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INTRODUZIONE
La fisica si occupa di descrivere tutti i fenomeni che ci accadono attorno, di capirli che siano
biologici, chimici, medici.
Comprendere i fenomeni non significa soltanto descriverli qualitativamente, la descrizione
occorre ma solo quello non significa fare fisica. Perché la fisica va quantizzata. Questo
significa che dobbiamo descrivere un fenomeno ma dobbiamo individuare delle grandezze
che permettono di misurare ciò che vogliamo descrivere. L’arcobaleno, dobbiamo dire che
lunghezze d’onda emette, l’intensità luminosa, in quale parte si sta sviluppando.
Quindi esprimere quantitativamente queste grandezze ci permette di valutare il fenomeno
e compararlo ad un altro. Per fare le comparazioni dobbiamo valutare le grandezze. Ogni
qualvolta assistiamo ad un fenomeno bisogna descriverlo qualitativamente, ma soprattutto
bisogna quantizzarlo individuando le grandezze che lo descrivono.
GRANDEZZE FISICHE (quantità misurabile scegliendo una unità di misura)
Le grandezze che si possono misurare si chiamano grandezze fisiche. Misurare significa
confrontare l’unità di misura scelta con la grandezza da misurare e contare quante volta
l’unità è contenuta nella grandezza.
Le leggi della fisica esprimono relazioni tra grandezze fisiche, esse sono numeri ottenuti da
processi di misura applicati a fenomeni fisici.
La misurazione è quel procedimento che permette di ottenere la descrizione quantitativa
di una grandezza fisica cioè il valore numerico del rapporto tra la grandezza incognita e
quella omogenea scelta come unità di misura.
Il valore numerico che risulta dal procedimento di misurazione tra il campione e il
misurando viene definito misura.
La misura può essere ottenuta sia in modo diretto ovvero per confronto diretto con l’unità
di misura ed i suoi multipli o sottomultipli (per esempio. le misure di lunghezza per
confronto con il campione metro) sia in modo indiretto cioè mediante l’applicazione di
leggi fisiche che legano la grandezza incognita ad altre misurabili direttamente (per
esempio la misura di una velocità si ottiene dalle misure di spazio e di tempo, v = s/t). E’
anche possibile effettuare misure dirette od indirette utilizzando strumenti tarati per
confronto tramite campioni: la misura di lunghezza
tramite un’asta graduata (a sua volta tarata per confronto diretto con il campione di
riferimento), la misura della massa tramite una bilancia a dinamometro (strumento tarato
mediante un’operazione diretta di misurazione con riferimento a masse campione), la
misura della temperatura tramite un termometro a resistenza (strumento tarato con un
procedimento di misurazione indiretto e applicazione della legge fisica che lega la
resistenza elettrica di un metallo alla sua temperatura, R = R(T)).
Definiti i modi con i quali é possibile effettuare una misura è importante stabilire cosa si
presenta operativamente come il risultato di una misurazione. Una misura si compone
essenzialmente di:
-il valore numerico relativo alla misurazione
-l’unità di misura con la quale si è effettuata la misurazione
-l’incertezza con la quale si fornisce il risultato della misurazione.
Lunghezza: la sua unità di misura è il metro (m), per ragioni storiche la lunghezza era
definita come 1/10 000 000 della distanza
Lunghezza: la sua unità di misura è il metro (m), per ragioni storiche la lunghezza era
definita come 1/10 000 000 della distanza tra l’Equatore e il Polo Nord, lungo la meridiana
passante per Parigi. Purtroppo questa distanza si rivelò difficile da misurare, per cui nel
1887, come nuovo campione fu adottata la distanza tra due tacche di una sbarra composta
di una lega di platino e iridio, mantenuta a una specifica temperatura. Con il tempo però
vennero sviluppati altri sistemi di misura. Attualmente il metro è definito come la distanza
che la luce percorre nel vuoto nel tempo di 1/299 792 458 secondi.
Per la lunghezza, fino al secolo scorso il sistema di riferimento era un regolo di un metro
di platino, che ancora oggi è al museo di Parigi e tutte le altre misure si dovevano rifare a
quel regolo.
Con le nuove tecnologie questo non ci basta più, perché oggi possiamo misurare le
particelle di un atomo e quindi questo metro è troppo grande, poiché lo strumento è
soggetto a troppe variazioni, con le nuove tecnologie ci dobbiamo riferire a
strumentazioni sempre più idonee alle conoscenze che abbiamo oggi, da questo punto di
vista oggi per quanto riguarda le misure di lunghezza ci riferiamo alla lunghezza d’onda,
emessa da un radioisotopo che è il krypton 86. (1 m=1.6x106 186Kr)
Gli isotopi radioattivi sono certi atomi che si trasformano spontaneamente, emettendo
onde elettromagnetiche che si sposta nello spazio emettendo campi elettrici e campi
magnetici, ed è caratterizzata da una sinusoide la cui distanza tra i punti di massimo è la
lunghezza d’onda e il tempo per fare un’oscillazione completa si chiama periodo. Quando
ci riferiamo al krypton 86, significa che questo atomo emette radiazioni con una
lunghezza d’onda molto precisa ed accurata. Prendere come esempio questa grandezza
molto piccola, ci permette di trovare un riferimento molto accurato ogni qualvolta
vogliamo misurare quantità anche molto piccole.
Massa: La sua unità di misura è il kilogrammo (kg). Fino all’inizio del secolo scorso si
adoperava la massa di un cilindro di platino di 1 kg, facendo riferimento ad essa non
possiamo misurare la massa di un elettrone, che è molto piccola. Difficile da misurare
rispetto ad una massa grande che subisce processi di ossidazione, dilatazione, consumo
nel tempo. Oggi ci si rifà per quanto riguarda la massa all’AMU, Atomic Mass Unit, detto
anche UMA, unità di massa atomica. Esso nasce dalle masse delle particelle che
costituiscono gli atomi, gli atomi sono costituiti da una massa che risiede pressochè nel
nucleo ed è costituita dalla massa dei protoni e dei neutroni, queste masse sono
dell’ordine1,67 x 10−27kg, estremamente piccole e l’AMU si riferisce a 1/12 parte della
massa di 12C.
Tempo: Il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli
eventi. Esso induce la distinzione tra
Tempo: unità di misura è il secondo (s), per ragioni storiche era definito in termini della
rotazione terrestre ed era pari a (1/60) (1/60) (1/24) del giorno solare medio. Tuttavia, con
il continuo degli studi si è osservato che la velocità della rotazione terrestre subisce
graduali rallentamenti.
Attualmente il secondo è definito in termini di una frequenza caratteristica associata
all’atomo di cesio. Il secondo è definito in modo che la frequenza della luce caratteristica
di una determinata transizione del cesio risulti essere esattamente 9.192.631.770 cicli al
secondo. Il secondo è preso come multiplo del periodo di oscillazione di un’onda
elettromagnetica che è emessa dall’isotopo 133 del Cesio. (1 s= 9.2x106 T 133Cs)
Corrente Elettrica: La sua unità di misura è l’ampere (A), dovuta allo scienziato francese
André Marie Ampere.
Corrente elettrica: la sua unità di misura è l’ampere (A) che derivata dallo scienziato
Ampere. Una corrente elettrica di intensità 1A si registra quando un conduttore viene
attraversato da una carica di 1C in 1s. 1A = 1C/1s. Essa è una grandezza scalare, l’intensità
di corrente è uguale alla differenza delle cariche ΔQ, fratto la differenza di tempo. I =
ΔQ/ΔT. In poche parole, la corrente elettrica è uno spostamento complessivo, cioè un
qualsiasi moto ordinato di cariche elettriche, definito come la quantità di carica elettrica
che attraversa una determinata superficie nell’unità di tempo.
La corrente elettrica costituisce un flusso di cariche elettriche in un conduttore, occorre
l’amperometro, è una grandezza fisica scalare e quantizzata, ovvero essa esiste solo in
forma di multipli di una quantità fondamentale → la carica dell’elettrone –e. Nel S.I.
l’unità di carica è il Coulomb, che corrisponde a circa 6,24x10^18 elettroni. Un elettrone
possiede una carica il cui valore è pari a –e= 1,602x10^-19 C.
N.B. L’elettrone è una particella subatomica che possiede una massa a riposo di 9x10^-13
Kg pari a circa 1/1836 di quella del
L’elettrone è una particella subatomica che possiede una massa a riposo di 9x10−13 pari a
circa 1/1836 a quella del protone. L’elettrone è la particella subatomica stabile più leggera
che si conosca tra quelle dotate di carica.
Quantità di sostanza: la sua unità di misura è la mole (mol). Indica un insieme di entità
elementari ed il suo valore è
Quantità di sostanza: unità di misura è la mole (mol). Indica un insieme di entità
elementari ed il suo valore è proporzionale al numero di entità contenute nel sistema. La
mole è definita come la quantità di sostanza che contiene tante entità elementari quanti
sono gli atomi presenti in 0.012 Kg esatti di carbonio 12. (1 mol=n di Avogadro)
STRUMENTI : metro, bilancia, orologio, amperomentro, termometro, sorgente luminosa di
riferimento, peso atomico o molecolare della sostanza.
Occorre anche saper fare misure di angolo piano ( massimo 360 gradi o 2 π ¿ e angolo
solido( 4 π ). L’angolo solido si calcola facendo la superficie di base del cono /l’altezza al
quadrato del cono e si misura in steradianti.
GRANDEZZE DERIVATE
Sono grandezze ricavabili dalle grandezze fondamentali e che quindi dipendono da esse.
Area è una grandezza derivata, perché se noi vogliamo prenderla dobbiamo prendere 2
misure, lunghezza e larghezza.
Volume, profondità, altezza e larghezza, deriva da misure di lunghezza.
Energia, dalla meccanica, capacità di un sistema di compiere un lavoro. In fisica il lavoro
viene definito come prodotto di forza per spostamento. L’energia si può calcolare come
prodotto di una forza per spostamento. La forza si misura in Newton e lo spostamento in
metri. Le forze dalla legge di Newton sono esprimibili come il prodotto di massa per
accelerazione ovvero kg per accelerazione, che sono variazioni di velocità. Siccome la
velocità è m/s², la variazione è data da m²/s².
Quindi l’energia è data da kg×m²/s², si misura in joule. Qualsiasi tipo di energia sia.
Un altro aspetto importante è l’analisi dimensionale che serve per capire se calcoliamo
bene o menola grandezza. A ogni grandezza va associata un’unità di misura. Se
verifichiamo che abbiamo scritto una formula che non ci dà le giuste unità di misura non
parliamo di quella grandezza.
L’analisi dimensionale ci permette di verificare non solo il risultato numerico, ma anche la
giusta unità di misura. Equazioni dimensionali ci permettono di definire le unità di misura
delle grandezze che stiamo studiando.
Le unità di misura possono essere precedute da prefissi per ottenere multipli e
sottomultipli. Multipli (deca da 101 , etto h 102, kilo k 103 ,mega M 106) Sottomultipli (deci
d 10−1 , centi c 10−2)
Quando parliamo di centimetri significa che stiamo parlando di 10−2.
SISTEMA DI MISURA ANGLOSASSONE
-Temperatura ( °Farenheit, Rankine)
-Pressione (psi) = libbra forza/pollici
quadri
-Volume (gal, cu in)
-Massa (lb, oz)
-Energia (Btu)
-Potenza (HP)
OMOGENITÀ DIMENSIONALE
Tutte le relazioni tra grandezze fisiche devono essere dimensionalmente omogenee. Errori
grossolani nella scrittura delle relazioni possono essere messi in evidenza dall’analisi
dimensionale. Una relazione dimensionalmente omogenea è certamente errata. Tale
dimensione è necessaria, ma non sufficiente.
Es. La relazione è dimensionalmente omogenea? NO
E= 7x10 N m + 2,05 W h +25,4 J/Kg -> unità non omogenea
Omogeneità dimensionale, significa che ogni grandezza si deve esprimere in maniera
corretta adoperando la propria unità di misura.
Se per esempio parliamo di energia e l’energia si esprime in Joule e stiamo esprimendo la
forma di energia sotto forma di una forma, dobbiamo stare attenti perché la prima
quantità qui è 7N*m (forza x spostamento), un’unità di misura corretta per esprimere
l’energia, secondo termine + 2,05 W*h (la potenza non è altro che joule/tempo, quindi
energia/tempo) quindi energia/tempo x tempo, il tempo espresso in ora ci dà energia,
quindi questa unità di misura sta esprimendo energia. Allora un'energia + energia la
possiamo sommare, ma se a questo aggiungiamo 25,4 J/kg, questa quantità non è più
energia, quindi non possiamo fare la somma di oggetti diversi. Le quantità devono essere
omogenee per poterle sommare. Abbiamo detto che osserviamo fenomeni fisici, che
dobbiamo individuare grandezze e unità di misura, ma dobbiamo dire che di grandezze
fisiche ne esistono di due famiglie diverse:
SCALARI: necessitano solo di un numero e di una unità di misura Es: tempo, massa,
energia, temperatura, quantità di sostanza…
VETTORI: è necessario fornire un modulo (entità), direzione, verso Es: distanza,
velocità, accelerazione, forza, campo elettrico e magnetico, superficie, quantità di
moto…
Le grandezze scalari sono delle grandezze per cui bisogna dare il numero e l’unità di
misura, per esempio l’energia è una grandezza scalare. Quando noi diciamo che l’energia
luminosa e di tanti joule abbiamo detto tutto; il tempo è una grandezza scalare; la massa
è una grandezza scalare.
Quindi certe grandezze, che sono quelle scalari, necessitano di un numero e di una unità
di misura. Per altre grandezze non basta dare numero ed unità di misura, perché per
esprimere queste grandezze bisogna dare delle altre cose, per esempio se fogliamo
esprimere una forza, si può esercitare in diversi modi, cioè bisogna dare per certe
grandezze, la direzione, il verso, il punto di applicazione, oltre che naturalmente anche il
numero che esprime il modulo del vettore.
Ad esempio se noi volessimo applicare una forza di 10N, abbiamo dato con 10N una parte
di questa grandezza, quello che si chiama modulo, o intensità. Dobbiamo dare una
direzione, una retta lungo quale agisce questa grandezza e bisogna dare anche un verso.
Le grandezze vettoriali sono definite, disegnandole come una freccia che parte dal punto
di applicazione, che hanno una lunghezza pari alla sua intensità o modulo e poi c’è un
verso. I vettori seguono un’interpretazione diversa rispetto alle grandezze scalari.
Gli scalari si trattano come l’algebra ordinaria, si possono sommare tra loro, sottrarre,
moltiplicare ecc, se sono grandezze omogenee.
Dobbiamo stare attendi se sono grandezze vettoriali, perché loro seguono l’algebra
vettoriale per calcolarla.
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA
Un vettore può essere rappresentato graficamente da un segmento orientato
-----
B verso
Le grandezze vettoriali si indicano con una freccia sul
simbolo, il modulo si mette tra due sbarre verticali per
modulo
A essere indicato.
----
direzione
Il sistema di riferimento è un sistema di assi cartesiani, ortogonali tra di loro che ha
un’origine. Quando in uno spazio per esempio su un piano, su uno spazio tridimensionale
dovremmo scegliere le tre componenti x,y e z, nel piano ne scriviamo solo 2 x,y. Se
avessimo un vettore, cominciamo ad individuare l’angolo che il vettore forma rispetto
all’asse x, questo angolo lo chiamo ad esempio θ, osserviamo che il vettore B, si può
proiettare sugli assi x e y. Facendo partire il vettore dall’origine, proiettiamo, dall’estremità
del vettore, la retta parallela all’asse y e x. Il vettore lo possiamo esprimere come una
componente nell’asse x chiamata Ax=|A| cosθ e una componente sull’asse y chiamata Ay=
|A| senθ
In questo caso stiamo scomponendo il nostro vettore in componenti che stanno agendo su
assi ortogonali tra di loro, per il teorema di Pitagora, il quadrato costruito sull’ipotenusa è
dato dalla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Quindi questo significa che la lunghezza
del vettore A è data da |a|= √a 2x +a 2y e che inoltre l’angolo θ di inclinazione è legato alla
ay
relazione della tangente di θ che è data da tg 0= Il vettore dal punto di vista vettoriale, lo
ax
stiamo considerando come la somma dei vettori che agiscono lungo l’asse x e lungo l’asse y
e lo
pussiamo
scrivere
secondo
questa
notazione:
a⃗ =⃗
a x +⃗
ay
Supponiamo di voler sommare al vettore a, un altro vettore b. Per fare la somma portiamo
i vettori allo stesso punto di applicazione ab, tiriamo una retta dall’estremità di a parallela
alla direzione di b, dall’estremità di b parallela alla direzione di a. Otteniamo un
parallelogramma, prendendo la diagonale ci esso troviamo il vettore somma: c=a+b Si può
fare anche prendendo un primo vettore, dalla sua estremità si riporta il secondo vettore
mantenendo il parallelismo e congiungendo le estremità, l’inizio del primo vettore con la
parte terminale del secondo vettore, si ottiene ugualmente questa somma.
La differenza tra due vettori equivale alla somma tra un vettore e un altro vettore che
diventa negativo. Quindi se vogliamo fare a-b, significa che b lo scriviamo come –b,
cambiamo il verso e facciamo la somma di a con –b, andiamo alla regola del
parallelogramma. Il vettore b lo riportiamo parallelamente a sé stesso all’estremità di a,
congiungiamo facendo la somma e c è il risultato di a-b
La stessa cosa si può fare con la regola del parallelogramma sommando a+b, ma
prendendo non la diagonale maggiore ma la diagonale minore, quella complementare alla
precedente.
Due grandezze vettoriali si
possono moltiplicare in due
modi diversi, il primo modo
è quello di moltiplicarli,
scalarmente. Significa che
possiamo avere due
grandezze vettoriali le
moltiplichiamo e il risultato
sarà una grandezza scalare.
L’altro modo è quello che possiamo moltiplicare due grandezze vettoriali che ci danno
come risultato un
vettore, in questo
caso il prodotto si
chiama vettoriale.
Il prodotto scalare
significa che presi
due vettori a e b,
quando mettiamo un
puntino fra di loro
intendiamo il prodotto scalare, questo significa che noi vogliamo effettuare il prodotto del
modulo di a x il modulo di b x il coseno dell’angolo tra questi due vettori componenti.
Questo ci dice che quando l’angolo è 90° il coseno è 0, quindi quando facciamo il prodotto
scalare tra due vettori ortogonali tra loro, il risultato sarà 0. Mentre ci darà il valore
massimo quando l’angolo è 0 o 180, in quel caso il coseno è massimo perché va ad 1 o –
1.Fare un prodotto scalare significa andare a trovare una grandezza scalare, che non è più
un vettore il risultato, ma è soltanto un numero con un unità di misura, vedremo che il
lavoro è il risultato di un prodotto scalare, tra la forza e lo spostamento.
Il prodotto scalare può anche essere espresso come la somma dei prodotti delle
componenti omonime (cioè relative agli stessi assi).
PRODOTTO VETTORIALE
Due vettori si possono
moltiplicare in maniera
vettoriale, trovando un vettore.
Quindi una grandezza
caratterizzata ancora da
vettore, modulo e verso.
Il prodotto vettoriale si
rappresenta con una V
rovesciata.
Il modulo si troverà: modulo di
a x modulo di b x il sen
θ(angolo formato tra i vettori a
e b) Il seno è nullo a 0° ed è
massimo a 90°, quindi sta volta
il risultato darà un valore massimo quando i due vettori sono ortogonali tra di loro.
La direzione del vettore c sarà ortogonale a quello formato dai vettori a e b.
Il verso si trova con la regola della mano destra.
Esercizio prodotto scalare e vettoriale
MISURE ED ERRORI
Quando guardiamo un fenomeno biologico, c’è della fisica, perché dobbiamo determinare
la cellula che superficie ha, che spessore ha la membrana cellulare, in quanto tempo
avviene la mitosi, quant’è la massa di liquido che stiamo considerando, la concentrazione,
la temperatura, la pressione.
Nel fare misure di grandezze fisiche commettiamo sempre degli errori, sempre di più
dobbiamo scegliere unità di misura appropriate e degli strumenti di calibrazione più
appropriati per fare meno errori possibili. Qualsiasi misura però facciamo, facciamo
sempre un errore.
Le misure si
possono fare come misure dirette attraverso lo strumento che abbiamo a disposizione.
Come misure indirette attraverso dei calcoli o con misure di strumenti tarati, ma sempre
anche in questi casi ci saranno degli errori. Se noi dobbiamo misurare la concentrazione di
una soluzione, cosa dobbiamo andare a scrivere?
STRUMENTI DI MISURA
Le misure si eseguono usando strumenti opportuni che devono essere tarati (o calibrati).
Tarare significa paragonare la misura del nostro strumento con quella di uno strumento di
riferimento (standard) in condizioni specifiche. Possono essere:
ANALOGICI, dotati di una scala graduata e di un indice che fornisce la misura
spostandosi sulla scala (es. righello, bilancia, tachimetro)
DIGITALI hanno un quadrante dove appare il numero che rappresenta la misura (es.
termometro elettronico o lo sfigmomanometro che serve per misurare la pressione
sanguigna) sul display
Portata: se lo strumento è un metro, il massimo che può misurare è 1 metro; se lo
strumento è una bilancia pesa persone, magari il massimo che può misurare è 200kg; se lo
strumento è una bilancia di laboratorio, magari il massimo sarà 10g.
Quindi essa cambia da strumento a strumento.
Sensibilità: se prendiamo un micrometro, che è uno strumento adatto a misurare
lunghezze ma che può misurare lunghezze fino ai micron, la sensibilità diventa di un
micron.
Precisione: è legata ad una relazione statistica, è data dall’inverso di una quantità indicata
con sigma, che si chiama scarto quadratico medio.
Prontezza: ad esempio un termometro, non risponde subito alla temperatura bisogna che
anche esso stesso si porti alla temperatura che vogliamo misurare, c’è una certa velocità di
risposta.
Accuratezza: quanto una misura è vicina al valore corretto.
Partiamo da ciò per andare a definire lo scarto quadratico medio. Tanto è più piccolo lo
scarto quadratico medio, tanto più è grande la precisione della misura.
INCERTEZZA
È impossibile fare una misurazione esatta, a ogni misura è associata un’incertezza che può
essere più o meno grande. Ciò è dovuto perché gli strumenti hanno una sensibilità limitata,
per cui non sono in grado di distinguere grandezze che differiscono per meno di una certa
quantità e anche perché nel fare una misura si compiono inevitabilmente degli errori.
Quando riportiamo il risultato di una misura dobbiamo sempre riportare anche l’incertezza
stimata. Esprimere il concetto di una misura con un certo errore, significa che nella nostra
ipotetica relazione, dobbiamo andare a scrivere la misura più probabile che abbiamo,
nell’andare a fare una misura di concentrazione o una misura di numero di globuli rossi in
una soluzione, .. ± l’incertezza, questo fattore che dipende dall’errore commesso.
Scrivere m=(12,51 ± 0.02)kg significa dire che il valore della massa è compreso tra 12.49 kg
e 12.53kg 12.49 kg ≤ m≤12.53 kg
PRECISIONE ED ACCURATEZZA
Strumento con:
Precisione e accuratezza elevate, significa che abbiamo tante misure vicino al centro, alla
misura vera. Alta precisione e scarsa accuratezza, le misure sono ben vicine tra loro ma
non stanno al centro, non azzeccano il valore esatto. Scarsa precisione ma elevata
accuratezza significa avere misure diverse, mediamente al valore centrale.Scarsa
precisione e scarsa accuratezza significa che abbiamo misure non distribuite intorno al
favore giusto.
ERRORE -> non è sinonimo di sbaglio, ma sta ad indicare che ogni strumento di misura ha
dei limiti nel misurare.
ERRORI SISTEMATICI: sono errori (in eccesso o in difetto) causati da uno strumento
difettoso (es. un cronometro tarato male o un righello deformato). È un errore che si può
notare e correggere confrontando il nostro strumento con strumenti certificati.
ERRORI ACCIDENTALI: sono errori commessi per semplice casualità (es. il ritardo nello
starter di un cronometro o la lettura non in asse di uno strumento a scala) Non si può
correggere.
Significa che
quando noi
dobbiamo
fare la
misura di
una grandezza non ci basta misurarla
una sola volta, dobbiamo misurarla
più volte ed estrapolare un valore
medio. Supponiamo che i valori delle
misure siano x₁, x₂, .., xn perché
abbiamo fatto n misure. Anche quando misuriamo una quantità di sostanza, dobbiamo
misurare più volte, avere n misure e calcolare di queste misure il valore medio, esso
consiste nel sommare le misure e dividerle per il numero di misure effettuate. La prima
cosa da calcolare è il valore medio:
Se guardiamo tutte le misure che abbiamo fatto e calcoliamo tutti gli scarti vedremo, se le
misure sono di tipo con errore accidentale, di tipo in eccesso o in difetto, vedremo che ci
saranno misure che danno valori maggiori del valore medio e misure che danno valori
minori del valore medio. Ovvero le misure si distribuiscono attorno al valore medio. Se
facessimo la somma di tutti gli scarti, troveremo come risultato 0. Per individuare l’errore
delle misure che stiamo facendo, non dobbiamo limitarci a fare la media degli scarti,
perché avremmo come risultato 0, ma dobbiamo calcolare una grandezza che dipenderà
dalla sommatoria di tutti gli scarti al ², sia che sia positivi che negativi, il quadrato è sempre
un numero positivo, divideremo tutto per N, poi estraiamo la √ quadrata e avremo una
grandezza che ci esprime quello che si chiama scarto quadratico medio di un set di misure.
Avremo cioè una grandezza che ci permette di quantificare l’errore delle misure che stiamo
facendo.
Quindi la formula dello scarto quadratico medio è: σ =s= √∑ ¿ ¿ ¿ ¿
Generalmente si può dare un’altra stima importante, per quanto riguarda una misura, dalla
sensibilità dello strumento. Perché se consideriamo la semidispersione massima, quindi
consideriamo x massimo, x minimo diviso 2, anche questo ci permette di calcolare l’errore
che stiamo effettuando in quella misura.
Vediamo meglio adesso il significato di questo scarto quadratico medio, supponiamo di
aver fatto tutta una serie di misure di una certa grandezza, queste misure le possiamo
riportare in un grafico in cui mettiamo.
L’incertezza relativa è un indice della pressione della misura: più è piccola, più la misura è
precisa.
ERRORE MASSIMO (o semidispersione massima) è uguale alla differenza tra il valore
x MAX −x min
massimo e il valore minimo divisa per due. e m=
2
Per determinare il moto bisogna fissare il sistema di riferimento, poi stabilire tutto in
relazione ad esso. Immaginiamo il movimento di un punto P da un punto S1 a uno S2.
Quando ci si sposta, lo spostamento è il vettore che congiunge il punto S1 con S2 e si si
indica con Δs . Δs=⃗s 2−⃗s1 Ci sono altre grandezze oltre lo spostamento, come la velocità.
Regola del parallelogramma
Δx
In una dimensione v=
Δt
Δx
in tre dimensioni v (x)=
Δt
Δy Δz
v ( y )= v ( z )=
Δt Δt
VELOCITÀ ISTANTANEA (ci dice istante per istante qual è la velocità nei vari punti)
Legge oraria di v(t)
ACCELERAZIONE MEDIA
Δv v 2−v 1
a m= =
Δt t 2−t 1
Unità di misura è m/ s2
ⅆ ⃗v ⅆ 2 ⃗s
Con la derivata : a⃗ = =
ⅆt ⅆ t 2
I moti possono avvenire lungo una retta, su un piano, a velocità costante, possono essere
uniformemente accelerati (aumenta) o uniformemente ritardati (diminuisce in maniera
costante). I moti studiati in relazione al sistema di rifer. Sono composizioni di moti che
avvengono lungo delle rette.
MOTO RETTILINEO UNIFORME
Un punto che si muove su una retta a velocità costante e non ci sono accelerazioni.
Δs
v= = costante Posto Δt =0 e indicando con s0 la posizione occupata all’istante t=0
Δt
otteniamo la legge oraria del moto rettilineo uniforme: s-s0=vt s=s0+vt
In tale formula s0 e v sono valori costanti, t ed s sono variabili,
precisamente t è la variabile indipendente e s la variabile dipendente.
La funzione s=s(t) ha la stessa forma della funzione y=mx +q. Quindi s=s0+vt è una funzione
lineare e il diagramma orario del moto è una retta nel piano (s,t)
Per s=vt il grafico spazio-tempo è una retta passante per l’origine degli assi.
Per s=s0+vt il grafico spazio tempo è una retta che non passa per
l’origine degli assi.
Nel moto rettilineo unifrome la v è costante, dunque nei piani (v,t9 è rappresentata da una
retta parallela all’asse t la cui quotà indica la sua intensità. La distanza
percorsa nel tempo t può essere interpretata come l’area della ragione
piana compresa tra il diagramma della velocità, l’asse t e gli istanti di
tempo iniziale e finale. S(t)= s=+vt
Alcune velocità: luce 3 x 108 m/s (la più alta), terra attorno al sole 3 x
10 m/ s, suono in aria 3.3 x 10 m/s , uomo (max) 11 m/s, deriva dei
4 2
S= ½ at^2 (con partenza da fermo e si ha una retta passante per l’origine degli assi)
S è dirett. prop. al quadrato di t. Nel grafico si ottiene una parabola con vertice
nell’origine.
Nel moto uniformemente ritardato (a<0) v=v0-at s=v0t-1/2at^2
MOTO DI CADUTA DEI GRAVI (è il moto di corpi lanciati dal basso verso l’alto o di corpi
lasciati cadere dall’alto)
Se facciamo cadere un oggetto, questo acquista sempre più velocità.
Esperimento di Galileo: Se lasci cadere a terra un martello e una piuma, il martello arriverà
al suolo prima. Ma questo avviene soltanto perché la piuma risente maggiormente della
resistenza dell’aria che incontra durante la caduta. Nel vuoto, cioè in assenza d’aria, i due
oggetti raggiungono il suolo insieme. Lo ha dimostrato anche un esperimento effettuato
direttamente sulla Luna durante la missione Apollo 1. Dunque tutti gli oggetti in caduta
libera (nel vuoto, escludendo ogni forma di attrito), cadono tutti con la stessa
accelerazione, indipendentemente dalla loro massa. (tubo pieno d’aria- tubo vuoto)
L’accelerazione di gravità (è un vettore) va sempre verso il centro della terra (9.81 m/s^2).
Possiamo sostituire nel moto uniformemente accelerato l’a con la g (accelerazione di
gravità).
fare
Un moto parabolico detto anche del proiettile è il moto di un corpo che partendo con una
velocità iniziale ed un certo angolo percorre una traiettoria parabolica sotto l’azione della
sola accelerazione di gravità
Il moto di un oggetto lanciato in orizzontale è la sovrapposizione di 2 moti:
Moto rettilineo uniforme orizzontale
Moto rettilineo uniformemente accelerato verticale
La traiettoria di un oggetto lanciato in orizzontale e in direzione obliqua è una parabola
Al proiettile viene inizialmente impressa una velocità iniziale di modulo V 0 che può essere
inclinata di un angolo α rispetto all'orizzontale o essere orizzontale (se il moto parte da una
certa altezza).Per cui il vettore velocità iniziale ha due componenti x e y
V0x = V0 ∙ cosα
V0y = V0 ∙ senα
Lungo l'asse x, come detto, il proiettile procede di moto rettilineo uniforme con velocità
pari a V0x che rimarrà tale fino a che il proiettile si arresta toccando terra.
Sviluppando il sistema si ottiene l'equazione della parabola, traiettoria del moto, con y
espressa in funzione di x, senza tener conto del tempo. Si definisce gittata la distanza
orizzontale tra il punto di lancio e quello di caduta al suolo. Questo punto della traiettoria
del proiettile corrisponde al momento in cui la coordinata Y = 0, ovvero il corpo tocca il
suolo. Domanda esame= nel momento in cui si raggiunge la massima altezza Vy quanto
vale? Vale 0 perché man mano che si sale il proiettile rallenta fino a fermarsi per poi
riprendere velocità durata la fase di caduta al suolo.
MOTO CIRCOLARE
Si chiama moto circolare il movimento di un oggetto che compie una traiettoria circolare
(traiettoria è una circonferenza). Il modo circolare può essere:
UNIFORME : il punto materiale percorre archi uguali in tempi uguali ovvero la sua v
è costante
NON UNIFORME: il punto materiale si muove con accelerazione costante
Velocità angolare
La velocità angolare è una grandezza che misura la velocità con cui un punto materiale si
muove su una circonferenza, e viene definita come il rapporto tra l’angolo descritto e
l’intervallo di tempo impiegato per percorrerlo. La posizione angolare però può variare nel
tempo e la grandezza fisica che descrive questo cambiamento è la velocità angolare media
Δθ θ f −θ i
ω= = misurata in rad/s
Δt t f −t i
MOTO PERIODICO
Δθ 2 π 2π
ω= = T= u.m secondo
Δt T ω
Nonostante il moto circolare uniforme sia un moto a velocità costante, siamo comunque in
presenza di un’accelerazione. Nel moto circolare uniforme il modulo della velocità rimane
costante, ma la sua direzione cambia costantemente. Per modificare la direzione della
Δ v v 2−v 1
velocità deve intervenire l’accelerazione centripeta. a= =
t t
Se consideriamo l’intervallo di tempo Δt man mano che ci allontaniamo dal centro (cioè al
crescere di r) aumenta la velocità v ma non aumenta la velocità angolare. Se
l’accelerazione angolare è nulla, sarà nulla anche l’accelerazione tangenziale e
2
v
l’accelerazione completa sarà uguale a: a= =ω2 r u.m: m/s^2
r
Δv
Accelerazione tangenziale γ =
Δt
Δω
Accelerazione angolare G=
Δt
MOTO ARMONICO
Il moto armonico è un particolare tipo di moto rettilineo vario, ovvero con v ed a variabili
ed è periodico. È il movimento che si ottiene proiettando su un diametro le posizioni di un
punto materiale che si muove di moto circolare uniforme.
Il moto oscillante di un punto su un segmento avrà velocità massima al centro e nulla agli
estremi; accelerazione nulla al centro e massima agli estremi.
Equazioni:
x (t )= A cos(ωt)
PRINCIPIO DI INERZIA
Prima proprietà: un corpo su cui agisce una forza costante si muove con accelerazione
costane.
la forza è un vettore, quindi la composizione di più forze può dare origine ad una forza con
risultante positiva, negativa o nulla.∑ i Fi=ma Fi e a vettori
L’accelerazione ha la stessa direzione e lo stesso verso della risulatante delle forze Fi.
Quando su un sistema insistono più forze, tali che direzioni e intensità producono una
risultante nulla, il sistema si dice isolato e in equilibrio. ∑ Fi=0
d (mv)
Può essere scritta con la derivata: F=
dt
Se la massa è costante non dipende dal tempo e può essere messa fuori la derivata :
dv
F=m =ma
dt
dm dv
Se la massa varia nel tempo: F=v +m
dt dt
Un sistema di riferimento in cui vale il primo principio della meccanica è detto sistema di
riferimento inerziale che secondo la relatività di galileo le leggi della meccanica sono le
stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali, qualunque sia la velocità (costante) con cui
essi si muovono. La Terra è un sistema di riferimento inerziale perché la terra si muove di
moto rettilineo uniforme rispetto al sole (la terra impiega 365 giorni e 6 ore per fare un
giro completo intorno al sole).
TERZO PRINCIPIO
Tutte le volte che un corpo A (racchetta) esercita una forza su un corpo B (pallina) anche il
corpo B esercita una forza sul corpo A. Principio di azione e reazione: ad ogni azione
prodotta su un corpo A corrisponde sempre una reazione su un altro corpo B uguale e
contraria e tale che la loro coppia sia nulla. (newton)
FORZA
La forza è una grandezza che altera lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Abbiamo forze dirette e forze indirette. La forza deriva dalla conoscenza di un’altra
grandezza, l’accelerazione. La forza è una grandezza vettoriale e quindi ha modulo,
direzione e verso. Le forze di contatto esprimono risultato di contatto fisico tra i corpi,
mentre le forze a distanza agiscono attraverso lo spazio vuoto.lo strumento che misura le
forze è il DINAMOMETRO. L’unità di misura della forza è il Newton.
Abbiamo vari tipi di forze ad esempio:
-Meccaniche, Fluidodinaiche, elettriche, magnetiche, ottiche, di radiazione, nucleari etc…
FORZE MECCANICHE: Forza peso, forza gravitazionale, forza di pressione, forza elastica,
stress, forza centrifuga, forza di attrito, forza apparente di Coriolis etc…
Peso= grandezza vettoriale
(Newton)
Massa= grandezza scalare (kg)
Esperimento di Cavendish
Mediante questo esperimento Cavendish (nel 1798) è riuscito a determinare il valore della
costante di gravitazione universale (G). Egli fece uso di una bilancia a torsione formata da
un filo verticale fissato all’estremità superiore del dispositivo e che sospende un’asticella,
ai cui estremi sono poste 2 masse identiche. L’asse è in equilibrio e deve rimanere
orizzontale. Le due masse dell’asta sono poste in prossimità di altre due masse più grandi.
Le due masse più grandi attirano gravitazionalmente le due masse più piccole dell’asta. Le
due forze generano due momenti torcenti uguali e concordi che tendono a far ruotare la
bilancia torcendo il filo. Dall’angolo di torsione del filo si misura il valore di F (forza di
gravità)e di conseguenza si trova G.
Tutti i corpi sono soggetti ad una forza attrattiva, detta FORZA DI GRAVITÀ che è descritta
nella legge di Newton ed è detta anche “Legge di gravitazione universale”(descrive
l’interazione tra due corpi qualsiasi).
m1 m2
N m / Kg detta costante di gravitazione
−11 2 2
F=G 2 G=6.67× 10
r
Universale
La forza di gravità agisce tra la Terra e qualsiasi corpo sulla superficie terrestre, sia esso
solido, liquido. Agisce su tutti i corpi, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, sia
a livello macroscopico sia a livello microscopico. Agisce anche tra il sole e i pianeti e tra la
Terra e la Luna.
24 22 8
MT ML
M T =5.98× 10 Kg M L =7.35 ×10 Kg DT −L =3.84 ×10 Kg F=G 2
D
L’accelerazione di gravità dipende dalla massa
della Terra e il raggio dal pianeta.
LEGGI DI KEPLERO
L'esistenza di una forza gravitazionale e tra corpi materiali è stata provata in modo
indiretto a partire dallo studio dei pianeti del sistema solare. Intorno al 1540 Copernico
avanzò l'ipotesi eliocentrica del sistema solare. I moti dei pianeti furono oggetto di
numerose accurate misure da parte di Brahe tra il 1576 e la fine del secolo. Keplero
formulò tra il 1600 e il 1620 le sue tre leggi:
1.Prima legge: i pianeti percorrono orbite ellittiche intorno al sole che occupa uno dei
fuochi dell'ellisse.
2.Seconda legge: la velocità areale con cui il raggio vettore unisce il sole ad un pianeta
descrive l'orbita che è costante.
3.Terza legge: il quadrato del periodo di rivoluzione di ogni pianeta è proporzionale al
cubo del semiasse maggiore dell'ellisse T 2=k a 3
DEFORMAZIONE
∆L
(STRAIN) è ε =
L
Il corpo, l’oggetto si muove con v costante in modulo, lungo una traiettoria circolare e
subisce accelerazione centripeta che è diretta verso il centro della circonferenza ed è
FORZE DI ATTRITO -> agiscono parallelamente alla superficie di contatto e sono sempre
dirette in senso contrario al movimento (si oppongono al movimento del corpo)
Diversi tipi di forze di attrito:
Statico (moto da fermo)
Dinamico (in moto)
Radente (scivolamento)
Volvente (ruotante)
Interno o viscoso (fluidi)
Esterno (corpi immersi in fluidi)
STATICO
Il corpo è in quiete e se non applico nessuna forza rimane fermo. Se la forza che applico è
minore o uguale a Fs il corpo rimane sempre fermo. Se la F >Fk il corpo acquista
accelerazione; per mantenere la velocità costante riduco la forza F<Fmax.
ATTRITO RADENTE E VOLVENTE
-Radente: si esercita tra 2 superfici (esempio la suola della scarpa e il terreno)
-Volvente: Compare quando un corpo (es ruota) rotola su una superficie
Φ r >Φ v
Radente Volvente
ATTRITO ESTERNO
Oggetto che si muove in un liquido o un solido che si muove su una superficie.
ATTRITO INTERNO O VISCOSO
Fluido (liquido o gas) che si muove in un condotto.
Attrito di un oggetto che si muove in un fluido
F (attrito)= ∁ ρA v 2 /2
ATTRITO DELL’ARIA
Le molecole d’aria si agitano in moto caotico con risultante 0, ma sono una barriera al
moto libero dei corpi. Dobbiamo trattare questa resistenza come una forza che si oppone
al vettore velocità avente modulo direzione e verso. La resistenza aereodinamica è
proporzionale alla metà della densità dell’aria ρ/2 , alla sezione trasversale del corpo A e
alla sua velocità al quadrato v 2. Inoltre deve dipendere da un coefficiente aereodinamico C
che tenga conto del tipo di rivestimento e della sua forma.
1 2
Forza di attrito in aria-> ∁ ρA v
2
Velocità limite in
automobile da corsa: F
attrito = F trainante da
quel momento in poi l’auto
procede a v costane. La
forma dell’auto
aereodinamica deve essere tale da ridurre il più possibile la forza di attrito per non avere il
limite della velocità basso.
ENERGIA (meccanica)
Abbiamo varie forme di energia:
Eolica (viene dal vento)
Meccanica (viene dalla macchina)
Chimica (dalle sostanze)
Idrica (dall’acqua)
Muscolare (permette di muoverci)
Solare (dal sole)
Nucleare (si trova dentro gli atomi che formano la materia)
Elettrica (dovuta alle cariche elettriche)
Termica (deriva dal calore di un corpo)
Tutto ciò che c’è attorno a noi è energia (se non avesse energia non lo vedremmo es. buco
nero non ha energia ma la assorbe) . Quando abbiamo una quantità di energia possiamo
convertirla in un’altra forma di energia (es. energia luminosa in energia meccanica-da
energia elettrica a energia termica).
L’energia è la capacità di un sistema di compiere lavoro (vale per tutte le forme di energia).
LAVORO
È una grandezza scalare prodotto scalare vuol dire esprimere un numero con una unità di
misura che è il Joule , che è calcolabile moltiplicando il modulo del vettore F per il modulo
del vettore spostamento per il coseno dell’angolo formato da questi vettori. Se i vettori
sono paralleli e concordi il lavoro è massimo e positivo, se sono paralleli e discordi in verso
il lavoro è massimo ma negativo, se i vettori sono ortogonali tra di loro il lavoro è nullo )
che è data dal prodotto tra la F (vettore) e lo spostamento (vettore)
L= ⃗
F ∙ ⃗s L=|⃗
F|∙|⃗s|cosθ
Ogni qual volta applichiamo una forza su un oggetto e lo facciamo spostare abbiamo un
lavoro. Il lavoro è energia trasferita ad un sistema per mezzo di una forza. L’energia
trasferita ad un sistema è lavoro positivo, dal sistema è lavoro negativo. Il lavoro è sempre
eseguito da una forza, l’unità di misura di lavoro ed energia nel S.I. è il Joule J=m2 K S−2
Se rappresentiamo in un diagramma la forza e lo
spostamento e questo diagramma è tale che la forza
applicata è costante. Il lavoro sarà l’area del
rettangolo.
Se la forza non è costante, consideriamo una quantità di spostamento molto piccola ds=s2-
s1 per quello spostamento piccolo potremmo dire che la F è costante, allora potremmo
calcolare una quantità di lavoro infinitesima δL= ⃗
F ⋅ ⅆ r⃗ =Fds cos θ=F s ⅆs
Questi concetti possiamo applicarli a concetti più complessi. Quando il sangue arriva
nell’aorta perché c’è una gittata cardiaca del cuore nell’aorta, questa si dilata, acquista
energia cinetica e torna riprendere la sua configurazione iniziale. Parte di questa energia
elastica va al sangue che inizia a muoversi nel vaso.
Lavoro fatto dalla forza peso
Supponiamo di lanciare un oggetto verso l’alto (in un campo di forze gravitazionale dove
agisce sempre l’accelerazione di gravità verso il basso), mentre la palla sale perde di
velocità e la forza di gravità fa un lavoro negativo. Nel momento in cui lo lanciamo
abbiamo applicato una forza verso l’alto, gli facciamo compiere un certo spostamento.
Sull’oggetto che ha una massa agisce la forza di gravità. Quando l’oggetto va verso l’alto la
forza peso è diretta verso il basso. Se ci calcoliamo il lavoro: W=L
Il lavoro negativo se lanciamo la palla fatto contro il campo gravitazionale, il lavoro positivo
è fatto dal campo di forze gravitazionale (il campo di forza gravitazionale ci attrae verso il
centro della Terra). Il campo gravitazionale è conservativo. A livello teorico se trascuriamo
l’attrito il campo gravitazionale è conservativo e il L ( totale )=−mgh+mgh=0 se non
trascuriamo l’attrito il campo gravitazionale non è conservativo e significa che l’oggetto sia
in fase di salita che in fase di discesa sente delle forze di attrito e ci sarà un lavoro fatto
dalle forze di attrito che sarà una forma di energia persa (solitamente sotto forma di
calore) lavoro totale è diverso da 0.
Spazio gravitazionale in assenza di attrito
POTENZA (la quantità di lavoro eseguita in una certo intervallo di tempo- la rapidità con
cui viene svolto il lavoro) È una grandezza scalare
L L dL
La potenza media è P= La potenza istantanea è P= lim =
∆t ∆t→0 ∆ t dt
Potenza: P= ⃗
F ∙ ⃗v unità di misura Watt 1W=1J/1s
TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA (ci permette di capire come il lavoro lo possiamo legare
alla variazione di movimento di un sistema)
Quando un oggetto sale di quota il lavoro è negativo il che significa che stiamo facendo un
lavoro contro le forze gravitazionali. Le forze gravitazionali invece fanno un lavoro positivo.
RIASSUMENDO:
•Una massa in moto possiede una energia cinetica che dipende dalla sua massa m e dalla
sua velocità v (al quadrato) E k =½ mv 2 . Per fermare questa massa si dovrà applicare una
forza che sia nella stessa direzione della velocità ed in verso opposto, cioè si deve fare
un lavoro negativo.
•Una tegola che cade da un tetto può produrre danni, anche notevoli, che dipendono dalla
sua massa m e dall’altezza del tetto h . Tale capacità le deriva dalla sua energia potenziale
U = mgh che a sua volta gli è stata data dal lavoro fatto dal operaio che ha portato
la tegola sul tetto
•Un corpo elastico se deformato elasticamente possiede una forma di energia elastica che
vale Ue=1/2kx 2 che viene annullata se il corpo riprende la sua forma iniziale e che nel
ritorno si converte in energia cinetica di movimento.
•Il calore Q è anche una forma di energia che può svilupparsi da processi meccanici di
dissipazione (frenamento, urto, strofinio, lavoro fatto da forze di attrito ecc.)
In un sistema isolato (chiuso) l’energia totale al suo interno si mantiene costante pur
potendosi trasformare da una forma di energia ad un’altra.
E ( totale )=costante=U e + U p + Ec (in assenza di attrito)
Non consideriamo
l’energia potenziale
gravitazionale
1 2 1 2
E ( tot . )=Up=mgh 0 E ( tot . )=mgh 1+ mv 1 =mgh 0 E ( tot . )= mv 2 =mgh0
2 2
Nel caso della molla in uno stato di equilibrio l’energia cinetica e quella potenziale elastica
sono uguali a 0. Se allunghiamo la molla la
In assenza di forze di attrito le oscillazioni sono persistenti e dimostrano che l’energia
elastica del sistema + l’energia cinetica della massa in moto si conserva.
Lavoro fatto dalle forze di attrito ed Energia dissipata in calore
Lattr = R ∆ x = Energia dissipata sottoforma di Calore Q
Tenendo conto di questa Energia dissipata il Princ . di conservazione per il sistema massa
molla può scriversi come: E(tot)= Ec+Ue+L attr = costante
T= periodo di oscillazione
f=
1
2π √ k = frequenza di oscillazione (frequenza di risonanza del sistema)
m
2 parametri importanti per le forze di attrito che consideriamo quando studiamo sistemi
oscillanti: b=coefficiente di smorzamento e la velocità perché le forze di attrito sono
sempre proporzionali alla v. In un sistema che oscilla ad alta v c’è più attrito.
Si usa il meno perché sono forze che si oppongono al moto.
√ =¿ √
2 2
4 mk−b 4 mk−b
¿ 2
¿
4m 2m
1. 4 mk−b
2
e b= √ 4 mk si dice smorzamento critico quindi
ω=0 e non ci sono oscillazioni. La molla si allunga e ritorna al sistema iniziale
rapidamente, la massa ritorna piano piano alla posizione iniziale senza oscillare.
smorzate.
√
2. 4 mk−b2 > 0 b<0 si dice smorzamento sottocritico ω= k le oscillazioni sono
m
3. 4 mk−b2 < 0 b>0 si dice smorzamento sovracritico ω non è reale e la molla torna
senza oscillazioni al punto di equilibrio, ma ci torna molto lentamente a causa
dell’elevato valore di b.
PENDOLO FISICO
Il pendolo è un sistema costituito da un filo che è appeso ad un certo vincolo, ha una certa
massa e oscilla a causa della forza di gravità (forza peso). Se un pendolo è all’equilibrio
significa che è perfettamente verticale, non oscilla. Se lo perturbiamo, gli cediamo una
quantità di energia il pendolo inizia ad oscillare.
X(t)= x o senωt
F(richiamo) = mgsenθ
F=ma =-mgsen θ
m(-ω 2x(t)]=- mg 𝑥(𝑡)/𝐿
ω =g/l = (2 π T)^2
2
√
T=2 π L ; f= 1
g 2π √ g
L
STATICA
La statica è la parte della meccanica che studia i fenomeni di non moto (quiete) e di
conservazione dello stato di moto rett. Unif. (a=0)
Cosa importante la conservazione di questo stato di moto che vi ricordo essere espresso
dal primo principio della dinamica. Un corpo se è in quiete o in moto rettilineo uniforme
continua indefinitamente a rimanere in questo stato se non ci sono delle cause esterne che
ne determinano una variazione di questo stato, cioè nel caso ci fosse un accelerazione
ovviamente l'oggetto nel sistema non sarà più in condizioni statiche.
Qualche esempio: potremmo avere come in questa figura una pallina sul tavolo rispetto al
tavolo questa pallina è in quiete, il sistema di riferimento è il tavolo, però con questo non
significa che sulla pallina non stanno agendo delle forze ( la forza gravitazionale la forza
peso e la forza di reazione uguale e contraria che oppone alla forza peso questo vincolo del
tavolo). La pallina sta ferma perché la sommatoria delle forze applicate è uguale a zero,
rispetto al tavolo è in quiete, rispetto invece a un sistema di riferimento esterno per
esempio alla terra la pallina si sta muovendo su una traiettoria circolare perché la Terra
ruota attorno al proprio asse. Spesso abbiamo degli oggetti che sono vincolati a stare in
quiete, per esempio in questo caso il tavolo agisce da vincolo. Equazione del
bilanciamento delle forze che vi ho detto, da una parte c'è la forza peso diretta verso il
basso dunque la linea di forza che collega l'oggetto con il centro della terra dall'altra parte
c'è la forza di reazione Rv, la somma di queste due forze uguali e opposte sarà uguale a
zero.
⃗
P +⃗
Rv=0 (non è vero che se un corpo è in quiete non agiscono forze)
Rv è una forza espressa dal tavolo, il tavolo è un vincolo perché impedisce alla palla di
cadere.
VINCOLI-> sono dei dispositi, degli apparecchi, dei corpi che limitano o impediscono il
moto.
I vincoli possono essere di vario tipo per esempio un pendolo che tiene una certa massa
appesa ad un filo, il filo a sua volta è appeso a un altro vincolo, rappresenta un vincolo
dovuto alla tensione del filo (un quadro appeso al muro ha pure un vincolo). Quindi questi
oggetti non si muovono perché ogni volta che parliamo di vincolo su vincolo significa che
agisce una forza di reazione tale da imporre all'oggetto una condizione di quiete relativa. I
vincoli sono di vari tipi, noi stiamo vedendo i vincoli di tipo meccanico ma ci sono anche
altri veicoli che vedremo più avanti quando parleremo di elettricità, di magnetismo.
Nel campo della Meccanica i vincoli possono essere:
Vincoli piani come la pallina sul tavolo o l'esempio del pendolo dove Rv è
perpendicolare al piano di appoggio
Vincoli filiformi Rv ha la stessa direzione del filo R v =τ ->tensione filo
Vincoli di rotazione P=F
C'è un oggetto può rotare però se all'oggetto vengono applicate delle forze e anche in
questo caso si fanno in equilibrio, l'oggetto non ruota, resta in quiete rispetto a un sistema
di riferimento.
Cosa accade se annullo il vincolo Rv?
Nel momento in cui annulliamo la forza vincolare, il
vincolo, l'oggetto non è più in equilibrio di forze
quindi la differenza tra forza peso e la forza per
esempio di reazione vincolare non è più 0 , ma allora
se c'è una forza significa che l'oggetto viene
accelerato, la presenza di un accelerazione ci dice che
l'oggetto non è in quiete, non è in condizione di
staticità.
MOTO TRASLATORIO e MOTO ROTATORIO
Il moto traslatorio è un moto in cui l'intero corpo rigido viene spostato da una zona
all'altra. Vedremo che ogni oggetto ha il suo baricentro o centro di massa e quindi nei moti
traslatori vengono spostati proprio i centri di massa degli oggetti stessi. Questo moto
bisogna distinguerlo da un altro moto, il moto rotatorio. Nel moto rotatorio, l'oggetto può
ruotare attorno ad un punto o attorno ad un asse, es. una trottola che è ferma come
centro di massa perché ruota su se stesso. Basta ruotarlo e quindi è dotata di movimento.
La Terra ruota intorno al proprio asse quindi è dotata di movimento e certamente questo
movimento come vedremo più avanti significa che ha una certa energia di rotazione che
sarà diversa dall' energia di traslazione. Dal punto di vista meccanico molto sistemi per
esempio una sfera che ruota scende su un piano inclinato, sono oggetti che possono avere
entrambi tipi di movimento sia di traslazione che rotazione . Un sistema è in quiete se non
solo non ha moti traslatori accelerati, ma non deve avere neppure dei moti rotatori.
In questo caso una pallina sulla quale agiscono addirittura tre forze la forza F1 e la forza F2
e la forza F 3. La forza invece F1-2 è la risultante delle forze F1 F2 . La F3 si trova a essere
sulla stessa direzione, agisce sulla stessa direzione con verso opposto della F1 e F2.
Pertanto questo insieme di forze impone che l'oggetto non si muove rispetto al sistema di
riferimento considerato. La F3 si chiama forza equilibrate.
EQUILIBRIO SU UN PIANO INCLINATO
Supponiamo di avere un oggetto su un piano
inclinato questa figura vedete la persona che
tiene il vaso, cerchiamo di capire la forza
equilibrante come la deve applicare per poter
mettere in equilibrio questo caso. Il vaso ha una
forza peso diretta verso il basso, il piano inclinato ha una certa lunghezza, una certa
altezza.
Ogni volta che abbiamo quindi un oggetto su un piano inclinato la forza peso è quella che
tende a far muovere l'oggetto a farlo scendere, dobbiamo però scomporla in due
componenti. Una componente è la componente ortogonale al piano di appoggio e una
componente della forza peso è la componente parallela al piano di appoggio. Quindi la Fp
la dobbiamo pensare come la risultante con la regola del parallelogramma tra le due forze
quella ortogonale e quella parallela. A quella ortogonale si oppone il vincolo del piano
inclinato Fv. La F parallela al piano è invece la forza che tende a fare scendere il vaso lungo
il piano inclinato quindi quella persona se vuole mettere in equilibrio il vaso deve
imprimere al vaso una forza uguale e opposta alla forza parallela.
Sul piano inclinato possiamo anche determinare la F la forza da imprimere per poter far
muovere Da considerazioni geometriche che riguarda il piano inclinato per esempio
dell'angolo al vertice di questo piano inclinato come vedere in figura lo chiamiamo angolo
alfa, allora Accade che dalla scomposizione di Fp nelle due componenti parallela e
ortogonale, la componente parallela qui chiamata Fe è data da Fp x cosalfa. Inoltre l x
cosalfa =h. Quindi Fe dipende da Fp × il rapporto h su l e dove h è l'altezza del piano
inclinato, la massima altezza, e l è la lunghezze del piano inclinato. In definitiva la forza che
terrebbe in equilibrio il vaso è data da Fp × h/l
h
F e =F p
l
Fe=forza equilibrante
Fp=forza peso
h=altezza l=lunghezze
Se non applichiamo una forza leggermente superiore ad Fe riusciamo a fare sollevare in
vaso lungo il piano inclinato.
Moto rotatorio
i corpi possono compiere un moto rotatorio= ogni punto percorre archi di cerchio della
stessa lunghezza. Centri di archi= fulcro di rotazione
Rotazionale significa che ci sono tanti oggetti che tendono a ruotare o attorno a un punto o
attorno ad un asse. Le rotazioni possono avvenire in senso orario o antiorario. Le rotazioni
dobbiamo studiarle per capire quali sono le condizioni per mantenere in quiete un corpo
girevole attorno ad un asse.
Se abbiamo un oggetto e vogliamo farlo muovere in rotazione attorno ad un asse possiamo
pensare che lui sia legato attorno ad un asse con braccio B e se lo tiriamo con una forza
riusciamo a farlo ruotare attorno all’asse.
Quindi fare ruotare un oggetto attorno ad un asse significa applicare delle forze, ma anche
che le molecole quindi le varie parti di quell' oggetto sono rigidamente legate tra loro e
non possono andare nella direzione della forza ma possono solo muoversi attorno all'asse
di rotazione. Es. Una chiave che fa ruotare un bullone.
L’intensità di rotazione da cosa dipende?
Dipende dall’intensità della forza e dalla distanza b=braccio->tanto maggiore è il prdotto F ∙
b tanto è più efficace la rotazione. Più forza applichiamo e più grande è la distanza tra il
punto di applicazione della forza e meglio riusciamo ad avvitare e svitare.
EQUILIBRIO
Equilibrio= non come quiete, ma come conservazione dello stato di moto (quiete o moto
rettilineo uniforme)
Tipi di equilibrio: meccanico, termico, elettrico, chimico, biologico…
L’equilibrio meccanico può essere:
Stabile= una piccola deviazione non è sufficiente per deviare dall’equilibrio (il
sistema torna sempre alla sua situazione iniziale)
Instabile= anche una piccola deviazione è sufficiente per deviare dall’equilibrio
Indifferente= quando pertubiamo il sistema e questo non cerca nuove situazioni di
equilibrio
Equilibrio rotatorio
Se su un corpo agiscono due momenti uguali e opposti rispetto al fulcro (asse di rotazione)
si ha una situazione di equilibrio rotazionale. es. due ragazzi sull’asse rigido di una
giostra. I pesi dei ragazzi rappresentano le forze che tendono a far ruotare l’asse rigido
attorno al fucro e la distanza alla quale sono seduti rispetto al fulcro rappresenta il braccio
della forza. In questo caso ci sono due momenti di rotazione opposti, perché il ragazzo A
tende a fare ruotare il sistema in senso antiorario, il ragazzo B in senso orario. Ci sarà
equilibrio in questo sistema quando i due momenti si eguagliano F a r a=F b r b
Se c’è un vincolo l’oggetto non può traslare.
MACCHINE SEMPLICI-> sono quei dispositivi, strumenti, che servono per equilibrare o
vincere una forza (detta forza resistente) applicando una forza di intensità o direzione
diversa (detta forza motrice) F R b R=F M b M
Esistono 6 tipi di macchine semplici
1. La leva (+ importanti, le altre leggere)
2. L’asse della ruota
3. La puleggia
4. Il piano inclinato
5. La vite
6. Il cuneo
LEVE
Sono utilizzate per tagliare, sollevare e spostare con la minor fatica possibile. Sono
costituite da un asse rigido che ruota intorno ad un punto fisso detto fulcro e delle forze
applicate ortogonalmente ai bracci dell’asse. Determinano una resistenza da un lato e una
potenza (forza che dobbiamo imprimere all’oggetto per farlo ruotare) dall’altro.
La leva è in equilibrio quando il prodotto della resistenza per il suo braccio è uguale al
prodotto della potenza per il suo braccio, ovvero quando il momento della resistenza è
uguale ed opposto a quello della potenza. ⃗ M R=−⃗ M P.
Le leve si classificano in leve di:
Primo genere
Secondo genere
Terzo genere
Possiamo dire che la differenza tra leve vantaggiose, svantaggiose e indifferenti sta nei
bracci. Nelle leve vantaggiose il rapporto tra il braccio motore e il braccio resistente è
maggiore di 1, in quelle svantaggiose è minore di 1, in quelle indifferenti è uguale a 1.
VERRICELLO
Il verricello solleva corpi pesanti con piccole forze. È costituito da un cilindro orizzontale
che, fatto ruotare azionando una manovella, avvolge la fune sulla quale è applicata la
resistenza. La potenza ha un braccio tanto maggiore di quello della resistenza quanto più
lunga è la manovella. La forza resistente è applicata a un estremo della fune e la forma
motrice a una manovella di lunghezza bm che girare il cilindro. È una leva di primo genere
vantaggiosa poiché bm>br
ARGANO
L’argano serve a trascinare pesi. È un cilindro verticale che, fatto ruotare azionando
quattro aste perpendicolari al suo asse, avvolge una fune sulla quale è applicata la
resistenza. È simile al verricello semplice.
Se i bracci sono 2 la condizione di equilibro si esprime: 2Fmbm=Frbr da cui Fm=Frbr/2bm
Se i bracci sono 4 e all’estremità di ognuno di essi agisce uns forza di intensità f allora:
Fm=Frbr/4bm
PIANO INCLINATO
Quando mettiamo un oggetto su un piano inclinato c’è
una forza peso che agisce verso il basso e questa forza
si scompone in una forza ortogonale al piano e una
parallela-> tende a far scendere l’oggetto. Se vogliamo
far muovere l’oggetto sul piano inclinato dobbiamo
applicare una forza poco superiore ad F2. Ciò significa
che se il piano inclinato ha una vasta inclinazione la F2
è molto piccola.
Il piano inclinato è particolarmente utile nel
sollevamento di corpi pesanti, quando si dispone di un spazio piano sufficientemente
grande rispetto all’altezza di sollevamento. Esempio: le rampe di accesso ad enti pubblici.
VITE
La vite può essere considerata un’applicazione pratica del piano inclinato. Può essere
considerata come un piano inclinato avvolto intorno ad un cilindro.
La vite deriva da un piano inclinato avvolto su se stesso. È costituita da un cilindro su cui si
avvolge una sporgenza elicoidale (filetto); è utilizzata per fissare oggetti tra di loro, è in
grado di trasformare il moto circolare in moto rettilineo. È uno strumento che serve per
moltiplicare le forze e per ottenere piccoli spostamenti facilmente controllabili.
Quantità di moto: è una grandezza vettoriale e ha la stessa direzione e lo stesso verso della
velocità u.m Kg m/s q⃗ =m ∙ ⃗v q o p=quantità di moto
Se l’oggetto è in quiete non ha quantità di moto.
Esempio: Immaginiamo di far cadere due oggetti, un orsacchiotto e una pallina. Entrambi
hanno una massa di 0.1 kg e entrambi hanno v0= 4 m/s. l’orsetto quando arriva a terra si
fermerà la sua vf=0. La pallina arrivando a terra rimbalza e avrà una vf=4m/s con verso
opposto a quella di prima. In questi urti possiamo calcolare la variazione di quantità di
moto: ∆ ⃗p =⃗
p f −⃗
pi
( m
Per l’orsetto 0 — m v i=mv= 0.1 kg ∙ 4
s )
=0 , 4 kg m/s
Esempio: una navicella spaziale per muoversi nello spazio invia ad altissima velocità del gas
e le particelle del gas piccolissime, avranno una quantità di moto totale verso sinistra. La
navicella viaggia verso destra.
URTO-> è un evento isolato nel quale una forza relativamente intensa agisce, per un
tempo relativamente breve, su ciascuno di due o più corpi che entrano in contatto fra loro,
negli urti la quantità di moto si conserva sempre.
Gli urti possono essere:
Elastici= se non avviene dissipazione di energia (cinetica) nell’urto per esempio per
attrito, tutta l’energia che c’è prima dell’urto la ritroviamo nelle particelle dopo
l’urto (es.urto tra le biglie di un biliardo); negli urti elastici si conserva oltre la
quantità di moto anche l’energia.
Anelastici= durante l’urto una parte di energia viene dissipata in calore, dopo l’urto
le particelle non avranno tuuta l’energia che avevano all’inizio, si conserva solo la
quantità di moto (es.urto tra due automobili).
Anelastici totali= se dopo l’urto le particelle che urtano stanno attaccate tra di loro
(particcele che urtano, proiettile che si infila in un bersaglio)
Negli urti elastici l’energia e la quantità di moto si conservano, se due corpi hanno velocità
diverse, dopo l’urto, i valori della velocità si osservano invertiti, cioè i valori di energia e
quantità di moto prima e dopo l’urto saranno uguali.
P1 ,i + P2 ,i =P1 ,f + P 2 ,f E k, i=E k ,f
Negli urti anelastici, dopo l’urto, i due corpi saranno compenetrati e strettamente legati. Il
valore della quantità di moto sarà uguale a prima dell’urto, mentre l’energia sarà diminuita
a causa di calore o deformazione meccanica.
P1 ,i + P2 ,i =P1 ,f + P 2 ,f E k, i ≠ E k ,f
Se la particella 2 inizialmente
non è in quiete ma si muove:
m1 x 1 +m2 x 2
x cm =
m1 +m2
Quello che troveremo sarà un punto (CM) che sarà al centro di quelle due masse se queste
fossero perfettamente uguali, oppure sarà più vicino alla massa maggiore e di quanto sarà
n
1
più vicino ce lo dirà questa formula: r cm = ∑ m r che rappresenta una media pesata
M i=1 i i
delle distanze rispetto alle masse.
Se le masse sono disposte su un piano o nello spazio tridimensionale, allora ogni massa m1
e m2 avrà coordinate x1, y1, z1, la seconda x2,y2,z2 e la terza x3, y3, z3
n
1
x cm = ∑m x
M i=1 i i
n
1
y cm = ∑m y
M i=1 i i
n
1
z cm = ∑m z
M i=1 i i
1
y cm =
M
∫ y dm
1
z cm =
M
∫ z dm
m
Parlare del centro di massa equivale a parlare della densità. La densità di un corpo è d=
V
Se il corpo è omogeneo la densità è costante e se il corpo è non omogeneo la densità è
variabile. La densità la indichiamo con ρ (ro). Se il corpo è omogeneo quindi la densità è
dm
costante avremo: ρ= da cui dm= ρdV densità acqua= 1g/cm^3
dV
1 ρ
Possiamo scrivere x cm =
M
∫ ρdV = M ∫ x dV
Ciò vuol dire che se abbiamo un corpo rigido uniforme/omogeno e la densità è costante e
quel corpo ha una forma regolare es. sfera (simmetria), il suo centro di massa corrisponde
con il centro della sfera. Se il corpo fosse un cubo il centro di massa corrisponde con il
centro del cubo. Se prendiamo una sfera e metà è di alluminio e l’altra metà di aria non è
più omogeneo e il centro di massa non sta più al centro della sfera, ma sarà spostato dove
c’è più densità, in questo caso verso l’alluminio.
Per le figure regolari il centro di massa (o baricentro) è il punto geometrico corrispondente
al valor medio della distribuzione della massa del sistema nello spazio (cioè al centro del
sistema). Il centro di massa è importante anche perché un oggetto sta in equilibrio quando
il vettore peso applicato al centro di massa ricade entro la base di appoggio es. torre di Pisa
sta ancora in piedi perché il vettore Fpeso cade dentro la base di appoggio, se si inclinasse
maggiormente ed esce dalla base di appoggio cade.
La quantità di moto del sistema è pari alla quantità di moto che avrebbe il centro di massa
se in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema.
Nei moti traslazionali il centro di massa si muove e anche tutto l’oggetto l’energia sarà
1 2
E= m v cm
2
Nei moti rotazionali il centro di massa del sistema potrebbe anche rimanere fermo e
spostarsi in un'altra parte. Es. la terra che ruota attorno all’asse.
Come facciamo a trovare l’energia in un moto rotazionale con centro di massa?
Prima di tutto dobbiamo fare delle considerazioni sul moto circolare. Sappiamo che
quando un oggetto ruota dobbiamo considerare la velocità tangenziale e la velocità
angolare e che si ha un’accelerazione centripeta che è uguale il prodotto della velocità
tangenziale per quella angolare.
Quando un punto sta percorrendo una traiettoria circolare e si sposta di un tratto s sulla
circonferenza di raggio r e durante questo movimento l’angolo di rotazione è θ allora c’è
una relazione tra lo spostamento e l’angolo s= θr
La velocità di questo punto sarà v=ds/dt ovvero v=(d θ /dt )r=ωr
La velocità tangenziale aumenta con l’aumentare di r e se la velocità angolare è costante
anche v è costante, quindi ogni punto descrive un moto circolare uniforme. Inoltre il tempo
impiegato per fare un giro completo viene detto periodo T, l’inverso del periodo è la
frequenza.
L’accelerazione può avere una componente tangenziale e radiale. Quella tangenziale è
presente quando il punto in rotazione ha una velocità il cui modulo non è costante cioè è
sottoposto ad accelerazione angolare. a t= =
ⅆv ⅆω
ⅆt ( )
dt
⋅r a t=αr = acc.angolare
Quella radiale o centripeta (ortogonale) è avvertita da ogni corpo che sia in rotazione con
2
v
una velocità di modulo crescente. a r= =ω 2 ⋅r
r
Momento di inerzia
Il momento di inerzia si oppone alla variazione della velocità angolare come la massa si
oppone alla variazione della velocità lineare. Cioè il momento di inerzia rappresenta come
è distribuita la massa attorno all’asse di rotazione.
2 1
Questo momento lo chiamiamo I e significa che l’energia cinetica ECR = I ω (e.c.rotaz.)
2
Tra l’energia cinetica rotazionale e l’energia cinetica traslazionale c’è una similitudine.
MOMENTO DI INERZIA
Come la massa si oppone alla variazione della velocità, così il momento di inerzia si oppone
alla variazione della velocità angolare, ma l’efficacia della sua opposizione dipende da
come la massa è distribuita attorno all’asse di rotazione.
Se l’oggetto di cui vogliamo conoscere il momento di inerzia gè un sistema discreto di n
punti, basterà applicare per ogni punto la definizione di g=mr 2 e poi sommare i vari
n
contributi per ottenere il momento di inerzia totale I =∑ mi r i
2
Se invece l’oggetto è una grandezza continua allora sarà più semplice calcolare tramite
l’integrale:
rmax
dell’oggetto attorno all’asse di rotazione e dm= rappresenta una piccola parte dell’oggetto.
2
MR
I=
2
1 2 2
I = M ( R2−R 1)
2
Si può dimostrare che detto Icm il momento di inerzia rispetto a un asse passante per il
centro di massa del corpo, il momento di inerzia rispetto ad un altro asse parallelo a quello
dato e distante d da esso è I =I cm +m d 2
Questo momento di inerzia è data dal teorema di Steiner. Il teorema ci dice che nel caso
un oggetto ruoti attorno ad un asse non passante per il centro di massa I =I cm +m d 2
Icm= il valore che avrebbe se ruotasse attorno il centro di massa M=massa oggetto
d=distanza che c’è tra l’asse sul quale sta ruotando rispetto all’asse parallelo passante per
il centro di massa.
leggere
Energia meccanica di un corpo che rotola (sfera-cilindro)
Si trova infine v=
√ 2 Mgh
M + I /R 2
Etot=Ecr+Ec+Up=costante
Parallelismo
Moto traslazionale Moto rotazionale
1 2 1 2
s ( t )=s 0 + v 0 t + a t θ ( t )=θ0 +ω 0 t+ γ t
2 2
1 2 1 2
Ec = mv ECR = I ω
2 2
F=ma M =Iγ
L=Fs L=Mθ
L Fs L Mθ
W = = =Fv W= = =Mω
t t t t
⃗P=m ⃗v ⃗
L=I ⃗ ω
Esempio: una ballerina sulla pista di ghiaccio che ruota su se stessa ha un momento
angolare ⃗L=I ⃗ω che è un vettore che giace sull’asse di rotazione. Se la ballerina apre le
braccia o chiude le braccia, indipendentemente da cause esterne, il prodotto I ⃗ ω deve
mantenersi costante. Se questo prodotto si mantiene costante significa che quando la
ballerina porta le braccia vicino al corpo, il momento di inerzia si riduce perché le masse si
avvicinano all’asse di rotazione, I diventa più piccolo quindi ω diventa maggiore. Quindi
una ballerina che ruota avvicinando le braccia al corpo, ruota più velocemente, se invece
allarga le braccia I diventa più grande e ω diventa più piccolo quindi la ballerina gira più
lentamente. Questo esempio spiega perché il principio di conservazione del momento
angolare vale nei sistemi ruotanti e comporta una dinamica rotazionale diversa per il
principio di conservazione del prodotto I ⃗ ω.
Giroscopio (leggere)
Il giroscopio è un dispositivo fisico rotante che, per effetto della legge di conservazione del
momento angolare, tende a mantenere il suo asse di rotazione orientato in una direzione
fissa. Essenzialmente è costituito da un rotore a forma di toroide che ruota intorno al suo
asse, quando il rotore è in rotazione il suo asse tende a mantenersi parallelo a se stesso e
ad opporsi ad ogni tentativo di cambiare il suo orientamento. Questo meccanismo fu
inventato nel 1852 dal fisico Foucault nell'ambito dei suoi studi sulla rotazione terrestre. Se
un giroscopio è installato su una sospensione cardanica che permette alla ruota di
orientarsi liberamente nelle tre direzioni dello spazio, il suo asse si manterrà orientato
nella stessa direzione anche se il supporto cambia orientamento.
L'effetto giroscopico è presente come effetto collaterale in tutti i dispositivi in rapida
rotazione quali i volani e gli hard disk per computer e deve essere tenuto in considerazione
nella progettazione. Un giroscopio mostra una serie di fenomeni, tra cui la precessione.
DENSITÀ
La densità di un liquido in punto è il rapporto tra il volume di una sferetta piccolissima
m
centrata nel punto e la massa in esso contenuta: d= g/c m acqua d=1 g/c m
3 3
V
Quando applichiamo una forza non possiamo applicarla su di un fluido in un determinato
punto come facciamo per i solidi dove le molecole sono tutte legate tra loro. Su un fluido le
molecole sono meno legate(nei liquidi) o per nulla legate (nei gas).
Per ottenere una risposta alla forza applicata su di un fluido dobbiamo applicare una
pressione.
PRESSIONE
La pressione in un punto è definita considerando una piccolissima superficie circolare
centrata nel punto e la forza che il liquido da una parte della superficie esercita sull’altra
parte in direzione perpendicolare alla superficie stessa.
F n Fn dF
p= = o con la derivata p= unità di misura N /m2=¿ Pa (Pascal)
∆s ∆s dt
La pressione è una grandezza scalare.
I misuratori di pressione si chiamano manometri.
PRINCIPIO DI PASCAL
Ogni qual volta si applica una pressione a un fluido (es. acqua contenuta in un recipiente),
questa pressione si esercita su tutta la superficie del fluido stesso. Di tutto ciò se ne
accorse Pascal. Immaginiamo un liquido che è incomprimibile (volume costante), se lo
premiamo su una certa superficie tutta la superficie ne risente (perché i legami tra le
molecole ci sono anche se deboli).
Esperimento di pascal:
Principio dei vasi comunicanti: se avessimo dei vasi, diversi, e mettiamo un liquido, questo
ha la stessa altezza in tutti i vasi. La pressione che si esercita in un punto della superficie
del fluido si trasmette inalterata a tutti i punti della superficie.
LEGGE DI STEVINO
Per calcolare la pressione che si esercita quando un liquido è dentro un contenitore.
Nel caso dei liquidi su un generico punto interno al liquido, oltre alla pressione che si
esercita sulla superficie e
che viene trasmessa in
ogni punto del liquido per
il principio di Pascal, si
esercita anche la
pressione dovuta al peso
degli strati di liquido
sovrastanti il punto. La
pressione dovuta alle
forze peso è detta
pressione idrostatica.
Consideriamo un
elemento di superficie ∆ S
intorno al punto P e
orientato
orizzontalmente.
Normalmente su ∆ S
agisce la forza peso del liquido sovrastante avente volume ∆ Sh.
Tale peso è dato da p=mg dive m=Vd=d ∆ Sh. La pressione idrostatica nel punto P è data
mg
dalla legge di Stevino: p= =dgh
∆S
La pressione esercitata sulla base del recipiente dipende dal tipo di liquido, dalla sua
densità, da g (accelerazione di gravità) e dall’altezza del liquido.
La pressione è dirett. Proporz. Sia alla densità del liquido sia alla sua profondità.
La pressione atmosferica è la pressione idrostatica della colonna d’aria sovrastante un
elemento di suprficie, tuttavia in questo caso la densità dell’aria non è costante.
Sulla superficie del mare e di altri liquidi agisce la pressione atmosferica p0. Dato che per la
legge di Pascal essa si trasmette inalterata nel liquido, alla pressione totale p a profondità h
contribuiscono sia la pressione atmosferica sia la pressione dovuta al peso del liquido.
La legge di Stevino ci dice che la pressione è la stessa ad uguale profondità. Sappiamo
inoltre che sulla superficie di un liquido la pressione è quella atmosferica. Una
conseguenza di questa legge è che siccome la pressione atmosferica in una località è
costante, se due vasi sono in comunicazione alla loro superficie la pressione è la stessa
quindi l’altezza del liquido nei vasi comunicanti è la stessa.
Se consideriamo che sulla superficie libera agisce la pressione atmosferica allora scrivere la
legge di Stevino come: P=P0+ dgh
Il liquido nei vasi sanguigni (sangue) si può considerare come se fosse in un contenitore.
Anche il sangue risente della pressione idrostatica p=p(sangue)+dhg
PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
Se un corpo solido viene immerso in un liquido, sulla superficie del corpo si esercita un
sistema di forze dovute alla pressione idrostatica. Se al posto del corpo ci fosse il
corrispondente volume di liquido, la risultante delle forze equilibrerebbe la forza peso del
volume del liquido. Si può enunciare il principio di Archimede: un corpo immerso in un
liquido è sottoposto ad un sistema di forze la cui risultante è una forza verticale diretta dal
basso verso l’alto avente intensità uguale al peso del volume del liquido spostato.
Quando immergiamo un oggetto in un fluido, questo riceve una spinta pari al peso del
volume di liquido spostato. Supponiamo di avere un solido formato da un cilindro e lo
immergiamo in un liquido, gli diamo una forza. Sull’oggetto agiscono delle pressioni. Su
quelle laterali abbiamo pressioni laterali che si annullano perché se c’è una pressione da
sinistra o destra ce ne sarà una pari e opposta da destra a sinistra.
Le pressioni superiori abbiamo p1=ρl ghe pressione inferiore p2=ρ l g ( h+ ∆ h )
Ftot
ptot = p2 −p 1=ρl g ∆ h= F tot =Ptot S= pl g ∆ hS= pl g ∆ V =ml g (spinta di Archimede)
S
m=massa liquido spostato V= volume liquido spostato
La spinta dipende dalla densità del liquido, se è elevata la spinta è maggiore.
-Se ds=dl la densità del solido è uguale a quella del liquido il corpo solido galleggia
-Se ds>dl il corpo va a fondo, sprofonda
-Se ds<dl il corpo sale verso la superficie
Quindi se il peso è maggiore della spinta di Archimede il corpo affonda (es. ancora di una
nave in acqua), se invece il peso è minore della spinta di Archimede il corpo sale (es.
palloncini ad aria)
( g
cm )( m
s ) 5 N
m
5
Nel S.I. si ha 1 atm= 13.6 3 9.81 2 ( 760 mm )=10 2 =10 Pa
il bar è un multiplo del Pascal che si usa in meteorologia: 1bar=10^5 Pa
La pressione atmosferica standard è definita dal valore convenzionale p0=1.01 ×10 5 Pa
La pressione atmosferica agisce su di noi sempre. Non la avvertiamo perché è compensata
da una pressione uguale che l’atmosfera esercita dall’interno del nostro organismo verso
l’esterno.
Torricelli utilizzò il mercurio e non l’acqua perché il mercurio ha una densità maggiore. Se
avesse utilizzato l’acqua avrebbe dovuto prendere una provetta molto più alta.
Manometro a mercurio
Un manometro a mercurio è un tubo verticale di vetro o plastica riempito di mercurio
liquido utilizzato per misurare la pressione dei gas. Esistono versioni aperte e chiuse, con la
differenza che un manometro a tubo chiuso ha un vuoto sopra il mercurio nell’estremità
chiusa, mentre il manometro a tubo aperto è aperto all’aria. I manometri aperti misurano
la differenza di pressione tra il gas da campionare e l’aria ambiente. I dispositivi a tubo
chiuso misurano la pressione assoluta del gas campionato in base all’altezza del mercurio
nel tubo.
Unità di misura della pressione: mmHg, Pa, bar, atm, baria.
PRESSIONE NEL SANGUE
Quando si parla di pressione arteriosa la scala di riferimento è il millimetro di mercurio
( mmHg) La pressione arteriosa è letteralmente la forza che il sangue esercita sulle pareti
delle arterie quando viene pompato dal cuore. Ogni volta che il cuore si contrae (sistole)
pompa sangue nelle arterie che si dilatano al passaggio del sangue. In questa fase si parla
di pressione massima o sistolica cioè la pressione massima determinata dalla contrazione
del cuore nelle arterie al momento dell’espulsione del sangue Pmax=120 mmHg
La pressione diastolica o minima è la pressione minima che si riscontra nei vasi arteriosi
tra le fasi di contrazione dei ventricoli, quindi nella fase di rilassamento. Pmin=80mmHg.
Valori normali di pressione nel sangue:
-pressione sistolica (massima) tra 110-140 mmHg
-pressione diastolica (minima) tra 60-90 mmHg
-differenziale tra 40-50 mmHg (è la pressione arteriosa media cioè la differenza tra la
massima e la minima)
La pressione arteriosa si misura con lo SFIGMOMANOMETRO
Lo sfigmomanometro è costituito da un manicotto che viene avvolto attorno alla parte
superiore del braccio (all’altezza del cuore), dove le arterie più grandi sono facilmente
accessibili; poi viene gonfiato fino a quando la pressione al suo interno è sufficiente a
chiudere l’arteria, bloccando il flusso sanguigno. A questo punto si lascia sgonfiare
gradualmente il manicotto e con uno stetoscopio si ascoltano i suoni prodotti dal sangue
che riprende a circolare. Il primo suono corrisponde al primo passaggio di sangue
attraverso l’arteria ancora in parte occlusa, ed è la pressione sistolica.
Man mano che il manicotto si sgonfia, il sangue comincia a fluire in modo irregolare
attraverso l’arteria. Quando la pressione del manicotto scende al di sotto di quella
esercitata dal sangue contro l’arteria durante la diastole, il sangue scorre normalmente e i
suoni cessano. Sul manometro quindi si leggerà la il secondo valore che corrisponde alla
pressione diastolica.
Poiché la misura sperimentale della velocità delle singole particelle di fluido non è agevole,
è conveniente introdurre una quantità: la portata.
Si definisce PORTATA (Q) o flusso di velocità, in un condotto, il volume V di fluido che
attraversa una sezione S del condotto nell’unità di tempo. Unità di m: m3 /s o c m3 /s è un
prodotto scalare. Questa definizione di portata può essere applicati sia a liquidi che gas.
Se un fluido è incomprimibile (liquido) allora la portata di un tubo sarà costante, se non ci
sono perdite.
Se la velocità delle particelle è la stessa in tutti i punti la portata si calcola:
V S ∆l dV
Q= = =Sv Q=
∆t ∆t dt
TEOREMA DI BERNULLI
Nel caso particolare in cui il fluido sia incomprimibile e privo di forze d’attrito (liquido
perfetto), si può dedurre dal principio di conservazione dell’energia un’equazione, nota
come teorema di Bernulli.
Per ricavare il teorema di Bernulli, consideriamo un condotto con sezione altezza variabili.
All’interno del condotto scorre un fluido ideale dunque incomprimibile e non viscoso.
Consideriamo due punti del condotto ognuno con una propria sezione S, una pressione p,
una velocità v di scorrimento del fluido e un’altezza y
Indicando con ρ la densità, il teorema di Bernulli ci dice che vale la seguente equazione:
1 2
p+ ρ v + ρvy = costante
2
Pressione Piezometrica= pressione di spinta del liquido in un vaso
1 2
Pressione di moto, idrodinamica = ρ v
2
Pressione idrostatica, di quiete = ρgh
Tale legge contiene anche le leggi che abbiamo visto in idrostatica, per esempio la legge di
Stevino. Infatti considerando il liquido in quiete in un recipiente, rispetto ad una quota di
riferimento si ha:
TEOREMA DI TORRICELLI
Un caso particolare del teorema di Bernulli è dato dal liquido che fuoriesce da un
contenitori ad una profondità h attraverso un forellino. I due punti di riferimento da
utilizzare sono la superficie del liquido e il forellino. Sulla superficie che è ferma (v=0), la
pressione è quella atmosferica e l’altezza dal forellino è h. nel forellino la pressione è
sempre quella atmosferica ma l’altezza geometrica è 0. Quindi tutta l’altezza geometrica si
trasforma in altezza cinetica.
In medicina:
-aneurisma= rigonfiamento arteria/vena (velocità
diminuisce)
-stenosi= restringimento arteria/vena (velocità
aumenta)
FLUIDI REALI
Hanno viscosità
Parzialmente comprimibili
Moto laminare e turbolento
Distribuzione di velocità in ogni sezione
Nella realtà i fluidi sono soggetti ad attriti interni e anche con le pareti. Gli attriti
trasformano irreversibilmente l’energia cinetica in calore. Si ha quindi un perdita di energia
meccanica dovuta all’attrito. Per mantenere costante la portata di un tubo occorre
esercitare su uno degli estremi una differenza di pressione ∆ p
Durante lo scorrimento di un fluido reale in un condotto si manifestano forze di attrito
interne che ostacolano il moto. Esse sono proporzionali alla velocità (piccole velocità) o al
quadrato della velocità (grandi velocità). Esse sono dovute alle forze di coesione fra le
molecole del fluido ed alle forze di attrito fra e molecole del fluido e le pareti del condotto.
Tali forze di resistenza sono l’origine di una proprietà del fluido detta viscosità e producono
una perdita di energia che si trasforma in calore.
Quando un liquido scorre in un recipiente le molecole non si muovono tutte con la stessa
velocità.
d ⃗v ∆ ⃗v
Gradiente di velocità: grad ⃗v = =
dx ∆ x
La differenza principale tra un fluido ideale e un fluido reale è la presenza della viscosità,
che tende a ostacolare il moto del fluido imponendo che nelle equazioni del moto usate
per i fluidi perfetti siano introdotti termini correttivi che tengano conto della dissipazione
di energia causata dall’attrito interno tra le molecole. Inoltre, un fluido reale, a differenza
di un fluido ideale, può presentare due modalità di scorrimento a
seconda della v con cui un fluido si muove in un tubo:
1. flusso laminare: il flusso scorre in strati che scivolano
l’uno sull’altro senza mescolarsi; la v è parallela alle
pareti (v bassa)
2. flusso turbolento: il flusso scorre con mescolamento
di porzioni di fluido, cioè in modo disordinato e caotico
formando dei vortici (v alta)
Il moto laminare può essere un moto stazionario se la pressione
è costante nel tempo. Il moto turbolento non è un moto
stazionario.
La viscosità non è una grandezza perfettamente costante, cambia con il cambiare delle
condizioni, per esempio cambia con la temperatura, con la v del liquido, a seconda del tipo
di concentrazione. Nei liquidi temperatura e viscosità sono inversamente proporzionali,
perché aumentando la temperatura diminuisce la coesione tra le molecole. Viscosità di
alcuni fluidi: acqua 0.3 x 10^-3. Liquidi molto viscosi sono, per esempio, gli oli lubrificanti,
la glicerina, alcune resine; liquidi poco viscosi, sono l'acetone, l'etere, il benzene.
I liquidi si dividono in:
NEWTONIANI = viscosità costante- acqua, plasma
NON NEWTONIANI = viscosità variabile- oli grassi
A CORPI DI BINGHAMA= iniziano a scorrere solo dopo che la forza ha superato un
certo valore di soglia detto valore limite di scorrimento-sangue nei capillari
In tanti casi non possiamo applicare il teorema di Bernulli perché il liquido è reale,
specialmente se la soluzione è complessa es. sangue
Ogni liquido può scorrere meglio o peggio di un altro a seconda di come è posta, facciamo
ricorso alla viscosità.
Nei liquidi ideali vale il principio di continuità Q=costante e in un tratto orizzontale a
sezione costante ∆ P=0
Nel caso di liquidi reali Q≠ costante quindi non vale il principio di continuità e in un tratto
orizzontale a sezione costante ∆ P ≠ costante
Un condotto può essere tale da far viaggiare il liquido bene anche se avesse alta viscosità
oppure piò essere un condotto che oppone molta difficolta al passaggio del liquido in
questo caso si parla di resistenza.
Il segno meno del lavoro indica che si oppone al moto, l=lunghezza cilindro
Da questa ipotesi ci possiamo ricavare la velocità del flusso del cilindretto centrale:
La portata del cilindretto dipende dal prodotto tra velocità e superficie di base del
cilindretto. Questa portata la chiamiamo dQ perché è la portata solo della zona centrale.
Per calcolare la portata di tutto il condotto dobbiamo calcolarci la portata di tutti i
cilindretti e poi sommarli, matematicamente si applica il concetto di sommatoria che
R
( P1−P2 ) π r 3 dr ∆ Pπ R 4 ∆ Pπ R 4
R
∆p
∆ p=Q ¿ + R fN )-> =¿ ¿ + R fN )
Q
∆p
Essendo =Rscioè la resistenza idrodinamica totale Rs=¿ ¿ + R fN )
Q
Se per ogni N arteria secondaria Rf è uguale si ha che R s=N R f (la resistenza nei
collegamenti in serie aumenta)
Resistenze idrodinamiche in parallelo (in ognuna delle parti circola una quantità di liquido
diversa) esempio: un capillare ha una resistenza idrodinamica alta, ma i capillari sono
collegati in parallelo tra loro quindi la resistenza idrodinamica totale sarà minore rispetto a
quella di ogni singolo capillare.
Quando due arterie sono collegate in parallelo, ai loro estremi c’è la stessa ∆ p .In questo
caso, l’inverso della resistenza totale sarà uguale alla somma degli inversi delle singole
resistenze. Infatti considerando un’arteria principale che alimenta N arterie secondarie che
portano il sangue alle arterie dei diversi organi e sia ∆ p la differenza di pressione tra i punti
A e B ai capi di ogni arteria; supponendo che ogni arteria abbia una resistenza vascolare
Rfi, la resistenza vascolare equivalente Rp delle N arterie collegate in parallelo è uguale a:
Rf
Rp=
N
Per arrivare a questa conclusione bisogna pensare che essendoci perdite, la portata
dell’arteria principale è uguale alla somma delle portate delle arterie secondarie:
Q=Q 1+Q 2+Q 3+…+Qn
∆p
Inoltre in ogni arteria si ha Qi= R perciò
fi
Qtot=
∆ p ∆p
+
Rf 1 Rf 2
+…+
∆p
Rfn
→Q=∆ p
1
+
1
(
Rf 1 R f 2
+…+
1
Rfn
→
Q
=
1
)
+
1
∆ p Rf 1 Rf 2 (
+ …+
1
R fn )
mettiamo in evidenzia delta p perché è la stessa
Q
=
1
∆ p Rp quindi diventa:
1
=
1
+
1
(
R p R f 1 Rf 2
+…+
1
Rfn )
Rp è definita resistenza vascolare equivalente di n arterie in parallelo. Se per ogni n arteria
secondaria la Rf è uguale si ha che: R =N R
p f
1
(1) perciò: R p =
Rf
N
Nel circolo sanguigno si possono istaurare dei casi di moto turbolento. Se vi è una
patologia che modifica una sezione del vaso sanguigno la sezione si restringe e la velocità
aumenta. Ad esempio nel primo tratto dell’aorta durante la fase di eiezione rapida e per
aumenti della gittata cardiaca (esercizio fisico), l’aumento della gittata cardiaca determina
un aumento della velocità. Ad esempio in caso di stenosi o nell’anemia dove si verifica la
riduzione della viscosità per diminuzione dell’Ht (ematocrito) e l’aumento di velocità per
aumento di gittata cardiaca.
Nel sangue è disciolta aria, c’è azoto, ossigeno, anidride carbonica. In presenza di questi
vortici l’aria può produrre bollicine di gas e in questo caso se si instaura questo regime, le
bollicine viaggiano e quando arrivano in vasi più piccoli delle bollicine si blocca il vaso e si
crea l’embolo.
Aspetti che riguardano lo stato liquido
1. Sedimentazione naturale e centrifuga
2. Processo di diffusione
3. Processo osmotico
4. Tensione superficiale e fenomeno molecolari
Se abbiamo un liquido contenuto in un recipiente e in questo liquido mettiamo un oggetto
solido (una pallina con densità maggiore del liquido), l’oggetto si muoverà nel liquido e
riceverà delle spinte. Se studiamo la sedimentazione l’oggetto è spinto verso il basso dalla
forza peso (F=mg), sull’oggetto agiscono la spinta di Archimede dal baso verso l’alto e
agisce la forza di attrito. La forza di attrito in questo caso si esprime con la legge di Stokes,
F⃗
R =−b ⃗v =−γη ⃗v γ =coefficiente forma corpo
F⃗
R =−b ⃗v =−6 πrη ⃗v legge di Stokes(colmeno perché si oppone almoto) dove 6 πr deriva dalla
forma di sfericità, perché stiamo immaginando che l’oggetto che si muove nel liquido sia
una sfera.
SEDIMENTAZIONE naturale
Sedimentare=scendere
d= densità oggetto
d’=densità liquido
6 πηr = fattore di
sedimentazione
Se abbiamo una provetta lunga
20 cm calcolando la velocità di
sedimentazione sappiamo
quanto tempo quell’oggetto
sferico percorrerebbe per
arrivare sul fondo.
Per molte macromolecole disciolte in delle soluzioni biologiche si conoscono dei fattori:
fattore di Svedberg (Sv) cioè il rapporto tra la velocità di sedimentazione e ω 2 R Sv=
v m
2
= ¿ 1 Sv=10^-13 s
ω R F
Ci sono delle tabelle con i fattori di Sv esempio: citocromo Sv=1.7, mioglobina Sv=2
Ribosomi Sv= 10 e albumina Sv=4.4
DIFFUSIONE
Soluzioni= sono miscugli omogenei di due o più specie chimiche, soluto (componente in
minor presenza) e solvente (indica lo stato della soluzione) costituiscono una soluzione.
Immaginiamo una vaschetta con dell’acqua (del solvente), se si mette un colorante o un
sale (soluto) e lo versiamo non su tutta la vaschetta, ma in un’estremità. Queste molecole
di colorante si muoveranno lungo tutta la soluzione cioè diffonderanno nella soluzione a
causa del gradiente di concentrazione -> una quantità che cambia con la distanza.
Nella zona in cui mettiamo il solvente ( colorante) ci sarà un’alta concentrazione che
chiamiamo C1, mentre nella zona più distanza la concentrazione è molto bassa o può
anche non esserci. Il soluto quindi si muove spontaneamente dalla zona a più alta
concentrazione a quella con più bassa concentrazione. Ci sono delle forze che lo spingono
a fare ciò e sono le forze di diffusione che sono dovute al gradiente di concentrazione
∆ C C 2−C 1
grad c= = ∆ x=distanza
∆x ∆x
Finchè c’è questo gradiente ci sono delle forze che spingono il soluto di muoversi dentro la
soluzione in modo che la concentrazione dopo un certo tempo diventa costante in tutta la
soluzione. Quando avviene questo C1 e C2 sono uguali, non c’è gradiente che sarà uguale
a 0 e quindi non c’è più diffusione.
Dal punto di vista microscopico c’è il movimento di certe masse che sono le masse del
soluto nel solvente e se consideriamo una certa sezione , questa sarà attraversata da un
certo numero di molecole in un certo intervallo di tempo.
J=flusso di soluto nel solvente
ms=massa di soluto
S=sezione t=tempo
Il meno esce fuori dal fatto che
mentre il soluto si sposta dalla
zona a più alta concentrazione
verso quella più bassa, la
distanza percorsa dal saluto è in
senso opposto alla
concentrazione stessa.
D=coefficiente di diffusione che dipende dal tipo di molecole che stanno viaggiando e dal
tipo di solvente o soluzione in cui si sta muovendo. Questo coefficiente varia con la
kT kT
temperatura in base alla legge di Stokes-Einstein che ci dice che: D= ¿=
F 6 πηr
MEMBRANA PLASMATICA
Questi concetti sono molto importanti a livello biologico. La membrana cellulare si
comporta come una membrana semipermeabile cioè una membrana che fa passare
l’acqua attraverso di essa per osmosi. Oltre ai soluti anche il solvente della materia vivente
cioè l’acqua diffonde da un lato all’altro della membrana plasmatica. L’acqua viene spinta
in un senso o in un altro dalla pressione osmotica, creata dalla differenza di concentrazione
di soluti che non attraversano la membrana.
Consideriamo una cellula, gli eritrociti (globuli rossi). Se li immergiamo in una soluzione:
Ipotonica (bassa concentrazione di soluti rispetto a quella della cellula)->la cellula
guadagna acqua si gonfia e scoppia
Ipertonica (elevata concentrazione di soluti) ->la cellula perde acqua e si
raggrinzisce
Isotonica (soluzioni con equivalenti concentrazioni di soluti) -> non c’è nessuna
variazione
DIiffusione
I processi di diffusione si suddividono in:
Diffusione semplice -> processo passivo secondo il quale sono molecole di piccole
dimensioni possono passare facilmente la membrana secondo gradiente di
concentrazione (es. respirazione alveolare)
Diffusione facilitata -> processo passivo secondo il quale le molecole di grandi
dimensioni attraversano la membrana grazie a delle proteine canale (i carrier)
Diffusione attiva-> contro gradiente
Trasporti passivi= diffusione semplice e osmosi non richiedono l’utilizzo di energia
Trasporti attivi= diffusione attiva consumano energia e trasportano molecole contro
gradiente di concentrazione, ovvero non ubbidiscono alla legge di Fick. Il trasporto attivo è
mediato da proteine di trasporto. Il trasporto attivo permette alla sostanze nutritive di
entrare nelle cellule e consente alle cellule di liberarsi di sostanze nocive. (es. cellule renali
che eliminano sostanze di rifiuto)
TENSIONE SUPERFICIALE
Consideriamo un recipiente con all’interno un liquido. Ciascuna molecola interna alla
massa del liquido è sottoposta ad un sistema di forse aventi risultante nulla. Nello strato
superficiale le molecole sono soggette a una risultante diretta verso l’interno. Ciò è dovuto
a forze di coesione e di adesione.
Le forze di coesione tendono a livellare il liquido nel suo recipiente ovvero tendono a
minimizzare la superficie del liquido. La forza superficiale di coesione tra le molecole
prende il nome di tensione superficiale. t= F / l(coefficiente di tensione superficiale)
Se vogliamo creare un’onda, perturbando la superficie e aumentandola di una quantità ∆ S
occorrerà spendere un lavoro L.
t= L / ∆ S [J/m2= N/m]
Ogni liquido ha la sua tensione superficiale. La tensione superficiale è responsabile del
processo di evaporazione del liquido stesso.
Metodi di misurazione:
Può misurarsi con un telaietto sagomato ad U e una lamina di liquido.
L = F/∆ x
∆ S= 2a ∆ x
Forza Lavoro
τ = F ∆ x/2a∆ x= F/2a [N/m] τ= =
lunghezza superficie
LEGGE DI LAPLACE
All’interno della goccia le forze di coesione superficiale producono una pressione interna
alla goccia che tiene assieme le varie molecole della goccia.
2
F pressione =A ∆ P=π R ∆ P
F tens. superf . =2 πRτ
All’equilibrio : F pressione =F tens .superf . 2
π R ∆ P=2 πRτ
2τ
P L= ( se abbiamo una goccia sferica )
R
4τ
P L= (se abbiamo una bolla sferica)
R
Se abbiamo delle bolle una più grande e una più piccola, per la legge di Laplace, in quella
più piccola la pressione è più grande. Ciò è applicabile negli alveoli polmonari.
Il surfattante è un liquido che riduce la tensione superficiale. La pressione nella bolla
grande diventa uguale a quella nella bolla piccola.
Es. negli alveoli polmonari la pressione si mantiene costante. Gli alveoli sono
essenzialmente strutture sferiche, assimilabili a delle bolle, per la legge di Laplace avremo
che:
-alveoli più piccoli sviluppano una tensione superficiale positiva elevata, per cui tendono a
svuotarsi negli alveoli più grandi
-durante la espirazione, la riduzione del diametro tende a farli collassare. Per fortuna ciò
non si verifica per la presenza del surfattante che abbassa la tensione superficiale
all’interfaccia aria/acqua
Il surfattante è un fattore tensioattivo. Un fattore tensioattivo dovrebbe essere una
molecola anfipatica con una porzione idrofoba e una idrofila, quindi potrebbe essere un
fosfolipide. Le cellule che producono surfattante sono: pneumociti di 2 ordine e cellule di
Clara.
EMBOLIA
L'embolia gassosa è un blocco del flusso sanguigno causato dalla presenza di una bolla di
gas molto piccola e con pressione elevata, in un vaso sanguigno. Questo fenomeno è
dovuto in parte alla tensione superficiale e può essere spiegato tramite la legge di Laplace.
Fenomeni di capillarità
Se mettiamo il liquido all’interno di un tubicino, se questo tubicino è molto piccolo si
osserva che il liquido può salire dal tubicino. La capillarità è un fenomeno relativo alla
superficie libera dei liquidi nei capillari, in cui le forze di coesione e adesione alle pareti del
condotto gli consentono di risalire o di scendere. Se le forze di adesione prevalgono su
quelle di coesione il liquido tende a risalire all’interno del capillare; se le forze di coesione
prevalgono su quelle di adesione il liquido tende a scendere all’interno del capillare.
l’angolo di contatto di un liquido con un solido viene utilizzato come indice di bagnabilità.
Per α >90 ° il liquido non bagna la parete(mercurio su vetro), superficie idrofoba (teflon)
Per α <90 ° il liquido bagna la parete (acqua su vetro), superficie idrofila (carta)
Per α =0 ° si dice che il liquido bagna perfettamente la parete
Es. protesi ginocchio o protesi anca
Circolo ematico
4.TERMODINAMICA
TERMOLOGIA
Livelli di organizzazione della materia
un insieme di atomi formano le molecole.
Gli atomi si combinano in modi diversi formando strutture diverse.
L’atomo è formato da un nucleo centrale composto da protoni (che hanno carica positiva)
e neutroni (neutri) e attorno al nucleo ci sono gli elettroni (carica negativa). Protono e
neutroni sono formati da particelle di quark. Gli elettroni di tutti gli atomi sono identici. Il
numero di protoni è detto numero atomico (Z), mentre il peso atomico (A) è il rapporto tra
la massa atomica dell’atomo e l’unità di massa atomica.
Due o più atomi uguali o diversi si uniscono tramite legami chimici forti (ionici, covalenti)
formando la molecole.
Protoni e neutroni sono legati all’interno del nucleo da forze di tipo nucleare, dli elettroni
sono legati al nucleo da forze di natura elettrica (intense, deboli o trascurabili) e gli atomi
sono tenuti insieme all’interno della molecola da forze di natura elettrica. Per spezzare una
molecola, un atomo o un nucleo occorre vincere queste forze fornendo una sufficiente
quantità di energia.
Stati di aggregazione
La materia si trova essenzialmente in 3 stati di aggregazione:
Solido: forma e volume proprio
Liquido : forma del recipiente che lo contiene e volume proprio
Gassoso o Aeriforme: forma e volume del recipiente
Allo stato solido le particelle costituenti la materia (atomi, molecole o ioni) si
dispongono in modo ordinato e compatto, con limitate possibilità di muoversi le une
rispetto alle altre.
Allo stato liquido le particelle costituenti la materia si dispongono in modo disordinato
e possono scorrere le une sulle altre, con medie possibilità di muoversi le une rispetto
alle altre.
Allo stato gassoso le particelle costituenti la materia si dispongono in modo
estremamente disordinato, con elevato possibilità di muoversi le une rispetto alle altre.
EQUILIBRIO TERMICO
Due corpi a differente temperatura non sono in equilibrio termico e sono soggetti a
scambio di calore Q dal corpo più caldo a quello più freddo, tendendo a portarsi
all’equilibrio termico (cioè fino a non scambiarsi più calore). All’equilibrio termico la
temperatura del sistema è costante T=costante.
Da qui deriva l’enunciato di Maxwell: La temperatura è un indice dello stato termico di un
corpo che descrive l’attitudine di esso a scambiare calore con altri corpi.
Due oggetti che non hanno la stessa temperatura si dice gradiente termico: indica il valore
dato dal rapporto tra la differenza di temperatura in due punti dell’atmosfera r quella di
∆t
quota. =gradiente
∆x
Temperatura: è indice dello stato termico del corpo + agitazione termica. La dilatazione
termica è un fenomeno legato alla temperatura le quale si misura con il termometro. Il suo
funzionamento è basato su due fenomeni: dilatazione termica ed equilibrio termico
Dilatazione termica:
Nei solidi può essere
Lineare (cioè aumentando la temp. La lunghezza si espande)-> ∆ l=α l 0 ∆ T
Superficiale -> ∆ S=β S 0 ∆T
Volumica ->∆ V =γ V 0 ∆T
γ =3 α =coefficiente didilatazione cubica
β=2 α =coefficiente di espansione superficiale
Nei liquidi : ∆ V =K V 0 ∆ T
Nei gas: si dilatano allo stesso modo, hanno lo stesso coefficiente di dilatazione 0,00366
℃ =1/273.15 ℃, è molto accentuata-> forze di coesione molecolare trascurabili.
−1
Le scale termometriche più diffuse sono: la scala kelvin (usata nel S.I.) e la scala Celsius
(usata nella vita comune). Le due scale differiscono essenzialmente nel valore assegnato
allo zero, cioè al punto iniziale della scala.
La scala Celsius è tarata in base a due punti fissi; la temperatura del ghiaccio che fonde 0 ℃
e la temperatura dell’acqua che bolle a 100℃ . L’intervallo è quindi diviso in 100 parti e
ognuna vale 1 ℃ .
La scala Kelvin è tarata in base allo zero assoluto che è la temperatura più bassa (non ci
sono valori negativi) a cui può arrivare la materia, il cui valore in gradi Celsius è -273,15 ℃
1K=1℃
T. Celsius= T. kelvin - 273,15
T. Kelvin= T. Celsius + 273,15
Come calcolare il Cs di una sostanza incognita partendo da una sostanza con Cs noto?
Supponiamo di avere un’altra sostanza (non acqua) con massa e temperature note, mentre
con Cs non noto. Due corpi che si trovano in due stati termici diversi, se messi a contatto,
dopo un certo periodo di tempo, uniformano la propria temperatura. Ciò accade in seguito
ad uno scambio di calore: il corpo a temperatura più alta cede calore al corpo a
temperatura più bassa che si riscalda, in modo tale che, dopo un certo periodo di tempo, il
sistema raggiunge una temperatura, detta Teq. Se gli scambi di calore avvengono senza
perdite di energia, ossia il sistema è adiabatico (per esempio, all'interno di un calorimetro
ben isolato), si può dire che tutta l'energia perduta dal corpo che si raffredda viene
acquisita dal corpo che si riscalda, pertanto vale l'equazione degli scambi di calore. Se il
pedice c si riferisce al corpo più caldo e f al corpo più freddo, si ha
LEGGE DI LAVOISER
Gli alimenti quando vengono introdotti vengono ossidati. Tutto ciò causa energia.
Alimenti + O2-- energia + CO2+ H2o+ scorie
La calorimetria indiretta misura la variazione della concentrazione di O2 e CO2 nel tempo e
fornisce la misura della spesa energetica a riposo e del quoziente respiratorio (è uguale al
volume di CO” prodotta/volume di O2 consumato).
Ossidazione del glucosio (zuccheri o carboidrati):
+686 Kcal
Calore Latente
Durante un cambiamento di stato la temperatura di una sostanza rimane costante; il
cambiamento di stato avviene per sottrazione o cessione di calore ad una data massa.
Il calore latente rappresenta la quantità di energia scambiata
(sotto forma di calore) durante lo svolgimento di una
transizione di fase ( o passaggio di stato).
I materiali si possono dividere in: buoni conduttori termici sono i metalli ( λ molto grande),
mentre gli isolanti termici-cattivi conduttori ( λ molto piccolo) sono aria, legno, vetro,
ghiaccio, plastica, gomma, pelle etc… quando si tocca un metallo si ha la sensazione di
freddo. In genere i materiali che sono buoni conduttori di calore sono anche
buoni conduttori di corrente elettrica. I metalli sono conduttori termici particolarmente
buoni perché hanno elettroni che si muovono liberamente e possono trasferire l'energia
termica rapidamente e facilmente. Quando si riscalda qualcosa si da energia cinetica che
man mano cresce con la temperatura. Quando due oggetti si urtano, l’energia viene
trasferita dagli elettroni più veloci. I cattivi conduttori non hanno elettroni liberi.
Equazione della conduzione del calore nei solidi: J=
Q
S∆t
=−k ( )
∆T
∆x
k=coeff. Di diffusione
termica
k=
Q ( ∆∆ Tx ) quindi le unità di misura sono: [𝐽/𝑚𝑠𝐾=𝑊/𝑚𝐾]
S ∆t
La conduzione è la modalità di propagazione del calore (trasferimento di energia cinetica)
da un corpo più caldo a uno più freddo nella zona di contatto, cioè quando urtano. Questo
trasferimento avviene per interazione tra le molecole adiacenti, senza che queste debbano
abbandonare la loro posizione di equilibrio.
FUNZIONE DI PLANK
Plank capì che l’emissione di queste onde
elettromagnetiche non avviene ad una sola
frequenza, ma in uno spettro. Le onde
elettromagnetiche si emettono in uno spettro
(spettro di frequenze). Più aumenta la
temperatura più la curva si sposta verso
frequenze più alte. Plank studio questo processo tramite dei corpi particolari studiando i
corpi neri. Un corpo nero è un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione
elettromagnetica(A=1) incidente senza rifletterla. Esso emette radiazione a seconda della
sua temperatura. Corpo nero= corpo che assorbe tutta l’energia che lo colpisce. Es.
fornace. L’energia entra da un piccolo foro e viene assorbita dalle pareti della fornace che
si riscaldano ed emettono radiazione. Plank riuscì a capire la forma di questo spettro che è
a campana. Capì che l’energia trasportata dalle onde elettromagnetiche avviene per
quantità minime di energia che vengono chiamate fotoni. Il fotone è la parte più bassa di
energia trasportata da tutta l’onda. L’energia del fotone equivale a una costante detta
costante di Plank per ni (frequenza della radiazione).
Energia del fotone (legge di plank):
c
E=h =hv (¿ , frequenza) h=costante di Plank =6 , 63∗10−34 J s
λ
In generale:
Assorbe parte della radiazione che lo investe: potere assorbente = frazione di energia
raggiante assorbita dall’unità di superficie.
Emette radiazione: potere emissivo=energia raggiante emessa dall’unità di superficie
nell’unità di tempo per unità di lunghezza d’onda.
Spettro di emissione del corpo nero e altri sistemi: un corpo nero riscaldato ad una
temperatura sufficientemente elevata emette radiazioni. L’energia emessa è totalmente
isotropa e dipende solo dalla temperatura del corpo e non dalla sua forma o dal materiale
di cui è costituito. L’energia emessa da un corpo nero riscaldato ad una certa temperatura
T viene chiamata: radiazione di corpo nero.
LEGGE DI WIEN
Wein capì che via via che la temperatura aumenta la curva diventa più intensa e si sposta
verso lunghezze d’onda più piccole. Riuscì a capire che la lunghezza d’onda è inversamente
proporzionale alla temperatura.
Lo spettro di emissione del corpo nero mostra un massimo di energia ad una certa
lunghezza d’onda. All’aumentare della temperatura del corpo, la lunghezza d’onda del
massimo di emissione decresce. λmax =0.2898/T cm
All’aumentare della temperatura, l’energia totale emessa cresce perché aumenta l’area
totale sotto la curva.
L’uomo emette onde elettromagnetiche a circa 9 micron quindi nell’infrarosso, non emette
luce visibile. Ogni animale a corpo caldo emette lunghezze d’onda tra 10 e 6 micron.
Tramite degli strumenti a raggi infrarossi riusciamo a fare una fotografia del calore emesso,
dandoci un’informazione di quali sono le zone più calde (con + alta frequenza) e quelle più
fredde. In una lampada ad incandescenza che emette luce, la temperatura è di 3000 K e
significa che queste lampade emettono lunghezze d’onda di 1 micron (siamo vicino alla
luce visibile). Una stella ha temperatura di 30 000 K ed emetterà lunghezza d’onda
dell’ordine di 1000 Angstrom. La stella non emette radiazioni nel visibile o se le emettono
sono piccolissime. Una stella emette informazioni nel campo dei raggi x. Quando
guardiamo una stella vediamo il campo dei raggi x che quella stella emette.
LE LEGGI DEI GAS PERFETTI
Le leggi dei gas sono delle relazioni tra volume, temperatura e densità (parametri
macroscopici dei gas) che valgono in condizioni di equilibrio o nel corso di particolari tipi di
trasformazioni del gas. Un gas perfetto o ideale è un gas che obbedisce alle equazioni e
leggi dei gas perfetti, immaginando che le molecole siano piccoli e non urtino tra loro non
perdendo energia.
Legge di Charles
Lo studio dei gas venne fatto per prima da Charles, il quale osservò che se in un dato
volume si va a mettere un gas le sue molecole producono forze sulle pareti che segnano sul
manometro una certa pressione. Il gas è messo con una certa temperatura e un
determinato volume. Charles fece un esperimento in cui mantenne costante la pressione
del gas e aumentò la temperatura del gas da un valore iniziale T0 a un valore finale T1. Si
accorse che il volume aumenta all’aumentare della temperatura. Prese un palloncino e lo
riempì di gas, riscaldandolo tende ad espandersi e aumenta di volume mentre se lo
raffreddiamo il palloncino tende a contrarsi e diminuisce di volume.
Legge di Charles:
1
P0=costante T 0 → T 1 V 1=V 0 ( 1+γ ∆ T ) γ= K=coeff . diespansione volumetrica dei gas che è
273.15
uguale per tutti i tipi di gas
In conclusione: mantenendo la pressione costante, temperatura e volume aumentano e
sono proporzionali tra di loro.
Legge di Gay-Lussac
Mise un gas all’interno di un volume ben definito e costante, rigido. All’interno mise sia un
termometro per misurare la temperatura che un manometro per misurare la pressione e
notò che se aumentava la temperatura del gas racchiuso in questo contenitore la
pressione aumentava. Quindi il manometro segnava un valore più elevato se la
temperatura aumentava, mentre se raffreddava la pressione si riduceva.
Se un gas viene riscaldato a volume costante, la pressione e la temperatura sono
proporzionali tra loro. V 0=costante T 0 → T 1 P1=P0 ( 1+γ ∆ T )
Legge di Boyle
Boyle mise un gas in un recipiente con un pistone mobile, con all’interno un termometro e
un manometro. Si accorse che mantenendo la temperatura costante se il pistone si
espandeva, provocando un aumento di volume, allora la pressione si riduceva. Se invece si
aveva una diminuzione di volume la pressione aumentava. Quindi il prodotto pressione e
volume si mantiene costante.
T 0=costante V 0 → V 1 P0 V 0=P1 V 1
Legge di Clapeyron
Riuscì a trarre le conclusioni sullo studio dei gas. Non è vero che le 3 relazioni sopra
descritte sono indipendenti tra loro, anzi dipendono l’una dall’altra. Esiste quindi una sola
relazione che racchiude tutti gli esperimenti di Charles, Gay-Lussac e Boyle.
Il rapporto PV/T=costante
Clapeyron prese 1 mole di gas (6*10^23 molecole=numero di Avogadro) che equivale al
peso atomico o molecolare di quella sostanza. Portò il gas a T 0=0 ℃=273.15 K e a
pressione atmosferica P0=1 atm=105 Pa e il volume del gas V 0=22.414 l(una mole di gas
occupa in condizioni normali a 1 atm e 0℃ un volume di 22.4 litri. Quindi
P0V 0 J
=8.31 K=R=costante di stato dei gas perfetti
T0 mole
La legge di stato dei gas perfetti non vale solo per un tipo di gas, ma per tutti, anche se
questi fossero miscelati tra di loro.
Ptot=P1+P2+… (Legge di Dalton delle pressioni parziali)
P1V=n1 RT
P2V=n2 Rt
P1=n1 RT/V P2=n2 RT7V
Ptot= P1+P2= n1 RT/V+n2 RT/V= (RT/V)(n1+n2)
PV=(n1+n2) RT (eq. Per le miscele di gas)
Una miscela di gas si comporta come un unico gas perfetto.
Esempio: l’aria ha composizione di N2=79%, O2=20%, CO2=0.5%, altri gas=0.5%
Ptot= P(N2)+P(O2)+P(CO2)=1 atm
P(N2)=0.79 atm
P(O2)=0.20 atm
P(CO2)=0.05 atm
P altri gas=0.05 atm
Da cui: P(N2)V=n(N2) RT P(O2)V=n(O2) RT P(CO2)V=n(CO2) RT
Il numero di moli n= M(massa)/A(peso atomico o peso molecolare)
Es. l’ossigeno ha peso atomico 16 mentre la molecola O2 ha peso molecolare 32. Pertanto
1 mole corrisponde a n=M/32 e quindi per prendere n01 moli si deve prendere una massa
M=32 g di ossigeno. Il numero di moli è anche dato dal numero di Avogadro.
n=N(numero di molecole)/Na(numero di Avogadro) Na=6*10^23
pertanto n=M/A=N/Na quindi possiamo scrivere che: PV= (N/Na) RT=N k T
k=R/Na=costante di Boltzmann
Modi di scrivere l’equazione dei gas perfetti:
1. PV=nRT (numero di moli n)
2. PV= NkT (numero di molecole N)
TEORIA CINETICA DEI GAS
Per capire il legame tra le grandezze macroscopiche di un gas, cioè che possiamo misurare
facilmente (pressione, volume, temperatura) e quelle microscopiche (numero e tipo di
molecole) ricorriamo alla teoria cinetica dei gas.
Immaginiamo di avere un volumetto (a forma di cubo) in cui racchiudiamo il gas. Le
molecole seguono le leggi di Newton pur muovendosi a caso. Immaginiamo che il gas sia
ideale quindi il volume del gas è trascurabile rispetto a quello del contenitore e anche le
forze tra le molecole sono trascurabili eccetto gli urti, infatti immaginiamo che non ci sono
urti tra le molecole,
ma che queste
urtino solo con le
pareti.
Moto in una
dimensione:
prendiamo in
considerazione
tutte le molecole
che stanno intorno
ad un cubetto. Di
tutte queste
molecole
consideriamo una
sola che va ad una certa velocità. Immaginiamo che ad un certo istante la molecola abbia
velocità v. In un sistema di riferimento x, y, z e consideriamo la componente della molecola
vx. La molecola muovendosi arriva sulla parete, c’è un urto tra una particella di massa
infinitesima. La particella quando si muove lungo l’asse x prima di arrivare alla parete ha
una quantità di moto iniziale, dopo la particella arriva sulla parete e viene riflessa. Dopo
l’urto la sua velocità diventa negativa, pertanto la variazione della quantità di moto della
singola particella è -2mvx. Quando la particella arriva sulla parete e torna indietro, ha
impresso una forza sulla parete. La forza totale esercitata sulla parete è data dalla
sommatoria di tutte le forze esercitate dalle singole molecole. La forza totale esercitata
m 2
sulla parete da N molecole è: F= N vx
d
Quindi in generale l’energia cinetica per una molecola di gas potremmo scriverla come:
E= ( 2f ) kT dove f= numero di gradi di libertà di quella molecola. In un gas con N molecole,
l’energia sarà: E=( ) N kT =(f /2)nRT
f
2
Più complessa è la molecola e più i gradi di libertà tendono ad essere 6 se la molecola è
poliatomica e la sua energia diviene: E=3 kT. Per N molecole poliatomiche l’energia totale
delle molecole è: E=3 NkT.
Energia interna di un gas: è la somma di tutte le energie cinetiche delle molecole di quel
gas
N N
1 f f
U = ∑ E ci =∑ m< v 2i ≥ NkT= nRT
i=1 i=1 2 2 2
F = numero gradi di libertà delle molecole del gas
U è l’energia interna del gas e si misura in Joule.
Quando un gas lo possiamo da una temperatura ad un’altra ci sarà una variazione di
energia interna determinata solo da variazioni di temperatura del gas:
∆ U=𝑓/2 𝑛𝑅Δ𝑇
U è una funzione di stato perché dipende solo dalla temperatura finale e da quella iniziale,
ovvero: ∆ U= Uf-Ui= 𝑓/2 𝑛𝑅(𝑇𝑓−𝑇𝑖)
Ricapitolando:
Un gas ha una forma di energia che è l’energia interna. Dobbiamo tenere conto però se il
gas è monoatomico, biatomico, poliatomico/triatomici.
K = U = 3/2 𝑛𝑅𝑇
Per gas monoatomici (He, Ne, Ar, Kr, Xe,
Rn) U = 𝑓/2 𝑛𝑅𝑇= Energia interna del gas
La temperatura non è altro che l’energia cinetica media delle molecole di gas. Aumentando
la temperatura non facciamo altro che aumentare la velocità delle molecole del gas.
Significato intuitivo dello zero assoluto: a T= 0K tutte le molecole sono forme hanno cioè
energia cinetica nulla, non ha quindi senso fisico una temperatura inferiore (l’energia
cinetica non può essere negativa).
N.B. due gas alla stessa temperatura hanno la stessa energia cinetica K=3/2 kb T, ma non
hanno la stessa velocità quadratica media. V qm=
√ 3 kT
m
Esempio: calcoliamo la velocità quadratica media dell’ aria sapendo che è formata da una
miscela di azoto, ossigeno e argon.
Quando studiamo i gas la cosa importante è modificare
le condizioni macroscopiche (t, p, v) del gas. Per
rappresentare lo stato di un gas utilizzeremo un
sistema di riferimento che si chiama piano di
Clapeyron. Questo piano riporta in ascissa i volumi dei
gas e nell’ordinata le pressioni dei gas. Se un gas ha
una certa pressione P1 e un certo volume V1 andiamo
a trovare T1 che è rappresentato da un punto.
Se la pressione è costante e cambiamo solo il volume del gas allora L=P ∆ V =¿ area
racchiusa del rettangolo di base ∆ V ed altezza P. Se abbiamo una variazione di pressione e
B v2
¿
C
1−γ
( ( )
V B P B−V A P A )
1
C
=
VbPb−VaPa
1−γ
P −γ
In quanto PV γ =C e quindi =V
C
Lavoro fatto dal sistema : se c’è aumento di volume L>0 L=∫ PdV , se nella trasformazione
A
Immaginiamo di avere un gas in un cubetto, se forniamo calore al gas, una parte del calore
può provocare il riscaldamento del gas cioè una variazione di temperatura quindi una
variazioni di energia interna, l’altra parte del calore può provocare un lavoro che il gas fa
espandendosi.
Quando riscaldiamo un gas la quantità di calore è positiva Q>0, se sottraiamo energia ad
un gas allora il calore è negativo Q<0.
Ricapitolando: ∆ U > 0se aumenta la temperatura
∆ U < 0 se diminuisce la temperatura
La quantità Q−L=∆ U , ma ∆ U dipende solo dalla temperatura, cioè dipende dallo stato
finale dell’energia interna nel punto B meno lo stato iniziale di energia interna nel punto A.
Q−L=∆ U =Uf ( B )−Ui ( A )
f 2+ f 5
-Per i gas monoatomici c p >c v c p= R+ R= R ; cp = R
2 2 2
7
-Per i gas biatomici c p= R
2
8
-Per i gas triatomici e poliatomici c p= R=4 R
2
compresso di volume). Nelle trasformazioni isobare il lavoro si può calcolare come segue:
B B
L=∫ pdV =P ∫ dV =P ( Vb−Va )=nR(Tb−Ta)
A A
4. Trasformazioni adiabatiche a Q=0, non c’è scambio di calore, il gas si trova racchiuso
in un recipiente con pareti adiabatiche. P V γ =¿costante =C ( 1 equazione di Poisson)
γ =c p c v = coefficiente adiabatico sempre positivo
Quando P (
P )
γ
nRT
=costante allora P T =cost (3 eq. di Poisson)
1−γ γ
γ >1 quindi la curva è più pendente rispetto alla trasformazione isotermica (dove
γ =1)
Abbiamo detto che non c’è scambio di calore, le pareti sono isolanti e non può né
entrare né uscire calore dal gas quindi Q=0 e per il primo principio della t. ∆ U +L=0;
L=−∆ U . Se L>0 (espansione gas) allora ∆ U<O (raffreddamento gas).
Se L<0 (compressione gas) allora ∆ U>0 (riscaldamento gas).
B
VbPb−VaPa
Calcolo del lavoro nella trasformazione adiabatica: L=∫ dV = oppure
A 1−γ
L=−∆ U=−n c v ∆T =−n c v ( Tb−Ta )=n c v (Ta−Tb)
Il secondo principio della termodinamica afferma che: “ non può esistere una macchina
termica che trasformi il calore in lavoro”.
Noi diamo calore, ma non tutto questo calore si può trasformare in lavoro, una parte deve
essere necessariamente ceduta.
Trasformazioni cicliche
In una trasformazione ciclica la variazione di energia interna (funzione di stato) è 0
∆ U =0 , U dipende solo dallo stato del sistema e se applichiamo il primo principio della t.
significa che Q=L=∮ pdV . In un ciclo termico il lavoro è positivo L>0 in senso orario, in un
ciclo frigorifero il lavoro è negativo L<0 in senso antiorario.
MACCHINE TERMICHE
L’uomo a partire dal ‘600-700 ha realizzato delle macchine termiche per trasformare
quantità di calore in lavoro (es. le vecchie locomotive a vapore). La caratteristica principale
di una macchina termica, nella sua operazione ciclica, è la capacità di fornire lavoro a spese
del calore scambiato con determinate sorgenti. Per compiere lavoro la macchina sfrutta
l’espansione di un gas contenuto dentro un cilindro chiuso da un pistone. Il gas compie
lavoro finchè spinge il pistone, perciò la quantità di lavoro che si ottiene è limitata dalla
lunghezza del cilindro. Per ottenere un lavoro continuo il pistone deve tornare nella
posizione di partenza, seguendo varie trasformazioni, che comportano comunque una
compressione e quindi una cessione di calore. È proprio da questa fase di funzionamento
che dipende l’efficienza della macchina termica.
Una quantità di calore viene data alla
macchina termica, una parte si trasforma in
lavoro e necessariamente l’altra parte di
questo calore verrà ceduto, questo ci dice il
secondo principio della termodinamica. Il
calore possiamo trasformalo in tante forme
di energia come la luce, in energia elettrica
etc…
I diversi enunciati del secondo principio della termodinamica sono tutti equivalenti tra loro.
Non può esistere una macchina termica se non c’è calore ceduto, se c’è una parte di calore
ceduto allora possiamo realizzare una macchina termica. Nelle macchine frigorifere che
servono per abbassare la temperatura di un certo ambiente, fa un ciclo antiorario.
Qc Tc
Quindi da questo teorema il rendimento per una macchina ideale è η=1− =1−
Qa Ta
Questo teorema ci aiuta molto perché talvolta è difficile attuare misure per calcolare il
calore scambiato, invece calcolare le temperature esterne, estreme alle quali possiamo far
funzionare una macchina termica, sappiamo direttamente qual è il rendimento di quella
macchina ideale di Carnot
Esercizio 1.
T1= 300 K T2= 400 K η =?
η =1-Tc/Ta= 1-300/400= o,25% (massimo rendimento di una macchina ideale)
Tutte le macchine ideali operanti tra le stesse temperature hanno lo stesso rendimento.
Il teorema di Carnot è valido solo per macchine e cicli ideali e non reali.
Per i cicli reali il rendimento di una macchina ideale (reversibile) è sempre maggiore
rispetto al rendimento di una macchina reale che attua cicli con trasformazioni irreversibili;
in genere si ha:
η(irrev)≤ η(rev )
Per le macchine irreversibili non vale il teorema di Carnot, quindi il rendimento va scritto
come:
(1-Qc/ Qa)irr ≤ (1-Qc/ Qa)rev =1-Tc/Ta
(1-Qc/ Qa)irr ≤ 1-Tc/Ta
Qc/Qa ≥ Tc/Ta
Qc/Tc - Qa/Ta ≥ 0
Qa /Ta – Qc/Tc ≤0
Qi δQ
Per più scambi di calore ∑ ≤0 ovvero ∮ ≤ 0 (diseguaglianza di Clausius)
Ti T
La diseguaglianza di Clausius ci indica che i rendimenti delle macchine termiche reali sono
sempre minori dei rendimenti delle macchine termiche ideali. Se studiassimo in maniera
più approfondita le macchine termiche, capiremmo che è importante definire nelle
macchine termiche quanto calore viene scambiato rispetto alla temperatura alla quale
∆Q
avviene lo scambio di calore, cioè definire meglio il rapporto che è una quantità che in
T
termodinamica prende il nome di variazione di entropia ∆ S
ENTROPIA
Per distinguere il comportamento del calore alla diverse temperature Clausius introdusse
l’entropia.
∆Q
Si definisce variazione di entropia una funzione di stato data da: ∆ S=S ( B )−S ( A )=
T
Si misura in J/K e può essere scritta come dS= δ Q /T
∆Q ∆Q ∆Q
Ciclo irreversibile reale : ∫ <∆ S irrev< rev=∆ S (sempre)
T T T
Sistema isolato: Q=0 ∆ Q=0 ∆ S=0 nei cicli ideali e ∆ S> 0nei cicli reali.
In generale nei sistemi isolati le variazioni di entropia sono maggiori i uguali a zero e
avremo: ∆ S> 0nei cicli reali e ∆ S=0 nei cicli ideali.
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
In un sistema isolato l’entropia del sistema o si mantiene costante ∆ S=0 o aumenta ∆ S> 0
, ma non può MAI ridursi infatti S ( B )−S ( A ) ≥ 0
Se si hanno soltanto trasformazioni reversibili ∆ S=0 , nelle trasformazioni irreversibili
(reali) ∆ S> 0.
Un particolare sistema isolato è l’UNIVERSO e tutto ciò che avviene in esso, avviene
spontaneamente in modo tale che l’entropia aumenti sempre, di fatti l’universo è in
continua espansione perché avvengono trasformazioni irreversibili /reali.
Anche il TEMPO è correlato ad un aumento di entropia.
Nuovo enunciato del II principio: Un sistema isolato perturbato giunge ad una nuova
condizione di equilibrio che corrisponde al massimo aumento di entropia.
Non possiamo tentare di raggiungere lo zero assoluto con delle macchine frigorifere che
sottraggono sempre calore ad un oggetto ma il 3 principio ci dice che per arrivare allo 0
assoluto il numero di processi dovrebbe essere infinito e quindi non ci si può arrivare, è
impossibile. L’ultima tecnologia ci può portare vicino allo 0 assoluto, tipo nella liquefazione
dell’elio. L’elio liquido ha una temperatura di 1° K, si arriva vicino. Allo 0 assoluto non c’è
scambio di nulla, non si può studiare nulla.
Ricapitolando:
1 principio= Q=∆ U + L
2 principio= non si può convertire interamente il calore in lavoro
3 principio= 0 K è una temperatura ideale irraggiungibile anche se oggi possiamo
arrivare a temperature molto vicine.
Se calcolando le variazioni di entropia, ci accorgiamo che ∆ S> 0vuol dire che il sistema si
sta evolvendo e quel dato fenomeno può avvenire spontaneamente in natura
(trasformazione irreversibile).
Se invece da un calcolo di variazione di entropia troviamo che ∆ S< 0significa che quel dato
processo non avviene in maniera spontanea in natura ma può venire solo a spese di
energia, in modo forzato ed in un sistema sicuramente non isolato. Finché c'è vita, c'è un
certo ordine, l'entropia di un organismo è molto bassa, nel momento in cui l'essere vivente
muore, l'entropia aumenta perché non si apporta più energia al sistema. un sistema al
momento in cui muore permette aumento di entropia. Finché c'è vita, c'è un ordine è
l'entropia è mantenuta la più bassa possibile. applicando, calcolando il ∆ S per le 4
trasformazioni, adesso si può capire quale di esse avvengono in modo spontaneo e quali
no.
1. Trasformazioni isotermiche T=costante PV=costante (eq. di Boyle)
δQ dU + δ δL
dS=∫ = = δ = infinitesimo non funzione di stato
T T T
d = si applica alle funzioni di stato
Vb
nRT ln
δL P∆V 1 Va Vb Pa
∆ S=∫ dS=∫ =∫ = ∫P∆V = =nR ln =nR ln
T T T T Va Pb
dU n cv ∆ T ∆T Tb Pb
∆ S=∫ dS=∫ =∫ =n c v ∫ =n c v ln =n c v ln
T T T Ta Pa
P e T sono dirett. Proporzionali
In un sistema isolato se ci fosse un aumento di temperatura da Ta a Tb e Tb>Ta allora
∆ S> 0, quindi si ha una trasformazione irreversibile che può avvenire spontaneamente. In
un sistema isolato una trasformazione isocora con riduzione di temperatura non ci può
essere.
3. Trasformazioni isobare P=costante V/T=costante
δQ dU +δL n c p ∆ T
dS= = =
T T T
ncp∆T ∆T Tb Vb
∆ S=∫ dS=∫ =n c p∫ =n c p ln =n c p ln
T T Ta Va
V e T sono dirett. proporzionali
Per un’espansione isobara dove Vb>Va cioè V finale > V iniziale, ∆ S> 0, quindi essa
rappresenta una trasformazione reversibile che può avvenire spontaneamente, mentre
una trasformazione isobara non può avvenire in un sistema isolato.
4. Trasformazioni adiabatiche Q=0
Aumento di entropia
L’entropia di un solido è la minima possibile, c’è un ordine degli atomi e delle molecole, in
liquido l’entropia inizia ad aumentare, in un gas il disordine è molto elevato e ha entropia
massima.
Ordine-> minima entropia
Disordine-> massima entropia
Processo esotermico ∆ S> 0
Processo endotermico ∆ S< 0
Se vogliamo scindere la molecola di acqua (reazione endoenergetica) dobbiamo impiegare
moltissima energia, non si ha un processo spontaneo.
Le funzioni di stato sono proprietà che sono determinate dallo stato del sistema 8iniziale o
finale) indipendentemente da come si è raggiunto lo stato stesso.
Energia, entalpia (U+PV), pressione, volume temperatura, entropia
Nei processi spontanei si raggiunge un maggiore Equilibrio.
Altre funzioni di stato che determinano se un processo è spontaneo o meno:
1) Entalpia H =U+pV , se risulta ∆ H ≤ 0il processo è spontaneo
Es. H2O →1/2𝑂2+ 𝐻2 Δ𝐻=+68.4𝑘𝑐𝑎𝑙
(Reaz . Endoenergetica che avviene solo con abs di calore, non spontanea)
1/2𝑂2+ 𝐻2→ H2O , ∆ H = 68.4 kcal ( Reaz . Esoenergetica , che avviene spontaneamente
con sviluppo di calore)
2) Energia Libera (o di Helmholtz ) F=U-TS,
Se risulta Δ𝐹≤0 𝑖𝑙𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 è𝑠 𝑝𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑒𝑜
3) Entalpia Libera (o funzione di Gibbs ) G= U-TS+pV
Se risulta Δ𝐺≤ 0 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 è 𝑠𝑝𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑒𝑜
GAS REALI
Molti gas si comportano come gas ideali, specialmente quando il gas è costituito da piccole
molecole (H2) e quando i gas si trovano ad alte temperature. In queste due situazioni il gas
si può studiare seguendo la legge di stato dei gas perfetti (PV=nRT)
Si ricorre ad una modificazione della legge di stato dei gas perfetti quando il gas è
costituito da molecole con alto peso molecolare (CO2) e quando la temperatura del gas
non è elevata, si parla di gas REALE. Le variazioni che riguardano il gas reale rispetto a
quello ideale si trovano soprattutto a livello del covolume che è il volume delle molecole. Il
volume finito delle molecole aumenta perché ci sono tantissime molecole, quindi il volume
che ha a disposizione il gas si riduce.
Covolume= volume delle molecole di gas- volume totale
Un altro aspetto importante da considerare riguarda gli urti tra particelle ( nei gas ideali
consideravamo solo la pressione delle molecole sulle parti);i siccome stiamo considerando
molecole di grandi dimensioni, è chiaro che con il movimento di queste molecole esse
andranno ad urtarsi tra di loro. A questo punto la cosa che bisogna fare è modificare,
correggere l'equazione dei gas perfetti a causa del fatto che il volume si deve ridurre ad
una certa quantità che dipende dal volume delle molecole che aggiungiamo.
L’altro processo risiede nel fatto che bisogna cambiare anche il valore della pressione,
perché le molecole urtando tra di loro aumentano il numero di urti sulle pareti stesse. Alla
pressione P bisogna aggiungere qualcosa che dipenderà ancora dal numero di moli (quante
( ) del gas dentro il recipiente per una costante a che,
2
n
molecole ci sono) e dalla densità
V
come b, dipende dal tipo di gas.
( ) ( )
2 2
n n
P ideale−a =P reale P=P reale +a
V V
( )
2
n
Il termine è noto come pressione interna o pressione di coesione. Quindi, bisogna
V
correggere l’equazione dei gas perfetti per questi due contributi il volume (che non è
quello ideale) e la pressione (che non è quella ideale).
( )
2
n a
Equazione di Van der Waals per n moli: P+ 2
=( V −nb )=RT
V
V=volume occupato dal gas a=costante del gas b=costante del gas (covolume)
Per ogni tipo di gas ad alte temperature il gas si comporta come ideale, vale la legge di
Boyle(PV=costante) ma, abbassando la temperatura, via via che ci avviciniamo agli assi,
succede che ogni gas possiede una temperatura critica e soprattutto un punto di flesso
dove le iperboli equilatere cominciano a manifestare un andamento non più regolare e
iniziano a trovarsi dei punti che sono caratterizzati non solo da una temperatura critica ma
anche da una pressione critica e da un volume critico. Per ogni caso esistono quindi Tc, Vc
e Pc che sono legati ai parametri a e b prima c dati attraverso delle equazioni:
2
27 R ∙ Tc R∙ Tc 8 a 1 a
a= b= Tc= ∙ ∙ Vc=3 ∙b Pc= 2
64 ∙ Pc 8∙ Pc 27 b R 27 b
Al di sotto della temperatura critica le curve sono molto ripide a bassi volumi con la
pressione, poi presentano una zona in cui il volume cambia e la pressione resta costante ed
un'altra zona in cui volume e pressione diminuiscono in maniera asintotica. Nella zona in
cui le curve sono ripide il gas si comporta come un liquido, nelle zone in cui c'è il
comportamento asintotico delle curve il gas si comporta come vapore, nella zona
intermedia in cui le curve si appiattiscono c'è equilibrio tra liquido e vapore che coesistono.
La pressione del tratto orizzontale si chiama anche pressione di vapore saturo.
Per ogni gas reale esiste Tc, Pc e Vc. Il fenomeno del gas reale da luogo alla liquefazione (2
fasi: gassosa e liquida). Il punto R dal quale comincia la campana di Andrews si chiama
PUNTO DI RUGIADA; a destra di R c’è tutto vapore, dentro la campana c’è liquido + vapore.
Il punto l dove finisce il vapore ed inizia il liquido si chiama PUNTO DI LIQUEFAZIONE
TOTALE. Durante la pressione costante essa viene detta PRESSIONE DI VAPORE SATURO.
Si parla di gas reale già a temperatura ambiente.
Temperature critiche per alcuni gas:
He -> -267,9 ℃ (l’elio a temperatura ambiente è un gas ideale, per farlo diventare liquido
dobbiamo portarlo ad una temperatura vicina allo zero assoluto)
H2-> -239,9 ℃ (T molto bassa)
Ne(neon)-> -228,6 ℃
CO2-> 31,1℃
H20-> 374,1℃
Al di sotto della Tc si usa l’equazione di Van der Waals.
Al di sopra della Tc si usa l’equazione di stato dei gas perfetti.
Cicli frigoriferi
Sono macchine termiche che assorbono calore da una zona fredda e lo trasportano verso
una zona calda. È un processo non spontaneo, che avviene a spese di energia ∆ S< 0 e
ruotano in senso antiorario. Si può fare passare calore da T2 (bassa) a
T1(alta) ma bisogna spendere energia, fare lavoro sulla macchina.
4.ELETTRICITA’
□ ELETTROSTATICA (CARICHE ELETTRICHE in QUIETE)
Tutta la natura che ci sta attorno (nei suoi diversi stati) è costituita da molecole che a loro
volta sono costituite da atomi che sono chimicamente legati tra loro.
- - si respingono
+ + si respingono
Ha degli isotopi:
-DEUTERIO 1 Protone ed 1 Neutrone (A=2)
-TRIZIO 1 Protone e 2 Neutroni
Protoni ed Elettroni si attraggono tra di loro, eppure l'elettrone non va mai a cadere sul
nucleo.
Avviene lo stesso tra la Terra e la Luna. La Terra e la Luna si attraggono a causa della Forza
gravitazionale, eppure, la Luna non cade sulla Terra, ha una sua orbita di equilibrio. La Luna
ruota con una certa velocità (attorno alla Terra) che gli conferisce una Forza centrifuga
diretta verso l'esterno che si oppone alla Forza gravitazionale. Nel mondo microscopico
accade la stessa cosa ma con Forze di tipo elettrico.
L'elettrone è attratto dal nucleo (dai protoni) ma, a causa della sua velocità altissima con la
quale ruota, è soggetto ad una Forza centrifuga diretta verso l'esterno che eguaglia
l'Attrazione elettrica da parte del nucleo. Ogni elettrone orbita attorno al nucleo (v = 10^7
m/s) con velocità diverse:
▫ Elettroni vicino al nucleo (Orbitali) --> Altissima velocità. Fortemente legati al nucleo.
▫ Elettroni lontano dal nucleo (Elettroni di valenza) --> Bassa velocità. Meno legati al
nucleo, si staccano facilmente.
1) LEGAME COVALENTE
Si ha quando atomi dello stesso elemento o di elementi diversi si uniscono mettendo in
compartecipazione uno o più elettroni degli orbitali più esterni al fine di raggiungere
l'Ottetto Elettronico.
Se i due atomi sono identici il legame è covalente puro.
Gli elettroni più esterni degli atomi sono in comune.
2) LEGAME IONICO
Si ha quando due ioni si attirano in quanto cariche elettriche di segno opposto. Gli atomi si
scambiano l'elettrone.
Na cede un elettrone a Cl e diventa positivo. Cl diventa ione negativo perché
acquista l'elettrone e quindi si attraggono Elettrostaticamente.
3) LEGAME METALLICO
Tipico dei metalli. Atomi che hanno pochi elettroni di valenza (nell'ultimo livello) e che
sono poco legati, quindi, questi elettroni si perdono facilmente e restano a vagare
liberamente a livello del materiale formando una Nuvola che tiene assieme i vari atomi.
I metalli sono buoni conduttori perché gli dell'ultimo livello sono poco attratti a si
possono muovere liberamente.
Strofinio con oggetto di VETRO che perde elettroni e diventa oggetto CARICO + .
Strofinio con oggetto di PLASTICA che acquista elettroni e diventa oggetto CARICO - .
VETRO e PLASTICA si ATTRAGGONO
□ LA LEGGE DI COULOMB
Cariche elettriche dello stesso segno si respingono e cariche elettriche di segno opposto si
attraggono.
Più grandi sono le cariche più è grande la Forza attrattiva - repulsiva e più piccola è la
distanza e più grande è la Forza.
k —> Costante misurata da Coulomb che dipendeva dalle condizioni in cui metteva le
cariche: nel vuoto, in aria, in H2O. La carica di un oggetto carico si sente su tutte le
direzioni possibili (isotropicamente), per questo il 4π
□ CAMPO ELETTRICO
Attorno ad ogni carica elettrica si manifesta un Campo Elettrico che è una grandezza che è
definita come il rapporto tra la Forza Attrattiva o Repulsiva di un oggetto carico e la Carica
Sonda. Per capire se un oggetto è carico bisogna prendere una Carica Sonda , la
avviciniamo e se essa viene attratta si può dire che l'oggetto che stiamo studiando è carico
negativamente, se viene allontanata l'oggetto è carico positivamente, se resta ferma
significa che l'oggetto è neutro.
Con una Carica Sonda possiamo capire sia se un oggetto è carico sia qual è il suo Campo
Elettrico.
Le Linee indicano che se noi abbiamo un oggetto carico e lo mettiamo in un certo punto
dello spazio, l'oggetto seguirà le Linee del Campo che sono curve. Si può avere un Campo
costante con Linee equidistanti.
□ FLUSSO DI UN CAMPO VETTORIALE
Quando parliamo di Campo Elettrico, oltre il concetto di Vettore Campo Elettrico, si può
definire anche un'altra grandezza detta Flusso del Vettore Campo Elettrico che è una
quantità indicata con (phi) calcolata come prodotto scalare del Vettore Campo
Elettrico per il Vettore Superficie.
Con il Flusso del Campo Elettrico intendiamo quante Linee del Campo
passano attraverso una Superficie.
si misura in N/C × m²
Flusso massimo per α = 0° (F entrante)
Flusso 0 con α = 90°
L = F • Δx Up = F • d = E • q • d
Up non dipende più dal quadrato della distanza ma solo dalla distanza.
Up è inversamente proporzionale alla distanza (si semplifica).
L = – q • E • d = – ΔU L = – mgh = – ΔU
ΔU = q • E • d ΔU = mgh
Rapporto tra Energia (Joule) e Carica Elettrica (Coulomb) che prende il nome di Volt:
Lavoro per portare la Carica q dalla posizione di riferimento a P, diviso q.
Volt= Joule/Coulomb
○ SINTESI
• Forza di Coulomb (F)
1)
L'intera natura è caratterizzata da Cariche Elettriche, Atomi e Molecole che acquistano
L'unità di Carica Elettrica si misura in Coulomb che è una unità molto grande perché la
carica elettrica più piccola è l'Elettrone (–1,6 • 10^-19 C).
La Legge di Coulomb ci dice che quando abbiamo delle Cariche Elettriche, tra di esse ci
sono delle Forze di Attrazione o Repulsione e queste Forze sono tanto più grandi quanto
più grandi sono le cariche e quanto più piccola è la distanza.
2)
Attorno ad ogni corpo carico esiste un Campo Elettrico (invisibile) che si può evidenziare
quando accanto ad un corpo avviciniamo una carica puntiforme detta Carica Sonda
(protone o elettrone) che è tale che se non sente Forze Attrattive o Repulsive, il corpo è
neutro; se la Sonda è un protone e viene allontanata allora il corpo è positivo, se viene
attratta il corpo è negativo.
3)
La Sonda viene attratta o respinta da un corpo carico, si muove e quindi stiamo facendo un
Lavoro in quel punto e quindi la carica avrà una certa Energia Potenziale
Elettrica/Elettrostatica.
Questo aspetto non ci è nuovo perché sappiamo che in un Campo Gravitazionale, quando
abbiamo un oggetto ad una certa altezza, quest'ultimo possiede una certa Energia
Potenziale U = mgh; allo stesso modo, dal punto di vista elettrico, a seconda a che distanza
ci mettiamo dall'oggetto carico, il Campo Elettrico può allontanare o avvicinare la carica,
quindi, in ogni punto, ad una certa distanza, si ha questa Energia Potenziale Elettrostatica.
4)
Un'ultima legge fondamentale è quella che definisce quanto Lavoro il Campo dovrà fare o
noi dobbiamo fare per spostare una carica da un Punto all'infinito, diviso la carica stessa e
si chiama Potenziale Elettrico in quel Punto.
Il Campo Elettrico dalla formula si misura in N/C, però si può anche misurare in
base ad un'altra.
che è uguale a V.
Nello spazio, spesso, definiamo il Potenziale in più punti e quindi si viene a creare una
Differenza di Potenziale; quindi, E è rappresentato anche da un Gradiente di Potenziale
Elettrico:
E = ΔV/d V = E • d
Le Linee di Forza del Campo (—>) sono uscenti dalle cariche positive ed entranti nelle
cariche negative, in questo caso sono tutte parallele.
Se mettiamo una carica sonda in questo Campo, un Protone, esso verrebbe allontanato
dalla parte positiva e si muoverebbe lungo la Linea del Campo, arrivando nella parte
negativa. Il contrario avviene se mettiamo un Elettrone .
E, quindi, svolge un lavoro perché fa muovere le cariche.
L = ΔV • q Up = F • d ΔV = (V2) - (V1)
Le Linee di Forza del Campo rappresentano le Traiettorie che
farebbero le cariche se fossero libere di muoversi in quel
Campo.
La Forza esercitata sulle cariche elettriche che stanno in un
Campo è determinata da:
F=q•E ma F=m•a
a = accelerazione
m = massa protone o elettrone o altro
L'accelerazione che subisce una carica immessa in un Campo Elettrico proviene dalla
formula inversa dell'uguaglianza:
Quando mettiamo una carica elettrica in un Campo, quest'ultima da che è ferma, a che è
libera di muoversi e quindi aumenta di velocità e si muoverà verso l'Elettrodo che la attira e
l'accelerazione dipenderà fa
La variazione di velocità sarà tanto più elevata quanto più è la carica, quanto più è il
Campo Elettrico e quanto più piccola è la Massa della carica stessa.
□ ELETTRON VOLT
E = V • q = (1V)(1e) = 1eV
□ LEGGE DI GAUSS
Angolo piano —> 2 rette di un piano che si incontrano in un punto e tra le 2 rette si può
individuare l'Angolo piano che va da 0° a 360°.
Angolo solido —> Angolo nello Spazio. Si può pensare ad un cono e all'angolo che c'è nella
punta del cono che rappresenta uno Spazio 3D.
Angolo solido (Δω) si definisce –> Superfice di base (A) : Altezza cono (d²)
□ TEOREMA DI GAUSS
Se prendiamo una Superficie che ha una forma qualsiasi ed è chiusa e dentro c'è una carica
elettrica, da questa carica usciranno o entreranno delle Linee di Forza.
= Flusso di un Vettore = ma, considerando tutte le Linee di Forza, il Flusso del
Vettore Campo Elettrico è uguale alla Carica che è dentro la Superficie diviso (epsilon)
che è la Costante dielettrica del mezzo che c'è nella Sfera (vuoto , altro mezzo )
da qui deriviamo
Quindi, il Campo Elettrico ricavato da una Carica puntiforme o da una Carica non
puntiforme è lo stesso
2)
Se abbiamo un Materiale Conduttore e stiamo studiando le Cariche in Quiete, si può
dimostrare che il Conduttore è carico, le cariche devono stare solo sulla Superficie e non
all’interno. All’interno le cariche sono nulle.
In condizioni elettrostatiche dentro un Materiale Metallico o Conduttore, il Campo Elettrico
è 0 e se è carico, le cariche stanno solo sulla Superficie.
3)
Se avessimo una Superficie Cava Metallica, applicando il Teorema di Gauss, la zona che è
dentro la cavità non risente di un Campo Elettrico posto all’esterno di questa Superficie.
Un Involucro Metallico Chiuso scherma sia l’interno dall’esterno sia l’esterno dall’interno
(Gabbia di Faraday)
4)
Metallo carico positivamente con cariche solo sulla Superficie; se
vogliamo calcolare il Campo Elettrico nel punto P, si può considerare
una quantità σ = Densità di Carica Superficiale
□ DIPOLO ELETTRICO
|+Q| = |-Q|
È un sistema: quando si trovano cariche opposte vicine tra loro.
L’induzione di una carica crea dei Dipoli Elettrici.
Due cariche di segno opposto ad una certa distanza d creano un Dipolo Elettrico.
Le Linee del Campo del Dipolo Elettrico sono uscenti dalle cariche positive ed entranti nelle
cariche negative.
□ CONDENSATORE ELETTRICO
Formule:
.
Tra q e ΔV c'è una Relazione lineare (C = q/ΔV).
C regola di quanto varia q e ΔV perché deve mantenersi costante.
Energia = Area sottesa dalla retta c [b • h/2 = 1/2 q • ΔV]
□ CONDENSATORE/CAPACITÀ ELETTRICA IN PARALLELO
Appunti che erano scritti a caso:
a. Interno cellula = +
b. Esterno cellula = -
c. Membrana - Condensatore
d. Cellule/Membrane
.
V = Differenza di Potenziale -> costante
C = Capacità Elettrica -> aumenta nei collegamenti in parallelo (somma)
□ CONDENSATORE IN SERIE
V -> cambia
La Differenza di Potenziale cambia; le Capacità cambiano; la carica
che arriva sulle armature, invece, è sempre la stessa.
Se colleghiamo il condensatore ad una batteria, gli elettroni si
muoveranno, polarizzeranno.
si scrivono singolarmente le Capacità.
C'è un movimento di elettroni nei Metalli, che va dall'Elettrodo negativo a quello positivo
ma senza trasporto di massa.
Se consideriamo un Liquido in cui sono disciolti gli ioni positivi e negativi, se applichiamo un
Campo Elettrico, allora gli ioni positivi andranno verso l'Elettrodo negativo e gli ioni
negativi andranno verso l'Elettrodo positivo; c'è un movimento di atomi/massa in questo
caso, c'è sia Corrente Elettrica che Trasporto di massa.
Se ii materiale è isolante e applichiamo una Differenza di Potenziale, non riusciremmo a far
muovere cariche elettriche perché non sono libere; può succedere che se applichiamo una
Differenza di Potenziale enorme, al massimo si può provocare una scintilla per tempi
brevissimi e possono passare cariche elettriche.
Gli elettroni tra degli urti vengono accelerati dal Campo Elettrico applicato e l'accelerazione
(v/t) è data da:
□ LEGGE DI OHM
. J = σ •E
La Legge di Ohm ci dice che la Resistenza Elettrica regola il rapporto ΔV/i, ogni materiale ha
una Resistenza Elettrica.
Il valore di R è dato da:
□ EFFETTO JOULE
Quando facciamo attraversare della Corrente Elettrica in un materiale, si genera un certo
urto tra gli elettroni che si muovono; in questi urti si sviluppa una forma di Calore.
-Elettrodomestici che una volta collegati alla presa della corrente, si riscaldano, perché?
Nel generatore le cariche acquistano Energia Potenziale e nel Conduttore, a causa delle
Forze del Campo Elettrico, gli elettroni si mettono in movimento e l’Energia Potenziale inizia
a trasformarsi in Energia Cinetica. Siccome in un Conduttore lo spazio in cui si possono
muovere gli elettroni non è infinito, a causa dell’Energia, gli elettroni si urtano sempre di
più accelerando e provocando un aumento della Temperatura.
Effetto Joule —> Processo fisico nel quale l’Energia Elettrica si dissipa, nel passare dalla
Corrente attraverso i Conduttori, sottoforma di Calore.
La quantità di Calore irradiata da una Resistenza Elettrica al passaggio di corrente si chiama
Effetto Joule e si può calcolare Q = L, per passare della Corrente in un filo significa che si è
applicata una Differenza di Potenziale.
□ RESITORI IN SERIE
Le Resistenze elettriche in un Circuito si possono collegare in serie e le Differenze di
Potenziale si sommano tra di loro per dare luogo alla ΔV totale.
□ RESITORI IN PARALLELO
Le Resistenze sono collegate in modo tale che ognuna di esse è
attraversata da una Corrente diversa in ogni ramo, mentre la
Differenza di Potenziale di ogni Resistenza rimane costante.
La Corrente Totale è data dalla somma delle singole Correnti in
ogni ramo.
i = i 1 + i 2 + i3 i = V/R
Nei collegamenti in Parallelo si sommano gli inversi delle Resistenze; quindi, la Resistenza
Finale è minore rispetto ad ogni Resistenza che abbiamo collegato, si riduce la difficoltà
della Corrente nel fluire. La Resistenza diminuisce, la Corrente fluisce meglio.
Nei collegamenti in parallelo la Resistenza si riduce.
□ STRUMENTI DI MISURA
Amperometro —> Si mette in Serie nel circuito. Si misura la Corrente. Piccola R ≈ 0
Voltmetro —> Misura la Differenza di Potenziale tra 2 estremi. Si collega in Parallelo.
R grande perché la i non deve fluire, si deve misura ΔV.
M ∝ Q = i • Δt
La Massa che si deposita sugli Elettrodi è proporzionale a quanta carica facciamo passare,
ovvero è proporzionale alla Corrente Elettrica e al Tempo.
2° Legge
La quantità di Elettrolita liberata da una stessa quantità di Elettricità in più Celle è
proporzionale ai rispettivi Equivalenti Chimici. La Massa che si va a depositare su di un
Elettrodo è proporzionale ad un rapporto che si chiama Equivalente Chimico di una
sostanza ed è dato dal Peso Atomico o Molecolare della sostanza diviso la Valenza della
sostanza (Zv).
3° Legge
Per depositare 1 grammo equivalente di sostanza occorre fare fluire una Carica
Q = 96490 C
F = q • E= 6phrv
da qui si ricava
f = fattore di sedimentazione 6phr
m è tanto più elevato quanto più è grande la Carica e piccola la dimensione e h (viscosità).
Analisi Elettroforetiche
>Soluzioni biologiche con Elettrodi
v=m•E m = Mobilità Elettroforetica
Molecole con piccola massa si muovono ad alta velocità ed al contrario per Molecole
pesanti.
>Si possono separare le Molecole sulla base della velocità che hanno quando sono
sottoposte ad un Campo Elettrico.
Prima arrivano le particelle leggere, poi quelle pesanti. Si possono analizzare gli ioni.
Pila Daniell
Si immergono in soluzioni acide (acido solforico) sia Zn che Cu, si ha sempre l'Ossidazione
dello Zinco che rilascia in soluzione caricandosi negativamente mentre c'è la Riduzione
del Rame che si arricchisce di ioni positivi perché perde elettroni; tra gli Elettrodi si crea una
Forza Elettromotrice.
□ BATTERIE
Batterie in Serie —> La Differenza di Potenziale finale tra gli estremi è data dalla
somma delle singole Forze Elettromotrici.
VTOT = V1 + V2 + V3 iTOT = i1 = i2 = i3
Si usano per dare maggiore Voltaggio.
Batteria in Parallelo —> Le Differenze di Potenziale tra le Batterie sono tutte uguali
tra di loro. Ogni Batteria fornisce una certa Corrente ed alla fine il collegamento Parallelo
darà al Circuito una Corrente maggiore delle singole Batterie.
Si usa per dare maggiore Corrente.
iTOT = i1 + i2 + i3 ΔVTOT = V1 = V2 = V3
– Resistenze Elettriche
– Capacità Elettriche
La ΔV che stiamo dando con la Batteria si suddividerà in 2 Cadute di Tensione, una ai capi
di R1 ed un’altra ai capi di R2.
ΣV = ΣR • i V = R1 • i1 + R3 • i3 i1 = i2 + i3
V2 = R1 • i1 + R3 • i3
□ CIRCUITI RC
Sono Circuiti in cui sono presenti una Resistenza ed una Capacità.
Bisogna capire cosa succede nel momento in cui si chiude
il Circuito e le cariche elettriche si portano nelle Armature.
C’è una sola Maglia e 0 Nodi, quindi si dovrà scrivere una
sola equazione per la Maglia:
Vo = Vc + Vr
La soluzione è:
La Corrente nel Circuito RC, nel momento in cui chiudiamo l'Interruttore è massima (Vo/R)
ma poi si ridurrà sempre di più perché via via che la Capacità si carica, arriveranno sempre
meno cariche alla Capacità e quando quest’ultima si carica completamente, la Corrente va
a zero.
La Corrente nel Circuito segue sempre una Legge
Esponenziale ma stavolta decrescente.
I Circuiti RC limitano il valore della Corrente Elettrica che varia lentamente in funzione della
Capacità che, se sono piccole, i varia rapidamente; mentre se R e C sono grandi, i varia
lentamente.
Nel momento in cui una Capacità è carica ha immagazzinato una forma di Energia
Elettrostatica che può essere riutilizzata.
La soluzione è:
che è la Carica che fluisce su R dalle armature del condensatore in
funzione del tempo.
La Carica diminuisce nel tempo.
.
t = Costante di tempo R • C
La velocità dipende da t
□ DIFFUSIVITÀ (leggere)
La Membrana Cellulare è importantissima perché, attraverso essa, la cellula vive grazie ai
gas che passano per Diffusione tra la Membrana o grazie alle grandi molecole e specie
ioniche. Per il Passaggio/Trasporto/Diffusione, vale la Legge di Fick: delle specie
rispondono se c’è una Differenza di Concentrazione tra l’interno e l’esterno di una cellula.
Particelle cariche —> Ioni negativi: Anioni che vengono attratti dall’Anodo che è positivo.
, Proteine.
Ioni positivi: Cationi che vengono attratti dal Catodo che è negativo.
, ,
Interno cellula: –
Esterno cellula: +
Quando la cellula è a riposo la Membrana non permette il passaggio di ioni , che pur
essendo in alta concentrazione, non passa, lo fa nel momento in cui eccitiamo la cellula.
e possiamo ricavare ΔV
K = Costante di Boltzmann
e = Carica Elettrica
ΔV = tra interno ed esterno
+ per K è riferito a ioni negativi
– per Na
In genere ΔV è circa –70mV e –90mV (millivolt).
Nel momento in cui stimoliamo (elettricamente, meccanicamente) una cellula, cioè quando
sente una variazione dell’ambiente in cui vive, la sua Permeabilità della Membrana cambia.
Da impermeabile al Sodio, la Membrana diventa permeabile al Sodio, quindi l’Na che è
fuori, entra dentro, si crea un Flusso di Sodio che va da fuori a dentro. Elettricamente c’è
una Soglia che quando viene superata, la cellula si depolarizza e arrivano all’interno e
si toglie la carica negativa che diventa positiva.
La cellula sente Stimoli successivi quando torna a riposo.
Stimolo = La Capacità cambia segno
Se R è grande, g è piccola.
Membrana Cellulare con spessore di 10 nm = 100 Å.
□ NEURONE (leggere)
Assoni che fanno passare l’Impulso; c’è un Liquido conduttivo.
Velocità di Conduzione dell’Impulso/Segnale: Bisogna calcolare t = RC = 100 m/s
Il Potenziale di Azione, una volta creato, viaggia lungo l’Assone.
In risposta ad uno Stimolo, il segnale si propaga dal Neurone alle sinapsi e viceversa.
Assoplasma —> luogo in cui si propaga l’impulso che va anche da dentro a fuori.
Dentro c’è una Resistenza Assonica (Ra) e poi c’è una Resistenza di
Membrana (Rm).