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Lezione 8

Ripresa libertà di circolazione e soggiorno (art 16): il riferimento è a tre libertà:


 circolazione
 soggiorno
 espatrio/rimpatrio
LIBERTÀ DI SOGGIORNO:
il soggiorno consiste nella libertà di scegliere dove fissare la propria dimora/domicilio (la
questione si sovrappone all’art 14) in qualunque parte del territorio nazionale. Questa
libertà potrebbe anche significare libertà di rientrare in qualunque momento nel proprio
domicilio.
Questo aspetto è di attualità perché è connesso alle misure di contrasto alla pandemia. Le
prime misure di contrasto, tra le regole vi era anche il divieto di spostarsi per rientrare nel
proprio domicilio. Poi questa misura venne eliminata.
Questo aspetto dell’art 16 legato cioè alla fissazione di un luogo nel quale scegliere la
propria dimora/domicilio s’intreccia con le libertà economiche (es. art 41 libera iniziativa
economica) che sono libertà costituzionalmente tutelate e che possono subire delle
limitazioni secondo le garanzie previste in Cost. Da questo punto di vista la pandemia ha
fatto perdere l’attenzione per la necessità di tutelare adeguatamente le diverse libertà e i
diversi diritti in gioco (è saltato il bilanciamento, cioè non c’è stato un adeguato
bilanciamento tra i diritti in gioco).
Quindi l’art 16 s’intreccia con le libertà economiche, ad es la libertà di soggiorno s’intreccia
con la scelta della sede della propria attività imprenditoriale, la sede del proprio luogo di
lavoro (più generalmente)
L’art 120 Cost si ricollega al nostro discorso : “La Regione non può istituire dazi di
importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che
ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni,
né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”
Le regioni non possono limitare la libertà di circolazione all’interno dello Stato, ma può
farlo solo lo Stato. La regione potrebbe porre dei limiti alla circolazione all’interno della
Regione, ma sulla base di Legge statale che l’autorizzi a prevedere questi limiti e che
potrebbero essere adottati per ragioni di sanità e sicurezza, cioè nei casi previsti dell’art 16.
Il limite andrebbe comunque ricondotto alla legge statale che abilita la regione, a
determinate condizioni, d’imporre determinati limiti all’interno della Regione (ma sarebbe
sempre un limite statale, da adottare con legge, nei casi previsti dall’art 16)
La questione della libertà di soggiorno e quindi della libertà di fissare il luogo in cui
risiedere incide anche sul luogo di lavoro e in particolare sui pubblici dipendenti. Bisogna
guardare due aspetti: la Corte cost ha stabilito che è incostituzionale richiedere come
requisito per partecipare ad un concorso pubblico la residenza in un dato Comune.
Diversa è la richiesta di fissare la propria residenza nel Comune in cui si svolge la propria
attività lavorativa (si parla sempre di dipendenti pubblici, ad es. io dipendente
dell’Università di Foggia mi viene richiesto di risiedere ad una distanza ragionevole dal
domicilio). La Corte cost dice che è possibile richiederlo, purchè il limite sia ragionevole e
coerente con l’art 97 Cost. Nel concetto di buon andamento (concetto di per se ampio)
potrebbe rientrare la possibilità che il pubblico dipendente risieda da una distanza
ragionevole dall’ufficio.
Quindi se si considera il bilanciamento tra art 16 e art 97, chi ha già vinto il concorso
potrebbe avere l’obbligo di risiede in un comune, o comunque ad una distanza non
eccessiva rispetto al luogo in cui lavora.
La questione va posta sul piano della proporzionalità, cioè sul contemperamento tra art 16
e art 97 Cost. Bisogna trovare un equilibrio, un limite eccessivamente squilibrato rispetto
alle esigenze da tutelare, sarebbe incostituzionale.
Così come l’art 16 consente liberamente di fissare il luogo in cui si soggiorna, ovviamente
l’art 16 consente di spostare quel luogo nel tempo. Però una legge del 1939 (dichiarata poi
incostituzionale e abrogata nel 1961), imponeva dei limiti nello spostamento tra i Comuni
rurali e i comuni urbani, a condizione che non si avesse un impiego in quei comuni. Cioè
l’idea era impedire/limitare, i trasferimento delle persone nelle città, a meno che non si
aveva già un lavoro in città.
LIMITI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO
C’è una riserva di legge. Se si vuole distinguere tra limitazioni all’art 13 e limitazioni all’art
16, uno degli elementi è il numero di soggetti cui le limitazioni si riferiscono. Se le
limitazioni sono riferite al singolo è un limite alla libertà personale con tutto ciò che poi
comporta cioè riserva di legge e riserva di giurisdizione. Se invece le limitazioni sono
previste in via generale o per ampie categorie di soggetti, il riferimento dovrebbe essere
all’art 16. Allora i limiti previsti dall’art 16 devono essere previsti con legge, che abbiano
portata generale sia rivolti a singoli soggetti, ma anche a tutti i cittadini o comunque a
categorie ampie di soggetti.
L’art 16 dice : “salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale (quindi non nei
confronti del singolo ma per categorie, se non per tutti i cittadini)per motivi di sanità e
sicurezza”
Si tratta di una riserva rinforzata di legge e la legge può prevede delle limitazioni solo nelle
ipotesi previste espressamente in Cost.
Una di queste ipotesi è la sanità intesa come giustificazione di limiti alla libertà di
circolazione e soggiorno.
Il termine sanità va inteso come riferito alla salute pubblica e non alla salute del singolo
individuo.
(Per la salute del singolo ci saranno le misure legate alla libertà personale)
La questione s’intreccia anche con l’art 32 della Cost che fa riferimento alla salute sotto
due aspetti diversi : diritto dell’individuo e interesse della collettività, quindi c’è un profilo
individuale e uno collettivo. La legge può imporre un trattamento sanitario obbligatorio.
Quindi è questa disposizione che legittima con legge le vaccinazioni obbligatorie. Quando si
parla di vaccinazioni obbligatorie si parla di un obbligo e non di una coercizione. La
coercizione impone un trattamento contro la volontà dell’interessato ed eventualmente
anche con la forza, l’obbligo impone un trattamento ma richiede la partecipazione del
soggetto obbligato e laddove questo si opponga non c’è una coercizione fisica ma solo la
comminazione di una sanzione.
Questo si pone anche per l’art 16 e per i limiti alla circolazione e al soggiorno.
Questa possibilità d’introdurre dei limiti per ragioni di sanità è ciò che stiamo vivendo in
questi anni, nei quali sono state previste delle misure di contenimento della pandemia di
diversa natura e che hanno inciso su diversi diritti e libertà costituzionalmente garantire.
Si sono susseguite sia misure limitative di carattere generale (divieto di uscire di casa), sia
di carattere più specifico (divieti introdotti soltanto a chi è stato contagiato).
La questione è delicata perché di per se la norma è generale e astratta “chiunque
contragga il virus deve rimanere in casa..” e riguarda limiti alla circolazione e al soggiorno
di cui all’art 16, però incide di fatto soltanto su una parte delle persone, cioè soltanto sui
contagiati.
Le leggi che intervengono per limitare l’art 16 devono essere generali, altrimenti
rientreremmo nell’art 13 e non 16. Il fatto che la legge sia generale non implica che
produca gli stessi effetti su tutti, di fatto le limitazioni imposte dal covid incidono solo su
una parte dei cittadini.
Però essendo la previsione generale e astratta, pur incidendo soltanto su una parte dei
destinatari, dovrebbe essere per questo aspetto legittima, cioè la norma è comunque
generale e astratta, non è volta ad individuare preventivamente i singoli soggetti cui si
dovrà applicare, in generale individua le circostanze che fanno scattare la quarantena e
quelle persone che contraggono il virus, quindi rientrano in quelle categorie previste dalla
legge, saranno costrette a subire quelle misure.
Altre misure hanno riguardato la libertà di circolazione ma solo in alcuni luoghi con certe
caratteristiche che vanno individuate caso per caso in concreto.
Altre limitazioni sono state molto radicali, e un es è stato il lockdown generalizzato. Queste
limitazioni più nette sono limitazioni alla libertà di circolazione e anche alla libertà di
soggiorno.
Ma è stato un limite alla libertà di circolazione o la soppressione?
È un limite cioè c’è un bilanciamento con la tutela della salute o c’è stata una radicale
compressione?
Comunque queste misure limitative non era coercitive ma obbligatorie (ricorda sempre)
Ma erano legittime?
Bisogna interrogarsi sulla fonte con la quale sono state adottate queste misure limitative.
L’art 16 fa riferimento alla legge quindi “limitazioni che la legge stabilisce in via generale”
È necessario che il bilanciamento sia proporzionato, spesso però il diritto alla salute è
prevalso sulle altre libertà.
L’art 16 prevede una riserva di legge rinforzata. La riserva può essere intesa in senso
formale e in senso sostanziale.
La riserva di legge in senso formale comporta la necessità di disciplinare la materia su cui
c’è la riserva solo con legge del Parlamento.
La riserva di legge in senso sostanziale comporta che la materia potrebbe essere
disciplinata con qualunque fonte di rango primario, quindi anche dl e dlgs.
Generalmente salvo diversa previsione della costituzione, si intendono le riserve di legge in
senso sostanziale, quindi le riserve vengono soddisfatte sia dalla legge del Parlamento che
dalle fonti primarie del Governo.
LIMITAZIONI PER CONTRASTARE LA PANDEMIA
Nella Cost italiana non prevede un regime emergenziale peculiare se non quello dello Stato
di guerra (art 78 Cost). La Cost italiana prevede per far fronte alle emergenze i decreti
legge, cioè la possibilità per il governo di adottare fonti aventi forza di legge nei casi
straordinari di necessità e urgenza (art 77 Cost)
Quindi un intervento tempestivo ma provvisorio perché i d.l. perdono efficacia se non
convertiti in legge entro 60 giorni.
Quindi le misure limitative di cui all’art 16 possono essere adottate con d.l. perché fonte
primaria e rispetta la riserva di legge.
Le fonti primarie possono essere attuate con fonti di rango inferiore a quello primario,
normalmente sono i regolamenti governativi e sono atti normativi secondari, subordinati
alla legge, adottati dal Consiglio dei Ministri.
Nel caso specifico della pandemia non si è ricorsi ai d.l. e regolamenti del governo, ma si è
ricorso al decreto legge e al decreto del presidente del consiglio dei ministri (d.p.c.m.)
I d.p.c.m. sono una fonte di cui i costituzionalisti non si sono mai occupati. Erano
normalmente utilizzati per le nomine del Presidente del Consiglio.
Secondo alcuni non sarebbe neanche una fonte normativa in senso stretto.
Quindi in attuazione della disciplina primaria di limitazione alle libertà a casa della
pandemia non si è utilizzata la tipica fonte secondaria cioè il regolamento dell’esecutivo
approvato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica, ma si è
adottato un atto di un organo monocratico, cioè il decreto del presidente del consiglio che
non passa per il consiglio dei ministri e neanche per il Presidente della Repubblica (passa
due controlli).
La vera questione è la fonte a cui sono riconducibili le limitazioni. Se le limitazioni relative
alla circolazione al soggiorno sono direttamente riconducibili al decreto legge, il quale
rinvia ad un’altra fonte di rango inferiore, ma solo per la sua esecuzione, la disciplina tutto
sommato rispetta l’art 16 cost perché la limitazione è nel decreto legge cioè in una fonte
primaria.
Ma se il decreto legge contiene una disciplina generica e rimette ad una fonte secondaria il
compito di definire, di concretizzare la limitazione, essa non sarà riconducibile alla fonte
primaria, ma all’altra fonte che è di rango sub primario, di rango inferiore alla legge e non
può prevedere quelle limitazioni.
Quindi la fonte secondaria può adottare delle misure meramente applicative della misura
limitativa, ma essa deve essere già prevista nel decreto legge.
Se invece si ha una disciplina in cui genericamente il decreto legge consente ad un’altra
fonte d’introdurre delle limitazioni e le limitazioni sono in questa fonte secondaria, non
rispondiamo più allo schema dell’art 16, quindi quelle misure dovrebbero essere
illegittime.
Per contrastare la pandemia però sono stati adottati una serie di decreti legge a monte e
un lunga serie di dpcm a valle, spesso con atti normativi che modificano in parte la
disciplina previgente, senza abrogarla interamente.
Per poter dire che un dpcm è illegittimo dovremmo :
a. analizzare ogni singola misura limitativa
b. individuare il decreto leggere che la prevede e il dpcm che la attua
c. verificare caso per caso, misura per misura se in quella circostanza il decreto legge
contiene la disciplina limitativa e il dpcm si limita ad attuarla, oppure se la disciplina
è rimessa al dpcm
Ma ciò dovrebbe essere fatto caso per caso.
Perciò non si può dire in generale tutti i dpcm sono illegittimi.
La Corte cost si è anche pronunciata sui dpcm e lo ha fatto con la sent 198/2021, essa
nasca da un ricorso di un giudice di Pace di Frosinone, il quale annullava delle sanzioni
relative al covid perché esse erano riconducibili al dpcm e non al decreto legge e dunque
erano illegittime in quanto non rispettavano l’art 16 cost che prevede la riserva di legge.
Il problema fu la motivazione di quella sentenza che annullava le sanzioni.
Il giudice di Pace sollevò questione di legittimità costituzionale per alcune delle misure
limitative delle libertà adottate per contrastare l’emergenza da covid 19. L’iter logico del
giudice di Pace fu il seguente: le norme censurate avrebbero delegato la funzione
legislativa all’autorità di Governo tramite atti amministrativi cioè dpcm, in violazione
dell’art 76-77-78 Cost.
Le motivazioni del giudice di pace non hanno un nesso con quanto abbiamo detto fin ora.
Sappiamo che il giudizio di legittimità costituzionale si svolge nel rispetto del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, cioè la Corte non decide liberamente, ma nei
limiti in cui viene sollevata la questione di legittimità costituzionale, quindi sarà il giudice a
quo che definisce il c.d. tema decidendum
Il giudice a quo avrebbe dovuto chiedere se l’art 16 potesse essere limitato con fonte
subprimaria, se ciò non fosse possibile, nel caso specifico e (non in generale perché
potrebbe essere possibile che il rapporto dpcm e decreto legge non sia censurabile perché
la limitazione è nel decreto legge), ma il giudice di pace avrebbe dovuto chiedere se nel
caso specifico la limitazione fosse nella fonte primaria o sub primaria.
Se fosse stato nella fonte primaria, sarebbe stato conforme all’art 16, se invece fosse stato
nella fonte sub primaria, sarebbe stato in contrasto con l’art 16.
Di fronte alla questione, la Corte dichiarò l’inammissibilità in parte della stessa e non
fondate le altre questioni.
C’è un altro aspetto profondamento sottovalutato, il dpcm è un atto del solo Presidente del
Consiglio, esso non coinvolge il Consiglio dei Ministri. Ciò significa che queste misure
limitative delle libertà fondamentali, sono state adottate saltando una serie di garanzie
politiche: cioè il Consiglio dei Ministri non ha deliberato su quelle misure come sarebbe
accaduto se fossero stati adottati dei regolamenti governativi, quindi ha deciso
autonomamente il Presidente del Consiglio (organo monocratico e non collegiale)
Ciò ha un riflesso sulla forma di governo, viene meno la collegialità governativa e si rafforza
il principio monocratico nell’organizzazione di Governo, cioè il Presidente del Consiglio
viene rafforzato rispetto agli altri organi del Governo.
Questo da un punto di vista politico e tecnico è un problema. È un problema dal punto di
vista tecnico perché segna il rafforzamento di uno degli organi del Governo all’interno della
compagine governativa, ma segna anche un certo sbilanciamento della decisione di
emergenza sul presidente del Consiglio anziché sugli altri organi del Governo e di Governo,
cioè non solo Consiglio dei Ministri e Ministri, ma anche rispetto al Parlamento, il che pone
un problema anche di natura politica.
Inizialmente ciò poteva essere giustificato, dopo di che c’è una maggioranza parlamentare
che subisce le decisioni monocratiche di una sola persona.
Con il Governo Draghi dopo il primo dpcm in poi, tutte le misure limitative sono state
adottate con decreto legge, i dpcm hanno poi funzionato come strumenti di mera
attuazione.
Sicuramente in astratto è giustificabile che ci siano delle misure limitative delle libertà
fondamentali in casi eccezionali di emergenza, ma quelle misure devono essere ragionevoli
e bilanciate da un lato con il tipo di emergenza e dall’altro rispetto agli altri diritti
fondamentali. Quindi l’emergenza giustifica interventi straordinari, ma questi interventi si
devono comunque muovere nel rispetto della Cost, altrimenti si creerebbero dei
precedenti che rischierebbero di andare oltre l’emergenza o giustificano tendenze che
erano già celatamente in atto e che quando arriva l’emergenza si consolidano e restano
dopo l’emergenza.

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