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FISICA

INTRODUZIONE
La fisica si occupa di descrivere tutti i fenomeni che ci accadono attorno, di capirli che siano
biologici, chimici, medici.
Comprendere i fenomeni non significa soltanto descriverli qualitativamente, la descrizione
occorre ma solo quello non significa fare fisica. Perché la fisica va quantizzata. Questo
significa che dobbiamo descrivere un fenomeno ma dobbiamo individuare delle grandezze
che permettono di misurare ciò che vogliamo descrivere. L’arcobaleno, dobbiamo dire che
lunghezze d’onda emette, l’intensità luminosa, in quale parte si sta sviluppando.
Quindi esprimere quantitativamente queste grandezze ci permette di valutare il fenomeno
e compararlo ad un altro. Per fare le comparazioni dobbiamo valutare le grandezze. Ogni
qualvolta assistiamo ad un fenomeno bisogna descriverlo qualitativamente, ma soprattutto
bisogna quantizzarlo individuando le grandezze che lo descrivono.
GRANDEZZE FISICHE (quantità misurabile scegliendo una unità di misura)
Le grandezze che si possono misurare si chiamano grandezze fisiche. Misurare significa
confrontare l’unità di misura scelta con la grandezza da misurare e contare quante volta
l’unità è contenuta nella grandezza.
Le leggi della fisica esprimono relazioni tra grandezze fisiche, esse sono numeri ottenuti da
processi di misura applicati a fenomeni fisici.
La misurazione è quel procedimento che permette di ottenere la descrizione quantitativa
di una grandezza fisica cioè il valore numerico del rapporto tra la grandezza incognita e
quella omogenea scelta come unità di misura.
Il valore numerico che risulta dal procedimento di misurazione tra il campione e il
misurando viene definito misura.
La misura può essere ottenuta sia in modo diretto ovvero per confronto diretto con l’unità
di misura ed i suoi multipli o sottomultipli (per esempio. le misure di lunghezza per
confronto con il campione metro) sia in modo indiretto cioè mediante l’applicazione di
leggi fisiche che legano la grandezza incognita ad altre misurabili direttamente (per
esempio la misura di una velocità si ottiene dalle misure di spazio e di tempo, v = s/t). E’
anche possibile effettuare misure dirette od indirette utilizzando strumenti tarati per
confronto tramite campioni: la misura di lunghezza
tramite un’asta graduata (a sua volta tarata per confronto diretto con il campione di
riferimento), la misura della massa tramite una bilancia a dinamometro (strumento tarato
mediante un’operazione diretta di misurazione con riferimento a masse campione), la
misura della temperatura tramite un termometro a resistenza (strumento tarato con un
procedimento di misurazione indiretto e applicazione della legge fisica che lega la
resistenza elettrica di un metallo alla sua temperatura, R = R(T)).
Definiti i modi con i quali é possibile effettuare una misura è importante stabilire cosa si
presenta operativamente come il risultato di una misurazione. Una misura si compone
essenzialmente di:
-il valore numerico relativo alla misurazione
-l’unità di misura con la quale si è effettuata la misurazione
-l’incertezza con la quale si fornisce il risultato della misurazione.

In fisica è importante usare unità di misura che sono coesistenti


tra loro. Nel 1960, un comitato internazionale ha stabilito un insieme di
campioni di misura per la comunità scientifica chiamato S.I. adottato per legge nell’Unione
Europea. Il sistema comprende 7 grandezze fondamentali:
1) Lunghezza; 2) Massa; 3) Tempo; 4) Corrente Elettrica; 5) Temperatura;
6) Intensità Luminosa; 7) Quantità di Sostanza.
A ciascuna grandezza fondamentale è associata un’unità di misura.

Lunghezza: la sua unità di misura è il metro (m), per ragioni storiche la lunghezza era
definita come 1/10 000 000 della distanza
Lunghezza: la sua unità di misura è il metro (m), per ragioni storiche la lunghezza era
definita come 1/10 000 000 della distanza tra l’Equatore e il Polo Nord, lungo la meridiana
passante per Parigi. Purtroppo questa distanza si rivelò difficile da misurare, per cui nel
1887, come nuovo campione fu adottata la distanza tra due tacche di una sbarra composta
di una lega di platino e iridio, mantenuta a una specifica temperatura. Con il tempo però
vennero sviluppati altri sistemi di misura. Attualmente il metro è definito come la distanza
che la luce percorre nel vuoto nel tempo di 1/299 792 458 secondi.
Per la lunghezza, fino al secolo scorso il sistema di riferimento era un regolo di un metro
di platino, che ancora oggi è al museo di Parigi e tutte le altre misure si dovevano rifare a
quel regolo.
Con le nuove tecnologie questo non ci basta più, perché oggi possiamo misurare le
particelle di un atomo e quindi questo metro è troppo grande, poiché lo strumento è
soggetto a troppe variazioni, con le nuove tecnologie ci dobbiamo riferire a
strumentazioni sempre più idonee alle conoscenze che abbiamo oggi, da questo punto di
vista oggi per quanto riguarda le misure di lunghezza ci riferiamo alla lunghezza d’onda,
emessa da un radioisotopo che è il krypton 86. (1 m=1.6x106 186Kr)
Gli isotopi radioattivi sono certi atomi che si trasformano spontaneamente, emettendo
onde elettromagnetiche che si sposta nello spazio emettendo campi elettrici e campi
magnetici, ed è caratterizzata da una sinusoide la cui distanza tra i punti di massimo è la
lunghezza d’onda e il tempo per fare un’oscillazione completa si chiama periodo. Quando
ci riferiamo al krypton 86, significa che questo atomo emette radiazioni con una
lunghezza d’onda molto precisa ed accurata. Prendere come esempio questa grandezza
molto piccola, ci permette di trovare un riferimento molto accurato ogni qualvolta
vogliamo misurare quantità anche molto piccole.

Massa: La sua unità di misura è il kilogrammo (kg). Fino all’inizio del secolo scorso si
adoperava la massa di un cilindro di platino di 1 kg, facendo riferimento ad essa non
possiamo misurare la massa di un elettrone, che è molto piccola. Difficile da misurare
rispetto ad una massa grande che subisce processi di ossidazione, dilatazione, consumo
nel tempo. Oggi ci si rifà per quanto riguarda la massa all’AMU, Atomic Mass Unit, detto
anche UMA, unità di massa atomica. Esso nasce dalle masse delle particelle che
costituiscono gli atomi, gli atomi sono costituiti da una massa che risiede pressochè nel
nucleo ed è costituita dalla massa dei protoni e dei neutroni, queste masse sono
dell’ordine1,67 x 10−27kg, estremamente piccole e l’AMU si riferisce a 1/12 parte della
massa di 12C.
Tempo: Il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli
eventi. Esso induce la distinzione tra
Tempo: unità di misura è il secondo (s), per ragioni storiche era definito in termini della
rotazione terrestre ed era pari a (1/60) (1/60) (1/24) del giorno solare medio. Tuttavia, con
il continuo degli studi si è osservato che la velocità della rotazione terrestre subisce
graduali rallentamenti.
Attualmente il secondo è definito in termini di una frequenza caratteristica associata
all’atomo di cesio. Il secondo è definito in modo che la frequenza della luce caratteristica
di una determinata transizione del cesio risulti essere esattamente 9.192.631.770 cicli al
secondo. Il secondo è preso come multiplo del periodo di oscillazione di un’onda
elettromagnetica che è emessa dall’isotopo 133 del Cesio. (1 s= 9.2x106 T 133Cs)
Corrente Elettrica: La sua unità di misura è l’ampere (A), dovuta allo scienziato francese
André Marie Ampere.
Corrente elettrica: la sua unità di misura è l’ampere (A) che derivata dallo scienziato
Ampere. Una corrente elettrica di intensità 1A si registra quando un conduttore viene
attraversato da una carica di 1C in 1s. 1A = 1C/1s. Essa è una grandezza scalare, l’intensità
di corrente è uguale alla differenza delle cariche ΔQ, fratto la differenza di tempo. I =
ΔQ/ΔT. In poche parole, la corrente elettrica è uno spostamento complessivo, cioè un
qualsiasi moto ordinato di cariche elettriche, definito come la quantità di carica elettrica
che attraversa una determinata superficie nell’unità di tempo.
La corrente elettrica costituisce un flusso di cariche elettriche in un conduttore, occorre
l’amperometro, è una grandezza fisica scalare e quantizzata, ovvero essa esiste solo in
forma di multipli di una quantità fondamentale → la carica dell’elettrone –e. Nel S.I.
l’unità di carica è il Coulomb, che corrisponde a circa 6,24x10^18 elettroni. Un elettrone
possiede una carica il cui valore è pari a –e= 1,602x10^-19 C.
N.B. L’elettrone è una particella subatomica che possiede una massa a riposo di 9x10^-13
Kg pari a circa 1/1836 di quella del
L’elettrone è una particella subatomica che possiede una massa a riposo di 9x10−13 pari a
circa 1/1836 a quella del protone. L’elettrone è la particella subatomica stabile più leggera
che si conosca tra quelle dotate di carica.

Temperatura: Il concetto di temperatura nasce come tentativo di quantificare le nozioni


comuni di "caldo" e "freddo". In seguito la
Temperatura: l’unità di misura è il kelvin (K) .I primi tentativi di dare un numero alla
sensazione di caldo o di freddo risalgono ai tempi di Galileo. Il primo termometro ad alcool,
di tipo moderno, viene attribuito tradizionalmente all'inventiva del granduca di Toscana
Ferdinando II de' Medici. Il termometro a mercurio viene attribuito a Gabriel Fahrenheit,
che nel 1714 introdusse una scala di temperature in uso ancora oggi; un'altra, detta
all'epoca della definizione scala centigrada, si deve a Anders Celsius nel 1742.
La temperatura di un corpo può essere definita come una misura allo stato di agitazione
delle entità molecolari delle quali è costituito, essa è quindi una grandezza scalare che
indica lo stato di un sistema.
Può essere utilizzata per prevedere la direzione verso la quale avviene lo scambio tra due
corpi. Infatti, la differenza di temperatura tra due sistemi che sono in contatto termico,
determina un flusso di calore in direzione del sistema meno caldo che continua finché non
si sia raggiunto l’equilibrio termico.
Ogni fenomeno avviene ad una certa temperatura, vedremo in termodinamica che ci
affideremo alla scala assoluta, kelvin che ci permette di calcolare gli scambi di calore tra un
oggetto e un altro e si rifà a quello che è il punto triplo dell’acqua, determinare la
temperatura dell’acqua quando l’acqua si trova in equilibrio con il suo stato liquido, solido
e aeriforme. Questo punto ci permette di fissare le scale delle temperature.
Intensità Luminosa: è una grandezza del S.I. la cui unità di misura è la candela (cd). Essa
può essere definita come un flusso
Intensità luminosa: unità di misura è la candela (cd). Essa può essere definita come un
flusso luminoso in una data direzione emesso per unità di angolo solido. L’intensità
luminosa viene quantificata come candele in una data direzione, di una sorgente che
emette radiazioni monocromatiche di frequenza pari a 540x10^12 hertz e con un’intensità
radiante nella direzione di propagazione di 1/683 watt per steradiante. Essa è una
grandezza fondamentale per le misure fotometriche.

Quantità di sostanza: la sua unità di misura è la mole (mol). Indica un insieme di entità
elementari ed il suo valore è
Quantità di sostanza: unità di misura è la mole (mol). Indica un insieme di entità
elementari ed il suo valore è proporzionale al numero di entità contenute nel sistema. La
mole è definita come la quantità di sostanza che contiene tante entità elementari quanti
sono gli atomi presenti in 0.012 Kg esatti di carbonio 12. (1 mol=n di Avogadro)
STRUMENTI : metro, bilancia, orologio, amperomentro, termometro, sorgente luminosa di
riferimento, peso atomico o molecolare della sostanza.
Occorre anche saper fare misure di angolo piano ( massimo 360 gradi o 2 π ¿ e angolo
solido( 4 π ). L’angolo solido si calcola facendo la superficie di base del cono /l’altezza al
quadrato del cono e si misura in steradianti.
GRANDEZZE DERIVATE
Sono grandezze ricavabili dalle grandezze fondamentali e che quindi dipendono da esse.
Area è una grandezza derivata, perché se noi vogliamo prenderla dobbiamo prendere 2
misure, lunghezza e larghezza.
Volume, profondità, altezza e larghezza, deriva da misure di lunghezza.
Energia, dalla meccanica, capacità di un sistema di compiere un lavoro. In fisica il lavoro
viene definito come prodotto di forza per spostamento. L’energia si può calcolare come
prodotto di una forza per spostamento. La forza si misura in Newton e lo spostamento in
metri. Le forze dalla legge di Newton sono esprimibili come il prodotto di massa per
accelerazione ovvero kg per accelerazione, che sono variazioni di velocità. Siccome la
velocità è m/s², la variazione è data da m²/s².
Quindi l’energia è data da kg×m²/s², si misura in joule. Qualsiasi tipo di energia sia.
Un altro aspetto importante è l’analisi dimensionale che serve per capire se calcoliamo
bene o menola grandezza. A ogni grandezza va associata un’unità di misura. Se
verifichiamo che abbiamo scritto una formula che non ci dà le giuste unità di misura non
parliamo di quella grandezza.
L’analisi dimensionale ci permette di verificare non solo il risultato numerico, ma anche la
giusta unità di misura. Equazioni dimensionali ci permettono di definire le unità di misura
delle grandezze che stiamo studiando.
Le unità di misura possono essere precedute da prefissi per ottenere multipli e
sottomultipli. Multipli (deca da 101 , etto h 102, kilo k 103 ,mega M 106) Sottomultipli (deci
d 10−1 , centi c 10−2)
Quando parliamo di centimetri significa che stiamo parlando di 10−2.
SISTEMA DI MISURA ANGLOSASSONE
-Temperatura ( °Farenheit, Rankine)
-Pressione (psi) = libbra forza/pollici
quadri
-Volume (gal, cu in)
-Massa (lb, oz)
-Energia (Btu)
-Potenza (HP)
OMOGENITÀ DIMENSIONALE
Tutte le relazioni tra grandezze fisiche devono essere dimensionalmente omogenee. Errori
grossolani nella scrittura delle relazioni possono essere messi in evidenza dall’analisi
dimensionale. Una relazione dimensionalmente omogenea è certamente errata. Tale
dimensione è necessaria, ma non sufficiente.
Es. La relazione è dimensionalmente omogenea? NO
E= 7x10 N m + 2,05 W h +25,4 J/Kg -> unità non omogenea
Omogeneità dimensionale, significa che ogni grandezza si deve esprimere in maniera
corretta adoperando la propria unità di misura.
Se per esempio parliamo di energia e l’energia si esprime in Joule e stiamo esprimendo la
forma di energia sotto forma di una forma, dobbiamo stare attenti perché la prima
quantità qui è 7N*m (forza x spostamento), un’unità di misura corretta per esprimere
l’energia, secondo termine + 2,05 W*h (la potenza non è altro che joule/tempo, quindi
energia/tempo) quindi energia/tempo x tempo, il tempo espresso in ora ci dà energia,
quindi questa unità di misura sta esprimendo energia. Allora un'energia + energia la
possiamo sommare, ma se a questo aggiungiamo 25,4 J/kg, questa quantità non è più
energia, quindi non possiamo fare la somma di oggetti diversi. Le quantità devono essere
omogenee per poterle sommare. Abbiamo detto che osserviamo fenomeni fisici, che
dobbiamo individuare grandezze e unità di misura, ma dobbiamo dire che di grandezze
fisiche ne esistono di due famiglie diverse:
 SCALARI: necessitano solo di un numero e di una unità di misura Es: tempo, massa,
energia, temperatura, quantità di sostanza…
 VETTORI: è necessario fornire un modulo (entità), direzione, verso Es: distanza,
velocità, accelerazione, forza, campo elettrico e magnetico, superficie, quantità di
moto…
Le grandezze scalari sono delle grandezze per cui bisogna dare il numero e l’unità di
misura, per esempio l’energia è una grandezza scalare. Quando noi diciamo che l’energia
luminosa e di tanti joule abbiamo detto tutto; il tempo è una grandezza scalare; la massa
è una grandezza scalare.
Quindi certe grandezze, che sono quelle scalari, necessitano di un numero e di una unità
di misura. Per altre grandezze non basta dare numero ed unità di misura, perché per
esprimere queste grandezze bisogna dare delle altre cose, per esempio se fogliamo
esprimere una forza, si può esercitare in diversi modi, cioè bisogna dare per certe
grandezze, la direzione, il verso, il punto di applicazione, oltre che naturalmente anche il
numero che esprime il modulo del vettore.
Ad esempio se noi volessimo applicare una forza di 10N, abbiamo dato con 10N una parte
di questa grandezza, quello che si chiama modulo, o intensità. Dobbiamo dare una
direzione, una retta lungo quale agisce questa grandezza e bisogna dare anche un verso.
Le grandezze vettoriali sono definite, disegnandole come una freccia che parte dal punto
di applicazione, che hanno una lunghezza pari alla sua intensità o modulo e poi c’è un
verso. I vettori seguono un’interpretazione diversa rispetto alle grandezze scalari.
Gli scalari si trattano come l’algebra ordinaria, si possono sommare tra loro, sottrarre,
moltiplicare ecc, se sono grandezze omogenee.
Dobbiamo stare attendi se sono grandezze vettoriali, perché loro seguono l’algebra
vettoriale per calcolarla.

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA
Un vettore può essere rappresentato graficamente da un segmento orientato

-----

B verso
Le grandezze vettoriali si indicano con una freccia sul
simbolo, il modulo si mette tra due sbarre verticali per
modulo
A essere indicato.
----

direzione
Il sistema di riferimento è un sistema di assi cartesiani, ortogonali tra di loro che ha
un’origine. Quando in uno spazio per esempio su un piano, su uno spazio tridimensionale
dovremmo scegliere le tre componenti x,y e z, nel piano ne scriviamo solo 2 x,y. Se
avessimo un vettore, cominciamo ad individuare l’angolo che il vettore forma rispetto
all’asse x, questo angolo lo chiamo ad esempio θ, osserviamo che il vettore B, si può
proiettare sugli assi x e y. Facendo partire il vettore dall’origine, proiettiamo, dall’estremità
del vettore, la retta parallela all’asse y e x. Il vettore lo possiamo esprimere come una
componente nell’asse x chiamata Ax=|A| cosθ e una componente sull’asse y chiamata Ay=
|A| senθ
In questo caso stiamo scomponendo il nostro vettore in componenti che stanno agendo su
assi ortogonali tra di loro, per il teorema di Pitagora, il quadrato costruito sull’ipotenusa è
dato dalla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Quindi questo significa che la lunghezza
del vettore A è data da |a|= √a 2x +a 2y e che inoltre l’angolo θ di inclinazione è legato alla
ay
relazione della tangente di θ che è data da tg 0= Il vettore dal punto di vista vettoriale, lo
ax
stiamo considerando come la somma dei vettori che agiscono lungo l’asse x e lungo l’asse y
e lo
pussiamo
scrivere
secondo
questa
notazione:
a⃗ =⃗
a x +⃗
ay

Supponiamo di voler sommare al vettore a, un altro vettore b. Per fare la somma portiamo
i vettori allo stesso punto di applicazione ab, tiriamo una retta dall’estremità di a parallela
alla direzione di b, dall’estremità di b parallela alla direzione di a. Otteniamo un
parallelogramma, prendendo la diagonale ci esso troviamo il vettore somma: c=a+b Si può
fare anche prendendo un primo vettore, dalla sua estremità si riporta il secondo vettore
mantenendo il parallelismo e congiungendo le estremità, l’inizio del primo vettore con la
parte terminale del secondo vettore, si ottiene ugualmente questa somma.
La differenza tra due vettori equivale alla somma tra un vettore e un altro vettore che
diventa negativo. Quindi se vogliamo fare a-b, significa che b lo scriviamo come –b,
cambiamo il verso e facciamo la somma di a con –b, andiamo alla regola del
parallelogramma. Il vettore b lo riportiamo parallelamente a sé stesso all’estremità di a,
congiungiamo facendo la somma e c è il risultato di a-b
La stessa cosa si può fare con la regola del parallelogramma sommando a+b, ma
prendendo non la diagonale maggiore ma la diagonale minore, quella complementare alla
precedente.
Due grandezze vettoriali si
possono moltiplicare in due
modi diversi, il primo modo
è quello di moltiplicarli,
scalarmente. Significa che
possiamo avere due
grandezze vettoriali le
moltiplichiamo e il risultato
sarà una grandezza scalare.
L’altro modo è quello che possiamo moltiplicare due grandezze vettoriali che ci danno
come risultato un
vettore, in questo
caso il prodotto si
chiama vettoriale.

Il prodotto scalare
significa che presi
due vettori a e b,
quando mettiamo un
puntino fra di loro
intendiamo il prodotto scalare, questo significa che noi vogliamo effettuare il prodotto del
modulo di a x il modulo di b x il coseno dell’angolo tra questi due vettori componenti.
Questo ci dice che quando l’angolo è 90° il coseno è 0, quindi quando facciamo il prodotto
scalare tra due vettori ortogonali tra loro, il risultato sarà 0. Mentre ci darà il valore
massimo quando l’angolo è 0 o 180, in quel caso il coseno è massimo perché va ad 1 o –
1.Fare un prodotto scalare significa andare a trovare una grandezza scalare, che non è più
un vettore il risultato, ma è soltanto un numero con un unità di misura, vedremo che il
lavoro è il risultato di un prodotto scalare, tra la forza e lo spostamento.
Il prodotto scalare può anche essere espresso come la somma dei prodotti delle
componenti omonime (cioè relative agli stessi assi).
PRODOTTO VETTORIALE
Due vettori si possono
moltiplicare in maniera
vettoriale, trovando un vettore.
Quindi una grandezza
caratterizzata ancora da
vettore, modulo e verso.
Il prodotto vettoriale si
rappresenta con una V
rovesciata.
Il modulo si troverà: modulo di
a x modulo di b x il sen
θ(angolo formato tra i vettori a
e b) Il seno è nullo a 0° ed è
massimo a 90°, quindi sta volta
il risultato darà un valore massimo quando i due vettori sono ortogonali tra di loro.
La direzione del vettore c sarà ortogonale a quello formato dai vettori a e b.
Il verso si trova con la regola della mano destra.
Esercizio prodotto scalare e vettoriale
MISURE ED ERRORI
Quando guardiamo un fenomeno biologico, c’è della fisica, perché dobbiamo determinare
la cellula che superficie ha, che spessore ha la membrana cellulare, in quanto tempo
avviene la mitosi, quant’è la massa di liquido che stiamo considerando, la concentrazione,
la temperatura, la pressione.
Nel fare misure di grandezze fisiche commettiamo sempre degli errori, sempre di più
dobbiamo scegliere unità di misura appropriate e degli strumenti di calibrazione più
appropriati per fare meno errori possibili. Qualsiasi misura però facciamo, facciamo
sempre un errore.

Le misure si
possono fare come misure dirette attraverso lo strumento che abbiamo a disposizione.
Come misure indirette attraverso dei calcoli o con misure di strumenti tarati, ma sempre
anche in questi casi ci saranno degli errori. Se noi dobbiamo misurare la concentrazione di
una soluzione, cosa dobbiamo andare a scrivere?
STRUMENTI DI MISURA
Le misure si eseguono usando strumenti opportuni che devono essere tarati (o calibrati).
Tarare significa paragonare la misura del nostro strumento con quella di uno strumento di
riferimento (standard) in condizioni specifiche. Possono essere:
 ANALOGICI, dotati di una scala graduata e di un indice che fornisce la misura
spostandosi sulla scala (es. righello, bilancia, tachimetro)
 DIGITALI hanno un quadrante dove appare il numero che rappresenta la misura (es.
termometro elettronico o lo sfigmomanometro che serve per misurare la pressione
sanguigna) sul display
Portata: se lo strumento è un metro, il massimo che può misurare è 1 metro; se lo
strumento è una bilancia pesa persone, magari il massimo che può misurare è 200kg; se lo
strumento è una bilancia di laboratorio, magari il massimo sarà 10g.
Quindi essa cambia da strumento a strumento.
Sensibilità: se prendiamo un micrometro, che è uno strumento adatto a misurare
lunghezze ma che può misurare lunghezze fino ai micron, la sensibilità diventa di un
micron.
Precisione: è legata ad una relazione statistica, è data dall’inverso di una quantità indicata
con sigma, che si chiama scarto quadratico medio.
Prontezza: ad esempio un termometro, non risponde subito alla temperatura bisogna che
anche esso stesso si porti alla temperatura che vogliamo misurare, c’è una certa velocità di
risposta.
Accuratezza: quanto una misura è vicina al valore corretto.
Partiamo da ciò per andare a definire lo scarto quadratico medio. Tanto è più piccolo lo
scarto quadratico medio, tanto più è grande la precisione della misura.
INCERTEZZA
È impossibile fare una misurazione esatta, a ogni misura è associata un’incertezza che può
essere più o meno grande. Ciò è dovuto perché gli strumenti hanno una sensibilità limitata,
per cui non sono in grado di distinguere grandezze che differiscono per meno di una certa
quantità e anche perché nel fare una misura si compiono inevitabilmente degli errori.
Quando riportiamo il risultato di una misura dobbiamo sempre riportare anche l’incertezza
stimata. Esprimere il concetto di una misura con un certo errore, significa che nella nostra
ipotetica relazione, dobbiamo andare a scrivere la misura più probabile che abbiamo,
nell’andare a fare una misura di concentrazione o una misura di numero di globuli rossi in
una soluzione, .. ± l’incertezza, questo fattore che dipende dall’errore commesso.
Scrivere m=(12,51 ± 0.02)kg significa dire che il valore della massa è compreso tra 12.49 kg
e 12.53kg 12.49 kg ≤ m≤12.53 kg
PRECISIONE ED ACCURATEZZA
Strumento con:
Precisione e accuratezza elevate, significa che abbiamo tante misure vicino al centro, alla
misura vera. Alta precisione e scarsa accuratezza, le misure sono ben vicine tra loro ma
non stanno al centro, non azzeccano il valore esatto. Scarsa precisione ma elevata
accuratezza significa avere misure diverse, mediamente al valore centrale.Scarsa
precisione e scarsa accuratezza significa che abbiamo misure non distribuite intorno al
favore giusto.
ERRORE -> non è sinonimo di sbaglio, ma sta ad indicare che ogni strumento di misura ha
dei limiti nel misurare.
ERRORI SISTEMATICI: sono errori (in eccesso o in difetto) causati da uno strumento
difettoso (es. un cronometro tarato male o un righello deformato). È un errore che si può
notare e correggere confrontando il nostro strumento con strumenti certificati.

ERRORI ACCIDENTALI: sono errori commessi per semplice casualità (es. il ritardo nello
starter di un cronometro o la lettura non in asse di uno strumento a scala) Non si può
correggere.

Significa che
quando noi
dobbiamo
fare la
misura di
una grandezza non ci basta misurarla
una sola volta, dobbiamo misurarla
più volte ed estrapolare un valore
medio. Supponiamo che i valori delle
misure siano x₁, x₂, .., xn perché
abbiamo fatto n misure. Anche quando misuriamo una quantità di sostanza, dobbiamo
misurare più volte, avere n misure e calcolare di queste misure il valore medio, esso
consiste nel sommare le misure e dividerle per il numero di misure effettuate. La prima
cosa da calcolare è il valore medio:

Se guardiamo tutte le misure che abbiamo fatto e calcoliamo tutti gli scarti vedremo, se le
misure sono di tipo con errore accidentale, di tipo in eccesso o in difetto, vedremo che ci
saranno misure che danno valori maggiori del valore medio e misure che danno valori
minori del valore medio. Ovvero le misure si distribuiscono attorno al valore medio. Se
facessimo la somma di tutti gli scarti, troveremo come risultato 0. Per individuare l’errore
delle misure che stiamo facendo, non dobbiamo limitarci a fare la media degli scarti,
perché avremmo come risultato 0, ma dobbiamo calcolare una grandezza che dipenderà
dalla sommatoria di tutti gli scarti al ², sia che sia positivi che negativi, il quadrato è sempre
un numero positivo, divideremo tutto per N, poi estraiamo la √ quadrata e avremo una
grandezza che ci esprime quello che si chiama scarto quadratico medio di un set di misure.
Avremo cioè una grandezza che ci permette di quantificare l’errore delle misure che stiamo
facendo.
Quindi la formula dello scarto quadratico medio è: σ =s= √∑ ¿ ¿ ¿ ¿

Generalmente si può dare un’altra stima importante, per quanto riguarda una misura, dalla
sensibilità dello strumento. Perché se consideriamo la semidispersione massima, quindi
consideriamo x massimo, x minimo diviso 2, anche questo ci permette di calcolare l’errore
che stiamo effettuando in quella misura.
Vediamo meglio adesso il significato di questo scarto quadratico medio, supponiamo di
aver fatto tutta una serie di misure di una certa grandezza, queste misure le possiamo
riportare in un grafico in cui mettiamo.

Sulla scala orizzontale facciamo degli


intervallini in cui ricadono le misure che
stiamo effettuando, sulla scala verticale
andiamo a mettere quante volte la misura si
ripete nell’intervallo che abbiamo scelto. In
questa maniera facciamo una
rappresentazione delle nostre misure che si
chiama istogramma, quindi questo grafico si
chiama istogramma. Se aumentassimo il
numero di misure di quella grandezza,
vedremmo che questo istogramma assume una forma sempre più regolare, che tende a
una forma a campana che si chiama curva di Gauss, che è tipica di tutte le misure che
effettuiamo con errore casuale. Questa curva a campana ha un massimo che è centrato
proprio sul valore medio, del nostro set di misure, ed ha una semi larghezza, cioè la
distanza dal centro alla curva. Però questi semi larghezza si calcola al 67% dell’altezza
massima, quindi se quest’altezza è 100, corrisponde allo scarto quadratico medio, ovvero
la larghezza al 67% del valore massimo, ci corrisponde a due volte sigma, a due volte lo
scarto quadratico medio.
Questo si trova applicando la teoria delle probabilità di distribuzione degli errori.

LA CURVA DI GAUSS (ha 2 punti di flesso, è asintotica all’asse x da entrambi i lati) ha le


seguenti caratteristiche:
-è simmetrica
-è centrata nel valor medio x della grandezza x
-contiene oltre i 2/3 dei valori di x nell’intervallo tra x – σ e x + σ dove σ (sigma) è lo scarto
quadratico medio:
Tanto più la curva di Gauss è stretta tanto più la nostra misura è precisa.
ERRORE RELATIVO (incertezza relativa)
e Δx x=valore delta x= incertezza
r=
x

L’incertezza relativa è un indice della pressione della misura: più è piccola, più la misura è
precisa.
ERRORE MASSIMO (o semidispersione massima) è uguale alla differenza tra il valore
x MAX −x min
massimo e il valore minimo divisa per due. e m=
2

1.MECCANICA (è la parte della fisica ce descrive il movimento dei corpi materiali)


1. CINEMATICA: studio del moto indipendentemente dalle cause che lo producono
2. DINAMICA: studio del moto in relazione alle cause che lo producono
3. STATICA: studio delle condizioni di equilibrio di un sistema

CINEMATICA (studia il moto degli oggetti indipendentemente dalle cause che lo


producono, in uno spazio tridimensionale)
L’oggetto può essere semplice o complesso. Non si considera né la massa ne la forma. Il
moto di un oggetto può essere studiato mediante il modello del punto materiale, quando
l’oggetto è molto piccolo rispetto alla distanza percorsa (posizione).
Un evento è un fenomeno che accade in un certo punto dello spazio ed in un certo istante
di tempo (spazio e tempo caratterizzano un evento).
La cinematica si occupa del moto dei sistemi descrivendone la configurazione (posizione) al
passare del tempo (un corpo è in moto quando la sua posizione rispetto a d un altro,
assunto come riferimento, varia nel tempo. Solitamente si considera un riferimento
solidale con la Terra). La posizione di un punto materiale ha senso solo se definita rispetto
alla posizione di altri corpi presi come riferimento. Si assume che lo spazio sia
tridimensionale, euclideo (distanza, lunghezza, angolo), omogeneo, isotropo e che il tempo
sia assoluto. Si chiama traiettoria la linea costituita da tutte le posizioni occupate nel
tempo dal punto materiale.
Traiettoria rettilinea
Traiettoria circolare Traiettoria curva

spazio euclideo: man mano che il


punto P si muove anche il vettore r si
muove e quindi r avrà componenti diverse
in base alle coordinate .

spazio polare: gli assi di riferimento


sono x, y, z

Legge oraria spostamento: il punto


P si sposta da s1 a s2 in un tempo
∆t

Per determinare il moto bisogna fissare il sistema di riferimento, poi stabilire tutto in
relazione ad esso. Immaginiamo il movimento di un punto P da un punto S1 a uno S2.
Quando ci si sposta, lo spostamento è il vettore che congiunge il punto S1 con S2 e si si
indica con Δs . Δs=⃗s 2−⃗s1 Ci sono altre grandezze oltre lo spostamento, come la velocità.
Regola del parallelogramma
Δx
In una dimensione v=
Δt
Δx
in tre dimensioni v (x)=
Δt

Δy Δz
v ( y )= v ( z )=
Δt Δt

VELOCITÀ ISTANTANEA (ci dice istante per istante qual è la velocità nei vari punti)
Legge oraria di v(t)

Può essere espressa con la derivata


ⅆ ⃗s
⃗v =
ⅆ t⃗
Velocità costante: moto uniforme
Velocita variabile: moto vario
La velocità è un vettore tangente alla
traiettoria nel punto stabilito.

Passando al limite per Δt -> 0

ACCELERAZIONE MEDIA
Δv v 2−v 1
a m= =
Δt t 2−t 1

Unità di misura è m/ s2

ACCELERAZIONE ISTANTANEA 8l’accelerazione punto per punto, in ogni istante)

ⅆ ⃗v ⅆ 2 ⃗s
Con la derivata : a⃗ = =
ⅆt ⅆ t 2

L’accelerazione è un vettore con 2


componenti:
-tangenziale alla traiettoria: variazione
modulo di v
-normale (ortogonale) alla traiettoria:
variazione direzione di v

I moti possono avvenire lungo una retta, su un piano, a velocità costante, possono essere
uniformemente accelerati (aumenta) o uniformemente ritardati (diminuisce in maniera
costante). I moti studiati in relazione al sistema di rifer. Sono composizioni di moti che
avvengono lungo delle rette.
MOTO RETTILINEO UNIFORME
Un punto che si muove su una retta a velocità costante e non ci sono accelerazioni.
Δs
v= = costante Posto Δt =0 e indicando con s0 la posizione occupata all’istante t=0
Δt
otteniamo la legge oraria del moto rettilineo uniforme: s-s0=vt s=s0+vt
In tale formula s0 e v sono valori costanti, t ed s sono variabili,
precisamente t è la variabile indipendente e s la variabile dipendente.
La funzione s=s(t) ha la stessa forma della funzione y=mx +q. Quindi s=s0+vt è una funzione
lineare e il diagramma orario del moto è una retta nel piano (s,t)
Per s=vt il grafico spazio-tempo è una retta passante per l’origine degli assi.

Per s=s0+vt il grafico spazio tempo è una retta che non passa per
l’origine degli assi.

La pendenza della retta fornisce la velocità (in entrambi i casi)

Nel moto rettilineo unifrome la v è costante, dunque nei piani (v,t9 è rappresentata da una
retta parallela all’asse t la cui quotà indica la sua intensità. La distanza
percorsa nel tempo t può essere interpretata come l’area della ragione
piana compresa tra il diagramma della velocità, l’asse t e gli istanti di
tempo iniziale e finale. S(t)= s=+vt
Alcune velocità: luce 3 x 108 m/s (la più alta), terra attorno al sole 3 x
10 m/ s, suono in aria 3.3 x 10 m/s , uomo (max) 11 m/s, deriva dei
4 2

continenti 10−9 m/ s (più bassa).


Alcune accelerazioni: accelerazione di gravità sulla terra 9.81 m/s 2(g), accelerazione di
gravità sulla luna 1.7 m/s 2. Max accelerazione sopportabile dall’uomo è di circa 5 g (a.gra.)

MOTO RETTILINEO UNIFORMEMENTE ACCELERATO


Il punto si muove su una retta con accelerazione costante

V(t) = v0+at (1 equazione, con velocità


iniziale)
Equazioni (2 equazione: se a t=0 il punto materiale occupa la posizione s0)

S= ½ at^2 (con partenza da fermo e si ha una retta passante per l’origine degli assi)

S è dirett. prop. al quadrato di t. Nel grafico si ottiene una parabola con vertice
nell’origine.
Nel moto uniformemente ritardato (a<0) v=v0-at s=v0t-1/2at^2
MOTO DI CADUTA DEI GRAVI (è il moto di corpi lanciati dal basso verso l’alto o di corpi
lasciati cadere dall’alto)
Se facciamo cadere un oggetto, questo acquista sempre più velocità.
Esperimento di Galileo: Se lasci cadere a terra un martello e una piuma, il martello arriverà
al suolo prima. Ma questo avviene soltanto perché la piuma risente maggiormente della
resistenza dell’aria che incontra durante la caduta. Nel vuoto, cioè in assenza d’aria, i due
oggetti raggiungono il suolo insieme. Lo ha dimostrato anche un esperimento effettuato
direttamente sulla Luna durante la missione Apollo 1. Dunque tutti gli oggetti in caduta
libera (nel vuoto, escludendo ogni forma di attrito), cadono tutti con la stessa
accelerazione, indipendentemente dalla loro massa. (tubo pieno d’aria- tubo vuoto)
L’accelerazione di gravità (è un vettore) va sempre verso il centro della terra (9.81 m/s^2).
Possiamo sostituire nel moto uniformemente accelerato l’a con la g (accelerazione di
gravità).

Caduta: v=v0+gt e h=1/2 gt^2


Lancio: a= - g
v=v0-gt e h=v0t-1/2gt^2

Con la latitudine l’accelerazione di


gravità (g) varia: es. polo nord è
9,832 e in Ecuador (+ vicino
all’equatore) è 9,780.

MOTO DEL PROITTILE (moto parabolico)

fare
Un moto parabolico detto anche del proiettile è il moto di un corpo che partendo con una
velocità iniziale ed un certo angolo percorre una traiettoria parabolica sotto l’azione della
sola accelerazione di gravità
Il moto di un oggetto lanciato in orizzontale è la sovrapposizione di 2 moti:
 Moto rettilineo uniforme orizzontale
 Moto rettilineo uniformemente accelerato verticale
La traiettoria di un oggetto lanciato in orizzontale e in direzione obliqua è una parabola

Al proiettile viene inizialmente impressa una velocità iniziale di modulo V 0 che può essere
inclinata di un angolo α rispetto all'orizzontale o essere orizzontale (se il moto parte da una
certa altezza).Per cui il vettore velocità iniziale ha due componenti x e y

Chiamiamo queste due componenti V0x e V0y e il loro valore è pari a:

V0x = V0 ∙ cosα

V0y = V0 ∙ senα

Lungo l'asse x, come detto, il proiettile procede di moto rettilineo uniforme con velocità
pari a V0x che rimarrà tale fino a che il proiettile si arresta toccando terra.

Lungo l'asse y invece il proiettile procede di moto rettilineo uniformemente accelerato.

Sviluppando il sistema si ottiene l'equazione della parabola, traiettoria del moto, con y
espressa in funzione di x, senza tener conto del tempo. Si definisce gittata la distanza
orizzontale tra il punto di lancio e quello di caduta al suolo. Questo punto della traiettoria
del proiettile corrisponde al momento in cui la coordinata Y = 0, ovvero il corpo tocca il
suolo. Domanda esame= nel momento in cui si raggiunge la massima altezza Vy quanto
vale? Vale 0 perché man mano che si sale il proiettile rallenta fino a fermarsi per poi
riprendere velocità durata la fase di caduta al suolo.

MOTO CIRCOLARE

Un oggetto si muove in linea retta se la forza risultante agente su di esso ha la stessa


direzione del moto o è nulla. Se la forza totale agisce formando un certo angolo rispetto
alla direzione del moto, allora l’oggetto si muove lungo un cammino curvilineo.

Si chiama moto circolare il movimento di un oggetto che compie una traiettoria circolare
(traiettoria è una circonferenza). Il modo circolare può essere:
 UNIFORME : il punto materiale percorre archi uguali in tempi uguali ovvero la sua v
è costante
 NON UNIFORME: il punto materiale si muove con accelerazione costante

Velocità angolare

La velocità angolare è una grandezza che misura la velocità con cui un punto materiale si
muove su una circonferenza, e viene definita come il rapporto tra l’angolo descritto e
l’intervallo di tempo impiegato per percorrerlo. La posizione angolare però può variare nel
tempo e la grandezza fisica che descrive questo cambiamento è la velocità angolare media
Δθ θ f −θ i
ω= = misurata in rad/s
Δt t f −t i

Se vogliamo conoscere il valore della velocità angolare in un istante di tempo preciso


lim Δθ
dobbiamo usare la velocità angolare istantanea: ω= Δt → 0 scritta anche come la derivata
Δt
ⅆθ
temporale della posizione angolare: ω=
ⅆt

Velocità tangenziale= prodotto


tra la velocità angolare il raggio, è
la velocità di un punto che si
muove di moto circolare lungo
una traiettoria curvilinea, con
direzione tangente alla traiettoria
in ogni punto e verso individuato
dal senso del moto.

È l’arco di circonferenza percorso

MOTO PERIODICO

Se il moto circolare è uniforme, esiste un legame tra la velocità angolare e il periodo


temporale. In un moto circolare uniforme, la durata di un giro completo di circonferenza è
detta periodo T

Δθ 2 π 2π
ω= = T= u.m secondo
Δt T ω

Il numero di giri compiuti in un secondo si chiama frequenza (contrario del periodo)


1
f= u.m Hertz =s ^-1
T

MOTO CIRCOLARE UNIFORME

Nonostante il moto circolare uniforme sia un moto a velocità costante, siamo comunque in
presenza di un’accelerazione. Nel moto circolare uniforme il modulo della velocità rimane
costante, ma la sua direzione cambia costantemente. Per modificare la direzione della
Δ v v 2−v 1
velocità deve intervenire l’accelerazione centripeta. a= =
t t

Se consideriamo l’intervallo di tempo Δt man mano che ci allontaniamo dal centro (cioè al
crescere di r) aumenta la velocità v ma non aumenta la velocità angolare. Se
l’accelerazione angolare è nulla, sarà nulla anche l’accelerazione tangenziale e
2
v
l’accelerazione completa sarà uguale a: a= =ω2 r u.m: m/s^2
r

MOTO CIRCOLARE UNIFORMEMENTE ACCELERATO (con accelerazione angolare o


tangenziale costante in modulo) Questo moto viene descritto da una formula detta legge
oraria del moto circolare uniformemente accelerato.

Δv
Accelerazione tangenziale γ =
Δt

Δω
Accelerazione angolare G=
Δt

L’accelerazione totale è data dalla somma vettoriale tra l’accelerazione tangenziale e


quella angolare. Dato che le due componenti sono perpendicolari tra loro possiamo
scrivere il modulo dell’accelerazione totale con il teorema di Pitagora. a T = √a 2T +a 2c

MOTO ARMONICO
Il moto armonico è un particolare tipo di moto rettilineo vario, ovvero con v ed a variabili
ed è periodico. È il movimento che si ottiene proiettando su un diametro le posizioni di un
punto materiale che si muove di moto circolare uniforme.

Il moto oscillante di un punto su un segmento avrà velocità massima al centro e nulla agli
estremi; accelerazione nulla al centro e massima agli estremi.

Equazioni:

x (t )= A cos(ωt)

v ( t )=− A ω sen (ωt)

a ( t )=− A ω cos (ωt ) ¿−ω x (t) L’accelerazione è massima agli estremi


2 2

Grafico spazio-tempo del moto armonico

Se rappresentassimo questo moto in un grafico, il grafico che si ottiene è periodico, cioè


composto dalla ripetizione di uno stesso schema di base (un tratto di curva verso il basso e
un tratto verso l’alto). L’ampiezza dell’oscillazione è la distanza che separa il valore
massimo della curva da quello centrale. Il periodo T di oscillazione è la durata di
un’oscillazione completa ed è dato dall’intervallo di tempo che intercorre tra due valori
massimi consecutivi (o tra due valori minimi consecutivi). La frequenza è il numero di
oscillazioni complete (avanti e indietro) effettuate in 1s.

PRINCIPI DELLA DINAMICA

1. Primo principio (principio di inerzia): un corpo persevera indefinitamente nel suo


stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finchè non intervengono perturbazioni
esterne (forze) che alterano tale stato.
2. Secondo principio (legge di Newton): l’accelerazione di un corpo è causata da una
forza applicata al corpo. Il verso dell’accelerazione è lo stesso della forza e il modulo
è proporzionale alla forza. La massa del corpo rappresenta l’inerzia che ha il corpo di
preservare nel suo stato di quiete o di moto uniforme.
3. Terzo principio (principio di azione e reazione): ad ogni azione corrisponde una
reazione uguale e contraria. Se un corpo 1 esercita una forza (azione) su un corpo 2,
il corpo 2 eserciterà una forza (reazione) uguale ed opposta sul corpo 1.

PRINCIPIO DI INERZIA

Se la F applicata a un punto materiale è uguale a 0 allora esso si muove di moto rettilineo


uniforme. Se un punto materiale si muove a velocità costante, allora la F totale che subisce
è uguale a 0.

Se F=0 allora v=costante a=0

Se F≠ 0 allora v non è costante a ≠0

SECONDO PRICIPIO (LEGGE DI NEWTON o LEGGE FONDAMENTALE DELLA DINAMICA)

Una forza provoca una variazione di velocità quindi un’accelerazione.

Prima proprietà: un corpo su cui agisce una forza costante si muove con accelerazione
costane.

Seconda proprietà: l’accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale alla forza che


agisce su di esso.

se si raddoppia la massa anche la forza


sarà doppia, F deve essere proporzionale
ad m.

la forza è un vettore, quindi la composizione di più forze può dare origine ad una forza con
risultante positiva, negativa o nulla.∑ i Fi=ma Fi e a vettori

L’accelerazione ha la stessa direzione e lo stesso verso della risulatante delle forze Fi.

Quando su un sistema insistono più forze, tali che direzioni e intensità producono una
risultante nulla, il sistema si dice isolato e in equilibrio. ∑ Fi=0

d (mv)
Può essere scritta con la derivata: F=
dt
Se la massa è costante non dipende dal tempo e può essere messa fuori la derivata :

dv
F=m =ma
dt

dm dv
Se la massa varia nel tempo: F=v +m
dt dt

Un sistema di riferimento in cui vale il primo principio della meccanica è detto sistema di
riferimento inerziale che secondo la relatività di galileo le leggi della meccanica sono le
stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali, qualunque sia la velocità (costante) con cui
essi si muovono. La Terra è un sistema di riferimento inerziale perché la terra si muove di
moto rettilineo uniforme rispetto al sole (la terra impiega 365 giorni e 6 ore per fare un
giro completo intorno al sole).

Si parla di inerzia solo se a=0 ovvero se F=0 ovvero se ∑ F=0


Si parla si equilibrio (statica) solo se a=0 ovvero s F=0 ovvero se ∑ F=0

TERZO PRINCIPIO

Tutte le volte che un corpo A (racchetta) esercita una forza su un corpo B (pallina) anche il
corpo B esercita una forza sul corpo A. Principio di azione e reazione: ad ogni azione
prodotta su un corpo A corrisponde sempre una reazione su un altro corpo B uguale e
contraria e tale che la loro coppia sia nulla. (newton)

FORZA
La forza è una grandezza che altera lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Abbiamo forze dirette e forze indirette. La forza deriva dalla conoscenza di un’altra
grandezza, l’accelerazione. La forza è una grandezza vettoriale e quindi ha modulo,
direzione e verso. Le forze di contatto esprimono risultato di contatto fisico tra i corpi,
mentre le forze a distanza agiscono attraverso lo spazio vuoto.lo strumento che misura le
forze è il DINAMOMETRO. L’unità di misura della forza è il Newton.
Abbiamo vari tipi di forze ad esempio:
-Meccaniche, Fluidodinaiche, elettriche, magnetiche, ottiche, di radiazione, nucleari etc…
FORZE MECCANICHE: Forza peso, forza gravitazionale, forza di pressione, forza elastica,
stress, forza centrifuga, forza di attrito, forza apparente di Coriolis etc…
Peso= grandezza vettoriale
(Newton)
Massa= grandezza scalare (kg)

Esperimento di Cavendish
Mediante questo esperimento Cavendish (nel 1798) è riuscito a determinare il valore della
costante di gravitazione universale (G). Egli fece uso di una bilancia a torsione formata da
un filo verticale fissato all’estremità superiore del dispositivo e che sospende un’asticella,
ai cui estremi sono poste 2 masse identiche. L’asse è in equilibrio e deve rimanere
orizzontale. Le due masse dell’asta sono poste in prossimità di altre due masse più grandi.
Le due masse più grandi attirano gravitazionalmente le due masse più piccole dell’asta. Le
due forze generano due momenti torcenti uguali e concordi che tendono a far ruotare la
bilancia torcendo il filo. Dall’angolo di torsione del filo si misura il valore di F (forza di
gravità)e di conseguenza si trova G.
Tutti i corpi sono soggetti ad una forza attrattiva, detta FORZA DI GRAVITÀ che è descritta
nella legge di Newton ed è detta anche “Legge di gravitazione universale”(descrive
l’interazione tra due corpi qualsiasi).
m1 m2
N m / Kg detta costante di gravitazione
−11 2 2
F=G 2 G=6.67× 10
r

Universale

La forza di gravità agisce tra la Terra e qualsiasi corpo sulla superficie terrestre, sia esso
solido, liquido. Agisce su tutti i corpi, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, sia
a livello macroscopico sia a livello microscopico. Agisce anche tra il sole e i pianeti e tra la
Terra e la Luna.

24 22 8
MT ML
M T =5.98× 10 Kg M L =7.35 ×10 Kg DT −L =3.84 ×10 Kg F=G 2
D
L’accelerazione di gravità dipende dalla massa
della Terra e il raggio dal pianeta.

LEGGI DI KEPLERO
L'esistenza di una forza gravitazionale e tra corpi materiali è stata provata in modo
indiretto a partire dallo studio dei pianeti del sistema solare. Intorno al 1540 Copernico
avanzò l'ipotesi eliocentrica del sistema solare. I moti dei pianeti furono oggetto di
numerose accurate misure da parte di Brahe tra il 1576 e la fine del secolo. Keplero
formulò tra il 1600 e il 1620 le sue tre leggi:
1.Prima legge: i pianeti percorrono orbite ellittiche intorno al sole che occupa uno dei
fuochi dell'ellisse.
2.Seconda legge: la velocità areale con cui il raggio vettore unisce il sole ad un pianeta
descrive l'orbita che è costante.
3.Terza legge: il quadrato del periodo di rivoluzione di ogni pianeta è proporzionale al
cubo del semiasse maggiore dell'ellisse T 2=k a 3

Forza di legame molecolare ed atomico


In natura ci sono 3 stati: solido (gli atomi sono legati tra loro da legami elettrici), liquido
(legami deboli) e gassoso (non ci sono legami).
SOLIDO
Nello stato solido le molecole sono impacchettate molto strettamente e non possono
scorrere le une sulle altre a causa delle elevate forze di interazione intermolecolari. Le
molecole stanno tra di loro a distanza precisa.
Forze applicate ai solidi(forti legami di coesione) sono forze che possono essere sentite in
tutti i punti del solido se il corpo è rigido, se è deformato o elastico no.
LIQUIDO
Le molecole interagiscono tra di loro, ma possono scorrere le une sulle altre in quanto le
forze di interazione intermolecolare sono meno intense che nel solido. Forze applicate ai
liquidi: (legami deboli) sono sentite da tutto il liquido se applicate sottofoma di pressioni,
altrimenti sono sentite solo da alcune molecole.
GASSOSO
Le molecole non interagiscono tra loro e tendono ad occupare tutto lo spazio disponibile,
le forze di interazione intermolecolare sono molto deboli. Forze applicate ai gas: (assenza
di legami) sono sentite da tutto il gas se applicate sottoforma di pressioni dentro un
recipiente, altrimenti sono applicate solo a certe molecole.
Tutti i materiali possono essere
compressi ed espansi. Ogni materiale
può essere sottoposto a forze, per
variare un poco la distanza tra le
molecole, tutto ciò che esiste ha
un’elasticità. Ogni materiale può
sottoporsi a delle forze chiamate sforzi
per modificare le forme. Se lo modifica
è elastica, quando si elimina questo
sforzo il corpo ritorna allo stato
iniziale. L’elasticità vale fino ad un
certo limite. Ogni oggetto ha anche il
suo carico di rottura. Nel caso dei gas o
liquido si parla di forze di pressione (si
F N
indica con P= S → 2
=Pascal)
m

Quando applichiamo una sollecitazione si ha: trazione, compressione, flessione, torsione,


taglio.
FORZA ELASTICA (forza con cui reagiscono i materiali quando vengono deformati es. molla)
È la forza con la quale il materiale (elastico) ha la capacità di tornare alla forma iniziale
dopo essere stato compresso o deformato. (esempio: molla)
F=−k ∆ x =−k (x−x 0 )

è la forza necessaria per allungare o accorciare una molla, è proporzionale


all’allungamento, k =costante elastica, x 0 = estensione molla non soggetta a forze, x
=attuale posizione della molla. Se comprimo la molla la forza che esercito è negativa x<x0 e
la forza elastica di richiamo è positiva F<0. Se estendo la molla la forza che esercito è
positiva x>x0 e la forza elastica di richiamo è negativa F>0 (principio di azione e reazione)
La forze elastica è una forza di richiamo,
dipende dalla Legge di Hooke.
F=−k ∆ x =−k (x−x 0 )

La forza esercitata dalla molla ha modulo e


direzione uguali ma verso opposto. X0=0
SFORZO (STRESS) è il
rapporto tra la F e la
F
superficie σ =
S

DEFORMAZIONE
∆L
(STRAIN) è ε =
L

C’è una relazione tra


sforzo e deformazione.
LEGGE DI YOUNG

FORZA CENTRIPETA (moto circolare uniforme)

Il corpo, l’oggetto si muove con v costante in modulo, lungo una traiettoria circolare e
subisce accelerazione centripeta che è diretta verso il centro della circonferenza ed è

sempre perpendicolare alla velocità.


2
v
a=vω= =ω r = vω u.m: m/s^2 Forza
2
r
centripeta è l’opposto di forza centrifuga-> forza
diretta verso l’esterno.
Isolamento e concentrazione di macromolecole: la purificazione (e concentrazione) di
macromolecole biologiche può essere effettuata mediante ultracentrifugazione in
gradiente all’equilibrio di densità di cloruro di cesio-bromuro di etio
Centrifugazione: Gli elementi del sangue sedimentano rapidamente generato in una
centrifuga secondo la loro densità.
Perché la luna non cade sulla terra? O perché l’elettrone non cade sul nucleo dell’atomo?
Perché F ( centripeta )=−F (centrifuga) ∑ F=0→ v =costante
F(centripeta)=m a= m v^2/r F(centrifuga)= - mv^2/r

FORZE DI ATTRITO -> agiscono parallelamente alla superficie di contatto e sono sempre
dirette in senso contrario al movimento (si oppongono al movimento del corpo)
Diversi tipi di forze di attrito:
 Statico (moto da fermo)
 Dinamico (in moto)
 Radente (scivolamento)
 Volvente (ruotante)
 Interno o viscoso (fluidi)
 Esterno (corpi immersi in fluidi)
STATICO
Il corpo è in quiete e se non applico nessuna forza rimane fermo. Se la forza che applico è
minore o uguale a Fs il corpo rimane sempre fermo. Se la F >Fk il corpo acquista
accelerazione; per mantenere la velocità costante riduco la forza F<Fmax.
ATTRITO RADENTE E VOLVENTE
-Radente: si esercita tra 2 superfici (esempio la suola della scarpa e il terreno)
-Volvente: Compare quando un corpo (es ruota) rotola su una superficie
Φ r >Φ v

Radente Volvente
ATTRITO ESTERNO
Oggetto che si muove in un liquido o un solido che si muove su una superficie.
ATTRITO INTERNO O VISCOSO
Fluido (liquido o gas) che si muove in un condotto.
Attrito di un oggetto che si muove in un fluido
F (attrito)= ∁ ρA v 2 /2

C=coefficiente aereodinamico (forma, superficie…)


P=densità del fluido (g/cm^3)
A= sezione trasversale del corpo (cm^2)
V= velocità dell’oggetto (cm/s)

ATTRITO DELL’ARIA
Le molecole d’aria si agitano in moto caotico con risultante 0, ma sono una barriera al
moto libero dei corpi. Dobbiamo trattare questa resistenza come una forza che si oppone
al vettore velocità avente modulo direzione e verso. La resistenza aereodinamica è
proporzionale alla metà della densità dell’aria ρ/2 , alla sezione trasversale del corpo A e
alla sua velocità al quadrato v 2. Inoltre deve dipendere da un coefficiente aereodinamico C
che tenga conto del tipo di rivestimento e della sua forma.
1 2
Forza di attrito in aria-> ∁ ρA v
2

Velocità limite in
automobile da corsa: F
attrito = F trainante da
quel momento in poi l’auto
procede a v costane. La
forma dell’auto
aereodinamica deve essere tale da ridurre il più possibile la forza di attrito per non avere il
limite della velocità basso.

FORZE APPARENTI (O DI CORIOLIS)


Sono forze che appaiono se il sistema di riferimento scelto non è inerziale. (es la giostra
che gira non è un sistema di riferimento inerziale perché durante la rotazione sono
presenti le forze centrifughe-apparenti). La terra in quiete intorno alla giostra è un sistema
di riferimento inerziale. Un ascensore in moto non è un buon sistema di riferimento
inerziale perché è soggetto ad accelerazioni.
Oltre alla forza centrifuga abbiamo altre forze apparenti come la forza di Coriolis, che
spiega il moto degli uragani, e il pendolo di Faucault. Anche la forza che ci spinge in avanti
quando un treno decelera è una forza apparente.
Campi di forza-> zone che si indicano con linee di forza (rappresentano la traiettoria che
farebbe un corpo lasciato libero di muoversi in quel campo). La velocità è sempre tangente
alle linee di forza del campo.

ENERGIA (meccanica)
Abbiamo varie forme di energia:
 Eolica (viene dal vento)
 Meccanica (viene dalla macchina)
 Chimica (dalle sostanze)
 Idrica (dall’acqua)
 Muscolare (permette di muoverci)
 Solare (dal sole)
 Nucleare (si trova dentro gli atomi che formano la materia)
 Elettrica (dovuta alle cariche elettriche)
 Termica (deriva dal calore di un corpo)
Tutto ciò che c’è attorno a noi è energia (se non avesse energia non lo vedremmo es. buco
nero non ha energia ma la assorbe) . Quando abbiamo una quantità di energia possiamo
convertirla in un’altra forma di energia (es. energia luminosa in energia meccanica-da
energia elettrica a energia termica).
L’energia è la capacità di un sistema di compiere lavoro (vale per tutte le forme di energia).
LAVORO
È una grandezza scalare prodotto scalare vuol dire esprimere un numero con una unità di
misura che è il Joule , che è calcolabile moltiplicando il modulo del vettore F per il modulo
del vettore spostamento per il coseno dell’angolo formato da questi vettori. Se i vettori
sono paralleli e concordi il lavoro è massimo e positivo, se sono paralleli e discordi in verso
il lavoro è massimo ma negativo, se i vettori sono ortogonali tra di loro il lavoro è nullo )
che è data dal prodotto tra la F (vettore) e lo spostamento (vettore)
L= ⃗
F ∙ ⃗s L=|⃗
F|∙|⃗s|cosθ

Ogni qual volta applichiamo una forza su un oggetto e lo facciamo spostare abbiamo un
lavoro. Il lavoro è energia trasferita ad un sistema per mezzo di una forza. L’energia
trasferita ad un sistema è lavoro positivo, dal sistema è lavoro negativo. Il lavoro è sempre
eseguito da una forza, l’unità di misura di lavoro ed energia nel S.I. è il Joule J=m2 K S−2
Se rappresentiamo in un diagramma la forza e lo
spostamento e questo diagramma è tale che la forza
applicata è costante. Il lavoro sarà l’area del
rettangolo.

Se la forza non è costante, consideriamo una quantità di spostamento molto piccola ds=s2-
s1 per quello spostamento piccolo potremmo dire che la F è costante, allora potremmo
calcolare una quantità di lavoro infinitesima δL= ⃗
F ⋅ ⅆ r⃗ =Fds cos θ=F s ⅆs

Fs= proiezione della forza lungo la direzione di spostamento


Somma delle piccole quantità di lavoro e ottenere il lavoro totale quando la forza non è
3
costante. δL=F x dx+ F y dy + F z dz=∑ (F i d r i )
i=1

Lavoro = l’area sottesa dalla curva F(x)


tra xi e xf
1 2
U e= k x
2
energia potenziale elastica è l’energia di una molla compressa o allungata

Questi concetti possiamo applicarli a concetti più complessi. Quando il sangue arriva
nell’aorta perché c’è una gittata cardiaca del cuore nell’aorta, questa si dilata, acquista
energia cinetica e torna riprendere la sua configurazione iniziale. Parte di questa energia
elastica va al sangue che inizia a muoversi nel vaso.
Lavoro fatto dalla forza peso
Supponiamo di lanciare un oggetto verso l’alto (in un campo di forze gravitazionale dove
agisce sempre l’accelerazione di gravità verso il basso), mentre la palla sale perde di
velocità e la forza di gravità fa un lavoro negativo. Nel momento in cui lo lanciamo
abbiamo applicato una forza verso l’alto, gli facciamo compiere un certo spostamento.
Sull’oggetto che ha una massa agisce la forza di gravità. Quando l’oggetto va verso l’alto la
forza peso è diretta verso il basso. Se ci calcoliamo il lavoro: W=L

Il lavoro negativo se lanciamo la palla fatto contro il campo gravitazionale, il lavoro positivo
è fatto dal campo di forze gravitazionale (il campo di forza gravitazionale ci attrae verso il
centro della Terra). Il campo gravitazionale è conservativo. A livello teorico se trascuriamo
l’attrito il campo gravitazionale è conservativo e il L ( totale )=−mgh+mgh=0 se non
trascuriamo l’attrito il campo gravitazionale non è conservativo e significa che l’oggetto sia
in fase di salita che in fase di discesa sente delle forze di attrito e ci sarà un lavoro fatto
dalle forze di attrito che sarà una forma di energia persa (solitamente sotto forma di
calore) lavoro totale è diverso da 0.
Spazio gravitazionale in assenza di attrito
POTENZA (la quantità di lavoro eseguita in una certo intervallo di tempo- la rapidità con
cui viene svolto il lavoro) È una grandezza scalare
L L dL
La potenza media è P= La potenza istantanea è P= lim =
∆t ∆t→0 ∆ t dt

Potenza: P= ⃗
F ∙ ⃗v unità di misura Watt 1W=1J/1s

La potenza è alta se un determinato lavoro lo facciamo rapidamente in poco tempo, se


quella quantità di lavoro la facciamo in più tempo la potenza è bassa.
ENERGIA MECCANICA: Cinetica, Potenziale, Elastica (il calore è una forma di energia)

TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA (ci permette di capire come il lavoro lo possiamo legare
alla variazione di movimento di un sistema)

Se prendiamo un pallone e lo lanciamo sul pavimento questo pallone si muove a una


velocità con una massa. Dopo un certo tempo si ferma perché? Sta succedendo che noi
stiamo conferendo energia cinetica a questo pallone che si muove ad un certo punto si
ferma e vuol dire che tutta la sua energia cinetica si è convertita in energia delle forze di
attrito (in calore). (principio di conservazione dell’energia)
ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE
L’energia potenziale gravitazionale di un
corpo è uguale al lavoro compiuto dalla
forza peso quando il corpo stesso si
sposta dalla posizione iniziale a quella di
riferimento.
Per le forze gravitazionali possiamo
scrivere:

Quando un oggetto sale di quota il lavoro è negativo il che significa che stiamo facendo un
lavoro contro le forze gravitazionali. Le forze gravitazionali invece fanno un lavoro positivo.

ENERGIA POTENZIALE ELASTICA

RIASSUMENDO:
•Una massa in moto possiede una energia cinetica che dipende dalla sua massa m e dalla
sua velocità v (al quadrato) E k =½ mv 2 . Per fermare questa massa si dovrà applicare una
forza che sia nella stessa direzione della velocità ed in verso opposto, cioè si deve fare
un lavoro negativo.
•Una tegola che cade da un tetto può produrre danni, anche notevoli, che dipendono dalla
sua massa m e dall’altezza del tetto h . Tale capacità le deriva dalla sua energia potenziale
U = mgh che a sua volta gli è stata data dal lavoro fatto dal operaio che ha portato
la tegola sul tetto
•Un corpo elastico se deformato elasticamente possiede una forma di energia elastica che
vale Ue=1/2kx 2 che viene annullata se il corpo riprende la sua forma iniziale e che nel
ritorno si converte in energia cinetica di movimento.
•Il calore Q è anche una forma di energia che può svilupparsi da processi meccanici di
dissipazione (frenamento, urto, strofinio, lavoro fatto da forze di attrito ecc.)

Principio di conservazione dell’energia

In un sistema isolato (chiuso) l’energia totale al suo interno si mantiene costante pur
potendosi trasformare da una forma di energia ad un’altra.
E ( totale )=costante=U e + U p + Ec (in assenza di attrito)

Conservazione energia meccanica


E ( tot . )=E c +U e=cost.

Non consideriamo
l’energia potenziale
gravitazionale

1 2 1 2
E ( tot . )=Up=mgh 0 E ( tot . )=mgh 1+ mv 1 =mgh 0 E ( tot . )= mv 2 =mgh0
2 2

Nel caso della molla in uno stato di equilibrio l’energia cinetica e quella potenziale elastica
sono uguali a 0. Se allunghiamo la molla la
In assenza di forze di attrito le oscillazioni sono persistenti e dimostrano che l’energia
elastica del sistema + l’energia cinetica della massa in moto si conserva.
Lavoro fatto dalle forze di attrito ed Energia dissipata in calore
Lattr = R ∆ x = Energia dissipata sottoforma di Calore Q
Tenendo conto di questa Energia dissipata il Princ . di conservazione per il sistema massa
molla può scriversi come: E(tot)= Ec+Ue+L attr = costante

Principio di conservazione dell’energia


In un sistema isolato in cui sono presenti soltanto forze conservative l’energia meccanica
totale (cinetica + potenziale gravitazionale + potenziale elastica) si conserva.

E(tot) = Ec + Up + Ue = cost Un sistema fisico è isolato se su di esso non agiscono forze


esterne.
Se si vuole tenere conto dell’energia persa a causa di forze di tipo dissipativo in calore Q
(Il calore è una forma di energia), scriveremo:
E(tot) = Ec + Up + Ue +Q = cost (con le forze di attrito) Generalmente Q è causato dalle
forze di attrito.
Applicando tale principio può studiarsi la dinamica di molti sistemi meccanici.

ENERGIA IN SISTEMI OSCILLANTI


Le oscillazioni avvengono in sistemi che si spostano dalle condizioni di equilibrio e che
cercano di ripristinarle (come il sistema della molla o il pendolo). Tutto ciò che ci circonda è
costituito da sistemi oscillanti. (oscillazioni cardiache, oscillazioni di un segnale nervoso, di
una molla, del campo elettromagnetico etc…)
Massa attaccata ad una molla e andremo a vedere come si studiano le oscillazioni che la
massa ha grazie alla forza elastica della molla stessa. Questo sistema si chiama moto
oscillatorio armonico.

m(-ω 2 x (t) ¿+ kx (t )=0 - mw^ 2 +k=0

T= periodo di oscillazione

f=
1
2π √ k = frequenza di oscillazione (frequenza di risonanza del sistema)
m

Questo concetto vale per tutti i sistemi oscillanti.


L’oscillatore armonico trasforma continuamente l’energia da elastica in energia cinetica.
Posizione: x(t)=Acosωt
Velocità: v(t) -ωAsenωt
Accelerazione: a=−ω 2 x (t)
Ec=1/2mv^2(t)
Ue= 1/2kx^2(t)
All’estremità abbiamo la massima variazione di velocità ovvero la massima accelerazione.
Quindi in un oscillatore armonico con massa attaccata ad una molla l’accelerazione è
massima agli estremi e minima al centro (perché al centro la v è quasi nulla). Le velocità
sono massime l centro e nulle agli estremi, mentre le accelerazioni al contrario.
Ec +Ue=E(tot)=cost.
Queste oscillazioni le avremo sia per una molla posta verticalmente sia per una molla posta
orizzontalmente. Per una massa attaccata a una molla verticale dobbiamo considerare 3
forme di energia se trascuriamo l’attrito. Perché via via che la massa sale e scende stiamo
cambiando l’energia potenziale gravitazionale. Via via che la molla si contrae o espande
stiamo cambiando l’energia elastica e via via che la massa attaccata alla molla si muove
stiamo cambiando l’energia cinetica.
Se trascuriamo l’attrito il principio di conservazione dell’energia lo scriviamo come:
Ec+Up+Ue=E(tot)=cost.
Se consideriamo l’attrito mettiamo pure il Q (dissipato)perché l’energia si trasforma in
calore: Ec+Up+Ue+Q= E(tot)=cost. (in questo caso le oscillazioni si chiamano smorzate)

2 parametri importanti per le forze di attrito che consideriamo quando studiamo sistemi
oscillanti: b=coefficiente di smorzamento e la velocità perché le forze di attrito sono
sempre proporzionali alla v. In un sistema che oscilla ad alta v c’è più attrito.
Si usa il meno perché sono forze che si oppongono al moto.
√ =¿ √
2 2
4 mk−b 4 mk−b
¿ 2
¿
4m 2m

1. 4 mk−b
2
e b= √ 4 mk si dice smorzamento critico quindi
ω=0 e non ci sono oscillazioni. La molla si allunga e ritorna al sistema iniziale
rapidamente, la massa ritorna piano piano alla posizione iniziale senza oscillare.

smorzate.

2. 4 mk−b2 > 0 b<0 si dice smorzamento sottocritico ω= k le oscillazioni sono
m

3. 4 mk−b2 < 0 b>0 si dice smorzamento sovracritico ω non è reale e la molla torna
senza oscillazioni al punto di equilibrio, ma ci torna molto lentamente a causa
dell’elevato valore di b.

PENDOLO FISICO
Il pendolo è un sistema costituito da un filo che è appeso ad un certo vincolo, ha una certa
massa e oscilla a causa della forza di gravità (forza peso). Se un pendolo è all’equilibrio
significa che è perfettamente verticale, non oscilla. Se lo perturbiamo, gli cediamo una
quantità di energia il pendolo inizia ad oscillare.

X(t)= x o senωt

F(richiamo) = mgsenθ
F=ma =-mgsen θ
m(-ω 2x(t)]=- mg 𝑥(𝑡)/𝐿
ω =g/l = (2 π T)^2
2


T=2 π L ; f= 1
g 2π √ g
L

E(tot)= Ec+Up=cost. (in


assenza di forze di attrito dissipate)
Up è massima agli estremi e minima al centro. Ec è massima al centro e minima agli
estremi (dove c’è l’inversione di moto)

E(tot) Ec+Up+Q (in presenza di forze dissipate o di attrito)


Oscillazioni forzate (libro)

STATICA
La statica è la parte della meccanica che studia i fenomeni di non moto (quiete) e di
conservazione dello stato di moto rett. Unif. (a=0)
Cosa importante la conservazione di questo stato di moto che vi ricordo essere espresso
dal primo principio della dinamica. Un corpo se è in quiete o in moto rettilineo uniforme
continua indefinitamente a rimanere in questo stato se non ci sono delle cause esterne che
ne determinano una variazione di questo stato, cioè nel caso ci fosse un accelerazione
ovviamente l'oggetto nel sistema non sarà più in condizioni statiche.
Qualche esempio: potremmo avere come in questa figura una pallina sul tavolo rispetto al
tavolo questa pallina è in quiete, il sistema di riferimento è il tavolo, però con questo non
significa che sulla pallina non stanno agendo delle forze ( la forza gravitazionale la forza
peso e la forza di reazione uguale e contraria che oppone alla forza peso questo vincolo del
tavolo). La pallina sta ferma perché la sommatoria delle forze applicate è uguale a zero,
rispetto al tavolo è in quiete, rispetto invece a un sistema di riferimento esterno per
esempio alla terra la pallina si sta muovendo su una traiettoria circolare perché la Terra
ruota attorno al proprio asse. Spesso abbiamo degli oggetti che sono vincolati a stare in
quiete, per esempio in questo caso il tavolo agisce da vincolo. Equazione del
bilanciamento delle forze che vi ho detto, da una parte c'è la forza peso diretta verso il
basso dunque la linea di forza che collega l'oggetto con il centro della terra dall'altra parte
c'è la forza di reazione Rv, la somma di queste due forze uguali e opposte sarà uguale a
zero.

P +⃗
Rv=0 (non è vero che se un corpo è in quiete non agiscono forze)
Rv è una forza espressa dal tavolo, il tavolo è un vincolo perché impedisce alla palla di
cadere.
VINCOLI-> sono dei dispositi, degli apparecchi, dei corpi che limitano o impediscono il
moto.
I vincoli possono essere di vario tipo per esempio un pendolo che tiene una certa massa
appesa ad un filo, il filo a sua volta è appeso a un altro vincolo, rappresenta un vincolo
dovuto alla tensione del filo (un quadro appeso al muro ha pure un vincolo). Quindi questi
oggetti non si muovono perché ogni volta che parliamo di vincolo su vincolo significa che
agisce una forza di reazione tale da imporre all'oggetto una condizione di quiete relativa. I
vincoli sono di vari tipi, noi stiamo vedendo i vincoli di tipo meccanico ma ci sono anche
altri veicoli che vedremo più avanti quando parleremo di elettricità, di magnetismo.
Nel campo della Meccanica i vincoli possono essere:
 Vincoli piani come la pallina sul tavolo o l'esempio del pendolo dove Rv è
perpendicolare al piano di appoggio
 Vincoli filiformi Rv ha la stessa direzione del filo R v =τ ->tensione filo
 Vincoli di rotazione P=F
C'è un oggetto può rotare però se all'oggetto vengono applicate delle forze e anche in
questo caso si fanno in equilibrio, l'oggetto non ruota, resta in quiete rispetto a un sistema
di riferimento.
Cosa accade se annullo il vincolo Rv?
Nel momento in cui annulliamo la forza vincolare, il
vincolo, l'oggetto non è più in equilibrio di forze
quindi la differenza tra forza peso e la forza per
esempio di reazione vincolare non è più 0 , ma allora
se c'è una forza significa che l'oggetto viene
accelerato, la presenza di un accelerazione ci dice che
l'oggetto non è in quiete, non è in condizione di
staticità.
MOTO TRASLATORIO e MOTO ROTATORIO
Il moto traslatorio è un moto in cui l'intero corpo rigido viene spostato da una zona
all'altra. Vedremo che ogni oggetto ha il suo baricentro o centro di massa e quindi nei moti
traslatori vengono spostati proprio i centri di massa degli oggetti stessi. Questo moto
bisogna distinguerlo da un altro moto, il moto rotatorio. Nel moto rotatorio, l'oggetto può
ruotare attorno ad un punto o attorno ad un asse, es. una trottola che è ferma come
centro di massa perché ruota su se stesso. Basta ruotarlo e quindi è dotata di movimento.
La Terra ruota intorno al proprio asse quindi è dotata di movimento e certamente questo
movimento come vedremo più avanti significa che ha una certa energia di rotazione che
sarà diversa dall' energia di traslazione. Dal punto di vista meccanico molto sistemi per
esempio una sfera che ruota scende su un piano inclinato, sono oggetti che possono avere
entrambi tipi di movimento sia di traslazione che rotazione . Un sistema è in quiete se non
solo non ha moti traslatori accelerati, ma non deve avere neppure dei moti rotatori.
In questo caso una pallina sulla quale agiscono addirittura tre forze la forza F1 e la forza F2
e la forza F 3. La forza invece F1-2 è la risultante delle forze F1 F2 . La F3 si trova a essere
sulla stessa direzione, agisce sulla stessa direzione con verso opposto della F1 e F2.
Pertanto questo insieme di forze impone che l'oggetto non si muove rispetto al sistema di
riferimento considerato. La F3 si chiama forza equilibrate.
EQUILIBRIO SU UN PIANO INCLINATO
Supponiamo di avere un oggetto su un piano
inclinato questa figura vedete la persona che
tiene il vaso, cerchiamo di capire la forza
equilibrante come la deve applicare per poter
mettere in equilibrio questo caso. Il vaso ha una
forza peso diretta verso il basso, il piano inclinato ha una certa lunghezza, una certa
altezza.
Ogni volta che abbiamo quindi un oggetto su un piano inclinato la forza peso è quella che
tende a far muovere l'oggetto a farlo scendere, dobbiamo però scomporla in due
componenti. Una componente è la componente ortogonale al piano di appoggio e una
componente della forza peso è la componente parallela al piano di appoggio. Quindi la Fp
la dobbiamo pensare come la risultante con la regola del parallelogramma tra le due forze
quella ortogonale e quella parallela. A quella ortogonale si oppone il vincolo del piano
inclinato Fv. La F parallela al piano è invece la forza che tende a fare scendere il vaso lungo
il piano inclinato quindi quella persona se vuole mettere in equilibrio il vaso deve
imprimere al vaso una forza uguale e opposta alla forza parallela.
Sul piano inclinato possiamo anche determinare la F la forza da imprimere per poter far
muovere Da considerazioni geometriche che riguarda il piano inclinato per esempio
dell'angolo al vertice di questo piano inclinato come vedere in figura lo chiamiamo angolo
alfa, allora Accade che dalla scomposizione di Fp nelle due componenti parallela e
ortogonale, la componente parallela qui chiamata Fe è data da Fp x cosalfa. Inoltre l x
cosalfa =h. Quindi Fe dipende da Fp × il rapporto h su l e dove h è l'altezza del piano
inclinato, la massima altezza, e l è la lunghezze del piano inclinato. In definitiva la forza che
terrebbe in equilibrio il vaso è data da Fp × h/l
h
F e =F p
l

Fe=forza equilibrante
Fp=forza peso
h=altezza l=lunghezze
Se non applichiamo una forza leggermente superiore ad Fe riusciamo a fare sollevare in
vaso lungo il piano inclinato.
Moto rotatorio
i corpi possono compiere un moto rotatorio= ogni punto percorre archi di cerchio della
stessa lunghezza. Centri di archi= fulcro di rotazione
Rotazionale significa che ci sono tanti oggetti che tendono a ruotare o attorno a un punto o
attorno ad un asse. Le rotazioni possono avvenire in senso orario o antiorario. Le rotazioni
dobbiamo studiarle per capire quali sono le condizioni per mantenere in quiete un corpo
girevole attorno ad un asse.
Se abbiamo un oggetto e vogliamo farlo muovere in rotazione attorno ad un asse possiamo
pensare che lui sia legato attorno ad un asse con braccio B e se lo tiriamo con una forza
riusciamo a farlo ruotare attorno all’asse.
Quindi fare ruotare un oggetto attorno ad un asse significa applicare delle forze, ma anche
che le molecole quindi le varie parti di quell' oggetto sono rigidamente legate tra loro e
non possono andare nella direzione della forza ma possono solo muoversi attorno all'asse
di rotazione. Es. Una chiave che fa ruotare un bullone.
L’intensità di rotazione da cosa dipende?
Dipende dall’intensità della forza e dalla distanza b=braccio->tanto maggiore è il prdotto F ∙
b tanto è più efficace la rotazione. Più forza applichiamo e più grande è la distanza tra il
punto di applicazione della forza e meglio riusciamo ad avvitare e svitare.

MOMENTO DI UNA FORZA


Le rotazioni su un asse si studiano introducendo una grandezza chiamata Momento di una
forza. Il momento è una grandezza vettoriale data dal prodotto vettoriale tra una distanza r
(braccio) e il vettore F. ⃗M =⃗r ∧ ⃗
F M =rF sin θ

Il prodotto vettoriale dà come risultato un vettore e si ottiene moltiplicando il modulo del


primo vettore per il modulo del secondo vettore per il seno dell’angolo dei vettori (in
questo caso r ed F).
Unità di misura del momento è N m
Se i vettori sono ortogonali il momento è massimo, se sono paralleli il momento è nullo.
Inoltre M è sempre un vettore che avrà un punto di applicazione, una direzione
(ortogonale, perpendicolare al piano formato da r ed F) e un verso (dato dalla regola della
mano destra cioè indice per indicare il primo vettore medio per indicare il secondo vettore
e il verso del pollice indica che il M è diretto verso l'alto).
Se M≠ 0 significa che l'oggetto tende a ruotare attorno ad un asse.
Se M=0 non c’è questa rotazione.
Come si può contrastare o impedire una rotazione e avere condizioni di staticità?
Bisogna applicare dei momenti M F 1 M F 2tali da controbilanciare i momenti che tendono a
far ruotare quell’oggetto.
La condizione di equilibrio è che la somma dei momenti applicati deve essere uguale a 0.
Spesso abbiamo a che fare con coppie di forze che applicate a dei sistemi, in quanto
possiamo agevolare il movimento di rotazione applicando due forze che hanno verso
opposto e che se sono parallele tra di loro.
Il momento di una coppia è dato dal prodotto tra la forza e la distanza M =Fd , la distanza
è data dalla somma delle distanze tra le rette di azione delle due forze. D=R+R=2R
Esempi: manubrio della bici, apertura di un tappo
Il momento risultante di una coppia di forze sarà: M r=2 M =2 Fr r=braccio
Se un corpo (non ruota) è in equilibrio rispetto alla rotazione allora ∑ M F=0

Condizioni necessarie affinché un corpo sia in equilibrio (in quiete):


∑ F=0 un corpo non trasla
∑ M F=0 un corpo non ruota
Anche quando vengono rispettate queste due condizioni, non bisogna pensare che
l’oggetto in quiete significa che l’oggetto non si muova, ma significa che l’oggetto può
ancora muoversi con una velocità costante senza accelerazione.
Es. astronave nello spazio intergalattico (no attrazione gravitazionale), questa continua a
muoversi con v=costante.

EQUILIBRIO
Equilibrio= non come quiete, ma come conservazione dello stato di moto (quiete o moto
rettilineo uniforme)
Tipi di equilibrio: meccanico, termico, elettrico, chimico, biologico…
L’equilibrio meccanico può essere:
 Stabile= una piccola deviazione non è sufficiente per deviare dall’equilibrio (il
sistema torna sempre alla sua situazione iniziale)
 Instabile= anche una piccola deviazione è sufficiente per deviare dall’equilibrio
 Indifferente= quando pertubiamo il sistema e questo non cerca nuove situazioni di
equilibrio
Equilibrio rotatorio
Se su un corpo agiscono due momenti uguali e opposti rispetto al fulcro (asse di rotazione)
si ha una situazione di equilibrio rotazionale. es. due ragazzi sull’asse rigido di una
giostra. I pesi dei ragazzi rappresentano le forze che tendono a far ruotare l’asse rigido
attorno al fucro e la distanza alla quale sono seduti rispetto al fulcro rappresenta il braccio
della forza. In questo caso ci sono due momenti di rotazione opposti, perché il ragazzo A
tende a fare ruotare il sistema in senso antiorario, il ragazzo B in senso orario. Ci sarà
equilibrio in questo sistema quando i due momenti si eguagliano F a r a=F b r b
Se c’è un vincolo l’oggetto non può traslare.

MACCHINE SEMPLICI-> sono quei dispositivi, strumenti, che servono per equilibrare o
vincere una forza (detta forza resistente) applicando una forza di intensità o direzione
diversa (detta forza motrice) F R b R=F M b M
Esistono 6 tipi di macchine semplici
1. La leva (+ importanti, le altre leggere)
2. L’asse della ruota
3. La puleggia
4. Il piano inclinato
5. La vite
6. Il cuneo

LEVE
Sono utilizzate per tagliare, sollevare e spostare con la minor fatica possibile. Sono
costituite da un asse rigido che ruota intorno ad un punto fisso detto fulcro e delle forze
applicate ortogonalmente ai bracci dell’asse. Determinano una resistenza da un lato e una
potenza (forza che dobbiamo imprimere all’oggetto per farlo ruotare) dall’altro.
La leva è in equilibrio quando il prodotto della resistenza per il suo braccio è uguale al
prodotto della potenza per il suo braccio, ovvero quando il momento della resistenza è
uguale ed opposto a quello della potenza. ⃗ M R=−⃗ M P.
Le leve si classificano in leve di:
 Primo genere
 Secondo genere
 Terzo genere

Leve di primo genere (forbici)


Nelle leve di primo genere il fulcro è posto tra le due forze. Possono essere:
o Vantaggiose= applichiamo un forza minore per sollevare e quindi il fulcro è più
vicino alla forza resistente e il braccio motore è maggiore di quello resistente
o Svantaggiose= se il fulcro è più vicino alla forza motrice
o Indifferenti = se il fulcro si trova esattamente a metà tra le due forze.

Leve di secondo genere (schiaccianoci)


Hanno la forza resistente tra il fulcro e la forza motrice (potenza) e sono sempre
vantaggiose. Il braccio motore è maggiore di quello resistente.

Leve di terzo genere (braccio)


Hanno la forza motrice tra il fulcro e la forza resistente e sono sempre svantaggiose. Il
braccio motore è minore della del braccio resistente.

Possiamo dire che la differenza tra leve vantaggiose, svantaggiose e indifferenti sta nei
bracci. Nelle leve vantaggiose il rapporto tra il braccio motore e il braccio resistente è
maggiore di 1, in quelle svantaggiose è minore di 1, in quelle indifferenti è uguale a 1.

LEVE NEL CORPO UMANO


Le leve di primo genere indifferenti sono ad esempio l’articolazione della testa dove la
forza resistente è rappresentata dal peso della testa e la forza motrice è data dalla
muscolatura estensoria tra la nuca e la base del collo.
Le leve di secondo genere (vantaggiose) sono ad esempio il sollevamento del calcagno
dove il fulcro è costituito dalle dita, la forza resistente è data dal peso che grava sulla
caviglia e la forza motrice è data dai muscoli del polpaccio. Le leve di terzo genere
(svantaggiose) è ad esempio il sollevamento dell’avambraccio dove il fulcro è il gomito, la
forza resistente è data dalla somma delle forze peso dell’avambraccio e del peso sostenuto
dalla mano e la forza motrice è fornita dal bicipite brachiale. È più faticoso tenere sollevato
un oggetto con il braccio disteso di quanto non lo sia quando il braccio si avvicina al tronco.
Quando teniamo un oggetto con un certo peso nella mano, per reggerlo dobbiamo
esercitare con il muscolo dell’avambraccio una forza potenza che è maggiore della forza
peso dell’oggetto, il fulcro è il gomito e questo è l’esempio di una leva svantaggiosa.

CARRUCOLA (fissa e mobile)


La carrucola fissa è un disco fisso, provvisto di gola, girevole attorno a un asse sostenuto da
una staffa fissa. La carrucola fissa non amplifica la forza e la forza motrice può essere
applicata in una direzione diversa da quella resistente. Il guadagno è 1
Il movimento che dobbiamo applicare per sollevare l’oggetto equivale al movimento che
l’oggetto stesso fa per tendere e fare girare la carrucola in senso opposto.
La carrucola mobile equivale a una leva di secondo genere vantaggiosa, il guadagno è
maggiore di 1 e la forza viene raddoppiata poiché il braccio della forza resistente è la metà
del braccio della forza motrice. bm>br
PARANCO
È un insieme di due o più carrucole per cercare di ridurre sempre di più la forza motrice di
quella resistente. Nel paranco semplice si applica una carrucola mobile e una fissa che
serve da rinvio. La forza motrice necessaria al sollevamento di m è la metà della forza
Fr
resistente. Si può dimostrare che F m= n= numero di carrucole mobili
2+n

VERRICELLO
Il verricello solleva corpi pesanti con piccole forze. È costituito da un cilindro orizzontale
che, fatto ruotare azionando una manovella, avvolge la fune sulla quale è applicata la
resistenza. La potenza ha un braccio tanto maggiore di quello della resistenza quanto più
lunga è la manovella. La forza resistente è applicata a un estremo della fune e la forma
motrice a una manovella di lunghezza bm che girare il cilindro. È una leva di primo genere
vantaggiosa poiché bm>br

ARGANO
L’argano serve a trascinare pesi. È un cilindro verticale che, fatto ruotare azionando
quattro aste perpendicolari al suo asse, avvolge una fune sulla quale è applicata la
resistenza. È simile al verricello semplice.
Se i bracci sono 2 la condizione di equilibro si esprime: 2Fmbm=Frbr da cui Fm=Frbr/2bm
Se i bracci sono 4 e all’estremità di ognuno di essi agisce uns forza di intensità f allora:
Fm=Frbr/4bm

PIANO INCLINATO
Quando mettiamo un oggetto su un piano inclinato c’è
una forza peso che agisce verso il basso e questa forza
si scompone in una forza ortogonale al piano e una
parallela-> tende a far scendere l’oggetto. Se vogliamo
far muovere l’oggetto sul piano inclinato dobbiamo
applicare una forza poco superiore ad F2. Ciò significa
che se il piano inclinato ha una vasta inclinazione la F2
è molto piccola.
Il piano inclinato è particolarmente utile nel
sollevamento di corpi pesanti, quando si dispone di un spazio piano sufficientemente
grande rispetto all’altezza di sollevamento. Esempio: le rampe di accesso ad enti pubblici.

CUNEO (dal libro)


È costituito da un solido resistente a forma di prisma retto a sezione triangolare isoscele,
usato per esercitare sui due lati uguali (fianchi) sforzi superiori a quelli esercitati sulla base
(testa).La forza esercitata sulla testa produce una spinta superiore su entrambi i fianchi.

VITE
La vite può essere considerata un’applicazione pratica del piano inclinato. Può essere
considerata come un piano inclinato avvolto intorno ad un cilindro.
La vite deriva da un piano inclinato avvolto su se stesso. È costituita da un cilindro su cui si
avvolge una sporgenza elicoidale (filetto); è utilizzata per fissare oggetti tra di loro, è in
grado di trasformare il moto circolare in moto rettilineo. È uno strumento che serve per
moltiplicare le forze e per ottenere piccoli spostamenti facilmente controllabili.

URTI, TRASLAZIONI E ROTAZIONI


Quando si trattano problemi di urti fra oggetti è utile introdurre il concetto di impulso e di
quantità di moto.
Impulso di una forza: un vettore dato dal prodotto della forza stessa per il tempo per il
quale la forza è applicata. ⃗I =⃗
F∙∆t u.misura N s impulso ha la stessa direzione e
verso della F.
Esempio: palla su mazza da baseball. La palla subisce una grande variazione di velocità in
tempo brevissimo. La mazza esercita una forza elevata sulla palla e per il principio di azione
e reazione la mazza risente di forza uguale e opposta.

Quantità di moto: è una grandezza vettoriale e ha la stessa direzione e lo stesso verso della
velocità u.m Kg m/s q⃗ =m ∙ ⃗v q o p=quantità di moto
Se l’oggetto è in quiete non ha quantità di moto.
Esempio: Immaginiamo di far cadere due oggetti, un orsacchiotto e una pallina. Entrambi
hanno una massa di 0.1 kg e entrambi hanno v0= 4 m/s. l’orsetto quando arriva a terra si
fermerà la sua vf=0. La pallina arrivando a terra rimbalza e avrà una vf=4m/s con verso
opposto a quella di prima. In questi urti possiamo calcolare la variazione di quantità di
moto: ∆ ⃗p =⃗
p f −⃗
pi

( m
Per l’orsetto 0 — m v i=mv= 0.1 kg ∙ 4
s )
=0 , 4 kg m/s

Per la pallina mv−(−mv )=2 mv=0.4 ∙ 2=0.8 kg m/s

Impulso e quantità di moto sono legati tra loro

I =F ∙ ∆ t=ma ∆ t=m ( ∆Atv ) ∆ t=m ∆ v


L’impulso rappresenta una variazione di quantità di moto ⃗I =∆ ⃗p
Per cambiare la quantità di moto di un oggetto ci deve essere un impulso.
Ne segue che ⃗
F =ma=mdv/dt ¿ d (mv)/dt=d ⃗p /dt
⃗p
Se consideriamo un sistema isolato ∑ ⃗
F esterne=0allora d =0 e quindi ⃗p=costante
dt
Tutto ciò rappresenta il:
Principio di conservazione della quantità di moto: in un sistema isolato dove
∑ F ( esterne )=0la quantità di moto totale deve conservarsi non variare ⃗Q tot=0 cioè
costante.
Esempio: rinculo del fucile o il cannone. Consideriamo un proiettile all’interno della
cannula ma non sta sparando. Abbiamo che il proiettile e il fucile sono in quiete.

Esempio: una navicella spaziale per muoversi nello spazio invia ad altissima velocità del gas
e le particelle del gas piccolissime, avranno una quantità di moto totale verso sinistra. La
navicella viaggia verso destra.

URTI TRA OGGETTI E PARTICELLE si studiano applicando i principi di conservazione


dell’energia e della quantità di moto.
Consideriamo un sistema di due particelle che si urtano. Quando queste si urtano
possiamo appilcare il principio di conservazione della quantità di moto.
La quantità di moto è una grandezza vettoriale e tiene conto di direione evrso di queste
particelle prima e dopo dell’urto.
Durante un urto i corpi che collidono si comportano come un sistema non soggetto a forze
esterne e quindi la loro quantità di moto totale si conserva.
Possiamo dire che la quantità di moto totale di due particelle isolate interagenti si
conserva e che la quantità di moto totale di un sistema isolato è uguale in ogni istante alla
quantità di moto iniziale.

URTO-> è un evento isolato nel quale una forza relativamente intensa agisce, per un
tempo relativamente breve, su ciascuno di due o più corpi che entrano in contatto fra loro,
negli urti la quantità di moto si conserva sempre.
Gli urti possono essere:
 Elastici= se non avviene dissipazione di energia (cinetica) nell’urto per esempio per
attrito, tutta l’energia che c’è prima dell’urto la ritroviamo nelle particelle dopo
l’urto (es.urto tra le biglie di un biliardo); negli urti elastici si conserva oltre la
quantità di moto anche l’energia.
 Anelastici= durante l’urto una parte di energia viene dissipata in calore, dopo l’urto
le particelle non avranno tuuta l’energia che avevano all’inizio, si conserva solo la
quantità di moto (es.urto tra due automobili).
 Anelastici totali= se dopo l’urto le particelle che urtano stanno attaccate tra di loro
(particcele che urtano, proiettile che si infila in un bersaglio)
Negli urti elastici l’energia e la quantità di moto si conservano, se due corpi hanno velocità
diverse, dopo l’urto, i valori della velocità si osservano invertiti, cioè i valori di energia e
quantità di moto prima e dopo l’urto saranno uguali.
P1 ,i + P2 ,i =P1 ,f + P 2 ,f E k, i=E k ,f

Negli urti anelastici, dopo l’urto, i due corpi saranno compenetrati e strettamente legati. Il
valore della quantità di moto sarà uguale a prima dell’urto, mentre l’energia sarà diminuita
a causa di calore o deformazione meccanica.
P1 ,i + P2 ,i =P1 ,f + P 2 ,f E k, i ≠ E k ,f

URTO ELASTICO (UNIDIMENSIONALE cioè su una retta-bersaglio in


quiete)
Durante un urto elastico l’energia cinetica dei due corpi può
variare, ma l’energia Ek del sistema deve rimanere costante. Due
particelle su una retta si muovono e si urtano. Dopo l’urto si
possono allontanare o viaggiare entrambe su una direzione.

Caso del proiettile contro un bersaglio


fermo
Supponiamo che, prima dell’urto, il
primo corpo (proiettile) sia in
movimento e il secondo (bersaglio) sia
in quiete: in questo caso il sistema si
risolve facilmente.

 Se le masse sono uguali


m1=m2 allora v 1, f =0 e
v 2, f =v 1 ,i (la prima si
ferma e la seconda si
mette in movimento con
velocità v).
 Urtando contro un muro m2 ≫ m1
allora v 1, f è circa=−v 1 ,i e
v 2, f è circa=0
 Se m1 ≪ m2 allora v 1, f è circa=v 1 ,i e v 2, f è circa=2 v 1 ,i

Se la particella 2 inizialmente
non è in quiete ma si muove:

URTI ELASTICI NEL PIANO (molto più realistico) fare bene

Abbiamo una particella che sta


viaggiando lungo l’asse x (fissiamo
un sistema di riferimento con
origine su una particella), che ne
urta un’altra (immaginiamo sia in
quiete) e dopo l’urto si allontanano
non sulla stessa retta, ma sul piano
in modo tale che la prima particella
forma un angolo θ1 rispetto
all’asse x, e la seconda particella un
angolo θ 2 rispetto all’asse x.
P2i=0
Essendo la quantità di moto un vettore dobbiamo considerare le due componenti lungo
l’asse x e lungo l’asse y. Sono solo 2 perché siam sul piano se no sarebbero state tre.
1 equazione quantità di moto lungo l’asse x
2 equazione quantità di moto lungo l’asse y (lungo l’asse y non c’è nessuna v, la seconda
particella è in quiete, quindi la quantità di moto lungo l’asse y prima dell’urto è 0)
3 equazione dell’energia cinetica (ne abbiamo una perché l’energia cinetica è uno scalare e
non bisogna dividerla nelle componenti).
Questo urto è tipico di quando un fotone urta un elettrone. Sono fenomeni che
permettono di utilizzare la TAC la PET.

URTO TOTALMENTE ANELASTICO


In questo tipo di urto si perde la massima quantità di energia cinetica compatibile con la
conservazione della quantità di moto. Si dice anelastico, in generale, un urto in cui
l’energia cinetica non si conserva. In un urto completamente anelastico la velocità finale,
che è la stessa per entrambi i corpi, è determinata dalla sola conservazione della quantità
di moto.
Principio di conservazione Energia cinetica: E1i+E2i=E1,2f v2i=0
Principio di conservazione quantità di moto: m1v1i+0=Mv12f=(m1+m2)v1,2f
M=m1+m2 (v12f)

CORPI RIGIDI e CENTRO DI MASSA


Negli urti tra particelle queste possono anche acquisire un’energia rotazionale, non per
forza traslazionale. A volte abbiamo degli urti in cui il trasferimento di energia da un corpo
all’altro, dopo l’urto è un’energia rotazionale. Per capire i moti rotazionali bisogna
comprendere il centro di massa e il baricentro di un sistema.
Ogni oggetto è attratto dalla Terra a causa della forza di gravità, ma dove è applicato
questo vettore Fpeso? Possiamo immaginare sia applicata in un punto il quale possiamo
immaginarlo come la concentrazione di tutta la massa dell’oggetto.
Se il corpo è rigido abbiamo una massa che nel tempo viene conservata e il centro di massa
è la risultante di tutte le forze che le varie parti del corpo rigido sentono dall’attrazione
terrestre. Un corpo rigido possiamo immaginarlo come un insieme di atomi o un insieme di
molecole collegati rigidamente fra loro. Ogni molecola tende ad essere attratta dalla terra
a causa della forza gravitazionale e la risultante di tutte queste forze è la Fpeso che è
applicata ad un punto detto centro di massa.
Se dobbiamo tracciare la traiettoria di un corpo, possiamo tracciare la traiettoria del suo
centro di massa con un punto. Il centro di massa è importante anche perché se un corpo
esplode (bomba), le varie parti avranno determinate velocità in base all’esplosione, ma il
centro di massa rimarrà a percorrere una traiettoria che rappresenterà il centro di massa
anche di tutti i frammenti che si sono formati dopo l’esplosione.
Il centro di massa (baricentro per le forze gravitazionali) di un sistema di corpi è la media,
pesata secondo la massa di ciascun corpo, delle posizioni dei singoli corpi.
Trovare il centro di massa significa trovare la distribuzione delle masse rispetto ad un
sistema di riferimento e rispetto alla massa totale del sistema.
Matematicamente dobbiamo consideriamo la posizione di ogni particella che costituisce
l’oggetto e le masse che costituiscono l’oggetto. Es. una molecola formata da atomi diversi
ognuno con masse diverse.
Σi mi ⃗
xi

x b=
Σi mi

Centro di massa fra corpi puntiformi


Consideriamo due particelle disposte sull’asse x, per trovare il centro di massa di queste
due particelle, facciamo un sistema di riferimento, la prima particella avrà distanza x1
dall’origine, la seconda x2 dall’origine. Il centro di massa sarà disposto sull’asse x e
corrisponderà alla coordinata x cm che è data da:

m1 x 1 +m2 x 2
x cm =
m1 +m2

Quello che troveremo sarà un punto (CM) che sarà al centro di quelle due masse se queste
fossero perfettamente uguali, oppure sarà più vicino alla massa maggiore e di quanto sarà
n
1
più vicino ce lo dirà questa formula: r cm = ∑ m r che rappresenta una media pesata
M i=1 i i
delle distanze rispetto alle masse.
Se le masse sono disposte su un piano o nello spazio tridimensionale, allora ogni massa m1
e m2 avrà coordinate x1, y1, z1, la seconda x2,y2,z2 e la terza x3, y3, z3
n
1
x cm = ∑m x
M i=1 i i

n
1
y cm = ∑m y
M i=1 i i

n
1
z cm = ∑m z
M i=1 i i

CENTRO DI MASSA DI UN CORPO RIGIDO


Consideriamo un corpo non nelle sue parti, ma nella sua integrità le formule diventano più
complesse e il simbolo di sommatoria si rifà all’integrale cioè una somma estesa su
quantità molto piccole.
Dal punto di vista matematico il centro di massa di un corpo rigido ha coordinate:
1
x cm =
M
∫ x dm ->massa infinitesimale

1
y cm =
M
∫ y dm
1
z cm =
M
∫ z dm

m
Parlare del centro di massa equivale a parlare della densità. La densità di un corpo è d=
V
Se il corpo è omogeneo la densità è costante e se il corpo è non omogeneo la densità è
variabile. La densità la indichiamo con ρ (ro). Se il corpo è omogeneo quindi la densità è
dm
costante avremo: ρ= da cui dm= ρdV densità acqua= 1g/cm^3
dV

1 ρ
Possiamo scrivere x cm =
M
∫ ρdV = M ∫ x dV
Ciò vuol dire che se abbiamo un corpo rigido uniforme/omogeno e la densità è costante e
quel corpo ha una forma regolare es. sfera (simmetria), il suo centro di massa corrisponde
con il centro della sfera. Se il corpo fosse un cubo il centro di massa corrisponde con il
centro del cubo. Se prendiamo una sfera e metà è di alluminio e l’altra metà di aria non è
più omogeneo e il centro di massa non sta più al centro della sfera, ma sarà spostato dove
c’è più densità, in questo caso verso l’alluminio.
Per le figure regolari il centro di massa (o baricentro) è il punto geometrico corrispondente
al valor medio della distribuzione della massa del sistema nello spazio (cioè al centro del
sistema). Il centro di massa è importante anche perché un oggetto sta in equilibrio quando
il vettore peso applicato al centro di massa ricade entro la base di appoggio es. torre di Pisa
sta ancora in piedi perché il vettore Fpeso cade dentro la base di appoggio, se si inclinasse
maggiormente ed esce dalla base di appoggio cade.

Moto del centro di massa


Quando parliamo di una forza applicata ad un oggetto, è come se questa forza la
applicassimo al centro di massa. Ad esempio se c’è un accelerazione è come se questa
fosse del centro di massa.
La quantità di moto possiamo definirla relativa al centro di massa. quando sul sistema non
agiscono forze esterne, cioè quando il sistema è isolato, ne consegue la legge di
conservazione della quantità di moto totale: la quantità di moto totale di un sistema è
infatti uguale al prodotto della massa totale del sistema per la velocità del centro di massa:
⃗⃗ dP
❑ F ( est )= =ma
dt

La quantità di moto del sistema è pari alla quantità di moto che avrebbe il centro di massa
se in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema.

Nei moti traslazionali il centro di massa si muove e anche tutto l’oggetto l’energia sarà
1 2
E= m v cm
2
Nei moti rotazionali il centro di massa del sistema potrebbe anche rimanere fermo e
spostarsi in un'altra parte. Es. la terra che ruota attorno all’asse.
Come facciamo a trovare l’energia in un moto rotazionale con centro di massa?
Prima di tutto dobbiamo fare delle considerazioni sul moto circolare. Sappiamo che
quando un oggetto ruota dobbiamo considerare la velocità tangenziale e la velocità
angolare e che si ha un’accelerazione centripeta che è uguale il prodotto della velocità
tangenziale per quella angolare.
Quando un punto sta percorrendo una traiettoria circolare e si sposta di un tratto s sulla
circonferenza di raggio r e durante questo movimento l’angolo di rotazione è θ allora c’è
una relazione tra lo spostamento e l’angolo s= θr
La velocità di questo punto sarà v=ds/dt ovvero v=(d θ /dt )r=ωr
La velocità tangenziale aumenta con l’aumentare di r e se la velocità angolare è costante
anche v è costante, quindi ogni punto descrive un moto circolare uniforme. Inoltre il tempo
impiegato per fare un giro completo viene detto periodo T, l’inverso del periodo è la
frequenza.
L’accelerazione può avere una componente tangenziale e radiale. Quella tangenziale è
presente quando il punto in rotazione ha una velocità il cui modulo non è costante cioè è
sottoposto ad accelerazione angolare. a t= =
ⅆv ⅆω
ⅆt ( )
dt
⋅r a t=αr = acc.angolare

Quella radiale o centripeta (ortogonale) è avvertita da ogni corpo che sia in rotazione con
2
v
una velocità di modulo crescente. a r= =ω 2 ⋅r
r

ENERGIA CINETICA ROTAZIONALE


Immaginiamo un corpo rigido che sta
ruotando attorno ad un asse, se il corpo
lo immaginiamo diviso in tanti piccoli
cubetti ognuno di questi sta facendo
una traiettoria circolare attorno all’asse
di rotazione. L’energia cinetica di un
cubetto sarà data da
1 2
E= m v ->velocità tangenziale quindi
2
1 2
E= mω r
2
Possiamo trovare l’energia totale come
1
∑ 2 mi ω2 r 2i
Mi= massa di ogni cubetto ω 2=velocità angolare uguale per tutti i cubetti ri= distanza che
c’è tra ogni cubetto e l’asse di rotazione.
1
Da questa sommatoria possiamo portare fuori i termini costanti E= ω ∑ mi r i
2 2
2

Momento di inerzia
Il momento di inerzia si oppone alla variazione della velocità angolare come la massa si
oppone alla variazione della velocità lineare. Cioè il momento di inerzia rappresenta come
è distribuita la massa attorno all’asse di rotazione.
2 1
Questo momento lo chiamiamo I e significa che l’energia cinetica ECR = I ω (e.c.rotaz.)
2
Tra l’energia cinetica rotazionale e l’energia cinetica traslazionale c’è una similitudine.
MOMENTO DI INERZIA
Come la massa si oppone alla variazione della velocità, così il momento di inerzia si oppone
alla variazione della velocità angolare, ma l’efficacia della sua opposizione dipende da
come la massa è distribuita attorno all’asse di rotazione.
Se l’oggetto di cui vogliamo conoscere il momento di inerzia gè un sistema discreto di n
punti, basterà applicare per ogni punto la definizione di g=mr 2 e poi sommare i vari
n
contributi per ottenere il momento di inerzia totale I =∑ mi r i
2

Se invece l’oggetto è una grandezza continua allora sarà più semplice calcolare tramite
l’integrale:
rmax

I =∫ r 2 dm l’integrale rappresenta la forma dell’oggetto, r= rappresenta la forma


rmin

dell’oggetto attorno all’asse di rotazione e dm= rappresenta una piccola parte dell’oggetto.

Come calcolarlo per figure regolari e omogenee?

2
MR
I=
2

Se il cilindro fosse cavo

1 2 2
I = M ( R2−R 1)
2
Si può dimostrare che detto Icm il momento di inerzia rispetto a un asse passante per il
centro di massa del corpo, il momento di inerzia rispetto ad un altro asse parallelo a quello
dato e distante d da esso è I =I cm +m d 2

Questo momento di inerzia è data dal teorema di Steiner. Il teorema ci dice che nel caso
un oggetto ruoti attorno ad un asse non passante per il centro di massa I =I cm +m d 2

Icm= il valore che avrebbe se ruotasse attorno il centro di massa M=massa oggetto
d=distanza che c’è tra l’asse sul quale sta ruotando rispetto all’asse parallelo passante per
il centro di massa.

Immaginiamo di avere una pallina che si muove su di un piano orizzontale, ma si sta


muovendo perché la pallina sta ruotando allora ci saranno due forme di energia cinetica:
1
2
 Energia cinetica di traslazione E= M v cm
2
12
 Energia cinetica rotazionale E= I ω
2
La rotazione non sta venendo attorno all’asse passante per il centro di massa, ma attorno
al punto di appoggio che cambia continuamente. Per calcolare il momento di inerzia che ha
la pallina quando ruota sul piano dobbiamo applicare il teorema di Steiner che ci dice:
2 2 2 2 7 2
I =I cm + M R = M R + M R = M R
5 5
L’energia totale di questa pallina è la somma dell’energia cinetica di traslazione e quella
rotazionale. E(tot.)=Ec(trasl.)+Ec(rotaz.)

Corpo che ruota su un piano inclinato

leggere
Energia meccanica di un corpo che rotola (sfera-cilindro)

Si trova infine v=
√ 2 Mgh
M + I /R 2

Il cilindro arriva alla base prima


della sfera
Momento di inerzia del cilindro
è più grande, per tanto
l’energia rotazionale del
cilindro è più grande

Etot=Ecr+Ec+Up=costante

CONFRONTO TRA MOTO ROTATORIO E TRASLATORIO

Moto traslatorio Moto rotatorio


Spostamento s Spostamento angolare θ
∆s ∆θ
Velocità v= Velocità angolare ω=
∆t ∆t
∆v ∆ω
Accelerazione a= Accelerazione angolare a=
∆t ∆t
Massa m Momento di inerzia I
Forza F=ma Momento della forza τ =Ia
Lavoro L=Fs Lavoro L=τω
21 1 2
Energia cinetica E= mv Energia cinetica E= I ω
2 2
Potenza P=Fv Potenza P=τω
Quantità di moto p=mv Momento angolare ⃗L=I ⃗
ω

Parallelismo
Moto traslazionale Moto rotazionale
1 2 1 2
s ( t )=s 0 + v 0 t + a t θ ( t )=θ0 +ω 0 t+ γ t
2 2
1 2 1 2
Ec = mv ECR = I ω
2 2
F=ma M =Iγ
L=Fs L=Mθ
L Fs L Mθ
W = = =Fv W= = =Mω
t t t t
⃗P=m ⃗v ⃗
L=I ⃗ ω
Esempio: una ballerina sulla pista di ghiaccio che ruota su se stessa ha un momento
angolare ⃗L=I ⃗ω che è un vettore che giace sull’asse di rotazione. Se la ballerina apre le
braccia o chiude le braccia, indipendentemente da cause esterne, il prodotto I ⃗ ω deve
mantenersi costante. Se questo prodotto si mantiene costante significa che quando la
ballerina porta le braccia vicino al corpo, il momento di inerzia si riduce perché le masse si
avvicinano all’asse di rotazione, I diventa più piccolo quindi ω diventa maggiore. Quindi
una ballerina che ruota avvicinando le braccia al corpo, ruota più velocemente, se invece
allarga le braccia I diventa più grande e ω diventa più piccolo quindi la ballerina gira più
lentamente. Questo esempio spiega perché il principio di conservazione del momento
angolare vale nei sistemi ruotanti e comporta una dinamica rotazionale diversa per il
principio di conservazione del prodotto I ⃗ ω.

Giroscopio (leggere)
Il giroscopio è un dispositivo fisico rotante che, per effetto della legge di conservazione del
momento angolare, tende a mantenere il suo asse di rotazione orientato in una direzione
fissa. Essenzialmente è costituito da un rotore a forma di toroide che ruota intorno al suo
asse, quando il rotore è in rotazione il suo asse tende a mantenersi parallelo a se stesso e
ad opporsi ad ogni tentativo di cambiare il suo orientamento. Questo meccanismo fu
inventato nel 1852 dal fisico Foucault nell'ambito dei suoi studi sulla rotazione terrestre. Se
un giroscopio è installato su una sospensione cardanica che permette alla ruota di
orientarsi liberamente nelle tre direzioni dello spazio, il suo asse si manterrà orientato
nella stessa direzione anche se il supporto cambia orientamento.
L'effetto giroscopico è presente come effetto collaterale in tutti i dispositivi in rapida
rotazione quali i volani e gli hard disk per computer e deve essere tenuto in considerazione
nella progettazione. Un giroscopio mostra una serie di fenomeni, tra cui la precessione.

Ricapitoliamo: Concetto di momento


I momenti in fisica sono cose molto diverse fra loro. certamente non hanno sempre la
stessa unità di misura. Esistono momenti di inerzia, momenti di forze, momento della
quantità di moto (anche detti momenti angolari), momenti torcenti, momenti elettrici e
momenti magnetici, ect.

1. Principio di conservazione dell’Energia: E=costante


2. Principio di conservazione della quantità di moto: ⃗
Q=costante
3. Principio di conservazione del momento angolare: ⃗L=costante

2.MECCANICA DEI FLUIDI


FLUIDOSTATICA E FLUIDODINAMICA
Statica dei fluidi: si occupa di fluidi (liquidi e gas) in quiete o in moto rettilineo uniforme.
Si parla di fluidi ideali->cioè incomprimibili, per i quali se c’è un movimento si trascurano le
forze di attrito.
Gli stati della materia sono 3:
 Solido: conserva forma e volume
 Liquido: conserva il volume ma non la forma
 Gassoso: non conserva ne volume ne forma
La natura che ci circonda per il 98% non è in questi stati. Ad l’universo è formato da stelle
le quali sono formate da plasma cioè un gas ionizzato (4 forma della materia).
Nello studio dei liquidi e poi ancora di più del gas, incontreremo due tipi di grandezze:
 Estensive -> sono le grandezze fisiche di un materiale o di una sostanza che
dipendono dalla dimensione del campione: massa, peso, lunghezza, volume,
energia.
 Intensive -> non dipendono dalle proprietà del campione: densità, temperatura,
pressione, colore. Sono grandezze definibili punto per punto all’interno del corpo,
indipendentemente dalla sua forma e volume.
Nello studio dei liquidi hanno un ruolo importante la densità e la pressione.

DENSITÀ
La densità di un liquido in punto è il rapporto tra il volume di una sferetta piccolissima
m
centrata nel punto e la massa in esso contenuta: d= g/c m acqua d=1 g/c m
3 3
V
Quando applichiamo una forza non possiamo applicarla su di un fluido in un determinato
punto come facciamo per i solidi dove le molecole sono tutte legate tra loro. Su un fluido le
molecole sono meno legate(nei liquidi) o per nulla legate (nei gas).
Per ottenere una risposta alla forza applicata su di un fluido dobbiamo applicare una
pressione.
PRESSIONE
La pressione in un punto è definita considerando una piccolissima superficie circolare
centrata nel punto e la forza che il liquido da una parte della superficie esercita sull’altra
parte in direzione perpendicolare alla superficie stessa.
F n Fn dF
p= = o con la derivata p= unità di misura N /m2=¿ Pa (Pascal)
∆s ∆s dt
La pressione è una grandezza scalare.
I misuratori di pressione si chiamano manometri.

PRINCIPIO DI PASCAL
Ogni qual volta si applica una pressione a un fluido (es. acqua contenuta in un recipiente),
questa pressione si esercita su tutta la superficie del fluido stesso. Di tutto ciò se ne
accorse Pascal. Immaginiamo un liquido che è incomprimibile (volume costante), se lo
premiamo su una certa superficie tutta la superficie ne risente (perché i legami tra le
molecole ci sono anche se deboli).

Esperimento di pascal:

Consideriamo un recipiente di plastica contenente dell’acqua;


questo recipiente presenta, sulla sua superficie, dei piccolissimi fori,
talmente piccoli che l’acqua non è in grado di fuoriuscirne con la
pressione che essa esercita dovuta solamente alla forza-peso.
Ipotizziamo di esercitare una forza esterna spingendo un pistone
sull’imboccatura del recipiente; la pressione che si viene a creare fa
si che l’acqua riesca a fuoriuscire dai buchi. In particolare, notiamo
che l’acqua zampilla allo stesso modo da ogni buco; ciò dimostra che la pressione che
stiamo esercitando si distribuisce in maniera uniforme su tutto il liquido nel recipiente. Per
la legge di Pascal, inoltre, la pressione di diffonde su tutte le pareti del recipiente; esse,
infatti, risultano sottoposte a delle forze interne perpendicolari alla loro superficie. Tali
forze, quindi, risulteranno sempre più intense mano a mano che ci avviciniamo al fondo del
contenitore, dove è esercitata la massima pressione.

Principio dei vasi comunicanti: se avessimo dei vasi, diversi, e mettiamo un liquido, questo
ha la stessa altezza in tutti i vasi. La pressione che si esercita in un punto della superficie
del fluido si trasmette inalterata a tutti i punti della superficie.

Una delle applicazioni del principio di pascal è il torchio idraulico


Il torchio idraulico consente di tenere in equilibrio
(oppure sollevare) un peso grande mediante una forza
piccola. È costituito da due vasi (cilindri) comunicanti
contenenti un liquido e da due pistoni. Se applichiamo
una forza F 1nel pistone del vaso a sinistra (più piccolo)
F1
otteniamo una pressione p1= . Questa pressione che
F2
esercitiamo sul pistone più piccolo si trasmette, per la
legge di Pascal, al pistone più grande il quale viene spinto verso l’alto con una forza F 2,
F2
ottenendo una pressione p2= = p1 quindi la pressione viene applicata a tutto il liquido.
F1
S2
Si ottiene così una forza F 2= F 1 che risulta più grande di F1 se S2>S1.
S1

LEGGE DI STEVINO
Per calcolare la pressione che si esercita quando un liquido è dentro un contenitore.
Nel caso dei liquidi su un generico punto interno al liquido, oltre alla pressione che si
esercita sulla superficie e
che viene trasmessa in
ogni punto del liquido per
il principio di Pascal, si
esercita anche la
pressione dovuta al peso
degli strati di liquido
sovrastanti il punto. La
pressione dovuta alle
forze peso è detta
pressione idrostatica.
Consideriamo un
elemento di superficie ∆ S
intorno al punto P e
orientato
orizzontalmente.
Normalmente su ∆ S
agisce la forza peso del liquido sovrastante avente volume ∆ Sh.
Tale peso è dato da p=mg dive m=Vd=d ∆ Sh. La pressione idrostatica nel punto P è data
mg
dalla legge di Stevino: p= =dgh
∆S

La pressione esercitata sulla base del recipiente dipende dal tipo di liquido, dalla sua
densità, da g (accelerazione di gravità) e dall’altezza del liquido.
La pressione è dirett. Proporz. Sia alla densità del liquido sia alla sua profondità.
La pressione atmosferica è la pressione idrostatica della colonna d’aria sovrastante un
elemento di suprficie, tuttavia in questo caso la densità dell’aria non è costante.

Sulla superficie del mare e di altri liquidi agisce la pressione atmosferica p0. Dato che per la
legge di Pascal essa si trasmette inalterata nel liquido, alla pressione totale p a profondità h
contribuiscono sia la pressione atmosferica sia la pressione dovuta al peso del liquido.
La legge di Stevino ci dice che la pressione è la stessa ad uguale profondità. Sappiamo
inoltre che sulla superficie di un liquido la pressione è quella atmosferica. Una
conseguenza di questa legge è che siccome la pressione atmosferica in una località è
costante, se due vasi sono in comunicazione alla loro superficie la pressione è la stessa
quindi l’altezza del liquido nei vasi comunicanti è la stessa.
Se consideriamo che sulla superficie libera agisce la pressione atmosferica allora scrivere la
legge di Stevino come: P=P0+ dgh

Il liquido nei vasi sanguigni (sangue) si può considerare come se fosse in un contenitore.
Anche il sangue risente della pressione idrostatica p=p(sangue)+dhg
PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
Se un corpo solido viene immerso in un liquido, sulla superficie del corpo si esercita un
sistema di forze dovute alla pressione idrostatica. Se al posto del corpo ci fosse il
corrispondente volume di liquido, la risultante delle forze equilibrerebbe la forza peso del
volume del liquido. Si può enunciare il principio di Archimede: un corpo immerso in un
liquido è sottoposto ad un sistema di forze la cui risultante è una forza verticale diretta dal
basso verso l’alto avente intensità uguale al peso del volume del liquido spostato.

Quando immergiamo un oggetto in un fluido, questo riceve una spinta pari al peso del
volume di liquido spostato. Supponiamo di avere un solido formato da un cilindro e lo
immergiamo in un liquido, gli diamo una forza. Sull’oggetto agiscono delle pressioni. Su
quelle laterali abbiamo pressioni laterali che si annullano perché se c’è una pressione da
sinistra o destra ce ne sarà una pari e opposta da destra a sinistra.
Le pressioni superiori abbiamo p1=ρl ghe pressione inferiore p2=ρ l g ( h+ ∆ h )
Ftot
ptot = p2 −p 1=ρl g ∆ h= F tot =Ptot S= pl g ∆ hS= pl g ∆ V =ml g (spinta di Archimede)
S
m=massa liquido spostato V= volume liquido spostato
La spinta dipende dalla densità del liquido, se è elevata la spinta è maggiore.
-Se ds=dl la densità del solido è uguale a quella del liquido il corpo solido galleggia
-Se ds>dl il corpo va a fondo, sprofonda
-Se ds<dl il corpo sale verso la superficie
Quindi se il peso è maggiore della spinta di Archimede il corpo affonda (es. ancora di una
nave in acqua), se invece il peso è minore della spinta di Archimede il corpo sale (es.
palloncini ad aria)

Applicazioni principio di Archimede: nella fluidodinamica si applica allo stato aeriforme e


gassoso mentre nella statica si applica anche a gas caldi e freddi.
Esempio: nei pesci si ha una vescica natatoria ossia un organo a forma di sacco che
riempiendosi o svuotandosi d’aria permette al pesce di salire o scendere a minore o
maggiore profondità.
Esperimento di Torricelli
Il valore della pressione atmosferica può essere misurato attraverso l’esperimento di
Torricelli. Torricelli prese una provetta di vetro di 1m e la riempì di mercurio fino all’orlo.
Tappò l’estremità della provetta e la capovolse, immergendola in una bacinella piena di
mercurio. Una volta rimosso il tappo si osservò che la provetta non si svuotava
completamente, ma il liquido ad un certo punto si fermò a metà dell’altezza, a 760 mm (76
cm). A questa altezza la colonna di mercurio esercita una pressione che eguaglia quella
atmosferica.
patm = p0= ρHg g ∆ h →1 atm=760 mmHg

( g
cm )( m
s ) 5 N

m
5
Nel S.I. si ha 1 atm= 13.6 3 9.81 2 ( 760 mm )=10 2 =10 Pa
il bar è un multiplo del Pascal che si usa in meteorologia: 1bar=10^5 Pa
La pressione atmosferica standard è definita dal valore convenzionale p0=1.01 ×10 5 Pa
La pressione atmosferica agisce su di noi sempre. Non la avvertiamo perché è compensata
da una pressione uguale che l’atmosfera esercita dall’interno del nostro organismo verso
l’esterno.
Torricelli utilizzò il mercurio e non l’acqua perché il mercurio ha una densità maggiore. Se
avesse utilizzato l’acqua avrebbe dovuto prendere una provetta molto più alta.
Manometro a mercurio
Un manometro a mercurio è un tubo verticale di vetro o plastica riempito di mercurio
liquido utilizzato per misurare la pressione dei gas. Esistono versioni aperte e chiuse, con la
differenza che un manometro a tubo chiuso ha un vuoto sopra il mercurio nell’estremità
chiusa, mentre il manometro a tubo aperto è aperto all’aria. I manometri aperti misurano
la differenza di pressione tra il gas da campionare e l’aria ambiente. I dispositivi a tubo
chiuso misurano la pressione assoluta del gas campionato in base all’altezza del mercurio
nel tubo.
Unità di misura della pressione: mmHg, Pa, bar, atm, baria.
PRESSIONE NEL SANGUE
Quando si parla di pressione arteriosa la scala di riferimento è il millimetro di mercurio
( mmHg) La pressione arteriosa è letteralmente la forza che il sangue esercita sulle pareti
delle arterie quando viene pompato dal cuore. Ogni volta che il cuore si contrae (sistole)
pompa sangue nelle arterie che si dilatano al passaggio del sangue. In questa fase si parla
di pressione massima o sistolica cioè la pressione massima determinata dalla contrazione
del cuore nelle arterie al momento dell’espulsione del sangue Pmax=120 mmHg
La pressione diastolica o minima è la pressione minima che si riscontra nei vasi arteriosi
tra le fasi di contrazione dei ventricoli, quindi nella fase di rilassamento. Pmin=80mmHg.
Valori normali di pressione nel sangue:
-pressione sistolica (massima) tra 110-140 mmHg
-pressione diastolica (minima) tra 60-90 mmHg
-differenziale tra 40-50 mmHg (è la pressione arteriosa media cioè la differenza tra la
massima e la minima)
La pressione arteriosa si misura con lo SFIGMOMANOMETRO
Lo sfigmomanometro è costituito da un manicotto che viene avvolto attorno alla parte
superiore del braccio (all’altezza del cuore), dove le arterie più grandi sono facilmente
accessibili; poi viene gonfiato fino a quando la pressione al suo interno è sufficiente a
chiudere l’arteria, bloccando il flusso sanguigno. A questo punto si lascia sgonfiare
gradualmente il manicotto e con uno stetoscopio si ascoltano i suoni prodotti dal sangue
che riprende a circolare. Il primo suono corrisponde al primo passaggio di sangue
attraverso l’arteria ancora in parte occlusa, ed è la pressione sistolica.
Man mano che il manicotto si sgonfia, il sangue comincia a fluire in modo irregolare
attraverso l’arteria. Quando la pressione del manicotto scende al di sotto di quella
esercitata dal sangue contro l’arteria durante la diastole, il sangue scorre normalmente e i
suoni cessano. Sul manometro quindi si leggerà la il secondo valore che corrisponde alla
pressione diastolica.

FLUIDODINAMICA (per liquidi ideali)


Descrivere lo stato dinamico di un fluido è molto più complesso
che descrivere il moto di una particella o un corpo rigido. Un
fluido è composto da moltissime particelle che si muovono, lo
studio di questi movimenti è complesso. Esiste però un caso più
semplice. La descrizione della dinamica dei fluidi si semplifica nel
caso di stato di moto stazionario. In un moto stazionario la
velocità delle particelle del fluido dipende soltanto dalla loro
posizione all’interno del fluido. Osservando che la velocità è
sempre tangente alla traiettoria se ne deduce che la traiettoria di tutte le particelle che
passano in un punto è la stessa e non dipende dal tempo. Le linee che descrivono le
traiettorie delle particelle del fluido si chiamano linee di corrente o di flusso. Queste linee
non si intersecano mai.

Poiché la misura sperimentale della velocità delle singole particelle di fluido non è agevole,
è conveniente introdurre una quantità: la portata.
Si definisce PORTATA (Q) o flusso di velocità, in un condotto, il volume V di fluido che
attraversa una sezione S del condotto nell’unità di tempo. Unità di m: m3 /s o c m3 /s è un
prodotto scalare. Questa definizione di portata può essere applicati sia a liquidi che gas.
Se un fluido è incomprimibile (liquido) allora la portata di un tubo sarà costante, se non ci
sono perdite.
Se la velocità delle particelle è la stessa in tutti i punti la portata si calcola:
V S ∆l dV
Q= = =Sv Q=
∆t ∆t dt

Se la sezione del tubo cambia, la portata si conserva e si modifica la velocità


S1 v2
Q=S 1 v 1=S 2 v 2 → = (equazione di continuità di un liquido).
S2 v1
Il principio di continuità stabilisce che nei liquidi ideali la portata attraverso un
tubo di sezione variabile resta costante Q=costante. Al diminuire della sezione aumenta la
velocità del fluido, e viceversa all'aumentare della sezione diminuisce la velocità.
dV
Q= =dS dv=costante
dt
Inoltre se non c’è attrito e non ci sono perdite di energia durante il moto, il fluido che entra
nel condotto per unità di tempo è uguale a quello che esce per unità di tempo.
Energie fluido: in un fluido ideale senza attrito le energie in gioco sono: variazione energia
cinetica della massa del volume di liquido considerato, variazione energia potenziale della
massa di liquido considerato e lavoro di spinta del liquido nel condotto.

Lavoro delle forze di


pressione
(piezometrico)
Immaginiamo di avere
un condotto cilindrico
orizzontale. Se vogliamo
far fluire un liquido o un
gas dobbiamo applicare
una certa pressione (si
dice applicare una
pressione piezometrica)

Lavoro delle forze di


gravità
Può essere Positivo : se il liquido scende
Negativo: se il liquido sale
Lg =F ∆ x=−∆ U p=−mg ( h2−h1 ) =−mg ∆ h
Il lavoro totale durante il flusso da una zona all’altra è: Ltot =L p + Lg =∆ PV −mg ∆ h
Applicando il teorema dell’energia cinetica:
Ltot =∆ E c ovvero ∆ PV −mg ∆ h=∆ Ec

TEOREMA DI BERNULLI
Nel caso particolare in cui il fluido sia incomprimibile e privo di forze d’attrito (liquido
perfetto), si può dedurre dal principio di conservazione dell’energia un’equazione, nota
come teorema di Bernulli.
Per ricavare il teorema di Bernulli, consideriamo un condotto con sezione altezza variabili.
All’interno del condotto scorre un fluido ideale dunque incomprimibile e non viscoso.
Consideriamo due punti del condotto ognuno con una propria sezione S, una pressione p,
una velocità v di scorrimento del fluido e un’altezza y
Indicando con ρ la densità, il teorema di Bernulli ci dice che vale la seguente equazione:
1 2
p+ ρ v + ρvy = costante
2
Pressione Piezometrica= pressione di spinta del liquido in un vaso
1 2
Pressione di moto, idrodinamica = ρ v
2
Pressione idrostatica, di quiete = ρgh
Tale legge contiene anche le leggi che abbiamo visto in idrostatica, per esempio la legge di
Stevino. Infatti considerando il liquido in quiete in un recipiente, rispetto ad una quota di
riferimento si ha:

TEOREMA DI TORRICELLI
Un caso particolare del teorema di Bernulli è dato dal liquido che fuoriesce da un
contenitori ad una profondità h attraverso un forellino. I due punti di riferimento da
utilizzare sono la superficie del liquido e il forellino. Sulla superficie che è ferma (v=0), la
pressione è quella atmosferica e l’altezza dal forellino è h. nel forellino la pressione è
sempre quella atmosferica ma l’altezza geometrica è 0. Quindi tutta l’altezza geometrica si
trasforma in altezza cinetica.

Applicazioni teorema di Bernulli


Es. porte che sbattono, flusso di un rubinetto, ala aeroplano
Nebulizzatore è apparecchio che consente la
dispersione di un liquido, nell’aria o in altro gas,
sotto forma di goccioline minutissime. è
costituito essenzialmente di un ugello nel quale
è immesso, generalmente per mezzo di aria
compressa, il liquido, e di un diffusore attraverso
cui il liquido stesso è disperso e diretto.

In medicina:
-aneurisma= rigonfiamento arteria/vena (velocità
diminuisce)
-stenosi= restringimento arteria/vena (velocità
aumenta)

Due importanti fluidi dove applicare la


trattazione esposta per la fluidostatica e fluidodinamica dei fluidi ideali sono:
-Acqua: molecole di H2O ρ=1 g /c m3, liquido con volume proprio e forma del recipiente che
le contiene, legame tra le varie molecole (legame idrogeno). Temperatura allo stato
solido= 0℃ , temp. Evaporazione= 100 ℃
-Aria: il gas non ha volume proprio ne forma propria, non c’è legame tra le varie molecole
del gas e dipende fortemente da pressione, volume e temperatura (PV=nRT)

FLUIDI REALI
 Hanno viscosità
 Parzialmente comprimibili
 Moto laminare e turbolento
 Distribuzione di velocità in ogni sezione
Nella realtà i fluidi sono soggetti ad attriti interni e anche con le pareti. Gli attriti
trasformano irreversibilmente l’energia cinetica in calore. Si ha quindi un perdita di energia
meccanica dovuta all’attrito. Per mantenere costante la portata di un tubo occorre
esercitare su uno degli estremi una differenza di pressione ∆ p
Durante lo scorrimento di un fluido reale in un condotto si manifestano forze di attrito
interne che ostacolano il moto. Esse sono proporzionali alla velocità (piccole velocità) o al
quadrato della velocità (grandi velocità). Esse sono dovute alle forze di coesione fra le
molecole del fluido ed alle forze di attrito fra e molecole del fluido e le pareti del condotto.
Tali forze di resistenza sono l’origine di una proprietà del fluido detta viscosità e producono
una perdita di energia che si trasforma in calore.

Quando un liquido scorre in un recipiente le molecole non si muovono tutte con la stessa
velocità.
d ⃗v ∆ ⃗v
Gradiente di velocità: grad ⃗v = =
dx ∆ x

La differenza principale tra un fluido ideale e un fluido reale è la presenza della viscosità,
che tende a ostacolare il moto del fluido imponendo che nelle equazioni del moto usate
per i fluidi perfetti siano introdotti termini correttivi che tengano conto della dissipazione
di energia causata dall’attrito interno tra le molecole. Inoltre, un fluido reale, a differenza
di un fluido ideale, può presentare due modalità di scorrimento a
seconda della v con cui un fluido si muove in un tubo:
1. flusso laminare: il flusso scorre in strati che scivolano
l’uno sull’altro senza mescolarsi; la v è parallela alle
pareti (v bassa)
2. flusso turbolento: il flusso scorre con mescolamento
di porzioni di fluido, cioè in modo disordinato e caotico
formando dei vortici (v alta)
Il moto laminare può essere un moto stazionario se la pressione
è costante nel tempo. Il moto turbolento non è un moto
stazionario.

Si consideri un liquido viscoso che scorre in un condotto orizzontale a sezione costante, di


forma cilindrica e raggio R. Sperimentalmente per mantenere costante la velocità occorre
applicare una forza che eguagli in modulo la forza d’attrito per la quale vale:
∆v
F att =ηA delta v/delta r= gradiente di velocità
∆r
A= superficie laterale del cilindretto di fluido di raggio r e lungo l,
carico di scorrimento ∆r
η (eta)= coefficiente di viscosità= =F ∆v
velocità di deformazione relativa A

È una grandezza scalare e l’unità di misura N s/m^2= Pa s.


In biologia si usa un sottomultiplo del Pascal, 1 poise=0.1 Pa s

La viscosità non è una grandezza perfettamente costante, cambia con il cambiare delle
condizioni, per esempio cambia con la temperatura, con la v del liquido, a seconda del tipo
di concentrazione. Nei liquidi temperatura e viscosità sono inversamente proporzionali,
perché aumentando la temperatura diminuisce la coesione tra le molecole. Viscosità di
alcuni fluidi: acqua 0.3 x 10^-3. Liquidi molto viscosi sono, per esempio, gli oli lubrificanti,
la glicerina, alcune resine; liquidi poco viscosi, sono l'acetone, l'etere, il benzene.
I liquidi si dividono in:
 NEWTONIANI = viscosità costante- acqua, plasma
 NON NEWTONIANI = viscosità variabile- oli grassi
 A CORPI DI BINGHAMA= iniziano a scorrere solo dopo che la forza ha superato un
certo valore di soglia detto valore limite di scorrimento-sangue nei capillari

Moto di un fluido reale


Nei fluidi reali non vale più il teorema di Bernulli in quanto non tiene conto delle forze di
attrito incontrate da un liquido reale nel suo moto. Il liquido dissipa energia per attrito e si
ha perdita di pressione lungo il condotto e l’equazione di continuità non è più valida.

In tanti casi non possiamo applicare il teorema di Bernulli perché il liquido è reale,
specialmente se la soluzione è complessa es. sangue
Ogni liquido può scorrere meglio o peggio di un altro a seconda di come è posta, facciamo
ricorso alla viscosità.
Nei liquidi ideali vale il principio di continuità Q=costante e in un tratto orizzontale a
sezione costante ∆ P=0
Nel caso di liquidi reali Q≠ costante quindi non vale il principio di continuità e in un tratto
orizzontale a sezione costante ∆ P ≠ costante
Un condotto può essere tale da far viaggiare il liquido bene anche se avesse alta viscosità
oppure piò essere un condotto che oppone molta difficolta al passaggio del liquido in
questo caso si parla di resistenza.

Come si calcola la portata di un liquido reale?


Dimostrazione legge di Hagen-Poiseuille
Questi due studiosi hanno fatto uno studio sulla dinamica dei fluidi reali per ricavare alla
fine questa legge che ci permette di calcolare la portata di un liquido reale.
Considerando un vaso, un condotto di sezione cilindrica perfettamente orizzontale in cui
immaginiamo di voler fare muovere il liquido reale da sinistra verso destra. A sinistra c’è
una pressione piezometrica p1 e a destra c’è la pressione p2 che deve essere minore della
p1 per muoversi il liquido da sinistra verso destra. Queste due pressioni si trovano ad una
certa altezza rispetto al sistema di riferimento, chiamata h1 e he. Essendo le superfici delle
due zone uguali, se il liquido fosse ideale con h1=h2 le velocità sarebbero uguali v1=v2. Nel
caso del liquido reale se h1=h2 la v1 >v2 perché una parte di energia si perde per le forze
di attrito e ∆ P=P1−P2 cioè la differenza di pressione viene chiamata dai due fisici caduta
di pressione del liquido reale.
Quanta energia occorre per mantenere costante la velocità?
Nel moto laminare questo studio vale per velocità non troppo elevate. Per velocità troppo
elevate invece il regime (moto) laminare diventa un regime turbolento e questa teoria poi
non vale più perché subentrano altre complessità.
Il lavoro delle forze di attrito su un singolo filetto fluido (un singolo cilindro) di superficie
v
laterale A=2 πrl , raggio r. lunghezza l e velocita v sarà: −Lattr =F attr l=ηA l
r

Il segno meno del lavoro indica che si oppone al moto, l=lunghezza cilindro

Da questa ipotesi ci possiamo ricavare la velocità del flusso del cilindretto centrale:

La portata del cilindretto dipende dal prodotto tra velocità e superficie di base del
cilindretto. Questa portata la chiamiamo dQ perché è la portata solo della zona centrale.
Per calcolare la portata di tutto il condotto dobbiamo calcolarci la portata di tutti i
cilindretti e poi sommarli, matematicamente si applica il concetto di sommatoria che
R
( P1−P2 ) π r 3 dr ∆ Pπ R 4 ∆ Pπ R 4
R

significa integrale: Qtot =∫ dQ=∫ = =


0 0 2 ηl 2∙ 4 ηl 8 ηl

Questa formula è detta formula di Haigen-Poiseuille e ci dice che la portata di un liquido


reale dipende dalla caduta di pressione ∆ P , dal raggio del condotto (non è lineare ma
quadratica, anche se variamo di poco il raggio del condotto la portata cambia, si riduce di
molto). La portata è proporzionale e cresce con la caduta di pressione e il raggio del
condotto ed è inversamente proporzionale alla viscosità e alla lunghezza del condotto cioè
se un liquido ha alta viscosità la portata sarà bassa. L’acqua ha bassa viscosità.
In questa formula ci sono due grandezza che rappresentano la dinamica dei liquidi reali e
sono la portata Q e ∆ P e poi ci sono delle grandezze che ci informano sul tipo del liquido
(la viscosità) e sul tipo di condotto (sulla base del raggio e della lunghezza).
∆P 8 ηl
Possiamo considerare questa formula anche come: Q =R= 4 dove R= resistenza
πr
idrodinamica (u.misura Pa/(m^3/s)=Pa s/m^3) che rappresenta la difficoltà che un fluido
fluisca in un certo condotto. Se la resistenza è grande il liquido scorrerà male in quel
condotto, se è piccola il liquido scorre bene. La resistenza idrodinamica cresce con la
viscosità e la lunghezza e cresce quando il raggio del condotto è molto piccolo. Ad esempio
in un singolo capillare la resistenza idrodinamica è molto elevata, il liquido per passare in
un capillare sanguigno che ha un diametro di 5-7 micron significa che deve superare una
certa resistenza idrodinamica che è molto grande.
4
πr
Da cui Q= ∆ P detta formula di Poiseuille. Se ne deduce che per avere una portata
8 ηl
costante bisogna mantenere una differenza di pressione costante nell’unità di lunghezza
del tubo.
Velocità in un condotto
Le velocità all’interno di un condotto reale e un liquido reale sono diverse sono maggiore al
centro e nulle sulle pareti (es. in un fiume la corrente scorre più veloce al centro e più lenta
ai bordi). Si può esprimere la velocità attraverso la relazione
∆P 2 2
v (r )= (R −r ) r= distanza dal centro del tubo di raggio R
4 ηl

In un tubo cilindrico l’andamento della velocità è esattamente parabolico con un massimo


al centro e un valore nullo al bordo.
SANGUE
La velocità del sangue nell’arteria polmonare (arteria di collegamento cuore-polmoni). Nel
plasma sono immersi tante cellule eritrociti, piastrine, Sali, proteine…
Questi elementi fanno si che abbia un viscosità non come quella dell’acqua (il sangue è
composto da acqua) ma più elevata. La viscosità nell’arteria polmonare a 37 ℃ è 0.004527
Pa s. questa viscosità è una viscosità media perché a secondo la persona, l’età, le patologie
può cambiare. I vasi sanguigni sono vasi a sezione variabile, cambia andando dalla zona più
vicina al cuore verso la periferia e il condotto si complica perché abbiamo delle
ramificazioni del condotto, dei restringimenti che possiamo studiare con la legge di Hagen-
Poiseuille, perché quasi sempre nel caso del circolo sanguigno il regime lo possiamo
ritenere laminare, anche se in certe condizioni può diventare turbolento.
Esempio: calcola la velocità del sangue nell’arteria polmonare sapendo che l=8.5 cm e
vL
p1-p2= 450 Pa e il raggio r=2.4 mm. Formula: p1− p2=8 πη
A
( p 1− p 2 ) A ( p 1−p 2 ) r 2
da questa formula ci calcoliamo la v= = =
8 πηl 8 ηl
2
450 Pa ( 0.0024 m )
=0.85 m/s
Ns
8(0.0045 2 )(0.085)
m
Resistenza idrodinamica del vaso sanguigno
Ogni vaso sanguigno ha una sua resistenza idrodinamica. Questa resistenza è molto bassa a
livello delle grandi arterie per esempio nell’aorta. Nei vasi di piccolo raggio la resistenza
aumenta e il sangue ha maggiore difficoltà a fluire in questi vasi.
8 ηl
La resistenza si calcola per ogni persona R= 4
πR

Esempio: η=¿0.0045 Pa s, l=8.5 cm=0.085m, R=2.4 mm= 2.4 x 10^-3m


R=450 x 0.0045x 0.085/ m.14 x (0.0024m)^2= 9.54 x 10^4 Pa/m^3
Il vaso riduce continuamente la sua dimensione (il suo raggio) e se tutto il liquido circola in
un vaso sempre più stretto, le resistenze idrodinamiche sono collegate in serie. Il
collegamento in serie significa che la portata è sempre la stessa, ma la resistenza
idrodinamica varia da tratto a tratto. Nei vasi sanguigni la ramificazione significa che ad un
certo punto il liquido si suddivide da un vaso in più vasi. Ogni vaso ha una sua resistenza e
la portata si è suddivisa in tanti valori in base a quanti vasi ci sono. Si parla allora di
resistenze idrodinamiche collegate in parallelo.
Resistenze idrodinamiche collegate in serie
Quando due arterie sono collegate in serie sono attraversate dallo stesso flusso di liquido e
quindi hanno la stessa portata Q. in questo caso la resistenza totale Rs è data dalla somma
delle resistenze nei singoli condotti. Infatti considerando N arterie collegate in serie,
ciascuno con una resistenza vascolare Rfi, la differenza di pressione ∆ p dell’arteria
principale è uguale alla somma delle singole ∆ pi su ogni arteria secondaria.
∆ ptot=∆ p1+ ∆ p 2+ ∆ p 3+ …+ ∆ p (n)
Ogni caduta di pressione deve soddisfare la legge di Hagen-Poiseuille quindi:
∆ pi =Q R fi (la portata è la stessa per tutte) da qui:

∆ p=Q R f 1 +Q Rf 2 + … +Q RfN mettiamo in evidenza Q:

∆p
∆ p=Q ¿ + R fN )-> =¿ ¿ + R fN )
Q
∆p
Essendo =Rscioè la resistenza idrodinamica totale Rs=¿ ¿ + R fN )
Q

Se per ogni N arteria secondaria Rf è uguale si ha che R s=N R f (la resistenza nei
collegamenti in serie aumenta)
Resistenze idrodinamiche in parallelo (in ognuna delle parti circola una quantità di liquido
diversa) esempio: un capillare ha una resistenza idrodinamica alta, ma i capillari sono
collegati in parallelo tra loro quindi la resistenza idrodinamica totale sarà minore rispetto a
quella di ogni singolo capillare.
Quando due arterie sono collegate in parallelo, ai loro estremi c’è la stessa ∆ p .In questo
caso, l’inverso della resistenza totale sarà uguale alla somma degli inversi delle singole
resistenze. Infatti considerando un’arteria principale che alimenta N arterie secondarie che
portano il sangue alle arterie dei diversi organi e sia ∆ p la differenza di pressione tra i punti
A e B ai capi di ogni arteria; supponendo che ogni arteria abbia una resistenza vascolare
Rfi, la resistenza vascolare equivalente Rp delle N arterie collegate in parallelo è uguale a:
Rf
Rp=
N

Per arrivare a questa conclusione bisogna pensare che essendoci perdite, la portata
dell’arteria principale è uguale alla somma delle portate delle arterie secondarie:
Q=Q 1+Q 2+Q 3+…+Qn
∆p
Inoltre in ogni arteria si ha Qi= R perciò
fi

Qtot=
∆ p ∆p
+
Rf 1 Rf 2
+…+
∆p
Rfn
→Q=∆ p
1
+
1
(
Rf 1 R f 2
+…+
1
Rfn

Q
=
1
)
+
1
∆ p Rf 1 Rf 2 (
+ …+
1
R fn )
mettiamo in evidenzia delta p perché è la stessa
Q
=
1
∆ p Rp quindi diventa:
1
=
1
+
1
(
R p R f 1 Rf 2
+…+
1
Rfn )
Rp è definita resistenza vascolare equivalente di n arterie in parallelo. Se per ogni n arteria
secondaria la Rf è uguale si ha che: R =N R
p f
1
(1) perciò: R p =
Rf
N

(la resistenza nei collegamenti in parallelo si riduce)


Applicazione: Il Bypass Coronarico (singolo, doppio, triplo) è un intervento che consiste
nella realizzazione di una resistenza idrodinamica collegata in parallelo per fare abbassare
la resistenza idrodinamica totale. Significa che il sangue non sta circolando bene a livello
del cuore, quindi con dei tubicini dal ventricolo sinistro si porta parte di sangue nell’aorta.
L’equazione di Hagen- Poiseuille valgono per i liquidi reali ma a basse velocità finchè vale il
modello laminare. Nel caso del circolo sanguigno in genere il moto è sempre laminare. In
certi momenti per un atleta si possono istaurare velocità elevate anche nel circolo
sanguigno.
Per ogni tipo di liquido e per ogni tipo di circuito idraulico esiste una velocità critica
superando la quale il regime da laminare diventa turbolento. Significa che quando si
supera una certa velocità il modello a cilindri dove uno circola dentro l’altro, non è più
valido perché il liquido inizia ad assumere flussi complessi. L’istaurarsi di un regime
turbolento significa una diminuzione di apporto sanguigno ai tessuti e quindi di ossigeno
alle cellule.
La velocità critica si può applicare utilizzando la LEGGE DI REYNOLDS
η
v c =R
dr

Ci dice che la velocità critica dipende da un numero chiamato R o Nr (parametro


adimensionale) che dipende dal tipo di liquido e dalla velocità che può avere il liquido in
quel condotto. Questa velocità e proporzionale alla viscosità e inversamente proporzionale
alla densità del liquido e al raggio del condotto. Ci permette di calcolare la velocità a
partire dalla quale il regime è turbolento, dove la perdita di energia diventa più elevata
rispetto a quella laminare perché oltre l’energia traslazionale c’è energia rotazionale. Il
moto diventa anche rumoroso, a livello del circolo sanguigno se si instaurano dei moti
turbolenti ci sono dei metodi per evidenziarli e inoltre la portata non è più proporzionale a
∆ p . La portata diventa proporzionale a √ ∆ p

Il numero di Reynolds fisicamente rappresenta il rapporto tra la forza di inerzia e la forza di


attrito. Dimostrazione:

Questo parametro è dell’ordine


tra 1000 e 2000, dipende dal tipo
di liquido, dal condotto.
Graficamente finchè il flusso è laminare la proporzionalità tra Q e ∆ p è lineare, non
appena si supera la velocità critica il liquido inizia a ruotare e la portata non cresce con la
pendenza che aveva inizialmente ma cresce lentamente infatti e proporzionale alla √ ∆ p

Nel circolo sanguigno si possono istaurare dei casi di moto turbolento. Se vi è una
patologia che modifica una sezione del vaso sanguigno la sezione si restringe e la velocità
aumenta. Ad esempio nel primo tratto dell’aorta durante la fase di eiezione rapida e per
aumenti della gittata cardiaca (esercizio fisico), l’aumento della gittata cardiaca determina
un aumento della velocità. Ad esempio in caso di stenosi o nell’anemia dove si verifica la
riduzione della viscosità per diminuzione dell’Ht (ematocrito) e l’aumento di velocità per
aumento di gittata cardiaca.
Nel sangue è disciolta aria, c’è azoto, ossigeno, anidride carbonica. In presenza di questi
vortici l’aria può produrre bollicine di gas e in questo caso se si instaura questo regime, le
bollicine viaggiano e quando arrivano in vasi più piccoli delle bollicine si blocca il vaso e si
crea l’embolo.
Aspetti che riguardano lo stato liquido
1. Sedimentazione naturale e centrifuga
2. Processo di diffusione
3. Processo osmotico
4. Tensione superficiale e fenomeno molecolari
Se abbiamo un liquido contenuto in un recipiente e in questo liquido mettiamo un oggetto
solido (una pallina con densità maggiore del liquido), l’oggetto si muoverà nel liquido e
riceverà delle spinte. Se studiamo la sedimentazione l’oggetto è spinto verso il basso dalla
forza peso (F=mg), sull’oggetto agiscono la spinta di Archimede dal baso verso l’alto e
agisce la forza di attrito. La forza di attrito in questo caso si esprime con la legge di Stokes,
F⃗
R =−b ⃗v =−γη ⃗v γ =coefficiente forma corpo

F⃗
R =−b ⃗v =−6 πrη ⃗v legge di Stokes(colmeno perché si oppone almoto) dove 6 πr deriva dalla
forma di sfericità, perché stiamo immaginando che l’oggetto che si muove nel liquido sia
una sfera.
SEDIMENTAZIONE naturale
Sedimentare=scendere

d= densità oggetto
d’=densità liquido

6 πηr = fattore di
sedimentazione
Se abbiamo una provetta lunga
20 cm calcolando la velocità di
sedimentazione sappiamo
quanto tempo quell’oggetto
sferico percorrerebbe per
arrivare sul fondo.

la velocità di sedimentazione (VES) dipende dalle caratteristiche dell’oggetto in


sospensione, cioè dalle sue dimensioni e dalla sua densità.
CENTRIFUGAZIONE è una sedimentazione che possiamo controllare con una
strumentazione cioè la centrifuga.
L’accelerazione che porta il soluto verso il fondo del recipiente non è l’accelerazione di
gravità, ma l’accelerazione centrifuga che controlliamo noi a seconda della velocità di
rotazione della macchina.
Una particella, un oggetto in una centrifuga è sottoposta ad una forza centrifuga.
Nella centrifugazione abbiamo una provetta che ruota ad una certa distanza dall’asse di
rotazione del rotore, con una forza centrifuga che agisce sulle varie sfere che
rappresentano il soluto di questa soluzione. La forza centrifuga tende a portare la sfera
lungo il fondo del recipiente.

Per molte macromolecole disciolte in delle soluzioni biologiche si conoscono dei fattori:
fattore di Svedberg (Sv) cioè il rapporto tra la velocità di sedimentazione e ω 2 R Sv=
v m
2
= ¿ 1 Sv=10^-13 s
ω R F

Ci sono delle tabelle con i fattori di Sv esempio: citocromo Sv=1.7, mioglobina Sv=2
Ribosomi Sv= 10 e albumina Sv=4.4
DIFFUSIONE
Soluzioni= sono miscugli omogenei di due o più specie chimiche, soluto (componente in
minor presenza) e solvente (indica lo stato della soluzione) costituiscono una soluzione.
Immaginiamo una vaschetta con dell’acqua (del solvente), se si mette un colorante o un
sale (soluto) e lo versiamo non su tutta la vaschetta, ma in un’estremità. Queste molecole
di colorante si muoveranno lungo tutta la soluzione cioè diffonderanno nella soluzione a
causa del gradiente di concentrazione -> una quantità che cambia con la distanza.
Nella zona in cui mettiamo il solvente ( colorante) ci sarà un’alta concentrazione che
chiamiamo C1, mentre nella zona più distanza la concentrazione è molto bassa o può
anche non esserci. Il soluto quindi si muove spontaneamente dalla zona a più alta
concentrazione a quella con più bassa concentrazione. Ci sono delle forze che lo spingono
a fare ciò e sono le forze di diffusione che sono dovute al gradiente di concentrazione
∆ C C 2−C 1
grad c= = ∆ x=distanza
∆x ∆x

Finchè c’è questo gradiente ci sono delle forze che spingono il soluto di muoversi dentro la
soluzione in modo che la concentrazione dopo un certo tempo diventa costante in tutta la
soluzione. Quando avviene questo C1 e C2 sono uguali, non c’è gradiente che sarà uguale
a 0 e quindi non c’è più diffusione.
Dal punto di vista microscopico c’è il movimento di certe masse che sono le masse del
soluto nel solvente e se consideriamo una certa sezione , questa sarà attraversata da un
certo numero di molecole in un certo intervallo di tempo.
J=flusso di soluto nel solvente
ms=massa di soluto
S=sezione t=tempo
Il meno esce fuori dal fatto che
mentre il soluto si sposta dalla
zona a più alta concentrazione
verso quella più bassa, la
distanza percorsa dal saluto è in
senso opposto alla
concentrazione stessa.
D=coefficiente di diffusione che dipende dal tipo di molecole che stanno viaggiando e dal
tipo di solvente o soluzione in cui si sta muovendo. Questo coefficiente varia con la
kT kT
temperatura in base alla legge di Stokes-Einstein che ci dice che: D= ¿=
F 6 πηr

k=1.38x 10^-23 j/k (costante di Boltzman)


Il coefficiente di diffusione è elevato quando le specie che diffondono sono piccole
(idrogeno), mentre il coefficiente è piccolo quando si tratta di grandi molecole (DNA).
I processi di diffusione dipendono dal tipo di specie che deve muoversi e dal gradiente di
concentrazione.
In una membrana biologica ci possono essere diffusione di diverse specie come anidride
carbonica, azoto, ossigeno ma anche di molecole più complesse come gli amminoacidi, il
glucosio che possono o non possono attraversare le membrane. Solitamente le specie più
piccole attraversano più facilmente le membrane.
Le diffusioni possono essere anche controllate da campi elettrici, perché la diffusione ad
esempio di ioni Na+ o Cl- ci sono delle forze elettriche in gioco e se creiamo dei campi
elettrici possiamo far passar o no gli ioni attraverso un certo mezzo.
In una soluzione si possono avere tre modalità di flusso delle particelle di soluto (molecole
o ioni) o di solvente (1' acqua), che si differenziano per la natura della “driving force” che
determina lo spostamento delle particelle:
1) il flusso di massa "bulk flow", in cui la "driving force" è generata da una differenza di
pressione idraulica tra regioni diverse della soluzione;
2) la diffusione, in cui la "driving force" è generata da una differenza di concentrazione di
particelle in zone diverse della soluzione;
3) la migrazione in campo elettrico di particelle elettricamente cariche (ioni), in cui la
"driving force" è generata da una differenza di potenziale elettrico tra regioni diverse della
soluzione.
Flusso di massa->quando tra due regioni di una soluzione acquosa esiste una differenza di
pressione idraulica, tutte le particelle, sia del soluto che dell’acqua, verranno spinte a
muoversi consensualmente (in massa) dalla regione a pressione maggiore a quella a
pressione minore.
OSMOSI
L'osmosi può essere definita come il passaggio spontaneo (passivo)(o diffusione) di acqua o
di altri solventi attraverso una membrana semipermeabile di separazione (la membrana
risulta permeabile al solvente ma non al soluto).
Separando cioè due soluzioni a concentrazione diversa con una membrana
semipermeabile, si assiste al passaggio delle molecole di solvente dalla soluzione a
concentrazione più bassa (ipotonica) verso la soluzione a concentrazione maggiore
(ipertonica): il passaggio avviene fintanto che le due soluzioni non raggiungono la stessa
concentrazione (situazione di equilibrio).
L'arrivo delle particelle del solvente nella soluzione causa un aumento della pressione nella
soluzione detta pressione osmotica-> π=ρ ∆ h è il risultato di un moto casuale di particelle
dipendente dalla temperatura e dalla concentrazione, pertanto soddisfa la legge de gas ed
è legata alla relazione PV =nRT n= numero di moli R=8.31 j/mole costante dei gas
perfetti.
Dimostrazione:
PV =nRT

P=nRT /V da cui P=RTC =π C=concentrazione (kg/m^3)


Per alte concentrazioni vale: π=RT ¿
La pressione osmotica dipende da: concentrazione delle particelle osmoticamente attive e
dalla diffusibilità del soluto.

MEMBRANA PLASMATICA
Questi concetti sono molto importanti a livello biologico. La membrana cellulare si
comporta come una membrana semipermeabile cioè una membrana che fa passare
l’acqua attraverso di essa per osmosi. Oltre ai soluti anche il solvente della materia vivente
cioè l’acqua diffonde da un lato all’altro della membrana plasmatica. L’acqua viene spinta
in un senso o in un altro dalla pressione osmotica, creata dalla differenza di concentrazione
di soluti che non attraversano la membrana.
Consideriamo una cellula, gli eritrociti (globuli rossi). Se li immergiamo in una soluzione:
 Ipotonica (bassa concentrazione di soluti rispetto a quella della cellula)->la cellula
guadagna acqua si gonfia e scoppia
 Ipertonica (elevata concentrazione di soluti) ->la cellula perde acqua e si
raggrinzisce
 Isotonica (soluzioni con equivalenti concentrazioni di soluti) -> non c’è nessuna
variazione
DIiffusione
I processi di diffusione si suddividono in:
 Diffusione semplice -> processo passivo secondo il quale sono molecole di piccole
dimensioni possono passare facilmente la membrana secondo gradiente di
concentrazione (es. respirazione alveolare)
 Diffusione facilitata -> processo passivo secondo il quale le molecole di grandi
dimensioni attraversano la membrana grazie a delle proteine canale (i carrier)
 Diffusione attiva-> contro gradiente
Trasporti passivi= diffusione semplice e osmosi non richiedono l’utilizzo di energia
Trasporti attivi= diffusione attiva consumano energia e trasportano molecole contro
gradiente di concentrazione, ovvero non ubbidiscono alla legge di Fick. Il trasporto attivo è
mediato da proteine di trasporto. Il trasporto attivo permette alla sostanze nutritive di
entrare nelle cellule e consente alle cellule di liberarsi di sostanze nocive. (es. cellule renali
che eliminano sostanze di rifiuto)
TENSIONE SUPERFICIALE
Consideriamo un recipiente con all’interno un liquido. Ciascuna molecola interna alla
massa del liquido è sottoposta ad un sistema di forse aventi risultante nulla. Nello strato
superficiale le molecole sono soggette a una risultante diretta verso l’interno. Ciò è dovuto
a forze di coesione e di adesione.
Le forze di coesione tendono a livellare il liquido nel suo recipiente ovvero tendono a
minimizzare la superficie del liquido. La forza superficiale di coesione tra le molecole
prende il nome di tensione superficiale. t= F / l(coefficiente di tensione superficiale)
Se vogliamo creare un’onda, perturbando la superficie e aumentandola di una quantità ∆ S
occorrerà spendere un lavoro L.
t= L / ∆ S [J/m2= N/m]
Ogni liquido ha la sua tensione superficiale. La tensione superficiale è responsabile del
processo di evaporazione del liquido stesso.

Metodi di misurazione:
Può misurarsi con un telaietto sagomato ad U e una lamina di liquido.

L = F/∆ x
∆ S= 2a ∆ x
Forza Lavoro
τ = F ∆ x/2a∆ x= F/2a [N/m] τ= =
lunghezza superficie

Può misurarsi con un contagocce ed una microbilancia. Prendiamo un contagocce e


osserviamo il formarsi di una goccia all’imboccatura. Misuriamo il raggio della pipetta. La
forza peso della goccia è controbilanciata dalla tensione superficiale. Il raggio che andiamo
a misurare è il raggio esterno della pipetta che corrisponde approssimativamente a quello
della goccia.
Quando la goccia si stacca dal contagocce mg=τ 2 πr usando N gocce m=M/N
τ =mg/2 πr
Quando prendiamo una quantità di liquido piccola e la mettiamo su una superficie si forma
una goccia con forma sferica. Ciò è dovuto alla tensione superficiale, le molecole della
superficie sono spinte verso l’interno, perciò il liquido si impacchetta a forma di sfera.

LEGGE DI LAPLACE
All’interno della goccia le forze di coesione superficiale producono una pressione interna
alla goccia che tiene assieme le varie molecole della goccia.
2
F pressione =A ∆ P=π R ∆ P
F tens. superf . =2 πRτ
All’equilibrio : F pressione =F tens .superf . 2
π R ∆ P=2 πRτ

P L= ( se abbiamo una goccia sferica )
R

P L= (se abbiamo una bolla sferica)
R

Se abbiamo delle bolle una più grande e una più piccola, per la legge di Laplace, in quella
più piccola la pressione è più grande. Ciò è applicabile negli alveoli polmonari.
Il surfattante è un liquido che riduce la tensione superficiale. La pressione nella bolla
grande diventa uguale a quella nella bolla piccola.
Es. negli alveoli polmonari la pressione si mantiene costante. Gli alveoli sono
essenzialmente strutture sferiche, assimilabili a delle bolle, per la legge di Laplace avremo
che:
-alveoli più piccoli sviluppano una tensione superficiale positiva elevata, per cui tendono a
svuotarsi negli alveoli più grandi
-durante la espirazione, la riduzione del diametro tende a farli collassare. Per fortuna ciò
non si verifica per la presenza del surfattante che abbassa la tensione superficiale
all’interfaccia aria/acqua
Il surfattante è un fattore tensioattivo. Un fattore tensioattivo dovrebbe essere una
molecola anfipatica con una porzione idrofoba e una idrofila, quindi potrebbe essere un
fosfolipide. Le cellule che producono surfattante sono: pneumociti di 2 ordine e cellule di
Clara.
EMBOLIA
L'embolia gassosa è un blocco del flusso sanguigno causato dalla presenza di una bolla di
gas molto piccola e con pressione elevata, in un vaso sanguigno. Questo fenomeno è
dovuto in parte alla tensione superficiale e può essere spiegato tramite la legge di Laplace.

A pressioni uguali da entrambi i lati, l’embolo si


presenta simmetrico: p1 > p4 → R '' < R '
Quando le pressioni sono diversi si ha la
deformazione dell’embolo (embolo asimmetrico).
Oltre la pressione esterna agise una pressione interna
data dalle legge di Laplace.
La pressione di Laplace diventa maggiore e si oppone
al flusso sanguigno che ha una pressione minore,
quindi queste bolle di gas possono bloccare il flusso
sanguigno.

Fenomeni di capillarità
Se mettiamo il liquido all’interno di un tubicino, se questo tubicino è molto piccolo si
osserva che il liquido può salire dal tubicino. La capillarità è un fenomeno relativo alla
superficie libera dei liquidi nei capillari, in cui le forze di coesione e adesione alle pareti del
condotto gli consentono di risalire o di scendere. Se le forze di adesione prevalgono su
quelle di coesione il liquido tende a risalire all’interno del capillare; se le forze di coesione
prevalgono su quelle di adesione il liquido tende a scendere all’interno del capillare.

La superficie dei capillari non è piatta, ma presenta la forma di un menisco. Se il menisco è


concavo il liquido bagna perfettamente le pareti e quindi risale quindi la pressione di
Laplace sarà verso l’alto, se il menisco è convesso il liquido non bagna le pareti e scende.
LEGGE DI JURIN
Se vogliamo calcolare l’altezza raggiunta dalla superficie libera all’interno del capillare
avremo che:

h= altezza raggiunta nel capillare


τ =tens. Sup.
ϕ =angolo di contatto con le pareti
ρ =densità del liquido
g=accelerazione
r=raggio del capillare

l’angolo di contatto di un liquido con un solido viene utilizzato come indice di bagnabilità.
Per α >90 ° il liquido non bagna la parete(mercurio su vetro), superficie idrofoba (teflon)
Per α <90 ° il liquido bagna la parete (acqua su vetro), superficie idrofila (carta)
Per α =0 ° si dice che il liquido bagna perfettamente la parete
Es. protesi ginocchio o protesi anca
Circolo ematico
4.TERMODINAMICA
TERMOLOGIA
Livelli di organizzazione della materia
un insieme di atomi formano le molecole.
Gli atomi si combinano in modi diversi formando strutture diverse.
L’atomo è formato da un nucleo centrale composto da protoni (che hanno carica positiva)
e neutroni (neutri) e attorno al nucleo ci sono gli elettroni (carica negativa). Protono e
neutroni sono formati da particelle di quark. Gli elettroni di tutti gli atomi sono identici. Il
numero di protoni è detto numero atomico (Z), mentre il peso atomico (A) è il rapporto tra
la massa atomica dell’atomo e l’unità di massa atomica.
Due o più atomi uguali o diversi si uniscono tramite legami chimici forti (ionici, covalenti)
formando la molecole.
Protoni e neutroni sono legati all’interno del nucleo da forze di tipo nucleare, dli elettroni
sono legati al nucleo da forze di natura elettrica (intense, deboli o trascurabili) e gli atomi
sono tenuti insieme all’interno della molecola da forze di natura elettrica. Per spezzare una
molecola, un atomo o un nucleo occorre vincere queste forze fornendo una sufficiente
quantità di energia.
Stati di aggregazione
La materia si trova essenzialmente in 3 stati di aggregazione:
 Solido: forma e volume proprio
 Liquido : forma del recipiente che lo contiene e volume proprio
 Gassoso o Aeriforme: forma e volume del recipiente
Allo stato solido le particelle costituenti la materia (atomi, molecole o ioni) si
dispongono in modo ordinato e compatto, con limitate possibilità di muoversi le une
rispetto alle altre.
Allo stato liquido le particelle costituenti la materia si dispongono in modo disordinato
e possono scorrere le une sulle altre, con medie possibilità di muoversi le une rispetto
alle altre.
Allo stato gassoso le particelle costituenti la materia si dispongono in modo
estremamente disordinato, con elevato possibilità di muoversi le une rispetto alle altre.

Moltissimi fenomeni dipendono dalla temperatura:


D= kT/F*
p=RTC
h∝ 1/T
t∝ 1/T

EQUILIBRIO TERMICO
Due corpi a differente temperatura non sono in equilibrio termico e sono soggetti a
scambio di calore Q dal corpo più caldo a quello più freddo, tendendo a portarsi
all’equilibrio termico (cioè fino a non scambiarsi più calore). All’equilibrio termico la
temperatura del sistema è costante T=costante.
Da qui deriva l’enunciato di Maxwell: La temperatura è un indice dello stato termico di un
corpo che descrive l’attitudine di esso a scambiare calore con altri corpi.

Due oggetti che non hanno la stessa temperatura si dice gradiente termico: indica il valore
dato dal rapporto tra la differenza di temperatura in due punti dell’atmosfera r quella di
∆t
quota. =gradiente
∆x

Temperatura: è indice dello stato termico del corpo + agitazione termica. La dilatazione
termica è un fenomeno legato alla temperatura le quale si misura con il termometro. Il suo
funzionamento è basato su due fenomeni: dilatazione termica ed equilibrio termico
Dilatazione termica:
Nei solidi può essere
 Lineare (cioè aumentando la temp. La lunghezza si espande)-> ∆ l=α l 0 ∆ T
 Superficiale -> ∆ S=β S 0 ∆T
 Volumica ->∆ V =γ V 0 ∆T
γ =3 α =coefficiente didilatazione cubica
β=2 α =coefficiente di espansione superficiale
Nei liquidi : ∆ V =K V 0 ∆ T
Nei gas: si dilatano allo stesso modo, hanno lo stesso coefficiente di dilatazione 0,00366
℃ =1/273.15 ℃, è molto accentuata-> forze di coesione molecolare trascurabili.
−1

Scala termometrica di Celsius


In Italia e in molti altri paesi il valore della misura che si ottiene con i termometri è
determinato in base alla scala termometrica chiamata scala Celsius, poiché fu ideata nel
1742 dal fisico e astronomo svedese A. Celsius.
Celsius immerse un capillare (una specie di termometro) contenente mercurio in un
sistema acqua/ghiaccio fondente, il livello del mercurio corrisponde a una temperatura a
cui egli attribuì il valore zero. In seguito immerse lo stesso termometro in acqua bollente e
il nuovo livello raggiunto dal mercurio corrisponde a una temperatura a cui Celsius assegnò
il valore cento. Celsius divise l’intervallo individuato in 100 parti uguali, ognuna di queste
rappresenta la variazione di temperatura che oggi si chiama grado Celsius℃

Le scale termometriche più diffuse sono: la scala kelvin (usata nel S.I.) e la scala Celsius
(usata nella vita comune). Le due scale differiscono essenzialmente nel valore assegnato
allo zero, cioè al punto iniziale della scala.
La scala Celsius è tarata in base a due punti fissi; la temperatura del ghiaccio che fonde 0 ℃
e la temperatura dell’acqua che bolle a 100℃ . L’intervallo è quindi diviso in 100 parti e
ognuna vale 1 ℃ .
La scala Kelvin è tarata in base allo zero assoluto che è la temperatura più bassa (non ci
sono valori negativi) a cui può arrivare la materia, il cui valore in gradi Celsius è -273,15 ℃
1K=1℃
T. Celsius= T. kelvin - 273,15
T. Kelvin= T. Celsius + 273,15

Altre scale termometriche sono la scala Fahrenheit e la scala Reaumur.

Legge della termologia


La legge fondamentale della termologia esprime la quantità di energia (calore) che bisogna
somministrare (o sottrarre) ad un corpo di massa m per innalzare (o abbassare) la sua
temperatura dal valore iniziale t1 al valore finale t2.
∆ E=c s m ∆ T
Se l’aumento della temperatura è dovuto ad un trasferimento di energia sotto forma di
calore:
Q=c s m∆ T
Q
Cs=calore specifico c s = J /kg k
m∆T

La temperatura si misura in Kelvin, il calore in joule.


Esperimento di Joule:
Per mezzo di tale
esperimento, Joule determinò un
valore dell'equivalente meccanico
del calore pari a 4,155 J/Cal; valore
di straordinaria precisione per i
tempi ma leggermente diverso da
quello che oggi noi utilizziamo
(4,186 J/Cal) .Quindi il lavoro si è
trasformato in calore ed eseguendo
il rapporto Q/L si ottiene che
1Kcal=4186J. Il calore, come il
lavoro, è uno dei modi mediante i
quali l’energia si trasferisce da un
sistema ad un altro. Dalla definizione di caloria segue che il calore specifico dell’acqua è
esattamente uguale a una [1] caloria per “grammo per grado”, nell’intervallo di
temperatura compreso tra 14,5 e 15,5 °C, e in condizioni di pressione ordinaria, ovvero
occorre una caloria per portare da 14,5 °C a 15,5 °C la temperatura di 1 g d’acqua.

Calore specifico: rappresenta la quantità di calore necessaria per innalzare di 1K la


Q
temperatura di 1Kg di quella sostanza c s =
m∆T
Nella formula Q=c s m∆ T il prodotto c s m si chiama capacità termica di una sostanza.
Ogni sostanza che sia allo stato solido, liquido o
gassoso, ha un suo particolare valore per il calore
specifico.
Per misurare il calore specifico si usa il calorimetro
delle mescolanze o di Regnault (con acqua)(leggere)
E’ costituito da due o più recipienti, di materiale d’alta
conducibilità termica e con superfici argentate,
disposti come in figura. I “distanziatori” D, in materiale
isolante, e le parti argentate servono a ridurre gli
scambi di calore con l’esterno. Il vaso più interno è
parzialmente riempito con un liquido (solitamente
acqua), e in esso vi sono posti un “agitatore” A e un
“termometro” T. L’agitatore è indispensabile per
mantenere omogeneità di temperatura nel liquido.
Quando un corpo C ( di temperatura Tc), viene immerso nell’acqua a temperatura Ta < Tc,
il calore passa dal corpo all’acqua, fino al raggiungimento dell’equilibrio alla temperatura
θ. In assenza di dispersione di calore, la quantità Q persa da C, viene assorbita interamente
dall’acqua e dai corpi con cui è a contatto. Proprio per tenere conto del calore assorbito da
tali accessori, si esegue una misura mediante l’introduzione nel calorimetro di una quantità
nota di calore; il risultato di questa misura viene espresso associando ad ogni calorimetro
una massa fittizia me di acqua: il cosiddetto EQUIVALENTE IN ACQUA DEL CALORIMETRO.

Come calcolare il Cs di una sostanza incognita partendo da una sostanza con Cs noto?
Supponiamo di avere un’altra sostanza (non acqua) con massa e temperature note, mentre
con Cs non noto. Due corpi che si trovano in due stati termici diversi, se messi a contatto,
dopo un certo periodo di tempo, uniformano la propria temperatura. Ciò accade in seguito
ad uno scambio di calore: il corpo a temperatura più alta cede calore al corpo a
temperatura più bassa che si riscalda, in modo tale che, dopo un certo periodo di tempo, il
sistema raggiunge una temperatura, detta Teq. Se gli scambi di calore avvengono senza
perdite di energia, ossia il sistema è adiabatico (per esempio, all'interno di un calorimetro
ben isolato), si può dire che tutta l'energia perduta dal corpo che si raffredda viene
acquisita dal corpo che si riscalda, pertanto vale l'equazione degli scambi di calore. Se il
pedice c si riferisce al corpo più caldo e f al corpo più freddo, si ha

Qceduto= m1· cx· (T1–Te) negativo


Qacquistato= m0· co· (Te–To) positivo
Se non ci sono perdite di calore nell’ambiente: Qacquistato= -Qceduto
mo ( Te−¿ )
cs=cx=co
m1 ( T 1−Te )
Calore specifico acqua=4186J (kg K)

La relazione Q= cs m∆ T ha due eccezioni nelle quali non vale:


*La prima eccezione è nel caso di sistemi biologici (la T rimane costane anche se l’apporto
energetico varia). Quindi non vale nei sistemi biologici
*La seconda riguarda i passaggi di stato durante i quali Q varia e T si mantiene costante.
Non vale nei passaggi di stato.

Calorimetria nei sistemi biologici Q ≠ c s m∆ T

-Metabolismo= insieme di trasformazioni biochimiche ed energetiche che avvengono


nell’organismo
• catabolismo= demolizione di sostanze complesse
• anabolismo= sintesi di sostanze partendo da molecole semplici

-Bioenergetica = studio dei processi biologici che riguardano l’utilizzo, l’immagazzinamento


e il rilascio di energia
L’ATP (adenosina trifosfato) è un ribonucleoside formato da una base azotata (adenina),
dal ribosio (zucchero pentoso) e da 3 gruppi fosfato. L’atp immagazzina, trasporta e rilascia
energia alle cellule.

Misurazione del fabbisogno energetico (FE)


•FE = quantità di energia consumata in un giorno da un individuo
Si misura mediante:
• calorimetria diretta (misura il calore) ->calorimetro di Atwater-Benedict (poco utilizzato)
• calorimetria indiretta (misura i gas respiratori), mediante spirometro di Benedict-Roth-
spirometri portatili: versatili e pratici
L’energia degli alimenti di misura con la “bomba calorimetrica”

Il fabbisogno energetico totale (FET) = somma dell’energia consumata con:


• metabolismo basale
• attività fisica
• termoregolazione
• azione dinamico specifica degli alimenti (ADS)
Il FET aumenta nella crescita, durante la gravidanza e l’allattamento perché l’organismo ha
una spesa aggiuntiva per la formazione di tessuti. FET=MB (metab. Basale)x LAF (livelli di
attività fisica).
Il metabolismo basale è la quantità minima di energia necessaria all’organismo per il
mantenimento delle funzioni vitali ed è influenzato da: età, sesso, attività sportiva,
temperatura corporea, stress, clima etc…
Il metabolismo basale si misura a digiuno completo, senza ingestione di farmaci e a riposo.
Si può calcolare con formule matematiche conoscendo età, sesso, peso corporeo e altezza.
Q 2
Nei mammiferi MBR= ∆ t=70 kcal/m hr
S
L’attività fisica influenza sul fabbisogno energetico tot. Per mantenere la temperatura
corporea costante (termoregolazione), l’organismo impiega meccanismi diversi e spende
energia. Il caldo porta alla vasodilatazione e all’aumento di sudorazione, il freddo alla
vasocostrizione dei capillari, al brivido e alla riduzione della sudorazione. L’ipotalamo
controlla la temperatura.

LEGGE DI LAVOISER
Gli alimenti quando vengono introdotti vengono ossidati. Tutto ciò causa energia.
Alimenti + O2-- energia + CO2+ H2o+ scorie
La calorimetria indiretta misura la variazione della concentrazione di O2 e CO2 nel tempo e
fornisce la misura della spesa energetica a riposo e del quoziente respiratorio (è uguale al
volume di CO” prodotta/volume di O2 consumato).
Ossidazione del glucosio (zuccheri o carboidrati):
+686 Kcal

Ossidazione lipidica (acidi grassi):

Ossidazione proteica (proteine):


Calore di combustione Qc = Q liberato/m sostanza
Valore Calorico dell’O2 consumato QO2= Q liberato/V O2consumato
Consumo di O2 CO2= Qc/QO2
Valore Calorico della CO2 prodotta QCO2 = Qliberato/VCO2prodotta
Produzione di CO2 PCO2=Qc/QCO2
Quoziente respiratorio QR = VCO2 prodotta/VO2 consumato
Quindi nonostante l’alimentazione e le conseguenti reazioni chimiche prodotte forniscono
una notevole quantità di energia all’organismo, l temperatura corporea rimane costante
(37°C per l’uomo) e pertanto la Q=cs m DT non è valida in tale caso.

Calorimetria nei passaggi di stato Q ≠ c s m∆ T


Molte sostanze possono presentarsi in natura in “stati” diversi, cioè allo stato solido,
liquido o gassoso, a seconda della temperatura e della pressione alle quali si trovano. l
passaggio da una fase all’altra è detto “transizione di fase. Per ogni sostanza esiste un
valore di temperatura, detto “punto triplo”, in corrispondenza del quale coesistono i tre
stati (solido, liquido e gassoso) in reciproco equilibrio. Il punto triplo di ogni sostanza può
essere determinato costruendo un diagramma di stato che riporta l’andamento della
pressione in funzione della temperatura. Per esempio, il punto triplo dell’acqua si trova alla
temperatura di 0,01 °C, pari a 273,16 K, e alla pressione di 0,6117 kPa; in tale condizione
coesistono giaccio, acqua liquida e vapore acqueo. Nel 1954 il punto triplo dell’acqua fu
adottato in sostituzione del punto di fusione del ghiaccio per la taratura
della scala termometrica. In questo modo il kelvin è definito come 1/273,16 del punto
triplo dell’acqua.
Punto triplo dell’acqua grafico:

Calore Latente
Durante un cambiamento di stato la temperatura di una sostanza rimane costante; il
cambiamento di stato avviene per sottrazione o cessione di calore ad una data massa.
Il calore latente rappresenta la quantità di energia scambiata
(sotto forma di calore) durante lo svolgimento di una
transizione di fase ( o passaggio di stato).

Fusione e solidificazione dell’acqua:


Ogni sostanza ha il suo calore latente che può essere di
solidificazione, di fusione etc…
Fusione: passaggio dallo stato solido allo stato liquido. La fusione avviene per
assorbimento di calore. Il solido assorbe calore: la sua temperatura sale fino alla
temperatura di fusione Tf-inizia il cambiamento di stato.

Fusione: il solido continua ad assorbire calore, ma la temperatura resta costante al valore


Tf. A fusione completata, se il corpo continua ad assorbire calore, la sua temperatura
cresce.

Calore latente di fusione


Se una massa m di sostanza solida si trova alla temperatura di fusione Tf, la quantità di
calore Qf necessaria per farla fondere è direttamente proporzionale a m.
Q=L f m
Lf=calore latente di fusione

La costante di proporzionalità λ f , caratteristica di ogni sostanza, è il calore latente di


fusione, nel SI si misura in J/kg
Esempio: calore latente di fusione del ghiaccio: λ lf = 80 Kcal/Kg
calore latente di evaporazione dell’acqua: λ ¿= 580 kcal/Kg

La legge fondamentale della calorimetria afferma che: Qaquistato=−Qceduto


Nel caso di passaggio di stato si deve tenere conto del calore Qf necessario per la fusione,
cioè Qf=Lf m quindi riscrivendo la legge Q(acquistato dal ghiaccio)+Qf=Q(ceduto
dall’acqua)-> Q(acquistato dal ghiaccio)+Lf m= -Q(ceduto dall’acqua)
Quindi nei passaggi di stato vale la relazione Q= λl m e non la Q=cs m ∆ T vedi libro

Propagazione del calore


Supponiamo di avere un gradiente. Spontaneamente il calore passa dal corpo più caldo a
quello più freddo. Come passa il calore? Il calore si può propagare in 3 modi:
 Conduzione (avviene nei corpi solidi)
 Convenzione (avviene nei fluidi)
 Irraggiamento (attraverso lo spazio, anche vuoto, in assenza di materia)

Conduzione del calore:


Es. consideriamo una sbarra metallica scaldata ad un’estremità. Dopo un certo tempo si
scalderà anche l’altra estremità. La quantità di calore è tanto maggiore quanto maggiore è
il gradiente termico.
La conduzione è un meccanismo di propagazione del calore in cui si ha trasporto di energia
senza spostamento di materia. La quantità di calore che attraversa uno strato di materia in
tempo fissato è direttamente proporzionale a superficie e differenza di temperatura tra
superfici opposte dello strato, inversamente proporzionale allo spessore e dipendente dal
materiale (coefficiente di conducibilità termica).
La conduzione è caratteristica dei corpi solidi dove non c’è movimento di materia.
L’energia si propaga attraverso gli urti delle molecole più veloci con quelle meno veloci,
senza che vi sia spostamento di materia. La rapidità con cui il calore attraversa una parete
è dirett. Proporzionale alla differenza di temperatura ∆ T e all’area S della parete, e
∆E ∆T
inversamente proporzionale al suo spessore d: =λS λ o k =coefficiente di
∆t d
conducibilità termica e dipende dal materiale

I materiali si possono dividere in: buoni conduttori termici sono i metalli ( λ molto grande),
mentre gli isolanti termici-cattivi conduttori ( λ molto piccolo) sono aria, legno, vetro,
ghiaccio, plastica, gomma, pelle etc… quando si tocca un metallo si ha la sensazione di
freddo. In genere i materiali che sono buoni conduttori di calore sono anche
buoni conduttori di corrente elettrica. I metalli sono conduttori termici particolarmente
buoni perché hanno elettroni che si muovono liberamente e possono trasferire l'energia
termica rapidamente e facilmente. Quando si riscalda qualcosa si da energia cinetica che
man mano cresce con la temperatura. Quando due oggetti si urtano, l’energia viene
trasferita dagli elettroni più veloci. I cattivi conduttori non hanno elettroni liberi.
Equazione della conduzione del calore nei solidi: J=
Q
S∆t
=−k ( )
∆T
∆x
k=coeff. Di diffusione

termica
k=
Q ( ∆∆ Tx ) quindi le unità di misura sono: [𝐽/𝑚𝑠𝐾=𝑊/𝑚𝐾]
S ∆t
La conduzione è la modalità di propagazione del calore (trasferimento di energia cinetica)
da un corpo più caldo a uno più freddo nella zona di contatto, cioè quando urtano. Questo
trasferimento avviene per interazione tra le molecole adiacenti, senza che queste debbano
abbandonare la loro posizione di equilibrio.

Convenzione del calore:


La convenzione è il trasferimento di energia con trasporto (movimento) di materia, dovuto
alla presenza di correnti nei fluidi (correnti convettive). Essa si verifica spontaneamente nei
fluidi (liquidi o gas). Esempi: pentola piena d’acqua su un fornello (l’acqua a contatto col
fondo si dilata, è meno densa, sale per la spinta di Archimede e fa scendere l’acqua fredda
che a sua volta si scalda e risale), camino acceso, termosifoni (corrente ascendente di aria
calda).
La convenzione si ha quando un fluido entra in contatto con un corpo la cui temperatura
(T) è maggiore di quella del fluido stesso. Le particelle di fluido all’interfaccia scambiano
calore con il corpo attraverso il trasferimento di energia cinetica e si ha: q ' ' =h ( Ts−T ∞ )
Ts= temp. Superficie corpo
T∞ = temp. Fluido
h= coeff. Di trasferimento di calore h=(W m−2 K−1 )
il trasferimento di calore avviene con movimento di materia.
La convenzione può essere libera o forzata. La convenzione libera (o naturale) è un metodo
di trasferimento del calore in cui il moto del fluido è influenzato da mezzi naturali.
La convezione forzata è un metodo di trasferimento del calore in cui il moto del
fluido è influenzato da mezzi esterni.

Irraggiamento del calore:


Tutti i corpi portati ad una certa temperatura emettono e assorbono radiazioni
elettromagnetiche, che trasportano energia (calore).
L’irraggiamento è la trasmissione di calore nel vuoto o attraverso corpi trasparenti (es.
calore del sole). I corpi caldi emettono luce visibile (colore dipende dalla temperatura). I
corpi a temperatura ambiente emettono radiazione infrarossa. L’energia che un corpo
emette ogni secondo sotto forma di onde elettromagnetiche dipende dalla sua
temperatura (alla quarta potenza) e dall’area della superficie (legge di Stefan-Boltzmann).
La applicazioni sono tante, sui corpi celesti ma anche in medicina (termografia infrarossa).
Un corpo ad una certa temperatura T può emettere energia per irraggiamento e scambiare
calore senza dover essere a contatto con un altro corpo, anche in presenza di vuoto.
Tutte le superfici che possiedono una temperatura emettono energia sotto forma di onde
elettromagnetiche. Le onde elettromagnetiche (raggi x, raggi infrarossi, raggi ultravioletti,
radioonde…) viaggiano nel vuoto con la massima velocità che esiste, cioè c=3∗108 m/s (v.
λ
della luce) c= = λ ⋅v lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente prop. tra di loro. Se
f
lambda diminuisce la frequenza aumenta.

L’ irraggiamento Termico, a differenza della conduzione e della convezione, non ha bisogno


di mezzo materiale interposto per propagarsi. Considerando due oggetti con temperatura
diversa, entrambi emettono onde elettromagnetiche, ma l’oggetto più caldo ne emetterà
di più. La quantità di calore irradiato dipende dalla seguente proporzionalità:
Q =σε S∆ t T^4
Legge di Stephan-Boltzmann con σ = 5.67x10-8W/m^2K^4
Ogni oggetto emette onde elettromagnetiche. La quantità di onde che emette un oggetto
dipende dalle condizioni della sua superficie. Anche l’assorbimento dipende dalle
condizioni della superficie. Potere emissivo 0 < e< 1 : Q ∝σ SεSdt T^4
Potere assorbente: 0 < A< 1 Q ∝σ A Sdt T^4
Quindi ogni corpo emette calore sulla base della sua temperatura, emittanza, superficie e
tempo e, nello stesso tempo, assorbe calore dall’ambiente circostante sulla base della
temperatura dell’ambiente, assorbanza, superficie e tempo.
Una situazione di equilibrio tra emittanza ed assorbanza ci dice quindi che, se il corpo sta
emettendo, la quantità di calore che emette dipende dalla relazione:
Q = Q emiss-Q ass= σεS ∆ t (T 42−T 41 ¿
Un corpo solido freddo non produce alcuna emissione visibile ma al crescere della
temperatura comincia a diventare luminoso e a cambiare colore. Esempio: un metallo che
diventa incandescente cambia il suo colore e diventa prima rosso, poi arancione, e infine di
un giallo-bianco abbagliante.

FUNZIONE DI PLANK
Plank capì che l’emissione di queste onde
elettromagnetiche non avviene ad una sola
frequenza, ma in uno spettro. Le onde
elettromagnetiche si emettono in uno spettro
(spettro di frequenze). Più aumenta la
temperatura più la curva si sposta verso
frequenze più alte. Plank studio questo processo tramite dei corpi particolari studiando i
corpi neri. Un corpo nero è un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione
elettromagnetica(A=1) incidente senza rifletterla. Esso emette radiazione a seconda della
sua temperatura. Corpo nero= corpo che assorbe tutta l’energia che lo colpisce. Es.
fornace. L’energia entra da un piccolo foro e viene assorbita dalle pareti della fornace che
si riscaldano ed emettono radiazione. Plank riuscì a capire la forma di questo spettro che è
a campana. Capì che l’energia trasportata dalle onde elettromagnetiche avviene per
quantità minime di energia che vengono chiamate fotoni. Il fotone è la parte più bassa di
energia trasportata da tutta l’onda. L’energia del fotone equivale a una costante detta
costante di Plank per ni (frequenza della radiazione).
Energia del fotone (legge di plank):
c
E=h =hv (¿ , frequenza) h=costante di Plank =6 , 63∗10−34 J s
λ

In generale:
Assorbe parte della radiazione che lo investe: potere assorbente = frazione di energia
raggiante assorbita dall’unità di superficie.
Emette radiazione: potere emissivo=energia raggiante emessa dall’unità di superficie
nell’unità di tempo per unità di lunghezza d’onda.
Spettro di emissione del corpo nero e altri sistemi: un corpo nero riscaldato ad una
temperatura sufficientemente elevata emette radiazioni. L’energia emessa è totalmente
isotropa e dipende solo dalla temperatura del corpo e non dalla sua forma o dal materiale
di cui è costituito. L’energia emessa da un corpo nero riscaldato ad una certa temperatura
T viene chiamata: radiazione di corpo nero.

LEGGE DI WIEN
Wein capì che via via che la temperatura aumenta la curva diventa più intensa e si sposta
verso lunghezze d’onda più piccole. Riuscì a capire che la lunghezza d’onda è inversamente
proporzionale alla temperatura.
Lo spettro di emissione del corpo nero mostra un massimo di energia ad una certa
lunghezza d’onda. All’aumentare della temperatura del corpo, la lunghezza d’onda del
massimo di emissione decresce. λmax =0.2898/T cm
All’aumentare della temperatura, l’energia totale emessa cresce perché aumenta l’area
totale sotto la curva.
L’uomo emette onde elettromagnetiche a circa 9 micron quindi nell’infrarosso, non emette
luce visibile. Ogni animale a corpo caldo emette lunghezze d’onda tra 10 e 6 micron.
Tramite degli strumenti a raggi infrarossi riusciamo a fare una fotografia del calore emesso,
dandoci un’informazione di quali sono le zone più calde (con + alta frequenza) e quelle più
fredde. In una lampada ad incandescenza che emette luce, la temperatura è di 3000 K e
significa che queste lampade emettono lunghezze d’onda di 1 micron (siamo vicino alla
luce visibile). Una stella ha temperatura di 30 000 K ed emetterà lunghezza d’onda
dell’ordine di 1000 Angstrom. La stella non emette radiazioni nel visibile o se le emettono
sono piccolissime. Una stella emette informazioni nel campo dei raggi x. Quando
guardiamo una stella vediamo il campo dei raggi x che quella stella emette.
LE LEGGI DEI GAS PERFETTI
Le leggi dei gas sono delle relazioni tra volume, temperatura e densità (parametri
macroscopici dei gas) che valgono in condizioni di equilibrio o nel corso di particolari tipi di
trasformazioni del gas. Un gas perfetto o ideale è un gas che obbedisce alle equazioni e
leggi dei gas perfetti, immaginando che le molecole siano piccoli e non urtino tra loro non
perdendo energia.
Legge di Charles
Lo studio dei gas venne fatto per prima da Charles, il quale osservò che se in un dato
volume si va a mettere un gas le sue molecole producono forze sulle pareti che segnano sul
manometro una certa pressione. Il gas è messo con una certa temperatura e un
determinato volume. Charles fece un esperimento in cui mantenne costante la pressione
del gas e aumentò la temperatura del gas da un valore iniziale T0 a un valore finale T1. Si
accorse che il volume aumenta all’aumentare della temperatura. Prese un palloncino e lo
riempì di gas, riscaldandolo tende ad espandersi e aumenta di volume mentre se lo
raffreddiamo il palloncino tende a contrarsi e diminuisce di volume.
Legge di Charles:
1
P0=costante T 0 → T 1 V 1=V 0 ( 1+γ ∆ T ) γ= K=coeff . diespansione volumetrica dei gas che è
273.15
uguale per tutti i tipi di gas
In conclusione: mantenendo la pressione costante, temperatura e volume aumentano e
sono proporzionali tra di loro.
Legge di Gay-Lussac
Mise un gas all’interno di un volume ben definito e costante, rigido. All’interno mise sia un
termometro per misurare la temperatura che un manometro per misurare la pressione e
notò che se aumentava la temperatura del gas racchiuso in questo contenitore la
pressione aumentava. Quindi il manometro segnava un valore più elevato se la
temperatura aumentava, mentre se raffreddava la pressione si riduceva.
Se un gas viene riscaldato a volume costante, la pressione e la temperatura sono
proporzionali tra loro. V 0=costante T 0 → T 1 P1=P0 ( 1+γ ∆ T )
Legge di Boyle
Boyle mise un gas in un recipiente con un pistone mobile, con all’interno un termometro e
un manometro. Si accorse che mantenendo la temperatura costante se il pistone si
espandeva, provocando un aumento di volume, allora la pressione si riduceva. Se invece si
aveva una diminuzione di volume la pressione aumentava. Quindi il prodotto pressione e
volume si mantiene costante.
T 0=costante V 0 → V 1 P0 V 0=P1 V 1

Legge di Clapeyron
Riuscì a trarre le conclusioni sullo studio dei gas. Non è vero che le 3 relazioni sopra
descritte sono indipendenti tra loro, anzi dipendono l’una dall’altra. Esiste quindi una sola
relazione che racchiude tutti gli esperimenti di Charles, Gay-Lussac e Boyle.
Il rapporto PV/T=costante
Clapeyron prese 1 mole di gas (6*10^23 molecole=numero di Avogadro) che equivale al
peso atomico o molecolare di quella sostanza. Portò il gas a T 0=0 ℃=273.15 K e a
pressione atmosferica P0=1 atm=105 Pa e il volume del gas V 0=22.414 l(una mole di gas
occupa in condizioni normali a 1 atm e 0℃ un volume di 22.4 litri. Quindi
P0V 0 J
=8.31 K=R=costante di stato dei gas perfetti
T0 mole

Equazione di stato dei gas perfetti: PV=RT per 1 mole


PV=nRT per n moli

La legge di stato dei gas perfetti non vale solo per un tipo di gas, ma per tutti, anche se
questi fossero miscelati tra di loro.
Ptot=P1+P2+… (Legge di Dalton delle pressioni parziali)
P1V=n1 RT
P2V=n2 Rt
P1=n1 RT/V P2=n2 RT7V
Ptot= P1+P2= n1 RT/V+n2 RT/V= (RT/V)(n1+n2)
PV=(n1+n2) RT (eq. Per le miscele di gas)
Una miscela di gas si comporta come un unico gas perfetto.
Esempio: l’aria ha composizione di N2=79%, O2=20%, CO2=0.5%, altri gas=0.5%
Ptot= P(N2)+P(O2)+P(CO2)=1 atm
P(N2)=0.79 atm
P(O2)=0.20 atm
P(CO2)=0.05 atm
P altri gas=0.05 atm
Da cui: P(N2)V=n(N2) RT P(O2)V=n(O2) RT P(CO2)V=n(CO2) RT
Il numero di moli n= M(massa)/A(peso atomico o peso molecolare)
Es. l’ossigeno ha peso atomico 16 mentre la molecola O2 ha peso molecolare 32. Pertanto
1 mole corrisponde a n=M/32 e quindi per prendere n01 moli si deve prendere una massa
M=32 g di ossigeno. Il numero di moli è anche dato dal numero di Avogadro.
n=N(numero di molecole)/Na(numero di Avogadro) Na=6*10^23
pertanto n=M/A=N/Na quindi possiamo scrivere che: PV= (N/Na) RT=N k T
k=R/Na=costante di Boltzmann
Modi di scrivere l’equazione dei gas perfetti:
1. PV=nRT (numero di moli n)
2. PV= NkT (numero di molecole N)
TEORIA CINETICA DEI GAS
Per capire il legame tra le grandezze macroscopiche di un gas, cioè che possiamo misurare
facilmente (pressione, volume, temperatura) e quelle microscopiche (numero e tipo di
molecole) ricorriamo alla teoria cinetica dei gas.
Immaginiamo di avere un volumetto (a forma di cubo) in cui racchiudiamo il gas. Le
molecole seguono le leggi di Newton pur muovendosi a caso. Immaginiamo che il gas sia
ideale quindi il volume del gas è trascurabile rispetto a quello del contenitore e anche le
forze tra le molecole sono trascurabili eccetto gli urti, infatti immaginiamo che non ci sono
urti tra le molecole,
ma che queste
urtino solo con le
pareti.
Moto in una
dimensione:
prendiamo in
considerazione
tutte le molecole
che stanno intorno
ad un cubetto. Di
tutte queste
molecole
consideriamo una
sola che va ad una certa velocità. Immaginiamo che ad un certo istante la molecola abbia
velocità v. In un sistema di riferimento x, y, z e consideriamo la componente della molecola
vx. La molecola muovendosi arriva sulla parete, c’è un urto tra una particella di massa
infinitesima. La particella quando si muove lungo l’asse x prima di arrivare alla parete ha
una quantità di moto iniziale, dopo la particella arriva sulla parete e viene riflessa. Dopo
l’urto la sua velocità diventa negativa, pertanto la variazione della quantità di moto della
singola particella è -2mvx. Quando la particella arriva sulla parete e torna indietro, ha
impresso una forza sulla parete. La forza totale esercitata sulla parete è data dalla
sommatoria di tutte le forze esercitate dalle singole molecole. La forza totale esercitata
m 2
sulla parete da N molecole è: F= N vx
d

Moto in tre dimensioni: quando


parliamo di una velocità, in questo
caso della velocità delle molecole di
gas, la velocità al quadrato la
possiamo esprimere come
componenti della velocità tutte al
quadrato. Le molecole di un gas in un
recipiente si muovono in maniera
casuale. Se il moto è causale le
velocità devono essere uguali tra di
loro.

E= (3/2)kT Energia cinetica di una singola molecola di gas


Per un gas monoatomico: le molecole hanno tre gradi di libertà traslazionale e quindi
essendo:
E = kT/2+kT/2+kT/2 tre componenti ognuna di valore kT/2.
Ciò fa pensare che ogni componente sia dovuta ad ogni grado di libertà della singola
particella.
Modello molecolare per temperatura
E=(3/2)kT

Quindi in generale l’energia cinetica per una molecola di gas potremmo scriverla come:
E= ( 2f ) kT dove f= numero di gradi di libertà di quella molecola. In un gas con N molecole,
l’energia sarà: E=( ) N kT =(f /2)nRT
f
2
Più complessa è la molecola e più i gradi di libertà tendono ad essere 6 se la molecola è
poliatomica e la sua energia diviene: E=3 kT. Per N molecole poliatomiche l’energia totale
delle molecole è: E=3 NkT.
Energia interna di un gas: è la somma di tutte le energie cinetiche delle molecole di quel
gas
N N
1 f f
U = ∑ E ci =∑ m< v 2i ≥ NkT= nRT
i=1 i=1 2 2 2
F = numero gradi di libertà delle molecole del gas
U è l’energia interna del gas e si misura in Joule.
Quando un gas lo possiamo da una temperatura ad un’altra ci sarà una variazione di
energia interna determinata solo da variazioni di temperatura del gas:
∆ U=𝑓/2 𝑛𝑅Δ𝑇
U è una funzione di stato perché dipende solo dalla temperatura finale e da quella iniziale,
ovvero: ∆ U= Uf-Ui= 𝑓/2 𝑛𝑅(𝑇𝑓−𝑇𝑖)

Ricapitolando:
Un gas ha una forma di energia che è l’energia interna. Dobbiamo tenere conto però se il
gas è monoatomico, biatomico, poliatomico/triatomici.

K = U = 3/2 𝑛𝑅𝑇
Per gas monoatomici (He, Ne, Ar, Kr, Xe,
Rn) U = 𝑓/2 𝑛𝑅𝑇= Energia interna del gas

Per gas con f gradi di libertà


U = 5/2𝑛𝑅𝑇

Per gas biatomici (5 gradi di libertà)


(N2, O2, Cl2, F2, …) U = 62𝑛𝑅𝑇= 3nRT

Per gas triatomici e poliatomici (6 gradi di


libertà) (H2O, H2SO4, NH3,
C6H6,…)
In generale: U = 𝑓/2 𝑛𝑅𝑇= 𝑓/2 𝑁𝑘𝑇

Dal punto di vista microscopico il gas rinchiuso in un certo volumetto è costituito da


molecole che non hanno tutte la stessa velocità, ma quello che importa è la media dei
quadrati delle velocità, ovvero la velocità quadratica media (non è la velocità media al
quadrato). La distribuzione delle velocità segue una legge detta legge di Maxwell. Se
dovessimo rappresentare tutte le velocità che hanno le molecole di un gas, dovremmo fare
un grafico in cui mettiamo nelle ascisse le v delle molecole e nelle ordinate il numero di
molecole. Otterremo delle curve a campana ma asimmetriche.

Funzione di Maxwell: (non è importante


da ricordare)

La temperatura non è altro che l’energia cinetica media delle molecole di gas. Aumentando
la temperatura non facciamo altro che aumentare la velocità delle molecole del gas.
Significato intuitivo dello zero assoluto: a T= 0K tutte le molecole sono forme hanno cioè
energia cinetica nulla, non ha quindi senso fisico una temperatura inferiore (l’energia
cinetica non può essere negativa).
N.B. due gas alla stessa temperatura hanno la stessa energia cinetica K=3/2 kb T, ma non
hanno la stessa velocità quadratica media. V qm=
√ 3 kT
m

Esempio: calcoliamo la velocità quadratica media dell’ aria sapendo che è formata da una
miscela di azoto, ossigeno e argon.
Quando studiamo i gas la cosa importante è modificare
le condizioni macroscopiche (t, p, v) del gas. Per
rappresentare lo stato di un gas utilizzeremo un
sistema di riferimento che si chiama piano di
Clapeyron. Questo piano riporta in ascissa i volumi dei
gas e nell’ordinata le pressioni dei gas. Se un gas ha
una certa pressione P1 e un certo volume V1 andiamo
a trovare T1 che è rappresentato da un punto.

Mediante interazione con l’ambiente circostante, si fa


evolvere il gas, il quale passa dallo stato A, descritto dai
parametri P1, V1 e T1, allo stato B descritto dai
parametri P2, V2 e T2.
Facendo ciò abbiamo fatto una trasformazione
termodinamica aperta (cioè se un gas cambia i parametri
macroscopici).
Le trasformazioni termodinamiche sono tali che
partiamo da uno stato iniziale A lo portiamo ad uno stato finale B. Da B lo riportiamo in A.
Quando accade questo significa che abbiamo fatto un ciclo termico/termodinamico.
Quando il sistema, dopo una successione di diversi ed infiniti stati intermedi, si riporta allo
stato iniziale allora esso ha subito una trasformazione chiusa o più comunemente un ciclo
termico. Può essere fatto in senso orario o antiorario.
Se tutti i punti di un sistema si trovano alla stessa temperatura si dice che è in equilibrio
termico. Se il sistema è contemporaneamente in equilibrio meccanico, chimico e termico
allora si dice che è in equilibrio termodinamico.
Le trasformazioni termodinamiche che ci permettono di portare un gas da uno stato ad un
altro possono essere: (pag.179)
 Ideali (reversibili)-> quando portiamo lo stato di un gas da un punto A a un punto B
e possiamo trascurare le perdite dovute all’attrito, calore scambiato con l’esterno,
cioè la trasformazione riesce a cancellare la traccia lasciata nell’ambiente
circostante. Se le perdite di energia sono trascurabili allora le trasformazioni sono
reversibili cioè possiamo anche tornare indietro senza perdere alcun tipo di energia.
 Reali (irreversibili)-> se perdiamo un po’ di energia, es. un gas all’interno di un
cilindro. Quindi l’ambiente circostante contiene tracce lasciate dal sistema.
Principali categorie di processi irreversibili sono tutti i processi in cui interviene
l’attrito, passaggio di calore.
Un ciclo termico si dice reversibile se sono reversibili tutte le trasformazioni che lo
compongono. Invece si dice irreversibile se almeno una trasformazione è irreversibile.
Immaginiamo un gas chiuso all’interno di un cilindro con un pistone. Lo possiamo
comprimere muovendo il pistone oppure lo possiamo espandere. Facendo questo
dobbiamo applicare delle forze e fare un lavoro. L=F ∆ x=P S ∆ x=P ∆ V
∆ x =spostamento. Il lavoro dipende dalla pressione del gas per la variazione di volume.

Se la pressione è costante e cambiamo solo il volume del gas allora L=P ∆ V =¿ area
racchiusa del rettangolo di base ∆ V ed altezza P. Se abbiamo una variazione di pressione e
B v2

una variazione di volume L=∫ dL=∫ p dV


A v1

Lavoro nelle trasformazioni


1. Isobare
2. Isocore
3. Isoterme
4. Adiabatiche
Tutte le altre sono la combinazione di queste quattro.
ISOBARE: avviene a P=costante
B B

Se ∆ V > 0→ L>0 L=∫ PdV =P ∫ dV =P (Vb−Va )


A A
Se ∆ V < 0→ L<0
Nel diagramma di Clayperon è rappresentata da un rettangolo.

ISOCORE: avviene a V=costante


B

Se ∆ V =0 → L=0 L=∫ PdV =0 (non c’è lavoro)


A

ISOTERME: segue la legge di Boyle quindi avviene a T=costante. Volume aumenta e la


pressione si riduce (da A a B). Da B ad A al contrario.
PaVa=PbVB
B B
nRT
L=∫ PdV =∫ dV =nRT ¿ ¿ ¿
A A V

Nel diagramma di Clapeyron questa trasformazione è rappresenta da un’ iperbole.


ADIABATICHE (non c’è scambio di calore tra il gas e l’esterno): avviene a Q=costante e
PV=costante=C (1 eq. Di Poisson) γ =coeff . adiabatico
Nel diagramma si ha un curva più pendente dell’iperbole.
B B B B
C dV −γ
L=∫ PdV =∫ dV =C ∫ =C ∫ V dV =C ¿ ¿ ¿ ¿ ¿
A A Vγ A Vγ A ¿

¿
C
1−γ
( ( )
V B P B−V A P A )
1
C
=
VbPb−VaPa
1−γ
P −γ
In quanto PV γ =C e quindi =V
C

Un ciclo termico è una successione di trasformazioni


termodinamiche che riportano il gas allo stato
iniziale. Se il gas si trova, all’inizio, nello stato A, dopo
una serie di trasformazioni, che sono sintetizzate
rappresentate dai cammini 1 e 2, il gas ritorna allo
stato iniziale A. I cammini 1 e 2 delimitano una
regione finita di piano. Graficamente si nota che le
trasformazioni si susseguono in senso orario. Quando
si verifica questa situazione, il lavoro è positivo ed è
fatto dal gas sull’ambiente circostante. Inoltre, graficamente, il valore del lavoro si trova
calcolando l’area racchiusa dal ciclo, ovvero l’area del piano racchiusa tra i due cammini 1 e
2 (parte gialla del grafico). Quando il ciclo è antiorario (si dice ciclo frigorifero) il lavoro è
negativo.
In termodinamica esistono 3 principi fondamentali su cui si basa la scienza.
PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Il primo principio della termodinamica lega tre grandezze energetiche (energia interna di
un gas, lavoro fatto dal sistema e scambio di calore del sistema) che sono in gioco quando
parliamo di un gas. Quello che influenza questo principio è la variazione di U.
f f
Energia interna del sistema: U = NkT = nRT se mettiamo in evidenza il n di moli
2 2

se mettiamo in evidenza il numero di molecole del gas


Questa energia dipende dalla temperatura, se la temperatura aumenta l’energia interna
aumenta, mentre se la temperatura diminuisce l’energia diminuisce.
B

Lavoro fatto dal sistema : se c’è aumento di volume L>0 L=∫ PdV , se nella trasformazione
A

c’è una diminuzione di volume del gas allora L<0.


Quando il lavoro è positivo significa che è il gas che si espande e compie lavoro, quindi
l’energia la mette il gas che è compresso in un cilindro con un pistone. Lo spostamento del
pistone è fatto dal gas. Se invece siamo noi a comprimere un gas, il volume si riduce quindi
il lavoro è negativo. Lavoro positivo=lo compie il gas Lavoro negativo= noi dall’esterno
Scambio di calore del sistema: la quantità di calore scambiato dipende dal calore specifico,
dalla massa e dalla variazione di temperatura.
Q=n c s ∆ T ceduto al sistema se Q>0, mentre se è estratto dal sistema Q<0

Il primo principio della termodinamica: il calore somministrato ad un sistema può produrre


variazione di energia interna e lavoro sul sistema.
Questo principio stabilisce che: “ la variazione di energia interna di un sistema è uguale
alla differenza tra il calore scambiato dal sistema con l’ambiente esterno e il lavoro
esercitato tra il sistema e l’ambiente esterno”.
∆ U =Q−L -> Q=∆ U + L

Immaginiamo di avere un gas in un cubetto, se forniamo calore al gas, una parte del calore
può provocare il riscaldamento del gas cioè una variazione di temperatura quindi una
variazioni di energia interna, l’altra parte del calore può provocare un lavoro che il gas fa
espandendosi.
Quando riscaldiamo un gas la quantità di calore è positiva Q>0, se sottraiamo energia ad
un gas allora il calore è negativo Q<0.
Ricapitolando: ∆ U > 0se aumenta la temperatura
∆ U < 0 se diminuisce la temperatura

L>0 se aumenta il volume

L<0 se diminuisce il volume

Q>0 se cediamo calore ad un gas

Q<0 se sottraiamo calore ad un gas

La quantità Q−L=∆ U , ma ∆ U dipende solo dalla temperatura, cioè dipende dallo stato
finale dell’energia interna nel punto B meno lo stato iniziale di energia interna nel punto A.
Q−L=∆ U =Uf ( B )−Ui ( A )

∆ U si chiama funzione di stato perché non dipende dalla trasformazione termodinamica,


dipende solo dalla variazione di temperatura. Se quindi questa variazione di energia
interna dipende dalla temperatura allora anche la differenza Q-L è una funzione di stato.
Singolarmente Q ed L dipendono dal tipo di trasformazione e non sono funzioni di stato.
Se le variazioni sono finite scriviamo: Q=∆ U + L, se le variazioni sono infinitesime lo
scriveremo in forma differenziale: δQ=dU +δL
Trasformazioni termodinamiche e primo principio
1. Trasformazioni isocore V=costante vale la legge di Gay-Lussac, pressione e
temperatura sono proporzionali tra di loro quindi Pa/Ta=Pb/Tb. Per il primo
principio della termodinamica sappiamo che Q=∆ U + L, ma in questo dato che non
c’è variazione di volume ∆ V =0 quindi L=0 e Q=∆ U . Nei casi in cui un gas è chiuso
in un volume che non può modificarsi, se diamo calore riscaldiamo il gas. Se
raffreddiamo il gas la temperatura si abbassa. Se Q>0 anche ∆ U >0 perché aumenta
la temperatura, se Q<0 la temperatura si abbassa.
Possiamo scrivere Q adoperando l’equazione del calore specifico: Q=n c v ∆T
cv=calore specifico a volume costante da qui ci ricaviamo che
f f
n c v ∆ T =∆ U = nR ∆ T ->c v = R
2 2
-Per gas monoatomici (tutti gli atomi nell’ultima colonna della tabella periodica-He,
3
Ne, Ar, Xe…) c v = R
2
5
-Per gas biatomici (H2, N2, O2…) c v = R
2
6
-Per gas triatomici e poliatomici (da 3 molecole in su H2O, H2SO4…) c v = R=3 R
2
6 gradi di libertà: 3 dovuti al movimento traslazionale e 3 dovuti alla rotazione lungo
l’asse x, y e z.
Esercizio : che calore specifico cv ha un gas costituito da vapore di acqua?
La molecola è H2O, è triatomica e quindi ha 6 gradi di libertà: f=6. Pertanto il calore
specifico molare a volume costante sarà: Cv=(f/2)R= (6/2)R=3R=3(8.31 J/mole K)=24.93
J/mole K
2. Trasformazioni isobare P=costante , vale la legge di Charles ovvero temperatura e
volume sono proporzionali tra loro quindi ∆ V > 0 Va/Ta=Vb/Tb L=P(Vb−Va)
Se applichiamo a questa trasformazione il primo principio della termodinamica
Q=∆ U + L allora ∆ U ≠ 0 e L ≠ 0. Q=n c p ∆T cp=calore specifico a pressione
costante, per i gas i calori specifici dipendono dal tipo di molecola e di
trasformazione.
∆ U =n c v ∆ T -> L=P ∆ V =nR ∆ T per il primo principio della t.
n c p ∆ T =n c v ∆ T + nR ∆ T se semplifichiamo scopriamo che c p=c v + R
R=c p−c v (equazione di Mayer)

f 2+ f 5
-Per i gas monoatomici c p >c v c p= R+ R= R ; cp = R
2 2 2
7
-Per i gas biatomici c p= R
2
8
-Per i gas triatomici e poliatomici c p= R=4 R
2

Esempio: che calore specifico Cp ha un gas costituito da vapore di acqua?


La molecola è H2O, è triatomica e quindi ha 6 gradi di libertà f=6, pertanto il calore
specifico molare a pressione costante sarà: Cp=(2+f/2)R=(8/2)R=4R=4(8.31J/mole K)=33.24
Se Q>0 allora anche ∆ T>0 e L>0 (aumenta U e il lavoro è positivo ovvero è fatto dal sistema
sull’esterno, ovvero il gas si espande).
Se Q<0 allora anche ∆ T<0 e L<0 (U si riduce e il lavoro negativo significa che il gas è

compresso di volume). Nelle trasformazioni isobare il lavoro si può calcolare come segue:
B B
L=∫ pdV =P ∫ dV =P ( Vb−Va )=nR(Tb−Ta)
A A

3. Trasformazioni isotermiche a T=costante per la legge di Boyle PaVa /PbVb


Per il primo principio della t. Q=∆ U + L la variazione di energia interna dipende
dalla variazione di temperatura e dato che la temperatura è costante
∆ U =nR ∆T =0. Il lavoro è positivo se il volume aumenta, è negativo se il volume
diminuisce Q=L
B B
nRT
Q=L=∫ PdV =∫ dV =nRT ¿ ¿ ¿
A A V
Se Q>0 anche L>0, mentre se Q<0 anche L<0

4. Trasformazioni adiabatiche a Q=0, non c’è scambio di calore, il gas si trova racchiuso
in un recipiente con pareti adiabatiche. P V γ =¿costante =C ( 1 equazione di Poisson)
γ =c p c v = coefficiente adiabatico sempre positivo

-Per i gas monoatomici γ = ( 52 )( 32 )= 53 =1.66


-Per i gas biatomici γ =( )( )= =1.4
7 5 7
2 2 5
4
-Per i gas triatomici e poliatomici γ = =1.3
3
Tutti i gas con lo stesso grado di libertà hanno lo stesso calore specifico.
γ
Quando P V = ( nRT
V )
γ γ −1
V =costante , allora V =costante (2 eq. di Poisson)

Quando P (
P )
γ
nRT
=costante allora P T =cost (3 eq. di Poisson)
1−γ γ

γ >1 quindi la curva è più pendente rispetto alla trasformazione isotermica (dove
γ =1)
Abbiamo detto che non c’è scambio di calore, le pareti sono isolanti e non può né
entrare né uscire calore dal gas quindi Q=0 e per il primo principio della t. ∆ U +L=0;
L=−∆ U . Se L>0 (espansione gas) allora ∆ U<O (raffreddamento gas).
Se L<0 (compressione gas) allora ∆ U>0 (riscaldamento gas).
B
VbPb−VaPa
Calcolo del lavoro nella trasformazione adiabatica: L=∫ dV = oppure
A 1−γ
L=−∆ U=−n c v ∆T =−n c v ( Tb−Ta )=n c v (Ta−Tb)

Si applica nelle macchine frigorifere per abbassare la temperatura di un gas.


I calori specifici non sono perfettamente costanti ma dipendono dalla temperatura, specie
a bassa temperatura alla quale tendono ad azzerarsi perché non possono esserci scambi di
calore a 0 K.
Conversione calore in lavoro
Il lavoro meccanico si può trasformare in calore, ma possiamo trasformare calore in
lavoro? Il secondo principio ci vieta, non possiamo trasformare continuamente calore in
lavoro con una macchina termica, ma solo una parte.
Nelle trasformazioni isotermiche con T=cost, andando da A a B Q=L AB , ma l’espressione
non può durare troppo. Se torniamo indietro LBA =−Q quindi ritrasformiamo lavoro in
calore e in totale avremo che ∑ L=0
Per convertire almeno una parte di calore in Lavoro si deve ritornare da B ad A tramite una
trasformazione più bassa (spendendo meno lavoro) e poi di nuovo ritornare a B e via
dicendo, cioè dobbiamo compiere uno o più cicli termici.
Calore trasformato in lavoro: Q1-Q2=L=∮ pdV (area racchiusa dal ciclo) quel
segno=integrale ciclico

Il secondo principio della termodinamica afferma che: “ non può esistere una macchina
termica che trasformi il calore in lavoro”.
Noi diamo calore, ma non tutto questo calore si può trasformare in lavoro, una parte deve
essere necessariamente ceduta.
Trasformazioni cicliche
In una trasformazione ciclica la variazione di energia interna (funzione di stato) è 0
∆ U =0 , U dipende solo dallo stato del sistema e se applichiamo il primo principio della t.
significa che Q=L=∮ pdV . In un ciclo termico il lavoro è positivo L>0 in senso orario, in un
ciclo frigorifero il lavoro è negativo L<0 in senso antiorario.
MACCHINE TERMICHE
L’uomo a partire dal ‘600-700 ha realizzato delle macchine termiche per trasformare
quantità di calore in lavoro (es. le vecchie locomotive a vapore). La caratteristica principale
di una macchina termica, nella sua operazione ciclica, è la capacità di fornire lavoro a spese
del calore scambiato con determinate sorgenti. Per compiere lavoro la macchina sfrutta
l’espansione di un gas contenuto dentro un cilindro chiuso da un pistone. Il gas compie
lavoro finchè spinge il pistone, perciò la quantità di lavoro che si ottiene è limitata dalla
lunghezza del cilindro. Per ottenere un lavoro continuo il pistone deve tornare nella
posizione di partenza, seguendo varie trasformazioni, che comportano comunque una
compressione e quindi una cessione di calore. È proprio da questa fase di funzionamento
che dipende l’efficienza della macchina termica.
Una quantità di calore viene data alla
macchina termica, una parte si trasforma in
lavoro e necessariamente l’altra parte di
questo calore verrà ceduto, questo ci dice il
secondo principio della termodinamica. Il
calore possiamo trasformalo in tante forme
di energia come la luce, in energia elettrica
etc…

Il secondo principio della termodinamica


Mentre la trasformazione di lavoro in calore è sempre possibile (per esempio, le forze
d’attrito fanno proprio questo), il processo inverso è possibile solo se vengono rispettate
alcune condizioni, stabilite dal secondo principio della termodinamica , una legge che si
può esprimere in modi diversi. I due più noti enunciati di tale principio sono quelli di
Kelvin e di Clausius.
 ENUNCIATO DI KELVIN: È impossibile
realizzare una trasformazione il cui unico
risultato sia quello di convertire in lavoro tutto
il calore assorbito da una sola sorgente.
 ENUNCIATO DI CLAUSIUS: È impossibile
realizzare una trasformazione il cui unico
risultato sia quello di trasferire calore da un
corpo ad un altro avente una temperatura
maggiore o uguale a quella del primo.

I diversi enunciati del secondo principio della termodinamica sono tutti equivalenti tra loro.

Non può esistere una macchina termica se non c’è calore ceduto, se c’è una parte di calore
ceduto allora possiamo realizzare una macchina termica. Nelle macchine frigorifere che
servono per abbassare la temperatura di un certo ambiente, fa un ciclo antiorario.

Macchina di CARNOT (ideale)


Serve a trasformare una certa quantità di calore in lavoro.
Questa macchina si disegna in un piano di Clapeyron ed è isotermica
costituita da 4 trasformazioni termodinamiche.
La macchina di Carnot è formata da un ciclo in un gas
perfetto, costituito da due trasformazioni isoterme (AB e
DC in figura) e due adiabatiche (BC e DA in figura). adiabatica
Osserviamo la prima figura e immaginiamo di andare dal punto 1 al punto 3, dal punto di
vista fisico immaginiamo di avere un cilindro, un pistone dentro il cilindro. Durante la
trasformazione isotermica significa che andando dal punto 1 al punto 2 il volume si sta
riducendo quindi stiamo eseguendo un lavoro negativo. Nel fare questo significa che c’è
uno scambio di calore, mentre dal punto 2 al punto 3 abbiamo la trasformazione
adiabatica, ciò significa che questa parte del recipiente ha delle pareti adiabatiche che
isolano il gas e non gli fanno né perdere né acquistare calore. Durante questa
trasformazione adiabatica la temperatura aumenta, il volume si riduce tutto ciò senza
scambio di calore.
Osservando la seconda immagine vedremo che andando dal punto 3 al punto 1. Dal punto
3 al 4 abbiamo una trasformazione isotermica e il volume aumenta assorbendo calore.
Nell’ultima parte della trasformazione adiabatica dal punto 4 al punto 1 non c’è scambio
da calore.
Con questi processi non facciamo altro che prelevare calore dall’esterno, trasformalo in
lavoro e cedere una certa quantità di calore.
Il rendimento η di una macchina termica è definito dal rapporto tra l’intensità del lavoro
|L|
prodotto dalla macchina L e l’intensità del calore assorbito Qa η=
|Q a|
Qa=calore assorbito ad alta temperatura che potremmo tutto trasformare in lavoro ma
non si può, solo una parte. Qc=lavoro ceduto a bassa temperatura.
Una macchina termica a rendimento elevato tende a produrre un lavoro relativamente alto
e assorbire la minore quantità di calore possibile. il calore ceduto dalla sorgente calda si
trasforma parzialmente in lavoro e la restante parte di calore viene ceduta alla sorgente
fredda. Qa=L+Qc L=Qa-Qc
Qa−Qc
Da cui facendo una sostituzione ∆ U ABCD=0 η= =1−Qc /Qa
Qa
η<1 non puà mai arrivare ad 1 perché per arrivare ad 1 significherebbe che il calore
ceduto deve essere uguale a 0, ma il secondo principio della t. ci vieta che Qc sia =0.
Maggiore è il rendimento (ma sempre <1), meglio stiamo convertendo calore in lavoro.
Nessuna macchina termica può avere il 100% di efficienza. La macchina più efficiente
possibile è quella di Carnot che lavora con processi reversibili con due trasformazioni
isoterme e due adiabatiche tra due fonti di calore T=Th e T=Tc.
Qc/Qa=

Se Qc essendo ceduto è negativo, consideriamo Qc=Qcd pertanto Qc/Qa=Tc/Ta (teorema


di Carnot). Il rapporto tra il calore ceduto ed il calore assorbito è uguale al rapporto tra la
temperatura alla quale si cede calore e la temperatura alla quale si assorbe calore. Ci aiuta
a calcolare facilmente il rendimento di una macchina, cioè quanto calore si trasforma in
lavoro.

Qc Tc
Quindi da questo teorema il rendimento per una macchina ideale è η=1− =1−
Qa Ta

Questo teorema ci aiuta molto perché talvolta è difficile attuare misure per calcolare il
calore scambiato, invece calcolare le temperature esterne, estreme alle quali possiamo far
funzionare una macchina termica, sappiamo direttamente qual è il rendimento di quella
macchina ideale di Carnot
Esercizio 1.
T1= 300 K T2= 400 K η =?
η =1-Tc/Ta= 1-300/400= o,25% (massimo rendimento di una macchina ideale)

Tutte le macchine ideali operanti tra le stesse temperature hanno lo stesso rendimento.
Il teorema di Carnot è valido solo per macchine e cicli ideali e non reali.
Per i cicli reali il rendimento di una macchina ideale (reversibile) è sempre maggiore
rispetto al rendimento di una macchina reale che attua cicli con trasformazioni irreversibili;
in genere si ha:
η(irrev)≤ η(rev )
Per le macchine irreversibili non vale il teorema di Carnot, quindi il rendimento va scritto
come:
(1-Qc/ Qa)irr ≤ (1-Qc/ Qa)rev =1-Tc/Ta
(1-Qc/ Qa)irr ≤ 1-Tc/Ta
Qc/Qa ≥ Tc/Ta
Qc/Tc - Qa/Ta ≥ 0
Qa /Ta – Qc/Tc ≤0
Qi δQ
Per più scambi di calore ∑ ≤0 ovvero ∮ ≤ 0 (diseguaglianza di Clausius)
Ti T
La diseguaglianza di Clausius ci indica che i rendimenti delle macchine termiche reali sono
sempre minori dei rendimenti delle macchine termiche ideali. Se studiassimo in maniera
più approfondita le macchine termiche, capiremmo che è importante definire nelle
macchine termiche quanto calore viene scambiato rispetto alla temperatura alla quale
∆Q
avviene lo scambio di calore, cioè definire meglio il rapporto che è una quantità che in
T
termodinamica prende il nome di variazione di entropia ∆ S

ENTROPIA
Per distinguere il comportamento del calore alla diverse temperature Clausius introdusse
l’entropia.
∆Q
Si definisce variazione di entropia una funzione di stato data da: ∆ S=S ( B )−S ( A )=
T
Si misura in J/K e può essere scritta come dS= δ Q /T

Variazione di entropia= entropia finale – entropia iniziale di un sistema soggetto ad una


trasformazione dallo stato A allo stato B alla temperatura T.
È una quantità che dipende da quanto calore viene scambiato ad una determinata
temperatura. Se le variazioni sono infinitesime scriveremo dS=dQ/T.
L’entropia S è una funzione di stato, come U, dipende solo dalla stato finale e da quello
iniziale e non dal tipo di percorso eseguito.
Quando parliamo di trasformazioni termodinamiche è importante parlare anche
dell’entropia perché ci fa capire se uno scambio di calore avviene spontaneamente o no.
∆Q ∆Q
Ciclo reversibile ideale: ∫ =∫ ∆ S=S ( B )−S ( A )=∆ S -> ∫ =S
T T

∆Q ∆Q ∆Q
Ciclo irreversibile reale : ∫ <∆ S irrev< rev=∆ S (sempre)
T T T

Sistema isolato: Q=0 ∆ Q=0 ∆ S=0 nei cicli ideali e ∆ S> 0nei cicli reali.

In generale nei sistemi isolati le variazioni di entropia sono maggiori i uguali a zero e
avremo: ∆ S> 0nei cicli reali e ∆ S=0 nei cicli ideali.
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
In un sistema isolato l’entropia del sistema o si mantiene costante ∆ S=0 o aumenta ∆ S> 0
, ma non può MAI ridursi infatti S ( B )−S ( A ) ≥ 0
Se si hanno soltanto trasformazioni reversibili ∆ S=0 , nelle trasformazioni irreversibili
(reali) ∆ S> 0.
Un particolare sistema isolato è l’UNIVERSO e tutto ciò che avviene in esso, avviene
spontaneamente in modo tale che l’entropia aumenti sempre, di fatti l’universo è in
continua espansione perché avvengono trasformazioni irreversibili /reali.
Anche il TEMPO è correlato ad un aumento di entropia.
Nuovo enunciato del II principio: Un sistema isolato perturbato giunge ad una nuova
condizione di equilibrio che corrisponde al massimo aumento di entropia.

Entropia in un sistema NON isolato


In un sistema fisico non isolato, l’entropia può anche diminuire (es. frigorifero) ma
provocando nell’ambiente esterno un aumento di entropia maggiore. Mentre in un
sistema isolato l’entropia può solo aumentare o restare costante, in sistema non isolato,
l’entropia può diminuire. Sulle variazioni di entropia si può citare il terzo principio della t.

TERZO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA (teorema di Nernst)


Non è possibile, con un processo composto da un numero finito di passi raffreddare un
corpo fino allo zero assoluto. Attraverso un numero finito di trasformazioni non si può mai
arrivare allo 0 assoluto. (lo zero assolto di Kelvin è una temperatura alla quale non
avvengono scambi di calore, non si muove nulla in quel sistema). Allo 0 assoluto non ci
sono scambi di calore (0 K=-273 ℃ ), il gas non c’è più tutte le velocità delle sue particelle
(atomi, molecole) tendono a 0. Quando la temperatura tende a 0, sia le variazioni di
entropia sia il calore scambiato e sia i calori specifici vanno pure a 0.
Questo principio non fa riferimento solo all’entropia ma anche ai calori specifici ed il calore
scambiato.
lim ∆ S=0 lim Q=0 lim C ∙ S=0
T →0K T →0K T →0K

Non possiamo tentare di raggiungere lo zero assoluto con delle macchine frigorifere che
sottraggono sempre calore ad un oggetto ma il 3 principio ci dice che per arrivare allo 0
assoluto il numero di processi dovrebbe essere infinito e quindi non ci si può arrivare, è
impossibile. L’ultima tecnologia ci può portare vicino allo 0 assoluto, tipo nella liquefazione
dell’elio. L’elio liquido ha una temperatura di 1° K, si arriva vicino. Allo 0 assoluto non c’è
scambio di nulla, non si può studiare nulla.
Ricapitolando:
 1 principio= Q=∆ U + L
 2 principio= non si può convertire interamente il calore in lavoro
 3 principio= 0 K è una temperatura ideale irraggiungibile anche se oggi possiamo
arrivare a temperature molto vicine.

Se calcolando le variazioni di entropia, ci accorgiamo che ∆ S> 0vuol dire che il sistema si
sta evolvendo e quel dato fenomeno può avvenire spontaneamente in natura
(trasformazione irreversibile).
Se invece da un calcolo di variazione di entropia troviamo che ∆ S< 0significa che quel dato
processo non avviene in maniera spontanea in natura ma può venire solo a spese di
energia, in modo forzato ed in un sistema sicuramente non isolato. Finché c'è vita, c'è un
certo ordine, l'entropia di un organismo è molto bassa, nel momento in cui l'essere vivente
muore, l'entropia aumenta perché non si apporta più energia al sistema. un sistema al
momento in cui muore permette aumento di entropia. Finché c'è vita, c'è un ordine è
l'entropia è mantenuta la più bassa possibile. applicando, calcolando il ∆ S per le 4
trasformazioni, adesso si può capire quale di esse avvengono in modo spontaneo e quali
no.
1. Trasformazioni isotermiche T=costante PV=costante (eq. di Boyle)
δQ dU + δ δL
dS=∫ = = δ = infinitesimo non funzione di stato
T T T
d = si applica alle funzioni di stato
Vb
nRT ln
δL P∆V 1 Va Vb Pa
∆ S=∫ dS=∫ =∫ = ∫P∆V = =nR ln =nR ln
T T T T Va Pb

P e V sono inversamente proporzionali.


Per un’espansione isotermica con V finale>V iniziale, ∆ S> 0 rappresenta un’espansione
irreversibile (reale) che può avvenire spontaneamente. In un sistema, se avviene una
trasformazione isotermica di espansione si avrà ∆ S> 0 e tutto avviene in modo spontaneo.
Il contrario non può avvenire se non si ha un sistema non isolato. In un sistema isolato non
può avvenire una contrazione di volume perché significherebbe che Vb sarebbe minore di
Va ed il ∆ S< 0. Nei sistemi isolati ∆ S ≥ 0.

2. Trasformazioni isocore V=costante P/T= costante


δQ dU +δL dU
dS= = =
T T T

dU n cv ∆ T ∆T Tb Pb
∆ S=∫ dS=∫ =∫ =n c v ∫ =n c v ln =n c v ln
T T T Ta Pa
P e T sono dirett. Proporzionali
In un sistema isolato se ci fosse un aumento di temperatura da Ta a Tb e Tb>Ta allora
∆ S> 0, quindi si ha una trasformazione irreversibile che può avvenire spontaneamente. In
un sistema isolato una trasformazione isocora con riduzione di temperatura non ci può
essere.
3. Trasformazioni isobare P=costante V/T=costante
δQ dU +δL n c p ∆ T
dS= = =
T T T

ncp∆T ∆T Tb Vb
∆ S=∫ dS=∫ =n c p∫ =n c p ln =n c p ln
T T Ta Va
V e T sono dirett. proporzionali
Per un’espansione isobara dove Vb>Va cioè V finale > V iniziale, ∆ S> 0, quindi essa
rappresenta una trasformazione reversibile che può avvenire spontaneamente, mentre
una trasformazione isobara non può avvenire in un sistema isolato.
4. Trasformazioni adiabatiche Q=0

∆ S=0 se si ha una trasformazione ideale


∆ S> 0 se si ha una trasformazione reale

Calcolo di entropia nei passaggi di stato


Q λm
∆ S= = λ =calore latente m=massa
T T
Per far avvenire un passaggio di stato bisogna scambiare calore a temperatura costante.

Esercizio: fusione del ghiaccio


T=273 K λ=¿80 Kcal/Kg m=1Kg
Kcal
80 . 1 Kg
λm kg Kcal -> quindi la fusione del ghiaccio è un processo che
∆ S= = =0 ,29 >0
T 273 K K
può avvenire spontaneamente

L’entropia quindi ci fa capire se un processo può avvenire spontaneamente ∆ S> 0o no.

Aumento di entropia

-GHIACCHIO+CALORE=FUSIONE ∆ S> 0 da SOLIDO A LIQUIDO si ha processo spontaneo


-da LIQUIDO a SOLIDO ∆ S< 0 (perché dobbiamo sottrarre calore)
-da LIQUIDO a GAS ∆ S> 0 (EVAPORAZIONE=processo spontaneo)
-da GAS a LIQUIDO ∆ S< 0 (LIQUEFAZIONE =si deve spendere energia)

L’entropia di un solido è la minima possibile, c’è un ordine degli atomi e delle molecole, in
liquido l’entropia inizia ad aumentare, in un gas il disordine è molto elevato e ha entropia
massima.
Ordine-> minima entropia
Disordine-> massima entropia
Processo esotermico ∆ S> 0
Processo endotermico ∆ S< 0
Se vogliamo scindere la molecola di acqua (reazione endoenergetica) dobbiamo impiegare
moltissima energia, non si ha un processo spontaneo.
Le funzioni di stato sono proprietà che sono determinate dallo stato del sistema 8iniziale o
finale) indipendentemente da come si è raggiunto lo stato stesso.
Energia, entalpia (U+PV), pressione, volume temperatura, entropia
Nei processi spontanei si raggiunge un maggiore Equilibrio.
Altre funzioni di stato che determinano se un processo è spontaneo o meno:
1) Entalpia H =U+pV , se risulta ∆ H ≤ 0il processo è spontaneo
Es. H2O →1/2𝑂2+ 𝐻2 Δ𝐻=+68.4𝑘𝑐𝑎𝑙
(Reaz . Endoenergetica che avviene solo con abs di calore, non spontanea)
1/2𝑂2+ 𝐻2→ H2O , ∆ H = 68.4 kcal ( Reaz . Esoenergetica , che avviene spontaneamente
con sviluppo di calore)
2) Energia Libera (o di Helmholtz ) F=U-TS,
Se risulta Δ𝐹≤0 𝑖𝑙𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 è𝑠 𝑝𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑒𝑜
3) Entalpia Libera (o funzione di Gibbs ) G= U-TS+pV
Se risulta Δ𝐺≤ 0 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 è 𝑠𝑝𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑒𝑜

GAS REALI
Molti gas si comportano come gas ideali, specialmente quando il gas è costituito da piccole
molecole (H2) e quando i gas si trovano ad alte temperature. In queste due situazioni il gas
si può studiare seguendo la legge di stato dei gas perfetti (PV=nRT)

Si ricorre ad una modificazione della legge di stato dei gas perfetti quando il gas è
costituito da molecole con alto peso molecolare (CO2) e quando la temperatura del gas
non è elevata, si parla di gas REALE. Le variazioni che riguardano il gas reale rispetto a
quello ideale si trovano soprattutto a livello del covolume che è il volume delle molecole. Il
volume finito delle molecole aumenta perché ci sono tantissime molecole, quindi il volume
che ha a disposizione il gas si riduce.
Covolume= volume delle molecole di gas- volume totale

Un altro aspetto importante da considerare riguarda gli urti tra particelle ( nei gas ideali
consideravamo solo la pressione delle molecole sulle parti);i siccome stiamo considerando
molecole di grandi dimensioni, è chiaro che con il movimento di queste molecole esse
andranno ad urtarsi tra di loro. A questo punto la cosa che bisogna fare è modificare,
correggere l'equazione dei gas perfetti a causa del fatto che il volume si deve ridurre ad
una certa quantità che dipende dal volume delle molecole che aggiungiamo.

COVOLUME---Se b è il volume materialmente occupato dalle molecole che costituiscono


1 mole di gas, indicato come covolume, il volume realmente disponibile per il movimento
delle molecole presenti nelle n moli di gas reale è V-n b
V ideale=V reale−n ∙b n=numero di moli b=coefficiente che dipende dal tipo di gas

L’altro processo risiede nel fatto che bisogna cambiare anche il valore della pressione,
perché le molecole urtando tra di loro aumentano il numero di urti sulle pareti stesse. Alla
pressione P bisogna aggiungere qualcosa che dipenderà ancora dal numero di moli (quante
( ) del gas dentro il recipiente per una costante a che,
2
n
molecole ci sono) e dalla densità
V
come b, dipende dal tipo di gas.

( ) ( )
2 2
n n
P ideale−a =P reale P=P reale +a
V V

( )
2
n
Il termine è noto come pressione interna o pressione di coesione. Quindi, bisogna
V
correggere l’equazione dei gas perfetti per questi due contributi il volume (che non è
quello ideale) e la pressione (che non è quella ideale).

Gas Ideali : Dimensione trascurabile delle molecole, trascurabile interazione tra le


molecole, non esistono urti tra le molecole. P V = R T
Gas Reali: Dimensione finita delle molecole, interazioni tra le molecole (Ex forze attrattive),
urti tra le molecole.
Equazione di Van der Waals per 1 mole: P+ ( a
V
2 )
= (V −b )=RT

( )
2
n a
Equazione di Van der Waals per n moli: P+ 2
=( V −nb )=RT
V
V=volume occupato dal gas a=costante del gas b=costante del gas (covolume)

Un gas si comporta come REALE


quando più è bassa la temperatura e
più grande è il peso molecolare.
Diagramma di Clapeyron

Se rappresentiamo nel diagramma di


Clapeyron le trasformazioni isotermiche (PV=costante) che danno luogo a curve di iperboli
equilatere (simmetriche rispetto agli assi), ad alte temperature queste curve sono lontane
dagli assi (vale la legge di Boyle PV=costante). Quando la temperatura del gas si abbassa, le
iperboli equilatere cominciano a modificarsi, di fatti, per ogni tipo di gas, esiste una
temperatura critica Tc, a partire dalla quale le curve di Boyle si modificano, subiscono un
flesso (l’andamento da regolare inzia ad essere irregolare). Sotto la Tc il gas si comporta
come gas reale mentre, sopra la tc il gas si può considerare ideale.
Al di sotto della Tc, le curve isotermiche si modificano sempre di più: a bassi volumi la
curva è molto ripida, la pressione varia e il gas può trovarsi sotto forma di liquido. C'è una
zona in cui si può variare il volume mantenendo costante la pressione ed in questa zona il
gas lo chiamiamo vapore e c'è un equilibrio liquido perché il gas in parte è liquido ed in
parte è vapore. Poi c'è una zona a basse pressioni ed alti volumi in cui la curva tende ad
essere asintotica con l'asse v, il comportamento è quello di un gas ma, poiché siamo sotto
la Tc, lo chiamiamo vapore.
Che differenza c’è tra un gas ed un vapore?
Il gas è lo stato aeriforme sopra la temperatura critica
Il vapore è lo stato aeriforme sotto la temperatura critica=gas reale

Per ogni tipo di gas ad alte temperature il gas si comporta come ideale, vale la legge di
Boyle(PV=costante) ma, abbassando la temperatura, via via che ci avviciniamo agli assi,
succede che ogni gas possiede una temperatura critica e soprattutto un punto di flesso
dove le iperboli equilatere cominciano a manifestare un andamento non più regolare e
iniziano a trovarsi dei punti che sono caratterizzati non solo da una temperatura critica ma
anche da una pressione critica e da un volume critico. Per ogni caso esistono quindi Tc, Vc
e Pc che sono legati ai parametri a e b prima c dati attraverso delle equazioni:
2
27 R ∙ Tc R∙ Tc 8 a 1 a
a= b= Tc= ∙ ∙ Vc=3 ∙b Pc= 2
64 ∙ Pc 8∙ Pc 27 b R 27 b

Al di sotto della temperatura critica le curve sono molto ripide a bassi volumi con la
pressione, poi presentano una zona in cui il volume cambia e la pressione resta costante ed
un'altra zona in cui volume e pressione diminuiscono in maniera asintotica. Nella zona in
cui le curve sono ripide il gas si comporta come un liquido, nelle zone in cui c'è il
comportamento asintotico delle curve il gas si comporta come vapore, nella zona
intermedia in cui le curve si appiattiscono c'è equilibrio tra liquido e vapore che coesistono.
La pressione del tratto orizzontale si chiama anche pressione di vapore saturo.

Costanti critiche della CO2


CO2 è un gas ad alto peso molecolare. Dalla
temperatura ambiente in poi lo si studia come
gas ideale ( anche il vapore acqueo). Bisogna
ricordare che nel diagramma di Clapeyron le
trasformazioni termodinamiche isotermiche solo
se sono ad alta temperatura si possono
rappresentare con la legge di Boyle, ma quando
la temperatura si abbassa, ad esempio nel caso
della CO2, ed è di circa 36 ℃ , già si comincia a
notare una modifica nella iperbole equilatera
cioè già si capisce che siamo alla temperatura
critica. Al di sotto della temperatura critica, la
CO2 ha un comportamento di liquido se siamo in
una zona ad alte pressioni e bassi volumi, se siamo in una zona di basse pressioni ed alti
volumi ha un comportamento di vapore e se siamo nella zona in cui c'è un appiattimento
delle curve, ha un comportamento sia di liquido che di vapore. Se unissimo tutte le
estremità dei tratti orizzontali troveremmo una curva tipo una campana che prende il
nome di campana di Andrews, all'interno della quale ogni punto, nel diagramma di
clapeyron, rappresenta una situazione di equilibrio tra pressione e volume di un liquido più
vapore. Quanto liquido e quanto vapore c'è dipende da dove ci si trova all'interno della
campana.
22,6 ℃ la CO2 è liquida, nel mezzo del tratto orizzontale è sia liquida che vapore, nell’altra
estremità è vapore. Nel tratto orizzontale la pressione si dice pressione di vapore saturo.
Al di sotto della temperatura critica, nel momento in cui aumentiamo la pressione su si un
gas reale, ad un certo punto ci accorgiamo che il gas liquefà.

Per ogni gas reale esiste Tc, Pc e Vc. Il fenomeno del gas reale da luogo alla liquefazione (2
fasi: gassosa e liquida). Il punto R dal quale comincia la campana di Andrews si chiama
PUNTO DI RUGIADA; a destra di R c’è tutto vapore, dentro la campana c’è liquido + vapore.
Il punto l dove finisce il vapore ed inizia il liquido si chiama PUNTO DI LIQUEFAZIONE
TOTALE. Durante la pressione costante essa viene detta PRESSIONE DI VAPORE SATURO.
Si parla di gas reale già a temperatura ambiente.
Temperature critiche per alcuni gas:
He -> -267,9 ℃ (l’elio a temperatura ambiente è un gas ideale, per farlo diventare liquido
dobbiamo portarlo ad una temperatura vicina allo zero assoluto)
H2-> -239,9 ℃ (T molto bassa)
Ne(neon)-> -228,6 ℃
CO2-> 31,1℃
H20-> 374,1℃
Al di sotto della Tc si usa l’equazione di Van der Waals.
Al di sopra della Tc si usa l’equazione di stato dei gas perfetti.

Cicli frigoriferi
Sono macchine termiche che assorbono calore da una zona fredda e lo trasportano verso
una zona calda. È un processo non spontaneo, che avviene a spese di energia ∆ S< 0 e
ruotano in senso antiorario. Si può fare passare calore da T2 (bassa) a
T1(alta) ma bisogna spendere energia, fare lavoro sulla macchina.

Questa macchina frigorifera (abbassa la temperatura prelevando


calore) è costituita da un recipiente a forma di cilindro con un
pistone. Nel cilindro c’è un gas ed un pistone mobile. Supponiamo
che il pistone si muove tra due estremi, quindi tra un volume grande
Va ed un volume piccolo Vb. Supponiamo di comprimere il gas
mediante una trasformazione isotermica (L<0), quindi durante la
contrazione di volume la temperatura resta costante, stiamo
svolgendo un lavoro e succede che il sistema cede calore; quando comprimiamo il gas a
t=costante si cede calore all’esterno, quindi il gas si raffredda.
Se facciamo un'espansione adiabatica si ritorna al volume Va senza scambi di calore con
una temperatura più bassa perché abbiamo ceduto una parte di calore all'esterno. Dopo
questo ciclo, ne facciamo avvenire un altro, dal punto finale si rifà lo stesso ciclo, una
compressione isotermica ed una adiabatica. Comprimiamo il gas a temperatura costante, si
cede ancora calore, il gas si raffredda e poi dopo si rifà un'espansione ma con pareti
isolanti. Ripetendo più volte i cicli, continuamente si sottrae calore al gas che è in contatto
con un ambiente, quindi si sta raffreddando l'ambiente. Durante la compressione
isotermica del calore viene ceduto all'esterno il gas si raffredda, l’adiabatica ha il compito
di ripristinare le condizioni iniziali ma gas più freddo.

3 principio della termodinamica (ricapitoliamo):


le basse temperature sono importantissime. È impossibile raffreddare un corpo
fino allo zero assoluto mediante un numero
finito di trasformazioni. Lo zero assoluto nella
scala Kelvin è un punto irraggiungibile, però
ci posiamo avvicinare adoperando l’elio.

Allo zero assoluto, che è una temperatura


ideale non raggiungibile sperimentalmente, possiamo immaginare che i costituenti
microscopici di un sistema siano fermi (atomi o molecole), cioè non subiscono variazioni di
posizione nel tempo. Ciò non significa che il sistema è ordinato, salvo i cristallini.

4.ELETTRICITA’
□ ELETTROSTATICA (CARICHE ELETTRICHE in QUIETE)

Tutta la natura che ci sta attorno (nei suoi diversi stati) è costituita da molecole che a loro
volta sono costituite da atomi che sono chimicamente legati tra loro.

ATOMO ---> È la più piccola parte di un elemento.


È costituito da un NUCLEO centrale dove risiede quasi tutta la massa dell'atomo stesso e
dove risiedono particelle piccolissime che ruotano ad alta velocità attorno al nucleo.
Le particelle sono di due tipi: NEUTRONI e PROTONI che hanno una carica elettrica
positiva. La somma di protoni e neutroni costituisce la massa dell'atomo e prende il nome
di PESO ATOMICO (A)
A = PESO ATOMICO = NEUTRONI + PROTONI
Z = NUMERO ATOMICO = PROTONI

6 --> PROTONI e 12 --> SOMMA di NEUTRONI e PROTONI

Il NUMERO ATOMICO (Z) corrisponde al numero di protoni contenuti in un nucleo.


In un atomo NEUTRO il numero atomico è pari anche al numero di elettroni; in caso
contrario l'atomo è detto IONE.
Il numero atomico identifica la posizione dell'elemento nella Tavola Periodica.

--> hanno un numero di neutroni diverso rispetto quello in natura.

ATOMO in EQUILIBRIO/NEUTRO --> NUMERO PROTONI = NUMERO ELETTRONI


Se l'ATOMO ha in più o in meno --> IONE
Dimensioni:
atomo: 10^-10=1 Amstrong
nucleo: 10^-14
protoni e neutroni nel nucleo= 10^-15= 1 femto-metro
elettrone: 10^-18

Massa PROTONE (Mp) = 1,67 • 10^-27 kg (u.m.a)


Massa NEUTRONE (Mn)= 1,67 • 10^-27 kg
Massa ELETTRONE (Me) = 9,11 • 10^-31 kg = Mp/1836 (1836 volte più piccolo del protone)

CARICHE --> furono misurate da Millikan


Carica PROTONE = +1,6 • 10^-19 Coulomb
Carica NEUTRONE = 0
Carica ELETTRONE = -1,6 • 10^-19 Coulomb (Carica elettrica più piccola)

+ - si attraggono per raggiungere equilibrio. Forze elettriche


- + si attraggono

- - si respingono
+ + si respingono

L'elettrone non va MAI nel nucleo che è neutro.


Al di sotto di protoni, neutroni, elettroni ci sono i QUARK.

1 Protone ed 1 Elettrone --> Atomo più semplice

Ha degli isotopi:
-DEUTERIO 1 Protone ed 1 Neutrone (A=2)
-TRIZIO 1 Protone e 2 Neutroni

Protoni ed Elettroni si attraggono tra di loro, eppure l'elettrone non va mai a cadere sul
nucleo.
Avviene lo stesso tra la Terra e la Luna. La Terra e la Luna si attraggono a causa della Forza
gravitazionale, eppure, la Luna non cade sulla Terra, ha una sua orbita di equilibrio. La Luna
ruota con una certa velocità (attorno alla Terra) che gli conferisce una Forza centrifuga
diretta verso l'esterno che si oppone alla Forza gravitazionale. Nel mondo microscopico
accade la stessa cosa ma con Forze di tipo elettrico.
L'elettrone è attratto dal nucleo (dai protoni) ma, a causa della sua velocità altissima con la
quale ruota, è soggetto ad una Forza centrifuga diretta verso l'esterno che eguaglia
l'Attrazione elettrica da parte del nucleo. Ogni elettrone orbita attorno al nucleo (v = 10^7
m/s) con velocità diverse:
▫ Elettroni vicino al nucleo (Orbitali) --> Altissima velocità. Fortemente legati al nucleo.
▫ Elettroni lontano dal nucleo (Elettroni di valenza) --> Bassa velocità. Meno legati al
nucleo, si staccano facilmente.

Gli atomi tendono a formare delle molecole grazie ai Legami Chimici.


Esistono diversi tipi di Legami Chimici:

1) LEGAME COVALENTE
Si ha quando atomi dello stesso elemento o di elementi diversi si uniscono mettendo in
compartecipazione uno o più elettroni degli orbitali più esterni al fine di raggiungere
l'Ottetto Elettronico.
Se i due atomi sono identici il legame è covalente puro.
Gli elettroni più esterni degli atomi sono in comune.

2) LEGAME IONICO
Si ha quando due ioni si attirano in quanto cariche elettriche di segno opposto. Gli atomi si
scambiano l'elettrone.
Na cede un elettrone a Cl e diventa positivo. Cl diventa ione negativo perché
acquista l'elettrone e quindi si attraggono Elettrostaticamente.

3) LEGAME METALLICO
Tipico dei metalli. Atomi che hanno pochi elettroni di valenza (nell'ultimo livello) e che
sono poco legati, quindi, questi elettroni si perdono facilmente e restano a vagare
liberamente a livello del materiale formando una Nuvola che tiene assieme i vari atomi.
I metalli sono buoni conduttori perché gli dell'ultimo livello sono poco attratti a si
possono muovere liberamente.

SOLIDI --> Struttura atomica più stabile tanto più è cristallina


FORME ALLOTROPICHE --> Carbonio che ci appare sia come Diamante che come Grafite. È
una struttura stabilissima il Diamante.
ELETTROSTATICA -> L'atomo se è un equilibrio, è neutro perché ha lo stesso numero di
protoni ed elettroni, però l'atomo facilmente può perdere o acquistare elettroni e si può
presentare sottoforma o di ione positivo o di ione negativo. Anche le molecole possono
perdere o acquistare elettroni (anche le proteine).

In natura ci sono tantissimi fenomeni che accadono a causa di Processi Elettrostatici:


 Strofinio di oggetti che si possono caricare positivamente o negativamente.
Gli oggetti si possono caricare anche a causa della Luce, del Calore, dei Raggi X, delle
Radiazioni.

Strofinio con oggetto di VETRO che perde elettroni e diventa oggetto CARICO + .
Strofinio con oggetto di PLASTICA che acquista elettroni e diventa oggetto CARICO - .
VETRO e PLASTICA si ATTRAGGONO

Carica positiva --> Vetro


Carica negativa --> Plastica
Negli isolanti tutte le cariche occupano posizioni fisse e non possono spostarsi. Più di 4
nell'ultimo livello.
Nei conduttori vi sono cariche elettriche che si muovono liberamente. Meno di 4
nell'ultimo livello. Possono essere elettrizzati per contatto.

ELETTROSCOPIO --> Ci fa capire quanto è carico un oggetto.


Maggiore è la carica, maggiore è la divaricazione delle foglie.
È formato da un’asta metallica verticale collegata in alto a un pomello
conduttore e in basso a 2 fogliette conduttrici. Se si tocca il pomello con un
oggetto elettricamente carico parte della caria passa all’asta fino alle foglie
che acquistano cariche dello stesso segno e si respingono, divaricano.

INDUZIONE ELETTROSTATICA --> Le cariche elettriche si possono indurre anche senza


contatto ma solo avvicinando due corpi.

POLARIZZAZIONE --> Indebolimento della Forza Elettrica negli isolanti +-+-+- .


Si induce una distribuzione di carica nelle molecole che si polarizzano
e formano un Dipolo Elettrico (due cariche dello stesso segno che sono
vicine tra loro)

MODI DI ELETTRIZZAZIONE -----> Strofinio - Contatto - Induzione - Luce per Effetto


Fotoelettrico - Raggi X - Urti tra atomi - Riscaldamento - Reazioni chimiche - Radiazioni

La maggior parte degli oggetti attorno a noi è carica elettricamente.


La carica elettrica elementare più piccola che esiste è l'elettrone.
Un oggetto carico (+ o -) è carico n volte la carica dell'elettrone.

CARICA = MULTIPLO della CARICA DELL'ELETTRONE, è QUANTIZZATA.

□ LA LEGGE DI COULOMB
Cariche elettriche dello stesso segno si respingono e cariche elettriche di segno opposto si
attraggono.

-Qual è l'intensità della Forza di Interazione elettrica?


Fu Charles Coulomb, nel 1785, servendosi di una Bilancia di Torsione, a determinare la
legge che esprime la Forza Elettrica tra 2 cariche in funzione della distanza e della
grandezza delle cariche.
Coulomb, quindi, studiò gli effetti di Attrazione e Repulsione tra cariche.
Prese un'asta di un materiale isolante, appese due palline che poteva caricare.
Quando avvicinava le sfere di ugual segno la bilancia segnava un angolo di rotazione
perché le sfere tendono ad allontanarsi. Le sfere di segno opposto di attraevano.
Misurò le Forze attrattive - repulsive tra cariche.

La Forza attrattiva - repulsiva è direttamente proporzionale, attraverso una costante k, al


prodotto di 2 cariche diviso il quadrato della loro distanza.

Più grandi sono le cariche più è grande la Forza attrattiva - repulsiva e più piccola è la
distanza e più grande è la Forza.

k —> Costante misurata da Coulomb che dipendeva dalle condizioni in cui metteva le
cariche: nel vuoto, in aria, in H2O. La carica di un oggetto carico si sente su tutte le
direzioni possibili (isotropicamente), per questo il 4π

In un mezzo la k è più piccola ed F è più piccola ( si staccano facilmente).


Il sale in acqua si dissocia perché viene meno la Forza ionica tra i due atomi.
□ PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
La 1° legge dell'elettrostatica è quella di Coulomb che esprime la forza con la quale due
oggetti carichi si attraggono o si respingono.
Tutti i tipi di forze soddisfano il Principio di Sovrapposizione: le forze elettriche lo
soddisfano nel senso che un oggetto carico positivo vicino ad altri carichi sempre positivi,
sente una Forza complessiva data dalla risultante della Forza d'Allontanamento da parte di
Q1, di allontanamento da parte di Q2, appicchiamo il Principio del Parallelogramma e
troviamo la Forza risultante.
La Forza totale che agisce su una carica elettrica è data dalla somma vettoriale delle
singole forze che ciascuna altra carica, da sola, eserciterebbe su di essa.

□ CAMPO ELETTRICO
Attorno ad ogni carica elettrica si manifesta un Campo Elettrico che è una grandezza che è
definita come il rapporto tra la Forza Attrattiva o Repulsiva di un oggetto carico e la Carica
Sonda. Per capire se un oggetto è carico bisogna prendere una Carica Sonda , la
avviciniamo e se essa viene attratta si può dire che l'oggetto che stiamo studiando è carico
negativamente, se viene allontanata l'oggetto è carico positivamente, se resta ferma
significa che l'oggetto è neutro.
Con una Carica Sonda possiamo capire sia se un oggetto è carico sia qual è il suo Campo
Elettrico.

Il Campo Elettrico si indica con delle frecce che sono:


▪︎uscenti se il corpo è carico positivamente
▪︎entranti se l'oggetto è carico negativamente

Le Linee indicano che se noi abbiamo un oggetto carico e lo mettiamo in un certo punto
dello spazio, l'oggetto seguirà le Linee del Campo che sono curve. Si può avere un Campo
costante con Linee equidistanti.
□ FLUSSO DI UN CAMPO VETTORIALE
Quando parliamo di Campo Elettrico, oltre il concetto di Vettore Campo Elettrico, si può
definire anche un'altra grandezza detta Flusso del Vettore Campo Elettrico che è una
quantità indicata con (phi) calcolata come prodotto scalare del Vettore Campo
Elettrico per il Vettore Superficie.

Con il Flusso del Campo Elettrico intendiamo quante Linee del Campo
passano attraverso una Superficie.

α = angolo tra il Vettore ed


S = Vettore Superfice che si può orientare nello spazio, ha un
versore (vettore unitario) che è ortogonale alla superficie stessa.

si misura in N/C × m²
Flusso massimo per α = 0° (F entrante)
Flusso 0 con α = 90°

La Normale della Superfice indica la sua Orientazione nello spazio.

□ ENERGIA POTENZIALE ELETTROSTATICA (Up)


Q1 (positiva), avviciniamo una carica sonda , succede che il Campo Elettrico produce un
allontanamento lungo la Linea di Forza che collega le cariche.
Il Campo Elettrico fa un Lavoro perché produce una Forza F per uno Spostamento Δx.
Il Lavoro è positivo (L > 0) se fatto dal Campo.
Il Lavoro è negativo (L < 0) se lo compiamo contro il Campo Elettrico.

L = F • Δx Up = F • d = E • q • d

Up è il prodotto tra la Forza e lo Spostamento.


Il campo elettrico è un campo conservativo, infatti ammette sempre energia potenziale he
è uguale al lavoro fatto dalle forze elettriche quando le cariche sono spostate a distanza
infinita tra loro.

Up non dipende più dal quadrato della distanza ma solo dalla distanza.
Up è inversamente proporzionale alla distanza (si semplifica).

L = – q • E • d = – ΔU L = – mgh = – ΔU
ΔU = q • E • d ΔU = mgh

□ POTENZIALE ELETTRICO V(P)

Rapporto tra Energia (Joule) e Carica Elettrica (Coulomb) che prende il nome di Volt:
Lavoro per portare la Carica q dalla posizione di riferimento a P, diviso q.

Volt= Joule/Coulomb

○ SINTESI
• Forza di Coulomb (F)

• Campo Elettrico (E)

• Energia Potenziale Elettrica (Up)

•Potenziale Elettrico V(P)


L = – Up = – q • E • d

1)
L'intera natura è caratterizzata da Cariche Elettriche, Atomi e Molecole che acquistano
L'unità di Carica Elettrica si misura in Coulomb che è una unità molto grande perché la
carica elettrica più piccola è l'Elettrone (–1,6 • 10^-19 C).
La Legge di Coulomb ci dice che quando abbiamo delle Cariche Elettriche, tra di esse ci
sono delle Forze di Attrazione o Repulsione e queste Forze sono tanto più grandi quanto
più grandi sono le cariche e quanto più piccola è la distanza.

2)
Attorno ad ogni corpo carico esiste un Campo Elettrico (invisibile) che si può evidenziare
quando accanto ad un corpo avviciniamo una carica puntiforme detta Carica Sonda
(protone o elettrone) che è tale che se non sente Forze Attrattive o Repulsive, il corpo è
neutro; se la Sonda è un protone e viene allontanata allora il corpo è positivo, se viene
attratta il corpo è negativo.

3)
La Sonda viene attratta o respinta da un corpo carico, si muove e quindi stiamo facendo un
Lavoro in quel punto e quindi la carica avrà una certa Energia Potenziale
Elettrica/Elettrostatica.

Questo aspetto non ci è nuovo perché sappiamo che in un Campo Gravitazionale, quando
abbiamo un oggetto ad una certa altezza, quest'ultimo possiede una certa Energia
Potenziale U = mgh; allo stesso modo, dal punto di vista elettrico, a seconda a che distanza
ci mettiamo dall'oggetto carico, il Campo Elettrico può allontanare o avvicinare la carica,
quindi, in ogni punto, ad una certa distanza, si ha questa Energia Potenziale Elettrostatica.

4)
Un'ultima legge fondamentale è quella che definisce quanto Lavoro il Campo dovrà fare o
noi dobbiamo fare per spostare una carica da un Punto all'infinito, diviso la carica stessa e
si chiama Potenziale Elettrico in quel Punto.
Il Campo Elettrico dalla formula si misura in N/C, però si può anche misurare in
base ad un'altra.

Dalla formula , si ottiene un'altra formula che è:

che è uguale a V.

Quindi il Potenziale Elettrico ed il Campo sono strettamente legati, di fatti e si può


misurare anche in V(volt)/m(metro).

Nello spazio, spesso, definiamo il Potenziale in più punti e quindi si viene a creare una
Differenza di Potenziale; quindi, E è rappresentato anche da un Gradiente di Potenziale
Elettrico:

-Ma come si può creare un Campo Elettrico Uniforme nello spazio?


Si può creare immaginando di avere una Piastra metallica alla quale, da una parte abbiamo
sottratto elettroni e quindi è positiva, e dall'altra abbiamo ceduto elettroni e quindi è carica
negativamente.

Tra le due piastre c'è una Differenza di Potenziale alla distanza d.

E = ΔV/d V = E • d

Tra le due piastre si sviluppa, quindi, un Campo Elettrico.

Le Linee di Forza del Campo (—>) sono uscenti dalle cariche positive ed entranti nelle
cariche negative, in questo caso sono tutte parallele.

Se mettiamo una carica sonda in questo Campo, un Protone, esso verrebbe allontanato
dalla parte positiva e si muoverebbe lungo la Linea del Campo, arrivando nella parte
negativa. Il contrario avviene se mettiamo un Elettrone .
E, quindi, svolge un lavoro perché fa muovere le cariche.

L = ΔV • q Up = F • d ΔV = (V2) - (V1)
Le Linee di Forza del Campo rappresentano le Traiettorie che
farebbero le cariche se fossero libere di muoversi in quel
Campo.
La Forza esercitata sulle cariche elettriche che stanno in un
Campo è determinata da:

F=q•E ma F=m•a
a = accelerazione
m = massa protone o elettrone o altro

L'accelerazione che subisce una carica immessa in un Campo Elettrico proviene dalla
formula inversa dell'uguaglianza:

Quando mettiamo una carica elettrica in un Campo, quest'ultima da che è ferma, a che è
libera di muoversi e quindi aumenta di velocità e si muoverà verso l'Elettrodo che la attira e

l'accelerazione dipenderà fa

La variazione di velocità sarà tanto più elevata quanto più è la carica, quanto più è il
Campo Elettrico e quanto più piccola è la Massa della carica stessa.

Il Lavoro che si fa per andare da P1 a P2 è dato da LP1P2 = F • d = F • (P1P2)


LP1P3 = F • d' • cosα perché il Lavoro è una grandezza scalare ed è dato dallo
Spostamento • cosα. Il Lavoro dipende da quanto ci muoviamo lungo una Linea.
LP2P3 = 0 perché F e d sono ortogonali cosα = cos90° = 0

E = Campo conservativo —> LP1P2P1 = 0


L = Funzione di Stato come nel caso Gravitazionale
Superfici Ortogonali = Superfici Equipotenziate

□ ELETTRON VOLT

VOLT = JOULE / COULOMB JOULE = COULOMB • VOLT

LAVORO = ENERGIA = CARICA ELETTRICA • POTENZIALE ELETTRICO


Una carica elettrica immessa in un Campo Elettrico acquista un'accelerazione e quindi
un'Energia che è legata a sua volta al Campo Elettrico dalla formula L = ΔV • q.
Se sottoponessimo la carica di 1 elettrone alla Differenza di Potenziale di 1 Volt, l'Energia
acquistata dall'elettrone sarebbe, quindi, di 1 volt • e.

elettronVolt(eV) = (1,6 • 10^-19 C) × (1V) = 1,6 • 10^-19 J

1eV = 1,6 • 10^-19 J –> 1J = 1/(1,6 • 10^-19) eV = 6,25 • 10^18 eV

E = V • q = (1V)(1e) = 1eV

□ LEGGE DI GAUSS

Angolo piano —> 2 rette di un piano che si incontrano in un punto e tra le 2 rette si può
individuare l'Angolo piano che va da 0° a 360°.

Angolo solido —> Angolo nello Spazio. Si può pensare ad un cono e all'angolo che c'è nella
punta del cono che rappresenta uno Spazio 3D.
Angolo solido (Δω) si definisce –> Superfice di base (A) : Altezza cono (d²)

Nei fenomeni elettrostatici il Campo Elettrico si sente in tutte le direzioni possibili, è


Isotropo, se avviciniamo la carica sonda, ovunque la mettiamo, la Forza sentita è sempre la
stessa.

□ TEOREMA DI GAUSS
Se prendiamo una Superficie che ha una forma qualsiasi ed è chiusa e dentro c'è una carica
elettrica, da questa carica usciranno o entreranno delle Linee di Forza.
= Flusso di un Vettore = ma, considerando tutte le Linee di Forza, il Flusso del
Vettore Campo Elettrico è uguale alla Carica che è dentro la Superficie diviso (epsilon)
che è la Costante dielettrica del mezzo che c'è nella Sfera (vuoto , altro mezzo )

Carica interna —>

Carica esterna —>


Se la Carica è esterna alla Superficie chiusa irregolare, le Linee di Forza del Campo sono
prima entranti e poi uscenti ed il Flusso Totale negativo entrante e positivo uscente;
essendo riferite allo stesso angolo solido, il Flusso Totale sarà 0
(-) ENTRANTE + (+) USCENTE = 0

Il Teorema di Gauss, quindi, riguarda lo studio di cariche elettriche rispetto a Superfici


chiuse e propone di calcolare il Flusso del Campo Elettrico rispetto queste superfici.

□ CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI GAUSS


1)
Carica non puntiforme, sferica di raggio R. Se vogliamo calcolare ad
una distanza r, bisogna considerare:
ipotizziamo che P stia su una Superficie Sferica dove dentro c’è q.

da qui deriviamo

Quindi, il Campo Elettrico ricavato da una Carica puntiforme o da una Carica non
puntiforme è lo stesso

2)
Se abbiamo un Materiale Conduttore e stiamo studiando le Cariche in Quiete, si può
dimostrare che il Conduttore è carico, le cariche devono stare solo sulla Superficie e non
all’interno. All’interno le cariche sono nulle.
In condizioni elettrostatiche dentro un Materiale Metallico o Conduttore, il Campo Elettrico
è 0 e se è carico, le cariche stanno solo sulla Superficie.
3)
Se avessimo una Superficie Cava Metallica, applicando il Teorema di Gauss, la zona che è
dentro la cavità non risente di un Campo Elettrico posto all’esterno di questa Superficie.
Un Involucro Metallico Chiuso scherma sia l’interno dall’esterno sia l’esterno dall’interno
(Gabbia di Faraday)

4)
Metallo carico positivamente con cariche solo sulla Superficie; se
vogliamo calcolare il Campo Elettrico nel punto P, si può considerare
una quantità σ = Densità di Carica Superficiale

σ = ΔQ / ΔS quanto Carica c’è per unità di Superficie ΔQ = σ •


ΔS

Applicando il Teorema di Gauss:


P sulla Superficie di base del cilindro.

□ DIPOLO ELETTRICO
|+Q| = |-Q|
È un sistema: quando si trovano cariche opposte vicine tra loro.
L’induzione di una carica crea dei Dipoli Elettrici.
Due cariche di segno opposto ad una certa distanza d creano un Dipolo Elettrico.
Le Linee del Campo del Dipolo Elettrico sono uscenti dalle cariche positive ed entranti nelle
cariche negative.

Si chiama Momento di Dipolo Elettrico M un vettore che è dato


dal prodotto di q • d
Per una molecola, gli elettroni tendono ad avvicinarsi ad una
Carica Sonda positiva che avviciniamo e una parte di molecola
resta negativa e una positiva creando un Dipolo. (appunti sul
quaderno giallo)
La molecola diventa un Dipolo Elettrico perché i suoi elettroni si
dispongono verso la piastra positiva e i suoi protoni verso quella
negativa.

Se mettiamo delle molecole in un Campo Elettrico e si forma un Induzione di carica, la


molecola, nel complesso resta neutra, non si muove ma può ruotare attorno al suo Centro
di Massa e o disporsi lungo la Linea di Forza.
Un Dipolo Elettrico in un Campo Elettrico ruota (non trasla).
Neutrone in un Campo resta fermo. Le molecole in un Campo ruotano.
Momento = F • d (appunti sul quaderno giallo)

Momento di Rotazione —> t (tau) =


(prodotto vettoriale tra il Momento di Dipolo [q • d] × il Campo Elettrico)

Energia di Rotazione del Dipolo —>


(prodotto scalare -> Momento di Dipolo × Campo Elettrico)

□ CONDENSATORE ELETTRICO

Il Condensatore Elettrico è un dispositivo che accumula cariche elettriche sulle sue


armature/superfici. Sistema con due piastre piane parallele distanziate d che hanno
superficie S.
Tra queste piastre c’è un materiale isolante (aria-olio-carta). Questa struttura
immagazzina cariche elettriche sottoforma di un’Energia Elettrostatica.

Cariche |+Q| = |-Q|.


ΔV = V2 – V1
-1° membro = Rapporto tra due cariche
elettrostatiche. -
2° membro = Quantità che dipendono
dalla geometria del sistema e dal
materiale (e).
Il Condensatore regola delle grandezze elettriche.
C = Capacità Elettrica -> detta anche Condensatore. È un dispositivo costituito da 2
piastre metalliche parallele a distanza d in cui c’è un isolante (membrana plasmatica).
-> Dipende da come sono posti gli elettroni. (domanda esame)
-> Si misura in Farad F, ma si usano i sottomultipli.

Formule:

Condensatore piano Condensatore cilindrico

□ ENERGIA ELETTRICA ACCUMULATA IN UN CONDENSATORE


Un Condensatore si carica elettrostaticamente per Induzione positivamente o
negativamente ed immagazzina Energia Elettrostatica sottoforma di Energia Potenziale
Elettrica U.

.
Tra q e ΔV c'è una Relazione lineare (C = q/ΔV).
C regola di quanto varia q e ΔV perché deve mantenersi costante.
Energia = Area sottesa dalla retta c [b • h/2 = 1/2 q • ΔV]
□ CONDENSATORE/CAPACITÀ ELETTRICA IN PARALLELO
Appunti che erano scritti a caso:
a. Interno cellula = +
b. Esterno cellula = -
c. Membrana - Condensatore
d. Cellule/Membrane

.
V = Differenza di Potenziale -> costante
C = Capacità Elettrica -> aumenta nei collegamenti in parallelo (somma)

Quando il collegamento è in parallelo, la Differenza di Potenziale ai capi di ogni Capacità è


sempre la stessa.
V resta costante, C cambiano, q cambiano.
Il sistema si comporta come quello costituito da un'unica Capacità Equivalente che è data
dalla somma delle singole Capacità. La carica totale accumulata è data dalla somma delle
singole cariche.

□ CONDENSATORE IN SERIE

V -> cambia
La Differenza di Potenziale cambia; le Capacità cambiano; la carica
che arriva sulle armature, invece, è sempre la stessa.
Se colleghiamo il condensatore ad una batteria, gli elettroni si
muoveranno, polarizzeranno.
si scrivono singolarmente le Capacità.

Si sommano gli inversi delle singole Capacità:

La Ceq finale è più piccola delle singole Capacità.

□ ELETTRODINAMICA (CARICHE ELETTRICHE IN MOTO)


Parliamo di Conduzione/Conducibilità Elettrica ogni qualvolta delle cariche elettriche
esistono e si possono muovere a causa del Campo Elettrico applicato.
Quando in un sistema si ha il movimento di cariche elettriche in un certo intervallo di
tempo, parliamo di Corrente Elettrica. (Corrente Elettrica=quantità di carica ΔQ che scorre
in un determinato Δt ; si misura in Ampere A)
Per Corrente Elettrica si intende qualsiasi movimento ordinato di cariche elettriche in un
certo intervallo di tempo.
La maniera più semplice per avere della Corrente Elettrica è quella di adoperare dei
Materiali Conduttori (Metalli -> ogni atomo ha l'elettrone più periferico libero a
temperatura ambiente, gas di elettroni liberi che si muovono in maniera casuale se non c'è
applicato Campo Elettrico ma se applichiamo agli estremi del filo un polo + ed un polo -, gli
elettroni iniziano a muoversi in modo ordinato verso il polo + e producono una Corrente
Elettrica).
Nei Metalli, gli elettroni non scorrono per molto spazio perché abbiamo Numeri di
Avogadro di elettroni, l'affollamento è tale che dopo aver percorso uno spazio dell'ordine
di decine di Angstrom, incontrano un altro elettrone, lo urtano, gli cedono altra energia, gli
elettroni si fermano e parte un altro elettrone che è stato urtato.

C'è un movimento di elettroni nei Metalli, che va dall'Elettrodo negativo a quello positivo
ma senza trasporto di massa.
Se consideriamo un Liquido in cui sono disciolti gli ioni positivi e negativi, se applichiamo un
Campo Elettrico, allora gli ioni positivi andranno verso l'Elettrodo negativo e gli ioni
negativi andranno verso l'Elettrodo positivo; c'è un movimento di atomi/massa in questo
caso, c'è sia Corrente Elettrica che Trasporto di massa.
Se ii materiale è isolante e applichiamo una Differenza di Potenziale, non riusciremmo a far
muovere cariche elettriche perché non sono libere; può succedere che se applichiamo una
Differenza di Potenziale enorme, al massimo si può provocare una scintilla per tempi
brevissimi e possono passare cariche elettriche.

La Corrente Elettrica è presente sia nei Metalli che nei Liquidi.


Nei Conduttori (filo metallico) che abbiano una Sezione S, una Lunghezza l, al suo interno ci
sono elettroni liberi che producono una Corrente Elettrica. Se applichiamo un polo positivo
ad uno negativo, gli elettroni si iniziano a muovere con una Velocità Elevata detta di
Diffusione o di Drift (Vd). Per ricavare la Legge di Ohm generalizzata, si può fare un
ragionamento.

 Corrente Elettrica (i)

 Densità Elettronica (n)

 Cariche Elettriche in moto


Q=N•e e = carica elettrone 1,6 • 10^-19 C
Q=n•S•L•e
 Corrente Elettrica (i)

 Si chiama Densità di Corrente (J)

Gli elettroni tra degli urti vengono accelerati dal Campo Elettrico applicato e l'accelerazione
(v/t) è data da:

Forza esercitata dal Campo sull'elettrone —> F = m • a F=E•e


σ = Conducibilità Elettrica di un materiale σ = costante

□ LEGGE DI OHM GENERALIZZATA


>J = σ• E
Densità di Corrente = Conducibilità Elettrica • Campo Elettrico
Questa Legge si può applicare su tutti i materiali.
>Riusciamo a capire cosa avviene a livello microscopico.

□ LEGGE DI OHM

. J = σ •E

In genere, però si usa l’inverso di s che è 1/r (1 su RO)

R —> Resistenza Elettrica


del filo
Dipende dalla natura del Conduttore e dalla lunghezza e la posizione di esso. Regola quanta
Corrente passa sul Conduttore quando ad esso si applica una Differenza di Potenziale ΔV.

La Legge di Ohm ci dice che la Resistenza Elettrica regola il rapporto ΔV/i, ogni materiale ha
una Resistenza Elettrica.
Il valore di R è dato da:

La Resistività di un Conduttore cresce con la Temperatura. Se riscaldiamo un metallo, la


difficoltà che avrebbero le cariche elettriche nel muoversi aumenta.
Aumentando la T di un gas, le particelle vanno più veloci ed anche in questo caso, ma
siccome qui ce ne sono di più, ci sono più urti e la Corrente Elettrica ha più difficoltà a
scorrere, aumenta la Resistività.
Negli isolanti R è infinita.

rt = r0 • [1+α(t – 20)] rt = Resistività alla temperatura centigrada t


rT r0 = Resistività a 20°
a = Coefficiente termico della R

□ EFFETTO JOULE
Quando facciamo attraversare della Corrente Elettrica in un materiale, si genera un certo
urto tra gli elettroni che si muovono; in questi urti si sviluppa una forma di Calore.

-Elettrodomestici che una volta collegati alla presa della corrente, si riscaldano, perché?
Nel generatore le cariche acquistano Energia Potenziale e nel Conduttore, a causa delle
Forze del Campo Elettrico, gli elettroni si mettono in movimento e l’Energia Potenziale inizia
a trasformarsi in Energia Cinetica. Siccome in un Conduttore lo spazio in cui si possono
muovere gli elettroni non è infinito, a causa dell’Energia, gli elettroni si urtano sempre di
più accelerando e provocando un aumento della Temperatura.

Effetto Joule —> Processo fisico nel quale l’Energia Elettrica si dissipa, nel passare dalla
Corrente attraverso i Conduttori, sottoforma di Calore.
La quantità di Calore irradiata da una Resistenza Elettrica al passaggio di corrente si chiama
Effetto Joule e si può calcolare Q = L, per passare della Corrente in un filo significa che si è
applicata una Differenza di Potenziale.

Potenza Elettrica = R • I² = ΔV • I Energia Dissipata = ΔV • I • Δt

Quando una Resistenza Elettrica viene attraversata dalla Corrente, si riscalda.


Il riscaldamento dipende dal rapporto ΔV • I oppure R • I² ; più è la Corrente, più è la
Dissipazione di Energia sotto forma di Calore.
Mentre una Capacità Elettrica conserva l’Energia, una Resistenza Elettrica dissipa/fa
perdere Energia.

□ RESITORI IN SERIE
Le Resistenze elettriche in un Circuito si possono collegare in serie e le Differenze di
Potenziale si sommano tra di loro per dare luogo alla ΔV totale.

La Corrente i è sempre la stessa per tutte le


Resistenze.
La Differenza di Potenziale cambia.

VAB = R1 • i VBC = R2 • i VCD = R3 • i


VAD = VAB + VBC + VCD = R1 • i + R2 • i + R3 • i
Le 3 Resistenze si comportano come se avessimo un'unica Resistenza Totale o Equivalente
che è data dalla somma delle Singole Resistenze.

Si ha una Resistenza finale maggiore.


Se vogliamo aumentare la difficoltà per la Corrente di fluire in un Conduttore, bisogna
collegarli in Serie.
RTOT = R1 + R2 + R3

□ RESITORI IN PARALLELO
Le Resistenze sono collegate in modo tale che ognuna di esse è
attraversata da una Corrente diversa in ogni ramo, mentre la
Differenza di Potenziale di ogni Resistenza rimane costante.
La Corrente Totale è data dalla somma delle singole Correnti in
ogni ramo.

i = i 1 + i 2 + i3 i = V/R

La Resistenza Equivalente è data dalla Differenza di Potenziale ai capi diviso la Corrente


Totale:

Nei collegamenti in Parallelo si sommano gli inversi delle Resistenze; quindi, la Resistenza
Finale è minore rispetto ad ogni Resistenza che abbiamo collegato, si riduce la difficoltà
della Corrente nel fluire. La Resistenza diminuisce, la Corrente fluisce meglio.
Nei collegamenti in parallelo la Resistenza si riduce.

□ STRUMENTI DI MISURA
Amperometro —> Si mette in Serie nel circuito. Si misura la Corrente. Piccola R ≈ 0
Voltmetro —> Misura la Differenza di Potenziale tra 2 estremi. Si collega in Parallelo.
R grande perché la i non deve fluire, si deve misura ΔV.

□ CONDUZIONE ELETTRICA NELLE SOLUZIONI ELETTROLITICHE


Conduzione di Corrente nei Liquidi in cui passano ioni/masse.
Studio dell’Elettrolisi che riguarda il passaggio di Corrente Elettrica nei Liquidi.
L’Elettrolisi si basa sulle Leggi di Faraday.

□ LEGGI DI FARADAY DELL’ELETTROLISI


1°Legge
La quantità di Elettrolita o di Massa ionica liberata su ogni Elettrodo è proporzionale alla
quantità di carica che ha attraversato l’Elettrolita.
Contenitore con Liquido in cui mettiamo un Anodo ed un
Catodo collegati ad una batteria, si è creato un Campo
Elettrico.
Tra i due Elettrodi c’è un Liquido, quindi si crea un Processo
Elettrolitico. (Acqua distillata —> nessuno ione, nessuna
corrente)
Se nel Liquido sono disciolti ioni, essi si muovono e c’è uno
passaggio di Corrente. Quando gli ioni arrivano sugli
Elettrodi, vi si depositano come Massa.

M ∝ Q = i • Δt

La Massa che si deposita sugli Elettrodi è proporzionale a quanta carica facciamo passare,
ovvero è proporzionale alla Corrente Elettrica e al Tempo.

2° Legge
La quantità di Elettrolita liberata da una stessa quantità di Elettricità in più Celle è
proporzionale ai rispettivi Equivalenti Chimici. La Massa che si va a depositare su di un
Elettrodo è proporzionale ad un rapporto che si chiama Equivalente Chimico di una
sostanza ed è dato dal Peso Atomico o Molecolare della sostanza diviso la Valenza della
sostanza (Zv).

Dimostrazione —> Massa = Numero di ioni • massa di ogni ione M = N • m


Q = N • e • Zv Numero ioni • Carica elettrica • Valenza

3° Legge
Per depositare 1 grammo equivalente di sostanza occorre fare fluire una Carica
Q = 96490 C

In questa formula ci sono 2 costanti:


1. e = Carica dell’elettrone 1,6 • 10^-19 C
2. Na = Numero di Avogadro 6 • 10^23

Na • e = 6 × 10^23 • 1,6 × 10^-19 C = 96490 C = F Costante di Faraday

La Massa di ioni depositata in un Elettrodo di una Cella Elettrolitica, quando facciamo


passare corrente, è data dal rapporto:

□ ELETTROFORESI (tecnica separativa)


Si possono fare muovere atomi e molecole complesse in una Cella e si possono separare. Il
Campo Elettroforetico si usa per separare diverse specie cariche in una soluzione. Quando
una carica elettrica si muove in un liquido, lo fa perché abbiamo applicato un Campo
Elettrico e, muovendosi, le cariche incontrano una Forza di Attrito data dalla Legge di
Stokes Fattr.= 6phrv di un oggetto di forma sferica (h (eta) = Viscosità, r = Raggio sfera,
v = Velocità).
Nella Cella, quindi, gli ioni si muovono sentendo una Forza di Attrito proporzionale alla
Velocità. Da una parte c’è la Forza di Attrito, dall’altra la Forza che c’è sulla Carica q per
farla muovere.

F = q • E= 6phrv
da qui si ricava
f = fattore di sedimentazione 6phr

m = Mobilità di una specie ionica

m è tanto più elevato quanto più è grande la Carica e piccola la dimensione e h (viscosità).

In un Liquido possiamo fare muovere Masse grandi, piccole, Proteine cariche.


Le Proteine in una soluzione biologica si caricano positivamente o negativamente in base al
pH della soluzione.

Analisi Elettroforetiche
>Soluzioni biologiche con Elettrodi
v=m•E m = Mobilità Elettroforetica
Molecole con piccola massa si muovono ad alta velocità ed al contrario per Molecole
pesanti.
>Si possono separare le Molecole sulla base della velocità che hanno quando sono
sottoposte ad un Campo Elettrico.
Prima arrivano le particelle leggere, poi quelle pesanti. Si possono analizzare gli ioni.

□ LA CONDUZIONE ELETTRICA NEI GAS


La Conduzione Elettrica avviene benissimo laddove ci sono elettroni liberi, in materiali
conduttori che possono essere solidi, liquidi.
In ogni materiale esiste una Rigidità Dielettrica che ci dice cosa succede quando
applichiamo un Campo Elettrico elevato ad un materiale; il Campo Elettrico può strappare
gli elettroni più periferici degli atomi e, per dei tempi limitatissimi, può fare avvenire delle
Scariche Elettriche.
L'Aria è un materiale isolante ma se si genera un Campo Elettrico elevatissimo che supera il
valore della Rigidità Dielettrica, esso riesce a strappare un po' di elettroni liberi ed avviene
una Scarica in tempi rapidissimi, tipo fulmine.
Nell'Aria la Rigidità Dielettrica è dell’ordine di 1 milione di Volt per metro.
Il Campo Elettrico per questo valore riesce a strappare elettroni ed avviene la Scarica
Elettrica.

□ GENERATORI DI CARICHE ELETTRICHE


Nei Circuiti Elettrici ci sono delle Capacità Elettriche che servono ad accumulare Energia
Elettrostatica, ci possono essere Resistenze Elettriche che servono a far passare una
Corrente Elettrica che, per Effetto Joule, può anche dissipare una forma di Energia
sottoforma di Calore.
Nei Circuiti Elettrici si trovano anche dei Generatori di Carica Elettrica, delle Batterie e altro.
I Generatori generano una Differenza di Potenziale tra 2 punti nello spazio; quindi,
permettono il Flusso Elettrico.
Si intende come Differenza di Potenziale prodotta da un Generatore di Cariche Elettriche
una Forza che è detta Forza Elettromotrice.
Si parla di Cadute di Potenziali per Elementi passivi (Resistenze, Capacità) mentre si parla di
Forza Elettromotrice per Elementi attivi (Generatori).
I Generatori possono essere:
- generatore di tensione a corrente continua= la sua
intensità di corrente è costante

-generatore di tensione a corrente alternata= la sua


intensità di corrente varia
Potenziale di Contatto (pila di Volta)
Nei secoli scorsi, Volta, ha ideato per la prima volta la Pila, basandosi sull’alternanza di
materiali diversi sulle quali interponeva delle sostanze acide. Se prendiamo due materiali
metallici diversi e li mettiamo a contatto, osserviamo che tra questi due elementi diversi si
forma una Differenza di Potenziale o meglio, una Forza Elettromotrice.
Materiali diversi hanno Atomi diversi e Densità diverse.
Volta, aveva già capito che accoppiando materiali come Rame e Zinco, la Differenza di
Potenziale che si creava era alta.
Se mettiamo in un liquido/soluzione Zinco e Rame avvengono due processi chimici, uno di
Ossidazione e uno di Riduzione:
1. il primo, di Ossidazione, riguarda lo Zinco che viene perso sottoforma di ione e
resta carico di elettroni in eccesso e si carica negativamente;
2. al Rame accade un processo di Riduzione: dell'Idrogeno attira gli elettroni liberi del
Rame che diventa positivo.
Tra lo Zn e il Cu si forma, quindi, una Differenza di Potenziale.

Pila Daniell
Si immergono in soluzioni acide (acido solforico) sia Zn che Cu, si ha sempre l'Ossidazione
dello Zinco che rilascia in soluzione caricandosi negativamente mentre c'è la Riduzione
del Rame che si arricchisce di ioni positivi perché perde elettroni; tra gli Elettrodi si crea una
Forza Elettromotrice.

Pila "a secco"


Oggi compriamo Pile/Batterie che contengono gel che, sempre con principi di Ossido -
Riduzione tra un Elettrodo centrale positivo ed un Elettrodo metallico, comportano una
Differenza di Potenziale (1,5 Volt).

□ BATTERIE

Con le Batterie si possono collegare dei generatori se le colleghiamo in:

 Batterie in Serie —> La Differenza di Potenziale finale tra gli estremi è data dalla
somma delle singole Forze Elettromotrici.

VTOT = V1 + V2 + V3 iTOT = i1 = i2 = i3
Si usano per dare maggiore Voltaggio.
 Batteria in Parallelo —> Le Differenze di Potenziale tra le Batterie sono tutte uguali
tra di loro. Ogni Batteria fornisce una certa Corrente ed alla fine il collegamento Parallelo
darà al Circuito una Corrente maggiore delle singole Batterie.
Si usa per dare maggiore Corrente.

iTOT = i1 + i2 + i3 ΔVTOT = V1 = V2 = V3

□ ELEMENTI DEI CIRCUITI ELETTRICI


– Generatore di Forza Elettromotrice (molto utilizzata)

– Resistenze Elettriche

– Capacità Elettriche

– Fili conduttori, interruttori

– Voltmetri ed Amperometri di controllo


Le d.d.p. delle batterie o dei generatori prendono il nome di Forza Elettromotrice
(f.e.m.).

□ STUDIO DI UN CIRCUITO ELETTRICO


R = Resistenze con batteria costante di 12 V
Eq. da soddisfare:
 Vo = ΔV1 + ΔV2 = 12 V
 Vo = R1 • i + R2 • i = i(R1
+ R2) = i • RTOT (Legge
di Ohm)
RTOT = R1 + R2 = 20 kW + 100 kW = 120 kW
Nel momento in cui il
Circuito è aperto non circola Corrente, quando si chiude
l’interruttore, iniziano a circolare gli elettroni dal polo – al polo +.La Corrente i crea una
Differenza di Potenziale, per Effetto Joule può dissipare Calore.

La ΔV che stiamo dando con la Batteria si suddividerà in 2 Cadute di Tensione, una ai capi
di R1 ed un’altra ai capi di R2.

Potenza dissipata sottoforma di Calore:


P = Vo • I = 12 V • 10^-4 A = 1,2 • 10^-3 W = 1,2 mW
□ CIRCUITI ELETTRICI -> sono costituiti da un insieme di conduttori, collegati tra loro e ai
poli di un generatore che fornisce corrente
In Circuiti complessi bisogna individuare Nodi e Maglie.
Quando abbiamo un Circuito Elettrico dobbiamo
distinguere cosa sono i Nodi e cosa sono le Maglie:
♦ Nodi —> Punti nei quali confluiscono 2 o più
Correnti. Più fili.
La Corrente si suddivide in un nodo. Per essere un
nodo devono confluire almeno 3 nodi.
♦ Maglie —> Zona interamente chiusa di un
circuito. Con generatori o no.

Bisogna applicare vari principi:

1) 1° Principio di Kirchhoff (Nodi)


Da questo ragionamento si crea il Primo Principio di Kirchhoff che dice che in un Circuito
Elettrico qualsiasi, quando individuiamo dei Nodi, la somma di tutte le Correnti entranti in
un Nodo deve essere uguale alla somma di tutte le Correnti uscenti per il Principio di
Conservazione della carica elettrica.
Σi entrante = Σi uscente. Nel circuito entra i1 ed esce sempre i1 sottoforma di i2, i3.
La somma di i2, i3 deve essere uguale ad i1.

2) 2° Principio di Kirchhoff (Maglie)


Per la Maglie vale il Secondo Principio di Kirchhoff che ci dice che la somma algebrica delle
Forze Elettromotrici applicate in un Circuito è uguale alla somma delle Cadute di Tensione
nelle Maglie, provocate dal passaggio di Corrente delle Resistenze.

ΣV = ΣR • i V = R1 • i1 + R3 • i3 i1 = i2 + i3
V2 = R1 • i1 + R3 • i3

3) 3° Principio di Kirchhoff (Nodi e Maglie)


Vi è anche un Terzo Principio di Kirchhoff che serve per scrivere le equazioni necessarie per
studiare tutto un Circuito Elettrico.
Se abbiamo un circuito in cui sono presenti N = numero di Nodi ed M = numero di Maglie, il
numero di equazioni da scrivere saranno (N – 1) per i Nodi ed [M – (N – 1)] per le Maglie.

□ CIRCUITI RC
Sono Circuiti in cui sono presenti una Resistenza ed una Capacità.
Bisogna capire cosa succede nel momento in cui si chiude
il Circuito e le cariche elettriche si portano nelle Armature.
C’è una sola Maglia e 0 Nodi, quindi si dovrà scrivere una
sola equazione per la Maglia:
Vo = Vc + Vr

La soluzione è:

La Carica è una Funzione del tempo e dipende da

Qo • (1 – numero di Nepero ). Questa è la Carica che


arriva alla Armature del Condensatore nel momento in cui
chiudiamo l’Interruttore del Circuito. Le Cariche partono
dal Generatore ed arrivano alle Capacità.
La Carica arriva con una certa lentezza che dipende dalla
costante t (tau) che è la Costante di Tempo del Circuito
RC ed è data dal prodotto R • C (W • Farad = secondi) se R
e C sono piccoli, t è piccola e la Capacità si carica subito;
al contrario se R e C sono grandi, ci vuole molto tempo.
Corrente nel Circuito RC
È in funzione del tempo; si fa la derivata per calcolare la Corrente in funzione del tempo e si
ottiene:
.
io = valore massimo di Corrente nel Circuito

La Corrente nel Circuito RC, nel momento in cui chiudiamo l'Interruttore è massima (Vo/R)
ma poi si ridurrà sempre di più perché via via che la Capacità si carica, arriveranno sempre
meno cariche alla Capacità e quando quest’ultima si carica completamente, la Corrente va
a zero.
La Corrente nel Circuito segue sempre una Legge
Esponenziale ma stavolta decrescente.

Differenza di Potenziale ai capi della Resistenza


V = R•i

Anche la Differenza di Potenziale decresce con il tempo.


Quando chiudiamo l'Interruttore è massima, poi, con il
tempo, diminuisce la Corrente e si riduce per V.

Differenza di Potenziale ai capi della Capacità


È esponenziale crescente.

I Circuiti RC limitano il valore della Corrente Elettrica che varia lentamente in funzione della
Capacità che, se sono piccole, i varia rapidamente; mentre se R e C sono grandi, i varia
lentamente.
Nel momento in cui una Capacità è carica ha immagazzinato una forma di Energia
Elettrostatica che può essere riutilizzata.

□ SCARICA DELLA CAPACITÀ (se apriamo l’interruttore e togliamo il generatore e


richiudiamo l’interruttore, le cariche accumulate nel condensatore si disperdono nel
circuito e si ha il processo di scarica del conduttore in modo tale che nel circuito ricircoli
corrente)
Si parte da una Capacità carica e vogliamo utilizzare l’Energia Elettrostatica.
C'è una Resistenza e vogliamo che appena chiudiamo l’interruttore, le cariche facciano
fluire una Corrente sulla Resistenza.
Non figurano più Forze Elettromotrici = 0

La soluzione è:
che è la Carica che fluisce su R dalle armature del condensatore in
funzione del tempo.
La Carica diminuisce nel tempo.

.
t = Costante di tempo R • C
La velocità dipende da t

La Corrente inizialmente è negativa, parte


da un valore più piccolo di 0. Fluisce in
senso opposto. Inizialmente aumenta e va
verso 0 con Legge Esponenziale
decrescente da –io a 0.
Anche la Differenza di Potenziale ai
capi della Resistenza parte da un
valore –Vo per arrivare
esponenzialmente a 0.

Differenza di Potenziale della Capacità Elettrica.


Si scarica verso 0.

Abbiamo studiato la Scarica di Capacità Elettrica.


Spesso, in un circuito, abbiamo dei punti che forniscono Impulsi Elettrici (segnali che
durano poco tempo) che possono essere inviati ad un Circuito RC e poi estratto.
Impulso inviato al Circuito RC lo ritardiamo e poi lo troviamo a valle.
Il ritardo dell’Impulso dipende dalla costante t = R • C.
C ed R piccoli, ritardiamo l’Impulso di poco.

□ LINEE CON CIRCUITI RC


Semplici moduli di elettronica per dare al segnale analogico una forma particolare più
conveniente; vengono utilizzati solitamente circuiti RC + CR (derivatori e integratori).

Il segnale in uscita è ritardato rispetto a quello in ingresso per un tempo di circa a


t1 = R1C1.

□ DIFFUSIVITÀ (leggere)
La Membrana Cellulare è importantissima perché, attraverso essa, la cellula vive grazie ai
gas che passano per Diffusione tra la Membrana o grazie alle grandi molecole e specie
ioniche. Per il Passaggio/Trasporto/Diffusione, vale la Legge di Fick: delle specie
rispondono se c’è una Differenza di Concentrazione tra l’interno e l’esterno di una cellula.

La Membrana può diffondere perché possiede un suo Coefficiente di Diffusione D (cm²/s).


Spesso, il Processo diffusivo riguarda specie ioniche o cariche ( ) che si possono muovere
se c’è un Gradiente.
Una cellula a riposo ha una Concentrazione interna di Potassio maggiore rispetto quella
esterna. Non appena passano ioni , essi caricano positivamente la parte esterna ma poi
questo passaggio, che produce ΔV, si ferma altrimenti ci sarebbero le Repulsioni.
Si manifestano, quindi, due Forze: una Forza Osmotica/Diffusiva ed una Forza Elettrica che
determinano un Equilibrio ed una Differenza di Potenziale tra l’esterno (+) e l’interno (-).

Particelle cariche —> Ioni negativi: Anioni che vengono attratti dall’Anodo che è positivo.
, Proteine.

Ioni positivi: Cationi che vengono attratti dal Catodo che è negativo.
, ,

Nel complesso, la cellula è neutra anche se c’è ΔV.

Interno cellula: –
Esterno cellula: +

Quando la cellula è a riposo la Membrana non permette il passaggio di ioni , che pur
essendo in alta concentrazione, non passa, lo fa nel momento in cui eccitiamo la cellula.

Dentro la cellula, complessivamente si ha una carica neutra pur avendo , , ,


(Proteine), così anche fuori. Il sistema è neutro.
passa grazie alle Proteine canale dall’interno all’esterno, quindi, si crea in Gradiente
Elettrico tra dentro e fuori.
A riposo, la cellula ha un interno carico negativamente perché, a causa di Processi Diffusivi,
passa all’esterno che diventa carico positivamente.
Equilibrio Cellulare. Cellula = Capacità Elettrica

□ DIFFERENZA DI POTENZIALE (leggere)


ΔV si crea con due Forze, una Osmotica che è legata all’Equazione di Van ’t Hoff che ci dà:

Forza Elettrica di Drift ionico per una mole:

Eguagliando le due formule:

e possiamo ricavare ΔV

K = Costante di Boltzmann
e = Carica Elettrica
ΔV = tra interno ed esterno
+ per K è riferito a ioni negativi
– per Na
In genere ΔV è circa –70mV e –90mV (millivolt).

Nel momento in cui stimoliamo (elettricamente, meccanicamente) una cellula, cioè quando
sente una variazione dell’ambiente in cui vive, la sua Permeabilità della Membrana cambia.
Da impermeabile al Sodio, la Membrana diventa permeabile al Sodio, quindi l’Na che è
fuori, entra dentro, si crea un Flusso di Sodio che va da fuori a dentro. Elettricamente c’è
una Soglia che quando viene superata, la cellula si depolarizza e arrivano all’interno e
si toglie la carica negativa che diventa positiva.
La cellula sente Stimoli successivi quando torna a riposo.
Stimolo = La Capacità cambia segno

□ POTENZIALE DI AZIONE/IMPULSO (leggere)


Insorge in seguito ad una Depolarizzazione che deve raggiungere un Valore Soglia (tra 10 e
20 mV). I Potenziali sono tutti uguali, la cellula risponde sempre con lo stesso meccanismo
e la stessa forma. Le cellule producono Segnali Presenti o Assenti. Il Potenziale si proroga
nelle Cellule nervose. Nel Picco di Potenziale di Azione, la cellula fa sì che il Potenziale di
Membrana cambia segno, l’interno diventa positivo ed il Neurone resta fermo = durante la
formazione di un Impulso la cellula non ne sente altri, prima deve tornare a riposo.

□ CONDUTTANZA (l’inverso della resistenza) (g) (leggere)


Cariche elettriche sulla Membrana, c’è una Capacità ed una Resistenza in parallelo di
Membrana. Tra dentro e fuori c’è un Potenziale Elettrico e quindi una Forza Motrice.
Cellula a riposo ha una Forza Elettromotrice ed un Circuito aperto; se stimoliamo, si chiude
il Circuito e passa Corrente tra la Resistenza di Membrana che si chiama Conduttanza (g) ed
è l’inverso della Resistenza.
Circuito chiuso, passa Corrente e .
Il Circuito si può fare per tutti gli ioni.
Si può creare un Circuito Elettrico Equivalente per tutti gli ioni in cui si ha g e Capacità,
quindi sono Circuiti RC.

Conduttanza = Conduzione delle


cariche
l = lunghezza

Se R è grande, g è piccola.
Membrana Cellulare con spessore di 10 nm = 100 Å.

□ NEURONE (leggere)
Assoni che fanno passare l’Impulso; c’è un Liquido conduttivo.
Velocità di Conduzione dell’Impulso/Segnale: Bisogna calcolare t = RC = 100 m/s
Il Potenziale di Azione, una volta creato, viaggia lungo l’Assone.

In risposta ad uno Stimolo, il segnale si propaga dal Neurone alle sinapsi e viceversa.

Capacità di Membrana da 1 mF/cm² a 0,36 mF/cm²

Assoplasma —> luogo in cui si propaga l’impulso che va anche da dentro a fuori.
Dentro c’è una Resistenza Assonica (Ra) e poi c’è una Resistenza di
Membrana (Rm).

Resistività Liquido Assonico r = 100 W × cm² Cm = Capacità di Membrana

Microelettrodi —> si tocca la cellula e si misurano i Potenziali di Azione.

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