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Costantino Delizia

Patrizia Longobardi
Mercede Maj
Chiara Nicotera

Matematica discreta
McGraw-Hill

web
si te
collana di istruzione scientifica
serie di matematica
Costantino Delizia
Patrizia Longobardi
Mercede Maj
Chiara Nicotera

Matematica discreta

McGraw-Hill
Milano • New York • San Francisco • Washington D.C. • Auckland
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Copyright© 2009 The McGraw-Hill Companies, srl
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via Ripamonti, 89- 20139 Milano

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I diritti di traduzione, di riproduzione, di memmizzazione elettronica


e di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i rnicrofilm
e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati


dalle rispettive case produttrici.

Editor: Paolo Roncoroni


Produzione: Donatella Giuliani
Grafica di copertina: G&G
Stampa: Arti Grafiche Murelli, Fizzonasco di Pieve Emanuele (MI)

ISBN 978-88-386-6512-7

Printed in Italy
123456789AGMLIL32109
Indice

Prefazione ix

Ringraziamenti deli 'Editore xi

Elenco dei simboli e delle notazioni xiii

l Teoria degli insiemi l


1.1 Nozioni fondamentali l
1.2 Alcuni insiemi numerici notevoli 8
1.3 n principio d'induzione . 20
1.4 Operazioni tra insiemi . 25
1.5 Prodotto cmtesiano 42
1.6 Esercizi di riepilogo . 47
2 Relazioni tra insiemi 51
2.1 Nozioni fondamentali 51
2.2 Applicazioni . 60
2.3 Relazioni d'equivalenza e partizioni 79
2.4 Relazioni d'ordine 89
2.5 Esercizi di Iiepilogo . . 105
3 Elementi di calcolo combinatorio 111
3.1 I principi di addizione e di inclusione-esclusione . . 111
3.2 n ptincipio di moltiplicazione . 113
3.3 n principio dei cassetti 115
3.4 Permutazioni semplici e con Iipetizioni . 118
3.5 Disposizioni semplici e con ripetizioni . 121
3.6 Combinazioni semplici e con ripetizioni . 123
3.7 I numeri di Stirling di seconda specie . 129
3.8 Cenni sulla teoria di Ramsey 135
3.9 Esercizi di Iiepilogo . 138
4 Strutture algebriche 143
4.1 Generalità 143
4.2 Sottostrutture e strutture quoziente 156
4.3 Omomorfìsmi tra strutture 162
4.4 Esercizi di riepilogo . 166
vi Indice

5 Elementi di aritmetica 169


5.1 I numeri naturali e la seconda forma del principio d' induzione 169
5.2 Rappresentazione dei numeri naturali in base fissata . 173
5.3 I numeri interi . 175
5.4 Divisibilità tra interi . 178
5.5 Congruenze tra interi 182
5.6 La funzione di Eulero 188
5.7 Sistemi di equazioni congruenziali lineari 191
5.8 I numeri razionali 197
5.9 I numeri reali . 200
5.10 I numeri complessi . 206
5.11 Metodi di fattorizzazione . 209
5.12 Esercizi di riepilogo . . 213

6 Alcune strutture algebriche notevoli 215


6.1 Semigruppi . 215
6.2 Monoidi . 218
6.3 Gruppi . . 220
6.4 Gruppi di permutazioni . 231
6.5 Anelli, corpi e campi . 235
6.6 Anelli di polinorni . . 244
6.7 Esercizi di riepilogo . . 251

7 L' algebra delle matrici 257


7.1 Generalità . 257
7.2 Operazioni con le matrici . 261
7.3 Matrici a scala . . 266
7.4 Determinante di una matrice quadrata . 273
7.5 Matrici invertibili . 278
7.6 Rango di una matrice . 282
7.7 Sistemi di equazioni lineari . . 285
7.8 Autovalori e autovettori di una matrice . 295
7.9 Esercizi di riepilogo . . 298

8 Spazi vettoriali 305


8.1 Generalità . 305
8.2 Sottospazi e generatori . 309
8.3 Dipendenza lineare, basi e dimensione . 314
8.4 Applicazioni lineari . . 324
8.5 Somma diretta di sottospazi . . 332
8.6 Matrice associata a un ' applicazione lineare . 336
8.7 Ancora sui sistemi di equazioni lineari . 345
8.8 Diagonalizzazione di una matrice . . 351
8.9 Esercizi di riepilogo . . 360
Indice vii

9 Elementi di geometria analitica 367


9 .l Riferimenti affini nel piano e nello spazio o 367
9.2 Equazioni vettoriali di rette e piani .. o 374
9.3 Equazioni parametriche di rette e piani . . o 376
9.4 Equazioni cartesiane di rette e piani . . . o 385
9.5 Equazione cartesiana della circonferenza . o 388
9.6 Spazi vettoriali metrici o 391
9.7 Esercizi di riepilogo . . . . . . . . . . . . o 396

lO Reticoli, grafi, alberi 399


10.1 Reticoli o 399
10.2 Omomorfisrni di reticoli o 403
10.3 Reticoli distributivi o 405
10.4 Algebre di Boole o 407
10.5 Anelli booleani o 409
10.6 Grafi . o 413
10.7 Alberi o 420
10.8 Esercizi di Iiepilogo . o 422

A Cenni di logica proposizionale e predicativa 425

Bibliografia 435

Indice analitico 437


Prefazione

Questo testo nasce dalla nostra esperienza nei corsi di Matematica discreta per il Cor-
so di laurea in Informatica e illustra gli argomenti che di solito vengono presentati in
tali corsi o in corsi analoghi. In realtà esso si presta bene a essere utilizzato per qua-
lunque corso che si ponga come obiettivo quello di fornire agli studenti conoscenze
matematiche di base, abituandoli ad adottare un'impostazione rigorosa nell'approccio
ai problemi.
I contenuti del libro sono per lo più di carattere elementare e spaziano da ar-
gomenti da sempre peculiari della Matematica discreta (insiemi, insiemi numerici,
induzione, operazioni tra insiemi, corrispondenze, applicazioni, relazioni d'equiva-
lenza, relazioni d'ordine, aritmetica, congruenze, aritmetica modulo m, reticoli, alge-
bre di Boole, grafi, alberi), ad argomenti di Combinatmia (principi di addizione, di
inclusione-esclusione e di moltiplicazione, permutazioni, disposizioni e combinazio-
ni, con e senza ripetizioni), di Algebra (strutture algebriche con una o più operazioni,
semigruppi, monoidi, gruppi, anelli, corpi, campi, anelli di polinomi), di Algebra
Lineare (matrici, sistemi di equazioni lineari, spazi vettoriali, diagonalizzazione), di
Geometria (equazioni vettori ali, par·ametriche e cartesiane di rette e piani, equazione
cartesiana della circonferenza, spazi met:Iici).
La trattazione è sempre rigorosa ma non eccessivamente formale: per evitare di
appesantire la presentazione, a volte abbiamo preferito illusu·are solo l'idea fonda-
mentale rinunciando a fornire tutti i dettagli. Per aiutare ulteriormente lo studente,
abbiamo accompagnato la trattazione con esempi, numerosi e particolarmente curati,
completando ciascun capitolo con un ricchissimo apparato di esercizi che ammontano
a quasi 900: di alcuni esercizi inoltre viene presentato lo svolgimento completo, per
altri viene fornito un suggerimento. In questo modo lo studente è guidato passo pas-
so nella comprensione degli argomenti attraverso l'applicazione dei concetti appena
studiati.
li libro termina con un'appendice contenente cenni di logica proposizionale e
predicativa. Anch'essa si chiude con una sezione di esercizi.
Con piacere ringraziamo i colleghi Francesco Bottacin e Luca Esposito: oltre a
interessanti discussioni sui contenuti del testo, ci hanno fornito preziosi consigli su
come risolvere numerosi problemi tecnici incontrati nella stesura del libro. Ringra-
ziamo inoltre la collega Brunella Gerla, che con amicizia ha visionato l'Appendice A.
Un grazie di cuore va poi ai giovani dottori Diana Imperatore, Carmela Sica, Antonio
Tortora e Maria Tota, che con scrupolo, maturità e affetto hanno attentamente riletto
tutti i capitoli, evitandoci tante imprecisioni e incongruenze.
Ovviamente il testo non sarà esente da imperfezioni, di cui ci scusiamo preven-
tivamente; saremo sinceramente grati a chi vorrà segnalarcele.
x Prefazione

Desideriamo infine ringraziare l'Editore per aver voluto fortemente questo progetto e
il suo ufficio editoriale, in particolare Filippo Aroffo che, con simpatia e precisione,
ci ha pazientemente assistito durante la preparazione del volume.
Costantino Delizia
Patrizia Longobardi
Mercede Ma)
Chiara Nicotera

Informazioni per il Lettore. All ' interno di ciascun capitolo, i paragrafi sono nume-
rati progressivamente: 2.5 indica al solito il quinto paragrafo del secondo capitolo.
Per i risultati e gli esempi si è utilizzata una numerazione tripla: 2.5.3 indica il terzo
risultato che compare nel quinto paragrafo del secondo capitolo. L' introduzione di
esempi è sempre preceduta dalla scritta "Esempio" (talvolta "Esempi"). Un 'analoga
numerazione tripla è stata usata per le formule matematiche nel testo, quando queste
devono essere successivamente richiamate. In tal caso però essa è racchiu sa tra paren-
tesi tonde: (2.5.3) indica pertanto una formula che compare nel quinto paragrafo del
secondo capitolo, dopo (2.5.2), ed è quindi cosa ben distinta da 2.5.3. Infine, un ' ul-
teriore numerazione tripla utilizzata per gli esercizi: questa si distingue facilmente
dalle precedenti in quanto i numeri sono sempre preceduti dalla dicitura "Esercizio".
Ringraziamenti dell'Editore

L'Editore tingrazia i revisori che con le loro preziose indicazioni hanno conttibuito
alla realizzazione di Matematica discreta:

Francesco Bottacin, Università degli Studi di Salerno


Cinzia Cerroni, Università degli Studi di Palermo
Michele Crismale, Università degli Studi di Bari
Mario Mainardis, Università degli Studi di Udine
Elenco dei simboli e delle notazioni

E appartiene 1.1
c incluso 1.1
c incluso strettamente 1.1
l. tale che 1.1
0 insieme vuoto 1.1
===} implica 1.1, A

<====> equivale a 1.1 , A


uguale per definizione 1.1
: <====> se e solo se per definizione 1.1
v per ogni 1.1, A
3 esiste 1.1, A
3! esiste ed è unico 1.1 , A
lSI ordine dell'insieme finito S 1.1
P(S), 2s insieme delle parti dell'insieme S 1.1
No insieme dei numeli naturali 1.1 , 1.2, 5.1
N insieme dei numeli naturali positivi 1.1 , 1.2, 5.1
z insieme dei numeli interi 1.1, 1.2, 5.3
Q insieme dei numeli razionali 1.1, 1.2, 5.8
~ insieme dei numeri reali 1.1, 5.9
c insieme dei numeli complessi 1.1 , 5.10
lP' insieme dei numeli naturali primi 1.2
al h a divide b 1.2
la l valore assoluto di a 1.2
mZ insieme dei multipli interi di m 1.2
N p, 2No insieme dei numeli naturali pari 1.2
xiv Elenco dei simboli e delle notazioni

Ne~ insieme dei numeri naturali dispari 1.2


SUT unione degli insiemi S e T 1.4
sn T intersezione degli insiemi S e T 1.4
S\T complemento dell'insieme T rispetto all'in- 1.4
sieme S
se T, S6T unione disgiunta degli insiemi S e T 1.4
(x, y) coppia ordinata di ptima componente x e 1.5
seconda componente y
SxT prodotto cartesiano degli insiemi S e T 1.5
S" prodotto cartesiano di n copie di S 1.5
6s diagonale dell'insieme S 1.5
R relazione tra insiemi 2.1
Rop relazione opposta 2.1
f:S----+T applicazione di S in T 2.1
f(x) immagine di x nell'applicazione f 2.1, 2.2
ids applicazione identica dell' insieme S 2.2
Ts insieme delle applicazioni di S in T 2.2
/(X) immagine dell'insieme X nell ' applicazione f 2.2
Imf immagine dell'applicazione f 2.2
f- 1 (Y) controimmagine dell'insieme Y nell'applica- 2.2
zione f
f-1 inversa dell'applicazione biettiva f 2.2
gof applicazione composta di f e g 2.2
[x]n classe d'equivalenza di x modulo R 2.3
SjR insieme quoziente di S modulo R 2.3
Rt relazione determinata dali' applicazione f 2.3
rnin S minimo dell'insieme ordinato S 2.4
maxS massimo dell'insieme ordinato S 2.4
infX, estremo infetiore di X in S 2.4
infs X
supX, estremo supetiore di X in S 2.4
sups X
Elenco dei simboli e delle notazioni xv

n! fattoriale del numero naturale n 3.4


insieme delle permutazioni dell'insieme X 3.4
§ Il insieme delle permutazioni di n oggetti 3.4
dll ,h numero delle disposizioni di n elementi su h 3.5
posti
c11 ,h numero delle combinazioni semplici di n 3.6
elementi ad h ad h
coefficiente binomiale n su h 3.6
S(n , k) numero di Stirling di seconda specie relativo 3.7
anek
B" numero di Beli relativo a n 3.7
sottoinsieme di P(S) costituito dai sottoinsie- 3.7
mi di ordine k di S
U(S) insieme degli elementi simmetrizzabili del 4.2
monoide S
strutture algebriche isomorfe 4.3
x parte stabile generata da X 4.2, 6.1
(es ... CJ co)& rappresentazione di un numero naturale m 5.2
base b :::: 2
rest(a, b) resto della divisione euclidea tra numeri 5.3
interi a e b
D(a) insieme dei divisofi del numero intero a 5.4
MCD(a , b), massimo comune divisore non negativo tra i 5.4
(a, b) numeri interi a e b
mcm(a , b) minimo comune multiplo non negativo tra i 5.4
numeri interi a e b
a= b (mod m) a congruo a b modulo m 5.5
[x]m classe d'equivalenza di x modulo m 5.5
x classe di congruenza dell'intero x 5.5
insieme degli interi modulo m 5.5
insieme degli interi invertibili modulo m 5.5
cp(m) indicatore di Gauss-Eulero 5.5
LxJ parte intera del numero reale x 5.8, 5.9
[a, b] intervallo reale chiuso 5.9
xvi Elenco dei simboli e delle notazioni

]a, b[ intervallo reale aperto 5.9


[a , b[, ]a , b] intervallo reale semiaperto 5.9
] - oo, a[, intervallo reale infei"iormente illimitato 5.9
]- oo,a ]
]a , +oo[, intervallo reale superiormente illimitato 5.9
[a , + oo [
coniugato del numero complesso a 5.10
N(a) norma del numero complesso a 5.10
semigruppo delle parole sull'alfabeto A 6.1
monoide associato al semigruppo S 6.1
A* monoide delle parole sull' alfabeto A 6.2
[X] sottomonoide generato da X 6.2
(X) sottogruppo (o sottospazio) generato da X 6.3, 8.2
H -:::_G H sottogruppo di G 6.3
Ker f , NJ nucleo dell 'omomorfismo f 6.3
x H , Hx laterali di H in G individuati da x 6.3
IG : HI indice di H in G 6.3
H <!JG H sottogruppo normale di G 6.3
gruppo di Klein 6.3
supp(f) supporto della permutazione f 6.4
sign(j) segnatura della permutazione f 6.4
insieme delle permutazioni pati di n oggetti 6.4
cat· R , char R caratte1istica dell' anello unitat·io R 6.5
GL(2, R) gruppo generale lineat·e di dimensione 2 6.5
sull'anello R
f(x) polinomio nell ' indeterminata x 6.6
v(j(x)) grado del polinomio non nullo f (x) 6.6
R[x] insieme dei polinomi in x sull'anello R 6.6
f'(x) polinomio derivato del polinomio f (x) 6.6
(a;J) matlice in cui l'elemento di posto (i, j) è a;1 7.1
i -esima riga della matrice A 7.1
Elenco dei simboli e delle notazioni xvii

i -esima colonna della matrice A 7.1


matrice trasposta della matlice A 7.1
M 11 , 111 (R) insieme delle mau·ici n x m sull 'anello R 7.2
M 11 (R) insieme delle matrici quadrate di ordine n 7.2
sull'anello R
simbolo di Kronecker 7.2
[Il matrice identica di ordine n su un anello 7.2
unitario
potenza non negativa della matrice quadrata 7.2
A
matrici equivalenti 7.3
mau·ici elementari 7.3
matrice che si ottiene da A eliminandone la 7.4
h-esima riga e la k-esima colonna
detA determinante della matlice quadrata A 7.4
inversa della matrice non singolare A 7.5

sottomau·ice quadrata di ordine h della 7.6


matrice A
p(A) rango della matrice A 7.6
PA(X) polinornio caratteristico della matrice quadra- 7.8, 8.8
ta A
somma dei sottospazi wl e w2 8.2
u·(A) u·accia della matrice quadrata A 8.3
dimensione dello spazio vettoriale V sul 8.3
campo F
somma diretta dei sottospazi wl e w2 8.5
insieme degli F -omomorfisrni di V1 in V2 8.6
molteplicità algebrica dell'autovalore).. 8.8
molteplicità geometrica dell'autovalore).. 8.8
autospazio relativo all'autovalore À 8.8
insieme dei punti del piano euclideo 9.1
insieme dei punti dello spazio euclideo 9.1
xviii Elenco dei simboli e delle notazioni

--+
OA vettore applicato nel punto O 9.1
v2
o insieme dei vettori applicati nel punto o di 9.1
[2

v3
o insieme dei vettori applicati nel punto o di 9.1
[3

PQ segmento di estremi P e Q 9.1


lP Q l lunghezza del segmento P Q 9.1
PQ retta per i punti P e Q 9.1
~
- -
AOB angolo convesso di vertice O e lati O A e O B 9.1
RA(O , { , j) riferimento affine del piano 9.1
RA(O, {, j, fs_) riferimento affine dello spazio 9.1
Vo insieme dei vettmi del piano o dello spazio 9.1
applicati nel punto O
Tv traslazione relativa al vettore Q 9.1
IIQII norma del vettore Q 9.5, 9.6
d(P , Q) distanza tra i punti P e Q 9.5, 9.6
r(P, r) circonferenza di centro P e raggio r 9.5
(Ql, Q2) prodotto scalare dei vettori Q1 e Q2 9.6
y..L nucleo di un prodotto scalare in V 9.6
d(Q , lQ) distanza tra i vettori Q e w 9.6
v unione reticolare, "OR" 10.1, A
1\ intersezione reticolare, "AND" 10.1, A
L(G) insieme dei sottogruppi del gruppo G 10.1
unità immaginaria 10.5
d(v) grado del vertice v di un grafo finito 10.6
negazione, "NOT" A
1
Teoria degli insiemi

In questo capitolo vengono presentati elementi della cosiddetta "teoria ingenua "
degli insiemi, in cui si danno per intuitivi i concetti principali, evitando di ricor-
rere ad assiomi (come si fa invece nella cosiddetta "teoria assiomatica" degli
insiemi) per i quali si rimanda a testi e a corsi più indicati. Per gli scopi che ci si
prefigge tale teoria ingenua non preclude alcuno sviluppo e permette di evitare al
Lettore difficoltà formali al momento non essenziali.

1.1 Nozioni fondamentali


Col termine insieme si intende una collezione di oggetti, che vengono detti gli
elementi dell'insieme. Di solito un insieme viene indicato con una lettera ma-
iuscola: S (dal termine inglese "set''), T, W, ... , mentre gli elementi vengono
spesso denotati con lettere minuscole: x, y, z, .... Per indicare che x è elemento
dell'insieme S si scrive: x E S (o S 3 x) e si legge: "x appartiene a S". In ca-
so contrario si barra il simbolo: x t/: S (o S ~ x) e si dice che "x non appartiene
a S".
Spesso si assegna un insieme elencando tra parentesi graffe i suoi elemen-
ti, per esempio V = {a , e, i, o, u} è l'insieme i cui elementi sono: a, e, i, o, u;
si ha cioè a E V, e E V, i E V, o E V, u E V e, per esempio, b tj. V.
Gli elementi di uno stesso insieme possono essere di natura diversa, per esem-
pio si può considerare l'insieme i cui elementi sono: questo testo, colui che lo
sta leggendo in questo momento e il numero 6; o anche K = {7, d, 6, i,*}.
Inoltre non è importante l' ordine con cui gli elementi sono elencati, per esempio
{d , 6, *, 7, i} è ancora l'insieme K , in quanto gli elementi che lo costituiscono
sono sempre 7, d, 6, i,*· Né ripetizioni di uno stesso elemento alterano l'insieme:
per esempio K = {d, i, 6, 7, 6, *}, in quanto gli elementi di {d , i, 6, 7, 6, *}
sono 7, d, 6, i,*·
Un insieme costituito da un solo elemento viene detto singleton: per esempio
{c} è il singleton di c, cioè l'insieme costituito dal solo c, e si ha: c E {c},
x tj. {c}, per qualunque x # c.
Risulta opportuno considerare l'insieme privo di elementi: questo viene indi-
cato con 0 e detto l'insieme vuoto. Si ha quindi x tj. 0, per ogni x.
2 Capitolo 1

Insiemi numerici di utilizzo molto frequente vengono convenzionalmente de-


notati con lettere particolari. Per esempio No = {0, l , 2, 3, .. . } è l'insieme dei
numeri naturali, N = {1 , 2, 3, .. . } l'insieme dei numeri naturali diversi da O,
Z = {0, l , -l , 2, - 2, ... } l'insieme dei numeri interi (dal tedesco "Zahlen", che
significa "numeri"), Q l'insieme dei numeri razionali, IR l'insieme dei numeri
reali, C l'insieme dei numeri complessi.
Per assegnare un insieme, invece di elencarne gli elementi, il che non è sem-
pre possibile o conveniente, si può precisare una proprietà di cui godono tutti e
soli gli elementi dell 'insieme. Per esempio, l'insieme V prima considerato può
essere descritto come l'insieme costituito da tutti e soli gli elementi che sono vo-
cali dell' alfabeto italiano, cioè da tutti gli x tali che x è una vocale dell'alfabeto
italiano, e denotato nel seguente modo:

V = {x : x vocale dell ' alfabeto italiano}.

Pertanto u E V in quanto vocale dell ' alfabeto italiano, s tj_ V non essendo vocale
dell'alfabeto italiano. L'espressione "tale che" è di solito denotata con uno dei
simboli":" oppure "1".
Se l' insieme S è assegnato mediante la proprietà P, ossia

S = {x : x gode di P} ,
gli elementi di S sono tutti e soli quelli che godono di P. In particolare:

No {x : x numero naturale},
N {x : x numero naturale, x i- O} ,
Z {x : x numero intero relativo},
Q {x : x numero razionale} ,
IR {x : x numero reale} ,
C {x : x numero complesso} ,
e, per esempio: -6 tj_ No in quanto -6 non è un numero naturale, -15 E Z in
quanto -15 è un numero intero.
È facile osservare che una tale proprietà P non è univocamente determinata;
per esempio si ha:

V {x : x vocale della parola "aiuole"}


{x : x I o V o IX o XIII o XIX lettera dell'alfabeto italiano} ,
e così

0 {x : x triangolo con quattro lati}


{x : x vocale in "pff "}.
Anche la nozione di insieme finito viene qui assunta come intuiti va. Se S è un
insieme finito, col simbolo lS l viene denotato l'ordine di S, cioè il numero dei
Teoria degli insiemi 3

suoi elementi. Pertanto 101 = O, l{x} l = l, IV l = 5 con V insieme prima


considerato, e, se con A si indica l'insieme delle lettere dell'alfabeto italiano,
IAI = 21. Un insieme non finito viene detto infinito; tali risultano per esempio
gli insiemi: No , N, Z, Q, IR, C.
Si noti che un insieme può avere elementi che sono a loro volta insiemi. Per
esempio ha senso considerare l'insieme: H = {l, 2, b, {a} , Z, V3, 0}, e si ha
2 E H , Z E H, -3 ~ H, N ~ H, a ~ H, {a} E H.
Insiemi S e T sono detti uguali, e si scrive S = T, se hanno gli stessi ele-
menti, cioè se si ha: x E S se e solo se x E T. L'espressione "se e solo se"
viene spesso sostituita dal simbolo ~ , che si legge anche "equivale a", "è
equivalente a". Pertanto:

S =T {::::=:} (x ES {::::=:} x E T).

Per negare l'equivalenza, come al solito, si barra il simbolo:

*'·
Qualora si stia dando una definizione, il simbolo {::::=:} viene preceduto da ":",
dando luogo al simbolo
:~

un'analoga convenzione si usa con il simbolo=, che diventa:=.


Per rappresentare un insieme si usano a volte i cosiddetti diagrammi di Venn:
si indica un insieme S con la parte di piano racchiusa nella figura seguente:

Tale rappresentazione ovviamente è ben lungi dall'essere rigorosa, ma risulta


spesso efficace per evidenziare graficamente alcune definizioni e legami tra in-
siemi.
Se S e T sono insiemi, si dice che S è contenuto (o incluso) in T se ogni
elemento di S è elemento di T. Si dice anche che S è un sottoinsieme di T o
una parte di T, e si scrive S ç T, o ancora che T contiene S, e si scrive anche
T ~ S. Quindi riesce:

S ç T : {::::=:} per ogni x E S, x E T.

Le espressioni "per ogni", "qualunque sia" vengono di solito rappresentate col


simbolo V, detto anche il quantificatore universale. Pertanto:

S ç T : {::::=:} 'ix E S,x E T.


4 Capitolo 1

Per esempio, con V e A definiti come sopra, risulta V ç A, in quanto a E A,


e E A, i E A, o E A, u E A, o anche in quanto ogni x E V è una vocale
dell'alfabeto italiano, e dunque è anche una lettera dell'alfabeto italiano, sicché
x E A. Così N ç No perché ogni numero naturale =f. O è un numero naturale,
No ç Z perché ogni numero naturale è un numero intero, Z ç Q, Q ç IR, lR ç C.
Ovviamente, qualunque sia l'insieme S, si ha:
0ç s, (1.1.1)
sç s, (1.1.2)
{x} ç S, per ogni x E S. (1.1.3)

Se gli insiemi S e T sono indicati con diagrammi di Venn, l'essere S ç T ha la


seguente efficace rappresentazione:

Qs T

Le espressioni "implica", "comporta" sono spesso indicate col simbolo ====},


che si legge appunto "implica", "comporta". Che valga l'inclusione V ç A può
essere allora dimostrato nel seguente modo: x E V ===? x vocale dell'alfabeto
italiano===? x lettera dell'alfabeto italiano ===? x E A.
Proprietà P e Q tali che P ===? Q e Q ===? P sono equivalenti, cioè è
soddisfatta l'una se e solo se è soddisfatta l'altra e si scrive P ç::::::} Q. Pertanto
(P ç::::::} Q) : ç::::::} (P ===? Q e Q ===? P) .
Il negare che un'implicazione sussista si indica, come al solito, col simbolo bar-
rato ==f==;-; e così, se l'insieme S non è un sottoinsieme di T si scrive S g T (o
T ~ S). Per esempio: x lettera dell'alfabeto italiano==/==? x vocale dell'alfabeto
italiano.
In generale, se S e T sono insiemi, si ha:
S Cf:_ T ç::::::} esiste x tale che x E S e x tJ_ T .
Si osservi che P ==/==? Q non equivale a (P vera===? Q falsa): invero, ovviamente
da (P vera ===? Q falsa) segue P ==/==? Q, ma non vale il viceversa. Per esempio,
x E A ==/==? x E V, ma non è vero che x E A ===? x ri V. Pertanto, se si vuole
dimostrare che P ==/==? Q, non è necessario provare che se P è vera allora Q è
falsa (ciò, in generale, non è vero!), ma basta esibire un controesempio, ossia una
situazione in cui P è vera ma Q è falsa . Così, per provare che x E A ==/==? x E V
basta osservare che per esempio bE A ma b ri V.
Anche per l'espressione "esiste" c'è un simbolo particolare: 3 , detto il quan-
tificatore esistenziale. E così, invece di "non esiste" spesso si usa~. Quindi:
S Cf:_ T ç::::::} :lx : x E S e x tJ_ T.
Teoria degli insiemi s

E, per esempio:
g: N,
(30 : O E No e O rf:. N) ===? No
(3 -4 : -4 E Z e -4 1- No) ===? Z g: N0 .
A volte interviene l'espressione "esiste uno e un solo"; per questa si usa il simbolo
:3!.
Si osservi inoltre che, con S e T insiemi, si ha:
S = T {::::=:::} S ç T e T ç S, (1.1.4)

in quanto S e T hanno gli stessi elementi se e solo se ogni elemento di S è


elemento di T e ogni elemento di T è elemento di S. Si ha allora:

S -/= T {::::=:::} S g: T o T g: S.
Con S, T e V insiemi, sussiste:
(S ç T , T ç V)===? S ç V
( 1.1.5)
(proprietà transitiva del! 'inclusione).
Infatti, se x ES, si ha x E T in quanto S ç T, e da T ç V segue poi x E V.
Per esempio N ç Q in quanto N ç N0 , No ç Z, Z ç Q.
Come immediata conseguenza di (1.1.4) e (1.1.5) si ha, con S, T e V insiemi:

(S = T , T = V) ===? S =V
(proprietà transitiva dell'uguaglianza) .
Se S e T sono insiemi, si dice che S è contenuto strettamente (o incluso stret-
tamente) in T, e si scrive S C T o anche T :J S, se S è contenuto in T ma è
distinto da T:
S c T : {::::=:::} ( S ç T e S -/= T) .
Di conseguenza:
S r.t T {::::=:::} ( S g: T oS = T) .
È immediato verificare che:
S c T {::::=:::} (S ç T e Tg: S).
Pertanto:
S c T {::::=:::} ('v'x E S , x E T) e (3y : y E T e y rf:. S).

Per esempio N C No, No c Z. Ovviamente 0 C T, per ogni insieme T i= 0.


1.1.1. Con S , T e V insiemi, risulta:

(S c T , T ç V) ===? S c V,
(S ç T , T c V) ===? S c V.
6 Capito lo 1

Dimostrazione. Da S c T e T ç V o da S ç T e T C V segue S ç T, T ç V,
sicché S ç V per la (1.1.5). Si supponga ora S C T. Allora esiste y tale che
y E T e y ~ S; da T ç V segue y E V sicché esiste y tale che y E V e y ~ S.
Pertanto V Cf:_ Se dunque S c V. Nell'ipotesi T c V si ha che esiste w tale che
w E V e w ~ T . Ovviamente w ~ S altrimenti da w E S e S ç T seguirebbe
w E T contro le ipotesi. Pertanto esiste w tale che w E V e w ~ S e quindi
V Cl S come volevasi. D
Sia S un insieme. L'insieme delle patti di S, denotato con P(S), è l'insieme
costituito da tutti e soli i sottoinsiemi di S:
P(S) :={X: X ç S}.
Tale insieme viene anche detto l'insieme potenza di Se denotato con 2 8 . Ciò per
evidenziare che, se S è un insieme finito, l'insieme P(S), ovviamente finito, ha
ordine 21 8 1, come verrà successivamente provato nel Capitolo 3. Quindi:
X E P(S) {=::} X ç S.
Per esempio, per ogni insieme S, da (1.1.1), (1.1.2) e (1.1.3) segue:
0 P(S),
E (1.1.6)
SE P(S), (1.1.7)
{x}EP(S) , perognixES. (1.1.8)
Si noti in pmticolare che si ha P(S) i- 0, per ogni insieme S.

Esercizi
Esercizio 1.1.1. Siano A = {a}, B = {a, b}, C = {a , b, c}. Si determinino gli
insiemi P(A), P(B), P( C).
Svolgimento. Si ha:
P(A) = {0, A},
P(B) = {0, {a}, {b} , B},
P(C) = {0, {a},{b} , {c} , {a, b},{a,c} , {b,c} ,C}.
Esercizio 1.1.2. Si verifichi che:
P(0) = {0} ,
P(P(0)) = {0, {0} } ,
P(P(P(0))) = {0, {0} , { {0} } , {0, {0}} } .
. Esercizio 1.1.3. Si provi che, con S e T insiemi, si ha:
S çT {=::} P(S) ç P(T). (1 .1.9)
Se ne deduca che:
S =T {=::} P(S) = P(T). (1.1.10)
Teoria deg li insiemi 7

Svolgimento. Si supponga S ç T e sia X E P(S). Da X ç Se S ç T segue


allora X ç T per la (1.1.5) e dunque X E P(T).
Viceversa, si supponga P(S) ç P(T). Da S E P(S) per la (1.1.7) e dalle
ipotesi segue S E P(T) e dunque S ç T.
La (1.1.10) segue poi subito da (1.1.9) e (1.1.4).

Esercizio 1.1.4. Si determinino i seguenti insiemi:

C {x : x intero : x 2 = l} ,
D {x: x intero : x 2 =-l} ,
E { x : x numero complesso : x 2 =-l} ,
F {x : x lettera di "nonno"}.

Esercizio 1.1.5. Considerati gli insiemi

A= {c, 4, 6., 0, {12}, 12}, B = {l ,O, j , {0} , {d, 5} , d},


si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:

cE A, l E A, {6.} E A, {12} E A,
12 E A , 0EA, {0} E A , {12} ç A ,
{ {12}} ç A, {c,l2}çA, 0çA, {0} ç A ,
{{0}} ç A, cE B , l E B, {d,5} E B,
{d} E B , f EB, 0E B , {0} E B,
{l} ç B, {{d}} ç B, {c, 12} ç B , 0çB,
{0} ç B , {{0}}çB, {1 , {d , 5}} ç B , {{f}}çB,
{{1} ,0} ç B, {f, {0}} ç B, {f, 0}çB, {!, d} ç B.

Esercizio 1.1.6. Con S e T insiemi, si precisi se le seguenti affermazioni sono


vere:

SrJ:T ~ \lx E S,x ~T,


SrJ:T ~ :lx ES: x~ T ,
SrJ:T ~ :lx E T: x~ S,
SrJ:T ~ \lx E T , x~ S ,
Srt.T ~ S-/= T eS ç T ,
Srt.T ~ S -/= T o S rJ: T ,
Sr/.T ~ S =T o S rJ: T ,
Sr/.T ~ S rJ: T e T ç S ,
Srt.T ~ S ç T e T rJ: S ,
Srt.T ~ S rJ: T o T ç S.
8 Capitolo 1

Esercizio 1.1.7. Considerati gli insiemi L= {11 , 7} e M= { s , 8, 1r} si determi-


nino gli insiemi P(L) e P(M).
Esercizio 1.1.8. Si verifichi se le seguenti affermazioni sono vere:

NE P(No) , 0 E P(No) , {0} E P(No) ,


{O} E P(No) , No E P(No) , 3 E P(No),
{3, {4}} E P(No), OE P(No) , {10, 100} E P(No),
{2, -3 , 5} E P(No), ZE P(No) , -3 E P(No).

Esercizio 1.1.9. Con S e T insiemi, si precisi se le seguenti affermazioni sono


vere:

P(S) Cl: P(T) {:::=:> 3X ç T : X Cl: S ,


P(S) Cl: P(T) {:::=:> 3X ç S : X Cl: T,
P(S) Cl: P(T) {:::=:> VX ç T, X Cl: S,
P(S) Cl: P(T) {:::=:> VX ç S , X Cl: T.

Esercizio 1.1.10. Si verifichi che, con S e T insiemi, si ha:

SçTçVçS {:::=:> S=T=V.

Esercizio 1.1.11. Con Se T insiemi, si verifichi che P(S) ç P(T) ==} S ç T


senza utilizzare la (1.1.7), provando che da x ES segue x E T.
Esercizio 1.1.12. Con Se T insiemi, si provi che S C T {:::=:> P(S) C P(T)
senza utilizzare la (1.1.10).
Esercizio 1.1.13. Si descriva l'insieme P(P(P(P(0)))).

1.2 Alcuni insiemi numerici notevoli


Nei paragrafi seguenti del presente capitolo e nei successivi quattro capitoli sa-
ranno spesso utilizzate, in esempi ed esercizi, proprietà ben note dei numeri na-
turali o, più in generale, dei numeri interi o dei numeri razionali. Per agevolare
il Lettore, queste vengono ora evidenziate senza alcuna pretesa di rigore o di
completezza. Per uno studio più organico si rimanda al Capitolo 5.

L'insieme N 0 dei numeri naturali


Come già indicato nel precedente paragrafo, con i simboli No ed N si denotano
rispettivamente l'insieme dei numeri naturali e quello dei numeri naturali diversi
da 0:
No= {0,1 , 2,3 , ... },
N={1,2 , 3, .. . }.
Teoria degli insiemi 9

Si richiameranno ora alcune proprietà dei numeri naturali, certamente ben fami-
liari al Lettore.
In No sono definite una somma e un prodotto, denotate rispettivamente con i
simboli+ e ·, che godono delle seguenti notevoli proprietà:

a + b = b + a, per ogni a, b E No (1.2.1)


(proprietà commutativa della somma) ,

(a+ b)+ c= a+ (b +c) , per ogni a, b, c E No (1.2.2)


(proprietà associativa della somma) ,

O + a = a + O = a, per ogni a E No (1.2.3)


(O elemento neutro per la somma),

a+ b =O se e solo se a= b =O, (1.2.4)

da a + c = b + c segue a = b (1.2.5)
(cancellabilità a destra rispetto alla somma) ,

da a + b = a + c segue b = c (1.2.6)
(cancellabilità a sinistra rispetto alla somma) ,

a · b = b · a, per ogni a , b E No (1.2.7)


(proprietà commutativa del prodotto) ,

(a· b) · c= a· (b ·c), per ogni a, b, c E No (1.2.8)


(proprietà associativa del prodotto),

l · a = a · l = a, per ogni a E No (1.2.9)


(l elemento neutro per il prodotto) ,

O · a = O = a · O, per ogni a E No,

a · b = O se e solo se a = O o b = O (1.2.11)
(legge di annullamento del prodotto),

a · b = l se e solo se a = b = l, (1.2.12)
10 Capitolo 1

da a· c= b · c, con c i= O, segue a= b (1.2.13)


(cancellabilità a destra rispetto al prodotto),

da a· b =a· c, con a i= O, segue b =c (1.2.14)


(cancellabilità a sinistra rispetto al prodotto) ,

a· (b +c) = (a· b)+ (a· c), per ogni a, b, c E No (1.2.15)


(proprietà distributiva a sinistra del prodotto rispetto alla somma),

(a+ b)· c= (a· c)+ (b ·c), per ogni a, b, c E No (1.2. 16)


(proprietà distributiva a destra del prodotto rispetto alla somma).

Si noti che la commutatività della somma rende (1.2.5) e (1.2.6) equivalenti e,


analogamente, la commutatività del prodotto fa sì che (1.2.13) e (1.2.14), e così
(1.2.15) e (1.2.16), siano equivalenti. Si noti altresì che la (1.2.1 0) è contenuta
nella (1.2.11). Infine si osservi che dalla (1.2.4) segue che:

Va E N,~ bE No: a+ b =O, (1.2.17)

e così, dalla (1.2.12) segue che:

V a E No, a i= l, ~bE No : a· b = l. (1.2.18)

Le proprietà ( 1.2.4) e ( 1.2.11) rispettivamente assicurano inoltre che:

da a, bE N segue a+ bE N, (1.2.19)
da a, b E N segue a · b E N. (1.2.20)

È poi opportuno evidenziare che le proprietà (1.2.2) e (1.2.8) permettono di scri-


vere a+ b +c e a· b · c senza ambiguità, intendendo, rispettivamente, (a+ b)+ c
o a+ (b +c) e (a· b)· c o a· (b ·c).
Inoltre per ogni n E N e per ogni a E No si definisce potenza n-esima di a il
prodotto

Per convenzione si pone anche a 0 := l. È immediato verificare che per ogni


n, m, a, b E No si ha:
(1.2.21)

e
(1.2.22)
Di solito, nel seguito, si preferirà scrivere ab in luogo di a · b e, per esempio,
ab + ac in luogo di (a · b) + (a · c) .
Teoria degli insiemi 11

Nell'insieme No è definito il cosiddetto "ordine usuale", indicato col simbo-


lo ~· Con a, bE No, si pone

a~ b: ~ 3t E No: b =a+ t.

Si scrive anche b 2: a. Si noti che, per la (1.2.6), un tale t, quando esiste, è unico.
È facile verificare che valgono le seguenti proprietà:

a ~ a, per ogni a E No (proprietà riflessiva), (1.2.23)


da a ~ b e b ~ a segue a = b (proprietà asimmetrica), (1.2.24)
da a ~ b e b ~ c segue a ~ c (proprietà transitiva). ( 1.2.25)

La (1.2.23) segue subito da (1.2.3), in quanto esiste O E No tale che a = a+ O. Si


supponga ora a ~ be b ~ a, esistano quindi t, s E No tali che b = a+t, a = b+ s;
ciò comporta b = (b+s) +t= b+ (s+t), per la (1.2.2), sicché b+O = b+ (s+t),
da cui s +t = Oper la (1.2.6), pertanto s = t = Oper la (1.2.4) e quindi a = b per
la (1.2.3): vale così la (1.2.24). Da a ~ be b ~ c segue poi b =a+ h e c= b + k,
per opportuni h, k E N0 , sicché c= (a+ h)+ k = a+ (h+ k), per la (1.2.2),
pertanto a ~ c, il che prova la (1.2.25).
Si noti che:
O ~ a, per ogni a E No, (1.2.26)
poiché a = a + O, per la (1.2.3); ciò si esprime dicendo che O è "minimo" per
l'ordine usuale. Ovviamente risulta poi:

a~ a+ l , per ogni a E No. (1.2.27)

Si noti inoltre che:

da a ~ b, c ~ d segue a + c ~ b + d, (1.2.28)
da a ~ b, c ~ d segue ac ~ bd. (1.2.29)

Infatti, si supponga b = a+ t e d = c+ s, per opportuni t, s E N0 . Si ha allora


b+ d= (a+ t)+ (c+ s ) =a+ (t+ c)+ s =a+ (c+ t)+ s = (a+ c)+ (t+ s),
per le (1.2.1) e (1.2.2), sicché a+ c~ b +d. Inoltre si ha bd = (a+ t)(c + s ) =
ac + (as +te+ ts ), sicché ac ~ bd.
Per la (1.2.23), la (1.2.28) e la (1.2.29) comportano rispettivamente che:

da a~ b segue a+ c~ b +c e c+ a~ c+ b, V c E No, (1.2.30)


da a~ b segue ac ~be e ca~ cb, V c E No . (1.2.31)

Con a, b E N0 , si pone inoltre:

a < b: ~ (a~ be a i= b).

Ovviamente si ha a < b se e solo se esiste t E N tale che b = a + t. Per esempio


O < n, per ogni n E N, e a< a+ l, per ogni a E No.
12 Capitolo 1

Una notevole proprietà dell'ordine usuale in No è la seguente: per ogni a, b E No


risulta a ::::; b oppure b ::::; a. Più precisamente, vale la seguente:

1.2.1. Proprietà di tricotomia. Per ogni a, b E No sussiste una e una sola delle
seguenti: a < b, b < a, a = b.

Se a, b E No sono tali che a ::::; b è possibile definire b - a come quell'unico


t E No tale che b = a + t. Si noti che:

a- a = O, per ogni a E No, (1.2.32)

e che
b- O = b, per ogni b E No. (1.2.33)

1.2.2. Se a, b, c E No sono tali che a ::::; b, allora hanno senso be - ace cb - ca e


si ha:

(b- a)c = be- ac (1.2.34)


c(b- a) = cb- ca. (1.2.35)

Dimostrazione. Per la (1.2.31) risulta ac ::::; be e ca ::::; cb, sicché hanno senso
be-ace cb- ca. Posto poi b = a+ t, si ha che be= (a+ t)c = ac +te per la
(1.2.16) e cb = c(a+t) = ca+ et per la (1.2.15), pertanto be - ac = te = (b- a)c
e cb- ca= et= c(b- a). D

Se a, b E N0 , si dice che a divide bse esiste k E No tale che b = ak. In tal caso si
scrive a lb, e si dice anche che a è un divisore di b, o che b è un multiplo di a in
No. Si osservi in primo luogo che:

aiO, per ogni a E No, (1.2.36)

essendo O = aO per la (1.2.10), e che:

Olb se e solo se b = O, (1.2.37)

sempre per la (1.2.10). Si osservi poi che se b i- O e alb, si ha a i- O, sicché, per


la (1.2.14), risulta univocamente determinato l'elemento k E No tale che b = ak.
Valgono le seguenti proprietà:

l la, per ogni a E No, (1.2.38)


aia, per ogni a E No , (proprietà riflessiva) (1.2.39)
da albe bla segue a = b, (proprietà asimmetrica) (1.2.40)
da albe blc segue aie, (proprietà transitiva) (1.2.41)
se albe aie, allora alb +c, (1.2.42)
Teoria degli insiemi 13

se aib + c e aib , allora ai e. (1.2.43)


La (1.2.38) e la (1.2.39) sono ovvie conseguenze della (1.2.9). Si supponga ora
b = ak e a = bh, per opportuni k , h E No. Dalla (1.2.10) segue subito che
si ha a = O se e solo se b = O. Si suppongano pertanto a, b =/= O. Da bl =
b = (bh)k = b(hk) segue allora hk = l per la (1.2.14), sicché anche in tal caso
a = b, e vale la (1.2.40). Da b = ak e c = bt, per opportuni k , t E No segue
c = (ak)t = a(kt), pertanto ai e e vale (1.2.41). Se poi b = ak e c = av , per
opportuni k, v E No, riesce b+ c = ak+av = a(k+ v ) per (1.2.15) e vale (1.2.42).
Infine se b + c = as e b = ak, per opportuni s , k E No, si ha as = ak + c, sicché
ak :::; as e c = as- ak = a( s - k) per la (1.2.35), e dunque aie.

1.2.3. Con a , b. c, d E No, se a ib e cid allora aci bd. Ne segue che se a ib e n E No


allora anibn, e quindi anche a ibn.

Dimostrazione. Esercizio. D

Un numero naturale positivo p è detto un numero primo se è p =/= l e gli unici di-
visori di p sono l e p. Un numero naturale non primo è detto composto. L'insieme
dei numeri naturali primi viene di solito denotato col simbolo lP'.
Notevoli proprietà relative ai primi, ben note al Lettore, e che saranno provate
nel Capitolo 5, sono le seguenti:

1.2.4. Se p è un primo e p divide il prodotto ab, con a , b E N, allora p divide a o


p divide b.

1.2.5. Teorema fondamentale dell'aritmetica (in N). Sia n ~ 2 un numero


naturale. Allora si ha n = P1P2 .. . Pt, con t ~ l e Pb P2 , ... , Pt primi. Inoltre
tale scrittura è unica a meno dell'ordine dei fattori.

Osservazione. Da 1.2.5 segue in particolare che ogni n E N, n ~ 2, è sempre


divisibile per un numero primo, e che ogni naturale ha un numero finito di divisori.

L'insieme Z dei numeri interi


Con il simbolo Z si denota l'insieme dei numeri interi:
z= {0, l , -l , 2, -2 , 3, -3 , . .. }.
Come ben noto in ~ sono definite una somma e un prodotto, che, rispettivamente,
estendono la somma e il prodotto in No e che godono delle proprietà analoghe alle
proprietà (1.2.1)- (1.2.3), (1.2.5)- (1.2.11), (1.2.13)- (1.2.16). Inoltre continua-
no a valere considerazioni e notazioni introdotte in No. Si noti però che in Z non
valgono le analoghe della (1.2.4) e della (1.2.12). Infatti risulta
a+b= O ~ b = -a,
14 Capitolo 1

con la usuale convenzione che -0 = O e -(-a) = a, per ogni a E N, e si ha


inoltre
ab = l ~ a = b = l o a = b = - l . (1.2.44)
In particolare si ha che

Va E Z, 3! b E Z : a+ b = O, con b = -a. (1.2.45)

Se a e b sono interi, è sempre possibile definire b - a ponendo:

b-a:= b + (-a),

e valgono le proprietà analoghe a (1.2.32) e (1.2.33).


+ t con t E N0 , si ha
Si osservi che, se a, b E No e a :::; b, cioè b = a
b+ (-a)= a +t+ (-a) = t+ (a+ (-a )) = t+O =t. Pertanto la definizione
di sottrazione in Z appena data generalizza quella data in No.

1.2.6. Con a,b E Z, risulta: a(-b) =-(ab)= (-a)b.

Dimostrazione. Si ha: O = aO = a(b + (-b)) =ab+ a( - b), sicché da (1.2.45)


segue a( -b) = -(ab). Da O = Ob = (a+ (-a)) b segue in maniera del tutto
analoga ( -a)b =-(ab). D

1.2.7. Con a , b, c E Z, risulta:

a(b- c)= ab- ac, (a- b) c = ac- be


(proprietà distributiva del prodotto rispetto alla sottrazione).

Dimostrazione. Si ha a(b - c) = a(b + (-c)) =ab + a( -c) =ab+ ( -(ac)) =


ab - ac. Analogamente si prova l'altra uguaglianza. D

Per ogni n E N e per ogni a E Z si definisce la potenza n-esima di a il prodotto

an:=a·a · . .. ·a .
~
n

Per convenzione si pone anche a 0 := l.


Ancora valgono le proprietà: anam = an+m, (an)m = a71711 e (ab)n = a71 b71 ,
per ogni a, b E Z e n , m E No .
Anche in Z è definito un "ordine usuale", denotato ancora con :::;, e che
estende l'ordine usuale di No . Precisamente, con a, bE Z:

a < b:~ 3 t E No : b = a + t.
In tal caso si scrive anche b ~ a.
Teoria degli insiemi 15

1.2.8. L'ordine usuale di Z soddisfa proprietà analoghe alle (1.2.23)- (1.2.25),


(1.2.27), (1.2.28) e (1.2.30).

Dimostrazione. Esercizio. D

Come in No, così in Z si pone:

a < b: {:::::::::} (a :S be a =f. b) ,

sicché
a < b {:::::::::} 3 k EN: b = a+ k.
In tal caso si scrive anche b > a. Si osservi che per ogni a E Z si ha:

a-l < a < a+l. (1.2.46)

Perciò in Z non esiste un elemento "minimo", non vale cioè l'analoga di (1.2.26).
Continua però a valere la proprietà analoga di 1.2.1. Ciò comporta in particolare
che l'ordine usuale di Z è un ordine totale (vedi Paragrafo 2.4).
Da notare che in Z non vale l'analoga di (1.2.29): per esempio si ha l :S 3,
-4 :S -3 e l( -4) i 3( -3); né l'analoga di (1.2.31), per esempio 2 :S 3 ma
3( -5) < 2( -5). Più precisamente si ha:
1.2.9. Con a, b, c E Z, risulta:

a :S b, O :S c ===? ac :S be,
a :S b, c < O ===? be :S ac,
a < b, O < c ===? ac < be,
a < b, c < O ===? be < ac.

Ne segue che:
O ~ a {:::::::::} -a :S O,
e quindi anche:
a :S O {:::::::::} O :S - a,
e che:

O :S a, O :S b ===? O :S ab,
O< a, O < b ===? O < ab,
O :S a, b :S O ===? ab :S O,
O< a, b < O ===? ab < O,
a :S O, b :S O ===? O :S ab,
a< O, b < O ===? O < ab.
16 Capitolo 1

Dimostrazione. Esercizio. D

Un numero intero a =/:. O viene detto positivo se a > O, negativo se a < O.


Di notevole interesse è la ben nota seguente definizione. Con a E Z, si pone:

se a 2: O
lal := { - a
- a se a < O

e la l vien detto il valore assoluto di a.


Banalmente, per ogni a E Z, tisulta lal > Oe lal l-al. È facile poi
verificare che, per ogni a , b E Z:

lab l lallbl , (1.2.47)


la+ bi < lal + lbl. (1.2.48)

Anche il concetto del "divide " si estende a Z, precisamente si pone:

alb: ~ 3k E Z : b = ak.

1.2.10. In Z valgono le analoghe delle proprietà (1.2.36) - (1.2.39) e le analoghe


delle (1.2.41)- (1.2.43). Inoltre, per ogni a , bE Z, si ha:

-11a e (-a) la, (1.2.49)


a lb ~ (-a) lb, (1.2.50)
a lb ~ al(-b). (1.2.51)

Non vale invece l'analoga di (1.2.40).

Dimostrazione. Esercizio. D

1.2.11. Con a, b E Z, risulta a lbe bja ~ b = a oppure b = -a.

Dimostrazione. Si supponga b = ak, a = bh, per opportuni k , h E Z. Si ottiene


a= O se e solo se b = O. Se poi a, b =/:.O, si ottiene b1 = b = bhk da cui hk = l e
poi h= k =l oppure h= k =-l per la (1.2.44), da cui b =a oppure b =-a.
Il viceversa segue subito dalla proprietà riflessiva, da (1.2.49) e da (1.2.50). D
Se m E Z e X ç Z si pone:
mX:={mx:xE X}.

PeresempiomZ = {mx : x E Z} = {z E Z : mdivide z}.


L'insieme 2No viene detto l'insieme dei numeri naturali pari e denotato an-
che con il simbolo Np. L'insieme dei numeri naturali che non sono pari è detto
Teoria degl i insiem i 17

insieme dei numeri naturali dispari ed è denotato con il simbolo Nd. Pertanto si
ha:
Np = { 2n : n E No}, Nd = {2n +l :n E No}.
Da 1.2.9 e dalla definizione di potenza di un numero intero segue subito che la
potenza n-esima di un numero intero negativo è positiva se n è pari, negativa se n
è dispari.

L'insieme Q dei numeri razionali


Come già precisato nel paragrafo precedente, il simbolo Q denota l'insieme dei
numeri razionali, cioè:

Q = { : : m , n E Z, n f= O} ,
con l'usuale convenzione di identificare ogni intero m con il numero razionale 7.
Nel Paragrafo 5.8 sarà illustrata una costruzione di tale insieme a partire da Z. Per
il momento ci si limita a evidenziare che:
m a
n
b se e solo se mb = na,

da cui segue facilmente:


m mr
- = - , perognir E Z,r f= O.
n nr

Nell'insieme Q sono definite un'operazione di somma e un'operazione di prodotto


con le seguenti posizioni:

-mn + -st := mt+ns


nt
. m s
, per o gru - -
n' t
E rn~
-..e,
ms ms . m s
- - := - , perogru - , - E Q.
n t nt n t
Con l'identificazione prima introdotta tali operazioni estendono quelle di Z.

Esercizi
Esercizio 1.2.1. Si verifichi che, con a, b, c, d E No, risulta:

da a :S b, b < c segue a< c,


da a< b, b :S c segue a< c.

Se ne deduca che a < b e b < c implicano a < c. Si provi poi che:

da a < b, c :S d segue a + c < b + d,


18 Capitolo 1

da a < b, c < d segue ac < bd,


e inoltre:

da a< b segue a+ k < b + k, per ogni k E No,


da a < b segue ak < bk, per ogni k E N.

Esercizio 1.2.2. Si provi 1.2.3.

Esercizio 1.2.3. Siano a, b, c, d E No con a :S b, c :S b, a :S d. Si provi che:

b - a = b - c ====? a = c,
b - a = d - a ====? b = d.

Esercizio 1.2.4. Si provi che in Z la cancellabilità rispetto alla somma può essere
derivata dalla (1 .2.45).

Esercizio 1.2.5. Siano a, b, c E Z. Si verifichi che:

b - a = b - c ====? a = c,
b - a = c - a ====? b = c.

Esercizio 1.2.6. Siano a, b, c, d E Z. Si verifichi che:

da a :S b, b < c segue a < c,


da a < b, b :S c segue a < c.
Se ne deduca che a < b e b < c implicano a < c. Inoltre si provi che:
da a < b, c :S d segue a + c < b + d,
e quindi che:

da a < b segue a+ k < b + k, per ogni k E Z.

Esercizio 1.2.7. Si provi 1.2.9.

Esercizio 1.2.8. Si provi 1.2.10.

Esercizio 1.2.9. Si provino (1.2.47) e (1.2.48).

Esercizio 1.2.10. Si provi che:

x, y E Np ====? x+ y E Np, xy E Np,


x, y ENd ====? x+y E Np, xy ENd,
x E Np, y E Nd ====? x+ y E Nd, xy E Np.
Teoria degli insiemi 19

Esercizio 1.2.11. Si provi che, con a, b, c, d E Z, da albe cl d segue aclbd. Se ne


deduca che se alb allora per ogni z E Z risulta az lbz, e quindi anche albz .
Esercizio 1.2.12. Si verifichi che, con s, t E No e h, k E Z, si ha:

sNo ç tNo
hZ ç kZ
e si deduca che:

sNo = tNo ~ t=s ,


hZ= kZ ~ h = k oppure h = -k.
Esercizio 1.2.13. Si provi che, per ogni ~, %, f, ~ E Q,
?::Il _ g, ~ _ f _____,_ mt+ns _ ad+bc e ms ac
n - b ' t - d -----r nt - bd nt - bd ·

Esercizio 1.2.14. Si provi che valgono le seguenti proprietà:

n + ~t = ~t + ?::Il
?::Il n'
per ogni ?::Il
n' t
~ E flll
....,,
(proprietà commutativa della somma);
( ?::Il+ ~) + :!!: = ?::Il+(~ + :!!:) per ogni m 8
u E flll
n t v n t v ' n ' t:> v ....,,
(proprietà associativa della somma);
?::Il ~ = ~ ?::Il per ogni ?::Il ~ E flll
n t t n' n' t ....,,
(proprietà commutativa del prodotto);
( ?::Il~):!!:
n t v
= ?:I!o(~Y:) per ogni ?::Il ~ :!!: E flll
n t v ' n ' t' v ....,,
(proprietà associativa del prodotto) ;
( ?::ll+~)Y:=?::Il:!!:+~:!!:
n t v n v
perogni ?::Il~
t v'
:!!:Eflll
n ' t' v ...., ,
(proprietà distributiva a destra del prodotto rispetto alla somma);
?::ll(~+:!!:)=?::ll~+?::ll:!!:
perogni ?::Il~ :!!:Eflll
n t v n t n v' n ' t' v ....,,
(proprietà distributiva a sinistra del prodotto rispetto alla somma).
Esercizio 1.2.15. Si provi che:
*= %= O, per ogni n, t E Z, n, t # O,
~=~=l, perognim,s E Z,m,s #O,
e che:
n + O = ?::Il
?::Il n ' per ogni ?::Il
n E '\l,
flll
?::Ili=
n
?::Il
n'
per ogni ?::Il
n
E Q.
Esercizio 1.2.16. Si provi che:
?::Il
n
+ -m
n
= O' per ogni ?::Il
n
E '\l'
flll
?::IlE:.=
n m
l ' per ogni ?::Il
n
E flll ?::Il
'\!' n
_j_
l
O.
20 Capitolo 1

1.3 Il principio d'induzione


Verrà ora illustrata una proprietà fondamentale dell'insieme dei numeri naturali,
che fornisce un metodo dimostrativo insostituibile.

L' insieme No è caratterizzato dalla proprietà che, partendo da O e considerando il


successivo n + l di ogni numero naturale n, si descrive tutto l'insieme. Vale cioè
la seguente proprietà: con X ç No,

(i) 0 E X }
(ii) sE X===? s +l E X ===?X= No.

Più in generale, se n è un fi ssato numero naturale e Y è un sottoinsieme di No cui


appartiene n e tale che a Y appartiene t+ l ogniqualvolta t ~ n appartiene a Y,
si ha che a Y appartiene ogni naturale n ~ n: con Y ç No,

(i) n E Y } -
(ii) t E Y , t ~ n ===? t + l EY ===? n E Y , \::In ~ n . (1.3.1)

Tale proprietà dei naturali, nota come "principio d'induzione", si applica in parti-
colare nella dimostrazione di enunciati relativi ai numeri naturali.

1.3.1. Prima forma del principio d'induzione. Sia n un numero naturale e sia
P una proprietà relativa ai numeri naturali n ~ n. La proprietà P è vera per ogni
naturale n ~ n se P è vera per n e P è vera per t + l ogniqualvolta è vera per t
(con t ~ n). Si ha cioè:

(j) P vera per n } ===?P vera _


.. - ern \::In> n.
(JJ) t ~ n, P vera per t ===? P vera per t +l P ' -

Dimostrazione. Posto:

Y = {n E No : n ~ ne P vera per n},

si ha che: n E Y per la (j) , e t E Y ===?t+ l E Y per la (jj). Pertanto (1.3.1)


assicura che n E Y per ogni n ~ n, e dunque P è vera per ogni n ~ n. O
La condizione (j) è detta la base dell'induzione, l'implicazione (jj) il passo
induttivo.
1.3.2. Esempio. Si consideri la seguente proprietà:
n( n+ l)
l + 2 + ··· + n = , per ogni n ~ l.
2
Per provare che tale uguaglianza è soddisfatta per ogni numero naturale n ~ l
è necessario utilizzare il principio d'induzione. Si può dapprima osservare che
Teoria degli insiemi 21

è soddisfatta la base dell'induzione in quanto, per n l, il primo membro


dell'uguaglianza si riduce all'addendo l, e il secondo è

sicché la proprietà è vera per n = l. Si supponga ora vera la proprietà per t, si


assuma quindi l'ipotesi induttiva che

t(t +l)
1+2+ .. ·+t= .
2

Si vuole provare che

(t + l) (t + l + l)
l + 2 + .. . + t + (t + l) = -'-----------'----'---------"--
2 .

Si ha
l+ 2 + ... +t+ (t+ l) = (l+ 2 + ... +t)+ (t+ 1) ,
sicché, utilizzando l'ipotesi d'induzione,

t( t+ l)
l+ 2 + ... +t+ (t+ l) = 2 +(t+ l)
t(t +l)+ 2(t +l)
2
(t+l)(t+2)
2

come volevasi. Per il principio d'induzione l'uguaglianza considerata è vera per


ogni n 2: l.
Si noti che affermare che sussiste l'uguaglianza l + 2 + · · · + n = n(n2+1),
per ogni n 2: l, equivale a sostenere la veridicità di infinite uguaglianze, una per
ogni numero naturale n; tale proprietà, senza il principio d'induzione, sarebbe
suscettibile solo di un numero finito di verifiche.

Si noti che la condizione (jj) può anche essere scritta nel seguente modo:
con h > n,
P vera per h- l ===>P vera per h.
Ciò dipende dall'ovvia uguaglianza:

{t E No : t 2: n} = {h- l : h E N, h> n}

e dall'essere (h- l)+ l = h.


22 Capitolo 1

1.3.3. Esempio. Si consideri la seguente proprietà:

2ln(n + 1) , per ogni n ;::::: O.

La si proverà utilizzando il ptincipio d'induzione. È soddisfatta la base dell'indu-


zione, in quanto per n = O si ha n(n + l) = 0(0 + l) = O e 210. Si supponga
ora h > O e la proprietà vera per h - l , si assuma quindi l'ipotesi induttiva che:
2l(h- l)((h- l)+ 1), cioè 2l(h- l)h. Si vuole provare che: 2lh(h + 1). Ov-
viamente 2l2h, pertanto per la (1.2.42) e per l'ipotesi induttiva si ha che 2 divide
(h- l)h + 2h = h2 +h= h( h+ 1), come volevasi. Per il principio d'induzione
la proprietà considerata è vera per ogni n ;::::: O.

1.3.4. Algoritmo della divisione in No. Considerato un numero naturale b =/= O,


per ogni n E No esistono (e sono univocamente determinati) naturali q ed r tali
che n = bq + r, con r < b.

Dimostrazione. Si ragiona per induzione su n . Per n = O, si ha O = b · O+ O, con


O < b. Si supponga ora n > O e, per ipotesi d'induzione, n- l = bq' + r', con
r' < b, sicché n = bq' + r' + l. Se si ha r 1 + l < b, basta allora pone q = q' e
r = r' + l. Altrimenti, da r' + l = b segue n = bq' + b = b( q' + l) + O, e si ha
l'asserto con q = q' + l e r = O. li fatto che tali interi q ed r sono univocamente
detenninati sarà provato nel Capitolo 5. D
Si noti che, nelle dimostrazioni per induzione, è essenziale provare in primo luogo
che vale la condizione (j) , verificare cioè la base dell'induzione.
1.3.5. Esempio. Si consideri la seguente proprietà P:

n( n+ l) .
l + 2+ ···+ n = + 3, per ogm n ;::::: l.
2
Tale uguaglianza è falsa per ogni n. Si verifica però facilmente che se si sup-
pone P vera per h, allora si ottiene P vera per h + l. Ma non sussiste la base
dell'induzione: infatti per n = l l'uguaglianza non è soddisfatta.
Per ben visualizzare la situazione, si può pensare a (infiniti) tasselli di un domino
dtti uno davanti l'altro in modo tale che la caduta di ciascuno provochi la caduta
del successivo. Questa condizione "rappresenta" la proprietà (jj). Facendo cade-
re il primo tassello, e solo allora (il che ha il significato della base d'induzione),
si provoca la caduta di tutti i tasselli.
1.3.6. Esempio. Per ogni n ;: : : l, si ha:

8 non divide 32n + 5.


Si proceda per induzione su n. Per n = l si ha 32-1 + 5 = 9 + 5 = 14 e 8 non
divide 14, sicché la base d'induzione è soddisfatta. Si supponga che 8 non divida
Teoria deg li insiemi 23

32t+5. Risulta3 2(H 1)+5 = 3 2H 2 +5 = 32t3 2 +5 = 32t9+5 = 3 2t(8+1)+5 =


32t. 8+3 2t ·l +5 = 3 2t · 8+ (3 2t +5). Se per assurdo 8 dividesse 32(H 1) + 5, allora
da 8l3 2t · 8 e da (1.2.43) seguirebbe 8l3 2t + 5, contro l'ipotesi d'induzione. Ciò
comporta che 8 non divide 32(t+ 1) + 5. Il principio d'induzione assicura l'asserto.
Questa proprietà dei numeri naturali permette anche di fornire le cosiddette "defi-
nizioni per riconenza" : volendo dare significato all'espressione E 11 , con n numero
naturale, è sufficiente precisare Eo, e poi definire En+l in funzione di E 11 •
1.3.7. Esempio. Se a è un numero intero e n è un numero naturale, la posizione

definisce la potenza n-ma di a (vedi Paragrafo 1.2).

Esercizi
Esercizio 1.3.1. Si dimostri, per induzione su n, che:

n 2 (n +l?
1 3 + 23 + · · · + n 3 =
4 ' per ogni n >
- l.
Svolgimento. È soddisfatta la base dell ' induzione in quanto, per n = l , si ha
12 1 1 2
13 = 1 e ( : ) = ~ = l. Si supponga ora la proprietà vera per t, si assuma
2 12
quindi l'ipotesi induttiva che: 13 + · · · + t 3 = t (tt ) • Si vuole dimostrare che
2
13 + ... + t 3 +(t+ 1) 3 = (t+ 1 ) (~+1+ 1 ) = (t+ 1) 1t+ 2) • Risulta ovviamente
2 2 2

2 2
·13 + ... + t3 +(t+ 1) 3 = t (tt 1) +(t+ 1) 3 per l'ipotesi induttiva, e inoltre
t2(t+1)
4
2
+ (t+ 1)3 -- t 2(t+1) 2+4(t+1) 3 -- (t+1)2 (t 2+4t+4) -- (t+1) 2 (t+2) 2 , pert an to
42 2 4 4
13 + ... + t 3 +(t+ 1) 3 = (t+ 1) 1t+ 2) , come volevasi. Per il principio d'induzione
la proprietà considerata è vera per ogni n 2:: l.
Esercizio 1.3.2. Si dimostri, per induzione su n, che:

3ln(n + l)(n + 2), per ogni n 2:: O.


Svolgimento. È soddisfatta la base dell ' induzione in quanto, per n = O, si ha
0(0+ l) (O+ 2) = Oe 310. Si supponga ora la proprietà vera per t , si assuma quindi
l'ipotesi induttiva che: 3lt(t + l)(t + 2). Si proverà che 3l(t + l)(t + 2)(t + 3).
Si ha:
(t+ l)(t + 2)(t + 3) = (t+ l)(t + 2)t +(t+ l)(t + 2)3
= t(t + l)(t + 2) + 3(t + l)(t + 2) ;

ovviamente 3 divide il secondo addendo e inoltre divide il primo addendo per


ipotesi induttiva, pertanto 3l(t + l)(t + 2)(t + 3) per (1.2.42), come volevasi. Per
il principio d'induzione la proprietà considerata è vera per ogni n 2:: O.
24 Capitolo 1

Esercizio 1.3.3. Si dimostri, per induzione su n, che:

15l42n - l, per ogni n 2: O.

Svolgimento. È soddisfatta la base dell'induzione in quanto, per n = O, si ha


4° - l = l - l = O e 1510. Si supponga ora h > O e la proprietà vera per
h - l, si assuma quindi l'ipotesi induttiva che 15l42 (h-l) - l. Si vuole provare
che 15l42 h- l. Risulta 4 2 h- l = 4 2 · 4 2 (h- l)- l = 4 2 · 4 2 (h-l)- 4 2 + 4 2 - l =
4 2 (4 2 (h- l)- l)+ (4 2 - 1), e si ha che 15l42 (4 2 (h-l)- l) per l'ipotesi induttiva
e ovviamente 15142 - l. Pertanto 15l42 h - l, come volevasi. Per il principio
d'induzione la proprietà considerata è vera per ogni n 2: O.
Esercizio 1.3.4. Per induzione su k, si provi che, se p è un numero naturale primo
e se p divide il prodotto a1 ... ab con a1, ... , ak E N, allora esiste i E {l, ... , k}
tale che p divide ai.
Se ne deduca l 'unicità della fattorizzazione in prodotto di primi di ogni nu-
mero naturale n 2: 2, come enunciato in 1.2.5.
Esercizio 1.3.5. Si dimostri, per induzione su n, che:

n(n+l)(2n+l)
l2 + 22 + · · · +n2 = 6 ) per ogni n >
- l.
Esercizio 1.3.6. Si dimostri, per induzione su n, che:
l l l l
-- + -- + · · · + = l - - - , per ogni n > l.
l· 2 2 · 3 n· (n+ l) n+ l -

Esercizio 1.3.7. Si dimostri per induzione che per ogni n 2: 1:

l+ 3 + 5 + · · · + (2n- l)= n 2 .

Esercizio 1.3.8. Si dimostri per induzione che per ogni n 2: 1:

2 + 4 + 6 + 8 + · · · + 2n =n( n+ l).

Esercizio 1.3.9. Si dimostri che:

l · 21 + 2 · 22 +···+n· 2n = (n- l) · 2n+l + 2, per ogni n 2: l.

Esercizio 1.3.10. Si dimostri che:

2 + 22 + · · · + 2n = 2(2n- 1), per ogni n 2: l.

Esercizio 1.3.11. Si dimostri per induzione su n che:

3(3n - l)
3 + 32 + 33 + · · · + 3n = , per ogni n 2: l.
2
Teoria degli insiemi 25

Esercizio 1.3.12. Si dimostri che:

-l 2 + 22 -3 2 + · · · + ( -l )n n 2 = ( -l )n n( n + l) , per ogm. n ;::: l.


2
Esercizio 1.3.13. Si dimostri per induzione che:

11112n- l, per ogni n ;::: O.

Esercizio 1.3.14. Si dimostri per induzione che:

7l2 3n - l, per ogni n;::: l.


Esercizio 1.3.15. Si dimostri per induzione che:

124l5 3n - l, per ogni n ;::: l.

Esercizio 1.3.16. Si dimostri che, per n ;::: l, le affermazioni:

l+ 3 + 5 + .... + (2n- l) = n 2 - 3

sono tutte false.

1.4 Operazioni tra insiemi


In questo paragrafo saranno illustrate alcune notevoli operazioni tra insiemi: si
introdurranno cioè nuovi insiemi a partire da insiemi dati. Se ne studieranno poi
le principali proprietà.

Siano S e T insiemi, si definisce unione di S e T, e si indica con il simbolo


S U T, l'insieme i cui elementi sono tutti e soli gli elementi appartenenti a So a
T:
SU T:= {x: x ES o x E T}.
Si ha cioè:
x E SU T : ~ x E S o x E T ,
e quindi:
x tt. SU T ~ x tt. Se x tt. T.
Se gli insiemi S e T sono rappresentati mediante diagrammi di Venn, l'unione
S U T è la parte ombreggiata nella figura seguente:

s T
26 Capitolo 1

Per esempio: se A = {l , a, b, -6 , * }, B = {b , 6, *,l , -7, !} e C = {a , -6},


risulta:

AUB {1 , a, b, -6, *, 6, -7, f},


AUC {1 , a, b, - 6, *}=A,
BUG {a , b, 6,*, l , -6, -7, !}.

Si noti che riesce sempre:


S ç SUT,
(1.4.1)
T ç SUT.

È immediato inoltre verificare che, qualunque siano gli insiemi S, T e V, risulta


sempre:

SUT=TUS (1.4.2)
(proprietà commutativa dell'unione),

(SU T) UV = Su (Tu V) (1.4.3)


(proprietà associativa dell'unione) ,

SU0=S=0US (1.4.4)
(0 elemento neutro per l'unione) ,

SUS=S (1.4.5)
(proprietà iterativa dell'unione).

Si noti che la (1.4.3) permette di denotare l'insieme (SU T) UV= SU (TU V)


col simbolo S U T U V; si ha S U T U V = {x : x E S o x E T o x E V}.
Più in generale, se 81 , 82, .. . , Sn (n 2 2), sono insiemi, riesce:

81 U 82 U · · · U Sn ={x: x E 81 o x E 82 ... o x E Sn}·

n primo membro dell'uguaglianza precedente è spesso denotato con il simbolo:


n

e si ha, con le notazioni già introdotte:

n
usi= {x: 3j E {1, ... ,n}: x E Sj}.
i=l
Teoria degli insiemi 27

Pertanto:
n
x~ usi ~ x~Sj,'ll'jE {1 , ... ,n}.
i=l

Se F è un insieme di insiemi, si dà poi significato all'unione degli elementi di F


ponendo:
U X: = {x ::JYEF: xE Y}.
XE::F

Si ha cioè

xE U X:~ :JYEF:xEY,
XE:F

x~ UX ~ x~ X, \IX E F.
XE:F
Si noti che se F = {S, T} , 1isulta

U X=SUT;
XE:F

più in generale, se F = {S1 , ... , Sn} , si ha

U X = S1U···USn= usi.
n

XE:F i= l

Si osservi inoltre che la proprietà commutativa dell'unione (1.4.2) evita ogni


ambiguità nella definizione appena data.
Ovviamente per ogni Y E F si ha:

Yç U X.
XE:F

Una notevole proprietà dell'unione è la seguente:

1.4.1. Con S e T insiemi, si ha:

TçS ~ SUT=S.

Dimostrazione. Si supponga T ç S. Per ogni x E SU T risulta allora x E So


x E T, da cui x E S per le ipotesi; pertanto SU T ç S. L'inclusione S ç SU T
è sempre vera, sicché SU T= S.
Viceversa, sia SU T= S, dalla (1.4.1) segue allora T ç SU T= S, sicché
T çS. D
28 Capitolo 1

1.4.2. Siano S, T, V e W insiemi. Allora:

S ç T, V ç W ===>- SU V ç TU W,
quindi:

sçT ===>- suvçTuv,


S ç T , V ç T ===>- S U V ç T.

Dimostrazione. Esercizio. D

1.4.3. Con S, T, V e W insiemi, si ha:

S c T, V c W -==/=? S U V c T U ~V,
ScT -==/=? SUVCTUV,
S c T, V c T -==/=? S U V c T .

Dimostrazione. Per provare che un'inclusione non vale, basta esibire un contro-
esempio, cioè descrivere un caso in cui valgono le ipotesi ma non la tesi. Per
esempio, con A = {1, 2}, B = {1, 2, 3}, C = {1, 3, 4}, D = {1 , 2, 3, 4}, si ha
A C B , C C D , ma A U C= {1 , 2, 3, 4} = B U D , pertanto non vale la prima
implicazione. ll Lettore individui controesempi per le altre due implicazioni. D

Siano Se T insiemi, si definisce intersezione di Se T, e si indica con il simbolo


S n T, l'insieme i cui elementi sono tutti e soli gli elementi appartenenti sia a S
che a T:
S n T:= {x: x ES e x E T}.
Si ha cioè:
x E S n T : ç::::::} x E S e x E T ,
e quindi:
x tj_ S n T ç::::::} x tj_ S o x tj_ T.
Se gli insiemi Se T sono rappresentati mediante diagrammi di Venn, l'intersezio-
ne S n T è la parte ombreggiata nella figura seguente:

s T
Teoria degli insiemi 29

Peresempio: seA = {l,a,b,-6 ,*},B = {b,6,*, 1,-7, f}eC = {a,-6},


risulta:
AnB = {l , b,*},
A n C = {a , -6} = C,
BnC=0.
· Insiemi 8 e T tali che 8 n T = 0 sono detti disgiunti; per esempio sono disgiunti
gli insiemi Be C dell'esempio precedente.
Si noti che riesce sempre:

8nT ç 8,
(1.4.6)
8nTçT.

Valgono inoltre proprietà analoghe a quelle enunciate per l'unione. Qualunque


siano gli insiemi 8, T e V, si ha infatti:

8nT=Tn8
(proprietà commutativa del! 'intersezione), (1.4.7)

(8 n T) n v = 8 n (T n V)
(proprietà associativa del! 'intersezione), (1.4.8)

8n8=8
(proprietà iterativa dell'intersezione). (1.4.9)

La proprietà associativa permette di denotare l'insieme (8nT)nV = 8n (T n V)


più brevemente col simbolo 8 n T n V; si ha

8 n T n V= {x: x E 8 e x E T e x E V}.

Più in generale, se 81 , 82, ... , 8n (n 2: 2), sono insiemi, riesce:

81 n 82 n··· n 8n ={x: x E 81 e x E 82 ... e x E 8n}·

Il primo membro dell'uguaglianza precedente è spesso denotato con il simbolo:


n

e si ha, con le notazioni già introdotte:

n8i
n

i=1
=={x: x E 8j,Vj E {l, ... , n}}.
30 Capitolo 1

Pertanto:

x~ nn

i= l
Si ~ 3j E {1 , ... ,n}: x~ Sj.

Se F è un insieme di insiemi, si dà poi significato all'intersezione degli elementi


di F ponendo:
n X:= {x:
XE:F
x E X, VX E F}.

Si ha cioè
xE n
XE:F
X:~ xEX,VXEF,

x ~ n
XE:F
X ~ 3Y E F : x ~ Y.

Si noti che se F = { S, T} , risulta

n
XE:F
X=SnT;

più in generale, se F = {S1 , ... , Sn}, si ha


n

XE:F i= l

La proprietà commutativa dell'intersezione (1.4.7) evita ancora ogni ambiguità


nella definizione prima data.
Ovviamente per ogni Y E F si ha:

n
XE:F
xçY.

"Duale" della 1.4.1 è la seguente:

1.4.4. Con S e T insiemi, si ha:

TçS ~ SnT=T.

Dimostrazione. Si supponga T ç S. Per ogni x E T risulta allora x E S per


le ipotesi ; pertanto T ç S n T. L'inclusione S n T ç T è sempre vera, sicché
S n T = T. Viceversa, sia S n T = T, dalla (1.4.6) segue allora T = S n T ç S,
sicché T ç S. D
Teoria degli insiemi 31

1.4.5. Con S, T, V e W insiemi, si ha:

S ç T, V ç W ===} S nV ç T n W,
quindi:

SçT ===} SnVçTnV,


S ç T, S ç W ===} S ç T n W.

Dimostrazione. Esercizio. D

Proprietà che legano l'unione e l'intersezione sono le seguenti:

1.4.6. Con S, T e V insiemi si ha:

SU (T n V)= (SU T) n (SU V)


(S n T) uV= (SU V) n (Tu V) (1.4.10)
(proprietà distributiva dell'unione rispetto ali' intersezione);

Sn (TU V)= (SnT) U (SnV)


(S U T) n V = (S n V) U (T n V) (1.4.11)
(proprietà distributiva dell'intersezione rispetto all'unione).

Dimostrazione. Si proverà la prima uguaglianza delle (1.4.10) verificando che

x ESU(TnV) ~ x E(SUT)n(SUV).

Si ha infatti:

x E S U (T n V) ~ x E S o (x E T n V)
~ x E So (x E T e x E V)
~ (x E S o x E T) e (x E S o x E V)
~ (x E SU T) e (x E SU V)
~ x E (SU T) n (SU V) .

La seconda uguaglianza delle (1.4.1 O) discende da quanto appena provato e dalla


proprietà commutativa dell'unione (1.4.2), infatti: (S n T) UV= V U (S n T) =
(V U S) n (V U T)= (SU V) n (T u V).
Per dimostrare la prima uguaglianza delle (1.4.11) si proverà che

x ESn(TUV) ~ xE (SnT)U(SnV).
32 Capitolo 1

Si ha infatti:

x E S n (TU V) {::::==} x E Se (x E TU V)
{::::==} x E Se (x E T o x E V)
{::::==} (x E S e x E T) o (x E S e x E V)
{::::==} xESnT o xESnV
{::::==} x E (S n T) U (S n V).

La seconda uguaglianza delle (1.4.11) discende dalla proprietà commutativa del-


l'intersezione (1.4.7), ragionando come in precedenza. D

1.4.7. Siano Se T insiemi. Allora:

SU (S n T) = S = S n (SU T) (leggi di assorbimento).

Dimostrazione. Esercizio. D

1.4.8. Sia :F un insieme di insiemi e sia T un insieme. Si ha:

X ç T , per ogni X E :F ===? UX ç T,


XEF

T ç X, per ogni X E :F==? T ç n


XEF
X.

Dimostrazione. Esercizio. D

1.4.9. Siano S un insieme e :F un insieme di insiemi. Si ha:

Su ( n x) = n
XEF XEF
(Su X)

(proprietà distributiva dell'unione rispetto all'intersezione)

sn ( U x)
XEF
= U (S n X)
XEF
(proprietà distributiva dell'intersezione rispetto all'unione).
Teoria degli insiemi 33

Dimostrazione. Esercizio. D

Con Se T insiemi, si definisce complemento di T rispetto a S (o differenza tra


S e T), e si indica con il simbolo S \ T , l'insieme costituito da tutti e soli gli
elementi di S che non appartengono a T:

S \T:= {x : x ES e x rt T} .
Si ha cioè:
x E S \ T : ~ x E Se x rt T.
Pertanto:
x rt S \ T ~ x rt S o x E T.
Utilizzando i diagrammi di Venn si ha la seguente rappresentazione di S \T:

s T

Per esempio, con A= {l , a, b, -6, *}, B = {b , 6, *• l , -7, f} e C= {a , -6},


si ha:

A\ B = {a,-6} , B \ A = {6, -7, f} ,


A\ C= {l , b,*}, C\A = 0 ,
B\ C= B, C\B =C,
(A\ B)\ C= 0, A\ (B \C)= A\ B.
Come evidenziato negli esempi precedenti, per il complemento non vale la pro-
prietà commutativa né la proprietà associativa. È poi facile verificare che qualun-
que siano gli insiemi S e T riesce:

S\T c s, (1.4.12)
S\0 S, (1.4.13)
0 \S 0, (1.4.14)
S \S 0, (1.4.15)
S n (T\ S) 0. (1.4.16)

Si noti che, con S i= 0, la (1.4.13) e la (1.4.14) evidenziano ancora la non


commutatività del complemento.

1.4.10. Con Se T insiemi, risulta: S \T= S \ (S n T).


34 Capitolo 1

Dimostrazione. Infatti se x E S \T, allora x E S e x ~ T, sicché x E S e


x~ SnT;pertantox E S\(SnT). Viceversa,sex E S\(SnT),sihax E Se
x ~ S n T, da cui x E Se (x ~ So x ~ T), sicché x E Se x ~ T, il che implica
x ES\ T. O

1.4.11. Con S e T insiemi, si ha:

S \T = S ~ S n T= 0 ,
S\T=0 ~ SçT.

Dimostrazione. Sia S \T= Se si supponga per assurdo che S n T i= 0. Esiste


allora x tale che x E Se x E T, pertanto x E Se x ~ S \T, in contrasto con le
ipotesi.
Viceversa si supponga S n T = 0. Si ha S \ T ç S per la (1.4.12), se poi
x E S, allora x ~ S n T, cioè x ~ T, pertanto x E S \ T e S ç S \ T. Ne
segue S = S \T, per la (1.1.4), come volevasi. Si noti che, più rapidamente, se
S n T= 0, risulta S \T= S per 1.4.10 e la (1.4.13).
Sia ora S \T = 0. Se x E S, allora x E Se x ~ S \T, sicché x E Se
(x ~ So x E T), da cui x E T, come volevasi.
Viceversa, supposto S ç T, si ha S \T = 0, altrimenti esisterebbe x tale
che x E Se x ~ T e dunque S ~T, contro le ipotesi. Alla stessa conclusione si
giunge applicando 1.4.4, 1.4.10 e (1.4.15): da S ç T segue S n T = S, quindi
S \T = S \ (S n T) = S \ S = 0. O

Rispetto alle operazioni di unione e di intersezione valgono le seguenti proprietà:

1.4.12. Con S, T e V insiemi, si ha:

(Su T)\ V= (S\ V) u (T\ V) (1.4.17)


(proprietà distributiva a destra del complemento rispetto all'unione),

(SnT) \V= (S\ V) n (T\ V) (1.4.18)


(proprietà distributiva a destra del complemento rispetto all 'intersezione ).

Dimostrazione. Per provare la ( 1.4.17) si ragioni nel modo seguente:

x E (SU T) \ V ~ x E SU T e x ~ V
~ (x E So x E T) e x ~ V
~ (x E Se x ~ V) o (x E T e x ~ V)
~ xES\VoxET\V
~ x E (S \V) U (T\ V).
Teoria degli insiemi 35

La (1.4.18) si prova in maniera analoga. D

1.4.13. Formule di De Morgan. Con S, T e V insiemi, si ha:

S \ (Tu V) (S \T) n (S \V)


S \ (T n V) = (S \ T) u (S \V).

Dimostrazione. Si ha:
x E S \ (TU V) ~ x E Se x ~ TU V
~ x E Se (x ~ T e x ~ V)
~ (x E S e x ~ T) e (x E S e x ~ V)
~ xES\ Te xES\V
~ x E ( S \ T) n (S \ V).
·. Pertanto S \(Tu V) = (S \T) n (S \V). Si ha poi:
x E S \ (T n V) ~ x E S ex ~ T nV
~ x E Se (x ~ T o x ~ V)
~ (x E S e x ~ T) o (x E S e x ~ V)
~ xES\ To xES\V
~ x E (S \T) u (S \V).
Pertanto S \(T n V) = (S \T) U (S \V) . D
Con Se T insiemi si definisce unione disgiunta o differenza simmetrica di Se T ,
e si denota con il simbolo S ù T (o S 6 T), l'insieme costituito dagli elementi
che appartengono all'unione di Se T ma non alla loro intersezione:
SU T := ( S U T) \ (S n T).
Si noti subito che:
Sl.JT = (S \T) U (T\ S). (1.4.19)
Infatti:
xESUT ~ x E ( S U T) \ (S n T)
~ x E SUTex ~ SnT
~ (x E So x E T) e (x ~ So x ~ T)
~ (x E S e x ~ T) o (x E T e x ~ S)
~ xES\T o xET\S
~ x E ( S \ T) U (T \ S).
Pertanto SU T è l'insieme degli elementi che appartengono a uno solo degli
insiemi S e T. Graficamente:
36 Capitolo 1

s T

Per esempio, se A = {l , a, b, -6, *}, B = {b , L,, *• l , -7,!} e C = {a , -6},


risulta: AUB = {a ,-6,L, ,-7, f} = BUA, AUC = {l,b,*}, BUG=
{b , L,,*, l, -7, a, -6, f}. Si osservi che:
x rt SU T ~ rt So x E T) e (x rt T o x ES)
(x (1.4.20)

Infatti x rt (S \T) U (T\ S) ~ x rt S \T e x rt T\ S. Si noti anche che:

SUT=SUT ~ SnT=0
Valgono le seguenti proprietà:

1.4.14. Con S> T, V insiemi si ha:

SUT=TUS (1.4.21 )
(proprietà commutativa dell'unione disgiunta);

(SuT)uV = Su(TL!V) (1.4.22)


(proprietà associativa dell'unione disgiunta);

SU0=S (1.4.23)
(0 elemento neutro rispetto all'unione disgiunta);

sus = 0. (1.4.24)

Dimostrazione. La (1.4.21) segue subito dalle analoghe proprietà dell'unione e


dell'intersezione. Per provare la (1.4.22) si osservi che ciascuno degli insiemi in
questione è costituito dagli elementi che appartengono o a tutti e tre gli insiemi o
a uno e uno solo dei tre. Infatti per esempio si ha, per la (1.4.19) e la (1.4.20):

x E (SUT) uV ~ x E ((SUT) \V) u (V\ (SUT))


~ (x ES U T e x rt V) o (x E V e x rt SU T)
~ ( ( (x E S e x rt T) o (x E T e x rt S)) e x rt V) o
(x E V e ((x rt So x E T) e (x rt T o x ES)))
~ (x E Se x rt T e x rt V) o (x E T e x rt Se x rt V) o
(x E V e x rt S e x rt T) o (x E V e x E T e x E S).
Teoria degli insiemi 37

Le altre uguaglianze seguono subito dalla definizione e da proprietà studiate in


precedenza. O

1.4.15. Con S, T, V insiemi si ha:

Sn(TUV) = (SnT)u(SnV)
(SuT)nV= (SnV)u(TnV)
(distributività dell'intersezione rispetto all'unione disgiunta).

Dimostrazione. Per la proprietà distributiva dell'intersezione rispetto all'unione


(vedi (1.4.11)) e al complemento (vedi Esercizio 1.4.15) si ha:

S n (TUV) S n ((T\ V) U (V\ T))


(Sn(T\ V))u(Sn(V\T))
((S n T)\ (S n V)) U ((S n V)\ (S n T))
(SnT)U(SnV).

L'altra uguaglianza segue dalla commutatività dell'intersezione. o


Esercizi
Esercizio 1.4.1. Si provi 1.4. 2.

Esercizio 1.4.2. Con S, T e V insiemi, si stabilisca se è sempre vero che

S UV ç T UV ===? S ç T.

Esercizio 1.4.3. Si provi 1.4.5.

Esercizio 1.4.4. Con S, T e V insiemi, si stabilisca se è sempre vero che

s nv ç T nv ===? s ç T.
Esercizio 1.4.5. Con S, T, V e W insiemi, si ha:

s c T ,v c w =/::=} s n v c T n w,
ScT =/::=} SnVcTnV,
S c T , S c W =/::=} S c T n W.

Esercizio 1.4.6. Si provi 1.4. 7.

Esercizio 1.4.7. Si provi 1.4. 8.

Esercizio 1.4.8. Si provi 1.4.9.


38 Capitolo 1

Esercizio 1.4.9. Considerati gli insiemi

G = {a , b,c,2,m,n} , H= {b ,d,3,m, O} , K = {d, 3, 0} ,

si determinino i seguenti insiemi e il loro ordine:

GUH, GUK, HUK, GnH, GnK, HnK,


G\H, H\G , G\K, K\G, H\K, K\H.

Esercizio 1.4.10. Si provi che, con S, T, V e W insiemi, si ha:

S ç V, T ç W ==> S \ W ç V\ T ,
o equivalentemente

sçv, Tçw ==> W\S2T\V,


e se ne deduca che

S ç V ==> S \ T ç V \T,
Sç;V ==> T\S;;:?T\V.

Esercizio 1.4.11. Si provi che, con S, T, V e W insiemi, si ha:

S c V, T c W =/:=;- S \ W c V \ T ,
ScV,TcW =/:=;- W\S::JT\V,

da cui

S c V =/:=;- S \ T c V \ T,
ScV =/:=;- T\S::JT\V.

Esercizio 1.4.12. Si provi con un esempio che, con S, T e V insiemi, le ugua-


glianze:

S \(TU V) (S \T) u (S \V),


S \(T n V) (S \T) n (S \V)
non sono sempre soddisfatte.
Suggerimento. Si considerino gli insiemi: {a, b, c}, {a , b} e {a , c}.
Esercizio 1.4.13. Si provi che, con Se T insiemi, si ha:

S \ (S \T) = S n T ,

e, utilizzando (1.4.15) e (1.4.14 ), si ritrovi che non vale la proprietà associativa


del complemento.
Teoria degli insiemi 39

Più in generale si ha:


Esercizio 1.4.14. Si provi che, con S, T e V insiemi, si ha:
S \(T\ V) (S \T) u (S n V),
(S\T)\V = S\(TUV).
Svolgimento. Si ha:
x E S \ (T \ V) ~ x ESex ~T \V
~ x E Se (x ~ T o x E V)
~ (x E Se x ~ T) o (x E Se x E V)
~ xES\ToxESnV
~ x E (S \T) U (S n V).
Inoltre:
x E (S \T) \V ~ x E S \T e x ~ V
~ (x E Se x ~ T) e x ~ V
~ (x E S) e (x ~ T e x ~ V)
~ xESex~ TUV
~ xES\(TUV).
Esercizio 1.4.15. Con S, T e V insiemi, si provi che:
S n (T\ V) = (S n T) \ (S n V)
(S \T) n V = (S n V) \ (T n V)
(proprietà distributiva dell 'intersezione rispetto al complemento) .
Esercizio 1.4.16. Si descrivano i seguenti insiemi:
NU{3,-4,a}, N n {3, - 4, a}, N\ {3, -4, a},
ZU {3 ,-4, a} , zn {3, -4, a}, Z \ {3, -4, a},
{3, -4, a}\ N, {3, -4, a}\ No, {3, -4, a}\ Z,
NÙ {3,-4,a}, No ù {3, -4, a}, ZÙ {3, -4, a} .
Esercizio 1.4.17. Si descrivano i seguenti insiemi: 6N U 9Z, 6N n 9Z, 6N \ 9Z,
9Z \ 6N, 9ZÙ 6N, 9ZÙ6N 0 .
Esercizio 1.4.18. Con M, N e L insiemi, si rappresentino mediante i diagrammi
di Venn gli insiemi:
L\ (L\ M), LÙM, L\(M\L),
(MùN) \(L n N), (L n N)\ (N\ M), (L \ M) U (M \ N),
(MùN)\L, (L n N) u (M \ L) , (L\M)nN,
L\ (MùN) , (LUN)n(M\L) , (L \M) UN.
40 Capitolo 1

Esercizio 1.4.19. Con S e T insiemi, si precisi se le seguenti affermazioni sono


vere:

x ~ S uT <====> x ~ S ox ~ T; x ~ S nT <====> x ~ S ox ~ T;
x ~ S UT <====> x ~ S ex ~ T; x ~ S nT <====> x ~ S ex ~ T;
x ~ S\T <====> x ~ S ox E T; x ~S\ T <====> x ~ S ex ~ T;
x ~ S\T <====> x ~ S ex E T; x ~ S\T <====> x ~ S ox ~ T.

Esercizio 1.4.20. Si provi con un esempio che l'uguaglianza AUB = AU(B\ C),
con A, B, C insiemi, non è sempre soddisfatta.
Esercizio 1.4.21. Si provi con un esempio che l'uguaglianza A nE = An(B\ C),
con A, B , C insiemi, non è sempre soddisfatta.
Esercizio 1.4.22. Si provi con un esempio che l 'uguaglianza S \T = S \(T n V),
con S, T, V insiemi, non è sempre soddisfatta.
Esercizio 1.4.23. Si dimostri che, con S, T, V insiemi, si ha:

S \ (T\ V) = S <====> SnT ç V,


S\T=S\V <====> SnT=SnV.

Esercizio 1.4.24. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:

-3E2\N, 3E~\N, -3E22\N, 3 E 22 \ N, 0 E 2 \ N,


5 E 22 UN, -5 E 22 UN, O E 22 UN, -4 E 22 UN, 4 E 22 UN,
0 E 22nN, -4 E 22nN, 4 E 22nN, -5 E 22nN, 5 E 22nN.

Esercizio 1.4.25. Con V insieme, si precisino i seguenti insiemi:

VU(0\V) , Vn(0\V), VU(V\V),


Vn(V\V), V\(0UV) , V\(0nV) ,
Vn(V\0), V\ (V\ 0), V\(0\V) ,
VU(Vn0) , V\ (V\ V), VU(V\0).

Esercizio 1.4.26. Posto

A= {a , 4, c,~. VS}, B = {b , 7, i, n, c= {a , b, c,~. 7, v'I5} ,


si determinino gli insiemi A U (B \C) e (A U B)\ (A U C) e se ne deduca che,
con S, T, V insiemi, l'uguaglianza SU (T\ V)= (SU T)\ (SU V) non sempre
sussiste. Si verifichi poi che vale comunque: SU (T\ V) ;;::2 (SU T)\ (SU V).
Esercizio 1.4.27. Si provi che, con S, T, V insiemi, si ha:

(S \T) n V = (S n V) \T.
Teoria degli insiemi 41

Esercizio 1.4.28. Si provi che, con S , T, V insiemi, si ha:

(Su T)\ (T n V)= (S \T) U (T\ V).


Esercizio 1.4.29. Con L , M , N insiemi, si confrontino gli insiemi L U (M\ N) e
(L U M) \N. Si dimostri poi che L U (M\ N) = (L U M) \ (N\ L).
Esercizio 1.4.30. Si provi che:

Esercizio 1.4.31. Si dimostri che, con L, M e N insiemi, si ha:

L \ (M n N) =L\ (L n M n N).
Esercizio 1.4.32. Si dimostri che, con L, M e N insiemi, si ha:

L \ (N\ (L n M)) = L ~ L nN ç M.
Esercizio 1.4.33. Si dimostri che, con L , Jl/[ e N insiemi, si ha:

(L\ M) U (L n N) =L ~ (L n M)\ N= 0.
Esercizio 1.4.34. Si provi che, con Se T insiemi, si ha S = (S \T) U (S n T), e
(S \T) n (S n T) = 0.
Esercizio 1.4.35. Si provi che, con S e T insiemi, si ha:

SU T= (S \T) U (T \ S) U (S n T) ,
dove gli insiemi S \ T, T\ S e S n T sono a due a due disgiunti.
Esercizio 1.4.36. Si ritrovi l'uguaglianza SU T= (S \ T) U (T\ S) utilizzando
le formule di De Morgan.
Esercizio 1.4.37. Si provi con un esempio che non sempre vale l'uguaglianza

SU (TUV) = (SUT)U(SUV).
Si provi però che riesce sempre SU (TU V) ;2 (SU T) U (SU V) .
Esercizio 1.4.38. Siano S un insieme e F un insieme di insiemi. Si provi che:

(U
XE:F
x)\ S= U (X \ S)
XE:F
(proprietà distributiva a destra del complemento rispetto all'unione) ,

(nx)\ n
XE:F
S=
XE:F
(X \ S)

(proprietà distributiva a destra del complemento rispetto all 'intersezione).


42 Capitolo 1

Esercizio 1.4.39 (Formule di De Morgan). Siano S un insieme e F un insieme di


insiemi. Si provi che:

n
XEF
(S\X)

U (S\X).
XEF

1.5 Prodotto cartesiano


Si presenterà ora un'ulteriore operazione tra insiemi: il prodotto cartesiano.
n simbolo (x, y) sta a denotare la coppia (ordinata) di prima coordinata x e
seconda coordinata y, con la convenzione che:

(x, y) = (x', y') ~ x = x' e y = y'. (1.5.1)

Con Se T insiemi, il prodotto cartesiano S X T di Se T è l'insieme costituito


da tutte le coppie di prima coordinata un elemento di S e seconda coordinata un
elemento di T:
S x T:= {(x,y): x E S , y E T}.
Pertanto:
(x, y) ES x T:~ x ES e y E T,

(x , y)tj:.S x T ~ xtf:. Soytj:.T.


Per esempio, se A= {a, b, c} e B = {1, 2}, si ha:

A x B {(a , 1), (a , 2), (b , 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} ,
B x A {(1,a) , (1,b),(1,c),(2,a),(2,b) , (2,c)},
A x A {(a , a) , (a, b) , (a , c), (b ,a) , (b ,b), (b ,c), (c, a) , (c, b) , (c, c)},
B x B {(1, 1), (1, 2) , (2, 1) , (2, 2)},
con
lA x BI = 6 = IB x Al, lA x Al = 9, IB x BI = 4.
Per ogni insieme S si ha:

0 x s= 0 = s x 0. (1.5.2)

n sottoinsieme di S x S costituito da tutte e sole le coppie di coordinate uguali è


denotato con t!J..s e chiamato la diagonale di S. Per esempio, se A e B sono gli
insiemi prima definiti, si ha:

~A= {(a,a),(b,b) ,(c,c)},


Teoria degli insiemi 43

f::::.B = {(1 , 1) , (2 , 2)}.


Ovviamente, se S e T sono insiemi finiti, si ha:

IS x TI = ISI · ITI = IT x SI , l!:::.s l = ISI.


n termine "prodotto cartesiano" prende otigine dall'usuale rappresentazione co-
me coppie di numeri reali dei punti di un piano in cui è assegnato un riferimento
cartesiano. Se tale riferimento è monometrico ortogonale, i punti del piano rappre-
sentati da coppie con coordinate uguali sono esattamente i punti della cosiddetta
"diagonale principale", cioè della bisettrice del primo e del terzo quadrante:

Ciò giustifica il termine utilizzato per b.s .

Osservazione. È possibile definire la coppia (x, y) nel seguente modo:

(x, y) := {x, {x, y}}.


Tale posizione assicura, come è facile verificare, che è soddisfatta la proprietà
(1.5 .1), che non deve, quindi, essere imposta. Queste considerazioni comunque
esulano dagli scopi prefissi.
Con S , T , V, W insiemi, si ha:

S ç V, T ç W ===? S x T ç V x W. (1.5.3)

Supposto S, T i= 0, si ha anche:
S x TçV x W ===? SçV,T ç W. (1.5.4)

Quindi:

1.5.1. Se S, T, V e W sono insiemi non vuoti, si ha:

S x T=V x ltV {:=::} S=VeT=W.

Dimostrazione. Per provare la (1.5.3) basta osservare che, se (x, y) E S x T ,


allora x E Se y E T , sicché, per le ipotesi, x E V e y E W, da cui segue, per
definizione, (x, y) E V x W.
Supposto ora S x T ç V x W con S, T i= 0, si ha che esistono x E S e
f) E T. Pertanto per ogni x E S si ha (x, y) E S x T e dunque (x, y) E V x W ,
da cui x E V. Analogamente T ç W. Ciò prova la (1.5.4). D
44 Capitolo 1

Ne segue che:

1.5.2. Se S e T sono insiemi si ha:

S x T =T x S {::=:} S = 0 o T = 0 o S = T.

Dimostrazione. Esercizio D
Si noti che un sottoinsieme di un prodotto cartesiano può non essere un prodotto
cartesiano; si ha cioè, con S e T insiemi:
U ç S x T =/=? (3X ç S, Y ç T : U = X x Y).
Come esempio si possono considerare gli insiemi:
S = {a , b, c}, T = {1 , 2} , U ={(a, 1) , (b , 2)}.
È facile verificare che:

1.5.3. Con S, T e V insiemi, si ha:


(SU V) x T= (S x T) u (V x T)
(proprietà distributiva a destra del prodotto rispetto all 'unione),
(S n V) x T = ( S x T) n (V x T)
(proprietà distributiva a destra del prodotto rispetto all'intersezione),
(S \ V) x T = (S x T) \ (V x T)
(proprietà distributiva a destra del prodotto rispetto al complemento).

Dimostrazione. Per la plima uguaglianza, si osservi che:


(x, y) E (SU V) x T {::=:} x E S UV e y E T
{::=:} (x E S o x E V) e y E T
{::=:} (x E Se y E T) o (x E V e y E T)
{::=:} (x, y) E S x T o (x, y) E V x T
{::=:} (x, y) E (S x T) U (V x T).
La seconda uguaglianza si prova analogamente. Infine si ha:
(x, y) E (S \V) x T {::=:} x ES \ V e y E T
{::=:} (x E Se x tj_ V) e y E T
{::=:} (x E S e y E T) e (x tj_ V e y E T)
{::=:} (x, y) E S x T e (x, y) tj. V x T
{::=:} (x, y) E (S x T) \ (V x T).
Si noti che la penultima equivalenza discende dalla seguente ovvia osservazione:
sey E Tallora( x, y) f:j. V x T {::=:} x tj.V. D
Teoria degli insiemi 45

In maniera analoga si prova che:

1.5.4. Con S, T e V insiemi, si ha:


S x (TU V) = (S x T) U (S x V)
(proprietà distributiva a sinistra del prodotto rispetto al/ 'unione),
S x (T n V) = (S x T) n (S x V)
(proprietà distributiva a sinistra del prodotto rispetto all'intersezione) ,
S x (T\ V) = (S x T)\ (S x V)
(proprietà distributiva a sinistra del prodotto rispetto al complemento).

Con S1, S2 , ... , Sn (n ~ 2) insiemi, si parla anche del prodotto cartesiano

intendendo l'insieme di tutte e sole le cosiddette n-uple

con Xl E S1, x2 E S2, ... , Xn E Sn , dove per le n-uple si fanno considerazioni


analoghe a quelle fatte per le coppie. Pertanto:

Inoltre:

(xl , X2, .. . 'Xn) E sl x s2 x ... x Sn {=:::::? Xl E sl , X2 E s2 , . . . 'Xn E Sn ,


(xl,X2, .. . ,xn ) tJ_ sl x s2 x ... x Sn {=:::::?::li E {1 , 2, ... , n}: Xi tJ_ Si.

Se S1 = S2 = · · · = Sn = S, il prodotto cartesiano S1 x S2 x · · · x Sn viene


detto "prodotto cartesiano di n copie di S" e denotato col simbolo sn.
Quindi si
ha: ·

n volte

Esercizi
Esercizio 1.5.1. Si verifichi che nella (1.5.4) è essenziale l 'ipotesi S , T i= 0.
Esercizio 1.5.2. Si provi 1.5.2.

Esercizio 1.5.3. Considerati gli insiemi V = {9, oo }, W = {m,<), 9, a}, si


determinino i seguenti insiemi: V x vV, V x V, W x V, lV x W , 6v, 6w .
46 Capitolo 1

Esercizio 1.5.4. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:

(-1,3) E Z x N; (-1,3) E N x Z; (-1 , 3) E Z x Z;


(-1,3) E N x N;
(1, O) E Z x N0 ; (1, O) E N x Z; (1, O) E N x N;
(1 , O) E N x No;
(0, O) E Z x Z; (0, O) E No x Z; (0, O) E N x Z;
(0, O) E No x No;
(4, -5) E 2Z x Z; (4,-5)E2ZxN ; (4, -5) E N x 2Z; (4, -5) E 2N x Z.

Esercizio 1.5.5. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:

(No , 0) E P(No) x P(Z) ; (0, No) EP(No) x P(Z) ;


(0, Z) E P(No) x P(Z); (N, No) E P(No) x P(Z) ;
(N, N) E P(No) x P(Z); (2, 7) E P(No) x P(Z);
( {0} , {0}) E P(No) x P(Z); (1 , -5) E P(No) x P(Z).

Esercizio 1.5.6. Si provi che, con S, T, V e W insiemi, si ha:

(i) (SU V) x (TU W) = (S x T) U (S x W) u (V x T) U (V x W),


(ii) (S n V) x (T n W) = (S x T) n (V x W),
(iii) (S \V) x (T\ W) = (S x T)\ ((S x W) U (V x T)),
(iv) (S x T)\ (V x W) = ((S \V) x T) u (S x (T\ W)).

Svolgimento. Si ha:

(x,y) E (SUV) x (TUW) <====? x E SUV e y E TUW


<====? (x E S o x E V) e (y E T o y E W)
<====? (x E Se y E T) o (x E Se y E W) o
(xEVeyET) o (xEVeyEW)
<====? (x, y) ES x T o (x, y) ES x W o
(x, y) E V x T o (x, y) E V x W
· <====? (x, y) E (S x T) U (S x W) U
u (V x T) U (V x W).
e ciò prova la (i). Inoltre:

(x ,y) E (SnV) x (TnW) <====?x E SnV e y E TnW


<====? (x ES e x E V) e (y E T e y E W)
<====? (x E Se y E T) e (x E V e y E W)
<====? (x , y) ES x T e (x, y) E V x W
<====? (x , y) E (S x T) n (V x W).

e la (ii) è dimostrata.
Teoria degli insiemi 47

Infine per dimostrare la (iii) e la (iv) si osservi che:

(x , y) E (S \V) x (T\ W) ~ x ES\ V e y E T\ W


~ (x E Se x ~ V) e (y E T e y ~ W)
~ (x,y) ES x T e (x ,y) ~ S x W e
(x,y) ~V x T
~ (x,y) E (S x T)\ ((S x W) U (V x T)),

(x, y) E (S x T)\ (V x W) ~ (x , y) ES x T e (x , y) ~ V x W
~ (x E Se y E T) e (x ~ V o y ~ W)
~ (x E 8 e x ~ V e y E T) o
(x ES e y E T e y ~W)
~ (x E 8 \ V e y E T) o
(x E S e y E T \ W)
~ (x ,y) E (S\ V) x T o
(x,y) ES x (T\ W)
~ (x,y) E ((S\ V) x T) U (S x (T\ W)).

1.6 Esercizi di riepilogo


Esercizio 1.6.1. Si dimostri per induzione su n che:

4 + 6 + 8 + · · · + 2n =n( n+ l)- 2, per ogni n~ 2.

Esercizio 1.6.2. Si dimostri per induzione su n che:

· 12 + 14 + · · · + 2n =n( n+ l)- 30, per ogni n~ 6.

Esercizio 1.6.3. Si dimostri per induzione su n che:

3 · 23 + 4 · 24 +···+n· 2n = 8(2n- 2 (n- l)- 1) , per ogni n~ 3.

Esercizio 1.6.4. Si dimostri per induzione su n che:

25 + 26 +. · · + 2n = 2n+l- 32, per ogni n~ 5.

Esercizio 1.6.5. Si dimostri per induzione su n che:

6(n+1) - l
6° + 61 + 62 + · · · + 6 71
=
5 ' per ogni n >
- O.
48 Capitolo 1

Esercizio 1.6.6. Si dimostri per induzione su n che:

Esercizio 1.6.7. Si dimostri per induzione su n che:

l+ 7 + 13 + · · · + (6n- 5) = 3n2 - 2n, per ogni n 2: l.

Esercizio 1.6.8. Si dimostri per induzione su n che:


l l l 5n- l
- + - 2 + · · · + - 11 = - - - per ogni n > l.
5 5 5 4 . 5n , -
Esercizio 1.6.9. Si dimostri per induzione che:

43l44n- l , per ogni n 2: O.

Esercizio 1.6.10. Si dimostri per induzione che:

63l8 2n- l , per ogni n 2: l.

Esercizio 1.6.11. Si dimostri per induzione su n che:

5(n2 +n- 2)
lO + 15 + · · · + 5n = , per ogni n 2: 2.
2
Esercizio 1.6.12. Si dimostri per induzione su n che:

9n2 + lln
10+19+28+···+(9n+l)= , perognin 2: 1.
2
Esercizio 1.6.13. Si dimostri per induzione su n che:

3516 211 - l , per ogni n 2: l.

Esercizio 1.6.14. Si dimostri per induzione su n che:

26l3 3n- l , per ogni n 2: l.

Esercizio 1.6.15. Si dimostri per induzione su n che:

n(n+l)(2n+l)
42 +5 2 + · · · +n 2 = 6 - 14 , per ogni n >
- 4.

Esercizio 1.6.16. Si dimostri per induzione su n che:

4 · 24 + 5 · 25 +···+n· 2n = 16(211 - 3 (n- l)- 2), per ogni n 2: 4.


Teoria degli insiemi 49

Esercizio 1.6.17. Si dimostri per induzione su n che:

l l l 1071 - l
l + -10 + -100 + .. · + - -=
10n-1 9 · 10n-1'
per ogni n > l.
-

Esercizio 1.6.18. Con V insieme, si precisino i seguenti insiemi:

v uv, VU0, 0UV, 0U0,


v n v, vn0, 0nV, 0n0,
V\ V, V\0, 0\ v, 0\0,
v uv, Vl.J0, 0l.JV, 000.

Esercizio 1.6.19. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:

-4 E NU4Z, 8 E NU4Z, -15 E NU4Z, 15 E N U 4Z,


-4 E Nn4Z, 8 E Nn4Z, -15 E Nn4Z, 15 E N n 4Z,
-4 E N\ 4/Z, 8 E N\ 4/Z, -15 E N\ 4/Z, 15 E N\ 4/Z,
-4 E NU4Z, 8 E NU4Z, -15 E NU4Z, 15 E NU4Z.

Esercizio 1.6.20. Sia A = {a E Z : -6 :s; a :s; 6}. Elencandone gli elementi, si


descrivano i seguenti insiemi:

(2/Z U 3Z) n A, (2Z n 3Z) n A , (2Z \ 3Z) n A, (2Z U 3/Z) n A.

Esercizio 1.6.21. Si provi che, con S e T insiemi, si ha:

P(SnT) P(S) n P(T)


P(S) U P(T) c P(S UT)

e si verifichi con un esempio che quest'ultima inclusione può essere stretta.

Esercizio 1.6.22. Si dimostri che, con L , M e N insiemi, si ha:

(L U M)\ N= (L\ N) U (lv!\ (L UN)).

Esercizio 1.6.23. Si dimostri che, con L , M e N insiemi, si ha:

L\ (M UN) = L \ M ~ L n N ç M.
Esercizio 1.6.24. Si provi che, con S e T insiemi, si ha S U T = S U (T \ S), e
Sn (T\ S) = 0.
Esercizio 1.6.25. Si provi che, con S e T insiemi, si ha:

Sç T ~ T = Su (T\ S).
50 Capitolo 1

Esercizio 1.6.26. Si provi che, con S, T e V insiemi, si ha:


(Su T)\ (Su V) = T\ (SU V).
Esercizio 1.6.27. Si provi l'associatività dell'unione disgiunta mostrando che,
con S, T e V insiemi, si ha che (SU T) UV eS l.J(T UV) coincidono con l'in-
sieme (S \(TU V)) U (T\ (SU V)) U (V\ (SU T)) U (S n T n V).
Suggerimento. Si faccia uso della (1.4.19), della (1.4.18) e dell'Esercizio 1.4.14
per provare che: (Sl.JT) \V= (S \(TU V)) U (T\ (SU V)), V\ (Sl.JT) =
(V\ (Su T)) u (S n T n V).
Esercizio 1.6.28. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:
(0, 3) E P(Z) x No; ( { -4}, 3) E P(Z) x No;
({0}, 3) E P(Z) x No; (No, 6) E P(Z) x No;
(0, 4) E P(Z) x P(N 0 ); ({ -4}, 3) E P(Z) x P(N0 );
(Z, 0) E P(No) x P(Z); (N, Z) E P(No) x P(Z);
({1,-1},3N) E P(No) x P(Z); (3N, {1, -1}) E P(No) x P(Z);
(3Z, -3) E P(Z) x No; (N, 3) E P(Z) x No.

Esercizio 1.6.29. Si precisi se le seguenti affermazioni sono vere:


(5Z, {N}) E P(Z) x P(No) ; ({-9}, 2) P(Z)
E x P(No) ;
(0, 8) E P(Z) x P(N0 ); ( {0}, 2) E P(Z) x P(N0 );
(No, 6) E P(Z) x P(No); (N, 2) E P(Z) x P(No) ;
({ -4}, 2) E P(Z) x P(No); (2Z, -2) E P(Z) x P(N0 ).
Esercizio 1.6.30. Con S, T e V insiemi, si rappresentino mediante i diagrammi
di Venn gli insiemi:
T\(SUV), SU(T\V), V\ (S n T),
T\ (S n V), Sn(T\V), V\ (Su T),
T\ (SU V), (Su T) \ (Su V), (Su T)\ (Su V),
(S\V)U(TnV), V\ (Sl.JT), (S\T)U(V\S).
Esercizio 1.6.31. Con S e T insiemi, si precisi se le seguenti affermazioni sono
vere:
SUT=T ~ SçT, SUT=T ~ TçS,
SU T = T ~ T g; S, SUT=T ~ S=T,
SU T = T ~ S g; T, SUT=T ~ 8=0,
S\T=S ~ SçT, S\T=S ~ TçS,
S\T=S ~ SnT=0, S\T = S ~ T= 0,
S \T= S ~ S n T =f= 0, S\ T= S ~ S = 0 .
2
Relazioni tra insiemi

In questo capitolo verrà introdotto e studiato un concetto fondamentale, quello


di relazione tra insiemi, che formalizza la naturale esigenza di legare tra loro
elementi di insiemi.

2.1 Nozioni fondamentali


Siano S e T insiemi. Un sottoinsieme n di S x T è detto una relazione o corri-
spondenza tra Se T. Se x ES e y E T sono tali che (x, y) E n si scrive x 'Ry
e si dice che "x è nella relazione 'R con y" , o che "y è corrispondente in 'R di
x". In caso contrario si scrive x "$.- y. Pertanto:
x n y: ç=} (x, y) E n ,
x'fty ç=}(x,y)tj:.n.
Osservazione. Nell'assegnare una relazione vanno sempre precisati gli insiemi S
e T coinvolti, in quanto, ovviamente, un insieme di coppie è sottoinsieme di più
prodotti cartesiani. Per tale motivo a volte si preferisce definire una relazione R
tra insiemi Se T come una coppia (S x T , G), con Se T insiemi e G sottoinsieme
di S x T, ponendo poi x n y ç=} (x , y) E G. Se S e T sono insiemi non vuoti,
si ha dunque, con n n
= (S x T , G), 1 = (V x W, GI),
n= n1 ç=} S =V, T= W , G = G1 ,
per 1.5.1 e (1.5.1). Si è qui preferito evitare questa formalizzazione, con l'intesa,
appunto, che, nel considerare una relazione, gli insiemi S e T vengano sempre
precisati in precedenza.
n n'
Si noti che, se e sono relazioni tra Se T, tali relazioni coincidono se e solo
se, con x E S e y E T , si ha:

x ny ç=} x n' y.
Assegnare una relazione tra insiemi S e T significa quindi individuare un sot-
toinsieme di S x T, cioè "privilegiare" particolari coppie di elementi di S x T.
52 Capitolo 2

Studiarla vuol dire investigare quali elementi di S hanno corrispondenti in T e


descrivere questi ultimi.
Considerati gli insiemi A = {a , b, c} e B = {1 , 2}, esempi di relazioni tra A
e B sono i seguenti:

n1 {(a , 1) , (a, 2)} ,


n2 {(a, 2) , (b, 2) , (c, 1)} ,
n3 0,
n4 A x B,
ns {(b , 1)} ,
e si ha, per esempio:

Si noti che, se S e T sono insiemi, ponendo n0 = 0 si individua una relazione


tra S e T, detta la relazione vuota, e si ha:

x ~o y , per ogni x E S , y E T .

Così, ponendo nt = S x T , si ottiene la cosiddetta relazione totale (o piena) tra


S e T, caratterizzata dall'essere:
x n t y , per ogni x E S , y E T.

Ovviamente, per la (1.5.2), n 0 = nt se e solo se S = 0 o T= 0.


Si noti inoltre che se S = 0 o T = 0, da S x T = 0 segue che la relazione
vuota è l'unica relazione tra Se T . Pertanto spesso nel seguito si supporrà, a volte
tacitamente, che gli insiemi S e T in questione siano entrambi non vuoti.
Se S e T sono insiemi finiti non vuoti, esiste ovviamente solo un numero
finito di relazioni tra Se T, e tale numero è:

IP(S X T) 1 = 2ISx TI = 2ISI ·ITI.

Spesso, per assegnare una relazione n tra insiemi Se T, si precisa una proprietà
che individua tale sottoinsieme di S x T , si evidenzia cioè quando una coppia,
elemento di S x T, appa1tiene a n. Per esempio, ponendo: ·

x n1 y : ~ x = y2 ,

con x E No e y E Z, si individua, in maniera forse più efficace, la relazione:

Si noti che tale relazione n 1 è ben distinta dalla relazione n 2 definita ponendo:

x n 2 y : ~ x 2 = y)
Relazioni tra insiemi 53

con x E Z e y E No.
Sen è una relazione tra insiemi S e T, si definisce relazione opposta (o
inversa di n) e si indica con R o p, la relazione tra T e S definita ponendo:

nop := {(y ,x): (x , y) E n}.


Si ha quindi, con y E T e x E S:

Ovviamente:

e
n ç n'==::::}- nop ç (n') 0
P.

Si noti per esempio che le relazioni n 1 e n 2 plima definite sono l'una l'opposta
dell'altra. Se Se T sono insiemi non vuoti e n
è una relazione tra Se T , può
aversi n= nop solo se S =T.
Se S, T, V e W sono insiemi, con V ç Se W ç T, considerata una qua-
lunque relazione n n
tra S e T, la relazione n (V x W) tra V e W viene detta
la relazione indotta dan su V x W e denotata con nw
x w. Si ha pertanto, con
xEV eyEW:
x(nwxw )y: {::::::::} x ny.
Una relazione tra insiemi S e T con S = T viene detta anche una relazione
binaria in S. Un esempio notevole di relazione binaria in un insieme S è la
diagonale b.s; tale relazione è detta l'identità di S o l' uguaglianza in S ed è
denotata anche con ids o ls. Pertanto, con x, y E S, si ha:

x(ids)y:{:::::=} x=y.

2.1.1. Esempio. Si considerino le seguenti relazioni tra No e Z:

xn1Y : {::::::::} x +y = 3;
xn2Y : {::::::::} x+ 4 = y;
xn3y : {::::::::} x= y3;
xn4y : {::::::::} y = -x2;
xnsy : {::::::::} x= IYI;
xn6Y : {::::::::} x+ 4 > y;
xn7y : {::::::::} y + 11 =x.
La relazione n 1 è tale che ogni x E No ha corrispondente e ne ha uno solo, pre-
cisamente y = 3- x; dell ' analoga proplietà gode n2 in quanto ogni x E No è in
relazione con il solo intero y = x + 4. Nella relazione n3 hanno corrispondenti
solo i numeri naturali x che sono cubi di un intero, per esempio On3 O, l n3 l,
8 n3 2, mentre 2 Jt 3 y, qualunque sia y E Z; è facile però osservare che se x
54 Capitolo 2

ha corrispondente, ne ha uno solo. Ogni x E No ha in R 4 uno e un solo corri-


spondente, precisamente l'intero y = -x 2. Nella relazione R 5 ogni naturale ha
corrispondenti, O solo O, ogni x =l O ne ha esattamente due, se stesso e il suo op-
posto. Anche nella relazione R 6 ogni naturale x ha corrispondenti, precisamente
ha infiniti corrispondenti, per esempio ogni intero negativo. Infine in R 7 ogni
x E No ha uno e un solo corrispondente, l' intero x - 11.
Con S e T insiemi, una relazione R tra S e T tale che ogni elemento x di S ha in
T uno e un solo corrispondente è detta applicazione o fun zione di S in T:

R applicazione di Sin T : {=::=:} Vx E S, 3! y E T : x Ry.

L'insieme S viene detto il dominio dell 'applicazione R, T il codominio dell' ap-


plicazione R. L' unico elemento y conispondente di x viene detto l'immagine di
x mediante Re denotato con R(x ). Si scrive anche:

R: x ES f--+ R(x) E T.
Una relazione tra Se T che sia un ' applicazione viene di solito indicata con una
lettera minuscola: f (da "funzione"), g, h, .. . e si usa la scrittura: f : S ----t T.
Per esempio, delle relazioni R 1, . .. , R 7 di No in Z esaminate in 2.1.1, sono
applicazioni R1 , R2 , R 4, R7 e si ha:

R1: x E No f--+ 3- x E Z,
R 2 : x E No f--+ x+ 4 E Z,
R4: x E No f--+ -x 2 E Z
'
R7: x E No f--+ x- 11 E Z.
n concetto di applicazione tra insiemi, di fondamentale importanza, verrà ripreso
e approfondito nel successivo Paragrafo 2.2.
Le relazioni binarie in un insieme possono ovviamente soddisfare la proprietà
che definisce le applicazioni, ma possono anche soddisfare altre proprietà di note-
vole interesse. Queste verranno ora introdotte e analizzate e porteranno a concetti
che saranno poi approfonditi nei Paragrafi 2.3 e 2.4.
Sia S un insieme. Una relazione binaria R in S è detta riflessiva se ogni
x E S è in relazione con se stesso:

R tiflessiva : {=::=:} (xRx,Vx ES) .


Ciò significa che:

R riflessiva {=::=:} ((x , x ) E R , Vx E 8),

e quindi:
n riflessiva {=::=:} b.s ç n o

Si noti che:
R non riflessiva {=::=:} (3 y E 8 : y 1J_ y).
Relazioni tra insiem i 55

La relazione n è detta simmetrica se, con x, y E S, da x n y segue y n x:

n simmetrica : <:::===;> (x n y ===} y n x).

Equivalentemente:

n simmetrica <:::===;> ((x, y) E n===} (y , x) E n).

R è detta asimmetrica se, con x , y ES, da x ny e ynx segue x= y:


n asimmetrica : <:::===;> ((x n y e y n x) ===} x = y).

Si ha cioè:

n asimmetrica <:::===;> ( (x n y e x =l= y) ===} y ~ x),

il che ovviamente equivale a:

((x, y) E n, x=/= y) ===} (y , x) ~n.

La relazione n è detta transitiva se, con x , y , z E S, da x n y e y n z segue


xn z:
n transitiva : <:::===;> ((x ny, y n z ) ===} xn z ),
cioè

n transitiva <:::===;> (((x , y) E n , (y, z ) E n)===} (x, z ) E n).


2.1.2. Esempio. Sia A = {a , b, c} e si considerino le relazioni:

nl {(a,b)} ,
n2 {(a,b),(b,a),(a,a)} ,
n3 {(a,b),(b,a),(a,a),(b,b)} ,
n4 {(a,a),(b,b) ,(c,c),(a,b)},
ns {(a,a),(b,b),(c,c),(a,b),(b,a)}
nell'insieme A. La relazione n 1 non è riflessiva perché, per esempio, b ~ 1 b, né
n
simmetrica in quanto a 1 b e b ~ 1 a. Inoltre essa è asimmetrica non esistendo
elementi distinti x , y E A tali che x n l y e y n l X, ed è banalmente transitiva.
n
La relazione 2 non è riflessiva; è simmetrica e non è asimmetrica. È poi non
transitiva in quanto, per esempio, bn2 a e a n2 b ma b ~ 2 b. La relazione n3
è simmetrica e transitiva, la n 4 è riflessiva, asimmetrica e transitiva, la n 5 è
riflessiva, simmetrica e transitiva.

Si noti che nello studio della transitività di una relazione n, supposti x n y e


y n z , si può assumere x =!= y e y =!= z. Infatti se per esempio si ha x = y, allora
banalmente riesce x n z e così, se y = z, ancora ovviamente x n z .
56 Capitolo 2

Una relazione binaria n in un insieme S è detta d'equivalenza se è riflessiva,


simmetrica e transitiva. Per esempio la relazione n5
di 2.1.2 è d'equivalenza, le
altre non lo sono.
Una relazione binaria n è detta d'ordine se è riflessiva, asimmetrica e transi-
tiva. Nell'Esempio 2.1.2 solo la relazione n4è d'ordine.

2.1.3. Siano S un insieme, X un suo sottoinsieme, R una relazione binaria in S


e n' = n 1xxx la relazione binaria indotta da n su X. Si ha:

n riflessiva ==} n' riflessiva,


n simmetrica ==} n' simmetrica,
n asimmetrica ==} n' asimmetrica,
n transiti va ==} n' transitiva.

Ne segue che:

n d 'equivalenza in s ==} n' d'equivalenza in x ,


n d 'ordine in s ==} n' d'ordine in x.

Dimostrazione. Esercizio. o
Esercizi
Esercizio 2.1.1. Si studi la relazione tra No e Z definita ponendo:

x n1 y : {::::::::? x = y 2,
e la relazione tra ZeNo definita ponendo:

x n 2y : {::::::::? x
2= y o

Esercizio 2.1.2. Considerata la relazione tra Q e Z definita ponendo:


x ny: {::::::::? 49x 2 = y 2 ,
si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:
l
2nl4, 7nl , -10n70, ln - 7, 1n1 , - ln-7 , - n - 1
7 '
l
l n-1 , ono, 2n1, 1n1,
4 n7, -1n1, l n49.

Svolgimento. Si ha 2 n 14 poiché 49 · 4 = 142; 7 7/.- l essendo 49 · 72 =J. 12;


- lO n 70 in quanto 49(-10) 2 = 4900 = 70 2; l n-7 perché 49 · 12 = (- 7) 2 e
t
così -l n -7, o no, l n 7, n - l, mentre 17/.- l, 17/.- -l, -17/.- l, in quanto
i
49 · l =J. l , e così 7/.- 7, 2 1/.- 7, l 1/.- 49.
Relazioni tra insiemi 57

Esercizio 2.1.3. Si consideri in Z la relazion e binaria definita da:

aR b : ç::::::} (a= b) oppure (a , b E N).

Si provi che R è una relazione d'equivalen za in Z.

Svolgimento. Si ha x R x, per ogni x E Z in quanto è soddisfatta la proprietà


x = x . Si ha poi R simmetrica poiché da x Ry segue (x = y) o (x, y E N), il
che ovviamente equivale a (y = x ) o (y , x E N) sicché y R x . Infine si supponga
x R y e y R z . Se x = y o y = z , come già osservato più in generale, si ha subito
x R z. Se poi x i- y e y i- z, tisulta x, y E N e y , z E N da cui x, z E N e x R z
come volevasi.

Esercizio 2.1.4. Si esibisca un esempio di relazione binaria R in un opportuno


insieme A che risulti non simmetrica né asimmetrica.

Esercizio 2.1.5. Una relazione binaria R in un insieme S è detta antirijlessiva se


si ha x Jt x, per ogni x E S. Si esibiscano un esempio di relazione antiriflessiva
e un esempio di relazione contemporaneamente non riflessiva né antiriflessiva.

Esercizio 2.1.6. Si provi che, se S è un insieme non vuoto, la relazione totale R t


è sempre riflessiva, simmetrica e transitiva; è poi asimmetrica se e solo se S è un
singleton.

Esercizio 2.1.7. Si discutano le proprietà della relazione vuota Ro in un insieme


S non necessariamente non vuoto.
Esercizio 2.1.8. Si discutano le proprietà della relazione ids in un qualunque
insieme S.

Esercizio 2.1.9. Siano S un insieme e R una relazione binaria in S. Si provi che


si ha:
R simmetrica ç::::::} R 0 P ç R ç::::::} R 0 P = R.

Esercizio 2.1.10. Considerata in Z la relazione binaria definita ponendo:

x R y : ç::::::} 3 + 4x = 4 + 3y ,

si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

2R10 , ORO , 3R3 , lOR 13, l Rl , 10R17,


4R5 , 6R9 , 7R9, 13R17, 5R4, 2R2.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva.

Esercizio 2.1.11. Considerata in Z la relazione binaria definita ponendo:

x Ry: ç::::::} l2x- 51= l5y - 81 ,


58 Capitolo 2

si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

l R4, - 1 R3 , 4R3, -4 R - l , l Rl , -6 R5 ,
-lR-1, 4Rl, 9R - l , -2 R4, 11 R5 , OR-2.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva e se è


un 'applicazione.
Esercizio 2.1.12. Considerata in Z la relazione binaria definita ponendo:

x Ry : <=? lx- 81 = IY- 81 ,


si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

-3R - 3, - 3Rl9, OR-8 , OR8 ,


2Rl4, -2Rl4, 5R5 , 5R-11.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva.


Esercizio 2.1.13. Considerata in Z la relazione binaria definita ponendo:

x R y : <=? x 2 - 5x + 6 = y 2 + 7y + 12,
si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

3R-3, 3R4, 2R5, 2R-2 , 7Rl , 4R2,


2Rl, -4R2, OR-l , ORO , -3R3, -3R2,
l Rl , 8R2, 5R-l, 4R3, -1 RO , 3R2.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva.


Esercizio 2.1.14. Considerate le seguenti relazioni tra Z e 8Z, si precisi, moti-
vando la risposta, se sono applicazioni:

x R1y : <====} x= 8y;


x R2y : <====} y = 8x;
2 2
xR3y : <====} 64x = y ;
2 2
x R 4y : <====} x = 64y .

Esercizio 2.1.15. Considerate le seguenti relazioni tra No e 2No, si precisi, moti-


vando la risposta, se sono applicazioni:

x R1y : <====} x =y;


x R 2y : <====} x= 2y;
x R 3y : <====} 2x = y;
xR4y : <====} x = IY - 81.
Relazioni tra insiemi 59

Esercizio 2.1.16. Considerate le seguenti relazioni tra Z e Q, si precisi, motivan-


do la risposta, se sono applicazioni:

x R1y : {::::::::} 5x = 6y ;
x R 2y : {::::::::} x 2 = 16y 2 ;
x R 3y : {::::::::} x= y3;
x R 4y : {::::::::} x3 = 8y3.

Esercizio 2.1.17. Considerate le seguenti relazioni tra No e Q, si precisi, moti-


vando la risposta, se sono applicazioni:
x
x R1y : {::::::::} 2 = y;
x R 2y : {::::::::} x= 2y ;
x R 3y : {::::::::} x= y2.

Esercizio 2.1.18. Considerate le seguenti relazioni tra N e Q, si precisi, motivan-


do la risposta, se sono applicazioni:

x R1 y : {::::::::} 2x = 3y ;
x R 2y : {::::::::} 2x 2 = 3y;
x R 3y : {::::::::} 2x = 3y 2 ;
x R 4y : {::::::::} 2x = 3IYI·

Esercizio 2.1.19. Con S = {l , m , n} e T= {1 , 7}, si precisi quali delle seguenti


relazioni tra S e T sono applicazioni:

R1 {(l , 1) , (m, 1) , (n , 7)} ,


R2 {(l , 1) , (m, 1) , (n , 1)} ,
R3 {(l , 7) , (m, 1)} ,

e quali tra le seguenti relazioni di S in S sono applicazioni:

R4 {(l , m) , (n , m)} ,
R5 {(l , m) , (m, n) , (n , l)} ,
R6 {(l , l) , (m, n) , (l , n)}.

Esercizio 2.1.20. Considerate in N le seguenti relazioni, si precisi, motivando le


risposte, se sono applicazioni di N in N:

x R1 y : {::::::::} x + y = 3;
x R 2y : {::::::::} x + 4 = y;
x R 3y : {::::::::} x + y > 3.
60 Capitolo 2

Esercizio 2.1.21. Con n numero naturale positivo, si dica h( n) il massimo nume-


ro naturale h tale che 2h divide n, sia cioè n = 2h(n) k, con k E N tale che 2 non
divide k. Si dimostri che non è d'equivalenza né d'ordine la relazione ndefinita
in N da:
n
n m:{:::=> h( n) 2 h(m) ,
dove ::; indica l'ordine usuale in No.

Esercizio 2.1.22. Con n numero naturale positivo, si dica h( n) il massimo nume-


ro naturale h tale che 2h divide n, sia cioè n = 2h(n) k, con k E N tale che 2 non
divide k. Si dimostri che non è d'equivalenza né d'ordine la relazione n definita
in N da:
n
n m:{:::=> ih(n)- h(m)l ::; l ,
dove ::; indica l 'ordine usuale in No.

Esercizio 2.1.23. Si dimostri 2.1 .3.

2.2 Applicazioni
Come osservato nel paragrafo precedente, di particolare interesse nell'ambi-
to delle relazioni tra insiemi sono le applicazioni, che verranno ora esaminate
attentamente, partendo dalle notazioni già introdotte.

Siano Se T insiemi e sia f : S ---1 T un'applicazione di Sin T '-Ciò significa che


f è un sottoins· · T tale che per ogvi x E S esiste uno e un solo y E T
per cui x, y) E f, cioè x 1JL Tale elemento y viene denotato con il simbolo f (x)
e detto l'immagine di x mediante f e l'applicazione f viene descritta nel seguente
modo:
f: x ES f----t f( x) E T
o anche
j:S ---1 T
x f----t f( x) .
L' insieme S è detto il dominio di f, l' insieme T è chiamato il codominio di f..
.. Sef :S ---1 T e g : S 1 ---t T1 sono applicazioni, con S, S1, T , T 1 insiemi
non vuoti, si ha:

S= s1
f = g {:::=> T= T1 (2.2.1)
{
f(x) = g(x) , per ogni x E S.

2.2.1. Esempio. Posto


Relazioni tra insiemi 61

h è l'applicazione di Z in No che a ogni intero x associa il suo quadrato, elemento


di No. Così
h : x E Z f-------7 lxi E No
è l'applicazione di Z in No che a ogni intero x associa il suo valore assoluto,
elemento di N0 . Ancora:

h: x EZ f-------7 4 E No

è l'applicazione di Z in No che a ogni intero x associa il numero naturale 4;

se x :::; O
se x> O

è l'applicazione di Z in No che a ogni intero x associa il suo quadrato, se x è non


positivo, e associa 4, se x è positivo;

-2x se x :::; O
x f-------7 { 2x - l se x> O

è l'applicazione di Z in No che a ogni intero x non positivo associa l'opposto


del suo doppio, a ogni x positivo associa il precedente del suo doppio. Si ha per
esempio:

!1(0) = 02 =O , !1(1)=1 2 =1 , h(-1) = (-1) 2 =l,


h(-1) = 1- li= l h(O) = 4, h(l) =h( -l)= 4,
precisamente h (x) = 4, per ogni x E Z,

!4(0) = 02 =o, ! 4(1) = 4, !4(-1) = l, !4(2) = 4,


fs(O) =O , f s( l) = l , fs(- 1) =2, fs(2) = 3.
Un'applicazione di dominio No o N e codominio T , con T insieme, è detta una
successione di elementi di T. Se f : n E No f-------7 an E T è una successione
di elementi di T, spesso si preferisce utilizzare per f la scrittura (an)nENo• che
evidenzia qual è l'immagine di ciascun naturale.
Un'applicazione f : S --) T tale che f( x) = f( x') per ogni x, x' E S è
detta costante. Ovviamente si ha:

f costante : {::::=:} :Jy E T: (f(x) = y, 'ix ES),


e f è anche detta l'applicazione di S in T costantemente uguale a y. Per esem-
pio l'applicazione h prima introdotta è l'applicazione di Z in No costantemente
uguale a 4.
62 Capitolo 2

Se l'insieme T è finito , è immediato riscontrare che di applicazioni costanti


di Sin T, con S insieme non vuoto, ce ne sono esattamente ITI.
Se gli insiemi S e T sono entrambi finiti, il numero delle applicazioni di S in
T è ITII8 1, come sarà giustificato nel Capitolo 3. Ciò motiva l'uso del simbolo T 8
per denotare l'insieme delle applicazioni di Sin T, qualunque siano gli insiemi S
e T non necessariamente finiti.
Si osservi che se S è l'insieme vuoto e T è un insieme qualsiasi, tra S e
T esiste solo la relazione vuota e questa è anche un'applicazione, detta appunto
l'applicazione vuota. Se S è un insieme non vuoto e T = 0, non esistono ap-
plicazioni di S in T. Queste considerazioni illustrano perché nello studio delle
applicazioni tra insiemi è lecito supporre, a volte tacitamente, che questi siano en-
trambi non vuoti. Si noti che, se S e T sono insiemi entrambi non vuoti, esistono
sempre applicazioni di S in T, per esempio quelle costanti (che sono ovviamente
le uniche se T è un singleton).
Se Se T coincidono, un'applicazione notevole è la relazione identica:

ids : x E S ~ x E S,

detta anche l'applicazione identica di S .


Se X è un sottoinsieme di S, ha senso considerare l'applicazione:

immx : x E X ~ x E S,

di X in S, detta l'immersione di X in S. Si noti che è immx = 6.s n (X x S).


Ovviamente Silìa imms - ids.
Sia f : S ----t T un 'applicazione. Se X è un sottoinsieme di S, l'insieme
costituito dalle immagini in f degli elementi di X è detto l'immagine di X in f e
denotato con f(X):
f(X) := {f( x ) :x E X}.
Ovviamente f(X) è un sottoinsieme di T. Si ha quindi, con y E T:

y E f(X) : <=====:> ::lx E X: y = f( x ).

Se X coincide con S, si dice anche che f(S) è l'immagine di S, e si usa il simbolo


Imf:
Imf := f(S) ={!(x): x ES}
y E I m f : <=====:> ::lx E S : y = f (x).
Per esempio, considerate le applicazioni h , h e !4 di 2.2.1, si ha:

!I({O,l,-1,3,-3}) = {0, 1,9},


fi( Z) = {x : x E Z} = {x2 : x E No} = fi( No) ,
2

h({O}) = {4} = h({O, l}) = h(Z),


j 4(N) = { 4}.
Relazioni tra insiemi 63

Ovviamente si ha sempre !(0) = 0 , e f(X) #- 0, per ogni sottoinsieme non


vuoto X di S; cioè, con X ç S:

f(X) = 0 ~ X = 0.
Inoltre, se X ç S, si ha:
lXI =l=* lf(X)I =l
in quanto, se X = {x}, si ha f(X) = {!(x )}. Ma chiaramente

lf(X)I =l==!* lXI= l ,


come mostrato, per esempio, da applicazioni in 2.2.1 . Infatti fi ({l , - l}) =
{l} = h({l ,- l}),piùingenerale I!I({ x, - x })l = l = lh({x, - x }l,perogni
x E Z. Se si considera l'applicazione h di 2.2.1 si ha h(Z) = { 4} = h(X), per
ogni X ç Z, X #- 0. Ciò mostra anche che:

X ç S , X infinito ==/* f(X) infinito.


Si ha però ovviamente:

X ç S, X finito =* f(X) finito e lf(X)I :::; lXI , (2.2.2)

in quanto se X = {x , ... , x 11 }, si ha f(X) = {!( xi) , . . . , f( x 11 )}. Come già


osservato, può aversi lf (X) l < lX l, cioè possono esserci coincidenze tra gli
elementi f( x i), . . . , f( xn)·
Se X 1 e X 2 sono sottoinsiemi di S, si ha ovviamente:

X1 ç X2 ==? f(XI) ç j(X2),


f(XI) ç j(X2) ==/* X1 ç X2 .
. Infatti per ogni y E f(XI) esiste x E X1 tale che y = f( x ); da X1 ç X2 segue
allora che x E X 2, quindi per ogni y E f(XI) esiste x E X 2 tale che y = f( x ),
e dunque y E f(X 2), e vale la prima implicazione. Considerata poi per esempio
l'applicazione fidi 2.2.1 si ha !I( {0, l}) =!I( {0, -l}) con {0, l} Cl {0, -l},
pertanto non vale la seconda implicazione.

2.2.2. Sia f: S ---4 T un'applicazione e siano X1 e Xz sottoinsiemi di S. Si ha:

Si ha poi:

j(X1 U X2) = j(X1) U f(Xz) ;


j(X1 n Xz) ç f(XI) n f(Xz) , e l'inclusione può essere stretta;
f(Xl \ X2) 2 j(X1) \ j(X2), e l'inclusione può essere stretta.
64 Capitolo 2

Dimostrazione. Esercizio. o
Sia f : S -----7 T un'applicazione. Se Y è un sottoinsieme di T , l'insieme costitui-
to dagli elementi di S la cui immagine appartiene a Y è detto la controimmagine
di Y in f e denotato con_t - 1 ("t:):

f - 1 (Y) := {x ES: f(x) E Y}.


Ovviamente f - 1 (Y) è un sottoinsieme di S. Con x E S, si ha quindi:

x E f - 1 (Y): {=::::} f(x) E Y.

Per esempio, considerata l'applicazione h di 2.2.1, si ha:

!1 1 ({0, 1,2,3,4,5}) ={x E Z: h(x) E {0,1 , 2,3,4,5}} =


{x E Z: x 2 = O, 1,2,3,4,5} = {0, l , - 1,2, -2} , !1 1 ({6, 7}) = 0.
Banalmente riesce sempre:
f- 1 (T) = S,
in quanto ogni x ES è tale che f(x) E T; e si ha pure ovviamente:

f- 1 (0) = 0.
Si noti che:
Y -/= 0 * f-
(Y) -/= 0.
1
1

Per esempio, con le notazioni di 2.2.1, f1 ( {6, 7}) = 0, in quanto non esistono
interi il cui quadrato sia 6 o 7. Così:

Y infinito * f- 1 (Y) infinito ,


Y finito * f- 1 (Y) finito ;
e, anche nell'ipotesi che Y e f- 1 (Y) siano entrambi finiti, non c'è alcun legame
tra i loro ordini. Si considerino per esempio le applicazioni h e h di 2.2.1:
f3 1(No \ {4}) = 0, f3 1({4}) = Z, f 1 1({0}) = {0}, f1 1({1}) = {1 ,- 1},
!1 1 ({1 ,2,3}) = {1 ,- 1}.
2.2.3. Sia f : S -----7 T un 'applicazione e siano Y1 e Y2 sottoinsiemì di T. Risulta:

Y1 ç Y2 ~ f- 1(Y1) ç f - 1(Y2),
f- (Y1) ç f- 1(Y2)
1 * Y1 ç Y2.

Dimostrazione. Essendo Y1 ç Y2, da x E j- 1(Y1) segue f( x) E Y1, quindi


f( x) E Y2 e poi x E f- 1(Y2).
Se poi, per esempio, h è l'applicazione definita in 2.2.1, si ha: f1 1 ({l , 2}) =
{1 ,- 1}=!1 1 ({1 ,3}). o
Relazioni tra insiemi 65

2.2.4. Sia f :S ---t T un'applicazione e siano Y1 e Y2 sotto insiemi di T . Si ha:

e
f- 1(Yi U Y2) f- 1(YI) U f - 1(Y2) ,
J- 1 (Yi n Y2) f- 1(Y1) n f- 1(Y2) ,
f- 1(Y1 \ Y2) f- 1 (YI) \ f- 1 (Y2).

Dimostrazione. Esercizio. D

2.2.5. Sia f : S ---t T un'applicazione, e siano X un sottoinsieme di S e Y un


sottoinsieme di T. Si ha:
X ç j- 1 (f(X)) ,
Y 2 f(f- 1 (Y)).
In più:
j(f-1 (Y)) = Y n f(S).

Dimostrazione. Esercizio. o
Come osservato in 2.2.1, per alcune applicazioni esistono elementi distinti che
hanno la stessa immagine, oppure esistono elementi del codominio dell ' appli-
cazione che non sono corrispondenti di alcun elemento del dominio. Queste
considerazioni motivano le definizioni seguenti.
Un'applicazione j_ : S ---t T è detta inietti va (o più brevemente in se è tale
che elementi distinti di S hanno immagini distinte in T:

Equivalentemente:

cioè f è inietti a s e solo S(} el~mtmti d" S che h anno 4t stessa immagine in f
neces_sariamente · ·do o.
Ovviamente l'identità ids di Se l'immersione immx di X ç S sono inietti-
ve.
Le applicazioni fi , h , h e !4 di 2.2.1 non sono iniettive, perché, per esem-
pio: !1(1) = !I( - 1) , h(1) = h( -1) , /3(0) = /3(1) , /4(1) = /4(2).
L'applicazione fs è invece iniettiva. Infatti, se x e x' sono elementi distinti di
Z, entrambi non positivi, si ha j 5 (x ) = - 2x =!= -2x' = f s(x'); se sono entrambi
66 Capitolo 2

positivi, riesce f s (x) = 2x - l i= 2x' - l = f (x'); infine se, per esempio, x


è positivo e x' no, si ha f s (x) = 2x - l non divisibile per 2 e f s (x') = - 2x
divisibile per 2, sicché banalmente f s (x) -=/= f s (x').
Ovviamente un 'applicazione costante è iniettiva se e solo se il dominio è un
singleton.
2.2.6. Esempio. Le seguenti applicazioni:
g1 : x E No r------t 2x E 2No,

g2 : x E No r------t 2x + l E No\ 2No ,

g3 : x E No r------t x +l E No,

g4 : x E No r------t x+ l E N,

gs : x E No r------t 3x + 4 E No,
g6 : No -----; No

x f-------7 { ~ - 4
se x ::; 6
se x> 6,

g7 : No -----; No

~+4
se x ::; 6
x f-------7 { se x> 6,

g8 : x E No r------t 6 E No,

gg : No -----; z
- x/2 se x E 2No
(x+ 1) /2 se x E No \ 2No,

sono tutte iniettive tranne la g6 e la g8 .


Un'applicazione f : S -----; T è detta suriettiva (o più brevemente su) se l'imma-
gine di f coincide con T.l-cioè f è tale che ogni elemento di T è corris ondente
di almeno un elemento di S:

f suriettiva : ~ f(S) =T ~ (Vy E T, 3x ES: f( x) = y).


L'identità ids di un qualunque insieme S ·è suriettiva, mentre l'immersione immx
di X in S lo è solo se X= S (e dunque immx = ids) in quanto immx(X ) =X.
Ovviamente un'applicazione costante è smiettiva se e solo se il suo codomi-
nio è un singleton.
Relazioni tra insiemi 67

Le applicazioni h , fa e !4 di 2.2.1 non sono suriettive: infatti per esempio


esiste 2 E No tale che non c'è alcun x E Z per cui risulti 2 = h(x ), 2 = fa( x ),
2 = J4 (x) essendo 2 i- x 2 , per ogni x E Z e ovviamente 2 i- 4.
L' applicazione h è suriettiva poiché h(Z) = N0 , precisamente ogni y E No
è tale che esistono y e - y E Z per cui risulti h(y) = h( - y) = y. Anche
l' applicazione j 5 è suriettiva poiché, per ogni y E No, si ha che y = -2 ( -~ ) =
j5( - ~ )se y E 2No (si noti che in tal caso -~ E Z) e y = 2 ~ - l = j 5(Y! 1)
se y E No \ 2No (si noti ancora che Y! 1 E Z).

2.2.7. Esempio. Considerate le applicazioni di 2.2.6, si ha che sono suriettive


91 , 92, 94, 96 e 99, non lo sono 93, 95, 97 e 98·

Si osserva facilmente che un 'applicazione può non essere né iniettiva né suriet-


tiva (per esempio fa di 2.2.1 ), può essere iniettiva e non suriettiva (per esempio
l'immersione di N in Z), può essere suriettiva e non iniettiva (per esempio la h
di 2.2.1). Situazioni analoghe si titrovano anche con le applicazioni introdotte
in 2.2.6.

2.2.8. Siano S e T insiemi finiti non vuoti. Allora:

3f : S -----t T iniettiva ~ lSI ~ ITI,


3 f: S -----t T suriettiva ~ ISI ~ ITI.
Ne segue che, se X è un sottoinsieme di S:

X c S ===> ~ f :S -----tX iniettiva,


X C S ===> ~ f :X -----t S suriettiva.

Dimostrazione. Esercizio. D

La 2.2.8 non vale per insiemi infiniti. Nell ' Esempio 2.2.6, l'applicazione 91 è
iniettiva, e il suo codominio è un sottoinsieme proprio del dominio. Invece la 9 9 è
sutiettiva, e il suo dominio è un sottoinsieme proprio del codominio.
Un'applicazione f : S -----t T è detta biettiva (o biezione, o corrispondenza
biunivoca) se è sia iniettiva che suriettiva:

f biettiva : ~ f iniettiva e suriettiva.

È immediato verificare che:

f biettiva ~ ('Vy E T , 3 ! x ES: f( x ) = y).

Infatti, se f è biettiva, per la sutiettività si ha che per ogni y E T esiste x E S


tale che f( x ) = y; tale x è poi univocamente individuato per l'iniettività di f.
Viceversa, se ogni elemento di T è conispondente in f di uno e un solo elemento
68 Capitolo 2

diSsi ha che ovviamente f è suriettiva, ed è poi inietti va in quanto f(x) = f(x')


comporta x = x' per l'unicità dell'elemento di S che ha in f immagine f(x) =
f(x').
L'applicazione ids è biettiva. Un'applicazione costante lo è se e solo se il
dominio e il codominio sono entrambi singleton. In 2.2.1 solo l'applicazione fs è
biettiva. Delle applicazioni considerate in 2.2.6 sono biettive 91 , 92 , 94 e 99·
Se f : S ~ T è un'applicazione biettiva, ha senso definire la seguente
applicazione di T in S, detta l'applicazione inversa di f e denotata con f- 1 .
Tale applicazione associa a ogni elemento di T l'unico elemento di S di cui è
immagine in f:
f - 1 :T~s
y ~---t x ES: f( x ) = y.
Si noti che f- 1 è la relazione opposta della f.
Per esempio, l'inversa di ids è ids, l'inversa della fs descritta in 2.2.1 è la 99
in 2.2.6, come evidenziato dallo studio della suriettività di fs; l'inversa di 99 è fs.
Relativamente alle altre applicazioni biettive di 2.2.6 si ha che:

91 1 : y E 2No ~---t ~ E No,


-1 y -l
92 : y E No\ 2No ~---t - E No,
-
2
94 1 : y E N ~---t y- l E No,

in quanto per esempio ogni y E 2No è immagine in 91 dell'unico x E No tale che


y = 91(x) = 2x, cioè di x=~·
Come accade per ids, può aversi che l'inversa di un'applicazione biettiva
f : S ~ T coincida con l'applicazione stessa. In tal caso ovviamente deve
aversi S = T, e l'applicazione f viene detta un'involuzione di S. Per esempio,
sono involuzioni le applicazioni:
h1 : x E Z ~---t -x E Z,

h2 : No~ No
x+ l se x E 2No
X~-----t { x- 1 se x E No \ 2No.

Come conseguenza di 2.2.8 si ottiene:

2.2.9. Siano S e T insiemi finiti. Allora:

3f: S ~T biettiva ~ ISI = ITI.


Pertanto non esiste mai un'applicazione biettiva tra un insieme finito e un suo
sottoinsieme proprio, in contrasto con quanto avviene per insiemi infiniti (si pensi
alle applicazioni 91, 92, 94 e 99 di 2.2.6).
Relazioni tra insiemi 69

Osservazione. Il concetto di "inversa" non va confuso con il concetto di "contro-


immagine " ; si parla di controimmagine di un sottoinsieme Y mediante f qualun-
que sia l' a TICazione f, si arla di inversa di f solo se è biettiva. SL1loti però
c e, se f e b1ett1va, a controimmagine del sottoinsieme Y mediante f coincide
con l'immagine di Y mediante f - 1 . Non c'è dunque ambiguità tra le due nozioni.
Ciò giustifica l'utilizzo dello stesso simbolo, f - 1 (Y), per denotarle entrambe.
Per le applicazioni aventi come dominio e codominio insiemi finiti dello stesso
ordine l'iniettività, la suriettività e la biettività sono condizioni equivalenti. Infatti:

2.2.10. Siano S e T insiemi f!niti dello stesso ordine n. Allora un 'a.J!Plicazione


f :S ---t e 1memva se e solo se è suriettiva.

Dimostrazione. Sia S = { X l , x 2, . .. , X n}. Se f è iniettiva, gli elementi f (x i),


j(x2 ), ... , f( xn ) sono a due a due distinti, sicché f(S) ha ordine n e dunque
coincide con T. Pertanto f è suriettiva.
Viceversa, sia f suriettiva e dunque si abbia f(S) = T. Da (2.2.2) si ottiene
allora lTI = lSI ;:::: lf(S) l = IT I, quindi lf(S) l = lSI ed f è iniettiva. D
Si illustrerà ora come costruire ulteriori applicazioni da applicazioni date, legate
da un ' opportuna proprietà.
Siano f : S ---t T e g : T ---t V applicazioni; siano cioè f e g applicazioni
tali che il codominio di f coincide con il dominio di g. Si definisce applicazione
composta o prodotto di f e g, e si denota congo f, l'applicazione di Sin V
che a ogni elemento x E S associa l'elemento di V che si ottiene applicando g
all' elemento f( x ) di T:
g o f: x E 8 ~ g(f(x)) E V.
Si pone quindi:
(g o f)( x ) := g(f( x )) , per ogni x E S.
2.2.11. Esempio. Considerate le applicazioni:
k1: x E No ~ x 2 + 10 E N,
k2 : n E N ~ -5n + 8 E Z,
l
k3 : z E Z ~ 4z E Q,
si ha:
k2 o k1 : x E No ~ -5x 2 - 42 E Z,
in quanto (k2 o k1)( x ) = k2(k1( x )) = k2(x 2 + 10) = - 5(x 2 + 10) + 8
- 5x 2 - 50+ 8 = - 5x 2 - 42 per ogni x E N0 ;
5
k3 o k2 : n E N ~ - n + 2 E Q,
4
perché k3(k2(n)) = k3( -5n + 8) = - 5 ~+ 8 =-~n+ 2 per ogni n E N.
70 Capitolo 2

La composizione di applicazioni è detta anche prodotto operativo di applicazioni.


Si noti che l'esistenza di g o f non comporta l'esistenza di f o g: con le notazioni
precedenti, se è Si= V, non esiste f o g. Se è S = V i= T, esistono sia go f che
f o g, ma sono in ogni caso distinte, essendo g o f : S -----t S e f o g : T -----t T.
Anche se S = T = V, le applicazioni g o f e f o g possono essere distinte. Per
esempio, considerate le applicazioni:

k4 : x E No ~ x 3 E No,
ks : n E No ~ 3n + 2 E No,
si ha:
ks o k4: x E No~ 3x 3 + 2 E No,
k4 o ks :n E No ~ (3n + 2) 3 E No,
con ks o k4 i= k4 o ks (per esempio, (ks o k4)(l) = 5 i= 53 = (k4 o ks)(l)).
Non vale dunque per il prodotto operativo la proprietà commutativa. Si ha
però:

2.2.12. Proprietà associativa del prodotto operativo di applicazioni. Siano


f :S -----t T, g : T -----t V e h : V -----t W applicazioni. Allora:

h o (g o f) = (h o g) o f.

Dimostrazione. Si noti innanzitutto che ha senso comporre g o f : S -----t V con


h e f con h o g : T -----t W, e in entrambi i casi si ottengono applicazioni di S in
W. Queste coincidono perché, per ogni x E S, si ha:
(h o (go f))(x) = h((g o f)(x)) = h(g(f(x)))
e
((h o g) o f)(x) =(h o g)(f(x)) = h(g(f(x))).
D
Le applicazioni identiche hanno un comportamento particolare. Infatti:

2.2.13. Sia f :S -----t T un'applicazione. Si ha:

idr of = f, f o ids = f.

Dimostrazione. Ovviamente idr of è un'applicazione di Sin T, e così f o ids.


Inoltre, per ogni x E S, si ha:
(idr of)( x) = idr(f(x)) = f(x),
(f o ids)(x) = f(ids(x) ) = f( x),
come volevasi. D
Relazioni tra insiemi 71

Il prodotto operativo di applicazioni "conserva" l'iniettività e la suriettività (e


quindi la biettività), nel senso che:

2.2.14. Siano f :S -------t T eg :T -------t V applicazioni. Si ha:

fe g iniettive ==} go f iniettiva;


f e g suriettive ==? go f suriettiva;
f e g biettive ==? go f biettiva.

Dimostrazione. Siano f e g inietti ve e si supponga (g o f) (x ) = (g o f) (x') con


x, x' E S. Si abbia cioè g(f(x )) = g(f(x')) . L'iniettività di g assicura allora che
f (x ) = f (x') e, per l' iniettività di f , si ottiene che x = x', come volevasi.
Siano ora f e g suriettive e si consideri g o f : S -------t V. Per ogni z E V
esiste, per la suriettività di g, un elemento y E T tale che z = g(y). La suriettività
di f assicura che, considerato questo y esiste x E S tale che y = f (x ). Si ha
quindi: z = g(y) = g(f(x )) = (g o f)( x ). Pertanto g o f è suriettiva. Si noti
che si può ottenere la suriettività di g o f anche osservando che (g o f) (S) =
g(f(S))) = g(T) =V.
La biettività di g o f nell'ipotesi di biettività di f e g è ovvia conseguenza
delle due proprietà precedenti. D
Le implicazioni di 2.2.14 non si invertono (vedi Esercizio 2.2.6). Riesce però:

2.2.15. Siano f :S -------t T eg :T -------t V applicazioni. Si ha:

go finiettiva ==? f iniettiva;


g o f suriettiva ==? g suriettiva;
g o f biettiva ==? f iniettiva e g suriettiva.

Dimostrazione. Sia g o f iniettiva e si supponga f( x ) = f(x') con x, x' E S .


Alloraèancheg(f(x)) = g(f(x')) cioè (g of)(x) = (g of)(x') sicchél'inie.ttività
di g o f comporta x = x', come volevasi.
Sia orag o f suriettiva e si consideri z E V. Per la suriettività di go f esiste
x E S tale che z = (g o f)( x ) = g(f(x )), sicché z E g(T) come volevasi.
Infine, seg o f è biettiva, essa è iniettiva e smiettiva e dunque l' asserto segue
dalle precedenti implicazioni. D
Se f : S -------t T è un'applicazione biettiva, allora esiste l'applicazione inversa
f - 1 : T -------t Se ha senso considerare f- 1o f : S -------t S, e f o f - 1 : T -------t T.
Come si proverà ora si ha:

f - 1o f = ids, f o f -i = idr. (2.2.3)

Più precisamente:
72 Capitolo 2

2.2.16. Sia f :S ~ T un 'applicazione. Si ha

f biettiva {====> C::Jf': T ___, S : f' o f = ids e f o f' = idr).

Inoltre, se tale applicazione f' esiste, essa è unica, ed è quindi l'inversa di f.

Dimostrazione. Sia f biettiva e si consideri la sua inversa f - 1 . Per ogni x E S si


ha:
1
u- 1 o f)( x ) = f - 1 (f( x )) = x = ids (x ), i.n quanto, per definizione di f - 1 ,

f- (f(x )) è l'unico elemento di S la cui immagine in f è f( x ). Così, per ogni


y E T, si ha: (f o f - 1 )(y) = f(f - 1 (y)) = y = idr (y), perché f - 1 (y) è l'unico
elemento di S la cui immagine in f è y.
Viceversa, sia f' : T ~ S tale chef' o f = ids e f o f' = idr . Le identità
sono biettive, in particolare ids è iniettiva e idr è suriettiva, sicché per 2.2.15 f è
iniettiva e suriettiva, quindi biettiva.
Si supponga infine: f' , f" : T ~ S tali che f' o f = ids = f" o f
e f o f' = idr = f o f". Per la 2.2.12 e la 2.2.13 si ha: f' = ids of' =
(f" o f) o f' = f" o (f o f') = f" o idr = f", come volevasi. D

Si noti che, con la verifica appena fatta , si prova che, con f : S ~ T applicazio-
ne, se esistono f* , f* * : T ~ S tali chef o f* = idre f* * o f = ids, allora
f* = f* *.
Da 2.2.16 segue subito:

2.2.17. Sia f : S ~ T un'applicazione. Se f è biettiva e ha p er inversa f -1,


anche f - 1 è biettiva e ha per inversa f, si ha cioè ) - = f.
1 1
u-
Esercizi
Esercizio 2.2.1. Con fl , h , f 4 e f s definite in 2.2.1, si calcolino:

!1(2) , h(-2) , !1(15) , h( -15) ,


h(O) , h(l) , h(2) , h( -2) ,
h(15) , h( - 15) , f4(-2) , !4(15) ,
f4(-15) , f s ( -2) , fs(15) , fs(-15).

Esercizio 2.2.2. Sia f: S ~T un'applicazione. Si provi che:

f iniettiva {====> lf- 1 ({y})l ~ 1,\fy E T ,

cioè
f iniettiva {====> lf- 1 ( {y} )l = l , ìfy E f(S).
Relazioni tra insiemi 73

Esercizio 2.2.3. Sia f: S --7 T un'applicazione. Si provi che:

f suriettiva ç::::::? f- 1 ({y}) f. 0, \fy E T,


f suriettiva ç::::::? f - 1 (Y) f. 0, VY ç T, Y f. 0.
Esercizio 2.2.4. Sia f : S - - 7 T un'applicazione. Si provi che la relazione
opposta rp di f è un'applicazione se e solo se f è biettiva.

Esercizio 2.2.5. Siano Se T insiemi. Si provi che la relazione totale Rt tra S e


T è un'applicazione di S in T se e solo se S = 0 o lTI = l.

Esercizio 2.2.6. Considerate le applicazioni

h : x E No ~----t 4x E No,

-n se n E 2No
-3 se n E No \ 2No,
l3: Z --7 2No
lzl se z E 2Z
z ~----t { 4lzl se z E Z \ 2Z,

(n+ 4)/4 se n E 4No


2 se n E No \ 4No,

si provi che le implicazioni in 2.2.14 non si invertono.

Esercizio 2.2.7. Si dimostri quanto affermato nell'Esempio 2.2.6.

Svolgimento. La 91, la 92, la 93, la 94 e la 95 sono iniettive. Infatti, con x, x' E No


si ha:
91(x) = 91(x') =? 2x = 2x' =?x= x', per la (1.2.14);
92(x) = 92(x') =? 2x +l = 2x' +l=? 2x = 2x' =?x= x' perla (1.2.5)
e la (1.2.14);
93(x) = 93(x') =?x+ l = x' + l =? x= x', per la (1.2.5);
94(x) = 94(x') =?x+ l= x'+ l =? x= x', per la (1.2.5);
9s(x) = 9s(x') =? 3x + 4 = 3x 1 + 4 =? 3x = 3x' =?x= x', sempre per
la (1.2.5) e la (1.2.14).
Per lo studio della 97 è conveniente osservare che da x ::; 6 segue 97 (x) ::; 6 e da
x> 6 segue 97(x) =x+ 4 > 6 + 4 = 10 sicché se x ::; 6 e x' > 6 (o viceversa
x > 6 e x' ::; 6) senz'altro si ha 97(x) f. 97(x'). Se poi x, x' ::; 6 con x f. x' ,
banalmente 97(x) = x f. x' = 97(x'); infine se x > 6, x' > 6 con x 1- x', è
anche x + 4 f. x' + 4, per la (1.2.5). In ogni caso si ha che da x f. x' segue
74 Capitolo 2

97(x) f. 97(x') e dunque 97 è iniettiva. Analoghe considerazioni valgono per 99,


dopo avere osservato che 99 (x) ::; O se x E 2No, e 99 (x) > O se x E No \ 2No.
La 96 non è iniettiva poiché, per esempio, 96(7) = 7- 4 = 3 = 96(3), con
7 f. 3, e banalmente non lo è la 98 perché costante con dominio infinito.

Esercizio 2.2.8. Si dimostri 2.2.2.

Esercizio 2.2.9. Si dimostri 2.2.4.

Esercizio 2.2.10. Si dimostri 2.2.5.

Esercizio 2.2.11. Si dimostri 2.2. 7.

Esercizio 2.2.12. Si dimostri 2.2.8.

Esercizio 2.2.13. Siano f : S ______, T e 9 : T ______, V applicazioni. Si provi che:

9 o f iniettiva, f suriettiva ====? 9 iniettiva,


9 o f suriettiva, 9 iniettiva ====? f suriettiva.
Esercizio 2.2.14. Sia f : S ______, T un'applicazione iniettiva. Se X è un sottoin-
sieme di S, si ha che:
lXI = l ~ lf(X)I =l,
X finito ~ f(X) finito;
più precisamente:
lXI =n ~ lf(X)I =n.
Inoltre:

Se X 1 e X 2 sono sottoinsiemi di S, si ha che:

sicché

e dunque

Inoltre:
j(X1 n X2) = j(X1) n j(X2),
j(X1 \ X2) = j(X1) \ j(X2).
Re lazioni tra insiem i 75

Esercizio 2.2.15. Sia f : S ------> T un'applicazione e sia X un sottoinsieme di S.


Si definisce restrizione di fa X, e si denota con f1x, l'applicazione di X in T
che a ogni elemento di X associa la sua immagine in f:

f1x :X E X f---> j( x ) E T.

Si noti che f1x è la relazione indotta da f su X x T. Si provi che:

f iniettiva ==> f1x iniettiva,


f1x iniettiva ==/=r- f iniettiva,
f suriettiva ==/=r- f1x suriettiva,
f1x suriettiva ==> f suriettiva.

Si verifichi poi che immx = (ids)IX·


Esercizio 2.2.16. Siano f : S ------>T un 'applicazione e V un insieme contenente
S. Un 'applicazione 9 : V ------> T è detta un prolungamento di f a V se 9IS = f,
cioè se 9(x ) = f( x), per ogni x E S.
Per esempio,

91 : x E No f---> 3x - 5 E Z,

92 : x E No ------> Z
3x- 5 se x E N
43 se x= O,

sono prolungamenti di f : x E N f---> 3x - 5 E Z.


Si scrivano altri tre prolungamenti di f.
Esercizio 2.2.17. Si provi che, con 9 prolungamento di f, si ha:

9 iniettiva ==> f iniettiva,


f iniettiva ==/=r- 9 iniettiva,
9 suriettiva ==/=r- f suriettiva,
f suriettiva ==> 9 suriettiva.
Esercizio 2.2.18. Siano Se T insiemi e si consideri il prodotto cartesiano S x T.
Restano allora definite le applicazioni:

1rs : (x, y) ES x T f---> x ES


e
7rT: (x, y) ES x T f---> y E T,
dette, rispettivamente, la proiezione di S x T su S e la proiezione di S x T su T.
Si provi che 1rs e 7rT sono suriettive, a meno che, rispettivamente, risulti ( S =F 0
e T= 0) e (S = 0 e T =F 0).
76 Capitolo 2

Si noti che il termine "proiezione" deriva anch'esso dalla rappresentazione in cop-


pie di numeri reali dei punti di un piano in cui sia definito un riferimento cartesiano
ortogonale: infatti, se il punto P ha coordinate (a , b), il punto di coordinate (a , O)
è la proiezione di P sull'asse x e così b individua sull' asse y la proiezione di P.
Esercizio 2.2.19. Siano S e T insiemi non vuoti. Un'applicazione f : S ----> T è
detta cancellabile a sinistra se da f o h = f o k, con h, k : V ----> S segue h = k;
f è detta cancellabile a destra se da go f = l o f, con g, l :T----> vV segue che
g = l. Si provi che:

f cancellabile a sinistra ç::::::} f iniettiva,


f cancellabile a destra ç::::::} f suriettiva.

Se ne deduca che:

f cancellabile a destra e a sinistra ç::::::} f biettiva.

Esercizio 2.2.20. Sia f : S ----> T un'applicazione, con S e T non vuoti. Un' ap-
plicazione h : T ----> S è detta un 'inversa sinistra di f se h o f = ids, un 'inversa
destra di f se f o h = id r. Si provi che:

f ha inversa sinistra ç::::::} f iniettiva,


f ha inversa destra ç::::::} f suriettiva.

Si provi inoltre che se h è un 'inversa sinistra di f e k è un 'inversa destra di f


allora h = k, f è biettiva e h = f - 1 . Si costruiscano due inverse sinistre di:

f :x EN f------t x - l E Z,

e due inverse destre di:


g: x E Z f------t lxi E No .
Suggerimento. Se f è inietti va, si fissi x E S. Si definisca poi h(y) come l'unico
elemento x ES tale che y = f( x), se y E f(S); e h(y) =x se y ~ f(Si'
Se f è suriettiva, per ogni y E T si "scelga" un elemento Xy E f- ({y} ), e
si ponga h(y) = xy per ogni y E T. Si noti che tale procedimento necessita della
possibilità di fare "infinite scelte", coinvolge cioè il cosiddetto "Assioma della
scelta" che qui si preferisce non approfondire.
Esercizio 2.2.21. Considerate le applicazioni:
k :x EN f------t -x - 5 E Z,
l :z EZ f------t 5z
2
+ 4 E N,
f :n EN f------t l E N,

si stabilisca se esse sono iniettive, suriettive, biettive, e si determinino le compo-


ste:
l o k , k o l , f o l, k o f.
Relazioni tra insiemi 77

Esercizio 2.2.22. Si considerino le applicazioni:


m
g :m E 16Z f-------t E 4Z,
4
k : x E 4Z f-------t x 2 E 16Z.

(i) Si calcolino: g( {-16 , O, 16, 32} ), g(32Z), g- 1 ( 4Z), k( {0, 4, 12, 8, - 8} ),


k(4Z), k- 1 ({0 , 16, - 16, 32}).
(ii) Si stabilisca se g e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Qualora una delle applicazioni (o entrambe) sia biettiva, se ne precisi l 'in -
versa.
(iv ) Si determinino le composte k o g e g o k.
Esercizio 2.2.23. Si considerino le applicazioni:

k : t E 5Z t 2 E 25Z,
f-------t

z
h : z E 25Z f-------t S E 5Z.

(i) Sicalcolino: k({-5 , 0, 5, 10}), k(50Z ), k- 1 ({0 , 25 ,- 25 , 50}), h- 1 (5Z),


h( {0, 25 , - 50}), h- 1 ( {0, 25 , 50}).
(ii) Si stabilisca se k e h sono iniettive o suriettive.
(iii) Qualora una delle applicazioni (o entrambe) sia biettiva, se ne precisi l 'in-
versa.
(iv ) Si determinino le composte h o k e k o h e le si studi.
Esercizio 2.2.24. Si considerino le applicazioni:
m
g : m E 4No f-------t E Q,
3
k : x E Q f-------t 3x E Q.
(i) Si calcolino: g( {0, 16, 32, 36} ), g(12N0 ), g- 1 (Q), k- 1 ( {0, 16, -16 , 32} ),
k(Q), k( {0, 8, -8 , 9, -9} ).
(ii) Si stabilisca se g e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Qualora una delle applicazioni (o entrambe) sia biettiva, se ne precisi l'in-
versa.
(iv ) Si determini la composta k o g.
Esercizio 2.2.25. Si considerino le applicazioni:
z
g : z E 3Z f-------t 3 + 5 E Z,
h: t E Z f-------t 9t + 3 E 3Z.

(i) · Si calcolino: g({0 , 6,-6, 12 , -12}), g(3Z), g- 1 (Z), g- 1 ({1 , 11 , -11}),


h( { - 7, - 2, -l , o, l , 2, 7} ), h- 1 ( {0, - 3, 24, -30} ), h- 1 ( {15, - 21 , 36} ).
(ii) Si stabilisca se g e h sono iniettive o suriettive.
(iii) Si determinino e si studino le composte g o h e h o g.
78 Capitolo 2

Esercizio 2.2.26. Si considerino le applicazioni:

g : m E 3No f-----t 2m + 6 E 6N,


k: x E 6N f-----t (x- 6)(x- 12) E 6N.

(i) Si calcolino: g( {0, 3, 6, 12} ), g- 1 ( {6, 12, 24} ), g(3N), k( {6 , 12, 18, 24} ),
k- 1 ( {0, 6, 72} ), k- 1 (6N).
(ii) Si stabilisca se g e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Qualora una delle applicazioni (o entrambe) sia biettiva, se ne precisi l'in-
versa.
(iv) Si determini la composta k o g e la si studi.
Esercizio 2.2.27. Si considerino le applicazioni:

g: m E N f-----t -(m - l) E Z,
k: x E Z f-----t 2lxl E 2No .

(i) Si calcolino: g( {1 , 3, 6, 7} ), g(3N), g- 1 ( {0, l , 3, 4, -4, -7} ), g- 1 ( {5, 9} ),


k( {0, 2, 3, -3, -5}), k- 1 ({lO}).
(ii) Si stabilisca se g e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Si determini la composta k o g, si verifichi che è biettiva e se ne individui
l 'inversa.
Esercizio 2.2.28. Si considerino le applicazioni:

k : t E No f-----t -t E Z,
h: z E Z f-----t 6l z l + 6 E 6N.

(i) Si calcolino: k( {0, 2, 3, 5} ), k( 4N), k- 1 ({l, - l , 3, -4} ), k- 1 ( {5 , 6, 7} ),


h({0 ,-2,3,4,-4}), h- 1 ({12}).
(ii) Si stabilisca se k e h sono iniettive o suriettive.
(iii) Si determini la composta h o k, si verifichi che è biettiva e se ne individui
l 'inversa.

Esercizio 2.2.29. Si dimostri che l'applicazione

j :t E Z f-----t 2t - 16 E 2Z

è biettiva. Si determini l'inversa f- 1, e si calcolino: j - 1 ( -20), f - 1 (20), f - 1 (0).


Esercizio 2.2.30. Si dimostri che l'applicazione ·

l 3
g:sEQ f-----t Ss + 2 E Q
è biettiva. Si determini l'inversa g- 1, e si calcolino: g- 1 ( -!), g- 1 (!), g- 1 (0).
Relazioni tra insiemi 79

Esercizio 2.2.31. Con X = {i, m, n, v} e Y = {l , 7, 13, 21 }, osservato che


l'applicazione seguente f è biettiva, se ne precisi l'inversa:

f: x --------. y
i f--------7 13
m f--------7 l
n f--------7 21
v f--------7 7.

2.3 Relazioni d'equivalenza e partizioni


Nella prima parte di questo paragrafo sarà introdotto il concetto di partizione
di un insieme non vuoto, concetto strettamente legato a quello di relazione d 'e-
quivalenza cui è prevalentemente dedicato il paragrafo. Il legame in oggetto è
evidenziato dal teorema fondamentale che sarà ampiamente illustrato.

Sia S un insieme non vuoto e sia :F ç P ( S) un insieme di sottoinsiemi di S.


L'insieme :F è detto una partizione di S se ogni elemento di :F è un sottoinsieme
non vuoto di S, gli elementi di :F sono a due a due disgiunti, e la loro unione è S:

l) X =f 0 , V X E F ;
d' S 2) X , Y E F , X =f Y =? X n Y = 0;
r
J
. .
partlZlone 1 : {:::::=:}
{ 3) U X = S.
X EF

2.3.1. Esempio. Esempi di partizione sono

:Ft = {S} ,
la partizione totale, e
Fid = { {x} :x E S} ,
la partizione identica. Ovviamente esse coincidono se e solo se S è un singleton,
e sono le sole se ISI S 2.
Considerato l'insieme A = {a , b, c} , le partizioni di A sono:

:Ft, fid , :F3 = {{a} , {b,c}}, :F4 = {{b} , {a,c}} , :F5 = {{c}, {a, b}}.
Partizioni di No sono per esempio:

Se S è un insieme non vuoto e :F un insieme di sottoinsiemi non vuoti di S si ha


che:
:F partizione di S {:::::=:} (Vx E S, :l! Y E :F : x E Y) . (2.3.1)
Infatti, se :F è una partizione di S, ogni x E S appartiene a qualche Y E :F
in quanto S = U xEF X. Supposto poi x E Y e x E Z con Y, Z E F , si ha
80 Capitolo 2

che Y n Z i- 0 sicché, per la 2), Y = Z, come volevasi. Viceversa, se ogni


x E S appartiene a uno e un solo Y E F, si ha ovviamente S = Uxo· X e poi,
supposto Y, Z E F con Y n Z i- 0, si ha Y = Z in quanto ogni elemento di
Y n Z appartiene sia a Y che aZ.
Come anticipato, il concetto di partizione è strettamente legato a quello di
relazione d'equivalenza: ciò sarà illustrato nel seguito del paragrafo.
Come già introdotto nel Paragrafo 2.1, se S è un insieme non vuoto, una
relazione binaria R in Sviene detta una relazione d 'equivalenza se è contempo-
raneamente riflessiva, simmetrica e transitiva:
R riflessiva,
R relazione d'equivalenza in S <==::::? R simmetrica,
{
R transitiva.

Si ha cioè:
x R x, \lx ES;
R relazione d'equivalenza in S <==::::? x Ry ====? yRx, \fx, y ES;
{
x Ry , yR z ====? x R z, \fx , y ,z E S.
2.3.2. Esempio. Qualunque sia l'insieme S l'identità di S è una relazione d'e-
quivalenza in S, e così la relazione totale Rt . La relazione vuota invece non è mai
una relazione d'equivalenza in un insieme non vuoto S, non essendo tiflessiva.
La relazione R in No definita ponendo x R y : <==::::? x + y E Np è una
relazione d'equivalenza in No. Infatti: x R x, per ogni x E No poiché x+ x = 2x
è sempre pari; da xRy segue x+ y E Np, sicché y +x = x+ y E Np e
dunque yRx; infine, se x Ry e yR z , risulta x+ y E Np e y + z E Np, da cui
(x+ y) + (y + z) =x+ 2y + z E Np e x+ z E Np, il che comporta x R z, come
volevasi.
Siano ora S un insieme non vuoto e R una relazione d'equivalenza in S. Se x E S
si dice classe d'equivalenza di x modulo R , e si denota con il simbolo [x]n. (o
più semplicemente con il simbolo [x], se non c'è ambiguità) il sottoinsieme di S
costituito da tutti e soli gli elementi di S che sono in relazione con x:

[x]n := {s E S : s'Rx} .
Si parla anche di classe d'equivalenza "rappresentata da x".
L'insieme delle classi d'equivalenza di S modulo R viene detto l'insieme
quoziente di S modulo R (o l'insieme "S su R"):

s;n := {[x]n: x ES}.


L'applicazione:
1r: x ES 1-----7 [x]n E S/R
è detta la proiezione canonica di S in S / R. Si noti che essa è sempre suriettiva,
ed è inietti va se e solo se R = ids.
Relazioni tra insiemi 81

2.3.3. Siano S un insieme e n una relazione d'equivalenza in S. Allora:

x E [x]n, \fx E S, (2.3.2)


xny <===? [x]n = [Y]n, (2.3.3)
x 1t y <===? [x]n n [y]n = 0. (2.3.4)

n
Dimostrazione. Per ogni x E S si ha x x per la proprietà riflessiva di n,sicché
x E [x]n, pertanto vale la (2.3.2).
Per provare la (2.3.3) si supponga in primo luogo x ny. Se z E [x]n, allora
z n x e da x ny segue z ny per la proprietà transitiva, sicché z E [Y]n; vice-
versa sia z E [y]n, allora z n y, le ipotesi assicurano che y n x per la proprietà
n
simmetrica, sicché z x per la proprietà transitiva e dunque z E [x]n. Pertanto
[x]n = [y]n. Viceversa, sia [x]n = [Y]n, allora da x E [x]n segue x E [Y]n e
x n y, come volevasi. Pertanto vale la (2.3.3).
Si supponga ora x Jt y e, per assurdo, esista z E [x]n n [y]n; allora z E [x]n
e z E [y]n, sicché z n x e z n y, da cui x n z , per la proprieta simmetrica, e
x n y, per la proprietà transitiva, contro le ipotesi. Viceversa, se [x]n n [Y]n = 0,
non può aversi x n y, altrimenti risulterebbe x E [y]n e x E [x]n per la (2.3.2)
sicché x E [x]n n [y]n, contro le ipotesi. Resta così provata la (2.3.4). D
Si noti che la (2.3.3) ovviamente equivale a:
[x]n = [y]n <===? x E [y]n , (2.3.5)
il che assicura che ogni elemento di una classe d'equivalenza è capace di rappre-
sentarla.
2.3.4. Esempi. Sia S un insieme non vuoto. Considerata la relazione identica ids
in S, si ha [x]ids = {x} per ogni x E S, perché ogni elemento di S è in relazione
solo con se stesso. Pertanto S / ids = { {x } : x E S} = Fid. Considerata la
relazione totale nt. si ha [x]n = S per ogni x ES e dunque S/ nt = {S} = Ft.
In No si consideri la relazione d'equivalenza x ny <===? x + y E Np, già
definita nell'Esempio 2.3.2. Si vede subito che [O]n ={n E No: n+ OE Np} =
{n E No : n E Np} = Np. Si ha poi [l]n = {n E No : n+ l E Np} = Nd .
Per ogni n E Np, da n E [O]n segue allora [n]n = [O]n = Np; analogamente, per
ogni n E Nd si ha n E [l]n e quindi [n]n = [l]n = Nd. Quanto provato assicura
che: No/ n= {Np, Nd}·

2.3.5. Siano S un insieme non vuoto, n1 e n2 relazioni d'equivalenza in S. Sono


equivalenti le seguenti proprietà:
(i) n1 = n2,
(ii) [x]n1 = [x]n2 , \fx ES,
(iii) s;n1 = s;n2.
82 Capitolo 2

Dimostrazione. Ovviamente da (i) segue (ii) in quanto l'ipotesi (i) assicura che,
con x, y E S, si ha x R 1 y se e solo se x R 2 y. Supposto (ii), si ha subito (iii) per
definizione di insieme quoziente. Si assuma ora S l R1 = S l R 2 e sia x E S. Si
ha [x]n 1 E SIR1 = SIR2 sicché esiste x' E Staleche [x]n 1 = [x']n 2 • Perla
(2.3.2) riesce x E [x]n1 e dunque x E [x']n 2 da cui [x]n2 = [x']n2 per la (2.3.5).
Pertanto [x]n 1 = [x]n2 • Ciò prova la (ii). Si ottiene subito anche la (i) in quanto,
con x, y E S, si ha: x R1 y se e solo se, per (2.3.3), [x]n 1 = [y]n 1 , ciò equivale,
per quanto appena provato, a [x]n2 = [Y]n 2 , cioè a x R 2 y , sempre per la (2.3 .3).
Pertanto R 1 = R 2. D

Si è ora in grado di enunciare e dimostrare il seguente:

2.3.6. Teorema fondamentale sulle relazioni d'equivalenza. Sia S un insieme


non vuoto.
(I) Se R è una relazione d'equivalenza in S, l 'insieme quoziente S l R è una
partizione di S.
(II) Se :F è una partizione di S , esiste una e una sola relazione d'equivalenza
Ry: tale che :F = S l Ry:.

Dimostrazione. Sia R una relazione d'equivalenza in Se si consideri l'insieme


quoziente S l R. Ovviamente S l R ç P(S) in quanto [x]n ç S, per ogni x E S.
Da (2.3.2) segue [x]n =f. 0, per ogni x E S. Supposto [x] n =f. [y]n, si ha
[x]n n [y]n = 0 altrimenti si avrebbe x Ry per (2.3.4) e poi [x]n = [Y]n per
(2.3.3). Infine, ovviamente, UxES[x]n = s per (2.3.2). Pertanto SI n è una
partizione di S, e la (I) è provata.
Allo scopo di provare la (II), sia ora :F una pmtizione di Se si definisca in S
la seguente relazione: con x, y E S,

x Ry:y: {::=:=> 3Y E :F : x,y E Y.

La relazione Ry: è riflessiva perché, con x E S, si ha che esiste Y E :F tale


che x E Y, in quanto U xEF X = S. È poi banalmente simmetrica, in quanto
supposto x Ry: y, si ha x, y E Y per qualche Y E :F e dunque y, x E Y con
Y E F, il che comporta y Ry: x . Si supponga ora x Ry: y e y Ry: z, esistano
quindi Y, Z E :F tali che x, y E Y e y, z E Z. Si ha allora y E Y n Z e
dunque y n z =f. 0, sicché y = z per la proprietà 2) delle partizioni. Riesce
quindi x, z E Y con Y E :F da cui x Ry: z . Pertanto Ry: è transitiva. Si è così
provato che Ry: è una relazione d'equivalenza. Si osservi ora che, essendo :F
una pmtizione di S, la (2.3.1) assicura che per ogni x E S esiste uno e un solo
elemento di :F, lo si denoti con Vx, tale che x E Vx. È facile ora provare che:

[xJn.r = Vx .

Infatti, sia y E [x]nP sia cioè y Ry: x . Allora esiste Y E :F tale che x, y E Y e
si ha Y = Vx per l'unicità dell'elemento di :F cui x appartiene. Pertanto y E Vx.
Relazioni tra insiemi 83

Viceversa, se y E Vx, esiste proprio Vx E F tale che x, y E Vx e dunque y RF x


e y E [x]nP come volevasi. Da ciò segue facilmente che :
. S/ RF = F.
Infatti, se [x]n.r E S/R:F, si ha [xJn.r = Vx E F , dove Vx è l'elemento prima
individuato. Viceversa, se Y E F si ha Y i= 0 e dunque esiste z E S tale che
z E Y sicché Y = Vz = [zln.r E S/R:F, come richiesto. Supposto infine R'
relazione d'equivalenza in S tale che S/ R' = F , si ottiene subito R' = RF
da 2.3.5. D
Il Teorema 2.3.6 assicura che esiste un'applicazione biettiva tra l'insieme delle
relazioni d'equivalenza in Se le partizioni di S: infatti associando a ogni R l'in-
sieme quoziente S/ R si ottiene per la 2.3 .5 un'applicazione iniettiva, che risulta
poi suriettiva per la (II) del teorema fondamentale sulle relazioni d'equivalenza
(vedi 2.3.6).
Si noti che la dimostrazione del Teorema 2.3.6 è "costruttiva" nel senso che
permette sia di individuare la partizione a partire dalla relazione d'equivalenza
che, viceversa, determinare la relazione d'equivalenza a partire dalla pmtizione.
Per esempio è immediato verificm·e che la relazione d' equivalenza in No determi-
nata dalla partizione { Np, Nd} è la relazione R di 2.3.2.
Ogni applicazione f tra insiemi non vuoti S e T individua una relazione
d'equivalenza in S, detta la relazione determinata o indotta da f su S e denotata
con Rt· Tale relazione mette in corrispondenza gli elementi di S che hanno in f
la stessa immagine: con x, y E S
x R J y : {:::::::} f (x) = f (y).
Che tale relazione sia d' equivalenza è di immediata verifica.
2.3.7. Esempio. Si consideri f : x E &:: ~ x 2 E No. La relazione d'equivalenza
determinata da f è la seguente relazione in Z:
x R f y {:::::::} x 2 = y 2 {:::::::} y = ±x.
Sia ora g : x E &:: ~ lxi E No . La relazione d'equivalenza determinata da g è la
seguente relazione in &:::
x Rg Y {:::::::} lxi = IYI {:::::::} y = ±x.
Risulta R f = R 9 , pertanto applicazioni diverse possono determinare la stessa
relazione d' equivalenza.
Osservazione. Sia R una relazione d' equivalenza in Se sia
1r: x ES~ [x]n E S/ R
la relativa proiezione canonica. Con x, y E S si ha:
x R 1r y {:::::::} 1r (x) = 1r ( y) {:::::::} [x ]n = [y ]n {:::::::} x R y ,
per la (2.3.3). Pertanto R = R1r , e dunque ogni relazione d'equivalenza è indotta
da un ' opportuna applicazione.
84 Capitolo 2

Si noti inoltre che:

2.3.8. Sia f :S ---+ S un'applicazione, con S -=/= 0. Allora:


R 1 totale {=} f costante,
R 1 = ids {=} f iniettiva.

Dimostrazione. Esercizio. D

Osservazione. A volte si vuole definire un'applicazione di dominio un insieme


quoziente, precisando il corrispondente di ciascuna classe a partire da un suo rap-
presentante. Per esempio, considerata la relazione R di 2.3.2 in N0 , si potrebbe
pensare di associare a ogni classe [x]R il numero intero 3x - 7. In tal modo resta
definita una relazione tra No/Re Z che non è un'applicazione, in quanto ogni
classe ha infiniti corrispondenti, per esempio [1]n = [3]n = [5]n = ... ha cor-
rispondenti -4, 2, 8, .. . , mentre [2]n = [4]n = [6]n = . . . ha corrispondenti
-1, 5, 11, .... Per essere sicuri di definire una relazione che sia un'applicazione,
bisogna provare che il corrispondente di ogni classe non dipende dal rappresentan-
te considerato. Nell'esempio precedente, associando a ogni classe [x]n E No/ R
l'intero ( -l) x si ottiene un'applicazione di No/ R in Z poiché se [x]n = [y]n
allora x R y, quindi x e y sono entrambi pari oppure entrambi dispari; ne segue in
ogni caso (-1)x = (-1)Y.
Nel seguito tali considerazioni saranno spesso applicate.

Esercizi
Esercizio 2.3.1. Si consideri in Z la relazione binaria definita da:
aRb: {=} (a= b) o (a,b E No).
(i) Si provi che R è una relazione d'equivalenza in Z.
(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 17 R 151, -3 R 123,
-41 R-41, -60R-20, 34R34, 6RO.
(iii) Si determini l'insieme quoziente Z/ R.
Svolgimento. Si è già provato che R è una relazione d'equivalenza in Z (vedi
Esercizio 2.1.3). Si ha 17 R 151, poiché 17 e 151 E No, analogamente 6 R O;
inoltre ovviamente -41 R -41 e 34 R 34. Invece -3 Jt 123, infatti -3 -=/= 123 e
-3 tj. No, analogamente -60 Jt -20. Si ha:

[O]n ={n E Z: nRO} ={n E Z: (n= O) o (n , O E No)}= No,


pertanto [O]n = No, e per la (2.3.5), [x]n = No per ogni x E N0 . Invece se
x tj. No allora x è in relazione solo con se stesso, dunque [x]n = {x}. L'insieme
quoziente è dunque:

Z/ R = {No, {x} : x E Z \ N0 }.
Relazioni tra insiemi 85

Esercizio 2.3.2. Considerati l 'insieme W= { -7, -4, -3, O, 3, 6, 7} e la relazio-


ne d'equivalenza R in W definita da:

vRw: ~ llvl-lwll E {0,4} ,


si determinino le classi d 'equivalenza e l'insieme quoziente W j R.

Svolgimento. Risulta v Rw ~ (lvi = lwl o lvi- lwl = 141 = ±4). Si ha


dunque:
[- 7Jn = {- 7, 7, -3, 3} = [7]n = [-3]n = [3]n,
[-4]n = { -4, O}= [O]n,
[6]n = {6},
Wj R = { {6} , {-4, 0} , {7, -7, 3, -3}}.

Esercizio 2.3.3. Si consideri l'insieme A costituito dai numeri naturali della


forma 2n3m, con n, m E No:

Si verifichi che la relazione R definita in A ponendo:

2n3 111 R2 8 3t: ~ n+m=s+t

è d'equivalenza. Si determinino poi: [l]n, [2]n, [3]n, [4]n, [12]n. Si verifichi che
la relazione R * definita ponendo:

2n3m R * 28 3t : ~ n+ s = m+ t

non è d'equivalenza.
Svolgimento. Si ha ovviamente 2n3mn2n3m, per ogni 2n3m E A, sicché R
è riflessiva; se 2n3m R 2s3t, risulta n + m = s + t, da cui s + t = n + m e
2s3t R 2n3m, pertanto R è simmetrica; infine se 2n3m R 28 3t e 2s3t R 2u3v si ha
n + m = s + t e s + t = u + v, da cui n + m = u + v e dunque 2n3m R 2u3v,
sicché R è transitiva. Quindi R è una relazione d'equivalenza in A.
Risulta poi:

[l]n = [2°3°]n = {2n3m: n+ m= O}= {1},


[2]n = [2 1 3°]n = {2n3m : n+ m = l} = {2 , 3} = [3]n ,
[4]n = [2 2 3°]n = {2n3m :n+ m= 2} = {4, 6, 9} ,
[12]n = [2 2 31 ]n = {2n3m :n+ m= 3} = {8, 12, 18, 27}.

La relazione R * non è riflessiva, poiché per esempio 2 'Jt* 2 in quanto 2 = 21 3°


e l + l -l- O+ O, pertanto non è una relazione d'equivalenza. Si noti che R * è
simmetrica, e non è transitiva essendo 2 R * 3, 3 R * 2 e 2'Jt* 2.
86 Capitolo 2

Esercizio 2.3.4. Si consideri l'insieme A= {2n3m : n, m E No}. Si verifichi che


la relazione R definita in A ponendo:

è d'equivalenza. Si descriva poi la generica classe d'equivalenza [2n3m]n e in


particolare [1]n e [2]n. Si provi che ha senso definire l'applicazione:

e si studi tale applicazione.

Svolgimento. Si ha 2n3m R 2n3m, per ogni 2n3m E A, essendo n= n e m+m =


2m E 2N0 , sicché R è riflessiva; se 2n3m R 2s3t, risulta n = se m+ t E 2No, ne
segue s = n e t+ m E 2N0 , cioè 2s3t R 2n3m, pertanto R è simmetrica; infine
se 2n3m R 2s3t e 2s3t R 2u3v si ha n= s, s = u e m+ t E 2No, t+ v E 2No, ne
segue n = u e m + 2t + v E 2No, dunque m + v E 2No e quindi 2n3m R 2u3v,
sicché R è transitiva. Quindi R è una relazione d'equivalenza in A.
Per ogni elemento 2n3m E A si ha:

In particolare:

[1Jn = [2°3°]n = {2°3 2j : j E No } = {3 2j : j E No},


1 1 2 2
[2]n = [2 3°]n = {2 3 j : j E No} = {2 · 3 j : j E No }.

La c.p è un'applicazione, infatti da [2n3m]n = [2s3t]n segue n= se m+t E 2N0 ,


quindi (-1) mn = (-1)ts. Inoltre c.p è suriettiva, infatti per ogni z E Z si ha
z = c.p( [2z3°]n) se z ;: : : O e z = c.p([2< -z) 3 1 ]n) se z < O. Infine c.p non è inietti va,
infatti c.p([2°3°]n) = c.p([2°3 1]n), con [2°3°]n -1- [2°3 1 ]n poiché 2°3° Jt 2°3 1 .

Esercizio 2.3.5. Con A = {i, m, n, v, w} e B = {1 , 7, 13,21} si precisi per


ciascuno dei seguenti insiemi di insiemi se esso è una partizione di A:

:Fi= {{i,m,v,w},{n}},
F2 = { {i} , {m} , {v}, {w}} ,
F 3 = {{i ,m,n,v,w}} ,

e per ciascuno dei seguenti se è una partizione di B:

F4 = { {1 , 7}, 0, {13, 21} },


F5 = {{1 , 13,21} , {7}} ,
F6 = { {1 , 7, 13} , {7, 21} }.
Relazioni tra insiemi 87

Esercizio 2.3.6. Con V = { 4, 6, 8, lO} e W = {a , b, c, d , e, i} si precisi per


ciascuno dei seguenti insiemi di insiemi se esso è una partizione di V:

jél = {{4},{6},{8},{10}} ,
jé2 = {{4, 8} , 0,{10,6}} ,
jé3 = { { 4, 6, 10, 8}} ,

e per ciascuno dei seguenti se è una partizione di W:

Jé4 = {{i,a,d, c}, {b,e}},


Jé5 = {{a , c, i}, {b , d, e, i}},
Jé5 = {{b} , {c,i}, {a, e}}.

Esercizio 2.3.7. Considerata la partizione Jé = { {2k , 2k +l} : k E No} dell'in-


sieme No, e detta n:F la relazione d'equivalenza da essa determinata, si precisi
se le seguenti affermazioni sono esatte: 15 n:F 15, 23 n:F 24, 24 n:F 25, on:F l,
6 n:F 8, 6 n:F 9, 24 n:F 24, 25 n:F 24.

Esercizio 2.3.8. Considerata la partizione Jé = {{a, c, e}, {b, d} , {f}} dell'in-


sieme s = {a , b, c, d, e, f}, e dette n:F la relazione d'equivalenza da essa deter-
minata, si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: a n:F a, b n:F f, f n:F b,
c n:F e, e n:F C, f n:F f, a n:F b, e n:F f. Si descriva poi l'insieme quoziente
Sjn:F.
Esercizio 2.3.9. Si dimostri 2.3.8.

Esercizio 2.3.10. Si consideri l'insieme A = {2n3m : n , m E No}. Si verifichi


che la relazione n definita in A ponendo:

è d'equivalenza. Si descriva poi la generica classe d'equivalenza [2n3 771 ]n, e in


particolare [l]n e [2]n. Si provi che ha senso definire l'applicazione:

e si studi tale applicazione.

Esercizio 2.3.11. Si consideri l'insieme A = {2n3m : n, m E No}. Si verifichi


n
che la relazione definita in A ponendo:

è d'equivalenza. Si descriva poi la generica classe d'equivalenza [2n3 771 ]n, e in


particolare [l]n e [2]n.
88 Capito lo 2

Esercizio 2.3.12. Si consideri in Z la relazione binaria definita da:

aRb: <===? (a= b) o (a,b E 2No).

(i) Si provi che R è una relazione d'equivalenza in Z.


(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 4 R -6, 22 R 8, 23 R 46,
5R5, 60R-20, 6RO.
(iii) Si determini l'insieme quoziente Z/ R .
Esercizio 2.3.13. Si ponga C= {0, l , 2, 3, 4, 5} e si consideri in No la relazione
binaria definita da:

aRb: <===? (a= b) o (a,b E C).

(i) Si provi che R è una relazione d'equivalenza in No.


(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 42 R 6, 7 R 7, 22 R 2,
23 R 46, 5 R 5, 4 R 10, 6 R O, 3 R 4, [15]n = [4]n, [l]n = [2]n, [O]n =
[3]n, [352]n = [7]n, [23]n = [46]n.
(iii) Si determini l'insieme quoziente No/ R.

Esercizio 2.3.14. Si consideri l'insieme V costituito dai numeri interi della forma
4h + l, con h E Z:
V={4h+l:hEZ}.
Si verifichi che la relazione R definita in V ponendo:

(4h +l) R(4k +l) : <===? lhl = lkl


è d'equivalenza. Si determinino poi: [l ]n, [5]n , [-3]n.

Esercizio 2.3.15. Sia lP' l'insieme dei numeri primi in No e si consideri l 'insieme
W costituito dai numeri naturali della forma PIP2, con PI,P2 E lP', Pl :S: p2:

Si dimostri che la relazione R definita in W ponendo:

non è d'equivalenza. Osservato poi che la relazione indotta R' in

A= {4, 15,21,22,26,34,35}
è d'equivalenza, se ne determinino le classi d'equivalenza e l'insieme quoziente.
Relazioni tra insiemi 89

Esercizio 2.3.16. Sia lP' l'insieme dei numeri primi in No e si consideri l'insieme
W costituito dai numeri naturali della forma P1P2, con Pl, P2 E lP', Pl :::; P2:

(i) Si dimostri che la relazione n definita in W ponendo:

è d'equivalenza.
(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 14 n 10, 33 n 39, 21 n 6,
9 n 77, 15 n 35, 6 n 21, 4 n 4, 10 n 14, [51]n = [49]n, [49]n = [4]n,
[15]n = [35]n, [39]n = [91]n, [15]n = [14]n.
(iii) Si descrivano: [4]n, [6]n, [9]n, [25]n, [49]n.

Esercizio 2.3.17. Si consideri la relazione d'equivalenza n in N definita ponen-


do:
x rv y :{::=:} x e y hanno lo stesso numero di cifre distinte.

(i) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 115 n 1000, 100 n 1001,
4oo n 4, 123 n 134.
(ii) Si calcoli: [3]n, [21]n, [100]n.
(iii) Quanti e quali sono gli elementi dell'insieme quoziente Njn?
(iv) Si spieghi per quale motivo l'applicazione

f : [a]n E Njn ~ [a+ 1]n E Njn

non è ben posta.

2.4 Relazioni d'ordine


Si approfondiranno ora le relazioni d'ordine già definite nel Paragrafo 2.1. Esem-
pi notevoli di tali relazioni definite nell'insieme dei numeri naturali e nell'insieme
degli interi sono stati già richiamati nel Capitolo l anche in assenza della termi-
nologia precisa. In realtà il concetto di relazione d'ordine prende proprio spunto
dal cosiddetto "ordine usuale" illustrato negli esempi prima citati, e così altre
definizioni che saranno ora introdotte.

Una relazione binaria n in un insieme S è detta d'ordine (o d'ordine parziale) se


è riflessiva, asimmetrica e transitiva, cioè se si ha:

xnx , Vx ES;
xny, ynx ==}x= y, Vx,y ES;
xny, yn z ==} xn z, Vx,y, z E S.
· 90 Capitolo 2

2.4.1. Esempio. L'ordine usuale in No e l'ordine usuale in Z sono relazioni


d'ordine (vedi (1.2.23), (1.2.24), (1.2.25) e 1.2.8). E così il "divide" in No (vedi
(1.2.39), (1 ,2.40) e (1.2.41)). Non lo è invece il "divide" in Z (vedi 1.2.11).
Con T insieme, la relazione R definita in P(T) ponendo:

XRY <====> X ç Y

è d ' ordine (vedi (1.1.2), (1.1.4) e (1.1.5)).

In analogia a quanto succede in No e in Z, si preferisce spesso denotare con ":::;"


una qualunque relazione d'ordine R in S; si pone cioè:

x:::; y: <====> x Ry

e si dice "x minore o uguale di y" piuttosto che "x in relazione con y". Le
proprietà riflessiva, asimmetrica e transitiva quindi si scrivono:

x ::; x, Vx E S ;
x::; y , y ::; x=====> x = y , Vx ,y E S;
x::; y , y ::; z =====> x::; z, Vx, y , z E S .

La scrittura y ~ x indica che x ::; y, cioè x R y, e si legge "y maggiore o uguale


di x".
La coppia (S, :S) con S insieme e ::; relazione d' ordine in S è detto un in-
sieme ordinato o parzialmente ordinato; a volte, quando è chiaro il contesto,
viene denotato più brevemente col solo simbolo S. Esempi di insiemi ordina-
ti sono allora: (N0 , usuale) , (N 0 ,divide) , (Z, usuale) e, con T insieme arbitrario,
(P(T) , ç).
Sia (S, ::; ) un insieme ordinato. Elementi x e y in Svengono detti confron-
tabili se si ha x ::; y o y ::; x . Ovviamente ogni elemento è confrontabile con se
stesso, e si ha contemporaneamente x ::; y e y ::; x se solo se x = y.
Un insieme ordinato (S, ::;) tale che x e y sono confrontabili, per ogni x, y E
S è detto totalmente ordinato (o catena). Per esempio (No, usuale) e (Z, usuale)
sono totalmente ordinati. Non lo è (No, divide) in quanto, per esempio, 2 non
divide 3 e 3 non divide 2. L'insieme (P(T) , ç) è totalmente ordinato se e solo se
!TI ::; l poiché, per esempio, se x e y sono elementi distinti di T , i singleton {x }
e {y} non sono confrontabili.
Se (S, ::; ) è un insieme ordinato, con x, y E S si pone:

x <y : <====> x ::; y e x f= y,

e si legge "x minore strettamente di y". Si noti che anche questa notazione esten-
de quella ben nota tra numeri interi, e che in (P(T) , ç ) il minore stretto coincide
con l'inclusione stretta. Si dice anche che "y è maggiore strettamente di x" e si
scrive y > x, per indicare che x < y. Per esempio x f_ x , per ogni x E S, 2 < 6
in (No , divide) , e 0 < T in (P(T) , ç ), per ogni insieme T f= 0.
Relazioni tra insiemi 91

2.4.2. Sia (S , :=;) un insieme ordinato. Si ha:

x < y , y :=;z =:} x< z,


x::; y, y <z =:} x< z,
x <y, y <z =:} x< z,
x<y =:} y 'f:x.

Dimostrazione. Esercizio. D

Se S è un insieme ordinato e X ç S, si può considerare la relazione indotta da ::;


in X: tale relazione è ancora d'ordine (vedi 2.1.3) e di solito viene indicata ancora
con il simbolo ::; . Ha quindi senso considerare l' insieme ordinato (X, ::; ) .
Se (S, ::; ) e (S*, ::;* )sono insiemi ordinati, un' applicazione f: S ----> S* è
detta crescente o un omomor.fismo di insiemi ordinati se da x ::; y con x, y E S
segue f( x ) :=;* f(y):

f crescente : {:=:::} (x, y E S, x::; y =:} f( x ) :=;* f(y)).

2.4.3. Esempio. L'applicazione identica idNa : x E No 1-----t x E No è un omo-


morfismo di (No, divide) in (No , usuale), non lo è di (No , usuale) in (No , divide).
Infatti, con x, y E No, da x divide y segue x::; y, cioè idN0 (x ) ::; idN0 (y), do-
ve ::; indica l'ordine usuale. Ma, per esempio, 2 ::; 3 nell'ordine usuale mentre
idNo (2) = 2 non divide idNo(3) = 3.

Un insieme ordinato finito non vuoto (S, ::; ) può essere rappresentato efficace-
mente con un diagramma, detto diagramma di Basse, in cui gli elementi sono
indicati da punti e questi, se confrontabili, sono legati da segmenti secondo il se-
guente criterio. Sia, per esempio x < y, si disegna allora x più in basso rispetto a
y; si collegano poi i due punti con un tratto continuo se non esiste alcun elemento
z E S tale che x < z < y e si dice che y copre x o x è coperto day; così conti-
nuando si ragiona in maniera analoga con x e z e con z e y . La finitezza di S dà
senso a questa costruzione.

2.4.4. Esempio. Siano A = {l , 2, 3, 4, 5, 6} e B = {a , b}. Gli insiemi ordinati


(A , usuale), (A , divide) e (P( B) , ç ) si rappresentano nel seguente modo:
6
5
4

3
2
l
l
92 Capitolo 2

Come sarà ancora più chiaro nel seguito, i diagrammi di Hasse permettono di
visualizzare efficacemente proprietà dell'insieme ordinato finito.
Si noti che la relazione opposta R 0 P di una relazione d'ordine R è anch'essa
d' ordine, ha senso cioè considerare ::;op di una relazione d'ordine ::=:; . Se (S, ::=:;)
è un insieme finito , il diagramma di Hasse di (S, ::;op) si ottiene "capovolgendo"
quello di (S, ::=:;) . Così, per esempio, il diagramma di Hasse di (A, divide 0 P), con
A= {l , 2, 3, 4, 5, 6}, è il seguente:

4 6

Nel seguito del paragrafo si supponà sempre S insieme non vuoto .


Sia (S, ::=:; )un insieme ordinato. Un elemento a E S è detto minimo diSse è
confrontabile con ogni elemento di Se risulta a ::=:; x, per ogni x E S:
a minimo di S : <=====? a ::::; x, Vx E S.
Analogamente, b E S è detto massimo di S se è confrontabile con ogni elemento
di Se risulta x ::=:; b, per ogni x E S:
b massimo di S : <=====? x ::=:; b, Vx E S.
In (No, usuale) O è minimo (vedi (1.2.26)) e non esiste massimo (vedi (1.2.27));
in (No , divide) l è minimo e O è massimo; in (Z, usuale) non esiste né minimo né
massimo (vedi (1.2.46)); in (P(T) , ç ) l' insieme vuoto è minimo, T è massimo.
Gli esempi precedenti mostrano che un insieme ordinato può essere privo di
minimo (di massimo). Ma si prova facilmente che l'esistenza di un tale elemento
comporta sempre la sua unicità sicché ha senso parlare del minimo di Se denotar-
lo con min S, se esiste, e analogamente del massimo di S, denotato con max S,
se esiste:
a = minS: <=====? a::=:; x, Vx ES,
b = maxS : <=====? x::::; b, Vx E S.
Si ha infatti:

2.4.5. Sia (S, ::=:;) un insieme ordinato, e siano a, a', b, b' E S. Si ha:

a minimo di S, a' minimo di S ==> a = a' ,


b massimo di S, b' massimo di S ==> b = b'.

Dimostrazione. Si supponga a ::=:; x, per ogni x E S, e a' ::=:; x, per ogni x E S.


Allora si ha : a ::=:; a' e a' ::=:; a, da cui segue a = a' per la proprietà asimmetrica.
Analogamente, se x ::::; b per ogni x E Se x ::::; b' per ogni x E S, si ha b ::::; b' e
b' ::::; b, il che comporta b = b', come richiesto. D
Relazioni tra insiemi 93

Ovviamente:
a= min(S, :S) {=::} a= max(S, :S 0 P) ,
b = max(S, :S) {=::} b = min(S, :S 0 P).
Un elemento c di un insieme ordinato (S, :S) è detto minimale se non esistono in
S elementi strettamente minori di c:

c mini male in S : {=::} ~ x E S : x < c ..

Ovviamente si ha:

c minimale in S {=::} (sE S, s :S c==::} s = c). (2.4.1)

Infatti, se c è minimale e si ha s :S c con s E S, non può aversi s < c e dunque


s = c. Viceversa, supposto c tale che da x :S c, con x E S, segue che x = c, si
ha c minimale in S altrimenti esisterebbe s E S con s < c e dunque esisterebbe
s E S tale che s :::; c e s # c, contro le ipotesi.
"Dualmente", un elemento d di un insieme ordinato (S, :S) è detto massimale
in S se non esistono in S elementi strettamente maggiori di d:

d massimale in S: {=::} (~ x E S: d < x).

Ragionando in analogia a quanto fatto in precedenza si ottiene:

d massimale in S {=::} (sE S, d :S s ==::}d= s). (2.4.2)

2.4.6. Sia (S, :S) un insieme ordinato e siano a , b, c, d E S. Si ha:

a= mi n S ===} a minima/e in S,
a= min S, c minima/e in S ==::} a = c,
b= max S ==::} b massimale in S,
b= max S, d massimale in S ==::} b = d.

Dimostrazione. Si supponga a = min S e sia s :S a. L' essere a minimo assicura


che a :::; s, e quindi dalla proprietà asimmetrica segue subito a = s.
Sia ancora a = min S e si supponga c minimale in S . Da a minimo segue
a :S c, la minimalità di c assicura allora che a = c, come volevasi.
Le due successive implicazioni si ottengono "dualizzando" le dimostrazioni
precedenti, cioè "sostituendo" il 2: al :::; . D

Pertanto, se un insieme ordinato ha minimo, questo è l'unico elemento minimale


e, se ha massimo, questo è l'unico elemento massimale. Un insieme ordinato
può però avere uno o più elementi minimali (rispettivamente massimali) senza
ammettere minimo (risp. massimo). Può anche non avere elementi minimali (risp.
massimali).
94 Capitolo 2

2.4.7. Esempio. L'insieme C = {2 , 3, 4, 5, 6} ordinato con il "divide" ha 2, 3 e 5


come elementi minimali (e quindi non ha minimo), 4, 5 e 6 come elementi massi-
mali (e quindi non ha massimo). Rappresentato (C, divide) con un diagramma di
Hasse, tali proprietà sono evidenti:

4T A6
2V ~3 • 5
L'insieme D = {2 71 : n E N} U {3} ordinato ponendo x ::; y : {:::=} ylx
(cioè con la relazione indotta dalla opposta del "divide" in No ) è tale che 3 è
l' unico elemento minimale, ma D è privo di minimo. Infatti, con s E D, s :S: 3
implica 3ls e dunque s = 3. Pettanto 3 è minimale, ma non minimo in quanto,
per esempio, 3 1:. 2 poiché 2 non divide 3. Ogni altro elemento 271 di D non è
minimale poiché esiste 2n+ 1 E D tale che 2n+ 1 -:/= 271 e 271 12n+ 1 , cioè tale che
2n+l < 2n.
L' insieme ordinato (D, divide) ha come unico elemento massimale 3 ed è
privo di massimo.
L' insieme (Z, usuale) è privo sia di elementi minimali che di elementi massi-
mali.

È opportuno però osservare che:

2.4.8. Se (S, :S:) è un insieme totalmente ordinato e c E S è minima/e in S, allora


c = min S. Analogamente, se d E S è massimale in S, è d = max S.

Dimostrazione. Si supponga c minimale in S e sia x E S Allora x f. c per la


minimalità di c e x è confrontabile con c per le ipotesi su S . Pertanto c ::; x, come
volevasi. L' altra proprietà è analoga. D

Anche gli insiemi ordinati finiti hanno proprietà particolari.

2.4.9. Sia (S, ::;) un insieme ordinato finito e non vuoto. Allora S ha elementi
minimali e elementi massimali.

Dimostrazione. Sia x1 un elemento di S . Se x 1 non è minimale, esiste x2 E S


tale che x2 < x1; se x2 non è minimale, esiste X3 E S tale che X3 < x2 < x1 .
La finitezza di S garantisce che esiste Xt E S (t 2: l) tale che Xt è minimale in S.
Una dimostrazione analoga vale per i massimali. D

Le due proposizioni precedenti assicurano che:

2.4.10. Sia (S, :S:) un insieme totalmente ordinato finito e non vuoto. Allora S ha
minimo e massimo.
Relazioni tra insiemi 95

Dimostrazione. Per la 2.4.9 (S, ~) ha elementi minimali e massimali sicché si


può applicare la 2.4.8. D
Quindi un insieme totalmente ordinato finito non vuoto ha diagramma di Hasse
del tipo

l
l

I
il che giustifica il termine "catena" utilizzato per gli insiemi totalmente ordinati.
Se (S, ~)è un insieme ordinato e X ç S, ha senso parlare di minimo di X,
massimo di X, elementi mini mali di X, elementi massimali di X. Precisamente:

v := min X {::::::::} v E X e v ~ x, Vx E X ,
v := maxX {::::::::} v E X e x~ v, \lx E X,
v minimale in X : {::::::::} v E X e ~ x E X : x < v,
v mini male in X {::::::::} v E X e (y ~ v, y E X ==? y = v),
v massimale in X : {::::::::} v E X e ~ x E X : v < x,
v massimale in X {::::::::} v E X e (v ~ y, y E X ==? v = y).

Di notevole importanza è la seguente definizione. Un insieme ordinato (S, ~ ) è


detto ben ordinato (e si dice anche che ~ è un buon ordine), se ogni parte non
vuota di S, con l'ordinamento indotto, ammette minimo:

S ben ordinato : {::::::::} (V X ç S, X=/= 0 , :3 minX).


Quindi un insieme ben ordinato è un insieme dotato di minimo, in cui ogni parte
non vuota ha minimo.
2.4.11. Esempio. L'insieme ordinato (No, usuale) è ben ordinato. L' insieme
ordinato (No, divide) non è ben ordinato: infatti, pur ammettendo minimo, ha parti
non vuote, per esempio {2, 3}, prive di minimo. L'insieme ordinato (Z, usuale)
non ha minimo, dunque non è ben ordinato. L'insieme ordinato (P(T), ç ), con T
insieme, è ben ordinato se e solo se ITI ~ 1: infatti, se a, b sono elementi distinti
di T, l'insieme {{a} , {b}} non ha minimo.
Come si intuisce dagli esempi precedenti, si ha:

2.4.12. Ogni insieme ben ordinato è totalmente ordinato.


96 Capitolo 2

Dimostrazione. Sia (S, ~) un insieme ben ordinato. Siano x e y elementi di Se si


consideri l'insieme {x, y}. Ovviamente tale insieme è non vuoto, dunque dotato
di minimo in quanto S è ben ordinato. Tale minimo è x oppure y sicché, nel primo
caso, si ha x ~ y e, analogamente, nel secondo si ha y ~ x . In ogni caso x e y
sono confrontabili. D

L'insieme (Z, usuale) mostra che esistono insiemi totalmente ordinati ma non ben
ordinati.
Se (S, ~) è un insieme ordinato e X è un sottoinsieme non vuoto di S, ha
ovviamente senso cercare di "correlare" gli elementi di X con quelli di S. Ciò
po1ta alla seguente definizione.
Sia (S, ~) un insieme ordinato e sia X un sottoinsieme non vuoto di S. Un
elemento w di S è detto un minorante di X in S se è confrontabile con ogni
elemento di X e risulta minore o uguale di ogni x E X:

w minorante di X in S: ç::::::} (w~ x, Vx E X).

È detto un maggiorante di X in S se è confrontabile con ogni elemento di X e


risulta maggiore o uguale di ogni x E X:

w maggiorante di X in S: ç::::::} (x~ w, Vx E X).

Ovviamente se S ha minimo (rispettivamente massimo) tale elemento risulta mi-


norante (rispettivamente maggiorante) di un qualunque sottoinsieme non vuoto
di S. Così, se X, ordinato con la relazione indotta, ha minimo (risp. massimo)
questo è minorante (risp. maggiorante) di X. Più precisamente:

w minorante di X, w E X ç::::::} w = min X,


w maggiorante di X, w E X ç::::::} w = max X.

2.4.13. Esempio. ll sottoinsieme 2N 0 di (No, usuale) ha in No un unico mino-


rante, O, che è il suo minimo; non ha maggioranti in N0 . Il sottoinsieme 2N 0 di
(Z, usuale) ha infiniti minoranti in Z, tutti gli elementi di Z \N; non ha maggio-
ranti in Z. In (No , divide) il sottoinsieme {12, 18} ha come minoranti l , 2, 3, 6; ha
infiniti maggioranti, tutti i multipli di 36 in No. In (P(A), ç) con A= {a, b, c},
il sottoinsieme { {a} , { b}} ha come minoranti solo 0, come maggioranti {a , b} e
A.
Come evidenziano gli esempi precedenti, poi anche gli esercizi, un sottoinsie-
me non vuoto di un insieme ordinato può non avere minoranti (rispettivamente
maggioranti), può averne uno solo, o un numero finito o infinito.
Se il sottoinsieme X ha minoranti, è non vuoto l'insieme

M= {w ES : w minorante di X}.

Ordinato questo insieme con la relazione indotta, questo può avere o meno mas-
simo. Se tale massimo esiste, esso è ovviamente unico per 2.4.5 e viene detto
Relazioni tra insiemi 97

l'estremo inferiore di X in S, denotato con inf s X (o semplicemente con inf X


qualora non ci sia possibiltà che ciò generi equivoci). Pertanto, con k E S, si ha:

k = inf X. <===? { (i) k ::::; x, \lx E X (2.4.3)


· (ii) (s::::; x, \lx E X) ==? s::::; k.

Infatti la (i) esprime l'appartenenza di k all'insieme M, dopodiché la (ii) esprime


il fatto che k = max M.
"Dualmente", supposto non vuoto l'insieme

N= {w E S : w maggiorante di X},
se tale insieme ha minimo, tale minimo è detto l'estremo superiore di X in S, e
denotato con sup 8 X (o semplicemente con sup X). Pertanto, con h E S, si ha:

h_ X . { (i) x ::::; h , \lx E X (2.4.4)


- sup · <===? (ii) (x::::; s, \lx E X)==? h :S s.

2.4.14. Esempio. Per ogni x E N, si indichi con 1(x) il numero delle cifre di x:
se x = atat-1 ... ao, con t 2: O, ao, ... , at E {0, l , .. . , 9} e at i- O è l'usuale
scrittura decimale di x, si pone 1 (x) =t+ l. Per esempio 1 (30) = 2, 1(5) = l.
Se in N si pone:

x Ry: <===? (x= y) o (!(x) < ! (Y)) ,

dove il ::::; è l'ordine usuale in N, si ottiene una relazione d'ordine. È facile al-
lora osservare che il sottoinsieme {10 , 14, 47} ha come minoranti l , 2, ... , 9, ma
non ammette estremo inferiore; così tutti i numeri naturali di tre o più cifre sono
maggioranti, ma non esiste estremo superiore.

Può risultare utile la seguente osservazione:

2.4.15. Siano (S, ::::;) un insieme ordinato e X ç S. Se (X, :S) ha minimo a,


risulta a= inf X. Analogamente, se (X , :S) ha massimo b, risulta b = supX.

Dimostrazione. Si è già osservato che il minimo di X è un minorante di X. Se


w E S è un qualsiasi minorante di X, si ha w ::::; x per ogni x E X, e quindi in
particolare w ::::; a, sicché a è il massimo dei minoranti di X, ossia a = inf X.
L' altra proprietà è la "duale". D

In (P(T), ç), con T insieme, ogni sottoinsieme non vuoto X ha estremo inferiore
e estremo superiore. Precisamente:

inf X =
YEX
n Y, sup X = UY ,
YEX
98 Capitolo 2

in quanto valgono le proprietà (i) e (ii) di (2.4.3) e (2.4.4) che definiscono tali
elementi.
In (No , divide) ogni sottoinsieme finito e non vuoto X ha estremo inferiore e
estremo superiore. Precisamente, se X = { x 1, ... , X n}, si ha:

inf X = MCD( x l , ... , X 11 ) ,


supX = mcm(x1 , ... ,xn) ,

dove i simboli "MCD" e "mcm" indicano rispettivamente il massimo comune


divisore e il minimo comune multiplo. Il significato e l'esistenza di questi ele-
menti sarà discusso nel Capitolo 5. Per il momento ci si appella alle conoscenze
elementari del Lettore.
Un insieme ordinato (S, 'S ) tale che, per ogni x , y E S esiste inf{ x , y} e
su p{ x , y} è detto un reticolo. Esempi di reticolo sono (P (T) , ç ) e (No , divide) ,
come illustrato in precedenza. Ai reticoli è dedicato parte del Capitolo 10, cui si
rimanda.

Esercizi
Esercizio 2.4.1. Si provi 2.4.2.
Esercizio 2.4.2. Si consideri l'insieme W costituito dai numeri naturali della
forma 2n3m, con n, m E No:

vV = {2n3m: n, m E No}.

(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione R definita in W ponendo:

dove il .,:::; indica la relazione d'ordine usuale in No.


(ii) Si studi l'insieme ordinato (W, R), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(iii) Si provi che (W, R) è un reticolo.
(iv) Si studi l'applicazione:

e si provi chef è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (W, R) e (No ,.,:::; ).
(v) Considerati i seguenti sotto insiemi di W:

F = {2 , 4 , 12, 16} , G = {1 , 3, 9, 81 } ,
H= {2 , 8 , 18, 72}, K = {3, 16 , 27, 32} ,
si studino gli insiemi ordinati (F, R), (G , R), (H, R), (K, R), disegnando-
ne anche il relativo diagramma di Hasse.
Relazioni tra insiemi 99

Svolgimento. (i) Da n :::; n e m :::; m segue subito che 211 3111 n 211 3111 , per ogni
211 3111 E W. Pertanto n è riflessiva. Si supponga ora 211 3111 n 2s3t e 2s3t n 211 3111 ,
sia cioè n :::; s e m :::; t e anche s :::; n e t :::; m; per l'asimmetria dell 'ordine usua-
le in No si ha n= se m= t, sicché 211 3111 = 28 3t. Quindi n è asimmetrica. Si
supponga infine 211 3111 n 28 3t e 28 3t n 2h3k' si abbia cioè n :::; se m :::; t, s :::; h
e t :::; k. La transitività dell'ordine usuale in No comporta n :::; h e m :::; k da
cui 211 3111 n 2h3k. Ciò assicura che n è anche transitiva e quindi è una relazione
d'ordine in W.
(ii) La relazione d'ordine n non è totale perché, per esempio, 2 7/.- 3 e 3 7/.- 2 in
quanto 2 = 2 13° e 3 = 2°3 1. Pertanto n non è un buon ordine (vedi 2.4.12). Ri-
sulta l = min W essendo O :::; s, O :::; t per ogni s, t E No da cui l = 2°3° n 2s3t,
per ogni 2s3t E W. Quindi l è l' unico elemento minimale di W. Non esistono
elementi massimali, e quindi non esiste il massimo di vV: infatti, per esempio,
per ogni 211 3111 E W esiste 2n+ 13m+l E W tale che 211 3111 2n+ 13m+1 con n
2n3m of. 2n+13m+1.
(iii) Considerati 211 3111 , 2s3t E W, si ha

inf{2 11 3111 , 28 3t} = 2h3k ,


sup{2 11 3111 , 28 3t} = 2v3w,

con h= min{n, s}, k ·= min{m, t}, v= max{n, s} e w= max{m, t}, dove


tali minimi e massimi vanno intesi rispetto alla relazione d'ordine usuale in No.
n n
Infatti, da h :S n, h :S S, k :S m e k :S t segue 2h3k 211 3111 e 2h3k 2 8 3t, sicché
2h3k è minorante di {2 11 3111 , 28 3t}; supposto poi 2i3j minorante di {2 11 3111 , 28 3t},
si ha i :::; n, j :::; m, i :::; s e j :::; t, sicché i :::; h e j :::; k essendo h = min {n , s}
e k = min{m, t}. Pertanto 2h3k è il massimo dei minora.n ti di {2 11 3111 , 28 3t}.
"Dualizzando" si prova l'altra proprietà. Pertanto (W, n) è un reticolo.
(iv) L'applicazione f è ovviamente suriettiva e non iniettiva: infatti ogni y E No
è immagine per esempio sia di 2Y3° che di 2°3Y e questi sono distinti se y i- O.
È poi un omomorfismo di insiemi ordinati, perché, supposto 211 3111 28 3t, ciò n
comporta n :::; se m :::; t, sicché !(211 3111 ) =n+ m:::; s +t = j(2 8 3t).
(v) Da 2 = 2 13° 4 = 22 3° 12 = 22 3 1 16 = 24 3° l = 2°3° 3 = 2°3 1
9 = 2°3 2 ,8 = 23 3°, 18 = 2132 , 72 = 23 32,27 = 2°3 3 ,.32 = 25 3° ~ 81 = 2°34
segue subito che i diagrammi di Hasse di F, G, H e K sono rispettivamente:

81

9 32

3 1 16

l 2

È evidente cheF ha minimo 2 e elementi massimali 12 e 16, G è una catena di


minimo l e massimo 81, H ha minimo 2 e massimo 72, K ha elementi minimali
3 e 16 e elementi massimali 27 e 32.
100 Capitolo 2

Esercizio 2.4.3. Posto M = {n E N : n ;::: 2}, per ogni n E M si dica (3 (n) il


numero dei divisori primi positivi distinti di n, sia cioè

(3 (n) := I{P E N: p primo , p divide n}l.

Si consideri in 1111a seguente rela zion e:

n Rm : <====? (n = m) o ((3(n) < (3 (m.)) ,

dove il ~ indica la relazione d'ordin e usuale in No.


(i) Si dimostri che R è una relazione d 'o rdine e la si studi, precisando se l'or-
dine è totale, se è un buon ordine, se esistono min l\11, max 111, elementi
minima/i, elementi massimali.
(ii) Posto V= {6 , 10 , 11, 25 , 27, 30} e Z = {26 , 33 , 34, 46 , 70 , 121}, si precisi
se V e Z hanno minoranti in l\11, se hanno maggioranti, estremo inferiore,
estremo superiore. Ordinati poi V e Z con la relazione indotta da R, si
studin o tali insiemi ordinati e se ne disegni il diagramma di Hasse.
(iii) Si faccia uno studio analogo a quello del punto (ii) per gli insiemi:

w= {14 , 32 , 42 , 66 , 8 1, 125} ,
T = {24 , 50 , 135 ,2 10, 220 , 242} ,
l)= {55 , 154, 169 , 210 , 30030,36960}.

Svolgimento. (i) La relazione R è riflessiva in quanto da n = n segue n R n,


per ogni n E l\11. È poi asimmetrica in quanto , supposto n Rm e n i- m, si
ha (3 (n) < (3 (m) e dunque (J (m) f:. (3 (n) e così m 1J.. n, come volevasi (o an-
che, supposto n R m e m R n si ha necessariamente n = m , non potendo aversi
contemporaneamente (3 (n) < (3 (m) e (3 (m.) < (3 (n) per l'asimmetria dell ' ordine
usuale in N). Infine R è transitiva: supposto infatti n R m e m R t, si ha ovvia-
mente n R t se n = m o m = t; se poi è n i- m e m i- t, le ipotesi assicurano
che (3 (n) < (3(m) e (J (m) < (3 (t) sicché la transitività dell'ordine usuale in N
garantisce che (3(n) < (3 (t) e ancora n Rt. La relazione R non è totale perché,
per esempio, (3 (3) = l = (3 (5) e dunque 3 1J.. 5 e 5 1J.. 3. Di conseguenza R
non è un buon ordine (vedi 2.4.12). Esistono infiniti elementi mù1imali: tutti gli
elementi n di M con (3 (n) = l. Questi sono tutte e sole le potenze dei numeri
naturali primi:

{n E M: n minimale} = {pi :p primo , i E N}.

Infatti non esistono elementi m di M tali che (J(m) < l e quindi se p è primo e
i E N non esistono elementi m di M tali che m i- pi e m R pi . Esistendo infiniti
elementi minimali non esiste minimo di l\11. Non esistono elementi massimali in
l\11 e dunque non esiste massimo di M. Infatti, considerato un qualunque n E l\11
esiste un numero naturale primo q che non divide n. Posto allora k = nq, si ha
che k E M, k i- n e (3 (k) = (3 (n) +l sicché n R k con k i- n. Pertanto n non è
Relazioni tra insiemi 101

massimale in M.
(ii) Si ha ovviamente:

/3 (6) = 2 = /3 (10), /3 (11) = l = ;3 (25) = /3 (27) , /3 (30) = 3,

e
/3 (26) = 2 = /3 (33) = /3 (34) = /3 (46), /3 (121) = l , /3 (70) = 3,
sicché i diagrammi di Hasse di V e di Z sono i seguenti:

30 70

M
11 25 27
26

121
46

Come evidente, l'insieme ordinato (V, R) ha massimo 30 e elementi minimali


11 , 25 , 27 e dunque non ha minimo. L'insieme ordinato (Z, R) ha massimo 70,
minimo 121 ed è un reticolo. Come sottoinsieme di M , V non ha rninoranti e
quindi non esiste estremo inferiore. Ha come maggiorante 30 e tutti gli elementi
n di M con ;3(n) > 3. Ovviamente (vedi 2.4.15) il massimo di V è anche il suo
estremo superiore. I maggioranti di Z in M sono 70 e tutti i naturali n tali che
;3(n) > 3, ovviamente 70 è l'estremo superiore di Z. L'unico rninorante è 121
che è anche l'estremo inferiore di Z.
(iii) Si ha:

/3 (14) = 2, /3 (32) =l= /3 (81) = /3 (125) , /3 (42) = 3 = /3 (66) ,

/3 (24) = 2 = /3 (50) = /3 (242) = /3 (135) , /3 (210) = 4, /3 (220) = 3,


/3 (55) = 2, /3 (154) = 3, /3(169) =l , /3 (30030) = 6, /3 (36960) = 5,
2 3
(infatti: 242 = 2 · 11 , 135 = 3 · 5, 154 = 2 · 7 · 11, 30030 = 2 · 3 · 5 · 7 · 11 · 13,
36960 = 25 · 3 · 5 · 7 · 11), sicché si ottengono i seguenti diagrammi di Hasse:
30030

42 66 210 36960

~
210
154
32 81 125 24 50 135 242 55
169
È allora immediato riscontrare che W ha 42 e 66 come elementi massimali e
81, 32, 125 rninimali; T ha massimo 210 e rninimali 24, 50, 242, 135; D è una
catena di massimo 30030 e minimo 169. Riguardati come sottoinsiemi di M , si
102 Capitolo 2

ha che vV non ha minoranti e ha come maggioranti tutti gli elementi n E M con


f3 (n) > 3, sicché non esiste né inf W né sup W. Invece T ha come maggioranti
210 e tutti i naturali n E M con f3 (n) > 4, e si ha supT = 210. Ha infiniti
minoranti, tutti i naturali n E l\II con f3 (n) = l , e non esiste inf T. Infine D ha
maggioranti 30030 e i naturali n E M tali che f3 (n) > 6, e ovviamente risulta
30030 = sup D. L' unico minorante è 169 che è quindi anche l'estremo inferiore.
Esercizio 2.4.4. Siano (S, ~ ) e (S*, ~* ) insiemi ordinati. Si definisce ordina-
mento lexicogra.fico in S x S* la relazione n
definita ponendo:

(x, y)n(x' , y'): <===? (x, y) = (x' , y') o (x < x') o (x = x' ey < y').
(i) Si verifichi che n è d'ordine.
(ii) Si provi ch e se ~ e ~* sono totali, tale risulta R.
(iii) Si verifichi che:
(a , a') = min(S x S* ) <===? a = min S e a' = min S*,
(b , b') = max(S x S*) <===? b = max S e b' = max S* .
Si noti che tale ordine è analogo a quello di un qualunque vocabolario.
Esercizio 2.4.5. Sia (S, ~ ) un insieme ordinato. Si verifichi che la relazione <
definita in S, come al solito, dalla posizione:

x< y: <===? ( x~ y) e (x =l y)
gode della proprietà antirifiessiva e della proprietà transitiva.
Esercizio 2.4.6. Sia S un insieme e sia definita in S una relazione n * antirifles-
siva e transitiva. Si provi che, ponendo:

xny: <===? (x n * y) o (x = y)
si ottiene una relazione d'ordine in S.
Esercizio 2.4.7. Si consideri l 'insieme lV costituito dai numeri naturali della
forma 271 3711 , con n , m E No:

lV= {2 11 3711 :n, m E No} .


(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

2n3m n 28 3t : <===? (n= s) e (m ~ t) ,


dove il ~ indica la relazione d'ordine usuale in No.
(ii) Si studi l 'insieme ordinato (W, n), precisando se l 'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min lV, max W, elementi m inima/i, elementi
massimali.
(iii) Considerati i sottoinsiemi F = {l , 3, 9} e G = {2, 4, 12} di W, si stu-
dino gli insiemi ordinati ( F , n) e (G , n), disegnandone anche il relativo
diagramma di Hasse.
Relazioni tra insiemi 103

Esercizio 2.4.8. Si consideri l'insieme W= {2n3m :n, m E No}.


(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

dove il simbolo l indica la relazione del "divide" in No.


(ii) Si studi l'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(ii) Si consideri l'applicazione:

f :W -----> P(No)

definita ponendo:

f(2n3rn) = {x E No : x > n} se m= O,
{ f(2n3rn) ={n+ l , . . . ,n+m} se m f. O.

Si studi l'applicazione f, e si provi che essa è un omomorfismo tra gli


insiemi ordinati (vV, n) e (P(No) , ç;;).
(iii) Considerati i sottoinsiemi F = {1, 3, 9} e G = {2, 18, 54} di W, si stu-
dino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche il relativo
diagramma di Hasse.
Esercizio 2.4.9. Si consideri l'insieme V= { 4h +l : h E Z}.
(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in V ponendo:

(4h +l) n(4k +l) : ~ (h= k) o (l hl < lkl),


dove il :S indica la relazione d'ordine usuale in No.
(ii) Si studi l'insieme ordinato (V, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min V, max V, elementi minimali, elementi
massimali.
(iii) Si studi l'applicazione

f : 4h +l E V f-------7 h 2 E No,

e si provi chef è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (V, n) e (No, :S).
Esercizio 2.4.10. Si consideri l'insieme W = {3h +l : h E No}.
(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:
(3h +l) n(3k +l) : ~ (h= k) o (hlk),

dove l indica la relazione del "divide" in No.


(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 7 n 16, l n 4, 7 n l,
4 n 13, 7n31, 19n 10.
104 Capitolo 2

(iii) Si studi l 'insieme ordinato (W, R), precisando se l 'ordine è totale, se è


un buon ordine, se esistono min vV, max: l;l/, elementi minimali, elementi
massimali.
(iv) Considerati i sottoinsiemi F = {1 , 4, 7, 13} e G = {10, 22 , 31, 34} di W, si
studino gli insiemi ordinati (F, R) e (G , R), disegnandone anche il relativo
diagramma di Hasse.

Esercizio 2.4.11. Si consideri l'insieme W= {2n3m : n , m E No}.


(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione R definita in W ponendo:

dove il ~ indica la relazione d'ordine usuale in N0 .


(ii) Si studi l'insieme ordinato (W, R), precisando se l 'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W , max: vV, elementi minimali, elementi
massimali.
(iii) Si studi l 'applicazione

e si provi chef è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (W, R) e (No ,~ ).


(iv) Considerati i sottoinsiemi F = {8 , 27, 162, 288} e G = {3 , 4 , 48 , 72} di
W, si studino gli insiemi ordinati (F, R) e (G , R ), disegnandone anche il
relativo diagramma di Hasse.

Esercizio 2.4.12. Si consideri l'insieme W = {2n7m : n , m E No}.


(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione R definita in W ponendo:

dove il ~ indica la relazione d'ordine usuale in No.


(ii) Si studi l 'insieme ordinato (W, R), precisando se l 'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max: W, elementi minimali, elementi
massimali.
(iii) Si studino le applicazioni

f : 2n7m E vV ~-----?n+ 2m E No ,
g: 2n7m E W~-----? n+ m E No.

(iv) Si provi che f è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (W, R) e (No , ~ ),
e che g non lo è.
(v) Considerati i sottoinsiemi F = { 4 , 7, 8, 14} e G = {32, 56, 64, 98} di W, si
studino gli insiemi ordinati (F, R) e (G , R), disegnandone anche il relativo
diagramma di Hasse.
Relazioni tra insiemi 105

Esercizio 2.4.13. Sia lP' l'insieme dei numeri primi in No, e si consideri l'insieme

(i) Si verifichi che non è d'ordine la relazione n * definita in W da:

(ii) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

dove il~ indica la relazione d 'ordine usuale in No.


(iii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 25 n 26, 26 n 25, 9 n 46,
65n65, 21 n33, 49n91, 34 n38, 38n34.
(iv) Si studi l'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(v) Si studi l'applicazione

f : PlP2 EW 1---t PlP2 E No,

e si provi chef è un omomor.fismo tra gli insiemi ordinati (W, n) e (No,~),


non lo è tra (W, n) e (No, divide).
(vi) Considerati i sottoinsiemi F = {39, 49, 77, 187} e G = {35, 38, 55, 62} di
W, si studino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche il
relativo diagramma di Hasse.
Esercizio 2.4.14. Si ponga:

A = {n E No: n divide 36} ,


B ={n E No: n divide 30} ,
C= {n E No: n divide 18} ,
D= {n E No: n divide 32},
E= {n E No: n divide 35},
F ={n E No: n divide 24}.

Si disegnino i diagrammi di H asse degli insiemi ordinati: (A, divide), (B, divide),
(C,divide), (D,divide), (E,divide), (F,divide).

2.5 Esercizi di riepilogo


Esercizio 2.5.1. Si considerino le applicazioni:

15
f :x EZ 1---t x4 + 2 E Z, g : x EZ 1---t 2 E Q.
106 Capitolo 2

(i) Si calcolino: f( -3), j(O), j(2), f( -l), g( -3), g( -4), g(91), g(O), g('ll),
f( {l, 2, 3} ), f( {l, -l}), g( {1 , 2, 3} ), g( {l, -l, -4} ), j- 1 ( {2, -2, 9, 18} ),
g-1 ( {8, -8, à, 125} ), g - 1 ( {8} ).
(ii) Si stabilisca se f e g sono iniettive o suriettive.
Esercizio 2.5.2. Si considerino le applicazioni:

h : x E ?l t---t 6lxl E 6No, k : t E 6N0 t---t t +7 E No.

(i) Si calcolino: h( {- 2, -l, O, l, 2} ), h(27l), h - 1 ( {O, 12, 18, 36} ), k(12N),


k( {O, 12, 18, 36} ), k- 1 (N 0 \ {7, 13} ), k- 1 ( {12, 18, 36} ).
(ii) Si stabilisca se h e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Si determini la composta k o h e la si studi.
Esercizio 2.5.3. Si considerino le applicazioni:
x
h : x E 5N0 t---t
5+l E No, k : t E No t---t 4lt- li E 4No.

(i) Si calcolino: h( {0, 5, 15} ), h(lON), h- 1 ( {0, 2, 8, 11} ), k( {0, l , 2, 3, 4, 5} ),


k- 1 ({O, 4, 8, 16} ), k- 1 ( 4N0 \ {O, 4, 12} ).
(ii) Si stabilisca se h e k sono iniettive o suriettive.
(iii) Si determini la composta k o h, si verifichi che è biettiva e se ne individui
l'inversa.
Esercizio 2.5.4. Considerata in ?l la relazione binaria definita ponendo:

xRy: .ç:::::::> lx- 61 = IY- 61,


si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

-3R l9 , OR6 , -5 R-5 , OR -6,


11 Rl, -2Rl4, 9R9, 14 R-2.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva.


Esercizio 2.5.5. Considerata in Z ia relazione binaria definita ponendo:

x R y : .ç:::::::> x 2 + 5x - 6 = y 2 - y - 12,

si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

-2R l , -1 R-1, 2R-5, ORO , OR3 , 4Rl,


-2R O, l R4, -6R4, l RO, 2R4, OR-3,
OR-2, -6R-3, 2R2, -3RO, lR -3, -3R-6.

Si stabilisca poi se R è riflessiva, simmetrica, asimmetrica, transitiva.


Relazioni tra insiemi 107

Esercizio 2.5.6. Considerate le seguenti relazioni tra N e Q, si precisi, motivando


la risposta, se sono applicazioni e, in tal caso, se sono iniettive, suriettive, biettive:

x R1y :~ 5x 2 = 4y;
x R 2y :~ 5x = 4lyl ;
x R 3y : ~ 5x = 4y;
x R4y : ~ 5x = 4y 2 .

Esercizio 2.5.7. Con H = {a, b, c, d} e I< = {0, l, 2} si considerino le seguenti


relazioni:

R1 = {(a,2),(c, l) ,(b, O)} , R2 = {(a,2),(d,l),(b,1),(c,O)} tra H e I<;


R3 = {(l ,c),(O,b) , (2,a)}, R 4 = {(2,c),(O,c),(l ,c)} trai< eH;
R s = {(a , b),(c, d)} , R6 = {(a,a), (b, b) , (c ,c),(d, d)} tra H eH;
R 7 = {(1 , 1) , (2, 2), (1, 0)} , R s = {(0, 1) , (1, 2), (2, 0), (1, O)} tra I< e I<.

Di ciascuna si precisi se è un'applicazione, e in tal caso se è iniettiva, suriettiva,


biettiva.

Esercizio 2.5.8. Con V = { s, t, w} si precisi quali delle seguenti relazioni bina-


rie in V sono riflessive, simmetriche, asimmetriche, transitive:

R1 {(s, s), (t, t), (w, w), (t , w)},


R2 {(t,w) , (w ,t)} ,
R3 {(s, t) , (t, s), (s , s), (t, t)}.

Esercizio 2.5.9. Considerate le seguenti relazioni tra N e Z, si precisi, motivando


la risposta, se sono applicazioni:

nR1z :~ n+ z = 3;
nR2z :~ n+4 = z;
nR3z :~ n = z 3·
'
nR4 z :~ z = -n2 ;
nR5 z :~ n= lzl;
nR6z :~ z + 11 =n;
nR7z :~ n+4 > z .

Esercizio 2.5.10. Con n numero naturale positivo, si dica h( n) il massimo nume-


ro naturale h tale che 3h divide n, sia cioè n = 3h(n) k, con k E No tale che 3 non
divide k. Si dimostri che non è d'equivalenza né d'ordine la relazione R definita
in N da:
n Rm: ~ h( n) ::; h( m),
dove ::; indica la relazione d'ordine usuale in No.
108 Capitolo 2

Esercizio 2.5.11. Si consideri l'insieme W costituito dai numeri naturali della


forma 3h + l, con h E No:

W= {3h +l : h E N0 }.

Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:

(3h + l) R(3k + l) : {:::=::? h + k E 2N0

è d'equivalenza. Si determinino poi: [l]n, [4]n , [7]R. Si provi che ha senso


definire l'applicazione:

't/J : [3h+ l]n E w;n~ (-l)h E z


e si studi tale applicazione.
Esercizio 2.5.12. Si consideri l'insieme W = {2 71 3111 : n, m E No}. Si verifichi
che la relazione R definita in W ponendo:

è d'equivalenza. Si descriva poi la generica classe d'equivalenza [2 71 3111 ]R e in


particolare: [l ]R, [2]R, [3]R e [24]n.
Esercizio 2.5.13. Si consideri l'insieme W= {271 3111 :n, m E N0 }.
(i) Si dimostri che la relazione R * definita in W ponendo:

non è né d'equivalenza né d'ordine.


(ii) Si verifichi che è d'ordine la relazione R definita in W ponendo:

dove il ::; indica la relazione d'ordine usuale in No.


(iii) Si studi l'insieme ordinato (W, R), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(iv) Considerati i sottoinsiemi F = {8, 27, 162, 288} e G = { 48, 72,216, 648}
di W, si studino gli insiemi ordinati (F, R) e (G, R), disegnandone anche
il relativo diagramma di Hasse.
(v) Posto A = {n E W : n divide 484}, si disegni il diagramma di Hasse
dell'insieme ordinato (A, R).
Esercizio 2.5.14. Si consideri l'insieme W= {2 71 7111 :n, m E No}.
(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione R definita in W ponendo:
Relazioni tra insiemi 109

dove il::::; indica la relazione d'ordine usuale in No.


(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 7 n 14, 32 n 7, 28 n 28,
512n343, 7n32, 14 n 7, 56n64, 16n 14.
(iii) Si studi l'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(iv) Si studino le applicazioni:

e si provi che f non è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (W, n) e


(No,::::;), g invece lo è.
(v) Considerati i sottoinsiemi F = {7, 14, 28 , 56} e G = {32, 49 , 64, 98} di
W, si studino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche il
relativo diagramma di Hasse.

Esercizio 2.5.15. Sia lP' l'insieme dei numeri primi in No, e si consideri l'insieme

(i) Si verifichi che non è d'ordine la relazione n* definita in W da:

(ii) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

dove il::::; indica la relazione d'ordine usuale in No.


(iii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 49 n 49, 26 n 4, 4 n 26,
14n35, 26n39, 10n14, 77n121, 4n10.
(iv) Si studi l 'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
(v) Considerati i sottoinsiemi F = {21, 26 , 55, 121} e G = {15, 21, 35, 49} di
W, si studino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche il
relativo diagramma di Hasse.

Esercizio 2.5.16. Si consideri l 'insieme W= {2n3m :n, m E No}.


(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

dove il simbolo l indica la relazione del "divide" in No.


(ii) Si studi l'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minimali, elementi
massimali.
110 Capitolo 2

(iii) Considerata l'applicazione f: W----+ P(No) definita ponendo:

f(2n3m) ={x E No: x > n} se m= O,


{ f(2n3m) ={n+ l , ... ,n+ m} se m=/= O,

la si studi e si stabilisca poi se essa è un omomorfismo tra gli insiemi


ordinati (W, n) e (P(No), ç).
(iv) Considerati i sottoinsiemi F = {2, 4, 12 , 16} e G = {1,3, 9,81} di W, si
studino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche il relativo
diagramma di Hasse.
Esercizio 2.5.17. Si consideri l'insieme W= {3n5rn : n , m E No}.
(i) Si verifichi che è d'ordine la relazione n definita in W ponendo:

dove il:::; indica la relazione d'ordine usuale in No.


(ii) Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte: 75 n 75, 9 n 75, 25 n 3,
3 n 125, 15 n 625, 625 n 15, 25 n 15, 15 n 9.
(iii) Si studi l'insieme ordinato (W, n), precisando se l'ordine è totale, se è
un buon ordine, se esistono min W, max W, elementi minima/i, elementi
massimali.
(iv) Si studino le applicazioni:

e si provi chef è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (W, n) e (No , :::;),
g non lo è.
(v) Considerati i sottoinsiemi F = {27, 45 , 75 , 225} e G = {9, 27,375 , 15625}
di W, si studino gli insiemi ordinati (F, n) e (G, n), disegnandone anche
il relativo diagramma di Hasse.
Esercizio 2.5.18. Nell'insieme A = {O, l , 2, . .. , 11} dei numeri naturali mi-
nori di 12 si consideri la relazione n definita ponendo

anb :~a= boppure 5a < 2b,


dove:::; indica la relazione d'ordine usuale in N.
(i) Si verifichi che n è una relazione d'ordine in A.
(ii) Si disegni il diagramma di Hasse di (A , n).
(iii) Si stabilisca se (A, n) è ben ordinato.
(iv) Si determinino gli eventuali elementi minimali, elementi massimali, minimo
e massimo di (A, n).
(v) Si determinino tutti i maggioranti in A del sottoinsieme {l , 2}.
(vi) Si determini l'estremo superiore in A del sottoinsieme {1, 2}.
3
Elementi di calcolo combinatorio

In questo capitolo verranno illustrati elementi del cosiddetto "calcolo combina-


torio", che fornisce tecniche utili nel conto in situazioni che frequentemente si
verificano anche nella vita quotidiana. La presentazione che si farà è volutamen-
te informale, fondandosi più sull'intuito che sul rigore; si è preferito privilegiare
le idee di base, lasciando eventualmente al Lettore una formalizzazione rigorosa.
Anche gli esercizi proposti richiamano spesso a momenti dèlla vita di tutti i gior-
ni, nell'intento di mostrare come i principi enunciati possano avere applicazioni
in contesti probabilmente molto familiari al Lettore.

3.1 l principi di addizione e di inclusione-esclusione


Del tutto immediate sono le seguenti:

3.1.1. Principio di addizione. Siano A e B insiemi finiti disgiunti. Allora:

IAU BI = IAI + IBI.

Dimostrazione. Siano A = {x1 , ... , Xn}, B = {y1, .. . , Ym} con IAI = n e


IBI =m. Allora A U B ={xl, ... ,xn,Yl, ... , ym} e lA U BI= IAI + IBI, in
quanto l'essere A e B disgiunti assicura che gli elementi Xl, ... , X n, Yl , ... , Ym
sono a due a due distinti. D

3.1.2. Sia A un insieme finito. Allora:


(i) da C ç A segue lA\ Cl= IAI-ICI;
(ii) se B un insieme qualunque, si ha lA\ BI = IAI-IA n BI.

Dimostrazione. La (i) è ovvia. La (ii) discende dall'essere A\ B =A\ (A n B)


(vedi 1.4.10), da (1.4.6) e dalla (i). D
112 Capitolo 3

Si è ora in grado di provare il seguente:

3.1.3. Principio di inclusione-esclusione. Siano A e B insiemi finiti. Si ha:

/A U B/ =/A/+ /B/-/A n B/.

Dimostrazione. Ovviamente risulta A U B = (A\ B) U B con (A\ B) n B = 0.


Pertanto, per la 3.1.1, si ha /A U B/ = /A\ B/ + /B/ e dalla 3.1.2 si ottiene
/A U B/ = /A/ -/A n B/ + /B/, come volevasi. D
Più in generale si ha:

3.1.4. Principio di inclusione-esclusione (forma generale). Sia k ~ 2 e siano


A1, . . . , Ak insiemi finiti. Allora si ha:

k k

l UAil = LIAi/- L /AinAj/


i=l i=l
k
+ L /AinAjnAh/+ .. ·+(-l)k- lln Ail·
i=l

Dimostrazione. Esercizio. D
3.1.5. Esempio. I numeri naturali positivi minori di 31 e divisibili per 2 o per 3
sono 20 . Infatti, posto
S :={x E N: x :S 30},
A:= {x ES: 2dividex} ,
B :={x ES: 3 divide x },
sihaAUB = {x ES: 2dividexo3dividex}eAnB ={x ES: 6dividex}.
° ° °
Risulta poi /A/ = 32 = 15, /B/ = 33 = 10 e /A n B/ = 36 = 5; dalla 3.1.3 segue
allora
/A u B/ = 15 + 10- 5 = 20.
3.1.6. Esempio. I numeri naturali positivi minori di 31 e divisibili per almeno
uno tra 2, 3 e 5 sono 22. Infatti, con S, A e B come nell 'esempio precedente e
con
C:= {x ES : 5dividex},
°
si ha /C/= 35 = 6, /An C/= i~ = 3, /BnC/ = i~ = 2, /AnBnC/ = ~~ =l;
dalla 3 .1.4 segue allora
/AUBUC/ =/A/+ /B/ + /C/ -/An B/-/AnC/-/BnC/ + /AnBnC/
= 15 + 10 + 6 - 5 - 3 - 2 + l = 22.
Elementi di calcolo combinatorio 113

Esercizi
Esercizio 3.1.1. Con k > 2 siano A1, A2 , ... , Ak insiemi finiti a due a due
disgiunti. Si provi che:
k k

l UAi l = l:IAil·
i=l i=l

lA U
Esercizio 3.1.2. Siano A, B e C insiemi finiti. Si provi che B U Cl
lA l+ lEI+ ICI- lA n BI- lA n CI-IB n Cl+ lA n B n Cl·
Esercizio 3.1.3. Quanti sono i numeri naturali tra l e 1250 divisibili per almeno
uno tra 17 e 31?
Esercizio 3.1.4. Si provi 3.1.4.
Esercizio 3.1.5. Alla discoteca "Furore" la consumazione è obbligatoria e ogni
bibita costa 5 euro. All'interno ci sono 21 giovani, ognuno dei quali consuma al
più due bibite e comunque di tipo diverso, e sono state servite 12 aranciate e 15
chinotti. Quanti scontrini da lO euro deve preparare il cassiere?
Esercizio 3.1.6. Quanti sono i numeri tra l e 101 divisibili per almeno uno tra 2
e 5? E quanti quelli divisibili per almeno uno tra 2, 5 e 7?
Esercizio 3.1.7. Quanti sono i numeri tra l e 1000 che non sono divisibili né per
5, né per 6 né per 8?
Esercizio 3.1.8. Un parallelepipedo di legno misura 5 x 7 x 7 centimetri ed è
dipinto di blu sulla superficie esterna. Se viene suddiviso in 245 cubetti di l
centimetro di lato ciascuno, quanti di questi avranno almeno una faccia dipinta
di blu?

3.2 Il principio di moltiplicazione


n principio che ora viene illustrato è di uso molto frequente ed è già stato antici-
pato nel Capitolo l.

3.2.1. Principio di moltiplicazione. Siano S e T insiemi finiti. Allora:

IS x TI = ISI ITI. o

Dimostrazione. Siano S = {x1 , ... , Xn} eT = {y1 , ... , Ym} , con ISI = n e
ITI = m. Risulta
S X T= {(xl,Yl), . .. , (xl ,Ym) , (x2 ,Yl) , ...
. . . , (x2, Ym) , ... , (xn, yl) , .. . , (xn , Ym)},
114 Capito lo 3

dove gli elementi descritti sono a due a due distinti (vedi (1.5.1)). Pertanto

IS x TI = 'm+···+
-,...-"
m= n· m= ISI·ITI.
n v olte

Ciò prova l'asserto. D

3.2.2. Principio di moltiplicazione (forma generale). Siano S1 , ... , Sk insiemi


finiti, con k 2: 2. Si ha:

Dimostrazione. Esercizio. D

Osservazione. Il principio di moltiplicazione ha la seguente efficace interpreta-


zione: siano E 1 , .. . , Ek eventi indipendenti tali che per E 1 ci siano n 1 possibilità,
per E2 ci siano n 2 possibilità, ... , per Ek ci siano nk possibilità. Allora il numero
di possibilità per la sequenza E1E2 . .. Ek è dato da n1 n 2 ... nk.

Tra le numerose applicazioni del principio di moltiplicazione notevoli sono le


seguenti.

3.2.3. Sia S un insieme finito. L'insieme P(S) delle parti di S ha ordine 213 1.

Dimostrazione. Sia S = { x 1, ... , xn} , con lSI = n . Per individuare tutti i sot-
toinsiemi X di S vanno considerati gli n eventi E i , i E {l , ... , n} , ciascuno
determinato dali' appartenere o non appartenere X i a X. Per ciascun evento E i ci
sono 2 possibilità, sicché IP(S)I = 2 · ... · 2 = 2n = 213 1. D
'-v-"'
n v olte

3.2.4. Siano S e T insiemi finiti. Allora l 'insieme T 5 delle applicazioni di S in


T ha ordine ITIISI.

Dimostrazione. Siano S = {x1 , . . . , xn} e T= {y1 , .. . , ym}, con ISI =n e


ITI = nL Per descrivere la generica applicazione f : S -----+ T è necessario deter-
minare f(xr) , ... , f( xn ); ogni f( xi ) può essere uno qualunque degli elementi di
T , sicché per f( xi ) ci sono m possibilità. Pertanto

IT5 = ITI · · · · ·ITI = ITin = ITI151 .


1

'-v--'
n volte

Ciò prova l'asserto. D


Elementi di calcolo combinatorio 115

Esercizi
Esercizio 3.2.1. Si dimostri 3.2.2.
Esercizio 3.2.2. Quante parole di 3 lettere, non necessariamente di senso com-
piuto, si possono scrivere con le lettere dell'alfabeto italiano?
Esercizio 3.2.3. Quanti numeri naturali (informa decimale) sono composti da 3
cifre, tutte distinte da O, l , 3 e 5?
Esercizio 3.2.4. Avendo a disposizione 7 colori distinti, e volendo dipinge.re una
stellina e un .fiorellino, il piccolo Marco quante possibilità ha?
Esercizio 3.2.5. Matilde vuole abbinare i suoi nuovi pantaloni con uno dei suoi
maglioni e con una delle sue camicette. Ha maglioni uno nero, uno turchese, uno
viola, uno verde, uno giallo, uno bianco, e camicette una bianca, una giallina,
una azzurra, una lilla. In quanti modi può fare l'abbinamento?
Esercizio 3.2.6. Nel ristorante di Betty viene proposto un menu turistico compo-
sto di primo, secondo e contorno, con 4 scelte per il primo, 2 per il secondo e 5
per il contorno. I componenti un gruppo di giapponesi sono riusciti a ordinare
ciascuno un pranzo diverso. Da quante persone al più è composto il gruppo?

3.3 Il principio dei cassetti


nprincipio dei cassetti, enunciato per la prima volta da Dirichlet nel 1834, e noto
anche come "pigeonhole principle" (principio delle casette dei piccioni), o come
"principio delle scatole di Dirichlet", formalizza una proprietà molto evidente:

3.3.1. Principio dei cassetti. Siano m e n numeri naturali positivi, con m > n.
Se si vogliono riporre m oggetti in n scatole, almeno una scatola deve contenere
più di un oggetto.

Dimostrazione. Se ogni scatola contenesse al più un oggetto, il numero totale


degli oggetti riposti sarebbe al più n, contro l'essere m > n il numero degli
oggetti considerati. D
n p1incipio dei cassetti, così intuitivo, ha molte applicazioni, come mostrano gli
esempi che seguono.
3.3.2. Esempio. In una classe composta da m = 27 studenti, almeno due hanno
il cognome che inizia con la stessa lettera dell'alfabeto inglese. Infatti le lettere
dell'alfabeto inglese sono n = 26; se si considerano n scatole, contrassegnate
ciascuna con una delle lettere dell'alfabeto, e in ogni scatola si pone un bigliet-
tino con il cognome di ciascuno studente iniziante con la lettera che contrasse-
gna la scatola, per il principio dei cassetti almeno una scatola dovrà contenere 2
bigliettini.
116 Capitolo 3

3.3.3. Esempio. Se a una festa partecipano n persone che si stringono even-


tualmente la mano, con l'abitudine di non stringere più volte la stessa mano né
stringere la propria, allora almeno due di queste persone stringeranno lo stesso
numero di mani. Infatti, considerate n scatole, contrassegnate con O, l , ... , n- l,
all ' interno della scatola contrassegnata con il numero i si ponga un bigliettino con
il nome di chi ha stretto i mani (O ::=:; i ::::; n - 1). Non può succedere che ciascuna
scatola contenga un sol biglietto, altrimenti esisterebbe un signor x che ha stretto
O mani e un signor y che ne ha strette n- l, dunque tutte le possibili, e quindi an-
che quella del signor x. Pertanto in una delle scatole ci sono i nomi di due diverse
persone, come volevasi.

3.3.4. Esempio. Considerati 101 numeri naturali positivi distinti a 1, ... , a 101 tra
l e 200, esistono tra questi b e c distinti tali che b divide c o c divide b. Infatti, se
x è un numero naturale qualsiasi, si può scrivere, e in unico modo, x come 2k h,
con k ~ O e h dispari. Se l ::::; x ::=:; 200, ovviamente h appartiene all'insieme
T = {l , 3, 5, . .. , 199}, e ITI = 100. Considerato allora l'insieme V costituito
dai 101 elementi a1 , ... , aw1. si ha che esistono b, c E V, b i- c, con b = 2iw,
c = 21w, con i , j ~ O e w opportuno elemento di T. Se i ::::; j, allora b divide c;
supposto invece i ~ j, si ha che c divide b.

3.3.5. Esempio. Siano a1 , a 2, .. . a w numeri naturali positivi a due a due distinti,


tutti strettamente minori di 107. Esistono allora insiemi disgiunti

tali che b1 + · · · + bt = c1 + · · · + c5 , (t, s ~ l). Infatti, ovviamente si ha


a1 + · · · + aw ::=:; 1015, in quanto il massimo valore che possono assumere
a1, ... , aw è 97, 98 , ... , 106, la cui somma è appunto 1015. I sottoinsiemi X
di S = {a1, ... , aw} sono 2 10 = 1024 (vedi 3.2.3), e, se X= {ch , ... , dt}.
si ha l :::::; d 1 + · · · + dt ::::; 1015. Pertanto esistono Y , V ç S, Y i- V, con
Y = { b1 , .. . , bt} , V = { c1 , .. . , C8 }, tali che b1 + · · · + bt = c1 + · · · + C8 • Se
w E Y n V , si verifica facilmente che le proprietà prima enunciate sono soddisfat-
te anche dagli insiemi Y \ {w} e V \ {w}. Così procedendo si ottengono insiemi
soddisfacenti le proprietà richieste.

Volendo essere un po' più formali, il principio dei cassetti afferma che se A e B
sono insiemi finiti con IAI > lEI, allora non esistono applicazioni iniettive di A
in B. Più in generale sussiste:

3.3.6. Principio dei cassetti (forma forte). Sia n un numero naturale positivo e si
considerino numeri naturali ql, . .. , qn ~ 2. Si ponga k := q1 + · · · + qn- n+ L
Se k oggetti sono ripartitì in n scatole, allora o la prima contiene almeno q1
oggetti, o la seconda almeno q2 oggetti, ... , o la n-ma almeno qn oggetti.

Dimostrazione. Si dicano a1 il numero degli oggetti riposti nella prima scatola,


a2 il numero degli oggetti riposti nella seconda scatola, .. . , an il numero degli
Elementi di calcolo combinatorio 117

oggetti riposti nella n-ma scatola. Per assurdo si abbia a1 < q1, a2 < q2, ... ,
an < qn, cioè a1 :S: q1 - l, a2 :S: q2 - l , ... , an :S: qn - l. Allora si ottiene
k = a 1 + · · · + an :S: (q l - l) + (q2 - l) + · · · + (q n - l) = ql + q2 + · · · + qn - n,
assurdo. D

3.3.7. Corollario. Siano n e r numeri naturali con n 2: l e r 2: 2. Se n (r- l) + l


oggetti sono ripartiti in n scatole, allora almeno una delle scatole contiene r o
più oggetti.

Dimostrazione. Basta porre, in 3.3.6, ql = q2 = · · · = qn =r. D

3.3.8. Esempio. Si abbiano a disposizione mele, banane e arance, e si voglia


riempire un cesto in modo che in esso ci siano sicuramente almeno o 8 mele o 6
banane o 9 arance. Allora il numero minimo dei frutti da riporre nel cesto è 21.
Infatti, con le notazioni di 3.3.6 si ha ora n = 3, q1 = 8, q2 = 6, q3 = 9, sicché il
numero cercato è dato da q1 + q2 + q3- n+ l= 8 + 6 + 9- 3 +l= 21.

Esercizi
Esercizio 3.3.1. In una foresta ci sono un milione di alberi, ogni albero ha al
più 600000 foglie. Si provi che in ogni istante ci sono due alberi che hanno
esattamente lo stesso numero di foglie.

Esercizio 3.3.2. In una classe vi sono 25 studenti. Ad una esercitazione ciascuno


prende 30 o 28 o 27. Si provi che esistono almeno 9 studenti che prendono lo
stesso voto.

Esercizio 3.3.3. Siano S e T insiemi finiti non vuoti. Si utilizzi il principio


dei cassetti per provare la proposizione seguente, già enunciata nel Capitolo 2
(vedi 2.2.8):
3 f: S-+ T iniettiva ==} ISI :S: ITI.
Esercizio 3.3.4. Si provi che in un gruppo di 13 persone, ve ne sono due che
hanno il compleanno nello stesso mese.

Esercizio 3.3.5. Sia n un numero naturale positivo e si .fissino a1, a2, ... , an E N,
a due a due distinti. Si provi che esiste un sottoinsieme di {a1, .. . , an} in cui la
somma degli elementi è divisibile per n.

Svolgimento. Si denoti innanzitutto con rest(a, n) il resto della divisione di a


per n: si ha O :=:; rest( a, n) < n, e ovviamente a è divisibile per n se e solo se
rest(a, n) =O. Si considerino gli n numeri:

a 1, a 1 + a2, ... , a1 + a2 + · · · + an,


118 Capitolo 3

e i resti della divisione di ciascuno di essi per n:

rest(a1, n), rest(a1 + a2, n) , . .. , rest(a1 + a2 + · · · +an, n).

Se uno di questi resti è O, l'asserto è provato. In caso contrario, esistono s e t


distinti, s < t, tali che rest(a1 + · · · + a8 , n) = h = rest(a1 + · · · + at , n).
Si ha allora a1 + · · · + a8 = nq + h e a1 + · · · + at = nq' + h, per opportuni
q, q' ?: O. Pertanto as+l + · · · + at = (al+···+ at)- (al+···+ a8 ) =
(nq+ h) - (nq 1 +h) =n( q - q'), el'insieme {as+l , ... , at} soddisfa le proprietà
richieste.

Esercizio 3.3.6. Considerati 30 numeri naturali, si provi che almeno due di essi
hanno la differenza multiplo di 12.

3.4 Permutazioni semplici e con ripetizioni


Sia n un numero naturale positivo. Il prodotto l · 2 · ... · n viene anche detto il
fattoriale di n e denotato col simbolo n!. Si ha cioè:

n!:= l· 2 · ... ·n.

Si pone inoltre O! := l.
Si noti che ciò equivale a porre, con n E N0 , O! = l e, induttivamente,
(n+ l)!= n!(n + 1).
3.4.1. Esempio. Si ha: l!= l , 2! = 2, 3! = 6, 4! = 24, 5! = 120.

Sia ora X un insieme. Un'applicazione biettiva di X in X è detta una permutazio-


ne (o sostituzione) di X. L'insieme delle permutazioni di X è di solito denotato
con il simbolo §x:

§ x := {f: f permutazione di X}.

3.4.2. Sia X un insiemefinito. Se lXI= n, si ha l§xl =n!.

Dimostrazione. L'asserto è ovvio quando n = O o n = l. Sia ora n > l e


si ponga X = { x 1 , . .. , x n}. Definire un' applicazione inietti va e quindi bietti-
va (vedi 2.2.10) di X in X equivale a precisare gli elementi j(x1) , ... , f( xn) a
due a due distinti. L'immagine j(x1) può essere un qualunque elemento di X,
l'immagine f( x 2) un qualunque elemento di X\ {!(xl)}, l'immagine j(x3) un
qualunque elemento di X \ {f(x1) , j(x2)}, e così via, l'immagine f(x n) è allora
necessmiamente l'unico elemento di X\ {j(x1) , . .. , f( xn- d}. Pertanto f può
essere definita in n· (n- l) · (n- 2) · ... · 2 ·l modi, sicché l§xl =n!, come
volevasi. D
Elementi di calcolo combinatorio 119

3.4.3. Esempio. Le petmutazioni di un qualunque insieme di ordine 2 sono 2, di


ordine 3 sono 6, di ordine 4 sono 24.
3.4.4. Esempio. Volendo contare in quanti modi si possono allineare 3 dischetti
di diverso colore, basta determinare il numero delle permutazioni di un insieme di
ordine 3; pettanto ci sono 6 possibilità.

3.4.5. Siano X e Y insiemi e sia cp : X - - - t Y un'applicazione biettiva. Allora


esiste un'applicazione biettiva di Sx in Sy.

Dimostrazione. Esercizio. D
La proprietà precedente giustifica il simbolo §n che a volte è usato per denotare
l'insieme delle permutazioni di un qualunque insieme finito di ordine n.
Si considerino ora k oggetti a1, a2, .. . , ak a due a due distinti (k ~ 1), sia
n = n1 + n2 + · · · + nk, con ogni n i ~ l , e siano b1 , ... , bn tali che n1 di essi
coincidono con a1, n2 coincidono con a2, . .. , nk coincidono con ak. Una n-upla
(b1, ... , bn) in cui a1 compare n1 volte, a2 compare n2 volte, ... , ak compare
nk volte, è denotata anche col simbolo b1 ... bn e detta una permutazione con
ripetizioni dei k oggetti a1, ... , ak, in cui a1 si ripete n1 volte, ... , ak si ripete nk
volte.
3.4.6. Esempio. 1131733739 è una permutazione con ripetizioni dei 4 numeri
l , 3, 7, 9, in cui l si ripete 3 volte, 3 si ripete 4 volte, 7 si ripete 2 volte, 9 si ripete
l volta.

3.4.7. Siano k , n1, ... , nk naturali positivi e si ponga n = n1 + · · · + nk. Il


numero delle permutazioni con ripetizioni dei k oggetti a1 , ... , ak, in cui a1 si
ripete n 1 volte, ... , ak si ripete nk volte è dato da:

n!

Dimostrazione. Le n-uple costituite da n elementi distinti sono n!. Se invece n1


delle coordinate sono tutte uguali a uno stesso a1, le n-uple distinte sono n~,
l.
in
quanto una qualunque permutazione delle coordinate uguali ad a1 determina la
stessa n-upla. Così continuando si ottiene l'asserto. D

3.4.8. Esempio. Con riferimento all'Esempio 3.4.6, le permutazioni con ripeti-


zioni dei 4 numeri l , 3, 7, 9, in cui l si ripete 3 volte, 3 si ripete 4 volte, 7 si ripete
lg
2 volte, 9 si ripete l volta sono in numero di 31 1111 = 12600.
3.4.9. Esempio. n numero delle parole distinte (non necessariamente di senso
compiuto) di 7 lettere ottenute utilizzando le lettere della parola NONNINO è
7·6 ·5 = 105 .
7! = 2T
data d a 4121
120 Capitolo 3

3.4.10. Esempio. Si vogliano disporre dal basso verso l'alto 13 dischi di cui 5
rossi, 6 azzurri e 2 bianchi. Il numero dei possibili modi distinti in cui farlo è:
13!
5!6!2 ! = 36.036.

Esercizi
Esercizio 3.4.1. Si dimostri 3.4.5.
Suggerimento. Si consideri l'applicazione

1/J : f E §x f------) cp o f o cp- 1 E §y

e si provi che 1/J è biettiva.

Esercizio 3.4.2. La porta di una cassaforte si apre azionando 4 dispositivi, in un


ordine particolare. Dopo quanti distinti tentativi si è sicuri di aprire la cassafor-
te?
Esercizio 3.4.3. Quanti numeri naturali sono scritti (in forma decimale) con le
cifre 2, 3, 5, 6, 7 che compaiono tutte e una volta sola?
Esercizio 3.4.4. Un tenore, in un recital, ha deciso di cantare "Nessun dorma",
"La donna è mobile", "Unafurtiva lacrima", "E lucevan le stelle", "Recondita
armonia". In quanti modi può approntare la "scaletta" della sua esibizione?
Esercizio 3.4.5. Rusaria vuole collocare sul suo ampio divano, da sinistra verso
destra, gli 8 cuscini colorati che le sono stati regalati. Di questi 3 sono afiori, 2
in tinta unita, 2 a righe e l a pois. In quanti modi diversi può disporli?
Esercizio 3.4.6. Fiammetta sta disponendo nel suo zaino, dal basso verso l'alto,
i suoi quaderni: ne ha 4 a righe, 3 a quadretti, 2 per stenografare. In quanti modi
diversi può disporli?
Esercizio 3.4.7. Si calcolino il numero a e b, rispettivamente, delle parole, non
necessariamente di senso compiuto, che si possono formare con le lettere della
parola "ZANZARA" e della parola "NINNANANNA".
Esercizio 3.4.8. Mario vuole disporre i suoi barattoli di vernice sulla mensola,
da sinistra verso destra: ne ha 3 identici di vernice verde, 4 identici di vernice
rossa, 2 di gialla e l di nera. Quante diverse alternanze di colori può ottenere?
Esercizio 3.4.9. Mariangela sa che domani ha lezione di matematica, italiano,
scienze, inglese e disegno, ma non ricorda in che ordine. Allora prova a indo-
vinare: ha una probabilità su quante di individuare l'esatta successione delle
lezioni?
Esercizio 3.4.10. Lucio, Rodo/fa, Andrea e Giacomo si sfidano a un torneo di
carte. Ogni partita finisce con un risultato diverso; qual è al più il numero di
partite giocate?
Elementi di calcolo combinatorio 121

3.5 Disposizioni semplici e con ripetizioni


Siano n e h numeri naturali positivi. n simbolo dn ,h definito con la seguente
posizione:

~(n- l) .. . (n- (h -
se h > n
dn,h := { l )) se h :S n

è detto il numero delle disposizioni di n elementi su h posti.


Quindi, per h :S n , il numero

dn, h = n (n- l ) . . . (n - h+ l)
è ottenuto moltiplicando tra loro i primi h numeri, presi in ordine decrescente, a
partire da n . Si noti che, se h :S n, si ha:

n!
dn,h = (n _ h)!

n principio di moltiplicazione assicura che:


3.5.1. Il numero delle applicazioni iniettive di un insieme di ordine h in un insieme
di ordine n, con h, n > O, è dn,h·

Dimostrazione. Siano S e T insiemi, S = {x1, . . . , x h} , T = {Yl , .. . , Yn}, con


lSI = h e ITI = n. Se si ha h > n, non esistono (vedi 2.2.8) applicazioni iniettive
di Sin T, e dunque il loro numero è O = dn, h· Si supponga allora h :S n. Per
assegnare un ' applicazione iniettiva f di S in T , occorre precisare le immagini
j(x1) , ... , f( xh) e queste devono essere elementi a due a due distinti di T. Per
f( x l) ci sono allora n possibilità, per f( x 2) ci sono n - l possibilità, ... , per
f (x h) ci sono n - (h- l) = n - h+ l possibilità e quindi il numero complessivo
è dato da n( n- l) . . . (n - h+ l) = dn,h · D

La proposizione precedente giustifica la nomenclatura usata per dn,h in quanto


assegnare un'applicazione iniettiva di S in T, con le notazioni precedenti, vuol
dire disporre h degli n elementi di T (che corrispondono a j(x 1) , ... , f( xh))
negli h "posti" l , 2, ... , h.
Si noti che in tali considerazioni l'ordine è essenziale e che gli h elementi di
T presi in esame sono ovviamente a due a due distinti.

3.5.2. Esempio. li numero delle applicazioni iniettive dell'insieme {a , b, c, d, e}


nell' insieme { 41 , 42 , 43, 44, 45, 46 , 47, 48} è d 8 ,5 = 8 · 7 · 6 · 5 · 4 = 6720.

3.5.3. Esempio. Le parole, non necessariamente di senso compiuto, che si pos-


sono scrivere con 4 lettere distinte scelte nell'insieme {A , C , D , E , I , S , O} sono
7 6 5 4 = 840
o o o o
122 Capitolo 3

3.5.4. Esempio. Al cinodromo Valeria vuole puntare sui primi 4 classificati


della pross ima corsa, cui partecipano 8 levrieri. Ha una possibilità su 1680 di
indovinare l' esatto ordine di arrivo. Infatti si ha cls,4 = 8 · 7 · 6 · 5 = 1680 .

Si noti che per n = h si ha

cln ,n =n· (n - l ) · ... · (n - n+ l) = n· (n- l)· ... · l = n !,

e infatti ogni applicazione iniettiva tra insiemi finiti dello stesso ordine è biettiva.
Si noti anche che, come è logico che sia,

cln ,n - l = n· (n - l ) · ... · (n - (n - l) + l ) = n · (n- l) · ... · 2 = n ! = cln ,n·

Se si vogliono disporre su h posti oggetti scelti tra n, permettendo ripetizioni,


ciò equivale a definire un ' applicazione di un insieme di ordine h nell ' insieme
costituito dagli n oggetti . Il numero di tali applicazioni è n 11 , come osservato nel
Paragrafo 3.2. Si ha cioè:

3.5.5. Il numero delle disposizioni con ripetizioni di n oggetti su h posti è n h.

3.5.6. Esempio. Il numero dei naturali positivi costituiti da 4 cifre dispari non
necessariamente distinte è dato da 5 4 = 625.

Esercizi
Esercizio 3.5.1. Lora ha 5 palline colorate; una rossa, una bianca, una ve rde,
una azzurra, una gialla, e vuole darne una ciascuna a Bian ca, Clorinda, Si/vana
e Claudia. In quanti modi può farlo?

Esercizio 3.5.2. Il giovane cameriere Salvo è alle prese con i bicchieri: ha da van-
ti a sé 6 bicchieri diversi e sa solo che ne deve porre 4 sul tavolo, ma non ricorda
quali, e in che posizion e. Procedendo a caso, ha una probabilità su quante di
apparecchiare bene la tavola ?

Esercizio 3.5.3. Nella borsa di Giovanna ci sono 3 tasche, una sul davanti, una
interna e una sul retro, e in ciascuna c'è spazio solo per un oggetto. Giovanna
vorrebbe riporre il rossetto, le chiavi, l 'agendina, il cellulare, il portcifoglio, il
portamonete e la penna. In quanti modi distinti può riporre 3 di questi oggetti?

Esercizio 3.5.4. Quanti numeri naturali (in forma decimale) sono composti da 3
cifre, tutte distinte da O, l , 3 e 5?

Esercizio 3.5.5. Stefano ricorda solo che il suo numero di Ban comat è formato
da 5 cifre, e che tra esse non compaiono né Oné 5 né 9. Digitando a caso, ha una
probabilità su quante di indovinare il numero giusto?
Elementi di calcolo combinatorio 123

3.6 Combinazioni semplici e con ripetizioni


Siano n e h numeri naturali, con O < h :::; n. Il numero

dn ,h n(n- l) ... (n- h + l)


Cn,h := h! = h!

è detto il numero delle combinazioni semplici di n elementi ad h ad h.


Si pone inoltre, per ogni n E No:

Cn,O := l.

Per esempio:
C7,0 = l= C7,7 ,
7
C7 l = - = 7 = C7 6,
' l.1 '
7 ·6
C72 = - - = 21 = C75,
' 2.1 '
7·6·5
C7 ,3 = = 35 = C74·
3! '
Si noti che
n!
Cn,n = 1 = l = Cn ,O,
n.
e che, con O < h :::; n,
n!
dn,h (n-h) ! n!
Cn ,h = hl = ----,;:! = h!(n- h)! '

e dunque
Cn,h = Cn,n-h·

Il numero Cn,h è sempre un intero come per esempio segue da:

3.6.1. Se n e h sono numeri interi, con O :::; h ::; n, il numero dei sottoinsiemi di
ordine h di un insieme di ordine n è Cn ,h·

Dimostrazione. L'asserto è ovvio se n = O o h = O. Siano dunque O < h :::; n


e S = { x 1 , ... , x 11 } un insieme di ordine n. Per individuare un sottoinsieme
{y1, ... , yh} di ordine h diSsi può procedere come segue: fissare Yl· scegliere
poi Y2 in S \ {yl}, ... , scegliere Yh in S \ {y1 , ... , Yh - d; l'elemento Yl può
essere scelto in n modi, Y2 in n - l modi, ... , Yh in n - (h - l) modi. Così
procedendo però ogni sottoinsieme {Yl , ... , Yh} si ripresenta tante volte quanto
è il numero delle permutazioni di h elementi, cioè h! volte. Pertanto il numero
cercato è dn ,h D
h!
124 Capitolo 3

La proposizione precedente giustifica il termine utilizzato per il simbolo Cn ,h:


individuare un sottoinsieme di ordine h di un insieme di ordine n equivale infatti
a scegliere h elementi tra n, indipendentemente dal loro ordine.
Si ritrova così che Cn, h = Cn,n- h: individuare un sottoinsieme di ordine h
di un insieme di ordine n equivale a determinare il suo complementare che è un
insieme di ordine n - h.
3.6.2. Esempio. I terni che si possono giocare al Lotto sono quanti le combina-
zioni di 90 elementi a 3 a 3, ossia c90,3 = 90 ~T 88 = 117480.
3.6.3. Esempio. Considerati una rosa, una margherita, un ' orchidea, una violetta,
una gardenia, un garofano e un iris, il numero dei distinti bouquet che si possono
fare con 5 di questi fiori è c7,5 = 76 ~! 43 = 21 = c7,2·

A volte, invece di utilizzare il simbolo c11 ,h, si usa il simbolo G) detto coefficiente
binomiale n su h. Pertanto:
n) = n( n- l) ... (n - h+ l) = n!
(h h! h!(n - h)! .
Per esempio:

e, più in generale,

( n) ( n ) per ogni O :::; h :::; n.


h n- h '
Si ha inoltre:

3.6.4. Per ogni O < h :::; n, risulta:

Dimostrazione. Esercizio. D

La precedente nomenclatura è giustificata dal seguente risultato:

3.6.5. Formula del binomio (o di Newton). Siano a e b numeri reali, e sia n un


numero naturale. Si ha:
Elementi di calco lo combinatorio 125

Dimostrazione. L'asserto è banale se n= O e evidente se n= l, infatti

Per induzione su n si assuma

(a+b)rn = f
t=O
(7) am-ibi

= arn +(7) arn-1b +...+(m~ l) abm-1 +bm.


Si ha allora:
(a+ b) 711 +1 = (a+ b) 711 (a +b)

= [am+ (7)am-1b+···+ (m~l) abm-1+bm] (a+b)


= arn+1 +(7) amb +.. .+ (m~ l)a2bm-1+abm+
+arnb +(7)arn-1b2 +... + (m~ l)abm +bm+l
= arn+1 +[(7) +(;)] a b+ [ (~) +(7)] arn-1b2+
711

+···+[(m~ 1) +(m~ 2)] a bm- + 2 1

+[(:) +(m~ l)] ab +brn+l 711

come richiesto. D

3.6.6. Esempio.

2 20
(a+ b) = G)a b +G) a1b1+G)a b2 a+2ab +b2,0
=
2

(a+ b)3 G)a3bo +G)a2


= b1 +G)a1b2+G)aob3
= a3 +3a 2b +3ab2 +b3.
126 Capitolo 3

Si osservi che i coefficienti binomiali che compaiono nello sviluppo di (a+ b)n
costituiscono l'n-esima riga del ben noto Triangolo di Tartaglia, le cui prime
righe sono:
l l
l 2 l
l 3 3 l
l 4 6 4 l

che ovviamente coincidono con

m m
@ m m
@ (i) m (~)
(~) (i) (i) m (!)
ottenute utilizzando 3.6.4.

3.6.7. Sia n un intero non negativo. Allora

(~) + (7) + (;) + .. ·+ (~) = 2n ,

ossia la somma degli elementi sulla n-esima riga del triangolo di Tartaglia è 2n.

Dimostrazione. Basta porre a = b= l nella formula del binomio 3.6.5. D

Tra l'altro, 3.6.1 e 3.6.7 permettono di ritrovare 3.2.3. È poi interessante eviden-
ziare che:

3.6.8. Sia p un primo. Allora p divide (~),per ogni i tale che O < i <p.

Dimostrazione. Basta osservare che p divide p(p - l) ... (p- i+ l) e non divide
i!. D

Si vuole ora contare in quanti modi è possibile scegliere n oggetti, non necessa-
riamente distinti, tra k possibilità.
A tal fine può essere utile rappresentare tali oggetti con stelline e suddividere
le possibilità in settori, utilizzando k - l sbarrette:

prima possibilità l seconda possibilità l ... l k-ma possibilità .


Elementi di calcolo combinatorio 127

Allora ogni scelta determina una sequenza di stelline e sbarrette e, viceversa, ogni
siffatta sequenza individua una scelta.
Per esempio, volendo comprare 3 frutti non necessariamente di tipo diverso,
e potendo scegliere tra mele, pere, banane, arance e kiwi, si devono collocare 3
stelline nei 5 settori

individuati da 4 sbarrette, che corrispondono ordinatamente ai tipi di frutta elen-


cati. Per esempio, la scelta di due mele e un' arancia determina la sequenza

le sequenze
l* l** l l,
l l l* * *,
individuano, rispettivamente, la scelta di una pera e due banane, e la scelta di tre
kiwi.
Vanno quindi contate le permutazioni con ripetizioni degli n + k - l oggetti,
n dei quali sono uguali a una stellina, mentre i restanti k - l sono sbarrette. Come
osservato in 3.4.7 tale numero è
(n+ k - l)!
n!(k - l)!
ed è detto il numero delle combinazioni con ripetizioni di n oggetti tra k.
Si è così provato che:

3.6.9. Il numero delle combinazioni con ripetizioni di n oggetti tra k è

(n+k-1)!
n!(k _l)! = Cn+k-1,n = Cn.+k-l,k-1·

3.6.10. Esempio. Al mercato sono disponibili mele, pere, banane, arance e kiwi.
Volendo acquistare 2 frutti, non necessariamente di diverso tipo, si hanno tante
possibili scelte quante sono le combinazioni con ripetizioni di 2 oggetti tra 5,
ossia
(2 + 5- l)!
2!4! = 15

(o anche c2 +5- 1,2 = c 6,2 = 6:} = 15).


Se invece si vogliono comprare 3 frutti, non necessariamente di diverso tipo,
la scelta può essere effettuata in tanti modi diversi quante sono le combinazioni
con ripetizioni di 3 oggetti tra 5, cioè
(3+5 - 1)!
3!4! = 35
7
(o anche c 3+ 5- 1,3 = c7 ,3 = ·~,· 5 = 35).
128 Capitolo 3

3.6.11. Esempio. Al termine di un'esibizione ginnica, ognuno dei 5 componenti


la giuria valuta la prova di ciascun atleta con uno dei seguenti giudizi: eccellente,
ottimo, buono, discreto, sufficiente, insufficiente. Quanti erano al più gli atleti
partecipanti, se non ci sono due di essi che hanno ottenuto lo stesso numero di
giudizi di ciascun tipo? Qui ovviamente bisogna contare le combinazioni con
ripetizioni di 5 oggetti tra 6, cioè

(5 + 6- l)!
l l = 252
5.5.

(o anc he c5+6-1 ,5 = cw ,5 = - o'--".9""'


""l .s'--'.7--"'6 __
51
252 ).

Esercizi
Esercizio 3.6.1. Si provi 3.6.4.

Esercizio 3.6.2. Sia p E lP'. Si provi che p divide aP - a, per ogni a E N 0 .

Suggerimento. Si ragioni per induzione su a, utilizzando la formula del binomio


(vedi 3.6.5) e la 3.6.8.

Esercizio 3.6.3. Giovanni vuole giocare al Lotto 2 numeri dispari; quante scelte
possibili ha?

Esercizio 3.6.4. Renato vuole portare in gita con la sua auto Carlo, Franco, Gigi,
Enzo, Antonio e Giovanni. In auto c'è posto solo per 4 persone, oltre ovviamente
il conducente. In quanti modi può scegliere i suoi amici?

Esercizio 3.6.5. Qual è il numero delle combinazioni con ripetizioni di 7 oggetti


scelti tra 3?

Esercizio 3.6.6. Tony vuole regalare all'amico Paolo 4 dei suoi giornaletti: ne
ha uno di Paperino, uno di Topolino, uno di Tex, uno di Diabolik, uno di Man-
drake, uno di Nembo Kid. In quanti modi diversi può scegliere i 4 giornaletti da
regalare?

Esercizio 3.6.7. Rosa sta preparando la borsa per il mare: vuole portare con sé 3
costumi, e può sceglier/i tra i 9 che ha nel cassetto. In quanti modi può effettuare
la sua scelta?

Esercizio 3.6.8. Gloria può cogliere 4fiori, eventualmente dello stesso tipo, nel
giardino del vicino, che è ricco di garden ie, rose, lilium, margherite, garofani e
ortensie. Quante scelte diverse può fare?

Esercizio 3.6.9. Lo/a sta preparando delle coppe di gelato per i suoi amici. In
ciascuna colloca 4 palline di gelato. Avendo a disposizione solo i gusti cioccolato,
caffè e nocciola, quante coppe distinte può preparare?
Elementi di calcolo combinatorio 129

Esercizio 3.6.10. Roberto deve acquistare 12 piastrelle per rivestire un angolo


della cucina. Ne ha viste sia alcune di una bella gradazione di grigio sia altre
con un simpatico disegno, e non sa se sceglier/e tutte uguali, o di tipo diverso. In
quanti modi può fare la sua scelta?
Esercizio 3.6.11. In un bar sono in vendita paste al cioccolato, alla crema, al
caffè, alla panna, alla fragola, alla nocciola, allo zabaione. Dovendo acquistare
3 paste distinte, quante sono le possibili scelte?
Esercizio 3.6.12. La giuria di una gara canora è composta da 7 p ersone. Ognuna
di queste valuta la prova di ciascun cantante assegnando uno dei seguenti punteg-
gi: 1000 (eccellente), 100 (ottimo), IO (buono), l (sufficiente), O (insufficiente).
Se i cantanti ottengono punteggi complessivi a due a due distinti e tutti minori di
7000, quanti sono al massimo i partecipanti alla gara?

3. 7 l numeri di Stirling di seconda specie


Nel Capitolo 2 si è parlato di partizioni di un insieme. Se A è un insieme di ordine
n > O e :F è una sua partizione, ovviamente si ha IFI = k, con l :::::; k :::::; n. Il
numero delle partizioni di ordine k di un insieme di ordine n è denotato con il
simbolo S (n, k) e detto numero di Stirling di seconda specie relativo a n e k. Il
numero complessivo delle partizioni di un insieme di ordine n è detto numero di
Beli relativo a n e indicato con Bn. Ovviamente si ha:

3.7.1. Per ogni n 2: l risulta:


n
Bn =L 8(n, i).
i= l

Dal teorema fondamentale sulle relazioni d'equivalenza (vedi 2.3.6) segue quindi
che il numero delle relazioni d'equivalenza di un insieme di ordine n è Bn.
È immediato riscontrare che, per ogni n :;::: l, si ha:

8(n, l) = l = 8(n , n),


in quanto, se lA l = n, la partizione {A} è l'unica costituita da un sol elemento e
{ {x} : x E A} è l'unica avente ordine n. In particolare:

8(1 , l) = l , 8(2 , l) =l = 8(2 , 2).


Di facile dimostrazione, ma di notevole interesse è il seguente risultato:

3.7.2. Per ogni l <k :::::; n si ha:

8(n +l, k) = 8(n, k- l)+ k8(n, k).


130 Capitolo 3

Dimostrazione. Sia A un insieme di ordine n + l , si vogliono contare le partizioni


di A di ordine k. Si fissi a E A, ovviamente l' insieme A \ {a} ha ordine n. Se
F è una partizione di A \ { a} di ord ine k - l , l'insieme F U {{a}} è all ora
una partizione di A di ordine k. Si ottengono così 8 ( n , k - l) partizioni distinte
di A di ordine k . Sia ora ç una partizione di A \ {a} di ordine k costituita dai
sottoinsiemi X 1 , .. . , X~,; di A \ {a}. Da ç si ottengono k partizioni distinte di A
di ordine k sostituendo uno e uno solo degli X i (i E {1 , ... , k}) con X i U {a}:

Al variare di ç nell ' insieme delle partizioni di ordine k di A \ {a} si ottengono


così k8( n , k) partizioni distinte di ordine k di A. Tali partizioni sono anche ov-
viamente di stinte da qu elle ottenute in precedenza a partire da partizioni di ordine
k - 1 di A \ {a} .
Restano così individuate 8(n , k - l) + k8(n, k) partizioni di ordine k di A. È poi
facile riscontrare che sono tutte, in quanto, se 1-i è una partizione di A di ordine k,
si ha {a} E 1-i o a E X , con X elemento di 1-i di ordine > l. D

Il risultato precedente permette di costruire facilmente il cosiddetto triangolo di


Stirling che elenca i valori dei numeri 8( n , k) al crescere di n e di k :

n\k l 2 3 4
l 8(1 , l)
2 8(2 , l) 8(2 , 2)
3 8(3 , l) 8(3 , 2) 8(3 , 3)
4 8(4, 1) 8( 4, 2) 8(4, 3) 8(4, 4)

Infatti, ricordando che 8(n , l) = l = 8(n , n) , per ogni n e utilizzando la 3.7.2,


si ottiene
n\k l 2 3 4
l l
2 l l
3 l 3 l
4 l 7 6 l

La ptima colonna e la diagonale principale della tabella sono costituite da tutti


l , gli altri valori si ottengono sommando il termine a sinistra della riga prece-
dente con il prodotto del termine in alto della riga precedente per il numero della
colonna:
8(3 , 2) = 8 (2 , l) + 28(2 , 2) = l + 2 = 3,
8(4 , 2) = 8(3 , l) + 28(3 , 2) = l + 2. 3 = 7,
8( 4, 3) = 8( 3, 2) + 38(3 , 3) = 3 + 3 · l = 6,
Elementi di calcolo combinatorio 131

così la quinta riga del triangolo è:


l 15 25 10 l.
3.7.3. Esempio. Marianna ha ricevuto per posta i 6 utensili comprati per corri-
spondenza: un frullatore, uno spremiagrumi, un ferro da stiro, una macchina per
caffè, una bistecchiera e un tostapane. Il tutto è contenuto in 4 pacchi identici. In
quanti modi diversi possono essere stati ripartiti gli oggetti? I pacchi sono identici
e non vuoti, quindi il numero che va calcolato è 8(6 , 4). Si ha

8(6 , 4) = 8(5 , 3) + 4 8(5 , 4) = 25 + 4 10 = 65.


o o

3.7.4. Esempio. Alberto ha 2 borse identiche in cui vuole collocare gli 8 fascicoli
relativi alle cause a cui sta lavorando. Ogni borsa contiene al più 7 di essi. In
quanti modi può ripartirli? Alberto deve utilizzare entrambe le borse, sicché va
calcolato

8(7 , 2) = 8(6 , 1)+28(6, 2) = 1+2(8(5, 1)+28(5, 2)) = 1+2(1+2·15) = 63.


Per determinare una formula che esprima il valore di ogni 8 (n , k) è utile e inte-
ressante la seguente osservazione:

3.7.5. Siano Se T insiemi finiti, con 181 = n, ITI = k e l ~ k ~ n. Il numero


delle applicazioni suriettive di S in T è

k!8(n, k).

Dimostrazione. Siano 8 = {x 1, ... , xn} e T= {y1, ... , yk}· Essendo k :::::; n,


esistono applicazioni suriettive di 8 in T (vedi 2.2.8) . Se F = {X 1 , ... , Xk} è
una partizione di 8 di ordine k, restano individuate k! distinte applicazioni su-
riettive di 8 in T: infatti, per ogni permutazione O' di {l , ... , k}, si può definire
l'applicazione
Ja : 8 ------> T
ponendo, se x E X i ,
fa(x) = Ya(i)·
Tale applicazione ha senso perché ogni x E 8 appartiene a uno e un solo degli X i ,
ed è suriettiva poiché ogni Xi è non vuoto e {Ya(i) : i E {l , ... , k}} =T. A par-
tire da F restano così determinate k! applicazioni suriettive di 8 in T. Al variare
di F si ottengono ovviamente applicazioni a due a due distinte. Si individuano
pertanto k!8(n , k) applicazioni suriettive di 8 in T. Sono poi tutte, perché, con-
siderata un'applicazione suriettiva g di S in T, si ha che, per ogni i E {l, ... , k} ,
l'insieme g- 1({yi}) è non vuoto e { X1 = g- 1({yl}) , ... , Xk = g- 1( {Yk})}
è una partizione ç di 8, tale che l'applicazione !id relativa a ç coincide con g
(dove id denota la permutazione identità di {l , . . . , k} ). È infatti immediato d-
scontrare che, se x è un elemento di S tale che x E X i = g- 1 ( {Yi} ), si ha
g(x ) = Yi = fict(x). D
132 Capitolo 3

3.7.6. Esempio. Al parco giochi ci sono uno scivolo, una giostra, una costruzione
da scalare e un tiro a segno. Luca, Andrea, Marco, Piero, Michele e Gaetano si
distribuiscono tra i vari giochi, e nessuno di questi resta deserto. In quanti modi
possono essersi distribuiti? I 6 bimbi possono scegliere tra 4 giochi diversi. Visto
che nessuno di questi resta deserto, bisogna contare le applicazioni suriettive di
un insieme di ordine 6 in un insieme di ordine 4. Il numero cercato è quindi
4!8(6 , 4) = 24. 65 = 1560.

3.7.7. Esempio. Monica ha promesso di prestare a ciascuna delle sue amiche


Viola, Rosalba e Antonella almeno uno dei suoi CD. A malincuore ha deciso di
privarsi per un po' dell ' ultimo CD di Baglioni, di Vasco Rossi, di Max Gazzè, di
Fiorella Mannaia, di Biagio Antonacci e di Piero Pelù . In quanti modo diversi può
distribuire i 6 CD alle 3 amiche? Il numero cercato è 3!8(6, 3) = 6 · 90 = 540.

Si conteranno ora le applicazioni suriettive tra insiemi finiti, determinando così


anche i relativi numeri di Stirling di seconda specie.

3.7.8. Siano Se T insiemi finiti, 151 = n, lTI = k, con l ::; k ::; n. li numero
delle applicazioni suriettive di 8 in T è dato da:

Dimostrazione. Sia T = {Yl , ... , yk}. Posto

V := {f E T 5 : f suriettiva} , W := {f E T5 : f non suriettiva },

si ha ovviamente V= T 5 \ l1V, da cui lVI = IT5 1-I11VI (vedi (i) di 3.1.2). Si de-
terminerà ora lWl utilizzando il principio di inclusione-esclusione. Si considerino
gli insiemi:
C1 := {f E T5 : Y1 ~ f(8)} ,
C2 := {f ET
5
: Y2 ~ f(8)} ,

5
Ck := {f E T : Yk ~ f(8)}.
Ovviamente risulta

e, per ogni i E {1, ... , k}, si ha che gli elementi di Ci sono tanti quante sono le
applicazioni di 8 in T \ {Yi}, sicché (vedi 3.2.4)
Elementi di calcolo combinatorio 133

Analogamente, se i,j E {1, ... , k}, con i=/= j, da

segue che

e così

per ogni i,j, sE {1 , . .. , k} con i< j < s, e così via fino a

Applicando il principio di inclusione-esclusione si ottiene:

k
IWI = IC1 u · · · u Ckl =L ICi l - L ICi n Cjl+
i=l l ~i<j~k

+ L ICinCjnCsl- .. ·+(-l)k- liCln .. ·nCkl·


l ~i<j<s9

I sottoinsiemi Ci sono k = (~), le intersezioni Ci n Cj con l :S i < j :S k


sono tante quante sono i sotto insiemi di ordine 2 di {l, ... , k}, cioè (~) , così le
intersezioni Ci n Cj n Cs con l :S i < j < s :S k sono tante quanti sono i
sottoinsiemi di ordine 3 di {l, . .. , k} e dunque sono (~) , e così via. Pertanto

Da IT8 = k =
1
71
(~) (k- 0) 71 segue dunque che

come volevasi. D
134 Capitolo 3

Dalle proposizioni precedenti segue dunque:

3.7.9. Sia n un numero naturale positivo. Allora

per ogni l ::::; k ::::; n, e

Bn =I: n
k=l
[ 1I:( -l)~ (k)
k!
t=O
k .
i (k- i r . l
3.7.10. Esempio. Le applicazioni suriettive di un insieme di ordine 8 in un
insieme di ordine 5 sono 126000. Infatti risulta:
5
~(-l)iG)(5-i)8=58- G)48+ G)38- G)28+ (!)18

= 58 - 5 . 48 + 10 . 38 - 10 . 28 + 5 . l
= 390.625 - 5 . 65536 + 10 . 6561 - 10 . 256 + 5
= 390625 - 327680 + 65610 - 2560 + 5
= 126000.

Le partizioni di ordine 3 di un insieme di ordine 9 sono 3025. Infatti si ha:

S(9, 3) = ~3. Ì) -l)i (~) (3- i) 9 = ~(3


~ 6
9 - 3. 29 + 3. l)
i=O

~(19683- 1536 + 3) =
18 50
= ~ = 3025.

Esercizi
Esercizio 3.7.1. Si verifichi che la sesta e la settima riga del triangolo di Stirling
sono, rispettivamente,
l 31 90 65 15 l ,
l 63 301 350 140 21 l.

Esercizio 3.7.2. Vanna sta riponendo la biancheria da cucina nei due ripiani
identici a sua disposizione. Deve collocare i grembiuli, gli asciugamani, gli stro-
finacci, le presine, il guanto da forno, le tovaglie, i tovaglioli. In quanti modi può
ripartir/i, utilizzando entrambi i ripiani?
Elementi di calcolo combinatorio 135

Esercizio 3.7.3. Manuela la scorsa Pasqua ha fabbricato da sé le uova di ciocco-


lato da regalare, con una forma donatale dalla mamma. Aveva comprato anche
le sorprese: un portachiavi, uno spillo, un braccialetto, una collanina e un anel-
lino. Con la cioccolata a disposizione è riuscita però a confezionare solo 4 uova;
in quanti modi poteva ripartire le 5 sorprese nelle uova, volendo utilizzare tutti i
regali acquistati e volendo ovviamente che ogni uovo fosse dotato di sorpresa?

Esercizio 3.7.4. La piccola Susy vuole utilizzare tutti e tre i suoi astucci iden-
tici per riporre i suoi pastelli: ne ha uno rosso, uno giallo, uno azzurro, uno
arancione, uno verde, uno marrone e uno lilla. In quanti modi può ripartirli?

Esercizio 3.7.5. Giovanni sta riordinando la sua scrivania: ha 4 contenitori iden-


tici che vuole utilizzare, e in essi vuole riporre i suoi appunti di storia, quelli di
filosofia, quelli di italiano, quelli di matematica e quelli di inglese. In quanti modi
può ripartirli?

Esercizio 3.7.6. Romeo ha due scatoloni, uno di base quadrata e uno di base
triangolare. Utilizzandoli entrambi, vuole conservare in essi i suoi modellini di
auto: ha una Ferrari, una Porsche, una Jaguar, una Mercedes, una Maserati,
un 'Alfa e una Ford. In quanti modi può ripartirli?

Esercizio 3.7.7. Rosaria ha 3 guardaroba, uno in camera da letto, uno nel corri-
doio, uno nella camera dei bambini. Volendo utilizzarli tutti per riporre il plaid,
la coperta matrimoniale, il piumone, le lenzuola di flanella e il copertino estivo,
in quanti modi può ripartirli?

Esercizio 3.7.8. Rodolfo ha 2 piccoli amici, Goffredo e Vittorio, cui vuole regalare
i suoi oggetti per il mare: la paletta, il secchiello, il rastrello, l'innaffiatoio, la
formetta a forma di pesce, quella a forma di sole, quella a forma di stella e quella
a forma di barca. Donando a ciascuno almeno un oggetto, in quanti modi può
distribuirli?

Esercizio 3.7.9. Silvana ha comprato delle statuette raffiguranti i 7 nani di Bian-


caneve, e vuole collocarle in giardino, divise in due gruppi. In quanti modi può
ripartirle ?

Esercizio 3.7.10. Zaira ha 4 astucci identici, che vuole tutti utilizzare per riporre
i suoi 5 anelli preziosi: uno ha una pietra di zaffiro, uno un rubino, uno un topazio,
uno un opale e uno un diamante. In quanti modi diversi può ripartire gli anelli?

3.8 Cenni sulla teoria di Ramsey


La teoria di Ramsey deve il suo nome a Frank Ramsey (1903-1930) che ne fu il
fondatore. Si comincerà con il presentarne un aspetto particolare.
3.8.1. Esempio. Si considerino 6 (o più) persone. Allora tra queste o esistono
3 che a 2 a 2 si conoscono o esistono 3 che a 2 a 2 non si conoscono. Infatti
136 Capitolo 3

si rappresentino le 6 persone con 6 punti e si uniscano due di essi con una linea
continua se le relative persone si conoscono, con una linea tratteggiata nel caso
contrario.

•·· ........... •
.....-~ .· ·.· .... .··: ..... .

L •
!, .. ·······
··· ...•.·.. .. .·

.
':·:· ..................:. _···

•·· · ......

Se A è uno dei punti, rappresentante la persona a, questo è l'estremo di 5 segmen-


ti,

_:
• ..-· · •

A • •• ......... •

. . .
almeno 3 dei quali dello stesso tipo (come si ottiene anche applicando la forma
forte del principio dei cassetti (vedi 3.3.6) con n = 2: "conosce A" o " non cono-
sce A" e con q1 = 3 = q2, q1 + q2- n+ l = 5). Si supponga, per esempio, che i
segmenti AB , AC, AD siano tutti continui:

A-
Le •D

cioè a conosce sia b che c che cl, persone rappresentate dai punti B , C, D rispet-
tivamente. Si considerino ora i punti B , C e D. Se i 3 seg menti BC, BD e CD
sono tutti tratteggiati:

\
c
' ' \
' '\
A D
Elementi di calcolo combinatorio 137

ciò significa che b; c e d a due a due non si conoscono e l'asserto è provato. Se


invece almeno uno di questi segmenti, per esempio BC, è continuo:

si ottiene che AB , ACe BC sono dello stesso tipo e dunque a, be c si conoscono


a due a due, come volevasi.
Quanto provato si può anche esprimere efficacemente nel seguente modo:

3.8.2. Se ogni sottoinsieme di ordine 2 di un insieme S di ordine 6 è colorato in


rosso o in azzurro, esiste un sottoinsieme V di S di ordine 3 tale che ogni suo
sottoinsieme di ordine 2 ha lo stesso colore.

Si introduca ora la notazione seguente: sia k un numero naturale positivo, e sia S


un insieme di ordine n 2: k; si indichi con [S]k il sottoinsieme di P(S) costituito
dai sottoinsiemi di ordine k di S. Allora 3.8.2 può esprimersi più sinteticamente
nel seguente modo:

3.8.3. Sia S un insieme di ordine 6. Se [8]2 = ~l U ~2, allora esiste un


sottoinsieme T di S di ordine 3 tale che [Tj2 ç ~l o [Tj2 ç ~2 ·

Si noti che 6 è minimo per tale proprietà, come illustrato dalla figura che segue:

l \

Siano ora k e h interi positivi, con k < h. n minimo intero positivo r > h tale
che, se S è un insieme di ordine r e [S]k = ~l U ~2 . esiste un sottoinsieme
proprio T di S, di ordine h, tale che [T]k ç ~ 1 o [T]k ç ~ 2 • è detto il numero
di Ramsey relativo a k e h. li fatto rimarchevole, e per nulla evidente, è che per
ogni scelta dei parametri k e h esiste il numero di Ramsey relativo a k e h. Que-
sto risultato è noto come teorema di Ramsey; il Lettore interessato potrà trovarne
la dimostrazione su un qualunque testo di Combinatoria. Sebbene il teorema di
Ramsey ne assicuri l'esistenza, è incredibilmente arduo calcolare il valore espli-
cito dei numeri di Ramsey. Nella maggior parte dei casi ci si deve accontentare di
limitazioni inferiori e superiori, spesso notevolmente larghe.
138 Capitolo 3

3.8.4. Esempio. Se k = 2eh = 3, si ha r = 6. Si può provare che per k = 3e


h= 4, si ha r = 21.

Esistono svariate versioni del teorema di Ramsey. Per esempio, è possibile sosti-
tuire il numero 2 con un numero arbitrario m di colori utilizzabili per la colora-
zione. La teoria di Ramsey riguarda anche insiemi infiniti.

3.8.5. Siano m > l un intero, ed S un insieme infinito. Se [S] 2 = .6.1 U · · · U .6.m,


esiste un sottoinsieme infinito T di S tale che [Tj2 ç D.j, per un opportuno
j E {l, ... , m}. Più in generale, con k > l intero, se [S]k = b.1 U · · · U .6.m,
esiste un sottoinsieme infinito T di S tale che [T]k ç .6.j, per un opportuno
jE{l , .. . , m}.

Dimostrazione. Per semplicità, si considererà solo il caso k = 2 = m. Si sup-


ponga cioè [S] 2 = D. 1 U .6. 2; si vuole provare che, per un opportuno sottoinsieme
infinito T di S, risulta [Tj2 ç b.1 o [Tj2 ç b.2. Si fissi a1 E Se si consi-
deri l'insieme {{a1,s} :s E S \{al}}. Tale insieme ovviamente è infinito
e contenuto in b.1 U b.2. Pertanto esiste un insieme infinito S1 ç S \ {a1}
tale che {{a1,s} : sE S1} è contenuto in b.tl' con t1 E {1 ,2}. Si fissi
allora a2 E S1. Ovviamente a 2 l= a1 e {a1 , a 2} ç b.t 1 . Ancora è infini-
to l'insieme { {a 2, s} : s E S1 \ { a2}} ed è contenuto in b.1 U b.2. Ragio-
nando come in precedenza, esiste un insieme infinito s2 ç sl \ {a2 } tale che
{ { a2, s} : s E Sz} ç b.t 2 , per un opportuno tz E {l , 2}. Così continuando si
individuano la sequenza a1 , az , ... , an , .. . di elementi di Sa due a due distinti
e la sequenza t1 , tz , ... , tn , ... di numeri appartenenti a {l, 2} tali che, se i e j
sono entrambi positivi, con i < j, si ha {ai , aj} E b. t ; . Ovviamente esiste un
sottoinsieme infinito M di N tale che ti = ti = t, per ogni i, j E M. Si ponga
T := {ai : i E M}. Questo insieme è un sottoinsieme infinito di S ed è tale che,
per og1ù i, j E M, con i i- j, si ha {ai , aj} E b.t. cioè tale che [Tj2 ç b. t, come
volevasi. O

3.9 Esercizi di riepilogo


Esercizio 3.9.1. Si individui in quante e quali delle proposizioni del Capitolo 3 si
è usato il principio di moltiplicazione (vedi 3.2.1).

Esercizio 3.9.2. Quanti sono i numeri tra l e 101 divisibili per almeno uno tra 5
e 7? E quanti quelli divisibili per almeno uno tra 5, 7 e 11?

Esercizio 3.9.3. Si calcoli il numero dei naturali tra l e 10.000 che non sono
divisibili né per 4, né per 5, né per 6.

Esercizio 3.9.4. Si provi che in ogni gruppo di person e ve ne sono due che hanno
lo stesso numero di amici nel gruppo.
Elementi di calcolo combinatorio 139

Esercizio 3.9.5. Sia n un numero naturale positivo e si considerino n+ l numeri


naturali positivi. Si provi che due di questi differiscono per un multiplo di n.
Esercizio 3.9.6. Si provi .che esistono due potenze di 2 che differiscono per un
multiplo di 2001.
Esercizio 3.9.7. Vittorio sta riponendo a caso nello zaino i libri di francese, let-
teratura italiana, geometria e latino, che gli serviranno per le lezioni del gior-
no dopo. Ha una probabilità su quante di riporti nello stesso ordine in cui gli
serviranno?
Esercizio 3.9.8. Si calcoli il numero delle parole, non necessariamente di senso
compiuto, che si possono formare con le lettere della parola "PAGNOTTA".
Esercizio 3.9.9. Lorenzo vuolfar visitare all'amico milanese Ischia, Capri, Pro-
cida, Sorrento e Positano; quanti distinti itinerari può proporgli?
Esercizio 3.9.10. Si calcoli il numero delle parole, non necessariamente di senso
compiuto, che si possono formare con le lettere della parola "ZIZZANIA ".
Esercizio 3.9.11. Si calcoli il numero delle parole, non necessariamente di senso
compiuto, che si possono formare con le lettere della parola "ASSASSINI".
Esercizio 3.9.12. Olimpia sta disponendo sul suo balcone, da sinistra verso de-
stra, le 7 piante che ha preparato: 2 sono di rose, 3 di margherite e 2 di azalee.
In quanti modi diversi può disporle?
Esercizio 3.9.13. La piccola Luciana sta costruendo una torre con tutti i suoi
mattoni colorati, ponendoli uno sull'altro. Ha 5 mattoni rossi, 4 gialli, 3 verdi e
3 marroni. In quanti modi può costruirla?
Esercizio 3.9.14. Roberto vuole giocare al Lotto 5 numeri tra i primi 20; quante
scelte possibili ha?
Esercizio 3.9.15. Uno scommettitore decide di giocare tutte le colonne del Toto-
calcio con la "formula" 7-5-2, ossia tutte le colonne in cui compaiono 7 vittorie
in casa, 5 pareggi e 2 vittorie in trasferta. Quante colonne dovrà giocare?
Esercizio 3.9.16. Quante rette di un piano sono individuate da 25 punti a tre a
tre non allineati? E quanti triangoli?
Esercizio 3.9.17. Il Presidente del Consiglio deve inserire 4 nuovi ministri nel
suo governo. Sono candidati lO uomini e 12 donne, ma il presidente vuole inserire
almeno 2 donne. Quante sono le possibili scelte?
Esercizio 3.9.18. Quanti sono i numeri tra l e 600 divisibili per almeno uno tra
11 e 19?
Esercizio 3.9.19. Per preparare un affettato misto, Rosanna vuole acquistare 4
tipi diversi di salumi. Il negoziante ha prosciutto crudo, prosciutto cotto, salame
napoletano, salame milanese, salame ungherese, mortadella, pancetta. Quante
scelte diverse può fare Rosanna?
140 Capitolo 3

Esercizio 3.9.20. L'anziano Valeria sta facendo testamento: ora deve decidere a
chi lasciare la sua villa al mare, la casa di campagna, l'attico di Parigi, il negozio
di New York e l'appartamento di Roma. Ha 5figli, Romano, Ruggero, Romualdo,
Renato e Carlo, e a ciascuno andrà qualcosa. In quanti modi diversi può fare il
lascito?
Esercizio 3.9.21. Volendo giocare al Lotto 5 numeri multipli di 11, quante scelte
ci sono? Volendo giocare al Lotto 4 numeri maggiori di 75, quante scelte ci sono?
Esercizio 3.9.22. Susanna, Titty, Doriana, Valentina e Giovanna si sono sfidate a
una corsa, e ora propongono a Walter di indovinare l'ordine di arrivo. Walter ha
una probabilità su quante di non fare alcun errore?
Esercizio 3.9.23. Catello ha bisogno di un giardiniere, un manovale, un camerie-
re e un autista. Si presentano Simone, Vincen zo, Corrado, Diego, Pino e Pierino, e
ciascuno afferma di saper far tutto. In quanti modi distinti può Catello assumere?
Esercizio 3.9.24. Rosa è stata invitata a una festa , ma non conosce nessuno.
Le vengono presentati Antonio, Bruno, Cesare, Dario, Emilio e Federico, e poi,
in ordine casuale, le loro mogli Assunta, Barbara, Caterina, Donatella, Enza e
Floriana. Viene poi sfidata a indovinare le giuste coppie marito-moglie. Ha una
probabilità su quante di non commettere errori?
Esercizio 3.9.25. Quanti sottoinsiemi di ordine 4 ha l'insieme {a , c, f , k , z, w}?
Esercizio 3.9.26. Stefania ha una scatola tonda, una quadrata, una triangola-
re, una rettangolare e una ovale, e deve riporre un anellino, un braccialetto, un
orologio, una collanina e una medaglia. In quanti modi diversi può collocare gli
oggetti, uno in ogni scatola?
Esercizio 3.9.27. Stefano sta giocando alla guerra con i suoi amici Renato, Mar-
cello, Marco, Giovanni, Roberto e Andrea, e deve nominare tra loro "il coman-
dante", il "capitano" e il "tenente". In quanti modi diversi può farlo?
Esercizio 3.9.28. Simona ha deciso di chiamare Pupo, Billy, Zorro e Bobby i suoi
pupazzi: sono un cane, un orso, un coniglio e un gatto. In quanti modi diversi
potrà farlo?
Esercizio 3.9.29. Vittorio ha 6 fratelli: Rosario, Maurizio, Aldo, Luca, Sossio
e Aristide. La sua cagna Stella ha avuto 4 cagnolini: Roby, Placida, Saetta e
?isolo, e Vittorio vuole farne dono a 4 dei suoi fratelli. In quanti modi diversi può
farlo?
Esercizio 3.9.30. La piccola Lari vuole colorare i disegni appena fatti: una bar-
chetta, una casetta, una stellina, un fiorellino, ognuno con un colore diverso. Ha
a disposizione il verde, il giallo, il rosso e il viola. In quanti modi diversi può
farlo?
Esercizio 3.9.31. Vanni ha 3 posti-macchina per le sue 3 auto: una Seicento, una
Panda e una Clio. In quanti modi diverse può parcheggiarle?
Elementi di calcolo combinatorio 141

Esercizio 3.9.32. Giovanna ha 5 figli: Giacomo, Luca, Marco, Matteo e Antonio,


e vuole che facciano dello sport. Sono aperte le iscrizioni per corsi di nuoto, di
ginnastica, di calcio e di pallanuoto. Volendo iscrivere ciascun figlio a un solo
corso, quante scelte diverse può fare?

Esercizio 3.9.33. Valeria deve comprare un disco, un libro, una penna e un oro-
logio. Non ha ancora deciso se acquistare un disco di musica classica, lirica o
moderna, se un libro di avventura, di narrativa, di satira o poliziesco, se una pen-
na stilografica o biro, se un orologio da polso, da tavolo o da taschino. Quante
scelte diverse può fare?

Esercizio 3.9.34. Volendo giocare al Lotto 4 numeri multipli di 10, quante scelte
ci sono?

Esercizio 3.9.35. Quante parole, non necessariamente di senso compiuto, si pos-


sono formare con 5 lettere distinte della parola "ARGOMENTI"?

Esercizio 3.9.36. Vanni ha ordinato una coppa gelato gigante: sarà formata da
5 dosi di gelato. È incerto perché non sa di che gusti ordinaria, se uguali o
differenti. Può scegliere tra cioccolato, caffè, nocciola, fragola, vaniglia, crema e
pistacchio. Quante scelte diverse può fare?

Esercizio 3.9.37. Giovanna ha 5 biglietti per la rappresentazione teatrale di do-


menica, e vuole regalar/i ai suoi vicini, ma è incerta se donarli tutti a una stessa
famiglia o distribuirli in modo diverso. Le famiglie in questione sono: Rossi,
Romano, Lombardo, Esposito, Carli e Bianchi. Quante scelte diverse può fare?

Esercizio 3.9.38. Volendo guarnire il gelato con 6 frutti di bosco, e avendo a


disposizione delle more, dei mirtilli e delle fragole, quante scelte ci sono? E
volendo guarnire il gelato con 3 frutti di bosco distinti, e avendo a disposizione
delle more, dei mirtilli, delle fragole, delle gelse e dei fragoloni, quante scelte ci
sono?

Esercizio 3.9.39. Nel portafoglio il nonno ha 4 banconote. Il piccolo Ezio vuole


indovinare di che tipo sono: da 5, 10, 20 , 50 o 100 euro. Quante probabilità ha
di indovinar/e tutte e 4? E se Ezio sa che nel portafoglio del nonno le banconote
sono di importo diverso, quante probabilità ha Ezio di indovinar/e tutte e 4?

Esercizio 3.9.40. Quanti sono i numeri naturali di 4 cifre, con la prima uguale a
3, 4, 5o 6, e la seconda uguale a O, 2, 4, 6 o 8?
Esercizio 3.9.41. Quante sono le parole, non necessariamente di senso compiuto,
che si ottengono utilizzando le lettere della parola "PULLULA"? E della parola
"PALERMO"?

Esercizio 3.9.42. Quante sono le parole, non necessariam~nte di senso compiuto,


che si ottengono utilizzando 3 lettere, non necessariamente diverse tra loro, della
parola "NONNA"?
142 Capitolo 3

Esercizio 3.9.43. Volendo comprare 3 pacchi di biscotti (eventualmente dello


stesso tipo), e avendo a disposizione dei wafel; dei Pavesini, delle lingue di gatto e
dei brigidini, quante scelte ci sono? E volendoli comprare di tipo diverso, quante
scelte ci sono?

Esercizio 3.9.44. Quante sono le parole di 4lettere (non necessariamente di sen-


so compiuto) con 2 vocali distinte, una al II posto, l'altra al IV, e 2 consonanti
distinte dell'insieme {B , D , L , V, G , N}?

Esercizio 3.9.45. Volendo comprare 3 tramezzini (eventualmente dello stesso ti-


po), e avendone a disposizione al prosciutto, al salmone, al tonno, al salame, al
formaggio, quante scelte ci sono? E volendone comprare 3 di diverso tipo, quante
scelte ci sono?

Esercizio 3.9.46. Pina vuole fare una bella insalata mista, e può scegliere tra
lattuga, radicchio bianco, radicchio rosso, indivia, finocchi. Volendo comprare 3
varietà diverse, quante scelte può fare ?

Esercizio 3.9.47. Il professore di geografia dovrà parlare di alcune città italiane,


e la sua scelta ricadrà su 5 delle seguenti città: Roma, Firenze, Napoli, Venezia,
Palermo, Bari, Milano, Torino, Genova. Quante sono le sue possibili scelte?
Parlerà, poi, di Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia e Liguria, ma non ha ancora
deciso in che ordine farlo. Quante scelte diverse può effettuare?

Esercizio 3.9.48. Stefano deve telefonare all'amico Rino, alla mamma, alla non-
na e al cugino Vanni, ma non sa in che ordine farlo. In quanti modi diversi può
effettuare le chiamate?

Esercizio 3.9.49. Renata ha 7 bambole Barbie, 5 vestitini e 4 cappottini. Volendo


ricoprire un po' ciascuna bambola, quante avranno sia l'abito che il soprabito?

Esercizio 3.9.50. Maria ha preparato per il buffet della sua festa 30 coppe di
gelato, 25 fette di torta e 20 tramezzini. I suoi amici prendono tutti qualcosa ma
nessuno di loro mangia sia la torta che il tramezzino, 15 scelgono torta e gelato,
12 gelato e tramezzino. Quando Maria si avvicina al buffet, è tutto finito. Quanti
amici erano presenti?
4
Strutture algebriche

In questo capitolo verrà introdotto il concetto di operazione in un insieme, concet-


to che generalizza le familiari nozioni di somma e prodotto di numeri, e verranno
presentate definizioni che prendono spunto da ben note proprietà delle suddette
somma e prodotto. Si perverrà così al concetto di struttura algebrica e saranno
descritte alcune delle principali strutture.

4.1 Generalità
Sia S un insieme. Un'applicazione

_l: s x s ------+ s
è detta un'operazione interna diSo legge interna in S. L'immagine mediante l_
della coppia (x, y) è di solito denotata col simbolo x _L y e detta composto di x e
y in l_. Si userà il simbolo ( S, _L) per indicare l'insieme S dotato dell'operazione
interna _l.

4.1.1. Esempi. L'addizione e la moltiplicazione usuali in No, in N, in Z, in Q, in


lR sono operazioni interne nei rispettivi insiemi.
Con V insieme, le applicazioni:

U: (X, Y) E P(V) x P(V) f--------+ X U Y E P(V),


n: (X, Y) E P(V)x P(V) f--------+ X n Y E P(V) ,
\ : (X, Y) E P(V) x P(V) f--------+ X\ Y E P(V) ,
ù: (X, Y) E P(V) x P(V) f--------+ XùY E P(V)

sono operazioni interne in P(V).


Con V insieme, l'applicazione

· : (j,g) E VV f--------+ go f E VV
144 Capito lo 4

è un'operazione interna in vv.


Altri esempi di operazioni in Z sono la sottrazione, e anche:
2
..l1: (x , y) E Z x Z f-----t x + y 2 E Z,
2
..l2 : (x , y) E Z x Z f-----t x + y- l E Z,
..l3: (x , y) E Z x Z f-----t xy + y E Z,
..l4 : (x, y) E Z x Z f-----t x+ y + x y E Z .

Si consideri l' operazione ..l nell'insieme S. Elementi x, y E S sono detti permu-


tabili in (S , ..l) se si ha x ..l y = y ..l x . Ovviamente ogni elemento x E S è
permutabile con se stesso. L'operazione ..l è detta commutativa se x e y sono per-
mutabili,perogni x,y E S;cioèsesi ha x ..l y = y ..l x, perogni (x , y) E S x S.
L' operazione ..l è detta associativa se si ha (x ..l y) ..l z = x ..l (y ..l z ), per ogni
x , y ,z ES .
4.1.2. Esempi. Le usuali operazioni di somma e prodotto in No, in N, in Z, in Q,
in IR sono sia commutative che associative.
Come osservato in 1.4, lo sono anche l' unione, l' intersezione e l'unione di-
sgiunta in P(V) , per ogni insieme V. Il complemento non è commutativo né
associativo per ogni insieme V non vuoto.
La sottrazione in Z è tale che ogni elemento è permutabile solo con se stesso,
in quanto x- O =1- O- x, per ogni x E Z \ {0}. Non è dunque commutativa, e non
è associativa in quanto, per esempio, (l - 2) - 3 = -4 =1- 2 = l - (2 - 3).
L' operazione· in vv definita negli Esempi 4.1.1 è associativa (vedi 2.2.12) e
non commutativa se V ha almeno due elementi (vedi Esempio 2.2.11).
Le operazioni in Z definite in 4.1.1 sono tali che: ..l1 è commutativa e non
associativa, ..l2 non è commutativa né associativa, ..l3 non è commutativa e non
è associativa, ..l 4 è commutativa e associativa. Si ha infatti, per ogni x, y E Z,
x ..l1 y = x 2 + y 2 = y 2 + x 2 = y ..l1 x e, per esempio, (1 ..l1 2J ..l1 3 =
(1 2 +2 2 ) ..il 3 = 5 ..il 3 = 34 =/= 170 = l ..il 13 =l ..il (2 +3 2) =
l ..l1 (2 ..l1 3). Si ha poi, per esempio, 2 ..l2 3 = 6 =1- 10 = 3 ..l2 2 e
(2 ..l2 3) ..l2 O = 6 ..l2 O = 35 i- 11 = 2 ..l2 8 = 2 ..l2 (3 ..l2 0). Ancora,
si ha, per esempio, 2 ..l3 O = O =1- 2 = O ..l3 2 e (l ..l3 2) ..l3 3 = 4 ..l3 3 =
15 =1- 18 = l ..l3 9 = l ..l3 (2 _1_3 3). Si ha poi, qualunque siano x, y E Z,
x _1_4 y =x+ y + x y = y +x+ yx = y ..l4 x. L'associatività di _1_4 sarà provata
nell'Esercizio 4.1.1.

Come osservato negli esempi precedenti, un 'operazione può essere associativa


e non commutativa, o commutativa e non associativa, o godere di entrambe le
proprietà o di nessuna delle due.
Se l ' operazione ..l in S è associativa, è lecito utilizzare la scrittura x l_ y l_ z
per denotare l'elemento (x l_ y) ..l z = x l_ (y ..l z ). Più in generale, se S è
un insieme dotato di un ' operazione associativa ..l e s 1, s2 , ... , sn sono elementi
di S, con n 2:: 3, si pone induttivamente:
Strutture algebriche 145

Pertanto, per n = 4, si ha s1 _l s2 _l s3 _l s4 = ( ( s1 _l s2) _l s3) _l s4, ma tale


elemento coincide anche con ( (s1 _l s2) _l ( s3 _l s4)) o anche, per esempio, con
s1 _l (s2 _l (s3 _l s4)), per l'associatività di _l. Più in generale l'associatività
di _l permette analoghe arbitrarietà nel calcolo del composto di più elementi, che
venanno utilizzate senza ulteriori precisazioni.
Se S è un insieme finito, S = { x 1 , ... , x 11 }, dotato di un'operazione interna
_l, è possibile rappresentare tale operazione mediante una tabella, la cosiddetta
tavola di moltiplicazione di (S, _i):

j_

Xl X l j_ Xl X l j_ X2

X2 X2 j_ Xl X2 j_ X2

Xn j_ Xn

dove si riportano tutti i composti degli elementi di S.

4.1.3. Esempi. Considerato l'insieme degli interi {- l , l} con l'usuale prodotto,


si ha:

m
Con V = {a , b}, le tavole di moltiplicazione di (P(V), u), (P(V), n), (P(V) , \),
(P(V) , u), sono rispettivamente:

u 0 {a} {b} V n 0 {a} {b} v


0 0
{a} {b} V 0 0 0 0 0
{a} {a} {a} V V {a} 0 {a} 0 {a}
{b} {b} v v
{b} {b} 0 0 {b} {b}
v v v v v V 0 {a} {b} v

\ 0 {a} {b} V U 0 {a} {b} V


0 0 00 0 0 0 {a} {b} V
{a} {a} 0
{a} 0 {a} {a} 0 V {b}
{b} {b} {b} 0 0 {b} {b} V 0{a}
V V {b} {a} 0 V V {b} {a} 0

Si noti che, considerato un insieme finito S, è possibile definire in esso un ' opera-
146 Capitolo 4

zione assegnando una tabella. Per esempio, con S = {a , b, c}, la tabella

.l a b c
a b c a
b b b c
c b a c

individua un ' operazione, in cui, tra l'altro, a .l b = c, c .l b =a, c .l a= b.


Sia S un insieme dotato di un'operazione interna .l. Un elemento e E S è
detto neutro rispetto a .l se si ha e .l x = x = x _L e, per ogni x E S. Si noti
che in particolare un elemento neutro è permutabile con ogni elemento di S.
4.1.4. Esempi. In (No,+) il numero O è elemento neutro. In (No,·) il numero l
è elemento neutro. In (N, +) non esiste elemento neutro.
Se V è un insieme, l'insieme vuoto è elemento neutro in (P(V), U) e in
(P(V), u), l'insieme V è elemento neutro in (P(V), n). Se V è non vuoto, non
esistono elementi neutri in (P(V), \): infatti risulta X\ V = 0 =/= V, per ogni
X E P(V).
L'applicazione identica idv è elemento neutro in (Vv, ·),dove· è l'opera-
zione interna in vv definita in 4.1.1 (vedi 2.2.13).
Le operazioni in Z definite in 4.1.1 sono tali che: Oè elemento neutro rispetto
a .l4 e non esiste elemento neutro rispetto a .l1, .l2, .l3.
Come evidenziato dagli esempi precedenti, può esistere o meno elemento neutro
rispetto a un'operazione. Si noti però che, qualora esista, l'elemento neutro è
unico. Vale infatti:

4.1.5. Sia S un insieme dotato dell'operazione interna .l e siano e, e' neutri


rispetto a .l. Allora si ha: e = e'.

Dimostrazione. Risulta e .l e' = e', essendo e neutro, e e .l e' = e, essendo e'


neutro. Pertanto e = e', come volevasi. D

Più in generale, un elemento e E S è detto neutro a sinistra (rispettivamente


neutro a destra) rispetto a .l se si ha: e .l x = x (risp. x .l e = x ), per
ogni x E S. Ovviamente richiedere che e E S sia neutro rispetto a .l equivale
a richiedere che e sia neutro a destra e a sinistra rispetto a .l. Naturalmente se
l' operazione .l in S è commutativa, si ha che e E S è neutro se lo è da un lato.
4.1.6. Esempi. n numero O è (l'unico) elemento neutro a destra rispetto alla
sottrazione in Z, non è neutro a sinistra, in quanto per esempio O - l =/= l.
Se V è un insieme non vuoto, l'insieme vuoto è elemento neutro a destra ri-
spetto al complemento in P (V) (vedi ( 1.4.13)), ma non è neutro a sinistra, essendo
0\ V= 0 =/=V (vedi (1.4.14)).
Considerati gli Esempi 4.1.1 , si ha che non esistono elementi neutri né a
destra né a sinistra rispetto a .l 1, l e - l sono entrambi elementi neutri a sinistra
rispetto a .l2, O è elemento neutro solo a sinistra rispetto a .l3.
Strutture algebriche 147

Gli esempi precedenti evidenziano che possono esistere più elementi neutri solo
da un lato. Si ha però:

4.1.7. Sia S un insieme dotato dell'operazione interna ..l e siano e1, ez E S con
e1 neutro a sinistra, ez neutro a destra rispetto a ..l. Allora si ha: e1 = ez.

Dimostrazione. Segue subito da e2 = e1 ..l ez = e1 (vedi anche 4.1.5). D

Da 4.1. 7 segue che se esistono più elementi neutri da un lato allora non esiste
elemento neutro. Si ritrova così, per esempio, che non esiste elemento neutro in
(Z, ..l2). Sempre da 4.1.7 segue che, individuato un elemento neutro da un lato,
esiste elemento neutro se e solo se tale elemento lo è anche dali' altro lato. Per
esempio non esiste elemento neutro in (Z,- ) né in (Z, ..l3), come già osservato.
Sia (S, ..l) dotato di elemento neutro e e sia x E S. Un elemento x' E S
è detto simmetrico di x se si ha: x ..l x' = e = x' ..l x . L'elemento x è detto
simmetrizzabile se è dotato di simmetrico.
Ovviamente se x è simmetrizzabile e ha simmetrico x', allora x' è anch' esso
simmetrizzabile avendo come simmetrico x. L' elemento neutro è sempre simme-
trizzabile, avendo come unico simmetrico se stesso.

4.1.8. Esempi. In (No , +) il numero Oè l'unico elemento simmetrizzabile, così


in (No,·) il numero l è l'unico elemento simmetrizzabile.
In (Z, +) ogni x E Z ha come simmetrico il numero - x.
In (Z, ·) gli unici elementi simmetrizzabili sono l e -l e ciascuno ha per
simmetrico se stesso (vedi (1. 2.44)).
In (Q, +) ogni elemento x ha simmetrico - x, in (Q, ·) ogni elemento~ i: O
ha come simmetrico il numero ~.
In (P(V) , U) e (P(V) , n) solo gli elementi neutri sono simmetrizzabili.
In (P(V), u) ogni elemento X ha per simmetrico se stesso (vedi (1.4.24)).
In (Vv , ·), con · definita in 4.1.1, le uniche applicazioni f simmetrizzabili
sono quelle biettive, di simmetrico f - 1 (vedi 2.2.16).

4.1.9. Esempio. Considerata nell'insieme Q l'operazione:

..l: (x , y) E Q x Q t--------7 x + y + [x y[ E Q,

si ha che tale operazione è commutativa, O è elemento neutro e, per esempio, il


numero l non è simmetrizzabile, mentre -2 ha come simmetrici -2 e ~ (vedi
anche Esercizio 4.1.11). Infatti, da l + y + [y[ = O segue l + y + y = O se
y ~ O, da cui 2y = - l e y = - ~, assurdo, oppure l + y - y = O se y < O, cioè
l = O, ancora un assurdo. Si ha invece (-2) ..l ( -2) = ( -2) + (-2) + 4 = O e
( -2) ..l ~ = (-2) + ~ + =o. 1
L' operazione ..l non è associativa in quanto, per esempio, (l ..l 2) ..l (-l) =
9 i: 7 =l ..l (2 ..l (-1)).
148 Capitolo 4

Infatti sussiste il seguente notevole risultato:

4.1.10. Sia S un insieme dotato del/' operazione interna associatim j_ con ele-
mento neutro e. Siano x, x', x " E S con x' e x" simmetrici di x . Allora si ha
x' = :r".

Dimostrazion e. Per l' associatività di j_ riesce: x' = x' j_ e = x' j_ (x j_ x") =


(x' j_ x) j_ x"= e j_ x" = x". D

Può accadere che il composto di elementi simmetrizzabili non sia simmetrizzabile,


come si ottiene considerando in (Q, j_), come definito in 4.1.9, i numeri - 3 e - 2
(vedi anche Esercizio 4.1 .11 ). Si noti però che:

4.1.11. Sia S un insieme dotato dell'operazione interna associativa j_ con ele-


mento neutro e, e siano x, y E S simmetrizzabili. Allora x j_ y è simmetrizzabile,
di simmetrico y' j_ x', con x' simmetrico di x e y' simmetrico di y.

Dimostrazione. Risulta infatti:

(x j_ y) j_ (y' j_ x') =x j_ (y j_ y') j_ x'= x j_ e j_ x'= x j_ x'= e

e, analogamente,

(y' j_ x') j_ (x j_ y) = y' j_ (x' j_ x ) j_ y = y' j_ e j_ y = y' j_ y = e,

da cui l'asserto. D

Sia S un insieme dotato dell 'operazione interna j_ con elemento neutro e. L' ele-
mento x' è detto simmetrico a sinistra (rispettivamente simmetrico a destra) di x
se si ha x' j_ x = e (risp. x j_ x' = e). L'elemento x è detto simmetrizzabile a
sinistra (risp. simmetrizzabile a destra) se è dotato di simmetrico a sinistra (risp.
a destra).

4.1.12. Esempio. In (V v,·), con V insieme non vuoto, un ' applicazione è sim-
metrizzabile a sinistra (a destra) se e solo se è suriettiva (rispettivamente iniettiva)
(vedi Esercizio 2.2.20).

Ovviamente x' è simmetrico di x se e solo se lo è sia a destra che a sinistra. Può


succedere che un elemento abbia uno o più simmetrici da un lato, ma che non
sia simmetrizzabile. Per esempio, con V insieme, un'applicazione f di V in V
suriettiva e non iniettiva (iniettiva non suriettiva) ha più inverse a sinistra (rispet-
tivamente a destra) in (V v , ·), pur non ammettendo simmetrico (vedi 4.1.8). O
anche può accadere che un elemento abbia un simmetrico a sinistra e uno a destra
(distinti) ma sia privo di simmetrico, come accade all'elemento b nell'esempio
seguente:
Strutture algebriche 149

l_ a b c d
a a b c d
b b c a d
c c b b c
d d a c d

Qui a è elemento neutro, b ha simmetrici a destra e a sinistra tispettivamente c e


d, ma non ha simmetrico.
Ancora una volta, l'associatività dell ' operazione determina un interessante
risultato:

4.1.13. Sia S un insieme dotato dell'operazione interna associativa l_ con ele-


mento neutro e, e siano x, Xl, x2 E S. Se x1 è simmetrico a sinistra di x e x2 è
simmetrico a destra di x, si ha x1 = xz.

Dimostrazione. Con lo stesso procedimento già utilizzato in 4.1.1 O, si ha infatti:


Xl = X 1 l_ e= X1 l_ (x l_ X2) =(x l l_ x) l_ X2 =e l_ X2 = X2. 0

Sia sempre S un insieme con un'operazione interna l_. Un elemento a E S è


detto cancellabile (o regolare) a sinistra rispetto a l_ se da a l_ x = a l_ y
segue x = y (equivalentemente, se da x -1- y segue a l_ x -1- a l_ y); è detto
cancellabile (o regolare) a destra rispetto a l_ se da x l_ a = y l_ a segue x = y ·
(cioè se x -1- y implica x l_ a -1- y l_ a). Un elemento regolare a destra e a sinistra
è detto cancellabile (o regolare) 1ispetto a l_.
L'elemento neutro, se esiste, è ovviamente sempre regolare.

4.1.14. Esempi. In (N,+), (No , +), (Z, + ), (Q,+ ), (IR, +) ogni elemento è
regolare, così in (N, ·).
In (No,·), (Z, ·),(Q, ·), (IR, ·)ogni elemento diverso da zero è regolare, lo O
non lo è, avendosi, per esempio, O · l = O · 2 con l -1- 2.
Considerate le operazioni in Z introdotte in 4.1.1, si ha che nessun elemento
è regolare rispetto a l_ l; ogni elemento è cancellabile a sinistra, nessuno a destra
rispetto a 1_2; rispetto a 1_3 ogni elemento diverso da O è cancellabile a destra,
mentre ogni elemento diverso da - l è cancellabile a sinistra, il che assicura che è
regolare ogni elemento diverso da O e da -l. Quanto detto si ottiene osservando
che, per esempio, per ogni x, y , z E Z risulta x l_l l = x l_l (- l), e che da
x 1_2 y = x 1_ 2 z segue x 2 + y - l = x 2 + z - l, da cui y = z . Si ha poi
11_2 y = (-1) 1_2 y, 11_3 O= 21_3 O, (-1) 1_3 2 = (-1) 1_3 3. Perogni
x, y, z E Z, se y -1- O da xy + y = z y + y segue (x- z )y = O, da cui x = z ; se
invece x -1- - l da xy + y = xz + z segue (x+ l)y =(x+ l) z, da cui y = z. In
1_4 ogni elemento diverso da -l è regolare.

Si noti che, se l'operazione l_ è associativa, sussiste ancora un'interessante pro-


prietà:
150 Capitolo 4

4.1.15. Sia S un insieme con un 'operazione interna associativa _l dotata di


elemento neutro e e sia a E S . Se a è simmetrizzabile, allora a è regolare.

Dimostrazione. Sia a' il simmetrico di a. Allora da a .l x = a .l y segue


a' .l (a .l x ) = a' .l (a .l y) , cioè (a' .l a) .l x = (a' .l a) .l y, il che
equivale a e .l x = e .l y, ossia x = y. Analogamente da x .l a = y .l a segue
x= y. D
L' ipotesi di associatività dell ' operazione nella 4.1.15 è essenziale, come si può
vedere dali' esempio che segue:

l.. ab c cl
a a b c cl
b b a a cl
c c a b a
d d b b b
Qui l'elemento a è neutro, l'elemento b ha per simmetrici be c, l'elemento c ha
simmetrico be simmetrico a destra d (che non è simmetrico a sinistra), l' elemento
cl ha simmetrico a sinistra c, ma non ha simmetrico a destra. In particolare, b è
simmetrizzabile ma non regolare, in quanto per esempio b .l b = a = b .l c.
In (No ,+ ) ogni numero diverso da Oè regolare ma non simmetrizzabile, per-
tanto la proprietà enunciata nella 4.1.15 non si inverte, neppure se l' operazione è
associativa. Se l'insieme S è finito e l'operazione .l è associativa si ha però che
un elemento è regolare se e solo se è simmetrizzabile (vedi Esercizio 4.1.15).
Spesso l'operazione .l viene denotata col simbolo + o col simbolo ·, adottan-
do rispettivamente la cosiddetta notazione additiva o moltiplicativa. Nel primo
caso l'elemento neutro, se esiste, è indicato col simbolo O, nel secondo col sim-
bolo l. Così, se l'operazione in S è associativa e l'elemento x è simmetrizzabile,
il suo unico simmetrico è indicato col simbolo -x, detto l'opposto di x , in nota-
zione additiva, col simbolo x- 1 , detto l 'inverso di x, in notazione moltiplicati va.
Pertanto, in tali casi, con x, y E S si ha:

- (x +y) = (- y) + (-x ),
- (-x ) = x ,
(x- 1) - 1 =x,
(xy) - 1 = y - 1x- 1.

Se l'operazione + in S è associativa e x E S, ha senso definire il multiplo n x ,


con n E N, ponendo:

x se n= l ,
n x := { (n- l) x +x ', se n > l.

...
Strutture algebriche 151

Dall'associatività segue subito che, per ogni x E Se n, m E N, risulta:


(n+ m)x n x +mx, (4.1.1)
(nm)x n(mx). (4.1.2)
Se in (S, +)c'è elemento neutro si pone inoltre Ox :=O. Infine se in (S, +)esiste
l'opposto -x di x, si pone, per ogni intero n < 0:
nx := (-n)( -x),
e così resta definito il multiplo nx per ogni n E Z, e continuano a valere le
proprietà (4.1.1) e (4.1.2).
Analogamente, se l'operazione · in S è associativa e x E S, si definisce la
potenza n-esima di x, con n E N, ponendo:

n { X, se n= l ,
x := xn-1. x, se n > l.

Se in (S, ·)esiste l'elemento neutro si pone inoltre x 0 ·- l e, se esiste x- I, si


pone, per ogni intero n < 0:

x n = ( x -1)-n '
definendo così x 71 per ogni n E Z. Per ogni x E S e n, m E N valgono le
proprietà:
(4.1.3)
(4.1.4)
Le (4.1.3) e (4.1.4) valgono per ogni n, m E Z se x è invertibile, quindi se esiste
x- 1 . Se in più l'operazione+ (rispettivamente·) è commutativa, si ha, per ogni
x, y E Se per ogni n E N (per ogni n E Z se esistono i simmetrici di x e y),
n(x+y)=nx+ny, (4.1.5)
Si supponga che nell'insieme S siano definite operazioni interne l_ e T. Si dice
che l'operazione T è distributiva a sinistra (rispettivamente distributiva a destra)
rispetto a l_ se x T(y l_ z ) = (x T y) l_ (x T z ) per ogni x, y, z E S (risp.
(x l_ y) T z = (x T z ) l_ (y T z )). L'operazione T è detta distributiva rispetto a
l_ se lo è a destra e a sinistra.

4.1.16. Esempi. ll prodotto in N (o in No, o in Z, o in Q, o in IR) è distributivo


rispetto alla somma (vedi anche 1.2), la somma non lo è rispetto al prodotto in
quanto, per esempio, l + (2 · 3) i- (l + 2) · (l + 3).
Se V è un insieme, in P(V) l'unione è distributiva rispetto all'intersezione
(vedi (1.4.10)), e così l'intersezione rispetto all'unione (vedi (1.4.11)). L'interse-
zione è distributiva rispetto all'unione disgiunta (vedi 1.4.15), e, se V è non vuoto,
il complemento è distributivo solo a destra rispetto all'unione e all'intersezione
(vedi Esercizi 1.4.38 e 1.4.12).
152 Capitolo 4

Siano ora Se D insiemi. Un'applicazione

è detta un'operazione esterna di S con dominio di operatori in D (o anche con


operatori in D). Gli elementi di D vengono di solito indicati con lettere greche e
detti anche scolari; l'immagine mediante* della coppia (a, x) è di solito denotata
col simbolo a* x e detta il composto di a e x in *·
4.1.17. Esempi. L'applicazione:

*1 : (a, x ) E Q X IR ~--------t a · X E IR

è un'operazione esterna di IR con operatori in Ql. Così l'applicazione:

*2 : (a , x) E IR x IR ~--------t a· x E IR

è un 'operazione esterna di IR con operatori in !R, e l'applicazione:

*3 : (a, (x, y)) E IR x IR 2 ~--------t (a· x, a· y) E JR


2

è un ' operazione esterna di IR 2 con operatori in R Con V insieme, l'applicazione:

*4 : (J , x) E V \i x V ~--------t j(x) E V

è un ' operazione esterna di V con operatori in vv e l'applicazione:


*s : (v, X) E V x P(V) ~--------t X U {v} E P(V)

è un'operazione esterna di P(V) con operatori in V.


Per un ' operazione esterna* di S con operatori in D si preferisce di solito utilizzare
il simbolo ·,e quindi denotare con a ·x o più semplicemente con ax il composto
di a e x in*·
Un insieme S munito di una o più operazioni interne o esterne è detto una
struttura algebrica, semplice se l'operazione è unica.
Per esempio (No ,+), (Z , + , ·) , (IR , +, ·, * 1 ), (P(V) , U, n,\, *s) sono struttu-
re algebriche, solo la prima di queste è semplice.
Si introdurranno ora alcune tra le principali strutture algebriche, che saranno
poi considerate in capitoli seguenti.
La struttura (S, _i), con l_ operazione interna, è detta un semigruppo se l_ è
associativa, un monoide se l_ è associativa e dotata di elemento neutro, un gruppo
se l_ è associativa, esiste elemento neutro e ogni elemento è simmetrizzabile, un
gruppo abeliano se l'operazione è anche commutativa.
La struttura (S, l_, T) con l_ e T operazioni interne è detta un anello se
(S , _i) è un gruppo abeliano, T è associativa ed è distributiva rispetto a L Se
in più esiste elemento neutro rispetto a T l'anello è detto unitario; l'anello è det-
to commutativo se T è commutativa. Un anello unitario (S , l_, T) è detto un
Strutture algebriche 153

corpo se ha più di un elemento e ogni elemento distinto dall'elemento neutro di


l_ è simmetrizzabile rispetto a T; se poi T è commutativa, (S, l_, T) è detto un
campo.
Sia (0,+,·) un corpo. La struttura (S,_i,*), con l_ operazione interna e
* operazione esterna con operatori in n, è detta un O-spazio vettoriale sinistro
(rispettivamente destro) se ( S, l_) è un gruppo abeliano e valgono le seguenti
proprietà:

l) (a + ,8) *x = (a* x) l_ (,8 *x),


2) a*(x l_ y) = (a*x) l_ (a*y),
3) (a· ,8) *X= a*(fJ*x), (rispettivamente (a · ,8) *X= ,B*(a*x)) ,
4) l*X= X,
per ogni x, y ES e a, ,8 E n, con l elemento neutro di (0, ·).
4.1.18. Esempi. (N,+) è un sernigruppo, non è un monoide; (No ,+) è un
monoide, non è un gruppo; (Z, +) è un gruppo abeliano; (Z , +, ·) è un anello
commutativo unitario, non è un corpo; (Q, + , ·) è un campo, e così (IR, +, ·).
Con V insieme, (V v, ·) è un monoide, ed è un gruppo se e solo se IV l = l;
(P(V) , U, n) è un anello commutativo unitario, che risulta un campo se e solo se
lVI = l; (IR, +,*I) è un Q-spazio vettoriale.
4.1.19. Esempio. Una tabella del tipo

con a, b, c, d E IR, è detta una matrice 2 x 2 su IR, e si pone

(a b) = (a' b')
c d c' d' :~ a =a, ' b= b' , c = c', d=d'.
Nell'insieme delle matrici 2 x 2 su IR, indicato col simbolo M2(IR), si introducono
le seguenti operazioni interne:

( ~ ~) . ( ~ ~) := ( ~:: ~: ~~: ~;) .


Si prova facilmente che (M2(IR) , + , ·)è un anello unitario, di unità G~) , ma
non commutativo. In modo analogo si costruiscono gli anelli M2(Z), M2(Q),
M2(C). Si rimanda al Capitolo 7 per uno studio più dettagliato dell'anello delle
matrici su un qualunque anello commutativo unitario.
154 Capitolo 4

Siano (S, .l1) e (T, .l2) strutture sempli ci con operazioni interne e si consideri,
nel prodotto cartesiano S x T, la seguente operazione:

(x,y) .l (x',y') :=(x .l1 x',y .l2 y').

La struttura (S x T, .l) viene detta il prodotto di (S, .l 1) e (T, .l2).

4.1.20. Con le notazioni precedenti si ha:


(i) l_ è commutativa (rispettivamente associatim) se e solo se .l1 e .l2 sono
entrambe commutative (risp. associati1'e);
(ii) esiste elemento neutro e in (S x T , .l) se e solo se le strutture (S, .l1 ) e
(T, .l2) sono entrambe dotate di elemento neutro, rispettivamente e 1 ed e 2,
e si ha e= (e1. e2 );
(iii) l'elemento (x , y) di S x T è simmetrizzabile in (S x T , .l), di simmetrico
(x. y)', se e solo se x è simmetrizzabile in (S, .li), di simmetrico x', e y è
simmetrizzabile in (T, .l2), di simmetrico y', e si ha (x , y )' = (x' , y').

Dimostrazione. Esercizio. D
La proposizione precedente assicura che (S x T , .l) è un semigruppo (monoide,
gruppo) se (S, .li) e (T, .l2) sono entrambi semigruppi (rispettivamente monoidi,
gruppi) .

Esercizi
Esercizio 4.1.1. Si provi l 'associatività dell'opera zione .l 4 in Z definita in 4.1.1.
Svolgimento. Per ogni x, y , z E Z si ha: (x .l4 y) .l4 z = (x+ y + xy) .l4 z =
x+ y + xy + z + xz + y z + xyz, e x .l4 (y .l4 z ) = x .l4 (y + z + yz ) =
x+ y + z + yz + xy + x z + xy z, pertanto (x .l4 y) .l4 z =x .l4 (y .l4 z ).
Esercizio 4.1.2. Si consideri, nell'insieme Z, l 'operazione l_ definita ponendo
n l_ m= n+ m- l per ogni n, m E Z. Si studi la struttura (Z, .l).
Esercizio 4.1.3. Si consideri, nell 'insieme Z, l 'operazione .l defin ita ponendo
n .l m= nm- 5n- 5m + 30 per ogni n, m E Z. Si studi la struttura (Z, .l).
Esercizio 4.1.4. Si consideri, nell'insieme Q, l 'operazione .l definita ponendo
x l_ y = ~Y per ogni x, y E Q. Si studi la struttura (Q, .l).
3

Esercizio 4.1.5. Si consideri, nell'insieme 5N, l 'operazione .l definita ponendo


n l_ m= n~n per ogni n, m E 5N. Si studi la struttura (5N, .l).
Esercizio 4.1.6. Si consideri, nell 'insieme Q, l 'operazione .l definita ponendo
1
x l_ y =x+ y- per ogni x, y E Q. Si studi la struttura (Q, .l).
Esercizio 4.1.7. Si consideri, nell'insieme 2N, l 'operazione .l definita ponendo
n l_ m= 8 +n+ m per ogni n , m E 2N. Si studi la struttura (2N, _i).
Strutture algebriche 155

Esercizio 4.1.8. Si consideri, nell'insieme 2Z, l 'operazione l. definita ponendo


n l. m = 6 + n + m per ogni n , m E 2Z. Si studi la struttura (2Z, l.).

Esercizio 4.1.9. Si consideri, nell'insieme 2Z, l'operazione l. definita ponendo


n l. m = 4n + 4m - n~n - 40 per ogni n, m E 2Z. Si studi la struttura (2Z, l. ).

Esercizio 4.1.10. Si consideri, nell'insieme 3Z, l 'operazione l. definita ponendo


n l. m = n+ m - 18 per ogni n , m E 3Z. Si studi la struttura (3Z, l.) .

Esercizio 4.1.11. Si consideri in Q l'operazione l. introdotta nell'Esempio 4.1.9.


Si provi che x è simmetrizzabile se e solo se x < l e ha come unico simmetrico
----'L se x > - l ha come simmetrici - ---'L e - ......:E_ se x < -l.
1-x - ' 1-x 1+x

Esercizio 4.1.12. Si consideri nell'insieme Z l 'operazione interna definita ponen-


do x l. y =x + y - x y per ogni x, y E Z . Si provi che Oè elemento neutro, che O
e 2 sono i soli elementi simmetrizzabili e che ogni elemento di Z \ {l} è regolare.

Esercizio 4.1.13. Il concetto di regolarità può essere espresso utilizzando le se-


guenti applicazioni:

T; : x E S ~----t a l. x E S ,
T: : x E S 1----t x l_ a E S,

dette, rispettivamente, la traslazione sinistra e la traslazione destra individuata


da a in (S , l.). Si provi che infatti:
(i) a è cancellabile a sinistra se e solo se T~ è iniettiva,
(ii) a è cancellabile a destra se e solo se T:f è iniettiva.

Esercizio 4.1.14. Sia (S , l.) un insieme con un 'operazione interna l. associativa


e sia a E S. Si provi che le seguenti affermazioni sono equivalenti:
(i) a simmetrizzabile;
(ii) T~ e T:f biettive;
(iii) T~ e T:f suriettive.

Suggerimento. Per provare che (iii) implica (i) si osservi innanzi tutto che esiste
un elemento u E S tale che u l. a = a. Scritto ogni elemento s E S come a l. s',
si verifichi che u è elemento neutro a sinistra per l.. Ragionando in modo analogo
si provi l'esistenza di un elemento neutro a destra. Si deduca che esiste elemento
neutro. Si individuino poi elementi a' e a" tali che u = a l. a' = a" l. a e si
concluda che a è simmetrizzabile.

Esercizio 4.1.15. Sia (S , l.) una struttura algebrica, con Sfinito e l. associativa.
Si provi che un elemento a E S è simmetrizzabile se e solo se è regolare.

Suggerimento. Si utilizzi l'esercizio precedente.


156 Capitolo 4

Esercizio 4.1.16. Si considerino, nell'insieme No, le operazioni binarie _l e T


definite ponendo
n _l 1n = n + 2m ,
n T 1n = 2n7n,

per ogni n , m E No. Si studi la stru ttura (No , _l , T ), e in particolare si provi che
T è distributiva rispetto a _l .
Esercizio 4.1.17. Siano S = {x1 , ... ,xn} un insieme finito e _l un 'operazione
interna in S, e si rappresenti _l mediante una tabella.
(i) Si mostri che _l è commutativa se, e solo se, la tabella che la rappresenta è
simmetrica rispetto alla diagonale principale.
(ii) Si dimostri che l 'elemento e E S è neutro a sinistra (destra) se, e solo se,
nella riga (nella colonna) corrispondente a e ricompaiono, nell 'o rdin e, gli
elementi X1, .. . , X 11 •
(iii) Si dimostri che l 'elemento X i ha simmetrico a sinistra (a destra) se, e solo se,
nella colonna (nella riga) co rrispondente a X i compare l 'elemento neutro e.
(iv) Si dimostri che l'elemen to X i è cancellabile a sinistra (a destra) se, e solo se,
nella riga (nella colonna) corrispondente a Xi non compaiono ripetizioni.

Esercizio 4.1.18. Si dimostri 4.1.20.


Esercizio 4.1.19. Siano (S, *d e (T, *2 ) strutture semplici con operazioni esterne
entrambe con operatori in D. In S x T si può definire un 'operazione esterna con
operatori in D pon endo a* (x , y) := (a *l x , a *2 y ). Si provi che se (S, _i 1 , *1)
e (T, _1_2 , *2) sono spazi vettoriali sinistri (destri) sul corpo (D,+,·), la struttura
prodotto (S x T , _l , *) è uno spazio vettoriale sinistro (destro) su D.

4.2 Sottostrutture e strutture quoziente


Si consideri la struttura (S, _i), con _l operazione interna in S. Una parte X
di S è detta stabile (o chiusa) ri spetto a _l (o di (S, _i)) se da x , y E X segue
x _l y E X. In tal caso è possibile definire in X la cosiddetta operazione indotta
_i' da _l su X nel seguente modo:

_l ': (x , y) E X x X ~ x _l y E X.

Si pone cioè x _i ' y :=x _l y, per ogni x, y E X.


4.2.1. Esempi. Il sottoinsieme vuoto di S è sempre una parte stabile di (S, _i), e
così S stesso.
L'insieme No è stabile in (Z , +) e in (Z, ·) e le operazioni indotte coincidono
con le usuali somma e prodotto di No. Così N è parte stabile in (No , +) e (No , ·)
(vedi (1.2.4) e (1.2.11)).
Il sottoinsieme Np di No è una parte stabile sia in (No, +) che in (No , ·);
il sottoinsieme Nd di No è stabile in (N 0 , ·), non lo è in (No,+), avendosi, per
esempio, l + l = 2 t/: Nd.
Strutture algebriche 157

4.2.2. Sia S un insieme dotato di un'operazione interna .l. e sia X ç S stabile


rispetto a .l.. Sia .l.' l'operazione indotta da .l. su X. Si ha che:
(i) se .l. è associativa, lo è anche l.';
(ii) se .l. è commutativa, tale è anche .1.. 1;
(iii) se in S esiste elemento neutro e ed e E X, allora e è neutro in (X, .l'); se
inoltre l'elemento x E S ha simmetrico x' in S, con x , x' E X, allora x' è
simmetrico di x in (X, .l').

Dimostrazione. Esercizio. D

Spesso nel seguito l'operazione indotta su una parte stabile X da un ' operazione
interna l. di S sarà denotata ancora con il simbolo ..l.
Di notevole interesse è la seguente:

4.2.3. Sia (S, l.) un monoide e si consideri l'insieme

U(S) ={x ES: x simmetrizzabile}.

Allora U(S) è una parte stabile di (S, .l.) e, con la legge indotta, è un gruppo,
detto il gruppo degli elementi simmetrizzabili del monoide (S, l.).

Dimostrazione. La stabilità di U(S) segue subito da 4.1.11 , e l'operazione indotta


è associativa per la (i) di 4.2.2. Inoltre, come già osservato, l'elemento neutro e
di S appartiene a U (S) e, se x E U (S), anche il suo simmetrico x' E U (S).
Pertanto da (iii) di 4.2.2 segue che (U(S) , l.) è un gruppo. D

Ovviamente, se (S, l.) è un gruppo, esso coincide con (U(S), l.).

4.2.4. Esempi. li gruppo degli elementi simmetrizzabili di (No ,+) è ({0} , + ),


di (No ,·) è ({1} , ·), di (Z,·) è ({1 , -1} ,·), di (Q,·) è (Q\ {0} ,· ), di (vv,·) è
(§v,· ), dove §v è l'insieme delle permutazioni su V.

Un analogo concetto di parte stabile viene introdotto per un insieme S dotato di


un'operazione esterna* con operatori in n.
Un sottoinsieme X di S è detto stabile rispetto a* se da a E n, x E X segue
a* x E X. È allora possibile definire l'operazione esterna *' di X con operatori
in n ponendo:
*':(a, x) E n X X r-----7 a*X E X.
Ancora si userà spesso il simbolo * per denotare anche l'operazione indotta.

4.2.5. Esempio. La diagonale .61R di JR 2 è stabile rispetto all'operazione esterna


*3 definita in 4.1.17, in quanto risulta a*g(x,x) = (ax,a x ) E .6JR. per ogni
a E !R, (x , x) E .61R.
158 Capitolo 4

L' unione di parti stabili non è di solito una parte stabile: si considerino per esem-
pio 3N e 4N in (N, +). Vale però la notevole:

4.2.6. Sia (S, _l) una struttura algebrica semplice e sia (Ti)iEI una famiglia di
pw1i stabili di S. Allora n iEJ Ti è stabile.

Dimostrazione. Si supponga _l interna e siano x, y E n iE J Ti. Allora x, y E Ti


per ogni i E I e dunque, per la stabilità di Ti, si ha x _l y E Ti. per ogni i E I, da
cui x _l y E n iEJ Ti.
Sia ora _l esterna con dominio di operatori n, e siano x E n iEJ Ti e a E n.
Da x E Ti per ogni i E I e da Ti stabile, per ogni i E I, segue a _l x E Ti per
ogni i E I , da cui a _l x E n iEJ Ti. D

La proprietà precedente suggerisce la seguente importante definizione. Sia (S, _l)


una struttura algebrica semplice e sia X una sua parte. Si definisce parte stabile
generata da X, e si indica con il simbolo X, l' intersezione delle parti stabili di S
contenenti X:
X:= n
XCTCS
T.
T stabile

Ovviamente si ha X = X se e solo se X è una parte stabile. Si noti poi che X è


una parte stabile, ovviamente contiene X, ed è contenuta in ogni parte stabile di
S contenente X. Tali proprietà caratterizzano la parte X, infatti si ha:

4.2.7. Sia (S, _l) una struttura algebrica semplice e sia X una parte di S. La
parte W di S coincide con X se e solo se valgono le seguenti proprietà:
(i) W è stabile;
(ii) W 2 X;
(iii) T ç S, T stabile, T 2 X===> T 2 W.

Dimostrazione. Esercizio. D

Se la struttura (S, _l) è tale che l'operazione _l è interna e associativa, e X ç S,


sussiste un'efficace descrizione di X.

4.2.8. Sia (S, _l) una struttura algebrica semplice, con _l interna e associativa,
e sia X una parte non vuota di S. Allora:

x= {xl _l o o o _l Xn: n E N, Xl, o o o, Xn E X} o

Dimostrazione. Si ponga W= {xl _l· · · _l Xn :n E N, x1, ... ,x71 E X}. È


facile allora provare che W gode delle proprietà (i), (ii) e (iii) della 4.2. 7, sicché
W=X. D
Strutture algebriche 159

Sia l_ un'operazione interna in un insieme Se sia n una relazione d'equivalenza


in S. La relazione n è detta compatibile con l_, o una congruenza in (S, _i), se,
con x, x1, y , YI ES, da x nx1 , ynyl segue (x l_ y) n( xi l_ YI)·
Se n è una congruenza in (S, _i), è possibile definire la cosiddetta operazione
quoziente l di l_ in sl n ponendo:

l : ([x]n , [y]n) E Sj n xSj n f----t [x l_ y]n ES/ n ,

cioè
[x]nl[y]n := [x l_ Y]n.
Infatti, se ([x]n, [y]n) = ([x1]n, [YI]n), cioè se [x]n = [xi]n e [y]n = [YI]n, si
ha x n XI e y nyl, sicché, per la compatibilità di n, riesce (x l_ y) n(xl l_ yi),
da cui [x l_ Y]n = [x1 l_ YI]n.

Osservazione. Si noti che la com_patibilità di n è anche condizione necessaria


perché abbia senso l'applicazione _l.

4.2.9. Esempio. Nel monoide (No,+) è una congruenza la relazione n definita


ponendoanb: ~ a+b E 2No,inquantoxnxl,ynyl comportax+x1,
y + Yl E 2No, sicché x+ XI + y + YI E 2No, da cui (x+ y) n(x l + YI). Ha
quindi senso la struttura (No/ n,+), dove [x]n+[Y]n = [x+ y]n. Risulta (vedi
Esempi 2.3.4) No/ n= {[O]n, [l]n} e

+ [Oln [lln
[Oln [Oln [lln
[l]n [l]n [Oln

Sussiste la seguente:

4.2.10. Sia S un insieme dotato di un'operazione interna l_ e sia n una con-


gruenza in (S, _i). Sia ll'operazion_: quoziente. Si ha che:
(i) se l_ è associativa, lo è anche l_;
(ii) se l_ è commutativa, tale è anche l_;
(iii) se in S esiste elemento neutro e, allora [e]'R. è neutro in (S/ n ,l); se inoltre
l 'elemento x E S ha simmetrico x' in S, allora [x']'R. è simmetrico di [x]n
in (Sjn , l).
Se in S è definita anche l'operazione T e n è compatibile anche con I·
si ha che:
(iv) se T è distribu~va rispetto a l_, allora l'operazione quoziente T è distribu-
tiva rispetto a l_.

Dimostrazione. Esercizio. o
160 Capito lo 4

Spesso nel seguito l' operazione quoziente individuata da una congruenza nin
(S, _i) sarà denotata ancora con il simbolo l_.
Dalla 4.2.10 segue subito che se (S, _i) è un semigruppo, anche (SI n , _i)
è un semigruppo, se ( S, l_) è un monoide, anche (Sl n , l_) è un monoide, e se
(S, l_) è un gruppo, anche (S l n,
l_) è un gruppo.
Se in S è definita l' operazione esterna * con operatori in n, una relazione
d'equivalenza n
in S è detta compatibile con*· o una congruenza in (S, *),se,
con a E n e x, y ES, da xny segue (a*x) n(a*y).
In tal caso si definisce l'operazione quoziente * di S l n
con dominio di
n
operatori ponendo:

Ciò è lecito in quanto da (o: , [x]n) =(a, [Y]n), cioè da [x]n = [Yln segue x ny
e (a*x)n(a*y), da cui [o:*xln = [o:*Yln·
Ancora si userà spesso il simbolo* per denotare anche l'operazione quoziente
n
individuata da una congruenza in (S, *) .

4.2.11. Esempio. Considerato IR 2 con l'operazione esterna *3 con operatori


in IR definita in 4.1.17, si ha che è una congruenza la relazione n
definita da
(a,b)n(c,d): <===? a= c. Infatti (a , b)n(c, d) implicao: *3(a,b)no:*3(c, d) ,
poiché da a = c segue aa = ace dunque (aa , ab) n(ac, ad). Si ottiene così
la struttura (IR 2 l n,
*3), dove a ;3 [(x, y)Jn = [(o:x , o:y)Jn, per ogni a E IR,
(x, y) E IR 2 .

Se in S sono definite più operazioni, una parte X è detta stabile (o chiusa) nella
strutturaSse è stabile rispetto a ogni operazione di S. Una relazione d 'equivalen-
za nè poi una congruenza nella struttura S se è una congruenza rispetto a ogni
operazione di S. Da 4.2.1O segue allora che s~ ~ è una congruenza nell 'anello
(S, l_, T), anche la struttura quoziente (SI n , l_ , T) è un anello, commutativo se
lo è (S, l_, T), unitario se lo è (S, l_, T).

Esercizi
Esercizio 4.2.1. Si dimostri 4.2.2.

Esercizio 4.2.2. Si dimostri 4.2. 7.

Esercizio 4.2.3. Si dimostri 4.2.10.

Esercizio 4.2.4. Si consideri l'insieme 11V costituito dai numeri naturali della
forma 3h + l, con h E No:

W= {3h + l : h E N0 }.

(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No , ·), non di (No,+).
Strutture algebriche 161

(ii) Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:


(3h +l) R(3k +l) : ç:=::> h+ k E 2N0
è d'equivalenza.
(iii) Si verifichi che R è una congruenza in (W, ·) e si studi la struttura quoziente
(WIR, ·).
Esercizio 4.2.5. Si consideri l'insieme W costituito dai numeri naturali della
forma 2n3m, con n, m E No:
W= {2n3m: n , m E No}.
(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No, ·).
(ii) Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:
(2n3m) R(2 8 3t) : ç:=::> n+ t = m+ s
è d'equivalenza.
(iii) Si verifichi che R è una congruenza in (W, ·) e che quindi ha senso definire
in W l R l'operazione quoziente ponendo
[2n3m]n . [2i3j]n = [2n+i3m+j]n.
(iv) Si studi la struttura (Wl R , ·).
Esercizio 4.2.6. Si consideri l'insieme W costituito dai numeri naturali della
forma 3n7m, con n, m E No:
W= {3n7m: n, m E No} .

(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No, ·), non di (No , +).
(ii) Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:
3n7m R 38 7t : ç:=::> In- mi = ls - ti
è d'equivalenza e non è una congruenza in (W,·).
Esercizio 4.2.7. Si consideri l 'insieme
W= {2n5m: n, m E No}.
(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No,·), non di (No,+).
(ii) Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:
2n5m R 28 5t : ç:=::> In- si E 2No

è d'equivalenza e che è una congruenza in (W,·).


(iii) Si studi la struttura (Wl R, ·).
Esercizio 4.2.8. Sia ..l un'operazione interna in un insieme S e sia R una rela-
zione d'equivalenza in S. La relazione R è detta compatibile a sinistra (rispet-
tivamente a destra) con ..l se da a Rb, c E S segue (c ..l a) R(c ..l b) (risp.
(a ..l c) R(b ..l c)). Si provi che R è una congruenza in (S, ..l) se e solo se è
compatibile a destra e a sinistra. In particolare, se ..l è commutativa, R è una
congruenza in (S, ..l) se, e solo se, è compatibile a sinistra (o a destra).
162 Capitolo 4

4.3 Omomorfismi tra strutture


Siano (S, l_) e (T, T) strutture algebriche con un ' operazione interna. Un ' ap-
plicazione f : S ------7 T è detta un omomorfismo di (S, l_) in (T , T) se si ha
f(x l_ y) = f(x) T f(y), per ogni x , y E S. Un omomorfismo iniettivo è
detto un monomorfismo, un omomorfismo suriettivo è detto un epimorfismo, un
omomorfismo biettivo è detto un isomorfismo. Un omomorfismo di una struttura
(S , l_) in se stessa è detto un endomorfismo, automorfismo se è anche biettivo.

4.3.1. Esempi. L'applicazione g : n E No 1-----7 2n E N è un monomorfismo di


(No , +) in (N , ·), infatti si ha g(n +m) = 2n+m = 2n · 2111 = g(n) · g(m), per
ogni n, m E N0 . Inoltre g è ovviamente iniettiva. Tale applicazione g non è un
omomorfismo di (No , ·) in (N, ·), in quanto, per esempio, g(2 · 3) = g(6) = 26 #
25 = 22 . 23 = g(2). g(3).
Con V insieme d'ordine l, l'applicazione h : P(V) ------7 {1 , - l} definita
ponendo h(0) = l , h(V) = -l è un isomorfismo di (P(V) , u) in ( {-l , 1} , ·).
Si consideri la struttura ( S, l_); l'applicazione identica ids : S ------7 S è un
isomorfismo di (S, l_) . Più in generale, se X è una parte stabile di S, l'immersione
immx : X ------7 S è un monomorfismo di (X, l_') in (S, 1_), dove l_' indica, come
al solito, l'operazione indotta da l_ su X.
Se R è una congruenza in (S, 1_), l'applicazione

1r: x ES 1-----7 [x]R E S/R

è un epimorfismo di (S, l_) in (S/ R , l), dove l indica l'operazione quoziente di


l_ in (S/ R). Infatti ovviamente 1r è suriettiva; inoltre, per come è definita l'opera-
zione quoziente l, si ha 1r(x l_ y) = [x l_ y]R = [x]R l[y]R = 1r(x) l1r(y), per
ogni x, y E S, come volevasi. L'epimorfismo 1r è detto l'epimorfismo canonico
di (S, l_) in (S/ R , l).

Si ha:

4.3.2. Siano (S, l_) , (T, T) e (V. 0 ) strutture semplici, con l_ , T , 0 operazioni
interne. Siano f : S ------7 T e g : T ------7 V omomorfismi. Allora g o f è un
omomorfismo di (S, l_) in (V, 0 ).

Dimostrazione. Esercizio. D

4.3.3. Siano (S, l_) e (T, T) strutture semplici, con l_ e T operazioni interne. Se
f :S ------7 T è un isomorfismo di (S, l_) in (T, T), allora l'inversa f-
1
di f è un
isomorfismo di (T, T) in (S, l_).

Dimostrazione. Esercizio. D
Strutture algebriche 163

Strutture (S, ..l) e (T, T ) tali che esiste un isomorfismo f :S ----) T sono dette

a. Un'ap- isomorfe, e si scrive S ~ T o, semplicemente S ~ T. Da 4.3.2 e 4.3.3 segue


-) se si ha subito che:
iniettivo è
ifìsmo, un i:S.3.4. Qualunque siano le strutture semplici (S, ..l), (T, T) e (V, 0) si ha:
ta struttura i) S ~ S;
biettivo. ii) S ~ T ===} T ~ S;
iii) S ~T, T~ V ===} S ~ V.
orfismo di
g(m) , per
' non è un Dimostrazione. Esercizio. D
>) = 26 =l=
4.3.5. Esempio. Con V insieme d' ordine l si ha (P(V) , U) ~ ({-l , 1} , ·) .
} definita
l , l} , .).
---+ S è un 4.3.6. Sia f: S ----)T un omomorfismo tra le strutture (S, ..l) e (T, T). Allora:
llllersione (i) se x e y sono elementi di S permutabili rispetto a ..l, allora f(x) e f(y)
ica, come sono elementi di T permutabili rispetto a T;
(ii) se X è una parte stabile di (S, ..L), f(X) è una parte stabile di (T T); in
particolare Im f = f(S) è una parte stabile di (T, T);
(iii) se ..l è commutativa (associativa), tale risulta l'operazione T' indotta da T
su f(S);
(iv) se esiste elemento neutro e in (S, ..l), l'elemento f(e) è neutro in (f(S) T');
1ziente di (v) se x E S ha simmetrico x' in (S, ..L), l'elemento f(x) E T ha simmetrico
tl'opera- f(x') in (f(S), T').
lf(y) , per
·anonico Dimostrazione. Esercizio. o
Da 4.3.6 segue che strutture isomorfe godono delle stesse proprietà algebriche
e, in tale ottica, possono essere identificate. Ciò giustifica anche la terminologia
usata, infatti il termine "isomorfismo" deriva dalle parole greche "p,oprpf( , che
e razioni si legge "morfè" e significa "forma", e "ùmç" , che si legge "(sos" e significa
> f è un "uguale". Quanto detto si evidenzia ulteriormente nell' osservare che le tavole di
moltiplicazione di strutture finite isomorfe sono in qualche modo sovrapponibili.
Fondamentale è il seguente risultato:

o 4.3.7. Teorema di omomorfismo. Sia f : S ----) T un omomorfismo tra le


strutture (S, ..l) e (T, T). Allora si ha che:
(i) Imf = f(S) è una parte stabile di (T, T);
~rne. Se
(ii) la relazione 'RJ determinata da f è una congruenza in (S, ..l);
i f è un (iii) ponendo g([x]n1 ) := f(x) si definisce un'applicazione g : Sj 'RJ ----) f(S)
che è un isomorfismo di (Sf'RJ, l) in (f(S), T');
(iv) le strutture (S/ R 1, l) e (f ( S), T') sono isomorfe.
o
164 Capitolo 4

Dimostrazione. La (i) segue subito dalla (ii) di 4.3.6.


Da x R J x1 e y RJ Yl segue f( x ) = f( x l) e f(y) = f(Yl) , e quindi, essendo
f un omomorfismo, f( x ..l y) = f( x ) T f(y) = j(x 1) T f(yl) = j( x 1 ..l Yl) ,
sicché f( x ..l y) = f( x l ..l yl) , cioè (x ..l y) R J(Xl ..l Yl). Pertanto RJ è una
congruenza in ( S, ..l ) e vale (ii ).
Da [x ]n f = [Y ]n f segue x RJ y, da cui f( x) = f(y) e g( [x]nf ) = g( [Y]n f ),
sicché g è ben posta. Da g([x] n f ) = g( [y]n f ) segue f( x ) = f(y) , cioè x RJ y
e [x] n f = [Y]n f ' sicché g è iniettiva. Ovviamente g è suriettiva. Infine, per ogni
[x]n f, [Y ]n f E S I RJ , si ha g( [x ]n f l[y]nf ) = g([x ..l Y]n f ) = f( x ..l y) =
f( x ) T f(y) = g([x ]n f ) T g( [y]n f )' pertanto g è un isomorfismo e vale la (iii).
La (iv ) segue subito da (iii). D

Sia n un insieme e siano * e \l operazioni esterne ri spettivamente di S e T con


dominio di operatori n. Un'applicazione f : S ______, T è detta un omomorfi-
smo di (S,* ) in (T, 'V ) se si ha f (cux ) =ex \l f( x ), per og1ù ex E n, x E S .
Come in precedenza restano definiti i concetti di monomorfismo, epimorfismo ,
isomorfismo , endomorfismo , automorfismo.
4.3.8. Esempi. Se S è dotato dell'operazione esterna * con operatori in n
l' applicazione identica ids è un automorfismo di (S, *).
L'applicazione g : (x, y) E ~ 2 f----7 x + y E~ è un epimorfismo di ( ~ 2 , *3 )
su( ~, *2), con *2 e *3 operazioni esterne con operatori in ~ definite in 4.1.17.
Se * è un'operazione esterna di S con operatori in n e R è una congruenza
in (S,*) , l'applicazione 1r : x E S f - - - ) [x] n E S I R è un epimorfismo di
*),
( S , *) in ( S l R , *
dove indica l'operazione quoziente di * in ( S l R); si ha
infatti 7r(ex * x) = [ex * X] n = ex*[x]n = ex*1f (x ), per ogni ex E n, x E S.
L'epimorfismo 1r è detto l'epimorfismo canonico di ( S , *) in ( S l R , *).

4.3.9. Siano (S, *) e (T, \l ) strutture con un 'operazione esterna con operatori in
n e sia f : S ______, T un omomorfismo. Se X è una parte stabile di S allora f(X )
è una parte stabile di T.

Dimostrazione. Esercizio. D
In analogia a quanto accade per le operazioni interne (vedi 4.3.7), si ha:

4.3.10. Teorema di omomorfismo. Siano (S , *) e (T, 'V ) strutture con un 'ope-


razione esterna con operatori in n e sia f : S --+ T un omomorfismo. Allora si
ha:
(i) Imf = f(S) è una parte stabile di (T , \l );
(ii ) la relazione RJ determinata da f è una congruenza in (S, *);
(iii) ponendog([x ]n f ):= f( x )sidefinisce un'applicazioneg: S I RJ --+ f (S)
che è un isomorfismo di (SI RJ , * )in (f( S ). 'V ');
(i v) le strutture (SI R J, * )e (f(S) , 'V ') sono isomoife.
Strutture algebriche 165

Dimostrazione. Esercizio. D
Si parla di omomorfismo anche tra strutture non semplici; è necessario però che
tali strutture siano omologhe, cioè abbiano lo stesso numero di operazioni interne
e/o esterne, quest'ultime con conispondenti domini di operatori. Siano pertanto
(S, _l l, . .. , l_n, *1, ... , *m) e (T, T 1, ... , T n, \?1, . .. , V'm) strutture algebriche
con l_ 1, . .. , l_ n, T 1, ... , T n operazioni interne, *1 e \?1 operazioni esterne con
operatori in D1, ... , *m e V'm operazioni esterne con operatori in Dm. Un'ap-
plicazione f : S ~ T è detta un omomorfismo di (S, l_ 1, ... , l_n , *1, ... , *m)
in (T, T1, ... , Tn, \?1, ... , V'm) se è un omomorfismo di (S, _li) in (T, T i) e di
(S, *j) in (T, \l j ), per ogni i E {1, ... , n}, j E {1 , ... , m}.
Continua a valere la nomenclatura usata in precedenza per strutture semplici,
e sussistono risultati analoghi a quelli precedentemente illustrati.
4.3.11. Esempio. L'applicazioneg: (x , y) E JR 2 f--------+ x+ y E !Rèunepimorfismo
di (IR 2, +,*3) su (IR, +, *2), con *2 e *3 operazioni esterne con operatori in IR
definite in 4.1.17.

Esercizi
Esercizio 4.3.1. Si dimostri 4.3.2.
Svolgimento. Per ogni x, y E S si ha (go !)(x l_ y) = g(f(x l_ y))
g(f(x) T f(y)) = g(f(x)) O g(f(y)) = (go !)(x) O(g o f)(y).
Esercizio 4.3.2. Si dimostri 4.3.3.
Svolgimento. Siccome f è biettiva, per ogni a, b E T esistono elementi x, y E S
tali che a= f(x), b = f(y), da cui x = f- 1(a), y = f- 1(b), e f- 1(a T b)
f- 1 (f(x) T f(y)) = f - 1 (f(x l_ y)) =x l_ y = f- 1 (a) l_ f- 1 (b).
Esercizio 4.3.3. Si dimostri 4.3.4.
Esercizio 4.3.4. Si dimostrino 4.3.6 e 4.3.9.
Esercizio 4.3.5. Si dimostri 4.3.10.
Esercizio 4.3.6. Con V insieme, si provi che l'applicazione
g: X E P(V) f--------+ V\ X E P(V)
è un isomor.fismo di (P(V) , u) in (P(V), n).
Esercizio 4.3.7. Si enunci e si dimostri un teorema di omomorfismo analogo
a 4.3. 7 e a 4.3.10 per strutture (S, _i ,*) e (T, T, V'), con l_ e T operazioni interne
e* e \l operazioni esterne con operatori in n.
Esercizio 4.3.8. Si consideri, nell'insieme Z, l'operazione interna l_ definita po-
nendo n l_ m = n+ m- 5, per ogni n , m E Z. Si studi la struttura (Z, l.). Si
dimostri poi che l'applicazione f : x E Z f--------+ 5 - x E Z è un isomorfismo di
(Z, +) in (Z, _i).
166 Capitolo 4

Esercizio 4.3.9. Si consideri, ne!l 'insieme Z, l'operazione interna _l definita po-


nendo n _l m = nm - 2n - 2m + 6, per ogni n , m E Z. Si studi la struttura
( Z, _l). Si dimostri poi che l 'applicazione f : x E Z ~ x + 2 E Z è un
isomotfismo di (Z, ·) in (Z, _l ) .
Esercizio 4.3.10. Si consideri, nell 'insie111e Q, l'operazione intema _l definita
ponendo x _l y = 3 ~Y, per ogni x, y E Q. Si studi la struttura (Q, _l) . Si dimostri
poi che l 'applicazion e f : x E Q ~ ~x E Q è un isomotfismo di (Q, ·) in
(Q, _i) .
Esercizio 4.3.11. Si consideri, nell 'insieme 2N 0 , l'operazion e interna _l definita
ponendo n _l m = n;n, per ogni n , m E 2No. Si studi la struttura (2No, _i). Si
dimostri poi che l 'applicazion e f : x E No ~ 2x E 2No è un isomotfismo di
(No,·) in (2No, _i).
Esercizio 4.3.12. Si consideri l 'insieme TV = {2n7m :n, m E N0 }.
1

(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No,·), non di (No ,+ ).


(ii) Si ver(fichi che la relazione R definita in W ponendo:
2n7mR2 8 7t: ~ m+ t E 2No
è una cong ruenza in (TV,· ).
(iii) Si provi che ha senso definire l 'applicazione

si studi tale applicazione e si provi che è un omom01jìsmo di (TV/ R , ·) in


(Z, ·).
Esercizio 4.3.13. Con n numero naturale positivo, si dica h( n) il massimo natu-
rale h tale ch e 2" divide n, sia cioè n = 2h(n) k , con k E N tale che 2 non divide
k. Si dimostri che è d 'equivalenza la relazion e R definita in N da:

n Rm: ~ h(n) = h(m).

Si provi che R è una congruenza in (N,·), non lo è in (N,+), che ha senso


l'applicazion e
cp: [n]R E N/R ~ h(n) E No.
Infin e si ver(fichi che cp è un omomotfismo di (N/ R , ·) in (No , +), non in (No, ·).

4.4 Esercizi di riepilogo


Esercizio 4.4.1. Si consideri l 'insieme W = {9h + l : h E No }.
(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No ,· ), non di (No ,+ ).
(ii) Si dimostri che è d 'equivalenza la relazion e R definita in W ponendo:
(9h+)l R(9k + l) :~ h + k E 2N 0 .
Strutture algebriche 167

(iii) Si provi che R è una congruenza in (W, ·) e si studi la struttura (W j R , ·).


(iv) Si verifichi che ha senso definire l'applicazione

<p : [9h + l]n E W/ R 1-----t ( - l)h E Z,

la si studi, e si provi che essa non è un omomorfismo di (W/ R , ·) in (Z, ·).

Esercizio 4.4.2. Con S = {v, w}, si scrivano le tabelle moltiplicative delle


strutture (P(S), U), (P(S), n), (P(S), \)e (P(S), ù).

Esercizio 4.4.3. Si studi la struttura (2Z, _l) dove _l è l'operazione interna nel-
l'insieme 2/f. definita ponendo, con n, m E 2/f.:
mn
n _l m = 4n + 4m - - - 24.
2
Si dimostri che l 'applicazione f : x E Z 1-----t 8 - 2x E 2Z è biettiva, se ne
determini l 'inversa, e si provi che f è un omomotfismo di (Z, ·) in (2Z, _l).

Esercizio 4.4.4. Si consideri l'insieme X = {271 7m :n, m E No}.


(i) Si dimostri che X è una parte stabile di (No, ·).
(ii) Si verifichi che la relazione R definita in X ponendo:

è d'equivalenza. Si provi che R è una congruenza in (X,·) e si studi la


struttura quoziente (X/ R , ·).
(iii) Si provi che ha senso definire l'applicazione

si studi tale applicazione e si dimostri che <p non è un omomotfismo di


(X/R, ·)in (Z, +).
Esercizio 4.4.5. Si consideri l'insieme W= {3 71 5771 : n, m E No}.
(i) Si dimostri che W è una parte stabile di (No, -).
(ii) Si verifichi che la relazione R definita in W ponendo:

è una congruenza in (W, ·) e si studi la struttura quoziente (Wj R , ·).


(iii) Si provi che ha senso definire l'applicazione

si studi tale applicazione e si provi che <p è un omomorfismo di (W/ R , ·) in


(Z, ·).
168 Capitolo 4

Esercizio 4.4.6. Sia S un insiem e e si fissi un suo sottoinsieme B .


(i) Si studi la struttura (P(S),*) do ve* è l 'operazione nell'insieme P(S),
definita da X* Y = (X n Y) \ B, per ogni X , Y E P(S).
(ii) Si studi l 'applicazion e f : X E P(S) X\ B E P(S), e si provi chef
f----)

è U/1 01/1011/0 rfismo di (P( S) ' n) in (P(S) ' *).


(iii) Si scriva la tavola di moltiplicazione di (P(S),*) con S = {a , b} e B =
{b }.
Esercizio 4.4.7. Sia S un insieme e si fi ssi un suo sottoinsieme B.
(i) Si studi la struttura (P(S), *) dove * è l 'ope razion e nell'insieme P(S),
definita ponendo X* Y = (X\ B) U Y, per ogni X, Y E P(S).
(ii) Si studi l 'applicazion e f : X E P(S) f----) X\ B E P(S), e si provi chef
è un 01110niOJjismo di (P( S)' u) in (P( S)' *).
(iii) Si scriva la ta vola di moltiplicazione di (P(S) , *), con S = {a,b} e B =
{b}.
Esercizio 4.4.8. Nell'insieme W= {PlP2 : Pl,P2 E lP, Pl :::; P2}, dove lP' denota
l'insiem e dei primi di No, si considerino le operazioni *1, *2, *3 e *4, definite
ponendo, p er ogni PlP2 , q1q2 E TiV:

se i= l,
se i= 2,
se i= 3,
se i= 4.

Peri= 1,2, 3,4:


(i) si studi la struttura (W, *i);
(ii) si provi che le parti T = {2q: q E lP} e J( = { 4, 6, lO} sono stabili risp etto
a *i· e si studino le strutture (T, *i) e (K, *i), scrivendo di qu est 'ultima
anche una tavola di moltiplicazion e;
(iii) si studino le applicazioni
f : 2q E T f----) q E Z, g: 2q E T f----) (- l )q E Z,

e si stabilisca se esse sono omom01jismi di (T, *i) in (Z, ·).

Esercizio 4.4.9. Nell'insieme W = {PlP2 : Pl,P2 E lP, Pl :::; JJ2}, dove lP' de-
nota l'insiem e dei primi di No, si consideri l 'operazione *definita mediante la
posizion ep1P2*q1q2 = kp2, con k = min{p1 , ql} .
(i) Si studi la struttura (W,*).
(ii) Si provi che la parte H= {35 , 34} non è stabile in (W,*), che le parti T=
{3q: 3 :::; q} e J( = {15 , 21, 33} sono stabili, e si studino le strutture (T ,*)
e (K, *), scrivendo di quest 'ultima anche una tavola di moltiplicazione.
(iii) Infin e si studin o le applicazioni
f : 3q E T f----) q E Z, g : 3q E T f----) (- l )q E Z,

e si stabilisca se esse sono omomorfismi di (T,*) in (Z, ·).


5
Elementi di aritmetica

In questo capitolo verranno ripresi insiemi numerici notevoli, illustrandone ulte-


riori proprietà. Tra l'altro, viene descritto l'ormai celebre codice RSA.

5.1 l numeri naturali e la seconda forma del princi-


pio d'induzione
Si ricorda che si sta denotando con No l'insieme dei numeri naturali {0, l, 2, ... }
e con N l'insieme dei numeri naturali non nulli; nel Capitolo l se ne sono già evi-
denziate alcune proprietà, quale per esempio il principio d'induzione nella prima
forma. L'esistenza di tali insiemi è stata data come intuitiva. In realtà essa è assio-
matizzata mediante i cosiddetti assiomi di Peano. Non si intende qui presentare
la teoria nella sua completezza e nel suo rigore, ma solo farne dei cenni.
Si accetta per assioma l'esistenza di una terna (No, O, f), dove No è un insie-
me, O un suo elemento e f un'applicazione di No in No tale che:
(1) O~ f(No);
(2) f è iniettiva;
(3) se X ç No è tale che
(i) O E X,
(ii) da sE X segue f(s) E X,
allora è X= No.
Dall'iniettività di f segue che ha senso introdurre le seguenti notazioni:

l := j(O) , 2 := j(l) , ... ,

e chiamare, per ogni sE N 0, f(s) il successivo di s.


Si può poi provare che, a partire da f, è possibile definire in No un'operazione
di somma che gode delle proprietà elencate nel Capitolo l (vedi (1.2.1)- (1.2.6)).
Rispetto a tale operazione si ha poi, per ogni n E No:

f(n) =n+ l.
La proprietà (3) coincide così con la prima forma del principio d'induzione,
enunciata nel Capitolo l (vedi (1.3.1)).
170 Capitolo 5

Inoltre è poss ibile defi nire un ' operazione di prodotto che verifica le proprietà
elencate nel Capitolo l (vedi (1. 2.7) - ( 1.2.1 6)). Si ottiene così la nota struttura
(No,+, ·).
Come fatto sempre nel Capitolo l , si può introdurre in No la cosiddetta "relazione
d'ordi ne usuale" ponendo:

x 'S y : ~ 3t E No : y = x + t,
e si può provare che questo è un buon ordine in N0 .
Così si definisce in No la relazione d'ordine del "divide", ponendo , con x, y E No ,

xl y: ~ 3k E No : y = xk.
Sussiste la seguente proprietà che, come si potrebbe provare, è equivalente alla
prima forma del principio d' induzione. Sia X ç No tale che:
(j) O E X ,
(jj) da t > O e k E X per ogni k E No, k < t, segue che t E X.
Allora si ha X = No.
Più in generale, sia n E No e sia Y ç No tale che:
(j) n E Y,
(jj) con t > n, si ha t E Y se si ha k E Y, per ogni k soddisfacente n -:::; k < t .
Allora n E Y, per ogni n 2 n.
Tale proprietà viene detta la seconda forma del principio d'induzione e, co-
me la prima forma, si applica nella dimostrazione di enunciati relativi ai numeri
naturali. Precisamente:

5.1.1. Seconda forma del principio d'induzione. Sia n un numero naturale e


sia P una proprietà relativa ai numeri naturali n 2 n. Se P è vera per n e,
con t > n, P è vera p er t ogni qua/volta P è vera per ogni numero naturale k
soddisfacente n -:::; k < t, allora la proprietà P è vera per ogni naturale n 2 n.

Come prima applicazione della seconda forma del principio d ' induzione si può
fornire un 'altra dimostrazione della seguente proposizione, già parzialmente pro-
vata nel Capitolo l (vedi 1.3.4):

5.1.2. Algoritmo della divisione in No. Sia b un numero naturale non nullo. Al-
lora, per ogni n E No, esistono, e sono univocamente indil'iduati, numeri naturali
q e T tali che:
n= bq +T, con T < b.
Tali numeri sono detti, rispettil'amente, il quoziente e il resto della di1•isione di n
per b.

Dimostrazione. Per l' esistenza di q ed T si proceda per induzione su n utilizzando


la seconda forma. Se n = O, allora n = bO+ O, con O < b, e dunque la proprietà
è soddisfatta con q = O = T. Sia n > O e si supponga la proprietà vera per ogni
Elementi di aritmetica 171

naturale k < n . Se n < b, allora da n = bO + n segue la proprietà richiesta


ponendo q = O e r = n . Si supponga dunque n 2: b, ha allora senso considerare
n - b 2: O. Da b i- O segue n - b < n , sicché, per l'ipotesi induttiva, esistono
q' , r' E No tali che n - b = bq1 + r', con r 1 < b. Pertanto n = b + bq' + r' =
b(q' +l)+ r', e si ha l'asserto con q = q'+ l e r = r 1•
Si supponga ora n = bq1 + r 1 = bqz + r z, con r1 , r z < b. Sia per esempio
r1 2: r z, sicché O S r1-r2 = bqz- bql = b(qz- ql), con r1 - r 2 S r1 < b. Quindi
è qz - q1 = O, altrimenti da qz - q1 2: l seguirebbe r 1 - rz = b(qz - q1) 2: b. Si
ha dunque ql = qz e poi anche r1 = r z . D

Si noti che, con a, b numeri naturali diversi da O, si ha che b divide a se e solo se


è O il resto della divisione di a per b.
Come ulteriore applicazione della seconda forma del principio d ' induzione
è possibile provare la prima parte del teorema fondamentale dell'aritmetica, già
enunciato nel Capitolo l (vedi 1.2.5).

5.1.3. Teorema fondamentale dell'aritmetica (in N). Sia n un numero naturale,


n 2: 2. Allora esistono t 2: l e Pl, . . . , Pt E lP' tali che n = Pl ... Pt· Inoltre tale
scrittura è unica a meno dell'ordine dei fattori.

Dimostrazione. Si procederà per induzione su n utilizzando la seconda forma. Se


n = 2, l'asserto è ovvio essendo 2 un numero primo. Sia n > 2. Se n è un numero
primo, si ottiene l'asserto con t = l e Pl = n. Sia n composto, esistano quindi
a , b E N tali che n = ab, con l < a < n e l < b < n. Agli interi a e b si può
applicare l'ipotesi d' induzione sicché esistono h, k 2: l e Pl , . .. , Ph , ql , . .. , qk
primi tali che a = Pl ... Ph· b = ql ... qk, e quindi n = Pl . .. Phql ... qk , come
volevasi.
Per l'unicità della fattorizzazione si veda l'Esercizio 1.3.4. D

n teorema fondamentale dell'aritmetica evidenzia il ruolo chiave dei numeri primi


nello studio dei numeri naturali. Un celebenimo, antichissimo risultato dovuto a
Euclide (e quindi risalente al m - II secolo avanti Cristo) assicura che:

5.1.4. Teorema di Euclide. Esistono infiniti numeri primi.

Dimostrazione. Si indichi con lP' l'insieme dei numeri primi e si supponga per
assurdo lP' finito, llP' l = l 2: l, lP' = {Pl , ... , Pl}. Ha senso considerare il numero
naturale
n = PlP2 · · · Pl ,
e il suo successivo
n + l = P1P2 . .. Pl + l > 2.
Per la 5.1.3 esiste almeno un primo q che divide n+ l. Da q E lP' segue allora che
q divide anche n , pertanto q divide l (vedi (1.2.42)), il che è assurdo perché q è
primo. D
172 Capitolo 5

Esistono ancora molti problemi aperti relativi ai numeri primi, alla loro individua-
zione e alla loro distribuzione. Metodi per "setacciare" i primi tra i numeri naturali
vengono detti "crivelli". Ovviamente un numero naturale n 2: 2 è plimo se non
ha alcun divisore d tale che l < d < n. In più si ha il famoso e antichissimo:

5.1.5. Crivello di Eratostene. Sia n un numero naturale, n > 2. Allora n è


primo se non ammette alcun divisore primo p con p 2 ~ n.

Dimostrazione. Per assurdo si assuma n non primo. Esistono quindi naturali a, b


con a, b > l tali che n = ab. Da a, b 2: 2 segue per la 5.1.3 che esistono primi
q e q' tali che q divide a e q' divide b, da cui n = qq'l per un opportuno naturale
l 2: l. Pertanto q e q' sono divisori primi di n e quindi per le ipotesi sono tali che
q2 > n e (q') 2 > n, da cui (qq') 2 = q2 (q') 2 > n 2 (vedi Esercizio 1.2.1), il che
comporta qq' > n, un assurdo. D

Esercizi
Esercizio 5.1.1. Si determinino tutti i numeri primi ~ 100.

Svolgimento. Si elenchino tutti i numeri naturali n, con 2 ~ n ~ 100. n numero


2 ovviamente è primo, mentre non lo sono tutti i numeri da 3 a 100 divisibili
per 2: 4, 6, 8, 10, .... Si cancellino dunque tali numeri. n primo numero non
cancellato, cioè 3, è allora privo di divisori k, con l < k < 3. Pertanto è primo,
mentre non lo sono i numeri h non ancora cancellati, con 3 < h ~ 100, che
sono divisibili per 3. Cancellando tali numeri: 9, 15, 21 , ... , il primo a non essere
stato cancellato è 5 che è quindi primo. Si cancellino allora tutti i numeri sulla
destra che ancora compaiono e che sono divisibili per 5: 25 , 35 , 55 , .... Il primo
numero non cancellato è 7, che è quindi primo. Si cancellino allora tutti i numeri
che ancora compaiono sulla destra e che sono multipli di 7: 49 , 77, 91. I restanti
numeri sono tutti primi in quanto il primo numero non ancora cancellato è 11 e
tutti i suoi multipli ~ 100 sono già stati cancellati perché divisibili per un primo
< 11, e un discorso analogo vale per i restanti numeri.
Ciò esprime l'idea che è alla base del crivello di Eratostene.

Esercizio 5.1.2. Si verifichi, utilizzando il crivello di Eratostene, se il numero 151


è primo.

Esercizio 5.1.3. Si verifichi, utilizzando il crivello di Eratostene, se il numero 149


è primo.

Esercizio 5.1.4. Si verifichi, utilizzando il crivello di Eratostene, se il numero 191


è primo.

Esercizio 5.1.5. Utilizzando il ragionamento dell'Esercizio 5.1.1 si scrivano tutti


i numeri primi ~ 250.
Elementi di aritmetica 173

5.2 Rappresentazione dei numeri naturali in base


fissata
Per i numeri naturali si usa di solito la cosiddetta rappresentazione decimale o in
base 10: per opportuni k 2 O, a 0 , . .. , a k E {0 , l , ... , 9} , ak i= O, si ha

e ovviamente tale scrittura è unica. Più in generale si ha:

5.2.1. Fissato un numero naturale b 2 2, ogni numero naturale n ha una e una


sola scrittura del tipo
n = CO + C! b + · · · + Csb ,
5

per opportuni numeri naturali s 2 O, co, .... c8 E {0, l, ... , b- l}, C5 i= O. Si


scrive allora anche:
n= (csCs-1 ... CICO)b
e questa scrittura viene detta La rappresentazione di n in base b.

Dimostrazione. Per l'algoritmo della divisione (vedi 5.1.2) risulta:

n = bqo +co con qo , co E No e co < b


qo = bq1 + Cl con q1 , c1 E No e c1 < b

con q8 , C5 E No e C 5 < b.

Si osservi che si ha q0 = O, oppure riesce qo > q1 > ... , sicché esiste uno e un
solo s > O tale che q5 = O e q5 _ 1 i= O. Restano così univocamente individuati i
numeri s 2 O, co, ... , C5 E {0 , . .. , b - l} e si ha:

n= co+ bqo
=co+ b(bq1 + cl)
2
= co + bc1 + b q1
2
= co+ bc1 + b (bq2 + c2 )
2 3
= co+ bc1 + b c2 + b q2

2 5 1
=co + bc1 + b c2 + · · · + b - (bqs-l + Cs-1)
=Co + bc1 + b2c2 + · · · + bs-lCs- 1 + b5 qs-l
1
=CO + bc1 + b2c2 + · · · + b5 - Cs- l + b5 (bqs + Cs )
=Co+ bq + b2c2 + · · · + b5 - 1Cs- l + b5 Cs,
174 Capitolo 5

e ciò prova l'esistenza di una scrittura del tipo richiesto. Sia ora
n = Co + Cl b + ···+ C5 b
s= Co
1
+ 1
c1
b+ ···+ CL
l bL ,

con s,t E No, co, ... ,c 5 ,c~, .. . ,c~ E {0, 1, . .. ,b- 1}, c 5 -::f. O, c~ -::f. O, e si
assuma s :S t. Allora risulta
n = co + bq = c~ + bq' , con O :S co, c~ < b,
dove q = c1 + c2b + · · · + c5 bs- l , q' = c~ + c; b + · · · + c~bt - l. Per l'unicità
del quoziente e del resto della divisione euclidea di n per b (vedi 5.1.2) si ottiene
co = c~ e q = q'. Procedendo in modo analogo si ottiene anche Ci = per ogni <
i. = l , ... , s. Se per assurdo fosse s < t si avrebbe poi O = c~ + l bs+l + · · · + c~bt,
il che non è possibile in quanto c~ > O e c~+ l , ... , c~ - l 2: O. Dunque s = t, e le
due espressioni coincidono. Ciò prova l' asserto. D

5.2.2. Esempi. Il numero naturale che, in base 10, è 133, in base 2 si scrive
(10000101)2, in quanto:
133 = 2 . 66 + l
66 = 2. 33 + o
33 = 2. 16 + l
16 = 2 . 8 + o
8=2·4+ 0
4=2·2+0
2=2·1+0
1 =2· 0 + 1.
Il numero naturale che, in base 3, si scrive (21012)3, in base 10 è 194, poiché:
2 . 3° + l . 3 1 + o . 32 + l . 33 + 2 . 34 = 2 + 3 + o + 27 + 162 = 194.
La rappresentazione in base 2, particolarmente utile in Informatica, è detta anche
binaria.

Esercizi
Esercizio 5.2.1. Si determini la rappresentazione decimale dei seguenti numeri:
(11011011)2, (12210)3, (12310) 4 , (34024)5, (25401) 6 , (3456)7, (277) 8, (881) 9 .
Esercizio 5.2.2. Si determinino le rappresentazioni in base 3, 6, 8 e 9 dei seguenti
numeri, dati in rappresentazione decimale: 324, 14, 662, 201, 55, 1200.
Esercizio 5.2.3. Si determini prima la rappresentazion e binaria, poi quella in
base 7, dei numeri seguenti: (245)s, (54)g, (2001)4, (22222)3, (2020) s.
Esercizio 5.2.4. Si fornisca la rappresentazion e decimale del più grande numero
naturale che si rappresenta in base 6 con 4 cifre tutte distinte.
Esercizio 5.2.5. Si fornisca la rappresentazion e decimale del più piccolo numero
naturale che si rappresenta in base 7 con 5 cifre tutte distinte.
Elementi di aritmetica 175

5.3 l numeri interi


Come più volte ricordato nel Capitolo l, i numeri interi sono gli elementi dell'in-
sieme Z = {0 , l , - l , 2, -2, ... }, e tra essi sono definite le usuali operazioni di
somma e prodotto. È possibile costruire la struttura (Z, + , ·)a partire da (No,+,·),
procedendo nel seguente modo.
Nell'insieme No x No si introduce la seguente relazione:

(a' b) rv (c, d) : {:::::=:> a + d = b + c. (5.3.1)

Utilizzando le proprietà di (No,+) si ottiene facilmente che tale relazione è d'e-


quivalenza e che è una congruenza nella struttura prodotto (No x No,+) (vedi
Esercizio 5.3.1). Si noti, in particolare, che la classe [(0, O)] ~ coincide con la
diagonale 6N0 (vedi Esercizio 5.3.2). L'insieme quoziente (No x No) /rv viene
denotato con il simbolo Z. La struttura quoziente (Z, + ), dove ovviamente per
ogni [(x, y)J ~, [(z, t)] ~ E Z si pone

[(x, y)J ~ + [(z, t)] ~ := [(x+ z, y +t)]~,

è un monoide commutativo, con [(0, O)] ~ elemento neutro. In più ogni elemento
è dotato di opposto, in quanto, per ogni [(x, y)J ~ E Z, esiste [(y, x)]~ E Z tale
che:
[(x, y)J~ + [(y, x)]~= [(x+ y, y +x)]~= [(O, O)] ~.
Pertanto (Z, +)è un gruppo abeliano. Ponendo poi, con [(x, y)J ~, [(z, t)]~ E Z,

[(x, y)J ~ · [(z, t)]~ := [( xz + yt, xt + yz )]~ ,

si definisce un'operazione in Z in quanto si verifica facilmente, utilizzando le pro-


prietà di (No,+ , ·), che da (x , y) "" (x', y'), (z, t) "" (z' , t') segue che (x z +
yt, xt + yz ) "" (x' z' + y't', x' t' + y' z') (vedi Esercizio 5.3.3). Si può poi prova-
re che tale prodotto è associativo, commutativo, distributivo rispetto alla somma
prima introdotta, e ha elemento neutro [(1, O)] ~ (vedi Esercizio 5.3.4). Pertanto
(Z, + , ·)è un anello commutativo unitario.
Sia [(x, y)J~ E Z. In No si verifica una e una sola delle seguenti: x ~ y o
x < y; nel primo caso x- y E N0 , nel secondo y- x E N e si verifica subito che,
rispettivamente, [(x, y)J~ = [(x- y, O)] ~ o [(x, y)J ~ = [(0, y- x)]~. Pertanto:

Z ={[(n, O)] ~ :n E No} U {[(0, m)] ~ :m E N},

e si ha [(n, O)] ~ -=f. [(0, m)]~, per ogni n E No, m E N. Inoltre [(n, O)] ~
[(t, O)] ~ con n, t E No implica n= t, e così [(0, m)] ~ = [(0, s)J ~ con m , s E N
implica m= s. L' applicazione <p : n E No f----7 [(n, 0)] ,. ,_, E Z è dunque iniettiva e
si verifica (vedi Esercizio 5.3.5) che è un omomorfismo di (No,+,·) in (Z, + , ·).
Identificato ogni n E No con l'elemento [(n, 0)] ,. ,., E Z si ha N0 ç Z e le operazioni
di No coincidono con quelle indotte dalle operazioni di Z.
176 Capitolo 5

Da [(O , m)] ~ = - [(m, 0)] ~ , per ogni m E N segue, per l'identificazione


fatta, [(0 , m)] ~ = -m. Si ritrova così l'usuale descrizione di Z:

Z = {n : n E No} U {- m : m E N}.

È possibile verificare che si ritrovano tutte le proprietà degli interi descritte nel
Capitolo l. In particolare, il fatto che (Z, +, ·) è un dominio d'integrità (vedi
Esercizio 5.3.6).
Come già ricordato nel Capitolo l e nel Capitolo 2, in Z è definita la relazione
d ' ordine "usuale" ponendo, con a, b E Z,

a ::::; b : -{:::::::} 3t E No : b = a + t.

Tale relazione è un ordine totale e gode delle proprietà elencate nel Capitolo l.
Si ricorda inoltre che il simbolo lal , con a E Z, denota il valore assoluto di a,
definito uguale ad a, se a 2': O, uguale a - a, se a < O.
Anche in Z vale:

5.3.1. Algoritmo deUa divisione. Siano a, b E Z con b =/:. O. Allora esistono, e


sono univocamente individuati, interi q e r tali che:

. a=bq+r, conO::Sr< lbl.

L'intero q è detto il quoziente della divisione di a per b, l'intero r ne è detto il


resto e denotato col simbolo rest (a , b).

Dimostrazione. Si proverà l'esistenza di q ed r. Si supponga dapprima b > O,


e quindi lbl = b. Se a 2': O, l'asserto segue da 5.1.2. Sia a < O. Da -a > O
segue, sempre per 5.1.2, che esistono q*, r* E No tali che -a= bq* + r*, con
O ::::; r* < b, sicché a = -(bq* + r*) = b( -q*) - r*. Se r* = O, basta porre
q = -q* e r = r* = O. Se r* > O, allora da r* < b segue O < b - r* < b e da
a= b( -q*) -b+b-r* = b( -q* -l)+ (b - r*) segue l'asse1to con q = -q* - l
e r = b - r*. Si supponga ora b < O e quindi -b > O e lbi = l - bi = -b. Per
quanto appena provato esistono q, rE Z tali che a = (-b )q+ r, con O ::::; r < -b.
Si ottiene allora a= bq + r, con O ::::; r < lbl, ponendo q= -q e r =r.
Si supponga ora a = bq + r = bq' + r', con O ::::; r , r' < lbl. Sia per esempio
r 2': r'. Si ha allora: r- r' = bq' - bq = b(q'- q) , con O ::::; r- r' ::::; r < lbl . Da
r-r' = lr - r'l = lb(q-q')l = lbllq-q'l (vedi(1.2.47))segue0 ::::; lbllq'-ql < lbl,
sicché risulta lq' - ql =O, altrimenti lq' - ql 2': l comporterebbe lbllq'- ql 2': lbl.
Pertanto q' - q = O, da cui q = q' e ancorar - r' = b(q' - q) = O e dunque
r = r'. D

Osservazione. Si noti che dalla precedente dimostrazione segue subito che, con
Elementi di aritmetica 177

a, b E Z, a, b > O, si ha:

rest( -a, b) = { b - rest( a, b~ se rest(a, b) =O


se rest( a, b) i= O,
rest (a, -b) = rest( a, b),
rest( -a , -b)= rest( -a , b).

5.3.2. Esempio. Da 15 = 4 · 3 + 3 segue che rest(15, 4) = 3, rest( -15, 4) = l,


rest(15, - 4) = 3, rest( - 15, -4) = l.

Esercizi
Esercizio 5.3.1. Si provi che la relazione rv definita in (5.3.1) è d'equivalenza in
No x No, e che essa è una congruenza nella struttura prodotto (No x No,+).

Esercizio 5.3.2. Con le notazioni dell'esercizio precedente, si dimostri che risulta


[(0, O)]~= 6No·

Esercizio 5.3.3. Con le notazioni dell'Esercizio 5.3.1 si provi che (x, y) rv (x', y')
e (z, t) rv (z' , t') implicano (x z + yt, xt + yz ) rv (x' z' + y't'' x' t' + y' z').

Esercizio 5.3.4. Con le notazioni dell'Esercizio 5.3.1 si provi che il prodotto defi-
nito in Z =No x No/rv ponendo [(x, y)] ~ · [(z, t)] ~ := [(xz +yt, xt +yz )]~ è as-
sociativo, commutativo e distributivo rispetto alla somma quoziente della somma
di No x No, e che [(1, O)] ~ ne è elemento neutro.

Esercizio 5.3.5. Con le notazioni degli Esercizi 5.3.1 e 5.3.4 si provi che l'appli-
cazione
cp: n E No ~---t [(n, O)] ~ E Z
è un omomorfismo di (No , +,·) in (Z, +, ·).

Esercizio 5.3.6. Sia Z = {[(n, O)] ~ : n E No } U {[(0, m)] ~ : m E N}. Si provi


che in (Z, ·) vale la legge di annullamento del prodotto.

Esercizio 5.3.7. Si calcolino i seguenti resti:

rest(17, -4), rest( - 17, 3) , rest(17, 3) , rest( -21 , -6) ,


rest( -30, -5) , rest(19, -3), rest( -21, -4) , rest( -24, 6).

Esercizio 5.3.8. Si calcolino i seguenti resti:

rest(19, 3), rest( -19, 3), rest(21, -4), rest(24, 6) ,


rest(15 , 4) , rest(4,-6), rest(-7,-5), rest(-11 , 3).
178 Capitolo 5

5.4 Divisibilità tra interi


Come già detto nel Capitolo l , con x, y E Z, si dice che x divide y e si scrive x!y
se esiste k E Z tale che y = x k. In tal caso si dice anche che x è un divisore di y
o che y è un multiplo di x. Si noti che, con x i- O, x !y se e solo se rest(y , x) = O,
che Oly se e solo se y = Oe che ziO per ogni z E Z. Con a E Z, si pone:

D(a) := {z E Z : zia}.
Si ha l, - l , a, -a E D( a) (vedi 1.2.10); inoltre ovviamente:

D( a) = D( - a) ,
D(l) = D( - l) = {1 , - l} ,
D(O) = Z.

In particolare, se a E Z \ {0 , l , - 1}, da 1.2.10 e dal teorema fondamentale


dell ' aritmetica segue che D( a) è un insieme finito e che ID( a) l :2 4.
Si ha:

5.4.1. Siano x, y . .: . k E Z, con x= yk+z. Allora D(1.·) n D(y) = D(y)nD(z).

Dimostrazione. Esercizio. o
Un intero p E: Z è detto primo se p i- ± l e D(p) = {1 , - l , p, - p}, cioè le
uniche fattorizzazioni in Z di p sono, a meno del!' ordine, p = l ·p = (-l) · (-p).
Ovviamente p è primo se e solo se tale risulta -p .
Siano a, b E Z. Un intero cl E Z è detto un massimo comune divisore di a e
b, se risulta:
(l) ella , cl!b,
(2) t!a, t!b ===? t!cl.
Ovviamente se a = O = b, O è l'unico massimo comune divisore di a e b. Se
a!b, allora dalla definizione segue subito che a è un massimo comune divisore di
a e b. In particolare a è un massimo comune divisore di a e O, per ogni a E Z.
Si osservi inoltre che:

5.4.2. Siano a. b E Z non entrambi nulli. Si ha:


(i) cl è un massimo comune divisore di a e bse e solo se -ello è;
(i i) se cl è un massimo comune divisore di a e b, allora k lo è se e solo se k = ±cl.

Dimostrazione. (i) Se cl è un massimo comune divisore di a e b, si ha, per la


1.2.10, che - ella e -cllb. Supposto poi v!a, v! b, dalla (2) segue che v!cl e quindi
anche v l - cl, sempre per la 1.2.1 O. Quindi -cl è un massimo comune divisore di
a e b. Il viceversa è ovvio.
(ii) Siano ora cl e k entrambi massimo comune divisore di a e b. Applicando le
proprietà (l) e (2) si ha che cl!k e k!cl, da cui segue l'asserto per la 1.2.11. O
Elementi di aritmetica 179

Si può dunque affermare che, se a, b E Z sono non entrambi nulli, e se esi-


ste un massimo comune divisore di a e b, allora ne esistono esattamente due,
l'uno l'opposto dell'altro. Di solito quello positivo viene denotato col simbolo
MCD( a, b), o più semplicemente con (a, b). Si pone anche MCD(O, O)= O.
Osservazione. Con a, b, d E Z e d 2: Osi ha:
d= MCD( a, b) ~ d= MCD( -a, b)
~ d= MCD( a, - b)
~ d= MCD(-a , -b) .

L'osservazione precedente e la (i) della 5.4.2 si ritrovano immediatamente osser-


vando che:

5.4.3. Siano a, b, d E Z, con d 2: O. Si ha:

d= MCD( a, b) ~ D( d)= D( a) n D( b).

Dimostrazione. Segue subito dalla definizione di massimo comune divisore. O

5.4.4. Per ogni a, b E Z esiste MCD( a, b).

Dimostrazione. Siano a, b E Z. Siccome MCD(O, O) = O, si può suppone che a


e bnon siano entrambi nulli, per esempio bi- O. Per l'osservazione precedente è
lecito suppone b > O. Esistono allora qi , ri E Z tali che:
a = bqi + TI, con O ::; ri < b.
Se TI i- O, esistono q2 , T2 E Z tali che:

Se r 2 f:. O, esistono q3 , r3 E Z tali che:


TI = T2q3 + T3, COn 0 :S T3 < r 2.
Così continuando, poiché TI > T2 > · · · 2: O, si ha che, posto b = To, per qualche
t> O risulta Tt f:. O e:
rt-I = rtqt+l + rt+1 , ~on Tt+I = O.
Pertanto per 5 .4.1 risulta:

D( a) n D(b) = D(b) n D(T 1) = · · · =


= D(rt- 1) n D(Tt) = D(Tt) n D(Tt+l ) = D(rt) n Z = D(Tt) ,
quindi per 5.4.3 si ha rt = MCD(a, b). o
180 Capitolo 5

Il procedimento utilizzato nella dimostrazione di 5.4.4, noto come algorihno eu-


clideo delle divisioni successive, non solo garantisce l'esistenza di MCD( a, b) per
ogni a, b E Z, ma fornisce anche una maniera per determinarlo.
Interi a e b sono detti coprimi se MCD( a, b) = l. Si noti, per esempio, che:

5.4.5. Siano a, p E Z, con p primo. Se p non divide a, allora a e p sono coprimi.

Dimostrazione. Si ha D(p) = {1 , - 1, p, - p} e p, - p rf_ D( a). Pertanto risulta


D(p) n D( a)= {1 , - 1} = D(1), e l'asserto segue da 5.4.3. D

Si osservi che:

5.4.6. Siano a e b interi non nulli, e sia d= ~ICD(a. b). Allora si ha a= da' e
b = db', con ~ICD(a' , b') =l.

Dimostrazione. Esercizio. D
L'algoritmo euclideo fornisce anche una dimostrazione del celebre:

5.4.7. Teorema di Bézout. Siano a , bE Z, e sia d= 1\ICD(a, b). Allora esistono


v, w E Z tali che d = au + bw. In particolare, se a e b sono coprimi, esistono
v, w E Z tali che l = av + bw.

Dimostrazione. Ovviamente si può assumere che a e b non siano entrambi nulli.


Con le notazioni utilizzate nella dimostrazione di 5.4.4 si ha allora:
r1 = a + b( - ql) ,
T2 = b +TI( -q2) = b +(a+ b( - ql))( - q2) =a( -q2) + b(1 + q1q2) ,

e, così, per ogni i, continuando, Ti = asi + bli per opportuni interi si , li. In
particolare d= Tt = av + bw per opportuni v, w E Z. D

5.4.8. Esempio. Si ha MCD(1218, 132) = 6 e 6 = 1218 · 9+ 132 · ( - 83). Infatti:

1218 = 132 . 9 + 30,


132 = 30 . 4 + 12,
30 = 12.2 + 6,
12 = 6. 2 +o ,
da cui si ottiene
6 = 30- 12. 2
= 30 - (132 - 30. 4) . 2 = 30. 9 + 132. ( - 2)
= (1218 - 132. 9). 9 + 132. (- 2) = 1218.9 + 132. (-83).
Elementi di aritmetica 181

Dal teorema di Bézout (vedi 5.4.7) segue l'interessante proprietà:

5.4.9. Siano a, b, c E Z, con a che divide il prodotto be. Se a e b sono coprimi,


allora a divide c.

Dimostrazione. Sia be= ak, per qualche k E Z, e si supponga MCD(a , b) = l.


Allora per 5.4.7 esistono v , w E Z tali che l = av + bw e si ha c = l · c =
(av + bw) ·c = ave+ bcw = ave+ akw = a(vc + kw). Quindi aie, come
volevasi. D

Come caso particolare si ottiene la seguente proprietà dei numeri primi, già enun-
ciata nel Capitolo l, relativamente ai numeri naturali primi:

5.4.10. Siano a, b, p E Z, con p primo. Se p divide il prodotto ab allora p divide


a o p divide b.

Dimostrazione. Segue subito da 5.4.5 e 5.4.9. D

Estendendo quanto valido in N (vedi 5.1.3), si può provare che:

5.4.11. Teorema fondamentale dell'aritmetica (in Z). Sia z E Z \ {0, l, -l}.


Allora esistono k 2:: l e Pl , ... , Pk E Z, Pl , ... , Pk primi, tali che

z = Pl· · ·Pk·
Supposto poi z = ql . . . q8 , con s 2:: l e q1 , ... , q8 interi primi, si ha k = se si
possono riordinare i fattori q1 , ... , qs in modo che sia IP1I = lq1l, ... , IPkl = lqki·

Dimostrazione. Esercizio. D

Siano a, b interi. Un intero m è detto un minimo comune multiplo di a e b se


1isulta:
(1) alm, blm,
(2) alt, bit ===> mlt.
Ovviamente Oè l' unico minimo comune multiplo di Oe O, e, con a, b E Z, da
aib segue subito che b è un minimo comune multiplo di a e b.
Esiste sempre un minimo comune multiplo, infatti si ha:

5.4.12. Siano a e b interi non nulli e sia d= MCD(a, b). Allora posto a= da',
b = db' si ha:
(i) m= da'b' è un minimo comune multiplo di a e b;
(ii) m'è un minimo comune multiplo di a e bse e solo se m'= ±m.
182 Capitolo 5

Dimostrazione. Sia m= da'b'. Ovviamente aim e blm. Supposto poi t E Z tale


che ai t e bit, si ha t = ah = da' h e t = bs = db' s, per opportuni h, s E Z, da cui
a' h = b' s, con MCD(a' , b') = l (vedi 5.4.6). Pertanto b'lh (vedi 5.4.9) e dunque
mi t, e la (i) è provata.
La dimostrazione della (ii) è analoga a quella fatta in 5.4.2. O

La 5.4.12 assicura che per ogni a, b E Z esiste sempre un minimo comune multi-
plo di a e b; in più, se a e b sono non nulli, allora ne esistono precisamente due,
l'uno l ' opposto dell'altro. In tal caso, quello positivo viene denotato col simbolo
mcm(a, b). Ovviamente poi è mcm(a , b) =O se almeno uno tra a e b è nullo.
Da 5.4.12 segue subito che con a , b E Z non entrambi nulli vale

la bi (5.4.1)
mcm(a, b)= MCD( a, b)

Esercizi
Esercizio 5.4.1. Si dimostri 5.4.1.

Esercizio 5.4.2. Si dimostri 5.4.6.

Esercizio 5.4.3. Si determini, mediante l'algoritmo euclideo delle divisioni suc-


cessive, il massimo comune divisore positivo dei numeri 824 e 376, e lo si esprima
in funzione di essi.

Esercizio 5.4.4. Si determini, mediante l'algoritmo euclideo delle divisioni suc-


cessive, il massimo comune divisore positivo dei numeri 494 e 214, e lo si esprima
in funzione di essi.

Esercizio 5.4.5. Si determini, mediante l'algoritmo euclideo delle divisioni suc-


cessive, il massimo comune divisore positivo dei numeri 689 e 534, e lo si esprima
in funzione di essi.

Esercizio 5.4.6. Si dimostri 5.4.11.

Esercizio 5.4.7. Utilizzando la (5.4.1) e l 'algoritmo euclideo delle divisioni suc-


cessive, si determini il minimo comune multiplo positivo dei numeri 762 e 666.

Esercizio 5.4.8. Utilizzando la (5.4.1) e l 'algoritmo euclideo delle divisioni suc-


cessive, si determini il minimo comune multiplo positivo dei numeri 1221 e 165.

5.5 Congruenze tra interi


Si parlerà ora di una classe di notevoli relazioni d'equivalenza nell'insieme degli
interi, dette congruenze modulo un intero m. Ciò porterà a considerare la co-
siddetta "aritmetica modulo m", detta anche "aritmetica dell'orologio" per un
motivo che risulterà chiaro nel seguito.
Elementi di aritmetica 183

Sia m un intero, e si consideri in Z la relazione m Z definita ponendo, con a, b E Z:

a(mZ )b: ~ mia - b.

Si ha dunque:
a(mZ )b ~ 3k E Z: a - b= mk.

5.5.1. La relazione mZ è una relazione d'equivalenza, compatibile con le opera-


zioni + e · in Z.

Dimostrazione. Per ogni a E Z, da miO segue che mia - a, sicché m Z è riflessiva.


Sia ora a(mZ )b, con a , b E Z, allora mi a- be dunque, per la 1.2.10, mlb - a e
quindi b(mZ )a. Pertanto m Z è simmetrica. Supposto infine a(mZ )b e b(mZ )c,
con a, b, c E Z, da mia- be mlb- c segue subito, ancora per la 1.2.10, che
ml(a- b)+ (b- c), cioè mia- c. Quindi m Z è transitiva. Dunque la relazione
mZ è d' equivalenza.
Siano ora a, b, c, d E Z tali che a( m &::) c e b(mZ )d. Si ha allora: mia- c e
mlb- d, da cui ml(a- c)+ (b- d), cioè ml(a + b)- (c+ d), e ciò compmta
(a+ b)(mZ)(c +d). Inoltre dalle ipotesi segue che: ml(a- c)b e ml c(b- d) e
cosi mlab- cb+ cb - cd, cioè mlab- cd e ab(mZ)cd, come volevasi. O

Quanto provato giustifica il termine congruenza modulo m usato per denotare


la relazione m Z. Se a(mZ )b si scrive anche a b (mod m) o talvolta, bre-
vemente, a b (m) e si legge "a è congruo b modulo m". In caso contrario
si scrive a :tb (mod m) o, in breve, a :t
b (m) e si legge "a è incongruo b
modulo m ".
5.5.2. Esempio. Si ha: 11 =2 (mod 3), -8 =4 (mod 3), - 10 =-2 (mod 4) ,
12 =/= 3 (mod 2).
Se m = O si ha a = b (mod O) se e solo se a = b, sicché OZ coincide con idz .
Supposto m i- Osi ha ovviamente a= b (mod m) se e solo se a= b (mod -m),
sicché mZ = ( -m)Z. Dunque non è riduttivo nel seguito supporre m > O. Si
osservi che da 1l z, per ogni z E Z, segue che 12 è la relazione totale in Z. Perciò
nel seguito si supponà spesso m > l.
La classe d'equivalenza modulo m Z di un qualunque x E Z viene di solito
denotata con [x]rn, o anche con x, quando ciò non dà adito ad ambiguità. L'in-
sieme quoziente Z/mZ è denotato anche col simbolo Zrn ed è detto l'insieme
degli interi modulo m. In tale insieme è allora possibile introdurre le operazioni
quoziente della somma e del prodotto di Z (vedi Paragrafo 4.2 e 5.5.1). Si pone
quindi, per ogni a, b E Z:

[a]m + [b]m := [a+ b]m ,

[a]m · [b]m := [a · b]m ,


e si ha:
184 Capitolo 5

5.5.3. Per ogni intero rn, la struttura (Zm, +,·)è un anello commutativo unitario.

Dimostrazione. Da 4.2.1 O segue subito che + e · sono commutative e associative,


che · è distributiva rispetto a+. che [O]m è elemento neutro in (Zm, + ), che [l]m
è elemento neutro in (Zm , ·)e che [-x]m è l'opposto di [x]m per ogni [x]m E Zm .
Pertanto (Zm , + , ·) è un anello commutativo unitario. D

In particolare si ha quindi: -[x]m = [-x]m =[m- x]rn. per ogni x E Z.


Si ha:

5.5.4. Sia m E Z e si consideri x E Z. Allora risulta:

[x]m = {x+mk: k E Z}.

Supposto m i= O, si ha poi:
[x]m = [rest(x, m)]m·

Dimostrazione. Day E [x]m segue che mly -x e quindi esiste k E Z tale che
y - x = mk, cioè y = x + mk. Viceversa ovviamente ogni x + mk è tale che
mlx- (x+ mk).
Sia ora m i= O. Dall'algoritmo della divisione segue x= mq+ rest(x, m),
sicché mlx- rest(x, m), quindi ovviamente x =
rest(x, m) (m.od m) e dunque
[x]m = [rest(x, m)]rn· D

Dalla 5.5.4 si ritrova che [x]o {x } e si ottiene che [x]m è infinita, per ogni
m i= O e x E Z. Si noti che:

5.5.5. Sia m > O e siano a, b E Z tali che O ::; a, b < m. Allora:

a= b (mod m) {=:::;> a= b.

Dimostrazione. Si supponga a = b (mod m) con a 2:: b. Allora mia- b, cioè


a - b = mk, per qualche k E Z e si ha O ::; a - b = mk ::; a < m. Pertanto
k = Oe dunque a = b. ll viceversa segue subito dalla rifl.essività della congruenza
modulo m. D

Le considerazioni precedenti portano al seguente notevole risultato:

5.5.6. Sia m> O. Allora Zm = {[0] 711 , [1] 711 , ••• , [m -l]m} e IZml =m.
Elementi dì aritmetica 185

Dimostrazione. Da 5.5 .5 segue che [O]m, [l]m, ... , [m- l] m sono a due a due
distinte, sicché {[O]m, [l]m, .. . , [m- l]m} è un sottoinsieme di ordine m di Zm.
Per ogni x E Z si ha poi [x]m = [rest(x , m)]m E {[O]m , [l]m , ... , [m- l]m}·
Ciò prova l'asserto. O

5.5.7. Esempio. Si ha ovviamente: Z2 = {[0]2 , [1]2}, Z3 = {[0]3 , [1]3, [2]3},


Z4 = {[0]4, [1]4, [2]4, [3]4}, z6 = {[0]6, [1]6, [2]6, [3]6, [4]6, [5]6} .
La 5.5.6 giustifica il termine insieme dei resti modulo m che talvolta si usa per
denotare Zm. Si parla a volte anche di aritmetica modulo m quando, considerati
i numeri da O a m - l, li si somma e moltiplica in Z considerando poi come
risultato il relativo resto modulo m. Per esempio, nell' aritmetica modulo 7, si
ha: 3 + 4 = O, -5 = 2, 6 · 3 = 4, 2 · 3 = 6. Questa aritmetica è anche detta
l'aritmetica dell'orologio, come chiarisce l'esempio seguente.
5.5.8. Esempio. Se in questo momento sono le 16 e si vuole sapere che ora sarà
tra 60 ore, basta ragionare modulo 24. In tal modo da rest(60 , 24) = 12 e da
rest(16 + 12, 24) = rest(28, 24) = 4 segue che saranno le 4 di mattina.
5.5.9. Esempio. Se oggi è martedì, allora tra 40 giorni sarà domenica in quanto
rest( 40 , 7) = 5.
Dall'essere la congruenza modulo m compatibile con la somma e col prodotto
segue che:

5.5.10. Siano a, b, m interi. Si ha:


(i) a=b(modm) ~ a+t=b+t(modm),VtEZ;
(ii) a= b (mod m)===> at = bt (mod m), Vt E Z;
(iii) at = bt (mod m)===> a= b (mod m), Vt E Z con MCD(t, m)= l.

Dimostrazione. La (i) segue subito dalla riftessività della congruenza modulo m


e da 5.5.1, e così la (ii). Per la (iii) si osservi che da at = bt (mod m) segue che
m divide (a- b)t sicché m divide a-b per la 5.4.9. O

Si osservi che in (iii) la condizione MCD( t, m) = l è necessaria. Infatti, sup-


posto MCD( t , m) = d #- l e scritto m = dm', si ha tm1 = tO (mod m) con
m' =l= O (mod m).
Da 5.5.6 e 5.5.10 segue subito che:

5.5.11. Sia m un intero. Si ha Zm = {[a]m, [a+ l]m, ... , [a+ (m- l)]m}, per
ogni a E Z, e Zm ={[a · O]m, [a · l]m , ... , [a · (m- l)]m}, per ogni a E Z tale
che MCD (a, m)= l.

Dalla precedente osservazione segue che:

5.5.U. Sia m> l. L'elemento [a]m E Zm è invertibile se e solo se (a, m) = l.


186 Capitolo 5

Dimostrazione. Sia (a, m) = l. Da 5.5.11 si ha che esiste b E {0, l , ... , m- l}


tale che [l]m = [a· b] 111 , e da [a· b]m = [a]m · [b]m segue l'asserto.
Viceversa, se esiste [b]m E Zm tale che [l]m = [a]m · [b]m = [a· b] 111 , allora
a · b = l (mod m), sicché ab - l = km per qualche k E Z. Da ciò segue
MCD(a,m)=l. D

In particolare risulta:

5.5.13. Sia m > L La struttura (Zm, +, ·)è un campo se e solo se m è un numero


primo.

Dimostrazione. Supposto m primo, da 5.5.12 segue che [a]m è invertibile, per


ogni [a]m E Zm \ {[0] 111 } .
Viceversa, se Zm è un campo, si ha, sempre per 5.5. 12, che MCD( a, m)= l
per ogni O < a < m, da cui segue che m è un numero primo. D
Da 4.1.15, da 5.5.12 e da quanto osservato subito dopo 5.5.10 segue anche che in
(Zm, ·)l'elemento [a]m :l [O]m è non regolare se e solo se MCD(a, m) :l l.
L'insieme U(Zm) degli elementi invertibili di (Zm, ·)è di solito denotato col
simbolo z:n.Ovviamente (Z~l' ·)è un gruppo abeliano e, per la 5.5.12, risulta:

z:n = {[a]m E Zm: (a, m)= l}= {[a]m: O < a < m , (a , m)= l}.
Si ha quindi che l'ordine di Z~l coincide col numero degli interi positivi mino-
ri di m e coprimi con m. Tale numero è di solito indicato con <p(m) e detto
l'indicatore di Gauss-Eulero.

5.5.14. Esempio. Si ha:

<p(4) = 1{1 , 3}1 = 2,


<p(5) = 1{1 , 2, 3,4}1 = 4,
<p(9) = 1{1 , 2, 4, 5, 7, 8}1 = 6,
<p( l2) = 1{1 , 5, 7, 11}1 = 4.

Se p è un qualsiasi numero naturale primo, allora

<p(p) =p- l ,
<p (p2) = p2 -p,

e più in generale
<p(pn) = pn _ pn-1,

per ogni n 2: l, in quanto gli unici naturali positivi minori di pn e non coprimi con
pn sono i multipli di p. Proprietà di <p( n), n 2: l, saranno studiate nel paragrafo
successivo.
Elementi di aritmetica 187

Esercizi
Esercizio 5.5.1. Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

- 7 =- 7 (mod 11) , 22 =4 (mod 11) , 23 =45 (mod 11) , 5 =38 (mod 11) ,
- 7 =29 (mod 12) , 22 =2 (mod 12) , 21 =21 (mod 12) , 5 =29 (mod 12) .
Esercizio 5.5.2. Siano x , y e m interi, con m > l , e si supponga x = y (mod m).
Si provi che m divide x se e solo se m divide y.
Esercizio 5.5.3. Si determini il valore delle seguenti espressioni modulo 9, espri-
mendo il risultato con un numero non negativo minore di 9:

6 + 3, 4 + 8, 6 . 3, 4 . 8, 4 + 6, 2 + 2, 2 . 6, 2 . 2,
6 + 6, - 4, 6. 6, 5 - l , 3- 4, -2 , l - 2, 2- l.

Esercizio 5.5.4. Si verifichi se le seguenti assegnazioni definiscono applicazio-


ni di 24 in 2 6 e, in caso affermativo, si precisi se l'applicazione è iniettiva, se
suriettiva:

Esercizio 5.5.5. Si scrivano le tabelle moltiplicative di (24, +), di (25, +), di


(2 7, +),di (24, ·), di (25, ·), di (2 7, ·), di (26, ·),di (28, ·), di (2 t 0 , -).
Esercizio 5.5.6. Siano m > l , a, b E 2 . Allora:
(l) da a= b (mod m) segue a= b (mod s), per ogni s divisore di m;
(2 ) da a = b (mod m) segue at = bt (mod mt), per ogni t E 2; e, viceversa,
da at = bt (mod mt) segue a= b (mod m), per ogni t i- O;
(3) da a= b (mod m) e a = b (mod l), con (m, l) =l, segue a= b (mod ml).
Esercizio 5.5.7. Alcuni criteri di divisibilità. Sia n E N, scritto in forma deci-
male come n = akak- 1 . . . a1ao, con k ~ O, ao , . . . , ak E {0, . . . , 9} e ak i- O.
Si verifichi che:
(l) 2 divide n se e solo se 2 divide ao;
(2) 5 divide n se e solo se 5 divide ao;
(3) con i tale che l :S: i :S: k, si ha che 2i (rispettivamente 5i) divide n se e solo
se 2i (risp. 5i ) divide ai- l ... a1ao;
(4) 9 (risp. 3) divide n se e solo se 9 (risp. 3) divide ao + a1 + · · · +ab·
(5) 11 divide n se e solo se 11 divide ao - a1 + · · · + (- l )kak.
Svolgimento. Si osservi in primo luogo che, con m > l e x, y E 2 tali che x = y
(mod m), si ha ovviamente che m divide x se e solo se m divide y (vedi Eserci-
zio 5.5.2). Per ipotesi n = ak ... a1ao = ao + lOa1 + · · · + lOkak . Pertanto la
(1 ) e la (2) seguono subito dall'essere n= a 0 + 10(a1 + 10a2 + · · · + lok- lak) ·
Più in generale, considerato i tale che l :S: i :S: k, si ha

n= ao + · · · +ai- l loi- l + 1oi (ai + 10 ai+l + · · · + 1ok-i ak ) ,


188 Capitolo 5

da cui n =
ao + a1lO + · · · + ai- doi-l (mod lOi), cioè n ai-l ... a1ao
(mod lOi). Per provare la (4) si osservi che lOJ = l (mod 9) per ogni j 2: O,
=
come segue subito da 10 = l (mod 9) e dalla compatibilità rispetto al pro-
dotto della congruenza modulo m. Pertanto lOJaj = aj (mod 9) , per ogni
j E {0, ... , k}, da cui, per la compatibilità rispetto alla somma della congruenza
modulo m, segue che ao + lOa 1 + · · · + lOkak = ao +cq + · · · +ak (mod 9), cioè
n= ao + a1 + · · · + ak (mod 9). L'osservazione iniziale assicura la (4). Infine,
da 10 =- 1 (mod 11) segue lOJ =
(-l)J (mod 11) perognij E {O , ... ,k}.
Ragionando come per la (4), si ottiene la (5).
Esercizio 5.5.8. Utilizzando le considerazioni fatte per la (4) dell'Esercizio 5.5. 7,
si dimostri la ben nota prova del nove per la somma e per il prodotto di interi.

5.6 La funzione di Eulero


L'applicazione cp: n E N f------t cp(n) E N, dove

cp (l) := l ,
{ cp(n ) := l{i E N : i< n,MCD(n,i) = 1}1 se n > l ,

è detta lafunzione di Eulero. Come già osservato, si ha

per ogni numero naturale primo p e ogni s 2: l. Tale risultato permette di calcolare
cp( n ) per ogni n > l in quanto vale la seguente notevole proposizione:

5.6.1. Siano h e k numeri naturali positivi coprimi. Allora si ha:

cp(hk) = cp(h)cp(k) .

Dimostrazione. È facile verificare che ha senso l'applicazione

che tale applicazione è iniettiva e che è un omomorfismo tra l'anello (Zhk , +, ·) e


l'anello prodotto (Zh x zk, +, . ). Da IZh x Zkl = hk = IZhkl segue allora che e
è un isomorfismo di anelli (vedi 2.2.10). In particolare B(Z'hk) = U( Zh x Zk) =
Zi1 x Zk, sicché cp(h) cp( k) = IZ'h x Zkl = IB(Z'hk) l = IZ'hk l = cp(hk) . O
Ne segue che, considerato n E N\ {l}, se n= pr 1 . .. p~s , con s 2: l, p 1 , .. . , Ps
primi a due a due distinti, a1, ... , a 8 > O, si ha:

'P ( n ) -_ 'P (P10<1 · · · PsO<s) -_ 'P (P10<1 ) · · · 'P ( PsO<s)


-(0<1
- P1 - P10<1-1) · · · (O<s
Ps - PsQ
8 -1 ) -
- n (1 l) (1 l)
- Pl ··· - Ps .
Elementi di aritmetica 189

Interessante è anche il seguente risultato, che generalizza quanto già evidenziato


nell 'Esercizio 3.6.2, fornendone una differente dimostrazione:

5.6.2. Piccolo teorema di Fermat. Sia p un numero naturale primo. Allora per
ogni a E Z si ha: aP =a (mod p).

Dimostrazione. Sia a E Z. Se p divide a, l'asserto è ovvio. Si supponga quindi


p e a coprimi. Si ha allora Zp = {[O · a ]p, [l · a]p , ... , [(p - l) · a]p} (vedi
5.5.11), sicché [l]p[2]p ... [p - l ]p = [l · a]p[2 · a]p ... [(p- l) · a]p e dunque
(p- l) !aP- l = (p - l)! (mod p). Ovviamente p è coprimo con (p- l)!, pertanto
si ottiene (vedi 5.5.10) aP-l = l (mod p) e anche aP =a (mod p). D

La precedente dimostrazione evidenzia che, se p non divide a, allora aP- l = l


(mod p). Più in generale:

5.6.3. Teorema di Fermat-Eulero. Sia m > l e sia a un intero coprimo con m.


Allora: a'P(m) = l (mod m).

Dimostrazione. Da 5.5 .11 segue che Zm \ {O} = {rG:, 2 · a, ... , (m - l) · a}.


Si ponga
I:= {h E N : h < m , MCD(h,m) = 1}.
Ovviamente III = cp (m) e si ha MCD(ha , m) = l se e solo se MCD(h , m) = l ,
in quanto a e m sono coprimi. Pertanto risulta Z~1 = {h· a : h E I}, da cui
ITh EI h · a = ITh EI h e quindi anche

(rr h)
h El
a<p(m) = rr h
h El
(mod m).

Da ciò e da 5.5.10 segue l'asserto essendo MCD (11 m)


h El
h, =l. D

Il seguente celebre risultato fornisce un criterio di primalità:

5.6.4. Teorema di Wilson. Sia p E N \ {l}. Allora p è primo se e solo se


(p- l)!= - l (mod p).

Dimostrazione. Da (p- l)! = -l (mod p) segue subito che l'unico divisore


positivo d di p minore di p è l, in quanto d divide (p- 1)!. Pertanto p è primo.
Viceversa, sia p primo. L'asserto è ovvio se p = 2, 3. Si supponga dunque
z;
p;::: 5. Si ha = Zp \ {0}, cioè per ogni a E {l, ... , p - l} esiste uno e un solo
b E {l , . .. , p - l} tale che ab = l (mod p). Si osserva poi facilmente che si ha
190 Capitolo 5

a 2 = l (mod p) se e solo se a= l (mod p) o a= -l (mod p). Quindi gli unici


a E {1 , . . . ,p- l} tali che ab= l (mod p) con b =a sono l ep-1. Considerati
allora 2, . . . , p- 2, si ottiene che 2 · . .. ·(p - 2) = l (mod p), cioè (p- 2)! =l
(mod p), da cui (p- l)!= p- l= - l (mod p), come volevasi. O
Essenziali per la segretezza negli scambi di informazioni risultano i cosiddetti
codici a chiave pubblica e, forse inaspettatamente, il teorema di Fermat-Eulero
risulta fondamentale per quello più famoso ed efficace: il codice RSA, dal nome
degli inventori Rivest, Shamir, Adleman.
Si parla di codice a chiave pubblica quando è resa nota la chiave del codice,
senza che ciò danneggi la segretezza dello scambio. Si descriverà ora rapidamente
e senza particolare precisione il codice RSA che, come si vedrà, sfmtta anche
l'esistenza di numeri primi sufficientemente grandi (vedi 5.1.4 ).
Si supponga che le persone T 1 , .. . , Tk ( k 2: 2) vogliano scambiarsi infor-
mazioni in modo tale che solo il previsto ricevente possa interpretarle. Allora
ciascuno sceglie due primi Pi e qi sufficientemente grandi, cioè di almeno 100
cifre ciascuno, effettua il prodotto ni = Piqi e rende noto ni . L'efficacia di tale
codice è legata al fatto che, noto un numero naturale molto grande, è difficile,
se non impossibile con i mezzi attuali, determinarne la decomposizione in primi.
Poi ciascun Ti calcola r.p( ni) = (Pi - l) (qi - l) e fi ssa un numero naturale ei
coprimo con r.p(ni)· Esiste allora un naturale fi tale che edi = l (mod r.p(ni))
(vedi 5.5.12); Ti rende noto ei. Se Ti vuole mandare un messaggio a Tj, trasfor-
ma tale messaggio in un numero a (o in una sequenza di numeri), utilizzando un
metodo stabilito in precedenza, per esempio sostituendo a ciascuna lettera dell'al-
fabeto il numero che rappresenta la sua posizione nell'alfabeto, e facendo sì che
tale a risulti co primo con nj, calcola aei modulo nj e invia tale numero a Tj.
Questi calcola aeifi modulo nj e ritrova a in quanto acp(ni) =l (mod nj) . per il
teorema di Fermat-Eulero, ej fj = l (mod r.p(nj)), cioè ej f j = l + kr.p(nj) per
qualche k, e dunque aeifi = al+kcp(ni) =a (mod nj).
Ovviamente se Tz, con l =1- i, j, intercetta il messaggio, non è in grado di
decodificarlo in quanto non conosce, né può calcolare f j vista l'impossibilità di
determinare la fattorizzazione di nj e dunque r.p(nj).
C'è anche la possibilità che Ti "firmi" il suo messaggio in modo tale che
Tj, ricevuto questo, possa individuame il mittente. Per fare ciò Ti calcola prima
b = ali modulo ni e poi bei modulo nj, inviando tale numero a Tj . Questi calcola
prima bei Ii = b ( mod nj), e solo dopo aver determinato il giusto indice i per
cui bei modulo ni individua un messaggio sensato, può leggere tale messaggio e
riconoscere anche da chi proviene.

Esercizi
Esercizio 5.6.1. Si provi che, con n E N, si ha r.p( n) dispari se e solo se n :::; 2.
Esercizio 5.6.2. Si verifichi che r.p(n) = 4 se e solo se n E {5 , 8, 10, 12}.
Esercizio 5.6.3. Con n, k E N, si provi che se k divide n allora r.p( k) divide r.p( n).
Elementi di aritmetica 191

5.7 Sistemi di equazioni congruenziali lineari


Come è ben noto, nell'aritmetica elementare risulta molto utile saper risolvere
un 'equazione di primo grado, del tipo cioè ao + a1x = O, con a1 =/= O. Un
analogo studio viene ora affrontato relativamente all'aritmetica modulo un intero
m. Più in generale sono presi in considerazione poi sistemi con più equazioni.

Sia m un intero positivo e siano a, b E Z. L'equazione


ax = b (mod m)
con x indeterminata è detta un'equazione congruenziale lineare in x modulo m.
Studiarla significa ovviamente individuare se esistono soluzioni, cioè interi s tali
che as = b (mod m), quali sono e come sono tra loro legate. Si ha:

5.7.1. Sia m un intero positivo e siano a, b E Z. Si consideri l'equazione

ax = b (mod m).
Se a e m sono coprimi, esiste s E Z tale che as = b (mod m). Inoltre risulta
{z E Z: az= b (mod m)}= [s]m ·

Dimostrazione. Per il teorema di Bézout (vedi 5.4.7) esistono v, w E Z tali che


l = av + mw, da cui av =l (mod m) e quindi avb =
lb (mod m). Pertanto
s := vb è soluzione dell 'equazione. Sia ora z E Z tale che az = b (mod m).
Allora az = as (mod m) da cui z = s (mod m) essendo (a , m) = l (vedi
5.5.10). Viceversa, ovviamente, da t =
s (mod m) segue at =
as (mod m) e
dunque at = b (mod m). D
La dimostrazione precedente fornisce un metodo costruttivo per l'individuazione
di una e quindi di tutte le soluzioni dell'equazione.
5.7.2. Esempio. L'equazione 12x = 8 (mod 35) ha soluzioni in quanto risulta
(12, 35) = l. Da 35 = 12 · 2 + 11, 12 = 11 · l + l, segue che l = 12 - 11 · l =
12 - (35- 12 · 2) · l = 12 · 3 + 35 · (-l), da cui 12 · 3 = l (mod 35) e quindi
12 · 3 · 8 = 8 ·l (mod 35), cioè 12 · 24 = 8 (mod 35). Le soluzioni sono dunque
tutti e soli gli interi congrui 24 modulo 35.
Si osservi che:

5.7.3. Sia m un intero positivo e siano a, b, t E Z tali che t divida m, a e b. Allora


l'equazione ax = b (mod m) ha soluzione sE Z se e solo se l'equazione

ha soluzione s.
192 Capitolo 5

Dimostrazione. Se as
viceversa è analogo.
=b (mod m), da 5.5.10 segue ~s = ys = % (mod ![).Il
O

Si ha:

5.7.4. Sia m un intero positivo e siano a, bE Z. L'equazione ax = b (mod m)


ha soluzioni se e solo se d divide b, con d= (a, m).

Dimostrazione. Sia d= MCD(a, m). Se s è una soluzione di ax = b (mod m),


allora as ~ b = lm, per qualche l E Z, sicché si ha che cl divide as- lm = b. Il
(a
viceversa segue subito da 5. 7 .l osservando che l '!!}) = l. o
Più precisamente si ha:

5.7.5. Sia m un intero positivo, siano a, b E Z e si supponga d divisore di b con


cl= (a, m). Si ponga: S = {z E Z: az = b (mod m)}. Allora:
u
(i) S = { E Z: au
= ~ (mod '!!}) }.
(ii) S si ripartisce in d classi di congruenza modulo m.

Dimostrazione. La (i) segue da 5.7.3. Per la (ii) si osservi che, con s soluzione di
ax = ~ (mod '!!})si ha: S = [s] 7 = [s]mU[s+'!!}]mU· · ·U[s+(cl- 1)'!!}]m· O
5.7.6. Esempio. Si consideri l'equazione 36x = 24 (mod 105). Siccome risulta
(36 , 105) = 3 e 3 divide 24, si può considerare l'equazione 12x = 8 (mod 35).
Coine osservato nell'Esempio 5.7.2, 24 ne è soluzione, sicché l'insieme delle
soluzioni dell'equazione 36x = 24 (mod 105) è:

[24]35 = [24ho5 u [24 + 35ho5 u [24 + 70]105·

Si hanno informazioni anche su sistemi di equazioni congruenziali lineari. Sussi-


ste il celebre, antichissimo:

5.7.7. Teorema cinese del resto. Siano mi, ... , mk interi positivi a due a due
coprimi (k 2:: 2) e siano bi , . .. , bk interi. Allora il sistema

x= bi (mod mi)

{
x~ bk (mod mk)
ha una soluzione s, e l'insieme delle soluzioni del sistema coincide con la classe
[s]ml···mk·
Elementi di aritmetica 193

Dimostrazione. Si procederà per induzione su k. Sia k = 2 e, per comodità, si


scriva il sistema come:
x= b (mod m)
{ x = b' (mod m')
con (m, m') = l. La generica soluzione della prima equazione è del tipo b + my,
con y E Z. Si imponga che un tal numero sia soluzione anche della seconda equa-
zione e si interpreti y come indeterminata. Si ottiene in questo modo l'equazione
b + my = b' (mod m'), cioè my = b' - b (mod m') nell'indeterminata y. Tale
equazione ha soluzione t in quanto (m, m')= l (vedi 5.7.1). li numero intero
s := b + mt
è allora soluzione sia della prima che della seconda equazione, e dunque è soluzio-
ne del sistema. Se anche s'è soluzione del sistema, si ha s'= b (mod m), s'= b'
(mod m') e dunque s' = s (mod m) e s' = s (mod m'), sicché m ed m'divi-
dono s' - s. Da (m, m') = l segue allora che mm' divide s' - se s' E [s]mm'·
Viceversa, sia z E [s]mm'• cioè sia z tale che z = s (mod mm1 ) . Allora z = s
(mod m) e z = s (mod m'), da cui z = b (mod m) e z = b' (mod m'), come
volevasi.
Sia ora k > 2 e si consideri il sistema:
x = b1 (mod mi)

{
x~ bk- 1 (mod mk - 1)-
Per ipotesi d'induzione esiste una soluzione w di tale sistema e l'insieme delle
soluzioni è [w]m 1 ... mk_ 1 • Considerata ora la generica soluzione w+m1 ... mk-1Y·
con y E Z, come prima si impone che tale intero sia soluzione anche della k-esima
equazione, cioè che si abbia w+ m1 ... mk_ 1y = bk (mod mk)· Interpretando y
come indeterminata, si ottiene l'equazione congruenziale m1 ... mk_ 1y = bk -w
(mod mk), che ha soluzione in quanto (m1 ... mk-1. mk) =l (vedi 5.7.1). Detta
l una tale soluzione, si ottiene che l'intero v :=w+ m1 ... mk_ 1l è soluzione del
sistema. La dimostrazione si completa poi facilmente (vedi Esercizio 5.7.4). D
Si osservi che anche la dimostrazione del Teorema 5.7.7 è costruttiva, fomendo
un metodo risolutivo.
5.7.8. Esempio. Si consideri il sistema:
x= 4 (mod 5)
{ x= 3 (mod 4).
La generica soluzione della prima equazione è un intero del tipo 4 + 5y, con
y E Z. Si impone allora che sia soluzione della seconda, ottenendo un'equazio-
ne congruenziale nell'indeterminata y: 4 + 5y = 3 (mod 4), cioè 5y = 3 - 4
(mod 4). Da 5 =l (mod 4) e -l= 3 (mod 4) si ottiene y = 3 (mod 4). Per-
tanto l'intero 4 + 5 · 3 = 19 è soluzione del sistema, e l'insieme delle soluzioni è
[19]2o = {19 + 20z : z E Z} .
194 Capitolo 5

Si noti che nello studio di un sistema di equazioni congruenziali lineari è conve-


niente partire dall 'equazione con modulo maggiore.
5.7.9. Esempio. Si consideri il sistema:

x= 2 (mod 3)
x= 3 (mod 4)
{
x= 4 (mod 5) .

Come osservato è conveniente studiare il sistema equivalente:

x= 4 (mod 5)
x= 3 (mod 4)
{
x= 2 (mod 3).
Come visto nell'Esempio 5.7.8, la generica soluzione del sistema costituito dalle
ptime due equazioni è del tipo 19 + 20z , con z E Z. Imponendo che tale nu-
mero sia soluzione anche della terza equazione si ottiene la seguente equazione
congruenziale in z : 19 + 20z = 2 (mod 3), cioè 20z = 2 - 19 (mod 3). Da
20 = 2 (mod 3) e - l 7 = l (mod 3) segue che l' equazione da studiare diventa
2z = l (mod 3), che, banalmente, ha come soluzione 2. Infatti 3 = 2 · l + l
da cui l = 3 - 2 · l = 3 + 2 (-l) sicché 2 (-l) = l (mod 3), cioè 2 · 2 = l
(mod 3). Pertanto l'intero 19 + 20 · 2 = 59 è soluzione del sistema, e l'insieme
delle soluzioni del sistema è [59]6o = {59 + 60v : v E Z}.
Il sistema
x = b1 (mod m1)

{
x ~ bk (mod mk)
con k 2: 2 e (mi, mj) = l per ogni i =/= j, può essere risolto anche nel seguente
modo.
Si calcola innanzitutto m := m 1 ... mk e, per ogni i E {l , . .. , k } , si de-
terminano gli interi m~ = :;: . Per le ipotesi ovviamente si ha che, per ogni
i E {l , . .. , k }, tisulta (m~, mi) = l; inoltre mi è divisore di mj, per ogni j =!= i.
Si studiano allora le equazioni congruenziali

m~y =l (mod mi),

e si determinano interi m~ tali che m~m~' =l (mod mi). L' intero


b /Il
b1mi1m 1 + · · · + kmkmk
ll
s :=

è soluzione del sistema. Infatti, per ogni i E {1, . . . , k}, si ha s bim~m~' =


(mod mi), in quanto mi divide mj per ogni j =/= i . Si ha poi bi m~m~' bi =
(mod mi), in quanto m~m~' =l (mod mi)·
Elementi di aritmetica 195

5.7.10. Esempio. Il sistema considerato nell 'Esempio 5.7.9 ha soluzione

s = 2 . 20 . 2 + 3 . 15 . 3 + 4 . 12. 3 = 80 + 135 + 144 = 359 ,


perché, in tal caso, si ha m = 60, m~ = 20, m; = 15, m~ = 12; si devono allora
studiare le equazioni: 20x =
l (mod 3) , 15x =
l (mod 4), 12x =
l (mod 5),
che diventano: 2x = l (mod 3), 3x =
l (mod 4), 2x =
l (mod 5), e che,
ovviamente, hanno come soluzione, rispettivamente, m~ = 2, m~ = 3, m~ = 3.
Pertanto l'insieme delle soluzioni del sistema è: [359]6o = [59]60·

Si osservi inoltre che:

5.7.11. Si consideri il sistema


a1x = b1 (mod m1)

{
akx ~ bk (mod mk),
con a1, .. . , ak, b1, ... , bk interi e m1, ... , mk interi positivi a due a due copri-
mi. Tale sistema ha soluzioni se e solo se ciascuna delle equazioni ha soluzioni.
Precisamente, se Si è soluzione di aix = bi (mod mi), il sistema considerato è
equivalente al sistema:
x= s1 (mod m1)

{
x ~ Sk (mod mk)·
Dimostrazione. Esercizio. D

5.7.12. Esempio. Il sistema

2x = l (mod 5)
3x = 2 (mod 7)
{
4x = 3 (mod 11)
ha soluzioni ed è equivalente al sistema

x= 3 (mod 5)
x= 3 (mod 7)
{
x= 9 (mod 11) ,

la cui generica soluzione è 108 + 385z , con z E Z.


196 Capitolo 5

Si noti infine che il richiedere che i moduli delle equazioni di un sistema siano a
due a due coprimi non è condizione necessaria perché il sistema abbia soluzione.
Per esempio il sistema
x =
l (mod 10)
{ x= 9 (mod 12)

ha soluzione 81. Ciò dipende dal fatto che MCD(lO, 12) = 2 e 2 divide l - 9. Si
potrebbe infatti dimostrare che:

5.7.13. Generalizzazione del teorema cinese del resto. Si consideri il sistema


x = b1 (mod m 1)

{
x~ bk (mod mk),
con k ~ 2, b1, . .. , bk interi e m1, . .. , mk interi positivi. Tale sistema ha soluzioni
se e solo se MCD(mi, mj) divide bi - bj, per ogni i,j E {l, ... , k }"con i f:. j .

Esercizi
Esercizio 5.7.1. Si precisi se l'equazione congruenziale 9x = 5 (mod 14) ha
soluzioni e, in caso affermativo, le si determinino.
Esercizio 5.7.2. Si precisi se la seguente equazione congruenziale 11x = 6
(mod 15) ha soluzioni e, in caso affermativo, le si determinino.
Esercizio 5.7.3. Si ridimostri la 5.7.1 utilizzando la 5.5.11.
Svolgimento. Da (a, m) = l e da 5.5.11 si ha Zm = {Oa , la, ... , (m- l)a}.
Esiste quindi i E {0, ... , m- l} tale che b = ia, da cui ai= b (mod m).
Esercizio 5.7.4. Si completi la dimostrazione di 5. 7. 7.
Esercizio 5.7.5. Si determini, in entrambi i modi illustrati (vedi Esempi 5. 7.9 e
5. 7.1 O), la generica soluzione dei seguenti sistemi di equazioni congruenziali:

x= l (mod 2)
x= 2 (mod 3) x= l (mod 2)
x= 3 (mod 5) x= 9 (mod 11)
{
x= 4 (mod 7) x= 51 (mod 75).
x= 5 (mod 11) ,
Esercizio 5.7.6. Si determini il generico intero a tale che si abbia simultanea-
mente:
(i) rest(a, 3) = 2,rest(a,4) = 3,rest(a, 7) = 6;
(ii) rest(a,18) = 15,rest(a, 19) = 16.
Elementi di aritmetica 197

Esercizio 5.7.7. Si determini l'unico numero naturale a compreso tra 103 e 159
tale che simultaneamente si abbia: a= 3 (mod 7) e a= 5 (mod 6).
Esercizio 5.7.8. Un cesto contiene n uova. Se si prova a svuotare il cesto pren-
dendo le uova a 2 a 2 ne resta 1, così se le si prendono a 3 a 3 o a 5 a 5. Pren-
dendole invece a 7 a 7 non ne resta nessuna. Si determini il minimo n perché ciò
accada.
Esercizio 5.7.9. Sette ladri devono dividere il bottino di una rapina. Hanno ru-
bato n lingotti d'oro. Provano a dividerli in parti uguali, ma ne avanzano 6. Ne
nasce un litigio cui segue una sparatoria. Uno dei ladri muore. Provano allora
nuovamente a dividere il bottino ma restano 2 lingotti, il che provoca un nuovo
litigio e una nuova sparatoria che causa la morte di un altro ladro. I restanti si
dividono il bottino e .finalmente non avanza alcun lingotto. Si determini il minimo
numero n di lingotti che possono aver rubato.
Esercizio 5.7.10. Si dimostri 5. 7.II.

5.8 l numeri razionali


Si è già descritto il campo dei numeri razionali

Q := { : : m, n E Z, n ::/= O} .
Tale stmttura può essere costmita a partire dall 'anello Z degli interi, col procedi-
mento che ora sarà illustrato.
Si consideri l'insieme A := Z x (Z \ {O}) e si introduca in A la seguente
relazione:
(a, b) R(c, d) : {=:::::} ad= be. (5.8.1)
Si verifica facilmente (vedi Esercizio 5.8.1) che n è una relazione d'equivalenza.
Si ha poi (vedi Esercizio 5.8.2), per ogni bE Z \{O} e per ogni a E Z:

[(O,b)]n = {(O,y): y E Z \{O}}; (5.8.2)


[(b, b)]n = {(y, y): y E Z \{O}}= [(1, 1)]n; (5.8.3)
[(a, b)]n = {(ay, by): y E Z \{O}}; (5.8.4)
[(ab, b)]n = {(ay, y): y E Z \{O}}. (5.8.5)

La classe [(a, b)]n, con (a, b) E A, è di solito denotata col simbolo


a
b
e detta frazione di numeratore a e denominatore b. Pertanto, con a, c E Z e
b,d E Z \ {0}, si ha:
a c
-
b
d {=:::::} ad = be.
198 Capitolo 5

Con a E Z, b E Z \ {0}, dalle uguaglianze (5.8.2), (5.8.3), (5.8.4) e (5.8.5) si


ottiene, per ogni y E Z \ {O} :

O O b y a ay ab ay
b y' b y' b by ' b y

L'insieme quoziente (Z x (Z \ {O})) / R è denotato col simbolo Q e detto l' insieme


dei numeri razionali.
Neli' insieme Q si introducono le seguenti operazioni: con %, E Q si pone a
a c ad+ be a c ac
b +d:= bd b. d. bd (5.8.6)

Tali definizioni hanno senso, in quanto da % f ,a -


f, segue adf}db c -
a' d~;d7' c' e ~~ = ~; ~;. Infatti per le ipotesi si ha ab' = ba' e cd' = dc' , e da
ciò si ottiene immediatamente (ad+ bc)b'd' = adb'd' + bcb'd' = (ab')(dd') +
(cd')(bb') = (ba')(dd') + (dc')(bb') = (a'd' + b'c')bd, cioè adb~bc = a'd~,~~'c'
L'altra uguaglianza segue facilmente.
Si ha:

5.8.1. L'insieme quoziente Q= (Z x (Z \ {0}))/R con le operazioni di somma


e prodotto definite in (5.8.6) è un campo.

Dimostrazione. L'associatività e la commutatività della somma e del prodotto e


la distributività del prodotto rispetto alla somma seguono facilmente (vedi Eser-
cizio 5.8.3). Si ha poi che la classe ~. con b E Z \ {0}, è elemento neutro per
a
la somma, in quanto: ~ + = Odf}dbc = g~ = a, a
per ogni E Q . Inoltre esiste
-a - d m quanto d+ d - ~ - Cf2 • per ogm· dc E lfll
c _ -c · c -c _ -cd+ dc _ O
-.e· l no1tre, qua1un-
que sia b E Z \ {0}, la frazione ~ è elemento neutro per il prodotto, in quanto
~a = g~ = a, a a
per ogni E Q . Infine, una frazione non nulla è tale che risulta
c i- O, sicché ha senso la frazione ~ e si ha a·
~ = d~ (elemento neutro per il
prodotto), cioè (a) - = ~·Tutto ciò assicura che (Q,+,·) è un campo.
1
D

Si ha poi:

5.8.2. Sia b E Z \ {O}. L'applicazione c.p : z E Z f---7 z: E Q è un monomorfismo


di (z, +,·)in (Q,+,·).

Dimostrazione. L'applicazione c.p è inietti va in quanto da ~b = ~b, con z e w


interi, segue z bb = bwb, con b2 i- O, da cui z = w. Con z, w E Z si ha poi
2
c.p(z +w) = (z+bw )b = (z+b~) b = zb2 ~wb = z: + ~b = c.p( z ) + c.p(w) e
2

c.p(zw) = z~b = z~f = zbb . ~b = c.p (z )c.p (w). D


Elementi di aritmetica 199

La 5.8.2 autorizza a identificare ogni z E Z con la frazione zbb = z11 E Q. Si ha


dunque Z ç Q e, per ogni% E Q si ha% = al · l
1
= a11 (b11 )- 1 = ab- 1 . Con tali
identificazioni le operazioni di somma e prodotto di Q "estendono" le operazioni
di somma e di prodotto di Z.

Esercizi
Esercizio 5.8.1. Si dimostri che la relazione R definita in (5.8.1) è una relazione
d'equivalenza.

Esercizio 5.8.2. Si dimostri che valgono le uguaglianze (5.8.2), (5.8.3), (5.8.4) e


(5.8.5).

Esercizio 5.8.3. Si completi la dimostrazione di 5.8.1.

Esercizio 5.8.4. Con %, ~ E Q si definisca

a c
bç d:~ (ad - be )bd ~ O,

dove ~ denota la relazione d'ordine "usuale" in Z. Si provi che ç è una relazione


d 'ordine totale in Q, che "estende" la relazione d'ordine usuale in Z, ed è tale
che
a c a e c e
-C-=?-+-C-+-
b-d b f -d f'
a c a h c h
-C-=?-·-L- · -
b-d b k-d k'
per ogni] ,~ E Q, ~ 2': O. Ciò si esprime dicendo che (Q,+, ·, ç) è un campo
ordinato. Nel seguito ç verrà denotata semplicemente con ~' e detta la relazione
d'ordine "usuale" in Q.

Esercizio 5.8.5. Con % E Q, % 2': O, si definisca la parte intera l~ J di %ponendo

dove ~ denota la relazione d'ordine "usuale" in Q (vedi Esercizio 5.8.4). Si provi


che%- l < l%J ~ %'e che% = l%J se e solo se% è un intero. Si osservi inoltre
che l% J coincide col quoziente della divisione in Z di a per b.
Se %E Q, %< O, si pone anche
200 Capitolo 5

5.9 l numeri reali


Esistono svariate maniere rigorose per introdurre l'insieme dei numeri reali, per
esempio mediante una costruzione assiomatica (come unico campo archimedeo
ordinato completo), oppure utilizzando le sezioni di Dedekind o le successioni
di Cauchy. Il Lettore interessato potrà riferirsi a un qualunque testo di analisi
matematica di livello universitario. Qui si preferisce invece fornire un approccio
meno rigoroso ma sicuramente più intuitivo, basato sugli allineamenti decimali.

Si definisce numero decimale una qualunque coppia a= (a, (cn)nEN) dove a è


un numero intero detto la parte intera di a e (Cn)nEN è una successione di numeri
naturali compresi tra O e 9. Un tale numero decimale viene usualmente denotato
con

Il numero decimale a = a, qc2c3 ... è detto periodico se esistono p E N e


k E No tali che per ogni r ~p, Cr = cr+m(k+l) per ogni m E No; in altre parole
se a partire dall'indice p le k +l cifre cp, Cp+l, . .. , cp+k si ripetono ciclicamente.
Se a è periodico e p e k sono minimi per la condizione precedente, allora la
(k + 1)-upla (cp, Cp+l ... , cp+k) è detta il periodo di a; se p> l la (p- 1)-upla
( c1, c2, ... , Cp-1) è detta l' antiperiodo di a, e si adotta la notazione

a =a, c1 ... Ck+ l se p= l,


a= a, Cl ... Cp-lCpCp+l ... Cp+k se p > l.

Se a è periodico di periodo (0), a viene detto limitato e si scrive

a=a se p= l ,
a= a, cl· .. cp-1 se p> l.

Nell'insieme D dei numeri decimali si conviene che valgano le sole seguenti


identificazioni:

a+ l se a~ O
a,9 = { a-l
se a< O,
(5.9.1)

a, c1 ... Cp-19 =a, c1 ... Cp-2(Cp-l +l) se p > l. (5.9.2)

Sia Dp l'insieme dei decimali periodici; è possibile definire un'applicazione biet-


tiva f : Q -----+ Dp. A tale scopo si ricorda (vedi Esercizio 5.8.5) che, con ~ E Q,
il simbolo l~ J denota la parte intera di ~, definita ponendo:

r
se-~ O,
s
r
se- < O.
s
Elementi di aritmetica 201

Considerato poi ~ E Q tale che O ::; ~ < l, si pone

r1 := lOr,

J,
Cn+l :=
l
r n +1
8

Si potrebbe dimostrare che (cn)nEN è una successione di numeri naturali compresi


tra O e 9 e che se ~ = ~ allora le successioni che si ottengono da tali numeri con
il procedimento precedente sono uguali. Inoltre è possibile provare che il numero
decimale f(D :=O, c1c2 ... Cn ... è periodico di periodo diverso da 9.

i;
5.9.1. Esempi. Si consideri il numero razionale si ha r1 = 10, q = 15 J = 2, l°
r2 = 10(10 - 2 · 5) =O, c2 =O, Cn =O per ogni n~ 2. Dunque f(i) =O, 2. Se
ora si considera 120 = i·
si scopre facilmente che anche fC20 ) =O, 2.
Si consideri ora il numero razionale ~; allora si ha q = 10, q = 0J = l , l\

7'2 = 10(10 - l · 7) = 30, C2 = 37 j = 4, 7'~ = 20, C3 = 27 j = 2, 1'4 = 60 , l°
C4 = 8, 1'5 = 40, C5 = 5, 7'6 = 50, C6 = 7, 7'7 = 10 = rl, quindi C7 = Cl = l ,
es = c2 = 4 e così via. Dunque f( ~) = O, 142857 è un decimale periodico.

Sia ora~ E Q; allora l~ - l


l~J = ~è un numero razionale non negativo minore
di l e scritto f(~) :=O, c1c2c3 ... , si definisce

f (~) := l~J ,
C1C2C3 ....

In questo modo si associa a ogni numero razionale un numero decimale periodico


di periodo diverso da 9.
Viceversa si consideri il numero decimale periodico

a= a, C1C2 ... Cp-lCpCp+l. · · Cp+k


di periodo diverso da 9; allora si può provare che il numero razionale

::._ ·- alOP+k + c1lOP+k-l + · · · + cp+k- (alOP-l + c1 lOP- 2 + · · · + Cp-1)


s . (lOk+l- l)lOP-1

è l' unico elemento di Q tale che f ( ~) = a .


Tutto questo assicura che f è biettiva. Dato a E Dp l'unico ~ E Q tale che
f (~) = a è detto la frazione generatrice di a . Si osservi che il numeratore r è la
202 Capitolo 5

differenza tra il numero che si ottiene scrivendo consecutivamente il numero a e le


cifre c 1 , .. . , cp+k e quello che si ottiene giustapponendo al numero a le eventuali
cifre c1 , ... , Cp- l· Il denominatore s è ottenuto scrivendo consecutivamente tante
cifre uguali a 9 quante sono le cifre del periodo, e tante cifre uguali a O quante
sono le cifre dell' eventuale antiperiodo.

5.9.2. Esempio. Le frazioni generatrici dei numeri decimali periodici 3,7 e


-5 241 sono 370-37 - 333 - 37 e - 5241+52 - -5189 rispettivamente
' 90 - 90 - 10 990 - 990 ' o

Siano ora a, (3 E D p e siano ~, ~ E Q gli unici numeri razionali tali che f ( ~ ) = a


e f(~) = (3 ; se si pone a+ (3 := f( ~ + ~ )e a· (3 := f( ~ · ~)si definiscono in
Dp due operazioni interne che dotano Dp di una struttura di campo. Ponendo poi
a < (3 se e solo se ~ < ~ (vedi Esercizio 5.8.4) si ottiene una relazione d' ordine
in Dp che ha le stesse proprietà della relazione d'ordine "usuale" su Q.
Ogni numero razionale ~ E Q viene identificato con il decimale periodico
f(~) E Dp; così facendo Q resta identificato con Dp.
Si definisce numero reale ogni numero decimale, e l'insieme dei numeri reali
è denotato con JR. Per parte intera La J del numero reale a si intende la parte in-
tera del numero decimale a . Con l'identificazione tra numeri razionali e decimali
periodici si ha che Q C JR, e la parte intera del numero razionale ~ coincide con
quella del numero reale ~. Gli elementi di lR \Q sono detti numeri reali irrazionali.
Siano a= a, c 1c2c3 ... e (3 = b, d1d2d3 . .. numeri reali; per ogni n E N si
considerino i numeri decimali periodici limitati

Per ogni n E N si ha che an , bn E Q e quindi sono definiti Sn = an+ bn E Q e


Pn = an · bn E Q . Si dimostra che esiste m E N tale che per ogni n ~ m i numeri
razionali sn hanno tutti la stessa parte intera x , che esiste m1 E N tale che per
ogni n ~ m 1 i numeri razionali sn hanno tutti la stessa prima cifra decimale y 1 , e
così via. Il numero reale x, YlY2 . . . è per definizione la somma a + (3 dei numeri
reali a e (3 considerati.
Analogamente si può dimostrare che esiste t E N tale che per ogni n ~ t i
numeri razionali Pn hanno tutti la stessa parte intera z , che esiste t1 E N tale che
per ogni n ~ t1 i numeri razionali Pn hanno tutti la stessa prima cifra decimale
h 1 , e così via. Il numero reale z , h 1 h 2 . . . è per definizione il prodotto a(J dei
numeri reali a e (3 considerati.
Le operazioni interne definite in questo modo dotano lR di struttura di campo.
Per ogni a , (3 E JR, si pone a < (3 se e solo se a =/= (3 e il numero reale (3 -
a ha pa1te intera non negativa, ottenendo in lR una relazione d'ordine totale (il
cosiddetto ordine "usuale" in JR), e si ha che (JR, +, ·, ~ ) è un campo ordinato
(vedi Esercizio 5.8.4) completo, nel senso che ogni sottoinsieme non vuoto di lR
che ammette maggioranti ha estremo superiore.
Sottoinsiemi notevoli di lR sono i cosiddetti intervalli reali limitati. Con
Elementi di aritmetica 203

a, /3 E lR si pone:
[a,/3] := {x E lR : a :S x :S /3},
[a,,B[ :={x E lR : a :S x< /3},
]a,/3] :={x E lR : a< x :S /3},
]a,,B[ :={x E lR: a< x< /3}.
Gli intevalli precedenti hanno estremi a e {3 ; il primo è detto chiuso , il secondo e il
terzo semiaperti, l'ultimo aperto. Ovviamente, se a > {3, si ha [a, /3] = 0; e così,
se a 2:: /3, si ha [a, /3[ =]a, /3] =]a, /3 [ = 0. In maniera analoga si definiscono gli
intervalli reali illimitati. Con a E lR si pone:

[a, +oo[ :={x E lR : a :S x},


]a, +oo[ := {x E lR : a< x},
]- oo,a] := {xEIR:x:Sa},
] - oo, a[:= {x E lR : x< a}.

Rappresentazione dei numeri reali in base arbitraria


Sia x = a, c 1 c 2 c3 ... un numero reale positivo. Ovviamente x può essere riguar-
dato come somma della sua parte intera e della sua parte frazionaria a = x - l x J, ·
con O :Sa< l.
Sia b 2:: 2 un numero naturale. La rappresentazione in base b del numero na-
turale a è già nota (vedi Paragrafo 5.2). Sia a= O, c 1c2c3 ... la parte frazionaria
di x. Allora si può scrivere

Rappresentare a in base b significa determinare una successione { an}n>l di cifre


an E {0, l , . .. , b- l} tale che -
00
"'"'an (5.9.3)
a= L.,; bn.
n= l

Tale circostanza verrà denotata scrivendo a = (0 , a1a2a3 ... )b o, brevemente,


a = (0 , a1 ... ai)b se aj = Oper ogni j > i .
Per determinare le cifre a 71 si tengano presenti le considerazioni seguenti. La
(5.9.3) equivale a

(5.9.4)

dove O :S b~:': 1 < .l per ogni n 2:: 2. La parte intera e la parte frazionaria di
ba sono quindi rispettivamente a1 e ba- a1; inoltre a1 E {0, l , . . . , b- 1}.
204 Capitolo 5

Se ba - a1 = O allora a = ab1 , pertanto a = (0, a100 ... )b = (0, ai)b è la


rappresentazione cercata. Se invece ba- a1 =/= O, da (5.9.4) si ricava

(5.9.5)

Pertanto la parte intera e la parte frazionaria di b(ba- a 1) sono rispettivamente a2


e b(ba-a1) -a2; inoltre a2 E {0 , l , ... , b-1}. Di nuovo, se b(ba-a1) -a2 =O
allora a = ab1 + ~·e a = (0, a1a200 .. . )b = (0, a1a2)b è la rappresentazione
cercata. Se invece b(ba- a 1 ) - a 2 =/= Osi prosegue come in precedenza, ripartendo
da (5.9.5), e si riesce a determinare a 3 . Così continuando, ovviamente, non è detto
che il procedimento termini dopo un numero finito di passi, ma si è sempre in
grado di determinare il numero desiderato di cifre decimali di a in base b.

5.9.3. Esempio. Per determinare la rappresentazione in base 5 del numero razio-


nale
84
a=-=
100
O) 84 )

basta porre

Allora
a2 a3 .
5a = 4, 2 = a1 + + + ... , da cm a1 = 4;
5 25
a2 a3
5a - a1 = O, 2 =
5 + 25 + ... ;
5(5a- ai)= l= a2 + a3 + ... , da cui a2 =l;
5
5(5a - ai) - a2 = O.

Dunque a= (0 , 41)5.

5.9.4. Esempio. Per determinare la rappresentazione in base 5 del numero razio-


nale
85
a =100
- = O) 85 )

si ponga

Allora
a2 a3 .
+
5a = 4, 25 = a1
5 + 25 + ... , da cm a1 = 4;
a2 a3
5a- a1 =O, 25 =
5 + 25 + ... ;
Elementi di aritmetica 205

5(5a- a1) = l , 25 = a2 + ~3 + ... , da cui a2 = l;


a3
5(5a- a1)- a2 =O, 25 =
5 + ... ;
5(5(5a - a1) - a2) = l, 25 = a3 + ~4 + .. . , da cui a3 = l.

li procedimeno non ha termine. Però siccome per n ~ 2 le cifre a71 si ripetono


costantemente, si può scrivere a = (0, 41111 ... )5. Si noti che in questo caso la
rappresentazione decimale di a è limitata, mentre quella in base 5 non lo è.

5.9.5. Esempio. Si voglia determinare, fino alle prime 3 cifre decimali, la rap-
presentazione in base 5 del numero reale irrazionale 1r = 3, 14159 .... La parte
frazionmia di 1r è a = O, 14159 ..-.. Si scriva
a1
a = O 14159 · · · = -
, 5
+ -a2
25
a3
+ -125 + 00 00

Allora
. a2 a3
5a = O, 70795 · · · = a 1 + + 25 + ... , da CUI. a1 = O;
5
a2
5a- a 1 =O, 70795 · · · = + a3 + ... ;
5 25
5(5a -ai) = 3, 53975 · · · = a2 + 5a3 + a4
25
+ ... , .
da CUI a2 = 3;

5(5a- a 1 ) - a 2 =O, 53975 · · · =


a3
+ a4 + ... ;
5 25
5(5(5a- a1) - a2) = 2, 69875 · · · = a3 + ~4 + ... , da cui a3 = 2.

Quindi a = (0 , 032 ... )5 e 1r = (3, 032 00. )5.


Osservazione. Si potrebbe verificare che se si adotta per i numeri reali la rappre-
sentazione in base m·bitraria b ~ 2, le identificazioni (5 .9.1 ) e (5.9.2) inducono
analoghe uguaglianze, dove ovviamente si sostituisca la cifra 9 con la cifra b - l.
Per esempio, in base b = 2, risulta

5
(0, 10011111 o o o )2 = (0, 101)2 = 8'
Inoltre si può dimostrm·e che esiste un'applicazione biettiva tra l'intervallo reale
[0, l [ e l'insieme delle successioni a valori interi compresi tra O e b - l e non
definitivamente uguali a b - l.

Esercizi
Esercizio 5.9.1. Di ciascuno dei seguenti numeri reali si individui la parte intera,
la parte frazionaria, l'eventuale periodo, l'eventuale antiperiodo e, per quelli
206 Capito lo 5

razionali, la frazione generatrice:

-3, 0007 3, 0007


(3, 12) 2 2\1'5
-1fv'3 2\1'5 +l.
Esercizio 5.9.2. Si determini la rappresentazione in base 8 del numero razionale

9
a = -= 1,8.
5
Esercizio 5.9.3. Si determini la rappresentazione in base 9 del numero razionale

288
a=-= 2 88.
100 '
Esercizio 5.9.4. Si determini, fino alle prime 4 cifre decimali, la rappresentazione
in base 6 del numero irrazionale 1r 2 .

Esercizio 5.9.5. Si stabilisca se il numero reale O, 4342 è razionale, e se ne


determini la rappresentazione in base 5 fino alle prime 4 cifre decimali.

Esercizio 5.9.6. Si determini, fino alle prime 5 cifre decimali, la rappresentazione


in base 4 del numero reale J6.

5.1 O l numeri complessi


Il campo C dei numeri complessi nasce dall'esigenza di "ampliare" il campo~
dei numeri reali per far sì che esistano elementi il cui quadrato è negativo.

Una possibile costruzione è la seguente. Si ponga C = ~ x ~e si introducano in


C le seguenti operazioni:

(a,b)+(c,d) := (a+c,b+d),
(a, b) · (c, d) := (ac- bd, ad+ be) .

La struttura (C,+ ) è un gruppo abeliano, in quanto struttura prodotto di (~, +)


con se stesso; la coppia (0 , O) è l'elemento neutro, denotato anche con O, e risulta
-(a, b) = (-a,- b),perogni (a,b) E C. Sihapoi:

5.10.1. La struttura algebrica (C,+,·) è un campo.

Dimostrazione. Si prova facilmente che il prodotto è associativo, commutativo e


distributivo rispetto alla somma (vedi Esercizio 5.10.1). La coppia (1 , O) è ele-
mento neutro per il prodotto in quanto (1, O)(a , b) =( la- Ob , lb + Oa) =(a, b) ,
Elementi di aritmetica 207

per ogni (a , b) E C. Supposto (a , b) E C\ {O} si ha che a 2 + b2 =F O essendo


a =l O oppure b =l O, e la coppia ( a 2 :b -:b
2 , a2 2) è l'inverso di (a , b) poiché

Quanto detto prova che (C,+ , ·) è un campo. D

Si ha inoltre:

5.10.2. L'applicazione 1/; : r E !R. 1-----7 (r, O) E C è un monomorfismo tra le


strutture (!R.,+,·) e (C,+ , ·).

Dimostrazione. Esercizio. D

La 5.10.2 permette di identificare ogni numero reale con la coppia (r , 0). Pertanto
si ha IR ç C e la somma e il prodotto di C "estendono" la somma e il prodotto di
R La coppia (0 , l) E C è tale che

(0, 1)(0, l) = (O· O- l· l , O· l+ l· O) = (-l , 0).


Pertanto, posto i := (0 , l) (la cosiddetta unità immaginaria) e utilizzando l'iden-
tificazione precedentemente introdotta, si ha i 2 = -l. Risulta poi, sempre con le
notazioni precedenti che, per ogni (a , b) E C, riesce

(a , b) = (a, O)+ (0, b) = (a, O)+ (b, 0)(0, l) =a+ bi.

Pertanto
C = {a + bi : a , b E IR}.
Gli elementi di C si dicono numeri complessi. Si ha a + bi = c + di se e solo
se a = c e b = d, e le operazioni di somma e prodotto tra numeri complessi
acquistano l'usuale espressione:

(a+ bi)+ (c+ di) = (a+ c)+ (b + d)i ,


(a+ bi)· (c+ di)= (ac- bd) +(ad+ bc)i,

per ogni a, b, c, d E R
Sia a = a + bi un numero complesso. Il numero complesso

a:= a+ (-b)i

è detto il coniugato di a, e il numero reale


208 Capitolo 5

la norma di a. Si prova facilmente che:

5.10.3. Si ha:
(i) N(a) è un numero reale non negativo, per ogni a E C;
(ii) N( a)= Ose e solo se a= O;
(iii) aa =N( a), per ogni a E C;
(iv) N(af3) = N(a)N(f3),perogni a,{3 E C;
a
(v) a-
1
= N(a)' per ogni a E C\ {0}.

Dimostrazione. Esercizio. D

ll campo complesso C, come osservato, è tale che in esso esistono elementi il cui
quadrato è -l, cioè esistono soluzioni dell'equazione x 2 +l =O. Più in gene-
rale, il cosiddetto teorema fondamentale dell'algebra , di cui non si fornisce la
dimostrazione, assicura che una qualunque equazione di grado n > O a coeffi-
cienti complessi ha soluzioni c1 , ... , Cn (non necessariamente distinte) in C. Ciò
si esprime dicendo che C è algebricamente chiuso.
Si noti infine che non è possibile definire in C una relazione d'ordine totale
~ tale che da a ~ {3 segua a+ 1 ~ {3 + 'Y· per ogni 1 E C, e a6 ~ (36, per ogni
6 E C, 6 > O (vedi Esercizio 5.10.4).

Esercizi
Esercizio 5.10.1. Si dimostri che il prodotto di numeri complessi è associativo,
commutativo e distributivo rispetto alla somma.

Esercizio 5.10.2. Si dimostri 5.10.2.

Esercizio 5.10.3. Si provi 5.10.3.

Esercizio 5.10.4. Si dimostri che non è possibile definire in C una relazione d'or-
dine totale ~ tale che da a ~ (3 segua a+ 1 ~ {3 +/.per ogni 1 E C, e a6 ~ (36,
con 6 E C, 6 > O.

Svolgimento. Per assurdo sia ~ una relazione d'ordine totale in C soddisfacente


le condizioni dell'enunciato. Allora si osservi innanzitutto che, se a E C\ {0}, si
ha a > O se e solo se -a < O. Infatti, supposto a > O, si ha a + (-a) > -a,
cioè O > -a. Analogamente -a < O implica -a +a < O+ a, cioè O < a. Si
osservi poi che considerato un qualunque a E C\ {0}, si ha che a 2 > O. Infatti,
se a > O, si ha a · a > a · O = O; se invece a < O, si ha -a > O e quindi
O = O · (-a) < (-a)( -a) = a 2 . In particolare si ha dunque l = 12 > O e
- l = i 2 > O, il che è assurdo. · D
Elementi di aritmetica 209

5.11 Metodi di fattorizzazione


Sia n 2 2 un numero intero. Il problema di fattorizzare n consiste nel determina-
re tutti i primi Pl :S P2 :S · · · :S PN tali che n= P1P2 ... PN· Esistono numerosi
metodi per affrontare tale problema, che per numeri molto grandi può rivelarsi
praticamente irrisolvibile con le risorse oggi disponibili, a causa del!' elevatissi-
mo "costo computazionale". Qui verranno presentati tre metodi di fattorizzazione
che, pur essendo molto semplici, hanno un notevole interesse teorico.

Il metodo "standard"
Si tratta in sostanza della formalizzazione del metodo di fattorizzazione in primi
che tutti conoscono fin dalle scuole medie. Nella sua descrizione si farà uso del
crivello di Eratostene (vedi 5.1.5), nella seguente versione equivalente, di cui si
preferisce fornire anche la dimostrazione:

5.11.1. Lemma. Sia n 2 2 un numero naturale. Allora n è primo oppure


possiede un divisore d con l <d :S l .fiiJ.

Dimostrazione. Se n non è primo, esistono naturali positivi a, b i= l tali che


n= ab. Se a> l .fiiJ allora a - l 2 l .fiiJ, da cui a 2 .fii+ l > .fii. Ne segue
che n = ab > .fiib, sicché b < Jn
= .fii e quindi b :S l .fiiJ. D

Si consideri il numero naturale n 2 2. Sia h :=Nn [2, .fii]l'insieme dei numeri


naturali appartenenti all'intervallo reale [2, .fii]. Se h = 0 allora n E {2, 3} e il
problema è risolto. Sia allora h i= 0. Per il Lemma 5.11.1, se nessun elemento ·
di h divide n allora n è primo. Altrimenti, sia k1 il più piccolo elemento di h
che divide n. Se t fosse divisore di k 1 per qualche naturale t con 2 :S t < k1,
allora t dividerebbe n, contro la minimalità di k1 come elemento di h divisore di
n . Pertanto k1 è primo. Si ponga n1 := ~:.
Sia ora 12 := N n [k 1 , Jnl]. Se h dividesse n 1 per qualche naturale h
con 2 :::; h < k1 allora h dividerebbe n, assurdo perché h < k1. Da ciò e dal
Lemma 5.11.1 segue che se h = 0 oppure nessun elemento di h divide n1 allora
n 1 è primo. In tal caso n= k1n1 risulta fattorizzato nel prodotto di primi. In caso
contrario, sia k2 il più piccolo elemento di h che divide n1 . Si supponga ora h
divisore di k 2, con 2 :::; h < k 2. Da h 2 k1 seguirebbe h E h. e ciò è assurdo per
la definizione di k2; quindi deve essere h < k1, ma anche questo è impossibile
per la minimalità di k 1 come elemento di h divisore di n. Pertanto k2 è primo. Si
ponga n2 := ~-
Iterando il procedimento, per ogni j 2 3 si ponga Ij :=N n [kj-1, Jnj-1]·
Se Ij = 0 oppure nessun elemento di I j divide nj-1 allora nj-1 è primo, ed
n = k1k2 ... kj - lnj -1 risulta fattorizzato in prodotto di primi. In caso contra-
rio si costruisca l'intervallo naturale Ij+ 1 . Siccome l'ampiezza degli interval-
li naturali Ij diminuisce al crescere di j, l'algoritmo descritto deve necessaria-
210 Capitolo 5

mente terminare dopo un numero finito di passi, dando luogo alla fattorizzazione
richiesta.
5.11.2. Esempio. Per fattorizzare n = 462 utilizzando il metodo "standard", si
procede nel modo seguente:
462
lv462J = 21 h= Nn [2 ,21] kl = 2 n1 = - = 231
2
231
lv23lj = 15 h= N n [2 , 15] k2 = 3 n2 = - = 77
3
77
lv'77J =8 h= Nn [3 ,8] k3 = 7 n3 = - = 11
7
lVilJ = 3 !4 = 0.
Pertanto n = 2 · 3 · 7 · 11 è la fattorizzazione richiesta.
5.11.3. Esempio. Per fattorizzare n = 860 utilizzando il metodo "standard", si
procede come segue:
860
lJ860J = 29 h = Nn [2,29] kl = 2 n1 = - = 430
2
430
lV4WJ = 20 ! 2 = N n [2 , 20] k2 = 2 n2 = - = 215
2
215
lV2i5J = 14 h= N n [2 , 14] k3 = 5 n3 = - = 43
5
lv'43J = 6 !4 =N n [5, 6] ~ k4.
Pertanto n = 2 · 2 · 5 · 43 è la fattorizzazione richiesta.

Il metodo di Fermat
Il metodo di Fermat consente di scompone un naturale dispari non primo nel pro-
dotto di due fattori, non necessariamente primi, ma più piccoli e quindi più agevoli
da fattorizzare . li metodo si basa su un'idea molto semplice, che è essenzialmente
contenuta nel seguente lemma.

5.11.4. Lemma. Sia n un numero naturale dispari. Le seguenti condizioni sono


equivalenti:
(i) esistono a, b E N con l < a < b < n tali che n = ab;
(ii) esistono x, y E N con O < y +l <x <n tali che n= x 2 - y 2 .

Dimostrazione. (i) ===? (ii). Posto x = bta e y = b2a risulta x, y E N perché n


è dispari. Inoltre x 2 - y 2 = ab = n e O < y + l < x < n in quanto x = y + l
comporterebbe a = -a + 2 e dunque a = l contro le ipotesi.
(ii)===? (i). Posto a= x-yeb = x+ysihan = x 2 -y 2 = (x-y)(x+y) =ab.
Inoltre da y + l < x segue che l < a < b < n. D
Elementi di aritmetica 211

Sia n ~ 3 un numero naturale dispari non primo. Se n è il quadrato di un numero


naturale a, allora a > l e n = aa è la fattorizzazione richiesta. Se invece n non
è un quadrato, esistono a, b E N con l < a < b < n tali che n = ab. Per il
Lemma 5.11.4 esistono x,y E N con O < y +l< x< n tali che n= x 2 - y 2 .
Siccome deve essere x > l fo J, per determinare x e y si comincia verificando
al primo passo se m 1 = (l foJ + 1) 2 - n è un quadrato. In caso contrario si
prosegue, verificando al passo i-esimo se mi = (l foJ +i? -n è un quadrato.
Il Lemma 5 .11.4 assicura che, dopo al più n - l fo J passi, questo algoritmo
consente di determinare un intero positivo i tale che mi è un quadrato. Posto allora
x= l foJ +i e y = Jx 2 - n risulta n= x 2 - y 2 . Pertanto n= (x- y)(x + y)
è la fattorizzazione richiesta.

5.11.5. Esempio. Per fattorizzare n = 462 utilizzando il metodo di Fermat, si


osservi innanzi tutto che 462 = 2 · 231. Inoltre l J23IJ = 15, e m 1 = 16 2 -231 =
25 è un quadrato. Pertanto x= 16, y = 5, e 231 = (16- 5)(16 + 5) = 11 · 21.
Siccome 21 = 3 · 7, in definitiva 462 = 2 · 3 · 7 · 11 è la fattorizzazione richiesta.

5.11.6. Esempio. Per fattorizzare n = 860 utilizzando il metodo di Fermat, si


osservi innanzitutto che 860 = 2 · 2 · 215. Risulta poi l J215J = 14, e si ha:

m1 = 15 2 - 215 = 10 non è un quadrato;


2
m2 = 16 - 215 = 41 non è un quadrato;
2
m3 = 17 - 215 = 74 non è un quadrato;
2
m4 = 18 - 215 = 109 non è un quadrato;
2
ms = 19 - 215 = 146 non è un quadrato;
2
m5 = 20 - 215 = 185 non è un quadrato;
2
m7 = 21 - 215 = 226 non è un quadrato;
2
m 8 = 22 - 215 = 269 non è un quadrato;
m 9 = 23 2 - 215 = 314 non è un quadrato;
2 2
mw = 24 -215 = 361 = 19 .

Pertanto x = 24, y = 19, e 215 = (24- 19)(24 + 19) = 5 · 43 è già prodotto di


primi. In definitiva 860 = 2 · 2 · 5 · 43 è la fattorizzazione richiesta.

Il metodo p- 1 di Pollard
Si consideri un numero naturale n > 2 e si fissi un numero naturale a tale che
l < a < n e MCD( a, n) = l. Si costruisca una sequenza a1 , a2 , ... , ai, ... di
numeri naturali ponendo:

a1 :=a, a2 := rest(ai,n), ... ' ai := rest(aL 1, n),


212 Capitolo 5

Per ogni i E N si ha allora O ::; ai < n e ai = ai! (mod n) , in quanto a2 = ai


(mod n), a3 ::==:a~ ::==: ar· 3 (mod n) e così via. Per ogni i E N si ponga poi:
bi :=MCD( ai - l, n).
Ovviamente, non appena si ha bi -::1 l, si è individuato un divisore d di n, con
d -::11. Il metodo è efficace, come mostra la seguente:

5.11.7. Sia n un numero naturale, n > 2, e sia a > l tale che MCD( a, n) = l.
Se p è un primo divisore di n e p - l divide c!, con c E N, allora p divide
MCD(é1 - l n).

Dimostrazione. Da p divisore di n e da (a , n) = l segue che (a , p) = l, sicché,


per il teorema di Fermat-Eulero, si ha ap-l = l (mod p). L'ipotesi p - l divisore
di c! comporta allora ac! = l (mod p), sicché p divide é 1 - l, come volevasi. D

Si osservi che se p divide MCD(ac! -l , n), allora si ha anche p divisore di ac-l,


per le proprietà degli ai, e dunque p divide be. È opportuno rilevare che, perché
p-1 divida c!, con c naturale positivo, è sufficiente che, considerato un qualunque
primo q che divide p -l e detta qa la massima potenza di q che divide p -l, risulti
c 2 qa . Per esempio, per p = 25-21, si ha p- l = 2520 = 23 · 32 · 5 · 7 sicché
p- l divide 9!. Si noti anche che, messa in evidenza la massima potenza di 2 che
divide n, si ha n = 21m, con MCD( m , 2) = l, ed è conveniente scegliere a= 2.
5.11.8. Esempio. Si consideri n = 3094. Ovviamente n è divisibile per 2 e si
ha n = 2 · 1547, con MCD(2 , 1547) = l. Posto m = 1547 si scelga a = 2.
Allora a1 = a = 2 e b1 = l, a2 = rest(2 2,m) = 4 e b2 = (3 , m) = l,
a3 = rest(4 3 ,m) = rest(64, m) = 64 e b3 = (63 , m) = 7. Pet1anto 7 divide m
e si ha infatti 1547 = 7 · 221 = 7 · 13 · 17. Dunque 3094 = 2 · 7 · 13 · 17.
5.11.9. Esempio. Si consideri n = 5746. Ovviamente n è divisibile per 2 e
si ha n = 2 · 2873, con (2873, 2) = l. Posto m = 2873, si scelga a = 2.
Allora a1 = a = 2 e b1 = l, a2 = rest(2 2, m) = 4 e b2 = (3 , m) = l,
a3 = rest(4 3 ,m) = rest(64,m) = 64 e b3 = (63 , m) =l, a4 = rest(64 4 , m).
=
Per determinare tale numero, si osservi che 64 2 = 4096 1223 (mod m), 643 =
1223 · 64 = 78272 = 701 (mod m), 644 = 701 · 64 = 44864 = 1769 (mod m)
e si ha b4 = (1768, m) = 221. Pertanto 221 = 13 · 17 è un divisore di m e si ha
m= 221 · 13 = 13 · 13 · 17. Dunque 5746 = 2 · 13 · 13 · 17.
5.11.10. Esempio. Si consideri n = 2444. Ovviamente n è divisibile per 2
e si ha n = 22 · 611 con (611 , 2) = l. Posto m = 611 , si scelga a = 2.
Allora a1 = a = 2 e b1 = l, a2 = rest(2 2, m) = 4, e b2 = (3 , m) = l,
a3 = rest(4 3 , m) = rest(64, m) = 64 e b3 = (63 , m) = l, a4 = rest(644 ,m).
=
Per determinare tale numero si osservi che 64 2 = 4096 430 (mod m), 643 =
430 · 64 = 27520 = 25 (mod m) , 644 = 25 · 64 = 1600 =
378 (mod m) e si
ha b4 = (377, m) = 13. Pertanto 13 divide 611 e riesce 611 = 13 · 47, con 47
numero primo. Dunque 2444 = 2 · 2 · 13 · 47.
Elementi di aritmetica 213

Esercizi
Esercizio 5.11.1. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il
metodo di Fermat, il numero intero n= 548.

Esercizio 5.11.2. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il


metodo di Fermat, il numero intero n = 814.

Esercizio 5.11.3. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il


metodo di Fermat, il numero intero n = 146.

Esercizio 5.11.4. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il


metodo di Fermat, il numero intero n = 82'l!.

Esercizio 5.11.5. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il


metodo di Fermat, il numero intero n = 999.

Esercizio 5.11.6. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo "standard" e poi il


metodo di Fermat, il numero intero n = 2205.

Esercizio 5.11.7. Si fattorizzi, utilizzando prima il metodo di Fermat e poi il


metodo p - l di Pollard, il numero intero n = 10961.

Esercizio 5.11.8. Si fattorizzi, utilizzando il metodo p - l di Pollard, il numero


intero n = 12871.

5.12 Esercizi di riepilogo


Esercizio 5.12.1. Si determinino le seguenti rappresentazioni:

(401)10 = ( ... )2, (120101)3 =( ... ho,


(491)10 = ( ... )6, (100110100)2 = ( ... ho,
(539)10 = ( ... )4, (2043l)s = ( ... ho,
(329)10 = ( . .. )2; (319)10 = ( . .. )3,
(1420)6 =( ... ho, (100011100)2 = ( ... ho,
(13201)4 =( ... ho, (2164)10 = ( ... )s.

Esercizio 5.12.2. Si verifichi, utilizzando il crivello di Eratostene e criteri di divi-


sibilità (quando possibile), che i seguenti numeri sono primi: 149, 167, 173, 179,
191.

Esercizio 5.12.3. Si determinino tutte le soluzioni delle seguenti equazioni con-


gruenziali: 25x = 24 (mod 16), 20x = 30 (mod 26), 33x = 24 (mod 12).
214 Capitolo 5

Esercizio 5.12.4. Con x E N0 , si indichi con rest(x , 3) il resto della divisione di


x per 3. Si considerino poi in No le relazioni binarie definite da:
x R1 y: ~ rest(x , 3) = rest(y , 3),
x R 2 y: ~ x= y oppure rest(x, 3) < rest(y, 3).
Si precisi se le seguenti affermazioni sono esatte:

e se è vero che:

Si provi che R1 è una relazione d'equivalenza in No e che R2 è una relazione


d'ordine in No.
Esercizio 5.12.5. Si descrivano gli interi a tali che simultaneamente si abbia
rest(a , 19) = 16, rest(a, 20) = 17, e se ne determini l'unico compreso tra 1000
e 1500.

Esercizio 5.12.6. Si determini l 'unico numero naturale a compreso tra 103 e 600
tale che simultaneamente si abbia: a =
4 (mod 9), a =
5 (mod 8), a 3 =
(mod 7).
Esercizio 5.12.7. Considerati l 'anello (Z6, + , ·)e l'intero positivo t, si dimostri
che la parte tZ6 = {t[z]6: [z]6 E Z5 } = {[tz]6: z E Z} è stabile. Si determini
poi (2Z6 , +, ·) e se ne studino le proprietà.
Esercizio 5.12.8. Si verifichi che le seguenti sono applicazioni di Z5 in Z15, se
ne studi l'iniettività e la suriettività, si stabilisca infine se sono omomorfismi di
(Z5, + , ·)in (Z15 , + , ·):

f: [z]5 E Z5 1-------7 [Oh5 E Z15 ;


g: [z]5 E Z5 1-------7 [1h5 E Z15;
h: [z]5 E Z5 1-------7 [3 zh5 E Z15;
k: [z]5 E Z5 i-------7 [6zh5 E Z15·
Esercizio 5.12.9. Si consideri, nell'insieme Z5, l'operazione interna * definita
ponendo, con [x]5 , [y] 5 E Z5 :
[x] 5 * [y] 5 := [x+ y + 3]5.
Si verifichi che tale posizione ha senso, e si studi la struttura (Z5, *), scrivendone
anche una tavola di moltiplicazione. Si dimostri che la posizione

definisce un'applicazione e che tale applicazione è biettiva, se ne determini l 'in-


versa, e si provi che f è un omomorfismo di (Z5, +) in (Z5, *).
6
Alcune strutture algebriche notevoli

In questo capitolo sarà approfondito lo studio di alcune delle strutture introdotte


nel Capitolo 4.

6.1 Semigruppi
Sia S un insieme dotato di un'operazione interna associativa, denotata come al
solito con ·; allora la struttura algebrica semplice (S, ·) è un sernigruppo. Oltre
agli esempi notevoli già considerati nel Capitolo 4, molto interessante risulta il
seguente:
6.1.1. Esempio. Sia A un insieme, detto alfabeto, si consideri l'insieme A+
costituito dalle sequenze w = a1 ... an, con n 2: l e a1 , ... , an E A, e si ponga
a1 ... an = a~ ... a~ se e solo se n = m e a1 = a~, ... , an = a;1 • Una siffatta
sequenza è detta una parola sull'alfabeto A e l'intero n è detto la lunghezza della
parola w. Si scrive l( w) =n o anche lwl =n.
Nell'insieme A+ si introduce l'operazione di "concatenazione" o "giustap-
posizione" ponendo

al ... an. h ... bs :=al ... anbl ... bs.


È immediato verificare che tale operazione è associativa e che, con w, w' E A+,
si ha l(w ·w') = l(w) + l(w'). La struttura (A+,·) è detta il semigruppo delle
parole sull'alfabeto A.
Si noti che, identificati gli elementi di A con le relative parole di lunghezza l,
si ha A ç A+.
Sia (S, ·)un sernigruppo. Una parte T di S è detta un sottosemigruppo se è una
parte stabile di S e la struttura indotta (T, ·) è un sernigruppo. Per la (i) di 4.2.2
si ha ovviamente che T è un sottosernigruppo di S se e solo se è una parte stabile
di S.
6.1.2. Esempi. Se 0 sono sempre sottosernigruppi di (S, ·). Np è un sottoserni-
gruppo di (N,+), Nd non lo è.
Per ogni intero t, t'Il è un sottosernigruppo sia di ('Il,+) che di ('Il, ·).
216 Capitolo 6

Quanto provato nel Capitolo 4 assicura che, considerato un semigruppo (S, ·),
l'intersezione di una famiglia di suoi sottosemigruppi è un sottosemigruppo, e
che, se X è una parte di S, resta definito il sottosemigruppo generato da X,
coincidente con X. Pertanto 0 = 0, X= {x l ... Xn: n E N, x1, ... , Xn E X},
e se X= {x}, allora {x}= {xn: n E N}.

6.1.3. Esempi. In (N,+) si ha {l} =N, {2} = Np, {2, 3} =N\ {l}.
Se A è un alfabeto, come nell'Esempio 6.1.1, allora A+ =A.
Sia (S, ·)un semigruppo. Una parte X di S è detta una base diSse S =X e da
Xl ... Xn-- r'l, x1, ... , Xn, x.l1, ... , Xl171 E X , segue
x l1 ... Xl171 , con n, m E"''
l l
n= 1n , Xl = Xl , ... , Xn = X n. (6.1.1)
Un semigruppo (S, ·)è detto libero (e di base X) se ammette una base (e X ne è
una base).
6.1.4. Esempi. Ovviamente il semigruppo vuoto è libero di base l'insieme 0.
(N,+) è libero di base {l}.
Il sernigruppo delle parole A+ sull'alfabeto A è libero di base A.
Per la (6.1.1 ), il sottoinsieme { 2, 3} non è una base di (N\ {l} , +), in quanto
6 = 2 + 2 + 2 = 3 + 3 o anche 5 = 2 + 3 = 3 + 2.
Se (S, ·) è un semigruppo commutativo non vuoto, libero di base X, allora ne-
cessariamente lXI = l, in quanto, supposto per assurdo lXI > l , e considerati
x, y E X con x f:. y, si ha xy = yx, contro la (6.1.1). Si osservi inoltre che, se
X è una base non vuota di un sernigruppo libero S, allora S è infinito, in quanto,
supposto x E X, la (6.1.1) assicura che xn f:. x 171 , per ogni n, m E N con n f:. m.
6.1.5. Esempi. (N\ {l} ,+) non è libero, poiché nessun singleton genera N\ {l},
e nessun X ç N\ {1}, con lXI > l soddisfa la (6.1.1).
Ogni sernigruppo finito non vuoto non è libero.
Per i sernigruppi liberi sussiste la notevole:

6.1.6. Proprietà universale dei semigruppi liberi. Sia (S, ·) un semigruppo


libero di base X e si denoti con i l'immersione di X in S. Per ogni semigruppo
(T, ·) e per ogni applicazione f : X ---t T esiste uno e un sol omomorfismo
<p : S ---t T tale che <p o i = f, tale cioè che la restrizione di <p a X coincida
con f.

Dimostrazione. L'asserto è ovvio se X è vuoto. Sia X f:. 0. Ogni elemento s


di S si scrive, e in unico modo, nella forma s = x1 ... Xn, con n 2: l e con
x1, ... , Xn E X. Ha allora senso definire rp(s) := j( x1) ... f( xn), ed è imme-
diato verificare che l'applicazione <p : S ---t T è un omomorfismo che gode della
proprietà richiesta. Se poi 'ljJ : S ---t T è un omomorfismo con 'ljJ o i = f, allora
si ha '1/J(s) = '1/J (xl ... Xn) = '1/J(xl) . . . '1/J(xn) = ('1/J o i)(xl) ... ('1/J o i)(xn) =
f( xl) ... f(xn) = rp(s), per ogni s =Xl ... Xn E S. D
Alcune strutture a lgebriche notevoli 217

La precedente proprietà illustra il significato del termine "libero" usato per un


semigmppo S dotato di base X: per definire un omomorfismo di Sin un semi-
gmppo T , basta fissare "liberamente" le immagini di ogni x E X e utilizzare poi
la suddetta proprietà.
Conseguenza immediata di 6.1 .6 è il seguente:

6.1.7. Teorema. Sia (S, ·) un semigruppo libero di base X. Allora S è isomorfo


al semigruppo delle parole sull'alfabeto X.

Dimostrazione. Siano i l'immersione di X in S e j l'immersione di X in x+ .


Per la proprietà universale restano determinati omomorfismi <p : S -----+ x + e
'l/J : x+ -----+ S tali che c.p o i = j e 'l/J o j = i . Sempre utilizzando la prop1ietà
universale si verifica allora facilmente che <p o 'l/J = id x + e 'l/J o <p = ids, sicché <p
e 'l/J sono isomorfismi, l'uno l'inverso dell'altro (vedi anche 2.2.16). D

Sia (S , ·) un semigmppo. Col simbolo (S(l), ·) si denota il cosiddetto monoide


associato a S , definito da: (S(l), ·) = (S , ·)se S è unitario, S(l) =SU {l}, con
l oggetto non appartenente a S, e dove x · y in S(l) coincide con x · y in S se
x, y E S, e l · x = x· l = x, pei' ogni x E S(l), altrimenti. Si verifica subito che
S è un sottosemigmppo di (S(l) , ·). Si ha poi:

6.1.8. Sia ( S, ·) un semigruppo e sia V = (S(l), ·) il monoide associato a S.


Allora l'applicazione <p : s E S t-----t <p8 E vv, dove <p8 : x E V t-----t xs E V, è
un monomorfismo di (S, ·)in (Vv, ·).

Dimostrazione. Esercizio. D

Esercizi
Esercizio 6.1.1. Sia (S, ·) un semigruppo e si consideri in P(S) la seguente ope-
razione: X · Y := { xy : x E X , y E Y}, con X , Y E P(S). Si provi che
(P(S) , ·)è un semigruppo.
Esercizio 6.1.2. Si provi che se (S , ·) è un semigruppo libero di base X e si ha
S = Y, con Y ç S, allora Y ::2 X . Se ne deduca che un semigruppo libero ha
un 'unica base.

Esercizio 6.1.3. Si verifichi che il semigruppo delle parole su A, con IAI = l, è


isomoifo al semigruppo libero (N, +).
Esercizio 6.1.4. Sia (A+ , ·) il semigruppo delle parole sull'alfabeto A. Si di-
mostri che l'applicazione l : w E A+ t-----t l (w) E N è un omomorfismo tra i
semigruppi (A+ , ·) e (N, +), suriettiva se e solo se A i- 0, iniettiva se e solo se
IAI =l.
218 Capitolo 6

Esercizio 6.1.5. Si provi che, per ogni m, t ~ O, tZm è un sottosemigruppo sia di


(Zm, +)che di (Zm, ·).
Esercizio 6.1.6. Si completi la dimostrazione di 6.1.7.

Esercizio 6.1.7. Si dimostri 6.1 .8.

6.2 Monoidi
Sia M un insieme dotato di un'operazione interna · associativa con elemento neu-
tro l, che talvolta è per comodità indicato con 1M. Allora la stmttura algebrica
semplice (M, ·) è un monoide.

6.2.1. Esempio. Come si è osservato nel paragrafo precedente, ogni sernigruppo


(S, ·)individua un monoide (S(ll, ·).In particolare, se A è un alfabeto, il semi-
gmppo A+ delle parole su A individua il monoide delle parole su A, denotato con
A*, e ottenuto "aggiungendo" ad A+ la sequenza vuota l, detta anche la parola
vuota su A.

È impot1ante sottolineare che, nello studio dei monoidi, il comportamento dell'u-


nità è "controllato". Per esempio, se (M, ·) è un monoide e N è un suo sottoinsie-
me, si dice che N è un sottomonoide di M se è stabile e N con la legge indotta è
un monoide avente la stessa unità di M.

6.2.2. Esempi. Ovviamente M è un sottomonoide di (M, ·), mentre non lo è


l'insieme vuoto.
La parte N non è un sottomonoide di (No ,+ ), perché O tt. N.
li sottoinsieme 4Z12 non è un sottomonoide di (Z12, ·), pur essendo stabile e
tale che (4Zl2, ·)è un monoide di unità [4]12, in quanto [lh2 tt. 4Zl2·
Con V insieme e X ç V, il sottoinsieme {0 , X} è un sottomonoide di
(P(V) , u), non di (P(V) , n) se X i- V.
Con la definizione appena data si ha facilmente che, se (M, ·) è un monoide,
l'intersezione di una famiglia non vuota di sottomonoidi di M è ancora un sot-
tomonoide di M. Si può dunque definire il sottomonoide [X ] generato da una
parte X di M come l'intersezione dei sottomonoidi di M contenenti X. Ancora
si prova agevolmente che:

6.2.3. Siano (M, ·) un monoide e X ç M. Allora: I<= [X] se e solo se:


(i) I< è un sottomonoide di M;
(ii) I<;;? X;
(iii) T sottomonoide di M, T ;;? X ===} T ;;? K.

Dimostrazione. Esercizio. o
Alcune strutture algebriche notevoli 219

6.2.4. Siano (M,·) un monoide e X ç M. Allora:


(i) se X= 0, si ha [X]= {l};
(ii) se X i= 0, silta [X]= { x1 ... Xn: n E No,x1, ... ,x11 E X}, doveper
n = Osi pone x1 ... Xn = l.
fnparticolaresiha [x]:= [{x}]= { x 11 : n E No}, perogni x E .M.

Dimostrazione. Esercizio. D
6.2.5. Esempi. Con A alfabeto si ha A*= [A].
In (No,+) si ha [2] = 2No, in (Z12,·) si ha [4Zl2] = 4Z 12 U {[lh2} .
Attenzione va posta anche nella definizione di omomorfismo tra monoidi. Se
(M,·) e (N, ·) sono monoidi, un'applicazione f : M -----+ N è detta un omo-
mor.fismo (di monoidi) se f(xy) = f( x) f(y) , per ogni x, y E M, e inoltre
f(lM) = lN.
Si noti quindi che, se (M,·) e (N,·) sono monoidi, un omomorfismo di mo-
noidi f : M -----+ N è sempre un omomorfismo tra i sernigruppi (M,·) e (N,·),
ma non vale il viceversa.
6.2.6. Esempi. L'applicazione g : x E No f--------7 O E No è un endomorfismo del
semigruppo (N 0 , ·),ma non è un omomorfismo del monoide (No,·) in sé.
Con m intero, l'applicazione h : x E Z -----+ [x ]m E Zm è un omomorfismo
tra i monoidi (Z, ·)e (Z711 , ·).
Anche per i monoidi sussiste il concetto di base di un monoide e di monoide
libero. Una parte X di un monoide (M,·) è detta una base di M se M = [X] e
se da Xl ... Xn = x l1 ... X 711
l 1M l l
, con n, m E l'l O, x1, ... , x 11 , x , .. . , x 711 E
X , segue
1

n=m, (6.2.1)

dove ancora, per n= O, si pone x 1 .. . Xn = l. Un monoide (M,·) è detto libero


(e di base X) se ammette una base (e X ne è una base).
6.2.7. Esempi. ({l} , ·) è libero di base 0. (No,+) è libero di base {l}.
(A* , ·) è libero di base A.
Ancora sussistono la proprietà universale e un risultato analogo a 6.1.7 (vedi
Esercizio 6.2.3 e Esercizio 6.2.5).

Esercizi
Esercizio 6.2.1. Si dimostri 6.2.3.
Esercizio 6.2.2. Si dimostri 6.2.4.
Esercizio 6.2.3. Si enunci e si dimostri per i monoidi liberi una proprietà univer-
sale analoga a 6.1.6.
220 Capitolo 6

Esercizio 6.2.4. Si provi che se (M, ·) è un monoide libero di base X e si ha


M = [Y], con Y ç M, allora Y :2 X. Se ne deduca che un monoide libero ha
un 'unica base.
Esercizio 6.2.5. Sia (M, ·) un monoide libero di base X. Allora M è isomoifo al
monoide delle parole sull'alfabeto X.

6.3 Gruppi
Come già definito nel Capitolo 4, un gruppo (G, ·) è un monoide in cui tutti gli
elementi sono dotati di inverso. Nel seguito talvolta si indicherà un tale gruppo
semplicemente col simbolo G.
Si osservi che in un gruppo ogni elemento è regolare in quanto simmetrizza-
bile (vedi 4.1.15).
Nel gruppo (G, ·) ha senso considerare le potenze x n di ogni elemento x E G,
per ogni n E Z, e valgono le note proprietà (4.1.3) e (4.1.4) e, se· è commutativa,
anche (4.1.5). Ovviamente, se si utilizza la notazione additiva, in (G, +)si pos-
sono considerare i multipli nx, al variare di x in G e di n in Z e ancora valgono le
usuali proprietà (4.1.1) e (4.1.2) e, se+ è commutativa, anche (4.1.5).
Un gruppo commutativo è detto anche gruppo abeliano, dal nome del mate-
matico norvegese Abel.
6.3.1. Esempi. Sono gruppi abeliani: (Z, + ), (Zm, +)con m intero 2: O, (Q, +),
(IR, + ), (C, +), (P(V), U) con V insieme, e, per la 4.2.3, ({-l , l} , ·) , (z:n, ·),
(Q\ {0} , ·) , (IR \ {0} , ·) , (C\ {0} , ·).
Se V è un insieme non vuoto, il gruppo U'i>v, ·) definito in 4.2.4 è non abeliano
se e solo se lVI > 2.
Se (G, ·) e (H,·) sono gruppi (abeliani), la struttura prodotto (G x H , ·)
definita nel Paragrafo 4.1 è l!n gruppo (abeliano).
Sia (G, ·)un gruppo. Una parte H di G è detta un sottogruppo di G , e si scrive
H ::; G , se è stabile e la struttura indotta (H, ·) è un gruppo. Ovviamente riesce
sempre {l} ~ G e G ~ G, e questi sono detti i sottogruppi banali di G.
Le seguenti caratterizzazioni dei sottogruppi sono notevoli.

6.3.2. Siano (G, ·)un gruppo e H un sottoinsieme di G. Si ha H~ G se e solo


se valgono le seguenti proprietà:
(i) H è stabile,
(ii) la E H,
(iii) x- 1 E H, per ogni x E H.

Dimostrazione. Ovviamente, se gode delle tre proprietà suddette, H è un sotto-


gruppo di G (vedi 4.2.2). Viceversa, se H è un sottogruppo, è soddisfatta la (i).
Da (H,· ) gruppo segue che esiste l'unità l H in H e risulta lJ-I l H = l H = l H le,
da cui, per la cancellabilità, lH = l a . Infine, se x E H e x' è l'inverso di x in
Alcune strutture algebriche notevoli 221

H , si ha xx' = l H = l a = xx- 1 , e, ancora per la cancellabilità di x, segue che


x- 1 =x' E H. D

6.3.3. Siano (G, ·) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G. Allora H ::; G


se e solo se x- 1 y E H , per ogni x, y E H .

Dimostrazione. Se H è un sottogruppo di G e x, y sono elementi di H , si ha


x- 1 E H per la (iii) di 6.3.2 e poi x- 1 y E H per la (i) di 6.3.2.
Viceversa, da H i= 0 segue che esiste z E H e dunque l = z- 1 z E H per le
ipotesi. Per ogni h E H si ha poi h , l E H e dunque h - 1 = h- 1 1 E H. Infine,
supposto x, y E H , si ha x- 1 E H per quanto appena osservato, e di conseguenza
xy = (x- 1 ) - 1 y E H . D

In maniera analoga si prova:

6.3.4. Siano (G, ·) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G. Allora H ::; G


se e solo se x y - l E H , p er ogni x, y E H.

Se si utilizza la notazione additiva per l' operazione del gruppo G, le 6.3.2, 6.3.3,
6.3.4 diventano: ·

6.3.5. Siano (G , +) un gruppo e H un sottoinsieme di G. Si ha H ::; G se e solo


se valgono le seguenti proprietà:
(i) H è stabile,
(ii) Oa E H,
(iii) -x E H, per ogni x E H.

6.3.6. Siano (G , +) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G. Allora


H ::; G se e solo se - x + y E H , per ogni x, y E H.

6.3.7. Siano (G, +) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G. Allora


H::; G se e solo se x + ( - y) E H , per ogni x, y E H.

6.3.8. Esempi. Z è un sottogruppo di (Q, +) , No non è un sottogruppo di (Z, + ),


mZ, per ogni m 2: O, è un sottogruppo di (Z, +), {l , - l} è un sottogruppo di
(Q \ {0} , ·), {0, 3} e {0, 2, 4} sono sottogruppi di (&:.6 , +).
È facile individuare in un gruppo gli eventuali sottogruppi di ordine 2. Si ha
infatti:

6.3.9. Se (G , ·)è un gruppo e x E G \ {l}, il sottoinsieme {l, x} è un sottogruppo


di G se e solo se x = x- 1 .
222 Capitolo 6

Dimostrazione. Esercizio. D

Esiste un'efficace descrizione dei sottogruppi di (Z, + ):

6.3.10. Sia H un sottoinsieme di Z. Allora H è un sottogruppo di Z se e solo se


esiste (un unico) m ;::: O tale che H = mZ.

Dimostrazione. Esercizio. D

Utilizzando la 6.3.2 si prova facilmente che l'intersezione di una famiglia non


vuota di sottogruppi di un gruppo è ancora un sottogruppo. Ciò permette di de-
finire come sottogruppo generato dalla parte X del gruppo (G , ·) l' intersezione
della famiglia dei sottogruppi di G che contengono X. Tale sottogruppo viene
denotato con (X) e si osserva facilmente che:

6.3.11. Siano (G, ·)un gruppo e X ç G. Si ha J( = (X) se e solo se valgono le


seguenti p roprietà:
(i) K:::; G,
(ii) K 2 X,
(iii) H:::; C, H 2 X====? H 2 K.

Dimostrazione. Esercizio. D

Tale proposizione permette di ottenere la descrizione seguente:

6.3.12. Siano (C,·) un gruppo e X un sottoinsieme di G. Si ha:


(i) se X= 0, allora (X) = {l};
(ii) se X "::/: 0 allora (X)= {xl . . . Xt : t E N, xl,·· . . ,Xt E X UX- 1 }, dove
x- 1 ={x- 1 : xEX}.

Dimostrazione. Esercizio. D
In particolare si ha:

6.3.13. Siano (C, ·) un gruppo e x E G. Si ha:

6.3.14. Esempi. In (Z, +)si ha (1) = (-1 ) = Z, più in generale (t)= (-t)=
t Z , per ogni t ;::: O.
In (Zm, +)si ha (I) = Zm = (m- 1). In (Z12, + ), (4, 6) = 2Z l2·

Un gruppo G è detto ciclico se esiste x E G tale che G = (x).


Alcune strutture algebriche notevoli 223

6.3.15. Esempi. I gruppi (Z, +) e (Zm , +) per ogni m 2:: Osono gruppi ciclici. Si
proverà (vedi 6.3.26) che essi sono gli unici gruppi ciclici, a meno di isomorfìsrni.
ll gruppo (V4 , ·) dell 'Esercizio 6.3.3 non è ciclico, in quanto: (1) = {1},
(a)= {1 , a}, (b)= {1, b}, (c)= {1 , c}.
Si noti che un gruppo ciclico è abeliano a causa della (4.1.3), ma non sussiste il
viceversa, come prova il gruppo v4.
Siano (G, ·)e (I<, ·) gruppi. Si ricorda che un 'applicazione f : G ----> K è
detta un omomorfìsmo se per ogni x, y E G risulta f(xy) = j(x)f(y). Per gli
omomorfìsrni tra gruppi sussistono le seguenti interessanti proprietà:

6.3.16. Sia f: G-----> I< un omomorfismo tra i gruppi (G, ·)e (I<, ·). Allora:
(i) f(le) =li<;
(ii) f(x - 1 ) = f(x)- 1,perognix E G;
(iii) j(xn) = f(xt\ per ogni x E G e ogni n E Z;
(iv) da H :::; G segue f(H) :::; I<;
(v) daL:::; K segue j- 1 (L):::; G;
(vi) j((X)) = (f(X)),perogniX ç G .

Dimostrazione. (i) Si ha j(le)li< = j(le) = f(lele) = j(le)f(le), da cui,


per la cancellabilità, j(le) = lJ( .
(ii) Si ha f(x)f(x)- 1 = lg = j(le) = f(xx- 1 ) = f(x)f(x- 1 ), da cui,
sempre per la cancellabilità, f(x)- 1 = f(x- 1 ).
(iii), (v), (vi) Esercizio.
(iv) Supposto H :::; G, si ha lK = j(le) E j(H), e quindi j(H) i= 0 . Per
ogni a, b E f(H) si ha poi a = f(x), b = f(y), con x, y E H , e quindi anche
a- 1 b = f( x)- 1 f(y) = f(x- 1 y) E f(H) , poiché x- 1 y E H. O

6.3.17. Sia f: G----> I< un omomorfismo tra i gruppi (G, ·)e (I<,·). L'insieme

Ker f :={x E G: j(x) = li<}


è un sottogruppo di G, detto nucleo di f (e talvolta denotato anche con NJ).
Inoltre f è un monomorfismo se e solo se Ker f = {le}.

Dimostrazione. Per la (i) di 6.3.16 si ha l e E Ker f e dunque Ker f i= 0. Per


ogni x, y E Ker j, dalla (ii) di 6.3.16 segue poi f(x- 1 y) = f(x- 1 )f(y) =
f(x)- 1 j(y) = 1- 1 · l = l, sicché x- 1 y E Ker f. Pertanto Ker f :::; G.
Supposto f monomorfìsmo e x E Ker f, si ha f( x) = lK = j(le) e
dunque x = le. Viceversa, su~posto Ker f = {le} e j(x) = f(y), si ha
li< = f(x)f(y)- 1 = f(x)f(y- ) = f(xy- 1 ), sicché xy- 1 E Ker f e quindi
xy- 1 = le, da cui x = y. O
224 Capitolo 6

Sussiste un ' efficace descrizione delle congruenze di un gruppo, e più in generale


delle relazioni d'equivalenza compatibili da un lato, come ora si illustrerà.
Sia H un sottogruppo del gruppo (G, ·).Le posizioni:
x n~1 y : <===? x - 1 y E H ,
x n11 y: <===? xy- 1 E H ,
con x, y E G, definiscono relazioni d'equivalenza in G. Infatti, per esempio, da
le E H segue x- 1 x = l e E H e quindi x n~! X , per ogni x E G, sicché n~
è riflessiva. Da x n~y segue x- 1 y E H e quindi, per 4.1.11, anche y- 1 x =
(x- 1y)- 1 E H, sicché yn~x e dunque n~1 è simmetrica. Infine, supposto
x n~ y e y n~ Z, cioè x- 1 y, y - 1 z E H, si ha, per la stabilità di H, x-l z
(x- 1y)(y- 1 z) E H, il che assicura la transitività di n~.
È facile provare (vedi Esercizio 6.3.7) che, con x E G, si ha:
[x]n'H = {x h: h E H} ,
e
[x]n"H = {hx: h E H}.
Tali insiemi vengono denotati rispettivamente coi simboli x H e H x e detti il
laterale sinistro (destro) di H in G individuato da x . Pertanto:
x H = yH <===? x- 1 y E H,
1
H x = Hy <===? xy- E H.
Si noti che [l]n'H = {h: h E H}= H= [l]n", H
pertanto H è un laterale sinistro
(destro), e si ha:
x H = H <===? x E H ,
H x= H <===?xE H.
Sono ovviamente biettive le applicazioni
f :h E H ~---t xh E xH ,
g:h E H ~---t h x E H x,
e gli insiemi quoziente
Gjn~ = {x H: x E G},
G / n~ = {H x : x E G}
sono partizioni di G. In più risulta:

6.3.18. Con (G, ·) gruppo e H :S: G si ha che la posizione

cp(xH) := H x- 1 ,

per ogni x E G, definisce un'applicazione biettiva di G/ n~ in G/ n 'fi.


Alcune strutture algebriche notevoli 225

Dimostrazione. Con x, y E G si ha x H = yH se e solo se x- 1 y E H. Da


x- 1y = x- 1(y- 1)- 1 seguequindicheciòequivaleaHx- 1 = Hy- 1. Pertanto <p
è un'applicazione ed è iniettiva. Si ha poi Hy = H(y - 1)- 1 = <p(y - 1H) per ogni
y E G, sicché <p è anche suriettiva. D

Se G è finito e H :S G, si ha quindi lG l n~ l = lG l n'fi l e tale numero viene


detto l'indice di H in G e denotato col simbolo IG: Hl.
Per i gruppi finiti sussiste il seguente semplice ma importante risultato:

6.3.19. Teorema di Lagrange. Siano G un gruppo finito e H un suo sottogruppo.


Allora
IGI = IHI . IG: Hl.
Pertanto sia l'ordine di H che l'indice di H in G sono divisori dell'ordine di G.

Dimostrazione. Sia IG: Hl= t= IGi n~ 1- Si ha Gin~= {xl H , ... ,xtH} ,


e dall'essere G l n~ una partizione di G segue che G = x1 H ù . . . ù Xt H. Da
ciò, osservato che lxiHI = IHI per ogni i= l , ... , t a causa di 2.2.9, si ottiene

IGI = lx1HI + · · · + lxtHI = IHI + · · · + IHI = tiHI = IG : Hl· IHI,

come volevasi. D

Come semplice conseguenza del teorema di Lagrange si ottiene che un gruppo


di ordine primo ha come sottogruppi solo quelli banali. Pertanto un gruppo G di
ordine primo è sempre ciclico essendo (x) = G per ogni x E G \ {l}.
È immediato verificare che la relazione n~ è compatibile a sinistra col pro-
dotto di G, in quanto da x n~ y e a E G segue ax n~ ay, essendo (ax )- l ay =
x- 1a- 1ay = x- 1y. Analogamente si prova che n'fi è compatibile a destra col
prodotto di G. In più si ha:

6.3.20. Siano G un gruppo e n una relazione d'equivalenza in G. La relazione


n è compatibile a sinistra (a destra) col prodotto di G se e solo se esiste H :S G
tale che n= nH (rispettivamente n= n'fi).

Dimostrazione. Se n è compatibile a sinistra (destra) si verifica facilmente che


l'insieme H = [l]n è un sottogruppo di G: ovviamente l E H , da x, y E H
segue x n l , y n l, quindi xy n x l, cioè xy n x (rispettivamente x y n y) per la
compatibilità e x y n l per la proprietà transitiva, cioè x y E H, infine da x E H
segue x n l da cui x- 1x n x- 1 (risp. xx- l n x- l), quindi l n x-l, cioè x- 1 E
H.
Con x, y E G si ha poi x n~ y (dsp. x n'fi y) se e solo se x - 1 y E H= [l]n
(dsp. x y- 1 E H = [l]n), cioè x - 1y n1 (risp. x y- 1 n l), il che equivale per la
compatibilità a y n x (risp. x n y), cioè x n y. D
226 Capito lo 6

Un sottogruppo H di G è detto normale in G, e si scrive H :::) G se R~ = R'J.J .


In tal caso la relazione R I-i := R~ = R~1 è una congruenza. In più da 6.3.20
segue che:

6.3.21. Siano G un gruppo e R una relazione d'equivalenza in G. Allora R è


una congruenza se e solo se esiste H:::) G tale che R =RH.

6.3.22. Esempi. I sottogruppi banali sono normali in quanto R{ 1} = idc =


mi! mi m mi!
l'- {l} e 1'-G = 1'-t = 1'-G ·
Se G è un gruppo abeliano, si ha H :::) G, per ogni H :<:::: G, in quanto
x- 1 y E H equivale a yx- 1 E H. Un gruppo non abeliano può avere sottogruppi
non normali come prova l'Esercizio 6.3.24.

Siano G un gruppo e H :::) G. Si denoti con G /H l'insieme quoziente G l RH =


{x H : x E G}. La compatibilità di RH assicura che la posizione
x H · yH := (xy)H,

con x, y E G, definisce l'operazione quoziente in G l H. La struttura quozien-


te (G l H ,· ), come osservato nel Capitolo 4 (vedi 4.2. 10), è un gruppo, detto il
gruppo quoziente di G rispetto ad H.

6.3.23. Esempio. Considerati il gruppo (Z, +) e il suo sottogruppo H = mZ,


con m intero ~ O, si ha ovviamente (ZimZ, +) = (Zm, + ).

Un esempio notevole di sottogruppo normale è il nucleo di un omomorfismo,


come contenuto nel seguente:

6.3.24. Teorema di omomorfismo (nei gruppi). Siano G e K gruppi e sia


f :G ~K un omomorfismo. Allora si ha:
(i) Im f è un sottogruppo di K;
(ii) Ker f:::) G;
(iii) ha senso l'applicazione
g: xKer f E GIKer f ~ f(x) E Imf

ed è un isomorfismo tra i gruppi (G l Ker J, ·) e (Im J, ·).

Dimostrazione. La (i) segue dalla (iv ) di 6.3.16.


Si è già osservato che Ker f :S G. Siano ora x, y E G, si ha x R~er f y se
e solo se x- 1 y E Ker f, cioè se e solo se l = f( x- 1 y) = f( x)- 1 f(y). Ciò
equivale a f( x) = f(y) o anche a l = f(x)f(y)- 1 = f( xy- 1 ), il che significa
mll s· ' ' h mi m mll
X ' '-Ke r f y . l e COSl provato C e ' '-Ker j = ''-f = ' '-Ke r j.
La (iii) segue poi dalla (iii) del teorema di omomorfismo (vedi 4.3.7). D
Alcune strutture algebriche notevoli 227

Ogni sottogruppo normale è il nucleo di un omomorfismo. Precisamente si ha:

6.3.25. Siano G un gruppo e H ~ G. La proiezione canonica

1r : x EG f---t x H E G /H

è un epimorfismo tale che Ker 1r = H.

Dimostrazione. Ovviamente si ha 1r(x) = H se e solo se xH = H, cioè se e solo


se x E H. D

Si osservi anche che, se H= {1}, 1r è pure iniettiva, sicché risulta G ~ G/{1}.


Un'interessante applicazione del teorema di omomorfismo (vedi 6.3.24) è la
proposizione seguente:

6.3.26. Sia (G, ·)un gruppo ciclico, G =(x). Allora si ha:


(i) se G è infinito, G è isomoifo a (Z, +);
(ii) se G è finito di ordine m, G è isomorfo a (Zm, +).

Dimostrazione. L'applicazione f : n E Z f---t x n E G è un epimorfismo di


(Z,+) in (G,·), in quanto f(Z) = {f(n): n E Z} = {xn: n E Z} = G,
e, per ogni n, t E Z si ha f(n + t) = xn+t = xnxt = f(n)j(t). Pertanto
G ~ Z/ Ker f. Per la 6.3.10 esiste uno e un solo s 2: O tale che Ker f = sZ.
Quindi, se G è infinito, tale risulta Z/ sZ, sicché s = O e G ~ Z/OZ ~ Z. Se
invece G ha ordine m, riesce s =m e G ~ Zm . D

Da 6.3.26 e dalla (iii) del teorema di omomorfismo (vedi 6.3.24) si ottiene che se
G = (x) è infinito allora l'applicazione f : n E Z f---t xn E G è un isomorfismo,
e che se G = (x) ha ordine m allora l'applicazione g : [n]m E Zm f---t xn E G è
un isomorfismo. Se ne deducono facilmente le seguenti interessanti proprietà:

6.3.27. Sia (G, ·)un gruppo ciclico infinito, G =(x). Allora:


(i) x n = x m se e solo se n = m;
(ii) x n = l se e solo se n = O;
(iii) G = (x n) se e solo se n = l o n = -l;
(iv) H ::::; G se e solo se esiste m 2: O tale che H = (xm).

Dimostrazione. Esercizio. D

6.3.28. Sia (G, ·)un gruppo ciclico finito di ordine m, G = (x). Allora:
(i) xn = xt se e solo se n= t (mod m);
(ii) x n = l se e solo se m divide n; .
(iii) G = {l, x, . . . , x m-l} ed m è il minimo intero positivo i tale che xz = l.
228 Capitolo 6

Dimostrazione. Esercizio. D

Come immediata applicazione delle proprietà dei gruppi ciclici finiti si ha il se-
guente interessante risultato.

6.3.29. Sia G un gruppo finito. Allora xiGI = l, per ogni x E G.

Dimostrazione. Sia x E G. Per il teorema di Lagrange (vedi 6.3.19) si ha che (x)


è finito e l(x)l è un divisore di IGI. Pertanto il risultato segue da (ii) di 6.3.28. D
Come corollario si ritrova il teorema di Fermat-Eulero (vedi 5.6.3). Infatti da a
coprirne con m segue (vedi 5.5.12) che [a]m E U(Zm) = z;,., con IZ~1 1 = r.p(m).
Pertanto [l]m = [a]~(m) = [acp(m)]m e quindi acp(m) = l (mod m).

Esercizi
Esercizio 6.3.1. Sia G un gruppo, con IGI = 2, G = {l , a}. Si verifichi che la
tavola di moltiplicazione di G è la seguente:

e che G è isomorfo a (Z2, +).


Esercizio 6.3.2. Sia G un gruppo, con IGI = 3, G = {l, a, b}. Si verifichi che la
tavola di moltiplicazione di G è la seguente:
a b
l
l l a b
a a b l
b b l a
e che G è isomorfo a (Z3, +).
Esercizio 6.3.3. Sia V4 {l, a , b, c} strutturato con l'operazione · data dalla
seguente tavola:
a
l b c
l l a b c
a a l c b
b b c l a
c c b a l
Si verifichi che (V4 , ·) è un gruppo abeliano provando che l'applicazione <p defi-
nita ponendo r.p(l) = (0, 0), r.p(a) = (I, 0), r.p(b) = (0, I), r.p(c) = (I, I), è un
isomorfismo di (V4, ·) nella struttura prodotto (Z2 x Z2, +). Tale gruppo è detto
gruppo quadrinomio o gruppo di Klein.
Alcune strutture algebriche notevo li 229

Esercizio 6.3.4. Si verifichi che il gruppo (V4, ·) dell'Esercizio 6.3.3 non è iso-
mmfo al gruppo (Z4, +). Si dimostri poi che un gruppo (G, ·) di ordine 4 è
isomoifo a (Z4, +)o a (V4, ·).

Esercizio 6.3.5. Siano X e Y insiemi e sia <p :X - - - t Y un'applicazione biettiva.


Si provi che i gruppi simmetrici (§x,·) e (§y, ·) sono isomorfi.

Suggerimento. Si dimostri che l'applicazione 'ljJ definita nell ' Esercizio 3.4.1 è un
isomorfìsmo di gruppi.

Esercizio 6.3.6. Sia G un gruppo e siano H e K sottogruppi di G. Si provi che


H U K è un sottogruppo di G se e solo se H ç K o K ç H. Se ne deduca che
un gruppo non è mai unione di due suoi sottogruppi H , K =/= G.

Suggerimento. Supposto H U K S G, si sfrutti il fatto che H U K è stabile.

Esercizio 6.3.7. Siano G un gruppo e H ~ G. Si provi che, per ogni x E G,


[x]R'H = x H e [x]R"H = H x.

Esercizio 6.3.8. Siano G un gruppo e H S G. Si provi che sono equivalenti:


(i) H~ G;
(ii) x- 1 H x: = {x- 1 hx: h E H}= H, per ogni x E G;
(iii) x- 1 H x ç H, per ogni x E G;
(iv) x - 1 hx E H, per ogni x E G e h E H.

Esercizio 6.3.9. Sia (§3, ·) il gruppo delle permutazioni su X = {l, 2, 3}. Si


verifichi che gli elementi di §3 sono:

idx = (i ; n' a = (i ~ o' o; n'b=

c= Gi n. d= (~ ~ n. f = (; i ~) .
dove le applicazioni sono state rappresentate scrivendo nel primo rigo gli ele-
menti di X e, in corrispondenza, nel secondo rigo, le loro immagini.

Esercizio 6.3.10. Con le notazioni dell'Esercizio 6.3.9, si provi che la tavola di


moltiplicazione di (§3, ·)è la seguente:

l a b c d f
l l a b c d f
a a l f d c b
b b d l f a c
c c f d l b a
d d b c a f l
f f c a b l d
230 Capitolo 6

Esercizio 6.3.11. Si verifichi che, con le notazioni dell 'Esercizio 6.3. 9, i sotto-
gruppidelgruppo(§3,·)sono: {1}, {l , a}, {l , b}, {l ,c}, {l ,d, f}.

Esercizio 6.3.12. Si dimostri 6.3.9.

Esercizio 6.3.13. Siano G un gruppo e X ç G. Si provi che: (X - 1 )- 1 = X e


che (X) = (x- 1 ).

Esercizio 6.3.14. Si dimostri 6.3.10.

Esercizio 6.3.15. Sia m 2: l un intero e sia a E Z. Si provi che si ha Zm = (a)


se e solo se (a, m) = l.

Esercizio 6.3.16. Si consideri il gruppo (Z, +) e siano s, t E Z \ {0}. Si provi


che:
(i) sZ ç tz ~ tis;
(ii) sz = t z ~ s = ±t;
(iii) sZ n tZ = mZ, con m= mcm(s, t);
(iv) (s, t ) = dZ, con d = MCD(s, t).

Esercizio 6.3.17. Si provi 6.3.11.

Esercizio 6.3.18. Si provi 6.3.12.

Esercizio 6.3.19. Si provi che sottogruppi e quozienti di un gruppo ciclico sono


ciclici.

Esercizio 6.3.20. Sia (G, ·)un gruppo ciclico finito, di ordine m, G = (x). Si
provi che G = (xt) se e solo se (t , m) = l.

Suggerimento. Si utilizzino 6.3 .26 e l'Esercizio 6.3 .15.

Esercizio 6.3.21. Si dimostrino (iii), (v) e (vi) di 6.3.16.

Esercizio 6.3.22. Si dimostri 6.3.27.

Esercizio 6.3.23. Si dimostri 6.3.28.

Esercizio 6.3.24. Si provi che i sottogruppi di ordine 2 di §3 non sono normali in


§3,mentre lo è quello di ordine 3.

Esercizio 6.3.25. Si provi che un sottogruppo d'indice 2 in un gruppo G è sempre


normale in G.

Esercizio 6.3.26. Siano G un gruppo e H ~ G. Si provi che K' è un sottogruppo


di G l H se e solo se esiste J( s; G con J( 2 H tale che K' = J(l H.

Suggerimento. Supposto K' s; GjH, si ponga K = { x E G: x H E K'}.


Alcune strutture algebriche notevoli 231

Esercizio 6.3.27. Si considerino il gruppo (Q,+) dei numeri razionali, il suo


sottogruppo Z dei numeri interi e il gruppo quoziente (QjZ, + ). Si ponga
f :x EQ r--t 3x + Z E QjZ.
Si provi che:
(i) f è un epimorfismo di gruppi;
(ii) il nucleo Ker f di f è un sottogruppo di Q contenente Z;
(iii) il gruppo quoziente Ker f /Z ha ordine 3.
Esercizio 6.3.28. Nell'insieme G = Z x {1 , - l} si definisca un'operazione*
ponendo, per ogni (a, x), (b, y) E Z x {l , - l},
(a, x)* (b , y) := (a+ x b, xy).
(i) Si dimostri che (G , *) è un gruppo.
(ii) Si dimostri che la proiezione canonica 7f : (a, x) E G r - - t x E {l , - l} è
un omomorfismo del gruppo (G, *)nel gruppo ({l, -l},·).
(iii) Si dimostri che H = {(a, l) : a E Z} è un sotto gruppo normale di G.
(iv) Si calcoli l'indice IG: Hl.
Esercizio 6.3.29. Si considerino i gruppi (Z2, + ), (Z5, +) e il ·gruppo prodotto
G = (Z2 x z6, +).
(i) Si scrivano gli elementi di G.
(ii) Si provi che il sottoinsieme T = {(a , 2b) : a E Z2 , b E Z5 } è un sotto gruppo
di G e si determini la struttura del gruppo (T,+).
(iii) Posto H= ((0, 4)), si scrivano gli elementi di H.
(iv) Si studi il gruppo quoziente (G / H , +) determinandone la struttura e gli
elementi.

6.4 Gruppi di permutazioni


Si è già osservato che un esempio notevole di gmppo è il gmppo simmetrico
(§x, ·), dove X è un insieme, §x l'insieme delle permutazioni di X, e f ·g = go J,
per ogni f , g E §x .
Tale gruppo è di solito non abeliano (vedi 6.3.1); se X è finito e di ordine
n 2: l, è lecito assumere X = {l , . . . , n} e denotare §x col simbolo §n (vedi
Paragrafo 3.4) e si ha ISnl =n! (vedi 3.4.2) .
Come indicato nel paragrafo precedente, un elemento f E §n può essere
scritto nel seguente modo:

f =
l 2 . ..
( f(l) f(2) . . . f(n) ·
n) (6.4.1)

Si dice supporto di f, e si indica con supp(f), il sottoinsieme di X costituito


dagli elementi x E X non fissati da f , tali cioè che f (x) ::f. x . Per esempio,
.
supp(1dx) = 0, supp(h) = {1 ,3,4} con h= (l 2 3 4 5)
4 2 1 3 5 E §5.
232 Capito lo 6

Talvolta, se l'insieme X è ben precisato, l'identità di X viene denotata con


lx o solo con l, e, se f E §n è diversa dall'identità, nella scrittura di f introdotta
in (6.4.1) si omettono gli elementi non appartenenti al supporto. Per esempio, con
le notaz10m . l1 =
. . prece denti,. SI. scnve (l
3 4) ·
4 1 3
Sono di notevole interesse, tra le permutazioni, i cosiddetti cicli di lunghezza
k, con 2 :::; k :::; n. Una permutazione f E §n è detta un ciclo di lunghezza k,
o un k-ciclo, se esistono elementi i1, . .. , ik E X, a due a due distinti, tali che
supp(f) = {i1 , ... ,ik} ej(i1 ) = i2, ... ,j(ik-1) = ik,f(ik) = i1. Si scrive
allora anche:

Un ciclo di lunghezza 2 è anche detto una trasposizione .

6.4.1. Esempi. La permutazione h E §5 prima definita è un 3-ciclo e si può


scrivere h= (143). La permutazione v = (! ~ ~ i) non è un ciclo.

li termine ciclo è giustificato dalla seguente osservazione. Se f = (i 1 ... ik) e si


sc1ivono in senso orario i numeri i 1, ... , ik su una circonferenza e la si percone in
questo verso, allora l'immagine di ogni ij è il numero che compare subito dopo.
Dopo k passi si ritorna al punto di partenza. Ciò giustifica anche l'espressione
"f permuta ciclicamente i1, ... , ik" a volte usata per descrivere f. Risulta quindi
chiaro che f = (i1 i2 ... ik) può anche essere scritta come (i2i3 .. . ikil) o come
(i3i4 . . . ikil i2) e così via. Pertanto, come ciclo, f ammette k scritture distinte.

6.4.2. Esempio. La permutazione h = (143) E §5 può essere scritta come


h= (431) o come h= (314).

Si osservi che:

6.4.3. Sia f un k-ciclo di §n, f = (i1 ... ik). Allora si ha:

. !2(tl
f( ti.) = t2, · ) = '1.,3, ... ) fk-1( 7.1· ) = 2k,
. fk( '/,I
·) =ti.
.

Quindi supp(f) = {f 8 (i) : sE {l, .. . , k} }, per ogni i E supp(f).

Dimostrazione. Esercizio. D

Permutazioni j, g di §n sono dette disgiunte se supp(f) n supp(g) = 0. Si ha:

6.4.4. Siano j, g E §n. Se f e g sono disgiunte, allora f · g = g · f.

Dimostrazione. Esercizio. D
Alcune strutture algebriche notevoli 233

6.4.5. Esempi. L'unico elemento i- l di §2 è un 2-ciclo: §2 = {1 , (12)}. Gli


elementi i- l di §3 sono tutti cicli: infatti, con la notazione dell'Esercizio 6.3.9,
si ha §3 = {1 , a = (23) , b = (13) , c= (12) , d= (123) , f = (132)}. Come già
osservato, non tutti gli elementi i- l di § 4 sono cicli. Si noti però che la permu-
tazione v dell'Esempio 6.4.1 coincide col prodotto delle trasposizioni disgiunte
(14) e (23) .
Più in generale si ha:

6.4.6. Sia f una permutazione di §n, f i- l. Allora f è prodotto di cicli a due a


due disgiunti e la fattorizzazione è unica a meno dell'ordine dei fattori.

· Dimostrazione. Sia i E supp(f). Si ponga allora i 1 = i, i2 = f( i i), e così via.


Siccome X è finito e f i- l, esiste un minimo k1 , con 2 ::::; k1 ::::; n, tale che
f( ik1 ) = i 1. Si è quindi individuato il ciclo cr1 = (i l ... ik 1 ). Se supp(f) =
{i1, . .. , ik1 }, si ha f = cr1. Altrimenti si consideri j E supp(f) \ {i 1, . . . , ikJ·
Si ponga allora j 1 = j,]2 = J(j1) , ... , e sia k2 2: 2 il minimo intero ::::; n tale
che f (j k2 ) = Jl· Si è così ottenuto il ciclo cr2 = (]1 ... j k2 ) , disgiunto da cr1. Se
supp(f) = {i1, . .. , ikJU{jl, .. . , Jk 2 } , allora è f = cr1cr2 = cr2cr1 . Altrimenti si
continua il procedimento, ottenendo la richiesta decomposizione. L'unicità della
fattorizzazione segue facilmente da 6.4.3. D
6.4.7. Esempio. Siano

g= G~ ~ ! ~ ~) E § 6, g' = c :~ ~ ~ ~ ~ ~ ~) E § g.

Si ha: g = (125)(36), g' = (26)(37)(459).


Interessante è la seguente:

6.4.8. Sia n 2: 2. Ogni k-ciclo (2 ::::;; k ::::; n) di §n si decompone nel prodotto di


k - l trasposizioni. Ne segue che qualsiasi f E Sn è prodotto di trasposizioni.

Dimostrazione. Sia cr = ( i 1i2 . .. ik) E § n· È immediato verificare che si ha:


cr = (i 1i2)(i1i3 ) ... (i lik)· Banalmente f = (12)(12) se f = l. Se poi f è una
qualunque permutazione di § n \ {l}, basta utilizzare quanto provato insieme alla
6.4.6. D
6.4.9. Esempi. Con g = (125)(36) E § 6 , si ha g = (12)(15)(36) e anche
g = (12)(34)(15)(34)(36) = (12)(12)(12)(36)(15) = ....
Con h= (13786)(254) E Ss , si ha h= (13)(17)(18)(16)(25)(24).
Si noti che ovviamente la decomposizione in trasposizioni di un k-ciclo, e quindi
di una generica permutazione, non è unica e che le trasposizioni che compaiono
come fattori sono in generale non disgiunte se k > 2.
234 Capitolo 6

Si può provare che:

6.4.10. Sia n 2 2 e sia f E §n. con f = r1 ... r 8 = /-L l ... J-Lt. con s, t 2 l e
r1, . .. , r 8 , J-Ll. ... , J-Lt trasposizioni. Allora se t sono o entrambi pari o entrambi
dispari.

Ha quindi senso la definizione seguente. Una permutazione f E §n (n 2 2) è


detta pari se è prodotto di un numero pari di trasposizioni, dispari altrimenti. Si
definisce poi segnatura di f, e si denota con sign(f), il numero l se f è pari, il
numero - l altrimenti. In particolare, ovviamente, un k-ciclo è pari e dunque di
segnatura l se k è dispari, è dispari e dunque di segnatura -l, se k è pari. Si ha
poi:

6.4.11. L'applicazione e:f E Sn ~----+ sign(f) E {l , -l} è un epimorfismo di


(§n,·) in ({1, -l}, ·).

Dimostrazione. Esercizio. D

n nucleo dell'epimorfismo e è un sottogruppo normale di §n, denotato con An; il


gruppo (An, ·) è detto il gruppo alterno di grado n. Da §n/ An ~ {l, -l} segue
poi che
__ISnl _ n!
lÀ nl - 2 - 2 .
6.4.12. Esempio. Si ha: A2 = {1}, A. 3 = {1 , (123), (132)}. Gli elementi di A4
sono: l, (12)(34), (13)(24), (14)(23), (123), (132), (124), (142), (134), (143),
(234), (243).

Esercizi
Esercizio 6.4.1. Si dimostri 6.4.3.

Esercizio 6.4.2. Si dimostri 6.4.4.

Esercizio 6.4.3. Si dimostri 6.4.11.

Esercizio 6.4.4. Sia cr = ( i1 .. . ik) E § 71 , con n 2 2, 2 :::; k :::; n. Si provi che


cr- 1 = (ikik - 1 ... i2i1) = (i1ikik-l ... i2).

Esercizio 6.4.5. Supposto n 2 2, senza fare uso di 6.4.11 si verifichi che l'inversa
di una permutazione pari (dispari) è pari (rispettivamente dispari).

Esercizio 6.4.6. Si provi che An U { (12)f : f E An } =§n, per ogni n 2: 2.


Alcune strutture algebriche notevoli 235

Esercizio 6.4.7. Si considerino le seguenti permutazioni di §5 :

!I=
G
2 3 4
2 5 3 ~)) h= o 2 3 4
3 4 l ~))
h=
G
2 3 4
l 2 3 ~)) !4 =
G
2 3 4
4 2 3 n.
!5 =
G
2 3 4
4 3 2 n. o !6 =
2 3 4
l 2 5 ~))
h=G
2 3 4
2 3 4 n. G fs= 2 3 4
l 2 4 ~).
Si precisi se esse appartengono o no ad A5.
Esercizio 6.4.8. Di ciascuna delle seguenti permutazioni di §g si scriva la decom-
posizione in cicli disgiunti e si precisi la parità; si determini poi l'inversa e se ne
individui una decomposizione in trasposizioni:

f= G 2 3 4 5 6 7 8
4 7 6 3 8 5 2 ~) ) g= o 2 3 4 5 6 7 8
4 6· 7 2 9 l 5 ~).
6.5 Anelli, corpi e campi
Sia (R, +, ·) un anello, sia cioè l'insieme R dotato di due operazioni interne tali
che (R, +)è un gruppo abeliano, ·è associativa e distributiva rispetto alla somma.
Si ricordi che ( R, +, ·) è detto commutativo se · è commutativa, unitario se esiste
elemento neutro l rispetto a ·. L'anello unitario (R, +, ·) è poi un corpo se R ha
più di un elemento e ogni elemento diR\ {O} è invertibile; è un campo se è un
corpo commutativo.
6.5.1. Esempi. Oltre agli esempi già citati nel Capitolo 4, una classe interessante
di anelli commutativi unitari è quella degli (Zm, +, ·) , con m intero > O (vedi
5.5.3). In particolare si ha che Zm è un campo se e solo se m è un numero primo
(vedi 5.5.13).
Ogni gruppo abeliano (G, +) può essere strutturato ad anello mediante la
posizione xy :=O, per ogni x, y E G. Tale anello è ovviamente commutativo, ed
è unitario se e solo se ICI = l.
In analogia a quanto fatto nell' Esempio 4.1.19, per ogni m > O si costruisce
l'anello (M2(Zm), +, ·) . Ciò fornisce un ' ulteriore classe di anelli non commuta-
tivi; altri esempi sono descritti nel Capitolo 10.
Se (R, +, ·) e (S, +, ·) sono anelli, la struttura prodotto (R x S, +, ·) è un
anello, che risulta commutativo (rispettivamente unitario) se e solo se (R, +, ·) e
(S, +, ·) sono entrambi commutativi (risp. unitari).
Se (R, +, ·) è un anello, esiste in (R, +) elemento neutro Oe ogni elemento a E R
è dotato di opposto -a, sono definiti i multipli na, con n E Z e a E Re sussistono
236 Capitolo 6

le usuali proprietà (vedi (4.1.1), (4.1.2) e (4.1.5)). Con a, b E R si pone inoltre


a-b:= a+ (-b). Valgono le seguenti regole di calcolo:

6.5.2. Sia (R, +, ·) un anello. Allora, per ogni a, b, c E R, si ha:


(i) a0=0=0a;
(ii) ( -a)b =a( -b)= -(ab);
(iii) (a-b)c=ac-bc;
(iv) a(b- c)= ab- ac;
(v) (na)b =n( ab)= a(nb), per ogni n E Z;
(vi) (na)(mb) = nm(ab) = (ma)(nb), per ogni n, m E Z.

Dimostrazione. (i) Da O neutro per la somma e in particolare da O = O+ O segue,


per ogni a E R, O+ Oa = Oa = (O + O)a = Oa + Oa, per la proprietà distributiva
del prodotto rispetto alla somma, sicché O = Oa per la regolarità di Oa in (R, + );
analogamente si prova che aO = O.
(ii) Per ogni a, b E R, da O = a + (-a) e dalla (i) segue, sempre per la proprietà
distributiva, O = Ob = (a+ ( -a))b = ab+ ( -a) b, da cui ( -a)b = -(ab) ;
analogamente a( - b) =-(ab).
(iii) Si ha: (a- b)c = (a+ ( -b))c = ac + ( - b) e = ac + (-(be)) = ae- be.
(iv), (v), (vi) Esercizio. D

Dalla (i) di 6.5 .2 segue che, in un anello (R, +, ·),si ha ab= O se a= O o b = O.


ll viceversa, valido nell ' aritmetica elementare (vedi (1.2.11)), non è sempre vero,
per esempio in (Z6, +,·)si ha [2]6[3]6 = [0]6, con [2]6, [3]6 i= [0]6.
Si dice che in un anello ( R, +, ·) vale la legge di annullamento del prodotto
se, con a, b E R, si ha:

ab = O -<==> a = O o b = O.
Un anello commutativo in cui valga la legge di annullamento del prodotto è detto
un dominio d'integrità .
6.5.3. Esempi. (Z, +,·),(Q,+,·), (IR, + ,·),(C,+, ·) sono domini d' integrità, Z 6
non lo è.
Con V insieme, (P(V), ù, n) è un dominio d'integrità se e solo se lVI ::; l,
in quanto X n (V \ X) = 0 per ogni X E P(V).
In un corpo (R, +,·)vale la legge di annullamento del prodotto, in quanto, sup-
posto ab= O, con a, b E Re a i= O, si ha l'esistenza di a- 1 in R , e quindi, per la
o
(i) di 6.5.2, O= a- 1 = a- 1 (ab) = (a - 1 a)b = lb = b. Pertanto un campo è un
dominio d'integrità. Si noti che (Z, +, ·)è un dominio d' integrità unitario ma non
è un campo.
Sia (R, +, ·) un anello. Un elemento a E R è detto un divisore sinistro
(rispettivamente divisore destro) dello O se a i= O ed esiste b i= O tale che ab = O
(risp. ba = 0). L'elemento a è detto un divisore dello O se è divisore sinistro o
destro dello O.
Alcune strutture algebriche notevoli 237

Ovviamente ogni elemento di un anello è regolare rispetto alla somma in


quanto (R, +)è un gruppo. Si ha poi:

6.5.4. Sia (R, +,·)un anello, R #- {0}. Allora:


(i) Onon è regolare in (R, ·),
(ii) un elemento a E R \ {O} è regolare in ( R, ·) se e solo se non è un divisore
dello O.

Dimostrazione. La (i) discende da (i) di 6.5.2. Per la (ii) si osservi che, ovvia-
mente, se a è regolare, a non è un divisore dello O, per la (i) di 6.5.2. Viceversa
sia a non un divisore dello O, con a #- O. Supposto per esempio ab = ac, si ha
O= ab- ac = a(b- c), da cui b- c= O, cioè b =c. D

È immediato verificare che:

6.5.5. Sia (R , + ·)un anello. Allora sono equtvalenti:


(i) in R vale la legge di annullamento del prodotto;
(ii) in R non esistono divisori dello O;
(iii) R \ {O} è stabile per il prodotto.

Dimostrazione. Esercizio. D

Dai due risultati precedenti segue quindi che:

6.5.6. Un anello (R , +, ·) è un corpo se, e solo se, R \ {O} è stabile per il prodotto
e (R \ {0}, ·)è un gruppo.

Dimostrazione. Se (R, + , ·)è un corpo, ogni elemento x E R \{O} è simmetriz-


zabile e quindi regolare in (R , ·), sicché R \ {O} è stabile per ·. D

È importante sottolineare che sussiste il seguente notevole teorema, di cui si


omette la non elementare dimostrazione:

6.5.7. Teorema di Wedderburn. Ogni corpo finito è un campo.

Esistono invece corpi (infiniti) non commutativi, un primo esempio è il cosiddetto


corpo dei quaternioni reali che, per brevità, non viene qui descritto.
Sia (R, +, ·) un anello. Una parte H ç R è detta un sottoanello diR se è
stabile per+ e · e la struttura indotta (H,+, ·) è un anello.

6.5.8; Esempi. Qualunque sia l'anello R, {O} e R sono sottoanelli di (R, +, ·),
detti i sottoanelli banali.
L'anello (Z, +,·)è un sottoanello di (Q,+ , ·).
238 Capitolo 6

Dalla definizione segue subito che:

6.5.9. Sia (R , + , ·)un anello e sia H ç: R. Allora H è un sottoanello diR se e


solo se H è un sottogruppo di (R , +) stabile per il prodotto.

Dimostrazione. Esercizio. D
Da 6.3.5 si ottiene facilmente che:

6.5.10. Sia (R, + , ·)un anello e sia H ç: R. Allora H è un sottoanello diR se e


solo se valgono le seguenti proprietà:
(i) x +y E H,perognix , y E H;
(ii) O E H;
(iii) - x E H, per ogni x E H;
(iv) xyEH,perognix,yEH.

Dimostrazione. Esercizio. D

6.5.11. Sia (R , +, ·) un anello e sia H ç: R , H f. 0. Allora H è un sottoanello


diR se e solo valgono le seguenti proprietà:
(i) x- y E H, per ogni x , y E H;
(ii) xy E H, per ogni x , y E H.

Dimostrazione. Esercizio. D

6.5.12. Esempi. Per ogni m > O si ha che m Z è un sottoanello di (Z, +, ·).


Pertanto per la 6.5.9 e la 6.3.10 questi sono tutti e soli i sottoanelli di (Z, +, ·).
Con V insieme, in (P(V) , U, n) la parte {0, X} è un sottoanello per ogni
x ç: v.
n sottoinsieme

è un sottoanello di M2(1R); si noti che H è unitario e ha come unità la matrice

G~).
Da 6.5.9 segue subito che:

6.5.13. Sia (R , +,·)un anello e sia (Hi)iEI una famiglia non vuota di sottoanelli
di R Allora niEI Hi è un sottoanello di R
Alcune strutture algebriche notevoli 239

Ciò suggerisce, come al solito, di definire il sottoanello generato da una parte


X dell'anello (R , +, ·) come l' intersezione della famiglia dei sottoanelli di R
contenenti X. Tale sottoanello resta caratterizzato come l'unico sottoanello diR
contenente X e contenuto in ogni sottoanello di R contenente X.
Nello studio delle congruenze di un anello risulta essenziale il seguente con-
cetto. Sia (R, +,·) un anello e sia I ç R. L' insieme I è detto un ideale sinistro
(destro) di R se I è un sottogruppo di (R, +) e si ha ax E I (rispettivamente
xa E I) , per ogni a E R e x E I. L'insieme I è detto un ideale bilatero se è un
ideale sia destro che sinistro.
Ovviamente ogni ideale sinistro (destro) è un sottoanello, {O} e R sono ideali
bilateri di ( R, +, ·), detti gli ideali banali, e, se l'anello è commutativo, ogni
ideale sinistro o destro è bilatero. Da 6.3.7 segue subito che:

6.5.14. Sia I una parte non vuota di un anello (R, +, ·). Allora I è un ideale
sinistro (destro) di R se e solo se valgono le seguenti proprietà:
(i) x- y E I, per ogni x, y E I,
(ii) ax E I (rispettivamente xa E I), per ogni a E Re x E I .

Dimostrazione. Esercizio. D
Si noti che:

6.5.15. Sia (R , +, ·) un anello unitario. Allora:


(i) se I è un ideale sinistro (destro) di R tale che l E I, allora I = R;
(ii) se I è un ideale sinistro (destro) diR cui appartiene un elemento invertibile
dell 'anello, allora I = R;
(iii) se R è un campo, allora gli unici ideali sono quelli banali.

Dimostrazione. Esercizio. D
6.5.16. Esempi. Tutti e soli gli ideali di (Z, +, ·) sono i sottoinsiemi mZ, con
m20.
Con V insieme {0, X} è un ideale di (P(V) , U, n) se e solo se lXI :::;: l. Si
noti che, se lXI > l, {0, X} è un sottoanello ma non un ideale di P(V).
L'insieme

è un ideale sinistro, non destro di (M2(IR), +,·);l'insieme

è un ideale destro, non sinistro di (M2(IR) , + , ·);l'insieme


240 Capitolo 6

è un sottoanello, non un ideale né sinistro né destro di (M2(IR), + , ·).

Sia (R, +, ·)un anello. Da 6.3.21 segue che tutte e sole le congruenze di (R , +)
sono le relazioni RH = R~ = R'i.J , con H sottogruppo di (R , +),dove si ricorda
che x RH y : {:::::::::} x- y E H e [x]nH = {x+ h : h E H} =x+ H, per ogni
x, y E R. Sussiste il seguente notevole risultato:

6.5.17. Siano (R, +, ·) un anello e H un sottogruppo di (R , +). Allora RH è


compatibile a sinistra (a destra) col prodotto se e solo se H è un ideale sini-
stro (rispettivamente destro) di R. Pertanto tutte e sole le congruenze dell 'anello
(R , + , ·)sono le relazioni RH con H ideale bilatero diR

Dimostrazione. Esercizio. D

Siano ora ( R , +, ·) un anello e I un ideale bilatero di R. Indicata ancora con I la


relazione R 1 , dalle 6.5.17 e 4.2.10 si ha che l'insieme quoziente

R j I = {x+ I : x E R} ,

strutturato con la somma e il prodotto quozienti, è anch'esso un anello, detto


l'anello quoziente diR rispetto a I.
6.5.18. Esempio. Con m ~ O l'anello quoziente di (Z, +,·)rispetto all'ideale
mZ coincide con l'anello (Zm, +,-).

Siano ora (R, +,·)e (S , +,·)anelli. Si ricorda che un ' applicazione f: R ---+ S
è detta un omomorfismo (di anelli) se, per ogni x, y E R, si ha

f( x + y) = f( x ) + f(y) ,
{ f( xy) = f( x )f(y).
6.5.19. Esempi. L'applicazione f : x E R 1------7 Os E S è un omomorfismo,
qualunque siano gli anelli Re S, detto l'omomorfismo nullo.
L' applicazione 1r : x E R 1------7 x+ I E R/ I , con R anello e I ideale bilatero
diR, è un epimorfismo, detto l'epimorfismo canonico di (R , +,·)in (R / I ,+, ·) .
L'applicazione i : x E H 1------7 x E R , con R anello e H sottoanello di R , è
un monomorfismo di (H , + ,·) in (R, +,·),detto l'immersione di H in R.

Un omomorfismo f : R ---+ Stra gli anelli (R , +, ·) e (S, +,·)è anche ovvia-


mente un omomorfismo tra i gruppi (R , +) e (S, +) e tra i semigruppi (R , ·) e
(S, ·).Pertanto si ha: f(OR) = Os, e, per ogni x E R , n E Z, t E N, riesce

f( -x) = - f( x), f(n x) = n f( x), f(xt) = f( xt


Ancora l'insieme Ker f = {x E R : f( x) = Os} è detto nucleo dell ' omomor-
fismo fesi ha: Ker f = {O} se e solo se f è un monomorfismo. Vale inoltre il
seguente:
Alcune strutture algebriche notevoli 241

6.5.20. Teorema di omomorfismo (negli anelli). Sia f : R ------7 S un omomorfi-


smo tra gli anelli (R, +,·)e (S, +,·).Allora:
(i) Im f è un sottoanello di S;
(ii) Ker f è un ideale bilatero di R;
(iii) l'anello quoziente (R/ Ker f, +,·)è isomorfo all'anello (Im J, +,·)e l'ap-
plicazione
g : x + Ker f E Rj Ker f ~ f (x) E Im f
è un isomorfismo di anelli.

Dimostrazione. La (i) segue subito da 6.3.24 e da (i) di 4.3.7.


Per la (ii) si osservi che ovviamente Ker f è un sottogruppo di (R, +).Si ha
poi f(ax) = f(a)f( x ) = f(a)O = O = Of(a) = f( x )f(a) = f(xa) , per ogni
x E Ker f e a E R.
La (iii) segue subito da 6.3.24 e da (iii) di 4.3 .7. O

Un concetto fondamentale relativo agli anelli unitari è quello di caratteristica. Sia


(R , + , ·) un anello unitario, di unità lR. La parte {nlR : n E Z} costituita
dai multipli di l R in R è un sottoanello di R , detto il sottoanello fondamentale
di R, e denotato con E. Si ha infatti che E coincide col sottogruppo generato
da lR in (R, + ), e inoltre per la 6.5.2 per ogni n , s E Z risulta (nlR)(slR) =
(ns) (lRlR) = ( ns) lR E E. L'anello R è detto di caratteristica O se E è infinito,
di caratteristica c > O se E è finito di ordine c. La caratteristica di R è dunque un
intero 2': O, ed è di solito denotata con car R o con char R.

6.5.21. Esempi. Il sottoanello fondamentale di (Z, +,·),di (Ql, + , ·),di( ~, + , · ),


di (C, + , ·) è l'insieme Z, pertanto car Z =O = car Ql = car ~ = car C.
Il sottoanello fondamentale di (Zm , + , ·) con m 2': O è lo stesso Zm, sicché
car Zm =m.
Esistono pertanto anelli di caratteristica c, per ogni intero c 2': O. Inoltre è ov-
vio che un anello finito ha caratteristica diversa da O, e che un sottoanello di un
anello unitario, avente la stessa unità dell'anello, ha anche lo stesso sottoanello
fondamentale e dunque la stessa caratteristica.
Il significato profondo del concetto di caratteristica è illustrato nella proposizione
seguente:

6.5.22. Sia (R, +,·)un anello unitario. Allora:


(i) R ha caratteristica Ose e solo se nlR i= O, per ogni n E N; ha caratteristica
c> O se e solo se c è il minimo intero positivo s tale che slR =O.
(ii) Se R ha caratteristica c> O, allora nlR =O se e solo se c divide n.
(iii) Se R ha carattF:ristica c > O, si ha ca = O, per ogni a E R

Dimostrazione. Sia E il sottoanello fondamentale di R, E = {nlR : n E Z}.


Allora E coincide col sotto gruppo generato in (R , +) da l R · sicché (i) e (ii)
242 Capitolo 6

seguono immediatamente da 6.3.27 e 6.3.28. Per la (iii) basta osservare che, per
ogni a E R , da 6.5.2 segue ca = c(lRa) = (clR)a = Oa =O. D
6.5.23. Esempi. La caratteristica dell ' anello unitario (R , +, ·) è l se e solo se
R = {0} .
Con V insieme non vuoto, l'anello (P(V) , U, n ) ha caratteristica 2: infatti
2X = XUX = 0, per ogni X E P(V).
L'esempio precedente mostra che esistono anelli infiniti con caratteristica diversa
da O. Si ha poi:

65.24. Sia (R , +, ·) un anello unitario non nullo e privo di divisori dello zero.
Allora la caratteristica diR è Ooppure un numero primo.

Dimostrazione. Sia c := carRe si supponga c i- O. DaR i- {O} segue c i- l.


Se per assurdo c = c1c2 , con l < c1, cz < c, allora O = clR = (c1cz )lR =
(cllR)(cz l R), da cui, per le ipotesi, c1lR = O o cz l R = O, contro la (i) di
6.5.22 . D

Esercizi
Esercizio 6.5.1. Si dimostrino (iv ), (v ), (vi) di 6.5.2.
Esercizio 6.5.2. Si dimostri 6.5.5.
Esercizio 6.5.3. Si provi che se R è un anello unitario si ha l = O se e solo se
R = {0}.
Esercizio 6.5.4. Sia (R , +, ·) un anello finito non nullo. Si provi che (R , +, ·) è
un campo se e solo se è privo di divisori dello O.
Esercizio 6.5.5. Si dimostrino 6.5.9, 6.5.10 e 6.5.11.
Esercizio 6.5.6. Si dimostrino 6.5.14 e 6.5.15.
Esercizio 6.5.7. Si dimostri 6.5.17.
Esercizio 6.5.8. Sia R = lR x Zs l'anello prodotto del campo (IR, + , ·)dei numeri
reali e dell'anello (Zs, + , ·)degli interi modulo 8.
(i) Si provi che l'anello (R , +, ·) è commutativo e unitario e si stabilisca se esso
è un dominio d'integrità.
(ii) Si dimostri che le parti {O} x Zs e lR x {O} sono ideali di R.
Esercizio 6.5.9. Si consideri l'anello A = Z6 x Z3.
(i ) Si determinino l'ordine di A, la sua caratteristica, il sottoanello fondamen-
tale E , i divisori dello zero in A, e si dica se E è un campo.
(ii) Posto a = (4, 2) E A si determinino il sottogruppo generato da a in A(+),
l 'ideale K generato da a in A(+ , ) e si studi l 'anello quoziente A j K.
Alcune strutture algebriche notevoli 243

(iii) Posto infine


f: (x, y) E A f--------+ (5 x, 2y) E A
e
g : (x, y) E A f--------+ 4x E Z 5
si stabilisca se J, g sono iniettive, suriettive, omomorfismi di anelli.

Esercizio 6.5.10. Sia (G , +) un gruppo abeliano e si indichi con End Gl 'insieme


degli endomorfismi di G. Si provi che, con f , g E End G, le applicazioni f + g e
f · g definite ponendo, per ogni x E G,
(! + g)(x) : = f( x) + g(x),
(! · g)(x) : = (g o !)(x) = g(f(x)) ,

sono elementi di End G e che la struttura (End G , +, ·) è un anello unitario, in


generale non commutativo.

Esercizio 6.5.11. Si provi che il sottoanello 2Z12 di (Z12, +, ·) è, con le opera-


zioni indotte, un anello non unitario, mentre (4Zl2, +, ·) è unitario, di unità [4]n
Si noti che ciò mostra che un sottoanello di un anello non unitario può essere
unitario.

Esercizio 6.5.12. Si determini la caratteristica dei seguenti anelli: (M2(Z), +, ·),


(M2(Zm) , + , ·)con m > O, (M2(Q), +, ·), (M2(1R), + , ·), (M2(C) , + , -).
Esercizio 6.5.13. Siano (R , + , ·)e (S, + , ·)anelli unitari. Si provi che:
(i) l'anello prodotto ha caratteristica O se e solo se car R =O o car S =O,
(ii) l'anello prodotto ha caratteristica c > Ose e solo se c = mcm( car R, car S),
con car R > O, car S > O.

Esercizio 6.5.14. Sia (R , + , ·)un anello commutativo unitario e siano a , bER,


n E No. Si provi che:

Se ne deduca che, se R ha caratteristica un primo p, si ha, per ogni a , b E R:

(a + b)P = aP + bP .
Esercizio 6.5.15. Sia (R , +, ·) un anello unitario, di unità l R. Si provi che
l'applicazione
f :n E Z f--------+ nlR E R

è un omomorfismo di anelli, di immagine E, e che f è un monomorfismo se e solo


se car R =O.
244 Capitolo 6

Esercizio 6.5.16. Sia (R, +, ·) un anello commutativo unitario e si consideri


la struttura (Mz(R), +, ·), dove la somma di matrici e il prodotto "righe per
colonne" sono definiti in analogia a quanto fatto nell'Esempio 4.1.19.
(i) Si provi che la struttura (Mz(R), +, ·) è un anello unitario, non commu-
tativo se R i- {0}, e se ne determinino la caratteristica e il sottoanello
fondamentale.
(ii) Per ogni
X=(~ ~)E Mz(R),
posto
detX =ad- be ,
si provi che la matrice X è invertibile in (Mz ( R) , +, ·) se e solo se d et X è
invertibile in (R , +, ·).
(iii) Il gruppo (U(Mz(R)) , ·)degli elementi invertibili in (l'l1z(R), ·)viene de-
notato con il simbolo (GL(2 , R), ·) ed è detto gruppo generale lineare di
dimensione 2 su R. Si provi che (GL(2, R) , ·)è un gruppo non abeliano se
R i- {0}.
Esercizio 6.5.17. Sia (D , + ,·) un dominio d'integrità. Si costruiscano un campo
(F, +, ·) e un monomorfismo di (D,+,·) in (F, +, ·), generalizzando il proce-
dimento seguito nel Capitolo 5 per costruire il campo Q dei razionali a partire
dall 'anello Z degli interi.

6.6 Anelli di polinomi


Sia ( R , +, ·) un anello commutativo unitario. Una scrittura del tipo

f( x ) = ao + a1x + · · · + anxn,
con n intero non negativo, ao, ... , an E R, an i- O, viene detto un polinomio
non nullo nell'indeterminata x a coefficienti in R. L'intero n viene detto il grado
di f(x) e denotato con v(f(x)) o anche con 8(f(x)). Gli elementi ao, ... , an
sono detti i coefficienti di f (x ), in particolare an è detto il coefficiente 'direttivo o
parametro direttore di f(x). Con ao + a1x + · · · + anxn, bo+ b1 x + · · · + bmxm
polinorni non nulli a coefficienti in R, si pone

n=m,
ao =bo,

Si pone poi

R[x] := {O} U{f(x) = ao+a1x+· · ·+anxn: n E No, ao, . . . , an E R , an i- 0}.


Alcune strutture algebriche notevoli 245

1 polinomi di grado O sono tutti e soli gli elementi non nulli di R, e, con lo O, sono
detti ipolinomi costanti di R[x] .
A volte per denotare il polinomio j(x ) = ao+a1x+ · · ·+anxn è conveniente
utilizzare la scrittura
j(x) = L aixi,
i E No

dove aj = O, per ogni j > n. Tale scrittura permette anche di rappresentare lo O,


il cosiddetto polinomio nullo , con ai =O per ogni i E N0 .
Siano j(x) = .Z:::::iENo aixi e g(x) = .Z:::::iENo bixi elementi di R[x]. Si pone:

f(x) + g(x) := L c;xi, con Ci := ai+ bi,


i E No

j(x ) · g( x) := L dixi, dove di:= L asbt.


iENo s+t=i
Si noti che tali operazioni hanno senso: ciò è ovvio se uno dei due polinomi è
nullo, altrimenti, posto m = v(J(x)) e l = v(g(x) ), si ha che Ci = Oper ogni
i > max{ m, l} e di = O, per ogni i > m + l. E infatti:

j(x) +O= j(x),


O+ g( x ) = g( x ),
f(x) ·O= O,
O· g(x) =O
e, supposto j(x) e g(x) polinomi non nulli di rispettivi gradi m e l, con m::::; l :

(ao + a1x + · · · + amxm) +(bo+ b1 x + · · · + bz x 1) =


(ao +bo)+ (al+ b1) x + · · · + (am + bm) xm + bm+l xm+l + · · · + bz x 1,
e inoltre

(ao + a1x + · · · + amxm) ·(bo+ b1 + · · · + bz x 1) =


aobo + (aobl + a1bo)x + (aob2 + a1b1 + a2bo)x 2 · · · + ambzxm+l.
La struttura (R[x], +,·)è un anello commutativo unitario (vedi Esercizio 6.6.1),
di unità l R. In particohu:e, un polinomio non nullo j(x) = ao + a1x + · · · + anxn
ha opposto- f( x) = (-ao) + (-a1)x + · · · + (-an)xn.
In più si ha: car R[x] = car R, poiché Re R[x] hanno la stessa unità.
Nella scrittura di un polinomio non nullo j(x) = a0 + a1x + · · · + anxn,
è conveniente trascurare i termini relativi a coefficienti nulli. Con questa conven-
zione, un qualunque polinomio del tipo j(x) = anx 11 è detto un monomio. Si
ritrova così che, come familiare al Lettore, un polinomio non nullo è somma di
monomi.
246 Capitolo 6

Un polinomio non nullo è detto monico se il suo coefficiente direttivo è l.


Di semplice dimostrazione, ma di notevole interesse è il seguente:

6.6.1. Teorema di addizione dei gradi. Sia (R , +, ·) un dominio d'integrità


unitario. Se f( x),g(x ) sono polinomi non nulli di R[x ], allora f( x)g(x) =/=O e

v(f( x)g(x)) = v(f( x )) + v(g(x )).


Pertanto R[x] è un dominio d'integrità.

Dimostrazione. Si considerino i polinomi f( x ) = ao + a1 x + · · · + a711 x711 e


g( x) = bo + h x + · · · + b8 x 8 , con v(f( x)) = m e v(g( x)) = s. Allora, da
a711 =/= O, b8 =/= O, segue a711 b8 =/= O, sicché f( x)g(x ) =/= Oe a711 b8 è il coefficiente
direttivo di f( x)g(x ). Dunque v(f( x )g(x)) = m+ s = v(f(x )) + v(g( x)) . D
Fondamentale è il seguente:

6.6.2. Algoritmo della divisione. Sia ( R , +, ·) un campo e siano f (x ), g (x) E


R[x], con g(x ) =/= O. Allora esistono, e sono univocamente individuati, polinomi
q(x), r( x) E R[x] tali che risulti:

f(x) = g(x)q(x) + r( x),

con r( x ) = Oo v(r(x)) < v(g( x)) . Tali polinomi q(x) e r( x) sono detti, rispetti-
vamente, il quoziente e il resto della divisione di f( x) per g(x).

Dimostrazione. Si proverà innanzi tutto l'esistenza di siffatti polinomi q(x ) e r (x ).


Se f( x) = Oo v(f(x)) < v(g( x )), basta porre q(x ) = Oe r( x ) = f( x ). Si
supponga dunque f(x) = ao + a1x + · · · + a711 X 711 , g(x ) = bo+ h x + · · · + b8 x 8 ,
con v(f(x)) = m :2 s = v(g( x)). Si procederà per induzione su m. Se m= O,
allora s =O, f( x ) = ao, g(x ) =bo e si ha l'asserto con q( x ) = b01ao e r( x) =O.
Sia ora m > O. Posto q1(x) = b; 1a711 xrn-s si ha

g(x )ql(x) = bob; 1a711 Xrn-s + b1b_;- 1a711 X711 -s+1 + · · · + b8 b_;- 1a711 X 711 ,
sicché g(x )ql (x) ha grado m e coefficiente direttivo a711 • Pertanto il polinomio
f(x) - g(x )ql (x) o è nullo o è di grado < m, sicché esistono, per l' ipotesi d'in-
duzione, polinomi q* (x),r* (x) tali che f( x) - g( x)q1(x) = g(x )q* (x ) + r *(x),
cioè f( x) = g(x )(ql(x ) + q* (x )) + r* (x ), con r * (x ) = Oo v(r* (x )) < v(g( x)).
Per provare l'unicità si osservi che, supposto

f( x) = g(x )q(x) + r( x) = g(x)q(x ) + r( x),


con r( x) =O o v(r(x )) < v(g( x)), r( x) = Oo v(r (x )) < v(g( x )), si ha
g( x)(q(x) - q(x)) = r( x) - r( x ),
Alcune ·strutture algebriche notevoli 247

con r(x) -r(x) = O o v(r(x)- r(x)) ::; max{v(r(x)), v(r(x) )} < v(9(x)). Dal
teorema di addizione dei gradi segue allora r(x)- r(x) = O = 9(x) (q(x)- q(x) ),
sicché q(x) = q(x), r(x) = r(x) . D

6.6.3. Esempi. La prima parte della dimostrazione del precedente risultato for-
nisce anche un metodo per individuare quoziente e resto di una divisione, come
mostrano gli esempi seguenti. In !R[x] si considerino i polinorni:

f (x) = 3 + 5x - 4x 2 + 7x 3,
9(x) =x- 2,
91(x) = 6x 2 - x+ 3,
92(x) = 5x 3 + 9x + 11 ,
93(x) 4 2
= 2x + 7x + 20 .

Si ha:
7x 3 -4x 2 +5x +3 x-2
7x 3 - 14x 2 7x 2 + lOx + 25
10x 2 +5x +3
10x 2 -20x
25x +3
25x - 50
53

quindi f( x) = 9(x)(7x 2 + lOx + 25) +53;

7x 3 -4x 2 +5x +3 6x 2 - x+ 3
7x 3 _Zx2
6 +Zx
2
Zx- 17
6 36
_17 x2 +.:lx +3
6 2
_17 x2 +17 x -1217
6 36
37 x +53
36 12

cioè f( x) = 91(x)(~x- ~~)+(~~x+ i~);

7x 3 -4x 2 +5x +3 5x 3 + 9x + 11
7x 3 +63x + 77 7
5 5 5
-4x 2 _38x 62
5 -5

da cui f (x ) = 92(x )(D fi


+ (- 4x 2 - 3~8 x - 2 ); e infine ovviamente, essendo
v (! (x)) < v (93(x)), si ha f (x) = 93 (x )O + h x ).
248 Capitolo 6

Si noti che, come mostrato dalla dimostrazione di 6.6.2, continua a valere l'algo-
ritmo della divisione per polinorni f( x) e g( x) a coefficienti in un anello commu-
tativo unitario R purché il coefficiente direttivo di g(x) sia un elemento inverti bile
di R. In particolare, ciò è sempre vero quando g(x) è monico.
Se il resto della divisione di f (x) per g( x) è il polinornio nullo, si dice anche,
come al solito, che g(x) divide f( x) in R[x] (o che f(x) è multiplo in R[x] di
g(x)).
Sia (R, +, ·) un anello commutativo unitario. Dati un qualsiasi polinornio
f(x) = ao + a1x + · · · + amxm E R [x] e un elemento c E R, si pone:
f( c) := ao + a1c + · · · + amcm.
Se f(x) è il polinornio nullo, è f(c) = O. Si osservi che, se f( x),g(x) E R[x] e
c E R, allora:
(f + g)( c) f( c) + g(c),
=
(fg)(c) = f( c)g(c) .
L'elemento c è detto radice del polinornio f( x) se si ha f( c) =O.
6.6.4. Esempi. Il polinornio nullo ha per radici tutti gli elementi di R.
Un polinornio costante non nullo non ha radici, in quanto, se f( x) = ao, si
ha f(c) = ao, per ogni c E R (ciò giustifica anche il termine "costante").
Un polinornio f( x ) = a1x + a0 di grado l ha sempre una (e una sola) radice
c= -aoa;- 1 se a 1 è invertibile in R. Pertanto, se R è un campo, ogni polinornio
di primo grado ha una e una sola radice in R. Il polinornio f( x) = 3x + 2 non ha
radici in Z.
In IR[x] il polinornio x 2 - 5x + 6 ha radici 2 e 3, il polinornio x 2 - 4x + 4 ha
radice il solo 2, il polinornio x 2 + l non ha radici in !R.
Dall'algoritmo della divisione segue subito il fondamentale, ben noto:

6.6.5. Teorema di Ruffini. Sia (R, +,·)un anello commutativo unitario e siano
f(x) E R[x] e c E R. Allora c è radice di f(x) se e solo se il polinomio x- c
divide f(x).

Dimostrazione. Se x- c divide f( x ), si ha f( x ) = (x- c) q(x), da cui f (c ) =


(c- c)q(c) =O. Viceversa, sia f( c) =O. Applicando l'algoritmo della divisione
ai polinorni f( x) e x- c, si ha f(x) = (x- c) q(x) +r(x), per opportuni polinomi
q( x), r(x) E R[x], con r(x) = O o v(r (x) ) < v (x- c) = l. Pertanto r(x) =
ao E R. Da O= f( c) =(c- c)q(c) + r(c) = r(c) = ao segue l'asserto. D
Il precedente risultato si generalizza nel seguente:

6.6.6. Teorema di Ruffini generalizzato. Sia (R, +, ·) un dominio d'integrità


unitario e sia f(x) E R[x] un polinomio non nullo. Se CI, ... , ct sono elementi
a due a due distinti di R, si ha che c1, ... , Ct sono radici di f (x) se e solo se il
polinomio (x- c1) ... (x- ct) divide f(x).
Alcune strutture algebriche notevoli 249

Dimostrazione. La condizione sufficiente è ovvia. Si supponga ora che c1, ... , Ct


siano radici di f( x). Si ragioni per induzione su t. Per t = l, l'asserto segue
dal teorema di Ruffini. Supposto t > l, ancora per il teorema di Ruffini si ha
f(x) = (x- q)q(x), e riesce O= f( ci) = (ci- q) q(ci), con Ci- c1 i- O, per
ogni i= 2, ... , t. Pertanto q( ci) = O per i= 2, ... , t, cioè gli elementi c2, ... , Ct
sono t - l radici a due a due distinte del polinornio q(x ). L'ipotesi d'induzione
assicura che q(x) = (x- c2) . .. (x- Ct) l(x), per un opportuno l(x) E R[x], da
cui f(x) = (x- cl) ... (x- Ct )l(x), come volevasi. D

Come conseguenza immediata si ha:

6.6.7. Sia (R, +, ·) un dominio d'integrità unitario. Un polinomio di R[x] di


grado n > O ha al più n radici distinte.

Si noti che (vedi Esercizio 6.6.2) nel risultato precedente è essenziale l'ipotesi che
non esistano in R divisori dello O.
Siano (R , +, ·) un anello commutativo unitario, f (x) un polinornio non nullo
di R[x] e c E R una radice di f( x) . Dal teorema di Ruffini segue che x- c divide
f(x ). Si dice che c è radice semplice di f( x ) se (x- c) 2 non divide f(x ), in caso
contrario c è detta radice multipla. li massimo intero positivo k tale che (x- c)k
divide f( x) è detto la molteplicità della radice c di f( x ). Se k = 2 (k = 3), c è
detta radice doppia (rispettivamente tripla) di f (x).

6.6.8. Esempio. 2 è radice semplice delfolinornio f(x) = x 2 - 5x + 6 E IR [x],


è radice doppia del polinornio h (x) = x - 4x + 4 E IR [x].

Si noti che, come evidenziato nel Capitolo 5, un polinomio f( x) E C[x] di grado


n > O ha sempre radici in C, precisamente esistono numeri complessi q, ... , Cn,
non necessariamente distinti, tali che:

f( x) = b(x- CI) . .. (x- cn),

con b coefficiente direttivo di f( x ).

Esercizi
Esercizio 6.6.1. Si provi che (R[x], +, ·) è un anello commutativo unitario.

Esercizio 6.6.2. Si verifichi che il polino mio f (x ) = Ix 2 - I E Zs [x] ha radici


I , 3, 5, 7, e che, per esempio, (Ix- I)(Ix - 3) non divide f( x).
Esercizio 6.6.3. Considerati in Z7[x] i polinomi

si determinino i polinomi s(x) + t(x) e s(x) · t(x) .


250 Capitolo 6

Esercizio 6.6.4. Proprietà universale dell'anello dei polinomi. Sia (R , + , ·)un


anello commutativo unitario e si consideri l'anello dei polinomi (R[x], +, ·). Si
provi che, per ogni anello commutativo unitario (S, +, ·),per ogni omomorfismo
<p : R ----) S tale che <p (lR) = l s e per ogni c E S, esiste uno e un solo
omomorfismo 'l/J: R[x] ----) Stale che 'lj; (a) = <p(a) , perognia E R, e 'lj; (x ) =c.

Esercizio 6.6.5. Sia (R , + , ·)un anello commutativo unitario. Per ogni polinomio
f( x ) = I:iENo ai xi E R[x ], è detto polinomio derivato di f( x ) il polinomio

f'(x) := L i aixi-l E R[x].


iEN

Si verifichi che il polinomio nullo e, più in generale, un qualunque polinomio


costante, hapolinomio derivato nullo; e che, se f( x ) = ao + a1 x + · · · + amxm
è un polinomio non nullÒ, si ha f'( x ) = a1 + 2a2x + · · · + m amxm- l. Si provi
poi che, per ogni f( x ), g( x ) E R[x], si ha:

(f( x ) + g( x ))' = f'( x ) + g'( x ),


(f( x )g(x ) )' = f' (x )g(x ) + f( x )g' (x ).
Esercizio 6.6.6. Siano (R , +, ·) un anello commutativo unitario, f( x ) E R[x] e
c E R . Si provi che c è radice multipla di f( x ) se e solo se f'( c) = O.

Esercizio 6.6.7. Si considerino i polinomi f( x ) = x 4 - 2x 3 + 4x 2 - 6x + 3 e


g( x ) = x 2 +x - 2 E Q[x].
(i) Si determinino i polinomi f( x ) + g( x ), f( x ) · g( x ), ( - 5)f(x ), f'( x ), g'(x) .
(ii) Si individuino il quoziente e il resto della divisione di f( x ) per g( x ).
(iii) Si verifichi se l è radice di f( x ) o di g( x ), se è radice multipla e, in caso di
risposta affermativa, si divida il polinomio per x - l.

Esercizio 6.6.8. Considerato il polinomio h(x ) = x 3 + x 2 - 8x - 12 E Q[x], si


determinino le sue radici e lo si decomponga nel prodotto di tre polinomi monici
di primo grado.

Esercizio 6.6.9. Si consideri il polinomio fa( x ) = x4 + a x +a E 2 3 [x]. Si


determinino i valori di a E 23 per cui il polino mio fa( x ) ammette radici in 23.

Esercizio 6.6.10. Sia A un campo, e si considerino i polinomi g( x ) = x 3 - 2


e h(x ) = x2 + x+ l E A[x]. Si determinino quoziente e resto della divisione
di g( x ) per h(x ). Distinguendo i casi A = Q, A = 23, A = 2s, A = 2 7, si
stabilisca poi se g( x ) e h(x ) hanno radici in A.

Esercizio 6.6.11. Si consideri il polinomio fa( x ) = x 3 + ax +I E 2 3[x ]. Si


determinino i valori di a E 2 3 per cui il polino mio fa( x ) ammette radici multiple
in 23.
Alcurie strutture algebriche notevoli 251

Esercizio 6.6.12. Si determinino tutte le radici dei seguenti polinomi:

k(x) = x 5 + x4 + x 3 + x2 + 3x + 3 E Z5[x],
l(x ) = x 5 + 2x E Z3[x].

Esercizio 6.6.13. Si consideri il polinomio f( x) = x2 - 6x + 4 E Zp[x], con p


primo. _ _
(i) Si provi che né l né 5 è radice di f( x), qualunque sia p.
(ii) Si determinino i valori di p per cui 10 è radice di f(x), e i valori di p per cui
f(x) ha radici doppie.
Esercizio 6.6.14. Con p primo si ritrovi il teorema di Wilson (vedi 5.6.4), ragio-
nando sul polinomio xP- l - I E Zp[x] e utilizzando il piccolo teorema di Fermat
(vedi 5.6.2) e il teorema di Ruffini generalizzato (vedi 6.6.6).

Esercizio 6.6.15. Siano F un campo, À1, .. . , Àr elementi di Fa due a due distinti


(r 2: 2) e si supponga

per opportuni 11-1 , ... , f.Lr, Zll, ... , llr 2: l. Si provi che /L l = Zll, ... , f.Lr = llr.

Svolgimento. Si ragioni per induzione su r. Nel caso r = 2 si supponga quindi


(x - ).I)f.L 1 (x - >. 2 )f.L 2 = (x - >.!)v1 (x - >. 2 )v2 e, per assurdo, sia per esempio
11-1 < v1. Allora da F[x] dominio d'integrità segue che

con Zll - p, 1 > O, sicché per il teorema di Ruffini il polinornio (x- À2)f.L 2 ha per
radice À1 . Pertanto (>.1 - À2)f.L2 = O, con À1 - À2 -=F O, contro l'essere F un
campo. La dimostrazione si completa poi facilmente.

6. 7 Esercizi di riepilogo
Esercizio 6.7.1. Si consideri, nell'insieme Z 5 , l'operazione interna * definita
ponendo, con [x]5, [y]5 E Z5,

[x]5 * [y]5 := [x+ y + 3]5·


Si verifichi che tale posizione ha senso, e si studi la struttura (Z5, *), scrivendone
anche una tavola di moltiplicazione. Si dimostri che la posizione

definisce un'applicazione e che tale applicazione è biettiva, se ne determini l 'in-


versa, e si provi che f è un isomorfismo di (Z5, +) in (Z5, *).
252 Capitolo 6

Esercizio 6.7.2. Nel gruppo (G, ·) = (GL(2, Z5 ), ·)delle matrici invertibili 2 x 2


su Z5, con il prodotto righe per colonne, si consideri il sottoinsieme

H ={ (g ~) :a,b z;}.E

(i) Si provi che H è un sottogruppo abeliano di G e se ne determini l'ordine.


(ii) Posto

si determinino gli elementi di S = (X) e di T = (Y).


(iii) Si studi il gruppo quoziente H j S, determinandone l 'ordine, gli elementi, i
sottogruppi.
(iv) Considerate infine

f : (g ~)S E H jS f--------t ab-


1
Ez;,
g: (g ~)T E H j T f--------t ab E z;,
si stabilisca se f e g sono ben poste e se sono omomorfismi di gruppi, e in
tal caso se ne determinino il nucleo e l'immagine.

Esercizio 6.7.3. Nel gruppo (G , ·) = (GL(2 , Z5 ) , ·) delle matrici invertibili 2 x 2


su Z5, con il prodotto righe per colonne, si consideri il sottoinsieme

H = { (~ ~) : a E Z6, c E Z6 } .
(i) Si provi che H è un sottogruppo abeliano di G e se ne determini l'ordine.
(ii) Posto

si provi che N è un sotto gruppo di H e si studi il gruppo quoziente H j N,


determinandone l'ordine, gli elementi e la struttura.
(iii) Definita infine

si provi che f è ben posta, che è un omomorfismo di gruppi e se ne determi-


nino il nucleo e l 'immagine.
Alcune strutture algebriche notevoli 253

Esercizio 6.7.4. Sia (Q,+) il gruppo additivo dei numeri razionali. Si consideri
l'anello (Q,+ , *), dove* è l'operazione in Q definita ponendo x* y := ixy, per
ogni x, y E Q.
(i) Si provi che la struttura (Q, +,*) è un anello commutativo e unitario e se
ne determini l'unità.
(ii) Si calcoli la caratteristica di (Q,+,*) e se ne determini il sottoanello fon-
damentale.
(iii) Considerate le parti No, Z e T = { -:;;. : m E Z, n E No}, si stabilisca se
esse sono sottoanelli o ideali di (Q,+,*).
(iv) Si provi che (Q,+,*) è isomorfo all'anello (Q, + , ·) dei numeri razionali,
dove· denota l'ordinario prodotto di numeri razionali.
Esercizio 6.7.5. Si dimostri che l'insieme

A= { m : m E Z, n E No}
2n+ l

è un sottoanello unitario dell'anello (Q, + , ·) dei numeri razionali, e se ne de-


terminino gli elementi invertibili e gli eventuali divisori dello zero. Posto poi
H = {a E A : a non invertibile }, si verifichi che H è un ideale di A.
In generale, si dimostri che in un anello commutativo unitario R l'insieme
costituito dagli elementi non invertibili costituisce un ideale diR se e solo se, per
ogni x E R, si ha x invertibile o l - x invertibile.
Esercizio 6.7.6. Sia R =/:- {O} un anello unitario, e si consideri l'anello M2(R)
delle matrici 2 x 2 su R.
(i) Posto

si provi che S è un sottoanello di M2(R) e si stabilisca se S è unitario e se


ha divisori dello zero.
(ii) Si dimostri che l'applicazione

f:aERf----7(~ ~)ES
è un monomorfismo di anelli e se ne determini l'immagine W, evidenzian-
done i legami con R.
(iii) Si verifichi se W è un ideale destro, sinistro o bilatero di S.
(iv) Infine, dopo aver provato che

è un ideale bilatero di S, si mostri che il quoziente S /L è isomorfo a W


individuando un epimorfismo di S in W di nucleo L.
254 Capitolo 6

Esercizio 6.7.7. Si consideri la struttura (Z x Z, + , ·)definita ponendo, per ogni


(a , b) , (c, d) E Z x Z,

(a, b)+ (c, d) := (a+ c, b +d) ,


(a , b)· (c, d) := (ad+ be, bd) ,

e si ponga A = Z x Z.
(i) Si provi che A è un anello commutativo e unitario.
(ii) Si determinino la caratteristica di A e gli eventuali divisori dello zero in A,
e si dica se A è un campo.
(iii) Si verifichi che l 'insieme degli elementi invertibili di A coincide con

U = { (a , E) : a E Z, E E {l , -l}} ,

e si stabilisca se U U { (0 , O)} è un sottoanello o un ideale di A.


(iv ) Posto infine
j: (a, b) E A f--------+ a+ bE Z
si stabilisca se f è iniettiva, suriettiva e se è un omomorfismo di anelli.

Esercizio 6.7.8. Si consideri la struttura (A,+,·), con A = Z x Z e le operazioni


+e· definite ponendo, per ogni (m, r) , (n , s) E A,

(m, r) +(n, s) := (m+ n, r + s),


(m, r) ·(n, s) := (mn, ms + nr + rs).

(i) Si provi che (A,+,·) è un anello commutativo e unitario, e se ne determini-


no la cardinalità, la caratteristica, gli eventuali divisori dello zero.
(ii) Posto S = {(n, -n) : n E Z}, si provi che S è un ideale di A e che la
posizione:
1/J : (m, r) +S E A/ S f--------+ m+ rE Z
definisce un'applicazione diA/Sin Z che è un isomorjismo di anelli.
(iii) Posto infine T= {(m, O) :m E Z} e V= {(0, s): sE Z}, si stabilisca se
T e V sono sottoanelli o ideali di A.

Esercizio 6.7.9. Si consideri il polinomio fa( x ) = x4 + ax 3 + ax- a E z3 [x].


Si determinino i valori di a E Z3 per cui il polinomio fa( x ) ammette radici in Z3.

Esercizio 6.7.10. Si consideri l'anello (Mz(Z4) , +,·)delle matrici 2 x 2 su Z4.


(i) Si dimostri che l 'insieme

è un sottoanello commutativo dell'anello Mz(Z4), e se ne determinino l'or-


dine e la caratteristica.
Alcune strutture algebriche notevol i 255

(ii) Considerati in (R , +) i sottogruppi

si dimostri che A non è un ideale dell 'anello R, che Be C sono ideali di R.


(iii) Si studi l'anello quoziente Rj C; in particolare se ne individui la caratteri-
stica.
(iv) Si verifichi poi che ha senso l'applicazione

e che tale applicazione è un isomorfismo di anelli.


(v) Si studi infine se gli anelli R/ C e R/ B sono isomorfi.

Esercizio 6.7.11. Sia (A ,+, ·) l'anello prodotto Z x Z2o·


(i) Si precisino la caratteristica e il sottoanello fondamentale di A.
(ii) Si individuino gli eventuali divisori dello zero in A e si precisi se A è un
campo.
(iii) Si dimostri che la posizione

<P((x , [y]2o)) = [5xy]2o


definisce un'applicazione di A in Z2o. che tale applicazione è un omomorfi-
smo di (A ,· ) in (Z2o, ·),non un omomorfismo di (A,+) in (Z2o, +).
Esercizio 6.7.12. Nel gruppo G = §s delle permutazioni su 5 oggetti si conside-
rino gli elementi

l 2 3 4 5) (l 2 3 4 5) (l 2 3 4 5)
f= ( l 3 5 4 2 ' g= 4 2 3 l 5 ' h = l 5 3 4 2 .

Si decompongano f, g e h in prodotto di cicli disgiunti e se ne determini la parità.


Posto poi N= (f), si provi che N non è normale in G.
Esercizio 6.7.13. Siano §3 il gruppo delle permutazioni su 3 oggetti e C3 il grup-
po ciclico di ordine 3. Sia (G , ·) il gruppo ottenuto considerando la struttura
prodotto G = §3 x C3.
(i) Si provi che il gruppo G non è abeliano.
(ii) Detto A l 'unico sottogruppo di §3 di ordine 3, si provi che le parti:

H= {(a , b): a E A, b E C3} , K ={(a, l): a E A}

sono sottogruppi di G, normali in G.


(iii) Si studino i gruppi quoziente G/H e GjK, determinandone l'ordine e la
stuttura.
256 Capitolo 6

Esercizio 6.7.14. Sia lR l'insieme dei numeri reali e si considerino le applicazioni:


j : x E lR ~ x + l E IR, g : x E lR ~ 2- x ER

Si provi che f e g sono biettive e si determinino (f) e (g) nel gruppo simmetrico
§JR.
Esercizio 6.7.15. Nell'anello Z7[x] dei polinomi nell'indeterminata x a coeffi-
cienti in Z7 si considerino gli elementi:

f( x)=x 3 +x, g( x)=x 2 +3x+4, h(x)=x 3 +x 2 +4x+4.


Si determinino le radici di f( x), g(x ) e h(x) in Z7, e tutti i massimi comuni
divisori tra f( x ) e g(x), e tra f( x ) e h(x ) in Z7[x].
Si provi, più in generale, che se K è un campo e a(x ) e b(x) sono polinomi
a coefficienti in K, primi tra loro in K[x], allora a(x) e b(x ) non hanno radici in
comune e a(x) + b(x ) e a(x) sono primi tra loro.
Esercizio 6.7.16. Nell'anello (M2 (Z) , +, ·) delle matrici 2 x 2 sull 'anello de-
gli interi, con le usuali operazioni di somma e di prodotto righe per colonne, si
consideri la parte

(i) Si provi che S è un sottoanello unitario di M2 (Z) e se ne determinino i


divisori dello zero, il sottoanello fondamentale e la caratteristica.
(ii) Posto
j: z E Z ~ (~ ~) E M2(Z),

si provi che f è un omomoifìsmo di anelli e si stabilisca se J = Im f è un


ideale bilatero di S. Si dica poi se i laterali

(~ ~) + J
coincidono nel gruppo quoziente (S / J, +).
(iii) Posto
cp : ( ~ ~) + J E SjJ ~a+ c E Z,
si stabilisca se cp è ben posta e se è un omomoifìsmo di anelli.
(iv) Si provi che la matrice

è un elemento invertibile in S, per ogni z E Z. Più in generale si mostri


che se a è un elemento di un anello unitario R tale che a 2 = O, allora gli
elementi l + a e l - a sono invertibili in R.
7
L algebra delle matrici

Questo capitolo è dedicato alle matrici, probabilmente già familiari al Lettore.


Si introdurranno e si studieranno operazioni tra matrici e i fondamentali concetti
di determinante di una matrice quadrata e di rango di una matrice qualsiasi.
Ciò permetterà di illustrare notevoli applicazioni, quale per esempio lo studio dei
sistemi di equazioni lineari.

7.1 Generalità
Una matrice n x m a coefficienti in un anello R è una tabella costituita da nm
elementi di R disposti secondo n righe e m colonne. Per esempio la tabella

o -1 3 5 )
B =
( -4o 22
o
7 15
32 -17
è una matrice 3 x 4 a coefficienti nell'anello Z dei numeri interi.
Date una matrice A con n righe e m colonne su un anello Re una coppia (i, j)
di numeri interi tali che i E {l, ... , n} e j E {l , ... , m}, si definisce termine, o
anche entrata, di posto (i, j) di A, e si denota con aij· quell'unico elemento diR
che appartiene alla riga i-esima e alla colonna j -esima della tabella considerata.
Con questa notazione la matrice A viene indicata con

A= ( ~~~ ~~~
an~ an;
o, più brevemente, con A = ( aij). Per esempio b22 = 22 è il termine di posto
(2, 2) della matrice B considerata prima; il termine di posto (3 , 4) è b34 = -17.
Le n righe della matrice A vengono denotate con A (l), A (2), ... , A (n); per
ogni i E {l, ... , n}, la i-esima riga della matrice A è quindi la matrice l x m

A (i) = ( ail ai2 .. · aim ) ·


258 Capitolo 7

Così le m colonne della matrice A vengono denotate con A( l), A( 2), .. . , A( m);
per ogni j E {l , ... , m}, la j -esima colonna della matrice A è quindi la matrice
n xl

Se n = m la matrice è detta quadrata di ordine n e la n-upla ( au , ... , a 7171 ) si


chiama diagonale principale di A. La matrice quadrata A è detta simmetrica se
aij = aji per ogni i,j E {1 , ... , n}.
Data una matrice A con n righe e m colonne su un anello R, si definisce tra-
sposta di A, e si denota con A T, la matrice m x n che si ottiene da A scambiando
le righe con le colonne. Per esempio la trasposta della matrice

A=
( -~ ~ -~
2 -2 4
)
3 o -2
è la matrice
-~
AT = (
3 -1
~ _;
4 -2
~) .

È immediato osservare che una matrice quadrata è simmetrica se e solo se coincide


con la sua trasposta.
Una matrice quadrata A = (aij) è detta triangolare superiore (rispettiva-
mente inferiore) se tutti i termini al di sotto (risp. al di sopra) della diagonale
principale sono O, cioè se aij = O per ogni i > j (i < j), ed è detta diagonale
se tutti i termini che non appartengono alla diagonale principale sono O, cioè se
aij = O per ogni i =l= j. Infine la mat1ice quadrata A = ( aij) è detta scalare se
è diagonale e tutti i termini della diagonale principale sono uguali a uno stesso
elemento .À E R, cioè
.À se i= j
aij = { O se i =l= j.

La matrice di una corrispondenza


Siano A = { a1 , ... , at} e B = {b1 , ... , br } insiemi finiti di ordini t e r rispetti-
n
vamente e sia una cmTispondenza tra A e B. Alla conispondenza è possibile n
associare una matrice Mn con t righe e r colonne a coefficienti interi definita
ponendo
m···- { l se (ai, bj) E n
t] . - o se (ai, bj ) f/. n.
Tale matrice è detta appunto matrice della corrispondenza n.
L: algebra delle matrici 259

È immediato osservare che n è un ' applicazione se e solo se in ogni riga di


Mn vi è uno e un solo termine uguale a l. In tal caso n è iniettiva se e solo
se in ogni colonna compare al più un termine uguale a l ed è suriettiva se e solo
se in ogni colonna almeno un termine è uguale a l. Pertanto un'applicazione tra
insiemi finiti è biettiva se e solo se in ogni colonna dalla sua matrice vi è uno e un
solo termine uguale a l. In particolare, se ciò accade allora il numero delle righe
è uguale a quello delle colonne, e quindi la matrice è quadrata.
Per esempio siano A = {al , a2 , a3, a 4, a5} e B = {b1 , b2, b3 , b4} e si con-
sideri la corrispondenza n= {(a 1, b2) , (a 2, b4) , (a3 , b3)}. La matrice di tale
cotTispondenza è la seguente matrice 5 x 4:

n non è un'applicazione: nella quarta e nella quinta riga non ci sono termini
uguali a l perché appunto a 4 e a5 sono privi di cotTispondenti.
n
Invece la conispondenza 1 tra A e B la cui matrice è

è un'applicazione perché in ogni riga vi è esattamente un termine uguale a l. Tale


applicazione è poi suriettiva perché in ogni colonna vi è almeno un termine uguale
a l, ma non è iniettiva perché nella terza colonna ci sono due termini uguali a l.
Infatti a2 e a4, pur essendo distinti, hanno entrambi immagine b3.
Le eventuali proprietà riflessiva, simmetrica, antisimmetrica e transitiva di
n
una cotTispondenza di un insieme finito A in sè, ovvero di una relazione binruia
in A, possono essere facilmente dedotte dall'esame della matrice Mn.

7.1.1. Sia n una relazione binaria in un insieme finito A = { a1 , . . . , an}, e sia


ll1n = (mij) la matrice di R. Allora si ha:
(i) n è riflessiva ~ M n è quadrata e ha tutti l sulla diagonale principale;
(ii) n è simmetrica ~ Mn è simmetrica;
(iii) n è antisimmetrica~ m i j · f i ji = 0 per ogni i , j E {1 , ... , n} tali che
i =l j;
(iv) n è transitiva~ mih · mhj S m i j per ogni i , j , h E {1 , ... , n}.

Dimostrazione. (i) n è riflessiva se e solo se per ogni i E {l , ... , n} risulta


ainai, cioè m i i = l per ogni i, e quindi se e solo se tutti i termini della diagonale
principale della matrice di n, che è quadrata, sono uguali a l.
260 Capitolo 7

(ii) R è simmetrica se e solo se, per ogni i , j E {1 , . . . ,n}, da aiRaj segue


ajRai, ovvero mij = l se e solo se mji = l , e quindi se e solo se Mn è una
matrice simmetrica.
(iii) R è antisimmetrica se e solo se per ogni i, j E {l , ... , n} con i =f. j, se
m i j = l cioè a i Raj risulta a/!J-ai, per cui mji = O; pertanto mij · mji = O.
(iv) R è transitiva se e solo se per ogni i , j , h E {l , .. . , n} da mih = l e mhj = l
segue mij = l , ovvero se e solo se mih · mhj ::; mij. D

Esercizi
Esercizio 7.1.1. Si determinino le trasposte delle seguenti matrici:

A= ( J =n ). ~i
4 4 7
B = (
15
Il,
2

o
c= (
o
-2
l
-2 l)
3
-50
-50
42
.

Esercizio 7.1.2. Si considerino gli insiemi


s= {0 , 4, 6, 25}, T= {-5,-2,0,2,4}.
Si determinino le matrici delle seguenti corrispondenze tra Se T:

con x E S , y E T , e delle seguenti relazioni binarie in S:

con n, m E S.
EserCizio 7.1.3. Si considerino l'insieme S = {xl,x2,X3,X4,xs , x6 } e le rela-
zioni binarie R1 , R 2, R 3, R 4 in S le cui matrici sono rispettivamente
l l o l o o l o o o o o
l l o l o o o l o o o o
l l o l o o o o l o o o
o o o l o o o o o l o o
o o o o l o o o o o l o
o o o o o l o o o o o l
l o l o o o l o o o o l
l l l o o o o l o o l o
o o l l o o l o l o o o
o o o l o o o o o l o l
o o l l l o o l o o l o
o o o o o l l o o o o l

Si stabilisca quali tra queste sono relazioni d'ordine e quali d'equivalenza.


L: algebra delle matrici 261

Esercizio 7.1.4. Tra gli insiemi A = {a1, a2, a3, a4} e B = {b1 , b2, b3, b4, bs, b5},
si considerino le corrispondenze:
nl ={(al , bl) , (al, b4), (a3 , b6)},
n 2 = {(al , bl) , (a2, b2) , (a3, b3), (a4 , b4)},
n 3 = {(a2, bl) , (a3, bl) , (a4, b6)},
n 4 = {(al ' bs)' (a2, b6) ' (a3 , bs), (a4 , b2)}.
Dopo aver determinato le matrici delle corrispondenze considerate si dica quali
di esse sono applicazioni, e di queste ultime si studi l'iniettività e la suriettività.

Esercizio7.1.5. SianoS = {x1,X2,X3,x4}, T = {t1 , t2,t3,t4,ts}, eRta


corrispondenza tra S e T la cui matrice è

l o o
o l o oo oo )
M= O O O l o .
(
o o o o l
Si stabilisca se n è un 'applicazione e, in caso affermativo, se ne studino iniettività
e suriettività. Si individui inoltre la corrispondenza tra T e S la cui matrice è la
trasposta Mt di M e si stabilisca se essa è un 'applicazione.

Esercizio 7 .1.6. Siano S e T insiemi finiti e sia f un'applicazione biettiva di S in


T. Indicata con A la matrice di f e con B quella di f- 1, si stabilisca che legame
c'è tra le matrici A e B.

7.2 Operazioni con le matrici


Si denoti con Mn,rn(R) l'insieme delle matrici n x m su un anello R; in tale
insieme è possibile definire un'operazione interna e un' operazione esterna con
dominio di operatori l'anello R. Per quanto riguarda l'operazione interna, ovvero
l'addizione tra matrici, questa viene definita ponendo

A+ B := (aij + bij) , per ogni A= (aij ), B = (bij) E Mn ,m(R).

In altre parole, si definisce somma della matrice A e della matrice B quella matrice
n x m su R il cui termine di posto (i, j), per ogni i E {1 , ... ,n} e per ogni
j E {l , ... , m}, è la somma, secondo l'addizione di R, dei termini di posto (i, j)
di A e di B .

7.2.1. Rispetto alla somma di matrici Mn,m(R) è un gruppo abeliano.

Dimostrazione. Siano A= (aij),B = (bij),C = (cij ) E Mn,m(R). La pro-


prietà associativa dell'addizione in R comporta che (aij + bij ) + Cij = aij + (bij +
Cij ) per ogni i E {l , ... , n} e per ogni j E {l , ... , m} , pertanto (A + B) + C =
262 Capitolo 7

A+ (B +C). Inoltre la proprietà commutativa di cui gode l'addizione in R assi-


cura che aij + bij = bij + aij per ogni i E {l , . .. , n} e per ogni j E {l , ... , m} ,
dunque A+ B = B +A. L'elemento neutro rispetto all'addizione, ovvero la ma-
trice nulla, è, come è immediato verificare, la matrice n x m che ha tutti i termini
uguali allo O di R. Infine ogni matrice A = (aij) E Mn ,m (R) possiede opposto;
basta infatti considerare la matrice -A:= (-aij). ovvero la matrice n x m su R
il cui termine di posto (i , j), per ogni i E {l , ... , n} e per ogni j E {1 , . .. , m},
è l'opposto in R del termine di posto (i, j) di A. D

La legge esterna con dominio di operatori R si definisce ponendo

.XA := (Àaij), per ogni A= (aij) E Mn,m(R) e per ogni À E R.

In altre parole, si definisce prodotto di À E R per la matrice A E Mn ,m(R) la


matrice n x m su R il cui termine di posto (i, j), per ogni i E {l , .. . , n} e per
ogni j E {l , ... , m}, è il prodotto, secondo la moltiplicazione di R, di À per il
termine di posto (i, j) di A.

7.2.2. Sia R un anello commutativo unitario. Per ogni À, 11 E R e per ogni


A= (aij), B = (bij) E Mn,m(R) risulta:
(i) ..\(A+B)=ÀA+..\B;
(ii) (..\ + J.t)A =..\A+ 11A;
(iii) (..\J.t)A = ..\(J.tA);
(iv) lA= A, dove l è l'unità diR

Dimostrazione. (i) Per la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto al-


l' addizione in R si ha À( aij + bij ) = Àaij + Àbij· per ogni i E {l , ... , n} e per
ogni j E {l, ... , m}.
(ii) Per la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all'addizione in R
risulta infatti (À + J.t)aij = Àaij + J.Laij. per ogni i E {1, ... ,n} e per ogni
j E {l , ... ,m}.
(iii) Per la proprietà associativa della moltiplicazione in R risulta ( ÀJ.l )aij =
À(p,aij ), per ogni i E {l , ... , n} e per ogni j E {l , ... , m}.
(iv) Se l è l'unità diR, allora laij = aij· per ogni i E {1 , ... , n} e per ogni
j E {l , ... ,m}. D
Sia R un anello. Considerate una matrice A = ( aij) E Mp,q (R) e una matrice
B = (bij) E Mq,n(R), ovvero matrici tali che il numero di colonne della prima
coincida con il numero di righe della seconda, si definisce prodotto righe per
colonne di A e B la matrice AB = ( tij ) su R, con p righe e n colonne, il cui
termine di posto (i, j) è la somma dei prodotti dei termini della riga i-esima di A
per quelli della colonna j -esima di B, ovvero
q
tij := L aihbhj, per ogni i E {l, ... , p} , j E {l , .. . , n}.
h= l
L: algebra delle matrici 263

Per ogni n E N si denota con Mn(R) l'insieme delle matrici quadrate di ordine
n sull'anello R. Siccome si può effettuare il prodotto righe per colonne di ogni
coppia di matrici quadrate di ordine n ottenendo ancora una matrice quadrata di
ordine n, il prodotto righe per colonne è un'operazione interna in Mn(R).

7.2.3. Rispetto alla somma di matrici e al prodotto righe per colonne, Mn(R) è
un anello. Inoltre se R è unitario, anche Mn(R) lo è.

Dimostrazione. Per 7.2.1, (Mn(R), +)è un gruppo abeliano.


Il prodotto righe per colonne in Mn(R) è associativo, in quanto per ogni
A = (aij), B = (bij), C = (cij) E Mn(R), posto (AB)C = T = (tij) e
A(BC) =P= (Pij), per ogni i,j E {1, ... , n} risulta

e pertanto (AB)C = A(BC).


Per ogni A = (aij), B = (bij), C= (cij) E Mn(R), posto (A+ B)C =
S = (sij) e AC + BC =D= (dij), per ogni i,j E {l , ... , n} risulta
n n n n
Sij = L(aih+bih) chj = L(aihChj+bihchj) = Laihchj+ LbihChj = dij ·
h =l h =l h=l h=l

Questo comporta che (A+ B)C = AC + BC. Analogamente si verifica che


A(B+C)=AB+AC.
Infine, se l'anello R è unitario, indicata con l l'unità di R, si definisce il
simbolo di Kronecker t5ij ponendo

l se i= j
Oij := { O se i f= j.

La matrice scalare In i cui termini della diagonale principale sono tutti l, cioè
In := ( Oij), è detta la matrice identica di ordine n su R, ed è elemento neutro
rispetto al prodotto righe per colonne in Mn(R). Per verificare ciò basta con-
siderare una qualsiasi matrice A = (aij) E M n ( R) e osservare che per ogni
i, j E {1 , .... n} risulta
n
L aihDhj = aijOjj = aij
h= l

e
n
L oikakj = Oiiaij = aij,
k=l
cioè Ain = A = InA. D
264 Capitolo 7

Osservazione. In generale, se n > l, l'anello Mn(R) non è commutativo nean-


che quando tale è R, perché il prodotto righe per colonne non è un'operazione
commutativa. Per esempio, in M 2 (Z) risulta

Come già detto in 4.1, se R è un anello per ogni r E N si definisce la potenza


r-esima di una matrice A E M 11 (R) ponendo:

A, se r =l ,
Ar :=
{ ·
Ar- IA, se r > l.

Se R è unitario si pone anche A 0 :=In

Esercizi
Esercizio 7.2.1. Si dimostri che per ogni A E Mm(R) la matrice A + AT è
simmetrica.
Esercizio 7.2.2. Si considerino le seguenti matrici in M4,3 (Z):

2 3 4)
A=
o
(5
o
l
O O 2
l 9
' B-(~ 7oo 5)
- l
4
3 l
l

l
.

Si determini la matrice 2AT + 3BT E M3,4 (Z).


Esercizio 7.2.3. Si considerino le seguenti matrici su Z:

A= ( ~ -~ -! ) , B = ( ~ =i -~ ) , C= ( ~ -i =i ) ·
Si determinino le matrici 3A + 4B- 2C e AT + 2BT- eT.
Esercizio 7 .2.4. Siano

Si calcoli il prodotto righe per colonne AB.


Esercizio 7.2.5. Siano

A = ( 2 l ) E M1,2(Q), B = ( ! -; -~ ) E M 2,3 (Q).

Si calcoli il prodotto righe per colonne AB.


L.: algebra delle matrici 265

Esercizio 7.2.6. Sia A una matrice m x n su un campo F ; in quali ipotesi è


definito il prodotto AT A ?
Esercizio 7.2.7. Sia

Si calcolino A 2 e A 3 .
Esercizio 7.2.8. Siano A e B matrici quadrate. Si dice che A e B sono permuta-
bili se AB = BA. Si determinino tutte le matrici

che sono permutabili con la matrice ( ~ i ).


Esercizio 7.2.9. Sia
B = ( ; ~ ) E M2(IR);

si determini una matrice U E M2,1(IR) tale che EU = 6U.


Esercizio 7.2.10. Siano

A= ( !~
-1 7
o o
Si calcolino i prodotti righe per colonne AB e BA.
Esercizio 7.2.11. Si considerino le seguenti matrici in 1113,2 (1R):

A=
(
o2 l )
4 , B =
-2
3 l
( -7 5
o) ,
-2 l

(i) Sicalcolinolematrici3A, A+B, A - C, 2C - 5A, -7A+3BeA+C+B.


(ii) Si determinino la matrice D E M3,2(IR) tale che 2A + B- D sia la matrice
nulla, e la matrice E E M3,2 (IR) tale che A+ 2B- 3C +E sia la matrice
nulla.
Esercizio 7 .2.12. Sia
266 Capitolo 7

Si dimostri per induzione su n che

per ogni n 2: O.
An=
u T) 2n
l
o

Esercizio 7.2.13. Sia

A~u ~)
3
l E M,(Z).
o
Si dimostri per induzione su n che

per ogni n 2: O.

Esercizio 7.2.14. Sia

Si dimostri per induzione su n che

per ogni n 2: l.

7.3 Matrici a scala


Siano F un campo, m , n E N interi positivi, lvfm,n(F) l'insieme delle matrici
m x n su F. Una matrice A = (aij) E Mm,n(F) è detta a scala se verifica le
seguenti condizioni:

• per ogni i E {l , . .. , m}, da aij = O per ogni j E {l , ... , n} segue che anche
ai+l ,j = O per ogni j E {l , ... , n};
• se aij f= O e aih =O per ogni h < j, allora a i+ l ,h =O per ogni h :::; j.
L: algebra delle matrici 267

La prima condizione della definizione precedente comporta che se una riga di A


è costituita da tutti O allora tutte le successive righe di A sono costituite da tutti
O. n primo termine non nullo di ogni riga di una matrice a scala è detto pivot.
Per la seconda condizione della definizione, l'elemento della riga (i+ 1)-esima
che si trova esattamente sotto il pivot della riga i-esima è certamente O. Inoltre
l'eventuale pivot della riga (i + l )-esima si trova certamente "più a destra" di
quello della riga i-esima. Per esempio, la matrice

è a scala; il pivot della prima riga è l, il pivot della seconda riga è 3. Invece la
matrice

non è a scala, in quanto non verifica la seconda condizione della definizione.


Data una matrice A = ( aij) E M m, n (F) , e denotate come di consueto con
A(l), ... ,A(m) E M 1 ,n(F) le righe di A, si dirà che sulle righe di A è stata
effettuata un'operazione elementare quando:

• si sono moltiplicati tutti i termini di una riga A (i) di A per un elemento non
nullo À E F; per denotare questa circostanza si usa la notazione Ri ---. ÀRi;
• si sono scambiate di posto le due righe A (i) e A (j) di A; in tal caso si utilizza la
notazione Ri +-> RJ;
• si è sostituita la riga A (i) con la riga A (i)+ ÀA (j) = (ai l+ Àajl, .. . , ai n+ Àajn)
dove À E F e i =/= j; questa circostanza si indica con Ri ---. Ri + ÀRj.

Matrici A e B E Mm ,n (F) sono dette equivalenti, e si scrive A ""' B, se B si


ottiene da A effettuando un numero finito di operazioni elementari sulle righe.
In tal modo resta definita in Mm,n(F) una relazione binaria che, come è facile
verificare, è d'equivalenza (vedi Esercizio 7.3.1). "Ridurre a scala" una matrice
A significa determinare una matrice a scala T tale che A "' T: ciò è sempre
possibile, come prova il risultato che segue.

7.3.1. Sia F un campo. Per ogni matrice A E Mm ,n(F) esiste una matrice a
scala T E Mm ,n(F) tale che A"' T.

Dimostrazione. La matrice nulla è banalmente a scala, pertanto basterà prendere


in considerazione matrici non nulle. L'asserto verrà provato per induzione sul
numero m delle righe.
268 Capitolo 7

Se m = l , allora !v'h ,n (F) è costituito da matrici a una riga che sono ov-
viamente a scala; sia quindi m > l e si supponga per ipotesi induttiva che ogni
matrice con h < m righe (ed un numero qualsiasi di colonne) sia equivalente a
una matrice a scala. Data una matrice non nulla A E Mm ,n(F) , si può consi-
derare il minimo indice j tale che la j-esima colonna di A non ha tutti i termini
nulli e il minimo indice i tale che a ij ::/:. O. In altre parole si può considerare il
primo termine diverso da O della prima colonna non nulla di A; sia questo a i j.
Se i ::/:. l si scambiano la prima riga e la riga i-esima, cioè si esegue l'operazione
elementare R i ~ R 1 , ottenendo la matrice equivalente
o o *
a ij
*
o o * * *
B=
o o * * *
o o * * *
L'elemento aij è un elemento non nullo di F e quindi esiste ai/ E F ; posto
Àh = -(ai/ )bhj per ogni h E {2, ... , m}, se si eseguono le m - l operazioni
elementari Rh --+ Rh + ÀhR 1 al variare di h E {2 , .. . , m}, si ottiene la matrice

o o
o ** *
a ij
o o *
C=
o o o
o o o ** *
*
Si consideri la matrice D = (dhk) E l~tfm- l ,n -j con dhk c h+l,k+j per ogni
h E {l , . .. , m - l} e per ogni k E {l , . .. , n - j}. Per ipotesi di induzione,
eseguendo sulle righe di D un numero finito di operazioni elementari si ottiene
una matrice a scala

Sl ,n -J )
S2,n-J

Sm-~, n -J .

Se h 1 , ... , ht sono gli indici delle righe di D coinvolte in tali operazioni allora
eseguendo le stesse operazioni sulle righe di C di indici h1 + l , ... , ht + l si
ottiene la matrice a scala
o o a ij
* *
o o o sn Sl,n- j
T =
o o o
o o o Sm-1 ,1 Sm - l ,n - j
equivalente ad A. D
L: algebra delle matrici 269

7.3.2. Esempio. Si voglia determinare una mattice a scala equivalente alla matri-
ce

A_
oO oO l )
2
- ( o -5 -3
o l l
Si noti che la prima colonna non nulla di A è la seconda e il primo elemento
non nullo della prima colonna non nulla è quello di posto (3, 2). Occorre quindi
scambiare la terza riga di A con la prima, cioè eseguire l' operazione elementare
R 1 ~ R 3 , ottenendo:

A questo punto occone eseguire le tre operazioni elementari Rh ---t Rh + >..hR1


con Àh = ~bh2 per ogni h E {2, 3, 4}. Poiché b22 = b32 = O le cmTispon-
denti operazioni elementari non hanno alcun effetto sulla matrice. Invece con
l'operazione R 4 ---t R 4 + ~ R 1 si ottiene la matrice

o -5
o o
C= ( O O
o o
Di qui, eseguendo le operazioni R 3 ---t R3 - !R2 e R4 ---t R4 - ~ R 2 , si ottiene
la matrice a scala
o -5 -3 )
o o 2
T= ( O O O '
o o o
che è equivalente ad A perché ottenuta da A con un numero finito di operazioni
elementari sulle tighe.

Siano F un campo, m E N un intero positivo, e Im E Mrn(F) la matrice identica


di ordine m su F. Le matrici che si ottengono applicando a Im un'operazione
elementare sulle righe si dicono elementari. La matrice elementare che si ottiene
applicando a Im l'operazione elementare Rh ---t >..Rh con ).. E F \ {0}, ovvero
la matrice diagonale i cui termini della diagonale principale sono tutti uguali a l
tranne l'h-esimo che è uguale a>.., si denota con E~. Si pone cioè E~ := (eij)
con ehh = >.., eii = l per ogni i i:- h e eij = O per ogni i i:- j. La matrice
elementare Ehk con h, k E {l , ... , m} è poi quella che si ottiene applicando a
Im l' operazione elementare Rh ~ R k, ovvero Ehk := (eij) con eii =l per ogni
i E {l , .. . ,m}\{h, k}, ehh =O= ekk,e hk =l= ekh,e eij = Operogni
i i:- j con (i,j) i:- (h, k) e (i , j) i:- (k , h). Infine si denota con E~k la matrice
270 Capitolo 7

elementare che si ottiene da Im mediante l'operazione Rh ---t Rh+ )..Rk; si pone


cioè E~k := (eij ) con eii = l per ogni i E {1 , ... , m}, ehk = À, e eij = O per
ogni i=/= j con (i, j) =/= (h , k).
È possibile dimostrare che data una matrice A E M m,n (F), se B E M m ,n (F)
si ottiene da A mediante un'operazione elementare allora B coincide con la matri-
ce che si ottiene moltiplicando righe per colonne a sinistra A per la conispondente
matrice elementare. Si ha cioè che se B si ottiene da A mediante Rh ---t )..Rh,
allora B = E~ A; se B si ottiene da A mediante Rh t--7 Rk allora B = EhkA e
infine se B si ottiene da A mediante Rh ---t Rh + )..Rk, allora B = E~k A . Ciò
comporta che A rv B se e solo se esiste una matrice E quadrata di ordine m,
prodotto di un numero finito di matrici elementari, tale che B = EA.
7.3.3. Esempio. Con riferimento all'Esempio 7.3.2, risulta
l l l

E= E:;.} E~} E] 1E13·


Una matrice a scala si dice ridotta se i suoi pivot sono tutti l, e tutti i termini sopra
i pivot sono nulli.

7.3.4. Sia F un campo. Per ogni matrice A E A1m,n(F) esiste un 'unica matrice
a scala ridotta U E M m,n(F ) tale che A rv U.

Dimostrazione. In primo luogo, in virtù di 7 .3.1 si può assumere che A sia una
matrice a scala. Detti al}!, a 2}2, .. . , akjk i suoi pivot, mediante le operazioni
elementari

si ottiene una matrice B equivalente ad A, e i cui pivot sono

blj l = b2}2 = ... = bkj k = l.

A questo punto per annullare tutti i termini sopra i pivot basta eseguire le opera-
zioni elementari seguenti:
L: algebra delle matrici 271

R k -1 ---> Rk - 1 _ bk-1Jk. Rk .

Si tralascia per brevità la dimostrazione dell'unicità. D

7.3.5. Corollario. Sia F un campo. Per ogni matrice A E Mm,n(F) esistono


una matrice a scala ridotta U E Mm,n(F) e una matrice quadrata E E Mm(F),
prodotto di un numero finito di matrici elementari, tali che U = E A.

7.3.6. Esempio. Per ottenere la matrice a scala ridotta equivalente alla matrice a
scala

T~ o-~ -D E M,,,(Q)

dell'Esempio 7.3.2, occorre eseguire le operazioni elementari

R1---> -~R1
5
R2---> ~R2
2
R1---> R1- ~R2
5 l

ottenendo la matrice

oo o o)
l
l
U =
(o O O O
o o
E M4,3(Q)l

che è a scala ridotta ed equivalente a T. Posto


3 l l
E = E;;5 E:} E; 5 l

risulta ovviamente U = ET.

Esercizi
Esercizio 7.3.1. Sia F un campo. Si dimostri che ponendo A"' Bse e solo se B
si ottiene da A effettuando un numero finito di operazioni elementari sulle righe,
si definisce in Mm ,n (F) una relazione d'equivalenza.
272 Capitolo 7

Esercizio 7.3.2. Si riducano a scala le matrici

l 5)
o o
l l
B=( 2 o o l )
A=
( 2 O l
3 o 2
' 3 l o l o

Esercizio 7.3.3. Si riducano a scala le matrici

A= ( ~ ~ =~ ~
3 6 -4 3
),B = ( ~
3
=i ~ -~ ),
l 2 3
C= ( -~l 2~ =: ).
-5
Esercizio 7.3.4. Si riducano a scala le matrici

A=(i l
~; ~ ~),B=(~o 9~~),c=(~
2 8 4 12 4
~ ~
l -4 -2
!).
-2
Esercizio 7.3.5. Si determinino le seguenti matrici elementari di ordine 3 su Q:
l
E 13' E 22 ' E-5
32 '
E3 E-7
21' 3 o

Esercizio 7.3.6. Dopo aver individuato una matrice a scala T equivalente alla
matrice

-~ ~ -i-5 )
A=
( o
o o
4
-2
si determini la matrice E prodotto di un numero finito di matrici elementari tale
che EA =T.
Esercizio 7.3.7. Si riducano a scala le seguenti matrici su Z7:

Esercizio 7.3.8. Si determinino le matrici a scala ridotte equivalenti alle seguenti


matrici su Z5:

Esercizio 7.3.9. Si determinino le matrici a scala ridotte equivalenti alle seguenti


matrici su Q:

A~ ~-n),
l 1/3 1/5
-4 -2 l
( o B= 2
5 2 2 3
(
-t/6 o
L.: algebra delle matrici 273

7.4 Determinante di una matrice quadrata


Sia A = (aij ) E lvfm ,n (R) una matrice m x n su un anello commutativo R.
Considerati un indice h E {l , ... , m} e un indice k E {l , ... , n} , si denota con
Ahk la matrice (m - l) x (n - l) che si ottiene da A eliminando la riga h-esima
e la colonna k-esima. Tale matrice è detta matrice complementare dell ' elemento
ahk·
Per esempio se si considera la matrice

l 2 3 5 )
A= 2 O 7 4
( 5 9 o o

le matrici complementari degli elementi di posto (2, 3) e di posto (2, 4) sono


rispettivamente le seguenti matrici di M 2 ,3(Z):

l 2 5 )
A 23 = ( 5 9 O , A24 = ( 5l . 92 O
3 )
.

Se A è una matrice quadrata di ordine n, allora per ogni i, j E {l , ... , n} la


matrice A ij è ancora quadrata e ha ordine n - l.
Sia A E Mn(R) una matrice quadrata di ordine n su un anello R. Si dice de-
terminante di A lo scalare (cioè l'elemento di R) che viene definito, per induzione
su n , come segue:
se n= l ,

se n > l. (7 .4.1)

In particolare, se A è una matrice di ordine 2, posto

A= ( an a1 2 )
a21 a 22 '

dalla (7 .4.1) segue


2
det A= L( -l)l+i a1j det A1j
j= l
2 . 3
= (-1) audet(a22 ) + (- 1) a12 det(a21)
= ana22- a1 2a21·

Se invece A è una matrice di ordine 3, posto


274 Capitolo 7

la (7.4.1) comporta che


3
det A= L( -l)l+jalj det A1j
j=l

= an(azza33- az3a3z)- a1z(az1a33- az3a31) + a13(az1a32- azza31).


Osservazione. Un metodo spesso usato per il calcolo del determinante di una
matrice di ordine 3 è la cosiddetta regola di Sarrus. In sostanza, se si vuole
calcolare il determinante della matrice

a12 a13 )
azz az3 ,
a32 a33

basta eseguire la somma dei prodotti degli elementi situati sulla diagonale princi-
pale di A e di quelli situati ai vertici dei due triangoli isosceli che hanno un lato
parallelo a tale diagonale, ossia anazza33 + a12a23a31 + az1a32a13

azv··
a13

• •
• a32 •
e aggiungervi la somma degli opposti dei prodotti degli elementi situati sulla dia-
gonale secondaria di A e di quelli situati ai vertici dei due triangoli isosceli che
hanno un lato parallelo a quest'ultima, ossia -a13a22a31- a12a21 a33- an az3a32

Si vede subito che così facendo si ottiene lo stesso risultato che si era ottenuto in
precedenza sviluppando il determinante rispetto alla prima riga.
In alternativa, si può scrivere la matrice 3 x 5 che si ottiene da A aggiungen-
dovi una quarta colonna identica alla prima, e una quinta identica alla seconda:

an a12 a13 an
a21 azz az3 a21
(
a31 a32 a33 a31

ed eseguire la somma dei prodotti degli elementi situati sulle tre diagonali "prin-
cipali" (quelle che, partendo dall'alto, vanno da sinistra a destra), e sottrarvi la
L: algebra delle matrici 275

somma dei prodotti degli elementi situati sulle tre diagonali "secondarie" (quelle
che, sempre partendo dall' alto, vanno da destra a sinistra): infatti così facendo si
ottiene au a22a33 + a12a23a31 + a13a21a32- a13a 22a31 - au a23a32- a1 2a21a33,
che è ancora il medesimo risultato ottenuto in precedenza.
Ovviamente la regola di Sarrus è valida soltanto per i determinanti delle
matrici di ordine 3.

Si può dimostrare che, per ogni matrice A E M n (R) e per ogni i E {l , . .. , n},
n n
(7.4.2)
j= l j= l

Se A è una matrice quadrata di ordine n su un anello R e i , j E {l , ... , n} si


definisce complemento algebrico dell' elemento a ij lo scalare

Per la (7.4.1), il determinante di A è la somma dei prodotti degli elementi del-


la prima riga di A per i loro complementi algebrici. Per la (7.4.2), anziché la
prima liga, è lecito scegliere una qualunque riga di A . Si può inoltre provare
che la somma dei prodotti degli elementi di una qualsiasi colonna di A per i loro
complementi algebrici uguaglia il determinante di A:
n
detA = L( - l)i+j aijdetAij , perognij E {l , . .. , n}. (7.4.3)
i= l

In definitiva, quindi, il determinante di una matrice quadrata A è la somma dei


prodotti degli elementi di una qualsiasi linea (cioè riga o colonna) per i loro
complementi algebrici. Si potrebbe dimostrare quanto segue:

7.4.1. Siano R un anello commutativo e A E M n(R). Allora:


(i) se A ha due righe oppure due colonne uguali allora det A = O;
(ii) se A possiede una riga o una colonna costituita da tutti Oallora det A = O;
(iii) se A è triangolare superiore oppure triangolare inferiore allora risulta
d et A = au a22 . .. ann: in particolare det In = l per ogni n E N;
(iv ) se B è la matrice che si ottiene da A scambiando di posto due righe o due
colonne allora det B = - det A;
(v) se la matrice B si ottiene da A moltiplicando tutti gli elementi di una riga
o di una colonna di A per uno scalare À E R, allora det B = À det A;
(vi ) se la matrice B si ottiene da A sommando a una riga (colonna) di A il
prodotto di un'altra riga (colonna) di A per uno scalare À E R, allora
detB = detA;
(vii ) detA = detAT.
276 Capitolo 7

Sia R un anello unitario. Una matrice quadrata A E Pvfn(R) è detta non sin-
golare (o anche non degenere) se de t A è un elemento inverti bile nell 'anello R,
singolare (o degenere) in caso contrario.
In particolare, se F è un campo, una matrice A E Mn(F) è non singolare se
e solo se de t A -l O. Per (iv), (v) e (vi) di 7 .4.1, se A è non singolare allora ogni
matrice che si ottiene da A eseguendo un'operazione elementare sulle righe di A
è non singolare. Questo comporta che se A , B E lVIn(F) sono tali che A rv B,
allora det A-# O se e solo se det B-# O (vedi Esercizio 7.4.11).
Si può poi dimostrare il seguente:

7.4.2. Teorema di Binet. Siano R un anello commutativo e A , B E fvfn(R ).


Allora det(AB) = (det A)(det B).

Esercizi
Esercizio 7.4.1. Siano F un campo, (al, a2, ... , an) E Fn. Il determinante

l l l
al a2 an
V(a1,a2 , . .. ,an ) :=det
a2l a22 an2

n-1 n- l
al a2 ann- l

è detto determinante di Vandermonde di (a 1, a2, ... , an). Si provi per induzione


che per ogni n > l risulta:

V(a1, a2 , ... , an)= IJ (ak- ah) ·


15_ h<k5_n

Esercizio 7.4.2. Si calcoli il determinante delle seguenti matrici su Z:

A= ( i -~ ~ ) ,
2 3 3
-4
o
o H:).
5 2 2 3

Esercizio 7.4.3. Considerata la matrice

A=
(
l 7 3 5
2 4 l o
3 l O 2
l o 7 4
!) E M,,s(Z),

si determinino le matrici complementari A13, A24, A35 e A41·


L: algebra delle matrici 277

Esercizio 7.4.4. Utilizzando la regola di Sarrus, si calcoli il determinante delle


seguenti matrici di M3('1L):

A=
( l 73)
2 O 5
l o 3
, B=
2 l l )
O 3 7
( 4 2 l
.

Esercizio 7.4.5. Si calcoli il determinante della matrice

Esercizio 7.4.6. Si calcoli il determinante della matrice

Esercizio 7.4.7. Si calcoli il determinante delle seguenti matrici su ffit:

o 2 7 ) ( -2 l -2 ) ( l l l
A= ( O O 1r , B = l -2 l , C= ~ ~ ~
3 o o -2 l -3 5 6 7

o! D
Esercizio 7.4.8. Utiliz~ando la regola di Sarrus, si calcoli il determinante della
matrice

A= EM,(Zg).

Esercizio 7.4.9. Considerata la matrice

A= (-t 3/5
o
-2
l
-1/2
-1
o3
o o
1/5 )
3
O E M4(Q),

si determinino i complementi algebrici degli elementi di posto (2, 2), (l, 4), (3, 2),
(2, 4).
Esercizio 7.4.10. Utilizzando la 7.4.1 si provi che

detEhk = -1 , detEt = À, detEtk =l.


Esercizio 7.4.11. Utilizzando l'Esercizio 7.4.10 e il teorema di Binet (vedi 7.4.2)
si provi che se A, B E Mn(F) sono tali che A "' B, allora A è non singolare se
e solo se lo è B.
278 Capitolo 7

Esercizio 7.4.12. Utilizzando la 7.4.1 si calcoli rapidamente il determinante delle


seguenti matrici di 1114(Q):

o o
~ 2~o ~~7 ~~~66 ) ,
A=
(oo o o - 1
B=
( l~~
3/2
10
-100
-21
o
2
72 -3
~) ,

u
o o
J).
o 2
10~
- 14
37 -43 -6 o 26
C= o o -5 ) , D= 75 o -101
2 15/4 73
( -77 4 - 1/ 90 32
5 l -3 201 7 21
7)
E=
( 21 76 -32
-5 - 1 3
28

54 65 -99 -89
7 , F=
(
78
l -15
-6
l

-6 -6 -12
- 15
17
14 )
-3~ ,

-10 4 13 - 1~ -4 - 14
G=
( -8
2 -4 7

27
o 20
l 6
l),
-9
H=
( -8
27
-4 -2
o -8
l 28 -9
l).
7.5 Matrici invertibili
Sia R un anello unitario, e sia n un intero positivo. Come già provato in 7.2.3,
Mn(R) è un anello unitario. Un elemento A E Mn(R) si dice matrice inverti-
bile se A è simmetrizzabile rispetto al prodotto righe per colonne in Mn(R), e
quindi se esiste una matrice B E Mn(R) tale che AB = In = BA. Se A è
invertibile una tale matrice B è unica (vedi 4.1.10); essa viene detta la matrice
inversa di A e denotata col simbolo A - l . il risultato che segue fomisce un'utile
caratterizzazione delle matrici invertibili.

7.5.1. Sia R un anello commutativo unitario. Una matrice A E Mn(R) è in-


vertibile se e solo se è non singolare. In tal caso A ha come inversa la matrice
B = (bij) dove
bij := (-l)i+j detAji(detA)- 1
perogni i,j E {l, ... , n}.

Dimostrazione. Sia A inverti bile, e sia A - 1 la sua inversa. Allora AA - 1 = In.


e per la (iii) di 7.4.ltisulta det(AA- 1 ) = det In = l. Applicando il teorema
di Binet (vedi 7.4.2) ne segue che (detA)(detA- 1 ) = l. Dunque detA è un
elemento invertibile di R, e la matrice A è non singolare.
Viceversa, sia A non singolare. Poiché det A è un elemento invertibile di R,
si può ~onsiderare la matrice B di cui ali' enunciato. Posto AB = P = (Pij), per
L: algebra del le matrici 279

ognii,j E {l, . .. ,n}siha

1
Pij = taihbhj = ( t a ih(-l)h+jdetAjh ) (detA)- . (7.5.1)
h=1 h=1
Se i = j allora
n
'""'
D ai h (-l) h+i d et Aih = d et A
h=1
per (7.4.2), e quindi la (7.5.1) comporta pii= l. Se invece i i= j, si assuma i< j
e si consideri la matrice C = ( Cij) che si ottiene da A sostituendo la riga j -esima
con la riga i-esima. Tale matrice C ha allora due righe uguali, la i-esima e la
j -esima, dunque d et C = O per la (i) di 7 .4.1. Inoltre, per ogni h E {l, .. . , n},
risulta banalmente Cjh = aih e cjh = Ajh· Pertanto per la (7.4.3) si ha
n n
O=detC= '""'
Dcjh(-1) h+JdetCjh=
. '""'
Daih(-1) h+ JcietAjh,
.
h=1 h=1
e dalla (7.5.1) segue che Pij = O. Pertanto P = In . Analogamente si prova che
BA= In. Ne segue che A è invertibile, e B è la matrice inversa di A. D
Nel caso delle matrici non singolari di ordine 2, il calcolo della matrice inversa
risulta particolarmente semplice.

7.5.2. Corollario. Siano R un anello commutativo unitario e

A= ( ~ ~) E Mz(R)

una matrice non singolare. Allora


1
A-1 = ( d (detA)- -b (detA)- 1 )
-c (detA)- 1 a(detA)- 1 ·

Dimostrazione. Esercizio. D
Si noti che nella prima parte della dimostrazione di 7.5 .l si è in realtà provato
quanto segue:

7.5.3. Corollario. Sia R un anello commutativo unitario. Se A E Mn(R) è


invertibile allora detA- 1 = (detA)- 1 .

Con R anello commutativo unitario, per ogni matrice A E Mn(R) si definisca


280 Capitolo 7

la matrice il cui termine di posto (i,j) è il complemento algebrico in A dell'ele-


mento aij. La 7.5 .l assicura che, se A è non singolare, allora essa è inverti bile e
la sua inversa è la matrice

(7.5.2)

che si ottiene moltiplicando la trasposta di A* per lo scalare (det A) - 1 E R.

7.5.4. Esempio. La matrice

3
A= · 2 O l
(
l o) E M3(Z).
4 l l

è non singolare, in quanto d et A = - l è un elemento inverti bile in 'Il . La 7 .5.1


assicura allora che A è invertibile. Per calcolare l' inversa di A si determinerà in
primo luogo la matrice A* e, a tale scopo, i complementi algebrici dei termini di
A. Si osservi che det An = -l, - det A21 = - l, det A31 = l , - det A12 = 2,
det A22 = 3, - det A32 = -3, det A13 = 2, - det A23 = l, det A33 = -2.
Dunque

A*= ( =i l
~
-3
i),
-2

e la (7.5.2) assicura che

-2
-2
l l
-3
-1
-1)
3
2
.

La proposizione che segue è spesso utile:

7.5.5. Sia R un anello commutativo unitario. Con A, B E Mn(R) risulta

AB=In ~ BA=In.

Dimostrazione. Sia AB = In. Allora il teorema di Binet (vedi 7.4.2) e la (iii)


di 7.4.1 assicurano che det(AB) = (detA)(detB) = detin =l, ovvero detA
è un elemento invertibile di R, quindi A è non singolare. Allora A è invertibile
per 7.5.1. Moltiplicando a sinistra per A- 1 l'uguaglianza di partenza si ottiene
A- 1 (AB) = A- 1 In, cioè (A- 1 A)B = A- 1 perl'associativitàdelprodottorighe
per colonne (vedi 7.2.3). Essendo A- 1 A= In si ottiene B = A - 1 , quindi BA=
In come volevasi.
L'implicazione opposta si dimostra in maniera analoga. D
L: algebra delle matrici 281

Osservazione. Siano F un campo e A E Mn(F) una matrice quadrata su F con


det A i= O. Allora A è non singolare, e 7.5.1 assicura che A è inve1tibile. Per il
Corollario 7.3.5, esistono una matrice a scala ridotta U E Mn(F) e una matrice
E E Mn(F), prodotto di un numero finito di matrici elementari e quindi non
singolare, tali che U = EA. Siccome in F non ci sono divisori dello O (vedi
Paragrafo 6.5), il teorema di Binet (vedi 7.4.2) assicura che det U i= O. Ciò
comporta, in particolare, che U non può avere righe nulle (per la (ii) di 7.4.1).
Dunque U ha esattamente n pivot, e pertanto U = 17i è la matrice identica. Ma
allora EA = In, cioè E = A- 1 in virtù di 7.5.5. Questo è quindi un metodo
alternativo per determinare l'inversa di una matrice non singolare su un campo.

7.5.6. Esempio. La matrice

è non singolare, essendo det A = -2. Le operazioni elementari mediante le


quali si ottiene la matrice a scala ridotta equivalente ad A (che per l'osservazione
precedente è h) sono:

R2 - t R2- ~Rl
. 3
Rl - t ~Rl
3
R2 -t 3R2
R3 -t -~R3
2
Rl - t Rl + ~R2
3
Rl - t R l - R3
R2 -t R2 - 3R3 .

Dunque

o l 1/2
A-1 = E-3E-1E3
23 13 12 3
l
E-2E3E3E-3
2 l
l

21 = ( -1 3 3/2
o o -1/2
l l

)
Esercizi
Esercizio 7.5.1. Si dimostri il Corollario 7.5.2.
282 Capitolo 7

Esercizio 7.5.2. Si stabilisca quali delle seguenti matrici su Ql sono invertibili, e


di ciascuna di esse si determini la matrice inversa:

A= c4 4 5
3 l - 2
~) , B=(~l
6
5
l D·C=U
-11
2
-36
-l
-5
8
7

o -9
li)
Esercizio 7.5.3. Si stabilisca se la matrice
oo
A =

un 7 o
o4
oo
E M4(Zg)

è invertibile e, in caso affermativo, si determini A -l e si calcoli det(A -l).

o! oEM,(~)
Esercizio 7.5.4. Si stabilisca se la matrice

B=
è invertibile e, in caso affermativo, si determini B- 1 e si calcoli det(B- 1 ).
Esercizio 7.5.5. Si stabilisca quali delle seguenti matrici su Zg sono invertibili, e
di ciscuna di esse si determini la matrice inversa:

7.6 Rango di una matrice


Sia A = (aij) E Mm ,n(F) una matrice m x n su di un campo F, e si denoti-
no con A (l), ... , A (m) le sue righe e con A( l) , ... , A( n) le sue colonne. Posto
h := min {m, n}, e fissato un intero positivo p ::; h, per ogni { i1 , ... , ip} ç
{1 , ... , m} con i1 < i2 < · · · < ip e per ogni {j1 , . .. , jp} ç {1 , . .. , n} con
j 1 < ]2 < · · · < ]p, si dice sottomatrice quadrata di A di ordine p la matrice

i cui elementi sono tutti e soli gli elementi di A che apprutengono simultanea-
mente a una delle righe A (i l), .. . , A (ip ) e a una delle colonne A(h), . .. , A(jp). Il
determinante di una tale sottomatrice di A è detto minore di ordine p della matrice
considerata.
L: algebra delle matrici 283

7.6.1. Esempio. Si consideri la matrice

o
l
-2 3 )
l - 5
A= 4 7 11 E M 4,3(«Jl).
(
- 1 o o
Le sottomatrici quadrate di ordine 3 di A sono:

A1 ,2,3 _
1,2,3 -
n -2
l
7
-~)
11
, A 1,2,4 _
1,2,3 - (
o
l
- l
-2

o
l
-n.
-5)
A1 ,3,4 _
1,2,3 -
(J -2
7
o l~). A 2,3,4 _
1,2 ,3 - (
l l
4 7
-l o
l~ .

Quindi i minori di ordine 3 di A sono:


123 d tA1 ,2,4 - -7 134 234
d e t A 1,2 ' -- 71 '
' ,3 e 1,2,3 - ' ' ' -- 43 '
d e t A 1,2,3 ' ' - - 46 ·
d e t A 1,2,3-

Si osservi che se A è una matrice quadrata di ordine n allora d e t A è l'unico


minore di ordine n di A.
Considerata una matrice A E M m ,n (F), si dice rango di A il numero naturale
non negativo p( A) definito come il massimo ordine di un minore non nullo di A
se A non è la matrice nulla, O se A è la matrice nulla.
Dalla definizione segue immediatamente che p( A) ::::; m in{ m, n}; inoltre se
A è quadrata di ordine n allora p( A) =n se e solo se d e t A i- O.
La matrice A di cui all'Esempio 7 .6.1 ha rango 3. Infatti A possiede minori
di ordine 3 non nulli, e ovviamente non possiede minori di ordine maggiore di 3.

7.6.2. Sia A E Mm,n(F), e sia O < h < min{ m, n}. Allora p( A) = h se e solo
se A possiede un minore non nullo di ordine h e tutti i minori di ordine h + l di
A sono nulli.

Dimostrazione. Se p( A) = h, per definizione, tutti i minori di ordine h+ l di A


sono nulli. Viceversa, si assumano nulli tutti i minori di A di ordine h + l, e sia
Buna sottomattice quadrata di A di ordine h+ 2. Allora d e t B = O, in quanto
per (7.4.2) det B è somma di prodotti in ciascuno dei quali compare come fattore
un minore di A di ordine h+ l, che è nullo per ipotesi. Dunque sono nulli tutti i
minori di ordine h + 2 di A. Allo stesso modo si prova che sono allora nulli tutti
i minori di ordine h + 3. Iterando il ragionamento, tutti i minori di A di ordine
maggiore di h risultano nulli, quindi p( A) = h. D

Osservazione. Si potrebbe dimostrare che se un minore det Aj~ ·,·.·.·. ·,Y;, di A è non
nullo, per poter dire che A ha rango h non è necessario verificare che sono nulli
284 Capitolo 7

tutti i minori di ordine h+ l, ma basta considerare solo alcuni di essi, e precisa-


mente i cosiddetti minori orlati di det Aj~ ','.·.·. ·,j;,, ovvero i determinanti delle sotto-
matrici quadrate di ordine h+ l di A che possiedono det Aj~ ·. ·.· ',};, come minore
di ordine h.
7.6.3. Esempio. Si consideri la matrice
o
~
-3 4
o l l
A= O O O ) E Ms,4(Q).
( o o o
o o o
Tale matrice ha rango 2. Per verificarlo basta osservare che A possiede un minore
non nullo di ordine 2, per esempio

det ( -3
0 1
o) = -3,

e inoltre tutti i minori orlati di tale minore, e precisamente

det
( -3 o 4)
O l l , det
( -3 o 7)
O l O ,
o o o o o o
sono nulli.
Si potrebbe anche dimostrare che:

7.6.4. Il rango di una matrice a scala coincide con il numero dei suoi pivot.

E inoltre:

7.6.5. Matrici equivalenti hanno lo stesso rango.

Le 7 .6.4 e 7 .6.5 forniscono un ulteriore metodo per calcolare il rango di una ma-
trice. Basta infatti individuare una matrice a scala equivalente alla matrice data e
poi contarne i pivot.

Esercizi
Esercizio 7.6.1. Si riducano a scala le seguenti matrici su Q :

A=(i l
~; ~ ~),B=(~o 9~~)
2 8 4 12 4
, c=(~l .-4~ -26 -2!),
e se ne determini il rango.
L: algebra delle matrici 285

Esercizio 7.6.2. Si riducano a scala le seguenti matrici su IR:

l o
A=
(
o
2 O
3 o
l
B= ( 2 o o l)
3 l O l '

e se ne determini il rango.

Esercizio 7.6.3. Si calcoli il rango delle seguenti matrici su Q:

5l o
3 2l ) l 2 3 2 )
C= 2 9 O ' D = O l O l .
( ( 2 4 6 4
2 6 4

Esercizio 7.6.4. Si determini, in funzione del parametro reale t, il rango della


matrice
M= ( lt lt 22 ) E M2,3 (1R).

Esercizio 7.6.5. Si determini il rango della matrice

Esercizio 7.6.6. Sia F un campo, e si consideri la matrice

A= (
a
l c)
lb l E M2,3(F).

Si stabiliscano le condizioni cui devono soddisfare a, b, c E F affinché si abbia


p( A) = l, e affinché si abbia p( A) = 2.

7.7 Sistemi di equazioni lineari


Sia F un campo, e sia

auxl + · · · + alnXn = Yl
a21 X 1 + · · · + a2nXn = Y2
(7.7.1)
286 Capitolo 7

un sistema di m equazioni lineari in n incognite a coefficienti in F. Al sistema


(7. 7 .l) restano associate la matrice
an
a21 a1n
a2n )
A= : E Mm ,n(F),
(
a~11 amn

detta matrice incompleta del sistema, e la matrice

A'=
(
au
a21 ~~~: ;~: )E Mm,n+l(F),
a1:1l amn Ym

che prende invece il nome di matrice completa del sistema. Denotate con

la matrice delle incognite, e con

Yl )
Y= E Mm,l(F)
(
:,:
la matrice dei termini noti, per il sistema (7.7.1) si può utilizzare la notazione
compatta
AX=Y,
dove il prodotto è, ovviamente, righe per colonne. Se Y è la matrice nulla allora
il sistema è detto omogeneo. Il sistema lineare (7.7.1) è detto compatibile se
ammette almeno una soluzione, cioè se esistono elementi c1, ... , c71 E F tali che

anc1 + · · · + alnCn = Yl
a21c1 + · · · + a2nCn = Y2

ovvero una matrice

C = ( : ) E Mn,l( F)
L: algebra delle matrici 287

tale che
AC = Y.
Un sistema lineare omogeneo è sempre compatibile perché ammette sempre al-
meno una soluzione, ovvero la matrice nulla. Un sistema lineare che non sia com-
patibile è detto incompatibile. Sistemi lineari che ammettono le stesse soluzioni
sono detti equivalenti.

Metodo di Cramer
In questa sezione si considerano sistemi di equazioni lineari in cui il numero delle
equazioni coincide con quello delle incognite e quindi sistemi del tipo

AX=Y
dove la matrice incompleta A E M n (F) è quadrata di ordine n.

7.7.1. Teorema di Cramer. Sia n= m. Allora det A i- Ose e solo se il sistema


lineare (7.7.1) è compatibile e ammette un'unica soluzione, data da A - 1 Y.

Dimostrazione. Se det A i- O, allora A è inverti bile per cui si può considerare


A- 1 e quindi anche C:= A - 1 Y. Allora

dunque C è soluzione del sistema. Per verificare l'unicità si supponga che D E


Mn,1 (F) sia soluzione del sistema, cioè risulti AD = Y. Allora

come volevasi. L'altra implicazione venà dimostrata nel Paragrafo 8.7 (vedi
Esercizio 8.7.1). D

Nella pratica, l'unica soluzione del sistema lineare (7.7.1) con n = m e det A i- O
viene spesso determinata utilizzando la seguente:

7.7.2. Regola di Cramer. Sia n = m. Se det A i- Oallora l'unica soluzione del


sistema lineare (7. 7 .l) è la matrice

detB 1 (~etA) -
1
_ ( )
C- : '
det Bn(detA)- 1

dove, per ogni i E {l , ... , n}, Bi è la matrice che si ottiene da A sostituendo alla
colonna i-esima la colonna Y dei termini noti.
288 Capitolo 7

Dù:nostrazione. Sia

soluzione di (7.7.1). Per il teorema di Cramer (vedi 7.7.1) risulta C = A- 1 Y,


quindi da 7.5.1 segue che per ogni i E {l , ... , n} si ha
n
Ci= 2:)-l)i+hdetAhi(detA) - 1 Yh·
h= l

Da qui, applicando la (7.4.3), si ottiene subito

Ci = d et Bi (d et A) -l,
come volevasi. D
7.7.3. Esempio. Il sistema lineare di 3 equazioni in 3 incognite a coefficienti in Q

4xl + x2 - Sx3 = O
-2x2 + 3x3 = -4
{
-6x1 + 7x3 = 5
ha matrice incompleta

A= ( ~ _; -~).
-6 o 7
Poiché detA = - 14 i= O, per il teorema di Cramer (vedi 7 .7 .1) il sistema
ammette un' unica soluzione, data da A - l Y. L' inversa di A è la matrice

l 1/2 1/2 )
A- 1 = 9/7 1/7 6/7 ,
( 6/7 3/7 4/7

e quindi la soluzione del sistema è

1/2 )
C=A- 1Y= 26/7 .
(
8/7
I tre termini c1, c2, c3 di C possono essere agevolmente calcolati utilizzando la
regola di Cramer (vedi 7.7.2), ottenendo:

c1 = det ( -: -~ -~ ) (detA) - 1
= ~
L algebra delle matrici 289

o
-~ ~
4
c2 ~ det ( o -4
7
) (detA)- 1
26
7
-6 5

c,~ det ( ~
l
-2 -4 o) 8
(detA)- 1 = -.
-6 o 5 7

Metodo di Gauss-Jordan
In questa sezione si illustrerà un metodo per stabilire la compatibilità, e quindi
risolvere, un sistema
AX=Y (7.7.2)
di m equazioni lineari in n incognite a coefficienti in un campo F. Indicata con A'
la matrice completa del sistema (7.7.2), la 7.3.1 assicura che esiste una matrice a
scala Q E Mm ,n+l (F) tale che A' rv Q. Denotata con P E Mrn,n (F) la matrice
le cui colonne sono le prime n colonne di Q, e con

l'ultima colonna di Q, ovviamente anche P è a scala, e si dimostra che il sistema

PX=D (7.7.3)

è equivalente al sistema (7.7 .2).


Denotati con p(P) e p( Q) il numero dei pivot di P e di Q rispettivamente,
risulta p( Q) = p(P) oppure p( Q) = p(P) +l.
Se p(Q) = p(P) + l, allora nel sistema (7.7.3) vi è un 'equazione del tipo
O = di, con di non nullo, che non ha soluzioni. Pertanto in tal caso il sistema
(7.7.3) non ammette soluzioni, e quindi anche il sistema (7.7.2) è incompatibile.
Se invece p(Q) = p(P) = t allora si dimostra che il sistema (7.7.3) può
essere riscritto nella forma

Plj1 X)l + Pl)2X)2 + ·' ' + PljtXJt + Pljt+ l Xjt+l + ''' + PljnXJn
P2j2XJ2 + ' '' + P2jtXJt + P2jt + l Xjt +l + ''' + P2jnXJn

{
PtjtXJt + Ptjt+l Xjt+! + ''' + Ptjn XJn dt
(7.7.4)
dove Pl]l , P2j 2 , . . . , Ptjt sono i pivot. Se si pone
290 Capitolo 7

dove kj 1+ 1 , ••• , kj" sono elementi di F arbitrariamente fissati, il sistema (7.7.4)


diventa

Plj, Xjl + Plh~h + · · · + Pl]t ~Jt d1 - Pl]t + l kJt +l - · · · - Pl]n kj,.


P2]2X]2 + · · · + P2j Xj 1 1 cl2 - P21t +l kJt +1 - · · · - P21n kj ,
{
Ptj,Xjt dt - Pt]t +l k]t +l - · · · - Pt]n kj ,,
(7.7.5)
la cui matrice incompleta T è quadrata di ordine t e triangolare superiore, con
tutti i termini della diagonale principale non nulli. Per la (iii) di 7.4.1, risulta
det T =J O. Per il teorema di Cramer (vedi 7.7.1), il sistema (7.7.5) ammette al-
lora un 'unica soluzione, che può essere facilmente determinata procedendo come
segue. Dall'ultima equazione di (7.7.5) si ottiene subito

Sostituendo nella penultima equazione il valore così ottenuto per x 11 si determi-


na poi il valore di x 11 _ 1 . Risalendo in questo modo si determinano i valori di
Xj 1 _ 2 , ••• , X)l che soddisfano il sistema (7.7.5). In tal modo si ottiene un'unica
soluzione del sistema (7.7.2) per ogni scelta dei parametri kJt + l , ... , k1, E F.

7.7.4. Esempio. Il sistema di 3 equazioni lineari in 3 incognite su Q

Xl + 3X2 - X3 = 0
-6x2 + 2x3 = l (7.7.6)
{
2x1 + 6x2 - 2x3 = -l

ha matrice completa

-1 o
A'~U
3
-6
6
2
-2
l
-l
),
che è equivalente alla matrice a scala

-1 o
Q~o
3
-6
o
2
o
l
-l
)
Il sistema (7 .7 .6) è pertanto equivalente al sistema

Xl + 3X2 - X3 = 0
-6x2 + 2x3 = l
{
o= -1.
L: algebra delle matrici 291

Quest' ultimo, contenendo l'equazione O = - l, è incompatibile. Pertanto il siste-


ma (7.7.6) è privo di soluzioni. Si noti che, posto

P= o-~ -n,
risulta 2 = p(P) < p( Q)= 3.
7.7.5. Esempio. Il sistema di 3 equazioni lineari in 4 incognite su Q

Xl + 2X2 + X4 = 2
2x1 + 3x2 + 4x3 - x4 = l (7.7.7)
{
-xl + Sx2 - X3 + 2x4 = 2

ha matrice completa

che è equivalente alla matrice a scala

Q= ( ~ - ~ ~ -~ -~ )
o o 27 -18 -17

Dunque il sistema (7.7.7) è equivalente al sistema

(7.7.8)

Per ogni fissato k4 = t E Q,

18t- 17
C3 = - - -
27
è soluzione dell'ultima equazione di (7.7.8). Sostituendo tale valore al posto di X3
nell'ultima equazione si ricava

13 - 9t
C2 =
27
e quindi dalla prima equazione si ottiene

28- 9t
Cl = _2_7_
292 Capitolo 7

Per ogni t E <Ql il sistema (7.7.8), e quindi il sistema (7.7.7), ammette l'unica
soluzione

c
t
= ( ~~~ =~~~j~; ) .
(18t-/7)/27

Per esempio, se si sceglie t= l, l'unica soluzione di (7.7.7) è

c,~ ( y~~y)
Esercizi
Esercizio 7.7.1. Si risolva con la regola di Cramer il seguente sistema lineare su
<Ql:
x-y+ z =l
2x + z =O
{
3x +y = 2.
Esercizio 7.7.2. Si risolva con la regola di Cramer il seguente sistema lineare su
Z13:
x-y+ z =O

{
_x+ :z = ~
2x + 3y =l.
Esercizio 7.7.3. Si risolvano con il metodo di Cramer i seguenti sistemi di equa-
zioni lineari su Zn:

{ ~x++ ~y = ~2,
4x 3y
=

Esercizio 7.7.4. Si risolvano con il metodo di Cramer i seguenti sistemi di equa-


zioni lineari su Zs:
2x +y = 2
+ 2z = 3
y
{
4x + 3y + 4z = O,
Esercizio 7.7.5. Considerati i seguenti sistemi di equazioni lineari su <Ql, li si
risolvano in più modi, una volta utilizzando il metodo di Cramer, l'altra il metodo
di Gauss-Jordan:
- 2x + 3y - z = l 2x + 4y + 6z = 2
x+ 2y- z = 4 x+ 2z =O
{ {
-2x- y + z = -3, 2x + 3y -z = -5.
L: algebra delle matrici 293

Esercizio 7.7.6. Considerati i seguenti sistemi di equazioni lineari su Z5, li si


risolvano in più modi, una volta utilizzando il metodo di Cramer; l'altra il metodo
di Gauss-Jordan:

2x + ~y + z= ~ 3x + 2y + ~z = ~
x+ 2y + z = 4 x+ 4z = 2
{ {
2x + y + z = 3, x+y + z = 3.

Esercizio 7.7.7. Si risolva con il metodo di Gauss-Jordan il seguente sistema


lineare su Q:
3x + 4y - z - 3t = 2
x+ y- z- 2t =o
{ x- y + z + 4t = 2
x- y- z +t= 2.

Esercizio 7.7.8. Si stabilisca se i seguenti sistemi lineari omogenei su Q ammet-


tono o meno soluzioni non banali:

7x - 2y + 5t = O
x-z=O
4y + z =o
7x- 2y + 5z =O
{ 2x - 2y + lO z = O, { z + 2t =o
x+ 3y + z =o.

Esercizio 7.7.9. Si risolva il seguente sistema lineare su Q:

x + 2y - z + t = 2
y + 3z + 2t =-l
{ x-z+t=O
x + y + 2z + 3t = - l.

Esercizio 7.7.10. Si risolva con il metodo di Gauss-Jordan il seguente sistema


lineare su Zn:
x + 3y + z - w = I
~x + 9y +_4z +_w = ~
{
2x + y + 5z + 2w = O.

Esercizio 7.7.11. Si risolvano con il metodo di Gauss-Jordan i seguenti sistemi


di equazioni lineari su Q:

2y - 4z +t= l 5x + 3y - 2z = l
x- 3y- z +t= o y- 2z = -2
{ {
x - y + 4z - 2t = -l , y + 2z =l.
294 Capitolo 7

Esercizio 7.7.12. Si stabilisca se il seguente sistema lineare su Z13 è compatibile:


2xl- x2 + 4x3 + X4 = -2
-2xl + x2- 7x3 + X4 =-I
{
4xl - 2x2 + Sx3 + 4x4 = 7.
Esercizio 7.7.13. Si risolva il seguente sistema lineare su JR:
x+y+ z =2
2x + 3y- z = 8
{ x- y- z = -8.
Esercizio 7.7.14. Si stabilisca se il seguente sistema lineare su lR è compatibile:
+ y - z + 2t = l o
x
3x - y + 7z - 4t = l
{
-5x + 3y - 15z - 6t = 9.
Esercizio 7.7.15. Si risolva il seguente sistema lineare su Q:
x+ 2z =l
-x+ 3y + z =O
{
x+ 7z =l.
Esercizio 7.7.16. Si risolva il seguente sistema lineare su Zn :
2y + 3z - 4t = -I

l 2x + ~y - ~z
2x - 6z
2z + 3t = 4
+ ~t = ~
+ 9t = 7.
Esercizio 7.7.17. Si risolva il seguente sistema lineare su Q:
x+ 7y + 3z = 2
-x+ 2z =-l
{
3x + y + z =l.
Esercizio 7.7.18. Si risolva il seguente sistema lineare su Z5:
x + 2y + 3z = -I
y + 2z = -2
{
2x + 3y + 4z = O.
Esercizio 7.7.19. Si risolva il seguente sistema lineare su Z7:
-3: - 3~ - 3z = =-3
-2x + 2y + z =O
{
x- 3y + 3z =O.
L algebra delle matrici 295

7.8 Autovalori e autovettori di una matrice


Sia F un campo e sia A E lvfn(F) una matdce quadrata di ordine n su F. Uno
scalare ).. E F è detto autovalore per A se esiste una n-upla (v1, . .. , Vn) E pn di
elementi di F non tutti nulli tale che, posto

risulta
AV=ÀV.
Se ciò accade, V (o anche (v1, . .. , vn )) è detto autovettore di A relativo al-
l'autovalore À. Si comincerà illustrando le propdetà elementari di autovalod e
autovettati.

7.8.1. Ogni autovettore di una matrice A E Mn(F) è relativo a un unico autova-


lore di A.

Dimostrazione. Sia V un autovettore di A. Se A V = ).. V e AV = p,V allora


)..V= p, V , da cui()..- p,)V =O, cioè

il che comporta che()..- p,) vi = Oper ogni i E {l , .. . , n}. Per ipotesi v1, ... , Vn
non sono tutti nulli, ovvero esiste j E {l , ... , n} tale che Vj i- O. Allora da
().. - p,) vj = Oe Vj i- O segue().. - p,) =O, cioè)..= p,. D

7.8.2. Siano F un campo e A E Mn(F). Un elemento).. E F è autovalore per A


se e solo se det(A- Àln) =O.

Dimostrazione. Per definizione, ).. è autovalore per A se e solo se esiste una ma-
trice non nulla V E Mn ,l(F) tale che AV = ÀV, cioè tale che AV = (Àln )V,
ossia AV - (Àln)V = (A - Àln)V = O. Pertanto).. è un autovalore per A se e
solo se il sistema lineare omogeneo

(A- Àln)X =O (7.8.1)

ammette una soluzione non banale V. Il sistema lineare (7.8.1) è omogeneo,


quindi ammette certamente almeno la soluzione nulla. Essendo un sistema lineare
di n equazioni in n incognite, per il teorema di Cramer (vedi 7. 7 .l) tale sistema
296 Capito lo 7

ammette un ' unica soluzione (e quindi solo la soluzione nulla) se e solo se risulta
det(A - Àln ) i- O. Ciò comporta che À è un autovalore per A se e solo se
det(A - Àln ) =O. D
Lo sviluppo del determinante
det(A - x l n )
produce un polinomio PA(x) E F[x] di grado n (vedi Esercizio 7.8 .1), detto
polinomio caratteristico della matrice A. Pertanto:

7.8.3. Corollario. Gli autovalori di A E M 11 (F) sono tutte e sole le radici in F


del polinomio caratteristico PA(x ) di A.

7.8.4. Esempio. La matrice


o o
-2 o
-1 o
-4 - 1
ha polinonùo caratteristico
PA(x) = det(A- x l 4)

~ det c-x ~
3- x
o
o
8
o
-2
- 1- x
-4
o
o
o
- 1- x
)
= (3 - x )2 (1 + x )2 .
Le radici di PA (x ) in ((Jl, e quindi gli autovalori di A , sono À 1 = 3 e À2 = - 1.
Gli autovettori di A relativi all'autovalore À 1 = 3 sono le soluzioni non nulle
(v1, v2, v3, V4) E ((Jl 4 del sistema lineare

(3- 3) x l + Ox2 + Ox3 + Ox 4 =O


Ox1 + (3 - 3) x2 - 2x3 + Ox 4 = O
{ Ox1 + Ox2 - 4x3 + Ox4 = O
Ox1 + 8x2 - 4x3 - 4x 4 = O,
il quale, per ogni scelta dei parametri razionali T ed s, ammette l' unica soluzione
(r , s, O, 2s ) E ((Jl 4 . Pertanto gli autovettmi di A relativi all' autovalore À1 = 3
costituiscono il sottoinsieme
L: algebra delle matrici 297

di M4,1(Q). Ragionando in maniera analoga, si prova che gli autovettori di A


relativi all'autovalore ,\ 2 = - l costituiscono il sottoinsieme

di M4,l(Q).

Esercizi
Esercizio 7.8.1. Si provi, ragionando per induzione su n, che il polinomio carat-
teristico di una matrice A E Mn(F) ha grado n, e che il suo coefficiente direttivo
(ossia il coefficiente di x n) è (-l )n.
Esercizio 7.8.2. Si determinino gli autovalori reali delle seguenti matrici:

A=
l( l)
o 4o
O 3
o
-2 o
-1 O ' B=
(
4
o
3
o
2
-2
o
O -l j)
o o o l o -1 o
Esercizio 7.8.3. Si determinino i polinomi caratteristici e gli autovalori delle
seguenti matrici su ffi.:·

3 -2 o ) o l o)
A= -2 3 O , B= O O l .
( o o 5 ( 4 -17 8

Esercizio 7.8.4. Si determinino gli autovalori delle seguenti matrici su ffi.:

l -3 3 ) -3 l -1 )
A= 3 -5 3 · , B = -7 5 -1 .
( 6 -6 4 ( -6 6 -2

Esercizio 7.8.5. Si determinino il polinomio caratteristico e gli autovalori reali


della matrice
l -1 4 )
A= 3 2 -1 .
( 2 l -1
Esercizio 7.8.6. Di ciascuna delle seguenti matrici su Q si determinino il polino-
nio caratteristico, gli autovalori e i relativi autovettori:

A=
o l 2)
( oO oO o3 , B = ( -i3 ~2 -2~), c= (
2 -2
o
3 )
3 -2 .
o
-1 2
298 Capitolo 7

Esercizio 7.8.7. Di ciascuna delle seguenti matrici su Q si determinino il polino-


n io caratteristico, gli autovalori e i relativi autovettori:

A= ( l~ -~ -~ ) , B = ( ~ -~~ ~ ) , C= ( -~ ~ 6) .
o - l 5 - 2 o 3 o 23 -4

Esercizio 7.8.8. Di ciascuna delle seguenti matrici su Zs si determinino il poli-


nonio caratteristico, gli autovalori e i relativi autovettori:

Esercizio 7.8.9. Di ciascuna delle seguenti matrici su Z7 si determinino il poli-


nonio caratteristico, gli autovalori e i relativi autovettori:

Esercizio 7.8.10. Di ciascuna delle seguenti matrici su Zn si determinino il


polinonio caratteristico, gli autovalori e i relativi autovettori:

7.9 Esercizi di riepilogo


Esercizio 7.9.1. Si effettuino i seguenti calcoli tra matrici a entrate in Zs :

42I)
4I)
(~~- (- ----)
o 3 2 l
"4257 ;
----
(4 2 o 6) . i(2 ~ .

Esercizio 7.9.2. Di ciascuna delle seguenti matrici a entrate in Q si calcoli il


determinante e si determini, se esiste, la matrice inversa:

~o ~ ] )
l

H =
-2
O '
J( = ( 2/~ - 1/! - 1~ ) .
(
-7 - 3 - 5
o -1 2/3
L: algebra delle matrici 299

Esercizio 7.9.3. Di ciascuna delle seguenti matrici a entrate in Z5 si scriva la


trasposta, si calcoli il determinante e si determini, se esiste, la matrice inversa:

Esercizio 7.9.4. Di ciascuna delle seguenti matrici a entrate in Z si scriva la


trasposta, si calcoli il determinante e si dica se esiste la matrice inversa:

-4 7)
- 3 6
o o) .
- 3 7
-9 15 ' 2 5

Esercizio 7.9.5. Sia R un anello commutativo unitario e si consideri la matrice

Si dimostri, per induzione su n, che per ogni n E No riesce:

Esercizio 7.9.6. Si risolvano i seguenti sistemi lineari, il primo in Q, il secondo


in Zn :
-3xl + 5x2 = -4
7x l- 8x 3 = 3
{~x + :v= :_o
{ 4x + 3y = 8.
-2x1 + 4x 2 - X3 =O ,

Esercizio 7.9.7. Si considerino le seguenti matrici a entrate in Q :

A=(~ 6
-1
-5)
7 ' C=(
-3
7 - 1

3 - 2
4 -6) ~ .

Si dimostri, per induzione su n, che per ogni n ::=: 2 riesce

Infine si calcoli: AB, BC, A - l, det C.


300 Capitolo 7

Eser~izio 7.9.8. Sia K un campo. Nel gruppo GL(3, K) delle matrici 3 x 3 non
singolari su K, con il prodotto righe per colonne, si considerino il sotto gruppo

e le parti:

v ~ { (~ ~ D K}
cE

(i) Si determini l'inverso di ogni elemento di G. Si provi che S, T e V sono


sottogruppi di G e si stabiliscai se essi sono normali in G.
(ii) Posto

g: (~ ~ ~)T E GjT 1---7 a+ c E K ,


o o l .
si provi che l'applicazione g è ben posta ed è un omomorfismo di (G jT, ·)
in (K, +). Infine si stabilisca se g è iniettiva o suriettiva.
(iii) Nel caso K = Z2, si determini l'ordine di G e si stabilisca se il gruppo G è
abeliano.
Esercizio 7.9.9. Si consideri la matrice

Utilizzando il teorema di Binet, si dimostri per induzione su n che

per ogni n 2: l.
Esercizio 7.9.10. Si consideri la matrice

A= Gi) E M2(Z).

Utilizzando il teorema di Binet, si dimostri per induzione su n che

per ogni n 2: l.
L: algebra delle matrici 301

Esercizio 7.9.11. Si consideri la matrice

Si dimostri, per induzione su n, che per ogni n ~ l riesce

Esercizio 7.9.12. Si consideri la matrice

l
A = (O 1/2)
l E M2 (Q).

Si dimostri, per induzione su n, che per ogni n ~ l riesce

A 2n (l n)
-_ o l .

Esercizio 7.9.13. Si consideri la matrice

Si dimostri, per induzione su n , che per ogni n ~ l riesce

Esercizio 7.9.14: Si consideri la matrice

Si dimostri, per induzione su n, che per ogni n ~ l riesce

Esercizio 7.9.15. Di ciascuna delle seguenti matrici su Z si scriva la trasposta, si


calcoli il determinante, e si determini, se esiste, la matrice inversa:

A= ( ;l =~ ~
-9 15
), B = ( ;
8
-~2 ~5 ) .
302 Capitolo 7

Esercizio 7.9.16. Di ciascuna delle seguenti matrici su Z 5 si scriva la trasposta,


si calcoli il determinante, e si determini, se esiste, la matrice inversa:

Esercizio 7.9.17. Di ciascuna delle seguenti matrici su Q si scriva la trasposta,


si calcoli il determinante, e si determini, se esiste, la matrice inversa:

A=
l
-2
o
2
o ol o
3 4
-3 )
-2 '
B =
(
2/5
7/2
- 1/3
5
o )
- 10 .
(
-7 o -3 -5
o -1 2/3

Esercizio 7.9.18. Si considerino le seguenti matrici su JR:

2 -l 2
8 lO
6
A= -2 o -2
4 -9 2

Posto C= A54 e D = B 42, si determini la matrice H= ~DC.


(i) Si calcolino il determinante e il rango di H. Si stabilisca se tale matrice è
invertibile e, in caso affermativo, se ne determini l'inversa.
(ii) Si risolva il sistema lineare

(iii) Siano
o -1 5 )
J( = 3 - 12 8 E M3(1R) ,
( o o o
e T = H - K . Si determinino il polinomio caratteristico e gli autovalori
della matrice T .
Esercizio 7.9.19. Si considerino le matrici

al variare di n E N. Si determinino tutti i valori positivi di n < 500 in corrispon-


denza dei quali An e Bn risultano simultaneamente non invertibili.
L: algebra delle matrici 303

l
Esercizio 7.9.20. Si considerino le seguenti matrici su Q:

A= ( - l
o1 oo
- l
1
3
l
ol o)
l
o
l '
B = ~
O -1 6 ~ =i
2 2 .
o l o l o ( l o o - 1
o - 1 o -1

Posto C = A14 e D = B21, si determini la matrice H = C · 2D. Si calcoli il de-


terminante e il rango di H, si stabilisca se essa è invertibile e, in caso affermativo,
se ne determini l'inversa.

l
Esercizio 7.9.21. Si considerino le seguenti matrici su Q:

A= ( -1 - 1 l
o1 oo 1 o
3 l
l
o)
o
l '
B = ~
O -1 6 ~ =i
2 2
o l o l o ( l o o -1
o -1 o -1

Posto C = A14 e D = B 21, si determini la matrice H = C · 2D. Si calcoli il de-


terminante e il rango di H, si stabilisca se essa è invertibile e, in caso affermativo,
se ne determini l'inversa.
Esercizio 7.9.22. Si considerino le seguenti matrici su Z7:

Posto C= Afi e H= CB. Si calcoli il determinante e il rango di H, si stabilisca


se essa è invertibile e, in caso affermativo, se ne determini l'inversa.
Esercizio 7.9.23. Si considerino le seguenti matrici su IR:

B=
(
5
o 25
o o
o o
o -35
-5
10
o
C= ( ~
11
-H -n
-3 4

Posto A = C + ~ B e H = A24, si calcolino il determinante e il rango di H. Si


stabilisca se H è invertibile e, in caso affermativo, si determini H - 1 . Si risolva il
sistema
304 Capitolo 7

Esercizio 7.9.24. Si considerino le seguenti matrici su IR:


l o o
A=
(
3 o l
O l O
o o l J) B = ( ~ l~
6 2 -4

Posto C = A§4 e H = C· ~B, si calcolino il determinante e il rango di H. Si


g).
stabilisca se H è invertibile e, in caso affermativo, si determini H - 1 . Infine si
risolva il sistema lineare

Esercizio 7.9.25. Si consideri la seguente matrice su IR:

Bt = ( i!
2 2 6 -t
~ 2t L)
t

(i) Si stabilisca per quali valori di t la matrice Bt è invertibile.


(ii) Si calcoli il rango di Bt per t= 2.
(iii) Posto H = B 4 , si provi che H è invertibile e si determini H- 1 .
(iv) Utilizzando il metodo di Crame1; si risolva il sistema lineare

Esercizio 7.9.26. Si consideri la seguente matrice su IR:

t -2 -7 11 2)
- o 2- t -2t - 6 /
Bt- O O t 3 .
(
o 3 3 t

(i) Si stabilisca per quali valori di t la matrice Bt è invertibile.


(ii) Si calcoli il rango di Bt per t = 2.
(iii) Posto J( = Bo e H= !(31 , si provi che H è invertibile e si determini H - 1 .
(iv) Utilizzando il metodo di Cramer, si risolva il sistema lineare
8
Spazi vettoriali

Uno spazio vettoriale è essenzialmente un insieme di oggetti chiamati vettori, che,


seguendo determinate regole, è possibile sia sommare tra loro che moltiplicare per
gli elementi di un fissato corpo. L'importanza degli spazi vettoriali deriva dal fat-
to che questa struttura algebrica compare in numerose branche della matematica
e della fisica, così come in molte applicazioni. In particolare, la teoria degli spazi
vettoriali consente di studiare al meglio le soluzioni dei sistemi di equazioni li-
neari. Per evitare complicazioni qui non essenziali, si tratteranno esclusivamente
spazi vettoriali su un campo, e quest'ultimo verrà in genere denotato con la lette-
ra F (dall'inglese "field"). Per la più generale definizione di spazio vettoriale su
un corpo si veda il Capitolo 4.

8.1 Generalità
Sia F un campo. Una struttura algebrica (V,+ , ·), dove
+:VxV------tV
(x,y)~-+x+y
è un'operazione interna in V e
·:F xV------tV
(a, x )~--+ ax
un' operazione esterna con dominio di operatori F, viene detta uno spazio vetto-
riale su F (o anche un F -spazio vettoriale) se valgono le seguenti proprietà:
(i) x+ (y + z ) =(x+ y) + z, per ogni x, y , z E V,
(ii) x+ y=y+ x, perogni x,yEV,
(iii) :3 O E V : x + O = x, per ogni x E V,
(iv) Vx E V, :3- x E V: x+ (- x)= O,
(v) (a{3)x = a({3x), per ogni a, {3 E F , x E V,
(vi) a(x + y) = ax + ay, per ogni a E F , x,y E V,
(vii) (a+ {3 )x = ax + {3x, per ogni a, {3 E F , x E V,
(viii) l x= x, per ogni x E V,
306 Capito lo 8

dove ovviamente l denota l' unità del campo F. Con la terminologia introdotta
nel Capitolo 4, le proprietà (i) - (iv ) esprimono il fatto che (V,+) è un gmppo
abeliano. Gli elementi di V sono detti vettori e denotati con lettere dell ' alfabeto
latino, quelli di F vengono detti scalari e denotati usualmente con lettere dell'al-
fabeto greco. L'elemento neutro del gruppo abeliano (V,+), denotato al solito
con O, è detto il vettore nullo.

8.1.1. Esempio. Siano F un campo e {O} il gmppo identico. Ponendo Q · O= O


per ogni Q E F si ottiene un'operazione esterna · : F x {O} -----> {0} , e si verifica
subito che valgono le proprietà (i) - (viii). Pertanto il gmppo identico è uno
spazio vettoriale su qualunque campo F (il cosiddetto F -spazio vettoriale nullo).

8.1.2. Esempio. Siano F un campo ed n E N. Si consideri l'insieme

delle n-uple ordinate di elementi di F. Le posizioni

(>,1 , À2, · · · , Àn) + (J.L1, J.L2, · · ·, J.L n) := (>.1 + J.L1, À2 + J.L2, · · ·, Àn + J.L n),
Q (À1 , À2, ... , Àn) := (QÀ1, QÀ2, ... , QÀ11 )

definiscono rispettivamente un'operazione interna in F 11 e un'operazione esterna


in F 11 con dominio di operatori F, ed è molto agevole verificare (vedi Eserci-
zio 8.1.1) che valgono le proprietà (i)- (viii). Pettanto (F 11 , +,·)è uno spazio
vettoriale su F . In particolare, per n = l , ogni campo può essere stmtturato a
spazio vettoriale su se stesso.

8.1.3. Esempio. Sia Mn,m(F) l'insieme delle matrici n x m su un campo F. Si


ponga, come già fatto nel Capitolo 7:

A+ B ·=(a
. ··+ b ·) ,
~J ~J

>.A := (Àaij ),

per ogni A = (aij ), B = (bij) E 1\lfn,m(F), e per ogni À E F. Allora 7.2.1


e 7.2.2 assicurano che (Mn,m( F) , +,·)è uno spazio vettoriale su F.

8.1.4. Esempio. Sia F[x]I'insieme dei polinomi nell'indeterminata x a coeffi-


cienti in un campo F. Nel Paragrafo 6.6 è stata definita una somma tra polinomi,
e (F[x ], +)è un gmppo abeliano (vedi Esercizio 6.6.1). Se per ogni a E F e per
ogni ao + a1 x + · · · + a11 x 11 E F[x] si pone

si definisce un ' operazione esterna in F[x] con dominio di operatori F. Si può


provare facilmente che (F[x], +, ·) è uno spazio vettoriale su F (vedi Eserci-
zio 8.1.3).
Spazi vettoriali 307

8.1.5. Esem~io. Siano F un campo ed S un insieme non vuoto, e si denoti al


solito con F l'insieme di tutte le applicazioni di S in F. Si definisca in F 8
un'operazione interna + ponendo, per ogni f , g E F 8 e per ogni x E S:

(f + g)( x ) := f( x ) + g( x ),

dove l' operazione+ che compare a destra nella precedente uguaglianza è ovvia-
mente la somma del campo F. Si vede facilmente che la struttura (F 8 , +) è un
gruppo abeliano. Si definisca poi in F 8 un ' operazione esterna con operatori in F,
ponendo, per ogni a E F , per ogni f E F 8 e per ogni x E S:

(a f)( x ) := a f( x),

dove il prodotto che compare a destra nella precedente uguaglianza è il prodotto


nel campo F. È agevole verificare che in tal modo F 8 resta strutturato a spazio
vettoriale su F (vedi Esercizio 8.1.4).

8.1.6. Esempio. Siano V uno spazio vettoriale su un campo F ed S un insieme


non vuoto, e si denoti al solito con V 8 l'insieme di tutte le applicazioni di Sin
V. Si definisca in V 8 un'operazione interna+ ponendo, per ogni J, g E V 8 e per
ogni x ES:
(f + g)( x ) := f( x ) + g( x ),
dove l'operazione+ che compare a destra nella precedente uguaglianza è ovvia-
mente la somma di vettori di V. Si vede facilmente che la struttura (V 8 , +) è un
gruppo abeliano. Si definisca poi in V 8 un ' operazione esterna con operatori in F,
ponendo, per ogni a E F, per ogni f E V 8 e per ogni x E S:

(af)( x ) := af(x),

dove il prodotto che compare a destra nella precedente uguaglianza è il jrodotto


di uno scalare di F per un vettore di V. Si prova agevolmente che (V , + , ·) è
uno spazio vettoriale su F (vedi Esercizio 8.1.5).

Le principali regole di calcolo valide negli spazi vettoriali sono sintetizzate nella
proposizione che segue:

8.1.7. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Per ogni a, {3 E F e per ogni
x, y E V si ha:
(i) aO =O= Ox;
(ii) a( -x)= -(ax) = ( -a)x;
(iii) a(x- y) = ax- ay;
(iv) (a- {3)x = ax- {3x;
(v) ax = O {::::::::} a = O oppure x = O.
308 Capito lo 8

Dimostrazion e. (i) Utilizzando la (vi) della definizione di spazio vettoriale, ri-


sulta O+ a O = aO = a(O +O) = aO + a O, e la cancellabilità nel gruppo abeliano
(V, +) implica che O = a O. Analogamente, facendo uso della (vii) della defini-
zione di spazio vettoriale, da O+ Ox = Ox = (O+ O) x = Ox + Ox segue che
O= Ox.
(ii) Da quanto provato nella (i) si ottiene O = a O = a(x + (-x)) = ax +a( -x),
quindi a( -x ) = -(ax); poi O = Ox = (a+ ( -a))x = ax + ( -a)x, da cui
( -a)x = -(ax).
(iii) Risulta a( x- y) = a(x + ( - y)) = ax +a( - y) = ax - a y per la (vi)
della definizione di spazio vettoriale e per quanto provato nella (ii).
(iv) Risulta (a- f])x = (a+ ( -f]))x = ax + ( -f])x = ax- f]x per la (vii)
della definizione di spazio vettoriale e per quanto provato nella (ii).
(v) Se a = O oppure x = O il risultato è stato già provato nella (i). Viceversa,
sia ax = O con a 1- O. Allora esiste a - 1 E F, e O = a - 1 o = a- 1 (ax) =
(a- 1 a)x = l x = x per quanto provato nella (i) e per la (v) e la (viii) della
definizione di spazio vettoriale. D

Esercizi
Esercizio 8.1.1. Si provi 8.1.2.
Esercizio 8.1.2. Come generalizzazione dell 'Esempio 8.1.2, si provi che se A è
un anello e n un intero positivo, l'insieme
A n = { (Xl, X2, . . . , X n ) : X l , X2, .. . , X n E A}
delle n-uple ordinate di elementi di A può essere strutturato in maniera naturale
a spazio vettoriale su un qualunque sottoanello F di A che sia un campo. In tale
modo, per esempio, lR11 può essere visto come spazio vettoriale su Ql, C 11 come
spazio vettoriale su lR o su Ql.
Esercizio 8.1.3. Si provi 8.1.4.
Esercizio 8.1.4. Si provi 8.1.5.
Esercizio 8.1.5. Si provi 8.1.6.
Esercizio 8.1.6. Sia R il gruppo additivo di un anello di caratteristica prima p.
Si dimostri che R può essere strutturato a spazio vettoriale sul campo '1Lp.
Suggerimento. L'applicazione
· : '1Lp x R ---7 R
([n]p, x) f--------> nx
è ben posta, in quanto da [n]p = [m]p segue pln - m, dunque nx - mx
(n- m) x = O essendo p la caratteristica di R (vedi (iii) di 6.5 .22); ne segue
che nx = m x. Allora · è un ' operazione esterna in R con dominio di operatori
'1Lp . Ora (R, +) è un gruppo abeliano, e le leggi di calcolo nell'anello R, tenendo
conto del fatto che la caratteristica di R è p, consentono di verificare agevolmente
le proprietà (v) - (viii) della definizione di spazio vettoriale.
Spazi vettoriali 309

Esercizio 8.1.7. Si consideri il gruppo abeliano (IR 2 , +), dove l'operazione +è


definita nel modo usuale. Si provi che la posizione a*( a, b) := ( a 2 a, a 2 b) defi-
nisce un'operazione esterna in JR 2 con dominio di operatori IR, ma che (IR 2 , +, *)
non è uno spazio vettoriale su !R.

8.2 Sottospazi e generatori


Sia V un P-spazio vettoriale. Un sottoinsieme vV di V è detto un sottospazio di
V se è stabile rispetto alle due operazioni di V (ossia, se x+ y E W e ax E W,
per ogni x, y E W e per ogni a E F), e se W stesso, con le operazioni indotte da
quelle di V, è un F -spazio vettoriale. Ciò ovviamente equivale a richiedere che
(W,+) sia un sottogruppo di (V,+ ), e che W sia stabile rispetto all'operazione
esterna.

8.2.1. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Un sottoinsieme non vuoto lV


di V è un sottospazio di V se e solo se x - y E W e ax E W, per ogni x, y E W
e per ogni a E F.

Dimostrazione. Basta utilizzare la carattelizzazione dei sottogruppi in 6.3.7. D

8.2.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Un sottoinsieme non vuoto W


di V è un sottospazio di V se e solo se ax + {Jy E W, per ogni x, y E W e per
ogni a, {3 E F.

Dimostrazione. Esercizio. D

Ogni spazio vettoliale V possiede almeno i sottospazi banali, ossia V stesso e


il sottospazio nullo {0}. Ogni sottospazio W di V con W i= V è detto un
sottospazio proprio.

8.2.3. Esempio. Sia F un campo. I sottospazi di F visto come F -spazio vettori aie
(vedi Esempio 8.1.2 con n = l) sono solo quelli banali. Infatti se W i= {O} è
un sottospazio di F, allora esiste x E W con x i= O. Ciò significa che x- 1 E F ,
pertanto l= x- 1 x E W . Di qui, per ogni a E F risulta a= a l E W, e W= F.
8.2.4. Esempio. Sia F un campo. Nello P-spazio vettoriale pn (vedi Esem-
pio 8.1.2) il sottoinsieme D = {(x, x, ... , x) : x E F} è un sottospazio, detto il
sottospazio diagonale. Infatti D i= 0, e da (x, x, ... , x ), (y, y, ... , y) E D segue
(x, x, .. . , x )- (y , y , .. . , y) = (x- y , x- y, ... , x- y) E D. Inoltre, per ogni
a E F risulta ovviamente a(x, x, ... , x ) = (ax, ax, ... , ax) E D.
8.2.5. Esempio. Sia F[x]lo spazio vettoriale dei polinorni nell'indeterminata
x a coefficienti in un campo F (vedi Esempio 8.1.4). Con n E No, sia F[x; n]
l'insieme costituito dal polinornio nullo e da tutti i polinorni di F[x] aventi grado al
310 Capitolo 8

più n. Ovviamente F[x ; n ] i- 0 in quanto il polinomio nullo appmtiene a F[x; n].


Per ogni f( x ), g( x ) E F[x; n] il polinomio f( x ) - g( x ) o è nullo oppure ha grado
che non supera il massimo tra il grado di f( x ) e quello di g( x ), e quindi al più n.
Inoltre, per ogni a E F e per ogni polinomio f( x ) E F[x; n], il polinomio af(x )
o è nullo oppure ha lo stesso grado di f( x ), quindi ancora al più n. Pertanto 8.2.1
assicura che F[x; n] è un sottospazio di F[x], per ogni n E No.

8.2.6. Esempio. Sia M 2 (Q) lo spazio vettoriale su Q costituito dalle matti ci


quadrate di ordine 2 su Q (vedi Esempio 8.1.3). È immediato verificare che il
sottoinsieme

è un sottospazio di M2(Q) (vedi Esercizio 8.2.9).

Siccome l'unione di sottogmppi non è in generale un sottogmppo (vedi Eserci-


zio 6.3.6), l'unione di sottospazi non è in generale un sottospazio.

8.2.7. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e siano W1 e W2 sottospazi di


V. Allora W1 n W2 è un sottospazio di V.

Dimostrazione. Ovviamente O E W1 n W2, quindi W1 n W2 i- 0. Inoltre la 8.2.2


assicura che ax + {3y E W1 n W2, per ogni x, y E vV1 n W2 e per ogni a , /3 E F.
Pertanto W1 n vV2 è un sottospazio di V , ancora per 8.2.2. D

Più in generale si può provm·e che:

8.2.8. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F , e sia {lVi : i E J} un insieme


non vuoto di sottospazi di V. Allora

è un sottospazio di V.

Dimostrazione. Esercizio. D

Sia X un sottoinsieme di uno spazio vettoriale V su un campo F. Per la 8.2.8,


l'intersezione di tutti i sottospazi di V che contengono X è un sottospazio di V,
detto il sottospazio di V generato da X , e denotato con il simbolo (X) . Per
definizione, (X ) è quindi il più piccolo (rispetto all'inclusione) tra i sottospazi di
V contenenti X. Per esempio, è chiaro che (0 ) = ({O}) è il sottospazio nullo,
e che (V) = V. Più in generale, se W è un sottospazio di V, si ha banalmente
(W)= W .
Spazi vettoriali 311

Sia W un sottospazio di uno spazio vettoriale V. Se risulta W = (X) per


qualche sottoinsieme X di V si dice che X è un insieme di generatori di W, o
anche che X genera W.

8.2.9. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F , e sia X = {x1, x 2, .. . , Xn }


un insieme non vuoto di vettori di V , con lXI =n. Allora risulta:

Dimostrazione. Si ponga

Si mostrerà che W = (X), ossia che W è, rispetto all'inclusione, il più piccolo


tra i sottospazi di V contenenti X . Innanzitutto W è un sottospazio di V. Infatti
W i- 0 in quanto certamente O = Ox1 + Ox2 + · · · + Oxn E W. Siano poi
x = a1x1 + a2x2 + · · · + anXn e y = fJ1x1 + fJ2x2 + · · · + f3nxn arbitrari
elementi di W, e a E F. Allora, utilizzando le proprietà (ii), (iv) e (vii) della
definizione di spazio vettoriale si ottiene:

X- Y = (a1x1 + a2x2 + · · · + anXn)- (f31x1 + fJ2x2 + · · · + f3nxn)


= (al- fJ1)x1 + (a2- fJ2)x2 +· ·· +(an- f3n)Xn E W;
utilizzando invece le proprietà (vi) e (v) si ha:

ax = a(a1x1 + a2x2 + · · · + anxn)


= (aa1)x1 + (aa2)x2 + · · · + (aan)Xn E W.
Pertanto 8.2.1 assicura che W è un sottospazio di V. È poi chiaro che X ç W,
in quanto per ogni i = l, 2, ... , n risulta

Xi= Ox1 + · · · + Oxi-1 +lxi+ Oxi+l + · · · + Oxn E W.


Infine, un qualunque sottospazio di V contenente X contiene necessariamente
ogni elemento a1x1 + a2x2 + · · · + anXn di W. Pertanto W è il più piccolo tra i
sottospazi di V contenenti X, quindi W= (X). D
Se X = { x 1 , x 2 , ... , X n} è un insieme finito di vett01i di V avente ordine n,
si utilizza spesso la notazione (xl, x2, ... , x n) in luogo di (X). Così, per ogni
x E V, dalla 8.2.9 segue subito (x) = { ax : a E F}. Un sottoinsieme X di V è
detto un insieme minima/e di generatori di V se V = (X) e V i- (Y) per ogni
Y C X. In altre parole, se X, rispetto all'inclusione, è un elemento rninimale
nell'insieme dei sottoinsiemi di V che generano V. Uno spazio vettoriale V è
detto finitamente generato se esiste un insieme finito X di vettori di V tale che
V = (X) . Un facile esempio di spazio vettoriale non finitamente generato è
quello dei polinorni su un campo (vedi Esercizio 8.2.14).
312 Capitolo 8

8.2.10. Esempio. Sia F un campo. Nello F-spazio vettoriale F (vedi Esem-


pio 8.1.2 con n = l) il singleton {x} eli ogni elemento x f. O è un insieme
minimale eli generatori . Più in generale, se n ;:: l , nello F -spazio vettoriale Fn
si ponga e 1 = (l , O, O, .. . , 0) , e2 = (0 , l , O, . .. , 0) , .. . , en = (0 , O, ... , O, l). Si
vede facilmente che { e 1 , e 2 , ... , e 11 } è un insieme minimale eli generatori eli F 71
(vedi Esercizio 8.2. 11).
8.2.11. Esempio. Sia F[x] lo spazio vettoriale dei polinomi nell ' indeterminata
x a coefficienti in un campo F. Si verifica facilmente che, per ogni n E No, ri-
sulta (l ,x,x 2 , ... ,x 11 ) = F [x; n] , il sottospazio costituito dal polinomio nullo
e da tutti i polinomi eli F[x] aventi grado al più n (vedi Esempio 8.2.5). Inoltre
{l , x, x 2 , . . . , x 71 } è un insieme minimale eli generatori per F[x; n] (vedi Eserci-
zio 8.2. 12) .

8.2.12. Siano ~V1 , . .. , ~Vn sotto spazi di uno spazio vettori a/e V. L'insieme

W1 + · ·· + W n := {Wl + · · · + Wn : Wl E l-lf1, . .. , Wn E VVn}

è un sottospazio di V, detto il sottospazio somma di vV1 , .. . , lV71 • Più precisa-


mente, esso coincide con il sottospazio di V generato da H71 , ... , lV71 •

Dimostrazione. Esercizio. o
Esercizi
Esercizio 8.2.1. Si provi 8.2.2.
Esercizio 8.2.2. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Si provi che un
sottoinsiem e W di V è un sottospazio di V se e solo se O E lV e ax + (Jy E l1V,
per ogn i x, y E lV e per ogni a, (3 E F.
Esercizio 8.2.3. Si provi che un sottogruppo additivo di uno spazio vettoriale non 1
ne è necessa riamente un sottospazio.
Suggerimento. Si utilizzi l'Esempio 8.2.3.
Esercizio 8.2.4. Si consideri .i\12(1R) strutturato a JR -spazio vettoriale nel modo
usuale. Si stabilisca se i sottoinsiemi lV1 e lV2 costituiti rispettivam ente da lle
matrici singolari e da quelle non singolari sono sottospa zi di .i\;f2(1R).
Esercizio 8.2.5. Per ciascuno dei sottoinsiem i seguenti si stabilisca se esso è un
sottospazio di «i, strutturato a spazio vettoriale su Q nel modo usuale:
wl= {(x,y): x= y},
w2 = {(x,y): x= 2y},
W3 = { (x, y) : x + y = 1} ,
w,l = {(x, y): x= 0} .
Spazi vettoriali 313

Esercizio 8.2.6. Per ciascuno dei sottoinsiemi seguenti si stabilisca se esso è un


sottospazio di IR 3, strutturato a spazio vettoriale su IR nel modo usuale:

wl= {(x , y ,z): x 2 + y 2 + z 2 = 0},


w2 ~ {(x , y ,z ): x= y = z},
w3 = { (x' y ' z ) : x = 5y' y = 5x + l}'
w4 = {(x' y' z) : x 2 + y 2 = l}'
Ws = {(x , y, z ): x- 3z = 0}.
Esercizio 8.2.7. Per ciascuno dei sottoinsiemi seguenti si stabilisca se esso è un
sottospazio di «i,strutturato a spazio vettoriale su Q nel modo usuale:

wl= {(x,y ,z): y 2 - z 2 = 0},


w2 ={(x , y, z): x+ y + z = 0},
W3 = { (x , y, z ) : x + y - z = o} ,
w4 ={(x , y , z ) :x+ y = 0}.
Esercizio 8.2.8. Per ciascuno dei sottoinsiemi seguenti si stabilisca se esso è un
sottospazio di (Z7 ) 4, strutturato a spazio vettoriale su Z7 nel modo usuale:

W1 = { (a, b, c, d) : a+ b + c+ d = O},
W2 = { (a, b, c, d) : a+ b + c = O} ,
W 3 = {(a , b, c, d) : a + b = O},
W4 = { (a, b, c, d) : a = O}.

Esercizio 8.2.9. Si provi 8.2.6.

Esercizio 8.2.10. Si provi 8.2.8.

Esercizio 8.2.11. Si provi 8.2.10. l

Esercizio 8.2.12. Si provi 8.2.11.

Esercizio 8.2.13. Si consideri l'insieme V = { (2, O, 0), (0, -3, O)} nello spazio
vettoriale reale IR 3 e, dopo aver descritto (V), si stabilisca se il vettore (5,- 2, O)
ne è un elemento.

Esercizio 8.2.14. Sia F[x]lo spazio vettoriale dei polinomi nell'indeterminata x


a coefficienti in un campo F. Si dimostri che F[x] non è finitamente generato.

Esercizio 8.2.15. Sia F[x]lo spazio vettoriale dei polinomi nell'indeterminata x


a coefficienti in un campo F. Si dimostri che l 'insieme infinito {xn :n E No} è
un insieme minima/e di generatori per F[x].

Esercizio 8.2.16. Si provi 8.2.12.


314 Capitolo 8

8.3 Dipendenza lineare, basi e dimensione


In questo paragrafo si introdurrà il concetto di dimensione di uno spazio vetto-
riale, un fondamentale invariante che misura qual è il minimo numero di vettori
necessario per generare uno spazio vettoriale. Nel seguito, per semplicità, si
tratteranno esclusivamente spazi vettoriali di dimensione finita. In realtà la quasi
totalità dei risultati provati restano validi anche per spazi vettoriali di dimensione
infinita, sebbene in tale situazione essi necessitino di un approccio dimostrativo
differente, che spesso richiede concetti più sofisticati di teoria degli insiemi e della
cardinalità.

Sia V un F -spazio vettoriale, e sia X = {x 1, x 2, ... , X n} un insieme costituito


da n vettori di V. Si dice combinazione lineare dei vettori di X un qualunque
vettore
x= a 1x1 + a2x2 + · · · + anXn
con a1, a2, ... , an E F. Per esempio, nello Q-spazio vettoriale Q 2, avendosi
(3 , 4) = 3(1 , O) + 4(0, l) = 2(2, 5) - 1(1, 6), il vettore (3 , 4) è combinazione
lineare sia dei vettori di {(l , O) , (0 , l)} che dei vettori di { (2 , 5) , (l, 6)}.
Dalla 8.2.9 segue subito che:

8.3.1. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e sia X un insieme finito non
vuoto di vettori di V. Allora il sottospazio di V generato da X è L'insieme di tutte
le combinazioni lineari dei vettori di X con scalari in F.

Si dice che l'insieme X = {x1,x2, .. . ,xn } di vettori di V, con lXI n, è


linearmente indipendente se

cioè se l'unica combinazione lineare dei vettori di X che risulti uguale al vettore
nullo è quella con scalari tutti nulli. Talvolta tale circostanza si esprime anche
dicendo che gli n vettori x 1, x 2, ... , X n di V sono linearmente indipendenti. Per
convenzione, l'insieme vuoto è sempre linearmente indipendente. L'insieme di
vettori X = { x 1, x2, . .. , Xn }, con lX l = n, si dice linearmente dipendente
se non è linearmente indipendente, cioè se esiste una combinazione lineare dei
vettori di X con scalari non tutti nulli che risulti uguale al vettore nullo. In tal
caso si dice anche che gli n vettori x 1, x 2, ... , X n sono linearmente dipendenti.

8.3.2. Esempio. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Allora per ogni
x E V \ {O} il singleton {x } è linearmente indipendente, come si ottiene subito
applicando (v) di 8.1.7.

8.3.3. Esempio. Sia F un campo. Per ogni n 2: l , il sottoinsieme { e1, ... , en}
di pn (vedi Esempio 8.2.10) è linearmente indipendente: da a1e1 + a2e2 + · · · +
anen = O segue (al, O, O, ... , O)+ (0 , a2, O, ... , O)+··· + (0 , O, ... , O, an) =
(a1 ,a2, .. . ,an ) = (O,O, .. . , O) ,cioèa1 = a2 =·· · =an= O.
Spazi vettoriali 315

8.3.4. Esempio. In «i, strutturato a Q-spazio vettoriale nel modo usuale, i vettori
(1 , 2, 0) , (~,O,~), (4, 4, 2) sono linearmente dipendenti. Infatti si ha: 1(1 , 2, O)+
3(~,0,~)- !(4,4,2) =o.
8.3.5. Esempio. Siano F un campo ed F[x]lo spazio vettoriale dei polinorni
nell'indeterminata x a coefficienti in F. Per ogni n E N0 , i polinorni l = x 0, x,
x 2, ... , xn sono linearmente indipendenti: se f( x) = ao+a1x 1+· · ·+anxn =O
allora f (x ) è il polinornio nullo, pertanto ao = a1 = · · · = an = O.
Si dice che un vettore v E V dipende linearmente dagli n vettori x1, x2, . .. , Xn
di V (o dall'insieme X = {x 1, x2, . .. , xn } di vettori di V) se v E (X), ossia se
esistono scalari a1, a2, . .. , an E Ftaliche v= a1x1 + a2x2 + · · · + anXn.

8.3.6. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e sia X = { x1, x2, ... , Xn}
un insieme non vuoto di vettori di V, con lXI =n. Allora: ·
(i) il vettore nullo dipende linearmente da X;
(ii) ogni Xi E X dipende linearmente da X;
(iii) X è un insieme di generatori di V se e solo se ogni vettore di V dipende
linearmente da X;
(iv) se v E V dipende linearmente da X, e ogni vettore di X dipende linear-
mente da Y = {Yl , Y2 , ... , Ym }, allora v dipende linearmente da Y .

Dimostrazione. (i) e (ii ) sono del tutto ovvie, essendo O = Ox 1 + Ox2 + · · · + Oxn
e Xi = Ox 1 + · · · + Oxi- 1 +lxi+ Oxi+l + · · · + Oxn. La (iii) è una immediata
conseguenza di 8.3.1. Per provare la (iv), sia v= a 1x1 + a2x2 + · · · + anXn, e si
abbia Xi = f3i 1Yl + f3i2 Y2 + · · · + f3imYm per ogni i= l , 2, .. . , n. Allora risulta:
n
v= L aiXi
i= l

e v dipende linearmente da Y. D

8.3.7. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F , e sia X= {x1,x2, . .. ,xn}


un insieme non vuoto di vettori di V, con lXI = n. Le seguenti condizioni sono
equivalenti:
(i) ogni sottoinsieme di X è linearmente indipendente;
(ii) X è linea1mente indipendente;
(iii) Xi non dipende linearmente da X\ {xi }, per ogni i = l , 2, ... , n.
316 Capitolo 8

Dimostrazione. (i) ===? (ii). Ovvio.


(ii) ===? (i). Per assurdo, sia Y ç X un sottoinsieme di X linearmente dipen-
dente. Allora Y 1- 0, e deve esistere una combinazione lineare

con scalari ay non tutti nulli. Ma da ciò segue subito che

0 = L: ayy+ L Ox
yEY xEX\Y

è una combinazione lineare dei vettori di X uguale al vettore nullo, e con scalari
non tutti nulli. Questo è impossibile in quanto X è linearmente indipendente per
ipotesi.
(ii)===? (iii). Per assurdo, esista un j E {1 ,2, ... ,n} tale che Xj dipende
linearmente da X \ {x j}. Allora risulta

Xj = L CXiXi,
#j

da cui
0 = - Xj + LCXiXi,
i=IJ
una combinazione lineare dei vettori di X in cui almeno uno scalare (il primo)
è non nullo (essendo uguale a - l). Ciò è assurdo in quanto X è linearmente
indipendente.
(iii) ===? (ii): Per assurdo, sia X linearmente dipendente. Allora esiste una
combinazione lineare del tipo

(8.3.1(

con ai 1- O. Essendo F un campo, esiste ai 1 E F, e da (8.3.1) segue subito,


moltiplicando per ai 1 ,

Ma allora Xi dipende linearmente da X\ {xi}, una contraddizione. [

8.3.8. Corollario. Un insieme di vettori che contenga il vettore nullo è sempn


linearmente dipendente.

Dimostrazione. Segue subito da (i) di 8.3.6 e da 8.3.7. [


Spazi vettoriali · 317

nrisultato che segue è fondamentale per gli sviluppi successivi.


8.3.9. Lemma di Steinitz. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F. Se
x 1 , ... , X n sono n vettori linearmente indipendenti di V, e se ciascuno di essi
dipende linearmente daY= {y1 , ... , Ym} con IYI =m, allora n ~ m.

Dimostrazione. Si ponga X = { x 1 , .. . , X n}, e per assurdo sia n 2: m + l.


Siccome per ipotesi i vettori Xl, .. . , X m+ 1 dipendono linearmente da Y, esistono
scalari CY.ij E F tali che
X I = 0'.11 Yl + · · · + O'.ImYm
X2 = 0'.21Yl + · · · + 0'.2mYm
(8.3 .2)

Xm+l = O'.m+l, lYl + · · · + CY.m+ l ,mYm·


Se fosse a11 = · · · = CY.Im = O dalla prima equazione di (8.3.2) seguirebbe
x 1 = O, assurdo per il Corollario 8.3.8 essendo X linearmente indipendente per
ipotesi. Pertanto almeno uno tra gli scalari a 11 , ... , O'. l m è non nullo, e senza
ledere la generalità si può assumere che sia a11 i- O. Allora esiste a111 E F, e
dalla prima equazione di (8.3.2) segue
-1 - 1 -1
Yl = 0'.11 Xl - 0'.11 0'.12Y2 - · · · - 0'.11 O'.lmYm ·

Sostituendo l'espressione appena ottenuta per Yl nelle rimanenti equazioni di


(8.3.2) si ottengono relazioni del tipo
X2 = fJ21X 1 + f322 Y2 + · · · + f32m Y m
X3 = f331X 1 + f332 Y2 + · · · + f33m Ym
(8.3.3)

Xm+l = f3m+l,1X l + f3m+ l ,2Y2 + · · · + f3m+l,m Ym ,


con gli scalari f3ij in F. Se fosse fJ22 = · · · = f32m = O dalla prima equazione
di (8.3.3) seguirebbe x2 = fJ2 1X1, quindi x2 dipende linearmente da X\ { x2 },
assurdo per 8.3.7 essendo X linearmente indipendente per ipotesi. Pertanto, co-
me prima, almeno uno tra gli scalari fJ22, . .. , f32m è non nullo, e senza ledere la
generalità si può assumere che sia fJ22 i- O. Dalla prima equazione di (8.3.3) si
può allora ricavare y2, che risulta combinazione lineare di x1, x2, Y3 , ... , Ym· So-
stituendo l'espressione così ottenuta per Y2 nelle rimanenti equazioni di (8 .3.3) si
ottengono relazioni del tipo
X3 = /31Xl + /32X2 + /33Y3 + · · · + /3mYm
X4 = /41X l + /42X2 + /43 Y3 + · · · + /4mYm
(8.3.4)

Xm+ l = lm+l, l X l + lm+ l ,2X2 + 'Ym+ l ,3 Y3 + · · · + /m+l,mYm ,


318 Capitolo 8

con gli scalari {ij in F. Il procedimento indicato consente di eliminare progressi-


vamente tutti gli Yi e produce, dopo m passi, una relazione del tipo

con gli scalari ()i in F. Dunque Xrn+I dipende linearmente da X\ { Xm+d e quindi
X è linearmente dipendente per 8.3.7, la contraddizione voluta. Pertanto n :S m
e l'asserto è provato. D

8.3.10. Corollario. Se uno spazio vettoriale V può essere generato da n elemen-


ti, allora ogni sottoinsieme di V che contenga più di n elementi è linearmente
dipendente.

Un sottoinsieme X di uno spazio vettoriale V è detto un insieme linearmente


indipendente massimale se X è linearmente indipendente, e se non è contenuto
propriamente in nessun insieme linearmente indipendente di V. Ossia se X è
linearmente indipendente, ma X U {v} è linearmente dipendente, per ogni vettore
v E V \ X . In altre parole, se X è un elemento massimale nell'insieme dei
sottoinsiemi linearmente indipendenti di V, ordinato per inclusione.

8.3.11. Esempio. Nello F-spazio vettoriale F, per ogni x E F \{O} il singleton


{x } è un insieme linearmente indipendente massimale. Infatti innanzi tutto {x } è
linearmente indipendente (vedi Esempio 8.3.2). Se poi X ::J {x} allora X non
può essere linearmente indipendente. Per rendersi conto di ciò, sia y E X \ {x}.
Se y = O allora certamente X è linearmente dipendente per il Corollario 8.3.8.
Se invece y f= O allora (x- 1 )x + (-y- 1 )y = O, quindi { x, y} è linearmente
dipendente, e anche X lo è per 8.3.7.

Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo F. Un sottoinsieme


finito B di V è detto una base di V se B è linearmente indipendente e genera V.

8.3.12. Esempio. L'insieme vuoto è una base per lo spazio vettoriale nullo
(vedi Esercizio 8.3.3). 1

8.3.13. Esempio. Sia F un campo. Per ogni x E F \ {O}, il singleton {x } è


una base dello F -spazio vettoriale F, come si ottiene subito dagli Esempi 8.2.1 O
e 8.3.2.

8.3.14. Esempio. Sia F un campo. Per ogni n 2: l, l'insieme { e 1, e2, ... , en}
(vedi Esempio 8.2.10) è una base di F 11 , come si ottiene subito dagli Esem-
pi 8.2.10 e da 8.3.3. Tale base è detta la base canonica di F 11 •

8.3.15. Esempio. Sia F[x] lo F-spazio vettoriale dei polinomi nell ' indetermi-
nata x a coefficienti in un campo F. Per ogni numero intero non negativo n,
l'insieme {l = x 0 , x, x 2 , ... , x 11 } è una base del sottospazio F[x; n] costitui-
to dal polinomio nullo e dai polinomi di grado al più n (vedi Esempio 8.2.5 ed
Esercizio 8.3.4).
Spazi vettoriali 319

8.3.16. Esempio. Sia F un campo, e si denoti con Mn,m(F) lo spazio vettoriale


su F costituito dalle matrici n x m a entrate in F (vedi Esempio 8.1.3). Per ogni
i = l , 2, ... , n e per ogni j = l , 2, .. . , m si denoti con E i j la matrice n x m
avente l al posto (i , j) e O altrove. Si osservi innanzi tutto che per ogni CYi j E F
(con i E {l, 2, . .. , n} e j E {l , 2, ... , m}) risulta
n m

L: L: CYij E ij = ( CYij ) ' (8 .3.5)


i= l j = l

ossia la matrice di Mn,m (F) che ha al posto (i, j) esattamente l'elemento aij ·
Quindi l'insieme B = { E ij : l ~ i ~ n, l ~ j ~ m} genera Mn,m (F) . Inoltre
B è linearmente indipendente, in quanto da
n m
L: L: CYij E i j = o
i= l j= l

segue subito per (8.3.5) che ( aij ) è la matrice nulla, ossia aij = O per ogni
i = l , 2, ... , n e per ogni j = l , 2, . .. , m . Pertanto B è una base per Mn,m (F).
Tale base è detta la base canonica di Mn,m (F) .

ll risultato che segue assicura che ogni spazio vettoriale finitamente generato
possiede una base, che può essere "estratta" da un qualunque insieme finito di
generatori dello spazio.

8.3.17. Sia V uno spazio vettorialefinitamente generato su un campo F. Allora


ogni insieme finito di generatori di V contiene una base di V.

Dimostrazione. Sia X un insieme finito di generatori di V, e si ragioni per indu-


zione sull'ordine lXI di X . Se lXI = O, allora X = 0 è linearmente indipendente,
quindi è una base di V. Sia ora lXI =n > O. Ovviamente si può assumere che X
non sia una base di V. Allora X è linearmente dipendente. Pertanto 8.3.7 assicura
che esiste un vettore X i E X che dipende linearmente daY = X\ {Xi}· Ne segue
che ogni vettore di X dipende linearmente daY. Da ciò, ricordando che ogni vet-
tore x E V dipende linearmente da X (in quanto (X ) = V), e applicando la (iv )
di 8.3.6, si ottiene subito che (Y) = V, ossia Y è un insieme finito di generatori
di V. Siccome IYI = n- l, l'ipotesi induttiva garantisce che Y, e quindi anche
X , contiene una base di V, come volevasi. D

Quella che segue è la proprietà fondamentale delle basi di uno spazio vettoriale.

8.3.18. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e sia B un sottoinsieme finito


di V. Allora B è una base di V se e solo se ogni vettore di V si esprime in unico
modo come combinazione lineare dei vettori di B.
320 Capitolo 8

Dimostrazione. Esercizio. D
Le seguenti caratterizzazioni delle basi sono spesso molto utili.

8.3.19. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo F, e sia B


un sottoinsieme finito di V. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) B è una base di V;
(ii) B è un insieme minima!e di generatori di V;
(iii) B è un insieme linearmente indipendente massimale di V.

Dimostrazione. (i) ===? (ii). Per ipotesi B è una base, quindi è un insieme di ge-
neratori di V. Bisogna perciò solo provarne la minimalità (rispetto all'inclusione)
tra gli insiemi di generatori di V . In altre parole, bisogna dimostrare che se Y c B
allora (Y) :f. V. Sia per assurdo (Y) = V. Certamente esiste b E B \ Y. Allora b
dipende linearmente dai vettori di Y, quindi per 8.3.7l'insieme Y U {b} è linear-
mente dipendente. Ma quest'ultimo è un sottoinsieme di B, che è linearmente
indipendente per ipotesi: un assurdo ancora per 8.3. 7.
(ii)===? (i). Siccome B è un insieme rninimale di generatori di V, allora 8.3.17
assicura che B contiene una base B1 di V. Per la rninimalità di B tra gli insiemi
di generatori di V si ha B 1 = B, cioè B è una base di V.
(i) ===? (iii). Per ipotesi B è linearmente indipendente. Se poi X è un sottoinsie-
me di V che contiene propriamente B allora ogni elemento x E X \ B dipende
linearmente da B, in quanto (B) = V. Pertanto B U {x} è linearmente dipendente
per 8.3.7, e anche X, contenendo B U {x}, risulta linearmente dipendente. Ciò
significa che B è un insieme linearmente indipendente massimale di V.
(iii) ===? (i). Sia B = {x1,x2, ... ,x11 } , con IBI = n. Occorre provare che
(B) = V. Sia x E V. Se x E B allora x E (B) per la (ii) di 8.3.6. Se invece
x ti B allora B U {x} contiene propriamente B. Siccome B è massimale come
insieme linearmente indipendente di V, necessariamente B U {x} è linearmente
dipendente. Ne segue che esistono scalari a, a 1 , ... , a 11 E F non tutti nulli tali
che
ax + a1x1 + · · · + a 11 Xn = O. (8.3.6)
Se fosse a = O dalla (8.3.6) seguirebbe a1x1 + · · · + a 11 x 11 = O, e ciò è assur-
do perché gli ai non possono essere tutti nulli e B è linearmente indipendente.
Pertanto a :f. O, quindi esiste a- 1 E F. Allora dalla (8.3.6) si ottiene
x= (-a- 1a1)x1 + · · · + (-a - 1an)Xn ,
cioè x E (B), come volevasi. D
In uno spazio vettoriale finitamente generato ogni insieme di vettori linearmente
indipendente può essere ampliato fino a ottenere una base.

8.3.20. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo F. Allora


ogni insieme finito X di vettori linearmente indipendenti di V è contenuto in una
base di V.
Spazi vettoriali 321

Dimostrazione. Sia B un base di V, e sia IBI = n . Allora il Corollario 8.3.10


assicura che ogni sottoinsieme di V che contenga più di n elementi è linearmente
dipendente. Sia lXI = m . Se m = n allora X è un insieme linearmente indi-
pendente massimale, quindi una base di V per 8.3.19, e non c'è nulla da provare.
Sia ora m < n. Si scelga un vettore Yl E V\ (X) . Allora X1 = X U {yl} è
linearmente indipendente (vedi Esercizio 8.3.2) e ha ordine m+ l. Si scelga poi
un vettore Y2 E V\ (X1) , e si prosegua nella maniera indicata. Dopo n- m passi
si ottiene il sistema linearmente indipendente massimale X U {Yl , ... , Yn-m} che
contiene X, come volevasi. D

8.3.21. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo F. Allora


tutte le basi di V hanno lo stesso ordine.

Dimostrazione. Siano B1 e B 2 basi di V. Siccome B1 è un insieme linearmente


indipendente, e ogni vettore di B1 dipende linearmente da B2, il lemma di Stei-
nitz (vedi 8.3.9) assicura che IB1I ::::; IB2I- Invertendo i ruoli di B1 e B2 nel
ragionamento precedente si ottiene anche IB2I ::::; IB1I, da cui IB1I = IB2I· D

La 8.3.21 consente di definire la dimensione su F di un F -spazio vettoriale fini-


tamente generato V come l'ordine di una sua base. Tale intero non negativo viene
denotato con dimF V.

8.3.22. Esempio. Lo spazio vettoriale nullo ha dimensione O su qualsiasi cam-


po (vedi Esempio 8.3.12). Un qualunque spazio vettoriale finitamente generato
e non nullo ha dimensione positiva. Dall'Esempio 8.3.14 si ricava subito che
dimp pn = n. Ancora, se F[x; n] è il sottospazio di F[x] costituito dal po-
linornio nullo e dai polinorni di grado al più n risulta dimp F[x ; n] = n + l
(vedi Esempio 8.3.15). Dall'Esempio 8.3.16 si ricava poi dimp Mn ,m(F) = nm.

8.3.23. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo F. Allora


ogni sottospazio W di V è finitamente generato, e risulta dimp W :S dimp V.

Dimostrazione. Per il Corollario 8.3.10 l'ordine dei sottoinsierni linearmente in-


dipendenti di W non supera dimp V. Sia B un sottoinsieme linearmente indipen-
dente massimale di W. Per (iii) di 8.3.19, B è una base di W. Pertanto W è
finitamente generato e dimp W ::::; dimp V. D

Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo F. Data una base


B = { x 1, ... , Xn} di V, per ogni vettore x E V esistono, e sono univocamente
determinati, scalari a1, ... , an E Ftaliche x = a1 x 1+ · · ·+ anXn (vedi 8.3.18).
Gli scalari a1 , ... , an sono detti le componenti di x nella base B.
322 Capitolo 8

Osservazione. Una qualunque n-upla (xl, ... ' Xn) E vn tale che {xl, ... ' Xn }
sia una base di V è detta una base ordinata di V. L'esigenza di fissare un ordine
tra gli elementi di una base B scaturisce dalla frequente necessità di rappresentare
le componenti in B di ogni vettore x di V mediante un vettore di F 11 , il cosiddetto
vettore coordinato di x relativo alla base B. Per evitare di appesantire la tratta-
zione, nel seguito del presente capitolo e in tutto il Capitolo 9, ogni volta che si
parlerà del vettore ( a1, ... , a 11 ) delle componenti di un vettore x di V nella base
B = { x1, .. . , X n} si suppotTà tacitamente che i vettori di B siano ordinati nel
modo in cui appaiono scritti, cioè si continuerà a denotare con B = {x 1 , ... , X n}
la base ordinata (Xl, ... , X n).

Esercizi
Esercizio 8.3.1. Siano x, y , z vettori linearmente indipendenti in uno spazio vet-
toriale V. Si dimostri che l'insieme { x+y, x-y, x-2y+z} è ancora linearmente
indipendente.

Esercizio 8.3.2. Sia X = {xl, ... , x 11 } un insieme linearmente indipendente in


uno spazio vettoriale V. Si provi che se x E V\ (X) allora XU{ x} è linearmente
indipendente.

Suggerimento. Si ragioni come in (iii) ===? (i) della dimostrazione di 8.3.19.

Esercizio 8.3.3. Si dimostri 8.3.12.

Esercizio 8.3.4. Si dimostri 8.3.15.

Esercizio 8.3.5. Si dimostri 8.3.18.

Esercizio 8.3.6. Sia V uno spazio vettorìale dì dimensione n su un campo F. Si


dimostri che ogni insieme dì generatori di V di ordine n è una base di V.

Esercizio 8.3.7. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo F. Si


dimostri che ogni insieme linearmente indipendente di ordine n è una base di V.

Esercizio 8.3.8. Nell'insieme JR 3 strutturato a spazio vettorìale su JR, si stabilisca


quali dei seguenti insiemi di vettori sono linearmente indipendenti:

A= {(1, O, 0) , (2, l , 0)} ,


B = {(0, 2, 3), (0, -4, -6)} ,
C7 = {(1 , 0, 0) ,(3,2, 0) ,(0, 1, 0)} ,
D= {(2, O, 0) , (1, -5, 0) , (0, -2, 1)} .

Esercizio 8.3.9. Nell'insieme JR 2 strutturato a spazio vettoriale su lR, si stabilisca


quali dei seguenti insiemi di vettori sono linearmente indipendenti, quali sono un
Spazi vettoriali 323

sistema di generatori dello spazio, e quali costituiscono una base:


A= {(2, 12) , (-?T , -?T)},
B = {(2, -1/3) , (- 1, 1/ 6)} ,
c= {(2/ 3, 3/2), (2 , 3)},
D = {(1 ,2), (3 ,-2 J2),(-2,2)}.
Esercizio 8.3.10. Si determini una base e la dimensione dei seguenti sottospazi
di ~4 , strutturato a spazio vettoriale su ~ nel modo usuale:
V= {( a, b, c, d): a- c+ d = O} ;
W= {(a , b,c,d): a= c, b = 2d}.
Esercizio 8.3.11. Si determini una base per il sottospazio di Q 4 (strutturato a
spazio vettoriale su Q) generato dai vettori seguenti:
X I= (1 , 1,2,3), X2 = (3 ,2, 1, 0) , X3 = (- 1, 0, 3,6), X4 = (2 ,2, 2, 2).
Esercizio 8.3.12. Nello Q-spazio vettoriale Q[x] si considerino i vettori
VI = x 3 - 2x 2 + 4x + l , v2 = x 3 + 6x - 5,
v3 = 2x 3 - 3x 2 + 9x - l , V4 = 2x 3 - 5x 2 + 7x + 5.

Si determinino una base e la dimensione del sottospazio W = ( v 1 , v2, v3, v4).


Esercizio 8.3.13. Si determinino tre basi distinte per ciascuno dei seguenti sotto-
spazi di (Zu) 3 (strutturato a spazio vettoriale su Z u):
W1 = {( x, y ,x- 2y): x, y E Zu} ,
W2 = {( x, y + z, x+ z) : x, y , z E Zu} ,
W3 = { (x, x + y , z) : x, y , z E Zu}.

Esercizio 8.3.14. Nell 'insieme M 2 ,3 (Q) strutturato a spazio vettoriale su Q, si


stabilisca se le matrici

(~ ~ i ), ( i -~ ~ ) , ( -i ~ ~)
sono linearmente indipendenti, e se costituiscono una base.
Esercizio 8.3.15. Dopo aver provato che l'insieme
B = {(-l, -l , -l) , (1 , -l, 0) , (-l , O, O)}
è una base dell'usuale spazio vettoriale reale ~ 3 , si determinino le componenti in
tale base dei vettori v= ( - 3, l , 2) e w = (0 , l , 1).
Esercizio 8.3.16. Sia F un campo e sia A= (aij ) E Mn(F) una matrice qua-
drata. Si definisce traccia di A l'elemento tr(A) := au + a 22 + · · · + ann E F .
Si dimostri che il sottoinsieme {A E Mn(F) : tr(A) = O} è un sottospazio dello
F-spazio vettoriale Mn(F), e se ne determini la dimensione.
324 Capitolo 8

8.4 Applicazioni lineari


Siano V1 e V2 spazi vettoriali su uno stesso campo F. Un ' applicazione

è detta un 'applicazione lineare (o un omomorfismo di spazi vettoriali, o anche un


F -omomorfismo) di V1 in V2 se per ogni x, y E V1 e per ogni ex E F si ha:

f(x + y) = j( x) + J(y) ,
{ (8.4.1)
j(cxx) = cx f( x).

Dalla definizione segue subito che un'applicazione lineare f : V1 ------) V2 è in


particolare un omomorfismo di gruppi abeliani tra le strutture additive (V1 , +) e
(V2 , +). Utilizzando la terminologia ormai consueta, anche tra spazi vettoriali
un omomorfismo iniettivo (rispettivamente suriettivo, biettivo) viene detto un mo-
nomorfismo (risp. epimorfismo , isomorfismo). Un omomorfismo di uno spazio
vettoriale in se stesso viene detto un endomorfismo (automorfismo se esso è biet-
tivo). Spazi vettoriali V1 e V2 su uno stesso campo si dicono isomorfi (e si scrive
111 ~ V2) se esiste un isomorfismo f : V1 ------) V2 .

8.4.1. Esempi. Le applicazioni

x E V f--------7 0 E V
x E V f--------7 x E V

sono lineari (vedi Esercizio 8.4.2), e sono dette rispettivamente l'endomorfismo


mtllo di V e l'automorfismo identico di V.
Con V1 e V2 spazi vettoriali su un campo F, l'applicazione

è lineare (ed è detta l'omomorfismo nullo di V1 in V2).


Per ogni sottospazio W di uno spazio vettoriale V, l'applicazione

è un monomorfismo (ed è detto l'immersione di W in V).


Siano V uno spazio vettoriale su un campo F, e lV un sottospazio di V. In V si
definisca una relazione Rw ponendo

x Rw y : {::::::::? x - y E W.

La relazione Rw è riflessiva, in quanto per ogni x E V risulta x- x = O E lV,


quindi x Rw x. Inoltre essa è simmetrica, perché da x, y E V e x R w y segue
x - y E W , quindi y -x = - (x - y) E W, pertanto y Rw x . Infine R1v
è transitiva, infatti da x, y , z E V e x Rw y , y Rw z segue x- y , y- z E W,
Spazi vettoriali 325

quindi x- z = (x -y) + (y- z ) E W, cioè x Rw z . Pertanto Rw è una relazione


d'equivalenza in V.
Per ogni x E V si denoti con il simbolo x+ W la classe d'equivalenza di x
rispetto a Rw:

x+ W:= [xJnw = {y E V: x- y E W}= {x+ w: w E W}.


Si denoti poi con V /W l'insieme quoziente di V rispetto a R w :

V/W:= V/Rw ={x+ W: x E V}.


Si osservi che in V /W risulta:

x+W=y+W ~ x -yEW. (8.4.2)

La relazione d'equivalenza Rw è compatibile rispetto all'operazione + in V:


infatti da x Rw y e z Rw t segue x- y, z - t E W, cioè x+ z - (y +t) E W,
dunque (x+ z ) +W= (y +t)+ W. Ciò consente, come fatto nel Paragrafo 4.2,
di definire l'operazione quoziente

+:(x+ W, y +W) E V/W x V/W c---t (x+ y) +W E VjW.


Siccome (V, +) è un gruppo abeliano, 4.2.1 O assicura che anche (V/W, +) è un
gruppo abeliano. In particolare, l'elemento neutro di (V/W,+) è

O+ W= [OJnw = {O+ w :w E W} = W, (8.4.3)

e l'opposto di un elemento x +W è

-(x+ W)= (-x)+ W. (8.4.4)

La relazione d'equivalenza Rw è compatibile anche rispetto al prodotto per uno


scalare di F: infatti da x Rw y e a E F segue a(x- y) = ax - a y E W, dunque
ax +W= ay +W. Ciò consente di definire l'operazione quoziente
·:(a, x+ W) E F x V/W c---t ax +W E V/W.
Si verifica agevolmente che la struttura algebrica (V/W,+, ·) è uno spazio vet-
toriale su F (detto lo spazio vettoriale quoziente di V rispetto a W) . Infatti le
proprietà (i) - (iv) della definizione di spazio vettoriale valgono in quanto, co-
me ricordato, (V jW, +) è un gruppo abeliano, mentre le proprietà (v) - (viii)
si possono verificare in maniera diretta, utilizzando essenzialmente le analoghe
proprietà di V.
8.4.2. Esempio. Sia V uno spazio vettoriale, e si considerino i sottospazi banali
{O} e V di V. Lo spazio vettoriale quoziente V/ {O} ha come elementi i laterali
x+ {O} con x E V, e ovviamente l'applicazione x E V c---t x + {O} E V/ {O} è
un isomorfismo. Quindi V/ {O} ~ V. Invece lo spazio vettoriale quoziente V /V
contiene un unico elemento, O+ V , e pet1anto è lo spazio vettoriale nullo.
326 Capitolo 8

Se f : V1 ----7 112 è un'applicazione lineare, il sottoinsieme di V1


Ker f := {x E V1 : f( x) = O}
è detto il nucleo di f, mentre il sottoinsieme di V2

è detto l'immagine di f. Il risultato che segue, di importanza fondamentale, è


ovviamente un caso particolare di 4.3.10.

8.4.3. Teorema di omomorfismo (negli spazi vettoriali). Sia f V1 ----7 V2


un'applicazione lin eare. Allora:
(i) Ker f è un sottospazio di V1:
(ii) Im f è un sottospazio di V2:
(iii) gli spazi vettori ali V1 / Ker f e Irn f sono isomorfi;
(iv) per ogni sottospazio TV di V1, l'applicazione

è un epimmfismo (detto l'epimorfismo canonico di V1 in Vi /W ); inoltre


risulta Ker 7r1V = Hl .

Dimostrazione. (i) Siccome f è in particolare un omomorfismo di gruppi, dal


Teorema 6.3.24 segue che (Ker f , +) è un sottogruppo di (V1 , +). Siano poi
a E F e x E Ker f. Allora f(ax) = af(x) = a O = Oper (i) di 8.1.7, quindi
a x E Ker f , e Ker f è un sottospazio di V1 .
(ii) Siccome f è in particolare un omomorfismo di gruppi, ancora dal Teore-
ma 6.3.24 segue che (Im f , + ) è un sottogruppo di (V2 , + ). Siano poi a E F e
y E Im f. Allora esiste un vettore x E V1 tale che f (x) = y. Poiché ovviamente
ax E V1 , da ay = a f(x) = f( ax) segue che ay E Im f , e Im f è un sottospazio
di v2.
(iii) Si osservi innanzi tutto che, in virtù di (8.4.2), x+ Ker f = y+ Ker f equivale
a x- y E Ker f , quindi a f( x- y) = O, cioè f( x) = f(y) per la linearità di f.
Ciò assicura che l'assegnazione
<p : V1 / Ker f ----7 Im f
x+ Kerf f--------)f(x)
definisce un ' applicazione iniettiva. Tale applicazione è anche evidentemente su-
riettiva, in quanto per ogni elemento f( x) E Im f si ha x+ Ker f E VI/ Ker f e
cp(x + Ker f) = f( x). Inoltre l'applicazione <p è lineare, giacché per ogni a E F
e per ogni x, y E V1 risulta
cp((x + Ker f) + (y + Ker f))= cp((x + y) + Ker f)
= f( x + y)
= f( x) + f(y)
= cp (x + Ker f) + cp (y + Ker f)
Spazi vettoriali 327

e
cp(a(x + Ker f)) = cp((ax) + Ker f)
= f(ax)
= af(x)
= acp(x + Ker f).

Pertanto <p è un isomorfismo di spazi vettoriali e l'asserto è provato.


(iv) L'applicazione 1rw è banalmente suriettiva. Inoltre essa è lineare, in quanto
per ogni a E F e per ogni x, y E V1 risulta

1rw(x + y) = (x+ y) +W= (x+ W)+ (y +W)= 1rw(x) + 1rw(y),


1rw(ax) = (ax) +W= a(x +W)= a1rw(x).

Infine x E Ker1rw se e solo se 1rw(x) =W, che per (8.4.3) è lo zero additivo di
Vi/W. D

8.4.4. Corollario. Un'applicazione lineare f : V1 ____. V2 è un monomorfismo se


e solo se Ker f = {0}.

Dimostrazione. Se f è iniettiva e x E Ker f allora f(x) =O= f(O) perché f è


in particolare omomorfismo di gruppi, quindi x = O; ne segue che Ker f = {0}.
Viceversa, da Ker f = {O} e f(x) = f(y) segue f(x- y) = O, e ciò implica
x- y E Ker f, dunque x- y =O e x = y; pertanto f è iniettiva. D

Negli spazi vettoriali di dimensione finita le dimensioni di nucleo e immagine di


un'applicazione lineare sono legate tra loro, come mostra il risultato che segue.

8.4.5. Siano V1 e V2 spazi vettoriali finitamente generati su un campo F, e sia


f: VI - - - t v2 un'applicazione lineare. Allora:

dimp Ker f + dimp Im f = dimp V1.

Dimostrazione. L'asserto è banalmente vero se V1 è lo spazio nullo; si assuma


quindi vl i= {0}. Sia dimp Ker f = r, e sia {xl, ... ' Xr} una base di Ker f .
Per 8.3.20, posto dimp vl =n :2 r, esistono vettmi Xr+l, ... 'Xn E vl tali che
{xl, ... ' Xn} è una base di vl. Si proverà che i vettori f( xr+I), ... 'f(xn) E v2
costituiscono una base di Im f. Se O= ar+If(xr+I) + · · · + anf(xn) con scalrui
ar+l, . . . , an E F, allora f(ar+IXr+l + · · · + anxn) = O per la linearità di f,
dunque ar+ 1 Xr+ 1 + · · · + anXn E Ker f. Ciò implica, essendo {XI, ... , Xr } una
base di Ker f, che esistono scalari a1, . . . , ar E Ftaliche a1x1 + · · · + arXr =
ar+IXr+l + · · · + anXn · Di qui ovviamente segue che a1x1 + · · · + arXr -
ar+IXr+l - · · · - anXn = O. Essendo {Xl, ... , Xn} una base di V1, da ciò si
ottiene a1 = · · · = an = O. Si è così provato che i vettori f(xr+l), ... , f(xn)
328 Capitolo 8

sono linearmente indipendenti. Inoltre essi generano Im f, in quanto per ogni


y E Imf risulta y = f( x) con x= fJ1x1 + · · · + f3nxn E V1, da cui

Y = f({31Xl + · · · + f3nxn)
= fJ1f(x1) + · · · + f3rf(xr) + f3r+lf(x1"+ 1) + · · · + f3nf(xn)
= f3r+ d( xr+l) + · · · + f3n f( xn)

in quanto j(x1) = ··· = f( xr) = O essendo x1, ... ,xr E Kerf. Dunque
{f (Xr+l) , ... , f (X n)} è una base di lm f, e l'asserto segue subito. D

8.4.6. Sia f : V1 ---+ V2 un 'applicazione lineare. Allora:


(i) se f è iniettiva e x1, . .. , X n sono vettori linearmente indipendenti di Vb
allora j(x1), ... , f(xn) sono vettori linearmente indipendenti di V2;
(ii) se j è suriettiva e (xl, ... , Xn) =Vb allora (j(xl), ... , j(xn)) = V2.

Dimostrazione. (i) Siano f inietti va e X = {x1 , ... , x 11 } un sottoinsieme li-


nearmente indipendente di V1. Da o:lf(xl) + · · · + a 11 j(x 11 ) = O segue subito
j(o:1x1 + · ·+o:nxn) = Oper la linearità di f, e poi o:1x1 +· · ·+anXn = Oper l' i-
niettività di f. Siccome X è linearmente indipendente, si ha a1 = · · · = a 11 = O,
ed f(X) è linearmente indipendente.
(ii) Siano f suriettiva e (xl , ... , x 11 ) = V1. Per ogni y E V2, la suriettività di
f implica l'esistenza di un vettore x E V1 tale che f( x) = y. Allora esistono
0:1, ... , 0: 71 E Ftaliche x = o:1x1 + · · · + a 11 X 11 • Pertanto

per la linearità di f. Ciò significa che (!(xl), ... , j(xn)) = V2. D

Di qui segue subito che:

8.4.7. Corollario. Ogni isomorfismo di spazi vettoriali trasforma basi in basi.

Si osservi che nella dimostrazione di 8.4.6 (ii) si è in realtà provato che:

8.4.8. Sia f : vl ---+ v2 un 'applicazione lineare. Se (xl , ... ) Xn) = Vl, allora
(f(x1), ... , f(xn)) = Imf.

8.4.9. Teorema. Siano VI e v2 spazi vetto riai i su un campo F, B = {Xl, ... , X n}


una base di Vb Yl, ... , Yn vettori di V2. Allora esiste un 'unica applicazione
lineare f : V1 ---+ V2 tale che f( xi) = Yi per ogni i= l , ... , n.
Spazi vettoriali 329

Dimostrazione. In virtù di 8.3.18, ogni vettore x E V1 si esprime in unico modo


nella forma x = a1x1 + · · · + anXn. Ciò consente di definire un'applicazione
f: vl ----t V2 ponendo f(alXl +· . ·+anxn) := alYl +. ·+anYn· Se x e x' sono
elementi.d.V
1 1,eaE F , posto x=a1x1+ ·· ·+anxnex ' =a '1x 1+···+anxn, '
risulta:
f( x +x') =!((al+ a~)x1 +···+(an+ a;1 )xn)
= (al+ a~)Yl +···+(an+ a~)Yn
= (alYl + · · · + anYn ) + ( a~yl + · · · + a~yn)
= f( x) + f( x') ,

f(a x ) = j(aa1x1 + · · · + aanxn)


= aa1Y1 + · · · + aanYn
= a(alYl + · · · + anYn)
= a f( x).
Ciò assicura che f è lineare. Inoltre per ogni i = l , . .. , n risulta banalmente
Xi = Ox1 + · · · + Oxi-1 + l xi + Oxi+l + · · · + Oxn, quindi f(xi) = Yi · Infine
si proverà che f è l'unica applicazione lineare di vl in v2 con tale proprietà.
Sia infatti g : V1 -----> V2 un ' applicazione lineare tale che g(xi) = Yi per ogni
i = l , . .. , n. Allora per ogni X E V1 risulta g( x ) = g(a1X1 + · · · + anXn ) =
a1g(xl) + · · · + ang(xn ) = a1Y1 + · · · + anYn = f( x ), cioè g =f. D
Si suole dire che l'applicazione lineare costruita nel Teorema 8.4.9 è ottenuta
"estendendo per linearità" l'applicazione Xi E B f--------7 Yi E V2 . Se si scelgono
i vettori y 1, ... , Yn di V2 in maniera opportuna, l' omomorfismo che si ottiene
verifica ulteriori proprietà.

8.4.10. Siano V1 e V2 spazi vettoriali su un campo F, B = {Xl, ... , Xn} una


base di Vi, YI, ... , Yn vettori di V2, f : V1 ---t V2 l'omomorfismo che si ottiene
estendendo per linearità l'applicazione Xi E B f--------7 Yi E V2. Si ha:
(i) se l'insieme {YI, ... , Yn} ha ordine n ed è linearmente indipendente allora
f è un monomorfismo;
(ii) se l'insieme {YI. ... , Yn} genera V2 allora f è un epimorfismo;
(iii) se l'insieme {Yl ... , Yn} ha ordine n ed è una base di V2 allora f è un
isomorfismo.

Dimostrazione. Nelle ipotesi (i), sia f( x) = f(y). Allora f( x- y) = O per la


linearità di f. Siccome i vettori Yl, ... , Yn sono a due a due distinti e linearmente
indipendenti, la loro unica combinazione lineare uguale al vettore nullo è quella
con scalari tutti nulli. Pertanto f( x- y) = Oy1 + · · · + 0Yn· Ma allora x - y =
Ox1 + · · · + Oxn = O. Così x = y e f è iniettiva.
Nell'ipotesi (ii ), sia y E V2. Siccome y E (y1, .. . , Yn), esistono scalari
fh, . .. , !3n E F tali che y = fJ1Y1 + · · · + f3nYn· Considerato allora il vettore
330 Capitolo 8

x= fJ1x1 + · · · + (317 X17 E V1 , risulta f( x ) = y. L' arbitrarietà di y in Vz assicura


che f è suriettiva.
Infine, nelle ipotesi ('iii), f è biettiva per (i) e (ii). D

Ora si può provare facilmente che spazi vettori ali finitamente generati su uno
stesso campo sono isomorfi se e solo se banno la stessa dimensione.

8.4.11. Siano V1 e Vz spazi l'ettorialifinitamente generati su un campo F. Allora:

Dimostrazion e. Sia V1 ~ Vz . Allora esiste un isomorfsmo f : V1 ------) Vz . Sia B1


una base di V1 . Per il Corollario 8.4.7l'insieme f(Bl) è una base di V2 . Siccome
la biettività di f assicura che B1 e f(BI) banno lo stesso numero di elementi, ne
segue che dimp V1 = dimp Vz.
Viceversa, sia dimp V1 = dimp Vz . Allora le basi di V1 e quelle di V2 banno
lo stesso ordine. Siano El = { Xl ' ... 'X n} una base di vl ' Bz = {Yl ' ... ' Yn }
una base di Vz . Si consideri poi l'applicazione a : Xi E B1 f------7 Yi E Bz. La (iii)
di 8.4.10 garantisce che l'applicazione che si ottiene estendendo a per linearità è
un isomorfismo. Pertanto V1 ~ Vz, come volevasi . D

Esercizi
Esercizio 8.4.1. Si dimostri che per ogn i intero positivo n gli F-spazi vettoriali
F't, Ml,n(F) e ]Vfn, l (F) sono a due a due isomorfi. In virtù di ciò, nel segu ito si
parlerà indifferentemente di vettori di Fn, o di vettori riga, o di vettori colonna.
Esercizio 8.4.2. Si provi 8.4.1.
Esercizio 8.4.3. Siano V1, Vz e V3 spazi vettori ali su uno stesso campo F , e siano
f : V1 ------) Vz e g : Vz ------) V3 applica zioni lin eari. Si provi che l 'applicazione
composta g o f : vl ------) v 3 è lin eare.
Esercizio 8.4.4. Sia f : V1 ------) Vz un 'applicazione lin eare. Si provi chef (nx) =
nf(x), per ogni x E V1 e per ogni n E Z.
Esercizio 8.4.5. Sia f : V1 ------) Vz un isomorfismo di F -spazi vettoriali. Si
dimostri che l 'applicazione inversa f - 1 : Vz ------) V1 è lineare.
Esercizio 8.4.6. Si consideri IR 2 strutturato a spazio vettoriale reale nel modo
usuale. Si stabilisca se l 'applicazione f: (x, y) E IR 2 f------7 (x + 1, y + l) E IR 2 è
lineare.
Esercizio 8.4.7. Con JR 3 strutturato a spazio vettoriale reale ne/modo usua le, si
stabilisca quali tra le seguenti applicazioni f : JR 3 ------) JR 3 sono lin eari:
f( x, y, z) = (3 , x- z, y);
f( x , y, z) = (x, y - z, z2 );
f( x, y , z) = (2y - z, x+ 4z, O).
Spazi vettoriali 331

Esercizio 8.4.8. Si dimostri, con particolare riguardo alle proprietà (v) - (viii)
della definizione di spazio vettoriale, che se V è uno spazio vettoriale sul campo
F e W un sottospazio di V, allora il quoziente V /W, con le operazioni quoziente,
è uno spazio vettoriale su F.
Esercizio 8.4.9. Siano V uno spazio vettoriale su un campo F, e W un sottospa-
zio di V. Si dia una condizione necessaria e sufficiente su W affinché l' epimorfi-
smo canonico di V in V/W (vedi Teorema 8.4.3 (iv)) sia un isomor.fismo.
Esercizio 8.4.10. Siano V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su un
campo F, e B = {Xl, ... , Xn} una base di V. Si dimostri che l'applicazione
<I> :X E V f----t (al, ... , an) E Fn
che a ogni vettore di V associa la n-upla delle sue componenti nella base B è un
isomorfismo di spazi vettoriali, detto isomor.fismo coordinato rispetto alla base
B.
Esercizio 8.4.11. Sia f : V1 - - - t V2 un'applicazione lineare, e sia B1 una base
di V1. Si provi chef è un isomorfismo se e solo se j(B1) è una base di V2.
Esercizio 8.4.12. Considerati gli insiemi JR 3 e JR 4 , strutturati a spazio vettoriale
su JR, si stabilisca quali delle seguenti applicazioni sono lineari, e per ciascuna di
queste si determinino il nucleo, l'immagine e le rispettive dimensioni:
!l : (x , y , z ) f----t (x+ y , x+ z, x, y),
h : (x, y, z ) f----t (x+ l, x, 2x + 3y, x- y),
h : (x, y, z) f----t (l, l, O, y),
!4: (x, y, z) f----t (x , z, 2, y),
f5 : (x,y, z ) f----t (x 2 ,y 2 , z 2 ,1).
Esercizio 8.4.13. Si stabilisca per quali valori del parametro razionale k l'appli-
cazione f: (x, y) E Q 2 f----t (x+ ky, l - k 2 , (2 + k)y) E Q 3 è un isomor.fismo
di Q-spazi vettoriali.
Esercizio 8.4.14. Si consideri l'applicazione f : JR 4 - - - t JR 3 definita ponendo
f(x, y, z, t) = (t - 2z, y + z, x - 3t), per ogni (x, y, z, t) E JR 4 . Si dimostri
che f è lineare. Si determinino poi il nucleo e l'immagine di f, e le rispettive
dimensioni.
Esercizio 8.4.15. Si determini informa esplicita un omomor.fismo di Q-spazi vet-
toriali f : Q3 - - - t Q2 tale che f((l, 2, 3)) = (2, l) e f((l, O, l)) = (1, 2). Si
calcoli poi la dimensione di Im f.
Esercizio 8.4.16. Sia f : JR 4 ---t JR 3 l'applicazione lineare definita ponendo
f(x , y, z, w) = (x-2y+3 z, x-y+(k+3)z+2w, 2x-3y+(k+6) z + (k+l)w)
per ogni (x, y, z, w) E JR4 , con k parametro reale. Si stabilisca se esistono va-
lori di k per cui f è un monomor.fismo, e se esistono valori di k per cui è un
epimorfismo.
332 Capitolo 8

8.5 Somma diretta di sottospazi


Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e siano lV1 e lV2 sottospazi di 11. In
virtù di 8.2.12, l' insieme W1 + lV2 := {Wl + W2 : Wl E W1 , W2 E lV2} coincide
con il sottospazio di v
generato da wl e w2. Quando è finita , la dimensione di
W1 + lV2 può essere calcolata a partire dalle dimensioni di W1, W2 e W 1 n W2.

8.5.1. Formula di Grassmann. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e


siano H/1 e W2 sottospazi di dimensione finita di V. Allora anche H/1 n W2 e
H/ 1 + VV2 hanno dimensione finita, e risulta:

Dimostrazion e. Essendo un sottospazio di lV1, anche lV1 n VV2 ha dimensione


finita per 8.3.23. Sia dimp(Wl n W2) =n, e si fissi una base {x1, ... ,xn } di
wl n w2. Per 8.3.20, l' insieme linearmente indipendente {Xl , ... , X n} è contenu-
to in una base {Xl, ... , Xn, Yl , ... , Yr} di vvl; dunque dimp lVl = n+ r. Per lo
stesso motivo, {Xl , . .. , X n} è contenuto in una base {Xl, ... , X n, z1, ... , Zs } di
W2; di qui , dimp W2 =n+ s . Pertanto bisogna provare che dimp(W1 + W2) =
n+ r + s : lo si farà dimostrando che B = {xl, ... , Xn, Yl , ... , Yr , z1, ... , zs } è
una base di wl + w2.
Per provare che B è linearmente indipendente, si abbia

0 = et1X1 + · · · + CtnXn + f31 Yl + · · · + f3r Y?· + /'l Zl + · · · + f'sZs, (8.5.1)

con a1, ... , et n, fJ1, ... , (31., l'l , ... , ì's E F. Allora risulta

quindi -')'lZl - · · · - f'sZs = 61x1 + · · · + ÒnXn dove 61, ... , Òn E F, in quanto


{Xl ' ... ' Xn} è una base di wl n w2. Da qui si ottiene subito

essendo {Xl , ... , X n, Zl, . . . , Zs } linearmente indipendente in quanto base di W2,


se ne ricava l'l = · · · = ì's = O. Ora da (8.5.1) si ottiene

Ct1X1 + · · · + CtnXn + f31Yl + · · · + f3r Yr = 0,

il che ovviamente comporta a1 = · · · = Ctn = !31 = · · · = f3r O in quanto


{x1, ... , Xn, Yl , ... , Yr} è una base di lV1. In definitiva

et1 = ··· = Ctn = fJ1 = · · · = (3?. = ì'l = · · · = ì's = O,


quindi B è linearmente indipendente.
Per provare infine che B genera W1 + lV2, si osservi che da B <;;; W1 + lV2
segue subito (B) <;;; W1 + W2. Per provare l'inclusione opposta, siano w1 E W1
Spazi vettoriali 333

e wz E Wz . Siccome {x 1, ... , Xn , Yl , .. . , Yr } è una base di W1, esistono scalrui


"71 , . .. , "ln , B1 , . . . , Br E F tali che

Wl = fJl Xl +o oo+ fJnXn + elYl +o oo+ BrYr·

Analogamente, siccome { x 1, ... , Xn, z1, . . . , z 8 } è una base di TiVz , esistono sca-
lari À1, . . . , Àn , f-tl , .. . , f..ts E Ftaliche

Di conseguenza

Wl +wz = ("71 + Àl) Xl +· · ·+ (rJn + Àn)Xn+ BlYl +· · ·+ BrYr +f-tl Zl + · · ·+ J-tsZs

è un elemento di (B ). Pertanto B è una base di W 1 + W 2 , come volevasi. D

Si dice che lo spazio vettotiale V è somma diretta dei sottospazi W 1 e W 2 (e si


scrive V= W1 EB W2) se V= W1 + W z e W1 n W z = {0}.
8.5.2. Esempi. Qualunque sia V, si può sempre scrivere V = V E9 {O} (la
cosiddetta decomposizione diretta banale).
Decomposizioni dirette non banali dello Q-spazio vettotiale Q 2 sono per
esempio Q 2 = ((1 , O)) E9 ((0 , l) ) e Q 2 = ((1 , O) ) E9 ((1 , 1)).

8.5.3. Sia V uno spazio vettoriale su un campo F, e siano W1 e Wz sottospazi di


V. Allora V = W1 E9 Wz se e solo se ogni x E V si può scrivere in unico modo
nella forma x= Xl + Xz, con Xl E wl e Xz E Wz.

Dimostrazione. Se V = W1 E9 W z allora innanzitutto V = W1 + W z, quindi per


ogni x E V si ha x = x 1 + xz, con x 1 E W 1 e x 2 E W z. Se si avesse anche
x = Yl +yz, con Yl E W1 e Yz E W z allora risulterebbe O = (x l - y1) + (xz -yz),
quindi Xl - Yl = Y2 - Xz E wl n W z = {0}, da cui Xl = Yl e Xz = Y2·
Viceversa, se ogni x E V si scrive in unico modo nella forma x = x 1 + x z
con Xl E wl e Xz E W z, allora innanzitutto x E wl+ Wz, quindi v = wl+ W z.
Se poi x E W1 n W z allora x = x + O = O + x sono due scritture distinte di x
come somma di un elemento di W 1 e di uno di W 2 , e dunque esse coincidono per
ipotesi. Pertanto x= O e W1 n W z = {0} , da cui V= W1 E9 W z. D

Sia V uno spazio vettoriale su un campo F , e sia W 1 un sottospazio di V. Un


sottospazio Wz di V è detto un supplementare di W1 se risulta V = W1 E9 W z.
Come si evince da 8.5.2, un sottospazio di V può ammettere più supplementari.
Se V è finitamente generato, l'esistenza di supplementari è gru·antita, per ogni
sottospazio di V, dal risultato seguente.

8.5.4. Teorema. Ogni sottospazio di uno spazio vettoriale finitamente generato


ammette un supplementare.
334 Capitolo 8

Dimostrazione. Siano V uno spazio vettori ale finitam ente generato su un campo
F, e sia TV1 un sottospazio di V. Per 8.3.23, W1 ha una base B1 = {x1, ... ,xn }.
Allora B1 è un sottoin sieme linearmente indipendente di V , pertanto per 8.3. 20
esso è contenuto in una base B = {x1, ... ,xn,Xn+l , ... ,xm} di V. Si ponga
11V2 := (xn+ l , ... , Xm) . Si osservi che B2 = {Xn+l , . . . , Xm } è un insieme
linearmente indipendente di generatori di H12 , quindi ne è un a base. Si proverà
che TV2 è un supplementare di TV1, ossia che V = 1V1E9 Hf2. Il fatto che B sia una
base di V garantisce che, per ogni x E V, esistano scalar i a 1 , ... , a m E F tali
che x= a 1x1 + · · · + anXn + an+lXn+ l + · · · + a 111 X111 • Pertanto X= Wl+ w2
con Wl =al Xl + ... + anXn E TVl e W2 = an+l Xn+ l + . .. + amXm E TV2. Ciò
dimostra che V = Hf1 + Hf2. Sia ora x E TV1 n TV2. Allora, siccome B 1 è una
base di l1V1 e B2 una base di Hf2, es istono scalari fJ1, ... , f3n, f3n+ l , . . . , f3m E F
tali che x = fJ1x1 + · · · + f3nXn = f3n+1Xn+l + · · · + f3mxm. Da ciò si ottiene
fJ1x1 + · · · + f3nxn - f3n+ l Xn+l - · · · - f3,n Xm = O. Poiché B è linearmente
indipendente, ciò comporta che fJ1 = · · · = f3n = f3n+l = · · · = f3m = O, quindi
x = O. Pertanto W1 n W2 = {0}, e l'asserto è provato. D

8.5.5. Siano V uno spazio 1'e fforiale finitamente generato su un campo F, lF1 un
sottospazio di V, lV2 un supplementare di TV1, B1 una base di lV1 e B 2 una base
di T·F2. A llora B1 n B 2 = 0, e l 'insieme B := B 1 U B 2 è una base di F.

Dimostrazione. Per 8.3.23 i sottospazi TV1 e TiV2 sono finitamente generati, quindi
si può assumere B1 = {x1 , ... , Xn } e B2 = {YI , ... , Ym} · Si osservi innanzitutto
che B1 n B2 <;;;; W1 n W2 = {0} , quindi B1 n B2 = 0 per il Corollario 8.3.8. Ne
segue che IB1 U B2l = n+ m. Per ogni x E V esistono w1 E TV1 e w2 E TV2
tali che x = w1 + w2 . Inoltre per le ipotesi risulta w1 E (BI) , w2 E (B2 ). Quindi
x E (B ). Pertanto 11 = (B ). Resta da provare che B è linearmente indipendente.
Ciò segue subito dal fatto che se risulta O = a 1x1 + · · ·+anXn + fJ1Yl + · · ·+ f3mYm
per certi scalari a 1, ... , an , fJ1, .. . , f3m E F, allora

e la lineare indipendenza di B 1 e B2 assicura che

a1 = . . . =an= fJ1 = . . . = f3m = 0.

L'asserto è dunque provato. D

8.5.6. Teorema. Siano V uno spazio vettoriale finitamente generato su un campo


F , H/1 un sottospazio di V , l'V2 un supplementare di lV1. Allora risulta:
(i) dimp V= dimp l'\/1 + dimF TV2,
(ii) dimp V /Wl = dimF V - dimp l T-\.
Spazi vettoriali 335

Dimostrazione. La (i) segue subito dalla formula di Grassmann (vedi 8.5.1). Per
l'Esercizio 8.5.3 le ipotesi implicano VjW1 ~ W2. Allora per 8.4.11 e per la
(i) già provata si ha dimp VjW1 = dimp W 2 = dimp V- dimp W1, cioè la
(ii). D

Esercizi
Esercizio 8.5.1. Nello spazio vettoriale reale JR 3 , si considerino i sottospazi

U = {(a,b ,O): a,b E IR}, W= {(O,b,c): b,c E IR}.

Si dimostri che JR.3 = U + W, e che La somma non è diretta.


Esercizio 8.5.2. Siano U e W sottospazi dello spazio vettoriale reale JR 3 , di
et
dimensioni l e 2 rispettivamente. Si provi che se U W allora JR 3 = U EB W.
Esercizio 8.5.3. Siano V uno spazio vettorialefinitamente generato su un campo
F, W1 un sottospazio di V, W2 un supplementare di W1. Si dimostri che allora
V/W1 ~ W2.
Esercizio 8.5.4. Nell'insieme Q 4 strutturato a spazio vettoriale su Q, si con-
siderino i vettori x1 = (1,2,1,0), x2 = (1/2,0,0,-1), X3 = (0 , 1, 1,-1),
X4 = (1 , l, 2, 2). Siano poi W il sottospazio generato da x1 e da x2, U il sotto-
spazio generato da X3 e da X4. Si determini la dimensione e una base di W, U,
W + U e W n U, e un supplementare di W.

Esercizio 8.5.5. Nell'insieme IR4 strutturato a spazio vettoriale su IR, si conside-


rino i sottoinsiemi

wl = { (a, b, c, d) : a + b = o, c = 2d}'
w2 = {( x, y, z, t): x- 4y = 0,3z - 6y = 0}.

Si provi che W1 e W2 sono sottospazi di IR4 , e di ciascuno si determini la dimen-


sione, una base e un supplementare.

Esercizio 8.5.6. Si provi la (i) del Teorema 8.5.6 senza utilizzare la formula di
Grassmann (vedi 8.5.1).

Svolgimento. Con E1 base di W1 e E2 base di liV2, si ponga E := E1 u E2.


Per 8.5.5 risulta E 1 n E2 = 0, e E è una base di V. Per il ptincipio di inclusione-
esclusione (vedi 3.1.3) si ottiene subito lEI= IB1I + IB2I, e ciò prova l'asserto.

Esercizio 8.5.7. Siano V uno spazio vettoriale e O" un endomorfismo di V tale che
u o O" = O". Si provi che V = Ker O" EB ImO".

Esercizio 8.5.8. Nello '1l7-spazio vettoriale 'll7[x; 3] si determini la dimensione e


un supplementare del sottospazio W generato dai vettori x3 + 4x 2 - x + 3 e
x3 + 5x 2 + 5.
336 Capitolo 8

Esercizio 8.5.9. Nell 'usuale spazio vettoriale reale J\;f2(1R) si consideri il sotto-
spazio
o
) , (i~))·
3
- 1 l

Si determ ini un supplementare di Hl .

Esercizio 8.5.10. Ne ll 'usuale spazio vettoriale reale J\;f3(1R) si considerino i sot-


tospazi:
T= {(aij) E M3(1R): au = a22 = a33 = 0} ,
K = {(aij) E M3(1R): a21 = a22 = a23 = 0} .
Si determini una base e un supplementare del sottospazio T n K.

Esercizio 8.5.11. La definizione di somma diretta si generalizza facilmente a un


numero arbitrario di sottospazi. Se infatti W1 , ... , lVn sono sottospazi di uno
spazio vettoriale V, si dice che V è somma diretta dei sottospazi vV1, . .. , lVn (e
si scrive V = Wt EEl • • • EEl W n) se accade che:

(1) V= W1 + · · · + Wn ,
(2) Wi n (Hl1 : j -f. i)= {0} , per ogni i= l , ... ,n.

Si dimostri che V = vV1 EB · · · EB lVn se e solo se ogni vettore di x E V si scrive


in unico modo nella forma x= Xl+ ... + Xn con Xl E lVl , ... , Xn E vVn.

8.6 Matrice associata a un'applicazione lineare


Siano V1 e V2 spazi vettoriali finitamente generati su un campo F, e f : V1 -----+ V2
un'applicazione lineare. Se B1 = {Xl , ... , Xn} e B2 = {Yl , ... , Ym} sono basi
rispettivamente di V1 e V2, allora per ogni j = l , ... , n esistono scalari o:i1 E F
(univocamente determinati per 8.3.18) tali che
17l

f(xj) = LO:ijYi· (8.6.1)


i= l

La matrice (O:ij) E J\1m ,n (F) viene detta la matrice associata a f rispetto alle basi
B 1 di V1 e B 2 di V2 . Ovviamente qui, come del resto verrà fatto nel seguito senza
ulteriori annotazioni, si intende che B 1 e B2 siano basi ordinate (si tenga ben
presente l'osservazione che conclude il Paragrafo 8.3). Viceversa, ogni matrice
(o:ij) E Mm,n(F) dà luogo, mediante le (8.6.1), a un 'applicazione B1 -----+ V2
che, in virtù del Teorema 8.4.9, si estende per linearità a un unico omomorfismo
f : vl ----7 v2. Quest'ultimo ammette ovviamente proprio (O:ij) come matrice
associata rispetto alle basi B1 di V1 e B2 di V2.
Siano ora v3 uno spazio vettoriale di dimensione T su F, e g : v2 ----7 v3
un'applicazione lineare. Fissata una base B3 = {z1, .. . , Zr } di V3, la matrice
Spazi vettoriali 337

associata a g rispetto alle basi B 2 di V2 e B3 di V3 è data da f3hi E MT,m (F) , con


T

g(yi ) = L f3hiZh. Per ogni j = l , . .. , n risulta allora:


h= l

m m T

(8.6.2)
i= l i= l h= l

Dalla (8.6.2), posto r hj := L f3hiaij , si ottiene subito


i= l

(g o f)( xJ) =L r i1Jzh· (8.6.3)


h= l

La (8.6.3) assicura che la matrice associata all'applicazione lineare g o f (vedi


Esercizio 8.4.3) rispetto alle basi B1 di V1 e B 3 di V3 è (rhj) E MT,n(F) , ossia
proprio la matrice che si ottiene mediante prodotto righe per colonne (vedi 7.2)
dalle matrici (f3hi ) E MT,m (F) e (aij) E Mm,n(F). Si è così provato che:

8.6.1. Teorema. Sia F un campo, e siano Vi e V2 spazi vettoriali su F di dimen-


sioni n e m rispettivamente. Per ogni scelta di basi B1 di Vi e B2 di V2 esiste una
corrispondenza biunivoca tra Mm ,n(F) e l'insieme delle applicazioni lineari di
V1 in V2. Se V3 è uno spazio vettoriale su F di dimensione r, scelta una sua base
B3, la matrice associata all'applicazione lineare go f rispetto alle basi B1 di V1
e B3 di V3 è il prodotto righe per colonne delle matrici associate rispettivamente
a g rispetto a B 2 e B3 e a f rispetto a B 1 e B2.

Con F, V1 e V2 come nel Teorema 8.6.1, si denoti con Homp(V1, V2) l'insieme
delle applicazioni lineari di V1 in V2. Si ponga, per ogni J,g E Homp(V1 , V2),
x E V1, a E F:
(! + g)(x ) := f( x ) + g(x ),
(a· f)(x) := a(f(x )).
Si verifica facilmente che f + g , a · f E Homp(V1 , V2), e che quindi restano
definite in Homp(V1 , V2) un'operazione interna+ e un'operazione esterna· con
dominio di operatori F. Con tali operazioni, Horn p (V1, V2) resta strutturato a
spazio vettoriale su F .

8.6.2. Per ogni scelta di basi B1 di V1 e B2 di V2, la corrispondenza biunivoca


tra Mm,n (F) e Homp (V1 , V2) stabilita nel Teorema 8.6.1 è un isomorfismo di
F -spazi vettoriali.

Dimostrazione. Esercizio. D
338 Capitolo 8

Osservazione. La matrice ( O'ij ) E lv1rn ,n (F) associata a un ' applicazione lineare


f : vl ----) Vz rispetto alle basi El = {Xl ' ... 'Xn } di vl e E z = {Yl ' . . . , Ym}
di V2 ha dunque, come colonna j-esima, le componenti del vettore f( x.i) E V2
nella base E 2 . Mediante tale matrice è possibile calcolare l' immagine di qualsiasi
n

vettore x E V1. Infatti, posto x = L {J.ix.i, per la linearità della f risulta:


j=l

Pertanto se x E V1 ha componenti ({31, ... , f3n ) nella base E1, il vettore y = f (x)
ha componenti

(t j=l
{JjO' l j' · · · ' t
j= l
{Jj O' mj )

nella base E 2 . Ciò si può scrivere più efficacemente in termini di matrici. Se


infatti si pone

~
1
~
1
X: = ( ) E Mn,l(F) , Y := ( ) E Mm,l(F) ,
f3n 'Y;n
con 'Yi = "L.j = l {Jj O'ij
1
per ogni i = l , . . . , m , si ottiene

AX = Y. (8.6.4)

Ciò significa che, moltiplicando righe per colonne la matrice A associata a f


rispetto a basi E 1 e E 2 per la matrice X E ]1./fn ,l (F) costituita dalle componenti
nella base E 1 di un arbitrario vettore x E V1 si ottiene una matrice Y E ]i.ifm ,l (F) i
cui elementi sono esattamente le componenti nella base E2 del vettore f (x) E V2.

Se f : V ___, V è un endomorfismo di uno spazio vettoriale V di dimensione


finita su un campo F, nel considerare la matrice associata a f è possibile utilizzare
la medesima base E sia per il dominio che per il codominio. In tal caso la matrice
ottenuta è detta associata a f rispetto alla base E di V.

8.6.3. Esempio. Sia 11 uno spazio vettoriale di dimensione n sul campo F , e sia
X = {x l> ... , x 11 } una base di V. Denotata con idv l'applicazione identica di V,
la matrice associata a id v rispetto alla base X di V è la matrice ( O'ij ) E M 11 (F)
Spazi vettoriali 339

n
dove, per (8.6.1), per ogni j = l , ... , n si ha: Xj = id v (xj ) LO:ijXi.
i=1
Per 8.3.18 da ciò segue subito che per ogni i, j = l ... , n risulta

se i = j,
O:ij = Òij = { ol . -1- .
se z r J.

Pertanto la matrice (O:ij) è la matrice identica In. Viceversa, il Teorema 8.6.1


assicura che l'unica applicazione lineare V ~ V associata alla matrice identica
In rispetto alla base X è l'applicazione identica id v.

8.6.4. Teorema. Siano F un campo, V1 e V2 spazi vettoriali su F della stessa


dimensione n, f : V1 ~ V2 un'applicazione lineare> A= (aij ) E Mn(F) la
matrice associata a f rispetto alle basi B1 di Vi e B2 di %. Allora A è invertibile
se e solo se f è un isomorfismo. In tal caso, la matrice associata all'inversa di f
rispetto a B2 e B1 è l 'inversa della matrice associata a f rispetto a B1 e B2.

Dimostrazione. Sia f invertibile, sia f - 1 : V2 ___:____. V1 l'inversa di f, e sia B =


(f3ij ) E M n (F) la matrice associata a f- 1 rispetto alle basi B2 e B1 ~ Da f o f- 1 =
idv2 e f - 1 o f = idv1 segue subito, per il Teorema 8.6.1 e l'Esempio 8.6.3, che
AB= In= BA. Dunque A è inve1tibile e B = A- 1 .
Viceversa, sia A inve1tibile e sia A - 1 la sua inversa. Per il Teorema 8.6.1 esi-
ste un'unica applicazione lineare g : v2 ~ v1 la cui matrice associata rispetto
a B2 e B 1 è A - 1 . Ancora per il Teorema 8.6.1l'unica matrice associata all'ap-
plicazione f o g è AA- 1 =In, l'unica matrice associata all'applicazione g o f è
A- 1 A = In. Per l'Esempio 8.6.3 risulta go f = idv1 e f o g = idv2 , cioè f è
invertibile. D

La matrice associata a un'applicazione lineare dipende dalla scelta delle basi. Il


teorema seguente chiarisce come un eventuale cambiamento delle basi si riflette
sulla matrice associata.

8.6.5. Formula di cambiamento delle basi. Siano F un campo, V1 e V2 spazi


vettoriali su F di dimensioni n e m rispettivamente, f : V1 ~ V2 un'appli-
cazione lineare, e A = ( O:ij) E Mm ,n (F) la matrice associata a f rispetto alle
basi B1 di V1 e B2 di V2. Se B~ e B~ sono altre basi di Vi e V2 rispettivamente,
si denoti con A' la matrice associata a f rispetto alle basi B~ di V1 e B~ di V2.
Allora risulta:
· A'=BAC,
dove B è la matrice associata all'identità di V2 rispetto alle basi B2 e B~, e C è
la matrice associata all'identità di V1 rispetto alle basi B~ e B 1 .
340 Capitolo 8

Dimostrazione. Si denotino con idv1 e idv2 le applicazioni identiche rispettiva-


mente di V1 e V2 . Per il Teorema 8.6.1, AC è la matrice associata a f = f o idv1
rispetto alle basi B~ di V1 e B 2 di V2 . Di conseguenza B(AC) = BAC è la
matrice associata a f = idv2 of rispetto alle basi B~ di V1 e B~ di V2. Pertanto
A' = BAC. D

8.6.6. Corollario. Siano F un campo, V uno spazio vettoriale di dimensione


finita n su F, B = { x1 ..... Xn} e B' = {x~ ..... x;J basi di V. Allora esiste
una matrice invertibile C E !IIn (F) tale che, denotate con X , X' E 11111 ,1 (F) le
componenti di un arbitrario vettore x E V rispettivamente nella base B e nella
base B', risulta X' = CX. La matrice C è detta la matrice del cambiamento di
base da B a B'.

Dimostrazione. Si denoti con id v l'applicazione identica di V , e sia C E Mn(F)


la matrice associata a id v rispetto alle basi B e B'. Per quanto osservato in prece-
denza il prodotto righe per colonne di C per la matrice colonna X costituita dalle
componenti di un qualunque vettore x E V nella base B dà luogo a una matrice
colonna X' costituita dalle componenti del vettore x nella base B'. Tale matrice
C è invertibile per il Teorema 8.6.4, e la sua inversa c- 1 è la matrice associata a
id v rispetto alle basi B' e B. È poi ovvio che X' = C X. D

Si osservi che la dimostrazione del corollario precedente illustra anche come co-
struire la matrice C del cambiamento di base da B a B': le colonne di C sono
ordinatamente le componenti dei vettori di B' nella base B.
Nello scrivere la matrice associata a un endomorfismo, come osservato in
precedenza, è possibile scegliere la stessa base sia per il dominio che per il co-
dominio. Sebbene ovviamente anche in questo caso la matrice associata dipenda
dalla base scelta, la formula di cambiamento delle basi 8.6.5 consente di stabilire
un legame particolare tra matrici associate rispetto a basi diverse. Matrici A e
A' E 111n(F) si dicono simili se esiste una matrice invertibile C E Mn(F) tale
che A' = c-1
AC. Si ha:

8.6.7. Siano F un campo, V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su F,


f :V ---t V un endomorfismo, A = ( Qij) E M n (F) la matrice associata a f
rispetto a una base B di V, e A' = ( Q~j) E M n (F) la matrice associata a f
rispetto a un'altra base B' di V. Allora A e A' sono simili.

Dimostrazione. Siano B = {x 1 , ... , xn }, B' = {x~ , ... , x;J. Per la formula di


cambiamento delle basi 8.6.5 risulta A' = DAC, dove D è la matrice associata
a idv rispetto alla base B' e C è la matrice associata a idv rispetto alla base B.
Per il Teorema 8.6.4 risulta che C è invertibile, e inoltre D = c - 1 . Pertanto
A'= c-1
AC. D
Spazi vettoriali 341

Come venà evidenziato anche nel seguito (vedi 8.8.3 ed Esercizio 8.8.7), matrici
simili hanno molte caratteristiche in comune. In particolare, esse hanno lo stesso
determinante.

8.6.8. Siano A e A' E M n (F) matrici simili. Allora det A = det A'.

Dimostrazione. Per ipotesi, esiste una matrice invertibile C E Mn(F) tale che
A' = c- 1 AC. Allora il teorema di Binet (vedi 7.4.2), insieme con 7.5.3, assicura
che det A' = det c- 1 det A det C = (det C)- 1 det A det C = det A, come
richiesto. D

Rango di una matrice o di un'applicazione lineare


Sia F un campo. Nel Paragrafo 7.6 è stato definito il rango p(A) di una matrice
non nulla A E Mm ,n(F) come il massimo ordine di un minore non nullo della
matrice A. Considerate le righe A (l), A (2), ... , A (m) di A come vettori dello
F -spazio vettoriale pn, si dimostrerà che p( A) coincide con la dimensione del
sottospazio di pn generato da { A( 1 ) , A( 2 ) , . . . , A(m) }.

8.6.9. Lemma. Siano A , B E Mm,n(F) matrici equivalenti. Allora il sottospazio


generato dalle righe di A coincide col sottospazio generato dalle righe di B.

Dimostrazione. Sia E E Mm(F) una matrice elementare (vedi 7.3), e si pon-


ga B = EA. Tenendo presente la definizione di prodotto righe per colonne,
è facile convincersi che ogni riga di B è combinazione lineare dei vettori di
{A (l), A (2), .. . , A (n)} con scalari in F. n sottospazio (B( 1 ), B( 2 ) , ... , B(n)) ge-
nerato dalle righe di B è quindi contenuto nel sottospazio (A(l) , A( 2 ) , ... , A(n))
generato dalle righe di A. Siccome le matrici elementari sono invertibili (come
segue immediatamente dall'Esercizio 7.4.10), esiste la matrice E- 1 E Mm(F),
e risulta A = E- 1 B. Allora lo stesso argomento appena utilizzato assicura
che (AC 1 ), A( 2 ) , ... , A(n)) è contenuto in (BC 1) , BC 2 ), ... , B(n)), e l'asserto è
provato. D

8.6.10. Teorema. Per ogni matrice A E Mm,n(F), il rango di A coincide col


massimo numero di righe di A linearmente indipendenti come vettori di Fn.

Dimostrazione. Per 7.3.1 esiste una matrice a scala B E Mm,n(F) equivalente


alla matrice A. È immediato convincersi che, scartate quelle costituite da tutti O,
le rimanenti righe di B costituiscono una base per il sottospazio generato dalle
righe di A. Infatti, per il Lemma 8.6.9, esse generano il medesimo sottospazio
generato dalle righe di A; sono poi ovviamente linearmente indipendenti perché B
è una matrice a scala. Chiaramente il numero dei pivot di B coincide col numero
342 Capitolo 8

di righe linearmente indipendenti di B , e quindi, per quanto appena provato, di


A. Ma per 7.6.4 il numero dei pivot di B è proprio il rango di B. Infine si ha
p( B) = p( A) per 7.6.5. L'asserto è così provato. O

Allo stesso modo, se si considerano le colonne A (l ) , A (2 ) , ... , A (n) di A come


vettori dello P-spazio vettoriale p m, si può dimostrare che p(A) coincide con la
dimensione del sottospazio di p m generato da { A(l ), A( 2 ) , .. . , A(n)}. Sussiste
cioè il seguente risultato, analogo al Teorema 8.6.1O, e la cui dimostrazione si
omette.

8.6.11. Teorema. Per ogni matrice A E Mrn,n (F) , il rango di A coincide col
massimo numero di colonne di A lin earmente indipendenti come vettori di F m.

Il Teorema 8.6.10 consente in particolare di calcolare la dimensione di un sotto-


spazio a p311ire da un suo insieme di generatori.

8.6.12. Siano V uno spazio vettoriale di dimensione finita n su un campo F ,


B = {Xl , ... , Xn } una base di V, vV = (wl , ... , Wm) un sottospazio di v.
Detta A E Mrn ,n(F) la matrice le cui righe sono le componenti dei generatori di
H! nella base B, risulta dimp W = p(A).

Dimostrazione. Sia \jì : V -----) p n l' isomorfismo coordinato rispetto alla base
B (vedi Esercizio 8.4.10). La restrizione W1w di w a W (vedi Esercizio 2.2.1 5)
è ancora iniettiva, pertanto W -:: :-. w(W), quindi dimp W = dimp w(li\I) per
8.4.11. Inoltre, per 8.4.8, \jì (W) è generato dai vettori \jì ( w1) , . .. , \jì ( wrn) E p n.
In virtù di 8.3.17 e 8.3.19, una base di w(W) è un insieme massimale di vettori
linearmente indipendenti in {w( wl) , ... , w(wrn )}. Siccome le righe della matri-
ce A sono precisamente w( wl) , ... , w(wrn ). l' asserto segue subito dal Teorema
8.6. 10. o
8.6.13. Esempio. Sia <Ql [x; 3] il sottospazio di <Ql[x] costituito dal polinornio nullo
e da tutti i polinomi a coefficienti razionali nell'indeterminata x aventi grado al
più 3. Si consideri poi il seguente sottospazio W di <Ql[x; 3]:

La matrice le cui righe sono le componenti dei generatori di vV nella base canonica
B = {l , x, x 2, x 3} di <Ql [x; 3] è

~
- l
o - 4201 ) E M 4,4 (<Ql).
l
o
Spazi vettoriali 343

Per 8.6.12 risulta dimQ W= p(A). La matrice a scala ridotta equivalente ad A è

Per 7.6.5 si ha subito dimQ W = 3. Inoltre, ragionando come nella dimostrazione


del Teorema 8.6.10, si prova che una base per il sottospazio generato dalle righe
di A è {(l , O, O, 1) , (0 , l , O, 3), (0, O, l , 0)}. L' isomorfismo coordinato rispetto alla
base B (vedi Esercizio 8.4.10) garantisce allora che {l + x 3 , x+ 3x 3 , x 2 } è una
base di W (vedi Corollario 8.4.7).

8.6.14. Teorema. Siano V1 e Vz spazi vettoriali di dimensione finita su uno


stesso campo F, f : Vi ~ Vz un'applicazione lineare, A la matrice associata a
f rispetto a una base B1 di V1 e a una base Bz di Vz. Allora risulta:
p( A) = dimp Im f.

Dimostrazione. Siano A
Allora per (8.6.1) risulta
rn

f(xj) = l:aijYi ,
i= l

per ogni j = l , ... , n. Sia poi B = {e1 , ... , em}. con

l o o
o l o
el= o ez = o ... ' ern =
o
o o l
la base canonica di 111m,1 (F) (vedi Esempio 8.3.14). Per il Teorema 8.4.9 esiste
un ' unica applicazione lineare(} : Mm,l(F) ~ Vz tale che (J"(ei) = Yi per
ogni i = l , ... , m. Siccome Bz è una base di Vz, (} è un isomorfismo (vedi
Esercizio 8.4.11). Indicate con A( l), ... , A( n) le colonne di A, risulta
m

A(j) = L aijei
i= l

per ogni j = l, ... , n, da cui

(8.6.5)
La restrizione (A(l)> ... , A(n)) ---) (f(x1) , ... , f(xn)) di J è iniettiva in quanto
tale è J, ed è suriettiva per la linearità di J e per (8.6.5). Pertanto essa è un isomor-
fismo, e 8.4.11 assicura che dimp (A(l) >... , A (n)) = dimp(f( x l), ... , f( xn )).
Inoltre per il Teorema 8.6.11 si ha p( A) = di m p (A (l) , ... , A (n )) , mentre da 8.4.8
segue (f(x 1 ) , ... , f( xn )) = Im f. L' asserto è dunque provato. D

A causa del Teorema 8.6.14, la dimensione dell'immagine di f viene spesso detta


il rango dell'applicazione lineare f , e denotata con p(f).

Esercizi
Esercizio 8.6.1. Si provi 8.6.2.
Esercizio 8.6.2. Siano F un campo, n ed m interi positivi, e si considerino gli
insiemi p n ed F m strutturati a spazi vettoriali su F nel modo usuale. Si provi
che, fissati elementi CXij E F per ogni i = l , ... , m e per ogni j = l ... , n , la
posizione

j( x 1, x 2, ... ,xn) =
= (an Xl+···+ CXln Xn, CX21 X 1 + · · · + CX2nXn , · · ·, CXml Xl +. ·. + CXmn Xn)
definisce un'applicazione lineare di Fn in Fm, la cui matrice associata rispetto
alle basi canoniche di Fn ed Fm è ( CXij ) E ]\lfm,n (F).

Esercizio 8.6.3. Si dimostri che, ponendo A R B se e solo se A e B sono matrici


simili, si definisce una relazione d 'equivalenza in 1\!In (F).

Esercizio 8.6.4. Si provi che l'applicazione

j : (x, y , z ) E «i ~------> (x + 2y, x - z, y + z , x - y - z ) E Q4

è un omomorfismo di Q-spazi vettoriali, e si scrivano le matrici associate a f


rispetto alle basi canoniche di Q3 e di Q4 e rispetto alla base canonica di Q3 e
alla base {(l , ! , l,~) , (0 , l , o, 2) , (l , ~ , ~ , o) , (0 , o, 2, l)} di Q 4 .

Esercizio 8.6.5. Nell'insieme JR 3 , strutturato a spazio vettoriale su IR nella ma-


niera usuale, si consideri la base B = {(l , 2, 0), (0, l , 1) , (l , O, 1)}. Si determini
l'automorfismo f di JR 3 che trasforma ordinatamente i vettori della base canonica
di JR 3 nei vettori di B. Si scriva poi la matrice associata a f rispetto alla base B.
\
\

Esercizio 8.6.6. Si provi che l'applicazione

f: (x , y , z) E (Zs )3 ~------> (x + y- z, x - y + z ) E (Zs )2


è un omomorfismo di Zs -spazi vettoriali, e si scrivano le matrici associate a f
rispetto alle basi canoniche di (Z5 ) 3 e di (Zs )2 e rispetto alla base canonica di
(Z5 ) 3 e alla base {(2, 3) , (I, 3)} di (Z5 ) 2 .
Spazi vettoriali 345

Esercizio 8.6.7. Si determini la matrice associata all'omomorfismo di <Q-spazi


vettoriali
f: (x, y) E <Q2 f------t (x - y , x + y , O) E <Q3
rispetto alla base canonica di <Q 2 e alla base {(~ , O , l) , (2 , ~ , O) , (! , -l , l)} di
<Q3.

Esercizio 8.6.8. Si consideri l'insieme (Z13 ) 3 strutturato a spazio vettoriale su


Z13 nel modo usuale.
(i) Si determini l'endomorfismo <p di (Z13) 3 che trasforma ordinatamente i
vettori della base canonica nei vettori (2 , 3, 4), (3 , 4, 5), (5 , 7, 10).
(ii) Si scriva la matrice associata a <p rispetto alla base naturale di (Z13) 3.
(iii) Si stabilisca se <p è iniettiva, suriettiva, biettiva.
Esercizio 8.6.9. Assegnate le basi E1 = {(2, 3) , (4, 2)} e E 2 = {(1 , 1) , (0, 4)}
dello Z 5 -spazio vettoriale (Z5 ) 2 , si determini la matrice del cambiamento di base
da E1 a E2.
Esercizio 8.6.10. Si considerino le basi E 1 = {l , x, x 2} e E 2 = {2, 3x, x 2 + l}
dello ffi.-spazio vettoriale IR [x; 2] (vedi Esempio 8.2.5). Si determini la matrice del
cambiamento di base da E1 a E2.

Esercizio 8.6.11. Si considerino lo Z7-spazio vettoriale Z7[x], e il suo sottospazio


Z7[x ; 3] (vedi Esempio 8.2.5). Si dimostri che gli insiemi

E1 = {2 , x, 3x 2 , x 3 }
E2 = {l , x , x 2 + x,x 3 + 2x 2 +l}

sono basi di Z7[x; 3], e si determini la matrice del cambiamento di base da E1 a


B2.

8.7 Ancora sui sistemi di equazioni lineari


Le definizioni fondamentali concernenti i sistemi di equazioni lineari sono già
state introdotte nel Paragrafo 7. 7. Sono anche già stati discussi due metodi per
risolvere i sistemi lineari, quello di Cramer e quello di Gauss-Jordan. Qui si
utilizzeranno la teoria degli spazi vettoriali e il concetto di dipendenza lineare
per mettere in luce ulteriori proprietà dell'insieme delle soluzioni di un sistema
di equazioni lineari.

Con le notazioni del Paragrafo 7.7, si consideri il sistema di equazioni lineari

AX=Y, (8.7.1)

e si denotino con A E Mm ,n (F) e con A' E Mm ,n+l (F) rispettivamente le


matrici incompleta e completa di (8.7.1).
346 Capito lo 8

8.7.1. Teorema di Rouché-Capelli. Il sistema lineare (8.7.1) mnmette almeno


una soluzione se e solo se p( A) =p( A').

Dimostrazione. Siano A(l)• .... A(n) le colonne di A. Il sistema (8.7.1) ammette


almeno una soluzione se e solo se esistono x 1 , ... , Xn E Ftaliche

ossia se e solo se la (n+ l )-esima colonna di A' dipende linearmente dali 'insieme
costituito dalle rimanenti, cioè se e solo se p( A) = p( A') (per il Teorema 8.6.11 ).
D

Il teorema di Cramer (vedi 7.7.1) assicura che se n= m, allora il sistema (8.7.1)


ha un'unica soluzione se e solo se p( A) = n. Si consideri ora il sistema lineare
omogeneo associato
AX=O, (8.7.2)
dove O è la matrice nulla di 111n,l (F). È evidente che (8.7.2) ammette almeno la
soluzione nulla X =O, dove ancora Oè la matrice nulla di 111n,l (F).

8.7.2. Se n = m, il sistema lineare omogeneo (8.7.2) ammette soltanto la solu-


zione nulla X = Ose e solo se p( A) =n.

Dimostrazione. Segue subito dal teorema di Cramer (vedi 7.7.1). D

8.7.3. Teorema. Con A E 111rn,n(F) si considerino il sistema lineare (8.7.1) e


il sistema lineare omogeneo associato AX = O. L'insieme S delle soluzioni del
sistema lineare omogeneo associato è un sottospazio di Ain,l (F) avente dimen-
sione n- p(A). Se X E l'vfn,l(F) è una qualunque soluzione del sistema lineare
(8.7.1), l'insieme di tutte le soluzioni di (8.7.1) è dato da T= {X+ Z: Z ES}.

Dimostrazione. Fissate una base B 1 di 111n,l (F) e una base B2 di 111m,l (F), per il
Teorema 8.6.1la matrice A è associata rispetto a B1 e B2 a un ' unica applicazione
lineare f : M11 , 1 (F) ____, Mm,1 (F). In virtù della (8.6.1), una matrice colonna
X E 111n,l (F) è soluzione del sistema lineare omogeneo associato se e solo se
f(X) = O. Ne segue che S = Ker f è un sottospazio di Mn ,l (F) per la (i)
del teorema di omomorfìsmo (vedi 8.4.3). Inoltre 8.4.5 e 8.6.14 comportano che
dimp S = dimp Mn ,l (F) - dimp Im f =n- p(f) = n- p( A).
Infine, sia X E lVIn,1 (F) una fissata soluzione del sistema lineare (8.7.1).
Allora per la (8.6.1) risulta f(X) = Y. Ancora, X1 E Mn, l(F) è un elemento di
T se e solo se j(X1) = Y, cioè se e solo se j(X1 -X) = O, ossia se e solo se
X1 - X E S = Ker f. D
Spazi vettoriali 347

In definitiva si ha:

8.7.4. Teorema. Sia

anx1 + · · · + a1nXn = Yl
a21X1 + · · · + a2nXn = Y2
(8.7.3)

un sistema di m equazioni lineari in n incognite su un campo F, e siano A e A'


rispettivamente le sue matrici incompleta e completa. Allora il sistema (8.7.3)
ammette almeno una soluzione se e solo se p(A) = p(A'). In tal caso, posto
k =p( A) =p( A'), se k =n la soluzione del sistema è unica. Se invece k <n si
ottiene un 'unica soluzione per ogni possibile scelta di n - k parametri in F.

Dimostrazione. Per il teorema di Rouché-Capelli (vedi 8.7.1) il sistema lineare


(8.7.3) ha soluzioni se e solo se p( A) = p( A') = k. In tal caso k è il massimo nu-
mero di righe linearmente indipendenti di A (vedi Teorema 8.6.10); senza perdita
di generalità si può suppone che le ptime k righe di A costituiscano un insieme
linearmente indipendente di vettori di Fn. Allora il sistema (8.7.3) è equivalente
al sistema lineare

anx1 + · · · + alkxk + al ,k+lXk+l + · · · + a1nXn = Yl


a21X1 + · · · + a2kXk + a2,k+1Xk+l + · · · + a2nXn = Y2
(8.7.4)

La mattice incompleta di (8.7.4) ha rango k, quindi possiede un minore non nullo


di ordine k; senza perdita di generalità si può supporre che quest'ultimo sia il
determinante della sottomatrice

alk )
a~k .

akk

Se k = n allora (8.7.4) ammette un'unica soluzione per il teorema di Cramer


(vedi 7.7.1), e quest' ultima coincide con l'unica soluzione di (8.7.3), e può essere
determinata mediante la regola di Cramer (vedi 7.7.2).
Se invece k < n, fissati n- k elementi Xk+l,xk+2• .. . ,xn di F, il sistema
348 Capitolo 8

lineare
aux1 + · · · + alkXk + al ,k+lXk+l + · · · + O:!nXn = Yl
0:21X1 + · · · + a2kXk + a2,k+1Xk+l + · · · + 0:2nXn = Y2

ovvero
aux1 + · · · + 0:1kXk = Yl - al,k+lXk+l - ···- O:!nXn
0:21Xl + ... + 0:2kXk = Y2- a2 ,k+1Xk+l - .. . - 0:2nXn
(8.7.5)

ammette un ' unica soluzione ancora per il teorema di Cramer (vedi 7.7.1), eque-
st'ultima può essere determinata mediante la regola di Cramer (vedi 7.7.2). Se

x2 )
x1
E Mk,l(F)
(
Xk

è la soluzione di (8.7 .5) allora chiaramente

Xk E Mn,l(F)
Xk+l

è soluzione di (8.7.4) e quindi di (8.7.3). D

Se k < n e IFI = t, il Teorema 8.7.4 assicura che il sistema (8.7.3) ammette


esattamente tn-k soluzioni, corrispondenti a ogni possibile scelta di n- k elementi
tra t (vedi 3.5.5). Se il campo F è infinito (per esempio Q, lR oppure q, si dice
talvolta che "il sistema (8. 7.3) ammette oon-k soluzioni".

Esercizi
Esercizio 8.7.1. Si completi la dimostrazione del teorema di Cramer (vedi 7. 7.1),
provando che se n = m e det A = Oallora il sistema lineare (8. 7.1) è incompati-
bile oppure ammette più soluzioni.
Spazi vettoriali 349

Svolgimento. Sia det A = O. Allora p(A) < n. Fissata una base di pn, il
Teorema 8.6.1 assicura che la matrice A è associata, rispetto alla base fissata, a
un unico endomorfismo f di Fn. Inoltre per il Teorema 8.6.14 risulta p(f) =
p(A) < n, cosicché 8.4.5 garantisce che Ker f i- {0}. Per la (8.6.4) si ha poi
che un elemento X E pn è soluzione di (8.7.1) se e solo se f(X) = Y. Pertanto
certamente se Y ~ f(F 11 ) il sistema (8.7.1) non ammette soluzioni. Se invece
Y E f(Fn) il sistema (8.7.1) ammette almeno una soluzione X E Fn. Inoltre
in tal caso per ogni X' E Ker f risulta X +X' ancora soluzione di (8.7.1), in
quanto f(X +X') = f(X) + f(X') = Y +O= Y, dove Oè la matrice nulla di
M n ,l (F). L'asserto segue quindi dall 'essere Ker f i- {O}.
Esercizio 8.7.2. Utilizzando il teorema di Rouché-Capelli (vedi 8. 7.1), si stabili-
sca se il seguente sistema di equazioni lineari su~ è compatibile:
x+ 3z =l
2x + y = 2
{ x+y+ z =O
3y + z =l.
Esercizio 8.7.3. Si risolva il seguente sistema lineare su~:

x+ 2y + 3z = l
2x+ y + 4z = 2
{
3x- 3y + z =l.
Esercizio 8.7.4. Utilizzando il Teorema 8. 7.3 si determini la dimensione dello
spazio vettoriale delle soluzioni del seguente sistema di equazioni lineari su Q:
x-y- z +t =2
x-y+t= O
{
3x - 2y + z + t = 3.
Si risolva poi il sistema lineare assegnato.
Esercizio 8.7.5. Utilizzando il Teorema 8. 7.3 si determini la dimensione dello
spazio vettoriale delle soluzioni del seguente sistema di equazioni lineari su Z7 :

3x - 2y + ~t = ~
x - 2t =o
{
y + z +t= 3.
Si risolva poi il sistema lineare assegnato.
Esercizio 8.7.6. Si risolva il seguente sistema lineare su~:
x+ 2y + 3z = l
2x + y
+ 4z = 2
{
3x- 3y + z = l.
350 Capitolo 8

Esercizio 8.7.7. Si risolva il seguente sistema lin ea re su IR:

z + 2t = 3
2x + 4y- 2z = 4
{
2x + 4y - z + 2t = 7.

Esercizio 8.7.8. Si risolva il seguente sistema lin ea re su IR:

y -z=- 1
x+z= l
{
2x + y + z = 2.

Esercizio 8.7.9. Si determinino i valori del param etro reale k p er i quali il sistema
di equazioni lin ea ri
kx+y+z = l
x+ ky + z = l
{
x+ y + k z = l
amm ette un 'unica soluzion e, nessuna soluzion e, più soluzioni.

Esercizio 8.7.10. Si determinino i valori del parametro razionale k per i quali il


sistema di equazioni lin eari

x+ 2y + k z = l
{ 2x + ky + 8z = 3

ammette un 'unica soluzion e, nessuna soluzion e, più soluzioni.

Esercizio 8.7.11. Si determini la condizione per a , b, c E IR per la quale il sistema


di equazioni lin ea ri
x- 2y + z =a
2x + 3y- z = b
{
3x + y + 2z =c
risulti compatibile.

Esercizio 8.7.12. Si risolva il seguente sistema lin ea re omogeneo su Q :

x 1 - 2x2 + 3x3 + 4x4 + 5x5 = O


x 1 + 4x2 + 7x4 + 2x5 = O
2x1 + 8x2 + 14x4 + 4x5 = O
2x1 + 2x2 + 3x3 + ll x4 + 7x5 = O
3xl + 6x2 + 3x3 + l 8x4 + 9x5 = O.
Spazi vettoriali 351

8.8 Diagonalizzazione di una matrice


In questo paragrafo si esamina la possibilità di determinare una matrice diagona-
le simile a un'assegnata matrice quadrata. Il motivo di ciò risiede essenzialmente
nel fatto che operare con matrici diagonali è computazionalmente molto più age-
vole che operare con matrici generiche. Per esempio, se D E Mn(F) è una
matrice diagonale, allora la potenza m-esima Dm è semplicemente la matrice
diagonale le cui entrate sono ciascuna la potenza m-esima della corrispondente
entrata di D.

Sia A E Mn(F) una matrice quadrata su un campo F. Per le definizioni di auto-


valore e autovettore di A si rimanda al Paragrafo 7.8. Nel seguito, un autovettore
di A sarà considerato talvolta come un vettore colonna in Mn,l (F) , talaltra come
un vettore di Fn. Ciò è giustificato dal fatto che gli F-spazi vettoriali Mn ,l(F) e
Fn sono isomorfi (vedi Esercizio 8 .4.1).

8.8.1. Sia À un autovalore di una matrice A E Mn(F). Allora l'insieme W>. costi-
tuito dal vettore nullo di Mn ,l (F) e dagli autovettori di A relativi all'autovalore
À è un sottospazio di Mn,l(F), detto l'autospazio di A relativo all'autovalore À.

Dimostrazione. Esercizio. D

Ovviamente se W>. è l'autospazio di A relativo all 'autovalore À allora gli autovet-


tori di A relativi all'autovalore À sono tutti e soli i vettori non nulli in W>,. Nel
Paragrafo 7.8 si è definito il polinornio caratteristico PA(x) E F[x] di una matrice
A E Mn(F) ponendo PA(x) = det(A- xln). e si è osservato che gli autova-
lori di A sono tutte e sole le radici in F del polinornio caratteristico p A (x) (vedi
Corollario 7.8.3). Sia À E F un autovalore della matrice A. Si dice molteplicità
algebrica di À la sua molteplicità V;>. come radice di PA (x). Pertanto dire che À ha
molteplicità algebrica t equivale a dire che, in F[x], il polinornio (x - .\)t divide
PA(x) ma (x- .\)H 1 non divide PA(x) (vedi Paragrafo 6.6). La dimensione del-
l'autospazio W>. di A relativo all'autovalore À viene spesso detta la molteplicità
geometrica di À, qui denotata col simbolo J.L>-· In generale questi due interi, sem-
pre compresi tra l e n per la definizione di autovalore, sono distinti. Si potrebbe
dimostrare che riesce sempre l ::::; J.L>. ::::; V>. ::::; n.

8.8.2. Esempio. Il polinornio caratteristico della matrice

è PA(x) = x 2 - 2x +l = (x - 1) 2 , che ha l come radice doppia. Pertanto l'unico


autovalore di A è l, e si ha v1 = 2. L'autospazio di A relativo all'autovettore l è
W1 ={(a, -a): a E IR}. Siccome W1 ha come base {(1, -l)}, risulta /-Ll =l.
352 Capitolo 8

Si prova facilmente che matrici simili hanno lo stesso polinomio caratteristico, e


quindi gli stessi autovalori, con la stessa molteplicità algebrica.

8.8.3. Siano A e A' E ll!n(F) matrici simili. Allora PA(:r) = p_.l.'(:r).

Dimostrazione. Per ipotesi esiste una matrice invertibile C E Nin(F) tale che
A' = c- 1 AC. Allora A' - xin = c- 1 AC - xC - 1 InC = c- 1 (A - x i n)C ,
quindi det(A' - xi 11 ) = (det C) - 1 det(A - xi n) det C = det(A - x l n) per il
teorema di Binet (vedi 7.4.2) e per 7.5.3. Ne segue l'asserto. D

È interessante osservare che il risultato in 8.8.3 non si inverte: esistono ma-


trici che, pur avendo lo stesso polinomio caratteristico, non sono simili (vedi
Esempio 8.8.12).
Autovettori relativi ad autovalori distinti sono linearmente indipendenti, co-
me assicura la proposizione seguente.

8.8.4. Siano À1 , . .. , Àr E F autovalori distinti di una matrice A E A1n(F) , e per


ogni i = l , ... , r sia Vi E !v!n ,l (F) un autovettore di A relativo all'autovalore
Ài . Allora {Vl, .. . , v;.} è un sottoinsieme linearmente indipendente di !vfn, l (F)
avente ordine T.

Dimostrazion e. Si osservi innanzi tutto che l{V1 , ... , v;.} l = T per 7 .8.1.
Per assurdo, sia {V1 , ... , v;.} linearmente dipendente. Siccome V1 è un au-
tovettore di A, e quindi non è il vettore nullo di F 11 , il singleton {VI} è linear-
mente indipendente. Allora esiste un intero positivo i < T tale che l'insieme
{V1 , ... , Vi} è linearmente indipendente, ma {V1 , ... , v; , Vi+d è linearmente di-
pendente. Ciò significa che esistono scalari fh , ... , f3i, !3i+ l E F , non tutti nulli,
tali che
(8.8.1)
dove ovviamente O è la matrice nulla di Mn ,l (F). Moltiplicando (righe per co-
lonne) entrambi i membri di tale uguaglianza per la matrice A , e utilizzando le
uguaglianze A Vj = Àj i'} valide per ogni j = l , . .. , n in quanto Vj è autovettore
di A relativo ali' autovalore Àj , si ottiene

(8.8.2)

Moltiplicando (8.8.1) per Ài+ l e sottraendo il risultato da (8.8.2), si ottiene

(8.8.3)

Siccome {V1 , . .. , Vi} è linearmente indipendente, da (8.8.3) segue subito che


(Àj - Ài+ l) f3j = O per ogni j = l , ... , i . Essendo per ipotesi Àj =l= Ài+ l • ciò
implica f3j =O per ogni j = l , ... , i. Ma allora da (8.8.1) segue !3i+l = O, una
contraddizione in quanto {31, ... , f3i, !3i+ l non possono essere tutti nulli. D
Spazi vettorial i 353

8.8.5. Corollario. Siano À1 , ... , Àr E F gli autovalori distinti di una matrice


A E l\II71 (F). Denotato con W>.i l'autospazio di A relativo all'autovalore Ài> per
ogni i = l , ... , r, risulta allora vV>. 1 + · · · + W>.r = W>. 1 EB · · · EB W>.r ·

Dimostrazione. Esercizio. o
Una matrice A E Mn(F) si dice diagonalizzabile su F se essa è simile a una
matrice diagonale, ossia se esistono una matrice diagonale D E M 11 (F) e una
matrice invertibile C E M 11 (F) tali che A = c- 1 DC. In tal caso si dice anche
che la matrice C diagonalizza A. Il risultato che segue evidenzia il legame tra
matrici diagonalizzabili e autovalori.

8.8.6. Sia A E Mn(F) una matrice diagonalizzabile su F. Allora A è simile a


una matrice diagonale D E M 71 (F) che ha sulla diagonale principale gli mttova-
lori di A. Inoltre ciascun autovalore À di A compare esattamente V>. volte sulla
diagonale principale di D.

Dimostrazione. L'asserto segue immediatamente dalla definizione, dall'Eserci-


zio 8.8.3 e da 8.8.3. O

Da 8.8.6 segue subito che il polinornio carattetistico di una matrice diagonalizza-


bile A E M 11 (F) ha tutte le sue radici in F.

8.8.7. Corollario. Sia A E Mn(F) una matrice diagonalizzabile su F . Allora la


somma delle molteplicità algebriche degli autovalori distinti di A è n.

Da 8.8.4 segue un importante criterio di diagonalizzabilità.

8.8.8. Teorema. Una matrice A E lv!n(F) è diagonalizzabile su F se e solo se


essa ammette n autovettori linearmente indipendenti in Mn,l (F).

Dimostrazione. Si assuma che A ammette n autovettori V1 , . .. , Vn linearmen-


te indipendenti in Mn,l(F), e siano rispettivamente À1 , .. . , Àn E F i relativi
autovalori. Sia C E M 11 (F) la matrice la cui colonna i-esima è v;;, per ogni
i = l , ... , n . Si osservi che dal Teorema 8.6.11 e da 7.5.1 segue subito che
C è invertibile. Le colonne della matrice AC (prodotto righe per colonne) sono
ordinatamente AV1 , . .. , AV71 • Si consideri ora la matrice diagonale

o
354 Capitolo 8

È immediato verificare che il prodotto C D è la matrice le cui colonne sono ordi-


natamente )q V1 , ... , Àn v;1 . Avendosi A v; = .\i 1~ per ogni i = l , ... , n, risulta
quindi AC = CD, cioè c- 1 AC = D. Pertanto A è diagonalizzabile su F .
Viceversa, sia A diagonalizzabile su F. Allora esistono una matrice inverti-
bile C E 111!71 (F) e una matrice diagonale

o
tale che c - 1 AC = D , cioè AC = CD. Da ciò segue che, per ogni i= l , ... , n,
se C(i) è la i-esima colonna di C, allora AC(i) coincide con la i-esima colonna di
CD , che è diC(i) · Inoltre C (i) non è il vettore nullo di Mn, l(F) in quanto C è
invertibile. Pertanto C (l ) , . . . , C (n) sono autovettori di A relativi rispettivamente
agli autovalori d 1 , ... , d 71 • Infine, C( l ), ... , C (n ) sono linearmente indipendenti
in M11 , 1 (F) per il Teorema 8.6.11 e per 7.5.1 , in quanto colonne di una matrice
invertibile. O

Osservazione. Il risultato appena provato assicura che una matrice A E JYin(F)


è diagonalizzabile su F se e solo se esiste una base B di M11 ,1 (F) costituita da au-
tovettori di A. Se A è diagonalizzabile su F, la dimostrazione del Teorema 8.8.8
fornisce di fatto un modo per determinare una matrice invertibile C che diago-
nalizza A: le colonne di C sono costituite dagli n vettori della base B. È an-
che importante evidenziare che la matrice A risulta simile alla matrice diagonale
D E M11 (F) che ha sulla diagonale principale gli autovalori corrispondenti agli
autovettori di A che costituiscono la base B.

In particolare:

8.8.9. Corollario. Una matrice A E .!1111 (F) che possiede n autovalori distinti in
F è diagonalizzabile su F.

Dimostrazione. Segue subito da 8.8.4 e dal Teorema 8.8.8. o


Esistono, ovviamente, matrici non diagonalizzabili.
8.8.10. Esempio. Si consideri la matrice

Gli autovalori di A sono .\ 1 = .\ 2 = l (vedi Esercizio 8.8.3), pertanto, se fosse


diagonalizzabile, A risulterebbe simile alla matrice identica h (vedi 8.8.6). Ma
allora esiste una matrice invertibile C E M 2 (rc) tale che c- 1 AC = h , e ciò
implica 12 = ChC- 1 =A, una contraddizione.
Spazi vettoriali 355

Se A E Mn(F) possiede n autovalori distinti À1 , ... , À 11 , allora 8.8.4 assicura che


ogni autospazio vV.~; ha dimensione l, e Mn ,l (F) = WÀ 1 EB · · · EB WÀn. Più in
generale si ha:

8.8.11. Teorema. Una matrice A E Mn(F) è diagonalizzabile su F se e solo se


la somma delle molteplicità geometriche degli autovalori distinti di A è n.

Dimostrazione. Siano À1 , ... , Àr gli autovalori distinti di A, e si assuma dap-


prima dimp WÀ 1 + · · · + dimp WÀr = n. Utilizzando il Corollario 8.8.5 e
il Teorema 8.5.6, si ottiene facilmente Mn,l(F) = WÀ 1 EB · · · EB WÀr · Allo-
ra 8.5.5 assicura che, se Bi è una base di WÀ; per ogni i = l, ... , r, l'insieme
B = B1 U · · · U Br è una base di Mn,l (F). Di conseguenza A è diagonalizzabile
su F per il Teorema 8.8.8.
Viceversa, sia A diagonalizzabile su F, e quindi esista per il Teorema 8.8.8
una base B di Mn ,l (F) costituita da autovettori di A. Se À1 , ... , Àr sono gli
autovalori distinti di A, il Corollario 8.8.5 garantisce che

Per ogni i = l , ... , r, siano Vi1, ... , Vis; gli elementi di B che appartengono
all'autospazio WÀ;· Allora ovviamente s1 + · · · + sr =n. Inoltre, essendo Buna
base, risulta dimp liVÀ; 2 Si, per ogni i = l , ... , r. Da ciò segue facilmente che
dimp WÀ 1 + · · · + dimp WÀr = n, come volevasi. D

8.8.12. Esempio. In M 3 (Q), si considerino le matrici

A=
l -3 3 )
3 -5 3 ,
( 6 -6 4 A'= ( =~
-6
; =~ ).
6 -2

Si verifica facilmente (vedi Esercizio 8.8.14) che

PA(x) = PA'(x) = -x 3 + 12x + 16 =-(x+ 2) 2 (x- 4).

Pertanto A e A' hanno lo stesso polinornio caratteristico; gli autovalori distin-


ti, sia di A che di A', sono dunque À1 = -2 e À2 = 4. Eseguendo i cal-
coli, si trova che una base dell 'autospazio W_ 2 di A relativo all'autovalore -2
è {(1 , l , 0), (1, O, -l)}, e che una base di W4 è {(1 , l , 2)}. Pertanto il Teore-
ma 8.8.11 assicura che A è diagonalizzabile su Q. Più precisamente, il Teore-
ma 8.8.8 mostra che una matrice che diagonalizza A è
356 Capitolo 8

e che A è simile alla matrice diagonale

Svolgendo i calcoli si trova inoltre che una base dell ' autospazio Hl~_ 2 di A' relativo
all 'autovalore - 2 è {(1 , l , 0)}, e che una base di W~ è {(0 , l , 1)}. Pertanto, per il
Teorema 8.8.11 , la matrice A' non è diagonalizzabile su Q. Per l' Esercizio 8.6.3,
da ciò si deduce facilmente che A e A' non so no simili. Pertanto 8.8.3 non si
inverte.

Nella pratica, risulta spesso comodo utili zzare il criterio di diagonalizzabilità


fo rnito dal teorema che segue.

8.8.13. Teorema. Una matrice A E A1n(F) è diagonalizzabile su F se e solo se


sono verificate le due condizioni seguenti:
(i) tutte le radici del polinomio caratteristico di A appartengono a F;
(ii) ogni autovalore di A ha molteplicità algebrica e geometrica coincidenti.

Dimostrazion e. Si assuma dapprima che valgano (i) e (ii). A causa di (i), la


somma delle molteplicità algebriche degli autovalori distinti di A vale n. Ne
segue, per (ii), che vale n anche la somma delle molteplicità geometriche degli
autovalori distinti di A. Pertanto A è diagonalizzabile su F per il Teorema 8.8.11.
Sia ora A diagonalizzabile su F. Allora vale la (i) per 8.8.6. Inoltre, per il
Teorema 8.8 .8 (e la successiva osservazione), la matrice A è simile a una matrice
diagonale D E Mn(F) che ha sulla diagonale principale gli autovalori di A cor-
rispondenti ad autovettori che formano una base di Mn ,l (F). Siano À1 , ... , Àr
gli autovalori distinti di A che si trovano sulla diagonale principale di D. Allora,
per il Teorema 8.8.11, dette ~L l, ... , ~r le molteplicità geometriche di À1 , ... , À7-
rispettivamente, ri sulta ~L l + · · · + ~r = n . Inoltre ciascuno dei Ài (i = l , . . . , T)
compare sulla diagonale principale di D esattamente ~Li volte. Ne segue, per il
Corollario 8.8.5 , che ,\ 1 , ... , Àr sono tutti gli autovalori distinti di A. Allora 8.8.6
assicura che A è anche simile a una matrice diagonale D' E l\!In (F) avente sulla
diagonale principale gli autovalori À1 , ... , Àr; ciascuno dei Ài (i= l , ... , T) com-
pare sulla diagonale principale di D' esattamente vi volte, dove vi è la molteplicità
algebrica di Ài . Siccome D e D' sono simili (vedi Esercizio 8.6.3), per 8.8.3 esse
hanno lo stesso polinomio caratteristico. Pertanto risulta

PD(x) = (-l)n(x- ÀdLJ(x- À2Yt2 . .. (x- Àr)J.L,.


= (- l t(x- À1t1 (x - À2t2 . . . (x- À1f'· = PD'(x). (8 .8.4)

Essendo À1 , ... , Àr a due a due distinti , da (8.8.4) segue che ~i Vi per ogm
i= l , ... , T (vedi Esercizio 6.6 .1 5), quindi vale la (ii). D
Spazi vettoriali 357

Siano F un campo e V uno spazio vettoriale su F di dimensione finita n, e sia


f : V ----7 V un endomorfismo di V. Uno scalare À E F è detto autovalore di f
se esiste un vettore non nullo v E V tale che f (v ) = Àv. Se ciò accade v è detto
autovettore di f relativo all ' autovalore À.
Sia ora B una base di V, e A = (aij ) E M n (F) la matrice associata
all ' endomorfismo f rispetto alla base B . Sia

il vettore colonna delle componenti nella base B del generico vettore v E V ,


univocamente determinate per 8.3.18. Allora le componenti di f( v ) nella base B
sono date dal prodotto righe per colonne

~
1
A ( ) E Mn,l(F)
Vn

(vedi osservazione in 8.6). Pertanto uno scalare À E F è autovalore di f se e solo


se esiste un vettore non nullo v E V tale che

ossia se e solo se À è autovalore della matrice A associata a f rispetto alla base


B , secondo la definizione data nel Paragrafo 7.8. Se A' è la matrice associata a
f rispetto a un'altra base B' di V, allora per 8.6.7 le matrici A e A' sono simili.
Sussistendo 8.8.3, è lecito definire polinomio caratteristico dell'endomorfismo
f di V il polinomio caratte1istico di una qualunque matrice associata all'endo-
morfismo f rispetto a una qualunque base di V. Per quanto osservato finora, il
Corollario 7.8.3 assicura che:

8.8.14. Gli autovalori (ed i relativi autovettori) di un endomorfismo f di uno spa-


zio vettoriale V sono tutti e soli quelli della matrice associata a f rispetto a una
qualunque base di V, e quindi tutte e sole le radici del polinomio caratteristico
dell 'endomorfismo f.

In vi1tù del Teorema 8.6.1 e di 8.8.14, parlare di autovalori (e autovettori) di una


matrice o di un endomorfismo è perfettamente equivalente.
Un endomorfismo f di uno spazio vettoriale V è detto diagonalizzabile se
esiste una base B di V tale che la matrice associata a f rispetto a B è diagonale.
Tutti i risultati dimostrati in questo paragrafo con riferimento alle matrici
possono essere riformulati con riferimento agli endomorfismi, e permane la loro
validità. I dettagli dimostrativi sono lasciati al Lettore.
358 Capitolo 8

Si conclude questo capitolo enunciando uno dei risultati più importanti del-
l'algebra lineare, per la cui dimostrazione si rimanda a testi più specialistici (per
esempio [12]). Siano F un campo, e sia

p(x) = CttX
1
+ · · · + a1x + ao
un polinomio a coef-ficienti in F neU' indeterminata x. Assegnata una matrice
A E Mn(F), si pone

p(A) := ettAt + · · · + a1A + ao l n E Mn(F) ,

dove In E Mn(F) è la matrice identica. Se p( A) è la matrice nulla , si dice che A


è radice dip(x) in M11 (F).

8.8.15. Teorema di Cayley-Hamilton. Ogni matrice A E Mn(F) è radice del


suo polinomio caratteristico PA (x).

8.8.16. Esempio. Il polinomio caratteristico della matrice

è PA(x) = x 2 - 3x- 4. Si ha:

A - 3A - 4 =
2 (
3l 22 )
2

- 3 (
3l 22 ) - 4 ( O
l l o) (o o)
= O O '

quindi A è radice del suo polinomio caratteristico, come garantito dal teorema di
Cayley-Hamilton (vedi 8.8.15).

Una semplice applicazione del teorema di Cayley-Hamilton (vedi 8.8.15) è il


risultato che segue, spesso utilizzato soprattutto in Informatica.

8.8.17. Sia A E Jvfn(F) una matrice quadrata su un campo F. Allora per ogni
intero m 2: O la potenza m-esima A 111 è combinazione lineare, con coefficienti in
F, degli elementi In, A, A2, ... , An-l di Mn(F).

Dimostrazione. Esercizio. D

Esercizi
Esercizio 8.8.1. Si provi 8.8.1.

Esercizio 8.8.2. Si dimostri il Corollario 8.8.5.


Spazi vettoriali 359

Esercizio 8.8.3. Sia A E Mn(F) una matrice triangolare (superiore o inferiore).


Si dimostri che gli autovalori di A sono tutti e soli gli elementi della diagonale
principale di A.
Esercizio 8.8.4. Siano A e B matrici quadrate su un campo F. Si dimostri che
AB e BA hanno gli stessi autovalori.
Suggerimento. Si osservi innanzitutto che O è autovalore di AB se e solo se lo è
di BA. Si provi poi che ogni autovalore non nullo di AB è autovalore di BA, e
viceversa.

Esercizio 8.8.5. Sia A E Mn(F), e sia C E MniF) una matrice invertibile.


Si dimostri che V E Mn,l(F) è autovettore di c-AC relativo all'autovalore
). E F se e solo se CV è autovettore di A relativo all'autovalore>.. Se ne deduca
che l'insieme degli autovettori di una matrice non è invariante per similitudine.
Esercizio 8.8.6. Sia A E Mn(F), e sia PA (x) il polinomio caratteristico di A. Si
dimostri che il termine noto di PA (x) coincide con det A.
Esercizio 8.8.7. Sia A E Mn(F), e sia PA(x) il polinomio caratteristico di A.
Si dimostri, per induzione su n, che il coefficiente di grado n- l di PA(x) è
(-l) n-l tr(A), dove tr(A) è la traccia di A (vedi Esercizio 8.3.16). Se ne deduca
che matrici simili hanno la stessa traccia.
Esercizio 8.8.8. Si provi che una matrice A E Mn(C), il cui polinomio carat-
teristico non abbia radici multiple, è diagonalizzabile. Si osservi, esibendo un
controesempio, che la conclusione non è in generale vera in presenza di radici
multiple.
Esercizio 8.8.9. Si stabilisca se la matrice

A=(~~)
è diagonalizzabile su Q, ed in caso affermativo la si diagonalizzi.

Esercizio 8.8.10. Si stabilisca se le matrici

3 -1 ) B= l -1 )
A= ( l l ' ( 2 -1

sono diagonalizzabili su Q, su IR, su C, e in caso affermativo le si diagonalizzi.


Esercizio 8.8.11. Si stabilisca se le matrici

A=(~ i).
sono diagonalizzabili su Z5, su Z7 e su Zn, e in caso affermativo le si diagona-
lizzi.
360 Capitolo 8

Esercizio 8.8.12. Si stabilisca se la matrice

è diagonalizzabile su R e in caso affermativo la si diagonalizzi.


Esercizio 8.8.13. Si stabilisca se la matrice

è diagonalizzabile su Q, e in caso affermativo la si diagonalizzi.

Esercizio 8.8.14. Si eseguano nei dettagli i calcoli e le verifiche necessarie nel-


l'Esempio 8.8.12.

Esercizio 8.8.15. Si dimostri 8.8.17.

Suggerimento. Per m= O, l , . . . , n-1 il risultato è ovvio. Si utilizzi il teorema di


Cayley-Hamilton (vedi 8.8.15) per provare che esso vale per m= n. Si proceda
poi per induzione su m- n > O.

8.9 Esercizi di riepilogo


Esercizio 8.9.1. Si provi che gli insiemi

v= {(1 , 0,- 1) ,(-2,4, 1) ,(0, 0, 5)},


w= {(0,3, 0) , (1 ,- 1, 0) ,(- 1,2, 1)}
sono basi dello spazio vettoriale reale usuale IR; 3 , e si determinino le matrici del
cambiamento di base da V a W e da W alla base canonica di IR; 3 . Considerata
poi l'applicazione lineare f : JR; 3 ---7 JR; 3 definita ponendo

f(l , 0,- 1) = (1,0,-1),


f( -2, 4, l) = (2 , -4, -l),
f(O, O, 5) = (0 , O, 15) ,

si determini f( x, y , z ) per ogni (x, y, z ) E JR; 3 .

Esercizio 8.9.2. Si considerino IR; 3 ed JR; 4 strutturati a spazio vettoriale su JR; nel
modo usuale.
(i) Si dimostri che B = {(l , O, l) , (0 , O, 2) , (3, - l , O)} è una base di IR; 3 .
Spazi vettorial i 361

(ii) Considerata l'applicazione lineare f: JR 3 ---+ JR 4 definita dalle posizioni

j(l , o, l) = (l, o, o, 0) ,
!(0, 0,2) = (- l , l , k-1 , 0) ,
!(3,- 1, 0) = (l , l ,k, O) ,

dove k è un parametro reale, si determini f( x, y, z ) per ogni (x, y , z ) E JR 3 .


(iii) Si stabilisca per quali valori di k l 'applicazione f è iniettiva.
Esercizio 8.9.3. Nell'usuale spazio vettoriale reale JR 4 , si considerino i sottospazi

v = {(x) y) z) t) : x + 3y - z = o} )
w= (( 1, o, o, 1) , (0, l , l, 0) , (1, 2, 2, 1)) .

(i) Si determinino una base e la dimensione di V , W, V n W e V + W.


(ii) Si stabilisca se la somma V + W è diretta.
Esercizio 8.9.4. Si considerino gli usuali spazi vettoriali reali JR 2 e JR 3, e l'appli-
cazione f: JR 2 ---+ JR 3 definita da f( x, y) = (2x- y , x + y , x ).
(i) Si dimostri che f è lineare.
(ii) Si determini la matrice che rappresenta f rispetto alle basi canoniche di JR 2
e di JR 3 .
(iii) Si determini la matrice che rappresenta f rispetto alle basi {(l , 1) , (2 , O)}
di JR 2 e {(-l , -l , -l), (O, - l, -l), (0, O, -l)} di JR 3 .
(iv ) Si determini la dimensione di Ker f e di Im f.
Esercizio 8.9.5. Sia F un campo e si consideri l'usuale spazio vettoriale F 4 .
(i) Si verifichi che l'applicazione

cp : (a , b, c, d) E F 4 ~---t (a+3c,4b+d) EF 2

è un epimorfismo di F -spazi vettoriali.


(ii) Si determinino il nucleo Ker cp e un suo supplementare.
(iii) Si discuta la dimensione del sottospazio

W = ((6, 2, O, 3) , ( -4, O, l , 6) , (0, -6, - 2, O), (3, 4, l , O))

di F 4 in funzione della caratteristica di F, determinandone poi una base.


Esercizio 8.9.6. Siano F un campo e V uno spazio vettoriale su F di dimensione
4edibase {x 1,X2,X3,x4 }·
(i) Strutturato F come spazio vettoriale su se stesso, si provi che l'applicazione

è lineare, e se ne determinino nucleo e immagine, precisandone la dimen-


sione e una base.
362 Capitolo 8

(ii) Si considerino i sottospazi

di V, e se ne precisi una base e la dimensione in fun zione della caratteristica


di F. Si determini il valore di car F per cui vV e U sono supplementari.
(iii) Considerato lo spazio vettoriale canonico F 2 su F, si dimostri che la posi-
zio ne
,u(axi + f3x2 + {X3 + 8x4 + U) = (a+{, {3 )
definisce un'applicazione ,u di V / U in F 2 , che tale applicazione è un epi-
morfismo di spazi vettoriali, e di essa si descriva il nucleo.
Esercizio 8.9.7. Siano F un campo e si consideri l 'usuale F -spazio vettoriale
F 3 . Con h E F si considerino i vettori
VI = (l, h + l , 5),
V2 = (4,3, 0) ,
V3 = (5h, lOh- 5, 5h)

e il sottospazio vV = (vi ' V2, v3) di F 3 .


(i) Si discuta la dimensione di W in funzione di h e della caratteristica di F.
(ii) Sempre in funzione di h e della caratteristica di F, si precisi quando esiste
un F -omomorfismo c/J di F 3 in F tale che

c/J(vl) = O, cjJ(v2 ) =l, cjJ(v3) = l.


(iii) Supposto infine h= 2epostoU = (v1 ,v3) = ((1 ,3,5),( 10, 15 , 10)) , si
provi che la posizione

1/J ((a , b, c)+ U) = 9a- 8b + 3c


definisce un 'applicazione 'ljJ di F 3 /U in F e che tale applicazione è un epi-
morfismo di F -spazi vettoriali. Si discuta poi quando 1/J è iniettiva e, in tal
caso, se ne determini l'inversa.
Esercizio 8.9.8. Siano F un campo e si consideri l'usuale F -spazio vettoriale
F 4 . Si considerino i vettori
VI= (-2 ,4, 0,4) ,
V2 = (0 , -2, 6, 6) ,
V3 = (l , -l , 2, 4)
e il sottospazio W = (VI, v2, v3) di F 4.
(i) Si discuta la dimensione di W in funzione della caratteristica di F.
(ii) Si determinino, sempre in fun zione della caratteristica di F, un sottospazio
V e un sottospazio L tali che:

F4 = W EB V, F 4 =W +L.
Spazi vettoriali 363

(iii) Posto U = ( v3), si provi che la posizione

'lj;((a, b, c, d)+ U) =a+ b + 2c- d

definisce un'applicazione 'lj; di F 4 /U in F e che tale applicazione è lineare.


Si determini infine Ker 'lj;.
Esercizio 8.9.9. Siano F un campo e si consideri l'usuale F -spazio vettoriale
F 3 . Si considerino i vettori
V1 = (2, 6, 10) ,

V2 = (3, 4, 5),
V3 = (7, 8, 15)

e il sottospazio W= (v1, v2, v3) df F 3 .


(i) In fun zione della caratteristica di F si discuta la dimensione di W e se ne
determinino, se esistono, due basi e due supplementari.
(ii) Posto U = (v3), si provi che la posizione

'lj; ((a , b, c)+ U) =a+ b- c

definisce un'applicazione 'lj; di F 3 /U in F e che tale applicazione è un


epimorfismo di F-spazi vettoriali. Si precisi infine se 'lj; è iniettiva.
Esercizio 8.9.10. Sia F un campo e si consideri l'usuale spazio vettoriale F 4 .
(i) Si verifichi che l'applicazione

<p : (a, b, c, d) E F 4 1--7 (a- 3c, 2b- 4d, 10a, 6b) E F 4

è lineare.
(ii) Si determinino, in fun zione della caratteristica di F, il nucleo Ker <p e l 'im-
magine Im <p, precisando di ciascuno la dimensione, due basi (se esistono),
un supplementare.
(iii) Si provi poi che la posizione

'l/;( (a, b, c, d) + Ker <p) = a - 2b - 3c + 4d

definisce un'applicazione di F 4 / Ker <p in F e che tale applicazione è un


epimorfismo di F-spazi vettoriali, precisando se esiste qualche valore della
caratteristica di F per cui 'lj; risulti un isom01jìsmo.
Esercizio 8.9.11. Sia F un campo, e si consideri l'applicazione

1p : L b71 X 71 E F[x]l--7 6bo + 6b1x E F[x].


nE No

(i) Si dimostri che 'lj; è un endomorfismo dello spazio vettoriale F[x] su F, e si


determinino Ker 'lj; e Im 'lj;, precisandone una base e la dimensione.
(ii) Si verifichi che F[x] = Ker 'lj; EB Im 'lj;.
364 Capitolo 8

(iii) Si determinino i valori della caratteristica di F per cui 'ljJ è un endomorfismo


dell'anello F[x].
(iv) Si verifichi che, in ogni caso, K er 'I/J è un ideale dell'anello F[x], e se ne
determini un gen eratore.
(v) Supposto 'ljJ i- O, si osservi che Im 'ljJ non è un sottoanello dell'anello F[x],
e si determini l 'ideale di F[x] generato da Im '1/J.
(vi) Si provi che la posizione

definisce un 'applicazione J-L di F[x]/ K en /J in F, e che J-L è suriettiva ma


non iniettiva.

Esercizio 8.9.12. Sia F un campo e si consideri l 'usuale F -spazio vettoriale F 4 .


(i) Si verifichi che l'applicazione

'1/J : (a , b, c, d) E F 4 f----) (2a- b, a+ 7b , c+ d, 7 c+ 2cl) E F 4

è un F-endomorfismo dello spazio vettoriale F 4 e si determinino, in fun zio-


ne della caratteristica di F , il nucleo Ker '1/J e l'immagine Im '1/J, precisan-
done la dimensione e una base.
(ii) Con F = Zs, si determinino un supplementare di Ker '1/J e uno di Im '1/J,
precisando se ne esiste uno comune, e se Ker '1/J e Im '1/J sono tra loro sup-
plementari.
(iii) Con F = Z 3, si verifichi che la posizione

tp ( (a , b, c, cl) + Ker 'ljJ) = (a+ b, c, 2cl)

definisce un'applicazione 'P di F 4 /Ker 'I/J in F 3 , e che tale applicazione è


un isomorfismo di F -spazi vettoriali.

Esercizio 8.9.13. Sia F un campo e si consideri l 'insieme F 2 strutturato ad anello


e a F -spazio vettoriale ne/modo usuale. Sia

(i) Si provi che tp è un omomorfismo di ( F 2 , +) in (F, +) se e solo se F ha


caratteristica 3 oppure IFI = 2.
(ii) Si dimostri ch e tp è un'applicazione lineare se e solo se [F[ = 2 o [F[ = 3.
Distinguendo allora i casi F = Z2 e F = Z3, si determinino K er 'P e tutti i
suoi supplementari.
(iii) Si provi che tp non è mai un omomorfismo di (F 2 , ·) in ( F , ·).
Spazi vettoriali 365

Esercizio 8.9.14. Sia F un campo e si consideri l'insieme F 2 strutturato ad anello


e a F -spazio vettoriale nel modo usuale. Si provi che l'applicazione

cp: (a , b) E F 2 f-----t 2a + 3b E F
è un epimorfismo di F-spazi vettoriali, e che il sottospazio D= {(c, c) :c E F}
è un supplementare di Ker cp se e solo se car F =/= 5. Si dimostri poi che cp è un
omomorfismo di anelli se e solo se car F = 2.

Esercizio 8.9.15. Sia F un campo e si consideri l'usuale F-spazio vettoriale F 3 .


Siano V e W i sottospazi di dimensione l di F 3 generati da { (O , l, 2)} e da
{ (2, O, l)} rispettivamente. Distinguendo i casi F = lR e F = Z3 :
(i) si descrivano V e vV e si precisi se l'elemento (2, l , O) appartiene a V+ W;
(ii) posto
f: (a, b, c)+ V E F 3 /V f-----t (a , 2b- c, a) E F 3 ,
si stabilisca se f è ben posta, se è iniettiva o suriettiva, e se è un omomorfi-
smo di spazi vettoriali.

Esercizio 8.9.16. Si consideri l'usuale spazio vettoriale JR4 sul campo lR dei
numeri reali e si ponga

W= {(a, b, c, d): a, b, c, d E JR, a+ b =O, a-b+ c= 0}.

(i) Si provi che vV è un sottospazio di R 4 e se ne determini una base.


(ii) Si provi che ponendo

cp: (a, b, c, d)+ W E R 4 /W f-----t (2a +c, a+ b) E R2

si definisce un 'applicazione di JR4 /W in JR 2, e si stabilisca se cp è iniettiva o


suriettiva e se è un omomorfismo di spazi vettoriali.
(iii) Si determinino la dimensione e una base di JR 4 jW.

Esercizio 8.9.17. Sia K un campo. Si considerino K[x] e M2(K), muniti delle


consuete strutture di K-spazio vettoriale, e l'applicazione

(i) Si verifichi che cp è un omomorfismo di spazi vettoriali.


(ii) Nei casi K = Q e K = Z2, si determinino il nucleo Ker cp e l 'immagine
Im cp di cp, si precisino le dimensioni di Ker cp e di Im cp e si individuino una
base di Ker cp e una base di Im cp.
(iii) Nei casi K = Q e K = Z2, si stabilisca se Ker cp è un sottoanello del!' a-
nello (K[x], +,·)e se ne è un ideale.
366 Capitolo 8

Esercizio 8.9.18. Sia k un fissato numero reale e sia fk : JR4 ------; JR 3


l 'applica-
4 3
zione dell' IR -spazio vettoriale IR nell' IR -spazio vettoriale JR definita da

fk( x, y, z, t) := (x, z- 3t, t+ y + (k- 5)).


(i) Dopo aver individuato il valore k di k per il quale h è un IR-omomorfismo,
si determinino il nucleo e l'immagine di h e di tali sottospazi si individuino
una base e la dimensione.
(ii) Si stabilisca se h
è un IR -monomorfismo e se è un IR -epimorfismo.
(iii) Infine, indicato con V il sottospazio di IR 4 generato da
{(0 , o, 2, 2) , (0 , l , 2, -3) , (0 , o, o, 1)} ,

si provi che il nucleo Ker h è contenuto in V e si determini lo spazio


quoziente V/ Ker h·
Esercizio 8.9.19. Siano V uno spazio vettoriale sul campo IR dei numeri reali ed
f : V ------; V un endomorfismo di spazi vettoriali tale che J 2 = l.
(i) Si provi che f è biettiva;
(ii) Posto
W= {w E V: f(w) = w} , U = {u E V: f(u) = -u} ,

si verifichi che U e vV sono sottospazi di V.


(iii) Si provi che V = W E9 U.
(iv) Si dimostri che v- f(v) EU, per ogni v E V, e che, posto
g: v+ W E V/W ~-----t v- f( v) EU,

g è un'applicazione. Si provi infine che g è un isomorfismo tra gli spazi


vettoriali V /W e U .
Esercizio 8.9.20. Si consideri JR3 , strutturato in modo naturale come IR-spazio
vettoriale.
(i) Si stabilisca se le parti
H= {(a , b, c) : a+ b- 3c = 0}, J( = {(a , b, c) : a - b+ c= l}
sono sottospazi di JR3 ed, in tal caso, se ne determinino la dimensione ed
una base.
(ii) Si descrivano gli elementi del sottospazio V generato da (1 , l , 0).
(iii) Con À E IR, posto

f>... : (a, b, c)+ V E JR3 /V ~-----t (a- À2 b + Àc, c) E JR 2 ,

si stabilisca per quali valori di À l'applicazione f>... è ben posta, per quali
f>... è un IR-omomorfismo, per quali è un IR -monomorfismo, per quali è un
IR -isomorfismo.
9
Elementi di geometria analitica

In questo capitolo verranno presentati alcuni dei concetti fondamentali della geo-
metria analitica nel piano e nello spazio. La trattazione è volutamente di carattere
molto intuitivo, talvolta anche a discapito della rigorosità. Inoltre il Lettore è ri-
tenuto senz'altro in possesso delle conoscenze elementari di geometria euclidea
fornite abitualmente dalle scuole medie superiori, che nel seguito verranno utiliz-
zate spesso senza ulteriori riferimenti. Durante l'intero capitolo, diversamente da
quanto fatto finora, si adopererà per i vettori la notazione con la sottolineatura.

9.1 Riferimenti affini nel piano e nello spazio


Sia 1r un piano euclideo e si denoti con E 2 l'insieme dei suoi punti; fissato un
--t
punto O E E 2 , si definisce vettore applicato in O ogni segmento orientato O A
avente come primo estremo il punto O e come secondo estremo un altro punto
A E E2 :
A

o ·---------------
L'insieme dei vettori di 1r applicati in O si denota con V&, si pone cioè

2 {-->
V0 :=OA : A EE 2}.
Come si vedrà, tale insieme può essere dotato di struttura di spazio vettoriale sul
-->
-----+
campo IR dei numeri reali. Vettori O A e 0 1B, applicati in O e in 0 1 rispettiva-
mente, si dicono congruenti se i segmenti O A e 0 1B hanno la stessa lunghezza.
Nel seguito la lunghezza di un segmento OA sarà spesso indicata con il simbolo
-->
IOAI. Considerati ora OA , OB E
----t
V5, -->
----t ----t
si pone OA + OB := OC dove C è
il quarto vertice del parallelogramrna individuato dai punti O, A e B, ovvero il
secondo estremo del vettore applicato in A parallelo, congruente e con lo stesso
368 Capitolo 9

-----7
verso del vettore OB:

A C
/ _~··~··~---
O/ --- · B

Questa posizione definisce un ' operazione interna in V3 e si ha che:


9.1.1. . La struttura algebrica (V3.+ ) è un gruppo abeliano.

Dimostrazione. Per dimostrare che l' addizione è associativa occorre distinguere


vari casi. Per esempio nel caso in cui i punti O , A , B , C sono a tre a tre non
_____,. -----7 _____,. . _____,. -----7 -----7
allineati, si considerano OA , OB , OC E
-----7 -----7 -----7
e si pone OA + OB = OD eVb
OB + OC = OE:

C ····················· '"' E
-----7 _____,. _____,. -----7
Occorre dimostrare che OD + OC = OA + OE e a tale scopo, posto
-----7 -----7 _____,.
OD + OC = OF ,

basterà osservare che OAF E è un parallelogramma e quindi per esempio che


IOAI = IEFI e IAFI = IOEI. Si considerino i triangoli OBD e CFE; tali
triangoli sono uguali perché hanno ordinatamente uguali due lati CICEI = lOBI e
ICFI = lODI) e l' angolo compreso (FC E = DOB perché sono parallele le rette
OD e CF e le rette OB e CE) , quindi IEFI = lEDI = IOAI. Analogamente si
prova l'uguaglianza dei triangoli ADF e OBE da cui segue che IAFI = IOEI.
Analoghe argomentazioni provano l' asserto anche negli altri casi (vedi Eser-
cizio 9.1.1) .
Per provare che l'addizione è commutativa è sufficiente osservare che dati
_____,. -----7
OA , OB E V3il secondo estremo C del vettore applicato in A parallelo, con-
-----7
gruente e con lo stesso verso di O B coincide con il secondo estremo D del vettore
Elementi di geometria analitica 369

------)

applicato in B parallelo, congruente e con lo stesso verso di O A:

/
A ·············~··~··~· ;;;YLCA ___ --;r D
- -- - -- .··
.. ···

O B O ----- / B
------) --t --t --t --t ------)
Pertanto OA + OB = OC =OD= OB +O A.
' --t
E immediato osservare che il vettore 00 (vettore nullo) è elemento neutro
------)

rispetto all'addizione ed è altrettanto facile osservare che per ogni OA E V~ l'op-


------> ------)
posto - OA, cioè il simmetrico di OA rispetto all'addizione, è il vettore applicato
------)

in O parallelo, congruente e avente verso opposto rispetto a O A, ovvero il vettore


applicato in O il cui secondo estremo A' è il simmetrico di A rispetto a 0:

_.o~ A
A'~ -

D
------) --t --t
Per ogni t E lR e per ogni vettore applicato OA E V~, si pone t OA := OC,
dove C è il punto della retta OA tale che il rapporto tra le lunghezze IOCI e IO Al
dei segmenti OC e OA sia il valore assoluto ltl di t , e che si trova sulla serniretta
orientata OA se t > O, su quella opposta se t < O. In questo modo si definisce
un'operazione esterna in V~ con dominio di operatori il campo lR dei numeri reali,
e si può verificare che:

9.1.2. La struttura algebrica (V~, +, ·) è uno spazio vettoriale su R.

------) - - t
Dimostrazione. Per provare per esempio che per ogni OA, OB E V~ e per ogni
------) --t ------) --t ------) --t --t
À E !RconÀ :2 OriesceÀ(OA+OB) = À0A+À0B,siponga0A+OB = OC,
------) ----) --t ----) ----) ----) ------) .
ÀOA =OH, ÀOB = OKeOH +OK = OT.
H T
/
/
/
/

A // c ---
370 Capitolo 9

È immediato osservare che i triangoli O AC e O HT sono simili perché hanno due


lati proporzionali (precisamente I>..I IOAI = IOHI, I>..IIACI = IHTI) e uguale
----) ---7
l'angolo compreso. Questo comporta che lOTI = 1>-.IIOCI , da cui OT = >..OC.
Nel caso in cui À < O il procedimento è analogo. La facile verifica del fatto
----) ----) ----) ----) ----) ----) ----)

che(>.. + J.t)OA = ).. OA + J.L OA , che (ÀJ.t)OA = À(J.t OA) e che l OA = OA


---7
per ogni À , J.L E ~ e per ogni OA E Vb è lasciata come esercizio. D

9.1.3. Lo spazio vettoriale (Vb ,+,·) ha dimensione 2.


--> -->
Dimostrazione. Per provare l' asserto basta osservare che se i= OA 1 e j = OA 2
sono vettori di Vb non appartenenti a una stessa retta, allora {i, j} è u~ base di
~· -
A tale scopo si noti che dalla definizione dell ' operazione esterna segue im-
-->
mediatamente che se i = OA1 è un vettore non nullo di Vb allora, detta r1 la retta
OA 1, i vettori di Vb appartenenti a r 1, ovvero i vettori applicati in O il cui secon-
-->
do estremo sia un punto di r 1 , sono tutti e soli i vettori del tipo À OA 1 con).. E R
Ciò comporta che richiedere che i e j non appartengano alla stessa retta equivale
a richiedere che i e j non siano proporzionali, ovvero che siano linearmente in-
dipendenti. Dunque~ per dimostrare che {i, j} è una base di Vb occone e basta
---7 - ---7
provare che per ogni O P E Vb esistono x1 , x2 E ~ tali che O P = xli + x2j ---7 -
ossia che {i, j} è un sistema di generatori di Vb. Sia dunque OP E Vb , e siano
r1 la retta OA1 e r2 la retta OA2.

Indicati con P1 e P2 i punti di intersezione di r 1 con la retta per P parallela a


r2 e di r2 con la retta per P parallela a r 1 rispettivamente, si ha che O P 1P P 2
---7 --------> -------->
è un parallelogramma e quindi OP = OP1 + OP2. Poiché P 1 è un punto di
-------->
r1 si ha che OP1 x li con x 1 E ~ ; analogamente poiché P 2 è un punto di
-------->
r2 si ha che OP2 x2 j_ per un certo x2 E R In definitiva, come si voleva,
---7
OP =xli+ x2j. D

Lo spazio vettoriale Vb ha quindi dimensione 2 sul campo reale e pertanto è iso-


morfo a ~ 2 (vedi 8.4.11); un isomorfismo è, per esempio, l'isomor.fismo coordi-
nato rispetto a una base B = {i, j_}, cioè

cp : M= x li + X2j_ f--------7 ( Xl , X2) E ~2 .


Elementi di geometria analitica 371

----+ ----+
La tema costituita da un punto O E E2 e da due vettori i = OA1, j = DA 2
non proporzionali applicati in O (ovvero linearmente indipendenti e cioè non ap-
partenenti alla stessa retta) è detta riferimento affine del piano e si denota con
'R.A( O, i, j) o anche con RA( O, A 1 , A 2 ). n punto O è detto origine del rife-
rimento affine; le rette OA 1 e OA 2, generate rispettivamente dai vettori i e j, sono
dette gli assi del riferimento. Se P è un punto del piano allora le sue coordinate
cartesiane rispetto al riferimento affine considerato sono le componenti (x 1 , x 2 )
-----+
di O P rispetto alla base B = {i, D.
Analogamente a quanto fatto per (Vs, +, ·),si può introdurre l'insieme Vb
costituito dai vettori applicati in un punto O dello spazio euclideo E 3 . E si prova
agevolmente (vedi anche Esercizio 9.1.3) che (V~,+,·) è uno spazio vettoriale.

9.1.4. Lo spazio vettoriale (V~ , +,·) ha dimensione 3.

----+ ----+ ----+


Dimostrazione. Siano i= OA1, j = OA2, k = OA3 tre vettori non complanari
- ----+ ----+
di V~. Si noti che il sottospazio generato da due vettori OAh e OAk, non ap-
partenenti a una stessa retta, è costituito da tutti e soli i vettori applicati in O che
appartengono al piano individuato dai punti O, Ah, Ak. Quindi richiedere che i,
j, k non siano complanari equivale a richiedere che nessuno dei tre vettori appar-
tenga al sottospazio generato dagli altri due, e cioè che nessuno dei tre dipenda
linearmente dai rimanenti, ovvero che B = {i, j, k} sia un insieme linearmente
indipendente (vedi 8.3.7). -
Si proverà che B è una base di V~ e a tale scopo occorre e basta dimostrare
-----+
che B è un sistema di generatori di V~ e quindi che per ogni 0 P E V~ esistono
-----+
x1, x2, X3 E 1R tali che OP =xli+ x2j + x3k.
Siano r1, r2, r3 le rette OA1, O.A2, OA3 rispettivamente; siano poi 1r12 il
piano individuato da r1 e r2 (cioè generato da i e j), 1r23 quello individuato da r2
e r3, e 1r13 quello determinato da r1 e r3. -

Indicati con P 1 il punto di intersezione di r1 con il piano per P parallelo a 1r23,


P2 il punto di intersezione di r2 con il piano per P parallelo a 1T13. P3 il punto di
372 Capitolo 9

intersezione di r3 con il piano per P parallelo a 7r12· si ha che

Infatti se P12 è il punto di intersezione di 7r12 con la retta per P parallela a r 3 ,


------t ---) ---) ------) ------t ---)
allora OP12 = OP1 + OP2 e poiché OP = OP12 + OP3 , si ha l' asserto. Ora,
---)

siccome P1 E r1, P2 E r 2 e P3 E r3, esistono x1, x2, X3 E lR tali che OP1 =xli,,
---) ---) ------)

OP2 = x2 -j e OP3 = x3k_. Pertanto OP =xli. + x2 -j + x3k_ come volevasi. D

Lo spazio vettoriale Vb, avendo dimensione 3 su JR, è isomorfo a JR 3 (vedi 8.4.11);


un isomorfismo è quello coordinato (rispetto a una base B = {i, j_ , k_} ):

<J? : QP =Xli,+ X2 j_ + X3k_ f----t (x l, X2, X3) E JR 3.

La quaterna (O ,i , j ,k_) , che si denota con RA(O,i_,j,b;_) (oppure, posto i =


-------7 -------7 - -------7 -
OA1, j = OA2 e k_ = OA3, con RA(O, A1, A2, A3)) è detta riferimento
affine di E3 . Il punto O è detto origine del riferimento affine; le rette O A 1 ,
OA2 e OA3, generate rispettivamente dai vettori i , j e k_, sono dette gli assi del
riferimento. Le coordinate cartesiane di un punto -P E E3 in tale riferimento
------)

sono le componenti di OP nella base B = {i, j_, k_}.

Traslazioni
Nel costruire lo spazio vettoriale V3 (rispettivamente Vb ) è stato privilegiato un
punto O di E 2 (risp. di E3 ). Fissando un diverso punto O', si ottiene lo spazio
vettoriale v3, (risp. Vb,) che è diverso da V3 (risp. Vb), ma isomorfo a tale
spazio vettoriale perché ancora spazio vettoriale di dimensione 2 (risp. 3) sul
campo lR dei numeri reali (vedi 8.4.11).
Sia Vo lo spazio V3 oppure Vb e sia Vo' lo spazio che si ottiene scegliendo
un diverso punto O' di E 2 nel primo caso e di E3 nel secondo. Denotato con 12.
---) ---)

il vettore 00' E Vo , si definisce traslazione relativa al vettore 12. = 00' l'ap-


------>
plicazione Tv : Vo ----) Va' che a ogni vettore OP applicato in O associa il
----) ------)

vettore O' P' applicato in O' parallelo e concorde a OP, e tale che i segmenti
OP e 0' P' siano congruenti. In altre parole Tv è l'applicazione definita ponen-
------> ------) ----)
do, per ogni OP E Vo, Tv(OP) := O' P' dove P' è quell'unico punto tale che
---) ------) ---)

OP' = OP + 00':
p P'
~ ········· // //~v (QP)
O• <- ·· -~- ·-->.-O'
12_ =00'
Elementi di geometria analitica 373

9.1.5. Siano O e O' punti del piano (rispettivamente dello spazio). La traslazione
~

Tv relativa al vettore 32. = 00' è un isomorfismo dello spazio vettoriale Vo nello


spazio vettoriale Vo'·

--t --t
Dimostrazione. Per provare che Tv è un omomorfismo si considerino OP e OQ
--t --t ------) --t ----t --t ----t
in Vo, e si ponga OP
------) ------?
+ OQ = OT, Tv( OP) = O' P', Tv(OQ) = O' Q' e
Tv(OT) = O'T':

p\t2Q
T T'
.· :;(··.·· """""::' :;(·..
P' l

o · · · · · ·~Q'
Per definizione di traslazione si ha che i vettori O' P' , O' Q', O'T' rispettivamente
- - t - - t ------) - - -
sono paralleli e concordi a OP , OQ , OT, e inoltre i segmenti OP, OQ e OT sono
O'
----t ----t ------?

rispettivamente congruenti a 0' P', 0' Q' e O' T'. Da ciò segue che i triangoli
OQT e O' Q'T' sono congruenti (perché hanno congruenti due lati omologhi e
----t ----t ------?
l'angolo tra essi compreso), e questo comporta che O' P' + O' Q' = O' T'. Ne
--t --t --t --t
segue che Tv(OP + OQ) = Tv(OP) + Tv(OQ).
Per quanto poi riguarda la legge esterna è un facile esercizio verificare che
--t --t --t
Tv(À OP) = ÀTv(OP) per ogni À E IR e per ogni OP E Vo (vedi (i) di
Esercizio 9.1.4).
Resta infine da provare che Tv è biettiva. A tale scopo basta osservare che la
~

traslazione Tv' relativa al vettore 32.1 = O' O è un omomorfismo di dominio Vo' e


codominio Vo, che risulta l'inversa di Tv (vedi (ii) di Esercizio 9.1.4). D

Esercizi
Esercizio 9.1.1. Si completi la dimostrazione di 9.1.1, provando che, considerati
--t --t --t ------) --t --t ------) --t --t
i vettori OA, OB e OC E Vb,
riesce (OA + OB) + OC = OA + (OB + OC)
nei seguenti casi:
(i) O , A , B sono tre punti del piano appartenenti a una stessa retta T e C è un
punto non appartenente a T;
(ii) O , A, B, C sono quattro punti allineati del piano.
Esercizio 9.1.2. Si completi la dimostrazione di 9.1 .2, provando che fissato un
------) ------)

punto O del piano, per ogni À, p, E IRe per ogni OA E


------) ------) ------) ------)
riesce (.>.. + p,)OA =
------) ------)
Vb
.>..OA + p,DA, (.>..p,)OA = .>..(p,OA) e lOA = OA.
374 Capitolo 9

Esercizio 9.1.3. Si dim ostri che (ViS, + , ·)è uno spazio vettoriale su IR.
Esercizio 9.1.4. Si completi la dimostra zione di 9.1.5, verificando che:
------7
('i) indica ta con Tv la trcts!azion e relativa al vettore 1!_ = 00' E Vo , si ha che
------7 ------7 ------7
Tv(À OP) = ÀTv(OP) per ogni À EIRe p er ogni OP E Vo;
------7 -----;
(ii) indicate con Tv e Tv' le traslazioni relative ai vettori 1!. = 00' e 1!_1 = 0'0
rispettivamente, risulta Tv' =Tv-l·

9.2 Equazioni vettoriali di rette e piani


I vettori di una retta r passante per un punto O del piano o dello spazio costituisco-
no un sottospazio di Vo di dimensione l, che ha pertanto come base il singleton
------7
di un qualsiasi vettore non nullo OP1 con P1 E r. Questo comporta che un punto
------7 ------7
P appartiene alla retta T se e solo se OP E (OP1 ), cioè se e solo se esiste uno
scalare t E IR tale che ------7 ------7
OP = tOP1. (9.2.1)
Analogamente, i vettori di un piano 1r per O costituiscono un sottospazio di Vo
------7 -----;
di dimensione 2, che ha quindi una base costituita da due vettori O P 1 e O P 2
linearmente indipendenti, e cioè che non appartengono a una stessa retta. Da ciò
segue che un punto P appartiene al piano 1r se e solo se esistono o:, (3 E IR tali che

(9 .2.2)

Le (9.2.1) e (9.2.2) forniscono rispettivamente l'equazione vettoriale di una retta


e di un piano per O. ·
Per determinare le analoghe equazioni di rette e piani non passanti per O si
utilizzano le traslazioni. Sia r una retta qualsiasi (di E 2 o di E 3 ) e sia r 0 la retta
per O parallela a T.

----7
Fissato un qualsiasi punto Qo E r, posto 1!. OQo e detta Tv la traslazione
------7 ----7
relativa a 1!_, si ha che Tv({OP : P E To}) {QoQ : Q E T}. Si ha cioè
che l'immagine mediante Tv del sottospazio di Vo costituito dai vettori di ro è il
sottospazio di VQ o dei vettori di T. Pertanto un punto Q appartiene alla retta T se e
----7 ------7
solo se QoQ E Tv( {OP : P E To} ), e quindi se e solo se esiste un punto P E ro
----7 ------7
tale che QoQ = Tv (O P). Ciò equivale a richiedere che esista un punto P E ro
Elementi di geometria anal itica 375

______. ______. -----t


tale che OQ = OP + OQo. Se allora la retta To (passante per O) ha equazione
______. ------->
vettoriale O P = t O P1, l'equazione vettoriale di T è:

n punto Q descrive, al variare del parametro reale t, la retta T; in particolare il


------->
punto Qo si ottiene per t = O. Il vettore OP1 (generatore diTo) è detto vettore
-----t
direttore di T. n vettore Q= OQo è detto vettore di traslazione.
Se una retta r è assegnata mediante due suoi punti distinti Q o e Q l, allora
-----t -----t
un vettore direttore di T è w = OQ1 - OQo, che genera To ~uanto non nullo.
Pertanto per rappresentare vettorialmente r si può scegliere OQo come vettore di
traslazione, ottenendo l'equazione vettoriale
______. -----t
OQ = OQo+tw.

Analoghe considerazioni permettono di ricavare l'equazione vettori al e di un piano


non passante per O a partire dalla (9 .2.2). Siano 1r un piano di E3 , 1ro il piano per
-----t
O parallelo a 1r e, fissato un punto Qo E 1r, siano Q = OQo e Tv la traslazione
relativa a Q.

l
l
·············· f ............ .
l
l

______. -----t
Allora Tv ({O P : P E 7ro}) { QoQ : Q E 1r}, cioè l'immagine mediante
la traslazione Tv del sottospazio costituito dai vettori di 7ro è il sottospazio dei
vettori di 1r. Ciò comporta che un punto Q appartiene al piano 1r se e solo se
-----t ______.
QoQ
-----t
E Tv ({O P : P E 1ro}), ovvero se e solo se esiste un punto P E 1ro tale che
______. ______. ______. -----t
QoQ = Tv(OP), e quindi se e solo se esiste P E 7ro tale che OQ = OP + OQo .
376 Capitolo 9

------7 -------+ -------+


Pertanto se 7To è rappresentato da !l'equazione vettoriale O P = o: O P1 + (3 O P2,
l'equazione vettoriale di 7T è:

Al variare di o: e (3 in lR il punto Q descrive il piano 7T; in particolare il punto


-------+ -------+
Q0 si ottiene per o: = O = (3 . La coppia (O P1 , O P2) di vettori di 7To è detta
---)

coppia di vettori di giacitura per 7T. Il vettore 1!. = OQ 0 è detto ancora vettore di
traslazione.
Se un piano 7T è assegnato mediante tre suoi punti non allineati Q o, Q 1 , Q 2 ,
---) ---) ---) ---)

la coppia (w 1 , w 2 ) con w 1 = OQ1 - OQo E 7To e w 2 = OQ2 - OQo E 7To è una


coppia di vettori di giacitura per 7T. Per ottenere una rappresentazione vettoriale di
---)

7T si può allora scegliere OQ 0 come vettore di traslazione, ottenendo l'equazione


vettoriale

Esercizi
Esercizio 9.2.1. Fissato nel piano un riferimento affine RA( O , i., j_), e considerati
i punti A e B di coo rdinate ( -5, 7) e (3, 2) rispettivamente, si determinino le
componenti nella base {i., ,i} di Vs dei vettori direttori delle rette OA, OB, AB.
Esercizio 9.2.2. Fissato nello spazio un riferimento affine RA( O, i., j_, li;_) e con -
siderati i punti non allineati P, Q e J( di coordinate (0 , 3, -2), (1, 5, -7) e
( - 2, O, O) rispettivamente, si determinino le componenti nella base {i., j_, li;_} di
Vb dei vettori delle coppie di giacitura dei piani 1T1 passante per P, Q, K, 7T2
passante per O, P e Q, e 1T3 passante per O, P e K.

Esercizio 9.2.3. Fissato nello spazio un riferimento affine RA( O , i., j_, li;_) e con-
siderati i punti H di coordinate ( -3, -1 , 2) e J( di coordinate (11 , - 3, 7), si
determinino le componenti nella base {i., j , li;_} di Vb del vettore direttore della
retta HK. -

9.3 Equazioni parametriche di rette e piani


Sia RA( O , i., j , li;_) un riferimento affine di [ 3 e si consideri la retta T di equazione
vettoriale - ------7 ---)
OQ = OQo +tw. (9.3.1)
Se il punto Qo ha coordinate (xo , yo , zo) e w ha come vettore coordinato nella base
B = {i., j, li;_} la terna (l , m , n) f:. (0 , O, 0) , allora dette (x , y , z) le coordinate del
generico punto Q di T, la (9.3.1) diventa:

xi.+ yj_ + zli;_ = (xo + tl)i. + (yo + bn)j_ + (zo + tn)li;_,


Elementi di geometria analitica 377

da cui
x= xo + tl
y = Yo +tm (9.3.2)
{
z = zo + tn.
Le equazioni (9.3.2) si dicono equazioni parametriche della retta r, e i numeri
reali l, m, n ne sono parametri direttori. Appartengono alla retta r tutti e soli i
punti Q di E 3 le cui coordinate sono date dalle (9.3.2) al variare di t in R
Si noti che se r è individuata da due suoi punti distinti Qo di coordinate
(x o, Yo, zo) e QI di coordinate (XI , YI, ZI) allora si può considerare come vettore
--) --)

direttore il vettore w = OQI - OQo di coordinate (l, m, n) con l = XI - xo,


m = YI - Yo, n = ZI - zo.
9.3.1. Esempio. Si vogliano determinare le equazioni parametriche della retta
passante per i punti Qo = (1 , -3, 7) e QI = (2, l , 0). Si può porre l = 2 - l = l,
m = l + 3 = 4, n = -7, per per cui le equazioni richieste sono
x= l+t
y = -3 + 4t
{
z = 7 -7t.

9.3.2. Criterio di parallelismo tra rette nello spazio. Due rette di E3, aventi
parametri direttori (l ,m , n) e (h,mbni) rispettivamente, sono parallele se e
solo se la matrice
l m n ) E M 2 3(JR)
( h m1 n1 •
ha rango l.

Dimostrazione. Siano r la retta avente equazione vettoriale data dalla (9.3.1) e


equazioni paramettiche (9.3.2), e r' una retta di equazione vettoriale
----) ------t l l
OP = OPo+tw
e di equazioni parametriche
x= x 0l +t'l 1
y = Yol +tl mi (9.3.3)
{
z = z 0l + t' n1.
Le rette r e r' sono parallele se e solo se, indicate con ro la retta per O parallela a
re con rb la retta per O parallela a r', risulta ro = rb. Ciò equivale a richiedere
che {w , w'} sia linearmente dipendente, ovvero che la matrice

l m n ) M 2 3(JR)
( h mi ni E •
abbia rango l. D
378 Capitolo 9

Si consideri ora il piano 1r di equazione vettoriale

(9.3.4)

se Qo ha coordinate (xo , yo , zo), w 1 ha componenti (h, m1 , n1) e w 2 ha compo-


nenti (l 2 , m 2 , n 2 ), allora, dette (x , y , z ) le coordinate di Q, la (9 .3.4) diventa

da cui si deduce che le equazioni parametriche del piano 1r sono:

x = :ro + ah + f3 l2
Y = Yo + mn 1 + (3m2 (9.3.5)
{
z = zo + an1 + f3n2.

Si osservi che nelle (9.3.5) la matri ce

deve avere rango 2: ciò per il fatto che w 1 e w 2 sono linearmente indipendenti.
Come rilevato in precedenza, se il piano 1r è individuato da tre punti non
allineati Qo di coordinate (xo , Yo , zo), Q l di coordinate (xl , Yl, zl) e Q2 di coor-
---7 ---7 ---7 ---7
dinate (x2, Y2 , z2), allora i vettori 1!d. 1 = OQ1 - OQo e w 2 = OQ2 - OQo, di
coordinate ( x1 - x o, Yl - Yo , z1 - zo) e ( x2 - x o, Y2 - Yo , z2 - zo) rispettivamen-
te, sono un a coppia di vettori di giacitura per 1r, e pertanto le (9.3.5) diventano
facilmente
x= xo + a(x1 - xo ) + (3(x2 - xo)
Y = Yo + a(yl - Yo) + f3( Y2 - Yo)
{
z = zo + a( z1 - zo) + (3(z2- zo).

9.3.3. Esempio. Per determinare le equazioni parametriche del piano 1r indivi-


duato dai tre punti non allineati

Qo = (3, -1, 0) , Q1 = (0, 7, 0), Q2 = (2, 5, 9),

si possono scrivere le (9.3.5) ponendo h = -3, m1 = 8, n1 = O, l2 - 1,


m2 = 6, n2 = 9. In tal modo si ottengono le equazioni

x= 3- 3a- (3
y = - 1 + Sa + 6(3
{
z = 9(3.
Elementi di geometria analitica 379

9.3.4. Criterio di parallelismo tra retta e piano nello spazio. Siano 7' una retta
e 1r un piano di E 3 , di equazioni parametriche

x= x?+ tl x = xo + ah + f3l2
y = Yo +tm e Y = Yo + am1 + {3m2
{ {
z = zb + tn z = zo + an1 + f3n2

rispettivamente. Allora la retta r è parallela al piano 1r se e solo se la matrice

è singolare.

Dimostrazione. Siano
----7 -----+
OP = OPo +tw
----7 --;
OQ = OQo + aw 1 + {3w 2
le equazioni vettoriali di r e di 1r rispettivamente. La retta r è parallela al piano
1r se e solo se il piano 1ro per O parallelo a 1r contiene la retta ro per O parallela
a r, ossia se e solo se il vettore direttore w di r appartiene al piano generato
dai vettori di giacitura w 1 e w 2 di 1r. Ciò equivale a richiedere che {w ,w 1 ,w 2 }
sia linearmente dipendente, ovvero che la matrice che compare nell'enunciato sia
singolare. O

9.3.5. Criterio di parallelismo tra piani nello spazio. Due piani di E3 , aventi
equazioni parametriche

x = xo + ah + f3l2 x = xb + a l~ + {3 l~
1 1

y = Yo + am1 +{3m2 l l l {31 l


e Y = Yo + a m1 + m2
{ { l {31 l
z = zo + an1 + f3n2 z = z0 + a
'l l
n1 + n2

rispettivamente, sono paralleli se e solo se la matrice

ha rango 2.
380 Capitolo 9

Dimostrazion e. Esercizio. D
Sia ora RA( O , i, j) un riferimento affine del piano E 2 , e si consideri la retta T di
equazione vettoria1e
-----7 ----)
OQ = OQo + tw;
se Qo ha coordinate (xo , Yo) e w ha coordinate (l , m) i- (0 , 0), allora le equazioni
parametriche di T sono
x =xo + tl
{ y =yo + tm . (9.3.6)

I numeri reali (l , m) sono detti parametri direttori dì T.

9.3.6. Criterio di parallelismo tra rette nel piano. Due rette di E2 , aventi
parametri direttori (l , m) e (h , m1) rispettivamente, sono parallele se e solo se
lm1 = l1m.

Dimostrazion e. Sia T la retta di equazioni parametriche (9.3 .6), e sia T 1 la retta di


equazioni parametriche
X =X~ +
t'h
(9.3.7)
{
y =y0l + t' m1.
Siano poi
-----7 ----)
OQ = OQo + tw ,
-----7 ___..... (9.3.8)
OP = OPo +t'w'
le equazioni vettoriali di T ed T 1 rispettivamente. Allora T e T 1 sono parallele se e
solo se w e w' sono linearmente dipendenti, e cioè se e solo se la matrice

ha determinante nullo. Ciò equivale a richiedere che sia lm 1 - mh = O. D

Siano T e T 1 rette non parallele del piano o dello spazio, di equazioni vettoriali
-----7 ___..... -----7
OP = OP0 + tOQ ,
___..... ___..... ___.....
OP' = OP6 +t' OQ'
-----7 ___.....
rispettivamente. Allora i vettori direttori OQ e OQ' non sono proporzionali, e
dunque generano un piano. Le rette T e T 1 sono incidenti, ossia si intersecano in
un (unico) punto X (detto punto di incidenza) , se e solo se esistono t, t' E lR tali
che
___..... -----7 -----7 i l i
OPo +tOQ = OX = OP0 + t OQ ,
Elementi di geometria analitica 381

e ciò accade se e solo se esistono t , t' E IR tali che


----t ----t ----t ------)
OPo - OP6 = t'OQ' - tOQ.
----t ----t
Pertanto r e r' si intersecano se e solo se O Po - O P0 è un vettore del piano
------) ----t
generato da OQ e OQ' . Questo criterio consente di stabilire quando due rette
si intersecano, sia nel piano che nello spazio. Nel piano la condizione è sempre
soddisfatta perché tali vettori costituiscono una base di V5.
Infatti due rette del
piano che non sono parallele hanno sempre un punto di intersezione. Nello spazio
V3 invece esistono le cosiddette rette sghembe , cioè né parallele né incidenti.
Utilizzando le equazioni parametriche, (9.3.6) e (9.3.2) si completano come segue.

9.3.7. Criterio di incidenza tra rette nel piano. Due rette di E2, aventi pa-
rametri direttori (l, m) e (h, m1) rispettivamente, sono incidenti se e solo se
Zm1 -Z1m =/=O.

Dimostrazione. Siano r ed r' rette del piano aventi equazioni vettoriali (9 .3.8) ed
equazioni parametriche (9.3.6) e (9.3.7) rispettivamente. Esiste allora un unico
punto P E r n r' se e solo se esiste un'unica coppia (t , t') E IR x IR tale che
x o + t l = x~ + t'h
{ Yo + tm = Yol + t l m1 ,

e quindi se e solo se il sistema lineare


l t - h t' = x~ - x o
{ mt- m1t l = Yo-l
(9.3.9)
Yo
nelle incognite t e t' ammette un ' unica soluzione. Per il teorema di Cramer
(vedi 7.7.1) ciò equivale a richiedere che sia lm1 - hm =/= O. D
Se le rette r e r' del piano sono incidenti, detta (to , t~) la soluzione del sistema
lineare (9.3.9), le coordinate del punto di incidenza sono date da
(x o + tol , Yo + tom) = ( x~ + t~h , y~ + t~m1).

9.3.8. Criterio di incidenza tra rette nello spazio. Siano r ed r' rette non
parallele di E3 , aventi equazioni parametriche date da (9.3.2) e da (9.3.3) rispet-
tivamente. Allora r e r' sono incidenti se e solo se il sistema lineare

tl -t'h = x~ - xo
tm- t'm1 = Yo- Yo (9.3.10)
{
tn-t'n1=z0-zo

nelle incognite t e t' è compatibile.


382 Capitolo 9

Dimostrazione. Esercizio. D
Se le rette non parallele T e T 1 sono incidenti, ossia se il sistema lineare (9 .3.1 O)
ammette una (e quindi una sola) soluzione (to, t~), le coordinate del punto di
incidenza sono date da
(xo + tol , Yo + tom, zo +ton)= (x~+ t~h , y~ + t~m1 , zb + tbn1).
9.3.9. Esempio. Si considerino le rette T ed T 1 di equazioni parametriche
x=l+t x= O
y =-2+ 3t e y =- l + t'
{ {
z= O z = 5t 1
1
rispettivamente. Le rette T ed T sono sghembe. Infatti non sono parallele perché
la matrice
l 3 o)
( o l 5
ha rango 2, e non sono incidenti perché il sistema
t = -1
3t- t'= l
{
5t' = o
non è compatibile.

Esercizi
Esercizio 9.3.1. Si dimostri 9.3.5.
Esercizio 9.3.2. Si dimostri 9.3.8.
Esercizio 9.3.3. In un un riferim en to affine dello spazio euclideo E 3 si dimo-
stri che i punti A, B, C e D , di coordinate rispettivamente (1 , l , 5), (2 , 2, 1),
(1, -2, 2) e ( -2, l, 2), non appartengono a uno stesso piano. Considerate poi le
rette AB e C D si stabilisca se esse sono parallele, in cidenti o sghembe.
Esercizio 9.3.4. Sia RA( O, i_ , j, li) un riferimento affine dello spazio euclideo E 3 .
(i) Si determinino le equazio;;i parametriche dei seguenti piani:
il piano 1r1 passante per il punto A di coordinate (1, l , O) e parallelo ai
vettori :g_ di componenti (-l, O, - l) e Q di componenti (0, 6, 9);
il piano 1r2 passante per i punti Be C di rispettive coordinate (0 , l , - l) e
(3, 2, 1), e parallelo al vettore w di componenti (0, - 3, 0).
(ii) Si stabilisca se sono complanari le rette aventi le seguenti equazioni para-
metriche
x= l - 2t x= -3 + 5t 1
y = 3 + 5t
1
y = l- 6t
{ {
z = 4 + 2t, z = 5t 1 .
Elementi di geometria analitica 383

Esercizio 9.3.5. In un riferimento affine RA( O, i, j, !f) dello spazio euclideo E3


si considerino le rette di equazioni parametriche -

x= l+ 2t x = t'
y =- l+ t y = 2 + 4t'
{ {
z = 2 + 3t, z= 2+3t'.
(i) Si stabilisca se tali rette sono complanari e, in caso affermativo, si determi-
nino le equazioni parametriche del piano 1r che le contiene.
(ii) Siano A, B, C i punti di coordinate (- l , O, 3), (2, l, l) e (7, O, 9) rispetti-
vamente. Dopo aver provato che tali punti non sono allineati, si scrivano le
equazioni parametriche del piano 1r1 che li contiene.
(iii) l piani 1r e 1r1 sono paralleli?
Esercizio 9.3.6. In un un riferimento affine dello spazio euclideo E3 si consideri-
no le rette di equazioni parametriche

x=2+t x= 2 +t'
y =l+ 3t y = 3 +t'
{ {
z =l- t, z =-l+ t'.
Si stabilisca se tali rette sono complanari e, in caso affermativo, se esse sono
parallele o incidenti, e si scrivano le equazioni parametriche del piano che le
contiene.
Esercizio 9.3.7. Sia RA( O, i, j_, !f) un riferimento affine dello spazio euclideo E3 .
(i) Si determinino le equazioni parametriche dei seguenti piani:
il piano 1r1 passante per il punto A di coordinate (l, l, O) e parallelo ai
vettori 3J di componenti (l, O, l) e~ di componenti (0, 2, 3);
il piano 1r2 passante per i punti Be C di rispettive coordinate (0 , l , -l) e
(3, 2, 1), e parallelo al vettore w di componenti (0, O, 5);
il piano 1r3 passante per i punti E, F e G di rispettive coordinate (0, l, 0),
(2, -l , O) e (l , 2, 2).
(ii) Si stabilisca se le rette di equazioni parametriche
x=l+t x= -l+ t'
y =l+ 3t y =l+ t'
{ z = 4- t , {
z =t' ,
sono complanari e, in caso affermativo, se esse sono parallele o incidenti.
Esercizio 9.3.8. In un riferimento affine RA( O, i, j, !f) dello spazio euclideo E3
si considerino le rette r e sh di equazioni parametr!Che

x=3-t x= l-t'
y = 15 y = 9 +(h+ 2)t'
{ z =-l+ t , {
z = -5 +t'.
384 Capitolo 9

(i) Si stabilisca per quali valori di h tali rette sono parallele.


(ii) Esistono valori di h per i quali la retta S!J passa per l 'origine del riferimen to ?
Esercizio 9.3.9. Sia RA( O , 'L, :j_ , fs:.) un riferim ento qffine di [ 3 e si considerino i
punti Qo e Q1 di coo rdinate (- 1, l , -2) e (0 , l , l) rispettivamente. Siano poi 1!.1
e 1!.2 i vettori divg aventi componenti (1 , O, 3) e (l , l , 2) rispettivam ente.
(i) Si scrivano le equazioni parametriche de lla retta s passante per Qo avente
1!.1 come vettore direttore.
(ii) Si scrivano le equazioni parametriche del piano 7r passante per Qo e avente
1!.1 e 1!.2 com e vetìori di giacitura.
(iii) Si stabilisca se Q1 appartiene a s, e se appartiene a 1r.
Esercizio 9.3.10. Fissato un riferimento qffine RA( O , i, j , !sJ nello spazio, si de-
termini l 'equazione parametrica della retta T passante pei:-i punti P1 e P 2 di coor-
dinate (l , l , 2) e (- l , 3, 5), e si stabilisca se il punto Q di coordinate (0 , 3, - 2) è
un punto di T.

Esercizio 9.3.11. Fissato un riferimento affine RA( O , 'L, :j_) del piano, si conside-
rino le rette T ed 1.1 di rispettive equazioni parametriche

x = l+ 3t x = - l + t'
{ y = 2 +t, { y =- l + 2t' .

Si dimostri che T ed T1 si intersecano e si determini il punto di intersezione.

Esercizio 9.3.12. Sia Ta la retta del piano avente, in un fissato riferimento affine
RA( O , 'L, :j_), equazioni parametriche

x=2+t
{ y=-l+cd ,

dove a E !R. Si stabilisca per quali valori di a l 'o rigin e O è un punto diTa.

Esercizio 9.3.13. Fissa to un sistema di riferimento affine RA( O , 'L, :j_) nel piano,
siano T1 la retta passante per i punti di coordinate (- l , l) e (0, l) e sia T2 la retta
per i punti di coo rdinate (2 , 2) e (l, 0). Si provi che r1 e T2 si intersecano e si
determini il punto di intersezione.

Esercizio 9.3.14. Fissato un sistema di riferim en to affine RA( O , 'L , j) nel piano,
si consideri la retta T di equazioni parametriche -

x= l+ 3t
{ y = 2 +t.

Sia poi Sa la retta passante per i punti di coo rdinate (0 , a) e (2 , -l), dove a E R
S i stabilisca per quali valori di a le rette T e Sa si intersecano, e si determinino le
coordinate dell 'eventuale punto di intersezione.
Elementi di geometria analitica 385

Esercizio 9.3.15. Fissato un sistema di riferimento affine RA( O , i., j_, ]s_) nello
spazio, si considerino la retta r passante per i punti di coordinate (3 , O, 4) e
(-l , 2, -2) e la retta r1 passante per i punti di coordinate (2 , 2, 5) e (O , O, - 3).
Si dimostri che r1 e r si intersecano, e si individui il punto di intersezione.
Esercizio 9.3.16. Fissato un sistema di riferimento affine RA( O, i., j, !s.) nello
spazio, si considerino le rette r e Sa di equazioni parametriche -

x=- l+t x= -l+ at'


y=l y = l + (a + l )t'
{ {
z = l+ t , z = 2- at' ,
dove a E !R. Si stabilisca per quali valori di a le rette r e sa si intersecano, e si
determinino le coordinate dell'eventuale punto di intersezione.

9.4 Equazioni cartesiane di rette e piani


Sia RA( O , i_, j) un riferimento affine del piano E 2 e siano P 0 e P 1 punti distinti di
- --7 --7
E2, di coordinate (x , Yo) e (Xl, Yl) rispettivamente. Il vettore w = O P1 - O Po
0
di componenti (x1 - xo, Yl - yo) è un vettore direttore della retta r per i punti Po
e P 1 . Ciò comporta che un punto P E E 2 di coordinate (x, y) appartiene arse
~ --7
e solo se il vettore 1! = OP- OPo di componenti (x - xo, y - yo) appartiene
al sottospazio generato da w, e quindi se e solo se le sue componenti risultano
proporzionali a (x l - xo, Yl- yo). Pertanto i punti dir sono tutti e soli i punti del
piano le cui coordinate (x, y) soddisfano l'equazione

det ( x- xo Xl - xo ) =O. (9.4.1)


Y- Yo Yl- Yo

Nel caso in cui xo =f. x1 e Yo =f. y1, la (9.4.1) equivale a


x- xo y- Yo
,
x1- xo Yl- Yo
ovvero

(Yl - Yo)x + (xo- x 1)Y + (Yo - yl) xo + (x1 - xo)Yo = O,


che, posto a = Yl - yo, b = xo - x1 e c= (yo - yl) xo + (x1 - xo)yo, diventa

ax +by+ c= O. (9.4.2)

La (9.4.2) è l'equazione cartesiana della retta r. Si noti che ( -b, a) sono parame-
tri direttori dir, pertanto se a' x+ b1y +c' = Oè l'equazione cartesiana di un'altra
retta r', allora 9.3.6 assicura che r ed r' sono parallele se e solo se

ab'- ba'= O.
386 Capitolo 9

9.4.1. Esempio. Si considerino i punti A e B del piano che in un fi ssato riferi-


mento affine hanno coordin ate (3 , 5) e ( - 2, -4) rispettivamente. Apparte ngono
alla retta AB tutti e soli i punti P del piano le cui coordinate (x, y) sono tali che

x - 3 y -5
-5 --=9 '
da cui si ricava l' equ azione cartes iana 9x - 5y - 2 = O della retta AB .

Sia ora RA ( O ,i., j_ , li) un riferimento affine dello spazio e siano Q0 , Q1 e Q2 tre
punti non allineati di coordinate (xo , Yo , zo), (x1, Yl , zl) e (x2, y2 , z2 ) ri spettiva-
--? --7 --7 --7
mente. I vettori w 1 = OQ1 - OQo e w 2 = OQ2 - OQo , rispettivamente di
compone nti (x l - xo, Yl - Yo , z1 - zo) e (x2 - xo, Y2 - Yo , z2 - zo) , costitui-
scono una coppia di vettori di giacitura del pi ano n individuato da Qo, Q1 e Q2 .
Pertanto un punto P di coordinate (x , y , z ) appartie ne a n se e solo se il vettore
----t --7
w = O P - OQo dipende linearme nte da { w 1 , w 2 } , e quindi se e solo se la matrice

x - xo y - Yo z - zo )
x 1 - xo Yl - Yo z1 - zo E M3,3 ( ~ )
(
x2 - xo Y2 - Yo z2 - zo

ha determinante uguale a zero. Sviluppando il determinante di tale matrice si


ottiene un 'equazione del tipo

ax + ùy + cz + cl = O. (9.4.3)

Appmtengono dunque al piano n tutti e soli i punti dello spazio le cui coordina-
te (x , y , z), nel riferimento affine considerato , soddi sfano l' equazione di primo
grado (9.4.3) nelle incognite x, y , z , detta equazione cartesiana del piano n.

9.4.2. Esempio. Si considerino i tre punti dello spazio che in un fi ssato rife rimen-
to affine hanno coordinate (0 , 3 , -2) , (- l , 7 , 0 ), (5 , - 2, l ). L' equazione cartesia-
na del piano n che contie ne tali punti si ottiene uguagliando a zero il determinante
della matrice
x y- 3
z+2 )
~
- l 4
( 5 -5 '
ed è quindi 22x + 13y - 15z - 69 = O.

Per determinare, in un riferimento affine dello spazio, l 'equazione cartesiana della


retta T per i punti di coordinate (xo , yo, zo) e (:r1 , y1 , zl), basta osservare che il
punto di coordinate (x, y , z) è un punto di T se e solo se il vettore di componenti
(x- xo , y - yo , z- zo) è proporzionale al vettore direttore di T che ha componenti
(x l - xo, Y1 - Yo , z1 - zo) . Ciò equivale a richiedere che la matrice

x - x0 y - y0 z - z0 )
( x 1 - xo Yl - Yo z1 - zo
Elementi di geometria analitica 387

abbia rango l. Nel caso in cui xo i- XI, Yo i- YI e zo i- ZI questo accade se e


solo se x , y, z soddisfano la relazione
x- x 0 Y- Yo z - zo
(9.4.4)
XI- XQ YI- Yo ZI - ZQ

Tale relazione equivale a un sistema di due equazioni di primo grado in x, y, z .


Ciascuna delle due equazioni di (9.4.4) è l'equazione cartesiana di un piano, e
l'intersezione di tali piani è appunto la retta r. Pertanto la (9.4.4) costituisce
l'equazione cartesiana della retta r.
9.4.3. Esempio. Si considerino i punti P e Q dello spazio aventi, in un assegnato
riferimento affine, coordinate (1 , -2, 5) e ( -4, O, 3) rispettivamente. Apparten-
gono alla retta PQ tutti e soli i punti dello spazio le cui coordinate x, y , z sono
tali che
x- l y+2 z- 5
-5 2 -2
Dunque i punti della retta PQ sono tutti e soli i punti del piano le cui coordinate
soddisfano il sistema
x -l_y+2
-- --
-5 2
{ y+2_ z -5
2 - -2 '
ovvero
2x + 5y + 8 =O
{ y + z - 3 =o.

Esercizi
Esercizio 9.4.1. Siano A, B, C e D i punti che in un fissato riferimento affine
delpianohannocoordinate (-1,15), (7,2), (-2,7) e (5 , -38) rispettivamente.
Dopo aver scritto le equazioni cartesiane delle rette AB e C D, si stabilisca se
esse sono parallele o incidenti, e in quest'ultimo caso si determinino le coordinate
del punto di intersezione.

Esercizio 9.4.2. Indicato con h un parametro rale, si considerino i punti Ah e


C che in un fissato riferimento affine del piano hanno coordinate (h + 3, l) e
(-3, 14) rispettivamente. Dopo aver scritto l'equazione cartesiana della retta
Ah C, si determinino gli eventuali valori del parametro h per i quali la retta Ah C
è parallela ad uno degli assi del riferimento,

Esercizio 9.4.3. Sia RA( O, i., j, k) un riferimento affine di E3 e siano A, B


e Ch (con h E JR) i punti di c-;ordinate (1 , -1 , -1), (0 , 2, 0) e (1- h, 11,5)
rispettivamente.
(i) Per quali valori di h tali punti sono allineati?
(ii) Posto h = O si scriva l'equazione cartesiana del piano per A, B e Co.
388 Capitolo 9

Esercizio 9.4.4. Sia RA( O , i_, j, k) un riferimento affine di E 3 , e siano A, B,


C, Dh i punti di coordinate (l, O, 2), (0 , 3, l), (1, l , l), (0 , O, h) rispettivamente,
dove h è un parametro reale.
(i) Per quali valori di h tali punti appartengono allo stesso piano?
(ii) Dopo aver determinato le rispettive equazioni cartesiane, stabilire se esisto- ·
no valori del parametro h per i quali la retta T per A e B e la retta sh per C
e Dh sono parallele.

Esercizio 9.4.5. In un riferimento affine RA( O , i_ , j , k) dello spazio euclideo E 3


si scrivano l 'equazione cartesiana del piano 1r per T'origine O una cu i coppia di
vettori di giacitura sia costituita dai vettori di componen ti (3 , -2, l), (-4, O, 7),
e quella della retta T passante per i punti A e B di rispettive coordinate (-l , 4, O)
e (l , l, -2). Si stabilisca se la retta T e il piano 1r sono paralleli o incidenti, e in
quest'ultimo caso si determinino le coordinate del punto di intersezion e.

Esercizio 9.4.6. In un r(ferimento affine RA(O ,i_,j,k) dello spazio euclideo E 3


si scrivano le equazioni cartesiane del piano 1r che contiene i punti A, B, C di
coordinate (-1,4, 0), (7 ,-3,5), (1 , 1,-2) rispettivamente, e della retta T per
l'origine O il cui vettore direttore abbia componenti (16, - 14, 10). Si stabilisca
se la retta T e il piano 1r sono paralleli o incidenti.

Esercizio 9.4.7. In un riferimento affine RA( O , i_ , j , k) dello spazio euclideo E 3


si scrivano le equazioni cartesiane del piano 1r per l'origine O una cu i coppia di
vettori di giacitura sia costituita dai vettori di componenti (3 , -2 , l) e ( -4, O, 7),
e quelle della retta T passante per i punti A e B di rispettive coordinate (- l , 4, O)
e (l , l, -2 ). Si stabilisca se la retta T e il piano 1r sono paralleli o incidenti, e in
quest'ultimo caso si determinino le coordinate del punto di intersezione.

Esercizio 9.4.8. Sia RA( O , i_, j_, k) un riferimento affine dello spazio euclideo.
(i) Si scriva l 'equazione cartesiana della retta T per il punto A di coordinate
(l , 2, 3) parallela alla retta congiungente i punti B di coordinate ( -2, 2, O)
e C di coordinate ( 4, -l, 7).
(ii) Si scriva l'equazione cartesiana della retta s congiungente i punti E di
coordinate (l , -l, 8) e F di coordinate (lO , -l, 11 ).
(iii) Si dimostri che le rette T e s sono incidenti e si determinino le coordinate
del punto di intersezione.

9.5 Equazione cartesiana della circonferenza


Per il resto del presente capitolo, la trattazion e richiede nozioni elementari di
trigonometria. Il Lettore che non ne fosse in possesso può riferirsi a un qualunque
testo di trigonometria piana per le scuole medie superiori.

Sia RA( O , i_, j) un riferimento affine orto normale del piano E 2 , ossia tale che i
vettori i_ e j_ abbiano lunghezza unitaria e siano ortogonali (cioè formino un angolo
Elementi di geometria analitica 389

di ~ radianti).

/.
/ J
h ..__ -
.. ..... / ..... ..__
l
l x xo
l /
l / ----t

.,.è.1 / / -OP

2
Se P è un punto di [ di coordinate (xo, Yo), il teorema di Pitagora assicura che

quindi la distanza del punto P dall'migine, ovvero la lunghezza del segmento


OP, è data da
d( O, P)= ) x6 + Y6·
-+ ----t
Tale numero reale viene anche indicato con Il O P Il e detto norma del vettore OP.
Se Q è un altro punto di [ 2 di coordinate (x, y), ancora il teorema di Pitagora
assicura che
----t ----t
d(P, Q)= y'(x- xo) 2 + (y- Yo? = IIOQ- OPI l·
Dato un numero reale positivo r la circonferenza r(P, r) di centro il punto P
e raggio r è definita come l'insieme di tutti e soli i punti del piano aventi da P
distanza r; cioè:
f(P,r) :={Q E E2 : d(P,Q) = r}.
Pertanto il punto Q di coordinate (x, y) appartiene alla circonferenza r (P, r) se e
solo se J(x- xo)2 + (y- yo)2 = r, ovvero se e solo se

(9.5.1)

da cui
(9.5.2)
La (9 .5 .2), di secondo grado nelle incognite x e y, è l'equazione cartesiana della
circonferenza r (P, r).
390 Capitolo 9

9.5.1. Esempio. Sia P il punto del piano di coordinate ( -3, 5). La circonferenza
di centro P e raggio v'2 è costituita da tutti e soli i punti del piano le cui coordinate
(x , y) soddisfano la relazione (x+ 3) 2 + (y- 5) 2 = 2, ovvero

2
x + y 2 + 6x - lOy + 32 = O.

Quest' ultima è appunto l'equazione della circonferenza di centro P e raggio /2.


È poi immediato osservare che ogni equazione di secondo grado del tipo

x
2
+ y 2 + clx + ey + f = O

nelle incognite x e y , con


cl2 e2
-4 + -
4
- f > O'
è l'equazione cartesiana di una circonferenza, e precisamente della circonferenza
di centro il punto P di coordinate (- ~ , - ~) e raggio J~ + ~: - f.
2

9.5.2. Esempio. L'equazione x 2 + y 2 + 3x + 5y + 7 = O è l'equazione della


circonferenza di centro il punto di coordinate (- ~, - ~) e raggio /[.

Esercizi
Esercizio 9.5.1. Considerato il punto P che in un fissato riferimento ortonormale
del piano ha coordinate (1, -5), si scriva l 'equazione cartesiana della circonfe-
ren za di centro P e raggio 3, e si stabilisca se l'origine del riferim ento appartiene
a tale circonferenza.

Esercizio 9.5.2. Si scriva l'equazion e cartesiana della circonferenza di centro il


punto di coo rdinate ( - 7, l) e che passa per il punto di coordinate (- 2, 5).

Esercizio 9.5.3. Si stabilisca se l 'equazion e x 2 + y2


- 7x + 12y - 9 = O è
l 'equazione cartesiana di una circonferenza e, in caso affermativo, se ne deter-
minino il ragg io, le coordinate del centro e le coordinate degli eventua li punti di
intersezione con gli assi del riferim ento.

Esercizio 9.5.4. Si determinino le coordinate degli eventuali punti di intersezione


della circonferenza di equazione x 2 + y 2 + 7x - 4y + 2 = O con la retta di
equazione x - 3y = O.

Esercizio 9.5.5. Si determinino le coordinate degli eventuali punti di interse-


zione tra la circonferenza fo di centro l 'origine del riferimento e raggio 3 e la
circonferenza r di equazione x 2 + y2 - 5x + 3y = O.
Elementi di geometria analitica 391

9.6 Spazi vettoriali metrici


Nel seguito, per angolo tra rette o vettori si intenderà sempre un angolo di ampiez-
za compresa tra O e 1r radianti. Poiché la funzione coseno è biettiva nell'intervallo
[0, 1r], per determinare l'angolo tra due vettori o tra due rette basterà calcolarne il
coseno.
Si supponga dunque di voler calcolare cos () dove () è l'angolo formato dai
----) ----)

vettori 12_1 = OP1 e 12_2 = OP2 aventi, in un assegnato riferimento ortonormale


del piano, componenti (x1, yl) e (x2, Y2) rispettivamente.
f:.

~~~·
} •p'
• 1/J • •
................ .............. ..... ........ ················>

0 X2 Xl

Indicato con 1/J l'angolo che 12_1 forma con l'asse x, si ha che 12_2 forma con l'asse
x l'angolo()+ 1/J, e risulta:
Xl Yl
cos 1/J = ll12.1ll ' sen 1/J = ll12.1ll '
X2 Y2
cos(V;+()) = ll12.2ll' sen( 1/J + ()) = ll12.2ll '

cioè, per le formule di addizione di coseno e seno,

cos 1/J cos () - sen 1/J sen () = Il:~ Il


(9.6.1)
Y2
{ sen 1/J cos () + sen () cos 1/J = ll12. ll .
2
Si riguardi (9.6.1) come un sistema lineare nelle incognite sen ()e cose. Allora la
matrice dei coefficienti ha determinante

Pertanto il sistema ha un'unica soluzione, che si può calcolare per esempio con la
regola di Cramer, ottenendo:

Se si definisce il prodotto scalare (!h, Q 2 ) dei vettori 12_1 e 12_2 ponendo

(12.1, 12.2) := Xl X2 + YlY2 ,


392 Capitolo 9

si ha che

In particolare, per ogni Q E VJ risulta

I vettori y_ 1 e y_ 2 sono ortogonali se e solo se e= ~, cioè se e solo se

e quindi se e solo se (y_ 1 ,y_ 2 ) = x 1x2 + Y1Y2 = O. Analogamente y_ 1 e y_ 2 sono


linearmente dipendenti se e solo se si trovano sulla stessa retta, quindi se e solo se
e E {0 , 7f } , ovvero se e solo se cose= ± l. Ciò equivale a richiedere che risulti

Analoghi discorsi posso no essere fatti in JR 3 (una volta che si sia identificato ogni
vettore di vg con il vettore numerico delle sue componenti in una base {i., j , .6;_} or-
tonormale, cioè costituita da vettori di lunghezza unitaria a due a due ortogonali),
o più in generale in IR 11 •
Sia IR 71 l'usuale spazio vettoriale di dimensione n sul campo reale IR; si dice
prodotto scalare canonico in IR 11 l'applicazione
( ' ) : !Rn X !Rn ---+ JR

definita ponendo

per ogni Q (v1 , v2 , ... , v 11 ), w = (wL w2, ... , wn) E IR 71 . La norma di un


vettore Q= (v1, v2, ... , vn) di IR 71 è poi definita da

Si noti che per ogni y_ E IR 11 risulta (y_, y_) 2: O, quindi la norma di un vettore è un
numero reale non negativo.
Due rette dello spazio o del piano euclideo sono perpendicolari se e solo se
lo sono i rispettivi vettori direttori. Da ciò segue subito che:

9.6.1. Criterio di ortogonalità tra rette nello spazio. Due rette aventi, m
un assegnato riferimento ortogonale dello spazio, parametri direttori (l , m. n)
e (h. m1 , n1) rispettivamente, sono ortogonali se e solo se

((l, m , n) , (h , m1. n1)) = lh + mm1 + nn1 =O.


Elementi di geometria analitica 393

Analoga condizione sussiste per le rette del piano euclideo.

9.6.2. Criterio di ortogonalità tra rette nel piano. Due rette aventi, in un as-
segnato riferimento ortogonale del piano, parametri direttori (l, m) e (h, m 1 )
rispettivamente, sono ortogonali se e solo se

((l, m), (h, m1)) = lh + mm1 =O.

9.6.3. Esempio. Siano r, se t le rette del piano aventi, in un fissato riferimento


ortogonale, equazioni 2x + 7y +l = O, 7x- 2y + 5 = O e 5x + 2y- 3 = O
rispettivamente. I vettori direttori hanno componenti ( -7, 2), (2, 7) e ( -2 , 5)
rispettivamente. Pertanto, essendo ( ( -7, 2), (2 , 7)) = O, ( (-7, 2), ( -2, 5)) i= Oe
(( -2, 5), (2, 7)) i= Osi ha che r ed s sono perpendicolari mentre non lo sono nè
re t nè se t.
Il prodotto scalare canonico in !R71 gode delle seguenti proprietà:

9.6.4. Per ogni :y_, :y_1, :y_2, w, w1, w2 E ~n e per ogni a E IR risulta:
(i) (:y_l + 1!.2, w) = (:y_l , w) + (1!.2) w);
(ii) (a:y_, w) = a(:y_, w);
(iii) (:y_, w1 + w2) = (:y_, w1) + (:y_, w2);
(iv) (:y_, aw) = a(:y_, w);
(v) (:y_,w)=(w,:y_).
Inoltre:
(vi) per ogni:!!. E ~n \ {Q} esiste un vettore w E !R71 tale che (:y_, w) i= O;
(vii) per ogni :y_ E JR 71 \ {Q} risulta (:y_, :y_) > O.

Dimostrazione. Esercizio. D

Le proprietà (i) - (iv) esprimono il fatto che il prodotto scalare canonico in !R71 è
bilineare, la (v) che esso è simmetrico, la (vi) che è non degenere, la (vii) che è
definito positivo. Semplicemente utilizzando queste proprietà si può provare che
la distanza tra due punti P e Q di !R71 , definita ponendo
------) ------)

d(P, Q):= IIOP- OQII,


e l'angolo tra due vettori :y_ e w, definito ponendo

godono delle usuali note proprietà. Tale approccio consente di ricostruire la geo-
metria euclidea in !R71 usando il prodotto scalare canonico. In realtà quest'ultimo
394 Capitolo 9

può essere sostituito da una qualunque applicazione JR 71 x JR" ------> lR che verifi-
chi le proprietà elencate in 9 .6.4. Ciò suggerisce di introdurre le definizioni che
seguono.
Sia V uno spazio vettoriale sul campo reale lR. Unaforma bilineare su V è
un ' applicazione 9 : V x V ------> lR tale che:
(i ) 9(12.1 + 12.2 , w) = 9(12_ 1 ,w ) + 9(12_2 , w) perogni 12_1 ,12_2 , w E V ;
(ii) 9(12., w 1 + w2 ) = 9(12., w1 ) + 9(12., w2 ) per ogni 12_, w 1 , w2 E V ;
(iii ) 9( a12_, w) = a 9(12., w) per ogni 12_, w E V e per ogni a E JR;
(iv ) 9(12., aw ) = a 9(12., w) per ogni 12_, w E V e per ogni a E lR.
Una forma bilineare 9 su V che sia simmetrica, ossia tale che 9(12., w) = 9( w, 12.)
per ogni 12_, w E V , è detta prodotto scalare su V. In tal caso il numero reale
9(y_, w) viene di solito denotato col simbolo (12., w), e 9 col simbolo (, ).

9.6.5. Sia ( , ) : V x V ------> lR un prodotto scalare in V. Allora l'insieme

è un sottospazio di V, detto il nucleo del prodotto scalare.

Dimostrazione. Si noti innanzi tutto che Q E V .l in quanto (Q, w) = O per ogni


w E V essendo O+ (Q, w) = (Q, w) = (Q+ Q, w) = (Q, w) + (Q, w) . Siano poi
12_1 , 12_2 E V .l e o·, (J E lR. Allora, per ogni w E V , si ha che (a 12_1 + /312_2 , w) =
(a12_ 1 , w) + (/312_2 , w) = a(12_1 , w) + (3(Q 2 , w) = aO + /30 = O, e questo assicura
che a12_1 + /312_ 2 E V .l . L' asserto segue allora da 8.2.2. D

Un prodotto scalare ( , ) in V è detto 11011 degenere se il suo nucleo è il sottospazio


nullo, ossia se V .l = {Q}. Infine ( , ) è detto definito positivo se (12., 12.) > O per
ogni 12. E V \ {Q} . Si noti che un prodotto scalare definito positivo è sempre non
degenere. Infatti in tal caso da 12. E V .l segue (Q, w) = O per ogni w E V; in
particolare (12_, 12_) = O, e quindi Q = Q.
Un qualunque spazio vettoriale sul campo reale che sia munito di un prodotto
scalare definito positivo viene detto uno spazio vettoriale metrico. Se 1/ è uno
spazio vettoriale metrico allora la norma o lunghezza di un vettore 12. E 1/ viene
definita mediante la posizione

11 12.1 1 : =~.
La distanza tra due vettori 12. e w di V è poi il numero reale

Si noti che
cl(1!_, 12.) = o
Elementi di geometria analitica 395

essendo Il~- ~11 = IIQII =O, e che


d(~ , !!l.)= d(w,~) ,

in quanto llw- ~Il= J(w- ~,w-~)= J(~- w,~- w)= Il~- wl l·


9.6.6. Sia V uno spazio vettoriale metrico. Allora:
(i) 11~11 =O se e solo se~= Q;
(ii) 11~11 >O per ogni ~ E V\ {Q};
(iii) 1 1>,~ 11 = 1>-1· 11~11 per ogni ~ E V e per ogni À E IR,
Il~+ wll 2 = 11~11 2 + 2(~, w)+ llwll 2 per ogni~. w E V;
(iv) l(~,w)l ~ ll~ll · llwii Perogni~,w E V,
1(~, w)l = 11~11· llwll se e solo se{~, w} è linearmente dipendente;
(v) 111~11 - llwlll ~ Il~+ wl l ~ 11~11 + llwll, per ogni~. w E V;
(vi) (~,w)= Hl l~+ wll 2 - Il~ - wW) per ogni~. E V. w
Dimostrazione. Per provare la (i) basta osservare che 11~11 = ~ = Ose e
solo se (~, ~) = O e quindi se e solo se~ = O.
La (ii) segue subito dal fatto che per ogni~ E V\ {Q} risulta (~, ~) > O, e
quindi 11~11 =~>O.
Per quanto riguarda la (iii) , si noti che per ogni À E lR e per ogni ~ E V
tiesce 11>-~11 = J(>.~, >.~) = J>- 2 (~,~) = 1>-1~ = 1>-1 · 11~11· Inoltre, per
ogni~, w E V, risulta Il~+ wll 2 = (~+w,~+ w) = (~,~+w) + (w,~+ w) =
(~~~) + 2(~,w) +(w, w)= 11~11 2 + 2(~,w) + llwll 2 .
Per provare la (iv) si osservi che l'asserto è ovvio se ~ = O oppure w = O;
sia dunque~ i= Oe w i= O, e siano a,[J E JR. Allora O ~ Ila~+ f3wll 2 =
(a~+ [Jw,a~ + [Jw) = a 2 II~W + 2af3(~,w) + !3 2 llwll 2 . Posto a= llwll 2 e
f3 = -(~,w) si ottiene llwll 4 ll~ll 2 - 2llwW(~,w) 2 + llwll 2 (~, w) 2 ~ O, cioè
l(~, w) 1
2
~ llwll 2 ll~ll 2 e infine l(~, w) l ~ llwll · 11~11. L'uguaglianza vale se e
solo se a~ + [Jw = O, cioè se e solo se {~, w} è linearmente dipendente.
l11~11-llwlll = 11~11 2 + llwW- 211~11· llwll ~
2
La (v) segue dal fatto che
II~W + llwll 2 - 2l(~,w)l ~ 11~11 + llwll 2 + 2(~,w) = Il~+ wW ~ 11~11 +
2 2

llwll + 2ll~ll·llwll = (11~11 + llwll?.


2

Infine la (vi) si dimostra osservando che Il~+ wll 2 = 11~11 + llwiJ2 + 2(~, w)
2

e I l~- wW = II~W + llwll 2 - 2(~, w), pertanto Il~ +wll -Il~- wl l = 4(~, w)
2

e quindi(~, w)= ~(Il~+ wll -Il~- wll ).


2 2
D
La disuguaglianza al primo rigo in (iv) di 9.6.6 è nota come disuguaglianza di
Cauchy-Schwarz; la (v) come disuguaglianza triangolare . La disuguaglian-
za di Cauchy-Schwarz permette di definire l'angolo tra due vettori non nulli in
qualunque spazio vettoriale metrico V. Siano infatti ~,w E V \ {Q}; allora
1(~, w)l ~ ll~ll·llwll , da cui

l < (~, 1!2.) < l


-~~~ll ·llw ll- '
396 Capitolo 9

ed è possibile definire angolo tra~ e w l' unico e E [0 , 7r] tale che

Vettori~ e w di uno spazio metrico V si dicono ortogonali se (~ , w) = O. Dalla


seconda uguaglianza in (iii) di 9 .6.6 segue subito che se ~ e w sono ortogonali
allora Il~+ wll 2 = 11~11 2 + llwW: ciò permette di ritrovare il ben noto teorema di
Pitagora.

Esercizi
Esercizio 9.6.1. Fissato un riferimento ortonormale del piano, si provi che le rette
aventi equazioni cartesian e 3x - 2y + 7 = O e 4x + 6y + l = O sono ortogonali.

Esercizio 9.6.2. Fissato un riferimento ortonormale del piano si scriva l 'equa-


zione cartesiana della retta r ortogonale alla retta di equazione ax + by + c = O
e che passa per l 'origine del riferimento.

Esercizio 9.6.3. Fissato un riferimento ortonormale dello spazio euclideo, si


considerino le rette re r~,; (con k E IR) di rispettive equazion i parametriche

x= l+ 3t x= kt'
y = -4 + 2t y=3+(2-k)t'
{ {
z = -5t, z =o.
Per quali valori di k le due rette sono perpendicolari? Esistono valori di k per i
quali le due rette sono parallele?

Esercizio 9.6.4. Si dimostri 9.6.4.

9.7 Esercizi di riepilogo


Esercizio 9.7.1. Sia RA( O ,i_, j, !sJ un riferimento ortonormale dello spazio eu-
clideo E 3 . Si considerino il pim::O 7r di equazion e cartesiana 3x- 2y + 5z -l = O,
e la retta r di equazioni parametriche

x= -l+ 7t
y = -2t
{
z = 5 +t.
(i) Si determinino le coordinate del punto di intersezione P del piano 7r con la
retta r.
(ii) Si scrivano le equazion i parametriche della retta OP e si stabilisca se essa
è ortogonale a r.
Elementi di geometria analitica 397

(iii) Nel riferimento RA( O, i., j_) indotto sul piano xy, si scriva l'equazione car-
tesiana della circonferenza r di centro il punto Q di coordinate (-l, O) e
------;
raggio [[OP[[.
(iv) Si studi l 'intersezione della circonferenza r con la retta S, dove s è l 'inter-
sezione del piano 1r con il piano xy.

Esercizio 9.7.2. Sia RA(O,i.,j) un riferimento ortonormale del piano euclideo


E2 e si consideri la circonferen~a r a di equazione

x2 + y 2 + 2ax - 4y + 3a = O,

dove a è un parametro reale.


(i) Si determinino le coordinate del centro dir a e il suo raggio.
(ii) Si stabilisca per quali valori di a la circonferenza r a passa per l 'origine del
riferimento.
(iii) Si studi, in funzione di a, l'intersezione dir a con l'asse y.
(iv) Si scrivano le equazioni parametriche della retta passante per il centro di
r a e perpendicolare alla retta di equazione cartesiana x - 2y + l = O.

Esercizio 9.7.3. In un.fissato riferimento ortonormale RA(O,i.,j) di E2 si scri-


vano le equazioni cartesiane della circonferenza rk di centro il punto Pk di coor-
dinate (k, 2- k) e raggio l (dove k è un parametro reale), e della retta r per i
punti A e B di coordinate (o,
2) e (2, O) rispettivamente, e si studi, al variare di
k E R l'insieme rk n r.

Esercizio 9. 7 .4. Sia RA( O ,i., j, k) un riferimento affine dello spazio euclideo
E3 e siano A, B, Chi punti di coordinate (1,-1,2), (0,3,-1) e (-2,h,-7)
rispettivamente, dove h è un parametro reale.
(i) Si stabilisca per quali valori di h i punti A, B e Ch sono allineati.
(ii) Posto h = O, si scrivano le equazioni parametriche del piano 1r per i punti
A, Be Co.
(iii) Si consideri il piano 1r1 di equazioni parametriche

x=2-a
y = l + 4a - 11,6
{ z = 3- 3a

e si stabilisca se i piani 1r e 1r 1 sono paralleli.

Esercizio 9.7.5. In un riferimento affine RA( O, i., j, !5.) dello spazio euclideo E3
si considerino le rette rk ed s di rispettive equazioni parametriche

x= l+ kt x= 5- 2t'
y = -7t y =l+ 14t'
{ {
z = -2 + (1- k)t z = 3,
398 Capitolo 9

dove k è un parametro reale.


(i) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono parallele.
(ii) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono sghembe.
(iii) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono incidenti.
(iv) Sia 7f i/ piano di equazioni parametriche

x = l + 3a - 2/3
y = -2 + f3
{
z = 5 - a+ 5/3.
Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali la retta rk è
parallela al piano 1r.

Esercizio 9.7.6. In un riferimento affine RA(O ,i., j , Js.) dello spazio euclideo E 3
si considerino le rette rk ed s di rispettive equazioni parametri che

x = -l+ kt x= 3 + 4t'
y = -lOt y =l+ 20t1
{ {
z = 3 + (k + 2)t z =o,

dove k è un parametro reale.


(i) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono parallele.
(ii) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono sghembe.
(iii) Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali le rette rk ed
s sono incidenti.
(iv) Sia 7f i/ piano di equazioni parametri che

x=l+a
y = -2 +a+ f3
{ z = 3- a+ 2/3.

Si determinino gli eventuali valori del parametro k per i quali la retta rk è


parallela al piano 1f.
10
Reticoli, grafi, alberi

10.1 Reticoli
Siano L un insieme non vuoto e :S una relazione d'ordine in L. L'insieme ordina-
to (L , :S) è detto reticolo se per ogni x, y E L esistono su p L {x, y} e infL{ x, y }.
In tal caso, ponendo x V y := supdx,y} e x 1\ y := infL{ x, y} , restano defi-
nite due operazioni interne V e 1\ in L, dette rispettivamente unione reticolare e
intersezione reticolare. Si verifica agevolmente che per ogni x, y , z E L si ha:
xVx=x=xl\x, (10.1.1)
x V y = y V x,
(10.1.2)
x(\ y = y (\x,

x V (y V z) = (x V y) V z,
(10.1.3)
xl\ (y l\z ) = (xl\ y) l\z,
x V (x 1\ y) = x= x 1\ (x V y). (10.1.4)

Le uguaglianze (10.1.2) e (10.1.3) esprimono il fatto che le operazioni V e 1\


sono commutative e associative; le (10.1.1) che esse sono anche iterative; infine
le (10.1.4) sono dette leggi di assorbimento.

10.1.1. Sia L un insieme non vuoto dotato di operazioni interne V e 1\ che veri-
fichino (10.1.1)- (10.1.4). Allora y = x V y se e solo se x = x 1\ y. Inoltre la
posizione
x :S y :{=:::> x =x 1\ y
definisce una relazione d'ordine in L, e la coppia (L, :S) è un reticolo in cui
x Vy = supL {x,y} e x 1\ y = infL{x,y} per ogni x,y E L.

Dimostrazione. Se y =x V y, la (10.1.4) assicura che x= x 1\ (x V y) =x 1\ y;


analogamente da x = x 1\ y segue y = x V y. Pertanto y = x V y se e solo se
x= x(\ y.
Per ogni x E L, la (10.1.1) garantisce che x :S x. Se poi x, y E L sono tali
che x :S y e y :S x allora x =x 1\ y = y 1\ x = y. Infine se x, y , z E L verificano
400 Capito lo 1O

x ::; y e y ::; z allora risulta x = x 1\ y e y = y 1\ z , da cui x 1\ z = (x 1\ y) 1\ z =


x 1\ (y 1\ z ) = x 1\ y = x , il che significa x ::; z . Pertanto ::; è una relazione
d' ordine in L.
Si ha x V (x V y) = (x V x ) V y = x V y , cioè, per quanto provato prima,
x 1\ (x V y) = x , e quindi x ::; x V y. Analogamente y ::; x V y, pertanto x V y è un
maggiorante di { x, y}. Sia ora z un qualsiasi maggiorante di {x, y}. Allora x ::; z
ey ::; z, esihaanche xVz = z = y Vz . Nesegueche zV (xv y) = (zvx )V y =
z V y = z , pertanto x V y ::; z . Tutto ciò prova che x V y = supL {x, y}.
Infine si verifica facilmente che (x 1\ y) 1\ x = x 1\ y, quindi x 1\ y ::; x,
e analogamente (x 1\ y) 1\ y = x 1\ y , da cui x 1\ y ::; y. Pertanto x 1\ y è un
minorante di {x, y }. Se z è un minorante di {x , y }, da z ::; x e z ::; y segue
z 1\ (x 1\ y) = (z 1\ x) 1\ y = z 1\ y = z , quindi z ::; x 1\ y. Ciò dimostra che
x 1\ y = inf L {x, y} , e l' asserto è completamente provato. O

In virtù di l 0.1.1 è del tutto equivalente pensare a un reticolo come a un insieme


ordinato in cui esistono estremi superiore e inferiore di ogni sottoinsieme di or-
dine 2, oppure a una struttura algebrica dotata di due operazioni interne iterative,
commutative e associative che verifichino le leggi di assorbimento. Si osservi che
la (10.1.1) è conseguenza della (10.1.4), essendo x V x= (x 1\ (x V x )) V x=
x V (x 1\ (x V x)) = x, e analogamente x 1\ x = x.

10.1.2. Principio di dualità dei reticoli. Sia P un enunciato in cui intervengono


le operazioni V e 1\, e sia P * l'enunciato che si ottiene da P scambiando tra loro
V e 1\. Se P è valido per ogni reticolo, allora anche P * è valido per ogni reticolo.

Dimostrazione. Basta tener presente che nella definizione di reticolo come strut-
tura algebrica le operazioni V e 1\ si comportano in maniera simmetrica rispetto
alle proprietà (10.1.1)- (10.1.4). O

Gli eventuali massimo e minimo di un reticolo vengono di solito denotati rispet-


tivamente con l e O. Nel seguito, laddove ciò non generi confusione, un reticolo
(L , :S: ) venà denotato semplicemente con L. Un sottoinsieme f\,1[ di L si dice
un sottoreticolo di L se per ogni x , y E M risulta x V y E M e x 1\ y E M.
Ovviamente tra i sottoreticoli di L vi è L stesso, un sottoreticolo f\,1[ -::f. L è un
sottoreticolo proprio. Dalla definizione è evidente che {x } è un sottoreticolo di
L, per ogni x E L. Inoltre se f\,1[ è un sottoreticolo di L e N è un sottoreticolo
di f\,1[, allora N è un sottoreticolo di L. Infine se D è un insieme non vuoto di
sottoreticoli di L , anche nME!1 ]1,1[ è un sottoreticolo di L .

10.1.3. Sia (L , :S: ) un insieme ordinato, e siano x , y E L . Sono equivalenti:


(i) supL{x, y} = y;
(ii) x ::; y;
(iii) infL{ x, y} = x .
Reticoli, grafi, alberi 401

Dimostrazione. Per provare l'equivalenza tra (i) e (ii) basta osservare che se
su p d x, y} = y allora y è un maggiorante dell'insieme {x , y}, quindi x ::;:
y. Viceversa, se x ::;: y, allora y è il massimo dell'insieme {x , y }, pertanto
supL{x,y} = y (vedi 2.4.15).
L'equivalenza tra (ii) e (iii) è del tutto analoga. O

Per la 10.1.3, nel verificare se un insieme ordinato è un reticolo basta prendere in


considerazione soltanto le coppie costituite da elementi non confrontabili.

10.1.4. Ogni insieme totalmente ordinato è un reticolo.

Dimostrazione. Sia (L, :S: ) un insieme totalmente ordinato. Allora due elementi
di L sono sempre confrontabili, e l'asserto segue da 10.1.3. O

10.1.5. Esempio. Sia S un insieme, e si consideri l'insieme ordinato (P(S) , ç:),


dove P(S) è l'insieme delle patti di S e ç: è la usuale relazione d'inclusione
insiemistica. Si vede agevolmente che P(S) è un reticolo, detto il reticolo delle
parti di S. Esso ha S come massimo e 0 come minimo. Per ogni X, Y E P(S)
risulta X VY = X UY e X 1\ Y = X n Y. È anche evidente che i sottoinsiemi fini ti
di S costituiscono un sottoreticolo di (P(S), ç:), che risulta privo di massimo se
S è infinito.
10.1.6. Esempio. L'insieme parzialmente ordinato (No , 1). dove l denota la rela-
zione del "divide", è un reticolo, detto il reticolo dei numeri naturali. Esso ha il
numero O come massimo e il numero l come minimo. Per ogni x, y E No risulta
xV y = mcm(x , y) e xl\y = MCD(x , y). Èancheevidentecheperognin E No
l'insieme dei divisori positivi di n costituisce un sottoreticolo di (No , 1), avente n
come massimo e l come minimo.

10.1.7. Esempio. Sia G un gruppo, e si denoti con L( G) l'insieme dei sotto gruppi
di G. Denotata con ç: l'usuale inclusione, l'insieme ordinato (L( G), ç:) è un
reticolo, detto il reticolo dei sottogruppi di G. Esso ha G come massimo e {l}
come minimo. Per ogni H, K E L( G) risulta H VK = (H, K) e H 1\ K = HnK.
Se il gruppo G è infinito, l'insieme dei sottogruppi finiti di G non è, in generale,
un sottoreticolo di L( G). Invece l'insieme dei sottogruppi normali di G è sempre
un sottoreticolo di L (G) .

10.1.8. Esempio. Sia S uno spazio vettoriale su un campo F , e si denoti con


L l'insieme dei sottospazi di S. Allora (L , ç:) è un reticolo, detto il reticolo
dei sottospazi di S. Esso ha S come massimo e {O} come minimo. Per ogni
H , K E L 1isulta H V K = H+ K e H 1\ K = H n K.

Esercizi
Esercizio 10.1.1. Si dimostri quànto affermato in 10.1.5 -10.1.8.
402 Capitolo 1O

Esercizio 10.1.2. Sia A= {n E N: nl50} l 'insieme dei divisori positivi di 50. Si


disegni il diag ramma di Hasse del reticolo (A, l), e si determinino (5 V 2) 1\ 25,
(1/\2)V25.
Esercizio 10.1.3. Sia B = {n E N : nl8 1} l'insiem e dei divisori positivi di 81. Si
disegni il diagramma di Hasse de l reticolo (B , l), e si determinino (9 V 27) 1\ 3,
(1/\ 9) v 81.
Esercizio 10.1.4. Sia C= {n E N: nl l 65} l'insiem e dei divisori positivi di 165.
Si disegni il diagramma di H asse del reticolo (C, l), e si determinino (55 V 5) 1\ 11,
(51\ 11) v 33.
Esercizio 10.1.5. Sia D = {n E N : nl l 573} l 'insieme dei divisori positivi
di 1573. Si disegni il diagramma di Hasse de l reticolo (D , 1), e si dete rminino
(143 v 121) 1\ 13, (143 1\ 11) v 13.
Esercizio 10.1.6. Si dimostri che un reticolo non può possedere più di un elemento
massimale. Se questo esiste, esso coin cide col massimo del reticolo.
Svolgimento. Sia a un elem ento massimale del reticolo (L,::;). Per ogni x E L
risulta a ::; x V a, quindi a = x V a per la m assimalità di a, e da l 0.1.3 segue
x ::; a. Pertanto a è il massimo di L. L'unicità del massimo prova allora l' unicità
di a come elemento massimale in L.

Esercizio 10.1.7. Si dimostri che un reticolo non può possedere più di un elem en to
minima/e. Se questo esiste, esso coin cide col minimo del reticolo.
Esercizio 10.1.8. Si consideri la relazione ç; definita nell 'insieme No ponendo

a ç; b :<==:::> a = b oppure 2a < b,


dove < denota l 'usuale ordine stretto su No. Si verifichi che ç; è una re/a zione
d 'o rdin e in No. Si stabilisca poi se l 'insieme ordinato (No, ç;) è un reticolo.
Esercizio 10.1.9. Nell'insieme V= {5h + l : h E Z } si consideri la relazion e ç;
definita ponendo

5h +l ç; 5k +l :<==:::> h = k oppure lhl < lkl,


dove < indica la re/azion e d 'o rdin e usuale in No.
(i) Si verifichi che ç; è una relazione d'ordine in V .
(ii) Si stabilisca se (V, ç;) è un reticolo.
(iii) Sia W = { -19, - 14, -9, -4, l , 6, 11 , 16, 21 }. Si disegni il diagramma di
Ha sse di (W, ç;).
Eset·cizio 10.1.10. Un reticolo L è completo se per ogni sottoinsiem e non vuoto
X di L esistono su pL X e infL X. Si dimostri che ogni reticolo finito è completo.
Suggerim ento. Se X è un qu al unque sottoinsieme finito e non vuoto di un reticolo
L , non necessariamente finito, si provi che esistono su p L X e inf L X, ragionando
per induzione su lXI .
Reticoli, grafi, alberi 403

Esercizio 10.1.11. Si dimostri che per ogni insieme S il reticolo P(S) delle parti
di S (vedi Esempio 10.1.5) è completo, mentre il sottoreticolo di P(S) costituito
dai sotto insiemi finiti di S è completo se e solo se S è finito.
Esercizio 10.1.12. Si dimostri che il reticolo dei numeri naturali (vedi Esem-
pio 10.1.6) è completo.
Esercizio 10.1.13. Si dimostri che il reticolo dei sottogruppi di un gruppo e quello
dei suoi sottogruppi normali (vedi Esempio 10.1.7) sono completi.
Esercizio 10.1.14. Si dimostri che il reticolo dei sottospazi di uno spazio vetto-
riale (vedi Esempio 10.1.8) è completo.
Esercizio 10.1.15. Sia L il reticolo dei sottospazi di uno spazio vettoriale S su un
campo F (vedi Esempio 10.1.8). Si dimostri che i sottospazi di S di dimensione
finita su F costituiscono un sottoreticolo di L, che risulta completo se e solo se la
dimensione di S su F è finita.
Esercizio 10.1.16. Si dimostri che ogni reticolo completo possiede massimo e
minimo.
Esercizio 10.1.17. Sia (L , :S) un insieme ordinato dotato di massimo l. Si provi
che se per ogni sottoinsieme non vuoto X di L esiste infL X, allora L è un reticolo
completo.
Svolgimento. Siano x, y E L. Allora per ipotesi esiste infL{ x, y }. Inoltre certa-
mente l'insieme Y dei maggioranti di {x , y} in L è non vuoto, contenendo almeno
l'elemento l. Per ipotesi esiste allora infL Y. Ma per definizione tale elemento è
proprio su p L {x , y}. Quindi L è un reticolo. Per provarne la completezza resta da
mostrare che per ogni sottoinsieme non vuoto X di L esiste su p L X. Sia X un
sottoinsieme non vuoto di L. Per ipotesi, l'insieme T dei maggioranti di X in L è
non vuoto, contenendo almeno l'elemento l. Per ipotesi esiste allora infL T. Ma
per definizione tale elemento è proprio su p L X.
Esercizio 10.1.18. Sia (L , :S) un insieme ordinato dotato di minimo O. Si provi
che se per ogni sottoinsieme non vuoto X di L esiste su p L X, allora L è un
reticolo completo.
Esercizio 10.1.19. Si dimostri che se a, b, c e d sono elementi di un reticolo L tali
che a :::; b e c :::; d allora a V c :::; b V d. Si utilizzi poi il principio di dualità dei
reticoli (vedi 10.1.2) per dimostrare che se a 2: be c 2: d allora a A c 2: b A d.

10.2 Omomorfismi di reticoli


Siano (L , :S) e (M, ç) reticoli. Un'applicazione f : L ------> M è detta un omo-
morfismo di reticoli se per ogni x, y E L risulta f( x V y) = f(x) V f(y) e
f(x A y) = f( x) A f(y). È immediato verificare che ogni applicazione costante
di L in M è un omomorfismo di reticoli. Un omomorfismo biettivo di reticoli è
detto un isomorfismo di reticoli. I reticoli L ed M si dicono isomorfi se esiste un
isomorfismo di reticoli tra di essi.
404 Capitolo 1O

10.2.1. Siano (L,~) e (M, ç) reticoli, f : L ---t M un omomorfismo di reticoli.


Allora:
(i) f(L) è un sottoreticolo di 111;
(ii) se max L = l allora maxf(L) = f(l);
(iii) seminL = Oalloraminf(L) = f(O);
(iv) f è un omomorfismo di insiemi ordinati;
(v) se f è biettiva, f - 1 : M ---t L è un omomorfismo di reticoli.

Dimostrazione. (i) Per ogni f( x), f(y) E f(L), essendo f( xVy) = f( x) V f(y)
e f(x 1\ y) = f(x) 1\ J(y), si ha che f(x) V J(y) , f(x) 1\ J(y) E f(L).
(ii) Se m ax L = l allora per ogni x E L risulta x ~ l , cioè x V l = l , da
cui f(x) V f(l) = f(x V l) = f(l). Ma ciò implica f(x) ç f(l) per ogni
f( x) E f(L) , pertanto maxf(L) = f(l).
(iii) Se min L = O allora per ogni x E L risulta O ~ x, cioè x 1\ O = O, da
cui f( x) 1\ f(O) = f( x 1\ O) = f(O). Ma ciò implica f(O) ç f( x) per ogni
f( x ) E f(L), pertanto minf(L) = f(O).
(iv) Se x ~ y allora x = x 1\ y per la 10.1.3, da cui f(x) = f( x 1\ y)
f( x ) 1\ f(y), quindi f(x) ~ f(y).
(v) Ovvia. D
La (iv) di l 0.2.1 non si inverte: esistono infatti reticoli (L, ~ ) e (M, ç) e omo-
morfismi di insiemi ordinati f : L -----> 1\II che non sono omomorfismi di reticoli.
10.2.2. Esempio. Sia S = {a , b, c} un insieme con 3 elementi. Si consideri poi il
sottoinsieme L = {0 , {a} , { b} , S} di P (S), ordinato per inclusione. Ovviamente
(L,<;:) è un reticolo, e {a} V {b} = S. L'applicazione f : X E L ~-----t X E P(S)
è un omomorfismo di insiemi ordinati, in quanto se X, Y E L e X ç Y allora
f(X) = X ç Y = f(Y). Ma f non è un omomorfismo di reticoli, giacché
f({a}V{b}) = f(S) = Smentref({a})v f({b}) = f({a})Uf({b}) = {a,b}.

Esercizi
Esercizio 10.2.1. Si dimostri che un 'applicazione tra reticoli è un isomorfismo di
reticoli se e solo se essa è un isomorfismo di insiemi ordinati.
Esercizio 10.2.2. Si dimostri che reticoli isomorfi hanno lo stesso diagramma di
Hasse.
Esercizio 10.2.3. Con S = {1 , 2, 3, 4}, si consideri il reticolo (P(S) , <;:) deffe
parti di S (vedi Esempio 10.1.5). Sia poi W l'insieme dei numeri naturali da O a
10, ordinato con l'ordinamento naturale ~ di No. Si dimostri che l'applicazione
f: P(S) ---t No definita ponendo
O se A= 0
f(A) :=
{
L n se A# 0
nE A
Retico li, grafi, alberi 405

è un omomor.fismo tra gli insiemi ordinati (P(S) , ç ) e (W, s ). Si provi poi che j
non è un omomorfismo di reticoli.

10.3 Reticoli distributivi


Un reticolo (L , :S ) è detto distributivo se ciascuna delle due operazioni V e 1\ è
distributiva rispetto all ' altra. Ossia se, per ogni x, y , z E L, risulta:

x V (y 1\ z ) = (x V y) 1\ (x V z ), (10.3.1)
x 1\ (y V z ) = (x 1\ y) V (x 1\ z ). (10.3 .2)

n risultato che segue mostra che nella precedente definizione è sufficiente richie-
dere che valga una sola tra (10.3.1) e (10.3.2).

10.3.1. In un qualunque reticolo (L, :S) la (10.3.1) e la (10.3 .2) sono equivalenti.

Dimostrazione. Si supponga valida la (10.3.1). Allora per ogni x, y , z E L si ha

(x 1\ y) V (x 1\ z ) = ((x 1\ y) V x ) 1\ ((x 1\ y) V z ) per (10.3.1)


= x 1\ (( x 1\ y) V z ) per (10.1.2) e (10.1.4)
=x 1\ ((z V x ) 1\ (z V y)) per (10.1.2) e (10.3.1)
= (x 1\ (z V x )) 1\ (z V y) per (10.1.3)
=xl\ (y vz ) per (10.1.4) e (10.1.2).

Pertanto la (10.3.1) implica la (10.3.2). Viceversa, per il principio di dualità


(vedi 10.1.2), la (10.3.2) implica la (10.3.1). D

Dalla definizione segue subito che ogni sottoreticolo di un reticolo distributivo è


distributivo. Utilizzando le proprietà di unione e intersezione tra insiemi si veri-
fica facilmente che il reticolo delle parti di un insieme è distributivo (vedi Eser-
cizio 10.3.1). Facendo poi uso delle proprietà del minimo comune multiplo e del
massimo comune divisore tra naturali si può mostrare che anche il reticolo dei
numeri naturali è distributivo (vedi Esempio 10.3.2). Esistono però reticoli non
distributivi.
10.3.2. Esempio. Sia L = {l , 2, 3, 4, 12}, e sia Ila relazione d' ordine indotta
su L dalla relazione del "divide" in No. Si verifica subito che (L , l) è un reticolo.
Inoltre 2 V (3 1\ 4) = 2 V l = 2 mentre (2 V 3) 1\ (2 V 4) = 12 1\ 4 = 4. Pertanto
(L , l) non è distributivo. Il suo diagramma di Hasse è il seguente:
12

:0 3 l
406 Capitolo 1 O

10.3.3. Esempio. Sia L = {l , 2, 3, 5, 30}, e sia I la relazione d 'ordine indotta


su L dalla relazione del "divide" in No. Si verifica subito che (L , l) è un reticolo.
Inoltre 2 V (3 1\ 5) = 2 V l = 2 mentre (2 V 3) 1\ (2 V 5) = 30 1\ 30 = 30. Pertanto
(L , l) non è distributivo. Il suo di agramma di Hasse è il seguente:
30

z<}Ys
Un reticolo che abbia per diagramma eli Hasse quello dell' Esempio 10.3.2 viene
detto pentagonale ; un reticolo che abbia per diagramma di Hasse quell o dell'E-
sem pio 10.3.3 viene detto trirettangolo. Risulta quindi evide nte che ogni reticolo
che possegga un sottoreticolo pentagonale o trirettangolo è non di stributivo. Di
più, si potrebbe provare che :

10.3.4. Un reticolo è distributh•o se e solo se è privo di sottoreticoli pentagonali


e di sottoreticoli trirettangoli.

10.3.5. Corollario. Ogni insieme totalmente ordinato è un reticolo d istributivo.

Esercizi
Esercizio 10.3.1. Si dim ostri che il reticolo delle parti di un insieme (vedi Esem-
pio 10.1. 5) è distributivo.
Esercizio 10.3.2. Si dimostri che il reticolo dei naturali (vedi Esempio 10.1.6) è
distributivo.
Esercizio 10.3.3. Utilizzando 10.3.4, si dimostri che il reticolo dei sottospazi di
uno spazio vettoriale (vedi Esempio 10.1.8) è distributivo se e solo se la dimen-
sione dello spazio è minore di 2.
Esercizio 10.3.4. Si dimostri che in un qualunque reticolo L risulta:
x V (y 1\ z) ::; (x V y) 1\ (x V z),
xl\ (y Vz ) ~ (xl\ y) V (xl\z ),
per ogni x, y , z E L.
Svolgimento. Per provare la prima di suguaglianza si osservi che innanzitutto da
x ::; x V y e x ::; x V z segue x ::; (x V y) 1\ (x V z ). Inoltre y 1\ z ::; y ::; x V y
e y 1\ z ::; z ::; x V z , da cui y 1\ z ::; (x V y) 1\ (x V z ). Pertanto x V (y 1\ z ) ::;
(x V y) 1\ (x V z), come volevasi.
La seconda disuguaglianza può essere verificata in mani era analoga, oppure
dedotta dalla prima utili zzando il principio di dualità dei reticoli (vedi 10.1.2).
Reticol i, grafi, alberi 407

Esercizio 10.3.5. Si dimostri che in un qualunque reticolo L risulta:

xV(yl\z)::; (xVy)l\ z,
per ogni x, y , z E L tali che x ::; z.

Esercizio 10.3.6. Un reticolo L è modulare se x V (y 1\ z ) = (x V y) 1\ z,


per ogni x, y, z E L tali che x ::; z . Si verifichi che un reticolo pentagonale
(vedi Esempio 10.3.2) non è modulare.

Svolgimento. Con riferimento al diagramma di Hasse dell'Esempio 10.3.2, risulta


infatti 214 e 2 V (3 1\ 4) = 2 V l = 2 i= 4 = 12 1\ 4 = (2 V 3) 1\ 4.
Esercizio 10.3.7. Si dimostri che ogni reticolo distributivo è modulare.

Svolgimento. Siano x, y e z elementi di un reticolo distributivo L, con x ::; z .


Allora x V z = z per 10.1.3, quindi x V (y 1\ z ) = (x Vy) 1\ (x V z ) =(x Vy) 1\ z ,
e L è modulare.

10.4 Algebre di Boole


Sia (L ,::;) un reticolo dotato di massimo l e di minimo O, e sia x un elemento di
L. Se esiste un. elemento y E L tale che x V y = l e x 1\ y = O allora y viene
detto un complemento di x. Le (10.1.2) assicurano che se y è un complemento di
x allora x è un complemento di y. Ovviamente gli elementi O e l hanno sempre
un unico complemento, rispettivamente l e O. Il reticolo L è complementato se
ogni elemento di L possiede almeno un complemento.
Osservazione. Il complemento non è, in generale, univocamente determinato.
Esistono cioè reticoli dotati di massimo e minimo aventi elementi che posseggono
più complementi. Il reticolo L dell'Esempio 10.3.3 ha massimo 30 e minimo l.
Siccome 3 V 2 = 30 e 3 1\ 2 = l, ma anche 3 V 5 = 30 e 3 1\ 5 = l , gli elementi
2 e 5 sono entrambi complementi dell'elemento 3.
Il reticolo L dell'osservazione precedente non è distributivo, come provato nel-
l'Esempio 10.3 .3. Questa condizione è necessaria per l'esistenza di elementi che
posseggano più complementi. Infatti:

10.4.1. Sia L un reticolo distributivo dotato di massimo l e minimo O. Allora


l 'eventuale complemento di un elemento x E L è unico.

Dimostrazione. Siano x1 e x2 complementi di x . Allora risulta:

XI= XI V0 in quanto O ::; XI


=XI V (x2/\x) perché x2 è un complemento di x
=(xl V x2) 1\ (xi V x) per la (10.3.1)
408 Capitolo 1 O

=(x l V x2) 1\ l perché è un complemento di x


x1

=Xl V X2 in quanto x 1 V x2 :S l.

Da ciò segue che x2 :::; x 1. Scambiando i ruoli di x 1 e x2 , si prova anche che


x2 = x2 V x 1, da cui x 1 :::; x2 . Pertanto x 1 = x2, come volevasi. D

Un reticolo distributivo e complementato viene detto un'algebra di Boole (o re-


ticolo booleano). La 10.4.1 assicura che se L è un ' algebra di Boole allora ogni
elemento x E L possiede un unico complemento, che verrà denotato col simbolo
x'. Pertanto x V x' = l e x 1\ x' = O, per ogni x E L. In particolare O' = l e
l' = O.

10.4.2. Sia L un 'algebra di Boa/e. Allora p er ogni x, y E L si ha:


(i) (x')' = x,
(ii) (::r V y)' = :r' 1\ y',
(iii) (x 1\ y)' = x' V y'.

Dimostrazion e. (i ) Segue subito dalla definizione di complemento.


(ii) Risulta:

(x V y) V (x' 1\ y') = (( x V y) V x') 1\ (( x V y) V y') per (10.3.1)


= ((x V x') V y) 1\ (x V (y V y')) per (10.1.2) e (10.1.3)
= (l V y) 1\ (x V l) = l /\ l = l.

Analogamente si prova che (x V y) 1\ (x' 1\ y') = O.


(iii) Del tutto analoga a (ii). D

10.4.3. Esempio. Il reticolo delle parti di un insieme S (Esempio l 0.1.5) è un'al-


gebra di Boole. Infatti, come già osservato, esso è distributivo. Inoltre ha S come
massimo e 0 come minimo. Infine per ogni X E P(S) si ha X' = S\X, essendo
X V (S \X) =X u (S \X) = Se X 1\ (S \X) = X n (S \X) = 0.
Sia L un'algebra di Boole. Un sottoinsieme non vuoto H ç L si dice una
sottoalgebra di L se per ogni x, y E H risulta x V y E H, x 1\ y E H e x' E H.
10.4.4. Esempio. Sia S un insieme con almeno 2 elementi. Come si è visto
nell'Esempio 10.4.3, il reticolo delle parti di S è un'algebra di Boole. Sia x E S.
Il sottoinsieme H = { 0 , {x} , S} è un sottoreticolo di P (S) , ma ovviamente non
è una sottoalgebra, giacché {x}' = S \ {x } tf_ H.

Esercizi
Esercizio 10.4.1. Sia L un reticolo distributivo dotato di massimo l e di minimo O.
Si dimostri che gli elementi di L dotati di complemento formano un sotto reticolo
che è un'algebra di Boole.
Reticoli, grafi, alberi 409

Svolgimento. Sia A l'insieme degli elementi di L dotati di complemento. Ovvia-


mente l , O E A. Siano x, y E A. Ragionando come in (ii) e (iii) di 10.4.2 si
prova che x V y ha complemento x' 1\ y', e che x 1\ y ha complemento x' V y'. Ne
segue che x V y , x 1\ y E A, quindi A è un sottoreticolo di L dotato di massimo
l e di minimo O. Inoltre ogni elemento di A è dotato di complemento in A, per la
(i) di 10.4.2. Pertanto A è un ' algebra di Boole.
Esercizio 10.4.2. Si dimostri che un insieme totalmente ordinato L è un'algebra
di Boole se e solo seILI ::; 2.
Svolgimento. Se ILI ::; 2 allora L è banalmente un' algebra di Boole. Viceversa,
sia L un'algebra di Boole. Per assurdo, sia ILI > 2. Allora esiste un elemento
x E L \ {0 , 1}. Sia x' il complemento di x. Allora x V x' = l e x 1\ x' = O.
Siccome L è totalmente ordinato, x e x' sono confrontabili. Per la 10.1.3 si ha
allora x V x' =x oppure x 1\ x' =x, e ciò è assurdo in quanto x E L\ {0, l}.

10.5 Anelli booleani


Un elemento x di un anello A è detto idempotente se x 2 = x . Un anello unitario
viene detto un anello booleano se ogni suo elemento è idempotente.

10.5.1. Sia A i- {O} un anello booleano. Allora A ha caratteristica 2 ed è


commutativo.

Dimostrazione. Per ogni x E A risulta

2x = (2x )
2
= 4x 2 = 2x
2
+ 2x 2 = 2x + 2x,
da cui 2x =O. Quindi A ha caratteristica 2. Siano ora x, y E A. Si ha:

x+ y =(x+ y) 2 =(x+ y)(x + y) = x 2 + y 2 + x y + y x = x+y + x y + yx,


da cui x y + y x = O, quindi xy = -yx = yx in quanto A ha caratteristica 2.
Pertanto A è commutativo. O

In particolare, se A è un anello booleano, risulta x = -x, per ogni x E A.

10.5.2. Esempio. Sia S un insieme. Poiché per ogni A , B E P(S) risulta


A UB , A n B E P (S), si possono considerare le operazioni binarie U e n in
P(S). La 1.4.14 assicura che (P(S), u) è un gruppo abeliano, avente 0 come
elemento neutro, e dove l'opposto di A E P(S) è A stesso. Inoltre (1.4.7) e
(1.4.8) garantiscono che (P(S) , n) è un semigruppo commutativo. Tale semi-
gruppo è un monoide con elemento neutro S, in quanto banalmente A n S = A
per ogni A E P(S). Infine 1.4.15 assicura che (P(S) , U, n) è un anello commu-
tativo unitario. Avendosi A 2 = A n A= A per ogni A E P(S), (P(S) , U, n) è
un anello booleano.
410 Capitolo 1O

Il risultato che segue mostra che i concetti di anello booleano e di algebra eli Boole
sono logicamente equivalenti.

10.5.3. Teorema di Stone.


(I) Se A è un anello booleano, e per ogni :t: , y E A, si pone

:c V y := :c + y - x y ,
x 1\ y := :cy.

allora la struttura algebrica (A , V,/\ ) è un 'algebra di Boa/e.


(II) Se L è un'algebra di Boole, e per ogni :c, y E L si pone

x+ y := (x 1\ y') V (x ' 1\ y).


xy: =x/\ y ,

allora la struttura algebrica (L, +,· ) è un anello booleano. Inoltre per ogni
;c, y E L risulta ~r. V y = J.: + y- x y.

Dimostrazione. (I) Sia A un anello booleano, e si definisca una relazione in A


ponendo, con x, y E A:
x :::; y :~ x y = x .
La 10.5.1 assicura che x 2 = x , quindi x :::; x per ogni x E A. Essendo A
commutativo, da x :::; y e y :::; x segue poi x = x y = y x = y. Infine da x :::; y e
y :::; z segue x = x y e y = y z , quindi x = x (y z ) = (xy) z = x z e x :::; z . Tutto
ciò assicura che < è una relazione d' ordine in A.
Siano x, y E- A. Siccome x( x y) = x 2 y = x y e y( x y) = y 2 x = y x = x y ,
per definizione si ha x y :::; x e x y :::; y, dunque x y è un minorante di {x, y }.
Sia ora z E A un arbitrario minorante di {x, y}. Da z :::; x e z :::; y si ottiene
allora z = zx e z = z y, dunque z (x y) = (zx) y = z y = z e z :::; x y. Pertanto
x y = inf A {x, y}.
Ancora con x, y E A si ha x (x+ y -xy) = x 2 +xy -x 2 y = x+xy -xy =x,
da cui x :::; x + y - x y. Analogamente y :::; x + y - xy, quindi x + y - x y è
un maggiorante eli {x, y}. Sia ora z E A un arbitrario maggiorante di {x, y}. Da
x :::; z e y :::; z si ottiene allora x= z x e y = z y , dunque z (x + y- x y) = zx +
z y - (zx )y = x+ y -xy , quincli x+ y -xy :::; z . Pertanto x+ y-xy = supA{x, y} .
Ciò prova che (A ,:::; ) è un reticolo. Siccome x y =x equivale a x 1\ y =x, le
operazioni binarie V e 1\ eli cui all'enunciato sono rispettivamente l' unione retico-
lare e l'intersezione reticolare in (A,:::;) . Quindi la struttura algebrica (A , V,/\ ) è
un reticolo (vedi anche 10.1.1).
Per arbitrari elementi x, y , z E A risulta inoltre x 1\ (y V z ) = x(y + z- y z ) =
x y + xz- x y z = x y + xz- (x y)(x z ) = (x 1\ y) V (x 1\ z ). Allora 10.3.1 assicura
che il reticolo (A , V, 1\ ) è distributivo. Per ogni x E A si ha x = x l e O = Ox ,
quindi x :::; l e O :::; x . Pertanto l'unità l dell ' anello A è il massimo del reticolo
(A , V,/\ ), e lo zero O dell'anello A ne è il minimo. Infine, per ogni x E A, posto
Reticoli, grafi, alberi 411

x' = l - x si ottiene subito x' V x = (1 - x ) + x- (1- x )x = l - x + x 2 = l


e x' A x = (1 - x )x =x - x 2 = O, pertanto x' è il complemento di x. Tutto ciò
assicura che (A , V, A) è un ' algebra di Boole, come volevasi.
(II) Viceversa, sia L un'algebra di Boole e si ponga x +y := (xA y') v (x' Ay) ,
per ogni x, y E L. L'addizione così definita è un ' operazione interna commutativa
in L. Inoltre 10.4.2, (10.3.1), (10.3.2) e 10.1.3 assicurano che per ogni x, y , z E L
si ha:
(x + y) +z = ( ( (x A
y') (x' A y)) A z') V ( ( (x A y') V (x' A y) )' A z )
V
= ((( x A y') V (x' A y)) 1\ z') V ((( x' V y) 1\ (x V y')) 1\ z )
= ((( x A y') V (x' A y)) 1\ z') v
V ((((x' V y) A x ) V (( x' V y) A y')) 1\ z )
= ((( x 1\ y') V (x' A y)) 1\ z') v
V ((((x' A x ) V (y 1\ x )) V (( x' A y') V (y 1\ y'))) Az )
= ((( x 1\ y') V (x' 1\ y)) 1\ z') v
V (((O V (y 1\ x )) V (( x' 1\ y') V O)) Az )
= ((( x A y') V (x' A y)) 1\ z') V (((y A x ) V (x' A y')) Az )
= (x 1\ y' A z') V (x' A y 1\ z') V ( y A x A z ) V (x' 1\ y' 1\ z ) ,

e, analogamente,
(y + z ) + x = (y Az' A x') V (y' Az 1\ x') V (z 1\ y A x ) V (y' 1\ z' A x ).
Da ciò segue subito che (x +y)+ z = (y+ z )+ x = x +(y+ z ), quindi l' addizione
sopra definita è associativa.
Per ogni x E L si ha x+ O = (x A l) V (x' 1\ O) = x V O = x, quindi O
è l'elemento neutro in (L , +). Inoltre per ogni x E L si ha x + x = (x A x') V
(x' A x )= OV O= O, per cui x è il simmetrico di x in (L ,+). Tutto ciò prova che
(L , +) è un gruppo abeliano.
Si ponga ora xy := x A y, per ogni x, y E L. Per (10.1.2) e (10.1.3), la mol-
tiplicazione così definita è un ' operazione associativa e commutativa in L. Infine
da 10.4.2, (10.3.1), (10.3.2) e 10.1.3 segue che per ogni x, y , z E L si ha:
xz + yz = ((x Az) 1\ (y 1\ z )') V ((x Az )' A (y Az ))
= (( x Az) 1\ (y' V z')) V (( x' V z') 1\ (y Az))
= (( x 1\ z A y') V (x Az 1\ z')) V ( (y Az 1\ x') V (y Az 1\ z'))
= (x Az 1\ y') V (y 1\ z A x')
= ( (x 1\ y') V (x' A y)) 1\ z
= (x + y) z.
Tutto ciò assicura che (L , + , ·) è un anello. Inoltre xl = x A l = x per ogni
x E L, per cui L è unitario di unità l; e x 2 = x 1\ x = x , quindi L è un anello
booleano.
412 Capitolo 1O

Per ogni x E L risulta poi:

x (l + x) = x 1\ ((l /\ x') V (O 1\ x)) = :r 1\ x' = O,


1\
x V (l + x) = x V ((1 /\ x') V (O 1\ x))= x V x' = l ,

quindi x' = l + x= l -x . Infine per ogni x, y E L si ha:


x +y- x y = x (l - y) +y
= x y' +y
y') V ( ( xy') 1 1\ y)
= ( x y' 1\
= (x 1\ y' 1\ y') V (( x 1\ y')' 1\ y)
= (x 1\ y') V (( x' V y) 1\ y)) per (iii) di 10.4.2
= (x 1\ y') V y per (10.1.4)
=(x V y) l\ (y' V y) per (10.3.1)
=(xV y) /\ 1
= x V y,

il che completa la dimostrazione. D

Si potrebbe dimostrare che l'ordine di un anello booleano finito è necessariamente


una potenza di 2. Il teorema di Stone (vedi 10.5.3) assicura allora che l'ordine di
un ' algebra di Boole finita è necessariamente una potenza di 2.

Esercizi
Esercizio 10.5.1. Si dimostri che in un anello booleano ogni elemento diverso da
O e da l è un divisore dello O. Ne segue che un anello booleano con più di due
elementi non è un dominio d 'integrità.

Svolgimento. Sia A un anello booleano, e sia x E A\ {0 , 1}. Allora l - x i- O e


x(1 - x) =x - x 2 = x- x= O. Pertanto x è un divisore dello O in A.
Esercizio 10.5.2. Si dimostri che la somma degli elementi di un anello booleano
di ordine 4 è O.

Svolgimento. Sia A = {0 , 1, x, y} un anello booleano di ordine 4. L'elemento


x+y di A è certamente diverso da x e day , in quanto x, y i- O. Se fosse x+y =O
risulterebbe y = -x, quindi y = x per la 10.5.1, assurdo perché invece x i- y.
Quindi necessariamente x+ y = l. Ne segue che O+ l +x+ y = l + l = O,
come volevasi.

Esercizio 10.5.3. Si consideri l'insieme L dei divisori positivi di 30, ordinato con
la relazione l del divide.
(i) Si descriva l 'insieme L, precisandone l 'ordine.
Reticoli , grafi, alberi 413

(ii) Si disegni il diagramma di Hasse di (L , 1).


(iii) Si dimostri che (L , l) è un'algebra di Boole.
(iv) In (L , l) si calcoli: 2 V 5, 10 1\ 15, il complemento di 10 1\ 6.
(v) Sia (L , +,·) l 'anello booleano associato a (L , l) mediante il teorema di
Stone (vedi 10.5.3). In (L , + , ·) si calcoli: 2 + 5, 2 · 5, 10 + 15, 10 · 15.

Svolgimento. (i) Si ha L = {1 , 2, 3, 5, 6, 10, 15, 30}, quindi ILI = 8.


(ii) ll diagramma di Hasse di (L , l) è il seguente:
30

6 15
2 5

(iii) Per l'Esempio 10.1.6l'insieme ordinato (L , l) è un reticolo, in quanto sot-


toreticolo di (No, 1), e ha massimo 30 e minimo l. Siccome (No , l) è distributivo
(vedi Esercizio 10.3.2), anche (L , l) lo è. Infine si ha: l'= 30, 2' = 15, 3' = 10,
5' = 6. Pertanto (L , l) è un ' algebra di Boole.
(iv) Si ha: 2 V 5 = 10, 10 1\ 15 = 5, (10 1\ 6)' = 2' = 15. Si osservi che per la
(iii) di 10.4.2 risulta (10 1\ 6)' = 10' V 6' = 3 V 5 = 15.
(v) Dal teorema di Stone (vedi 10.5.3) si ricava che nell' anello booleano associato
a (L , l) la somma e il prodotto sono definite ponendo x + y := (x 1\ y') V (x' 1\ y)
e x y := x 1\ y per ogni x, y E L. Pertanto si ha:

2 + 5 = (2 (\ 51 ) v (2' (\ 5) = (2 (\ 6) v (15 (\ 5) = 2 v 5 = 10,


2. 5 = 2 (\ 5 = l ,
10 + 15 = (10 (\ 151) v (10' (\ 15) = (10 (\ 2) v (3 (\ 15) = 2 v 3 = 6,
10 . 15 = 10 (\ 15 = 5.

10.6 Grafi
Si dice grafo una qualunque coppia r = (V, E), dove V = V(r) è un insieme
non vuoto, e E = E(r) è un sottoinsieme dell'insieme [Vj2 delle parti di V aventi
ordine 2. Gli elementi di V si dicono vertici del grafo, mentre gli elementi di E
sono i lati del grafo. Se l = {v, w} E E è un lato allora i vertici v e w si dicono
anche gli estremi di l. Due vertici v, w sono adiacenti se {v, w} è un lato, e due
lati l, h E E sono incidenti se l'insieme l n h ha ordine l. Un grafo i cui vertici
siano a due a due adiacenti è detto completo; è invece vuoto se tale è l'insieme
dei suoi lati. In altre parole r = (V, E) è completo se E = [V] 2 ed è vuoto se
E = 0. L'ordine di un grafo è poi, per definizione, quello dell ' insieme dei suoi
vertici. Un grafo finito è un grafo di ordine finito, e quindi con un numero finito
di vertici.
414 Capitolo 1 O

Generalmente non si pensa a un grafo come a una coppia ordinata ma come a


una collezione di vertici alcuni dei quali sono uniti da segmenti o da archi di curva.
Pertanto è natural e diseg nare il grafo rappresentando appunto i vertici come punti
e unendo, mediante un seg mento o un arco di curva, due punti se l' insieme dei
due vertici che questi rappresentano è un lato. Di fatto il modo più facile per
descrivere un grafo è appunto disegnarlo.

10.6.1. Esempio. Il grafo r = (V, E) avente insieme di vertici V = {a , b, c, d, e}


e insieme di lati E { {a , d} , {a , e}, { b, c} , {cl , e}} può essere rappresentato
come segue:

Esso ha 5 vertici e 4 lati. I vertici b e c sono adiacenti, come pure a e cl, a e e, cl e


e. I lati {a , d} e {a , e} sono incidenti (come pure {a , cl} e {cl , e}, {cl , e} e {a, e}).
Si noti che se r = (V, E) è un grafo e v , w E V sono vertici esiste al più un
lato l E E i cui estremi sono v e w. La definizione di grafo può però essere
generalizzata nel modo seguente. Si dice multigrafo una terna Y = (V, E, 1/J ),
dove V è un insieme non vuoto, E un insieme arbitrario e 1/J : E ----. [V] 2
un 'applicazione che a ogni elemento di E associa un sottoinsieme di V di ordine
2. Gli elementi di V sono i vertici del multigrafo, quelli di E ne sono i lati. Se
l E E, v , w E V e 'lf; (l) = {v , w} allora si dice che l è un lato di estremi v
e w. Si noti che possono esistere più lati aventi gli stessi estremi a meno che
l'applicazione 1/J non sia iniettiva, nel qual caso la coppia r = (V, 'lf; (E)) è un
grafo.
Si considerino ora grafi r = (V, E) e r 1 = (V1, E 1). Un'applicazione bi et-
tiva f: V----. V1 tale che {v , w} E E se e solo se {f( v ), j(w)} E E 1 è detta
isomorfismo. Se esiste un isomorfismo tra r e r 1 , i grafi considerati si dicono
isomorfi. Grafi isomorfi hanno banalmente lo stesso diagramma. È immediato
osservare che grafi completi sono isomorfi se e solo se hanno lo stesso ordine e
questo comporta che per ogni intero positivo n esiste, a meno di isomorfismi, un
unico grafo completo di ordine n, che viene denotato con Kn. Analogamente, a
meno di isomorfismi esiste un unico grafo vuoto di ordine n, per ogni n E N.
Si definisce sottografo di un grafo r = (V, E) ogni grafo r 1 = ( V1 , E1) tale
che V1 ç V e E1 ç [V1j2 n E. In altre parole un sottografo dir è un grafo il cui
insieme di vertici V1 è un sottoinsieme di V e i cui lati sono alcuni tra i lati di r
che hanno per estremi elementi di V1. Per ogni sottoinsieme non vuoto V1 ç V il
grafo (V1 , [V1j2 n E) è detto il sottografo dir generato da V1.

10.6.2. Esempio. Il grafo (V1 = {a, b, c, cl} , E1 = { { b, c}}) è un sotto grafo del
grafo r dell 'Esempio 10.6.1. Il sottografo dir generato da V1 è invece il grafo
(V1, {{a , d}, {b , c}}).
Reticoli, grafi, alberi 415

Siano r = (V, E) un grafo finito e v un suo vertice. Si definisce grado di v, e si


denota con d( v), il numero di lati che hanno v come estremo; si dice poi che v è
un vertice pari o dispari a seconda che abbia grado pari o dispari. Un vertice di
grado O è detto isolato. Si dice regolare di grado m un grafo in cui tutti i vertici
· hanno lo stesso grado m. Per esempio Kn è un grafo regolare di grado n - l ,
mentre ogni grafo vuoto è regolare di grado O.
Analoghe definizioni si possono dare anche in un multigrafojìnito, cioè in cui
sia V che E sono insiemi finiti. In particolare, se Y = (V, E, 'l/;) è un multigrafo
finito e v è un suo vertice, si definisce grado di v il numero intero

d(v) := l{l E E: v E '1/;(l)}l .

Se si conosce il grado di ciascun vertice di un grafo finito, allora si può determi-


nare facilmente il numero dei lati del grafo.

10.6.3. Sia r = (V, E) un grafo finito. Allora:

l
lEI= 2 2.: d( v).
vE V

Dimostrazione. Poiché ogni lato l E E ha esattamente due estremi, il numero


dei vertici di r, non necessariamente distinti, che sono estremi di qualche lato
è m = 2IEI. D'altro canto ogni vertice v E V è estremo di d(v) lati e quindi
m= L:vEV d( v). Dunque 2IEI = L:vEV d( v) come si voleva. D

Si noti che 10.6.3 comporta che in ogni grafo finito r = (V, E) la somma dei gradi
dei vertici è pari, cioè L:vEV d( v) = O (mod 2). Inolh·e è immediato osservare
che un grafo di ordine n regolare di grado t ha !tn lati. Dunque per esempio Kn
ha -(n-l)n
-
lai.
t.
2
Se v e w sono vertici di un grafo r, un cammino da v a w è una sequenza
finita h = {Xl, x2}, l2 = { X2, x3}, ... , ln = { Xn, Xn+I} di lati distinti tale che
lati consecutivi siano incidenti, v = x1 sia estremo del primo lato e w = Xn+l sia
estremo dell'ultimo lato. n numero n 2: O dei lati che costituiscono il cammino
è detto lunghezza del cammino. Per ogni vertice v esiste un unico cammino di
lunghezza Oda v a v. Un cammino di lunghezza positiva da un vertice v a v stesso
è detto circuito. Si definisce foresta un grafo privo di circuiti.
Un grafo è connesso se considerati comunque due dei suoi vertici v e w esiste
un cammino da v a w. n grafo dell'Esempio 10.6.1 non è connesso perché per
esempio non vi è alcun cammino da a a b. Una foresta connessa è detta albero.
Agli alberi è dedicato il Paragrafo 10.7.
Nell'insieme V dei vertici di un grafo r si può considerare la relazione ,. ._,
definita ponendo, per ogni v, w E V, v rv w se e solo se esiste un cammino da v
a w. La relazione ,. ._, è d'equivalenza in V: infatti essa è banalmente riflessiva e
simmetrica, inoltre è transitiva perché se v, w, u E V sono tali che v ,. ._, w e w ,. ._, u,
416 Capitolo 1O

allora indicati con l1 , l2, ... , ln un cammino da v a w e con e1, e2, ... , e m un
cammino da w a u , si ha che h , . .. , l 11 , e1 . . . , e m è un cammino da v a u per cui
v rv 'U. Le classi d' equivalenza modulo rv vengono dette le componenti COilllesse
del grafo. Più precisamente per ogni vertice v la classe [v]~ d' equivalenza di v
modulo"' è detta componente connessa di v.
È immediato osservare che un grafo è connesso se e solo se "' è la relazione
totale, ed è vuoto se e solo se "' è la relazione identica. Nel primo caso c ' è una
sola componente connessa, nel secondo le componenti connesse sono tante quanti
sono i vertici.
Si noti poi che non vi è alcun lato che abbia estremj appartenenti a componen-
ti connesse distinte. Si osservi inoltre che le componenti connesse di una foresta
sono alberi.
Sia ora Y = (V, E , 'ljJ ) un multigrafo finito. Si definisce cammino una se-
quenza finita di lati h , l2, . .. , lt E E a due a due distinti, tali che per ogni
i E {1 , .. . , t} si abbia '1/J (li ) = {zi, Zi+l }, dove z1, ... , Zt+l E V. Se z1 = Zt+l
il cammino è detto circuito. Un multigrafo è connesso se scelti arbitrariamente
due suoi vertici CL e b esiste un cammino l1 , ... , lt tale che h abbia CL come estremo
e lt abbia come estremo b, cioè CL E 'ljJ (l1) e b E '1/J (lt).
Un cammino h , .. . , l t tale che E = {h , ... , l t} è detto cammino euleriano.
Un cammino euleriano che sia un circuito è detto circuito euleriano . Richiede-
re che un multigrafo finito possegga un cammino euleriano equivale a richiedere
che si possano disegnare tutti i suoi lati senza staccare la penna dal foglio e sen-
za ripassare per uno stesso lato. Si parla di cammini e circuiti euleriani perché
queste definizioni sono legate al famosissimo problema dei ponti di Konigsberg
risolto appunto da Eulero nel 1736 utilizzando la Teoria dei Grafi. Konigsberg,
città natale del filosofo Immanuel Kant, era una città della Prussia situata su due
isole e su entrambe le sponde del fiume Pregel collegate da sette ponti, come sche-
maticamente rappresentato nella figura seguente, dove le sponde del fiume (linea
ondulata), le isole (linea tratteggiata) e i ponti (linea semplice) sono indicati dalle
rispettive iniziali S, I e P, e numerati progressivamente:

s2
Ps p6
lp~
/
' /
'
l
/
' \ p4 /
'\
l I1 ,---------.l I2 l
\ l \ l
' /
' /

pl p2 p3
s1

Il problema in questione consisteva nello stabilire se fosse possibile per un abitan-


te di Konigsberg partire da casa propria e poi ritornarvi dopo avere percorso una
e una sola volta ciascuno dei sette ponti della città. La città con i suoi sette ponti
Reticoli, grafi, alberi 417

può essere rappresentata graficamente con il seguente multigrafo:

Ps
I 1 111------=------:;. I 2
pl

dove i vertici sono i territori urbani sulle sponde del fiume e sulle isole, e i lati
sono i 7 ponti che li collegano. n problema posto, che equivale a chiedere se tale
multigrafo possiede o meno un circuito euleriano, ha tisposta negativa in virtù del
seguente risultato dovuto appunto a Eulero.

10.6.4. Teorema. Sia Y = (V, E , 1/J) un multigrafo finito privo di punti isolati.
Y ha un circuito euleriano se e solo se è connesso e tutti i suoi vertici sono pari.

Dimostrazione. In primo luogo si supponga che Y sia dotato di un circuito eule-


riano L = {h , ... , lk}· Per provare che Y è connesso occorre dimostrare che per
ogni a, b E V esiste in Y un cammino da a a b. Poiché per ipotesi Y è privo di
punti isolati esistono due lati e, f E E tali che a E '1/J (e) e b E '1/J (f). n circuito L
è euleriano pertanto L = E e quindi esistono i, j E {l, .. . , k} tali che li = e e
lj = f e supposto j 2: i si ha che li, li+l, ... , lj è il cammino richiesto.
Occorr-e adesso provare che ogni vertice ha grado pari, cioè è estremo di un
numero pari di lati. Si fissi un vertice vo E V; chiaramente non è restrittivo
assumere che il circuito euleriano L = {h , . . . , lk} sia da vo a vo, ovvero che
si abbia v 0 E '1/J (h) n '1/J (lk)· Si consideri un vertice u E V diverso da v 0 ; il
ragionamento precedente assicura che u è estremo di almeno un lato del circuito
euleriano e cioè che u E U~=l '1/J (li) . Questo comporta che è non vuoto l' insieme
J = {j E {l , .. . , k} : u E '1/J (lj) }, e posto m = min J a m cotTispondono due
lati adiacenti aventi u come estremo ovvero u E '1/J (lm) n '1/J (lm+l)· Ovviamente
può succedere che u sia estremo anche di altri lati lj con j > m + l e in tal caso
risulta J1 = {j E {m+ 2, ... , k} : u E '1/J (lj)} =1- 0; posto h = min J1, ad
h cotTispondono ancora due lati aventi u come estremo, in quanto u E '1/J (lh) e
u E '1/J (lh+l). In ogni caso quindi u è estremo di un numero pari di lati ossia ha
grado pari. Si ha dunque che ciascun vertice u =1- vo ha grado pari. L'arbitrarietà di
vo e il fatto che Y ha almeno due vertici perché è privo di punti isolati assicurano
che ogni vertice ha grado pari.
Viceversa si assuma Y = (V, E, '1/J ) connesso e con tutti i vertici di grado
pari, e si proceda per induzione sul numero lEI 2: 2 di lati. Se lEI = 2, consi-
derato l E E e posto '1/J (l) := { v1, v2}, si ha che poiché v1 e v 2 hanno grado pari
necessariamente E = {l , h} con '1/J (h) = { v1, v2} e quindi {l , h} è un circuito
euleriano.
418 Capitolo 1O

Sia dunque lEI > 2 e sia v1 E V; poiché Y è privo di punti isolati esiste
h E Etalechev1 E '1/J( h). Sia 'l/J (h) := {v1,v2 };esistealmenounlatol2 =J- h
avente v2 come estremo perché v2 ha grado pari. Posto 'ljJ (l2) := {v2,v3 }, se
v3 = v1 allora {h , l2} è un circuito da v1 a v1 altrimenti, poiché v3 ha grado pari,
esiste almeno un lato l3 =J- l2 avente v3 come estremo. Indicato con v4 l' estremo
di l3 diverso da v3, se v4 = v 1 allora {l1 , l2, l3} è un circuito altrimenti si prosegue
in modo analogo. Naturalmente, essendo Y finito , questo ragionamento conduce
necessariamente alla costruzione di un circuito L1 da v1 a v1. Se L1 = E, allora
L1 è un circuito euleriano. Altrimenti si consideri il multigrafo che si ottiene da
Y cancellando i lati di L1 e i vertici che sono estremi solo di lati di L 1 ovvero il
multigrafo Y1 = (Vl ,El ,'l/Jl ) con V1 := {v E V: 3l E E\ L 1 : v E '1/J (l)},
E1 = E \ L1 e 'l/J1 = 'l/J1E1 . li multigrafo Y 1 è nelle stesse ipotesi di Y ma possiede
meno lati e quindi, per ipotesi di induzione ha un circuito euleriano; sia questo L 2.
Banalmente E = L1 U L 2 è un circuito perché il fatto che Y sia connesso e ogni
suo vertice sia pari garantisce l'esistenza di un lato e E L1 e di un lato f E L2
con un estremo w in comune. Non è restrittivo assumere che L1 = {h , . .. , lt} e
L2 = {e1, .. . ,ek}sianocircuitidawaw. AlloraL= {h , .. . , lt,e l ,· ·· ·ek }è
un circuito da w a w, ed è ovviamente euleriano. D

Dal Teorema 10.6.4 discende facilmente il seguente

10.6.5. Corollario. Sia Y = (V, E , 'ljJ ) un multigrafo finito privo di punti isolati.
Y ha un cammino euleriano se e solo se è connesso e il numero dei suoi vertici
dispari è O oppure 2.

Dimostrazione. In primo luogo si supponga Y dotato di un cammino euleriano


L = {h , . . . , lk}; lo stesso ragionamento fatto nella dimostrazione del Teore-
ma 10.6.4 prova che Y è connesso. Pertanto resta da provare che i vertici di
grado dispari sono O o 2. Se L è un circuito allora l'asserto segue dal Teo-
rema 10.6.4, per cui si può assumere che L non sia un circuito e quindi che
'1/J (h) n '1/J (lk) = { v1 , v2} n { vk, vk+ d = 0. Considerato un vertice u =J- v1, vk+ 1
e ragionando come nel Teorema 10.6.4 si ha che u ha grado pari. Per provare che
v1 e Vk+l hanno grado dispari basta notare che il multigrafo che si ottiene daY ag-
giungendo un lato lk+l di estremi v1 e Vk+l• cioè Y1 =(V, E1 = EU{lk+d , 'l/J1 )
con 'l/J1 : E1 ____, [Vj2 definita da 'l/J1(li) := 'lfJ( li ) per ogni i E {1 , ... , k} e
'l/J1(lk+l) := {vl , vk+l}, possiede un circuito euleriano. Quindi per il Teore-
ma 10.6.4 ogni vertice di Y 1 ha grado pari, e in particolare di questa proprietà
godono v1 e Vk+ l· Ma se i gradi di tali vertici in Y 1 sono d1 e dk+l allora i loro
gradi in Y sono d1 - l e dk+l - l, dunque dispari.
Viceversa si assuma Y = (V, E , 'ljJ) connesso e con due vertici v1 e v2 dispari.
Fissati un punto va rf. V e due lati l1 , l2 rf. E, si prenda in considerazione il
multigrafo Y 1 = (V U {va} , EU {h , l2}, 'l/J1), con 'l/J1(l) := 'ljJ (l) per ogni l E E,
'l/J1(h) := {va , vi} e 'l/J1 (l2) := {va, v2}. Ovviamente Y 1 è connesso e tutti i suoi
vertici hanno grado pari, pertanto per il Teorema 10.6.4 esso possiede un circuito
Retico li, grafi, alberi 419

euleriano L. Poiché h e l2 sono incidenti in va si ha che L \ {h , l2} = E è un


cammino euleriano di T . D

Esercizi
Esercizio 10.6.1. Si disegni il grafo r = (V, E) avente come insieme di vertici
V = {a , b, c, cl, e, !} e lati {{ a, b}, {a , c}, {b , e}, {b , !} }, e si stabilisca se tale
grafo è connesso. Si determinino poi i gradi dei vertici e gli eventuali punti isolati.
Esercizio 10.6.2. Si consideri il grafo r = (V, E) dove V = {l , 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8}
ed E = { {1 , 2}, {l , 3}, {1 , 4}, {5, 6} , {5, 7}, {5, 8} }. Si determinino le compo-
nenti connesse di r e si stabilisca se r è una foresta e se è un albero.
Esercizio 10.6.3. Si consideri il multigrafo T= (V, E, '1/J ), con V= {a, b, c, cl, e},
E= {h , l2, l3, l4, ls, l5, h , ls} e '1/J :E ----t [V] 2 definita dalle posizioni

'1/J(h ) = {a, b} = 'ljJ (l2),


'ljJ( l3) = {c, b} = 'ljJ (l4) ,
'1/J (l s) = {cl , b} = 'I/J (l6) ,
'1/J(h) = {e, b} = '1/J(ls) .
Dopo averlo disegnato, si stabilisca, motivando la risposta, se T possiede un
circuito euleriano.
Esercizio 10.6.4. Si dimostri che i grafi f1 = (V1 , E1) e f2 = (V2 , E2) con
vl ={a, b, c, cl}, E1 = {{ a, b} , {a ,c} , {a ,cl} , {b , d}}
v2 = {l , 2, 3, 4}, E2 = {{1 ,2}, {2, 3} , {3,4}, {1 ,4}}
non sono isomor.fi.
Esercizio 10.6.5. Si dimostri che i tre grafi f1
f 3 = (V3, E3) con
vl = v2 = v3 = {a , b,c, cl} ,
E1 = {{a, b} , {a,c}, {b,c}, {b, cl}} ,
E2 = {{a , b} , { a, c}, {b , c}, { a, cl}} ,
E3 = {{cl,c}, {a,cl}, {a,c}, {b,c}}
sono a due a due isomorfi.
Esercizio 10.6.6. Esiste un grafo con 7 vertici Vb v2, v3, v4, vs , v5, V7 tali che
cl( vi ) = i+ l per ogni i E {l , 2, 3, 4, 5, 6, 7}?
Esercizio 10.6.7. Si consideri il grafo r = (V, E), dove V = {l , 2, 3, 4, 5}
ed E= {{l , 2} , {1 , 3}, {1 , 4}, {l , 5}, {2, 4}, {2 , 5}, {3 , 5} }, e se ne determini il
sottografo generato da vl = {3, 4, 5}.
420 Capito lo 1O

10.7 Alberi
Nel Paragrafo 10.6 è stato definito foresta un grafo privo di circuiti e albero una
foresta che sia anche un grafo connesso. In particolare quindi, come del resto già
osservato in precedenza, le componenti connesse di una foresta sono alberi.
Come si vedrà nel seguito, ogni grafo finito connesso r = (V, E) possiede un
cosiddetto albero di supporto, cioè un sotto grafo r' = (V' , E') che è un albero
ed è tale che V' = V. Di qui l' interesse particolare per lo studio degli alberi. Una
prima caratterizzazione degli alberi è la seguente.

10.7.1. Teorema. Per un grafo r = (V, E) sono equivalenti:


(i) r è un albero;
(ii) considerati comunque due vertici 1t, v E V esiste un unico cammino da u a
v;
(iii) r è connesso e il grafo r 1 = (V, E\ {l}), ottenuto dar cancellandone un
qualsiasi lato l E E, non è connesso;
(iv) r è privo di circuiti e considerati comunque due vertici x, y E V non adia-
centi, il grafo f2 = (V, EU { { x, y}} ), ottenuto dar aggiungendo il lato di
estremi x e y, possiede un circuito.

Dimostrazione. Si supponga che r sia un albero. Allora per definizione r è con-


nesso, e ciò comporta che considerati due vertici u , v E V esiste un cammino
{h , l2, . . . , ln} da u a v. Se { e1, ... , ek} fosse un cammino da 1t a v diverso dal
precedente allora {h , 12 , ... , ln, ek, ... , el} sarebbe un circuito, la cui esistenza è
in contraddizione con la definizione di albero. Pertanto dalla (i) segue la (ii).
Sia ora r un grafo con la proprietà (ii). Banalmente r è connesso. Se poi
l = {x, y} è un lato di r, l'unico cammino da x a y in r è {l} , per cui nel grafo
r 1 = (V, E\ {l}) non esiste alcun cammino da x a y. Ciò significa che f 1 non è
connesso. Pertanto la (ii) implica la (iii).
Si supponga per assurdo che un grafo r con la proprietà (iii) possegga un
circuito L= {h , l2 , ... , lk} con h= {v1 , v2} , ... , lk = {vkov!}. Allora il
grafo che si ottiene da r cancellando per esempio lk è ancora connesso perché
{l1 , l2, . .. , lk - d è ancora un cammino da v1 a vk. Ciò è in contraddizione con la
(iii). Se poi x e y sono vertici non adiacenti dir , indicato con {h , 12 , ... , lt} un
cammino da x a y, che esiste perché r è connesso, e posto l = {x, y}, si ha che
{h , 12 , ... , lt , l} è un circuito in f 2 = (V, EU {l}). Così dalla (iii) segue la (iv).
Infine si supponga che r goda della proprietà (iv). Per provare che r è un
albero occorre dimostrare che esso è connesso. Si considerino quindi due vertici x
e y distinti e non adiacenti di f; per ipotesi f 2 = (V, EU { { x, y}}) ha un circuito,
sia questo L = { l1 , ... , l t}. Se nessuno dei lati coincidesse con {x , y} allora L
sarebbe un circuito dir, in contraddizione con la (iv). Non è restrittivo arsumere
lt = { x, y}; ma allora lt-1 = {Vt - 1 , x} e h = {y , v2} per cui {h , ... , lt- d è un
cammino in r day a X, e l'asserto è provato. D
Reticoli, grafi, alberi 421

I vettici di grado l di un albero si chiamano foglie; il prossimo risultato assicura


che ogni albero finito di ordine 2: 2 ha almeno una foglia.

10.7.2. Sia r = (V, E) un albero finito. Se lVI 2: 2 allora esiste almeno un


vertice w E V tale che d( w) = l.

Dimostrazione. Sia lVI 2: 2 e per assurdo d( v) i- l per ogni v E V. Poiché r


ha almeno due vertici ed è connesso si ha che r ha almeno un lato l 1 = {v1, v2}.
Si consideri v2; essendo d( v2) 2: 2 esiste almeno un lato l2 i- h tale che v2 E l2
e quindi l2 = {v2, v3} con v3 i- v1. Anche il vettice v3 ha grado almeno 2 e
quindi esiste un lato l3 i- l2 che ha come estremo v3. Indicato con v4 i- v2 l'altro
estremo di l3 si ha che d( v4) 2: 2 e proseguendo il ragionamento si costruisce una
successione di lati l1, l2, ... , ln, . . . di r tali che li i- li+ 1 e li n li+ 1 i- 0 per ogni
i E N. li grafo r è però finito per cui la sequenza considerata deve essere finita e
questo vuol dire che esistono n, m E N tali che n i- m e ln = lm. Pertanto r ha
un circuito e questo è assurdo. D

Per stabilire se un grafo finito connesso è un albero basta contarne i lati. Vale
infatti il seguente risultato:

10.7.3. Teorema. Per un grafo r = (V, E) finito di ordine n sono equivalenti:


(i) r è un albero;
(ii) r è un grafo privo di circuiti con n- l lati;
(iii) r è connesso e ha n - l lati.

Dimostrazione. Per provare che dalla (i) segue la (ii) occone dimostrare che un
albero r di ordine n ha n - l lati e a tale scopo si può procedere per induzione su
n. Se n= l, allora E= 0 e l'asserto è banalmente verificato. Sia dunque n > l
e si supponga, per ipotesi di induzione, che ogni albero di ordine n- l abbia n- 2
lati. Per 10.7.2l'albero r ha almeno una foglia v. Detto l quell'unico lato avente
v come estremo, il grafo r 1 = (V\ {v}, E\ {l}) è ancora un albero e ha ordine
n- l. Dunque lE\ {l} l =n- 2 e quindi lEI =n- l come si voleva.
Per dimostrare che dalla (ii) segue la (iii) occone verificare che una foresta
r = (V, E) con n vertici e n - l lati è necessariamente connessa. Sia t il numero
delle componenti connesse di r e siano V1 , ... , Vt tali componenti connesse. In-
dicato con r i il sottografo generato da Vi per ogni i E {l , ... , t}, si ha che r i è un
albero di ordine lVi l e quindi ha lVi l - l lati. Inoltre IV l = n = IV1I + · · · + lVt l
e lEI= n- l= (IV1I- l)+ + (lvtl- l)= IV1I + + lvtl- t= n- t;
00

00

pertanto necessariamente t = l , cioè r è connesso.


Resta da provare che la (iii) implica la (i), cioè che ogni grafo connesso r
con n vertici e n-llati è privo di circuiti. Si supponga per assurdo che r possegga
un circuito e sia h un lato di tale circuito. Allora il grafo r 1 = (V, E\ {h}), che
si ottiene da r cancellando h, è un grafo connesso con n vettici e n - 2 lati.
Poiché si è provato che un albero con n vertici ha n - l lati, r1 non può essere
422 Capitolo 1 O

un albero e quindi ha almeno un circuito. Detto l 2 un lato di questo circuito , il


grafo r 2 = (V, E \ { l1, l2}) è connesso e ha n vertici e n - 3 lati, quindi non può
essere un albero. Proseguendo in questo modo si perviene, dopo n - l passi, a un
grafo connesso con n vertici e O lati, e ciò è assurdo perché il grafo vuoto non è
connesso. D

10.7.4. Corollario. Ogni grafo finito connesso possiede un albero di supporto.

Dimostrazione. Sia r = (V, E) un grafo connesso di ordine n; risulta ovviamente


lEI 2: n-1. Se lEI > n-1 allora r non può essere un albero e quindi contiene un
circuito. Cancellando un lato di tale circuito si ottiene un sottografo connesso di
ordine n il cui numero di lati è lEI- l. Se lEI- l = n - l allora il grafo ottenuto
è un albero altrimenti proseguendo come nella dimostrazione del Teorema 10.7 .3,
ossia cancellando uno alla volta i lati che appartengono a circuiti, si perviene all a
costruzione di un sottografo connesso di r con n vertici e n - l lati, che risulta
quindi un albero di supporto di r. D

Esercizi
Esercizio 10.7.1. Si stabilisca quanti sono, a meno di isomorfismi, gli alberi di
ordin e 3 e quelli di ordin e 4.

Esercizio 10.7.2. Si disegnino tutti, a meno di isomorfismi, gli alberi di ordine 5.

Esercizio 10.7.3. Si consideri il grafo r = (V, E) con V = {a , b, c, cl, e, f} ed


E = {{a, b}, {a , c}, {b, c}, {c, e}, {cl , f}, {cl , c}, {e, a}}. Dopo aver osservato
che r è connesso ma non è un albero se ne determini un albero di supporto.

Esercizio 10.7.4. Sia r = (V, E) il grafo avente V = {l , 2, 3, 4 , 5, 6, 7, 8, 9 , lO}


ed E= {{1 ,3} ,{1 ,4} ,{2,4} ,{2,7} ,{5,6} ,{5,7} ,{6,9} ,{6,8} ,{9,10}}. Si
dimostri che r è un albero e se ne individuino le fog lie.

Esercizio 10.7.5. Quanti lati ha una foresta di ordine lO con 3 componenti con-
nesse di cui una priva di foglie?

10.8 Esercizi di riepilogo


Esercizio 10.8.1. Si consideri l 'insieme L = {2 a3b : a , b E No} costituito dai
numeri naturali della fo rma 2a3b, con a, b E No.
(i) Si verifichi che la relazione ç definita in L ponendo

dove :S denota l 'o rdin e usuale in No, è una relazione d'ordine.


Reticoli, grafi, alberi 423

(ii) Si stabilisca se l'insieme ordinato (L,[;;;) è totalmente ordinato, se è ben


ordinato, quali sono gli eventuali elementi minima/i e massimali, minimo
e massimo.
(iii) Si dimostri che (L,[;;;) è un reticolo.
(iv) Si dimostri che il reticolo (L , [;;;) è distributivo.
(v) Nel reticolo (L, [;;;) si effettuino i seguenti calcoli: 4 1\ 6, 12 1\ 18, 4 V 6,
6 v 9.
(vi) Si dimostri che l'applicazione h : 2a3b E L t-------t a + b E No è un
omomorfismo tra gli insiemi ordinati (L,[;;;) e (No,:::;).
(vii) Si dimostri che h non è un omomorfismo tra i reticoli (L ,[;;; ) e (No,:::;).
(viii) Si consideri il sottoinsieme F = {2 , 3, 4, 6, 9, 12, 16, 18, 27} di L, con
l'ordine indotto da [;;;. Si disegni il diagramma di Hasse di (F, [;;;), e si
precisi perché (F, [;;;)non è un sottoreticolo di (L,[;;;).

Esercizio 10.8.2. Si consideri l 'insieme L = {2a3b : a, b E N} costituito dai


numeri naturali della forma 2a3b, con a, bE No.
(i) Si verifichi che la relazione [;;; definita in L ponendo

2a3b .-_
'- 2c3d :T--7'"
_.L-----'. <c
a_ e bld ,

dove :::; denota l'ordine usuale in No e l denota la relazione del "divide"


in No, è una relazione d'ordine.
(ii) Si stabilisca se l'insieme ordinato (L,[;;;) è totalmente ordinato, se è ben
ordinato, quali sono gli eventuali elementi minima/i e massimali, minimo
e massimo.
(iii) Si dimostri che (L , [;;;) è un reticolo.
(iv) Si dimostri che il reticolo (L,[;;;) è distributivo.
(v) Nel reticolo (L,[;;;) si effettuino i seguenti calcoli: 4 1\ 6, 12 1\ 18, 4 V 6,
6 v 9.
(v i) Si consideri l'applicazione <7: L ----7 P(N) definita ponendo

b)·={
<7( 2a 3
·
{xEN:x >a}
{a+l,a+2 , .. . ,a+ b}
seb=O
sem>O.

Si stabilisca se <7 è iniettiva, e se è suriettiva.


(vii) Si provi poi che <7 è un omomorfismo tra gli insiemi ordinati (L ,[;;; ) e
(P(N), ç).
(viii) Si stabilisca se <7 è un omomor.fismo tra i reticoli (L,[;;;) e (P(N) , ç).
(ix) Si consideri il sottoinsieme F = {2, 3, 4, 6, 9, 12, 16, 18, 27} di L, con
l'ordine indotto da [;;;. Si disegni il diagramma di Hasse di (F, [;;;), e si
precisi se (F, [;;;)è un sottoreticolo di (L,[;;;).

Esercizio 10.8.3. Si consideri l'insieme L = {3n +l : n E No}, e sia [;;; la


relazione definita in L ponendo

3n +l [;;; 3m+ l :{:=:} nlm,


424 Capitolo 1O

dove l è la relazion e del "divide" in No.


(i ) Si dimostri ch e ç è una relazione d'ordin e in L.
(ii) Si precisi se (L , ç ) è totalmente ordinato e se è ben ordinato.
(iii ) Si dimostri che (L , ç ) è un reticolo.
(iv ) Si dimostri che l 'applicazione f : 3n + l E L ~--t n E No è un
isomorfismo di reticoli tra (L, ç ) ed (No, l ).
(v) Si specifichi se esistono, e quali sono, il minimo e il massimo di (L , ç).
(vi) Si disegni il diag ramma di Hasse d el sottoinsiem e F = {7, 10, 13, 19, 37}
di L.
(vii ) Si stabilisca se F è un sotto reticolo di L.

Esercizio 10.8.4. N ell 'insiem e 5N 0 = { 5a : a E No} si consideri la relazione ç


d efinita ponendo
5a ç 5b :<====? a lb
dove l è la relazion e del "divide " tra numeri naturali.
(i) Si verifichi che ç è una relazione d 'ordin e in 5No.
(ii) Si stabilisca se l 'insiem e ordinato (5No, ç) è totalm ente ordinato, se è ben
ordinato, quali sono g li eventuali minimo e massimo.
(iii) Si dimostri che (5No, ç) è un reticolo.
(iv) Qual è l 'e lem ento 15 V 25 in (5No, ç)?
(v) Si dimostri che l 'applicazion e w : 5a E 5No 1--t a E No è un omomorfi-
smo tra i reticoli (5No, ç) e (No, 1).
(vi) Si verifichi se l'applicazione CT : 5a E 5No 1--t a E No è un omomor-
fismo tra gli insierni ordinati (5 No, ç ) e ( No , ~ ), dove ~ denota l 'ordin e
usuale in No.
(vii ) Si verifichi se l'applicazione CT : 5a E 5No ~--t a E No è un omomor-
fismo tra i reticoli (5No, ç ) e ( No , ~ ), dove ~ d enota l'ordin e usuale in
No.
(viii) Si consideri il sottoinsiem e H = {10 , 15, 20, 25 , 50, 150} di 5No, con
l 'ordine indotto da ç . Si disegni il diag ramma di Hasse di (H, ç ).
(ix) Si precisi se (H , ç ) è un sottoreticolo di (5No, ç ).
(x ) Qual è l'estremo superiore in H dell 'insiem e {15, 25} ?
(xi) Si determinino gli elementi minima/i e l'eventuale minimo di (H, ç ).
(xii) Si determinino gli elem enti massimali e l 'e ventuale massimo di (H, ç ).
Esercizio 10.8.5. Si consideri l'insieme P(S) delle parti di un insiem e S di ordin e
3 e il grafo r = (V, E) i c ui vertici sono gli elem enti di P( S) e in cui {X, Y} è un
lato se e solo se X ç Y oppure Y ç X. Si dimostri che tale g rafo è conn esso ma
non è un albero, esibendon e un c ircuito. Si d etermini p oi un albero di supporto di
r . Si provi infin e che il multigrafo Y = (V, E, '1/J ), d o ve 'ljJ è l'immersion e di E in
[V]2 , non possiede cammini euleriani.
Esercizio 10.8.6. Si costruisca un multigrafo di ordin e 10 con 21 lati, che sia
privo di punti isolati e di cammini euleriani.
A
Cenni di logica proposizionale e predicativa

Un enunciato che abbia un ben preciso valore di verità, cioè che sia vero oppure
falso, è detto proposizione. Per esempio le affermazioni

Parigi è una città europea


La Senna è un lago americano

sono entrambe proposizioni (la prima vera e la seconda falsa), mentre l'enunciato

Probabilmente trascorrerò le prossime vacanze estive in barca a vela

non lo è perché non è né vero né falso.


La logica proposizionale analizza come le proposizioni possono essere com-
binate tra loro per ottenere nuove proposizioni più complesse il cui valore di verità
è determinato da quello delle proposizioni che le costituiscono. Un modo per fare
ciò è quello di utilizzare i connettivi: -, (NOT), V (OR), 1\ (AND).
Data una proposizione A si può considerare la sua negazione, che si denota
con •A.
Per esempio la negazione della proposizione

A : Riccardo è il miglior scolaro

è
·A : Riccardo non è il miglior scolaro,
ed è vera esattamente quando A è falsa. Precisamente, utilizzando la notazione V
per vero e F per falso si ha:

*
F
v
Tale tabella è detta tavola di verità per la negazione.
Due proposizioni possono poi essere combinate tra loro mediante la congiun-
zione "e". Per esempio considerate le proposizioni
426 Appendice A

A : Riccardo stava scrivendo ,


e
B : Fabrizio stava leggendo ,
la loro congiunzione, denotata con A 1\ B, è la proposizione

A 1\ B : Riccardo stava scrivendo e Fabrizio stava leggendo.


Si osservi che se A e B sono vere allora lo è anche A 1\ B, d'altro canto se A è
falsa allora A 1\ B è falsa indipendentemente dall'essere vera o falsa la B. Elen-
cando le ulteriori possibilità si può dare una descrizione precisa del modo in cui il
connettivo "e" viene utilizzato per collegare due proposizioni tracciando anche in
questo caso la tavola di verità:

A B A /\ B
v v v
v F F
F v F
F F F
Tale tabella mostra che A 1\ B è vera quando sia A che B sono vere, mentre è falsa
in tutti gli altri casi.
Un altro modo in cui possono essere legate tra loro due proposizioni consiste
ne Il' utilizzare il connettivo "o", detto disgiunzione.

Questa estate Federica trascorrerà le vacanze in Inghilterra o in Francia.

La proposizione considerata è vera se effettivamente Federica andrà in Inghilterra


ma anche se andrà in Francia. La possibilità che faccia entrambe le cose non è
prevista ma, se dovesse verificarsi, l'enunciato è ancora vero. Questo nella vita
quotidiana potrebbe causare qualche ambiguità: se due proposizioni A e B sono
entrambe vere allora la proposizione A o B è vera? Generalmente questo, nel-
l' uso comune, viene chiarito dal contesto. Invece, secondo le regole della logica
proposizionale, A o B significa sempre: A oppure B oppure entrambe. Si ha cioè
che l'uso del connettivo "o" è, come suoi dirsi, inclusivo. La disgiunzione di due
proposizioni A e B viene denotata con A V B . La tavola di verità di A V B è la
seguente:

A B A VB
v v v
v F v
F v v
F F F
Un modo per combinare due proposizioni è anche quello di utilizzare l'implica-
zione. Il modo in cui questa viene usata in matematica è leggermente diverso
Cenni di logica proposizionale e predicativa 427

dall'uso comune. La proposizione "A implica B", oppure "se A allora B", si
denota con A :==::::? B, significa che A è falsa oppure B è vera, ed è descritta dalla
seguente tavola di verità:

A B A====:>B
v v v
v F F
F v v
F F v
Si osservi che A ====> B è vera per ogni valore di verità di B ogni volta che A
è falsa. Dunque un enunciato falso implica ogni enunciato. Si può poi notare
che l'implicazione può essere definita usando i connettivi già introdotti: infatti
A ====> B equivale a -.A V B.
Un ulteriore connettivo di uso frequente è la doppia implicazione o equiva-
lenza, indicata con A {:::::::::} B. Questa viene definita come (A ====> B) 1\ (B ====>
A) ed è vera esattamente quando A e B sono entrambe vere o entrambe false:

A B A<==:::> B
v v v
v F F
F v F
F F v
Si noti che anche la doppia implicazione A <==:::> B può essere definita utilizzando
solo i connettivi già introdotti: infatti essa equivale a (-.A V B) 1\ ( -.B V A).
I simboli -., 1\ , V, ====:>, <===> si chiamano anche connettivi proposizionali.
Ogni proposizione formata con l'applicazione di tali connettivi ha un valore di
verità che dipende dai valori di verità delle proposizioni che la compongono.
Per esempio il valore di verità della proposizione (-.A V B) ====> C dipende
da quello di A, B e C, come espresso dalla tavola di verità seguente:

A B c -.A (-.A V B) (-.A V B) ====> C


v v v F v v
F v v v v v
v F v F F v
F F v v v v
v v F F v F
F v F v v F
v F F F F v
F F F v v F
Si definisce forma enunciativa una proposizione costituita da un numero finito di
proposizioni atomiche (cioè non formate mediante altre proposizioni) combinate
428 Appendice A

mediante connettivi proposizionali. Se una forma enunciativa è costituita da t pro-


posizioni atomiche allora le proposizioni atomiche hanno 2t possibili assegnazioni
di verità e quindi nella tavola di verità compaiono 2t righe.
Si consideri per esempio la seguente proposizione:

Se gli Stati Uniti sono un paese ricco, allora l'Africa è un paese povero.

Tale proposizione è una fonna enunciativa e precisamente la forma enunciativa


A ===? B dove A è la proposizione atomica

Gli Stati Uniti sono un paese ricco

e B è la proposizione atomica

L'Africa è un paese povero.

Una forma enunciativa che sia vera indipendentemente dai valori di verità delle
proposizioni che la costituiscono è detta tautologia. Per esempio

-.(A 1\ B) {:::=:? -.A V -.B

è una tautologia, e ha la seguente tavola di verità:

A B -.(A 1\ B) -.A -.B -.Av-.B -.(A 1\ B) {:::=:? -.A V -.B


v v F F F F v
v F v F v v v
F v v v F v v
F F v v v v v
La tautologia precedente assicura che la negazione della congiunzione di due
proposizioni A e B non è altro che la disgiunzione delle negazioni -.A e -.B. Si
può poi osservare che anche

-.(A V B) {:::=:? -.A 1\ -.B

è una tautologia, e ciò garantisce che la negazione della disgiunzione di A e di B


è la congiunzione delle negazioni -.A e -.B. Infatti si ha:

A B -.(A V B) -.A -.B -.Al\ -.B -.(A V B) {:::=:? -.A 1\ -.B


v v F F F F v
v F F F v F v
F v F v F F v
F F v v v v v
Cenni di logica proposizionale e predicativa 429

Ulteriori tautologie che legano congiunzione e disgiunzione sono, come è


facile osservare scrivendone le tavole di verità (vedi Esercizio A. l), le seguenti:

A V (B A C) {:=:::} (A V B) A (A V C),
A A (B V C) {:=:::} (A A B) V (A A C).

Siano P e Q due forme enunciative. Se P ===? Q è una tautologia allora si dice


che P implica logicamente Q, ovvero che Q è conseguenza logica di P. Ana-
logamente si dirà che P e Q sono logicamente equivalenti se P {:=:::} Q è una
tautologia. Per esempio •(A V B) e ·A A ·B sono logicamente equivalenti men-
tre A AB implica logicamente A perché (A A B) ===?A è una tautologia, avendo
la seguente tavola di verità:

A B A A B (A A B)===? A
v v v v
v F F v
F v F v
F F F v
Una forma enunciativa che sia falsa per tutti i valori di verità delle proposizioni
che la costituiscono è detta contraddizione. Per esempio la forma enunciativa
A A ·A è una contraddizione infatti ha la seguente tavola di verità:

A ·A A A•A
V F F
F V F

Si noti che una forma enunciativa P è una tautologia se e solo se ---,p è una
contraddizione, e viceversa.
Una forma enunciativa è una forma normale disgiuntiva (rispettivamente
congiuntiva) se è una disgiunzione (risp. congiunzione) di una o più proposi-
zioni ciascuna delle quali è una congiunzione (risp. disgiunzione) di una o più
proposizioni atomiche. Per esempio, con A, B e C proposizioni atomiche, la for-
ma enunciativa (A A B) V (·A A C) è una forma normale disgiuntiva, mentre
(C V •B) A (A V •C) è una forma normale congiuntiva.
Si può dimostrare che ogni forma enunciativa è logicamente equivalente a
una forma normale disgiuntiva e a una forma normale congiuntiva. Per esempio
la forma enunciativa (A ===? B) V (·A A C) è equivalente alla forma normale
disgiuntiva •(A A •B) V (·A A C) ed anche alla forma normale congiuntiva
(•A V B) A •(A V •C).
Gli enunciati semplici fin qui descritti non bastano al ragionamento mate-
matico. È necessario infatti introdurre le funzioni proposizionali, anche dette
predicati, che sono asserzioni in cui compaiono delle variabili. A differenza delle
proposizioni, i predicati non sono sempre veri o falsi, ma lo diventano quando
430 Appendice A

vengono specificati i valori assunti dalle variabili. Per esempio il seguente asserto
relativo ai numeri naturali

P(x) : x è un numero dispari


è vero se x è 3 ma è falso se x è 2.
Quando si vuoi precisare che un certo asserto P (x ), che coinvolga una varia-
bile x, è vero per tutti gli x nell'universo del discorso, questo viene scritto

('v'x) P(x),
che si legge "per ogni x è vera P (x )". n simbolo V è detto quantificatore univer-
sale. Per esprimere invece che P (x) vale per qualche x, si sclive

(:::lx) P(x),
che si legge "esiste x tale che è vera P (x )". n simbolo :3 è detto quantificatore
esistenziale.
Un predicato può coinvolgere anche più di una variabile: per esempio gli
asserti
Q(x, y): xy = yx
R(x, y): x::; y
sono come si suoi dire predicati a due posti.
Naturalmente, una volta che tutte le variabili che compaiono in una funzione
proposizionale sono state limitate da un quantificatore universale o esistenziale,
si ottiene una proposizione del tipo considerato prima. Per esempio nell'universo
dei numeri naturali
('v'x)('v'y)(xy = yx )
esprime il fatto che il prodotto di ogni coppia di numeri naturali non dipende
dali' ordine dei fattori. Analogamente

(Vx)(:::Jy)(x. < y)
vuoi dire che per ogni x vi è un y maggiore di x e quindi che non esiste massimo.
Si osservi inoltre che se nell'ultima proposizione si inverte l'uso dei quantificatori
si ottiene la proposizione
(:::Jy)(Vx)(x < y)
che vuoi dire che esiste un y maggiore di ogni x , cioè y è il massimo. Quest'ultima
proposizione è falsa se la precedente è vera come succede appunto se si tratta di
numeri naturali. Pertanto occorre fare attenzione all' ordine in cui si adoperano i
quantificat01i.
I quantificatori universale ed esistenziale sono legati dalle seguenti equiva-
lenze che consentono di definire ciascuno dei due in termini dell'altro, per cui si
può scegliere uno dei due come primitivo e definire l'altro in termini di questo:

•(:::lx)•P(x) ~ ('v'x)P(x),
Cenni di logica proposizionale e predicativa 431

-{ll'x)--,P( x) {::::::} (3x)P(x).


Con l'aiuto di queste formule e tenendo presente che

--,--,A {::::::} A,

è facile scrivere la negazione di una qualsiasi formula con quantificatori. Per


esempio:

--,[(\:fx)(3y)(\:fz)F(x, y, z)] {::::::} (3x)(\:fy)(3z)[--,F(x, y, z)].

Come esempio, si consideri l'asserto

A : esiste una coppia di numeri naturali la cui somma è O,

in simboli:
(3x)(3y)(x +y = O);
la sua negazione è
(\:fx)(\:fy)--,(x + y = 0) ,
ossia

-,A : la somma di ogni coppia di numeri naturali è diversa da O.

Nel ragionamento matematico si utilizzano alcune regole per ricavare i teoremi


da un insieme ben determinato di formule che vengono chiamate assiomi, proce-
dendo con delle sequenze di passi dette dimostrazioni. I teoremi così come gli
assiomi sono tautologie. Può essere utile descrivere brevemente alcuni metodi di
dimostrazione.
Una dimostrazione diretta è del tipo:

A è vera, A ===> B è vera, dunque è vera B.

Si può poi procedere con delle dimostrazioni indirette per contrapposizione o


per assurdo. Nel procedere per contrapposizione, per dimostrare che

si prova la cosiddetta formula contronominale, ossia che

Questo metodo è basato sul fatto che la proposizione

(A ===> B) {::::::} (--, B ===> -,A)

è una tautologia. Essa ha infatti la seguente tavola di verità:


432 Appendice A

A B -.A -.B A=?B -.B=?-.A (A===? B){::::::::? (-.B ===?-.A)


v v F F v v v
v F F v F F v
F v v F v v v
F F v v v v v
Per esempio, se si vuol provare per contrapposizione che nell' universo dei
numeri interi
(x 2 pari ===? x pari) ,
bisogna dimostrare che

(x dispari ===? x 2 dispari).

E infatti se x è un intero dispari allora x = 2n + l , con n intero, per cui


2
x = (2n + 1) 2 = 4n2 + 4n +l
è senz' altro dispari.
Infine, dimostrare per assurdo che A è vera significa provare che -.A con-
duce a una proposizione falsa. Per esempio si supponga di voler provare che la
proposizione
A : V2 non è un numero razionale,
è vera. Procedendo per assurdo si suppone vera

-.A : V2 è un numero razionale ,


dunque
V2= m
n
con m numero intero e n numero intero positivo. Ovviamente si può supporre che
m e n non abbiano divisori primi in comune. Allora

e quindi m 2 = 2n2 , il che comporta che m 2 è pari, ovvero che m è pari, per quanto
sopra dimostrato. Pertanto m= 2t con t opportuno intero. Dunque n 2 = 2t 2 per
cui n è pari. Allora m e n hanno in comune il divisore primo 2 e questa è una
contraddizione.
Il ragionamento precedente mostra che, supponendo vera -.A si perviene a
una contraddizione, per cui -.A è fal sa e quindi A è vera.
A volte poi nelle dimostrazioni si esibiscono dei controesempi. Alcuni enun-
ciati sono infatti del tipo
('v'x)P(x),
Cenni di logica proposizionale e predicativa 433

e se si vuol dimostrare che tale enunciato è falso occorre provare che è vera la sua
negazione, cioè che
(:::Jx)---,P(x);
ciò può essere fatto individuando un ben preciso c tale che ,p (c). Per esempio si
supponga di voler provare che nell ' universo dei numeri interi l'enunciato
(\lx) (:::Jy) (xy = l)
è falso, e quindi che è vera la sua negazione:
(:::Jx)(\fy)---,(xy = 1).
A tale scopo basta osservare che se si considera il numero intero 3 si ha che

Si noti che è vero anche il seguente enunciato


(:3x)(:3y)(xy = 1).
Basta infatti considerare x = y = l oppure x = y = - l. In altre parole il
fatto che sia possibile individuare un ben preciso c tale che P (c) non assicura che
l'enunciato (\fx)P(x) sia vero, mentre l'individuazione di un elemento c tale che
-,P( c) garantisce che è vera la negazione ---, (\fx) P(x) del precedente enunciato.
Quelli fin qui illustrati sono gli scherni di ragionamento generale e, a seconda
dei vari argomenti, si usano scherni più specialistici, quali per esempio il principio
di induzione per dimostrare proprietà relative ai numeri naturali.

Esercizi
Esercizio A.l. Si verifichi che le seguenti form e enunciative sono tautologie:
A V (B !\C) <===> (A v B) !\ (A v C),
A!\ (B v C) <===> (A !\ B) V (A!\ C).
Esercizio A.2. Si scrivano le tavole di verità delle seguenti proposizioni:
(A ====? B) !\ A ;
(A V •C) <===> B.
Esercizio A.3. Si verifichi che le seguenti forme enunciative sono tautologie:
A !\ A <===> A,
A v A <===> A,
A V B <===> B V A,
A !\ B <===> B !\ A,
(A V B) V C<===> A V (B V C),
(A!\ B) !\ C<===> A !\ (B !\C ).
434 Append ice A

Esercizio A.4. Si provi che le seguenti forme enunciative sono contraddizioni:

A 1\ B ~ 'A V -,B ,
A VB ~ -,A 1\ -,B .

Esercizio A.S. Si scrivano le seguenti proposizioni come forme enunciative, usan-


do lettere per le proposizioni atomiche:
P : O Carla non è francese oppure Luigi è americano e Carla è francese;
Q: Un bambino è felice se e solo se è domenica, c'è il sole e mangia il gelato.
Esercizio A.6. Si determinino forme normali congiuntive e disgiuntive logica-
mente equivalenti ad A~ (B 1\ -,A).

Esercizio A.7. Si scrivano i seguenti enunciati relativi ai numeri naturali utiliz-


zando i quantificatori:
A : Esistono due numeri interi x e y la cui somma è 12;
B : Qualunque sia il numero naturale x, il numero naturale 2x + 16 è pari;
C : Per ogni numero naturale x maggiore di 7 esiste un numero naturale y tale
che x= y + 7;
D : Se un numero è primo allora è dispari oppure è due.

Esercizio A.8. Si scrivano le negazioni dei seguenti enunciati:


H: (\fx)(:::Jy)(x- 3y = 15);
K: (\fx )((:::Jy)(x > y + 7) V (:::Jy)(x- 7 ::; y));
L: (:::Jx )(\fy)(x- 15 ::; y).
Esercizio A.9. La proposizione

3 è un numero dispari

può essere dimostrata come segue: "Ogni numero primo diverso da 2 è dispari, 3
è primo ed è diverso da 2, quindi 3 è dispari". Che tipo di ragionamento è stato
utilizzato?

Esercizio A.lO. Utilizzando un ragionamento per assurdo, dimostrare che l'in-


sieme dei numeri naturali è privo di massimo.
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PubJjshillg, 2006.
Indice analitico

A identico, 324
albero, 415 autospazio, 351
di supporto, 420 autovalore
alfabeto, 215 di un endomorfismo, 357
algebra di Boole, 408 di una matrice, 295
algoritmo autovettore
della divisione, 22, 170, 246 di un endomorfismo, 357
euclideo, 180 di una matrice, 295
anello, 152
booleano, 409
B
commutativo, 152
idempotente, 409 base
canonica, 318, 319
quoziente, 240
d'induzione, 20
unitario, 152
di un monoide, 219
angolo, 393, 395
di un semigruppo, 216
antiperiodo, 200
di una rappresentazione, 173
appartenenza, l
di uno spazio vettmiale, 318
applicazione, 54
ordinata, 322
biettiva, 67
ortonmmale, 392
cancellabile a destra, 76
biezione, 67
cancellabile a sinistra, 76
composta, 69
costante, 61 c
crescente, 91 cammino, 415, 416
identica, 62 euleriano, 416
iniettiva, 65 campo, 153
inversa, 68 algebricamente chiuso, 208
invertibile, 72 completo, 202
lineare, 324 ordinato, 202
smiettiva, 66 carattetistica di un anello unjtario , 241
vuota, 62 catena, 90
aritmetica circonferenza, 389
dell'orologio, 185 circuito, 415, 416
modulo m, 185 euleriano, 416
asse di un riferimento affine, 371, 372 classe d'equivalenza, 80
assioma, 431 codice
della scelta, 76 a cillave pubblica, 190
assiomi di Peano, 169 RSA, 190
automorfismo, 162, 164 codominio, 54
di spazi vettoriali, 324 coefficiente
438 Indice analitico

binomiale, 124 per contrapposizione, 431


di un polinomio, 244 disgiunzione, 426
direttivo, 244 disposizione, 121
combinazione, 123 con ripetizioni, 122
con ripetizioni, 127 distanza, 389, 393, 394
lineare, 314 disuguaglianza
complemento, 33, 407 di Cauchy-Schwarz, 395
algebrico, 275 triangolare, 395
componente divisore, 12, 248
connessa, 416 dello O, 236
di un vettore, 321 destro dello O, 236
congiunzione, 425 sini stro dello O, 236
congruenza, 159, 160 dominio, 54
modulo m, 183 d' integrità, 236
connettivo, 425 di operatori, 152
proposizionale, 427
conseguenza logica, 429
contraddizione, 429 E
controesempio, 4, 432 elemento
controimmagine, 64 cancell abi le, 149
coordinata, 42 a destra, 149
cartesiana, 371 , 372 a sinistra, 149
coppia, 42 confrontabile, 90
corpo, 153 di un insieme, l
dei quaternioni reali, 237 massimale, 93
corrispondenza, 51 minimale, 93
biunivoca, 67 neutro, 146
criterio di divisibihtà, 187 a destra, 146
crivello di Eratostene, 172 a sinistra, 146
permutabile, 144
regolare, 149
D a destra, 149
decomposizione diretta, 333 a sinistra, 149
denominatore, 197 simmetrizzabi1e, 147
deterrrti nante a destra, 148
di una matrice, 273 a sinistra, 148
di Vandennonde, 276 endomorfi smo, 162, 164
diagonale di spazi vettoriali , 324
di un insieme, 42 diagonalizzabile, 357
principale, 258 nullo,324
diagramma epimorfismo, 162, 164
di Hasse, 91 canonico, 162, 164, 240, 326
di Venn, 3 di spazi vettoriali, 324
differenza, 33 equazione
sinunetrica, 35 cartesiana
dimensione di uno spazio vettoriale, 321 del piano, 386
dimostrazione, 431 della circonferenza, 389
diretta, 431 della retta, 385, 387
indiretta congruenziale, 191
per assurdo, 431 parametrica
Indice analitico 439

del piano, 378 regolare, 415


della retta, 377 vuoto, 413
vettmiale gruppo, 152
del piano, 374 abeliano, 152,220
della retta, 374 alterno, 234
equivalenza, 427 ciclico, 222
logica, 429 degli elementi simmettizzabili
estensione per lineatità, 329 di un monoide, 157
estremo di Klein, 228
di un intervallo reale, 203 di petmutazioni, 231
di un lato, 413, 414 generale lineare, 244
inferiore, 97 quadrinomio, 228
superiore, 97 quoziente, 226
simmetrico, 23 1

F
fattmiale, 118 I
foglia, 421 ideale
foresta, 415 banale, 239
forma bilatero, 239
bilineare, 394 destro, 239
simmetrica, 394 sinistt·o, 239
enunciativa, 427 immagine
normale di un elemento, 54
congiuntiva, 429 di un sottoinsieme, 62
disgiuntiva, 429 di un'applicazione lineare, 326
fmmula immersione, 62, 240, 324
contronominale, 431 implicazione, 426
del binomio, 124 doppia, 427
di cambiamento delle basi, 339 logica, 429
di De Morgan, 35, 42 inclusione, 3
di Grassmann, 332 stretta, 5
di Newton, 124 indicatore di Gauss-Eulero, 186
frazione, 197 indice di un sottogruppo, 225
generatrice, 201 insieme, l
funzione, 54 ben ordinato, 95
di Eulero, 188 dei resti modulo m, 185
proposizionale, 429 delle parti, 6
di generatori, 311
disgiunto, 29
G finito , 2
generatore, 311 infinito, 3
grado linearmente dipendente, 314
di un polinomio, 244 linearmente indipendente, 314
di un vertice, 415 minimale di generatori, 311
grafo, 413 ordinato, 90
completo, 413 parzialmente ordinato, 90
connesso, 415 potenza, 6
finito, 413 quoziente, 80
isomotfo, 414 totalmente ordinato, 90
440 Ind ice analitico

uguale, 3 a scala, 266


vuoto, l associata
intero a un'applicazione lineare, 336
invertibile modulo m, 186 complementare, 273
modulo m, 183 completa di un sistema lineare, 286
intersezione, 28 degenere, 276
reticolare, 399 del cambiamento di base, 340
intervallo reale di una cmTispondenza, 258
aperto, 203 diagonale, 258
chiuso, 203 diagonalizzabile, 353
illimitato, 203 elementare, 269
limitato, 202 equivalente, 267
semiaperto, 203 identica, 263
inversa incompleta di un sistema lineare, 286
destra di un ' applicazione, 76 inversa, 278
di una matrice, 278 invertibile, 278
sinistra di un 'applicazione, 76 quadrata, 258
inverso di un elemento, 150 ridotta, 270
involuzione, 68 scalare, 258
isomorfismo, 162, 164 simile, 340, 357
coordinato, 331, 370 simmetrica, 258
di grafi, 414 singolare, 276
di reticoli, 403 trasposta, 258
di spazi vettoriali, 324 tiiangolare inferiore, 258
triangolare superiore, 258
metodo
L di Cramer, 287
laterale di Fennat, 210
destro, 224 di Gauss-Jm·dan, 289
si1ùstro, 224 p- l di Pollard, 211
lato "standard", 209
di un grafo, 413 minimo, 92
di un multigrafo, 414 minimo comune multiplo, 181
incidente, 413 minorante, 96
legge minore, 282
di annullamento del prodotto, 236 orlato, 284
di assorbimento, 399 molteplicità
intema, 143 algebrica, 351
lemma di Steinitz, 317 di una radice, 249
lunghezza, 394 geometrica, 351
di un cammino, 415 monoide, 152
di un ciclo, 232 associato a un semigruppo, 217
di una parola, 215 delle parole, 218
libero, 219
monomio, 245
M monomorfismo, 162, 164
maggiorante, 96 di spazi vettoriali , 324
massimo, 92 multigrafo, 414
massimo comune divisore, 178 connesso, 416
matrice, 153, 257 finito, 415
Indice analitico 441

multiplo, 12, 150, 248 associativa, 144


commutativa, 144
di concatenazione, 215
N di gi ustapposizione, 215
n-upla, 45 distributiva, 151
negazione, 425 a destra, 151
norm~389,392,394 a sinistra, 151
di un numero complesso, 208 elementare, 267
notazione esterna, 152
additiva, 150 indotta, 156
moltiplicativa, 150 interna, 143
nucleo quoziente, 159
di un omomorfismo, 223, 240 opposto di un elemento, 150
di un prodotto scalare, 394 ordine
di un'applicazione lineare, 326 del "divide", 12
numeratore, 197 di un grafo, 413
numero di un insieme, 2
complesso, 207 lexicografico, 102
coniugato, 207 usuale, 11 , 14
composto, 13 origine
decimale, 200 di un riferimento affine, 371
limitato, 200 origine di un tiferimento affine, 372
periodico, 200
di Beli, 129
di Ramsey, 137 p
di Stirling, 129 parametro direttore, 244, 377, 380
intero, 13, 175 parola, 215
coprimo, 180 vuota, 218
naturale, 8 parte
dispari, 17 chiusa, 156
pari, 16 frazionaria, 203
ptimo, 13, 178 intera, 199, 200, 202
razionale, 17, 198 stabile, 156
reale, 202 generata, 158
irrazionale, 202 partizione, 79
identica, 79
totale, 79
o passo induttivo, 20
omomorfismo, 162, 164, 165 periodo, 200
di anelli, 240 pennutazione, 118
di gruppi, 223 con ripetizioni, 119
di insiemi ordinati, 91 disgiunta, 232
di monoidi, 219 dispari, 234
di reticoli, 403 pari, 234
di semigruppi, 216 pivot, 267
di spazi vettoriali, 324 polinomio, 244
identico, 324 caratteristico
nullo,240 di un endomorfismo, 357
operatore, 152 di una matrice, 296
operazione costante, 245
442 Indice analitico

derivato, 250 doppia, 249


monjco, 246 multipla, 249
nullo, 245 semplice, 249
potenza, 10, 14, 151 tripla, 249
predicato, 429 rango
a più posti, 430 di un ' applicazione lineare, 344
piincipio di una matrice, 283
d' induzione, 20, 170 rappresentazione
dei cassetti, 115 binaria, 174
forma forte, 116 decimale, 173
di addizione, 111 dei numeri naturali , 173
di dualità dei reticoli , 400 regola
di inclusione-esclusione, 112 di Cramer, 287
di moltiplicazione, 113 di Sanus, 274
forma generale, 114 relazione, 51
problema dei ponti di Konigsberg, 416 antiriftessiva, 57
prodotto asimmetrica, 55
cartesiano, 42 binmia, 53
di applicazioni, 69 d' equivalenza, 56
operativo di applicazioni, 70 compatibile, 159, 160
righe per colonne, 262 compatibile a destra, 161
scalare, 391, 394 compatibile a sinistra, 161
canonico, 392 d' identità, 53
definito positivo, 394 d' ordine, 56
non degenere, 394 stretto, 90
proiezione, 75 usuale, 199
canonica, 80 d'uguaglianza, 53
prolungamento di un ' applicazione, 75 indotta, 53, 83
proposizione, 425 inversa, 53
atomjca, 427 opposta, 53
pro pii età riflessiva, 54
di tricotorrua, 12 simmetrica, 55
iterativa, 399 totale, 52
unjversale transitiva, 55
dei senùgruppi liberi, 216 vuota, 52
d eli ' anello dei polinorill, 250 resto, 170, 176, 246
prova del nove, 188 modulo m, 185
punto d'incidenza, 380 restrizione di un'applicazione, 75
reticolo, 98, 399
booleano, 408
Q complementato, 407
quantificatore completo, 402
esistenziale, 4, 430 dei numeri nm·urali , 401
universale, 3, 430 dei sottogruppi, 40 l
quoziente, 170, 176, 246 dei sottospazi , 401
delle pm·ti di un insieme, 401
distributivo, 405
R modulare, 407
radice pentagonale, 406
di un polinomjo, 248, 358 trirettangolo, 406
Indice analitico 443

retta sottospazio, 309


incidente, 380 banale, 309
sghemba, 381 diagonale, 309
riferimento affine generato, 31 O
del piano, 371 proprio, 309
dello spazio, 372 somma, 312
ortonormale, 388 supplementare, 333
spazio vettoriale, 305
destro, 153
s finitamente generato, 311
scalare, 152, 306 metrico, 394
segnatura di una permutazione, 234 nullo,306
semigruppo, 152 quoziente, 325
delle parole, 215 sinistro, 153
libero, 216 struttura
simbolo di Kronecker, 263 algebrica, 152
simmetrico, 147 semplice, 152
a destra, 148 prodotto, 154
a sinistra, 148 successione, 61
singleton, l successivo di un numero naturale, 169
sistema lineare, 285 supplementare, 333
compatibile, 286 supporto di una permutazione, 231
equivalente, 287
incompatibile, 287
omogeneo, 286 T
associato, 346 tautologia, 428
soluzione, 286 tavola
somma diretta di sottospazi, 333 di moltiplicazione, 145
sostituzione, 118 di verità, 425
sottoalgebra, 408 teorema
sottoanello, 237 cinese del resto, 192
banale, 237 generalizzazione, 196
fondamentale, 241 di addizione dei gradi, 246
generato, 239 di Bézout, 180
sottografo, 414 di Binet, 276
generato, 414 di Cayley-Hamilton, 358
sottogruppo, 220 di Cramer, 287
banale, 220 di Euclide, 171
generato, 222 di Fetmat-Eulero, 189
normale, 226 di Lagrange, 225
sottoinsieme, 3 di omomorfismo, 163, 164
chiuso, 156 negli anelli, 241
stabile, 156, 157 negli spazi vettoriali, 326
sottomatrice, 282 nei gruppi, 226
sottomonoide, 218 di Pitagora, 396
generato, 218 di Ramsey, 137
sottoreticolo, 400 di Rouché-Capelli, 346
proprio, 400 di Ruffini, 248
sottosemigruppo, 215 generalizzato, 248
generato, 216 di Stone, 410
444 Indice analitico

di Wedderburn , 237 v
di Wilson, 189 valore
fondamentale assoluto, 16
del! ' algebra, 208 di verità, 425
dell 'aritmeti ca, 13, 171 , 18 1 verti ce
sulle relazioni d' equivalenza, 82 adi acente, 4 13
piccolo di Fermat, 189 di un grafo, 4 13
termine noto, 286 di un multigrafo, 4 14
traccia, 323 di spari , 4 15
traslazione, 372 isolato, 4 l 5
destra, 155 pari , 41 5
sinistra, 155 vettore, 306
trasposizione, 232 applicato, 367
triangolo congruente, 367
di Stirling, 130 coordinato, 322
di Tartagli a, 126 di giacitura, 376
di traslazione, 375, 376
direttore, 375
u nullo,306
unione, 25 ortogonale, 392, 396
disgiunta, 35
reticolare, 399
unità immaginaria, 207
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2009
Costantino De li zia
Patrizia Longobardi
Mercede Maj
C h ~a r a N i c o t e r a

Matematica discreta
Il testo, che nasce dalla lunga esperienza didattica degli Auto-
ri, si rivolge a tutti i corsi di Matematica discreta delle lauree
triennali, ma si presta bene a essere utilizzato per qualunque
corso che si ponga come obiettivo quello di fornire agli stu-
denti conoscenze matematiche di base, abituandoli ad adot-
tare un'impostazione rigorosa nell'approccio ai problemi.
I contenuti del libro spaziano dagli argomenti da sempre
Costantino Delizia è ricercatore
peculiari della Matematica discreta a quelli più tipici di Com-
confermato di Algebra e insegna
Matematica discreta presso
binatoria, di Algebra, di Algebra lineare e di Geometria. Il vo-
l'Università degli Studi di Salerno. lume termina con un'Appendice contenente cenni di logica
Patrizia Longobardi è professo- proposizionale e predicativa.
re ordinario di Algebra e insegna La trattazione è sempre rigorosa ma non eccessivamente
Matematica discreta presso
formale ed è accompagnata da esempi, numerosi e particolar-
l'Università degli Studi di Salerno.
Mercede Maj è professore ordi- mente curati, e da un ricchissimo apparato di esercizi che am-
nario di Algebra presso montano a quasi 900, parte dei quali svolti nel testo e tutti
l'Università degli Studi di Salerno. con soluzione sul sito internet dedicato.
Chiara Nicotera è ricercatore
confermato di Algebra
e insegna Matematica discreta
All'indirizw web www.ateneon line.it/delizia sono disponibi-
presso l'Università degli Studi li materiali di supporto: per i docenti i lucidi in formato PDF,
di Salerno. per gli studenti le soluzioni di tutti gli esercizi del testo.

ISBN 978-88-386-6512-7

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