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3.9. Libertà
3.10. Menzogna
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3.10. Menzogna
mentre lei taglia i ponti, lavora affinché l’ascoltatore non possa risalire alla
verità. L’ironia, al contrario, cerca di lasciare almeno una minima traccia
perché il destinatario possa accorgersi, capire, e iniziare un processo di in-
terpretazione. Nel caso della menzogna si ha a che fare con una guerra tra
emittente e destinatario: chi mente combatte per ottenere che il destinatario
non abbia armi di fronte all’enunciato, è quindi l’inimicizia a fare da base
comunicativa. Alla fine, la posta non è già la verità, ma la forza. L’ironista
invece — come già visto — tratta l’interlocutore come un alleato, come un
amico, e lo rende partecipe, anzi lo inserisce ancora più dentro, nel processo
comunicativo.
La menzogna si basa sulla frode, sull’inganno, sul non dire, è una pseu-
dologia: lascia l’ingannato rinchiuso nella sua solitudine e lavora perché
arrivi a bendargli gli occhi e perché l’ingannato non si accorga di quanto si
sta tramando l’ingannatore. Il rapporto di comunicazione si fa allora dispo-
tico, implica diffidenza e gerarchizzazione, sorge presto una divaricazione
tra inferiore e superiore, tra chi sa e chi non sa. L’ironia, dal canto suo, crea
collaborazione: “se l’ingannatore allontana l’ingannato dal senso pneumati-
co e lo lascia sprofondare nella lettera della grammatica, l’ironizzato, al con-
trario, rimbalza con leggerezza9 dal gramma al pneuma” (Jankélévitch, V.,
1964: 62).
L’ironista sceglie di entrare in una specie di doppio gioco, “rientra nel
numero ambiguo dei mentitori sinceri che fa disperare il dogmatismo. […]
In questo numero figurano Don Chisciotte, […] gli adulatori in buona fede.
[…] Sono veritieri o recitano la commedia? Difficile da capire, perché non
c’è di univoco nel rapporto tra menzogna e veracità. […] Interiormente
dilacerata, vittima del proprio machiavellismo, l’ironia è insieme Loren-
zaccio e Lorenzo”10 (Jankélévitch, 1964: 118). Tuttavia, l’ironia è una “in-
gannatrice leale” (Gaburro, S., 2013: 193), “non vuole ingannare, anche
quando mente, simula, ha sempre l’intenzione di essere, non creduta, ma
compresa” (Ferro, L., 2006: 33). Russo Cardona riflette sulla componente di
simulazione dell’ironia: esiste, infatti, “una tradizione retorica secolare che
guarda all’ironia come a una forma di simulazione: tale caratterizzazione
è stata storicamente contrapposta, nei manuali di retorica, a un’altra forma
di ironia che viene interpretata come un tipo specifico di dissimulazione”
(Russo Cardona, T., 2009: 39, Lausberg, H., 1949: 234 e, in queste pagine,
sezione 1.3.).
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Caratteristiche dell’ironia
irony is a form of negation that does not make use of an explicit negation marker.
An affirmative (more often than negative) expression is used to implicate that
a specific state of affairs is different or far from the taken-for-granted, expected
(or more desirable) state of affairs explicitly indicated by the same affirmative
expression
(Giora, R., 1995: 240; 1988: 4).
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3.12. Oscurità
3.12. Oscurità
The obscurity and ambiguity of the irony act as a possible defence mechanism:
if the target of the ironic utterance reacts in an unexpected way, showing more
anger perhaps than the speaker anticipated then the speaker can argue that they
misunderstood his actual meaning
(Vance, J., 2012: 26).
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Caratteristiche dell’ironia
3.14. Sdrucciolevolezza
3.15. Silenzio
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3.16. Slittamento di significato
chetti, M., 2003: 16). Esiste una differenza tra il Niente e il Poco, tra il silenzio
e l’allusione. Esiste un silenzio ironico, tale è il silenzio di Socrate sia davanti ai
suoi discepoli, sia davanti ai suoi accusatori. Non c’è bisogno di dire tutto, basta
un gesto, un accenno, una pausa.
L’ironia “trasforma” (Mizzau, M., 2005: 99): è la portatrice, all’interno della co-
municazione interpersonale, della presenza di uno slittamento di significato,
del “passaggio da un significato a un altro leggermente dissimile” (Mizzau, M.,
1974: 93). Con l’ironia, l’altro vuol dire qualcosa di più preciso, allo stesso tempo
il letterale perde di significato.
3.17. Teatralità
4.1. Allegoria
L’ironia potrebbe definirsi, nel senso proprio della parola, “una allegoria, o me-
glio una ψευδολογία, poiché pensa una cosa e, a suo modo, ne dice un’altra”
(Jankélévitch, V., 1964: 44). I latini mutuarono il termine “dal greco, ἀλληγορία”
(Lausberg, H., 1949: 234), ma la chiamarono anche inversio, ‘scambio’. Quin-
tiliano specifica che l’allegoria consiste nell’indicare “una cosa con le parole,
e un’altra con le idee sottintese” (aliud verbis, aliud sensu — Quintiliano, Insti-
tutio oratoria 6: 44); “può arrivare ad intendere il contrario di ciò che vien detto,
coincidendo dunque, in questo, con l’ironia” (Mortara Garavelli, B., 1977: 259);
nell’allegoria, però, “il significato vero e proprio, letterale, viene assunto a signifi-
cante di un processo mentale che sviluppa su un piano del tutto diverso” (Paglia-
ro, A., 1970: 10) rispetto all’ironia. Figura retorica che esprime un concetto per
mezzo di un’immagine, l’allegoria non è diffusa nel discorso orale e colloquiale
come invece avviene per l’ironia, e vanta invece la stessa diffusione di quest’ulti-
ma per quanto riguarda testi letterari, soprattutto interni alla produzione poetica
(in cui si già dal Medioevo si attesta come figura retorica tradizionale). Un esem-
pio dell’allegoria è riscontrabile nei versi della celebre poesia di Giovanni Pascoli:
(…)
Ritornava una rondine al tetto
l’uccisero: cadde tra spini
ella aveva nel becco un insetto
la cena de’ suoi rondinini
(Giovanni Pascoli, X agosto).