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Università degli Studi della Basilicata

Corso di Elettrotecnica 2

Elementi
di elettromagnetismo

Prof. Fresa Raffaele


SISTEMI DI COORDINATE

Dato un sistema di riferimento, esistono molti modi per descrivere la posizione di un punto. Un
sistema di coordinate è un’applicazione biunivoca e continua che associa i punti di uno spazio 2D
(risp.3D) a coppie (risp. terne) ordinate di numeri reali.
Dette u (x,y,z), v (x,y,z) e w (x,y,z), tre generiche funzioni continue, le relazioni:
 u  u ( x, y, z )

 v  v( x, y, z )
w  w( x, y, z )

consentono di passare dalla terna ordinata di numeri reali (x,y,z) alla terna ordinata (u,v,w).
In 2D, per passare (fig. A.1) dalle coordinate cartesiane ortogonali (x,y) ,alle coordinate polari
(ρ,θ) , è sufficiente porre:
:
   x2  y 2  0

 y x
sin   cos  
 x 2
 y 2
x2  y 2

e inversamente:  x    cos 

 y    sen
COORDINATE CILINDRICHE: r,φ,z
Tali coordinate (fig.A.2) sono legate alle coordinate cartesiane x,y,z dalle seguenti relazioni:

 r  x2  y 2 r0

 y x
sin   cos  
 x2  y 2 x2  y 2
 zz

viceversa:
 x  r cos 

 y  r sin 
 z  z

COORDINATE SFERICHE: r,θ,φ Tali
coordinate (fig.A.3) sono legate alle coordinate cartesiane x,y,z dalle relazioni:


r  x 2  y 2  z 2 r0

 z
 cos  
 x2  y 2  z 2
 y x
 sin   cos  

 x2  y 2 x2  y 2
viceversa:
 x  r sin  cos 

 y  r sin  sin 
 z  r cos 

CAMPI SCALARI E CAMPI VETTORIALI

Sia Ω un dominio incluso nell’ordinario spazio euclideo tridimensionale e sia U un’applicazione


scalare, definita in Ω, che associa ad ogni punto P di tale dominio una grandezza scalare U(P); in
queste condizioni si dice che in Ω è definito un CAMPO SCALARE U.
Se in Ω è definita una funzione A che associa a ciascun punto P di Ω una grandezza vettoriale
A(P), si dice che in Ω è definito un CAMPO VETTORIALE A.
Ogni campo vettoriale A(P) può essere rappresentato mediante tre funzioni scalari:
Ax(x,y,z), Ay(x,y,z) e Az(x,y,z).
Un campo non dipendente dalla variabile temporale viene chiamato CAMPO STAZIONARIO.
Un campo non dipendente dalle coordinate spaziali viene detto UNIFORME.
FLUSSO DI UN CAMPO VETTORIALE ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE

Consideriamo un campo vettoriale A definito in una regione Ω, e sia S una superficie non chiusa
contenuta in Ω (fig. A.21).

Sia γ la curva chiusa che “orla” tale superficie. Assegniamo ad arbitrio un verso su γ e orientiamo la
normale n a S, in maniera che il verso fissato per γ e quello di n siano tra loro legati rispettivamente
come il senso di rotazione di una vite destrogira. Supponiamo di suddividere la superficie S in un
numero n di parti e siano σ1, …, σn le aree di tali superfici. Consideriamo per ogni superficie Si , un
punto Mi su di essa e l’insieme delle determinazioni assunte dal campo vettoriale A in
corrispondenza di tali punti. n
 n   Ak ·n  k
k 1
Se Φn tende a un limite finito (quando n tende all’infinito in modo che tutti i diametri delle parti Si
tendano a zero) tale limite si dice FLUSSO del campo A attraverso la superficie orientata S e si
scrive:
 S   A·n dS
S
Un campo vettoriale si definisce CONSERVATIVO per il flusso, o solenoidale, se il flusso uscente
da una superficie chiusa Sc contenuta nel dominio sia nullo, ossia vale

 A·n dS  0
Sc

Consideriamo, ora, la superficie chiusa Σ costituita dall’unione di S1 e S2 e applichiamo ad essa la


proprietà di conservazione del flusso (fig.A.24).

 A·n dS   A·n
 S2
2 dS   A·(n1 )dS  0
S1

 A·n
S2
2 dS   A·n1 dS
S1

Se un campo vettoriale A è conservativo per il flusso in un dato dominio, il flusso attraverso tutte le
superfici non chiuse aventi come contorno una stessa linea chiusa γ, comunque scelta nel dominio,
ha lo stesso valore. Non è pertanto necessario specificare la particolare superficie che si considera
e si può parlare correntemente di FLUSSO ASSOCIATO ALLA LINEA CHIUSA γ .
DIVERGENZA DI UN CAMPO VETTORIALE; TEOREMA DELLA DIVERGENZA
Consideriamo un campo vettoriale A definito in una regione spaziale Ω e un dominio spaziale τ
contenuto in Ω e limitato da una superficie chiusa regolare Σ; il rapporto tra il flusso di A uscente da
Σ e il volume V(τ ) della regione racchiusa da Σ è:

  A  n dS


V ( ) V ( )
Consideriamo il limite di tale rapporto quando il volume V(τ ) sia fatto tendere a zero facendo
contrarre la regione τ attorno a un punto fisso Po , se questo limite esiste ed è finito, poniamo:

 A  n dS

lim   P0  A
V ( )0 V ( )
che rappresenta la divergenza del campo vettoriale A nel punto Po.
TEOREMA DELLA DIVERGENZA (DI GAUSS – OSTROGRADSKIJ)
Sia A un campo vettoriale definito in una regione spaziale Ω, limitata dalla superficie chiusa Σ. Se in
ogni punto di Ω è definibile la divergenza di A, risulta:

   A d   A  n dS
 
dove τ è il volume della regione racchiusa da Σ.
ROTORE DI UN CAMPO VETTORIALE; TEOREMA DI STOKES

Consideriamo un campo vettoriale A definito in una regione spaziale Ω, e sia P un punto di tale
regione. Data una qualsiasi superficie regolare S (aperta) passante per P, sia Υ la linea chiusa che
ne costituisce l’orlo. Facciamo il rapporto tra la circuitazione di A estesa a Υ e l’area S(S) della
superficie:

 A  t d
R 
S( S )
Immaginiamo di far contrarre la superficie S attorno al punto P mantenendo fissa la normale n a S.
Consideriamo il limite del rapporto R per S (S) che tende a zero, se tale limite esiste ed è finito,
poniamo:
Rn  lim R
S ( S )0

Rn rappresenta il rotore del campo vettoriale A nel punto P e si indica:

 A  td
 x A 
P n
lim
S ( S ) 0 S( S )
L’operatore di rotore, applicato a un campo vettoriale A, definisce un nuovo campo vettoriale.
TEOREMA DI STOKES
Sia A un campo vettoriale definito in una regione spaziale Ω e sia γ una linea chiusa contenuta in
Ω; detta S una qualsiasi superficie (aperta) che abbia la linea chiusa γ quale orlo, se in tutti i punti
di Σ è definibile il rotore di A, risulta:

 A  tdl   x A  ndS

In altre parole, la circuitazione di A estesa a γ è pari al flusso del campo vettoriale “rotore di
A” attraverso una qualsiasi delle superfici aventi γ come orlo.

Se il campo A è conservativo (e dunque è derivabile


da un potenziale scalare) risulta:  A  t dl   x A  n dS  0
S

I campi che ammettono potenziale hanno dunque rotore


nullo in tutti i punti, e pertanto sono detti IRROTAZIONALI.
x A  0

Un campo irrotazionale A può essere ricavato da infiniti potenziali, A  


.
che differiscono l’uno dall’altro per un campo uniforme ’= +K; con K
• Sono invece ROTAZIONALI i campi il cui rotore è non nullo in almeno un punto. Ci si
può chiedere se l’ultima equazione sia anche una condizione sufficiente a garantire
l’esistenza di un potenziale per il campo A. La risposta è positiva, a patto che la
regione Ω in cui A è definito risulti a connessione lineare semplice
• Una superficie S si dice a connessione lineare semplice se, assegnata una
generica linea chiusa  costituita da punti appartenenti a S è possibile contrarla ad un
punto senza uscire mai da S .Ad esempio il dominio tratteggiato in figura NON è a

connessione lineare semplice.

• I CAMPI ROTAZIONALI NON POSSONO ESSERE


DERIVATI DA UN POTENZIALE SCALARE


TEOREMA DI SCOMPOSIZIONE DI HELMOTZ
•Sia Ω una regione spaziale delimitata da una superficie chiusa e regolare Σ, dotata, in ogni suo
punto, di una normale univocamente definita e variabile con continuità sulla superficie stessa.
Ogni campo vettoriale A può essere scomposto nella somma di un campo vettoriale solenoidale e
di un campo vettoriale irrotazionale:

A = A1 + A2 con div A1 = 0 e rot A2=0 in ogni punto di Ω

• Se di un campo vettoriale A sono noti il rotore e la divergenza in tutti i punti dell’intero spazio, il
campo vettoriale può essere espresso come:

A    xT
1  A 1 x A

4 
 r
d T 
4 
 r
d

Purché tali integrali esistano e siano finiti.


CAMPI CHE AMMETTONO POTENZIALE VETTORE
Affinché un generico campo vettoriale A sia esprimibile come rotore di un altro campo vettoriale è
necessario e sufficiente che esso sia solenoidale, cioè che in ogni punto si abbia

div A = 0

Che la condizione sia necessaria appare chiaro, osservando che

A = rot U (1)

Ogni campo U che verifichi la (1) costituisce un potenziale vettore del campo A.

Detto inoltre Φ un arbitrario campo scalare, si ha:

rot grad Φ = 0

Se U è un potenziale vettore di A, tale è anche ogni altro campo V del tipo

V = U + grad Φ
Con Φ campo scalare arbitrario. Si ha infatti

rot V = rot U = A
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEI CAMPI
CAMPI SCALARI
La struttura di un campo scalare U può essere visualizzata mediante le cosiddette SUPERFICI DI
LIVELLO. Consideriamo un punto P0 di Ω e il valore U0 ivi assunto dalla U. Consideriamo, inoltre, in
Ω, il luogo di tutti i punti in corrispondenza dei quali la funzione U assume il valore U0: esso
definisce una superficie di livello la cui espressione analitica è
U ( x,y,z) = Uo (in coordinate cartesiane)
Per ogni punto del campo passa una e una sola superficie di livello: pertanto la conoscenza di tutte
le superfici di livello, contrassegnate dai corrispondenti valori Uo, permette di descrivere
completamente il campo U (P). Questo tipo di rappresentazione risulta particolarmente efficace
quando il campo è definito in una regione piana. In questi casi, infatti, esso può essere
rappresentato da una funzione del tipo U(x,y); l’equazione
U(x,y) = Uo
definisce la LINEA DI LIVELLO corrispondente al valore Uo.
CAMPI VETTORIALI

Considerato un campo vettoriale


A(P), definito in una regione spaziale
Ω, si dice LINEA VETTORIALE (o di
FLUSSO) del campo ogni linea che
sia tangente in ogni suo punto Po al
vettore A(Po) (fig.A.12).
In altre parole il campo A risulta
sempre tangente alle sue linee di
campo.

Se il campo A è irrotazionale, può essere ricavato,come detto, da un potenziale scalare


attraverso l’operatore di gradiente A =-grad Φ
La presenza del segno negativo davanti all’operatore gradiente è giustificata da ragioni
storiche. In effetti, il gradiente di un campo scalare  in un punto P è un campo
vettoriale orientato lungo la direzione di massima crescita di , mentre le linee del
campo derivato dal potenziale sono dirette convenzionalmente nella direzione opposta
(dai punti a potenziale maggiore verso quelli a potenziale minore).
Le linee di campo hanno generalmente origine nei punti dello spazio ove sono collocate
le cosiddette sorgenti del campo e terminano nei punti ove sono collocati i cosiddetti
pozzi.
Fa eccezione a questa regola il caso in cui i campi siano solenoidali, nel qual caso le
linee di campo sono chiuse, oppure hanno origine e termine all’infinito.
Per ogni punto dello spazio passa una e una sola linea di campo, pertanto la mappa delle linee
vettoriale fornisce un modo per visualizzarne l’intera struttura (pattern).
Una superficie S su cui è definito un campo vettoriale A (P) è detta SUPERFICIE VETTORIALE (o
di FLUSSO) del campo se, in ogni punto Po, la normale n è ortogonale al vettore A(Po).

Ogni superficie vettoriale S è dunque


costituita di linee vettoriali (fig.A.14) ,
ciascuna delle quali giace
interamente su una superficie
vettoriale oppure non ha punti in
comune con essa.

Data infine una linea chiusa l non coincidente con


alcuna linea vettoriale del campo, consideriamo
l’insieme delle linee vettoriali passanti per i punti
di l (fig.A.15) .
Tali linee individuano una superficie vettoriale S a
struttura tubolare, che prende il nome di TUBO
DI FLUSSO associato alla linea chiusa l.
LE ESPRESSIONI DEGLI OPERATORI VETTORIALI IN
DIVERSI SISTEMI DI COORDINATE ORTOGONALI
INTERAZIONI ELETTRICHE
Una bacchetta di ambra, di ebanite, o più semplicemente di plastica, strofinata con un panno di
lana o di seta, acquista le proprietà di attirare piccoli pezzi di carta, cenere o altro materiale
leggero. L’esperienza qui descritta ha messo in luce aspetti importanti dei fenomeni connessi con
l’elettrizzazione dei corpi materiali. Per giustificare il fenomeno e descriverlo quantitativamente si
ammette l’esistenza di una proprietà denominata carica elettrica, posseduta dai componenti
elementari della materia (ad es. elettroni e protoni). Nel SI la carica elettrica netta posseduta da un
corpo elettrizzato viene misurata in Coulomb. L’interazione tra due cariche elettriche puntiformi
fisse nel vuoto, in un sistema di riferimento inerziale, è governata dalla legge di Coulomb in base
alla quale la forza esercitata da una carica sull’altra risulta:
• diretta secondo la retta congiungente le due cariche;
• di intensità proporzionale al prodotto tra le due cariche e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza interposta tra esse;
• repulsiva per cariche omonime, attrattiva per cariche eteronime.
La legge di Coulomb si scrive: q1q2
F 12  k 2
i12   F21
r12
ove F12 è la forza esercitata dalla carica q1 sulla q2, F21 quella esercitata dalla q2 sulla q1, r è la
distanza tra le due cariche, i12 è il versore della congiungente q1 con q2 (fig.1.2).
1
k=
4πεo εr

dove εo prende il nome di COSTANTE DIELETTRICA DEL VUOTO e vale:

εo ≈ 8.854 * 10-12 kg-1 m-3 s2 C2

mentre εr è la costante dielettrica relativa che nel vuoto vale 1


In presenza di più cariche (fig.1.4) la forza agente su ciascuna, risultante dall’interazione con tutte le
altre, è pari alla somma vettoriale delle forze che su essa vengono esercitate, conformemente alla
legge di Coulomb, da ogni singola carica.

Intendendo isolato un sistema fisico che non abbia scambi di materia attraverso la superficie che lo
limita, il principio di conservazione della carica totale può enunciarsi dicendo che in un tale sistema
la carica totale, pari alla somma algebrica delle cariche in esso contenute, è costante nel tempo.
IL CAMPO ELETTROSTATICO
Ritornando all’interazione tra due cariche puntiformi q1 e qo, fisse nel vuoto, immaginiamo di
misurare di volta in volta la forza che agisce sulla carica qo, mantenendo ferma la carica q1 nel
punto Q e spostando qo. In altre parole, determiniamo il campo vettoriale Fo (P) dato dalla forza Fo
agente sulla carica qo, posta in un generico punto P per effetto della q1 fissa in Q. Questo campo è
definito in tutto lo spazio ed è di tipo centrale. Sostituendo alla qo una carica q’o,, si ottiene, un
nuovo campo vettoriale F’o(P) :
q0 '
F0 '( P )  F 0 ( P)
q0
Indicando con E (P) il campo vettoriale che esprime la forza esercitata dalla carica q1 sulla carica di
prova posta nel generico punto P, la forza Fo (P) può essere espressa come:

F0 ( P)  q0 E ( P )
1 q1
E ( P)  i
4 0 2 10
r10

avendo indicato con r10 la distanza tra il


punto P e il punto Q e con i10 il versore
orientato da Q verso P. Il campo E (P) è il
campo elettrico prodotto dalla carica q1
fissa nel punto Q. Una rappresentazione
geometrica è riportata nelle figure
seguenti in corrispondenza di q1> 0 e
q2< 0 (fig.2.2)
La nozione di “campo elettrico”, data per il caso di una sola carica-sorgente q1, può essere estesa
al caso di un numero qualsiasi di cariche-sorgente. Se consideriamo N cariche q1, …, qN, fisse nei
punti Q1, …,QN, la forza esercitata da questo insieme di cariche su una carica qo (carica di prova)
posta in P risulta: q N
q
F0 ( P ) 
4 0
0
r
k 1
k
2
 ik 0 F0 ( P )  q0 E ( P )
k0
N
E ( P )   Ek ( P ) (1)
k 1
L’ultima espressione esprime il principio di sovrapposizione per i campi elettrici.
Se nella data situazione fisica la distribuzione delle cariche-sorgente non è nota a priori, E(P) può
essere misurato come:
F0 ( P )
E ( P)  (2)
q0
determinando cioè, punto per punto il rapporto tra la forza Fo agente sulla carica qo e il valore di
questa. Se tutte le cariche-sorgente restassero fisse nelle loro posizioni, la definizione (2)
fornirebbe un campo E indipendente dal valore della carica esploratrice qo. Nella realtà, in assenza
della carica esploratrice, le sorgenti del campo si trovano in equilibrio statico nei corpi circostanti.
L’introduzione di una carica esploratrice turba l’equilibrio delle cariche sorgenti ed induce una
variazione della loro distribuzione fino a che una nuova configurazione d’equilibrio viene raggiunta.
Cosicché la misura del campo mediante la (2) fornisce un valore diverso da quello che si potrebbe
calcolare mediante la (1), in assenza di qo, una volta nota la distribuzione delle cariche-sorgente.
L’azione di disturbo esercitata dalla carica esploratrice qo sulle sorgenti del campo cresce in modo
proporzionale al valore della qo stessa: la modifica della distribuzione delle sorgenti invalida la
relazione di proporzionalità tra la forza Fo e la carica qo. Per tutti questi motivi, la definizione
operativa del campo elettrico E viene data come segue:

 F ( P)
E ( P)  lim
qo 0 q
o

facendo tendere a zero il valore della carica esploratrice si annulla il suo effetto di disturbo sulla
distribuzione delle sorgenti. Il passaggio al limite va però inteso in senso macroscopico; è
sufficiente cioè far decrescere la carica qo fino a valori che risultino di gran lunga minori di quelli
delle sorgenti.

Finora abbiamo considerato distribuzioni di cariche concentrate in singoli punti isolati; in molti casi
però è utile considerare cariche-sorgenti distribuite con continuità. Consideriamo cariche distribuite
con continuità sul segmento l. La densità di carica lineare si calcola come:
q
 ( P)  lim
 o 

Il campo elettrico è:

1  ( p ')( p  p ') 1  ( p ')( p  p ') 1  ( p ')( p  p ')


E ( p) 
4 o 
 p  p'
3
d  '
4 
o S p  p'
3
d S '
4 
o l p  p'
3
d '

La carica totale distribuita sulla linea l. è data da:

Q    ( p ) dl

Con riferimento a cariche distribuite su superfici, si definisce densità di carica superficiale:

q
  lim
S  0 S

1  ( p ')( p  p ') 1  ( p ')( p  p ')


E ( P) 
4 0  3
dp '
4 0  3
dp '
 p  p' S p  p'

QS    ( p )dS
S

Infine nelle situazioni in cui le cariche sono distribuite su domini tridimensionali, si definisce la
densità di carica volumetrica è:

q
  lim
 0 

1  ( p ')( p  p ')
E ( P) 
4 0  3
dp '
 p  p'

Q    ( p )d

Consideriamo una superficie sferica Σ che circondi una carica puntiforme q immersa nel vuoto e
posta nel suo centro:

Orientiamo la normale n a Σ verso l’esterno e calcoliamo il flusso ΦΣ del campo elettrico uscente da
Σ:
1 q q
S  
S
E  ndS E  Er 
4 0 a2
S 
0

Il TEOREMA DI GAUSS per la carica puntiforme afferma:


il flusso del campo elettrico uscente da una qualsiasi superficie chiusa che contenga la carica è
proporzionale (secondo il fattore 1/ε0) al valore q della carica stessa, indipendentemente dalla
forma e dall’area della superficie.
Il flusso di E uscente da una qualsiasi superficie chiusa non contenente la carica q è nullo.
Il teorema di Gauss può essere esteso al caso di una distribuzione qualsiasi di cariche:
Q
 E  ndS 
S
0
Consideriamo il campo di una carica puntiforme:
1
q1
E ( P)  i
40 r10
2 10

esso presenta una struttura di tipo centrale, dotata di simmetria sferica. Tutti i campi di questo tipo
godono della proprietà di IRROTAZIONALITA’.
Comunque si consideri una linea chiusa γ contenuta nella regione di definizione del campo, risulta:

 E  t dl  0
Si applica anche per linee che passano per la carica puntiforme. Il significato fisico di questa
proprietà è chiaro quando si pensa che il suo integrale di linea è pari al lavoro compiuto dalle forze
del campo quando si sposti la carica lungo la linea stessa.
Considerati due punti distinti A e B e due qualsiasi linee γ1 e γ2 di estremi A e B, orientati nello
stesso modo, si ha:

 E  tdl   E  tdl
1 2

L’integrale del campo E prodotto da una carica puntiforme non dipende dalla linea lungo la quale
esso è calcolato, ma soltanto dagli estremi A e B della linea stessa. Possiamo estendere la
proprietà al caso di una distribuzione qualsiasi di cariche-sorgente, tuttavia la conclusione è: la
circuitazione del campo elettrico prodotto da una generica distribuzione di cariche-sorgenti, lungo
una qualsiasi linea chiusa, è nulla.
Consideriamo la legge di Gauss:
Q
 E  n  dS 
S
0
Consideriamo una situazione in cui le cariche-sorgente siano distribuite con densità di volume ρ(P)
in una regione spaziale Ω.
1
 E  ndS 
S
0   d

Applichiamo il teorema della divergenza:

 E  ndS   Ed


S 

1
 Ed 

0   d

è valida per ogni regione Ω del campo, per cui:



E 
0
Il teorema di Gauss in forma locale afferma:
in ogni punto in cui esiste una carica distribuita con densità di volume ρ la divergenza del campo E
è ad essa proporzionale secondo il fattore 1/ε0.
Seguiamo un discorso analogo per ciò che riguarda la proprietà di irrotazionalità.

Consideriamo un generico campo elettrostatico e, in esso, una regione in cui non esistano cariche-
sorgenti, oppure queste siano distribuite con densità di volume ρ limitata e continua; sappiamo
allora che le componenti di E sono continue con derivate prime continue e vale quindi il teorema di
Stokes:

 E  tdl   xE  ndS


S

In base alla irrotazionalità di E, risulta:

 E  tdl  0
 xE  ndS  0
S

xE  0
Tale relazione esprime in forma locale la proprietà di irrotazionalità.
Consideriamo una superficie S su cui la carica sia distribuita con densità superficiale σ, oppure una
superficie in corrispondenza della quale la densità di volume ρ si mantenga limitata, ma sia
discontinua. Consideriamo una linea chiusa rettangolare γ, tale che la lunghezza l delle basi sia
molto maggiore dell’altezza h (fig. 2.15) :

 E  tdl   E  tdl   E  tdl   E  tdl  0


l1 h1 h2 l2

Se l>>h, possiamo scrivere:

E  t1dl  E  t2dl  0
Se indichiamo con Et1 e Et2 le componenti tangenziali di E, si ha:

E  t1dl  Et1 E  t2dl  Et 2 e quindi: Et1  Et 2

In corrispondenza dei punti di S le componenti di E tangenziale alla superficie si mantengono


continue nel passaggio da un lato all’altro della superficie stessa.
Per quel che riguarda le distribuzioni lineari di carica, la componente tangenziale alla linea γ tende,
avvicinandosi a γ, a un andamento del tipo (1/2πε0)λ’log r (dove λ’ è la derivata di λ lungo γ).
Et
Si ha quindi:
lim 0
P  P0 En
avendo indicato con Et la componente di E lungo la tangente a γ e con En quella normale. Ne
consegue che nelle immediate vicinanze di una distribuzione lineare di carica, il campo risulta
perpendicolare alla linea stessa.
IL POTENZIALE ELETTROSTATICO
Consideriamo il caso di una sola carica-sorgente puntiforme. Se il potenziale scalare del campo
prodotto dalla carica puntiforme è dato da:
1 q
V ( P)  C
40 r
(avendo indicato con r la distanza tra il generico punto P e il punto Q in cui è localizzata la carica q
e con C una costante arbitraria), risulta:
1 q
E ( P)  i  V ( P)
4 0 r 2 Q

Vista l’arbitrarietà della costante C che appare nella definizione di V(P), essa può essere scelta in
modo che il potenziale V assuma valore nullo in un qualsiasi assegnato punto del campo, purché
non coincidente con Q. Volendo che il potenziale si annulli in corrispondenza di un particolare punto
P0, basta porre:
1 q
C
40 r0
(avendo indicato con r0 la distanza di P0 da Q).
Si può notare che tra tutti i potenziali uno solo verifica la condizione di annullamento all’infinito:
lim V (r )  0
r 
ed è quello che corrisponde al valore nullo della costante.
La funzione V assume lo stesso valore in tutti i punti di una generica superficie sferica centrata in
Q, che è pertanto superficie equipotenziale del campo.
La superficie equipotenziale è sferica per ogni r (fig. 3.1) :
Le linee vettoriali risultano perpendicolari alle superfici
equipotenziali.

Il potenziale rappresenta dal punto di vista fisico il lavoro fatto


dalle FORZE ELETTRICHE contro forze di altra natura per
spostare la carica unitaria dal primo punto al secondo lungo
una linea arbitraria

L  q0 
P1 P2
E  tdl  q0 
P1 P2
V  tdl  q0 [V ( P1 )  V ( P2 )]

Tra due punti esiste una differenza di potenziale di un volt quando le forze del campo, per spostare
una carica positiva pari a 1C da un punto all’altro, compiono il lavoro di 1 joule.
Il campo elettrico generato da n cariche puntiformi (con n limitato) può essere ottenuto attraverso il
PSE. Così anche il campo potenziale. Difatti:
n
E  E1  ...  En   E j
j 1

E  V1  ...  (Vn )


E  (V1  ...  Vn )  V con V  V1  ...  Vn
E sostituendo l’espressione del potenziale di una carica si ottiene:
1  qk
n

V ( P)   

40 k 1  rk
 C 
k
n 
si può porre C
k 1
k C 0 .

Il potenziale per cariche-sorgenti distribuite con densità volumica ρ in τ è pari a:

1  (Q)
V ( P) 
40 
 rPQ
d

Distribuzioni superficiali:
1  (Q)
V ( P) 
40  S
rPQ
dS

Distribuzioni lineari:

1  (Q)
V ( P) 
40  rPQ
dl
Quale forma assumono le equazioni delle leggi dell’elettrostatica in forma locale, quando si faccia
uso della nozione di potenziale?

E  xE  0
o
Ponendo E  V , risulta:
 
(V )    V  
2

0 0 EQUAZIONE DI POISSON

dove 2 è il cosiddetto operatore laplaciano

Nelle regioni
. in cui non esistono cariche, si ottiene:  2V  0 EQUAZIONE DI LAPLACE

Per ottenere soluzione unica è necessario aggiungere alle eq. differenziali le condizioni al contorno.
Dal punto di vista fisico, le condizioni al contorno portano in conto il contributo delle sorgenti situate
all’esterno del dominio al campo elettrico e alla funzione potenziale. Possono essere di tre tipi:
• Dirichlet: imposizione del potenziale (corrisponde all’imposizione di Exn ) V=f(x)
V2
• Neumann : imposizione della derivata normale del potenziale (ovvero di D∙n )
  g ( x)
n

•Miste : imposizione di una combinazione del potenziale e della sua derivata normale
V
V    h( x)
n
Esponiamo un metodo che consente, in maniera approssimata, di calcolare il potenziale generato
da una assegnata distribuzione di cariche. Questo metodo, noto come ESPANSIONE IN SERIE DI
MULTIPOLI, consente, tra l’altro, di introdurre particolari distribuzioni di cariche (dipoli e multipoli).
Consideriamo una generica distribuzione di carica che occupi una regione limitata dello spazio, sì
da poter essere interamente contenuta in una sfera di raggio a (fig. 3.7) . Ci proponiamo di
descrivere gli effetti in punti che siano a distanza dell’origine O molto maggiore di a.

Indichiamo con r’ il raggio vettore dall’origine O verso il generico punto P’ appartenente alla regione
τ’ occupata dalle cariche, con ρ(r’) la densità di volume di carica in P’ e con r il raggio vettore
dall’origine O al generico punto di osservazione P. Il potenziale nel punto P è:
1  (r ')
V (r ) 
40 
' r  r'
d '

1
rPP'  r  r '  (r  r ' 2rr ' cos  )
2 2 2

Poiché ci limitiamo a considerare i valori assunti dal potenziale in punti lontani dall’origine,
possiamo supporre r’/r<<1 , e quindi sviluppare l’espressione │r-r’│-1 in serie di potenze di r’/r
limitata ai primi termini.
1 1 1 r ' r
r r'    3  ...
  r ' 2  r 'cos   
r r
r 1     2   
 r  r 
Otteniamo, quindi:
 Applicando lo sviluppo in serie di Maclaurin

1  1 r ' r  1 1 r 
4 0 
V (r )   ( r ')   3 
d '     (r ')d ' 3   r ' (r ')d '
'  r r  4 0 r ' r ' 
Lo sviluppo in serie di Maclaurin mette in evidenza che per una distribuzione di carica limitate nello
spazio, il potenziale, al tendere della distanza all’infinito, tende a zero almeno come l’inverso della
distanza. Il primo termine di quest’ultima espressione fornisce il potenziale che sarebbe prodotto
nel punto P se tutta la carica distribuita nella regione τ’,
Q    (r ')  d '
'

fosse concentrata nell’origine O. E’ intuitivo che questo debba essere il termine di potenziale, visto
da un osservatore molto distante dalla distribuzione di carica. Nel secondo termine interviene la
grandezza:
p    (r ')r 'd '
'

che prende il nome di momento di dipolo. Quindi:

1  Q r  p 
V (r )   3

40  r r 
i due termini che compaiono prendono il nome rispettivamente di termine di monopolo e termine di
dipolo. Il primo termine è nullo quando nella distribuzione vi è globalmente tanta carica positiva
quanta ve n’è di negativa.
Se consideriamo sistemi a carica totale Q non nulla, il momento di dipolo può essere calcolato
immaginando di concentrare tutta la carica nel baricentro della distribuzione e moltiplicandola per
r’, la sua distanza (vettoriale) dall’origine In genere il momento di dipolo dipende dal punto rispetto
al quale viene calcolato: in particolare, è nullo il momento di dipolo rispetto al baricentro.
Il momento di dipolo di una distribuzione di carica dipende dall’origine scelta per misurare le
distanze. Non ne dipende però quando la carica totale della distribuzione è nulla: in questo caso è
una caratteristica intrinseca del sistema. Per mostrarlo, consideriamo uno spostamento R
dell’origine; il momento di dipolo diventa:
p'   (r '  R) (r ')d '   r '  (r ')d 'Q R  P  Q R
r'
' '

se la carica totale Q, risulta uguale a zero, il momento di dipolo può essere calcolato scegliendo
un’origine qualsiasi .

p'  p p  qd
dove d è la distanza vettoriale tra le due cariche.
Il potenziale generato in un punto qualsiasi dello spazio, a distanza grande alla separazione d delle
cariche, è dato da: 1 r p
V (r )  (Q  0)
4 0 r 3
1  3( r  p ) r p 
E  V    3 
4 0  r 5
r 
IL CAMPO ELETTROSTATICO IN PRESENZA DI CONDUTTORI NEL
VUOTO
I conduttori sono sostanze che contengono un numero elevato di particelle cariche libere di
muoversi nel suo interno.
I dielettrici/isolanti sono, invece, sostanze in cui tutte le particelle cariche sono strettamente
legate agli atomi e alle molecole cui appartengono.
Diremo che un conduttore è in equilibrio elettrostatico quando in esso non si riscontra alcun
moto macroscopico di cariche. Perché ciò accada occorre che sulle cariche libere presenti nel
corpo non agiscono forze e che pertanto il campo elettrico macroscopico sia nullo in tutti i punti
interni al conduttore. Per illustrare questa affermazione, consideriamo un campo, inizialmente
neutro, che venga immerso nel campo prodotto da un insieme di cariche-sorgente fisse all’esterno
del corpo Eest. Si riscontra nel conduttore una distribuzione di cariche di due segni, le quali danno
luogo, a loro volta, a un campo “di reazione” Er, che si sovrappone a Eest, producendo un campo E:
E=Eest+Er
La situazione evolve fino a quando il campo Er non riesce a bilanciare l’azione di Eest in tutti i punti
interni al conduttore. In queste condizioni, risulta:
E=Eest+Er=0
e le cariche restano ferme nella raggiunta configurazione di equilibrio elettrostatico. Di
conseguenza, per il teorema di Gauss, all’interno del conduttore si ha ρ=0. All’interfaccia tra il
conduttore e lo spazio circostante le forze di richiamo possono bilanciare le forze prodotte dal
campo elettrico, impedendo alle cariche di abbandonare il corpo. All’equilibrio, sulla superficie del
conduttore viene dunque a distribuirsi una carica tale che il campo E, all’interno del conduttore, sia
ovunque nullo. Se ne conclude che all’esterno del conduttore, quale che sia la sua forma, la
componente normale del campo elettrico è pari a σ/ε0; si ha cioè:
 ( P0 )
lim En ( P) 
P  P0 0
dove σ(Po) indica il valore di σ nel generico punto P0 del conduttore (vedi fig. 4.1).

La componente di E tangente a Σ è nulla in corrispondenza dei punti di Σ: infatti le componenti


tangenziali di E non presentano discontinuità in corrispondenza di una distribuzione superficiale di
carica e sono nulle all’interno del conduttore. Nel vuoto, nei punti adiacenti alla superficie del
conduttore il campo elettrico, in condizioni di equilibrio elettrostatico, è normale ad essa:

V
En  
n
Il valore di Q può essere calcolato come segue:

Q    dS   0  En dS
S S'

intendendo con ciò valutare il flusso di E attraverso una superficie chiusa Σ’ che racchiude
interamente il conduttore.
CALCOLO DEL CAMPO IN PRESENZA DI CONDUTTORI
Consideriamo un conduttore, sulla sua superficie Σ si distribuisce una carica Q con densità σ,
variabile da punto a punto, in modo da produrre campo nullo in tutti i punti interni al conduttore.
Indichiamo con Г e Ω rispettivamente le regioni interne ed esterne al conduttore (fig. 4.3).

Si constata che la funzione potenziale V:


1. è continua in tutti i punti di Ω, ivi compresa la frontiera Σ perché il potenziale è continuo anche
in presenza di distribuzioni superficiali;
2. soddisfa in tutti i punti della regione di Ω all’equazione di Laplace;
3. assume valore costante in tutti i punti di Г e in particolare sulla superficie Σ;
4. verifica la condizione: V 1
  dS  Q
S
n 0
5. verifica la condizione:

lim V ( P )  0
P 
CAMPO NEI CONDUTTORI CAVI
Consideriamo un conduttore dotato di una cavità all’interno (fig. 4.4) e di carica Q. Dimostriamo che
la carica si localizza soltanto su Σest.

In tutti i punti interni alla regione Ω la funzione potenziale V(P) soddisfa l’equazione di Laplace, per
l’assenza di cariche all’interno della cavità.
D’altra parte, il potenziale V deve assumere valore costante V0 in tutti i punti del conduttore e quindi
anche sui punti di Σint.
Si conclude pertanto che il potenziale V(P) è continuo in ΩUΣint, soddisfa la  2V  0 in Ω e
assume valore costante sui punti di Σint.
È questa la forma di un problema di Dirichlet interno corrispondente a un valore costante del
potenziale sulla frontiera della regione Ω. Si verifica che unica sua soluzione è V(P)=V0.
Quindi E=0, in particolare è nulla la componente normale di E in tutti i punti di Σint: di conseguenza,
su Σint anche la densità superficiale σ è nulla e tutta la carica si distribuisce sulla superficie esterna
Σest.
Un conduttore cavo si comporta come uno schermo elettrostatico nei confronti della cavità.
Consideriamo, ora, un corpo carico C e lo disponiamo all’interno della cavità (fig.4.5) .

Costatiamo che intorno ad esso esiste un campo elettrico le cui linee vettoriali fanno capo.
La carica localizzata su Σint deve essere uguale e contraria a quella del corpo C.
Per mostrare ciò applichiamo il teorema di Gauss alla superficie Σ. Il flusso del campo elettrostatico
attraverso Σ è nullo perché in ogni punto di Σ il campo è nullo. Inoltre il conduttore, inizialmente
scarico, deve restare tale anche dopo l’introduzione di C entro la cavità (per la conservazione della
carica). Ciò può verificarsi soltanto se sulla superficie Σest si localizza una carica uguale e opposta a
quella che si localizza su Σint. In altre parole l’interno della cavità è in comunicazione con l’esterno.
La distribuzione della carica sulla superficie esterna del conduttore non cambia quando si
modificano le condizioni all’interno della cavità.
In conclusione lo schermo elettrostatico isola l’interno da influenze esterne e viceversa.
Con il termine CONDENSATORE intendiamo un sistema fisico costituito da due conduttori
(armature) affacciati e separati da un mezzo isolante, caricati in modo che la carica comunicata a
uno sia uguale e opposta a quella dell’altra.

Questi semplici dispositivi consentono di creare intensi campi elettrostatici in regioni limitate e di
immagazzinare quindi notevoli quantitativi di energia elettrostatica.

Dette A e B le armature del conduttore e +Q e –Q le cariche su esse presenti, la differenza di


potenziale tra le armature è proporzionale al valore di Q:

Q
VA  VB 
C

dove C è la capacità del condensatore e si misura in farad.


CONDENSATORE PIANO
Dato un condensatore costituito da due armature piane parallele di area S, separate da una
distanza d, calcoliamo la capacità.
Se d è molto piccola rispetto alla dimensione delle armature (fig. 4.10) possiamo fare riferimento al
caso di due armature piane indefinite parallele, poste a distanza d l’una dall’altra.
Indichiamo con x un asse ortogonale ad esse. Il potenziale soddisfa
all’equazione di Laplace:
d 2V
 V  2 0
2

dx
V ( x)  Ax  B per xЄ(0;d)
con A e B cost. Si conclude pure che V=cost per xЄ (0;d).
Applichiamo il teorema di Gauss a una superficie chiusa Σ, si ha:
V
Q   0  E  n dS   0  dS
S S
n
La derivata di V rispetto alla normale è nulla esternamente alle armature, e risulta:
Q   0 AS
V1  V2   Ad

Q S
C  0
V1  V2 d
CONDENSATORE CILINDRICO
Consideriamo un condensatore le cui armature siano costituite da due cilindri conduttori coassiali a
sezione circolare, di raggi Rint e Rest. Supponiamo che la lunghezza del cilindro L sia molto
maggiore di Rest. La funzione V, assumendo un sistema di coordinate cilindriche, dipende soltanto
da r.

L’equazione di Laplace assume la forma:


d 2V 1 dV
2
 0
dr r dr
1 d  dV 
r 0
r dr  dr 

dV
Per r≠0, si ha: r k con k costante
dr

V  k ln r  A con A costante (1)


Dalla definizione di capacità del condensatore si ha:
Q1
C1 
V
dove Q1 è la carica presente sulle armature. Si ha d’altra parte:
Q1   dS
S in t

dove σ è la densità superficiale di carica esistente, ad esempio, sull’armatura interna Σint.


V
   0
r S in t

Ricordando la (1), si ha:


k
   0
Rint
Tenendo conto dell’uniformità di σ su Σint, si ottiene:

0
Q1  2 Rint l k  2 l k  0
Rint
Rest
V  Vest  Vint  k ln
Rint
Q1 2 l k  0 2 l 0
C1   
V R R
k ln est ln est
Rint Rint
CONDENSATORE SFERICO
Consideriamo un condensatore le cui armature siano costituite da due sfere conduttrici
concentriche, di raggio Rint e Rest. L’equazione di Laplace vale:
1 d  2 dV 
r 0
r 2 dr  dr 
dV
r2  k con r≠0 e k costante
dr
L’integrale generale è:
k
V  A con A costante (1)
r

dV k
   0   0 2
dr Rin t Rint
Q   4Rint
2
 40 k
Dalla (1) discende:
k k
V  Vest  Vint   
Rest Rint

Q 4 o Rint Rest


C   4 0
V 1

1 Rest  Rint
Rint Rest
CONDENSATORI IN PARALLELO E IN SERIE
Consideriamo più condensatori connessi in parallelo (fig 4.12) : essi saranno soggetti alla stessa
differenza di potenziale tra le armature.

Il sistema di condensatori costituisce un unico condensatore di cui vogliamo determinare la


capacità C in funzione della capacità C1, C2, …, Cn. Per definizione
C=Q/V
essendo Q la carica totale su un’armatura del condensatore risultante e V la differenza di
potenziale tra le sue armature. n
Q   QK
K 1

Essendo tutti i condensatori sottoposti alla stessa V, possiamo scrivere:


n n
Q   C KV  V  C K
K 1 K 1
n
C   CK
K 1

La capacità di un sistema di condensatori collegati in parallelo è la somma delle capacità dei singoli
condensatori.
Consideriamo più condensatori, connessi in serie (fig.4.13) : l’insieme dei condensatori costituisce un
unico condensatore, le cui armature sono quelle estreme della catena di condensatori. In questo
caso, è la carica a essere uguale per tutte le Ck.

n
V   Vk
K 1
n n
Q 1
V   Q
K 1 C K K 1 C K

1
C n
1

K 1 C K

Dunque: il reciproco della capacità di un sistema di più condensatori in serie è la somma dei
reciproci delle capacità dei singoli condensatori.
L’energia elettrostatica U associata a un sistema di cariche è:
1
U 
2 S
 VdS

In un sistema di n conduttori, la carica elettrica è distribuita sulle loro superfici. Indicando con Si la
superficie del conduttore, l’ultima espressione diviene:

1 n
U     iVi dS
2 i 1 Si
Vi è costante sulle superfici di ciascun conduttore e può essere quindi portato fuori dal segno di
integrale. Inoltre, la carica totale esistente sull’i-esimo conduttore è esprimibile come:
qi    i dS
Si

Risulta perciò:
1 n
U   qiVi
2 i 1
Nel caso particolare di un condensatore, l’energia elettrostatica risulta:

1 1 1 1 1 Q2
U  QV1  QV2  QV  C V 
2

2 2 2 2 2 C
La conoscenza dell’energia elettrostatica di un sistema di conduttori permette di calcolare le forze
che tra essi si esercitano, utilizzando il principio di conservazione dell’energia.
Consideriamo dapprima il caso in cui il sistema sia isolato e supponiamo che uno dei conduttori sia
libero di compiere una traslazione dr sotto l’azione delle forze elettriche dovute agli altri conduttori.
Il lavoro compiuto dalle forze del campo è:
dL = Fdr
Poiché il sistema è isolato, questo lavoro è compiuto a spese dell’energia elettrostatica U del
sistema:
dL = -dU
F dr = -dU
Detta Fr la componente di secondo la generica direzione r sia:

U
Fr 
r q

ove l’indice “q” indica che la derivazione va eseguita tenendo costanti le cariche.

Sia dato un sistema di conduttori non isolato (con potenziale costante). Il lavoro è compiuto non
solo a spese dell’energia del sistema di conduttori, ma anche a spese delle sorgenti esterne.
L’equazione di conservazione dell’energia diviene:
dL + dUV = dUest
dove dUest indica l’energia fornita dalle sorgenti esterne e dUv la variazione dell’energia
elettrostatica del sistema a potenziali costanti.
n
dU est   VK dq K
K 1

1 n
dU V   VK dq K
2 i 1

dU est  2dU V

dL  dU v

F  d r  dU v

 U 
Fr  
 r  V

Dato un sistema di conduttori avente una certa configurazione geometrica e un assegnato stato
elettrico, in condizioni statiche le forze agenti tra i conduttori dipendono solo dalla configurazione e
dallo stato elettrico del sistema.
IL CAMPO ELETTROSTATICO IN PRESENZA DI DIELETTRICI
Macroscopicamente un dielettrico non polarizzato si presenta come un sistema continuo con
densità di carica nulla in ogni suo punto. Un modello adatto a trattare il dielettrico è quello in cui
esso è considerato come una sovrapposizione di due distribuzioni continue di carica, una positiva
di densità ρ+, una negativa di densità ρ-. In assenza di polarizzazione, dato un generico elemento di
volume Δτ, le cariche in esso contenute sono uguali e opposte e i loro baricentri coincidono: ρ+= ρ- ;
di conseguenza carica globale e momento di dipolo sono nulli.
Supponiamo
  ora di polarizzare il materiale: ciò significa dare un piccolo spostamento relativo
       alle cariche positive e negative. Ciò determina la nascita di un momento di dipolo
associato all’elemento di volume:
 
p  (      )    (1)
Per il calcolo del campo macroscopico basta considerare il momento di dipolo di ogni elemento di
volume. Introduciamo dunque un vettore di polarizzazione P, definito come momento di dipolo
elettrico per unità di volume:
 
p
P
lim 0

Confrontando con la (1), si ha:     
P     dove     -  
Il contributo dato dal materiale polarizzato al campo elettrico può quindi essere calcolato riferendosi
a una distribuzione continua di momento di dipolo.
E’ possibile sostituire alla distribuzione di dipoli P una distribuzione equivalente di cariche di volume
e superficiale pol e pol che produce gli stessi effetti. Queste cariche sono dette di polarizzazione.
Per determinare la densità volumica pol, consideriamo una generica superficie
S di normale n, interna al dielettrico (fig.5.3)
All’atto della polarizzazione la superficie viene attraversata nei due sensi da cariche di
segno opposto. Calcoliamo dunque la carica netta che attraverso un elemento superficiale
dS in senso concorde con n. In seguito allo spostamento l+ attraverso dS passa la carica
positiva che era ad essa adiacente prima della polarizzazione. Tale carica è contenuta in
un volumetto cilindrico avente per basi rispettivamente dS ed una superficie parallela a
dS: il vettore spostamento della carica positiva, l+, funge da generatrice per la superficie
laterale del cilindretto. La carica positiva e quella negativa attraversante dS si sommano
algebricamente e danno origine ad una carica totale pari a:
      
dQ    (      )  ndS      ndS  P  ndS
Consideriamo ora una generica superficie Σ chiusa, interna al
dielettrico, e indichiamo con τ il volume in essa contenuto (fig.
5.4). Sappiamo che quando il dielettrico non è polarizzato la
superficie contiene carica globale nulla.
Quando il materiale è polarizzato, dalla relazione precedente
appare evidente che si può avere entro la stessa superficie Σ
una carica Qp non nulla. Definiamo carica di polarizzazione
questo aumento di carica globale. Per il principio di
conservazione della carica, tale aumento di carica è dato dalla
carica totale che è entrata in τ attraverso Σ a causa della  
polarizzazione. Tenendo conto dell’orientazione di n, risulta: QP   P  ndS (2)
S
La carica di polarizzazione è distribuita nel volume τ con densità
ρpol, per cui risulta: Q p    pol d (3)

Confrontando la (2) e la (3) e osservando che le due espressioni devono fornire lo stesso valore di
Qp, si ha:   
Q p    P  n dS      Pd
S 

    Pd    p  d
 


 p    P

Immaginiamo ora che la generica superficie S faccia parte del contorno del volume ; ricaviamo
l’espressione della carica di polarizzazione σP sullo strato superficiale del dielettrico.
dQ  P  ndS
dQ   P dS
 P  P  n  Pn
Tale relazione è generalizzabile al caso in cui vi sia una superficie di discontinuità S tra i dielettrici
diversi 1 e 2 (fig 5.5) .
La carica di polarizzazione dQP contenuta in un volumetto uguaglia il flusso di P entrante nel
volumetto stesso. La carica di polarizzazione può essere distribuite con densità σP sulla superficie
di discontinuità S e con densità ρp1 e ρp2 nel volume dei due mezzi. Pertanto entro il volumetto si
può avere una carica di polarizzazione dQPS=σPdS, sulla superficie S, e una dQP=(ρP1+ρP2)dτ nel
volume. Date le dimensioni del volumetto, dQP risulta infinitesima di ordine superiore a dQPS e
quindi trascurabile. Per lo stesso motivo, è trascurabile il flusso del vettore P attraverso la superficie
laterale rispetto al flusso attraverso le basi; indicando con P1 e P2 il vettore “polarizzazione” nei due
materiali e tenendo conto che n2=n=-n1,si ottiene:

 P 2  n 2 dS  P1  n1dS  ( P1  P 2 )  ndS
 P dS  ( P1  P 2 )  ndS
 P  ( P1  P 2 )  n  Pn1  Pn 2
Verifichiamo ora che le due descrizioni del dielettrico polarizzato sono compatibili. Ogni porzione di
dielettrico possiede cariche, distribuite sulla superficie con densità σP e nel volume τ con densità ρP;
la carica globale del pezzo di dielettrico è sempre nulla :
Q    P dS    P d
S 

Q   P  ndS     Pd  0


S 
Le densità di carica ρP, σP si determinano nel dielettrico a seguito della polarizzazione dovuto a
spostamenti delle cariche microscopiche del materiale dalle rispettive posizioni di equilibrio. La
densità di carica totale ρ(oppure σ) è somma di una densità di carica libera ρlib (oppure σlib) e una
densità di carica di polarizzazione ρP (oppure σP):
  lib   P    lib   P
Il contributo dato al campo elettrico macroscopico da distribuzioni di polarizzazione note è:
   
1 r  r' 1 r r'
E (r ) 
40  r  r '
S
 dS 
3 P
40 
 r  r'
3
 P d '
Consideriamo il teorema di Gauss, includendo tra le cariche anche quelle di polarizzazione:

 E  ndS 
1
Qlib  QP  (1)
S
0
Ricordando che QP    P  ndS , si ha:
S
1 1
 E  ndS 
S
0
Qlib 
0  P  ndS
S

 
S
o 
E  P  ndS  Qlib

Pertanto il flusso del vettore ε0E+P uscente da Σ uguaglia la carica libera totale contenuta entro Σ.
Definito spostamento elettrico il vettore:
D  0 E  P (4)

 D  ndS  Q
S
lib (2)

esprime il teorema di Gauss mediante D.


Anche la (1) e la (2) possono essere date in forma locale attraverso le:
1
E  (  lib   P )
o
  D   lib

Tuttavia tra E e D vi è una fondamentale differenza: mentre, in condizioni stazionarie, E è sempre


irrotazionale, non può dirsi lo stesso per D.
Consideriamo una superficie situata metà nel mezzo 1 e metà nel mezzo 2 (fig. a).

Immaginiamo che una carica libera sia distribuita con densità σlib sulla superficie di discontinuità e
con densità ρlib1 e ρlib2 nel volume dei due mezzi. La carica nel volume dell’elemento è trascurabile
rispetto a quella sulla superficie di discontinuità e il flusso D attraverso la superficie laterale è
trascurabile rispetto a quello attraverso le basi. Si ottiene così, dalla (2) :

 libdS  D1  n1dS  D2  n2 dS  ( D2  D1 )  ndS


e, dette Dn2 e Dn1 le componenti D1 e D2 secondo la normale n alla superficie di separazione:

Dn 2  Dn1   lib
Se sulla superficie di separazione dei due mezzi vi è uno strato di carica libera, la componente
normale di D ha dunque una discontinuità pari alla densità superficiale di carica libera; se invece
σlib =0 :
Dn 2  Dn1
Esaminiamo ora il campo E. Sulla superficie di separazione dei due mezzi è presente uno strato di
carica di polarizzazione con densità:
 P  Pn1  Pn 2
e deve dunque esservi una discontinuità di En tale che
 0 ( En1  En 2 )   P  Pn1  Pn 2
Per quanto riguarda le componenti di E tangenziali alla superficie, consideriamo una linea chiusa
costituita dai tratti AB, BC, CD e DA.

E2  dl  E1  dl  0
Et 2  Et1 (3)

Dalla (3) e (4) si deduce che le componenti tangenziali di D presentano una discontinuità uguale a
quella del vettore P:
Dt 2  Dt1  Pt 2  Pt1

Nel caso in cui i materiali 1 e 2 siano lineari e non vi sia carica libera sulla superficie di separazione,
si ricava una relazione tra le direzioni dei vettori di campo nei due mezzi. Indicando con θ1 e θ2 gli
angoli formati con la normale n da E1 (fig. 5.12) ed E2 rispettivamente, e con ε1 ed ε2 le costanti
dielettriche, possiamo scrivere:

Dn 2  Dn1
1 En1   2 En 2
En1 E
1   2 n2
Et1 Et 2
essendo:
Et1 Et 2
tg1  tg 2 
En1 En 2

si ricava:

tg1  1  r1
 
tg 2  2  r 2

relazione esprimente la cosiddetta legge di rifrazione delle linee di campo.


PROBLEMA DI ELETTROSTATICA PER SEPARAZIONI DI VARIABILI
In fig.(a) è rappresentato un sistema costituito da una lunghissima “canaletta” conduttrice S1 e da
un “coperchio” anch’esso conduttore, S2, isolati elettricamente tra loro. Calcolare la distribuzione
del potenziale nella regione Ω delimitata da S1 e S2 , quando S1 sia tenuto a potenziale nullo e S2 a
potenziale V0.

RISPOSTA
La funzione potenziale V(x,y,z) deve essere indipendente dalla coordinata z (fig.(b)):

V(x,y,z) = V(x,y) ;
essa deve, inoltre, assumere nei punti di S1 il valore zero e nei punti di S2 il valore V0.
L’equazione di Laplace assume la forma:
 2V  2V a  x  a
 0 per (1)
x 2 y 2 0 yb
Troviamo una soluzione che sia del tipo “a variabili separate”: V(x,y)=X(x)Y(y) (2).
Consideriamo i valori che la V(x,y) assume in corrispondenza di due ordinate y1 e y2 distinte, si ha:
V ( x, y1 )  X ( x)Y ( y1 )
V ( x, y2 )  X ( x)Y ( y2 )
dividendo membro a membro:
Y ( y1 )
V ( x, y1 )  V ( x, y 2 )
Y ( y2 )
Ciò significa che l’andamento in funzione di x del potenziale all’ordinata y1 coincide, a meno del
fattore costante Y(y1)/Y(y2), con quello che si riscontra in corrispondenza dell’ordinata y1 ≠y2 .
Sostituiamo la (2) nella (1):
d 2 X ( x) d 2Y ( y)
Y ( y)  X ( x) 0 per  a  x  a, 0 yb
dx 2 dy 2
dividiamo per V(x,y):
1 d2X 1 d 2Y
 
X ( x) dx 2 Y ( y ) dy 2
 1 d2X
 2
 k2
X ( x) dx
 2 con k 2 cos tan te
 1 d Y  k2
 Y ( y ) dy 2
 X 0 ( x)  Asen(kx)  B cos( kx)

 Y0 ( y )  Ceky  De ky
con A,B,C e D costanti arbitrarie.

V0 ( x, y )  Asen(kx)  B cos( kx) Ceky  De  ky  (3)

Si tratta ora di vedere se le costanti A,B,C,D possono essere scelte in modo che la V 0(x,y) soddisfi
tutte le condizioni al contorno del problema.
V0(x,y) deve risultare una funzione “pari” di x, cioè: V(-x,y) = V(x,y)
ne segue che nei punti dell’asse y deve essere:
V
0
x x 0

Il dominio di integrazione dell’equazione di Laplace può ridursi a quello disegnato in fig.(c), con le
seguente condizioni al contorno:

V ( x,0)  0 per 0  x  a
 V
 0 per 0  y  b
 x x 0
 V ( a, y )  0 per 0  y  b

V ( x, b)  V0 per 0  x  a

Cominciamo a imporre tali condizione nella (3) .


La prima condizione fornisce:

0  V0 ( x,0)  Asen(kx)  B cos(kx)C  D per 0  x  a

Questa condizione può essere verificata se: C+D=0 D=-C


La seconda condizione, tenendo conto che:
V0
x

 kAcos( kx)  kBsen(kx) Ce ky  Ce  ky 
V0
 kAC(e ky  e  ky )  0 per 0  y  b
x x 0

Questa condizione può essere verificata se A=0.


Imponiamo la terza condizione:
0  V (a, y)  BC cos(ka)(e ky  e  ky ) per 0  y  b
questa può essere verificata per:

cos( ka)  0

ka  (2n  1) n  1,2,3,...
2
2n  1 
k
2 a
dove k prende il nome di “autovalore del problema”.
Le funzioni V0(x,y) che soddisfano le prime tre condizioni al contorno sono del tipo:
V0 ( x, y )  Vn ( x, y )  An* cos( k n x) senh(k n y ) (4)
e kn y  e kn y
con A  2 BC
*
n e senh(k n y ) 
2
Le funzioni Vn(x,y) così ottenute prendono il nome di “autofunzioni del problema”.
Resta da imporre l’ultima condizione: V ( x, b)  V0 per 0  x  a
Sostituendo nella (4), si ha:
V0  An* cos( k n x) senh(k nb)

e si conclude che questa relazione non può essere verificata, quali che siano i valori di An* e kn.
Consideriamo una funzione che sia somma di due autofunzioni Vr (x,y) e Vs (x,y) corrispondenti a
due autovalori distinti kr e ks :
V * ( x, y )  Vr ( x, y )  Vs ( x, y )  Ar* cos( k r x) senh(k r y )  As* cos( k s x) senh(k s y )

questa verifica l’equazione di Laplace:


 2V *   2Vr   2Vs
 2Vr  0,  2Vs  0
V*(x,y) verifica le prime tre condizioni al contorno, infatti:
V * ( x,0)  Vr ( x,0)  Vs ( x,0)  0  0  0
V * Vr Vs
   00  0
x x 0
x x 0 x x 0

V * (a, y )  Vr (a, y )  Vs (a, y )  0  0  0

Possiamo chiederci se non sia possibile che un’opportuna serie di autofunzioni


A
n 1
*
n cos( k n x) senh (k n y )

possa verificare anche la quarta condizione al contorno.


Affinché tale condizione sia rispettata, deve essere:

A
n 1
*
n cos( k n x) senh(k nb)  V0 per 0  x  a
e quindi: 

C
n 1
*
n cos( k n x)  V0 (5)

avendo posto: Cn  An senh(k nb) .


* *

Consideriamo la funzione periodica F(x) indicata in


fig.(d), di periodo 4a; essa può essere sviluppata in
una serie di Fourier di soli coseni (poiché è funzione
“pari” di x), ottenendo:
  2 

cos2n  1x 
4 4 1
F ( x)  V0 cos(x)  1 cos(3x)  1 cos(5x)  ...  V0  con   
 3 5  n 1 2n  1 4a 2a
2n  1 
Ricordando k n   2n  1 , la (5) diventa:
2 a
 
Cn cos2n  1x   V0  cos2n  1x 
4 1

n 1
*

 n 1 2 n  1
Uguagliando le due serie, risulta: 4 V0
Cn*  con n  1,2,3,...
 2n  1
Cn* Cn*
A 
*

senh(k nb) senh2n  1b
n

La soluzione è: V ( x, y )   An* cos2n  1x senh2n  1y 


n 1
LA CORRENTE ELETTRICA
Siano A e B due corpi conduttori. Supponiamo che A possegga una carica positiva QA e che B sia
scarico
Immaginiamo di turbare l’equilibrio elettrostatico dei corpi. È naturale spiegare tale fenomeno
pensando che le cariche fluiscano lungo un filo da A verso B. A tale flusso si dà il nome di corrente
elettrica. In base al principio di conservazione della carica, deve verificarsi per ogni t che:

QA (t )  QB (t )  q  cost
dQA dQ
 B t
dt dt
Il trasporto di carica rispetta il principio di conservazione: data una qualsiasi superficie chiusa Σ, la
quantità di carica che l’attraversa in un generico intervallo di tempo corrisponde alla variazione
della carica contenuta nel volume racchiuso da Σ.
La quantità di carica che nell’unità di tempo esce dalla superficie chiusa Σ è:

i   J  ndS
S

dove i è l’intensità di corrente elettrica e J rappresenta il vettore densità di corrente. Ad essa deve
corrispondere dunque una variazione della carica totale contenuta all’interno di Σ:
dQ
 J  ndS  
S
dt
Il segno “-” esprime il fatto che, nel caso di cariche positive uscenti da Σ si riscontra una
diminuzione di Q.
Indicando con ρ la densità di carica nel volume τ racchiuso da Σ, si ha:
Q    d

d

S
J  ndS   
dt 
 d

d 
dt  
 d  d
  t


S
J  ndS   
 t
d

Applicando il teorema della divergenza al primo membro si ottiene:



   J d  
  t
d


 J  
t
Questa relazione è detta equazione di continuità, esprime il principio di conservazione della carica
in forma locale.
Una proprietà indipendente dal tempo in ogni punto si dice stazionaria.
Una corrente elettrica si dice stazionaria se in ogni punto del mezzo in cui essa scorre sono
stazionarie densità di carica e densità di corrente:
 J  0
CONDUTTORE CILINDRICO PERCORSO DA CORRENTE LONGITUDINALE
Sia dato un conduttore cilindrico C, omogeneo, avente sezione di forma generica e resistività η. Le
due estremità (parallele e normali all’asse) siano collegate a due elettrodi piani S1 e S2 (di resistività
trascurabile rispetto a η) ai quali sia applicata una differenza di potenziale. Assunto un sistema di
coordinate cartesiane con asse z coincidente con l’asse del conduttore, la funzione potenziale V
risulta indipendente da x e y. In ogni punto di C si ha allora
d 2V
2
0
dz
L’integrale generale di questa equazione è: V=-Az+B, con A e B costanti arbitrarie.
Il campo elettrico E risulta dunque uniforme e diretto secondo z; in modulo
dV
E A
dz
di conseguenza la densità di corrente J è anch’essa uniforme e diretta secondo z, e inoltre
E A
J 
 
A
La corrente I che percorre il conduttore è pari a I  JS  S

dove S indica l’area della sezione normale del conduttore. La differenza di potenziale ai capi del
conduttore è data da:
V  V1  V2  AL
V AL L
dove L è la lunghezza di C. La resistenza dei conduttori filiformi è pari a: R  
I S S
A

CONDUTTORE CILINDRICO CAVO PERCORSO DA CORRENTE RADIALE
Consideriamo un conduttore cilindrico cavo (fig. 6.11), a sezione circolare, di raggio interno Rint ed
esterno Rest , dotato di resistività η.

Supponiamo che la superficie interna Sint e quella esterna Sest siano costituite da due elettrodi tra
cui vi sia una differenza di potenziale V. V dipende soltanto dalla coordinata radiale r.
L’equazione di Laplace è:
d 1 d  rV  d 2V 1 dV
0 2  0
dr r dr dr r dr
dV d 1
 r      0
dr dr r
A

r
V  A  ln r  B

Il campo elettrico, diretto radialmente, ha modulo:


dV A
E 
dr r
1 1 A
J E
  r
La corrente totale che attraversa una qualunque superficie cilindrica di raggio r, coassiale con le
superfici Sint e Sest, e la differenza di potenziale, risultano rispettivamente pari a:

1 A 1
I  2rLJ  2rL  2L A
 r 
Rest
V  A ln
Rint

La resistenza del conduttore è:


RestRest
A ln ln
V RintRint
R  
I 1  2L A 2L

TRASFORMATORE IDEALE:
La relazione caratteristica è:
V1
a  V 1  aV2
V2
i1 1 i2
  i1  
i2 a a

 1 
Pass t   V1i1  V2i2  aV2   i2   V2i2  0
 a 

Il trasformatore ideale è un componente trasparente rispetto alla potenza.


In regime sinusoidale:
V1 I1 1
a 
V2 I2 a
 
N  V1 I1  V2 I 2  0

Nel dominio della frequenza:

V1 aV2 V
z 'C ,1    a 2 2  a 2 zC
I1  I 2 I2
a

Il trasformatore cambia l’impedenza ai capi dei morsetti.


Consideriamo un carico:

E1*
E2 eq 
a
V V 1 1 V z
zeqAB  2  1   2 1  int2
I 2 a  a I1 a I1 a

La corrente aumenta di un fattore “a” mentre la tensione si abbassa.


Relazione campo magnetico-trasformatore → MAGNETOSTATICA
La carica magnetica isolata non esiste, esistono invece i dipoli magnetici.
Il campo magnetico viene definito in modo operativo attraverso uno strumento basato sulla legge di
Lenz: in un circuito elettrico vengono indotte forze elettromotrici da campi magnetici concatenati
variabili nel tempo
   B n  d S FLUSSO MAGNETICO
S

d 
e 
dt t
t1

    e  dt
t0

In base alle legge di Ampere, sappiamo che nel vuoto le correnti LEGGE DI AMPERE
libere danno origine a campi magnetici :

xB  0 J lib La cui corrispondente equazione integrale è


 B  tdl 
ˆ  
S
0 J  ndS
ˆ

Nel vuoto, conoscendo la distribuzione delle correnti in tutto lo spazio, si può determinare il campo
magnetico in un punto generico attraverso la legge dell’azione elementare:

 J (Q)  rPQ che per un conduttore I t  rPQ


B( P)  0
4 

3
rPQ
d filamentare percorso B( P)  0
4  3
rPQ
dl
da corrente I, diventa: y
In analogia a quanto fatto in elettrostatica, è possibile definire il momento di dipolo
magnetico. Se la distribuzione di corrente si riduce ad una spira filiforme piana γ percorsa
da corrente, il momento di dipolo magnetico può essere espresso come:
m  ISnˆ

Dove S è l’area della spira e n̂ la normale alla spira.


0 m
Il campo magnetico B, assume in questo caso l’espressione: B( P)   
4 r
• Se nel dominio sono presenti mezzi materiali, le correnti elementari degli elettroni
contribuiscono al campo magnetico macroscopico. Per capire il meccanismo fisico, si
può partire dal modello di Bohr dell’atomo di idrogeno ed assimilare l’elettrone che ruota
attorno al protone ad una corrente elementare di intensità i=e/T, dove e è la carica
elementare e T il periodo dell’orbita.
Il momento magnetico dell’elettrone è allora m=i*S=(e/T)*π*r2= e*ω*r2/2

• Consideriamo il punto P, centro di un volume elementare Δτ, in un generico mezzo


magnetizzato. Detto Δm il momento magnetico della materia contenuta in Δτ, N il
numero di atomi per unità di volume e <m> il valore medio del momento magnetico
atomico, definiamo Intensità di magnetizzazione il vettore
m
M  lim N m
 0 

Definiamo ora il vettore densità di corrente molecolare Jmol nel mezzo. Presa una
superficie infinitesima ΔS di normale n, passante per il punto P, la componente
I mol
normale alla superficie S di Jmol è data da: J mol ,n  J mol  nˆ  lim
S 0 S

dove Imol è la corrente molecolare attraversante la superficie ΔS pari alla somma


algebrica di tutte le correnti microscopiche che tagliano la superficie.
Per calcolare la re
•che nei mezzi lineari risulta proporzionale al campo magnetico H : M  0 m H
B
Si definisce il campo magnetico come: H  . La legge di Ampere diventa: x H  J lib

(i punti di discontinuità dei materiali rappresentano le sorgenti di H ).

xB  0 J lib  0 J magn ; J magn  xM sono le cosiddette correnti di magnetizzazione

Il campo d’induzione magnetica gode della proprietà di solenoidalità (le linee di campo non hanno
né inizio né fine: linee che nascono e muoiono all’infinito)

B  0

le linee del campo H risultano discontinue in prossimità delle discontinuità del mezzo
N

 H  tˆdl   J  nˆdS   I K
 S K 1

rappresenta la legge di Ampere in forma integrale.


COEFFICIENTE DI AUTOINDUTTANZA DI UN AVVOLGIMENTO →
Consideriamo prima il caso di un avvolgimento costituito da una sola spira percorsa da corrente i
che produce nello spazio dei campi magnetici:

S
Il flusso del campo magnetico prodotto dalla spira e concatenato con  B  nˆdS [Weber]

lo stesso avvolgimento vale:

Il coefficiente di auto-induttanza si ottiene come rapporto tra il flusso 


autoconcatenato e la corrente che lo produce: L Henry 
i
Se l’avvolgimento è costituito da N spire, il coefficiente di auto vale N   
L
i

Un componente reale si comporta come quello ideale alle basse frequenze.


Se il conduttore è di tipo massiccio, la densità di corrente non si distribuisce in maniera uniforme,
risulta più elevata nella ragione esterna ed inferiore al centro. Tale fenomeno, noto come EFFETTO
PELLE, risulta più marcato al crescere della frequenza del segnale, della conducibilità e della
permeabilità.
Consideriamo due bobine:

quando passa corrente nella bobina 1 ci sarà un campo magnetico nello spazio circostante. Alcune
linee di campo magnetico si contenteranno con la seconda bobina ( curva γ2).
 21   B1  nˆ2 dS
S2
prodotto della
corrente I1
concatenata con la
superficie Σγ2
 21
Si definisce COEFFICIENTE DI MUTUA INDUZIONE: M 21 
I1
Se ho N spire:
  21   12 
M 21  N2 M 12  N1
I1 I2

Nel caso in cui la bobina 1 è lasciata aperta e la seconda è alimentata da un generatore di corrente
si ha:
12   B 2  nˆ1dS
S1
Si può dimostrare che M12 = M21 :
 11    22 
L1  N1 L2  N2
I1 I2
 T 1  L1 I1  M 12 I 2
 T 2  M 21I1  L2 I 2
Se scelgo un orientamento opposto nella curva γ2 :

il flusso è negativo (B entra, n esce).


Alimentando solo una spira nella seconda spira vi sarà una f.e.m. che per la legge di Lenz sarà:
d T 2
V2  
dt
Consideriamo due avvolgimenti:

(i due puntini permettono di definire


l’andamento delle correnti)

dT 1 di di
V1   L1 1  M 12 2 CONDIZIONE
dt dt dt
DELL’UTILIZZATORE
d di di
V2  T 2  L2 2  M 21 1 (1)
dt dt dt
I due induttori sono accoppiati perfettamente se: il flusso medio concatenato col primo
avvolgimento è uguale al flusso medio concatenato col secondo avvolgimento.
Si può dimostrare che in tale caso tra i coefficienti L1, L2 ed M sussiste la relazione:
L1 L2  M 2
Le relazioni (1) possono essere espresse nel dominio della frequenza:
V 1  jL1 I 1  j M I 2
(2)
V 2  jM I 1  jL2 I 2
Se i due induttori sono accoppiati magneticamente tra loro, l’energia magnetica del sistema è data
da:
WI1 , I 2   1 L1I1  1 L2 I 22  MI1I 2  0
2
(componenti passivi)
2 2
vale l’uguaglianza nel caso in cui l’accoppiamento è perfetto e il coefficiente di mutua induttanza è
negativo.
In tutti gli altri casi L1 L2  M 2. Se questo non fosse vero esisterebbero valori di corrente tale per cui
risulterebbe W <0.
L M
Se c’è accoppiamento perfetto L1 L2  M 2  1 
M L2

M L1
 a
L2 M
Le (2) possono essere riscritte come:
 M  1
V 1  jL1  I 1  I 2   jL1 ( I 1  I 2 )
 L1  a
 L   1 
V 2  jM  I 1  2 I 2   jM  I 1  I 2 
 M   a 
V 1 L1
 a relazione caratteristica del trasformatore
V2 M
Considerando la prima relazione della (2):

V1 1
 I1  I 2
jL1 a
tiene conto del differente numero di
spire tra i due avvolgimenti
Ricordando che :
I '1 1 I2
   I '1   0
I2 a a

I campi prodotti da tali


correnti sono opposti

Anche se i due induttori sono accoppiati perfettamente essi non sono equivalenti ad un
trasformatore. In esso infatti l’induttanza è pari a infinito.
Supponiamo che l’accoppiamento non sia perfetto: L1 L2  M 2 .
L1  L1 ' L1 ' '  L1 ' L1d
L2  L2 ' L2 ' '  L2 ' L2 d
L1 ' L2 '  M 2
Sostituendo le equazioni precedenti nelle (2) otteniamo:
V 1  jL1 ' I 1  j M I 2  jL1d I 1
V 2  jM I 1  jL2 ' I 2  jL2 d I 2
Il flusso disperso medio per spira al primario è pari a: 1d  11  21

1d 11   21 
COEFFICIENTE DI DISPERSIONE  1d    1  21
AL PRIMARIO 11 11 11
  2 d    22    12   12 
 2d    1
  22    22    22 
N1  11  N 2   22  N  12  N 2   21 
L1  L2  M 12  1 M 21 
I1 I2 I2 I1
M 21I1 N1 M N
 1d  1   1   1d  21 1
N 2 L1 I1 L1 N 2
M 12 I 2 N 2 M N
 2d  1   1   2 d  12 2
N1 L2 I 2 N1 L2
M2 se c’è
1   1d 1   2 d   1 accoppiamento
L1 L2 perfetto

Possiamo porre: L1d   1d L1  L'1  1   1d L1


 
 2d
L   L
2d 2 L'2  1   2 d L2
Facendo questa scelta, otteniamo: N N
L1 '  M 21 1 L2 '  M 12 2
N2 N1
RAPPORTO DI TRASFORMAZIONE L1 ' M N1
per il trasformatore ideale in presenza di
a   
M L2 ' N 2
flusso disperso
FORZE ELETTRO-MECCANICHE

Quando una spira in cui circola corrente si trova all’interno di un campo magnetico, sui conduttori
nei quali circola corrente agiscono delle forze, in particolare:

F  il  B ext

La coppia motrice che mette in rotazione la spira vale Cm  il  B  d  i d  l  B ext

Il moto rotatorio ha termine quando la normale alla superficie e il campo B diventano paralleli.
MATERIALI DIAMAGNETICI se r  1
MATERIALI PARAMAGNETICI se r  1
MATERIALI FERROMAGNETICI se r  1 CURVA DI MAGNETIZZAZIONE

Quando H=0 → B≠0 → punto di magnetizzazione residua


Quando B=0 → H è negativo → punto coercitivo
Consideriamo un circuito filamentare attraverso il quale circola il campo magnetico:

 H  tˆdl   I J
 J 1

Se il circuito γ è realizzato con un materiale omogeneo, si ha:


B  H
B ˆ Bt (l )



t

dl   dl
 
Immaginiamo il tubo omogeneo a tratti:
N
Bt (l )
  (l ) dl  
J 1
IJ

Il flusso magnetico per qualunque regione del filo, sarà pari a :   S (l ) B (l )


 Bt (l ) N

 S (l ) (l ) dl    (l ) dl  
J 1
IJ

N
1
  dl   R   I J
RILUTTANZA S (l )  (l ) J 1
La riluttanza è per i circuiti magnetici l’analogo della resistenza dei circuiti elettrici:
I RV Legge di Ohm
N
TOT Req   N J I J Legge di Hoptkinson
J 1

l
R Resistenza di un tratto di conduttore elettrico di forma cilindrica
S
l
R Riluttanza di un tratto di conduttore magnetico di forma cilindrica
S

Se abbiamo N riluttanze in parallelo:

N
1 1

Req i 1 Ri

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