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Prof.ssa F. Cappelletti Fisica per il Design A.A.

2021-2022

LA NATURA FISICA DELLA LUCE


Il concetto di luce coinvolge immediatamente il concetto del meccanismo della visione e della percezione del
mondo che ci circonda. La luce è una grandezza particolare poiché la sua definizione e la sua misura
dipendono non solo da quantità fisiche oggettive, ma anche dal sistema visivo dell’essere umano. Parlare di
luce non ha senso se non si definisce un soggetto, ossia l’uomo in grado di percepirla.
Per luce si intendono le radiazioni elettromagnetiche in grado di stimolare la retina dell’occhio umano,
producendo la sensazione visiva.
A differenza di temperatura, massa e energia che sono misurate in modo oggettivo, la luce viene quantificata
attraverso la percezione che di essa ha un osservatore ideale che media le caratteristiche della visione di un
gran numero di persone atte a rappresentare un ‘individuo tipo’.
Ciò che vediamo è dunque il risultato dell’azione di 4 elementi:
- le caratteristiche della luce;
- le caratteristiche dell’ambiente in cui la luce si diffonde;
- le caratteristiche fisiologiche dell’individuo (difetti di visione, patologie);
- le caratteristiche psicologiche (precedenti esperienze).

Cominciamo con il primo elemento e cioè andiamo a definire che cosa sia la luce e quali siano le sue
caratteristiche fisiche.
A livello fisico la luce è radiazione elettromagnetica o onde elettromagnetiche che si propagano nello spazio
vuoto con una certa velocità. Ma se consideriamo che la luce esiste come tale, grazie all’esistenza del nostro
occhio, che è in grado di percepirla, allora possiamo anche definire la luce anche come energia radiante
visiva, ossia una forma di energia alla quale l’occhio umano è sensibile e che si trasmette attraverso
radiazioni.
Fin dall’antichità il mistero della luce ha affascinato gli uomini che a lungo hanno cercato di comprenderne la
natura e la modalità di propagazione. A partire dalla fine del 1600 e fino agli inizi del 1900 il dibattito sulla
natura della luce è stato acceso ed è segnato da una serie di tappe molto importanti che fanno capire come
quello luminoso sia un fenomeno fisico che contiene in sé diversi aspetti.
Possiamo ricordare le tappe fondamentali di questo dibattito ripercorrendo la storia di oltre due secoli di
ricerche.
Sulla natura della luce si espressero Huygens e Newton (a cavallo tra 1600 e 1700): il primo credeva che la
luce fosse costituita da onde longitudinali (onde che producono vibrazioni che avvengono nella stessa
direzione di propagazione dell’onda); il secondo invece riteneva che la teoria ondulatoria contrastasse con la
propagazione rettilinea della luce, la quale, pertanto, doveva propagarsi attraverso piccolissime particelle o
corpuscoli che si muovono in linea retta ad altissima velocità. A sostegno della sua teoria Newton faceva
notare che le onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi, al contrario la luce poteva propagarsi nel
vuoto. A questo Huygens rispondeva considerando l’esistenza di una sostanza, l’etere, priva di attributi
materiali, la cui esistenza era già stata teorizzata da Aristotele per caratterizzare i corpi celesti. Questo fluido
onnipresente costituiva, secondo Huygens, il mezzo di propagazione delle onde luminose. Riguardo poi a
come si formassero i colori Newton sosteneva che essi dipendessero dalla diversa velocità con cui i corpuscoli
colpivano l’occhio; Huygens invece riteneva che i differenti colori fossero generati da diverse lunghezze
d’onda.
La competizione tra le due teorie durò oltre un secolo fino a quando la teoria ondulatoria cominciò a prendere
il sopravvento. Agli inizi dell’Ottocento, infatti, gli esperimenti di Thomas Young si dimostrarono a favore
delle teorie di Huygens. Young dimostrò che la luce poteva produrre effetti interferenziali analoghi a quelli
delle onde meccaniche e cioè la luce poteva propagarsi anche in regioni in cui, secondo la teoria corpuscolare,
non sarebbe stato possibile. Inoltre fece l’esperimento di far attraversare alla luce due fori creando due fronti
d’onda che interferendo l’uno con l’altro andavano a determinare su uno schermo delle bande luminose
alternate a bande buie: ne dedusse che le zone luminose fossero generate dalla somma di creste d’onda (fase
di massima ampiezza dell’onda) con altre creste e di ventri d’onda (fase minima ampiezza dell’onda) con altri
ventri, mentre le zone buie dovessero essere il risultato della somma di un ventre con una cresta. Si trattava
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del fenomeno di interferenza tipico delle onde meccaniche. Veniva dunque dimostrata la natura ondulatoria
della luce.

Alla metà dell’800 la luce era ancora considerata un fenomeno ondulatorio. Tuttavia, persisteva un problema
che non sembrava avere una soluzione: come fosse possibile spiegare l’esistenza dell’etere. Era stato infatti
stimato da Focault che la velocità della luce nell’etere dovesse essere di circa 3 · 108 m/s, ma per raggiungere
una tale velocità tale fluido avrebbe dovuto avere la rigidezza di un metallo e la densità dell’aria, cosa del
tutto improbabile.

Solo dopo la metà dell’800 Maxwell fu in grado di associare il fenomeno luminoso alla propagazione di campi
elettrici e magnetici. Del resto, i legami tra le oscillazioni di un campo elettrico e di quelle di uno magnetico
si devono a Faraday verso la metà dell’800 e fu lui a pensare che la luce fosse connessa a questa
propagazione. Maxwell per primo, però, pensò di classificare le onde luminose tra le onde elettromagnetiche
ipotizzando, nel 1864, che cariche accelerate o correnti elettriche variabili danno luogo a campi elettrici e
magnetici in rapido movimento, detti onde elettromagnetiche o radiazione elettromagnetica. Se si produce
una variazione di un campo elettrico o magnetico in un punto e la si fa durare nel tempo, si origina la
propagazione di una successione continua di punti elettromagnetici, ovvero un’onda elettromagnetica. Sulla
base di queste considerazioni, Maxwell sviluppò 4 equazioni note come equazioni di Maxwell, le quali
valevano anche in assenza di un mezzo (ossia di etere). L’onda elettromagnetica infatti non trasferisce
materia, ma è solo un processo perturbativo che trasporta energia. La conclusione di Maxwell fu dunque che
la luce è un’onda elettromagnetica.
Nel 1887 H. Hertz dimostrò sperimentalmente che cariche elettriche sono in grado di oscillare così
velocemente da generare onde elettromagnetiche di frequenza uguale a quella della luce. Egli cioè dimostrò
l’esistenza delle onde elettromagnetiche e che la loro velocità coincideva con la velocità della luce già
calcolata da Foucault.
Con Maxwell e Hertz veniva definitivamente dimostrata la natura ondulatoria della luce e la sua relazione
con l’elettromagnetismo.

Facciamo il punto sulle onde elettromagnetiche


Le radiazioni elettromagnetiche costituiscono un fenomeno ondulatorio di propagazione di energia che si
manifesta con un campo elettrico ed un campo magnetico, che oscillano su piani ortogonali tra loro.
La radiazione elettromagnetica è tra i fenomeni fisici uno dei più utilizzati dall’uomo in svariati campi: dal
medicale, alle comunicazioni, dalla termotecnica agli elettrodomestici.

La luce, secondo la teoria di Maxwell si comporta dunque come un treno d’onda generato da un campo di
forze elettromagnetico. Le onde elettromagnetiche inoltre sono onde di tipo trasversale. Un tipo di onda
trasversale è chiaramente visibile quando si lancia un sassolino in uno stagno. Se invece si fa galleggiare un
tappo di sughero sull’acqua si osserverà il seguente fenomeno: il tappo si troverà in un istante sulla cresta
dell’onda e in un istante successivo sul ventre. Il galleggiante non viaggia con l’onda, non si sposta con essa,
ma si muove con modalità sussultoria. Quindi il tappo di sughero salirà e scenderà nel tempo necessario
all’onda per compiere un’oscillazione completa. Il numero di saliscendi che fa il tappo in un secondo è la
frequenza di oscillazione.
Al pari di tutti i fenomeni ondulatori anche le onde elettromagnetiche sono caratterizzate attraverso la
conoscenza di alcune caratteristiche che sono: periodo (T), frequenza (f), lunghezza d’onda (), ampiezza (A)
e velocità (c). Definiamo ognuna di queste grandezze.
Periodo, T: tempo necessario a compiere un’oscillazione completa; si misura in secondi [s].
Frequenza, f: numero di oscillazioni nell’unità di tempo; si misura in hertz [Hz] ovvero [s-1]. La frequenza è
l’inverso del periodo, secondo la relazione:
1
𝑓=𝑇 (1)
Lunghezza d’onda, : distanza percorsa dall’onda durante un ciclo completo di oscillazione; si misura
normalmente in sottomultipli di metro, quali il micrometro [m] o il nanometro [nm].

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Ampiezza, A: massimo spostamento dalla posizione di equilibrio [m].

Lunghezza d’onda e frequenza sono tra loro legate dalla relazione:


𝑐
𝜆=𝑓 (2)

Dove c è la velocità della luce.


Si dice che lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali, nel senso che al crescere della
c
lunghezza d’onda la frequenza decresce. Guardiamo le onde rappresentate in verde in Figura 1: a sinistra

=
abbiamo una lunghezza d’onda maggiore che non a destra: in questo caso i picchi (creste d’onda) che
vediamo sono pochi; a destra abbiamo un’onda con piccola lunghezza che quindi presenta un gran numero
f
di picchi (creste d’onda) cioè una grande frequenza di oscillazione.


Lunghezza d’onda,  [m]


20 10 5 2 1 0.2 0.1 0.05

10 20 50 100 200 500 1k 2k 5k 10 k

Frequenza, f [Hz]
Figura 1. Asse delle lunghezze d’onda e delle frequenze: a sinistra in alto radiazione con grande lunghezza
d’onda e piccola frequenza, a destra in alto radiazione con piccola lunghezza d’onda e grande frequenza.

Il legame tra le due grandezze (lunghezza d’onda e frequenza) è la velocità di propagazione che a parità di
mezzo attraversato, si mantiene costante. La velocità dipende infatti dal mezzo che la radiazione attraversa
ed è massima nel vuoto nel quale è circa 3 · 108 m/s. Le onde possono propagarsi anche attraverso altri mezzi,
purché essi abbiano caratteristiche tali dal poter essere attraversati (chiameremo trasparenza tale
proprietà), ma all’interno di questi mezzi la velocità di propagazione risulta inferiore di una certa percentuale
fissa che dipende dal tipo di materiale attraversato. La proprietà che caratterizza un mezzo rispetto alla
velocità di propagazione della luce in esso, è un fattore adimensionale detto indice di rifrazione, che si indica
con n. Tuttavia, va tenuto presente che la velocità di propagazione c può dipendere, oltreché dal messo
attraversato, anche in minima parte dalla lunghezza d’onda della radiazione che sta viaggiando.
L’indice di rifrazione di un mezzo trasparente è dato dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto, c0, e la
velocità della luce nel mezzo, c, secondo la seguente equazione:
𝑐
𝑛 = 𝑐0 (3)

Da cui si deduce che per un mezzo qualsiasi n è un numero sempre maggiore di 1 mentre nel vuoto n = 1.

Dopo Maxwell e Hertz le ricerche sulla natura della luce non erano ancora concluse.
Hertz scoprì casualmente che illuminando una placca metallica con una radiazione UV (raggi ultravioletti), il
metallo si caricava elettricamente. Successivamente Lenard notò che, all’aumentare dell’intensità della
radiazione, aumentava il numero di elettroni liberati, ma la velocità degli elettroni rimaneva uguale. Per
aumentare la velocità era necessario aumentare la frequenza. L’effetto inoltre si attivava solo per un valore
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di frequenza «di soglia» al di sotto della quale l’intensità non aveva nessun effetto. Tale fenomeno, noto
come effetto fotoelettrico, non era conciliabile con la teoria ondulatoria.
Nel 1900 Max Planck propose di considerare la radiazione elettromagnetica come propagazione di pacchetti
discreti di energia detti quanti o fotoni, ciascuno caratterizzato dalla frequenza e dall’energia. Sulla base della
teoria di Planck (Legge di Planck), la quantità di energia trasportata dalla luce dipende dalla lunghezza d’onda
o frequenza, mentre l’intensità della radiazione dipende dal numero di quanti luminosi.
Materia e radiazione vengono così unificati dalla definizione di quanto luminoso che viene introdotto da
Einstein per spiegare in modo esaustivo l’effetto fotoelettrico.
Einstein calcolò inoltre la quantità di energia trasportata da un quanto luminoso; essa è data dalla seguente
equazione:
𝑒=ℎ𝑓 (4)

Nota come equazione di Planck-Einstein, dove h è detta costante di Planck e vale 6.625 · 10-34 J s.
Dall’equazione notiamo che se una radiazione si propaga all’interno di uno stesso mezzo (c costante) allora
quanto più grande è la frequenza tanto maggiore è l’energia trasportata dall’onda.

Nel caso dell’effetto fotoelettrico, l’intensità della radiazione incidente è proporzionale al numero di quanti
o fotoni da essa trasportati e quindi contribuisce a determinare il numero di elettroni emessi. L’energia con
cui escono gli elettroni, e quindi la loro velocità, dipende esclusivamente dalla frequenza della radiazione.
Nel passare da un mezzo ad un altro l’energia di un fotone non varia (proprio come non varia la frequenza),
tuttavia nel caso di propagazione all’interno del mezzo potrebbero verificarsi fenomeni di assorbimento da
parte del mezzo che la luce sta attraversando. In tal caso rimane comunque valido il principio di conservazione
dell’energia per il quale: l’energia non si crea né si distrugge, ma si conserva. Se dunque la radiazione viene
assorbita, essa incrementa l’energia del mezzo.

Famiglie di onde elettromagnetiche


Le onde elettromagnetiche conosciute sono state raggruppate in famiglie: ciascuna famiglia raggruppa onde
con caratteristiche simili che possono essere utilizzate in determinati campi di applicazione.
Le onde elettromagnetiche, sebbene abbiano la stessa natura, tuttavia al variare della lunghezza d’onda ossia
della frequenza differiscono notevolmente nel loro comportamento. Le radiazioni elettromagnetiche
coprono un esteso campo di lunghezze d’onda da meno di 10-10 micrometri per i raggi cosmici a più di 1010
micrometri per le onde elettriche di potenza.
Le diverse radiazioni sono prodotte da fenomeni differenti e vengono usate per diverse funzioni:
1. Onde radio (onde lunghe, medie, corte e ultracorte): usate per le trasmissioni foniche a distanza
perché sono in grado di viaggiare superando gli ostacoli;
2. Microonde: sono onde radio di piccola lunghezza da 30 cm a 0.1mm; sono generate da dispositivi
elettronici; sono utilizzate nei radar (quelle più lunghe), e per studiare le proprietà atomiche della
materia. Un’applicazione domestica delle microonde più corte è il forno a microonde;
3. Raggi infrarossi: queste onde sono prodotti dai tutti i corpi con temperatura superiore allo zero
assoluto (0 K), hanno lunghezza da 0.1mm a circa 700 nm; sono spesso percepiti come calore; hanno
applicazioni nelle cure di terapia fisica, nella fotografia all’infrarosso (termografia) e spettroscopia; i
telecomandi usano i raggi infrarossi per comunicare con i dispositivi;
4. Raggi visibili: parte dello spettro che l’uomo può rilevare. A differenti intervalli di lunghezze d’onda
corrispondono differenti colori;
5. Raggi UV invisibili all’occhio umano, ma molto potenti: gli UV del sole causano il buco nell’ozono; si
usano per sterilizzare oggetti o per impressionare le lastre fotografiche;
6. Raggi X: sono prodotti per decelerazione di elettroni ad alta energia che bombardano un bersaglio
metallico; usati nella diagnostica medica.
7. Raggi gamma (γ): generati da esplosioni atomiche; altamente penetranti.
8. Raggi cosmici: usati nelle reazioni nucleari.
La radiazione termica è la parte dello spettro che va da 0.1 a 100 µm. Al suo interno comprende tutta la
radiazione visibile e infrarossa e una piccola parte di UV. Tutta la materia che abbia temperatura superiore
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allo zero assoluto (0 K), emette radiazione termica. Più alta è la temperatura e maggiore è la quantità di
radiazione termica emessa.
La luce non è altro che qualunque radiazione elettromagnetica ricadente nel campo di lunghezze d’onda
comprese tra 0.38 e 0.78 µm (Figura 2). All’interno di questo intervallo di lunghezze d’onda, infatti, le
radiazioni sono in grado di indurre nell’uomo le attività elettrochimiche nervose che sono alla base della
visione. Al variare della lunghezza d’onda nel campo del visibile varia la sensibilità dell’occhio umano nei
confronti della luce e varia anche la percezione di essa dal punto di vista qualitativo in termini di una proprietà
detta colore. Per lunghezze d’onda più piccole, all’estrema sinistra del grafico di Figura 2, si percepisce il
colore viola, mentre per lunghezze d’onda più grandi (a destra del grafico) percepiamo il colore rosso. Ecco
perché i campi adiacenti al campo visibile si chiamano ultra-violetto (con lunghezze d’onda più piccole del
viola) e infrarosso, IR, (con lunghezze d’onda maggiori del rosso). Questi due campi sono piuttosto importanti
in quanto la maggior parte delle sorgenti di luce non solo forniscono radiazioni nel campo del visibile ma
anche nel campo UV e IR. In particolare, la radiazione del sole è costituita da radiazioni che ricadono in questi
3 campi (UV, visibile e IR). La radiazione visibile inoltre è responsabile dei processi vitali quali la fotosintesi
ossia la formazione di composti organici, carboidrati a partire da acqua e anidride carbonica e produzione di
ossigeno.

Figura 2. Spettro elettromagnetico e suddivisione delle onde elettromagnetiche in gruppi.

Nel parlare dell’ambiente luminoso/visivo e delle grandezze fotometriche che permettono di analizzarlo
dobbiamo fare riferimento a ciò che è sorgente di luce e ciò che invece costituisce la superficie o l’oggetto
illuminato: saranno diverse infatti le grandezze fotometriche che si riferiscono all’uno o all’altro soggetto.
Le sorgenti di luce sono corpi che emettono radiazioni luminose, cioè emettono radiazioni la cui lunghezza
d’onda ricade nel campo del visibile. Si chiamano sorgenti primarie quelle che emettono radiazioni proprie e
sorgenti secondare quelle che trasmettono (perché trasparenti) o riflettono le radiazioni provenienti da altri
sorgenti. Le sorgenti primarie, a loro volta, si distinguono in sorgenti naturali, quali il sole e il cielo, e sorgenti
artificiali, quali sono le lampade inserite in apparecchi illuminanti. La scelta dei materiali, degli arredi e dei
colori dell’ambiente è strettamente collegata alla scelta delle sorgenti primarie, per cui l’impianto di
illuminazione deve tenere conto dell’ambiente in cui esso va inserito, poiché l’ambiente luminoso è il risultato
dell’interazione tra sorgenti e superfici illuminate.

Il Sole è la principale sorgente di luce sulla Terra. Il Sole è una stella gialla di medie dimensioni. L’energia del
Sole è dovuta alle continue reazioni di fusione nelle quali due atomi di idrogeno si fondono per formare un

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atomo di elio (He); quindi il sole è sostanzialmente un reattore nucleare. Qual è la temperatura del sole? Nel
nucleo arriva a temperatura di 40 milioni di Kelvin; mentre sulla corona esterna raggiunge i 6000 K.
La radiazione solare, dopo aver attraversato l’atmosfera, giunge sulla superficie terrestre sotto forma di luce
e calore con lunghezza d’onda compresa tra 0.3-2.5 μm.
La sua potenza radiante, prima di entrare nell’atmosfera misura in media 1367 W/m2 (detta Costante Solare).
La radiazione del sole contiene diversi tipi di lunghezze d’onda ma è compresa quasi tutta nella banda di
lunghezza d’onda 0.1 – 1 m ed è per quasi il 50% costituita da radiazione visibile (luce), e per le rimanenti
parte di UV e IR. Il diagramma che rappresenta la distribuzione dell’intensità di radiazione emessa in funzione
della lunghezza d’onda viene detto spettro di emissione della sorgente. In Figura 3 è rappresentato lo spettro
della radiazione solare.

Figura 3. Spettro della radiazione solare. Le percentuali si riferiscono alla suddivisione dell’energia erogata
dal sole nei diversi intervalli di lunghezze d’onda.

Il Sole dunque è sorgente non solo di luce ma anche di energia termica. Abbiamo infatti visto che lo spettro
della radiazione solare è principalmente costituito dalle 3 famiglie di onde elettromagnetiche che insieme
costituiscono la radiazione termica, cioè quelle onde che trasportano energia termica.
Sulla superficie terrestre arrivano due tipi di radiazione: la radiazione diretta dal Sole e la radiazione diffusa
dalla volta celeste. La luce naturale dunque non proviene solo dal Sole ma anche dalla volta celeste che
riflette la luce solare diffondendola sulla Terra.
La somma delle radiazioni diretta e diffusa viene indicata come radiazione globale.
Il rapporto tra radiazione diffusa e radiazione globale dipende dalla copertura del cielo:
• Con cielo coperto circa il 100% della radiazione globale è diffusa
• Con cielo sereno solo il 15-20% della radiazione globale è di tipo diffuso.
In ogni caso l’energia totale ricevuta dalla superficie terrestre in un giorno coperto (soprattutto diffusa)
risulta molto più bassa di quella ricevuta in un giorno sereno (diretta + diffusa).
A quanto può ammontare la potenza radiante della radiazione solare che arriva sulla terra?
Quando il cielo è sereno circa 1000 W/m2 incidono la superficie terrestre mentre in presenza di cielo nuvoloso
o completamente coperto l’irradiazione diminuisce sino a circa 100 W/m2.
L’irraggiamento solare dipende, non solo dal grado di copertura del cielo ma anche dalla latitudine della
località, dal giorno dell’anno e dall’ora del giorno che consideriamo. Inoltre, la radiazione solare è massima
se incide su una superficie posta perpendicolarmente ad essa, mentre decresce a mano a mano che il raggio
si inclina. Per questo motivo la potenza della radiazione solare è massima per superfici orizzontali e
diminuisce quando consideriamo delle superfici verticali (come possono essere i muri degli edifici). In
quest’ultimo caso, poi, il quantitativo di irradiazione solare cambia al variare dell’orientamento della
superficie rispetto al Sud geografico.

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Una sorgente qualsiasi emette nello spazio, perciò verso molte direzioni ed emette un insieme di radiazioni
con differenti lunghezze d’onda. Si definisce radiazione monocromatica quella relativa ad una sola lunghezza
d’onda; altrimenti si chiama radiazione globale quella radiazione che è un insieme di tutte le lunghezze
d’onda; oppure a seconda di determinati intervalli di emissione abbiamo differenti denominazioni (UV, luce,
IR, etc.).
Considerando invece la direzione di emissione, si dice direzionale l’emissione che avviene in una specifica
direzione, mentre chiameremo emisferica una radiazione che si propaga in tutte le direzioni.
Nel quantificare il contenuto energetico della radiazione solare possono essere usate diverse grandezze. Si
ricordano le principali.
Chiamiamo energia radiante la quantità di radiazione emessa da una sorgente. L’unità di misura dell’energia
radiante è il joule [J], ma spesso viene anche usato il wattora [Wh] o il chilowattora [kWh]. Si ricordi che 1
Wh = 3600 J.
Chiamiamo potenza radiante l’energia radiante emessa nell’unità di tempo; l’unità di misura dell’energia
radiante è il joule al secondo [J/s] ovvero il watt [W].

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