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Riso e Sorriso e altri saggi sulla nonviolenza nella Grecia antica

Cap 1.
La prima tematica ricade sul riso che in greco viene detto con diversi termini come ghèlos,
kichlismòs, kanchasmòs con un’accezione negativa-relazionale; infatti tutti questi termini non sono
usati casualmente ma quando voglio esprimere un’offesa che viene recata verso la persona cui si
riferisce questo riso. Questi termini infatti hanno come significato insito anche quello di deridere e
quindi di affermare una certa superiorità rispetto ad altri come quando nell’Elettra di Sofocle
Oreste sorridere apertamente alla sorella dopo aver sconfitto i nemici.
Ha una carica aggressiva quando viene usato rivendicandolo positivamente poiché questo implica
un sentimento di orgoglio da cui il riso prende avvio, orgoglio che si trasforma in superiorità come
già detto.
Il riso inoltre è accompagnato da un altro elemento ovvero la vocalità, cioè un manifestazione
fragorosa dello stesso che essendo così rumoroso, mantiene ancora questo carattere di
imposizione, poiché prevarica ciò che dice l’altro e che in genere scaturisce da qualcosa di cui si
parla o da qualcuno con cui sta parlando o in casi rari senza un motivo ben preciso come per
esempio nel caso della popolazione dei Mossineci.
Oltre a questo primo aspetto negativo poi ne troviamo anche uno positivo nei rapporti umani nella
misura in cui il riso veicoli un messaggio; a seconda di questo ci sono quindi diverse tipologie di
riso come per esempio il riso seduttivo, che conserva una carica aggressiva-costruttiva in quanto
si impone sull’altro modificando il suo stato d’animo.
In quest’accezione inoltre il riso è capace di sciogliere qualsiasi tipo di tensione senza ricorrere alla
non violenza e riportare così all’equilibrio o per evitare che si inneschi un conflitto come nel caso
delle donne della Lisistrata oppure degli oratori che mettevano in riso la situazione per far calmare
i giudici; in questo caso inoltre per avere la finalità sperata il riso deve essere spontaneo così da
generarne un altro con la stessa caratteristica nel volto del nostro interlocutore. La spontaneità di
cui si parla potrebbe essere paragonata a quella di un cane che scodinzola contento quando vede
il so padrone o al sorriso di un bambino che in molti casi ha una potenza disarmante da modificare
lo stato d’animo di cui lo guarda o di fare desistere qualcuno dal compimento di un azione. (vd
Medea).

Il sorriso al contrario ha come caratteristica quella di instaurare dei rapporti prettamente


relazionali che mirano però a creare delle relazioni di tipo positivo; il termine infatti è collegato a
termini che rimandano alla sfera dell’autocontrollo, della serenità e della placidità come gli
avverbi…. (vd. Pag. 27) e comunica proprio questi sentimenti. Il sorriso agisce nell’ambito amoroso
anche con la finalità di far innamorare due uomini o quella di far ricongiungere due amanti tant’è
che Eros stesso raffigurato come sorridente è diverso da quando è ridente.
Il fatto di poter trasformare con il sorriso delle situazioni conflittuali dipende in primis dalla
predisposizione che ha la persona in questione oppure dall’influenza che terze parti hanno sul
parlante come nel caso della serva Iambe che cerca di sollevare dopo il rapimento della figlia
Demetra.
Cap 2.
Nell’ambito della filosofia abbiamo molte più testimonianze di appianare i conflitti soprattutto tra
individui sfruttando come arma il sorriso; alcuni filosofi come i pitagorici associavano all’idea di
concordia tra individui quello di armonia che si rendeva con il suonare delle melodie che
permettessero a tutti i placare i propri animi.
Il sorriso era usato come metodo per placare l’ira ed instaurare anche di fronte a parere
discordanti un dibattito sano.
In questo capitolo il sorriso viene unito alla riconfigurazione di sè, cioè il mettersi allo stesso piano
di chi ci ha mosso un’offesa e pensare che anche noi probabilmente siamo come lui e quindi che
non possiamo attaccare anche solo a parole qualcuno che sia come noi, ma piuttosto bisogna
avere compassione dello stesso.
Una volta capito il modo in cui comportarsi di fronte ai conflitti, bisogna capire come agire per non
far sentire offeso o in qualche modo attaccato la persona cui quest’atteggiamento viene rivolto; a
tal proposito chi ci fornisce più soluzioni è Plutarco che sostiene come soluzione migliore quella di
rivolgersi con mitezza e pacatezza senza dare alcun segno di prevaricazione e usando termini legati
a quest’ambito(Alessandro Magno vs i suoi soldati); un’altra soluzione potrebbe essere quella di
far capire all’interlocutore che il problema non riguarda solo lui, ma una pluralità in cui lo stesso
filosofo si inserisce.
Nel caso in cui questo non fosse abbastanza efficace allora bisogna accompagnare una
giustificazione della ‘’critica’’ che viene rivolta all’altro; in questo senso una soluzione potrebbe
essere o quella di affiancare al rimprovero una lode specialmente se si è in pubblico così da non
irritare troppo l’altro. In questo modo si eviterà di ricevere dall’altro una risposta scortese e,
riproponendosi un situazione contraria, questi potrà dare a chi prima l’ha corretto dei consigli
ricambiando così il suo atto di benevolenza.
Ma come fare questo essendo morbidi e non superbi? Tramite due strumenti ovvero la
confutazione e l’imparzialità due atteggiamenti che vanno a ledere comunque il rapporto tra
due persone; mentre la confutazione infatti implica che ci sia un rimprovero (infatti il verbo
confutare ‘’enlènchein’’ conserva anche il significato di ‘’rimproverare’’) che sarà molto più tragico
per chi lo riceve pubblicamente; dall’altro lato l’imparzialità implica che si metta da parte il
rapporto di amicizia e si dica senza peli sulla lingua quello che si pensa di un comportamento
sbagliato.
Come fare allora a scegliere? Plutarco propone una soluzione del tipo et…et che permetterebbe di
mettere in relazione entrambe le cose senza causare gravi danni tra i due interlocutori ovvero
attraverso la persuasione, che quello che si stia dicendo, non sia affatto un rimprovero; Socrate
invece si muove sulla linea di ricercare insieme la verità di ciò che si è detto in maniera scorretta
oppure di ricorrere a tre componenti cioè la franchezza, la scienza e la benevolenza.

Cap. 3
In questo capitolo si analizzano i vari modi per sviare un conflitto pur non sapendo di possedere
questi mezzi non violenti (es. sfida tra chi fosse il più potente tra Borea e il Sole).
Tra questi mezzi abbiamo: 1. Mettere l’avversario di fronte alla propria coscienza invitandolo cioè
a riflettere sulla propria condotta;
2. fare uso della creatività in modo da spiazzare il nostro ‘’avversario’’ con delle trovate anche a
tratti comici (Filocleone vs Schifacleone);
3. non collaborare con l’oppressore; secondo Plutarco non bisogna dimostrare la propria
opposizione per ciò che dice l’altro, ma unire ad un poco di accondiscendenza anche una certa
dose di distacco in modo nonviolento per far comprendere l’errore. Bisogna quindi dire di ‘’no’’ e
attraverso un minimo sforzo sarà possibile modificare la situazione in cui ci si trova. Esempi di
questo tipo li troviamo nel popolo romano che nel 2 d.C. si ribellarono ad Augusto che aveva
confinato a Ventotene la figlia Giulia Maggiore, nonostante fosse rea oppure Mentore-Atena
nell’Odissea arrivata alla corte di Odisseo non rimprovera i Proci per come avevano ridotto la
reggia, ma il popolo che non si era opposto per scacciarli via.
L’unica violenza messa in atto così è solo quella della pressione psicologica che si esercita
sull’altro.
4. fare disobbedienza civile cioè opporsi a chi detiene il potere. Questo non significa muovere
guerra, ribellarsi in maniera pacifica con piccoli gesti esempi di questo tipo sono Antigone contro
lo zio Creonte nei 7 contro Tebe oppure Arpago che si rifiuta di sopprimere Ciro nonostante molti
guidati da Astiage lo volessero fare o ancora Socrate non si sottrae ai giudici quando viene
incolpato di corrompere i giovani.
Dunque a differenza di quello che la storia che comunemente si studia ci insegna non bisogna
ricorrere alla violenza necessariamente.

Cap 4.
Si parla del ruolo delle donne come pacificatrici di conflitti nonviolenti. Dopo aver preso in esame
la testimonianza di David Schaps che sottolinea l’indole altrettanto violenta delle donne in tempo
di guerra rispetto agli uomini, si passano in rassegna esempi di donne che si frapposero tra due
schieramenti per evitare un conflitto nel mondo latino per poi passare all’elencazione di altri
esempi nel mondo greco, con la finalità di smentire quanto affermato da Schaps.
Nel mondo greco infatti abbiamo molte testimonianze nella tragedie e nelle commedie e nella
mitologia da un lato e dall’altro nell’ambito di eventi bellici veri e propri o di altre circostanze non
militari; nel primo caso ad esempio con le figure di Giocasta che cerca di porre fine ai contrasti tra i
figli Eteocle e Polinice oppure Lisistrata che nell’omonima commedia pone fine al conflitto tra
Ateniesi e Spartani adoperando la parola infatti alla fine gli uomini le affidano la possibilità di
redimere tutte le contese oppure nella mitologia abbiamo ad esempio le donne armate di tirsi che
Dioniso conduce per le città scacciando via le contese e portando la serenità; nel secondo caso le
testimonianze a favore vedono la donna portatrice di pace nel caso del conflitto che scoppiò tra
Miunte e Mileto; Frigio si era innamorato della figlia di Pite, Pieria e quando lui le confessò il suo
amore e le chiese che cosa potesse offrirle lei rispose dicendo che voleva recarsi più
frequentemente a Mileto, il che imponeva la cessazione del conflitto, cosa che altrimenti non
sarebbe stato possibile; o ancora Telesilla, organizzatrice della difesa militare delle donne dopo la
morte degli uomini a seguito dell’incursione dello spartano Cleomene nel 494 a.C., permise che la
guerra cessasse perché gli uomini spartani non trovavano glorioso scontrarsi con delle donne.

Cap 5.
In Grecia per la risoluzione dei conflitti spesso venivano prese delle soluzioni diplomatiche in
relazione a quante armi usare, quanti uomini schierare oppure per quanto tempo combattere,
insomma una serie di norme che oggi prendono il nome di diritto bellico (il che costituisce un
controsenso) basato su due principi cioè il principio di proporzionalità dei danni e quello di
distinzione tra combattenti e non combattenti. Il primo afferma che qualsiasi azione verso i civili è
considerata illecita, mentre il secondo, entrando subito in contraddizione con il precedente,
afferma che la quantità di morti incidentalmente se rientra nella quantità prestabilita in base alle
armi utilizzate allora è qualcosa di lecito. Il controsenso è tangibile.
In Grecia già in molti denunciavano la guerra che mira alla distruzione di un popolo, ritenendo
piuttosto, come nel caso di Polibio, che la guerra dovesse servire per correggere un
comportamento sbagliato che un popolo aveva commesso e non diventare un pretesto per
vendicarsi.
Riguardo alle misure belliche citate prima e attuate dai Greci abbiamo ad esempio per quanto
riguardo il numero di combattenti la guerra tra Spartani e Argivi nel 550 a.C. che si accordarono
per limitare la belligeranza ad usare per il combattimento solo una parte dell’esercito; oppure
riguardo lo spazio in cui combattere come riporta Erodoto era frequente che gli scontri
avvenissero all’aperto in luogo abbastanza spazioso. Altro metodo di combattimento strettamente
circoscritto era per esempio il duello che sin dai tempi omerici era largamente diffuso.
Tuttavia in Grecia non ci sono stati solo interventi che nel concreto non riuscivano a fermare le
ingiustizie, si registrano anche misure più efficaci che di fatto permettevano di rendere i nemici
amici.
I primi ad intervenire per la risoluzione dei conflitti erano sicuramente gli araldi o i messaggeri che
dichiaravano la volontà di concludere la guerra in maniera pacifica e questi potevano essere
mandati sia durante che prima del conflitto per evitarlo totalmente. Il messaggero costituiva un
collegamento spazio-verbale tra le due parti che si vengono incontro per siglare la pace e infatti
‘’stipulare un accordo’’ in greco mantiene quest’idea dell’unione con termini come ‘’sumbainein’’
e il suo ruolo era così importante che in reco una guerra che non riusciva a risolversi con il loro
intervento era detta akéryktos ‘’senza araldi”.
Altra figura importante era quella di uomini politici o di particolare rilievo che avevano una certa
influenza sul popolo o sugli avversari; per avere questa capacità si doveva possedere non solo una
buona dialettica, ma soprattutto acquisire la fiducia prima degli ‘’amici’’ cioè di coloro che
facevano parte del proprio schieramento, attraverso azioni concrete e successivamente quella dei
‘’nemici’’ (es. Nicia) e inoltre non si doveva far sentire umiliata la parte dei nemici.
Qualora questo non dovesse bastare però abbiamo il ricorso alla diplomazia dall’alto, cioè
l’instaurazione di clausole di pace tra coloro che detengono il potere cercando di offrire pari
vantaggi, come nel caso dell’ambasciata tra Spartani e Tebani nel 371 a.C riportata da Senofonte in
cui si fa leva a rapporti di amicizia, sincerità e l’ammaestramento reciproco, oppure l’intervento di
Fufezio di Albalonga verso i generali romani, o ancora l’intervento di Alessandro Magno che
distrusse Tebe poiché si era ribellata, mantenendo però intatti i luoghi sacri per rispetto.
Dall’altro lato abbiamo invece la diplomazia dal basso, che come si evince è quella che proviene
proprio dal popolo e si realizza senza usare metodi ufficiali come ad esempio gli araldi, ma tramite
rapporti di vicinanza tra popoli diversi che inevitabilmente conducono al dialogo e creano
spontaneamente un rapporto pacifico come nel caso delle Amazzoni e degli Sciiti.
Ma se tutte queste soluzioni non fossero efficaci allora si potrebbe ricorrere a terze parti ovvero ad
un arbitro; questi teoricamente dovrebbe intervenire in modo di non favorire nessuna delle sue
parti e concludere senza spargimento di sangue il conflitto; la sua azione può essere condotta di
sua sponte ovvero senza che gli sia richiesto, ma cercando di far ragionare le parti coinvolte.
Uno dei primi casi di mediazione riguardò Solone per la risoluzione della congiura dei Ciloniani
oppure quello operato da poeti come Terpandro o Taleta che con il loro canto posero fine alla
guerra civile.
Cap. 6
La risoluzione di un conflitto infine può avvenire attraverso dei semplici gesti che diventano più
efficaci di qualsiasi parola e la loro attuazione dipende essenzialmente dal tipo di rapporto che si
vuole instaurare con il nemico; infatti anche i gesti compiuti involontariamente esprimono quale
sia la vera tendenza verso il nostro nemico.
Durante un combattimento per indurre l’altro a fermare l’operazione di guerra, il segnale viene
lanciato dal comandante che si stacca dal suo esercito con un movimento anomalo durante le
azioni belliche e primo esempio di questo tipo ci viene offerto da Ettore nell’Iliade che invita i suoi
uomini a deporre le armi sollevando una lancia e a sedersi per proporre ai nemici di concludere la
guerra con un duello da Menelao e Paride suo fratello; o ancora nel mondo romano nel 43 a.C.
durante la guerra civile Antonio si reca presso l’accampamento di Lepido per trattare con lui, ma
prima di fare ciò, si sistemerà con i suoi uomini accanto all’accampamento nemico come se ne
facesse parte anche lui e infatti Lepido avendolo visto accorrerà presso la sua tenda e dialogherà
con lui come se fossero due amici.
Un altro principio da utilizzare per comunicare con il nemico è il senso del legame identitario, cioè
il fatto di riconoscere nell’altro caratteristiche simili ad un proprio familiare il che renderebbe
l’uccisione un’azione grave come nel caso del famoso duello tra Glauco e Diomede che rivedono
reciprocamente sui loro volti quelli dei loro padri che si erano scambiati l’ospitalità e per questo
motivo non possono farsi guerra l’un l’altro; Plutarco riporta alcuni atteggiamenti amichevoli tra i
nemici durante i periodo di guerra anche grazie alla mediazione delle sentinelle.
I vincoli di amicizia tra schieramenti nemici comunque sembrano essere più efficaci durate le
guerre civili dove cioè ci riconosce tra membri della stessa comunità come quando nel 90 a.C. le
forza di Mario si scontrarono con quelle di Pompedio Silone per la cittadinanza romana e
riconoscendosi tra di loro i combattenti cominciarono a chiamarsi per nome l’un l’altro e ad
abbracciarsi.
Nonostante la veridicità di questi avvenimenti comunque non si riesce sempre così a risolvere i
conflitti, perché anche se avvengono questi rapporti di ‘’amicizia’’ e fraternità, spesso i conflitti
continuano e diventano delle azioni davvero massacranti e disumane, ma se ciò avviene è solo da
attribuire alla convinzione dei belligeranti dell’impossibilità di sottrarsi al combattere, quindi in
questo caso entrerà in gioco la scelta del singolo di fronte alla guerra.
Si nota inoltre come tutte queste situazioni presentate abbiano come elemento comune la
vicinanza verbale o fisica che permettere inevitabilmente di instaurare delle comunicazioni con
l’altro e aprire così la strada ad una nuova soluzione di fronte al problema ‘’guerra’’.
Quindi possiamo concludere dicendo che tutto dipende dalla nostra voglia di diventare davvero
fratelli con le persone che ci stanno intorno e non parlare di questo principio come qualcosa di
utopico un po’ come fecero gli abitanti della cittadella di Nakone in Sicilia nel III sec. a.C. che
diedero vita alla pratica dell’adelphothetìa ‘’affratellamento’’ che consisteva nell’unire insieme 30
coppie formate dagli avversari e gli abitanti della cittadella e ricombinare queste unioni in modo
che si unissero sempre con persone che non fossero tra loro parenti.

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