trasformazione internamente reversibile, quando le varia-
zioni di energia cinetica e potenziale sono trascurabili, ed è graficamente
rappresentato in un piano p,v dall’area sottesa alla curva della trasforma-
zione rispetto all’asse delle pressioni. Nell’esempio riportato in Figura 8.1,
con p1 > p2, il lavoro, e quindi l’area che lo rappresenta, risulta positivo.
'
2' '
' 8'

0'

' >'

Figura 8.1 – Espressione grafica del lavoro connesso all’espansione in un sistema


aperto nel caso di fluido comprimibile.

Sulla base di quanto presentato in questo testo, il termine vdp può


essere integrato, in maniera semplice, solo per liquidi (nell’ipotesi di
comportamento incomprimibile) e per gas piuccheperfetti interessati da
trasformazioni politropiche.
La perdita di carico R non compare nell’espressione del I principio in
quanto non costituisce un flusso di energia che attraversa le superfici del
sistema ma rappresenta l’energia meccanica che, nel volume di controllo,
si trasforma per attriti in energia interna.
Si noti anche che la conoscenza del processo che avviene nel volume
di controllo non è necessaria nell’applicazione delle equazioni della con-
tinuità e del primo principio in condizioni di regime permanente, mentre

3
Si noti che R è l’unica grandezza specifica che, in questo testo, viene rappre-
sentata da una lettera maiuscola.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 155

è richiesta per applicare l’equazione di bilancio dell’energia meccanica


2
nel caso di fluidi comprimibili, a causa dei termini R e – ∫ vdp ; nel caso
1
di fluidi incomprimibili, ovviamente, tutto ciò vale solo per le perdite di
carico in quanto risulta:
2
– ∫ vdp = v(p1 – p2) (8.2)
1

Nel caso di fluido a comportamento incomprimibile, l’equazione di


bilancio dell’energia meccanica risulta:

w 12 w2
gz1 + + p1v1 = gz2 + 2 + p2v2 + R + l (8.3)
2 2

che nel caso anche di perdite di carico trascurabili e di lavoro nullo di-
venta:

w 12 w2
gz1 + + p1v1 = gz2 + 2 + p2v2 (8.4)
2 2

nota come equazione di Bernoulli.


Dividendo tutti i membri della (8.4) per g si ottiene un’ulteriore
espressione dell’equazione di Bernoulli, espressa nelle unità del Sistema
Tecnico:

w 12 p1 w2 p
z1 + + = z2 + 2 + 2 (8.5)
2g γ 1 2g γ 2

con γ peso specifico, nella quale tutti i termini sono lunghezze, ovvero
energie per unità di peso di fluido e quindi espressi in kpm/kp, ovvero
in metri.
La (8.5), nel caso di presenza di perdite di carico, risulta ovviamente:

w 12 p1 v 1 w2 p v R
z1 + + = z2 + 2 + 2 2 + (8.6)
2g g 2g g g

In idraulica, disciplina nella quale le equazioni (8.5) e (8.6) trovano


vasta applicazione, generalmente si adotta la seguente terminologia:
z1, z2 = quote geometriche delle sezioni 1 e 2;
156 Lezioni di Fisica Tecnica

w 12 w 22
, = quote cinetiche nelle sezioni 1 e 2;
2 2
p1 v 1 p 2 v 2
, = quote piezometriche nelle sezioni 1 e 2;
g g
R
= perdita di carico per unità di peso fra le sezioni 1 e 2;
g
le quote geometriche, cinetiche e piezometriche sono misurabili sperimen-
talmente in modo semplice, il che consente di calcolare per differenza le
perdite di carico.

8.2 Perdite di carico nel moto di fluidi in condotti

8.2.1 Regimi di moto di fluidi in condotti

Il moto di un fluido si può svolgere secondo due modalità che ven-


gono definite: regime laminare e regime turbolento.

8.2.1.1 Regime laminare


I1 moto si dice in regime laminare qualora le particelle di fluido
seguano traiettorie ben definite, costituenti delle linee regolari, immobili
rispetto alle pareti del condotto e parallele a queste. In tale tipo di moto
in ogni punto la componente della velocità del fluido normale all’asse del
condotto è nulla.
Allorquando un fluido si deforma a causa del moto e dell’applica-
zione di forze esterne, si manifestano effetti di attrito causati dal moto
relativo di ciascun elemento di fluido rispetto agli altri. Questi effetti si
rilevano in tutti i fluidi reali e sono dovuti alla viscosità. Per comprendere
il significato di questa grandezza si consideri un sottile strato di fluido
compreso fra due superfici parallele di area! A, poste a distanza dy, come
mostrato in Figura 8.2. Una forza costante F applicata parallelamente ad
una! delle superfici dà luogo ad un moto uniforme della stessa nel verso
di F , con velocità dw! rispetto alla superficie fissa. In condizioni di regi-
me, la forza esterna F è bilanciata da una eguale forza interna dovuta
alla viscosità del fluido. L’intensità di tale forza tangenziale per unità di
area risulta proporzionale alla derivata della velocità dw/dy mediante un
coefficiente di proporzionalità detto viscosità dinamica del fluido, μ:

F dw
τ= =μ (8.7)
A dy
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 157

Dalla (8.7) risulta che nel Sistema Internazionale la viscosità dinamica


è misurata in Ns/m2 ovvero in kg/ms.
Il moto laminare di un fluido a viscosità non nulla, in prossimità di
una superficie fissa, è caratterizzato dallo scorrere del fluido stesso lungo
vene fluide ciascuna dotata di velocità diversa da quella ad essa adiacente.
Gli elementi fluidi a contatto con la superficie solida sono ad essa solidali,
assumendone quindi la velocità.

' *72"36$+$"'=%;$1"'

)''

'
(W
(Y'

'

*72"36$+$"'6$**,'
'
Figura 8.2 – Schema per la comprensione della (8.7).

È opportuno mettere in evidenza che lo sforzo tangenziale può anche


essere espresso come flusso di quantità di moto in quanto, per la 2a legge
di Newton, la forza può essere interpretata come variazione di quantità
di moto nell’unità di tempo. Nel caso del moto laminare tale flusso è
normale alla direzione della velocità.

8.2.1.2 Regime turbolento


Qualora il moto del fluido avvenga non secondo filetti regolari e pa-
ralleli ma seguendo traiettorie irregolari, casualmente variabili nel tempo,
si parla di moto in regime turbolento. In questo tipo di moto gli elementi
di fluido sono dotati di movimenti irregolari che si sovrappongono alla
direzione principale del moto e assumono velocità istantanee con compo-
nenti sia parallele che perpendicolari all’asse del condotto.
Appare chiaro che nel caso di regime turbolento non si possono mai
ravvisare le condizioni di moto permanente. Se però si estende l’osser-
vazione ad un intervallo di tempo non troppo breve, si può constatare
che, mentre il valore medio delle componenti perpendicolari all’asse del
condotto è nullo, quello della componente lungo l’asse non lo è; in par-
ticolare, qualora tale valore medio risulti costante nel tempo, e risulti
costante nel tempo anche il valore medio di ogni grandezza termostatica,
si può parlare di moto mediamente permanente. È bene però chiarire che
a rigore può definirsi moto permanente solo un moto in regime laminare
158 Lezioni di Fisica Tecnica

nel quale può essere verificata l’effettiva costanza nel tempo, in ogni punto,
sia della velocità che delle proprietà termostatiche.
Da quanto detto, risulta evidente che ogni qual volta nel moto tur-
bolento mediamente permanente si parla di proprietà del fluido in un
punto, si intende riferirsi al valore medio nel tempo di quella proprietà
nel punto.

8.2.1.3 Numero di Reynolds


La presenza di vortici in seno al fluido in moto turbolento comporta
trasporto di quantità di moto e di massa, oltre che eventualmente di calo-
re, che si sovrappone al trasporto che si ha su scala molecolare. Il trasporto
che avviene a livello molecolare è anche detto diffusivo o conduttivo,
quello dovuto alla turbolenza viene detto turbolento o convettivo.
Nel fluido gli sforzi tangenziali, dovuti alla viscosità, tendono a stabi-
lizzare il moto laminare, mentre le forze d’inerzia, legate alla densità ed
alla velocità del fluido, tendono a distruggere tale moto per cui il moto
avviene secondo il regime laminare o turbolento al prevalere rispettiva-
mente delle forze viscose o di quelle d’inerzia. È stato sperimentalmente
verificato che l’instaurarsi di uno dei due regimi di moto in una sezione di
un condotto percorso da un fluido dipende dai valori assunti dai seguenti
parametri nella sezione in esame:
• velocità media, W;
• densità media, ρ;
• viscosità media, μ;
• diametro equivalente del condotto, definito come Deq = 4Ω/P, dove
Ω è l’area della sezione e P il perimetro bagnato (per tubi circolari
completamente riempiti risulta Deq = D).
In particolare, i dati sperimentali (dovuti inizialmente al Reynolds)
hanno consentito di verificare che il regime di moto che si determina
nella sezione dipende dalla seguente particolare combinazione di questi
parametri:

w Deq ρ
(8.8)
μ

detta numero di Reynolds, adimensionale, ed indicata simbolicamente con


NRe o, più frequentemente, con Re. Nel moto in condotti, per valori di Re
inferiori a circa 2300 il moto è generalmente laminare, mentre per valori
superiori a circa 2300 è generalmente turbolento; tale valore, detto valore
critico e normalmente assunto come indicatore della transizione fra i due
regimi di moto, rappresenta in realtà una media fra numerosissimi dati
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 159

sperimentali, per cui è difficile definire a priori quale regime di moto si


instauri nell’ambito dei numeri di Reynolds compresi fra 2000 e 4000,
dipendendo tale circostanza da ulteriori fattori difficilmente valutabili.
Nel numero di Reynolds compare il rapporto di due proprietà ter-
mostatiche, μ/ρ, indicato con ν, chiamato viscosità cinematica. La viscosità
cinematica è misurata nel Sistema Internazionale in m2/s. In definitiva
si ha:

w Deq ρ w Deq
Re = = (8.9)
μ ν

Nella Tabella 8.1 vengono riportati i valori di viscosità dinamica e


cinematica per l’aria alla pressione atmosferica e per l’acqua in fase di
liquido saturo in funzione della temperatura.
A conclusione di questo paragrafo si noti che in questo testo i siste-
mi aperti sono stati sempre trattati considerando le proprietà del fluido
uniformi in ciascuna sezione normale alla direzione del moto e variabili
quindi solo lungo la direzione del moto stesso. Infatti nell’equazione di
bilancio di materia, nel 1° e 2° principio della termodinamica e nell’equa-
zione dell’energia meccanica non si è mai considerata la distribuzione
delle proprietà nella sezione perpendicolare alla direzione del moto: si
è fatta cioè l’ipotesi di moto unidimensionale. Ora si può precisare che
per fluidi in condotti tale ipotesi è verificata nella pratica con buona ap-
prossimazione se il moto è in regime turbolento; infatti, nel caso di moto
turbolento, in ogni sezione, l’andamento dei valori medi nel tempo di ogni
grandezza si presenta sufficientemente appiattito, con una brusca varia-
zione solo in prossimità della parete, e l’appiattimento è tanto maggiore
quanto maggiore è il numero di Reynolds. Viceversa, nel caso di moto
laminare, l’andamento delle proprietà è variabile con continuità dalle
pareti all’asse del condotto, poiché in tutta la sezione si risente l’effetto
della parete, per cui l’ipotesi di moto unidimensionale non è accettabile
in regime laminare.

Tabella 8.1 – Valori di viscosità dinamica, μ, e di viscosità cinematica, ν, per l’aria


alla pressione atmosferica e per l’acqua in fase di liquido saturo.
aria alla pressione atmosferica acqua in fase di liquido saturo
T (°C) μ⋅103 (kg/ms) ν⋅106 (m2/s) μ⋅103 (kg/ms) ν⋅106 (m2/s)
0 0,0173 13,4 1,79 1,79
25 0,0185 15,6 0,911 0,904
50 0,0197 18,0 0,576 0,582
100 0,0219 23,2 0,287 0,300
150 0,0240 28,8 0,186 0,203
200 0,0260 34,8 0,138 0,160
160 Lezioni di Fisica Tecnica

Quanto ora detto è evidenziato dalla Figura 8.3, nella quale è rap-
presentato qualitativamente il variare del profilo della velocità al variare
di Re.

8.2.2 Calcolo delle perdite di carico nel moto di fluidi in condotti

Per quanto concerne il calcolo delle perdite di carico nel caso di


moto in condotti, si noti che questi ultimi sono generalmente costituiti
da tronchi a sezione costante e ad asse rettilineo tra i quali sono inseriti
brevi tratti nei quali la vena fluida subisce variazioni brusche di sezione o
di direzione per la presenza di valvole, raccordi, gomiti, diramazioni, ecc.
Le perdite di carico che si determinano nei tratti a sezione costante ad
asse rettilineo vengono dette perdite di carico continue o distribuite; quelle
che si verificano nei tratti nei quali si hanno variazioni brusche di sezione
o direzione vengono dette perdite di carico localizzate o accidentali.

A"'_'0FZZ'

A"'M'0FZZ'

A"'MM'0FZZ'

Figura 8.3 – Andamento dei profili di velocità in un condotto a sezione circolare al


variare del numero di Reynolds

8.2.2.1 Perdite di carico distribuite


Le perdite di carico distribuite sono calcolabili mediante la rela-
zione:
L w2
R=λ (8.10)
Deq 2

dove L rappresenta la lunghezza del tronco di condotto in esame, Deq il


suo diametro equivalente, w la velocità media e λ un coefficiente adimen-
sionale detto coefficiente di attrito.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 161

Sperimentalmente si è visto che il coefficiente di attrito è funzione


della viscosità cinematica e della velocità del fluido, delle caratteristiche
geometriche e della scabrezza delle superfici interne del condotto. Tale
dipendenza è esprimibile in funzione di due soli gruppi adimensionali: il
numero di Reynolds e la scabrezza relativa della parete, rapporto fra la
dimensione media delle asperità della parete, ε, detta anche scabrezza
assoluta4, ed il diametro equivalente del condotto, Deq. La determinazio-
ne di λ in funzione del numero di Reynolds e della scabrezza relativa è
effettuata generalmente mediante 1’abaco di Moody, riportato in Figura
A.3 dell’Appendice. Nell’abaco di Moody, che è in scale logaritmiche, si
distinguono tre zone: la zona del regime laminare, nella quale λ dipende
solo da Re e non dipende dalla scabrezza, una zona, detta di transizione,
nella quale λ dipende sia da Re che da ε/Deq, ed infine una zona, detta
di completa turbolenza, nella quale λ dipende solo da ε/Deq ed è indipen-
dente da Re.
È opportuno precisare che la (8.10) vale per tratti di condotti per i
quali la velocità del fluido ed il coefficiente di attrito siano costanti; na-
turalmente, la costanza del coefficiente di attrito richiede la costanza del
numero di Reynolds e della scabrezza relativa.

8.2.2.2 Perdite di carico concentrate o localizzate


Le perdite di carico concentrate o localizzate si calcolano con la se-
guente relazione, analoga alla (8.10):

w2
R=ξ (8.11)
2

dove ξ è un coefficiente adimensionale, funzione delle caratteristiche geo-


metriche della particolare discontinuità ed, in generale, del numero di
Reynolds. Generalmente, nelle applicazioni tecniche, per il calcolo delle
resistenze concentrate si considera il moto completamente turbolento:
in tal caso il valore di ξ risulta indipendente da Re. Nella Tabella A.13
dell’Appendice si riportano i valori di ξ per alcune geometrie.
Spesso, nei calcoli si preferisce considerare la perdita di carico con-
nessa a ciascuna resistenza localizzata come se fosse dovuta a perdite di
tipo distribuito nell’ipotesi che la tubazione sia più lunga che nella realtà.
Si definisce così la lunghezza equivalente, Leq, ad una certa discontinuità
come la lunghezza di tubazione, del tipo di quella nella quale la disconti-
nuità stessa è inserita, che dia luogo alla stessa perdita di carico. Si pone
cioè:

4
Nella Tabella A.12 dell’Appendice si riportano alcuni valori tipici di ε utiliz-
zabili per il calcolo della scabrezza relativa.
162 Lezioni di Fisica Tecnica

w2 L eq w 2
ξ =λ (8.12)
2 Deq 2

da cui risulta:

Deq
Leq = ξ (8.13)
λ

Alcuni manuali riportano Tabelle di valori di lunghezze equivalenti


che, per la (8.13), risultano funzione, oltre che del tipo e delle caratteri-
stiche geometriche della discontinuità, anche del diametro della condotta
e del particolare valore di λ.

8.3 Laminazione

Se nel condotto in cui fluisce un fluido esiste una brusca riduzione di


sezione, data per esempio dalla presenza di una strozzatura o di un setto
poroso, come schematizzato nella Figura 8.4, si ha un processo chiamato
di laminazione.

8' 0'

Figura 8.4 – Schema di un condotto con brusca riduzione di sezione.

La strozzatura, o il setto poroso, dà luogo ad una perdita di carico


localizzata per cui, trascurando le variazioni di energia cinetica e quelle di
energia potenziale5 ed essendo anche nullo il lavoro, dalla (8.1) risulta:

2
– ∫ vdp = R (8.14)
1

5
Tali variazioni sono rigorosamente nulle se il sistema di Figura 8.3 è orizzontale
e se le sezioni sono tali da rendere w1=w2.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 163

che per il teorema della media si può sempre scrivere come:

R = v (p1 – p2) (8.15)

con v opportuno valore medio del volume specifico. Essendo R, come


si è visto, certamente positiva, da questa relazione si ricava che a valle
della strozzatura o del setto poroso la pressione è certamente minore
della pressione a monte (p1 > p2) ed è tanto minore quanto maggiore è
la perdita di carico, cioè la strozzatura.
Se le sezioni 1 e 2 sono sufficientemente lontane dall’ostacolo da
poter considerare in esse il moto unidimensionale e se non vi sono, o
sono trascurabili, gli scambi di calore tra le sezioni 1 e 2, essendo l = 0,
il 1° principio della termodinamica fornisce:

w 22 − w 12
h1 = h2 + + g(z2 – z1) (8.16)
2

Se, come avviene generalmente nei processi reali, le variazioni di


energia cinetica e di energia potenziale sono trascurabili rispetto a quella
all’entalpia specifica, ovvero, rigorosamente, se le sezioni del condotto
a monte ed a valle della strozzatura sono tali da realizzare l’uguaglian-
za della velocità in 1 e 2 e se il tratto di condotto è orizzontale, si ot-
tiene:

h1 = h2 (8.17)

il che non significa che il processo di laminazione è isoentalpico, ma sem-


plicemente che, scelte opportunamente le sezioni di ingresso e di uscita
del condotto, in tali sezioni i valori delle entalpie sono uguali. Infatti, il
processo di laminazione è certamente irreversibile, in quanto la perdita di
carico è un effetto dissipativo; pertanto, non è possibile definire il valore
di h durante la trasformazione.
Per il processo di laminazione, che è adiabatico irreversibile, dal se-
condo principio della termodinamica si ha infine:

s2 > s1 (8.18)

ovvero a valle della strozzatura l’entropia specifica è maggiore di quella


a monte, ed è tanto maggiore quanto maggiore è la strozzatura.
Se il fluido che viene laminato è un gas perfetto, per il quale l’entalpia
specifica è funzione solo della temperatura, dalla (8.17) si ha anche:

t2 = t1 (8.19)
164 Lezioni di Fisica Tecnica

Invece, se il fluido laminato è un gas che non ha comportamento da


gas perfetto, la temperatura a valle della strozzatura può aumentare o
diminuire. L’argomento esula però dalla trattazione di questo testo.
Se invece il fluido laminato è un vapore surriscaldato, come si può
vedere dal diagramma T,s o dal diagramma h,s, diminuendo la pressione
a parità di entalpia, si ha una diminuzione della temperatura; al dimi-
nuire della pressione iniziale ed all’aumentare del surriscaldamento, la
diminuzione di temperatura si va riducendo, fino a diventare trascurabile
quando il comportamento del vapore surriscaldato tende a quello del gas
perfetto.
Se il fluido laminato è un vapore saturo, come si può vedere dal
diagramma T,s o dal diagramma h,s, alla fine della laminazione il fluido
può rimanere vapore saturo o diventare surriscaldato; in ogni caso la
temperatura diminuisce.
Se il fluido laminato è un liquido, la temperatura rimane praticamente
costante in quanto, essendo per i liquidi l’entalpia quasi indipendente
dalla pressione, a un Δh = 0 corrisponde un ΔT = 0.
A conclusione di questo paragrafo, va sottolineato che la laminazione
è un fenomeno della massima importanza nell’ingegneria, in quanto si
verifica in modo più o meno vistoso ogni qualvolta vengono ad interporsi
ostacoli al flusso di un fluido in un condotto. Da quanto detto, potrebbe
sembrare che la laminazione sia in assoluto un fenomeno indesiderato;
in alcuni casi, invece, è utilizzato per ottenere in modo semplice una de-
siderata riduzione di pressione: un esempio tipico lo si ha negli impianti
frigoriferi, che si esamineranno nel Capitolo 14.

8.4 Rendimenti isoentropici ed exergetici di turbine, pompe e


compressori

Nelle turbine e nei compressori, rispettivamente macchine motrici


ed operatrici definiti nel paragrafo 3.6.8, la potenza termica scambiata è
trascurabile rispetto a quella meccanica e pertanto il processo che avviene
si può considerare adiabatico6; inoltre, generalmente, in queste macchine
le variazioni di energia potenziale gravitazionale ed energia cinetica sono
trascurabili rispetto al lavoro, per cui il 1° principio della termodinamica
per sistemi aperti fornisce:

L" = – m
" (h2 – h1) (3.43)

6
Il fatto che queste macchine possano essere considerate adiabatiche è già stato
accennato e si capirà meglio quando, nei capitoli successivi, si affronteranno le tema-
tiche dello scambio termico.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 165

dove L" assume valori positivi nel caso delle turbine, che trasferiscono al-
l’esterno energia meccanica prelevata al fluido che le attraversa e negativi
nel caso dei compressori, che trasferiscono energia meccanica dall’esterno
al fluido che le attraversa.
Nella realtà, ovviamente, i processi sono irreversibili e quindi, es-
sendo anche adiabatici, per il 2° principio della termodinamica sono ad
entropia crescente e lo stato termodinamico finale del processo reale, a
differenza di ciò che avviene per quello ideale isoentropico, non è facil-
mente individuabile. Per questo motivo tradizionalmente i processi reali
vengono riferiti a quelli isoentropici mediante dei coefficienti detti ren-
dimenti isoentropici o rendimenti adiabatici.
Per le turbine il rendimento isoentropico, ηT,is , è definito dalla re-
lazione:

L" h − h2
ηT,is = = 1 (8.20)
"
L is h1 − h 2,is

mentre per le pompe e i compressori il rendimento isoentropico, rispet-


tivamente ηP,is ηC,is, è definito dalla relazione:

L" is h 2,is − h1
ηP,is = ηC,is = = (8.21)
L" h 2 − h1

con L" e L" is potenze meccaniche scambiate e h2 e h2,is entalpia specifica


finale rispettivamente nel processo reale e in quel processo isoentropico
che avvenga tra le stesse pressioni del processo reale.
I due rendimenti assumono valori sempre minori di 1, in quanto a cau-
sa della generazione entropica, ovvero a causa degli effetti dissipativi:
• nella turbina il lavoro specifico ottenuto è sempre minore di quello
ottenibile con un processo reversibile,
• nella pompa e nel compressore il lavoro specifico speso nel processo
reale è sempre maggiore di quello che sarebbe necessario in un pro-
cesso reversibile.
In definitiva, nella pratica, per turbine, pompe e compressori è possi-
bile valutare la potenza termodinamica reale dalla conoscenza dello stato
termodinamico iniziale, della pressione finale e del rendimento isoentro-
pico.
Un approccio alternativo è quello di considerare il rendimento exer-
getico, che per le turbine è dato dalla relazione:

h1 − h 2
ηT,ex = (8.22)
(h1 − h 2 ) − Ta (s1 − s2 )
166 Lezioni di Fisica Tecnica

e per le pompe ed i compressori dalla relazione:

(h 2 − h1 ) − Ta (s2 − s1 )
ηP,ex = ηC,ex = (8.23)
h 2 − h1

da cui si può ricavare che i rendimenti exergetici risultano maggiori dei


corrispondenti rendimenti isoentropici. La spiegazione del valore più ele-
vato del rendimento exergetico è data dal fatto che nelle trasformazioni
irreversibili la temperatura finale del fluido è sempre maggiore di quella
che si avrebbe nella corrispondente trasformazione reversibile, il fluido in
uscita possiede quindi un’energia maggiore che può essere ulteriormente
sfruttata per produrre lavoro.
Nei testi di macchine a fluido, di solito, si fa riferimento più frequente-
mente al rendimento isoentropico, anche se rigorosamente, è il rendimen-
to exergetico il vero rendimento derivante dal secondo principio, rapporto
tra ciò che si è ottenuto e ciò che si è speso nello stesso processo, mentre
nel rendimento isoentropico si pongono a confronto due processi diversi
fra loro, il processo reale e quello ideale.

8.5 Scambiatori di calore


Gli scambiatori di calore, come accennato al paragrafo 3.6.8, sono
apparecchiature che consentono il trasferimento di energia termica tra
fluidi a temperature differenti e che vengono utilizzati in un gran numero
di applicazioni ingegneristiche.
Generalmente, lo scambio termico fra i due fluidi avviene attraverso
una superficie di separazione, piana o tubolare, che è realizzata con un
materiale di elevata conducibilità termica e che ha lo scopo di evitare
il mescolamento tra i due fluidi; scambiatori di questo tipo sono detti
recuperatori o scambiatori a superficie. Esistono molti tipi di scambiatori
a superficie: qui7 si parlerà solo di quello a correnti parallele, costituito
da due tubi cilindrici coassiali, in ciascuno dei quali scorre un fluido; i
due fluidi sono separati dalla parete del tubo interno, attraverso la quale
avviene lo scambio termico, e possono fluire nello stesso verso, nel qual
caso lo scambiatore si dice in equicorrente, o in versi opposti, nel qual
caso lo scambiatore si dice in controcorrente. In Figura 8.5 è schematiz-
zato uno scambiatore del tipo descritto, anche detto monotubolare, in
equicorrente ed è riportato l’andamento delle temperature dei due fluidi
che lo attraversano, in funzione della lunghezza dello scambiatore o della
superficie di scambio.

7
La teoria degli scambiatori di calore è affrontata in maniera più completa nel
Capitolo 13 di questo testo.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 167

4+?$'

46?$ 46?7

4+?7
, ;

-+?$'
'
'
' -+?7'
' '
' -6?7'
-6?$'

Z' a'
Figura 8.5 – Schema di uno scambiatore monotubolare con andamento delle tempe-
rature in assenza di passaggio di fase.

Gli scambiatori a superficie talvolta assumono nomi particolari che


ne individuano la funzione. Si chiamano infatti evaporatori gli scambia-
tori di calore nei quali un liquido evapora o un vapore saturo aumenta
di titolo; si chiamano condensatori gli scambiatori di calore nei quali un
vapore saturo condensa; si chiamano desurriscaldatori gli scambiatori di
calore nei quali un vapore surriscaldato si raffredda.
Qualunque sia il tipo di scambiatore si dice fluido caldo il fluido che
cede calore, fluido freddo quello che riceve calore. Gli aggettivi caldo e
freddo stanno quindi per più caldo e più freddo, in quanto un fluido caldo ad
esempio può essere a –20°C se il fluido freddo è, per esempio, a –40°C.
Applicando il primo principio della termodinamica rispettivamente
al fluido freddo, indicato con il pedice f, ed al fluido caldo, indicato con il
pedice c, nelle ipotesi di regime permanente, di trascurabilità dei termini
cinetici e potenziali e di adiabaticità dello scambiatore verso l’ambiente
si possono scrivere i seguenti bilanci di energia:
168 Lezioni di Fisica Tecnica

m "f = m
" f hi,f + Q " f hu,f (8.24)

m "c = m
" c hi,c + Q " c hu,c (8.25)
"f e Q
dove i ed u indicano le condizioni di ingresso e di uscita e Q "c
"
le potenze termiche scambiate dai due fluidi, dove evidentemente Qf è
" c è negativa.
positiva e Q
Per l’ipotesi di adiabaticità verso l’ambiente risulta:
" f = −Q
Q "c =Q
" (8.26)
" potenza termica o potenzialità dello scambiatore e quindi:
con Q
" =m
Q " f (hu,f – hi,f) = m
" c (hi,c – hu,c) (8.27)

che, nell’ipotesi di calori specifici costanti, può anche essere espressa


come:
" =m
Q " f cp,f (Tu,f – Ti,f) = m
" c cp,c (Ti,c – Tu,c) (8.28)

Le equazioni (8.27) e (8.28) correlano sei grandezze: le due portate


massiche e le entalpie delle sezioni di ingresso e di uscita dei due fluidi;
pertanto, note cinque delle sei grandezze, permettono di ricavare la se-
sta.
È bene sottolineare che le (8.27) e (8.28), essendo dei bilanci di ener-
gia, prescindono dalla geometria del sistema e quindi, pur essendo state
ricavate con riferimento ad un particolare tipo di scambiatore a superfi-
cie, quello monotubolare e in equicorrente, conservano la loro validità
per qualsiasi scambiatore di calore a superficie, purché siano verificate
le ipotesi di condizioni di regime permanente, trascurabilità dei termini
cinetici e potenziali ed adiabaticità verso l’ambiente.
Per gli scambiatori non è possibile definire un rendimento isoentro-
pico, in quanto le trasformazioni avvengono sotto una differenza finita di
temperatura; è possibile, invece, definire
.
il rendimento exergetico come
rapporto tra il flusso
.
exergetico EX i guadagnato dal fluido freddo ed il
flusso exergetico EX u ceduto dal fluido caldo:

. " ⎛⎜ 1 − Ta
Q


EX i Tf
ηex = . = ⎝ ⎠ (8.29)
EX u Q" ⎛⎜ 1 − Ta ⎞

⎝ Tc ⎠
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 169

Esercizi

ESERCIZIO 8.1 – Una pompa comprime una portata di 300 kg/h di acqua dalla
pressione di 1,00 atm alla pressione di 20,5 atm. Le sezioni di ingresso e di
uscita sono praticamente alla stessa quota ed hanno uguale diametro. La
temperatura dell’acqua all’ingresso della pompa è di 30°C. Si calcoli:
1. la potenza meccanica teorica necessaria, in kW, nella ipotesi di compres-
sione adiabatica reversibile;
2. la variazione di temperatura subita dall’acqua.

ESERCIZIO 8.2 – In una tubazione cilindrica orizzontale di 20,0 cm di diametro


interno è convogliata una portata d’acqua di 70,0 l/s alla pressione di 1,50 atm
ed alla temperatura, praticamente uniforme, di 22°C. La tubazione, nuova e
di acciaio galvanizzato, è lunga 120 m e presenta 5 curve a 90° con raccordo
circolare di 0,80 m di raggio di curvatura.
Calcolare la potenza meccanica dissipata per vincere le perdite di carico.

ESERCIZIO 8.3 – Determinare la portata d’acqua in una tubazione orizzontale


di diametro interno D = 10 cm, lunghezza L = 200 m, quando alle sue estre-
mità è applicata una differenza di pressione p1–p2 = 0,40 bar. La pressione
finale è di 1,00 atm. La temperatura dell’acqua è costante e pari a 14°C. La
tubazione è di acciaio saldato ed è nuova.

ESERCIZIO 8.4 – Dell’acqua viene laminata fino alla pressione di 1,00 atm.
Calcolare la temperatura ed il volume specifico a valle della laminazione per
le seguenti condizioni iniziali dell’acqua:
1. p1,1 = 10,0 bar, x1,1 = 0,300;
2. p1,2 = 10,0 bar, x1,2 = 0,990;
3. p1,3 = 10,0 bar, t1,3 = 300°C.

ESERCIZIO 8.5 – In un condotto fluisce del vapore d’acqua. In una certa se-
zione un manometro ne misura la pressione ed un rubinetto permette di
spillarne una parte per determinarne le caratteristiche. Qualora il manome-
tro segni una pressione di 39,8 bar ed un termometro misuri per il vapore
spillato una temperatura di 125°C, quali sono le caratteristiche del vapore
nel condotto?

ESERCIZIO 8.6 – 120 kg/s di acqua alla pressione di 40,0 bar e 450°C espandono
in una turbina, il cui rendimento isoentropico è di 0,87, fino alla pressione
170 Lezioni di Fisica Tecnica

di 0,500 bar. Sapendo che l’ambiente si trova alla temperatura di 300 K,


determinare:
1. la potenza termodinamica ottenuta;
2. la temperatura all’uscita dalla turbina;
3. la generazione oraria di entropia;
4. il rendimento exergetico.
Rappresentare le trasformazioni sui piani T,s e h,s.

ESERCIZIO 8.7 – Una turbina, nella quale entrano 10,0 m3/s di aria a 900°C
e 20,0 bar, ha una potenza di 32,4 MW. Qualora la generazione oraria di
entropia sia di 14,0 kW/K, calcolare i rendimenti isoentropico ed exergetico
della turbina assumendo per l’ambiente la temperatura di 30°C.
Rappresentare la trasformazione sul piano T,s.

Esercizio 8.8 – Un compressore aspira 15,0 m3/s di aria a 20,0°C e 1,00 bar e
la porta a 6,00 bar. Sapendo che il rendimento isoentropico è di 0,75 e che
la temperatura dell’ambiente è di 293 K, calcolare:
1. la potenza meccanica necessaria;
2. la temperatura dell’aria all’uscita del compressore;
3. la generazione oraria di entropia;
4. il rendimento exergetico.
Rappresentare la trasformazione sul piano T,s.

ESERCIZIO 8.10 – Si vuole utilizzare una portata di 200 kg/h di acqua alla pres-
sione di 1,50 bar ed alla temperatura di 170°C per riscaldare una portata di
3000 kg/h di azoto inizialmente alla temperatura di 30°C ed alla pressione di
3,00 bar. Volendo utilizzare uno scambiatore a flussi paralleli in equicorrente,
calcolare, nell’ipotesi di pressione costante:
1. le condizioni di uscita dell’acqua per una temperatura di uscita dell’azoto
di 90°C;
2. le condizioni di uscita dell’acqua e dell’azoto nella situazione limite di
superficie di scambio infinita.

ESERCIZIO 8.11 – Con uno scambiatore a superficie si vuole raffreddare una


portata di 10,0 kg/min di olio di calore specifico 0,50 kcal/kg°C da 120 a 40°C.
Come fluido freddo si adopera acqua disponibile a 18°C e che si vuole che
all’uscita sia a 55°C. La pressione è praticamente uniforme e pari ad 1,00 atm.
Calcolare la portata d’acqua necessaria.
Bilancio di energia meccanica e prime applicazioni di termodinamica 171

ESERCIZIO 8.12 – 300 kg/s di vapore d’acqua di titolo 0,950 ed alla temperatura
di 55°C, vengono inviati in un condensatore da cui escono in condizioni di
liquido saturo. Il fluido freddo è aria alla temperatura di 15°C e alla pressione
atmosferica. Calcolare la minima portata d’aria necessaria.
Capitolo nono
Introduzione alla trasmissione del calore

9.1 Generalità

Quando in un sistema esistono differenze di temperatura o quan-


do due sistemi a temperature diverse sono in grado di interagire, si ha
trasmissione di energia dalle zone a temperatura maggiore verso quelle
a temperatura minore. Poiché, come si è visto nel Capitolo 2, si chiama
calore l’energia che si scambia a causa di una differenza di temperatura, lo
studio di questo fenomeno rappresenta la branca della scienza che viene
chiamata trasmissione del calore o scambio termico1.
Come si vedrà nei Capitoli seguenti, la Trasmissione del Calore
trova applicazione in campi diversi; per esempio, in campo industriale
permette di:
• stabilire le geometrie e le modalità di scambio termico in grado di
evitare il superamento di una determinata temperatura, assegnata la
potenza termica generata da un sistema o trasferita a quest’ultimo; è
il caso del raffreddamento dei trasformatori elettrici di grande potenza
o dei microchip, così come della protezione delle capsule spaziali al
rientro in atmosfera;
• realizzare il trasferimento di potenza termica fra due fluidi a tempe-
ratura diversa con il minimo ingombro e/o il minimo costo; è il caso
del proporzionamento degli scambiatori di calore;
• massimizzare la potenza termica che si può sottrarre ad un sistema
di determinate caratteristiche al fine di ottimizzarlo tecnicamente ed
economicamente; è il caso del raffreddamento dei reattori nucleari;
in campo civile consente di:
• calcolare la potenza termica che si trasmette attraverso una struttura
o un sistema del quale si conoscono temperature di interfaccia, dimen-

1
La prima dizione, senza dubbio la più diffusa, è in realtà inesatta, in quanto,
come detto, il calore è di per sé energia trasmessa; sarebbe quindi più corretto, quindi,
parlare di”scambio termico”.
174 Lezioni di Fisica Tecnica

sioni e materiali; per esempio, nella progettazione di un impianto di


riscaldamento di un edificio per valutare la potenza termica dispersa
nella stagione invernale attraverso le pareti esterne;
• dimensionare un sistema o una struttura in modo che la potenza ter-
mica non superi un certo valore; per esempio, nella progettazione del-
l’involucro edilizio la scelta dei materiali e la determinazione del loro
spessore nel rispetto della legislazione sul contenimento dei consumi
energetici;
• valutare l’andamento della temperatura in una struttura o in un si-
stema; per esempio, nella progettazione dell’involucro edilizio per
verificare che non si abbia formazione di condensa sulla superficie o
all’interno dello stesso.
In questo testo per lo studio della trasmissione del calore viene segui-
to il cosiddetto metodo globale: in questo capitolo introduttivo verranno
esaminati, in modo semplice e sintetico, tutti gli aspetti della materia,
che verranno poi ripresi, analizzati ed approfonditi nei capitoli successivi.
L’opportunità di questa impostazione deriva dal fatto che i meccanismi
di scambio termico sono quasi sempre contemporaneamente presenti; af-
frontare la materia meccanismo per meccanismo non permetterebbe di
comprendere i casi reali e di risolvere problemi tecnicamente significativi,
se non alla fine dell’intera trattazione.

9.2 Meccanismi di scambio termico

I meccanismi di scambio termico sono tre: conduzione, irraggiamento


e convezione.

9.2.1 Conduzione

La conduzione è il meccanismo con il quale il calore si propaga in un


mezzo o tra mezzi a diretto contatto. È dovuta alla cessione di energia
cinetica dalle molecole che si trovano nelle zone a temperatura maggiore
a quelle adiacenti che si trovano nelle zone a temperatura minore. Nei
metalli a questa componente si aggiunge e prevale la componente elet-
tronica dovuta alla diffusione degli elettroni dalle zone a temperatura
maggiore a quelle a temperatura minore2.
Nei solidi opachi la conduzione è il solo meccanismo di scambio ter-

2
Nei metalli esiste una stretta analogia tra la conduzione termica e quella elet-
trica.
Introduzione alla trasmissione del calore 175

mico; nei fluidi e nei solidi non opachi si ha ancora conduzione, ma as-
sociata alla convezione e/o all’irraggiamento.

9.2.2 Irraggiamento

L’irraggiamento, o più correttamente l’irraggiamento termico, è l’uni-


co dei tre meccanismi di scambio termico a non richiedere un supporto
materiale, potendo avvenire anche attraverso il vuoto.
La maggior parte dei corpi emette energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche; per i solidi non trasparenti, come si vedrà meglio nel
seguito, il fenomeno è superficiale. Generalmente, l’ammontare e le carat-
teristiche dell’energia raggiante emessa dipendono dalla natura del corpo,
dalle caratteristiche e dalla temperatura assoluta della superficie.
Elemento distintivo importante delle onde elettromagnetiche, così
come di tutti i fenomeni ondulatori periodici, è la lunghezza d’onda, λ, le-
gata alla frequenza f ed alla velocità di propagazione c3 dalla relazione:

c = λf (9.1)

con c in m/s, λ in m e f in s–1.


La trasmissione del calore per irraggiamento tra due corpi A e B,
rispettivamente caratterizzati da temperature superficiali TA e TB, avviene
in conseguenza di due trasformazioni successive dell’energia. Infatti, una
parte dell’energia interna del corpo A viene emessa dalla sua superficie
sotto forma di radiazione elettromagnetica e, incidendo sulla superficie
del corpo B, viene in parte da questa assorbita e convertita in energia
interna del corpo; analogamente, dalla superficie di B si ha una emissione
di radiazione elettromagnetica che viene parzialmente assorbita da A e
convertita in energia interna del corpo. La differenza tra i flussi di energia
radiante assorbiti dalle due superfici rappresenta proprio l’energia termica
scambiata per irraggiamento tra A e B, ovviamente sempre nel verso delle
temperature decrescenti.
Si parla di irraggiamento termico se l’emissione delle onde elettro-
magnetiche dipende solo dalla temperatura dei corpi; pertanto, non rien-
trano nell’ambito della trasmissione del calore per irraggiamento termico
fenomeni quali la fluorescenza, la fosforescenza, l’emissione di onde radio,
l’emissione di raggi X per bombardamento di metalli con elettroni, etc.
Rientrano invece nell’irraggiamento termico le radiazioni luminose, defi-
nite come radiazioni elettromagnetiche in grado di sensibilizzare l’occhio
umano.

3
La velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche nel vuoto, c0, è indi-
pendente dalla lunghezza d’onda e vale 3,00⋅108 m/s.
176 Lezioni di Fisica Tecnica

Si noti che le molecole gassose monoatomiche ed alcune biatomiche,


come quelle dell’ossigeno e dell’azoto, non emettono onde elettromagne-
tiche e non interagiscono con esse, nel senso che non le assorbono e non
le riflettono: sono cioè trasparenti alle radiazioni elettromagnetiche. Ne
deriva che l’aria, essendo costituita essenzialmente da ossigeno e azoto,
può essere considerata trasparente alle radiazioni, a meno che i percorsi
di queste ultime non siano dell’ordine dei kilometri, nel qual caso non si
può più trascurare la presenza nell’aria di sostanze quali il vapor d’acqua,
l’anidride carbonica, il pulviscolo atmosferico; nell’ipotesi di trasparenza,
quindi, l’irraggiamento termico in presenza di aria è praticamente lo stesso
che si avrebbe se ci fosse il vuoto.

9.2.3 Convezione

La convezione è il più importante meccanismo di scambio termico tra


un solido o un liquido ed un fluido a diversa temperatura ed è conseguente
al movimento del fluido stesso.
Si consideri una parete la cui temperatura superficiale sia, ad esempio,
superiore a quella del fluido circostante: lo strato di fluido a diretto contat-
to con la parete riceve da essa per conduzione energia termica che, a sua
volta, cede agli strati di fluido immediatamente adiacenti a temperatura
minore; questi strati di fluido, la cui energia interna e la cui temperatura
aumentano, si spostano verso zone del fluido a temperatura minore e,
mescolandosi con queste, cedono parte dell’energia acquisita.
La convezione si dice naturale o libera se il movimento del fluido si
ha solo a seguito delle spinte archimedee dovute alle differenze di densità
conseguenti alle differenze di temperatura rispetto alle zone circostanti,
forzata se lo spostamento è dovuto all’azione di un agente esterno, quale
un ventilatore, una pompa, il vento. Nel caso di convezione naturale il
fluido è generalmente in movimento solo nelle immediate vicinanze del
corpo a diversa temperatura, in quiete altrove.
Dalla descrizione fatta si comprende che, rigorosamente, la convezio-
ne non è un terzo meccanismo di scambio termico ma è una combinazione
di conduzione e di mescolamento.
Qualunque siano i meccanismi di scambio termico, il loro effetto è
un livellamento della temperatura; infatti, lo scambio termico, comportan-
do un trasferimento di energia dalle zone a temperatura maggiore verso
quelle a temperatura minore, tende a rendere uniforme la temperatura.
Se invece, sottraendo o fornendo energia termica, vengono mantenute
costanti le differenze di temperatura, si stabilisce un flusso termico co-
stante nel tempo dalla regione più calda a quella più fredda. È il caso
di un ambiente dotato di un impianto di riscaldamento: nella stagione
invernale, l’impianto, fornendo energia termica, mantiene la temperatura
Introduzione alla trasmissione del calore 177

interna pari a circa 20 °C e, poiché la temperatura esterna è più bassa, si


ha un flusso termico continuo dall’interno all’esterno; se si interrompe il
funzionamento dell’impianto, e se non ci sono altre sorgenti di energia, la
temperatura interna decresce e tende ad uguagliare quella esterna.

9.3 Semplificazioni adottate nella trattazione dello scambio


termico
La complessità della trattazione dei problemi di scambio termico nei
quali, come già detto nel paragrafo 9.2, possono essere coinvolti più mec-
canismi con variabilità della temperatura non solo nello spazio ma anche
nel tempo, induce a ricercare possibili semplificazioni sia sostanziali che
formali. In generale, è T = T (x,y,z,θ); in questo testo, viene illustrata e
utilizzata una trattazione dei problemi termici preliminare, e come tale
semplificata, che comporta una drastica riduzione del numero di variabili.
In primo luogo viene eliminata la variabile tempo, e quindi ci si riferisce
sempre a fenomeni in regime permanente4; in secondo luogo si affrontano
geometrie semplici, quali piastre indefinite a superfici piane e parallele e
cilindri retti di lunghezza infinita, con condizioni al contorno semplificate,
in modo che, come si vedrà meglio nel seguito, i problemi si presente-
ranno geometricamente monodimensionali anziché tridimensionali5. Così
facendo, si passa da T = f (x,y,z,θ) a T = f (x), con enorme semplificazione
nella trattazione. È bene precisare che, utilizzando le suddette drastiche
semplificazioni, è comunque possibile affrontare, con approssimazioni
ingegneristicamente accettabili, una molteplicità di problemi di scambio
termico, in campo sia industriale che civile.
Alle semplificazioni sostanziali di cui si è detto, si aggiungono alcune
semplificazioni formali che consistono nella unificazione della trattazione
dei tre meccanismi, che ne consente uno studio agevolato.
A livello internazionale, considerato che lo scambio termico dipende
dalla differenza di temperatura, si è convenuto di inquadrare ogni mecca-
nismo di scambio termico mediante le seguenti due relazioni:

4
Si ricorda che l’ipotesi di regime permanente comporta che tutte le proprietà
del sistema risultano costanti nel tempo, per cui, tra l’altro, risulta nullo ogni termine
di accumulo. Sarà fatta nel seguito un’unica eccezione nel paragrafo 10.5, dove si
tratterà un fenomeno transitorio di particolare interesse per l’ingegnere.
5
I corpi indefiniti, ai quali spesso si fa riferimento, sono un’astrazione; nella
realtà, si possono assimilare ai corpi indefiniti quelli per i quali esiste una dimensione
trascurabile rispetto alle altre due, per esempio una piastra caratterizzata da valori
elevati della lunghezza e della larghezza e da piccolo spessore, per i quali risultano
trascurabili i cosiddetti “effetti di bordo”.
178 Lezioni di Fisica Tecnica

. ΔT
Q= (9.2)
R

.
Q = K⋅ΔT (9.3)

con:
.
Q = potenza termica trasmessa, W;
ΔT = differenza di temperatura, °C o K;
R = resistenza termica, K/W;
K = 1/R = conduttanza termica, W/K.
Facendo riferimento allo scambio termico relativo alla superficie uni-
taria, cosa che risulta spesso conveniente, si ha:
.
Q ΔT
q! = = (9.4)
A AR

.
Q KΔT
q! = = = hΔT (9.5)
A A

con:
q! = flusso termico, W/m2;
A = area della superficie di scambio termico, m2;
AR = resistenza termica unitaria, m2K/W;
h = conduttanza termica unitaria, = K/A, W/m2K.
A seconda del tipo di meccanismo le grandezze R, K, h, prenderanno
generalmente il pedice k per la conduzione, r per l’irraggiamento, c per
la convezione.

9.4 Meccanismi in serie e/o parallelo. Analogia elettrica


Poiché la presenza contemporanea di più meccanismi di scambio
termico crea una certa complessità di trattazione, spesso si considera di-
datticamente conveniente utilizzare la cosiddetta analogia elettrica, che
consiste nello schematizzare i fenomeni termici come se fossero elettrici e
che nasce dalla constatazione che i due fenomeni sono descritti da equa-
zioni formalmente identiche6. Infatti, per le (9.2) e (9.3) si ha:

6
È possibile anche utilizzare l’analogia idraulica.
Introduzione alla trasmissione del calore 179

. ΔT
Q= = KΔT (9.6)
R

formalmente simile all’espressione che fornisce l’intensità di corrente elet-


trica in un circuito in corrente continua:

ΔV
I= = KeΔV (9.7)
Re

con:
I = intensità di corrente elettrica, A;
∆V = differenza di potenziale elettrico, V;
Re = resistenza elettrica, Ω;
Ke = conduttanza elettrica, Ω-1.
Dal confronto tra la (9.6) e la (9.7) risulta evidente che nell’analo-
gia elettrica l’intensità di corrente prende il posto della potenza termica,
la differenza di potenziale quello della differenza di temperatura e le
resistenze e conduttanze elettriche quello delle rispettive grandezze ter-
miche.
Nel seguito si esamineranno due tipologie di circuiti elettrici, cui
corrispondono due tipologie di circuiti termici, la prima con resistenze
disposte in serie, la seconda con resistenze disposte in parallelo7.

9.4.1 Circuito con resistenze in serie

In tale tipo di circuito, in condizioni di regime permanente, la gran-


dezza estensiva in esame (l’intensità di corrente nel caso elettrico, la po-
tenza termica nel caso termico, la portata d’acqua nel caso idraulico) deve
necessariamente, per le leggi di conservazione dell’energia e della massa,
attraversare tutte le resistenze mantenendo lo stesso valore.
In riferimento alla Figura 9.1, applicando la legge di Ohm alle singole
resistenze si ottiene:

ΔV1 ΔV2 ΔV3


I= I= I= (9.8)
R1 R2 R3

7
Per semplicità, in entrambi i casi si considereranno circuiti con 3 resistenze;
ovviamente i risultati potranno essere generalizzati ad un qualsiasi numero di resi-
stenze.
180 Lezioni di Fisica Tecnica

dalle quali, esplicitando le differenze di potenziale, si ricava:

∆V = ∆V1+ ∆V2 + ∆V3= I (R1 + R2 + R3) (9.9)

e quindi:

ΔV1 + ΔV2 + ΔV3 ΔV


I= = (9.10)
R1 + R 2 + R 3 + R eq

con:
Req = resistenza elettrica equivalente alle tre resistenze in serie, Ω.
che rappresenta la legge di Ohm applicata all’intero circuito.
Dalle (9.8) e (9.10) si ha inoltre:

ΔV1 R 1 ΔV2 R 2 ΔV3 R 3


= = = (9.11)
ΔV R eq ΔV R eq ΔV R eq

#M7" #MG" #MH"

$#

37# 3G# 3H
7

#M"

Figura 9.1 – Circuito con resistenze in serie: analogia elettrica

Generalizzando ad un circuito con n resistenze in serie, indicando


con i la generica resistenza, dalle (9.8) e (9.10) si ha:

ΔVi
I= (9.12)
Ri

ΣΔVi ΔV
I= = (9.13)
ΣR i R eq

Req = ΣRi (9.14)

Sostituendo alle differenze di potenziale le differenze di temperatura,


all’intensità di corrente la potenza termica ed alle resistenze elettriche
Introduzione alla trasmissione del calore 181

quelle termiche, si hanno le corrispondenti relazioni valide per un gene-


rico sistema termico a regime permanente costituito da n resistenze in
serie, ottiene

! = ΔTi
Q (9.15)
Ri

! = ΣΔTi = ΔT
Q (9.16)
ΣR i R eq

Req = ΣRi (9.17)

Dalle (9.15) e (9.16) si ha infine:

ΔTi R
= i (9.18)
ΔT R eq

da cui si ricava che in condizioni di regime permanente, poiché la potenza


termica è costante nei vari elementi del circuito, ciascuna differenza di
temperatura è proporzionale alla relativa resistenza e l’incidenza di cia-
scuna differenza di temperatura sulla differenza totale coincide con quella
della corrispondente resistenza sulla resistenza totale.

9.4.2 Circuiti con resistenze in parallelo

Un circuito costituito da più resistenze si definisce in parallelo se la


grandezza potenziale che determina il fenomeno (differenza di potenziale
nel caso elettrico, di temperatura nel caso termico, di pressione nel caso
idraulico) è la stessa per tutte le resistenze.
In analogia a quanto già fatto per i sistemi con resistenze in serie ed
in riferimento alla Figura 9.2, applicando la legge di Ohm alle singole
resistenze si ottiene:

ΔV ΔV ΔV
I1 = I2 = I3 = (9.19)
R1 R2 R3

Sommando le tre espressioni si ha:

⎛ 1 1 1 ⎞
I = I1 + I2 + I3 = ∆V ⎜ + + ⎟ (9.20)
⎝ R1 R 2 R 3 ⎠
182 Lezioni di Fisica Tecnica

da cui, ricordando che è K = 1/R si ottiene la relazione:

I = ∆V (K1 + K2 + K3) = ∆V Keq (9.21)

dove Keq rappresenta la conduttanza termica equivalente alle tre resi-


stenze in parallelo.

37#

$# 3G#
#

3H#

#M

Figura 9.2 – Circuito con resistenze in parallelo: analogia elettrica.

Per un circuito termico costituito da n resistenze in parallelo si ha:

! i = ΔT = K i ΔT
Q (9.22)
Ri

! = K ΔT
Q (9.23)
eq

da cui:

Qi K
= i (9.24)
Q K eq

che evidenzia come in un circuito in parallelo le potenze termiche che


attraversano ciascuna resistenza abbiano sulla potenza termica totale la
stessa incidenza che la relativa conduttanza ha sulla conduttanza totale.
In base a quanto precedentemente esposto, appare evidente che,
mentre nei processi in serie risulta conveniente riferirsi alle resistenze,
per quelli in parallelo è preferibile, anche se non obbligatorio, utilizzare
le conduttanze; infatti, per il sistema in parallelo di Figura 9.2 si può
scrivere anche:
Introduzione alla trasmissione del calore 183

1 1 1
R eq = = = (9.25)
K eq K 1 + K 2 + K 3 1
+
1
+
1
R1 R 2 R 3

espressione corretta, ma formalmente più pesante.

9.5 Leggi fondamentali dello scambio termico

9.5.1 Conduzione

La relazione fondamentale della trasmissione del calore per condu-


zione è il postulato di Fourier, che verrà analizzato nel Capitolo 11, la cui
forma integrata più semplice è quella relativa al caso di una parete piana,
omogenea e indefinita di spessore s, con superfici isoterme, in condizioni
di regime permanente:

! k = kA (T1 − T2 )
Q (9.26)
s

con:
Q!k = potenza trasmessa per conduzione, W,
A = area della superficie della parete, m2,
T1, T2 = temperature delle superfici della parete, con T1> T2,°C o K,
k = conducibilità termica o conduttività termica del materiale di cui
è costituita la parete8, W/mK;
Dalla (9.26) si ricava che la conducibilità termica rappresenta la po-
tenza termica che attraversa l’unità di superficie di una parete in corri-
spondenza di un gradiente termico unitario; in Tabella 9.1 sono riportati
gli ordini di grandezza della conducibilità termica per alcune categorie
di sostanze.
Evidentemente, confrontando la (9.26) con le (9.2) e (9.3), si deduce
che per conduzione in pareti piane risulta:

s
Rk = (9.27)
Ak

8
Molto spesso la conducibilità termica viene indicata con il simbolo λ. In par-
ticolare, nel settore edilizio, per il calcolo delle dispersioni termiche attraverso le
pareti, i valori medi delle conducibilità vengono ricavati da norme UNI che utilizzano
appunto il simbolo λ.
184 Lezioni di Fisica Tecnica

Ak
Kk = (9.28)
s

Tabella 9.1 – Ordine di grandezza della conducibilità termica, k, per alcune


categorie di sostanze.
k
Tipo di sostanza
W/mK
gas alla pressione atmosferica 10-2
liquidi non metallici e materiali isolanti 10-1
solidi non metallici 1
leghe metalliche 10
metalli puri 102

ovviamente, la resistenza termica conduttiva unitaria è data da:

s
RkA = (9.29)
k

con:
RkA = resistenza termica conduttiva unitaria, m2K/W;
si noti che la conduttanza termica conduttiva unitaria, Kk/A, che nella (9.5)
è indicata con il simbolo h, viene sempre espressa come rapporto k/s.

9.5.2 Irraggiamento

Come si vedrà nel Capitolo 11, un’importante relazione per lo scam-


bio termico radiativo è la legge di Stefan-Boltzmann, che consente di
affermare che la potenza radiante emessa da un corpo è proporzionale alla
quarta potenza della temperatura della superficie del corpo, T, espressa
in kelvin, e all’area della superficie di scambio, A, espressa in m2:

! emessa ∝ AT4
Q (9.30)

Poiché, come si è detto, tutti i corpi solidi ed in generale i liquidi


emettono, e poiché le radiazioni emesse da un corpo che incidono su
un altro vengono in parte assorbite da quest’ultimo, la potenza termica
scambiata per irraggiamento tra due corpi, 1 e 2, rispettivamente alle
temperature T1 e T2, è data da una relazione del tipo:

! r = Φ (T 4 – T 4)
Q (9.31)
12 1 2
Introduzione alla trasmissione del calore 185

dove il coefficiente Φ12 dipende dalle aree delle superfici, dalle caratteri-
stiche di emissione e di assorbimento, dalla geometria e dalle rispettive
posizioni geometriche9 dei due corpi.
Per quanto detto al paragrafo 9.2.4, la potenza termica scambiata per
irraggiamento può essere espressa come:

! r = Ah (T – T )
Q (9.32)
r 1 2

con:
hr = conduttanza termica unitaria radiativa, W/m2K;
ovviamente, risulta:

hr =
(
Φ 12 T 41 − T24 ) (9.33)
A (T1 − T2 )

Per valutazioni di prima approssimazione, in Tabella 9.2 sono ripor-


tati gli ordini di grandezza della conduttanza termica radiativa unitaria
per lo scambio termico tra una superficie calda ed una superficie a tem-
peratura ambiente.

Tabella 9.2 – Ordine di grandezza della conduttanza termica radiativa unitaria


per lo scambio termico tra una superficie calda ed una superficie a temperatura
ambiente.
Temperatura della superÞcie calda hr
°C W/m2K
temperatura ambiente 1*
200 10
900 100
* per superÞci a temperatura ambiente il valore di hr è pari a circa 1 per superÞci rißettenti
e a circa 5 per superÞci quali il corpo umano, le murature, i metalli verniciati o ossidati.

9.5.3 Convezione

La relazione fondamentale per lo scambio termico convettivo tra la


superficie di un solido o di un liquido, di area A ed alla temperatura Ts,
ed un fluido, alla temperatura Tf, è la legge di Newton:

! c = A h (T – T )
Q (9.34)
c s f

9
La valutazione di Φ12 verrà affrontata nel Capitolo 11.
186 Lezioni di Fisica Tecnica

con:
hc = conduttanza termica convettiva unitaria, anche detta coefficiente di
scambio termico convettivo, W/m2K,
La (9.34), in definitiva, sposta il problema del calcolo di Q ! c alla
valutazione di hc, del cui calcolo ci si occuperà nel Capitolo 12.
Gli ordini di grandezza dei coefficienti di scambio termico convettivo
sono riportati in Tabella 9.3.

Tabella 9.3 – Ordini di grandezza dei coefficienti di scambio termico convettivo.


hc hc
W/m2K W/m2K
Fluidi
convezione convezione
naturale forzata
gas e vapori surriscaldati a pressione atmosferica 10 102
liquidi diversi dall’acqua 102 103
acqua liquida 103 104
liquidi in ebollizione e vapori saturi 104 > 104

9.6 Meccanismi combinati di scambio termico

Come si è già detto, nella pratica spesso si hanno contemporanea-


mente più meccanismi di scambio termico, con elementi in serie ed in
parallelo. Qui di seguito saranno esaminati casi estremamente semplici,
appartenenti al nostro quotidiano, nei quali si è in presenza di meccanismi
sia in serie che in parallelo.
Si consideri, ad esempio, il caso, schematizzato in Figura 9.3, di una
parete esterna di un edificio costituita da tre strati di diversi materiali:
due fodere di mattoni, (a) e (c), con interposto un isolante termico (b).
Nella stagione invernale, dette Ti e Te le temperature rispettivamente
dell’ambiente interno e di quello esterno, risulta Ti>Te; quindi, il calore
fluisce dall’ambiente interno alla superficie interna della parete, 1, per
convezione e per irraggiamento (per convezione dall’aria e per irraggia-
mento dalle altre pareti dell’ambiente, opache o trasparenti che siano,
oltre che dalle persone e da ogni altro oggetto presente nell’ambiente10);

10
Si sta facendo l’ipotesi che tutte le superfici, sia quelle delle pareti che quel-
le delle persone e degli oggetti siano ad una temperatura maggiore di quella della
superficie 1; se si considera il caso di un ambiente con una superficie vetrata, nella
stagione invernale tale superficie sarà presumibilmente ad una temperatura inferiore a
T1 e quindi lo scambio radiativo tra la superficie vetrata e la 1 avrà un verso opposto
rispetto a quello indicato in Figura 9.3.
Introduzione alla trasmissione del calore 187

questi due meccanismi, che agiscono contemporaneamente, risultano tra


loro in parallelo. Attraverso gli strati a, b e c della parete, che sono solidi
opachi, il calore fluisce solo per conduzione; questi meccanismi sono in
serie tra loro ed in serie ai due meccanismi (convezione-irraggiamento)
ambiente interno-superficie interna. Infine, dalla superficie esterna della
parete, 4, all’ambiente esterno il calore fluisce ancora per convezione ed
irraggiamento (per convezione con l’aria esterna, per irraggiamento con
gli altri edifici, con le strade, gli alberi, etc.). Come evidenziato in Figura
9.4, nella quale è riportato lo schema dei percorsi del flusso termico, il
sistema, in termini di resistenze, può essere suddiviso in tre parti: la A e
la C, costituite da resistenze in parallelo, e la B, costituita da tre resisten-
ze in serie; un sistema di questo genere viene generalmente indicato con
il nome di meccanismo combinato serie-parallelo o, più semplicemente,
meccanismo combinato.

#
#
#
,%&-'%(# -0&-'%(#
.# Z# 2#

7# G# H# 8#

Figura 9.3 – Schema di parete a tre strati che separa l’ambiente interno da quello
esterno.

Un sistema del tipo di quello di Figura 9.4 si risolve generalmente


riducendo i paralleli a serie, sostituendo, cioè, alle resistenze in parallelo
le relative resistenze equivalenti; ricordando quanto esposto nel paragrafo
9.4.2 si ha:

Keq= Kc+ Kr (9.35)

dalle quali, passando alle resistenze, si ottiene:

1 1
R eq = = (9.36)
K eq 1 1
+
Rc Rr
188 Lezioni di Fisica Tecnica

in tal modo, la resistenza equivalente del sistema, che risulta ridotto a 5


resistenze in serie, è:

Req= Req,i+ Rk,a+ Rk,b+ Rk,c+ Req,e (9.37)

.# Z# 2# "
"
" _ 2=, # _ 2= - # "
_# _#
P,# P7# PG# PH# P8# P-#
1# 1# 1 1 1 1
,%&-'%(# -0&-'%(#

" "
_ ' =, # _ ' =- #

b# c# [#

Figura 9.4 – Schema dei percorsi del flusso termico per la parete di Figura 9.3.

Quindi, la potenza termica scambiata attraverso il sistema è data


da:

! = ΔT =
Q
Ti − Te
(9.38)
R eq R eq,i + R k,a + R k,b + R k,c + R eq,e

e il flusso termico si calcola con la:

!
Q Ti − Te Ti − Te
q! = = = (9.39)
A A (R eq,i + R k,a + R k,b + R k,c + R eq,e ) 1 + Sa + Sb + Sc + 1
h i ka k b k c h e

Evidentemente, questa procedura si può applicare a qualunque siste-


ma costituito da n resistenze e permette di risolvere la quasi totalità dei
casi di problemi di scambio termico in pareti piane in regime stazionario,
in campo sia civile che industriale.
Va ricordato che negli scambi superficie-ambiente ed ambiente-su-
perficie la conduttanza equivalente, Keq, viene generalmente considerata
in riferimento all’unità di superficie; in questo caso, viene indicata con
h oppure α e prende il nome di conduttanza termica unitaria superficiale
Introduzione alla trasmissione del calore 189

totale o coefficiente di scambio termico superficiale o adduttanza unitaria.


La sua espressione è:

heq = hc + hr (9.40)

9.7 Valutazione dell’andamento della temperatura in un si-


stema

Come si è precedentemente detto, spesso è necessario conoscere


come varia la temperatura in un sistema; in particolare, va valutato l’anda-
mento di temperatura in corrispondenza sia delle superfici che delimitano
le pareti, dette superfici di interfaccia, che negli strati che costituiscono
la parete stessa.
Nell’ipotesi di regime permanente, se sono note la potenza termica
che fluisce attraverso la parete e le resistenze dei singoli tratti, con la (9.15)
è possibile calcolare le differenze tra le temperature di interfaccia; se poi
è nota almeno una temperatura, è possibile calcolare anche le singole
temperature di interfaccia.
Un metodo alternativo e più semplice per calcolare le differenze tra le
temperature di interfaccia, che va comunque utilizzato se non si conosce
la potenza termica ma sono note tutte le resistenze e la differenza totale
di temperatura, consiste nell’applicare la (9.18); anche in questo caso, se
è nota almeno una temperatura, è possibile calcolare anche le singole
temperature di interfaccia11. Questo secondo metodo ha il vantaggio di
richiedere solo il calcolo delle resistenze termiche e permette di indivi-
duare rapidamente l’andamento di temperatura nei diversi tratti.

Esercizi

Esercizio 9.1 – Con riferimento allo schema di Figura 9.1, ponendo R1 = 1,00
Ω, R2 = 10,0 Ω, R3 = 100 Ω, ΔV = 500 V, calcolare:
1. I,
2. ∆V1,∆V2, ∆V3.

11
In ogni caso è importante ricordare che il tratto per il quale si considera il ΔT
deve essere lo stesso del quale sono note le resistenze termiche e che tale tratto può
comprendere uno o più strati della parete. Per esempio, a ΔT1-2 corrisponde R1-2, a
ΔT2-n corrisponde R2-n.
190 Lezioni di Fisica Tecnica

Esercizio 9.2 – Con i dati dell’esercizio 9.1 calcolare l’incidenza percentuale


delle singole cadute di potenziale.

Esercizio 9.3 – Utilizzando gli stessi valori di resistenze e di differenza di


potenziale totale dell’esercizio 9.1, per il sistema-circuito di Figura 9.2 cal-
colare:
1. I, I1 , I2 , I3.

Esercizio 9.4 – Ripetere l’esercizio 9.3 nel caso in cui al circuito elettrico
! .
venga sostituito un circuito termico. Calcolare Q

ESERCIZIO 9.5 – Una parete piana, avente dimensioni 5,0 m × 3,0 m, divide un
locale a 21°C dall’ambiente esterno a 5°C. La resistenza termica della parete
è di 4,0⋅10–2 h°C/kcal e le conduttanze unitarie relative alle superfici interna
ed esterna valgono rispettivamente 12 W/m2K e 17 W/m2K. Determinare:
1. la potenza termica che attraversa la parete;
2. la temperatura della superficie esterna.

ESERCIZIO 9.6 – Una piastra metallica di area A = 10 m2, ricoperta sul lato
esterno da un isolante termico, separa del vapor d’acqua saturo a 7,92 bar dal-
l’ambiente esterno, a 21°C. La conduttanza superficiale unitaria lato vapore
è di 2900 W/m2K; la resistenza termica della piastra è pari a 1,70 ⋅ 10–5 K/W,
quella dell’isolante a 4,30 ⋅ 10–2 K/W e la conduttanza superficiale unitaria lato
ambiente è di 23,0 W/m2K. Calcolare la temperatura delle superfici interna,
esterna e quella dell’interfaccia di separazione piastra-isolante.

ESERCIZIO 9.7 – Una piastra piana, di area A = 15 m2, disposta orizzontalmente


e perfettamente coibentata nella parte inferiore, assorbe per irraggiamento
dal sole una potenza termica di 9,42 ⋅ 103 W. Sapendo che la temperatura
dell’aria è 27°C e che la conduttanza unitaria superficiale tra la piastra e l’am-
biente è di 12 W/m2K, si determini la temperatura della piastra in condizioni
di regime permanente.
Capitolo decimo
Trasmissione del calore per conduzione

10.1 Postulato di Fourier

La legge fondamentale della trasmissione del calore per conduzione


è rappresentata dal postulato di Fourier:
!
" k = −Ak grad T
Q (10.1)

con:
!
Q" k = vettore potenza termica, W,
A = area di superficie isoterma, m2,
k = conducibilità termica, W/mK,
T = temperatura, °C o K.
dal significato dell’operatore gradiente si comprende l’esatto significato
del postulato di Fourier: in un corpo nel quale la temperatura1 non è
uniforme si trasmette dell’energia termica che in ogni punto fluisce:
• normalmente alla superficie isoterma passante per il punto conside-
rato,
• nel verso delle temperature decrescenti,
• con un’intensità direttamente proporzionale all’area della superficie
isoterma, alla conducibilità termica del materiale di cui è costituito il
corpo ed al gradiente di temperatura.
Come è noto, il gradiente può essere espresso in funzione del ver-
sore della normale alla superficie isoterma nel verso delle temperature
!
crescenti, n o :

1
Il postulato di Fourier sottolinea che la temperatura rappresenta il potenziale
nei fenomeni di scambio termico conduttivo: laddove si crea una differenza di tem-
peratura, si ha conseguentemente un flusso termico.
192 Lezioni di Fisica Tecnica

! ⎛ ∂T ⎞
grad T = n o ⎜ ⎟ (10.2)
⎝ ∂n ⎠

oppure in funzione dei versori i , j e k della generica terna di assi car-


tesiani x, y e z:

! ⎛ ∂T ⎞ ! ⎛ ∂T ⎞ ! ⎛ ∂T ⎞
grad T = i ⎜ ⎟ + j⎜ ⎟ + k⎜ ⎟ (10.3)
⎝ ∂x ⎠ ⎝ ∂y ⎠ ⎝ ∂z ⎠

Dalla (10.1) e dalla (10.2) si ottiene la relazione scalare

" k = −Ak ∂T
Q (10.4)
∂n

Il segno meno che compare nelle (10.1) e (10.4) deriva dal fatto
che il flusso termico ha verso opposto a quello della derivata della
temperatura ∂T/∂n: assumendo, come si è detto, come verso positivo
dell’asse n quello delle temperature decrescenti, evidentemente ∂T/∂n
è negativa.
La derivata parziale nella (10.4) si comprende ricordando che in gene-
rale la temperatura è funzione del punto e del tempo, cioè è T = T(x,y,z,θ)
ovvero anche T = T(n,θ). Nel caso che il corpo si trovi in condizioni di
regime permanente, è T = T(n) e la (10.4) diventa:

" k = −Ak dT
Q (10.5)
dn

La conducibilità termica, k, definita dal postulato di Fourier, è una


proprietà del materiale e rappresenta la quantità di calore che nell’unità di
tempo attraversa l’unità di area della superficie isoterma con una derivata
della temperatura, rispetto alla normale alla superficie stessa, unitaria;
quindi, per una fissata distribuzione di temperatura all’interno di un cor-
po, quanto maggiore è il valore della conducibilità termica tanto maggiori
saranno i flussi termici. In Tabella 9.1 è riportato l’ordine di grandezza
della conducibilità termica di alcune categorie di materiali; nella Tabella
A.5 dell’Appendice, invece, sono riportati i valori per alcune sostanze in
fase solida a temperature prossime a quelle ambientali.
Nel seguito si farà sempre riferimento a solidi omogenei ed isotropi,
cioè con proprietà uniformi ed indipendenti dalla direzione.
Trasmissione del calore per conduzione 193

10.2 Pareti piane a regime permanente

Si consideri una parete o una lastra piana di spessore s con le superfici


esterne, 1 e 2, isoterme alle temperature T1 e T2 con T1 > T2, schematizzata
in Figura 10.1. In questo tipo di sistema ogni piano parallelo alle superfici
esterne sarà anch’esso isotermo e pertanto, per il postulato di Fourier, il
vettore flusso termico, e quindi l’asse n, è in ogni punto perpendicolare
alle superfici esterne della parete. Generalmente si assume una terna car-
tesiana con x coincidente con n. Il fenomeno è quindi unidimensionale, in
quanto la temperatura non dipende più da x, y e z ma soltanto da x.
$
$
$
%!$ %:S%!$

$
$
$ ($
$ !$ :$

Figura 10.1 – Schema di una parete piana.

La (10.5) si scrive:

" k = −Ak dT
Q (10.6)
dx

separando le variabili si ha:

" k dx = −Ak dT
Q (10.7)

ed integrando tra i valori di T1 e T2, corrispondenti a x=x1 e x=x2, si ot-


tiene:
x2 T2
" k dx = − Ak dT
∫ Q ∫ (10.8)
x1 T1
194 Lezioni di Fisica Tecnica

nella quale, per l’ipotesi di regime permanente2, Q" k è costante nella di-
rezione del flusso termico; essendo poi l’area A costante e x2–x1=s, assu-
mendo k costante, dall’integrazione si ha:

" k s = –kA (T – T )
Q (10.9)
2 1

che, eliminando il segno meno ed isolando a primo membro la potenza


termica, diventa:

" k = kA (T1 − T2 )
Q (9.26)
s

relazione incontrata nel paragrafo 9.5.1, dove si è anche detto che per
pareti o lastre piane la resistenza termica, Rk, la conduttanza termica, Kk, e
la conduttanza termica unitaria, RkA, assumono le seguenti espressioni:

s
Rk = (9.27)
Ak

Ak
Kk = (9.28)
s

k
RkA = (9.29)
s

Il postulato di Fourier permette di ricavare anche l’andamento della


temperatura nella parete; infatti, dalla (10.6) si ricava la relazione:

dT Q"
=− k (10.10)
dx kA

nella quale, come si è detto, Q " k è costante lungo x, la superficie A è co-


stante e, per le applicazioni che interessano questo testo, si può assumere
k costante; ne deriva che la curva T,x in una parete piana è a pendenza
costante, cioè ha un andamento lineare.

2
Considerando due qualunque superfici parallele alle superfici esterne, i flussi
termici attraverso queste superfici sono certamente uguali: se non lo fossero nel vo-
lume di controllo compreso tra queste due superfici ci sarebbe accumulo positivo o
negativo di energia, ovvero variazione dell’energia interna e della temperatura, contro
l’ipotesi di regime permanente.
Trasmissione del calore per conduzione 195

Dalla (10.10) si ricava anche che nel caso di parete piana multistrato,
nella quale come si è visto la potenza termica è la stessa in ciascuno stra-
to, le pendenze della funzione T(x) nei diversi strati sono inversamente
proporzionali alle conducibilità termica dei materiali con i quali tali strati
sono realizzati. Per esempio, per la parete schematizzata in Figura 10.2,
l’andamento della temperatura è indicativo del fatto che lo strato a è
quello caratterizzato dal valore massimo della conducibilità termica e lo
strato b da quello minimo.

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%!$

'$ O$ 0$
%W$

J$
!$ :$ 5$ W$

Figura 10.2 – Esempio di andamento della temperatura in una parete a tre strati, con
ka >kc >kb.

Sempre dalla (10.10) si ricava che l’andamento della temperatura in


una parete, oltre che dalla conducibilità termica, dipende dalla potenza
termica per unità di superficie, Q " k /A, e non dalla potenza termica.
Per quanto detto al paragrafo 9.4.1, nel caso di parete piana multi-
strato si può parlare di resistenza termica equivalente o totale della parete
che, per meccanismo in serie, per le (9.14)3 e (9.27) risulta:

si
R k, parete = ∑ (10.11)
i Aki

La conduttanza termica equivalente o totale della parete piana mul-


tistrato sarà ovviamente data dalla relazione:

3
R eq, ser = ∑R
i
i (9.14)
196 Lezioni di Fisica Tecnica

1
K k, parete = (10.12)
R k, parete

Si consideri infine una parete realizzata con due diversi materiali,


a e b, del tipo di quella schematizzata in Figura 10.3: la zona centrale è
costruita con il materiale b ed ha spessore sb e superficie di area Ab, men-
tre le zone laterali sono costituite dal materiale a ed hanno spessore sa e
superficie di area totale Aa= Aa1 + Aa2. Nelle tre zone i percorsi del flusso
termico avvengono in parallelo, per cui, volendo calcolare la conduttanza
termica equivalente o totale della parete, dalla (9.23)4 si ottiene:

ka A a k b A b
K k, parete = + (10.13)
sa sb

T'!$ T':$

TO$
' '
O

Figura 10.3 – Esempio di una parete costituita da due zone attraversate da flussi ter-
mici in parallelo.

Si tenga presente che le relazioni presentate in questo paragrafo si


basano sull’ipotesi di isotermicità delle due superfici esterne della parete,
ipotesi che non è mai rigorosamente verificata nella realtà sia perché le
pareti non sono mai indefinite e quindi, in corrispondenza dei bordi, risen-
tono delle temperature delle pareti adiacenti o dell’ambiente, sia perché
non sempre le pareti sono costituite da materiali omogenei (si pensi ai
mattoni forati o alla presenza della malta); in ogni caso, sia analiticamente
che sperimentalmente, si è verificato che l’errore che si commette facendo
l’ipotesi di isotermicità delle superfici esterne è dell’ordine di qualche
unità per cento e quindi senz’altro accettabile in molte applicazioni in-
gegneristiche.

4 " = K eq ΔT
Q (9.23)
Trasmissione del calore per conduzione 197

10.3 Pareti cilindriche a regime permanente

Per pareti cilindriche si intendono corpi delimitati da superfici cilin-


driche coassiali; nella tecnica sono importanti perché comprendono le
tubazioni e le canalizzazioni cilindriche.
In riferimento alla Figura 10.4, nell’ipotesi che le superfici cilindriche
interna ed esterna, 1 e 2, di raggio rispettivamente r1 e r2, siano isoterme
alle temperature T1 e T2 con T1 > T2, ogni altra superficie cilindrica coas-
siale sarà anch’essa isoterma e pertanto, per il postulato di Fourier, il
vettore flusso termico, che è in ogni punto perpendicolare alle superfici
cilindriche, è diretto radialmente; l’asse n qui si indicherà perciò con r.

%!$ Z

%:$

&! $
&$
&: $

.&$

Figura 10.4 – Schema di parete cilindrica

Nell’ipotesi di regime permanente la (10.5) si scrive:

" k = −Ak dT
Q (10.14)
dr

ovvero, separando le variabili T ed r, e ricordando che l’area della super-


ficie cilindrica è data da 2π rL:

" k dr = −kdT
Q (10.15)
2πrL

ed integrando tra i valori di T1 e T2, corrispondenti a r = r1 e r = r2, si ha:


r2 2T
" k dr = − kdT
∫ Q
2πrL T∫1
(10.16)
r1
198 Lezioni di Fisica Tecnica

" k costante nella direzione del flusso termico5 per l’ipotesi


Essendo Q
di regime permanente ed assumendo k costante, dall’integrazione si ha:

Q"k r2
ln = −k (T2 − T1 ) (10.17)
2πL r1

che eliminando il segno meno ed isolando a primo membro la potenza


termica, diventa:

" k = 2πkL (T1 − T2 )


Q (10.18)
ln (r2 / r1 )

nella quale, moltiplicando numeratore e denominatore dell’argomento


del logaritmo per 2π L, si ottiene:

" k = 2πkL (T1 − T2 )


Q (10.19)
ln (A 2 / A1 )

con A2 e A1 area delle superfici esterna ed interna. Moltiplicando nu-


meratore e denominatore per (r2-r1), essendo 2π L(r2–r1)=A2–A1, si ha in
definitiva:

" k = k (A 2 − A1 )(T1 − T2 )
Q (10.20)
(r2 − r1 )ln (A 2 / A1 )
Ricordando che (A2-A1)/ln(A2/A1) rappresenta la media logaritmica6
tra A2 e A1, che si indica con Aml, ed essendo r2–r1 lo spessore, s, della
parete cilindrica, la (10.20) si può mettere anche nella seguente forma:

" k = A ml k (T1 − T2 )
Q (10.21)
s

5
Si noti che nel caso di pareti cilindriche a regime permanente la potenza è
costante ma non lo è il flusso termico, dal momento che varia l’area delle superfici
isoterme.
6
Dati due numeri M e N, dire media di M e N non ha significato, in quanto biso-
gna specificare il tipo di media. Esistono infatti: la media aritmetica, (M+N)/2, la media
geometrica, MN , le medie pesate, aM+bN con a e b coefficienti di peso caratterizzati
dall’essere minori di 1 e dall’essere a+b=1, la media logaritmica, (M–N)/ln(M/N). In
ogni caso, la media tra M e N è un numero certamente compreso tra M ed N.
Trasmissione del calore per conduzione 199

che ha il vantaggio di essere formalmente uguale alla (9.26)7*; la differenza


sta nell’area, che, nel caso di pareti cilindriche, è la media logaritmica
delle aree delle superfici interna ed esterna.
Dalla (10.18) e dalla (10.21) si deducono le due espressioni, ovvia-
mente equivalenti, della resistenza termica, Rk, di una parete cilindrica:

ln (r2 / r1 )
Rk = (10.22)
2πkL

s
Rk = (10.23)
A ml k

Ovviamente, la conduttanza della parete cilindrica assume le seguenti


espressioni:

2 πkL
Kk = (10.24)
ln (r2 / r1 )

A ml k
Kk = (10.25)
s

Si noti che la media logaritmica assume un valore sempre minore


della media aritmetica e si potrebbe dimostrare, ma l’argomento esula
dalle finalità di questo testo, che la differenza percentuale tra la media
aritmetica e quella logaritmica dipende solo dal rapporto tra i due numeri
e tende a zero al tendere a 1 di questo rapporto. Nella Tabella 10.1 viene
riportato un esempio numerico: confrontando la media aritmetica, ma, e
quella logaritmica, ml, per due numeri, M e N, con N sempre uguale a
20,0 ed M che diminuisce. Nell’ultima colonna è riportata la differenza
percentuale tra le due medie. Nelle applicazioni tecniche, generalmente,
per (A2/A1)<2, ovvero per (r2/r1)<2, la media logaritmica viene sostituita
con quella aritmetica.
Per quanto riguarda l’andamento della temperatura, dalla (10.15) si
ottiene:

dT Q"k
=− (10.26)
dr 2 πrLk

7 " k = kA (T1 − T 2 ) .
Q (9.26)
s
200 Lezioni di Fisica Tecnica

dalla quale si ricava che a regime permanente, essendo Q " k costante e


considerando costante k, la pendenza diminuisce al crescere del raggio,
come mostrato in Figura 10.5.

Tabella 10.1 – Esempio di confronto tra media aritmetica, ma, e media logaritmica, ml.
M N M/N ma ml (ma–ml)/ma·100
100 20,0 5,00 60,0 49,7 17
60,0 20,0 3,00 40,0 36,4 9,0
40,0 20,0 2,00 30,0 28,8 4,0
30,0 20,0 1,50 25,0 24,7 1,2
25,0 20,0 1,25 22,5 22,4 0,44

$
$
$
%I&K$

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&$

&!$
&:$

Figura 10.5 – Andamento della temperatura in una parete cilindrica.

In molte applicazioni tecniche si incontrano sistemi costituiti da più


pareti cilindriche in serie. Si pensi ad una tubazione coibentata, come
quella schematizzata in Figura 10.6: il flusso termico passa per convezione
ed irraggiamento dal fluido interno alla superficie 1, da qui per conduzione
nel tubo fino alla superficie 2, quindi per conduzione nell’isolante fino
alla superficie 3, e da questa per irraggiamento e convezione all’ambiente
esterno.
Trasmissione del calore per conduzione 201

Z$

%-$

%5$
%:$
%!$ %*$

&!$
&5$
&:$

Figura 10.6 – Schema di un sistema costituito da due pareti cilindriche.

Il sistema di Figura 10.6 è praticamente quello di Figura 10.4, con la


sola differenza che in questo caso le resistenze conduttive sono due e non
tre; quindi vale la (9.16)8. Nel caso di Figura 10.6 si ha pertanto:

" = T i − Te
Q =
1 ln (r2 / r1 ) ln (r3 / r2 ) 1
+ + +
hi Ai 2πLka 2πLkb he Ae
(10.27)
T i − Te
=
1 sa sb 1
+ + +
h i A i ka A ml(1,2) kb A ml(2,3) h e A e

8 " = ΣΔTi = ΔT
Q (9.16)
ΣR i R eq
202 Lezioni di Fisica Tecnica

Ovviamente, i due metodi visti per il calcolo dell’andamento della


temperatura in pareti piane valgono anche nel caso delle pareti cilindri-
che.

10.4 Sistemi con generazione di energia termica

Molto spesso nella tecnica si incontrano sistemi all’interno dei quali


si ha generazione di energia termica: si pensi alle resistenze elettriche o
alle reazioni nucleari.
Generalmente, la generazione di energia termica è riferita all’unità
di volume del corpo; in questo testo la si indicherà con il simbolo q" *,
in W/m3.
Si supponga di avere una lastra piana indefinita sede di generazione
uniforme di energia termica, immersa in un ambiente a temperatura uni-
forme: in condizioni di regime stazionario, la temperatura all’interno della
lastra ha un andamento simmetrico rispetto alla mezzeria, in corrispon-
denza della quale si ha il valore massimo; se una delle superfici esterne
della lastra è adiabatica, a regime permanente la temperatura massima
si trova proprio in corrispondenza di tale superficie. In un cilindro la
temperatura massima si ha sull’asse, in una sfera al centro. In ogni caso,
le grandezze di maggiore interesse in un corpo con generazione di calore
sono la temperatura massima e quella superficiale.
Si consideri un corpo, immerso in un ambiente a temperatura uni-
forme9, caratterizzato da un’area di superficie A, da un volume V e co-
stituito da un materiale di conducibilità termica k, all’interno del quale si
generi una potenza per unità di volume pari a q" *. A regime stazionario
la quantità di energia termica generata nel corpo è pari a quella che il
solido trasmette verso l’ambiente:

"
q" * V = Q (10.28)

che, detta h=hc+hi la conduttanza superficiale unitaria, Ts la temperatura


della superficie e T∞ quella dell’ambiente, si può scrivere come:

q" * V = hA(Ts − T∞ ) (10.29)

da cui si ricava la relazione per il calcolo della temperatura superficiale:

9
Per ambiente a temperatura uniforme si intende un ambiente in cui l’aria e tutte
le superfici che circondano il corpo in esame siano alla stessa temperatura T; se così
non fosse, tra l’altro, si dovrebbero considerare separatamente lo scambio convettivo
e quelli radiativi, calcolati rispettivamente con la (9.34) e la (9.32).
Trasmissione del calore per conduzione 203

q" * V
Ts = T∞ + (10.30)
hA

che fornisce nel caso di parete piana indefinita di spessore 2L:

q" * L
Ts, parete piana = T∞ + (10.31)
h

per un cilindro:

q" * re
Ts, cilindro = T∞ + (10.32)
2h

per una sfera:

q" * re
Ts, sfera = T∞ + (10.33)
3h

Per quanto riguarda il procedimento di calcolo della temperatura


massima, ci si riferirà alla sola geometria cilindrica. Si abbia un cilindro
pieno, indefinito, di raggio re, schematizzato in Figura 10.7; dalla legge
di Fourier si ha:

dT
q" * Vr = −A r k (10.34)
dr

con Ar = 2πrL e Vr = πr2L; separando le variabili e integrando tra r = 0 e


r = re, cui corrispondono rispettivamente Tmax e Ts, fornisce:

q" * re2
ΔTmax,cilindro = Tmax – Ts = (10.35)
4k

Con procedimenti analoghi, si arriva a scrivere:

q" * r02
ΔΤmax,sfera = Tmax – Ts = (10.36)
6k

q" * L2
ΔΤmax,lastra piana = Tmax – Ts = (10.37)
2k
204 Lezioni di Fisica Tecnica

Si noti che questa relazione è valida solo nel caso in cui la lastra
separi due ambienti le cui temperature e caratteristiche siano coincidenti
e anche le conduttanze unitarie superficiali siano le stesse. Solo in questa
situazione, infatti, le due temperature superficiali Ts sono uguali e quindi
la distribuzione della temperatura nella parete è simmetrica.

&$

.&$
&-$

Figura 10.7 – Schema di cilindro con generazione

10.5 Sistemi a regime non permanente

Nei paragrafi precedenti si è sempre fatta l’ipotesi di regime perma-


nente; nella realtà, però, la temperatura di un corpo varia con il tempo:
si pensi per esempio all’aumento di temperatura che si ha in un forno
all’avviamento o alle variazioni periodiche cui sono soggette le pareti
esterne degli edifici nelle 24 ore.
Per regime non permanente o regime variabile o transitorio termico si
intende appunto la condizione T = T(n,θ).
Ovviamente, nel transitorio termico la temperatura varia anche con la
posizione; si pensi ad un corpo portato ad alta temperatura e poi messo a
raffreddare: la parte interna del corpo si raffredderà più lentamente che
non la superficie esterna. Un caso particolare è quello dei cosiddetti siste-
mi a parametri concentrati, nei quali la resistenza termica interna del corpo
è trascurabile rispetto a quella superficiale e quindi si può considerare la
temperatura uniforme all’interno del corpo stesso10, cioè T = T(θ).
Allo scopo di valutare la possibilità di utilizzare questa soluzione
semplificata è necessario calcolare il rapporto tra la resistenza interna
del corpo, di natura conduttiva, e quella superficiale, di natura radiativa

10
Questo è l’unico caso che sarà trattato in questo testo.
Trasmissione del calore per conduzione 205

e convettiva. Questo rapporto, detto numero di Biot, può essere scritto


in forma adimensionale come:

hL
Bi = (10.38)
ks

con:
h = conduttanza termica superficiale unitaria, W/m2K;
L = lunghezza caratteristica del corpo, data dal rapporto V/A, con V
volume e A area della superficie di scambio del corpo, m;
ks = conducibilità termica del corpo, W/mK;
dove evidentemente la resistenza interna è data dal rapporto L/ks e quella
esterna è 1/h.
Nel caso in cui risulti:

Bi < 0,1 (10.39)

si ha che la resistenza interna è inferiore a un decimo di quella esterna e


la soluzione semplificata è applicabile per piastre, cilindri e sfere con un
errore minore del 5%.
Un esempio di sistema a parametri concentrati è rappresentato da
un corpo metallico di piccole dimensioni, inizialmente alla temperatura
uniforme T0, che al tempo θ = 0 viene posto a raffreddare in un ambiente
a temperatura costante T∞ <T0. Se le dimensioni del corpo, sono tali che
l’ordine di grandezza di L è di 10–2 m, e considerata l’elevata conducibilità
termica del metallo, certamente maggiore di 10 W/mK, se la temperatura
del corpo non è eccessivamente elevata11 e se, come ipotizzato, il corpo
è immerso in aria, per cui la conduttanza superficiale è minore di 102
W/m2K, il numero di Biot risulterà certamente minore di 0,1. Il bilancio
di energia sul corpo, relativamente ad un generico intervallo infinitesimo
di tempo dθ, risulta dall’applicazione del primo principio della termodi-
namica per sistemi chiusi, nell’ipotesi di lavoro nullo e di sistema fisso e
in quiete12:

dU = dQ (10.40)
ovvero:
– mcdT = hA (T – T∞) dθ (10.41)

11
Come si vedrà nei Capitoli successivi, la temperatura superficiale del corpo
influisce sugli scambi radiativi e può influenzare quelli convettivi.
12
L = ΔEp = ΔEc = 0.
206 Lezioni di Fisica Tecnica

con:
A = superficie del corpo, m2;
T = temperatura superficiale del corpo al tempo θ, coincidente, per le
ipotesi fatte, con la temperatura interna del corpo stesso, °C;
T∞ = temperatura dell’aria, °C;
il segno meno a primo membro evidenzia il fatto che il raffreddamento del
corpo determina una diminuzione della temperatura e quindi dell’energia
interna di quest’ultimo.
La (10.41), separando le variabili e ricordando che T∞ è costante, per
cui d(T–T∞) = dT, fornisce:

dT d(T − T∞ ) hA
= = dθ (10.42)
T − T∞ T − T∞ mc

che integrata tra θ = 0, cui corrisponde T = T0, ed il generico tempo θ,


cui corrisponde la temperatura T, si scrive:

T ϑ
d(T − T∞ ) hA
∫ T − T∞ = − ∫ mc dθ (10.43)
T0 0

Nell’ulteriore ipotesi semplificativa che le grandezze h, A e c siano


costanti rispetto alla temperatura, quindi rispetto al tempo, si ottiene:

T − T∞ hA
ln =− θ (10.44)
T 0 − T∞ mc

da cui risulta:

T − T∞ ⎛ hA ⎞
= exp ⎜ − ϑ⎟ (10.45)
T 0 − T∞ ⎝ mc ⎠

da cui:

⎛ hA ⎞
T = T∞ + (T0 − T∞ )exp ⎜ − ϑ⎟ (10.46)
⎝ mc ⎠

La (10.45) e la (10.46) mostrano che il raffreddamento del corpo


avviene con legge esponenziale; la temperatura del corpo diminuisce a
Trasmissione del calore per conduzione 207

partire dal valore T0, tendendo asintoticamente al valore T∞, che raggiunge
teoricamente dopo un tempo infinito.
Il termine:

mc
θ0 = (10.47)
hA

che compare nelle (10.45) e (10.46), espresso in secondi, è detto costante


di tempo del fenomeno ed esprime l’inerzia termica del corpo al crescere
della quale diminuisce la velocità di raffreddamento.
Sostituendo l’espressione della costante di tempo nella (10.46) si ot-
tiene:

⎛ ϑ⎞
T = T∞ + (T0 − T∞ )exp ⎜ − ⎟ (10.48)
⎝ ϑ0 ⎠

Esercizi

ESERCIZIO 10.1 – Una parete piana separa un ambiente a 20,0°C dall’esterno a


–2,0°C. La parete è costituita da due strati: 15,0 cm di calcestruzzo e 25,0 cm
di mattoni (k = 0,650 W/mK). Le conduttanze unitarie superficiali interna ed
esterna valgono rispettivamente 10,0 W/m2K e 20,0 W/m2K. Calcolare:
1. l’andamento della temperatura nella muratura;
2. la conduttanza termica totale unitaria della parete;
3. il flusso termico.

ESERCIZIO 10.2 – Si vuole aumentare del 50% la resistenza termica unitaria


della parete dell’esercizio 10.1, utilizzando lastre di poliuretano espanso. Si
calcoli:
1. lo spessore di isolante termico necessario;
2. l’andamento della temperatura nella parete con l’isolante.
3. Stabilire se vi è una collocazione dello strato isolante che, al fine dell’au-
mento della resistenza termica, risulti più conveniente.

ESERCIZIO 10.3 – Una parete è costituita come mostrato in Figura: un blocco


di calcestruzzo di area pari a 30 m2 e spessore pari a 20,0 cm è posizionato
tra due blocchi di mattoni di argilla refrattaria di 30 m2 e 40,0 cm di spessore.
Calcolare:
208 Lezioni di Fisica Tecnica

1. la resistenza termica della parete;


2. la resistenza termica della parete che si ottiene:
a) ricoprendo solo il calcestruzzo con 3,0 cm di polistirolo espanso;
b) ricoprendo solo la parte in mattoni con 3,0 cm di polistirolo espanso.

ESERCIZIO 10.4 – Una tubazione di alluminio di 0,50 cm di spessore attraversa


un locale alla temperatura di 20,0°C. Nella condotta fluisce del vapore d’acqua
saturo alla pressione di 2,00 atm. Per motivi di sicurezza la temperatura della
superficie esterna della condotta non deve superare i 45,0°C. Assumendo
per le conduttanze superficiali unitarie interna ed esterna i valori di 5000 e
10 W/m2K:
1. verificare se c’è rischio per le persone che venissero a contatto con la
condotta;
2. in caso affermativo, calcolare lo spessore minimo di lana di roccia con cui
rivestire la condotta.

ESERCIZIO 10.5 – Una parete di mattoni di muratura di 15 cm di spessore sepa-


ra un locale alla temperatura di 22,0°C e con un grado igrometrico dell’80%
dall’ambiente esterno.
1. Determinare per quale valore della temperatura dell’ambiente esterno si
ha condensa sulla superficie interna della parete.
2. Se l’ambiente esterno è ad una temperatura di 10°C inferiore a quella
calcolata al punto precedente, si calcoli lo spessore minimo di poliuretano
espanso da aggiungere alla parete per evitare che si formi condensa.
Per le conduttanze superficiali interna ed esterna si assumano i valori di 10
e 20 W/m2K.

ESERCIZIO 10.6 – Una parete deve separare due ambienti rispettivamente a


110°C e 15°C. La parete deve avere uno spessore di 50 cm e la si vuole rea-
lizzare, dall’ambiente caldo a quello freddo, con:
– uno strato di 40 cm di mattoni di argilla refrattaria;
– uno strato di 10 cm di isolante plastico con una conducibilità termica di
0,070 W/mK ed una temperatura massima ammissibile di 60,0°C.
Assumendo per le conduttanze termiche superficiali unitarie lato caldo e lato
freddo rispettivamente i valori di 30,0 e 8,0 kcal/hm2°C, valutare:
1. se la parete è valida;
2. quali dovrebbero essere gli spessori dei due materiali per avere, con lo
stesso spessore complessivo di 50 cm, il minimo flusso termico disperso.
Trasmissione del calore per conduzione 209

ESERCIZIO 10.7 – Una tubazione di acciaio di 3,0 cm di diametro e 0,40 cm di


spessore, lunga 10,0 m, trasporta, alla velocità di 2,0 m/s ed alla pressione di
1,50 atm, acqua alla temperatura iniziale di 80,0°C. La tubazione è rivestita
da 4,0 cm di lana di vetro. Sapendo che la tubazione è sospesa in aria in un
ambiente a 7,0°C ed assumendo per le conduttanze superficiali unitarie interna
ed esterna i valori di 1000 W/m2K e 10 W/m2K, calcolare:
1. la potenza termica dispersa dalla tubazione;
2. la temperatura all’interfaccia acciaio-lana di vetro;
3. la temperatura della superficie esterna della tubazione.

ESERCIZIO 10.8 – Una piccola diga, che può essere schematizzata con una larga
piastra spessa 120 cm, deve essere messa in opera in breve tempo. L’idratazio-
ne del cemento comporta una generazione di calore uniformemente distribuita
la cui intensità costante è di 60 W/m3. Nell’ipotesi di regime permanente,
sapendo che entrambe le superfici della diga sono alla temperatura di 15°C
ed assumendo per la conducibilità termica del cemento umido il valore di 1,0
W/mK, calcolare:
1. la massima temperatura del cemento.

ESERCIZIO 10.9 – Una piastra di acciaio inossidabile 18-8 di 60⋅60 cm e di 0,40


cm di spessore, attraversata da corrente elettrica, viene usata come elemento
riscaldante. Nelle condizioni di esercizio la piastra è disposta orizzontalmente
e nella parte inferiore è accuratamente coibentata. Assumendo per la condut-
tanza unitaria superficiale il valore di 10 W/m2K, determinare:
1. la potenza elettrica con cui bisogna alimentare la piastra per avere sulla
superficie, se è in aria stagnante a 5°C, la temperatura di 230°C;
2. la massima temperatura della piastra.

ESERCIZIO 10.10 – Un conduttore elettrico di 1,00 mm di raggio è isolato uni-


formemente in modo da formare un elemento a simmetria cilindrica di raggio
pari a 1,50 mm. Il conduttore, percorso da una corrente a 50 A, è posto in
un ambiente alla temperatura di 20°C. Sapendo che la resistenza elettrica
del conduttore è di 3,50⋅10–3 Ω/m e che la conducibilità termica dell’isolante
è pari a 0,200 W/mK e volendo che la temperatura all’interfaccia condutto-
re-isolante non superi i 60°C, calcolare il valore minimo della conduttanza
unitaria esterna.

ESERCIZIO 10.11 – Una sfera di rame di 4,0 cm di diametro, inizialmente a


20°C, viene messa in un forno nel quale la temperatura è di 800°C. Nell’ipo-
210 Lezioni di Fisica Tecnica

tesi che la conduttanza unitaria superficiale atmosfera del forno-rame possa


essere considerata costante e pari a 116 W/m2K, calcolare quanto tempo la
sfera deve rimanere nel forno perché la sua temperatura sia in ogni punto
maggiore di 250°C.

ESERCIZIO 10.12 – Un cilindretto di acciaio 18-8, lungo 5,0 cm e con un diame-


tro di 1,0 cm, viene estratto da un forno alla temperatura di 800°C e lasciato
raffreddare in aria stagnante alla temperatura di 20°C. Dopo 45 minuti una
termocoppia, posta sulla superficie laterale del cilindro, misura una tempe-
ratura di 400°C. Nell’ipotesi che la conduttanza superficiale sia costante nel
tempo, calcolare dopo quanto tempo la termocoppia misurerà la temperatura
di 100°C.
Capitolo undicesimo
Trasmissione del calore per irraggiamento termico

11.1 Generalità

Come si è detto al Capitolo 9, quasi tutti i corpi emettono energia


sotto forma di onde elettromagnetiche e sono contemporaneamente in
grado di assorbire energia radiante. In tal modo si realizza uno scambio di
energia per irraggiamento tra i corpi: la radiazione viene emessa a spese
dell’energia interna dell’emettitore, l’energia assorbita si traduce in un
aumento dell’energia interna del ricevitore.
Una caratteristica importante delle onde elettromagnetiche e di tut-
ti i fenomeni ondulatori periodici è la lunghezza d’onda, λ, che, nell’ir-
raggiamento termico, si misura generalmente in micrometri, μm, con 1
μm ≡ 10–6 m, come riportato in Tabella 1.4.
In Tabella 11.1 è riportata la classificazione delle onde elettromagne-
tiche sulla base degli intervalli di lunghezza d’onda in cui esse ricadono;
in particolare, le onde elettromagnetiche che interessano l’irraggiamento
termico sono caratterizzate da lunghezze d’onda comprese tra 0,10 μm e
100 μm e si distinguono in:
• radiazioni ultraviolette (UV), 0,10 ≤ λ ≤ 0,38 μm,
• radiazioni visibili, 0,38 ≤ λ ≤ 0,78 μm,
• radiazioni infrarosse (IR), 0,78 ≤ λ ≤ 100 μm;
le radiazioni visibili sono quelle in grado di eccitare la funzione visiva
dell’uomo1; le radiazioni infrarosse con lunghezza d’onda superiore a 100
μm non interessano l’irraggiamento termico.
Il meccanismo di emissione di energia per irraggiamento è dovuto
a fenomeni che avvengono a livello elettronico e che dipendono dalla
natura della materia e dalla sua temperatura. Dal momento che i corpi

1
Al variare della lunghezza d’onda nell’intervallo del visibile cambia la sensa-
zione cromatica, che è rossa in prossimità di 0,78 μm e violetta in prossimità di 0,38
μm; all’esterno dell’intervallo 0,38÷0,78, le onde elettromagnetiche risultano invece
invisibili all’occhio umano.
212 Lezioni di Fisica Tecnica

opachi assorbono la totalità delle radiazioni termiche in piccoli spessori,


dell’ordine dei μm, per essi l’irraggiamento termico, pur essendo presente
nell’intero corpo, risulta essere un fenomeno superficiale e pertanto, nel
seguito, si parlerà indifferentemente di corpo o di superficie; ciò non è
ovviamente vero per i corpi trasparenti.

Tabella 11.1 – Classificazione delle onde elettromagnetiche


denominazione Ï (Ìm)
Raggi cosmici e raggi γ < 10–5
Raggi X 10–5 ÷ 10–1
Raggi ultravioletti 10–1÷0,38
Radiazioni visibili 0,38÷0,78
Radiazioni infrarosse 0,78÷103
Microonde (TV, radar) 103÷106
Onde radio 106÷1011

11.2 Definizioni

11.2.1 Irraggiamento

Si dice flusso radiante incidente o irraggiamento, e si indica con G,


la potenza radiante che incide sull’unità di superficie, espressa in W/m2.
In alcuni campi della tecnica si è interessati a conoscere come varia tale
potenza al variare della lunghezza d’onda ovvero lo spettro della potenza
radiante incidente. A tale scopo si definisce irraggiamento monocromatico
o spettrale, Gλ, la derivata di G rispetto alla lunghezza d’onda:

dG
Gλ = (11.1)

che si misura in W/m3 o meglio, anche per evitare che si pensi di avere a
che fare con una potenza per unità di volume, in W/m2μm.
La conoscenza della distribuzione spettrale permette di valutare:
• la potenza radiante infinitesima incidente compresa tra λ e λ+dλ:
dG = Gλdλ (11.2)
• la potenza radiante incidente compresa tra due lunghezze d’onda, λ1
e λ2:
λ2
G (λ 1 , λ 2 ) = ∫ G λ dλ (11.3)
λ1
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 213

da cui si ricava che, disponendo della curva Gλ(λ) sul diagramma Gλ , λ,


chiamata spettro di irraggiamento, la potenza radiante incidente com-
presa tra due lunghezze d’onda, λ1 e λ2 è data dall’area sottesa alla curva
tra le due lunghezze d’onda. Ovviamente sussiste anche la relazione


G = ∫ G λ dλ (11.4)
0

per cui tutta l’area sottesa alla curva rappresenta proprio G.


In Figura 11.1 sono riportati, a titolo di esempio, gli spettri dell’irrag-
giamento solare su superfici perpendicolari ai raggi solari disposte fuori
dall’atmosfera e sulla superficie terrestre,. Nel primo caso l’irraggiamento
solare viene definito costante solare; il suo valore varia nell’arco dell’anno
tra 1,3 e 1,4 kW/m2.

11.2.2 Interazione delle radiazioni con i corpi

Un flusso radiante G incidente su un corpo viene in parte assorbito,


in parte riflesso e in parte trasmesso. La maggior parte dei solidi è opaca
alle radiazioni che interessano l’irraggiamento termico: sono opachi tutti
i metalli e la maggior parte dei materiali da costruzione, eccetto i vetri
ed alcune plastiche.
Si definiscono coefficiente di assorbimento, α, coefficiente di rifles-
sione, ρ, e coefficiente di trasmissione (o di trasparenza), τ, le frazioni del
flusso radiante incidente che rispettivamente vengono assorbita, riflessa e
trasmessa. Questi coefficienti sono adimensionali e, valendo ovviamente
la relazione αG + ρG + τG = G, risulta:

α+ρ+τ=1 (11.5)

Per i corpi opachi, essendo τ = 0, la (11.5) diventa:

α+ρ=1 (11.6)

I coefficienti α, ρ e τ sono relativi al flusso radiante incidente G e


dipendono dalle caratteristiche termofisiche della superficie e dalla com-
posizione spettrale di G. In riferimento ad una radiazione incidente mo-
nocromatica Gλdλ, caratterizzata da una lunghezza d’onda compresa tra
λ e λ+dλ, si definiscono i coefficienti monocromatici di assorbimento, αλ,
di riflessione, ρλ, e di trasmissione (o di trasparenza), τλ, che rappresen-
tano la frazione della potenza Gλdλ che viene rispettivamente assorbita,
214 Lezioni di Fisica Tecnica

riflessa e trasmessa. Analogamente a quanto visto per i coefficienti totali,


sussiste la relazione:

αλ + ρλ + τλ = 1 (11.7)

e per i corpi opachi:

αλ + ρλ = 1 (11.8)

Nel seguito, le grandezze relative all’intero campo di lunghezze d’onda


vengono spesso definite totali.

/5EE

/EEE

KA'*A:"9H$+$"'"*;"9&,',<<L,;7%*H"9,
: &'8;<3 ' 39

.5EE
=

KA<<,'*A:"9H$+$"';"99"*;9"
.EEE

5EE

E
EBEE EB5E .BEE .B5E /BEE /B5E JBEE
&'8'39

Figura 11.1 – Spettro dell’irraggiamento solare su superfici perpendicolari ai raggi


solari disposte all’esterno dell’atmosfera e sulla superficie terrestre

11.2.3 Emissione delle radiazioni dai corpi

Con riferimento alla potenza emessa dalla superficie per irraggiamen-


to termico, si definisce potere emissivo di una superficie e si indica con
E la potenza radiante emessa dall’unità di area della superficie, espressa
in W/m2.
Ciò che è stato detto per la potenza radiante incidente vale anche
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 215

per quella emessa. Infatti, anche per la potenza radiante emessa si è inte-
ressati a conoscere come questa varia con la lunghezza d’onda, ovvero lo
spettro di potenza radiante emessa; a tale scopo si definisce potere emissivo
monocromatico o spettrale, Eλ, la derivata di E rispetto alla lunghezza
d’onda:

dE
Eλ = (11.9)

Analogamente a quanto visto per Gλ, la grandezza Eλ si misura in


W/m3 o meglio, anche per evitare che si pensi di avere a che fare con una
potenza per unità di volume, in W/m2μm.
Eλ permette di valutare:
• la potenza radiante infinitesima emessa, compresa tra λ e λ+dλ :
dE = Eλdλ (11.10)
• la potenza radiante emessa tra due lunghezze d’onda, λ1 e λ2:
λ2
E (λ 1 , λ 2 ) = ∫ E λ dλ (11.11)
λ1

Quindi, disponendo dello spettro di emissione, Eλ(λ), in un diagram-


ma Eλ,λ la potenza radiante emessa tra due lunghezze d’onda, λ1 e λ2 è
data dall’area sottesa alla curva tra le due lunghezze d’onda; ovviamente
sussiste anche la relazione:


E = ∫ E λ dλ (11.12)
0

cioè nel diagramma Eλ,λ l’area sottesa alla curva rappresenta proprio E.
Nei paragrafi successivi, nelle Figure 11.3 e 11.4, saranno presentati
alcuni esempi di spettri di emissione.

11.3 Corpo nero

Per lo studio dell’irraggiamento ci si avvale di un modello di compor-


tamento ideale: il corpo nero, definito come una superficie o un volume
in grado di assorbire tutte le radiazioni incidenti, di qualsiasi lunghezza
d’onda. Tale definizione comporta un valore unitario del coefficiente di
assorbimento, sia totale che monocromatico, e, per la (11.5) e la (11.7),
216 Lezioni di Fisica Tecnica

valori nulli per i coefficienti sia totali che monocromatici di riflessione e


di trasmissione.
Si noti che nel linguaggio comune per superficie nera si intende una
superficie di colore nero, ovvero caratterizzata da coefficiente di assor-
bimento monocromatico unitario nel campo delle lunghezze d’onda del
visibile. Tutto questo è ovviamente legato al fatto che il colore di una
superficie è quello percepito dall’occhio, derivante dalle radiazioni rifles-
se dalla superficie aventi lunghezze d’onda nel campo del visibile. Que-
sta generalizzazione non è sempre corretta: l’esempio più spettacolare
è quello della neve che, nel visibile, ha un coefficiente di assorbimento
monocromatico quasi nullo e quindi, per la (11.8), un coefficiente di ri-
flessione quasi unitario per cui, riflettendo la luce solare, appare bianca;
nell’infrarosso, però, la neve ha un coefficiente di assorbimento all’incirca
unitario, quindi un coefficiente di riflessione quasi nullo per cui appare
nera.
Come detto, il corpo nero è un modello ideale, in quanto in natura
non esistono corpi che rispettino rigorosamente, cioè in tutto l’intervallo
di lunghezze d’onda dell’irraggiamento termico, la definizione di corpo
nero. È però possibile realizzare una superficie in grado di comportarsi
con ottima approssimazione come un corpo nero, sia nell’assorbimento
che nella emissione di radiazioni. Si consideri una cavità, costituita per
esempio dalla sfera cava mostrata in Figura 11.2, e si supponga di praticare
un piccolo foro nella parete della sfera. Qui di seguito, sarà illustrato il
comportamento di tale sistema rispetto all’assorbimento e alla emissione
e verrà dimostrato che con esso si può simulare un corpo nero.

Assorbimento
Qualunque radiazione penetri nella sfera è in parte assorbita dalla
superficie interna ed in parte riflessa; la parte riflessa che non incontra il
foro sul suo percorso non lascia la cavità ma incide ripetutamente sulla
superficie interna ed ogni volta che la colpisce ne è in parte assorbita. La
superficie del foro della cavità è una superficie nera rispetto all’assorbimen-
to in quanto la quantità di energia radiante che fuoriesce dalla cavità è
molto piccola e può essere resa piccola a piacere riducendo il rapporto tra
l’area del foro e l’area della superficie interna della cavità ed aumentando
il coefficiente di assorbimento della superficie interna.

Emissione
Si faccia in modo che la cavità sia caratterizzata da pareti tutte alla
stessa temperatura T, costante, e si ponga in essa un corpo nero; que-
st’ultimo, dopo un tempo più o meno lungo a seconda della sua inerzia
termica, si porterà alla stessa temperatura T delle pareti della cavità, in
equilibrio termico con esse. Affinché tale equilibrio sussista, dovrà essere
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 217

verificata, istante per istante, l’uguaglianza fra l’energia termica emessa


dal corpo e quella da esso assorbita. Cioè:

An En = An αn Gc (11.13)

con:
An = superficie del corpo nero, m2;
En = potere emissivo del corpo nero, W/m2;
αn = coefficiente di assorbimento del corpo nero, adim.;
Gc = irraggiamento della cavità incidente sul corpo nero, W/m2;
che, essendo per il corpo nero certamente α=1, fornisce:

En(T) = Gc(T) (11.14)

Quanto detto per l’irraggiamento totale vale anche in termini spettrali:

En,λ(T) = Gc,λ(T) (11.15)

'
'

'
'
'
'

Figura 11.2 – Esempio di realizzazione pratica di una superficie nera.

In conclusione, per la (11.14) e la (11.15), il flusso radiante presente


in una cavità isoterma coincide con quello emesso da un corpo nero alla
stessa temperatura; ciò è evidentemente vero a prescindere dalla pre-
senza del corpo nero interno alla cavità. In questo senso la superficie del
foro della cavità è una superficie nera rispetto all’emissione, poiché il foro
consentirà l’uscita all’esterno di un fascio di radiazioni che ha le stesse
caratteristiche della radiazione di un corpo nero alla temperatura T delle
superfici della cavità.
218 Lezioni di Fisica Tecnica

Si noti che la superficie del foro può assumere le caratteristiche di


corpo nero rispetto all’emissione solo se la cavità è isoterma, condizione
non richiesta per il comportamento rispetto all’assorbimento.

11.4 Leggi del corpo nero

L’emissione dei corpi neri è regolata da tre leggi, che qui verranno
solo enunciate: la legge di Stefan-Boltzmann, la legge di Planck e la legge
di Wien.

Legge di Stefan-Boltzmann
Il potere emissivo di un corpo nero, En, è dato dalla relazione:

En = σT4 (11.16)

con:
σ = costante di Stefan-Boltzmann, = 5,67⋅10–8 W/m2K4;
T = temperatura assoluta, K.
Nella (11.16), così come nelle successive (11.17) e (11.18), la tempe-
ratura deve essere espressa in K.

Legge di Planck
Il potere emissivo monocromatico di un corpo nero, Enλ, è dato dalla
relazione:

A
E nλ = (11.17)
λ e
5
( B/ λT
−1 )
con:
A e B = costanti (A = 3,74.108 Wμm4/m2 , B = 1,44.104 μmK);
T = temperatura assoluta, K.
La (11.17) evidenzia che il potere emissivo monocromatico dei corpi
neri è una funzione di due variabili, λ e T; in Figura 11.3 è riportato lo
spettro di emissione del corpo nero a diverse temperature. Dall’esame
della Figura 11.3 risulta evidente che le curve partono tutte dall’origine
degli assi con pendenza nulla, quindi raggiungono un punto di massimo
ed infine decrescono più dolcemente tendendo asintoticamente al valore
zero; dal confronto tra le diverse isoterme si ricava anche che:
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 219

• l’isoterma ad una generica temperatura è tutta al di sopra di quelle a


temperature inferiori: fissata la lunghezza d’onda, il potere emissivo
monocromatico cresce con la temperatura,
• l’ascissa del punto di massimo, λmax, si sposta verso sinistra al crescere
della temperatura. Questa seconda caratteristica è quantizzata dalla
legge di Wien.

Figura 11.3 – Spettri di emissione del corpo nero ad alcune temperature: a) per valori
di temperatura fino a 500 K; b) per valori di temperatura fino a 5780 K
(temperatura apparente della superficie solare).

Legge di Wien
Tra la lunghezza d’onda alla quale il potere emissivo monocromatico
ha il valore massimo, λmax, e la temperatura assoluta della superficie nera
emittente sussiste la relazione:

λ maxT = 2898 μmK (11.18)

dalla quale si ricava che, per un corpo nero a 27 °C ≡ 300 K, il massimo


valore del potere emissivo si ha ad una lunghezza d’onda pari a circa 10
μm, cioè nell’infrarosso, e che per avere tale massimo al centro del visi-
bile, ≈ 0,6 μm, il corpo nero deve avere una temperatura di 5000 K, quasi
coincidente con quella superficiale apparente del sole.
Le tre leggi dell’irraggiamento sono fra di loro dipendenti; infatti, a
partire dalla legge di Planck, integrando tra le lunghezze d’onda 0 e ∞,
per un assegnato valore della temperatura, si ottiene la legge di Stefan-
220 Lezioni di Fisica Tecnica

Boltzmann, derivando per un assegnato valore di T ed uguagliando a zero


si ottiene la legge di Wien.
Da quanto detto si ricava che la sola legge di Planck è sufficiente a
descrivere il comportamento del corpo nero in emissione. I motivi per cui
si usa riportare anche le altre leggi sono due: il primo di ordine pratico,
in quanto, come si vedrà, esse risultano di più immediata applicabilità;
il secondo è di ordine storico, in quanto quella di Planck, in ordine di
tempo, è stata enunciata per ultima.

11.5 Corpi reali

Come detto, il corpo nero è solo un modello che costituisce un rife-


rimento per lo studio del comportamento dei corpi reali; in particolare, il
potere emissivo di un corpo reale viene riferito a quello del corpo nero alla
stessa temperatura mediante l’introduzione dell’emissività o emittenza, ε,
definita dalla relazione:

E
ε= (11.19)
En

che, ricordando la legge di Stefan-Boltzmann (11.16), permette di rica-


vare il potere emissivo, E, di un corpo reale dalla conoscenza della sua
emissività, ε, e della sua temperatura, T.
Nella Tabella A.14 dell’Appendice sono riportati i valori dell’emis-
sività di alcune superfici a due diverse temperature. Si noti che i va-
lori di emissività tabellati sono puramente indicativi, in quanto, come
già anticipato, nei solidi opachi la radiazione elettromagnetica incidente
viene assorbita in uno strato sottilissimo, dell’ordine di pochi decimi di
millimetri (ad esempio nel visibile un foglio metallico anche sottilissimo
appare opaco) e così la radiazione emessa dipende non da tutto il corpo,
ma solo dallo strato superficiale.
Ciò significa che il fenomeno dell’irraggiamento termico, per la mag-
gior parte dei solidi, è un fenomeno praticamente superficiale per cui è
sufficiente ricoprire la superficie con una vernice, ossidarla o cambiarne
la rugosità per avere grandi variazioni nell’assorbimento e nell’emissione;
peraltro, tali variazioni non sempre sono volute: una superficie col tempo
si sporca, si ricopre di grassi, di vapori, e quindi nel tempo cambia l’emis-
sività e, come si vedrà, anche il coefficiente di assorbimento. A questo
proposito, basti ricordare che basta alitare su uno specchio per ridurne
il coefficiente di riflessione a causa della formazione di uno strato di
goccioline d’acqua di pochi micron. Il fatto che l’irraggiamento sia un fe-
nomeno praticamente superficiale comporta anche che nell’uso delle leggi
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 221

del corpo nero va utilizzata la temperatura della superficie del corpo.


Passando alle grandezze monocromatiche, l’emissività monocromati-
ca o emittenza monocromatica, ελ, è definita dalla relazione:


ελ = (11.20)
E nλ

che permette di calcolare il potere emissivo monocromatico dalla emissi-


vità monocromatica e dal potere emissivo monocromatico del corpo nero
alla stessa temperatura, ovvero dalla legge di Planck (11.17).
Qualunque siano la lunghezza d’onda e la temperatura superficiale
per tutti i corpi vale rigorosamente la relazione2:

αλ = ελ (11.21)

nota come legge di Kirchhoff, che non è ovvia, in quanto l’emissività mo-
nocromatica ed il coefficiente di assorbimento monocromatico sono due
grandezze concettualmente diverse tra loro. Infatti, la prima rappresenta
la percentuale di energia emessa dalla superficie rispetto a quella emessa
da un corpo nero alla stessa temperatura; la seconda, invece, rappresenta
la percentuale di energia assorbita dalla superficie rispetto a quella che
incide sulla superficie stessa3.
La (11.21) è una legge molto importante, sia perché permette di co-
noscere il valore del coefficiente di assorbimento a partire dalla misura
dell’emittenza e viceversa, sia perché stabilisce che il valore dell’emissi-
vità, come quello del coefficiente di assorbimento, è compreso tra 0 ed 1
e quindi, sulla base della (11.20), che ad ogni temperatura il corpo nero
emette la massima energia possibile, motivo per cui alcuni testi chiamano
il corpo nero radiatore perfetto e l’emissività grado di nero.
Si noti che la legge di Kirchhoff non vale per le grandezze totali, cioè
in generale risulta α ≠ ε.
I corpi reali hanno generalmente un’emissività monocromatica che
varia in modo complesso con la lunghezza d’onda

11.6 Corpo grigio


Nelle applicazioni tecniche spesso si può sostituire l’andamento ef-
fettivo dell’emissività monocromatica con il suo valore medio, che risulta

2
La dimostrazione non viene riportata perché esula dagli scopi di questo testo.
3
Si noti che usualmente nelle Tabelle delle proprietà dei materiali non sono
i riportati i valori di α, proprio perché, come detto, tale coefficiente dipende dalle
caratteristiche radiative dell’ambiente.
222 Lezioni di Fisica Tecnica

così indipendente dalla lunghezza d’onda; in questi casi si parla di modello


di corpo grigio, definendo corpo grigio quello caratterizzato dall’avere
l’emissività monocromatica costante con la lunghezza d’onda.
Nella Figura 11.4 sono riportati le curve di emissione di un corpo rea-
le, a), di corpo nero b), e di un corpo reale approssimato per cui si assume
il comportamento di corpo grigio, c), tutti alla stessa temperatura.

@ W%9:%'&"9%

KA:"9H$+$"'9",<"
&
>&'8;<3="'39

W%9:%'89$8$%'
'3('2'EB5E6
7

&"8'39'

Figura 11.4 – Spettri di emissione di un corpo reale, curva a), di un corpo nero alla
stessa temperatura, curva b), e del corpo grigio avente lo stesso potere
emissivo del corpo reale alla stessa temperatura, curva c).

L’andamento dello spettro di emissione del corpo grigio è simile a


quello del corpo nero alla stessa temperatura con le ordinate in un rap-
porto pari proprio all’emissività.
Da quanto detto si deduce che:
• le caratteristiche dello spettro di emissione del corpo nero (partenza
dall’origine degli assi, pendenza iniziale nulla, punto di massimo, ten-
denza ad un valore asintotico nullo) sono caratteristiche anche degli
spettri di emissione dei corpi reali a comportamento grigio,
• la legge di Wien vale anche per i corpi grigi.
A questo punto, si comprende perché al buio non si vede: dalla leg-
ge di Wien, infatti, si ricava che a temperature prossime a quelle am-
bientali il massimo dello spettro è a circa 10 μm, quindi nell’infrarosso,
molto lontano dalla zona del visibile (che ricade nella zona della curva
ad ordinate praticamente nulle); si comprende anche perché un metallo
riscaldato, all’aumentare della temperatura, assume colori via via diversi
che vanno dal rosso al bianco: infatti, all’aumentare della temperatura
lo spettro di emissione si innalza, si sposta con il suo massimo verso si-
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 223

nistra e l’area sottesa all’intervallo del visibile assume un valore sempre


maggiore, inizialmente con le ordinate del “rosso” prevalenti rispetto a
quelle del “violetto”.
Come detto, la (11.21) non vale per le grandezze totali, cioè in ge-
nerale è α ≠ ε. Per i corpi grigi però, essendo ελ = costante risulta ελ = ε,
così come, essendo anche αλ = costante è αλ = α, di conseguenza è:

α=ε (11.22)

relazione che rende molto comodo l’uso del modello di corpo grigio.

11.7 Potenza termica radiante scambiata da superfici piane


parallele indefinite

A partire da questo paragrafo si affronta il problema, fondamentale


nella trasmissione del calore, della determinazione della potenza termica
scambiata per irraggiamento tra due corpi delimitati da superfici a tem-
perature diverse. In particolare, ci si limiterà a considerare corpi perfet-
tamente opachi, separati da un mezzo perfettamente trasparente, tenuto
conto del fatto che i risultati che si ottengono in queste ipotesi sono
comunque di notevole interesse pratico per quanto già detto al Capitolo
9 circa l’opacità dei solidi e la trasparenza dei gas.
In questo paragrafo si considererà il caso di interazione tra due su-
perfici parallele, piane e molto estese rispetto alla distanza tra le superfici
stesse, per le quali tutta l’energia radiante emessa da una superficie incide
sull’altra.

11.7.1 Due superfici, entrambe nere

Con riferimento alla Figura 11.5, la potenza radiante emessa dalla


superficie 1 è data dal prodotto del potere emissivo per l’area della
superficie e quindi, essendo la superficie nera, per la legge di Stefan-
Boltzmann, risulta:

! 1 = A E = A σT 4
Q (11.23)
1 n1 1 1

Essendo il corpo 2 nero, tutta la potenza radiante incidente su esso,


Q! 1 , viene assorbita dal corpo 2; pertanto indicando con Q! 1⇒ 2 la potenza
radiante emessa da 1 ed assorbita da 2, è:

! 1⇒ 2 = A σT 4
Q (11.24)
1 1
224 Lezioni di Fisica Tecnica

Analogamente, per la potenza radiante emessa da 2, si ha:

! 2 = A E = A σΤ 4
Q (11.25)
2 n2 2 2

e per la potenza radiante emessa da 2 ed assorbita da 1:

! 2⇒1 = A σT 4
Q (11.26)
2 2

Pertanto, la potenza termica radiante scambiata tra i due corpi, conside-


rando A1=A2=A, risulta:

! 1⇔ 2 = Aσ(T 4 – T 4)
Q (11.27)
1 2

! 1⇒ 2 e Q
Si noti che Q ! 2⇒1 sono potenze radianti, mentre Q! 1⇔ 2 rap-
presenta una potenza termica, cioè l’energia termica complessivamente
ceduta per irraggiamento nell’unità di tempo dal corpo più caldo a quello
più freddo.

.' /'

!.2'." !/2'."

Figura 11.5 – Superfici piane parallele, entrambe nere, con T1 > T2.

Essendo σ = 5,67∙10–8 W/m2K4 e ricordando che 10–8=(10–2)4, nei cal-


coli è più conveniente scrivere la (11.27) nella forma:

⎡ 4 4

! 1⇔ 2 = A 5, 67 ⎢⎛ T1 ⎞ − ⎛ T2 ⎞ ⎥
Q (11.28)
⎜ 100 ⎟ ⎜ 100 ⎟
⎣⎢⎝ ⎠ ⎝ ⎠ ⎥⎦
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 225

! 1⇔ 2 è espressa
Sia nella (11.27) che nella (11.28) la potenza termica Q
in W.

11.7.2 Due superfici, delle quali una nera

Si consideri il caso in cui sia nera solo la superficie 1, come schema-


tizzato in Figura 11.6; essendo α2<1 ed ε2<1 risulta:

! 1 = A σT 4
Q (11.29)
1 1

! 1⇒ 2 = A α σ T 4
Q (11.30)
1 2 1

! 2 = A ε σΤ 4
Q (11.31)
2 2 2

! 2⇒1 = A ε σΤ 4
Q (11.32)
2 2 2

quindi, per A1=A2=A si ha:

! 1⇔ 2 = Aσ(α T 4 – ε T 4)
Q (11.33)
2 1 2 2

"

.' /'

!.2'." !/^'."

Figura 11.6 – Superfici piane parallele delle quali una nera, con T1 > T2.

Nel caso che per la superficie 2 si possa fare l’ipotesi di comporta-


mento grigio, essendo ε = α si ha:

⎡ ⎛ T1 ⎞ 4 ⎛ T 2 ⎞ 4 ⎤
! (4 4
)
Q1⇔ 2 = Aε 2 σ T 1 − T2 = Aε 2 5, 67 ⎢⎜ ⎟ −⎜ ⎟ ⎥ (11.34)
⎢⎣⎝ 100 ⎠ ⎝ 100 ⎠ ⎥⎦
226 Lezioni di Fisica Tecnica

11.7.3 Due superfici, entrambe non nere

Resta da esaminare il caso che ambedue le superfici siano non nere,


come schematizzato in Figura 11.7. La potenza radiante emessa da 1 ri-
sulta:
! 1 = A ε σT 4
Q (11.35)
1 1 1

Essendo entrambe le superfici non nere, la potenza termica emessa


da 1 che viene assorbita da 2 è somma di infinite aliquote: una prima è
quella immediatamente assorbita, A1ε1σT14α2, una seconda è quella as-
sorbita dopo due riflessioni, A1ε1σT14ρ1ρ2α2, in quanto la superficie 2,
essendo non nera, riflette una parte della radiazione incidente che, ri-
tornando su 1, viene in parte riflessa e ritorna su 2. Una terza aliquota
è quella assorbita da 2 dopo quattro riflessioni: A1ε1σT14ρ12ρ22α2, e così
via. Risulta allora:

! 1⇒ 2 = A ε σT 4α (1 + ρ ρ + ρ2 ρ2 + ρ3 ρ3 + ….)
Q (11.36)
1 1 1 2 1 2 1 2 1 2

L’espressione in parentesi è una serie che, essendo il prodotto ρ1ρ2


minore dell’unità, è convergente e risulta uguale a 1/(1 – ρ1ρ2), per cui
si ha:

! 1⇒ 2 = A1ε1α 2 σ T 41
Q (11.37)
1 − ρ1 ρ 2

.' /'

!.^'." !/^'."

Figura 11.7 – Superfici piane parallele entrambe non nere, con T1 > T2.
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 227

Analogamente risulta:

! 2 = A ε σT 4
Q (11.38)
2 2 2

! 2⇒1 = A 2 ε 2 α1 σ T24
Q (11.39)
1 − ρ 2 ρ1

che, essendo ρ1=1–α1 e ρ2=1–α2 per l’opacità dei solidi e A1=A2=A, in


definitiva si può scrivere:


! 1⇔ 2 =
Q
α 1 + α 2 − α 1α 2
(
ε1α 2 T 41 − ε 2 α1 T24 ) (11.40)

La (11.40), nel caso particolare di corpi a comportamento grigio, es-


sendo ε = α, fornisce:

⎡ ⎛ T1 ⎞ 4 ⎛ T 2 ⎞ 4 ⎤
A 5, 67 ⎢⎜ ⎟ −⎜ ⎟ ⎥
Q1⇔ 2 =
(
Aσ T 41 − T24
=
) ⎢⎝ 100 ⎠ ⎝ 100 ⎠ ⎦⎥
⎣ (11.41)
1 1 1 1
+ −1 + −1
ε1 ε 2 ε1 ε 2

Il caso delle due superfici non nere è di interesse nella pratica, in


quanto ad esso sono riferibili gli scambi termici per irraggiamento che si
hanno nelle intercapedini, elementi che si incontrano sia nell’edilizia che
nelle apparecchiature industriali. È anche il caso più generale, dal quale
si possono derivare gli altri considerati: dalla (11.40) si possono ricavare,
come casi particolari, le equazioni (11.27), relativa a due superfici nere,
(11.34), relativa ad una superficie nera ed una grigia, e la (11.41), relativa
a due superfici grigie.
Si ricorda che le relazioni proposte sono valide se tra le due super-
fici è presente il vuoto o un gas perfettamente trasparente alle radiazio-
ni elettromagnetiche; in questo secondo caso, le relazioni forniscono la
potenza termica scambiata per irraggiamento termico qualunque sia la
temperatura del gas trasparente interposto.

11.8 Superfici non indefinite

I casi fin qui considerati sono particolarmente semplici in quanto,


essendo le superfici parallele ed indefinite, tutta l’energia radiante emes-
228 Lezioni di Fisica Tecnica

sa da uno dei corpi incide sull’altro. Nella realtà ciò non avviene; qui di
seguito verranno presi in considerazioni i casi più comuni di superfici
non indefinite.

11.8.1 Fattori di vista


Si consideri il caso di due superfici generiche, del tipo di quelle sche-
matizzate in Figura 11.8. Anche in questo caso Q ! 1 vale A ε σT 4, ma per
1 1 1
!
calcolare Q1⇒ 2 bisogna considerare che non tutta la potenza emessa da
1 colpisce 2, per cui risulta conveniente introdurre una nuova grandezza,
il fattore di vista tra la superficie emittente e la superficie ricevente, an-
che detto fattore di forma o di configurazione, definito come la frazione
della potenza emessa che colpisce direttamente, cioè senza riflessioni, la
superficie ricevente4.
Il grande vantaggio di questa grandezza, indicata generalmente con
Fij o con Fi-j, con i superficie emittente e j superficie ricevente, è che essa
dipende unicamente dalla geometria delle due superfici (dalla forma, dalle
dimensioni, dalla posizione relativa), non dipendendo né dalla tempe-
ratura né dalle caratteristiche di emissione e di assorbimento delle due
superfici.
'
'
'
'
.' /'

'
'
'
Figura 11.8 – Due superfici non indefinite, con T1 > T2.

Si supponga che le due superfici di Figura 11.8 siano entrambe nere,


ovvero che siano α1 = 1 e α2 = 1:

4
Si noti che i casi considerati nel paragrafo 12.7 sono tutti caratterizzati da
F1–2 = F2–1 = 1.
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 229

! 1 = A σT 4
Q (11.42)
1 1

! 1⇒ 2 = A F σT 4
Q (11.43)
1 1–2 1

Analogamente:

! 2 = A σT 4
Q (11.44)
2 2

! 2⇒1 = A F σΤ 4
Q (11.45)
2 2–1 2

e quindi:

! 1⇔ 2 = σ(A F T 4 – A F T 4)
Q (11.46)
1 1–2 1 2 2–1 2

Si consideri ora il caso particolare che le due superfici siano alla


stessa temperatura, T1 = T2. Dovendo essere Q ! 1⇔ 2 = 0, è A F = A F ,
1 1–2 2 2–1
o in generale:

AiFi–j = AjFj–i (11.47)

La (11.45) rappresenta la prima proprietà dei fattori di vista o pro-


prietà di reciprocità dei fattori di vista, che permette di ricavare un fat-
tore di vista noto il reciproco e note le aree delle due superfici. Si noti
che questa relazione, pur essendo stata ricavata in condizioni particolari
(superfici nere ed alla stessa temperatura) ha validità del tutto generale,
in quanto, come si è detto, i fattori di vista sono grandezze puramente
geometriche.
Con la (11.47), la (11.46) diventa:

! 1⇔ 2 = σA F (T 4 – T 4)
Q (11.48)
1 1–2 1 2

Si consideri ora un insieme di N superfici che costituiscono una cavità


chiusa. Detta Q ! i la potenza radiante emessa dalla generica superficie i,
!
l’aliquota Qi Fi −1 colpisce direttamente la superficie 1, l’aliquota Q ! i Fi − 2
colpisce direttamente la superficie 2, e così via e, in generale, esiste anche
un’aliquota emessa dalla superficie i che colpisce direttamente i stessa,
! i Fi − i , nulla nel caso di superficie i piana o convessa. Per il principio di
Q
conservazione dell’energia ovviamente è:

!i=Q
Q ! i Fi −1 + Q
! i Fi − 2 + ..... + Q
! i Fi − i + ..... + Q
! i Fi − N (11.49)
230 Lezioni di Fisica Tecnica

da cui:

Fi–1 + Fi–2 + ……. + Fi–i + …….. + Fi–N = 1 (11.50)

cioè in generale:

∑ Fi − j = 1 (11.51)
j= 1

che rappresenta la seconda proprietà dei fattori di vista, da cui si può


ricavare, nel caso di cavità chiuse, il fattore di vista N-esimo, essendone
noti N–1.
I fattori di vista godono infine della proprietà additiva/sottrattiva: se
una superficie, j, si può ottenere come somma o differenza di due superfici,
m ed n, per il fattore di vista Fi–j si può scrivere:

Fi–j = Fi–m ± Fi–n (11.52)

Quest’ultima proprietà deriva direttamente dalla definizione dei fat-


tori di vista: se la superficie j si può considerare come somma di m ed
n, chiaramente la somma della percentuale della potenza radiante che
emessa da i arriva su m e della percentuale della potenza radiante che
emessa da i arriva su n è proprio uguale alla percentuale della potenza
radiante che emessa da i arriva su j.
Considerato che la valutazione dei fattori di vista non è sempre facile,
le proprietà appena definite sono di notevole utilità nel calcolo degli scam-
bi termici per irraggiamento termico, in quanto riducono il numero dei
fattori di vista da valutare. Per esempio, se una cavità si può considerare
chiusa da quattro superfici, in generale bisognerà conoscere 16 fattori di
vista: con la seconda proprietà tale numero si riduce a 12 e, con la prima
proprietà, conoscendo l’area delle superfici, a 6.
Si consideri il caso di un corpo 1, delimitato da una superficie conves-
sa, contenuto in un corpo 2, come mostrato in Figura 11.9; è il caso, per
esempio, di sfere concentriche o cilindri coassiali. Essendo la superficie
del corpo 1 convessa, risulta F1–1 =0, quindi dalla seconda proprietà F1–2 = 1
e infine, dalla prima proprietà:

F2–1 = A1/A2 (11.53)

Infine, si consideri il caso di una cavità delimitata da quattro superfici


costituenti un tetraedro regolare, mostrato in Figura 11.10. Il fattore di
vista tra due superfici, p. es. F1–2, si ottiene facilmente considerando che
per la seconda proprietà è:
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 231

F1–2 + F1–3 + F1–4 = 1 (11.54)

e che per la simmetria della figura geometrica è:

F1–2 = F1–3 = F1–4 (11.55)

'

. /

Figura 11.9 – Corpo delimitato da superficie convessa contenuto in un altro corpo.

'

J
1' /

Figura 11.10 – Cavità chiusa delimitata da un tetraedro regolare.

Pertanto risulta:

F1–2 = 1/3 (11.56)

Nella Tabella A.15 dell’Appendice sono riportati alcune relazioni


e alcuni diagrammi per il calcolo dei fattori di vista per particolari geo-
metrie.
232 Lezioni di Fisica Tecnica

11.8.2 Superficie grigia convessa contenuta in altra superficie grigia


Da quanto fin qui detto, risulta evidente che in generale la potenza
termica scambiata per irraggiamento termico tra due superfici generiche
dipende da molte variabili indipendenti, ovvero:
! 1⇔ 2 = f(T , T , A , A , ε , ε , α , α , F , F )
Q (11.57)
1 2 1 2 1 2 1 2 1–2 2–1

con f funzione piuttosto complessa.


Ci si limita qui a riportare, senza dimostrarla, la relazione valida
per il calcolo della potenza termica in un caso piuttosto ricorrente nella
pratica: due corpi, il corpo 1 convesso e contenuto nel corpo 2, entrambi
grigi, con T1 > T2:

A 1σ
! 1⇔ 2 =
Q
1 A1 ⎛ 1 ⎞
(
T 41 − T24 ) (11.58)
+ − 1⎟
ε1 A 2 ⎜⎝ ε 2 ⎠

che per A1<<A2 diventa:


! 1⇔ 2 = Aε σ(T 4 – T 4)
Q (11.59)
1 1 2

uguale alla (11.34), ricavata per due superfici piane parallele ed indefinite
di cui una nera ed una grigia; questo fatto è fisicamente comprensibile
se si pensa che se è A1<<A2, per la (11.53) F2–1 ha un valore molto basso
e l’energia emessa da 1 difficilmente ricade su 1 stesso, ovvero il corpo 2
appare nero al corpo 1, pur non essendolo.

11.9 Effetto serra


Come è noto, per serra si intende un locale, delimitato da pareti
vetrate, caratterizzato dall’avere temperature più elevate rispetto a locali
con pareti tradizionali; per questo motivo le serre sono molto utilizzate
in agricoltura per coltivare fiori, vegetali, frutta, e tutto ciò che richiede
temperature più elevate di quelle esterne.
Le caratteristiche delle serre derivano dal particolare andamento del
coefficiente di trasmissione monocromatico, τλ, dei vetri comuni, riportato
in Figura 11.11, che:
• è quasi nullo per lunghezze d’onda inferiori a quelle che definiscono
il campo del visibile; questa caratteristica dei vetri è nota, in quanto si
sa che i raggi solari UV che determinano l’abbronzatura sono filtrati
dai vetri, al di là dei quali, infatti, non ci si abbronza;
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 233

• vale quasi uno per lunghezze d’onda comprese tra 0,38 e 3,0 μm, cioè
nel campo del visibile e del vicino infrarosso;
• è quasi nullo oltre i 3,0 μm.

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!"!! '"!! #"!! ("!! $"!!

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Figura 11.11 – Andamento del coefficiente di trasmissione monocromatico dei vetri


comuni di spessore pari a 4 mm in funzione della lunghezza d’onda.

Ne deriva che l’energia solare incidente sul vetro, la cui lunghezza


d’onda è praticamente compresa nell’intervallo 0,30 ÷ 3,0 μm come mo-
strato in Figura 11.1, entra in ambiente e viene in gran parte assorbita dalle
superfici, trasformandosi in aumento dell’energia interna e quindi della
temperatura del locale5. Quest’ultima rimane comunque dell’ordine delle
decine di gradi celsius e di conseguenza, per la legge di Wien, il massimo
dell’energia emessa per irraggiamento dal locale è a circa 10 μm, alla quale
il vetro è opaco. In definitiva, quindi, il vetro rappresenta una trappola
per le radiazioni termiche: fa passare quelle che arrivano dal sole, e non
fa passare quelle che provengono dal locale, che così disperde energia
termica nell’ambiente esterno solo per conduzione e convezione.
Si noti che alcune plastiche in fogli hanno quasi lo stesso coefficiente
di trasmissione monocromatico del vetro e questo spiega perché, essendo
molto più economiche, vengono molto usate per le serre nell’agricoltura,
che si sono perciò molto diffuse negli ultimi decenni.

5
L’aliquota di energia solare in ingresso che non viene assorbita dalle superfici
presenti nell’ambiente viene riflessa; di questa, quella che incide sul vetro lo attra-
versa, mentre quella che incide sulle altre superfici dell’ambiente viene ancora in
parte assorbita ed in parte riflessa. In generale, la percentuale di energia solare che
esce attraverso il vetro è direttamente proporzionale alla percentuale di superficie
vetrata e inversamente proporzionale al coefficiente di assorbimento delle superfici
non vetrate presenti.
234 Lezioni di Fisica Tecnica

Infine, va sottolineato che il fenomeno fisico dell’effetto serra è alla


base dei collettori solari piani, nei quali il sistema di tubi attraversati dal-
l’acqua da riscaldare, solidale ad una piastra metallica annerita, è posto al
di sotto di uno o più vetri, come schematizzato in Figura 11.12.

Figura 11.12 - Schema di un collettore solare piano ad acqua e ad un vetro. P: piastra


metallica, T: tubi attraversati dall’acqua, V: lastra di vetro, I: isolante
termico, S: supporto metallico.

11.10 Considerazioni conclusive

La Legge di Stefan-Boltzman (11.16), nella quale compare la quarta


potenza della temperatura assoluta, e la Legge di Plank (11.17), che ha
al denominatore la lunghezza d’onda alla quinta potenza e che prevede
la presenza di costanti di improbabile memorizzazione, sono di difficile
utilizzazione ai fini di valutazioni di prima approssimazione relative al-
l’emissione totale o spettrale delle superfici.
Un più agevole approccio si può ottenere da una adimensionalizza-
zione delle grandezze di interesse e da una loro rappresentazione grafica,
come mostrato nel seguito.
Dividendo primo e secondo membro della legge di Plank per T5, si
ottiene l’espressione, in W/m2μmK5:
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 235

E nλ,T A
= (11.60)
T 5
(λT) (eB/ λT − 1)
5

nella quale il secondo membro risulta funzione del prodotto λT, che, per
la legge di Wien (11.18), è uguale a 2898 λ/λmax; sostituendo tale espres-
sione nella (11.60), si ha:

Enλmax,T = 1,29⋅10–11T5 (11.61)

con Enλmax,T in W/m2μm.


Dividendo la (11.60) per la (11.61) si ottiene l’espressione adimen-
sionale:

E nλ,T 142, 3
= (11.62)
E nλ max,T (λ / λ max )5 [(e4,965 /( λ / λmax ) − 1)]

rappresentata in Figura 11.13, che, unitamente alla (11.61), consente un


calcolo sufficientemente approssimato di Enλ,T per qualunque valore di λ
e di T.

Figura 11.13 - Andamento del potere emissivo adimensionalizzato in funzione della


lunghezza d’onda adimensionalizzata per un corpo nero. "

Per calcolare rapidamente la potenza emessa dal corpo nero alla tem-
peratura T, tra le lunghezze d’onda 0 e λ, può essere utilizzata un’ulterio-
236 Lezioni di Fisica Tecnica

re espressione adimensionale, ottenuta dal rapporto tra l’integrale della


legge di Planck tra le assegnate lunghezze d’onda e la legge di Stefan-
Boltzmann alla stessa temperatura, diagrammata in Figura 11.14.

Figura 11.14 - Percentuale di potenza radiante emessa per unità di superficie nell’in-
tervallo di lunghezza d’onda 0÷λ in funzione
,&" della lunghezza d’onda
adimensionalizzata per un corpo nero. "

Le curve riportate nelle Figure 11.3 e 11.4, sebbene ricavate dalle


leggi del corpo nero, possono essere utilizzate anche per i corpi grigi,
per i quali la legge di Wien è sempre valida, in quanto i rapporti fra i
poteri emissivi che compaiono sulle ordinate rende le curve indipendenti
dall’emittenza della superficie.
Un primo risultato ingegneristicamente importante di queste rappre-
sentazioni grafiche adimensionalizzate è quello di consentire una visua-
lizzazione e quindi una più agevole memorizzazione della distribuzione
dell’energia emessa dal corpo nero e dai corpi grigi in funzione di λ/λmax.
Per esempio, appare con chiarezza che sia il corpo nero che i corpi grigi
non emettono energia in misura significativa per valori di λ/λmax inferiori
a 0,4 o superiori a 6,0 e che oltre il 95% dell’energia è emessa nell’inter-
vallo λ/λmax compreso tra 0,5 e 5,0.
Nello studio dell’irraggiamento termico il significato fisico dei coef-
ficienti α, ρ e τ risulta di agevole comprensione intuitiva in quanto trova
riscontro nell’esperienza quotidiana riferita alle radiazioni che ricadono
nel campo del visibile, mentre meno intuitivo è il concetto di emittenza,
ε, in quanto per esso manca tale riscontro.
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 237

Le superfici caratterizzate da valori di ε prossimi all’unità, per esem-


pio intorno al valore 0,90, hanno comportamento molto simile a quello
del corpo nero alla stessa temperatura; ciò accade per molte superfici di
interesse ingegneristico, quali quelle metalliche ossidate, quelle dei mate-
riali da costruzione (attintati o no), dell’epidermide umana, dell’acqua, del
legno. I metodi grafici precedentemente esposti sono ancora applicabili
con buona approssimazione per tali superfici, mentre trovano minore ap-
plicazione per superfici caratterizzate da valori di ε prossimi a zero, quali
quelle metalliche lucidate a specchio, che praticamente non emettono
radiazioni elettromagnetiche nel campo termico. Questa particolarità tro-
va ampio impiego nella tecnica: ad esempio, volendo realizzare in un’in-
tercapedine una elevatissima resistenza termica, si estrae l’aria presente
realizzando un vuoto spinto e facendo in modo che le superfici delle due
pareti affacciate risultino perfettamente riflettenti; l’eliminazione dell’aria
impedisce il meccanismo di convezione e le superfici speculari, avendo
ε ≅ 0, annullano di fatto l’irraggiamento, per cui si raggiungono resisten-
ze termiche elevatissime, equivalenti a spessori di polistirolo espanso di
parecchi metri.
Bassi valori di emittenza associati ad elevati valori della temperatura
superficiale possono essere anche causa di problematiche legate ai rischi
sui luoghi di lavoro, in quanto possono essere causa di ustioni. Infatti,
una persona percepisce a distanza la temperatura superficiale di un corpo
solo per irraggiamento; evidentemente, nel caso di superficie a bassissima
emittenza, la sensazione legata all’irraggiamento viene meno e quindi la
persona perde la percezione della pericolosità del contatto. Una riprova di
quanto detto è il gesto abituale di chi usa un ferro da stiro, la cui superficie
ha un basso valore di ε: per verificarne la temperatura, usualmente la si
tocca con un dito inumidito di saliva, proprio per evitare un’ustione.

Esercizi

ESERCIZIO 11.1 – Un’intercapedine si trova compresa tra le pareti A e B. Le


superfici che delimitano l’intercapedine, 1 e 2, sono piane e parallele, hanno
dimensioni 3,00 × 7,00 m, sono rispettivamente a 80 e 25°C e sono intonacate
con intonaco di gesso, per il quale si può assumere comportamento da corpo
grigio. Calcolare:
1. la potenza termica che per unità di superficie si trasmette per irraggiamento
dalla parete A alla B;
2. la resistenza allo scambio termico radiativo che avviene nell’intercapedi-
ne.
238 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 11.2 – Una parete separa un ambiente a 20°C dall’esterno che si


trova a 1°C. La parete è costituita, dall’interno verso l’esterno, da:
a) un pannello di cartongesso di 2,5 cm con una conducibilità termica di 1,40
W/mK;
b) uno strato di 8,0 cm di calcestruzzo;
c) uno strato di 15 cm di mattoni.
Assumendo per le conduttanze superficiali unitarie interna ed esterna rispet-
tivamente i valori di 8,0 e 20,0 W/m2K, calcolare:
1. la temperatura della superficie di interfaccia cartongesso-calcestruzzo;
2. la conduttanza unitaria radiativa mattoni-ambiente esterno, assumendo
per i mattoni il comportamento di corpo grigio;
3. la conduttanza unitaria convettiva mattoni-ambiente esterno.

ESERCIZIO 11.3 – In una sfera cava di rame ossidato di 20,0 cm di diametro


esterno è contenuta una resistenza elettrica, che assorbe una potenza elettrica
di 400 W. La sfera è sospesa in un vasto ambiente a 15°C. La superficie esterna
della sfera, per la quale si può assumere il comportamento da corpo grigio, in
condizione di regime permanente ha una temperatura di 200°C. Calcolare:
1. la potenza termica scambiata dalla sfera per irraggiamento;
2. la potenza termica scambiata dalla sfera per convezione.

ESERCIZIO 11.4 – Sulla superficie A di una parete piana incide un flusso radia-
tivo di 1000 W/m2; la superficie A è immersa nel vuoto ed ha un’emittenza
di 0,90 ed un coefficiente di assorbimento di 0,85. Lo spessore della parete,
che ha una conducibilità termica di 1,20 W/mK, è di 30 cm. In condizione di
regime permanente calcolare:
1. la temperatura della superficie A quando quella della superficie B è di
60°C;
2. la temperatura di equilibrio della parete quando la superficie B è perfet-
tamente coibentata.

ESERCIZIO 11.5 – Un tetto, verniciato con una vernice di alluminio, sottoposto


ad irraggiamento solare con l’aria a 30°C raggiunge a regime stazionario la
temperatura di 45°C. Calcolare:
1. la potenza radiante solare incidente per unità di superficie, assumendo per
la conduttanza unitaria convettiva il valore di 20 W/m2K e trascurando la
potenza termica che per conduzione si trasmette verso gli strati inferiori
della struttura;
2. a quale temperatura arriverebbe lo stesso tetto se l’asfalto, che si può
considerare grigio con α = 0,90, non fosse verniciato.
Trasmissione del calore per irraggiamento termico 239

ESERCIZIO 11.6 – Calcolare, per un corpo grigio alla temperatura di 5.500 K, la


frazione di energia raggiante emessa nei campi dell’ultravioletto, del visibile
e dell’infrarosso.
Trasmissione del calore per convezione 241

Capitolo dodicesimo
Trasmissione del calore per convezione

12.1 Introduzione

Nel paragrafo 9.2 si è visto che la trasmissione del calore per conve-
zione avviene in due stadi: uno conduttivo ed uno di mescolamento. Ad
esempio, nel caso di un corpo solido a temperatura superiore a quella del
fluido, il calore passa per conduzione dalla superficie del solido agli strati
di fluido immediatamente adiacenti, con aumento dell’energia interna
e della temperatura di questi ultimi; tali elementi di fluido si spostano
poi verso zone a temperatura minore e, nel mescolamento, cedono par-
te dell’energia acquistata. La convezione si dice naturale o libera se lo
spostamento del fluido è dovuto solamente alle forze archimedee dovute
alle differenze di densità create dalle differenze di temperatura, forzata
se lo spostamento è dovuto anche all’azione di un agente esterno (un
ventilatore, una pompa, il vento, etc.).
Si è poi detto che la relazione fondamentale per lo scambio termico
convettivo tra la superficie di un solido o di un liquido, di area A ed alla
temperatura Ts, ed un fluido, alla temperatura Tf, è la legge di Newton:

! c = A h (T – T )
Q (9.34)
c s f

con la quale in definitiva si sposta il problema del calcolo di Q ! c alla


valutazione della conduttanza termica unitaria convettiva, hc, chiamata
anche coefficiente di convezione.
Quando un fluido scorre su una parete, c’è sempre uno strato di
fluido che aderisce alla superficie assumendo velocità nulla rispetto alla
superficie; in tale strato, quindi, se il fluido è trasparente alle radiazioni
elettromagnetiche, lo scambio termico avviene esclusivamente per con-
duzione. Dal postulato di Fourier si ottiene:

! = −Akf dT
Q (12.1)
dx x = 0
242 Lezioni di Fisica Tecnica

con:
kf = conducibilità termica del fluido, W/mK,
T = temperatura del fluido, °C,
x = normale alla superficie del solido, con l’origine all’interfaccia solido-
fluido, m,
dT
nella quale il termine rappresenta il gradiente di temperatura al-
dx x = 0
l’interfaccia solido-fluido.
Uguagliando la (9.34) e la (12.1) si ottiene la relazione:

dT
−kf
dx x = 0
hc = (12.2)
Ts − T f

che permetterebbe di calcolare il coefficiente di convezione, hc, se si riu-


scisse a determinare analiticamente la funzione T=T(x), la qual cosa è
possibile solo in pochissimi casi. In generale, per la determinazione del
coefficiente di convezione, hc, si ricorre a metodi sperimentali.

12.2 Convezione forzata

Quando un fluido a temperatura T∞ si muove su una superficie a


temperatura Ts, lo strato di fluido che aderisce alla superficie si porta
all’equilibrio termico con quest’ultima, alla temperatura Ts, e, come det-
to, scambia energia termica con gli strati contigui. Allontanandosi dalla
parete, la temperatura del fluido tende poi asintoticamente al valore T∞,
come mostrato in Figura 12.1. La zona di fluido compresa tra la parete e
il punto in cui la temperatura, a meno dell’1%, assume un valore uguale
a quello che si ha nel resto del fluido, prende il nome di strato limite
termico ed il suo spessore si dice spessore dello strato limite termico, ST.
Analogamente, la velocità, che sulla parete è nulla, ad una certa distanza
da questa assume un valore pari a quello che si ha nella zona indisturbata:
la zona di fluido compresa tra la parete e il punto in cui la velocità assume,
a meno dell’1%, il valore che si misura nella zona indisturbata, prende
il nome di strato limite fluidodinamico ed il suo spessore si dice spessore
dello strato limite fluidodinamico, δw, come mostrato nelle Figure 12.1 e
12.2. Nei problemi di interesse ingegneristico, lo spessore degli strati limite
termico e fluidodinamico è usualmente dell’ordine dei millimetri.
Questo è il motivo per cui:
Trasmissione del calore per convezione 243

• la misura della temperatura delle superfici è piuttosto complessa, dal


momento che il sensore, trovandosi in una zona caratterizzata da un
gradiente termico elevato, finisce con il fornire il valore medio della
zona che va ad occupare;
• nella relazione (9.34) come Tf si assume proprio T∞.

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a) b)

Figura 12.1 – Andamento della temperatura in un fluido che scambia energia termica
con una superficie a temperatura Ts. a) Ts > T∞; b) Ts< T∞.

Dall’analisi del processo di convezione forzata risulta che il coeffi-


ciente hc dipende da almeno sei variabili, che sono la velocità del fluido,
w, quattro proprietà del fluido (viscosità dinamica, μ, densità, ρ, calore
specifico a pressione costante, cp, conducibilità termica, kf), e la geome-
tria della superficie solida, che nella pratica viene individuata da una
lunghezza caratteristica. In definitiva, in un’indagine sperimentale sulla
convezione forzata andrebbero valutate almeno sette grandezze, cioè hc
e le sei variabili che la determinano.
Quando le variabili di un problema sono molte, è pratica comune
raggrupparle in numeri adimensionali, in modo da ridurre il numero di
parametri da considerare nell’analisi sperimentale. Si dimostra, ma la di-
mostrazione esula da questa trattazione, che ogni equazione fisica, ne-
cessariamente omogenea dal punto di vista dimensionale, può porsi nella
seguente forma:

f (π1, π2, …, πn) = 0 (12.3)

dove n rappresenta il minimo numero di gruppi adimensionali, fra loro


indipendenti, in grado di descrivere il fenomeno; n è dato dalla differenza
244 Lezioni di Fisica Tecnica

fra il numero di variabili che influenzano il fenomeno ed il numero di


grandezze assunte come fondamentali, necessarie ad esprimere le variabili
stesse.

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Figura 12.2 – Andamento della velocità in un fluido che scambia energia termica con
una superficie a temperatura Ts.

Nella convezione forzata, essendo sette le variabili e quattro le gran-


dezze fondamentali (M, L, T, Θ), i gruppi adimensionali in grado di de-
scrivere il fenomeno sono tre, qui di seguito descritti.
Il numero di Nusselt, Nu, definito dalla relazione:

hc L
Nu = (12.4)
kf

con:
L = lunghezza caratteristica della geometria del solido in esame, m.
Il numero di Reynolds, Re, già visto nel Capitolo 9:

wL
Re = (12.5)
ν

Il numero di Prandtl, Pr:

μc p
Pr = (12.6)
kf
Trasmissione del calore per convezione 245

che è proporzionale al rapporto tra lo spessore dello strato limite fluido-


dinamico e quello dello strato limite termico. Questo numero, essendo
costituito da sole proprietà termostatiche, è anch’esso una proprietà ter-
mostatica.
Si noti che il pedice f è stato usato solo per la conducibilità k, anche
se le variabili ν, μ e cp sono anch’esse riferite al fluido, per evitare l’errore
di confondere la conducibilità del fluido con quella della parete.
È anche dimostrabile che il legame funzionale fra i numeri dimen-
sionali, espresso dalla (12.3), è un prodotto di potenze che, nel caso di
convezione forzata, può essere posto nella forma:

Nu = aRebPrc (12.7)

con a, b e c coefficienti adimensionali che vanno determinati sperimen-


talmente.
Nella Tabella A.16 sono riportate alcune relazioni del tipo della (12.7)
ottenute sperimentalmente per quattro geometrie. Nella prima colonna è
descritta la geometria e nella seconda sono riportati gli intervalli di valori
di Pr e di Re per i quali sono applicabili le relazioni della terza colonna.
Nella quarta colonna è indicata la lunghezza caratteristica utilizzata per
ricavare la relazione e infine, nella quinta colonna sono riportate le condi-
zioni alle quali sono state calcolate nella sperimentazione le proprietà del
fluido che compaiono nei tre gruppi adimensionali; ovviamente ciascuna
relazione deve essere applicata utilizzando la lunghezza caratteristica e
le condizioni corrispondenti.
Si noti che il numero di Nusselt riportato nella terza colonna della
Tabella A.16 è un valore medio, per cui il valore di hc ottenibile con le
relazioni riportate in Tabella è un valore medio relativo a tutta la superfi-
cie, mentre i valori locali di hc possono differire anche considerevolmente
da punto a punto. Si pensi ad un cilindro investito ortogonalmente da
un flusso di gas: si intuisce che le condizioni termofluidodinamiche nelle
zone investite direttamente dal fluido sono diverse dalle condizioni delle
zone opposte; pertanto, qualora sia necessario conoscere il valore di hc
in corrispondenza di un punto, si deve ricorrere ad altre relazioni nelle
quali il numero di Nusselt locale è espresso non solo in funzione di Pr e
Re, ma anche di un’ascissa geometrica adimensionalizzata.
Nelle Tabelle A.17, A.18 e A.19 sono riportati, in funzione della
temperatura, i valori delle proprietà necessari per calcolare i tre gruppi
adimensionali e quindi il coefficiente di convezione, rispettivamente per
l’aria, il vapor d’acqua e l’acqua.
Si noti che le relazioni riportate in Tabella A.16 forniscono valori di hc
con un’approssimazione del ±20%. Pertanto, non ha significato calcolare
hc con più di due cifre significative.
246 Lezioni di Fisica Tecnica

12.3 Convezione naturale

Nel processo di scambio termico per convezione naturale o libera il


moto del fluido è causato da gradienti di densità dovuti a differenze di
temperatura, che in un campo di forze, per esempio gravitazionale, danno
origine a spinte di galleggiamento archimedee da cui dipende appunto
il moto convettivo. Questo fenomeno è presente in molte applicazioni
ingegneristiche ed in molti processi naturali: è infatti di fondamentale
importanza nei più diffusi sistemi di riscaldamento ambientale così come
nel raffreddamento di componenti e apparecchiature elettriche ed elet-
troniche, oltre che nei moti che si verificano negli oceani, all’interno della
crosta terrestre e, in parte, nell’atmosfera.
Nella convezione forzata, pur non essendo nota la distribuzione di
velocità nello strato limite, risulta quasi sempre nota, in quanto imposta,
la velocità w∞ che consente il calcolo del numero di Reynolds.
Nella convezione naturale la distribuzione delle velocità nello strato
limite non è nota né facilmente determinabile; il problema viene risolto so-
stituendo alla velocità le grandezze che determinano il moto del fluido:
• la differenza di temperatura, |Δt|= |ts – t∞|, tra la temperatura della
superficie del solido e quella del fluido: maggiore è questa differenza,
maggiore è la variazione di densità del fluido,
• il coefficiente di dilatazione cubica a pressione costante del fluido, β,
definito dalla relazione:

1 ⎛ ∂v ⎞
β= ⎜ ⎟ (12.8)
v ⎝ ∂T ⎠p

e misurato in K–1 (a parità di |ts – t∞| per un fluido più dilatabile è


maggiore la variazione di densità; non si ha convezione naturale con
un fluido non dilatabile, quale l’acqua liquida a 4°C)1,
• l’accelerazione di gravità, g (all’interno di una navicella spaziale orbi-
tante intorno alla terra, essendo g = 0, non si ha convezione natura-
le).
Queste tre grandezze compaiono nel numero di Grashof, Gr, dato dalla
relazione:

βg ΔT L3ρ2 βg ΔT L3
Gr = = (12.9)
μ2 ν2

1
Si noti che per i gas a comportamento perfetto, che sono quelli studiati in questo
corso, dalla (12.8), risulta β = 1/T, con T in K.
Trasmissione del calore per convezione 247

che appunto non contiene la velocità del fluido ma le grandezze, β, g e


ΔT, da cui dipende il campo di velocità.
L’andamento della velocità del fluido, nel caso di superficie che ri-
scalda il fluido, è quello riportato in Figura 12.3: la velocità è nulla in
corrispondenza della superficie del solido, quindi aumenta allontanandosi
da questa per poi diminuire riacquistando asintoticamente il valore nullo
ad una certa distanza dal solido, dove il fluido è in quiete (in questo
caso, il movimento del fluido è diretto verso l’alto in quanto la spinta
archimedea prevale sulla forza peso; ovviamente, nel caso di superficie
più fredda del fluido circostante il movimento del fluido è diretto verso
il basso).

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Figura 12.3 – Andamento della velocità e della temperatura nella convezione naturale
da una piastra verticale più calda del fluido.

Gli altri due numeri adimensionali utilizzati sono ancora i numeri di


Nusselt e di Prandtl. Sperimentalmente si è visto che generalmente nella
convezione naturale Nu non dipende separatamente da Gr e da Pr ma
248 Lezioni di Fisica Tecnica

dal prodotto GrPr, che viene anche chiamato numero di Rayleigh, Ra.
Pertanto, per il calcolo del coefficiente di convezione, hc, in convezione
naturale si ricorre a relazioni del tipo:

Nu = a(GrPr)b= a(Ra)b (12.10)

Nella Tabella A.20 sono riportate alcune relazioni ottenute speri-


mentalmente per sei geometrie. Come in Tabella A.16, nella prima co-
lonna è descritta la geometria, nella seconda sono riportati gli intervalli
di valori di Ra=GrPr nei quali sono applicabili le relazioni della terza
colonna, nella quarta colonna è indicata la lunghezza caratteristica che
è stata usata nella sperimentazione. Infine, nella quinta sono indicate le
condizioni per le quali sono state calcolate le proprietà del fluido che
compaiono nei tre gruppi adimensionali; ovviamente, anche in questo
caso ciascuna relazione può essere applicata solo utilizzando le carat-
teristiche geometriche corrispondenti; la temperatura di film è sempre
data dalla media aritmetica tra quella della superficie e quella del fluido
indisturbato. Anche questa Tabella, come la A.16, fornisce valori di Nu
medi e non locali e permette quindi di ottenere valori di hc medi e non
locali.
Si noti che, generalmente, nella convezione naturale le velocità del
fluido assumono valori piuttosto bassi e quindi i coefficienti di scam-
bio hanno valori minori di quelli in convezione forzata per cui lo scam-
bio termico per convezione naturale risulta meno efficace di quello per
convezione forzata; tuttavia in alcune applicazioni, per esempio nel raf-
freddamento di componenti elettronici, si preferisce usare comunque la
convezione naturale che non richiede l’impiego di sistemi per la movi-
mentazione del fluido.
Si noti infine che oltre ai casi già citati, esistono altre due situazioni,
che si riscontrano in edilizia, in cui non si ha convezione naturale:
• il caso di un soffitto caldo, in quanto le particelle di fluido riscaldate
per conduzione tenderebbero a salire ma il loro movimento è impedito
dal soffitto,
• il caso di un pavimento freddo, perché le particelle di fluido che si
raffreddano per conduzione tenderebbero a scendere, ma il loro mo-
vimento è impedito dal pavimento;
in questi due casi lo scambio avviene per sola conduzione.
Analogamente a quanto detto per la convezione forzata, le relazioni
riportate in Tabella A.20, forniscono valori di hc con un’approssimazione
del ±20%. Pertanto, non ha significato calcolare hc con più di due cifre
significative.
Trasmissione del calore per convezione 249

12.4 Convezione naturale in cavità


La trasmissione del calore per convezione naturale nelle cavità pre-
senta aspetti particolari perché sulle due superfici che si fronteggiano
si hanno due fenomeni di trasmissione per convezione che, se la cavità
ha uno spessore limitato, interagiscono tra loro e vanno perciò trattati
complessivamente.
Le cavità rivestono una notevole importanza nella tecnica, in quanto
spesso utilizzate: si pensi alle intercapedini esistenti in molte tipologie di
pareti di edifici, ai doppi vetri, ai collettori solari, ai thermos che sono
costituiti da due pareti cilindriche coassiali o da due pareti sferiche con-
centriche.
Se si indicano con t1 e t2 le temperature delle due superfici della ca-
vità, il flusso termico che per convezione si trasmette dalla superficie 1
alla superficie 2 si calcola con la relazione:

q! = hc(t1 – t2) (12.11)

nella quale hc si ottiene da relazioni sperimentali tra gruppi adimensionali.


In questo caso i numeri adimensionali sono ancora Nu, Gr e Pr; nel caso
delle cavità verticali interviene un’ottava variabile, l’altezza della cavità,
H, per cui i gruppi adimensionali diventano quattro e il quarto è il rap-
porto H/δ, al quale non è stato attribuito alcun nome.
Nella Tabella A.21 sono riportate le relazioni ottenute sperimental-
mente per cinque tipi di cavità. Come nelle Tabelle A.16 e A.20, relative
rispettivamente alla convezione forzata e a quella naturale, nella prima
colonna è descritta la geometria, nella seconda sono riportati gli intervalli
di valori di Pr, Gr, Pr ed eventualmente H/d nei quali sono applicabili le
relazioni della terza colonna; la temperatura del film, ovvero la tempera-
tura alla quale vanno calcolate le proprietà del fluido che compaiono nei
tre gruppi adimensionali e che per le cavità è sempre pari a (t1 + t2)/2 e la
lunghezza caratteristica è sempre uguale allo spessore della cavità, δ.
Si noti che per bassi valori di Gr ⋅ Pr risulta Nu = 1; ricordando la
definizione del Numero di Nusselt (12.3), ciò comporta:

kf
hc = (12.12)
δ

ovvero la trasmissione del calore avviene per conduzione; infatti, al di-


minuire dello spessore della cavità i moti convettivi si riducono fino ad
annullarsi.
Si noti pure che per cavità rettangolare orizzontale con la superficie
più calda in alto, che è la seconda delle cinque geometrie della Tabella
250 Lezioni di Fisica Tecnica

A.21, è sempre Nu=1; infatti, in questo caso, come detto alla fine del
paragrafo 12.3, i moti convettivi non riescono ad attivarsi in quanto le
particelle che si riscaldano sono quelle in alto, limitate nel movimento
dalla superficie superiore dell’intercapedine.

Esercizi

ESERCIZIO 12.1 – Un tubo di diametro esterno 8,0 cm e con una temperatura


della superficie esterna di 95°C viene investito ortogonalmente da una cor-
rente d’aria, alla temperatura di 20°C ed alla pressione atmosferica, che ha
una velocità di 2,0 m/s. Calcolare:
1. il coefficiente di convezione aria-parete esterna del tubo;
2. il valore della velocità del fluido al quale il valore calcolato del coefficiente
di convezione si raddoppierebbe.

ESERCIZIO 12.2 – In un tubo di rame di 6,0 cm di diametro interno e 0,40 cm


di spessore è convogliata mediante un compressore una portata di 50,0 kg/h
di aria a 1,0 atm. Il tubo è lambito esternamente da vapore d’acqua saturo
a 2,0 atm.
Si calcoli la potenza termica che in un tratto di 20 cm si trasmette all’aria
quando questa è alla temperatura di 80°C.

ESERCIZIO 12.3 – Una parete piana in calcestruzzo di 20 cm di spessore se-


para un ambiente interno dall’esterno. Nell’ambiente interno vi è aria, alla
temperatura di 60°C, che lambisce la parete con una velocità di 2,0 m/s. Nel-
l’ambiente esterno vi è aria alla temperatura di 20°C, che lambisce la parete
con una velocità di 5,0 m/s. Il coefficiente di convezione aria-superficie 1,
è di 18 W/m2K. L’irraggiamento termico è trascurabile. Sapendo che per il
calcolo di entrambi i coefficienti di convezione, hc, è applicabile la relazione:
Nu = costanteRe0,80, con l’altezza della parete come lunghezza caratteristica,
e che si possono considerare trascurabili le variazioni delle proprietà dell’aria
con la temperatura, calcolare la temperatura della superficie, 2, rivolta verso
l’ambiente esterno.

ESERCIZIO 12.4 – Un elemento riscaldante costituito da una piastra di altezza


1,00 m è disposto verticalmente in un ambiente in cui vi è aria in quiete alla
temperatura di 20°C ed alla pressione atmosferica.
Calcolare la potenza termica che, per unità di superficie, è trasmessa per con-
vezione all’aria nel caso di temperatura superficiale della piastra di:
Trasmissione del calore per convezione 251

1. 50°C;
2. 80°C.

ESERCIZIO 12.5 – Per mantenere la temperatura dell’acqua in una piscina ter-


male al valore di 35,0°C è previsto un tubo orizzontale di rame di 5,0 cm di
diametro esterno, di piccolo spessore, percorso da vapore d’acqua saturo alla
pressione di 1,00 atm.
Calcolare la potenza termica somministrata all’acqua della piscina per metro
di lunghezza di tubo.

ESERCIZIO 12.6 – Dell’aria alla temperatura di 15,0°C viene impiegata per raf-
freddare un conduttore di rame del diametro di 12,0 mm disposto orizzontal-
mente. Il conduttore è percorso da una corrente di 365 A ed ha una resistenza
di 0,160 Ω/km. Potendosi trascurare l’irraggiamento termico, calcolare:
1. il coefficiente di convezione necessario perché la temperatura della super-
ficie esterna non superi i 35,0°C;
2. la corrispondente velocità dell’aria,
3. quale potrebbe essere il massimo valore della corrente elettrica perché la
temperatura della superficie esterna non superi i 35,0°C in aria stagnan-
te.

ESERCIZIO 12.7 – Una finestra a doppio vetro, larga 2,00 m ed alta 0,80 m è
composta da due lastre di vetro separate da un’intercapedine d’aria di spes-
sore 2,00 cm alla pressione atmosferica. Essendo le temperature delle due
superfici del vetro affacciate nell’intercapedine rispettivamente di 12 e 2°C,
calcolare:
1. la conduttanza termica convettiva unitaria della finestra;
2. la potenza termica che si trasmette attraverso la finestra, assumendo i vetri
a comportamento grigio con ε = 0,90.

ESERCIZIO 12.8 – Due sfere concentriche, di diametro 20,0 e 30,0 cm, sono
separate da aria alla pressione atmosferica. Le temperature delle due superfici
che si fronteggiano sono 47 e 7,0°C. Calcolare il coefficiente di convezione.
Capitolo tredicesimo
Dimensionamento degli scambiatori di calore

13.1 Generalità

Nel paragrafo 8.5 è stato descritto un particolare scambiatore di ca-


lore, del tipo a superficie a correnti parallele. Utilizzando poi il primo
principio della Termodinamica per sistemi aperti, si è ricavata una rela-
zione fra le portate massiche e le entalpie di ingresso e di uscita dei due
fluidi nelle ipotesi semplificative, ma usualmente accettabili, di regime
permanente, trascurabilità dei termini cinetici e potenziali ed adiabati-
cità dello scambiatore verso l’ambiente esterno. Tale relazione, purché
siano verificate le ipotesi sopra elencate, è valida per le altre tipologie di
scambiatore di calore a superficie,
La potenza termica scambiata tra i due fluidi, sempre per lo scam-
biatore descritto al paragrafo 8.5 ed a parità di ipotesi, è data anche dalla
relazione:

! = UA (T –T )
Q (13.1)
c f media

con:
Q! = potenza termica scambiata, W,
U = coefficiente globale di scambio termico, W/m2K,
A = superficie di scambio, m2,
(Tc–Tf)media = differenza media di temperatura fra il fluido caldo ed il
fluido freddo, K.
detta equazione di progetto, che permette di dimensionare lo scambia-
tore.
Nei successivi paragrafi vengono innanzitutto trattati i termini della
(13.1) che richiedono, per la loro specificità, un adeguato approfondi-
mento e vengono poi presentati i principali tipi di scambiatore di calore
a superficie, per i quali sarà particolarizzata la (13.1).
254 Lezioni di Fisica Tecnica

13.2 Il coefficiente globale di scambio termico

La trasmissione del calore in uno scambiatore avviene per convezio-


ne tra i due fluidi e la parete che li separa e per conduzione attraverso
quest’ultima; ciò è vero solo per scambiatori nuovi in quanto, nel tempo,
i fluidi che attraversano lo scambiatore tendono a sporcarne le superfici
mediante depositi di varia natura: calcarei nel caso di acqua, carboniosi nel
caso di gas di scarico di motori a combustione interna, asfaltici nel caso
di prodotti petroliferi. In fase di progetto è pertanto necessario prevedere
appositi termini che tengano conto di questo fenomeno, detti fattori di
“fouling” o di sporcamento.
I vari meccanismi di scambio possono essere espressi da resistenze
termiche che, essendo in serie tra loro, danno luogo ad una resistenza
termica equivalente, ottenibile dalla loro sommatoria. Nel caso di scam-
biatore del tipo a cilindri coassiali, un esempio dei quali è schematizzato
in Figura 13.1, si ha:

1 rfi ln (re / ri ) rfe 1


R eq = + + + + (13.2)
hi Ai Ai 2 πkL Ae he Ae

con:
Req = resistenza termica equivalente, K/W,
hi ,he = coefficienti convettivi rispettivamente sul lato interno ed ester-
no della parete di separazione, W/m2K,
Ai, Ae = aree delle superfici cilindriche di scambio rispettivamente sul
lato interno ed esterno della parete di separazione, m2,
rfi, rfe = fattori di fouling rispettivamente sul lato interno ed esterno del-
la parete di separazione, m2K/W,
ri, re = raggi delle superfici cilindriche di scambio rispettivamente sul
lato interno ed esterno della parete di separazione, m2,
k = conducibilità termica della parete, W/mK,
L = lunghezza dello scambiatore, m,
tale espressione è raramente usata in quanto, dato il piccolo spessore
della parete, di solito di almeno 2 ordini di grandezza minore di re ed ri,
risulta Ai ≅Ae; per questo motivo, con modestissimo errore, si utilizza
generalmente la seguente relazione, valida per parete piana:

1 1
=U= (13.3)
AR eq 1 s 1
+ rfi + + rfe +
hi k he
Dimensionamento degli scambiatori di calore 255

con:
A = area della superficie di scambio, m2,
U = coefficiente globale di scambio, W/m2K,
s = re – ri = spessore della parete, m.

I4,2/*8?J$

H/2*.,$01+0-8,$
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G4$ E0$
H/2*.,$*8+0-8,$
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$ $ $ (! +! (!
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Figura 13.1 – Schema di uno scambiatore monotubolare.

Gli ordini di grandezza dei fattori di fouling, che sono funzione del
fluido che attraversa lo scambiatore, sono riportati in Tabella 13.1.

Tabella 13.1 – Ordine di grandezza del fattore di fouling per alcuni fluidi.
ßuido ordine di grandezza
acqua 10–4 m2K/W
prodotti petroliferi 10–3 m2K/W
gas di scarico di motori a combustione interna 10–3 m2K/W

Per quanto detto nel al paragrafo 9.5, i termini 1/hi ed 1/he assumono
ordini di grandezza compresi tra 10–1 e 10–4; inoltre, la resistenza condut-
tiva unitaria s/k, per il piccolo spessore e per la elevata conducibilità dei
materiali impiegati negli scambiatori, assume ordini di grandezza intorno
256 Lezioni di Fisica Tecnica

a 10–5 e può essere trascurata nella valutazione di AReq . In definitiva, per


il calcolo di U si utilizza l’espressione:

1
U= (13.4)
1 1
+ rfi + + rfe
hi he

L’ordine di grandezza di U per alcuni fluidi è riportato in Tabella


13.2.

Tabella 13.2 – Ordine di grandezza del coefficiente globale di scambio per alcuni
fluidi.
ßuidi ordine di grandezza
acqua-acqua 103 W/m2K
acqua-gas 10 ÷102 W/m2K
gas-gas 10 W/m2K

13.3 L’andamento delle temperature

Nel paragrafo 8.5, in Figura 8.5, è riportato l’andamento delle tempe-


rature dei fluidi caldo e freddo in uno scambiatore monotubolare nel caso
di equicorrente. Dalla figura si rileva che la differenza di temperatura fra i
due fluidi decresce spostandosi dalla sezione di ingresso a quella di uscita
e si intuisce che, se la superficie di scambio tendesse all’infinito, la diffe-
renza di temperatura tenderebbe a 0. Questa variabilità della differenza
di temperatura, che è presente nella maggior parte dei casi di interesse
ingegneristico, impone la valutazione di un opportuno valore medio di tale
differenza, ai fini del calcolo della superficie di scambio con la (13.1).
Nel seguito verranno esaminati tutti i possibili andamenti delle tem-
perature riscontrabili in scambiatori a superficie a correnti parallele del
tipo monotubolare. Tali andamenti dipendono dalla capacità termica ora-
ria, C! , dei due fluidi definita come il prodotto del calore specifico a pres-
sione costante per la portata massica:

!c =m
C ! c c p,c !f =m
C ! f c p, f (13.5)

con:
! c ,C
C ! f = capacità termiche orarie del fluido caldo e del fluido freddo,
W/K,
m! c,m! f = portate massiche del fluido caldo e del fluido freddo, kg/s,
Dimensionamento degli scambiatori di calore 257

cpc, cpf = calori specifici a pressione costante del fluido caldo e del fluido
freddo, J/kgK.
Nel caso che i due fluidi abbiano capacità termica oraria infinita, la
qualcosa può avvenire se sono entrambi in passaggio di fase, con il fluido
caldo vapore saturo che condensa ed il fluido freddo vapore saturo che
evapora, la temperatura dei due fluidi rimane costante1 sia per scambiatori
in controcorrente che per scambiatori in equicorrente, come è mostrato in
Figura 13.22, dove sulle ordinate è riportata la temperatura dei due fluidi
e sull’ascissa la superficie di scambio.
Nel caso invece che uno dei due fluidi sia in passaggio di fase, quindi
con C ! =∞, mentre l’altro abbia una capacità termica finita, essendo vapore
surriscaldato o gas oppure liquido, l’andamento è quello riportato nelle
Figure 13.3 e 13.4: la temperatura del fluido a capacità termica finita tende
asintoticamente a quella del fluido a capacità termica infinita.
La Figura 13.2 è relativa ad uno scambiatore che ha contemporanea-
mente funzione di condensatore per il fluido caldo e di evaporatore per
il fluido freddo; la 13.3 ad uno scambiatore con funzioni di condensatore,
mentre la 13.4 ad uno scambiatore con funzioni di evaporatore, così come
anticipato al paragrafo 8.5. In tutti questi scambiatori l’andamento delle
temperature è indipendente dall’essere il flusso equicorrente o contro-
corrente.

'$ )$ ' )

G&<*$ G&<2$ G&<*$ G&<2$


$ $ $ $
G4<*$ G4<2$ G4<2$ G4<*$

T$ :$ T$ :$
6'7$ 6)7$

Figura 13.2 – Scambiatori di calore a correnti parallele. Andamento delle temperature


!c =C
dei due fluidi nel caso di C ! f = ∞ . (a) equicorrente, (b) controcor-
rente.

1
Quanto detto è vero nell’ipotesi, in pratica verificata con buona approssimazio-
ne, che le perdite di carico siano trascurabili e, conseguentemente, che la pressione
sia praticamente uniforme lungo lo scambiatore.
2 Per convenzione i diagrammi che rappresentano l’andamento delle tempera-
ture negli scambiatori fanno entrare il fluido caldo in corrispondenza della sezione
di ascissa x=0.
258 Lezioni di Fisica Tecnica

Nel caso poi che nessuno dei due fluidi sia in passaggio di fase, ovvero
che le capacità termiche orarie dei due fluidi siano entrambe finite:
• per l’equicorrente le temperature dei due fluidi tenderanno asintoti-
camente, come mostrato in Figura 13.5, ad un’unica temperatura, Teq,
che, se i fluidi sono a calori specifici costanti, è data dalla relazione:

! c cp,c(Tc,i– Teq) = m
m ! f cp,f(Teq – Tf,i) (13.6)

con Teq compreso nell’intervallo Tc,i – Tf,i e spostato verso la tempe-


ratura di ingresso del fluido che ha la capacità termica oraria mag-
giore;

'$ ) ' )

G&<*$ G&<2$ G&<* G&<2$


G4<2$ G4<*$

G4<*$ G4<2$

T$$ : T$ :
6'7$ 6)7$

Figura 13.3 – Scambiatori di calore a correnti parallele. Andamento delle temperatu-


!c =∞ e C
re dei due fluidi nel caso di C ! f finito. (a) equicorrente, (b)
controcorrente.

• per la controcorrente si dimostra, ma la dimostrazione esula da que-


sta trattazione, che l’andamento delle temperature, in particolare la
curvatura, dipende dal rapporto tra le capacità termiche orarie, come
evidenziato in Figura 13.6: la curvatura è verso il basso per C !c >C
!f,
! ! ! !
verso l’alto per C c < C f , nulla per C c = C f , cioè in quest’ultimo caso
le temperature sono rappresentate da due segmenti di rette parallele.
Il tipo di curvatura si individua facilmente considerando che il caso
!c >C
C ! f ha come caso limite C ! c = ∞ , mostrato in Figura 13.3, e che
! !
il caso C c < C f ha come caso limite C ! f = ∞ , in Figura 13.4. Dovendo
! !
essere, per la (8.28) , C c ΔTc = C f ΔTf , risulta anche che se è C
3 !c >C!f
è ΔTc<ΔTf e viceversa.

3 ! =m
Q ! f c p,f ΔT f = m
! c c p,c ΔT c (8.28)
Dimensionamento degli scambiatori di calore 259

'$ )$ ' )$

G&<*$ G&<*

G&<2$ G&<2$
G4<*$ G4<2$ G4<2$ G4<*$

T$$ :$ T$ :$
6'7$ 6)7$

Figura 13.4 – Scambiatori di calore a correnti parallele. Andamento delle temperatu-


!c =∞ e C
re dei due fluidi nel caso di C ! f finito. (a) equicorrente, (b)
controcorrente.

'$ )
G&<*$

G&<2$

G4<2$

G4<*$

T$$ :

Figura 13.5 – Scambiatori di calore a correnti parallele in equicorrente. Andamento


delle temperature dei due fluidi nel caso di fluidi a capacità termiche
finite.

Dai diagrammi delle Figure da 13.2 a 13.6 si vede che solo in po-
chi casi, in particolare quelli di Figura 13.2 e quello di Figura 13.6c), la
differenza tra la temperatura del fluido caldo e quella del fluido freddo
(Tc – Tf), si mantiene costante lungo tutto lo scambiatore; in generale,
invece tale differenza varia lungo lo scambiatore, come già anticipato
nel paragrafo 13.1.
Una trattazione completa in grado di fornire l’andamento delle tem-
perature nei vari casi esaminati esula dalle finalità di questo testo. È però
possibile pervenire in modo piuttosto semplice ad una espressione valida
nel caso in cui uno dei due fluidi sia in passaggio di fase; nel seguito si
sfrutterà il caso dell’evaporatore per ricavare l’espressione di una equa-
zione in grado di fornire l’andamento della temperatura del fluido caldo
in funzione della superficie di scambio.
260 Lezioni di Fisica Tecnica

'$ )$ ' )$
# # # #
U &W U 4$ G&<* U &V U 4$$
G&<*$
G4<2$ ()&
()&
G&<2$
()4* G&<2$
()4
G4<2$
G4<*$ G4<*$

T$$ :$ T$ :$
6'7$ 6)7

'$ )
# #
U &; U 4$
G&<*$

G4<2$ ()&
G&<2$
()4*

G4<*$

T$$ :
6&7
Figura 13.6 – Scambiatori di calore a correnti parallele in controcorrente. Andamento
delle temperature dei due fluidi nel caso di fluidi a capacità termiche
finite.

Con riferimento ad un elemento infinitesimo di superficie, dA, dello


scambiatore, in corrispondenza del quale la temperatura del fluido caldo
diminuirà di dTc, come mostrato in Figura 13.7, si potrà scrivere, nel caso
di calore specifico costante:

!c =m
dQ ! c dh c = m
! c c p,c dTc (13.7)

Per lo stesso elemento infinitesimo di superficie dA la (13.1) fornisce

! = UdA (T –T )
dQ (13.8)
c f

! = −Q
Ricordando che per la (8.26) Q ! c , combinando le (13.7) e (13.8)
si avrà:

! c c p,c dTc = −UdA(Tc − Tf )


m (13.9)

e, separando le variabili:
Dimensionamento degli scambiatori di calore 261

dTc U
=− dA (13.10)
Tc − T f ! c c p,c
m

G$&<*$$

G&
G4<* G4 G4<2$$
$ $ $
$
G&

G&<2$

G&<*$$

.G&$$
G&<2$

G4<* G4<2
$ $ $

T$ .:$ :$

Figura 13.7 – Schema di evaporatore con andamento della temperatura.

! c otteniamo:
! c c p,c = C
Poiché Tf = costante, ricordando che m

d(Tc − Tf ) U
=− dA (13.11)
Tc − T f !c
C

espressione che dovrà essere integrata tra la sezione di ingresso e la se-


zione di uscita, in corrispondenza delle quali la temperatura del fluido
caldo passa da Tc,i a Tc,u. Pertanto:
Tc,u A
d(Tc − Tf ) U

Tc.i
(Tc − Tf )
= −∫
!
0 Cc
dA (13.12)
262 Lezioni di Fisica Tecnica

L’integrazione del primo termine è immediata, quella del secondo lo è


! c sia costante rispetto
altrettanto accettando l’ipotesi che il rapporto U/ C
ad A, ovvero rispetto a T. In questa ipotesi si ottiene:

Tc − T f UA
ln =− (13.13)
(Tc − Tf )i C!c

e, passando agli esponenziali:

⎛ UA ⎞
(Tc – Tf) = (Tc – Tf)i exp – ⎜ (13.14)
⎝ C! c ⎟⎠

È possibile pervenire, con metodologia analoga a quella esposta, ad


una espressione più generale, valida per uno qualsiasi dei casi fin qui
esaminati:

⎡ ⎛ 1 1 ⎞⎤
(Tc – Tf) = (Tc – Tf)i exp – ⎢ UA ⎜ ± (13.15)
⎝C!c C! f ⎟⎠ ⎥
⎣ ⎦

dove il segno nell’esponenziale è positivo per l’equicorrente e negativo


per la controcorrente.
È facile veder come, ponendo nella (13.15):
C!c =C! f = ∞ si ottiene l’andamento di Figura 13.2;
!
Cc = ∞ si ottiene l’andamento di Figura 13.3;
!
Cf = ∞ si ottiene l’andamento di Figura 13.4;
! !
C c ≠ C f ≠ ∞ si ottiene l’andamento della Figure 13.5, 13.6a e 13.6b;
C!c =C! f ≠ ∞ si ottiene l’andamento di Figura 13.6c;

13.3.1 Differenza media delle temperature

Nel caso di grandezze variabili con legge esponenziale, il valor medio


che interpreta il fenomeno è il valore medio logaritmico, già incontrato
nello studio della conduzione in geometria cilindrica. Nel caso in esame,
con riferimento alla sezione di ingresso a e alla sezione di uscita b dello
scambiatore, risulta:

ΔTa − ΔTb
ΔTmedia = ΔTml = (13.16)
ΔT
ln a
ΔTb
Dimensionamento degli scambiatori di calore 263

Nel proporzionamento degli scambiatori di calore è sempre necessa-


rio usare la media logaritmica espressa dalla (13.16); infatti, un eventuale
ricorso alla media aritmetica, sempre maggiore della media logaritmica
a parità di temperature di ingresso e di uscita, porterebbe a sottostimare
la superficie di scambio. Solo nel caso che le capacità termiche dei due
fluidi siano uguali, e quindi sia ΔTa = ΔTb, per cui la (13.16) degenera nella
forma indeterminata 0/0, nella (13.1) il termine ΔTmedia va sostituito con
ΔTa o ΔTb, essendo (Tc – Tf)media = ΔTa = ΔTb.
Si noti che in ogni sezione di uno scambiatore la temperatura del fluido
caldo deve essere maggiore della temperatura del fluido freddo. Questa li-
mitazione, che deriva dal secondo principio della termodinamica, comporta
che ci sono situazioni in cui è possibile utilizzare uno scambiatore in contro-
corrente e non in equicorrente, in quanto in controcorrente la temperatura
di uscita del fluido freddo, Tf,u, può essere maggiore della temperatura di
uscita del fluido caldo, Tc,u, cosa non possibile nel caso di equicorrente.
Gli scambiatori in controcorrente presentano anche un altro vantag-
gio rispetto a quelli in equicorrente, infatti, qualora lo scambio sia possi-
bile in entrambi i modi, a parità di temperature di entrata e di uscita dei
due fluidi, la media logaritmica delle differenze di temperatura, (Tc – Tf)ml,
è sempre maggiore per la controcorrente, per la quale conseguentemente
la superficie di scambio risulta minore.

13.4 Alcuni tipi di scambiatore a superficie


Esistono molti tipi di scambiatori a superficie: qui se ne descrivono
sommariamente solo alcuni.
Gli scambiatori monotubolari fin qui trattati sono poco utilizzati nella
pratica, in quanto poco compatti.
Il tipo più usato in campo industriale è quello a fascio tubiero, detto
anche a tubi e mantello (traduzione dell’inglese shell and tube), nel quale
un fluido passa in un fascio compatto di tubi fissato alle estremità su due
piastre generalmente circolari. Il fascio di tubi è alloggiato in un corpo
cilindrico detto mantello; tra i tubi e il mantello passa l’altro fluido. In
Figura 13.8 sono illustrati i modelli più diffusi.
Il più semplice è il modello tubo in tubo, (a), che può essere conside-
rato il capostipite della famiglia degli scambiatori a fascio tubiero anche
se, a causa del piccolo valore della potenza termica scambiata per unità di
volume dello scambiatore, è il meno usato. Potenze termiche per unità di
volume dello scambiatore molto più grandi possono essere scambiate nel
modello a testa fissa, (b), in cui il fascio tubiero è fissato a due piastre solidali
con il mantello; in questo modello, se la differenza di temperatura tra i due
fluidi è troppo elevata, possono insorgere tensioni meccaniche eccessive
a causa della diversa dilatazione termica tra fascio tubiero e mantello. Il
264 Lezioni di Fisica Tecnica

&A' -A'

5A' 1A'

Figura 13.8 – Esempi di scambiatori a fascio tubiero: a) tubo in tubo; b) a testa fissa;
c) con tubi ad U; d) a testa flottante

problema della dilatazione termica è superato nel modello con tubi ad U,


(c), ed in quello a testa flottante, (d), in cui il fascio tubiero può dilatarsi in
maniera indipendente dal mantello; nel primo modello i tubi, ad U, han-
no le due estremità vincolate sulla stessa piastra, mentre nel secondo una
delle piastre su cui sono fissati i tubi non è solidale al mantello, all’interno
del quale può scorrere. In Figura 13.9 sono riportati, a titolo di esempio, i
principali componenti di uno scambiatore a fascio tubiero con tubi ad U.

1 Testata scambiatore 7 Guarnizione lato fasciame


2 Piastra tubiera 8 Targa con dati di progetto
3 Fascio tubiero ad U 9 Sella di sostegno
4 Diaframmi trasversali 10 Guarnizione
5 Fasciame o mantello 11 Controflangia
6 Guarnizione lato testata

Figura 13.9 – Principali componenti di uno scambiatore a fascio tubiero.


Dimensionamento degli scambiatori di calore 265

Un altro tipo molto diffuso è costituito dagli scambiatori a flussi in-


crociati, un esempio del quale è riportato in Figura 13.10; un fluido, ge-
neralmente un liquido, passa all’interno dei tubi e un altro, generalmente
un gas, passa all’esterno dei tubi e perpendicolarmente ad essi. Sono di
questo tipo molti radiatori di automobili, dove all’interno dei tubi passa
il liquido di raffreddamento del motore ed all’esterno l’aria.

&A' 5A

Figura 13.10 – Esempi di scambiatore a flussi incrociati: a) radiatore per automobile;


b) scambiatore industriale.

Negli ultimi anni si vanno sempre più diffondendo gli scambiatori


a piastre, nei quali le superfici di scambio termico tra i due fluidi, come
mostrato in Figura 13.11, sono costituite da lamiere metalliche corrugate
sovrapposte a pacco ed inserite in un telaio di contenimento. Ciascuna
piastra presenta una serie di canali di passaggio dei fluidi ed è dotata di
fori di alimentazione degli stessi. Questi scambiatori hanno due vantaggi:
sono estremamente compatti, perché caratterizzati da elevati valori di
area della superficie di scambio per unità di volume, e sono facilmen-
te smontabili e manutenibili, con possibilità di aggiungere o rimuovere
piastre. Gli inconvenienti sono costituiti dai limiti di temperatura, circa
200°C, e di pressione, circa 20 bar.
Infine, ricordando le ipotesi alla base della (13.6), in particolare quella
di calori specifici costanti, nel caso il fluido, lungo il percorso nello scam-
biatore passi da una fase ad un’altra (per esempio da liquido a vapore
saturo o viceversa), ai fini del calcolo della ΔTml lo scambiatore va di-
mensionato considerandolo costituito da più parti, quanti sono i passaggi
di fase che in esso avvengono, ciascuna caratterizzata dalla propria area
di scambio.
266 Lezioni di Fisica Tecnica

Figura 13.11 – Scambiatore a piastre. Prospetto, vista esplosa ed una configurazione


dei flussi tra le varie configurabili.

13.4.1 Fattore di correzione

Per gli scambiatori sopra descritti, nei quali il moto dei fluidi si allon-
tana considerevolmente da quello che si ha negli scambiatori monotubo-
lari, non può certamente essere utilizzata la relazione (13.16). In questi
casi si ricorre usualmente all’uso di opportuni fattori di correzione; la dif-
ferenza di temperatura da utilizzare per questi scambiatori nell’equazione
di progetto, ΔTml,corretta, risulta quindi data dalla seguente espressione:

ΔTml,corretta = F Δtml (13.17)

con:
F = fattore di correzione, ≤1, adim.
Δtml = media logaritmica delle differenze delle temperature dei due
fluidi nel caso di scambiatore monotubolare in controcorrente
nelle stesse condizioni di temperature di ingresso e di uscita dello
scambiatore di calore considerato, °C.
Il fattore di correzione F rappresenta in definitiva il coefficiente di
riduzione della differenza di temperatura reale rispetto a quella che si
avrebbe per uno scambiatore monotubolare in controcorrente; per i prin-
cipali tipi di scambiatori il valore di F si trova diagrammato nei testi
specialistici e nei manuali termotecnici.
Dimensionamento degli scambiatori di calore 267

Come si vede dalla Figura 13.11, nella quale è riportato a titolo di


esempio il diagramma del fattore di correzione per uno scambiatore a
fasci tubieri a correnti incrociate, F è diagrammato in funzione di due
parametri adimensionali, Z e P, così definiti:

ΔTc
Z= (13.18)
ΔTf

ΔTf ΔTf
P= = (13.19)
ΔTmax Tc,i − Tf,i

Ponendo:

ΔTf ΔTc ΔTc


Z= P= = (13.20)
ΔTc ΔTmax Tc,i − Tf,i

il valore di F letto dai diagrammi non cambia.

Figura 13.12 – Fattore di correzione, F, per uno scambiatore di calore a fasci tubieri
a correnti incrociate.

Si noti che dalle (13.18), (13.19) e (13.20) si ricava che Z varia tra 0
ed ∞, mentre P varia tra 0 ed 1.
Il fattore di correzione per fluidi non in passaggio di fase è sempre
minore di 1; ciò evidenzia che, a parità di tutti i parametri, lo scambia-
tore monotubolare in controcorrente è quello che permette il massimo
scambio termico. Questo spiega anche perché questo tipo di scambiatore,
pur essendo raramente impiegato per i motivi esposti al paragrafo 13.4,
è quello che è stato utilizzato per esporre i principi di funzionamento di
queste apparecchiature.
268 Lezioni di Fisica Tecnica

Ovviamente, per fluidi in passaggio di fase risulta sempre F=1, qua-


lunque sia il tipo di scambiatore.

13.5 L’efficienza degli scambiatori

Si intende per efficienza di uno scambiatore di calore il rapporto


adimensionale:

Q!
ε= (13.21)
! max
Q

con:
Q! = potenza termica dello scambiatore, W;
!
Qmax = potenza termica massima scambiabile in uno scambiatore mo-
notubolare controcorrente di superficie infinita, operante con le
stesse portate massiche e temperature di ingresso del caso reale,
W.
Si dimostra che è:

! max = C
Q ! min ΔTmax (13.22)

con:
C! min = capacità termica oraria minima tra quelle dei due fluidi, W/K.

Esercizi

ESERCIZIO 13.1 – Una portata di 4000 litri/h di olio (ρ=900 kg/m3, c=2,0 kJ/kgK)
a 80°C deve essere raffreddata fino alla temperatura di 25°C. A tale scopo si
vuole usare uno scambiatore a correnti parallele che usi come fluido freddo
una portata di acqua liquida a 12°C (la pressione del fluido freddo è pratica-
mente uniforme e pari a 1,00 atm).
Si valuti quale tipo di scambiatore (equicorrente/controcorrente) è possibile
usare nel caso che la portata d’acqua disponibile sia di:
1. 1000 l/h;
2. 3000 l/h;
3. 8500 l/h;
inoltre si valuti in ciascuno dei tre casi la superficie di scambio nell’ipotesi
Dimensionamento degli scambiatori di calore 269

che la conduttanza globale unitaria dello scambiatore, U, valga comunque


116 W/m2K.

ESERCIZIO 13.2 – Si vuole raffreddare una portata di 10 kg/min di olio (c = 0,50


kcal/kg°C) utilizzando uno scambiatore costituito da due tubi coassiali. L’olio
è inizialmente a 120°C e si vuole che all’uscita abbia una temperatura di 40°C.
Il fluido freddo è acqua, con temperatura di ingresso 18°C e temperatura di
uscita pari a 55°C. Sapendo che la pressione è ovunque costante e pari ad
1,00 atm e che la conduttanza globale unitaria dello scambiatore è pari a 93
W/m2K, calcolare la superficie di scambio.

ESERCIZIO 13.3 – Dell’azoto fluisce nella parte centrale di uno scambiatore di


calore a controcorrente a tubi concentrici. Nella sezione di ingresso la velocità
è di 10 m/s, la pressione di 2,14 atm, la temperatura di 310°C; nella sezione
di uscita la temperatura è di 110°C. Dell’acqua fluisce in direzione opposta
nello spazio anulare dello scambiatore, uscendo ad 1,00 atm e 60°C, con una
velocità di 1,3 m/min. Il diametro interno del tubo interno è di 6,00 cm, lo
spessore del tubo interno è di 0,50 cm, il diametro interno del tubo esterno
è di 8,50 cm. Calcolare:
1. la temperatura di ingresso dell’acqua;
2. la lunghezza dello scambiatore, essendo la conduttanza globale, riferita
alla superficie esterna del tubo interno, di 35 W/m2K.

ESERCIZIO 13.4 – Calcolare la superficie del condensatore dell’esercizio 8.12,


nel caso che l’aria esca alla temperatura di 45°C; per il coefficiente globale di
scambio, U, si assuma il valore di 30 W/m2K.

ESERCIZIO 13.5 – Calcolare la superficie dello scambiatore descritto nell’eser-


cizio 8.10 punto 1, assumendo per il coefficiente globale di scambio in tutta
l’apparecchiatura il valore di 105 W/m2K.

ESERCIZIO 13.6 – In uno scambiatore, a fascio tubiero a correnti incrociate,


dell’acqua alla pressione atmosferica viene raffreddata dalla temperatura di
65°C alla temperatura di 30°C mediante una corrente d’aria alla temperatura
di 20°C. Le portate di acqua e di aria sono rispettivamente di 80 kg/min e di
480 kg/min. Assumendo per la conduttanza globale unitaria dello scambiatore
il valore di 30 W/m2K, calcolare:
1. la superficie dello scambiatore;
2. l’efficienza dello scambiatore.
Capitolo quattordicesimo
Principi di impianti termici motori ed operatori

14.1 Introduzione

Per macchina si intende un sistema compatto di organi fissi e mobili


in grado di effettuare un trasferimento di energia meccanica, in quanto
gli organi in movimento che la costituiscono sono soggetti a forze che
compiono lavoro.
Sono dette motrici le macchine che trasformano energia interna, di
pressione, gravitazionale o cinetica di fluidi, elettrica, etc... in lavoro mec-
canico; sono dette viceversa operatrici o mosse quelle che ricevono lavoro
meccanico e lo utilizzano per scopi particolari, quali la compressione di
fluidi o la lavorazione di metalli e altri materiali.
La Fisica Tecnica si interessa delle macchine a fluido, nelle quali le
forze che lavorano per effettuare la desiderata trasformazione di energia
sono esplicate da un fluido o su di un fluido. Se il fluido ha comportamen-
to di sostanza comprimibile (in pratica gas o vapore), la macchina viene
detta termica; se il fluido ha comportamento di sostanza incomprimibile,
la macchina viene detta idraulica.
Si definisce impianto termico un insieme di macchine a fluido (sia
motrici che operatrici) e di apparecchiature di scambio termico (quali i
generatori di vapore, i condensatori, gli scambiatori in genere) fra loro
collegate da condotti entro i quali scorre un fluido. Come per le macchine,
l’impianto termico si dice motore se complessivamente trasforma ener-
gia termica in energia meccanica, operatore se complessivamente riceve
energia meccanica che poi utilizza per trasferire energia termica da una
sorgente che si trova ad una assegnata temperatura ad una sorgente a
temperatura più alta.
Quando i componenti dell’impianto, ciascuno dei quali costituisce un
sistema aperto, sono collegati in serie costituendo una catena chiusa nella
quale il fluido in uscita dall’ultimo elemento è ricondotto all’ingresso del
primo, si parla di impianto a circuito chiuso o fluosistema chiuso; in que-
sto caso il fluido evolvente, nel ritornare in una data sezione dopo aver
attraversato tutti gli elementi della catena, descrive un vero e proprio ciclo
termodinamico. Quando l’insieme degli organi costituenti l’impianto non
272 Lezioni di Fisica Tecnica

forma una catena chiusa, si parla d’impianto a circuito aperto o fluosistema


aperto; in tal caso, il fluido evolvente non percorre mai rigorosamente un
ciclo e deve essere continuamente rinnovato come accade, per esempio,
nei motori degli autoveicoli.
Nel paragrafo 3.6.7, esaminando le trasformazioni cicliche, si è visto
che i cicli diretti, caratterizzati da un bilancio positivo di energia mec-
canica, trovano applicazione negli impianti termici motori; per essi si è
definito il rendimento termodinamico, η. Sempre al paragrafo 3.6.7, si è
detto che i cicli inversi, caratterizzati da un bilancio negativo di energia
meccanica, trovano applicazione negli impianti frigoriferi e nelle pompe
di calore, che sono impianti termici operatori; per i cicli inversi è stato
definito il coefficiente di prestazione, COP. Si è anche visto che i termini
che compaiono nelle espressioni di η e del COP rappresentano potenze
nel caso di sistemi aperti ed energie nel caso di sistemi chiusi; i due coef-
ficienti possono essere ricondotti a rapporti tra energie specifiche.
In questo capitolo sono illustrati alcuni dei principali tipi di impianti
termici motori ed operatori, sia per fornire utili applicazioni dei concetti
di termodinamica e di trasmissione del calore che costituiscono la parte
fondamentale del corso di Fisica Tecnica, sia per creare una necessaria
premessa a corsi successivi; ovviamente, ci si limiterà ai soli concetti fonda-
mentali, soffermandosi soprattutto sui cicli termodinamici di riferimento1.
Per qualunque tipo di impianto, comunque complesso, si può definire
un ciclo termodinamico di riferimento, che rappresenta una semplifica-
zione dei processi reali e che porta a risultati trasferibili ai processi reali
stessi. La semplificazione consiste nel considerare il funzionamento ideale
delle macchine e delle apparecchiature dell’impianto, cioè nel considerare
che, sia nelle macchine che nelle apparecchiature, i processi siano rever-
sibili e che i componenti dell’impianto nei quali non avviene scambio
termico siano adiabatici; chiaramente, considerare i processi reversibili
equivale a considerare nulle anche le perdite di carico.
Per sottolineare l’importanza degli impianti motori con turbina a va-
pore e con turbina a gas e dei motori alternativi a combustione interna
si riportano i dati di richiesta di energia elettrica in Italia relativi al 2005,
suddivisi per modalità di produzione:
• consumi: 330 miliardi di kWh (330 TWh);
• produzione interna netta: 281 TWh, di cui il 15% idroelettrica e l’84%
termoelettrica (80% da combustibili tradizionali, 1,2% da biomasse, e
2% geotermica);

1
Nel corso di Macchine, nel quale si approfondiranno gli argomenti che qui ap-
pena si accennano, si vedrà come lo studio dell’impianto reale si avvale dello studio
del ciclo termodinamico di riferimento, benché questo, come si è detto, ne sia spesso
una notevole semplificazione.
Principi di impianti termici motori ed operatori 273

• produzione eolica 1% e fotovoltaica < 0,01%;


• importazione: 49 TWh di origine prevalentemente nucleare.
L’energia termoelettrica è prodotta per circa il 75% da impianti moto-
ri con turbina a vapore, per circa il 24% da impianti motori con turbina a
gas e per circa l’1% da motori alternativi a ciclo Diesel o a ciclo Otto.
La potenza elettrica netta installata alla stessa data risultava di circa
87 GW:
• idroelettrica: 21 GW;
• termoelettrica: 63 GW;
• geotermica: 0,7 GW;
• eolica e fotovoltaica: 1 GW.

14.2 Impianti termici motori con turbina a vapore: ciclo


Rankine a vapore surriscaldato

Nella Figura 14.1 è riportato lo schema elementare dell’impianto ter-


mico motore con turbina a vapore. I1 fluido, acqua, nello stato 1 è pre-
levato dal condensatore, C, in condizioni di liquido saturo alla pressione
p1 ed è compresso, mediante la pompa P, fino alla pressione p2; nello
stato 2, in condizioni di liquido non saturo, è immesso nel generatore di
vapore o caldaia, GV, dove viene prima riscaldato fino alla temperatura
t2’, (trasformazione 2-2'), poi vaporizzato, (trasformazione 2'-3'), ed infine
surriscaldato, (trasformazione 3'-3), fino alla temperatura t3 massima del
ciclo. Il vapore viene quindi inviato alla turbina, T, dove espande fino
allo stato 4, corrispondente a condizioni di vapore saturo con valore del
titolo prossimo all’unità e pressione p4=p1; dallo stato 4, l’acqua ritorna
allo stato 1 mediante una sottrazione di energia termica che avviene nel
condensatore C. Nella trasformazione 3-4 viene prodotta energia mecca-
nica, trasferita all’utilizzatore, U, usualmente costituito da un generatore
di energia elettrica.
Il ciclo termodinamico di riferimento degli impianti termici motori
con turbina a vapore, è il ciclo Rankine a vapore surriscaldato, o ciclo
Hirn, rappresentato nei piani T,s ed h,s rispettivamente nelle Figure 14.2
e 14.3, al quale si perviene nell’ipotesi semplificativa di idealità delle mac-
chine e delle apparecchiature, nel senso visto al paragrafo 14.1. Il ciclo
è costituito da due adiabatiche reversibili (compressione nella pompa ed
espansione nella turbina) e da due isobare (somministrazione e sottrazio-
ne di calore rispettivamente nel generatore di vapore e nel condensatore).
Applicando ad ogni componente dell’impianto il primo principio della
termodinamica per sistemi aperti si ottiene:
274 Lezioni di Fisica Tecnica

pompa trasformazione 1-2 l1,2 = h2–h1


generatore di vapore trasformazione 2-2'-3'-3 q2,3 = h3–h2
turbina trasformazione 3-4 l3,4 = h3–h4
condensatore trasformazione 4-1 q4,1 = h4–h1
Il rendimento termodinamico del ciclo, per la (3.61), è dato dalla
relazione:

− (h 3 − h 4 ) − (h 2 − h 1)
η = LT LP = (14.1)
QGV h3 − h2

che, per la (3.63), si può anche scrivere:


η = 1 − h 4 h1 (14.2)
h3 − h2

F$

FH$
IJ$
L$ E$
GH$

"$
G$

M$ K$

!$

Figura 14.1 – Schema elementare di un impianto termico motore con turbina a vapo-
re. P: pompa; GV: generatore di vapore; T: turbina.; U: utilizzatore; C:
condensatore.

Sulla base di quanto detto al paragrafo 7.4 sull’andamento delle iso-


bare nel campo del liquido, che comporta generalmente piccoli valori per
il termine (h1 – h2) relativo alla compressione adiabatica in fase liquida,
si ha che nella maggior parte dei casi, essendo h2 ≈ h1, il rendimento del
ciclo Rankine si può porre con ottima approssimazione nella forma:


η = h3 h4 (14.3)
h 3 − h1
Principi di impianti termici motori ed operatori 275

il che si traduce, nel piano h,s, nella pratica coincidenza dei punti 1 e 2;
nel piano T,s il ciclo risulta rappresentabile come in Figura 14.4. È bene
a questo punto ricordare che, per quanto detto al paragrafo 7.4, nelle
Figure 14.2 e 14.3 le trasformazioni 1-2 e 2-2' sono riportate fuori scala
per consentirne la individuazione, mentre normalmente la prima risulta
coincidente con un punto, la seconda con la curva limite inferiore, così
come nella Figura 14.4.

F
L$

GN FN
-F$O$-G$
G
-"$O$-!$
3
! "N "

5
Figura 14.2 – Ciclo Rankine nel piano T,s. Nel caso di fluido incomprimibile e tra-
sformazione adiabatica internamente reversibile, per quanto detto al
paragrafo 7.2.1, i punti 1 e 2 sono coincidenti.

F$
?$
FN
3
-F$O$-G
"$
"N
GN
G$ -"$O$-!$

!$
5$
Figura 14.3 – Ciclo Rankine nel piano h,s. Nel caso di fluido incomprimibile e tra-
sformazione adiabatica internamente reversibile, per quanto detto al
paragrafo 7.2.1, i punti 1 e 2 non sono coincidenti.

Si consideri il ciclo riportato in Figura 14.4, suddiviso nei tre cicli


parziali 1-2'-4" (I), 4"-2'-3'-4' (II) e 4'-3'-3-4 (III) e si indichino con qI,
qII, qIII le quantità di calore per kilogrammo di fluido somministrate da
276 Lezioni di Fisica Tecnica

1 a 2', da 2' a 3' da 3' a 3, e con lI, lII, lIII i lavori specifici corrispondenti
a ciascuno di questi cicli parziali. I rendimenti dei cicli parziali sono dati
dalle relazioni:

lI l l
ηI = ηII = II ηIII = III (14.4)
qI q II q III

il lavoro specifico corrispondente all’intero ciclo è:

l = lI + lII + lIII (14.5)

e la quantità di calore per kilogrammo di fluido complessivamente scam-


biata è:

q = qI + qII + qIII (14.6)

F
L$

FN$
GN

=$ ==$ ===$
3$
!#G$ "NN "N$ "$

5$
Figura 14.4 – Suddivisione di un ciclo Rankine in tre cicli parziali.

Poiché, come già visto, per l’intero ciclo risulta:

l
η = (14.7)
q

si ha che:

qI q q
η = ηI + ηII II + ηIII III (14.8)
q q q

da cui si ricava che il rendimento dell’intero ciclo può essere considerato


come la media pesata dei rendimenti dei tre cicli parziali, con coefficienti
Principi di impianti termici motori ed operatori 277

di peso pari alle frazioni del calore somministrato in ciascun ciclo par-
ziale.
La (14.8) contribuisce a chiarire perché per un impianto a vapore non
si utilizza un ciclo di Carnot, del tipo di quello rappresentato in Figura
14.5, corrispondente al ciclo II di Figura 14.4. Infatti, i1 ciclo di Carnot
è il ciclo a massimo rendimento a parità di temperature estreme; quindi,
utilizzando un surriscaldamento fino a t3 > t3’, si incrementa il rendimento
e si ha:

ηIII > ηII (14.9)

Per quanto riguarda invece il ciclo I di Figura 14.4, è:

ηI < ηII (14.10)

ovvero il prolungamento della condensazione fino alla curva limite in-


feriore abbassa il rendimento complessivo. Da un punto di vista termo-
dinamico converrebbe fermare la condensazione nel punto 4" di Figura
14.4, ma in pratica si prosegue fino al punto 1, in quanto la realizzazione
e l’esercizio di compressori di vapori saturi risulterebbe complesso e scar-
samente conveniente, sia per la notevole differenza di densità tra il fluido
in ingresso e quello in uscita, sia per il valori molto bassi del rendimento
isoentropico di tali macchine; inoltre, non è semplice controllare che un
processo di condensazione si arresti ad un determinato valore del titolo.

L$

GH$ FH$

"HH$ "H$

5$

Figura 14.5 – Ciclo di Carnot nel campo del vapore saturo.

Resta da dire che in questo paragrafo si fa sempre riferimento ad


impianti operanti a circuito chiuso. In realtà, c’è anche la possibilità di
operare in circuiti aperti, scaricando nell’atmosfera il vapore in uscita
dalla turbina ed eliminando quindi il condensatore; ovviamente questi
impianti hanno bisogno di un serbatoio di acqua, che va periodicamente
278 Lezioni di Fisica Tecnica

rifornito. Un esempio di questo tipo di impianto, che trova oggi scarsissi-


me applicazioni, è rappresentato dalle vecchie locomotive a vapore.

14.2.1 Metodi per aumentare il rendimento del ciclo Rankine

Una volta chiarito il motivo per cui nella pratica si segue un ciclo
Rankine a vapore surriscaldato e non un ciclo di Carnot, nel seguito si
descriveranno brevemente alcuni accorgimenti usualmente adottati negli
impianti termici motori con turbina a vapore per aumentarne il rendi-
mento termodinamico.
Un sensibile aumento del rendimento è realizzabile abbassando la
temperatura alla quale si sottrae l’energia termica nel condensatore e,
quindi, diminuendo la pressione al condensatore ai minimi valori possibili;
questi ultimi sono ovviamente legati alla temperatura alla quale risulta di-
sponibile il fluido freddo, generalmente acqua2 e a volte aria, ed al valore
della differenza di temperatura tra fluido caldo e fluido freddo nel con-
densatore, che deriva da un’ottimizzazione economica dell’impianto3.
Un’altra via per ottenere un aumento del rendimento del ciclo è costi-
tuita da un aumento della temperatura, e quindi della pressione, nel gene-
ratore di vapore, che porterebbe, però, ad una diminuzione del titolo del
vapore in uscita dalla turbina, che non deve scendere al disotto dell’85%
per limitare i problemi legati all’espansione di un fluido bifase.
Ancora, è possibile realizzare un aumento della temperatura di surri-
scaldamento del vapore, t3, compatibilmente con la resistenza dei materiali
costituenti il surriscaldatore del generatore di vapore e la turbina.
Inoltre, il rendimento può essere aumentato, come risulta dall’esame
delle (14.8), (14.9) e (14.10) e della Figura 14.4, riducendo il coefficiente di
peso qI/q ed aumentando il coefficiente di peso qIII/q. La prima di queste
operazioni viene ottenuta mediante il processo di rigenerazione, la se-
conda mediante il processo di risurriscaldamento del vapore; tali processi
possono essere utilizzati anche contemporaneamente.

14.2.1.1 La rigenerazione
Con la rigenerazione si riduce l’energia specifica qI necessaria al ri-
scaldamento dell’acqua compressa, preriscaldando quest’ultima con va-

2
Si tenga presente che le portate d’acqua necessarie sono notevolissime (ad
esempio dell’ordine delle decine di migliaia di m3/h per un impianto di 100.000 kW),
per cui si può ricorrere solo all’utilizzazione di acque di fiumi, di laghi o del mare.
3
A parità di temperatura della sorgente fredda, infatti, al crescere di questa dif-
ferenza diminuisce il rendimento termodinamico del ciclo ma diminuisce anche la su-
perficie di scambio e quindi il costo del condensatore, come si è visto al Capitolo 13.
Principi di impianti termici motori ed operatori 279

pore prelevato (spillato) dalla turbina in stati termodinamici intermedi


tra quello di ingresso e quello di uscita, che viene fatto condensare in
scambiatori detti di preriscaldamento. La riduzione di lavoro prodotto
dalla turbina, dovuta al fatto che queste portate spillate non espandono, è
ampiamente compensata dalla diminuzione della quantità di calore fornita
dall’esterno con conseguente aumento del rendimento del ciclo.

14.2.1.2 Il risurriscaldamento del vapore


Nel risurriscaldamento del vapore, l’espansione è suddivisa in due
fasi: al termine della prima fase, nella quale il vapore subisce una prima
espansione in una turbina detta turbina di alta pressione, il vapore viene
inviato nel risurriscaldatore nel quale viene portato, mediante sommini-
strazione di calore, alla temperatura T3", pari a T3, per poi completare
l’espansione in una seconda turbina, detta turbina di bassa pressione. Lo
schema a blocchi dell’impianto è riportato nella Figura 14.6, mentre nelle
Figure 14.7 e 14.8 è riportato il ciclo rispettivamente nei piani T,s e h,s.

FHHH$ F$
FHH$

FH$ \M$ XM$ E$


IJ$
GH$
"$

G#!$
K$
M$
!$
!$

Figura 14.6 – Schema elementare di un impianto termico a turbina a vapore con risur-
riscaldamento. GV: generatore di vapore; AP: turbina di alta pressione;
BP: turbina di bassa pressione; C: condensatore; P: pompa; U: utilizza-
tore.

In riferimento alla Figura 14.7, il rendimento del ciclo Rankine con


risurriscaldamento è quindi dato dalla relazione:

(h 3 − h 3''') + (h 3'' − h 4 )
η= (14.11)
(h 3'' − h 3''') + (h 3 − h 1 )
280 Lezioni di Fisica Tecnica

F FHH$
L$

FH$
GH$
FHHH$

=$ ==$ ===$
!#G$ "HH$ "H$ "$

5$

Figura 14.7 – Ciclo Rankine con risurriscaldamento nel piano T,s.

F$ FHH$
?$ FH$ FHHH$
"$
"H$

GH$

Figura 14.8 – Ciclo Rankine con risurriscaldamento nel piano h,s.

Come detto, nel caso del risurriscaldamento, il miglioramento del


rendimento è conseguente al fatto che il ciclo III ha un più alto valore di
qIII rispetto al ciclo senza risurriscaldamento, presentando grosso modo
lo stesso valore di ηIII del ciclo di Figura 14.4.

14.3 Impianti termici motori con turbina a gas: ciclo Joule o


Brayton

Esistono due tipi fondamentali di impianti termici motori con turbina


a gas: in circuito aperto ed in circuito chiuso, i cui schemi sono riportati
rispettivamente nelle Figure 14.9 e 14.10.
Nell’impianto a circuito aperto il combustibile è iniettato nell’aria
portata ad alta pressione dal processo di compressione e brucia nella
Principi di impianti termici motori ed operatori 281

camera di combustione; i prodotti della combustione espandono poi in


turbina e successivamente vengono scaricati nell’atmosfera. Ovviamen-
te il fluido evolvente non può che essere aria che viene continuamente
rinnovata.

G$ F$
K0$

K$ L$ E$

!$ "$

./+.$ -/1,1**+$,'&&.$
01(S85*+1)'

Figura 14.9 – Schema elementare di un impianto termico motore con turbina a gas a
circuito aperto. C: compressore; Cc: camera di combustione; T: turbina;
U: utilizzatore.

G$ F$

K.$

K$ L$ E$

40$
!$ "$

Figura 14.10 – Schema elementare di un impianto termico motore con turbina a gas
a circuito chiuso. C: compressore; Ca: apparecchiatura destinata alla
somministrazione di energia termica; T: turbina; U: utilizzatore; Sc:
scambiatore di calore.
282 Lezioni di Fisica Tecnica

Nell’impianto a circuito chiuso, viceversa, il gas circola nell’impianto


non subendo alcuna alterazione chimica. La potenza termica viene gene-
ralmente somministrata da una combustione esterna al sistema oppure
mediante lo scambio termico con un fluido a temperatura più elevata; il
processo di sottrazione di calore si compie in uno scambiatore di calore.
Il ciclo termodinamico di riferimento degli impianti termici motori
con turbina a gas è il ciclo Joule o Brayton, rappresentato nel piano p,v e
nel piano T,s rispettivamente nelle Figure 14.11 e 14.12; tale ciclo, lungo il
quale può evolvere un qualunque gas, è costituito da due trasformazioni
adiabatiche reversibili, che avvengono nel compressore e nella turbina,
e da due trasformazioni isobare, relative per l’impianto a circuito chiuso
agli scambiatori di calore destinati alla somministrazione (Ca) e alla sot-
trazione (Sc) di energia termica, in quello a circuito aperto alla camera
di combustione (Cc) e allo scarico nell’aria.

-$
G$ F$ 5$O$015*$

!$ "$

:$

Figura 14.11 – Ciclo Joule nel piano p,v.

F
L$
-$O$015*$

G$ "$

!$

5$

Figura 14.12 – Ciclo Joule nel piano T,s.


Principi di impianti termici motori ed operatori 283

Per l’impianto a circuito chiuso al ciclo di riferimento si arriva con


la sola semplificazione di idealità di funzionamento di tutti i componenti
dell’impianto (cfr. paragrafo 14.1.), mentre per l’impianto a circuito aper-
to bisogna fare ulteriori semplificazioni; in particolare si assume che:
• lungo l’impianto la composizione chimica del fluido evolvente non
cambi;
• il riscaldamento prodotto dalla combustione venga sostituito da uno
scambio termico con l’esterno;
• il rinnovo del fluido, che si ha con lo scarico dei gas combusti, caldi, e
con l’immissione di nuova aria, fredda, venga sostituito da uno scambio
termico con l’esterno.
Il rendimento del ciclo termodinamico di riferimento, con riferimento
al lavoro netto scambiato, risulta:

(h 3 − h 4 ) − (h 2 − h 1)
η= (14.12)
h3 − h2

Per l’impianto a circuito chiuso, con riferimento alle quantità di calore


scambiate, il rendimento è espresso anche come:

(h 3 − h 2 ) + (h 1 − h 4 )
η= (14.13)
h3 − h2

espressione ovviamente coincidente con la precedente.


Mediante la (6.12)4 dalla (14.13) si ottiene:

(T 3 − T 2 ) + (T 1 − T 4 ) −
η= = 1 + T1 T 4
T3 − T2 T3 − T2

ovvero, moltiplicando e dividendo il numeratore per T1 e il denominatore


per T2:

⎛ T4 ⎞
⎜1 − ⎟
η = 1− 1 ⎝
T T1 ⎠
(14.14)
T2 ⎛ T3 ⎞
⎜1 − ⎟
⎝ T2 ⎠

4
h2 – h1 = cp(t2 – t1) (6.12)
284 Lezioni di Fisica Tecnica

Per la (6.30)5 si ha anche:

(k −1)/ k
T 1 ⎛ p1 ⎞
=⎜ ⎟ (14.15)
T2 ⎝ p2 ⎠

(k −1)/ k
T4 ⎛ p4 ⎞
=⎜ ⎟ (14.16)
T3 ⎝ p3 ⎠

T 1 = T 4 e quindi:
dalle quali, essendo p1=p4 e p2=p3, si ottiene
T2 T3

T3 = T4 (14.17)
T 2 T1

Sostituendo la (14.16) nella (14.14) si ha:

η = 1 − T1 (14.18)
T2

che, sempre per la (6.30) si può scrivere in termini di pressioni:

(k −1)/ k
⎛p ⎞
η = 1−⎜ 1 ⎟ (14.19)
⎝ p2 ⎠

Definendo rapporto di compressione, β, il rapporto p2/p1 e ponendo


λ=(k-1)/k, la (14.19) si può anche scrivere nella forma:

1
η = 1− λ
(14.20)
β

che, essendo k certamente maggiore dell’unità, e quindi λ>0, evidenzia


che il rendimento di un ciclo Joule è una funzione crescente del rapporto
di compressione.

5 T
(k − 1) / k
= costante (6.30)
p
Principi di impianti termici motori ed operatori 285

In linea di principio si può osservare che l’impianto a circuito aperto


si presenta costruttivamente molto più semplice rispetto a quello a circuito
chiuso che, d’altra parte, consente:
• la scelta di un fluido di lavoro diverso dall’aria, scelta vantaggiosa
sia perché, come risulta dalla (14.19), il rendimento cresce anche al
crescere di k e quindi, adoperando un gas monoatomico, per il quale
è k=1,67, si ha un vantaggio rispetto all’uso dell’aria per la quale è
k=1,40, sia perché si può scegliere un fluido che permetta di realizzare
un coefficiente di convezione più elevato, con conseguente riduzione
delle dimensioni degli scambiatori;
• l’impiego di qualunque tipo di combustibile6, in quanto i prodotti della
combustione non attraversano la turbina.
Si osservi comunque che la quasi totalità delle turbine a gas è costi-
tuita da impianti a circuito aperto che sono più leggeri e meno ingom-
branti, garantiscono elevate concentrazioni di potenza ed hanno un costo
minore.

14.4 Impianti frigoriferi e pompe di calore: ciclo inverso a


compressione di vapore

Un impianto che utilizza energia meccanica per trasferire calore da


sorgenti a temperature inferiori a sorgenti a temperature superiori viene
detto impianto frigorifero o pompa di calore a seconda che sia finalizzato
alla sottrazione di energia termica dalla sorgente a bassa temperatura o
alla somministrazione di energia termica alla sorgente ad alta temperatura.
In questo paragrafo saranno trattati soltanto gli impianti a compressione
di vapore, che sono quelli di più diffuso impiego. Gli schemi elementari
di tali impianti sono riportati nelle Figure 14.13, mentre in Figura 14.14
sono riportate le trasformazioni nel piano T,s.
Il fluido evolvente viene prelevato dall’evaporatore, E, nello stato
1 di vapore saturo secco alla pressione p1 e compresso mediante il com-
pressore, C, fino alla pressione p2; nello stato 2, in condizioni di vapore
surriscaldato, entra nello scambiatore Co dove viene prima desurriscalda-
to (2-3) fino alla temperatura T3 e poi condensato (3-4); il liquido saturo
nello stato 4 viene laminato nella valvola di laminazione, V, fino allo stato

6
Negli impianti a circuito aperto i combustibili devono essere non solo iniettabili
nel comburente, ma anche di elevato pregio in quanto è necessario che abbiano bassi
contenuti di zolfo e di altri inquinanti, al fine di evitare che i prodotti della combu-
stione, che vengono a contatto con gli organi della turbina, siano eccessivamente
corrosivi.
286 Lezioni di Fisica Tecnica

5 di vapore saturo, per entrare poi nell’evaporatore, E. Nel caso delle


pompe di calore, come mostrato in Figura 14.13a), lo scambiatore Co ha
il compito di fornire all’ambiente da riscaldare la potenza termica Q ! 1,
mentre 1’evaporatore serve a prelevare dall’ambiente esterno la potenza
termica Q ! 2 ; nel caso degli impianti frigoriferi, invece, come mostrato in
Figura 14.13b), l’evaporatore ha il compito di prelevare dall’ambiente
da refrigerare la potenza termica Q ! 2 , mentre lo scambiatore Co serve a
smaltire nell’ambiente esterno, costituito dall’aria atmosferica o da acqua
disponibile, la potenza termica Q ! 1 , essendo Q !1 = Q! 2 + L! . Si noti che
nella tecnica del freddo frequentemente si parla di potenza frigorifèra, F,
per indicare una potenza termica sottratta.
# #
e! e!
.(S+')*'$,.$/+50.&,./'

G$ G$
"$ "$
K1 K1$

J K$ f J K$ f

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3$ ! 3 !

# .(S+')*'$,.$/'C/+7'/./'$ #
eG eG

.>$ S>

Figura 14.13 – Schemi elementari di impianti a compressione di vapore: a) pompa di


calore; b) frigorifero. C: compressore; M: motore; Co: condensatore;
V: valvola di laminazione; E: evaporatore.

Il ciclo termodinamico di riferimento alla base del funzionamento


degli impianti ora descritti è il ciclo inverso a compressione di vapore,
rappresentato nel piano T,s in Figura 14.14; il ciclo prevede le semplifi-
cazioni esposte nel paragrafo 14.1, fatta eccezione per la trasformazione
4-5, relativa al processo di laminazione, che al limite può essere quasi
statica ma certamente non reversibile, motivo per cui viene generalmente
rappresentata con una linea tratteggiata.
Ovviamente, anche per gli impianti frigoriferi e per le pompe di calore
potrebbe essere utilizzato un qualunque ciclo termodinamico inverso, in
particolare un ciclo di Carnot reversibile del tipo di quello riportato in
Figura 14.15, senz’altro realizzabile in quanto nel campo dei vapori le
Principi di impianti termici motori ed operatori 287

isoterme sono anche isobare. Un tale ciclo presenterebbe però gli incon-
venienti connessi alla compressione di miscele bifase (cfr. paragrafo 14.2.)
e, inoltre, dall’espansione si otterrebbe una quantità di energia meccanica
esigua, che certamente non compenserebbe le complessità connesse al-
l’impiego della macchina capace di realizzare tale trasformazione.

G
L$

"$ F$
LF$

L!$
3$ !$

5$
Figura 14.14 – Ciclo inverso a compressione di vapore nel piano T, s.

L$

F$ G
L5$

L+$
"$ !$

5$
Figura 14.15 – Ciclo inverso di Carnot nel campo dei vapori saturi.

Gli inconvenienti del ciclo di Carnot inverso sono eliminati proprio


nel ciclo di Figura 14.14 nel quale la compressione avviene nel campo del
surriscaldato e la macchina per l’espansione è sostituita dalla semplice val-
vola di laminazione, che non presenta organi meccanici in movimento.
Per quanto detto al paragrafo 14.1, con riferimento al ciclo rappre-
sentato in Figura 14.14 si ha:


COPf = h 1 h 5 (14.23)
h 2 − h1
288 Lezioni di Fisica Tecnica


COPp = h 2 h 4 (14.24)
h 2 − h1

Nel caso di cicli inversi di Carnot le espressioni di COPf e COPp


diventano:

Ti
COPf,Carnot = (14.25)
Ts − Ti

Ts
COPp,Carnot = (14.26)
Ts − Ti

nelle quali Ts e Ti rappresentano le temperature delle isoterme rispetti-


vamente superiore ed inferiore. Note la temperatura di evaporazione e
quella di condensazione, le (14.25) e (14.26) sono utili per ricavare rapi-
damente un valore di prima approssimazione del COPf e del COPp, che,
rappresentando per definizione il valore massimo ottenibile a parità di
temperature estreme, sarà ovviamente approssimato per eccesso rispetto
a quello dei COP calcolati rispettivamente con le (14.23) e (14.24) .
Per i cicli inversi a compressione di vapore saturo, più che il dia-
gramma di stato T,s si adopera quello p,h (pressione, entalpia specifica),
in quanto in tale piano tre delle quattro trasformazioni risultano rappre-
sentate da segmenti di rette. In Figura 14.16 è riportato schematicamente
un piano p,h; in Figura A.2 dell’Appendice è riportato in scala semiloga-
ritmica il diagramma p,h per il tetrafluoroetano, generalmente indicato
con la sigla R-134a. Nella Tabella A.11 dell’Appendice sono riportate le
proprietà termodinamiche dell’R-134a, in condizioni di vapore saturo. In
Figura 14.17 è riportato nel piano p,h il ciclo di Figura 14.14.

*G$h$*!$
-$ *!$$ 5G$i$5!$
K$
5!$$
:G$i$:!$

:!$$

j$O$Y

j$O$!

?$

Figura 14.16 – Diagramma p,h schematico.


Principi di impianti termici motori ed operatori 289

-$
$

"$ F G$

3$ !$

?$

Figura 14.17 – Ciclo inverso a compressione di vapore nel piano p,h.

È interessante evidenziare la diversa collocazione del ciclo inverso


nei confronti della temperatura dell’ambiente esterno, Ta, a seconda che
venga utilizzato in un impianto frigorifero o in una pompa di calore. In
Figura 14.18 sono riportati nel piano T,s i casi di un impianto che serva a
mantenere una cella frigorifera ad una temperatura Tc<Ta e di una pompa
di calore che riscaldi un ambiente confinato ad una temperatura Tr>Ta, a
parità di Ta. Le differenze tra la temperatura del fluido evolvente nei cicli
e quelle degli ambienti con i quali esso scambia calore sono necessarie per
lo scambio termico. Nella pratica, la scelta dei valori di queste differenze
di temperatura nasce da un bilancio economico: a parità di potenzialità
dell’impianto, all’aumentare delle differenze di temperatura diminuisco-

L$ L

L/$

L.$ '

L0$

5$ 5$
(a) (b)

Figura 14.18 – Posizione del ciclo inverso a compressione di vapore rispetto alla tem-
peratura dell’ambiente esterno. a) impianto frigorifero; b) pompa di
calore.
290 Lezioni di Fisica Tecnica

no le superfici degli scambiatori di calore con conseguente minor spesa


di impianto, mentre aumenta la potenza meccanica necessaria alla com-
pressione, con conseguente maggiore spesa di impianto e di esercizio;
normalmente tali differenze sono comprese tra 5oC e 10oC.
Per quanto riguarda i fluidi impiegati nei cicli a compressione di
vapore saturo, c’è da dire che, anche se concettualmente potrebbe essere
usata una qualunque sostanza che abbia una temperatura critica minore
della temperatura dell’ambiente esterno, in pratica si adoperano quelle
che hanno particolari proprietà, fra le quali alcune riguardano aspetti
spiccatamente termodinamici, influenzando quindi il ciclo termodinami-
co di riferimento, altre riguardano aspetti più strettamente impiantistici,
influenzando le caratteristiche costruttive o l’esercizio; tra esse, come evi-
denziato nella Tabella 14.1 per alcuni fluidi:
• un favorevole andamento della curva della tensione di vapore in fun-
zione della temperatura, in modo da evitare pressioni troppo elevate al
condensatore e vuoti troppo spinti all’evaporatore, nonché un’elevata
differenza tra tali due pressioni;
• un elevato valore dell’entalpia di evaporazione, in modo da richiedere,
a parità di potenza termica scambiata, una bassa portata e quindi una
ridotta potenza meccanica;
• basso volume specifico del vapore in uscita dall’evaporatore, in modo
da ridurre il lavoro specifico di compressione e ridurre le dimensioni
del compressore, aspetto, quest’ultimo, ancora più interessante;
• basso costo;
• compatibilità ambientale: negli ultimi decenni vi è stata una vera ri-
voluzione nei fluidi frigorigeni per rispettare le normative sempre più
severe a tutela dell’effetto serra e della distruzione dell’ozono.
La sicurezza ambientale è definita dagli indici ODP (Ozone Deple-
tion Potential) e GWP (Global Warming Potential).

Tabella 14.1 – Proprietà significative di alcuni fluidi usati per cicli inversi
a compressione di vapore saturo.

NH3 CO2 CH2F2 C2H2F4


proprietà
R-717 R-744 R-32 R-134a
pvs)t = –20 °C (bar) 1,90 19,7 4,05 1,33

pvs)t = 30 °C (bar) 11,7 72,1 19,3 7,70

(hvs–hl) = –20 °C (kJ/kg) 1339 282,4 344,0 212,9


3
vvs) = –20 °C (m /kg) 0,624 0,019 0,090 0,147
Principi di impianti termici motori ed operatori 291

14.4.1 Metodi per aumentare il coefficiente di prestazione dei cicli in-


versi

Per aumentare il COP di un ciclo inverso, sia esso riferito ad un


impianto frigorifero che ad una pompa di calore, esistono due metodi:
il surriscaldamento, che consiste nell’immettere nel compressore vapore
surriscaldato anziché saturo secco, come mostrato in Figura 14.19, ed il
sottoraffreddamento, che consiste nell’immettere nella valvola di lamina-
zione liquido sottoraffreddato anziché saturo, come mostrato in Figura
14.20. In ambedue i casi aumentano le potenze termiche scambiate sia
nel condensatore che nell’evaporatore, e quindi il COP; con il surriscal-
damento, però, varia anche la potenza da fornire al compressore, per cui
l’efficacia di questo metodo va valutata caso per caso.

$ $
-$ -$
$ $
"$ F$ G$ "$ F$ G$

$ !$ $ !$

?$ ?$

Figura 14.19 – Ciclo inverso a compres- Figura 14.20 – Ciclo inverso a compres-
sione di vapore con sur- sione di vapore con sot-
riscaldamento nel piano toraffreddamento nel
p,h. piano p,h.

14.5 Motori alternativi a combustione interna

Un motore alternativo a combustione interna (MCI) è costituito essen-


zialmente da uno o più cilindri, all’interno di ciascuno dei quali scorre, a te-
nuta e con poca resistenza, un pistone collegato mediante un meccanismo
biella-manovella ad un albero motore; in tal modo, il moto rettilineo alter-
nativo dei pistoni viene trasformato in moto di rotazione dell’albero.
Ciclicamente, mediante un opportuno sistema di valvole controllate o
di luci, i cilindri vengono riempiti con una carica di fluido fresco, costituito
da una miscela di aria e di combustibile oppure da sola aria, alla quale
viene successivamente aggiunto il combustibile. In ogni caso, la combu-
stione determina un notevole aumento della temperatura e della pressione
292 Lezioni di Fisica Tecnica

del fluido motore, che compie un ciclo termodinamico cedendo lavoro


meccanico ai pistoni. Pertanto, nei MCI l’energia potenziale chimica del
combustibile si trasforma in energia interna del fluido di lavoro e quindi
in energia meccanica disponibile all’albero della macchina.
Il pistone si muove da un punto, fissato in prossimità del cielo del ci-
lindro, detto Punto Morto Superiore, PMS, ad un altro punto, detto Punto
Morto Inferiore, PMI, la cui distanza dal primo determina la corsa C del
pistone; in altri termini, come rappresentato in Figura 14.21, il pistone è al
punto morto superiore quando inverte il moto ed il volume a disposizione
del fluido è minimo, mentre è al punto morto inferiore quando inverte il
moto ed il volume a disposizione del fluido è massimo.

Figura 14.21 - Rappresentazione dei volumi relativi alla cilindrata ed alla camera di
combustione; con V = volume utile o cilindrata, V1 = volume massimo,
V2 = volume minimo o della camera di combustione.

Sempre in riferimento alla Figura 14.21, il volume del cilindro corri-


spondente alla corsa del pistone costituisce la cilindrata, V, che, detto D
il diametro o alesaggio del cilindro, è data dalla relazione:

π 2
V= DC (14.27)
4

mentre il volume che esiste tra il cielo del cilindro e la testa del pistone
quando questo si trova al punto morto superiore, che è quello minimo
a disposizione del fluido durante il moto del pistone, è detto camera di
combustione. Infine, il rapporto volumetrico di compressione è dato da:

V + V2 V1
ρ= = (14.28)
V2 V2
Principi di impianti termici motori ed operatori 293

In un MCI si succedono, sempre nello stesso ordine, le seguenti quat-


tro fasi di funzionamento:
• fase di introduzione: una miscela d’aria e combustibile, oppure una
certa quantità d’aria alla quale si aggiunge successivamente il com-
bustibile, viene introdotta nel cilindro per aspirazione provocata dal
moto del pistone;
• fase di compressione: la miscela o l’aria introdotta viene compressa
fino ad un valore della pressione che è funzione di quello iniziale e
del rapporto volumetrico di compressione ρ;
• fase di combustione ed espansione: avviene una combustione più o
meno rapida della miscela o del combustibile iniettato e quindi i gas
combusti espandono;
• fase di scarico: i gas combusti vengono espulsi all’esterno in modo da
consentire l’ingresso nel cilindro di una carica fresca;
di queste fasi, è utile solo quella di combustione ed espansione, in quanto
è l’unica che permette di ottenere lavoro dal fluido.
Solitamente i MCI si distinguono in motori a due tempi e a quattro
tempi; la differenza consiste nel fatto che il ciclo termodinamico si effettua
rispettivamente in uno o due giri dell’albero motore, cui corrispondono
due o quattro corse del pistone.
Nel caso si utilizzi un combustibile facilmente vaporizzabile, la mi-
scela si ottiene mescolando l’aria con una opportuna quantità del combu-
stibile stesso, all’interno o all’esterno dei cilindri; la miscela così formata
viene successivamente accesa all’interno del cilindro mediante una o più
scintille elettriche fatte scoccare nell’istante voluto in uno o più punti. Nel
caso invece si utilizzi un combustibile poco volatile, questo viene inietta-
to nei cilindri in quantità opportuna nell’istante voluto per l’accensione,
provocata dalla elevata temperatura raggiunta dall’aria per effetto della
compressione.
Da quanto accennato è possibile classificare i MCI in due grandi
categorie:
• MCI ad accensione comandata che fanno riferimento al ciclo Otto, nei
quali avviene la combustione di una miscela carburata;
• MCI ad accensione per compressione che fanno riferimento al ciclo
Diesel, nei quali la combustione è regolata dall’iniezione nel cilindro
di una certa quantità di combustibile.

14.5.1 Il ciclo Otto

Il ciclo Otto, in Figura 14.22, è costituito da due trasformazioni adia-


batiche isoentropiche, compressione 1-2 ed espansione 3-4, e da due isoco-
294 Lezioni di Fisica Tecnica

re, somministrazione di calore 2-3 e sottrazione di calore 4-1, entrambe a


volume costante. Nel ciclo non sono rappresentabili le fasi di introduzione
e scarico, che non sono trasformazioni termodinamiche; infatti, in esse si
suppongono trascurabili le perdite di carico nelle valvole e nei condotti di
aspirazione e scarico, il che comporta che la pressione è costante e uguale
a quella esterna ed il volume specifico non varia ed è pari a quello dello
stato termodinamico 1 in Figura 14.22.

$
Figura 14.22 – Rappresentazione nel piano p,v del ciclo Otto.

Nella Figura 14.23 sono riportate schematicamente le fasi del ciclo


per un motore a quattro tempi. In questo caso, il fluido aspirato è una
miscela carburata che viene fatta accendere verso la fine della fase di
compressione mediante una o più scintille elettriche.
Le ipotesi semplificative alla base del ciclo termodinamico di riferi-
mento sono:
• trascurabilità delle perdite di carico nelle valvole e nei condotti di aspi-
razione e di scarico, necessaria per definire la costanza della pressione
nelle fasi;
• composizione chimica del fluido costante durante il funzionamento;
• combustione istantanea, e quindi a volume costante, quando il pistone,
alla fine della compressione, si trova nel punto morto superiore;
• il riscaldamento prodotto dalla combustione si sostituisce con uno
scambio termico con l’esterno;
• il rinnovo del fluido, che si ha con lo scarico dei gas, caldi, e con
l’immissione di nuovo fluido, freddo, si sostituisce con uno scambio
Principi di impianti termici motori ed operatori 295

termico, a volume specifico costante, con l’esterno, alla fine della fase
di espansione con il pistone nel punto morto inferiore;
• compressione ed espansione adiabatiche e reversibili.
Rispetto agli impianti termici motori visti nei due paragrafi prece-
denti, per i motori alternativi a combustione interna le trasformazioni del
ciclo termodinamico di riferimento sono molto più lontane dai processi
reali. Ciononostante vale ancora quanto detto in generale nel paragrafo
14.1. sull’utilità dei cicli termodinamici di riferimento.

a) b) c) d)

Figura 14.23 – Fasi del ciclo di un motore a quattro tempi ad accensione comandata.
a) Aspirazione, b) Compressione, c) Combustione ed espansione, d)
Scarico.

Il rendimento del ciclo Otto assume un’espressione molto semplice


facendo l’ipotesi di gas piuccheperfetto per il fluido evolvente.
Per la (3.63)7 si ha infatti:

q 2,3 − q 4,1
η= (14.29)
q 2,3

Qi − Qu
7
η= (3.63)
Qi
296 Lezioni di Fisica Tecnica

da cui:
c v (T 3 − T 2 ) − c v (T 4 − T 1 ) 1 − T 4 / T1
η= = 1 − T1 ⋅ (14.30)
(
cv T3 T2 − ) T2 − T3 / T2
1

che, per la (6.29)8 fornisce:


k −1
⎛ ⎞ 1
η = 1 − T1 = 1 − ⎜ v 2 ⎟ = 1− k −1
(14.31)
T2 ⎝ v1 ⎠ ρ

Essendo k > 1, il rendimento risulta funzione crescente del rapporto


di compressione volumetrico.

14.5.2 Il ciclo Diesel

Nella Figura 14.24 sono riportate le fasi del ciclo per un motore a
quattro tempi diesel. Il fluido aspirato è solo aria, nella quale, verso la
fine della fase di compressione, viene iniettato il combustibile che trova
nell’aria stessa le condizioni necessarie alla combustione spontanea (mo-
tori ad accensione per compressione); tale ciclo, rappresentato in Figura
14.25, è detto ciclo Diesel.

a) b) c) d)

Figura 14.24 – Fasi del ciclo di un motore a quattro tempi ad accensione per com-
pressione. a) Aspirazione; b) Compressione; c) Iniezione, combustione
ed espansione; d) Scarico.

8
Tvk–1 = costante (6.29)
Principi di impianti termici motori ed operatori 297

'
Figura 14.25 – Rappresentazione nel piano p,v del ciclo Diesel.

Nelle stesse ipotesi già usate per il ciclo Otto, il rendimento del ciclo
Diesel è dato da:

q 2,3 − q 4,1
η= (14.32)
q 2,3

da cui:

c p (T 3 − T 2 ) − c v (T 1 − T 4 ) 1 −
η= = 1 − ⋅ T 4 T1 (14.33)
c p (T 3 − T 2 ) k T3 − T2

Per concludere, si noti che nei motori alternativi a combustione in-


terna tutte le funzioni che negli altri impianti termici motori (si pensi
per esempio all’impianto termico motore con turbina a vapore) vengono
svolte da diversi componenti, sono affidate ad una stessa macchina.

Esercizi

ESERCIZIO 14.1 – Il ciclo teorico secondo cui evolve il fluido in un impianto


termico a vapor d’acqua è un ciclo Rankine a vapore surriscaldato che opera
tra le pressioni di 0,100 bar e 150 bar; la massima temperatura nel ciclo è di
500°C; la potenza meccanica teorica di espansione è di 30000 kW; la sorgente
298 Lezioni di Fisica Tecnica

di energia termica è a 1600°C. Per il condensatore si userà come fluido fred-


do l’acqua di fiume disponibile a 10°C. Determinare, nel caso di assenza di
risurriscaldamento:
1. la portata del fluido;
2. la potenza termica del condensatore;
3. la potenza termica del generatore di vapore;
4. la potenza meccanica teorica di compressione;
5. il rendimento del ciclo;
6. la portata d’acqua necessaria al condensatore, nell’ipotesi di superficie di
scambio infinita;
7. la superficie del condensatore, nell’ipotesi che la conduttanza globale uni-
taria sia pari a 3,00 kW/m2K e che la temperatura di uscita del fluido freddo
sia di 20°C;
8. la produzione entropica globale.
Nel caso di risurriscaldamento fino a 500°C con espansione nella turbina ad
alta pressione fino a 60,0 bar si calcoli:
9. il rendimento del ciclo.

Esercizio 14.2 – Un impianto a turbina a gas a circuito chiuso, avente l’aria


come fluido evolvente, ha un rapporto di compressione di 8,00, una tempera-
tura dell’aria all’ingresso del compressore di 27°C ed una temperatura dell’aria
all’ingresso della turbina di 1027°C. L’impianto fornisce una potenza di 1000
kW. Nell’ipotesi di trasformazioni isoentropiche, determinare:
1. la temperatura all’uscita del compressore ed all’uscita della turbina;
2. la potenza termica somministrata e quella ceduta nello scambiatore;
3. il rapporto tra la potenza del compressore e quella della turbina;
4. il rendimento termodinamico.

ESERCIZIO 14.3 – In un impianto si devono produrre 5,00 ⋅ 104 frigorie/h. A tale


scopo si vuole installare un impianto frigorifero a vapore saturo di R-134a, con
un ciclo teorico compreso tra le pressioni di 2,0 e 10,0 bar. Calcolare:
1. il COP del ciclo;
2. la portata di fluido frigorigeno;
3. la potenza teorica del compressore;
4. la potenza termica ceduta dal fluido.
5. Quale può essere il campo di valori della temperatura nell’ambiente da
refrigerare?
6. Quale può essere la massima temperatura del fluido freddo nel condensa-
tore?
Principi di impianti termici motori ed operatori 299

ESERCIZIO 14.4 – Si vuole che la temperatura di un locale sia di 20°C quando


l’ambiente esterno è a -5,0°C. A tal fine è necessario fornire al locale una po-
tenza termica di 43,0 kW e si vuole usare un impianto a pompa di calore che
usi come fluido frigorigeno l’R-134a. Nell’ipotesi che si voglia che tra fluido
caldo e fluido freddo, sia nell’evaporatore che nel condensatore, la differenza
minima di temperatura sia di 15°C, si valuti:
1. la potenza meccanica che deve fornire il compressore;
2. il COPP.
Capitolo quindicesimo
Aria umida

15.1 Generalità

L’aria atmosferica è una miscela di gas, principalmente azoto ed ossi-


geno, contenente vapor d’acqua e tracce di vapori di altre sostanze, oltre
che particolato e aerosol. Convenzionalmente, si accetta come esatta la
composizione riportata nella Tabella 15.1.

Tabella 15.1 – Composizione dell’aria secca


massa composizione composizione
sostanza molecolare volumetrica massica
(kg/kmol) (%) (%)
Ossigeno 32,00 20,95 23,14
Azoto 28,02 78,09 75,54
Argon 39,94 0,93 1,28
Anidride carbonica 44,01 0,03 0,04

Nei problemi di condizionamento termoigrometrico l’aria atmosferi-


ca viene usualmente considerata come una miscela binaria di aria secca
e vapor d’acqua e viene detta aria umida o semplicemente aria. Si noti
che l’aria secca può essere considerata come un componente unico purché
la sua composizione non vari nel corso della trasformazione; tale ipotesi
non è per esempio accettabile in presenza di reazioni chimiche, quali la
combustione, che alterano tale composizione. Nei problemi di condiziona-
mento dell’aria tale ipotesi è viceversa accettabile in quanto le alterazioni
della composizione dell’aria causate dalla presenza di persone (riduzione
di O2 ed aumento di CO2) sono senz’altro trascurabili
Come visto al paragrafo 6.6.1, nelle miscele di aeriformi si definisce
pressione parziale del componente i-esimo, pi, la pressione che tale com-
ponente eserciterebbe se occupasse da solo tutto il volume del sistema
alla stessa temperatura. Cioè, se nel sistema si riuscisse a lasciare solo le
molecole del componente i, togliendo tutte quelle degli altri componenti,
302 Lezioni di Fisica Tecnica

un manometro, strumento che misura la pressione, misurerebbe proprio


la pressione parziale del componente i, pi.
Per le miscele di aeriformi, se in condizione di gas perfetti, vale la
legge di Dalton, per la quale:

p = p1 + p2 + ... + pi + ... + pn (15.1)

ovvero la somma delle pressioni parziali dei componenti è proprio uguale


alla pressione del sistema, come già espresso dalla (6.64).
Ne deriva che considerando l’aria come una miscela binaria di aria
secca e vapor d’acqua, entrambi in condizioni di gas perfetto, si ha:

p = pas + pv (15.2)

con:
pas = pressione parziale dell’aria secca, Pa;
pv = pressione parziale del vapor d’acqua, Pa.
Si noti che quanto detto nel capitolo 5 sui sistemi monocomponenti
circa l’esistenza delle diverse fasi (liquido, vapore, coesistenza di liquido
e vapore) vale anche per sistemi a più componenti, pur di sostituire alla
pressione la pressione parziale, per cui nell’aria umida:
• l’acqua liquida evapora se la tensione di vapore del liquido, pvs, è mag-
giore della pressione parziale, pv;
• l’acqua liquida non evapora se pvs e pv sono uguali;
• il vapore d’acqua condensa se pv viene ad essere maggiore di pvs;
dove la tensione di vapore dell’acqua, pvs, è ricavabile dalla Tabella A.6
in funzione della temperatura.
L’aria umida può contenere una quantità di vapore che va da zero,
aria secca, ad un valore massimo, aria umida satura, che si ha proprio
quando pv e pvs sono uguali; tale valore massimo dipende quindi dalla
temperatura, da cui dipende pvs.

15.2 Proprietà dell’aria umida

Poiché l’aria umida viene studiata come una miscela binaria, la de-
terminazione del suo stato termodinamico non richiede più la conoscenza
di due proprietà termostatiche intensive, come per i sistemi termodina-
mici monocomponenti, ma di tre. Generalmente, lo stato termodinamico
dell’aria umida viene individuato mediante la conoscenza della pressione
totale e di due altri parametri di stato intensivi indipendenti.
Aria umida 303

Contrariamente a quanto si fa nei sistemi monocomponente, nei quali


per il calcolo delle proprietà specifiche ci si riferisce alla massa totale del
sistema, le proprietà specifiche dell’aria umida sono riferite alla massa di
aria secca, in quanto quella del vapore, e quindi quella totale, possono va-
riare nel corso delle trasformazioni. Utilizzare come riferimento la massa
dell’aria umida comporta un errore grave dal punto di vista teorico; dal
punto di vista pratico, l’errore, trascurabile nel caso del condizionamento
ambientale civile, può risultare importante nel caso di alcuni processi
industriali.

Parametri igrometrici
Titolo dell’aria umida, x: massa di vapore contenuta nell’unità massa di
aria secca:
mv
x= (15.3)
m as

è anche detto umidità specifica.


Grado igrometrico, φ: rapporto tra la pressione parziale del vapore e quel-
la del vapore saturo alla stessa temperatura:

pv (15.4)
φ=
p vs

Umidità relativa, U.R.: rapporto tra la densità del vapore e la densità del
vapore saturo alla stessa temperatura:

ρv
U.R. = (15.5)
ρ vs

Come si vedrà nel paragrafo 15.3, il grado igrometrico e l’umidità


relativa, benché definiti diversamente, assumono di solito lo stesso valore
numerico.
Si noti che titolo, grado igrometrico e umidità relativa sono adimen-
sionali. Spesso, però, il titolo viene espresso in kgv/kgas o in gv/kgas , per
ricordare che si tratta di rapporto tra masse di sostanze diverse.
Si noti anche che il grado igrometrico e l’umidità relativa hanno va-
lori compresi tra 0 ed 1 (o tra 0 e 100 se espressi in percentuale), men-
tre il titolo dell’aria umida può variare tra 0 ed ∞1 anche se in pratica,

1
Il titolo è ∞ alla temperatura di ebollizione, ovvero a 100°C per una pressione
di 1 atm. Infatti a questa temperatura essendo pvs=p, per la legge di Dalton (15.2),
304 Lezioni di Fisica Tecnica

nei problemi termoigrometrici di interesse ingegneristico, assume valori


dell’ordine dei centesimi o addirittura dei millesimi, il che significa che
la massa di vapore è qualche centesimo o addirittura qualche millesimo
della massa di aria secca.

Parametri termometrici
Temperatura di bulbo asciutto, t o tba: temperatura effettiva dell’aria; è
detta così perché è misurata da un termometro sul cui bulbo non vi è
acqua, contrariamente alla temperatura di bulbo umido, di cui si parlerà
nel seguito.
Temperatura di rugiada, tr: temperatura di incipiente condensazione del
vapor d’acqua contenuto nell’aria umida, quando questa viene raffreddata
a pressione costante senza variazione di titolo; è la più bassa temperatura
compatibile con un assegnato titolo x.
Il fenomeno della condensazione per raffreddamento è facilmente
comprensibile se si pensa che quando l’aria viene gradualmente raffred-
data, la tensione di vapore dell’acqua diminuisce fino ad uguagliare la
pressione parziale del vapore d’acqua nell’aria; questo comporta che nella
(15.4) il denominatore diminuisce ed il grado igrometrico aumenta fino a
diventare unitario. La temperatura di rugiada è quella alla quale la ten-
sione di vapore del liquido uguaglia la pressione parziale esistente2.
Ovviamente, se l’aria viene a contatto con un corpo o con una su-
perficie a temperatura inferiore a quella di rugiada, una parte del vapore
d’acqua in essa contenuta condensa, fino a ridurre il valore di pv a quello di
pvs a quella temperatura. Per esempio, si supponga che in un ambiente la
temperatura sia di 20 °C ed il grado igrometrico sia pari a 0,73: la Tabella
A.6 fornisce pvs = 2339 Pa da cui, con la (15.4), si ottiene pv = 1,7∙103 Pa;
sempre dalla Tabella A.6 si ricava che la temperatura di rugiada è di 15
°C, in quanto a questa temperatura è appunto pvs = 1705 Pa. Se quest’aria
lambisce una superficie a 10 °C, cui corrisponde pvs = 1228 Pa, evidente-
mente ci sarà una condensazione di vapore fino ad abbassare la pressione
parziale da 1,7∙103a 1228 Pa: è il fenomeno che si verifica in inverno sui
vetri delle finestre e delle auto ed in alcuni casi sulle superfici interne

è pas=0 il che significa che l’aria secca non è presente nel sistema, nel quale c’è solo
vapore (mas=0, x=∞).
2
Il termine “di rugiada” deriva dal fatto che durante le ore del giorno la tem-
peratura dell’aria esterna non è costante, ma raggiunge il valore massimo nel primo
pomeriggio, per poi diminuire e raggiungere il valore minimo un po’ prima dell’alba;
spesso, durante questo raffreddamento il grado igrometrico raggiunge il valore uni-
tario e del vapore d’acqua condensa, per cui al mattino sui fiori e sulle foglie si trova
dell’acqua liquida in minute goccioline, che viene chiamata appunto rugiada.
Aria umida 305

delle pareti perimetrali degli edifici, se mal progettate3 dal punto di vista
termico oltre che strutturale.
Temperatura di bulbo umido, tbu: è la temperatura di equilibrio cui arriva
il sensore di un termometro sul quale è stata avvolta una garza, quando
quest’ultima viene bagnata con acqua distillata e poi investita da un flusso
d’aria ad una velocità maggiore di 4 m/s.
L’acqua distillata tende ad evaporare, sottraendo alla garza e quindi
al bulbo del termometro, una quantità di energia pari al calore latente di
evaporazione con conseguente abbassamento della temperatura misura-
ta4. La velocità con la quale la temperatura del termometro si abbassa va
diminuendo nel tempo, poiché in seguito al raffreddamento del sensore si
crea una differenza di temperatura tra questo e l’ambiente circostante, per
cui una certa quantità di energia termica passa dall’ambiente al sensore,
riscaldandolo. Quindi, mentre l’evaporazione comporta una sottrazione di
energia termica, la differenza di temperatura tra l’ambiente ed il sensore
comporta una somministrazione di calore proporzionale proprio alla diffe-
renza di temperatura: in alcuni minuti si raggiunge così una situazione di
equilibrio con una temperatura del sensore che non varia fino a quando la
garza resta bagnata (se la garza si asciuga, venendo meno l’evaporazione
e la conseguente sottrazione di calore, la temperatura risale e si riporta
allo stesso valore di quella dell’ambiente). Per tbu si intende proprio il
valore di regime permanente cui si porta il termometro.
Evidentemente, il valore di tbu è tanto più basso quanto minore è il
grado igrometrico dell’aria e quindi quanto maggiori sono l’evaporazione
di acqua ed il calore sottratto. Al contrario, se sul termometro passa del-
l’aria satura, cioè con φ = 1, l’acqua non evapora, non si ha abbassamento
della temperatura del termometro e risulta tbu = tba.
Rigorosamente, la temperatura di bulbo umido non è una proprietà
di stato, in quanto definita per determinati valori della velocità dell’aria;
in pratica la si considera tale perché, se la velocità con cui l’aria investe
il termometro è superiore ai 4 m/s, questa temperatura è numericamen-
te uguale ad una proprietà termostatica, la temperatura di saturazione
adiabatica che qui non viene trattata, in quanto l’argomento esula dalle
finalità di questo testo.

3
Va ricordato che gli involucri esterni degli edifici vanno accuratamente proget-
tati, nel senso che i materiali vanno scelti in spessori e con caratteristiche termiche
tali da non comportare sulla faccia interna delle pareti una temperatura inferiore a
quella di rugiada dell’aria interna.
4
È lo stesso fenomeno che si verifica quando, dopo una doccia, non ci si asciuga
subito: l’acqua che si trova sulla pelle tende ad evaporare, sottrae il calore necessario
al corpo e procura d’inverno una spiacevole sensazione di freddo, d’estate un piace-
vole refrigerio.
306 Lezioni di Fisica Tecnica

Altre proprietà termodinamiche dell’aria umida di particolare impor-


tanza sono l’entalpia specifica, h, e il volume specifico, v; come preceden-
temente detto, queste grandezze, pur essendo relative alla miscela di aria
secca e vapor d’acqua, vengono convenzionalmente riferite alla sola aria
secca; entalpia specifica e volume specifico sono misurati, rispettivamente,
in kJ/kgas e m3/kgas.
L’aria umida trova applicazione esclusivamente in sistemi aperti a
regime permanente, per cui in questo capitolo non si parla di energia
interna né viene trattata l’entropia, raramente utilizzata nelle applicazioni
riguardanti l’aria umida.

15.3 Equazioni di stato

15.3.1 Titolo

Nei problemi che interessano questo testo la pressione totale è prossi-


ma a quella atmosferica e la temperatura non superiore ai 70°C, condizioni
alle quali l’acqua si trova nell’aria come vapore surriscaldato, o, se il grado
igrometrico è uguale al 100%, come vapore saturo secco; mediante tabelle
del tipo della A.8 si può verificare che per l’acqua presente nell’aria è
soddisfatta l’equazione pv=RT valida per i gas perfetti, cioè che tra pv e
T esiste la relazione:

pvV = mvRvT (15.6)

ovviamente per l’aria secca si può scrivere:

pasV = masRasT (15.7)

nelle (15.6) e (15.7) le grandezze senza pedice si riferiscono all’intero


sistema, quelle con i pedici as e v rispettivamente all’aria secca ed al
vapore d’acqua.
Dividendo membro a membro la (15.6) e la (15.7), risulta:

mv p R
= x = v as (15.8)
m as pas R v

e valendo Ras e Rv rispettivamente, dalla Tabella A.2, 287,0 e 461,4 J/kgK,


si ha:

pv
x = 0,622 (15.9)
p as
Aria umida 307

che per la (15.2) si può anche scrivere:

pv
x = 0,622 (15.10)
p − pv

dalla quale si ricava che a pressione costante il titolo è funzione solo della
pressione parziale. Infine, per definizione di grado igrometrico (15.4):

φp vs
x = 0,622 (15.11)
p − φp vs

che è l’equazione di stato con la quale generalmente si calcola il titolo, in


quanto le grandezze a secondo membro sono facilmente misurabili o cal-
colabili. Ricordando che pvs è una funzione biunivoca della temperatura,
la (15.11) è l’equazione di stato che lega il titolo alla pressione, al grado
igrometrico ed alla temperatura.
In condizioni di saturazione la (15.6) si può scrivere:

pvsV = mvsRvsT (15.12)

e dividendo membro a membro la (15.6) e la (15.12) si ha:

pv ρ
= v (15.13)
p vs ρ vs

ovvero, ricordando la (15.4) e la (15.5):

φ = U.R. (15.14)

cioè, nelle condizioni nelle quali sia il vapor d’acqua che l’aria hanno
comportamento da gas perfetto, il grado igrometrico e l’umidità relativa
assumono valori numericamente coincidenti.

15.3.2 Entalpia specifica

Come è noto, l’entalpia è una grandezza estensiva e quindi l’entalpia


di una miscela è data dalla somma delle entalpie dei singoli componenti.
Per l’aria umida:

H = Has + Hv = mashas + mvhv (15.15)


308 Lezioni di Fisica Tecnica

Poiché, come si è detto al paragrafo 15.2, nei problemi che riguarda-


no l’aria umida le grandezze specifiche si riferiscono alla massa dell’aria
secca anziché alla massa totale, l’entalpia specifica si ottiene dividendo
la relazione precedente per mas:

H mv h
h= = has + v (15.16)
m as m as

e per la (15.3):

h = has + xhv (15.17)

nella quale:
• has si può calcolare5 come prodotto cpt, dove il calore specifico dell’aria
secca è cp= 1,01 kJ/kgK.
• hv, per temperature comprese entro i 70 °C si può calcolare con la
relazione empirica hv= 2500 + 1,93t6, che fornisce hv in kJ/kg,
e quindi la (15.17), diventa:

h = 1,01t + (2500 + 1,93t)x (15.18)

che, ricordando che il titolo x è fornito dalla (15.11), rappresenta l’equa-


zione di stato che lega l’entalpia specifica alla pressione, al grado igro-
metrico ed alla temperatura.
Ovviamente l’entalpia totale si ottiene da quella specifica con la re-
lazione:

H = mash (15.19)

15.3.3 Volume specifico

Il volume specifico della miscela, come si è detto, è riferito ad 1 kg di


aria secca; pertanto, la sua definizione viene a coincidere con quella del
volume specifico dell’aria secca; si ricava quindi utilizzando l’equazione
pv = RT per l’aria secca, cioè:

R T
v = vas = as (15.20)
p as

5
Cfr. paragrafo 6.3.
6
Comunemente detta anche “binomio di Mollier”.
Aria umida 309

che per la (15.2) si scrive:

R asT
v = vas = (15.21)
p − φp vs

che è l’equazione di stato che lega il volume specifico alla pressione, al


grado igrometrico ed alla temperatura.
Ovviamente il volume totale dell’aria umida si ricava con la relazio-
ne:

V = vmas (15.22)

15.3.4 Massa dell’aria umida

Indicando con m la massa dell’aria umida, si ha:

m = mas + mv (15.23)

dalla quale, dividendo entrambi i membri per mas, si ottiene:

m
mas = (15.24)
1+ x

che rappresenta la relazione tra la massa dell’aria umida, m, e la massa


della sola aria secca, mas.

15.3.5 Temperatura di rugiada

La temperatura di rugiada, tr, si calcola ricordando che la condensa-


zione comincia allorché pv diventa uguale a pvs, in quanto non è termodi-
namicamente possibile in condizioni di equilibrio l’esistenza di un vapore
con pressione parziale maggiore di quella del vapore saturo. Quindi, tr
è la temperatura alla quale il vapor d’acqua presente nell’aria diventa
saturo, ovvero pvs(tr) = pv = φpvs(ta), con ta temperatura ambiente. Dun-
que, la relazione che permette di calcolare la temperatura di rugiada è
la seguente:

pvs(tr) = φpvs(ta) (15.25)

Si noti che la temperatura di rugiada è l’unica proprietà termostatica


dell’aria umida che dipende dal grado igrometrico e dalla temperatura e
non dalla pressione.
310 Lezioni di Fisica Tecnica

15.4 Diagramma psicrometrico

In generale per diagramma psicrometrico si intende un diagramma


avente come assi coordinati due proprietà di stato che con la pressione,
assegnata e costante per ciascun diagramma, individuano lo stato dell’aria
umida. Scelti gli assi coordinati, il diagramma si costruisce utilizzando le
relazioni e le definizioni già fornite.
La necessità di fissare la pressione nasce dal fatto che, poiché l’aria
umida viene trattata come un sistema bicomponente, le equazioni di stato
sono funzioni di quattro variabili di cui tre indipendenti ed una dipen-
dente7 e, poiché in un piano sono diagrammabili funzioni di tre variabili,
il valore della quarta deve necessariamente essere fissato. Si è scelto di
fissare quello della pressione che per un’assegnata località varia solo leg-
germente intorno ad un valore, univocamente legato all’altitudine; nella
Tabella 15.2 sono riportati cinque valori di pressione atmosferica per cin-
que valori dell’altitudine.

Tabella 15.2 – Valore medio della pressione atmosferica in funzione dell’altitudine.


altitudine* pressione
(m) (bar)
0 1,01
1000 0,90
1500 0,84
2000 0,79
3000 0,70
* sul livello del mare

Attualmente sono molto diffusi i diagrammi che utilizzano come


coordinate l’entalpia e il titolo. Questi diagrammi, introdotti nell’uso co-
mune dal Mollier, sono di due tipi: nel primo, che va più propriamente
sotto il nome di diagramma di Mollier, sull’asse delle ordinate è ripor-
tata l’entalpia specifica e su quello delle ascisse il titolo dell’aria umida;
il secondo, riportato nella Figura A.4 dell’Appendice, va sotto il nome
di diagramma ASHRAE8, la società che lo ha elaborato, ed ha il titolo
in ordinate e l’entalpia specifica in ascisse9. A prima vista, i diagram-

7 Rispetto a quanto visto al paragrafo 2.4 per i sistemi monocomponenti, nel


caso di sistemi multicomponenti le variabili da considerare nelle equazioni di stato
sono (3 +n), con n uguale al numero dei componenti aggiuntivi.
8
American Society of Heating, Refrigerating and Air-conditioning Engineer.
9
Il diagramma psicrometrico ASHRAE si è molto diffuso negli ultimi anni ed è
attualmente quello maggiormente usato nelle applicazioni ingegneristiche.
Aria umida 311

mi psicrometrici appaiono come diagrammi temperatura, titolo, mentre,


guardando attentamente la Figura A.4, si nota che le isoterme non sono
perpendicolari all’asse delle ascisse; infatti, sono diagrammi cartesiani ad
assi obliqui (si noti che le isoentalpiche sono parallele), il cui ottenimento
esula dalle finalità di questa trattazione.
Nel diagramma sono rappresentate, oltre ovviamente alle isotitolo,
alle isoentalpiche e alle isoterme a bulbo asciutto, anche curve a gra-
do igrometrico costante, a volume specifico costante e, tratteggiate, a
temperatura di bulbo umido costante, queste ultime quasi parallele alle
isoentalpiche; la scala delle entalpie specifiche, per comodità di lettura, è
all’esterno del diagramma. Sulla parte sinistra del diagramma è rappre-
sentato un settore circolare che presenta due scale, una interna ed una
esterna; con la esterna è possibile tracciare trasformazioni di pendenza
Δh/Δx assegnata10, mentre, con quella interna si possono tracciare trasfor-
mazioni caratterizzate da rapporto tra potenza sensibile e potenza totale
assegnato, come si vedrà al Capitolo 16; la zona al di là della curva di
saturazione (φ = 100%) è la zona delle nebbie, che rappresentano condi-
zioni di sospensioni di particelle liquide di acqua nell’aria.
Il diagramma in Appendice è relativo ad una pressione totale di 1
atm ed è pertanto rigorosamente applicabile solo per località al livello
del mare.

15.5 Trasformazioni elementari dell’aria umida

15.5.1 Generalità
In questo paragrafo vengono esaminate le principali trasformazioni
dell’aria umida in sistema aperto nelle ipotesi di regime permanente, tra-
scurabilità dei termini cinetici e potenziali e assenza di lavoro; inoltre, la
pressione totale sarà considerata sempre costante.
In generale per l’analisi delle varie trasformazioni è necessario ef-
fettuare:
• il bilancio di energia (1° principio della termodinamica),
• il bilancio di massa relativo all’aria secca,
• il bilancio di massa relativo all’acqua.
Per un sistema con un’unica sezione di ingresso e un’unica sezione
di uscita per l’aria umida e con un’unica sezione di ingresso e un’unica
sezione di uscita per l’acqua, come quello schematizzato in Figura 15.1,
si ottiene:

10
I valori del titolo sono espressi in gv/kgas (e non in kgv/kgas) e quindi quelli di
Δh/Δx in kJ/g.
312 Lezioni di Fisica Tecnica

Bilancio di energia
! as,1 h1 + m
m ! =m
! H2O,i h H2O,i + Q ! as,2 h 2 + m
! H2O,u h H2O,u (15.26)

! * +&( !
' #

(!

! $%&" !
'

"!

! $%&#
'

#!
!
, )!

! * +&)
' #

Figura 15.1 – Schema di sistema aperto ad un ingresso ed un’uscita sia per l’aria che
per l’acqua.

Bilancio di massa relativo all’aria secca


! as,1 = m
m ! as,2 = m
! as (15.27)

Bilancio di massa relativo all’acqua


! as,1 x 1 + m
m ! H2O,i = m
! as,2 x 2 + m
! H2O,u (15.28)

Con il bilancio di massa relativo all’aria secca, il bilancio di energia


e quello di massa sull’acqua si scrivono nella forma:

! as h1 + m
m ! =m
! H2O,i h H2O,i + Q ! as h 2 + m
! H2O,u h H2O,u (15.29)

! as x 1 + m
m ! H2O,i = m
! as x 2 + m
! H2O,u (15.30)

da cui si ricava:

Q ! !
m h −m ! H2O,u h H2O,u
Δh = h 2 − h1 = + H2O,i H2O,i (15.31)
!
m as !
m as
Aria umida 313

! H2O,i − m
m ! H2O,u
Δx = x 2 − x 1 = (15.32)
m! as

Molto spesso nelle applicazioni impiantistiche la portata d’acqua li-


quida in uscita è nulla per cui le relazioni (15.29), (15.30), (15.31) e (15.32)
si semplificano nelle seguenti:

! h1 + m
m ! H2O h H2O = m
! as h 2 (15.33)

! as x 1 + m
m ! H2O,l = m
! as x 2 (15.34)

Q! !
m h
Δh = h 2 − h1 = + H2O,i H2O,i (15.35)
! as
m m! as

! H2O,i
m
Δx = x 2 − x 1 = (15.36)
m! as

Nell’ipotesi suddetta che la portata d’acqua liquida in uscita sia nulla,


dal rapporto tra la (15.35) e la (15.36) si ottiene:

Δh !
Q
= + h H2O (15.37)
Δx m ! H2O

che fornisce la pendenza della trasformazione nei diagrammi psicrometrici


e permette la soluzione di taluni problemi che altrimenti, come si vedrà,
andrebbero risolti per tentativi.
Nel seguito vengono esaminate alcune trasformazioni, di particolare
interesse nelle applicazioni, che consistono in esemplificazioni di quanto
esposto in questo paragrafo.
Si noti che le trasformazioni che avvengono nell’aria umida secondo
l’equazione (15.26), nella realtà si svolgono in fasi successive, come si
vedrà nel dettaglio nel Capitolo 16, in componenti diversi dell’impianto,
in ciascuno dei quali avviene un unico tipo di scambio, di energia o di
massa. La rappresentazione grafica della trasformazione complessiva può
essere fatta con una spezzata, in riferimento alle singole fasi, o con un
segmento che unisce il punto iniziale con quello finale, la cui pendenza è
proprio il rapporto Δh/Δx.
314 Lezioni di Fisica Tecnica

15.5.2 Riscaldamento a titolo costante

Nel riscaldamento a titolo costante sono ovviamente nulle le portate


d’acqua in ingresso ed in uscita ed è x1=x2 , per cui, dalla (15.31) si ha:

Q!
Δh = h 2 − h1 = (15.38)
! as
m

e la (15.37) diventa:

Δh
= +∞ (15.39)
Δx

il che significa che nei diagrammi psicrometrici la trasformazione è rap-


presentabile mediante un segmento di pendenza infinita con Δh>0. Sosti-
tuendo la (15.18) nella (15.38) si ricava:

Q!
= 1,01(t2 – t1) + 1,93x(t2 – t1) = (1,01 + 1,93x)(t2 – t1) (15.40)
! as
m

dalla quale si deduce che per trasformazioni a titolo costante, cioè nei
processi in cui non si ha né somministrazione né sottrazione di acqua,
l’aria umida ha un calore specifico, cp, pari a 1,01 + 1,93x. Con i valori che
usualmente il titolo assume, risulta 1,93x << 1,01 e quindi per trasforma-
zioni a titolo costante si può trascurare la presenza di vapore nell’aria e
trattare l’aria come se fosse secca, come fatto nel Capitolo 6.
Si noti che, come si ricava analiticamente dalla (15.10), una trasfor-
mazione a pressione totale costante ed a titolo costante è caratterizzata
da pressione parziale del vapore costante; questo fatto è facilmente com-
prensibile ricordando che la pressione parziale in una miscela di aeriformi
dipende dalla pressione totale e dalla composizione, che, in un processo
a titolo costante, rimane costante.

15.5.3 Raffreddamento a titolo costante

Nel caso del raffreddamento a titolo costante, quindi in assenza di


umidificazione o deumidificazione, la temperatura finale del sistema non
deve essere inferiore a quella di rugiada dell’aria. Ovviamente, vale quan-
to detto al paragrafo precedente per il riscaldamento:

Q!
Δh = h 2 − h1 = − (15.41)
! as
m
Aria umida 315

e la (15.37) diventa:

Δh
= −∞ (15.42)
Δx

cioè la trasformazione è rappresentabile in un diagramma psicrometri-


co mediante un segmento di pendenza infinita con Δh<0. Sostituendo la
(15.18) nella (15.38) si ricava:

Q!
= 1,01(t1 – t2) + 1,93x(t1 – t2) = (1,01 + 1,93x)(t1 – t2) (15.43)
! as
m

Ovviamente, vale quanto detto al paragrafo precedente a proposito


della trascurabilità della presenza di vapore nell’aria e del fatto che una
trasformazione a titolo costante è caratterizzata da pressione parziale del
vapore costante.

15.5.4 Raffreddamento con deumidificazione

La trasformazione procede a titolo costante fino all’intersezione con


la curva di saturazione, quindi continua lungo di essa fino alla temperatura
finale. Il bilancio di energia (15.29), essendo mH2O,i pari a zero, fornisce:

! as h1 = m
m ! as h 2 + m !
! H2O,u h H2O,u + Q (15.44)

dove, per la (15.30), la portata d’acqua in uscita risulta pari a:

! H2O,u = m
m ! as x 1 − m
! as x 2 (15.45)

L’entalpia dell’acqua liquida nelle condizioni di uscita si valuta usual-


mente alla temperatura di uscita dell’aria, t2, il che equivale a supporre che
il condensato non si separi dall’aria prima di aver raggiunto la temperatura
t2, ipotesi certamente prudenziale; più correttamente, l’entalpia dell’acqua
liquida si può calcolare alla media aritmetica tra tr e t2. Comunque, il termi-
ne relativo alla portata entalpica dell’acqua generalmente è piccolo rispetto
agli altri della (15.44), per cui la scelta di tH2O non influisce sul risultato.

15.5.5 Umidificazione adiabatica

Nell’umidificazione adiabatica l’acqua può essere aggiunta all’aria


sotto forma di liquido o di vapore. La variazione di titolo può essere
316 Lezioni di Fisica Tecnica

calcolata con la (15.32) o con la (15.36), a seconda che vi sia o meno


acqua liquida in uscita. Per quanto riguarda la variazione di entalpia, si
può utilizzare una delle seguenti relazioni:
se c’è acqua liquida in uscita:

! H2O,i h H2O,i − m
m ! H2O,u h H2O,u
Δh = (15.46)
m! as

se non c’è acqua liquida in uscita:

! H2O,i h H2O,i
m
Δh = (15.47)
m! as

Nel caso in cui non vi sia acqua liquida in uscita, la pendenza della
trasformazione è data dalla relazione:

Δh
= h H2O,i (15.48)
Δx

dalla quale, essendo hH2O,i l’entalpia del liquido o del vapore nelle con-
dizioni di temperatura e pressione in cui viene somministrata l’acqua,
si ricava che, come è facile verificare dal diagramma psicrometrico, nel
caso di umidificazione adiabatica con acqua liquida (hH2O = 0÷419 kJ/kg)
la trasformazione è con ottima approssimazione isoentalpica, mentre nel
caso di umidificazione adiabatica con vapore con entalpia specifica di circa
2,6∙103 kJ/kg (a pressione atmosferica vapore leggermente surriscaldato)
la trasformazione è orientativamente isoterma.

15.5.6 Riscaldamento ed umidificazione

L’incremento di entalpia e quello di titolo sono forniti rispettivamen-


te dalla (15.31) e (15.32) o dalle (15.35) e (15.36) a seconda che vi sia o
meno acqua liquida in uscita.
Nel caso non vi sia acqua in uscita è possibile calcolare la pendenza
della trasformazione con la (15.37).

15.5.7 Mescolamento adiabatico

Nel caso di mescolamento adiabatico di due correnti di aria umida


non valgono più le equazioni scritte fin qui, relative ad un’unica sezione
di ingresso per l’aria. Indicando con 1 e 2 le sezioni di ingresso e con 3 la
Aria umida 317

sezione di uscita in un sistema adiabatico, come mostrato in Figura 15.2,


i bilanci di energia e di materia in questo caso diventano:

! as,1 h1 + m
m ! as,2 h 2 = (m
! as,1 + m
! as,2 )h 3 (15.49)

! $%&" !
'

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! $%&-
'

-!
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'

#!

Figura 15.2 – Schema di sistema con mescolamento adiabatico

! as,1 x 1 + m
m ! as,2 x 2 = (m
! as,1 + m
! as,2 )x 3 (15.50)

da cui:
! as,1 h1 + m
m ! as,2 h 2
h3 = (15.51)
m as,1 + m
! ! as,2

! as,1 x 1 + m
m ! as,2 x 2
x3 = (15.52)
m as,1 + m
! ! as,2

Sul diagramma psicrometrico, il punto rappresentativo delle condi-


zioni della miscela risultante divide il segmento che ha per estremi i punti
rappresentativi delle condizioni 1 e 2 in parti inversamente proporzionali
alle portate.

15.6 Misura dell’umidità dell’aria

La misura dell’umidità relativa o, come si è visto, del grado igrome-


trico, si effettua generalmente con un igrometro ad appannamento, detto
anche a punto di rugiada, o con uno psicrometro.
Gli igrometri ad appannamento consistono essenzialmente di due
termometri: uno è un semplice termometro che misura la temperatura
dell’aria, l’altro è un sistema che misura la temperatura di rugiada. Me-
diante il diagramma psicrometrico, intersecando l’isotitolo a quel valore di
318 Lezioni di Fisica Tecnica

temperatura di rugiada con l’isoterma relativa alla temperatura dell’aria,


si individua lo stato termodinamico e quindi il grado igrometrico. Non
disponendo di un diagramma psicrometrico relativo alla pressione del
sistema, si può usare la relazione (15.25).
Gli psicrometri consistono invece di due termometri: un termometro
misura la temperatura dell’aria, l’altro misura la temperatura di bulbo
umido. In questo caso lo stato termodinamico ed il grado igrometrico si
individuano mediante il diagramma psicrometrico dall’intersezione della
retta a temperatura costante con la retta a temperatura di bulbo umido
costante.

Esercizi

ESERCIZIO 15.1 – 15,3 m3/h di aria si trovano alla pressione di 1,00 atm ed alla
temperatura di 25,0°C. Il grado igrometrico è del 70%. Calcolare:
1. il titolo;
2. la portata massica di aria secca;
3. la portata massica di aria;
4. la portata entalpica oraria;
5. la temperatura di rugiada.

ESERCIZIO 15.2 – Ripetere l’esercizio 15.1 adoperando il diagramma psicro-


metrico in Appendice.

ESERCIZIO 15.3 – 400 m3/h di aria umida nelle seguenti condizioni: p = 760
mmHg, t = 10°C, φ = 0,90 vengono riscaldati a titolo costante ed a pressione
costante fino alla temperatura di 40°C. Calcolare la potenza termica sommi-
nistrata.

ESERCIZIO 15.4 – 200 kg/h di aria avente grado igrometrico 70% sono portati
dalla temperatura di 30°C alla temperatura di 5,0°C. Durante la trasformazio-
ne la pressione è costante e pari a 760 mmHg. Determinare la potenza termica
da sottrarre.

ESERCIZIO 15.5 – 500 m3/h di aria nelle seguenti condizioni: p = 1,00 atm, t1 =
30°C e φ1 = 40 %, entrano in un umidificatore in cui vengono nebulizzati 8,0
kg/h di acqua a t = 20°C e p = 1,00 atm. Immaginando il sistema adiabatico e
la pressione uniforme, determinare le condizioni di uscita e la minima portata
di acqua necessaria per raggiungere le condizioni di saturazione.
Aria umida 319

ESERCIZIO 15.6 – Una portata di 1,00⋅104 kg/h di aria a 16°C, 760 mmHg e grado
igrometrico 0,75, si mescola a 50 kg/h di acqua alla temperatura di 135°C ed
alla pressione atmosferica; contemporaneamente si ha una somministrazione
di 5,00⋅104 kcal/h. Determinare:
1. la temperatura finale;
2. il grado igrometrico finale;
nell’ipotesi che la pressione sia costante.

ESERCIZIO 15.7 – In un ambiente arrivano due correnti (1 e 2) di aria umida; la


corrente 1 ha una portata di aria secca di 2000 kg/h, una temperatura di 30°C
ed un grado igrometrico di 0,50; la corrente 2 ha una portata di aria secca di
1000 kg/h, una temperatura di 10°C ed un grado igrometrico di 0,20. Le due
correnti si mescolano ricevendo dall’esterno 5,23 kW. La pressione è pratica-
mente uniforme e pari a 1,013 bar. Calcolare per la corrente uscente:
1. la temperatura;
2. il grado igrometrico.

ESERCIZIO 15.8 – Una corrente di aria, caratterizzata da una temperatura di


10°C, da un grado igrometrico di 0,65 e da una portata di aria secca di 3,5⋅103
kg/h, entra in un condizionatore dove viene umidificata e riscaldata: in essa
vengono spruzzati 22 kg/h di acqua a 12°C che evaporano completamente;
delle batterie di riscaldamento le forniscono 40 kW. In tutto il sistema la
pressione è pari ad 1,00 atm. Determinare le caratteristiche dell’aria all’uscita
dal condizionatore.

ESERCIZIO 15.9 – Si vuole portare ad un grado igrometrico del 90 % una corren-


te di 1200 m3/h di aria umida, caratterizzata da una temperatura di 20°C e da
un grado igrometrico di 0,40, mediante spruzzamento di acqua. Supponendo
che il sistema sia termicamente isolato, si determini:
1. la portata minima di acqua necessaria nei seguenti casi:
a. temperatura 0°C e pressione 1,00 atm;
b. temperatura 20°C e pressione 1,00 atm;
c. temperatura 180°C e pressione 1,00 atm.

ESERCIZIO 15.10 – Con un igrometro ad appannamento si effettua la misura


dell’umidità di un ambiente nel quale regna una pressione di 760 mmHg. I due
termometri misurano le temperature di 20°C e 30°C. Determinare:
1. il grado igrometrico dell’ambiente;
2. la temperatura che misurerebbe il termometro a bulbo bagnato di uno
psicrometro posto nello stesso ambiente.
Capitolo sedicesimo
Impianti di condizionamento dell’aria

16.1 Introduzione

Gli impianti di condizionamento dell’aria mantengono in un ambiente


confinato prestabilite condizioni microclimatiche, regolando la tempera-
tura, l’umidità, la velocità e la purezza dell’aria1.
Lo scopo dell’impianto di condizionamento può essere l’ottenimento
di condizioni di benessere per le persone che occupano l’ambiente condi-
zionato, nel qual caso si parla di condizionamento civile, oppure di con-
dizioni vantaggiose o necessarie per un particolare processo industriale,
nel qual caso si parla di condizionamento industriale.
Gli impianti di condizionamento hanno costi di impianto e di gestio-
ne abbastanza elevati, per cui spesso si accetta di controllare soltanto
qualcuno dei parametri ambientali, realizzando impianti che prendono
un nome specifico diverso a seconda del tipo di parametro controllato.
In genere si definisce:
• impianto di ventilazione un impianto capace di realizzare il ricambio
dell’aria;
• impianto di riscaldamento un impianto capace di controllare soltanto
la temperatura nella stagione invernale;
• impianto di raffrescamento un impianto capace di controllare soltanto
la temperatura nella stagione estiva;
• impianto di termoventilazione, (estivo e/o invernale) un impianto ca-
pace di controllare la temperatura e realizzare il ricambio dell’aria in
estate e/o in inverno.
Nel seguito verranno innanzitutto analizzati i problemi connessi alla
qualità dell’aria ed al comfort termoigrometrico; verranno poi trattati gli

1
Nella pratica professionale, gli impianti di condizionamento vengono anche detti
di climatizzazione. La norma UNI 10339 fa differenza tra i processi di climatizzazione
e condizionamento, considerando che il primo controlla anche la velocità dell’aria,
mentre non fa differenza tra gli impianti di condizionamento e climatizzazione.
322 Lezioni di Fisica Tecnica

elementi fondamentali della progettazione degli impianti di condiziona-


mento, proprio perché questi, tra tutti gli impianti di climatizzazione, sono
quelli tecnicamente più completi.
Sulla base della centralizzazione dei vari componenti, gli impianti di
condizionamento si possono classificare nel seguente modo:
• impianti totalmente centralizzati, nei quali le varie apparecchiature in
grado di realizzare le operazioni di filtrazione, ventilazione, trasfor-
mazioni termoigrometriche e, eventualmente, di disinfezione, vengono
accentrate in un unico ambiente che viene detto, a seconda dell’im-
portanza dell’impianto, gruppo condizionatore o centrale di condizio-
namento;
• impianti parzialmente centralizzati, nei quali alcune delle apparecchia-
ture sono centralizzate, mentre altre sono collocate nei singoli ambienti
condizionati;
• impianti a condizionatori locali autonomi, nei quali tutte le apparec-
chiature sono contenute nei singoli ambienti.

16.2 La qualità dell’aria negli ambienti confinati

16.2.1 Generalità

Il problema della qualità dell’aria negli ambienti interni (con termino-


logia anglosassone ormai molto in uso IAQ, ovvero Indoor Air Quality),
fino a poco tempo fa trascurato, ha recentemente assunto importanza sia
perché le persone trascorrono mediamente oltre il 90% del loro tempo
all’interno di ambienti confinati sia perché negli ambienti interni, oltre
ai ben noti inquinanti presenti nell’aria esterna, si trovano quelli che
inevitabilmente e continuamente vengono emessi all’interno stesso degli
edifici.

Le fonti interne di inquinamento


Le fonti interne di inquinamento sono molteplici. La prima sono le
persone: i cibi e le bevande ingerite subiscono nel nostro corpo una serie di
complesse trasformazioni chimiche, complessivamente chiamate metabo-
lismo; uno dei prodotti del metabolismo è l’emissione nell’aria di sostan-
ze volatili, essenzialmente sostanze aromatiche, generalmente chiamate
bioeffluenti. Se si entra in un ambiente non ventilato, nel quale da molte
ore sono presenti più persone, si avverte la sgradevole sensazione di aria
viziata. Anche gli animali emettono sostanze inquinanti, in parte simili a
quelle emesse dagli uomini, per cui la presenza di animali domestici in
casa non fa che accrescere il carico inquinante.
Impianti di condizionamento dell’aria 323

Un altro tipo di inquinamento molto frequente, talvolta importante, è


quello connesso alla preparazione e alla cottura dei cibi. Spesso, entrando
in un appartamento, si è in grado di “indovinare” che cosa si sta o si è
cucinato e le sensazioni olfattive talvolta durano anche alcune ore.
Tipico degli uffici è l’inquinamento da apparecchiature, quali stam-
panti, fax e fotocopiatrici che, emettendo raggi ultravioletti, producono
ozono2, dannoso alle vie respiratorie.
Anche i prodotti detergenti utilizzati per la pulizia spesso rilasciano
sostanze inquinanti. Se si entra in un locale subito dopo l’effettuazione
delle operazioni di pulizia, generalmente si avvertono odori molto intensi
e l’aria è poco respirabile.
Ancora, sono fonte di inquinamento alcuni materiali usati in edilizia o
per arredi: vernici, plastiche, parati, tappeti, moquettes rilasciano sostanze
volatili, in alcuni casi anche per molti anni.
Lo stesso impianto di condizionamento può essere sorgente di inqui-
nanti se non è realizzata un’adeguata manutenzione. Colture di micror-
ganismi si possono avere nei filtri, quando questi non sono sostituiti con
opportuna periodicità, nelle vaschette che contengono l’acqua di conden-
sa, se non opportunamente sanificate, e negli stessi canali che trasportano
l’aria (chiamate condotte aerauliche), soprattutto in presenza di isolanti
termoacustici nei quali si accumula inevitabilmente polvere.

Tabella 16.1 – Principali inquinanti prodotti all’interno e loro fonti principali.


Contaminanti indoor Principali fonti
Ossidi di azoto Metabolismo, combustione (fornelli, caldaie, stufe a gas)
Ossidi di zolfo Metabolismo, combustione (fornelli, caldaie, stufe a gas)
Monossido di carbonio Combustione non completa (fornelli, caldaie, stufe a gas)
Ozono Stampanti laser, fotocopiatrici, fax
Composti organici volatili (VOC)* Metabolismo, prodotti cosmetici, materiali da costruzio-
ne, arredi (mobili, moquettes, rivestimenti), colle, adesivi,
solventi, prodotti per la pulizia, disinfettanti, insetticidi
Particolato Fumo di tabacco, attività umane, combustione, impianti
di ventilazione
Radon Sottosuolo, materiali da costruzione
Microorganismi Metabolismo, materiali ed arredi, impianti di ventilazione
e di condizionamento

* Si noti che i composti organici volatili, chiamati complessivamente VOC (Volatile Organic Compounds) o
TVOC (Total Organic Volatile Compounds), sono circa un migliaio e tra essi i principali sono generalmente
il benzene e la formaldeide.

2
Ossigeno in molecole triatomiche anziché biatomiche.
324 Lezioni di Fisica Tecnica

Tra gli inquinanti interni va poi ricordato il radon, gas radioattivo


prodotto dal decadimento del radio 226 che si trova nel suolo, nelle rocce
vulcaniche e in alcuni tipi di pietre da costruzione, soprattutto nei tufi; il
radon è molto pericoloso in quanto non se ne avverte la presenza e, se
presente in concentrazioni elevate, è cancerogeno.
I principali inquinanti presenti all’interno degli ambienti e le relative
fonti sono riportati in Tabella 16.1, nella quale non compaiono né il vapor
d’acqua né l’anidride carbonica che vengono però spesso monitorati in
quanto importanti per la valutazione delle condizioni ambientali. Infatti,
la concentrazione di anidride carbonica, così come quella di bioeffluenti, è
proporzionale all’attività umana della quale costituisce quindi una misura
indiretta; il vapor d’acqua, emesso dalle persone e dagli animali oltre che
da molte operazioni di cottura dei cibi, se presente al di sopra di certe
concentrazioni condensa sulle superfici meno calde e può determinare
colture di funghi e muffe. Inoltre, nella tabella non sono considerati gli
inquinanti prodotti in ambienti particolari, quali le sale operatorie, si pensi
ai gas anestetici, e i laboratori chimici.

La valutazione dell’IAQ
La valutazione dell’IAQ rappresenta un problema molto complesso
per una serie di motivi. Innanzitutto, il discomfort dovuto alla qualità
dell’aria non è sempre valutabile sulla base di dati oggettivi incontrover-
tibili, sia perché le sostanze inquinanti sono moltissime e generalmente
caratterizzate da concentrazioni molto basse e quindi misurabili solo con
sistemi complessi e costosi, sia perché un’eventuale misurazione delle con-
centrazioni dei diversi inquinanti comunque non rileverebbe i loro effetti
sinergici, cioè l’effetto combinato che non è detto sia uguale alla somma
degli effetti presi singolarmente. Inoltre, i contaminanti inducono sulle
persone effetti abbastanza diversi che vengono generalmente raggruppati
nelle seguenti tre categorie:
• sollecitazioni olfattive (odori), talvolta accompagnate anche da altri
sintomi, quali mal di testa, irritazioni alla gola, agli occhi,
• effetti biologici su alcuni organi (apparato respiratorio, cute), che si
manifestano sotto forma di irritazioni e reazioni allergiche,
• effetti carcinogeni;
e che variano da sostanza a sostanza: per esempio alcune (come l’ossido
di carbonio ed il radon) non sono avvertibili neanche alle concentrazioni
alle quali sono molto dannose, mentre altre, come alcune sostanze or-
ganiche, non sono affatto dannose ma risultano sgradevolissime anche
in piccolissime concentrazioni. Tali effetti variano anche da persona a
persona, soprattutto per quanto riguarda la loro entità.
Tutte queste difficoltà di valutazione fanno molto discutere gli esperti
Impianti di condizionamento dell’aria 325

su cosa debba considerarsi per aria di buona qualità. Attualmente preva-


le la definizione riportata dalla norma ASHRAE 62-1 “Ventilation for
acceptable Indoor Air Quality” del 2004: “La qualità dell’aria è consi-
derata accettabile quando non sono presenti inquinanti in concentrazioni
dannose, secondo quanto stabilito dalle autorità competenti, e quando una
notevole percentuale di persone (80% o più) non esprime insoddisfazio-
ne verso essa”, definizione che contiene sia il concetto di sicurezza (la
composizione dell’aria non deve provocare danni alla salute), che quello
ergonomico3 di comfort (l’aria deve essere avvertita dalle persone come
fresca, piacevole, non viziata, non irritante) e che evidenzia l’esistenza di
differenze interindividuali (in ogni caso è improbabile che, su un elevato
numero di persone, non ci siano insoddisfatti).

16.2.2 Sistemi per l’ottenimento di una buona qualità dell’aria

Le strategie utilizzate per avere una buona IAQ sono essenzialmente


tre:
a) controllo alla fonte delle sorgenti di inquinanti;
b) rimozione degli inquinanti alla fonte;
c) diluizione degli inquinanti mediante introduzione di aria esterna (ven-
tilazione).

a) Controllo alla fonte delle sorgenti di inquinanti


La prima azione da compiere è quella di limitare l’immissione in
ambiente degli inquinanti, evitando e/o limitando l’uso di quei materiali
e di quelle apparecchiature che emettono contaminanti ed effettuando
quelle manutenzioni che riducono o eliminano i rischi di produzione di
inquinanti da parte degli impianti.
Il metodo, che risulta ovvio, non è però di semplice attuazione, so-
prattutto per quanto riguarda i materiali da costruzione e quelli da arredo,
per i quali non esistono ancora dati certi sul rilascio di contaminanti visto
che solo da pochi anni ed in pochi Paesi se ne effettuano misure.
Per quanto riguarda le condotte degli impianti aeraulici, va detto
che solo da una decina di anni si è capito che esse sono sorgenti di con-
taminanti, essenzialmente microbiologici; infatti, tradizionalmente si è
sempre prestata molta attenzione all’operazione di manutenzione delle
UTA (unità di trattamento aria) e, fino a qualche anno fa non si è pen-

3
L’ergonomia è la disciplina scientifica che si occupa della comprensione delle
interazioni tra l’uomo e gli altri elementi presenti negli ambienti di vita e di lavoro al
fine di ottimizzare il benessere dell’uomo e le prestazioni di tali elementi.
326 Lezioni di Fisica Tecnica

sato alla pulizia delle condotte degli impianti, che purtroppo risultano
generalmente molto sporche. La sporcizia presente nelle condotte deriva
innanzitutto dal fatto che non esistono protocolli di protezione da appli-
care durante la loro messa in opera; infatti le condotte andrebbero pulite
man mano che si installano e sigillate durante le interruzioni delle fasi di
montaggio, altrimenti si riempiono subito di polvere e di sporcizia. Inoltre,
durante il funzionamento dell’impianto i filtri, che generalmente non sono
di efficienza elevata, fanno comunque passare piccolissime frazioni degli
inquinanti solidi sospesi nell’aria che, col passare del tempo, si ritrovano
depositati sul fondo delle condotte e costituiscono un ottimo terreno di
coltura per microrganismi, soprattutto in presenza di umidità. Il problema
diventa ancora più grave se, come spesso avveniva fino a qualche anno
fa, le condotte sono internamente coibentate con isolanti termoacustici,
i quali, essendo generalmente costituiti da materiali porosi, trattengono
molto bene la polvere e la sporcizia in genere. Oggi esistono dei metodi
perfettamente collaudati di ispezione, monitoraggio e pulizia delle con-
dotte, con i quali spesso si può limitare sensibilmente l’inquinamento da
impianto di ventilazione e di condizionamento.
Per il radon esistono molte tecniche di controllo alla fonte che permet-
tono di ridurne, anche considerevolmente, la concentrazione in ambiente.
Nel caso di radon proveniente dal sottosuolo, tali tecniche consistono nel-
l’individuare i percorsi attraverso i quali il gas entra negli ambienti indoor
e nell’ostruirli; per il radon proveniente dai materiali da costruzione, l’uso
di intonaci e/o pitture particolari può ridurre anche del 50% la quantità
di gas che passa nell’ambiente.

b) Rimozione degli inquinanti alla fonte


Conviene ricorrere a questo metodo operativo quando la produzione
di inquinanti avviene in uno spazio limitato e ben definito. In questo caso
si usano sistemi di estrazione d’aria localizzati, ovviamente, proprio in
corrispondenza della fonte degli inquinanti.
Esempio tipico, in edilizia, è costituito dai locali adibiti a servizi igie-
nici o alle zone di cottura dei cibi; in entrambi i casi è opportuno estrarre
l’aria, contaminata o molto ricca di vapor d’acqua o contenente prodotti
della combustione, mediante un ventilatore-estrattore che la invia diretta-
mente all’esterno o in una condotta di espulsione; con opportuni sensori si
può fare in modo che il sistema di estrazione funzioni solo quando l’am-
biente è occupato da persone e per un tempo limitato e, generalmente,
sono sufficienti ventilatori di qualche decina di watt per cui il costo di
impianto e di esercizio del sistema è veramente modesto.
Gli estrattori sono fortemente consigliati anche per le cucine: in-
fatti, molto spesso i fornelli sono dotati di una cappa, la cui funzione è
quella di catturare i prodotti della combustione, che in generale, però,
Impianti di condizionamento dell’aria 327

è a ricircolo, con filtri che trattengono solo una certa percentuale dei
contaminanti.
Un’altra applicazione molto diffusa di questo metodo si ha general-
mente nei laboratori chimici, nei quali si lavora sotto cappe dotate di un
sistema di estrazione verso l’esterno.
Il sistema di rimozione alla fonte degli inquinanti prodotti si appli-
ca anche nelle camere operatorie per evitare il più possibile che i gas
anestetici, inevitabilmente emessi dal soggetto anestetizzato e spesso dal
valvolame e dai raccordi di adduzione del gas stesso, si diffondano in
ambiente.
Si noti che nel caso dei servizi igienici e delle cucine l’utilizzo di
questo sistema, qualora la ventilazione sia naturale, ha anche un secondo
vantaggio: gli estrattori, generando nell’ambiente una depressione, favori-
scono il ricambio dell’aria attraverso i serramenti esterni o più in generale
attraverso le aperture dell’edificio.

c) Diluizione degli inquinanti


Il meccanismo fisico con cui la ventilazione riduce la concentrazione
di inquinanti è quello ben noto della diluizione. Dal bilancio di materia
su un ambiente, con riferimento ad un contaminante j, risulta che, a re-
gime permanente e nel caso di perfetta miscelazione dell’aria immessa,
sussiste la relazione:

! = q! j
V (16.1)
(C j,m − C j,e )

che lega la portata d’aria esterna, V! , in m3/h, la produzione oraria del


contaminante nell’ambiente, q! j , in μg/h, e la differenza tra la concentra-
zione media del contaminante nell’ambiente, Cj,m, e la concentrazione
dello stesso contaminante all’esterno, Cj,e, con le concentrazioni espresse
in μg/m3. Questa relazione evidenzia che, per un’assegnata produzione
oraria, la concentrazione dell’inquinante nell’ambiente è tanto minore
quanto maggiore è la portata d’aria esterna, che ha appunto una funzione
di diluizione.
La ventilazione può essere forzata o naturale.
La ventilazione forzata, o meccanica, si ottiene mediante ventilatori
che immettono una portata d’aria all’interno dell’ambiente tramite una
rete di condotte, dette di mandata. L’aria viene espulsa o attraverso gli
infissi e le porte o tramite un’altra rete di condotte, dette di estrazione,
dotate di ventilatori.
La ventilazione naturale, che si ha nella maggior parte dei casi e
certamente nella maggior parte degli ambienti residenziali, è dovuta:
328 Lezioni di Fisica Tecnica

• alla differenza di pressione che si ha tra interno ed esterno dell’edificio,


a causa dei venti e delle differenze di temperatura, che generalmente
variano al variare dell’esposizione,
• alla permeabilità all’aria degli infissi.
Si ritiene che in un edificio medio, con infissi tradizionali non a tenu-
ta, si realizzi in media un rinnovo orario di aria esterna pari al 50% del
volume dell’edificio o, come si usa dire, ½ ricambio ora4.
All’inizio degli anni ’70, a seguito di una serie di conflitti nell’area
mediorientale, ove vi è una forte concentrazione di giacimenti petrolife-
ri, si verificò un considerevole aumento del costo del petrolio, quindi di
quello dell’energia. In conseguenza di ciò, in tutti i Paesi furono prese
iniziative tese a realizzare il risparmio energetico; in particolare, in Italia
fu promulgata la legge 373/76, sul contenimento dei consumi energetici
in edilizia, la cui applicazione, considerato che le superfici vetrate co-
stituiscono l’elemento più disperdente dell’involucro, portò all’adozione
di infissi con doppi vetri, all’epoca poco diffusi, caratterizzati anche da
un’elevata tenuta all’aria. Come conseguenza si determinò una drastica
diminuzione delle portate d’aria di rinnovo e quindi un aumento della
concentrazione degli inquinanti. Tra l’altro, come si è ricordato preceden-
temente, le persone, oltre ai bioeffluenti, emettono anche vapore d’acqua;
quindi, alla scarsa ventilazione è certamente associato l’aumento dell’umi-
dità relativa e quando quest’ultima supera certi valori, inevitabilmente si
ha condensa sulle superfici più fredde con formazione e proliferazione
di funghi, microrganismi che si evidenziano con macchie maleodoranti
e che sono responsabili di disturbi respiratori, soprattutto in bambini ed
anziani, e di manifestazioni allergiche ed asmatiche.
Si può certamente affermare che gli infissi a tenuta perfetta sono
causa di elevatissime concentrazioni di inquinanti per gli ambienti senza
impianto di ventilazione, che diventano insalubri e nocivi per gli occupan-
ti; qualora li si voglia montare e non si voglia installare un impianto di
ventilazione tradizionale, vanno montate delle griglie di aerazione, molto
usate in alcuni Paesi europei ma ancora poco conosciute e pochissimo
utilizzate in Italia.
Qualunque sia l’impianto aeraulico adottato è ovviamente necessario
che la concentrazione di inquinanti nell’aria esterna di ventilazione sia
minore di quella che si desidera a regime nell’ambiente e comunque la
minima possibile. Pertanto, è necessario controllare l’aria esterna ed usare
opportuni accorgimenti: certamente, a monte dell’impianto di ventilazio-
ne va usato un accurato e controllato sistema di filtrazione e le prese d’aria

4
Con l’espressione un ricambio/h, in riferimento ad un ambiente di volume V,
si intende l’immissione di una quantità di aria esterna pari a V m3 per ogni ora e
l’espulsione di altrettanta aria interna.
Impianti di condizionamento dell’aria 329

devono essere localizzate lontano dalle sorgenti inquinanti (in particolare


devono essere evitate collocazioni a livello stradale, nei pressi di aree di
parcheggio ed in corrispondenza di bocchette di espulsione di impianti di
ventilazione e di condizionamento).

16.2.3 Accettabilità degli ambienti: la norma UNI EN 15251

L’accettabilità di un ambiente interno dal punto di vista della qualità


dell’aria può essere verificata, sia in fase di progetto sia ad opera realizza-
ta, facendo riferimento ai criteri previsti dalla Norma UNI EN 15251, sulla
qualità dell’ambiente interno. La norma suddivide gli ambienti interni in
quattro categorie, definite in Tabella 16.2, le cui specifiche divengono man
mano più stringenti passando dall’ultima alla prima categoria, e valuta
l’accettabilità di un ambiente in maniera diversa a seconda che l’edificio
sia residenziale o non residenziale.

Tabella 16.2 – Classificazione dell’aria interna secondo la norma UNI EN 15251.


Categoria DeÞnizione
I Alto livello di aspettativa, questo livello è raccomandato per ambienti oc-
cupati da soggetti molto sensibili e fragili con necessità particolari come
diversamente abili, malati, bambini ed anziani
II Normale livello di aspettativa, dovrebbe essere usato per i nuovi ediÞci e
per quelli ristrutturati
III Moderato, ma accettabile livello di aspettativa; può essere utilizzato per
gli ediÞci esistenti
IV Presenta caratteristiche che non rispettano i criteri delle precedenti classi.
Questa classe può essere ritenuta accettabile solo per un periodo limitato
nell’anno.

Edifici non residenziali


Per la valutazione della IAQ in questo tipo di edifici la Norma EN
15251 propone tre criteri di valutazione: il primo è basato sul calcolo
della ventilazione richiesta per diluire i bioeffluenti e le emissioni dei
componenti dell’edificio; il secondo si basa sulla portata di aria richiesta
per persona o per metro quadro di superficie; l’ultimo criterio si basa sui
valori ammissibili della differenza di concentrazione di CO2 tra interno
ed esterno.
Come ben noto, in Italia è stato introdotto il divieto di fumo nei locali
pubblici. È comunque possibile prevedere ambienti riservati ai fumatori,
purché nel rispetto del D.P.C.M. 23/12/03, in base al quale i locali riservati
ai fumatori devono essere innanzitutto delimitati, rispetto agli altri ambien-
ti, da pareti a tutta altezza su tutti i lati con ingresso con porta a chiusura
330 Lezioni di Fisica Tecnica

automatica e normalmente in posizione di chiusura; inoltre, devono essere


dotati di un impianto di ventilazione meccanica in grado di fornire una
portata di aria esterna pari a 30 l/s per ogni persona presente, con un indice
di affollamento pari a 0,7 persone/m2. I locali per fumatori devono essere
mantenuti in depressione, con una differenza di almeno 5 Pa rispetto alle
zone circostanti, la qual cosa impone l’adozione di un impianto di estrazio-
ne di portata adeguatamente superiore a quella di immissione.

Edifici residenziali
Gli ambienti residenziali, rispetto a quelli non residenziali, presen-
tano una maggior aleatorietà nelle possibili sorgenti d’inquinanti e nella
intensità di emissione degli stessi. Oltre al livello di occupazione ed alla
contaminazione dovuta ai materiali, devono essere considerati altri para-
metri che influenzano la qualità dell’aria interna, ma che spesso non sono
quantificabili a livello di progetto. Tra questi ultimi si ricordano il tempo
di occupazione dei locali, che può essere molto variabile, la presenza di
fumatori e le attività svolte negli ambienti (cucina, attività ricreative), che
possono influenzare il numero di specie inquinanti presenti e le relative
concentrazioni in maniera imprevedibile.
Come nel caso degli edifici non residenziali, la Norma propone tre
diversi criteri di valutazione delle portate d’aria di ventilazione: il primo è
basato sulla valutazione delle portate d’aria estratte dai locali di servizio,
il secondo consente di determinare il numero di ricambi d’aria comples-
sivo dell’unità abitativa e il terzo si basa sulla ventilazione degli ambienti
“nobili” (soggiorni e camere da letto).

16.2.4 Normativa
La norma di riferimento per gli impiantisti è la UNI 10339, che indica
la portata d’aria esterna da immettere in ambiente per ottenere una buona
IAQ; tale portata è espressa:
• in litri per secondo e per persona prevista nell’ambiente; è generalmente
pari a 11 l/s∙persona, corrispondente a 40 m3/h∙persona, e si usa quando
il carico inquinante è dovuto principalmente alle persone;
• in litri per secondo e per metro quadrato di ambiente da ventilare; è
generalmente pari a 16,5 l/s∙m2, corrispondente a 60 m3/h∙m2 e si usa
quando il carico inquinante è principalmente dovuto a particolari atti-
vità che si svolgono nell’ambiente (si pensi ai garages), o a destinazioni
d’uso nelle quali il numero delle persone presenti è estremamente
variabile (si pensi ai supermercati);
• in numero di ricambi d’aria all’ora; dell’ordine di 10 ricambi/h, quando
si vuole invece che l’ambiente sia in depressione.
Impianti di condizionamento dell’aria 331

16.3 Comfort termoigrometrico

16.3.1 Cenni di termoregolazione del corpo umano

Nella fisiologia della termoregolazione il corpo umano generalmente


si suddivide in due zone: una esterna, costituita dalla pelle e dai tessuti
sottocutanei, ed una interna, o nucleo, comprendente gli organi vitali. Le
due zone sono caratterizzate da temperature diverse; in particolare, in un
soggetto sano la temperatura della zona interna è quasi costante ed è me-
diamente uguale a 37°C, variando di circa +0,5 °C nell’arco della giornata.
La funzione di mantenere quasi isotermo il nucleo del corpo è delegata al
sistema di termoregolazione. Esistono due tipi di termoregolazione:
• vasomotoria,
• comportamentale.
La termoregolazione vasomotoria interessa i capillari periferici che
sono dotati di sfinteri (valvole) i quali, aprendosi o chiudendosi, permet-
tono o impediscono l’afflusso di sangue. Negli ambienti freddi, nei quali
le dispersioni tendono ed essere maggiori della generazione di energia,
si ha la chiusura delle valvole (vasocostrizione) con diminuzione dell’af-
flusso di sangue verso la periferia e con conseguente diminuzione della
temperatura superficiale e dello scambio termico con l’esterno. Negli am-
bienti caldi, nei quali invece la generazione di energia tende ad essere
maggiore delle dispersioni, si riscontra la situazione opposta: l’apertura
degli sfinteri determina un aumento dell’afflusso di sangue alla periferia,
con conseguente aumento della temperatura della pelle e dello scambio
termico con l’esterno (vasodilatazione).
Nel caso in cui la termoregolazione vasomotoria non sia sufficiente
ad assicurare l’omeotermia del nucleo, interviene la termoregolazione
comportamentale. Contro il freddo essa si manifesta con il brivido, che
consiste nell’attivazione di quasi tutti i gruppi muscolari, con aumento
della generazione di energia all’interno del corpo. La termoregolazione
comportamentale contro il caldo consiste invece nella sudorazione, di cui
si parlerà in seguito.
Se neanche la termoregolazione comportamentale è sufficiente ad
assicurare l’omeotermia si può avere ipotermia negli ambienti freddi, fino
alla morte per fibrillazione cardiaca e ipertermia negli ambienti caldi, fino
alla morte per danni irreversibili alle proteine dei tessuti nervosi.

16.3.2 Bilancio di energia termica sul corpo umano

Il corpo umano può essere assimilato ad un macchina termica che


riceve energia mediante l’ingestione di cibi e bevande, scambia lavoro e
332 Lezioni di Fisica Tecnica

cede all’ambiente, sotto forma calore, l’energia non convertita il lavoro;


da questo punto di vista, il corpo umano è una macchina termica carat-
terizzata da un rendimento molto basso, che raggiunge il 20% solo in
casi particolari.
Quanto detto si traduce nel seguente bilancio di energia sul corpo
umano, espresso in riferimento all’unità di tempo, nell’ipotesi in cui l’ener-
gia termica sia in uscita dal corpo:

M – W – (E + Eres+ Cres+ C + R + K) = S (16.2)

con:
M = metabolismo energetico, W;
W = potenza meccanica, W;
E = potenza termica ceduta per evaporazione dalla pelle, W;
Eres = potenza termica ceduta nella respirazione come “calore latente”,
W;
Cres = potenza termica ceduta nella respirazione come “calore sensibile”,
W;
C = potenza termica ceduta per convezione, W;
R = potenza termica ceduta per irraggiamento, W;
K = potenza termica ceduta per conduzione, W;
S = variazione di energia interna del corpo umano nell’unità di tempo,
W.
Nella (16.2) M rappresenta l’energia generata, i termini in parentesi le
dispersioni e S l’accumulo di energia; tutti i termini sono potenze, quindi
espressi in W; spesso, però, si riferiscono all’unità di area della superficie
del corpo umano nudo5 e sono perciò espressi in W/m2. Qui di seguito è
brevemente illustrato il significato di ciascuno dei termini che compaiono
nella (16.2).
Metabolismo energetico – I cibi e le bevande ingeriti, oltre che le
sostanze di riserva, subiscono nel corpo umano un enorme numero di
complesse trasformazioni chimiche, che, nel loro insieme, costituiscono il
metabolismo. I processi metabolici sono complessivamente esoenergetici,
ovvero gran parte dell’energia potenziale chimica dei cibi, delle bevan-
de e, eventualmente, delle sostanze di riserva, si trasforma in energia
interna del corpo umano. Se l’energia generata non è uguale a quella
complessivamente scambiata con l’ambiente, si ha un accumulo (negativo

5
La superficie del corpo umano nudo, Ab, si calcola in funzione della massa
corporea, mb in kg, e dell’altezza del corpo, Hb in m, con la correlazione Ab = 0,202
mb0,425Hb0,725. Per una persona di 70 kg alta 1,70 m risulta Ab = 1,8 m2.
Impianti di condizionamento dell’aria 333

o positivo), con conseguente diminuzione o aumento della temperatura


corporea e quindi sensazione di freddo o di caldo. La quantità di energia
potenziale chimica che si trasforma in energia interna costituisce il meta-
bolismo energetico, M (detto anche energia metabolica, tasso metabolico
o semplicemente metabolismo) generalmente riferito all’unità di tempo,
quindi espressa come potenza, e spesso, come si è detto, anche all’unità
di superficie corporea, quindi espressa in W/m2. Va sottolineato che la
potenza metabolica per unità di superficie dipende dall’attività svolta e
spesso viene espressa con un’unità incoerente, met, essendo 1 met = 58,2
W/m2. Nella Tabella 16.3 si riportano i valori di M per alcune attività e
per la persona standard; come si vede, M cresce al crescere dell’intensità
dell’attività.

Tabella 16.3 – Alcuni valori del metabolismo energetico, M, in W/m2 ed in met.


attività M attività M
W/m2 met W/m2 met
Disteso 46 0,80 Camminare in piano a 110 1,9
2 km/h
Seduto, rilassato 58 1,0 Camminare in piano a 140 2,4
3 km/h
Attività sedentaria 70 1,2 Camminare in salita, 195 3,3
pendenza 5%, a 3 km/h
Attività leggera in piedi 93 1,6 Trasportare 10 kg in 185 3,2
piano
Attività media in piedi 116 2,0 Trasportare 30 kg in 250 4,3
(es. commesso) piano

Potenza termica ceduta per evaporazione dalla pelle – La potenza


termica dispersa come “calore latente” attraverso la pelle, E, è somma
di due termini: quella dispersa per diffusione di vapore, sempre presente
anche se le persone non se ne rendono conto, e quella dispersa per su-
dorazione, meccanismo di termoregolazione al caldo6. Si dimostra che E
dipende essenzialmente dall’attività, dalla temperatura, dalla velocità e
dal grado igrometrico dell’aria.
Potenza termica dispersa nella respirazione – L’aria inspirata in se-
guito al processo di respirazione scambia calore e vapor d’acqua con le
mucose del tratto respiratorio, per cui, l’aria espirata ha un’entalpia e un
titolo maggiori che nelle condizioni di inspirazione. La potenza termica

6
Il sudore, costituito prevalentemente da una soluzione acquosa di cloruro di
sodio, si sparge sulla superficie della pelle ricoprendola di un film sottile e, in assenza
di gocciolamento, passa come vapore nell’aria per evaporazione.
334 Lezioni di Fisica Tecnica

dispersa connessa alla respirazione viene generalmente vista come som-


ma di due aliquote: quella per “calore latente”, Eres, e quella per “calore
sensibile”, Cres. Si dimostra che i termini respiratori dipendono dall’attività
svolta, dal grado igrometrico e dalla temperatura dell’aria.
Potenza termica dispersa per convezione – La potenza termica disper-
sa per convezione, C, dipende dalla temperatura e dalla velocità dell’aria
e dalla resistenza termica dell’abbigliamento.
Potenza termica dispersa per irraggiamento – La potenza termica di-
spersa per irraggiamento, R, dipende dalla resistenza termica dell’abbi-
gliamento e dalle temperature delle superfici dei solidi (parete, suppellet-
tile, altre persone, ecc.) che scambiano energia raggiante con il soggetto.
Per le valutazioni quantitative si utilizza la temperatura media radiante, tr,
che è appunto la media delle temperature superficiali dei solidi circostanti
il soggetto. Si dimostra che sussiste la relazione:

tr = ΣtiFp-i (16.3)

con:
ti = temperatura della generica superficie isoterma di solido (parete,
suppellettile, altra persona, ecc.) che vede il soggetto, °C;
Fp-i = fattore di vista tra il soggetto e la generica superficie isoterma di
solido, grandezza puramente geometrica calcolabile da diagrammi
o da relazioni analitiche, adim.
La temperatura media radiante è in definitiva la media pesata delle
temperature delle superfici dei solidi che il soggetto vede, avente come
coefficienti di peso i fattori di vista soggetto-superfici.
Potenza termica dispersa per conduzione – Il termine K nella (16.2)
rappresenta la potenza termica dispersa per conduzione attraverso i solidi
a contatto con il corpo umano. Rientrano quindi in K la potenza termica
che si scambia tra i piedi e il pavimento, quella che si scambia con la
sedia (nel caso di soggetto seduto), quella che il soggetto scambia con gli
oggetti tenuti in mano e così via. Questo termine, di difficile valutazione,
generalmente è trascurabile per cui nella pratica non se ne tiene conto, a
meno di casi particolari per i quali si rimanda a testi specializzati.
Variazione di energia interna del corpo umano nell’unità di tempo – La
variazione di energia interna del corpo umano nell’unità di tempo, S, rap-
presenta l’accumulo di energia per unità di tempo che si verifica nel corpo
in conseguenza dell’attività e dei diversi scambi energetici con l’ambiente
circostante, che può essere maggiore, minore o uguale a zero.
Si noti che talvolta nell’equazione (16.2) la somma dei due termini
R e C è detta potenza termica secca e viene espressa in funzione di una
Impianti di condizionamento dell’aria 335

particolare temperatura media, la temperatura operativa (detta anche tem-


peratura operante), to, media pesata della temperatura dell’aria e della
temperatura media radiante, avente come coefficienti di peso le condut-
tanze convettive e radiative7.
Come si è detto, alcuni termini della (16.2) dipendono dalla resistenza
termica dell’abbigliamento8; più precisamente, dipendono dalla resistenza
termica per unità di superficie dell’abbigliamento, che si misura in m2K/W;
molto usata è un’unità incoerente, il clo, con 1 clo ≡ 0,155 m2K/W. Ov-
viamente, l’abbigliamento di una persona nuda è di 0 clo; l’abbigliamento
estivo è mediamente di 0,5-0,6 clo, mentre quello invernale da interno di
0,9-1,0 clo.
Dall’analisi sinteticamente effettuata dei diversi termini del bilancio
termico sul corpo umano, si evince che alla determinazione dello stato
termico del corpo umano contribuiscono quattro parametri fisici dell’am-
biente:
• temperatura dell’aria, ta,
• velocità dell’aria, va,
• grado igrometrico o umidità relativa, φ,
• temperatura media radiante, tr,
e due grandezze relative al soggetto:
• l’attività svolta, ovvero il metabolismo energetico, M,
• la resistenza termica dell’abbigliamento, Icl.
L’insieme di queste sei variabili viene generalmente chiamato ambiente
termico.

16.3.3 Comfort termoigrometrico globale

Dal punto di vista termico, la condizione di comfort termoigrome-


trico, o benessere termoigrometrico, si raggiunge quando il corpo umano
raggiunge le condizioni di regime permanente, in assenza di attivazione
dei meccanismi di termoregolazione.
La condizione di comfort termico può anche essere definita dal punto
di vista psicologico come lo stato psicofisico in cui il soggetto esprime

7
La temperatura operativa è spesso utilizzata nella progettazione degli impianti
di condizionamento in quanto tiene conto dell’importanza relativa degli scambi termici
convettivi (con l’aria trattata nell’impianto) e radiativi (con le superfici dell’ambiente,
quindi anche con le pareti di tamponamento esterno dell’edificio).
8
La resistenza termica dell’abbigliamento rappresenta la resistenza termica uni-
taria di un solido ideale che, disposto uniformemente su tutto il corpo in condizioni
di regime permanente farebbe disperdere una potenza termica secca pari a quella
effettiva.
336 Lezioni di Fisica Tecnica

soddisfazione nei riguardi dell’ambiente termico, oppure dal punto di vista


termosensoriale come la condizione in cui il soggetto non ha né sensazione
di caldo né sensazione di freddo, cioè una condizione termoigrometrica-
mente neutra; le due definizioni sono del tutto equivalenti.
È evidente che non sempre è possibile realizzare condizioni di
comfort, se non altro per la variabilità della percezione dell’ambiente
termico da parte 9dei singoli soggetti ad esso esposti, per cui, negli ambienti
termici moderati , il problema è in realtà la valutazione dello scostamento
delle condizioni reali da quelle di comfort. A tale scopo si utilizzano gli
indici di comfort globale, che assumono lo stesso valore per tutte le combi-
nazioni delle variabili da cui dipende il bilancio termico sul corpo umano
cui corrispondono uguali sensazioni termiche10, e gli indici di discomfort
locale, di cui si parlerà al punto 16.3.4.
C’è infine da sottolineare che gli indici esprimono la risposta media
di un gran numero di soggetti, il che significa che per valori degli indici
corrispondenti a condizioni di benessere termoigrometrico ci possono co-
munque essere individui che avvertono sensazione di caldo o di freddo.
L’indice attualmente più diffuso è il PMV (Voto Medio Previsto),
proposto da Fanger ed adottato dalla norma UNI-EN-ISO 7730, che è
funzione delle sei variabili indipendenti dei termini del bilancio termico
e che è definito sulla scala bipolare a 7 punti riportata in Tabella 16.4.

Tabella 16.4 – Scala di sensazione termica.


voto sensazione
+3 molto caldo
+2 caldo
+1 leggermente caldo
0 né caldo né freddo
–1 leggermente freddo
–2 freddo
–3 molto freddo

9
Dal punto di vista termico gli ambienti si suddividono in ambienti termici mo-
derati, ambienti termici severi freddi e ambienti termici severi caldi, intendendo per
termicamente moderati quegli ambienti nei quali l’obiettivo è il raggiungimento del
comfort termico (p.e. gli edifici residenziali e gli uffici) e per termicamente severi
quelli nei quali l’obiettivo non è certamente il comfort ma la sicurezza, nei quali
cioè è scontato che non si raggiungano le condizioni di benessere termoigrometrico
e bisogna invece preoccuparsi dei rischi che corre l’individuo.
10
Si dicono globali perché si valutano in funzione dei valori medi spaziali delle
quattro variabili ambientali.
Impianti di condizionamento dell’aria 337

Il valore del PMV si calcola, con codici di calcolo o con l’ausilio di


tabelle che si trovano nella norma citata, a partire da un sistema di equa-
zioni non semplici, che si ritiene di non riportare in questo testo, nelle
quali compaiono i valori misurati o valutati di ta, tr, va, φ, M, Icl.
Un valore di PMV pari a 0 rappresenta la condizione in cui il sog-
getto non avverte né caldo né freddo che viene definita di neutralità
termica, mentre, in considerazione di quanto detto a proposito del fatto
che non è possibile realizzare condizioni in cui tutti coloro che occupano
uno stesso ambiente si dichiarano soddisfatti, per condizioni di comfort
termico si intendono quelle caratterizzate da valori del PMV, positivi
o negativi, prossimi allo zero. La norma 7730 prevede che gli ambienti
termici siano suddividibili in tre categorie, secondo quanto indicato in
Tabella 16.5, proprio in funzione del livello di discostamento del valore
del PMV dallo zero.
Come si è detto, il PMV rappresenta il voto di un individuo me-
dio, ovvero la media dei voti espressi da un gran numero di persone
poste nello stesso ambiente termico; sperimentalmente, si è visto che
i voti presentano una certa dispersione intorno al valore medio, il che
è rappresentativo di insoddisfazione. Fanger definì PPD la percentuale
prevista di insoddisfatti e la correlò al PMV, ottenendo il diagramma di
Figura 16.1 dal quale si evince che la percentuale di insoddisfatti, ovvero
l’indice PPD, è pari al 5% per PMV uguale a 0 e cresce rapidamente
all’allontanarsi del PMV dai valori di comfort. Questo risultato, accettato
dalla 7730, evidenzia come le risposte soggettive siano molto diverse tra
loro e come sia quindi impensabile realizzare condizioni che siano di
comfort per tutti.
Il successo dell’indice PMV è derivato dal fatto che i risultati ai quali
si perviene sono ottimamente verificati sperimentalmente.

!DD
JJO$MAN

!D

!
IG I! D ! G

JKL$MIN

Figura 16.1 – Relazione tra gli indici PMV e PPD.


338 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella 16.5 – Condizioni per il comfort termoigrometrico per attività sedentarie


leggere.
Grandezza Categoria A Categoria B Categoria C
PMV -0,2 ÷ 0,2 –0,5 ÷ 0,5 –0,7 ÷ 0,7
va DR < 10% DR < 20% DR < 30%
ta,1,1 – ta,0,1 PD ≤ 3% PD ≤ 5% PD ≤ 10%
tp PD ≤ 10% PD ≤ 10% PD ≤ 15%
Δt pr PD ≤ 5% PD ≤ 5% PD ≤ 10%

16.3.4 Discomfort locale

Come si è detto, gli indici PMV e PPD forniscono una valutazione


del “comfort globale” in funzione dei valori medi delle variabili ambien-
tali; pertanto, il rispetto degli intervalli di valori di PMV e PPD riporta-
ti in Tabella 16.5 rappresenta condizione necessaria ma non sufficiente
per l’ottenimento del benessere negli ambienti mediamente confortevoli.
Perché ci sia effettivamente comfort, infatti, deve essere nullo anche il di-
scomfort dovuto a disuniformità delle variabili ambientali, cioè non deve
esserci discomfort locale.
Le cause di discomfort locale sono quattro:
• elevata differenza verticale di temperatura;
• pavimento troppo caldo o troppo freddo;
• correnti d’aria;
• elevata asimmetria media radiante;
in Tabella 16.5 sono riportati i valori della percentuale di insoddisfatti,
PD, dovuta a ciascuna delle quattro cause, che qui di seguito vengono
brevemente descritte.
Elevata differenza verticale di temperatura – Generalmente negli am-
bienti chiusi esiste un gradiente verticale della temperatura dell’aria; in
particolare, la temperatura in prossimità del soffitto è maggiore di quella
al pavimento e questa differenza comporta una sensazione di discomfort
locale.
Pavimento troppo caldo o troppo freddo – La temperatura del pavi-
mento ha una doppia influenza sulla sensazione termica: da una parte è
determinante ai fini del valore della temperatura media radiante, dall’altra
può causare discomfort locale ai piedi.
Correnti d’aria – Il discomfort da corrente d’aria è definito come un
indesiderato raffreddamento locale del corpo umano, causato dal movimen-
to dell’aria. È statisticamente la principale causa di discomfort, soprattutto
Impianti di condizionamento dell’aria 339

negli ambienti provvisti di impianti di climatizzazione con ventilazione


forzata e nei mezzi di locomozione (auto, treni, ecc).
La percentuale di insoddisfatti riportata in Tabella 16.5 è data dal
Draft Risk, DR, definito dalla relazione:

DR = (34 – ta)(va – 0,55)0,62(0,37vaTu + 3,14) (16.4)

con Tu intensità di turbolenza, %, data dal rapporto tra il valore della


deviazione standard della velocità e quello della velocità media.
Elevata asimmetria della temperatura media radiante – È il discomfort
che si avverte quando una parte del corpo è esposta a superfici caratteriz-
zate da temperature molto diverse da quelle delle superfici cui è esposta
l’altra parte del corpo; si pensi, per esempio, alla sensazione che si prova
davanti ad un camino acceso.

16.3.5 Criteri di accettabilità di un ambiente

Nella Tabella 16.5, come detto, sono sintetizzate le condizioni che de-
vono essere verificate perché un ambiente sia considerato termicamente
idoneo secondo la UNI-EN-ISO 7730.
La UNI EN 15251 riprende le stesse categorie della 7730 e introdu-
ce una quarta categoria, definita solo in relazione al PMV, nella quale
ricadono gli ambienti che non rispettano i requisiti di accettabilità per
tutta la durata dell’anno e che, quindi, possono essere utilizzati solo per
periodi limitati.
Si noti che, analizzando le equazioni per il calcolo del PMV, risulta
che per gli ambienti moderati l’umidità, al contrario delle altre tre varia-
bili ambientali, influisce molto poco sul valore della sensazione termica.
In particolare, risulta che a parità di valori delle altre quattro variabili,
per ottenere lo stesso valore di PMV la ta deve variare al massimo di 1°C
passando da φ = 0,30 a φ = 0,70; questi due valori di φ rappresentano
limiti dovuti a motivi indipendenti dalle sensazioni termiche: per valo-
ri minori di 0,30 si seccano le mucose con diminuzione delle difese da
germi e batteri, per valori maggiori di 0,70 aumentano i rischi di allergie
e le probabilità che si formi condensa su punti freddi con conseguente
sviluppo di muffe.
Per gli ambienti di categoria B di Tabella 16.5, mediamente confor-
tevoli, gli intervalli di temperatura operativa, to, sono i seguenti:
• d’estate (Icl=0,5 clo) 23-26°C,
• d’inverno (Icl=1,0 clo) 20-24 °C;
nella pratica tecnica, considerate le esigenze di risparmio energetico, ge-
340 Lezioni di Fisica Tecnica

neralmente vengono utilizzati come valori progettuali della temperatura


dell’aria i valori estremi di temperatura operativa dei due intervalli, cioè
20 °C in inverno e 26 °C in estate.

16.4 Proporzionamento di un impianto di condizionamento


totalmente centralizzato senza ricircolazione

16.4.1 Introduzione

In questo paragrafo si indicheranno i criteri di massima da seguire


per pervenire al dimensionamento delle varie parti di un impianto di
condizionamento dell’aria totalmente centralizzato, con il quale si ot-
tengono le condizioni desiderate in ambiente mediante l’immissione di
adeguate portate d’aria caratterizzate da opportuni valori di temperatura
e grado igrometrico, ottenuti in un unico gruppo condizionatore cen-
tralizzato, collegato tramite canalizzazioni all’ambiente da condizionare;
uno schema a blocchi di tale impianto è riportato nella Figura 16.2.
Questo tipo di impianto si dice senza ricircolazione per intendere che
tutta l’aria immessa negli ambienti da condizionare è presa dall’esterno
e naturalmente l’aria che lascia l’ambiente è tutta espulsa all’esterno.
Un impianto si dice invece a ricircolazione se una parte dell’aria che
lascia l’ambiente viene riutilizzata; tale tipo di impianto verrà esaminato
al paragrafo 16.5.

MXN$ MPN$ MVN$


$ VKh%X_gX$$$$
YcdJJe$ Pe_O%f%e_Vge$
$ Pe_O%f%e_VgecX$
)3()$0:+03*)$ )3()$+3)++)+)$ MVN$ )3()$0:'81:)$
$

Figura 16.2 – Schema a blocchi di un impianto di condizionamento totalmente cen-


tralizzato senza ricircolazione.

Il proporzionamento dell’impianto richiede essenzialmente cinque


operazioni:
1. fissare, in base ai criteri discussi nel paragrafo 16.3, le condizioni (A)
da mantenere nel locale condizionato una volta assegnate le condizioni
esterne (E). Come si vede dalla Figura 16.2, si assume che le condizioni
dell’aria espulsa dall’ambiente siano le stesse dell’aria nell’ambiente;
tale ipotesi è valida qualora si abbia un completo mescolamento del-
l’aria e sia quindi verificata l’uniformità delle proprietà termoigrome-
triche nell’ambiente.
Impianti di condizionamento dell’aria 341

2. effettuare un bilancio di energia nell’unità di tempo, i cui termini sono


le potenze termiche scambiate attraverso le pareti per differenze di
temperatura tra interno ed esterno, la potenza termica dovuta all’ir-
raggiamento solare, la potenza termica generata dalle persone presenti,
dall’impianto di illuminazione e da macchine e/o attrezzature; la som-
matoria di tutti questi termini è detta carico termico sensibile, Q! * , che
può essere maggiore, minore o uguale a zero;
3. effettuare un bilancio di massa nell’unità di tempo, i cui termini sono le
portate di acqua prodotta dalle persone presenti e/o da altre sorgenti;
la sommatoria di questi termini, espressa in kgacqua/h, viene general-
mente convertita in termini di potenza11 e detta carico termico latente,
! * , sempre positivo;
E
4. individuare le condizioni di immissione (C) dell’aria nell’ambiente,
coincidenti con quelle di uscita dal gruppo condizionatore: queste con-
dizioni devono essere scelte in modo che, in seguito agli scambi termici
e di massa di cui al punto 2, all’espulsione si realizzino le condizioni
(A).
5. determinare le trasformazioni da realizzare nel gruppo condizionatore
per portare 1’aria dalle condizioni (E) alle condizioni (C).
Generalmente, la somma dei carichi sensibili e latenti va sotto il nome
di carichi termoigrometrici dell’ambiente. Si noti che nella valutazione di
questi termini ci si deve porre, per motivi cautelativi, nelle condizioni più
sfavorevoli per 1’impianto, ad esempio massimo affollamento e presenza
di sole nella stagione estiva e minimo affollamento ed assenza di sole
nella stagione invernale.

16.4.2 Individuazione dei punti (A) ed (E)

Le condizioni esterne da usare in fase di progetto per le varie località


si desumono da valori tabellati in apposite norme, ricavati da indagini
storiche meteorologiche sia per la stagione estiva che per quella invernale;
tali valori non rappresentano i massimi assoluti estivi o i minimi assoluti
invernali, ma sono quelli che mediamente in un anno risultano superati
solo per un numero limitato di ore o di giorni. L’impianto così propor-
zionato normalmente sarà in grado di mantenere le condizioni interne
richieste; ovviamente nel caso in cui si verifichino condizioni più gravose
di quelle previste, si ha un conseguente spostamento delle condizioni in-

11
Per calcolare la potenza termica, in kW, correlata alla portata massica bisogna
dividere per 3600 e poi moltiplicare per il calore latente di passaggio di fase che, per
una temperatura superficiale del corpo umano pari a circa 35°C, è uguale a 2130
kJ/kg.
342 Lezioni di Fisica Tecnica

terne di progettazione. A titolo di esempio si riportano i valori esterni


che generalmente si assumono a Napoli nella progettazione:

Estate: tE = 32°C, φE = 60 %

Inverno: tE = 2°C, φE = 50 %

Le condizioni interne si fissano in base a quanto discusso al para-


grafo 16.3.; qualora però siano previsti limitati tempi di permanenza ne1
locale o frequenti passaggi di persone dall’esterno all’interno, o viceversa,
è buona norma d’estate evitare differenze di temperatura fra interno ed
esterno superiori a 6÷7oC.

16.4.3 Calcolo del carico termoigrometrico

Per la valutazione del carico termoigrometrico dell’ambiente bisogna


tener conto dei seguenti termini:
a) Potenza termica scambiata attraverso le superfici dell’ambiente per dif-
ferenze di temperatura tra interno ed esterno (carico sensibile).
La potenza termica che si trasmette a regime permanente attraverso
una parete di superficie A tra l’ambiente in esame ed un ambiente adia-
cente, tra i quali esiste una differenza di temperatura ΔT, si calcola con le
relazioni utilizzate per lo scambio termico, note che siano le dimensioni
e la composizione della parete. In questo termine non si tiene conto del-
l’irradiazione solare.
Esistono norme specifiche che indicano come trattare alcuni problemi
particolari: la mancanza nella realtà di condizioni di regime permanente,
la variazione delle conduttanze unitarie superficiali esterne con le condi-
zioni di esposizione e di ventosità, l’eventuale funzionamento discontinuo
dell’impianto, etc. Particolare attenzione è rivolta alla presenza dei ponti
termici, costituiti da qualsiasi discontinuità di forma (come lo spigolo
formato da due pareti identiche nell’angolo di un edificio) o di materiale
(come il passaggio tra la muratura corrente ed il pilastro di una parete); i
ponti termici determinano il discostamento dalle condizioni di flusso uni-
dimensionale ipotizzate nelle relazioni usualmente adottate nello studio
della trasmissione del calore, e, come conseguenza, un incremento locale
delle dispersioni e, quindi, una variazione del valore della temperatura
superficiale rispetto a quello che si ha sulla superficie corrente della pa-
rete.
Esistono inoltre norme per il contenimento del consumo energetico
che impongono in fase di progetto un valore massimo alla potenza termica
dispersa in stagione invernale da ciascun edificio attraverso le superfici
Impianti di condizionamento dell’aria 343

che delimitano le zone riscaldate, al fabbisogno di energia annuo nonché


al rendimento della caldaia. Tale valore massimo è funzione della confi-
gurazione dell’edificio e delle condizioni climatiche esterne.
A partire dal 2006 esiste infine nei Paesi membri dell’Unione Europea
l’obbligo di certificare gli edifici dal punto di vista energetico.
Poiché le diverse pareti che delimitano l’ambiente si trovano usual-
mente in situazioni diverse per struttura, stratigrafia, orientamento e tal-
volta per temperatura esterna (si pensi ad esempio a pareti di confine con
ambienti non riscaldati), il calcolo della potenza termica trasmessa deve
essere ripetuto tante volte per quante sono le situazioni che si determi-
nano nel locale. Ad esempio in un locale d’angolo a pianta rettangolare
situato all’ultimo piano di un edificio si hanno certamente almeno le se-
guenti situazioni, tutte diverse tra loro:
• 1.a parete esterna di struttura A ed esposizione I,
• 2.a parete esterna di struttura A ed esposizione II,
• pareti perimetrali interne di struttura B,
• soffitto di struttura C,
• pavimento di struttura D,
• superfici vetrate.
La terza e la quinta voce daranno contributo nullo se i locali adiacenti
hanno temperatura uguale a quella dell’ambiente in esame.
Va precisato che la potenza termica così calcolata è in ingresso nel
periodo estivo, quindi positiva, ed in uscita nel periodo invernale, quindi
negativa.
b) Potenza termica in ingresso per irraggiamento solare (carico sensibile).
L’irraggiamento solare che incide su una superficie è funzione del-
l’ora, della stagione, della latitudine, dell’altitudine, delle condizioni di
trasparenza dell’atmosfera oltre che dell’inclinazione ed esposizione della
superficie ricevente.
La valutazione della potenza termica in ingresso dovuta all’irrag-
giamento solare si effettua mediante procedure piuttosto laboriose che
esulano dai limiti di questo corso. In ogni caso, si tenga presente che
l’irraggiamento solare rappresenta, nella stagione estiva, il carico termico
prevalente, soprattutto negli edifici con elevata percentuale di superfici
trasparenti; infatti, alle latitudini italiane, l’irradiazione solare trasmessa
attraverso un vetro semplice disposto verticalmente può raggiungere con
esposizione est (alle ore 8:00) o con esposizione ovest (alle ore (16:00)
valori prossimi ai 700 W/m2, motivo per cui le più recenti normative in
tema di risparmio energetico impongono per le nuove costruzioni l’uso
di opportuni schermi frangisole esterni. Nella stagione invernale, invece,
in fase di progetto non si tiene conto dell’irraggiamento solare in quanto
ci si pone nelle condizioni più sfavorevoli.
344 Lezioni di Fisica Tecnica

c) Potenza termica generata dalle persone (carico sensibile).


Detto n il numero medio di persone presenti nell’ambiente ed M il
tasso metabolico relativo all’attività prevalentemente svolta nell’ambien-
te, dalla (16.2) con S = 0, considerando che generalmente negli ambienti
moderati i termini K, Cres ed Eres sono trascurabili, si ha:
! p = n (M – E) = n (C + R)
Q (16.6)

Per quanto detto nei paragrafi precedenti, il valore di questo termine


varia al variare dell’attività svolta; nel condizionamento civile, nel caso di
abitazioni ed uffici ed attività moderata, si pone generalmente C+R = 80
W/persona.
d) Potenza termica generata dall’impianto di illuminazione e da macchine
presenti nel locale (carico sensibile).
Per l’impianto di illuminazione la potenza termica può essere posta
pari alla potenza elettrica dell’impianto stesso.
Per eventuali macchine, se la utilizzazione è interna all’ambiente, si
pone la potenza termica pari alla potenza elettrica della macchina.
e) Produzione di vapor d’acqua (carico latente).
Negli impianti civili è essenzialmente dovuta alla presenza di persone.
In generale si considera una produzione unitaria di circa 50 W/persona,
corrispondenti a 90 g/h⋅persona. La produzione complessiva di vapore,
m! H2O, si ottiene moltiplicando la produzione unitaria per il numero di
persone.
Ulteriori cause di produzione di vapore sono presenti nelle cucine,
nei bagni, nelle lavanderie; in queste circostanze, il valore da considerare
va valutato caso per caso.
f) Infiltrazione di aria esterna (carico sensibile e latente)
Attraverso gli infissi, non sempre a tenuta perfetta, si ha general-
mente infiltrazioni d’aria esterna negli ambienti, il ricambio naturale in
un locale dotato di infissi non speciali, normalmente chiusi, può valutarsi
in 0,5 ricambi/h. Nel seguito per semplicità si supporranno gli infissi a
perfetta tenuta.
La somma algebrica delle potenze termiche scambiate attraverso le
pareti e di quelle generate nel locale (ovvero dei termini analizzati bre-
vemente ai punti a, b, c e d) fornisce il cosiddetto carico termico Q !*
dell’ambiente considerato, che può risultare positivo, nullo o negativo; in
particolare, in estate è sempre positivo, in inverno, nel condizionamento
civile, è negativo nei locali perimetrali scarsamente affollati e può essere
positivo, nullo o negativo nei locali fortemente affollati o interni.
Impianti di condizionamento dell’aria 345

16.4.4 Determinazione del punto (C) e calcolo della portata d’aria

Come precedentemente chiarito, la portata d’aria immessa nell’am-


biente da condizionare, una volta sottoposta agli scambi termici e di massa
calcolati al punto 16.4.3, si porta nelle condizioni (A). Le condizioni di
immissione (C) sono legate a quelle di espulsione (A) dalle due equazioni
di bilancio dell’energia e della massa:

m !* +m
! a hC + Q ! H2O h H2O = m
! a hA (16.7)

! a xC + m
m ! H2O = m
! axA (16.8)

Nell’ipotesi che la pressione sia uniforme e pari ad l atm, queste


due equazioni nelle tre incognite hC, xC e m ! a consentono di individuare
! a ; al variare della portata d’aria si
il punto C, (hC, xC), qualora si fissi m
possono avere infinite condizioni di immissione in grado di soddisfare le
due equazioni di bilancio, cioè di dar luogo all’espulsione di aria nelle
condizioni (A); non tutte però soddisfano alle esigenze del benessere o a
criteri di economicità dell’impianto.
I valori di m! a sono limitati inferiormente dal valore della minima
portata di aria esterna occorrente alla ventilazione, m ! V , calcolata se-
condo quanto esposto nel paragrafo 16.2.3; la soluzione m !a = m ! V nor-
malmente non è però accettabile, in quanto in genere comporta una
differenza di temperatura |tC – tA| troppo elevata. Infatti, in estate l’im-
missione di aria a temperatura inferiore di oltre 8÷10 °C rispetto a quella
ambiente risulta fastidiosa per le persone che sono direttamente investite
dall’aria immessa e può rendere difficoltosa un’omogenea distribuzione
dell’aria nell’ambiente, tendendo a stratificare nelle zone basse; in inver-
no (tC > tA), per analoghi motivi, la differenza di temperatura non deve
superare i 15÷20 °C.
Per la risoluzione del sistema di equazioni (16.7) e (16.8) anziché
procedere per tentativi è possibile seguire il metodo indicato qui di se-
guito. Il rapporto tra la (16.7) e la (16.8) rappresenta la pendenza della
trasformazione (C-A):

Δh Q!*
= + h H2O (16.9)
Δx m ! H2O

che risulta nota in quanto sono noti i carichi termoigrometrici; sul dia-
gramma psicrometrico, mediante la scala esterna del settore circolare, si
traccia la semiretta uscente da (A) e passante per (C) che viene percorsa
dall’aria immessa nel locale da condizionare nel verso delle x crescenti, in
346 Lezioni di Fisica Tecnica

quanto m ! H2O risulta generalmente positivo e quindi si avrà xA > xC. Su tale
semiretta viene fissato il punto (C) alla temperatura limite compatibile
con i vincoli prima indicati e cioè:

per tC < tA si potrà porre tC = tA – (8÷10) °C

per tC > tA si potrà porre tC = tA + (15÷20) °C

Letti sul diagramma i valori di hC e xC, dalla (16.7) o dalla (16.8) si


ricava m ! a che deve soddisfare la condizione m !a ≥ m! V . In caso contrario
si fissa m!a= m ! V , scelta che comporta certamente una diminuzione della
differenza |tC – tA| e rispetta perciò i vincoli prima chiariti.
In alternativa, qualora il carico latente sia espresso in termini di
potenza, si utilizza usualmente individuare il punto (C) mediante una
semiretta la cui pendenza è data dal rapporto, dimensionale, fra carico
sensibile e carico totale; tale pendenza va letta sempre nel settore circo-
lare, sulla scala interna.
È opportuno rilevare che per motivi di economicità di impianto, sia
come spese di installazione che come spese di esercizio, è necessario adot-
tare il valore minimo di portata d’aria compatibile con la qualità dell’aria
e con i vincoli di temperatura di immissione precedentemente fissati.
Si noti che nel caso di impianti funzionanti durante tutto l’anno
conviene, per semplicità di impianto, usare sempre la stessa portata, in
particolare quella calcolata nel regime estivo, di solito il più gravoso dal
punto di vista del fabbisogno energetico del gruppo condizionatore, che
in generale risulta soddisfare anche le condizioni invernali.
Talvolta, erroneamente, si ritiene possibile mantenere in un ambiente
condizionato le condizioni (A) immettendovi aria alle stesse condizioni
(A): è opportuno chiarire che tale possibilità sussiste teoricamente ma
richiederebbe una portata d’aria di valore infinito, come si può ricavare
dalla (16.7) o dalla (16.8).

16.4.5 Determinazione dei processi da realizzare nel gruppo condizio-


natore

Avendo individuato il punto (C) rappresentativo delle condizioni del-


l’aria all’immissione ed essendo la condizione (E) un dato di progetto,
vanno definiti i processi che devono avvenire nel gruppo condizionatore
per portare l’aria dalle condizioni (E) alle condizioni (C).

Condizionamento estivo
Dalle condizioni (E) si perviene alle condizioni (C) mediante un pro-
cesso di raffreddamento con deumidificazione fino al punto (D) seguito da
Impianti di condizionamento dell’aria 347

un riscaldamento a titolo costante fino al punto (C), così come mostrato


in Figura 16.3.
Secondo quanto mostrato nello schema di Figura 16.4, i1 primo pro-
cesso (E-D) viene realizzato mediante una batteria di tubi percorsi da un
fluido freddo, usualmente acqua, con temperatura minore di tD, prodotta
da un apposito impianto frigorifero. In questo processo il titolo diminuisce
da xE ad xC la qual cosa comporta la condensazione di una portata d’acqua
pari a m! a (xE – xC) che deve essere opportunamente drenata.
La successiva trasformazione (D-C) viene realizzata mediante una
batteria di tubi, percorsi da acqua calda con temperatura maggiore di tC,
batteria detta di postriscaldamento.

H
@
K

Figura 16.3 - Trasformazioni dell’aria in un impianto di condizionamento estivo senza


ricircolazione

=18(,.$=30,,.$ =18(,.$-)1,.
:0')3)+.30$$$
,($6.--0$
E)++03()$

E)++03()$
=30,,)$

-)1,)$
=(1+3.$

g! $ gG $
MXN$ MXN$ MON$ MON$ MPN$

,30*)66(.$

Figura 16.4 - Schema a blocchi di un gruppo condizionatore per impianto di condi-


zionamento estivo senza ricircolazione.
348 Lezioni di Fisica Tecnica

La regolazione è ottenibile mediante due termostati, T1 e T2, posti


nella corrente d’aria a valle dei due scambiatori di calore. T1 regola la
portata d’acqua refrigerata nella batteria fredda in modo da mantenere
la temperatura dell’aria a valle di questa al valore tD. T2 regola la portata
di acqua calda in modo da mantenere, a valle della batteria di postriscal-
damento, la temperatura dell’aria al valore tC.
Per quanto riguarda il proporzionamento delle singole apparecchia-
ture si ha:
– batteria fredda:
! =m
Q ! a [(h D − h E ) + (x E − x D )h H2O,l ] (16.10)

– batteria calda:
! =m
Q ! a (hC − h D ) (16.11)

– portata di drenaggio dell’acqua condensata:


! H2O = m
m ! a (x E − x D ) (16.12)

Condizionamento invernale.
Come mostrato nelle Figure 16.5 e 16.6, dalle condizioni (E) si per-
viene alle condizioni (C) mediante un riscaldamento a titolo costante
(E-F), seguito da una umidificazione adiabatica quasi isoentalpica (F-C),
realizzata con spruzzamento di acqua liquida, oppure mediante un ri-
scaldamento a titolo costante fino ad (F') seguito da una umidificazione
quasi isoterma (F'-C) realizzata con immissione di vapore. Talvolta il
primo metodo comporta il raggiungimento di temperature troppo elevate,
col pericolo di generare odori molesti a causa della decomposizione di
sostanze organiche generalmente presenti nell’aria. Un terzo metodo con-
siste nel seguire le trasformazioni (E-G-H-C) di Figura 16.5, realizzabili
mediante una prima batteria di riscaldamento (E-G), uno spruzzamento
di acqua liquida (G-H), un ulteriore riscaldamento mediante una seconda
batteria (H-C).
Questo terzo metodo, illustrato in Figura 16.7, richiede l’installazione
di due batterie distinte (di potenzialità complessiva pari all’incirca a quella
singola del primo metodo) ma presenta il vantaggio di poter essere rego-
lato mediante due termostati posti a valle delle due batterie, mentre nei
due metodi precedenti, come risulta dalla Figura 16.6, risultano necessari
un termostato a valle della batteria di riscaldamento ed un umidostato a
valle dell’umidificatore e quest’ultimo dà minori garanzie di un corretto
funzionamento rispetto al termostato.
Per il proporzionamento delle singole apparecchiature valgono le
relazioni che seguono.
Impianti di condizionamento dell’aria 349

H K
N
M 8L
J 8

Figura 16.5 – Trasformazioni dell’aria in un impianto di condizionamento invernale


senza ricircolazione.

=18(,.$-)1,.$ )-98)$,($
8&(,(=(-)/(.*0$

:0')3)+.30$$$,($
8&(,(=(-)+.30$
E)++03()$-)1,)$

M7N$
6.--0$
=(1+3.$

g$ d$
MXN$ MXN$ M72N$ MPN$ MPN$

Figura 16.6 – Schema a blocchi del gruppo condizionatore per impianto di condizio-
namento invernale nel caso di umidificazione con acqua liquida o va-
pore.

=18(,.$ )-98)$,($ =18(,.$


-)1,.$ 8&(,(=(-)/(.*0 -)1,.$
E)++03()$-)1,)$

E)++03()$-)1,)$
:0')3)+.30$$$
:)+83)+.30$

,($6.--0$
=(1+3.$

g! gG $
MXN$ MXN$ MYN MjN MjN$ MPN

Figura 16.7 – Schema a blocchi di un gruppo condizionatore per impianto di condi-


zionamento invernale senza ricircolazione, per il terzo metodo.
350 Lezioni di Fisica Tecnica

Umidificazione con acqua liquida:


– potenza termica della batteria calda
Q! =m ! a (h F − h E ) (16.13)

– portata d’acqua di umidificazione


! H2O = m
m ! a (x C − x E ) (16.14)

Umidificazione con vapore:


– potenza termica della batteria calda
Q! =m ! a (h F' − h E ) (16.15)

– portata d'acqua di umidificazione


! H2O = m
m ! a (x C − x E ) (16.16)

Terzo metodo:
– potenza termica della batteria di preriscaldamento
Q! =m ! a (hG − h E ) (16.17)

– portata d’acqua di umidificazione


! H2O = m
m ! a (x C − x E ) (16.18)

– potenza termica della batteria di postriscaldamento


Q! =m ! a (hC − h H ) (16.19)

16.5 Impianto di condizionamento con ricircolazione

Nel paragrafo precedente si sono esaminati impianti senza ricirco-


lazione; nella pratica, tale soluzione viene adottata quando m ! a risulta
uguale o di poco superiore a m ! V o in casi particolari in cui prevalgono
considerazioni igieniche.
In generale, risultando m ! a >> m ! V , si usa la ricircolazione, cioè si
introduce negli ambienti una portata m ! V di aria esterna, soddisfacendo
quindi alle esigenze di ventilazione, più una portata m ! R di aria ricircola-
ta, eventualmente filtrata, prelevata all’uscita dell’ambiente condizionato,
come mostrato in Figura 16.8, in modo che sia:

!V +m
m ! R =m
!a (16.20)
Impianti di condizionamento dell’aria 351

MXN$ MKN$ MPN$ MVN$


VKh%X_gX$
)3()$0:+03*)$ YcdJJe$$$$$$$$$$ )3()$+3)++)+)$ Pe_O%f%e_Vge$ )3()$0:'81:)$
Pe_O%f%e_VgecX$
! .$
! !"$
! MVN$ ! .$
!

MVN$ MVN$

)3()$,($3(-(3-.1.$

!/ $!
! ! " #!
! .$

Figura l6.8 - Schema a blocchi di un impianto di condizionamento totalmente cen-


tralizzato con ricircolazione.

Questo tipo di impianto evita lo spreco connesso alla espulsione di


aria trattata, solo parzialmente viziata.
Allo scopo di evidenziare il vantaggio della ricircolazione per un
impianto di condizionamento estivo nel quale risulti m !a = 2 m ! V , si
pongano a confronto il caso di adozione e quello di non adozione della
ricircolazione: nel caso di ricircolazione, nel gruppo condizionatore entrerà
una portata m ! a ottenuta dal mescolamento adiabatico delle due portate
! V , prelevata dall’esterno e quindi in condizioni (E), e m
m ! R prelevata
dal condotto di espulsione e quindi in condizioni (A); la portata m ! a si
troverà pertanto nelle condizioni M, punto medio del segmento (A-E) in
quanto m ! V=m ! R , come evidenziato in Figura 16.9. Il processo richiederà
quindi il raffreddamento con condensazione da (M) a (D) ed il post-
riscaldamento (D-C); rispetto alla soluzione senza ricircolazione risultano
considerevolmente ridotti la potenzialità della batteria di raffreddamento,
la portata d’acqua da condensare e, ovviamente, i consumi energetici.

>

H
@
K

Figura 16.9 - Trasformazioni dell’aria in un impianto di condizionamento estivo con


ricircolazione.
352 Lezioni di Fisica Tecnica

Esercizi

ESERCIZIO 16.1 – Si desidera condizionare un locale per la stagione invernale.


Sono disponibili i seguenti dati: tE= 5°C, φE= 50%, tA= 20°C, φA= 50%; numero
di persone presenti: 40; potenza dispersa dell’impianto di illuminazione e delle
macchine presenti: tra 4,0 e 7,5 kW; dispersioni termiche: 9,2 kW.
Assumendo per i carichi dovuti alle persone 80 W/persona e 50 g/h⋅persona,
definire:
1. lo schema del condizionatore;
2. la potenzialità dei relativi componenti.

ESERCIZIO 16.2 – Un locale deve essere mantenuto a 25°C con un grado igro-
metrico del 50% quando all’esterno si hanno 32°C con φ= 60%. Nel locale,
adibito a sala conferenze, è prevista la presenza di 120 persone. Il carico ter-
mico per irraggiamento solare, trasmissione attraverso le pareti ed impianto
di illuminazione è stato calcolato in 13,5 kW.
Assumendo per i carichi dovuti alle persone 65 W/persona e 75 g/h⋅persona,
calcolare le potenzialità delle batterie di raffreddamento e di post-riscalda-
mento:
1. per impianto a tutt’aria esterna;
2. per impianto con ricircolo.
Appendice
Appendice 355

Tabella A.1 – Alcuni fattori di conversione


Forza
1N 1 kp
1N 1 1,020·10–1
1 kp 9,807 1

Energia
1 kJ 1 kWh 1 kcal 1 kpm
1 kJ 1 2,778·10–4 0,2388 1,020·102
1 kWh 3600 1 859,8 3,671·105
–3
1 kcal 4,187 1,163·10 1 4,269·102
–3 –6 –3
1 kpm 9,807·10 2,721·10 2,342·10 1

Potenza
1 kW 1 kcal/h 1 CV
1 kW 1 859,8 1,36
–3
1 kcal/h 1,163·10 1 1,58·10–3
1 CV 0,735 632 1

Pressione
1 Pa 1 bar 1 atm 1 mm(Hg)
1 Pa 1 10–5 9,867·10–6 7,502·10–3
5
1 bar 10 1 0,9867 750
1 atm 1,013·105 1,013 1 760
1 mm(Hg) 133,3 1,33·10-3 1,316·10–3 1

Conducibilità termica
1 W/mK 1 kcal/hmK
1 W/mK 1 0,860
1 kcal/hmK 1,163 1

Conduttanza termica
1 W/m2K 1 kcal/hm2K
1 W/m2K 1 0,860
2
1 kcal/hm K 1,163 1

Temperatura
T(K) = t(°C) + 273,15
t(°C) = T(K) – 273,15
356 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.2 – Massa molecolare, M, e costante caratteristica, R, di alcune sostanze.


M R
Sostanza
(kg/kmol) (J/kgK)
Acqua (H2O) 18,02 461,4
Ammoniaca (NH3) 17,03 488,1
Anidride carbonica (CO2) 44,01 188,9
Aria secca 28,97 287,0
Azoto (N2) 28,02 296,8
Elio (He) 4,00 2078
Idrogeno (H2) 2,02 4124
Ossido di carbonio (CO) 28,01 296,8
Ossigeno (O2) 32,00 259,8

Tabella A.3 – Calori specifici a pressione costante, cp, ed a volume costante, cv, e loro
rapporto, k, per alcune sostanze in fase gassosa per comportamento
piuccheperfetto
cp cv k
Sostanza
(kJ/kgK) (kJ/kgK) (–)
Anidride carbonica 0,865 0,676 1,28
Aria secca 1,01 0,717 1,40
Azoto 1,04 0,743 1,40
Elio 5,19 3,11 1,67
Idrogeno 14,2 10,1 1,40
Ossido di carbonio 1,04 0,743 1,40
Ossigeno 0,917 0,656 1,40

Tabella A.4 – Densità e calore specifico medio di alcune sostanze in fase liquida a
temperature prossime a quelle ambientali.
ρ c
Sostanza
(kg/m3) (kJ/kgK)
Acqua 1000 4,19
Ammoniaca 640 4,6
Benzolo 883 1,8
Freon 12 1395 0,92
Glicerina 1270 2,4
Olio leggero 913 2,0
Appendice 357

Tabella A.5 – Densità, calore specifico e conducibilità termica di alcune sostanze in


fase solida a temperature prossime a quelle ambientali.
ρ c k
Sostanza
(kg/m3) (kJ/kgK) (W/mK)
Acciaio inox 18-8 7820 0,46 16
Acqua (ghiaccio) 917 2,09 2,22
Alluminio 2710 0,88 202
Amianto 383 0,82 0,15
Argento 10500 0,23 418
Calcestruzzo 2250 0,88 1,21
Ferro 7870 0,42 62,0
Lana di roccia 60 0,67 0,029
Lana di vetro 100 0,80 0,038
Legno di pino 500 2,8 0,10
Legno di quercia 800 2,4 0,21
Mattoni di muratura 1750 0,84 0,65
Mattoni in argilla refratt. 2300 0,84 1,00
Oro 19270 0,13 292
Ottone 8500 0,37 96
Poliuretano espanso 35 1,6 0,033
Polistirolo espanso 15 1,2 0,045
Rame 8940 0,38 387
Vetro per Þnestra 2800 0,80 0,67
358 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.6 – Proprietà termodinamiche del vapor d’acqua saturo tra il punto triplo e
quello critico e del solido al punto triplo (in prima riga, in grassetto).
Temp. Pressione Volume speciÞco Entalpia speciÞca Energia interna speciÞca Entropia speciÞca
t p vl · 103 vvs hl hvs hvs – hl ul uvs uvs – ul sl svs svs – sl
[°C] [bar] [m3/kg] [m3/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg]

0,01 0,006113 1,0908 206,1 –333,40 2501,4 –333,40 2501,4 –1,221 9,156
0,01 0,006113 1,0002 206,3 0,001 2500,5 2500,5 0 2375,3 2375,3 0 9,1545 9,1545
5 0,008721 1,0001 147,1 20,98 2509,7 2488,6 20,97 2360,4 2339,3 0,0764 9,0234 8,9470
10 0,012276 1,0004 103,4 42,01 2518,9 2476,9 42,00 2388,3 2346,3 0,1511 8,8985 8,7474
15 0,017051 1,0009 77,96 62,99 2528,1 2465,1 62,96 2395,2 2332,2 0,2244 8,7793 8,5549
20 0,02339 1,0018 57,84 83,86 2537,5 2453,4 83,86 2402,1 2318,2 0,2963 8,6652 8,3689
25 0,03169 1,0029 43,41 104,89 2546,4 2441,7 104,74 2409,0 2304,3 0,3660 8,5561 8,1892
30 0,04246 1,0043 32,94 125,79 2555,5 2429,9 125,61 2415,7 2290,1 0,4364 8,4516 8,0152
35 0,05628 1,0059 25,26 146,68 2564,5 2418,0 146,46 2422,5 2276,0 0,5046 8,3514 7,8468
40 0,07384 1,0078 19,56 167,34 2573,5 2406,2 167,33 2429,3 2262,0 0,5718 8,2553 7,6835
45 0,09593 1,0099 15,28 188,22 2582,4 2394,2 188,21 2436,0 2247,8 0,6379 8,1631 7,5252
50 0,12349 1,0121 12,05 209,11 2591,3 2382,2 209,10 2442,7 2233,6 0,7031 8,0745 7,3714
55 0,15758 1,0146 9,583 230,00 2600,1 2370,1 229,98 2449,3 2219,3 0,7672 7,9893 7,2221
60 0,1994 1,0172 7,682 250,91 2608,8 2357,9 250,89 2455,8 2204,9 0,8304 7,9074 7,0770
65 0,2503 1,0200 6,205 271,84 2617,4 2345,5 271,81 2462,2 2190,4 0,8928 7,8286 6,9358
70 0,3119 1,0229 5,048 292,78 2625,9 2333,1 292,75 2468,6 2175,8 0,9542 7,7526 6,7984
75 0,3858 1,0260 4,135 313,74 2634,2 2320,5 313,70 2474,8 2161,1 1,0149 7,6794 6,6645
80 0,4739 1,0293 3,410 334,72 2642,5 2307,8 334,67 2481,8 2146,3 1,0747 7,6088 6,5341
85 0,5789 1,0327 2,829 366,72 2650,7 2295,0 355,66 2487,2 2131,5 1,1337 7,5407 6,4070
90 0,7011 1,0363 2,361 376,75 2658,7 2281,9 376,68 2493,2 2116,5 1,1920 7,4749 6,2829
95 0,8453 1,0400 1,982 397,80 2666,6 2268,8 397,71 2499,1 2101,4 1,2495 7,4114 6,1619
100 1,0135 1,0435 1,673 419,04 2674,4 2255,6 418,77 2504,9 2086,1 1,3063 7,3500 6,0437
105 1,2080 1,0479 1,419 439,99 2682,1 2242,1 439,26 2510,7 2070,8 1,3625 7,2906 5,9281
110 1,4326 1,0520 1,210 461,13 2689,6 2228,5 460,98 2516,3 2055,3 1,4179 7,2331 5,8152
115 1,6905 1,0563 1,036 482,31 2697,0 2214,7 482,13 2521,9 2039,8 1,4728 7,1775 5,7047
120 1,9853 1,0608 0,8913 503,5 2704,2 2200,7 503,3 2527,3 2024,0 1,5270 7,1236 5,5966
125 2,3208 1,0654 0,7700 524,8 2711,4 2186,6 524,6 2532,7 2008,1 1,5807 7,0714 5,4907
130 2,7011 1,0702 0,6679 546,1 2718,3 2172,2 545,8 2537,9 1992,1 1,6338 7,0208 5,3870
135 3,131 1,0751 0,5817 567,5 2725,1 2157,6 567,2 2543,0 1975,8 1,6863 6,9717 5,2854
140 3,614 1,0802 0,5084 588,9 2731,8 2142,9 588,5 2548,1 1959,6 1,7383 6,9240 5,1857
145 4,155 1,0855 0,4459 610,4 2738,3 2127,9 610,0 2553,1 1943,1 1,7899 6,8776 5,0877
150 4,760 1,0910 0,3924 631,9 2744,5 2112,6 631,4 2557,7 1926,3 1,8409 6,8325 4,9916
155 5,433 1,0966 0,3464 653,5 2750,6 2097,1 652,9 2562,4 1909,5 1,8915 6,7885 4,8970
160 6,180 1,1024 0,3068 675,2 2756,5 2081,3 674,5 2566,9 1892,4 1,9416 6,7456 4,8040
165 7,008 1,1085 0,2724 696,9 2762,2 2065,3 696,1 2571,3 1875,2 1,9913 6,7037 4,7124
170 7,920 1,1147 0,2426 718,8 2767,6 2048,8 717,9 2575,5 1857,6 2,0407 6,6628 4,6221
175 8,925 1,1211 0,2166 740,7 2772,7 2032,0 739,7 2579,4 1839,7 2,0896 6,6227 4,5331
180 10,027 1,1278 0,1939 762,7 2777,6 2014,9 761,6 2583,2 1821,6 2,1382 6,5833 4,4451
185 11,234 1,1347 0,1740 784,8 2782,1 1997,3 783,3 2586,6 1803,1 2,1864 6,5447 4,3583
190 12,544 1,1418 0,1564 807,0 2786,3 1979,3 805,6 2590,0 1784,4 2,2343 6,5067 4,2724

(segue)
Appendice 359

Tabella A.6 – Proprietà termodinamiche del vapor d’acqua saturo (seguito).


Temp. Pressione Volume speciÞco Entalpia speciÞca Energia interna speciÞca Entropia speciÞca
t p vl · 103 vvs hl hvs hvs – hl ul uvs uvs – ul sl svs svs – sl
[°C] [bar] [m3/kg] [m3/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg]

195 13,989 1,1491 0,1409 829,4 2790,2 1960,8 827,8 2593,1 1765,3 2,2820 6,4692 4,1872
200 15,551 1,1568 0,1273 851,8 2793,7 1941,9 850,0 2595,7 1745,7 2,3293 6,4322 4,1029
205 17,245 1,1647 0,1151 874,4 2796,8 1922,4 872,4 2598,3 1725,9 2,3764 6,3955 4,0191
210 19,080 1,1729 0,1043 897,1 2799,4 1902,3 894,9 2600,4 1705,5 2,4232 6,3593 3,9361
215 21,063 1,1814 0,09471 920,0 2801,7 1881,7 917,5 2602,3 1684,8 2,4698 6,3233 3,8535
220 23,201 1,1903 0,08611 943,0 2803,4 1860,4 940,2 2603,6 1663,4 2,5162 6,2875 3,7713
225 25,504 1,1994 0,07841 966,2 2804,6 1838,4 963,1 2604,6 1641,5 2,5625 6,2518 3,6893
230 27,979 1,2090 0,07150 989,6 2805,4 1815,8 986,2 2605,4 1619,2 2,6086 6,2162 3,6076
235 30,635 1,2190 0,06528 1013,2 2805,5 1792,4 1009,5 2605,5 1596,0 2,6545 6,1807 3,5262
240 33,480 1,2293 0,05967 1036,9 2805,1 1768,2 1032,8 2605,3 1572,5 2,7004 6,1452 3,4448
245 36,524 1,2402 0,05460 1060,1 2804,1 1743,3 1056,4 2604,7 1548,3 2,7461 6,1096 3,3635
250 39,78 1,2515 0,05002 1085,1 2802,5 1717,4 1080,1 2603,5 1523,4 2,7918 6,0738 3,2820
255 43,24 1,2633 0,04586 1109,5 2800,3 1690,7 1104,0 2602,0 1498,0 2,8375 6,0380 3,2005
260 46,94 1,2757 0,04209 1134,3 2797,4 1663,1 1128,3 2599,8 1471,5 2,8832 6,0019 3,1187
265 50,87 1,2888 0,03865 1159,3 2793,8 1634,5 1152,8 2597,2 1444,4 2,9289 5,9656 3,0367
270 55,05 1,3025 0,03552 1184,5 2789,5 1604,9 1177,3 2594,0 1416,7 2,9747 5,9290 2,9543
275 59,49 1,3169 0,03266 1210,2 2784,5 1574,3 1202,4 2590,2 1387,8 3,0206 5,8921 2,8715
280 64,19 1,3322 0,03005 1236,1 2778,7 1542,5 1227,5 2585,8 1358,3 3,0666 5,8549 2,7883
285 69,17 1,3483 0,02766 1262,5 2772,2 1509,6 1253,2 2580,9 1327,7 3,1128 5,8174 2,7046
290 74,45 1,3665 0,02546 1289,3 2764,9 1475,6 1279,1 2575,4 1296,3 3,1593 5,7794 2,6201
295 80,03 1,3837 0,02345 1316,5 2756,9 1440,2 1305,4 2569,2 1263,8 3,2061 5,7410 2,5349
300 85,92 1,4033 0,02160 1344,2 2748,0 1403,6 1332,1 2562,4 1230,3 3,2532 5,7022 2,4490
305 92,14 1,424 0,01989 1372,5 2738,3 1365,5 1359,4 2555,1 1195,7 3,3008 5,6620 2,3621
310 98,70 1,447 0,01832 1401,3 2727,7 1326,0 1387,0 2546,9 1159,9 3,3489 5,6232 2,2743
315 105,61 1,471 0,01687 1430,9 2716,8 1285,8 1415,4 2538,6 1123,2 3,3977 5,5837 2,1860
320 112,90 1,498 0,01549 1461,3 2702,4 1241,3 1444,4 2527,5 1083,1 3,4473 5,5401 2,0928
325 120,57 1,527 0,01420 1492,5 2685,7 1193,1 1474,1 2514,5 1040,4 3,4978 5,4924 1,9946
330 128,65 1,560 0,01298 1524,8 2666,4 1141,5 1504,7 2499,4 994,7 3,5495 5,4422 1,8927
335 137,14 1,597 0,01184 1558,4 2644,3 1086,0 1536,5 2481,9 945,4 3,6026 5,3884 1,7858
340 146,08 1,638 0,01077 1593,5 2620,2 1026,7 1569,6 2462,9 893,3 3,6577 5,3321 1,6744
345 155,48 1,687 0,009765 1630,5 2593,4 963,0 1604,3 2441,6 837,3 3,7154 5,2733 1,5579
350 165,37 1,746 0,008803 1670,3 2562,3 892,2 1641,4 2416,7 775,3 3,7768 5,2087 1,4319
355 175,77 1,817 0,007878 1714,5 2527,4 812,8 1682,6 2388,8 706,2 3,8431 5,1371 1,2940
360 186,51 1,908 0,006967 1762,2 2483,1 720,9 1726,6 2353,0 626,4 3,9159 5,0545 1,1386
365 198,30 2,03 0,00604 1817,9 2425,9 608,0 1777,6 2306,1 528,5 4,0013 4,9541 0,9528
370 210,32 2,23 0,00499 1893,7 2339,9 446,2 1846,8 2234,9 388,1 4,1131 4,8069 0,6938
371 213,06 2,30 0,00474 1914,2 2316,1 401,9 1865,2 2214,2 349,0 4,1437 4,7675 0,6238
372 215,62 2,37 0,00447 1938,2 2287,1 349,0 1887,1 2190,7 303,7 4,1801 4,7211 0,5410
373 218,22 2,49 0,00415 1972,0 2252,3 280,4 1917,7 2161,7 244,0 4,2290 4,6625 0,434
374 220,86 2,79 0,00362 2043,2 2187,5 144,4 1981,6 2107,5 125,9 4,3250 4,5480 0,223
374,14 220,9 3,16 0,00318 2099,7 2099,7 0 2029,3 2029,3 0 4,4300 4,4300 0
Tabella A.7 – Densità dell’acqua in fase liquida ed aeriforme. 360

p [bar] 0,1 0,5 1 5 10 20 40 60 80 100 150 200 250 300


3
t [°C] ρ [kg/m ]
0,01 1000 1000 1000 1000 1000 1001 1002 1003 1004 1005 1007 1010 1012 1015
25 997,0 997,0 997,1 997,2 997,5 997,9 998,8 999,7 1001 1001 1004 1006 1008 1010
50 0,06725 988 988 988,2 988,4 988,9 989,7 990,6 991,4 992 994 997 999 1001
75 0,06236 975 975 975,0 975,3 975,5 976,6 977,1 978,3 979 981 984 986 988
100 0,05815 0,293 0,590 958,6 958,8 959,3 960,2 961,0 962,1 963 965 967 970 972
Lezioni di Fisica Tecnica

125 0,0545 0,274 0,550 939,2 939,5 940,0 941,0 942,0 943,0 944 946 949 951 954
150 0,0512 0,257 0,516 917,1 917,4 917,9 919,1 920,2 921,3 922 925 928 930 933
175 0,0484 0,243 0,487 2,504 892,4 893,1 894,3 895,6 896,9 898 901 904 907 910
200 0,0458 0,230 0,460 2,353 4,857 865,1 866,6 868,1 869,6 871 875 878 882 885
225 0,0435 0,218 0,437 2,223 4,555 9,640 835,2 837,0 838,8 841 845 849 853 857
250 0,0414 0,207 0,416 2,108 4,298 8,976 799,1 801,4 803,7 806 811 817 821 826
275 0,0395 0,198 0,396 2,006 4,075 8,432 18,33 759,3 762,4 765 773 779 785 791
300 0,0378 0,189 0,379 1,914 3,877 7,971 17,00 27,67 41,23 715 726 735 743 751
325 0,0362 0,181 0,363 1,830 3,700 7,571 15,94 25,41 36,53 50,4 665 680 692 703
350 0,0348 0,174 0,348 1,754 3,540 7,217 15,05 23,68 33,39 44,6 87,2 600 625 644
375 0,0334 0,167 0,335 1,685 3,395 6,900 14,29 22,28 31,04 40,8 72,0 130,5 504 558
400 0,0322 0,161 0,322 1,620 3,262 6,614 13,63 21,11 29,14 37,9 63,9 100,5 166,3 353,3
425 0,0310 0,155 0,311 1,561 3,140 6,354 13,04 20,09 27,56 35,6 58,4 87,2 126,8 188,3
450 0,0300 0,150 0,300 1,506 3,026 6,115 12,51 19,19 26,20 33,6 54,2 78,7 109,0 148,5
475 0,0290 0,145 0,290 1,455 2,922 5,896 12,02 18,39 25,01 32,0 50,9 72,5 97,9 128,3
500 0,0280 0,140 0,280 1,407 2,83 5,693 11,58 17,67 23,96 30,5 48,1 67,7 89,9 115,2
Tabella A.8 – Entalpia specifica dell’acqua in fase liquida ed aeriforme.

p [bar] 0,1 0,5 1 5 10 20 40 60 80 100 150 200 250 300


t [°C] h [kJ/kg]
0,01 0,0 0,0 0,1 0,5 1,0 2,0 4,0 6,1 8,1 10,1 15,1 20,1 25,0 29,9
25 104,8 104,8 104,8 105,2 105,7 106,6 108,4 110,3 112,1 114,0 118,6 123,1 127,7 132,2
50 2593 209,3 209,3 209,7 210,1 211,0 212,7 214,4 216,1 217,8 222,1 226,4 230,7 235,0
75 2640 313,9 314,0 314,3 314,7 315,5 317,1 318,7 320,3 322,0 326,0 330,0 334,0 338,1
100 2688 2683 2676 419,4 419,7 420,5 422,0 423,5 425,0 426,5 430,3 434,0 437,8 441,6
125 2735 2731 2726 525,2 525,5 526,2 527,6 529,0 530,4 531,8 535,3 538,8 542,3 545,8
150 2783 2780 2776 632,2 632,5 633,1 634,3 635,6 636,8 638,1 641,3 644,5 647,7 650,9
175 2831 2829 2826 2800 741,1 741,7 742,7 743,8 744,9 746,0 748,7 751,5 754,4 757,2
200 2880 2878 2875 2855 2827 852,6 853,4 854,2 855,1 855,9 858,1 860,4 862,8 865,2
225 2928 2927 2925 2909 2886 2834 967,2 967,7 968,2 968,8 970,3 971,8 973,5 975,3
250 2977 2976 2975 2961 2943 2902 1086 1086 1086 1086 1086 1087 1087 1088
275 3027 3026 3024 3013 2998 2965 2886 1211 1210 1209 1208 1207 1206 1206
300 3077 3076 3074 3065 3052 3025 2962 2885 2787 1343 1338 1334 1331 1329
325 3127 3126 3125 3116 3106 3083 3031 2970 2899 2811 1486 1475 1467 1461
350 3177 3177 3176 3168 3159 3139 3095 3046 2990 2926 2695 1647 1625 1610
375 3228 3228 3227 3220 3211 3194 3156 3115 3069 3019 2862 2604 1849 1791
400 3280 3279 3278 3272 3264 3249 3216 3180 3142 3100 2979 2820 2582 2162
425 3331 3331 3330 3325 3317 3303 3274 3243 3209 3174 3075 2957 2810 2619
450 3384 3383 3382 3377 3371 3358 3331 3303 3274 3244 3160 3064 2954 2826
475 3436 3436 3435 3430 3424 3412 3388 3363 3337 3310 3237 3157 3068 2969
500 3489 3489 3488 3484 3478 3467 3445 3422 3399 3375 3311 3241 3166 3085
Appendice 361
Tabella A.9 – Energia interna specifica dell’acqua in fase liquida ed aeriforme. 362

p [bar] 0,1 0,5 1 5 10 20 40 60 80 100 150 200 250 300


t [°C] u [kJ/kg]
0,01 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1 0,1 0,2 0,2 0,3 0,4 0,4
25 104,7 104,7 104,7 104,7 104,7 104,6 104,4 104,3 104,1 104,0 103,6 103,2 102,9 102,5
50 2444 209,2 209,2 209,2 209,1 209,0 208,6 208,3 208,1 207,8 207,0 206,3 205,7 205,0
75 2480 313,9 313,9 313,8 313,7 313,5 313,0 312,6 312,2 311,7 310,7 309,7 308,7 307,7
100 2516 2512 2507 418,8 418,7 418,4 417,8 417,3 416,7 416,1 414,7 413,4 412,1 410,8
Lezioni di Fisica Tecnica

125 2552 2549 2545 524,6 524,5 524,1 523,3 522,6 521,9 521,2 519,4 517,7 516,0 514,3
150 2588 2586 2583 631,6 631,4 630,9 630,0 629,1 628,2 627,3 625,0 622,9 620,8 618,7
175 2625 2623 2620 2601 740,0 739,4 738,2 737,1 736,0 734,8 732,1 729,4 726,8 724,3
200 2661 2660 2658 2643 2621 850,2 848,8 847,3 845,9 844,4 841,0 837,7 834,4 831,3
225 2699 2697 2696 2684 2667 2627 962,4 960,6 958,7 956,9 952,5 948,3 944,2 940,3
250 2736 2735 2734 2724 2710 2679 1081 1078 1076 1073 1068 1062 1057 1052
275 2774 2773 2772 2764 2753 2728 2668 1003 1200 1196 1188 1181 1174 1168
300 2812 2811 2811 2803 2794 2774 2727 2668 2593 1329 1318 1307 1297 1289
325 2851 2850 2849 2843 2835 2818 2780 2734 2680 2612 1463 1446 1431 1418
350 2890 2889 2889 2883 2876 2862 2829 2792 2750 2702 2523 1614 1585 1563
375 2929 2929 2928 2923 2917 2904 2876 2846 2811 2773 2653 2450 1799 1737
400 2969 2969 2968 2964 2958 2946 2922 2896 2867 2836 2744 2622 2432 2077
425 3009 3009 3008 3004 2999 2989 2967 2944 2919 2893 2818 2728 2613 2460
450 3050 3049 3049 3045 3041 3031 3011 2991 2969 2946 2883 2810 2725 2623
475 3091 3091 3090 3087 3082 3073 3056 3037 3018 2997 2943 2881 2813 2735
500 3132 3132 3132 3128 3124 3116 3100 3083 3065 3047 2999 2946 2888 2825
Tabella A.10 – Entropia specifica dell’acqua in fase liquida ed aeriforme.

p [bar] 0,1 0,5 1 5 10 20 40 60 80 100 150 200 250 300


t [°C] s [kJ/Kkg]
0,01 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,001 0,001 0,001 0,000
25 0,367 0,367 0,367 0,367 0,367 0,367 0,366 0,366 0,365 0,365 0,363 0,362 0,360 0,359
50 8,176 0,703 0,703 0,703 0,703 0,703 0,702 0,701 0,700 0,699 0,697 0,694 0,692 0,690
75 8,317 1,015 1,015 1,015 1,015 1,014 1,013 1,012 1,010 1,009 1,006 1,003 1,000 0,997
100 8,449 7,695 7,362 1,307 1,306 1,305 1,304 1,302 1,301 1,299 1,295 1,292 1,288 1,284
125 8,572 7,822 7,492 1,581 1,581 1,580 1,578 1,576 1,574 1,572 1,568 1,563 1,559 1,555
150 8,689 7,941 7,614 1,842 1,841 1,840 1,838 1,836 1,833 1,831 1,826 1,821 1,816 1,811
175 8,799 8,053 7,728 6,940 2,091 2,089 2,087 2,084 2,081 2,079 2,073 2,066 2,061 2,055
200 8,905 8,159 7,835 7,059 6,692 2,330 2,327 2,324 2,321 2,318 2,310 2,303 2,296 2,289
225 9,005 8,260 7,937 7,169 6,815 6,412 2,561 2,557 2,554 2,550 2,541 2,532 2,524 2,516
250 9,101 8,356 8,034 7,272 6,926 6,545 2,793 2,789 2,784 2,779 2,768 2,757 2,747 2,737
275 9,193 8,449 8,127 7,369 7,029 6,663 6,229 3,022 3,016 3,010 2,995 2,981 2,968 2,956
300 9,282 8,538 8,217 7,461 7,125 6,770 6,364 6,069 5,794 3,249 3,228 3,209 3,192 3,176
325 9,368 8,624 8,303 7,550 7,216 6,868 6,482 6,215 5,986 5,761 3,480 3,450 3,424 3,402
350 9,450 8,707 8,386 7,634 7,303 6,960 6,587 6,339 6,135 5,949 5,447 3,731 3,683 3,646
375 9,531 8,787 8,466 7,716 7,386 7,047 6,683 6,448 6,260 6,095 5,710 5,230 4,034 3,930
400 9,608 8,865 8,554 7,795 7,467 7,130 6,773 6,546 6,369 6,218 5,888 5,559 5,145 4,490
425 9,684 8,940 8,620 7,871 7,544 7,209 6,858 6,637 6,468 6,326 6,028 5,758 5,478 5,158
450 9,757 9,014 8,693 7,945 7,619 7,286 6,939 6,723 6,560 6,424 6,147 5,909 5,682 5,449
475 9,829 9,085 8,765 8,018 7,692 7,360 7,016 6,804 6,645 6,515 6,252 6,035 5,837 5,645
500 9,898 9,155 8,835 8,088 7,763 7,432 7,091 6,882 6,726 6,600 6,349 6,146 5,965 5,797
Appendice 363
364 Lezioni di Fisica Tecnica

Figura A.1 – Diagramma di Mollier per l’acqua

676 879 876 :79 :76 ;79 ;76 <79


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Appendice 365

Tabella A.11 – Proprietà termodinamiche dell’R134a in condizioni di vapore saturo.


Temp. Pressione Volume speciÞco Entalpia speciÞca Entropia speciÞca
t p vl · 103 vvs hl hvs hvs – hl sl svs svs – sl
[°C] [bar] [m3/kg] [m3/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/kg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg] [kJ/Kkg]
–50 0,299 0,692 0,596 138,42 366,54 228,12 0,7524 1,7747 1,0223
–47 0,354 0,696 0,508 141,84 368,44 226,60 0,7676 1,7696 1,0020
–44 0,418 0,700 0,435 145,30 370,33 225,03 0,7828 1,7648 0,9820
–41 0,490 0,704 0,375 148,80 372,23 223,43 0,7979 1,7604 0,9625
–38 0,572 0,708 0,324 152,33 374,11 221,78 0,8130 1,7562 0,9432
–35 0,665 0,713 0,281 155,89 375,99 220,10 0,8281 1,7523 0,9242
–32 0,770 0,717 0,245 159,49 377,87 218,38 0,8430 1,7486 0,9056
–29 0,888 0,722 0,214 163,12 379,73 216,61 0,8580 1,7452 0,8872
–26 1,020 0,727 0,188 166,79 381,59 214,80 0,8729 1,7420 0,8691
–23 1,167 0,731 0,166 170,49 383,44 212,95 0,8877 1,7390 0,8513
–20 1,330 0,736 0,146 174,23 385,28 211,05 0,9025 1,7362 0,8337
–17 1,511 0,741 0,130 178,00 387,11 209,11 0,9173 1,7336 0,8163
–14 1,710 0,746 0,115 181,80 388,92 207,12 0,9320 1,7312 0,7992
–11 1,929 0,752 0,103 185,64 390,73 205,09 0,9466 1,7290 0,7824
–8 2,170 0,757 0,0919 189,51 392,51 203,00 0,9612 1,7269 0,7657
–5 2,434 0,763 0,0823 193,41 394,29 200,88 0,9758 1,7249 0,7491
–2 2,722 0,768 0,0739 197,28 396,05 198,77 0,9901 1,7231 0,7330
1 3,036 0,774 0,0665 201,35 397,78 196,43 1,0049 1,7214 0,7165
4 3,376 0,780 0,0600 205,33 399,51 194,18 1,0192 1,7199 0,7007
7 3,746 0,786 0,0543 209,35 401,21 191,86 1,0336 1,7184 0,6848
10 4,145 0,793 0,0491 213,43 402,89 189,46 1,0479 1,7171 0,6692
13 4,577 0,799 0,0446 217,56 404,55 186,99 1,0623 1,7158 0,6535
16 5,042 0,806 0,0405 221,66 406,19 184,53 1,0765 1,7146 0,6381
19 5,541 0,813 0,0369 225,82 407,81 181,99 1,0906 1,7135 0,6229
22 6,078 0,821 0,0337 230,02 409,39 179,37 1,1048 1,7125 0,6077
25 6,653 0,828 0,0307 234,27 410,95 176,68 1,1190 1,7115 0,5925
28 7,268 0,836 0,0281 238,57 412,48 173,91 1,1331 1,7106 0,5775
31 7,924 0,845 0,0257 242,91 413,97 171,06 1,1473 1,7097 0,5624
34 8,625 0,853 0,0236 247,27 415,43 168,16 1,1614 1,7088 0,5474
37 9,371 0,862 0,0216 251,71 416,84 165,13 1,1755 1,7080 0,5325
40 10,164 0,872 0,0199 256,15 418,22 162,07 1,1896 1,7071 0,5175
43 11,007 0,881 0,0182 260,68 419,55 158,87 1,2037 1,7062 0,5025
46 11,901 0,892 0,0168 265,24 420,83 155,59 1,2178 1,7053 0,4875
49 12,848 0,903 0,0154 269,85 422,06 152,21 1,2320 1,7044 0,4724
52 13,851 0,914 0,0142 274,54 423,23 148,69 1,2461 1,7034 0,4573
55 14,912 0,927 0,0131 279,30 424,32 145,02 1,2604 1,7023 0,4419
58 16,032 0,940 0,0121 284,13 425,33 141,20 1,2748 1,7012 0,4264
61 17,215 0,954 0,0111 289,03 426,27 137,24 1,2892 1,6998 0,4106
64 18,462 0,969 0,0102 294,01 427,11 133,10 1,3036 1,6984 0,3948
67 19,777 0,985 0,00940 299,12 427,82 128,70 1,3183 1,6967 0,3784
70 21,162 1,00 0,00864 304,32 428,41 124,09 1,3332 1,6948 0,36
73 22,620 1,02 0,00794 309,60 428,88 119,28 1,3480 1,6926 0,34
76 24,154 1,04 0,00727 315,11 429,11 114,00 1,3634 1,6900 0,33
79 25,768 1,07 0,00665 320,72 429,17 108,45 1,3790 1,6869 0,31
82 27,465 1,10 0,00606 326,59 428,93 102,34 1,3950 1,6832 0,29
85 29,250 1,13 0,00551 332,67 428,39 95,72 1,4115 1,6788 0,27
88 31,128 1,17 0,00497 339,16 427,32 88,16 1,4290 1,6731 0,24
91 33,105 1,21 0,00445 346,03 425,68 79,65 1,4473 1,6660 0,22
94 35,190 1,27 0,00393 353,58 423,07 69,49 1,4672 1,6565 0,19
Figura A.2 – Piano termodinamico p,h per l’R134a. 366
Lezioni di Fisica Tecnica
Figura A.3 – Abaco di Moody.
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97999?

9799996
979? 9799999? 979?
97999996
979999?

?9B ?9A ?96 ?98 ?9: ?9; ?9<


I+
Appendice 367
368 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.12 – Valori di scabrezza di alcuni materiali per la valutazione del coefficien-
te di attrito.
Materiale, ε
Stato della superÞcie
processo di lavorazione (mm)
Vetro nuova 0
Rame, bronzo, alluminio nuova, liscia 0 ÷ 0,0015
Plastica nuova, liscia 0 ÷ 0,0015
Acciaio nuova, liscia 0,01 ÷ 0,05
saldato nuova 0,05 ÷ 0,10
saldato leggermente incrostata 0,15 ÷ 0,20
saldato molto incrostata 0,20 ÷ 0,30
chiodato nuova 10
chiodato incrostata 10 ÷ 50
galvanizzato nuova 0,12 ÷ 0,15
fucinato nuova 0,05
Ghisa bitumata 0 ÷ 0,12
nuova greggia 0,25
arrugginita 1 ÷ 1,5
molto arrugginita 2 ÷ 2,25
incrostata 2,5 ÷ 3,0
Legno nuova, liscia 0,2 ÷ 1,0
scabra 1,5 ÷ 2,0
Cemento nuova, liscia 0
scabra 0,10
armato nuova, liscia 0 ÷ 0,15
armato, centrif. nuova, liscia 0,15
armato, centrif. non lisciata 0,20 ÷ 0,80
armato, centrif. vecchia, lisciata 0,20 ÷ 0,30
Appendice 369

Tabella A.13 – Valori di ξ, equazione (9.14), per alcuni casi. Nei casi di allargamento
e di restringimento, nella (9.14) la velocità w è quella relativa alla
sezione minore.
Geometria Variabile indipendente ξ
r/D = 1,0 0,28
= 2,0 0,15
= 4,0 0,13
= 6,0 0,12
D2/D1= 1,1 0,030
= 1,3 0,17
= 1,5 0,31
= 2,0 0,56
= 4,0 0,88
= 6,0 0,95

D2/D1= ∞ 1,00

D2/D1= ∞ 1,00

D2/D1= 0,90 0,031


= 0,80 0,13
= 0,70 0,22
= 0,50 0,33
= 0,30 0,42
= 0,10 0,48

D2/D1= 0 0,78

D2/D1= 0 0,50

D2/D1= 0 0,23
370 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.14 – Emissività, ε, di alcune superfici.

ε [adim]
Materiale
a 300 K a 500 K

metalli

Acciaio lucidato 0,07 0,10

ossidato 0,75 0,80

Alluminio lucidato 0,040 0,039

ossidato 0,11 0,16

Argento lucidato 0,02 0,02

Cromo lucidato 0,08 0,17

Ferro ruggine 0,70 ----

Rame lucidato 0,02 0,02

ossidato 0,56 0,61

Tungsteno ossidato 0,35 0,35

non-metalli

Argilla 0,91

Carta 0,80

Intonaco di gesso 0,92

Legno di quercia 0,90

Marmo bianco 0,93

grigio 0,93

Mattone rosso 0,93

Pittura alluminio 0,50

olio 0,88

nerofumo 0,96
Appendice 371

Tabella A.15 – Fattori di vista per alcuni casi.

SuperÞci Fattore di vista F1-2

1 Piani paralleli inde-


1
Þniti

2 Corpo 1 circondato
completamente da un
altro corpo, 2. Il cor-
po 1 è delimitato da 1
una superÞcie senza
concavità

3 Elemento di superÞ-
cie dA1 e superÞcie
rettangolare A2 al di
sopra di esso e ad
esso parallelo, con
la normale a dA1 che
passa per un angolo
del rettangolo

4 Elemento dA1 e disco


parallelo A2, di raggio a2
a ed a distanza L, con
il centro sulla norma- a2 + L2
le a dA1

5 Due quadrati, due


rettangoli o due di-
schi uguali e paralleli
di larghezza o diame-
tro D, a distanza L

(segue)
372 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.15 – Fattori di vista per alcuni casi (seguito)

SuperÞci Fattore di vista F1-2

6 Due dischi paralle-


li, 1 e 2, di diametri
rispettivamente a e
b a distanza L con
1 ⎡ 2
2a2 ⎣⎢
L + a2 + b2 − (L
2
)
+ a2 + b2 − 4 a2 b2 ⎤⎥

le normali nei centri
coincidenti

7 Due rettangoli in piani


perpendicolari e con
un lato in comune
Appendice 373

Tabella A.16 – Relazioni per il calcolo del coefficiente di convezione forzata, hc, per
quattro geometrie. I valori di Nusselt riportati in terza colonna sono
medi sulla superficie.

Condizioni cui
calcolare le
Geometria Campi di validità Relazioni L
proprietà del
ßuido

Condotti attraver- 0,7 < Pr ts + t∞


sati internamente 6000 < Re Nu =0,023Re0,80Pr0,33 Di
2
dal ßuido

Cilindro investito GAS


normalmente dal 0,4 < Re < 4 Nu=0,891Re0,330
ßuido
4 < Re < 40 Nu=0,821Re0,385
40 < Re < 4000 Nu=0,615Re0,466 De w = w∞
4000 < Re < 40000 Nu=0,174Re0,618 k,ρ, μ a
40000 < Re < 400000 Nu=0,0239Re0,805 ts + t∞
2
LIQUIDI
0,4 < Re < 4 Nu=0,980Re0,330Pr0,31 w = w∞
4 < Re < 40 Nu=0,903Re0,385Pr0,31 k,ρ, μ, cp a
40 < Re < 4000 Nu=0,676Re0,466Pr0,31 De ts + t∞
4000 < Re < 40000 Nu=0,191Re0,618Pr0,31 2
40000 < Re < 400000 Nu=0,0263Re0,805Pr0,31

Sfera lambita GAS w = w∞


esternamente dal 25<Re<100000 Nu=0,37Re0,6 De ρ a T∞
ßuido
ts + t∞
μ e kf a
2

Lastra piana lam-


bita parallelamen-
te di lunghezza L 0,6 ≤Pr≤∞ Nu= 0,664(Pr)0,33(Re)0,50 L T∞
nella direzione del
ßusso
374 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.17 - Proprietà fisiche dell’aria ad 1 bar per il calcolo dei coefficienti di
convezione.
g ‚Ú2
T Ú cp Ì⋅105 Ó⋅104 k Pr ‚⋅103
Ì2
(°C) (kg/m3) (kJ/kgK) (Ns/m2) (m2/s) (W/mK) (–) (1/K) (1/m3K)

–20 1,380 1,00 1,641 0,119 0,0229 0,73 3,95 2,76E+08


–10 1,338 1,00 1,686 0,127 0,0235 0,73 3,80 2,38E+08
0 1,296 1,00 1,732 0,135 0,0242 0,72 3,65 2,00E+08
25 1,191 1,00 1,849 0,157 0,0259 0,72 3,37 1,42E+08
50 1,098 1,00 1,960 0,180 0,0275 0,72 3,12 9,93E+07
75 1,018 1,00 2,065 0,204 0,0290 0,72 2,90 7,30E+07
100 0,944 1,00 2,172 0,230 0,0304 0,72 2,70 5,08E+07
125 0,887 1,01 2,284 0,258 0,0319 0,71 2,53 3,93E+07
150 0,830 1,02 2,396 0,286 0,0334 0,71 2,37 2,80E+07
175 0,784 1,02 2,495 0,318 0,0350 0,70 2,24 2,24E+07
200 0,694 1,03 2,690 0,380 0,0381 0,680 1,97 1,15E+07
250 0,673 1,03 2,777 0,412 0,0394 0,684 1,91 1,19E+07
300 0,615 1,04 2,930 0,482 0,0424 0,684 1,74 7,94E+06
350 0,565 1,06 3,10 0,554 0,0452 0,688 1,60 5,34E+06
400 0,523 1,07 3,26 0,627 0,0480 0,694 1,49 3,80E+06
450 0,487 1,07 3,41 0,705 0,0507 0,700 1,38 2,80E+06
500 0,455 1,09 3,56 0,790 0,0534 0,708 1,29 2,10E+06
600 0,409 1,11 3,85 0,970 0,0584 0,719 1,16 1,42E+06
700 0,369 1,13 4,13 1,16 0,0634 0,728 1,05 9,82E+05
800 0,329 1,16 4,41 1,34 0,0684 0,738 0,938 5,45E+05
900 0,303 1,17 4,67 1,56 0,0729 0,743 0,863 3,86E+05
1000 0,280 1,19 4,91 1,78 0,0773 0,748 0,795 2,80E+05
1100 0,257 1,20 5,15 2,01 0,082 0,753 0,729 1,79E+05
1200 0,241 1,21 5,27 2,22 0,084 0,757 0,685 1,46E+05
1300 0,224 1,21 5,40 2,44 0,087 0,760 0,640 1,13E+05
1400 0,210 1,22 5,52 2,66 0,089 0,763 0,600 8,59E+04
1500 0,199 1,23 5,61 2,86 0,090 0,764 0,568 7,23E+04
1600 0,188 1,24 5,70 3,05 0,091 0,765 0,536 5,87E+04
Appendice 375

Tabella A.18 - Proprietà fisiche del vapor d’acqua a 1 bar per il calcolo dei coefficienti
di convezione.
g ‚Ú2
T Ú cp Ì⋅105 Ó⋅104 k Pr ‚⋅103
Ì2
(°C) (kg/m3) (kJ/kgK) (Ns/m2) (m2/s) (W/mK) (–) (1/K) (1/m3K)

100 0,595 1,89 1,290 0,218 0,025 0,96 2,68 5,57E+07


125 0,559 1,90 1,391 0,251 0,027 0,95 2,53 4,22E+07
150 0,524 1,91 1,491 0,284 0,029 0,95 2,37 2,90E+07
175 0,495 1,92 1,579 0,322 0,032 0,95 2,24 2,27E+07
200 0,466 1,93 1,666 0,361 0,034 0,94 2,11 1,65E+07
250 0,422 1,96 1,844 0,440 0,039 0,94 1,91 1,00E+07
300 0,384 1,99 2,049 0,535 0,043 0,94 1,73 6,25E+06
350 0,353 2,02 2,240 0,634 0,048 0,93 1,60 4,04E+06
400 0,327 2,05 2,427 0,737 0,053 0,92 1,49 2,72E+06
450 0,304 2,08 2,599 0,846 0,058 0,92 1,38 1,88E+06
500 0,284 2,1 2,748 0,959 0,063 0,91 1,29 1,37E+06
600 0,253 2,2 3,039 1,21 0,074 0,89 1,15 8,15E+05
700 0,228 2,2 3,34 1,49 0,085 0,88 1,034 4,83E+05
800 0,207 2,3 3,64 1,79 0,097 0,87 0,937 3,10E+05
900 0,189 2,4 3,94 2,13 0,108 0,87 0,859 2,14E+05
1000 0,173 2,4 4,23 2,47 0,119 0,87 0,785 1,29E+05
1100 0,16 2,5 4,52 2,85 0,132 0,86 0,728 8,97E+04
1200 0,15 2,6 4,82 3,27 0,144 0,86 0,683 7,07E+04
1300 0,14 2,6 5,12 3,70 0,157 0,86 0,639 5,17E+04
1400 0,13 2,7 5,39 4,14 0,169 0,86 0,598 3,62E+04
1500 0,12 2,8 5,65 4,70 0,183 0,86 0,562 2,81E+04
1600 0,11 2,8 5,91 5,25 0,196 0,86 0,526 2,00E+04
376 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.19 - Proprietà fisiche dell’acqua in condizioni di liquido saturo per il calcolo
dei coefficienti di convezione.
g ‚Ú2
T Ú cp Ì⋅105 Ó⋅106 k Pr ‚⋅103
Ì2
(°C) (kg/m3) (kJ/kgK) (Ns/m2) (m2/s) (W/mK) (–) (1/K) (1/m3K)

5 1000 4,19 151 1,51 0,564 11,3 0,045 2,02E+08


15 998 4,18 116 1,16 0,585 8,28 0,142 1,09E+09
20 997 4,18 101 1,01 0,597 7,06 0,203 2,00E+09
25 996 4,18 89,9 0,904 0,607 6,20 0,252 3,13E+09
30 994 4,17 80,2 0,805 0,617 5,43 0,302 4,68E+09
35 993 4,18 72,2 0,726 0,625 4,83 0,342 6,45E+09
40 991 4,18 66,3 0,669 0,631 4,39 0,374 8,96E+09
45 989 4,18 61,9 0,625 0,638 4,08 0,409 1,26E+10
50 986 4,18 57,5 0,582 0,644 3,76 0,444 1,63E+10
60 982 4,19 48,7 0,495 0,656 3,12 0,515 2,36E+10
70 976 4,19 41,5 0,424 0,665 2,61 0,581 3,44E+10
80 970 4,19 36,7 0,377 0,670 2,29 0,642 5,03E+10
90 964 4,19 31,9 0,330 0,675 1,98 0,702 6,62E+10
100 957 4,20 28,7 0,300 0,678 1,77 0,756 8,83E+10
125 938 4,24 22,7 0,243 0,685 1,41 0,896 1,56E+11
150 916 4,31 18,6 0,203 0,682 1,17 1,09 2,55E+11
175 892 4,39 15,8 0,177 0,676 1,03 1,23 3,89E+11
200 862 4,50 13,8 0,161 0,661 0,94 1,41 5,45E+11
225 834 4,65 12,2 0,148 0,640 0,89 1,58 7,20E+11
250 799 4,88 11,0 0,138 0,615 0,87 1,74 8,99E+11
275 758 5,25 10,0 0,131 0,582 0,90 1,90 1,04E+12
300 711 5,84 9,1 0,128 0,538 1,00 2,06 1,19E+12
Appendice 377

Tabella A.20 – Relazioni per il calcolo del coefficiente di convezione naturale, hc, per
sei geometrie. I valori di Nusselt riportati in terza colonna sono medi
sulla superficie. La temperatura alla quale calcolare le proprietà del
fluido è la media aritmetica tra ts e t∞.

Geometria Campi di validità Relazioni L

Dischi di diametro De e
105 < GrPr < 2⋅107 Nu = 0,54(GrPr)0,25 L
piastre quadrate di lato
o
L orizzontali (per ßusso
2⋅107 < GrPr < 3⋅1010 Nu = 0,14(GrPr)0,33 0,9De
termico verso l’alto)

Cilindri orizzontali 103 < GrPr < 109 Nu = 0,53(GrPr)0,25 De

Piastre e cilindri verticali 10 < GrPr < 109 Nu = 0,555(GrPr)0,25


H
di altezza H GrPr > 109 Nu = 0,13(GrPr)0,33

Piastre orizzontali lam-


bite dall’aria sulla faccia
inferiore con t > t∞ oppure 106 < GrPr < 1011 Nu = 0,58(GrPr)0,20 A/P*
sulla faccia superiore con
t < t∞

Piastre orizzontali lam-


bite dall’aria sulla faccia
superiore, con t > t∞ op- GrPr < 108 Nu = 0,14(GrPr)0,33 A/P*
pure sulla faccia inferiore
con t < t∞

Sfere GrPr < 103 Nu = 1


De/2
GrPr > 103 Nu = 0,53(GrPr)0,25

* A = area; P = perimetro.
378 Lezioni di Fisica Tecnica

Tabella A.21 – Relazioni per il calcolo del coefficiente di convezione naturale, hc, per
alcune cavità. La lunghezza caratteristica è in ogni caso lo spessore
della cavità, δ. La temperatura alla quale calcolare le proprietà del
fluido è la media aritmetica tra t1 e t2.
Geometria Campi di validità Relazioni
Cavità rettangolare ver- GAS
ticale (o cavità cilindrica GrPr < 2000 Nu = 1
verticale) di altezza H
11 < H/δ < 42
0,5 < Pr < 2 Nu = 0,197(GrPr)0,25(H/δ)−0,11
2⋅103 < GrPr < 2⋅105
11 < H/δ < 42
0,5 < Pr < 2 Nu = 0,073(GrPr)0,33(H/δ)−0,11
2⋅105 < GrPr < 107
LIQUIDI
10 < H/δ < 40
Pr < 2000 Nu = 0,042Pr0,012(GrPr)0,25(H/δ)−0,3
104 < GrPr < 107
1 < H/δ < 40
1 < Pr < 20 Nu = 0,046(GrPr)0,33
106 < GrPr < 109
Cavità rettangolare oriz- GAS
zontale (superÞcie calda Nu = 1
in alto) LIQUIDI
Cavità rettangolare oriz- GAS
zontale (superÞcie calda GrPr < 1700 Nu = 1
in basso)
0,5 < Pr < 2 Nu = 0,059(GrPr)0,40
1,7⋅103 < GrPr < 7⋅103
0,5 < Pr < 2 Nu = 0,212(GrPr)0,25
7⋅103 < GrPr < 3,2⋅105
0,5 < Pr < 2 Nu = 0,061(GrPr)0,33
GrPr > 3,2⋅105
LIQUIDO
1 < Pr < 5000 Nu = 0,012(GrPr)0,6
1,7⋅103 < GrPr < 6⋅103
1 < Pr < 5000 Nu = 0,375(GrPr)0,2
6⋅103 < GrPr < 3,7⋅104
1 < Pr < 20 Nu = 0,13(GrPr)0,3
3,7⋅104 < GrPr < 108
1 < Pr < 20 Nu = 0,057(GrPr)033
GrPr < 108
Cilindri orizzontali coas- 1 < Pr < 5000 Nu = 0,11(GrPr)0,29
siali (gas o liquido) 6,3⋅103 < GrPr < 106
1 < Pr < 5000 Nu = 0,40(GrPr)0,20
106 < GrPr < 108
Sfere concentriche (gas 0,7 < Pr < 4000
o liquido) Nu = 0,228(GrPr)0,226
102 < GrPr < 109
Figura A.4 - Diagramma psicrometrico per pressione di 1,013 bar. Appendice 379
Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZI

Liguori Editore
Esercizi 3

Capitolo 1 - Esercizi

ESERCIZIO 1.1 – Effettuare le seguenti addizioni e sottrazioni:


230,5 + 1,57 ⋅ 103; 0,0053 + 1,24 ⋅ 10–3; 0,0053 + 1,26 ⋅ 10–3; 560,85 + 781,4;
1,273 ⋅ 10–2 + 9,28 ⋅ 10–5; 7,50 + 8,50; 230,5 – 1,57 ⋅ 103; 0,98 – 3,857 ⋅ 10–6;
1280 – 727,6; 3,75 ⋅ 106 – 7,374 ⋅ 104; 0,00587 – 1,52⋅10–3

230,5 + 1,57 ⋅ 103 = 1,80 ⋅ 103 230,5 – 1,57 ⋅ 103 = –1,34 ⋅ 103
0,0053 + 1,24 ⋅ 10–3 = 0,0065 0,98 – 3,857 ⋅ 10–6 = 0,98
0,0053 + 1,26 ⋅ 10–3 = 0,0066 1280 – 727,6 = 552
560,85 + 781,4 = 1342,2 3,75 ⋅ 106 – 7,374 ⋅ 104 = 3,68 ⋅ 106
1,273 ⋅ 10–2 + 9,28 ⋅ 10–5 = 1,282 ⋅ 10–2 0,00587 – 1,52 ⋅ 10–3 = 0,00435
7,50 + 8,50 = 16,00

ESERCIZIO 1.2 – Effettuare le seguenti moltiplicazioni e divisioni:


2237,6 × 0,00568; 5,23 ⋅ 10–5 × 2,7 ⋅ 10–3; 2,557 × 0,000251; 39,557 × 4,7 ⋅ 103;
4,551 × 70⋅000; 3,217/0,21; 1,000 ⋅ 103/4,230; 1,00 ⋅ 103/4,230; 1,0 ⋅ 103/4,230;
0,00550/5,04 ⋅ 10–3

2237,6 ⋅ 0,00568 = 12,7 3,127 / 0,21 = 15


5,23 ⋅ 10–5 ⋅ 2,7 ⋅ 10–3 = 1,4 ⋅ 10–7 1,000 ⋅ 103 / 4,230 = 236,4
2,557 ⋅ 0,000251 = 6,42 ⋅ 10–4 1,00 ⋅ 103 / 4,230 = 236
39,557 ⋅ 4,7 ⋅ 103 = 1,9 ⋅ 105 1,0 ⋅ 103 / 4,230 = 2,4 ⋅ 102
4,551 ⋅ 70ú000 = 3,186 ⋅ 105 0,00550 / 5,04 ⋅ 103 = 1,09 ⋅ 10–6

ESERCIZIO 1.3 – Calcolare i logaritmi naturali dei seguenti numeri:


10; 100; 1000; 10000; 0,100; 0,0100; 0,00100; 357,21; 2,54 ⋅ 106; 2,56 ⋅ 10–6

ln 10 = 2,3 ln 0,0100 = –4,61


ln 100 = 4,61 ln 0,00100 = –6,91
ln 1000 = 6,908 ln 357,21 = 5,8783
ln 10000 = 9,2103 ln 2,54 ⋅ 106 = 14,7
ln 0,100 = –2,30 ln 2,54 ⋅ 10–6 = –12,9

ESERCIZIO 1.4 – Effettuare le seguenti conversioni:


2,57 m2 in cm2; 0,965 ⋅ 104 dm2 in m2; 13,5 kg/cm3 in kg/m3; 1,28 cm3/g in m3/kg;
4 Lezioni di Fisica Tecnica

3,5 km/h in m/s; 2,38 ⋅ 102 kg/h in kg/s; 3,00 kWh in kcal; 2,8 kJ in kWh;
7,6 kcal/hmK in W/mK; 2,21 ⋅ 102 W/mK in kcal/hmK; 2,200 ⋅ 103 cal/kgK
in kJ/kgK; 0,854 m3 in cm3; 135 l in m3; 3,70 atm in Pa; 3,500 bar in atm;
3,25 ⋅ 108 cm3/h in m3/s; 1280 l/s in m3/h; 7530 kcal/h in kW; 230 CV in kW;
30,0 kcal/hm2K in W/m2K; 2,50 ⋅ 103 W/m2K in kcal/hm2K; 50 kcal/kgK
in kJ/kgK

2,57 m2 = 2,57 ⋅ 104 cm2 0,854 m3 = 8,54 ⋅ 105 cm3


0,965 ⋅ 104 dm2 = 96,5 m2 135 1 = 0,135 m3
13,5 kg/cm3 = 13,5 ⋅ 106 kg/m3 3,70 atm = 3,75 ⋅ 105 Pa
1,28 cm3/g = 1,28 ⋅ 10–3 m3/kg 3,500 bar = 3,453 atm
3,5 km/h = 0,97 m/s 3,25 ⋅ 108 cm3/h = 9,03 ⋅ 10–2 m3/s
2,38 ⋅ 102 kg/h = 6,61 ⋅ 10–2 kg/s 1280 l/s = 4608 m3/h
3,00 kWh = 2,58 ⋅ 103 kcal 7530 kcal/h = 8,757 kW
2,8 kJ = 7,8 ⋅ 10–4 kWh 230 CV = 169 kW
7,6 kcal/hmK = 8,8 W/mK 30,0 kcal/hm2K = 34,9 W/m2K
2,21 ⋅ 102 W/mK = 190 kcal/hmK 2,50 ⋅ 103 W/m2K = 2,15 ⋅ 103 kcal/hm2K
2,200 ⋅ 103 cal/kgK = 9,211 kJ/kgK 50 kcal/kgK = 2,1 ⋅ 102 kJ/kgK

ESERCIZIO 1.5 – Determinare l’unità di misura della grandezza espressa dalla


relazione:
!"!
""
#$
dove le grandezze al secondo membro sono espresse nelle seguenti unità di
misura:
! α in W/m2K;
" ρ in kg/m3;
V in m3;
k in W/mK;
A in m2.

Per ricavare l’unità di misura di x bisogna scrivere l’equazione dimensionale


che si ottiene sostituendo a ciascuna grandezza al secondo membro la corri-
spondente unità di misura:
W kg
⋅ 3 ⋅ m3
m 2
K m kg
[x] = = 3
W m
⋅ m2
mK
quindi, l’unità di misura di x è kg⋅m–3.
Si sottolinea che la grandezza considerata, pur avendo le dimensioni di una
densità, non ha alcun significato fisico.
Esercizi 5

Capitolo 2 - Esercizi

ESERCIZIO 2.1 – Un sistema di massa m1 = 850 g, caratterizzato da un’energia


interna specifica u1 = 3,42 kJ/kg, si mescola con un sistema di massa m2 =
400 g e energia interna specifica u2 = 2,327 kJ/kg. Calcolare l’energia interna
specifica del sistema complessivo.

Dati:
m1 = 850 g u1 = 3,42 kJ/kg m2 = 400 g u2 = 2,327 kJ/kg
Incognita:
U

L’energia interna specifica, come tutte le proprietà specifiche, è una grandezza


intensiva e, quindi, non gode della proprietà additiva. Per calcolare l’energia
interna specifica del sistema complessivo si deve quindi procedere attraverso
le proprietà estensive, calcolando innanzitutto l’energia interna dei singoli
sistemi:

U1 = m1u1 U2 = m2u2
850 ⋅ 1 ⋅ 10–3 ⋅ 3,42 = 2,91 kJ 400 ⋅ 1 ⋅ 10–3 ⋅ 2,327 = 0,931 kJ
kg kJ kg kJ
g⋅ ⋅ = kJ g⋅ ⋅ = kJ
g kg g kg

e passando poi al calcolo della massa, m, e dell’energia interna totale, U, del


sistema complessivo:

m1 + m2 = m U1 + U2 = U
850 + 400 = 1250 ⋅ 1⋅10–3 = 1,250 kg 2,91 + 0,931 = 3,84 kJ
kg kJ + kJ = kJ
g +g = g⋅ = kg
g

da cui l’energia interna specifica del sistema complessivo risulta pari a:


U 3, 84 kJ
u= = = 3, 07
m 1, 250 kg
kJ kJ
=
kg kg
6 Lezioni di Fisica Tecnica

ESERCIZIO 2.2 – Per un sistema di massa m = 4,35 kg, avente una velocità
w = 5,4 km/h, calcolare:
1. l’energia cinetica;
2. l’energia cinetica specifica.

Dati:
m = 4,35 kg w = 5,4 km/h
Incognite:
Ec, ec

1. L’energia cinetica totale è data dalla relazione:


1
Ec = mv 2
2
dalla quale si ottiene:
2
1 ⎛ 1 ⎞ 1
⎟ = ⋅ 4,35 ⋅ (1,5 ) = 4,9 J
2
E c = ⋅ 4,35 ⋅ ⎜ 5,4⋅10 ⋅
3

2 ⎝ 3600 ⎠ 2
2
⎛ km m h ⎞ m ⎛ m⎞
2
kg ⋅ ⎜ ⋅ ⋅ ⎟ = kg ⋅ 2 = ⎜ kg ⋅ 2 ⎟ ⋅ m = N ⋅ m = J
⎝ h km s ⎠ s ⎝ s ⎠
2. L’energia cinetica specifica si ottiene dall’equazione:
Ec 1 2
ec = = w
m 2
che, sostituendo i valori, fornisce:
2
1 ⎛ 1 ⎞ 1
ec = ⋅ ⎜ 5,24 ⋅ 1 ⋅ 10 3 ⋅ ⎟ = ⋅ (1,5) = 1,1 J/kg
2

2 ⎝ 3600 ⎠ 2
2 2
⎛ km m h ⎞ ⎛ m ⎞ m2 J
⎜ ⋅ ⋅ =
⎟ ⎜ ⎟ = =
⎝ h km s ⎠ ⎝ s ⎠ s2 kg
oppure, direttamente dall’equazione:
Ec 4,9
ec = = = 1,1 J/kg
m 4,35
J J
=
kg kg
Si ricorda che:
kg ⋅ m
⋅m
J N⋅m s2 kg ⋅ m ⋅ m m 2
= = = = 2
kg kg kg kg ⋅ s2 s
Esercizi 7

ESERCIZIO 2.3 – Un sistema di 4,35 kg si trova ad un’altezza z = 4,00 m da un


piano preso come riferimento. Calcolare l’energia potenziale totale e quella
specifica.

Dati:
m = 4,35 kg z = 4,00 m
Incognite:
Ep, ep

L’energia potenziale totale è data dalla relazione:


Ep= mgz = 4,35 ⋅ 9,807 ⋅ 4,00 = 171 J
m kg ⋅ m 2
kg ⋅ ⋅ m = =J
s2 s2
mentre quella specifica si calcola come:
mgz
ep = = g ⋅ z = 9, 807 ⋅ 4, 00 = 39, 2 J/kg
m
m m2 J
2
⋅ m = 2
=
s s kg
oppure come:
E p 171
ep = = = 39,3 J/kg
m 4,35

J m2
= 2
kg s

ESERCIZIO 2.4 – Un sistema di 4,35 kg deve essere sollevato di 323 cm. Calcolare
il lavoro meccanico totale e quello specifico necessari.

Dati:
m = 4,35 kg ∆z = 323 cm
Incognite:
L, l

Per il caso in esame il lavoro meccanico è pari alla variazione di energia po-
tenziale che subisce il sistema nel variare la sua quota rispetto alla posizione
iniziale.
8 Lezioni di Fisica Tecnica

Il lavoro totale è dato da:


L = Ep,finale – Ep,iniziale = mg(zf – zi) = 4,35 ⋅ 9,807 ⋅ (323 ⋅ 10–2 – 0) =
= 4,35 ⋅ 9,807 ⋅ 3,23 = 138 J

m ⎛ m m ⎞ m kg ⋅ m 2
kg ⋅ ⋅ ⎜ cm ⋅ − cm ⋅ ⎟ = kg ⋅ ⋅ m = =J
s2 ⎝ cm cm ⎠ s2 s2

quello specifico si calcola come:


l = ep,f – ep,i = g(zf – zi)

9,807 ⋅ (323 ⋅ 10–2 – 0] = 9,807 ⋅ 3,23 = 31,7 J/kg

m ⎛ m m ⎞ m m2 J

2 ⎜
cm ⋅ − cm ⋅ ⎟ = 2
⋅ m = 2
=
s ⎝ cm cm ⎠ s s kg
oppure come:
L 138
l= = = 31,7 J/kg
m 4,35
J J
=
kg kg

ESERCIZIO 2.5 – Una parete di (3,00 ⋅ 5,00) m2 e di 40,0 cm di spessore è costi-


tuita da un materiale avente una densità di 1200 kg/m3. Riscaldata con 2,00 .104
kcal, passa da 10 a 25°C. Calcolare:
1. la capacità termica della parete,
2. il calore specifico del materiale,
3. la quantità di energia termica da sottrarre per portare la temperatura a
20°C.

Dati:
dimensioni parete: (3,00 ⋅ 5,00) m2, s = 40,0 cm ρ = 1200 kg/m3
Q10-25°C = 2,00 .104 kcal tfin = 20°C
Incognite:
Cparete , cmateriale , Q25-20°C

1. La capacità termica si calcola con l’equazione di definizione (2.3):


Q 2,00 ⋅ 10 4
C= = = 1, 3 ⋅ 10 3 kcal/°C
Δt 25 − 10
Esercizi 9

2. Il calore specifico si ottiene dalla (2.6):


Q Q 2,00 ⋅ 10 4
c= = = =
mΔt ρVΔt 1200 ⋅ (3, 00 ⋅ 5, 00 ⋅ 40, 0 ⋅ 1 ⋅ 10 −2 ) ⋅ (25 − 10)
2, 00 ⋅ 10 4 2, 00 ⋅ 10 4 kcal
= = = 0,18
1200 ⋅ 6, 00 ⋅ 15 1,1 ⋅ 10 5
kg°C
Allo stesso valore si arriva ricordando che è:
C 1, 3 ⋅ 10 3 kcal
c= = = 0,18
m 7, 20 ⋅ 10 3 kg ⋅°C
2. La quantità di energia termica ceduta dalla parete per passare da 25°C a
20°C è calcolabile con la (2.3):
Q = C Δt = 1,3 ⋅ 103 ⋅ (20 – 25) = 1,3 ⋅ 103 ⋅ (–5) = –7 ⋅ 103 kcal

ESERCIZIO 2.6 – Con riferimento al sistema in Figura 2.1, calcolare il lavoro di


variazione di volume nel caso in cui il corpo P1 sia costituito da un recipiente
in vetro di 150 g con dimensioni interne 6,0 cm ⋅ 10,0 cm ⋅ 8,0 cm riempito
d'acqua (v = 1,00 l/kg), il corpo P2 sia costituito da una sfera di ferro di 10,0
cm di diametro ed il pistone raggiunga una nuova condizione di equilibrio a
30,0 cm dalla precedente. Si ipotizza l’assenza di attriti.

Dati:
P1: recipiente di vetro riempito con acqua, dimensioni: 6,0 cm ⋅ 10,0 cm ⋅ 8,0 cm
P2: sfera di ferro d = 10,0 cm
∆z = 30,0 cm mvetro = 150 g vacqua = 1,00 l/ kg
Incognita:
L

Il lavoro di variazione di volume scambiato dal sistema, nell’ipotesi di assenza


di attriti tra pistone e cilindro, è, in valore assoluto, uguale alla variazione di
energia potenziale subita dai corpi P1 e P2 nello spostamento dalla quota z1,
a potenziale più alto, alla quota z2, a potenziale più basso. Il lavoro, essendo
energia entrante nel sistema, per la convenzione fatta è negativo:
L = ΔEp(p ) + ΔEp(p ) = m1 g(z2 – z1) + m2 g(z2 – z1) = (m1 + m2)gΔz =
1 2

⎡⎛ Vacqua ⎞ ⎤
= ⎣⎡(m vetro + m acqua )+ m 2 ⎦⎤ gΔz = ⎢⎜ m vetro + ⎟ + ρferro ⋅ Vsfera ⎥ gΔz =
⎣⎢⎝ v acqua ⎠ ⎦⎥
⎡⎛ Vacqua ⎞ 4 3 ⎤
= ⎢⎜ m vetro + ⎟ + ρferro π r sfera ⎥ gΔz
⎢⎣⎝ v acqua ⎠ 3 ⎥⎦
10 Lezioni di Fisica Tecnica

Leggendo dalla Tabella A.5 dell’appendice la densità del ferro si ha:


⎡⎛ (6, 0 ⋅ 10, 0 ⋅ 8, 0 )⋅ 1 ⋅ 10−6 ⎞
L = ⎢⎜ 150 ⋅ 1 ⋅ 10 −3 + ⎟⎟ +
⎢⎣⎜⎝ 1, 00 ⋅ 1 ⋅ 10 −3 ⎠
⎛ 10, 0 ⋅ 1 ⋅ 10 −2 ⎞ ⎤
3
4
+ 7870 ⋅ ⋅ 3,142 ⋅ ⎜
3 2 ⎥
( −2
⎟ ⎥ ⋅ 9, 807 ⋅ −30, 0 ⋅ 1 ⋅ 10 = )
⎝ ⎠ ⎦
⎡ 4 ⎤
= ⎢(0,150 + 0, 48 ) + 7870 ⋅ ⋅ 3,142 ⋅ 1, 25 ⋅ 1 ⋅ 10 −4 ⎥ ⋅ 9, 807 ⋅ (−0, 300 ) =
⎣ 3 ⎦
= (0, 63 + 4,12 )⋅ (−2, 94 ) = 4, 75 ⋅ (−2, 94 ) = −14, 0 J

=( (!

= (! ="! *K!

K(!

K"!

ESERCIZIO 2.7 – Con riferimento al sistema di Figura 2.2, calcolare il lavoro


di elica che si ha se il corpo P è un cubo di alluminio di 25,3 cm di lato, che
si abbassa di 57 cm.

Dati:
P: cubo di alluminio L = 23,5 cm ∆z = 57 cm
Incognita:
Lelica

# *K!
K(!

$ K"!
Esercizi 11

Il lavoro d’elica compiuto dall’ambiente sul sistema è certamente negativo ed


è pari alla variazione di energia potenziale del peso P:
Lelica = ΔEp(P) = mg(z2 – z1) = mgΔz = ρAl Vcubo gΔz
Leggendo dalla Tabella A.5 dell’appendice la densità dell’alluminio si ha:

( ) ⋅ 9, 807 ⋅ (−57 ⋅ 1 ⋅ 10 )= −2, 5 ⋅ 10


3
L elica = 2710 ⋅ 25, 3 ⋅ 1 ⋅ 10 −2 −2 2
J

ESERCIZIO 2.8 – Si consideri il sistema dell’esercizio 2.6 nelle condizioni di


equilibrio termodinamico finale. Tolto il corpo P1, il pistone si solleva di 25,0
cm. Si calcoli il lavoro di variazione di volume.

Dati:
∆z = 25,0 cm
Incognita:
L

= "!

=(! ="! *K!

K"!

K(!

In questo caso, il lavoro di variazione di volume è, svolto dal sistema sull’am-


biente ed è pari alla variazione di energia potenziale subita dal peso P2 nello
spostamento da z1 a z2; è positivo e dato da:
L = ΔE p(P2 ) = m 2 g(z 2 − z1 ) + = mgΔz = ρferro Vsfera gΔz =
= 7870 ⋅ 5, 24 ⋅ 10 −4 ⋅ 9, 807 ⋅ 25, 0 ⋅ 1 ⋅ 10 −2 = 10,1 J

kg 3 m m kg ⋅ m 2
⋅ m ⋅ ⋅ cm ⋅ = =J
m3 s2 cm s2

$ le seguenti conversioni:
ESERCIZIO 2.9 – Effettuare $
0 ºC in K; –30ºC in K; 0 K in ºC; Δt(ºC) = 20 in Δt(K); 0,40 kJ/ºC in kJ/K

Poiché la scala celsius può essere considerata derivata dalla scala kelvin, come
mostrato in Figura 2.3, sussiste la relazione:
12 Lezioni di Fisica Tecnica

t(ºC) = T(K) – 273,15


quindi:
0 ºC = 273 K
– 30 ºC = 243 K
0 K = –273 ºC
Ricordando poi che l’intervallo di 1 ºC coincide con quello di 1 K, si ha:
Δt = 20 ºC = 20 K
Infine, per quanto detto sulle unità di misura della capacità termica e del
calore specifico risulta:
0,40 kJ/K = 0,40 kJ/°C

ESERCIZIO 2.10 – Un sistema pistone - cilindro adiabatico, è in equilibrio termo-


dinamico alla pressione atmosferica. Improvvisamente viene posato sul pistone
un corpo di 85,3 kg. Il sistema raggiunge un nuova situazione di equilibrio con
un abbassamento del pistone di 20,2 cm. Sapendo che l’area della superficie
del pistone è di 160 cm2, si calcoli il lavoro del sistema in assenza di attrito.

Dati:
P: m = 85,3 kg AP= 160 cm2 ∆z = 20,2 cm
Incognita:
L

Il lavoro di variazione di volume svolto dall’ambiente sul sistema è pari alla


somma della variazione di energia potenziale subita dal peso P nello sposta-
mento da z1 a z2 e del lavoro svolto dalla pressione atmosferica agente sul
pistone. Quest’ultimo può essere calcolato come la variazione dell’energia
potenziale di un ipotetico peso, PA, che eserciti sul pistone una forza pari a
quella esercitata dalla pressione atmosferica.
La massa del peso PA è calcolabile come rapporto tra il prodotto della pres-
sione per l’area della superficie del pistone e l’accelerazione di gravità:
FPA pa A 1, 013 ⋅ 10 5 ⋅ 160 ⋅ 1 ⋅ 10 −4
m PA = = = = 165 kg
g g 9, 807
quindi:
L = ΔE p(P ) + ΔE p(PA ) = (m P + m PA )g (z 2 − z1 ) = mgΔz =

( )
= (85, 3 + 165 )⋅ 9, 807 ⋅ −20, 2 ⋅ 1 ⋅ 10 −2 = −496 J

m ⎛ m ⎞ kg ⋅ m 2
(kg + kg )⋅ ⋅ ⎜ cm ⋅ ⎟= =J
s2 ⎝ cm ⎠ s2
Esercizi 13

ESERCIZIO 2.11 – Una macchina solleva un carico di 300 kg alla velocità co-
stante di 2,50 m/s dal fondo di una miniera, posto alla quota di –150 m, fino
alla piattaforma di scarico, posta alla quota di 5 m (le quote sono valutate
rispetto al piano di campagna). Calcolare:
1. il lavoro compiuto dalla macchina;
2. il tempo impiegato per il sollevamento;
3. la potenza della macchina.

Dati:
P: m = 300 kg w = 2,50 m/s ∆z = 155 m
Incognite:
L, θ, L!

1. Il lavoro compiuto dalla macchina è dato dal prodotto dello spostamento


effettuato per la forza applicata, a sua volta data dal prodotto della massa
per l’accelerazione:
L = Δzmg = 155 · 300 · 9,81 = 4,56 · 105 J = 456 kJ
2. Il tempo necessario per lo spostamento si calcola come rapporto tra lo
spostamento effettuato e la velocità:
Δz 155
θ= = = 62, 0 s
w 2, 50
3. La potenza teorica della macchina è fornita dal rapporto tra il lavoro scam-
biato ed il tempo:
L 456
L! = = = 7, 35 kW
ϑ 60, 0

ESERCIZIO 2.12 – Una locomotiva trascina un treno alla velocità costante di 80


km/h su un binario con pendenza positiva dell’1,0%. La massa complessiva
della locomotiva e del treno è pari a 4000 t. Se le resistenze di attrito valgono
20 N/t, qual è la potenza della locomotiva?

Dati:
P: m = 4000 t w = 80 km/h ∆z = 1,0 % R = 20 N/t
Incognita:
L!

La potenza è data dal rapporto tra il lavoro che la locomotiva dovrà com-
piere, somma del lavoro meccanico necessario per vincere le forze di attrito
14 Lezioni di Fisica Tecnica

e di quello corrispondente alla variazione di energia potenziale, e il tempo


(per semplicità di ragionamento si farà riferimento ad un tempo pari ad un
secondo).
Il lavoro totale è dato da:
L = Latt + LΔEp = (FΔx) + (FΔz)
vanno quindi calcolati lo spazio percorso:
1
Δx = 80 · 1000 · = 22 m
3600
e l’innalzamento del baricentro del treno che, poiché la pendenza del binario
è dell’1,0%, è dato da:
Δz = 22 · 0,010 = 0,22 m
In definitiva si ottiene:
L = (4000 · 20 · 22) + (4,000 · 103 · 9,81 · 0,22) = 1,8 · 106 + 8,6 · 106 = 1,0 · 107 J
da cui:
L 1, 0 ⋅ 10 7 ⋅ 1, 0 ⋅ 10 −3
L! = = = 1, 0 ⋅ 10 4 kW
ϑ 1

ESERCIZIO 2.13 – Una sfera di acciaio, di diametro 25,3 cm e di densità 7,23


kg/l, inizialmente alla quota di 22,35 m, viene portata alla quota di 7,1 m.
Calcolare la variazione di energia potenziale, in kWh.

Dati:
d = 25,3 cm ρ = 7,23 kg/l z1 = 22,35 m z2 = 7,1 m
Incognita:
∆Ep, in kWh

La variazione di energia potenziale gravitazionale, ΔEp, è data dalla rela-


zione:
ΔEp = mgΔz = mg(z2 – z1)
La massa del corpo si può ricavare a partire dal volume e dalla densità:
m = [(4/3)πr3ρ] = [(4/3) ⋅ π ⋅ (0,253/2)3 ⋅ 7,23 ⋅ 1000] = 61,3 kg
e quindi:
ΔEp = 61,3 ⋅ 9,81 ⋅ (7,1 – 22,35) = –9,17 ⋅ 103 J ≡ –9,14 ⋅ 2,778 ⋅ 10–4
= –2,55 ⋅ 10–3 kWh
m kWh
kg ⋅ 2
⋅ (m − m) = N ⋅ m = J = kJ ⋅ = kWh
s kJ
Esercizi 15

ESERCIZIO 2.14 – Calcolare l’incremento di temperatura conseguente alla som-


ministrazione di 100 kJ di energia termica ai seguenti 3 sistemi:
1) 1500 g di glicerina;
2) 1,50 dm3 di calcestruzzo;
3) sfera di ottone di 10,0 cm di diametro.

Dati:
1: glicerina 2: calcestruzzo 3: ottone (sfera) Q = 100 kJ
3
m1 = 1500 g V2 = 1,50 dm d3 = 10,0 cm
Incognite:
∆t1, ∆t2, ∆t3

Per il calcolo della differenza di temperatura nei tre casi proposti conviene
utilizzare la (2.6), ricavando i valori dei calori specifici e delle densità dalle
Tabelle A4 e A5 dell’Appendice.
1) Per la glicerina si ha:
Q 100
Δta = = 28 K ≡ 28 °C
m a ca 1, 50 ⋅ 2, 4
kJ
=K
kJ
kg ⋅
kg ⋅ K

2) Analogamente, per il calcestruzzo si ottiene:


Q Q 100
Δt b = = = = 34 K ≡ 34 °C
m b c b ρb Vb c b 2250 ⋅ 1, 50 ⋅ 10 −3 ⋅ 0, 88
kJ kJ
= =K
kJ kg kJ
kg ⋅ ⋅ m
3

kg ⋅ K m 3 kg ⋅ K

3) Infine, per l’ottone:


Q Q 100
Δta = = = = 1, 6 K ≡ 1, 6 °C
m c c c ρc Vc c c 8500 ⋅ 5, 24 −4 ⋅ 0, 37

ESERCIZIO 2.15 – Un sistema è costituito da un serbatoio sferico di rame, di


diametro esterno pari a 800 mm e diametro interno pari a 790 mm, riempito
per metà di acqua e per metà di olio leggero.
Sapendo che il sistema è in equilibrio alla temperatura di 15°Χ, calcolare la
quantità di calore da somministrargli per portarlo a 30°Χ.
16 Lezioni di Fisica Tecnica

Dati:
sfera di rame, riempita per metà di acqua e per metà di olio de= 800 mm
di = 790 mm t1 = 15°C t2 = 30°C
Incognita:
Q

Dalla (2.3) si ricava:


Q = CΔt
nella quale la capacità termica del sistema, essendo una grandezza estensiva,
può essere calcolata come somma delle capacità termiche dei tre componenti
del sistema (serbatoio, s, acqua, a, olio, o):
C = Cs + Ca + Co
con:
C = mc
Per il serbatoio, quindi la capacità termica è data da:
4 4
C = ρVc = ρrame
3
( )
π re3 − ri3 ⋅ c rame = 8940 ⋅ ⋅ π ⋅ (0,4003 – 0,3953)⋅0,38 = 34 kJ/K
3
kg kJ kJ
3
⋅ m3 ⋅ =
m kgK K
Per l’acqua, che occupa la metà del volume del serbatoio, la capacità termica
vale:
1 4
C = ρVc = ρacqua 1 ⋅ 4 πR 3i cacqua = 1000 ⋅ ⋅ ⋅ π ⋅ 0,3953 ⋅ 4,19= 541 kJ/K
2 3 2 3
kg kJ kJ
3
⋅ m3 ⋅ =
m kgK K
Analogamente, per l’olio si ha:
1 4
C = ρVc = ρolio 1 ⋅ 4 πR 3i colio = 913 ⋅ ⋅ ⋅ π ⋅ 0,3953 ⋅ 2,0= 2,4⋅102 kJ/K
2 3 2 3
kg kJ kJ
3
⋅ m3 ⋅ =
m kgK K
In definitiva, quindi:
C = 8,1⋅102 kJ
da cui:
Q = CΔt = 8,2⋅102⋅ 15 = 1,2⋅104 kJ
kJ
⋅ K = kJ
K
Esercizi 17

ESERCIZIO 2.16 – Un sistema compie una trasformazione ciclica quasi statica


rappresentabile, in un piano p,v con scala delle ordinate pari a 0,100 bar/cm e
scala delle ascisse pari a 0,100 m3/kgcm, con un cerchio di raggio 3,00 cm.
Si calcoli il lavoro specifico compiuto in un ciclo.

Il lavoro specifico coincide con l’area del ciclo:


l = πr2 = 28,3 cm2
In un piano con scale assegnate, la dimensione dell’area della superficie è data
dal prodotto delle unità di misura delle ordinate e delle ascisse. Pertanto:
l = 28,3 ⋅ 0,100 ⋅ 105 ⋅ 0,100 = 28,3 ⋅ 103 J/kg = 28,3 kJ/kg
3
N m
2 m
2 kg J
cm ⋅ ⋅ =
cm cm kg
tale lavoro è positivo se il ciclo è percorso in senso orario, negativo se il ciclo
è percorso in senso antiorario.

ESERCIZIO 2.17 – Una trasformazione quasi statica porta un sistema da uno


stato 1 (p1 = 2,00 bar, v1 = 2,00 m3/kg) ad uno stato 2 (p2 = 1,00 bar, v2 = 4,00
m3/kg) mediante una trasformazione rappresentata su un piano p,v da un
segmento di retta.
Si calcoli il lavoro specifico compiuto nella trasformazione.

v2

Il lavoro specifico potrebbe essere valutato come ∫ pdv , esprimendo p in


v1

funzione di v o viceversa.

L!W>8?X!
(!
!
"#))!
!
!
(#))! "

!"#))!!!!!!!!!!!!*#))!DW&/201X!

Qui si preferisce suggerire una soluzione grafica, ricordando che il lavoro è


espresso dall’area sottesa alla trasformazione rappresentata in un piano p,v,
18 Lezioni di Fisica Tecnica

così come mostrato nella Figura, dalla quale risulta evidente che l’area sottesa
alla trasformazione 1→2 è un trapezio di superficie pari a:
2, 00 + 1, 00
(4,00 – 2,00) ⋅ ⋅ 10 5 = 3,00 ⋅ 105 J/kg = 300 kJ/kg
2
Pertanto, il lavoro specifico richiesto è pari a 300 kJ/kg.
Esercizi 19

Capitolo 3 - Esercizi

ESERCIZIO 3.1 – In una tubazione cilindrica entra del fluido con una densità di
2,3 kg/m3. La velocità all’ingresso è di 1,50 m/s ed il diametro della sezione di
ingresso è di 12,6 cm. Sapendo che all’uscita la densità del fluido è di 4,3 kg/m3
e che il diametro è di 10,0 cm, quale sarà la velocità del fluido all’uscita?

(! "!

Dati:
ρ1 = 2,3 kg/m3 d1 = 12,6 cm w1 = 1,50 m/s
ρ2 = 4,3 kg/m3 d2 = 10, 0 cm
Incognita:
w2

La velocità del fluido dipende dalla portata massica; il bilancio di massa per
sistema ad un ingresso ed una uscita in condizione di regime stazionario per-
manente diventa:
!1 =m
m !2 =m !
Esprimendo le portate massiche secondo la (3.9), l’equazione di bilancio di-
venta:
ρ1 w1 A1 = ρ2 w2 A2
in cui l’unica proprietà incognita è w2. Risolvendo rispetto a w2:
⎛ d12 ⎞
π⋅
⎛ ρ ⎞⎛ A ⎞ ⎛ ρ ⎞⎜ 4
⎟ ⎛ ρ ⎞⎛ d ⎞
w 2 = w1 ⎜ 1 ⎟ ⎜ 1 ⎟ = w1 ⎜ 1 ⎟ ⎜ ⎟ = w1 ⎜ 1 ⎟ ⎜ 1 ⎟ =
ρ A
⎝ 2 ⎠⎝ 2 ⎠ ρ
⎝ 2 ⎠⎜ π⋅ 2d 2
⎟ ⎝ ρ2 ⎠ ⎝ d 2 ⎠
⎜ ⎟
⎝ 4 ⎠
2
2, 3 ⎛ 12, 6 ⎞
= 1, 50 ⋅ ⋅⎜ ⎟ = 1,50 ⋅ 0,53 ⋅ (1,26) = 1,50 ⋅ 0,53 ⋅1,59 = 1,3 m/s
2
4, 3 ⎝ 10, 0 ⎠

⎛ kg ⎞
m ⎜ m3 ⎟ ⎛ cm ⎞2 m
⋅⎜ ⎟⋅⎜ ⎟ =
s ⎜ kg ⎟⎟ ⎝ cm ⎠ s
⎜ 3
⎝m ⎠
20 Lezioni di Fisica Tecnica

nella quale i valori dei diametri sono rimasti espressi in centimetri in quanto
il rapporto di grandezze fisicamente omogenee è adimensionale.

ESERCIZIO 3.2 – Con riferimento allo schema, nel quale i condotti sono tutti a
sezione quadrata, si conoscono i seguenti dati:
L1 = 11,3 cm, w1 = 5,40 km/h, v1 = 3,20 m3/kg, L2 = 15,4 cm, w2 = 6,35 km/h,
v2 = 2,78 m3/kg, L3 = 17,4 cm, w3 = 4,70 km/h, v3 = 2,34 m3/kg.
All’uscita (sezioni 4 e 5) il fluido ha un volume specifico di 2,80 m3/kg ed una
velocità w4 = w5 = 2,00 m/s.
Si calcoli il lato delle due sezioni di uscita, sapendo che anch’esse sono di
uguale area.

(! *!
! !
! !
! AO@O! !
"! !
! !
! !
! !
/! $!

Dati:
L1 = 11,3 cm w1 = 5,40 km/h v1 = 3,20 m3/kg
L2 = 15,4 cm w2 = 6,35 km/h v2 = 2,78 m3/kg
L3 = 17,4 cm w3 = 4,70 km/h v3 = 2,34 m3/kg
v4 = v5 = 2,80 m3/kg w4 = w5 = 2,00 m/s A4 = A5
Incognite:
L4 = L5

Il bilancio di massa per sistema a più ingressi e più uscite in condizione di


regime stazionario permanente fornisce:
m! 1 +m
! 2 +m
!3 =m
! 4 +m!5
Esprimendo le portate massiche secondo la (3.9), considerando che le due
sezioni di uscita hanno stessa forma ed area, A4=A5=A, e che in entrambe
il fluido deve avere uguale volume specifico, v4=v5=v=2,80 m3/kg, e velocità,
w4=w5=w=2,00 m/s, il bilancio di massa diviene:
w 1 A1 w 2 A 2 w 3 A 3 w 4 A 4 w 5 A 5 wA
+ + = + = 2⋅
v1 v2 v3 v4 v5 v
Esercizi 21

nel quale l’unica incognita è l’area di ciascuna della due sezioni di uscita:
1000 1000 1000
5,40 ⋅ ⋅ 0,0128 6,35 ⋅ ⋅ 0,0237 4,70 ⋅ ⋅ 0,0303
3600 3600 3600 2, 00 ⋅ A
+ + = 2⋅
3,20 2,78 2,34 2, 80

km m ⋅ h 2
⋅ ⋅ m2 m ⋅ m
h km ⋅ s = s
m3 m3
kg kg
6,00 ⋅ 10–3 + 1,50 ⋅ 10–2 + 1,69 ⋅ 10–2 = 1,43 ⋅ A
kg kg
= ⋅ m2
s s ⋅ m2
3,79 ⋅ 10–2 = 1,43 ⋅ A
3, 79 ⋅ 10 −2
A= = 2, 65 ⋅ 10 −2 m 2
1, 43
essendo A = L2 si ha:
L = A = 2, 65 ⋅ 10 −2 m 2 = 0,163 m
ovvero L4 = L5 = 0,163 m.

ESERCIZIO 3.3 – Determinare la variazione di energia interna di un sistema che


riceve una quantità di calore di 15,0 kcal ed, espandendo, compie un lavoro
di 3000 kJ.

Dati:
Qi = 15,0 kcal Lu = 3000 kJ
Incognita:
∆U

La variazione di energia interna è fornita dal 1° Principio della Termodina-


mica. Dalla (3.14) si ha:
Qi = Lu + ΔU
15,0 ⋅ 4,187 = 3000 + ΔU
kJ
kcal ⋅ = kJ
kcal
da cui:
ΔU = 62,8 – 3000 = –2937 kJ
22 Lezioni di Fisica Tecnica

Allo stesso risultato si perviene ricordando che l’energia che si trasferisce


come calore ha segno positivo se in ingresso al sistema, mentre quella che si
trasferisce come lavoro ha segno positivo se in uscita dal sistema (nell’espan-
sione il sistema compie un lavoro sull’ambiente); la (3.13) si scrive:
ΔU = Q – L = 15,0 ⋅ 4,187 – 3000 = 62,8 – 3000 = –2937 kJ
kJ
kcal ⋅ − kJ = kJ
kcal
La variazione di energia interna, ΔU, è negativa e, quindi, il sistema nella
trasformazione ha subito una diminuzione di energia, Uf < Ui.

ESERCIZIO 3.4 – Una massa di 35 kg cede una quantità di calore di 25,7 kcal e
scambia un lavoro specifico di compressione di 20,0 kJ/kg. Calcolare:
1. la variazione di energia interna;
2. la variazione di energia interna specifica.

Dati:
m = 7,35 kg Qu = 25,7 kcal Li = 20,0 kJ/kg
Incognite:
∆U, ∆u

La variazione di energia interna è fornita dal 1° Principio della Termodina-


mica.
1. Dalla (3.14) si ha:
Li = Qu + ΔU
da cui:
ΔU = 25,7 ⋅ 4,187 + 7,35 ⋅ (20,0) = –108 + 147 = 39 kJ
kJ kJ
kcal ⋅ + kg ⋅ = kJ
kcal kg
Dalla (3.13) si scrive:
ΔU = Q – L
nella quale sono negative sia l’energia termica, perché in uscita, che quella
meccanica, perché in ingresso:
ΔU = – 25,7 ⋅ 4,187 – 7.35 ⋅ (–20,0) = –108 + 147 = 39 kJ
kJ kJ
kcal ⋅ − kg ⋅ = kJ
kcal kg
2. La variazione di energia interna specifica può essere calcolata da quella
totale:
Esercizi 23

ΔU 39 kJ
Δu= = = 5,3
m 7,35 kg
oppure dal bilancio in termini di grandezze specifiche:
Q −25, 7 kJ
Δu = q – l = −l = ⋅ 4,187 – (–20,0) = –14,6 + 20,0 = 5,4
m 7, 35 kg
L’energia interna della trasformazione è aumentata, essendo uf > ui.

ESERCIZIO 3.5 – Un sistema a pareti rigide e fisse, senza lavoro di elica, riceve
una quantità di calore di 43,5 kJ. Calcolare la variazione di energia interna.

Dati:
Qi = 43,5 kJ Lel = 0 kJ
Incognita:
∆U

La variazione di energia interna è fornita dal 1° Principio della Termodina-


mica:
Q = L + ΔU
Il sistema, essendo a pareti rigide e fisse, non compie lavoro di variazione di
volume; l’energia termica è in ingresso, quindi positiva, per cui la variazione
di energia interna è data da:
ΔU = Q = 43,5 kJ

ESERCIZIO 3.6 – Si supponga di fornire come calore 180 kJ ad un sistema


chiuso che evolva da uno stato 1 ad uno stato 2 con un incremento di energia
interna di 100 kJ. Per riportare il sistema nel suo stato iniziale (dallo stato 2
allo stato 1) l’ambiente fornisce al sistema un’energia pari a 95 kJ sotto forma
lavoro. Calcolare:
1. l’energia meccanica scambiata nel processo 1-2;
2. l’energia termica scambiata nel processo 2-1.

Dati:
Q1-2 = 180 kJ ∆U1-2 = 100 kJ L2-1 = 95 kJ
Incognite:
L1-2, Q2-1

1. L’energia meccanica scambiata dal sistema in una trasformazione è fornita


dal 1° Principio della Termodinamica.
24 Lezioni di Fisica Tecnica

Dalla (3.13):
ΔU = Q – L
per il processo 1-2 si ha:
100 = 180 – L1-2
da cui:
L1-2 = 80 kJ
Dalla (3.14) si perviene allo stesso risultato scrivendo:
180 = L1-2 + 100
nella quale il lavoro è stato considerato in uscita e che fornisce il risulta-
to:
L1-2 = 180 – 100 = 80 kJ
da cui si ricava che il lavoro, essendo positivo, è effettivamente in uscita.

2. Nel processo 2-1 la variazione di energia interna rimane la stessa ma di


segno opposto ed il lavoro è in ingresso. Dalla (3.13) si ha:
–100 = Q2-1 – (–95)
quindi:
Q2-1 = –195 kJ
da cui, essendo il risultato minore di zero si ricava che il calore è in usci-
ta.
Dalla (3.14), nell’ipotesi che l’energia termica sia in ingresso, si ha:
Q2-1 + 95 = – 100
cioè:
Q = –195 kJ
da cui, essendo il risultato negativo, si ricava che l’ipotesi di partenza è
sbagliata e che il calore è invece in uscita.

ESERCIZIO 3.7 – Un sistema passando dallo stato 1 allo stato 2 lungo la trasfor-
mazione 1A2 assorbe Q = 50 kJ e compie un lavoro L = 20 kJ. Se invece segue
la trasformazione 1B2, è Q = 36 kJ.
"!
1. Quanto vale L lungo la trasformazio- !L! !T
ne 1B2?
2. Se L = –13 kJ ritornando da 2 a 1
lungo la linea curva in Figura, quanto !@!
vale Q per questa trasformazione?
3. Se U1 = 10 kJ, quanto vale U2? !!(! i!
4. Se UB = 22 kJ quanto vale Q per la
!)!
trasformazione 1B? E per la B2? !D!
Esercizi 25

Tutte le trasformazioni sono quasi statiche ed il sistema compie solo lavoro


di variazione di volume.

Dati:
Q1A2 = 50 kJ L1A2 = 20 kJ Q1B2 = 36 kJ
L2C1 = – 13 kJ U1 = 10 kJ UB = 22 kJ
Incognite:
L1B2, Q2C1, U2, Q1B, QB2

Gli scambi di energia in un sistema sono forniti dal 1° Principio della Ter-
modinamica.
L’energia interna è una funzione di stato e le sue variazioni dipendono esclu-
sivamente dagli stati iniziali e finali della trasformazione, mentre gli scambi
di energia, come calore e come lavoro, sono funzione del percorso della tra-
sformazione. Nel caso in esame la variazione dell’energia interna è la stessa
per tutte le trasformazioni
(ΔU1,2) = (ΔU1,2) = (ΔU1,2) = ΔU1,2
1A2 1B2 1C2
ed è calcolabile dalla trasformazione 1A2 per la quale sono noti sia il lavoro
che il calore scambiati. Dal primo principio della termodinamica si ha:
ΔU1,2 = Q1A2 – L1A2 = 50 – 20 = 30 kJ
1. Dal primo principio applicato alla trasformazione 1B2, nota la variazione
di energia interna, otteniamo
Q1B2 = L1B2 + ΔU1,2
L1B2 = Q1B2 – ΔU1,2 = 36 – 30 = 6 kJ
2. Nella trasformazione dallo stato 2 allo stato 1, poiché l’energia interna è
una funzione di stato, la variazione di energia interna è, in valore assoluto,
uguale a quella precedentemente calcolata, ma ha segno opposto
ΔU2,1 = – ΔU1,2 = – 30 kJ
Applicando il primo principio alla trasformazione rappresentata dalla linea
curva, 2C1, si ha
Q2C1 = L2C1 + ΔU2,1 = – 13 + (– 30) = – 43 kJ
3. Ricordando che
ΔU1,2 = U2 – U1
l’energia interna al punto 2 è data da
U2 = U1 + ΔU1,2 = 10 + 30 = 40 kJ
4. Il tratto B2 della trasformazione 1B2 è a volume costante e, quindi, in
esso non si compie lavoro di variazione di volume. Ne consegue che tutto
il lavoro svolto lungo la trasformazione 1B2 viene compiuto nel tratto 1B.
26 Lezioni di Fisica Tecnica

Noto il valore dell’energia interna in B, dal bilancio di energia sul tratto


1B si ha
Q1,B = L1,B + ΔU1,B = L1B2 + (UB – U1) = 6 + (22 – 10) = 18 kJ
Dal primo principio applicato al tratto B2 si ricava il calore scambiato
lungo questa parte della trasformazione 1B2
QB,2 = ΔU B,2 = (U2 – UB) = 40 – 22 = 18 kJ

ESERCIZIO 3.8 – Si calcoli la variazione di energia per un sistema chiuso che,


durante successive trasformazioni, scambia energia termica con l’ambiente
assorbendo 419 kJ e cedendo 126 kJ ed effettua sull’ambiente un lavoro di
98 kJ.

Dati:
Qi = 419 kJ Qu = 126 kJ Lu = 98 kJ
Incognita:
∆U

Dalla (3.14) si ha:


Qi = Qu + Lu + ΔU
419 = 126 + 98 + ΔU
da cui:
ΔU = 419 – 126 – 98 = 195 kJ

ESERCIZIO 3.9 – Un sistema chiuso, durante una trasformazione, scambia ener-


gia come calore, ricevendo 100 kJ e cedendo 150 kJ, e come lavoro, assorbendo
350 kJ e cedendo 500 kJ. Quanto vale la variazione di energia interna?

Dati:
Qi = 100 kJ Qu = 150 kJ Li = 350 kJ Lu = 500 kJ
Incognita:
∆U

Dalla (3.14) si ha:


Qi + Li = Qu + Lu + ΔU
100 + 350 = 150 + 500 + ΔU
da cui:
ΔU = 450 – 650 = – 200 kJ
Esercizi 27

ESERCIZIO 3.10 – Un sistema chiuso esegue una trasformazione durante la


quale l’energia ceduta come lavoro è di 2,94 · 102 kJ, quella assorbita come
lavoro è di 883 kJ, l’energia ceduta all’ambiente sotto forma calore è di 210
kJ. Lo stesso sistema, lungo una diversa trasformazione, che ha in comune
con la precedente gli stati iniziale e finale, cede 294 kJ come lavoro. Si calcoli
la quantità di calore scambiata nella seconda trasformazione.

Dati:
Lu = 2,94 · 102 kJ Li = 883 kJ Qu = 210 kJ L′u = 294 kJ
stati iniziali e finali coincidenti
Incognita:
Q′

Nella seconda trasformazione sono incognite sia la quantità di calore scam-


biata che la variazione di energia interna; quest’ultima, però, è la stessa che
si ha nella prima trasformazione (le due trasformazioni hanno in comune gli
stati iniziale e finale). Quindi:
Li = Qu + L′u + ΔU1
883 = 210 + 2,94 · 102 + ΔU1
da cui:
ΔU1 = ΔU2 = 883 – 210 – 2,94 · 102 = 379 kJ
e quindi:
Q = L + ΔU = 294 + 379 = 673 kJ

ESERCIZIO 3.11 – Attraverso un recipiente fornito di agitatore fluiscono 1000


kg/h di fluido; in condizioni di regime permanente nella sezione d’ingresso,
posta a 30,0 cm dal piano di riferimento, l’entalpia del fluido è di 32,0 kcal/
kg e la velocità di 3,80 m/s. Nel recipiente il fluido viene riscaldato con una
potenza termica di 180 kcal/min; nella sezione di uscita, posta a 2,50 m dal
piano di riferimento, l’entalpia è di 50,0 kcal/kg e la velocità è di 2,40 m/s.
Determinare la potenza meccanica somministrata al fluido.

?! !

(!
AO@O! "!
K"

K(! ! !
O
28 Lezioni di Fisica Tecnica

Dati:
m! = 1000 kg/h z1 = 30,0 cm h1 = 32,0 kcal/kg w1 = 3,80 m/s

Q! = 180 kcal/min z2 = 2,50 m h2 = 50,0 kcal/kg w2 = 2,40 m/s


Incognita:
L!

Il primo principio per sistemi aperti, in condizione di regime permanente


stazionario, ad un ingresso ed una uscita, è espresso dalla (3.41):
⎛ w2 ⎞ ! ⎛ w 22 ⎞ !
! ⎜ h1 + gz1 + 1
m ⎟ + Q = !
m ⎜ h 2 + gz 2 + ⎟+L
⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠

nella quale l’unica grandezza incognita è il lavoro d’elica fornito al sistema.


Sostituendo i valori delle grandezze note si ottiene:
(3, 8 )
2
1 1
1000 ⋅ ⋅ (32,0 ⋅ 4187 + 9,807 ⋅ 30,0 ⋅ 10–2 + ) + 180 ⋅ ⋅ 4187 =
3600 2 60

(2,40 ) !
2
1
1000 ⋅ ⋅ (50,0 ⋅ 4187 + 9,807 ⋅ 2,50 + +L
3600 2

kg h ⎛ kcal J m m m2 ⎞ kcal min J


⋅ ⋅⎜ ⋅ + 2 ⋅ cm + ⎟+ ⋅ ⋅ =
h s ⎝ kg kcal s cm s2 ⎠ min s kcal
kg h ⎛ kcal J m m2 ⎞
= ⋅ ⋅⎜ ⋅ + 2 ⋅ m+ 2 ⎟+W
h s ⎝ kg kcal s s ⎠

0,2778 ⋅ (1,34 ⋅ 105 + 2,94 + 7,22) + 1,26 ⋅ 104 = 0,2778 ⋅ (2,09 ⋅ 105 + 2,45 + 2,88) + L!

0,2778 ⋅ 1,34 ⋅ 105 + 1,26 ⋅ 104 = 0,2778 ⋅ 2,09 ⋅ 105 + L!

4,98 ⋅ 104 = 5,81 ⋅ 104 + L!


L! = 4,98 ⋅ 104 – 5,81 ⋅ 104 = – 8,30 ⋅ 103 J/s = – 8,30 kW
Il fatto che il lavoro sia negativo indica che si tratta di lavoro in ingresso nel
sistema. Si noti come i termini cinetici e potenziali siano trascurabili rispetto
agli altri.

ESERCIZIO 3.12 – Con riferimento all’esercizio 3.1, sapendo che l’entalpia spe-
cifica del fluido all’ingresso ed all’uscita sono pari rispettivamente a 430 e
370 kJ/kg, e sapendo che il sistema non compie lavoro, calcolare la potenza
termica scambiata dal sistema.
Esercizi 29

Dati:
ρ1 = 2,3 kg/m3 w1 = 1,50 m/s d1 = 12,6 cm
ρ2 = 4,3 kg/m3 d2 = 10, 0 cm
h1 = 430 kJ/kg h2 = 370 kJ/kg
Incognita:
Q!
#

(
! !
!(! !O !"!

Nell’ipotesi che la potenza termica sia in ingresso, così come schematizzato in


Figura, in assenza di potenza meccanica esterna e considerando trascurabili i
termini cinetici e potenziali, il bilancio di energia per sistemi aperti in condi-
zione di regime stazionario assume la forma:
!
Q
h1 + = h2
!
m
! con la (3.9), risulta pari a:
La portata massica m,
(0,126)2
! = ρwA = 2,3 · 1,50 · 3,14 ·
m = 43 · 10–3 kg/s
4
2
kg m ⎛ m ⎞ kg
3
⋅ ⋅ ⎜ cm ⋅ ⎟ =
m s ⎝ cm ⎠ s
Sostituendo i valori noti, si ha:
Q !
430 + = 370
43 ⋅ 10 −3
da cui:
! = 43 ⋅ 10–3 ⋅ (370 – 430) = – 2,6 kW
Q
L’aver ottenuto un valore negativo della potenza termica scambiata indica
che l’ipotesi iniziale sul verso di Q! era sbagliata, e che quindi la potenza
termica è in uscita dal sistema (d’altra parte, il fatto che l’entalpia in ingresso
sia maggiore di quella in uscita deve far pensare ad un raffreddamento).

ESERCIZIO 3.13 – Nel sistema in Figura si mescolano adiabaticamente due


portate di fluido; la prima (1) pari a 35,3 kg/min, con un’entalpia specifica di
30 Lezioni di Fisica Tecnica

150 kJ/kg, e la seconda (2) pari a 72,8 kg/min, con un’entalpia specifica di 86,3
kJ/kg. La portata risultante (3) viene inviata ad una turbina adiabatica, dalla
quale esce (4) con una entalpia specifica di 46,2 kJ/kg. Calcolare:
1. l’entalpia specifica del fluido nella sezione 3;
2. la potenza meccanica della turbina.

!(! !k
!/
!"!
S!

Dati:
m! 1 = 35,3 kg/min h1 = 150 kJ/kg ! 2 = 72,8 kg/min
m h2 = 86,3 kg/l
h4 = 46,2 m/s
Incognite:
h3, L! 3-4

1. Nel