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Andrea Inzerillo
Certamente!
Giuseppe Paviglianiti
Disaccordo e politica
1
Filippo Del Lucchese proponeva di tradurre mésentente con disintesa: cfr. Id., La potenza
aritmetica dell’uguaglianza, in “il Manifesto”, 4 aprile 2007.
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Andrea Inzerillo
ascolta ciò che l’altro dice. Il disaccordo non è il conflitto tra colui
che dice bianco e colui che dice nero: è il conflitto tra colui che dice
bianco e colui che dice bianco, ma che non intende la medesima
cosa, o non capisce che l’altro, sotto il nome “bianco”, sta dicendo
la medesima cosa2.
2
J. Rancière, Il disaccordo, tr. it., Meltemi, Roma 2007, p. 19. Una proposta di traduzione
alternativa, che mantenga l’ambiguità del francese entendre, potrebbe essere: «[…] nella quale
uno degli interlocutori intende e nello stesso tempo non intende ciò che l’altro dice», giocan-
do così sulla corrispondente ambiguità dell’italiano intendere che sta per “capire”, “sentire”,
“comprendere”.
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Dal video al cinema. Il disaccordo televisivo di Cinico Tv
non è tanto un “disciplinamento” dei corpi quanto una regola del loro
apparire, una configurazione delle occupazioni e delle proprietà degli
spazi in cui queste occupazioni vengono distribuite3.
3
Ivi, p. 48.
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Andrea Inzerillo
Estetica
4
Cfr. Le ragioni del disaccordo. Conversazione con Jacques Rancière, a cura di R. De
Gaetano, infra, pp. 7-23, segnatamente la presa di distanza dalla posizione sartriana sul rapporto
tra letteratura e politica: «Di conseguenza si può dire che ogni creazione artistica è politica nella
misura in cui agisce sulla costruzione del senso comune, ma anche contemporaneamente nella
misura in cui costruisce forme di senso comune che si trovano in dissenso o disaccordo con altri
tentativi di costruzione di un senso comune, come quello di un soggetto politico che propone
un mondo possibile. […] Ciò che caratterizza una forma di dissenso politico è sempre, nello
stesso tempo, una maniera di costruire qualcosa come un mondo possibile, condivisibile. Una
creazione artistica non si pone la questione di costituire un mondo possibile che sia condivisibile
sotto forma di una dichiarazione collettiva o di un progetto collettivo: una creazione artistica in
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Dal video al cinema. Il disaccordo televisivo di Cinico Tv
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Andrea Inzerillo
Consenso e televisione
6
J. Rancière, Il disaccordo, cit., p. 115.
7
Mi riferisco alla distinzione presente in G. Didi-Huberman, Devant l’image. Question
posée aux fins d’une histoire de l’art, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, che rifiuta di esau-
rire l’analisi dell’immagine alla sola opposizione (fenomenologica) tra visibile e invisibile, e
introduce pertanto la dimensione del visuale come presenza nell’immagine di qualcosa che, pur
non essendo invisibile, non rientra nemmeno nella narrabilità del visibile propriamente detto;
a questo proposito, cfr. anche Temporalità e memoria del visuale. Conversazione con Georges
Didi-Huberman, a cura di A. Cervini e B. Roberti, in “Fata Morgana”, n. 8 (2009), pp. 7-19,
e in particolare la contrapposizione tra il visibile privo di memoria della diretta televisiva e la
dimensione memoriale del visuale.
status quo, al cliché, alla conferma della ripartizione poliziesca della società,
questo pare essere, da un punto di vista estetico prima ancora che storico,
la televisione. In Contro la televisione8, Pier Paolo Pasolini ne denunciava
l’essere copertura dello Stato piccolo-borghese ed espressione diretta di tutta
la volgarità, la bassezza e l’odio per la realtà, a causa della messa al bando
di ogni forma di sacro e dell’assenza di qualunque forma stilistica che le
fosse propria. È esattamente su (e contro) questa idea di televisione, o più
precisamente di immagine all’interno della televisione, che i registi siciliani
decidono di lavorare. Insieme, prima e forse più che nei tre lungometraggi
cinematografici (che avranno un legame fortissimo con la dimensione del
sacro proprio grazie ai cortometraggi degli anni televisivi), il lavoro di Ciprì
e Maresco all’interno della televisione italiana degli anni ’90 va pensato
come un lavoro di rottura di straordinaria importanza politica. Il cinismo
professato dai registi è quanto di più lontano dall’urgenza del sociale, dife-
sa e rivendicata da molti colleghi, dell’epoca e non solo. L’ambientazione
palermitana, una Palermo che usciva dai sanguinosi anni ’80 e si dirigeva
verso gli anni delle stragi Falcone e Borsellino, è tutt’altro che realistica.
Perfettamente riconoscibile e dichiaratamente Palermo, eppure in qualche
modo pretesto per una riflessione autoriale ben più ampia. Più volte Ciprì e
Maresco si sono espressi sul carattere apocalittico e post-apocalittico della
città, dei suoi abitanti e del loro stesso cinema. «L’anteprima del Giudizio
Universale è qui, a Palermo»; «Non illudiamoci: a Palermo non si aggiusta
niente»: decine di considerazioni simili sono presenti nelle dichiarazioni dei
due autori. Di qui l’importanza della trasfigurazione della città:
8
P.P. Pasolini, Contro la televisione, in Id., Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori,
Milano 1999, pp. 128-143. Cfr. anche A. Canadè, Pasolini, la televisione e il sacro, in Corpus
Pasolini, a cura di Id., Pellegrini, Cosenza 2008, pp. 193-206.
9
E. Ghezzi (presentazione di), InSenso Cinico, Ila Palma, Palermo 1993, p. 48.
10
Ivi, pp. 49-50 (corsivi miei).
11
Il soggetto inedito La Madonna della Mercedes, di Daniele Ciprì, Franco Maresco, Lillo
Iacolino, è pubblicato in Brancaleone 2. Il cinema e il suo doppio, a cura di V. Buccheri, E.
Morreale, L. Mosso, A. Pezzotta, Agenzia X, Milano 2007, pp. 135-162.
Comunicazione e sociale
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Non sempre, per essere precisi; ma anche quando, in alcuni video, è interrogato dalla
voce off, Paviglianiti risponde a ripetizione con un certamente! o una sua variante: certo, ma non
solo. Sembra tuttavia che il personaggio di Paviglianiti raggiunga tutta la sua potenza quando, a
differenza degli altri attori, occupa interamente l’inquadratura senza alcun interlocutore.
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Mi pare inoltre che il Certamente! di Paviglianiti abbia più di un punto di contatto con
l’I would prefer not to del Bartleby lo scrivano di Herman Melville, secondo la lettura che ne ha
dato Gilles Deleuze in Bartleby o la formula, in G. Deleuze, G. Agamben, Bartleby, la formula
della creazione, tr. it., Quodlibet, Macerata 1993. La formula di Bartleby sospende il linguaggio,
lo astrae da ogni funzione denotativa e comunicativa in maniera simile a quella che Paviglianiti
opera con il suo Certamente!. La funzione disindividuante della formula rispetto a ogni ruolo
sociale, poi, è del tutto analoga.