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Università di Modena e Reggio Emilia

Facoltà di Ingegneria - sede di Modena

LEZIONI
di
MECCANICA RAZIONALE A

Docente: Prof. Valter Franceschini

Corsi di Laurea in Ingegneria (NOD)


- a.a. 2009/2010 -
PREFAZIONE

Il corso di Meccanica Razionale A si pone come obiettivi specifici quelli di introdurre gli
elementi di base della Meccanica Classica e di fornire gli strumenti matematici essenziali
per la costruzione e lo studio dei modelli che descrivono i fenomeni meccanici. Queste
dispense, che raccolgono le lezioni tenute dall’autore negli ultimi anni presso le Facoltà
d’Ingegneria di Modena e Reggio Emilia, sono intese da una parte come un supporto alla
didattica, dall’altra come un testo dove il futuro ingegnere potrà recuperare utili nozioni
eventualmente dimenticate.
Le dispense comprendono sei capitoli. Il primo è dedicato ai vettori e propone tutti gli
strumenti di calcolo vettoriale necessari per lo svolgimento del corso. Il secondo e il terzo
capitolo trattano rispettivamente la geometria della masse, vale a dire baricentri e momenti
d’inerzia, e la cinematica. Nel quarto vengono introdotte diverse nozioni propedeutiche
alla formulazione e allo studio dei problemi della Meccanica, quali i postulati fondamen-
tali, i concetti di forza, di vincolo, di lavoro, di potenziale, etc. Gli ultimi due capitoli
propongono infine la Meccanica vera e propria: prima quella del punto, poi quella dei
sistemi.
Una considerazione è doverosa circa gli argomenti trattati nei capitoli quinto e sesto.
La necessità di limitare i contenuti del corso ha comportato l’esclusione di argomenti di
grande interesse, quali i fenomeni dei battimenti e della risonanza, il problema dei due
corpi, i fenomeni giroscopici, il moto dei sistemi articolati, le piccole oscillazioni, lo studio
qualitativo dei moti mediante il teorema di Weierstrass. Questi argomenti potranno però
essere recuperati, per obbligo o per scelta, col corso di Meccanica Razionale B da quegli
studenti che proseguiranno gli studi con la laurea specialistica dopo aver conseguito quella
triennale.
Nella stesura di queste dispense si è cercato di conciliare due esigenze: da una parte, per
non appesantire troppo il corso, la necessità di proporre solo argomenti ritenuti basilari;
dall’altra, per non rinunciare a priori alle possibili ricadute formative della materia, la
volontà di mantenere formalismo e rigore matematico associati a proprietà di linguaggio.
Il corso di Meccanica Razionale A, oltre alla trattazione di gran parte degli argomenti
qui considerati, prevede lo svolgimento di un certo numero di esercitazioni. I problemi
che sono affrontati in queste esercitazioni, e che sono destinati a far parte integrante del
programma d’esame, sono inclusi nelle dispense Esercitazioni di Meccanica Razionale A,
tutti completamente risolti.
A conclusione di questa prefazione l’autore desidera porgere un sentito ringraziamento a
tutti coloro che in qualche misura hanno contribuito negli anni alla messa a punto di questo
lavoro: innanzitutto il Prof. Italo Ferrari per tutto quanto gli ha insegnato di Meccanica,
poi la Dott.ssa Cecilia Vernia per le sue osservazioni e i suoi suggerimenti, infine tutti gli
studenti che gli hanno fatto notare imprecisioni o mancanza di chiarezza.

i
INDICE

1. Calcolo vettoriale 1
1.1 Vettori e loro prime proprietà 1
1.2 Somma di vettori 2
1.3 Prodotto scalare 6
1.4 Prodotto vettoriale 8
1.5 Prodotto misto 9
1.6 Rappresentazione cartesiana dei vettori 10
1.7 Doppio prodotto vettoriale e divisione vettoriale 14
1.8 Vettori variabili e loro derivazione 15

2. Geometria delle masse 20


2.1 Massa 20
2.2 Baricentro 21
2.3 Momento d’inerzia 23
2.4 Calcolo dei momenti d’inerzia 24
2.5 Ellissoide d’inerzia 26
2.6 Assi principali d’inerzia 28
2.7 Momento d’inerzia polare 30

3. Cinematica 31
3.1 Terna intrinseca ad una curva 31
3.2 Vettore spostamento, equazione del moto, legge oraria 33
3.3 Velocità 34
3.4 Accelerazione 35
3.5 Classificazione dei moti 36
3.6 Classificazione dei moti in base alla legge oraria 37
3.7 Moto circolare 39
3.8 Corpo rigido: generalità 40
3.9 Formule di Poisson 43
3.10 Formula fondamentale della cinematica rigida 44
3.11 Stati cinetici 45
3.12 Stato cinetico rotatorio 47
3.13 Stato cinetico elicoidale; teorema di Mozzi 49
3.14 Stati cinetici e moti di un corpo rigido: schema riassuntivo 50
3.15 Composizione degli stati cinetici 51
3.16 Definizione del problema della Cinematica relativa 53
3.17 Teoremi di composizione delle velocità e delle accelerazioni 54
3.18 Relazione fra le derivate di un vettore rispetto a due osservatori 56
3.19 Moto rigido piano 57
3.20 Determinazione del centro di istantanea rotazione per via geometrica 59
3.21 Esempi di moti rigidi piani 60

ii
3.22 Equazioni parametriche della base e della rulletta 61
3.23 Polo delle accelerazioni 63
3.24 Moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto 64
3.25 Sistemi di riferimento equivalenti 65
3.26 Moto di due corpi rigidi a contatto in un punto 66

4. Concetti e nozioni fondamentali della Meccanica 68


4.1 Forze 68
4.2 Leggi fondamentali della Meccanica 70
4.3 Sistemi meccanici 71
4.4 Vincoli 72
4.5 Numero di gradi di libertà 74
4.6 Parametri lagrangiani e sistemi olonomi 75
4.7 Altri esempi di vincoli 76
4.8 Spostamenti infinitesimi 78
4.9 Configurazioni interne e di confine 80
4.10 Forze attive 81
4.11 Reazioni vincolari 81
4.12 Vettori caratteristici di un sistema di forze 83
4.13 Sistemi equivalenti di forze 85
4.14 Sistemi elementari di forze 86
4.15 Teorema di equivalenza sui sistemi di forze 86
4.16 Operazioni elementari sulle forze 89
4.17 Sistemi di forze interne 90
4.18 Sistemi di forze parallele 91
4.19 Forza peso 92
4.20 Misura della massa 93
4.21 Lavoro reale infinitesimo 94
4.22 Lavoro finito 95
4.23 Lavoro virtuale 95
4.24 Lavoro infinitesimo delle forze applicate ad un corpo rigido 96
4.25 Forze posizionali 97
4.26 Sistemi conservativi di forze 97
4.27 Esempi significativi di sistemi conservativi di forze 99
4.28 Potenza 101
4.29 Vincoli perfetti 102

5. Meccanica del punto 104


5.1 I problemi della Meccanica 104
5.2 La legge di Newton 106
5.3 Moto di un punto libero 106
5.4 Moto di un punto vincolato senza attrito 106
5.5 Equilibrio di un punto libero o vincolato senza attrito 109
5.6 Possibili casi di equilibrio di un punto 110
5.7 Punto vincolato con attrito: relazioni di Coulomb 111
5.8 Oscillazioni libere 112

iii
5.9 Quantità di moto ed energia cinetica di un punto 115
5.10 Teoremi delle forze vive e di conservazione dell’energia 115
5.11 Momento della quantità di moto di un punto 116
5.12 Integrali primi del moto di un punto 118
5.13 Pendolo semplice 119
5.14 Moto ed equilibrio relativo 121
5.15 Forza centrifuga 124

6. Meccanica dei sistemi 126


6.1 Equilibrio di un sistema meccanico 126
6.2 Principio dei lavori virtuali 127
6.3 Configurazioni d’equilibrio interne dei sistemi olonomi a vincoli perfetti 128
6.4 Equilibrio dei sistemi conservativi 129
6.5 Stabilità dell’equilibrio 130
6.6 Equazioni cardinali della statica 132
6.7 Problemi staticamente determinati 133
6.8 Equilibrio di un corpo rigido con asse fisso 135
6.9 Equilibrio di un corpo rigido appoggiato in un punto ad un piano 137
6.10 Sistemi composti 139
6.11 Attrito fra due corpi rigidi 140
6.12 Quantità di moto di un sistema 142
6.13 Momento delle quantità di moto di un sistema 143
6.14 Energia cinetica di un sistema 146
6.15 Equazioni cardinali della dinamica 149
6.16 Teoremi dell’energia 151
6.17 Integrali primi 152
6.18 Studio del moto e determinazione delle reazioni vincolari mediante 153
le equazioni cardinali della Dinamica
6.19 Principio di D’Alembert 154
6.20 Equazioni di Lagrange 155
6.21 Equazioni di Lagrange per un sistema conservativo 156
6.22 Pendolo fisico 157

Bibliografia 158

Indice analitico 159

Ultime modifiche apportate il 10/09/08


.

iv
1. CALCOLO VETTORIALE

1.1 Vettori e loro prime proprietà

Ogni grandezza fisica risulta matematicamente ben definita quando è possibile associare ad
essa un opportuno ente matematico in modo da rappresentarne quantitativamente tutte le
caratteristiche fisiche. È noto che alcune grandezze come la lunghezza sono completamente
individuate da un valore numerico; esse sono dette grandezze scalari. Per altre grandezze,
quali lo spostamento e la velocità di un punto, un numero non è sufficiente a caratterizzarle:
per esse occorre un vettore. Di conseguenza sono dette grandezze vettoriali.

Un vettore è un ente matematico caratterizzato da un numero (non negativo), da una


direzione e da un verso.
Un vettore a (nei testi denotato anche con a oppure a) viene sem-
pre rappresentato da un segmento orientato (ossia da un segmento
munito di freccia). La lunghezza del segmento, misurata in una
certa scala, è il numero (positivo) che caratterizza il vettore e che
viene chiamato modulo del vettore stesso; esso verrà denotato con
jaj o, più semplicemente con a. La direzione della retta che contiene
il segmento è la direzione del vettore; il verso è dato dal verso della
freccia.

Un vettore di modulo unitario si dice versore; un vettore di modulo zero è detto vettore
nullo. Per quest’ultimo, che denotiamo con 0, la direzione ed il verso possono essere presi
ad arbitrio.

Se A e B sono gli estremi del segmento che rappresenta un vettore (con verso da A a B),
il vettore può indicarsi col simbolo B ¡ A, cioè come differenza di punti. Il modulo del
vettore B ¡ A vale la lunghezza del segmento AB. Il punto A si chiama origine o primo
estremo del vettore, il punto B secondo estremo.

Un vettore è dunque rappresentabile nello spazio mediante 13 segmenti orientati equipol-


lenti, cioè aventi la stessa lunghezza, la stessa direzione e lo stesso verso. Da qui segue
l’ovvia assunzione che due vettori sono uguali quando sono equipollenti.

A rimarcare il fatto che ad un vettore, a differenza di ogni segmento orientato, non cor-
risponde una posizione precisa nello spazio, si dice che è un vettore libero. Qualche volta
però risulta necessario associare ad un vettore a una precisa origine A, ossia una ben de-

1
terminata localizzazione nello spazio. In tal caso si parla di vettore applicato e lo si indica
con la notazione (A, a). L’origine A è detta punto d’applicazione del vettore. Occorre
comunque sottolineare il fatto che ogni volta che si parla semplicemente di un vettore, si
intende un vettore libero.

Se due vettori, entrambi rappresentati come differenza di punti, sono uguali, si ha

B¡A=D¡C,

per cui, essendo ABCD un parallelogramma, ri-


sulta anche
C ¡A=D¡B.

Definizione Si definisce prodotto di un numero reale m per un vettore a, e si scrive ma,


il vettore di modulo jmjjaj, di direzione uguale a quella di a, e di verso uguale od opposto
a quello di a a seconda che m è positivo o negativo.
In particolare, se m=¡1 si ha il vettore ¡a che è detto vettore opposto di a. Poichè
l’opposto di B ¡ A è A ¡ B, vale la relazione

B ¡ A = ¡(A ¡ B) ,

vera anche in senso algebrico, cioè considerando i punti come se fossero numeri.

Due vettori sono paralleli se hanno la stessa direzione; essi sono poi concordi o discordi a
seconda che abbiano oppure no lo stesso verso.
Teorema Se b e a sono due vettori paralleli (con a 6
= 0) esiste un numero reale m tale
che
b = ma .
b b
La dimostrazione è immediata. Si prenda m = + oppure m = ¡ a seconda che i due
a a
vettori siano concordi o discordi. È facile vedere che b e ma hanno la stessa direzione e lo
b
stesso verso; inoltre, poiché jmaj = a = b, il modulo di ma coincide col modulo di b.
a

1.2 Somma di vettori

Siano dati due vettori a1 ed a2 . Si costruiscano due vettori consecutivi A1 ¡ A ed A2 ¡ A1


uguali rispettivamente ad a1 e ad a2 (l’origine del secondo vettore viene fatta coincidere
col secondo estremo del primo).

2
Definizione Si chiama somma o vettore risultante dei vettori a1 ed a2 il vettore A2 ¡ A,
cioè
a1 + a2 = A2 ¡ A .

La somma di due vettori gode della proprietà commu-


tativa. Infatti, completando il parallelogramma di
lati AA1 e A1 A2 , si ha subito che A2 ¡A è la somma
dei vettori A3 ¡ A ed A2 ¡ A3 , uguali rispettiva-
mente ad a2 ed a1 . Quindi si ha

a2 + a1 = a1 + a2 .
Si considerino ora n vettori a1 , a2 , . . . , an , con n ¸ 3. Costruiamo la poligonale (in generale
non piana) formata dagli n vettori consecutivi A1 ¡ A, A2 ¡ A1 , . . . , An ¡ An−1 , uguali
rispettivamente ad a1 , a2 , . . . , an .
Definizione Il vettore An ¡ A si dice
somma o vettore risultante degli n vet-
tori dati, ossia

(1.1) a1 + a2 + a3 + ¢ ¢ ¢ + an = An ¡ A .

Notiamo che se An coincide con A, cioè


se la poligonale è chiusa, la somma dei
vettori è nulla (cioè è uguale al vettore
nullo).
La somma di vettori gode delle proprietà commutativa ed associativa. Quest’ultima proprietà,
di cui ovviamente ha senso parlare solo nel caso di almeno tre addendi, si prova subito
nel caso di vettori consecutivi. Infatti, sostituendo, per esempio, ai tre vettori consecutivi
a2 , a3 ed a4 al primo membro della (1.1) la loro somma A4 ¡ A1 , si ottiene

a1 + (a2 + a3 + a4 ) + ¢ ¢ ¢ + an = (A1 ¡ A) + (A4 ¡ A1 ) + ¢ ¢ ¢ + (An ¡ An−1 ) =


= An ¡ A = a1 + a2 + a3 + a4 + ¢ ¢ ¢ + an ,

conforme alla proprietà associativa.


Sfruttando il fatto, già dimostrato, che per la somma di due vettori la proprietà commu-
tativa vale, si ha poi

a1 + a2 + a3 + ¢ ¢ ¢ + an = a1 + (a2 + a3 ) + a4 + ¢ ¢ ¢ + an =
= a1 + (a3 + a2 ) + a4 + ¢ ¢ ¢ + an =
= a1 + a3 + a2 + a4 + ¢ ¢ ¢ + an ,

3
ed in questo modo risulta provata la proprietà commutativa per due vettori consecutivi.
Poiché due vettori non consecutivi possono essere resi tali con opportuni scambi, é facile
provare che la proprietà commutativa è valida in generale.
Si può notare che la (1.1) può essere cosı̀ riscritta

(A1 ¡ A) + (A2 ¡ A1 ) + ¢ ¢ ¢ + (An ¡ An−1 ) = An ¡ A ,

relazione vera anche in senso algebrico.


Osserviamo che vale la relazione

B ¡ A = (B ¡ C) + (C ¡ A)

che permette di aggiungere e togliere un punto


come se fosse un numero.

Definizione Si chiama differenza fra due vettori la somma del primo vettore con l’opposto
del secondo, cioè
a1 ¡ a2 = a1 + (¡a2 ) .

La differenza di vettori gode delle stesse proprietà della differenza fra numeri.

Enunciamo ora due teoremi di cui omettiamo la facile dimostrazione.


Teorema In una uguaglianza fra vettori del tipo

a1 + a2 + ¢ ¢ ¢ + an = b1 + b2 + ¢ ¢ ¢ + bm

si può trasportare un vettore da un membro all’altro come se fosse un numero, cioè cam-
biando il suo segno.
Teorema Il prodotto di un numero per una somma di vettori vale la somma dei singoli
vettori moltiplicati per quel numero, cioè

m(a1 + a2 + ¢ ¢ ¢ + an ) = ma1 + ma2 + ¢ ¢ ¢ + man .

I due teoremi che seguono (con dimostrazione) sono particolarmente importanti. Essi
riguardano la possibilità di decomporre un vettore secondo delle direzioni assegnate. Prima
di enunciarli e dimostrarli, premettiamo la seguente nozione: le direzioni di tre o più vettori
sono complanari se, rappresentati i vettori con l’origine in comune, essi risultano contenuti
in uno stesso piano.

4
Teorema Un vettore a si può sempre decomporre nella somma di due vettori a1 ed a2
aventi direzioni distinte assegnate, ma complanari con quella di a.
Dimostrazione. Posto a = B ¡ A, si considerino
le due rette passanti per A e parallele alle dire-
zioni date (quindi complanari con a) e le altre due
rette passanti per B anch’esse parallele a quelle
direzioni. Si determina cosı̀ un parallelogramma
ADBC e si ha

a = B ¡ A = (B ¡ D) + (D ¡ A) = a1 + a2 ,

con a1 e a2 uguali rispettivamente ai vettori D ¡ A e B ¡ D, e quindi con direzioni uguali


a quelle assegnate.

Teorema Ogni vettore a si può sempre decomporre nella somma di tre vettori aventi
direzioni assegnate non complanari.
Sia A l’origine del vettore B ¡ A, uguale ad
a, e siano r1 , r2 , r3 tre rette passanti per A e
parallele alle direzioni date.
Nel caso particolare che a abbia la stessa di-
rezione di una delle tre rette, per esempio r3 ,
allora il teorema è già dimostrato in quanto i
due vettori paralleli a r1 ed r2 possono conside-
rarsi nulli, mentre quello parallelo ad r3 è a.

Se a non è parallelo a nessuna delle tre rette, sia r′ l’intersezione fra il piano individuato
da r1 ed r2 e quello individuato da B ¡ A ed r3 . Poichè B ¡ A, r′ ed r3 sono complanari
ed r ′ ed r3 sono rette distinte, si può decomporre B ¡ A in due vettori a′ ed a3 paralleli
rispettivamente ad r ′ ed r3 , tali che si abbia

a = a′ + a3 .

Ma a′ si può decomporre secondo i due vettori a1 ed a2 paralleli ad r1 ed r2 . Di conseguenza


sarà
a′ = a1 + a2 ,

e quindi
a = a1 + a2 + a3 ,

con a1 , a2 e a3 aventi rispettivamente le direzioni di r1 , r2 ed r3 .

5
Si noti che il vettore a è la diagonale del parallelepipedo di spigoli a1 , a2 , a3 , qualora
questi quattro vettori abbiano tutti origine in A.

Se r3 è normale al piano di r1 ed r2 , il vettore a′ si chiama componente di a lungo il


piano individuato da r1 ed r2 , mentre a3 si chiama componente normale al piano. In altre
parole, dato un vettore a, per ottenerne la componente lungo un piano π e quella normale
a questo piano, lo si pone con origine in un punto O di π e lo si decompone lungo la
normale a π per O e l’intersezione fra questo piano e quello ad esso normale passante per
a. Ovviamente il vettore a è la somma delle sue componenti lungo il piano e normale al
piano.

1.3 Prodotto scalare

Definizione L’angolo formato da due vettori a e b è l’angolo, minore od al più uguale


a π, formato da due semirette aventi l’origine in comune e parallele ed equiverse ai due
vettori.

Definizione Si chiama prodotto scalare (o interno) tra due vettori a e b il prodotto dei loro
moduli per il coseno dell’angolo da essi formato, cioè

a ¢ b = ab cos α. (1.2)

Ovviamente il prodotto scalare fra due vettori è un numero. Dalla (1.2) segue subito che
il prodotto scalare è nullo quando o uno almeno dei due vettori è nullo o i due vettori sono
ortogonali. L’annullarsi del prodotto scalare fra due vettori non nulli è quindi condizione
necessaria e sufficiente per l’ortogonalità dei due vettori.
Osserviamo che la (1.2) può essere cosı̀ riscritta:

a ¢ b = a(b cos α) = aOH ,

cioè il prodotto scalare fra due vettori può essere visto


come lo scalare ottenuto moltiplicando il modulo di uno
dei due vettori per la proiezione su questo dell’altro vettore. Per proiezione di un vettore
b = B ¡ O su un altro vettore a = A ¡ O si intende un numero con segno che esprime la
lunghezza del segmento OH ottenuto proiettando b su a. Il segno è positivo o negativo a
seconda che H ¡ O è concorde o discorde con a.

Il prodotto scalare gode della proprietà commutativa, cioè a ¢ b = b ¢ a. Ciò segue immedia-
tamente dalla (1.2) in quanto l’angolo fra a e b è identico a quello fra b e a.

6
Il prodotto scalare gode della proprietà distributiva
rispetto alla somma, cioè si ha

(1.3) a ¢ (b + c) = a ¢ b + a ¢ c .

Per dimostrare ciò si costruiscono i tre vettori


a = A ¡ O, b = B ¡ O e c = C ¡ B. Siano poi
H e G le proiezioni di C e B su a, sicchè OG e
GH sono le proiezioni di b e c su a. Si ha quindi

a ¢ (b + c) = aOH = a(OG + GH) = aOG + aGH = a ¢ b + a ¢ c ,

e la (1.3) è cosı̀ dimostrata.

Dal momento che l’angolo fra due vettori uguali è nullo, si ha

a ¢ a = a2 . (1.4)

D’ora in poi potremo riferirci al prodotto scalare di un vettore a per se stesso, e quindi al
quadrato del modulo di a, come al quadrato del vettore a. In altre parole: (a)2 = a2 .

Si ha poi

(a § b)2 = a2 + b2 § 2a ¢ b ,
(a + b) ¢ (a ¡ b) = a2 ¡ b2 .

Teorema Sia a un vettore qualsiasi e siano m1 , m2 , m3 tre vettori distinti non nulli e
non complanari. Se si verifica

a ¢ m1 = 0, a ¢ m2 = 0, a ¢ m3 = 0 ,

allora a = 0.
Dimostrazione Se a fosse diverso dal vettore nullo, esso risulterebbe perpendicolare a tre
vettori per ipotesi non complanari, il che sarebbe chiaramente assurdo.

Corollario Siano a e b due vettori qualunque e siano m1 , m2 , m3 tre vettori non nulli e
non complanari. Se si verifica

a ¢ m1 = b ¢ m1 , a ¢ m2 = b ¢ m2 , a ¢ m3 = b ¢ m3 , (1.5)

allora a = b .

7
Dimostrazione Dalle (1.5) si ha

(a ¡ b) ¢ m1 = 0, (a ¡ b) ¢ m2 = 0, (a ¡ b) ¢ m3 = 0,

e quindi, per il teorema precedente, a ¡ b = 0, da cui la tesi.


Dal teorema e dal corollario appena dimostrati conseguono immediatamente altri due
corollari:
Corollario Se per ogni m si ha
a ¢m = 0,

allora a = 0.
Corollario Se per ogni m si ha
a ¢ m = b ¢ m,

allora a = b.

Nota. Ci sono autori che denotano il prodotto scalare in maniera diversa da quella qui
adottata. Le altre notazioni più comuni sono a £ b e ab.

1.4 Prodotto vettoriale

Definiamo ora un’operazione tra vettori che, a differenza del prodotto scalare, a due vettori
associa un terzo vettore.

Definizione Si definisce prodotto vettoriale (o esterno) di due vettori a e b un vettore, che


indichiamo col simbolo a £ b (da leggersi a vettore b), cosı̀ definito:
¡ il suo modulo è dato dal prodotto ab sin α (α angolo compreso tra a e b);
¡ la sua direzione è quella ortogonale al piano dei due vettori (posti con l’origine in
comune);
¡ il suo verso è quello per cui un osservatore, disposto lungo la suddetta direzione e che
guarda b, vede a alla sua destra.

È opportuno notare che il modulo di a £ b rappresenta l’area del parallelogramma di lati


a e b.

Per stabilire il verso del prodotto vettoriale si possono usare anche altre regole:
1) il verso di a £ b è quello per cui avanza un cavatappi, normale al piano contenente a e
b, quando viene fatto ruotare in modo che a vada a sovrapporsi a b descrivendo l’angolo
minore;

8
2) il verso di a £ b è quello per cui la terna (a, b, a £ b) è una terna destra. Una terna
di vettori (a, b, c) è destra o sinistra a seconda che a, b e c possano essere fatti coincidere
rispettivamente con il pollice, l’indice e il medio della mano destra o della mano sinistra.

Dalla definizione segue immediatamente che il prodotto vettoriale è nullo o quando è nullo
uno almeno dei due vettori, o quando essi sono paralleli. Quindi l’annullarsi del prodotto
vettoriale fra due vettori non nulli, è condizione necessaria e sufficiente per il parallelismo
fra due vettori. In particolare si ha

a£ a = 0.

Se m è un numero, allora

m(a £ b) = (ma) £ b = a £ (mb) .

Il prodotto vettoriale non gode della proprietà commutativa; infatti b £ a ha lo stesso modulo e
la stessa direzione di a £ b ma verso opposto, cioè

a £ b = ¡b £ a.

Il prodotto vettoriale gode della proprietà distributiva rispetto alla somma (senza dimostrazione):

a £ (b + c) = a £ b + a £ c .

Il prodotto vettoriale, in generale, non gode della proprietà associativa, cioè in generale si ha

(a £ b) £ c 6
= a £ (b £ c) ,

dove il primo membro, detto anche doppio prodotto vettoriale, indica il prodotto vettoriale
tra il vettore a £ b ed il vettore c, mentre il secondo membro è il prodotto fra i vettori a e
b £ c.

Nota. Anche per il prodotto vettoriale esistono altre notazioni, la più comune delle quali
è a ^ b. Tuttavia, per non creare inutili fraintendimenti, si consiglia vivamente di usare le
notazioni da noi introdotte, a ¢ b per il prodotto scalare e a £ b per il prodotto vettoriale,
notazioni che corrispondono a quelle più largamente usate nei testi.

1.5 Prodotto misto

Definizione Si definisce prodotto misto di tre vettori a, b e c lo scalare

a £ b ¢ c. (1.6)

9
Osserviamo che non c’è ambiguità nell’ordine delle due operazioni in quanto ha senso solo
fare prima il prodotto vettoriale a £ b e poi moltiplicare scalarmente il risultato per c.

Teorema Il prodotto misto (1.6) vale il vo-


lume del parallelepipedo avente come spigoli i
tre vettori (supposti con la stessa origine O),
con la convenzione che il volume si intende po-
sitivo o negativo a seconda che il triedro a b c è
destro o sinistro. Si omette la dimostrazione.

Osserviamo che se il triedro individuato dalla terna di vettori (a, b, c) è destro, tali sono
anche i triedri individuati dalle terne (b, c, a) e (c, a, b). Di conseguenza, in virtù del
teorema appena enunciato, si ha

a £ b ¢ c = b £ c ¢ a = c £ a ¢ b.

Applicando poi la proprietà commutativa del prodotto scalare a b £ c ¢ a, ne segue

a ¢ b £ c = a £ b ¢ c.

Con ciò si è dimostrata una importante proprietà del prodotto misto: in un prodotto misto
è lecito scambiare il segno di prodotto scalare con quello di prodotto vettoriale.

Osserviamo che se il prodotto misto di tre vettori è nullo, allora il parallelepipedo ha


volume nullo e quindi, o almeno uno dei vettori è nullo, o i tre vettori sono complanari.
Viceversa, se almeno un vettore è nullo, o se i tre vettori sono complanari, il volume è
nullo e cosı̀ il prodotto misto. Quanto detto permette di affermare che condizione necessaria
e sufficiente affinchè tre vettori non nulli siano complanari è che il loro prodotto misto sia nullo.
Un caso particolare, ma assai frequente, di nullità del prodotto misto si ha quando due
vettori sono paralleli.

1.6 Rappresentazione cartesiana dei vettori

Consideriamo un sistema di coordinate cartesiane


ortogonali Oxyz tali da costituire una terna destra.
Si prendano tre vettori unitari, detti versori fon-
damentali i, j, k paralleli ed equiversi agli assi x,
y, z rispettivamente e con origine in O e sia a un
generico vettore pure con origine in O.

10
Poiché gli assi formano tre direzioni non complanari si può scomporre a in tre vettori a1 ,
a2 , a3 , paralleli agli assi cartesiani, cioè

a = a1 + a2 + a3 . (1.7)

Essendo a1 un vettore parallelo all’asse x, e quindi al vettore i, esiste un numero reale ax


tale che
a1 = ax i .

In modo analogo si ha
a2 = ay j , a3 = az k .

Sostituendo nella (1.7) si ottiene

a = ax i + ay j + az k . (1.8)

Da quanto precede è ovvio che, fissato un sistema di assi cartesiani ortogonali, ad ogni
vettore corrisponde una terna di numeri (ax , ay , az ), che è unica. Viceversa, ogni terna
(ax , ay , az ) individua, mediante la (1.8), un unico vettore a. Si può perciò concludere
che i tre numeri ax , ay , az caratterizzano in modo completo il vettore rispetto al sistema
di riferimento Oxyz fissato. Questi numeri sono detti componenti cartesiane del vettore,
lungo gli assi x, y, z rispettivamente. I vettori a1 , a2 , a3 possono chiamarsi anche vettori
componenti di a lungo gli assi.

Il vettore a3 , normale al piano xy, ed il vettore axy = a1 + a2 , parallelo a tale piano,


sono rispettivamente i vettori componenti di a normali ad xy e lungo xy. Il primo ha per
componenti cartesiane (0, 0, az ), il secondo (ax , ay , 0).

Le componenti cartesiane dei tre versori fondamentali sono ovviamente le seguenti:

i ´ (1, 0, 0) , j ´ (0, 1, 0) , k ´ (0, 0, 1) .

Vediamo ora alcune proprietà delle componenti cartesiane di un vettore. Ovviamente, se


due vettori sono uguali, hanno uguali le componenti e viceversa. Vale poi l’affermazione
seguente:
Le componenti del vettore somma di due o più vettori si ottengono sommando le compo-
nenti analoghe dei singoli vettori.
Infatti se è a = b + c, esprimendo b e c nelle loro componenti cartesiane, avremo

a = (bx i + by j + bz k) + (cx i + cy j + cz k) =
= (bx + cx )i + (by + cy )j + (bz + cz )k ,

11
da cui segue che le componenti ax , ay , az di a valgono rispettivamente bx + cx , by + cy ,
bz + cz . Risulta immediata l’estensione al caso in cui a è la somma di n vettori.

Ricaviamo ora l’espressione cartesiana del prodotto scalare fra due vettori. Per fare ciò
osserviamo che essendo i vettori i, j, k unitari e a due a due ortogonali, si ha

i¢ i = 1, j ¢j = 1, k ¢ k = 1; (1.9)

i¢ j = 0, j ¢ k = 0, k ¢ i = 0. (1.10)

Dati due vettori a e b, rispettivamente di componenti (ax , ay , az ) e (bx , by , bz ), in virtù


della proprietà distibutiva del prodotto scalare rispetto alla somma e tenendo conto delle
relazioni (1.9) ed (1.10) appena scritte, si ha

a ¢ b = (ax i + ay j + az k) ¢ (bx i + by j + bz k) = ax bx + ay by + az bz . (1.11)

Il risultato ottenuto può essere letto nel modo seguente: il prodotto scalare fra due vettori
vale la somma dei prodotti delle componenti analoghe dei due vettori.

Siamo ora in grado di ricavare alcune importanti proprietà delle componenti di un vettore.
Indicando con α l’angolo fra a e la direzione positiva dell’asse delle x, ricorrendo alla
definizione di prodotto scalare si ha

a ¢ i = a cos α .

Ricordando poi le (1.8), ed effettuando il prodotto sulla base della (1.11), si ricava

a cos α = ax . (1.12)

In modo analogo, se β e γ sono gli angoli fra il vettore a e la direzione positiva degli assi
y e z, si ottiene che

a cos β = ay , (1.13)
a cos γ = az . (1.14)

Da queste relazioni si ricavano le componenti di un vettore noti il suo modulo e gli angoli
che esso forma con gli assi. Elevando al quadrato le tre ultime relazioni, sommando
membro a membro, e ricordando che cos2 α + cos2 β + cos2 γ = 1, avremo

a2 = a2x + a2y + a2z ,

12
da cui 
a= a2x + a2y + a2z . (1.15)

Questa formula esprime il modulo di un vettore note le sue componenti, mentre le (1.12),
(1.13) ed (1.14) esprimono i coseni degli angoli che il vettore forma con gli assi. Questo
permette di costruire il vettore note le sue componenti. Dalle (1.12), (1.13), (1.14) si ha
che la componente di un vettore lungo un dato asse è la sua proiezione sull’asse stesso.

Sottolineiamo il fatto che la componente di un vettore lungo un asse vale il prodotto scalare
del vettore per un versore diretto lungo quell’asse. Più in generale, si chiama componente
di un vettore lungo una direzione individuata dal versore m il prodotto scalare fra a e m.

Ricaviamo ora l’espressione cartesiana del prodotto vettoriale. Ricordando che

i £ i = 0, j £ j = 0, k £ k = 0;

i£j = k, j £k = i, k£i = j,

e che, per le proprietà del prodotto vettoriale

j £ i = ¡k , k £ j = ¡i , i £ k = ¡j ,

si ha

a £ b = (ax i + ay j + az k) £ (bx i + by j + bz k) =
= ax bx i £ i + ax by i £ j + ax bz i £ k + ay bx j £ i + ay by j £ j+
+ ay bz j £ k + az bx k £ i + az by k £ j + az bz k £ k =
= ax by k ¡ ax bz j ¡ ay bx k + ay bz i + az bx j ¡ az by i ,

e cioè
a £ b = (ay bz ¡ az by )i + (az bx ¡ ax bz )j + (ax by ¡ ay bx )k. (1.16)

Per ricordare facilmente le componenti del prodotto vettoriale è utile il determinante


simbolico:  
 i j k 

a £ b =  ax ay az  . (1.17)
 bx by bz 
che, sviluppato secondo la prima riga, dà esattamente la (1.16).

Calcoliamo ora l’espressione cartesiana del prodotto misto a £ b ¢ c. Ricordando la (1.11)


e la (1.16) si ottiene

a £ b ¢ c = cx (ay bz ¡ az by ) + cy (az bx ¡ ax bz ) + cz (ax by ¡ ay bx ) ,

13
o, equivalentemente,  
 ax ay az 

a £ b ¢ c =  bx by bz  .
 cx cy cz 

Una considerazione importante è la seguente: Dato il punto P di coordinate (x, y, z), le


componenti del vettore P ¡ O sono proprio x, y e z. Infatti, essendo P O cos α, P O cos β,
P O cos γ, nell’ordine, proprio le coordinate x, y, z di P , si può scrivere

P ¡ O = P O cos α i + P O cos β j + P O cos γ k = xi + yj + zk . (1.18)

Di conseguenza, dati due punti P1 e P2 di coordinate (x1 , y1 , z1 ) e (x2 , y2 , z2 ), si ha

P1 ¡ O = x1 i + y1 j + z1 k , P2 ¡ O = x2 i + y2 j + z2 k .

Sottraendo la prima uguaglianza dalla seconda si ottiene

P2 ¡ P1 = (x2 ¡ x1 )i + (y2 ¡ y1 )j + (z2 ¡ z1 )k.

Dunque, il vettore definito dalla differenza tra due punti ha per componenti la differenza
fra le coordinate analoghe dei due punti stessi.

1.7 Doppio prodotto vettoriale e divisione vettoriale

Dimostreremo ora la formula seguente

(a £ b) £ c = (a ¢ c)b ¡ (b ¢ c)a . (1.19)

Scegliamo un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxyz in modo che l’asse z sia parallelo
a c; cosı̀ si ha
c = ck, a ¢ c = az c, b ¢ c = bz c.

Allora, ricordando le espressioni (1.16) e (1.17) del prodotto vettoriale, possiamo scrivere
 
 i j k 
 
(a £ b) £ c =  ay bz ¡ az by az bx ¡ ax bz ax by ¡ ay bx  =

 0 0 c 

= (az bx c ¡ ax bz c)i + (az by c ¡ ay bz c)j + (az bz c ¡ az bz c)k =


= az c(bx i + by j + bz k) ¡ bz c(ax i + ay j + az k) = (a ¢ c)b ¡ (b ¢ c)a ,

col che abbiamo dimostrato la (1.19).

14
La formula (1.19) permette di risolvere assai facilmente il problema della divisione vettoriale,
che consiste nel determinare i vettori x soluzione dell’equazione:

a £ x = b, con a ? b . (1.20)

Osservato che essendo a ? b l’equazione è ben posta (se a e b non fossero perpendicolari
l’equazione non avrebbe soluzione), dimostriamo che
b£a
x0 =
a2
è soluzione. Infatti, sostituendo x0 nell’equazione ed applicando la formula (1.19), si ha
(b £ a) 1 1 1
a£ 2
= ¡ 2 (b £ a) £ a = ¡ 2 [(b ¢ a)a ¡ (a ¢ a)b] = ¡ 2 [¡a2 b] = b .
a a a a
Ricordando poi che a £ a = 0, la (1.20) risulta soddisfatta anche ponendo

x = x0 + ha ,

con h numero qualunque. Osserviamo che ogni vettore soluzione x è normale a b (x0 è
normale anche ad a).

Posti a e b con origine in un punto O e posto


x = P ¡ O, il risultato ottenuto ci dice che il
luogo dei punti P soddisfacenti l’equazione

a £ (P ¡ O) = b

è una retta parallela ad a posta come in figura.

1.8 Vettori variabili e loro derivazione

Si consideri ora una variabile numerica reale t, che assuma tutti i valori compresi in un
intervallo I = (t1 , t2 ). Supposto che ad ogni valore di t corrisponda uno ed un sol vettore
u, diremo che u è un vettore funzione di t ed esprimeremo ciò scrivendo

u = u(t) , t2I. (1.21)

Fissato quindi un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxyz, le componenti carte-


siane ux , uy , uz di u sono anch’esse funzioni della variabile t. Allora la funzione vettoriale
(1.21) è equivalente alle tre funzioni scalari:

ux = ux (t) , uy = uy (t) , uz = uz (t) .

15
Per i vettori funzione di una variabile t, si può definire, come per le funzioni ordinarie, il
concetto di limite per t tendente a t0 , essendo t0 un punto di accumulazione di I.

Definizione Diremo che il vettore u(t) tende, per t ! t0 , al limite u0 e scriveremo

lim u(t) = u0 (1.22)


t→t0

se
8ǫ > 0 , 9δǫ > 0 : 8t 2 (t0 ¡ δǫ , t0 + δǫ ) , t 6
= t0 ) ju(t) ¡ u0 j < ǫ .

Posto poi
u0 = u0x i + u0y j + u0z k ,

poichè il valore assoluto della componente di un vettore è sempre minore o al più uguale
al modulo del vettore stesso (vedi (1.15)), l’esistenza del limite (1.22) implica che

8ǫ > 0 , 9δǫ > 0 : 8t 2 (t0 ¡ δǫ , t0 + δǫ ) , t 6


= t0 ) jux (t) ¡ u0x j · ju(t) ¡ u0 j < ǫ .

Questa relazione, e le analoghe per uy ed uz , implicano

lim ux (t) = u0x , lim uy (t) = u0y , lim uz (t) = u0z ,


t→t0 t→t0 t→t0

vale a dire: il limite delle componenti di un vettore è dato dalle componenti del limite del
vettore stesso.

Dalle precedenti formule si deduce poi subito che


 
lim u(t) = lim u2x (t) + u2y (t) + u2z (t) = u20x + u20y + u20z = u0 , (1.23)
t→t0 t→t0

cioè il limite del modulo di un vettore vale il modulo del suo limite.

Si possono poi dimostrare i seguenti teoremi:


— Il limite della somma di due o più vettori vale la somma dei limiti dei singoli vettori.
— Il limite del prodotto scalare o vettoriale di due vettori vale il prodotto scalare o vettoriale
dei limiti dei singoli vettori.
— Il limite del prodotto di uno scalare per un vettore vale il limite dello scalare per il limite
del vettore.

Considerati uno scalare m(t) e due vettori u(t) e v(t), e supposto che

lim m(t) = m0 , lim u(t) = u0 , lim v(t) = v 0 ,


t→t0 t→t0 t→t0

16
i tre teoremi precedenti si scrivono cosı̀ :

 
lim u(t) § v(t) = u0 § v 0 ,
t→t0
lim u(t) ¢ v(t) = u0 ¢ v 0 ,
t→t0
lim u(t) £ v(t) = u0 £ v 0 ,
t→t0
lim m(t)u(t) = m0 u0 .
t→t0

Definizione Il vettore u(t) è continuo per t = t0 se

lim u(t) = u(t0 ).


t→t0

Definizione Si chiama derivata del vettore u(t) per t = t0 il vettore



′ du  u(t0 + h) ¡ u(t0 )
u (t0 ) = = lim . (1.24)
dt t=t0 h→0 h

(supposto che il limite esista)

Definizione Si chiama differenziale del vettore u(t) per t = t0 , e si indica con du, il prodotto
della derivata del vettore per t = t0 per il differenziale della variabile indipendente, vale a
dire
du = u′ (t0 )dt .

Si dimostra facilmente che la derivata di un vettore ha per componenti le derivate delle compo-
nenti del vettore stesso. Infatti si ha

du  u(t0 + h) ¡ u(t0 )
 = lim =
dt t=t0 h→0 h
ux (t0 + h) ¡ ux (t0 ) uy (t0 + h) ¡ uy (t0 ) uz (t0 + h) ¡ uz (t0 )
= lim i + lim j + lim k=
h→0 h h→0 h h→0 h
     
dux duy duz
= i+ j+ k = u′x (t0 ) i + u′y (t0 ) j + u′z (t0 ) k .
dt t0 dt t0 dt t0

Non è difficile provare che valgono le seguenti regole di derivazione:

d(u ¢ v) du dv
= ¢v+u¢ , (1.25)
dt dt dt
d(u £ v) du dv
= £v+u£ ,
dt dt dt
d(mu) dm du
= u+m .
dt dt dt
17
In particolare, dalla (1.25), ricordando anche la (1.4), si ha
du2 d(u ¢ u) du
= = 2u ¢ , (1.26)
dt dt dt
cioè la derivata del quadrato del modulo di un vettore vale il doppio del prodotto scalare
tra il vettore e la sua derivata.
Conseguenza immediata della (1.26) è che, se il vettore u è costante in modulo, allora
du
¢ u = 0,
dt
per cui la derivata di un vettore costante in modulo è perpendicolare al vettore stesso. In parti-
colare ciò vale per un versore.

Supponiamo ora che si abbia


 
u = u s(t) ,

ossia che u sia funzione della variabile t attraverso una seconda variabile reale s. In tal
caso è facile dimostrare che
du ds du
= . (1.27)
dt dt ds
Infatti, se u=u(s(t)), allora ux =ux (s(t)), uy =uy (s(t)) e uz =uz (s(t)), per cui, ricordando
le regole di derivazione delle funzioni ordinarie, si ottiene
du dux duy duz dux ds duy ds duz ds
= i+ j+ k= i+ j+ k=
dt dt dt dt ds
 dt ds dt ds dt
ds dux duy duz ds du
= i+ j+ k = .
dt ds ds ds dt ds

Si consideri ora la variabile t e si supponga che ad ogni suo valore corrisponda una posizione
di un punto P dello spazio. In tal caso diremo che il punto P è funzione di t e scriveremo
P = P (t) .

Definizione Si chiama derivata del punto P rispetto a t la derivata del vettore P (t) ¡ O,
dove O è un qualunque punto dello spazio che non dipende da t.
Questa definizione è giustificata dal fatto che la derivata di P non dipende da O. Infatti,
dP
indicata con la derivata di P rispetto a t, avremo
dt
   
dP d(P ¡ O) P (t + h) ¡ O ¡ P (t) ¡ O P (t + h) ¡ P (t)
= = lim = lim .
dt dt h→0 h h→0 h
dP
Questo dimostra l’indipendenza di da O. Osserviamo che sarebbe perfettamente
dt
equivalente assumere come definizione della derivata di un punto rispetto ad una variabile
t l’ultimo limite soprascritto.

18
Come sappiamo, considerato un sistema di riferimento Oxyz e un punto P di coordinate
x, y, z, le componenti del vettore (P ¡ O) sono proprio le coordinate di P, si ha cioè

P ¡ O = xi + yj +z k.

La definizione appena data conduce dunque alla formula

dP dx dy dz
= i+ j+ k,
dt dt dt dt

cioè le componenti della derivata di un punto sono le derivate delle sue coordinate.
 
Se poi P è funzione di un parametro s a sua volta funzione di t, per cui P = P s(t) , in
virtù della (1.27) si ha

dP d(P ¡ O) ds d(P ¡ O) ds dP
= = = .
dt dt dt ds dt ds

Infine, se i punti P e Q sono entrambi funzione di t, tale sarà anche il vettore P ¡ Q; di


conseguenza, si ha

d(P ¡ Q) d(P ¡ O) d(Q ¡ O) dP dQ


= ¡ = ¡ .
dt dt dt dt dt

19
2. GEOMETRIA DELLE MASSE

In questo capitolo ci occupiamo di geometria delle masse, vale a dire di nozioni


fondamentali della Meccanica che, dipendendo solo dalla distribuzione geometrica delle
masse, possono essere trattate anticipatamente. Più precisamente, ci occupiamo delle
nozioni di baricentro e di momento d’inerzia, fornendone anche il calcolo in alcuni
esempi elementari ma utili ai fini degli esercizi.

2.1 Massa

Definizione La massa è una proprietà intrinseca dei corpi connessa alla loro quantità di
materia.

Matematicamente la massa è rappresentata mediante una grandezza scalare m positiva,


che supponiamo indipendente dal sistema di riferimento e additiva, cioè uguale alla somma
delle masse delle parti componenti.
Il numero m rappresenta la misura della massa del corpo in rapporto a quella di un
corpo campione la cui massa è assunta come unitaria. La possibilità di misurare una
massa confrontandola con un’altra è una conseguenza della II Legge della Dinamica che
introdurremo fra un po’.

Spesso, quando le dimensioni del corpo sono piccole e il problema che ci interessa lo
permette, tornerà comodo, nel nostro modello matematico, trattare il corpo come se fosse
un punto geometrico P dotato della massa del corpo. Ebbene, in tal caso si parlerà di
punto materiale P di massa m, e si userà la notazione (P, m).

Un qualunque corpo potrà sempre essere riguardato come un’unione di punti materiali.
Tali punti potranno essere in numero finito o una infinità numerabile o un continuo. Nei
primi due casi, indicata con mi la massa dell’i-esimo punto, la massa totale del corpo, in
virtù dell’additività, sarà data da
N

M= mi (2.1)
i=1

oppure


M= mi
i=1

a seconda che i punti siano in numero finito o un’infinità numerabile.

20
Se invece i punti materiali costituiscono un continuo C, allora si suppone che al corpo sia
associata una funzione ρ(P ) reale, non negativa, limitata, detta densità di massa, definita
per ogni punto P del corpo e tale che la massa infinitesima dm contenuta in un elemento
infinitesimo dC del corpo contenente P sia data da dm = ρ(P )dC. La massa totale di C,
sempre in virtù dell’additività, sarà quindi data da

M= ρ(P )dC . (2.2)
C

In generale (2.2) è un integrale di volume; se però la forma del corpo C è particolare, per
cui una o due dimensioni risultino trascurabili rispetto alle altre, allora si potrà avere un
integrale di superficie o un integrale curvilineo.
Il caso più semplice che si possa presentare è ρ(P ) = costante = ρ0 , cioè quando il corpo
è omogeneo, per cui risulta m = ρ0 V, con V volume di C.

Nota bene: nel seguito supporremo sempre di aver a che fare o con un numero finito
di punti materiali o con un corpo continuo. Tutte le dimostrazioni verranno fatte nel
caso finito, sapendo però che esse possono essere riportate al caso numerabile o continuo
sostituendo semplicemente le somme finite con serie o integrali che supporremo sempre
convergenti.

2.2 Baricentro

Definizione Si chiama baricentro o centro di massa di un sistema materiale il punto G


definito dalla relazione N
s=1 ms (As ¡ O)
G¡O = (2.3)
M
se il sistema è costituito di N punti materiali (As , ms ), s = 1, . . . , N , oppure da

ρ(P )(P ¡ O)dC


G¡O = C (2.4)
M
nel caso di un corpo continuo C. Il punto O è un qualunque punto da noi fissato ed M è
la massa totale del sistema materiale.

Di solito O è l’origine del sistema di riferimento. Le coordinate di G rispetto ad un


riferimento Oxyz sono date da
N N N
m s xs ms ys ms zs
xG = s=1 , yG = s=1
, zG = s=1
. (2.5)
M M M
oppure da

C
ρxdC C
ρydC C
ρzdC
xG = , yG = , zG = , (2.6)
M M M
21
a seconda che i punti siano in numero finito od un continuo.

Osservazioni:
- Nel caso di un insieme di punti materiali tutti appartenenti ad una retta, anche G ap-
partiene alla retta. Esempio ovvio: un’asta. Analogamente, se tutti i punti appartengono
ad un piano, anche G appartiene al piano.
- In generale gli integrali (2.6) sono degli integrali di volume. Tuttavia, nel caso di corpi
particolari, essi possono ridursi ad integrali di superficie o addirittura ad integrali curvi-
linei. Ciò accade quando il corpo può assumersi come bidimensionale (ad esempio una
lamina) o unidimensionale (ad esempio un filo).
- Si può dimostrare che se il corpo è delimitato da una superficie convessa, G è interno al
corpo.

- Ai fini del calcolo dei baricentri risulta molto utile (in quanto aiuta a semplificare il
calcolo stesso) la seguente proposizione: se il sistema materiale ha un piano di simmetria
geometrico-materiale, il baricentro sta su tale piano.
Dimostrazione. Dire che il sistema di punti
materiali, che indichiamo con S, ha un piano
Π di simmetria significa dire che, se Ps 2 S,
anche il punto Qs , simmetricamente posto
rispetto a Π, appartiene a S. Dire poi che
la simmetria è anche materiale, significa dire
che Ps e Qs hanno la stessa massa ms (o, nel
caso continuo, la stessa densità di massa).

Supposto ora che il piano Π coincida col piano Oxy (che ha equazione z = 0), se Ps ´
(xs , ys , zs ), allora Qs ´ (xs , ys , ¡zs ). Dalla terza relazione delle (2.5) (o delle (2.6)) segue
quindi banalmente zG = 0, ossia G 2 Π.

- Conseguenza immediata del teorema appena dimostrato è che, se il corpo ha due piani di
simmetria, G sta sulla retta d’intersezione. Se poi ne ha tre, G è il loro punto d’intersezione.
Ad esempio, in un corpo omogeneo a forma di parallelepipedo o di sfera G coincide col
centro.

- Per determinare il baricentro di un sistema materiale costituito di N componenti, si determina


prima il baricentro di ciascuna componente, e quindi ci si comporta come se si avessero N
punti. Più precisamente, se si hanno N componenti di massa mi e baricentro Gi , è come
se si avessero gli N punti materiali (Gi , mi ).

22
2.3 Momento d’inerzia

Definizione Si definisce momento d’inerzia di un sistema di punti materiali (Ps , ms ), s =


1, ..., N , rispetto ad un asse (O, a) lo scalare

N

I= ms rs2 , (2.7)
s=1

dove rs è la distanza di Ps dall’asse.

Se invece di un sistema materiale discreto abbiamo a che fare con un sistema continuo,
allora, indicata con ρ(P ) la densità di massa, anzichè (2.7), si ha

I= ρ(P )r 2 dC , (2.8)
C

con r distanza di P dall’asse. In generale questo è un integrale di volume. Tuttavia, se


la forma del corpo C è particolare, per cui una o due dimensioni sono trascurabili rispetto
alle altre, allora si ha un integrale di superficie o un integrale curvilineo.

Il momento d’inerzia può anche essere definito rispetto ad un punto O: in questo caso,
in cui le distanze rs sono le distanze di Ps da O, si parla di momento d’inerzia polare
(rispetto al polo O) invece che di momento assiale.
Il momento polare però non è molto importante; esso è utile a semplificare il calcolo di
qualche momento d’inerzia assiale particolare (ad esempio, il momento d’inerzia di una
sfera omogenea rispetto ad un suo diametro). Nel seguito, quando si parlerà di momento
d’inerzia si intenderà sempre quello assiale, salvo che non sia altrimenti specificato.

Analogamente a quanto fatto finora, tutte le dimostrazioni che seguiranno si baseranno sul-
l’ipotesi che il sistema materiale sia discreto. Ovviamente le stesse dimostrazioni possono
essere rifatte in maniera del tutto analoga nel caso di un sistema materiale continuo.

Osserviamo che il momento d’inerzia I in generale è funzione del tempo t in quanto, in


generale, la distanza dei punti Ps dall’asse varia col tempo. Osserviamo però che, se il
sistema materiale è un corpo rigido e l’asse è fisso rispetto al corpo, allora I è costante. La
nozione di corpo rigido, di cui ci limitiamo a riportare qui la definizione, sarà approfondita
nel prossimo capitolo.
Definizione Un corpo rigido è un sistema di punti materiali le cui mutue distanze riman-
gono costanti nel tempo.
Un corpo non rigido, è un corpo deformabile.

23
2.4 Calcolo dei momenti d’inerzia

Il calcolo di un momento d’inerzia è sempre possibile ricorrendo direttamente alla defi-


nizione, cioè, a seconda che il sistema materiale sia discreto o continuo, alla (2.7) o alla
(2.8). Esistono però degli altri metodi che sono estremamente utili e che sono espressi dai
due teoremi che seguono.

Teorema (di Huyghens o di Steiner)


Noto il momento d’inerzia IG di un sistema materiale di massa totale M rispetto alla retta
baricentrica (G, k), il momento d’inerzia I rispetto ad una qualunque retta parallela posta
a distanza d vale
I = IG + M d2 . (2.9)
Dimostrazione
Siano Oxyz e Gx′ y ′ z ′ due sistemi di
riferimento con Gz ′ asse rispetto al
quale è noto il momento d’inerzia e
Oz asse rispetto al quale si vuole cal-
colare il momento, con k versore co-
mune. Si supponga poi che Oy ´ Gy ′
(senza con ciò perdere di generalità).
Ne consegue che

xs = x′s , ys = ys′ + d , zs = zs′ ,


e quindi
      ′ 2 
I= ms rs2 = ms x2s + ys2 = ms (xs ) + (ys′ + d)2
s s s
     
= ms (x′s )2 + (ys′ )2 + d2 ms + 2d ms ys′ = ms (rs′ )2 + M d2
s s s s
= IG + M d2 ,

dove si è tenuto conto che s ms ys′ = M yG

= 0.

Osservazione. Noto il momento d’inerzia rispetto ad una retta r, il teorema di Huyghens


permette il calcolo del momento d’inerzia rispetto ad una qualunque retta r ′ parallela ad
r. Ciò è possibile in base alla ovvia considerazione che la formula (2.9) può essere usata
anche per ricavare IG noto I.

Teorema Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto alla retta (O, a) di coseni
direttori α, β e γ rispetto ad un riferimento Oxyz vale
I = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 ¡ 2A′ αβ ¡ 2B ′ αγ ¡ 2C ′ βγ , (2.10)

24
dove
        
A= ms ys2 + zs2 , B= ms x2s + zs2 , C= ms x2s + ys2 , (2.11)
s s s
  
A′ = m s xs y s , B′ = ms xs zs , C′ = ms ys zs . (2.12)
s s s

Prima di dimostrare il teorema osserviamo che A, B e C sono i momenti d’inerzia del


sistema materiale rispetto agli assi Ox, Oy ed Oz rispettivamente. Le quantità A′ , B ′ e
C ′ , che hanno le dimensioni di un momento d’inerzia, si chiamano momenti di deviazione
o prodotti d’inerzia o momenti centrifughi. Dalle definizioni (2.11) e (2.12) si può osservare
che, al contrario di A, B e C che essendo dei veri momenti d’inerzia sono sempre positivi,
i momenti di deviazione A′ , B ′ e C ′ possono essere sia postivi che negativi.
Dimostrazione Posto

Ps ¡ O = xs i + ys j + zs k ,

essendo a = αi + βj + γk, si ha

2 2
rs2 = (Ps ¡ O) £ a = (γys ¡ βzs )i + (αzs ¡ γxs )j + (βxs ¡ αys )k
= (γys ¡ βzs )2 + (αzs ¡ γxs )2 + (βxs ¡ αys )2
= (ys2 + zs2 )α2 + (x2s + zs2 )β 2 + (x2s + ys2 )γ 2 ¡ 2xs ys αβ ¡ 2xs zs αγ ¡ 2ys zs βγ .

Sostituendo in (2.7) si ha
  
I= ms (ys2 + zs2 )α2 + ms (x2s + zs2 )β 2 + ms (x2s + ys2 )γ 2 ¡
s s s
  
¡2 ms xs ys αβ ¡ 2 ms xs zs αγ ¡ 2 ms ys zs βγ ,
s s s

che in virtù delle posizioni (2.11) e (2.12) dà la (2.10).

Il teorema appena dimostrato vale per qualunque sistema materiale. Ovviamente, in base
a quanto osservato alla fine del precedente paragrafo, i momenti d’inerzia A, B, C e i
momenti di deviazione A′ , B ′ e C ′ in generale sono funzione del tempo. Nel caso però di
un sistema rigido, se il sistema di riferimento è solidale con esso, allora A, B, C, A′ , B ′
e C ′ sono costanti. In considerazione di ciò, ed in considerazione del fatto che noi siamo
interessati esclusivamente a corpi rigidi, d’ora in poi, in questo e nel successivo paragrafo,
supporremo che il sistema materiale sia un corpo rigido e che la terna di riferimento sia
con esso solidale. Per mettere in evidenza quest’ultimo fatto la terna sarà indicata con
O1 x1 y1 z1 (naturalmente con versori i1 , j 1 e k1 ).

25
Definizione Si chiama matrice o tensore d’inerzia di un corpo rigido C relativa al riferimento
solidale O1 x1 y1 z1 la matrice simmetrica
 
A ¡A′ ¡B ′

J = ¡A′ B ¡C ′  . (2.13)
¡B ′ ¡C ′ C

Ora, utilizzando la matrice J , il risultato (2.10) può scriversi nella forma compatta

I = (J a, a) , (2.14)

dove a va inteso come vettore colonna, J a è il prodotto di una matrice 3£3 per un vettore
colonna (o, se si vuole, una matrice 3 £ 1), e (¢, ¢) indica il prodotto scalare tra due vettori
colonna.

Osservazione La matrice J , oltre ad essere simmetrica, è definita positiva. Ricordiamo


che una matrice A di tipo n£n si dice definita positiva se
= 0 , x 2 Rn .
(Ax, x) > 0 8x 6
Ovviamente il determinante di una matrice definita positiva è positivo.

2.5 Ellissoide d’inerzia

Il calcolo del momento d’inerzia rispetto ad una data retta può essere fatto utilizzando
l’ellissoide d’inerzia anziché la matrice d’inerzia. Questo approccio, per quanto totalmente
equivalente ad usare la formula (2.10), permette però una interpretazione geometrica sia
della matrice J che del momento d’inerzia.

Definizione Si chiama ellissoide d’inerzia di un corpo rigido C relativo al punto O1 l’ellis-


soide di equazione
Ax21 + By12 + Cz12 ¡ 2A′ x1 y1 ¡ 2B ′ x1 z1 ¡ 2C ′ y1 z1 = 1 (2.15)
rispetto ad una terna O1 x1 y1 z1 solidale con C.

Indicato con E(O1 ) l’ellissoide di C rispetto al punto


O1 , vale il seguente
Teorema Il momento d’inerzia I del corpo rigido C
rispetto ad una qualunque retta passante per O1 vale
1
I= 2 , (2.16)
O1 L
essendo L uno dei due punti in cui la retta interseca
l’ellissoide E(O1 ).

26
Osservato che ogni retta passante per (O1 ) interseca sempre E(O1 ) in due punti simme-
tricamente posti rispetto ad O1 , andiamo a dimostrare il teorema. Se la retta considerata
è (O1 , a), indicati con α, β e γ i suoi coseni direttori rispetto ad O1 x1 y1 z1 , le equazioni
cartesiane della retta rispetto allo stesso riferimento sono
x1 y1 z1
= = . (2.17)
α β γ
Per calcolare gli eventuali punti d’intersezione con E(O1 ) mettiamo a sistema (2.15) con
(2.17). Le (2.17) forniscono
β γ
y1 = x1 , z1 = x1 . (2.18)
α α
Sostituendo in (2.15) si ottiene
β2 2 γ2 2 β γ βγ
Ax21 + B x 1 + C x ¡ 2A′ x21 ¡ 2B ′ x21 ¡ 2C ′ 2 x21 = 1 ,
α2 α2 1 α α α
da cui, facendo il denominatore comune
 2 
Aα + Bβ 2 + Cγ 2 ¡ 2A′ αβ ¡ 2B ′ αγ ¡ 2C ′ βγ x21 = α2 ,

ossia, in virtù di (2.10),


α2
x21L =,
I
con L punto di intersezione della retta con E(O1 ). Tenendo poi conto delle (2.18) si ha

2 β2 2 γ2
y1L = , z1L = .
I I
Sommando queste tre relazioni, e ricordando che la somma dei quadrati dei coseni direttori
di una retta vale uno, si ottiene
2 α2 + β 2 + γ 2 1
O1 L = x21L + y1L
2 2
+ z1L = = ,
I I
da cui segue in modo ovvio la (2.16).

Osservazioni:
— Cambiando O1 , l’ellissoide cambia.
— Mantenendo O1 e cambiando gli assi del riferimento solidale, cambia la matrice d’inerzia
e quindi l’equazione dell’ellissoide, ma non cambia l’ellissoide. Ciò è ovvio dal fatto che la
formula (2.16) deve valere indipendentemente dal riferimento scelto.
— L’ellissoide d’inerzia è definito per ogni corpo rigido, eccetto che per un’asta. In tal caso,
infatti, assunto l’asse O1 z1 coincidente con l’asta, poiché ciascun punto Ps ha x1s = y1s =
0, si ha ovviamente C = 0, e di conseguenza l’ellissoide (2.15) degenera in un cilindro di
asse l’asse z1 .

27
2.6 Assi principali d’inerzia

Fra tutte le possibili terne di riferimento O1 x1 y1 z1 solidali con il corpo rigido ne esiste
(almeno) una privilegiata: quella i cui assi coincidono con gli assi dell’ellissoide. Rispetto
a questa terna, infatti, la matrice d’inerzia assume la forma diagonale, e di conseguenza
l’equazione dell’ellissoide diventa

Ax21 + By12 + Cz12 = 1 . (2.19)

Definizione Si chiamano assi principali d’inerzia per il punto O1 gli assi passanti per O1 e
coincidenti con gli assi dell’ellissoide d’inerzia relativo al punto O1 . I momenti d’inerzia
rispetto a tali assi si chiamano momenti principali d’inerzia.

La scelta della terna solidale O1 x1 y1 z1 coincidente con quella principale d’inerzia risulta
utile in quanto semplifica notevolmente i calcoli delle grandezze che coinvolgono il momento
d’inerzia (energia cinetica e momento della quantità di moto). Di conseguenza risulta
importante determinare gli assi principali d’inerzia.

Vediamo dapprima come si determinano gli assi principali d’inerzia di un corpo rigido C
rispetto ad un suo punto O1 , nota la matrice d’inerzia J rispetto ad una terna O1 x1 y1 z1 .
Naturalmente supponiamo J in forma non diagonale, perché altrimenti gli assi O1 x1 , O1 y1
e O1 z1 sarebbero già principali d’inerzia. Si può dimostrare la seguente proposizione:
Gli assi principali d’inerzia di C rispetto ad O1 hanno la direzione degli autovettori w1 ,
w2 , w3 associati agli autovalori λ1 , λ2 e λ3 della matrice d’inerzia J .
Ricordiamo che λ1 , λ2 e λ3 , che sono reali, positivi e distinti in conseguenza del fatto che
J è simmetrica e definita positiva, sono dati dalle radici dell’equazione
det(J ¡ λI) = 0 ,
e che l’autovettore wk è determinato, a meno di una costante moltiplicativa, dall’equazione
(J ¡ λk I)wk = 0 , k = 1, 2, 3 .

Piuttosto che calcolare la matrice d’inerzia J rispetto ad un osservatore O1 x1 y1 z1 scelto


a caso, e determinare poi gli assi principali d’inerzia diagonalizzando J , conviene cercare
di scegliere fin dall’inizio la terna principale d’inerzia, o almeno scegliere una terna con un
asse che sia principale d’inerzia. Valgono infatti i seguenti

Teoremi (senza dimostrazione)


C.N.S. perché l’asse O1 x1 sia principale d’inerzia è che si abbia A′ = B ′ = 0.
C.N.S. perché l’asse O1 y1 sia principale d’inerzia è che si abbia A′ = C ′ = 0.

28
C.N.S. perché l’asse O1 z1 sia principale d’inerzia è che si abbia B ′ = C ′ = 0.
Conseguenza immediata di questi teoremi è che, se due assi sono principali d’inerzia, anche
il terzo lo è.

Torna particolarmente utile il seguente

Teorema Ogni retta perpendicolare in O1 ad un piano di simmetria geometrico-materiale


è principale d’inerzia.

Dimostrazione
Sia O1 z1 la retta perpendicolare al piano di simme-
tria geometrico-materiale O1 x1 y1 . La simmetria
significa che ad ogni punto Ps ´ (x1s , y1s , z1s ) di
massa ms corrisponde il punto Qs ´ (x1s , y1s , ¡z1s )
pure di massa ms . Ne consegue

B′ = s ms x1s z1s = 0 , C′ = s ms y1s z1s = 0 ,
in quanto in ogni somma per ciascun termine ce n’è uno uguale e contrario.

Corollario 1 Se il corpo C è una figura rigida piana, allora il piano π contenente la figura
è di simmetria per C. Di conseguenza, qualunque sia O1 2 π, la retta perpendicolare al
piano del corpo è asse principale d’inerzia per O1 . Allora, assunto π ´ O1 x1 y1 , l’asse z1
è principale d’inerzia e l’equazione dell’ellissoide vale

Ax21 + By12 + Cz12 ¡ 2A′ x1 y1 = 1 .

Inoltre, poiché Ps ´ (x1s , y1s , 0), si ha


     2    2 
C= ms x21s + y1s
2
= 2
ms x1s + z1s + 2
ms y1s + z1s =A+B. (2.20)
s s s

Corollario 2 Se il corpo ha tre piani di simmetria mutuamente ortogonali, allora le tre


rette intersezioni (a due a due) sono assi principali d’inerzia per il baricentro G. (Ciascun
piano di simmetria contiene necessariamente G, e quindi tre piani di simmetria a due a
due ortogonali si intersecano in G).

In base a questo corollario si capisce facilmente che la terna principale d’inerzia non è
necessariamente unica. Basta infatti pensare ad una sfera rigida omogenea, e si ha imme-
diatamente che se O1 coincide col centro della sfera, ogni terna è principale d’inerzia.

Definizione L’ellissoide relativo al baricentro G è detto ellissoide centrale d’inerzia del


corpo. I suoi assi sono detti assi centrali e i momenti A, B, C ad essi relativi momenti
centrali d’inerzia.

29
Ai fini del calcolo dei momenti di deviazione può risultare utile il seguente teorema, analogo
a quello di Huyghens:
Teorema Noti i momenti di deviazione A′G , BG
′ ′
, CG di un sistema materiale rispetto
ad una terna Gx′ y ′ z ′ , gli analoghi momenti A′O , BO
′ ′
, CO rispetto ad una terna parallela
Oxyz sono dati dalle relazioni seguenti:

A′O = A′G + M xG yG , ′
BO ′
= BG + M xG zG , ′
CO ′
= CG + M yG zG , (2.21)

con xG , yG e zG coordinate di G rispetto ad Oxyz.

Dimostriamo la prima delle tre relazioni. Le altre


due si otterranno analogamente. Considerato un
generico punto Ps del sistema, siano (xs , ys , zs )
le sue coordinate rispetto ad Oxyz e (x′s , ys′ , zs′ )
quelle rispetto a Gx′ y ′ z ′ . Essendo gli assi delle
due terne paralleli, sussistono le relazioni

xs = x′s + xG ys = ys′ + yG zs = zs′ + zG .


Essendo x′G = yG

= 0, si ha
 
A′O = m s xs y s = ms (x′s + xG )(ys′ + yG ) =
s s
      
= ms x′s ys′ + ms x′s yG + ms ys′ xG + m s xG y G =
s s s s
= A′G + M x′G yG + ′
M yG xG + M xG yG = A′G + M xG y G .

Se la terna Gx′ y ′ z ′ è principale d’inerzia, le (2.21) diventano semplicemente le seguenti:

A′O = M xG yG , ′
BO = M xG zG , ′
CO = M yG zG . (2.22)

2.7 Momento d’inerzia polare

Ricaviamo qui una relazione tra il momento d’inerzia polare J rispetto al polo O e i
momenti d’inerzia A, B, C rispetto ad una qualunque terna Oxyz. Si ha:
   
J= ms rs2 = ms x2s + ys2 + zs2 =
s s
1  2  1  2  1  2  1 
= ms ys + zs2 + ms xs + zs2 + ms xs + ys2 = A + B + C .
2 s 2 s 2 s 2

Nel caso di una sfera omogenea (o, più in generale, a simmetria radiale) si ha A = B = C,
e quindi J = 32 A. Tale formula è utile per determinare A mediante J (il che è più facile
rispetto al calcolo mediante (2.8)).

30
3. CINEMATICA

La cinematica ha come obiettivo la descrizione del moto dei sistemi materiali


prescindendo dalle cause che lo producono. Tale descrizione comporta sempre la
scelta di un sistema di riferimento Oxyz rispetto al quale riferire la posizione di
ciascuno dei punti del sistema materiale oggetto di studio. I concetti di spazio e di
tempo sono assunti come assoluti, vale a dire si assume il seguente

Postulato: Due osservatori diversi misurano sempre le stesse distanze e gli stessi
tempi.

Andiamo ora a trattare la CINEMATICA DEL PUNTO.

3.1 Terna intrinseca ad una curva

Sia γ una qualunque curva regolare dello spazio. Andiamo a definire su di essa un sistema
di ascisse curvilinee. A tal fine fissiamo su γ un punto O1 , che chiameremo origine, ed un
verso positivo che diremo verso degli archi crescenti. Inoltre, fissiamo un’unità di
misura per la lunghezza degli archi. In questo
modo ad ogni punto P si può associare il numero s
lunghezza dell’arco O1 P , preso col segno positivo
o negativo a seconda che P segua o preceda O1 in
base all’ordinamento indotto dal verso positivo fis-
sato. Viceversa ad ogni valore di s corrisponde un
unico punto P di γ. Si è dunque stabilita una cor-
rispondenza biunivoca tra i punti di γ ed i numeri
reali di un opportuno intervallo. Il numero s che
corrisponde al punto P è detto ascissa curvilinea del punto P. Ha dunque sempre senso,
quando torni utile, considerare il punto P come funzione della sua ascissa curvilinea s; in
tal caso si scriverà: P = P (s) .

Ci poniamo ora il problema di calcolare le derivate prima e seconda di P rispetto ad s. In


virtù della definizione (1.24), si ha

dP P (s + h) ¡ P (s)
= lim .
ds h→0 h
Osserviamo innanzitutto che, poiché P (s+h)¡P (s)
è un vettore diretto secondo la corda, tale è anche

31
P (s + h) ¡ P (s)
il vettore . Passando al limite per h ! 0, la suddetta corda tenderà
h
dP
alla tangente a γ in P (s); di conseguenza ha direzione tangente alla curva in P (s).
ds
P (s + h) ¡ P (s)
Supposto ora h>0, osserviamo che ha il verso degli archi crescenti; di
h
dP
conseguenza, poichè il verso non cambia nel passaggio al limite, anche ha il verso degli
ds
archi crescenti. Allo stesso risultato si giunge supponendo h < 0.
Infine, ricordando la (1.23), si ha
 
 dP 
  lim jP (s + h) ¡ P (s)j .
 ds  = h→0 jhj
Ma il modulo di P (s + h) ¡ P (s) è la lunghezza della corda che ha per estremi i due punti
e jhj è la lunghezza dell’arco associato alla stessa corda. Di conseguenza, poiché quando
h tende a zero il rapporto fra corda ed arco tende ad uno, si può scrivere
dP
= t, (3.1)
ds
dove t è il versore tangente alla curva nel punto P di ascissa s, orientato secondo il verso
degli archi crescenti.

La (1.28) comporta
d2 P dt t(s + h) ¡ t(s)
= = lim .
ds2 ds h→0 h
dt
Osserviamo che, essendo t costante in modulo,
ds
dt
è normale a t, per cui giace nel piano normale a
ds
t, cioè nel piano normale alla curva in P (s). Posti
i vettori t(s + h) e t(s) con origine in P (s), osserviamo poi che il vettore t(s + h) ¡ t(s)
giace nel piano passante per la tangente in P (s) e parallelo alla tangente in P (s + h).
Per h ! 0 tale piano tende al cosiddetto piano osculatore alla curva nel punto P (s). Di
dt
conseguenza ha come direzione quella della retta intersezione del piano normale col
ds
piano osculatore. Tale retta è la normale principale alla curva γ nel punto P (s). Si può poi
dimostrare che esiste una circonferenza speciale, detta cerchio osculatore, situata nel piano
osculatore e con centro sulla normale principale, che approssima γ in un intorno del punto
P meglio di qualunque altra circonferenza. Il raggio del cerchio osculatore, che indichiamo
1
con ρc , si chiama raggio di curvatura di γ nel punto P , mentre il suo inverso è detto
ρc
curvatura. Ebbene, si può dimostrare che
dt d2 P 1
= 2
= n, (3.2)
ds ds ρc

32
dove n è un versore, detto versore normale, avente la direzione della normale principale alla
curva in P (s) ed orientato verso il centro del cerchio osculatore.

Se la curva γ è piana, il piano osculatore coincide col piano della curva, la normale prin-
cipale coincide con la normale alla curva ed il versore n è orientato verso l’interno della
curva. Nel caso poi che γ sia una circonferenza il cerchio osculatore coincide ovviamente
con la circonferenza stessa e si ha ρc = R.

Dal momento che i versori t ed n sono normali tra loro, si può definire un terzo versore b,
normale ad entrambi (e quindi normale al piano osculatore) in modo che (t, n, b) sia una
terna destra. La retta avente la direzione di b e passante per P (s) è detta binormale a γ
nel punto P . La terna di versori (t, n, b) è detta terna intrinseca alla curva nel punto P .

3.2 Vettore spostamento, equazione del moto, legge oraria

Si consideri dunque un punto P e sia O l’origine del sistema di riferimento cartesiano


scelto. Ad ogni istante temporale t corrisponderà una posizione di P, cioè un valore del
vettore P ¡ O. Tale vettore è detto vettore spostamento (o più semplicemente spostamento)
del punto dall’origine oppure raggio vettore, e si può scrivere

P ¡ O = P (t) ¡ O , (3.3)

che costituisce l’equazione vettoriale del moto di P. Ovviamente, anche le tre coordinate
cartesiane di P possono essere scritte in funzione di t,

x = x(t), y = y(t), z = z(t) . (3.4)

Queste funzioni sono dette equazioni cartesiane del moto di P. È ovvio che le (3.4) sono equi-
valenti alla (3.3), dal momento che si possono dedurre uguagliando fra loro le componenti
dei due vettori che compaiono in quell’equazione.

Volendo separare l’aspetto geometrico da quello cine-


matico, si può pensare di scrivere le equazioni del moto
facendo riferimento alla traiettoria percorsa dal punto P.
A tal fine consideriamo tale curva, che indichiamo con
γ, e fissiamo su di essa un sistema di ascisse curvilinee.

Allora ad ogni valore dell’ascissa s corrisponde una posizione di P, mentre ad ogni valore
di t corrisponde un valore dell’ascissa curvilinea, cioè

P ¡ O = P (s) ¡ O
(3.5)
s = s(t) .

33
La prima funzione di (3.5) fornisce la traiettoria di P, la seconda, detta legge oraria del
moto, lo spazio in funzione del tempo, e quindi la posizione di P sulla traiettoria ad ogni
istante t. In forma cartesiana (3.5) equivale a

 x= x(s)


y= y(s)
(3.6)

 z= z(s)


s= s(t) .

Nel seguito si assumerà che le funzioni a secondo membro di (3.3), (3.4), (3.5) e (3.6) siano
almeno C2 (continue assieme alle loro derivate seconde).

3.3 Velocità

Definizione Si definisce velocità scalare (istantanea), e la si indica con ṡ(t), la derivata


della funzione s(t) rispetto al tempo, ossia

ds
ṡ(t) ´ . (3.7)
dt

Osserviamo che la velocità scalare all’istante t altro non è che il limite della velocità scalare
s(t + h) ¡ s(t)
media nell’intervallo (t, t + h), cioè , quando h tende a zero.
h
Osserviamo anche che abbiamo introdotto una notazione che sarà ampiamente usata nel
seguito: il punto sopra una variabile dipendente dal tempo t significa la derivata di questa
rispetto a t. Analogamente, due punti significheranno la derivata seconda.

Se la velocità scalare è costante ed uguale a v0 , allora la legge oraria è del tipo

s(t) = s0 + v0 t (3.8)

con s0 = s(0). In tal caso il moto si dice uniforme.

Dalla (3.7) si vede che se la velocità scalare ṡ è positiva, s cresce al crescere del tempo: in
tal caso il moto si dice diretto; se invece ṡ è negativa, s decresce all’aumentare del tempo
e il moto si dice retrogrado.

Siano ora P (t) e P (t + h) le posizioni del punto rispettivamente all’istante t e t + h.


Definizione Si definisce velocità vettoriale all’istante t la derivata rispetto al tempo del
vettore spostamento:

d(P ¡ O) dP P (t + h) ¡ P (t)
v(t) = = = lim . (3.9)
dt dt h→0 h

34
Analogamente alla velocità scalare, la velocità vettoriale all’istante t è il limite della velo-
P (t + h) ¡ P (t)
cità vettoriale media nell’intervallo (t, t + h) quando h tende a zero.
h
Nota bene: d’ora in poi, quando si parlerà di velocità, si intenderà sempre il vettore velocità
istantanea.

Consideriamo ora P come funzione del tempo t attraverso l’ascissa curvilinea s; tenendo
conto della (3.1) si ha
dP dP ds ds
v(t) = = = t = ṡt . (3.10)
dt ds dt dt
Dunque, la velocità all’istante t ha sempre direzione tangente alla traiettoria, modulo dato
dal modulo della velocità scalare, il verso degli archi crescenti o decrescenti a seconda che
ṡ sia positiva o negativa.

Se il moto è uniforme la velocità non varia in intensità perchè ṡ è costante, ma varia, in


generale, in direzione. v è costante solo nel caso in cui il moto è anche rettilineo, perchè
allora t è costante.

In forma cartesiana si ha
dP d(P (t) ¡ O)
v(t) = = = ẋi + ẏj + żk , (3.11)
dt dt
ossia le componenti sugli assi della velocità di P sono le derivate delle coordinate del punto
rispetto al tempo. Il modulo della velocità, o equivalentemente, il modulo della velocità
scalare è dato da

jvj = jṡtj = jṡj = ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 .

Ne consegue

ṡ(t) = § ẋ2 (t) + ẏ 2 (t) + ż 2 (t) , (3.12)
 t
s(t) = § ẋ2 (τ ) + ẏ 2 (τ ) + ż 2 (τ )dτ . (3.13)
t0

3.4 Accelerazione

Poichè l’unico moto che avviene con velocità costante è il moto rettilineo uniforme, in
generale la velocità di un punto è variabile nel tempo.

Definizione Si definisce accelerazione all’istante t la derivata prima della velocità rispetto


al tempo o, equivalentemente, la derivata seconda del vettore spostamento rispetto al
tempo, cioè
v(t + h) ¡ v(t) dv d2 (P ¡ O) d2 P
a(t) = lim = = = . (3.14)
h→0 h dt dt2 dt2

35
Derivando la (3.10)e ricordando la (3.2) si ha

d dṡ dt dt ds ṡ2
a= (ṡt) = t + ṡ = s̈t + ṡ = s̈t + n ,
dt dt dt ds dt ρc
ossia
ṡ2
a = at t + an n con at = s̈ , an = . (3.15)
ρc
L’accelerazione all’istante t è dunque la somma di due vettori, uno detto accelerazione tan-
genziale uguale a s̈t, diretto secondo la tangente alla traiettoria, l’altro, detto accelerazione
ṡ2
centripeta o normale, uguale a n, diretto secondo la normale principale e verso il centro
ρc
del cerchio osculatore alla curva. Poichè questi due vettori giacciono nel piano osculatore
alla traiettoria nel punto P (t), si avrà che l’accelerazione giace nel piano osculatore della
traiettoria. Ricordiamo anche che ρc è il raggio di curvatura della curva percorsa dal punto
in P (t).

Se l’accelerazione tangenziale è nulla in ogni istante, si ha s̈(t) = 0, per cui ṡ(t) = cost = v0 ;
integrando si ha s(t) = s0 + v0 t, cioè il moto è uniforme. Invece i moti con accelerazione
ṡ2
centripeta in ogni istante nulla sono i moti rettilinei, perchè dovendo essere = 0, il
ρc
raggio ρc di curvatura deve essere infinito, e quindi la traiettoria è una retta. Si conclude
che i moti con accelerazione nulla in ogni istante sono soltanto i moti rettilinei ed uniformi.

La (3.15) rappresenta l’espressione dell’accelerazione in forma intrinseca; in forma carte-


siana si avrà
a = ẍi + ÿj + z̈k, (3.16)

cioè le componenti dell’accelerazione sugli assi sono le derivate seconde rispetto al tempo
delle coordinate del punto.

3.5 Classificazione dei moti

In base a velocità ed accelerazione

Consideriamo ora alcuni moti con particolari caratteristiche per quanto riguarda la velocità
o l’accelerazione, e proponiamo uno schema di classificazione di tali moti. Ciò ci porterà
a riconsiderare anche moti già presi in considerazione e classificati.

- moto diretto : se ṡ > 0;


- moto retrogrado : se ṡ < 0;
- moto uniforme : se ṡ(t) = v0 costante;
- moto rettilineo : se t(t) = t0 costante;

36
- moto rettilineo ed uniforme : se ṡt = v 0 costante;
- moto curvilineo : se t(t) 6= cost;
(circolare, parabolico, ellittico, . . . , a seconda della traiettoria)
 dṡ2 
- moto accelerato : se ṡs̈ > 0; > 0 () jṡj crescente
dt
 dṡ2 
- moto ritardato : se ṡs̈ < 0; < 0 () jṡj decrescente
dt
- moto uniformemente vario : se s̈(t) = a costante;
- moto uniformemente accelerato : se ṡs̈ > 0 ed s̈ costante;
- moto uniformemente ritardato : se ṡs̈ < 0 ed s̈ costante.

In base alla legge oraria

I moti di un punto possono essere classificati anche in base alla legge oraria, nel qual caso
torna utile introdurre e studiare il diagramma orario, vale a dire il grafico di s(t).

1) s(t) = v0 t + s0
Il moto è uniforme. Il diagramma orario è una retta e, ovviamente, v0 ed s0 rappresentano
rispettivamente la velocità scalare ṡ (che è costante) e l’ascissa curvilinea iniziale s(0).
1 2
2) s(t) = at + v0 t + s0
2
Il moto è uniformemente vario. Il diagramma orario è una parabola e le costanti a, v0 ed
s0 forniscono rispettivamente s̈ (che è costante), la velocità scalare iniziale ṡ(0) e l’ascissa
curvilinea iniziale s(0).

3) s(t) = A cos(ωt + γ)
Il moto è oscillatorio armonico. Il diagramma orario è una sinusoide, A è l’ampiezza del moto,
ω la pulsazione e γ la fase iniziale.
Il moto oscillatorio armonico è periodico. A questo riguardo diamo la seguente
Definizione Un moto di equazione oraria s(t) si dice periodico se esiste T > 0 tale che

s(t + T ) = s(t) 8t . (3.17)

Il minimo T positivo per cui vale la (3.17) viene detto periodo del moto.

Il moto oscillatorio armonico è periodico di periodo T = . Infatti
ω
     
2π 2π
s t+ = A cos ω t + +γ = A cos(ωt + 2π + γ) = A cos(ωt + γ) = s(t) .
ω ω

37

Chiaramente ω è il minimo T per cui vale la (3.17). La frequenza di tale moto sarà
1 ω
pertanto f = T = 2π . Osserviamo che frequenza e pulsazione differiscono solo per un
fattore 2π; ciò giustifica il fatto che spesso ci si riferisca direttamente ad ω come alla
frequenza del moto.
Calcoliamo ora velocità ed accelerazione scalare del moto. Si ha

ṡ(t) = ¡Aω sin(ωt + γ) ,


s̈(t) = ¡Aω2 cos(ωt + γ) .

Quest’ultima può essere riscritta come

s̈(t) + ω 2 s(t) = 0 , (3.18)

che costituisce l’equazione differenziale che caratterizza univocamente la classe di leggi


orarie del tipo 3).

4) s(t) = Ae−pt cos(ωt + γ), p>0


Il moto è oscillatorio smorzato. Il diagramma orario è una sinusoide smorzata, p è il coeffi-
ciente di smorzamento, Ae−pt è l’ampiezza dell’oscillazione (decrescente in quanto p > 0),
ω è la pulsazione e γ è la fase iniziale.

5) s(t) = C1 e−β1 t + C2 e−β2 t , β1 > β2 > 0


Il moto è aperiodico smorzato. Per t ! 1, s(t) ! 0.

6) s(t) = (C1 + C2 t)e−βt , β>0


Il moto è aperiodico con smorzamento critico. Come per i moti 4) e 5), per t ! +1, s(t) ! 0.

Un’equazione differenziale è una relazione d’uguaglianza che esprime il legame tra una fun-
zione incognita, alcune sue derivate e la variabile indipendente. Si chiama ordine dell’equa-
zione differenziale l’ordine della derivata di ordine massimo. L’insieme di tutte le funzioni
che sono soluzione di un’equazione differenziale è detto integrale generale dell’equazione. Se
p è l’ordine dell’equazione differenziale, il suo integrale generale è costituito di 1p funzioni.
L’equazione (3.18) ha ordine 2 ed il suo integrale generale è costituito dalle 12 funzioni
C1 cos ωt + C2 sin ωt
con C1 e C2 costanti arbitrarie o, equivalentemente, da
C(cos ωt + γ)
con C e γ costanti arbitrarie.

38
3.6 Moto circolare

Definizione Il moto di un punto P è detto circolare se la sua traiettoria è una circonferenza


od un suo arco.

Per studiare questo particolare moto è conveniente esprimere velocità ed accelerazione di


P in forma intrinseca. A tal fine, data la circonferenza C di centro C e raggio R, fissiamo
l’origine degli archi in un suo punto O1 e assumiamo come verso degli archi crescenti il
verso antiorario. Ne consegue che il il versore tangente t ed il versore normale n in P sono
quelli indicati in figura, con t normale a P ¡ C e n diretto radialmente e orientato verso
C. Indichiamo poi con k il versore normale al piano della circonferenza che forma con t e
n una terna destra.

Riprendiamo le espressioni di v e a in forma intrin-


seca:
ṡ2
(3.19) v = ṡt , a = s̈t + n,
ρc

Essendo ρc = jP ¡ Cj = R e ṡ(t) = §jv(t)j, l’acce-


lerazione sarà data da
ṡ2 v2
a = s̈t + n = s̈t + n .
R R
Supposto poi che le origini degli archi e degli angoli siano le stesse, indicato con θ l’angolo
P
CO1 , crescente come l’ascissa curvilinea s nel verso antiorario, si ha s = Rθ , e quindi,
derivando rispetto al tempo,
ṡ = Rθ̇ , s̈ = Rθ̈ .

Le (3.19) diventano quindi

v = Rθ̇t , a = Rθ̈t + Rθ̇2 n. (3.20)

θ̇ viene detta velocità angolare scalare di P.

Osserviamo che, essendo t = n £ k e R n = C ¡ P , si può anche scrivere


v(P ) = R θ̇ t = R θ̇ n £ k = ¡R θ̇ k £ n = θ̇ k £ (¡R n) ,

ovvero, posto ω = θ̇k,


v(P ) = ω £ (P ¡ C) . (3.21)

Il vettore ω si chiama vettore velocità angolare o, più semplicemente, velocità angolare del
punto P .

39
Se il moto avviene con velocità scalare ṡ costante, si parla di moto circolare uniforme. In
tale moto, essendo s funzione lineare del tempo, ossia s = v0 t + s0 (dove s0 rappresenta
l’ascissa curvilinea di P all’istante t=0), si ottiene

s v0 s0
θ(t) = = t+ = ω0 t + θ0 , (3.22)
R R R
v0 s0
dove si è posto ω0 = e θ0 = . Le (3.20) diventano quindi
R R
v02
v = v0 t = Rω0 t , a= n = Rω02 n ,
R
da cui si evidenzia come, nel moto circolare uniforme, l’accelerazione sia tutta centripeta.
Notiamo che, indicato con T il periodo del moto, ossia il tempo impiegato dal punto per
percorrere l’intera circonferenza, si ha
2πR 2π
T = = .
v0 ω0

Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano Cxy (per semplicità si
sceglierà CO1 come asse delle x), le equazioni cartesiane del moto circolare uniforme sono
date da:
   
x = R cos ω0 t + θ0 , y = R sin ω0 t + θ0 .

Osserviamo che le proiezioni di un moto circolare uniforme sugli assi (e quindi su un


qualunque diametro della circonferenza che può sempre essere assunto come uno degli
assi) sono moti armonici.

Passiamo ora a considerare la CINEMATICA DEL CORPO RIGIDO.

3.7 Corpo rigido: generalità

Definizione Un corpo rigido è un sistema di punti materiali le cui mutue distanze riman-
gono costanti nel tempo.
Ovviamente, essendo la distanza fra due punti indipendente dal riferimento, ne consegue
che un corpo rigido è tale rispetto a qualunque osservatore.

Il moto di un corpo rigido è determinato quando è noto il moto di ogni suo punto in ogni
istante t dell’intervallo di tempo considerato. In realtà, grazie alla rigidità del corpo, la
conoscenza del moto di tre punti non allineati, permette di conoscere il moto di ogni altro
punto. Vale infatti il teorema che segue.

40
Teorema Assegnata la posizione del corpo rigido C , ossia dei suoi punti, in un istante
t0 , e nota all’istante t la posizione di tre punti non allineati di C , risulta determinata
all’istante t la posizione di ogni altro punto di C.

Dimostrazione Siano At , Bt e Ct le posizioni (note) occupate dai tre punti in questione


all’istante t e A0 , B0 e C0 quelle occupate all’istante t0 . Sia poi P un qualunque altro punto
del corpo rigido, e Pt e P0 le sue posizioni agli istanti t e t0 , con P0 nota. In virtù della
rigidità di C , il tetraedro At Bt Ct Pt è uguale al tetraedro A0 B0 C0 P0 . Di conseguenza la
posizione di P all’istante t è univocamente determinata dal vertice del tetraedro A0 B0 C0 P0
quando la sua base A0 B0 C0 è fatta coincidere con At Bt Ct .

Vale poi anche il seguente

Teorema C.N.S. affinchè un corpo C sia rigido, o si comporti come rigido, è che in ogni
istante t si abbia

dP (P ¡ Q) dQ (P ¡ Q)
8P, Q 2 C , ¢ = ¢ . (3.23)
dt jP ¡ Qj dt jP ¡ Qj

C.N. Per la definizione di corpo rigido, 8P, Q 2 C, si ha jP ¡ Qj = d, cioè (P ¡ Q)2 = d2 .


Derivando ambo i membri:
 
dP dQ
2(P ¡ Q) ¢ ¡ = 0,
dt dt
e quindi
 
(P ¡ Q) dP dQ
¢ ¡ = 0.
jP ¡ Qj dt dt
C.S. Si dimostra ripetendo a ritroso i passaggi appena descritti.

Osservazione. Un punto non appartenente al corpo rigido, ma solidale con esso, può sem-
pre essere considerato un punto del corpo.

Quanti parametri sono necessari e sufficienti a determinare la posizione di un corpo rigido


libero (cioè non soggetto a restrizioni nei suoi spostamenti) ?

Il modo più semplice per rispondere a questa domanda si basa sulla considerazione pre-
cedente. Siano Pi ´ (xi , yi , zi ), i = 1, 2, 3, tre punti non allineati del corpo rigido. Per
quanto detto, la conoscenza dei 9 parametri xi , yi e zi in funzione del tempo permette di
conoscere la posizione di ogni altro punto del corpo, e quindi la posizione del corpo, in
ogni istante. Tuttavia, dovendo le distanze P1 P2 , P1 P3 e P2 P3 rimanere costanti al variare

41
del tempo, sussistono tra i nove parametri le seguenti tre relazioni:
   21

 2 2 2

 P1 P2 = (x1 ¡ x2 ) + (y1 ¡ y2 ) + (z1 ¡ z2 ) = d12



   1
2

 P1 P3 = (x1 ¡ x3 )2 + (y1 ¡ y3 )2 + (z1 ¡ z3 )2 = d13





   12


 P2 P3 2 2
= (x2 ¡ x3 ) + (y2 ¡ y3 ) + (z2 ¡ z3 ) 2
= d23 ,

con d12 , d13 e d23 costanti. Di conseguenza, i parametri indipendenti necessari e sufficienti
a definire la posizione di un corpo rigido libero sono 6 (= 9¡3).

È bene osservare fin d’ora che nella pratica la scelta delle coordinate di tre punti non
allineati del corpo o, in alternativa, delle coordinate di un punto O1 del corpo e dei nove
coseni direttori degli assi di un sistema solidale col corpo, non è conveniente. Infatti, in
tal caso occorrerebbe poi tener conto delle 6 relazioni che intercorrono tra questi parame-
tri. Sottolineiamo fin d’ora il fatto che è sempre opportuno scegliere dei parametri, che
chiameremo parametri lagrangiani, che siano indipendenti.

Nel caso di un corpo rigido C libero la scelta ottimale consiste nell’assumere come para-
metri lagrangiani le coordinate di un punto del corpo (x, y, z), per esempio il baricentro,
e i tre angoli di Eulero (ψ, φ, θ) che adesso definiamo.

Sia O1 un punto del corpo rigido C e O1 xyz un sistema di riferimento con origine in O1
e traslante (cioè tale che i suoi assi rimangono paralleli a se stessi durante il moto) rispetto ad
un osservatore fisso OXY Z, con gli assi della terna O1 xyz paralleli a quelli di OXY Z.
Introduciamo poi anche un sistema O1 x1 y1 z1 solidale con C.

Si consideri la retta (linea nodale)


(O1 , l) intersezione del piano xy con
il piano x1 y1 (supposti non coinci-
denti). Gli angoli di Eulero, che
indicheremo con ψ (angolo di pre-
cessione), ϕ (angolo di rotazione
propria) e θ (angolo di nutazione),
sono cosı̀ definiti:

 angolo levogiro rispetto a z,


ψ = xl 0 · ψ < 2π ,
1 angolo levogiro rispetto a z1 ,
ϕ = lx 0 · ϕ < 2π ,
1 angolo levogiro rispetto a l,
θ = zz 0 · θ · π.

42
3.8 Formule di Poisson

Un problema fondamentale della Meccanica riguarda lo


studio del moto di un corpo rigido C rispetto ad un si-
stema di riferimento Oxyz fissato. A tal fine risulta di
grande utilità l’introduzione di un secondo sistema di rife-
rimento O1 x1 y1 z1 , solidale col corpo. I versori i1 , j 1 e k1
associati a questa terna mobile in generale variano in di-
rezione, per cui la loro derivata rispetto al tempo non è
nulla. Ebbene, le formule di Poisson risolvono il problema
di calcolare le derivate temporali di una terna di versori
mobili. Poichè

i1 ¢ j 1 = 0 j 1 ¢ k 1 = 0 k1 ¢ i1 = 0

si avrà
di1 dj di1 dj
¢ j 1 + i1 ¢ 1 = 0 =) ¢ j 1 = ¡i1 ¢ 1 = r(t)
dt dt dt dt
dj 1 dk1 dj 1 dk1
¢ k1 + j 1 ¢ =0 =) ¢ k1 = ¡j 1 ¢ = p(t)
dt dt dt dt
dk1 di1 dk 1 di1
¢ i1 + k 1 ¢ =0 =) ¢ i1 = ¡k1 ¢ = q(t) .
dt dt dt dt
Definito il vettore ω nel modo seguente

ω(t) = p(t)i1 + q(t)j 1 + r(t)k1 , (3.24)


di1
il vettore si potrà rappresentare come
dt
     
di1 di1 di1 di1
= ¢ i1 i1 + ¢ j1 j1 + ¢ k1 k 1 = rj 1 ¡ qk1 .
dt dt dt dt
Ma siccome  
 i1 j1 k1 

ω £ i1 =  p q r  = rj 1 ¡ qk 1 ,
1 0 0 
si ha
di1
= ω £ i1 . (3.25)
dt
In modo analogo si ottengono analoghe relazioni per j 1 e k1 . Si hanno quindi le tre formule
seguenti, note come formule di Poisson.
di1 dj 1 dk1
= ω £ i1 = ω £ j1 = ω £ k1 . (3.26)
dt dt dt
Il vettore ω si chiama vettore velocità angolare del corpo rigido C (e del riferimento O1 x1 y1 z1 )
rispetto ad Oxyz.

43
Osservazione. In realtà il corpo rigido non ha giocato nessun ruolo nella deduzione delle
formule (3.26). Si poteva quindi partire direttamente con il solo riferimento O1 x1 y1 z1 ,
senza associarlo ad alcun corpo rigido. Occorre tuttavia dire che nella pratica O1 x1 y1 z1 è
quasi sempre ”attaccato” ad un corpo rigido. Ciò giustifica la scelta fatta.

3.9 Formula fondamentale della cinematica rigida

Risolviamo ora il seguente problema: determinare la velocità di un punto qualunque di un


corpo rigido C , note la velocità angolare ω e la velocità di un punto O1 di C . Sia Oxyz il
sistema di riferimento rispetto al quale stiamo studiando il moto di C .

Consideriamo un generico punto P di C . Indicata con


O1 x1 y1 z1 una terna solidale con C con origine in O1 e
versori i1 , j 1 e k1 , si ha
P ¡ O1 = x1 i1 + y1 j 1 + z1 k1 ,
con x1 , y1 , z1 costanti per la rigidità di C. Derivando
ambo i membri rispetto all’osservatore Oxyz, si ottiene

dP dO1 di1 dj dk 1
¡ = x1 + y1 1 + z1 = x1 ω £ i1 + y1 ω £ j 1 + z1 ω £ k1 =
dt dt dt dt dt
= ω £ (x1 i1 + y1 j 1 + z1 k1 ) = ω £ (P ¡ O1 ) ,

ossia
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) . (3.27)
dt dt
Questa formula, a cui ci riferiremo come formula fondamentale della cinematica rigida, esprime
dunque la velocità di un qualsiasi punto P del corpo rigido, nota la velocità di un punto O1
e noto il vettore velocità angolare ω. Derivandola otteniamo l’espressione dell’accelerazione
di un generico punto P di un corpo rigido.
d2 P d2 O1 dω d
2
= 2
+ £ (P ¡ O1 ) + ω £ (P ¡ O1 ) =
dt dt dt dt
d2 O1 dω
= 2
+ £ (P ¡ O1 ) + ω £ ω £ (P ¡ O1 ) . (3.28)
dt dt
Poiché la relazione (3.27) vale 8P 2 C, può essere scritta per un altro punto Q 2 C:
dQ dO1
= + ω £ (Q ¡ O1 ). (3.29)
dt dt
Sottraendo membro a membro la (3.29) dalla (3.27) si ha
dP dQ d(P ¡ Q)
¡ = ω £ (P ¡ Q) ) = ω £ (P ¡ Q), (3.30)
dt dt dt
che dà l’espressione della derivata del vettore (P ¡ Q), 8P, Q 2 C.

44
Il vettore ω gode delle seguenti proprietà:
- è unico. Infatti non dipende dal punto O1 (come è evidente dalla sua definizione) e
supposto che ne esistano due, si dimostra immediatamente che sono uguali.
- dipende, in generale, dal tempo. Di conseguenza esso varia, in generale, sia in modulo
che in direzione.
- ha le dimensioni dell’inverso di un tempo, come si evince da una analisi dimensionale
della formula (3.29). Di conseguenza ω può essere pensato nella forma
ω = θ̇(t)a(t) ,
con θ angolo di rotazione del corpo. Il concetto di angolo di rotazione sarà ripreso e
giustificato più avanti, quando tratteremo lo stato cinetico rotatorio.

3.10 Stati cinetici

Definizione Si chiama stato cinetico o atto di moto di un corpo rigido C il campo vettoriale
delle velocità dei suoi punti in un dato istante t0 .

Si possono definire quattro stati cinetici elementari:

1) stato cinetico nullo: 8P 2 C =) v(P ) = 0 ;

2) stato cinetico traslatorio: 8P 2 C =) v(P ) = u ;

3) stato cinetico rotatorio: 8P 2 C =) v(P ) = ω £ (P ¡ O1 ) ;

4) stato cinetico elicoidale: 8P 2 C =) v(P ) = u + ω £ (P ¡ O1 ), u k ω.

Osserviamo che lo stato cinetico elicoidale, essendo u k ω, posto u = uk e ω = ωk, può


essere rappresentato in modo equivalente nella forma

8P 2 C =) v(P ) = uk + ωk £ (P ¡ O1 ) .

In un dato istante un corpo rigido può passare attraverso più stati cinetici v 1 (P ), v 2 (P ),...,
v n (P ). Ebbene, in tal caso lo stato cinetico risultante è determinato dalla composizione
degli n stati cinetici, ossia da

v(P ) = v 1 (P ) + v 2 (P ) + ... + v n (P ) .

45
Come sappiamo già, lo stato cinetico rigido è dato dalla formula fondamentale della
cinematica rigida
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ), 8P 2 C.
dt dt
Esso può essere riguardato come la composizione di uno stato cinetico traslatorio, definito
dO1
da u = , con uno rotatorio, definito da (O1 , ω). Per questa ragione si parla spesso di
dt
stato cinetico rototraslatorio.

Prima di passare ad esaminare i diversi casi che si possono avere a seconda del valore dei
dO1
vettori caratteristici ed ω, occorre introdurre una nozione che ci tornerà assai utile.
dt
Definizione Si chiama invariante la grandezza scalare

dO1
I= ¢ω. (3.31)
dt

L’invariante non dipende da O1 (il che giustifica il nome); infatti


 
dP dO1 dO1 dO1
¢ω = + ω £ (P ¡ O1 ) ¢ ω = ¢ ω + ω £ (P ¡ O1 ) ¢ ω = ¢ω.
dt dt dt dt

Andando ad esaminare i diversi casi che si presentano a seconda del valore dei vettori carat-
dO1
teristici ed ω, dimostreremo che uno stato cinetico rigido è sempre equivalente
dt
ad uno stato cinetico elementare.

Incominciamo considerando innanzitutto i due casi più semplici.

dO1
= 0, ω = 0 : lo stato cinetico è nullo. Tutti i punti del corpo hanno velocità nulla
dt
all’istante t0 ; ossia, per t = t0 il corpo ha un istante di arresto.

dO1
= 0, ω = 0 : lo stato cinetico è traslatorio. Tutti i punti del corpo hanno, all’istante
6
dt
t0 , la stessa velocità. È questo l’unico caso in cui si può parlare di velocità del corpo C .
Al riguardo si può enunciare un ovvio teorema:
dO1
Teorema C.N.S. affinchè lo stato cinetico rigido sia traslatorio è che= 0, ω = 0.
6
dt
Se poi lo stato cinetico del corpo C è traslatorio in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ),
si dirà che in detto intervallo C si muove di moto traslatorio o, più semplicemente, che C
trasla. Ovviamente, durante un moto traslatorio la velocità, in generale, varia da istante
ad istante.

46
3.11 Stato cinetico rotatorio
dO1
Consideriamo ora il caso in cui = 0 mentre ω 6= 0, per cui
dt
v(P ) = ω £ (P ¡ O1 ) .

Lo stato cinetico, che è chiaramente rotatorio, è definito dalla coppia costituita dal punto
O1 e dal vettore ω, e quindi dal vettore applicato (O1 , ω). La retta individuata da questo
vettore applicato è detta asse di istantanea rotazione.

Osserviamo subito che tutti i punti dell’asse di istantanea


rotazione hanno velocità nulla.

Consideriamo quindi un qualunque punto P di C non ap-


partenente ad (O1 , ω) ed andiamo a studiarne la velocità.
Osserviamo innanzitutto che v(P ) è un vettore normale al
piano individuato dall’asse di istantanea rotazione e dal vet-
tore (P ¡ O1 ) o, equivalentemente, dall’asse e dal vettore
(P ¡ P0 ), essendo P0 la proiezione di P sull’asse. Posto poi
ω = ωk, con k versore parallelo a ω, si può scrivere

v(P ) = ωk £ (P ¡ P0 + P0 ¡ O1 ) = ωk £ (P ¡ P0 ) . (3.32)
Ora, confrontando questa espressione di v(P ) con la (3.21), se ne deduce che la velocità
di un punto P 2
/ (O1 , ω) è quella di un punto che, all’istante considerato, percorre con
velocità angolare scalare θ̇ = ω la circonferenza posta nel piano normale a k di centro
P0 e raggio r = P P0 . Il fatto che ω sia indipendente dal punto P , e quindi esprima una
caratteristica del moto dell’intero corpo, giustifica il nome di velocità angolare di C che si
dà al vettore ω. Naturalmente θ̇ è detta velocità angolare scalare di C .

Definito poi lo scalare  


t t
θ(t) = θ̇(τ )dτ = ω(τ )dτ , (3.33)
t0 t0

ad esso, che come θ̇(t) è indipendente da P , si dà il nome di angolo di rotazione di C.

Osserviamo che mentre l’angolo θ di rotazione di un corpo rigido è definito analiticamente


in maniera inequivocabile dalla (3.33), esso non è altrettanto facilmente definibile per via
geometrica a causa del fatto che, in generale, ω(t) = θ̇(t)k(t) varia anche in direzione. Se
però k(t) = k 0 , allora θ può essere definito come l’angolo solido compreso tra due semipiani
uscenti dall’asse (O1 , k0 ), l’uno fisso nello spazio (o con giacitura fissa) e l’altro solidale
con C. Osserviamo che in questo caso il corpo rigido o ha un asse fisso nello spazio o ha
un asse che durante il moto rimane parallelo a se stesso.

47
dO1
Lo stato cinetico di un corpo rigido può essere rotatorio anche senza che sia nullo. Il
dt
teorema che segue dà ragione di questa affermazione.
dP dO1
Teorema C.N.S. affinchè lo stato cinetico rigido = + ω £ (P ¡ O1 ), con ω 6
= 0,
dt dt
sia rotatorio è che si abbia
dO1 dO1
= 0 oppure ? ω.
dt dt
Dimostrazione

C.N. L’ipotesi è che lo stato cinetico è rotatorio. Di conseguenza esiste certamente un


punto O2 che permette di rappresentare lo stato cinetico nel modo seguente:
dP
= ω £ (P ¡ O2 ), 8P 2 C .
dt
Con questa formula sarà lecito calcolare anche la velocità di O1 :
dO1
= ω £ (O1 ¡ O2 ) ,
dt
dO1 dO1
da cui si deduce = 0 oppure ? ω.
dt dt
dO1 dO1
C.S. L’ipotesi è che o =0 o ? ω . Esaminiamo separatamente i due casi.
dt dt
dO1
a) = 0 : lo stato cinetico è rotatorio per definizione, con asse (O1 , ω).
dt
dO1
b) ? ω: in tal caso si può determinare un punto O2 tale che
dt
dO1
= ω £ (O1 ¡ O2 ) . (3.34)
dt
(Nel x1.7 si è dimostrato che questa equazione ammette infinite soluzioni: tutti i punti
O2 di una opportuna retta parallela ad ω.) Dalla formula fondamentale della cinematica
rigida si ha quindi
dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) = ω £ (O1 ¡ O2 ) + ω £ (P ¡ O1 ) = ω £ (P ¡ O2 ) .
dt dt
In questo caso, dunque, si ha uno stato cinetico di rotazione con asse (O2 , ω) individuato
dalla relazione (3.34).

Osservazione Uno stato cinetico rotatorio (O1 , ωk) è equivalente agli infiniti stati cinetici
(O2 , ωk), con O2 2 (O1 , k). Infatti:

v(P ) = ω£(P ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 +O2 ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 )+ω£(O2 ¡O1 ) = ω£(P ¡O2 ) .

In altre parole: dato uno stato cinetico rotatorio, è lecito far scorrere il vettore velocità
angolare lungo l’asse di istantanea rotazione.

48
Se lo stato cinetico del corpo C è rotatorio in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ), si dirà
che in detto intervallo C si muove di moto rotatorio o, più semplicemente, che C ruota.
Naturalmente, durante un moto rotatorio, l’asse di istantanea rotazione varia, in generale,
sia nello spazio che nel corpo.

Nota bene : in questo paragrafo è stata introdotto l’uso della notazione di vettore applicato
anche per indicare la retta dello spazio che esso individua. Di questo doppio uso del simbolo
di vettore applicato faremo ampio uso anche in seguito. Il contesto dovrebbe escludere
ogni possibilità di confusione.

3.12 Stato cinetico elicoidale; teorema di Mozzi

Come abbiamo visto uno stato cinetico elicoidale è cosı̀ rappresentabile:


dP
= uk + ωk £ (P ¡ O1 ) .
dt
La retta (O1 , k) è detta asse di Mozzi o asse elicoidale. I suoi punti sono caratterizzati dalla
seguente proprietà:

8M 2 (O1 , k) , v(M ) = uk .
Di solito la velocità uk, che è comune a tutti (e solo) i punti dell’asse di Mozzi, è detta
velocità di scorrimento del corpo. Osserviamo che si può scrivere
uω ω I
v(M ) = uk = = 2ω.
ω ω ω
Per quanto riguarda la velocità di un qualunque punto non appartenente all’asse di Mozzi,
osserviamo che si ottiene sommando alla velocità di scorrimento una componente (non
nulla) normale all’asse stesso.

Teorema di Mozzi C.N.S. perché uno stato cinetico rigido sia elicoidale è che l’inva-
riante I sia diverso da zero.

Dimostrazione
dP dO1
Lo stato cinetico rigido sia rappresentato come al solito: = + ω £ (P ¡ O1 ) .
dt dt
dO1 dO1
C.N. L’ipotesi è che lo stato cinetico è elicoidale. Ciò implica = 0, ω 6
6 = 0, k ω.
dt dt
dO1
Essendo I = ¢ ω, ne consegue immediatamente I 6 = 0.
dt
dO1
C.S. L’ipotesi è I 6= 0. Ne consegue che i vettori e ω sono non nulli e non ortogonali,
dt
dO1 dO1
e quindi k ω oppure = uω + un con uω k ω ed un ? ω. Consideriamo nell’ordine
dt dt
i due casi.

49
dO1
a) k ω. Per definizione lo stato cinetico è elicoidale con asse di Mozzi (O1 , ω) .
dt
dO1
b) = uω + un . Essendo un ? ω, come visto al x1.7, esistono infiniti O2 tali che
dt
un = ω £ (O1 ¡ O2 ) . (3.35)

Scelto un O2 siffatto, si ha quindi


dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) = uω + ω £ (O1 ¡ O2 ) + ω £ (P ¡ O1 ) = uω + ω £ (P ¡ O2 ) .
dt dt
Ciò significa che in questo caso lo stato cinetico di C è equivalente ad uno stato cinetico
elicoidale con asse di Mozzi (O2 , ω) definito dall’equazione (3.35).

Se lo stato cinetico del corpo C è elicoidale in ogni istante di un intervallo (t1 , t2 ), si dirà che
in detto intervallo C si muove di moto rototraslatorio. Durante un moto rototraslatorio,
l’asse di Mozzi varia, in generale, sia nello spazio che nel corpo. Un esempio significativo
di moto rototraslatorio è costituito dal moto di un corpo rigido con un asse scorrevole su
un asse fisso. In tal caso l’asse di Mozzi risulta fisso sia nello spazio che nel corpo.

3.13 Stati cinetici e moti di un corpo rigido: schema riassuntivo

I diversi casi di stati cinetici rigidi possono essere riassunti nello schema seguente:
 dO
 1

 = 0, ω=0 =) Stato cinetico nullo

 dt



 dO1
 = 0,
6 ω=0 =) Stato cinetico traslatorio
I=0 : dt

 dO1

 = 0, ω6
=0 =) Stato cinetico rotatorio (O1 , ω)

 dt



 dO1 6 dO1
= 0, ω6
= 0, ?ω =) Stato cinetico rotatorio (O2 , ω)
dt dt


 dO1 dO1 Stato cinetico elicoidale

 = 0,
6 ω6
= 0, kω =)

 dt
 dt con asse di Mozzi (O1 , ω)
I6
=0 :



 dO1 dO1 Stato cinetico elicoidale


 dt =60, ω6
= 0,
dt
trasverso a ω =)
con asse di Mozzi (O2 , ω)

Nel caso del moto di un corpo rigido in un intervallo di tempo (t1 , t2 ) si parla di
- moto traslatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è traslatorio;
- moto rotatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è rotatorio;
- moto rototraslatorio : se 8t 2 (t1 , t2 ) lo stato cinetico è elicoidale.

50
3.14 Composizione degli stati cinetici

Sia C un corpo rigido in moto e sia fv(P ), P 2 C g il suo stato cinetico in un dato istante
t. Supponiamo che v(P ) sia la composizione di due stati cinetici v 1 (P ) e v 2 (P ), ossia che
si abbia
v(P ) = v 1 (P ) + v 2 (P ) .

Vogliamo studiare lo stato cinetico risultante. In particolare vogliamo prendere in consi-


derazione i casi possibili di composizione di due stati cinetici rotatori. Altri casi, che sono
invece riconducibili ai due teoremi visti nei precedenti paragrafi, non saranno ripresi in
esame.

1) Composizione di due stati cinetici di traslazione:

v 1 (P ) = u1 , v 2 (P ) = u2 =) v(P ) = u1 + u2 .

Lo stato cinetico risultante è di traslazione se u1 6


= ¡u2 , nullo se u1 = ¡u2 .

2) Composizione di uno stato cinetico traslatorio con uno rotatorio:

v 1 (P ) = u , v 2 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ) =) v(P ) = u + ω £ (P ¡ O1 ) .

Per quanto visto sugli stati cinetici rotatorio ed elicoidale sappiamo già che lo stato cinetico
risultante è rotatorio se u ? ω, elicoidale altrimenti (si veda il teorema di Mozzi).

3) Composizione di due stati cinetici di rotazione:

v 1 (P ) = ω 1 £ (P ¡ O1 ), v 2 (P ) = ω 2 £ (P ¡ O2 );

Si presentano tre possibili casi.

3a) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω 2 ) sono concorrenti (eventualmente
anche coincidenti).
Detto O il punto d’intersezione delle rette (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω 2 ), si può scrivere

v(P ) = ω 1 £ (P ¡ O) + ω 2 £ (P ¡ O) = (ω 1 + ω 2 ) £ (P ¡ O).

Di conseguenza, se ω 1 + ω 2 6
= 0 (come in generale sarà), lo stato cinetico risultante è
rotatorio con asse (O, ω 1 + ω 2 ). Se invece ω 1 + ω 2 = 0, cioè ω1 = ¡ω 2 , lo stato cinetico
risultante è nullo.

3b) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω1 ) e (O2 , ω2 ) sono paralleli (e distinti, per cui
O2 2
/ (O1 , ω 1 )).

51
Se ω 1 + ω 2 6
= 0 allora sulla retta O1 O2 esiste un punto O tale che

ω 1 £ (O1 ¡ O) + ω 2 £ (O2 ¡ O) = 0 . (3.36)

Infatti, qualunque sia il punto O, questi due vettori hanno uguale direzione (normale
al piano contenente ω 1 e ω 2 ); affinchè abbiano verso opposto, occorre scegliere O inter-
namente al segmento O1 O2 quando ω 1 e ω2 sono concordi, esternamente quando sono
discordi. Affinchè poi i due vettori abbiano lo stesso modulo si deve verificare che
ω1 OO2
ω1 OO1 = ω2 OO2 =) = ,
ω2 OO1
cioè il punto O deve dividere il segmento O1 O2 internamente o esternamente (a seconda che
ω 1 e ω 2 siano o no equiversi) in parti inversamente proporzionali ad ω1 e ω2 . Osserviamo
che nel caso in cui O è esterno ad O1 O2 , esso sta dalla parte dell’ωi di modulo maggiore.
Ora, tenendo presente la (3.36) si ha

v(P ) = ω 1 £(P ¡O1 )+ω 2 £(P ¡O2 )+ω 1 £(O1 ¡O)+ω 2 £(O2 ¡O) = (ω 1 +ω 2 )£(P ¡O),

che rappresenta uno stato cinetico di rotazione attorno ad un asse d’istantanea rotazione
parallelo ad ω 1 +ω2 e con velocità angolare uguale allo stesso vettore somma.
Se invece ω1 + ω 2 = 0, per cui ω 1 = ¡ω 2 = ω, si può scrivere

v 1 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ), v 2 (P ) = ¡ω £ (P ¡ O2 )

Allora, poiché

v(P ) = ω £ (P ¡ O1 ¡ P + O2 ) = ω £ (O2 ¡ O1 ) = u ,

v(P ) = u non dipende da P, e quindi lo stato cinetico è traslatorio. Si noti che u è


ortogonale al piano che contiene i due assi di rotazione.

3c) Gli assi d’istantanea rotazione (O1 , ω 1 ) e (O2 , ω2 ) sono sghembi (per cui ω 1 6
= ω 2 ).

v(P ) = ω 1 £ (P ¡ O1 ) + ω 2 £ (P ¡ O2 ) + ω 1 £ (P ¡ O2 ) ¡ ω 1 £ (P ¡ O2 ) =
= ω 1 £ (O2 ¡ O1 ) + (ω 1 + ω 2 ) £ (P ¡ O2 ) = u + (ω1 + ω 2 ) £ (P ¡ O2 )

Osserviamo che, essendo u = ω 1 £ (O2 ¡ O1 ), u è perpendicolare sia a ω 1 che a (O2 ¡ O1 ).


Dimostriamo che u non è perpendicolare ad ω 1 +ω 2 . Per farlo, ragioniamo per assurdo e
supponiamo che lo sia. Considerato il piano Π individuato dal vettore (O1 , ω1 ) e da O2 ,
essendo u ? ω 1 e u ? (O2 ¡ O1 ), ne consegue u ? Π. Di conseguenza u ? (ω 1 + ω 2 )
comporterebbe (O2 , ω 1 +ω 2 ) 2 Π e quindi anche (O2 , ω2 ) 2 Π, contro l’ipotesi che (O1 , ω 1 )
e (O2 , ω 2 ) sono sghembi. Dunque u non è perpendicolare ad ω 1 +ω 2 . Di conseguenza
lo stato cinetico risultante, essendo la somma di uno stato cinetico traslatorio con uno
rotatorio con asse non ortogonale, per il teorema di Mozzi è elicoidale.

52
Passiamo ora allo studio di quel capitolo della cinematica che va sotto il nome di
CINEMATICA RELATIVA.

3.15 Definizione del problema della cinematica relativa

Il problema di cui vogliamo occuparci è il seguente: Si considerino due sistemi di rife-


rimento Oxyz e O1 x1 y1 z1 in moto l’uno rispetto all’altro. Noto il moto di un punto P
rispetto ad uno dei sistemi, ad esempio rispetto ad O1 x1 y1 z1 , e noto il moto di O1 x1 y1 z1
rispetto ad Oxyz, si vuole determinare il moto di P rispetto ad Oxyz. Ci riferiremo con-
venzionalmente al sistema Oxyz come al sistema fisso o assoluto e al sistema O1 x1 y1 z1
come al sistema mobile o relativo.

Ricordato che in virtù di due fondamentali postulati già introdotti i tempi e le distanze
non variano al variare dell’osservatore (si veda il postulato della nota introduttiva alla
Cinematica, pag. 43), facciamo subito un’importante considerazione. Ogni sistema di
riferimento si può sempre pensare collegato ad un corpo rigido, in quanto o lo è realmente,
oppure si può immaginare che lo sia (in tal caso il corpo rigido sarebbe quello formato dai
punti le cui distanze dagli assi rimangono invariate nel tempo).

Allora, per conoscere il moto del sistema relativo rispetto a quello fisso occorre conoscere in
ogni istante la posizione rispetto ad Oxyz del corpo rigido collegato col sistema O1 x1 y1 z1 .
Ciò è possibile conoscendo il moto di O1 e i nove coseni direttori degli angoli che gli assi
del sistema mobile formano con gli assi del sistema fisso o, equivalentemente, il moto di
O1 e il vettore ω(t).

Il problema che ci interessa può essere risolto attraverso le formule di trasformazione di


coordinate. Infatti, denotate con (a, b, c) le coordinate di O1 rispetto ad Oxyz e con
(α1 , α2 , α3 ), (β1 , β2 , β3 ), (γ1 , γ2 , γ3 ) i nove coseni direttori delle rette O1 x1 , O1 y1 , O1 z1
rispetto agli assi Ox, Oy e Oz, le formule di trasformazione seguenti forniscono le coordi-
nate (x, y, z) di un qualunque punto P rispetto ad Oxyz, note le sue coordinate (x1 , y1 , z1 )
rispetto ad O1 x1 y1 z1 . 
 x = a + α1 x1 + β1 y1 + γ1 z1
y = b + α2 x1 + β2 y1 + γ2 z1 (3.37)

z = c + α3 x1 + β3 y1 + γ3 z1 .
Ovviamente, per usare queste formule, occorre conoscere le 12 funzioni a(t), b(t), c(t),
α1 (t), α2 (t), α3 (t), β1 (t), β2 (t), β3 (t), γ1 (t), γ2 (t) e γ3 (t).

53
3.16 Teoremi di composizione delle velocità e delle accelerazioni

Le formule (3.37) risolvono dunque il problema di determinare il moto del punto P ri-
spetto all’osservatore fisso, noto il moto di P rispetto all’osservatore mobile e noto il moto
di questo rispetto all’osservatore fisso. Risultano tuttavia molto importanti le relazioni
che legano direttamente fra di loro le due velocità e le due accelerazioni rispetto ai due
osservatori. Ci occupiamo ora di determinare queste relazioni. In questo caso il moto del
riferimento O1 x1 y1 z1 rispetto ad Oxyz è noto essendo noti O1 (t) e ω(t).

Ritorniamo alle primitive coordinate, (x, y, z) rispetto al sistema fisso e (x1 , y1 , z1 ) rispetto
al sistema mobile, e supponiamo, come al solito, che i, j, k siano i versori relativi agli assi
del sistema Oxyz mentre i1 , j 1 , k1 siano i versori del sistema O1 x1 y1 z1 . L’espressione
cartesiana del vettore P ¡ O rispetto ad Oxyz e di P ¡ O1 rispetto ad O1 x1 y1 z1 è data da

P ¡ O = xi + yj + zk , P ¡ O1 = x1 i1 + y1 j 1 + z1 k1 .

La velocità di P rispetto al sistema relativo (velocità relativa) è


 
d(P ¡ O1 )
v1 = = ẋ1 i1 + ẏ1 j 1 + ż1 k 1 , (3.38)
dt O1

mentre quella rispetto al sistema assoluto (velocità assoluta) vale


 
d(P ¡ O)
v= = ẋi + ẏj + żk . (3.39)
dt O

Analogamente l’accelerazione relativa di P diventa


 2 
d (P ¡ O1 )
a1 = = ẍ1 i1 + ÿ1 j 1 + z̈1 k1 , (3.40)
dt2 O1

e l’accelerazione assoluta vale


 
d2 (P ¡ O)
a= = ẍi + ÿj + z̈k . (3.41)
dt2 O

Derivando ora P ¡ O1 rispetto al tempo nel sistema fisso, si ottiene

dP dO1 di1 dj dk1


¡ = ẋ1 i1 + ẏ1 j 1 + ż1 k1 + x1 + y1 1 + z 1 , (3.42)
dt dt dt dt dt
ovvero
dP  dO1 di1 dj dk1 
= ẋ1 i1 + ẏ1 j 1 + ż1 k1 + + x1 + y1 1 + z 1 .
dt dt dt dt dt
Si può dunque scrivere
v(P ) = v 1 (P ) + v τ (P ) , (3.43)

54
dove
dO1 di1 dj dk1
v τ (P ) = + x1 + y1 1 + z 1 = (3.44)
dt dt dt dt
dO1
= + x1 (ω £ i1 ) + y1 (ω £ j 1 ) + z1 (ω £ k1 ) =
dt
dO1
= + ω £ (x1 i1 ) + ω £ (y1 j 1 ) + ω £ (z1 k1 ) =
dt
dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) (3.45)
dt
viene detta velocità di trascinamento di P . Tale nome deriva dal fatto che v τ (P ) rappresenta
la velocità che il punto P avrebbe se fosse rigidamente connesso al sistema mobile.

La (3.43) esprime il teorema di composizione delle velocità: la velocità di un punto rispetto


al sistema fisso vale la velocità del punto rispetto al sistema mobile sommata con la velocità
di trascinamento.

Consideriamo ora la (3.42) e deriviamola rispetto al tempo nel sistema fisso. Si avrà

d2 P d2 O1 di1 dj 1 dk 1 d2 i1 d2 j 1 d2 k 1
¡ = ẍ 1 i1 + ÿ1 j 1 + z̈ 1 k 1 + 2 ẋ 1 +2 ẏ 1 + 2ż1 + x 1 + y1 + z1 ,
dt2 dt2 dt dt dt dt2 dt2 dt2
e cioè
a(P ) = a1 (P ) + ac (P ) + aτ (P ) . (3.46)

Il termine
d2 O1 d2 i1 d2 j 1 d2 k1
aτ (P ) = + x 1 + y 1 + z1 , (3.47)
dt2 dt2 dt2 dt2
costituisce l’accelerazione di trascinamento di P ; esso rappresenta l’accelerazione che il punto
P avrebbe se considerato rigidamente connesso al sistema relativo, mentre il termine
 
di1 dj 1 dk1  
ac (P ) = 2 ẋ1 + ẏ1 + ż1 = 2 ẋ1 ω £ i1 + ẏ1 ω £ j 1 + ż1 ω £ k1 =
dt dt dt
 
= 2ω £ ẋ1 i1 + ẏ1 j 1 + ż1 k1 = 2ω £ v 1 (P ), (3.48)

è detto accelerazione complementare o di Coriolis del punto P .

La (3.46) rappresenta il teorema di composizione delle accelerazioni o di Coriolis : l’acce-


lerazione di un punto rispetto al sistema Oxyz vale l’accelerazione rispetto ad O1 x1 y1 z1
sommata con l’accelerazione di trascinamento e con l’accelerazione di Coriolis.

L’accelerazione di Coriolis ac (P ) è nulla in ogni istante t in cui o è nullo v 1 (P ) o è nullo


ω o ω è parallelo a v 1 (P ).

L’accelerazione di trascinamento aτ (P ) non è la derivata rispetto a t di v τ (P ). Essa può


però essere pensata come la derivata di v τ (P ) rispetto a t purché si consideri P solidale

55
con il riferimento O1 x1 y1 z1 , cioè supponendo x1 , y1 e z1 costanti. Ciò risulta evidente se
si confronta (3.44) con (3.47). Sviluppando quest’ultima si ottiene un’espressione dell’ac-
celerazione di trascinamento molto utile ai fini del calcolo della stessa:

d2 O1 d(ω £ i1 ) d(ω £ j 1 ) d(ω £ k1 )


aτ (P ) = 2
+ x1 + y1 + z1 =
dt  dt dt dt
d2 O1 dω di1
= + x1 £ i1 + ω £ +
dt2 dt dt
   
dω dj 1 dω dk1
+ y1 £ j1 + ω £ + z1 £ k1 + ω £ =
dt dt dt dt
d2 O1 dω
= + £ (P ¡ O1 ) + ω £ ω £ (P ¡ O 1 ) . (3.49)
dt2 dt

Supponiamo ora che i sistemi di riferimento coinvolti siano tre: oltre ad Oxyz ed O1 x1 y1 z1
introduciamo anche O2 x2 y2 z2 . Considerando O1 x1 y1 z1 come sistema assoluto ed O2 x2 y2 z2
come sistema relativo, si ha

v1 = v 2 + vτ 2 , a1 = a2 + aτ 2 + ac2 .

Ricordando poi le relazioni (3.43) e (3.46) si avrà

v = v2 + vτ 1 + vτ 2 , a = a2 + aτ 1 + aτ 2 + ac1 + ac2 .

Nel seguito qualche volta useremo una notazione più sintetica per indicare un sistema di
riferimento: (O) per Oxyz e (O1 ) per O1 x1 y1 z1 .

3.17 Relazione fra le derivate di un vettore rispetto a due osservatori

Preso un vettore qualsiasi u, in generale esso varia sia rispetto al sistema fisso Oxyz che
rispetto al sistema mobile O1 x1 y1 z1 . Ci poniamo il problema di determinare la relazione
che lega le derivate (rispetto al tempo) di u rispetto ai due riferimenti. Sia

u = u1x i1 + u1y j 1 + u1z k1

l’espressione cartesiana di u rispetto ad O1 x1 y1 z1 . Derivando rispetto ai due sistemi, si


ottiene  
du
= u̇1x i1 + u̇1y j 1 + u̇1z k1 ,
dt O1

56
   
du du di1 dj dk1
= + u1x + u1y 1 + u1z
dt O dt O1 dt dt dt
 
du
= + u1x (ω £ i1 ) + u1y (ω £ j 1 ) + u1z (ω £ k1 )
dt O1
 
du
= + ω £ (u1x i1 + u1y j 1 + u1z k1 ) ,
dt O1

ossia    
du du
= + ω £ u. (3.50)
dt O dt O1

Si è cosı̀ ottenuta la relazione cercata.

Supponendo u = ω si trova un’importante proprietà del vettore velocità angolare. In tal


caso, infatti, la (3.50) diventa
   
dω dω
= ,
dt O dt O1

cioè la derivata rispetto al tempo del vettore ω è la stessa rispetto ai due sistemi di
riferimento.
  Pertanto se p, q, r sono le componenti di ω sugli assi x1 , y1 , z1 ,le componenti

dω dω
di sugli stessi assi sono ṗ, q̇, ṙ. Si può inoltre osservare che, se = 0,
dt O dt O1
allora (O1 , ω) è fisso rispetto ad (O1 ) e traslante rispetto ad (O).

Dedichiamo ora alcuni paragrafi allo studio di particolari moti rigidi, detti MOTI
RIGIDI PIANI. Questo argomento, riveste particolare interesse soprattutto in vista
del corso di “Meccanica Applicata alle Macchine”.

3.18 Moto rigido piano

Definizione Si definisce moto rigido piano il moto di una figura rigida piana nel proprio
piano.

Sia Oxy il piano fisso su cui si muove la figura rigida piana e sia O1 x1 y1 un piano solidale
con la figura, mobile su Oxy. Siano poi k e k 1 i versori ortogonali rispettivamente al
piano fisso Oxy e al piano mobile O1 x1 y1 , orientati in modo tale che le terne Oxyz e
O1 x1 y1 z1 siano destre. Poichè O1 x1 y1 si muove su Oxy, in ogni istante si ha k = k1 , e
dk 1
quindi dt = 0. Utilizzando le formule di Poisson si ha dunque ω£k 1 = 0, per cui, supposto
ω6
= 0, ω è ortogonale ai due piani. Ovviamente, se ω = 0 lo stato cinetico in generale è
traslatorio (si può anche verificare il caso particolarissimo in cui è nullo).

57
Lo stato cinetico del moto rigido piano è dunque dato da

dP dO1
= + ω £ (P ¡ O1 ) ,
dt dt
dO1
con ortogonale ad ω. Esiste perciò, ed è unico, un punto C 2 Oxy, soddisfacente
dt
l’equazione
dO1
= ω £ (O1 ¡ C) ; (3.51)
dt
questo punto è tale che, sostituendo, si ha

dP
= ω £ (P ¡ C) . (3.52)
dt

Questa relazione dice che in un moto rigido piano con ω 6


= 0 lo stato cinetico è sempre
rotatorio attorno all’asse (C, k). Il punto C si chiama centro di istantanea rotazione. Esso si
muove sia rispetto al piano fisso Oxy che rispetto al piano mobile O1 x1 y1 . I luoghi geome-
trici descritti dal moto del punto C rispetto ai due osservatori si chiamano rispettivamente
base (o curva polare fissa) e rulletta (o curva polare mobile). Le due curve polari sono anche
dette traiettorie polari.
Il centro di istantanea rotazione gode di una importante proprietà: è l’unico punto del
piano mobile che ha velocità di trascinamento nulla. Infatti, in virtù della (3.52),

v τ (C) = ω £ (C ¡ C) = 0 ,

o equivalentemente, in virtù della (3.51),

dO1
v τ (C) = + ω £ (C ¡ O1 ) = 0 .
dt

Ne consegue che
v(C) = v 1 (C) ,

ossia il punto C percorre la base e la rulletta con la stessa velocità. Questo permette anche
di affermare che durante il moto della figura rigida piana la base e la rulletta rotolano senza
strisciare l’una sull’altra.
Osserviamo che l’equazione (3.51), usata per determinare C, ne esprime la proprietà che
lo caratterizza, vale a dire v τ (C) = 0.

58
Problema: Note in un dato istante la posizione del centro C e la velocità di un punto A
della figura piana, determinare la velocità di un qualunque altro punto P.
Osserviamo innanzitutto che, essendo

v(A) = ω £ (A ¡ C) , v(P ) = ω £ (P ¡ C) ,

cosı̀ come v(A) è ortogonale ad (A ¡ C), do-


vrà essere ortogonale a (P ¡ C). Inoltre, poichè
nell’istante considerato la figura sta ruotando
attorno a C, il verso di v(P ) sarà “concorde”
con quello di v(A). Dunque, v(P ) è immedia-
tamente determinata in direzione e verso. Per
determinarne il modulo, osserviamo che

jv(A)j = jωj jA ¡ Cj ; jv(P )j = jωj jP ¡ Cj .

Ricavando jωj dalla prima relazione e sostituendolo nella seconda si ottiene

jP ¡ Cj
jv(P )j = jv(A)j .
jA ¡ Cj

3.19 Determinazione del centro di istantanea rotazione per via geometrica

Qualche volta è possibile determinare il centro di istantanea rotazione di un moto rigido


piano per via geometrica. A tal fine tornano utili i due teoremi che seguono.
Teorema Sia nota la traiettoria Γ di un punto A della figura rigida piana. Allora il centro
C di istantanea rotazione sta sulla normale a Γ per A.
La dimostrazione è ovvia in quanto, essendo

dA
= ω £ (A ¡ C) ,
dt
dA
i vettori e (A ¡ C) sono ortogonali.
dt
Per enunciare il secondo teorema è necessario introdurre il concetto di profili coniugati.
Cosı̀ si chiamano due curve γ e γ ′ , l’una fissa e l’altra solidale col sistema mobile, tali che
durante il moto rigido si mantengono in ogni istante tangenti. Vale quindi il seguente

Teorema La normale comune a due profili coniugati nel loro punto di contatto passa per
il centro di istantanea rotazione.

59
Dimostrazione. Sia M il punto di contatto fra i profili coniugati γ e γ ′ , che rotolano e
strisciano uno sull’altro. Supposto M 6
= C, essendo

v(M ) k v 1 (M ) e v τ (M ) = v(M ) ¡ v 1 (M ) ,

ne deriva che v τ (M ), che è diverso dal vettore nullo, ha la direzione della tangente ai
profili coniugati. Di conseguenza, essendo v τ (M ) = ω £ (M ¡ C), C sta sulla normale per
M a γ e γ ′.
Se v τ (M ) = 0, allora M ´ C, γ coincide con la base e γ ′ con la rulletta.

L’applicazione di uno dei due teoremi appena enunciati porta dunque a determinare una
retta che contiene il centro di istantanea rotazione C. Chiaramente, il punto di interse-
zione di due rette siffatte determina completamente C. Pertanto, il centro di istantanea
rotazione di un moto rigido piano è determinabile per via geometrica quando sono note le
traiettorie di due punti della figura rigida oppure la traiettoria di un punto e due profili
coniugati oppure due coppie di profili coniugati.

3.20 Esempi di moti rigidi piani

a) Asta scorrevole su guide rettilinee (glifo).

Consideriamo un’asta rigida AB (schematizzata


con un segmento) i cui estremi siano vincolati
a percorrere due guide rettilinee ortogonali che
assumiamo come assi x ed y del nostro riferi-
mento fisso. Assumiamo poi O1 coincidente con
l’estremo A e l’asse y1 coincidente con la retta
individuata dall’asta, come nella figura.
In base al primo teorema enunciato nel paragrafo precedente, il centro di istantanea ro-
tazione C è individuato dal punto di intersezione delle perpendicolari agli assi x in A e
all’asse y in B. Di conseguenza il quadrilatero OACB è in ogni istante un rettangolo
avente sempre una diagonale coincidente con l’asta, e quindi di lunghezza ℓ = AB. Per-
tanto, rispetto al sistema fisso, C ha sempre distanza ℓ da O, il che significa che la base
è la circonferenza di centro O e raggio ℓ. Per quanto concerne invece la posizione di C
rispetto al sistema solidale, si può notare che in ogni istante AB è visto da C sotto un
angolo retto. Ciò permette di affermare che la rulletta è la circonferenza di centro il punto
medio dell’asta e raggio ℓ/2.

60
b) Esempio di profili coniugati.

La figura accanto mostra un’asta AB che si muove


in un piano rimanendo appoggiata alla circonferenza
fissa di raggio R e centro Q ´ (0, R), e con l’estremo
A obbligato a scorrere lungo una retta (l’asse x). Eb-
bene, la circonferenza e la retta contenente l’asta stessa,
essendo la prima fissa rispetto ad Oxy e l’altra fissa ri-
spetto ad O1 x1 y1 , mantenendosi esse tangenti durante
il moto, costituiscono una coppia di profili coniugati.
Il centro C di istantanea rotazione risulta quindi individuato dal punto di intersezione
della retta QM , normale ai due profili nel loro punto di tangenza M, con la perpendicolare
all’asse x per il punto A. Si può far vedere, anche solo con ragionamenti geometrici, che
base e rulletta sono entrambe delle parabole.

c) Ruota di un treno che si muove di puro rotolamento.


Si consideri la ruota di un treno (schematizzata con
una circonferenza) in moto su un binario rettilineo
orizzontale che assumiamo come asse x. Essa si muove
di moto rigido piano rispetto al piano verticale Oxy
che la contiene (Oy è verticale).
Indicato con O1 il centro della ruota e con O1 x1 un asse solidale, si ha ω = θ̇k, essendo
l’angolo di rotazione θ definito (per esempio) dall’angolo compreso fra O1 x1 e l’asse O1 x
(parallelo ad Ox per O1 ). Ebbene, se la ruota rotola senza strisciare, allora il punto C di
contatto con la rotaia ha velocità di trascinamento nulla in ogni istante (giustificheremo
ciò più avanti). Di conseguenza C è il centro di istantanea rotazione; la base è la rotaia
e la rulletta è la ruota stessa. Osserviamo che rispetto all’osservatore fisso il punto della
ruota coincidente con C ha velocità nulla, mentre la velocità con cui C percorre la rotaia
è uguale a quella di O1 (che coincide con “la velocità del treno”). Il punto più in alto della
ruota (quello diametralmente opposto a C) ha velocità doppia di quella di O1 .

d) Moti cicloidali.
Si chiamano moti cicloidali i moti rigidi piani nei quali ambedue le curve polari sono circon-
ferenze. In particolare, si parla di moto epicicloidale quando la rulletta è esterna alla base e
di moto ipocicloidale quando è interna (come nell’esempio a)). Si chiama poi epiciclo o ipo-
ciclo la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura rigida a seconda che il moto
è epicicloidale o ipocicloidale. Tali moti sono di interesse nella teoria degli ingranaggi.

61
In un moto cicloidale la base può anche essere una retta (”circonferenza di raggio infinito”),
come nell’esempio c). In tal caso la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura
mobile è detta cicloide.

3.21 Equazioni parametriche della base e della rulletta

Supponiamo sia nota la traiettoria di un punto O1 della figura rigida piana. Assunto tale
punto come origine del sistema di riferimento solidale, e indicato con θ l’angolo tra gli assi
x e x1 , siano a(θ) e b(θ) le coordinate di O1 rispetto ad Oxy. Indicate poi con (ξ, η) e
(ξ1 , η1 ) le coordinate del centro C rispetto ad Oxy e O1 x1 y1 rispettivamente, valgono le
seguenti relazioni :

(3.53) O1 ¡ O = ai + bj
(3.54) C ¡ O1 = (ξ ¡ a)i + (η ¡ b)j
(3.55) C ¡ O1 = ξ1 i1 + η1 j 1


i = cos θ i1 ¡ sin θ j 1
(3.56)
j = sin θ i1 + cos θ j 1 .

Riscrivendo la (3.51), che come abbiamo visto rappresenta la condizione v τ (C) = 0, te-
nendo conto che O1 è funzione del tempo t attraverso θ, e semplificando per θ̇ (cosa lecita
in quanto ω 6
= 0), si ha
dO1
+ k £ (C ¡ O1 ) = 0 . (3.57)

dO1
Sostituendovi la derivata ottenuta dalla (3.53), si ottiene

da db
i + j + k £ (C ¡ O1 ) = 0 . (3.58)
dθ dθ
Questa relazione permette ora di ricavare facilmente le equazioni parametriche delle curve
polari. Per ricavare quelle della base è sufficiente sostituirvi la (3.54) ed eseguire il prodotto
vettoriale. Cosı̀ facendo otteniamo
da db
i + j + (ξ ¡ a)j ¡ (η ¡ b)i = 0 ,
dθ dθ
che implica 
 db
 ξ =a¡
dθ (3.59)

 η =b+ da
.

62
Per ottenere le equazioni della rulletta occorre sostituire in (3.58) le espressioni di C ¡ O1
e dei versori i e j date dalle (3.55) e (3.56). Ciò porta alla relazione

da db
(cos θi1 ¡ sin θj 1 ) + (sin θi1 + cos θj 1 ) + ξ1 j 1 ¡ η1 i1 = 0 ,
dθ dθ
da cui si deduce 
 da db
 ξ1 = sin θ ¡ cos θ ,
dθ dθ (3.60)

 η = da cos θ + db sin θ .
1
dθ dθ

Osservazione. Nella relazione (3.57) il tempo non compare. Questo significa che base e
rulletta costituiscono un fatto geometrico e non cinematico, vale a dire esse non dipendono
dalla legge oraria del moto. Di conseguenza possono esistere infiniti moti diversi aventi
però la stessa base e la stessa rulletta.

3.22 Polo delle accelerazioni

L’accelerazione di un generico punto di una figura rigida piana in moto nel suo piano si
ottiene derivando la (3.52) ed è data da

dω   dC
a(P ) = £ (P ¡ C) + ω £ ω £ (P ¡ C) ¡ ω £ , (3.61)
dt dt

con ω = θ̇k. Ebbene, vale il seguente

Teorema In un moto rigido piano in ogni istante t esiste uno ed un solo punto, detto
polo delle accelerazioni, che ha accelerazione nulla.
Dimostrazione. Perché a(P ) sia nulla, dalla (3.61), opportunamente riscritta, si deduce
che deve essere verificata la seguente relazione:
dC
θ̈k £ (P ¡ C) ¡ θ̇2 (P ¡ C) = θ̇k £ .
dt
Posto
dC
u1 = θ̈k £ (P ¡ C) , u2 = ¡θ̇2 (P ¡ C) , u = θ̇k £ ,
dt
vediamo dunque se esiste un punto P per cui si abbia
u1 (P ) + u2 (P ) = u .
Osserviamo innanzitutto che mentre u1 e u2 dipendono da P , u è indipendente. Osser-
viamo anche che u1 e u2 sono perpendicolari tra loro e che si ha ju1 j = jθ̈jr e ju2 j = θ̇2 r,
con r distanza di P da C. Perció, posti i vettori con l’origine in C, quando si varia P sulla
circonferenza di centro C e raggio r, il secondo estremo del vettore u1 +u2 descrive pure
esso una circonferenza. Se si varia con continuità il raggio r da 0 ad 1, la circonferenza

63
descritta da u1 +u2 copre tutto il piano. Di conseguenza, al variare di P in tutto il piano, il
vettore u1 +u2 diventa uguale ad un qualunque vettore prefissato. Esiste quindi un punto
A, chiaramente unico, per cui u1 +u2 = u, e conseguentemente tale che a(A) = 0.

Il polo A delle accelerazioni è importante in quanto può essere utilizzato per calcolare
l’accelerazione dei punti della figura rigida. Vale infatti la seguente proposizione:

In un moto rigido piano l’accelerazione di un punto può essere calcolata come se la figura
ruotasse attorno al polo A anziché attorno al centro C, purchè si consideri A fisso.

Dimostrazione.
L’espressione (3.61) calcolata per P ´ A fornisce

dω   dC
0= £ (A ¡ C) + ω £ ω £ (A ¡ C) ¡ ω £ .
dt dt

Sottraendo questa relazione dalla (3.61) si ottiene

dω  
a(P ) = £ (P ¡ A) + ω £ ω £ (P ¡ A) .
dt

Questa espressione di a(P ) è esattamente la derivata di

dP
= ω £ (P ¡ A)
dt
dA
purché si consideri = 0. Ciò prova l’affermazione precedentemente fatta circa la
dt
possibilità di utilizzare il polo delle accelerazioni ai fini del calcolo delle accelerazioni.

Per completare il capitolo riguardante la cinematica rimangono da introdurre alcune


nozioni, quasi tutte molto importanti ed utili nel seguito del corso.

3.23 Moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto

Dato un corpo rigido C e l’osservatore assoluto OXY Z, per moto del corpo rispetto ad un suo
punto O1 si intende il moto del corpo rispetto ad un riferimento O1 xyz traslante rispetto
ad OXY Z. Dalla (3.43) si ha
dO1
v(P ) = v 1 (P ) + ,
dt
e dalla formula fondamentale della cinematica rigida

dO1
v(P ) = + ω £ (P ¡ O1 ) .
dt

64
Uguagliando queste due relazioni si ottiene

v 1 (P ) = ω £ (P ¡ O1 ) . (3.62)

Ciò significa che il moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto O1 è sempre rotatorio con
asse (O1 , ω), eccetto il caso in cui ω = 0, nel qual caso il corpo è fermo (nell’istante in
questione).

Lo stato cinetico v 1 (P ) può essere definito in termini un pò più precisi mediante gli angoli
di Eulero introdotti nel x3.7. Facendo riferimento alla figura e alle notazioni del suddetto
paragrafo, lo stato cinetico di C può infatti essere riguardato come la composizione dei tre
stati cinetici rotatori (con assi concorrenti) (O1 , ψ̇k), (O1 , ϕ̇k1 ) e (O1 , θ̇l). Di conseguenza

ω = ψ̇k + ϕ̇k1 + θ̇l .

Un generico moto di un corpo rigido C rispetto ad un suo punto O1 è sempre rotatorio


con questa velocità angolare. Se ψ̇ e ϕ̇ sono entrambe diverse da zero, il corpo ruota sia
attorno all’asse z, che è traslante (se non addirittura fisso) nello spazio ed è chiamato asse
di precessione, sia attorno all’asse z1 , che è fisso nel corpo ed è detto asse di figura. Se
anche θ̇ 6
= 0, allora l’angolo tra gli assi di precessione e di figura varia col tempo.

Si chiamano precessioni quei particolari moti per i quali θ(t) = θ0 costante, per cui

ω = ψ̇k + ϕ̇k1 .

Se poi ψ̇ e ϕ̇ sono entrambi costanti, per cui le due rotazioni attorno agli assi di precessione
e di figura sono uniformi, allora la precessione è detta regolare.

Esempi tipici di precessioni sono il moto della trot-


tola e il moto della terra rispetto al proprio cen-
tro. In quest’ultimo caso l’asse terrestre nord-sud
è l’asse di figura e la retta baricentrica normale al
piano dell’orbita terrestre è l’asse di precessione.
Valutando il tempo in giorni e tenendo conto che
l’asse di figura impiega 26000 anni a fare un giro
completo attorno all’asse di precessione, il moto di
precessione della terra risulta caratterizzato da

2π 2π
θ0 = 23◦ 28′ , ϕ̇ = , ψ̇ = .
1g 365 ¢ 26000g

65
3.24 Sistemi di riferimento equivalenti

Definizione Due sistemi di riferimento (O) ed (O1 ) si dicono equivalenti se si muovono


l’uno rispetto all’altro di moto traslatorio rettilineo uniforme.

Teorema C.N.S. affinchè due sistemi di riferimento (O) ed (O1 ) siano equivalenti è che
si abbia
a(P ) = a1 (P ) , 8P = P (t) .

Ne dimostriamo solo la condizione necessaria. Se (O) e (O1 ) sono equivalenti, essi si


dO1
muovono l’uno rispetto all’altro di moto traslatorio (ω = 0) rettilineo uniforme ( = v0 )
dt
e quindi, qualunque sia P (t), si ha ac (P ) = 0, aτ (P ) = 0. Di conseguenza, in virtù del
teorema di composizione delle accelerazioni, si ha a(P ) = a1 (P ).

Supponiamo di considerare due sistemi equivalenti Oxyz


e O1 x1 y1 z1 con l’asse x coincidente con l’asse x1 . Le
formule di trasformazione di coordinate, note come
trasformazioni di Galileo, sono date da

 x = x1 + v0 t

y = y1


z = z1 .

Sono sistemi equivalenti fra di loro i sistemi stellari, vale a dire i sistemi di riferimento con
origine in una stella fissa ed assi orientati verso stelle fisse. Il sistema solare, con origine nel
centro del Sole ed assi orientati verso stelle fisse, è da ritenersi, in buona approssimazione,
equivalente ad un sistema stellare. Ricordiamo che le stelle fisse sono le stelle per le quali
la loro reciproca posizione ci appare invariabile nel tempo. Chiaramente il Sole non è una
stella fissa.
Un sistema di riferimento molto importante per noi terrestri è il sistema terrestre-stellare,
con origine nel centro della terra ed assi orientati verso stelle fisse.

3.25 Moto di due corpi rigidi a contatto in un punto

Supponiamo di avere due corpi rigidi C e C1 , con C1 che si muove su C avendo con esso
un unico punto di contatto. Sia σ la superficie di C e σ1 quella di C1 , con σ e σ1 superfici
regolari. Consideriamo un sistema di riferimento Oxyz solidale con C ed uno O1 x1 y1 z1
solidale con C1 . Sia Oxyz il sistema fisso ed O1 x1 y1 z1 quello mobile.

66
Per ogni P 2 C1 si ha

dO1
v(P ) = + ω £ (P ¡ O1 ) , (3.63)
dt

con ω velocità angolare di C1 .


Se poi consideriamo il punto M di contatto fra i due corpi
(che non è solidale con C1 !), la sua velocità vale

v(M ) = v 1 (M ) + v τ (M ) ,

con
dO1
v τ (M ) = + ω £ (M ¡ O1 ) .
dt
Quest’ultima relazione fornisce

dO1
= v τ (M ) + ω £ (O1 ¡ M ) ,
dt

che sostituita in (3.63) dà

v(P ) = v τ (M ) + ω £ (P ¡ M ) .

Scomposto ω lungo la normale e il piano tangente in M (comuni alle due superfici σ e σ1 ),


per cui ω = ω t + ω n , si ha

v(P ) = v τ (M ) + ω t £ (P ¡ M ) + ω n £ (P ¡ M ) , 8P 2 C1 . (3.64)

Interpretiamo il risultato ottenuto. Quando un corpo si muove su un altro corpo avendo


con questi un unico punto di contatto, lo stato cinetico risultante è la somma di tre stati
cinetici: uno stato cinetico di traslazione v τ (M ) comune a tutti i punti del corpo (che dà
luogo al moto di strisciamento di C1 su C ), uno stato cinetico di rotazione di asse (M, ω t )
(che origina il moto di rotolamento di C1 su C ) e un secondo stato cinetico di rotazione di
asse (M, ω n ) (causa del moto di piroettamento di C1 su C ).

Definizione Si dice che un corpo rigido C1 , per il quale si ha ω n = 0, rotola senza strisciare
sul corpo C se v τ (M ) = 0.
Osservazione Nel moto di puro rotolamento (sinonimo di rotolamento senza strisciamento)
la velocità del punto di contatto M è nulla, e quindi lo stato cinetico è di rotazione con
asse di istantanea rotazione (M, ω), con ω tangente a σ (e quindi anche a σ1 ) in M .

67
4. CONCETTI E NOZIONI FONDAMENTALI DELLA MECCANICA

Prima di entrare nel vivo della Meccanica, è necessario introdurre una serie di concetti,
nozioni e strumenti senza i quali lo studio non può essere affrontato. In questo capitolo,
si introdurranno, fra l’altro, i postulati fondamentali della Meccanica, i concetti di forza,
di vincolo e di lavoro. Sottolineiamo il fatto che per noi “Meccanica” significa Meccanica
Classica, vale a dire quella branca della scienza che si occupa dei fenomeni di moto per i
quali il modello matematico può essere efficacemente costruito assumendo che i concetti
di spazio e tempo siano assoluti (Postulato di pag. 43). La Meccanica Classica fallisce
quando i fenomeni comportano delle velocità confrontabili con quella della luce. In
questo caso il modello matematico utile è fornito dalla Meccanica Relativistica.

4.1 Forze

Una forza è un ente fisico in grado di modificare lo stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme di un punto materiale rispetto ad un dato osservatore. In altre parole, una forza
è qualcosa che produce accelerazione.
Il concetto importantissimo di forza, cosı̀ introdotto in termini fisici, in termini matematici
viene definito nel modo seguente:

Definizione Una forza è un vettore applicato (P, F ). Il punto P è il punto di applicazione della
forza ed il vettore F è il vettore della forza.

Come si misura sperimentalmente il vettore F ?


Considerato un punto P in moto nello spazio, ci poniamo il problema di misurare la forza
che agisce su di esso in un dato istante t0 rispetto ad un fissato osservatore Oxyz. A tal fine
useremo un “dinamometro”, cioè uno strumento che possiamo pensare costituito da una
molla opportunamente costruita, sottile, leggera, come un segmento, con due ganci alle
estremità. Supposto che il punto P all’istante considerato abbia velocità v 0 , vi attacchiamo
uno dei due estremi della molla, a cui abbiamo imposto un moto traslatorio pure con
velocità v 0 e, tenendola all’altro estremo, la tendiamo in modo tale da “compensare”
l’azione della forza agente sul punto, cosı̀ che all’istante t0 l’accelerazione di P sia nulla.
Allora, il vettore F all’istante t0 ha la direzione del dinamometro, il verso opposto a quello
in cui il dinamometro è teso, modulo dato dall’allungamento del dinamometro.

68
Da quanto detto emergono dunque due concetti basilari:
- sul punto P agisce una forza se e solo se la sua accelerazione è non nulla;
- quantitativamente questa forza corrisponde all’allungamento di un dinamometro campione teso in
modo da compensare la forza stessa.

Fino a questo punto si è parlato “della forza” applicata al punto P come se su P agisse
un’unica forza. In realtà molto spesso su P agiscono più forze e tutto quanto detto finora
rimane valido in virtù del concetto di forza risultante e di un postulato che ora andiamo
a formulare. Supponiamo che il punto sia soggetto a N forze (P, F i ) , i = 1, 2, ..., N .

Definizione Si chiama forza risultante agente su P la forza (P, F ) con

N

F = Fi .
i=1

Supposto poi che l’accelerazione prodotta dalla singola forza (P, F i ), quando applicata
singolarmente, sia ai , e che quella prodotta dalla forza risultante sia a, vale il seguente

Postulato L’accelerazione del punto P quando ad esso sono applicate N forze (P, F i ) è
uguale a quella che ha P quando vi è applicata la sola forza risultante (P, F ), ossia

a = a1 + a2 + ¢ ¢ ¢ + aN .

In altre parole: gli effetti meccanici prodotti da più forze aventi lo stesso punto di appli-
cazione si sommano.

Si impongono ora una considerazione e un avvertimento. La considerazione riguarda la


forza che si va a misurare con l’esperimento del dinamometro. Si tratta chiaramente della
risultante di tutte le forze applicate al punto. Naturalmente, se sul punto agisce un’unica
forza, allora la risultante coincide con quella forza. L’avvertimento consiste nel mettere
in guardia contro l’idea che le forze si possano sempre sommare ed ottenere quindi una
forza risultante. Mentre ciò ha sempre senso nel caso di forze applicate tutte allo stesso
punto, in generale non lo ha quando i punti di applicazione sono diversi. Sull’argomento
ritorneremo ampiamente in seguito quando tratteremo i sistemi di forze.

Sulla natura del vettore di una forza si assume poi questo ulteriore
Postulato Il vettore F di una forza (P, F ) dipende, in generale, dalla posizione del suo
punto d’applicazione, dalla sua velocità e dal tempo, ossia

 
F = F P, v(P ), t . (4.1)

69
Posto P ´ (x, y, z) e F = Fx i + Fy j + Fz k, la (4.1) significa

 Fx = Fx (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) ,

Fy = Fy (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) ,


Fz = Fz (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) .

Per completare questo primo discorso sulle forze, occorre dire che esse possono essere di
due tipi diversi:
- dovute a corpi (quali le forze newtoniane, elastiche, elettriche, viscose, reazioni vincolari);
- dovute al sistema di riferimento (forze di trascinamento e di Coriolis).
Rinviando al momento opportuno la definizione delle diverse forze elencate fra parentesi,
assumiamo fin d’ora che le forze dovute a corpi siano assolute, cioè valga il

Postulato Le forze dovute a corpi non dipendono dall’osservatore.

4.2 Leggi fondamentali della Meccanica

Siamo ora in grado di enunciare le Leggi fondamentali della Meccanica, vale a dire i
tre postulati, nati dall’osservazione sperimentale, che sono basilari nella costruzione del
modello matematico che ci apprestiamo a descrivere e che utilizzeremo ai fini dello studio
del moto (e dell’equilibrio) dei sistemi materiali.

Prima Legge (Principio d’inerzia)


Esiste almeno un osservatore, che chiameremo osservatore inerziale o Galileiano, rispetto al
quale ogni punto materiale isolato o è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme.

Un punto materiale si intende isolato se è posto ad una distanza molto grande dagli altri
corpi dello spazio, per cui si possono ritenere trascurabili le forze esercitate da questi
ultimi sul punto. La prima Legge della Dinamica postula dunque l’esistenza di almeno un
riferimento rispetto al quale un punto materiale isolato ha accelerazione nulla, e quindi non
è soggetto a forze. Questo riferimento ha un ruolo privilegiato: esso permette di definire
la forza assoluta che agisce sul punto materiale P come quella che agisce su P rispetto a
questo riferimento. Tale forza è esclusivamente dovuta a corpi.

Ogni sistema di riferimento equivalente ad un sistema inerziale, è pure esso inerziale. In


realtà, dunque, il Principio d’inerzia postula l’esistenza di una classe di infiniti osservatori
inerziali. D’ora innanzi, ogni volta che si introdurrà un sistema di riferimento fisso (o
assoluto), si intenderà sempre un sistema di riferimento inerziale. Gli osservatori che meglio
approssimano i sistemi di riferimento inerziali sono i sistemi stellari. Il sistema solare, pur
non essendo un sistema stellare, per tanti problemi ne risulta una buona approssimazione e

70
quindi può essere riguardato come inerziale. Nello studio di molti fenomeni che avvengono
sulla superficie terrestre è inoltre lecito ritenere inerziale anche il sistema terrestre-stellare.

Seconda Legge (Legge di Newton)

Il moto di un punto materiale rispetto ad un osservatore inerziale soddisfa la relazione

ma = F . (4.2)

La Legge di Newton stabilisce che l’accelerazione a di un punto materiale e il vettore F


della forza a cui è soggetto, rispetto ad un sistema inerziale, sono proporzionali e che la
costante di proporzionalità è la massa m del punto. La possibilità di misurare la massa m
di un corpo è dovuta a questa proporzionalità. Vedremo infatti in seguito come la massa
m di un corpo C si trovi rapportando la sua “forza peso” con quella di un altro corpo la
cui massa è assunta come unitaria.

Consideriamo ora un sistema di due punti materiali (P, mP ) e (Q, mQ ). I due punti
esercitano uno sull’altro una forza. Sia (P, F Q→P ) la forza che agisce sul punto P dovuta
a Q e (Q, F P →Q ) quella che agisce su Q dovuta a P . Ebbene, vale il seguente postulato :

Terza Legge (Principio di azione e reazione)

Le forze (P, F Q→P ) e (Q, F P →Q ) sono uguali e contrarie e con linea d’azione coincidente
con la retta congiungente i due punti. Ossia:

(a) F Q→P = ¡F P →Q ;
(b) F P →Q k (P ¡ Q) .

4.3 Sistemi meccanici

Un sistema materiale è un insieme di punti materiali. Un sistema è discreto se è costituito


da un numero finito o numerabile di punti; in questo caso lo indichiamo con (Ps , ms ), s =
1, ¢ ¢ ¢ , N , con N finito oppure no. Si dice invece che il sistema è continuo se è formato da un
continuo di punti. Il più semplice sistema materiale discreto è ovviamente quello costituito
da un unico punto materiale (P, m), mentre un corpo rigido rappresenta l’esempio più
comune e significativo di sistema continuo con cui avremo a che fare. Ovviamente esistono
anche sistemi materiali formati sia da punti che da corpi continui.

Un sistema meccanico è un sistema materiale su cui agisce un assegnato sistema di forze


attive e di vincoli. (Questi concetti saranno precisati più avanti)

71
È importante sottolineare come un sistema meccanico costituisca un modello matematico
che si ritiene valido ai fini dello studio di un problema che ci interessa. Cambiando il
problema, anche il sistema meccanico in generale varierà. Il seguente esempio potrà aiutare
a capire il concetto. La terra può essere rappresentata con un punto se ci interessa il suo
moto attorno al sole, con una sfera rigida se si vogliono studiare i suoi moti rispetto ad un
sistema terrestre-stellare (precessioni,...), con un corpo continuo deformabile se interessano
le sue deformazioni (deriva dei continenti, maree,..). Ovviamente, cambiando il problema
in esame, cambieranno in generale anche le forze di cui si deve tenere conto.

4.4 Vincoli

Definizione Si dice configurazione di un sistema meccanico all’istante t0 l’insieme delle


posizioni occupate dai punti del sistema in quell’istante rispetto ad un dato osservatore.
Qualche volta, anziché di configurazione del sistema, si parla di posizione. I due termini
possono considerarsi come sinonimi anche se il termine configurazione appare preferibile
in tutti i casi eccetto che per un sistema materiale costituito da un singolo punto.

Definizione Si chiama vincolo un qualunque dispositivo, dovuto a corpi, che limita le


configurazioni e/o le velocità dei punti del sistema meccanico.
Definizione Un sistema meccanico si dice vincolato se è soggetto ad almeno un vincolo;
altrimenti si dice libero.

Supponiamo ora che in ogni istante una qualunque configurazione del sistema meccanico
sia determinata dagli m parametri x1 , x2 , ..., xm . Ciò equivale ad affermare che in ogni
istante t i parametri xi determinano la posizione di ognuno degli N punti Ps del sistema,
ossia che sono note le seguenti N funzioni:

Ps = Ps (x1 , x2 , ..., xm , t) ´ Ps (x, t), s = 1, ..., N . (4.3)

Nella (4.3) è stata introdotta una notazione di cui verrà fatto ampio uso in seguito: con
la lettera in grassetto x si intende l’insieme delle variabili x1 , x2 , ..., xm . Ovviamente
con ẋ si potrà rappresentare l’insieme delle derivate ẋ1 , ẋ2 , ..., ẋm .

Definizione Se un vincolo non dipende dal tempo è detto fisso o scleronomo; altrimenti
è detto mobile o reonomo.

72
Esempio
Consideriamo un punto vincolato a muoversi su
una circonferenza di raggio R; sia θ l’angolo che
individua la posizione di P su di essa. Vediamo
come, a seconda del caso, questo vincolo (la cir-
conferenza) possa essere o fisso o mobile.
Caso I. Supponiamo che la circonferenza, il cui piano coincide col piano Oxy, sia fissata
con il centro C fissato nel punto dell’asse x di ascissa d. Chiaramente, in questo caso il
vincolo è fisso. Osserviamo che la posizione di P è data da
x = R cos θ + d
(4.4)
y = R sin θ .

Caso II. Supponiamo ora che la circonferenza trasli uniformemente con velocità vo i con
il centro C che si muove percorrendo l’asse x. In questo caso la circonferenza è mobile
e quindi anche il vincolo lo è. Supposto che all’istante t=0 si abbia C´O, l’ascissa di C
sull’asse x è v0 t. Di conseguenza la posizione di P sul piano ora è determinata da
x = R cos θ + v0 t
(4.5)
y = R sin θ .

Il confronto delle (4.4) con le (4.5) porta ad una considerazione molto importante: se il
vincolo è fisso, il punto dipende dal tempo t solo attraverso l’angolo θ; se il vincolo è mobile,
il punto, oltre la dipendenza implicita attraverso θ, dipende da t anche esplicitamente.
Generalizzando, si può affermare che la presenza esplicita nella (4.3) della variabile t significa
vincoli mobili nel tempo, mentre la mancanza significa vincoli fissi.
Definizione Un sistema meccanico si dice scleronomo se tutti i suoi vincoli sono sclero-
nomi; altrimenti è detto reonomo.
Osservazione: un sistema libero è un sistema scleronomo.

Definizione Un vincolo si dice interno se è dovuto a punti del sistema, esterno se è dovuto
a punti non appartenenti al sistema.
Esempio
Consideriamo un anello puntiforme vincolato a scorrere lungo un’asta. Caso I: il sistema
materiale sia costituito dal solo anello. L’asta non fa parte del sistema meccanico e quindi
il vincolo che agisce sull’anello è esterno. Caso II: il nostro sistema materiale è costituito
dall’anello e dall’asta. In questo caso l’asta esercita sull’anello un vincolo interno (cosı̀
come l’anello sull’asta).

73
I vincoli analiticamente si traducono in equazioni o disequazioni che devono essere soddi-
sfatte dai parametri xk .
Definizione Un vincolo si dice bilaterale se è espresso da un’equazione, unilaterale se è
espresso da una disequazione.
Esempio
Anche in questo caso un esempio può essere d’aiuto a capire la differenza fra i due tipi di
vincolo.
Caso I. Consideriamo un punto materiale vincolato a muoversi all’interno o sulla superficie
di una sfera di raggio R. Adottati come parametri xi le coordinate cartesiane x, y e z di P
rispetto ad una terna Oxyz con O coincidente col centro della sfera, il vincolo è espresso
dalla disequazione
x2 + y 2 + z 2 · R 2 ,
e pertanto si tratta di un vincolo unilaterale.
Caso II. Se invece il punto è vincolato a muoversi sulla superficie della sfera, il vincolo è
espresso dall’equazione
x2 + y 2 + z 2 = R 2 .
Dunque, in questo caso il vincolo è bilaterale.

L’equazione che segue generalizza l’equazione appena vista:

F (x1 , x2 , . . . , xm , t) = 0 . (4.6)

Un vincolo bilaterale con un’espressione analitica del tipo (4.6) è detto vincolo finito.

4.5 Numero di gradi di libertà

Come abbiamo visto, ciascun vincolo bilaterale finito comporta una relazione d’ugua-
glianza tra due o più parametri xi . Di conseguenza, supposto che sul sistema meccanico
agiscano r vincoli del tipo (4.6), questo significa che r parametri xi sono esprimibili in
funzione dei rimanenti n=m¡r, e che pertanto non è necessario usare tutti gli m parametri
inizialmente introdotti, ma soltanto n che siano indipendenti. Per meglio capire quanto
detto consideriamo un esempio estremamente importante (anche ai fini degli esercizi).

Esempio: il puro rotolamento.


Consideriamo una ruota che rotola senza strisciare su una rotaia rettilinea che assumiamo
come asse x. Sia Oxy il piano nel quale avviene il moto. Indichiamo con θ (crescente nel
verso antiorario) l’angolo di rotazione della ruota e con x l’ascissa del punto M della ruota
a contatto con l’asse x (o, equivalentemente, del centro C della ruota). Chiaramente, i

74
due parametri x e θ sono sufficienti ad individuare, qualunque sia il moto della ruota, la
posizione della ruota stessa. Tuttavia, se il moto è di puro rotolamento, la velocità di
trascinamento di M deve essere nulla. Di conseguenza si ha:

dC
v τ (M ) = + ω £ (M ¡ C) = ẋi + θ̇k £ (¡Rj) = (ẋ + Rθ̇)i = 0 ,
dt

da cui l’equazione scalare ẋ + Rθ̇ = 0.


Supposto per semplicità x(0)=0 e θ(0)=0,
integrando questa equazione si ottiene il
vincolo finito

x + Rθ = 0 . (4.7)

In virtù di questa relazione tra x e θ è sufficiente un solo parametro, indifferentemente x


o θ, per individuare la posizione della ruota quando questa rotola senza strisciare.

Definizione Si chiama numero di gradi di libertà di un sistema meccanico il numero dei


parametri che sono necessari e sufficienti ad individuare una qualunque configurazione del
sistema.

Osserviamo che il fatto che nella definizione si sia detto parametri “necessari” implica pure
che essi siano indipendenti. Osserviamo inoltre che la scelta dei parametri è in generale
largamente arbitraria.

Ritornando alla ruota che rotola senza strisciare sulla rotaia, essa ha 1 grado di libertà. Se
invece la ruota rotola e striscia, allora non sussistendo più la relazione (4.7), i parametri
x e θ sono indipendenti e la ruota ha 2 gradi di libertà.

4.6 Parametri lagrangiani e sistemi olonomi

D’ora in poi indicheremo sempre con n il numero di gradi di libertà del sistema e con
q1 , q2 , ..., qn gli n parametri indipendenti scelti. A questi ci riferiremo come parametri o
coordinate lagrangiane. Le loro derivate q̇i saranno chiamate velocità generalizzate.

Il numero di gradi di libertà è massimo se il sistema meccanico è un sistema libero : ad


esempio, per un punto si ha n=3, per due punti n=6, per un corpo rigido libero n=6, per
un’asta rigida n=5. Se invece il sistema ha dei vincoli finiti, il numero di gradi di libertà
diminuisce. Esempi tipici sono un corpo rigido con un punto fisso (n=3) o con un asse
fisso (n=1) o con un asse scorrevole su un asse fisso (n=2), un punto vincolato ad una
curva (n=1) oppure ad una superficie (n=2).

75
Definizione Un sistema meccanico ad n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 ,
. . . , qn si dice olonomo se non ha vincoli bilaterali del tipo

G(q1 , q2 , . . . , qn , q̇1 , q̇2 , . . . , q̇n , t) = 0 . (4.8)

Assumeremo poi che ciascun parametro lagrangiano qi abbia un proprio intervallo di va-
riabilità :
qi 2 [qi1 , qi2 ], i = 1, ..., n , (4.9)

con i qi1 che possono anche essere ¡1 ed i qi2 che possono anche essere +1. Una qualunque
configurazione C 0 del sistema compatibile con i vincoli sarà associata ad una n-pla di valori
numerici soddisfacenti le (4.9), per cui dovrà essere del tipo

C 0 ´ (q10 , q20 , ..., qn0 ) , qi0 2 [qi1 , qi2 ] .

C 0 rappresenta un punto in Rn . Più precisamente, tale punto appartiene al sottinsieme


chiuso S di Rn definito dal prodotto cartesiano
n
!
S= qi1 , qi2 ,
i=1

che chiameremo spazio delle configurazioni del sistema meccanico. Ogni moto del sistema
nell’intervallo di tempo (t1 , t2 ) sarà rappresentato dal moto del punto
 
C(t) ´ q1 (t), q2 (t), ..., qn (t) ´ q(t)

all’interno di S, dove descriverà una traiettoria di estremi C(t1 ) e C(t2 ). Se qi (t) = qi1
oppure qi (t) = qi2 , diremo che qi ha, all’istante t, un valore estremale.

Come si è convenuto, d’ora in poi n indicherà il numero dei gradi di libertà del sistema
meccanico in questione. Analogamente possiamo convenire di indicare con N il numero
dei punti materiali costituenti il sistema.

4.7 Altri esempi di vincoli

1) Punto vincolato ad una superficie fissa (n = 2)


L’equazione della superficie è del tipo
f (x, y, z) = 0 ,
che costituisce un vincolo finito scleronomo bilaterale.

76
2) Sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta rigida (n = 5)
Supposto che l’asta abbia lunghezza ℓ e che P1 ´ (x1 , y1 , z1 ) e P2 ´ (x2 , y2 , z2 ), l’equazione
del vincolo è della forma
(x1 ¡ x2 )2 + (y1 ¡ y2 )2 + (z1 ¡ z2 )2 = ℓ2 .
Anche in questo caso si tratta di un vincolo finito scleronomo bilaterale.

3) Punto mobile in una stanza (n = 3)


Assunto Oxyz come sistema di riferimento, con O coincidente con un “vertice” ed assi
coincidenti con gli spigoli uscenti da O ed indicate con a, b, c le dimensioni della stanza,
allora le coordinate x, y, z di P devono soddisfare i seguenti sei vincoli finiti unilaterali:


 0·x·a

0·y·b



0 · z · c.

4) Il pattino (n = 3)
Si tratta del sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta di lunghezza
costante ℓ e vincolate a muoversi in un piano in modo che la velocità del punto medio
dell’asta abbia la direzione dell’asta. Supponendo P1 = (x1 , y1 , z1 ) e P2 = (x2 , y2 , z2 ) e
supponendo che il moto avvenga nel piano xy, i vincoli sono i seguenti :


 z1 = 0



 z2 = 0
 (x1 ¡ x2 )2 + (y1 ¡ y2 )2 = ℓ2



 ẋ + ẋ2 ẏ1 + ẏ2
 1 = .
x1 ¡ x2 y1 ¡ y2
Si tratta di un sistema meccanico soggetto a tre vincoli finiti (le prime tre equazioni) e
ad un vincolo del tipo (4.8) (l’ultima equazione). Di conseguenza questo costituisce un
esempio di sistema non olonomo.

Nel seguito considereremo solo sistemi olonomi e scleronomi. L’ipotesi di olo-


nomia ci garantirà non solo l’indipendenza dei parametri lagrangiani qi , ma anche quella
delle velocità generalizzate q̇i , e di conseguenza quella dei dqi . L’ipotesi di vincoli fissi,
invece, ci permetterà di scrivere la (4.3) senza il tempo t. Potremo quindi sempre scrivere:
Ps = Ps (q1 , q2 , . . . , qn ) , (4.10)
n 
 ∂Ps 
vs = q̇i , (4.11)
i=1
∂qi
n 
 ∂Ps 
dPs = dqi . (4.12)
i=1
∂qi

77
4.8 Spostamenti infinitesimi

Introduciamo ora i concetti di spostamento infinitesimo reale e spostamento virtuale che gio-
cheranno un ruolo fondamentale in argomenti molto importanti che svilupperemo nel se-
guito. Si tratta di concetti non banali, legati alla nozione matematica di ”infinitesimo”.
Una grandezza costituisce un ”infinitesimo” quando, facendone un opportuno limite, essa
tende a zero. Operativamente, per semplificare le cose, gli infinitesimi possono essere trattati
come quantità finite ”arbitrariamente piccole”. In quest’ottica, il differenziale dx della varia-
bile spaziale x può essere visto come un incremento (positivo o negativo) estremamente
piccolo di x. Analogamente il differenziale dt della variabile tempo t può essere riguardato
come un intervallo molto piccolo di tempo.

Consideriamo un sistema meccanico ad n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 ,


..., qn . Posto qk0 =qk (0) e q̇k0 =q̇k (0), con k=1, 2, . . . , n, allora la n-pla (q10 , ..., qn0 ) rappresenta
la configurazione C0 del sistema all’istante t0 e (q̇10 , ..., q̇n0 ) la n—pla delle velocità genera-
lizzate nel medesimo istante. In virtù della (4.10) la posizione di P all’istante t0 è data
da
P0 = P (q10 , q20 , . . . , qn0 ) = P (C0 ) .

Diamo ora due definizioni fondamentali:

Definizione Si definisce spostamento infinitesimo reale del punto P il vettore


dP = v 0 dt ,
essendo v0 la velocità di P all’istante t0 .

Definizione Si definisce spostamento infinitesimo virtuale, o più semplicemente spostamento


virtuale, ogni vettore δP del tipo
δP = v ′ dt ,
essendo v ′ una qualunque velocità del punto P consentita dai vincoli nella posizione P0
all’istante t0 .

A questo punto sono necessarie alcune considerazioni.

a) Matematicamente, dP è il differenziale della funzione P (t) all’istante t0 . È detto spo-


stamento infinitesimo “reale” in quanto costituisce la parte principale dello spostamento
infinitesimo effettivo ∆P = P (t0 + dt) ¡ P (t0 ) a cui il punto dà luogo nell’intervallo di
tempo (t0 , t0 + dt).

78
b) Uno spostamento virtuale è uno spostamento fittizio, ipotetico, ma compatibile con i vincoli,
che immaginiamo di far compiere al punto P all’istante t0 . Gli spostamenti virtuali costitui-
scono, come avremo ampiamente occasione di verificare in seguito, un artificio analitico
estremamente utile.

c) La velocità v 0 di P all’istante t0 , che è fornita dalla (4.11) calcolando le derivate


all’istante t0 , ha la seguente espressione:
n 
 ∂P 
v0 = q̇k0 .
∂qk (C0 )
k=1

d) Una qualunque velocità v ′ di P consentita dai vincoli all’istante t0 ha ovviamente la


stessa espressione di v 0 , ma con le q̇k qualunque:
n 
 ∂P 
v′ = q̇k .
∂qk (C0 )
k=1

Definizione Uno spostamento virtuale δP si dice invertibile se anche ¡δP è uno sposta-
mento virtuale; altrimenti esso è detto non invertibile.

È importante sottolineare il fatto che, perché uno spostamento virtuale δP sia non inver-
tibile, occorre che almeno uno dei parametri qi nella configurazione occupata dal sistema
meccanico all’istante t0 abbia un valore estremale e che il corrispondente δqi sia diverso da
zero. Supponiamo, per esempio, che sia q1 (t0 ) = q11 e δq1 > 0. Ovviamente lo spostamento
¡δP implicherebbe ¡δq1 , e quindi si verrebbe ad avere q1 = q11 ¡ δq1 < q11 , il che non è
lecito.

Definizione Uno spostamento non consentito δ ∗ P ´ (Q ¡ P ) si dice totalmente o


parzialmente proibito a seconda che non esista od esista uno spostamento virtuale δP
che avvicini P a Q.

Osservazione Uno spostamento parzialmente proibito


può scriversi come somma di uno spostamento total-
mente proibito e di uno virtuale

δ ∗ P = δ1∗ P + δP .

Consideriamo l’esempio di un punto appoggiato ad un


piano. Lo spostamento normale al piano δ1∗ = (Q′ ¡P )
è totalmente proibito, mentre lo spostamento obliquo (Q ¡ P ) è parzialmente proibito in
quanto mi posso avvicinare a Q con lo spostamento virtuale δP =(Q” ¡ P ).

79
Vediamo ora come le nozioni date per un singolo punto P si estendono al sistema meccanico
di cui esso fa parte. I parametri lagrangiani siano q1 , q2 , ..., qn . Supponiamo che il sistema
meccanico sia costituito di N punti Ps . Naturalmente lo spostamento infinitesimo di
un sistema meccanico è definito dagli spostamenti infinitesimi di tutti i suoi punti. Per
indicare uno spostamento virtuale si potrebbe dunque scrivere
δC ´ (δP1 , δP2 , . . . , δPN ) .
n 
Ma essendo  ∂Ps 
δPs = δqk ,
∂qk
k=1
tutti i δPs sono individuati dalla n¡pla (δq1 , δq2 , ..., δqn ). Di conseguenza si ha anche
δC ´ (δq1 , δq2 , . . . , δqn ) .

Definizione Uno spostamento virtuale δC di un sistema meccanico è invertibile se lo è lo


spostamento di ciascun suo punto Ps .
Questo significa che, dato uno spostamento δC invertibile a partire da una configurazione
C0 ´ (q10 , ..., qn0 ), nessun qk0 corrispondente ad un δqk non nullo ha un valore estremale. Al
contrario, se δC è non invertibile, questo significa che ad almeno uno dei δqk diversi da
zero corrisponde qk0 estremale.

4.9 Configurazioni interne e di confine

Definizione C0 = (q10 , q20 , . . . , qn0 ) è una configurazione interna per il sistema meccanico
se ogni spostamento virtuale del sistema a partire da C0 è invertibile.

Definizione C0 = (q10 , q20 , . . . , qn0 ) è una configurazione di confine se esiste almeno uno
spostamento virtuale del sistema a partire da C0 che è non invertibile.

In base a quanto affermato in precedenza si può dire che, affinchè una configurazione
C0 sia interna occorre che nessuno dei qi0 , i = 1, ..., n, sia estremale. Se invece almeno
uno dei qi0 ha un valore estremale, allora C0 è di confine. Consideriamo i due esempi
seguenti. i) punto P (x, y, z) libero, per cui ¡1<x< +1, ¡1<y<+1, ¡1<z<+1 :
ogni configurazione è di tipo interno. ii) punto vincolato a muoversi all’interno di una
stanza, 0 · x · a, 0 · y · b, 0 · z · c : ogni configurazione relativa alle pareti è di
confine, tutte le altre sono interne.

Nota bene La scelta di particolari sistemi di coordinate può portare a configurazioni per le
quali il valore di qualche coordinata è estremale senza che la configurazione sia di confine.
Un esempio in cui si può banalmente incorrere in errore si ha quando si utilizza un angolo
θ per descrivere una rotazione, senza che alcun vincolo fisico ponga delle limitazioni.

80
Chiaramente, se si assume θ variabile tra 0 e 2π, θ = 0 e θ = 2π non sono configurazioni
di confine. Per ovviare a questo inconveniente è sufficiente considerare θ variabile tra
¡1 e +1 (anche se in questo modo si perde la biunivocità della corrispondenza fra
configurazioni del sistema e valori del parametro θ).

4.10 Forze attive

Definizione Una forza (P, F ) si dice attiva se il suo vettore F è noto in funzione di
x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t, essendo x, y, z le coordinate di P .

Le forze attive possono essere distinte in due tipi: a) le forze dovute a corpi, quali le forze
Newtoniane, elettriche, elastiche, etc.; b) le forze dovute al sistema di riferimento, quali le
forze di trascinamento e di Coriolis.

Per quanto concerne le forze dovute a corpi sottolineiamo il fatto che sono forze assolute,
cioè forze che non dipendono dall’osservatore. Le altre, invece, variano a seconda dell’os-
servatore e sono collegate ovviamente alle accelerazioni che intervengono nel moto relativo
rispetto ad un osservatore assoluto inerziale.

Nota bene Il vettore F = F (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) di una forza attiva (P, F ) deve essere noto
in funzione di x, y, z, ẋ, ẏ, ż. Ciò non significa affatto che questi parametri siano noti in
funzione del tempo ! Se cosı̀ fosse il moto di P sarebbe già noto, mentre il nostro problema
è proprio quello di determinarlo !

Le forze attive dovute all’azione di altri corpi possono essere distinte in interne ed esterne a
seconda che siano dovute a punti materiali facenti parte del sistema materiale considerato
oppure no. Nel caso di forze interne vale ovviamente il Principio di azione e reazione. Su
ogni punto Ps di un sistema meccanico si possono dunque pensare applicate una forza
attiva interna (Ps , F is ) ed una esterna (Ps , F es ). Volendo, nel caso in cui intervengono
anche forze non assolute dovute ad un sistema di riferimento non inerziale, queste si
possono includere fra le forze attive esterne. In realtà su ciascun punto Ps agiscono in
generale più forze interne e più forze esterne. Ovviamente, (Ps , F es ) è la risultante delle
forze esterne, (Ps , F is ) è la risultante di quelle interne.

4.11 Reazioni vincolari

Le reazioni vincolari, differentemente dalle forze attive, sono forze più o meno incognite,
dovute ai vincoli, la cui natura è sancita dal postulato che segue.

81
Postulato delle reazioni vincolari Un sistema meccanico comunque vincolato può essere
reso libero, senza alterarne lo stato di quiete o di moto, sopprimendo i vincoli e sostituendo
ad essi “opportune forze” dette reazioni vincolari.
L’azione di un vincolo può essere rappresentata o da una singola reazione o da un sistema
di più reazioni. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è sufficiente considerare una sola
reazione il cui punto di applicazione coincide col punto su cui il vincolo agisce.
Definizione Un vincolo si dice liscio o senza attrito se la sua azione è rappresentata da un’u-
nica reazione vincolare (P, Φ) avente la direzione di uno spostamento totalmente proibito
e verso opposto. Altrimenti il vincolo è detto scabro o con attrito.

Spesso, anziché coinvolgere gli spostamenti totalmente proibiti, si dice più semplicemente
che un vincolo è liscio quando esplica un’unica reazione normale al vincolo stesso. Vediamo
ora alcuni esempi di vincoli lisci:
- punto vincolato ad un piano liscio : Φ = Φn (n versore normale al piano);
- punto appoggiato ad un piano liscio : Φ = Φn , Φ¸0 (n versore normale al piano,
diretto nel verso in cui può avvenire il distacco);
- punto vincolato ad una curva liscia : Φ = Φn n + Φb b (n e b versori lungo la normale
principale e la binormale).

L’attrito si manifesta quando un punto materiale, muovendosi (o tentando di muoversi)


su un altro corpo, ne modifica lievemente la superficie (che guardata al microscopio non
è poi cosı̀ liscia come sembra), generando forze non solo normali alla superficie ma anche
tangenti. Nella realtà i vincoli sono tutti più o meno scabri, per cui i vincoli lisci rappre-
sentano essenzialmente delle situazioni ideali. In molti problemi, tuttavia, le superfici sono
abbastanza levigate, per cui si può assumere che il vincolo sia liscio. Limitandoci a questo
caso, (il problema dell’attrito sarà ripreso e trattato in maniera più ampia in seguito) e
ricordando la definizione di vincolo liscio, si possono fare le seguenti considerazioni circa
il vettore Φ della reazione vincolare. Pur rimanendo il suo modulo in ogni caso incognito,
ne conosciamo:
- la direzione, se vi sono solo due spostamenti totalmente proibiti uno opposto all’altro;
- la direzione ed il verso, quando c’è un unico spostamento totalmente proibito.

Come nel caso delle forze attive, anche le reazioni vincolari possono distinguersi in interne
ed esterne, e ciò a seconda che il vincolo è di tipo interno od esterno. Di conseguenza, su
ogni punto Ps di un sistema meccanico, oltre alle forze attive interna (Ps , F is ) ed esterna
(Ps , F es ), potremo sempre pensare che ci siano le reazioni vincolari interna (Ps , Φis ) ed
esterna (Ps , Φes ).

82
4.12 Vettori caratteristici di un sistema di forze

Su ogni sistema meccanico agiscono sempre delle forze, in generale sia forze attive che
reazioni vincolari. Consideriamo per il momento delle forze generiche, senza specificarne
la natura, ed andiamo ad introdurre alcune nozioni che ci torneranno poi utili in seguito.
Al momento in cui queste nozioni saranno utilizzate, potremo facilmente circoscriverci
o alle sole forze attive o alle sole reazioni vincolari o ad un qualunque altro insieme di
forze. Consideriamo dunque un generico sistema di forze agenti sul sistema meccanico; lo
indicheremo enumerando le forze: (As , F s ), s = 1, . . . , N . Ovviamente, più forze possono
avere lo stesso punto di applicazione, per cui i punti As , che naturalmente sono punti del
sistema meccanico, non sono necessariamente distinti.

Un sistema di forze (As , F s ), s = 1, . . . , N , è caratterizzato dai due vettori seguenti :

a) il vettore R somma dei vettori delle forze,

N

R= F s, (4.13)
s=1

che chiamiamo vettore risultante o più semplicemente il risultante, e

b) il vettore
N
 N

Ω(O) = Ωs (O) = F s £ (O ¡ As ), (4.14)
s=1 s=1

che chiamiamo momento risultante del sistema di forze rispetto al polo O.

Si noti che il vettore Ωs (O) = F s £ (O ¡ As ) , cioè il mo-


mento della singola forza (As , F s ), è ortogonale al piano
individuato dal polo O e da (As , F s ). Il suo modulo vale
Fs jO ¡ As j sin αs = Fs rs , dove rs è la distanza di O dalla
linea d’azione della forza. Qualche volta la distanza rs è
detta braccio della forza rispetto ad O.
Ovviamente, se F s 6
= 0, Ωs (O) è nullo se e solo se O
appartiene alla retta (As , F s ). In particolare, Ω(As ) = 0.

Nota bene: R e Ω(O) sono vettori liberi (cioè non applicati) !

83
Proprietà dei vettori caratteristici

a) In generale il momento risultante di un sistema di forze dipende dal polo. Vediamo la


relazione che intercorre fra Ω(O) ed Ω(O1 ). Si ha:
N
 N

Ω(O1 ) = F s £ (O1 ¡ As ) = F s £ [(O1 ¡ O) + (O ¡ As )] =
s=1 s=1
N
 N
 
N 
= F s £ (O ¡ As ) + F s £ (O1 ¡ O) = Ω(O) + F s £ (O1 ¡ O) ,
s=1 s=1 s=1

ossia
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O). (4.15)

b) Teorema C.N.S. affinché il momento risultante di un sistema di forze sia indipendente


dal polo è che sia R = 0.

C.N. Se il momento risultante è indipendente dal polo, si ha Ω(O) = Ω(O1 ), qualunque


siano O ed O1 . Dalla relazione (4.15) segue R £ (O1 ¡ O) = 0 per qualunque O ed O1 .
Ciò implica R = 0.

C.S. Se R = 0, la tesi segue in modo ovvio dalla (4.15).

Nel seguito la scrittura di un momento senza l’indicazione del polo, ne implicherà auto-
maticamente l’indipendenza.

Introduciamo infine le nozioni di invariante e di momento assiale.

Si chiama invariante del sistema di forze (As , F s ), s = 1, . . . , N , la grandezza scalare

I = R ¢ Ω(O) . (4.16)

Il nome è giustificato dal fatto che questa grandezza non dipende dal polo rispetto al quale
è calcolato il momento risultante. Infatti, considerato un secondo polo O1 ed utilizzando
la (4.15), si ha
 
R ¢ Ω(O1 ) = R ¢ Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) = R ¢ Ω(O) + R ¢ R £ (O1 ¡ O) = R ¢ Ω(O) .

Si chiama momento assiale del sistema di forze (As , F s ), s = 1, . . . , N , rispetto alla retta
(O, r), r versore, la grandezza scalare
N

Ωr = Ω(O) ¢ r = F s £ (O ¡ As ) ¢ r.
s=1

84
Tale grandezza dipende dalla retta, ma non dal punto O. Infatti, qualunque sia O1 2
(O, r), per cui r k (O1 ¡ O) , si ha:

Ωr (O1 ) = Ω(O1 ) ¢ r = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) ¢ r = Ω(O) ¢ r + R £ (O1 ¡ O) ¢ r =
= Ω(O) ¢ r = Ωr (O).

4.13 Sistemi equivalenti di forze

Diamo ora una definizione il cui significato fisico apparirà chiaro nel seguito del corso.

Definizione Due sistemi di forze S : (As , F s ), s = 1, . . . , N , e S ′ : (A′ s , F s ), s = 1, . . . , N ′
si dicono equivalenti se
′ ′
R=R e Ω(O) = Ω (O).

Teorema C.N.S. affinché due sistemi di forze siano equivalenti è che essi abbiano lo
stesso momento risultante qualunque sia il polo.
In virtù della (4.15), qualunque siano i punti O ed O1 , valgono le seguenti relazioni:

Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O)


(4.17)
Ω′ (O1 ) = Ω′ (O) + R′ £ (O1 ¡ O)

C.N. Hp.: i due sistemi di forze sono equivalenti. Th.: i due momenti sono gli stessi per
qualunque altro polo O1 . Ciò è evidente dalle relazioni (4.17): l’uguaglianza dei secondi
membri comporta anche quella dei primi.

C.S. Hp.: Ω(O) = Ω (O) qualunque sia O. Th.: i due sistemi sono equivalenti, cioè

R = R . L’ipotesi e le (4.17) comportano

′ ′
R £ (O1 ¡ O) = R £ (O1 ¡ O) =) (R ¡ R ) £ (O1 ¡ O) = 0,

da cui consegue, per l’arbitrarietà di (O1 ¡ O), la tesi.

85
4.14 Sistemi elementari di forze

Si definiscono i seguenti sistemi elementari di forze:

a) sistema nullo, quando non c’è nessuna forza. Ovviamente

R = 0, Ω = 0, I = 0.

b) una forza (A, F ), per cui

R = F, Ω(A) = 0, I = 0.

c) una coppia (A, F ), (B, ¡F ), con F non parallelo a (B—A), per cui

R = 0, Ω = F £ (B ¡ A) 6
= 0, I = 0.

Si chiama braccio della coppia la distanza fra le linee d’azione delle due forze. Osser-
viamo che l’ipotesi fatta di non parallelismo tra F e (B—A) implica un braccio non nullo.
Osserviamo anche che, essendo R = 0, il momento di una coppia non dipende dal polo.

d) una forza (A, F ) ed una coppia (B, F 1 ), (C, ¡F 1 ), di braccio non nullo, con F parallelo al
momento della coppia Ω = F 1 £ (C ¡ B). Chiaramente:

R = F, Ω(A) = Ω, I6
= 0.

Osserviamo che la definizione di sistemi elementari di forze è del tutto analoga a quella di
stati cinetici elementari introdotta in cinematica.

4.15 Teorema di equivalenza sui sistemi di forze

Teorema Un qualunque sistema di forze è equivalente ad un sistema elementare di forze.

Dimostrazione Considerato un sistema di forze S : (As , F s ), s = 1, . . . , N , siano R ed


Ω(O) i suoi vettori caratteristici, con il polo O arbitrariamente scelto. Distinguiamo due
casi: a) I = 0; b) I 6
= 0.

Caso a). Sono possibili quattro sottocasi.

a1 ) R = 0, Ω = 0 : il sistema S è equivalente al sistema nullo.

a2 ) R = 0, Ω 6
= 0 : il sistema S è equivalente ad una qualunque coppia di forze di
momento Ω.

86
a3 ) R 6
= 0, Ω(O) = 0 : il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto
qualunque della retta (O, R). Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti dello spazio
rispetto ai quali il momento risultante è nullo, si chiama asse centrale del sistema di forze.

a4 ) R 6
= 0, Ω(O) 6
= 0, R ? Ω(O): se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1 ) = 0,
ricadremmo nel caso precedente. Facciamo vedere che un tale O1 esiste. Essendo
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) ,
perché Ω(O1 ) sia nullo, O1 dovrà essere soluzione dell’equazione
Ω(O) = R £ (O ¡ O1 ) . (4.18).
Essendo R ? Ω(O), si tratta di un problema di divisione vettoriale (x1.7) che ammette
infinite soluzioni: tutti i punti di una certa retta parallela a R. Si può dunque affermare
che il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto qualunque della retta
(O1 , R) formata dai punti O1 soluzione dell’equazione (4.18).

= 0, per cui R 6
Caso b). Ora I 6 = 0, Ω(O) 6
= 0, con i due vettori non ortogonali. Sono
dunque possibili due sottocasi.

b1 ) R k Ω(O) : il sistema S è equivalente ad una forza (A, R), con A punto qualunque
della retta (O, R), ed una qualunque coppia di momento Ω(O). Anche in questo caso la
retta (O, R) è detta asse centrale del sistema di forze.

b2 ) R ed Ω(O) sono obliqui, per cui, scomponendo Ω(O) lungo le direzioni rispettivamente
parallela e perpendicolare a R, si può scrivere
Ω(O) = Ω (O) + Ω⊥ (O) .
Osserviamo che se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1 ) = Ω (O) ci troveremmo nelle stesse
condizioni del punto b1 ). Perchè un siffato O1 esista deve essere
Ω(O1 ) = Ω(O) + R £ (O1 ¡ O) = Ω (O) + Ω⊥ (O) + R £ (O1 ¡ O) = Ω (O)
ovvero
Ω⊥ (O) + R £ (O1 ¡ O) = 0 o, equivalentemente, Ω⊥ (O) = R £ (O ¡ O1 ) .

Essendo Ω⊥ (O) perpendicolare ad R, esistono infiniti punti O1 che soddisfano questa


condizione. Scelto un tale O1 , si può dunque affermare che il sistema S è equivalente ad
una forza (A, R), con A punto qualunque della retta (O1 , R) ed una qualunque coppia di
momento Ω (O). La retta (O1 , R) è l’asse centrale del sistema di forze.

Si impongono ora alcune osservazioni.


a) La prima osservazione riguarda il fatto che spesso, impropriamente, si parla di un
sistema nullo anzichè di un sistema equivalente ad un sistema nullo. A tale proposito

87
anticipiamo fin d’ora che, mentre questa distinzione non è rilevante quando il sistema di
forze è applicato ad un corpo rigido, lo è invece nel caso di un corpo deformabile.
b) Il più semplice sistema equivalente ad un sistema nullo è una coppia di braccio nullo.
Esempio significativo: la coppia di forze che due punti materiali esercitano l’uno sull’altro
in virtù del principio di azione e reazione.
c) L’asse centrale è definito quando il sistema di forze è equivalente ad una sola forza
e quando è equivalente ad una forza ed una coppia. Nel primo caso l’asse centrale è il
luogo dei punti rispetto ai quali il momento risultante è nullo; nel secondo caso è il luogo
dei punti rispetto ai quali Ω è parallelo ad R. Ebbene, poiché in entrambi i casi un
polo non appartenente all’asse centrale comporta una componente di Ω ortogonale all’asse
medesimo, è chiaro che l’asse centrale è il luogo dei punti dello spazio rispetto ai quali il
modulo del momento risultante del sistema di forze è minimo. Nel caso di equivalenza ad
una forza ed una coppia il momentorispetto adun punto P dell’asse centrale vale
R R I
Ω(P ) = Ω(O) ¢ = 2R.
jRj jRj R
d) L’invariante I di un sistema di forze complanari è sempre nullo. Infatti, se Π è il piano
delle forze, R è parallelo a tale piano, mentre Ω(O), con O 2 Π, è ortogonale a Π. Se poi
R6
= 0, il sistema è equivalente ad una forza con asse centrale che sta, come le forze, su Π.

e) L’ultima osservazione concerne la possibilità di formulare i tre corollari che seguono:

Corollario 1 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una forza ed una
coppia è che si abbia I 6
= 0.

Corollario 2 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una sola forza è che
si abbia I = 0, R 6
= 0.

Corollario 3 : C.N.S. affinché un sistema di forze sia equivalente ad una coppia è che si
abbia R = 0, Ω 6
= 0.

Infine, una considerazione molto importante. Nel caso in cui il sistema è equivalente ad una
forza, e solo in questo caso, ha senso parlare di forza risultante o, più semplicemente, della
risultante, intendendo con ciò una forza equivalente al sistema. Sottolineiamo la differenza
tra il risultante e la risultante: il primo, cioè il vettore risultante, è un vettore libero ed
esiste sempre; la seconda, ossia la forza risultante, esiste solo nel caso di sistemi particolari
(Corollario 2), il più semplice dei quali è quello in cui tutte le forze hanno lo stesso punto di
applicazione A. Ovviamente in questo caso A costituisce il punto d’applicazione “naturale”
della risultante, come assunto nella definizione di forza risultante data nel x4.1.

88
4.16 Operazioni elementari sulle forze

Con le forze si possono compiere tre operazioni elementari che trasformano il sistema di
forze dato in un sistema equivalente.
a) Composizione di due o più forze applicate allo stesso punto. Tale operazione consiste
M

nel sostituire al sistema di forze (A, F s ), s = 1, ..., M , la risultante (A, F = F s ).
s=1

b) Scomposizione di una forza in due o più forze con lo stesso punto d’applicazione ed
aventi direzioni assegnate as . Tale operazione consiste nel sostituire alla forza (A, F ) il

sistema di forze (A, F s = Fs as ), s = 1, ..., M , con s Fs as = F .

c) Scorrimento di un forza lungo la sua retta d’azione. Questa operazione consiste nel
sostituire alla forza (A, F ) la forza (A′ , F ), con A′ punto qualunque della retta (A, F ).

Teorema Le operazioni elementari trasformano un sistema di forze in un sistema equi-


valente. La facile dimostrazione è lasciata per esercizio.

Dimostriamo invece l’importante teorema che segue:

Teorema Un sistema di N forze qualunque si può sempre ridurre, mediante operazioni


elementari, ad un sistema di due forze.

Dimostriamo il teorema per N = 3. Siano


(As , F s ), s = 1, 2, 3, le tre forze in que-
stione che, volendo stare nel caso generale,
supponiamo sghembe. Sia r la retta inter-

sezione del piano A1 , (A2 , F 2 ) col piano

A1 , (A3 , F 3 ) . Sia A un qualunque punto
di r. Scomponiamo la forza (A2 , F 2 ) lungo
le rette A2 A1 e A2 A: otterremo due nuove
′ ′′
forze (A2 , F 2 ) e (A2 , F 2 ).

Analogamente scomponiamo la forza (A3 , F 3 ) lungo le rette A3 A1 e A3 A ottenendo le


′ ′′
due nuove forze (A3 , F 3 ) e (A3 , F 3 ). A questo punto facciamo scorrere ciacuna di queste
′ ′
quattro forze lungo la propria linea d’azione in modo da portare i vettori F 2 ed F 3 in A1 e
′′ ′′ ′ ′
F 2 ed F 3 in A. Eseguite queste operazioni ci sono tre forze di vettori F 1 , F 2 , F 3 applicate
′′ ′′
in A1 e due forze di vettori F 2 e F 3 applicate in A. Componendo le prime tre ottengo la
′ ′ ′′ ′′
forza (A1 , F 1 + F 2 + F 3 ), mentre componendo le altre due si ha (A, F 2 + F 3 ). Dunque il
sistema di tre forze è stato trasformato in un sistema equivalente di due forze.

89
Ovviamente, se il sistema è costituito di N > 3 forze, se ne prendono tre e ci si riduce ad
N ¡ 1 forze, poi se ne prendono ancora tre e ci si riduce ad N ¡ 2, e cosı̀ via fino a che
non ci si riduce a due soltanto.

Se le tre forze sono parallele, la dimostrazione è ancora valida prendendo come retta r la
linea d’azione di (A1 , F 1 ). Se delle tre forze due sono complanari ed incidenti, mediante
scorrimento queste due si riducono immediatamente ad una sola forza, per cui il teorema
è subito provato. Se tutte le forze sono complanari, il sistema si riduce ad una sola forza
(caso generale) o ad una coppia (caso particolare).

4.17 Sistemi di forze interne

In base a quanto detto in precedenza, le forze che agiscono su un sistema meccanico


possono essere distinte in forze attive e in reazioni vincolari. A loro volta, sia le une
che le altre, possono essere distinte in interne ed esterne. Dunque, su qualunque sistema
meccanico, si può sempre ritenere che agiscano quattro sistemi di forze: i sistemi delle forze
attive esterne (As , F es ), s = 1, . . . , N , delle forze attive interne (Bs , F is ), s = 1, . . . , M ,
delle reazioni vincolari esterne (Cs , Φes ), s = 1, . . . , N ′ , e delle reazioni vincolari interne
(Ds , Φis ), s = 1, . . . , M ′ .
Essendo le forze interne dovute soltanto all’azione di punti appartenenti al sistema mecca-
nico in questione, per il III principio della Meccanica (principio di azione e reazione) esse
compaiono sempre a coppie di braccio nullo. Più precisamente, se (Br , F s→r ) è la forza
attiva che agisce sul punto Br dovuta a Bs , allora c’è anche la forza (Bs , F r→s ) dovuta a
Br . Queste due forze costituiscono una coppia di braccio nullo e di conseguenza, oltre ad
avere risultante nullo, hanno anche momento risultante nullo. Ne consegue che

M
 M 
 M
Ri = F is = F r→s = 0 ,
s=1 s=1 r=1
r
=s
M
 M 
 M
Ωi (O) = F is £ (O ¡ Bs ) = F r→s £ (O ¡ Bs ) = 0 .
s=1 s=1 r=1
r
=s

Vale dunque il seguente


Teorema Il sistema delle forze attive interne (Bs , F is ), s = 1, . . . , M , è equivalente al
sistema nullo.

90
Un analogo teorema vale ovviamente anche per le reazioni vincolari:
Teorema Il sistema delle reazioni vincolari interne (Ds , Φis ), s = 1, . . . , M ′ , è equivalente
al sistema nullo.
4.18 Sistemi di forze parallele

Consideriamo ora il caso particolare di un sistema di forze tutte parallele. Indicato con
a un versore con la direzione delle forze, il sistema in questione può essere scritto nel
modo seguente: (As , Fs a), s = 1, ..., N . Ovviamente lo scalare Fs , che rappresenta la
componente del vettore F s lungo a, è positivo o negativo a seconda che F s è concorde o
discorde con a. Se gli Fs hanno tutti lo stesso segno, le forze sono tutte concordi.

Teorema L’invariante di un sistema di forze parallele è nullo.

Infatti, essendo

N
 N
 
N 
R= Fs = Fs a = Fs a = Ra,
s=1 s=1 s=1
N
 N
 N

Ω(O) = F s £ (O ¡ As ) = Fs a £ (O ¡ As ) = a £ Fs (O ¡ As ),
s=1 s=1 s=1

ne consegue
N

I = R ¢ Ω(O) = Ra ¢ a £ Fs (O ¡ As ) = 0 .
s=1

Questo teorema implica dunque che un sistema di forze parallele non è mai equivalente
ad una forza ed una coppia. In particolare implica che un sistema di forze parallele con
R6
= 0 è sempre equivalente ad una sola forza, in altre parole ammette la risultante. In
questo caso vale l’importante

Teorema Per ogni sistema di forze parallele con R 6


= 0 esiste, ed è unico, un punto C
dell’asse centrale che è indipendente dalla direzione a delle forze. Tale punto, che si chiama
centro delle forze parallele, è dato da
N
s=1Fs (As ¡ O)
C ¡O = N . (4.19)
s=1 Fs

Dunque, un qualunque sistema di forze parallele con R 6


= 0 ammette sempre il centro
delle forze parallele, vale a dire un punto C, indipendente dalla direzione delle forze, in
cui si può applicare la risultante. L’indipendenza di C da a comporta la sua invarianza

91
rispetto ad una qualunque rotazione delle forze, lasciandone fermi i punti d’applicazione
e invariate le intensità.

Assunto un sistema di coordinate cartesiane Oxyz, indicate con (xs , ys , zs ) le coordinate di


As e con (xC , yC , zC ) quelle del centro C, la relazione (4.19) proiettata sugli assi fornisce
le coordinate cartesiane di C:
N N N
Fs xs s=1 Fs ys Fs zs
xC = s=1 N
, yC = N , zC = s=1
N
. (4.20)
s=1 Fs s=1 Fs s=1 Fs

È immediato verificare che se tutti i punti d’applicazione delle forze stanno su una retta,
anche C sta sulla retta. Analogamente, se tutti i punti As stanno in un piano, anche C
sta nel piano.

Consideriamo a titolo di esempio il più semplice sistema di forze parallele: quello costituito
di due sole forze. Siano (A1 , F1 a) e (A2 , F2 a) le due forze, con F1 + F2 6
= 0. Assunto come
asse Ox la retta congiungente i punti A1 ed A2 , essendo A1 ´ (x1 , 0, 0) e A2 ´ (x2 , 0, 0),
le (4.20) forniscono immediatamente yC = zC = 0, per cui C sta sulla congiungente A1
con A2 . Inoltre

F1 x1 + F2 x2
xC = =) F1 (xC ¡ x1 ) = ¡F2 (xC ¡ x2 ).
F1 + F2

Ciò significa che C è interno al segmento


A1 A2 se le due forze sono concordi, esterno
se sono discordi (dalla parte della forza di
modulo maggiore). Inoltre, in ogni caso, le
distanze di C dai punti A1 ed A2 sono in-
versamente proporzionali a jF1 j e jF2 j.

4.19 Forza peso

Definizione Si chiama peso del punto materiale (P, m) la forza che occorre equilibrare
perché il punto sia in equilibrio rispetto ad un osservatore solidale con la terra.

La forza peso, che indichiamo con (P, p), è la risultante delle forze dovute all’attrazione
Newtoniana ed ai moti della terra. Essa risulta principalmente dalla composizione di due
forze: la forza d’attrazione esercitata dalla terra e la forza centrifuga (che sarà definita
più avanti) dovuta alla rotazione uniforme della terra attorno al proprio asse. Più preci-
samente, indicati rispettivamente con n e N i versori radiali e normali all’asse terrestre

92
orientati come in figura, si ha
mM
p ' G n ¡ mρ cos ϕω2 N , (4.21)
ρ2
dove G è la costante di gravitazione universale, ρ è
la distanza di P dal centro della terra, M la massa
della terra, ϕ è la latitudine di P e ω è la velocità
angolare della terra. Poichè la forza Newtoniana è
diretta verso il centro della terra e la forza centrifuga è normale all’asse, ne consegue che,
eccetto che all’equatore e ai poli, la forza peso non passa per il centro della terra (anche
se vi passa molto vicino).
Nel seguito il vettore p della forza peso agente su (P, m) sarà scritto come

p = mg = ¡mgk , (4.22)

dove g, che è detta accelerazione di gravità, è indipendente da m e variabile con la latitudine


e con l’altezza (rispetto al livello del mare). Il versore k, che definisce punto per punto la
direzione verticale (direzione del filo a piombo), e quindi il piano orizzontale, è il versore
verticale ascendente. Osserviamo che in un problema ha senso parlare di “verticale” solo
se tra le forze che agiscono sul sistema ci sono anche le forze peso.

Consideriamo ora un sistema di N punti materiali (Ps , ms ). Ad esso sarà associato il


sistema delle forze peso (Ps , ps = ms g s ), s = 1, ..., N . Supponendo che le distanze fra i
punti Ps siano molto piccole rispetto al raggio terrestre, come è ragionevole supporre per
ogni sistema meccanico con cui abbiamo a che fare, si può assumere ps = ms g = ¡ms gk.
Dunque, il sistema delle forze peso applicate ad un sistema meccanico può considerarsi
un sistema di forze parallele. Essendo queste equiverse si ha R 6
= 0, e quindi il sistema
delle forze peso è equivalente ad una sola forza (A, ¡M gk), dove A è un punto qualunque
N
dell’asse centrale, M = s=1 ms è la massa totale e k è il versore verticale ascendente. A
tale forza ci si riferisce come al peso del sistema materiale.

In particolare, la forza peso può sempre essere applicata nel baricentro G del sistema
materiale. È infatti facile verificare che il baricentro è il centro delle forze peso.

4.20 Misura della massa

Come si calcola la massa di un punto materiale (P, m) ? Assunta come massa unitaria
quella di un punto campione (P0 , m0 ), si ha:

m0 g = ¡m0 gk = p0 k, mg = ¡mgk = pk (p0 < 0, p < 0),

93
m p
da cui la relazione = . Per ottenere la massa m fornita dalla bilancia basta porre
m0 p0
m0 = 1:
p
m= .
p0

4.21 Lavoro reale infinitesimo

Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo della forza (P, F ) il prodotto scalare

dL = F ¢ dP. (4.23)

Posto, come al solito,


P ¡ O = xi + yj + zk
dP = dxi + dyj + dzk
F = Fx i + Fy j + Fz k,
l’espressione cartesiana di dL è la seguente:

dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz. (4.24)

Nel caso di un sistema meccanico ad n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 , . . . , qn ,


il lavoro dLs della forza (Ps , F s ), tenendo conto della (4.12), sarà dato da:
n
∂Ps
dLs = F s ¢ dPs = F s ¢ dqi .
i=1
∂qi

Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo compiuto dal sistema di forze (Ps , F s ), s =
1, . . . , N , la somma dei lavori dLs compiuti da ciascuna forza, ossia
N
 N

dL = dLs = F s ¢ dPs . (4.25)
s=1 s=1
Quando il sistema delle forze in questione è quello delle forze attive, è molto conveniente
rappresentare dL in una forma che ora andiamo a ricavare.
n 
∂Ps 
N N n  N
∂Ps
dL = F s ¢ dPs = Fs ¢ dqi = Fs ¢ dqi
s=1 s=1 i=1
∂qi i=1 s=1
∂qi
Ponendo
N
 ∂Ps
Qi = Fs ¢ , i = 1, ..., n , (4.26)
s=1
∂qi
si ha
n

dL = Q1 dq1 + Q2 dq2 + ¢ ¢ ¢ + Qn dqn = Qi dqi . (4.27)
i=1
Le Qi sono dette forze generalizzate di Lagrange. In un certo senso, esse generalizzano il
concetto di componenti cartesiane delle forze. Infatti, nel caso di un punto libero, posto
q1 = x, q2 = y, q3 = z, si ha Q1 = Fx , Q2 = Fy , Q3 = Fz .

94
4.22 Lavoro finito

Definizione Si definisce lavoro compiuto dalla forza (P, F ) nell’intervallo di tempo (t1 , t2 )
l’integrale curvilineo
 P2
L = (γ) F ¢ dP, (4.28)
P1

dove P1 = P (t1 ), P2 = P (t2 ) e γ è la curva percorsa dal punto P per andare da P1 a P2 .

Poiché, in generale, F = F (x, y, z; ẋ, ẏ, ż; t), questo integrale, in generale, dipende: a) dalla
curva γ (a causa della dipendenza da x, y, z); b) dalla legge oraria con cui P percorre γ (a
causa della dipendenza da ẋ, ẏ, ż); c) direttamente dal tempo, cioè dall’intervallo (t1 , t2 ).

Consideriamo ora il caso di un sistema ad n gradi di libertà soggetto ad un sistema di N


forze. Supponiamo che il sistema nell’intervallo di tempo (t1 , t2 ) si sposti dalla configura-
zione C1 =C(t1 ) alla configurazione C2 =C(t2 ), percorrendo, nello spazio n-dimensionale dei
parametri lagrangiani qi , la curva Γ.

Definizione Si definisce lavoro compiuto dal sistema di forze (Ps , F s ), s = 1, . . . , N sul


sistema meccanico nell’intervallo di tempo (t1 , t2 ) l’integrale curvilineo
 N
C2 
L = (Γ) F s ¢ dPs . (4.29)
C1 s=1

Analogamente al lavoro di una singola forza, anche questo integrale dipende, in generale,
dalla traiettoria Γ, dalle modalità con cui il sistema si sposta da C1 a C2 (attraverso le
velocità generalizzate q̇i ) e dal tempo.

4.23 Lavoro virtuale

Definizione Si definisce lavoro virtuale, ovviamente infinitesimo, della forza (P, F ) il pro-
dotto scalare
δL = F ¢ δP = Fx δx + Fy δy + Fz δz. (4.30)

Nel caso di un sistema ad n gradi di libertà su cui agisce un sistema di N forze attive
(Ps , F s ), si ha
N
 N
 
n
∂P  n N
∂Ps 
n

s
δL = δLs = Fs ¢ δqk = Fs ¢ δqk = Qk δqk . (4.31)
s=1 s=1
∂qk s=1
∂qk
k=1 k=1 k=1

Questa relazione esprime il lavoro virtuale delle forze attive. Osserviamo che (4.31) coin-
cide formalmente con l’espressione (4.27) del lavoro reale infinitesimo. Ciò non sarebbe
vero se il sistema meccanico non fosse scleronomo.

95
4.24 Lavoro infinitesimo delle forze applicate ad un corpo rigido

Se il sistema materiale è un corpo rigido C, il lavoro virtuale delle forze ad esso appli-
cate assume una semplice espressione, di particolare importanza, che deriva dalla formula
fondamentale della cinematica rigida

dPs dO1
= + ω £ (Ps ¡ O1 ).
dt dt

Posto ω = θ̇a, ed essendo dθ = θ̇dt, lo spostamento infinitesimo reale di un punto Ps 2 C


 
in corrispondenza allo spostamento reale dC = dO1 , (O1 , dθa) (naturalmente compatibile
coi vincoli esterni), è dato da

dPs = dO1 + dθa £ (Ps ¡ O1 ) . (4.32)

Ne consegue che il lavoro infinitesimo reale di un generico sistema di forze (Ps , F s ), s =


1, . . . , N , è dato da

N
 N
  
dL = F s ¢ dPs = F s ¢ dO1 + dθa £ (Ps ¡ O1 ) =
s=1 s=1

N  N

= F s ¢ dO1 + F s ¢ (O1 ¡ Ps ) £ dθa =
s=1 s=1

N  N

= F s ¢ dO1 + F s £ (O1 ¡ Ps ) ¢ dθa .
s=1 s=1

Ricordando la definizione di vettore risultante e di momento risultante, si ottiene la se-


guente espressione:
dL = R ¢ dO1 + Ω(O1 ) ¢ dθa . (4.33)

L’espressione del lavoro virtuale è formalmente la stessa.

Osservazioni:
— Il lavoro infinitesimo, sia reale che virtuale, delle forze interne (attive e vincolari) che
agiscono su un corpo rigido, è sempre nullo.
— L’espressione trovata per dL (o δL) ci dice che due sistemi di forze equivalenti, se applicati
ad un corpo rigido, compiono lo stesso lavoro. Ciò non è vero se il corpo è deformabile, in
quanto la formula (4.32) non vale più.
— Sottolineiamo che l’espressione di dL ottenuta vale qualunque sia il punto O1 del corpo
 
rigido e qualunque sia lo spostamento infinitesimo dO1 , (O1 , dθa) (analogamente per
δL).

96
4.25 Forze posizionali

Definizione Una forza attiva (P, F ) si dice posizionale quando il suo vettore F dipende
solo dalla posizione del suo punto d’applicazione P ´ (x, y, z), ossia se
F = F (x, y, z).

Il vantaggio più immediato che deriva da questa proprietà consiste nel fatto che il lavoro
finito di una forza posizionale, dato dall’integrale (4.28), dipende solo dalla traiettoria γ
percorsa per andare da P1 a P2 , mentre è indipendente sia dalla legge oraria che dal tempo.

Osserviamo che nel caso di una forza (Ps , F s ) applicata ad un sistema con parametri
lagrangiani qi , il fatto che sia posizionale implica
F s = F s (q1 , q2 , . . . , qn ).

Ovviamente, se tutte le forze applicate al sistema sono posizionali, anche il lavoro finito L
espresso dalla (4.29) dipende soltanto dalla “traiettoria”.

4.26 Sistemi conservativi di forze

Consideriamo un punto materiale (P, m), libero e soggetto ad un’unica forza posizionale
(P, F ). Siano x, y e z le coordinate di P rispetto ad un sistema di riferimento Oxyz
rispetto al quale sia
F (x, y, z) = Fx (x, y, z) i + Fy (x, y, z) j + Fz (x, y, z) k. (4.34)

Definizione La forza posizionale (P, F ) si dice conservativa se esiste una funzione U (x, y, z)
tale che
∂U ∂U ∂U
Fx = , Fy = , Fz = .
∂x ∂y ∂z

La principale proprietà che caratterizza una forza conservativa consiste nel fatto che il
lavoro da essa compiuto quando il punto P si sposta dalla posizione P1 alla posizione P2
dipende solo dalle posizioni iniziale e finale, e non dalla traiettoria γ percorsa. Si ha infatti
 P2
L = (γ) dL = U (P2 ) ¡ U (P1 ).
P1

In particolare, se la curva è chiusa (quando P1 ´ P2 ), il lavoro è nullo.

La definizione appena data si può generalizzare ad un sistema di forze, purchè applicato


ad un sistema meccanico olonomo e scleronomo (ipotesi in cui ci siamo messi una volta
per tutte, ma che è opportuno ricordare).

97
Definizione Un sistema di forze attive posizionali si dice conservativo se esiste una funzione
U = U (q1 , q2 , . . . , qn ) tale che
∂U
Qi = , i = 1, . . . , n , (4.35)
∂qi
essendo le Qi le forze generalizzate.

La funzione U si chiama funzione potenziale o, più semplicemente, potenziale. Chiaramente,


U è definita a meno di una costante additiva arbitraria U ∗ . Qualche volta l’arbitrarietà
di U ∗ è sfruttata ai fini di far assumere ad U un valore desiderato in una data posizione
del sistema.

La principale proprietà dei sistemi conservativi di forze è che il lavoro da esse compiuto sul
sistema meccanico quando questo si sposta dalla configurazione C1 = q1 ´ (q11 , q21 , ¢ ¢ ¢ , qn1 )
alla configurazione C2 = q2 ´ (q12 , q22 , ¢ ¢ ¢ , qn2 ) non dipende dalla traiettoria Γ percorsa
(nello spazio delle configurazioni), ma solo dai suoi punti estremi C1 e C2 . Infatti, si ha
 C2

L = (Γ) dL = U (C2 ) ¡ U (C1 ) = U q2 ) ¡ U (q1 ) .
C1

Osserviamo che, se una forza è conservativa, essa rimane tale qualunque sia il sistema
meccanico a cui la si applichi. Ne consegue che, se un sistema è costituito di forze tutte
conservative, è certamente conservativo. Possono però esistere dei sistemi conservativi di
forze senza che tutte le forze componenti, prese singolarmente, lo siano.

Sia (P, F ) una forza conservativa e sia U (x, y, z) il suo potenziale. Quando la forza viene
applicata ad un sistema meccanico di parametri lagrangiani qi , il suo potenziale diventa
 
U (q) = U x(q), y(q), z(q) .
 
Di conseguenza, se si considera un generico sistema di N forze Ps , F s (q) tutte conser-
 
vative, per cui esistono gli N potenziali Us (q) = Us xs (q), ys (q), zs (q) , allora anche il
sistema di forze è conservativo e il suo potenziale è dato dalla somma dei potenziali delle
singole forze, ossia

U (q) = s Us (q) .

Osservazione. Il fatto che un sistema di forze sia conservativo ha un’importante impli-


cazione: il lavoro infinitesimo dL delle forze attive è uguale al differenziale dU del potenziale.
Infatti, riprendendo l’espressione (4.27) di dL e sostituendovi le uguaglianze (4.35), si ha
∂U ∂U ∂U
dL = Q1 dq1 + Q2 dq2 + ¢ ¢ ¢ + Qn dqn = dq1 + dq2 + ¢ ¢ ¢ + dqn = dU .
∂q1 ∂q2 ∂qn

98
Dunque, per un sistema conservativo di forze attive, si ha

dL = dU . (4.36)

In Analisi Matematica questo fatto si esprime dicendo che dL è una forma differenziale
esatta. La condizione (4.35) della definizione equivale dunque alla richiesta che dL sia un
differenziale esatto.

Nella pratica la verifica che un dato sistema di forze posizionali è conservativo si ri-

duce a verificare che il corrispondente lavoro infinitesimo dL = ni=1 Qi dqi è una forma
differenziale esatta. A tal fine, date per soddisfatte alcune condizioni sulle funzioni
Qi (q1 , q2 , . . . , qn ) e sul loro dominio di esistenza, è sufficiente verificare che dL è una
forma chiusa, ossia che valgono le uguaglianze
∂Qh ∂Qk
= , h, k = 1, . . . , n .
∂qk ∂qh

Consideriamo in particolare il caso di una singola forza della forma (4.34). Volendo ve-
rificare che è conservativa, essendo dL dato dalla (4.24), dovranno essere soddisfatte le
relazioni
∂Fx ∂Fy ∂Fx ∂Fz ∂Fy ∂Fz
= , = , = .
∂y ∂x ∂z ∂x ∂z ∂y
Per quanto riguarda il calcolo del potenziale, ne diamo un’espressione nel caso particolare
in cui la forza è piana, rinviando ad un testo di Analisi Matematica per il caso di una
forza non piana. Sia

dL = Fx dx + Fy dy = A1 (x, y) dx + A2 (x, y) dy = dU

la forma differenziale. Comunque scelto P0 ´ (x0 , y0 ), la funzione potenziale U (x, y), cioè
la funzione avente come differenziale la forma appena scritta, è la seguente:
 x  y
U (x, y) = A1 (ξ, y0 ) dξ + A2 (x, ξ) dξ . (4.37)
x0 y0

Si noti che questa formula corrisponde al calcolo del lavoro


compiuto dalla forza (P, F ) quando il punto P si sposta da
P0 a P muovendosi prima parallelamente all’asse x fino a rag-
giungere il punto Q ´ (x, y0 ), e poi parallelamente all’asse y.
Una formula equivalente si può ottenere percorrendo l’analogo
cammino parallelo prima all’asse y e poi all’asse x.

99
4.27 Esempi significativi di sistemi conservativi di forze

a) Forza costante

Consideriamo la forza (P, F ) di vettore F = ai + bj + ck costante. Questa forza è conser-


vativa ed il suo potenziale U è dato da
U (x, y, z) = ax + by + cz + U ∗ , (4.38)
con U ∗ costante arbitraria.
Quando la forza è applicata ad un punto di un sistema meccanico ad n gradi di libertà, il
suo potenziale vale
U (q) = ax(q) + by(q) + cz(q) + U ∗ .

Tra le forze costanti va annoverata la forza peso. In tal caso, assunto un sistema di rife-
rimento Oxyz con z verticale ascendente, il peso ha vettore ¡mgk. Dalla (4.38) consegue
quindi che il potenziale della forza peso che agisce sul punto materiale (P, m) è dato da

U (x, y, z) = U (z) = ¡mgz + U ∗ .

Nel caso di un sistema materiale di N punti (Ps , ms ), si ha


     
U= ¡ms gzs + Us∗ = ¡g ms zs + U ∗ = ¡g M zG + U ∗ ,
s s
cioè
U = ¡M gzG + U ∗ . (4.39)

Dunque, il potenziale delle forze peso agenti su un sistema materiale è uguale a quello della
risultante purché applicata nel baricentro. Esprimendo zG in funzione di q1 , q2 , . . . , qn , si
ottiene U (q). Osserviamo che la relazione (4.39) mette in evidenza, per la prima volta,
l’importanza del baricentro.

Se andiamo a calcolare il lavoro finito L delle forze peso nell’intervallo (t1 , t2 ) quando il
sistema meccanico si sposta dalla configurazione C1 ´ C(t1 ) a C2 ´ C(t2 ) , si ottiene:

L = U (C2 ) ¡ U (C1 ) = ¡M gzG2 + U ∗ ¡ (¡M gzG1 + U ∗ ) = M g(zG1 ¡ zG2 ) ,

essendo G1 ´ G(t1 ) e G2 ´ G(t2 ) . Dunque, il lavoro delle forze peso è positivo se il


baricentro del sistema si abbassa, negativo se si alza, nullo se rimane alla stessa quota
(indipendentemente da tutte le posizioni intermedie).

Osserviamo infine che l’espressione (4.39) di U rimane valida anche per un corpo continuo
in quanto si ricava allo stesso modo sostituendo la somma con il corrispondente integrale.

100
b) Forza d’attrazione Newtoniana

Consideriamo il punto materiale (P, m) e la forza d’attrazione Newtoniana (P, F ) che agisce
su P dovuta al punto materiale (O, M ). Come è ben noto, il vettore F è il seguente:
mM
F = ¡G r,
ρ2
P −O
essendo G la costante di gravitazione universale (positiva), ρ la distanza di P da O e r = ρ
il versore avente la direzione della retta congiungente P con O, orientato da O verso P
(il che spiega il segno meno). Si può dimostrare che questa forza è conservativa ed il
potenziale U , espresso in funzione di ρ, è il seguente:
mM
U (ρ) = G + U∗ . (4.40)
ρ

c) Forza elastica esterna

Data una molla di lunghezza a riposo nulla, avente un estremo nel punto fisso O e l’altro
nel punto P , il punto P è soggetto alla forza di vettore

F = ¡k2 ρr ,

con k2 costante elastica della molla, e ρ ed r con lo stesso significato visto in b). La forza
(P, F ) è conservativa ed il suo potenziale vale

1
U (ρ) = ¡ k2 ρ2 + U ∗ , (4.41)
2
Se invece la molla a riposo ha lunghezza ℓ, allora

F = ¡k2 (ρ ¡ ℓ)r ,

e quindi
1
U (ρ) = ¡ k2 (ρ ¡ ℓ)2 + U ∗ . (4.42)
2

d) Coppia di forze elastiche interne

Siano (P1 , k2 ρa) e (P2 , ¡k2 ρa) le due forze elastiche, con
P2 ¡ P1 = ρa. In questo caso P1 e P2 sono due punti di
un sistema meccanico, entrambi mobili, collegati tra di loro
da una molla. Si può dimostrare che il sistema costituito da
questa coppia di forze elastiche interne è conservativo e vale
1
U (ρ) = ¡ k2 ρ2 + U ∗ ,
2
esattamente come nel caso di una singola forza elastica esterna.

101
Osserviamo che questo costituisce un esempio di un sistema conservativo di due forze,
senza che ciascuna delle due forze sia conservativa. Risulta infatti impossibile scrivere
separatamente il potenziale di ciascuna delle due forze.

I risultati ottenuti ai punti c) e d) permettono di affermare che una molla di costante


elastica k2 , sia che agisca come forza esterna, sia che agisca come coppia di forze interne,
ha potenziale U = ¡ 12 k2 ξ 2 + U ∗ , essendo ξ la sua elongazione.

4.28 Potenza

Definizione Si chiama potenza della forza (P, F ) lo scalare


   
d  d P (t)
d t
W (t) = L(t) = F ¢ dP = F ¢ vdτ = F ¢ v.
dt dt P (t0 ) dt t0

Il lavoro finito L della forza può essere riscritto utilizzando la potenza:


 t2
L= W (t)dt.
t1

Osserviamo che ci sono dei testi di Meccanica Razionale nei quali viene prima introdotta
la nozione di potenza, e poi attraverso questa la nozione di lavoro.

4.29 Vincoli perfetti

Concludiamo questo capitolo con alcune nozioni, molto importanti, riguardanti il lavoro
delle reazioni vincolari per una classe molto importante di sistemi meccanici, che adesso
definiamo.

Definizione Un sistema meccanico vincolato si dice a vincoli perfetti o ideali se, per qua-
lunque configurazione C0 compatibile coi vincoli, e per qualunque spostamento virtuale a
partire da C0 , il lavoro δρ delle reazioni vincolari è non negativo, ossia
N

δρ = Φs ¢ δPs ¸ 0 . (4.43)
s=1

Si impongono immediatamente alcune considerazioni.

Nella (4.43) vale il segno di uguaglianza in corrispondenza ad ogni spostamento invertibile.


Infatti, se la (4.43) vale per lo spostamento invertibile (δP1 , δP2 , ..., δPN ), essa deve valere
anche per il suo opposto, per cui, dovendo essere δρ ¸ 0 e ¡δρ ¸ 0, necessariamente si ha
δρ = 0.

102
La relazione (4.43), e di conseguenza la nozione di vincolo perfetto, costituisce una re-
lazione sintetica dedotta, con metodo induttivo, dall’esame di una vasta gamma di casi
concreti : essa riassume tutte le proprietà delle reazioni vincolari nel caso, sia pure limite,
di assenza di attrito. In altre parole, i vincoli lisci sono anche perfetti. Ricordiamo che i
vincoli lisci più comuni sono quelli di un punto P a) vincolato ad una curva liscia; b)
vincolato ad una superficie liscia; c) appoggiato ad una superficie liscia.

L’utilità di introdurre la nozione di vincolo perfetto è giustificata dal fatto che ci sono anche
vincoli scabri che sono perfetti. Infatti, il vincolo di puro rotolamento, che può realizzarsi
solo in presenza di attrito, è un vincolo perfetto.

Rientrano infine tra i vincoli perfetti i vincoli di rigidità e i fili.

Un’importante proprietà, che contraddistingue i vincoli perfetti da quelli che non lo sono,
è la seguente:
Il lavoro reale, sia infinitesimo che finito, della reazione vincolare associata ad un vincolo scleronomo
perfetto è sempre nullo.

103
5. MECCANICA DEL PUNTO

5.1 I problemi della Meccanica

Quali sono i problemi che si possono affrontare con la Meccanica ?


Sia dato un sistema meccanico, ossia sia dato un sistema di punti materiali soggetto
ad un sistema noto di forze attive ed ad un certo numero di vincoli di cui è nota la
natura. Supponiamo poi che in un dato istante siano noti la posizione e lo stato cinetico
del sistema meccanico. Più precisamente, siano C0 = C(t0 ) = (q10 , q20 , ..., qn0 ) ´ q0 e
C˙0 = (q̇10 , q̇20 , ..., q̇n0 ) ´ q̇0 la posizione e “la velocità” all’istante t0 . Sia poi (As , F s ), s =
1, . . . , N , il sistema delle forze attive e (Bs , Φs ), s = 1, . . . , M , il sistema delle reazioni
vincolari che rappresentano l’azione dei vincoli.

La Meccanica si pone innanzitutto il seguente problema: determinare il moto del sistema,


vale a dire determinare n funzioni qk (t) tali che qk (t0 ) = qk0 e q̇k (t0 ) = q̇k0 .

Un secondo problema che la Meccanica può risolvere è quello di determinare le reazioni


vincolari durante il moto. Tale problema può però essere risolto in modo univoco solo se il
numero delle reazioni scalari introdotte è il numero minimo necessario per rappresentare
l’azione dei vincoli. In questo caso le reazioni vincolari Φs si determinano in funzione dei
parametri qk (t) e quindi potranno essere note in funzione di t solo dopo che il moto è stato
determinato.

A volte particolari condizioni iniziali possono dar luogo a soluzioni costanti (o staziona-
rie). Ciò è possibile quando esistono particolari posizioni nelle quali il sistema meccanico,
postovi in quiete in un dato istante, vi rimane per sempre. Ebbene, la ricerca di siffatte
soluzioni, o per dirla con linguaggio più appropriato, la ricerca delle configurazioni d’equilibrio,
costituisce un altro problema che la Meccanica insegna ad affrontare e risolvere.

Osserviamo che una configurazione d’equilibrio è rappresentata da una n-pla (q1∗ , q2∗ , ..., qn∗ )
di numeri. C’è dunque una differenza sostanziale tra la determinazione del moto e quella
delle configurazioni d’equilibrio. Nel primo caso si deve determinare una n-pla di funzioni,
nel secondo caso, ammesso che il problema abbia soluzione, una o più n¡ple di numeri.
Nel primo il problema ammette sempre soluzione e questa è unica; nel secondo caso il
problema può avere o non avere soluzione, e in caso positivo, le soluzioni possono essere
1,2, ... ,m (anche infinite).

104
Il problema del calcolo delle reazioni vincolari nelle configurazioni d’equilibrio è un problema suc-
cessivo a quello di determinare le suddette configurazioni. Analogamente al caso dinamico,
esso può essere affrontato e risolto (in modo univoco) solo se le reazioni vincolari non sono
in numero sovrabbondante (più avanti diremo “solo se il problema è staticamente de-
terminato”). Determinare le reazioni vincolari significa associare ad ogni configurazione
d’equilibrio le rispettive reazioni.

Sottolineiamo il fatto che il problema del moto (o dell’equilibrio) viene sempre prima di
quello delle reazioni (che può anche non interessare). Vedremo metodi per scrivere le equa-
zioni che governano il moto (o le equazioni per l’equilibrio) che prescindono completamente
dalle reazioni vincolari ed altri che, al contrario, le contemplano.
In ogni caso per determinare il moto di un sistema ad n gradi di libertà dovremo scrivere
un sistema di n equazioni differenziali in cui non compaiono altre incognite se non le qk (t).
Associando a queste equazioni le condizioni iniziali e risolvendo il problema di Cauchy cosı̀
ottenuto, si determinerà il moto.
Per quanto concerne invece il problema dell’equilibrio, esso comporta la scrittura di un
sistema di n equazioni (non più differenziali !) nelle sole incognite qk . Ciascuna n-pla solu-
zione di questo sistema costituisce una configurazione d’equilibrio per il sistema meccanico
(purchè nel dominio di variabilità dei parametri e purchè le relative reazioni vincolari siano
compatibili con i vincoli).

Tradizionalmente la Meccanica viene suddivisa in Statica e Dinamica, l’una concernente


il problema dell’equilibrio di un sistema meccanico, l’altra concernente il problema del
moto. Un’ipotesi molto importante, da tenere ben presente, che contraddistingue la Statica
dalla Dinamica è la seguente : in statica i vincoli si assumono indipendenti dal tempo e le forze
si assumono posizionali. Ciò è giustificato dal fatto che in statica le velocità sono sempre
tutte nulle e dal fatto che si vogliono configurazioni d’equilibrio, e quindi anche reazioni
vincolari, che non dipendano dal tempo.

La premessa appena fatta riguarda la Meccanica di tutti i sistemi. In questo capitolo,


però, ci occuperemo della Meccanica del punto, vale a dire la Meccanica del più
semplice sistema meccanico.

105
5.2 La legge di Newton

Lo studio del moto di un punto si basa sulla legge di Newton. Come abbiamo già visto,
essa postula che, rispetto ad un osservatore inerziale, un punto si muova in modo tale che
la sua accelerazione a e il vettore risultante R di tutte le forze ad esso applicate, siano
legate dalla relazione
ma = R(P, v, t) (5.1)
Ricordiamo che le forze o sono dovute ai corpi (forze newtoniane, elastiche, elettriche,
viscose, convettive, reazioni vincolari) o sono dovute al sistema di riferimento (forze di
trascinamento e forze di Coriolis, che vedremo in seguito). Spesso tornerà utile evidenziare
nella (5.1) la distinzione fra il vettore risultante F delle forze attive (noto in funzione di
P, v(P ) e t) ed il vettore risultante Φ delle reazioni vincolari (sempre incognito, totalmente
o parzialmente):
ma(P ) = F (P, v(P ), t) + Φ(P, v(P ), t). (5.2)

L’equazione di Newton non è sufficiente, da sola, a determinare il moto del punto P.


Occorre associarle le condizioni iniziali, vale a dire la posizione e la velocità di P in un dato
istante t0 , istante che chiamiamo istante iniziale e che spesso assumeremo uguale a zero
(senza con ciò perdere di generalità). Ciò porta alla formulazione di un problema di Cauchy
la cui risoluzione permette di determinare il moto di P.

5.3 Moto di un punto libero

Il problema di Cauchy è il seguente:




 ma = F (P, v, t)

P (t0 ) = P0 (5.3)



v(t0 ) = v 0 .
L’Analisi Matematica insegna che, se F è una funzione sufficientemente regolare dei suoi
argomenti, allora il problema di Cauchy ammette soluzione e questa è unica. Di conse-
guenza il moto di P è determinato da questa soluzione.

Assunto P = P (x, y, z), scalarmente l’equazione di Newton equivale ad un sistema di tre


equazioni differenziali del 2◦ ordine in forma normale (cioè esplicitato rispetto a ẍ, ÿ, z̈).
Queste equazioni, che chiamiamo equazioni differenziali del moto,


 mẍ = Fx (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t),

mÿ = Fy (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t), (5.4)



mz̈ = Fz (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t),

106
assieme alle condizioni iniziali

x(t0 ) = x0 , y(t0 ) = y0 , z(t0 ) = z0 , (5.5a)


ẋ(t0 ) = v0x , ẏ(t0 ) = v0y , ż(t0 ) = v0z , (5.5b)

forniscono il problema di Cauchy da risolvere per ottenere il moto di P. Risolverlo significa:

a) Determinare l’ integrale generale del sistema di equazioni differenziali (5.4) (coi metodi
dell’Analisi Matematica). Ciò porta a determinare tre funzioni


 x = x(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ),

y = y(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ), (5.6)



z = z(t, C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ),

essendo C1 , ..., C6 sei costanti arbitrarie. Le 16 funzioni P (t) date dalle (5.6) rappresen-
tano gli 16 moti di P che sarebbero possibili sotto l’azione di un qualunque sistema di
forze avente come vettore risultante F .

b) Determinare le costanti Ci imponendo le condizioni iniziali. A tal fine si deve risolvere


il sistema di sei equazioni nelle sei incognite Ci dato da

 x(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = x0 ,





 y(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = y0 ,




 z(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = z0 ,
(5.7)

 ẋ(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = v0x ,





 ẏ(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = v0y ,




ż(t0 , C1 , C2 , C3 , C4 , C5 , C6 ) = v0z .

Ovviamente, determinate le costanti Ci e sostituite nelle (5.6) si ottengono le tre funzioni


x = x(t), y = y(t) e z = z(t) che rappresentano il moto del punto P.

5.4 Moto di un punto vincolato senza attrito

Esaminiamo ora alcuni possibili casi di punto soggetto a vincolo liscio. Nel caso di punto
vincolato od appoggiato ad una superficie, per semplificare le cose, si considera un piano.

a) Punto vincolato ad un piano liscio Π. In questo caso il problema ha due gradi di libertà:
siano x e y le coordinate del punto P rispetto ad un sistema Oxyz con il piano xy coinci-
dente con Π. Essendo il vincolo liscio, la reazione vincolare è normale al piano e quindi è

107
diretta lungo k, per cui Φ = Φk. Posto F = Fx i+ Fy j + Fz k ed a(P ) = ẍi + ÿj, l’equazione
di Newton, proiettata su i, j e k fornisce il seguente sistema di tre equazioni scalari:

 mẍ = Fx (ẋ, ẏ, x, y, t)


(5.8a)
mÿ = Fy (ẋ, ẏ, x, y, t) (5.8b)



0 = Fz (ẋ, ẏ, x, y, t) + Φ . (5.9)

Chiaramente le due equazioni (5.8), non contenendo la reazione vincolare Φ, costituiscono


le equazioni differenziali del moto. Abbinando ad esse le condizioni iniziali x0 = x(t0 ),
y0 = y(t0 ), ẋ0 = ẋ(t0 ), ẏ0 = ẏ(t0 ), si ottiene il problema di Cauchy la cui soluzione fornisce
il moto di P, vale a dire x = x(t), y = y(t).

L’equazione (5.9) fornisce la reazione vincolare Φ. Una volta che il moto di P è stato
determinato, Φ è nota in funzione del tempo.

b) Punto appoggiato ad un piano liscio Π. Le equazioni (5.8) sono ancora le equazioni del
moto, mentre la (5.9) fornisce sempre la reazione vincolare. In questo caso, però, preso il
versore k orientato nel verso in cui può avvenire il distacco, si deve aggiungere la condizione

Φ ¸ 0,

che deve essere verificata in ogni istante in cui il punto P è appoggiato a Π. Se accade
che Φ(t∗ ) = 0 e Φ(t) < 0 per t > t∗ , ciò significa che all’istante t∗ P si stacca da Π. Di
conseguenza, per t > t∗ il problema non è più lo stesso: ora P è libero !

c) Punto vincolato ad una curva liscia γ. Ora il problema ha un grado di libertà: sia s l’ascissa
curvilinea di P su γ. Considerata la terna di versori t, n e b intrinseca a γ, essendo la
reazione vincolare normale a γ, si ha Φ = Φn n + Φb b. Posto F = Ft t + Fn n + Fb b,
l’equazione di Newton, proiettata su t, n e b fornisce le seguenti tre equazioni scalari:


 ms̈ = Ft (s, ṡ, t) (5.10)

 2

m = Fn (s, ṡ, t) + Φn (5.11)

 ρc


0 = Fb (s, ṡ, t) + Φb . (5.12)

L’equazione (5.10), non contenendo le reazioni vincolari scalari Φn e Φb , costituisce l’equazi-


one differenziale del moto. Associando ad essa le condizioni iniziali s0 = s(t0 ), v0 = ṡ(t0 ),
si ottiene il problema di Cauchy la cui soluzione fornisce il moto di P, cioè la legge oraria
s = s(t).

Le equazioni (5.11) e (5.12), nota s(t), forniscono Φ(t).

108
5.5 Equilibrio di un punto libero o vincolato senza attrito

Definizione Si dice che P0 è posizione d’equilibrio per il punto P , se P , posto in quiete


in P0 all’istante t0 , vi rimane per ogni t > t0 .

Osserviamo subito che dire che P0 è posizione d’equilibrio di P equivale ad affermare che
l’equazione del moto di P ammette la soluzione costante (o stazionaria) P (t) ´ P0 .

Chiediamoci ora quanto segue: posto il punto P in una generica posizione P0 con velocità
v 0 = 0, cosa fa P ?

Teorema (noto come legge del “moto incipiente”).


Se R(P0 ) 6
= 0 il punto si mette in moto nella direzione e verso di R(P0 ).
Questo teorema, che non dimostriamo, dice che un punto in quiete in un dato istante
si mette in moto concordemente con la forza risultante agente su di esso in quell’istante
(purchè non nulla).

Teorema C.N.S. perché P0 sia posizione d’equilibrio per un punto P libero o soggetto a
vincolo liscio è che si abbia

R(P0 ) = F (P0 ) + Φ(P0 ) = 0 . (5.13)

Dimostrazione.
C.N. Sia P0 posizione d’equilibrio per P . Dunque, posto P in P0 con velocità v 0 nulla,
vi rimane. Di conseguenza, si ha v(t) ´ 0 per t > t0 , e quindi anche a(t) ´ 0. L’equazione
di Newton comporta allora R(P0 ) = 0, o equivalentemente, F (P0 ) + Φ(P0 ) = 0.
C.S. Sia R(P0 ) = 0. Per sapere se P , posto in P0 all’istante t0 con velocità nulla, vi
rimane, andiamo a studiare il relativo problema di Cauchy. Se esso ammette la soluzione
costante P (t) ´ P0 , essendo questa unica in virtù del fatto che il punto è libero oppure
soggetto a vincolo liscio, avremo dimostrato che il punto rimane in P per ogni t > t0 .
Il problema di Cauchy (5.3) ora è il seguente:


 ma = R(P )

P (t0 ) = P0 (5.14)



v(t0 ) = 0.
Chiaramente, essendo R(P0 ) = 0, P (t) = P0 è soluzione.

Commento: Questo teorema è molto importante in quanto dice che le posizioni d’equilibrio
di un punto P libero o soggetto a vincolo liscio sono date da tutte e sole le soluzioni P0 dell’equazione
F (P ) + Φ(P ) = 0 .

109
5.6 Possibili casi di equilibrio di un punto

L’equazione vettoriale (5.13) è sempre equivalente a tre equazioni scalari in tre incognite
scalari : gli n parametri che determinano la posizione di P , n · 3, e le (3 ¡ n) componenti
della reazione vincolare. Esaminiamo il problema dell’equilibrio di un punto in alcuni casi
specifici, già studiati, per quanto concerne il moto, nei paragrafi (5.3) e (5.4). Teniamo
presente che ora, dovendoci occupare d’equilibrio, le forze sono posizionali.

a) Punto libero. In questo caso l’equazione (5.13) proiettata sugli assi fornisce il seguente
sistema di tre equazioni scalari nelle incognite x, y e z :


 Fx (x, y, z) = 0

Fy (x, y, z) = 0 (5.15)



Fz (x, y, z) = 0.

Tutte e sole le soluzioni (x∗ , y∗ , z ∗ ) di questo sistema costituiscono le posizioni d’equilibrio


del punto P .
Se il punto non è libero, ma è soggetto a vincoli unilaterali (per esempio un punto in una
stanza), allora sono posizioni d’equilibrio solo le soluzioni che appartengono al dominio
di variabilità delle coordinate. Naturalmente, ad esse vanno poi aggiunte eventuali altre
posizioni d’equilibrio di confine.

b) Punto vincolato ad un piano liscio. L’equazione (5.13) proiettata sui versori i, j e k


fornisce il seguente sistema di tre equazioni scalari nelle incognite x, y e Φ:


 Fx (x, y) = 0

Fy (x, y) = 0 (5.16)



Fz (x, y) + Φ = 0 .

Chiaramente, mentre le prime due equazioni forniscono le posizioni d’equilibrio (x∗ , y ∗ ), la


terza equazione fornisce la reazione vincolare Φ. Sottolineiamo il fatto che Φ va calcolata
in ciascuna posizione d’equilibrio (ovviamente dopo che queste sono state determinate).

c) Punto appoggiato ad un piano liscio. Il sistema che fornisce l’equilibrio del punto è
ancora (5.16), però con l’aggiunta della condizione Φ ¸ 0, condizione che assicura che il
punto non sia distaccato dal piano. Ciò implica che fra tutte le soluzioni (x∗ , y ∗ ) del sistema
costituito dalle prime due equazioni di (5.16), soltanto quelle per le quali Fz (x∗ , y ∗ ) · 0
rappresentano posizioni d’equilibrio. Se fosse Fz (x∗ , y∗ ) > 0 il punto si solleverebbe dal
piano.

110
d) Punto vincolato ad una curva liscia. L’equazione (5.13) proiettata sui versori della
terna intrinseca t, n e b dà le tre seguenti equazioni scalari nelle incognite s, Φn e Φb :


 Ft (s) = 0

Fn (s) + Φn = 0



Fb (s) + Φb = 0

La prima equazione fornisce le posizioni d’equilibrio s∗ , la seconda e la terza equazione


forniscono la reazione vincolare Φ in corrispondenza di ogni posizione d’equilibrio.

e) Punto fisso. In questo caso non ci sono posizioni d’equilibrio da calcolare. L’equazione
(5.13) permette tuttavia il calcolo della reazione vincolare. Se il punto è fissato in P0 di
coordinate (x0 , y0 , z0 ), posto Φ = Φx i + Φy j + Φz k, si ha il sistema


 Fx (x0 , y0 , z0 ) + Φx = 0

Fy (x0 , y0 , z0 ) + Φy = 0



Fz (x0 , y0 , z0 ) + Φz = 0,

di immediata soluzione rispetto alle incognite Φx , Φy e Φz .

5.7 Punto vincolato con attrito: relazioni di Coulomb

Consideriamo un punto soggetto ad un vincolo con attrito. Ora, differentemente dal caso di
vincolo liscio, la reazione vincolare Φ ha anche una componente tangente al vincolo. Il
vettore Φ può dunque scriversi come Φ = Φt + Φn , cioè come somma di due componenti
l’una tangente al vincolo e l’altra normale. L’esperienza ha portato Coulomb a formulare
due relazioni, una valida in statica, l’altra in dinamica, che legano Φt a Φn .

Relazione statica:
jΦt j · fs jΦn j (5.17)

Relazione dinamica:
v
Φt = ¡fd jΦn j (se v 6
= 0) (5.18)
jvj

I coefficienti fs e fd , che sono detti coefficienti d’attrito statico e d’attrito dinamico, sono legati
dalla relazione fd · fs e dipendono dalla natura del punto materiale e del vincolo.

Le relazioni (5.17) e (5.18) vanno aggiunte rispettivamente all’equazione dell’equilibrio (5.13) o


all’equazione di Newton a seconda che si voglia determinare l’equilibrio o il moto del punto. Os-
serviamo che mentre la relazione statica fornisce semplicemente una disuguaglianza fra i

111
moduli delle due componenti, la relazione dinamica non solo lega il modulo di Φt a quello
di Φn , ma ne fornisce la direzione (quella della velocità) ed il verso (opposto a quello in
cui il punto si muove). La diseguaglianza (5.17) porta, in generale, ad infinite posizioni
d’equilibrio. Fra queste ci sono ovviamente quelle che si avrebbero se il vincolo fosse liscio.

5.8 Oscillazioni libere

Uno tra i comportamenti temporali più significativi che un sistema fisico può esibire è
quello che comporta delle oscillazioni. Questo fenomeno può nascere sotto forma di vi-
brazioni meccaniche, fluttuazioni di carica elettrica sulle armature di un condensatore in
un circuito elettrico, il moto in cima ad una colonna di fluido nel tubo di un manometro,
ed in molti altri modi. Tuttavia, per rimanere in argomento con la dinamica del punto,
consideriamo un punto materiale (P, m) vincolato a muoversi su una retta liscia, che as-
sumiamo come asse Ox. In ogni caso il punto è soggetto ad una forza elastica (P, ¡k2 xi).
Può poi essere soggetto anche ad una forza viscosa (P, ¡2mpẋi), con p > 0, e ad una forza
periodica di tipo sinusoidale (P, N cos(Ωt + α)) i. A delle forze agenti su P , si parla di

a) oscillazioni libere non smorzate, se su P agisce solo la forza elastica;


b) oscillazioni libere smorzate, se su P agiscono la forza elastica e la forza viscosa;
c) oscillazioni forzate non smorzate, se su P agiscono la forza elastica e la forza periodica;
d) oscillazioni forzate smorzate, se su P agiscono tutte tre le forze.

Esaminiamo da vicino i due casi di oscillazioni libere.

Oscillazioni libere non smorzate

L’equazione del moto di P è la seguente:


mẍ = ¡k2 x .
2
k
Posto ω 2 = , questa equazione differenziale del 2◦ ordine, lineare, omogenea, a coefficienti
m
costanti, si può riscrivere nella forma

ẍ + ω 2 x = 0 . (5.19)

Abbiamo cosı̀ ritrovato l’equazione differenziale (3.18) che, come già sappiamo, è carat-
teristica dei moti oscillatori armonici. L’Analisi Matematica insegna che il suo integrale
generale è dato da
x(t) = C cos(ωt + γ) , (5.20)

che rappresenta appunto un moto oscillatorio armonico di ampiezza C e di fase iniziale γ.


Le costanti C e γ si determinano imponendo le condizioni iniziali x0 = x(0) e v0 = ẋ(0),

112
il che porta al sistema seguente:

x0 = C cos γ
v0 = ¡ω C sin γ .

Risolvendolo si ottiene
  v 
0

 arctan ¡ se x0 > 0

 ω x


  v 0
" 
 arctan ¡ 0 + π
v02 se x0 < 0
C= x20 + , γ= ω x0 (5.21)
ω2 
 π

 ¡ se x0 = 0 e v0 > 0

 2


 +π se x0 = 0 e v0 < 0 .
2

Oscillazioni libere smorzate.

In questo caso, l’equazione di Newton per il punto P , proiettata sull’asse x, fornisce


l’equazione scalare
mẍ = ¡k2 x ¡ 2mpẋ . (5.22)
k2
Posto, come prima, ω 2 = , questa equazione differenziale, anch’essa del 2◦ ordine, lineare,
m
omogenea, a coefficienti costanti, si può riscrivere nella forma

ẍ + 2pẋ + ω2 x = 0 . (5.23)

Il suo integrale generale può assumere tre diverse forme a seconda del segno del discrimi-
nante ∆ = p2 ¡ ω 2 dell’equazione caratteristica associata:

λ2 + 2pλ + ω 2 = 0 . (5.24)

Distinguiamo dunque i tre casi, e per ciascuno di essi diamo l’integrale generale e i valori
delle costanti C e γ in funzione delle condizioni iniziali.
 
a) Caso p2 > ω 2 . Le radici λ1 = ¡p ¡ p2 ¡ ω 2 e λ2 = ¡p + p2 ¡ ω2 di (5.23) sono
reali ed entrambe negative. Di conseguenza, posto β1 = ¡λ1 e β2 = ¡λ2 si ha

x(t) = C1 e−β1 t + C2 e−β2 t , (5.25)

che rappresenta l’equazione oraria di un moto aperiodico smorzato. Le costanti C1 e C2


si determinano risolvendo il sistema

C1 + C2 = x 0
¡β1 C1 ¡ β2 C2 = v0 ,

113
che fornisce
β2 x0 + v0 β1 x0 + v0
C1 = , C2 = .
β2 ¡ β1 β1 ¡ β2

b) Caso p2 = ω 2 . Le radici di (5.24) sono λ1 = λ2 = ¡p, per cui


 
x(t) = C1 + C2 t e−pt , (5.26)

che rappresenta l’equazione di un moto aperiodico con smorzamento critico. Imponendo


le condizioni iniziali si ottiene immediatamente

C1 = x 0 , C2 = px0 + v0 .

c) Caso p2 < ω 2 . Le radici di (5.24) sono complesse coniugate e valgono λ1 = ¡p¡iq, λ2 =



¡p + iq, con q = ω 2 ¡ p2 . Ciò porta all’integrale generale seguente :

x(t) = Ce−pt cos(qt + γ) , (5.27)

che costituisce l’equazione di un moto oscillatorio smorzato. Le costanti C e γ sono le


soluzioni del sistema 
C cos γ = x0
¡pC cos γ ¡ qC sin γ = v0 ,
da cui, se x0 > 0,
#
 v + px 2  v + px 
0 0 0 0
C= x20 + , γ = arctan ¡ .
q qx0

Osservazioni :
— Nei casi a) e b) l’uso del termine “oscillazioni” per descrivere i moti associati alle soluzioni
dell’equazione (5.23) è improprio in quanto il moto non è oscillatorio.
— Caratteristica comune delle oscillazioni libere smorzate è il fatto che asintoticamente
esse tendono a “smorzarsi”, vale a dire
limt→∞ x(t) = 0.
— Un punto materiale che si muove su una retta liscia sotto la sola azione di una forza
elastica è spesso detto oscillatore armonico. Un oscillatore armonico ha la notevole
proprietà di esibire solo moti periodici aventi tutti lo stesso periodo indipendentemente
dalla loro ampiezza (proprietà dell’isocronismo, caratteristica delle piccole oscillazioni del
pendolo semplice, che vedremo più innanzi).
— Se il punto è soggetto anche ad una forza viscosa, allora si parla di oscillatore armonico
smorzato.

114
5.9 Quantità di moto ed energia cinetica di un punto

Definizione Si definisce quantità di moto del punto materiale (P, m) rispetto ad un dato
sistema di riferimento il vettore
Q = mv .
d(mv) dQ
Nell’ipotesi di massa costante, siccome ma = = , l’equazione di Newton può
dt dt
essere cosı̀ riscritta:
dQ
= F + Φ. (5.28)
dt
Questa equazione, a cui ci si riferisce come all’equazione della quantità di moto, vale però
anche nel caso di massa variabile. Concettualmente essa è molto diversa dalla legge di
Newton: infatti, mentre quest’ultima esprime il legame tra forze e variazione istantanea
di velocità, la (5.28) lega le forze alla variazione istantanea della quantità di moto. Molti
autori interpretano la legge di Newton come caso particolare dell’equazione della quantità
di moto, ma qui si preferisce non entrare in disquisizioni circa quale delle due venga prima.

Definizione Si definisce energia cinetica di un punto materiale (P, m) rispetto ad un dato


sistema di riferimento Oxyz la grandezza scalare
1 1
T = mv 2 = mṡ2 . (5.29)
2 2
Ovviamente v è la velocità di P rispetto all’osservatore Oxyz.
L’energia cinetica T , che non è mai negativa, può essere scritta immediatamente anche
usando le coordinate cartesiane:
1
T = m(ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 ) .
2

5.10 Teoremi delle forze vive e di conservazione dell’energia

Teorema delle forze vive (o dell’energia cinetica): Il lavoro infinitesimo (o finito) compiuto
da tutte le forze applicate ad un punto è uguale alla variazione infinitesima (o finita) di
energia cinetica.

Sia dL ´ dL + dρ il lavoro infinitesimo di tutte le forze applicate al punto, sia attive che
vincolari. Dimostriamo che
dL = dT . (5.30)
Si ha infatti
dv  dv 
dL = F ¢ dP + Φ ¢ dP = R ¢ dP = ma ¢ dP = m ¢ v dt = m ¢ v dt =
  dt dt
d  v2  d 1 mv 2 1 
=m dt = 2 dt = d mv 2 = dT .
dt 2 dt 2
115
Consideriamo ora uno spostamento di P finito relativo ad un intervallo di tempo (t0 , t). Il
lavoro finito L si ottiene integrando la (5.30) sull’intervallo suddetto. Si ha quindi
 P (t)  t
L = (γ) dL = dT ,
P (t0 ) t0

ossia, essendo dT il differenziale della funzione T (t), posto T = T (t) e T0 = T (t0 ),

L = T ¡ T0 , (5.31)

col che il teorema è dimostrato.

Definizione Si chiama energia potenziale di un punto materiale soggetto ad una forza


attiva (risultante) conservativa la funzione
V (x, y, z) = ¡U (x, y, z) .

Definizione Si chiama energia meccanica totale di un punto materiale soggetto ad una forza
attiva (risultante) conservativa la somma dell’energia cinetica T e dell’energia potenziale
V.

Vale il seguente importantissimo


Teorema di conservazione dell’energia L’energia meccanica totale di un punto materiale
libero, oppure vincolato con vincolo scleronomo liscio, soggetto ad una forza attiva (risul-
tante) conservativa, rimane costante durante il moto, ossia

T ¡U =T +V =E. (5.32)

Dimostrazione. Sia U (P ) il potenziale delle forze applicate al punto P . Osserviamo che

dL = R ¢ dP = F ¢ dP + Φ ¢ dP = dL + dρ = dL ,

in quanto il lavoro dρ della reazione vincolare, se c’è, è nullo (come si è visto alla fine
del precedente capitolo nel caso di vincoli scleronomi perfetti). In virtù della (5.30) si ha
quindi dL = dT e, grazie al fatto che la forza attiva applicata a P è conservativa, si ha
anche dL = dU . Ne consegue perciò
dT = dU , ossia d(T ¡ U ) = 0 ,
e quindi, integrando, T ¡ U = cost = E .

La costante E è determinata dalle condizioni iniziali:


1
E = T0 ¡ U0 , T0 = mv 2 , U0 = U (P0 ) . (5.33)
2 0
Osservato che questo teorema giustifica il nome di forze “conservative”, sottolineiamo il
fatto che la relazione (5.32), poiché esprime un legame fra le funzioni x(t), y(t), z(t) e le

116
loro derivate ẋ(t), ẏ(t), ż(t), costituisce un’equazione differenziale del I◦ ordine. Avendo le
stesse incognite di una equazione del moto, se ci farà comodo, potremo utilizzarla al posto
di una delle equazioni del moto. Ritorneremo sull’argomento un po’ più avanti quando si
parlerà degli integrali primi.

Se alcune delle forze applicate al punto fanno si che la forza risultante non sia conservativa,
allora indicando con Lr il lavoro finito compiuto da tali forze, si ha
(T + V ) ¡ (T0 + V0 ) = Lr . (5.34)
Se Lr < 0, le forze si ”oppongono” al moto e per questo sono dette resistenti. Pertanto, in
questo caso, la (5.34) equivale ad affermare che se un punto è soggetto a forze resistenti,
durante il moto la sua energia meccanica totale diminuisce di una quantità uguale a quella
dissipata da tali forze.

5.11 Momento della quantità di moto di un punto

Definizione Si chiama momento della quantità di moto (o momento angolare) di un punto P


di massa m rispetto al polo O1 (e ad un dato osservatore Oxyz) il vettore

K(O1 ) = mv £ (O1 ¡ P ) , (5.35)

essendo v la velocità di P rispetto ad Oxyz.

Se O1 ´ O la forma cartesiana di K(O) è la seguente:


K(O) = m(ẋi + ẏj + żk) £ (¡xi ¡ yj ¡ zk) =
= m(y ż ¡ ẏz)i + m(z ẋ ¡ żx)j + m(xẏ ¡ ẋy)k . (5.36)

Vale il seguente
Teorema Se il polo O1 è fisso rispetto ad Oxyz, si ha
dK(O1 )
= Ω(O1 ) + Ψ(O1 ) , (5.37)
dt
con Ω(O1 ) e Ψ(O1 ) momento risultante rispetto ad O1 rispettivamente delle forze attive
e delle reazioni vincolari agenti su P .

Dimostrazione :

dK(O1 ) d   dO1 dP 
= mv £ (O1 ¡ P ) = ma £ (O1 ¡ P ) + mv £ ¡ ,
dt dt dt dt
e ricordando la legge di Newton, ed essendo O1 fisso e v ´ dP
dt ,
dK(O1 )
= (F + Φ) £ (O1 ¡ P ) = Ω(O1 ) + Ψ(O1 ) .
dt

117
5.12 Integrali primi del moto di un punto

Definizione Si definisce integrale primo del moto del punto P una funzione ϕ delle sue
coordinate x, y, z, delle componenti ẋ, ẏ, ż della sua velocità, e del tempo t, che rimane
costante durante il moto. In altre parole, in ogni istante t si ha

ϕ x(t), y(t), z(t), ẋ(t), ẏ(t), ż(t), t = C , (5.38)

dove C è una costante, x(t), y(t), z(t) sono le leggi del moto di P e ẋ(t), ẏ(t), ż(t) le
corrispondenti derivate. La costante C si determina attraverso le condizioni iniziali.

Un integrale primo del moto è a tutti gli effetti equivalente ad una equazione del moto,
col vantaggio di essere un’equazione differenziale del I◦ ordine anziché del II◦ . Per questa
ragione gli integrali primi, quando esistono, possono tornare molto utili ai fini dello studio
del moto.

Vediamo due esempi significativi di integrali primi collegati con le nozioni di energia totale,
di quantità di moto e momento della quantità di moto introdotte in precedenza.

a) Integrale primo dell’energia. La relazione (5.32), che esprime la conservazione dell’e-


nergia totale per un punto, fornisce l’integrale primo

1
m(ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 ) + V (x, y, z) = E .
2

b) Integrali primi assiali. Si ottengono dall’equazione della quantità di moto (5.20) quando
il vettore risultante di tutte le forze applicate al punto ha componente sempre nulla lungo
uno degli assi. Per esempio,

dQ dQx
(F + Φ) ¢ i = 0 ) ¢i=0 ) =0,
dt dt

per cui
Qx = Cx , vale a dire mẋ = Cx = mv0x .

In questo caso si può parlare di conservazione della quantità di moto lungo l’asse x.
Analogamente Q può conservarsi lungo gli assi y oppure z. In tali casi si avrebbe

mẏ = Cy = mv0y oppure mż = Cz = mv0z .

118
5.13 Pendolo semplice

Definizione Si chiama pendolo semplice o ideale o matematico un punto materiale, soggetto


solo al peso, vincolato senza attrito ad una circonferenza non orizzontale.

Indicato con π il piano della circonferenza e con α l’angolo che π forma col piano oriz-
zontale, assumiamo come sistema di riferimento il sistema Cxyz, con C centro della cir-
conferenza, Ck normale a π ed orientato verso l’alto, Ci e Cj paralleli alle rette di π
rispettivamente orizzontali e con la massima pendenza (anche j orientato verso l’alto).
Assumiamo poi come parametro l’angolo θ = OCP  , levogiro rispetto a k (O punto più
basso della circonferenza).

Volendo scrivere l’equazione di Newton ma = mg + Φ rispetto alla terna intrinseca t, n, b,


b ´ k, scriviamo il peso prima rispetto a Cxyz e poi rispetto alla terna intrinseca.

mg = ¡mg sin α j ¡ mg cos α k = ¡mg sin α sin θt ¡ mg sin α cos θn ¡ mg cos α k .

Pertanto, indicato con ℓ il raggio della circonferenza e tenuto conto che Φ è normale al
vincolo, l’equazione di Newton, proiettata su t, n e k, fornisce le tre equazioni scalari
seguenti:

 m ℓ θ̈ = ¡mg sin α sin θ
 (5.39)
m ℓ θ̇2 = ¡mg sin α cos θ + Φn .


0 = ¡mg cos α + Φb

L’equazione (5.39) costituisce l’equazione del moto. Associandole le condizioni iniziali si


ottiene il problema di Cauchy relativo al moto del pendolo semplice:


 θ̈ + ω 2 sin θ = 0

θ(0) = θ0 (5.40)



θ̇(0) = θ̇0 ,

119
dove si è posto
g sin α
ω2 = . (5.41)

π
Osservazione: 0 < α · 2
. Se fosse α = 0, la circonferenza sarebbe orizzontale ed il moto
sarebbe uniforme (θ̇ = costante), per cui non avremmo più un “pendolo”.

Lo studio delle soluzioni del problema di Cauchy (5.40) risulta alquanto complicato in
quanto esse non sono esprimibili in termini di funzioni elementari. Per via analitica sono
facilmente studiabili solo dei particolari moti approssimati detti piccole oscillazioni, ossia
dei moti tali che il punto si mantenga sempre cosı̀ vicino alla posizione θ = 0 per cui siano
lecite le approssimazioni
sin θ ' θ , cos θ ' 1 . (5.42)

Osserviamo che la posizione θ = 0 non è una posizione qualunque, ma rappresenta una


delle due posizioni d’equilibrio del pendolo. Infatti, l’equazione che fornisce le posizioni
d’equilibrio, che si ottiene semplicemente uguagliando a zero il secondo membro di (5.39),
è data da
¡mg sin α sin θ = 0 ,

da cui le due posizioni d’equilibrio θ1 = 0 e θ2 = π. Ma non è tutto: θ1 è posizione d’e-


quilibrio stabile, mentre θ2 è posizione d’equilibrio instabile. Più innanzi si vedrà cosa
questo significhi da un punto di vista matematico. Fisicamente, nel caso di una posizione
d’equilibrio stabile le forze tendono a far rimanere il punto in un intorno di tale posizione,
mentre nel caso di una instabile le forze tendono ad allontanarlo.
Dunque, nell’ipotesi di piccole oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio stabile θ = 0,
l’equazione del moto, “linearizzata” apportando la prima delle approssimazioni (5.42),
diventa
θ̈ + ω 2 θ = 0 ,

il cui integrale generale è dato, come abbiamo visto nel x5.8, da

θ(t) = C cos(ωt + γ) .

Le costanti C (ampiezza) e γ (fase iniziale), determinate imponendo le condizioni iniziali,


sono date, come abbiamo visto, dalle (5.21) (ovviamente con θ0 e θ̇0 al posto rispettiva-
mente di x0 e v0 ).

Abbiamo dunque trovato che il punto, spostato di “poco” dalla posizione di equilibrio
stabile θ = 0 e con una velocità “sufficientemente piccola”, descrive delle oscillazioni perio-
diche di ampiezza C intorno a tale posizione. Il periodo di queste oscillazioni, ricordando

120
la posizione (5.41), vale
#
2π ℓ
T = = 2π . (5.43)
ω g sin α

Osserviamo che T non dipende dall’ampiezza C. Questo fatto, che si esprime dicendo che
le piccole oscillazioni del pendolo sono isocrone, fu osservato per la prima volta da Galileo
ed è noto come legge dell’isocronismo del pendolo.

I moti generici del pendolo semplice possono essere studiati qualitativamente mediante il
teorema di Weierstrass, che in questo corso non trattiamo. Ci limitiamo solo a riportare i
risultati di un tale studio.

Il tipo di moto del pendolo semplice dipende dalle condizioni iniziali. Più precisamente,
dipende dal valore E dell’energia meccanica totale e dal suo rapporto con il valore massimo
Vmax dell’energia potenziale. Prescindendo dai possibili casi di quiete, si hanno i tre casi
seguenti:

a) E > Vmax : il punto si muove sulla circonferenza sempre nello stesso verso con velocità
che non si annulla mai. Per questa ragione spesso si parla di moto rivolutivo.

b) E = Vmax : il moto è asintotico verso la posizione (d’equilibrio instabile) θ = π.

c) E < Vmax : il moto è periodico.

Si può dimostrare che il potenziale del pendolo semplice vale

U (θ) = ¡mgl sin α(1 ¡ cos θ) (5.44)

dove la costante arbitraria U ∗ è stata posta uguale a ¡mgl sin α in modo che U (0) = 0.
Da (5.44) è facile verificare che Vmax = ¡U (π) = 2mgl sin α.

5.14 Moto ed equilibrio relativo

Ci occupiamo ora di un argomento estremamente importante della Meccanica, argomento


che va sotto il nome di Meccanica relativa del punto.

Il problema da risolvere è il seguente: determinare il moto di un punto materiale (P, m)


rispetto ad un osservatore O1 x1 y1 z1 , in moto rispetto ad un osservatore fisso Oxyz, noto
il moto di O1 x1 y1 z1 rispetto ad Oxyz, nota la forza attiva agente su P rispetto ad Oxyz, e
note le condizioni iniziali di P rispetto ad uno dei due osservatori. Nel seguito ci riferiremo
a un problema di questo tipo come ad un problema di moto relativo del punto P .

121
Si può dimostrare (cosa che omettiamo) il seguente:

Teorema La legge di Newton vale qualunque sia l’osservatore.

Come si ricorderà, la validità della legge di Newton è stata postulata per i sistemi di
riferimento inerziali. Questo teorema estende la sua validità a tutti i sistemi di riferimento.
Ne consegue che se O1 x1 y1 z1 è un riferimento non inerziale, potremo sempre scrivere

ma1 = R1 , (5.45)

con R1 , vettore risultante di tutte le forze agenti su P rispetto ad (O1 ), che è conveniente
scrivere come

R1 = F 1 + Φ1 ,

separando cosı̀ le forze attive e le reazioni vincolari. Ora, mentre è chiaro che Φ1 = Φ
in quanto le reazioni vincolari sono forze dovute a corpi e quindi assolute, non sappiamo
quanto vale il vettore risultante F 1 delle forze attive agenti su P rispetto ad (O1 ). Ma
F 1 è facilmente deducibile. Infatti, scritta l’equazione di Newton rispetto all’osservatore
assoluto,

ma = F + Φ ,

sfruttando il teorema di composizione delle accelerazioni, vi sostituiamo a con a1 + aτ + ac .


Otteniamo cosı̀ l’equazione
m(a1 + aτ + ac ) = F + Φ ,
ossia,
ma1 = F ¡ maτ ¡ mac + Φ . (5.46)

Confrontando ora con


ma1 = F 1 + Φ1 ,

e tenendo conto che Φ = Φ1 , si ha


F 1 = F ¡ maτ ¡ mac . (5.47)

Ebbene, posto F τ = ¡maτ e F c = ¡mac , le forze (P, F τ ) e (P, F c ) si chiamano rispe-


tivamente forza di trascinamento e forza di Coriolis. Si può dunque affermare che
la forza attiva risultante rispetto al sistema (O1 ) vale la forza attiva risultante rispetto al
sistema (O) più le forze di trascinamento e di Coriolis dovute al moto di (O1 ) rispetto ad
(O).

122
Il concetto di forza da noi adottato è un concetto “relativo”: la forza agente su
di un punto materiale dipende dall’osservatore. Esiste però anche una concezione
“assoluta”, meno moderna (anche se adottata ancor oggi da molti autori di testi
di Meccanica), secondo la quale le forze sono dovute solo a corpi e sono caratte-
rizzate dal fatto di tendere a zero quando le reciproche distanze dei corpi tendono
all’infinito. In base a questa seconda concezione, poiché l’accelerazione a(P ) varia
con l’osservatore mentre F non cambia, la legge di Newton vale solo rispetto ad
un osservatore inerziale. Per studiare il moto rispetto ad un osservatore non iner-
ziale occorre ancora scrivere l’equazione (5.46), ma questa non è più l’equazione
di Newton. I termini ¡maτ e ¡mac , di cui bisogna sempre tenere conto, non
sono più dovuti a forze vere ma a forze fittizie, variabili con l’osservatore. Dunque,
nelle due concezioni cambia l’interpretazione dei simboli, ma le formule rimangono
inalterate.

Osserviamo che se l’osservatore fisso (O) è un osservatore inerziale, allora il vettore F nella
(5.47) è dovuto a tutte e sole le forze dovute a corpi, che sono le stesse per qualunque
osservatore. Se invece (O) è un osservatore non inerziale, F è il risultante, oltre che delle
forze dovute a corpi, anche di quelle di trascinamento e di Coriolis dovute al moto di
(O) rispetto ad un osservatore inerziale. Dunque, è sempre conveniente assumere come
osservatore fisso un osservatore inerziale.

Ci si può porre anche il problema dell’equilibrio relativo di P . Ovviamente in questo


caso il problema deve essere affrontato direttamente, imponendo che valga la condizione
necessaria e sufficiente
R1 = F 1 + Φ1 = 0 .

In virtù della (5.47) e tenendo conto che P in equilibrio rispetto ad (O1 ) significa v 1 = 0,
e quindi ac = 2ω £ v 1 = 0, e di conseguenza anche F c = 0, l’equazione dell’equilibrio
relativo è la seguente:
F + Φ ¡ maτ = 0 . (5.48)

Una considerazione importante è la seguente. Si supponga di dover determinare il moto


(o l’equilibrio) di un punto P (soggetto ad un dato sistema di forze attive dovute a corpi)
rispetto ad un assegnato sistema di riferimento (O) non inerziale. Ebbene, si tratta di un
problema di dinamica (o statica) relativa. Infatti, per ottenere il risultante F 1 delle forze
attive agenti su P rispetto ad (O), occorre considerare anche le forze di trascinamento e
di Coriolis dovute al moto di (O) rispetto ad un osservatore inerziale.

123
Il caso più semplice, ma nondimeno significativo, di moto relativo si ha quando il sistema
relativo (O1 ) trasla.

In questo caso la forza di trascinamento agente sul punto materiale (P, m) ha vettore
d2 O1
F τ = ¡m ,
dt2
mentre la forza di Coriolis, essendo ω = 0, è nulla.

Se si considera un sistema di N punti materiali (Ps , ms ), allora le forze di trascinamento


costituiscono un sistema di forze parallele concordi (Ps , ¡ms a(O1 )), e quindi con centro. È

facile verificare che tale centro coincide col baricentro. Di conseguenza, posto M = s ms ,
vale il seguente

Teorema Il sistema delle forze di trascinamento agenti su un sistema di punti rispetto ad


un riferimento (O1 ) traslante è equivalente ad un’unica forza di vettore F τ = ¡M a(O1 ),
con asse centrale parallelo ad a(O1 ) e passante per G.

5.15 Forza centrifuga

Consideriamo ora la forza di trascinamento agente su di un punto P : (P, F τ = ¡maτ ).


Indichiamo con γτ la curva di trascinamento descritta da P , cioè la curva percorsa da P
pensato solidale con (O1 ). Indichiamo poi con sτ , ρcτ , tτ e nτ l’ascissa curvilinea, il raggio
di curvatura, il versore tangente e il versore normale associati alla posizione di P su γτ .
Possiamo quindi scrivere
 ṡ2  ṡ2
F τ = ¡m s̈τ tτ + τ nτ = ¡ms̈τ tτ ¡ m τ nτ .
ρcτ ρcτ
La componente

ṡ2τ
F τ c = ¡m nτ , (5.49)
ρcτ
si chiama forza centrifuga agente su P .

Caso particolare significativo. Consideriamo il caso in cui il sistema (O1 ) si muove rispetto
ad (O) di moto rotatorio attorno ad un asse fisso (A, a) con velocità angolare ω = ωa.
In tal caso la curva di trascinamento di un punto
P è una circonferenza di centro la sua proiezione
P0 sull’asse. Di conseguenza la componente nor-
male dell’accelerazione aτ vale ω 2 (P0 ¡ P ), da cui

(5.50) F τ c = mω 2 (P ¡ P0 ) .

124
Un esempio di forza centrifuga, e più in generale, di problema di equilibrio relativo, è
già stato visto quando si è definita la forza peso agente su un punto nel x4.19. Il peso
di un punto materiale, infatti, è la forza F 1 = F ¡ maτ che deve essere compensata
perchè P sia in equilibrio rispetto ad un riferimento solidale con la terra. F è la forza
assoluta, cioè dovuta a corpi, e quindi è la risultante delle forze d’attrazione Newtoniana,
che approssimiamo considerando solo l’attrazione della terra. La forza di trascinamento
¡maτ , dovuta al moto della terra rispetto ad un sistema stellare (riferimento inerziale), è
invece approssimata dalla forza centrifuga agente su P per effetto della rotazione uniforme

della terra attorno al proprio asse, ed ha quindi l’espressione (5.50) con ω = g velocità
1
angolare della terra.

Osservazione. L’unico caso in cui la forza centrifuga è nulla si ha quando il sistema (O1 )
trasla di moto rettilineo.

125
6. MECCANICA DEI SISTEMI

In questo ultimo e fondamentale capitolo tratteremo la Meccanica dei sistemi.


A tal fine supporremo che il sistema meccanico considerato sia costituito dai punti
Ps , s = 1, ..., N , e che su di esso agiscano i sistemi delle forze attive (Ps , F s ),
con vettori caratteristici F e Ω(O) e delle reazioni vincolari (Ps , Φs ), con vettori
caratteristici Φ e Ψ(O).
Se poi si vorrà distinguere tra forze interne ed esterne, allora rappresenteremo le
forze attive esterne con (Ps , F es ) e quelle interne con (Ps , F is ), le reazioni vincolari
esterne con (Ps , Φes ) e quelle interne con (Ps , Φis ). I loro vettori risultanti saranno
indicati con F e , F i , Φe e Φi e i momenti risultanti con Ωe (O), Ωi (O), Ψe (O) e
Ψi (O), senza specificarne il polo quando non necessario.

Occorre però avere ben presente che, essendo i sistemi delle forze attive e delle
reazioni vincolari interne equivalenti al sistema nullo, si ha

F = Fe + Fi = Fe , Ω(O) = Ωe (O) + Ωi (O) = Ωe (O) ,


Φ = Φe + Φi = Φe , Ψ(O) = Ψe (O) + Ψi (O) = Ψe (O) .

6.1 Equilibrio di un sistema meccanico

Tra i possibili moti di un sistema meccanico ci può anche essere ”l’equilibrio”, che ha
luogo quando il sistema rimane sempre fermo nella stessa configurazione C0 = q0 . In
questo caso i parametri lagrangiani qi (t) si mantengono costanti (ovviamente qi (t) = qi0 ),
e rappresentano una soluzione stazionaria delle equazioni differenziali del moto del sistema
(di cui parleremo più innanzi).

Estendendo la definizione già data per un punto (vedi x5.5), diamo la seguente

Definizione Dato un sistema meccanico qualunque, una configurazione C0 si dice d’equilibrio


per il sistema se esso, posto in quiete in C0 all’istante t0 , vi rimane anche per ogni t > t0 .

Spesso, anziché dire che il sistema è in quiete nella configurazione d’equilibrio C0 , si dice
che esso è in equilibrio in C0 .

Andiamo ora ad occuparci dei metodi che permettono di determinare le configurazioni


d’equilibrio dei sistemi meccanici e, se interessano, le relative reazioni vincolari. In altre

126
parole, andiamo a trattare il capitolo della Meccanica che tradizionalmente va sotto il nome
di STATICA. I metodi che vedremo sono due: il metodo dei lavori virtuali e il metodo
delle equazioni cardinali. Nel caso di sistemi conservativi vedremo anche un terzo metodo,
il metodo del potenziale, molto pratico, ma utile solo per il calcolo delle configurazioni
d’equilibrio.

Nota bene: essendo in Statica, come supposto alla fine del x5.1, le forze sono assunte posi-
zionali.

6.2 Principio dei lavori virtuali

Vale il seguente importantissimo Principio dei lavori virtuali:

C.N.S. perché una configurazione C0 sia d’equilibrio per un sistema meccanico a vincoli
perfetti è che il lavoro virtuale delle forze attive sia negativo o nullo per ogni spostamento
virtuale del sistema a partire da C0 , ossia
N

δL = F s ¢ δPs · 0 , 8δC . (6.1)
s=1

Mentre la condizione necessaria può facilmente essere dimostrata, la condizione sufficiente


è postulata. Dimostriamo dunque la necessaria.

Sia C0 = q0 ´ (q10 , q20 , ..., qn0 ) una configurazione d’equilibrio del sistema. Ciò significa che,
posto il sistema in quiete in C0 all’istante t0 , vi rimane anche per t > t0 . Di conseguenza
ciascun punto materiale Ps del sistema è in equilibrio per t ¸ t0 , e quindi il sistema di
forze agenti su Ps è equivalente al sistema nullo. Si ha cioè

F s + Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.2)

Se si considera uno spostamento virtuale del sistema δC ´ (δP1 , δP2 , ..., δPN ), moltipli-
cando scalarmente (6.2) per δPs e sommando rispetto ad s, si ottiene
 
F s + Φs ¢ δPs = 0 .
s

Ma in virtù dell’ipotesi di vincolo perfetto vale la (4.43), ossia

N

δρ = Φs ¢ δPs ¸ 0 ,
s=1

e di conseguenza vale la (6.1).

127
Osservazioni importanti.

a) La disuguaglianza (6.1), implica il segno di uguaglianza in corrispondenza ad ogni δC


invertibile. Di conseguenza, se C0 è di tipo interno, ogni δC è invertibile e quindi ogni δL è
nullo. Se invece C0 è di confine, allora δL è nullo per i δC invertibili e in generale negativo
per i δC non invertibili.

b) Nel caso di un corpo rigido la disuguaglianza (6.1), tenendo conto del fatto che il lavoro
virtuale delle forze attive ha un’espressione formalmente uguale alla (4.33), diventa:

 
δL = F e ¢ δO1 + Ωe (O1 ) ¢ aδθ · 0 , 8δC = δO1 , (O1 , δθa) . (6.3)

c) Il principio dei lavori virtuali costituisce uno strumento estremamente utile ai fini
del calcolo delle configurazioni d’equilibrio in quanto coinvolge solamente le forze attive.
Tuttavia esso permette anche il calcolo delle reazioni vincolari. A tal fine occorre :
— eliminare i vincoli, uno o più alla volta, sostituendoli con le relative reazioni vincolari;
— riguardare le reazioni vincolari come forze attive, ed applicare il principio in corrispon-
denza di opportuni spostamenti virtuali, compatibili con i vincoli rimasti, che facciano
“lavorare” le reazioni;
— riscrivere la (6.1) tante volte fino ad ottenere un numero di equazioni (indipendenti) pari
al numero delle reazioni vincolari che si vogliono calcolare;
— risolvere infine il sistema di equazioni cosı̀ ottenuto.
Gli esempi che riporteremo più avanti chiariranno meglio il senso di queste affermazioni.

6.3 Configurazioni d’equilibrio interne dei sistemi olonomi a vincoli perfetti

La prima utile applicazione del principio dei lavori virtuali è rivolta alla determinazione
delle configurazioni d’equilibrio, in particolare di quelle interne, di un sistema olonomo
a vincoli perfetti. A tal fine supponiamo, come al solito, che il sistema abbia n gradi di
libertà, con parametri lagrangiani qi . Ricordando l’espressione del lavoro virtuale delle
forze attive mediante le forze generalizzate di Lagrange, (6.1) diventa


δL = Qk δqk · 0 , 8δC ´ (δq1 , δq2 , ..., δqn ) . (6.4)
k

Determiniamo le configurazioni d’equilibrio interne. In questo caso ciascun δqk ammette


anche il suo opposto ¡δqk , e quindi ogni spostamento virtuale δC del sistema è invertibile.
Di conseguenza la (6.4) vale col segno di uguaglianza.

128
Essendo poi il sistema olonomo, i δqk sono indipendenti, e quindi si possono considerare
gli n spostamenti virtuali del tipo

δCk ´ (δq1 = 0, ..., δqk−1 = 0, δqk 6


= 0, δqk+1 = 0, ..., δqn = 0) .

In corrispondenza dello spostamento δCk la (6.4) fornisce

Qk δqk = 0 , e quindi Qk = 0 .

Debbono quindi essere soddisfatte le n equazioni




 Q1 (q1 , q2 , ..., qn ) = 0



 Q2 (q1 , q2 , ..., qn ) = 0
(6.5)

 ..................




Qn (q1 , q2 , ..., qn ) = 0 .

Le configurazioni d’equilibrio interne del sistema meccanico sono tutte comprese fra le
soluzioni di questo sistema di n equazioni nelle n incognite qi . Si noti che eventuali
soluzioni rappresentanti configurazioni di confine sono pure d’equilibrio.

6.4 Equilibrio dei sistemi conservativi

Definizione Un sistema meccanico conservativo è un sistema olonomo, scleronomo, a vincoli


perfetti e soggetto ad un sistema conservativo di forze attive.

Teorema Le configurazioni d’equilibrio interne di un sistema meccanico conservativo


sono tutte e sole quelle nelle quali il potenziale U è stazionario.

Poiché il sistema delle forze attive è conservativo, esiste una funzione U = U (q1 , q2 , ..., qn ),
che abbiamo chiamato potenziale, con la proprietà che
∂U
Qk = , k = 1, ..., n .
∂qk

Di conseguenza il sistema (6.5), che vale in quanto il sistema meccanico è olonomo, scle-
ronomo e a vincoli perfetti, diventa
∂U
= 0, k = 1, ..., n . (6.6)
∂qk

Ricordiamo che tra i punti di stazionarietà di una funzione ci sono i punti di minimo e di
massimo.

129
A titolo di esempio consideriamo il pendolo semplice. Il potenziale è dato dalla (5.44):
U (θ) = ¡mgl sin α(1 ¡ cos θ), con 0 · θ < 2π. Le posizioni d’equilibrio θi∗ coincidono con
i punti di stazionarietà di U (θ), e quindi sono date dalle soluzioni dell’equazione

U ′ (θ) = ¡mgl sin α sin θ = 0 .

Si ha dunque: θ1∗ = 0, θ2∗ = π .

6.5 Stabilità dell’equilibrio

In questo paragrafo introduciamo un nuovo importante concetto: quello di stabilità dell’e-


quilibrio.

Definizione Una configurazione d’equilibrio C0 si dice stabile se esiste un intorno di C0 ,


che indichiamo con I(C0 ), tale che il lavoro
 C  C 
∆L = (Γ) dL = (Γ) F s ¢ dPs
C0 C0 s

sia negativo qualunque C 2 I(C0 ), e qualunque sia la “traiettoria” Γ 2 I(C0 ) da C0 a C.


Invece, se ∆L > 0 8 C e 8 Γ appartenenti a I(C0 ) , C0 è detta di equilibrio instabile.
Inoltre, se ∆L = 0 8 C e 8 Γ appartenenti a I(C0 ) , C0 è detta di equilibrio indifferente.

Commento. Cosa significa affermare che ∆L è negativo per ogni spostamento da C0 ad


una qualunque configurazione C all’interno di un intorno di C0 ? Significa che il sistema
delle forze attive tende ad opporsi a che il sistema meccanico si allontani, in una qua-
lunque ”direzione”, da C0 . Ciò giustifica l’attributo ”stabile”. Al contrario, l’equilibrio è
”instabile” se il sistema delle forze agisce sempre a favore di un allontanamento del sistema
meccanico da C0 .

Come esempi si considerino il pendolo semplice nel punto più basso (equilibrio stabile) e
nel punto più alto (equilibrio instabile), oppure un punto materiale, sempre soggetto al
solo peso, vincolato ad un piano orizzontale (equilibrio indifferente).

Cos’è un intorno I(C0 ) ? Dato un sistema meccanico, ed una sua configurazione interna
C0 = q0 , un intorno I(C0 ) è, ad esempio, il seguente:
I(C0 ) ´ (q10 ¡ ǫ, q10 + ǫ) £ (q20 ¡ ǫ, q20 + ǫ) £ ¢ ¢ ¢ £ (qn0 ¡ ǫ, qn0 + ǫ) .
Naturalmente I(C0 ) è contenuto nello spazio n¡dimensionale delle configurazioni.

130
Sistemi meccanici conservativi

Nel caso di un sistema meccanico conservativo le definizioni appena date di equilibrio


stabile e instabile si collegano immediatamente al potenziale attraverso il seguente

Teorema (senza dimostrazione):


Una configurazione interna C0 è di equilibrio stabile per un sistema meccanico conservativo
se e solo se è un punto di massimo per il potenziale U , ed è di equilibrio instabile se e solo
se è un punto di minimo.

Sistemi meccanici conservativi con solo il peso


Se il sistema delle forze esterne è costituito dalle sole forze peso, il potenziale è dato dalla
(4.39), ossia
U = ¡M gzG + U ∗ .

Da ciò segue l’ovvio

Teorema di Torricelli : in un sistema meccanico conservativo con solo la forza peso le confi-
gurazioni d’equilibrio stabile si hanno quando zG è minima e quelle di equilibrio instabile
quando zG è massima.

Osserviamo che se il sistema meccanico ha n gradi di libertà con parametri lagrangiani qi ,


allora zG = zG (q), e quindi il problema è ancora quello di determinare minimi e massimi
di una funzione ad n variabili. Ovviamente, se questa funzione non ha minimi, allora non
ci sono configurazioni d’equilibrio stabile, cosı̀ come se non ci sono massimi, non ci sono
neppure configurazioni d’equilibrio instabile.

Un’applicazione immediata del teorema di Torricelli si ha nel caso del pendolo semplice.
zG , che ovviamente coincide con zP , è minima per θ = 0 e massima per θ = π. Di
conseguenza θ = 0 rappresenta la posizione d’equilibrio stabile e θ = π quella d’equilibrio
instabile.

Il principio dei lavori virtuali costituisce uno dei possibili strumenti utilizzabili per de-
terminare le configurazioni d’equilibrio e le relative reazioni vincolari di un qualunque
sistema meccanico, purché a vincoli perfetti. Attraverso una sua applicazione ai sistemi
olonomi, abbiamo poi visto che le configurazioni d’equilibrio interne di un sistema con-
servativo corrispondono ai punti di stazionarietà del potenziale, con l’importantissima
proprietà che nei punti di massimo l’equilibrio è stabile, mentre in quelli di minimo
l’equilibrio è instabile. A questi due strumenti, principio dei lavori virtuali e metodo
del potenziale, che abbiamo già a disposizione, andiamo ora ad aggiungerne un terzo:

131
le equazioni cardinali della statica. Procederemo ricavandole, anche se costituiscono un
caso particolare delle equazioni cardinali della Dinamica che ricaveremo più innanzi. Il
ricavarle separatamente porta sı̀ a qualche ripetizione e ad una leggera perdita di tempo,
però permette una maggior chiarezza e una miglior organizzazione delle esercitazioni.

6.6 Equazioni cardinali della statica

Teorema Dato un sistema meccanico qualunque, condizione necessaria perché C0 sia


configurazione d’equilibrio è che

F e + Φe = 0
(6.7)
Ωe + Ψe = 0 .
Dimostrazione
$ %
Sia C0 = q0 ´ (q10 , q20 , ..., qn0 ) una configurazione d’equilibrio e (Ps , Φs ), s = 1, ..., N un
sistema di reazioni vincolari che realizza i vincoli a cui il sistema meccanico è soggetto.
Poiché C0 è configurazione d’equilibrio, il sistema posto in C0 in quiete all’istante t0 , vi
rimane anche per t > t0 . Ne consegue che ciascun punto Ps del sistema materiale rimane
in equilibrio nella posizione che occupa all’istante t0 . Di conseguenza deve essere

F es + F is + Φes + Φis = 0 , s = 1, . . . , N . (6.8)

Sommando su tutti i punti del sistema, risulta


N
  
F es + F is + Φes + Φis = F e + F i + Φe + Φi = 0 ,
s=1

e tenendo conto del fatto che F i = Φi = 0 , si ottiene la prima delle (6.7).


Moltiplicando poi vettorialmente a destra ciascuna delle relazioni (6.8) per (O ¡ Ps ), con
O punto qualunque, si ha
 
F es + F is + Φes + Φis £ (O ¡ Ps ) = 0 , s = 1, . . . , N ,

e sommando quindi su tutti i punti, si ottiene


N
  
F es + F is + Φes + Φis £ (O ¡ Ps ) = Ωe (O) + Ωi (O) + Ψe (O) + Ψi (O) = 0 .
s=1

Poiché Ωi (O) = Ψi (O) = 0, segue

Ωe (O) + Ψe (O) = 0 ,

che grazie alla prima delle (6.7) è indipendente dal polo. Risulta cosı̀ dimostrata anche la
necessarietà della seconda equazione cardinale della statica.

132
Osservazioni
— Dalla dimostrazione appena fatta è evidente che il teorema vale anche scrivendo le
equazioni (6.7) per tutte le forze attive e le reazioni vincolari sia esterne che interne, ossia

F +Φ=0
(6.9)
Ω +Ψ = 0.

Scrivere (6.7) anzichè (6.9) ha il pregio di mettere in evidenza la irrelevanza, nelle equazioni
cardinali della statica, delle forze e delle reazioni vincolari interne. Più avanti vedremo
che ciò è vero anche per le equazioni cardinali della dinamica.
— Scrivendo (6.7) o (6.9) si è omesso il polo in quanto irrilevante. Infatti, in virtù della
relazione (4.15) e della prima delle equazioni (6.7) o (6.9), l’equazione dei momenti, se
verificata per un polo O, risulta verificata per qualunque altro polo O1 .

Vale poi il seguente importantissimo teorema (che non dimostriamo):

Teorema Se il sistema materiale è un corpo rigido, soggetto a vincoli perfetti, le equazioni


(6.7) sono pure condizioni sufficienti perché una configurazione C0 sia d’equilibrio per il
sistema.

6.7 Problemi staticamente determinati

Le equazioni cardinali (6.7) rappresentano dunque delle condizioni necessarie e sufficienti


per l’equilibrio di un corpo rigido. Quali sono le incognite di queste equazioni ? Ebbene,
le incognite sono gli n parametri lagrangiani fqk g, che danno le configurazioni d’equilibrio,
e le reazioni vincolari.

In generale (cioè escludendo casi particolari quali i sistemi piani) le due equazioni vettoriali
(6.7) sono equivalenti a 6 equazioni scalari. Tale sistema è dunque risolubile, in generale,
solo quando anche le incognite sono esattamente 6.

L’esperienza dimostra tuttavia che dalle (6.7) è sempre possibile dedurre n equazioni che non
contengono le reazioni vincolari, per cui il problema dell’equilibrio (cioè il problema di determi-
nare le configurazioni d’equilibrio) è sempre risolubile. Ogni n—pla (q1∗ , q2∗ , ..., qn∗ ) soluzione del
sistema rappresenta una configurazione d’equilibrio, purchè le relative reazioni vincolari
siano compatibili con la natura dei vincoli. Il senso di questa ultima affermazione risulterà
più chiaro dagli esempi che seguono relativi a dei vincoli d’appoggio.

Supposto che i vincoli siano lisci, ogni reazione vincolare può essere totalmente o parzial-
mente incognita. Se è totalmente incognita, essa comporta tre incognite scalari. Se si sa

133
che la reazione vincolare sta in un piano, allora le incognite scalari sono due. Nel caso poi
che la direzione sia nota, allora l’incognita è una sola. In quest’ultimo caso può essere noto
anche il verso: ciò comporta che l’incognita soddisfi anche ad una disequazione. Dunque,
ogni reazione vincolare implica, a seconda del tipo di vincolo, da una a tre incognite sca-
lari. Il numero delle incognite dovute alle reazioni vincolari dipende dunque dal numero
dei vincoli e dalla loro natura.

Diremo che un problema di equilibrio per un corpo rigido è staticamente determinato se il


numero di reazioni vincolari scalari è 6¡n, il che è equivalente ad affermare che il numero
di reazioni vincolari è quello minimo sufficiente a rappresentare i vincoli a cui è soggetto
il corpo rigido. Se il numero delle reazioni vincolari è maggiore di 6¡n, allora il problema
è staticamente indeterminato, e non è possibile determinare tutte le reazioni vincolari. In
quest’ultimo caso si dice anche che il sistema meccanico è iperstatico.

Consideriamo ora il caso generale di un sistema meccanico qualunque ad n gradi di libertà,


composto di punti e di corpi rigidi. In tal caso applicando a ciascun punto l’equazione
dell’equilibrio (5.13) e a ciascun corpo rigido le equazioni (6.7) si scrive un sistema di m
equazioni. Ebbene, il problema sarà staticamente determinato se il numero delle reazioni
vincolari scalari che compaiono nel sistema è esattamente m ¡ n. Ciò sarà verificato
ogni volta che il numero (ed il tipo) di reazioni vincolari introdotte è quello minimo
indispensabile a realizzare i vincoli del sistema. Sull’argomento dei sistemi composti si
tornerà più avanti con uno specifico paragrafo.

Andiamo ora a considerare un paio di esempi significativi di corpi rigidi diversamente


vincolati. Questi esempi, già interessanti di per se stessi, potranno anche essere utili ai
fini di una miglior comprensione della teoria appena svolta.
I vincoli saranno supposti lisci. Ciascun corpo rigido sarà supposto soggetto ad un dato
sistema di forze attive esterne (As , F s ), s = 1, . . . , N , i cui vettori caratteristici saranno
denotati con F e e Ωe . Risolveremo il problema dell’equilibrio e della determinazione
delle reazioni vincolari (ovviamente nel caso di problema staticamente determinato)
sia con le equazioni cardinali che col principio del lavori virtuali. Nell’applicazione di
quest’ultimo faremo uso della condizione (6.3), tenendo conto che essa vale col segno
di uguale se δC è invertibile.

134
6.8 Equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso

Un corpo rigido con un asse fisso ha un unico grado


di libertà rappresentato dall’angolo θ di rotazione
del corpo. Assunto un riferimento Oxyz con Oz
coincidente con l’asse fisso, l’angolo θ può essere
definito come l’angolo solido che un semipiano soli-
dale col corpo ed uscente dall’asse forma, per esem-
pio, con il semipiano fisso Oxz (x > 0).

Con le equazioni cardinali della statica

Supponiamo che l’asse sia stato fissato in due punti: Q1 ´ O ´ (0, 0, 0) (la scelta di O è
a nostra discrezione) e Q2 ´ (0, 0, h). Il sistema di reazioni vincolari esterne consta allora
delle reazioni (Q1 , Φ1 = Φ1x i + Φ1y j + Φ1z k) e (Q2 , Φ2 = Φ2x i + Φ2y j + Φ2z k). Osserviamo
che le reazioni vincolari, essendo applicate all’asse, hanno momento risultante normale
all’asse stesso. Infatti
2

Ψe (O) = Φr £ (O ¡ Qr ) = Φ2 £ (O ¡ Q2 ) =
r=1
= (Φ2x i + Φ2y j + Φ2z k) £ (¡hk) = ¡hΦ2y i + hΦ2x j . (6.10)

Andiamo dunque a scrivere le 6 equazioni scalari che si ottengono proiettando sugli assi
le due equazioni (6.7). Posto

F e = Fex i + Fey j + Fez k , Ωe (O) = Ωex i + Ωey j + Ωez k ,

si ottiene 
 Fex + Φ1x + Φ2x = 0





 Fey + Φ1y + Φ2y = 0




F + Φ + Φ = 0
ez 1z 2z
(6.11)

 Ωex ¡ hΦ2y = 0





 Ωey + hΦ2x = 0




Ωez = 0 .
L’ultima equazione di questo sistema non contiene le reazioni vincolari. Poiché il pro-
blema ha un solo grado di libertà, si tratta dell’equazione che fornisce le configurazioni
d’equilibrio. Riscriviamola mettendone in evidenza l’incognita θ:

Ωez (θ) = 0 . (6.12)

135
Le configurazioni d’equilibrio del corpo rigido sono tante quante le soluzioni θ ∗ di (6.12).

Ci proponiamo ora di determinare le reazioni vincolari nelle configurazioni d’equilibrio.


Ciò è possibile se il problema è staticamente determinato, ossia se il numero delle rea-
zioni vincolari scalari è 5 (= 6 ¡ 1). Osserviamo subito che fissando due punti dell’asse
abbiamo 6 reazioni vincolari scalari da determinare, il che rende il problema staticamente
indeterminato. Ciò è dovuto al fatto che per fissare un asse del corpo, non è necessario
fissarne due punti, ma basta fissarne uno e mettere un anello nell’altro, impedendo cosı̀
gli spostamenti normali all’asse.

Assumiamo dunque che in Q2 ci sia un anello. In questo caso, essendo Φ2 normale all’asse,
si ha Φ2 = Φ2x i + Φ2y j. Le prime cinque equazioni del sistema (6.11) diventano quindi:

 Fex + Φ1x + Φ2x = 0





 Fey + Φ1y + Φ2y = 0


Fez + Φ1z = 0 (6.13)





 Ωex ¡ hΦ2y = 0



Ωey + hΦ2x = 0 ,

dove le componenti di F e e Ωe (O) sono calcolate nelle configurazioni d’equilibrio. Il sistema


(6.13) determina in modo univoco (ed immediato) le reazioni vincolari.

Con il principio dei lavori virtuali

Perché una configurazione C0 sia d’equilibrio occorre e basta che la condizione (6.3) sia
soddisfatta per qualunque δC.

Sia O1 un punto qualunque dell’asse fisso. Consideriamo l’unico spostamento consentito


dai vincoli (assieme al suo opposto), che consiste in una rotazione infinitesima attorno
all’asse fisso (O1 , k) :
 
δO1 = 0 , (O1 , δθk) , con δθ 6
= 0.

Essendo tale rotazione invertibile, la (6.3) comporta

δL = Ωe (O1 ) ¢ kδθ = 0 , e quindi, essendo δθ 6


= 0, Ωez (θ) = 0 .

Si è dunque ritrovata l’equazione (6.12).

Poniamoci ora il problema di determinare le reazioni vincolari nelle configurazioni d’equi-


librio nel caso che il problema sia staticamente determinato, cioè nel caso dei due vincoli
seguenti: Q1 fissato e Q2 impedito tramite un anello nei suoi movimenti normali all’asse.
Come prima, sia h = Q1 Q2 .

136
Sopprimiamo dapprima solo il vincolo in Q2 e lo sostituiamo con la reazione vincolare
Φ2 = Φ2x i + Φ2y j, che riguardiamo come forza attiva. Ora il corpo rigido ha come unico
vincolo il punto fisso Q1 . Sono dunque possibili le rotazioni (tutte invertibili) attorno ad
un qualunque asse (Q1 , a). La (6.3) diventa perciò

 
δL = Ωe (Q1 ) + Φ2 £ (Q1 ¡ Q2 ) ¢ aδθ = 0 , 8a e 8δθ 6
= 0,

e per l’arbitrarietà di a ne consegue

Ωe (Q1 ) + Φ2 £ (¡hk) = 0 .

Proiettando sugli assi x e y si ottengono le due ultime equazioni di (6.13), che forniscono
le componenti di Φ2 .

Infine, per calcolare la reazione vincolare dovuta al vincolo in Q1 , sopprimiamo anche


questo e lo sostituiamo con la forza di vettore Φ1 = Φ1x i+Φ1y j+Φ1z k. Il corpo ora è libero,
soggetto, oltre che al sistema di forze attive, anche a (Q1 , Φ1 ) e (Q2 , Φ2 ). Immaginiamo di
far compiere al corpo, prima una traslazione infinitesima parallela all’asse x, δO1 = δxi,
poi una parallela all’asse y, δO1 = δyj, ed infine una parallela all’asse z, δO1 = δzk.
Ovviamente si tratta di spostamenti invertibili, per cui in tutti tre i casi deve essere

δL = (F e + Φ1 + Φ2 ) ¢ δO1 = 0 .

Si riottengono cosı̀ le tre prime equazioni di (6.13).

6.9 Equilibrio di un corpo rigido appoggiato in un punto ad un piano

Consideriamo ora un corpo rigido C appoggiato in


un punto O1 ad un piano fisso Π liscio. Supposto
che la superficie σ del corpo sia regolare, il piano
tangente a σ in O1 coincide con Π. Si vuole stu-
diare l’equilibrio di C rispetto ad un sistema di ri-
ferimento Oxyz, con il piano Oxy coincidente con
Π e l’asse z orientato da Π verso C .

Il problema ha cinque gradi di libertà. Assumiamo come parametri lagrangiani le due


coordinate x e y di O1 su Π e i tre angoli di Eulero ψ, ϕ e θ di C , definiti mediante
un sistema solidale con origine in un punto O2 di C (ovviamente distinto dal punto di
contatto O1 che, in generale, varia).

Ciò premesso, si abbia F e = Fex i + Fey j + Fez k.

137
Con le equazioni cardinali della statica

La reazione vincolare (O1 , Φ) ha come direzione quella della normale a Π. Trattandosi poi
di un vincolo di appoggio, il vettore Φ è diretto da Π verso C , ossia Φ = Φk, con Φ ¸ 0.

Andiamo a scrivere le equazioni cardinali. La prima implica F e = ¡Φ = ¡Φk, la seconda


Ωe (O1 ) = 0. Il sistema di equazioni scalari che forniscono le configurazioni d’equilibrio è
perciò il seguente: 
 F (x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
 ex




 Fey (x, y, ψ, ϕ, θ) = 0


Ωex (x, y, ψ, ϕ, θ) = 0 (6.14)





 Ωey (x, y, ψ, ϕ, θ) = 0



Ωez (x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
La sesta equazione scalare comporta invece Φ = ¡Fez . Dovendo essere Φ ¸ 0, ne consegue
che le configurazioni d’equilibrio sono date dalle soluzioni (x∗ , y ∗ , ψ ∗ , ϕ∗ , θ ∗ ) di (6.14) tali
che Fez (x∗ , y ∗ , ψ ∗ , ϕ∗ , θ∗ ) · 0. Soluzioni di (6.14) che non soddisfano questa condizione
non sono d’equilibrio: Φ < 0 implicherebbe che C si distacca dal piano Π.

Quanto trovato permette di formulare il seguente


Teorema C.N.S. affinché una configurazione C0 sia d’equilibrio per un corpo rigido C
appoggiato in un punto O1 ad un piano, è che il sistema delle forze attive esterne sia
equivalente ad un’unica forza passante per O1 , normale al piano in O1 ed orientata da C
verso il piano, oppure al sistema nullo.

Con il principio dei lavori virtuali

Consideriamo dapprima una traslazione δO1 di C parallela al piano Π (che coincide con
Oxy), e quindi invertibile. In tal caso (6.3) diventa

δL = F e ¢ δO1 = 0 8δO1 k Π ,

e quindi deve essere


Fe ? Π,

per cui debbono valere le prime due equazioni di (6.14).


Se la traslazione δO1 , anziché tangente a Π, è di distacco, allora

δL = F e ¢ δO1 · 0 ,

il che implica che l’angolo tra δO1 e F e deve essere ottuso. In altre parole, F e deve essere
diretta da C verso Π. Si ha quindi F e = Fez k, con Fez ·0.

138
Se consideriamo poi uno spostamento virtuale rotatorio (O1 , aδα) con a versore arbitrario,
essendo anch’esso invertibile, si avrà

δL = Ωe (O1 ) ¢ aδα = 0 8a .

Di conseguenza deve essere


Ωe (O1 ) = 0 ,

come già visto con le equazioni cardinali.

Per determinare la reazione vincolare dovuta all’appoggio in O1 , supponiamo di soppri-


mere l’appoggio e di applicare in O1 la forza di vettore Φ. Applicando di nuovo (6.3) in
corrispondenza di una traslazione δO1 qualunque, si ottiene

δL = (F e + Φ) ¢ δO1 = 0 8δO1 ,

e quindi Φ = ¡F e .

6.10 Sistemi composti

In generale un sistema meccanico risulta composto di uno o più punti materiali e di


uno o più corpi, fra di loro variamente vincolati. Ciascun corpo può poi essere rigido
o deformabile. La teoria svolta nel presente corso di Meccanica Razionale fornisce tutti
gli strumenti necessari per risolvere il problema del moto o dell’equilibrio nel caso che
tutti i corpi in questione siano rigidi. Muovendoci in questa ipotesi, facciamo ora alcune
considerazioni circa la soluzione del problema dell’equilibrio mediante le equazioni cardinali
della statica. Queste considerazioni potranno essere facilmente estese al problema del moto
quando lo si affronti con le equazioni cardinali della dinamica (che vedremo più avanti).

Un qualunque sistema meccanico è in equilibrio in una configurazione C0 se e solo se


in tale configurazione ogni suo punto è in equilibrio. Ne consegue che le configurazioni
d’equilibrio di un sistema composto saranno quelle per cui ogni componente è in equilibrio.
Per determinarle occorrerà quindi liberare ciascuna componente dagli eventuali vincoli,
sia interni che esterni, sostituendoli con le relative reazioni vincolari, ed imporre che siano
soddisfatte le equazioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio. Occorrerà quindi che per
ciascun punto materiale (non facente parte di un corpo rigido) sia soddisfatta l’equazione
(5.13) e per ciascun corpo rigido siano soddisfatte le equazioni cardinali (6.7).

139
Nello scrivere le equazioni (5.13) e (6.7) è molto importante tener presente che le eventuali
coppie di forze attive e di reazioni vincolari interne debbono essere tenute in considerazione,
e ciascuna forza interna e ciascuna reazione vincolare deve apparire nella equazione (5.13)
(se agisce su un punto) o nelle equazioni (6.7) se agisce su un corpo rigido. L’esempio che
segue renderà più chiara questa affermazione.

Consideriamo due aste rigide AB e CD incernierate mediante una cerniera sferica negli
estremi B e C (per cui B ´ C). Chiaramente le due aste esercitano l’una sull’altra un
vincolo, che per il principio di azione e reazione implica una coppia di reazioni vincolari
interne al sistema del tipo (B, Φ) e (C, ¡Φ), con Φ totalmente incognito e quindi del tipo
Φ = Φx i + Φy j + Φz k. Ebbene, quando si scrivono le equazioni (6.9) per l’asta AB si deve
includere la reazione vincolare (B, Φ), mentre quando si scrivono per l’asta CD occorre
tener conto della reazione (C, ¡Φ). Per inciso, osserviamo che a volte, quando il sistema
è piano e tutte le forze attive stanno in quel piano (per esempio il piano xy), si può anche
avere una cerniera piana, rappresentabile perciò con una reazione di vettore Φ = Φx i + Φy j.

Le considerazioni appena fatte valgono anche nel caso in cui, calcolate le configurazioni d’e-
quilibrio col principio dei lavori virtuali, si vogliano determinare anche le relative reazioni
vincolari.

In alcuni testi si parla di sistemi articolati. Si tratta di sistemi composti di aste rigide,
assimilabili a segmenti rettilinei, collegate tra loro mediante cerniere. Ciascuna di queste
si suppone assimilabile ad un punto materiale e costituisce un nodo. Il sistema deve essere
connesso, non deve cioè constare di parti scollegate tra di loro.

6.11 Attrito fra due corpi rigidi

Nel paragrafo x5.7 si è considerato l’attrito nel caso di un punto. Ora si vedrà cosa significa
dire che un corpo rigido C è in quiete o si muove appoggiato in un punto O1 ad un altro
corpo rigido C 1 in presenza di attrito. Come si è già detto l’attrito è dovuto a forze, sia
normali che tangenti, che si manifestano quando un corpo si muove o tenta di muoversi
su un altro. Ebbene, dire che c’è attrito fra C e C 1 significa convenire che C 1 esplica su C
un sistema di reazioni vincolari equivalente ad una forza di vettore Φ e ad una coppia di
momento M . La forza (O1 , Φ) si oppone al moto di strisciamento, e quindi rappresenta
l’attrito radente, mentre la coppia si oppone al moto di rotazione, e perciò rappresenta
l’attrito volvente.

140
Al fine di formulare le leggi dell’attrito in statica ed in dinamica, poniamo

Φ = Φt t + Φn n = Φt + Φn
(6.15)
M = Mt t + Mn n = M t + M n ,

con t versore parallelo al piano tangente e n versore normale. Osserviamo che nella termi-
nologia della “Meccanica Applicata” la reazione (O1 , Φn ) è detta forza normale di contatto,
mentre la reazione (O1 , Φt ) è detta forza d’attrito radente. Dal canto suo, la coppia di
momento M t è detta coppia d’attrito di rotolamento, in quanto si oppone al moto di puro
rotolamento, mentre quella di momento M n è detta coppia di attrito di giro, in quanto si
oppone al moto di prillamento attorno alla normale.

Noi, tuttavia, per semplificare le cose, supporremo sempre di poter trascurare la coppia,
limitandoci perciò a considerare soltanto la reazione (O1 , Φ).

L’attrito in statica

L’equilibrio di C1 è garantito dalle equazioni cardinali (6.7) e dalla condizione seguente:

jΦt j · fs jΦn j , (6.16)

La costante fs , che è positiva, dipende dalle caratteristiche dei materiali a contatto e si


chiama coefficiente d’attrito statico radente.

L’attrito in dinamica

Durante il moto di C1 su C , oltre alle equazioni cardinali della dinamica (che vedremo
più innanzi), la reazione Φ deve soddisfare
— nel caso di puro rotolamento, alla condizione (6.16);
— nel caso di rotolamento e strisciamento, alla condizione


Φt = ¡fd jΦn j , (6.17)
jv τ j

con v τ velocità di trascinamento del punto di contatto O1 .

Dunque, quando C 1 si muove su C , occorre distinguere il caso in cui c’è strisciamento dal
caso in cui non c’è. In quest’ultimo caso la relazione che riguarda l’attrito radente non
cambia rispetto al caso statico in quanto il punto di contatto O1 è fermo rispetto a C .
Se invece C 1 striscia su C la relazione statica (6.16) è sostituita dalla relazione dinamica
(6.17). La costante fd , che è minore di fs , è detta coefficiente d’attrito dinamico radente.

141
6.12 Quantità di moto di un sistema

Definizione Si definisce quantità di moto di un sistema materiale discreto (Ps , ms ), s =


1, ..., N, rispetto ad un riferimento Oxyz il vettore

Q= ms v s , (6.18)
s
essendo v s la velocità di Ps rispetto ad Oxyz. Per un corpo continuo C si definisce invece

Q= ρ(P )v(P )dC .
C

Vale l’importantissimo
Teorema La quantità di moto di un qualunque sistema meccanico è uguale alla quantità
di moto del baricentro qualora vi si attribuisca tutta la massa del sistema, ossia

Q = M vG . (6.19)

Dimostrazione Riscriviamo la formula (2.3) del baricentro,



M (G ¡ O) = s ms (Ps ¡ O) , (6.20)
e deriviamola rispetto al tempo; si ha

M vG = s ms v s = Q .

Definizione Si definisce quantità di moto di un sistema materiale rispetto al baricentro la sua


quantità di moto rispetto ad una terna Gx′ y ′ z ′ traslante rispetto al sistema fisso Oxyz.

Indicando tale grandezza con QG , nel caso di un sistema


discreto si ha dunque

QG = s ms v s′ ,
con v s′ velocità di Ps rispetto a Gx′ y ′ z ′ . Ebbene, vale il

Teorema La quantità di moto rispetto al baricentro di


un qualunque sistema materiale è sempre nulla, cioè
QG = 0 . (6.21)
Dimostrazione. Essendo v s′ = v s ¡ v τ (Ps ) = v s ¡ v G , e ricordando (6.19), si ha
 
QG = s ms v s′ = s ms (v s ¡ v G ) = s ms v s ¡ s ms v G = M v G ¡ M v G = 0 .

Osservazione In realtà il teorema ora dimostrato vale qualunque sia il sistema Gx′ y ′ z ′ .
La dimostrazione si fa procedendo allo stesso modo, ma con v τ (Ps ) = v G + ω £ (Ps ¡ G).

È facile verificare che il termine s ms ω £ (Ps ¡ G) porta un contributo nullo a QG .

142
6.13 Momento delle quantità di moto di un sistema

Definizione Si definisce momento delle quantità di moto (o momento angolare) di un sistema


materiale discreto (Ps , ms ), s = 1, ..., N, rispetto al polo O1 il vettore

K(O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) , (6.22)
s

essendo v s la velocità del punto Ps rispetto ad un sistema di riferimento Oxyz. Natural-


mente la grandezza cosı̀ definita dipende, oltre che dal polo O1 , dal sistema di riferimento
scelto.
Per un corpo continuo C si definisce invece

K(O1 ) = ρ(P )v(P ) £ (O1 ¡ P )dC .
C

Dati K(O1 ) e K(O2 ), essi sono legati dalla relazione

K(O1 ) = K(O2 ) + M v G £ (O1 ¡ O2 ) . (6.23)

Infatti:
 
K(O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) = ms v s £ (O1 ¡ O2 + O2 ¡ Ps )
s s
 
= ms v s £ (O2 ¡ Ps ) + ms v s £ (O1 ¡ O2 ) = K(O2 ) + M v G £ (O1 ¡ O2 ) .
s s

In particolare, se O2 ´ G, si ha

K(O1 ) = K(G) + M v G £ (O1 ¡ G) . (6.24)

Quando il polo O1 è in moto rispetto ad Oxyz, il calcolo di K(O1 ) può essere facilitato
coinvolgendo il momento relativo delle quantità di moto rispetto ad O1 , vale a dire

K ′ (O1 ) = ms v s′ £ (O1 ¡ Ps ) ,
s

essendo v s′ la velocità di Ps rispetto ad una terna traslante O1 x′ y ′ z ′ . Andiamo a determi-


nare la relazione che esiste tra K(O1 ), che potremo chiamare momento assoluto, e K ′ (O1 ).
Tenendo conto che per il teorema di composizione delle velocità si ha v s = v s′ + v(O1 ), si
ha:    
K(O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) = ms v s′ + v(O1 ) £ (O1 ¡ Ps )
s s
 
= ms v s′ £ (O1 ¡ Ps ) + ms v(O1 ) £ (O1 ¡ Ps )
s s


= K (O1 ) + v(O1 ) £ ms (O1 ¡ Ps ) ,
s

143
ossia
K(O1 ) = K ′ (O1 ) + M v(O1 ) £ (O1 ¡ G) . (6.25)

In particolare, se come polo O1 si sceglie G, si ha

K(G) = K ′ (G) . (6.26)

Analogamente, se O1 è un punto fisso, essendo v(O1 ) = 0, si ha

K(O1 ) = K ′ (O1 ) . (6.27)

Dunque, i momenti delle quantità di moto assoluto e relativo rispetto al baricentro, o


rispetto ad un punto fisso, sono uguali.

Di particolare importanza, ai fini pratici, è il momento delle quantità di moto di un corpo


rigido. A questo riguardo è possibile ricavare una formula generale per K ′ (O1 ) che utilizza
la matrice d’inerzia J del corpo relativa al punto O1 . Una volta ricavato K ′ (O1 ) mediante
questa, utilizzando le formule (6.25) e (6.23), è possibile ricavare il momento rispetto ad
un qualunque polo. Qui, tuttavia, prescinderemo da tale formula limitandoci a ricavare
K(O1 ) in alcuni casi semplici, ma di grande utilità ai fini degli esercizi.

Corpo rigido traslante con velocità v.



Poiché il corpo trasla, le velocità v s′ sono tutte nulle e quindi K (G) = 0. Di conseguenza,
grazie alla (6.26), si ha anche K(G) = 0. Applicando poi la (6.24) si ottiene
K(O1 ) = M v £ (O1 ¡ G) , 8O1 . (6.28)

Corpo rigido piano con asse fisso normale.

Consideriamo un corpo rigido piano con un asse


fisso normale al piano del corpo. Sia Oxyz il
sistema di riferimento, con Oxy coincidente col
piano del corpo e Oz asse fisso. Indicato con θ
l’angolo di rotazione del corpo attorno all’asse
fisso, si ha ω = θ̇k.
Ogni punto Ps del corpo descrive una circonferenza di centro O e raggio rs = Ps O. Indicato
con ts il versore tangente a tale circonferenza in Ps e con ns il versore normale (diretto
verso O), si ha v(Ps ) = v s = rs θ̇ts . Inoltre, ts £ ns = k.

Calcoliamo dunque K(O) sulla base della definizione (6.22):


    
K(O) = ms rs θ̇ts £ (O ¡ Ps ) = ms rs θ̇ts £ (rs ns ) = ms rs2 θ̇k = θ̇ ms rs2 k ,
s s s s

144
e quindi, ricordando la definizione (2.7) di momento d’inerzia,

z
K(O) = IO θ̇k . (6.29)

z
Ovviamente IO rappresenta il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso (O, k).

Corpo rigido piano in moto nel suo piano.

Sia Oxyz il sistema di riferimento fisso,


con Oxy coincidente col piano del corpo
(e del moto) e Gx′ y ′ z ′ un sistema tra-
slante baricentrico, con l’asse z ′ pa-
rallelo ad Oz. Il problema ha 3 gradi
di libertà; assumiamo come parame-
tri lagrangiani l’angolo θ di rotazione
del corpo e le coordinate xG e yG del
baricentro. Ovviamente ω = θ̇k.

Per calcolare K(O), possiamo calcolare prima K(G) e quindi utilizzare la (6.24). Essendo

K(G) = K (G), il conto è presto fatto. Rispetto al sistema traslante Gx′ y ′ z ′ il moto del

corpo è rotatorio con asse fisso. Dunque, per ottenere K (G) si può applicare la (6.29),
ovviamente tenendo conto che in questo caso l’asse è (G, k). Si ha quindi:

′z
K(G) = K (G) = IG θ̇k . (6.30)

Applicando ora la (6.24), si ottiene

z
 z 
K(O) = IG θ̇k + M v G £ (O ¡ G) = IG θ̇ + M (xG ẏG ¡ ẋG yG ) k . (6.31)

Corpo rigido con asse fisso.

Sia Oxyz il sistema di riferimento fisso rispetto al quale vogliamo studiare il moto del
corpo rigido, con Oz coincidente con l’asse fisso. Sia poi Ox1 y1 z1 un sistema solidale
col corpo con Oz1 ´ Oz. L’unico parametro lagrangiano è rappresentato dall’angolo di
1 .
rotazione θ del corpo, che può essere definito come θ = xOx
Consideriamo ora un generico punto Ps del corpo e indichiamo con (x1s , y1s , z1s ) le sue
coordinate rispetto alla terna solidale. Ebbene, poiché Ps descrive la circonferenza di
centro Qs (proiezione di Ps sull’asse) con velocità angolare ω = θ̇k, indicati con ts e ns i
versori tangente e normale a tale circonferenza in Ps , posto rs = Ps ¡ Qs , si ha

145
Ps ¡ O = x1s i1 + y1s j 1 + z1s k1 ,
Ps ¡ Qs = x1s i1 + y1s j 1 = ¡rs ns ,
Qs ¡ P s x1s i1 + y1s j 1
ns = =¡ ,
rs rs
¡y1s i1 + x1s j 1
ts = ,
rs
v s = rs θ̇ts .

Si può quindi calcolare K(O):


 
K(O) = ms v s £ (O ¡ Ps ) = ms rs θ̇ts £ (O ¡ Ps ) =
s s

= θ̇ ms (¡y1s i1 + x1s j 1 ) £ (¡x1s i1 ¡ y1s j 1 ¡ z1s k1 ) =
s

= θ̇ ms ¡x1s z1s i1 ¡ y1s z1s j 1 + (x21s + y1s
2
)k1 =
s
       
= θ̇ ¡ ms x1s z1s i1 ¡ ms y1s z1s j 1 + ms (x21s + y1s
2
) k1 ,
s s s
ossia
K(O) = ¡B ′ θ̇i1 ¡ C ′ θ̇j 1 + C θ̇k1 . (6.32)
Osserviamo che la formula (6.29) costituisce un caso particolare della (6.32). Infatti, se il
corpo rigido è piano con asse fisso normale (come nell’esempio considerato in precedenza),
utilizzando la (6.32), poiché B ′ = C ′ = 0, si ottiene K(O) = C θ̇k1 . Essendo k ´ k1 e C il
z
momento d’inerzia del corpo rigido rispetto all’asse Oz, per cui C = IO , la (6.32) fornisce
ancora la (6.29).

Nota bene. Le formule (6.28), (6.29), (6.30), (6.31) e (6.32) sono molto utili ai fini degli
esercizi. Nella stragrande maggioranza di questi, infatti, i corpi rigidi considerati sono
piani e mobili nel loro piano o con asse fisso. Con le formule suddette è quindi possibile
calcolare tutti i momenti delle quantità di moto che servono (per scrivere, come vedremo,
la seconda equazione cardinale della dinamica).

6.14 Energia cinetica di un sistema

Definizione Si definisce energia cinetica di un sistema materiale discreto (Ps , ms ), s =


1, ..., N, rispetto ad un riferimento Oxyz la grandezza scalare
1
T = ms vs2 , (6.33)
2 s

146
essendo v s la velocità di Ps rispetto ad Oxyz. Per un corpo continuo C si definisce invece

1
T = ρ(P )v 2 (P )dC .
2 C

Vale il seguente importantissimo

Teorema di König: Per un qualunque sistema mec-


canico si ha
1 2
T = TG + M vG , (6.34)
2
dove
1 2
TG = T ′ (G) = ms vs′ ,
2 s
essendo v s′ la velocità del punto Ps rispetto ad una
terna traslante Gx′ y ′ z ′ .

Dimostrazione
Poiché si ha v s = v s′ + v G , si ha
1 1 2 1   2  
T = ms vs2 = ms vs′ + ms vG + ms v s′ ¢ v G
2 s 2 s 2 s s
1 2
= TG + M vG + QG ¢ v G .
2
Ma QG in virtù della (6.21) è nullo. Dunque vale la (6.34).

Corollari
— T = 12 M vG
2
se e solo se il sistema materiale trasla;
— T = TG se e solo se il baricentro è fermo.

Osservazione. Nel caso di un corpo rigido, il termine 12 M vG


2
rappresenta l’energia cinetica
che il corpo avrebbe nel caso di moto traslatorio. Ci si riferisce perciò a questa porzione di
energia cinetica come alla energia cinetica di traslazione del corpo. Per quanto concerne
invece TG , essa è dovuta al moto del corpo rigido rispetto al baricentro. Poiché tale moto
è sempre rotatorio, ci si può riferire a TG come all’energia cinetica di rotazione del corpo.

Il teorema di König permette il calcolo di T senza ricorrere alla definizione. Le difficoltà


stanno eventualmente nel calcolo di TG . Tuttavia, nel caso di un corpo rigido C, è possibile
ricavare per TG una formula assai semplice che sfrutta la matrice d’inerzia J del corpo
rispetto al baricentro. Qui, però, come in precedenza per il momento delle quantità di
moto, prescinderemo da tale formula limitandoci a prendere in considerazione solo casi
semplici, ma utili ai fini degli esercizi.

147
Corpo rigido traslante con velocità v.
Tutti i punti hanno la stessa velocità, per cui: T = 12 M v 2 (6.35)

Corpo rigido con asse fisso.


Siano (O, k) l’asse fisso e θ l’angolo di rota-
zione del corpo. Il generico punto Ps del corpo
descrive una circonferenza di centro la proie-
zione Qs di Ps sull’asse di rotazione. Posto
rs = Ps Qs , si ha vs2 = rs2 θ̇2 . Calcoliamo ora
T rifacendoci alla definizione (6.33).

1 1 1 
T = ms vs2 = ms rs2 θ̇2 = θ̇ 2 ms rs2 ,
2 s 2 s 2 s

e quindi, ricordando ancora la definizione di momento d’inerzia,

1 z 2
T = I θ̇ , (6.36)
2 O

con IO momento d’inerzia rispetto all’asse fisso.

Corpo rigido piano in moto nel suo piano.


Sia Oxyz il sistema di riferimento fisso, con Oxy
coincidente col piano del corpo (e del moto) e
Gx′ y ′ z ′ un sistema traslante con l’asse z ′ pa-
rallelo all’asse z. Assunti come parametri la-
grangiani le coordinate xG e yG del baricentro
e l’angolo θ di rotazione del corpo, osserviamo
che si ha ω = θ̇k.
Applichiamo il teorema di König. A tal fine cal-
coliamo TG , che rappresenta l’energia cinetica
del corpo rispetto al sistema Gx′ y′ z ′ .
Rispetto a tale sistema il corpo si muove di moto rotatorio attorno all’asse fisso (G, k). Si
può dunque applicare il risultato (6.36) ottenendo

1 z 2
TG = I θ̇ . (6.37)
2 G

Applicando ora il teorema di König, si ha

1 2 1 z 2 1 2 1 z 2 1
T = TG + M vG = IG θ̇ + M vG = IG θ̇ + M (ẋ2G + ẏG
2
). (6.38)
2 2 2 2 2
148
Nota bene. I risultati (6.35), (6.36) e (6.38) sono utili alla risoluzione di quasi tutti gli
esercizi che verranno proposti.

Abbiamo ora a disposizione tutti gli elementi necessari per introdurre: a) le equazioni
cardinali della dinamica, che costituiscono uno strumento essenziale che permette di
determinare sia le equazioni differenziali del moto di un sistema sia le reazioni vincolari
(purché il loro numero sia quello minimo necessario a realizzare i vincoli); b) le equa-
zioni di Lagrange, che permettono di scrivere le equazioni differenziali del moto di un
qualunque sistema olonomo (purché a vincoli perfetti e bilaterali).

6.15 Equazioni cardinali della dinamica

Consideriamo un sistema meccanico qualunque, e supponiamolo costituito, come al solito,


di N punti materiali (Ps , ms ). Durante il moto ciascun punto Ps si muove obbedendo alla
legge di Newton, per cui, tenendo anche conto del fatto che ms è costante, si ha

dQs
ms as = = F es + F is + Φes + Φis , s = 1, ..., N .
dt
Sommando su tutti gli N punti si ottiene
 dQ  
s
= F es + F is + Φes + Φis = F e + F i + Φe + Φi .
s
dt s

Applicando il teorema della derivata di una somma e ricordando che F i = Φi = 0, si ha

dQ
= F e + Φe . (6.39)
dt

Questa equazione esprime il Teorema della quantità di moto: La derivata della quantità di
moto di un qualunque sistema meccanico è uguale al vettore risultante delle forze attive e
vincolari esterne.

Ricordando poi che Q = M v G la (6.39) può essere messa in una forma equivalente di
rilevante significato fisico. Risulta infatti

d2 G
M = F e + Φe . (6.40)
dt2
In questa forma l’equazione esprime il Teorema del moto del baricentro: Il baricentro di un
qualunque sistema meccanico si muove come se in esso fosse concentrata tutta la massa e
ad esso fossero applicate tutte le forze attive e vincolari esterne.

149
Abbiamo cosı̀ ricavato la prima equazione cardinale della dinamica, nelle due forme equivalenti
(6.39) e (6.40). Osserviamo che in virtù di questa equazione le forze attive e vincolari
interne non hanno alcun effetto sul moto del baricentro, mentre le forze attive e vincolari
esterne hanno effetto solo attraverso il loro risultante.

Consideriamo ora un punto O1 qualunque, non importa se fisso o mobile rispetto al rife-
rimento fissato. Il momento della quantità di moto del punto (Ps , ms ) rispetto al polo O1
per definizione è
K s (O1 ) = ms v s £ (O1 ¡ Ps ) .

Derivando si ha
dK s (O1 ) dO1
= ms as £ (O1 ¡ Ps ) + ms v s £ ,
dt dt
dPs
dove si è omesso di mettere il termine ¡ms v s £ in quanto evidentemente nullo.
dt
Tenendo di nuovo conto della legge di Newton e sommando quindi sugli N punti, si ottiene

dK(O1 )      dO
1
= F es + F is + Φes + Φis £ (O1 ¡ Ps ) + ms v s £
dt s s
dt
dO1
= Ωe (O1 ) + Ωi (O1 ) + Ψe (O1 ) + Ψi (O1 ) + Q £ ,
dt

ovvero, ricordando che Ωi (O1 ) = Ψi (O1 ) = 0 e la (6.19),

dK(O1 ) dG dO1
= Ωe (O1 ) + Ψe (O1 ) + M £ . (6.41)
dt dt dt
Questa equazione è detta seconda equazione cardinale della dinamica. Se il polo O1 è fisso,
oppure coincide con G, oppure ha velocità parallela a quella di G, allora l’ultimo termine
di (6.41) è nullo, e si ha
dK(O1 )
= Ωe (O1 ) + Ψe (O1 ) . (6.42)
dt
Questa equazione esprime il Teorema del momento delle quantità di moto: La derivata del
momento delle quantità di moto di un qualunque sistema meccanico, rispetto ad un punto
fisso o al baricentro o ad un punto con velocità parallela a quella del baricentro, è uguale
al momento risultante delle forze attive e vincolari esterne.

Le due equazioni cardinali della dinamica (6.39) (o (6.40)) e (6.41) sono necessariamente
soddisfatte durante il moto di un qualunque sistema meccanico. Supposto che il sistema
abbia n gradi di libertà con parametri lagrangiani q1 , q2 , ..., qn , ciò significa che esiste
almeno un sistema di reazioni vincolari esterne (Ps , Φes ), compatibili con i vincoli, che
assieme alle n funzioni qi (t) soddisfano in ogni istante le due equazioni.

150
Osservazione. Le equazioni cardinali della Statica (6.7) sono contenute in quelle della
Dinamica. Infatti, se il sistema è in equilibrio, allora tutti i punti Ps sono fermi, e le
equazioni (6.39) e (6.41) si riducono alle (6.7).

Si può dimostrare, cosa che non facciamo, che vale il seguente importantissimo
Teorema Se il sistema materiale è un corpo rigido, soggetto a vincoli perfetti, le equazioni
cardinali della dinamica sono sufficienti a determinarne il moto.

Dunque, le equazioni cardinali delle dinamica sono necessarie e sufficienti a determinare il moto
di un corpo rigido. Sottolineiamo il fatto che ai fini di tale moto le forze attive e vincolari
interne non hanno alcuna rilevanza, e che quelle esterne intervengono solamente attraverso
i loro vettori caratteristici. Conseguenza di quest’ultima osservazione è che se ad un corpo
rigido si applicano due sistemi equivalenti di forze (ovviamente non simultaneamente!),
essi producono gli stessi effetti meccanici.

6.16 Teoremi dell’energia

Gli importantissimi teoremi dell’energia già visti per un singolo punto materiale (vedi
x5.10) si estendono facilmente ai sistemi di punti. Sia, come al solito, (Ps , ms ), s =
1, . . . , N, il sistema materiale.

Teorema dell’energia cinetica o (delle forze vive):


Il lavoro infinitesimo (o finito) compiuto da tutte le forze applicate ad un sistema materiale
è uguale alla variazione infinitesima (o finita) di energia cinetica.

Dimostrazione: Dal paragrafo 5.10 sappiamo già che per ogni punto Ps si ha

dLs = dLs + dρs = dTs .

Sommando su tutti i punti, si ottiene

dL = dL + dρ = dT , (6.43)

e ciò dimostra il teorema nella versione infinitesima.

Per quanto concerne poi la dimostrazione della versione finita del teorema, occorre inte-
grare la relazione (6.43) su un intervallo di tempo finito, ad esempio l’intervallo (t0 , t).
Posto quindi T0 = T (t0 ) e T = T (t) e indicate con C0 la configurazione del sistema all’i-
stante t0 e con C quella all’istante t, ricordando la definizione (4.29), si ha
 C  t
L = (Γ) dL = dT ,
C0 t0

151
essendo Γ la traiettoria percorsa dal sistema (nello spazio delle configurazioni) per andare
da C0 a C. Ora, tenendo conto che dT è il differenziale della funzione T (t) e indicando con
L il lavoro finito, si ha

L = T ¡ T0 . (6.44)

Con ciò il teorema è dimostrato completamente.

Sottolineiamo il fatto che dL e L rappresentano il lavoro, rispettivamente infinitesimo e


finito, di tutte le forze (e quindi sia attive che vincolari). Se poi i vincoli sono scleronomi
perfetti, allora dρ = 0 (vedi x4.29, ultime righe) e di conseguenza si ha
dL = dT oppure L = T ¡ T0

a seconda che lo spostamento del sistema sia infinitesimo o finito.

Teorema di conservazione dell’energia (senza dimostrazione): L’energia meccanica totale di


un sistema meccanico conservativo si mantiene costante durante il moto, ossia
T +V =T ¡U =E. (6.45)
La costante E, che rappresenta l’energia meccanica totale, si determina, come già sap-
piamo, attraverso le condizioni iniziali.

6.17 Integrali primi

Definizione Si definisce integrale primo del moto del sistema meccanico una funzione ψ dei
suoi parametri lagrangiani qi , delle sue velocità generalizzate q̇i e del tempo t, che rimane
costante durante il moto, ossia
ψ(q(t), q̇(t), t) ´ ψ(q1 (t), ..., qn (t), q̇1 (t), ..., q̇n (t), t) = C , (6.46)
dove C è una costante che si determina attraverso le condizioni iniziali.

Un primo esempio di integrale primo è fornito dal teorema di conservazione dell’energia.


Come abbiamo appena visto, esso esiste quando il sistema meccanico è a vincoli fissi e
perfetti, e il sistema di forze è conservativo. In tal caso, abbreviando la notazione, si ha

T (q, q̇) ¡ U (q) = T0 ¡ U0 .

Altri integrali primi possono derivare dalle equazioni cardinali della dinamica. Se accade
che il secondo membro di (6.39) oppure di (6.42) ha componente nulla lungo una direzione,
questo comporta l’esistenza di un integrale primo. Per esempio,
dQ dQz
(F e + Φe ) ¢ k = 0 =) ¢k =0 =) =0 =) Qz = Q0z = cost ,
dt dt
152
comporta la conservazione della quantità di moto lungo l’asse z.

Analogamente, se il secondo membro della seconda equazione cardinale della dinamica ha


componente nulla lungo una direzione, ad esempio l’asse z, si ha
dKz (G)
(Ωe (G) + Ψe (G)) ¢ k = 0 =) = 0 =) Kz (G) = Kz0 = cost ,
dt
il che implica la conservazione del momento delle quantità di moto lungo l’asse z.

Consideriamo ora alcuni esempi.

— Il sistema solare, essendo (in buona approssimazione) un sistema isolato, cioè non sog-
getto a forze esterne, ha sia F e + Φe = 0, per cui Q = Q0 , sia Ωe (G) + Ψe (G) = 0, da cui
K(G) = K 0 (G). Il primo integrale primo implica che il moto del baricentro del sistema
solare sia rettilineo uniforme (rispetto alle stelle fisse), il secondo che il piano passante per
G e normale a K 0 (G) conservi giacitura costante (sempre rispetto alle stelle fisse).

— Una persona ferma su un piano orizzontale liscio non può muoversi parallelamente al
piano se non lanciando un oggetto. In tal caso, se M ed m sono le masse rispettivamente
della persona e dell’oggetto, e V e v le rispettive velocità dopo il lancio, essendo Q0 =
m
mv + M V = 0, si ha V = ¡ M v.

— Il baricentro di un proiettile che scoppia (a causa di forze interne), nel vuoto (e quindi
in assenza di forze resistenti dovute al mezzo) continuerebbe a muoversi dopo lo scoppio
come se niente fosse accaduto.

— Si consideri una ballerina come un corpo rigido ruotante attorno ad un asse z verticale.
Poiché il peso e la reazione vincolare hanno momento assiale (lungo z) nullo, ne consegue
Kz = C θ̇ = Iz θ̇ = cost. Ciò significa che quando la ballerina apre le braccia, Iz aumenta
e θ̇ diminuisce, mentre Iz diminuisce facendo aumentare θ̇ quando la ballerina porta le
braccia in alto vicino all’asse.

6.18 Studio del moto e determinazione delle reazioni vincolari mediante


le equazioni cardinali della Dinamica

Le equazioni cardinali (6.40) e (6.42) della Dinamica, che in generale comportano 6 equa-
zioni scalari indipendenti, permettono sempre di determinare il moto di un corpo rigido.
Infatti, se n è il numero di gradi di libertà del corpo, è sempre possibile ricavare dal sistema
delle 6 equazioni scalari n equazioni non contenenti le reazioni vincolari che costituiscono
le equazioni differenziali del moto del corpo.

153
Se il numero delle reazioni vincolari scalari è 6¡n, il che significa che non ci sono rea-
zioni ”superflue”, allora, dopo aver risolto il problema del moto, è possibile determinare
anche le reazioni vincolari. È importante sottolineare che un numero sovrabbondante di
reazioni vincolari scalari, sovrabbondante nel senso di maggiore rispetto a quello stretta-
mente necessario per realizzare i vincoli, in ogni caso impedisce solamente di determinare
completamente le reazioni vincolari, ma non di risolvere il problema del moto.

Si consiglia di rileggere attentamente il x5.1 e il x6.7, facendo per quest’ultimo le dovute


trasposizioni dal caso statico a quello dinamico. In vista dell’utilizzazione delle equazioni
cardinali della dinamica ai sistemi composti, si consiglia di rileggere anche il x6.10, nonchè
il x6.11 per i problemi con attrito.

6.19 Principio di D’Alembert

Consideriamo un sistema meccanico costituito da N punti materiali (Ps , ms ). Qualunque


siano i vincoli a cui esso è soggetto e qualunque sia il sistema delle forze attive che lo
sollecita, ciascun punto Ps si muove obbedendo alla legge di Newton. Valgono dunque
durante il moto le equazioni

ms as = F s + Φs , s = 1, ..., N ,

che si possono anche scrivere

F s ¡ ms as + Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.47)

Interpretando ciascuno dei vettori ¡ms as come una forza (ne ha le dimensioni), che chia-
meremo forza d’inerzia relativa al punto Ps , le (6.47) dicono quanto segue: durante il moto
di un qualunque sistema meccanico, in ogni istante le forze attive, le forze d’inerzia e le
reazioni vincolari si fanno equilibrio. Poiché le reazioni Φs rappresentano le azioni dei
vincoli, si può anche dire che durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze attive e le forze d’inerzia si fanno equilibrio in virtù dei vincoli.

A questo enunciato si può dare un’altra forma osservando che si può scrivere

F s = ms as + (F s ¡ ms as ) , s = 1, ..., N .

In base a questa osservazione la forza attiva agente su ciascun punto Ps può essere scom-
posta in due componenti: la prima, di vettore ms as , rappresenta la forza che sarebbe
atta ad imprimere al punto Ps , qualora fosse libero, lo stesso moto che esso acquista sotto
l’azione combinata dell’intera forza F s e dei vincoli; la seconda componente, il cui vettore

154
è F s ¡ ms as (e quindi somma dei vettori della forza attiva e della forza d’inerzia), rappre-
senta quella parte di F s che va perduta per compensare i vincoli. Ciò giustifica il nome
di forze perdute che di solito si dà alle componenti F s ¡ ms as .

Riprendendo ora le equazioni (6.47), riscritte in modo da evidenziare le forze perdute,

(F s ¡ ms as ) + Φs = 0 , s = 1, ..., N ,

si può enunciare il
Principio di D’Alembert: Durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze perdute e le reazioni vincolari si fanno equilibrio.

L’interesse del principio di D’Alembert consiste nel fatto che permette di ridurre ciascun
problema di dinamica ad un problema di statica: a tal fine basta sostituire alle forze attive
le forze perdute (o, equivalentemente, aggiungere alle forze attive le forze d’inerzia).

6.20 Equazioni di Lagrange

Dato un sistema a vincoli perfetti e bilaterali, ad n gradi di libertà e con parametri la-
grangiani qk , si può dimostrare che valgono le seguenti equazioni di Lagrange:
 
d ∂T ∂T
¡ = Qk , k = 1, ..., n . (6.48)
dt ∂ q̇k ∂qk

Si tratta di un sistema di n equazioni differenziali del 2◦ ordine nelle n incognite qk (t), che
rappresentano le equazioni differenziali del moto del sistema. Osserviamo che per scriverle
occorre ricavare l’energia cinetica T = T (q̇, q) e le forze generalizzate Qk = Qk (q̇, q, t).
Associando poi alle equazioni (6.48) le condizioni iniziali fqk (0)g e fq̇k (0)g, e risolvendo il
corrispondente problema di Cauchy, si determina il moto del sistema meccanico.

Esempio: equazioni di Lagrange per un corpo rigido con asse fisso.

A titolo di esempio andiamo a calcolare l’equazione differenziale del moto di un corpo


rigido con un asse fisso. Sia θ, angolo di rotazione del corpo, il parametro lagrangiano.
Come abbiamo visto nel x6.14 (formula (6.36)), l’energia cinetica vale
1
T = Iz θ̇2 ,
2
con Iz momento d’inerzia del corpo rispetto all’asse fisso. Per poter scrivere l’equazione
di Lagrange serve la forza generalizzata Qθ , per ricavare la quale occorre scrivere il lavoro
infinitesimo dL delle forze attive.

155
Considerato un punto O1 del corpo appartenente all’asse, in virtù della formula (4.33),
tenendo poi conto che O1 è fisso, si ha
dL = F e ¢ dO1 + Ωe (O1 ) ¢ adθ = Ωe (O1 ) ¢ kdθ = Ωez (O1 )dθ .
Dunque:
Qθ = Ωez ,
dove si è omessa l’indicazione del polo per l’indipendenza del momento assiale dalla scelta
del polo sull’asse. Pertanto, scrivendo l’equazione di Lagrange si ha
d 
Iz θ̇ = Ωez ,
dt
e quindi, mettendo in evidenza i parametri da cui dipende il secondo membro,

Iz θ̈ = Ωez (θ̇, θ, t) . (6.49)

6.21 Equazioni di Lagrange per un sistema conservativo

Se il sistema meccanico è conservativo, allora le forze generalizzate di Lagrange si ottengono


dal potenziale U = U (q1 , q2 , ..., qn ) mediante le relazioni
∂U
Qk = , k = 1, ..., n .
∂qk
Le equazioni di Lagrange diventano perciò
 
d ∂T ∂T ∂U
¡ = , k = 1, ..., n ,
dt ∂ q̇k ∂qk ∂qk
∂U
e tenendo conto che = 0, si può scrivere
∂ q̇k
   
d ∂T ∂U ∂T ∂U
+ ¡ + = 0, k = 1, ..., n ,
dt ∂ q̇k ∂ q̇k ∂qk ∂qk
o, equivalentemente,
 
d ∂(T + U ) ∂(T + U )
¡ = 0, k = 1, ..., n .
dt ∂ q̇k ∂qk
Allora, definita la funzione L = T + U , le equazioni di Lagrange assumono la seguente
semplice forma  
d ∂L ∂L
¡ = 0, k = 1, ..., n . (6.50)
dt ∂ q̇k ∂qk
La funzione L è detta funzione di Lagrange, o più semplicemente, Lagrangiana. Essa risulta
del tipo L = L(q̇, q), e riassume tutte le proprietà e le caratteristiche del sistema meccanico
conservativo in questione. Infatti, nota L ed assegnate le condizioni iniziali, le equazioni
(6.50) determinano il moto del sistema.

156
6.22 Pendolo fisico.

Definizione Si chiama pendolo fisico (o pendolo composto) un corpo rigido soggetto solo al
peso con un asse fisso nè baricentrico nè verticale. L’asse è detto asse di sospensione.

Sia α l’angolo che l’asse fisso Oz del pendolo forma con


la verticale ascendente, con O proiezione del baricentro
G sullo stesso asse. Allora G descrive una circonferenza
di centro O e raggio d = GO nel piano normale all’asse.
Assumiamo tale piano come piano xy, con Ox orizzontale
e Oy coincidente di conseguenza con la linea di massima
pendenza (verso ascendente).

Si tratta di scrivere l’equazione del moto, che come ab-


biamo visto è data dalla (6.49). A tal fine, indicato con
θ l’angolo fra il vettore G ¡ O e la direzione negativa
dell’asse y (in modo che a θ=0 corrisponde la posizione
d’equilibrio stabile del corpo), si ha
mg = ¡mg sin αj ¡ mg cos αk ,
G ¡ O = d sin θi ¡ d cos θj ,
Ωz = mg £ (O ¡ G) ¢ k = ¡mgd sin α sin θ .

Indicato con Iz il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso, l’equazione differenziale del
moto è
Iz θ̈ = ¡mgd sin α sin θ . (6.51)
Iz mgd sin α g sin α
Posto poi ℓ = e ω2 = = , si ritrova la (5.32), cioè l’equazione
md Iz ℓ
di un pendolo semplice di lunghezza ℓ:
θ̈ + ω2 sin θ = 0 .

Il pendolo fisico, avendo la stessa equazione del moto del pendolo semplice, dà luogo agli
stessi moti di quest’ultimo. Naturalmente ciò va inteso nel senso che ciascun punto del
corpo rigido (compreso il baricentro G) si muove come se fosse un pendolo semplice.

Osservazioni.
— Per α = 0 l’asse è verticale e l’equazione (6.51) fornisce θ̈ = 0, che implica rotazione
uniforme oppure quiete. Chiaramente in questo caso il corpo non è più un “pendolo”.
— Se l’asse è baricentrico si ha di nuovo θ̈ = 0, e quindi si ha ancora rotazione uniforme
oppure quiete.
— Se l’asse è baricentrico o verticale ogni posizione è d’equilibrio (equilibrio indifferente).

157
Bibliografia

Testi teorici:

Biscari Paolo, Tommaso Ruggeri, Saccomandi Giuseppe, Vianello Maurizio, Meccanica


Razionale per l’Ingegneria, Monduzzi.

Cercignani Carlo, Spazio Tempo Movimento, Zanichelli.

Fabrizio Mauro, La Meccanica Razionale e i suoi Metodi Matematici, Zanichelli.

Graffi Dario, Lezioni di Meccanica Razionale, Patron.

Eserciziari:

Bampi Franco, Benati Mauro e Morro Angelo, Problemi di Meccanica Razionale, ECIG.

Augusto Muracchini, Tommaso Ruggeri e Leonardo Seccia, Esercizi e Temi d’esame di


Meccanica Razionale, Esculapio.

158
Indice analitico

accelerazione, 35 componente di un vettore lungo una direzione, 13


assoluta, 54 componenti cartesiane di un vettore, 11
centripeta (o normale), 36 composizione,
di Coriolis (o complementare), 55 degli stati cinetici, 51
di gravità, 93 di due o più forze, 89
di trascinamento, 55 condizioni iniziali, 106
relativa, 54 configurazione, 72
tangenziale, 36 d’equilibrio di un punto, 109
ampiezza del moto, 37 d’equilibrio di un sistema meccanico, 126
angoli di Eulero, 42 di confine, 80
angolo, interna, 80
di nutazione, 42 coordinate lagrangiane, 75
di precessione, 42 coppia,
di rotazione, 47 d’attrito, 141
di rotazione propria, 42 di forze, 86
angolo fra due vettori, 6 elastiche, 101
ascissa curvilinea, 31 corpo,
asse, deformabile, 23
centrale di un sistema di forze, 87 omogeneo, 21
di figura, 65 rigido, 23, 40
di istantanea rotazione, 47 costante,
di precessione, 65 di gravitazione universale, 101
elicoidale o di Mozzi, 49 elastica, 101
assi, curvatura, 32
centrali d’inerzia, 29 curve polari, 58
principali d’inerzia, 28
atto di moto, 45 decomposizione di un vettore, 5
attrito, 111, 140 densità di massa, 21
radente, 140 derivata,
volvente, 140 di un punto, 18
autovalori di una matrice, 28 di un versore, 18
autovettori, 28 di un vettore, 17
diagramma orario, 37
baricentro, 21, 93 differenza di due vettori, 4
base, 58 differenziale di un vettore, 17
binormale, 33 direzione di un vettore, 1
braccio, 83 divisione vettoriale, 14
di una coppia, 86 doppio prodotto vettoriale, 14

centro, ellissoide d’inerzia, 26


delle forze parallele, 91 centrale, 29
di istantanea rotazione, 58 energia,
di massa, 21 cinetica, 115, 146
cerchio osculatore, 32 di un corpo rigido (esempi), 148
cerniera, di un punto, 115
piana, 140 di un sistema di punti, 146
sferica, 140 meccanica totale, 116
cicloide, 60 potenziale, 116
coefficienti d’attrito, 111, 141 epiciclo, 60

159
equazione, frequenza, 38
della quantità di moto, 115 funzione,
differenziale, 38 di Lagrange, 155
del pendolo semplice, 119 potenziale, 98
di Newton, 71, 106
vettoriale del moto, 33 geometria delle masse, 20
equazioni, glifo, 60
cardinali della dinamica, 149 grandezze,
cardinali della statica, 132 scalari, 1
cartesiane del moto di un punto, 33 vettoriali, 1
differenziali del moto, 106
di Lagrange, 155 integrale generale, 38, 107
per un sistema conservativo, 156 integrale primo del moto,
parametriche di base e rulletta, 61 di un punto, 118
equilibrio, 126 di un sistema materiale, 152
dei sistemi conservativi, 129 invariante,
dei sistemi a vincoli perfetti, 128 di un sistema di forze, 84
di un corpo rigido, 133 di uno stato cinetico rigido, 46
appoggiato in un punto ad un piano, 137 ipociclo, 60
con un asse fisso, 135 isocronismo del pendolo, 121
di un punto, 109 istante,
appoggiato ad un piano liscio, 110 di arresto, 46
libero, 110 iniziale, 106
vincolato ad una curva liscia, 111
vincolato ad un piano liscio, 110 Lagrangiana, 156
indifferente, 130 lavoro,
instabile, 130 finito, 95, 97
relativo, 123 infinitesimo reale, 94
stabile, 130 virtuale, 95
fase iniziale, 37 legge,
forma differenziale esatta, 99 dell’isocronismo del pendolo, 121
formula fondamentale della cinematica rigida, 44 del moto incipiente, 109
formule, di Newton, 71, 106
di Poisson, 43 oraria del moto, 34
di trasformazione di coordinate, 53 leggi fondamentali della Meccanica, 70
forza, 68 linea nodale, 42
assoluta, 70, 123 massa, 20, 93
attiva, 81 matrice,
centrifuga, 124 definita positiva, 26
conservativa, 97 d’inerzia, 26
costante, 100 modulo di un vettore, 1
di Coriolis, 122 momento,
di trascinamento, 122 assiale, 84
elastica, 101 centrifugo, 25
esterna, 81 della quantità di moto (o angolare), 117, 143
interna, 81 di un corpo rigido (esempi), 144
Newtoniana, 101 di un punto, 117
peso, 92, 125 di un sistema di punti, 143
posizionale, 97 di deviazione, 25
resistente, 117 d’inerzia, 23
risultante, 69, 88 centrale , 29
viscosa, 70 polare, 28
forze, principale, 28
d’inerzia, 154 di una coppia di forze, 86
fittizie, 123 di una forza, 83
generalizzate di Lagrange, 94 risultante di un sistema di forze, 83
perdute, 155

160
moto, piano,
cicloidale, 60 orizzontale, 93
di un corpo rigido, 149 osculatore, 32
con asse fisso, 155 piccole oscillazioni del pendolo semplice, 120
di precessione, 65 polo,
di piroettamento, 67 delle accelerazioni, 63
di puro rotolamento, 61, 67, 74 del momento della quantità di moto, 117
di rotolamento, 67 del momento di una forza, 83
di strisciamento, 67 posizione d’equilibrio di un punto, 109
piano, 57 postulato delle reazioni vincolari, 81
rispetto ad un suo punto, 64 potenza di una forza, 102
rotatorio, 49 potenziale, 98
rototraslatorio, 50 precessione, 42, 65
traslatorio, 46 principio,
di un punto, 106, 107 d’azione e reazione, 71
accelerato, 37 dei lavori virtuali, 127
aperiodico con smorzamento critico, 38 d’inerzia, 70
aperiodico smorzato, 38 di D’Alembert, 154
appoggiato ad un piano liscio, 108 problema,
asintotico, 121 di Cauchy, 106
circolare, 39 di cinematica relativa, 53
diretto, 34 di dinamica relativa, 121
libero, 106 di statica relativa, 123
oscillatorio armonico, 37 staticamente determinato, 133
oscillatorio smorzato, 38 prodotto,
periodico, 37, 121 d’inerzia, 25
relativo, 121 di un numero per un vettore, 2
retrogrado, 34 misto, 9
rettilineo, 36 scalare (o interno), 6
ritardato, 37 vettoriale (o esterno), 8
rivolutivo, 121 profili coniugati, 59
uniforme, 34, 36 pulsazione, 37
uniformemente vario, 37 punto d’applicazione, 2, 68
vincolato ad una curva liscia, 108 punto materiale, 20
vincolato ad un piano liscio, 107
epicicloidale, 60 quantità di moto,
ipocicloidale, 60 di un punto, 115
rigido piano, 57 di un sistema di punti, 142

normale principale, 32 raggio di curvatura, 32


numero di gradi di libertà, 74 rappresentazione cartesiana dei vettori, 10
nutazione, 42 reazione vincolare, 81
operazioni elementari sulle forze, 89 esterna, 82
ordine di un’equazione differenziale, 38 interna, 82
oscillatore armonico, 114 regola del cavatappi, 8
oscillazioni libere, 112 relazioni di Coulomb per l’attrito, 111
risultante, 83, 88
parametri lagrangiani, 75 rotazione propria, 42
pattino, 77 rotolamento senza strisciamento, 61, 67
pendolo, rulletta, 58
fisico (o composto), 157 scomposizione,
semplice (o ideale o matematico), 119 di una forza, 89
periodo, 37 di un vettore, 5
peso, 92 scorrimento di una forza, 89
simmetria geometrico-materiale, 22

161
sistema, teorema,
di forze, 83 di Coriolis, 55
conservativo, 98 di Huyghens (o di Steiner), 24
elementare, 86 di König, 147
interne, 90 di Mozzi, 49
parallele, 91 di riduzione per un sistema di forze, 89
di riferimento, di Torricelli, 131
assoluto (o fisso), 53 terna intrinseca, 33
inerziale o Galileiano, 70 traiettoria di un punto, 33
mobile (o relativo), 53 traiettorie polari, 58
solare, 66 trasformazioni di Galileo, 66
stellare, 66
terrestre-stellare, 66 velocità, 34
sistema materiale, 71 angolare, 39, 47
sistema meccanico, 71 assoluta, 54
conservativo, 129 di trascinamento, 55
iperstatico, 134 generalizzate, 75
libero, 72 relativa, 54
olonomo, 76 scalare, 34
reonomo, 73 vettoriale, 34
scleronomo, 73 verso di un vettore, 1
vincolato, 72 versore, 1
sistemi equivalenti, normale, 33
di forze, 85 tangente, 32
di riferimento, 65 verticale per un punto, 93
somma di vettori, 2 vettore, 1
spazio delle configurazioni, 76 applicato, 2
spostamento, 33 di una forza, 68
infinitesimo reale, 73 libero, 1
invertibile, 79 nullo, 1
proibito, 79 opposto, 2
virtuale, 78 risultante, 3, 83
stato cinetico, 45 spostamento, 33
elementare, 45 velocità angolare, 43
elicoidale, 45, 49 vettori,
nullo, 45 caratteristici di uno stato cinetico rigido, 46
rigido, 46 caratteristici di un sistema di forze, 83
rotatorio, 45, 47 concordi, 2
traslatorio, 45 discordi, 2
equipollenti, 1
tensore d’inerzia, 26 paralleli, 2
teorema, vincolo, 72
della quantità di moto, 149 bilaterale, 74
delle forze vive (o dell’energia cinetica), esterno, 73
per un punto, 115 finito, 74
per sistema di punti, 151 interno, 73
del momento della quantità di moto, 150 liscio (o senza attrito), 82, 102
del moto del baricentro, 149 perfetto (o ideale), 102
di composizione delle accelerazioni, 55 reonomo (o mobile), 72
di composizione delle velocità, 54 scabro (o con attrito), 82
di conservazione dell’energia, scleronomo (o fisso o stazionario), 72
per un punto, 116 unilaterale, 74
per un sistema, 152

162

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