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LEZIONE 3

Nella Francia rivoluzionaria il 4 agosto 1792, l’Assemblea Nazionale decreta la “soppressione dei
monumenti” e “dei resti della feudalità e segnatamente dei monumenti in bronzo esistenti a Parigi”
Il mese dopo, un decreto della Convenzione abolisce la Monarchia e stabilisce la distruzione di tutti
i simboli della Monarchia e della feudalità. A farne le spese saranno anche gli edifici religiosi, nelle
in cui si ravvisa maggiormente il contrasto con il culto imperante verso la Dea Ragione.

ll vescovo costituzionalista Henri Grégoire presenta all’Assemblea tre rapporti in riferimento alle
distruzioni perpetrate sui monumenti e ai mezzi da adottare per reprimerle.
Nel 1794 la Convenzione Nazionale mise fine alla distruzione delle opere d’arte prodotte dalla
monarchia francese. Fu in questo periodo coniata la parola vandalisme e si affermò solennemente
che “solo gli schiavi distruggono i monumenti, gli uomini liberi li conservano”.
Nasceva il Musée des Monuments e con questa operazione di “patrimonializzazione” anche l’idea
Le teste decapitate della cattedrale di Notre Dame stessa di patrimonio culturale.

L’alienazione dei beni dei religiosi, reali e nobiliari comporta inizialmente la necessità di elaborare
un metodo di inventario e gestione degli stessi. Già nel 1790 viene creata la Commissione dei
monumenti incaricata di classificare i beni acquisiti e verificarne lo stato.

Nel secondo anno della Repubblica, inoltre, il Comitato d’istruzione pubblica della Convenzione
definirà una scheda-tipo sulla “maniera di inventariare e conservare i monumenti” scientificamente
basata e particolarmente avanzata.

A partire dall’ultimo decennio del ‘700, si consolida un diffuso orientamento da parte della cultura
antiquaria studiare il passato, soprattutto quello medievale, in modo sistematico.

Aubin-Louis Millin, nel dicembre 1790, presenta all’Assemblea nazionale il primo tomo delle
Antiquités Nationales in cui si rimarca la necessità di rappresentare i “diversi monumenti nazionali,
come gli antichi castelli, abbazie, monasteri” al fine di scongiurarne la sparizione.

L’influenza di un metodo di tipo enciclopedico, si fa presto evidente nel contesto francese, grazie
all’opera di numerosi antiquari tra cui Alexandre de Laborde, Justin Taylor, Charles Nodier,
Alphonse de Cailleux Attraverso i «voyages», pellegrinaggi pittoreschi alla ricerca dell’architettura
medievale nazionale da loro compiuti, si porranno le basi dell’opera di catalogazione del
patrimonio storicoartistico francese

Victor Hugo (1802-1885)

Lo scrittore e intellettuale Victor Hugo ne La bande noir (1823) denunzia i predatori di rovine e
l’affarismo distruttore,
in Notre-Dame de Paris unisce alla condanna verso la speculazione e l’indifferenza, quella verso i
nuovi atti vandalici in atto sui monumenti, intendendo con ciò l’opera dei restauratori.

Nel 1832 nella Guerre aux démolisseurs, denunzia la connivenza tra potere centrale e interessi
immobiliari
I principali temi sono:
- la consapevolezza che il monumento è custode del suo stesso valore
- l’attenzione alla dimensione materica del costruito storico
- il valore collettivo dei monumenti
- la necessità di un appropriato sistema legislativo a protezione degli stessi

Ludovic Vitet (1802-1873)


Letterato, giornalista, uomo politico, storico e critico di storia dell'arte, da un punto di vista
storiografico, stabilisce il carattere autoctono del gotico francese, esaltandone il carattere laico,
specchio del sentimento nazionale.
Dal punto di vista istituzionale, nel suo ruolo di ispettore dei monumenti storici, combatte contro
ogni vandalismo e si prodiga per la conservazione.
L’impegno che egli consacrerà alla salvaguardia dell’architettura medievale, porterà Vitet ad
assumere il ruolo di presidente della Commission des Monuments historiques; carica che manterrà
fino al 1848

Prosper Mèrimèe (1803-1880 )

Prosper Mérimée sostituisce Vitet come presidente della Commission des Monuments historiques
e porta avanti l’opera del predecessore facendo rientrare le problematiche della conservazione e
della preservazione tra i compiti fondamentali dello Stato.
La commissione centralizzando il controllo dell’architettura antica, nel giro di pochi decenni stabilirà
per legge il criterio secondo il quale i monumenti classificati non potevano più essere sottoposti a
lavori senza una preventiva autorizzazione

Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879)

Autodidatta, formatosi in primo luogo attraverso l’osservazione e lo studio diretto dei monumenti,
analizzati graficamente con grande abilità ed attenzione, Viollet-le-Duc sarà influenzato dagli
“archeologi” che si erano dedicati alla riscoperta del medioevo
Egli considera l’architettura come una delle facce della storia di una società, per lo studio della
quale bisogna applicare il metodo analitico proprio delle scienze naturali e storiche. Progettista
“moderno” ed originale, storico dell'architettura medievale e delle cosiddette arti minori, teorico,
divulgatore e polemista, soprattutto avverso all’ecole des beaux-arts, accusata di formare architetti
fatti in serie, privi di personalità e in sostanza ciechi ai monumenti nazionali.

Per Viollet, ogni stile discende da quello che l’ha preceduto, seguendo una sorta di evoluzione
darwiniana e va studiato come un essere vivente che, con invisibili transizioni, passa dall’infanzia
alla vecchiaia e muta di generazione in generazione.

Scritti di VLD

- Dizionario ragionato dell'architettura francese dall'XI al XVI secolo (1854-1868 ;


- Dizionario ragionato dell'arredamento francese dall'epoca Carolingia al Rinascimento (1858-
1870);
- Dialoghi sull'architettura (in 2 volumi) (1858-1872);
- Storia dell’abitazione umana (1875)
- Descrizione del Castello di Coucy (1875):
- Descrizione del Castello di Pierrefonds (1857);

Concetto di Stile

Per Viollet-le-Duc, ogni stile discende da quello che l’ha preceduto, seguendo una sorta di
evoluzione darwiniana e va studiato come un essere vivente che, con invisibili transizioni, passa
dall’infanzia alla vecchiaia e muta di generazione in generazione.
lo stile e' quindi cio' che fa rivivere il passato, e pertanto non e ’suscettibile di interpretazioni o
ipotesi fantasiose.

Stile
- Rispondenza ad un programma iniziale
- Fusione con i costumi del popolo che crea l’architettura
- Chiarezza e verità date dal rispetto rigoroso dei principi

I monumenti quindi sono da restaurare “ secondo lo stile loro dovuto” ed il fine affermato nella
celebre definizione del Dictionare e' quello di “ripristinarlo in uno stato che puo' non essere mai
esistito”
«Restaurare un edificio non significa mantenerlo, ripararlo o rifarlo, ma ristabilirlo in uno stato
d'integrità che può non essere mai esistito».

“Se si tratta di restaurare e le parti originali e le parti modificate, bisogna non tener conto delle
ultime e ristabilire l'unità di stile disturbata, o riprodurre esattamente il tutto con le modificazioni
posteriori. È qui che l'adozione assoluta di uno dei due partiti può creare pericoli, e che appare
indispensabile, al contrario, non accogliendo nessuno dei due princìpi in maniera assoluta, agire in
ragione delle particolari circostanze» (…) ragion per cui 'prima di essere un archeologo, l'architetto
incaricato d'un restauro deve essere un costruttore abile ed esercitato”.

Il Restauro ricerca il ripristino dell’immagine originaria dell’architettura sulla quale si interviene e il


recupero della il purezza di stile del monumento. attraverso due momenti alternativi:

- rimuovere dal monumento tutte le parti aggiunte in momenti posteriori alla sua fase di
concezione e di costruzione originale, per ricondurlo alla primitiva unità e purezza stilistica;
- se le distruzioni sopravvenute abbiano provocato vuoti e lacune; si tratta allora di ricostruire le
parti mancanti completando il monumento secondo quello che avrebbe dovuto essere, in
modo da ottenere un’opera unitaria e come eseguita di getto

I metodi per quindi per conseguire il fine posto del restauro possono essere riassunti in :
- Studio attento dell'organismo in tutte le sue parti
- Ricerca di documentazione storica
- Studio delle fabbriche coeve della stessa regione
- Conoscenza dei processi costruttivi

L’architetto che progetta e dirige un lavoro di restauro deve penetrare “nello spirito che ha diretto le
antiche costruzioni” e ancor più deve, se possibile, “conoscerne la struttura, l’anatomia, il
temperamento, perché prima di tutto bisogna che lo faccia vivere” Allo stesso tempo, egli
deve agire come “il chirurgo accorto ed esperto, che tocca un organo solo dopo aver acquisito una
completa conoscenza della sua funzione ed aver previsto le conseguenze immediate e future
dell’operazione”.

Chiesa della Madeleine a Vèzelay, lavori dal 1840 -1859

- La chiesa è una delle prime insigni fabbriche medioevali francesi su


cui si era appuntata l’attenzione della Commissione dei Monumenti
Storici
- Costituisce il monumento simbolo dell’assunzione, da parte di uno
stato europeo, di un’azione di tutela modernamente concepita e
insieme di una politica di interventi pianificata;
- Un vivo motivo di interesse fu l’affidamento d’incarico a Viollet le
Duc, appena ventiseienne, una scelta coraggiosa presa da Mèrimèe
- Il suo restauro diede avvio alla stagione europea del restauro
stilistico

Grande attenzione è attribuita al paramento medievale, rappresentato pietra per pietra, con le
manifestazioni del degrado fino alla vegetazione infestante.
La chiesa venne fondata età romanica, ma il completamento della
navata e soprattutto il coro manifestano caratteri chiaramente
gotici, nel sesto degli archi, nella partizione delle volte, nella
realizzazione della struttura portante; la facciata, di impianto
romanico, si presentava a due torri, di cui una in gran parte crollata,
ma la porzione centrale del prospetto venne realizzata
successivamente, nel XIV secolo, in forme più elaborate.

Il processo conoscitivo
Violet-le-duc avvia il processo conoscitivo della chiesa attraverso
disegni e schizzi, che rappresentano la Madeleine nel suo complesso
e nei suoi particolari:
- Per comprendere la fattura, le proporzioni, i materiali costitutivi;
- Per riconoscere l’ambiente culturale di riferimento;
- Per distinguere le varie fasi di costruzione.

Il restauro di Viollet non punta, come ci si potrebbe aspettare, all’uniformazione stilistica


mediante l’eliminazione della fase gotica e la ricostruzione della torre mancante; quest’ultima
viene invece reintegrata nelle murature costruendo a sua copertura, un tetto a padiglione. Viollet
completa inoltre con una balconata e dei doccioni il coronamento dell’altra torre e crea dei risalti
verticali a delimitazione dell’inserto gotico centrale, in modo da facilitare la lettura dell’intero
prospetto.

Dal punto di vista statico, la chiesa


presentava lesioni nelle volte, con
abbassamento del concio di chiave e
rotazione dei muri d’ambito della navata.
Dopo la puntellatura, accuratamente
progettata e delineata nei disegni di Viollet,
furono smontati gli archi rampanti, realizzati
in epoche diverse e con apparecchi lapidei
ammalorati, tali che non esercitavano alcuna
reazione alle spinte provenienti dagli archi
della navata. Viollet realizza nuovi archi
rampanti che riprendono lo schema
costruttivo dei precedenti, ma senza gli errori
di costruzione, collocandoli nella posizione esatta in cui un bravo costruttore medievale li avrebbe
collocati.

I nuovi archi vengono corretti nel sesto e realizzati non più in piccolo apparecchio di pietra e
mattoni, ma in grossi blocchi di pietra. I conci che costituivano la navata centrale vengono
smontati e ricollocati in opera in maniera da sanare le lesioni che si erano verificate.

CARCASSONNE

La cittadella di Carcassonne era delimitata da due cerchia di mura, una più interna di origine
romana ed una più esterna del XIII secolo, per un totale di 53 torri minacciata da abbandono, l
'antica cattedrale viene classificata nel 1840 Nel 1843, Mérimée affida a Viollet-le-Duc lo studio e
la perizia della chiesa.
CASTELLO DI PIERREFONDS → VEDI ESERCITAZIONE 1

In seguito

Nel 1868 VLD lasciò la frenetica vita parigina per trasferirsi a Chamonix, attirato dall’ultima
passione della sua vita: la montagna. Il Monte Bianco lo affascinava: lo studiò in modo minuzioso,
come aveva fatto con l’arte medievale. Ne analizzò l’immagine, la struttura geologica e la storia.
Realizzò una affascinate carta topografica. Alla montagna maestosa dedicò centinaia di disegni ed
acquarelli. E in un libro, “Le massif du Mont Blanc”, espose un folle e poetico progetto:
“ristrutturare” la montagna per riportarla alla sua grandiosità primordiale, rimodellando quello che il
tempo e la mano dell’uomo avevano rimosso.

JOHN RUSKIN (1819-1900)

John Ruskin nasce a Londra l'8 febbraio del 1819, figlio unico di una famiglia di origine scozzese
da cui riceve una rigida educazione religiosa di stampo puritano. La madre ne sollecita le
inclinazioni artistiche iscrivendolo a lezioni private anche di sport. A soli sei anni, segue i suoi
genitori in giro per l'Europa: sarà con loro a Parigi, a Bruxelles, in Fiandra, nelle zone del Reno e in
Svizzera. Fin da giovane alternò momenti di frenesia a giorni di solitudine e riflessione. Trovò
nell’arte e nell’architettura la ragione di una vita di ricerca solitaria e fuori dai modelli dell’epoca.

Autore molto attivo scrisse su molti temi che si potevano agganciare all'arte: la rivalutazione dei
"primitivi", la "rivelazione" di Tintoretto, l'avversione per i fiamminghi, la riformulazione del concetto
di sublime, la critica della filosofia tedesca contemporanea, il rapporto fra natura e poesia
romantica inglese, l'amore per Dante ma anche Turner e i preraffaelliti suoi contemporanei
Tutti gli scritti di John Ruskin sono guidati dalla ferma convinzione che il vero artista sia un
veggente, un profeta e che l'arte debba riuscire a favorire l'incontro dell'uomo con la natura e
con Dio.

Ruskin è stato tra i primi a rendersi conto delle condizioni di alienazione nelle quali l’uomo si
sarebbe venuto a trovare a seguito dell’industrializzazione. Nella raccolta di saggi economico -
politici Unto This Last (1860) rivendica i diritti dell’elemento umano e spirituale verso l’economia, e
lamenta che “gli uomini non provano alcun piacere nel lavoro con il quale si guadagnano il pane, e
perciò considerano la ricchezza come il solo mezzo per ottenere piacere”. Come è stato osservato
da molti autori, però, l’opposizione ai fenomeni negativi dell’industrialismo e la profonda
insofferenza verso le ingiustizie sociali, lo portò a proporre come alternativa l’‘anacronistico’
modello della società medievale.

Unto This Last è prima di tutto un grido in difesa della giustizia: di fronte alle masse di lavoratori
e operai che si riversano nelle città, John Ruskin si propone di definire cosa sia la ricchezza nella
convinzione che esistano virtù morali essenziali al suo raggiungimento e superiori alla tanto
acclamata "legge di mercato".
"Compra quando conviene? Va bene, ma cosa rende il mercato conveniente? Il carbone è
economico se viene dalle assi del tuo tetto dopo un incendio e i mattoni hanno un buon prezzo
nella tua zona dopo un terremoto [...]. Vendere al prezzo più alto? Sì, davvero, ma cosa rende il
mercato vantaggioso? Oggi hai venduto il pane a un buon prezzo: l'hai venduto a un moribondo
che ti ha dato la sua ultima moneta e che non avrà mai più bisogno di pane?»

Sull’architettura e città contemporanea: “Non è possibile pretendere una qualche giusta


moralità, felicità e arte in un paese dove le città sono costruite in questo modo (…) come
raggrumate e coagulate, chiazzate di spaventosa muffa che si propaga mortalmente in tutto il
territorio tra toppe e macchie”.

Nel 1856 quando matura in lui la convinzione che non ha senso parlare d’arte al di fuori di un più
vasto orizzonte di ordine morale e sociale. La sua critica dell’arte diventa critica della società
che produce l’arte. Inizia allora una battaglia contro i criteri di intervento di restauro dell’epoca, di
tipo invasivo, i quali provocavano gravi danni ai manufatti dell’architettura del passato. Inizia ad
osservare come il significato dell’architettura implichi sempre dei doveri che l’uomo ha nei confronti
della nuovo mondo che costruisce e dell’antico che deve essere conservato.

Le grandi nazioni scrivono la loro autobiografia in tre libri:


• nel libro delle loro gesta
• nel libro delle loro parole( la letteratura)
• nel libro della loro arte nessuno di questi libri può essere compreso senza leggere gli altri due.

Ma dei tre l'ultimo soltanto è degno di fede.

La ricerca intellettuale di John Ruskin rovesciò la prospettiva corrente: vide nel Rinascimento la
fine dell'Età dell'oro, e propose come modello da seguire il Medioevo, diviso in tre classi sociali
con compiti ben precisi:
- i Signori fedeli difensori dello Stato
- il clero votato alla fede
- gli artigiani dediti al lavoro.
I tre gruppi, secondo Ruskin, poterono vivere in perfetta armonia. Ruskin sviluppò le sue idee
anche sui rapporti tra vita, arte, politica e società, in: Le sette lampade dell'architettura (1849) e
Le pietre di Venezia (1851 -53). In quest'ultima opera, frutto di un viaggio a Venezia, è ben
esemplificata la sua lettura del gotico, basata sui valori decorativi e coloristici, doti creative della
società medievali.

Per Ruskin la riflessione sul restauro trascende gli aspetti tecnici. Il suo oggetto è la
conservazione dei monumenti in quanto documenti della civiltà del passato, testimonianza
viva di tutti gli uomini e delle collettività che li hanno costruiti, utilizzati e trasformati, memoria del
passato indispensabile «alla formazione di una società migliore» e, in generale, al benessere
dell’uomo. Una visione così ampia dei valori e dei significati dei problemi teoretici della
conservazione dei beni culturali, che abbraccia, in un discorso solo, tutti i molteplici aspetti della
questione, da quello sociale ed educativo, a quello storico ed a quello etico ed estetico, fa di John
Ruskin il vero fondatore e precursore delle moderne teorie in materia.

In The Stones of Venice Ruskin prefigura un’indagine attenta a una identità costruttiva locale
“naturale”, materica, colorata, in cui un’intera società aveva rispecchiato i propri valori e su cui il
tempo aveva deposto le proprie patine. Le pietre a cui fa riferimento il titolo sono quelle della
Venezia pre -rinascimentale, che rivestivano i palazzi o componevano le sagome delle finestre e
dei dettagli decorativi. A essa Ruskin riconosceva una superiorità etica e religiosa rispetto al
bianco indifferenziato dell’architettura classicista rinascimentale e dei suoi eredi nei secoli
successivi.
Le sette lampade dell’Architettura pubblicato nel 1849 e, poi, ristampato nel 1880, è tra i volumi di
Ruskin quello che più specificatamente affronta il tema dell’architettura e del rapporto che si
determina tra questa e l’uomo. Sono dibattute nello scritto alcune questioni a cominciare dai
concetti di conservazione e di restauro: il dovere della “conservazione dell’architettura che già
possediamo”, […] non consiste affatto nel restaurare […]. Anzi, deve essere ben chiaro, afferma
Ruskin, che “il restauro è distruzione” (Aforisma 31); “il nostro dovere è, appunto, di impedire il
restauro, abbiatene cura e non avrete alcun bisogno di restaurarli”

La visione romantica, che influenzerà l’estetica vittoriana ed edoardiana, scaturisce nel sesto
capitolo del saggio: “Lampada della memoria” che contiene le pagine dove Ruskin ha racchiuso
con estrema forza e precisione la dottrina della conservazione; “quella esigenza non tanto di
proteggere i monumenti antichi, quanto di asservire ai medesimi principi sia la costruzione della
nuova architettura, sia la tutela della architettura antica affinché esse costituiscano elementi
integranti dell’ambiente di vita della società umana”.

Ruskin distingue tra immaginazione e inganno. Immaginare è richiamare alla mente cose che
conosciamo, che contempliamo ben sapendo che esse non sono e non possono essere presenti
nella realtà. Non vi è inganno nell’immaginazione, poiché se questa ingannasse diventerebbe
follia. Il restauro è invece per Ruskin una falsa descrizione. Priva gli uomini della possibilità di
immaginare: compiendo con l’inganno una reintegrazione dell’immagine si annulla il suo aspetto
antico facendo perdere valore all’opera stessa.

Immaginare è richiamare alla mente cose che conosciamo, che contempliamo ben sapendo che
esse non sono e non possono essere presenti nella realtà. Non vi è inganno nell’immaginazione,
poiché se questa ingannasse diventerebbe follia. Il restauro è invece per Ruskin una falsa
descrizione. Priva gli uomini della possibilità di immaginare: compiendo con l’inganno una
reintegrazione dell’immagine si annulla il suo aspetto antico facendo perdere valore all’opera
stessa.

La gloria di un edificio risiede nella sua età. «E’ in quella dorata patina del tempo che dobbiamo
cercare la vera luce, il vero colore, e la vera preziosità dell’architettura. Finché un edificio non ha
assunto questo carattere, finché non è stato consegnato alla fama e consacrato dalle imprese
dell’uomo, finché le sue mura non sono state testimoni delle sofferenze e i suoi pilastri non si sono
eretti sulle ombre della morte, essa non avrà acquisito significato».

Aforisma 29: La terra l’abbiamo ricevuta in consegna, non è in nostro possesso Essa appartiene a
noi come a quelli che devono venire dopo di noi, per cui non è lecito effettuare operazioni che la
compromettano.

Per John Ruskin, la fotografia era soprattutto un “modello naturale”, quando, nel 1845, acquistò
da “un povero francese”, per pochi franchi, “tutto il Canal Grande, dalla Salute a Rialto”. Si trattava
di una raccolta di piccole lastre dagherrotipiche, che definì splendide “gemme” in un’accorata
lettera al padre.
Ruskin fu anche il primo collezionista di fotografie, inizialmente di dagherrotipi che utilizzò nei suoi
studi d’arte, specialmente sull’architettura veneziana. Nessun disegno, osservò allora, può
illustrare il degrado della città come un dagherrotipo, che definisce in dettaglio anche le crepe
dell’intonaco sui muri, con una perfezione talmente rigorosa, che nessun disegnatore sarebbe in
grado di raggiungere.

La Society for the Protection of Ancient Buildings ( SPAB ) (a volte nota come Anti - Scrape )
è una società di servizi fondata da William Morris , Philip Webb e altri, nel 1877; lo scopo è
contrastare quello che vedevano come un "restauro" distruttivo di antichi edifici che si verificava
allora nell'Inghilterra vittoriana; Morris era particolarmente preoccupato per la pratica, che
descriveva come `` falsificazione '', di tentare di riportare edifici funzionanti a uno stato idealizzato
dal lontano passato, che spesso comportava la rimozione di elementi aggiunti nel loro sviluppo
successivo e che Morris vedeva come un contributo al loro interesse come documenti del passato.
Invece, ha proposto che gli edifici antichi dovessero essere riparati, non restaurati, in modo che la
loro intera storia sarebbe stata protetta come patrimonio culturale.

William Morris (1834 -1896) Presidente della S.P.A.B., è tra i più critici dell’organizzazione
capitalistica del lavoro. Secondo il suo Manifesto pubblicato il 23 giugno 1877 sulla rivista
Atheneum, all’interno della sezione Fine Arts, al concetto di restoration (restauro), visto in chiara
accezione negativa, va sostituito quello di protection, o tutela intesa come manutenzione vigile e
costante, capace di garantire la sopravvivenza di un edificio o almeno di rallentarne il degrado.

SPAB Manifesto, “(…) il mondo civile del diciannovesimo secolo non ha un suo stile proprio, ad
eccezione di una vasta conoscenza degli stili degli altri secoli. Da questa carenza sorse nell’animo
degli uomini la strana idea di un restauro degli antichi monumenti; ed invero un’idea strana e di
gran lunga fatale, che per il suo stesso nome implica che è possibile spogliare una costruzione di
questa o quella parte della sua storia – vale a dire della sua vita – e quindi porre mano con
aggiunte arbitrarie, e nello stesso tempo lasciarla ancora storica, vivente e persino così com’era
una volta”. “(…) è per le architetture di tutti i tempi e stili che noi lottiamo e sollecitiamo coloro che
hanno rapporti con esse a sostituire la tutela al posto del restauro, per evitare il degrado con cure
giornaliere, per puntellare un muro pericolante e riparare un tetto cadente, (…) e comunque
resistere a tutti i tentativi di manomettere l’edificio sia nella sua struttura sia nei suoi ornamenti così
come si trovano.”

In breve la SPAB istituì due comitati, il Restoration Committee ed il Foreign Committee e grazie
a quest’ultimo diffuse la sua attività in Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda ecc., oltre che in
Asia, Il Manifesto fu tradotto nel 1879 in francese, tedesco, olandese ed italiano influenzando
numerose persone di sensibilità conservativa. Morris ha creato le condizioni pratiche per una
«socializzazione» delle intuizioni di Ruskin determinando la possibilità di una reale verifica dei
principi da lui proposti.

NOTRE DAME DE PARIS

La chiesa, la cui costruzione era stata avviata nel XII


secolo, aveva rappresentato nel tempo il “santuario
dell'intera nazione” ed aveva molto sofferto in particolare
nel corso degli ultimi decenni. Durante la Rivoluzione
francese molte statue erano state distrutte, la Galleria dei
Re era stata devastata e le sue statue decapitate la
cattedrale era stata trasformata in un “Tempio della
Ragione” con alterazioni di vario tipo.
Ai danni inferti durante la rivoluzione, si aggiungevano i
segni del tempo nonché presunte imperfezioni dell’edificio I
due campanili in facciata non erano mai stati completati.

Alla fine del ‘700 era crollata la grande guglia


(flèche) che si trovava all’incrocio della navata centrale
con il transetto Solo con l’avvento di Napoleone la
cattedrale è restituita al culto, ma già agli inizi dell’
‘800, visto lo stato di abbandono in cui versava, da più
parti viene avanzata l’idea di abbatterla.

La rinascita della cattedrale, dopo il 1830, è promossa


anche e soprattutto dal romanzo di Victor Hugo,
Notre-Dame de Paris, in cui l’edificio è il vero
protagonista di una narrazione particolarmente
avventurosa e appassionante. Per motivazioni
religiose, storiche ed anche poetico-letterarie la cultura
del tempo tenta quindi di mettere alla prova la propria capacità di rimediare alla precedente
barbarie, lavorando su struttura e decorazione.

Nel 1843, Viollet-le-Duc e Jean Baptiste Antoine Lassus partecipano al


Concorso per il restauro della cattedrale e la realizzazione della sagrestia e
dell’Arcivescovato Il loro progetto, venne giudicato il migliore tra i 3
presentati Sulla decisione influì anche il fatto che erano stati gli unici a
presentare gli elaborati progettuali entro il termine fissato.

Lassus e Viollet-le-Duc presentarono un progetto che proponeva di superare


definitivamente il vecchio sistema dei “palliativi”→ L’intervento doveva
eliminare alla radice tutto il male prodotto dall’uomo e dal tempo e attuarsi
attraverso l’impiego di pietra, di tecniche e materiali antichi, sostituendo
integralmente le parti ammalorate o danneggiate Essi affermarono di essersi
imposti le regole più rigorose: una “religiosa discrezione” e la completa
“abnegazione di ogni opinione personale”.

Due guglie che dovevano completare le due torri della facciata, ma poiché
esse non furono mai realizzate, non furono ricostruite. Mentre la flèche
posta sulla copertura della chiesa all’incrocio tra la navata e il transetto, che
era stata distrutta nel 1792 fu ripristinata dopo la morte di Lassus (1857).

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